Marketing Automation_ Guida Com - Alessio Semoli

April 16, 2017 | Author: Nicola Gorelli | Category: N/A
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MARKETING AUTOMATION

Alessio Semoli

MARKETING AUTOMATION Guida completa per automatizzare il tuo business online

EDITORE ULRICO HOEPLI MILANO

Copyright © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2015 via Hoepli 5, 20121 Milano (Italy) tel. +39 02 864871 – fax +39 02 8052886 e-mail [email protected] www.hoepli.it Seguici su Twitter: @Hoepli_1870 Tutti i diritti sono riservati a norma di legge e a norma delle convenzioni internazionali ISBN EBOOK 978-88-203-7002-2

Progetto editoriale: Maurizio Vedovati – Servizi editoriali Copertina: Sara Taglialegne

Realizzazione digitale: Promedia, Torino

SOMMARIO PREFAZIONE NOTA SULL’AUTORE RINGRAZIAMENTI INTRODUZIONE

CAPITOLO 1 Riprogrammiamoci La Zona di apprendimento Paure e sensi di colpa Gestione del tempo Work-life balance: il valore sociale di una vita personale equa tra sfera

professionale e sfera privata Attraiamo ciò che ci serve

CAPITOLO 2 Marketing digitale Rivoluzione digitale Crowdfunding Trend emergenti Mobile marketing App Multidevice Responsive o Mobile version Modelli di business Vendita online Generazione di lead Progetto editoriale

Supporto alla vendita tradizionale Engagement & branding

CAPITOLO 3 Customer journey Il percorso del cliente Awareness Consideration Conversion Advocacy Marketing touchpoint Multicanalità Zero Moment Of Truth (ZMOT) Il comportamento nell’acquisto

CAPITOLO 4 Digital analytics Non puoi controllare ciò che non misuri Mirare a obiettivi concreti: il concetto di actionable 38 Big Data Software di Digital analytics Come funziona tecnicamente la Web analytics Le metriche Cookie Visita Pagina di rimbalzo o bounce Conversion Rate Cost Per Acquisition (CPA) Return On Investment (ROI) Key Performance Indicator (KPI)

Modelli di acquisto/vendita pubblicità Tracciamento delle campagne Alert intelligence

CAPITOLO 5 Inbound marketing Processo Inbound marketing Attrarre Convertire Fare agire Soddisfare Content marketing I vantaggi del Content marketing Educare prima, vendere poi Sviluppare la brand voice Tipi di contenuti

Lavorare con gli influencer Riscrivere contenuti Pubblicare e promuovere i repository di contenuti Misurare il ROI Traffico spontaneo

CAPITOLO 6 Paid media Display advertising Retargeting Performance marketing Programmatic advertising Advertising automation I pilastri dell’automazione pubblicitaria

Search marketing SEM automation Tre tipi di automazione di ricerca a pagamento Identificare le attività di automazione Google AdWords Automation Attenzione alle regole giornaliere che aumentano o diminuiscono le offerte Multichannel attribution

CAPITOLO 7 Email marketing Metriche Open Rate

Click Through Bounce Rate Delivery Rate List Growth Rate Email Sharing Integrare il sistema email con altri sistemi di dati Migliorare il tasso di consegna Tenere pulita la lista Conservare e incrementare il numero degli utenti Realizzare un ROI misurabile Chiudete il ciclo del marketing Usare le email per l’ottimizzazione del funnel Tipi di Email marketing Newsletter

Email digest Email dedicate Email sponsorizzate Email transazionali Email automatiche Trigger Campagne automatizzate Trend Email marketing

CAPITOLO 8 Marketing automation Che cosa non è la Marketing automation Che cos’è la Marketing automation Tipologie di automazione La crescita del settore I numeri della Marketing

automation Crossing the chasm Allineamento di marketing e vendite Il cambio del ruolo del marketing Marketing automation per piccole imprese Non andate in overautomazione Registrazione del potenziale cliente

CAPITOLO 9 Sistemi di gestione dei contenuti (CMS) Landing page A/B test landing page A/B test email Quale strumento è meglio utilizzare

Esperienza personalizzata Quale piattaforma scegliere? Analisi visuale Link e clic Analisi dei form

CAPITOLO 10 Lead management Lead generation Progressive profiling Lead nurturing Lead scoring Che cosa sono i workflow Gestione degli appuntamenti

CAPITOLO 11 CRM Differenze tra Marketing automation e CRM Valutare il bisogno di custom integration Servizi di integrazione Attività di ottimizzazione CRM Collegare il CRM al tool di Marketing automation Inviare i lead al settore vendite Collaborare con il reparto vendite Segmentazione Comprendere i tipi di segmentazioni Segmentazione statica Segmentazione semi-dinamica Segmentazione completamente

dinamica Generazione della prima lista Esplorare i molti usi della segmentazione Riciclo lead

CAPITOLO 12 E-commerce automation E-commerce platform E-commerce strategy Abbandono del carrello Customer Lifecycle Management Incrementare il valore del CLV Messaggi follow-up Email di benvenuto Conferma ordine

Survey post-acquisto Recensione prodotto Cross sell/upsell Raccomandazione prodotti Anniversario Comunicazioni Win-Back Loyalty program

CAPITOLO 13 Social media Digital engagement Facebook Advertising Facebook per lead generation Fase 1: individuare le persone giuste Fase 2: creare le inserzioni giuste

per far cliccare le persone giuste Fase 3: convertire con le campagne Facebook Like engagement Brand engagement Site engagement Sincronizzare i social media Modello IFTTT

CAPITOLO 14 Customer experience I mezzi L’integrazione di più soluzioni Che cosa si aspettano i clienti Survey

Social care

CAPITOLO 15 Scelta della piattaforma Trovare il giusto livello tecnologico Sei pronto per la Marketing automation? Le soluzioni di Marketing automation Scelta della piattaforma Caso di studio – Roland e Wixab

Appendice legale La privacy nel settore del Marketing e del Behavioural Advertisting Il Marketing online e la profilazione Il Codice della privacy

Il telemarketing Il marketing via email, fax, SMS o MMS Il marketing via posta cartacea Il Decreto “E-commerce” La profilazione I tempi di conservazione dei dati I cookie e il Behavioural advertising Il Decreto Il cosiddetto modello inglese e le critiche dell’art. 29 Working Party Le Linee guida del Garante La registrazione del consenso Le sanzioni Tempi di adeguamento

Conclusioni Informazioni sul Libro

PREFAZIONE Vuoi cambiare il mondo? Inizia con il cambiare te stesso. Questa è la lezione che Alessio Semoli, grazie a tanti anni di esperienza sul campo, dà sempre quando spiega il mondo digital in tutti i suoi dettagli tecnici. Ma per cogliere tutte le opportunità al riguardo dobbiamo prima fare un salto indietro: partiamo dalle nostre idee, dagli atteggiamenti, dalle abitudini e dagli obiettivi e mettiamoli in discussione. Anche quelli che pensiamo siano i nostri punti di forza potrebbero rivelarsi invece le nostre

debolezze. Il mondo online è una foresta piena di risorse, ma la competizione è fortissima ed estrema, esattamente come la vita reale. Per questo, per avere successo online bisogna iniziare a lavorare bene offline, su noi stessi. È meglio non distinguere i due mondi, perché hanno la stessa componente principale: le persone. Mi piace citare il mio vecchio coach di ping-pong, quando mi mettevo in gioco da professionista e non riuscivo a migliorare il mio colpo di rovescio, pur allenandomi costantemente. Molto semplicemente gli chiesi: “Ho un dritto devastante, ma sono scarso di rovescio, come posso fare?” E lui altrettanto

semplicemente rispose: “Inizia con il cambiare il tuo dritto, potrebbe essere quello il tuo vero punto debole!” È indispensabile avere ben chiaro tutto nella propria testa, è necessario mettere per iscritto gli obiettivi e i punti di partenza, in ordine cronologico. Accendere il portatile, per avere un buon successo online, rappresenta solo l’ultima tappa. La strada per migliorare passa attraverso sette concetti fondamentali, sette pietre miliari che non potrete ignorare lungo il percorso, sette keyword da tenere bene in mente, a portata di mano, come amuleti che attraggono il successo.

Standard Innalzare le vostre aspettative, il vostro livello, l’asticella: per saltare sempre più in alto. È importante capire che il punto in cui vi trovate adesso dipende principalmente dagli standard che vi siete imposti. Tutte le persone e le aziende di successo hanno un mantra che risponde a questa frase: “Raise your standards”. Alzando il vostro livello, aspettando sempre il massimo da voi stessi, sarà più facile migliorare, esaminarsi e capire quali sono le vie da percorrere per migliorare le prestazioni e i risultati.

Filosofia personale Dovete avere ben chiara un’idea che vi caratterizzi e che guidi le vostre scelte e i vostri comportamenti, un “mantra” personale che funzioni da filtro, da depuratore della realtà. Qualunque cosa accadrà sarà interpretata secondo questo modo di affrontare la vita, che prevede una strategia stabilita e collaudata. Impostare questa strategia è fondamentale, metterla per iscritto, stabilirla in modo ufficiale sulla vostra agenda o conservarla nel portafogli, addirittura affiggerla sullo specchio del vostro bagno, in modo da poterla avere sott’occhio quotidianamente. Impostatela

secondo il criterio dell’educazione e non in base all’ispirazione, non dovete mai scordarvi le ragioni per cui non avete ancora ottenuto i risultati sperati. È fondamentale avere tutto ben visibile, non fidarsi soltanto della memoria che spesso è aleatoria e tende a selezionare in base a criteri soggettivi. La strategia sarà il vostro presupposto, fisserà gli obiettivi e vi ricorderà che non è il contesto a fare la differenza, non sono gli eventi che vi circondano a determinare i risultati, siete soltanto voi. Lamentarsi non è una strategia: ecco un’altra frase da scolpire, da ripetere e assimilare, da seguire e da non dimenticare.

Stop agli alibi e alle scuse, servono soltanto a creare giustificazioni che non incidono minimamente sul corso degli eventi. Ricordo un altro episodio emblematico che riguarda sempre la mia volontà di migliorare il mio gioco. Il saggio allenatore di ping-pong mi chiese: “Marco, secondo te qual è il tuo problema?” Io iniziai a descrivere la situazione della Federazione Italiana Tennis Tavolo, parlai dell’inadeguatezza delle strutture e degli avversari, degli allenamenti poco stimolanti, di come fosse difficile affermarsi e imporsi. Mi guardò scuotendo la testa, avevo capito che c’era soltanto una risposta alla sua domanda. Il problema del mio

insuccesso ero io, era su di me che dovevo lavorare, erano le mie caratteristiche che dovevo cambiare e adattare per migliorare. Parlare di tutto il resto non aveva senso, non serviva assolutamente a niente. Interpretare i fatti, reagire agli eventi, psicologia, strategia, mentalità, tutto questo rappresenta il presupposto senza il quale i consigli degli esperti non servono assolutamente a niente.

Approccio Snello, rapido e intelligente, in una parola: “smart”. Così dev’essere configurata la vostra attitudine, la vostra

mentalità. L’approccio dipende sempre da due fattori: ciò che vi è successo in passato e ciò che volete accada in futuro. In questa fase sono imprescindibili una mission e numerosi obiettivi, che non possono essere trascurati ma vanno stabiliti e trascritti. Insistete nell’appuntare tutto, in modo che sia un parametro di confronto negli anni a venire. La mission, o vision, dev’essere alta e pretenziosa, elevata. Sarà il proposito ambizioso che determinerà il futuro, sarà il magnete che vi trascinerà avanti, qualunque cosa succeda. È importante ragionare su una missione di lungo periodo, talvolta porsi anche dei

traguardi apparentemente inarrivabili. Così hanno avuto successo i grandi del Web, puntando verso mete inizialmente impossibili. Il passato non può essere trascurato, insegna molto, ma non deve mai condizionare il futuro. Pensare che il passato incida sul futuro è come giocare d’azzardo su un numero che non è ancora uscito, ma pensando che prima o poi sarà sorteggiato: quel numero ha ogni volta la stessa probabilità di essere estratto. È dunque tutto collegato da un filo sottile ma indistruttibile, passato e futuro, ma il primo diventa estremamente negativo quando condiziona il secondo. L’approccio è determinante per una buona preparazione, e questa sviluppa

ottime idee, che conducono a decisioni migliori, e di conseguenza si ottengono risultati e maggiore fiducia in se stessi. La preparazione è fondamentale, la freschezza della mente, la prontezza nelle reazioni agli eventi, la tempestività nello sviluppare l’idea giusta al momento giusto. Un amico mi disse: “Come posso fare per diventare il re del Web?” La mia risposta fu molto semplice e lui sgranò gli occhi: “Mangia ogni mattina un cucchiaino di miele di manuka e inizia la giornata con una buona attività fisica!” Sembra un’assurdità ma questo è proprio alla base di una buona preparazione, rientra nell’ambito

dell’approccio: sono le piccole abitudini a forgiare la persona, ad allenare la mente, ad approntarla, a predisporla per una versatilità necessaria per essere dinamici e reattivi. Si tratta di un meccanismo semplice, impostato sul lavoro: azzerare ciò che è successo senza scordarlo e proiettarsi verso quello che verrà. È l’approccio a determinare il successo, perché questo non si insegue, ma è attratto da persone attraenti.

Esecuzione e ripetizione

Si dice che un grammo di azione valga più di una tonnellata di teoria, e non c’è niente di più vero! C’è un’enorme differenza tra chi parla e chi fa, tra chi racconta per ore che cosa ha fatto per raggiungere un risultato e chi definisce semplicemente il risultato. Concentrarsi sull’obiettivo e sul suo raggiungimento, non sull’attività svolta per ottenerlo: ecco un’altra massima da non scordare mai. Eseguire e ripetere, fino alla noia, fino allo sfinimento, non dare mai niente per scontato o già acquisito e quindi trascurabile. Un’intervista a un personaggio pubblico molto famoso mi ha colpito particolarmente in questo senso. Sto

parlando di LeBron James, forse uno dei migliori giocatori di basket di tutti i tempi, un superman della pallacanestro, infallibile e devastante. Alla domanda su quale fosse il segreto della sua forza, rispose: “Mi alleno ogni giorno ripetendo lo stesso esercizio per centinaia di volte, centinaia e centinaia di volte!” Essere il migliore nell’ambito teorico non basta, dire che sei il più forte non ha senso! Continuare, insistere per un’evoluzione costante. Un giorno una ragazza mi chiese come avrebbe potuto fare per avere il maggior numero di visualizzazioni su YouTube. “Niente di più banale,” le dissi. “Pubblica tre video ogni giorno per tre

anni e poi torna a dirmi che è successo!” Costanza e assiduità, perseveranza e concretezza, non ci sono segreti. In questa sfera rientrano diverse domande che dovete porvi in continuazione per migliorare: “Che cosa non sto facendo che potrei fare?”, oppure “Che cosa sto facendo che invece non dovrei fare?”. Capita molto spesso di sapere esattamente che cosa dovete fare, ma non lo fate, talvolta per inerzia, spesso per distrazione: sono i primi aspetti da curare e limare, concentrarsi e fare, eseguire e ripetere, sempre!

Misurazione Il digital è un gioco di numeri. Per ogni aspetto del vostro lavoro, dovete essere in grado di contare, misurare, controllare. I numeri rappresentano i canoni della verità, del successo o dell’insuccesso. Anche in questo caso, scrivere è fondamentale, avere sotto controllo tutti i dati, conoscere e annotare i punti di partenza, il confronto sarà il metro con cui misurare il vostro percorso online e anche offline. Le analisi numeriche possono farvi notare dove intervenire, possono dare fiducia ed entusiasmo, dei rapidi checkup sono indispensabili.

1% Sono sempre stato dalla parte della minoranza. Non mi piace la massa, perché questo concetto abbassa il livello, lo standard, la famosa asticella. Attuare una selezione dei contenuti, valutare bene le persone con cui abbiamo a che fare, tenersi lontani dai venditori di sogni, dai concetti che inquinano, dalle dicerie comuni, conformarsi alla massa può essere pericoloso e demoralizzante. Ciò che fate non potrà mai essere approvato all’unanimità: ci saranno coloro che vi remeranno contro, che criticheranno più o meno aspramente;

analizzate le obiezioni, imparate dagli sbagli, ma concentravi su chi vi apprezza. Le iniezioni di fiducia sono la benzina che accende il fuoco dell’entusiasmo.

Valore, non tempo È importante capire che non veniamo pagati per il tempo che lavoriamo ma per il valore che produciamo. Volete vendere di più? Volete guadagnare di più? Aumentate il valore del vostro prodotto, elevate il livello del tempo che impiegate, aggiungete prestigio a ciò che fate e in questo modo sarete pagati quanto meritate.

Riuscire a produrre un valore che gli altri non sono in grado di offrire può innalzare il prezzo del vostro tempo. Adotto sempre l’esempio dell’usciere del palazzo: l’usciere guadagna in base al servizio che offre, esattamente come voi; se si sostituisce la sua figura con una porta automatica, il risultato cambia relativamente. Dovete essere dunque in grado di produrre un valore indiscutibilmente prezioso. Dovete essere anche in grado di valutare il vostro tempo, di avere un’idea del valore che producete, di non sottovalutare né sopravvalutare il vostro lavoro, serve convinzione e presa di coscienza.

Marco Montemagno Imprenditore tech, founder SuperSummit www.marcomontemagno.com

di

NOTA SULL’AUTORE ALESSIO SEMOLI

Alessio Semoli, esperto di comunicazione digitale e new media, attualmente è azionista e Marketing

Director di Softec SpA, società quotata in Borsa, specializzata nel Marketing digitale. In passato è stato presidente di Redation, società attiva nel Performance marketing; prima ancora Managing Director di Trackset, società internazionale di Web analytics, e precedentemente cofondatore di Intarget.net. Speaker in numerosi eventi, è consulente e formatore per importanti aziende italiane sui temi del Digital marketing, Performance marketing e Web analytics, nonché docente alla Business School de Il Sole 24 Ore e all’Università IULM di Milano.

RINGRAZIAMENTI Un ringraziamento va a chi permette che la mia esistenza su questo pianeta sia gioiosa e piena di amore: mia moglie Erika e i miei figli Luca, Lorenzo, Luis e Luna, da cui imparo ogni giorno le lezioni più importanti. Un rigraziamento a mio padre, mia madre e mia sorella, che hanno sempre creduto nei miei progetti e hanno sempre fatto il tifo per me anche nei momenti più difficili. Un ringraziamento a Massimo Manganaro per la pazienza e lo splendido supporto per rendere fluido e

uniforme il contenuto di questo libro. Un ringraziamento a Pierluigi Madonna per il suo fantastico supporto grafico e di sopportazione delle mie richieste. Un ringraziamento a tutte le persone che mi hanno aiutato e che hanno contribuito con i loro contenuti: Marco Montemagno, Gianluca Parodi, Luca Luperini, Marco Boni, Lapo Curini Galletti, Damiano Ferraioli. Un ringraziamento al mio amico/socio Alessandro Bonaccorsi, compagno di molte avventure che mi dà sempre la carica per fare meglio. Un ringraziamento a Pablo Baldini, che mi ha permesso di sperimentare

l’innovazione estrema nella sua azienda e con cui mi alleno quotidianamente nel miglioramento personale. Un ringraziamento a tutti i clienti che costantemente mi danno gli spunti per comprendere sempre nuove dinamiche e di alzare il livello. Un ringraziamento a tutte le persone che seguono i miei corsi e che ogni volta mi lasciano una ricchezza inestimabile con i loro feedback. Un ringraziamento infine a tutte le mie guide, a cui quotidianamente mi ispiro.

INTRODUZIONE In tutti questi anni di attività nel mondo del Digital marketing ho avuto la fortuna di vedere i profondi cambiamenti che si sono succeduti nel settore. Di fatto, sono stato tra i primi a lavorare in questo campo: quando sin da giovane, precisamente nel 1997, anziché frequentare le lezioni alla scuola superiore mi occupavo di realizzare siti web in HTML per i clienti di allora, che per me erano grandissimi anche se si trattava di piccoli campeggi, hotel e ristoranti della zona in cui abitavo. Con il tempo ho acquisito sempre più

consapevolezza dello strumento, che mi ha portato a confrontarmi con aziende molto grandi e con multinazionali e, oggi, oltre a essere il Direttore Marketing di Softec SpA, una società di Digital marketing quotata in Borsa al mercato italiano, mi occupo di formazione per università e business school italiane. In virtù di queste esperienze ho potuto comprendere a fondo le problematiche affrontate da molti imprenditori, manager e professionisti, e il loro approccio al mercato digitale, grazie anche alle diverse società che negli anni ho creato e poi venduto. In me c’è una forte componente di startupper e questa

caratteristica mi porta sempre a innovare, a provare a cambiare il paradigma e a migliorare me stesso e ciò che mi sta attorno. Posso dire con certezza che un grande step evolutivo personale l’ho compiuto approfondendo il tema degli strumenti di misurazione di attività online, quelli che vengono raggruppati nel concetto di Web analytics, e scrivendo il mio primo libro nel 2007, sempre per Hoepli. Con la prima edizione di quel libro ho cercato di dare, a tutti quelli che me lo chiedevano, suggerimenti su come misurare un primo approccio e su come il digitale può essere gestito e utilizzato per avere successo nello sviluppo di

qualsiasi business online. La Web analytics mi accompagna tuttora in qualsiasi progetto sviluppi o partecipi, ed è un modo di gestire il business che ho imparato con il tempo: come spesso mi piace dire, sono le cicatrici di strada che ti permettono di crescere. Anche nel mio caso, non avendo una preparazione da analista o economista, ho fatto sì che gli errori compiuti nei progetti non andati a buon fine diventassero importanti insegnamenti. Analizzandoli nel dettaglio, quegli errori erano quasi sempre causati dal fatto che il business veniva gestito in maniera solo intuitiva. Personalmente credo che l’intuizione sia una delle doti che dobbiamo

utilizzare maggiormente e, da intuitivo, posso confermare che spesso attingo a questa “conoscenza” per trovare soluzioni ai problemi o nuove opportunità e modi di fare le cose. Spesso, però, questa facoltà non basta o meglio, sebbene sia di fondamentale importanza, deve essere sorretta dalla solida base di una visione chiara della situazione e, in questo caso, emerge proprio il mondo della misurazione dei dati a offrire una piattaforma stabile e solida sulla base della quale, poi, far valere il proprio intuito. È opinione comune che se riesco a prendere una decisione su un dato, vuol dire che molto probabilmente ho definito

un metodo e un approccio che posso poi rimettere in discussione. Invece, troppo spesso, si prendono le cosiddette decisioni di “pancia”, istintive, quelle prese in un momento della giornata in cui le emozioni hanno la meglio sulla riflessività. In alcuni casi possono anche funzionare, ma difficilmente si potrà provare a variare o modificare l’approccio ai problemi nel caso in cui qualcosa non funzioni, proprio perché non abbiamo impostato una rotta, una strategia. L’esempio banale è quello di una barca a vela in mezzo al mare: il timoniere segue le proprie sensazioni, con i propri riferimenti, e tutto funziona; ma quando c’è tempo nuvoloso o magari

i riferimenti non sono visibili, allora servono degli strumenti, e avere una semplice bussola può fare la differenza e può aiutarci a ritrovare la rotta. Tutto ciò sempre tenendo in considerazione che comunque ognuno possiede quella facoltà che si chiama “libero arbitrio”, grazie alla quale può prendere decisioni anche in contrasto a ciò che indica lo strumento. Ma anche in questo caso è sempre importante farlo con consapevolezza e sulla base di una visione chiara e ragionata.

Il tempo Un dato di fatto di ciò che sta accadendo

alle aziende italiane è che, comunque, sono tutte sempre in fase di riorganizzazione in un mondo che cambia costantemente di giorno in giorno e la formazione nel mondo digital rimane un punto fondamentale per chi vuole cavalcare questa grande era di cambiamenti. Ovviamente, tutto ciò porta a un importante… consumo energetico. In questi ultimi anni, chi investe in progetti online digitali cerca di farlo al meglio sui vari mezzi pubblicitari che la Rete offre: sui social network e, comunque, impiegando tutte le attività di marketing possibili e cercando di spremere ogni singola risorsa. Ma alla

fine si scontra sempre con il fattore che, ai giorni nostri, è un problema importante: il tempo. Quindi, anche se si capisce che cosa c’è che non va e che cosa non funziona, comunque occorre tempo per fare le modifiche, definire un documento con le attività da svolgere, coordinare i vari interlocutori, controllare, testare e far sì che tutto funzioni. Il tempo non è qualcosa che si può comprare o gestire ma, dal mio punto di vista, è qualcosa che l’uomo si è inventato e ora detta il ritmo della nostra vita sempre più frenetica. Uno degli aspetti cruciali del tempo è che se non lo gestisci, lui gestisce te, e

così non hai la forza di far valere il tuo valore o di emergere in ciò che vuoi fare perché, di fatto, non ne hai il tempo! Praticamente ogni giorno sento ripetere le solite frasi: “Non ho tempo”, “Se avessi il tempo”, “Se potessi, comprerei il tempo”. E sempre più di frequente vedo persone schiacciate da questo pesante fardello. Poiché spesso anch’io sono caduto in questo tranello del “non avere tempo”, anche per il mio modo di essere, nel corso degli anni ho sempre cercato di mettere in discussione il modo di vivere che la società ci ha imposto, e sono arrivato alla conclusione che, in realtà, molte attività che facciamo nella nostra

vita sono semplici abitudini che abbiamo accettato consciamente o inconsciamente di attuare e che in realtà non portano nessun valore aggiunto. Nel mio caso è successo che qualche tempo fa, quando mi sono fermato a osservare con distacco il lavoro che stavo svolgendo, mi sono reso conto che spesso eseguivo la stessa operazione ripetitiva, un’attività meccanica che non mi dava alcun valore aggiunto ma che mi serviva per poter capire l’andamento di una certa situazione. Stavo semplicemente facendo un copia e incolla dei dati di andamento di fatturato dei vari progetti, riportandoli in un file di Excel, nel quale avevo impostato

delle formule che mi davano un’idea di ciò che il team di lavoro stava realizzando. Contemplando un attimo il mio lavoro, mi sono reso conto che ogni settimana perdevo quattro ore di tempo per fare una attività che non mi dava alcun valore aggiunto, tranne che era diventata un’abitudine, sebbene fosse importante e quindi… andava fatta. A quel punto, la cosa più intelligente da fare era risolvere in modo definitivo la situazione: la scelta giusta fu quella di “investire del tempo” per automatizzare il processo di “scambio dati”, affinché potessi trovare il riepilogo ogni giorno e non ogni settimana. Questo mi fece recuperare, in un colpo solo, sedici ore

in un mese, che impiegai per ottimizzare ulteriormente la gestione del mio tempo. Era come se avessi due giorni in più al mese per fare le mie cose o, come mi piace pensare, due giorni da dedicare in modo più completo alla mia famiglia. Quindi, una delle parole chiave che stava sempre più echeggiando nella mia testa era proprio il concetto di automazione. Pensando a questo concetto chiave, alla fine, mi sono reso conto che anche tutte le persone che non avevano tempo, in realtà, non stavano automatizzando i propri processi e non solo tutto ciò gli portava via molte risorse, ma non potevano neanche investire nel miglioramento della

gestione del proprio business. Oltre al tempo, un altro fattore limite per le aziende italiane è quello relativo agli investimenti: molte aziende ancora non credono nel mondo digital e a mio parere faranno la fine dei dinosauri. Queste aziende basano gli investimenti da effettuare sui progetti digital solo sui risultati di fatturato raggiunti, cosa che se da una parte è un approccio condivisibile, oltre che il modo giusto di operare, dall’altra non è molto diverso dagli effetti del modo di dire del “cane che si morde la coda”. Affermo questo concetto perché se a causa della mancanza di tempo e di risorse non investo, il progetto non riuscirà mai a

decollare indipendentemente dalle sue dimensioni o importanza. Ci sono però delle aziende che credono fermamente nello sviluppo del mondo digitale, in cui vorrebbero investire tempo e risorse, ma hanno problemi di budget, e quindi devono gestire una crescita ottimizzata. Anche in questo caso l’automazione può essere una soluzione immediata: vi sono certamente molti processi che possiamo far svolgere ad alcuni software in grado di eliminare le attività ripetitive, che magari sono eseguite manualmente da risorse umane. Con l’utilizzo di questi strumenti è possibile cominciare a far funzionare un progetto digitale,

ottimizzandolo grazie all’inserimento di piccoli sistemi di automazione, in modo che poi si possano investire budget per l’inserimento di personale in grado di far funzionare la strategia.

Crescita professionale e personale Questo libro nasce con lo scopo di aiutare le persone a riflettere e a formarsi in una doppia modalità: sia sotto l’aspetto professionale nel mondo del Digital marketing sia, di conseguenza, anche sotto l’aspetto personale. Il Web è un’opportunità

enorme da cogliere e grazie al mondo digitale le regole sono cambiate e si possono creare nuovi business o ampliare e far fruttare meglio quelli esistenti. In una società come quella contemporanea, molto caotica, in cui la competizione non è sana e le persone si ritrovano completamente prive di ogni energia e tempo da dedicare alla sfera più importante della propria vita (come se stessi e la famiglia), l’intento è quello di ritrovare quello spazio che ci permetta di vivere la vita che desideriamo, trovando soddisfazione nel nostro lavoro. Questo mondo, per come è impostato, non dà mai la possibilità di

soffermarsi su ciò che si sta facendo. Come per un criceto in una ruota che gira, l’illusione è che rallentare o fermarsi significhi sbagliare, quando in realtà si scopre che si può abbattere questa barriera e che possiamo correre liberi in un contesto per noi più interessante, che ci permetta non solo di lavorare in modo migliore e più produttivo ma anche di vivere in modo più sereno. Da sempre, la cultura della competizione ci ha instillato un senso di dover fare e produrre continuamente, senza mai fermarci, perché se interrompiamo quello che stiamo facendo il competitor acquisisce spazio

a nostro svantaggio. Quindi, spesso ci ritroviamo semplicemente a “fare”, quando in realtà si dovrebbe “fare per ottenere un risultato”, cioè portare a termine attività che siano legate a un obiettivo, a un voler ottenere un risultato concreto, tangibile e misurabile. Il fattore positivo consiste anche nel fatto che tutto ciò non è direttamente collegato alle ore che si impiegano nelle varie attività, bensì alla determinazione nel raggiungere un risultato. In questi anni, grazie sia ai clienti sia ai master e corsi di formazione tenuti presso le università e le business school, ho conosciuto molti manager, molti professionisti, molti business man e

molti studenti che impiegano una forza incredibile nell’ambito delle proprie attività e nello sforzo di raggiungere un risultato. Spesso succede che questi investimenti personali siano sovradimensionati rispetto a quelli che sarebbero sufficienti a centrare determinati obiettivi, finendo per condurre all’ottenimento del risultato ma con uno sforzo enorme, che priva delle energie da dedicare a ciò che le altre sfere della vita richiedono. Negli ultimi anni, ho visto partecipare sempre più persone ai miei corsi, e nei loro occhi ho percepito sempre più una voglia di cambiamento, di uscire dalla prigione che il sistema continuamente ci

crea attorno. Per esempio, da quando insegno come funziona la Web analytics, ho compreso il forte interesse da parte di tutti su come si possano veramente utilizzare i software e impiegarli per far loro eseguire tutte quelle attività meccaniche ricorrenti che a noi esseri umani sottraggono molto tempo e che alla lunga ci annoiano. La vera “infatuazione” avviene quando si comprende che questi strumenti possono essere degli assistenti sempre al nostro fianco, che ci aiutano nel realizzare la nostra strategia di business. Da sempre scherzo dicendo che ho quattro figli e, quindi, o automatizzo la mia vita oppure non riuscirei proprio a vederli crescere.

In questa battuta vi è un gran fondo di verità. Questo libro è nato proprio con questo intento: ha l’obiettivo di fornire dei contenuti di marketing digitale e di spiegare come si genera un business online.

L’automazione nella storia Pensando alla nostra vita di tutti i giorni, possiamo trovare molti esempi di come ottimizziamo il nostro tempo allo scopo di far funzionare meglio la nostra esistenza senza impiegare energie in

attività ripetitive e sulle quali non possiamo apportare nessun valore aggiunto, tranne che cercare di fare tutto il più velocemente possibile. Tuttavia, per quanto possiamo ottimizzare l’esecuzione, a un certo punto arriveremo al nostro limite. Per fortuna la tecnologia può prendere il nostro posto nei compiti ciclici e meccanici, rendendoci liberi di gestire al meglio il nostro tempo. Facendo esempi banali, la lavatrice è uno strumento di automation: non dobbiamo far altro che inserire al suo interno gli “ingredienti”, come il vestiario, il sapone e l’ammorbidente, e impostare il ciclo di lavaggio che

desideriamo. Di fatto, nelle ore in cui la lavatrice compie la sua attività, noi possiamo fare altre cose, mentre ancora fino a qualche decennio orsono questa operazione doveva essere per lo più fatta manualmente o seguita passo per passo, in quanto la tecnologia era ancora molto arretrata. L’automazione degli elettrodomestici rende bene l’idea di che cosa possiamo fare anche nel mondo digital: a volte la soluzione è lì sotto gli occhi di tutti ma, se non facciamo scattare quel senso critico che ci permette di osservare le cose e metterle in discussione, difficilmente la troveremo. Per esempio, il modello di lavatrice più simile per

funzionamento a quella moderna è considerata la macchina costruita nel 1860 da Thomas Bradford, il quale pensò di fare un regalo alla moglie facendole risparmiare del tempo nell’eseguire le attività domestiche quotidiane. Ciò stimolò l’attenzione di molte donne che avevano la necessità di risparmiare tempo e fatica, e non è un caso che tra il 1862 e il 1894 vennero depositati almeno 49 brevetti firmati da esponenti del gentil sesso! Ci sono molti altri esempi analoghi nella storia. Per esempio, durante la Rivoluzione industriale furono sviluppate fabbriche che producevano parti intercambiabili per prodotti

diversi, con la conseguente diversificazione delle lavorazioni da parte degli operai, a ognuno dei quali veniva riservato un compito specifico che veniva eseguito un numero imprecisato di volte. Da quel momento, l’esigenza di sviluppare macchine (originariamente a vapore e successivamente elettriche) che eseguissero questi compiti fu immediata. L’esempio che illustra in maggior misura l’inizio dell’era dell’automazione, e da cui fu coniato il termine, fu l’avvento della catena di montaggio nell’industria automobilistica, con il celebre caso Ford. Nel corso degli anni, i meriti sociali

dell’automazione sono stati discussi da sindacalisti, da dirigenti d’azienda, da politici e da docenti universitari. La più grande controversia si è concentrata su come l’automazione influenzasse l’occupazione. Ci sono però molti altri importanti aspetti che la riguardano: la produttività, la competizione economica, la formazione scolastica e universitaria e, non ultima, la qualità della vita. Praticamente tutte le installazioni industriali di automazione, e in particolare quelle di robotica, hanno implicato la sostituzione del lavoro umano da parte di questi sistemi. Quindi, uno degli effetti diretti dell’introduzione dell’automazione in fabbrica fu lo

spostamento del lavoro umano: apparentemente sembrava che i lavoratori avessero perso posti di lavoro ma, in realtà, l’aumento della domanda di questi prodotti e la specializzazione necessaria a far funzionare gli strumenti perfezionarono il lavoro e quel tipo di automazione segnò l’origine di un’importante crescita professionale per quegli stessi lavoratori.

Obiettivi del libro Questo libro ha lo scopo di fare da apripista a un argomento che nell’immediato futuro sarà di vitale

importanza per ogni azienda che investirà nel mondo digitale. L’intento è di definire il perimetro della Marketing automation, spiegando con fatti concreti, esempi e casi studio come funziona questo nuovo approccio al mercato digitale per generare business di successo da attività online. È importante cambiare il modo di presentarci e cercare di metterci costantemente in discussione per migliorare le nostre prestazioni, rivedendo anche dei “dogmi” o dei “concetti” su cui ci poggiamo, credendoli dei salvagente sebbene in realtà rappresentino solamente un freno. L’obiettivo è anche quello di

semplificare i processi di integrazione tra i vari strumenti di marketing, che sembrano molto lontani fra loro. In realtà, capiremo come effettuare operazioni apparentemente complesse in pochi clic. Quindi l’intento è di spiegare che cosa sia il business online e come sia possibile sfruttare al meglio questo magnifico mezzo che il mondo digitale ci offre, andando a sfruttarne ogni singola potenzialità. Allo stesso tempo, questo libro vuole dare una visione diversa su quella che è la nostra vita, perché automatizzare è un processo che porta ad acquisire consapevolezza di ciò che stiamo

facendo e libera del tempo che deve essere gestito al meglio. Infine, questo libro vuole cercare di togliere quella cortina fumosa che a volte imprigiona il mondo digitale, rendendolo complicato con parole inglesi storpiate e volutamente incomprensibili, che creano spesso difficoltà a chi vuole invece intraprendere un percorso di crescita. L’obiettivo è focalizzare l’attenzione del lettore per comprendere le vere dinamiche del marketing online, spiegandolo con semplicità, perché poi alla fine le cose sono semplici ed è l’essere umano che tende sempre a creare complicazioni, soprattutto se

vuole generare del profitto attraverso l’ignoranza altrui.

A chi è rivolto questo libro? Il mondo del digital marketing è ancora in profonda evoluzione e, come spesso mi capita di dire, uno dei veri problemi della crescita nel settore è che mancano risorse adeguatamente formate, che posseggano i giusti skill e, molto più banalmente (ma, dal mio punto di vista, questa è la leva fondamentale), che abbiano la passione. Quest’ultima è ciò che ti fa alzare la mattina e che ti rende

entusiasta di vivere la giornata che sta nascendo. È quella cosa che ti fa parlare del tuo lavoro con i tuoi amici con entusiasmo, che ti rende vivo e che magari, per arrivare all’estremo, ti fa passare qualche notte a pensare a che cosa potresti fare per raggiungere un obiettivo. In occasione di molti dei colloqui di lavoro per posizioni nella nostra azienda non prendo in considerazione più di tanto il titolo di studio, le medaglie o simili, ma cerco di guardare oltre l’apparenza, cerco quel luccicare negli occhi che mi fa percepire che quella persona ha la passione. Perché la passione non si racconta: se si è in

quello status, lo si trasmette. Oggi, moltissimi giovani che escono dall’università, purtroppo, sono formati per un mondo del lavoro che non esiste più. Capisco che la mia affermazione possa suonare molto forte per chi ha fatto o sta facendo un percorso di studi, ma purtroppo la realtà in molti casi è questa. Dall’altra parte, chi già opera nel settore trova sempre difficoltà a rimanere costantemente aggiornato su tutto ciò che questo mondo offre, e se non si sviluppa la capacità di discernimento, cioè di riuscire a comprendere ciò che è importante e vale la pena approfondire rispetto a ciò che non lo è, si rischia di ritornare ancora

nel campo della perdita di tempo che, di fatto, rappresenta un enorme spreco anche di risorse personali. Sinceramente, molte volte faccio fatica a rimanere costantemente aggiornato su ciò che il mercato “sforna” quotidianamente: per esempio, negli ultimi tempi, Facebook sta facendo uscire nuove funzionalità e nuove forme di marketing pubblicitario in modo costante, e per riuscire a provarle tutte è sicuramente necessario un impegno rilevante. Concludendo, questo libro è rivolto a tutti coloro che vogliono mettersi in gioco nel mondo digital, sia a chi crede che qui possa trovare un suo futuro

impiego sia per chi già lo conosce e vi opera ma vuole approfondire e ottimizzare ciò che fa nel quotidiano. Sicuramente questo libro è rivolto soprattutto a chi ha voglia di mettere in discussione il suo punto di vista su come gestire le attività di marketing e, perché no, la propria visione della vita. In fondo, le nostre vite – personali e professionali – sono collegate e sicuramente connesse tra loro. Per approfondire il tema della Marketing automation non è richiesta nessuna conoscenza particolare, se non la voglia di mettere alla prova il proprio talento.

CAPITOLO 1

RIPROGRAMMIA Per quanto a prima vista l’argomento di questo capitolo possa sembrare anomalo in un contesto di business, la mia esperienza mi insegna quanto invece sia importante conseguire un metodo di lavoro il più elastico possibile, che sia in grado di adattarsi costantemente alle evoluzioni del mercato. L’elasticità è uno dei temi principali per chi voglia operare nel mondo digitale, perché quel che vale oggi sicuramente non varrà

ancora domani. E questo continuo mutamento e la necessità di adattamento causano nelle persone sempre più di frequente stress da cambiamento. È una situazione vissuta da molti manager: finalmente si è acquisita una base solida di certezze, di strategie e di processi che funzionano eppure, a un certo punto, tutto cambia e si deve ricominciare da capo. In questo capitolo esporrò una serie di mie esperienze dirette che, sebbene in apparenza banali, potrebbero aiutare a rivedere completamente il modo di lavorare. Il tutto è riassumibile nella frase, che poi è anche diventata il mio motto: “Minimo sforzo, massimo risultato”. Nella sua semplicità, mettere

in pratica questo concetto vuol dire riprogrammare i vostri modi di fare e ciò su cui focalizzare veramente i vostri sforzi e le vostre attenzioni. Inoltre, questa riprogrammazione e il cambiamento di approccio che presento in questo capitolo (lo vedrete più avanti) sarà fondamentale per la Marketing automation. Sicuramente, durante la lettura vi accorgerete che molti di questi contenuti li conoscete già, ma il punto vero è l’eventuale riposta alla domanda: “Li state mettendo in pratica?”

La Zona di

apprendimento Ognuno di noi è abituato a svolgere determinate attività, sia nella sfera privata sia in quella lavorativa, con ferrea metodicità, senza osare mai uscire da quel preciso programma, perché ormai ci siamo condizionati a svolgere quelle determinate azioni, che consideriamo le migliori possibili. Facciamo un esempio, per quanto banale: io sono sempre stato abituato a bere tè o caffè zuccherati e ad assumere pane o focaccia durante i miei pasti; quando ho scoperto che lo zucchero è uno dei “killer nascosti” per la salute e che ero intollerante al lievito di birra,

ho voluto e dovuto apportare delle improvvise modifiche a quelle due mie abitudini che consideravo assolute e insostituibili. Tuttavia, inconsciamente continuavo a dirmi che rilassarmi senza bere caffè con lo zucchero o mangiare senza l’accompagnamento del pane non sarebbero stati più la stessa cosa. Eppure, con il tempo, l’eliminazione di quei due alimenti non mi ha causato alcuna difficoltà o disagio. Al contrario, ho iniziato a sentirmi meglio e mi sono accorto che quei due alimenti erano effettivamente nocivi per il mio organismo. La convinzione che il caffè dovesse essere zuccherato e che i pasti

dovessero essere accompagnati dal pane mi teneva legato a quella che chiamo “Zona di comfort”. Questo piccolo esempio può essere utile per comprendere che la maggior parte delle persone teme i cambiamenti e, pur di non uscire dalle proprie convinzioni appaganti e dai propri modelli di vita, pur di restare aggrappati ai propri stili di vita, si preclude la possibilità di un’evoluzione, di un miglioramento. Io invece ritengo sia molto importante mettersi sempre in gioco per la propria crescita, sia personale sia lavorativa, e che dobbiamo costantemente avere la lucidità di comprendere fino in fondo

cosa possiamo cambiare per vivere meglio, eliminando la paura dell’insuccesso. Che cos’è quindi la Zona di comfort? È quell’area che ci siamo creati per racchiudere tutte le nostre certezze, le nostre sicurezze e le nostre abitudini, dove ci sentiamo protetti da ogni rischio, ne abbiamo l’assoluto controllo e sappiamo come muoverci al suo interno. Eppure, sarebbe bene apportare qualche cambiamento anche a questa zona, provare a correre qualche rischio e introdurre delle modifiche alle nostre abitudini. Perché? Per migliorarci. Perché solo provando, esplorando, mettendoci alla prova e affrontando le

nostre paure possiamo credere maggiormente in noi stessi. Quando decidiamo di fare questo passo, usciamo dalla Zona di comfort e ci avventuriamo in una nuova area: la Zona di apprendimento (Figura 1.1). In questa nuova area affrontiamo nuove situazioni, non sappiamo esattamente come dovremmo comportarci ma sappiamo che se siamo giunti fin lì lo abbiamo fatto per evolvere e migliorarci e che sicuramente le prospettive sono positive. In questa zona si possono provare nuove emozioni, sia positive (curiosità, sorpresa, divertimento ecc.) sia negative (disagio, fastidio, noia, frustrazione, rabbia ecc.), che aumentano

d’intensità man mano che ci allontaniamo dalla Zona di comfort. Sta a noi decidere, a questo punto, come procedere e che cosa faccia di più al nostro caso.

Figura 1.1 – La figura mostra al centro

la Zona di comfort, intorno la Zona di apprendimento che non deve superare il confine di sicurezza. L’importante è credere sempre in noi stessi e in quello che stiamo facendo, non temere per il risultato perché il solo fatto di aver avuto il coraggio per giungere fino a quel punto per noi è già un successo: non focalizziamoci troppo sui passi fatti, analizzando e paragonando costantemente la nuova situazione rispetto alla vecchia, ma lasciamo scorrere in armonia gli eventi, lasciamo che si svolgano esprimendosi dal profondo del nostro cuore e del nostro sentire e poi valutiamo i risultati.

Nella maggior parte dei casi, tutto ciò porta sempre un valore aggiunto e un miglioramento della situazione in cui ci troviamo. Se però poi pensiamo che non sia così, sarà comunque più semplice ritornare sui nostri passi, purché anche questo sia fatto non per la paura di affrontare nuove sfide ma con la reale coscienza che non si era giunti alla situazione giusta per noi. Io non sono tra chi sostiene che si dovrebbe comunque abbandonare totalmente la Zona di comfort e allontanarvisi completamente; però sono contrario all’atteggiamento di chi si adagia su ciò che ha già e ritengo sia meglio, di tanto in tanto, uscire un po’ e

apportare gli opportuni cambiamenti. È opportuno, secondo me, uscire dai propri schemi ogni qualvolta, sia sul piano personale sia su quello professionale, ci accorgiamo di non essere pienamente soddisfatti o pensiamo che potremmo provare a stare meglio. Per farlo, però, nel modo più produttivo, dobbiamo prima di tutto essere onesti con noi stessi e ascoltare le nostre esigenze più profonde senza timori o pregiudizi. Come sostiene una mia cara fonte di ispirazione, il mio maestro SG: “Il cambiamento e il testare nuove esperienze porta l’uomo a essere saggio ed evoluto; fermarsi sempre sui soliti

punti e sugli stessi atteggiamenti, blocca l’individuo nella propria prigione e non gli permette di spiegare le proprie ali e volare sereno verso la propria libertà.” Uscire dalla Zona di comfort, ovviamente, può comportare stress, e il non saperlo controllare rischia di farci passare dalla nuova Zona di apprendimento a quella di panico. Questa è la zona nella quale dobbiamo cercare di non andare mai e per evitarlo è molto importante seguire gli accorgimenti suggeriti prima: essere decisi e convinti in ciò che stiamo facendo senza farci prendere da pensieri distruttivi dettati dalla paura. Per citare nuovamente il mio maestro: “La paura è

un vicolo cieco nel quale entriamo a causa della concessione che offriamo alla nostra mente di poter gestire i nostri pensieri senza l’ascolto del cuore. Ma ricordatevi che la via d’uscita esiste per tutti, e seguendo la nostra spinta interiore troveremo sempre la fiamma della verità in qualsiasi zona oscura ci troviamo. Questa ci illuminerà e ci farà risplendere sopra ogni cosa.” Come possiamo allora provare a fare i primi passi nella Zona di apprendimento, riducendo al minimo lo stress? Un primo sistema che ho imparato è quello di mettere sempre in discussione tutto ciò che sappiamo. Mettiamo alla prova in nuove situazioni

e nuovi contesti le nostre sicurezze, le nostre conoscenze e le nostre paure, familiarizziamo con i risultati e, successivamente, inglobiamoli nella nostra Zona di comfort. La paura è un’emozione che conosciamo tutti e che spesso ci blocca. A volte, la paura è effettivamente un allarme per una situazione oggettivamente pericolosa; ma altre volte è solo frutto dei nostri schemi mentali, delle nostre passate esperienze e non ci permette di avanzare. Ma quando ci mettiamo in discussione e combattiamo questo secondo tipo di paura, e

riusciamo a vincerla, scopriamo che tutto ci sembra facile. Non abbiamo fatto altro che introdurre nella nostra Zona di comfort una nuova sicurezza e abbiamo accresciuto la nostra autostima. Sebbene sembri un paradosso, succede spesso di avere paura anche quando – e forse proprio perché – le cose stanno funzionando correttamente. È come se fossimo programmati da un sistema che ci vuole mantenere in un costante stato di terrore e di paura. Mi è capitato spesso di vedere situazioni di questo tipo: tutto funzionava alla perfezione ma in alcune

persone nasceva la paura di non sentirsi più utili al sistema e di non essere più la guida per il proprio staff, una specie di depressione lavorativa da raggiungimento dell’obiettivo; in altre persone, nello stesso contesto, l’avere la possibilità finalmente di poter uscire presto e tornare prima a casa generava la nuova paura di dover affrontare il proprio partner o altri aspetti importanti della propria vita non lavorativa. Per fortuna, però, la mente umana ha una capacità di adattamento piuttosto rapida e cerca di andare sempre avanti, senza soffermarsi troppo su quello che realmente si sta facendo e ritrovandosi a eseguire compiti meccanici, a volte

senza senso.

Paure e sensi di colpa Nella società moderna l’essere umano sembra essere programmato per riempire ogni minuto della propria giornata senza quasi mai avere momenti per godersi una pausa, o comunque questi momenti sembrano limitati alle festività canoniche, come i weekend e le varie feste comandate. Inoltre, quando abbiamo dei momenti liberi, sembra che cerchiamo sempre di riempirli con qualcos’altro, perché con tutto ciò che abbiamo da fare appare impossibile poter avere degli attimi liberi.

È come se una persona non sia già impegnata per tutto il suo tempo lavorativo, non abbia ben calibrato le attività da svolgere, che la mente inizia subito a cercare se per caso non ci sia qualcosa che è sfuggito e che andava fatto. Così, nella nostra routine quotidiana, trascorriamo le ore lavorative impiegando il tempo anche in cose forse poco utili al raggiungimento degli obiettivi. Ma il solo fatto di averci dedicato del tempo ci fa sentire in pace con la coscienza, senza a volte però valutare fino in fondo quanto tempo abbiamo speso realmente per svolgere le mansioni necessarie. Se facessimo una stima del tempo che

ci occorre per svolgere tutte le nostre mansioni lavorative quotidiane, ci renderemmo conto che potremmo raggiungere gli stessi risultati impiegando la metà del tempo. Per comprendere questo, però, è importante riuscire a uscire dagli schemi mentali che ci incatenano, aprire la mente e stendere ogni giorno un programma, indicando le cose realmente importanti e impostando un limite temporale entro il quale possiamo realizzarle. Ci accorgeremo che alla fine ci avanzerà moltissimo tempo, che potremmo impiegare in modi migliori e più desiderabili, per esempio, nel mio caso, stando con la mia famiglia!

Ciò che spesso ci ostacola a compiere questo, a uscire dallo schema prefissato di cui parlavo prima, e che non ci rende liberi, è il cosiddetto “senso di colpa”. Per esempio, io ne ho sofferto quando decisi di ridurre il mio orario di lavoro in ufficio per iniziare un’esperienza di home working. Considerando il tipo di lavoro che svolgevo in quel momento della mia vita, pensai di aver bisogno di più tranquillità, dei miei spazi e di quella carica positiva che riuscivo a trovare solo tra le mura di casa mia. Quando presi quella decisione, ruppi il mio schema quotidiano di alzarmi, andare in ufficio, leggere le notizie dei diversi

quotidiani, guardare gli aggiornamenti sui social network, rispondere alle email ecc. Misi tutto ciò in discussione. Il primo giorno, per prima cosa accompagnai tutti i miei figli a scuola, invece di uno solo; una volta tornato a casa, presi un caffè con mia moglie e solo dopo iniziai a lavorare. Nel giro di due ore, mi accorsi, ero riuscito a fare ciò che di solito me ne prendeva otto. E l’avevo fatto anche meglio. Ma ecco subito sorgere il senso di colpa, con un pensiero: “È impossibile che tu ci sia riuscito. Vuol dire che le cose non sono state fatte bene.” Con il tempo ho compreso che il senso di colpa non è altro che un

meccanismo che parte dal nostro inconscio e che ha radici nell’educazione che abbiamo avuto dal sistema. Liberarsene è un primo passo per accrescere le nostre potenzialità nascoste e ancora bloccate. In quel momento ho compreso la differenza tra il semplice “fare” e il “fare per un risultato”. La differenza non è solo nell’aggiunta di poche parole, ma nel modo di impegnare il nostro tempo e le nostre risorse mentali. Nella Tabella 1.1 provo a riepilogare, in un semplice schema, quali sono i nostri atteggiamenti in base ad alcune attività nelle due situazioni del “fare” e del “fare per un risultato”.

Le aziende che performano sono quelle i cui team sono maggiormente orientati al risultato e alla crescita della stessa società. Attività

Procedura

Fare per un Fare risultato Si esegue, ma si mette in discussione quando si Si eseg vede un problema e se ne ipotizza una soluzione Svolgere il compito e domandarsi se

Attività lavorativa

Situazioni problematiche

Gestione

quello che stiamo facendo può essere ottimizzato e migliorato Trovare la soluzione affinché il problema non si verifichi nuovamente Chiedersi quali sono veramente importanti e

Svolger compito meccan nel mig modi

Gestire problem

Utilizza modalit

commessa

quali potrebbero essere superflue Impostare una comunicazione costruttiva finalizzata a trasmettere al nostro Comunicazione interlocutore il risultato che s’intende ottenere e le modalità più idonee per realizzarlo Gestire le

lavoro applica

Imposta comuni che si l descriv lavoro i risulta ottenuti trasmet reale ut risultato raggiun

Impegn

Tempo

Risultato

situazioni per impegnare meno ore di lavoro

ore di l quotidia gestire situazio

Comprendere la leva che ci ha permesso di ottenere il risultato e provare a migliorarlo ogni volta

Aver co il propr lavoro ottenuto risultato

Tabella 1.1 – Atteggiamenti in base alle situazioni del “fare per un risultato” e del “fare”.

Gestione del tempo Qual è una delle nostre risorse più preziose? Senz’altro il tempo, perché è una risorsa finita e una volta passata e consumata non può essere rigenerata o acquistata. È come una valigia, che ogni giorno possiamo riempire con quel che vogliamo, ma sappiamo anche che non possiamo andare oltre il limite delle 24 ore e per un numero di volte pari ai giorni della nostra vita. Quindi, la domanda fondamentale da porci è: come decido di riempire la mia valigia del tempo in modo da avere una vita appagante? Spesso veniamo cresciuti

con la convinzione che solo lavorando fino allo stremo delle nostre forze, solo se siamo disposti a fare rinunce e immolarci al sacrificio otterremo il successo. Ma siamo sicuri che sia così? Considerando il progresso, le innovazioni tecnologiche e l’ottimizzazione dei processi, non è più logico cercare di lavorare meno ma lavorare meglio? Sentimenti negativi, come il senso di colpa verso ciò che si sta facendo, verso il proprio ruolo e le proprie responsabilità personali, possono invece portare a riempire il nostro bagaglio del tempo di ore inutilmente spese sul posto di lavoro senza un controvalore per il

quale valga effettivamente la pena. In un’epoca in cui creatività e ingegno dovrebbero essere le caratteristiche più importanti e dove ogni nostra azione dovrebbe essere svolta in modo funzionale all’obiettivo, è ingannevole legare le proprie performance al numero di ore trascorse sul posto di lavoro. Una vita personale appagante ed equilibrata ci permette di affrontare il nostro impegno professionale con maggiore energia e serenità; indebitarsi di tempo al lavoro significa sottrarre linfa vitale al sistema di valori e di relazioni di cui ogni persona ha bisogno per stare bene: non aver visto la propria famiglia, non aver dedicato attenzione al

proprio partner, a se stessi e ai propri interessi, non aver coltivato le proprie amicizie porta l’essere umano, animale sociale, a isolarsi da tutto e tutti e a chiudersi nel guscio. La verità è che è inutile vivere una vita senza avere tempo per fare le cose che ci piacciono. Nella reale scala dei nostri valori dovremmo prima di tutto dedicarci a fare ciò che ci fa stare meglio e che noi riteniamo più importante e solo dopo occuparci di ciò che è necessario per il nostro mantenimento. Invece, avviene esattamente l’opposto. Anche il lavoro che svolgiamo dovremmo svolgerlo in primis perché ci piace e non perché ne siamo obbligati.

Sicuramente penserete: “Facile a dirsi, ma la vita reale è un altra.” Molte persone non hanno lavoro e faticano ad arrivare a fine mese. Questo è sicuramente vero, ma è altrettanto vero che molti di noi si crogiolano sul fatto che la società non offre niente, che ormai siamo fortunati se percepiamo anche un minimo mensile per mantenere tutte le spese, che è meglio uno stipendio fisso di qualcosa di più precario e “rischioso” sebbene creato da noi stessi. Sono molte le idee e le convinzioni che portano l’uomo ad accontentarsi e a non vedere oltre il proprio naso, senza scoprire mai che, al di là di tutto, possono concretizzarsi moltissime

situazioni lavorative soddisfacenti e al tempo stesso remunerative. Sono il primo a pensare che il Paese in cui viviamo ostacola ogni lavoratore e non lo aiuta affatto, ma anzi lo soffoca e lo fa vivere in un sistema creato per far stare bene solo chi si trova ai vertici. Tuttavia, sono altrettanto convinto che se lo volessimo veramente potremmo cambiare questo mondo, e per farlo dobbiamo iniziare migliorando noi stessi e la nostra vita, uscendo dagli schemi imposti e creando un sistema che ci appaghi e soddisfi, senza lasciarci schiacciare. La corretta gestione del tempo fa parte di quegli accorgimenti da adottare

per poter migliorare il nostro stile di vita e la nostra serenità, sia lavorativa sia privata. Riflettendoci bene, in linea di massima le cose più importanti non sono mai quelle più costose, la vera frustrazione non nasce dal non aver denaro per ottenerle, ma dal non avere tempo per farle. Una passeggiata in bicicletta, una corsa sulla spiaggia o leggere un libro per piacere personale, non sono una concessione esclusiva dei grandi uomini di successo. Spesso il problema è da ricondurre a una gestione del tempo inefficiente. Se ottimizziamo i nostri tempi, anche

attraverso l’aiuto della Marketing automation, se non cediamo alle distrazioni inutili e ai falsi miti della produttività, vedremmo aumentare considerevolmente le ore a disposizione della la nostra vita privata. Dobbiamo tornare a gestire il nostro tempo con semplicità e avere un’elevata produttività non significa lavorare di più, ma sviluppare la capacità di individuare e fare l’essenziale, senza sprecare tempo ed energie nel superfluo. Quello che conta non è quanto riuscite a fare, ma quanto di ciò che fate è realmente importante. Una storiella che rende l’idea di come spesso invece ci comportiamo è quella

del taglialegna: C’era una volta un possente taglialegna in cerca di lavoro. Dopo aver girato diverse città, il taglialegna trovò finalmente impiego presso un importante commerciante di legnami. L’ottima paga e le eccellenti condizioni di lavoro convinsero il taglialegna a dare il meglio di sé. Il primo giorno il capo diede al nuovo arrivato un’ascia e gli indicò l’area del bosco dove avrebbe dovuto lavorare. Al termine della giornata, il

possente taglialegna frantumò il record degli altri dipendenti, raggiungendo i diciotto alberi abbattuti. Il capo si congratulò sinceramente con lui e questo motivò ancor più il taglialegna. Il secondo giorno il taglialegna lavorò con tutte le sue energie, ma al tramonto gli alberi abbattuti furono quindici. Per nulla demoralizzato, il terzo giorno il taglialegna si impegnò con ancora più vigore, ma anche questa volta il numero di alberi calò a dieci. Per quanta energia mettesse nel suo lavoro, giorno dopo giorno, il numero

di alberi abbattuti continuò a calare inesorabilmente. Mortificato, il taglialegna sì presentò dal capo scusandosi per lo scarso rendimento. Al che l’esperto commerciante di legno pose al suo dipendente una semplice domanda: “Quando è stata l’ultima volta che hai affilato la tua ascia?” Un po’ imbarazzato, il taglialegna rispose: “Signore, non ho avuto tempo per affilare la mia ascia, ero troppo impegnato a tagliare gli alberi.”

Work-life balance: il valore sociale di una vita personale in equilibrio tra sfera professionale e sfera privata Lavorare meno e lavorare meglio è una modalità del vivere che può contenere un elevato valore sociale: Per molti la giornata lavorativa non finisce al rientro a casa dall’impiego retribuito: in quel

momento inizia una seconda giornata lavorativa, quella dei compiti domestici, dell’educazione dei figli e della cura di persone a carico e parenti anziani. Nel momento in cui si formulano strategie, tale tempo aggiuntivo va tenuto presente, così come il fatto che questo doppio carico di lavoro raramente è ripartito in maniera equa tra uomini e donne. (Bernhard Jansen, Direttore Occupazione, affari sociali e pari opportunità, Commissione Europea).

Il work-life balance può intendersi come

l’insieme di tutti gli elementi funzionali a valorizzare il lavoro consentendo, al contempo, alle persone di mantenere l’equilibrio tra impegni lavorativi e personali, con conseguente beneficio della performance lavorativa. La Marketing automation può essere classificata a tutti gli effetti come una forma “implicita” di work-life balance, principalmente perché, organizzando e semplificando i processi e le attività ripetitive, consente un notevole risparmio di tempo ed energia alle persone del marketing e della forza vendita, incrementa il ROI e l’efficacia delle campagne pubblicitarie orientate alla performance.

Come spiegato dall’Italian Centre for Social Responsibility, nella pubblicazione della ricerca dal titolo “People First!”, i risultati raggiunti dalle organizzazioni che applicano politiche di work-life balance sono stati i seguenti: La maggior parte delle organizzazioni sottolinea che l’adozione delle misure del work-life balance è spinta in primo luogo dalla volontà di migliorare il clima organizzativo (79%), che si manifesta in una maggiore soddisfazione del lavoratore e in un rafforzato senso di

appartenenza aziendale. In particolare per le piccole e medie imprese (44%), il concetto di benessere del lavoratore è un fattore strategico di successo che migliora le performance lavorative e la qualità delle attività. Nel 55% dei casi, le organizzazioni hanno osservato vantaggi tangibili, come un migliore rendimento della produttività, un aumento della motivazione/soddisfazione delle persone nel 37% dei casi e, nel 29% dei casi, una riduzione dell’assenteismo.

Infine, le pratiche di bilanciamento tra lavoro e vita privata hanno effetti positivi oltre il perimetro aziendale, perché migliorano i rapporti familiari dei beneficiari e contribuiscono a determinare un miglior clima relazionale all’interno della famiglia.

Attraiamo ciò che ci serve Un tema che mi sta molto a cuore, e sul quale sono stati scritti molti libri, è quello che viene chiamato “Legge di

attrazione” e che viene presentato come il “Segreto” che ha reso antichi saggi e condottieri le persone di successo che noi oggi conosciamo. Il famoso libro di Rhonda Byrne, Il segreto, spiega molto bene il concetto e quanto sia importante usare questa “legge” del comportamento. Per provare a semplificare l’idea di fondo, posso dire che se abbiamo un forte interesse, se ci focalizziamo con molta forza su ciò che vogliamo attrarre, riusciremo a portarla a noi. La legge dell’attrazione parte proprio dal presupposto che dobbiamo prima di tutto essere a conoscenza di che cosa vogliamo attrarre. A questo punto

interviene, nel bene e nel male, il profilo caratteriale ed emotivo di ciascuno di noi. Quando si dice che una persona ha sfortuna e ne attira a sé dell’altra, dal mio punto di vista è perché ha una visione negativa e questa visione influenza ciò che lo circonda, attirando quindi ulteriormente ciò che di negativo vi si avvicina. Cito, a questo proposito, una frase di Paulo Coelho: “Tutto l’universo cospira affinché chi lo desidera con tutto se stesso possa riuscire a realizzare i propri sogni.” La legge d’attrazione comprende tutto ciò che il nostro se interiore desidera per se stesso e mette in pratica un

meccanismo automatico per cui tutto può realizzarsi e niente è impossibile da raggiungere o da creare. Grazie a questa legge, ciascuno di noi può ottenere ciò che desidera, ovviamente rispettando le regole dell’onestà e dell’integrità morale, perché tutto ciò che desideriamo con passione e credendoci realmente si può realizzare: l’universo è perfetto e, se vogliamo, possiamo guidarlo affinché ci conduca dove aspiriamo giungere. Il pensiero umano ha capacità creative, sia in negativo sia in positivo, e se ci impegniamo a far sì che la nostra mente crei sempre pensieri ottimisti, positivi e propositivi in maniera del tutto naturale, la nostra vita si riempirà

di positività, ogni cosa andrà per il verso giusto e tutto s’incastrerà perfettamente come le tessere di un puzzle. Al contrario, se siamo pessimisti, se non crediamo in ciò che possiamo realizzare e vediamo sempre il “bicchiere mezzo vuoto”, attireremo a noi eventi spiacevoli e non utili per la nostra esistenza. Possono sembrare pensieri teorici scritti di getto così con poca sostanza, ma io ho provato tutto questo sulla mia pelle e posso confermare che è proprio così e che è anche semplice e alla portata di tutti. Ho sempre avuto molti progetti e idee riguardo alla mia vita personale e

lavorativa: iniziavo una cosa e ancora prima di averla conclusa e realizzata in pieno mi cimentavo già in qualcos’altro. Forse, dentro di me, non sapevo neanche se credessi realmente nella realizzazione di quei progetti, e cosi mettevo continuamente molta “carne al fuoco”, senza però avere ben chiari i reali obiettivi da realizzare e quali fossero i passaggi da seguire per giungervi. Di conseguenza, molti di questi progetti andavano in fumo perché non erano ben focalizzati. Quando ho scoperto questo meraviglioso meccanismo della legge d’attrazione, che in realtà poi è parte integrante di ogni essere umano, mi sono reso conto che se l’avessi davvero

voluto, avrei potuto realizzare tutto ciò che desideravo, e soprattutto nelle modalità a me più consone. Ma la cosa più bella era che, mentre tutto s’incastrava alla perfezione in modo spontaneo, si creava un equilibrio con tutti coloro che erano coinvolti e con le situazioni collegate. Tutto accadeva senza fare più di tanto e soltanto chiarendo e visualizzando dentro me stesso come volevo che andassero le cose, nel rispetto di tutto e di tutti e credendoci con forza. A mio avviso questo è un elemento fondamentale per la nostra vita ed è una base da cui partire per realizzare i nostri sogni e i nostri progetti. Io sperimento

quotidianamente questa realtà e ho il piacere di condividere e trasmettere a sempre più persone queste idee, affinché ognuno di noi possa trovare la propria parte di paradiso su questa terra che, di per se, è già molto caotica e laboriosa!

CAPITOLO 2

MARKETING DIGITALE Negli ultimi anni il marketing ha subito numerosi e profondi cambiamenti. Se scendiamo nello specifico dell’ambito digitale poi, ci accorgiamo che per un’efficace attività di marketing bisogna comprendere maggiormente i desideri dei clienti, bisogna ascoltarli e offrire loro ciò che effettivamente cercano. Oggi, infatti, il consumatore ha assunto un ruolo più attivo nella scelta finale e

non si lascia più imporre o forzare la mano nel percorso che lo porta all’acquisto di un prodotto o servizio. I grandi player, come Google, Facebook e Twitter, portano costantemente grandi innovazioni sul mercato. Inoltre, nascono sempre nuove aziende in grado di sconvolgere lo status quo, innovando dall’interno l’ecosistema digitale. Un caso esemplare è rintracciabile nella rivoluzione dell’ambito turistico realizzata da Airbnb. Airbnb è una community grazie alla quale è possibile affittare una casa, una stanza o anche solo un divano dove poter pernottare in qualsiasi parte del mondo. L’idea è venuta nel 2007 a tre

studenti di San Francisco che, per raccogliere un po’ di soldi, hanno iniziato ad affittare tre airbed’n’breakfast (materassini gonfiabili con colazione) a soli 5 euro l’uno, oltre a offrire la loro accoglienza e disponibilità. Oggi Airbnb permette di far incontrare gli host, cioè chi dà in affitto un locale, con i consumatori in ben 34.000 città e in 190 paesi. Airbnb ha completamente rivoluzionato il modo di prenotare un appartamento o una casa vacanza e, di fatto, ha portato le agenzie immobiliari tradizionali a reinventarsi e a confrontarsi con un fenomeno che sta prendendo sempre più piede. Il sistema

offre dei vantaggi non indifferenti sia per chi ospita, che può sfruttare un sistema per gestire le richieste e le prenotazioni in modo semplice e con la certezza del pagamento, sia per l’utente finale, che in questo modo ha la possibilità di non trovare cattive sorprese al momento dell’arrivo a destinazione grazie al sistema dei feedback lasciati da chi ha già usufruito della struttura. Questo esempio ci permette di comprendere come la grande area dei social media si metta a disposizione dell’ambito commerciale proprio grazie alle relazioni che si generano tra le persone.

Storie di successo, come questa di Airbnb, ci mostrano come su Internet si stia affermando sempre di più la disintermediazione tra chi offre un prodotto o un servizio e il consumatore finale. E solo chi capirà questo aspetto, molto probabilmente, avrà successo nel mondo digitale.

Rivoluzione digitale È sotto gli occhi di tutti come il digitale stia avendo un impatto rivoluzionario così forte da poter essere paragonato solo a quello che ebbe, nel passato, la Rivoluzione industriale. Pensiamo solo al ruolo che i social

network stanno ricoprendo nelle numerose rivolte in alcune parti del mondo: i movimenti si organizzano e comunicano tra loro attraverso le piattaforme social e nascono siti di controinformazione. Tutto ciò mi dà la sensazione che siamo nel pieno di un cambiamento epocale: persone che fino a poco tempo fa erano lontane dal mondo digitale oggi producono assiduamente contenuti su Facebook, parlano di ebook, scaricano applicazioni sul proprio smartphone e si scambiano consigli su dove fare acquisti o cosa comprare. I numeri parlano chiaro: le nostre abitudini e i nostri modi di fare sono

profondamente influenzati da questa rivoluzione, che però richiede anche una buona dose di consapevolezza. Per esempio, l’uso dei social network come Facebook è considerato pericoloso da molti genitori, i quali fanno opera di dissuasione nei confronti dei propri figli adolescenti, invece di provare a capirli e insegnar loro un uso più corretto. Non è certo il compito di questo libro parlare di questi ambiti, ma mi piace esplicitare il mio punto di vista sull’argomento: non è mai il mezzo a essere pericoloso, ma il modo in cui lo si usa. Per esempio, il coltello da cucina serve per tagliare i cibi, e non avrebbe alcuna controindicazione. Tuttavia, un possibile

malintenzionato può usare lo stesso coltello per ferire o uccidere una persona. Da genitore, e soprattutto per il mio modo di essere, credo che solo la consapevolezza di cosa stiamo usando e di quali rischi possono esserci aiuti a crescere. Una ricerca del 2014 di IAB Europe mette in evidenza quali sono i settori nei quali investire per il prossimo futuro. Come si può vedere dalla Figura 2.1, l’online conquista sempre più spazio e la sua crescita – di anno in anno a doppia cifra – dimostra che sempre più aziende hanno colto quale sia l’opportunità offerta dal digital.

Figura 2.1 – La figura mostra l’andamento del fatturato diviso per tipologia di media in Europa. Fonte: IAB Europe.

Crowdfunding

A questo punto vorrei soffermarmi sulle numerose opportunità che il mercato digital offre: per esempio, è possibile semplicemente portare online il proprio business tradizionale, acquisendo le competenze necessarie; oppure si può investire nella creazione di nuove professionalità mirate e specializzate. Infine, c’è anche chi prova a lanciarsi in nuove avventure imprenditoriali, sfruttando ciò che la Rete stessa offre. Un esempio di questo tipo ci viene offerto dal crowdfunding. Il crowdfunding è un fenomeno che si è diffuso negli ultimi anni, ma che trova radici ben più profonde nel tempo. Il termine utilizzato, che racchiude in sé i

concetti di folla (crowd) e finanziamento (funding), in realtà ha un significato ben più profondo, che per certi versi può essere sintetizzato come una reinterpretazione della raccolta di fondi nell’era digitale. I motivi principali della sua rapida diffusione sono da ricercare nella situazione geopolitica globale e nella crescente diffusione dei social media. Infatti, il crowdfunding consiste nell’utilizzare Internet per la raccolta di capitale da gruppi di persone con interessi comuni, al fine di finanziare un progetto o un’iniziativa. In questo contesto, gli elementi che compongono il fenomeno del crowdfunding, possono essere visti

come uno scambio di informazioni (idee e progetti) e di capitali (fondi) tra persone o gruppi di persone (crowd), attraverso strumenti informatici (social media, social network), in un ambiente virtuale (Internet). Un esempio di crowdfunding di successo è quello di Kickstarter. Questo è un sito che consente a chiunque abbia un’idea – o un progetto innovativo – di chiedere un finanziamento: dalla produzione di un cortometraggio all’incisione di un CD musicale, dal finanziamento di una stampante 3D innovativa alla pubblicazione di un libro. Tutto ciò che riguarda l’arte, l’innovazione e la creatività troverà il

suo spazio su Kickstarter, e finanziatori pronti a investirvi. Un esempio che mi ha molto impressionato è quello di un inventore del Texas che ha risolto un problema relativo a un gioco per bambini. La cosa mi ha subito colpito: il prodotto che ha inventato questo signore permette di riempire d’acqua cento palloncini in un minuto grazie a un semplice sistema che si collega a un rubinetto. La mia attenzione è stata attirata da un video molto ben fatto, che mette in evidenza i bambini annoiati a riempire i palloncini a uno a uno, mentre con questa soluzione tutto è più facile e si può giocare e divertirsi molto di più. L’ideatore aveva

bisogno di diecimila dollari per far partire le prime produzioni e avviare uno sviluppo finalizzato al lancio sul mercato. Per aiutarlo bastava fare una donazione (a proprio rischio) in base a una delle opzioni presenti. Tra queste, io avevo scelto quella della donazione di sessanta dollari in cambio di cinquecento palloncini, quindi cinque pacchetti a un prezzo più basso rispetto a quello che sarebbe stata l’offerta sul mercato una volta pronti. Come tutti i progetti, anche questo aveva una data di scadenza entro la quale poter fare l’investimento. Come si può vedere nella Figura 2.2, a questa data i risultati sono stati impressionanti:

21.455 donatori hanno generato 929.160 dollari di finanziamento, rispetto ai diecimila di cui aveva bisogno il progetto per partire con la prima produzione. Con l’incredibile cifra raggiunta, adesso l’inventore sta strutturando l’azienda e si stanno sviluppando le linee di produzione automatizzate per sopperire alla crescente domanda.

Figura 2.2 – Una schermata di Kickstarter relativa al progetto Bunch O Balloons.

Trend emergenti La tecnologia sta accelerando in maniera pazzesca: ogni giorno nascono nuove startup con l’obiettivo di risolvere particolari esigenze delle persone. La sfida principale è quella di trovare le giuste soluzioni, durature nel tempo e flessibili quanto basta per adattarsi ai mutamenti del mercato. Infatti, le aziende che si concentrano solo su un modello in maniera monolitica non avranno un futuro semplice, mentre quelle che si sapranno adattare sempre di più alle mutazioni del mercato e che sapranno ascoltare il cliente vinceranno. Tra gli scenari che al momento

interessano particolarmente il mercato degli investitori c’è sicuramente il grande tema delle stampanti 3D, grazie alle quali chiunque potrà stamparsi in casa qualsiasi oggetto, sia che questo sia stato disegnato in autonomia sia che il modello sia stato acquistato online. Questa rivoluzione permetterà, non solo a chi dovrà realizzare prototipi o modelli, un’immediata eseguibilità, ma comporterà un profondo cambiamento dei mercati. Per esempio, immagino i giocattoli e i modellini della Disney che compro ai miei figli: magari, avendo una stampante 3D, invece di comprare il prodotto, acquisterò semplicemente il file grafico, con i diritti per poterlo

stampare e possibilmente anche personalizzare. Sembra fantascienza, ma è attualità. C’è anche chi sta lavorando per stampare delle case grazie a gigantesche stampanti 3D che lavorano su resine e materiali biologici. Ovviamente, l’attesa per questi dispositivi è molto grande, perché potrebbero aprire molte nuove opportunità di business. Questo ecosistema è chiamato IOT, Internet of Things, rinominato anche IOE, Internet of Everythings, a definire la possibilità di essere sempre connessi con differenti device e dialogare con essi. Rientra in questo ambito anche la gestione da remoto della propria casa,

potendone impostare la temperatura, far sollevare le tapparelle o semplicemente far partire la lavatrice attraverso un pannello di controllo presente sullo smartphone o sul computer. Tutto ciò, se vogliamo, rimanda al concetto dell’automation e, nello specifico, della Home Automation, proprio perché ci si basa sulla possibilità di far dialogare tra loro strumenti diversi. Ci sono moltissimi altri trend interessanti che richiederebbero un approfondimento, ma non è compito di questo testo andare oltre, se non per cercare di identificare un percorso verso l’automazione.

Mobile marketing Il mobile marketing identifica tutte le attività di marketing che possono essere compiute attraverso i dispositivi mobili. All’inizio le campagne pubblicitarie s’incentravano sull’invio di SMS e lo sviluppo di siti web WAP; ora, tra le evoluzioni degne di nota degli ultimi anni, rientrano soprattutto le app, gli annunci, i metodi di pagamento in mobilità, i siti web ottimizzati per gli smartphone e le campagne di marketing nelle sedi delle aziende. Il telefono cellulare, oggi, è diventato un piccolo computer sempre più intelligente. Grazie agli smartphone gli

utenti sono raggiungibili ovunque e in qualsiasi momento. Gli utilizzatori più assidui non riuscirebbero più a immaginare la loro vita senza questi dispositivi, che sono diventati un elemento fondamentale della loro vita quotidiana. Se analizziamo il fenomeno soprattutto dal punto di vista della penetrazione del mercato, questo strumento consente ai pubblicitari di raggiungere i propri clienti esattamente nel luogo in cui si trovano. Le app sono uno strumento molto efficace per instaurare un rapporto con i clienti e offrono la migliore esperienza possibile, poiché la grafica riesce ad adattarsi in base al dispositivo su cui

viene visualizzata. Una volta che l’utente avrà effettuato l’installazione sul proprio smartphone, se l’app verrà pubblicizzata e curata in modo adeguato, avrà un effetto di branding e creerà un valore affettivo nei confronti dell’azienda, che si convertirà in acquisti sul lungo periodo. Stando a quelli che sono i trend del Mobile marketing per il futuro, la penetrazione del mercato da parte degli smartphone sembra crescere senza sosta. Nata nel cuore della Silicon Valley, a San Francisco, Uber è un ottimo esempio di come si possa usare la tecnologia con successo. Attraverso una semplice app si dà a chiunque la

possibilità di prenotare un’auto a noleggio (comunemente chiamate NCC) a prezzi accessibili, direttamente dallo smartphone grazie alla geolocalizzazione. Inoltre, Uber fa leva sul sentimento di appartenenza a una comunità, proponendo ai suoi clienti un servizio di alta qualità. Infine, tutte le transazioni finanziarie sono eseguite online: non appena si arriva a destinazione, Uber preleverà il prezzo della corsa direttamente dalla carta di credito dell’utente. Ovviamente, grazie a questa app cambia completamente il modo di cercare e fruire un servizio di taxi, e in Italia abbiamo purtroppo già visto che

cosa ha provocato (per esempio, le numerose manifestazioni per vietarne il servizio). Dal mio punto di vista Uber è uno dei tanti segni di un il mondo che cambia e, sebbene possa capire chi ha pagato la licenza per un lavoro da taxista, in qualche modo ci si deve sempre reinventare per essere al passo con il futuro.

App In gergo, app sta per “applicazione”, e le applicazioni mobile sono uno degli strumenti maggiormente utilizzati dal pubblico italiano. Soprattutto alcune – come per esempio quella di Facebook che mette a disposizione i contenuti

offerti in maniera semplificata e immediata sia per dispositivi mobile sia per i tablet – hanno avuto un successo enorme. Come si può vedere dalla ricerca di AudiWeb e Nielsen, illustrata nella Figura 2.3, il tempo totale speso online è generato per il 59% da applicazioni e, di queste, il 45% da smartphone.

Figura 2.3 – Nella figura si vede il tempo speso nell’utilizzo di applicazioni mobile. Fonte: AudiWeb-Nielsen. Questo dimostra come la nostra vita sia ormai influenzata dai dispositivi mobili

e che il tempo che spendiamo per interagirvi è sicuramente molto elevato. Le applicazioni più utilizzate sono tutte strumenti di intrattenimento, come WhatsApp, Facebook e YouTube, ma ce ne sono anche altre, più specifiche, che hanno a che fare con i social network di immagini, come Instagram, che ha raggiunto la cifra di 30 milioni di utenti in soli 18 mesi.

Multidevice La grande usabilità dei nuovi dispositivi ha permesso a chiunque di dotarsi di uno strumento senza troppe complicazioni, ma ha anche consentito un incremento significativo dei device utilizzati per

connettersi. Mi riferisco, per esempio, ai tablet: mi capita di vedere anche persone anziane che, ormai, sono collegate grazie a un dispositivo semplificato e intuitivo, perché ovviamente usando il proprio dito come sistema di input tutto diventa più facile. Quindi, il visitatore di un sito web oggi naviga, opera e, in caso, fa acquisti utilizzando più dispositivi. Questo è un comportamento che deve assolutamente essere analizzato. Come si può notare, per esempio, nella ricerca di Google sul multiscreen (Figura 2.4) si può capire come viene fruito il mercato dei media: oggi posso vedere un contenuto televisivo sia sulla mia TV sia

attraverso smartphone o tablet o PC. Alcune tra le principali emittenti televisive italiane, come Mediaset e Sky oppure il famoso servizio americano Netflix, forniscono già questo tipo di esperienza e questi servizi sui propri palinsesti. Sempre osservando l’infografica della ricerca, si può notare come il tempo passato davanti alla televisione stia cambiando: non siamo più passivi con il telecomando in mano, ma abbiamo più dispositivi vicini che usiamo per approfondire ciò che stiamo guardando. Per esempio, quando ci sono gli spot televisivi, di solito si rileva un incremento di ricerche del brand in

questione sui motori di ricerca, perché magari se vedo un’offerta che mi interessa posso subito cercare di approfondire e comprendere meglio che cosa propone e come funziona. Anche per quanto riguarda gli acquisti, i clienti si muovono su più dispositivi prima di comprare. Facciamo un esempio: se ho voglia di acquistare un certo prodotto e sono davanti al mio smartphone, forse avvierò una prima ricerca e cercherò di farmi un’idea sul prodotto trovato, poi valuterò l’azienda, ma solo in una fase successiva e comodamente davanti a un PC potrei voler approfondire le caratteristiche del prodotto oppure

vedere in maniera più dettagliata le foto e leggere le schede tecniche presenti sul sito dell’azienda (Figura 2.4). Venendo ai contenuti video, questi sono uno dei principali driver del mercato pubblicitario online. Come abbiamo visto, i portatili e i PC sono soltanto alcuni dei device grazie ai quali è possibile connettersi a Internet. Oggi è l’utente a decidere che cosa, quando e come fruire, o come muoversi attraverso i diversi contenuti digitali. Il risultato di tutto ciò è una competizione tra la TV tradizionale e il second screen. Inoltre, ormai anche con gli apparecchi televisivi ci possiamo connettere a Internet.

Figura 2.4 – Nella infografica si può vedere l’utilizzo dei dispositivi di accesso alla Rete. Questa frammentazione pone la pianificazione media di fronte a nuove sfide. Esistono player sul mercato delle tecnologie che offrono agli inserzionisti la giusta soluzione, raggiungendo il target ovunque esso stia guardando un video, su qualsiasi device e in qualsiasi momento. Tutte le campagne video sono erogate per target specifici e in tempo reale, su tutti i dispositivi che si possono connettere a Internet, e con i più alti standard di risoluzione.

Responsive o Mobile version Il concetto è chiaro: la navigazione su smartphone e tablet cresce quasi esponenzialmente e, dunque, di pari passo cresce l’importanza di avere siti web mobile friendly. Il Responsive design è una tecnica di realizzazione di siti web che fa sì che la visualizzazione di questi si adatti alle diverse risoluzioni del device con il quale ci si collega, dallo schermo del PC a quello di uno smartphone o tablet. Se pensiamo che, in effetti, lo schermo possa variare tra un monitor molto grande e uno molto piccolo, possiamo capire l’importanza di pubblicare sempre i contenuti in maniera ottimale

(Figura 2.5).

Figura 2.5 – Nell’immagine si vede un esempio di sito responsive, adattabile a ogni device. Dal momento che gli utenti indicano che preferiscono fare acquisti su un sito web mobile friendly, va da sé che le vostre strategie di web marketing dovrebbero

basarsi su queste caratteristiche. La questione quindi è la seguente: sceglieremo di avere un sito web responsive o una versione mobile separata? Il tema è dibattuto e ci sono pro e contro in entrambi i casi. Che cosa sia meglio per noi dipende dalla natura stessa dell’attività e dal tipo e dall’ampiezza dell’audience, e sul fatto che potreste decidere di muovervi seguendo una strategia legata al modello di business. Diverso è il discorso se parliamo di mobile site, detto anche m-site, che prevede la realizzazione di due siti distinti (uno desktop e l’altro mobile),

con modalità grafica e gestione completamente diversa, visibili alternativamente se la visita avviene con uno o con l’altro dispositivo, ma i cui contenuti sono comuni.

Modelli di business Il marketing digitale permette di sviluppare nuovi business, inventando nuove imprese prettamente digitali, come abbiamo visto nel caso di Airbnb, sebbene, nella maggior parte dei casi, non sono altro che nuove declinazioni di business tradizionali. Proviamo, però, ad analizzare che cosa si può fare online, suddividendo le

opportunità fra quelle che sono le principali aree di business, in modo da definire un quadro semplice. Potremmo suddividere le aree di investimento di un progetto digital nelle seguenti cinque macro aree: vendita online; generazione di lead; progetto editoriale; supporto alla vendita tradizionale; engagement & branding. In diversi casi, le aziende affrontano più aree contemporaneamente con il proprio modello di business.

Vendita online Si tratta del modello di business adottato da tutte le aziende che vendono direttamente attraverso il canale Internet e sfruttano la Rete per raggiungere il cliente in tutte le fasi tradizionali, dalla scelta del prodotto al pagamento, fino alla fatturazione. Alcune aziende sono nate sin dall’inizio unicamente nel mondo del Web, non hanno negozi fisici (oltre allo store online) e generano fatturati anche molto importanti. Tuttavia, vi sono anche aziende nate offline, quando il Web neppure esisteva, che hanno saputo innovarsi, stare al passo con i tempi e aprire anche dei canali di e-commerce

che non sostituiscono completamente le tradizionali procedure di vendita, ma le vanno ad affiancare. In entrambi i casi, com’è facile immaginare, la conversione ideale è rappresentata da un processo di acquisto portato a buon fine. Per vendita s’intende sia quella di prodotti materiali sia quella di prodotti immateriali; e oggi l’acquisto può avvenire sia su postazioni desktop sia mobile, sia attraverso piattaforme social. Gli e-commerce hanno numerose possibilità di automazione, che affronteremo nel dettaglio più avanti nel libro.

Generazione di lead Quando si pensa al percorso ideale che porta il visitatore anonimo a diventare un cliente è possibile individuare alcuni step importanti che evidenziano i singoli cambi di status. In questo caso si parla di Prospect e di Lead. La Figura 2.6 mostra un funnel, cioè una sorta di imbuto, che ci fa capire che cosa avviene lungo questo percorso. Nel primo step ci sono i prospect, che in un secondo momento si trasformano in lead e, infine, diventano clienti. È bene fare attenzione da subito che questa non è una definizione standard del processo, e infatti alcuni interpretano il passaggio da prospect a

lead in direzione opposta: prima si ha lo status di lead e successivamente quello di prospect. Ma è solo una questione di terminologia: la sostanza non cambia. In ogni caso, in questo libro noi affronteremo il flusso sempre nella modalità prospect → lead → cliente.

Figura 2.6 – Nell’immagine il processo da prospect a cliente. Per

prospect

noi

intendiamo

un

potenziale cliente che è entrato in contatto con il nostro sito web, al quale magari ha avuto accesso attraverso una campagna pubblicitaria o direttamente da un link trovato sui social network, e ha manifestato interesse per la nostra proposta commerciale. Questo può succedere perché ha cliccato “like” su un contenuto di Facebook, oppure ci segue su un account di Twitter o perché legge il nostro blog. Un prospect è comunque lo stadio iniziale nel quale vengono manifestati degli interessi, ma noi non abbiamo ancora i dati di contatto per poter entrare in una comunicazione diretta. Il lead è lo stadio immediatamente

successivo: il visitatore decide di fare un’azione importante, cioè di lasciare i propri dati, magari compilando un form di richiesta d’informazioni. In questo preciso momento, che possiamo identificare come una “conversione”, il visitatore decide di uscire allo scoperto e concede il permesso di ricevere comunicazioni, essere contattato, ricevere una newsletter o, comunque, ciò per cui ha compilato il modulo di richiesta con i propri dati. Il lead è il momento in cui possiamo finalmente dialogare con degli individui, che hanno espresso un certo tipo di interesse e che quindi potrebbero definire una sorta di profilazione, cioè

delle caratteristiche o degli interessi che potremmo organizzare in informazioni. Quindi, quando parliamo di lead generation ci riferiamo al modello economico adottato da tutte quelle aziende che non hanno come scopo primario la vendita diretta di prodotti o servizi online, ma la generazione di contatti commerciali verificati e fortemente interessati a un certo prodotto o servizio. Come abbiamo detto, di solito si tratta di contatti procurati attraverso la compilazione di un form, grazie al quale il potenziale cliente avanza una richiesta di informazioni relativa a un certo prodotto/servizio e chiede di essere

ricontattato per poterne trattare gli aspetti economici e commerciali. Un grande numero di aziende adotta questo modello, a volte in maniera esclusiva, a volte in affiancamento ad altri modelli di business. Perloppiù, il sito che supporta questo genere di business ha obiettivi e caratteristiche prevalentemente informativi, per presentare attraverso contenuti, immagini e video l’azienda e suscitare curiosità nel potenziale cliente, spingendolo a richiedere un contatto. Proprio grazie a questa richiesta si generano il lead e la segnalazione di un’eventuale opportunità commerciale. I passi successivi cominciano con una

presa di contatto, telefonica o via email, con il cliente e proseguono secondo il copione delle vendite tradizionali offline. Questo tipo di business viene adottato, per esempio, da molti istituti bancari che propongono mutui o prestiti, servizi B2B, servizi di formazione. Sul sito non avviene l’erogazione del servizio, ma viene concessa solo una richiesta di contatto in cui l’utente manifesta il suo interesse e la sua necessità di accedere al servizio offerto. In casi come questi una conversione può essere: un’azione di compilazione del form e la richiesta di contatto;

l’iscrizione a una newsletter; il download di una brochure; il download dell’applicazione mobile; il “Mi piace” alla pagina Facebook. La Marketing automation, sul modello della generazione dei lead, esprime il suo massimo potenziale e, come vedremo nel capitolo dedicato, esistono diverse tecniche da poter utilizzare per gestire al meglio un lead e renderlo più “caldo” possibile per farlo diventare un cliente.

Progetto editoriale

È una trasposizione nel mondo del Web del classico sistema editoriale con il tradizionale modello di business di vendita di spazi pubblicitari. Gli editori che si occupano di pubblicità hanno spostato le loro attività di domanda e offerta verso il settore della pubblicità online. Oggi, i principali editori delle testate giornalistiche sono presenti in Rete e si occupano anche di vendere pubblicità. In seguito all’affermazione del Web 2.0, sono nati anche molti piccoli editori che offrono informazioni ridotte ma di enorme efficacia. Quest’ultima tipologia, nata grazie alla diffusione del Web, si raccoglie sotto l’etichetta di

“network di nano publishing”, cioè editori di pochi contenuti veicolati attraverso piattaforme di blog. Si tratta, quindi, della pubblicazione di brevi articoli che si posizionano bene nei motori di ricerca e offrono un’ottima visibilità. La vendita di pubblicità è gestita dalla diffusione di banner posizionati all’interno delle pagine web. In questo modello si possono considerare conversioni i seguenti eventi: utenti che fanno clic sui banner; utenti che navigano in più pagine del sito e leggono i contenuti per un tempo stabilito a priori;

utenti che compiono azioni di condivisione sui social; utenti che sottoscrivono i feed RSS. In ambito editoriale, uno dei temi più sentiti è quello di portare traffico targetizzato, cioè un tipo di visitatore che sia realmente interessato ai temi, che abbia un buon engagement nella lettura dei contenuti e che magari generi un alto numero di pagine visitate.

Supporto alla vendita tradizionale Ci sono aziende che utilizzano il sito a

supporto della clientela, per offrire maggiori informazioni sui prodotti acquistati e per fornire assistenza sull’uso del prodotto. L’assistenza viene fornita sia online, attraverso un sistema di chat sincrono, sia offline, attraverso un sistema di ticketing asincrono, cioè attraverso un sistema di supporto interamente basato sullo scambio di email tra clienti e reparto assistenza. In questo caso la conversione può essere legata a uno dei seguenti eventi: contatto con il supporto secondo una qualsiasi delle modalità consentite; download di un documento;

registrazione al sito; visita di alcune importanti.

pagine

Il tema del Customer support è fondamentale per far sì che i nostri clienti possano continuare a comprare i prodotti loro offerti: la pertinenza della risposta, l’attenzione e la comunicazione tempestiva sono fattori che possono fare una grande differenza. In questo ambito ci sono molti processi che si possono automatizzare per rendere più piacevole la comunicazione e che rendono sempre più soddisfacente l’esperienza dell’utente (customer experience).

Engagement & branding Oggi chi ha la necessità di migliorare il rapporto con il proprio brand e chi vuole migliorare la relazione e la percezione usa strumenti di marketing che fanno sì che l’utente finale possa essere sempre più “ingaggiato” nei servizi o per i prodotti offerti. Anche le attività di classica Brand awareness, cioè l’incremento della consapevolezza attraverso campagne pubblicitarie atte a far comparire il brand all’utenza-target, ha ancora un’importante funzione; ma è sempre più importante comprendere quali sono le corrette fonti, da dove provengano e quali sono appunto queste modalità di

ingaggio.

CAPITOLO 3

CUSTOMER JOURNEY Quando si parla di Customer journey (che tradotto alla lettera significa “viaggio del cliente”) ci riferiamo, in realtà, a qualcosa di molto semplice e a una leva di marketing che spesso si dimentica quando si pensa ad ambiti prettamente digitali. Il più delle volte approviamo campagne pubblicitarie e/o di marketing andando a pianificare su vari media

senza porci domande precise sul cliente che potrebbe arrivare sul nostro sito, anche usando dispositivi mobile oppure desktop o altri device. Di fatto, sappiamo rispondere a domande come queste? Sappiamo chi sono i nostri clienti? Sappiamo come si comportano? Comprendiamo le loro esigenze? Sappiamo quando dobbiamo essere presenti per assistere la loro decisione d’acquisto? Trovare risposte corrette e puntuali a queste domande è di fondamentale importanza. Queste risposte sono le più

importanti perché ci permettono di capire e comprendere i nostri utenti e/o potenziali clienti. Sono essenziali per sapere che cosa fare e come comportarci. E questo è esattamente ciò a cui ci si riferisce con l’espressione “Customer journey”. Quindi, il “percorso del cliente” è il modo in cui un potenziale cliente si comporta per arrivare a completare un acquisto del nostro prodotto o servizio. L’insieme di questi momenti, tra loro differenti, crea la combinazione che permette di far arrivare l’utente dove noi desideriamo. Ecco perché il Customer journey è così importante. Ciò che rende ancor più fondamentale l’analisi di questo

percorso è il fatto che nel mondo digitale ogni singolo step può essere analizzato e codificato in modo da comprendere effettivamente ogni singola azione, per avere una mappatura delle persone che compiono determinate azioni, del tipo di comportamento che hanno tenuto e di quali sono state le leve – pubblicitarie e non – che hanno portato al risultato finale. Non esiste un Customer journey definito per ogni tipo di business o mercato poiché ogni prodotto o servizio ha un diverso tipo di pianificazione pubblicitaria e il visitatore subisce degli stimoli molto diversi.

Il percorso del cliente Quando pensiamo al viaggio che intraprende un nostro prospect, dobbiamo considerare che esistono fasi differenti e in ciascuna di esse c’è una consapevolezza diversa e un intento diverso. Ci sono molti modi per raggruppare questi status: poniamo che esistano quattro differenti macro-stadi (Figura 3.1): Awareness: di fatto consiste nella consapevolezza. È il primo momento di contatto, grazie al quale si prende coscienza che

esiste un’azienda che può offrirci determinate informazioni. In questo step il cliente scopre una categoria di prodotto e/o di servizio e viene a conoscenza di chi lo offre. Il tema dell’awareness ha molto a che fare con la strategia che le aziende usano per posizionarsi nella mente dei potenziali clienti. Consideration: è lo step successivo. In questa fase, dopo aver sviluppato la consapevolezza su ciò che esiste e come viene offerto, le persone cominciano a immaginare una

soluzione ai loro problemi, a capire i vantaggi che possono ottenere, quali sono le caratteristiche e le garanzie dei prodotti e a quali prezzi i vari prodotti vengono offerti. Conversion: come abbiamo visto, questo è il momento in cui si realizza l’obiettivo che ci siamo dati. Tutti gli sforzi fatti per posizionarci, attuando la nostra strategia di awareness e consideration, cominciano a dare i loro frutti. Advocacy: in questa fase, una persona diventa cliente e promotore della nostra azienda,

parla di noi, stato offerto, gli sono stati se fosse un commerciale.

di ciò che gli è dei problemi che risolti ed è come nostro promotore

Figura 3.1 – Nell’immagine si vede il percorso del potenziale cliente

attraverso le varie fasi. Per provare a schematizzare un processo, cominciamo a definire i tre principali momenti di accesso di un utente che recupera le informazioni offerte da un’azienda in tre differenti modi. I contesti in questione sono i seguenti: Search: viene effettuata una ricerca con parole generiche per soddisfare un’esigenza. Per esempio, se sto cercando un prodotto generico, troverò chi sta offrendo questa soluzione. Site: tutto il traffico che arriva attraverso campagne di

advertising, che portano il visitatore ad atterrare sul sito web e ad analizzarne i contenuti. Social: con questo termine si intende chi arriva a conoscere l’offerta attraverso le piattaforme social con cui interagisce. Analizziamo ora nello specifico ogni singolo step nei vari contesti, e come ci si deve comportare in questi casi.

Awareness SEARCH All’inizio di ogni viaggio le persone

trovano la loro strada attraverso una ricerca (Figura 3.2). Questo è uno dei primi passi che origina il viaggio del consumatore. In questa fase, durante la quale vengono effettuate delle ricerche, è importante essere presenti. Per farlo bene è opportuno usare le giuste parole chiave e investire maggiormente in tutte le ricerche sponsorizzate che portano e generano conversioni. Queste, in un secondo momento, a loro volta innescano un meccanismo automatico d’investimento.

Figura 3.2 – Nell’immagine il prospect come viene gestito nella comunicazione nella prima fase di Awareness.

SITE In questa fase di awareness, il sito deve

essere esplicito nella comunicazione dei contenuti, andare direttamente al punto per ciò che riguarda i prodotti/servizi offerti e non perdersi in inutili contenuti fuorvianti. In questa fase è importante dimostrare chi siamo, che cosa facciamo e come lo facciamo. Il tema della fiducia è sempre rilevante e il concetto della first impression è molto importante: questo è il momento in cui il potenziale cliente dà un giudizio a ciò che sta osservando e, nel caso di un sito web, capisce subito dove collocarlo in base ai riferimenti visivi che ha acquisito. Ecco perché molti mettono subito in bella mostra nella homepage del sito ciò che io definisco le “medaglie”, cioè

quei dati che fanno capire immediatamente ciò che lo differenza dalla concorrenza e l’importanza che ha. Per esempio, possono essere le sedi o i clienti, oppure i dipendenti. Ovviamente ogni azienda, in base ai valori che decide di evidenziare, li esporrà in maniera più forte, così da creare nel cliente una forte percezione del brand – la cosiddetta brand awareness – e ottenere immediatamente credibilità negli step successivi.

SOCIAL Di fatto, i social media sono diventati uno strumento di pubblicazione di contenuti come se fossero un sito web

come tanti altri, sebbene siano gestiti con un altro approccio rispetto ai siti tradizionali. In questo caso si misura facilmente l’awareness: infatti, gli utenti possono agevolmente mostrare il proprio interesse in base a una semplice azione, sia essa un “like” su Facebook o un tweet su Twitter. In questa fase è importante che il calendario editoriale di pubblicazione sui social sia organizzato e ben definito, e includa contenuti ad alta condivisione, in modo da far percepire una maggiore awareness condivisa volontariamente attraverso le persone.

Consideration

SEARCH In questo step i consumatori stanno compiendo una ricerca con maggiore profondità rispetto a quella fatta nella fase precedente. Questa ricerca è detta “coda lunga”, perché le parole chiave tendono a ottenere dei risultati più mirati e specifici. Ovviamente dobbiamo essere pronti a intercettarli e offrire un percorso personalizzato.

SITE In questa fase il sito deve essere coinvolgente e spiegare nel dettaglio perché si deve scegliere questa offerta, pensata innanzitutto per parlare a tutto il pubblico-target. Si deve far capire,

rapidamente e con poche parole, che se si desidera entrare in contatto con l’azienda lo si può fare subito, indicando la strada verso una conversione. Dobbiamo essere sicuri di conoscere quali sono i criteri che i clienti potenziali usano al momento dell’acquisto, e il contenuto deve rispondere a quante più domande essi pongono.

SOCIAL Uno dei più grandi cambiamenti che Internet ha portato nella commercializzazione dei prodotti attraverso il mondo social è il passa parola: le aziende che hanno capito che

questo è un ottimo strumento possono beneficiarne, contribuendo ad alimentare le conversazioni social con nuove informazioni. In questa fase è importante usare queste reti come semplici amplificatori di notorietà per il nostro brand, grazie ai contenuti e alle informazioni che vanno a incrementare la considerazione dell’utente verso la nostra offerta. È molto importante monitorare e ascoltare ciò che viene detto e come viene percepito il nostro contenuto.

Conversion Il termine “conversione” si riferisce alla capacità che un sito ha di convertire un

utente in cliente, un navigante in un visitatore affezionato. Si potrebbero definire “conversioni” tutte le attività che gli utenti compiono sul sito e che i gestori ritengono interessanti, di valore e misurabili con indicatori analitici. Si tratta, dunque, di un parametro, un indicatore del successo del sito. Per identificare la conversione giusta per ogni sito è doveroso identificare la sua ragione d’essere, e spesso questo punto, che pur sembra banale, non ha una risposta precisa da parte dei proprietari del business. Nel momento in cui si decide di aprire un sito web, le motivazioni possono essere molte e molto differenti

fra loro. È sufficiente evidenziarle chiaramente ed esprimerle in maniera misurabile per individuare i punti critici, responsabili del successo o del fallimento. La domanda cardine cui ogni gestore di un sito deve dare una risposta è: “Che cosa fa un utente interessato sul nostro sito?” Una volta trovata la risposta sapremo identificare quali e quante sono le persone davvero interessate, e si potranno quindi lanciare campagne mirate a incrementare il business tenendo costantemente sotto controllo le performance. Identificare l’obiettivo principale del sito è basilare, sia che si tratti di

generare contatti commerciali sia che si tratti di aumentare il numero complessivo dei clienti o migliorare la tipologia di supporto all’offerta. Dato che diversi business possono avere diversi obiettivi pubblicitari, la conversione può assumere differenti significati. Per esempio, una conversione si può riferire a uno di questi eventi: un acquisto: un visitatore acquista una bottiglia di vino su un e-commerce; un contatto: un visitatore lascia i suoi dati anagrafici per avere maggiore informazioni e per un contatto commerciale;

un vantaggio dalla vendita: un visitatore lascia le informazioni del suo contatto per ottenere una garanzia; un’azione di download: un potenziale acquirente scarica un documento informativo sulle caratteristiche dei software di un’azienda; sottoscrizione: un nuovo iscritto completa il processo di registrazione per una newsletter. La conversione assume un ruolo fondamentale e, soprattutto, centrale per ogni decisione di business e strategia da applicare. Di fatto è considerata il coronamento del successo, un goal, e

quindi dobbiamo mettere in evidenza questo momento. Se cominciamo a pensare dal punto di vista dell’automazione, ovviamente saremo interessati a procedere con un processo finito, che porti un risultato. In questo caso, la conversione è il momento che dobbiamo prendere in esame e su cui dovremo impostare una strategia di automazione definita.

Advocacy SEARCH Nell’ambito della ricerca e del posizionamento sui motori di ricerca – ciò che viene definito SEO – è molto

importante ottenere dei link da parte di siti esterni che puntino verso il nostro. Grazie a persone che generano contenuti sui blog, sui social media e sulle piattaforme web, i motori di ricerca possono generare link di qualità in entrata, i cosiddetti inbound links. È importante che sia facilmente condivisibile sui social sia il contenuto sia il consiglio o il suggerimento a un amico.

SITE I contenuti creati per la considerazione sono ottimi da usare per la brand advocacy, ma si deve cercare di fornirne ulteriori, magari per ottenere il massimo

dal prodotto e curare quella parte che si occupa di valorizzare nel tempo la completa advocacy. Tutti i contenuti prodotti, come blog, newsletter aziendali e comunicazioni personalizzate, vanno proprio in questa direzione di fidelizzazione.

SOCIAL Quando abbiamo analizzato la consideration abbiamo visto che le recensioni e le condivisioni condizionano i potenziali clienti a entrare in contatto con la nostra azienda. In questa fase, il nostro potenziale cliente è diventato un brand advocacy, quindi le recensioni possono aiutarci

nell’intento di portare nuovi clienti e, di fatto, farli diventare nuovi testimonial. È importante riconoscere chi sono i nostri brand advocacy, seguirli sui social, capire meglio il loro comportamento e le loro preferenze, studiandoli e dialogando con loro. È possibile capire quali sono le loro idee e farci aiutare a realizzare prodotti e servizi migliori. In questa fase, attraverso una soluzione di social listening – l’ascolto delle discussioni inerenti alla nostra azienda – sarà possibile gestire bene quest’area, come vedremo bene più avanti. Come potete vedere (Figura 3.3), il percorso del cliente non è semplice e non è mai lo stesso, per qualsiasi attività

commerciale.

Figura 3.3 – Nell’immagine si vede come viene gestita la comunicazione verso il visitatore in base al suo percorso. Tuttavia, per rendere i contenuti utili, preziosi ed efficaci, si devono affrontare gli elementi di Awareness, Consideration e Advocacy. È sempre importante analizzare e

misurare in maniera corretta tutti i vari step. Per esempio, se realizzo una campagna di awareness e penso che questa mi porti una conversione, sto sbagliando obiettivo; è quindi sempre bene sapere che cosa stiamo cercando di ottenere e come possiamo farlo.

Marketing touchpoint Quando si parla di touchpoint, “punti di contatto”, ci si riferisce a tutti quei momenti in cui un cliente entra in contatto con l’azienda, quindi tutti quelli identificati con i mezzi pubblicitari, come abbiamo visto in precedenza: il sito web e la pagina social.

Ma se ne intendono anche tanti altri, come per esempio un punto vendita o un’area amministrativa nella quale viene gestita una fatturazione. Spesso offriamo un ottimo prodotto, abbiamo una gestione esemplare dei social, ma poi non riusciamo a fidelizzare, forse perché in una fase di servizio clienti si crea un problema che non rende piacevole scegliere nuovamente l’azienda per una nuova esperienza di acquisto. È fondamentale capire quali sono i punti di contatto dall’inizio alla fine, e definire una sorta di mappa, in modo da essere in grado di analizzare quale touchpoint è più debole e su quale è

importante agire per realizzare un felice Customer journey per i nostri clienti. Esistono vari modi per fare una mappa e uno abbastanza semplice potrebbe essere quello di prendere in esame i canali visti in precedenza e definire nel dettaglio quelli che possono essere i punti di contatto interessanti. Proviamo a fare un esempio di un sito che ha un sistema di e-commerce e, questa volta, dividiamo l’esperienza in tre differenti momenti: prima dell’acquisto (awareness e consideration); durante l’acquisto (conversione); dopo l’acquisto (advocacy).

Una mappa potrebbe essere come quella rappresentata nella Tabella 3.1. Prima Durante dell’acquisto l’acquisto Sito eSocial media commerce Passa parola Catalogo

Dopo l’acquisto

Fatturazione

Newsletter Supporto Testimonianze Promozioni online Supporto Email Community vendite pubblicitari Campagne Telefono marketing

Tabella 3.1 – Mappa dei touchpoint,

suddivisa nelle varie fasi. In questo esempio sono stati inseriti alcuni punti che ipotizziamo per questo e-commerce e, come si può notare, prima dell’acquisto un cliente può entrare in contatto con diversi canali che avranno il compito primario di incentivare la scelta di acquisto: su questo punto dobbiamo porre sempre la massima attenzione. Durante l’acquisto, ovviamente, il sito e-commerce deve essere ospitale e soddisfare tutte le esigenze del cliente, oltre a presentare le varie promozioni e le modalità di contatto, sia con il supporto vendite sia telefonicamente. Infine, a oggi, l’ultima parte è quella

che solitamente è più trascurata ed è il postvendita: una volta fatto l’acquisto, diamo per scontato che il cliente si sia fidelizzato. Invece è proprio in questa fase che non dobbiamo mollare la presa ed è assolutamente importante cercare di fornire il massimo supporto, se vogliamo garantire al cliente un’esperienza positiva che lo motivi a scegliere nuovamente il nostro ecommerce per un prossimo acquisto. Tutto ciò introduce il tema della Customer experience, altrettanto importante, che affronteremo più avanti nel libro.

Multicanalità Come abbiamo visto, nel percorso del cliente non si parla solo di differenti interazioni con la pubblicità, ma anche di quello che è definito come un modello di multicanalità, che non si limita solo al mondo online ma coinvolge ovviamente tutto l’offline. Una ricerca di UPS e comScore sottolinea come gli acquirenti europei preferiscano i rivenditori che offrono un’esperienza multicanale, cioè vissuta attraverso differenti modalità di contatto. In Italia, addirittura il 51% dei consumatori preferisce comprare online e ritirare la merce in negozio

(percentuale che sale al 59% nel caso in cui sia possibile portare a termine anche altre operazioni in un punto vendita). Un altro dato importante riporta che il 78% degli italiani ritiene Internet la principale fonte per la ricerca di informazioni su prodotti e servizi. Di questi, però, solo il 34% compra online successivamente alla presa di contatto informativa (dati Netcomm). Per questo il presidio di tutti i canali – anche quelli fisici ovviamente – permette di migliorare il servizio offerto ai clienti. Il compito del retailer è quello di conoscere il consumatore con cui si rapporta e le sue abitudini, fornire una corretta informazione, essere sempre

reperibile e offrire ogni strumento possa aiutare l’utente nel suo processo d’acquisto. In tutto ciò gioca un ruolo fondamentale il mondo mobile, che possiamo considerare un ponte tra online e offline. Infatti, per esempio, potrei trovarmi in un luogo offline come un punto vendita e accedere a contenuti online attraverso i dispositivi mobili. Secondo il Google Shopper Marketing Council 2013, il 79% dei possessori di smartphone utilizza questo dispositivo in almeno una delle fasi del processo di acquisto. I canali online, infatti, vengono sempre più spesso raggiunti da smartphone e tablet e non solo da PC, a

seconda del tipo di consumatore e del momento della giornata. Per ampliare le proprie opportunità ed essere raggiunti da un numero sempre maggiore di clienti, è necessario studiare i comportamenti degli utenti legati ai diversi dispositivi e rendere l’accesso al proprio store facile e immediato grazie all’ottimizzazione dei propri siti per i dispositivi mobili. È necessario interagire con i propri clienti. L’interazione faciliterà la scelta della strategia multicanale e la renderà molto più efficiente. Per esempio, come abbiamo approfondito, l’interazione tra online e offline è già oggi possibile grazie a strumenti di tracciatura

nell’ambito del mobile: attraverso applicazioni installate sullo smartphone è fattibile un tracciamento del Customer journey, per capire come il cliente si comporta nel punto vendita, a quali prodotti è interessato, se usa l’applicazione per ricordarsi ciò che deve fare o, per esempio, se è stato attratto da un coupon di sconto (ottima leva per portare persone in store, sempre che poi effettivamente usino il coupon e acquistino). Quindi, se ipotizziamo che la strategia voluta dal marketing sia quella di usare l’online non per vendere direttamente un prodotto, ma per portare il cliente in un punto vendita tradizionale, con questa

metodologia sarà possibile farlo, per poi seguire il suo comportamento con tutte le analisi e i dati che avremo a supporto.

Zero Moment Of Truth (ZMOT) Torniamo un attimo indietro nel tempo, all’incirca nel 2005, quando un approfondimento di Procter & Gamble sul Customer journey sintetizzava il percorso in 3 sole fasi. Stimolo: pubblicità, visibilità, disponibilità. 2. Il primo momento della verità 1.

(FMOT), cioè il primo contatto con il prodotto e con il venditore addetto (Figura 3.4). 3. Il secondo momento della verità (SMOT), cioè la fase postvendita, quando il cliente utilizza effettivamente il prodotto e ne giudica le caratteristiche.

Figura 3.4 – Nell’immagine si vede rappresentato il primo momento della

verità (FMOT). Nel 2011, compiendo alcuni studi sulle dinamiche di vendita online, Google perfezionò e introdusse il concetto di ZMOT (Figura 3.5), conseguenza del fatto che oggi la ricerca, il confronto con gli stimoli e la fase di “persuasione” si giocano tutti quanti sul Web. Se andiamo ad analizzare lo FMOT – First Moment Of Truth (Shelf) – questo è il momento che dura fra i tre e i sette secondi durante il quale una persona all’interno di un negozio (fisico o digitale) rivolge la sua attenzione verso un prodotto e decide di comprarlo o di passare oltre.

Figura 3.5 – Nell’immagine si vede rappresentato lo ZMOT in un percorso di navigazione. Fonte: Google. È il momento il cui il consumatore entra in contatto con il prodotto e con il

venditore, e in cui valuta e decide per l’acquisto. Potremmo dire che si va ad agire sulle leve della percezione e dell’area emotiva. Lo ZMOT – Zero Moment Of Truth – è la fase in cui il potenziale acquirente, attraverso ricerche su forum, motori di ricerca e social network, raccoglie informazioni sui prodotti e decide (ancor prima di essere in contatto fisico con l’oggetto nel negozio) che cosa comprare. È il momento che precede l’acquisto ed è, di fatto, la fase di “indagine” e “riflessione”, ora basata soprattutto sui nuovi canali tecnologici oltre che sulle modalità tradizionali. Questo momento è

molto importante perché tutto si svolge in poco tempo e l’utente, a volte in maniera troppo superficiale, si basa sulle prime informazioni che trova, magari semplicemente digitando il nome dell’azienda sul motore di ricerca. A questa fase, che affronteremo più avanti nel volume, è legata l’importanza di avere una buona brand reputation, cioè delle buone recensioni inerenti l’azienda e ben visibili da parte di chi ricerca i nostri prodotti. Lo SMOT – Second Moment Of Truth (Experience) – è l’esperienza di consumo del prodotto, che viene fatta successivamente all’acquisto: la persona può vivere un’esperienza positiva, che

conferma quanto deciso durante il FMOT, oppure negativa, tale da fargli decidere di non comprare più quel determinato prodotto o su un determinato sito di e-commerce. È il momento postvendita, di fatto è la fase in cui emergono l’esperienza e le considerazioni del cliente. Questo momento genera un meccanismo che spinge il cliente a produrre contenuti inerenti, appunto, al brand e al come l’azienda è stata trovata. Se questo feedback sarà positivo, ovviamente, l’utente potrà coinvolgere altre persone che si trovano nel momento ZMOT. Facciamo un esempio: se dovete acquistare un pernottamento su un sito

come Booking.com o Expedia.it, che cosa vi spinge a scegliere tra due hotel, se il prezzo, i servizi e le condizioni generali sono simili? Probabilmente deciderete in base al punteggio che è stato dato da altri utenti che hanno già pernottato e dai commenti che questi hanno pubblicato. Devo dire che spesso io mi faccio trascinare da chi ha già avuto un’esperienza, e Booking.com, per esempio, permette di vedere i commenti organizzati in base alla tipologia di viaggiatore (single, famiglie, coppie). La valutazione delle informazioni, da sempre, fa parte del processo d’acquisto delle persone. La Rete ha contribuito in modo determinante a creare il momento

zero della verità, successivo a quello della creazione del bisogno/stimolo, che precede la vera e propria fase d’acquisto del prodotto online oppure in negozio (Primo momento della verità) e la successiva esperienza di utilizzo (Secondo momento della verità). Ecco che per un’azienda diventa fondamentale farsi trovare ben preparata, quando le persone si trovano nello ZMOT del loro processo di acquisto. Ciò significa, innanzitutto, conoscere i propri clienti attuali e potenziali, per capire dove, come e quanto parlano dell’azienda e dei suoi prodotti in Rete. Vincere nello ZMOT non è solo questione di numeri e

fatturato. Raggiungere questo obiettivo significa aprirsi all’ascolto e al dialogo, in modo da attivare, costruire e sviluppare un rapporto di empatia che tenga sempre presente le persone in quanto tali e non più solo come semplici consumatori.

Il comportamento nell’acquisto Il concetto di “ciclo di vita” di cui fa parte il consumatore non è nulla di nuovo. Per anni se n’è parlato e se n’è tenuto conto persino nei reparti vendite di molte società. Per esempio, pensiamo

che un reparto commerciale di un’azienda abbia a che fare con varie fasi del ciclo di vita di un consumatore, e si rivolga a lui di volta in volta in maniera differente e con obiettivi differenti. Ma questo stesso modo di pensare non ha avuto molta presa nel campo del marketing di molte aziende, perché ancora non esisteva un sistema in grado di tracciare il ciclo di vita di un consumatore, prima che quest’ultimo finisse nelle mani del venditore. L’automazione del marketing ha cambiato questa situazione attraverso il cosiddetto tracciamento del lead. Prendiamo in considerazione il modo in cui un utente acquista un prodotto o

servizio qualsiasi: questo costituisce la base di tutte le moderne teorie sui consumatori e sul marketing. Analizzando la maniera in cui una persona effettua gli acquisti, sapremo dove andare a vendere, che messaggio usare e quale dovrebbe essere la nostra prossima mossa di marketing. Nell’effettuare questa ricerca scopriremo alcuni concetti chiave che riguardano il consumatore moderno. Per esempio, quelli nell’elenco che segue. Il Search Engine Journal dichiara che il 93% di tutti i cicli d’acquisto inizia con una ricerca online. Ciò può avvenire

attraverso una ricerca con Google, Bing, Yahoo! o altri motori di ricerca. I consumatori non desiderano parlare immediatamente con il venditore. Quelli che compiono una ricerca online non vogliono entrare subito in contatto con una persona, ma preferiscono raccogliere prima le informazioni e poi rivolgersi alle società che ritengono migliori. I consumatori sono iperinformati. La mole di informazioni reperibile online ha permesso loro di informarsi

tanto da raggiungere un livello di conoscenza completamente nuovo. Oggi i consumatori detengono il potere nel processo di vendita. Possono leggere i tweet e i commenti, scoprire i pro e i contro di un prodotto molto prima di entrare in contatto con l’azienda. I consumatori sono ipersensibili. A fronte dell’incredibile quantità di email ricevute ogni giorno, le persone non si occupano di queste o dei loro contenuti a meno che non siano per loro rilevanti al cento per cento.

Questo è un altro motivo per cui il marketing automatizzato ha incrementato i profitti delle società. I consumatori ricorrono a Google almeno due o tre volte per ogni acquisto. Il ciclo di vita di cui fa parte il cliente è stato analizzato in uno studio di ClickZ, che ha evidenziato come i consumatori ritornino sui motori di ricerca da due a tre volte prima di decidersi per un acquisto e accedere così al ciclo della vendita. Il concetto di Customer journey abbinato al consumatore può aiutare chi fa

marketing a rendere rilevante ciò che comunica. Come vedremo più avanti nel libro, l’automazione del marketing è lo strumento usato per mantenere tale rilevanza durante tutto il percorso compiuto dal consumatore e nell’intero ciclo di vendita. Capire che siamo di fronte a un percorso è il primo passo per rilevare il punto in cui si trova una certa persona nel proprio percorso. Questo monitoraggio può essere effettuato attraverso l’automazione del marketing.

CAPITOLO 4

DIGITAL ANALYTICS Come ho avuto modo di dire nei capitoli precedenti, uno dei temi che dal mio punto di vista reputo fondamentali per poter avviare e gestire qualsiasi tipo di business online è la misurazione dei dati e, quindi, il controllo di ciò che il nostro business esprime. In questo capitolo approfondiremo il tema della misurazione e delle varie metriche, perché questo ci permetterà di

comprendere al meglio il mondo dell’automation e, alla luce dei dati, saremo in grado di far funzionare ogni automazione di business. Ci occuperemo quindi di ciò che fa la Web analytics: di fatto, è una metodologia di analisi di ogni progetto digitale, che si parli di sito web, e-commerce, applicazione mobile o attività sui social. Fare un lavoro di analytics significa svolgere un’attività di misurazione, di raccolta e di analisi dei dati web accompagnati dalla costruzione di un’accurata reportistica mirata alla comprensione dell’interazione degli utenti e all’ottimizzazione delle performance di un progetto.

Non sfruttare le possibilità di analisi e controllo offerte dai sistemi di Web analytics significa lavorare alla cieca: la posta in gioco è troppo alta per rischiare di perdere il controllo di quanto sta accadendo. Dopo aver investito sulla propria visibilità in Rete, ogni azienda dovrebbe valutare la qualità del lavoro svolto, e la Web analytics offre la possibilità e le condizioni favorevoli per farlo in maniera semplice. È possibile valutare l’efficacia di un investimento, analizzare e incrementare il Ritorno dell’investimento (ROI), esaminare i comportamenti dei clienti, misurare l’interesse destato da una promozione e

correggere in tempo reale eventuali errori di comunicazione commessi. Da questo punto di vista, la Web analytics appare non tanto un costo, quanto piuttosto un investimento che in tempi brevi accresce la redditività e la prosperità del sito.

Non puoi controllare ciò che non misuri Possiamo affermare che le aziende che hanno successo nel mondo digitale usano strumenti di Web analytics, e molte di esse si stanno muovendo anche verso una piena diffusione delle tematiche di

analisi, a tutti i livelli di comando e operatività, per favorire una visione unificata delle nuove strategie di marketing da adottare. Diffondere la cultura della Web analytics significa non rimanere preda di sensazioni, di emozioni o intuizioni, che sono comunque importanti per apportare innovazione al business, ma che sono anche strettamente legate a una sfera soggettiva, molto fragile e non avvalorabile da fatti misurabili e quantificabili. Da questo momento in poi ogni intuizione su nuovi modelli di marketing da adottare necessita di essere provata dai numeri e dalle proiezioni, insomma

da un’attenta analisi degli obiettivi da raggiungere e delle modalità da adottare per realizzarli. Immaginiamo un esempio concreto, un caso di redesign di un sito web. Non è sufficiente scegliere una nuova veste grafica e applicarla, sarà necessario avere una visione chiara degli utenti che lo utilizzeranno (browser, risoluzione, eventuali dispositivi mobili) e delle modalità di navigazione che adotteranno. Solo grazie a questi dati, i grafici, gli editor e il marketing potranno operare sinergicamente per un efficace restyling del sito e dei suoi contenuti. Ecco che cosa vuol dire avere coscienza del fatto che ogni attività può

e deve essere monitorata e misurata per incrementare l’efficacia delle attività online. Tuttavia, bisogna riconoscere che non è facile introdurre questa nuova metodologia di pensiero e azione in azienda, perché i reparti aziendali e le persone hanno un loro modo di vedere e di agire per il bene e per lo sviluppo dell’azienda. La capacità di controllo è un’attitudine e una necessità che chi si occupa di marketing conosce bene: il controllo consiste nella possibilità di avere, in ogni momento, piena disponibilità degli strumenti e delle informazioni necessarie a fermare e a far ripartire ogni attività dell’azienda.

La Web analytics si rivela, pertanto, uno strumento fondamentale di analisi e controllo ma, come tutti gli strumenti di questa categoria, necessita di un continuo utilizzo e di un’attenta messa a punto e taratura sulla base degli obiettivi prefissati.

Mirare a obiettivi concreti: il concetto di actionable Il filo conduttore della Web analytics è quello dell’ottimizzazione del marketing, cioè aumentare il rendimento del canale web. Dunque, non si tratta solo di raccogliere grandi quantità di dati sul comportamento dei visitatori, ma anche

di studiare il modo per trasformarli in azioni mirate a migliorare le strategie di marketing, di comunicazione e di vendita per aumentare i profitti. Uno dei punti più importanti della misurazione non è tanto l’avere una mole di dati precisa e accurata o un sistema di statistiche che offra milioni di report, ma fare in modo che questi possano essere usati. Mi capita spesso di conoscere manager che investono molto in strumenti e soluzioni di misurazione, ma potrei dire che lo fanno solo per giustificare a qualcuno di avere fatto quello che serviva, senza voler fare realmente ciò che è importante per

l’azienda. In altre parole, non è importante avere a disposizione la miglior tecnologia e strumentazione di misurazione se poi non si è in grado di leggere i dati e farci qualcosa. Se pensiamo alle gare automobilistiche di Formula 1, potremmo rapportare la Web analytics al sistema di telemetria, cioè quel sistema che analizza tutti i dati di prestazione del pilota e della macchina in ogni metro del circuito, mentre cerca di fare il giro più veloce. Bene, in questo caso sarebbe assurdo se avessi a disposizione tutti i dati elaborati dal sistema relativi alla prestazione senza poterci fare niente perché così come sono presentati non mi

darebbero l’opportunità di dare l’indicazione giusta al meccanico su che cosa modificare nell’auto per permettere al pilota di migliorare la prestazione. Anche se questo è un esempio limite, la situazione spesso non è molto diversa: ci si dota di strumenti di misurazione, s’investe molto anche in tecnologie costose, ma poi in pochi riescono a farci qualcosa o, peggio ancora, succede che in certi casi i dati vengono ignorati. Il concetto di actionable nasce proprio a questo punto dell’evoluzione della consapevolezza di chi fa Web analytics: questo concetto si lega alla necessità di rendere immediata la lettura dei dati. Chi ha il dovere di analizzare i

dati e prendere decisioni comprende il significato dei valori numerici e li assume come “driver decisionali” per le scelte operative che dovrà attuare. Per capire meglio, pensiamo a quanti oggetti actionable siamo abituati a usare nel quotidiano. Per esempio, un termometro ci segnala la temperatura e, sulla base del valore indicato, scegliamo se vestirci con abiti pesanti o più leggeri. L’informazione data da un termometro è chiara e univoca, non necessita né di analisi né di interpretazioni e conduce a una decisione in un arco di tempo brevissimo. Nessuno userebbe uno strumento che necessita di complicate

interpretazioni per scegliere come vestirsi! Per questo motivo usiamo termometri e non carte isobariche. Al giorno d’oggi, è fondamentale focalizzarci su strumenti che trasformino “Analytics into Action”, che possano darci un dato, un numero, un valore che possa subito permetterci di compiere un’azione. Come vedremo più avanti, la Marketing automation funziona proprio su questo, ed è importante tenere questo approccio e avere questa mentalità, perché ci permettono di perdere meno tempo e rimanere focalizzati sull’obiettivo.

Big Data

Con l’espressione Big Data si intende l’analisi di grandi quantità di informazioni, soprattutto quelle non strutturate, come possono essere dei testi o delle conversazioni via email. Questo tipo di informazioni sono importanti se immaginiamo di dover capire come migliorare le vendite online oppure come migliorare la produttività di un sistema abbastanza complesso. Ci servono dati per farlo, ma non importa come questi arrivino; quello che realmente conta è come “trattarli”, come poter far sì che, pur essendo tanti e magari tutti “sparpagliati”, siamo in grado di capire cosa farci. Per esempio, questo è ciò che deve fare un’azienda

come eBay per capire cosa vogliono i suoi clienti, per cercare di vedere oltre le inserzioni e le vendite e trarre delle idee dai comportamenti che hanno i suoi utenti online. Il vero problema dei Big Data è che si devono raccogliere centinaia di milioni di informazioni e spezzettarle su tanti server, fino a che questi ultimi non riescono a “riunirle” in qualcosa che ha più senso. Ovviamente, tutto ciò non avviene in modo semplice, ma bisogna programmare esattamente che cosa ricercare in tutti quei dati. Spesso, le decisioni vengono prese proprio sulla base di queste analisi ed è per questo che aziende come IBM

investono milioni in questi settori, perché i loro clienti presenti in tutto il mondo sono interessati a capire di più su che cosa significa tutta quella mole di informazioni che producono. È inevitabile che i nostri comportamenti, anche quelli online, siano sempre più oggetto di analisi e di studi: dal modo con cui navighiamo su un sito web a quali prodotti acquistiamo sono tutte informazioni preziose per le aziende che lavorano in Rete. Al pari lo sono i comportamenti dei clienti anche per un gigante come Starbucks, che raccoglie dati da migliaia di punti vendita nel mondo e da questi dati deve capire che cosa succede e come

utilizzarli. Personalmente credo che i Big Data non siano la soluzione, e solo poche aziende italiane potrebbero veramente farne un uso che abbia un ritorno utile. Come spesso dico, è inutile provare a capire i Big Data se ancora non teniamo in giusta considerazione i Micro Data. La buona notizia è che, come vedremo, la Marketing automation corre in aiuto a questo segmento di analisi e lavora per aggregare i dati e renderli usabili e attuabili.

Software di Digital analytics

Sul mercato esistono vari strumenti software di analytics e ognuno di essi ha una sua caratteristica e modalità nel mostrare il dato e analizzarlo. Oggi, le soluzioni di analytics sono legate all’analisi del comportamento su Web, mobile e nelle piattaforme social. La scelta di una soluzione di Web analytics è un po’ come quella di un’auto: si analizzano le proprie esigenze, quale sarà la funzione principale della vettura, qual è il budget a disposizione, se sarà usata principalmente in città o come fuoristrada, se si preferiscono le prestazioni, la comodità o la sicurezza. Ovviamente, un aspetto non trascurabile

è legato alle capacità di guida, che devono consentirci di condurre un’auto come quella che stiamo per acquistare. Sulla base di queste analisi si sceglierà l’auto con il rapporto prezzo/qualità che soddisfa maggiormente le nostre esigenze. A volte, capita che le nostre scelte siano influenzate da quelle fatte da altri prima di noi. Restando all’esempio dell’acquisto di un’automobile, potremmo sceglierne una a scapito di un’altra solo perché l’ha già acquistata un nostro vicino di casa o un nostro amico e non perché ci serva realmente o soddisfi veramente i parametri che ci eravamo posti. Dinamiche simili sono

presenti anche nel momento della scelta di una soluzione per la Web analytics. Tra i più famosi tool di analytics c’è sicuramente Google Analytics, lo strumento che la società di Mountain View mette gratuitamente a disposizione di qualsiasi azienda che abbia un sito o un’applicazione mobile da monitorare. Dal grafico nella Figura 4.1, elaborato da Datanyze su un campione di numerosi siti, si può vedere come Google Analytics sia assoluto leader di mercato, con uno share del 56,9% che si somma al 21,3% di Google Universal Analytics. Quello che nella Figura 4.1 viene identificato come Google Universal Analytics è un nuovo metodo concepito

per fornire informazioni molto più dettagliate: ossia riconoscere gli utenti e raggrupparli per abitudini e caratteristiche, in modo da poter direzionare in maniera più precisa le nostre azioni di marketing. Universal Analytics consente di riconoscere gli utenti e di tracciare le loro attività sui diversi device e sui siti Internet di nostra proprietà, ma anche di monitorare i loro comportamenti fuori dal Web. In sostanza, possiamo analizzare nella sua interezza il comportamento degli utenti che entrano in contatto con la nostra azienda.

Figura 4.1 – Nell’immagine si vede la percentuale di utilizzo dei software di Web analytics. Universal Analytics funziona attraverso

un nuovo codice di tracciamento nel sito – desktop e mobile – nelle applicazioni iOS e Android e in qualunque device collegato a Internet. Svolge il suo lavoro attraverso un sistema che viene chiamato “Measurement Protocol”, che di fatto non è altro che un mezzo che ci consente di monitorare come gli utenti interagiscono con l’azienda e ci permette di farlo praticamente in ogni ambiente, collegando i comportamenti online e offline. Un esempio di attività online/offline potrebbe essere l’ordine telefonico fatto a un sito di e-commerce: la telefonata verrà salvata in un software gestionale o in un database, dove l’utente viene

riconosciuto e gli viene assegnato il corretto ID. Sarà il Measurement Protocol a inviare i dati a Google Universal Analytics (Figura 4.2), che a questo punto potrà tracciare come il cliente sia arrivato a convertire e mettendoci in grado di capire le sue abitudini e le preferenze nell’acquisto.

Figura 4.2 – Nello schema si vede il principio di funzionamento di Google Universal Analytics.

A fronte di tutto ciò, se ne deduce che è assolutamente fondamentale utilizzare Google Universal Analytics se si vuole portare a termine un’azione di marketing mirata ed efficace. Presto Google effettuerà in automatico la migrazione da Google Analytics a Universal Analytics ma chi ancora non ha proceduto in tal senso può farla fin da subito, cambiando il codice di tracciamento JavaScript utilizzato finora. Per concludere, da qualche tempo esiste una versione Premium di Google Analytics. Una delle principali differenze tra la versione gratuita e quella a pagamento è sicuramente il

supporto per account dedicati, sia in ambito formativo sia di sviluppo e integrazioni. Inoltre, troviamo un team di analisti e consulenti a disposizione e vengono fornite diverse funzionalità di reportistica avanzata e una maggiore precisione dei dati. Ovviamente, è un passo che deve essere compiuto da chi necessita di analizzare grandi volumi di dati e ottenere la massima precisione e un ottimo supporto da parte del fornitore del software. In Italia esistono alcune agenzie certificate per la rivendita di Google Analytics Premium, al quale aggiungono servizi di consulenza specifica. Il prezzo di vendita della soluzione corrisponde a

150.000 dollari USA, un investimento che, conoscendo quali sono i budget italiani nel mondo digital, sicuramente non tutti possono permettersi. Altre soluzioni sul mercato analoghe a Google Analytics Premium hanno costi che variano in base al volume di pagine viste. A livello mondiale, se si analizzano i dati di adozione della piattaforma di Web analytics tra le società Fortune 500, si può notare che altri player, come Adobe (ex Omniture) e WebTrends, coprono il mercato principale. Potete vedere la statistica aggiornata al 2013 nella Figura 4.3.

Come funziona tecnicamente la Web analytics I modi per tracciare le attività nel Web attraverso gli strumenti di Web analytics sono vari e tecnologicamente differenti tra loro. Ma, al di là delle differenze di carattere informatico, è importante comprendere che Internet è in continua e velocissima evoluzione: pertanto ogni scenario di misurazione valido oggi può essere sconvolto in breve tempo.

Figura 4.3 – Lo schema mostra le percentuali di utilizzo di strumenti di analytics secondo Fortune 500.

La velocità con cui Internet si adatta ai mutamenti della comunicazione e ai cambiamenti sociali costringe la Web analytics a stare al passo e a non fermare mai la ricerca e l’analisi dei meccanismi che governano il mondo digitale. Seppure in un settore in continuo divenire, l’aspetto della misurabilità resta, per le aziende che vogliono lanciarsi nel nuovo settore del marketing digitale, il più grande punto di forza del Web. I sistemi attualmente utilizzati per il tracciamento di base delle informazioni relative alla navigazione Internet si basano sul page tagging, un sistema che utilizza un codice JavaScript che

permette una facile integrazione all’interno del sito web e una completa tracciatura delle attività di un visitatore. Nella Figura 4.4 è rappresentato il codice di un sistema di Web analytics – in questo caso Google Universal Analytics. Inserendo questo codice JavaScript in tutte le pagine si otterranno tutte le informazioni di cui necessitiamo. Questo sistema è usato da molte altre piattaforme, come per esempio gli ad server per erogare la pubblicità, i sistemi di Visual analytics e, ovviamente, anche i sistemi di Marketing automation. Questo codice deve essere inserito in tutte le pagine e, altrettanto ovviamente,

può svolgere fisicamente questa operazione chi ha accesso al sito lato programmazione. L’operazione d’inserimento è molto semplice ma spesso succede che si debbano inserire altri strumenti e sia necessario avere la libertà di applicare questi cambiamenti per essere ancora più rapidi. Per poterlo fare esistono dei tool di inclusione, come il Google Tag Manager, che non fanno altro che inserire un codice unico che può richiederne molti altri, in questo caso sia di Google sia di altre applicazioni.

Figura 4.4 – Nall’immagine si vede un codice JavaScript di esempio di un account di analytics. Come si vede nella Figura 4.5, ciò che cambia è solo che Google Tag Manager permette di avere un codice unico che può richiamarne tanti altri. Non cambiano, invece, né la modalità né il sistema: si tratta sempre di inserire un

codice JavaScript. I vantaggi che offre questa soluzione sono veramente tanti e, oltre alla velocità e alla possibilità di poter lavorare sia sulla parte Web sia su quella mobile, esiste una funzionalità di gestione delle regole e degli eventi.

Figura 4.5 – Nell’immagine si vede un codice JavaScript di esempio di Google

Tag Manager. Infatti, in alcuni casi è importante attivare un codice solo in un preciso momento stabilito – magari quando l’utente sta mettendo un oggetto nel carrello piuttosto che quando guarda una pagina – per poter dare delle informazioni precise ai vari sistemi che stiamo integrando. Quindi, i principali vantaggi che un tag manager apporta sono: centralizzazione della gestione delle operazioni di tagging; individuazione di un unico referente/responsabile di queste

operazioni; velocità di esecuzione per l’aggiunta/modifica di tag e regole; completa autonomia dal reparto IT/tecnico; grande flessibilità nelle configurazioni.

Le metriche Questa parte è fondamentale per comprendere le dinamiche relative a come leggere i dati. Adottando e comprendendo la terminologia del settore, che è ormai uno standard, ci potremo confrontare con il mercato e

con gli strumenti di analisi utilizzati e potremo cominciare ad automatizzare i processi.

Cookie I cookie occupano un posto importante nella misurazione. Ultimamente se ne fa un gran parlare e spesso il giudizio negativo è associato alle politiche di privacy degli utenti: per questo approfondiremo il tema legale alla fine del libro, nell’appendice relativa all’argomento. Entrando nello specifico, che cosa sono i cookie? Pochi sanno davvero cosa siano, come si comportino e quale sia la loro

importanza. Questo paragrafo vuole fare chiarezza proprio su questo argomento, per fugare ogni dubbio e compiere dei passi avanti nella comprensione dei meccanismi e della filosofia del Digital marketing. In pratica, il cookie è un piccolo file, poche righe di codice, che un sito Internet invia al browser insieme alla pagina visualizzata. Si tratta, in buona sostanza, di un file di testo immagazzinato e conservato dal browser dell’utente, il quale lo passerà nuovamente al server tutte le volte che quest’ultimo ne farà richiesta. A ogni nuova richiesta di pagina, il server web invierà un nuovo cookie o aggiornerà quello esistente.

Se questa è la definizione generale di cookie e ne spiega a grandi linee il funzionamento, è anche vero che esistono diversi tipi di cookie. Vediamo quali. Ci sono i cookie di sessione, cioè “cookie transitori” che esistono e permangono nella memoria del browser solo fintanto che perdura la sessione di navigazione. Questo tipo è utilizzato per raccogliere tutti i dati di navigazione di un’unica sessione, e viene usato dai software di Web analytics per ricostruire il contesto e lo svolgimento di una visita a un sito web. Ci sono i cookie persistenti, che vengono inviati dal server al browser

dell’utente e conservati anche oltre la fine della visita, fino alla loro naturale scadenza (di solito prestabilita in una data futura, anche molto lontana nel tempo, per esempio dopo dieci anni). Poi ci sono i cookie di terze parti, cioè quelli che sono inviati da server diversi da quelli che ospitano la pagina web o il sito visualizzato. Spesso, i cookie di questo tipo sono usati, tra gli altri, da agenzie di comunicazione che acquistano spazi pubblicitari sul sito che l’utente sta visitando. Per esempio, se l’utente sta visitando un sito di informazione quotidiana, ci saranno sicuramente dei banner pubblicitari a riempimento di alcuni spazi sulla pagina e potrebbero

essere inviati al suo browser cookie di terze parti. Le agenzie pubblicitarie, nel momento in cui viene richiesta la pagina, insieme alle immagini forniscono anche piccoli cookie che possono tracciare le preferenze e i comportamenti dei navigatori (Figura 4.6).

Figura 4.6 – Nell’immagine si vede il funzionamento di un cookie

pubblicitario. Di solito i cookie di terze parti sono usati per tener traccia delle preferenze e raccogliere dati per le ricerche di mercato, che permetteranno di individuare un target di riferimento preciso per le azioni pubblicitarie. In particolare, quest’ultimo tipo di cookie suscita molte perplessità legate soprattutto alle questioni della privacy. Nella sostanza, questi dubbi non hanno motivo di esistere perché, in realtà, all’interno del cookie sono registrate informazioni relative alle abitudini di navigazione e i cookie non sono mai associati a dati personali e sensibili.

I tipi di cookie che abbiamo illustrato funzionano pressappoco allo stesso modo: ogni volta che il browser richiede una pagina al server, questo fa partire un controllo sui cookie e verifica se il proprio è già presente. Se non è presente, allora ne prepara uno, scrive la data e il numero “1”, indicando così la prima visita dell’utente, e lo invia al browser dell’utente. Come è facile capire, i cookie sono molto importanti per garantire all’utente esperienze di navigazione personalizzate e molto amichevoli: per esempio, sul nostro sito preferito per l’acquisto di libri online ci piace che il sistema ricordi quali libri abbiamo già comprato

e ci suggerisca quali altri possono essere interessanti. Per la Marketing automation, l’utilizzo di cookie è fondamentale come, di fatto, lo è per il Marketing digitale in generale. Poiché sono immagazzinati nel client locale dell’utente, i cookie possono essere cancellati in qualsiasi momento su esplicita richiesta dell’utente e senza alcun intervento esterno, né alcuna comunicazione al fornitore.

Visita Il concetto chiave della Web Analytics è proprio quello della visita. La visita è costituita dalle interazioni dell’utente con il sito. L’utente arriva sul sito e

visualizza una o più pagine. Tutte le azioni che compie sul sito, nel loro insieme, compongono e caratterizzano la visita di quell’utente specifico. La durata di solito è determinata dal tempo della sessione. La sessione rappresenta l’intervallo di tempo nel quale l’utente è connesso alla rete Internet. È possibile ricostruire il percorso di ogni singolo utente registrando le visite ai siti a cui si collega. La visita termina quando l’utente lascia il sito, o dopo trenta minuti di inattività. Una richiesta di pagina da parte dello stesso utente che arrivi oltre trenta minuti dopo la precedente richiesta sarà considerata come la prima pagina vista in una nuova

visita al sito. È possibile estendere il tempo di sessione a sessanta o novanta minuti o variare le metriche a proprio piacimento, anche se una simile personalizzazione crea una difficile comparazione con i dati standard.

VISITATORI E VISITATORI UNICI Quando si parla di visitatori, si considera il numero di persone che hanno avuto interazioni con un sito in un intervallo definito. Il numero di visitatori in un certo periodo tiene conto di tutti coloro che in quell’arco temporale sono ritornati più di una volta, cioè chi ha effettuato più di una sessione di navigazione sul sito. Per

fare un esempio, se un utente oggi entra in un sito, naviga, visualizza una serie di pagine e termina la sua visita, viene contato come un visitatore. Se dopo tre giorni ritorna a navigare nel sito, allora sarà conteggiato come se fosse un altro visitatore. Nell’arco di quei tre giorni le sue visite verranno calcolate come se fossero state effettuate da due visitatori, anche se si è trattato della stessa persona che ha compiuto due sessioni di navigazione. Ogni visitatore è considerato “visitatore unico” solo all’interno di un arco di tempo preciso. Insomma, il numero di visitatori unici varia al variare dell’arco temporale (un giorno, una settimana, un mese, un

semestre ecc.), perché ogni individuo è contato una sola volta per ogni periodo di riferimento. Per tornare all’esempio precedente, su un arco temporale di tre giorni, avrò un solo visitatore unico; mentre, se analizzassi i report su intervalli temporali di due giorni in due giorni, avrei due visitatori unici. Il visitatore unico, infatti, è conteggiato una sola volta al momento della sua prima visita al sito.

VISITATORE NUOVO VS. VISITATORE RIPETUTO

Si definisce “visitatore nuovo” chi in un certo periodo temporale visita il sito per

la prima volta. Se visita un sito per la prima volta mercoledì, e poi ritorna anche giovedì, in un report delle visite settimanali sarà considerato entrambe le volte come un visitatore unico, perché ha compiuto una sola visita/sessione al giorno. Tuttavia, solo una volta sarà considerato un visitatore nuovo, cioè solo per la sua prima visita fatta mercoledì. Per la visita di giovedì sarà considerato un “visitatore ripetuto”, cioè un visitatore che in un certo arco temporale ha compiuto diverse visite su uno stesso sito.

CHE COSA CARATTERIZZA UNA VISITA Dopo aver visto quali sono le metriche

fondamentali che consentono di capire ciò che succede sul sito, vediamo come si caratterizza una visita, quali sono i suoi momenti più importanti, quali di questi influiscono sui processi di misurazione e in che modo lo fanno, quali sono i dati che un sistema di Web analytics può fornire rispetto alle modalità con cui gli utenti interagiscono e quali suggerimenti si possono trarre dalle indicazioni analitiche raccolte. L’inizio: la pagina di entrata La pagina di entrata è la prima pagina di una visita, quella da cui il visitatore entra nel sito. Monitorare le pagine di entrata è il miglior modo per capire quali sono i

contenuti che gli utenti ritengono più interessanti e quelli che portano più visitatori. Per esempio, in un sito di ecommerce serve a verificare quali sono i prodotti più ricercati e fare in modo che gli utenti trovino rapidamente e facilmente i più popolari. È necessario prestare molta attenzione ai contenuti delle pagine di entrata, per fare in modo che rispondano pienamente alla strategia di marketing pianificata per l’intero sito. Spesso chi si occupa di un sito web mostra una vera ossessione e una cura maniacale per l’homepage. Ora, se per definizione questa è la pagina d’ingresso degli utenti, è vero anche che l’uso dei motori di ricerca

porta gli utenti ad avere accesso al sito da un numero molto più elevato di pagine web e non solo dalla home. Anzi, potenzialmente un utente potrebbe accedere da una qualsiasi pagina. Questa considerazione spinge a suggerire di prestare attenzione ai contenuti e al messaggio veicolato non solo dalla homepage, ma almeno dalle dieci pagine più comuni tra quelle di entrata. La fine: la pagina di uscita La pagina di uscita è l’ultima che un utente ha visualizzato nel corso di una visita al sito web. Di frequente, gli utenti arrivano sull’homepage in cerca di informazioni

sull’azienda, oppure si collegano al sito ma in realtà cercavano qualcos’altro. Per tutti questi motivi, e anche per mille altri, i navigatori possono giungere sul nostro sito, visitare la home e poi uscire, oppure vedere una pagina interna o fare un percorso specifico. In altre parole, il concetto di pagina di uscita è legato allo scopo del sito: quando gli utenti hanno raggiunto l’obiettivo che si erano prefissi, hanno ottenuto ciò che cercavano (trovare informazioni, acquistare un libro, leggere una notizia, trovare una ricetta di cucina), lasciano il sito e si registra una pagina di uscita. Molto spesso succede che non trovano ciò che cercavano ed

escono.

Pagina di rimbalzo o bounce Si definisce “pagina di rimbalzo”, o bounce, quell’unica pagina che racchiude l’intera visita: quindi, in questo caso, la pagina di entrata e quella di uscita coincidono. Può essere interessante capire quali sono le caratteristiche del sito che inducono e producono le pagine di rimbalzo. Questa conoscenza aiuta a migliorare il sito e facilita il raggiungimento degli obiettivi di marketing. In alcuni casi, un visitatore potrebbe esser finito sul sito mentre, in realtà, cercava qualcosa di radicalmente diverso: se ne accorge immediatamente

all’arrivo e chiude lì la sua visita. Per esempio, se un sito di ecommerce promuove la vendita di un prodotto che poi non è disponibile in magazzino, l’utente arrivato sul sito attraverso una promozione è spinto ad abbandonarlo. È chiaro che, con qualsiasi metodo sia calcolata (tempo o numero di pagine viste), questa situazione produce un bounce. Per avere un quadro complessivo del successo del sito, può essere interessante analizzare da dove arrivano gli utenti, quali motori di ricerca veicolano maggior traffico, a quali contenuti gli utenti sono principalmente interessati, quali cambiamenti e

miglioramenti possono essere apportati all’homepage per aumentare il valore e l’interesse e, ancora, quali tra i link presenti sulle pagine elencate nel report delle pagine di entrata attirano il maggior numero di utenti.

Conversion Rate Una delle metriche più importanti per l’analisi della capacità di conversione di un sito è il Conversion Rate, tradotto solitamente con “tasso di conversione”. Il tasso di conversione è il rapporto tra il numero di conversioni e il numero di accessi in un certo periodo di tempo: Conversion Rate = (numero conversioni

/numero visite) × 100 Facciamo un esempio: se in un dato periodo di tempo il mio sito, che si occupa di generare contatti per la forza vendita, ha ricevuto 15.000 visite con 450 conversioni, cioè contatti di chi è interessato al mio prodotto, avrò un conversion rate del 3%: Conversion Rate = (450 /15.000) × 100 = 3% Questa metrica ha un ruolo fondamentale per moltissimi report e automatismi che andremo a impostare successivamente. È un valore che ci mette subito in azione e che possiamo facilmente usare, per

esempio, per confrontare altri tipi di campagne pubblicitarie, oppure un tipo di target, un banner, e avere immediatamente un riscontro su che cosa funziona. Per esempio, è possibile fare una comparazione tra le visite che arrivano a un sito attraverso dispositivi desktop, mobile e tablet. Immaginiamo un tasso di conversione pari allo 0,38% complessivo. Tuttavia, questo dato è generato da tre diverse modalità: chi arriva da desktop in realtà è più alto, con lo 0,47%, mentre chi arriva da mobile è molto più basso, con lo 0,18%. Potrei subito farmi una domanda e capire se sia normale che i miei visitatori abbiano questo tipo di

comportamento, oppure se sia possibile che abbia un problema nel touchpoint inerente all’esperienza mobile e l’interfaccia offerta non sia immediata, inducendo così una conversione.

Cost Per Acquisition (CPA) Quando si parla di generazione di lead, quindi di conversioni vere e proprie, si parla di CPA (Cost Per Acquisition, cioè “Costo Per Acquisizione”). In questo caso si tratta di misurare il costo sostenuto per ottenere la conversione. Il CPA non è altro che il rapporto tra il numero di conversioni e il costo sostenuto per ottenerle, in termini d’investimenti pubblicitari:

CPA = investimenti pubblicitari /conversioni Il CPA viene preso in considerazione per valutare l’efficacia delle campagne pubblicitarie. È usato anche in attività di marketing tradizionali ma trova la sua massima efficacia online perché permette una misurazione in tempo reale del funzionamento e della resa economica delle campagne promozionali. È un indicatore da tenere sempre sotto controllo, soprattutto perché permette di valorizzare e comprendere i risultati non soltanto delle campagne ma anche, più nello specifico, di tutte le creatività o sotto-campagne che le compongono. Nel

caso della generazione di lead è necessario capire quanto si sta spendendo in campagne pubblicitarie per generare un certo numero di conversioni. Si può esemplificare immaginando un’azienda che sul proprio sito abbia un form per raccogliere i contatti di possibili clienti. Per calcolare il CPA medio si deve applicare la formula vista sopra: ipotizzando un investimento di 30.000 euro e un numero di conversioni pari a 750 – cioè 750 lead – si otterrà: CPA = 30.000 /750 = € 40 Questo calcolo ci dice che ognuno dei potenziali clienti che ci hanno richiesto

un contatto è costato 40 euro. Resta però da capire se questo è un costo sostenibile o eccessivo rispetto al valore che ogni cliente fornirà con un eventuale acquisto.

Return On Investment (ROI) Il Ritorno sull’investimento (ROI – Return On Investment) è quella metrica che serve per determinare il miglior modo per impiegare un budget in pubblicità. Il ROI generalmente si riferisce al profitto o alle entrate generate da un’attività specifica, come una percentuale dei soldi spesi nell’attività. Nell’esempio fatto per il CPA, per

poter capire se la cifra spesa per ogni utente è positiva o negativa siamo andati a calcolare quello che è il ritorno dell’investimento. Il ROI sulla pubblicità è calcolato come ritorno sulle vendite meno i costi pubblicitari, diviso il costo della pubblicità: ROI = (ritorni sulle vendite – costi di pubblicità) /costi di pubblicità × 100 Prendendo sempre l’esempio fatto in precedenza: a fronte di un investimento di 30.000 euro si è avuto un ritorno sulle vendite pari a 44.000 euro. Quindi il ROI sarà:

ROI = [(€ 44.000 – € 30.000) /€ 30.000] × 100 = 46,6% In questo caso, la campagna pianificata ha avuto il 46,6% di ritorno dell’investimento. Questo significa che ha funzionato bene ed è possibile valutare positivamente tutte le attività svolte. Nel caso di un e-commerce il calcolo è molto più facile ed è possibile ottenere immediatamente il ritorno dell’investimento, in quanto sia i costi sia i ricavi vengono quantificati immediatamente. Quando si parla di Advertising si usa anche l’acronimo ROAS, cioè Return on Advertising Spent.

Key Performance Indicator (KPI) Dopo aver stabilito quali sono gli obiettivi principali del sito (i suoi goal) è necessario identificarli e definirli in maniera misurabile, in modo che tutto lo sforzo di pianificazione, di business e di marketing sia indirizzato verso il loro raggiungimento. Una volta che l’azienda ha analizzato la sua missione, ha identificato tutti i suoi concorrenti e ha definito gli obiettivi, ha la necessità di trovare un modo per misurare il raggiungimento di questi ultimi. Il KPI (Key Performance Indicator) è esattamente lo strumento di

cui si necessita: infatti, aiuta a definire e misurare i progressi compiuti per raggiungere gli obiettivi di una campagna o di una strategia di comunicazione. Il KPI è costituito da diversi parametri usati per avere misure quantitative, identificate e definite in anticipo, che riflettono i fattori critici di successo per un’organizzazione. Questi non sono uguali per tutte le aziende ma sono legati alla specifica attività di ciascuna: una potrà avere come KPI la percentuale delle visite che arrivano dai visitatori ripetuti, mentre una scuola, per esempio, controllerà il tasso di promozione dei suoi studenti; un dipartimento di Customer Service può

avere come KPI la percentuale di chiamate soddisfatte nel primo minuto, mentre per un’organizzazione sociale può trattarsi del numero di clienti assistiti in un anno. Qualunque siano i KPI scelti, devono riflettere gli obiettivi della struttura, essere le chiavi per misurarne il successo e devono essere quantificabili, cioè devono essere dei numeri. I Key Performance Indicator sono generalmente indicatori di lungo periodo e non cambiano spesso, visto che sono strettamente legati agli obiettivi – anche a quelli di lungo termine – dell’organizzazione. Ogni azienda ha i suoi KPI, che

devono essere necessariamente condivisi con l’intera organizzazione, per mettere tutti al corrente dell’andamento dei successi (o degli insuccessi) che si stanno raggiungendo. Prendiamo come esempio una società editoriale che utilizza il modello di business della vendita pubblicitaria: ovviamente, avrà un indice KPI legato agli utenti e alle pagine viste. Chi, invece, vende o genera lead darà maggiore importanza alle metriche che misurano il tasso di conversione e il suo numero preciso. Essere “l’azienda più famosa” non funzionerà mai come KPI, perché non c’è modo di misurare la popolarità di un’impresa o di

paragonarla a quella delle altre. È altrettanto importante definire i KPI e mantenere la stessa definizione negli anni. Se non si presta attenzione a questo consiglio, i risultati non saranno confrontabili e non sarà facile poi avere un dato storico.

Modelli di acquisto/vendita pubblicità Nel mondo digital, quando si parla di acquisto di pubblicità, si devono conoscere le modalità di acquisto sui

vari mezzi che mettono a disposizione i diversi player del mercato. Il primo pilastro della pubblicità online è l’impression, cioè l’unità di misura che indica il numero di volte che un banner – o comunque un annuncio pubblicitario (che abbia la forma di un’immagine, di un video o testuale) – viene visualizzato sul device dell’utente, e dunque è la misura di quanto l’utente è stato esposto a un annuncio pubblicitario. In pratica, indica quante volte il messaggio è stato caricato su una pagina web che l’utente ha visitato. Si tratta, è evidente, di un dato assoluto che non permette di conoscere la reale efficacia della campagna.

Dopo il valore di una impression, si va a definire lo step immediatamente successivo: il clic, cioè quando mi ritroverò sul sito dell’inserzionista pubblicitario dopo aver cliccato su un banner. Questo rapporto si chiama Click Through Rate, detto in forma abbreviata CTR. Il CTR rappresenta il numero di clic da parte dei visitatori, cioè conteggia gli utenti solo se questi hanno realmente raggiunto il contenuto richiesto e linkato nella pubblicità. L’efficacia di una campagna si misura con più precisione e più efficacia grazie al rapporto percentuale tra il numero di impression erogate da un sistema di advertising e il

numero di clic sul banner: CTR = clic / impression × 100 Facciamo un esempio: abbiamo inserito un banner su Facebook e questo genera 200.000 impression con 1400 clic. Questo significa avere un CTR dello 0,7%: CTR = (1400 /200.000) × 100 = 0,7 % Quindi, quando si clicca su un’impression si ottiene un accesso al sito dell’inserzionista, generando così una visita. Quest’ultima, in seguito, dovrà portare a centrare l’obiettivo di realizzare una conversione. Il rapporto

tra impression e clic, abbiamo detto, è il Click Through Rate (CTR), mentre il rapporto tra visite e conversioni è il Conversion Rate (CR). Le modalità che possiamo usare per acquistare pubblicità sui vari mezzi sono fondamentalmente tre: CPM CPC CPA Il CPM (Costo Per Mille Impression) consiste nel comprare banner pubblicitari e acquistare le impression, a un prezzo determinato, in pacchetti da 1000. Per esempio, se voglio acquistare certi spazi banner su testate

giornalistiche importanti, potrei pagare 7 euro CPM: cioè, ogni 1000 volte che il banner viene visualizzato pagheremo la cifra di 7 euro. Il CPC (Cost Per Click) è stato introdotto da Google quando ha cambiato il paradigma della pubblicità con il suo sistema AdWords: si pagano solo ed esclusivamente i clic. Possono esserci milioni di impression, ma se ho scelto una modalità per click, pagherò solo per quelli che effettivamente hanno visto il banner e lo hanno cliccato. Il CPA (Costo Per Acquisizione), che abbiamo trovato all’inizio di questo capitolo come metrica per calcolare quanto costa un contatto, lo ritroviamo

nella pianificazione: se scelgo questa modalità, posso decidere di non pagare né le impression né i clic, ma solo quando un visitatore effettuerà una conversione dopo che avrà visto il banner e vi avrà fatto clic. Quest’ultima modalità ha aperto il mercato del Performance marketing, di cui parleremo più avanti. Ci sono anche delle variazioni associate al CPA, come il CPL (Cost Per Lead), specifico per chi vuole generare contatti commerciali; oppure il CPS (Cost Per Sales), quando ho necessità di definire non un valore fisso ma un valore variabile in base alla vendita, come nel caso degli e-

commerce.

Tracciamento delle campagne Se vogliamo avere una visione chiara del nostro progetto, è fondamentale tracciare correttamente tutti i tipi di campagna promozionale che puntino sul nostro sito e sulle quali andiamo a investire. La metodologia più utilizzata è quella di inserire nella URL di atterraggio al sito alcuni parametri che permettono di tracciare la provenienza del navigatore. Facciamo un esempio: stiamo creando

una campagna pubblicitaria su Facebook e vogliamo tracciare correttamente che cosa avviene una volta che un visitatore vede quell’inserzione e, cliccandovi, viene sul sito. In questo caso devo far sì che il link di destinazione non sia semplicemente: http://www.miosito.it

ma dovrà essere qualcosa come: http://www.miosito.it? provenienza=facebook

In questo modo avrò la possibilità di capire che quel visitatore arriva da Facebook, grazie al fatto che quel parametro presente nella URL viene

preso dal JavaScript dell’analytics, che così lo riconosce e lo classifica subito. Se, per esempio, sto creando due campagne pubblicitarie, una per gli uomini e una per le donne, ovviamente vorrei valutare nel dettaglio le performance dell’una e dell’altra; nel qual caso potrei creare due URL in questo modo: http://www.miosito.it? provenienza=facebook&target=uomo http://www.miosito.it? provenienza=facebook&target=donna

In questo modo, inserendo due link differenti a due campagne pubblicitarie diverse, potrò tracciare correttamente e comprendere se una converte più

dell’altra, quale ha maggiore Conversion Rate, ROI ecc. Un piccolo consiglio tecnico: come si vede anche dall’esempio, quando si aggiungono i parametri viene inserito il “?”, cioè un carattere che il browser non legge in modo che non cambi la pagina; ma se abbiamo più parametri dopo il primo “?”, si inserisce la “&”. Ogni strumento chiama in modo diverso i parametri di tracciamento che riconosce e utilizza. Il più famoso è quello di Google Analytics, utilizzato dalla maggior parte delle aziende, che mette a disposizione cinque parametri da aggiungere agli URL, di cui tre sono obbligatori:

[obbligatorio] serve a identificare la sorgente da cui proviene la visita alla pagina monitorata (un motore di ricerca, un nome di newsletter, un sito o un’altra fonte ancora). utm_medium [obbligatorio] va indicato per identificare il mezzo, come può essere l’email, il banner o il CPC (Cost Per Click). utm_campaign [obbligatorio] aiuta a ritrovare facilmente il nome della campagna nei report. La sua utilità è chiara nei casi in cui si susseguano più campagne nel tempo (per esempio, utm_source

campagne stagionali: primavera, estate, autunno, inverno), ma può essere impiegato praticamente in ogni occasione. utm_term

questo parametro consente di tracciare le parole chiave legate alla campagna e risulta utile per le ricerche a pagamento (keyword advertising). utm_content

consente di indicare il contenuto del messaggio per differenziare gli annunci o i link che puntano allo stesso URL (per esempio nei test A/B che vedremo più avanti).

Facendo un esempio con i parametri di Google Analytics per una campagna natalizia su Facebook mirata al target donna di 18-30 anni, otteniamo questo link: http://www.miosito.it/? utm_source=facebook&utm_medium=ba 30&utm_campaign=natale

Google Analytics (Figura 4.7) offre uno strumento per generare questi link da una pagina in cui è facilmente inseribile ogni parametro per ottenere il link corretto da inserire.

Figura 4.7 – Nella schermata si può

osservare la modalità per tracciare le campagne pubblicitarie in Google Analytics.

Alert intelligence Analizzare i dati forniti da strumenti di analytics non è sempre un’operazione semplice e veloce. A seconda della complessità del progetto, i KPI possono essere molto numerosi e non sempre consultabili in pochi clic. Se a questo aggiungiamo la necessità di seguire più progetti contemporaneamente, ecco che potremmo trovarci a dover stare tutto il giorno a controllare l’andamento dei siti web e il rendimento delle campagne in

atto. Ma siccome abbiamo più volte ripetuto che dobbiamo cominciare a gestire meglio il tempo, ecco che ci viene in aiuto quella parte degli analytics che si chiama Intelligence e che rientra già nel mondo dell’automazione. Prendiamo come esempio Google Analytics. Questa piattaforma possiede uno strumento molto utile che permette di creare degli alert personalizzati al verificarsi di alcune condizioni. Siamo noi che definiamo le regole di questi avvisi (Figura 4.8), per cui, già in fase di definizione del piano di misurazione, possiamo impostare una serie di segnali che scattino al raggiungimento di un

determinato obiettivo o di una certa soglia critica, e capire tempestivamente quando qualcosa non va come previsto.

Figura 4.8 – Nella schermata si vede come è possibile utilizzare le varie metriche per attivare degli avvisi.

In fase di definizione del piano di misurazione e dei KPI, possiamo decidere di creare degli avvisi personalizzati per le variazioni delle metriche di maggiore interesse e, cosa importantissima, ricevere delle notifiche direttamente via email o tramite SMS. È così possibile creare avvisi utilizzando le più disparate combinazioni. Sarà possibile sapere se stiamo perseguendo i nostri obiettivi, se stiamo ottenendo una riduzione o un incremento di visite da un particolare canale o da una determinata campagna. Possiamo utilizzare diverse metriche obiettivo per il nostro alert, che vogliamo impostare per far sì che,

quando una condizione si verifica in un certo valore, automaticamente possa scattare l’invio dell’email. Si possono usare in molti modi ma consiglio sempre di inserirne alcuni per tutti i progetti. Per esempio, il classico “Errore 404”, cioè quando un visitatore è arrivato al sito ma non ha trovato la pagina, è sicuramente un evento da misurare, perché spesso non ci accorgiamo dell’errore e accade che magari abbiamo in essere delle campagne pubblicitarie che puntano a un contenuto che non esiste più e così stiamo perdendo il nostro traffico. Ciò succede molto spesso, magari perché la pagina è stata spostata o, nel caso di un e-

commerce, perché il prodotto è stato eliminato. Quindi, dobbiamo essere subito avvertiti quando un visitatore accede a una pagina 404. Per esempio possiamo creare una condizione di Intelligence per tracciare l’“Errore 404” che si attiva quando le visualizzazioni della pagina 404 aumentano del 5% rispetto al giorno precedente (Figura 4.9). Se il caso impostato si verifica, viene inviata un’email che ci permette di accorgerci tempestivamente del problema e quindi risolverlo. Come abbiamo visto, possiamo automatizzare i nostri dati rendendoli attivi e al nostro servizio. Questo è solo

un primo passo per entrare nel mondo dell’automazione ma è sicuramente molto efficace e vi posso garantire che fa risparmiare moltissimo tempo, perché non saremo più noi a cercare opportunità o a indagare le problematiche di un progetto, ma sarà direttamente il software ad avvisarci quando qualcosa cui teniamo si verificherà.

Figura 4.9 – Nella schermata si vede la configurazione di un alert per una

condizione di errori 404.

CAPITOLO 5

INBOUND MARKETING Negli ultimi anni, nell’ambito del marketing digitale, si sente parlare di Inbound marketing come di una nuova metodologia di approccio ai consumatori online e di una strategia per fare business. Ma cosa si intende con questo concetto? Cerchiamo di definirne le caratteristiche distintive e di illustrare le motivazioni per le quali si tratta di una metodologia efficace e a basso

costo. L’Inbound marketing differisce dall’Outbound marketing perché adotta un approccio pull nei confronti del consumatore, anziché push. Grazie alla generazione e alla veicolazione di contenuti fa in modo che il nostro prodotto o servizio venga trovato esattamente nel momento in cui l’utente ne sente la necessità o sente il bisogno di reperire delle informazioni per farsi un’idea sull’acquisto. Facendo combaciare gli interessi dei potenziali acquirenti con i contenuti che l’azienda offre, possiamo aumentare notevolmente e in modo naturale il traffico sul nostro sito, sul blog e sulle piattaforme social che ci riguardano.

Inbound significa “in ingresso”, “in entrata”, “in arrivo”, proprio a indicare che sono gli utenti a dover andare nella direzione di quel prodotto o servizio e non viceversa. Inoltre, attraverso la creazione di contenuti specifici, cuciti sulla base di bisogni e aspettative degli utenti, l’azienda ha la possibilità di rivolgersi e di attrarre non semplici consumatori ma specifici prospect, vale a dire potenziali clienti. Come abbiamo accennato, l’Inbound marketing si contrappone all’Outbound marketing, cioè a una strategia di tipo push, invasiva, tramite la quale si spendono risorse ed energie per cercare di vendere qualcosa alle persone che,

molto spesso, non sono interessate a quell’articolo o non sono predisposte all’acquisto in quel momento. Le strategie outbound risultano ormai superate perché, con l’utilizzo di Internet, sono cambiati i consumatori: questi sono sempre più esigenti e informati, stanchi di avere l’impressione di essere il bersaglio dell’azienda e desiderosi di sentirsi padroni delle loro decisioni di acquisto. L’Inbound marketing può diventare una delle principali fonti di profitto per l’azienda proprio perché è indirizzato a target specifici, propone contenuti qualitativamente interessanti e fa sì che questi siano presenti nel luogo e al

momento giusto. In questo modo si punta a ottenere la creazione di lead (cioè contatti interessati e interessanti), l’abbattimento dei costi sostenuti per l’attuazione di strategie non costruite ad hoc e, monitorando in tempo reale l’attività di marketing, è possibile avere una valutazione dei risultati step-bystep. Ecco perché l’Inbound marketing è la migliore strategia per convertire persone che ancora non conoscono la vostra azienda in contatti, e poi questi in clienti o addirittura in promotori del vostro stesso business. Abbiamo detto che questa particolare strategia comunicativa consiste nel creare dei contenuti e quindi

condividerli e metterli a disposizione degli utenti, che così possono imparare a conoscere meglio un marchio e fidelizzarvisi. In qualche modo, il marketing dei contenuti aiuta a creare con i clienti, potenziali o acquisiti, un percorso di formazione e scambio, un rapporto non finalizzato direttamente o esclusivamente alla vendita ma piuttosto a una crescita reciproca. Il contesto è ormai profondamente cambiato: alle pubblicità tradizionali che invitano esplicitamente alla vendita, oggi le persone preferiscono dei testi informativi, i confronti delle caratteristiche tecniche, le spiegazioni delle applicazioni e i modi d’uso. Più in

generale, preferiscono le contestualizzazioni e gli approfondimenti dell’universo sociale e culturale che ruota attorno a un singolo prodotto.

Processo Inbound marketing Utilizzando tutti gli strumenti necessari e affrontando tutti i livelli del lifecycle, le nuove metodologie di Inbound marketing coprono ogni singolo step della strada che porta un utente mai contattato prima a diventare un visitatore del vostro sito, quindi un contatto (lead) e alla fine un

cliente. Se poi sarà un cliente soddisfatto, potrà decidere di trasmettere la propria esperienza anche agli altri. Quindi, le quattro fasi di una inbound strategy completa e strutturata sono (Figura 5.1): l’attrazione; la conversione; l’azione; la soddisfazione.

Figura 5.1 – Nell’immagine si vede un processo di fidelizzazione del visitatore.

Attrarre L’obiettivo non è quello di macinare traffico generico sul vostro sito ma di attirare quello giusto. Quindi concentratevi sui visitatori che hanno maggiori probabilità di diventare lead e, infine, clienti. Gli strumenti più utili per attirare i visitatori giusti sono: Blog: è il primo strumento per attirare visitatori mirati e interessati, i quali vengono attratti da contenuti educativi o

di approfondimento sui temi che più gli interessano. Social media: condividere informazioni di valore all’interno di queste reti, in cui le persone passano la maggior parte del loro tempo, aiuta a interagire con i potenziali clienti e anche a dare un volto “umano” al vostro business. Parole chiave: il percorso degli utenti online inizia di solito da un motore di ricerca che risponde alle loro domande. Ottimizzare la presenza e l’evidenza della vostra azienda nei risultati di ricerca dei

potenziali clienti è fondamentale. Sito internet: le pagine devono avere appeal sui clienti ideali, sia nell’aspetto sia nel linguaggio. Tutto deve incentivare la visita e la permanenza all’interno del sito.

Convertire Una volta ottenuti i clic sul sito, il passo successivo è quello di convertire i visitatori in lead, riuscendo a raccogliere le loro informazioni di contatto. Il dato sicuramente imprescindibile è l’indirizzo email. Le informazioni di contatto sono la

merce di maggior valore che possa esserci online. Per far sì che i visitatori offrano volentieri questa merce, bisogna dar loro qualcosa in cambio, cioè offrire contenuti, come ebook, white paper o schede di consigli e indicazioni. Qualcosa, insomma, che possa essere valido e interessante per ognuno di loro. Gli strumenti più utili per trasformare i visitatori in lead sono: Call To Action (CTA): si tratta di pulsanti o link che incoraggiano i visitatori a compiere un’azione, come per esempio scaricare un materiale o iscriversi a un evento. Per generare lead è necessario avere

un numero abbastanza elevato di CTA che invoglino l’interazione e la presa di posizione del visitatore. Landing page: una volta cliccato su una Call To Action, i visitatori dovrebbero essere indirizzati a una landing page. Questa è il luogo in cui la promessa della CTA è mantenuta, in cui il contatto manda le sue informazioni per iniziare a interagire con il settore vendite. È fornendo queste informazioni che il visitatore diviene lead. Form: i visitatori diventano lead,

appunto, quando inviano le loro informazioni. Per farlo sono necessari dei moduli chiari e ben concepiti, da completare con tutte le notizie necessarie. I visitatori devono essere incentivati a dare le loro informazioni di contatto, senza che questa diventi un’operazione troppo noiosa da portare a termine e senza che sia percepita come invasiva. Contatti: è importante tenere traccia di tutti i lead appena convertiti in un database marketing integrato e aggiornato. Mantenere tutti i dati in un unico

luogo aiuta a gestire in modo sensato e semplificato ogni interazione che si ha con i visitatori e con i lead (dalla landing page alle email, ai social network ecc.).

Fare agire La strada ormai è quella giusta: avete attirato i giusti visitatori e li avete convertiti efficacemente in lead. Ora però l’obiettivo è trasformarli in clienti: come è possibile centrarlo nel modo più efficace? Esistono strumenti di marketing appositamente pensati per questo scopo, indirizzandosi ai lead adeguati nei tempi più opportuni:

Lead scoring: avete molti contatti nel database, ma come riuscirete a capire quali sono pronti a parlare con i responsabili vendita? È possibile realizzare una rappresentazione numerica della predisposizione all’acquisto dei lead e, dunque, semplificare l’individuazione dei clienti più probabili. Mailing: nel caso in cui, invece, un visitatore clicchi una Call To Action, riempia il modulo di una landing page o scarichi un materiale, ma poi non sia ancora pronto per convertirsi in cliente,

è possibile indirizzargli dei contenuti che progressivamente mantengano acceso il suo interesse, ottengano la sua fiducia e lo preparino maggiormente all’acquisto. Marketing automation: questo processo consiste nell’email marketing e nel lead nurturing, appositamente creati in base alle esigenze e al livello del lifecycle di ogni lead. Per esempio, se un utente ha scaricato un certo documento, è possibile inviargli altri contenuti dello stesso tenore, in modo da seguirne costantemente

l’avvicinamento all’acquisto. Closed-Loop Reporting: come capire però quali tecniche di marketing portano ai migliori lead, o se il team vendite converte efficacemente ed effettivamente questi lead in clienti? Integrare alle varie attività un sistema di Customer Relationship Management (CRM) permette di analizzare l’andamento e l’interazione di marketing e vendite.

Soddisfare La strategia di Inbound marketing consiste nel fornire contenuti di rilievo

agli utenti, che siano visitatori, lead o clienti già fidelizzati. Solo per il fatto che una persona abbia già intrattenuto una qualche relazione con voi, non per questo ci si può infatti dimenticare di lei. Chi fa Inbound marketing deve continuare a tenere ancorati a sé i clienti, soddisfacendo appieno le loro esigenze e trasformandoli positivamente in promotori dell’azienda e dei prodotti che amano. Si possono trattenere e intrattenere i clienti nei seguenti modi: Call To Action personalizzate: ogni cliente ha la sua storia e rivolgergli offerte e iniziative basate sulle sue modalità d’acquisto, man mano che si

sposta nel marketing lifecyle, aumenta la sua fidelizzazione. Social media: le piattaforme social danno l’opportunità di rispondere in modo immediato, fornendo servizi in tempo reale, in modo che i consumatori abbiano sempre a disposizione un canale aperto e diretto con l’azienda. Email & Marketing automation: continuare con costanza e attenzione a fornire ai propri contatti materiale sempre nuovo e adatto ai loro interessi, come gli aggiornamenti sui nuovi prodotti o contenuti che

invoglino a ulteriori approfondimenti, è utile per raggiungere nuovi obiettivi. Invece di intromettersi nella vita degli utenti, con telefonate promozionali o spot che comunque ne interrompono l’attenzione e le attività, l’inbound li attira verso il sito internet dove saranno loro stessi a cercare e trovare le soluzioni più adatte ai loro problemi. Soluzioni che voi (e forse solo voi) riuscite a offrire. Per fare questo, l’inbound ha bisogno di strumenti efficaci, strutturati, tutti portatori di contenuti mirati e interessanti. Riassumendo, i principi fondamentali su cui fa leva l’Inbound marketing sono i

seguenti: il Permission marketing: il cliente non va interrotto, ma va attirato. Dovete far sì che il potenziale cliente vi trovi nei luoghi virtuali in cui si informa, si diverte, acquista ecc.; il Content marketing: il contenuto, sia esso testuale, fotografico, video, è lo strumento principe per la lead generation, prima, e per l’acquisizione di clienti e la creazione con loro di un legame stabile, poi.

Content marketing Per Content marketing si intende il processo di creazione di contenuti rilevanti e di valore ai fini di attirare, acquisire e coinvolgere il pubblico. Potremmo individuarlo in tutto ciò che l’organizzazione crea e condivide per raccontare la propria storia, la propria visione e la modalità di realizzazione. I contenuti di marketing assumono molte forme, ma si qualificano come tali solo se hanno lo scopo di guidare in maniera redditizia l’azione del cliente. Oggi, gli acquirenti e i clienti sono inondati di messaggi di marketing: secondo stime attuali, a inizio del 2015

sul mercato USA sono più di 2900 al giorno. Ne consegue che i marketer devono affrontare la sfida della scarsa attenzione da parte degli utenti: più sono i messaggi che il pubblico è costretto a filtrare, più difficile è raggiungerlo. Come può il Content marketing venire in aiuto? Se fatto bene, mette in risalto il marchio e diventa il carburante per incrementare l’engagement sui clienti. Esempi utili di Content marketing sono l’offerta presente nelle campagne via email, il link che si condivide sui social, la garanzia reale distribuita in occasione di eventi, il caso di studio mostrato sul sito web e la ricetta magica che il team di vendite utilizza per chiudere un

affare. Secondo la mia esperienza, l’engagement dei contenuti di marketing si svolge attraverso questi punti: si basa sulle interazioni che gli acquirenti hanno con il brand e mappa direttamente le fasi di acquisto; racconta una storia continua, con una narrazione unitaria che si evolve durante il Customer journey; si adatta al canale scelto (sul sito web, nell’email, sul social ecc.); ha un obiettivo chiaro e un chiaro invito all’azione per il pubblico;

offre metriche predefinite ed è progettato per essere misurabile.

I vantaggi del Content marketing Tradizionalmente, i marketer hanno dovuto pianificare la propria comunicazione attraverso annunci visualizzati su siti web, banner pubblicitari o email marketing inviati a elenchi di terze parti. In breve, le aziende hanno sostanzialmente “affittato” l’attenzione che qualcun altro ha costruito. La commercializzazione dei contenuti, al contrario, permette ai marketer di diventare editori, creare i

propri spettatori e attirare la loro attenzione. Se quella affittata può essere efficace, quando si possiede la propria attenzione creando contenuti è possibile beneficiarne in tre modi principali: 1.

Si costruisce la brand awareness. Il pubblico non può comprare i vostri prodotti se non riesce a trovarvi, e almeno il 93% dei cicli di acquisto inizia con una ricerca online. La pubblicità tradizionale e il marketing in uscita può essere un modo efficace di sensibilizzazione, ma la commercializzazione di contenuti consente di costruire una

consapevolezza strutturata. Quando il vostro prezioso contenuto si trova tra i primi risultati dei motori di ricerca o viene condiviso ampiamente sui social network, si parla di “libera” consapevolezza del marchio. Poiché il contenuto avrà una posizione elevata o sarà condiviso solo quando è pertinente, e il pubblico sarà meno incline a eliminarlo. 2. Si crea la preferenza per il marchio. Una volta stabilita la brand awareness, è necessario far sì che sia preferito agli altri. I contenuti di marketing

coinvolgenti creano una predilezione attraverso la leadership di pensiero, che renderà il marchio una fonte attendibile di informazioni e di educazione. Inoltre, è possibile incrementare tale predilezione attraverso le relazioni, che vengono rafforzate ogni volta che il contenuto intrattiene o aiuta gli acquirenti: le persone sono più propense ad acquistare da aziende con le quali hanno già dei rapporti. Naturalmente, questo richiede la creazione di contenuti che piacciano o che siano addirittura amati.

3.

Si raggiungono più acquirenti e clienti a costi inferiori. Secondo una ricerca di Forrester, i clienti di oggi diffidano e risentono in modo negativo del marketing che li interrompe o li intercetta. I contenuti coinvolgenti sono parte di una conversazione naturale con i clienti attuali e potenziali, è rilevante per i loro interessi e comportamenti e costruisce una storia continua nel tempo. Si noti che ciò significa che il marketing di contenuti non è una strategia a breve termine: i risultati saranno esigui all’inizio, ma cresceranno nel tempo.

Educare prima, vendere poi La creazione dei contenuti ha lo scopo di aiutare i clienti, non di vendere loro dei prodotti. Quando offrite gratuitamente al vostro pubblico qualcosa di così prezioso che sarebbe disposto a pagare per ottenerlo, si costruisce la fiducia che, in ultima analisi, è lo strumento di vendita più potente. Per esempio, all’interno dell’azienda in cui lavoro cerchiamo di creare delle attività che educhino il nostro pubblico sull’importanza del marketing digitale e su come aiutare i responsabili marketing a essere più efficaci nel loro lavoro. Non stiamo solo spingendo messaggi di

vendita per gli acquirenti ma stiamo anche insegnando alle persone le migliori pratiche di marketing e chiariamo i vantaggi dell’investimento nel mondo digitale. Anche quando si parla della nostra competenza, ci concentriamo sulla formazione del pubblico con la leadership di pensiero, piuttosto che sulla promozione delle nostre soluzioni, perché lo scopo è prima educare e poi vendere. Dobbiamo pensare che bisogna concentrare il marketing sulla costruzione di relazioni con il pubblico e sulla semplificazione della vita, il resto seguirà. Il marketing dei contenuti è uno degli strumenti più potenti per sviluppare e potenziare la

nostra base. Quindi, anche se si è comprensibilmente desiderosi di vendere prodotti, creare contenuti sempre pertinenti e mantenere alto il valore del contenuto informativo sono elementi essenziali per ottenere la fiducia dei nostri potenziali clienti. Se vogliamo definire quale sia il migliore flusso per la creazione dei contenuti potremmo ordinarlo in questi punti. Pianificazione. Creazione. Progettazione. Pubblicazione. Misurazione.

Queste cinque fasi sono fondamentali per qualsiasi programma di successo di marketing dei contenuti, vi aiuteranno a elevare il marketing dei contenuti dalla strategia all’esecuzione tattica e tutto il resto. Di che tipo di contenuti avete bisogno? I vostri acquirenti vi aiuteranno a definire il vostro tipo di pubblico (le loro sfide, le domande, i bisogni e il tipo di contenuti che vogliono consumare), mentre le fasi di acquisto vi dicono che cosa ogni contenuto dovrebbe realizzare. Durante il brainstorming per i nuovi contenuti, cominciate con l’individuare ciò di cui disponete già, quindi pensate a

come colmare le lacune. Dovreste anche analizzare come state svolgendo l’attività di lead generation: che cosa funziona meglio per la creazione di interesse? Quindi, pensate alle fasi di acquisto. Forse avete una quantità impressionante di contenuti per coinvolgere gli acquirenti nella fase iniziale, ma avete qualcosa che li spinga oltre? Idealmente, avrete dei contenuti che si adattano a ogni persona, e in ogni fase del ciclo di vita del cliente.

Sviluppare la brand voice È importante che ci sia coerenza tra tutti i canali di comunicazione utilizzati dall’azienda, il che significa che è

necessario definire la cosiddetta brand voice. Che si stiano producendo contenuti per il blog, il sito web o il social, lo stile diventerà la “voce” del marchio. Ma mentre si potrebbe adottare uno stile più giocoso su Twitter e uno più professionale in un white paper, la coerenza è la chiave. La “voce” che si utilizza dipenderà anche da chi è il responsabile della creazione dei contenuti.

Tipi di contenuti Una parte fondamentale della pianificazione è la definizione del tipo

di contenuto finalizzato all’obiettivo. Il Content marketing si presenta sotto molte forme e quella scelta dipende da molti fattori: le preferenze del pubblico, gli standard del settore e, naturalmente, il budget. Ecco una panoramica di base dei tipi di contenuti che si potrebbero prendere in considerazione:

EBOOK Gli ebook sono una delle forme più comuni di Content marketing, soprattutto nel mondo B2B. Questi libri digitali variano molto per lunghezza, livello di design e oggetto ma, in genere, seguono una narrazione dall’inizio alla fine, hanno qualche elemento di design e

contengono materiale educativo e informativo. Più importante e rilevante è l’ebook, più si invoglia il pubblico alla condivisione e al download.

SCHEDE DI SUPPORTO Le schede di supporto sono brevi riassunti di un argomento specifico. In generale non più lunghe di poche pagine, sono di solito pensate per essere stampate e visualizzate per una facile consultazione. Le schede di supporto spesso includono liste di controllo ed elenchi puntati, in modo che i lettori possano assorbire rapidamente i contenuti e agire in base alle informazioni.

FOGLI DI LAVORO I fogli di lavoro, nei vari formati, consentono gratuitamente un’esperienza di gestione delle operazioni anche più complesse, e comunque offrono un’esperienza diretta. Sono interattivi per natura e semplificano la vita del pubblico, fornendo uno strumento per aiutare a inquadrare le proprie idee e i propri progetti. Se non siete sicuri di quale tipo di foglio di lavoro o modello creare, pensate a una giornata tipo dei vostri clienti potenziali/acquisiti. Quali azioni svolgono costantemente? Quali sono i loro obiettivi? Quale strumento potrebbe aiutarli ad avere successo?

WHITE PAPER I white paper e i rapporti sono informativi, formativi e in genere richiedono solo una minima progettazione. Per migliorarne l’attendibilità, consigliamo di lavorare con fonti di terze parti o di acquistare i diritti per un rapporto creato esternamente.

INFOGRAFICHE Questi elementi grafici presentano informazioni complesse utilizzando una combinazione di immagini e testo per semplificare concetti fondamentali. L’infografica aumenta lo scambio di link e aggiunge interesse visivo a materiali

densi. I marketer possono utilizzare l’infografica per attirare l’attenzione del compratore e semplificare le informazioni complesse, come le avvertenze e le istruzioni. Avendo una forma più incentrata sulle immagini, è possibile utilizzare l’infografica per presentare fatti e dati che sono troppo complessi per un singolo grafico o diagramma.

SLIDE DECK Le slide deck sono spesso create in PowerPoint e sono destinate a essere visualizzate in sequenza, come una presentazione. Richiedono un’elevata qualità di progettazione e portano a una

presentazione incentrata molto sulla grafica, rispetto al testo tipico, risultando così molto più semplici da capire. Come per l’infografica, le slide deck sono più adatte nelle presentazioni di informazioni complesse, rendendole più assimilabili, e possono essere inviate a siti come SlideShare per accrescere il pubblico.

VIDEO I video possono realizzare molteplici obiettivi: migliorare il branding, dimostrare istruzioni, rispondere alle domande, fornire le recensioni dei clienti o intrattenere il pubblico. Sulla base della qualità della produzione e

della cronologia temporale, i video possono essere un grande investimento per ottimizzare tempi e budget, integrando le riprese con il resto dei piani di marketing.

POST SUL BLOG Un blog aziendale è il luogo ideale per condividere la leadership del pensiero formativo, la conoscenza del settore, i prossimi eventi/comunicazioni o un contenuto straordinariamente innovativo. Ma il mantenimento di un blog è diverso rispetto alle altre forme di marketing dei contenuti. È importante avere un calendario editoriale ben definito e aggiornare costantemente le pagine. Non

è bello ritrovarsi sul sito di un’azienda i cui contenuti del blog risalgono a mesi o, addirittura, anni fa.

CASO DI STUDIO Spesso la storia più avvincente viene fornita dai clienti attuali. Tuttavia, il fatto che un caso di studio sia un contenuto più tradizionale, non significa che debba essere trascurato o che non offra un elevato valore. Il modo migliore per utilizzare un caso di studio è parlare della luce, non della candela che la produce: cioè, la storia che si condivide deve narrare il valore e i risultati rispetto allo strumento, al prodotto o al servizio. I casi di studio devono essere

pratici, andare dritti al punto e fornire degli spunti fondamentali per comprendere come è stata gestita la soluzione di un problema o la creazione di un’attività.

CALENDARI EDITORIALI Un calendario editoriale non è solo un modo per tenere traccia, coordinare e condividere i contenuti decisivi, ma anche uno strumento strategico che deve aiutare il team a svolgere i programmi integrati che li includono. L’utilizzo e il rispetto di un calendario editoriale garantisce che il contenuto verrà rilasciato nel miglior momento possibile e che tutto il team sarà allineato con le

date di uscita. Non deve essere un oggetto particolare: può essere un foglio di Excel condiviso, uno scheduler dinamico o anche una semplice lavagna. È importante che tutti i soggetti interessati abbiano accesso al calendario e che quest’ultimo offra una visione ampia: per individuare i modelli con precisione e far rispettare i temi, si consiglia di controllare i comunicati per i prossimi mesi, se non per l’intero anno. I principali vantaggi della creazione di un simile calendario sono: visibilità e allineamento; responsabilità;

organizzazione.

VISIBILITÀ E ALLINEAMENTO La visibilità è il migliore amico del Content marketing: favorisce la collaborazione, promuove le campagne multicanale e, vantaggio ulteriore, garantisce il dimezzamento delle email quotidiane.

RESPONSABILITÀ Il contenuto rappresenta la benzina per il lavoro del team di marketing, il che significa che è fondamentale concordare, pubblicizzare e rispettare le scadenze di creazione. Se il team per la generazione

della domanda ha in programma di utilizzare il nuovo ebook per un’offerta via email il mese prossimo, oppure se ha bisogno di eventi collaterali per una conferenza imminente, è necessario essere responsabili e agire. Il calendario editoriale, che include le date stimate per il completamento, farà in modo che le aspettative siano ragionevoli e vengano soddisfatte.

ORGANIZZAZIONE In ultimo, ma non meno importante, un calendario vi tiene organizzati. Non serve solo a pianificare i futuri messaggi da pubblicare, ma è anche un registro per annotare quelli passati. Non è

sempre facile tenere traccia dell’avanzamento dell’ebook o se il tweet è già stato pubblicato oppure quale evento è già stato pubblicizzato su LinkedIn, soprattutto se il team è composto da molte persone. Un calendario editoriale aiuterà anche a organizzarsi durante il processo di brainstorming iniziale.

Lavorare con gli influencer Gli influencer sono persone che possono cambiare le opinioni e i comportamenti del pubblico. In base al

tipo di attività, possono essere autori popolari, relatori, blogger, analisti, giornalisti e altro ancora. Sono persone che rendono note le proprie opinioni e che i clienti ascoltano e rispettano. Brian Solis, autore (Qual è il futuro del business, Hoepli, 2013), analista e influencer, parla delle “tre R” che compongono l’attività di marketing degli influencer: raggio, rilevanza e risonanza. Raggio: quanto è grande il pubblico che un influencer può raggiungere? Rilevanza: secondo il pubblico, quanto l’influencer è attinente al marchio? Che rapporto esiste tra il raggio dell’influencer e gli

acquirenti/clienti ai quali ci si rivolge? Risonanza: qual è il livello di impegno (conversazioni, azioni sociali ecc.) che un influencer utilizza in genere? L’allineamento con gli influencer può offrire l’accesso a nuove reti e offrire al marchio una credibilità nel settore. È bene cercare figure rilevanti nello spazio e costruire relazioni che vadano oltre una campagna una tantum. Ecco alcune idee semplici per iniziare a lavorare con un influencer. Ottenere una citazione. Se si sta lavorando su un contenuto,

perché non chiedere agli influencer di quello spazio di contribuire con una citazione, scritta o registrata? Questo conferisce competenze aggiuntive ai contenuti e offre all’influencer uno sbocco per la propria leadership di pensiero. Troviamo che porre domande specifiche sia un bene per scatenare contributi vivaci e riflessivi. Richiesta di un guest post. Molti influencer sono scrittori prolifici e sarebbero felici di contribuire al blog aziendale o di offrire un guest post sul

proprio blog. Collaborare: produrre un contenuto insieme. È importante chiedere a un influencer di scrivere un ebook, che poi pubblichiamo, progettiamo e promuoviamo. Ma non bisogna fermarsi qui: video, podcast, eventi e campagne sociali rappresentano buoni modi per collaborare. Ricordate: con gli influencer, la regola d’oro è la reciprocità. Se chiedete un contributo libero, verificate di offrire qualcosa di reale in cambio: pubblicità, esposizione, nuove opportunità di business ecc.

Tutto ciò è molto più facile se il vostro marchio è noto e può, quindi, offrire maggiore esposizione agli influencer. E non sempre è necessario coinvolgere i più affermati del settore. Se il vostro marchio è ancora in corso di costruzione, cercate influencer che a loro volta stiano ancora costruendo la propria immagine: trovarli per primi vi porterà vantaggio competitivo.

Riscrivere contenuti Si tratta di una situazione inevitabile: dopo aver investito risorse intellettuali, tempo e denaro in uno straordinario contenuto, questo con il tempo diventa

vecchio. Magari sarebbe utile recuperare parte del lavoro svolto, reintegrarlo, usarlo per una comparazione, fornire un trend sull’andamento dell’evoluzione passata; ma prima di tuffarsi in questa impresa, come si fa a decidere se vale la pena riscrivere un contenuto? Prima di tutto, bisogna ottenere i numeri: quando si vede che un contenuto ha un engagement particolare e ha successo, significa che vale la pena investire nel suo aggiornamento. Quindi, ogni volta che una risorsa mostra costantemente alte prestazioni, dobbiamo destinarla a un futuro aggiornamento. Non appena il numero di

visualizzazioni inizierà a scendere, sarà tempo di aggiornamenti. Naturalmente, il periodo di validità del contenuto dipende anche dal settore. Nell’ambito della tecnologia potrebbe essere necessario aggiornare il contenuto frequentemente, per rimanere al passo con gli sviluppi e le tendenze. Per i settori più stabili, potrebbe essere solo necessario un aggiornamento occasionale.

COME RISCRIVERE Se si dispone di un contenuto che si ritiene valga la pena sottoporre a revisione, ecco alcuni consigli per iniziare.

1. Cambiare le date. Non si tratta solo di marcature. Se avete usato parole che fanno riferimento al tempo, come “di recente”, “ultimamente” o “nei prossimi anni”, assicuratevi che queste condizioni siano ancora applicabili. 2. Controllare le statistiche. Se si è citato uno studio o un rapporto, scoprite se c’è una versione più recente e aggiornate i dati nel contenuto. 3. Aggiungere un po’ di nuove idee. C’è un leader di pensiero rilevante da cui vale la pena prendere una nuova citazione?

Organizzate un incontro per cogliere l’input di un esperto e chiedetegli di effettuare un esame approfondito del contenuto. Spesso, questa persona identificherà informazioni inesatte o datate di cui non vi sareste accorti.

AGGIORNAMENTO DEL DESIGN Non sottovalutate la potenza di un semplice aggiornamento delle grafiche. Le tendenze del design cambiano rapidamente e lo stile di un contenuto potrebbe apparire obsoleto prima di completarne la stessa scrittura. La sostituzione o l’eliminazione di fotografie, la modifica dei caratteri, l’aggiunta di una nuova grafica, sono

tutti ottimi modi per mettere una nuova copertina su un vecchio libro.

ANDARE IN PENSIONE Anche il miglior contenuto non dura per sempre. Se necessita di molte modifiche, oltre a un aggiornamento del design o di pochi elementi interni, potrebbe essere il momento di mandarlo in pensione. Il contenuto obsoleto danneggia l’autorevolezza e la credibilità dell’azienda, annullando praticamente tutto il buon lavoro che era stato svolto. Ecco perché ci si dovrebbe sempre porre questa domanda: il mio pubblico ha ancora interesse per questo argomento?

Pubblicare e promuovere i repository di contenuti Una volta che il contenuto è pronto per la pubblicazione, dove posizionarlo? La maggior parte delle aziende conserva i contenuti sul sito web, dove possono essere facilmente accessibili e scaricabili. Ma, creando sempre più ebook, guide, webinar, slide deck, infografiche e rapporti analitici, ci si ritrova con diversi tipi di contenuti sparsi all’interno del sito. Questo è esattamente il momento in cui entra in gioco un centro per le

risorse di contenuti, o repository. Questo costituisce una sezione del sito web in cui è possibile organizzare e pubblicare i contenuti. Ciò rende più facile – per il pubblico e per il team – trovare e condividere ciò di cui si ha bisogno. Il repository può essere costruito direttamente sul sito web, oppure è possibile utilizzare un sistema di gestione come Uberflip o Kapost. La cosa importante è che si può facilmente caricare, organizzare, accedere e condividere ogni tipo di contenuto creato. Con Uberflip (Figura 5.2) è possibile aggregare e curare ogni attività di Content marketing a misura del vostro

pubblico.

Figura 5.2 – UberFlip è una piattaforma utile per aggregare contenuti di marketing. Per esempio, vi permette di aggregare i contenuti mostrando quelli adatti alla persona giusta attraverso la geolocation,

il riconoscimento del dispositivo di connessione e di account social. Inoltre, il tool permette di trasformare qualsiasi contenuto editoriale, come PDF, ebook, white paper, in un sistema interattivo di lettura, come se fosse un magazine. Il layout grafico è studiato per generare lead lavorando su una Call To Action focalizzata. Inoltre, attraverso la rilevazione delle performance di ogni singolo contenuto, viene assegnato un punteggio che permette l’immediata analisi dei contenuti che hanno avuto maggiore successo. Lo strumento è integrato con i principali software di Marketing automation per gestire al meglio

l’attività di nurturing.

Misurare il ROI Molti responsabili marketing lottano per dimostrare il Ritorno sull’investimento per il loro contenuto. Ma invece di pensare solo al ROI, sarebbe bene risolvere il problema all’inizio. Dalla mia esperienza, i marketer lottano per giustificare le attività di Content marketing fondamentalmente perché non pensano alla loro misurazione durante la creazione. Se non si sviluppa una struttura misurabile sin dal principio, non è possibile sapere cosa misurare.

Prima di iniziare a misurare il contenuto, è meglio eseguire questi passaggi: Definire gli obiettivi del contenuto. Il contenuto verrà utilizzato per costruire la notorietà del marchio o per generare entrate in termini di fatturato? Stabilite in anticipo gli obiettivi e la stima del ROI, in modo che sia possibile sapere se sono state soddisfatte – e in che misura – le aspettative. Decidere come misurare i risultati. Che cosa sarà misurato? La reach, l’engagement, la durata della

visita sul sito web, le menzioni di PR, le vendite? È possibile perdersi in una misurazione eccessiva, quindi è importante concentrarsi sulle metriche e sui dati che effettivamente aiutano a prendere decisioni sul tipo di azione successiva.

MISURAZIONI A BREVE TERMINE Le misurazioni a breve termine non si legano direttamente alle entrate. Lo scopo del contenuto è di costruire la riconoscibilità del marchio, renderlo preferibile, istruire, divertire e coinvolgere il pubblico. Condivisioni,

download e visualizzazioni indicano se il contenuto attira l’attenzione e se quello che le persone vedono è di loro gradimento. In questa fase si deve tenere traccia di: traffico sul blog e sul sito web; visualizzazioni e download dei contenuti; collegamenti ai contenuti; condivisioni sui social (Facebook, Twitter ecc.); impegno sui social (commenti, “Mi piace” su Facebook, citazioni, tweet “preferiti”, “+1” su Google plus ecc.); follower sui social/blog.

MISURAZIONI DELLA FASE MEDIO/LUNGO TERMINE Per le attività di questa fase è consigliabile misurare quanto nuovo interesse sta generando il contenuto. Utilizzando un sistema di reporting, è possibile visualizzare il percorso che nuove opportunità o clienti seguono alla conversione: gli annunci Pay Per Click su cui hanno fatto clic, i webinar cui hanno partecipato, le email che hanno ricevuto e, naturalmente, i contenuti che hanno scaricato o hanno visualizzato. Una soluzione di reporting affidabile permette di valutare il numero di opportunità realizzate dal contenuto e le eventuali entrate ricevute grazie alle

visualizzazioni o ai download degli acquirenti. I contenuti di valore, come le testimonianze dei clienti, le schede tecniche, la guida alle funzionalità o le demo, aiutano i commerciali a vendere, quindi è necessario collaborare per assicurarsi che il tema di vendita li stia realmente utilizzando e che ciò che è stato pubblicato abbia risonanza. Incontrate il team di vendita regolarmente per raccogliere suggerimenti su questi materiali e informatelo su quanto è già stato prodotto. In questa fase ci si concentra per comprendere e per misurare:

la generazione di contatti; il coinvolgimento e la ripartizione delle opportunità; la ripartizione delle entrate.

Traffico spontaneo Ci sono diverse fonti da cui un visitatore può arrivare al nostro sito e queste possono essere spontanee oppure ottenute acquistando traffico. Per iniziare, si deve considerare che il traffico che arriva al sito spontaneamente di solito è identificabile principalmente da tre fonti: accesso diretto;

motori di ricerca; social network.

ACCESSO DIRETTO L’accesso diretto è quello completamente spontaneo, perché l’utente conosce già il sito. Siete stati raggiunti perché lo aveva salvato tra i preferiti o perché ne ha digitato l’indirizzo. Nel secondo caso è molto probabile che abbia appreso l’indirizzo da un biglietto da visita, una brochure o una pubblicità in cui era presente l’URL. Molto spesso, l’analisi del traffico diretto permette di capire come sta funzionando l’attività pubblicitaria sui

media tradizionali, come la televisione, la radio e la stampa, e se su questi l’indirizzo del sito web sia stato promosso in modo adeguato. In caso affermativo, infatti, si avrà nel tempo una curva di utenti che si ricordano del sito e vi accedono in maniera diretta. Se l’azienda ha investito in campagne sui media tradizionali e ciò ha portato a un aumento del traffico diretto, c’è la possibilità di misurare questa correlazione. È anche possibile, grazie alla geolocalizzazione, analizzare nel dettaglio da quale posizione geografica gli utenti sono aumentati e avere una visione immediata del luogo in cui attualmente il sito è maggiormente

conosciuto.

MOTORI DI RICERCA I motori di ricerca sono gli strumenti principali che generano il maggior traffico spontaneo su Internet, in quanto forniscono una risposta immediata e contestuale a ciò su cui un utente vuole informarsi. Inoltre, consentono di raffinare i risultati della ricerca, e questo processo continuo di miglioramento dei risultati ottenuti li rende, di fatto, la principale fonte di traffico per un sito web. I risultati mostrati dal motore di ricerca possono essere naturali o sponsorizzati. Per quanto riguarda i

primi – cioè quelli che i motori di ricerca valutano come importanti per ogni ricerca effettuata – una delle attività su cui molte aziende investono è proprio quella di far sì che il sito sia strutturato in modo adeguato: è l’ottimizzazione SEO (Search Engine Optimization), cioè di quell’insieme di attività che mirano a rendere il sito benvoluto e molto “appariscente” agli occhi dei motori di ricerca. In gergo, simili operazioni si dice che rendono un sito Search Engine Friendly. Non esiste una procedura predefinita da seguire o un segreto custodito tra adepti che consenta miracolosamente di apparire al primo posto nel risultato delle ricerche.

Se così fosse, tutto sarebbe molto semplice, ma anche molto meno interessante. I principali motori di ricerca, come Google, Yahoo! e Bing, hanno un loro algoritmo segreto che assegna un punteggio al sito e, in base a esso, questo ottiene una certa priorità rispetto ad altri per ogni parola chiave definita, detta keyword. Le procedure di SEO si basano principalmente sulle guideline, le linee guida ufficiali pubblicate dai motori di ricerca, relative all’insieme dei metodi e delle procedure da seguire affinché lo “spider” legga il contenuto del sito e gli assegni un determinato valore. Le

tecniche di posizionamento oggi sono sempre più difficili da attuare e sono moltissime le aziende che investono su questo traffico, che rientra nel tipo spontaneo (e quindi gratuito) e che può trasformarsi in futuro in traffico da accesso diretto. Per un’ottima strategia di posizionamento SEO è importante avere dei contenuti di qualità e, già in fase di progettazione e scrittura, comprendere come inserire le giuste “parole chiave” e i contenuti correlati che possano maggiormente valorizzare quella pagina e far sì che sia trovata più facilmente sui motori di ricerca (Figura 5.3). Alcuni strumenti di Marketing

automation forniscono suggerimenti e una prima valutazione in ottica SEO di ciò che si sta scrivendo. In base al traffico e alle parole chiave con cui si accede al sito, possono suggerire la creazione di contenuti rilevanti per i vostri visitatori e che potrebbero attirare la loro attenzione attraverso le ricerche.

Figura 5.3 – Nella schermata si vede il valore di impatto SEO offerto dal tool di Marketing automation.

SOCIAL NETWORK Con l’avvento del mondo social si sono affermati nuovi modi di comunicare: i social network sono appunto piattaforme dove si discute di qualsiasi argomento e può succedere che, in maniera più o meno spontanea, si parli anche di un’azienda, dei suoi prodotti e del suo sito. Anche questi canali, dunque, generano traffico e si tratta anche in questi casi di accessi diretti. Inoltre, data la grande diffusione che i social network stanno conoscendo in questi ultimi anni, la quantità di traffico che generano non può essere considerata trascurabile, ma anzi è da ritenersi in netta e costante crescita.

Nel contesto social rientrano non soltanto le piattaforme come Facebook, LinkedIn e Twitter, ma anche quelli che vengono chiamati social bookmark, cioè degli strumenti che permettono di segnalare siti e creare una sorta di cartella condivisa dei preferiti. Quando comunichiamo una novità importante, può accadere che questa sia presa da un utente di social bookmark, che venga inserita all’interno della piattaforma e, nel caso si viralizzi, potrebbe portare non soltanto traffico al sito, ma anche una forte esposizione del brand. L’importanza di questo canale di informazione, diffusione e generazione di traffico è quindi sotto gli occhi di

tutti. Il traffico dai social network, di solito, proviene dalla pagina che l’azienda ha aperto, nella quale inserisce dei contenuti che fanno riferimento al sito web. Poi, con un semplice link, si portano gli utenti sui propri contenuti. Per esempio, alcuni siti di tipo editoriale adottano delle strategie che puntano a portare il traffico sulle proprie pagine facendo condividere quanto più possibile i contenuti che interessano l’utenza su Facebook (Figura 5.4).

Figura 5.4 – Nella schermata si vede un esempio di un sito come CaffeinaMagazine che riesce a portare traffico qualificato attraverso Facebook.

CAPITOLO 6

PAID MEDIA In Italia, gli investimenti in marketing digitale sono in netta crescita. Nella Figura 6.1, che illustra l’analisi di IAB eseguita sui dati Nielsen e PoliMi, si può osservare nel dettaglio come gli investimenti totali abbiano avuto un incremento annuale del 12%. Inoltre, si nota come sia cresciuto in modo rilevante il settore del Social advertising e del video, oltre all’ormai consolidato mercato relativo al Search

advertising.

Figura 6.1 – L’evoluzione degli investimenti in ambito digital per il

2013 e per il 2014, con le relative percentuali di incremento. Se scendiamo nel dettaglio di ogni singola modalità di acquisizione del traffico, potremmo individuare le seguenti tre macro aree: Display advertising. Search advertising. Email marketing. Sebbene in questo capitolo affronteremo e illustreremo i vari canali, consiglio comunque il loro approfondimento attraverso la lettura di un testo specifico. Le campagne pubblicitarie possono essere gestite in diverse modalità, che

vanno oltre quella classica di acquisizione e che sono trasversali anche tra di loro. Iniziamo con il modello del Search advertising e del Display advertising, mentre l’Email marketing, cruciale per le attività della Marketing automation, lo affronteremo nel prossimo capitolo.

Display advertising Il Display advertising è stato la prima forma di pubblicità sul Web fin dagli esordi di Internet. Il concetto di fondo è molto semplice: le pagine web possono ospitare degli spazi pubblicitari a pagamento esattamente come quelle

cartacee, i cartelloni, i programmi televisivi e quelli radiofonici. Tale similitudine e analogia di utilizzo ha consentito una rapida diffusione di questa forma di comunicazione online. Mentre sui media tradizionali questo tipo di esposizione accresce soltanto la popolarità di un marchio, sui media digitali permette di collegare l’utenza direttamente a un sito web o a un servizio e di incrementare le vendite o i contatti. Come si può notare nella Figura 6.2, oggi lo scenario è molto più complesso ed esistono numerosi player che offrono soluzioni a volte complementari e, altre volte, si sovrappongono tra loro, ma tutti offrono

soluzioni di Display advertising ai due grandi attori di questo mercato, che sono: Advertiser: cioè le aziende inserzioniste, quelle che decidono di fare pubblicità online e comparire sui vari siti con i propri banner e la propria comunicazione. Publisher: sono gli editori, i blogger, chiunque abbia uno spazio pubblicitario da monetizzare e offrire agli advertiser in cambio di una remunerazione. Il Display advertising, per essere usato

in maniera ordinata e strutturata, necessita di un sistema che gestisca la modalità con cui, in un certo momento, si decide di pubblicare un dato contenuto pubblicitario invece di un altro e che indichi quale sia il più redditizio. Questa attività viene svolta attraverso i sistemi di AdServer, che sono in grado di selezionare, secondo criteri ben definiti, quali banner in quel momento devono essere visibili. Alcuni di questi criteri sono legati alla modalità nella quale è venduta la pubblicità (come abbiamo visto nei precedenti capitoli: CPM, CPC, CPA ecc.); altri, invece, sono legati all’ottimizzazione degli spazi a disposizione.

Attraverso il sistema di analytics si può capire che tipo di resa ha ogni singolo spazio pubblicitario e le relative zone in cui il banner è stato esposto. Soprattutto, si riesce a valutare anche da quale sito web si ottiene il rendimento più alto.

Figura 6.2 – Il riepilogo dei player nell’ecosistema europeo nel mondo dell’advertising. In aggiunta, si può conoscere il ritorno pubblicitario di ogni creatività e, nel

caso se ne abbiano di più per lo stesso banner e sullo stesso sito, si può controllare in tempo reale quale funziona meglio (come se fosse una specie di A/B test). Ogni concessionaria di spazi pubblicitari gestisce il corretto adempimento dei contratti, in termini di durata ed esposizione, e il corretto funzionamento con i vari publisher. Seguire questa procedura richiede molto tempo e attenzione, soprattutto se si vogliono fare delle variazioni in corso d’opera, come per esempio cambiare il tipo di creatività o semplicemente modificare il link di destinazione legato ai vari banner. Questi cambiamenti, infatti, comportano

generalmente la comunicazione di una nuova URL o di una nuova creatività a tutti i soggetti coinvolti nel processo di gestione delle campagne pubblicitarie, come l’agenzia, la concessionaria o il centro media. Con un sistema di AdServer per Advertiser, invece, si centralizza tutto in un unico sistema: su di esso vengono caricati i banner, ma anche le specifiche della campagna in corso; una volta in possesso di tutte le indicazioni, il software si occuperà di gestire la campagna e fornirà una URL che richiamerà l’AdServer da comunicare a chi gestisce le campagne sui vari mezzi pubblicitari. Quindi, in questo modo non daremo più un banner

con un link ma semplicemente una URL che chiamerà il nostro AdServer con tutte le informazioni aggiornate. Questa attività si presenta come estremamente semplice: viene fornito solo un piccolo codice al publisher, il quale lo deve inserire nelle pagine del sito in modo da richiamare i banner o le creatività che risiedono sull’AdServer. Una gestione così semplificata consente all’azienda che la adotta di avere sempre sotto controllo la propria pianificazione pubblicitaria, di avere a disposizione un sistema per misurare le performance delle campagne e di poter intervenire con tempestività se i risultati ottenuti non fossero in linea con quanto

si attendeva.

Retargeting Il retargeting è uno degli strumenti di cui facciamo subito esperienza, per esempio, dopo aver visitato un sito di commercio elettronico: anche se non abbiamo ancora concluso l’acquisto, né tanto meno ci siamo registrati come clienti, ritroviamo la pubblicità dello stesso e-commerce in molte delle pagine che visitiamo successivamente nella stessa sessione di navigazione, a volte anche in modo estenuante. Non si tratta di pura coincidenza, né di una strana capacità del browser di riconoscere le vostre esigenze, ma è una

pratica di web marketing poco nota ai profani e che è riconosciuta, appunto, con il nome di retargeting (Figura 6.3).

Figura 6.3 – Il principio funzionamento del retargeting.

di

Il retargeting – spesso indicato negli ambienti di web marketing con il termine Remarketing – nasce da un’esigenza molto semplice: per quanti

sforzi si possano compiere, la maggior parte dei siti, anche quelli più famosi, riesce a convertire alla prima visita solamente il 2% del traffico in ingresso. Una percentuale davvero esigua se ci pensate bene, che può assumere un valore differente a seconda del sito che state considerando e del suo traffico. Il 2% su un e-commerce come Amazon non è certo poco e non può essere paragonato alla stessa percentuale di un sito di vendite online più piccolo o appena avviato. Indipendentemente dal traffico considerato, converrete con me che tale percentuale è comunque modesta per qualsiasi attività online e non è

proporzionale agli investimenti profusi per il mantenimento del business interessato. Bisogna quindi trovare una soluzione efficace al problema e la risposta all’esigenza di un Conversion Rate maggiore viene proprio dal retargeting. Il retargeting è un modo per invogliare chi ha navigato sul vostro sito a tornarvi, cercando di ottenere una seconda opportunità di conversione durante la visita. Il funzionamento del sistema è piuttosto semplice ed è il seguente. Ogni volta che si visita un sito viene rilasciato un cookie anonimo al browser. Questo segue l’attività del visitatore sul

Web. Coloro che non hanno effettuato una conversione durante quel collegamento vengono tracciati dal cookie e, durante la navigazione, vengono loro mostrati i banner pubblicitari del sito che ha rilasciato il cookie di tracciatura. Questi banner compaiono su pagine non necessariamente correlate al sito proprietario del cookie e la pubblicazione dell’annuncio è mediata da un fornitore di retargeting che garantisce che quell’annuncio pubblicitario venga mostrato solo agli utenti che hanno già visitato le vostre pagine e non ad altri. Il retargeting ha una buona

percentuale di successo, riesce ad aumentare le conversioni e presenta un ROI più elevato rispetto ad altre forme di campagne marketing, semplicemente perché vi permette di focalizzare gli investimenti pubblicitari direttamente su utenti che hanno già familiarità con il vostro brand e ne hanno visitato di recente le pagine. Un altro aspetto positivo è dato dall’opportunità di sfruttare questa pratica di advertising per qualsiasi tipo di necessità. Finora ho fatto l’esempio di un portale e-commerce per comodità e semplicità esplicativa, ma non è detto che il retargeting non possa essere

applicato anche ad altre tipologie di business. Per esempio, potete pensare di utilizzarlo sui siti dove volete aumentare le iscrizioni degli utenti (pensiamo a un servizio o a una newsletter) e, in generale, su quelli in cui volete che l’utente compia una specifica azione, nell’accezione più estesa del termine conversione.

Performance marketing La pubblicità online tradizionale, di solito, viene acquisita senza avere le idee chiare sugli obiettivi di conversione e, a volte, si smette di investire per l’assenza di risultati, mentre in altri casi questo avviene a

causa dei costi proibitivi. Ciò che fino a qualche tempo fa mancava era una metodologia più efficace e conveniente per chi ha necessità di andare dritto al punto. L’innovazione è arrivata con il Web Performance Marketing: le aziende possono pagare le proprie campagne sui media digitali solo in base ai risultati ottenuti, che possono essere tracciati con precisione e in modo quasi istantaneo. Si tratta di una nuova modalità di pagamento, senza costi di setup o attivazione, ma anche di una collaborazione più proficua tra azienda e fornitore di pubblicità online. Quest’ultimo guadagna solo in base agli

obiettivi che riesce a raggiungere per il proprio cliente e, di conseguenza, è maggiormente interessato al successo delle campagne. In base ai risultati concordati tra azienda e fornitore, le pubblicità “a performance” si suddividono come segue: campagne Cost Per Sale (CPS), basate sulle vendite prodotte; campagne Cost Per Lead (CPL), basate sulle richieste di informazioni/preventivi ottenute; campagne Cost Per Action (CPA), basate sulle azioni generate dall’utente (per esempio l’iscrizione a un

concorso); campagne Cost Per Download (CPD), basate sul numero di download effettuati, di un software o di una app. I canali d’investimento sono quelli soliti delle attività di marketing tradizionale, con la differenza che vengono acquistati o venduti in una modalità per cui si pagano solo i risultati ottenuti. Quindi, un investimento pubblicitario su Internet può essere remunerato solo per i risultati ottenuti, i quali sono verificabili con precisione da parte dell’azienda inserzionista attraverso strumenti di misurazione di analytics o di adserving. Questa è una grande innovazione che

raccoglie adesioni sempre più numerose e che ha spinto a rivedere il mercato offrendo nuove soluzioni.

Programmatic advertising Il Programmatic advertising è presente sul mercato da pochi anni ed è già un’industry che vale diversi miliardi di dollari. Scopriamo di cosa si tratta e perché potrebbe essere la tecnologia che rivoluzionerà il mondo del marketing online. Il programmatic è una tecnologia che consente il trading di spazi pubblicitari tra advertiser e publisher. È nato in risposta alla crisi economica del 2009: con meno soldi in circolazione, ci si

rese conto che il sistema di advertising online era troppo costoso e poco funzionale sia per gli advertiser sia per i publisher. Dall’esigenza di un nuovo meccanismo allocativo, efficiente ed economicamente sostenibile, è nato l’Ad Exchange (Figura 6.4), un marketplace di scambio in real-time dedicato agli spazi pubblicitari online. In pratica funziona come la Borsa, solo che al posto dei titoli si scambiano impression. L’advertiser (il compratore) ha la possibilità di determinare il valore di ogni impression, può decidere autonomamente quale audience intercettare e dove farlo. Infine, può scegliere quanto è disposto a pagare.

Anche il publisher (il venditore) trae vantaggio dal Programmatic advertising, potendo vendere all’asta gli spazi pubblicitari che non ha ancora venduto (inventory). Inoltre, il seller ha davanti a sé una situazione in cui i compratori indicano esplicitamente quanto sono disposti a pagare per ogni singola impression. Qualche numero sul Programmatic advertising. Quando è nato, nel 2009, il programmatic valeva zero; oggi è un’industry che vale complessivamente 6 miliardi di dollari ed è in continua crescita: una vera onda rivoluzionaria nel campo del Web marketing (Figura 6.5).

Infine, è un’enorme opportunità di crescita economica e lavorativa. Basta pensare a tutto l’ecosistema che nasce e cresce attorno al Programmatic advertising per vedere che si sono sviluppate: piattaforme per gli advertiser (Demand Side Platform – DSP); piattaforme per i publisher (Supply Side Platform – SSP);

Figura 6.4 – Il principio di funzionamento di un sistema Ad Exchange.

Figura 6.5 – La crescita prevista per i prossimi anni sugli investimenti mondiali nel campo del Programmatic advertising. agenzie specializzate (Agency Trading Desk – ATD); piattaforme di gestione dei dati

(Data Management Platform – DMP). Data la portata tecnologica e innovativa di questo sistema e visto lo sconfinato potenziale di questa nuova tecnologia, sarebbe opportuno che chiunque nel mondo del Web marketing tenesse un occhio puntato sul Programmatic advertising e sui suoi futuri sviluppi (Figura 6.6).

Figura 6.6 – L’ecosistema del Programmatic buying e degli attori coinvolti. Quasi nove professionisti su dieci (86%) che operano nei comparti del marketing, dell’editoria, delle agenzia

media e creative in Spagna, Italia e Portogallo ritengono che il Programmatic buying sia il futuro dell’advertising digitale. Questo è quanto emerge nella sezione dedicata al Sud Europa della ricerca “Come e perché il Programmatic buying sta vivendo una crescita esponenziale nel Real-time marketing”. Lo studio, realizzato da HiMedia, network leader europeo nel digital advertising, e da AppNexus, grande società tecnologica indipendente del settore, ha analizzato 660 risposte complete da parte degli interlocutori poco sopra indicati e ha scoperto che cosa pensa veramente il mercato degli aspetti fondamentali che

ruotano intorno al Programmatic buying. È già stato scritto molto riguardo a cosa sia il Programmatic buying e su quanto sia cresciuto fino a oggi ma, sorprendentemente, pochissimi studi hanno esplorato le ragioni del suo successo e le trasformazioni che sta vivendo questo settore. Infatti, nel 2013 in Europa si è verificato un incremento dell’11% degli investimenti in Digital advertising rispetto al 2012, per un giro d’affari complessivo di 27,3 miliardi di euro; ma esistono ancora molte barriere nell’adozione del Programmatic buying nei tre Paesi citati, sia per carenza di comprensione da parte di coloro che operano nella pubblicità sia per

mancanza di budget: solo il 38% delle organizzazioni sud europee lo utilizza, rispetto al 47% del resto d’Europa (Figura 6.7).

Figura 6.7 – Nel grafico si vede la crescita dei vari mezzi pubblicitari, in particolare il Programmatic buying. Il Real-time marketing e ora il programmatic rappresentano sicuramente un vantaggio concreto sia in termini di targeting sia in materia di

ottimizzazione delle campagne in realtime, ma purtroppo nel nostro Paese ci scontriamo ancora con le resistenze dei publisher e degli advertiser alla sua adozione. Tuttavia, quando abbiamo la possibilità di raccontarne gli effettivi benefit, accade qualcosa di magico: publisher e advertiser comprendono l’occasione che hanno davanti. I primi, infatti, possono vendere il 100% delle inventory al giusto prezzo, mentre i secondi possono essere certi che il loro budget sia rivolto interamente al target corretto. A questo proposito, secondo la ricerca, il budget non è più considerato dagli operatori analizzati un fattore

determinante per il successo delle campagne. Sono piuttosto il targeting e la visibilità a essere diventati obiettivi primari rispettivamente per il 47% e il 38% delle organizzazioni del Sud Europa. L’acquisto programmatico risponde proprio a queste necessità, grazie al miglioramento nel raggiungimento di questi obiettivi.

Advertising automation Quanto detto finora comporta che dovete riallineare il vostro classico modo di pensare ai supporti digitali da acquistare. Inoltre, dovrete confrontarvi con dozzine di nuovi termini e di venditori che proveranno a convincervi

in merito alle qualità della loro soluzione di Programmatic buying. Cerchiamo adesso di capire come funziona questo mondo – che sta dando ottimi risultati a chi lo sta affrontando con impegno e determinazione – e quali sono i termini che ne descrivono i componenti.

REAL-TIME BIDDING (RTB – SISTEMA DI OFFERTE IN TEMPO REALE)

Iniziamo con l’espressione più comune che si usa quando si parla di Programmatic buying: il Real-Time Bidding (offerte in tempo reale o, abbreviato, RTB), descrive un

meccanismo di acquisti nel quale le impression (visualizzazioni) pubblicitarie vengono vendute mediante un sistema di aste in tempo reale. Il miglior offerente vince l’asta e riceve quindi le impression pubblicitarie offerte, che vengono immediatamente spedite ai browser degli utenti o dei dispositivi mobile.

SECOND PRICE AUCTION (ASTA AL “SECONDO PREZZO”) Nelle Second Price Auction si paga il prezzo d’offerta pari al secondo ammontare più elevato, più un cent. Tuttavia, se due compratori offrono come prezzo più alto lo stesso

ammontare, il vincitore viene scelto a caso. Facciamo un esempio: il compratore A offre 1 euro; il compratore B offre 0,80 euro; il compratore A vince l’asta, ma paga solo 0,81 euro. Nella Figura 6.8 si vede bene il meccanismo: al visitatore viene mostrato, per le prime tre impression, l’advertiser A, che ha offerto € 2 CPM, ma che in realtà paga € 1,51 perché il secondo è l’advertiser B che ha offerto € 1,50, quindi € 1,50 + € 0,01. In base alla frequency cap, cioè il limite di volte che deve essere

visualizzato un banner a quel visitatore, il sistema offrirà a seguire gli altri inserzionisti.

SUPPLY-SIDE PLATFORM (SSP – PIATTAFORMA PER CHI OFFRE) I publisher, cioè coloro che pubblicano e mettono a disposizione uno spazio in un sito web e vogliono vendere il proprio inventory pubblicitario (spazi pubblicitari invenduti), necessitano di un’interfaccia tecnica, cioè di una piattaforma che stabilisca la connessione con l’asta, nonché il collegamento tra quest’ultima e i compratori interessati. Questa è la Supply-Side Platform, abbreviato in

SSP.

AD EXCHANGE Gli Ad Exchange sono i mercati che forniscono la funzionalità di un SSP per effettuare i collegamenti diretti sia con i publisher sia con altre SSP. Esempi di Ad Exchange sono: DoubleClick Ad Exchange di Google e AppNexus (quest’ultima offre anche la funzionalità di una Demand-Side Platform – piattaforma per chi acquista). Potremmo dire che questa è la modalità completamente automatica per gestire gli spazi adv.

Figura 6.8 – Nello schema si vede il principio di funzionamento del RealTime Bidding.

DEMAND-SIDE PLATFORM (DSP – PIATTAFORMA PER CHI ACQUISTA) La controparte della SSP, cioè la

Demand-Side Platform (piattaforma per chi acquista o DSP), consente alle agenzie e agli inserzionisti di acquistare in tempo reale spazi pubblicitari invenduti dagli SSP e dai mercati Ad Exchange.

BID REQUEST (RICHIESTA DI OFFERTA) Per vendere il proprio inventory (spazio pubblicitario invenduto) attraverso aste in tempo reale, i publisher dei siti web devono presentare delle “richieste di offerta” che contengano tutte le principali informazioni inerenti agli spazi invenduti offerti, come per esempio:

URL del dominio (sebbene i publisher possano decidere di rimanere anonimi); tipi di banner concessi; formato dei banner; floor price (prezzo minimo); posizione (above-the-fold, cioè di immediata visualizzazione, o below-the-fold, cioè meno visibile).

BID RESPONSE (RISPOSTA ALL’OFFERTA) Partecipare a un’asta richiede la sottoscrizione di una risposta alla Bid Request (richiesta di offerta) del publisher: la Bid Response (risposta

all’offerta). Tra le altre informazioni, le risposte all’offerta contengono: Set ID (identifica il compratore); Bid price (prezzo dell’offerta); Target URL (per identificare l’inserzionista; consente al publisher di bloccare particolari inserzionisti).

WIN RATE Il Win Rate (espresso in percentuale) è la proporzione tra le offerte presentate e le impression vinte.

FLOOR PRICE

Si tratta del prezzo minimo da offrire per un pacchetto di impression.

INVENTORY SOURCE (FONTE DELLO SPAZIO INVENDUTO) È un’espressione che si usa spesso quando si parla in generale di Ad Exchange o di SSP.

OPEN AUCTION (ASTA APERTA) Un’asta aperta è uno spazio pubblico nel quale le agenzie e gli inserzionisti possono acquistare impression pubblicitarie senza alcuna autorizzazione preventiva o negoziazione con i publisher o con i

marketer (nota: tuttavia, nelle aste pubbliche alcuni publisher e alcune SSP richiedono un’autorizzazione prima di dare l’accesso al loro inventory, cioè al loro spazio invenduto).

PRIVATE MARKET PLACE (PMP – MERCATO PRIVATO) Il Private Market Place (mercato privato), o PMP, dà ai compratori accesso esclusivo all’inventory (spazio invenduto) del publisher. La maggior parte delle piattaforme DSP gestisce il proprio mercato privato (PMP) su una piazza in cui solo i clienti delle DSP possono accedere all’inventory offerto. Alcuni PMP offrono anche formati

speciali con un ricco supporto programmatico; questi formati, in genere, non sono supportati dalla maggior parte delle piattaforme SSP.

PRIVATE AUCTION (ASTA PRIVATA) Una Private Auction (asta privata) è un’asta chiusa, disponibile solo dopo relativa autorizzazione del publisher. L’accesso alle aste private è possibile attraverso i mercati privati (PMP) o specifici accordi (deal).

PREFERRED DEAL/DIRECT DEAL Il Preferred Deal è un accordo diretto tra il publisher e l’advertiser o l’agenzia

e, una volta definite le condizioni (volume, targeting e prezzo), il venditore fornisce un Deal ID, cioè l’identificazione dell’accordo tra le parti. Il publisher provvede a inserire il Deal ID nella propria piattaforma, e la vendita è avvenuta. Tutto funziona in automatico, come si vede nella Figura 6.9. Se viene definita, ci sarà anche una precedenza dell’advertiser in base ai volumi e gli accordi presi.

Figura 6.9 – Nello schema si vede il principio di funzionamento del RealTime Bidding con un accordo diretto.

DATA MANAGEMENT PLATFORM (DMP) La funzione primaria di una piattaforma

DMP è quella di collezionare i dati da tutti i tipi di device e di piattaforme e consente di avere una migliore precisione e focalizzazione sul visitatore, in modo da conoscere nel migliore dei modi il suo interesse sul sito web.

I pilastri dell’automazione pubblicitaria La pubblicità automatizzata – una tecnologia un tempo considerata di nicchia – ha fatto molta strada. Tuttavia, in Italia, molti editori non la usano ancora e, sebbene conoscano il termine “programmatico”, non sono ancora

arrivati a comprenderlo appieno. Stiamo forse parlando di un settore che ama citare i numeri da capogiro che caratterizzano i dati e la velocità delle offerte in tempo reale ma che non offre una chiara e semplice spiegazione dei vantaggi per gli acquirenti/inserzionisti. Per capire l’automazione dell’acquisto e della vendita di pubblicità non dovrebbero essere necessarie grandi conoscenze o competenze e c’è chi l’ha opportunamente paragonata a un “sistema operativo” per la pubblicità. E, proprio come accade per un sistema Mac o PC, anche un ecosistema di pubblicità automatizzata ha varie

applicazioni. Come Windows o iOS, è usato per diversi tipi di schermi, dispositivi e media: dal computer desktop ai dispositivi mobili, dai video ai sistemi nativi e altro ancora. Dato che stiamo cercando di definire l’automazione in termini semplici da comprendere, vale la pena discutere ciò che avviene nel nostro settore illustrando le quattro tendenze principali. Transazioni basate sui dati Partendo dalle umili origini in cui si usavano aste automatizzate per monetizzare gli inventari invenduti, ora la pubblicità automatizzata è esplosa in

termini di vendite. Inizialmente usata nel canale di vendita dei media basato sulle prestazioni, ora supporta campagne di marchio tramite il protocollo per le offerte in tempo reale (RTB, Real-Time Bidding). Formati di grande impatto e investimenti sul marchio Automazione degli investimenti sul marchio e formati di grande impatto comportano una riduzione delle spese di gestione e un risparmio di tempo per chi vende. Dal punto di vista degli acquirenti i benefici sono gli stessi, con l’ulteriore vantaggio

di poter tenere conto anche dei dati. Le campagne di brand, che in passato non beneficiavano della targetizzazione del pubblico, ora ne possono approfittare. Pubblicità a tutta pagina e sfondi cliccabili automatizzati possono essere visualizzati dal pubblico giusto al momento giusto – e in molti casi è la prima volta che accade. Cross-media I consumatori trascorrono sempre più tempo utilizzando dispositivi digitali mobili e tablet, dividendo il proprio tempo fra i diversi device. Per i

venditori/editori questo ha comportato un adattamento a un mondo in cui la maggior parte del loro pubblico li raggiunge tramite dispositivi mobili. Automatizzata garantita Il passo successivo nell’evoluzione della pubblicità automatizzata è prevedere pacchetti garantiti per la vendita diretta di inventari premium. Fino a questo punto l’automazione si è concentrata in gran parte su inventari non garantiti. Ma cosa succederebbe se gli inserzionisti potessero usare un tasto “acquista ora” per

determinati venditori e app e per uno specifico pubblico per un certo numero di visualizzazioni o un determinato periodo di tempo? Immaginate quale efficienza si raggiungerebbe automatizzando la pianificazione e l’acquisto di campagne media su una base garantita, trasversale ai diversi media e con una gamma crescente di standard, oltre che con formati pubblicitari di grande impatto. In effetti, in un recente sondaggio, fra quasi 400 persone addette all’acquisto e alla pianificazione della pubblicità sui media è stato rilevato:

spreco di risorse: oggi gli acquirenti usano circa una mezza dozzina di sistemi diversi per pianificare ed effettuare l’acquisto di spazi sui media, spesso con la necessità di una riconciliazione manuale dei dati, con un incremento dei costi; notevoli inefficienze: più della metà degli intervistati oggi dedica almeno il 20% del proprio tempo in processi manuali per la vendita e l’acquisto di pubblicità digitale; desiderio di cambiare: quasi 9 persone su 10 intervistati ritengono che sul mercato serva

una piattaforma per gli ordini diretti automatizzati garantiti, per eliminare le inefficienze, ridurre i costi e aumentare il ritorno complessivo sugli investimenti. Dovremo monitorare questa disciplina, perché nei prossimi anni offrirà sicuramente un rilevante incremento di investimenti e porterà risultati importanti a chi sarà capace di automatizzare il suo funzionamento

Search marketing Con

l’espressione

Search

Engine

Marketing (SEM) ci si riferisce alla modalità di promozione di un sito web attraverso i motori di ricerca. Questa attività comporta sia il posizionamento organico (SEO), cioè attraverso un’ottimizzazione dei contenuti (come abbiamo visto nel capitolo 5), sia la possibilità di acquisire il traffico a pagamento. Ciò permette di avere il vostro sito web visualizzato nella pagina dei risultati dei motori di ricerca quando qualcuno digita determinate parole chiave o frasi. Il risultato visualizzato comprende gli annunci creati per portare i visitatori verso il vostro sito e si paga in modalità CPC, quindi ogni volta che un visitatore fa clic.

I risultati organici e a pagamento appaiono sul motore di ricerca, ma sono visualizzati in posizioni diverse della pagina. La Figura 6.10 mette a confronto una pagina di risultati del motore, nella quale sono in evidenza i link a pagamento e quelli naturali.

Figura 6.10 – Un esempio di una ricerca su Google con in evidenza i risultati

sponsorizzati in alto a destra, mentre sotto ci sono i risultati naturali. I tre elementi principali di una campagna di Search advertising sono: parole chiave; annunci; pagine di destinazione. Quando si inizia una campagna utilizzando Google AdWords (lo strumento per fare attività di advertising su Google) si prepara un elenco di parole chiave che crediamo possano essere funzionali nella ricerca effettuata dal nostro potenziale visitatore. Quando effettivamente viene fatta la ricerca con

le parole che noi abbiamo acquistato, la nostra azienda potrà comparire attraverso l’annuncio pubblicitario. La creatività dell’annuncio pubblicitario è un elemento fondamentale, perché dovrà solleticare l’attenzione del visitatore e portarlo a scegliere quell’annuncio rispetto a tutti gli altri. Una volta che ha cliccato sull’annuncio, il visitatore atterra nella pagina di destinazione, che può essere una pagina del sito reperibile navigando normalmente o una landing page sviluppata appositamente per campagne di marketing. Vedremo questo tipo di tecnica nei prossimi capitoli.

Quindi è importante ottimizzare queste tre cose (parole chiave, annunci, pagine di destinazione) perché permettono di ottenere ottimi risultati e avere le migliori performance. In realtà ci sono anche altri fattori molto importanti da prendere in considerazione. Potremmo affermare che Google AdWords attribuisce un punteggio a ogni parola chiave acquistata, che è ciò che viene definito Quality Score. Questo punteggio influisce sulla posizione che occuperanno gli annunci quando saranno visualizzati e concorre a determinare l’offerta minima per ogni parola chiave. In questo modo, Google AdWords

tenta di garantire agli annunci “migliori” una maggiore visibilità a un prezzo più basso. Il Quality Score (Figura 6.11) è calcolato sulla base di numerosi fattori: alcuni sono noti, altri fanno parte dell’algoritmo di Google e non sono resi pubblici. I principali punti noti sono: la percentuale storica del CTR di ogni parola chiave; l’attinenza della parola chiave con quelle presenti nel solito gruppo di annunci; il CTR storico di parole chiave e di annunci di tutto l’account; il CTR storico dell’URL di visualizzazione presente

nell’annuncio; la qualità della pagina di atterraggio. Ottimizzare il Quality Score significa migliorare costantemente i propri annunci e le proprie landing page per aumentare il CTR e la rilevanza tra tutti gli elementi della campagna. Tale attività, che richiede costanza e dedizione, concorre a massimizzare la resa delle proprie campagne e rappresenta uno dei processi più importanti nella fase di gestione.

Figura 6.11 – Gli elementi importanti che influiscono sul Quality Score.

Un’attività di keyword advertising si può pianificare non solo attraverso i motori di ricerca principali, ma anche attraverso i numerosi siti partner che aderiscono ai programmi dei motori di ricerca finalizzati al guadagno attraverso annunci pubblicitari inseriti all’interno delle loro pagine. Per esempio, Google, attraverso AdSense, permette a qualsiasi azienda che abbia un sito di poter esporre alcune inserzioni pubblicitarie, presenti in Google stesso, in modo da far guadagnare in percentuale anche i gestori del sito che si offre come vetrina per la pubblicità di altri. Simili programmi di affiliazione hanno permesso ai piccoli siti

amatoriali, ai blog, ai siti di associazioni ma anche ai grandi siti editoriali di aumentare gli introiti pubblicitari. Questo sistema funzionava già alle origini del Web perché si trattava di un meccanismo tanto semplice quanto innovativo, ma continua a funzionare ancora oggi grazie a queste sue qualità e alla grande partecipazione collettiva, che diventa il suo punto di forza più importante. Si tratta, in buona sostanza, di pubblicità contestuale. Il funzionamento è molto semplice: Google analizza la pagina del sito partner in cui sono presenti gli annunci pubblicitari e, in base al contenuto testuale presente, mostra un annuncio

pubblicitario facendo match tra le keyword estrapolate nel testo del partner e quelle che gli inserzionisti hanno comprato. L’aspetto importante consiste nel fatto che l’inserzionista può apparire negli spazi pubblicitari non solo in formato testuale ma anche in formato di banner pubblicitario. Per esempio, se i contenuti che l’utente sta visualizzando sono relativi prevalentemente alla sfera della finanza e degli investimenti in Borsa, appariranno annunci relativi a questo settore: banche, servizi finanziari o promotori finanziari. Ovviamente tutti si rendono conto della potenza e dell’efficacia di una campagna contestuale, soprattutto se, di

contro, si pensa a quanto sia faticoso – e a volte un inutile spreco di risorse ed energie – pianificare ed erogare campagne che hanno target poco specializzati. Se si guarda al settore della pubblicità contestuale, si possono pensare operazioni di ottimizzazione legate, per esempio, alla scelta dei siti su cui fare apparire gli annunci. Si tratta di operazioni in parte d’avanguardia e, fino a non molto tempo fa, addirittura impensabili. Infatti, la pubblicità contestuale partiva dalla scelta delle keyword e su queste si costruiva tutta la pianificazione della pubblicazione.

SEM automation Il Search marketing è il fulcro di una solida strategia di marketing digitale e può consentire alle aziende di essere presenti nella pagina dei risultati dei motori di ricerca per le migliori parole chiave, determinando così un incremento di business e un miglioramento dei propri fatturati. Ma l’attività di search advertising è diventata sempre più complessa, le campagne di ricerca di oggi possono girare su desktop, smartphone e tablet, offrendo nuovi formati di annunci e opzioni di targeting che raggiungono gli utenti in modo più rilevante. Fino a poco tempo fa, la pubblicità di

ricerca a pagamento era relativamente semplice da gestire. Tutti gli annunci erano mirati al desktop ed era abbastanza semplice e lineare gestire una pianificazione di marketing. Oggi, Google e Bing dispongono gli annunci pubblicitari in varie modalità, come immagini, video, feedback sui prodotti e recensioni, e per la fruizione da numerosi dispositivi, tra cui smartphone, tablet e desktop. Di conseguenza, molti professionisti del settore si chiedono come l’automazione possa aiutare a gestire campagne più efficienti e con migliori prestazioni. Gli strumenti per l’automazione di Search marketing si sono evoluti per

aiutare le aziende a gestire le campagne sia nella ricerca sia nei contenuti sia nel retargeting e, ovviamente, anche per quelle su più dispositivi (Figura 6.12). La gestione dell’offerta è un aspetto importante dell’automazione della ricerca a pagamento. Questi strumenti possono semplificare i flussi di lavoro e creare un guadagno in termini di tempo, automatizzando le attività manuali legate alla parola chiave e ai gruppi di annunci. Di seguito elenco i cinque principali vantaggi che l’automazione è in grado offrire a un investimento in campagne di ricerca a pagamento per la vostra azienda:

Risparmio di tempo. L’automation consente di prendere decisioni di ricerca più veloci e meglio retribuite. L’analisi dei dati e il reporting, che solitamente occupano diverse ore, possono essere fatte in pochi minuti da algoritmi software. Combinare la potenza di calcolo con l’arte del marketing consente di prendere decisioni migliori in merito alle campagne di ricerca a pagamento che state facendo.

Figura 6.12 – Come automatizzare una campagna di Search marketing con un tool di automazione.

Risparmio finanziario. L’automazione delle attività manuali, come la gestione dell’offerta per ogni parola chiave o la messa in pausa e l’aggiunta di ciascuna di esse, può rendere questi processi più efficienti, risparmiando su quelle non efficienti o che non rendono in termini di conversione. Maggiori dati. Molti marketer digitali stanno raccogliendo, combinando e aggregando dati da un numero senza precedenti di fonti. Mentre le macchine non possono fornire spunti su ciò

che questi dati significano, e quindi non potranno mai superare un uomo, al contempo sono fondamentali per raccoglierli, combinarli e spezzettarli in modo più rapido ed efficiente. Riconoscimento di modelli. I software di automazione sono in grado di trovare rapidamente semplici modelli all’interno di insiemi di dati. Una volta, questi compiti noiosi e ripetitivi erano svolti manualmente e facevano impiegare molto tempo. La capacità di individuare valori anomali. I valori anomali

sono i dati che non rientrano in alcun modello. Possono offrire importanti spunti nella vostra strategia di pianificazione delle parole chiave, nell’efficienza geografica e di conversione. Per esempio, individuare la città o la regione in cui si sono avute delle conversioni o la parola chiave che ha avuto un incremento in termini di volume oppure di conversioni. Mentre chi si occupa di Search marketing può cercare i “perché” che si nascondono in questi valori anomali, il software è in grado di

identificarli l’analisi.

per

iniziare

Tre tipi di automazione di ricerca a pagamento L’automazione di ricerca a pagamento non è un’attività che si può svolgere in modo saltuario, ma deve essere affrontata per gradi, e per ognuno di essi si devono individuare i pro e i contro a seconda delle esigenze organizzative e di ricerca del vostro brand. 1.

Automazione completa. Automatizzare completamente le vostre iniziative di ricerca a pagamento significa che il

sistema fa tutto per voi. Una volta definiti e dati degli input in ingresso, come le keyword, gli annunci, il budget o anche dei requisiti di business, saranno gli algoritmi a fare il resto. Il vantaggio di questo approccio è che non resta praticamente nulla da fare manualmente da parte vostra. Il rischio è che se si immettono dati o regole non validi, i risultati saranno pessimi. Inoltre, è necessario fidarsi completamente degli algoritmi del software nel fornire risultati precisi e attuabili. 2. Automazione ibrida. Una

soluzione ibrida consente al software di fare il lavoro pesante raccogliendo ed elaborando i dati ma offre suggerimenti agli analisti SEM per agire sugli ingredienti. Spetta a voi rifiutare o accettare le raccomandazioni del sistema. Spesso, questa modalità è quella usata da chi sta cercando ancora la corretta ottimizzazione delle campagne. 3. Avvisi automatici. Questo approccio avvisa gli utenti del sistema in presenza di determinate regole di business o soglie. Per esempio, quando un budget di una keyword aumenta

di oltre il 20%, o le impression di un gruppo aumentano oltre il 30% in ventiquattro ore. L’obiettivo è di porre l’accento sugli eventi significativi che si vorranno analizzare e correggere. Un avvertimento importante se si utilizza uno di questi approcci, è quello per il quale i vostri output di sistema saranno utili solo per correggere o ridefinire la strategia in un secondo momento. Quello che è importante sottolineare è che l’automation non elimina la necessità dei SEM Specialist, ma è solo uno strumento di supporto per automatizzare un processo che sappiamo

far funzionare. Ciò che non cambia è la necessità per il sistema di automazione di essere gestito da persone che capiscono i numeri della strategia che stanno seguendo e che possono esaminare efficacemente i dati generati.

Identificare le attività di automazione Come abbiamo accennato in precedenza, l’automazione di ricerca a pagamento può semplificare i flussi di lavoro e creare guadagni in termini di produttività e di tempo: per esempio, le attività manuali legate alle parole chiave, al gruppo di annunci e alla

gestione delle campagne e dell’ottimizzazione. Il seguente elenco fornisce informazioni utili su ciascuna di queste attività di ricerca a pagamento e su come l’automazione può migliorare la loro efficienza. Raccolta dei dati e loro riutilizzo. I professionisti della ricerca a pagamento stanno raccogliendo volumi di dati senza precedenti. La questione, quindi, non è come raccoglierne altri ma come utilizzare in modo più efficace quelli che abbiamo. Per esempio, riutilizzando per nuove promozioni campagne che hanno generato un’ottima

performance in passato. L’automazione può aiutare a qualificare i lead esistenti per campagne con attività di remarketing specifiche. Creazione di annunci di testo. Alcune azioni ripetitive durante la creazione manuale di annunci possono essere ristrutturate, automatizzandole e variando solo il nome del prodotto o di determinate caratteristiche. È possibile sviluppare delle formule in base alla struttura del proprio gruppo di annunci, inserendo parole chiave, linee di tag, tipo di prodotto o di

servizio, e creando automaticamente nuovi annunci. Accensione/spegnimento promozioni. Gli analisti di ricerca a pagamento spesso impostano dei promemoria nel calendario o fanno girare manualmente alcune promozioni online e offline. Si possono facilmente automatizzare tutti questi processi perché le date delle promozioni sono spesso programmate in anticipo. Espansione delle parole chiave. Per un marketer di ricerca o per un analista, il focus è incentrato sulla gestione delle ricerche e su

come ampliare il set di parole chiave. L’automazione del processo consente di creare nel sistema delle regole in grado di identificare le soglie e trasformare le ricerche in parole chiave. Per esempio: “Se questa ricerca ottiene più di x clic e di y conversioni e se il valore medio di conversione è maggiore di z, allora aumenta il budget a disposizione per quella keyword”. Parole chiave negative. Analizzando le parole chiave che hanno portato molto traffico ma non hanno generato

conversioni o visite di nostro interesse, possiamo impostare dei filtri ogni mese per specificare quando aggiungere una query o la parola chiave in negativo, cioè che non deve essere acquistata. Attiva/metti in pausa la keyword. L’automazione è molto potente quando si combinano i database dei prodotti degli e-commerce – e la loro disponibilità – con le campagne di parole chiave. Per esempio, quando un prodotto si esaurisce, l’automazione consente di mettere in pausa

rapidamente le parole chiave pertinenti e riprenderle quando saranno nuovamente disponibili. Inoltre, quando i prodotti sono in esaurimento si può ridurre il budget investito o, viceversa, se ci sono molti prodotti a magazzino si può aumentare l’investimento. Gestione delle offerte. L’offerta per ogni parola chiave è uno dei compiti più importanti e gravosi che i professionisti del Search marketing devono valutare. Le offerte sono dinamiche e, a volte, si devono cambiare anche più volte in uno stesso giorno,

oltre a variare le keyword che funzionano o no. Tutto ciò può essere automatizzato in funzione dell’obiettivo o anche dell’orario/giorno della settimana, o in base ai report di performance elaborati. Coupon dinamico. Quando s’inserisce un prezzo o un codice coupon in una creatività, è importante che sia sempre aggiornato. Tuttavia, quando questa operazione viene eseguita manualmente, è facile perdere il controllo mentre, se si automatizza il proprio strumento di gestione del sito, tutto risulta

molto più fattibile.

Google AdWords Automation Per iniziare, dobbiamo pensare alle attività che eseguiamo di frequente nell’account AdWords e, per ciascuna di esse, annotare la procedura da seguire. Successivamente strutturiamo le regole in modo che queste operazioni vengano eseguite automaticamente. In seguito verranno riportati alcuni esempi delle regole più utilizzate (Figura 6.13). Per impostare queste regole all’interno del pannello di AdWords è sufficiente fare clic sul pulsante “Automatizza” nella scheda “Campagne → Gruppi di annunci →

Parole chiave o Annunci”.

Figura 6.13 – Nella schermata è possibile vedere un’opzione di Google AdWords che permette di creare delle regole automatiche per pianificare le

parole chiave. Qui sotto, come avevamo anticipato, trovate alcuni esempi di regole generali. Comunque, è sempre buona norma basarsi sui propri obiettivi di rendimento personali e sull’esperienza professionale per scegliere le metriche e le azioni specifiche più pertinenti alla propria attività. Dopo aver creato le regole, accertatevi di monitorarne il rendimento frequentemente e perfezionatele per ottenere i risultati desiderati. Pianificazione degli annunci • Attivazione o disattivazione

di vari annunci speciali per un evento promozionale. • Attivazione o disattivazione periodica di vari annunci speciali. • Attivazione o disattivazione di una campagna pubblicitaria speciale per un evento promozionale. Messa in pausa di parole chiave o annunci con un rendimento basso • Messa in pausa di parole chiave con scarso rendimento sulla base di metriche di rendimento, come per esempio il Costo per

conversione elevato. • Messa in pausa di annunci con un rendimento basso sulla base di metriche di rendimento, come per esempio una bassa Conversion Rate. Offerte e pianificazione delle offerte • Messa a punto delle offerte per parole chiave sulla base del Costo per conversione. • Modifica delle offerte per ottenere la posizione media desiderata. • Aumento delle offerte per pubblicare gli annunci sulla

prima pagina. • Aumento delle offerte fino a un importo pari all’offerta consigliata per la parte superiore della pagina. • Pianificazione delle offerte nell’arco temporale. Controllo del budget e dei costi • Messa a punto delle offerte per parole chiave sulla base del Costo per conversione. • Modifica delle offerte per ottenere la posizione media desiderata. • Aumento delle offerte per pubblicare gli annunci sulla prima pagina.

• Aumento delle offerte fino a un importo pari all’offerta consigliata per la parte superiore della pagina. • Pianificazione delle offerte nell’arco temporale. Linee guida generali ed esempi • Controllo del budget. • Pianificazione del budget. • Messa in pausa di campagne che hanno raggiunto un certo numero di clic in un determinato momento della giornata. • Aumento del budget per campagne con un buon tasso di conversione.

• Aumento delle offerte per le dimensioni che ottengono buoni risultati.

Attenzione alle regole giornaliere che aumentano o diminuiscono le offerte Le regole per le offerte giornaliere applicabili a tutto l’account devono essere impostate con particolare attenzione. Se configurate una regola in modo che venga eseguita quotidianamente, di solito è consigliabile utilizzare i dati del “Giorno precedente”. Apportate modifiche di lieve entità alle offerte (per

esempio, aumenti o riduzioni del 5%) e osservate attentamente il rendimento nel corso del tempo prima di prendere in considerazione l’impostazione di modifiche più importanti (Figura 6.14).

Multichannel attribution Nell’analisi delle campagne pubblicitarie mirata a verificare le performance e i risultati legati al numero di conversioni, troppo spesso l’attenzione si concentra su queste ultime, attribuendole alla più recente campagna pubblicitaria. Si tratta, in questo caso, di un’attribuzione last win.

Figura 6.14 – Nella schermata si vede come è possibile creare delle automazioni su parole chiave in funzione di comportamenti. Per fare un esempio, pensiamo a un visitatore che viene a conoscenza del

sito di una società di assicurazioni attraverso una campagna in Display advertising pubblicata su un portale. Quando l’utente fa clic sul banner e visita il sito web della società di assicurazioni riceve un cookie che al suo interno ha l’informazione relativa a come sia arrivato su quelle pagine. L’utente continua la sua navigazione ma non converte, cioè non esegue l’azione importante che ci si era prefissi di fargli compiere. Tuttavia, trovando il sito interessante, s’iscrive alla newsletter. Può succedere che, dopo qualche giorno, per esempio in seguito all’invio di una newsletter informativa, l’utente venga stimolato nuovamente grazie a un

contenuto su uno specifico argomento o un’offerta commerciale e decida di tornare sul sito web seguendo il link proposto in questa nuova occasione per approfondire: ma anche questa volta non converte, sebbene metta il sito tra i preferiti del proprio browser. In seguito, dopo aver pensato all’offerta proposta, forse potrebbe decidere di tornare nuovamente in modo diretto, usando il link dei preferiti e portando a termine l’operazione richiesta. A questo punto, a un’analisi poco attenta, la conversione potrebbe essere considerata proveniente da un accesso diretto. Si presenta, infatti, una situazione di questo tipo:

display advertising → email marketing → accesso diretto. Se questa conversione fosse analizzata secondo il criterio last win, sarebbe da imputare a un accesso diretto, anche se l’utente ha conosciuto il sito web grazie a un’attività di Display advertising, rafforzata da una successiva attività di Email marketing e, solo alla fine del suo percorso, ha convertito attraverso l’accesso diretto. Un’analisi attenta deve quindi essere legata alla valutazione di tutte le dinamiche e le combinazioni possibili tra le attività nelle campagne in corso, in modo da ottenere un report dal quale si

evincono le varie combinazioni vincenti che producono conversioni.

CAPITOLO 7

EMAIL MARKETING Praticamente tutte le aziende, da sempre, hanno investito nella pubblicità via email, e ancora oggi questo sistema sembra funzionare bene. Ma il mondo cambia e le caselle di posta elettronica sono sempre più sature di messaggi. Inoltre, ogni marketer deve tenere conto che ogni dispositivo visualizza i messaggi in modo diverso l’uno dall’altro, che deve spedirne sempre più

frequentemente e far sì che appaiano in modo sempre più chiaro nella casella del potenziale acquirente. In realtà, gran parte dell’attuale Email marketing è fatto male, i messaggi non sono mirati e vengono inviati ai destinatari sbagliati, sono mal formattati e non ottimizzati per i diversi dispositivi. Ecco perché questo strumento non ottiene più i risultati attesi. Tuttavia, come vedremo più avanti, il vero problema è nell’integrazione con altri strumenti e, senza questa, l’Email marketing resta una tecnica dalle potenzialità limitate, che produce un eccesso di lavoro amministrativo per il team di marketing, costretto a collegare

processi e consolidare relazioni manualmente. Tutto ciò comporta enormi costi di creazione dei flussi e scarso ROI. La risposta è nel coordinare le soluzioni email con altri strumenti, costruendo relazioni e coinvolgendo gli acquirenti nel trovare e soddisfare le loro preferenze nei momenti a loro più idonei. Ecco dove la Marketing automation entra in azione.

Metriche Rispetto ad altre attività di Web marketing, l’Email marketing ha un importante vantaggio a livello di

reportistica e tracciabilità. Infatti, dopo l’invio di un’email è possibile associare, in modo abbastanza preciso, l’attività svolta (aperture, clic ecc.) dal singolo utente. In alcune piattaforme, al singolo indirizzo email sono associate diverse informazioni, come per esempio i dati anagrafici, e quindi ogni utente è individuabile in modo preciso. Tendenzialmente, i dati rilevabili dopo un invio di una campagna di Direct emailing (DEM) o di una newsletter sono i seguenti: email inviate; email recapitate; email errate (casella piena, errore DNS);

lettori unici (utenti che hanno letto almeno una volta il messaggio); aperture (quante volte il messaggio è stato aperto); email inoltrate; utenti che hanno visitato ogni singolo link presente; clic totali; utenti che si sono cancellati. Da questi indicatori si traggono almeno due metriche fondamentali: il tasso di apertura e il tasso di clic.

Open Rate Una

metrica

molto

utilizzata

dai

marketer per misurare il successo delle proprie campagne è il tasso di apertura. Tuttavia è un indicatore inaffidabile per parecchie ragioni che andremo a illustrare. Iniziamo subito con la prima: un’email viene considerata “aperta” solo se il destinatario riceve anche le immagini embedded (incorporate) in essa, e probabilmente un’alta percentuale di destinatari ha attivato il blocco delle immagini nel proprio client di posta elettronica. Ciò vuol dire che se anche venissero lette, queste email non verrebbero conteggiate nel vostro “tasso di apertura”. A parte il fatto che possono essere sottovalutati, gli open rate possono

inoltre subire delle manipolazioni, se le email vengono scritte in maniera accattivante, persino se si usano nell’oggetto dei titoli sensazionali, che inducono ad aprire un messaggio. Per tutti questi motivi è meglio focalizzare la nostra attenzione sul CTR (Percentuale dei clic), che ci fornisce una migliore misurazione che l’invio ha sortito un qualche successo. A ogni modo, il tasso di apertura (in inglese Open Rate — OR) può essere calcolato con questa formula: OR = (lettori unici/email inviate) × 100 oppure, se si desidera un calcolo più accurato:

OR = (lettori unici/email recapitate) × 100 Il secondo metodo di calcolo è sicuramente più corretto, in quanto viene calcolato sul numero effettivo di email recapitate. Infatti, quelle inviate potrebbero non aver raggiunto i destinatari, perché l’indirizzo non è più attivo o è sbagliato oppure c’è un temporaneo down del server di posta del ricevente. Analizzando le risposte dei server di posta sarebbe conveniente rimuovere tutti quegli indirizzi email ai quali non è stato possibile recapitare il messaggio. In questo modo, la nostra lista sarà più precisa, accurata e utile.

Click Through Il tasso di clic (in inglese Click Through Rate, CTR) viene calcolato con una formula simile alla metrica vista prima: CTR = (utenti unici che hanno fatto clic/email inviate) × 100 oppure: CTR = (utenti unici che hanno fatto clic/email recapitate) × 100 Anche in questo caso, il secondo metodo di calcolo è quello più corretto e più utile alla misurazione e alla verifica del successo di una campagna, perché

decisamente più accurato e più vicino alla realtà. Monitorare il CTR delle email è uno dei fondamenti dell’analisi dei dati nell’Email marketing, poiché questo parametro indica se il messaggio è stato rilevante e se l’offerta è stata abbastanza allettante da incoraggiare i destinatari all’azione. Ma il CTR può variare molto in funzione del tipo di messaggio inviato. Per esempio, le newsletter via email hanno spesso un CTR più alto dei messaggi promozionali; e i messaggi transazionali – come per esempio le ricevute di un acquisto via email – spesso ottengono il tasso di CTR più alto fra tutti i messaggi aziendali. Per

questa ragione, la cosa migliore è analizzare il CTR in base ai diversi tipi di email inviate.

Bounce Rate Per bounce (rimbalzo) si intende la percentuale di email che non è stato possibile consegnare alla casella di posta dei destinatari, sul totale di quelle inviate. Usate questa metrica per scoprire gli eventuali problemi presenti nella vostra mailing list. Ci sono due tipi di bounce ai quali dovete prestare attenzione: quelli di tipo hard (gravi, permanenti) e quelli soft. I secondi solitamente sono dovuti a un problema temporaneo su un indirizzo

email valido, per esempio la casella di posta è piena o il server di posta destinatario ha un problema momentaneo. In quest’ultimo caso, però, può capitare che il server trattenga il messaggio per qualche giorno fino alla risoluzione del problema. Al contrario, con i bounce hard la consegna non andrà mai a buon fine perché, per esempio, l’indirizzo di email non è valido oppure è stato chiuso o, ancora, è inesistente.

Delivery Rate Con l’espressione Delivery Rate si intende la percentuale di email che vengono effettivamente consegnate alla

casella di posta dei destinatari. Viene calcolata sottraendo i bounce hard e quelli soft dal totale delle email inviate e dividendo quest’ultimo dato per il numero ottenuto. Il tasso di consegna indica il livello di successo o di insuccesso di una email. Una campagna di Email marketing che tende ad avere un buon risultato deve mirare a raggiungere un tasso di consegna pari al 95% o più. Se il tasso di consegna tende a ridursi di volta in volta, può darsi che abbiate problemi con la vostra lista (per esempio, troppi indirizzi non validi). Se invece è una campagna in particolare che segna un tasso di consegna inferiore a quello medio, analizzate il titolo in

oggetto e il contenuto del messaggio. Forse conteneva qualche elemento che è stato marcato come spam dai firewall (sistemi di protezione) dei principali ISP (provider dei servizi internet), il che ha comportato il blocco di un numero maggiore del solito di messaggi inviati. Ecco, quindi, un altro elemento molto importante nelle campagne di Email marketing: la reputazione del sender. Molto spesso, questo è un elemento sottovalutato rispetto al contenuto stesso dell’email, il “valore di deliverability” è fondamentale e permette di far arrivare un’email direttamente alla casella di posta elettronica dell’utente registrato.

List Growth Rate Si tratta della misurazione della velocità di crescita della vostra lista. Calcolate il vostro tasso di crescita sottraendo gli opt-out (opzione di cancellazione da una lista) e i bounce hard (i rimbalzi permanenti) dal numero dei nuovi abbonati alla mailing iscritti in un dato mese. Poi dividete quel numero per il numero originale della lista. Il tasso di crescita di una mailing list è importante perché un “sano” programma di Email marketing dev’essere “rinfrescato” continuamente con nuovi nominativi. È normale che molti degli indirizzi nella vostra mailing list “vadano a male” nel tempo, dal

momento che le persone possono cambiare lavoro, cambiare ISP o programmi di posta elettronica o, semplicemente, dimenticare la propria password e creare nuovi account. Secondo MarketingSherpa, una delle fonti più attendibili per il marketing, il churn rate (tasso di abbandono) naturale di una mailing list può raggiungere o superare la quota del 25% l’anno. Questo è il motivo per cui dovete lavorare in continuazione per aggiungere nuovi contatti al vostro database degli indirizzi email.

Email Sharing L’email sharing misura la percentuale

dei destinatari che hanno cliccato sul tasto “condividi” per postare il contenuto dell’email in un social network o che hanno cliccato sul tasto “dillo a un amico”. I tassi di sharing (condivisione) sono un altro indicatore della validità e della rilevanza dei messaggi. Un’email offre la possibilità che un messaggio venga condiviso e inoltrato al di fuori della propria lista aziendale, finendo con il diventare la miglior campagna di marketing, ampliando considerevolmente il raggio d’azione del messaggio e approfittando della natura virale dei social network frequentati dagli abbonati.

Osservate attentamente i vostri tassi di condivisione per scoprire, perlopiù, che tipi di articoli e di offerte tendono a essere condivisi. Usate queste informazioni quando pianificate le future campagne di marketing.

Integrare il sistema email con altri sistemi di dati L’email marketing è un potente canale commerciale, ma impone la necessità di fare molta attenzione ad alcuni punti importanti, fra i quali:

integrare il sistema email con altri sistemi di dati; migliorare il tasso di consegna; conservare e incrementare il numero degli utenti; realizzare un ROI misurabile; usare le email per l’ottimizzazione il funnel (imbuto). La sfida principale per i marketer è “rivolgersi ai destinatari con un contenuto altamente rilevante”. Sebbene venga espressa in maniera differente, questa sfida si sovrappone sostanzialmente al concetto di “integrare vari sistemi di dati” per realizzare un’efficace segmentazione.

Nello svolgimento del loro lavoro, i marketer incrociano i dati ritenuti più interessanti raccolti attraverso diversi canali: per esempio, valutare le possibili interazioni tra le email e le landing page (pagine di atterraggio) o tracciare il processo di conversione da un’email. I benefici informativi di una tale integrazione sono ovvi. Provate a pensarci. Per esempio, riuscendo a colmare il divario tra la performance dell’Email marketing e le attività dei social media, si potrebbero ottenere maggiori conversioni e acquisire nuovi clienti. In questo modo vi avvicinereste maggiormente all’ottimizzazione del

vostro funnel (imbuto) delle vendite e potreste trasmettere dei contenuti più piacevoli per la vostra community. Utilizzare e integrare “altri sistemi di dati”, incluse le sottoscrizioni dei form (moduli) e le attività sul sito, significa mettere in rilievo le risorse e orientare le operazioni successive in modo più mirato verso ciò che interessa maggiormente i vostri destinatari, e così continuare a coinvolgerli mediante un’attenta operazione di targeting e una migliore segmentazione.

NON DIMENTICATE LA SEGMENTAZIONE

Combinare fra loro i vari database del

marketing vi consente di effettuare una chiara segmentazione e di rivolgervi ai vostri clienti e potenziali clienti in maniera più mirata, con messaggi email più pertinenti. Una volta entrati in un sistema di marketing integrato, non dimenticate la vostra buyer persona e focalizzatevi sull’opportunità di rivolgervi all’audience giusta con il messaggio giusto.

CREATE CONTENUTO Più le vostre campagne email sono mirate, più avrete bisogno di contenuto. Il segreto per promuovere in un’email del contenuto pertinente consiste nel fornire un’offerta che sia collegata alla

richiesta iniziale. Quale azione hanno svolto i vostri contatti online (ed eventualmente offline) nei confronti del vostro sito web? Offrite loro del contenuto che corrisponde alle loro intenzioni e ai loro bisogni?

Migliorare il tasso di consegna Il tasso di consegna misura la percentuale di email consegnate alla casella di posta dei vostri destinatari sul numero totale dei messaggi inviati. Vi dice quante delle vostre email sono rimbalzate (tornate indietro); un numero

elevato è sicuramente un segno d’inefficienza. Perché i marketer hanno tanta paura dei “tassi di consegna”? Un basso tasso di consegna potrebbe far sì che veniate bloccati dagli ISP (provider dei servizi internet). Se la vostra lista è ricca di email inattive, non potete avere una percezione reale del vostro Complaint Rate, cioè la percentuale dei reclami. Spesso viene preso in considerazione il numero totale dei complaint (reclami) rispetto alla mailing list: gli ISP prendono in considerazione il totale dei complaint rispetto agli utenti con indirizzi email attivi. Può essere che gli ISP classifichino

indirizzi email abbandonati come spam traps (trappole di spam). Ciò significa che, se anche avete acquisito degli indirizzi email in modo legittimo, gli abbandoni potrebbero averli trasformati in spam. A parte tutti i problemi legati agli ISP, un basso tasso di consegna significa anche che state sprecando tempo, mandando messaggi a indirizzi inesistenti.

Tenere pulita la lista Pulite la vostra lista cancellando gli indirizzi non più attivi. Potete individuare questi indirizzi con varie metriche: per esempio, i tassi di apertura (delle email), i clic o l’attività

sul sito web. Se avete problemi con il vostro “tasso di consegna”, può darsi che dobbiate ridefinire la vostra procedura di opt-in (opzione di iscrizione a una lista) per evitare che gli indirizzi email non validi finiscano nella vostra lista. In questo caso potete chiedere agli utenti di inserire due volte la propria email, oppure potete sperimentare il metodo della doppia opt-in. Accertatevi che i vostri destinatari abbiano l’opportunità di aggiornare i propri indirizzi email. Invitateli nei vostri “Preference Center” attraverso ogni email che gli spedite. Questo potrebbe aiutarvi anche a eseguire una

segmentazione e, nel complesso, a ottenere un loro maggiore coinvolgimento.

Conservare e incrementare il numero degli utenti Questo punto è abbastanza ovvio, da una parte si desidera conservare i propri iscritti e dall’altra incrementare e acquisirne di nuovi. A queste sfide normalmente corrispondono due tipi di risposte: Per incrementare il proprio

database di indirizzi email, a volte, i marketer acquistano delle liste. Questa pratica sicuramente vi creerà dei problemi: potrebbe aggiungere alla vostra lista degli indirizzi non validi e, in tal modo, “inquinare” il vostro intero database. Anche nel caso in cui gli indirizzi acquistati siano validi, è probabile che i nuovi destinatari non siano affatto interessati al vostro contenuto e scelgano di cancellarsi o di disinteressarsi completamente alle vostre email. Naturalmente, entrambe le alternative non sono

auspicabili. Per conservare gli utenti, molte società spediscono un numero inferiore di email, pensando che la frequenza della comunicazione possa in qualche modo influire sul relativo coinvolgimento. Si presume che la rarità delle comunicazioni possa evidenziare che esse sono particolarmente speciali, non è così? Sbagliato! La frequenza della mailing, come stabilito nella ricerca “Science of Email Marketing”, non provoca necessariamente un impatto negativo sul mantenimento degli

utenti. Chiarite quali value proposition (proposta di valore) offrite nell’opt-in della mailing list. Non acquistate delle liste di email ma guadagnatevi i vostri utenti! Siate chiari nei confronti del vostro target di mercato riguardo a ciò che i vostri utenti otterranno iscrivendosi alla mailing list. Fornite loro una descrizione chiara della vostra value proposition (proposta di valore). Per esempio, le vostre email offriranno: 1.

consigli e strumenti per far funzionare il business in maniera più efficiente;

aggiornamenti sui prodotti della vostra società; 3. offerte speciali via email. 2.

La vostra audience vorrà sapere “perché” conviene iscriversi, prima di decidere di riempire la propria casella di posta con altre email.

SEGMENTATE LE LISTE IN BASE ALLE VOSTRE PRIORITÀ

Siete preoccupati di inviare le email troppo spesso ai vostri utenti? Abbandonate questo dubbio e chiedetevi, invece, se vi state rivolgendo alle persone giuste con il messaggio giusto. Per conservare i

destinatari delle vostre email, dovete fornire loro con continuità un valore, che corrisponda alle loro necessità. Accertatevi di segmentare in base alla vostra effettiva conoscenza dei destinatari.

OTTIMIZZATE E TESTATE Non limitatevi a testare le vostre email in base ai titoli indicati nell’“oggetto” (subject lines). Per ottimizzare le performance, testate vari elementi della vostra attività di Email marketing. Più avanti, vedremo dei test che permettono di comprendere le giuste dinamiche di cui necessitano gli iscritti.

Realizzare un ROI misurabile Realizzare un ROI (Return On Investment, cioè il rendimento rispetto al capitale investito) realmente misurabile rappresenta un’altra importante sfida che i professionisti del marketing devono affrontare nel mondo dell’Email marketing. In altre parole, è abbastanza difficile stabilire il collegamento esistente fra i messaggi inviati ai potenziali clienti e il momento in cui questi si sentono maggiormente coinvolti e diventano dei veri clienti. È interessante osservare che questo

problema è strettamente legato all’integrazione tra i vari sistemi e i diversi dati. Quando i vostri canali del marketing non comunicano fra loro è difficile capire come influiscano sulle conversioni. Per esempio, potrebbe capitarvi che la vostra attività di Email marketing segni un tasso CTR (ClickThrough Rate, cioè la percentuale di clic) pari al 3,4%, ma sareste in grado di stabilire se la relativa comunicazione abbia contribuito a generare nuovi lead? E, quel che più conta, riuscireste a capire se è sfociata nella creazione di nuovi clienti?

Chiudete il ciclo del

marketing La soluzione che permette di misurare il ROI delle campagne di email marketing consiste nel mettere in pratica il cosiddetto closed-loop marketing (marketing a ciclo chiuso). In tal modo seguite un contatto dalla sua prima visita al vostro sito web, attraverso il suo coinvolgimento successivo (visita di altre pagine web, download delle fonti, clic d’apertura delle vostre email), sino alla trasformazione finale in cliente. Implementare il closed-loop marketing consente quindi la possibilità di tracciare il percorso dei lead dal canale di provenienza, passando attraverso una prima conversione, lungo tutto il tragitto,

fino al momento in cui i contatti diventano clienti. D’altro canto, tale conoscenza vi permette di individuare i canali di marketing più potenti e di assegnare a ciascuno di essi un valore preciso. In questo modo, non solo potrete misurare il ROI delle vostre email ma anche di tutte le altre vostre attività, che includono, per esempio, i social media e i blog.

Usare le email per l’ottimizzazione del funnel

Le campagne email dovrebbero costituire solo una parte del vostro approccio olistico verso il marketing. Le email non possono essere davvero fruttuose se sono un’iniziativa a se stante; possono invece potenziare tutte le vostre altre iniziative. Il vero potere deriva dal saper realizzare un mix efficace fra gli strumenti di marketing. Ciò rappresenta una vera sfida per i marketer. Come fare, allora, per ottimizzare le vendite e il funnel del marketing attraverso le campagne email? La maggior parte dei professionisti del marketing è abituata ad affidarsi a campagne email come si realizzavano una volta, cioè non necessariamente

legate alle azioni degli iscritti, ai loro interessi o ai loro bisogni. Tale consuetudine non aiuta a spingere i lead nel funnel ma, al contrario, rischia di allontanarli.

Tipi di Email marketing Newsletter Molte aziende investono nella creazione di un proprio database, che permette di richiamare i dati dei propri iscritti alla newsletter e, in questo modo, poter inviare loro costantemente gli

aggiornamenti. Per fare tutto questo, possiamo attivare numerosi automatismi. Sebbene la newsletter non sia una tecnica usata con costanza e con cadenza regolare in Italia, vedremo più avanti che è invece uno strumento molto importante. È facile capire che se l’utente interessato trova all’interno della newsletter un link che conduce al mio sito e qui ritrova i contenuti correlati, tenderà a tornarci, generando in questo modo maggior traffico sul sito stesso. La newsletter non deve essere vista solo come un’attività per informare delle novità, ma come vero e proprio strumento di comunicazione con gli

iscritti, che potrebbero trovarsi in differenti stadi del loro Customer journey. Quindi, per ingaggiarli nel migliore dei modi, dovrò produrre una comunicazione indirizzata e adeguata allo stadio nel quale il destinatario si trova. In questa sezione forniremo delle linee guida generali per usare le newsletter come elemento base di un programma di Email marketing.

FISSATE IL VOSTRO OBIETTIVO Prima di scendere nei dettagli essenziali relativi alla preparazione di newsletter via email, dovete fissare il vostro obiettivo. Che cos’è che volete ottenere

mediante la vostra newsletter via email? Può darsi che vogliate “nutrire” i vostri contatti già esistenti e diventare il primo brand a cui questi ultimi pensano quando hanno bisogno di un prodotto o di un servizio che riguarda il vostro settore. Oppure il vostro obiettivo potrebbe essere quello di aumentare il tasso di condivisione, per attrarre nuove persone nella vostra lista. Quando avrete definito il vostro obiettivo, pensate a quale metrica usare per monitorare i progressi che andrete a compiere.

CONSAPEVOLEZZA DEL MARCHIO In maniera simile a quanto avviene con i

giornali, le newsletter creano una certa aspettativa nei lettori. Che si tratti di una newsletter quotidiana o di una comunicazione che avviene ogni fine settimana, si creerà l’abitudine a riceverla. Se piace il suo contenuto, probabilmente gli utenti resteranno abbonati e aspetteranno volentieri di ricevere l’invio successivo. Creando un’abitudine, li metterete nella condizione di riconoscere il vostro brand e di associarlo a una sensazione positiva.

CONTENUTO RIUTILIZZATO In genere, le newsletter contengono informazioni già pubblicate. Molte

società realizzano brevi sommari dei post più popolari sui propri blog e poi creano dei link per permettere di accedere a questi articoli dalla loro newsletter. In tal modo portano gli abbonati alla pagina web della propria società e li coinvolgono con ulteriori contenuti riguardante la società stessa.

CONTENUTI DIVERSI Le newsletter via email danno la possibilità di contemplare diversi tipi di contenuto che potrebbero essere importanti per la vostra società. Per esempio, la stessa newsletter può contenere un post popolare di un blog, una nuova offerta, l’annuncio di un

evento imminente, informazioni inerenti a uno sconto e il link a un sondaggio. Le newsletter sono importanti non solo per fare marketing con i prospect (potenziali clienti) ma anche per “nutrire” i clienti già esistenti attraverso notizie sulla società, eventi, annunci relativi a determinati prodotti e richieste di un feedback. Un tale flusso continuo di comunicazioni vi aiuterà a mantenere alto il grado di soddisfazione dei clienti e a raccogliere utili insight (informazioni intuitive/comprensioni) sul loro conto. Quali sono le notizie su cui cliccano più frequentemente? Potete vendere loro un prodotto di valore superiore? Non dimenticate che la

vostra clientela di base potrebbe diffondere notizie riguardo alla vostra società e condividere le informazioni che pubblicate attraverso il proprio network.

Email digest Analogamente a quanto avviene per le newsletter, le email in modalità digest forniscono riassunti di informazioni esistenti e offrono una panoramica di un periodo specifico, per esempio una settimana o un mese. Generalmente, le email digest illustrano i contenuti più popolari verso i quali graviteranno anche i nuovi lettori. Per esempio, potete ricevere un digest dei principali

libri da leggere e dei top film da vedere. Dovrebbe essere più semplice avvalersi dei digest che non delle newsletter, perché in genere essi consistono in liste e in link. Questo è utile agli abbonati, che scorrono l’email velocemente e cliccano sulle parti alle quali sono maggiormente interessati. Molto probabilmente gli obiettivi dei digest e delle newsletter si sovrapporranno. Ricordatevi di posizionare in alto le Call To Action più importanti e di misurare il tasso click through e quello delle conversioni. Se il vostro obiettivo è di indirizzare il traffico verso pagine specifiche, monitorate attentamente il

relativo tasso CTR (la percentuale dei clic) e non dimenticatevi di ottimizzare le pagine alle quali state indirizzando i visitatori. Il design di un digest può essere molto più semplice rispetto a quello delle newsletter. Naturalmente potrete creare differenti versioni e testare quale di esse riceve maggior riscontro da parte degli abbonati. Come per le newsletter, e in base agli obiettivi prefissati, si possono inviare email digest a diversi target di audience. Un’opzione di digest molto popolare è il blog digest, che raccoglie notifiche relative agli articoli pubblicati nell’arco di un determinato periodo di tempo e

che realizza una email con vari link.

Email dedicate Le email dedicate, anche note come email autonome, contengono informazioni relative a un’unica offerta. Per esempio, potete segnalare alla vostra audience target un nuovo documento che avete realizzato oppure divulgare l’invito a un evento che state organizzando. Le email dedicate vi aiutano a creare il contesto per presentare la vostra Call To Action principale. In genere, gli invii dedicati vengono usati per contattare l’intero database delle vostre email. Questa è una pratica

non del tutto efficiente nell’intento di ottimizzare le conversioni e di ridurre il numero di cancellazioni da parte degli abbonati. Mentre ci sono delle situazioni in cui dovrebbero essere informati tutti gli abbonati di una specifica campagna di marketing, come per esempio una nuova offerta e un evento imminente, nella maggior parte dei casi dovreste segmentare drasticamente, in base ai diversi comportamenti degli abbonati e ai loro interessi.

CALL TO ACTION FOCALIZZATA Diversamente da come accade per le newsletter, gli invii dedicati sono in

grado di focalizzare l’attenzione su argomenti davvero utili per promuovere una singola Call To Action. Se già usate un template delle vostre email, realizzare degli invii dedicati dovrebbe essere una cosa semplice. Probabilmente prenderete delle informazioni che già si trovano sulle landing page, farete un paio di modifiche e impiegherete la maggior parte del vostro tempo a confezionare il titolo da far apparire nell’oggetto. Al contrario delle newsletter, le email dedicate non hanno bisogno di includere molti elementi grafici per separare i diversi blocchi di testo e conferire diverse priorità alle informazioni. Qui l’intera

email ruota messaggio.

intorno

a

un

unico

FACILE DA MISURARE Naturalmente, se nel vostro invio dedicato avete un solo messaggio principale e una Call To Action, sarà facile tracciare i progressi che otterrete. Potrete verificare velocemente il tasso CTR (percentuale dei clic), le visualizzazioni delle landing page e le conversioni, e anche seguire il ROI a lungo termine.

Email sponsorizzate L’email può essere utilizzata sia per

costruire una relazione e fidelizzare il cliente sia come marketing diretto (Direct marketing), inoltrando comunicazioni od offerte commerciali. In senso lato, qualunque email inviata a un lead, a un prospect o a un cliente, può essere considerata come un’azione di Email marketing. Di solito, il termine indica un invio di email per i seguenti scopi: comunicare informazioni; migliorare la qualità del rapporto tra azienda e clienti; fidelizzare i clienti; acquisire nuovi clienti; indurre il destinatario del messaggio a compiere un’azione

desiderata (iscrizione a un form di contatto, richiesta di ulteriori informazioni, inoltro di un ordine, acquisto di un prodotto/servizio, risposta a un questionario ecc.). Come abbiamo visto, quando parliamo di Email marketing, ci riferiamo all’instaurazione di una comunicazione con i propri iscritti alla lista. Ciò che molti creatori di business online si chiedono appena comprendono le grandi potenzialità di questo strumento è come poter incrementare il numero di iscritti. Affronteremo diffusamente questo tema più avanti. Abbiamo già visto che, per esempio,

nel caso in cui abbiamo la necessità immediata nel breve termine di realizzare un mailing mirato, posso acquistare dei database proprietari di email da altre aziende presenti sul mercato, che hanno la possibilità di fare invii pubblicitari per conto terzi a tutti coloro che hanno dato il loro consenso in fase di iscrizione. In questo modo è possibile fare un invio pubblicitario con il proprio messaggio su database selezionabili in base a diversi fattori, che possono essere demografici o comportamentali. Nel caso di dati demografici, solitamente, è possibile acquistare database selezionati in base ai seguenti

criteri: sesso; età; posizione geografica; reddito annuale; posizione lavorativa. Alcuni altri campi, definiti comportamentali, possono essere acquisiti dal creatore della lista, in quanto vengono semplicemente richiesti in fase di registrazione oppure perché sono ricavati dai seguenti comportamenti: interessi; status.

Una volta contrattualizzato l’invio con il publisher, sarà possibile ricevere direttamente del traffico di visitatori che abbiamo selezionato in precedenza e che, se troveranno interessante quanto proposto, potremmo fidelizzare in qualche modo. L’elemento strategico a proposito di email sponsorizzate è quello di scegliere bene il publisher. Accertatevi che sia un partner affidabile e che abbia una lista di iscritti regolare, con tutte le attenzioni inerenti la privacy. Vi daremo maggiori approfondimenti su questi argomenti nell’appendice legale.

TARGET MOLTO NETTO

Il vantaggio maggiore delle email sponsorizzate consiste nella possibilità di essere specifici nel definire il segmento a cui rivolgersi. Siate dettagliati nell’identificare le diverse caratteristiche della vostra audience: per esempio, posizione geografica, interessi dei lettori e relative ambizioni.

ROI ESATTO L’investimento nelle email sponsorizzate corrisponde a un importo molto preciso: infatti, sapete con precisione quanto state pagando al vendor. Ora dovete solo tracciare i risultati ottenuti (visite, lead, vendite) per determinare quale sia il vostro ritorno rispetto ai costi sostenuti.

Conoscere esattamente il ROI vi aiuterà a rispettare il vostro budget e a preparare a fine trimestre dei report accurati sull’attività di marketing.

Email transazionali Le email transazionali sono dei messaggi che vengono generati attraverso trigger (avviati automaticamente) da un’azione specifica intrapresa dai vostri contatti; queste email consentono loro di completare tale azione. Per esempio, se alcuni utenti si iscrivono a un webinar (seminario via web), devono compilare un form (modulo) e quindi ricevono un’email (di ringraziamento) transazionale, che

fornisce informazioni sul log-in per accedere. Se usate un doppio sistema di opt-in, i lettori riceveranno un’email che chiede loro di cliccare su un link per confermare la propria registrazione. Sono transazionali anche le email che ricevete dai siti di commercio online, come per esempio Amazon, che confermano l’ordine e danno informazioni sulla spedizione e altri dettagli. Il vantaggio è dato dal fatto che i destinatari si aspettano le email transazionali perché servono a completare un’azione. Per questo motivo le aprono e ci cliccano sopra. Traete vantaggio da questa dinamica e inserite

una Call To Action altamente personalizzata, per sfruttare appieno il fatto che l’abbonato è fresco e coinvolto attivamente dalla vostra comunicazione. Una ricerca di Jupiter Research ha evidenziato che il contenuto di marketing nei messaggi transazionali ha contribuito ad aumentare sensibilmente entrate e riconoscimento del brand.

Email automatiche Con questo paragrafo iniziamo a entrare proprio nell’argomento che affronteremo più in dettaglio nei prossimi capitoli, cioè come utilizzare al meglio le funzioni offerte dall’Email marketing per innescare dei meccanismi di

automazione che ci consentano di raggiungere i nostri obiettivi di marketing. Possiamo automatizzare tutto ciò che desideriamo, a patto che, come abbiamo visto in questo capitolo, siamo in possesso di tutti i dati e delle informazioni ma, soprattutto, siamo nelle condizioni di poter utilizzare in modo corretto il nostro database di contatti. Le email automatiche dovrebbero fornire informazioni ai vostri clienti solo quando loro ne hanno bisogno. Per esempio, il sistema può inviare una serie di email per introdurre l’azienda ai vostri nuovi clienti, oppure fornire consigli su nuovi prodotti in base a ciò

che i clienti hanno acquistato in passato, o magari su ciò che desiderano i vostri abbonati o, ancora, per inviare gli auguri di buon compleanno. Per rendere realizzabili queste operazioni si devono automatizzare i cosiddetti workflow, cioè i flussi di lavoro che definiscono la strategia su una mappa che descrive ogni singolo passaggio. Per esempio, se voglio inviare una email di auguri ai miei iscritti, non farò altro che definire un workflow specifico.

Trigger Il trigger è una procedura che viene

eseguita in maniera automatica, in coincidenza di un determinato evento, come per esempio la cancellazione di un iscritto dal database, oppure di un determinato giorno o, ancora, un determinato comportamento. Nell’esempio del compleanno, un trigger attiverà il workflow specifico dopo aver verificato che in quel giorno un tot di iscritti festeggiano il compleanno, quindi invierà un’email di auguri predefinita. La maggior parte dei flussi di lavoro sono basati su trigger di azione, che possono essere anche temporali e legati a un certo percorso. Come si vede nella Figura 7.1, un esempio di automazione può essere

legato a un percorso attraverso il quale chi si iscrive a una newsletter riceverà ogni settimana un ricetta secondo un programma ben definito.

Figura 7.1 – Un esempio di newsletter con ricezione settimanale di differenti email. Restando al nostro esempio, è fondamentale utilizzare uno strumento automatico che ogni giorno controlla il numero di iscritti e a che settimana si trovano e, quindi, invia loro l’email con la ricetta corrispondente. Per rendere efficace tutto ciò, si procederà a creare un workflow ben definito, nel quale saranno inserite le varie tipologie di email (in questo caso le differenti ricette), programmate con una periodicità di sette giorni l’una

dall’altra. In questo modo, il workflow di ogni utente registrato segue un percorso differente. Per esempio, il programma d’invio ricette potrebbe anche essere pronto già da un anno ma se io mi iscrivo solo al quinto mese, riceverò l’email con la mia prima ricetta e partirò da qui e da questo momento con il mio percorso. Quindi, il trigger ogni giorno si attiva verificando quanti oggi devono ricevere le ricette in base alla registrazione e alla cadenza settimanale, e subito dopo procederà a inviare le email corrispondenti (Figura 7.2).

Figura 7.2 – Nell’immagine si vede come è possibile automatizzare un flusso di email ogni sette giorni.

Campagne automatizzate Di solito i workflow operano sulla logica condizionale: se accade A, allora ne consegue B. Ciò significa che quando si sta impostando il flusso di lavoro si stanno creando le condizioni specifiche perché vengano inviate le email. Nel fare questo, bisogna impostare numerosi trigger per dare luogo alle condizioni

necessarie alla vostra lista. Un flusso di lavoro automatizzato è ben utilizzato quando disponete dei contenuti che desiderate inviare ai vostri iscritti in un momento specifico. Questi sono gli scenari comuni più utilizzati: Quando un visitatore si iscrive al vostro sito. Un workflow che prevede un programma di presentazione dell’azienda per i nuovi iscritti può essere composto di una singola email – o più d’una – che aiuti gli iscritti a conoscere meglio servizi e prodotti. Potete scrivere loro anche che cosa

possono aspettarsi in futuro nella newsletter (per esempio, l’invio di un coupon speciale) o dare loro consigli su come possono approfittare di tutto ciò che potete offrire. Quando si dispone di una serie di email. Potreste avere contenuti formativi, come un corso online, che deve essere inviato su base regolare lungo un arco di tempo. Potete inviare le informazioni in una serie di passaggi con cadenza giornaliera, settimanale o mensile. Quando è necessario inviare

una email una volta l’anno. Potrebbe essere per il compleanno di un abbonato o di un suo anniversario. Sull’attività sul sito web. Quando un utente accede a uno specifico link sul vostro sito da una newsletter, è possibile inviargli automaticamente le informazioni di follow-up per aiutarlo a convertire. Ciò può essere utilizzato non soltanto per aiutare gli utenti a prendere una decisione di acquisto ma, magari, anche per inviare un sondaggio con domande sulla loro esperienza sul sito web.

Quando desiderate ringraziare i vostri migliori clienti. I clienti che acquistano da voi su base regolare sono importanti per la vostra attività: fateglielo sapere. Inviare un semplice grazie va in un’ottica di attenzione verso i clienti. Per esempio, si possono invitare a uno speciale programma VIP oppure offrire loro uno sconto. Follow-up dopo un acquisto. Potete inviare delle raccomandazioni aggiuntive sul prodotto o consigli per la sua cura e manutenzione, sulla base di ciò che anche altri clienti

hanno acquistato. Quando si desidera ottenere un feedback. Potete usare un sondaggio per far sentire i clienti apprezzati e ricevere importanti feedback sulla loro esperienza di acquisto sul vostro sito. Vedremo nel corso dei prossimi capitoli tutte le possibili automazioni che si possono realizzare sfruttando il sistema dell’Email marketing

Trend Email marketing

Come abbiamo visto in questo capitolo, l’email non sta scomparendo come molti pensavano, e le proiezioni per il 20152016 lo dimostrano. Nel dicembre 2014 sono stati intervistati alcuni dirigenti aziendali in tutto il mondo e l’Email marketing si è posizionato al primo posto come programma sul quale aumentare la spesa per il 2015 (Figura 7.3). Tuttavia, il mezzo deve evolvere per rimanere rilevante e performante e le risposte raccolte indicano che si deve offrire un servizio su misura del consumatore finale, invece di continuare a inviare comunicazioni massive che non fanno altro che far diminuire

progressivamente l’Open Rate delle email. Come si può vedere nella ricerca, le attività di triggered e lifecycle sono i primi due punti su cui le aziende sono determinate ad aumentare la spesa per l’Email marketing, rispettivamente per il 42,2% e per il 41,4%. Questo nuovo tipo di marketing ha un grande valore perché i messaggi sono mirati e personalizzati, fattori chiave per soddisfare le esigenze dei consumatori. Ma, mentre le campagne di email su misura non sono un concetto nuovo, migliorando la personalizzazione, il targeting giocherà un ruolo importante il prossimo anno, aiutando a ottenere un

migliore ritorno sugli investimenti (ROI). Ma quello che farà la differenza e permetterà di ottenere questi risultati è il fatto di riuscire ad automatizzare i processi, al fine di offrire un’esperienza unica, personalizzata e ricca di contenuti per il destinatario del messaggio e la possibilità oggettiva di realizzare questa attività da parte di chi opera nel marketing.

Figura 7.3 – Gli investimenti previsti per il 2015 sull’Email marketing. Grazie alle piattaforme di Marketing

automation, sarà possibile automatizzare questi processi e seguire il ritorno in termini di performance. In un prossimo futuro, sentiremo parlare in maniera importante dell’utilizzo di queste soluzioni e soprattutto di un nuovo modo di fare Email marketing: non più massivo ma mirato a un contesto personalizzato, protagonista di migliori performance.

CAPITOLO 8

MARKETING AUTOMATION Con questo capitolo entriamo nello specifico su che cosa sia la Marketing automation e come funziona. Partiamo da ciò che accomuna praticamente tutte le aziende, cioè l’obiettivo di conseguire maggiori ricavi e avere una crescita più rapida. Per ottenere questi obiettivi, molte aziende provano a coordinare e portare allo stesso livello personale, processi e

tecnologia. La Marketing automation è quella tecnologia che permette di semplificare, automatizzare e misurare i compiti del marketing e i flussi di lavoro, così da poterne aumentare l’efficienza operativa e accrescere più rapidamente i ricavi.

Che cosa non è la Marketing automation Iniziamo sfatando alcuni miti e chiarendo che cosa non è la Marketing automation.

UN NOME DI FANTASIA PER L’EMAIL

MARKETING

A dispetto di ciò che molti pensano, non è un modo diverso per chiamare le piattaforme di Email marketing. Come vedremo più avanti, ci sono diverse soluzioni di Email marketing che vanno in questa direzione ma la materia è più vasta e complessa.

UN MODO PER INVIARE SPAM Banalmente alcuni credono che sia solo un modo per automatizzare email di spamming. Ma la tecnologia dell’automazione di marketing agisce solo in funzione di come viene utilizzata, così come accade per qualsiasi altro strumento. L’uso con finalità di

marketing negativo e spam non dipende dalla tecnologia in sé ma da chi la usa in questo modo. Noi intendiamo la tecnologia solo nei suoi utilizzi positivi e corretti, quelli che ci aiutano a fare del marketing che coinvolga maggiormente i clienti.

UNA SOLUZIONE CHE APPORTA SOLO BENEFICI AL MARKETING

Sì, è vero, la Marketing automation apporta grandi benefici al marketing. Ma il suo utilizzo genera anche migliori lead, che permettono di aumentare le entrate e, di conseguenza, la Marketing automation aiuta anche il team vendite.

UNA SOLUZIONE CHE OFFRE VALORE SENZA FATICA

Non esiste alcuna tecnologia che, una volta acquistata, funzioni completamente da sola senza il nostro intervento. La Marketing automation non è una panacea a tutti i mali del marketing, ma solo una soluzione che, per funzionare, ha bisogno del nostro supporto, per poter attivare una strategia in modo completo. Bisogna integrare la giusta gestione dei processi, delle persone coinvolte, dei contenuti, dei dati e del prodotto.

Che cos’è la Marketing automation

In breve, con l’espressione Marketing automation definiamo il processo di utilizzo di un’unica piattaforma e di un’unica modalità per il monitoraggio dei KPI, automatizzando tutte le attività di marketing personale e producendo i rapporti a chiusura di un ciclo, migliorando così l’efficacia di tutte le attività di marketing. La Marketing automation si compone di tre parti che devono: comprendere il percorso di un lead, che consiste nel monitoraggio di un lead in tutti i canali di marketing; attuare un processo automatico, che consente di

disporre dei processi automatizzati sia come campagne di marketing sia come cambiamenti interni, sulla base delle azioni tracciate; consentire una reportistica di chiusura del ciclo, per dimostrare il valore del vostro marketing e del risultato di ogni investimento posto in essere. Quando si pensa alla Marketing automation, molte persone possono essere confuse e si chiedono se sia una tecnologia o un nuovo approccio al marketing. In realtà, possiamo dire che sono entrambe le cose. L’Automazione del marketing è tanto un nuovo modo di

approcciare la vendita, al momento ben poco utilizzato dalle aziende, quanto la tecnologia fondamentale per implementare il marketing in un modo nuovo.

Tipologie di automazione È bene capire che, già oggi, molte aziende stanno approcciando la Marketing automation senza esserne consapevoli. Lo stanno facendo senza concentrarsi su una strategia finalizzata all’impostazione di un processo di automazione, automatizzando singoli processi scollegati tra loro. Le soluzioni a disposizione per aiutare ad automatizzare le attività di

marketing sono numerose e dipendono dagli obiettivi che ci si pone: si può adottare un unico strumento da aggiungere ai software e agli strumenti già in uso, oppure si può sostituire l’intera suite con una piattaforma completa di Marketing automation. Facciamo un esempio di come sia possibile attivare singole automazioni, sebbene queste non portino a una soluzione completa di automation: se si fa attività di lead generation attraverso un sito web con un form, oltre a inviare la classica email con i dati dell’utente e le informazioni richieste, potremmo far sì che questi dati vengano contemporaneamente inviati nel nostro

sistema CRM. Tuttavia, in questo esempio, non potremo svolgere delle azioni concrete e utili con i dati ricevuti. L’eliminazione dei task ripetitivi fa certamente parte di un’attività di automazione ma, sebbene risolvano un problema, non rientrano in una strategia a medio/lungo termine. Pensiamo al processo di acquisto nel mondo digitale al giorno d’oggi. Rispetto al passato si è completamente trasformato e, di fatto, è il compratore a controllare tutto il processo. Il compratore svolge delle ricerche sui motori di ricerca, digitando le parole chiave relative al prodotto, oppure risponde a una campagna email o a un

messaggio letto sui social media. Una volta trovate le informazioni, l’acquirente dimostra il suo interesse attraverso l’interazione digitale: s’iscrive a una newsletter o a un webinar, scarica un documento oppure, semplicemente, naviga su un sito web.

La crescita del settore A livello mondiale, nella prima metà del 2014 abbiamo visto che i venture capitalist hanno investito 126 milioni di dollari nella Marketing automation e sono state acquisite aziende del settore per circa 750 milioni di dollari. Il settore della pubblicità – e, più in generale, quello del marketing – ha

subito una profonda trasformazione per decenni. È accaduto ciò che l’economista Joseph Schumpeter chiama “distruzione creativa”: in un libero mercato economico, nel quale prospera l’innovazione, i diversi settori crescono uno dopo l’altro e il mercato si muove in quelle aree geografiche dove c’è la crescita maggiore. La Rivoluzione industriale del XIX secolo ha sviluppato la rete ferroviaria e ne hanno subito beneficiato sia le persone sia i mercati, con la riduzione dei costi di spedizione, la costruzione di nuove industrie e la creazione di nuovi posti di lavoro. Il motore a combustione ha aperto la strada all’automobile

all’inizio del XX secolo, si sono aperte nuove imprese, al punto che nel 1920 si contavano più di 260 costruttori di automobili. Cavalli e muli hanno lasciato il posto ad auto e aerei. Ma tutte queste novità non sono state conquistate senza distruzioni. Oggi la rivoluzione della tecnologia dell’informazione ha avuto effetti profondi praticamente in ogni settore dell’economia ma, ancora, ha avuto un piccolo impatto sul business della pubblicità. Abbiamo già visto come il volume dei contenuti prodotti dagli utenti della Rete sia soggetto a una crescita esponenziale e questo fa sì che crescano allo stesso

modo le interazioni digitali. Il marketing è diventato uno dei settori più interessanti anche a Wall Street, al punto che colossi tecnologici come IBM, Oracle, Microsoft e Adobe hanno deciso di investire in modo consistente nei software di Marketing automation. C’è un altro fatto importante in gioco in questa crescita del marketing: il raggiungimento della maggiore età dei sistemi Software-as-a-Service (SaaS) o cloud computing. A differenza delle precedenti versioni dei sistemi di marketing automatico, le aziende leader di oggi forniscono soluzioni con “Software come un servizio” (SaaS), cioè i responsabili marketing possono

accedere ai loro strumenti attraverso un browser e senza dover ricorrere al supporto IT. Inoltre, queste soluzioni sono vendute con un canone di sottoscrizione e, quindi, sono acquistabili utilizzando i bilanci operativi invece di effettuare investimenti di capitale. Entrambi questi fattori hanno semplificato l’accessibilità ai nuovi prodotti di Marketing Automation sia da un punto di vista operativo sia da un punto di vista amministrativo.

I numeri della Marketing automation

Una delle acquisizioni più importanti nell’ambito della Marketing automation è stata quella di ExactTarget da parte di SalesForce, per 2,5 miliardi di dollari. Un’altra è stata quella di Neolane da parte di Adobe, per 600 milioni di dollari. Ma ci sono stati anche importanti round di finanziamento da parte di venture capitalist e investitori privati su piattaforme meno conosciute ma altrettanto efficaci. Nella Figura 8.1 potete vedere, per esempio, il finanziamento da 23 milioni di dollari ricevuto da Intercome, oppure come Salesfusion abbia ricevuto 8,1 milioni e come Act-On Software, nel suo quarto

round di finanziamento, abbia incassato 42 milioni di dollari. In Italia, investitori e incubatori seguono una logica completamente diversa ma, in ogni caso, anche da noi è chiaro quanto questo mercato sia importante e come si stiano muovendo gli investimenti più importanti.

Figura 8.1 – Si possono osservare gli investimenti da parte di venture capitalist negli ultimi dieci anni. Sul fronte delle acquisizioni, i principali

player che hanno catturato l’attenzione dei leader tecnologici sono Unica, Aprimo ed Eloqua. IBM ha acquisito Unica per 480 milioni di dollari nel 2010; quello stesso anno Teradata ha acquisito Aprimo per 525 milioni di dollari. Nel mese di ottobre del 2012, Microsoft ha acquistato MarketingPilot (l’importo in dollari non è stato comunicato). Oracle ha acquisito Eloqua per 871 milioni dollari nel mese di dicembre del 2012. Nel 2013, Neolane è stata acquisita da Adobe per 600 milioni di dollari (Figura 8.2). Se facciamo la somma di tutti gli investimenti arriviamo a più di 7,5 miliardi di dollari di acquisizioni in

società di Marketing automation. Tornando alla Figura 8.1, si può vedere che non sono solo le piattaforme Enterprise stanno ottenendo l’attenzione di Wall Street e dei venture capitalist. HubSpot, una piattaforma di Marketing automation orientata alle PMI (e focalizzata sul marketing inbound e sulla SEO), ha ricevuto 101 milioni di dollari in finanziamenti di venture dal 2006 e Infusionsoft, sebbene serva un mercato di nicchia (imprese con meno di 25 dipendenti), ha ricevuto 88 milioni di dollari.

Figura 8.2 – Si possono osservare le acquisizioni che sono state fatte in aziende di Marketing automation.

Crossing the chasm Nel suo libro, Crossing the Chasm, Geoffrey A. Moore descrive il ciclo di

vita di adozione o accettazione di un nuovo prodotto tecnologico, secondo le caratteristiche demografiche e psicologiche dei gruppi di adopter (Figura 8.3). Secondo il modello di Moore, il primo gruppo di persone a utilizzare un nuovo prodotto è chiamato “gruppo degli innovatori”, seguito dagli “early adopters”. L’“abisso” è il periodo cruciale durante il quale un prodotto è adottato da tutti o rimane parte di una nicchia di mercato. La “early majority” e la “late majority” adottano quindi il prodotto, seguite dall’ultimo gruppo, noto come “ritardatari”. Se applichiamo questo modello al settore

dell’Automation marketing, risulta evidente che anche se la tecnologia è ancora all’inizio del suo ciclo di vita, l’abisso è stato attraversato, almeno tra le grandi aziende, ma il salto adesso deve essere fatto dalle PMI.

Figura 8.3 – La figura mostra l’adozione della tecnologia di Marketing automation.

La Figura 8.4 mostra che l’automazione del marketing tra le grandi imprese ha attraversato l’abisso e ora ha raggiunto la fase di “early majority”. Al contrario, mentre le imprese di medie dimensioni solo ora stanno attraversando l’abisso, le piccole imprese sono ancora alla fase degli innovatori. Questo fatto spiega il crescente numero di fornitori di automazione di marketing che cercano di prendere piede in questo mercato, così come il consistente capitale di rischio che il settore ha attratto. Ci si aspetta ora un modello di crescita della Marketing automation simile a quello già osservato dall’Email marketing, sebbene con un ritardo di

cinque anni. Io credo che molte delle funzioni per la gestione del flusso di lavoro adottate dalle grandi aziende lo saranno presto anche dalle piccole e medie imprese.

Figura 8.4 – La figura mostra l’adozione della tecnologia di Marketing automation per tipologie di aziende.

Nel corso dei prossimi tre anni, credo che la crescita continuerà a essere guidata principalmente da imprese di medie e grandi dimensioni, seguendo il modello di crescita osservato tra i fornitori di Email marketing.

Allineamento di marketing e vendite Il famoso guru Peter Drucker ha sostenuto per anni che lo scopo del marketing sia quello di rendere superflua la vendita, cioè che si deve arrivare a conoscere il cliente talmente bene che il prodotto si venda da solo.

Dal mio punto di vista questa è un’affermazione molto forte. Abbiamo ancora bisogno di un reparto vendite performante ma la tecnologia di automazione del marketing permette al marketing aziendale di andare in questa direzione. Solitamente, dal punto di vista del conto economico, il marketing ha il compito di trovare lead per le vendite, mentre queste devono costruire il rapporto con il cliente e, infine, chiudere la vendita. Questa visione presenta però due problemi: In primo luogo, dal momento che il marketing ha un ruolo

marginale nella costruzione del rapporto con il cliente, di solito fa un lavoro insufficiente per fornire contatti qualificati. In secondo luogo, l’area vendite deve spendere un bel po’ di tempo per avere informazioni per qualificare i lead, e ne ha quindi molto meno per le attività ad alto valore di comprensione e per rispondere alle esigenze di contatti qualificati. Ne consegue che le vendite lamentano la scarsa qualità dei contatti e il marketing non ha avuto modo, con i propri strumenti, di migliorare la qualità del lead. Come risultato, le vendite e il

marketing spesso hanno un rapporto conflittuale. La Marketing automation ha un grande potenziale per cambiare questa situazione e ripristinare l’armonia tra i due team, affinché possano collaborare per un risultato condiviso e ritornare a essere sulla stessa lunghezza d’onda. Marketing e vendite devono lavorare insieme per definire le regole di assegnazione del punteggio dei contatti, così da assumersi la responsabilità per la qualità di quelli pronti all’acquisto. Con la corretta implementazione di un sistema di automazione, il marketing e le vendite sono parte di un unico processo integrato di acquisizione del cliente.

Quando questo accade, l’azienda ne trae un enorme beneficio.

Il cambio del ruolo del marketing Abbiamo più volte affermato che negli ultimi anni le attività di marketing e il loro ruolo strategico hanno subito continui cambiamenti. Internet, la SEO, l’e-commerce, il blogging, i social media e il Mobile marketing hanno rivoluzionato il modo di promuoversi e hanno richiesto a chi si occupa di marketing di ripensare ogni aspetto del proprio lavoro.

D’altra parte, i dipartimenti di marketing, forti di questi nuovi canali digitali, sono diventati più importanti e rilevanti nella crescita del fatturato e del successo del business globale. Teoricamente, il marketing ha sempre avuto questo ruolo e queste responsabilità, senza avere gli strumenti e le risorse adatte per affrontare la sfida. Le nuove tecnologie di marketing hanno creato nuovi ruoli e ne hanno cambiato alcuni già esistenti. Di conseguenza è necessario che chi si occupa di marketing padroneggi queste nuove tecnologie: oggi è necessario possedere le capacità tecniche ma anche essere in grado di utilizzare gli strumenti

per creare e gestire tutti i processi intorno all’acquisizione di nuovi clienti, dimostrando di avere la capacità di guidare nuove entrate e ottenere un forte ritorno sugli investimenti.

Marketing automation per piccole imprese La Marketing automation può fornire opportunità uniche alle piccole imprese. Nel suo libro best-seller, The E-Myth, Michael E. Gerber sottolinea come la maggior parte delle aziende falliscono perché i fondatori sono degli specialisti che hanno avviato un business senza

sapere come funzionano le imprese di successo. Il “mito” è quello secondo il quale professionisti specializzati in dettagli tecnici di un prodotto o di un servizio siano anche esperti e in grado di svolgere l’attività imprenditoriale. L’avvento della tecnologia per l’automazione del marketing offre alle piccole imprese la possibilità di sviluppare dei processi migliori e misurabili sotto molteplici aspetti: dall’acquisizione di nuovi clienti all’ottimizzazione del proprio budget, fino alla gestione del personale assegnato al mondo digital. I due grandi beneficiari della Marketing automation in azienda sono il

dipartimento marketing e il dipartimento commerciale, anche se molte PMI utilizzano ancora strumenti poco innovativi, soprattutto nel secondo settore, senza riuscire a sfruttare appieno le potenzialità del digitale. Per esempio, grazie a strumenti di Marketing automation, il commerciale sarebbe in grado di vedere tutte le attività e i comportamenti di ogni singolo contatto: visite al sito web, interazione sui social network, apertura di un’email e molto altro. Ne consegue la possibilità di avere un quadro completo che descrive l’utente, grazie al quale il commerciale può: capire quando è il momento più

opportuno per contattare il potenziale cliente: potendo monitorare se le email vengono sempre aperte, può valutare meglio quando e se sia una buona idea contattare la persona e in quale momento della giornata; trovare il pretesto per creare una relazione con il potenziale cliente è il sogno di ogni commerciale e, grazie alla Marketing automation, il venditore, per esempio, potrebbe sapere se il prospect ha visitato la pagina di un prodotto o ha letto un articolo

del blog relativo proprio a quel prodotto. Quindi, sarebbe nelle condizioni di valutare se sia una buona idea chiamare l’utente e proporgli l’offerta più recente; capire il canale di comunicazione preferito dal prospect: non tutti amano essere contattati via email, alcuni preferiscono il telefono (SMS o chiamata). Grazie alla Marketing automation il commerciale può facilmente capire quali sono i canali di comunicazione ai quali il prospect risponde celermente, e adottarli per future

comunicazioni. Uno dei problemi in molte piccole e medie imprese è dato dal fatto che spesso scarseggiano le risorse, sia da un punto di vista economico sia e soprattutto per il personale. Credo che questo secondo punto sia il tema principale con cui ogni azienda si trova a combattere. Infatti, trovare oggi delle figure professionali formate non è per niente semplice e, dall’altra parte, quelle che sono già in organico non hanno il tempo per riuscire a gestire tutte le attività che devono portare avanti. Da quel che vedo, il dilemma che assale molti imprenditori/manager, spesso, è quello di trovarsi nella situazione di

voler investire su una nuova figura. Questo è un investimento che potrebbe creare maggiori opportunità ma, nel caso queste ultime non si presentassero, ci si troverebbe con un budget ridotto e una figura professionale che non avrebbe nulla da fare. Cioè ci si troverebbe nel classico problema “della coperta troppo corta”: ovunque la spostiamo, lascia qualcosa fuori. La Marketing automation può aiutare prima di tutto ottimizzando il lavoro quotidiano di chi è già impiegato e successivamente può mettere le basi per aprire nuovi scenari che, una volta misurati e valutati, potrebbero fornire un interessante ritorno dell’investimento.

Un altro tema importante è quello di iniziare a sviluppare una metodologia e una struttura che permetta alle PMI di gestire il mercato in modo più adeguato: per esempio, dotarle degli stessi strumenti usati dalle grandi imprese potrebbe aiutare a cambiare la loro mentalità. Non è raro vedere, in molte aziende, che la gestione dei clienti e delle commesse viene svolta ancora con l’uso della carta o, nelle situazioni migliori, con fogli di lavoro Excel, che è pure un prodotto digitale ma non dimostra un cambio della mentalità verso una gestione migliore e automatizzata delle strategie.

Non andate in overautomazione Non tutto può essere automatizzato e, in effetti, cercare di operare con un tasso di automazione del 100% non è sempre la soluzione migliore. Per esempio, Amazon.com ha dimostrato questo assunto mettendo a punto uno strumento chiamato Mechanical Turk, che prevede di impiegare persone per svolgere compiti manuali considerati troppo complicati da effettuare mediante un software, come la ricerca di informazioni di contatto a disposizione del pubblico. E se Amazon intravede nei

compiti manuali un valore aggiunto, allora c’è sicuramente qualcosa da analizzare più a fondo. Inoltre, personalmente ho visto diverse società che fanno uso dell’automazione e tuttavia continuano a controllare manualmente – grazie a un membro del team deputato alla gestione comandi – ogni singolo comando prima dell’invio al comparto vendite. Questo tipo di approccio fa sì che le regole di gestione dei comandi siano mantenute a un livello minimo, fatto che favorisce il miglior rapporto fra marketing e vendite. Iper-automatizzare le procedure rappresenta uno degli errori più

frequenti in cui incorrono le aziende. Nel caso anche voi pensiate che l’automazione del marketing dovrebbe salire sino al 100%, ricordatevi sempre di Frankenstein: così facendo, state costruendo un mostro e le vostre procedure diverranno schiave dello strumento che avete creato. Tra le cause di una simile tendenza all’eccesso, spesso, c’è la presenza di persone inesperte nell’automazione del marketing, oppure non è stato investito tempo sufficiente a comprenderne realmente i processi. Un tipico caso di iper-automazione si ha quando vi trovate a chiedervi come mai per un compito semplice ci sia bisogno di impostare un

gran numero di regole. Gli strumenti per l’automazione del marketing sono realizzati avendo come punto di riferimento le prassi più produttive e semplici. Se i vostri processi non sono in linea con tali prassi, vuol dire che avete bisogno di ripensare le vostre procedure per poterle adattare allo strumento di automazione. Se vi trovate in un contesto iperautomatizzato, è meglio che ritorniate a pensare quali sono i vostri obiettivi principali. Lavorando insieme al vostro fornitore, cercate di identificare quali possano essere le procedure migliori o nuove caratteristiche delle quali non

eravate a conoscenza.

Registrazione del potenziale cliente Il marketing presuppone che si abbia la possibilità di identificare dei gruppitarget e determinati individui all’interno di essi. Lo sviluppo informatico fornisce un grosso contributo in questo tipo di attività, soprattutto quando si deve lavorare su database particolarmente voluminosi e con dati provenienti da fonti diverse. L’automazione del marketing risolve numerosi di questi problemi perché

permette di svolgere gran parte delle operazioni senza dover ricorrere all’aiuto del dipartimento IT e avendo tutti i dati che interessano come se fossero in un unico database. Tramite l’automazione del marketing, la registrazione dei dati relativi a un singolo potenziale cliente è in grado di evidenziare nello stesso momento la sua propensione verso le vendite e verso il marketing. Avvalendosi di un sistema di automazione del marketing, registrare i dati del singolo potenziale cliente non è più un problema da risolvere a livello di IT. Questo grazie al fatto che una singola piattaforma d’esecuzione fornisce un

osservatorio sulla ricettività del cliente potenziale nei confronti delle attività di marketing. Mostrare al marketing e al reparto vendite il valore dell’automazione dei sistemi di registrazione dati (relativi al singolo potenziale cliente) vi aiuterà a dimostrare quale sia l’enorme valore dell’investimento da voi effettuato. La Marketing automation è in grado di offrire un’ampia gamma di benefit, ma la maggior parte delle società si accontenta di acquistare solo quei servizi che aiutano a raggiungere in breve tempo solo alcuni obiettivi del marketing. Per ottenere i risultati migliori, inizialmente dovreste focalizzare la vostra attenzione

solo su alcuni obiettivi a breve termine e, parallelamente, su alcune funzioni della Marketing automation. Il resto dei vostri traguardi può attendere sinché non riuscirete a gestire i vostri strumenti e tutti i dettagli della Marketing automation. Sapere quali benefit della Marketing automation sono più idonei al conseguimento dei vostri obiettivi di marketing rappresenta il primo, importante passo verso una soluzione di questo tipo. Gli obiettivi più comuni sono i seguenti: generare più lead (contatti/clienti potenziali): se vi accostate alla Marketing automation come a un sistema

per generare più lead, focalizzatevi su come sia facile creare campagne di lead nurturing (“nutrimento” del contatto/potenziale cliente) e sulle attività di reporting relative a quelle campagne; fare di più con lo stesso team di marketing: se avete a disposizione un team di poche persone, focalizzatevi sulle attività di supporto, sulla semplicità d’uso, sulla flessibilità della piattaforma e sul training fornito dalla società; consolidare gli strumenti del marketing multicanale: se

avete intenzione di rendere più efficiente il vostro reparto marketing, focalizzatevi sulle interazioni fra i diversi canali del vostro core marketing e sulla semplicità con cui realizzarle; migliorare la sintonia fra vendite e marketing: se avete intenzione di creare più sintonia fra vendite e marketing, focalizzatevi sull’interazione fra CRM e vendite; dimostrare la validità degli sforzi effettuati dal marketing: se avete bisogno di un maggior numero di dati che evidenzino l’impatto dei vostri

programmi di marketing, focalizzatevi sulla raccolta dati e sulla relativa presentazione. La Marketing automation è un processo al quale si accede passo dopo passo, e ognuno di questi passi è strettamente legato a quello precedente. Iniziate quindi dalle piccole cose e procedete lentamente. In tal modo, i vostri obiettivi cresceranno insieme agli strumenti da voi usati. Ma, al tempo stesso, non dimenticate che il mondo non si fermerà ad aspettare che voi acquisiate tutte le competenze. Continuate a elaborare nuove soluzioni e a occuparvi anche di tutte le vostre altre responsabilità quotidiane.

La Marketing automation è una materia come lo è qualunque altra forma di marketing. Richiede una completa comprensione della tecnologia, delle tecniche e dei comportamenti dei consumatori che portano a livelli più elevati di engagement (coinvolgimento/sentimento/reazione). Fissare delle aspettative realistiche nel tempo vi aiuterà a valutare la vostra performance e a regolare la velocità dell’implementazione del vostro sistema. Per fissare aspettative realistiche, tenete a mente i seguenti concetti: La Marketing automation è un processo continuo. Diventare

esperti di Marketing automation comporta tempi molto lunghi, sebbene lo sforzo richiesto per iniziare sia modesto. Focalizzatevi oggi su come alzarvi e iniziare a correre, poi vi concentrerete su come migliorare nel tempo. Non provate a essere perfetti a ogni step. Fate invece dei progressi a ogni singolo passo, diventando sempre un po’ più capaci rispetto a quanto lo foste il passo prima. Ci vuol tempo per aver successo. Quali che siano i vostri obiettivi, il successo

richiederà del tempo, indipendentemente dalla soluzione scelta. All’inizio, dovete dedicare molto tempo al front end (interazione con l’utente/dati di ingresso). Ne dedicherete sempre meno in seguito, quando diventerete più esperti. Sappiate che impiegherete alcune settimane per installare il vostro sistema e alcune ore alla settimana per apportare in seguito i vari miglioramenti. Il CRM (Customer Relationship Management: gestione della relazione con i clienti) può

essere un fattore limitante. La vostra soluzione CRM è gran parte di ciò che sarete in grado di realizzare con il vostro sistema di Marketing automation. Se avete un CRM interno all’azienda, assicuratevi che le vostre risorse interne vadano a soddisfare le esigenze di integrazione. Se vi avvalete di una soluzione CRM già pronta, dovete capire quali sono i limiti del prodotto e quali sono le relative connessioni; dovete avervi accesso come administrator o essere certi che chi ricopre questo ruolo sia

disponibile e in grado aiutarvi in questo processo.

di

CAPITOLO 9

SISTEMI DI GESTIONE DEI CONTENUTI (CMS) Quando progettate il vostro business online dovete pensare anche a quale tecnologia vi potrebbe permettere di raggiungere in modo semplice e funzionale gli obiettivi che vi siete posti. A volte si crede, e si fa un errore, che usare software costosi e complessi

invece di quelli a costi inferiori o addirittura gratuiti sia la soluzione migliore. Ma la valutazione corretta per gli strumenti e le applicazioni di Marketing automation dev’essere completamente diversa e deve puntare soprattutto all’elasticità del loro impiego in relazione al CMS. L’acronimo CMS significa Content Management System e indica il sistema di gestione dei contenuti. Una volta che abbiamo definito l’estetica del sito (template), dobbiamo preoccuparci solamente di inserire i contenuti: niente più problemi di formattazione del testo, niente più problemi di posizionamento degli

articoli all’interno delle pagine, niente più problemi di estetica o di compatibilità con i vari dispositivi o browser. Questo è il vero punto di forza dei CMS: possiamo definire una volta per tutte il template e poi dobbiamo pensare solo a inserire i contenuti e gestire in maniera immediata le modifiche al sito. Questo strumento è importante perché vi dà la possibilità di gestire in maniera immediata i contenuti presenti all’interno del progetto online e di caricare immagini, cambiare i testi, aggiungere video, senza avere la necessità di richiedere queste modifiche a chi sviluppa il software.

Oggi, come abbiamo visto, le attività di marketing sono immediate: gli strumenti di analytics vi forniscono i dati in tempo reale e voi dovete mettere subito in pratica le vostre strategie ed entrare in quella logica che vi permette di fare test velocemente. Cominciamo ad analizzare come creare delle pagine fatte ad hoc per le attività di marketing al fine di ottenere un più alto tasso di conversione.

Landing page Per comprendere quale sia la corretta strategia in un’attività di generazione di lead attraverso l’uso delle landing page

(cosa che approfondiremo nei capitoli successivi), dobbiamo capire quali sono gli elementi fondamentali di questi strumenti. Gli elementi che vi permettono di avere un risultato ottimale sono: layout grafico; form; offerta; Call To Action. Layout grafico: è ovviamente la componente principale della comunicazione; sul layout si basa l’impatto visivo che riceve il visitatore. In base all’obiettivo, si creano delle strutture grafiche più o meno aggressive.

Form: permettono al visitatore di inserire le sue informazioni e inviare le sue richieste. Ovviamente, se i campi da riempire sono molti, si rischia di perdere l’utente. Quindi, è consigliabile riuscire a trovare il giusto compromesso. Offerta: è il contenuto o il prodotto che viene offerto. L’offerta deve avere abbastanza valore per un visitatore da meritare l’inserimento delle informazioni personali nel form. Call To Action: detta anche CTA, in italiano si rende con l’espressione “richiamo all’azione”. Solitamente è un’immagine, un pulsante o un messaggio che invita i visitatori del sito

a compiere qualche tipo di azione. Un po’ come quando andiamo nei centri commerciali e troviamo la scritta “Non perdere questa occasione, compra” o “Oggi conviene”. Questi richiami spingono le persone a compiere un’azione specifica, è una sorta di consiglio che spesso funziona in maniera inconscia e, purtroppo, c’è chi fa uso di tecniche di questo tipo per provare a manipolare la gente. Ma questo è un altro argomento. Tutti questi elementi compongono quella pagina che vi dovrebbe permettere, se ben organizzati, di ottenere delle conversioni. Nella Figura 9.1 è riportato l’esempio

di una potenziale landing page, nella quale sono indicati i vari elementi che la compongono.

Figura 9.1 – Nella figura si vede una tipologia di landing page per generare maggiori lead.

In alto è presente la barra di navigazione, non cliccabile, con le aree social. Subito sotto troviamo la headline, cioè il contenuto principale che vogliamo comunicare, seguito dalla Call To Action (CTA). Quindi troviamo il contenuto dell’offerta, accompagnato da un form che richiede di inserire i propri dati per poter procedere. Ci sono anche modelli di landing page più semplici, come per esempio quello usato da Privalia (Figura 9.2) che tende a fornire immediatamente dei contenuti con un forte impatto della CTA. In questo caso, un semplice bottone con la scritta “Registrati, è gratis!”.

Figura 9.2 – Nella figura si vede un tipo di registrazione al sito Privalia. Ma ci sono anche landing page più elaborate e con più campi da compilare. Per esempio, LinkedIn (Figura 9.3) richiede la compilazione di molti campi di contatto e d’informazione per poter

ottenere in cambio un ebook gratuito. Questa strategia di Content marketing si gioca sulla leva di “ingolosire” il visitatore, sostenendo che è molto importante che egli scarichi questo file per poter avere l’informazione che sta cercando. LinkedIn adopera un ulteriore strumento, la possibilità di autocompilare il form utilizzando i dati già inseriti al momento dell’iscrizione al social network. La stessa strategia, spesso, viene utilizzata da Facebook, con l’obiettivo di ottenere una più veloce generazione del lead sfruttando un semplice clic su un bottone, anziché dover far perdere tempo e fatica per

compilare manualmente tutti i campi del form. Si possono adottare alcuni accorgimenti per avere un lead pulito e il più veritiero possibile: per esempio, alcuni form sono collegati a database aziendali mondiali, che permettono, non appena si inizia a digitare il nome dell’azienda, di suggerire e fare scegliere da un elenco la voce corretta. Un’applicazione di questo tipo offre il grande vantaggio di non generare errori o equivoci sul dato inserito e velocizza la compilazione (Figura 9.4).

Figura 9.3 – Nella figura si vede una tipologia di landing page per generare lead B2B realizzata da LinkedIn.

Figura 9.4 – Nella figura si vede una tipologia di form con riconoscimento automatico dell’azienda in base all’indirizzo IP di connessione.

A/B test landing page L’uso delle landing page è una delle strategie migliori per generare lead. Quest’ultimo però deve essere misurato prendendo in esame la metrica di immediato riferimento, cioè il Conversion Rate (CR). Di solito si fa l’errore di accontentarsi delle prestazioni di una landing page senza poi provare a migliorarne il risultato. L’A/B test

consente di farvi ottenere dei risultati incredibili perché vi fornisce un dato effettivo su tutta la vostra strategia di marketing, di comunicazione e su quale sia la creatività che funziona meglio. Come prima cosa, create delle versioni differenti della landing page che sono già online. Nella Figura 9.5 potete vedere che la landing page originale genera un Conversion Rate del 37%, mentre la seconda landing page, leggermente diversa dalla prima, ha un Conversion Rate del 41%. Ne consegue che la seconda versione funziona meglio di quella che inizialmente pensavate fosse una buona landing page. Ovviamente il test non deve essere fatto

confrontando solo due landing page, ma possono essere usate molte altre pagine alternative. L’importante è che ci sia una qualche coerenza tra le pagine confrontate, in modo da poter capire quali siano gli effettivi elementi che generano i migliori risultati.

Figura 9.5 – Nella figura si vede qual è

lo schema di funzionamento di differenti landing page per attività di A/B test. Una volta avviato l’A/B test è possibile anche determinare quanto traffico già presente veicolare sulla landing pagine originale e quanto sulla nuova pagina. Come si vede nella Figura 9.6, sempre restando nell’ambito dell’A/B test in atto, è possibile definire un workflow con creatività differenti. Per esempio, possiamo impostare un test su un segmento di utenti, provando a generare lead attraverso l’invio di email.

Figura 9.6 – Nella figura si vede una automazione su un A/B test. Un esempio molto interessante di A/B test che ha funzionato molto bene è stato quello adottato durante la campagna elettorale di Obama nel 2012 per la raccolta di fondi. Un paio di mesi prima delle elezioni di novembre, il sito era stato iper-ottimizzato. Ogni elemento è stato esaminato e testato con molte varianti. Tuttavia, il team di Obama ha

continuato a fare test per migliorare la comunicazione e le conversioni proprio sulla pagina relativa alla modalità di donazione. La landing page che possiamo vedere nella Figura 9.7 era quella che aveva sempre un’ottima resa. In ogni caso, era stato ipotizzato che se si fosse diviso il modulo in più passaggi si sarebbe ottenuto un aumento del tasso di conversione. La nuova idea, subito testata, era quella di mostrare per prima cosa il modulo per la scelta dell’ammontare della donazione che si voleva effettuare. Come si vede nella Figura 9.8, la pagina era molto più aggressiva e aveva una CTA immediata con una frase semplice e diretta:

“Quanto vuoi donare oggi?” Scelto l’ammontare e cliccato sul pulsante “Continua”, il processo da parte dei visitatori era iniziato e, a quel punto, questi dovevano solo inserire i dati relativi al pagamento e quelli personali. Questa modifica ha registrato un incremento del 5% di conversione rispetto alle versioni precedenti. Se teniamo conto di quanto sia grande il mercato americano e i numeri che può offrire, possiamo capire l’importanza di quel 5% in termini di fondi raccolti e di budget ottimizzati. Questo è il grande potenziale dell’A/B test.

Figura 9.7 – Nell’immagine si vede la

prima landing page della campagna di raccolta fondi di Obama per le elezioni 2012.

Figura 9.8 – Nell’immagine si vede la seconda landing page ottimizzata per la

campagna di raccolta fondi di Obama per le elezioni 2012.

A/B test email Come potete vedere nella Figura 9.9, l’A/B test può essere applicato anche in altri ambiti: Oggetto dell’email: l’oggetto è la prima cosa che viene visualizzata, e questo è ciò che con maggiore probabilità spingerà l’utente ad aprire l’email. Ecco perché è importante comprendere come migliorarne la performance, che

in questo caso sarà misurata sull’OR (Open Rate): più alta infatti sarà la percentuale di apertura dei messaggi, più performanti saranno le campagne email. Mittente email: anche il mittente non è da sottovalutare. Potrebbe essere il nome dell’azienda, il nome e cognome di una persona fisica (per esempio di un addetto commerciale), a volte entrambi (nome e cognome di una persona seguiti dal nome dell’azienda). È bene testare tutte le possibilità, per decidere quale sia il migliore mittente da

impostare per differenti comunicazioni email. Data e Tempo: questo è uno dei più grandi dilemmi per inviare comunicazioni tramite email. Il momento più corretto non è mai prevedibile, dipende dall’argomento, dal periodo e dal tipo di lista, e un dato giorno potrebbe essere migliore di un altro. Contenuto: ovviamente vale lo stesso discorso fatto per le landing page. Posso variare i contenuti presenti all’interno dell’email, le immagini e tutti i componenti presenti.

Figura 9.9 – Nell’immagine si vede un test A/B fatto su una campagna di Email marketing.

Quale strumento è meglio utilizzare

Il mercato offre numerose soluzioni di CMS che rispondono a ogni tipo di necessità. Alcune sviluppano internamente dei propri CMS, che poi offrono ai clienti. Oppure vengono utilizzate soluzioni già presenti nel mercato open source, che si possono scaricare e utilizzare, come la più famosa piattaforma di web publishing: WordPress. Ma tutte, bene o male, offrono le seguenti caratteristiche: Design responsivo: le landing page sviluppate possono adattarsi ai dispositivi mobili e sono pronte in pochi minuti, senza la necessità di possedere conoscenze informatiche

avanzate. Tutte le landing page sono automaticamente adattate per tutti i tipi di display: cellulare, tablet o desktop. Non è richiesta alcuna conoscenza dell’HTML: è possibile spostare, ridimensionare, tagliare, raggruppare e dare nuova forma a ogni elemento della vostra landing page (caselle di testo, immagini, sfondi, campi di inserimento e pulsanti), senza conoscere il linguaggio di formattazione del testo HTML. Editor delle immagini: grazie all’interfaccia della piattaforma

è possibile tagliare, adattare e sistemare ogni immagine, in modo da avere una gestione professionale delle pagine senza nessun altro tipo di supporto. Template: grazie ai template preconfezionati, la struttura della comunicazione delle landing page sarà organizzata in base ai bisogni, come per esempio scegliere se allineare il testo su due o più colonne, come disporre il testo, se inserire i pulsanti social, mettere un pulsante CTA oppure un altro elemento. Test A/B: testare e monitorare in

automatico ogni singola attività di testing sul sito, sui pulsanti, sulle immagini e su ogni testo presente nel template grafico. WordPress, come abbiamo detto, è la piattaforma per la pubblicazione di contenuti online più usata, ma ce ne sono molte allo stesso livello, sia per funzionalità sia per le possibilità di integrazione. Per i nostri fini, ciò che ci interessa non è valutare nel dettaglio i vari strumenti di publishing, quanto le automazioni offerte e la modalità per integrare facilmente gli strumenti di Marketing automation. Come vedremo, uno dei punti fondamentali della Marketing automation

è la sincronizzazione e l’integrazione dei vari strumenti e delle varie piattaforme per gestire i dati provenienti da poche interfacce connesse tra loro. Esistono anche dei plugin che permettono alcune automatizzazioni che, anche se sono sempre delle forzature, offrono comunque delle funzionalità interessanti. Per esempio, uno di questi plugin è Inbound Now per WordPress: è molto economico e permette di gestire al meglio Call To Action, landing page, lead management e la parte di Marketing automation (Figura 9.10). Questo tool consente di trasformare il vostro CMS WordPress in uno strumento che si avvicina molto ai sistemi di

Marketing automation. Sebbene molto semplificato e basilare nelle funzionalità, è comunque un valido primo approccio e consente di utilizzare il sistema per gestire anche altre semplici funzionalità. Dal nostro punto di vista può essere un buon modo per cominciare a comprendere le funzionalità della Marketing automation.

Figura 9.10 – Nell’immagine si vede l’utilizzo di un plugin per ampliare le

potenzialità di WordPress per Inbound marketing. Le soluzioni più specificamente mirate alla Marketing automation offrono quasi tutte le funzionalità di CRM, per la gestione sia delle email sia delle landing page, così come dei form e di ogni altra parte del sito. Alcune permettono addirittura il controllo completo del CMS per la gestione e la creazione di tutto il sito Internet, compresi i siti di ecommerce. In quest’ultimo caso, alcune soluzioni presentano una suite completa di tutte le funzionalità necessarie per gestire un business online. Un sistema di questo tipo, per esempio, è HubSpot. Nella Figura 9.11, potete vedere che

HubSpot permette di creare un form partendo da un’interfaccia molto semplice, grazie al drag&drop (il trascinamento dei campi da un punto a un altro dello schermo), e consente di disegnare ciò che un tempo poteva essere realizzato solo da programmatori e web designer. Usare questo tipo di soluzioni vi permette di avere tutto quel che vi serve in un’unica piattaforma, senza dover integrare successivamente strumenti diversi che devono dialogare tra loro per scambiarsi informazioni. Restando all’esempio che abbiamo visto nella figura precedente, posso disegnare un form i cui campi sono già

collegati con il vostro database CRM e quindi, una volta che questo sarà pubblicato online, i dati raccolti saranno centralizzati da subito, a tutto vantaggio dell’Inbound marketing.

Figura 9.11 – Nella schermata si vede come sia facile creare un form con funzionalità drag&drop.

Esperienza

personalizzata La maggior parte dei siti offrono le stesse pagine a tutti i visitatori, trattandoli tutti allo stesso modo. I siti costruiti con strumenti di Marketing automation, invece, riconoscono l’utente e conoscono le sue esigenze specifiche, ottimizzando così i contenuti per cercare di soddisfare le sue necessità. In questi casi si parla di Content Optimization System (COS): un sistema che permette di integrare soluzioni interne ed esterne diverse tra loro, come CRM, Email marketing, social, analytics, sia interne al bundle del software sia di terze parti.

Una delle più grandi caratteristiche dei sistemi COS è la capacità di creare contenuti SMART, cioè un contenuto speciale che cambia dinamicamente secondo criteri impostati in precendeza. Per esempio, se un lead è stato identificato per avere un forte interesse per un dato servizio o prodotto, allora il classico box presente in molti siti “Potrebbe piacerti anche…” cambierà dinamicamente, mostrando ciò verso cui lo stesso utente ha manifestato un particolare interesse nelle precedenti visite. Questa strategia, per esempio, è molto usata da Amazon (Figura 9.12).

Figura 9.12 – Nell’immagine si vede una schermata di Amazon con alcuni prodotti consigliati in base alla cronologia di navigazione. Come si vede nella figura, Amazon fa un grande uso di Marketing automation: una volta che ci si è loggati, avendo in

memoria tutti i nostri dati, la lista dei nostri precedenti acquisti e degli articoli inseriti nella “lista dei desideri”, gli articoli consultati in passato e magari anche quelli che abbiamo condiviso sui social, il sistema propone una serie di consigli e suggerimenti di altri prodotti che ritiene interessanti per il nostro profilo. Tutti questi dati provengono dal sistema di analytics che, dialogando con il CRM, fornisce delle informazioni rilevanti al sistema di gestione editoriale ottimizzato (COS). Viene così offerta una navigazione personalizzata basata sui dati. Questo tipo di tecnologia non è

ancora stata utilizzata in tutte le sue potenzialità: siamo soltanto all’inizio di un percorso che porterà a non avere più un sito statico per tutti, ma un sistema che si organizza in autonomia, in base al visitatore, ai suoi interessi, al suo Customer journey, e questo permetterà di avere un sistema che si adatta alle esigenze di ciascuno, ottimizzando ogni suo singolo passo. Facciamo un esempio limite: pensiamo a un lead che è stato identificato come amministratore delegato di una società: i contenuti, le immagini e il linguaggio adoperati nelle pagine che visualizzerà potrebbero strutturarsi dinamicamente in modo da

avere più rilevanza e interesse e “parlare” a quella persona nel suo ruolo di CEO. Potrebbe inoltre essere opportuno cambiare dinamicamente il contenuto per i vostri clienti attuali. Una volta identificati, invece di mostrare anche a loro le classiche Call To Action generaliste (“Entra in contatto con l’azienda”, “Richiedi una consulenza”), si potrebbero presentare dei contenuti mirati che valorizzino le precedenti esperienze dei clienti sul vostro sito e quindi svolgere un’attività di upselling: per i clienti acquisiti, i messaggi di vendita aggressivi sono inutili e quindi è meglio puntare su un approccio mirato

alla fidelizzazione. Come si può notare, nella Figura 9.13 sono stati creati tre diversi layout di pagina di prodotto in base al tipo di status, e cioè: Visitatore. Lead. Cliente.

Figura 9.13 – L’immagine mostra tre differenti esempi di layout grafico da mostrare in funzione del tipo di cliente che arriva sul sito. La differenza sostanziale sta nel fatto che il visitatore, all’inizio del proprio viaggio, dovrà iniziare a fidarsi dell’azienda, per esempio comprendendo con quali altre società ha collaborato, quali sono i servizi offerti e cosa può quindi aspettarsi in materia di prodotti e servizi offerti. Nella fase di lead, invece, abbiamo già nome e cognome dell’utente e una prima profilazione del target. È possibile quindi presentarli in una pagina che offra un approfondimento

della richiesta fatta, maggiori dettagli e specifiche di chi già utilizza quel dato servizio, testimonianze e altri incentivi affinché il potenziale cliente compia l’ulteriore passo per diventare cliente acquisito. Nella fase cliente potete offrire dei contenuti riservati, chiedendo per esempio di lasciare una testimonianza o di seguire l’azienda sui social network in cambio di questi contenuti. Questo è il momento ideale per offrire un upselling. Facendo infine ricorso ai dati presenti nel CRM, è possibile offrire una navigazione personalizzata, mostrando dati specifici, ulteriori servizi o informazioni mirate sul profilo del

cliente. Come si può notare nella Figura 9.14, grazie all’interfaccia grafica della piattaforma è possibile inserire contenuti dinamici con semplicità, oltre a costruire una reportistica completa su quella che potrebbe essere la soluzione migliore. Nel caso di un A/B test, si può valutare e gestire con facilità quale creatività possa funzionare meglio, grazie al Click Through Rate (CTR).

Figura 9.14 – L’immagine mostra la possibilità di creare la propria email attraverso editor visuali. Quindi, è possibile creare, per esempio, tre immagini differenti per lo stesso articolo o prodotto e valutare quale produca il risultato migliore. Il sistema COS ottimizzerà l’immagine migliore in base a quella che avrà generato più clic.

Quale piattaforma scegliere? Ne abbiamo parlato da poco, ma

cerchiamo ora di capire cosa sia un Content Optimization System (COS) e in cosa si differenzia da un Content Management System (CMS) o da un Marketing Automation Software. Poiché c’è molta confusione al riguardo, cerchiamo di chiarire le differenze osservando la Figura 9.15, nella quale sono indicate le diverse funzionalità per ciascun tipo di strumento, CMS, COS e Marketing Automation. I parametri che dovete prendere in considerazione per trovare il sistema più utile alla vostra organizzazione sono i seguenti: 1. Se avete l’intenzione di costruire

un sito web semplice, che agisce come una brochure online, che condivida le informazioni di base del prodotto e se non volete svolgere una comunicazione regolare e finalizzata per attirare contatti qualificati, non sarà necessario utilizzare infrastrutture complicate: un CMS è quello che vi serve. 2. Se avete già un sito web personalizzato, complesso, con responsive design e un sistema CRM su misura e siete intenzionati a espandere i vostri sforzi di marketing per attività di lead generation, allora in questo

caso un software di Marketing automation potrebbe essere la scelta corretta. Tenete comunque presente che un vero e proprio sistema di automazione di marketing non comporta la gestione e lo sviluppo di contenuti o il design del sito web. Un sistema di Marketing automation è solo un complemento al sito.

Figura 9.15 – Nella tabella è possibile comprendere la differenza tra CMS, COS e Marketing automation. 3.

Se state attuando un programma completo di Inbound marketing, che include una versione personalizzata per ogni visitatore e vuole offrire un’unica esperienza utente coerente su tutte le piattaforme mobili, allora la soluzione che vi serve è un COS. Questi sistemi permettono di integrare tutte le attività di marketing in un’unica piattaforma per la misura e l’analisi dei KPI

e consentono di gestire al meglio il budget di marketing.

Analisi visuale Uno strumento che permette un’incredibile ottimizzazione delle prestazioni delle landing page è la visual analytics. Applicata ai form, quest’analisi permette di capire quali sono i campi che respingono il visitatore e gli fanno abbandonare il sito. Quindi, prima di creare grafiche strabilianti o provare nuove modalità di coinvolgimento, sarebbe bene misurare ciò che accade quando un utente compila un form. Ciò che si scopre da questo

tipo di analisi è spesso molto interessante e importante. Non è affatto semplice avere una visione immediata dei fattori che suscitano reazioni positive da parte degli utenti, così come di tutti gli aspetti che possono essere migliorati per aumentare i risultati del sito. Per fortuna, grazie ad alcuni software specifici, possiamo fare delle analisi rapide e importanti sull’approccio visuale degli utenti alle pagine del sito. In altre parole, è possibile prendere visione di ciò che accade durante la navigazione e di come si comportano gli utenti sulle pagine, prendendo in considerazione non i dati analitici ma il

modello con cui sono presentate e disposte le informazioni sotto l’aspetto grafico. Grazie a questo metodo si raccolgono i dati relativi agli accessi, alle visite, ai percorsi che gli utenti seguono sul vostro sito e ai punti in cui gli utenti cliccano. In seguito si crea uno screenshot del sito web e vi si posizionano i dati relativi, per esempio i punti in cui gli utenti cliccano maggiormente oppure il modo in cui gli utenti si muovono al suo interno, o seguono certi percorsi o compilano un form. Analisi di questo genere, oltre a essere veramente semplici da consultare

e da comprendere e molto gradevoli da presentare, offrono la possibilità di compiere studi sull’usabilità del proprio sito e consentono di avere dati utili per ottimizzare ulteriormente le pagine. Ancora un’annotazione molto importante: questo tipo di analisi può essere svolta anche su pagine realizzate in Flash o HTML5.

Link e clic L’esempio nella Figura 9.16 mostra uno screenshot di un sito: i prodotti sono visualizzati da immagini. Ogni immagine ha un link che conduce alla pagina successiva, che contiene i dettagli del

prodotto. Come si vede nella figura, il visitatore ha cliccato sull’immagine e seguito il link che conduce alla pagina successiva. Questo sistema di visualizzazione si basa sulla stessa tecnologia che uno strumento di Web analytics utilizza per raccogliere i dati utili a mostrare i percorsi di navigazione. La differenza, che pertanto è solo formale, è che i dati raccolti sono mostrati in maniera visuale. Da una simile rappresentazione riuscirete a capire quanti utenti abbiano fatto clic sul link e siano passati così alla visualizzazione della pagina successiva. Ciò che rende assolutamente

importante questo modo di illustrare i dati raccolti è proprio l’immediatezza della comprensione che lo caratterizza.

Figura 9.16 – L’immagine mostra un esempio di mappa di calore dove è possibile vedere dove vengono fatti i imaggiori click come Trackset VisualPath.

Capire come l’utente si sposta da una pagina all’altra, come si muove sulla pagina, dove pensa di trovare i link, insomma, seguire il navigatore passo per passo significa verificare dati alla mano se il progetto editoriale di un sito è coerente con le esigenze di navigazione che l’utente esprime. È importante sottolineare che con questo tipo di analisi si intercetta e registra l’azione del navigatore, non solo in quei punti in cui è previsto che compia un’azione precisa ma anche in tutti quei punti in cui non è possibile prevedere alcuna interazione. Per essere ancora più chiari: i clic degli utenti sono registrati e analizzati non solo quando

sono fatti su un link ma anche quando vengono effettuati su parti dello schermo e del sito che non prevedono alcuna azione. Un apposito codice di tracciamento – un piccolo codice JavaScript posizionato nel codice sorgente del sito – preleva le coordinate del mouse ogni volta che l’utente clicca sullo schermo. Grazie a questo sistema di rilevazione è possibile collocare graficamente ogni clic sullo schermo, che sia relativo a un link o su uno spazio vuoto del sito. Questo tipo di rilevamento è di estrema importanza e fornisce indicazioni su come l’utente si muove. Graficamente, questa informazione si

traduce in una mappa di calore, cioè una rappresentazione in cui ogni area che raccoglie un certo numero di clic viene gradualmente colorata, passando dal verde al giallo, fino a un rosso molto intenso per aree in cui molti utenti compiono delle azioni. Un esempio di questa rappresentazione si può vedere nella Figura 9.17.

Figura 9.17 – L’immagine mostra un esempio di scroll di pagina attraverso strumenti visuali come Trackset VisualPath.

Grazie a questo sistema, si captano immediatamente i comportamenti e i movimenti degli utenti sul sito web analizzato, si notano quali sono i punti e le sezioni che destano maggiore interesse e quelli che coinvolgono in misura minore, e si riesce a capire velocemente se vi sono problemi nell’usabilità del sito o se sono presenti degli errori. Qualunque sia l’analisi che si sta svolgendo – legata ai clic degli utenti o ai link del sito – è importante notare che sarà sempre possibile studiare i dati raccolti seguendo diversi punti di vista nell’analisi. Da ultimo, infatti, è bene specificare che è sempre possibile

filtrare i risultati ottenuti sulla base di alcuni fattori di seguito schematizzati.

LE CAMPAGNE PUBBLICITARIE In questo caso è possibile individuare come ogni campagna pubblicitaria genera traffico e come muove l’utenza. Per esempio, questo dato può diventare importante nel caso delle campagne di keyword advertising, per capire se c’è coerenza tra la keyword con cui l’utente arriva sul sito e la navigazione che compie al suo interno.

GLI ACCESSI/CONVERSIONI Oltre

a

misurare

la

quantità,

è

importante valutare anche la qualità, cioè quanti utenti entrati sul sito hanno effettuato un’operazione di conversione e come si sono comportati. Analizzare il percorso dei clic effettuati per arrivare al punto di conversione consente, per esempio, di compiere alcune ottimizzazioni su questo percorso.

GLI ASPETTI DEMOGRAFICI Un interessante fattore di analisi può essere legato agli aspetti demografici. Per questo deve essere sempre possibile suddividere gli utenti per sesso, età (o fasce d’età), tipologia di professione e via dicendo. Per avere un’idea di come e di quanto questi dati possano essere

interessanti per chi gestisce un sito, basta pensare a quanto è rilevante conoscere la differenza nei processi di navigazione (per esempio, tra uomini e donne); oppure capire qual è la fascia di utenza che più spesso arriva a completare un processo di conversione. Dati demografici come questi, infatti, aiutano a individuare e a focalizzare meglio il target.

SCROLL Un altro aspetto legato all’analisi visuale del sito è la comprensione dei processi di scroll. Con l’analisi visuale, infatti, è possibile avere un dato relativo a quanto gli utenti usino la barra laterale

del browser per scorrere interamente i contenuti. Una simile analisi, oltre a raccogliere informazioni su alcune abitudini di consultazione degli utenti, fornisce anche un dato molto utile per i processi di ottimizzazione per la disposizione degli elementi e delle informazioni sulle pagine. Anche lo scroll è rappresentato con fasce di colore che indicano il progressivo scemare dell’attenzione e del numero dei visitatori. Ovviamente, questo tipo di dato è influenzato anche dalle diverse risoluzioni del monitor degli utenti, pertanto i dati raccolti dovranno sempre consentire la

possibilità di compiere analisi, segmentazioni e filtraggi sulla base di questo parametro fondamentale. Un’attenta analisi e l’incrocio tra i dati di scroll e i dati relativi alle risoluzioni consentono di giungere al miglior compromesso tra il punto in cui collocare gli elementi ritenuti importanti (quelli che vorremmo che tutti gli utenti vedessero) e la risoluzione più frequentemente adottata dai visitatori del vostro sito. Soprattutto per le landing page, lo scroll permette di comprendere quanto ogni contenuto sia interessante e se effettivamente possa essere considerato causa e motivo di bounce, magari perché la Call To Action si trova

troppo in fondo alla pagina e in pochi arrivano a leggerne il contenuto.

Analisi dei form Un’ultima applicazione pratica delle analisi visuali è legata all’analisi e all’ottimizzazione dei form. Questa analisi può aiutare a elaborare i seguenti report: quanto tempo è necessario per compilare un form; quali campi generano l’abbandono del form; quali campi non vengono compilati;

quali sono i campi che rivelano una maggiore indecisione (il tempo speso prima di compilarli); quali sono le opzioni scelte all’interno del campo selezionato; quante volte si ricompila lo stesso campo. Una simile analisi può risultare molto utile, per esempio, per individuare i casi in cui l’utente, per non compilare un campo, preferisce abbandonare il form.

CAPITOLO 10

LEAD MANAGEMENT Come abbiamo visto nei capitoli precedenti, un lead è una persona che ha in qualche modo indicato un interesse nel prodotto o nel servizio della vostra azienda. Questo vi permette di non effettuare la classica chiamata a freddo, avendo già alcune informazioni al suo riguardo. Queste informazioni possono essere di vario tipo e genere. Con gli anni, l’attività di lead

generation è profondamente cambiata grazie alle nuove tecniche di marketing e sicuramente molto importante è stato l’avvento prorompente dell’utilizzo dei social. In particolare, l’abbondanza di informazioni facilmente disponibili online ha fatto emergere nuovi modi per sviluppare e qualificare potenziali contatti prima di passarli alle vendite. Il mercato è cambiato e chi si occupa di marketing deve rivedere le proprie idee su alcuni fatti importanti. Nella Tabella 10.1 riassumo quelli che sono alcuni dei nuovi modi di definire l’approccio per avere successo in un’attività di lead generation.

Mission Strategia Pubblicità

Prima

Oggi

Rappresentare l’azienda Trovare i clienti Advertising di massa

Rappre i clienti

Posizionamento Demografico Misurazione

Decisioni prese sull’intuito

Essere

Adverti to 1 Basato compor

Decisio basate s

Tabella 10.1 – L’approccio di successo in un’attività di lead generation prima e oggi.

Come possiamo vedere, oggi la mission è far sì che siano i clienti la “rappresentanza” di ciò che vuole comunicare l’azienda. Inutile spingere la comunicazione sul fatto che l’azienda è la migliore e che vende dei buoni prodotti: oggi lo dicono tutti ed è diventato scontato. La strategia non consiste più solamente nel cercare nuovi clienti, ma soprattutto nell’essere presenti nel momento in cui nasce un’esigenza e quindi essere al posto giusto al momento giusto. Fare in modo di essere trovati significa adottare un approccio diverso, che fa pensare al potenziale cliente che la sua è stata una libera scelta.

La pubblicità non deve essere di massa o, come si dice spesso, a pioggia, che cioè cade un po’ su tutti, ma deve essere focalizzata per riuscire a offrire a ciascuno la comunicazione e l’esperienza che desidera. Lo stesso discorso vale per il posizionamento: non si deve basare più soltanto sul demografico ma deve cercare di analizzare il comportamento del cliente, capire come si muove sul Web, a che cosa è interessato, che cosa potrebbe piacergli e come potrebbe reagire di fronte a una comunicazione mirata sulle sue esigenze. Infine, non smetterò mai di ripeterlo, la misurazione non è più organizzata su

decisioni prese solo sull’intuito, ma si fonda su basi solide, dimostrate da numeri su cui poi andare ad applicare l’intuito per adottare la strategia migliore. Con queste premesse potremo sfruttare tutto quello che la lead generation ci offre. Ciò che accade oggi è che siamo sommersi da troppa informazione, siamo bombardati da troppi messaggi e di conseguenza la nostra fruizione di tutta questa comunicazione non è approfondita, resta superficiale. Un esempio banale è l’applicazione Facebook presente nei dispositivi mobile: l’analisi del tempo di scrolling

è così veloce che dimostra una voracità di nuovi contenuti tale da non consentire alcun approfondimento. Non c’è più la possibilità di farci pienamente un’idea di ciò che ci passa davanti. Spesso le informazioni presenti si contraddicono tra loro, generando così maggiore confusione. Potremmo quasi concludere che nel vecchio mondo, quando c’era meno informazione, fare lead generation significava che il marketing doveva trovare i nomi dei nuovi potenziali acquirenti, provare a collocarli all’inizio del Customer journey e quindi passarli direttamente alle vendite. In questo modo, l’organizzazione

commerciale doveva spendere molto tempo per comprendere le esigenze del cliente, spiegargli i contenuti dell’offerta e accrescere la sua consapevolezza del prodotto, rischiando di perdere molto tempo su potenziali clienti non sempre qualificati e quindi non interessati. Potremmo dire che la percentuale di conversione era piuttosto bassa. Oggi, attraverso i motori di ricerca, i social media e altri canali online è possibile trovare numerose risorse informative. Attraverso gli stessi contenuti prodotti e distribuiti dalle società, un potenziale acquirente può capire molto di un prodotto o di un

servizio prima di rivolgersi al venditore. Capire questo fattore vuol dire comprendere quanto la presenza digitale sia oggi più importante che mai. Secondo una ricerca di Forrester, i potenziali acquirenti, prima di contattare un venditore, potrebbero trovarsi in qualunque punto della Customer journey. Gli utenti rimandano l’apertura di un contatto con le vendite fino a quando non si sentono del tutto sicuri dell’argomento e alcuni la ritardano fino a quando non si considerano dei veri e propri esperti in merito. Per fortuna, una solida strategia di lead generation vi aiuterà a costruire la fiducia degli utenti e catturarne

l’interesse durante il processo di autoformazione e prima che siano pronti a contattare le vendite.

Lead generation Fare lead generation significa coinvolgere le attività del marketing mediante l’acquisizione di spazi di advertising, attraverso i social e tutti gli altri mezzi che abbiamo a disposizione per portare direttamente il visitatore a convertire. È una modalità di marketing che punta dritta all’obiettivo, girando molto poco intorno a concetti come l’awareness, ma che cerca di offrire una comunicazione diretta e prevede che

l’organizzazione sia impostata per questo tipo di proposizione commerciale. Si trovano spesso dei siti web che sono anche molto ben fatti ma, purtroppo, mancano di una vera strategia per generare un contatto da un form o un’interazione con qualche parte del sito. Per ottenere un’ottima lead generation è importante utilizzare strumenti che consentano di averne il pieno controllo e, di solito, utilizzare il proprio sito web per questo scopo non è consigliabile, a meno che non sia stato pensato in modo adeguato a questo obiettivo. È importante usare una landing page, cioè, come abbiamo visto, una pagina

web che il visitatore raggiunge attraverso spazi pubblicitari e ha uno scopo preciso e mirato. Nel caso della lead generation la landing page ha lo scopo di far sì che un visitatore sia immediatamente attratto da ciò che sta visualizzando e sia invogliato a convertire (Figura 10.1).

Figura 10.1 – Nell’immagine si può analizzare lo schema di funzionamento di una landing page. Di solito le landing page non sono collegate direttamente alle altre parti del sito ma si raggiungono soltanto da una fonte pubblicitaria esterna, come si può notare nella Figura 10.1.

Progressive profiling Il Progressive profiling è una tecnica di marketing che amplifica la generazione di lead in misura significativa. Il suo funzionamento prevede, per esempio,

invece di obbligare un lead a compilare tutti i quindici campi di un modulo per iscriversi a un webinar o fargli scaricare tutto un white paper, di premettergli di compilare solo alcuni campi di un modulo di richiesta informazioni.

COME FUNZIONA IL PROGRESSIVE PROFILING ? Il profiling progressivo permette di chiedere informazioni in modo incrementale. Il lead diventerà sempre più qualificato man mano che interagirà, con il tempo, con il sito web o con altri servizi online a esso collegati, fornendo di volta in volta maggiori informazioni

all’azienda. La prima volta che il visitatore accede al sito fornirà solo le informazioni di base, che vi permetteranno di iniziare a costruire un profilo. A ogni visita successiva, con conseguente richiesta di scaricare dei contenuti o di registrarsi per usufruire di un dato servizio, saranno raccolti altri dati sempre più rilevanti. Questa tecnica consente al marketing e alle vendite di: Aumentare il numero di conversioni provenienti dai form. Alcune ricerche indicano che a un minor numero dei campi di un form corrisponde un

aumento dei tassi di conversione di circa il 5%. Fornire un’arma in più al reparto vendite perché, curando il lead e aggiornando i suoi dati, permette una più profonda comprensione delle esigenze del visitatore. Inoltre, il marketing si focalizzerà sul fornire contatti significativamente più rilevanti, quindi informazioni più utili per il team vendite. Sprecare meno tempo interagendo con i lead non qualificati, dedicando più tempo a quelli qualificati, che rispondono al profilo e che sono

pronti per un acquisto. Per creare un piano progressivo di profilatura di successo si dovrebbe cominciare individuando i seguenti punti: obiettivi aziendali di profilazione; requisiti tecnici per sincronizzare il form del sito con un sistema di Marketing automation e il sistema CRM; misurazione del successo di queste attività; quali informazioni servono al team di vendita per qualificare un lead.

Di seguito mostrerò un esempio delle fasi di una campagna di profilazione progressiva. In generale, i dati più importanti devono essere richiesti subito e solo successivamente si approfondirà e migliorerà la creazione del profilo, chiedendo le altre informazioni. Le fasi successive di richiesta informazioni sono le seguenti: Fase 1: nome, cognome, email, azienda, numero di telefono. Fase 2: settore, posizione lavorativa, dipartimento/funzione, numero di dipendenti. Fase 3: budget, sito web, intenzione di acquisto,

tempistica. Fase 4: rapporto con la vostra società, se interessato a una call di approfondimento. È stato riscontrato che un form composto da tre/cinque campi, in ognuna di queste fasi presenta un tasso di abbandono minimo. Rispettando queste quattro tappe, è probabile che crescano le prospettive di ottenere una qualificazione e una segmentazione sempre migliore, con un notevole vantaggio per il marketing e per le vendite. Inoltre, si crea un profilo del lead più solido e veritiero, in quanto le informazioni saranno state richieste in più passaggi e la probabilità che il dato

sia reale sarà maggiore. Alcuni miglioramenti pratici per il Progressive profiling includono i seguenti passi. Riconfermare l’informativa sulla privacy ogni volta che un utente converte attraverso un modulo. Questo lo rassicurerà che tutti i dati raccolti non saranno venduti a terzi. In ogni modulo successivo è importante includere il nome o l’indirizzo email del contatto precompilato. Potrebbe accadere che alcuni dei vostri visitatori trovino poco appropriato il fatto che conosciate già il loro nome, ma

aumenta da parte vostra la sicurezza che la profilazione continuerà con dati uniformi e non ambigui. Richiedere innanzitutto i dati più importanti. Se il lead non compila un secondo form, dovrete comunque essere sicuri di avere abbastanza informazioni per la ricerca e il contatto.

Lead nurturing Fare attività di lead nurturing significa “coltivare e alimentare” i propri contatti al fine di condurli all’acquisto di un

prodotto o servizio. Il processo di nurturing inizia nel momento in cui un’azienda dispone del contatto di un visitatore – vale a dire da quando il semplice utente diventa un vero e proprio lead e si possono avviare azioni di comunicazione personalizzate. Fare lead nurturing può significare semplicemente inviare email ai lead per informarli sugli aggiornamenti dei prodotti, sulle offerte o su servizi particolari, oppure mettere in atto campagne più complesse, che prevedono di informare il consumatore sui vantaggi di un prodotto/servizio e disegnare strategie e soluzioni altamente personalizzate per incoraggiarlo

all’acquisto. Il vantaggio principale delle attività di lead nurturing consiste nel fatto che queste permettono di fidelizzare il cliente con maggiore facilità: all’utente che riceve la comunicazione, infatti, non verrà immediatamente proposto l’acquisto di un prodotto/servizio ma si cercherà di creare prima un rapporto di fiducia tra lui e l’azienda. Spesso un utente appena acquisito, infatti, non è da subito pronto ad acquistare e, dunque, una comunicazione con l’unico scopo di spingerlo verso quest’azione potrebbe allontanarlo dall’azienda piuttosto che avvicinarlo. I contatti raccolti vengono quindi

utilizzati per conoscere più a fondo i clienti e le loro esigenze e stabilire uno stretto rapporto con loro. Il concetto centrale della lead nurturing è, come dice la stessa espressione, quello di “nutrire” gli utenti acquisiti, informarli sull’azienda e sulla sua attività e guidarli verso la scelta di determinati prodotti o servizi. Instaurare un forte rapporto con i nuovi utenti permetterà di conoscerli in maniera più approfondita e di trarre tutti i vantaggi derivanti da queste informazioni. Per esempio, tramite l’invio di questionari o l’interazione sui social network sarà possibile conoscere le necessità dei lead e le loro

caratteristiche. Queste informazioni permetteranno di classificare gli utenti acquisiti e suddividerli in target ben definiti e differenziati tra loro, quindi studiare e realizzare comunicazioni diverse e personalizzate e, dunque, maggiormente interessanti. Una volta conosciute le caratteristiche dei nuovi utenti e dopo averli divisi in gruppi, l’azienda può realizzare delle comunicazioni ad hoc, sia in termini di grafica sia di contenuti, magari personalizzate per ogni singolo step nel customer journey. Per mettere in pratica la strategia di lead nurturing bisogna adottare alcune piccole attenzioni nella comunicazione

con i nuovi “clienti”. Prima di tutto è importante differenziare le comunicazioni rivolte ai nuovi arrivati da quelle studiate per i clienti già conosciuti: i nuovi utenti richiedono particolari attenzioni e gradiscono sentirsi al centro di questo rapporto. Sarebbe consigliato, per esempio, iniziare con l’invio di un “messaggio di benvenuto”, in cui ringraziare l’utente per essere entrato in contatto con l’azienda. Altri elementi da tenere sotto controllo sono la frequenza delle comunicazioni e i cambiamenti nel loro comportamento. Per quanto riguarda la frequenza delle comunicazioni, purtroppo, non esiste una

regola per trovare quella più appropriata a ogni caso. Questa, infatti, è influenzata da molti fattori, come il livello di rapporto creato con l’utente e le sue caratteristiche. Per superare questa difficoltà, viene richiesto sempre più spesso allo stesso utente di indicare la frequenza di invio delle comunicazioni che preferisce. Inoltre, è importante tenere sotto controllo il database dei contatti acquisiti: il comportamento di acquisto, i bisogni e le esigenze degli utenti variano sulla base dei normali cambiamenti nella vita (età, famiglia, professione ecc.). Quindi, è fondamentale monitorare tutti questi

aspetti per essere pronti a cambiare il tipo di comunicazione e relazionarsi con gli stessi utenti in base alla fase in cui questi si trovano.

Lead scoring Il lead scoring è un punteggio che viene definito e condiviso dal reparto marketing e vendite e fornisce l’informazione utile per determinare quando un lead è pronto alla vendita. Il punteggio di un lead si basa su diversi fattori, come, per esempio, l’interesse espresso durante la navigazione nel sito o il punto in cui si trova nel ciclo di acquisto.

Ogni azienda può definire un punteggio o una scala con un valore actionable, cioè che indica in tempo reale quando è arrivato il momento di attivarsi per stimolare una vendita. Solitamente, meno del 25% dei nuovi lead sono pronti all’acquisto; questo significa che con il rimanente 75% sarà inutile provare una vendita perché il contatto non otterrebbe un esito positivo. Quando si parla di lead scoring vi sono due tipi diversi di valori da analizzare: i dati impliciti e i dati espliciti. I primi sono legati alle osservazioni sulle modalità di navigazione nel sito da parte del visitatore: come si comporta, che

ricerche ha fatto, quali preferenze ha manifestato. I dati espliciti sono semplicemente i dati che vi vengono forniti dalla compilazione del form o da altri tipi di contatto e che vi permettono di dare un valore d’importanza a quanto affermato. Per quanto riguarda i fattori impliciti, proviamo a ipotizzare il caso di un invio di una email con lo scopo di far conoscere un nuovo prodotto e farne scaricare la presentazione. Il processo prevede: invio della email; visita del sito; interazione con il form; download della brochure del

prodotto. Se proviamo a ipotizzare questo percorso e associamo a ogni azione un punteggio, potremmo avere una situazione di questo tipo: Email marketing: • apertura della email (3 punti); • clic su un link della email (10 punti); • clic sul link di CTA (15 punti). Visita sul sito: • ogni pagina visitata (1 punto); • visualizzazione della pagina listino (20 punti);

• tempo di permanenza superiore ai due minuti (10 punti). Form: • è stata vista la pagina del form (10 punti); • il form è stato compilato fino a un certo punto (20 punti); • il form è stato completato (30 punti). Download di una brochure: • è stato fatto il download della brochure (30 punti); • ne è stata fatta una condivisione social (30 punti).

Questo esempio permette di capire che il lead scoring può essere impostato come preferite e permette di avere un quadro chiaro dello stato di avanzamento del cliente. Questi dati, ovviamente, vengono generati automaticamente e sono oggettivi perché basati su una misurazione predefinita. Nel caso dei dati espliciti, quindi generati dal visitatore che ha compilato il form, il punteggio è adattato al tipo di azienda che si vuol cercare e al tipo di cliente. Questo vale sia per il B2B sia per il B2C. Se proviamo a fare un esempio, anche in questo caso, di un’azienda che deve generare contatti commerciali per poter rivedere

soluzioni di sistemi fotovoltaici, può essere preparato un form progressivo con il quale richiedere, di volta in volta, altri dati per meglio profilare il cliente (Tabella 10.2).

Tabella 10.2 – Nella tabella i punteggi da attribuire in base al tipo di business e agli obiettivi. Lo schema della tabella 10.2 permette di capire che in base al tipo di business e degli obiettivi il punteggio può essere espresso in base a caratteristiche che reputiamo più o meno importanti, ma

anche che è importante definire le domande corrette. Per esempio, nel caso di un’attività B2B, quindi un lead rivolto a una azienda, il meccanismo sarà lo stesso, ma saranno altri i fattori da valutare: dimensioni dell’azienda; location; settore; numero dei dipendenti; riferimento. Il punteggio può essere anche negativo, perché il visitatore può anche dimostrare poco interesse e questo fattore deve essere misurato e registrato. Per esempio, un visitatore che si collega

solo alla pagina delle offerte di lavoro, non sarà un lead interessante per il dipartimento vendite. Nella Figura 10.2 potete vedere un esempio di profilazione con lead scoring con la piattaforma di Marketing automation HubSpot: di questa persona è possibile sapere quante email le sono state inviate, quanti tweet ha seguito, a quanti eventi ha partecipato ecc. Una vota in possesso di questi dati, il sistema ci mostra chi sono i contatti presenti nel nostro database e qual è il loro grado di coinvolgimento (Figura 10.3). La Figura 10.4 mostra invece un esempio di SalesForce, un sistema di

CRM e Marketing automation integrato di proprietà di Marketo. Qui, lo scoring presentato nella dashboard è rappresentato mediante “stelle” e “fiamme”, anziché numeri. Le fiamme rappresentano le visite recenti e le attività. Un minor numero di fiamme indica un lead che ha mostrato un livello inferiore di attività nell’ultimo periodo. Le stelle, invece, indicano il numero totale di interazioni. Il calcolo è dato dal numero di interazioni moltiplicato per il valore assegnato dal marketing per ognuna di esse. Una valutazione di tre stelle ci dice che questo lead ha mostrato un alto livello di attività. I due valori di stelle e fiamme,

combinati, definiscono la priorità relativa al contatto, che farà propendere l’area commerciale a occuparsi dei lead “caldi” e interattivi.

Figura 10.2 – Nell’immagine si vede

come i sistemi di Marketing automation come HubSpot associano un lead scoring.

Figura 10.3 – Nell’immagine si vede un sistema di score associato a ogni cliente.

Figura 10.4 – Nell’immagine si vede un sistema di score associato a ogni cliente con visualizzazione della priorità.

Che cosa sono i

workflow Per chi lavora nell’ambito della Marketing automation è importante comprendere come funziona e quale sia la rilevanza di un workflow. Potremmo dire che un workflow (in italiano, “flusso di lavoro”) è la parte principale su cui si basa tutto il sistema ed è una rappresentazione grafica di una serie di azioni automatizzate che si possono attivare al verificarsi di determinati eventi. È proprio in base alle impostazioni di un workflow che è possibile automatizzare processi come l’invio di email, l’aggiornamento delle

informazioni di un visitatore, l’aggiunta o la rimozione di un contatto, l’attivazione di notifiche ecc. Si può immaginare un workflow come la rappresentazione grafica di una strategia di business attraverso una serie di processi. Per prepararlo è necessario avere un’idea chiara dell’obiettivo e di che cosa volete ottenere. Un workflow vi aiuta a comprendere se avete le idee chiare sui vostri obiettivi. Spesso, per mia abitudine mi ritrovo con un foglio sul quale disegno il processo di un business online: con la penna creo tanti box quadrati e li collego tra loro, indicando ciò che vorrei si realizzasse quando i visitatori

arrivano al sito. Sono certo che molti di voi adotteranno sistemi differenti. In quel momento, su carta o su una lavagna oppure su un documento digitale non state facendo altro che mettere in forma di schema l’idea che vorreste automatizzare. Nella Marketing automation ci sono vari modi per automatizzare un processo attraverso i software: alcuni strumenti usano delle interfacce visive molto intuitive, come si può vedere nella Figura 10.5, che permettono un’immediata configurazione e progettazione del processo con il semplice trascinamento degli oggetti; altri invece creano workflow in maniera

più testuale. Come ho più volte ripetuto, il nostro obiettivo è quello di sprecare meno tempo e, per fare questo, dobbiamo definire le regole che vogliamo automatizzare. Con i workflow è possibile attivare delle azioni in base a tutte le informazioni che abbiamo sul nostro lead e, così, inviare il messaggio giusto alla persona giusta al momento giusto. Per esempio, è possibile inviare una serie di messaggi email a: lead che hanno visto una certa pagina sul sito web; lead che hanno fatto “like” sui social;

lead che hanno manifestato interesse in passato ma non sono stati più stimolati a tornare. Questi esempi si basano su lead dei quali abbiamo l’indirizzo di posta elettronica e qualche altra informazione personale. Ma, ovviamente, si possono impostare workflow anche su soggetti del tutto sconosciuti: non potrò comunicare direttamente con loro ma potrò confezionare un percorso mirato sul sito. L’uso dei workflow vi darà l’opportunità di avere una potente segmentazione dei contatti ed essere in grado di raggruppare i lead sulla base delle diverse caratteristiche e dei

comportamenti.

Figura 10.5 – Nell’immagine si vede un sistema di workflow. Ciò significa che si possono indirizzare le email e il processo di lead nurturing confezionati sugli interessi e sui bisogni

specifici in modo molto efficace. Secondo un rapporto pubblicato dal Lenskold Group, il 60% degli intervistati che utilizzano la Marketing automation dicono che con workflow automatizzati hanno aumentato la qualità dei lead che vengono passati alle vendite e il 23% di questi ha un ciclo di vendita più breve, richiedendo quindi un minore impegno commerciale. Ciò vuol dire che quest’area si ritroverà con un 23% di tempo in più da dedicare ad altre attività. Un workflow vi permette di definire meglio anche i tempi per le vostre campagne, quindi vi aiuta a decidere quando una email o una data azione

devono essere attivate. Questi strumenti sono detti trigger (grilletto, innesco) e indicano il momento in cui, al verificarsi di un dato evento o azione, il sistema deve far seguire qualcos’altro. Il trigger è il vostro assistente deputato all’automazione delle azioni. Facciamo un esempio di un trigger molto semplice: quando un visitatore arriva da Facebook in conseguenza di una particolare campagna che offre uno sconto solo ai fan, dev’essere inviata una email con il codice ma solo dopo che l’utente ha confermato il suo indirizzo di posta elettronica. Quindi, il workflow si baserà su alcuni step importanti:

il visitatore deve arrivare dal referrer Facebook; il visitatore deve andare sul sito e compilare quello specifico form; il sistema deve inviare una email di ringraziamento con un codice per verificare l’indirizzo di posta elettronica; l’indirizzo è confermato e si può inviare il codice coupon. Come si può vedere dal workflow illustrato nella Figura 10.6, sono stati creati gli elementi che occorrono al sistema per attivarsi ed eseguire il compito progettato.

Figura 10.6 – Nell’immagine si vede un sistema di workflow.

Gestione degli appuntamenti Per chi fa lead generation con l’intento di fissare un successivo appuntamento telefonico è importante riuscire a conoscere la disponibilità della persona, far corrispondere le rispettive agende e

trovare il giusto momento per stabilire il contatto. Di solito questa è una fase durante la quale viene perso molto tempo ma esistono degli strumenti efficienti che consentono di gestire con semplicità questo processo, come nel caso di TrimeTrade.com. Immaginiamo che un visitatore che è arrivato sul vostro sito compili un form di richiesta informazioni per avere un contatto con un rappresentante commerciale. Dopo pochi minuti gli arriva un’email dal commerciale che, oltre a ringraziarlo e provare a metterlo subito a suo agio, gli fornisce un link dove visualizzare le disponibilità per

fissare un colloquio/incontro. Il visitatore, ormai diventato lead, si ritroverà in una pagina come quella nella Figura 10.7, nella quale visualizzerà gli slot disponibili inseriti dal commerciale. Una volta scelto il giorno e l’orario disponibili, non dovrà far altro che confermare l’operazione. Ovviamente seguirà un’email automatica che notificherà l’appuntamento preso sia al lead sia al commerciale, il quale si troverà al tempo stesso l’appunto segnato automaticamente sul proprio calendario. Potremmo rappresentare questo modello come il sistema di booking

usato dalle strutture alberghiere per prenotare le camere: il concetto è il medesimo ma qui si parla di gestione lead. Ci sono molti altri vantaggi come la possibilità, nel caso di contatti con l’estero, di avere la visualizzazione del fuso orario: in automatico, in base alla città di residenza, il sistema mostra l’orario disponibile, riducendo notevolmente possibili fraintendimenti. Sono disponibili anche le funzionalità di analytics, che mostrano i dati in relazione al rispetto dell’agenda, alle percentuali di chiusura del lead e tante altre informazioni che ovviamente possono essere integrate con il proprio sistema CRM, che sarà l’argomento del

prossimo capitolo.

Figura 10.7 – Nella schermata si vede un calendario per la gestione degli appuntamenti automatizzata.

CAPITOLO 11

CRM Il Customer Relationship Management (CRM) è una strategia per la gestione di tutte le interazioni che hanno luogo con i clienti, potenziali ed esistenti. Il CRM consente alla vostra azienda di migliorare la produttività, concludere positivamente un maggior numero di trattative e aumentare il livello di soddisfazione e la fidelizzazione dei clienti. Immaginate di avere una panoramica

completa di ogni vostro cliente semplicemente cliccando su un pannello: il registro di tutte le interazioni avvenute, lo stato degli ordini, le fatture in sospeso, la cronologia delle loro transazioni e così via. È possibile visualizzare anche altri dati, come quelli provenienti dai social network, le interazioni avvenute tra i clienti e la vostra azienda, cosa ne pensano, i loro “Mi piace”, i “Non mi piace” e cosa stanno condividendo online proprio in questo momento. Prendiamo come esempio il team di vendita. Il team di vendita può utilizzare il software di CRM per monitorare ogni

singolo cliente: chi è, in quale fase del processo di vendita si trova, quali sono i suoi requisiti, le sue attività più recenti sui social media, gli appunti delle chiamate avvenute in precedenza e i registri delle conversazioni email. Grazie a questi dati, ogni membro del team di vendita ha le informazioni necessarie per formulare la proposta giusta nel momento giusto. Non solo: ogni singolo dipendente ha accesso a tutte queste informazioni e chiunque, in azienda, dallo stagista al CEO, ha la possibilità di offrire servizi su misura ai clienti potenziali ed esistenti. Ciò significa che tutti i reparti sono uniti nello sforzo comune di offrire

un servizio ottimale e di migliorare le relazioni con i clienti. Una tecnologia appropriata può supportare la vostra strategia di CRM, riducendo le spese generali senza diventare un costo aggiuntivo. Il sistema di CRM dev’essere semplice da aggiornare, per agevolare l’aumento della produttività. Dev’essere veloce e flessibile nel fornire i dati necessari ai dipendenti quando ne hanno bisogno, in modo che possano prendere le decisioni migliori in modo tempestivo. Non solo, un aspetto chiave per la maggior parte delle aziende è quello dell’implementazione e della manutenzione di questa tecnologia,

impiegando il minimo possibile di risorse IT. Tradizionalmente, i sistemi CRM sono on-premise. Questo significa che il software CRM viene scaricato su computer o server fisici. L’hardware necessario per utilizzare queste applicazioni può essere costoso ed è necessario rivolgersi a tecnici esperti per l’installazione, la configurazione, il testing, la protezione e gli aggiornamenti continui. Alla luce di queste difficoltà, molte aziende preferiscono affidarsi a software CRM basati sul cloud. L’espressione “basato sul cloud” significa che l’accesso al software CRM

avviene tramite Internet quest’ultimo non è fisicamente su nessun computer, laptop dispositivo aziendale. La tecnologia CRM cloud seguenti vantaggi:

e che presente o altro offre i

Implementazione più rapida Poiché non ci sono software da installare o hardware da configurare, l’implementazione di soluzioni CRM basate sul cloud è molto più rapida rispetto a quanto richiesto dalle soluzioni on-premise. Aggiornamenti automatici del software Tutti gli aggiornamenti per la

sicurezza e quelli del software vengono gestiti a livello centrale dal vendor, lasciando all’azienda tempo e risorse da applicare in altre attività. Efficacia in termini di costo e scalabilità Solitamente le soluzioni CRM cloud sono a pagamento in base all’utilizzo. Quindi, a differenza dei loro equivalenti on-premise, non hanno costi d’investimento iniziali. In genere, il prezzo dei sistemi CRM cloud viene calcolato in base al numero di dipendenti che accedono al sistema e al

numero di funzioni utilizzate. Il sistema può essere semplice o completo, in base alle esigenze dell’azienda, e si paga solo per le persone che lo utilizzano. Di conseguenza, i sistemi basati sul cloud vengono scalati man mano che l’attività cresce. Possibilità di lavorare ovunque da qualsiasi dispositivo Un sistema CRM basato sul cloud offre ai dipendenti la possibilità di accedere al sistema tramite qualsiasi dispositivo, in qualunque luogo con una connessione a Internet. Da un recente sondaggio è

emerso che il 42% dei lavoratori adulti accetterebbe una riduzione dello stipendio pari in media al 6% se potesse lavorare da casa regolarmente; la possibilità di lavorare da qualunque luogo potrebbe quindi avere un impatto positivo sul livello di soddisfazione dei dipendenti e potrebbe persino ridurre i costi del lavoro. Maggiore collaborazione Un sistema CRM basato sul cloud offre un controllo dei dati senza precedenti. Invece di inviare continuamente email e monitorare ogni singola

modifica, quando un file è memorizzato sul cloud tutti i dipendenti vi hanno accesso. Ogni modifica viene salvata e registrata, mentre due o più dipendenti possono lavorare sullo stesso documento contemporaneamente, facilitando la collaborazione. Non si tratta solo di praticità e migliore comunicazione; di fatto, le aziende i cui dipendenti hanno maggiori opportunità di collaborare senza problemi riescono a raggiungere un ROI del 400%, secondo quanto emerso da un sondaggio di Frost & Sullivan.

Differenze tra Marketing automation e CRM Sappiamo che molte aziende utilizzano già soluzioni per Email marketing e Customer Relationship Management (CRM) ma l’introduzione di un sistema di Marketing automatico che cosa sostituisce e con che cosa è complementare? Molti sistemi CRM hanno già un modulo per il marketing e chi fa attività di comunicazione potrebbe chiedersi se ha veramente bisogno di strumenti differenti per aggiornare il proprio

approccio e servizio. Prendiamo in esame la parte di design e le funzionalità: troverete che i sistemi di CRM forniscono valori molto analitici per qualsiasi tipo di organizzazione di vendite e dei reparti amministrativi, ma diventano inutilizzabili per la maggior parte dei dipartimenti di marketing. In genere, i sistemi di CRM non forniscono funzionalità per attività di marketing digitale, come l’Email marketing, il monitoraggio del comportamento e la programmazione di campagne pubblicitarie. Anche se è vero che molti sistemi CRM possono essere personalizzati per gestire queste attività

e ampliare quest’area. Ma queste funzionalità svolgono meglio il proprio compito quando sono native nel sistema stesso. Oggi si sta lavorando molto per potenziare l’integrazione tra le differenti piattaforme di Marketing automation e CRM, in modo che possano lavorare insieme. D’altra parte, entrambi i sistemi sono necessari ed è importante capire quale sia il ruolo che coprono nella vostra strategia, ciò che fanno e che cosa non possono fare. Marketing automation

CRM

Business goal

Sviluppa la relazione con il cliente, automazione dei marketing plan, misura il ROI

Tracci opport pipelin gestion contatt inform

Princip Departmental le vend focus second il mark Comun Comunicazione Communication individ a gruppi e style parte d segmenti vendite Orientato al processo, Databa Prima il marketing poi le vendite

Architecture

ricerche oriente altamente ricerch dettagliate sul transaz comportamento

Tabella 11.1 – Un confronto tra un sistema di Marketing automation e uno di CRM.

Valutare il bisogno di custom integration Oggi, stando a quanto si trova sul mercato, potete fare due scelte. 1. Scegliere strumenti di Marketing

automation che includono uno strumento di CRM, in modo da avere un’unica piattaforma. In caso di bisogno, comunque, questi sistemi sono integrabili anche con piattaforme CRM terze. 2. Scegliere strumenti di Marketing automation senza CRM, che permettono l’integrazione con qualsiasi altro CRM terzo. Da un punto di vista delle piattaforme di CRM classiche, come per esempio SalesForce. com, SugarCRM, Microsoft Dynamics CRM o NetSuite, potete trovare uno strumento che include componenti utili per la Marketing

automation. Se però state utilizzando un CRM fatto su misura, probabilmente avrete bisogno di un’integrazione personalizzata. Ogni piattaforma, per comunicare, utilizza le API (Application Programming Interface), cioè delle interfacce sviluppate da terzi per espandere le funzionalità dei programmi, delle applicazioni o delle piattaforme. Le API sono l’interfaccia attraverso cui far interagire i programmi (o parti di essi) che, diversamente, fra loro non potrebbero comunicare. In base alle vostre necessità, potete scegliere tre livelli di configurazione possibile delle piattaforme: Basic: import ed export manuale.

Se scegliete una Marketing automation con queste caratteristiche, avrete un allineamento del CRM senza alcuna integrazione, che limiterà le vostre possibilità di interazione dinamica. Questa opzione va bene se avete un CRM personalizzato, senza opzione di integrazione avanzata, o se il vostro CRM non è supportato da strumenti di Marketing automation con una funzionalità di connessione pronta all’uso. L’importazione e l’esportazione dei dati sono manuali e

richiedono un file CSV per condividere i dati fra il vostro CRM e il vostro sistema di Marketing automation. L’importazione tramite il file CSV fa risparmiare 60-80 ore di sviluppo API personalizzato, dandovi ugualmente la possibilità di registrare il ROI delle vostre campagne di marketing. La connessione basic limita però la vostra capacità di trasferire i lead fra i sistemi in tempo reale. Importare i dati manualmente, inoltre, è una buona soluzione per mantenere l’implementazione iniziale della

vostra Marketing automation a un livello semplice, raggiungendo comunque i vostri obiettivi, al di là del fatto che lo strumento usato supporti o meno il vostro CRM. Standard: connessione pronta all’uso. La maggior parte delle connessioni CRM può essere installata facilmente senza un grande supporto IT, perché il sistema di Marketing automation è pronto all’uso, con caratteristiche di connessione semplici anche per i non addetti ai lavori. Questa è la migliore fra le tre opzioni, quando la

trovate. Tuttavia, quanto più il vostro CRM richiede di essere personalizzato, tanto meno, probabilmente, troverete una connessione pronta all’uso che funzioni con esso. Verificate con il vostro venditore se questa soluzione può andare bene per voi. Più complessa: integrazione API personalizzata. Se non siete esperti di programmazione API, dovete trovare qualcuno che lo sia. Potrebbe essere, per esempio, il vostro reparto IT o un consulente esterno. Dovete ovviamente valutare le

ore di lavoro necessarie per creare una API adatta a integrare le vostre soluzioni. Questa opzione è la migliore se avete un CRM personalizzato e le risorse per creare le connessioni. Solo circa il 10% delle società sceglie questo percorso, a causa del costo e della complessità. La soluzione che passa per lo sviluppo delle API non è limitata solo alle grandi aziende. Se avete un CRM più modesto di quelli citati in precedenza, come per esempio Zoho, potete trovare in commercio API già pronte e in grado di integrare le vostre piattaforme, senza

bisogno di fare grossi investimenti. Controllate, per esempio, i servizi dei connettori cloud o quelli precostituiti come Kevy.com.

Servizi di integrazione Attualmente, molte aziende italiane non hanno un vero e proprio sistema di CRM e usano i dati con strumenti non centralizzati e non mirati a questa funzione. Alcune, per esempio, usano a questo scopo il sistema di Email marketing o la stessa piattaforma di gestione del sito o dell’e-commerce. Nonostante questo, sul mercato esistono aziende come Kevy.com,

Zapier.com, Cloudwork.com, che possono venirvi in aiuto fornendo delle piattaforme che, in pochi passi, integrano e centralizzano tutti i vostri strumenti, compresi anche il sistema di Content Management e quello dell’ecommerce. Prendiamo, per esempio, Zapier: potete decidere facilmente quali servizi integrare senza dover fare ricorso a uno sviluppatore. Potete, per esempio, mettere in comunicazione il vostro sito sviluppato con WordPress con il sistema di CRM Sugar CRM. Come potete vedere nella Figura 11.1, non dovete fare altro che scegliere le due piattaforme da integrare e indicare cosa

deve succedere in una delle due ogni volta che nell’altra si verifica un particolare evento.

Figura 11.1 – Nell’immagine un esempio di collegamento con Zapier di due differenti soluzioni software. Zapier ha integrato diverse soluzioni presenti sul mercato e voi potete sfruttare questo servizio nel caso ne aveste bisogno o vogliate fare dei test

prima di procedere con un’integrazione diretta.

Attività di ottimizzazione CRM Collegare il vostro CRM con il vostro strumento di Marketing automation vi permetterà di migliorare la comunicazione tra il settore marketing e quello vendite, consentendovi così di avanzare verso programmi di marketing sempre più avanzati. Quest’operazione, ovviamente, non è un compito semplice. Soprattutto perché ogni società usa il proprio sistema CRM

in maniera diversa, e non sempre è quella per cui quel sistema è previsto che funzioni. Cerchiamo di esaminare quale sia l’uso di un sistema CRM, in modo da rendere più flessibile il vostro approccio, e far sì che la successiva integrazione con il vostro sistema di marketing automation funzioni meglio. Prima di tutto ripulite il vostro database. Questa operazione vi serve anche per proteggere il vostro sender score (punteggio mittente) e la vostra reputazione come mittente. Il sender score è un parametro numerico assegnato al vostro indirizzo IP dai filtri antispam. Più alto è il vostro score,

maggiori sono le chance che le vostre email vengano recapitate ai destinatari. Uno dei motivi per cui molti ottengono uno score basso risiede nel fatto che inviano delle email a “cattivi” indirizzi email o a trappole spam. Se state costruendo il vostro database già da qualche anno, probabilmente esso conterrà un numero elevato di questi due tipi di indirizzi. Quindi, prima di avviare l’integrazione tra CRM e sistema di Marketing automation, sarà meglio ripulire il vostro database.

Collegare il CRM al tool di Marketing

automation Alla fine dell’integrazione, avrete i dati e i data field (campi dati) del vostro sistema CRM, quelli del processo di marketing e dei tool di Marketing automation tutti collegati tra loro. Ma prima, date un’occhiata al quadro d’insieme con tutti questi dati, in modo da poter indirizzare in modo corretto tutte le operazioni e i collegamenti in funzione ai vostri obiettivi di business. Di seguito trovate uno schema che ha l’obiettivo di illustrare come dovreste concepire il vostro programma nel suo complesso (in questa sezione spiegherò tutti i dettagli di ciascuno dei seguenti

punti): Nei primi giorni: fate un focus sulla pianificazione e sulla creazione dei campi standard del vostro tool di Marketing automation, usando i moduli e le fonti di dati già esistenti. Durante il lavoro: fate un focus sulla creazione dei campi personalizzati nella vostra soluzione di Marketing automation, in modo che possiate stabilire una corrispondenza con il vostro sistema CRM. Questi campi li utilizzavate già prima di adottare il sistema di Marketing

automation, come campi di riferimento. Tocchi finali: fate un focus sul caricamento dei dati e una verifica dell’avvenuta integrazione. Senza testarla, non saprete se la vostra connessione è in grado di far funzionare i vostri programmi di marketing. I campi di default, in genere, sono campi standard, comuni a tutti i sistemi CRM e ai tool di Marketing automation. Per esempio: nome; cognome; numero di telefono;

altre informazioni di base. In genere, i campi di default rappresentano il minimo indispensabile di cui avrete bisogno per identificare un record. È molto probabile che il vostro strumento di Marketing automation necessiti di un set di campi di default per funzionare bene. Quindi, dovrete collegare quei campi a quelli corrispondenti nel vostro sistema CRM, o crearli se ancora quest’ultimo non li possiede. In base al vostro strumento di Marketing automation potreste essere in grado d’impostare anche altri parametri nel corso della configurazione del modulo. Se i campi che state collegando

sono caselle a discesa, caselle a selezione multipla, campi numerici, campi di dati o pulsanti di opzione, assicuratevi di impostare questi parametri sia nel vostro strumento di Marketing Automation sia nel vostro CRM. Per impostare queste funzionalità spesso occorre molto tempo. Le applicazioni più avanzate aiutano comunque a velocizzare questo processo. Probabilmente, tra tutte le vostre applicazioni di marketing usate già i data point (punti dati) per la segmentazione, la qualificazione o l’assegnazione dei lead. Il vostro nuovo strumento, inizialmente, avrà un

database molto semplice e ridotto, che dovrà essere accresciuto per includere questi data point personalizzati. Ciò significa aggiungere campi personalizzati. I campi personalizzati sono campi di cui avete bisogno in aggiunta a quelli standard del vostro CRM. Potrebbero essere usati nell’ambito del vostro CRM, oppure potrebbero venire utilizzati solo dal vostro marketing, soprattutto per attività di segmentazione e presentazione delle informazioni. Alcuni esempi di campi personalizzati sono: tecnologia utilizzata dal prospect (potenziale cliente);

numero di prodotto; numero delle location (sedi/ubicazioni); qualunque campo abbiate aggiunto al vostro CRM.

Inviare i lead al settore vendite La Marketing automation non è uno strumento utile solo per i marketer, ma anche per il settore vendite. Se non afferrate questo concetto, rischiate di incorrere in problemi di incomprensione da parte dei vostri venditori, che non capiranno ciò che state inviando loro e,

soprattutto, come usare la nuova tecnologia in cui avete investito. Senza un’adeguata spiegazione, lo staff di vendita non capirà come usare correttamente le informazioni ricevute dal marketing. Ricordatevi che si tratta sempre di generare maggiori guadagni, e che entrambi i team perseguono il medesimo obiettivo. Dovreste coinvolgere le vendite in tutti i diversi passaggi, dalla ricerca all’implementazione, sino al perfezionamento del vostro strumento di Marketing automation. Date voce ai vostri venditori, perché avete bisogno che loro credano in queste idee per raggiungere il successo.

Abbiamo detto che i settori delle vendite e del marketing possono facilmente trovarsi in disaccordo l’uno con l’altro. Il settore delle vendite può dire che i lead trasmessi non sono validi, e il marketing, invece, sostenere che le vendite non li sappia sfruttare. Con la giusta tecnologia è possibile allineare questi due team e, oltretutto, farlo in tutta semplicità. Il principale obiettivo dell’intera operazione di collegamento tra il vostro strumento di Marketing automation e il vostro CRM è quello di permettere che i dati fluiscano liberamente avanti e indietro fra vendite e marketing. Identificare i vostri principali data point

su ogni record, prima di iniziare l’implementazione, vi aiuta ad accertarvi che state scegliendo il giusto strumento e state integrando correttamente le due piattaforme. Iniziate definendo, insieme al settore vendite, quali sono i campi necessari affinché un lead venga commercializzato in maniera ottimale. I lead qualificati dal marketing sono quelli che hanno soddisfatto tutti i criteri per essere considerati tali e quindi trasmissibili al reparto vendite. Quindi, i dati che vengono trasmessi dal marketing alle vendite saranno i primi che dovrete integrare. I campi che usate per segmentare la vostra lista saranno il

secondo gruppo. A questo punto è probabile che si verifichi una sovrapposizione ma non preoccupatevi: è giusto che accada. Continuate a svolgere il processo di integrazione per ogni punto del vostro CRM. Non occorre integrare i campi che non usate per la segmentazione e che non vengono richiesti dal settore vendite per qualificare un lead. Di solito, i campi che generalmente non producete ma che verranno richiesti per automazioni avanzate sono impostati automaticamente quando installate il vostro strumento di Marketing automation nel CRM. È normale che ci siano problemi di

comunicazione fra il marketing e il reparto vendite: solitamente si tratta di mancanza di corrispondenza delle definizioni. Per esempio, per il comparto vendite il lead è una persona pronta all’acquisto ma, per un addetto al marketing, può darsi che sia semplicemente qualcuno che manifesta un determinato interesse. La Marketing automation vi dà la possibilità di chiarire e uniformare queste definizioni, creando così un team più coeso. Le tre principali definizioni su cui avete bisogno di lavorare insieme al vostro team sono: 1.

Punteggio Sales Ready: cioè “pronto per le vendite”. Questo

punteggio indica la soglia minima che un lead deve raggiungere per passare alle vendite. Il reparto vendite e il marketing devono mettersi d’accordo su uno score, raggiunto il quale un lead viene passato alle vendite. Determinare una soglia minima rende più facile misurare e implementare questo passaggio attraverso la Marketing automation. 2. Accordo di servizio: i team delle vendite e del marketing, a volte, sono in disaccordo sulla quantità di tempo che deve passare tra il momento in cui un

nuovo lead viene passato a un venditore e quando quest’ultimo lo contatta. La comunicazione bilaterale fra il CRM e lo strumento di Marketing automation vi consentirà di tracciare e automatizzare una tempistica condivisa e di concordare le azioni da intraprendere quando la scadenza viene superata. 3. Lead Sales Ready: un lead pronto per le vendite è un lead pronto a prendere una decisione d’acquisto o a intrattenere una conversazione con un rappresentante delle vendite.

Molte azioni possono essere interpretate come segnali che il lead sia pronto, e tuttavia potrebbero non essere sufficienti a qualificarlo con precisione. La Marketing automation vi dà la possibilità di combinare fra loro tutte le azioni orientate alle vendite, in modo che abbiate una visuale sull’effettivo stato del lead nei confronti delle vendite. Gli strumenti disponibili all’interno della vostra soluzione di Marketing automation sono il lead scoring (punteggio del lead) e il lead tracking (monitoraggio, tracciabilità del lead).

Collaborare con il reparto vendite Potete intraprendere molti tipi di campagne di supporto alla vendita ma non dovreste mai farlo senza collaborare con il reparto vendite. Definite insieme gli obiettivi. Dovete sedervi insieme al capo del vostro team di vendita e definire gli obiettivi delle vostre campagne. Aiuta a collaborare e a farsi un’idea chiara di ciò che ci si aspetta dalle campagne di marketing. Ottenete l’approvazione delle

vostre idee. Le vostre idee devono essere accettate dal team delle vendite. Può darsi che dobbiate partecipare a meeting di vendita per presentare le vostre idee o che siate chiamati a farlo via email. Suggerisco di incontrarvi di persona, in modo che lo staff di vendita possa porvi dei quesiti. Vi garantisco che avranno molte domande da farvi. Create un “gruppo test”. Organizzate un gruppo su cui effettuare un test, specie se avete a che fare con “gente difficile”. Il gruppo test sarà il primo a

valutare e impiegare la campagna e poi a rendere noti i risultati. Un gruppo test può risultare di grande vantaggio se il vostro team è riluttante al cambiamento. Stabilite una data in cui fare un resoconto. Dovete fissare un termine per le vostre campagne. Avere un termine prefissato vi consente di ottenere un feedback. Se le vendite non vogliono che interrompiate le vostre campagne di marketing, non dovete farlo per forza, ma fissare una data nero su bianco vi dà una scadenza per una

nuova valutazione. Inoltre, vi consente di rinviare i commenti del reparto vendite sino a tale data.

Segmentazione La segmentazione permette di identificare gruppi distinti di persone e di aggiungerli a liste separate nel vostro strumento di Marketing automation. Una lista può essere costituita da molte segmentazioni. Per esempio, la lista può avere una segmentazione di tutti i responsabili marketing in Italia, i cui dati sono stati acquisiti in un modulo online con un campo che chiedeva il

titolo di lavoro. Quindi, al momento della compilazione del form, chiunque inserisca nel campo “Titolo di lavoro” le parole “Responsabile Marketing” verrà automaticamente aggiunto alla lista. La maggior parte degli strumenti di Marketing automation gestisce segmentazioni e liste nello stesso modo: La lista è la lista fisica delle persone. Pensate la lista come il risultato e la segmentazione come la regola per inserirvi le persone. La segmentazione/automazione è l’insieme dei parametri. La segmentazione impone chi,

quando e come le persone sono aggiunte alla lista. Nella Marketing automation, i segmenti diventano gli obiettivi delle campagne di marketing. Le segmentazioni possono essere impostate per essere in esecuzione costantemente o occasionalmente: tutto dipende da quello che si sta cercando di realizzare.

Comprendere i tipi di segmentazioni Quando si utilizza un sistema di Marketing automatico, la segmentazione tende a essere un processo dinamico.

Tuttavia, ci sono in realtà tre principali tipi di segmentazione. Conoscere il proprio obiettivo per ogni lista ci aiuta a determinare come gestire correttamente la segmentazione. Un unico uso: segmentazione statica. Tenere traccia di una specifica azione: lista semi-dinamica. Elenco che deve essere rigenerato ogni giorno: lista completamente dinamica. Approfondiamo ora le tre tipologie di segmentazione.

Segmentazione statica Sono liste di nomi compilate soltanto una volta. Per esempio, se s’imposta una segmentazione statica per trovare tutti i lead che sono responsabili marketing in Italia, il sistema di automazione troverà la lista e genererà un elenco statico, al quale non saranno più aggiunti altri nominativi. Questo è, in genere, il tipo di lista con cui le persone hanno più familiarità prima di utilizzare uno strumento di automation. Gli usi più comuni delle segmentazioni statiche sono i seguenti: Campagne una tantum: sono campagne che non si svolgono in

maniera regolare. Supporto mirato alle vendite: se si supportano le vendite e queste richiedono una email specifica da inviare, è il modo più rapido per rispondere alla richiesta. Creazione del profilo: è una segmentazione molto comune che si basa sulle informazioni demografiche. Report base: la segmentazione può facilmente aiutare a vedere quante persone hanno effettuato una combinazione di azioni specifiche, che possono essere utili nella segnalazione.

Segmentazione semi-dinamica Sono liste in cui si possono aggiungere ma non sottrarre più nominativi. Tornando al nostro esempio dei responsabili marketing in Italia, se s’imposta una segmentazione semidinamica, il sistema di automazione di marketing troverà tutte le persone che soddisfano i criteri, e aggiungerà i nuovi nominativi di volta in volta, ma non consentirà sottrazioni dalla lista. Quindi, se qualcuno cambiasse nel database il proprio titolo di lavoro da marketing manager a customer support manager, il sistema non potrà rimuoverlo o spostarlo associandolo a un’altra lista. Alcuni usi per gli elenchi semi-

dinamici sono i seguenti: La segmentazione di alto livello sul coinvolgimento: per esempio, se si desidera mantenere un elenco di tutti quelli che non hanno mai partecipato a un evento specifico, una lista semidinamica è una buona scelta, perché il vostro follow-up di marketing probabilmente non dipende dal fatto che quelle persone parteciperanno a un altro evento in futuro. Segmentazione sull’interesse prodotto: un elenco di persone che hanno mostrato interesse in

uno specifico segmento di prodotto è un buon esempio di una lista che non ha bisogno che queste vengano successivamente rimosse.

Segmentazione completamente dinamica Utilizzare questa modalità per le liste significa che una persona può essere aggiunta e rimossa dall’elenco in base ai dati presenti nel suo profilo. Per esempio, un elenco completamente dinamico di tutti quelli che hanno visitato il vostro sito negli ultimi trenta giorni è una lista che si modificherà

giornalmente. Ecco alcuni buoni usi completamente dinamiche:

di

liste

Lead nurturing: quando si imposta un elenco di lead nurturing è necessario utilizzare una lista completamente dinamica. Ciò consente di aggiungere persone alla lista e rimuoverle quando non fanno più parte del processo di nurturing. Esecuzione della campagna di marketing: quando la vostra campagna richiede un elenco di persone che potrebbe essere diverso da un giorno all’altro,

segmentazioni completamente dinamiche sono fondamentali. La segmentazione per coinvolgimento personale: la segmentazione può essere molto utile se cercate di trovare i fan più influenti e più attivi.

Generazione della prima lista La generazione delle liste è molto semplice e, di solito, richiede solo pochi clic nel sistema di CRM o di Marketing automation. Indipendentemente dai passaggi effettivi per la messa a punto della lista, le sezioni che seguono mostrano alcune cose importanti da tenere a mente

quando si organizza la prima lista. Non tutti gli strumenti utilizzano gli stessi controlli nell’elenco di email, quindi assicuratevi di conoscere le risposte alle seguenti domande prima di costruire le vostre liste: Il vostro strumento deduplica automaticamente per ogni invio di un’email? Deduplicare significa che lo strumento è in grado di riconoscere quando un nominativo appare più di una volta nella stessa lista o in più liste e quindi evita che vengano inviate più copie della stessa email agli stessi soggetti. Questa funzione è veramente utile

quando si lavora con più elenchi. Qual è la chiave identificativa del vostro strumento per la deduplicazione? Sarà molto probabilmente un indirizzo email o un campo di CRM ID. Il vostro strumento permette a un nominativo di essere sulla stessa lista più di una volta? Per una buona segmentazione è importante identificare i dati principali. Soprattutto nella prima fase di creazione, più dati avete a disposizione per la vostra segmentazione, più l’attività per poterla gestire si complicherà. Quindi, dovete fare in

modo di assicurarvi di usare i dati corretti e utili alla segmentazione. I gruppi di dati più comuni utilizzati nella segmentazione sono i seguenti: dati demografici: nome, cognome, azienda, dimensioni, indirizzo, CAP; azioni: visite al sito, download, clic, pagine visitate; comportamenti: lead scoring, ultima data di attività, interessi; dati CRM: ultima attività commerciale, lo stato del lead, livello di opportunità.

Esplorare i molti usi della

segmentazione Ogni campagna di marketing dovrebbe essere rilevante per la persona sulla quale stiamo facendo attività di comunicazione. E il targeting – cioè l’inviare messaggi attraverso la segmentazione – è il modo più veloce per essere rilevante. Segmentare il database in base all’attività che ci si è prefissata, permette di trovare i principali gruppi di persone che hanno indicato uguali interessi. Le prossime sezioni del libro mostrano gli usi più comuni della segmentazione e spiegano come rendere le vostre segmentazioni più pertinenti. Le azioni di email marketing vi

permettono di avere un modello di segmentazione di utilizzo immediato: se l’utente presente in una delle vostre liste apre l’email, fa bounce o compie una qualunque altra azione, vi permette di capire immediatamente se il segmento creato ha una buona funzionalità (magari lo potete confrontare con una segmentazione analoga). Vediamo quali sono i segmenti che si possono usare. Segmento apertura email: l’apertura della email è sicuramente un segmento, ma non quello più importante perché, come abbiamo visto, purtroppo questo dato non è

sempre affidabile. Segmento bounce: il bounce è molto importante perché indica che quel contatto non è reperibile. Ovviamente dobbiamo capire se siamo in presenza di un hard bounce (che denota un indirizzo email non valido) o di un soft bounce (che denota una risposta del tipo “fuori ufficio”). Quest’ultimo è un dato importante perché non va a inficiare le prestazioni della email nel sender score. Segmentazione sui clic: quello sui clic dei link presenti nell’email è il modo migliore

per segmentare un’azione perché è un’azione diretta ed è molto precisa, che rivela un interesse specifico per il contenuto a cui punta il collegamento. A seconda del tipo di email, segmentare il clic email vi aiuta a: • segmentare i lead sull’interesse del prodotto; • segmentare i lead sul livello di interesse; • muovere i lead in differenti campagne di nurturing. I segmenti si possono creare anche sull’inattività, quindi su una

manifestazione di scarso interesse verso le comunicazioni che stiamo inviando. Lo studio di questi casi è importante per provare a risollecitare quei contatti, cercando un modo diverso di coinvolgerli. Segmentazione sul tempo: creare segmenti per tempo di inattività. Dobbiamo considerare l’utilizzo di segmenti, quali: • data dall’ultima interazione; • nessuna azione negli ultimi 60 giorni; • nessun marketing touchpoint negli ultimi 60 giorni.

Segmentare per il punteggio di lead: i punteggi devono essere calcolati sulla base di una combinazione di attività e inattività. Consideriamo questi segmenti: • lead senza punteggio; • lead i cui punteggi sono aumentati maggiormente negli ultimi 60 giorni; • lead con il punteggio più alto per un periodo di tempo; • lead i cui punteggi sono scesi negli ultimi 60 giorni. Come abbiamo già detto, la Marketing automation facilita l’accesso ai dati

CRM, perché questi sistemi, di solito, sono dei repository di dati centralizzati. Tutti i dati che sono nel nostro sistema CRM possono essere utilizzati per le segmentazioni. Alcune segmentazioni molto importanti che possiamo creare sono: segmentazione sull’ultimo acquisto; segmentazione sullo storico acquisti; segmentazione sul lead journey; segmentazione sul rappresentante alle vendite.

Riciclo lead

In conclusione di questo capitolo sul CRM possiamo dire che lo schema di massima potrebbe essere rappresentato partendo dalle attività di Digital marketing svolte per acquisire traffico targetizzato al sito, a un minisito speciale o a una landing page. Una volta che viene realizzata una conversione, tutti questi dati vengono gestiti dalla piattaforma di Marketing automation, che comincia a gestire il processo di lead nurturing. Quindi, i dati vengono sincronizzati all’interno del CRM e, quando attraverso il lead scoring il punteggio indica che l’utente è pronto alla conversione definitiva, si prova a portare a termine la vendita (Figura

11.2).

Figura 11.2 – Lo schema mostra un principio di riciclo di lead attraverso una piattaforma di marketing automation. A questo punto, però, sorge spontanea la domanda: che cosa facciamo con tutti quelli che non hanno convertito?

Introduciamo quindi un nuovo concetto legato al “riciclo dei lead”. Grazie all’integrazione con il CRM, è possibile inserire delle informazioni importanti che avete ottenuto attraverso il primo contatto. Se queste informazioni vi permettono un altro tentativo di vendita in un momento diverso (quando, per esempio, nell’utente si manifesta un nuovo bisogno che potete soddisfare), potrete provare con più determinazione a convertire questo lead in acquirente. Un esempio potrebbe essere quel lead potenzialmente pronto alla conversione ma che in questo momento non ha il budget necessario a disposizione per portare a termine l’acquisto. In questo

caso, il sistema di sincronizzazione del CRM sposterà il lead nel segmento con status “da riciclare” o, detto meno brutalmente, “da coltivare”. L’attività di nurturing, in questo caso, potrebbe seguire un nuovo processo: per esempio, se vi rendete conto che nel potenziale cliente non c’è ancora fiducia nell’azienda per quanto riguarda i termini di garanzia o di qualità, potreste prevedere un piano di comunicazione via email che valorizzi i vostri casi di successo, oppure potreste tranquillizzare il lead attraverso un’attività di press office o anche offrendo dei contenuti gratuiti.

CAPITOLO 12

E-COMMERCE AUTOMATION L’e-commerce sta registrando una crescita importante sia in termini di investimenti sia di fatturato. Sono sempre più le aziende che investono in questo ambito, sebbene la modalità in cui lo fanno sia discutibile, sottovalutando spesso l’impegno necessario per il suo sviluppo e la gestione: molti pensano che basti aprire un canale online, usando una delle tante

piattaforme disponibili sul mercato, e investire in advertising per creare un ecommerce vincente. Purtroppo per loro, le cose non funzionano in questo modo. Oggi, per avviare e far funzionare un e-commerce, è richiesto un grande impegno e serve molta attenzione ai dettagli, perché non si tratta più di lavorare sul territorio ma di competere a livello globale con altre realtà e la concorrenza in questo canale di vendita è spietata. Come si può vedere nella Figura 12.1, la crescita dell’e-commerce nell’anno 2014 è stimata al 17%, portando così il mercato italiano a un valore totale di 13,2 miliardi di euro.

Figura 12.1 – Il grafico mostra la crescita dell’e-commerce dal 2006 a oggi e la ripartizione per settori. Uno dei principali fattori trainanti del settore negli ultimi anni è stato il mobile commerce: si pensi che, solo in Italia, gli acquisti tramite smartphone sono

cresciuti del 289% nel 2013 e nel 2014 hanno registrato un’ulteriore crescita dell’85%. Quello del commercio elettronico è un trend positivo determinato anche da una maggiore consapevolezza da parte delle imprese delle opportunità che il digitale può offrire in un momento di crisi che ha messo in discussione i modelli di vendita tradizionali.

E-commerce platform Nella Figura 12.2 potete vedere che le piattaforme più utilizzate in ambito ecommerce sono quelle open source, le cui comunità di sviluppo forniscono un

buon supporto e prodotti sempre aggiornati e ricchi di funzionalità. Tra queste, le più importanti e conosciute sono Magento (acquisita da eBay), WooCommerce (sistema di e-commerce sviluppato per WordPress) e PrestaShop. Ognuna di queste soluzioni ha, ovviamente, i suoi pregi e i suoi difetti ma tutte sono comunque aggiornate e offrono moltissime funzionalità. Tutte queste piattaforme sono integrabili con quelle di Marketing automation.

Figura 12.2 – Il grafico mostra l’utilizzo degli strumenti e-commerce nel mondo secondo Datanyze.

PrestaShop è la piattaforma che in Italia sta conquistando uno spazio sempre più grande e sta crescendo molto velocemente in termini di utenza, rispetto, per esempio, a Magento. La Figura 12.3 mostra un’analisi fatta con Google Trend, che mette a confronto le ricerche online relative a Magento, PrestaShop e WooCommerce. Potete vedere chiaramente quale sia la tendenza nel nostro Paese.

Figura 12.3 – Il grafico mostra l’andamento delle parole chiave inerenti alle soluzioni software per e-commerce. Da sinistra, la prima linea misura l’interesse per Magento, la seconda (al centro) PrestaShop, e la terza (la più a destra) WooCommerce.

Come abbiamo visto nel capitolo sui CMS, con la Marketing automation potete personalizzare l’esperienza utente e coinvolgerlo in un sito di e-commerce con una connotazione e una presentazione dei prodotti che possono suscitare maggiore interesse per il visitatore, in modo che possa trovarsi nella condizione di dire: “Ecco, questo è quello che stavo cercando!” Perché ciò accada, e il potenziale cliente non abbandoni il sito, avete ben pochi secondi. Amazon, uno dei principali player mondiali, riesce con grande successo in questo tipo di attività. Una delle prime cose, quindi, cui dobbiamo fare attenzione e curare nel

modo migliore è la personalizzazione della homepage. Per farlo, è sempre bene provare a presentare al visitatore i prodotti correlati a quanto può aver ricercato nelle precedenti visite, possibilmente presentando le offerte presenti nella stessa categoria.

E-commerce strategy In questo capitolo affronteremo le tematiche dell’e-commerce legate all’automazione del business, per raggiungere lo scopo di riuscire a utilizzare soluzioni ottimizzate che prestino la massima attenzione al cliente finale.

Fondamentalmente un e-commerce non è molto diverso da un qualsiasi negozio fisico: quando i clienti entrano vanno accolti, consigliati, seguiti e ringraziati con un sorriso, cercando il più possibile di fidelizzarli. Essere presenti, anche se discretamente, in ogni fase d’acquisto è una delle leve principali del successo del business e questo vale maggiormente nel Web perché non si può garantire una presenza fisica nel momento esatto in cui al cliente servirebbe un suggerimento. In questo caso, un valido aiuto viene proprio dalle email, che consentono un contatto istantaneo e molto personalizzato. Cerchiamo di capire

come ottimizzare il nostro lavoro, andando a valorizzare ogni opportunità offerta dall’e-commerce grazie alla misurazione e alla Marketing automation. Uno strumento molto usato per incrementare le vendite è l’uso dei coupon sconto: una ricerca condotta dalla società Ipsos mostra una maggiore propensione dei consumatori italiani all’utilizzo e alla ricerca di buoni sconto e promozioni varie. Questa ricerca mostra che, rispetto a quanto avviene nei mercati spagnolo e francese, i consumatori italiani effettuano i loro acquisti online sotto la spinta di buoni o coupon che promettono un risparmio sul

prezzo di vendita. La spinta al risparmio è una leva che spinge ben il 26% degli utenti italiani a effettuare acquisti online, rispetto al 25% degli spagnoli e al 24% dei francesi. Il risparmio si presenta sotto diverse forme: dai semplici buoni sconto ai più innovativi cashback, formule che prevedono il rimborso di una parte della cifra pagata dal consumatore. Inoltre, la ricerca mostra chiaramente quali sono i meccanismi che muovono il consumatore al suo primo acquisto e a quelli successivi. Il primo ordine viene generalmente effettuato sulla base della convenienza dei prezzi di un sito rispetto

a un altro (45% degli utenti), mentre in secondo piano troviamo la comodità rispetto al negozio tradizionale (35% degli utenti) e la facilità con cui si trova il prodotto desiderato (22% degli utenti). Le ragioni principali che portano a effettuare gli ordini successivi sono invece: esperienza positiva del primo acquisto (29%), usabilità del sito ecommerce (27%) e ampiezza di scelta dei prodotti. Vedete chiaramente che, unitamente alle azioni di marketing messe in campo, le procedure di gestione ordini hanno un impatto notevole sulla customer retention e quindi sugli acquisti

successivi. Tornando alla leva che, stando alla ricerca, spinge maggiormente un utente medio a effettuare il primo acquisto su un sito di e-commerce, parliamo dei coupon (Figura 12.4). Un coupon non è altro che uno sconto o un’offerta da fornire ai clienti, incentivandoli così a visitare il vostro e-commerce e a interagire con la vostra azienda. Inoltre, una volta che avrete conquistato il nuovo cliente, il vostro obiettivo è quello di indurlo a tornare a visitare ciclicamente lo store, in cerca di nuovi prodotti o nuove offerte. Una campagna di couponing deve però essere gestita e pianificata

accuratamente, in modo da non rappresentare solamente un “costo” per l’azienda.

Figura 12.4 – Nell’immagine un esempio di coupon per catturare maggiori lead/vendite.

Qui di seguito trovate alcuni esempi di come andrebbero generati i coupon in modo da avere un rientro effettivo, sia sotto un aspetto monetario sia per un rientro in termini d’immagine dello store. Coupon legati all’iscrizione alla newsletter: offrite uno sconto (da utilizzare una volta sola!) a chi si iscrive alla vostra newsletter; vi permetterà di raccogliere importanti contatti a cui mandare successive offerte o news su nuovi prodotti. Coupon per chi risponde a un sondaggio: anche in questo caso offrite un piccolo sconto a chi

risponde ad alcune domande da voi preparate ad hoc per poter ottenere il maggior numero di informazioni utili sui visitatori del vostro store e poter quindi pianificare ulteriori promozioni in base a questi dati (per esempio, se avete un pubblico prettamente femminile, dovrete tarare le offerte per poter massimizzare le vendite verso il gentil sesso). Coupon per chi interagisce con i vostri social: in questo caso potreste non vedere immediatamente benefici, ma tenete presente che gran parte

della SEO viene fatta attraverso Facebook, Twitter e Google+. Offrite un regalo o una promozione in cambio di un “like” sulla vostra fanpage e potreste attirare molti nuovi clienti. Coupon legati all’acquisto di un determinato prodotto o alla quantità: queste sono le offerte più comuni che dovrete utilizzare e non serve essere un esperto di marketing per capire i benefici che possono nascere da questo tipo di iniziativa. Ovviamente queste sono solo alcune linee guida che potrete seguire e

personalizzare secondo le vostre esigenze: non è detto, infatti, che una soluzione studiata per uno store online funzioni anche per un altro. In generale, comunque, quanto abbiamo illustrato non potrà che giovare alle vostre vendite.

Abbandono del carrello Uno degli argomenti più delicati per chi fa e-commerce è quello dell’abbandono del carrello. Secondo uno studio di Fireclick, nel 2014 il tasso di abbandono medio del carrello di un ecommerce è stato pari al 62,3%. Sei

utenti su dieci abbandonano il carrello dopo averlo riempito di prodotti e, forse, anche successivamente all’aver compiuto diversi step verso la conclusione dell’acquisto. Le motivazioni alla base dell’abbandono di un carrello sono piuttosto note (Figura 12.5): la presenza di costi inaspettati; l’aver trovato altrove un prezzo più basso; una spesa globale troppo alta; la presenza di nuove informazioni che pregiudicano l’acquisto; un ripensamento all’ultimo minuto;

mancanza di fiducia. Verrebbe da dire che, forse, una percentuale così alta di abbandoni del carrello non dipenda sempre e comunque da una mera questione di prezzo o di credibilità.

Figura 12.5 – Nel grafico sono illustrate le principali ragioni per cui vengono abbandonati i carrelli in un e-commerce. A volte, il carrello viene usato più come un “contenitore temporaneo” di idee e spunti per un eventuale acquisto che non come vero ultimo step verso l’acquisto dei prodotti inseriti. Sebbene questo possa essere un motivo che giustifica una percentuale così alta, comunque sarebbe meglio trovare una soluzione per riuscire ad abbassare questa percentuale. Questo problema ha fornito al marketing online due sfide chiave alle quali rispondere:

la necessità di ridurre i tassi di abbandono del carrello; l’esigenza di recuperare quei clienti che abbandonano il carrello della spesa. Ci sono vari metodi che possono contribuire a ridurre la percentuale di abbandono del carrello: per esempio, si possono offrire più opzioni per la spedizione, oppure effettuare dei cambiamenti tattici e tecnici, come la riduzione dei passaggi necessari a completare l’acquisto, per rendere tutto il processo più semplice e rapido. Allo stesso modo, si possono adottare degli approcci più incisivi per recuperare il cliente: per esempio, una strategia di

remarketing è ormai una tecnica affermata e comunemente utilizzata. Questa strategia consiste nell’invio di un’email automatica a pochi minuti – o ore – dal momento dell’abbandono del carrello. Sarà così possibile cercare di riacquisire il cliente, inviandogli un riepilogo del carrello, o spedendogli un codice che gli permetterà di usufruire di uno sconto oppure della spedizione gratuita. Le statistiche affermano che questo tipo di email, inviata entro ventiquattro ore dall’abbandono del carrello, viene aperta dal 50% dei destinatari e ha un tasso di recupero del 10%: si tratta di un incoraggiamento, che viene percepito

dal cliente come rassicurante. Per attivare queste strategie, la configurazione nei tool di Marketing automation è molto semplice: consiste nel definire una regola per cui qualsiasi visitatore inserisca i suoi dati e avvii il processo di acquisto senza concluderlo, viene inserito in una lista di clienti da recuperare con l’invio di un’email automatica (Figure 12.6 e 12.7). Questa strategia può essere strutturata in vari modi e, a seconda dell’obiettivo, è comunque consigliabile fare dei test per comprendere quale sia la strada migliore per recuperare i carrelli abbandonati.

Figura 12.6 – Nell’immagine si vede un esempio di creazione di una lista di utenti che non hanno portato a termine un carrello.

Figura 12.7 – Nell’immagine si vede un esempio di creazione di un workflow per utenti che non hanno portato a termine un carrello.

Customer Lifecycle

Management Nel campo dell’e-commerce, l’attività di gestione del ciclo di visita del cliente è molto importante, perché permette di sviluppare una strategia che porti ad avere non solo sempre nuovi clienti che comprano ma anche utenti che siano fedeli e continuino a fare acquisti nel vostro negozio. Spesso ci si focalizza troppo sul concetto della conversione, che sappiamo essere molto importante, ma ciò che deve interessare maggiormente è il successo della strategia di Customer Lifecycle, che consiste nell’ottimizzazione del valore della vita

del cliente (in inglese, Customer Lifetime Value – CLV). Questa metrica è determinante per la profittabilità a lungo termine, perché vi ripaga di tutti gli sforzi effettuati per portare un visitatore sul vostro sito e farlo convertire acquistando. Giunti a questo punto, non potete perderlo perché preferite pensare soltanto a conquistare un altro nuovo cliente. In tutto il processo di conversione, i visitatori e i clienti potranno passare attraverso varie fasi e la comprensione di queste fasi è essenziale per sviluppare la giusta strategia di vendita e di marketing. Mi capita spesso di vedere i fatturati di aziende che

generano parecchio fatturato online e di constatare che una percentuale molto significativa di questo giro d’affari è generata da clienti fidelizzati che tornano ad acquistare. Nella Figura 12.8 è illustrato il tipico percorso che porta un visitatore a diventare un cliente fidelizzato. Come si può notare, secondo il Customer Lifecycle l’obiettivo principale non è soltanto la vendita (livello 3), ma anche la fidelizzazione dell’utente con lo scopo di portarlo ad acquistare regolarmente (livello 4: loyalty). Il concetto di cliente fidelizzato può essere inteso in vari modi e ogni azienda ha le sue metriche per identificarlo:

potrebbe descrivere un cliente che compra ogni mese o lo fa in un arco di tempo definito, oppure che ha fatto più di n transazioni. Una volta definita la metrica da usare, sarete in grado di comprendere quali sono i vostri clienti fidelizzati. Come si può vedere nella Figura 12.8, gli elementi principali sono tre. Acquisition: portare traffico rilevante nel Customer journey. Activation: convertire attraverso le attività di lead nurturing. f Retention: trattenere i clienti, fidelizzandoli.

Figura 12.8 – Nello schema si vede il percorso per portare i clienti alla fidelizzazione. Nei capitoli precedenti abbiamo visto le tecniche più adatte riguardanti i primi

due elementi dello schema. Ora cerchiamo di capire come funziona la Customer retention. La Customer retention è una vera e propria sfida per tutte le aziende moderne, perché riuscire a trattenere i clienti è in genere più profittevole che acquisirne di nuovi. Una strategia di Customer retention ha l’obiettivo di mantenere un’alta porzione di clienti ad alto valore, riducendo il numero di coloro che abbandonano il vostro servizio/azienda (churn rate). Una strategia di sviluppo della clientela mira ad aumentare il valore dei clienti che restano tali per l’azienda. La Customer retention tende a

mantenere vive delle relazioni di scambio con i clienti sul lungo termine. È l’altra faccia della Customer defection o churn. Un’alta retention equivale a un basso livello di defezione. Aumentare la Customer retention è un obiettivo importante per la maggior parte delle strategie di vendita di un ecommerce: la sua definizione e misura è importante per tutte le questioni legate alle vendite, al valore e al profitto finora discusse. È importante ricordare che lo scopo principale del concentrare gli sforzi sulla Customer retention è assicurare all’azienda il mantenimento di relazioni con clienti portatori di valore aggiunto. Non sempre è utile

mantenere delle relazioni con tutti i clienti: alcuni potrebbero essere troppo costosi da servire, altri potrebbero cambiare continuamente le proprie abitudini in cerca dell’offerta migliore. Queste tipologie di clienti, invece di rappresentare un valore per la vostra azienda, potrebbero avere effetti negativi.

Incrementare il valore del CLV Per migliorare la media dei clienti fidelizzati che scelgono il vostro ecommerce per i futuri acquisti e,

soprattutto, per cercare di alzare di livello il cliente che ha comprato una sola volta e che volete che si fidelizzi, potete operare in questi modi. Capire il motivo per cui un cliente ha comprato più volte: svolgete una sorta di intervista ai vostri clienti offrendo loro qualcosa in cambio. Dopodiché, provate a utilizzare le stesse leve con i clienti che sono ancora allo stadio di un singolo acquisto. Lavorare per minimizzare il numero dei clienti inattivi (churn): ipotizzate di considerare un cliente come

inattivo quando il tempo passato dal suo ultimo acquisto è superiore a un precedente periodo di inattività o quando è superiore a un arco di tempo da voi stabilito. Per capire con quale tipo di cliente vi state relazionando, dovete segmentare e suddividere il tipo di clienti, in modo da offrire una comunicazione differente per ciascuno di loro. Ecco alcuni esempi di clienti: Nuovo cliente: si trova al primo stadio e su di esso si deve lavorare cercando di farlo diventare cliente abituale,

utilizzando tecniche di followup e di sviluppo della fiducia. Cliente importante ma non frequente: questo tipo di cliente ha un ordine medio (Average Order Value – AOV) molto alto ma purtroppo non acquista molto frequentemente. Potete identificare questo tipo di cliente come una persona che ha disponibilità economica, e dovete cercare di incentivarlo mandandogli input di acquisto basati sul tipo di prodotti che solitamente consulta sul vostro sito. Cliente economico: questo tipo

di cliente ha la tendenza a comprare soltanto quando c’è un’offerta o gli viene offerto uno sconto. È importante non inviare troppi sconti o troppe offerte a questa tipologia di clienti, per evitare che subordini ogni acquisto a una promozione. Cliente evangelista: questo tipo di cliente è molto presente in ambito social e quando acquista condivide il prodotto, ne parla, condivide immagini su Pinterest o Instagram. È importante dargli voce, supporto e comunicare con lui fornendogli strumenti e incentivi per facilitare il passa

parola. Cliente top: è il tipo di cliente che qualsiasi azienda vorrebbe avere: compra costantemente ed è affezionato al brand, tanto da esserne anche un evangelista. Purtroppo, la percentuale di questa tipologia di clienti generalmente arriva solo al 5%, e questo è già un dato molto alto, sebbene ci siano aziende che godono anche di percentuali più elevate. È importante instaurare un alto livello di fiducia, offrire delle esclusività su prodotti o anteprime, invitarlo a eventi, dare priorità

ai suoi ordini, invitarlo a una VIP membership. Come si può vedere nella Figura 12.9, la differenza tra un sistema standard (sulla sinistra) e un sistema di automation (sulla destra) è notevole: nel secondo caso si hanno molte informazioni sul cliente e possiamo vedere anche quando cambia status e diventa, in questo caso, Hero cioè un cliente top.

Figura 12.9 – Nell’immagine sono illustrati i vantaggi di utilizzare strumenti di Marketing automation che consentono una migliore profilazione.

Messaggi follow-up I messaggi follow-up possono essere definiti come quei messaggi inviati a seguito di un evento o di un processo. Queste comunicazioni vengono inviate attraverso strumenti di Email marketing ai visitatori o ai clienti che si trovano a un certo punto del proprio percorso o che hanno effettuato delle operazioni per le quali sarebbe bene che ricevessero un qualche tipo di comunicazione.

Email di benvenuto Il programma più semplice che qualsiasi e-commerce marketer può impostare è

quello dell’invio di un’email di benvenuto a seguito della registrazione al sito. Solitamente l’invio viene effettuato dopo che il visitatore si abbona alla newsletter o si registra al sito per avere informazioni e rimanere aggiornato, oppure perché è stato incentivato da uno sconto. Alcuni siti, come si può vedere nella Figura 12.10, in cambio della registrazione offrono un coupon sconto. Nel caso l’utente non abbia concluso un acquisto, si potrebbe pensare all’invio di una seconda email con una comunicazione leggermente più aggressiva. Come si vede nella Figura 12.10, il workflow di questo processo può essere

così impostato: si invia un primo messaggio di benvenuto al nuovo registrato e, se nei sette giorni successivi non ha effettuato alcun acquisto, gli si invia un messaggio di follow-up.

Figura 12.10 – Nella schermata si vede un esempio di un workflow di “benvenuto”.

Conferma ordine È la classica email che si riceve quando si fa un acquisto online. Questa comunicazione è doverosa per confermare all’utente finale che l’ordine è corretto e che tutto sta procedendo nella maniera ottimale. Spesso non si presta la giusta attenzione a questo tipo di comunicazione, ma vale la pena comunque controllare bene cosa scrivete: per esempio, molte aziende lasciano il messaggio standard offerto dalla piattaforma di ecommerce, che quasi mai riflette il giusto iter offerto. Oltre a prestare una maggiore attenzione a questo messaggio, potete sfruttarlo anche per portare il cliente a

svolgere altre azioni importanti: per esempio, potete chiedergli di seguire l’azienda su Facebook per rimanere sempre aggiornato sulle ultime novità; oppure comunicare quali sono i vantaggi offerti con quell’acquisto, fornendo informazioni sulle spedizioni oppure chiedendo una valutazione sul suo grado di soddisfazione o, infine, potete illustrare altre motivazioni sul perché valga la pena di continuare a essere un vostro cliente. Potendo riconoscere i clienti che accedono da mobile, se avete un’applicazione per effettuare gli acquisti anche in questo modo, potete consigliare a questi utenti di scaricarla per avere ulteriori vantaggi (Figura

12.11).

Figura 12.11 – L’immagine mostra un’azione da fare a seguito di un ordine sul sito PabloBaldini.com.

Survey post-acquisto Con questo tipo di messaggi di followup si chiede ai clienti di compilare un breve sondaggio sulla loro esperienza d’acquisto, garantendosi un triplice vantaggio: si ha un ulteriore punto di contatto con i clienti, questi forniscono un feedback sul grado di soddisfazione e si dimostra quando quest’ultima sia importante per l’azienda. La tempistica del messaggio può variare: tipicamente queste email possono essere inviate pochi giorni o

una settimana dopo la spedizione, che quindi si immagina sia stata ricevuta dal cliente. Nel caso è opportuno configurare il sistema per registrare la data di effettiva consegna. A questo punto la domanda da porsi è la seguente: che cosa si dovrebbe chiedere? Tutto dipende dalla tipologia del vostro business. È importante che il vostro sistema sia in grado di monitorare tutte le fasi dell’esperienza di acquisto ma, in genere, ciò che potete chiedere sono informazioni di questo tipo: se è stato facile ordinare, come è stata l’esperienza complessiva, se l’articolo è arrivato in tempo. Sulla base delle risposte ricevute, sarete in grado

di valutare il servizio che state offrendo e di capire se e dove intervenire per migliorarlo (Figura 12.12).

Figura 12.12 – L’immagine mostra un sondaggio da prospettare ai clienti a seguito di un acquisto effettuato sul sito PabloBaldini.com. Il workflow illustrato nella Figura 12.13 riguarda un’attività di survey ed è impostato in modo che il processo si autogestisca fino a quando il cliente non ha correttamente inserito tutti i dati, offrendo dei suggerimenti per completare il sondaggio attraverso i campi proposti. Alla fine di questo processo, in questo caso, si potrà capire se un cliente è di livello alto, quindi con un AOV alto (nella figura viene definito “Luxury Purchase”) e, nel caso positivo, verrà inserito nel corretto segmento di

clienti cui è dedicato un programma mirato.

Recensione prodotto Sono stati svolti molti studi sulle decisioni d’acquisto, sia in Italia sia nel resto del mondo, dalle quali è emerso il ruolo che ricoprono le recensioni dei prodotti scritte da clienti che li hanno già acquistati. Se si vogliono ottenere, è bene richiedere questi contenuti direttamente ai clienti, per esempio dopo un certo numero di giorni dalla (prevista) avvenuta consegna dell’ordine.

Figura 12.13 – Lo schema rappresenta il workflow inerente un survey per indagine sulla soddisfazione del cliente. In ogni caso, è meglio che la richiesta non venga fatta dopo un mese dal momento dell’acquisto, sebbene molto dipenda dal tipo di prodotto e dal periodo in cui è stato acquistato: per

esempio, difficilmente si potrà dare subito una valutazione per uno snowboard acquistato nel mese di agosto. Si può comunque stimolare il cliente a lasciare un suo commento in cambio di uno sconto sul prossimo acquisto (Figura 12.14).

Figura 12.14 – L’immagine mostra l’invito a scrivere una recensione sul sito PabloBaldini.com.

Cross sell/upsell A un cliente che acquista un prodotto, potrebbe essere interessante proporne altri correlati che potrebbero servire o interessare. Questo tipo di suggerimento può essere proposto sia al momento della vendita, cioè nella “thank you page”, oppure successivamente, attraverso un’email. Per esempio, al cliente che ha comprato una macchina fotografica digitale, potreste suggerire di acquistare successivamente una custodia oppure un carica batterie o un altro

accessorio correlato.

Raccomandazione prodotti Sebbene questi messaggi abbiano alcune caratteristiche comuni con l’attività di cross selling, c’è una differenza fondamentale: mentre le email di cross selling sono specifiche per un singolo acquisto, le email con raccomandazione dei prodotti presentano delle offerte basate sul comportamento del cliente e sulle attività svolte sul vostro sito. Per esempio, un’email inviata una volta al mese potrebbe riproporre prodotti correlati ad acquisti precedenti, oppure potrebbe mostrare altri prodotti che rimandano ai comportamenti di

navigazione nel Web, al carrello della spesa e/o alla lista dei desideri. Anche se il contenuto potrebbe non essere perfettamente mirato, è comunque un modo per restare in contatto con il cliente, facendo riferimento alle sue preferenze e cercando di colpire la sua attenzione con alcuni consigli appropriati.

Anniversario Uno degli strumenti più usati nelle strategie di Marketing automation è quello dell’invio di un’email di auguri in momenti predefiniti, per esempio in occasione di un compleanno (Figura 12.15), a un anno dal primo acquisto,

per un anniversario, per un onomastico. Si approfitta degli auguri per cercare di stimolare il cliente a concludere un nuovo acquisto. Di solito, con questa tecnica si offre un coupon sconto o si inviano raccomandazioni basate sui dati di acquisto o sui prodotti presenti nelle categorie abitualmente consultate dal cliente sul sito web oppure su un insieme di prodotti che sono nella sua wish list. Nella Figura 12.16 possiamo vedere il workflow impostato per l’invio di una email in occasione del compleanno. Secondo le impostazioni inserite, viene inviata una email sette giorni prima del compleanno del cliente e un’altra è

spedita alla data effettiva. In questo workflow sono presenti tre diverse campagne che possono essere inviate e quattro diverse tipologie di comunicazione. Proviamo ad analizzare il workflow nella figura. Il programma inizia esattamente sette giorni prima del compleanno: la prima decisione che deve prendere lo strumento di automation è quella di valutare se l’utente ha una wish list oppure no. In caso positivo, invia la campagna di Email marketing con la creatività che si riferisce proprio ai prodotti inseriti nella lista desideri della piattaforma di e-commerce, magari con un’offerta di

sconto su quei prodotti.

Figura 12.15 – L’immagine mostra l’email di buon compleanno inviata automaticamente.

Figura 12.16 – L’immagine mostra il workflow per inviare un’email di buon compleanno del sito PabloBaldini.com. Nel caso il cliente non abbia una wish list, il sistema di automation si trova di

fronte a una nuova decisione da prendere: l’utente ha già fatto un acquisto oppure no? Nel caso abbia già acquistato nello store, attiverà una campagna con un’email di upselling, scegliendo dei prodotti in base al comportamento del cliente; se invece il cliente non ha ancora mai comprato nulla, verrà inviata una campagna specifica, con dei prodotti in evidenza, per stimolarlo a fare il primo acquisto. Qualunque sia la strada che il programma ha preso, si attenderanno sette giorni prima di inviare l’email effettiva per il giorno del compleanno e quindi chiudere il workflow.

Comunicazioni Win-Back Le email Win-Back rappresentano un buon momento per offrire un coupon sconto a sorpresa. Per esempio, se avete dei clienti che non stanno comprando da più di 60 giorni, potete inviare un piccolo promemoria, offrendo loro un motivo per tornare. Nella Figura 12.17 potete vedere un buon esempio di come sia possibile raggiungere un cliente con un coupon con sconto diretto.

Figura 12.17 – L’immagine mostra un coupon sconto da utilizzare, da inviare per recuperare visitatori che non comprano da tempo.

Loyalty program I programmi di fidelizzazione sono uno strumento fondamentale in ogni campagna di marketing. Come abbiamo visto, avere dei clienti fidelizzati significa costruire una forte relazione tra il brand e il consumatore. Anche nell’ecommerce la fidelizzazione può giocare un ruolo decisivo per decretare il successo di un’iniziativa. Potreste decidere di avviare una strategia di fidelizzazione con quei

clienti che superano un numero di acquisti l’anno da voi predefinito, inserendoli in una lista per la quale attivate una specie di VIP membership. Oppure, al contrario, puntare su quei clienti che fanno acquisti inferiori ai due l’anno e offrire loro delle soluzioni di fidelizzazione. Da un’indagine effettuata da Zendesk risulta che: La qualità trionfa sul prezzo Alla domanda “Cosa vi rende fedeli a un marchio?”, i soggetti intervistati hanno dichiarato che l’aspetto che influisce maggiormente sulla loro fidelizzazione è rappresentato dalla qualità (88%) e dal

servizio clienti (72%). È interessante notare che il prezzo si posiziona al terzo posto, con solo il 50%, seguito dalla comodità (45%), dalle politiche di responsabilità sociale del produttore (15%) e dallo status symbol rappresentato dal marchio (12%). Il servizio clienti fa la differenza Per i consumatori, il modo migliore con cui i brand possono costruire un rapporto di fedeltà con loro è rappresentato da un servizio clienti 24/7, con il 34% delle risposte. Sapere di

poter contattare il retail in qualsiasi momento della giornata e in qualsiasi giorno della settimana rende il cliente più sicuro e più fiducioso nei confronti dello shop online. Le altre modalità indicate dagli intervistati per creare un rapporto di fedeltà con il retail sono: i ringraziamenti per gli acquisti, feedback e referral (20%), l’invio di offerte speciali o esclusive (13%), i servizi e i prodotti personalizzati (12%), il riconoscimento personale quando si visita il sito o si

effettua una chiamata (10%). La prima impressione è quella che conta Alla domanda relativa al momento in cui fidelizzare i clienti, gli intervistati hanno risposto che il momento migliore è quando compiono il loro primo acquisto (48%). Fornire ai propri clienti il giusto supporto e le giuste informazioni per aiutarli nella scelta di acquisto risulta il fattore decisivo nella costruzione dell’immagine che il cliente si fa del retail. Altri momenti critici sono

quando il retail supera le aspettative dei consumatori nel risolvere un determinato problema (40%) e la reputazione che accompagna lo shop (11%). Come i consumatori dimostrano la loro fedeltà Riguardo alle modalità con cui i clienti dimostrano la loro fedeltà a uno shop online, la ricerca ha evidenziato come il passa parola sia il modo più diffuso (78%), seguito dagli acquisti ripetuti (69%), dal non considerare gli altri competitor (54%), dal seguire lo shop sui

social media (15%) e dal supporto visuale del brand (11%). Come i programmi di fidelizzazione del cliente influenzano le loro scelte Oltre il 50% degli utenti ha risposto che sarebbe disposto a incrementare gli acquisti se questi fossero supportati da premi fedeltà, mentre il 46% li ha già aumentati dopo aver ricevuto un premio fedeltà. Dalla ricerca emerge come i consumatori siano molto sensibili alla qualità dei prodotti e al livello di

personalizzazione dei servizi, mentre i programmi di fidelizzazione del cliente e altri incentivi aggiungono ulteriore profittabilità agli e-commerce, mettendoli in una luce positiva agli occhi dei loro clienti. Il buon uso delle comunicazioni via posta elettronica e la fidelizzazione sono pietre miliari per il buon andamento delle vendite di un e-commerce. La maggior parte dei programmi di fidelizzazione di successo ruota attorno all’email, sebbene si registri una crescente attenzione sui canali social e mobile. Una volta ottenuto l’indirizzo email

del cliente, l’automazione del marketing permette una sempre maggiore personalizzazione ed efficacia della strategia di fidelizzazione. Impostare una campagna di fidelizzazione è quindi importante: una volta configurata la gestione e l’assegnazione del punteggio del cliente, sarà possibile automatizzare tutti i processi necessari. Per esempio, si potranno assegnare punti in base a: registrazione al sito; ricezione della newsletter; recensione del prodotto; partecipazione a un survey; assegnazione di punti il giorno del compleanno del cliente;

condivisione sui social network; commenti al prodotto; invito di un amico. Tutte queste opzioni sono configurabili e impostabili direttamente da un pannello di controllo per la gestione del sistema, come si vede nella Figura 12.18 (in questo caso è un plug-in di Magento).

Figura 12.18 – La schermata rappresenta il sistema di configurazione dei punti per il sistema e-commerce Magento. Per esempio, potete definire e configurare il punteggio da assegnare (e il momento in cui attribuirlo) nel caso l’amico invitato dal vostro cliente si registri o concluda un acquisto (Figura 12.19).

Figura 12.19 – La schermata rappresenta il sistema di configurazione dei punti per il sistema e-commerce Magento

CAPITOLO 13

SOCIAL MEDIA Digital engagement In ambito digital si parla molto di engagement. Ma che cos’è esattamente? La traduzione letterale del termine fa riferimento allo stabilire una relazione, un impegno, all’ufficializzare un fidanzamento o concordare un matrimonio. Nel nostro caso, il termine fa riferimento al momento in cui si entra in una relazione positiva tra cliente e

azienda. Oggi, tutte le aziende vogliono stabilire un buon engagement. E questo obiettivo è comprensibile, perché se si desidera offrire ai clienti un’esperienza incredibile, bisogna capire se l’azienda sia veramente pronta. Molti sostengono che sia più facile gestire l’engagement nel mondo offline. Io sono d’accordo. Perché? Perché siamo biologicamente predisposti a stabilire rapporti diretti, faccia a faccia, e quindi siamo in grado anche di raccogliere, analizzare e gestire meglio i dati. Faccio un esempio pratico e personale di engagement offline: con la

mia famiglia andiamo spesso in un ristorante che propone sempre lo stesso menu e anche dal punto di vista del rapporto qualità/prezzo non è eccezionale, eppure continuiamo ad andarci. La domanda è: perché continuiamo a farlo? Perché la gestione dei clienti è ottima. Per esempio, hanno una grande attenzione per i bambini, prendendo subito le loro ordinazioni in modo da non farli aspettare e sanno che una famiglia con bambini ha bisogno di spazio; inoltre, dimostrano tante altre piccole attenzioni che nell’insieme diventano più importanti del motivo principale per cui si va a cena in un ristorante, ovvero mangiare del buon

cibo o provare qualcosa di nuovo. L’engagement è questo: innanzitutto è saper coinvolgere e comprendere il cliente. Restando all’esempio di prima, è ovvio che se migliorassero anche il menu e il rapporto qualità/prezzo ne guadagnerebbe tutto il servizio. Se sarete in grado di riportare questo livello di impegno nel mondo online, è molto probabile che saprete offrire ai vostri clienti un’esperienza digitale straordinaria.

Facebook Advertising Le logiche di advertising su Facebook sono completamente diverse rispetto al

Search Engine Marketing o alle campagne di Display advertising tradizionale. Lo strumento Facebook Ads, infatti, permette di profilare e individuare il target sulla base di diversi fattori, come i dati demografici, gli interessi, le preferenze e le connessioni. Con Facebook Ads è possibile intercettare il proprio target, definendo le caratteristiche correlate ai profili utenti destinatari dell’annuncio. Per farlo, si devono impostare nella campagna numerosi parametri. Vediamoli: Posizione geografica: inserendo la nazione e/o la città, Facebook localizzerà geograficamente

l’utente, rilevandone l’indirizzo IP, e gli mostrerà l’annuncio solo se corrisponde al parametro impostato. Dati personali: sesso, età, giorno del compleanno, istruzione, situazione sentimentale e orientamento sessuale, posto di lavoro, scuola o università frequentata. Interessi e preferenze: gli utenti indicano i propri interessi o preferenze nei loro profili Facebook, e queste informazioni si rivelano preziose per circoscrivere il target. Connessioni: questo input serve

a definire come destinatari quegli utenti che sono connessi a determinate pagine, eventi, gruppi o applicazioni. Dopo aver definito le varie caratteristiche dei profili target, Facebook fornirà una stima del numero di utenti che potrebbero visualizzare gli annunci pubblicitari. Una volta profilato il target e definita l’audience cui rivolgersi, si realizzano gli annunci e si ha la possibilità di scegliere per ognuno di essi se indirizzarli verso una determinata pagina Facebook, quindi restando sempre all’interno del social network, oppure farli uscire, collegandoli a un sito web o

a delle landing page (Figura 13.1).

Figura 13.1 – L’immagine mostra le tipologie di advertising disponibili attraverso la piattaforma di Facebook.

Negli ultimi due anni la piattaforma pubblicitaria di Facebook si è evoluta notevolmente, al punto che ora è possibile raggiungere con grande precisione gruppi target di clienti e di potenziali clienti con messaggi di grande risonanza, confezionati su misura in base ai loro interessi, ai dati demografici oppure ai loro comportamenti sul sito. È anche possibile verificare se sono già dei clienti acquisiti indipendentemente dal social network o se mostrano preferenze simili a clienti già acquisiti. Anche su Facebook è importante adottare delle buone strategie di marketing e gestire correttamente e completamente il ciclo di vita del

cliente. Anche in questo caso, una pubblicità efficace è sintetizzabile nel concetto già espresso: il messaggio giusto al pubblico giusto, nel momento giusto. Quindi, anche su Facebook vale il principio che il messaggio da inviare a un potenziale cliente, che probabilmente non ha mai sentito parlare di voi, dovrebbe essere completamente diverso rispetto a quello rivolto a un cliente già acquisito che volete persuadere a ripetere un acquisto.

Facebook per lead generation

Ora ci concentreremo sulle migliori attività da svolgere per l’individuazione del corretto target di utenti per l’acquisizione di nuovi clienti. Fornirò anche dei suggerimenti e dei consigli generici per la pubblicità creativa su Facebook. Prima di tutto una domanda: che cosa rende una campagna di acquisizione clienti una campagna di successo? Come sapete se vale davvero la pena di scegliere Facebook per la vostra campagna? Come al solito, la pianificazione e un monitoraggio accurato sono essenziali. Definite i vostri obiettivi e le metriche chiave. Sappiamo che

l’“acquisizione del cliente” è l’obiettivo fondamentale. Ma è altresì importante definire delle metriche misurabili che contribuiscano a raggiungere quest’obiettivo. Sebbene “acquisire un cliente” sia la metrica ovvia da tracciare, potreste anche prendere in considerazione altre microconversioni (qualcuno che mette un “mi piace” sulla vostra pagina Facebook o che si iscrive alla vostra newsletter oppure che crea un account) che potrebbero indurre gli utenti a diventare in futuro dei clienti.

Assicuratevi di tracciare tutto correttamente. Per tracciare il successo delle vostre campagne pubblicitarie usate lo strumento di tracciamento dei link delle campagne offerto dalle applicazioni di analytics. I link possono includere la vostra fonte (Facebook), il medium (newsfeed/annunci nella sidebar, cioè nella barra laterale) e la campagna pubblicitaria (per esempio, autunno/inverno 2014). Se state sperimentando diversi tipi di targeting o differenti immagini e copie, assicuratevi di includere

delle componenti che li caratterizzino, in modo da poter misurare con precisione la performance di ognuno. Considerate il quadro generale. Quando siete occupati a esaminare tutte le varianti e le forme sempre più sofisticate di targeting nell’ambito della piattaforma di Facebook, può accadere facilmente di perdere di vista il quadro d’insieme della customer acquisition (acquisizione clienti). Come nelle altre piattaforme pay per click, pagherete di più per ogni clic man mano che i vostri

annunci su Facebook diverranno più mirati. Quindi, dovete essere sicuri di aver stimato correttamente il costo dell’operazione su Facebook rispetto ad altri canali di acquisizione ed essere certi di aver destinato la vostra spesa pubblicitaria nel miglior modo possibile. Pensate anche a lungo termine. Tutti sappiamo che i clienti abituali sono un “tesoro” nell’ecommerce. Le vostre pubblicità su Facebook vi fruttano dei clienti “eroici” all’interno del ciclo di vita? Oppure sono solo

acquirenti occasionali a caccia di un buon affare? Questo è un aspetto importante da considerare, specialmente se state pubblicizzando una vendita, una promozione o un’offerta preliminare.

Fase 1: individuare le persone giuste Come fate a selezionare all’interno del numeroso popolo di Facebook le giuste persone che potrebbero diventare vostri clienti? Nell’ambito di una strategia di marketing generale, dovreste impegnarvi

a definire un mercato target per il vostro negozio online. Prima di tutto create delle buyer persona (acquirenti tipo rappresentativi di un certo segmento): è un’attività incredibilmente utile perché vi fa pensare alle vite dei vostri potenziali clienti al di fuori del vostro brand, a quali sono i loro interessi, le loro aspirazioni, le loro routine. In Facebook è molto importante questo passaggio, perché la gente vi si collega per socializzare e la pubblicità mal mirata sarà del tutto ignorata, nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore delle ipotesi verrà considerata invadente e creerà un’opinione negativa sul brand. Di seguito suggerisco alcune tattiche

che potreste testare nell’ambito della vostra ricerca di nuovi clienti (Figura 13.2).

Figura 13.2 – L’immagine mostra le tipologie di target disponibili nella piattaforma advertising di Facebook.

USATE UN TARGET DEMOGRAFICO

BASIC PER CREARE UN POOL RISTRETTO DI POTENZIALI CLIENTI

Alcuni sostengono che, quando si vogliono acquisire nuovi clienti e aumentare la consapevolezza del brand, essere troppo specifici riguardo ai dati demografici può essere controproducente e può portare a una perdita dei clienti. Io penso che ciò sia vero sino a un certo punto: un targeting demografico basic vi dà la possibilità di restringere la vostra audience (riducendo anche il potenziale spreco di budget). Facebook consente di mirare a determinate persone attraverso i seguenti parametri: location (paese, stato, città,

codice postale); informazione demografica basic (età, genere, situazione sentimentale, istruzione, lavoro). Al di là dell’ovvio targeting demografico (per esempio, mostrare i vostri annunci solo a un pubblico femminile se promuovete un marchio di abbigliamento femminile, o limitarlo ai soli residenti in uno specifico Paese), potrebbe essere utile provare ad aumentare la consapevolezza del marchio all’interno di un gruppo particolare. Per esempio, il vostro marchio potrebbe essere fashion per i giovani se lanciate una campagna promozionale per studenti con uno

sconto del 15%. Usando il targeting di Facebook, potrete mirare all’intera popolazione studentesca. Ma potreste anche essere più specifici, creando diversi annunci pubblicitari per diverse università. Allo stesso modo, se vi rivolgete a persone residenti in Paesi differenti, localizzare i vostri messaggi vi permette di creare annunci diversi e personalizzati, per esempio, mostrando i prezzi nella valuta corretta (è stato dimostrato che le persone tendono ad associare spese di spedizione internazionali elevate e scomode trafile per eventuali restituzioni del prodotto in valute diverse).

PERSONE CHE AMANO BRAND SIMILI AL VOSTRO

Facendo riferimento ai soli dati demografici di base, Facebook vi consente di indirizzare gli annunci pubblicitari in base agli “interessi”. Questo meccanismo prende in considerazione le pagine sulle quali gli utenti hanno cliccato “Mi piace”. Probabilmente conoscete i brand che hanno prodotti simili ai vostri, siano essi concorrenti diretti o solo marchi che mirano alla stessa fetta di popolazione. Poter inviare annunci pubblicitari ai fan di questi marchi vi permette di presentarvi a persone che potrebbero essere interessate anche al

vostro prodotto.

CREATE UN’AUDIENCE “SOSIA” DEI VOSTRI CLIENTI ATTUALI

Facebook è in grado di creare un gruppo target di persone che assomigliano ai vostri attuali fan e clienti. In altre parole, voi fornite una lista di indirizzi email e Facebook fa tutto il lavoro, selezionando fra i suoi utenti quelli con comportamenti e preferenze simili ai vostri contatti. Come accade con il targeting dei brand simili, è un po’ come se questi soggetti facessero parte di una specie di “tribù” associata al brand. Potete quindi creare gruppi target di

persone simili a: quelle nel vostro database di clienti (o, addirittura, quelle di segmenti con più alto valore nel vostro database); quelle che hanno già espresso un “Mi piace” sulla vostra pagina Facebook. Inoltre, avete l’opportunità di mirare a un pubblico incredibilmente specifico. Mentre prima si poteva mirare a gruppi generici di persone (per esempio, piccoli imprenditori, pionieri della tecnologia ecc.), ora potete scegliere le persone in base a criteri più specifici, come:

acquirenti di fascia alta; acquirenti che potrebbero acquistare una nuova auto BMW; consumatori di dolci e snack; fan di “salute e benessere”; compratori online; acquirenti di prodotti per bambini. Crescono le chance che le vostre pubblicità colpiscano le persone giuste.

Fase 2: creare le inserzioni giuste per far cliccare le persone giuste

Una volta che avete creato un buon gruppo target, sarete solo a metà dell’opera. Dovete produrre una campagna pubblicitaria che la gente abbia voglia di cliccare. Vediamo quali sono i passaggi da seguire per creare inserzioni che generino una buona conversione.

PREZZO Sebbene non sia consigliato a tutti i venditori online, includere il prezzo nelle pubblicità può essere un buon metodo per ottenere dei clic di qualità che portino alla vostra pagina web, dal momento che filtrerebbe all’origine tutti coloro che non acquisterebbero proprio

a causa del prezzo. Potrebbe essere particolarmente utile nel caso vi rivolgiate a un target demografico particolarmente attento ai costi, oppure se vendete un prodotto che ritenete vanti il prezzo più basso che i consumatori potrebbero mai aspettarsi. Come sempre, testare è fondamentale e varrebbe la pena provare due varianti: una con e una senza il prezzo, per vedere quale delle due genera più clienti.

PROMUOVERE IL CONTENUTO ANZICHÉ IL COMMERCIO

È un sistema terribilmente astuto quando si tratta di acquisire clienti: indubbiamente un contenuto ben

pubblicizzato può essere più convincente di un generico “Sto cercando di vendervi della merce”. Se state seguendo il percorso “promozione del contenuto”, per potenziali clienti che non vi conoscono, assicuratevi che il contenuto sia ben collegato al prodotto offerto, che la procedura di acquisto sia semplice e che si presenti con un forte richiamo all’azione (CTA) quando i clienti visiteranno la vostra pagina.

È IL MOMENTO E IL MESSAGGIO GIUSTO? Non esistono più scuse per pubblicare su Facebook annunci di scarso valore e

senza un preciso target. Il contenuto è la chiave del successo: prima di premere il pulsante “Via!” e pubblicare la vostra campagna pubblicitaria, mettetevi dalla parte di chi osserva il vostro annuncio. Siete sicuri che ogni sua componente (dalla posizione in cui apparirà nelle pagine di Facebook all’immagine usata ecc.) abbia un senso, sia chiara, sia adatta al periodo?

Fase 3: convertire con le campagne Facebook Mentre i principali social network continuano a sviluppare le proprie offerte pubblicitarie, sono stati compiuti

progressi significativi nelle possibilità di targeting offerte a chi effettua investimenti pubblicitari, che consentono di confezionare i propri annunci in modo da “catturare” le persone giuste con il messaggio giusto nel momento giusto. Creare una “macchina” per il marketing che sia effettivamente in grado di attirare potenziali clienti e di accompagnarli lungo il percorso nella loro trasformazione in clienti fedeli è, senza dubbio, un compito difficile ma di certo proficuo: di solito, i clienti abituali forniscono il 40% del volume d’affari e le loro visite rendono 3-7 volte di più rispetto a quelle dei clienti occasionali

(fonte: Adobe Digital Index Report). Cerchiamo adesso di analizzare il concetto di “conversione” all’interno di Facebook e capire come creare pubblicità che siano in grado di portare a compiere un’azione coloro che già sono interessati al vostro brand. Questi potenziali clienti potrebbero essere: 1.

Clienti che hanno già effettuato una micro conversione e che volete incoraggiare a effettuare un acquisto. Potrebbe trattarsi di: • chi ha messo un “Mi piace” sulla vostra pagina di Facebook; • chi si è iscritto alla vostra

newsletter o ha creato un account (in sostanza una qualunque azione che preveda che il cliente fornisca il proprio indirizzo email/numero di telefono/ID di Facebook). 2. Clienti che hanno effettuato un singolo acquisto e che volete indurre a compierne un secondo. 3. Clienti abituali, che vorreste incoraggiare a effettuare altri acquisti. 4. Clienti “fedeli” che desiderate fidelizzare maggiormente. La definizione di cliente “fedele” varia in funzione del ciclo delle

vostre vendite, ma generalmente si definisce così qualcuno che abbia effettuato n transazioni, che sia cliente da oltre x mesi e che abbia compiuto una transazione negli ultimi y mesi e che possiamo gestire attraverso la segmentazione automatizzata.

CONTESTO Il contesto è un concetto a cui spesso non pensano molti inserzionisti di Facebook. Quando si crea un’intera gamma di annunci rivolti a diversi target demografici, è facile perdere di vista il contesto generale e omettere un’attenta analisi delle persone reali che stanno

dietro a quei gruppi target. Specialmente quando si tratta del copy, è di estrema importanza fare un passo indietro ed essere certi che ogni annuncio abbia un senso per la persona che lo leggerà, che non dia per scontato un livello di familiarità che invece non esiste e che non annoi o confonda.

CTA (CALL TO ACTION) Nell’ambito della customer activation and retention (attivazione e conservazione del cliente), l’azione è la chiave di tutto: l’obiettivo ultimo è quello di far sì che le persone visitino il vostro sito e acquistino dei prodotti. L’ideale sarebbe che il copy usato

includesse un invito all’azione. Inoltre, dovreste sempre prevedere l’uso del tasto CTA “Shop Now” (“comprate ora”), che ora Facebook mette automaticamente nelle pubblicità (Figura 13.3).

Figura 13.3 – L’immagine mostra le differenti tipologie di pulsanti inseribili come Call To Action.

IMMAGINI Come sempre, un linguaggio figurato di alta qualità e che salti subito all’occhio è un must per attrarre clienti sulla propria pagina Facebook ed è importante iniziare ogni campagna pubblicitaria testando un certo numero di immagini, per vedere quale ha più risonanza. Facebook vi permette di caricare fino a sei immagini per ogni campagna pubblicitaria, e automaticamente ottimizza il risultato,

pubblicando più spesso l’immagine che ha ottenuto il maggior successo.

Like engagement Entriamo ora nello specifico di alcune opzioni mirate al targeting offerte da Facebook e utili per attivare e fidelizzare la clientela. Fra tutti i gruppi target pianificabili, quello più semplice è costituito da coloro che hanno messo un “Mi piace” sulla vostra pagina. È a questo gruppo che Facebook indirizzerà principalmente le vostre pubblicità. Non dovreste sottovalutare l’importanza di un “Mi piace”: si tratta di persone che si sono

attivate per associarsi pubblicamente al vostro brand e hanno “detto” che vogliono ricevere le vostre comunicazioni. Fanno eccezione coloro che hanno cliccato “Mi piace” alla vostra pagina a seguito di una promozione o, per esempio, di una gara o concorso al quale non sia possibile partecipare diversamente. Tra l’altro, queste tattiche ora sono vietate da Facebook oltre a essere di bassa qualità, anche perché tendenzialmente non attraggono clienti di valore. Se i vostri post tendono a posizionamenti sempre più bassi nei risultati dei motori di ricerca, per fare in modo che i fan della vostra pagina

vedano i vostri aggiornamenti, dovete promuoverli. Ecco qui la best practice per promuovere i vostri post, se avete come obiettivo la customer activation: promuovete solo contenuti che abbiano un link alle vostre pagine web; usate il programma Facebook Ad Manager, piuttosto che premere semplicemente sul tasto “Boost post”, dal momento che quest’ultimo non vi permetterà di rivolgervi solo ai fan della vostra pagina; assicuratevi che il contenuto che state promuovendo sia vendibile, cioè sia collegato a

una pagina di una categoria merceologica o di un prodotto. Se, per esempio, state promuovendo il post su un blog o un video, sarebbe meglio attivare un collegamento da questo a un prodotto in offerta sul vostro sito, così da invogliarne l’acquisto. Potreste anche voler usare dei post promozionali che incoraggino i fan della vostra pagina a compiere un’altra microconversione, che vi permetterà di raccogliere maggiori informazioni su di loro.

Brand engagement Facebook fornisce agli inserzionisti la possibilità di creare delle Custom audience, cioè dei gruppi determinati in base alle “abitudini”. Il sistema fa sì che si tracci un’audience esistente su Facebook, usando gli indirizzi email, i numeri di telefono, l’ID degli iscritti o l’ID degli inserzionisti in mobile. Per costruire un’audience di questo tipo in modo ottimale, il consiglio è quello di utilizzare i contatti presenti nel vostro CRM. Come abbiamo visto, un uso intensivo dell’invio di email può far allontanare i vostri clienti, che quindi potrebbero

cancellarsi dalle vostre newsletter. Al contrario, gli annunci che appaiono in Facebook risultano mediamente meno invadenti e il sistema fornisce così una modalità di contatto tra clienti e brand più soft. Facciamo nuovamente un esempio pratico e molto personale: io sono iscritto alla mailing list di Infinitytv, alla quale mi sono registrato per avere maggiori informazioni via email; tuttavia potrei non aver ancora cliccato il “Mi piace” sulla loro pagina Facebook. Nella Figura 13.4, potete vedere un buon esempio di una pubblicità che prova a convincermi a guardare le ultime offerte. Notate che io non ho messo “Mi piace” sulla loro

pagina ma, essendo comunque già nel loro database, si presume che non abbia bisogno di una grande presentazione del prodotto.

Figura 13.4 – Un esempio di Infinitytv a seguito di una navigazione nel sito.

CUSTOM AUDIENCES Abbiamo già visto che usando una piattaforma di Marketing automation potete suddividere i vostri clienti in segmenti in base a diversi criteri: il loro ciclo di vita, se sono clienti abituali o occasionali, il rischio di perdita, la tipologia di prodotti ai quali tendono a interessarsi ecc. (Figura 13.5).

Figura 13.5 – La configurazione di Custom audience di Facebook. Integrando queste segmentazioni con il servizio di custom audience di

Facebook, avrete un mezzo veramente potente per raggiungere i clienti già esistenti e i possessori di un account con messaggi confezionati su misura in base allo specifico stadio del ciclo d’acquisto in cui si trovano. Per esempio, potreste creare i seguenti segmenti e annunci: suggerimento acquisti: per i clienti che hanno acquistato un certo prodotto, pubblicizzate prodotti a esso collegati; promemoria: valutate il tempo medio che intercorre prima di riacquistare un prodotto utile (ciò non vale per acquisti una tantum) e create degli annunci

che servano da promemoria, poco prima che il prodotto che potrebbe interessare al cliente stia per essere finito; scegliete il target: in base agli interessi dimostrati verso un certo tipo di prodotto, suddividete la vostra audience e pubblicizzate articoli simili (o la categoria di prodotto entro la quale è stato effettuato l’ultimo acquisto); rivolgetevi a diverse categorie di clienti: suddividete i vostri clienti in base al valore medio dei loro ordini (AOV, Average Order Value). Create un gruppo

composto da chi spende tanto e uno formato dai “cacciatori di occasioni” e inserite in ciascun gruppo i prodotti che rientrano nel corrispondente range di prezzo; riattivate i clienti che state perdendo: identificate tutti i clienti (in particolare quelli con un valore elevato nell’arco del relativo ciclo di vita) che rischiate di perdere e cercate di “riattivarli”, eventualmente offrendo loro uno sconto o una spedizione gratis (dipende dal tipo di business, naturalmente).

Site engagement Le opzioni di targeting di cui ci siamo occupati sinora dipendono dall’azione, più o meno risoluta, da parte dei clienti o dei potenziali clienti, di associarsi al vostro brand. Ciò può avvenire cliccando “Mi piace” sulla vostra pagina Facebook, fornendo il proprio indirizzo email per iscriversi a una mailing list o per creare un account oppure, infine, effettuando realmente un acquisto. Probabilmente queste persone rappresentano solo una piccola parte del totale di coloro che approdano sul vostro sito. Che fare con tutti gli altri?

Grazie a Facebook Exchange (FBX, Figura 13.6), ora potrete rivolgervi anche a queste persone attraverso il sistema pubblicitario di Facebook basato sui cookie e sul Real-Time Bidding. Mediante una piattaforma Demand Side (DSP), potete rivolgervi alle persone prendendo in considerazione il loro comportamento sul vostro sito in “tempo reale” (potete essere incredibilmente tempestivi). Nell’ambito della valutazione del ciclo degli acquisti, questa funzionalità migliora notevolmente la necessità della “soddisfazione della domanda”: in pratica, a chi ha iniziato un processo d’acquisto sul vostro sito senza portarlo

a conclusione, nel momento stesso in cui si sposta su un altro sito appartenente alla vostra stessa rete di advertising, fornite una “motivazione” ulteriore per tornare, “riattivare” il carrello e completare l’operazione.

Figura 13.6 – Nell’immagine è possibile vedere il funzionamento di Facebook Exchange. È importante ricordare che le persone non si collegano a Facebook per diventare un bersaglio pubblicitario e lo stesso social network sta cercando di

limitare il contenuto pubblicitario pubblicato. Tutto ciò in un tentativo di bilanciare le diverse esigenze degli inserzionisti e degli utenti. Quindi, sebbene sia forte la tentazione di “inondare” i visitatori (soprattutto quelli che hanno mostrato interesse verso il vostro brand) con email e inserzioni, è importante che stiate attenti e non cadiate nell’errore di infastidire i vostri clienti. Come sempre, vale la regola che la cosa migliore è sempre quella di creare un piano d’azione meticoloso, implementarlo e infine verificarlo e adattarlo alle necessità.

Sincronizzare i social media Sono due le modalità di sincronizzazione dei social media con gli strumenti di Marketing automation. Se il vostro strumento di Marketing automation ha già le integrazioni social, tutta l’operazione è molto semplice. Se, invece, si sta usando uno strumento privo di queste integrazioni, è possibile collegarlo grazie a sistemi di Social Media Management, che a loro volta integrano anche le

piattaforme CRM. Due strumenti che sono già forniti del sistema di integrazione con i social media sono Hootsuite e Buffer App. Non è facile mettere in pratica e rendere efficace una strategia di marketing sui social media: per lo più si deve essere nella condizione di poter fornire contenuti pertinenti al proprio pubblico, rispondere rapidamente alle domande e ai commenti e fare il tutto con un tocco di personalità. È consigliabile sviluppare questa attività su più social network: Facebook e Twitter sono i più importanti, ma non disprezzate anche LinkedIn, Google+, YouTube e Pinterest.

Di solito, nelle piccole realtà la stessa persona si occupa sia del marketing sia gestisce i canali social, mentre le grandi aziende hanno spesso un team dedicato. Questo perché le grandi aziende tendono a sviluppare strategie più aggressive, coprono più reti sociali e si rivolgono a un pubblico più ampio. In ogni caso, pochi o tanti che siano quelli che si occupano di social media marketing, resta un capitolo che impegna molte delle vostre risorse. Per riuscire a gestire al meglio questo settore della vostra comunicazione servono tempo e budget, e un sistema di automation non può che tornare ancora

una volta in aiuto. Sul mercato si possono trovare numerosi strumenti che consentono l’automazione del vostro social media marketing. L’aspetto più importante è comunque quello di scegliere il giusto mix di strumenti e tecniche per la vostra strategia. Ma fate molta attenzione: un’automazione del social eccessiva o mal gestita rischia di rovinare la vostra presenza in queste reti. Nei social media i clienti vogliono costruire un rapporto sincero con il marchio cui sono interessati e se, dall’altra parte, chi risponde alle loro osservazioni e domande non è un essere umano, i vostri rapporti si deterioreranno e perderete

ogni seguito. Trovare un giusto equilibrio tra automazione e conversazione con un vero essere umano è molto importante. Ma come facciamo a sapere qual è il giusto equilibrio? Strumenti come Hootsuite possono aggiungere un tocco di automazione che integra i vostri sforzi personali. Una funzionalità molto utile da poter automatizzare senza correre troppi rischi è quella dello scheduling per l’invio di alcuni messaggi. Per esempio, alcuni studi dimostrano che l’invio dei messaggi in determinati momenti della giornata o della settimana può aumentare notevolmente la loro visibilità o la condivisione, o anche, per esempio,

evitarvi di dovervi alzare nel cuore della notte solo per inviare un tweet. Nella Figura 13.7 è possibile vedere come programmare un post con Hootsuite, inserendo i contenuti da condividere con i propri follower e impostando il giorno e l’ora del suo invio. La Figura 13.8, invece, ci mostra come sia possibile impostare un vero e proprio calendario di programmazione settimanale dei post con l’applicazione Buffer App. L’altro grande vantaggio di questi strumenti è dato dalla centralizzazione in un’unica piattaforma sia degli strumenti social sia dei dati di analytics, così da

poter monitorare il traffico per ogni clic, commento, retweet ecc.

Figura 13.7 – Nell’immagine è possibile visualizzare i post programmati attraverso HootSuite.

Figura 13.8 – Nell’immagine è possibile visualizzare i post programmati attraverso BufferApp.

Modello IFTTT L’IFTTT

(https://ifttt.com/)

è

una

piattaforma gratuita molto utile per la Marketing automation, giacché consente di automatizzare i comportamenti delle app e dei servizi più diffusi. Il nome della piattaforma non è altro che l’acronimo di If This Than That, cioè “se questo, allora quello”. Come recita anche lo slogan della piattaforma (“Puts the Internet to work for you”), IFTTT permette di impostare l’attivazione di determinate azioni (il “quello”, le action) al verificarsi di definiti eventi (il “questo”, nel linguaggio della piattaforma i trigger). Action e trigger possono intervenire sugli “ingredienti”: cioè su parti specifiche del funzionamento del singolo

servizio. Per esempio nell’invio di un’email, gli “ingredienti” sono l’oggetto, il testo, il mittente e il destinatario. Le impostazioni di un trigger e di una action danno vita a una “ricetta” (recipe), cioè l’automatizzazione di un comportamento basata su regole specifiche. Le potenzialità sono infinite, soprattutto grazie all’estrema varietà di canali integrati da IFTTT. Si va dall’integrazione con i social network alle piattaforme di cloud storage, dai client email alle app dedicate alla domotica. Dove si ferma l’immaginazione dell’utente, arriva in

soccorso la nutrita community che su IFTTT crea, condivide e valuta ricette, dando vita a una sorta di marketplace spontaneo. Proprio analizzando la natura delle “ricette” più popolari, si può capire quali siano le principali esigenze a cui questa piattaforma di automation viene in soccorso. La maggior parte delle “ricette” sono infatti dedicate all’automatizzazione dei processi di archiviazione e notifica: si va dal semplice salvataggio di tutte le foto scattate e pubblicate su Instagram su un account Dropbox, passando a “ricette” più complesse, come l’organizzazione su Google Spreadsheet dei dati biometrici

rilevati dall’app FitBit. Gli esempi più suggestivi sono sicuramente quelli riguardanti l’ambito del cosiddetto “Internet delle cose”, dove IFTTT mostra tutto il suo potenziale, sfruttando l’integrazione con l’hardware dei dispositivi mobile (tramite le app iOS e Android) o quello di smartobject, come la lampada Hue prodotta da Philips. Per esempio, combinando la geolocalizzazione dello smartphone al sistema d’illuminazione, è possibile creare “ricette” che automatizzino l’accensione delle luci quando si è quasi arrivati a casa, oppure è possibile divertirsi sincronizzando alcune playlist musicali con specifici

effetti di luce. Sempre utilizzando il GPS dello smartphone, è possibile fare in modo che quando si guida, non appena si supera una data velocità, si attivi automaticamente il vivavoce o il collegamento Bluetooth dell’auricolare per tutte le chiamate in entrata. Ma torniamo alle applicazioni IFTTT in campo social, molto utili per i professionisti del settore, come i social media e i community manager (Figura 13.9). La maggior parte delle “ricette” è dedicata alla semplice pubblicazione automatica di uno stesso post su più social. Ma non mancano action più complesse. Per esempio, è possibile inserire automaticamente un hashtag in

tutte le foto pubblicate su Instagram oppure retwittare tutti i post contenenti uno specifico contenuto. L’impressione è che, soprattutto per un uso professionale in ambito marketing, IFTTT offra una profondità che altre piattaforme specializzate nella pubblicazione cross social (Hootsuite e TweetDeck su tutte) ancora non riescono a garantire. Per esempio, molte delle fanpage fotografiche tematiche presenti su Facebook sono frutto di “ricette” che “pescano” da fonti selezionate e ripubblicano in maniera automatizzata, con l’aggiunta di commenti o hashtag prefissati. Anche l’integrazione tra IFTTT e l’e-shopping ha dato vita a una

famiglia di “ricette” dedicate a incrementare le performance di chi vende online, non solo intercettando gli utenti sulla piattaforma di e-commerce ma anche creando nuovi momenti di acquisto.

Figura 13.9 – L’immagine mostra alcuni esempi di applicazioni integrabili con IFTTT. Per esempio, è possibile sviluppare sinergie con Instagram (uno dei social che meglio si presta all’interno di dinamiche di e-shopping), consentendo l’aggiunta automatica di prodotti in carrello tramite la semplice condivisione di una foto, accompagnata da un determinato hashtag (per esempio, #want). Molte altre “ricette” sono dedicate al tracciamento delle spedizioni, alla notifica di approvvigionamento o del

cambio di prezzo di determinati prodotti. Anche in questo caso, si va dalla semplice email, passando dall’SMS, fino ad arrivare al cambio di colore della succitata lampada Hue. In sostanza, IFTTT, grazie alla sua semplicità e al suo approccio espressamente mirato a un pubblico di non professionisti, ha sdoganato il concetto di Marketing automation, contribuendo a rendere palese il bisogno di automatizzazione e semplificando il dialogo tra i numerosi strumenti che utilizziamo quotidianamente.

CAPITOLO 14

CUSTOMER EXPERIENCE Molto spesso mi capita di vedere che le aziende con cui entro in contatto dedicano una grande attenzione alle attività per attirare nuovi clienti: il team di marketing profonde un grande impegno in queste attività, andando ad analizzare ogni singola attività che un visitatore compie sul sito, per potergli vendere i propri prodotti o servizi. Effettivamente questa è una operazione

importante, ma non dobbiamo dimenticarci dei clienti acquisiti. Infatti, se pensiamo al costo di acquisizione di un cliente, vediamo che spesso il famoso CPA o il ROI mostrano un segno negativo. Questo significa che per acquisire quel nuovo cliente avete compiuto uno sforzo importante. Quindi, perché non cercare di mantenerlo come cliente e farlo tornare a comprare cosicché possiate abbattere il costo di acquisizione iniziale o, semplicemente, far fruttare l’investimento? Per rispondere a questa domanda dovete cominciare a pensare in termini di fidelizzazione e far sì che il nuovo cliente possa diventare un cliente

affezionato. Per farlo, non dovete assisterlo solo nella prima fase ma per tutto il tempo in cui si relazionerà con la vostra azienda. Questo significa offrire un customer care efficiente. Molte aziende affermano di offrire un impeccabile customer care ma, in realtà, gestiscono il cliente solo con risposte predefinite, trattandolo come un numero. Oggi, invece, si deve offrire un’esperienza personalizzata, far sentire il cliente a proprio agio e sfruttare tutte le potenzialità che offre il digitale. Tutti i dati che vi servono sono nel CRM e dovete rendervi conto che quel che state facendo non è risolvere un

problema o fornire una risposta a una richiesta del cliente, ma state profilando al meglio il vostro interlocutore al fine di offrirgli una comunicazione sempre più focalizzata.

I mezzi Oggi le persone non usano più soltanto un mezzo per entrare in contatto con il supporto tecnico, l’assistenza commerciale o comunque il reparto di gestione della clientela. Mentre prima si usava il telefono (spesso il numero verde), oggi abbiamo molti più mezzi: email generica;

form di contatto; chat live; social network; telefono. Per email generica intendo l’indirizzo email che l’azienda presenta all’interno del proprio sito per offrire un contatto commerciale. Spesso la possiamo trovare anche sotto forma di modulo da compilare per ricevere assistenza e, ovviamente, questa modalità è da preferire perché offre la possibilità di interagire con l’azienda attraverso dei campi predisposti per inquadrare il più possibile la richiesta di informazioni. Esistono anche molti sistemi di chat live, cioè un sistema di instant

messaging che consente di offrire un supporto da parte di un operatore in diretta. Questa metodologia è sempre più usata perché permette, da un lato, all’utente finale una gestione immediata della problematica, sfruttando un sistema di chat, e, dall’altro, all’operatore dell’azienda, di poter gestire contemporaneamente più richieste, avere uno storico, tracciare ogni singola conversazione e, soprattutto, avere dei dati sempre più approfonditi sulla persona in questione, per una profilazione migliore.

Figura 14.1 – L’immagine mostra un sistema di chat live da integrare sul proprio sito. Un esempio di chat live (Figura 14.1) è quella usata da Zopim: una soluzione semplice da installare che permette una completa gestione del supporto tramite chat e consente di integrare tutte queste informazioni con il CRM.

Per esempio, se arriva un cliente sconosciuto e accede alla chat, di fatto, potete trasformarlo in un lead semplicemente chiedendogli nome, cognome, azienda e magari anche l’email, offrendogli di rimanere aggiornato alla newsletter oppure, se gli interessa, l’invio di informazioni sui prodotti a cui è interessato. Ovviamente il buon senso, che deve sempre essere alla base di un supporto di questo tipo, implica che dobbiate trovare la giusta modalità di comunicazione e richiedere i dati in maniera non troppo esplicita. Bisogna sempre trovare il giusto equilibrio. L’impiego della chat live deve

ovviamente essere monitorato e misurato, in modo da tenere sotto controllo i dati di contatto, capire quante chat sono state gestite, quante sono state perse e il tempo medio di attesa prima che la richiesta venga presa in carico (Figura 14.2).

Figura 14.2 – L’immagine mostra la reportistica di un sistema di chat live da

integrare sul proprio sito. Abbiamo più volte sperimentato che i clienti passano oggi molto tempo sui social network, soprattutto su Facebook e Twitter. Questi ultimi sono diventati il terreno migliore dove muoversi per cercare una soluzione a un problema, per esempio quella di poter entrare in contatto con un’azienda. Sempre più utenti, ormai, quando vogliono avere delle informazioni su un prodotto che hanno acquistato o sul perché la spedizione tarda ad arrivare, si collegano alla pagina Facebook dell’azienda e postano lì il loro commento o la loro richiesta, che a

questo punto potrà essere vista da chiunque. A questo punto, sta all’azienda saper gestire il messaggio postato. È vero che alcuni clienti inviano un messaggio personale all’azienda, anche all’interno dei social network, e che il comportamento degli acquirenti varia molto da persona a persona ma, in ogni caso, chi gestisce la pagina deve essere sempre pronto a fare fronte a ogni evenienza. Questo è un aspetto ancora troppo spesso sottovalutato. Internet è uno strumento molto veloce e gli utenti si aspettano che le risposte arrivino altrettanto rapidamente: ci vuole immediatezza perché, se la risposta non arriva in giornata, il cliente

si irrita e si rischia che possa pensare di essere stato vittima di una truffa o che ci siano ulteriori problemi. In ogni caso, il punteggio di affidabilità dell’azienda che non ha saputo gestire tempestivamente il contatto, inconsciamente, scende. Rispondere subito è fondamentale, sia in caso di problemi, chiedendo scusa per l’accaduto, sia in caso di feedback positivi. Si deve dare l’impressione che l’azienda sia presente, sempre a disposizione, e accompagnare ogni singola persona nel suo percorso di soddisfazione. Anche il telefono continua a essere un mezzo importante, sia il numero fisso sia

il numero verde, che in molti casi invia un messaggio molto più positivo e infonde maggiore fiducia. Fornire un numero verde è un po’ come dire: guarda che ci tengo a te al punto da non farti pagare neanche la telefonata, entra in contatto perché sono pronto a risolvere i tuoi problemi. Questa purtroppo, però, è la teoria, perché poi la realtà spesso è molto diversa. Di frequente accade che quando si chiama un numero di telefono ci si trova a doversi relazionare con una persona poco accogliente o, all’opposto, con qualcuno che si prende più libertà del dovuto. Come per gli strumenti visti poco sopra, anche al telefono la professionalità è tutto e deve essere

curata in ogni minimo aspetto. Vi faccio un esempio che mi è accaduto qualche giorno fa: ho telefonato a un’azienda che vende minimoto perché volevo fare un regalo a mio figlio. Non sapendo come comportarmi al riguardo per un bambino di sette anni, ho chiamato il numero verde. Inizialmente mi ero fatto l’idea che fosse un’azienda molto seria, con un parco clienti importante, una struttura dislocata in varie sedi, con un supporto tecnico infallibile. Dall’altra parte mi risponde una signora che con tono sgarbato dice soltanto: “Pronto!” Mi sono quindi chiesto se per caso avessi sbagliato numero e chiesi se rispondeva l’azienda XY. La signora ha risposto:

“Sì, che ti serve?” Da questo in momento in poi, il mio personale rating sull’azienda è sceso al tal punto da cambiare idea sull’eventuale acquisto e, a telefonata conclusa, ho optato per un’altra azienda che offre prodotti simili, che ha avuto la pazienza di ascoltare le mie domande e di fornirmi tutti i dettagli per l’acquisto, consigliandomi cosa fosse meglio per soddisfare la mia esigenza. Non voglio dire che la prima azienda non fosse buona ma, per colpa di chi ha risposto al telefono, ha perso un cliente, senza tenere conto che avendo io anche altri figli avrei potuto fare altri acquisti in seguito.

Questo esempio è indicativo di quanto sia importante prestare la giusta attenzione alla gestione del cliente.

L’integrazione di più soluzioni Come abbiamo già detto, gestire bene i contatti con i clienti è importante ma lo è anche centralizzare le informazioni ottenute. Oggi, invece, molti customer care hanno difficoltà a rintracciare tutte le informazioni che servono, perché un cliente può contattare le aziende per telefono, inviando un’email o avviando una chat. Oltre a centralizzare tutte

queste informazioni, è importante usare un sistema di ticketing, cioè uno strumento per la gestione delle richieste attraverso l’assegnazione di un ticket, un numero di pratica che sia facilmente individuabile e rintracciabile (Figura 14.3). Questi tool sono nati negli ambienti più prettamente tecnici, per gestire principalmente i problemi di tipo sistemistico con i software, ma da qualche tempo sono stati trasformati in strumenti più commerciali e a supporto di chi gestisce la relazione con il cliente finale. Una soluzione come questa permette l’integrazione di tutti i mezzi: i dati che arrivano da un form di contatto,

un’email, una chat, un messaggio sui social network vengono centralizzati in un unico sistema di CRM o di Marketing automation.

Che cosa si aspettano i clienti Oggi, i consumatori sentono più che mai il bisogno di essere ascoltati e supportati nel modo più efficace possibile. Inoltre, sono consapevoli del potere che la loro opinione può avere sugli altri consumatori, specialmente se questa è negativa.

Figura 14.3 – Nell’immagine è possibile vedere la lista dei ticket aperti sulla piattaforma Zendesk. Dal punto di vista delle aziende, quindi, non si tratta solo di “gestire un canale in più” o “parlare su un canale diverso”,

ma di muoversi in maniera organica, rapida e coerente all’interno di un unico flusso che si compone di più parti. Una richiesta su Facebook, un apprezzamento via Twitter, un approfondimento richiesto per telefono: la conversazione tra un utente e un’azienda si muove su diversi canali che si intrecciano tra loro, spesso anche muovendosi in un periodo di tempo molto limitato. Per soddisfare chi vi contatta, il rapporto che andate a instaurare deve diventare sempre più personale e orientato verso una dinamica one-to-one e, per ottenere un riscontro positivo, le risposte che fornite ai vostri utenti devono diventare sempre più rapide e

competenti. Molte aziende leader di settore hanno già intrapreso la strada verso un ascolto del cliente più strutturato, facendosi supportare da strumenti di social monitoring e caring in grado di ottimizzare il loro modo di dialogare con il pubblico. Non è un caso che brand come Amazon, Apple e Starbucks, oltre a essere realtà top-of-mind nei confronti del grande pubblico, si posizionino ogni anno nei piani alti delle classifiche relative alla Customer Service Satisfaction: il ricordo più duraturo e fertile è un’eccellente esperienza di ascolto e supporto da parte di coloro ai quali chiediamo il nostro aiuto.

Per rispondere prontamente alle esigenze dei pubblici connessi, è necessario evolvere il servizio di assistenza offerto verso un’ottica di Social Customer Care, inserendosi all’interno di uno scenario competitivo, nel quale l’utilizzo di tool dedicati al Customer Relationship Management è passato dal 56% del 2012 al 74% durante il 2013. Questi strumenti permettono di incrementare la produttività di almeno il 15% e i risultati trovano un riscontro nel 91% dei casi in aziende di grandi dimensioni e nel 50% di casi in aziende mediopiccole. Un altro dato importante da

considerare è la previsione secondo cui entro il 2015 le aziende che non saranno in grado di gestire in maniera efficace la propria presenza sui canali social perderanno dal 15% al 20% dei loro migliori clienti. Attraverso questo nuovo approccio non ci si limita alla gestione del cliente, ma s’instaura una relazione favorendone l’ingaggio e, conseguentemente, migliorando la brand reputation. Anche in questo caso possiamo utilizzare strumenti di automazione dei processi, magari per rispettare un certo tipo di Service Level Agreement (SLA, Figure 14.4 e 14.5).

Figura 14.4 – Nell’immagine è possibile vedere l’automazione attivata su un ticket della piattaforma Zendesk.

Figura 14.5 – Nell’immagine è possibile vedere l’automazione su un ticket che deve generare un allarme ogni qualvolta non si risponde entro un’ora.

Survey Ci si chiede spesso come il proprio interlocutore valuti l’azienda e le risposte che si ottengono per lo più vengono dall’interno della stessa. Ma, quando si va a chiedere direttamente agli interessati, si scopre che la percezione che hanno è ben diversa. Nonostante il 92% dei consumatori dichiari che i tempi di risposta sono importanti, solo il 35% di loro ritiene

che le risposte ricevute siano esaustive e soddisfacenti. È fondamentale ricordare che l’unica percezione che davvero conta è quella del consumatore finale. I survey, cioè le indagini, vanno in questa direzione: quando si gestisce un rapporto con il cliente è importante poi chiedere come si è trovato, anche per valutare l’operatore che ha fornito il supporto e fornirgli degli elementi per migliorare il suo operato. La Marketing automation vi viene in aiuto se verrà impostata all’interno del CRM la funzione di inviare un’email a ogni persona che è entrata in contatto con l’azienda, chiedendole, se lo desidera, di inviare un commento o un giudizio su

come si è trovata. Può essere una semplice email che rimanda a un form sul sito, in modo che anche questi dati possano essere immagazzinati e gestiti. Di solito, si cerca di incentivare l’utente, chiedendogli di aiutarvi a migliorare il servizio, oppure offrendo un incentivo (come uno sconto) o proponendo un contenuto in cambio dei minuti del suo tempo. Nella Figura 14.6, vedete che una volta trascorse 24 ore dal momento in cui viene chiuso il ticket (quindi il problema o il contatto è stato risolto), viene inviata un’email di richiesta del grado di soddisfazione sul servizio offerto e sulla qualità dell’operatore. In

questo modo si ottiene uno score per ogni singolo operatore (Figura 14.7), il che permette di avere anche una statistica della gestione dei clienti da parte del personale dell’azienda.

Figura 14.6 – Nell’immagine è possibile vedere un’automazione per generare una valutazione automatica sulla gestione della pratica.

Figura 14.7 – Nell’immagine si vede il giudizio degli utenti sull’operatore che

ha soddisfatto il supporto.

Social care Integrando i social network con il sistema di ticketing diventa più facile anche la gestione di questa via di comunicazione: per esempio, invece di dover accedere ogni volta al profilo aziendale su Facebook per rispondere, sarà il sistema centralizzato della piattaforma che risponderà a ogni ticket (che la richiesta avvenga in modalità pubblica o privata), restando sempre all’interno del network, così i clienti potranno continuare la discussione direttamente dalla loro interfaccia

preferita. Nella Figura 14.8 vedete un’analisi di Socialbakers, filtrata per il mercato italiano nel terzo trimestre 2014, relativa alle aziende socially devoted, cioè quelle che sono coinvolte in una gestione ottimale del rapporto con il cliente attraverso i social media. Come si può notare, il response time indica il tempo medio entro cui viene data una risposta e, in questo, Wind sembra la più rapida ed efficace.

Figura 14.8 – La tabella mostra il report socially devoted di Socialbakers per

l’Italia, mostrando le aziende più attente al supporto clienti. Quasi il 40% dei consumatori utilizza i social per avere assistenza, ma il 60% delle aziende ancora non adotta questi strumenti. Uno studio di ICMI e Five9 dimostra che oggi, per le aziende, avere una presenza social rappresenta una doppia sfida: da una parte sono strumenti indispensabili di comunicazione e marketing, dall’altra c’è il pericolo di esporsi a commenti negativi e a richieste da parte di utenti che spesso le aziende hanno difficoltà a gestire. Certamente Gartner non si sbagliava quando, già nel 2012, prevedeva che:

“Rifiutarsi di comunicare con i clienti tramite social media sarà nocivo per le aziende come oggi è nocivo ignorare le telefonate o le email.” Oggi questa tendenza si è istituzionalizzata: sono oltre un miliardo le persone connesse sui social media a livello mondiale, un “rumore di fondo” che nessuna azienda può e deve ignorare. Quanto conta il Social Customer Service per i clienti? Molto. Specie se si considera che il 40% utilizza i social anche come strumento di assistenza ai clienti e, addirittura, il 47% è disposto a rivolgersi a un competitor qualora l’azienda, nonostante l’ottimo customer service, non dovesse offrire il canale di

comunicazione richiesto. In questo quadro si inserisce l’atteggiamento delle aziende rispetto al canale social, ritenuto critico per il business e soprattutto per un efficiente CRM: oltre il 68% ritiene che il social sia un canale necessario, il 61% delle aziende che offrono social care registrano un più alto livello di customer service, mentre il 58% ritiene che il social care abbia migliorato la customer loyalty. Sempre secondo lo studio, il 73% delle aziende dichiara di avere una presenza social, ma solo il 39% la utilizza come canale per la customer care. Per quale motivo? Principalmente perché le aziende ritengono di non

possedere le risorse e gli strumenti per procedere. Sono diversi i cambiamenti e le sfide che le aziende stanno affrontando e numerosi gli strumenti che impattano direttamente sul marketing e il CRM di cui devono dotarsi per affrontarli al meglio: strumenti di reporting e analytics, l’integrazione dei social con i CRM, l’ascolto di tutte le attività social e attrezzare gli agenti di vendita con strumenti che permettano una rapida ed efficace soluzione dei problemi.

CAPITOLO 15

SCELTA DELLA PIATTAFORMA Trovare il giusto livello tecnologico Decidere di utilizzare un sistema di Marketing automation comporta l’uso di una nuova tecnologia e, quindi, è importante fare le giuste valutazioni di budget prima di adottare una piattaforma piuttosto che un’altra.

I livelli di Marketing automation da considerare sono tre: Automazione Base: consente il collegamento solo fra alcuni canali – in genere email, sito web e CRM. Tali strumenti permettono di effettuare le campagne di marketing basic, ma non consentono quelle su larga scala. Sono strumenti adatti soprattutto ad aziende molto piccole, con meno di cinque dipendenti. Il costo di tali sistemi è modesto. Automazione PMI: è la soluzione migliore per le aziende che necessitano di

strumenti facili da usare ma ritengono di voler cogliere l’opportunità di lanciarsi in campagne più innovative. Di solito adottano questi strumenti le aziende che contano 10-300 dipendenti e non hanno necessità particolarmente avanzate. Automazione Enterprise: ideale per le aziende molto evolute in ambito tecnologico, che hanno bisogno della massima personalizzazione, di flessibilità e del miglior set di strumenti di cui si possa disporre. Tali soluzioni, data la loro complessità, richiedono

generalmente il ricorso a un buon numero di persone dedicato. Generalmente, adottano questo tipo di soluzione le società imprenditoriali. Dopo aver scelto il livello di marketing automation da consigliare alla vostra azienda, dovreste prendere in considerazione singolarmente i seguenti fattori, che vi aiuteranno a definire ulteriormente i vostri bisogni specifici. Dimensione del vostro database: dalle dimensioni del vostro database dipende il costo della vostra soluzione e il

bisogno di determinate caratteristiche nell’ambito della vostra applicazione. Se il vostro database è molto grande, probabilmente avete bisogno di caratteristiche più avanzate per gestire ogni possibile scenario. Si può considerare piccolo un database con meno di 10.000 contatti e grande uno a partire da 100.000 contatti. Operatori: dovete decidere quanti operatori dovranno avere accesso alla vostra soluzione per raggiungere il risultato desiderato. Ricordatevi che se intendete incrementare le vostre

entrate aziendali, ogni singolo addetto alle vendite dovrebbe avere il permesso di accedere al software, in modo da trarre vantaggio dagli strumenti di lead management, solo per fare un esempio. Questo è un fattore importante da valutare, perché il costo di alcuni strumenti incide in base al numero delle persone che li usano. Altre integrazioni: accertatevi che il vostro tool si connetta con i vostri CRM, CMS e con gli altri canali del marketing. Generalmente, più connessioni richiedete, più elevati saranno i

costi ma più proficue si potranno rendere le connessioni.

Sei pronto per la Marketing automation? Di seguito vi presento un semplice formulario di domande alle quali potete rispondere per farvi un’idea precisa sulle vostre necessità. La scala va da 1 a 5, dove 1 vuol dire “Non sono d’accordo” e 5 “Sono d’accordo”.

Per interpretare i risultati sommate il vostro punteggio. Se il punteggio è maggiore di 35: sì, siete pronti per la Marketing automation. Se il punteggio è compreso tra 20 e 25: vi state muovendo in questa direzione, ma è meglio se approfondite maggiormente ciò che vi serve, in modo da poter partire non appena vi sentirete

pronti. Se il punteggio è inferiore a 20: vi consiglio di attendere, capire meglio ciò che vi serve e approfondire il vostro business model, le leve di cui avete bisogno e la struttura della vostra azienda.

Le soluzioni di Marketing automation Sul mercato esistono numerose soluzioni, ognuna con funzionalità differenti e non è facile fare una prima valutazione perché, come per qualsiasi altro software, i parametri da

considerare sono numerosi: per esempio, la velocità di customer retention, l’usabilità, il supporto fornito, le aspettative, l’impatto sul marketing. Le aziende che hanno saputo conquistare la fiducia della propria clientela, anche in modo superiore alle aspettative, generalmente non la perdono nel momento in cui rinnovano il servizio con una di queste piattaforme. Sebbene sia un’informazione molto importante, solitamente i fornitori di Marketing automation sono restii a comunicare il loro tasso di fidelizzazione dei clienti. Alcuni vendor, talvolta, pubblicano i dati sul tasso di crescita della base clienti, ma nessuno rende noto il tasso di

ritenzione o il suo inverso, il churn rate. Per fortuna c’è il servizio di Datanyze che analizza oltre 15 milioni di siti web tra i più trafficati al mondo, alla ricerca dei JavaScript solitamente usati dalle piattaforme di Marketing automation. La Figura 15.1 mostra il numero totale di siti web che, secondo Datanyze, utilizzano piattaforme di automazione di marketing. Nell’analizzare questi dati, tenete presente che può anche succedere che un singolo utente usi la stessa piattaforma di Marketing automation su più siti web.

Figura 15.1 – Nel grafico è possibile vedere quali sono le piattaforme di Marketing automation più utilizzate. Nella Figura 15.2, invece, possiamo analizzare un altro dato molto

importante, cioè quello relativo al variare della clientela per ciascun sistema: quanti nuovi utenti scelgono una piattaforma e quanti invece la abbandonano. Un altro dato importante si ottiene comparando le varie soluzioni di automation in base al tipo di clientela: si può capire quali sono gli strumenti che sono usati maggiormente dalle varie fasce di appartenenza (Figura 15.3).

Figura 15.2 – Nel grafico è possibile valutare il numero di clienti aggiunti e persi, e il valore netto del cambiamento per ogni singola piattaforma di Marketing automation.

Figura 15.3 – Il grafico illustra come i clienti di una piattaforma di Marketing automation siano suddivisi in base al tipo di dimensione dell’azienda.

Scelta della piattaforma Non è possibile definire quale sia la piattaforma migliore. Come al solito, dipende molto da quali sono le vostre necessità, da come pensate di investire a breve/medio/lungo termine e da come credete che il vostro business crescerà. La leva prezzo sicuramente è una delle prime che sarà analizzata e le piattaforme enterprise per il mercato americano hanno costi che molte realtà italiane non possono permettersi. Ci sono però anche aziende che stanno offrendo delle soluzioni adatte per le

PMI, e sono queste le realtà che stanno prendendo sempre più piede in Italia. Quindi, come abbiamo visto, è importante analizzare quali sono le motivazioni che ci spingono ad automatizzare il nostro business online e nella Figura 15.4 si può vedere quanto sia importante scegliere tra diversi prodotti in base alle funzionalità.

Figura 15.4 – La tabella mostra le

funzionalità offerte dalle piattaforme.

Caso di studio – Roland e Wixab Intervista a Vittorio Neri, Marketing Manager di Roland. Perché avete investito in un’attività di Marketing automation? La scelta di iniziare a lavorare con un software di Marketing automation è dipesa da alcuni fattori: Fornire alla persona che si avvicina al nostro marchio il

contenuto che effettivamente sta cercando. Stabilire una relazione proficua sia per l’azienda che ci contatta sia per noi, offrendo la possibilità di acquisire prodotti che realmente servono alla crescita della sua azienda. Non è più possibile gestire i dati esclusivamente in maniera unidirezionale ma, riconoscendo che dietro un dato ci sono una persona e una storia, lavorare per una reciproca soddisfazione. Quest’ultimo punto è importante soprattutto alla luce dell’enorme quantità di dati che oggi bisogna gestire,

che non sono solo anagrafiche ma anche aspettative, problemi e successi delle aziende a cui ci rivolgiamo. Un software di Marketing automation può darci una mano concreta, permettendoci di lavorare meglio, in maniera puntuale e consentendoci di offrire un servizio utile e all’altezza delle aspettative. Come avete fatto? Siamo partiti in maniera semplice, creando delle campagne per capire le aspettative dei nostri clienti e quelle dei potenziali clienti. Da qui abbiamo sviluppato una serie di contenuti che riteniamo utile fornire a chi ci contatta, per costruire o rafforzare la relazione. Senza un software di questo tipo,

mantenere un contatto o stabilire un rapporto utile per entrambe le parti diventa impossibile. Quindi, abbiamo avuto la possibilità di strutturare un workflow efficace e non invasivo, conoscendo meglio le aspettative delle aziende clienti, grazie appunto alla profilazione puntuale che la piattaforma offre. Quali obiettivi vi siete dati? L’obiettivo è duplice. Prima di tutto, offrire alle persone contenuti e offerte utili alla loro attività e poi, per noi di Roland, fare un ulteriore passo nell’uso del database. Dare alle aziende ciò che si aspettano (e magari qualcosa in più) nel modo

giusto e al momento giusto, porta un aumento delle opportunità e un approccio più proficuo al nostro CRM. La relazione oggi la costruiamo con la vicinanza, e una piattaforma come Wixab (Figure 15.5 e 15.6) ci offre la possibilità di farlo in maniera efficace e intelligente.

Figura 15.5 – Nell’immagine si vede un

esempio di percorso di un cliente con la piattaforma Wixab.

Figura 15.6 – Nell’immagine si vede un esempio di lead nurturing attraverso la piattaforma Wixab.

APPENDICE LEGALE Autore dell’appendice è Lapo Curini Galletti, legale specializzato in diritto dei media e delle nuove tecnologie, con un focus particolare sul mondo di Internet e della pubblicità online.

La privacy nel settore del Marketing e del Behavioural

Advertisting Per le società, attuare correttamente la normativa italiana in materia di protezione dei dati personali può essere molto complesso. Le indicazioni del Codice della privacy sono, infatti, di difficile interpretazione/fruizione e i diversi interventi normativi del legislatore susseguitisi nel tempo hanno concorso a creare un quadro normativo non sempre coerente e organico. Inoltre, la piena comprensione degli adempimenti previsti dalla legge richiede la conoscenza della vastissima produzione di decisioni del Garante per la

protezione dei dati personali, che negli anni ha analizzato e definito meglio la portata delle indicazioni di legge, nonché degli orientamenti espressi a livello europeo dall’art. 29 Working Party, l’organo consultivo indipendente dell’Unione Europea che riunisce le Autorità Garanti degli Stati membri. Considerato quanto detto, non poche aziende faticano a implementare la legge sulla privacy e addirittura spesso vi rinunciano, sia per la difficoltà oggettiva di osservare gli obblighi normativi sia per i costi che la compliance inevitabilmente comporta. Trascurare il tema privacy può, tuttavia, esporre le aziende non solo al

rischio di subire ingenti sanzioni amministrative (e in taluni casi di incorrere persino in responsabilità di natura penale), ma anche a non secondari rischi di reputazione. A questo poi bisogna aggiungere la possibilità che l’Autorità del Garante inibisca la società dall’utilizzo ulteriore del database, in alcuni casi asset principale e core dell’azienda. Le società che operano nel settore della pubblicità sono le più esposte al rischio di eventuali contestazioni, sia per la quantità di dati che esse tipicamente trattano sia per la complessità della normativa che regola i trattamenti del settore pubblicitario.

La presente appendice legale non ha alcuna pretesa di esaustività ma, al contrario, vuole andare a toccare alcune questioni “calde” e di interesse attuale, come le problematiche relative al marketing online con un focus specifico sull’utilizzo dei cookie nell’ambito del behavioural advertising. Il fine di questi appunti è, pertanto, solo quello di offrire al lettore un testo semplice, non troppo tecnico e pertanto di facile fruizione, che consenta al contempo la possibilità di individuare le problematiche più frequenti, i maggiori rischi ed evitare gli errori più comuni e gravi.

Il Marketing online e la profilazione Il Codice della privacy Il quadro regolamentare italiano in materia di privacy si fonda, da un lato, sulle indicazioni del D.lgs. 196 del 30 giugno 2003 “Codice in materia di protezione dei dati personali” (il “Codice”) e, dall’altro, sui provvedimenti generali del Garante per la protezione dei dati personali (il “Garante”). Il Codice ha abrogato la precedente Legge 675 del 31 dicembre 1996, recependo la Direttiva 95/46/CE, che

costituisce il testo di riferimento, a livello europeo, in materia di protezione dei dati personali (di seguito, la “Direttiva Privacy”), e la Direttiva 2002/58/CE, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche, come modificata dalla Direttiva 2009/136/CE (di seguito, la “Direttiva E-Privacy”).

Il telemarketing La disciplina del telemarketing cambia in base all’origine dei dati trattati dal titolare e alle modalità di effettuazione delle chiamate. Le chiamate effettuate tramite “sistemi

automatizzati di chiamata o di comunicazione di chiamata senza l’intervento di un operatore” (per esempio, le chiamate con messaggi preregistrati) per finalità di marketing si possono effettuare solo con il previo consenso libero e informato del contraente/utente (dunque indifferentemente persona fisica o persona giuridica), a prescindere dalla fonte dalla quale siano stati ottenuti i numeri che si intende contattare e dalla tipologia di destinatario della chiamata (art. 130, comma 1 del Codice). È evidente la ratio sottesa a questa norma: il legislatore ha ritenuto che tali chiamate promozionali siano

particolarmente invasive, sia perché i sistemi automatizzati di chiamata consentono di realizzare contatti di massa sia perché i destinatari delle chiamate possono più difficilmente far valere i propri diritti in assenza di un interlocutore. In questo caso la regola del consenso preventivo non trova, pertanto, alcuna eccezione. Le chiamate con intervento di un operatore verso numeri di telefono fissi o mobili, estratti dagli elenchi telefonici pubblici (appartenenti a persone fisiche, persone giuridiche, enti o associazioni), possono essere, invece, effettuate solo previa consultazione del “Registro delle Opposizioni” di cui agli art. 130, commi

3-bis, 3-ter e 3-quater del Codice. Il Registro delle Opposizioni è una c.d. “Robinson List”, cioè una lista contenente i nominativi di quegli abbonati a servizi di telefonia fissa o mobile, pubblicati negli elenchi telefonici pubblici, che non desiderano ricevere chiamate promozionali. Le aziende che intendono contattare numeri estratti dagli elenchi telefonici pubblici per finalità di telemarketing devono previamente iscriversi come operatori presso il Registro delle Opposizioni, che è gestito dalla Fondazione Ugo Bordoni (www.fub.it). In termini pratici, l’azienda dovrà comunicare la lista dei numeri estratti dagli elenchi pubblici che

si intendono contattare; il gestore del Registro, mettendo a confronto le informazioni contenute nel Registro delle Opposizioni e la lista dei numeri forniti dall’azienda, cancellerà da quest’ultima tutti i numeri degli abbonati che hanno richiesto di non essere contattati, consegnando all’azienda una lista “pulita” degli utenti effettivamente contattabili, anche senza il preventivo consenso informato degli stessi. La lista così formata ha valore per un periodo massimo di 15 giorni, trascorsi i quali bisognerà nuovamente consultare il Registro prima di poter contattare i nominativi in essa contenuti (per ulteriori informazioni sul servizio e

sulle tariffe applicate è meglio consultare il sito internet: http://operatori.registrodelleopposizioni.i operatori). È importante evidenziare che le aziende possono ugualmente contattare il numero telefonico di un utente iscritto al Registro delle Opposizioni se sono in grado di provare di aver ottenuto quel numero non già estraendolo dagli elenchi telefonici pubblici ma da altre fonti, avendo ottenuto il consenso libero e informato dell’interessato. E infatti, le chiamate con intervento di un operatore (per esempio le chiamate effettuate da call center), se effettuate verso numeri di telefono fissi o mobili ottenuti da fonti

diverse dagli elenchi telefonici pubblici, possono essere effettuate ove il titolare abbia ottenuto il previo consenso informato, libero e facoltativo dell’interessato (artt. 13, 23 e 24 del Codice). Alla luce di quanto sopra, si consideri, per esempio, il caso di un utente “A” (persona fisica) che, registratosi al sito internet dell’azienda “B”, acconsenta liberamente al trattamento dei propri dati personali per ricevere offerte commerciali tramite telefono, e che, successivamente, si iscriva al Registro delle Opposizioni perché stanco di ricevere telefonate promozionali. In tal caso l’utente “A”

non potrà essere contattato da imprese che estraggano il suo numero dagli elenchi telefonici pubblici, ma potrà continuare a esserlo, fino all’eventuale revoca del consenso, dall’azienda “B”, avendo questa estratto il numero di telefono di “A” da fonte diversa dagli elenchi telefonici pubblici e avendo ottenuto il preventivo e facoltativo consenso di “A” al trattamento dei dati per finalità di telemarketing. Consideriamo, infine, l’ipotesi di chiamate promozionali effettuate verso numeri telefonici reperiti non già dagli elenchi telefonici ma da altri pubblici registri, elenchi, atti o documenti conoscibili da chiunque. L’art. 24,

comma 1, let. c) del Codice stabilisce che i dati provenienti da pubblici registri, elenchi, atti o documenti conoscibili da chiunque possono essere trattati anche senza il consenso degli interessati “fermi restando i limiti e le modalità che le leggi, i regolamenti o la normativa comunitaria stabiliscono per la conoscibilità e pubblicità dei dati”. Fatto salvo in caso limite di un pubblico registro, elenco o atto la cui legge istitutiva consenta espressamente l’utilizzo dei dati per effettuare chiamate promozionali, in linea generale non è pertanto possibile trattare per finalità di telemarketing i dati personali provenienti da pubblici registri (per

esempio, albi professionali), elenchi, atti o documenti conoscibili da chiunque (per esempio, documenti reperiti su Internet) senza il preventivo consenso libero e informato dei soggetti interessati. Il Garante ha, tuttavia, chiarito che l’art. 24, comma 1, let. c) del Codice deve essere interpretato nel senso che il trattamento è consentito solo ove: la specifica disciplina di riferimento abbia espressamente previsto l’attività di telemarketing; oppure ii. “tali comunicazioni risultino direttamente funzionali all’attività svolta i.

dall’interessato, che è posta alla base dell’inserimento del dato telefonico nei pubblici registri, elenchi, atti o documenti conoscibili da chiunque di cui all’art. 24 del Codice, e sempreché non vi sia stata o sia manifestata opposizione al trattamento” (doc. web n. 1784528). In altri termini, sarebbe per esempio possibile trattare per finalità di telemarketing i dati personali di un professionista iscritto a un albo professionale, purché le comunicazioni commerciali siano strettamente attinenti all’attività

professionale dell’interessato. La norma deve essere interpretata e applicata restrittivamente. Il Garante ha, infatti, precisato che “il vincolo di finalità con la professione esercitata dall’interessato […] deve essere interpretato in termini rigorosi nel senso che tale vincolo implica la stretta attinenza del trattamento per finalità di marketing all’esercizio di tale specifica professione, come potrebbe per esempio ritenersi l’invio di pubblicazioni scientifiche per finalità di aggiornamento e approfondimento di tematiche giuridiche”. In applicazione di tale principio, il Garante ha, per esempio, ritenuto illecita la telefonata

promozionale effettuata da una compagnia telefonica a un avvocato il cui numero di telefono era stato estratto dall’albo nazionale degli avvocati. L’Autorità ha ritenuto che “pur in presenza dei possibili vantaggi economici che l’offerta di servizi di telefonia business può offrire al professionista, il trattamento dei dati personali per finalità promozionali non può ritenersi ‘direttamente funzionale’ all’esercizio della specifica attività forense svolta dall’interessato e giustificare l’esonero dall’acquisizione del consenso, limitandosi, tale offerta, a offrire soluzioni astrattamente idonee a soddisfare le esigenze di

un’indifferenziata tipologia di soggetti” (doc. web n. 1851415). Secondo il Garante, “l’offerta dei servizi di telefonia rivolta al segnalante avrebbe dovuto essere ritagliata, per opzioni, modalità e costi sulle specifiche caratteristiche ed esigenze della categoria degli avvocati”.

Il marketing via email, fax, SMS o MMS Il marketing via email, fax, SMS, MMS o altre forme di messaggistica può essere effettuato solo con il previo consenso libero e informato del contraente o utente (art. 130, comma 2

del Codice). Dunque, la regola si applica indipendentemente dal fatto che il destinatario della comunicazione sia una persona fisica, una persona giuridica, un ente o un’associazione. Si badi che non è possibile contattare un interessato per sollecitarlo a prestare il proprio consenso al successivo invio di comunicazioni promozionali. Infatti, la regola del consenso “non può essere elusa inviando una prima email che, nel richiedere il consenso, abbia già un contenuto promozionale o pubblicitario” (doc. web n. 1489843). Per quanto riguarda il marketing via email, il Codice prevede una specifica eccezione alla regola generale del

preventivo consenso. Infatti, ai sensi dell’art. 130, comma 4 del Codice “se il titolare del trattamento utilizza, a fini di vendita diretta di propri prodotti o servizi, le coordinate di posta elettronica fornite dall’interessato nel contesto della vendita di un prodotto o di un servizio, può non richiedere il consenso dell’interessato, sempre che si tratti di servizi analoghi a quelli oggetto della vendita e l’interessato, adeguatamente informato, non rifiuti tale uso, inizialmente o in occasione di successive comunicazioni. L’interessato, al momento della raccolta e in occasione dell’invio di ogni comunicazione effettuata per le finalità di cui al

presente comma, è informato della possibilità di opporsi in ogni momento al trattamento, in maniera agevole e gratuitamente”. Questa norma consente di poter inviare email pubblicitarie aventi a oggetto prodotti o servizi analoghi a prodotti o servizi già venduti all’interessato (dunque i destinatari possono essere solo clienti o ex-clienti), anche senza aver ottenuto un preventivo consenso libero e informato. Le aziende possono, dunque, inviare email pubblicitarie a soggetti con cui hanno già avuto rapporti commerciali, a condizione che: a.

tale attività promozionale riguardi beni e servizi del

medesimo titolare e analoghi a quelli oggetto della vendita; b. l’interessato, al momento della raccolta dei dati e in occasione dell’invio di ogni comunicazione effettuata per le menzionate finalità, sia stato informato della possibilità di opporsi in ogni momento al trattamento, in maniera agevole e gratuitamente, anche mediante l’utilizzo della posta elettronica o del fax o del telefono e di ottenere un immediato riscontro che confermi l’interruzione di tale trattamento (art. 7, comma 4); c. l’interessato medesimo, così

adeguatamente informato già prima dell’instaurazione del rapporto, non si opponga a tale uso, inizialmente o in occasione di successive comunicazioni.

II marketing via posta cartacea Il marketing via posta cartacea segue regole simili a quelle del telemarketing. Se, infatti, gli indirizzi postali sono estratti dagli elenchi telefonici pubblici, il titolare del trattamento, ai sensi di quanto disposto dal comma 3-bis dell’art. 130 del Codice (come recentemente modificato dal Decreto

Legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito con Legge 12 luglio 2011, n. 106), deve previamente consultare il Registro delle Opposizioni, così come previsto per il telemarketing. Qualora, invece, gli indirizzi postali siano ottenuti da fonti diverse dagli elenchi telefonici pubblici, valgono le regole generali su informativa e consenso (artt. 13 e 23 del Codice), per cui si potranno inviare comunicazioni commerciali agli interessati via posta cartacea solo avendo ottenuto il previo consenso libero e informato degli stessi. Occorre, inoltre, considerare che, con provvedimento del 19 giugno 2008 (doc. web n. 1526724) il Garante ha previsto

che, in applicazione del principio del bilanciamento degli interessi (art. 24, comma 1, let. g) del Codice, i titolari del trattamento in ambito privato, che hanno venduto un prodotto o prestato un servizio, possono utilizzare senza il consenso i recapiti (oltre che di posta elettronica come già previsto per legge) di posta cartacea forniti dall’interessato, ai fini dell’invio diretto di proprio materiale pubblicitario o di propria vendita diretta o per il compimento di proprie ricerche di mercato o di comunicazione commerciale. Ciò a condizione che: a.

tale attività promozionale riguardi beni e servizi del

medesimo titolare e analoghi a quelli oggetto della vendita; b. l’interessato, al momento della raccolta e in occasione dell’invio di ogni comunicazione effettuata per le menzionate finalità, sia informato della possibilità di opporsi in ogni momento al trattamento, in maniera agevole e gratuitamente, anche mediante l’utilizzo della posta elettronica o del fax o del telefono e di ottenere un immediato riscontro che confermi l’interruzione di tale trattamento (art. 7, comma 4 del Codice);

c.

l’interessato medesimo, così adeguatamente informato già prima dell’instaurazione del rapporto, non si opponga a tale uso, inizialmente o in occasione di successive comunicazioni.

Il Decreto “E-commerce” La disciplina del Codice deve essere coordinata anche con le disposizioni del c.d. Decreto “E-commerce” (Decreto Legislativo 9 aprile 2003, n. 70), che concorrono a formare un’unica, seppur non sempre coerente e integrata, disciplina della materia. L’art. 8 del decreto, che è richiamato anche dall’art. 130 del Codice della

Privacy, stabilisce che le comunicazioni commerciali che costituiscono un servizio della società dell’informazione (in pratica qualsiasi comunicazione promozionale inviata tramite strumenti elettronici) devono contenere una specifica informativa diretta a evidenziare: che si tratta di comunicazione commerciale; b. la persona fisica o giuridica per conto della quale è effettuata la comunicazione commerciale; c. che si tratta di un’offerta promozionale come sconti, premi, od omaggi e le relative condizioni di accesso; a.

d. che si tratta di concorsi o giochi promozionali, se consentiti, e le relative condizioni di partecipazione. Il successivo art. 9 stabilisce che “le comunicazioni commerciali non sollecitate trasmesse da un prestatore per posta elettronica devono, in modo chiaro e inequivocabile, essere identificate come tali fin dal momento in cui il destinatario le riceve e contenere l’indicazione che il destinatario del messaggio può opporsi al ricevimento in futuro di tali comunicazioni”. La norma si applica solo ai casi residuali in cui è possibile, ai sensi del Codice della Privacy, inviare messaggi di posta

elettronica senza il consenso preventivo dell’interessato. La violazione delle disposizioni sopra citate è sanzionata dall’art. 21 del Decreto “E-commerce” con una sanzione amministrativa da 103 a 10.000 euro. In casi di particolare gravità il limite minimo e massimo possono essere raddoppiati. Le disposizioni del Decreto “Ecommerce” sono, infine, richiamate anche dal comma 5 dell’art. 130 del Codice della privacy, ai sensi del quale “è vietato in ogni caso l’invio di comunicazioni per le finalità di cui al comma 1 o, comunque, a scopo promozionale, effettuato camuffando o

celando l’identità del mittente o in violazione dell’articolo 8 del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, o senza fornire un idoneo recapito presso il quale l’interessato possa esercitare i diritti di cui all’articolo 7, oppure esortando i destinatari a visitare siti web che violino il predetto articolo 8 del decreto legislativo n. 70 del 2003”.

La profilazione La cosiddetta “profilazione” consiste nell’utilizzo di informazioni relative a un determinato soggetto al fine di ricostruirne una sorta di “ritratto” quanto alle determinazioni del soggetto stesso in ambiti specifici, che possono

riguardare le abitudini commerciali, i gusti, gli interessi, la propensione al consumo e ogni altro elemento idoneo a ricostruirne la personalità complessivamente intesa. L’elaborazione di profili è una tecnica che trova la sua principale applicazione nel settore del marketing, poiché il ricorso ai profili di consumatore-tipo nell’elaborazione delle strategie di marketing consente di orientare i consumi, adattando un certo tipo di prodotto a una determinata categoria di consumatori, o di indurre nuovi consumi, tramite la creazione e commercializzazione di nuovi prodotti funzionali al soddisfacimento di bisogni

indotti o emergenti. Il ricorso alle tecniche di profilazione, specialmente se combinato all’utilizzo delle moderne tecnologie informatiche, solleva numerosi problemi di natura sociale e giuridica. Infatti, la possibilità di effettuare in maniera automatizzata, veloce e capillare il trattamento e il raffronto di numerosi dati personali afferenti a vaste popolazioni di interessati potrebbe consentire una vera e propria schedatura di massa. La classificazione di un individuo in una determinata categoria (cosiddetta cluster) potrebbe potenzialmente avere riflessi nella sfera politica (per esempio, condizionando la

propaganda politica e l’offerta di idee sul mercato politico) o comportare pericolose discriminazioni individuali fondate sulle stime e sulle previsioni dei futuri comportamenti della persona profilata o, ancora, distorcere i meccanismi di mercato, condizionando la domanda sul mercato, o la neutralità dei media. In virtù di tali considerazioni il tema della profilazione è stato oggetto di attenzione sia da parte del legislatore sia da parte del Garante, il quale ha meglio precisato l’ambito di legittimità di tali trattamenti in numerosi provvedimenti.

IL CONSENSO

Il trattamento di dati personali a scopo di profilazione può essere effettuato soltanto previo consenso espresso e specifico dell’interessato, che il titolare dovrà documentare per iscritto. Il consenso al trattamento a scopo di profilazione dovrà essere specifico e distinto dal consenso espresso dall’interessato per qualsiasi altra finalità. In particolare, esso dovrà essere distinto dal consenso relativo ad altre finalità di trattamento (per esempio, marketing o comunicazione dei dati ad altri titolari del trattamento). Il Garante per la protezione dei dati personali ha, infatti, in più occasioni chiarito che per procedere al trattamento

di dati personali per finalità di profilazione è necessario acquisire un consenso separato da parte dell’interessato rispetto al consenso acquisito per le finalità di marketing/vendita diretta. Nel provvedimento a carattere generale del 24 febbraio 2005 (“‘Fidelity card’ e garanzie per i consumatori. Le regole del Garante per i programmi di fidelizzazione” – doc. web n. 1103045), che costituisce uno dei principali punti di riferimento in materia di profilazione, il Garante ha stabilito che “possono essere raccolti e utilizzati i dati pertinenti e non eccedenti per l’invio di materiale pubblicitario –

anche attraverso riviste di settore – o di comunicazioni commerciali o per la vendita diretta. Si tratta, di regola, dei soli dati direttamente correlati all’identificazione dell’intestatario della carta o di suoi familiari, cioè di persone da esso indicate. L’eventuale utilizzazione di dati personali derivanti dalla profilazione deve essere oggetto di un consenso differenziato dei diretti interessati”. Inoltre, nel medesimo provvedimento si afferma che “ogni altra finalità [N.d.r.: rispetto alla mera esecuzione degli obblighi contrattuali] di trattamento (profilazione e ricerche di mercato da un lato, marketing dall’altro) che comporti l’identificabilità degli

interessati necessita, invece, del loro consenso specifico, informato e distinto per ciascuna di esse (art. 23 del Codice)”. Per quanto il provvedimento sopra citato si riferisca almeno formalmente alle cosidette “fidelity card” (utilizzate dalla grande distribuzione per fidelizzare la clientela attraverso raccolte punti e agevolazioni sugli acquisti), esso contiene dei principi generali in tema di marketing/profilazione che il Garante ha più volte richiamato anche in provvedimenti aventi a oggetto fattispecie diverse. Profilazione e marketing costituiscono

quindi finalità di trattamento autonome e distinte, disciplinate diversamente anche sul piano normativo. Tale è pacificamente l’impostazione del Garante, il quale ha sostenuto che esse “vanno considerate tra loro distinte, come già rilevato da questa Autorità nel provvedimento generale sull’uso delle c.d. carte di fidelizzazione (Provv. 24 febbraio 2005, in http://www.garanteprivacy.it, doc. web n. 1103045), e come risulta anche dal differenziato statuto normativo a esse riservato. Mentre la definizione di profili individuali relativi alle preferenze e alle scelte di consumo è regolata in alcune disposizioni del

Codice (artt. 14, 22, comma 10 e 37, comma 1, lett. d)), i trattamenti di dati personali effettuati a fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale trovano diversa disciplina (artt. 7, comma 4, lett. b) e 130 del Codice)”. Occorre inoltre bene evidenziare che, poiché il consenso degli interessati deve essere oltre che specifico ed espresso anche libero, il titolare del trattamento non può subordinare la sottoscrizione o l’esecuzione di un contratto all’espressione del consenso per finalità di profilazione. Il Garante ha

avvalorato tale interpretazione in numerosi provvedimenti (inter alia, provv. 19 dicembre 2008, doc. web n. 1584213; provv. 22 febbraio 2007, doc. web n. 1388590; provv. 10 maggio 2006, doc. web n. 1298709; provv. 3 novembre 2005, doc. web n. 1195215; provv. 12 ottobre 2005, doc. web n. 1179604), affermando che “non può definirsi ‘libero’, e risulta indebitamente necessitato, il consenso a un ulteriore trattamento dei dati personali che l’interessato ‘debba’ prestare (aderendo a un testo predisposto unilateralmente dalla controparte) quale condizione per conseguire una prestazione richiesta”. Nel già menzionato provvedimento

“Fidelity Card” si afferma, allo stesso modo, che “l’eventuale accettazione per iscritto delle clausole del regolamento di servizio deve essere distinta dalle formule utilizzate per ciascuna di queste due manifestazioni di libero consenso [N.d.r., marketing, da un lato, e profilazione, dall’altro]. L’adesione all’iniziativa di fidelizzazione non può essere condizionata alla manifestazione di tale consenso. Non è quindi lecito raccogliere un consenso generale ricorrendo a una generica dichiarazione, comprendendo anche i casi in cui il consenso non è necessario o a prescindere dalle finalità perseguite”. La necessità di rappresentare

l’intenzione di profilare i dati deve essere manifestata con chiarezza e inequivocabilità. In un provvedimento del 3 febbraio 2005 (doc. web n. 1109503), il Garante ha stabilito che “se si pone in essere un’eventuale monitoraggio o profilazione, o si intende cedere dati personali a terzi specificamente individuati, queste circostanze e le relative finalità devono essere indicate puntualmente e con evidenza sia all’atto della costituzione del rapporto, sia prima di evadere le singole richieste di servizio o sollecitare le risposte degli utenti. Deve risultare chiara la circostanza che per questi scopi (come pure per la

partecipazione a sondaggi che devono avere fini chiaramente determinati e legittimi), il conferimento dei dati e il consenso sono liberi e facoltativi rispetto all’ordinaria prestazione dei servizi, e non possono ottenersi sulla base di pressioni o condizionamenti”.

L’INFORMATIVA Il titolare del trattamento è tenuto a fornire agli interessati un’informativa privacy conforme alle previsioni di legge (art. 13 del Codice) e alle prescrizioni del Garante.

LE MODALITÀ DEL TRATTAMENTO

Ai sensi dell’art. 3 del Codice, che formalizza il cosiddetto principio di necessità, “i sistemi informativi e i programmi informatici” devono essere “configurati riducendo al minimo l’utilizzazione di dati personali e di dati identificativi, in modo da escluderne il trattamento quando le finalità perseguite nei singoli casi possono essere realizzate mediante, rispettivamente, dati anonimi od opportune modalità che permettano di identificare l’interessato solo in caso di necessità”. In applicazione del principio di necessità, il Garante ha stabilito che “il trattamento di dati personali relativi a clienti non è lecito se le finalità del trattamento, in

particolare di profilazione, possono essere perseguite con dati anonimi o solo indirettamente identificativi” (provv. “Fidelity Card”, par. 2). In altri termini, il titolare del trattamento deve ricorrere al trattamento di dati personali relativi a persone direttamente identificabili solo nella misura in cui non siano allo scopo utilmente utilizzabili dati anonimi o solo indirettamente identificativi (per esempio, attribuendo agli interessati un codice numerico). Se la finalità di profilazione può essere perseguita con tali modalità “specie per quanto riguarda la profilazione della clientela per categorie omogenee, non è lecito

utilizzare – e tanto meno conservare – dati personali o identificativi”. In applicazione del principio di proporzionalità, il Garante ha invece affermato che “tutti i dati personali e le varie modalità del loro trattamento devono essere pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità perseguite” e che pertanto “l’utilizzazione di dati sensibili non è di regola ammessa per alcuna delle finalità indicate [N.d.r., marketing e profilazione], fatta salva l’ipotesi eccezionale nella quale il trattamento di dati sia realmente indispensabile in rapporto allo specifico bene o servizio richiesto e sia stato autorizzato dal Garante, oltre che acconsentito per

iscritto dall’interessato. Ciò vale anche per eventuali ricerche di mercato, sondaggi ed altre ricerche campionarie”. Il principio di proporzionalità deve essere osservato anche nella fase di registrazione delle informazioni in banche dati, specialmente se centralizzate, essendo fatto divieto ai titolari di trattamento di interconnettere o raffrontare le banche dati contenenti i dati di profilazione con altre banche dati contenenti dati raccolti per altre e diverse finalità. In un altro recente provvedimento, avente a oggetto proprio i trattamenti a scopo di profilazione effettuati da fornitori di servizi di comunicazione elettronica (“Prescrizioni

ai fornitori di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico che svolgono attività di profilazione” – 25 giugno 2009, in G.U. n. 159 dell’11 luglio 2009), con riferimento ai principi di necessità e proporzionalità, il Garante ha inoltre sostenuto che “l’attività di profilazione dovrebbe essere svolta utilizzando solo dati strettamente necessari al perseguimento della finalità e, in ogni caso, trattando solo dati per i quali, sulla base di quanto disposto dagli artt. 13 e 23 del Codice, il titolare abbia rilasciato una idonea informativa e sia in grado di documentare un consenso libero e specifico dell’interessato”. Il titolare del

trattamento, dunque, non sarebbe legittimato a trattare dati personali che non risultano necessari al perseguimento della finalità di profilazione e dovrebbe in ogni caso indicare chiaramente all’interno dell’informativa quali dati debbano essere necessariamente comunicati in relazione a ciascuna finalità.

LE MISURE DI SICUREZZA Fermo restando che i titolari del trattamento devono implementare le misure di sicurezza generalmente prescritte dal Codice, indipendentemente dagli specifici trattamenti effettuati, per quanto

concerne più specificamente i trattamenti effettuati a fine di profilazione il Garante – nel provvedimento “Fidelity Card” – ha prescritto i seguenti ulteriori adempimenti per i titolari del trattamento: a.

“i dati eventualmente trattati a fini di profilazione o di ricerche di mercato devono essere conservati con adeguate modalità che portino a limitare l’ambito di circolazione dei dati allo stretto indispensabile, circoscrivendo qualitativamente e quantitativamente il numero di addetti aventi eventuale accesso

alle informazioni; b. sia escluso l’uso di sistemi e programmi che permettano, fuori dei casi consentiti, una ricostruzione organica di scelte, comportamenti e profili di interessati identificabili non soggetta alle previe valutazioni di questa Autorità ai sensi dell’art. 17 del Codice; c. non si eludano, attraverso la preposizione di soggetti esterni quali responsabili del trattamento, le richiamate garanzie in tema di comunicazione e conservazione dei dati e di trasparenza

nell’informativa riguardo alle finalità e ai soggetti che le perseguono; d. si pongano a disposizione degli interessati, anche nell’informativa, specifici recapiti, anche di posta elettronica, per un agevole esercizio dei diritti”.

LA NOTIFICAZIONE Ai sensi dell’art. 37 del Codice, “1. Il titolare notifica al Garante il trattamento di dati personali cui intende procedere, solo se il trattamento riguarda: […]

d) dati trattati con l’ausilio di strumenti elettronici volti a definire il profilo o la personalità dell’interessato, o ad analizzare abitudini o scelte di consumo, cioè a monitorare l’utilizzo di servizi di comunicazione elettronica con esclusione dei trattamenti tecnicamente indispensabili per fornire i servizi medesimi agli utenti. […] 4. Il Garante inserisce le notificazioni ricevute in un registro dei trattamenti accessibile a chiunque e determina le modalità per la sua consultazione gratuita per via telematica, anche mediante convenzioni con soggetti

pubblici o presso il proprio Ufficio.” Prima di effettuare qualsiasi trattamento per fini di profilazione è dunque necessario notificare il trattamento al Garante. Ciò, come vedremo più avanti, vale anche per gli editori/ad network che utilizzano cookie o altre tecniche informatiche per veicolare pubblicità comportamentale o comunque profilare gli utenti. Ogni diverso utilizzo di cookie, o altre tecniche informatiche di tracciamento, deve invece essere previamente notificato al Garante.

I tempi di conservazione dei dati

Il Codice non prescrive tempi massimi di conservazione dei dati personali ma afferma solo un principio generale, in base al quale “i dati personali dei quali non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali sono trattati devono essere cancellati o trasformati in forma anonima” (art. 11, comma 1, lett. e) del Codice). In altri termini, raggiunto l’obiettivo per cui il trattamento dei dati è stato effettuato, il titolare del trattamento non avrebbe alcun motivo di conservare ulteriormente i dati trattati e dunque dovrebbe procedere alla loro cancellazione o alla loro trasformazione in forma anonima.

Nel provvedimento “Fidelity Card” il Garante ha sostenuto che “i dati relativi al dettaglio degli acquisti con riferimento a clienti individuabili possono essere conservati per finalità di profilazione o di marketing per un periodo non superiore, rispettivamente, a dodici e a ventiquattro mesi dalla loro registrazione, salva la reale trasformazione in forma anonima che non permetta, anche indirettamente o collegando altre banche di dati, di identificare gli interessati. Eventuali intenzioni di trattare i dati oltre tali termini potranno essere attuate solo previa valutazione di questa Autorità ai sensi dell’art. 17 del Codice”.

L’obbligo di conservazione limitato ai dodici mesi dalla data di registrazione è in verità riferito dal Garante ai soli “dati relativi al dettaglio degli acquisti” e non sembra dunque potersi dedurre che tale limite sussista con riferimento anche ad altre tipologie di dati. In un procedimento del 2005, riguardante le cosiddette TV interattive (“TV Interattiva, misure necessarie e opportune per un trattamento dei dati conforme alle disposizioni vigenti” – 3 febbraio 2005), il Garante ha ribadito tale impostazione, rilevando che “anche laddove sia stato acquisito uno specifico consenso, i dati di dettaglio su acquisti e servizi possono essere

eventualmente conservati per un periodo comunque non superiore a dodici mesi dalla loro registrazione, in riferimento a finalità commerciali, pubblicitarie o di profilazione, perseguite anche da parte di terzi, salva la loro trasformazione in forma anonima che non permetta di identificare gli interessati, anche indirettamente o collegando banche di dati. Eventuali intenzioni di trattare i dati oltre tali termini potranno essere attuate solo previa valutazione di questa Autorità ai sensi dell’art. 17 del Codice. In caso di cessazione del rapporto deve cessare ogni loro utilizzazione per le predette finalità. Deve essere individuato un

termine di conservazione dei dati personali una volta cessato il rapporto anche in relazione a eventuali finalità amministrative, non superiore a un trimestre (fatti salvi eventuali specifici obblighi di legge sulla conservazione di documentazione contabile, evitando una loro applicazione impropria). Occorre specificare questi aspetti nell’informativa e predisporre idonei meccanismi di cancellazione automatica dei dati anche da parte di terzi ai quali gli stessi siano stati eventualmente comunicati (specie a fini di profilazione o di marketing)”. Tuttavia, vagliando la legittimità delle attività di profilazione della clientela di

una catena alberghiera, il Garante ha ritenuto che “in applicazione dei principi di pertinenza e proporzionalità, va altresì segnalata la necessità di identificare i tempi massimi di conservazione dei dati trattati alla luce delle finalità in concreto perseguite dalla società mediante il trattamento dei dati raccolti, nonché delle scelte effettuate dall’interessato in ordine al loro trattamento (per esempio nel caso di restituzione della carta). I dati personali dei quali non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali sono stati trattati devono essere cancellati o trasformati in forma anonima (art. 11, comma 1, lett. e), del

Codice). In particolare, nell’ipotesi in cui il trattamento dei dati sia preordinato alla […] creazione di profili dei clienti partecipanti o meno al programma ‘optime’, risulta congrua la conservazione dei dati raccolti per la durata di dodici mesi decorrenti dalla registrazione delle informazioni e conformemente a quanto stabilito nel menzionato provvedimento del 24 febbraio 2005”. Qui il riferimento sembra essere a qualsiasi dato trattato a scopo di profilazione, indipendentemente dal fatto che sia legato al “dettaglio degli acquisti”. Sul punto, purtroppo, non vi è certezza giuridica.

Alla luce di quanto sopra, occorre considerare che (i) in applicazione del principio di proporzionalità i dati trattati a scopo di profilazione non possono essere conservati per un periodo di tempo indefinito o eccessivamente lungo; (ii) i dati di dettaglio degli acquisti non possono essere conservati per un tempo di conservazione superiore a 12 mesi dalla data di registrazione dei dati; e (iii) per tutti gli altri dati, che comunque non possono essere conservati a tempo indefinito o per periodo di tempo eccessivamente lunghi, non vi è certezza giuridica circa i tempi massimi di conservazione (sebbene un tempo massimo di 12 mesi dalla

registrazione sembra comunque costituire il parametro di riferimento assunto dal Garante per valutare la legittimità dei trattamenti di dati personali a scopo di profilazione. In caso di contestazione, spetterebbe probabilmente al titolare provare che un tempo di conservazione maggiore è necessario in relazione agli scopi per i quali i dati sono trattati).

I cookie e il Behavioural advertising

Dopo una breve trattazione delle normative privacy applicabile all’attività generale di marketing online, necessaria per definire seppur in maniera sommaria il background normativo in cui operiamo, al fine di poter comprendere appieno l’impatto che la legge possa avere in maniera specifica sulle nuove tipologie di business e il particolare sull’automation marketing, a mio avviso è adesso fondamentale trattare la regolamentazione dei cookie nella sua evoluzione normativa con un particolare focus sulle Linee guida individuate lo scorso giugno dal Garante.

Il Decreto Il 31 maggio 2012 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Legislativo 28 maggio 2012, n. 69[1] (il “Decreto”), con il quale l’Italia ha recepito la direttiva 2009/136/CE[2] (la “Direttiva Cookies”). Il Decreto ha modificato come segue l’art. 122 del Codice: “Art. 122. Informazioni raccolte nei riguardi del contraente o dell’utente: 1. L’archiviazione delle informazioni nell’apparecchio terminale di un contraente o di un utente o l’accesso a informazioni già archiviate sono consentiti unicamente a condizione che il contraente o l’utente abbia espresso il

proprio consenso dopo essere stato informato con le modalità semplificate di cui all’articolo 13, comma 3. Ciò non vieta l’eventuale archiviazione tecnica o l’accesso alle informazioni già archiviate se finalizzati unicamente a effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica, o nella misura strettamente necessaria al fornitore di un servizio della società dell’informazione esplicitamente richiesto dal contraente o dall’utente a erogare tale servizio. Ai fini della determinazione delle modalità semplificate di cui al primo periodo il Garante tiene anche conto delle proposte

formulate dalle associazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale dei consumatori e delle categorie economiche coinvolte, anche allo scopo di garantire l’utilizzo di metodologie che assicurino l’effettiva consapevolezza del contraente o dell’utente. 2. Ai fini dell’espressione del consenso di cui al comma 1, possono essere utilizzate specifiche configurazioni di programmi informatici o di dispositivi che siano di facile e chiara utilizzabilità per il contraente o l’utente. 2-bis. Salvo quanto previsto dal comma 1, è vietato l’uso di una rete di comunicazione elettronica per accedere

a informazioni archiviate nell’apparecchio terminale di un contraente o di un utente, per archiviare informazioni o per monitorare le operazioni dell’utente.” I nuovi commi 1 e 3 dell’articolo 122 riproducono sostanzialmente la formulazione dell’art. 5.33 della Direttiva 2002/58/CE (la “Direttiva ePrivacy”), come modificato dalla “Direttiva Cookies”. Il secondo comma dell’art. 122, invece, riflette il testo del 66° Considerando della “Direttiva Cookies”. L’unica sostanziale differenza è che il nuovo articolo 122 affidava al Garante, sentite le associazioni rappresentative dei vari portatori di

interesse, il compito di individuare modalità semplificate per fornire agli utenti un’informativa relativa all’utilizzo dei cookie – e di ogni altro simile strumento di tracciamento – sui siti internet (le “Linee Guida”). Il governo, nell’emanare il Decreto, ha invece rigettato sia le varie proposte formulate dall’industry affinché le nuove norme riconoscessero espressamente la possibilità di esprimere il consenso secondo meccanismi di opt-out sia la soluzione prospettata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), che, in un parere reso al governo sulla bozza di decreto legislativo, aveva auspicato l’adozione

di un sistema misto di opt-in e opt-out, fermo restando l’obbligo di fornire una chiara informativa agli utenti. Pertanto il Governo, in relazione al tema del consenso (opt-in vs. opt-out – consenso implicito vs. consenso esplicito) ha dato un chiaro segnale in favore di un esplicito opt-in nonostante il fatto che nel resto d’Europa alcuni Paesi, tra cui in primis l’Inghilterra, avevano adottato (e tuttora applicano) sistemi di opt-out “mascherato”, il cosiddetto soft opt-in come di seguito approfondito.

Il cosiddetto modello inglese e le critiche dell’art. 29

Working Party L’Autorità inglese nelle proprie linee guida sui cookie (emanate comunque a seguito della “Direttiva Cookies”) ha confermato e ulteriormente supportato la possibilità che il consenso sia espresso dagli utenti in maniera implicita, cioè tramite comportamenti concludenti (per esempio, continuare la navigazione dopo essere stati avvertiti che, continuando a navigare sul sito, si accetta l’installazione di cookie), purché sia fornita una chiara ed evidente informativa. Infatti, nella parte alta dell’home page dei siti internet inglesi è presente un avviso simile al seguente:

“This site uses cookies. By continuing to browse the site you are agreeing to our use of cookies. Find out more here.” Si tratta di una soluzione che certamente semplifica enormemente gli oneri tecnici e procedurali per l’industry avendo al contempo un basso impatto sull’utenza e per questo molto apprezzata. Molti siti, anche italiani, hanno implementato infatti questo modello. Tuttavia, è assolutamente importante considerare che l’art. 29 Working Party ha più volte ribadito che il consenso debba essere esplicito (opt-in) e che pertanto qualsivoglia modello basato su consensi impliciti (soft opt-in) oppure

direttamente sull’opt-out, sono in netto contrasto con la “Direttiva Cookies”. A ulteriore riprova infatti, con il parere sul codice di autoregolamentazione redatto e proposto da IAB/EASA[3], il Working Party ha ritenuto tale codice non conforme alla normativa comunitaria, in quanto fondato su un meccanismo di optout, non consentito dalla legge vigente. Il Garante italiano ha da sempre tenuto in grande considerazione la posizione del Working Party e pertanto era lecito aspettarsi che il modello inglese non avrebbe trovato applicazione qui da noi, come infatti è stato.

Le Linee guida del Garante Dalla pubblicazione del Decreto all’individuazione delle Linee guida del Garante italiano sono trascorsi più di due anni. Questo lasso di tempo, apparentemente lunghissimo, che ha lasciato da una parte le società operanti nel settore e dall’altra i professionisti che dovevano assisterle nelle scelte strategiche quotidiane o straordinarie senza un’identificazione definitiva e puntuale degli adempimenti da implementare per essere conformi alla normativa, non deve essere erroneamente imputato a una lentezza del Garante nell’individuare le Linee guida.

In realtà infatti questi ventiquattro mesi sono stati densi di confronti tra il Garante e le associazioni rappresentanti l’industry (tra cui in primis lo IAB) volti a cercare di trovare una soluzione accettabile per entrambe le parti. Questi confronti sono stati fondamentali. Infatti si partiva da uno scenario che prevedeva un pop-up obbligatorio in tutti i siti contenente la domanda a ciascun utente se quest’ultimo accettasse o no i cookie. Questa possibilità a mio avviso sarebbe stata devastante per tutto il nuovo settore dell’online adv; ben pochi utenti, soprattutto per diffidenza e/o poca conoscenza, avrebbero cliccato sul

bottone abbinato alla scelta “Sì”. Si è riusciti, al contrario, a far comprendere al Garante che vi erano altre modalità altrettanto capaci di tutelare gli interessi dell’utente senza però danneggiare inutilmente le società operanti nel settore. Con il provvedimento di carattere generale dell’8 maggio 2014, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 3 giugno 2014, il Garante ha finalmente individuato modalità semplificate per fornire l’informativa online agli utenti sull’archiviazione dei cookie sui loro terminali da parte dei siti internet visitati, e ha fornito indicazioni sulle modalità con cui procedere

all’acquisizione del consenso degli stessi (in particolare, per i cookie utilizzati per finalità di Behavioural advertising). Il risultato è stato una via di mezzo tra il peggior scenario che era stato paventato (di cui sopra) e il modello inglese. Di seguito gli elementi fondamentali delle Linee guida.

DEFINIZIONE DI COOKIE E AMBITO DI APPLICAZIONE DELLE LINEE GUIDA All’art. 1 delle Linee guida il Garante definisce i cookie come “stringhe di testo di piccole dimensioni che i siti visitati dall’utente inviano al suo

terminale (solitamente al browser), dove vengono memorizzati per essere poi ritrasmessi agli stessi siti alla successiva visita del medesimo utente. Nel corso della navigazione su un sito, l’utente può ricevere sul suo terminale anche cookie che vengono inviati da siti o da web server diversi (c.d. terze parti), sui quali possono risiedere alcuni elementi (quali, per esempio, immagini, mappe, suoni, specifici link a pagine di altri domini) presenti sul sito che lo stesso sta visitando”. Allo stesso articolo poi si aggiunge che “i cookie, solitamente presenti nei browser degli utenti in numero molto elevato e a volte anche con caratteristiche di ampia

persistenza temporale, sono usati per differenti finalità: esecuzione di autenticazioni informatiche, monitoraggio di sessioni, memorizzazione di informazioni su specifiche configurazioni riguardanti gli utenti che accedono al server ecc.”. In altre parole i cookie sono piccoli file di testo che i siti inviano al device dell’utente, dove vengono memorizzati, per poi essere ritrasmessi agli stessi siti alla visita successiva dell’utente stesso. Sono usati per eseguire autenticazioni informatiche, monitoraggio di sessioni e memorizzazione di informazioni sui siti (senza l’uso dei cookie cosiddetti tecnici alcune operazioni risulterebbero

molto complesse o impossibili da eseguire) per i publisher. Occorre per completezza indicare che la disciplina relativa all’uso dei cookie contenuta nelle Linee guida, riguarda anche altri strumenti analoghi, come per esempio web beacon/web bug, clear GIF o altri. Considerato quanto precede, il Garante ha proceduto a distinguere i cookie sulla base delle finalità perseguite da chi li utilizza. Li ha pertanto divisi in due macro-categorie: cookie “tecnici” e cookie “di profilazione” detti anche behavioural cookie. I cookie tecnici

Sempre nelle Linee guida, il Garante spiega che “i cookie tecnici sono quelli utilizzati al solo fine di effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica, o nella misura strettamente necessaria al fornitore di un servizio della società dell’informazione esplicitamente richiesto dall’abbonato o dall’utente a erogare tale servizio (cfr. art. 122, comma 1, del Codice)”; inoltre aggiunge subito dopo che “essi non vengono utilizzati per scopi ulteriori e sono normalmente installati direttamente dal titolare o gestore del sito web. Possono essere suddivisi in cookie di navigazione o di sessione, che

garantiscono la normale navigazione e fruizione del sito web (permettendo, per esempio, di realizzare un acquisto o autenticarsi per accedere ad aree riservate); cookie analytics, assimilati ai cookie tecnici laddove utilizzati direttamente dal gestore del sito per raccogliere informazioni, in forma aggregata, sul numero degli utenti e su come questi visitano il sito stesso; cookie di funzionalità, che permettono all’utente la navigazione in funzione di una serie di criteri selezionati (per esempio, la lingua, i prodotti selezionati per l’acquisto) al fine di migliorare il servizio reso allo stesso”. Pertanto il Garante nelle Linee Guida

suddivide i cookie tecnici a loro volta in: a. cookie di navigazione; b. cookie di sessione; c. cookie analytics (solo se utilizzati direttamente dal gestore del sito per raccogliere informazioni, in forma anonima e aggregata, sul numero degli utenti su come questi visitano il sito stesso); d. cookie di funzionalità. È però importante sottolineare che nel caso dei cookie tecnici non è richiesto dalle Linee guida il preventivo consenso degli utenti; resta tuttavia fermo

l’obbligo di dare l’informativa che il gestore del sito potrà fornire con le modalità che riterrà più idonee. I cookie di profilazione Anche in questo caso è utile partire dalla definizione che ne da lo stesso Garante nelle Linee guida: “I cookie di profilazione sono volti a creare profili relativi all’utente e vengono utilizzati al fine di inviare messaggi pubblicitari in linea con le preferenze manifestate dallo stesso nell’ambito della navigazione in rete. In ragione della particolare invasività che tali dispositivi possono avere nell’ambito della sfera privata degli utenti, la normativa europea e italiana prevede che l’utente debba

essere adeguatamente informato sull’uso degli stessi ed esprimere così il proprio valido consenso. A essi si riferisce l’art. 122 del Codice laddove prevede che ‘l’archiviazione delle informazioni nell’apparecchio terminale di un contraente o di un utente o l’accesso a informazioni già archiviate sono consentiti unicamente a condizione che il contraente o l’utente abbia espresso il proprio consenso dopo essere stato informato con le modalità semplificate di cui all’art. 13, comma 3’ (art. 122, comma 1, del Codice)”. Questa tipologia di cookie è considerata particolarmente invasiva vista la loro funzione intrinseca e

pertanto, contrariamente a quanto abbiamo visto per quelli tecnici, per i cookie di profilazione la normativa europea e italiana prevede che l’utente debba essere adeguatamente informato sull’uso degli stessi ed esprimere così il proprio valido consenso (opt-in) prima che questi vengano installati sul suo terminale. Inoltre dobbiamo aggiungere che la definizione “cookie di profilazione” non è stata scelta senza particolare attenzione. L’intento è infatti quello di ricollegare il trattamento dei dati personali svolto da questa tipologia di cookie alla profilazione vera e propria e a tutti gli adempimenti a quest’ultima

collegati. Pertanto l’uso dei cookie rientra tra i trattamenti soggetti all’obbligo di notificazione al Garante ai sensi dell’art. 37, comma 1, lettera d), del Codice, laddove lo stesso sia finalizzato a “definire il profilo o la personalità dell’interessato, o ad analizzare abitudini o scelte di consumo, cioè a monitorare l’utilizzo di servizi di comunicazione elettronica con esclusione dei trattamenti tecnicamente indispensabili per fornire i servizi medesimi agli utenti”. Al contrario, l’uso dei cookie tecnici è sottratto all’obbligo di notificazione sulla base di quanto previsto sempre dal provvedimento del Garante del 31

marzo 2004; infatti sono esonerati i trattamenti “relativi all’utilizzo di marcatori elettronici o di dispositivi analoghi installati, oppure memorizzati temporaneamente, e non persistenti, presso l’apparecchiatura terminale di un utente, consistenti nella sola trasmissione di identificativi di sessione in conformità alla disciplina applicabile, all’esclusivo fine di agevolare l’accesso ai contenuti di un sito internet” (deliberazione n. 1 del 31 marzo 2004, pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 6 aprile 2004 n. 81).

SOGGETTI COINVOLTI: EDITORI /TERZE PARTI E RELATIVE

RESPONSABILITÀ

Una delle più importanti previsioni delle Linee Guida è quella che prevede che gli editori dei siti internet sono titolari del trattamento relativamente ai soli cookie installati direttamente dal proprio sito. Il Garante individua varie motivazioni per spiegare la suddetta scelta: a) per prima cosa non sembra giusto al Garante che gli editori siano coresponsabili delle decisioni e/o azioni delle terze parti (che spesso neanche conoscono e/o comunque con le quali non hanno un rapporto diretto ma mediato da una o più agenzie, centri di affiliazione ecc.). Agli editori

servirebbero strumenti e una capacità economico-giuridica troppo imponenti; b) gli editori dovrebbero tenere traccia di ogni minimo cambiamento messo in atto dalle terze parti e questo apparirebbe troppo oneroso; c) inoltre, il Garante sottolinea che gli editori spesso sono piccole società o addirittura persone fisiche e pertanto la “parte debole” del rapporto. Il Garante conclude con le seguenti considerazioni: “Si ritiene pertanto che, anche in ragione delle motivazioni sopra indicate, non si possa obbligare l’editore a inserire sull’home page del proprio sito anche il testo delle informative relative ai cookie installati

per il suo tramite dalle terze parti. Ciò determinerebbe peraltro una generale mancanza di chiarezza dell’informativa rilasciata dall’editore, rendendo nel contempo estremamente faticosa per l’utente la lettura del documento e quindi la comprensione delle informazioni in esso contenute, con ciò vanificando anche l’intento di semplificazione previsto dall’art. 122 del Codice.”

L’INFORMATIVA CON MODALITÀ SEMPLIFICATE E L’ACQUISIZIONE DEL CONSENSO ONLINE

Le Linee Guida stabiliscono che l’informativa debba essere fornita dai titolari (editori e/o terze parti) su due

livelli di approfondimento successivi. Quando l’utente accede a un sito internet, deve essergli presentata una prima informativa, cosiddetta”breve”, contenuta in un banner di idonee dimensioni e a comparsa immediata nella pagina alla quale accede, integrata da un’informativa “estesa”, alla quale si accede attraverso un link cliccabile dall’utente. Il banner per l’informativa breve Una caratteristica fondamentale del suddetto banner è che questo deve assolutamente creare una forte discontinuità nella fruizione dei contenuti della pagina web che l’utente sta visitando. Questo vuol dire che (i) o

il banner è di tali dimensioni che l’utente non può non vederlo, (ii) o il sito intorno deve essere parzialmente oscurato in modo che l’attenzione dell’utente ricada comunque su quanto contenuto dal banner. Quanto sopra dimostra ampiamente che non può essere in alcun modo considerato conforme alle Linee guida il succitato modello inglese che prevede una piccola barra in alto o in basso che l’utente a volte neanche nota in quanto il sito è al contempo completamente funzionante. Secondo le Linee guida il banner relativo all’informativa breve deve contenere:

a.

b. c. d.

e.

l’indicazione del fatto (se è questo il caso ovviamente) che il sito utilizza cookie di profilazione al fine di inviare messaggi pubblicitari in linea con le preferenze manifestate dall’utente nell’ambito della navigazione in Rete; che il sito consente anche l’invio di cookie di “terze parti”; il link all’informativa estesa; l’indicazione che alla pagina dell’informativa estesa è possibile negare il consenso all’installazione di qualunque tipologia di cookie; l’indicazione che la

prosecuzione della navigazione mediante accesso ad altra area del sito o selezione di un elemento dello stesso (per esempio, di un’immagine o di un link) comporta la prestazione del consenso all’uso dei cookie. La Figura A.1 mostra un esempio di banner con informativa breve proposto dal Garante stesso.

Figura A.1 – Esempio di banner con informativa breve proposto dal Garante. L’informativa estesa Nelle Linee Guida si prevede che “l’informativa estesa deve contenere

tutti gli elementi previsti dall’art. 13 del Codice, descrivere in maniera specifica e analitica le caratteristiche e le finalità dei cookie installati dal sito e consentire all’utente di selezionare/deselezionare i singoli cookie. Deve essere raggiungibile mediante un link inserito nell’informativa breve, come pure attraverso un riferimento su ogni pagina del sito, collocato in calce alla medesima”. Pertanto l’informativa estesa deve descrivere le caratteristiche e le finalità dei cookie installati dal sito e consentire all’utente di selezionare/deselezionare i singoli cookie. All’interno di tale informativa deve

essere inserito anche il link aggiornato alle informative e ai moduli di consenso delle terze parti con le quali l’editore ha stipulato accordi per l’installazione di cookie tramite il proprio sito. Un’importante previsione è la seguente: qualora l’editore abbia contatti indiretti con le terze parti, dovrà linkare, nell’informativa estesa, i siti dei soggetti che fanno da intermediari tra lui e le stesse terze parti, o su unico sito web gestito da un soggetto diverso dall’editore. In altre parole, una concessionaria (o una piattaforma di affiliazione) può creare una pagina dove indicare tutte insieme le informative e i moduli di consenso delle terze parti che

operano in qualità di “advertiser” in modo che tutti gli editori possano linkare semplicemente questa pagina nella loro informativa estesa. Nell’informativa estesa, infine, dovrà essere richiamata la possibilità per l’utente di manifestare il proprio consenso anche attraverso le impostazioni del browser, eventualmente prevedendo un collegamento diretto.

La registrazione del consenso L’editore deve necessariamente tenere traccia dell’avvenuta prestazione del consenso dell’utente. Le Linee guida consentono espressamente agli editori di potersi

avvalere di appositi cookie tecnici. Tale registrazione ha la funzione di consentire all’editore di non riproporre l’informativa breve alla seconda visita del medesimo utente sullo stesso sito, ferma restando naturalmente la possibilità per l’utente di negare il consenso e/o modificare le proprie opzioni relative all’uso dei cookie da parte del sito.

Le sanzioni Le sanzioni previste dalle Linee guida sono le seguenti: a. in caso di omessa informativa o d’informativa inidonea è prevista

la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 6.000 a 36.000 euro (art.161 del Codice); b. in caso di installazione di cookie sui terminali degli utenti in assenza del preventivo consenso degli stessi è prevista la sanzione del pagamento di una somma da 10.000 a 120.000 euro (art. 162, comma 2-bis, del Codice); c. l’omessa o incompleta notificazione al Garante, infine, ai sensi di quanto previsto dall’art. 37, comma 1, lettera d), del Codice, è sanzionata con il pagamento di una somma da

20.000 a 120.000 euro (art.163 del Codice).

Tempi di adeguamento Il Garante ha concesso un periodo transitorio di un anno a partire dalla data della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, per consentire ai soggetti interessati dal provvedimento in questione di potersi avvalere delle modalità semplificate ivi individuate.

CONCLUSIONI Siamo giunti alla fine di questo libro e mi auguro di essere riuscito a trasmettere contenuti interessanti, innovativi e stimolanti ma anche la giusta energia e motivazione che permettano a ognuno di voi di scoprire che cosa esattamente desiderate fare nella vostra vita e nella vostra attività lavorativa. Inoltre spero anche di aver fatto comprendere che con la sufficiente volontà chiunque può realizzare tutto ciò che desidera. Come avete letto nei vari capitoli, il mondo digital offre moltissime

opportunità e focalizzando l’obiettivo che desiderate raggiungere potrete usufruirne con semplicità, perché dal momento in cui diventerete consapevoli di ciò che volte ottenere partendo dalle vostre reali esigenze interiori e non mentali, economiche o adattate alla società in cui viviamo, noterete che davanti a voi ogni strada si aprirà senza interferenze e tutto si incastrerà in modo armonico al fine di permettervi di giungere dove preferite. Il mondo in cui viviamo ci mette costantemente in gioco e sicuramente siamo su questa terra per sperimentare ogni aspetto, sia positivo sia negativo. L’importante è credere sempre in noi

stessi e non arrendersi mai, eliminando tutte le paure e le incertezze, poiché solo lanciandoci e provando possiamo realizzare i nostri sogni e i progetti in cui crediamo. Oggi la tecnologia ci permette di fare cose grandiose e io credo che ognuno di noi può apportare un piccolo cambiamento nel mondo. Anche il mare è fatto di tante piccole gocce che insieme creano la sua maestosità e noi possiamo fare altrettanto. Il tempo è relativo, il suo unico valore è dato da ciò che noi facciamo mentre sta passando. Albert Einstein

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