Mario Rigoni Stern - Arboreto Salvatico
November 12, 2022 | Author: Anonymous | Category: N/A
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Mario Rigon Rigonii Stern
ARBORETO SALVATICO
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Nota editoriale Con "Arboreto salvatico" Rigoni Stern fa un appassionato omaggio a quello che Gadda chiamava chiamava «il popolo popo lo degli alberi» alberi»,, un popolo pop olo antico, dignitoso, saggio. L'affetto di Rigoni Stern per gli alberi è come quello portato po rtato a un fratello maggior maggiore, e, un fratello che si riconosce ricon osce sostanz so stanzialme ialmente nte migliore. E come fratelli maggiori gli alberi hanno sempre aiutato gli uomini, ne hanno reso possibile la vita e favorito l'affinarsi delle civiltà. Per contro gli uomini spesso li umil umiliano, iano, li feriscono o li distruggono, distruggono, soprattutto soprattutto per stupidità e per ignoranza. Rigoni Stern sceglie venti alberi a lui particolarmente cari e li descrive, ne n e dà le necessarie caratte caratteristiche ristiche botaniche bo taniche e ambientali, ne illustra la storia stor ia e le ricchezz ricchezze, ne spiega gli inf influssi lussi che hanno avuto nella cultura popolare e nella letteratura, e naturalmente anima il tutto tutt o con le proprie propr ie esperienz esperienzee di uomo uo mo di d i montagna, montagna, i ricordi, la sua sensibilità di scrittore di razza. Come uno scienziato Rigoni Stern ci racconta i meccanismi logici di queste straordinarie forme di vita; come uno psicologo ci svela l'«anima» del salice, del frassino, della quercia, della betulla e degli altri «amici» a cui dedica le sue pagine; come amante degli alberi ci trasmette il suo amore per tutti tutti loro.
Mario Rigoni Stern ha pubblicato presso Einaudi "Il sergente nella neve. Ricordi della d ella ritirata ritirata di Russia" (1953), (1953), "Il bosco bo sco degli d egli urogalli" (1962), (1962), "Quota Albania" (1971), "Ritorno sul Don" (1973), "Storia di Tönle" (1978), "Uomini, boschi e api" (1980), "L'anno della vittoria" (1985), "Amore di confine" (1986). Nel 1989 è uscito "Il magico Kolobok e altri racconti", edito da «La Stampa».
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Introduzione. Cechov, nel 1888, 1888, scriveva: scrivev a: «Chi «Chi cono co nosce sce la scienza scienza sente che un u n pezzo pezzo di di musica e un albero hanno h anno qualcosa in in comune, comun e, che l'uno l'uno e l'alt l'altro ro sono so no creati creati da leggi egualmente logiche e semplici». Dieci anni dopo a un amico che va a trovarlo in Crimea dice: «Qui ogni albero l'ho piantato io e mi sono cari. Ma ciò che importa non è questo, è il fatto fatto che p prima rima che venissi io io qui q ui non no n c'era che un terreno incolto e fossi pieni di pietrame e cardi selvatici. Ho trasformato quest'angolo quest'angolo perduto p erduto in un luogo bell b ello o e civile. civile. Lo Lo sa? Fra tre, quattrocento anni, tutta la terra si trasformerà in un bosco fiorito e la vita sarà meravigliosamente leggera e facile...» Quando vagabondo per le mie montagne boscose ripenso a quanto dice d iceva va Anton Cechov e lo ripeto anche agli amici che vengono quassù a trovarmi. Ma a volte provo anche sfiducia se mi capita capita di constatare quanto poco p oco gli gli uomini si occupino occup ino d dei ei problem prob lemii degli alberi. E sì che da tempo studiosi e tecnici vanno scrivendo dei pericoli che li minacciano, e ai pochissimi che li ascoltano o che si interessano corrispondon corrispon dono o i troppi tropp i che si accorgono accorgono deg d egli li alberi alberi solo quando, quand o, presi pr esi dalla dalla calura estiva, cercano la loro ombra per posteggiare l'automobile. Se incontro un albero sradicato sradicato dal d al vento, o schiantato schiantato d dall allaa neve, o roso dal ghiro, o morso dal d al cervo cervo prov p rovo o dispiacere, dispiacere, ma quando quand o vedo ved o una un a corteccia corteccia incisa incisa da un barbaro b arbaro coltello coltello o un u n albero tagliat tagliato o da d a una scure di frodo fro do provo pro vo amarezz amarezza e rabbia perché se coltivare boschi è segno di civiltà, danneggiarli e distruggerli è inciviltà e regresso. Un giorno ritornando dalla passeggiata mattuti mat tutina na e passando vicino vicino a una contrada, con trada, con disg d isgusto usto il mio sguardo era andato a posarsi po sarsi su due ffrassini rassini e un sorbo sor bo ai quali qualche qualche violento imbecill imbecillee aveva spezzato le cime. Erano stati posti a dimora in un'aiuola erbosa nell'area nell 'area comune dove do ve un u n tempo si raccogli raccoglieva eva l'acqua l'acqua piovana p iovana per abbeverare il bestiame e in quella primavera avevano ripreso a vegetare con vigore e bellezza. Ora i tre cimali pendevano spezzati, con le foglie appena sbocciate che appassivano e la linfa che gemeva dalle ferite mortali. Ma chi poteva po teva essere stato? Non certo i ragazz ragazzi che conosco con osco:: lassù non no n arriverebbero, e poi p oi i tronchi sono ancora troppo esi esili li per arrampicarli arrampicarli.. Forse 4
era stato l'emigrante ritornato dall'Australia e che ogni tanto si ubriaca? O quei giovani dall'automobile dall'automobile rossa che quasi qu asi ogni sera vanno a fumare alla curva del d el bosco? Ero Ero amareggi amareggiato ato e andando verso casa pensavo a un articolo letto su un giornale e che aveva per titolo: "Uccise un albero, all'ergastolo". Era per una quercia secolare sacra a certe tribù indiane ma anche nota come «La quercia del trattato di Austin» perché alla sua ombra era stato firmato l'accordo per l'annessione l'annession e del Texas Texas agli agli Stati Stati Uniti Uniti e per gli americani era simbolo di storia concreta e viva. Forse l'ergastolo richiesto per un uomo u omo colpevole colpevo le di aver ferito ferito gravemente un albero storico era una condannaa troppo severa, ma dieci condann dieci anni di lavori silvocoltural silvocolturali, i, pensavo, ci starebbero sta rebbero bene. Anticament Anticamente, e, per chi profanava p rofanava un u n bosco b osco sacro in certi casi casi c'era la pena di morte perché dagli alberi erano nati gli dei e gli uomini...
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"A Giulio Giulio Einaudi inaud i amatore d'alberi". d 'alberi".
Arboreto salvatico
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Il larice. Albero Albero co cosmico smico lungo il quale scendono il sole e la luna.
Da sempre l'albero ha esercitato sugli uomini sensazioni di mistero e di sacro e il "Naturalis bosco è stato il primo luogo di preghiera. Dice Plinio il Vecchio nella sua historia" che «... non meno degli Dei, non meno dei simulacri d'oro e d'argento, si adoravano gli alberi maestosi delle foreste». Agli alberi come specie o anche come singole creature sono legati miti e leggende, favole e fiabe ma anche storie vere. Gli antichi poeti raccontano di Egido, mostro spargitore di fuoco, che distrusse le foreste dalla Frigia alle Indie e dal Libano alla Libia; infine fu vinto e venne ucciso dalla dea Atena nella pianura dell'Epiro. Forse questo mostro sacro era stato ideato per esprimere le violenze devastanti dei conquistatori o, anche, il bisogno delle società in crescita di aumentare i terreni coltivabili. Ma il risultato fu anche che questi grandi e disordinati diboscamenti portarono diminuzione delle piogge, inaridimento delle sorgenti e l'inizio del deserto. Fu da allora, come scrive Adolfo di Bérenger nel suo bel saggio "Dell'antica storia e giurisprudenza forestale" (Venez (V enezia, ia, 1863) 1863) che gli uomini uo mini al fine di d i dover do ver protegge pr oteggere re gli alberi e i boschi bo schi decisero leggi per la conservazione: «... e l'afforzarono col mistero della religione, perché fossero meglio rispettate ovunque e da tutti». Oggi, dopo migliaia d'anni, il fenomeno della distruzione forestale si va ripetendo in altri luoghi della Terra; e se poco valgono gli allarmi degli scienziati, se leggi non vengono emanate o rispettate, quali miti, quale forza di religi religione one si dov dovrebbero rebbero ideare, quale nuova nuo va dea Atena Atena dovrebbe dov rebbe intervenire per fermare il novello Egido ignivomo che devasta la grande foresta dell'Amazzonia? Con queste rievocazioni, amici lettori, vorrei raccontarvi di quanto sugli alberi sono sono venuto a sapere nel corso dei d ei miei miei anni, anni, di quanto qu anto ho appreso camminando camm inando e lavorando per boschi, b oschi, da testi testi anche antichi, antichi, da poeti po eti e boscaioli, bo scaioli, da dottori do ttori forestali, fo restali, e spero, come vado vad o dicendo d icendo da un u n po' p o' di di tempo, che la carta che uso per questo mio scrivere valga almeno l'albero che l'ha data Incomincerò dagli alberi del mio brolo e poi dirò di quelli della mia terra, perché di tutti sarebbe impossibile scrivere e se, alla fine, qualcosa sono riuscito a comunicarvi, mi sentirò lieto nel cuore. Prossimi alla mia casa 7
sono due larici, me li vedo davanti agli occhi ogni mattino e con loro seguo le stagioni; i loro rami quando il vento li muove, come ora, accarezzano il tetto. Quando misi mano a tirare su i muri perimetrali, questi larici erano già nati dalla terra smossa da una granata che nel 1918, esplodendo, aveva ferito il pascolo, pascolo, ma non n on avevano l'aspett l'aspetto o di d i oggi: oggi: erano alti, alti, sì, a dond d ondolarsi olarsi nel cielo, ma i loro diametri non superavano i venti centimetri. Sotto di loro in quell'autunno quell'autunn o raccolsi raccolsi un bel cesto cesto di agarici agarici violetti, violetti, profumati pro fumati e sodi funghi fun ghi che chiudono chiudon o la stag stagione. ione. Quando Qu ando nella primavera ripresi i lavor lavori, i, anche i due larici si vestirono di un bel verde chiaro rallegrato dai fiori gialli e arancioni; e sotto questi alberi luminosi raccolsi ancora i funghi di San Giorgio, primiz p rimizia ia di primavera. p rimavera. Il "Larix "Larix decidua" decidu a" appartiene alla famiglia famiglia delle "Pinacee": "Pinacee": albero di bell'a b ell'altez ltezzza può pu ò raggiun raggiungere gere anche i cinquan cinq uanta ta metri; è molto longevo e il suo tronco diritto e slanciato è vestito da una leggera corona piramidale di rami sparsi: gli alti guardano verso l'alto, i bassi sono penduli; da giovane la sua corteccia è liscia e tendente al grigio ma con il passare passare degli anni diventa bruno-ro brun o-rossast ssastra, ra, profo pr ofondamente ndamente solcata solcata e molto spessa. Glii strob Gl strobil ilii hanno la forma di piccole uova uov a brune, brun e, sono lunghi da tre a quattro centimetri centimetri e quando si aprono lascia lasciano no cadere i semi, semi, ognuno unito a una pic p iccola cola ala ala lunga poco più p iù di un u n centimetro. centimetro. (Nel trascorso trascorso inverno inv erno ho osservato centinaia di lucherini e di fringuelli che sul terreno si cibavano di questi semi). Il larice è albero tipicamente alpino e si spinge fin oltre i duemilacinquecento metri di quota; ma si trova anche nei Carpazi, specie particolari vivon viv ono o in Polonia, Polo nia, in Siberia Sib eria e in Giappone. Giappon e. Ama il sole, inverni invern i freddi e nevosi, estati asciutte; è specie d'avanguardia e lo si riscontra quando spontanea spon taneamente mente occupa occupa terreni denudati denu dati per frane, o alluvion alluvioni, i, o fratt fr attee rase: ogni terreno terreno smosso, purché pu rché asciutto, asciutto, è buono buon o per attecc attecchire. hire. Forma boschi bo schi puri pu ri (lariceti) e si consorzi conso rziaa sovente sov ente con le altre altre conifere con ifere delle d elle Alpi. Alpi. Sui pascoli è l'albero l'albero preferito p referito perché con la sua leg legge gera ra copertura non impedisce la produzione dell'erba e sotto la sua ombra, nei meriggi estivi, il bestiame ama sostare. Dal suo tronco tro nco,, quand qu ando o viene v iene inciso alla base, cola una un a resina ambrata amb rata dalla quale qu ale si ricava la "trementina d dii Venez Venezia", ia", un tempo molto usata in farmacia farmacia e dai pittori. pittori. Il suo legno ha un durame dur ame rosso-bruno, rosso-bru no, l'alburno è più chiaro, gli anelli di accrescimento sono ben distinguibili; è odoroso, odo roso, compatto compatto e duro d uro.. Da sempre è servito servito agli uomini delle delle montagne per costruire costru ire capanne capann e e case. (Più il larice cresce in alta montagna migl migliore iore è il suo legno). In Val di Fassa certi architravi maestosi portano scolpiti date e 8
nomi che vanno indietro nei secoli. Ma anche con il larice si fanno assicelle per la copertura copertu ra dei tetti (le "scando "scandole"), le"), mastelli, mastelli, botti, mobili mob ili e suppelle supp elletti ttili. li. Nell'acqua Nel l'acqua è immarcescibile e, oltre a costruire costruir e le navi, i V Venezi eneziani, ani, sopra sop ra i pali di larice, hanno hann o ed edificato ificato chiese e palazz palazzi. Venez enezia, ia, però, però , aveva av eva anche anch e regolato con leg leggi gi severissime lo sfruttamento sf ruttamento dellee foreste e a questo scopo, dell scopo , nei primi anni del Cinquecento, aveva nominato uno specifico magistrato. Plinio ci racconta che Tiberio per la costruzione del Ponte Naumachiario fece venire dalle Alpi Rezie una trave di larice che lasciò stupefatti i Romani: era lunga centocinquanta piedi e aveva una grossezza uniforme di due piedi per ogni lato. Ma oggi, a pensarci, ci stupisce ancora di più il suo trasporto. I tre larici della Ultental, in Sudtirolo, oltre il villaggio di Santa Geltrude, sono certo gli alberi più antichi delle Alpi. Il più maestoso di questi misura più di otto metri di circonferenza e la sua altezza, malgrado un fulmine o la neve che gli hanno spezzato l'apice, è di ventotto metri. metri. Il quarto qu arto fratello fratello di quest qu estii tre venne divelto da un bufera buf era nel 1930 e contando gli anelli si poté determinare che aveva duemiladuecento anni. Ora gli esperti dicono che il maggiore è lì a guardare le montagne da duemilatrecento anni! Anche il «mio»albero da ragazzo era un larice. L'aveva fatto piantare mio nonno non no per ricordare ricord are il ventesimo ventesimo secolo. secolo. Poi Po i venne la Grande Guerra e nella nella corteccia portava le cicatrici di quando, tra il 1916 e il 1918 si trovò tra l'una e l'altra trincea del fronte. Le ferite delle pallottole e delle schegge erano allora, attorno agli anni Trenta, incrostate di resina, e forse la biforcazione in alto era dovuta alla stroncatura inferta da una granata di passaggio. Ma il larice, oltre alle tormente e ai fulmini, sopporta anche la guerra. Mi arrampicavo lassù, sul «mio» larice, tra gli aghi d'oro infiammati dal sole verso il tramonto. A volte mi sedevo a cavalcioni nella forcella della biforcazione e la resina mi impeciava la gambe nude e i calzoncini. Ma quando il sole incominciava a scendere dietro le Piccole Dolomiti mi alzavo da ramo in ramo come uno scoiatt scoia ttolo, olo, fin f in dove dov e la punta incominciava incominciava a dondolare don dolare sopra sopr a il vuoto e i rami flessibili e sottili riuscivano a sopportare il mio peso. Mi pareva, da lassù, di poter po ter guardare guard are più a lungo il sole che tramontava tramon tava tra nuvo nu vole le infuocate infuo cate e di navigare con la fantasia verso avventure infinite. Era questo il momento in cui noi ragazzi, ognuno sul suo albero, restavamo silenziosi. silenziosi. Dalla lon lontana tana Siberia, dov d ovee cresce il "Larix "Larix sibirica", un viaggiatore ha raccontato che certe popolazioni primitive lo considerano "albero cosmico" lungo il quale scendono il Sole e la Luna sotto forma d'uccelli d'uccel li d'oro e d'arge d 'argento. nto. Lassù Lassù avevano anche un Bosco Sacro dove d ove ai rami 9
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dei larici appendevano le più belle pellicce e ogni cacciatore vi deponeva una freccia. Ma i larici che personalmente ammiro e fors'anche venero, sono quelli che nascono e vivono vivon o sulle scaffe delle delle rocce che portano il tempo: tempo: sono lì nei secolii a sfidare i fulmini e le secol le bufere, sono so no contorti e con profo p rofonde nde cicatrici cicatrici prod pr odotte otte dalla caduta delle pietre, i rami spezzati, spezzati, ma sempre, a o ogni gni primavera pr imavera quando qu ando il merlo dal collare ritorna ritor na a nidificare n idificare tra i mughi, si rivestono di luce verde e i loro fiori risvegliano gli amori degli urogalli. E all'autunno, quando la montagna ritorna silenziosa, illuminano d'oro le pareti.
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L'abete. Albero della nascita e a lui era dedicato il primo giorno gior no dell'ann dell'anno. o.
Il peccio, "Picea excelsa" Link, o abete rosso, è l'albero che è sempre stato pr presente esente elami accompagna Nella Nel la pellettili, casa dove ono o nato n ato elehoscale, le trascorso mia giov giovinez inezzza,nella i mobili, movita. bili, le suppellett sup ili, i sson pavimenti, grandi e geometriche capriate del tetto, tutto era stato ricavato dai pecci dei nostri boschi: erano alberi feriti dalla guerra che per necessità di coltura, tra il 1919 e il 1922, si dovette abbattere. Da ragazz ragazzi, alla festa degli alberi, alberi, erano sempre piantine di d i peccio che mettevamo mette vamo a dimora dimo ra nelle n elle ampie chiarie causate dai combattimenti; come sempre di peccio erano centinaia di migliaia le piantine che i miei compaesani piantavano piantavan o appena ap pena la neve n eve liberava il terreno. terren o. C'erano diversi vivai, "orti forestali" li chiamavamo, ubicati in località distinte per clima e altitudine al fine di poter procedere nel lavoro di semina e di rimboschimento in armonia con la stagione meteorologica. I semi venivano dalle foreste della Val di Fiemme che, dicono gli esperti, sono le più belle e dànno dànn o il migliore migliore legname delle Alpi. Quello del "piantar piantine" e del recupero dei materiali bellici è stato il principale pr incipale lavoro della nostra nostr a gente per molti mo lti ann anni; i; ma tante volte, anzi sempre, scavando le piccole buche per il rimboschimento, assieme alla terra e ai sassi sassi uscivano cartucce, cartucce, bombe bo mbe inesplose, resti di caduti perché ovunqu ovu nquee era stato campo di battaglia. Ora, a distanza di settant'anni, ci si rende conto che fu errore impiantare boschi bo schi puri pu ri di pecci p eccio: o: la monosp mon ospecie ecie e la la coetaneità hanno un equilibrio molto fragile perché parassiti di ogni genere, malattie fungine, insetti e inclemenze stagionali possono in breve tempo rendere vani lavoro e capitale. Ma allora si trattava di ricostruire in fretta la foresta distrutta e di coprire così i vistosi disastri della guerra. Anche nel mio brolo, assieme ad altre diverse specie d'alberi di alto fusto, ci sono i pecci: crescono rigogliosi tanto che ormai, anche se sono nel terreno più in basso, basso , mi riducon ridu cono o lo sguardo sul paesag p aesaggio. gio. Quand 'erano ancora piccoli, Quand'erano piccoli, mi era molto comodo raccoglie raccogliere re da loro gli gli sciami delle mie api; poi, quindici anni fa, vennero i fringuelli a fare i nidi tra i loro rami a ogni primavera (che regolarmente, alla schiusa, le cornacchie
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distruggevano anche se restavo all'erta); quest'anno una coppia di tordi è stata scacciata da una coppia di cesene che ora, mentre scrivo, porta vermi e larve ai nidiacei che, sgraziatamente, stridono. Il peccio resta pur sempre l'albero per eccellenz eccellenzaa delle nostre nostr e foreste fo reste alpine, e da lui lu i hanno hann o tratto da d a vivere viver e tante famiglie di montanari che dal suo legno ricavavano oggetti che poi venivano commerciati in paesi anche lontani. Fino alla scoperta e all'uso della plastica, attorno alle case delle nostre contrade c'erano sempre castelli di assicelle o doghe messe a essiccare al sole, e poi da quest qu este, e, quando qu ando il lupo mangiava l'invern l'inverno, o, si rica r icavavano vavano mastell mastelli, i, secchie, tini, fasce per il formaggio, scatole di varie misure per le farmacie e gli orefici. Rari pecci con particolari caratteristiche (denudati dalla corteccia mostrano delle piccole verruche regolarmente distribuite lungo il tronco) venivano e vengono chiamati "alberi di risonanza" e abbattuti, stagionati e segati in maniera accurata e seguendo le fasi lunari (l'abbattimento deve essere esse re fatto subito dopo do po il plenilunio plenilunio e, dopo do po qualche anno il tron tronco co segato segato in luna calante perché così il legno, materiale vivissimo, risulta più stabile). Di queste assia così ottenute i liutai si servono per costruire le casse degli strumenti corda. La for forest estaa pura pur a di peccio peccio è uniforme, u niforme, cupa, cup a, qualche volta priva di sottobosco o con sott so ttobo obosco sco povero. po vero. Gli Gli alberi si alz alzano dirit d iritti ti come colonne e la luce filtra tra loro creando forti contrasti come in una cattedrale gotica. D'invern D'i nverno, o, a volte, v olte, la la neve rimane sospesa sui rami per più giorn giornii e quando quand o scivola al suolo crea delle trincee attorno ai tronchi. Le abbondanti nevicate primaverili pr imaverili accumu accumulano lano grande gran de quan q uantit titàà di neve n eve pesante pesan te sulle cime cime unifor un iformi mi del bosco e se a queste nevicate si accompagna forte vento, il fenomeno prov pr ovoca oca grandi grand i schianti di tronchi tro nchi e sradicamenti, sr adicamenti, con rumo r umori ri violenti vio lenti e improvvisi improvv isi,, bo boati ati,, scrosci e nuvole di neve. E chi passerà per una strada forestale o per una mulattiera in tali momenti, prov pr overà erà prof pr ofon onda da emoz emo zione e anche an che spavento. spav ento. Il peccio, della d ella famiglia famiglia delle "Pinacee "Pi nacee", ", da molt mo lti, i, e non n on solo dai d ai citt cittadini adini sprovvedu spro vveduti ti,, erroneamente erro neamente è chiamato pino. Ma altri alberi sono i pini. Questo peccio, o abete rosso, è albero di primaria grandezza, alto, talvolta, più di quaranta metri; è longevo tanto tant o che in alcune alcune foreste f oreste ancora intatte intatte se se ne possono po ssono trovare di quattroq uattrocinque secoli d'età. I rami sono disposti a piramide con le estremità rivolte verso l'alt l'alto. o. Nelle Nelle quote qu ote più alte o nelle regioni regioni del Nord assumono forma colonnare perché dalla neve e per lungo tempo i loro rami vengono schiacciati contro il tronco. La corteccia è rossastra e a piccole squame, invecchiando si fessura e si dispone a placche. Le foglie aghiformi lunghe
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due-tre centimetri sono disposte tutt'intorno ai ramuli; i fiori maschili, sui rami più giovani, sono amenti giallo- rossastri; i femminili di un bel colore rosso vivo. Gli strobili sono penduli, lunghi anche venti centimetri e cadono al suolo prima pr ima di aprirsi. aprir si. (Ma g gli li scoiattoli scoiattoli comodamente como damente seduti sedu ti tra i rami amano desquamarli per mangiarne i semi e a terra lasciano cadere il torsolo nudo). I semi sono bruni bru ni e grandi come un grano di d i migli miglio, o, con un'ala lunga lunga quindici quind ici millimetri. Quest'albero ama l'ombra, i terreni sciolti e acidi; forma anche boschi bo schi misti con il faggio e l'abete bianco e, nelle n elle quote p più iù alte, con il larice. Riveste le montagne tra gli ottocento e i duemila du emila metri metri ed è specie tipicamente boreale bo reale in quanto qu anto la sua su a distribuz distribu zione va v a dalle Alpi Alpi alle montagne più alte della Grecia, dalla Transilvania alla Scandinavia fin oltre il Circolo Polare. Narrano i poeti po eti greci greci e latini latini che il peccio era albero alb ero pro p ronu nubo bo e sacro a Imeneo perché p erché dal suo legno legno resinoso si ricavavano le tede tede per illuminare illuminare il talamo nuziale. L'abete bianco, "Abies alba" Mill, è pure un grande e maestoso albero che pu può ò ragg r aggiungere iungere i cinquanta cinq metri"Avez d'alte d 'altez za eprinz superare supzerare i quattro qu attro circonferenza, circonf erenza, come il uanta bellissimo "A vez zdel prin ep" (Abete del d eldi prin principe) cipe) in quel di Lavarone, alla cui cui ombra omb ra amava sostare Sigmund Sigmund Freud e che certamente è stato ammirato anche da Robert Musil. Il portamento dell'abete è eretto, il fusto diritto e cilindrico; la chioma è slanciata ma con gli anni, o con i secoli, assume la forma «a nido di cicogna». Il suo colore è verde intenso con i riflessi d'argento dovuti alle pagine inferiori delle foglie aghiformi, appiattite e persistenti, disposte a pettine su un solo piano ai lati del ramulo che le porta. La corteccia è liscia e argentea, con bolle resinose; con il tempo si screpola a placche e s'inscurisce come in tutti gli alberi. I rami principali sono robusti e fitti, a palchi. Come il peccio è albero monoico; i fiori compaiono in primavera, i maschili, sulla parte medio bassa della chioma, sono di colore giallastro; i femminili, sui rami più alti, sono rosso-violacei. Gli strobili, lunghi anche dieci centimetri o più, sono prima verdi e poi brun br uni, i, portati po rtati verso l'alto. l'alto. Il I l suo areale comprende compr ende l'Europa l'Euro pa centro-or centro -orientale ientale,, ma alcune razze di abete bianco si trovano persino in Marocco, in Calabria, in Sicilia, Sicil ia, nella Grecia e sulle rive del Mar Nero. Sulle Su lle Alpi Alpi si spinge spin ge sino ai limiti della vegetazione forestale, e lo troviamo di solito consociato con l'abete rosso e il faggio; ama i climi umidi e piovosi. Il suo legno è bianco ma tendente al giallino o al rosato, con gli anelli di crescita ben distinti. I tronchi più belli e alti alti venivano venivan o usati u sati per le alberature delle d elle navi a vela, ma anche nelle armature e nelle capriate di certo impegno perché robusti e forti. Invece
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le tavole per falegnameria sono meno pregiate di quelle che si ottengono dal peccio. La corteccia corteccia di abete bianco, bianco , ricca di tannino, tann ino, macinata e ridotta in polvere, po lvere, fino f ino agli inizi inizi di qu questo esto secolo veniva v eniva usata u sata dai miei con conterranei terranei per conciare i pella p ellami. mi. Quando Quand o gli uomini vivevano con la natura, nel tempo tempo dell d ell'anno 'anno che il Sole ritornava a salire nel cielo, sentivano di dover festeggiare il grande avvenimento adornando adorn ando un abete nella nella foresta e, e, nella radura luminosa, con danze e canti si rallegravano nel cuore. Poi, dal Paese dove il mare non gelava ge lava mai, mai, un giorn giorno o arrivarono arrivaro no alcuni alcuni uomini u omini ad annunciare annu nciare la la grande novell nov ella: a: era nato nato Uno che portava po rtava la luce. luce. La La luce dentro di noi, n oi, non no n fuori f uori di di noi. Così per festeggiare quest'Uomo unirono la sua nascita alla festa del Sole. Da allora si diffuse la tradizione dell'albero di natale che oggi ambientali ambie ntalisti sti e verdi vorrebbero vo rrebbero far morire. mor ire. La La loro ragione, ragione, molto emotiva emotiva e poco po co raz r azionale, ionale, è che migliaia migliaia se no non n milioni milion i di abeti vengono vengo no così sacrificati, che boschi vengono vengon o dist d istrutti rutti con grave danno ecologico. ecologico. E si indignano. Ma Ma le cose non stanno così. Intanto si può subito dire che dove per così tanto tempo questa tradizione è viva e viene praticata, i boschi non sono affatto affatt o scomparsi. Nei Paesi Pa esi del Nord Nord Europa uro pa le foreste di conifere coprono copro no ancora grandi estensioni estensioni di quei qu ei tterritori, erritori, ed è da credere che le superfici boscate sono aumentate. Ben altre sono le minacce alla loro vita! Da noi, invece, per i boschi b oschi delle nostre montagne, montagne, si deve dire che non no n saranno certo gli alberi di natal n atalee a stravolge stravo lgere re l'ambiente. E mi spiego. Gli alberi alberi che ch e vediamo ved iamo vender v enderee agli angoli delle piazz piazze cittadine cittadine hanno h anno verso la punta un sigillo del Corpo Forestale che ne garantisce la prov pr ovenienza enienza.. Per lo più p iù vengono ven gono da coltivazioni coltivazioni appo ap posite, site, poste su terreni abbandonati abbando nati che che qualc qu alche he montanaro mon tanaro coltiva coltiva per avere av ere ogni otto- dieci anni anni una entrata extra per il suo magro vivere. Vengono pure utilizzati per alberi natalizi i cimali degli abeti tagliati nel bosco per necessità colturali. Si sa che la migliore foresta, la più utile all'uomo sotto ogni aspetto, non è la foresta vergine o quella abbandonata a se stessa, ma quella mista, disetanea e coltivata. Lo dicono da tempo l'esperienza e gli studiosi che tutta la vita hanno dedicato dedicato al bosco; b osco; e per coltivarlo, coltivarlo, p per er avere i benefici, bisogna appunto tagliare o agevolare lo sviluppo. La foresta ci deve dare legname da opera e da carta, legna per riscaldarci. E anche alberi di natale per ricordare il ritorno del Sole e la nascita di Cristo. Qui, al confine con il mi mio o brolo, b rolo, c'è un pascolo ai margini margini del bosco. Nel corso degli anni ho potuto constatare come va cambiando nell'aspetto. Un
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tempo vi pascolavano nove vacche; poi è stato abbandonato. Ha incominciato a coprirsi di cardi, di cespugli di ginepro, rosa canina e crespino. Tra questi cespuglii sono comparsi dei piccoli abeti cespugl abeti e qualche frassino. Qualc Qu alche he anno fa il contadino ha voluto riprendere l'allevamento e al posto delle dieci vacche, sullo stesso stesso pascolo, non n on può tenere più di sette sette vite vitell lle: e: hanno trovato poca po ca erba e così ha dovuto decespugliare e ripulire l'area. Ma intanto sono anche cresciuti cresc iuti gli gli alberi alberi che con la loro ombra o mbra e con il loro loro sviluppo hanno ancora ridotto il pascolo. Ora, propr pr oprio io in quest qu estii giorn giornii di dicembre, dicembre, il propriet prop rietario ario ha avuto dal d al Corpo Corp o For F orestal estalee l'autorizzaz l'autorizzazione ione a tagliare tagliare qualche qu alche centinaio di d i alberelli al fine di far crescere l'erba per alimentare le vitelle. Questi alberelli diventeranno alberi di natale per voi che vivete in città e questa operazione non la trovo per nient n ientee antiecologi antiecologica. ca. A conferma di questo, p prop roprio rio l'altro l'altro giorno un agronomo Rettore d'Università, mi diceva come, a causa dell'abbando dell 'abbandono no del d ella la montagna, montagna, anno dopo dop o anno ann o aumenti notevolmente la la superficie boscata delle nostre Alpi, Prealpi e Appennini. p reoccupatevi, preoccu patevi, quindi, qu indi, amici verdi,valore per p er glimorale alberi alberi dei di d i natale che Non vedrete vendere n elle nell e vostre città: città:ecologisti hanno lo estesso fiori nelle fiorerie. E a coloro che verranno a trascorrere le vacanze natalizie e di fine anno in montagna, vorrei solo dire di non essere loro ad andare nel bosco bo sco a tagliarsi tagliarsi l'albero di d i natale, che sì potrebber potr ebbero o fare f are danno dan no,, oltre o ltre al furto. furto . E poi sotto quell'abete che rallegrerà le nostre case non mettiamo solo doni costosi, inutili o diseducativi per i nostri ragazzi, ma assieme a qualche libro anche qualcosa per la ricerca ricerca sul cancro, o per i vecchi del ricovero.
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Il pino. Il cirmolo, cir molo, tra gli alberi delle nostre Alp Alpi, i, è, con co n il la larice rice,, il più bello.
Abete bianco, abete rosso o peccio, larice sono pinacee; altro genere, pur delle stessa famiglia, i pini: unaalnovantina di specie nell'emisfero b oreale,sono boreale, d dall' all'Atl Atlantico antico Pacifico. Ma anche distribuite se con pazienza pazienza e l'aiuto di testi potrei distinguerne un discreto numero, mi limito o parlarvi dei pini che ch e sono son o nel n el mio brolo: br olo: del d el "Pino silvestre", del "Pino montano" mon tano" e del "Pino cembro". Il pino silvestre che sta a mezzogiorno e che ben si armonizza tra le due betulle, lo raccolsi e lo trapiantai da una antica morena un giorno che ero andato a camminare camminare con mio figlio, figlio, sul finire di un lungo inverno. inverno . Ma come ora è cresciuto! Ed è a guardarlo che mi rendo conto di come passano le stagioni. stagioni. Albero di p primaria rimaria grandez grand ezzza il pino silvestre può pu ò arrivare a quaranta metri e oltre; anche lui, come tutte le conifere è molto longevo e può pu ò passa p assare re i cinque secoli di vita. vita. Il suo fusto è dirit d iritto, to, ma la neve, i fulmini, le pietre che cadono dall'altro della montagna, il vento lo posson po ssono o render r enderee tormentato. tormen tato. La La sua chioma ch ioma è rada rad a e irregolare, i rami hanno h anno gli apici rivolti verso l'alto; dove cresce stretto ad altri consimili ha forma piramidale allungata, si distende quand q uando o è isolato iso lato o rado r ado.. La sua corteccia è squamosa, rossastra da giovane, tendente al grigio e solcata da maturo, ma sempre portata al rosso verso la cima. Le foglie sono aghiformi, di colore verde-glauco, raggruppate a due a due, lunghe da tre a sette centimetri, contorte a spirale (sono più p iù corte nei Paesi Paesi freddi, più p iù lunghe nel Meridione). Come le alt altre re conifere è albero monoico mon oico e i fiori di qu quest esto o pino p ino sono son o molto ricchi ricchi di poll po lline, ine, tanto tanto che le api ne fanno fann o abbond abb ondante ante raccolt raccolto o che concorre alla alla produzi pro duzione one del d ella la cera. cera. Quando Qu ando tra maggi maggio o e giugno giugno sono in fioritura, camminando camminando sotto di loro ci si può ritrovare con gli gli abiti tutti tutti spruzz spr uzzati ati di una un a polvere po lvere gialla gialla che si stacca dagli stami a ogni leggero leggero soffiare sof fiare di vento; un tem tempo po questo fenomeno feno meno veniva v eniva chiamato chiamato pioggia pioggia miracolosa miracolosa di zolfo. E' un albero che ama il sole e i climi continentali; sopporta molto bene freddo e siccità ed è anche specie pioniera nei terreni degradati. Se uno percorre la Val Venosta può osservare come il lato di sinistra, quello arido rivolto a mezzogiorno, sia qua e là popolato da macchie di pino silvestre, mentre quello a destra, rivolto a mezzanotte e umido, sia invece
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coperto da pecci, abeti e latifoglie. Il buon legno del pino silvestre, con l'alburno l'a lburno bianco-rosato e gialli giallino no e il durame più tendente al bruno, bruno , varia di qualità secondo la provenienza: il migliore è quello che cresce lentamente nei luoghi freddi o elevati; è di lunga durata, resistente, ottimo per costruzioni navali ma anche per mobili e oggetti casalinghi. Dai tronchi che non vengono usati in segheria si ricava cellulosa da carta. Dalla ramaglia un tempo si otteneva otte neva un u n carbone carbo ne dolce do lce particolarme particolarmente nte ricercato ricercato e usato per la fusione di di acciai speciali. Dagli alberi adulti, quando raggiungono l'età di centocentoventi anni, incisi al piede fuoriesce una resina grassa che, distillata, dà un'ottima acquaragia; dal residuo di questa distillazione si ottiene la pece greca o colofonia e quella ricavata dal pino silvestre è la migliore tra tutte per impeciare i crini degli d egli archi archi degl d eglii strumenti strumen ti musicali. musicali. Secondo rilievi rilievi fatti fatti nel secolo secolo scorso da d a Adolfo di Bérenge Bérengerr nei n ei boschi della Stiria, ogni pino adulto produce tra i tre e i quattro chilogrammi di resina all'anno; sicché un ettaro di pineta può dare circa millesettecento chilogrammi dai quali si ricavano per distillazione trecentocinquanta chilogrammi di del trementina e circa mille Dopo essere così util u tiliz izzzata,dilaolio parte tronco tro nco scortecciata scortecciat a e di checolofonia. restava r estava impregnata di stata resina, era un prezioso legno da teda perché tagliata in asticelle forniva facelline da usarsi al posto delle candele o delle lucerne e, un tempo, ne veniva fatto grande commerci commercio. o. Ricordo come cinquant'anni fa in Albania, nei mercati di Tirana e di Koriza, i montanari scesi dai villaggi vendevano per poche lire i mazzetti di queste stecche di pino silvestre che gocciolavano ragia; e come nei boschi vedevamo ogni tanto un pino scavato nel tronco, da dove anche noi abbiano poii imparato a staccare le tede per illuminare i ricoveri. po r icoveri. Bruciand Bruciando o il legno di di quest'albero, disposto in cataste simili a quelle delle carbonaie ma con più cura, si raccoglieva il catrame che colava in una fossa o in un recipiente sottoposti; questo distillato serviva per le vele delle navi e per i cavi. Raffinato o ricotto dava altri preziosi prodotti come la «pece rossa» che si usava spalmare nell'interno dei vasi vinari, o quella «pece bruna» che in Germania adoperavano mista a creta per impeciare le botti da birra. La «pece nav navale» ale» era era indispensab ind ispensabile ile per calafatare le navi; la «pegola» «pegola» servivaa a calzolai serviv calzolai e sellai per impegolare lo spago da d a cucito. Marziale Marziale scrive che la «pece «pece rabulana» veniva aggiunta aggiunta al vino p per er renderlo rend erlo più abboccato. Il pino silvestre è pure pur e pianta medicinale: le gemme, gemme, gli aghi aghi e i ramuli contengono principi balsamici attivi e disinfettanti; e se volete fare un bagno veramente salutare mettete nell'acqua molto calda della vasca un bel mazzo di
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ramuli freschi ricchi di aghi, allungate l'acqua alla temperatura desiderata e poii immergetevi po immergetevi respirand resp irando o i vapor v apori. i. Al di là delle Alpi si raccolgono gli aghi del sottobosco e dopo averli messi a macerare si ottiene la "lana di bosco" (Waldwolle) che per le sue prop pr oprietà rietà igieniche igieniche e salutari (cura (cur a i reumatismi) può pu ò sostituire so stituire la lana lana di di pecoraa nei materassi e nei guanciali. pecor guanciali. Tante Tante cose ha h a sempre dato d ato all'uomo quest'albero! Plinio ci racconta che dal pino silvestre si ricavavano i cannelli per scrivere ("fasces ( "fasces calamor calamorum"): um"): temperati a forma fo rma di d i penna penn a d'oca d'o ca venivano induriti per mesi dentro u un n letamai letamaio. o. Vit itruv ruvio io descri d escrive ve come dentro appositi forni o dentro capanne chiuse da d a ogni lato lato si ottenesse il il "nero di fuliggi fulig gine" ne" bruciando legno legno di pino, e questo "nero" veniva v eniva usato dai pittori, pittori, e più ancora ancor a come ingrediente ingred iente principale nella n ella comp composizi osizion onee dell'inchiostro. dell'inchiostro . Presso i Greci il pino silvestre era il simbolo della verginità e per questo dedicato a Diana; ma anche a Pan in memoria di una fanciulla da lui amata e insidiata che Borea spinse sulle montagne e fece precipitare da una roccia. La Terra pietosa la la trasformò in pino e quando q uando Pan sentiva il soffio soffio di Borea Borea non no n cessava mai di piangere. Le gocce di ragia che il pino geme sono le lacrime della fanciulla amata. Il pino montano. mon tano. Il I l "montano" "montano " è dei pini il più po polimorfo limorfo,, ossia os sia assume forme fo rme diverse da luogo e luogo, luo go, o anche anch e sullo stesso stesso luogo e, persino, p ersino, assicurano assicurano gli gli esperti, sullo stesso individuo; tanto che per classificarlo è da preferire il suo portamento po rtamento che ch e non no n i caratteri degli strobili. In linea di massima possiamo dire che nell'area occidentale: Pirenei, Alpi occidentali, Engadina, si trova il tipo "arborea" a fusto unico o anche a più fusti eretti e slanciati che possono raggiun raggi ungere gere i venticinque v enticinque metri d'altezz d'altezza; nelle nelle Alpi orientali, o rientali, nei Carpaz Carp azii e nei n ei Balcani il tipo "prostrata" a fusti numerosi e striscianti pure lunghi sui venti metri ma che, al massimo, raggiungono in altezza i quattro. La sua corteccia è scura, quasi grigio-nera, i rami sono verticillati, ossia inseriti a due o a più di due nello stesso nodo; hanno gli apici rivolti verso l'alto; le foglie, lunghe tra i tre e gli otto centimetri, sono diritte e pungenti, di colore verde cupo. I fiori maschili sono gialli, i femminili violacei. Gli strobili mutano da varietà a varietà: "uncinata", "pumilio", "mughus" e sono lunghi dai tre ai cinque centimetri. I semi sono piccoli, con una piccola ala, e il vento delle tormente li dissemina nei luoghi più impervi. Fiorisce tra la fine della primavera e l'inizio dell'estate, quando le pernici bianche dischiudono le uova. Sulle montagne forma boscaglie pure, o anche miste con larice, peccio, cirmolo, ontano verde; si arrampica a coprire ghiaieti, rocce, ripiani, scende dagli orli degli abissi o risale al limite limite della vegetaz vegetazione ione forestal for estalee fino oltre i
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duemilacinquecento duemilacinquecent o metri di quota. qu ota. Per quest qu esto o suo comportam compor tamento ento esercita esercita in alta alta montagna una notevole n otevole azione protettiva, trattenendo l'acqua e la dilavazione del suolo. Se la neve non è tanto alta da coprirlo interamente, specialmente nelle forme "prostrata", impedisce la caduta di valanghe. Distillando i suoi ramuli si ottiene il "mugolio", un olio essenziale di grandi proprietà medicamentose ad azione balsamica e antiflogistica per le vie respiratorie dei bambini e dei vecchi. Il legno respiratorie legno del pino montano non n on vale molto perché, a causa delle modeste dimensioni che raggiunge il tronco, non è utilizz utilizzabile come legname da d a opera. op era. A cagione cagione della sua breve b reve estate estate cresce lentamente e così diventa pesante e compatto, flessibile anche al vento e al peso della neve. Dopo Dop o d due ue o tre anni dal d al taglio taglio (che (ch e deve essere fatto f atto in luna lun a calante!) cal ante!) brucia bene e dà un buon buo n calore; e questo ben lo sanno sann o i pastori che dopo averlo reciso lo lasciano per «due agosti» alle intemperie e al sole. A me, sin da ragazzo durante le escursioni, e poi nel tardo autunno nei ricoveri di caccia, il suo fuoco ha fatto compagnia, e riscaldato e asciugato dallaa pioggia dall pioggia o dall d allaa neve. Il pino p ino montano mon tano varietà mugo mugo del d el mio mio brolo b rolo l'ho po rtato giù dalla montagna portato mon tagna di Campo Filon, F ilon, giusto vent'anni vent'ann i fa, quel q uel giorno giorn o che Ermanno Olmi era salito lassù per girare una scena dei "Recuperanti", quella dove si vede una grossa bomba nel mentre che passa un gregge. Le pecore, pecor e, camminando, camminand o, avevano av evano smosso la poca terra denu d enudand dando o così co sì le radici di un piccolo mugo che poi raccolsi e trapiantai qui a casa. Ora è cresciuto molto di più che se fosse rimasto lassù; ma invece di essere prostrato e contorto, il clima e le precipitazioni nevose dovute ai mille metri met ri di differenza di quota, lo hanno hann o svil sv ilupp uppato ato policormico policormico ed eretto eretto come i pini montani delle Alpi occidentali. Ma i pini mughi delle nostre montagne, ora che i carbonai più non li tagliano e i sentieri si rinchiudono a causa del loro sviluppo, sono anche famosi per i problemi che possono creare ai viandanti che osano attraversarli; e anch'io la settimana scorsa ho girato a vuoto vuo to per più p iù di un'ora un 'ora sotto la pioggia pioggia e tra tra l'intrico l'intrico dei loro tronchi tro nchi striscianti e alla fine mi sono ritrovato, sfinito, al punto di partenza. E dai vecchi è ricordata come «la Barancia» una compagnia del Settimo Alpini che alla fine del secolo scorso, durante una manovra, si perdette tra i «baranci», i mughi delle d elle Dolomiti. Dolomiti. La mancata utilizzazione da parte dell'uomo di questa specie di pino, fenomeno che si è verificato verificato in questi ultimi ultimi cinquant'anni, ha portat po rtato o un un notevole cambiamento non solo nel paesaggio ma anche negli habitat della selvaggina, e Oggi non è raro trovare a quote insolite famiglie di caprioli
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mentre, per mancanza mancanza di pascol p ascolo o a loro confacente, si sono fatti fatti più rari r ari i galli di monte e le pernici bianche. Il pino cembro. Per i due piccoli pini cembri che ho nel brolo bro lo ci vorranno vorrann o molti anni perché diventino diventino alberi ben visibili! Ma se gli uomini saranno saggi e avremo posteri, i nipoti dei miei nipoti potranno dire: « «Questi Questi cembri cembri li aveva messi messi a dimora il nonno nonn o di di nostro nonno». nonno ». Il "Pino cembro", o cirmolo, tra gli alberi delle nostre Alpi è, con il larice, il più bello: socievole e sempreverde non raggiunge l'altezza dell'abete o del peccio, ma può p uò arrivare arrivar e oltre i settecento settecento anni an ni di d i vita. Dove i fulmini, fu lmini, le valanghe, i sassi feriscono il tronco, assume forme tormentate e inconfondibili; e lassù, tra i millecinquecento e i duemilacinquecento metri di quota, tra nevai, rocce e ghiacciai è vedetta arborea della natura. E' di lentissimo accrescimento; i rami sono grossi e irregolari, incurvati verso l'alto a formare una densa chioma; la corteccia è grigia, profondamente fessurata lungo il tronco; gli aghi delle foglie sono riuniti a fascetti di cinque, teneri e sottili sotti li,, di colore verde- glauco glauco e durano d urano sul ramo quatt q uattro-cinqu ro-cinquee anni; gli gli strobili (che messi messi in infusione nella grappa grappa donano d onano un bel colore ambrato e un sapore non n on piccante piccante di resina) sono lunghi otto centi centimetri metri e al al second secondo o anno maturano maturano i semi dentro dentro una guaina legnosa. legnosa. Quest Qu estii pinoli sono cibo molto ricercato da scoiattoli e nocciolaie che molte volte li nascondono tra le crepe delle d elle rocce per i tempi di carestia; qu quelli elli dimenticati dimenticati ge germo rmogli gliano ano e le piantule allungano le radici a cercare tra le pietre e i muschi u un n briciolo b riciolo di di vita: tanto che è sempre stupefacente vederle poi cresciute sopra un masso al margine di un ghiacciaio o su una parete di roccia. Il legno del cirmolo è bianco-crema, il durame rosso-bruno odoroso e inintaccabile dagli insetti; per la sua grana fine e per la sua omogeneità è albero da sculture e molto bene lo usò u sò Andrea Brustolon, Brustolon, grande scultore scultore decorativo del rococò veneziano, artefice di altari, stalli, sedie, bastoni e di elementi decorativi. Augusto Murer dai tronchi di cirmolo delle sue montagne ricavava le sue amorose "maternità". Ma per i montanari è soprattutto grande legno da casa per mobili e oggetti, e per rinvestire contro il gelo le stanze da godere nei lunghi inverni.
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La sequoia. A rico ricordo rdo dei compagni che sono so no morti su queste montagne.
Tra qu quell ellii del mio brolo bro lo l'unico albero fuori fuo ri dal suo naturale ambiente ambiente è un una a "Sequoia "Sequ oia gigantea"; giga ntea";sviluppo ormai orm ai è alta sei-sette sei-sette metri, ma solo in questi q uesti anni ha preso vigoroso perché quando la misi a dimora, unaultimi quindici quind icina na di anni fa, era alta alta poco più p iù di un metro. La La sua forma decisament decis amentee conica, i suoi rami bruni brun i un poco pendenti, le foglie foglie di un bel colore verde prato lineari-lanceolate lunghe da due a cinque millimetri appressate al ramulo, la corteccia grigiastra tendente al bruno, fessurata lungo il tronco con chiazze di licheni alla base, tutto questo, la fa ben distinguere dalle altre conifere. La mia sequoia non ha ancora gli strobili: è troppo giovane; ma spero di vederli un giorno: giorno : dovrebbero dov rebbero venire lunghi circa circa cinque centimet centimetri, ri, prima eretti e poi penduli, e dentro le venticinque squame nascondere i piccoli semi con la loro al ala. a. E il il vento, forse, fo rse, li porterà a germinare germinare su qualc qu alche he buona bu ona terra delle mie montagne. Dicono che il legno delle sequoie sia leggero e tenero, ma anche resistente e inintaccabile dagli insetti; ma credo che quello di questa mia che ha ormai così bene attecchito, non sarò certo io a usarlo. E qui scrivo che dovrà essere lasciata fin che la natura vorrà. Anche se tra secoli sarà così grande da far crollare la mia casa con le sue radici! Dell'ordine delle "Conifere", famiglia delle "Taxodiacee", hanno solo due sole specie: "Sequoia gigantea" e "Sequoia sempervirens". Un tempo lontanissimo, milioni di anni fa, erano distribuite su tutto l'emisfero settentrionale e i paleontologi sono riusciti a descriverne quaranta specie fossili. Qualche anno or sono, a Dunarobba, una frazione del comune di Avigliano Umbro, degli operai di una fornace scavando materia prima per laterizi, si imbatterono, increduli, contro una massa dura e insolita in quel sottosuolo: pietre giganti infisse nell'argilla. Si resero subito conto che, per qualche ragione, quelle strutture meritavano attenzione e notificarono la scoperta. Arrivarono da Perugia i paleontologi che dissero quelle «cose» alberi pietrificati.. Venn pietrificati Vennero ero così co sì alla luce, luce, su due du e ettari ettari di superf su perficie icie,, una u na cinquantina cinq uantina di tronchi colossali con il diametro di oltre due metri, alti tra i sette e i dieci.
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Si tratta di resti fossilizzati di sequoia vissuta forse un milione e mezzo di anni fa, nel Pleistoce Pleistocene ne Inferiore, In feriore, che un incomprensibile fenomeno fenomeno aveva schiantato nel loro vigore vegetativo; lasciando in piedi questi tronchi a testimonianza di quel tempo e come esempio unico al mondo «di resti vegetali fossilizzati in posizione di vita». Ora, dopo milioni di anni, il loro ambiente naturale rimane limitato a poche po che aree lungo lun go la Serra Nevada, Nevad a, in California, Californ ia, a un'alt un 'altitudine itudine tra i millecinquecento e i duemilaquattrocento metri: è lì che troviamo gli alberi viventi più vecchi della terra che dall'alto dei loro cento e più metri d'altezza, dai loro diametri di oltre dieci metri e dai millenni di vita (la più anziana si calcola cal cola abbia più di quatt q uattromila romila anni!) guardano la nostra storia. Il nome no me a questi giganti del mondo vegetale era stato dato dagli indiani in onore di un uomo della della loro tribù chiamato chiamato Sequoiah, Sequ oiah, inventore dell'al dell'alfabeto fabeto cherokee. Nei libri libri di d i botanica bo tanica dell'Ottocento dell'Ottocento la sequoia sequo ia viene anche chiamat ch iamataa "Welli "W ellington ngtonta ta gigantea" gigantea",, o anche "Albero "Albero mammouth". mammou th". Il Figuer F iguer nella n ella sua "Storia degli alberi" così la descrive: descriv e: «E' «E' un albero della famiglia famiglia delle Conifere, che fu, a quanto dicesi scoperto da un viaggiatore inglese, il naturalista Lobb, su una montagna della California...» Anche il botanico Müller nella sua opera "Meraviglie del mondo vegetale" dice di questa scoperta, e dopo averlo descritto nella sua maestosità dice: «... Egli è perciò che l'albero venne eretto in genere particolare e chiamato "Wellingtonia gigantea", benché recentemente la vanità americana, a quanto pare, ne abbia fatto una "Washingtonia". Sovra un miglio si incontrano circa novanta di questi alberi. La massima parte trovasi riuniti in gruppi di due o tre sopra un suolo fertile, nero, bagnato da un rivo. Perfino i cercatori d'oro vi hanno prestat pr estato o attenzione. attenzione. Infatti In fatti uno di questi q uesti alberi porta po rta il nome di d i "Capanna del d el minatore" e possiede un tronco di trecento piedi d'altezza, in cui è praticata unaa cavità di dicia un d iciassette ssette piedi di altezz altezza. Le "T "Tre re sorelle" so relle" sono individui indiv idui procreati pr ocreati da una u na so sola la ceppaia. Il "Vecchio "Vecchio scapo scapolo", lo", arruffato arru ffato dagli uragani, mena vita solitaria. La "Famiglia" si compone di una coppia di antenati con venticinque figli...» Per dare l'idea di come questi alberi isolati siano da per se stessi un bosco, si pensi che la sequoia denominat deno minataa "General "Generalee Sherman" ha un volume calcolato calcolat o di d i oltre millesettecento millesettecento metri cubi: cub i: l'equivalente di circa mille abeti maturi dei nostri boschi! Ma perché una giovanissima sequoia è capitata nel mio brolo? Attorno agli anni Sessanta ogni estate veniva sull'Altipiano, da Torino, un signore alto e magro, distinto, che qualche volta si accompagnava a passeggiare con mio padre.
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Venni così anch'io a conoscere il signor Giuseppe e a sapere che la sua puntuale pu ntuale presenz pr esenzaa era dovu do vuta ta al fatto fatto che ch e nel 1915 1915 e 1916 1916 era stato stato quassù q uassù come fantaccino della Brigata Ivrea. Con i suoi compagni nascosti dentro i boschi bo schi la mattina mattina d del el 24 maggio maggio 1915 aveva sentito sen tito quel colpo co lpo di d i cannone canno ne che annunciava la nostra entrata in guerra contro l'Austria- Ungheria. Sei giorni giorn i dopo do po gli alpini alpini dei batta b attagli glion onii Bassano Bassano e Val Val Brenta Brenta e i fanti fan ti della Brigata Ivrea tentarono di forzare le linee di fortificazioni sulla strada per Trento subendo sub endo molte perdite. perd ite. Ma Ma fu l'anno dopo do po,, nel maggio, che in questa zona del fronte si scatenò la «Spedizione punitiva» contro l'Italia, e il battaglione battagl ione dov d ovee era il signo signorr Giuseppe Giusepp e venne venn e quasi qu asi annientato da d a un violentissimo violenti ssimo bombardamento. bo mbardamento. Si legge legge nella relazione: relazione: «... La lotta sul Costesin fu f u veramente v eramente tra le più p iù epiche di questa battaglia, nella quale rifulse il tenace valore dei difensori e in particolare della Brigata Brigata Ivrea». Un corrispondente austriaco della «Neue Freie Press» scriveva al suo giornale: «... osservando le postazioni nemiche si nota un caos raccapricciante: un ammasso di reticolati divelti, contorti, di tronchi a terra, enormi buche bu che nel terreno generate dallo dallo scoppio scopp io delle granate granate.. Quando Qu ando il bombard bo mbardamento amento ebbe eb be inebetit ineb etitii i nemici cagionan cagionando do loro terribili perdite, perd ite, allora fu sferrato l'assalto delle fanterie...» Il generale Mur Murari ari Brà Brà che comandava comand ava la Brigata Brigata Ivrea, Ivr ea, ha lasciato scritto nelle memorie di quei giorni: «... Fu l'artiglieria che ci vinse, la fanteria fu sempre preceduta da vere cortine di proiettili. Ogni qualvolta le due fanterie si urtavano noi avevamo il vantaggio...» Il signor Giuseppe, che nella sua casa in collina coltivava il bel giardino, era sopravvissuto a tutto questo e ogni estate, negli ultimi anni della sua vita, veniva al Costesin dove ancora ci sono i segni della terribile lotta. Anch'io lo accompagnai acc ompagnai un giorno; non disse d isse nemmeno una un a parola ma quando giungemmo gi ungemmo su q quel uel dosso i suoi occhi erano pieni p ieni di lacrime lacrime.. Quando Quand o venne v enne l'ultima l'ultima volta mi portò la sequoia che era passato passato a prender pr enderee in un u n vivaio v ivaio dell'A d ell'App ppenn ennino ino Pistoiese. P istoiese. «La «La pianti qui qu i nel suo brolo, br olo, - mi disse, - a mio ricordo r icordo e a rricordo icordo dei d ei miei miei compagni compagni che sono morti su queste montagne». Insieme scegliemmo il posto. Quando negli scorsi inverni era gravata dalla neve mi facevo premura a liberarla, e quando il vento l'asciugava, le bagnavo le foglie. Ora non no n ha h a più bisogno del d el mio mio aiuto e i miei miei nipoti sanno sanno che quello è l'albero del signor Giuseppe e dei fanti della Brigata Ivrea.
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Il faggio. Si costruisce e si conserva la foresta.
Questo, per me, è il tempo del faggio: ogni mattina entro nella legnaia dovee ho riposto la legna dov legna secca dopo che per un anno era rimasta rimasta accatas accatastat tataa al sole e al riparo dalla pioggia al muro sud della casa. Ora il faggio brucia con chiara fiamma fiamma dentro la stufa donandomi donand omi un tepore tepor e sano e buono; buo no; così che alzando la testa dal tavolo e vedendo l'inverno sulle montagne e sui boschi bo schi è ancora anco ra più p iù piacevole piacevo le riprendere ripren dere la lettura o un fogli fo glio o bianco b ianco per p er scrivere a un amico. Ho Ho incominciato da d a ragazz ragazzo a «sentire» il faggio faggio come co me albero felice agli dei, e non lo sapevo. Avevo forse dieci anni, quando per la prima volta seguii i famigli e mio padree nel bosco padr bo sco per p er aiutare a raccogliere i polloni pollon i e i rami dell'assegnazi dell'assegnazion onee d'uso civico. civico. I forti cavalli cavalli nell'autunno nell'autunno portavano por tavano i pesanti carri verso le case degli uomini e davanti a ogni abitazione, nei cortili o nella strada, stavano i mucchi in bell b ell'ordine. 'ordine. Con i segoni segoni a due manici, abbandonati abbando nati qui dalla Grande Grande Guerra, si segavano i pezzi a misura del focolare e delle stufe e poi con la scure, anche questa residuato bellico, si aprivano i pezzi in quarti. Per il paese e per le contrade era tutto tutto un fervore, fervor e, e dove c'erano vedove v edove o vecchi c'era c'era sempre sempre qualcuno che dava una un a mano a preparare p reparare la leg legna. na. Con il frate fr atello llo del nonno, non no, che da poco p oco era ritornato dall'Americ dall'America, a, anch'io segavo i lunghi tronchi appoggiati su un cavalletto. Ma volevo anche essere rivolto verso un poggiolo dove c'era una ragazzina che usciva a guardarmi. L'odore buono del faggio, anzi della segatura che usciva dal taglio (seppi più tardi che era dovuto ai fenoli dai quali si ricava il prezioso creosoto), si confondeva confo ndeva con quello della neve che dalle dalle montagne montagne a nord no rd si avvicinava avvicinava al paese. Da particolari tronchi, dovevano essere diritti e a venatura compatta, venivano conservati i pezzi vicino alla base che poi, spaccati con precisione lungo la venatura, venivano v enivano messi a stag stagionare ionare sotto il porti por tico co appesi app esi a uno spago. Da questi pezzi uscivano i manici per ogni uso: scuri, mazze, martelli, picconi, scalpelli scalpelli perché perch é il faggio faggio è il legno legno che meglio di ogni ogn i altro altro si adatta alle mani dell'uomo, dell'uomo ,eb ben en lo sapevan o ialberi Veneziani enezi aniremi che per saggiamente amministravano le faggete persapevano avere gli da le loro navi. Dove un bel ramo si innestava al tronco con giusta inclinazione, il pezzo veniva
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scelto per costruire la "slitakufa", slittastorta: dal tronco smussato in punta si ricavava lo scivolo e il ramo faceva da stanga, tutto in un unico pezzo. Se poi si mettevano mettevano su un'asse u n'asse di ferro e d due ue ru ruote ote si otteneva otteneva un carretti carrettino no per uso u so di bosco o di campo. Ma noi ragazzi si cercava tra i tronchi quello da cui, segato in tavole e dopo due anni di stagionatura, Giacometto Bhet, il falegname, ci avrebbe ricavato rica vato gli sci. sci. Forse per p er tutti questi ricordi ricordi ho h o voluto v oluto che nel n el brolo trovassero il loro posto anche tre faggi. Li avevo trapiantati dal bosco comunale una primavera piovo piovosa, sa, prima che compariss comp arissero ero le foglie; foglie; erano alti meno di un metro, e siccome è specie che ama l'ombra e l'umidità li ho messi a dimora tra gli abeti e i sorbi. E lì crescono portando i rami verso l'alt l'a lto; o; poi, quando quand o gli abeti abeti saranno giunti al punto che dovran d ovranno no essere essere diradati, anche i faggi allargheranno la loro chioma, prendendo quell'aspetto rotondiforme rotond iforme che li farà solenni. solenni. Ma a godere di questo spettacolo della natura saranno i miei nipoti. L'anno scorso in autunno, autunno , perché questa q uesta è la la stagi stagione one più p iù bella per la foresta di latifoglia, sono andato a visitare forse la più classica faggeta d'Europa. Si trova in Jugoslavia dalle parti dei laghi di Plitvice; e lì tra quelle fustaie eccelse ho voluto raccogliere una manciata di faggiole appena cadute dai rami. Portate a casa e messe in un vaso a fior di terra (sono epigee), questa primavera pr imavera hanno han no germogliato; germogliato; ora le piantule piantu le sono alte pochi centimetri ma tra cinquant'anni richiameranno l'attenzione dei passanti. Il "Fagus silvatica" è albero socievole ed è dotato di facoltà pollonifera, ossia dopo essere stato reciso rigenera dalla base. Il fusto è diritto e regolare, nel bosco i rami sono raccolti nella parte superiore, ascendenti; negli alberi isolati rami sono piùliscia, grossisovente e la chioma è arrotondata. La corteccia è di il colore igrigio chiaro, chiazzata di licheni biancastri e, verso pedale, da d a muschi musch i dal verde verd e intenso. I rami r ami più giovani giov ani tendo tendono no al grigioverde. Le foglie sono caduche, lunghe cinque-dieci centimetri, ovali e brevemente br evemente appun app untit tite, e, leggermente leggermente ondu on dulate late,, di colore co lore verde v erde brillante b rillante nella parte superio su periore, re, più p iù pallide e un po' po ' pelose nella n ella pagina pagina inferiore. inf eriore. Quando Qu ando fuoriesc fuo riescono ono dalla dalla gemma gemma hanno un colore verde tenerissimo tenerissimo e qualche q ualche volta, volta, nel ricordo di una fame tra le montagne dell'Austria, le mastico e le mangio come lattuga. Le gemme sono lunghe e sottili, ricoperte da squame brune. Ma è nell'autunno, nell'autunno, tra l'ottobre l'ottobre e il novembre, nov embre, che le fagge faggete te prendono prendo no quel colore giallo- rosso squillante che rallegra la selva. Le radici del faggio sono ben sviluppate svilup pate e ben "radicate". "radicate". Qualche Qu alche volta, da d a noi, no i, avvolgono avv olgono i sassi, penetrano penetran o tra gli interstizi interstizi della roccia, si spro sprofo fond ndano ano a cercare la vita dove dov e il
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tempo ha fatto l'humus con l'aiuto delle specie tempo specie pioniere. I ceppi di d i questi faggi ci dànno una legna da bruciare compatta e soda, di grande resa: ceppi da notte n otte di Natale. Natale. L'albero del faggio è monoico: gli amenti maschili sono giallastri, penduli dai rametti; gli amenti amenti femminili sono son o invece eretti e raccolti. I ffru rutti tti maturano alla fine dell'estate; sono a cupola chiusa, un po' spinosa, a quattro valve coriacee coriacee che contengono contengono da uno un o a tre acheni di forma for ma trigona, trigona, lunghi lun ghi circa un centimetro centimetro e mezz mezzo. L'areale di questa q uesta latifoglia è tipicamente tipicamente oceanico e non continentale; dalla Norvegia scende al Mar Nero e dalle Alpi Transilvaniche si estende sino in Italia; lo troviamo anche sugli Appennini e sui monti della Sicilia; ancora sui Pirenei, in Francia, in Inghilterra. Le caratteristiche del faggio hanno consentito agli studiosi di definire un'area fitoclimatica fitoclimat ica particolare: il "Fagetum" "Fagetum" che ch e sta tra il più p iù caldo "Castagnetum" "Castagnetum" e il più rigido "Picetum". Le foreste possono essere pure ma anche miste con l'abete bianco e altre latifo lati fogli glie; e; ma si associa anche anch e al larice, al peccio, al pin pino o silvestre. Prefer Preferisce isce i terreni sciolti, permeabili e freschi, e per le sue qualità di crearsi le condizioni vitali, il terreno della faggeta è uno tra i più fertili. Il faggio si costruisce e conserva la foresta fo resta!!
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Il tiglio. Albero Albero di giustizia perché attorno ad esso si riunivano i saggi.
Perché quest'anno quest'anno i tigl tiglii del mio mio brolo br olo non no n hanno hann o profu pr ofumat mato o l'aria dei crepuscoli? Ogni anno, a luglio, luglio, raccolgo raccolgo in abbondanz abbon danzaa i loro fiori f iori e li distendo distendo in soffitta sopra un graticc graticcio io e, quando qu ando sono bene asciutti asciutti,, li ripongo al buio bu io in vasi di vetro. Nelle Nelle sere sere dell'inverno dell'inverno,, dopo do po cena o prima pr ima di coricarmi, coricarmi, una tazza di infuso di fiori di tiglio con un cucchiaio di miele di salvia delle isole dalmate è un'ottima bevanda che concilia il sonno e agevola la respirazione. Le proprietà medicinali di questi fiori sono note sino dai tempi più antichi: contengono zuccheri, tannino, acido malico e acido tartarico, olio essenziale. Tutte queste cose iin n loro lor o raccolte raccolte hanno proprietà pro prietà sudorifere, antispasmodiche e sedative. Qualche volta persino le api, quando q uando con insistenza insistenza raccolgono raccolgono nettare nettare da certi tigli, vengono come assopite e si adagiano sull'erba all'ombra dell'albero. La famiglia delle "Tiliaceae" ha solamente il genere "Tillia"; da noi sono tre le specie specie che crescono, crescono, ma se ne conoscono conoscon o molte mo lte di più, ed è curioso leggere come certi autori ne classifichino diciotto e altri sessantacinque. Da noi il tiglio tiglio più comune comu ne è il "Selvatico" o "Maremmano"; dei tre nostrani è il meno grande, grand e, ma pure pu re può pu ò raggiungere raggiungere i venticinque venticinque metri d'altezzza. Il "Tilia d'altez "Tilia platiphillos" è il più maestoso e bello: albero di prima p rima grandezza può raggiungere i trentacinque-quaranta metri e una circonferenza anche superiore ai dieci metri. Tra gli alberi è uno dei più longevi: due-trecento anni è una età comune; già nelle cronache medioevali troviamo citati tigli venerandi e robusti che ancora oggi vivon vivono, o, e che quindi qu indi dovrebbero dov rebbero avere superato i mill millee anni come quello di Neustadt, nel Württemberg. Meritano pure di essere ricordati il Tiglio di Sant'Orso a Aosta e il Tiglio del Maso Widum (Bolzano) che alla base misura misur a sette metri metri di circonfer circo nferenza enza.. Da parte mia ricordo una maestosa e solenne "linta" che ombreggiava le case del mio paese: la sua chioma era come un bosco bello e misterioso e la tradizione diceva che ai suoi piedi, all'inizio della buona stagione e al principio pr incipio dell'i d ell'inv nverno erno,, si radun rad unavano avano i reggitori reggitori della d ella comu comunità nità eletti eletti dai
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capifamiglia. Discute Di scutevano vano delle rendite rendite dei beni comuni, comun i, del governo dei boschi e dei d ei pascoli; trattavan trattavano o i rappo r apporti rti con la gente gente della pianura pianu ra e con quella qu ella al al di là delle montagne; ma anche con i preti che avevamo sì l'obbligo di mantenere, ma che a loro volta erano scelti scelti e «non dovevano dov evano interessarsi della della cosa pubb pu bblica lica,, ma solo so lo della cura delle d elle aanime». nime». Dopo qualche secolo venne costruita la chiesa in tronchi e il "Palazzo della Reggenza dei Sette Confederati Comuni", rustico e severo ma non sacro come il tiglio: tiglio: la "linta delle vicinie", vicinie", che vide incendi, in cendi, invasion in vasioni, i, pestilenze pestilenze ma anche balli e feste, la vita, insomma, della mia gente. Sopravvisse persino alla Grande Guerra che in piedi non aveva lasciato nemmeno una casa. Quando Quand o tornarono torn arono nel 191 1919 9 trovarono tutto tutto distrutto, ma non la nostra "linta "linta"" che, benché ferit f erita, a, in quell q uellaa primavera sopra sop ra l'odore l'odor e della morte mandava mandava il suo mormorio e il suo suo pr profumo. ofumo. Ora non n on c'è più: avevano dett d etto o che minaccia minacciava va di crollare crollare sopra sop ra le case che stavano intorno. Su quel brolo hanno costruito un condominio e siamo rimasti in pochi a ricordarla. Il fusto del tiglio è slanciato e diritto, nei luoghi freddi ho osservato che si dirama in fusti secondari; la corteccia, nei soggetti giovani, è liscia, di colore grigio-bruno; con gli anni si fessura screpolandosi in senso verti v ertical calee e assume un colore più p iù scuro. Negli Neg li esemplari isolati isolati l'impalcatura l'impalcatura dei d ei rami, che sono so no robu ro busti sti e di colore color e più carico del tronco, tro nco, non no n è molto mo lto discosta dal d al suolo suolo;; nel bosco, bo sco, invece, in vece, come in quasi tutti gli alberi, si raccoglie verso l'alto. La chioma è folta, rotondeggiante, armonicamente disposta. Le foglie, che misurano quattro per sette centimetri, sono caduche, cuoriformi, con un apice appuntito, seghettate ma liscie alla base, con le nervature ben pagina marcate, di colore verde denso, più chiare e coperte da leggera peluria nella inferiore. Ma che colore gia giall llo-d o-dorato orato ci donano don ano all'autunn all'autunno! o! «Il cerchio cerchio d'oro d'o ro del tiglio / è come un serto nuziale», dice Pasternàk in una sua poesia. I fiori sono ermafroditi, di un bel b el ccolore olore bianco-ambrat b ianco-ambrato o che la pioggia pioggia estiva estiva rende rend e luminoso; il loro peduncolo è fissato a una brattea oblunga; i sepali sono a corolla e i cinque petali contorn contornano ano numerosi stami. Fioriscono Fioriscono verso la metà metà di luglio luglio e nei giorni favorevoli favorevo li per clima clima e umidità sono sono a uno a uno perlustrati perlu strati e bottinati da miriadi di insetti. Ancora Pastern Pasternàk àk in "Un "Un viale v iale di tigli" tig li" scrive: «... Vengon Vengono o i giorni della d ella fioritura / e i tigli tigli in una un a cinta di steccati / diffondono insieme con l'ombra / un irresistibile aroma. / La gente che passeggia sotto i tigli / col cappello d'estate vi respira / questo forte odore inesplicabile, / ma famili f amiliare are all'intuito delle d elle api...»
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E tanto è profumato il miele di tiglio che non da tutti è gradito per il forte aroma. I frutti sono ovali, di circa un centimetro, legnosi; i semi contengono un olio simile per aspetto e sapore a quello dell'oliva. Il legno è bianco avorio, brillante e quasi sericeo, omogeneo e tenero; non si scheggia e per questo si può tagliare in ogni senso: più di ogni altro si presta ad essere scolpito. E poi i tarli non lo intaccano. Di legno di tiglio sono gli zoccoli olandesi, cornici intagliate, ornamenti di mobili, altorilievi. Il carbone che si ottiene da quest'albero quest'al bero è un ottimo ottimo "carboncino" per p er disegnare disegnare e, un tempo, tempo, era componente della polvere da sparo. Tra i rami più grossi e nelle biforcazioni degli alberi adulti, alle volte una macchia di verde più compatta denota la presenz pr esenzaa del "Viscum "Viscum album", caro a n noi oi ragazz ragazzi di un tempo quan q uando do con il "vischio di Cles" facevamo le panie per catturare gli uccelli. Si racconta che agli inizi del tempo la ninfa Filira, figlia di Oceano, si giacque con Crono padre di Zeus; colti sul fatto da Rea che assieme a Crono sovraintendeva al pianeta Saturno, Saturno, Crono si tramutò tramutò in stallone stallone e galoppò via. Da Filira nacque un esserino mezzo uomo e mezzo cavallo; ma poiché allattandolo le faceva ribrezzo chiese agli dei di diventare un'altra e così fu trasformata in "Philyra": tiglio. Il piccolo mostro, crescendo, divenne il saggi sag gio o centauro Chirone, che si dimostrò d imostrò pure pu re grande medico, ma questo q uesto dono gli era venuto dalla madre "Tilia" piena di virtù medicamentose date a lei in cambio del d el latte. latte. Per Plinio, invece, il tiglio è uno degli alberi felici perché dalla sua scorza messa a macero si ricavavano le lunghe fibre con cui si tessevano i nastri per legare leg are le coron cor onee dedicat ded icatee a Venere Venere e le bend b endee per fasciare le ferite dei guerrieri. Il tiglio iera anche chiamato «albero di giustizia» perché attorno ad esso si riunivano saggi a sentenziare. E se passate dalla Val Val di Fiemme non no n mancate man cate di andare and are al Parco della Pieve di Cavalese: Cav alese: ttra ra i secolari tigli, tigli, in anelli circolari, circolari, ci sono i sedili monolitici dove le autorità della valle prendevano posto durante le assemblee per amministrare la giustiz giustizia. ia. Ancora oggi o ggi l'antica opera è conosciuta con osciuta come «Banco «B anco de la Resòn». Resòn ». (Maa perché quest'anno i tigli (M tigli del mio brolo bro lo non avevano profu p rofumo? mo? Forse per l'inverno l'invern o senz sen za neve, nev e, la primavera primaver a fredda, fred da, l'estate troppo tropp o piovo p iovosa? sa? O per p er qualche causa provocata dagli uomini?)
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Il tasso. ... Talee di tasso colte mentre la luna è in eclisse... eclisse ... (SHAKESPEA (SHAKESPEARE). RE).
Sembra strano come a volte i contrapp contrapposti osti simboli simboli convivano in un solo albero. Questo è il caso del tasso ("Taxus baccata" L.) che è contemporaneamente l'albero della morte e dell'eternità. Forse perché fra f ra gli alberi alberi è considerato considerato tra i più longevi e le sue sue fronde fro nde contengono un u n veleno mortal mor tale? e? Ma chi, o oggi ggi,, va v a a cercare e cono co noscere scere il tasso? I miti, le legge leggend ndee e la venerazione che per millenni gli alberi hanno suscitato negli uomini si vanno sempre più affievolendo, perdono interesse e non sono più nemmeno curiosità. Eppure ancora qualcuno da un grosso ramo di tasso ha pensato di scolpire per me un bellissimo bastone baston e da mo montagna: ntagna: giustamente alto alto da d a poter po ter posare po sare le braccia per l'osservazione con il binocolo, giustamente leggero da non stancare nel cammino e sufficientemente forte da poter fare raspa nella discesa sui ghiaioni. Il pensionato che si diletta di scultura ha scelto il tasso per le sue qualità e bellezzza: ha polit bellez po lito o e levigato il ramo al fine f ine di far f ar risaltare il bel colore rosso r osso- brun br uno o e poi p oi con grande grand e pazienza pazienza ha intagliat intagliato o i finti f inti nodi; no di; come faceva Andrea Brustolon Brustolon per i nobili no bili veneziani veneziani o anche per sé quando q uando andava per le montagne del Cadore e nel riposo, all'ombra di un larice, si dilettava a intagliare bastoni che ora sono diventati ricercati oggetti d'antiquariato. Da noi non esistono esistono boschi b oschi di tassi, tassi, e quest' qu est'albero albero si trova sporadico spo radico tra le altre specie che vegetano dalle Alpi al mare. Ama l'ombra più densa e i posti reconditi, quasi volesse nascondersi alla vita e lentissimamente cresce per vivere moltissimo. («Studia lentamente se vuoi studiare a lungo», raccomandava raccoma ndava un u n abate della della mia terra terra a uno studioso di Padova Pado va alla alla fine del Settecento). Secondo leggende e tradizioni anche scritte, i più antichi tassi sono quelli che vivono in Scozia, valutati a oltre duemila anni d'età; ma anche sul monte Catria, negli Appennini, dove sorge l'eremo di Fonte Avellana, vi è ancora un tasso millenario con una circonferenza di quasi cinque metri e un'altezza dì quindici. Una decina di tassi contorti a portare il tempo vive in località Tadderieddu, sul Gennargentu a 1500 metri d'altitudine, e sono i relitti di una
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antica foresta. Sono arrivati sino a noi perché soggetti a un misterioso culto? Un amico lettore mi ha segnalato che in una costa scoscesa, alta sopra il mare di Liguria, dove la Dolomia del Trias erosa dalle acque assume forme fantastiche, andando un giorno alla ricerca di fossili, ha scoperto tra le cavità di una rocci ro cciaa un minuscolo minu scolo bosco di d i tassi: tassi: sono una trentina che vivono con qualche goccia d'acqua su pochissima terra e non raggiungono l'altezza di quaranta centimetri. Quando si arrampica tra quelle rocce per le sue ricerche, non manca mai di andare a visitare visitare questo miracolo della natura e un giorn giorno o portò po rtò con co n sé il moncon mo nconee di uno u no di questi q uesti alberelli spezz spezzato da una u na pietra p ietra caduta dall'alto. Giunto a casa ha voluto sezionare il tronco, lucidarlo e, con l'aiuto di una lente, contargli gli anelli: dimostrava di avere centocinquanta anni! Nell'era Nel l'era Terz Terziaria, iaria, quando quan do l'uomo non no n era er a ancora ancor a apparso appar so sulla su lla Terra Terra e stavano formandosi le grandi catene montagnose, il tasso era albero molto diffuso e si sono trovati i suoi resti fossili. fossili. Att Attualme ualmente nte in Europa occupa o ccupa un'area che va dalla Scandinavia al Mediterraneo e lo ritroviamo in Algeria a occidente e nel n el Caucaso a oriente. o riente. Il I l genere "Taxus" "Taxus" è monotipico mon otipico e le razz razze geografiche che vivono in America settentrionale e in Asia sono tutte simili alle nostre. Non è albero alber o di d i grande altezz altezza, raramente raramen te supera super a i quindici qu indici metri; certe volte si presenta come arbusto. Il tronco si ramifica a poca uscita dal suolo; la chioma è di un intenso intenso e immutabile immutabile colore colore verde verd e cupo, espansa e a corona leggermente leg germente ovale. ov ale. Il tro tronco, nco, sempre tozzo tozzo rispetto all'alte all'altezzza, ha h a la cortecc cor teccia ia di colore rossastro come pure i rami più grossi; con il passare degli anni il ritidoma si arriccia e sisecondari stacca a placche o acorti striscie. I rami principali sono grossi e alterni, i rami piuttosto e a volte penduli; i ramuli sono verdi, le gemme piccole e squamose. Le foglie assomigliano un po' a quelle dell'abete bianco: sono lineari, appiattite, un poco falcate, acuminate ma non pungenti perché tenere; sono lunghe dai quindici ai trenta millimetri e inserite a spirale tutt'intorno sui rametti; verde cupo sulla pagina superiore, più chiare e tendenti tenden ti al giall giallo o nell'i n ell'inf nferiore. eriore. I fiori f iori maschili e femminili sono portati po rtati da individui indiv idui d diversi iversi (pianta (p ianta dioica) e fioriscon fio riscono o sul su l finire dell' d ell'inver inverno no;; i fiori maschili sono numerosi in amenti gialli inseriti sotto i rami, i femminili si distinguono dalle gemme foliari per il colore che tende più al giallo che al verde. Il frutt fru tto o è un arillo arillo composto da d a una parte carnosa fatt fattaa a coppa che in autunno diventa di un bel b el rosso lac laccat cato o contenent con tenentee un seme ovoide ovo ide di colore bluastro che matura nell' n ell'ann anno. o.
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La parte carnosa del frutto è dolce e si può mangiare, contrariamente a certe convinzioni che risalgono ai Greci; anche gli uccelli ne sono ghiotti e così, siccome il seme è protetto da un tegumento, disseminano la pianta lungo le loro vie migratorie. Il legno del tasso è di grande pregio: e per il colore giall giallognolo ognolo dell d ell'al 'albur burno no e porporino porp orino del durame, e per la sua grana grana che è la più fine tra i legni d'opera e ben si presta per i lavori al tornio, di ebanisteria e di intaglio; inoltre è molto elastico e fino alla scoperta delle armi da fuoco fu oco era molto ricercato ricercato per p er costruire archi. Oggi il valore del tasso è prevalentemente decorativo nei parchi e nei giardini; ma sarebbe bello vederlo nelle alberature stradali, specialmente là dove tira il vento, e questo anche perché resiste ai parassiti, alle intemperie e alla neve. Quest'albero bello dalla lunghissima vita era dedicato alle Furie e agli dei dell'Averno; lo troviamo ancora come pianta ornamentale dei cimiteri, e in certi luoghi delle Alpi è usanza onorare le tombe dei defunti con i ramoscelli di tasso dai rossi arilli. Forse per questo è chiamato "Albero della morte", ma anche perché il veleno contenuto nelle sue foglie è ritenuto mortale. Scriveva il Mattioli nel Cinquecento «... Sono alcuni che dicono da qui chiamato il veleno tassico, che hora diciamo tossico co'l quale s'avvelenano le saette...» Per la sua qualità venefica lo troviamo citato fino dall'antichità. Teofrasto nella "Storia delle piante" dice che le sue fronde ingerite fanno morire il bestiame bestiame che non rumina. Plinio scrive che i tassi dell'Arcadia hanno in loro così potente veleno che per morire mor ire è sufficiente suf ficiente dormire dor mire o mangiare man giare alla alla loro ombra, omb ra, che ch e il fumo dellee sue frond dell fr ondee ammazz ammazza i topi, ma anche che pia p iantando ntando un chiodo di rame nel Cesare, suo legno annulla ogni effetto mortale. nelsiLibro sesto della "Guerra gallica" ci racconta che Catuvolco re degli Eburoni, sfinito dagli anni e dalla guerra, si tolse la vita con il veleno di tasso. Shakespeare nel "Macbeth" (atto terzo, scena prima) nel diabolico intruglio che stanno preparando le streghe fa mettere «... talee di tasso / colte mentre la luna è in eclisse...»; come succo tratto dal tasso è quello che nell'"Amleto" Claudio versa nell'orecchio del re per farlo morire. Ma è anche curioso notare come il nostro Mattioli nei suoi "Discorsi" asserisca che gli uccelli che si cibano dei frutti del tasso diventano neri; (A questo punto mi permetto di aggiungere una mia piccola osservazione: i merli nati nell'a nell'anno nno,, in autunno tendono ancora al marron marronee ed è sul principio dell'inverno che diventano tutti neri, completando la muta, e i merli, come
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tutti i turdidi, sono molto ghiotti di arilli di tasso). I pastori delle valli delle Alpi occidentali dicono anche che il morso delle vipere viene neutralizzato applicandoci sopra foglie di tasso ben pestate.
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Il frassino. ...Il cervo cerv o lo morde in alto / ai la lati ti marcisce ma rcisce / lo addenta Nìdhhörgg Nìdhhörggrr in basso basso (Snorri Sturluson)
Vicino alle vecchie case, a Levante, c'era sempre un frassino. Qualcuno è sopravvissuto anche alla Grande Guerra e ora allarga i suoi rami sui tetti e sui prati pr ati intor intorno no.. I tordi tord i e le cesene cesene che si s i cibano dei d ei suoi fru f rutti tti hanno distribuito distribu ito i semi nei boschi dove vanno a posare di notte e tra gli abeti e i faggi, i giovani gi ovani ffrassini rassini stanno stanno ridando al bosco quell'aspett quell'aspetto o che certamente certamente avrà avuto un tempo lontano. Anche nell'orto nell'orto della vecchia vecchia casa casa mio mio nonn n onno, o, quando qu ando rit r itorn ornò ò per ricostruirla, volle piantare un frassino al posto di quello ucciso dalle granate. Ma non era grande e i due pioppi che stavano agli angoli dell'orto ben presto lo sovrasta sovr astaron rono. o. Io I o aspettavo aspettavo che crescesse crescesse e ogni anno gli misuravo misuravo il tronco tronco perchéé volevo perch vo levo fare f are tavole da d a sci. Quan Quando do tornai torn ai dalla mia guerr guerraa non no n trovai tro vai più quel qu el frassino e ora or a dove do ve mia madre madr e andava and ava a raccogliere le dalie ci ci sono son o le automobili in parcheggio. Sarà per tutto questo che a nord dell'orto dell'orto ho h o voluto vo luto piantare piantare anch'io un giovane gi ovane ffrassi rassino no che ho levato levato dal d al bosco? E' alto e diritto, flessibile al vento e alla neve, e solo adesso incomincia ad allungare i rami che dalle piccole gemme nere gli erano spuntati. Non lo vedrò allargare i suoi rami verso il tetto, e ora che gli sci si fabbricano con le resine sintet sintetiche iche e fibre di carbonio, i miei miei nipoti non avranno bisogno di di immaginare tavole dal suo tronco. Crescerà. Crescerà da diventare come i vecchi frassini secolari accostati alle antiche e piccole case? Mi chiedo questo perché sempre più ardua è diventata la vita degli alberi, ora che gli uomini si manifestano insensibili verso il mondo vegetale. Ma quest'usanza di avere un frassino accanto alla casa viene forse dai tempi remotissimi remotis simi quando si credeva che da quest'a q uest'albero lbero disc d iscendessero endessero gli umani. Il genere "Fraxinus" ap partiene famigli delle "Oleacee"; "Oleacee "; di questo q uesto genere si conoscono conoscon o una settant setappartiene tantina ina di speci spalla ecieefamiglia che siatrovano trov ano esclusivamente esclusivamente nell'emisfero settentrionale.
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Veget egetano ano dal Mediterran Mediterraneo eo alla Norvegi Norv egiaa e, sulle su lle nostre montag mon tagne, ne, li incontriamo sino a millecinquecento metri d'altitudine. Possono raggiungere i trenta- quaranta metri d'altezza e un diametro di tre, quattro metri. Ma se ne conoscono di più maestosi, con secoli di vita, specialmente nei Paesi a nord delle Alpi. Il tronco è slanciato, non molto ramificato; negli alberi cresciuti isolati la corona è ampia e densa. Da giovane la sua corteccia è liscia, di colore olivastro, con gli anni diventa grigia, rugosa e fessurata. (Come con l'età gli gli umani assomigliano assomigliano agli alberi!) alberi!) Le foglie sono decidue, composte da nove o più foglioline sessili, lanceolate, ai bordi leggermente seghettate, di colore verde scuro e glabre nella parte superiore, più pallide nella pagina inferiore. Le gemme sono vellutat vell utatee e scure, quasi qu asi nere come carbo carboncini. ncini. I fiori si sviluppano prima delle foglie, tendono al colore violetto e sono riuniti in racemi. I frutti che contengono i semi già pronti a germinare, sono formati da samare allungate di due, quattro centimetri; munite di un'ala apicale nell'inverno o in primavera pr imavera vengono ven gono disseminate dal vento ven to o dagli uccelli. uccelli. Il legno del d el frassino è bianco-rosato con riflessi madreperlacei; viene usato per manici di attrezzi da lavoro o da d a sport, per p er costruire mobili, carri, carri, recipienti. recipienti. Dai Dai tronchi grossi e diritti si ricava un bel tavolame e dai pedali marezzati un pregiato «ebano grigio». grig io». Le Le foglie dei frassini frassini sono son o anche un buon buo n foraggio foraggio sia verde verd e che secco; messe in infuso nell'acqua bollente curano i reumatismi e sono diuretiche; la corteccia veniva usata per conciare le pelli, ma anche per abbassare la febbre perché, come quella del salice, contiene salicilina. Dell De llaa specie "Fraxi "Fraxinus nus ornu o rnus", s", l'orn l'orniel iello, lo, si ha una un a buona buo na produ pr oduzzione di manna: un essudato giallastro che stilla dalle ferite del tronco e che a contatto dell dell'aria 'aria diventa bianco biacqua nco eedsièrapprende. rapprend Ha Ha un gustoe morbido morb idopurga e dolce, sciogli sci oglie e bene nell'acqua nell'a u un n buon b uone.rinfrescante blando blando pur gante. nte. si Un tempo se ne faceva un grande uso, tanto che a Venezia se ne consumavano miglia migliaia ia di libbre prov p rovenienti enienti dall'It dall'Itali aliaa del Sud con una spesa di ventimila ducati annui. Il Senato pensò allora di poter ricavare la manna dai boschi entro i confini dell d ellaa Repubblica e su consig con sigli lio o di d i un frate, Francesco da Cosenza, nel 1769 decretò «intangibili» persino ai privati prop pr oprietari rietari tutti i frassin frassini-or i-orni ni della d ella Dalmaz Dalmazia ia e di appalta app altare re la raccolta, stabilendo i prez p rezzzi. Ma la cosa non ebbe buon esito e nel 1790, con altro decreto ritornò ognuno in piena libertà libertà di estrarre la manna manna d dai ai boschi anche pubblic pub blicii e di venderla al miglior offerente (Adolfo di Bérenger, "Archeologia forestale"). I migli mig liori ori frassi fr assini ni da manna mann a si trovano in pro provincia vincia di Palermo Palermo perché p erché vi sono
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lì le particolari condiz cond izioni ioni di d i clima, clima, di d i precipitazioni precipitazioni e di d i fertilità fertilità del suolo; su olo; si ha, inoltre, un periodo vegetativo lungo, luminoso e relativamente asciutto. Durante l'est l'estate ate e ogni giorn giorno, o, con una parti p articolare colare tecnica tecnica in in modo da non no n offendere eccessivamente l'albero, vengono praticate sul tronco delle incisioni orizzontali da dove poi la linfa discende e rapidamente si rapprende in manna, così da essere raccolta. Ma se quel giorno dovesse piovere il prod pr odotto otto viene v iene disciolto! Anche il frassino era per i Greci «albero felice»; lo avevano consacrato a Nemesi e alle ninfe Melìe Melìe,, nate n ate dal sangue di Urano. Ma nei loro miti più remoti facevano facevano discendere discendere dal d al frassino, frassino, da cui caddero come frutt fru ttaa matura, gli uomini della terza stirpe, quella degli antichi invasori elleni allevatori di bestiame, che portavano po rtavano armi di bron b ronzzo, insolenti in solenti e spietati che che al frassino fr assino dedicavano il loro culto. Esiodo, in "Opere e giorni", ci ha lasciato scritto: «... Zeus padre una terza stirpe di gente mortale / fece, di bronzo, in nulla simile a quella d'argento, / nata da frassini, potente e terribile: loro di Ares / avevano care le opere dolorose e la violenza, né pane / mangiavano, ma d'adamante avevano l'intrepido l'intrepido cuore,...» Ma è in un luogo molto lontano, lassù lassù nel n el Nord Nord dell'E dell'Euro uropa pa dove do ve gli dei tengono teng ono consiglio consiglio ogni giorno, che esiste esiste un frassino parti p articolare colare e unico: "Yggdrasill", l'albero del destino. Si innalza nel cielo a sorreggere l'universo e i suoi rami si espandono su tutta la terra. E' sostenuto da tre radici: una finisce nel mondo della morte, "Hel", l'altra nel mondo dei Giganti del ghiaccio, "Mìmir", la terza nella terra degli "Asi". Accanto al «primo degli alberi» si trova la fonte di "Urdhr", dove le Norme determinano il destino degli uomini e spruzzano fango perch perché é non no n dissecchi: d issecchi: «... «... d'acque di d i lì proviene proeviene la bianco rugia ru giada dail/frassino che cade cad e"Yggdrasill" nella valle». valle». La sibilla della Völuspà ricordava quest'albero prima ancora che fosse, prima pr ima che si alzasse alzasse dal suolo, suo lo, e q quan uando do appare app are nella sua pienez p ienezzza già incomincia la decadenza perché i cervi ne mangiano le foglie e un serpente le radici. Canta Snorri Sturluson nell'"Edda": «Il frassino Yggdrasill / patisce pene / più di quanto qu anto si sappia sap pia / il cervo lo mor morde de in alto / ai lati marcisce marcisce / lo addenta Nìdhh Nìdhhöggr öggr in basso». Questo frassino gigante, stipite e colonna dell'universo, con gli elementi del mito diventa simbolo dei tanti mortali pericoli incombenti e provenienti da incontrollato sviluppo tecnologico che rode le radici stesse della vita e ne intorbida le fonti fon ti..
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La betulla. betulla. ... o se seno no di fanciulla fanciulla,, ve verde rde capigliatura capigliat ura (S. ESENIN).
Da ragazzo, nel mondo vegetale, non erano le betulle ad attirare la mia attenzione; i larici e i grandi abeti erano gli alberi che mi affascinavano e, tra gli arbusti, il salicone e il maggiociondolo quelli che ricercavo ai margini dei pascoli per ricavare forcelle f orcelle per il tirasassi e aste per l'arco e le fr frecce ecce dei nostri giochi. Delle betulle non capivo la bellezza; vicino a loro giocavamo in primavera pr imavera quando qu ando scioglieva scioglieva la neve, nev e, senza alz alzare gli occhi ai loro rami r ami celestiali. E l'uso dei nostri antichi, che a maggio manifestavano il loro amore alle ragazzze del villa ragaz v illaggi ggio o con co n rami di betulla b etulla appena sbocciat sbo cciatii posti po sti davanti davan ti agli agli usci delle loro case, si è perduto a contatto con la civiltà mediterranea. "Beth", "B eth", la betulla, ndei el "Ca "Calendario lendario erasuo la simbolo prima pr ima delle tredici specie e apriva l'annonel tredici mesi degli della alberi", luna, e il aveva il tempo tra il 24 dicembre e il 21 gennaio: albero cosmico e luminoso che indicava la risalita del sole nell'arco del cielo. Con gli ontani forma fo rma la famiglia delle "B "Betulacee" etulacee" e i botanici bo tanici ne conoscono conoscon o quaranta q uaranta specie specie che vivono vivon o tutte nell nell'emi 'emisfero sfero boreale b oreale.. Da noi due du e sono le betulle più conosciute: la "Betula verrucosa", più nota come betulla bianca o pendu pen dula, la, e la "Betula "Betula pubescens", pub escens", betulla pelosa, in Italia abbastanza abbastanza rara ma che copre vastissime aree nel Settentrione d'Europa. Una varietà particolare della verruco verr ucosa sa è la "Aetnensis", "Aetnensis", endemica end emica dell'Etna, dell'Etna, che trov tr oviamo iamo a 2700 metri di quota: estremo limite vegetativo di questa famiglia verso il Sud. Se da noi la betulla, rimasta al di qua delle Alpi dopo l'ultimo periodo glaciale, è albero solitario o a piccoli gruppi forma allegre macchie chiare nei boschi bo schi misti, oltre le montag mon tagne, ne, su verso il Grand Grandee Nord, Nord , quest'al qu est'albero bero forma fo rma estesissime foreste perché, più di ogni altro, sopporta i grandi geli e gli sbalzi termici. Sono alberi monoici, a foglie caduche; gli amenti maschili o gattici, appaiono tra l'estate e l'autunno; hanno forma cilindrica allungata ma si aprono apron o la primavera successiva successiva quando compaiono i fiori femminili che sono gracili e lievi. I semi maturano tra luglio e ottobre ed è con la neve che cince e lucherini vanno tra i rami delle betulle per beccare i piccoli semi per
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nutrirsi. (Mai ne avevo visto così tanti sulle quattro betulle del mio brolo come lo scorso inverno). La betulla può raggiungere e superare i venti metri d'altezza, ma non è molto longeva rispetto agli altri alberi perché a cento anni è da considerarsi già vecchia. Il fusto è cilindrico ed elastico, ma quando la neve o il vento lo spezzano può anche ramificarsi; la corteccia è sottile, bianco argento, e il suo colore è dovuto a una sostanza, la "betulina", che impregna il ritidoma; qualche striscia orizzontale più scura può interrompere il bianco e, verso la base, nelle n elle piante adulte, si ispessisce e si screpola assumen assumendo do un colore color e giallastro. I rami principali, tendenti verso l'alto, e i rami piccoli penduli, dànno dànn o alla betulla quell'immagine quell'immagine gentile, elegante elegante e leggera. leggera. Dalle sue gemme viscose le api raccolgono un liquido gommoso per comporre la propoli: quella specie di resina da loro arricchita di enzimi e forse antibiotici che usano per rivestire all'interno le loro case (e che in soluzione alcolica io uso per disinfettare e fare cicatrizzare in fretta le piccole ferite). Le foglie sono di un colore denso e brillante nella pagina superiore, più tenue e un u n poco p oco attaccati attaccaticce cce sul rovescio; ro vescio; hanno forma for ma rombo ro mboidale idale acuta, seghettate lungo i bordi più lunghi, e sono inoltre cibo ricercato da molti insetti che, in certi anni, riescono a denudare le ultime crescite dei rami. Le radici della betulla sono piuttosto superficiali, ramificate. Dalle mie parti, quando quand o c'era carenz carenzaa di funi, fun i, venivano usate come strop stroppo. po. Il legno legno è omogeneo, elastico e docile alla lavorazione, di colore bianco avorio e senza distinzione tra durame e alburno; ma prima della messa in opera deve essere ben stagion stagionato ato perché perch é soggetto soggetto a forte f orte retratti r etrattilit lità. à. Ed è peccato che sia anche soggetto al tarlo! Sin dai tempi più remoti è usato e apprezzato perdaparticolari cornici, pertornio. carrozze navi, mobili, bastoni passeggio,lavori: oggetti vari daornamenti ricavarsi al Neie Paesi nordici la parte basale del tronco, il colletto, è molto ricercata per cavarne mobili mob ili di particolare belle b ellezzza. Serve anche nella preparazione di compensati resistenti e leggeri, ancora oggi usati usati nell'industria nell'industria aeron aeronautic autica, a, e per fabbricare sci da fondo fon do per nevi n evi secche. (Ancora conservo, accanto a quelli di materiale plastico forti e sottili, i miei vecchi sci di betulla come caro cimelio e magari un giorno di particolare malinconia malincon ia ci inf infilerò ilerò i piedi per p er ritrovare ritro vare la giovinez giovin ezzza). In In Russia, dal legno di betulla, sono anche ricavati bicchieri, vasi, mestoli, tazze, cucchiai e quelle qu elle bellissime bellissime scatole laccate laccate e mirabilmente dipinte dai d ai famosi grandi artigiani di Palech. Dalla corteccia, ricca di tannino e di betulina, si ottiene da tempo immemorabile quella particolare concia per pelli che dà a
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queste il celebre profumo cuoio di Russia; ma ancora, dalla corteccia immarcescibile, impermeabile e coibente, si ricavavano calzature, coperture per capanne capann e e per pavimenti, p avimenti, borse bo rse per p er il tabacco, stuoie, stuo ie, piroghe. piro ghe. In tempo di carestia, è successo anche durante la Seconda Guerra mondiale, si macinava la scorza delle giovani betulle per ottenere una farina da pane. Albero generoso: dalle sue foglie opportunamente trattate con allume si ottiene un colorante verde, bollite con creta dànno una tintura gialla per la lana. E in primavera, praticando praticando un piccolo piccolo foro f oro al piede del tron tronco co e introducendo in questo un cavicchio, si fa colare a goccia a goccia la linfa che ha grandi virtù terapeutiche. Le ragazze usano questa linfa per dare ai capelli capel li un bel colore ambrato o biondo-r biond o-rosso; osso; fermentandola fermentandola si otti ottiene ene una bevanda bevan da leggermente leggermente alcolica e spumeggiante. Le popolazioni del Nord euroasiatico amano quest'albero più di ogni altro. Lo divinizzano, anche; e per gli sciamani durante le loro manifestazioni divinatorie, è la scala per il cielo. La "beriòza" è simbolo e soggetto d'amore in tante canzoni popolari e per Sergej Esenin, il poeta arcangelo-contadino che passò attraverso il bene e il male dell'esistenz dell'esistenzaa per lasciarci lasciarci un dolce do lce messaggio, messaggio, la betulla è l'albero fanciullo, l'albero-amore: «... Solleva la tua brocca, o luna calma, / ad attingere atti ngere latte latte di d i betulla...» b etulla...» «... O seno di fanciulla, / verde capigliatura, / perché guardi, o betulla, / la pozzzanghera scura?» po scu ra?» «... Il vento-giovinetto sino alle spalle / ha sollevato la veste della betulla».
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Il sorbo. Teneva lontani i fulmini, gli spiriti malefici e le streghe.
In questi giorni, dopo la pioggia che ha pure rinfrescato i prati sfalciati, i rami dei sorbi dell'uccellatore s'incurvano sotto il peso dei frutti. Da qualche anno non li vedevo così abbondanti abbon danti e belli, belli, e se se continua questo caldo, caldo, nel trascorr trasc orrere ere di una un a settima settimana, na, li vedrò prendere prend ere colore: prima quelli sui rami esposti espos ti a mezz mezzogiorno ogiorn o e poi po i via via v ia gli gli altri. Sul finire d'ag d 'agosto osto diventeranno di rosso lacca lacca e poi quei qu ei grappo grappoli li vistosi vistosi sui rami che si vanno spogliando delle foglie saranno irresistibile richiamo agli uccelli che scenderanno affamati dai paesi del Nord. Come in quell'invern quell'i nverno o del 1946 1946-47 -47 quando i bellissi bellissimi mi beccofrusoni beccofruson i sembravano fiori gentili e vivi tra i rami innevati. (C'erano ancora, tra le case del paese, gli orti conDal glilealberi alfinestre beri di "Sorbus "Sorb us aucuparia" aucup !) o li vedevo inghiottire avidamente le Dalle dell'U d ell'Ufficio fficio delaria"!) Catasto Catast bacche rosse ro sse e il loro compo co mportamento rtamento distogli d istoglieva eva la mia attenzi attenzion onee dai registri polvero po lverosi. si. Se alzando alzandomi mi dal tavolo e mi avvicinavo alla finestra e da dietro i vetri ricamati dal ghiaccio mi soffermavo a osservarli, la mia presenza non li distogli distog lieva eva dal loro past p asto. o. In I n breve b reve tempo il sorbo su cui erano posati restava restava spoglio di bacche; quindi se ne stavano immobili, ingozzati, e dopo aver scorporato sulla neve che diventava rossa s'involavano su un altro sorbo per continuare il pasto: pasto: erano come una u na nuvola nu vola colorata di giall giallo, o, rosso, r osso, bianco b ianco e nero, e seguivo immagato i loro movimenti e il ciuffo pastello che rizzavano sul capo. Erano come li vedeva Borìs Pasternàk in Siberia nel 1919 «... Gli uccelli invernali dalle penne chiare come le aurore di gelo, fringuelli e cingallegre, venivano a posarsi sul sorbo, beccavano lentamente, scegliendole, le bacche più grosse e, sollevando i capini, allungando in collo, le inghiottivano faticosamente. Fra gli uccelli e l'albero si era stabilita una sorta di viva intimità. Come se il sorbo capisse capisse e, dopo dop o aver resistit resistito o a lungo, lun go, si arrendesse, cedendo cedendo impietosit impie tosito, o, e sbottonandosi sb ottonandosi desse d esse loro loro il seno, seno, come una madre al neonato: neon ato: "Che posso fare per voi! Ma sì, mangiatemi pure. Nutritevi". E sorrideva» ("Il dottor Zivago"). Chissà se ritorneranno anche quest'anno, che si preannuncia pr eannuncia così ricco ricco di di bacche; ma se non i beccofroso beccofr osoni ni arriverann arr iveranno o certamente a nutrirsi nu trirsi cesene,
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pepp ole, tordi peppole, tor di e ciuffolotti. ciuff olotti. Era questa una un a ragione per p er cui accanto alle contrade, se non no n accosto a ogni casa di montag mon tagna, na, c'erano sempre alberi di sorbo: attirati dai rossi frutti alle soglie dell'inverno arrivavano immancabilmente gli uccelli frugivori, ed era facile così catturarli, o con il fucile o con le trappole o con il vischio. E se questa usanza oggi ci può apparire come cosa barbara, occorre per p er capirla rifarsi rifarsi a quei tempi quando pochi po chi erano i denari, denar i, rara la carne carn e e arretrata la fame: una teglia di uccell uccellii con tanta polenta era festa per tutti. Ma noi, ragazzi di paese, con le bacche di sorbo, che seppure acidule e aspre molte volte mangiavamo, facevamo anche giochi. Dopo aver vuotato un ramo di d i sambuco usavamo questo q uesto come cerbottana cerbottana per lanciarci lanciarci a tutto tutto fiato le bacche di cui prima, arrampicati sugli alberi, ci eravamo riempite le tasche dei calzoncini. Le ragazze, invece, le usavano come granate per farsi bracci br accialet aletti ti e collane. Ed Ed erano er ano affascinanti con qu quei ei monili attorno ai polsi e al collo. Al genere "Sorbus", della grande famiglia delle "Rosacee", appartengono oltre cento specie, e tutte, anche queste, sono distribuite nell'emisfero boreale. bo reale. In Europ ur opaa partono parton o dall'a d all'area rea mediterranea mediterran ea per arrivare arr ivare fino fin o alla gelida gelida Islanda e sulle nostre montagne si spingono fino ai limiti della vegetazione arborea. Sono alberi di media grandezza, alti dai quindici ai venti metri e che posson po ssono o ragg r aggiungere iungere i cinquanta cinq uanta centimetri di diametro. Qualche Qu alche volta vo lta assumono anche anch e la forma arbustiva. Il domestico domestico può arrivare anche a cinqu cinquee secoli di vita, meno le altre specie. Si adatta ai climi più diversi e cresce spontaneo sia tra i boschi di latifoglie che di aghifoglie; nelle radure e sulle pendici pend ici dei monti. Ama i posti po sti solatii, solatii, ma il "Sorbus "Sorb us aucupar au cuparia" ia" cresce bene anche all'ombra. snello, cilindrico, la chioma piuttosto rada è e slanciata là dove Il le fusto pianteè sono accostate ad altre; più arrotondata, larga densa nei sogge so ggetti tti isolati. isolati. La La cortecc cor teccia ia è grigiogrigio-cenere, cenere, lucente lu cente e liscia, liscia, con il tempo si scurisce e si screpola lungitudinalmente verso il pedale. I rami sono un poco più scuri del d el tron tronco, co, elastic elasticii nel sopportare soppo rtare il peso dell d ellaa neve e l'abbondanza dei frutti; i ramuli sono invece pelosi, le gemme scagliose e cigliate. Le radici sono estese, le barbe si allungano in distanza e il fittone nel profo pr ofond ndo o del d el suolo. suolo . Non tutte le foglie delle delle varie specie sp ecie di sorbo sorb o so sono no uguali: quelle del "Ciavardello" ("Sorbus terminalis") e del "Farinaccio" ("Sorbus aria") si assomigliano perché picciolate e ovali, con lobi più seghettati seghetta ti nel "Ciavard "Ciavardello"; ello"; quelle qu elle del "Sorbo "Sorb o degli uccellatori" uccellatori" sono son o composte con foglioline imparipennate, pelose da giovani, lanceolate. Il legno leg no del sorbo per la sua finissima finissima grana, si presta molto molto bene a lavori di
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tornitura, e lo apprezzano gli artigiani di montagna che nei lunghi inverni, con abilità e pazienza, ricavano oggetti per uso domestico di un bel colore naturale che tende tende al rosso. ro sso. Ma pure per le sue qualità viene usato dagli incisori per xilografie (legno di testa, tagliato traversalmente le fibre); dai liutai per fabbricare strumenti musicali; ma anche, un tempo, per fare congegni per macchine. Il Mattioli, nei suoi "Discorsi" parlando dei sorbi scrive: «... Fa i fiori a zecche ecche quasi qu asi come come ombrell omb relle, e, onde ond e nascono i frutti, i quali da un solo so lo nascimento nasci mento tirano tirano i pic p icciuoli ciuoli... ... le sorbe quando qu ando sono ancora rosse, e non sono mature, tagliate e seccate al sole, mangiandole restringono il corpo. Macinate al molino e mangiate a modo di polenta, fanno il medesimo effetto. Il che fa ancora ancor a la decottione decottione loro bevuta. Sono Son o assai più n nell ellee medicine medicine che nei cibi cibi convenevoli. conv enevoli. Le Le tavole del sorbo per p er essere ben dure, du re, e ben salde, salde, s'usano per fare tavoli da mangiare, e per altre cose durevoli». Nel celti celtico co "Calendario degli d egli alberi" al sorbo sorb o era er a dedicato il secondo second o mese che va dal 22 gennaio al 17 febbraio: il mese della luce; e Plinio lo poneva tra gli alberi felici per il colore dei suoi frutti. Ed è bello e luminoso albero, e bene sarebbe sar ebbe che ch e nelle alberature delle d elle strade strade ci fossero fo ssero più sorbi sor bi a rallegrare gli occhi degli uomini e a saziare la fame degli uccelli. Gli antichi abitatori dell'Europa del Nord dicevano che l'albero di sorbo piantato accosto alle case e alle alle stalle stalle teneva lontani lon tani i fulmini, gli spiriti malefic mal eficii e le streghe; streghe; con con un ramoscello ramoscello forcuto fo rcuto di d i sorbo i rabdomanti rabdo manti cercavano i metalli nel sottosuolo. I contadini della Boemia distillando le bacche ben b en mature matur e ottengono ottengon o una u na grappa grap pa molto mo lto secca e profu pro fumata. mata. Ma fu un giorno d'autunno che in Val Gardena rimasi incantato da un sorbo dell'uccellatore forse antico quantorosso-lacca la casa a cui era addossato: sul muro bianco dai balconi scuri i grappoli rosso-lacc a creavano un meraviglioso gioco di luci che rallegrava la contrada.
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Il castagno. Sogno Sog no dei nostri ssoldati oldati affama affamati ti di cibo e di casa.
La montagna dove so sono no nato e vivo non è montagna da castag castagni; ni; l'altitudine, il clima l'altitudine, clima piuttosto piu ttosto continentale con tinentale con alti sbalzi sbalzi termici e il terren terreno o fortemente calcareo non ne consentono la vegetazione. Ma ora che ci penso e mi viene l'occasi l'occasione one di d i parlarne, forse un u n paio p aio di castag cast agni ni avrei dovuto do vuto impiantarli impiantarli nel mio mio brolo; b rolo; forse, quest qu est'anno, 'anno, avrebbero potuto po tuto dare d are frutti fr utti per i nipoti. n ipoti. Se lungo lu ngo il viale dell'Asilo dell'Asilo della nostra no stra infanz infan zia c'erano c'e rano grandi ippocastani ippocastani che a fine f ine ottobre facevano i loro marroni matti per i nostri nostr i giochi, anche le castagne sarebbero sarebber o potute p otute maturare. matur are. Ma perché i no nostri stri avi non hanno h anno mai provveduto provv eduto a pianta p iantare re castag castagni? ni? Forse perché erano scesi dal lontano Nord e lassù altri erano gli alberi a cui erano legati? Ma ai ci piedi delle nostre montagne, sia verso la pianura veneta che verso il Tirolo, sono ancora antichi castagneti. E ora i propriet prop rietari ari per difendersi dai cittadini cittadini,, che non no n sanno sann o quell q uello o che dovrebbero, hanno messo dei cartelli con su scritto: PRENDERE LE CASTAGNE E' FURTO. Non ho trovato, o non conosco, miti legati alle castagne, anche se nell'antichità ne hanno scritto Teofrasto, Plinio, Ovidio e altri autori. Secondo la tradizione più remota quest'albero è originario dal Monte Timolo nei pressi di Sardi, città della Lidia, un tempo famosa per i suoi boschi, bo schi, e da d a lì venne venn e trapiantato in Ellade Ellade dov d ovee i suoi suo i frutti fru tti erano erano chiamati "ghiande sardiane" o anche "ghiande di Giove", «Quasi a dirle dono di prov pr ovviden videnzza» scrive Adolfo di Bérenger, Bérenger, nella sua "Archeologia forestale" fo restale".. I Greci e gli Italici, che da Saturno avevano appreso l'arte d'innestare gli alberi per avere frutti migl migliori iori e abbondanti, abbon danti, furono furo no forse i primi p rimi a mangia mangiare re i «marroni». Plinio ci racconta r acconta che a Corellio di d i Ateste, Ateste, ai piedi dei d ei Colli Euganei, Euganei, venne l'idea di innestare un castagno selvatico con una marza staccata dallo stesso ste sso albero, e in questo q uesto modo ebbe castagne castagne abbondanti abbond anti e grosse grosse che in suo onore ono re vennero venn ero chiamate chiamate «corelli «corelliane» ane»;; dopo dop o di d i lui un suo su o liberto di nome no me Eterejo ritornò a incalmare lo stesso albero e le castagne migliorarono in sapore. E sempre il Bérenger scrive «... Così l'accidente e il capriccio stesso dei coltivatori coltivatori avrebbero prod p rodotto otto dappoi dapp oi altri altri diversi modi d'innest d'inn esto». o».
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Nel Cinqu Cinquecento ecento il nostro no stro Mattioli Mattioli scriveva nei suoi su oi "Discorsi a propo pro posito" sito" delle castagne: «... la polpa loro mangiata, è utile a chi avesse bevuto quel veleno che si dimanda ephemero. Ristagnano le castagne, e massime le secche, valentemente i flussi stomacali, e del corpo; e vagliono a gli sputi del sangue. Peste con mele (miele) e con sale, s'applicano utilmente in sul morso del can rabbioso. Risolvono la durezza delle mammelle, impiastratevi suso con aceto e farina d'orzo...» Dalle "Epistole" Dalle "Epistole" del Matti Mattioli oli si apprend app rendee anche che a Costantinop Co stantinopoli oli si trovano delle castagne che si chiamano cavalline «... per giovar elle à i cavalli bolsi, bo lsi, e che tossiscono tossiscon o date d ate loro à mangiare» man giare».. (Ecco perché perch é il nome dell'"ippocastano"). Un castagno è anche l'albero più famoso e forse più vecchio d'Italia: in Comune di Trecastagni, sulle pendici dell'Etna, vive forse da più di tremila anni il «Castagno dei Cento Cavalli». Sotto i suoi rami, durante un temporale trovarono trovaron o rifugi r ifugio o Giovanna d'Aragona d'Aragona e i suoi cento cavalieri cavalieri che l'accompagnavano a una gita sull'Etna. I tre castagni che dànno il nome al paese hanno han no rispettivamente la circonferenza circonfer enza di dodici, dod ici, venti e ven ventidue tidue metri e un'altezza di venti. La tradizione dice che un tempo, fino a qualche secolo fa, i tre castagni castagni era erano no un unico albero di oltre cinquanta metri di circonferenza, e dentro di esso erano scavate una casetta e una rientranza dovee trovavano rifugi dov r ifugio o un u n pastore con il suo gregge. gregge. E c'era persino un forno che era alimentato con la legna levata dal tronco per ingrandire ingrand ire il ricovero. ricovero . Ma Ma questa qu esta rimane solo una un a leggenda leggenda e i tre immensi e plurimillenari castagni derivano forse da tre polloni sviluppatisi da un tronco tro nco preesi p reesiste stente. nte. (Come è effimero effimero il nostro tempo n nel el conf confron ronto to di questi qu esti patriarchi vegetali!) vegetalicosì !) Ilnon castagno ap partiene alla famiglia famigli a delle "Cupolifere", chiamate per laappartiene forma della loro chioma, come potrebb po trebbee sembrare, sembrar e, ma per quella qu ella dell'invo dell'involucro lucro che racchiude racchiu de il frutto. fru tto. E' un albero di grande sviluppo che qualche volta può raggiungere raggiungere i trentacinque metri d'altezza. La sua longevità, come abbiamo visto, è eccezionale; e il suo portamento maestoso. Le radici si espandono robuste anche se non profonde. Il fusto è diritto, ma certe volte a breve altezza del suolo si dirama d irama in in robu r obuste ste branche. I rami sono grossi, i ramuli irregola irregolari ri e vigorosi; le gemme sono lisce e tozze, di colore bruno. La corteccia è rosso brun br unaa e liscia liscia nelle piante giovani per p er poi po i diventare grigiastra, rugosa rugo sa e screpolata profondamente con andamento a spirale. La chioma ampia e rotondeggiante ben si distingue anche tra gli alberi di altre specie. Le foglie sono semplici, alterne, con breve picciolo e alla base due membrane che
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pr esto cadono; presto cadon o; lanceolate, lanceolate, lunghe lungh e dieci- venti ven ti centi centimetri metri e larghe da quattro q uattro a otto, dentate in in corrispondenz corrispon denzaa delle singole singole nervature. Il loro colore è verde verd e cupo, lucide e lisce nella pagina superiore, più pallide e quasi tendenti al giall gi allo o nell n ellaa inferiore dove do ve le nervature sono so no in rilievo. rilievo. In giugno giugno sullo stesso stesso albero appaiono sia i fiori maschili che i femminili in amenti lunghi anche venti centimetri, i maschili, e alla base di questi q uesti le infior infiorescenz escenzee femminili destinate a formare la «cupola» o riccio. Dai fiori di castagno le api raccolgono abbondante polline e nettare, e questo miele miele prend prendee quel sapore caratterist caratteristico ico e un po' p o' amarognolo che non n on a tutti piace. E dentro il riccio, in autunno, gli acheni, le castagne, che tutti conosciamo, in numero nu mero variabile da uno a tre. Sono molte llee varietà varietà di quest'albero, forse centinaia, e a Firenze, presso la Stazione Sperimentale di Selvicoltura abbiamo il Centro Studi del Castagno che ha il compito di studiare incroci e la lotta contro i parassiti, animali e vegetali, che attaccano i castagneti. L'areale originale di questa pianta è, si può dire, quello dell'antica civiltà mediterranea, ma poi da qui il castagno è stato diffuso fin dove è po ssibile la sua vita. Ama il sole e i terren possibile terrenii acidi, le colline colline e i fianchi fianch i delle montagne fino ai mille metri; vegeta, grosso modo, da sopra la zona dell'ulivo fino a quella q uella del faggio, faggio, e può pu ò formare f ormare boschi bo schi puri o misti misti con altre latifoglie. In Ital I talia ia i boschi di castagno castagno erano i più d diffusi iffusi d'Euro d'Europa pa e davano una prov pr ovvigione vigione annu an nuaa di quasi q uasi un milion milionee di metri cubi cub i di legname che veniva ven iva utilizzato in vari modi: tavolame, travature, doghe per botti, pali per miniere e linee telefon telefoniche iche e telegrafiche; telegrafiche; dal legname legname d dii castagno castagno veniva ven iva estratto anche anch e il tannino. Vale ben poco, invece, come legna combustibile perché brucia malMa male e e produce pro ducedipoco po co calore. benedetto erano «pane quotidiano» in molte i frutti quest'albero valli delle montagne dal d al Caucaso alla Spagna; cibo cibo rituale alla Sera dei Mor Morti ti e nel giorno giorno dedicato dedicato a San Martino, Martino, abbinandole abbinando le al al vino nuovo nu ovo.. E sogno dei nostri soldati affamati di cibo e di casa sui fronti lontani di guerra e nei campi di prigionia, come testimoniano molte lettere che scrivevano a casa.
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La quercia. Persino i soldati di Cesare, in Gallia, avevano timore di affrontarne il taglio.
Il genere "Quercus" nella famiglia delle "Cupolifere" è il più numeroso: sono più o meno trecento trecento le varie specie. specie. In E Euro uropa pa le trov troviamo iamo quasi ovunque: sulle montagne nelle zone calde, nella pianura in quelle più fredde. Le più note da noi sono la "Farnia" (che ha numerose razze ecologiche o climatiche), clima tiche), il "Rovere", "Rov ere", il "Leccio", "Leccio", la "Roverella" "Rov erella",, il "Farnetto", "Far netto", la "Sughera", il "Cerro", la "Vallonea" "Vallonea" maestosa e la cespugliosa "Quercia "Q uercia spinosa" sulla quale vive una coccinigli coccinigliaa che serviva per preparare una un a tintura scarlatta eccellente per sete e lane. Alcune di queste specie hanno le foglie caduche, altre semipersistenti, altre persistenti, variabili nella forma. Comuni a tutte le foglie sono le stipole membranose alla base delle stesse. Sono alberii maschili, monoici; pure i fioripiccoli, femminili sono penduli piccoli, amenti; isolati o fioriscono anche riuniti in glomeruli; formano sul finire della primavera. In alcune specie i frutti, le ghiande, maturano in due anni, in altre in uno. Tutti sono alberi robusti, resistenti; alcuni raggiungono i quaranta-cinquanta metri di altezza e otto-dieci metri di circonferenza. La grande "Farnia" è la più estesa e occupa un areale che va dagli Urali all'Atlanti all'A tlantico co e dal d al Mediterraneo Mediterraneo al Mare Mare del d el Nord; è molto longeva lo ngeva e può p uò arrivare a mill millee anni di vita. vita. Il robusto rob usto tronco si biforca a formare una cor corona ona irregolare irreg olare molto ampia, ma non ha una un a punta pu nta che prevale e la cima cima è formata fo rmata da più branche raddrizzate. Da giovane la corteccia è liscia e grigia, diventa poii bruno po bru no-n -nerastra erastra e si fessura fessur a in solchi so lchi lungitudinali lungitudin ali e sinu sinuosi. osi. I rami sono son o molto sviluppati e per un buon tratto privi di foglie e irregolarmente piegati; i ramuli sono ravvicinati con le foglie riunite alle estremità. Le foglie caduche sono alterne alterne e semplici, semplici, con breve brev e picciolo, picciolo, lunghe da d a quattro a quindici qu indici centimetri, larghe da due a otto, strette alla base, ovato-oblunghe con da cinque a sette lobi arrotondati; il loro colore è verde scuro brillante nella pagina superior sup eriore, e, più chiare e opache op ache sotto. Da noi è presente p resente nelle regioni settentrionali; sulle Alpi arriva fin verso i milleduecento metri d'altitudine e predilig pr ediligee i terreni freschi fr eschi e prof pr ofon ondi di ma non n on dove do ve sono so no ristagni d'acqua. Ama il sole e si trova anche in boschi misti di latifoglie, specialmente con la betulla. In un tempo lontano lo ntano la farnia copriva cop riva con co n fitt f ittee selve tutte le nostre pianure pianu re fino fin o a ragg r aggiungere iungere le pendici pen dici degli App Appennin enninii e delle Alpi. Alpi.
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E della grande selva solo poche isole sono rimaste a ricordarla. Il suo legno leg no è tra i più pregiati, pregiati, ha l'alburno l'alburno bianco-avorio e il durame più scuro, i raggi midollari sono evidenti; è duro, compatto, molto richiesto fin dall'antichità per le costruzioni navali, pavimenti, mobili, rivestimenti. Le botti bo tti d'invecchiamento per p er i vini vin i più pregiat p regiatii e per i disti d istillat llatii sono son o fatte f atte con con il legno leg no di "farnia", e anche il famoso "rovere "rov ere di Slavonia" prov proviene iene dalla dalla farnie della Jugoslavia. Ma con le farnie si fanno anche le traversine ferroviarie e palafitte durevoli più di ogni altre. Bruciando, il suo legno dà una fiamma bella chiara; il carbone di farnia era richiesto per la fusione dell'oro.. Le ghiande erano dell'oro eran o pr privileg ivilegiate iate tra tutte quelle della famiglia famiglia delle querce perché poco po co tanniche e dolci al palato; palato; fino fino a non molti anni anni fa erano cibo d'emergenza nelle carestie. Il "Rovere" ha portamento p ortamento più reg r egolare olare dell dellaa farnia e lo rit r itrov roviam iamo o dal Danubio ai Pirenei e fin su in Inghilterra. Più che le pianure umide, ama i fianchi delle montagne solatie e si alza fin oltre i millecinquecento metri d'altitudine. A differenza della farnia le sue foglie hanno uno o due paia di lobi in più; a volte si consorzia con il faggio e il carpino. Il suo legno è più pesante ma pregiat p regiato o al pari par i di quello qu ello della farnia. Il I l "Leccio" "Leccio" è bello, forte fo rte e gentile; il suo verde cupo persistente è un elemento di grande ornamento paesaggistico paesaggi stico lungo le rive del Mediterraneo Mediterraneo e nell'Italia nell'Italia insubrica. insub rica. Non arriva ar riva a grandi altezze perché raramente supera i venti metri e il suo tronco non raggiunge le circonferenza delle farnie e del rovere; a volte assume anche forma cespugliosa. cespugliosa. Le foglie foglie si rinno rinnovano vano ogni tre, quattro anni, sono son o dure d ure e spesse, oblunghe, dentate. Il legno del leccio è difficile a lavorarsi perché duro e compatto, elastico; ma bene si presta per i lavori del carradore o parti di macchine soggette a forti sollecitazioni, come i torchi o i meccanismi dei mulini. Se molti grandi grandi pit p ittori tori hanno hann o dipinto d ipinto querce, qu erce, se musicist musicistii hanno cercato cercato di capire la voce delle fronde, la più bella descrizione di una quercia è quella che fa Lev Tolstòj in "Guerra e pace", e che il principe Andréj incontra sulla strada per Rjazàn' una mattina di primavera del 1809: «... Sul margine della strada c'era una quercia. Probabilmente dieci volte più vecchia delle betulle che formavano il bosco, era dieci volt voltee più grossa e due du e volte più alta alta di ogni betulla. Era un'immensa quercia q uercia che aveva av eva due du e braccia br accia di circon circonferen ferenzza, con i rami spezzati certo da molto tempo e la corteccia screpolata, coperta da antiche ferite. Con le sue enormi braccia e le sue dita tozze, divaricate senza simmetria, essa si ergeva come un vecchio mostro, irato e sprezzante, in mezzo alle sorridenti betulle. Soltanto i piccoli abeti morti, e sempre verdi,
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che erano sparsi per il bosco, si univano alla alla quercia e non volevano v olevano sottomettersi sottomet tersi al al fascino fascino della della primavera e non no n volevano v olevano vedere v edere né la primavera pr imavera né il sole». Questa visione suscita in Andrej amare considerazioni sulla primavera, sulla vita, sull'amore: «... E tutta una nuova catena di pensieri sconfortanti, ma maliconicamente dolci, sorse nell'anima del principe Andrej a proposito della quercia...» Delle querce e delle loro virtù così scriveva il Mattioli: «... Ogni quercia ha virtù costrettiva, e massime quella corteccia sottile che è tra la grossa corteccia, e i legno: e così medesimamente med esimamente quella pellicina pellicina sotto so tto al guscio delle ghiande. Dassi la decottione loro nei flussi disenterici, e stomachali e allo sputo del sangue. Mettonsi trite ne i pessoli de i luoghi secreti delle donne per ristagnare i lor flussi. Vagliono mangiate à i morsi de gli animali velenosi. Tenute le foglie fresche della Quercia sopra la lingua, curano gli ardori dello stomaco. L'acqua piovana, che resta nelle concavità delle quercie vecchie, sana lavandosene, la rogna ulcerata...» Per le loro qualità e per la loro maestà le querce erano venerate dagli uomini sin dai primordi della civiltà: erano «l'Albero», e le loro foreste più belle consacrate alle divinità e per questo q uesto intangibili in tangibili.. Dalle Dalle querce, qu erce, secondo second o i poeti, po eti, erano nati n ati anche certi uomini: uomin i: Evand Evandro ro,, fond fo ndatore atore della d ella rocca romana, roman a, racconta a Enea (Virgilio, "Eneide", 8, 314-18) che i primi abitatori del Lazio erano "gensque virum truncis tru ncis et duro robore rob ore nata n ata". ". Anche le le Ninfe Ninfe e le Driadi, racconta Callimaco, sono nate dalle querce e insieme agli uomini esultano quando la pioggia le ristora. Questa pioggia era impetrata dai sacerdo sace rdoti ti etruschi etruschi agitando agitando verso il cielo cielo fronde fro nde di quercia. q uercia. La farnia è detta anche "Albero di Giove" e a lui consacrata. Era già simulacro di Saturno e la mitologia spiega che al tempo in cui gli uomini si cibavano con la carne dei loro simili, Giove, per far cessare questa crudeltà, indicò a loro la quercia invitandoli invitandoli a cibarsi di ghiande. Da quel gi giorn orno o fu fu dedicata a lui e per le sue ghiande dichiarata "albero felice". Tanto erano sacre le foreste di querce che Tacito racconta che persino i soldati di Cesare, in Gallia, avevano timore ad affrontarne il taglio: credevano che se avessero avessero usato le scuri contro quei qu ei sacri sacri tronchi, ne sarebbero uscite uscite lacrime e sangue e i colpi si sarebbero poi riversati contro di loro sui campi di battaglia. Le querce furono anche le prime chiese perché sotto di esse si radunava radun ava il popolo popo lo per porgere por gere preghiere preghiere alle alle divinità, divinità, ma anche a fare f are diete diete e assemblee, ad apprendere la sapienza dagli anziani. Queste usanze usanze nei paesi paesi del Nord Nord durarono dur arono fin verso la fine del
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Medioevo. Dalle mie parti, al principio di questo secolo c'era un luogo denominato "Kan schön Oachen" (Alle belle querce) nella località dedicata alla profetessa Ganna. E dalle querce, con un falcetto d'oro, i sacerdoti Druidi recidevano il vischio, seme degli dei, per ornare i tori sacrificali. Quel vischio che ancora oggi si usa donare agli amici all'inizio dell'anno, e viene appeso sull'architrave della porta di casa come propiziatorio, e sotto questo gli innamorati si scambiano il bacio augurale.
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L'ulivo. Il letto che Odisseo L'ulivo. O disseo stesso aveva costruito.
Molti decenni fa, nella nostra vecchia casa ricostruita nel centro del paese, ogni sabato convergevano gli incaricati che per noi raccoglievano le uova per i paesi dell'Altipiano. Il giovedì successivo, a migliaia, venivano spedite a Bassano dove un grossista le distribuiva per le grandi città. Una sera di marz marzo, o, avevo quindici quind ici anni, mio nonno no nno mi chiamò chiamò per p er dirmi che né mio padre padr e né mio zi zio o potevano p otevano scendere a Bassa Bassano no e dovevo dov evo io accompagnare il trasporto. E lì giunto guardare i prezzi sulla tabella del mercato, concordare con il grossista, riscuotere il denaro e ritornare a casa. Fu in questo viaggio che incontrai per la prima volta gli alberi d'ulivo. Conoscevo i rami perché alla domenica delle Palme ero sul sagrato della chiesa quelli che li brandivano verso l'alto, e inalle attesa che porta si di aprissecon ai colpi colp i dell'arciprete davamo dav amo colpi co lpi in testa ragazz ragaz zela tutte vestite bianco. E mia madre i ramoscelli d'ulivo benedetto li bruciava nella stufa quando il temporale girava per le montagne e mio padre era in viaggio per le malghe. Quel giorno della mia andata a Bassano avevo incontrato gli ulivi dopo essere passato per i boschi ancora innevati: erano lì in quelle vallette a mezzogiorno ai piedi delle montagne dove li avevano impiantati i Benedettini dell'Abazia di Campese, figlia di quella più famosa di Cluny, e quei tronchi attorcigliati e screpolati, a volte traforati, reggevano i rami che portavano «le palme» d'ulivo. d'ulivo . Guard Guardando andoli li attraver attraverso so i vetri v etri della corriera certamente mi commossi. A quindici anni si è innamorati di tutto; ma se di tante cose con il passare del tempo tempo ci si può disa d isamorare, morare, l'ulivo l'ulivo è l'albero l'albero che ancora mi rinnova rinn ova quella prima emozione ogni volta che lo ritrovo. E mi ricorda gli ulivi di Puglia dove piantammo le tende prima d'imbarcarci d'imbar carci a Brind Brindisi; isi; e quelli qu elli dell'Al dell'Alban bania ia nella primavera primaver a del 1941 dopo un inverno passato sulle montagne battute dalle tormente; e quelli delle isole dalmate che vivono tra le pietre frammisti ad alberi di fico, e quelli di Sirmione tra i ruderi della grande villa romana; della Liguria sulle montagne aride sopra il mare («Punte argentee di mare attraversavano il cielo, quasi una risposta rispo sta al richiamo degl d eglii ulivi», scrive Francesco Biamonti in "Vento "Vento largo"); largo") ;
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e della Provenza dagli acuti odori d'erbe, e delle rive dell'Atlantico, in Portogallo. Ma l'"Oleo europaea sativa", che comprende tutte le varie forme coltivate in area mediterranea sino dall'antichità, deriva dall'"olivastro" o dall'"oleastro"? I pareri p areri dei botanici botanici sono discordi, ma ora sembra convinz con vinzione ione che gli olivastri rappresentino forme evolutive degli oleastri e che dagli olivastri siano poi derivati gli ulivi. L'olea 'oleastro stro è un arbusto molto ramoso, più o meno grande, che qualche volta diventa albero alto anche venti metri; ha rami spinosi, foglie ellittiche a volte arrotondate arrotond ate lunghe lunghe quatt q uattro ro centimet centimetri; ri; il frutto è rotondo ro tondo,, picc p iccolo olo e povero po vero di olio; o lio; le inflorescenz inflor escenzee sono son o a racemo. r acemo. L'olivastro, invece, appare come il più rustico tra gli ulivi veri e propri; può pu ò diventare d iventare un u n albero alber o molto mo lto grande, grand e, ha for f orme me diverse diver se nelle foglie e i frutti hanno varie grandezze. Oleastri e olivastri e olivi sono sensibili alle cure dell'uomo: dell 'uomo: abbandon abb andonati ati a loro stessi assumono assumono la forma di grandi cespugli arruffati perché dalle loro basi nascono malformazioni degenerative e succhioni emergono dal piede della ceppaia. Le radici degli ulivi si distendono sugli strati superficiali del suolo, dove l'areazione è più attiva e il terreno più fertile. Ma dove le rocce e le grosse pietre lo coprono, le radici si insinuano tra le fessure seguendone il corso alla ricerca dell'alimento. Ed è così che l'ulivo vive anche in terreni rocciosi e aridi dove altri alberi non riuscirebbero riuscirebbero.. Il fusto alla base base ha una porzi p orzione one posta p osta un poco po co al di sotto sotto della superficie del suolo, e questa è grossa, con imbugnature e gobbe; nelle piante secolari qualche qu alche volta questa qu esta parte del tronco tron co fuoriesce fu oriesce per dilavamento. Il tronco dalla ceppaia si assottiglia e parte diritto nelle piante giovani, ma nelle piante vecchie e antiche si contorce in mille modi, si screpola, si apre, s'incava, si divide assumendo forme che lasciano stupiti, come il grande olivastro presso Luras, in Sardegna, che misura oltre otto metri di circonferenza e venti d'altezza. Poco lontano da questo gigante vegetano vigorosamente due oleastri selvaggi di cui uno, chiamato «il padre» ha undici metri di circonferenza! All'omb All 'ombra ra di d i questi qu esti sostano le greggi greggi e la loro età è stata stata calcolata calcolata in duemila anni: veri relitti di antichissimi boschi abitati dagli dei. I miti più remoti dicono che Eracle Dattilo figlio di Zeus, giunto nell'Elide dal monte Ida, volle istituire i giochi olimpici per onorare il padre. Sulla collina dedicata a Cronos innalzò sei altari per gli dei dell'Olimpo, ma la collina era brulla e per questo qu esto andò and ò dagli d agli Iperbo Ip erborei rei dove do ve dai d ai sacerdoti di Apollo Apo llo si fece dare degli oleastri per piantarli accanto alla are di Olimpia.
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Con i rami di questi oleastri venivano incoronati i vincitori dei giochi. Così ci racconta Pindaro. Ma come potevano dagli Iperborei crescere gli olivastri? Trovo più attendibili i miti che li fanno derivare dalla Libia, da dove Atena venne con un ramoscello dell'albero a lei sacro. D'ulivo era la clava di Ercole e quella del Ciclope omerico. E fuggendo fuggendo l'i l'ira ra di Poseidone Poseidon e il naufrago Odisseo trovò ricovero «... sotto un doppio dop pio cespuglio, cespuglio, / cresciuto cresciuto insieme da un ceppo d'olivo d 'olivo e oleastro», oleastro», dove «... così tra le foglie stette nascosto Odisseo: e Atena / gli versò il sonno sugli occhi, perché guarisse più presto / la spossante stanchezza, fasciando le palpebre». palpebr e». E il letto che Odisseo stesso costruì usando il grande ulivo attorno al quale aveva edificato edificato la sua casa? casa? «... «... C'era un tronco tron co ricche fron fronde, de, d'olivo, dentro il cortile, / florido, rigoglioso; era grosso come colonna: / intorno a questo murai mur ai la stanza...» stanza...» A Roma l'ulivo era dedicato a Minerva, e con le sue fronde venivano incoronati i vincitori vincitori nei trionfi. Le donne romane r omane usavano l'olio l'olio d'oliva d 'oliva con l'aggiunta di essenze profumate per curare la loro bellezza, e per ogni parte del corpo avevano uno specifico miscuglio: alla rosa, al giglio alla maggiorana, alla lavanda. Tra tutti gli alberi l'ulivo è quello a cui più numerosi sono legati miti e leggende. E come altro poteva essere: dai suoi frutti si ricava l'olio che dà salute e bellezzza agli uomini. bellez uo mini. E lume ai poeti, e materiale ai pittori. E il suo legno polito e duro si usa per gli intarsi, per i lavori al tornio, per pavimen ti preziosi? pavimenti preziosi? E bruciando in luminosa fiamma dà calore e luce alle grigie sere d'inverno.
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Il salice. ... Ai salici in mezzo ad essa appendemmo app endemmo le nostre cetre. ce tre. (Sa (Salmo lmo 136 136))
Nei giorn giornii del prossimo pr ossimo febbraio febb raio i saliconi gonfierann gon fieranno o i gattici gattici e sbocceranno i fiori dove do ve le prime api coraggi coraggiose, ose, dopo dop o aver sorvolato sor volato i prati ancora coperti dalla neve, andranno a raccogliere il primo polline e il primo nettare nett are dell'anno dell'anno che serviranno serv iranno a n nutrire utrire larve e adulte, adulte, e daranno darann o forz fo rzaa all'arnia dopo il forzato riposo invernale. Pure le lepri, tra l'uno e l'altro gioco amoroso al chiaro chiaro di d i luna sulla neve indurita, andranno bramose a mangiare mangiare le gemme e le cortecce fresche e verdi dei salici. La famiglia delle "Salicacee", nel genere "Salix", è molto ricca di specie; i botanici bo tanici ne hanno hann o calcolato circa trecento che veget v egetano ano su vaste v aste aree dalle regioni più fredde alle temperate. E abbiamo alberi alti fino a venti e più metri come il "Salix alba", da alba", detto anche an che salice pertiche e salice altri così nani e striscianti confondersi condelle le erbe dei pascoli o ibianco, licheni e delle rocce d'alta montagna, come il "Salix erbacea" della serie "glaciales", che Linneo riteneva il più piccolo albero della terra e che sulle nostre Alpi si ritrova anche oltre i tremila metri di quota e vive ben oltre il Circolo polare artico. Numerosi Numero si sono son o anche an che gli ibridi perché per ché i salici si incrociano incro ciano tra loro lor o con co n una certa facilità. Come diversi e mutevoli sono i comportamenti. Il "Salix babylonica" babylon ica" (sì, quello della d ella Bibbia, Bibbia, salmo 136: 136: «Sui fiumi di d i Babilonia, Babilonia, / là sedemmo e piangemmo, / ricordandoci di Sion! / Ai salici, in mezzo ad essa, / appendemmo le nostre no stre ce cetre...» tre...»)) ha rami r ami lunghi lunghi e pendenti, pend enti, per questo è conosciuto come salice piangente; ed è bello e malinconico vederlo specchiarsi nell'acqua di uno stagno o di un fiume. Il salice delle pertiche, tra i nostrani, è il più alto. Ha il tronco diritto e un'ampia corona; la corteccia è di colore grigio-rossastro e nelle piante adulte si screpola e cade in lunghe striscie longitudinali. I rami sono lunghi, ascendenti e divaricati, di colore argenteo; i ramuli giallast giallastri ri e serici. Le foglie sono a forma fo rma di d i lancia acuminata e leggermente seghettate; di verde mutabile, da giovani hanno una pelosità argentea su entrambe entramb e le facce, poi, solo so lo sulla su lla pagina pagina inferiore: inf eriore: da da questo colore argenteo e serico gli viene il nome di salice bianco. Dalla varietà "vitellitta", che ha i ramoscelli gialli dorati flessibili e lunghi, abbiamo i migliori vinchi che da tempo immemorabile vengono usati così
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come sono per fabbricare culle (come quella accanto al letto di mia madre, dove abbiamo dormito io e i miei fratelli fino ai due anni), mobili, cestini, panieri, setacci, colini, inoltre per p er legare i tralci tralci delle viti e, persino come corda dai legnaioli. Questo tipo di salice vive in tutta l'Europa centro- meridionale, sulle montagne si spinge fin oltre i mille metri. Il carbone che si otteneva entrava nellaa composizione nell composizione della polvere pirica (e forse for se lo si usa ancora ancor a per i fuochi f uochi d'artificio); il suo legno non è di grande pregio ma ottimamente si presta per la fabbricazione degli zoccoli. Il "salice fragile" assomiglia al salice delle pertiche ma, lo dice il suo nome, n ome, ha h a i rami molto più p iù fragi fr agili li e le gemme gemme e le fogliee sono un poco vischiose. Il suo areal fogli arealee di espansione dal d al Medit Mediterraneo erraneo raggiunge la penisola scandinava e l'Asia occidentale; la sua funzione è quella di consolidare i terreni alveali e se ha poco valore tecnologico ne ha invece moltissimo di ambientale. Il "salice delle ceste" è invece un piccolo alberello che il più delle volte si presenta pr esenta come un arbusto arbu sto alto fino fin o a sette-otto metri; vive sui terreni terren i di ripa rip a che periodicamente vengono inondati dalle piene. La sua corteccia è grigia e liscia e con l'età si sfalda mettendo in luce la nuova corteccia giallo-bruna. I ramuli sono nudi, n udi, ffles lessibil sibilii e robusti. rob usti. Dalle Dal le rive euro eu ropee pee dell'A d ell'Atlantic tlantico o questo qu esto salice raggiunge raggiunge il Pacifico all'altezza del Giappone (compreso) e tutti i popoli dentro quest'area da sempre lo usano u sano per p er fare ceste da trasporto: per soma, per naviglio, naviglio, per slitt slitta, a, per carro, e graticci graticci per sosteg so stegni ni e recinti. Ma anche il "Salix viminalis" è da ricordare, se non altro perché diede il nome al famoso colle di Roma: è un arbusto arbu sto o alberello alberello che fornisce fo rnisce vimini vimini lunghi anche quattro metri, tenaci e non ramificati, che vengono impiegati con la scorza. Ho descritto sommariamente questi pochi, tra la ventina o più di specie italiane e forse gli oltre cinquanta ibridi. In comune hanno tutti gemme coperte da una sola squama a forma di cappuccio, le foglie semplici e altern alte rne, e, lanceolate o ellittic ellittiche, he, brevemente brev emente picciolate, a margine leggermente dentellat dentel lato, o, con la pagina inferiore quasi qu asi sempre sempre più p iù chiara. I fiori f iori sono unisessualii su individui unisessual ind ividui distinti distinti (piante dioiche), in amenti penduli opp oppure ure orizzontali di grigio-giallo porporino, i fiori femminili tendono al verde e in molte specie sia gli uni sia gli altri compaiono prima delle foglie. Fioriscono da febbraio a giugno, ma i "glaciales" (sulla Grivola sono stati trovati a 3400 metri! ) anche in agosto. Il frutto matura pochi giorni dopo l'apparizione del fiore e il piccolissimo seme, munito di un soffice pappo, viene portato dal vento anche a grande distanza. Con le fronde del salice,
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raccontano gli raccontano gli anti antichi chi poeti, si adornavano adornav ano le cune dei bambini appena nati n ati,, e la mitologia ci dice che Giove e Era furono da Rea partoriti sotto un salice e tra questi rami nascosta nascosta la loro culla perché il padre Cron Crono o voleva v oleva divorarli affinché non lo spodestassero. Furono allattati dalla capra Amaltea che dal salice ricavava il suo nutrimento, ed è da allora che le capre sono golose di fogli fo gliee e di d i ramuli di d i salice; salice; Linneo, inneo , poi, p oi, classificò "Salix caprea" il salice salice di montagna, o salicone, quello, appunto, bottinato dalle mie api. Il Mattioli, nei "Discorsi", "Di scorsi", tra le altre altre cose co se riferite al salice, salice, scrive scriv e che certi parti par ti di quest'albero: quest'al bero: «... tolte sole con acqua non n on lasciano lasciano ingravidare le donne. donn e. Ristagna il seme, bevuto, lo sputo del sangue. Il che fa parimente la sua corteccia. La cui cenere macerata in aceto, guarisce i porri, e i calli, che s impiastrano con essa. Il succo delle frondi, e della corteccia cotto con olio rosado in un guscio di melagrano, giova à i dolori delle orecchie. La decottione decott ione d'ambedue giova giova per p er via di fumento f umento alle podagre, e mondifica mon difica la la farfarella. Cogliesene il liquore, intaccandogli la corteccia nel tempo ch'ei prod pr oduce uce il fiore: fior e: e ritrovasi poi p oi congel con gelato ato nelle intaccature: intaccature: è util u tilee per tutti gli gli impedimenti, che offuscano la vista». Ma è anche curioso sapere che: «... Bagnansi con utilità grande nella decottione del salice, messa in una tina, così calda cal da quanto qu anto basta per far bag b agno, no, coloro che cominciano, à diventa d iventare re gobbi. Imperò che fa risolvere quest qu esto o bagno meravigliosame meravigliosamente nte i tumori». E conclude dopo do po molti altri altri consigli consigli:: «Et «Et però si potrebbe p otrebbe quando qu ando pur fusse tale, usare anchora in molte altre cose». In vecchi libri leggo che dal salicone, in Russia e in Germania, si ricavava una sostanza per conciare le pelli e colorare le stoffe, e ancora che il legno di salice «quando è fradicio e lo si guarda nell'oscurità, per un movimento molecolare intimo diventa fosforescente ed è causa talvolta di spavento ne' fanciullii che non fanciull no n conoscono con oscono simile simile propriet prop rietà» à».. Se il salice bianco, simbolo di sterile castità, era dedicato a Iside, il salice piangente era dedicato d edicato a Giunone, Giunon e, e come albero lunare lunar e era pure pu re votato vo tato a Ecate. Per salvaguardare e governare i vincheti (famosi quelli di Minturno) ai tempi dei roman r omanii vennero ven nero istituiti istituiti i "salictarii" "salictarii",, guardiani guar diani dei d ei salici; salici; la legge legge "Aquilia", emanata verso l'anno 467 di Roma, prevedeva pene e il risarcimento dei danni per chi avesse tagliato un "salicale" immaturo o, se tagliat tag liato o maturo, maturo , guastate le ceppaie. Anche lo Statuto di Sarzano, emanato a Parma nel 1529, proibiva il taglio dei salici lungo i fiumi e i torrenti per la virtù che quest'albero ha di legare il terreno.
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Dal salice ha pure origine un farmaco tra i più usati e utili ancora oggi: si ricavava pestando nel mortaio la corteccia e serve per le febbri d'ogni genere e come analgesico: è la silicilina con i suoi derivati che ora si ottengono in sintesi. Umil milee e generoso albero quanto ti debbono debbon o gli uomini! Questi Q uesti uomini che ti passano passano accanto accanto dentro le loro veloci automobili o in treno. E nemmeno nemmeno ti notano.
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Il noce. Ti ricordi quelle sere sotto l'albero di noce mi dicevi a bassa voce...
Canto popolare. Il mio noce è sempre l'ultimo a buttare le foglie: il colore verde- brun b runo o appare app are subito dopo dop o il verde-lacc verde-laccaa del mag maggi giociondo ociondolo. lo. Nella Nel la prima quind q uindicina icina di maggio maggio annu an nuso so nell'a n ell'aria ria del mattino e del d el crepuscolo della sera anche il il suo odore od ore amarognolo; ma pure d'autunno d'autun no mi piace strapazz strapazzare tra le mani le sue fogli fo gliee per sentire a lungo sulla pelle quel particolare prof pr ofumo umo.. Credo che questo noce sia quello che attualmente vive alla quota più alta di tutto tutto il circond circondario ario e quando un signor signoree di campagna campagna volle donarmelo per trapiantarlo quassù ero molto scettico: «Siamo troppo alti, - gli dicevo, - non ho mai visto alberi di noce oltre i margini meridionali del nostro altipiano». «Maa prova, «M pro va, - insisteva insisteva lui, - quest'a q uest'angolo ngolo è ben b en protett p rotetto o dai venti del Nord, è esposto a Mezzogiorno e vedrai che il noce vivrà». Allora Al lora scavai una buca b uca ben larga e alquanto alquanto profon pro fonda, da, attorno al fittone posai po sai terra nera di d i bo bosco sco e letame ben stagionato. «Vedremo, - dissi. - Le nogare vivono laggiù sulle colline e sui monti tra Schio e Bassano, ma tra loro e noi ci sono i boschi di faggio e poi di conifere. conif ere. Vedremo». edremo ». Prima di giugno l'alberello aprì le sue gemme a poche e incerte foglie; all'autunno fu l'ultimo a farle cadere e la neve lo coprì. La primavera successiva betulle, aceri, tigli faggi, ciliegi e pruni si vestirono di nuovo verde ma lui, il noce, restava lì come un palo secco senza dar segni di vita e quasi mi veniva di tagliarlo al piede. «Lascialo ancora là, mi disse l'amico quando venne a trovarmi, - forse è ancora vivo». E così una mattina quando aprii la finestra della camera, sentii il suo odore perché le gemme si erano aperte. Da allora sono passati più di vent'anni; questo noce è alto una decina di metri met ri e, persino, prod p roduce uce qualche frutto. Non tanti, ma forse verrà verr à la stag stagione ione buon bu onaa e allora potrò po trò rraccogli accoglierne erne un u n mezzo mezzo cesto. Noci rare, se gli scoiattoli scoiattoli non me le ruberanno prima, raccolte a millecento metri d'altitudine e dove gli sbalzi termici possono arrivare a cinquanta e più gradi centigradi. Il noce, n oce, "Juglans "Ju glans regia" L., L., appartiene ap partiene alla famiglia famiglia delle "Juglandacee" e in Europa è l'unico rappresentante indigeno di questa famiglia; di specie se ne
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conoscon o una conoscono u na quarantina q uarantina e tutte tutte nell'emis nell'emisfero fero boreal bor eale. e. Da noi giunse in tempi molto remoti dalle regioni dell'Asia e il suo areale primario va dalla Cina, all'India, all'Ind ia, alla Tur Turchia chia ai Balcani. Balcani. Recentemente però, però , dall'A d all'America merica settentrionale sono state introdotte delle specie esotiche, come il "noce nero", così chiamato per il colore del legno che da certuni è ritenuto (a mio giudizio a torto) più bell b ello o del nostro. no stro. Il suo nome n ome deriva dal la lati tino no "nux" che che indicava, oltre al noce, anche altri alberi che producevano frutti con la scorza dura. Ama la luce e predilige i terreni profondi, freschi e fertili. E' specie tipica del "Castanetum" ma non sale mai tanto in alto perché il freddo non gli confà e per ben fruttificare necessita anche di piogge regolari. Albero socievole ma non da bosco perché l'ombra densa lo farebbe deperire; per questo lo troviamo accosto alla case, nelle alberature campestri, nelle vallicelle, nei campi o nei pascoli. Sui fianchi dei monti che guardano la pianura pianu ra degradando degrad ando in colline gli alberi alberi di d i noce sono so no numeros nu merosii e belli; hanno hann o dato nome anche a contrade e famiglie: Nogara, Dalle Nogare, Nogarole, Nus, Nocera, Noceto, Nogaredo. No garedo. Solo che gli alberi più antichi e maestosi sono stati tagliati e venduti ad alto prezzo ai fabbricanti di mobili falso-antichi e anche da noi, come in altri paesi d'Europa, d'Euro pa, si dov d ovrebb rebbee incrementare la diffusion diff usionee fin dov d ovee è possibile: po ssibile: è di grande resa economica più per il legno legno che per i frutti fr utti.. Il noce no ce è albero albero di media grandez grand ezzza, eccezionalmente eccezionalmente può p uò raggiungere i trenta metri, è longevo lo ngevo ma non supera mai i tre secoli di vita; il tronco è robusto e diritto, i rami, o meglio le branche principali, si suddividono a non grande altezza e formano una chioma ampia, dapprima ogivale e poi arrotondata. Negli alberi giovani la corteccia è liscia e grigio-chiara, poi con l'età si screpola e si fessura verticalmente; sulle branche e sui rami è dapprima bruna, poi anche qui con il tempo si schiarisce. I rametti sono corti e piuttosto grossi, le gemme rivestite di scaglie coperte da peluria. Le foglie sono composte, ossia sull'asse principale pr incipale si innestano a paio da d a quattro qu attro a otto foglioline f oglioline e un unaa solo terminale così che in totale le foglioline sono sempre dispari; sono leggermente vellutate, di verde scuro e denso la pagina superiore, più chiare nella parte inferiore; il loro loro odore odo re penetrante deriva dal tannino tannino di cui sono molto ricche. ricche. I fiori sono monoici, in amenti: i maschili sessili e penduli di colore verde brun br uno, o, lunghi lu nghi una u na decina d ecina di centimetri e si sviluppano svilupp ano sui rami dell'a d ell'ann nno o pr precedente; ecedente; trovan o invece in vece riuniti riun iti in in piccoli p iccoli gru grupp ppii terminali sui getti get ti novelli. no velli.i femminili si trovano E il frutto chi non lo conosce? E' secco e non si apre a maturazione, la parte esterna è un u n epicarpio ep icarpio carnoso carn oso,, ricco di d i tannino, tannino , comunemente comu nemente detto d etto
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mallo, ed è usat mallo, u sato o in li liquo quoreria reria per fare il nocino; l'endocarpo l'endocarpo è molto duro, dur o, osseo, e sta a contatto con il seme: nel nostro caso un gheriglio diviso in quattro globi irregolari; matura verso ottobre. Una canzone popolare che cantavamo in guerra diceva: «Ti ricordi quelle sere / sotto l'albero di noce / mi dicevi a bassa voce...» Così come il frutto, è conosciuto il legno che sin dai tempi più lontani è apprezzato per le sue qualità è duro, pesante, compatto; si può facilmente dividere in fogli per intarsi e impiallacciature, è buono al tornio, allo scalpello alla pialla, per mobili di pregio, per calci di fucile, per pavimenti di lusso. L'alburno L'alburno è grigio grigio mentre il durame ha un bel colore scuro sfumato sf umato in venature più o meno chiare; levigato e lucidato mette in risalto quella sua insita bellezza che lo fa principe dei legni più fini. E il maestro maestro Nicola, che all'Avv all'Avviamento iamento al lavoro lavor o ci in insegnava segnava a lavorare lavo rare il legno e a capirne le qualità, ci diceva che la nogara era legno non da ricchi ma da signori. Dal pedale e dalla capitozza si ricavano le radiche variegate da sinuosità eleganti con toni e riflessi di colore che si staccano dal fondo. Secondo Vitruvio il "noce eubeo" ha però il difetto di imbarcarsi e intorcinarsi,, e anche dopo intorcinarsi do po molte stagi stagionature onature di d i screpolare con tanto tanto scroscio da spaventare gli abitanti della casa dove è stato impiegato. Anche al noce, come a tutti gli alberi, sono legate leggende e favole. Si raccontava, ma ancora si dice, che riposare alla sua ombra porta male e chi si addormenta si ritrova col mal di testa. Gli altri alberi non possono vivere vicino a lui perché ha veleno nelle radici; Plinio lo dice «nemico della quercia». Sin dall'antichità quest'albero era dedicato alle divinità infernali e nell'Alto Medioevo sotto i noci si radunavano le streghe: famoso quello di Benevento la cui storia ci è stata raccontata da Piperno nel suo "De Nuce Maga Beneventana". Ma allora perché gli innamorati andavano sotto il noce? Risale Ris alendo ndo nel tempo tempo si scopre che le noci erano di d i buon buo n auspicio nelle nozze, un simbolo religioso oltreché essere ritenute afrodisiache, e venivano lanciate agli sposi come oggi si usa fare con il riso. Foglie, mallo, gherigli e persino persin o i gusci triturati e pestati venivano venivan o usati u sati per curare cur are molte malattie: malattie: l'infuso di foglie stimola l'appetito, depura il sangue, dà tono ai muscoli; il mallo alle virtù delle foglie aggiunge anche quella di cacciare i vermi dall'intestino e didice curare la dissenteria. Con i gusci, ancora Plinio, si curavano i denti cariati. L'olio che si ricava rica va dalle noci (ne contengono il 25 25 per cento del loro peso) viene v iene usato usato per far lume, lu me, per curare curar e malattie, malattie, per unguen u nguenti, ti, per i mobili mo bili «che divengano
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cotanto lucidi che l'uom vi si specchierebbe dentro». Ma anche, dicono i buon bu ongustai, gustai, quest'olio è «indispensab «ind ispensabile» ile» per cucinare cu cinare il pesce persico. Nel 1614 1614 il Castelvetro Castelvetro sugge su ggeriva riva questa q uesta ricetta a base di noci: no ci: ai gherigli pestati in un mor mortaio taio che deve dev e essere di pietra p ietra e non di metallo, metallo, si aggiungono due o tre spicchi d'aglio, mollica di pane raffermo bagnata in brod br odo o di d i carne, pepe p epe franto, fr anto, e ancora an cora pestando p estando si fa una un a pappina: papp ina: «... tiepida in tavola si manda. S'usa poi dagli uomini più regolati di mangiar tal salsa con la carne fresca del porco, come antidoto contra la rea qualità di cotal carne, e con le oche, purr poco pu p oco sano cibo. Usano ancora ancor a di coprirn cop rirnee i piatti di maccaron maccaronii e sopra sop ra le lasagne, che sono grossi mangiari di pasta».
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Il pioppo. Quando Quando le bianche farfalle usciv uscivano ano dalla crisalide.
Quando nel 1919 i miei rientrarono al paese distrutto dalla guerra per ricostruire le le case pensa pensaron rono, o, chissà perché, di portare p ortare con loro dalla dalla pianura emili emi liana ana dove dov e erano andati profughi, profu ghi, due giovani giovani pioppi. piop pi. Li piantarono nell'orto sconvolto dalle cannonate (la cantina della nostra casa era diventata il comando di un reggimento d'artiglieria austriaca). Li ricordo come sono cresciuti con noi, ragazzi della via Monte Ortigara, e come in ogni stagione hanno seguito i nostri giochi. Specialmente nelle lunghe sere di giugno quando qu ando le bianche farfalle farfalle uscivano dall d allee crisalidi crisalidi e noi le cacciavamo con i fazzoletti spiegati, abbattendole al suolo per poi raccoglierle e donarle alle ragazze. Non sapevamo sap evamo che si trattava dello "Stilpnotia salicis", salicis", un dannoso dann oso lepidottero i cui bruchi in certi anni defogliano completamente gli alberi. Quando non c'erano queste farfalle o prima che comparissero, erano i maggiolini oggetto delle nostre catture: quando ne avevamo un bel mucchio li metta mettavamo vamo in un barattolo barattolo e dopo d opo averli innaff innaffiat iatii di petrolio davamo loro fuoco. fuo co. I nostri n ostri maestri maestri ci ci avevano spiegato spiegato che erano dannosi, dann osi, non perché li portavamo po rtavamo a scuola, ma perché p erché oltre o ltre a divorare divo rare le fogli fo gliee delle piante le loro larve mangiavano le radici. D'invern D'i nverno, o, invece, tra l'uno l'uno e l'alt l'altro ro tronco tro nco dei due du e pioppi con blocchi di neve pressata costruivamo il forte di Macallè dal cui interno lanciavamo le bombe bo mbe di d i neve ai ragazz ragazzi di via Cavour. Cavo ur. Probabilm Prob abilmente ente questi nostri alberi alberi erano dei "pioppi neri" n eri" ("Popu ("Populus lus nigra" L.) e toccò proprio a me abbatterli nel 1938, prima di andare volontario alla Scuola Militare Alpina: erano diventati troppo grandi e le loro radici avevano avevano smosso il muretto che dava d ava sulla st strada, rada, inoltre i loro rami avevano invaso la linea elettrica della pubblica illuminazione e le foglie intasavano inta savano le grondaie grond aie delle delle case case vicine che poi in inverno inverno,, per effetto effetto del gelo, scoppiavano. Per abbatterli dovetti arrampicarmi in alto e incominciare da lì, sramando sramando a mano a mano che scendevo lungo lun go il tron tronco. co. Lo Lo feci dispiaciuto perché sotto di loro era trascorsa la nostra felice infanzia. I pioppi appartengono alla famiglia delle "Salicacee" e il loro genere, "Populus", comprende compr ende molte specie (alcuni (alcuni botanic b otanicii dicono venti, altri altri cento);
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vegetano nell'emisfero boreale, dalle zone calde dell'Africa settentrionale fino a quasi il Circolo Polare. Sono piante dioiche, ossia un soggetto porta solo fiori maschili o fiori femminili, e sono caratteristiche per il poliformismo delle foglie che si può riscontrare sullo stesso individuo; le stesse sono caduche, alterne, semplici. Si distinguono dai salici per avere le foglie con le nervature come le dita divaricate di una mano anziché una sola nervatura primaria, pr imaria, e il lor loro o pedu p eduncolo ncolo è più lungo. Gli amenti amenti sono son o lunghi lu nghi e penden p endenti ti e quando i semi sono maturi si staccano con lunghi filamenti setosi che vengono portati dal vento. Le gemme sono coperte da più squame. Tutti i pioppi piop pi per bene veget v egetare are hanno han no bisogno di terreno terren o fertile f ertile e areato, areato, ben b en soleggiato, e sono piante colonizzatrici che lasciano poi il posto ad altre specie. Certee volt Cert vo ltee il loro comportamento comp ortamento è arbustivo ma raggiungono raggiungono anche trenta metri in altezza e oltre un metro di diametro. Nel pioppo bianco la chioma è arrotondata, nel nero a piramide con grossi rami, nel cipressino alta e affusolata, nel tremolo globosa. Il bianco ha le foglie a triangolo, lobate e dentate, verdi nella pagina superiore, bianche e pelose nella inferiore; le gemme sono pelose ma non no n attaccaticce; attaccaticce; la corteccia negli alberi alberi adulti adu lti tende tende al biancast biancastro ro ed è ricoperta da una un a farina cerosa. Il nero ha le foglie foglie non lobate con il margine leggermente dentato, verdi da ambo le parti; le gemme sono nude nud e e vischiose vischiose e da queste le le api raccolgono raccolgono abbondante abbo ndante pro propoli poli per le necessità dell'arnia; la corteccia è sul bruno tendente al nero alla base e si screpola anche negli alberi giovani. Il tremolo ha in genere le foglie più piccole degli altri altri piop pioppi, pi, ovali, o vali, più o meno men o a for f orma ma di cuore, cuo re, irregolarmente irr egolarmente dentate, il picciolo più lungo; le gemme sono pelose ma non gommose; la corteccia tende al verdastro, negli alberi adulti si scurisce e si screpola. Naturaa e uomini Natur uo mini hanno han no creato molti incroci, incro ci, e siccome sono alberi a rapido rapid o crescimento sono coltivati per avere legno per compensati, pannelli, imballaggi, imballag gi, paniforti, panifo rti, fiammiferi ma specialmente s pecialmente pasta da carta e cellulosa. Ricercati Rice rcati sono i pedali ped ali marezz marezzati per fare f are tranciati da impiallacciature. impiallacciature. Il Il pioppo piop po bianco a lungo stagion stagionato ato dà anche an che particolari par ticolari pezz pezzi per strumenti str umenti musicali. In uno studio che Alfonso Alessandrini Alessandrini ha dedica d edicato to a quest'albero, quest'albero, si legge come il pioppo sia, tra gli alberi, il più efficiente accumulatore di energia solare attraverso la biomassa; la scienza dimostrato che la vuol foresta è più attiva attiva quand q uando o è giovane giov ane e «.. tagliare tagliare piopp pio ppii ha e piantare piopp pio ppelle elle dire d ire contribuire alla alla causa biosferica, biosferica, v vuol uol dire d ire ridurre l'effetto l'effetto serra, vuol vu ol dire aver legno...»
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Ancora, scrive Alessa Alessandr ndrini, ini, il pioppo è una un a sorta di «salvabosco» in quanto la sua produzi prod uzione one legnosa fa risparmiare risparmiare quell qu ellaa del bosco. «... Fare pioppi piop pi pare par e cosa da vecchi v ecchi romantici roman tici e iinv nvece ece dovrebb dov rebbee essere cosa da da giovani gi ovani che guardano al futuro». Governato a capitoz capitozzzo, dopo d opo i venti anni, anni, rendeva rend eva ogni anno una u na o d due ue fascine di legna per fusto; si usava anche sbroccarli, ossia levare le foglie dai rami più bassi che si tagliavano da sotto in su ogni tre o quattro anni, al fine di avere cibo invernale per gli animali «con i corni». Le gemme del pioppo nero si usavano in medicina per ricavare un unguento u nguento balsamico balsamico e cicatriz cicat rizzzante chiamato "pop "p opuleo" uleo" e la corteccia, come quella q uella del salice, è ricca di tannino e di salicilina. Secondo sant'Isidoro il nome deriva da "populus" perché una volta taglia tag liato to pullul pu llulaa numeroso dal ceppo a guisa di pop popolo. olo. Orazio dice che i pioppi, "arbores insignes", si piantano ai limiti delle prop pr oprietà; rietà; così la presenz presen za del piopp pio ppo o "certis limitibus limitibus vicina refugit refu git iur iurgia gia"" ("Epist." 2, 170, 171), determinando il confine evita le contese con i vicini. Plinio scrive che i pioppi sono di quattro specie: il bianco, il nero, il libico (tremulo?) e il nero di Creta. Il pioppo bianco era consacrato alle Muse, ma più specificatamente specificatamente a Eracle Eracle a cui si dava il merito di d i averne avern e diffusa diff usa la coltivazione perché, dopo esser stato nel Tartaro e sconfitto Cerbero, ritornando alla alla luce del sole si intrecci intrecciò ò una u na corona coro na con un ramoscello ramoscello stacca sta ccato to da un pioppo piopp o bianco. Il pioppo p ioppo nero, invece inv ece,, era dedicato dedicato alla dea della morte, e a Persefone, regina d'Oltretomba, era sacra una foresta di pioppi piop pi neri ner i nell'Occidente. Ma è a Fetonte che i pioppi hanno legato il loro mito più bello. Si racconta che un mattino Elio cedette alle insistenze del figlio che da tempo chiedeva di guidare il carro del Sole. Fetonte voleva dimostrare la sua bravura alle sorelle Climene e Prote. Ma non fu capace di controllare la forza dei bianchi cavalli che le sorelle avevano attaccato al carro del Sole e così si lasciò trascinare verso l'alto, e tutti gli uomini rabbrividirono per il freddo; poi si accostò alla terra così da seccare i campi. Zeus si incollerì e scagliò la sua folgore contro Fetonte che che preci pr ecipitò pitò nel Po. Climene Climene e Prote Pro te furono furon o tramutate in in pioppi p ioppi lungo le rive del grande fiume f iume e le loro lacrime diventaron diventarono o ambra.
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Il melo. Distillando il sidro sidro si o ottiene ttiene una profumata acquavite.
Ci sono luoghi tra le mie montagne dove crescono dei meli selvatici. Chissà da dove sono son o venuti v enuti i semi semi che li hanno fatt f attii nascere. nascere. Forse quell qu ello o che dimostra più anni è nato dove do ve un soldato austriaco austriaco ha mangiato una mela nel 1917 dopo averla raccolta passando sotto un albero in una valle trentina, o forse avuta in dono da una ragazza del Sud Tirolo. Quest'alberello, alto cinque o sei metri, è lì a ridosso di uno scavo della trincea che era la loro prima linea, a mezzacosta e ben esposto al sole. E' cresciuto disordinato e arruffato nella chioma, e il tronco, dove le vitelle vanno a sfregarsi sfregarsi il collo collo e i fianchi quando sono al pascolo, pascolo, ha h a la cortecci cortecciaa lucida e lisca. Ricord Ric ordo o che da ragazz ragazzo, quando quand o si andava su quella montagna montagna per cercare cercare dei particolari pezzi di marmo per fare palline da gioco, raccoglievamo quelle piccole mele rosse e gialle gialle per mangiarle al sole sulle rocce. Un altro melo cresce selvatico dove fino a quarant'anni fa si seminavano li lino, no, orzo, segale segale,, pata p atate. te. Quel terreno, abbandon abb andonato ato dopo dop o secoli secoli di faticoso faticoso lavoro, si era coperto di cespugli cespugli di ginepro, di crespino e di rose canine; ora a sua volt vo ltaa il bosco di d i conifere sta ricoprendo i cespugli. cespugli. Questo luogo appartato, appartato, un u n tempo remoto, era l'alveo l'alveo di un ghiacci ghiacciaio aio («Sette volte bosco / Sette volte prato / E tutto ritornerà / Come era stato», cantano gnomi la montagna). Il una rustico melovenuta è là e lo credo nato un seme gli caduto da dentro una mela addentata da ragazza a zappare dal da paese che sta al di là della morena moren a e che per antico diritto aveva av eva l'enfiteusi su questi terreni della comunità. I pometti di quest'albero, succosi e aspri, maturano mat urano a fine ottobre e quando quand o passo p asso li faccio faccio cadere al suolo suolo per p er farli mangiare ai tassi. Il «mio» terzo melo selvatico è poco lontano da casa: lì dove il bosco confina con il pascolo. pascolo. Era nascosto nascosto d daa un grumo di d i abeti abeti e mi accorsi accorsi di lui quando sentii la mia cagna masticare qualcosa nel folto dei rami bassi. «Ma da dove vengono queste mele?», mi dissi. E alzando gli occhi vidi con sorpresa che tra i rami folti e scuri degli abeti c'erano pure quelli del melo selvatico che ancora tenevano appesi i piccoli frutti acerbi. Mi ricordai, allora, all ora, che quell q uello o era il posto dove d ove era uso sdraiarsi all' all'ombr ombraa del bosco, per p er
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il riposo meridiano, un amico amico contadino che in tasca tasca aveva sempre qualche mela per mangiarla quando gli doleva l'ulcera allo stomaco. Per far luce attorno a questo melo ho fatto alberi da natale degli abeti che l'intrica l'intricavano vano e nel tardo autunno, autun no, prima della neve, vado a raccogliere raccogliere i suoi frutti (equivalenti al volume di due noci!) Senza lavarli e pulirli, tanto sono lucidi e brillanti, b rillanti, li tagli taglio o a piccole fette e li metto a essiccare in soffitta. sof fitta. Quando Quand o il vento e la neve mordon mor dono o il tetto tetto li faccio faccio boll bo llire, ire, aggi aggiungo ungo un u n po' p o' di miele e bevo lo sciroppo e mangio le mele contro le affezioni dell'inverno. E questo ricordando le mele essiccate trovate in un villaggio sul Don nell'inverno del 1943 e mangiate camminando nella tormenta. Certo, Cert o, sono supposiz suppo sizioni ioni di un u n botanic b otanico o dilett dilettante ante un po' poeta la nascita nascita di questi q uesti tre meli selvatici selvatici tra le mie montag mon tagne; ne; chissà quanti quan ti altri altri ce ne ne saranno in luoghi che non conosco o che non ho osservato, perché il "Melastro" ("Pyrus malus" L. o anche il "Malus sylvestris" Mill) della famiglia delle Rosacee largamente diffusa, può vegetare spontaneo sino alla zona del faggio, a 1500 metri. E' un albero che può raggiungere i dieci metri d'altezza e vivere fino a ottanta anni; il suo fusto è irregolare, la chioma distesa e, se ben disposta alla luce, abbondante di foglie. La corteccia che sul principio è rossastra, con gli anni dà più sul grigio e tende a scagliarsi; i rami sono robusti e si allontanano dal supporto quasi orizzontalmente (rami patenti); i ramuli sono verdastri e pelosi per p er poi p oi diventare div entare glabri e rossicci ro ssicci.. Le foglie sono alterne alterne e variabili, v ariabili, con un u n picc p icciolo iolo lungo da d a un uno o a tre centimet centimetri, ri, dentate, dentate, pelose da giovani, giovani, coriacee coriac ee e nude poi, po i, con nerv nervature ature ben marcate. marcate. I fiori sono son o ermafrodit ermafrod iti, i, in corimbi, hanno cinque petali bianchi e rosei, appariscenti gli stami con antere gialle. Il pomo è un frutto rotondeggiante, ombelicato ai poli, i colori variano dal verde al giallo, dallo striato al chiazzato di rosso, al rosso; il diametro varia dai due a quattro centimetri. Il melo selvatico è distribuito in tutta Europa e in Italia lo troviamo dalle Alpi alla Sicilia; è sporadico nei boschi di latifoglie, ai margini delle radure; ama il sole e non ha particolari preferenze per la qualità del suolo. suolo . Viene Viene usato per p er p por ortainnesto, tainnesto, ma è dal d al melo selvatico selvatico che sono derivate tutte le numerose qualità di meli coltivati, e questo sin dall'antichità. Si legge che nel secolo di Plinio molti erano i pomologi che si applicavano a selezionare alle varietà davano il loro nome, o il nome del luogo luogoi dove dmeli, ove venivano veenivano coltivati coltiche vati.creavano . Famosi sui mercati mercati di Roma erano il "malum "malum spadonium" spadon ium" (pomo di san Giovanni), il "malum orbiculatum" (mela Francesca), la "melimela" (mela
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zuccherina). Gli antichi autori classici (Catone, Frontone, Apuleio, Plinio eccetera) pongono il melo tra gli "alberi felici", ossia tra «quelli che servir potevano po tevano gli intend intendimenti imenti della relalbigione, relalbigione, della d ella morale, e dell'agricoltura». dell'agricoltura». E quante leggende, miti, versi e opere d'arte sono state ispirate da quest'albero! quest'al bero! Anche se nella nella Genesi Genesi non è scritto, era un pomo p omo che Eva porse por se ad Adamo dopo averlo staccato dall'albero «bello agli occhi e dilettoso all'aspetto» all'a spetto» che era in mezzo mezzo al paradiso terrestre: la tradiz tradizione ione come tale ce lo ha presentato, e Dante dice ("Purgatorio" 33, 61-63) che «Per morder quella, in pena e in disio / cinquemilia anni e più l'anima prima / bramò colui ch 'l morso in sé punio». Nel "Cantico dei Cantici" (2, 3) abbiamo del melo selvatico selvatic o la più bella b ella immagine immagine allegorica: allegorica: «Come un melo tra gli alberi del bosco, bo sco, / così co sì il mio diletto diletto tra i giovani. giov ani. / All'ombra di d i colui che ho ho b bramato ramato mi sono riposata, / e dolce è il suo frutto al mio palato». E il pomo che Paride assegnò ad Afrodite dopo che Zeus lo scelse come arbitro nella famosa disputa? E i meli meli e i pomi po mi dipinti dipin ti dai grandi grand i Maestri Maestri del Rinascimento e dai d ai Fiamminghi? E quelli delle sculture gotiche? Quest'albero accompagna da sempre la vita degli uomini e i suoi frutti, oltre che sano alimento alimento erano (sono!) (sono !) considerati quali medici medicina na da Galeno, Galeno, da Dioscoride e dal nostro Mattioli. Efficaci contro le «infiammagioni dello stomaco», «le posteme del sedere», «provocano l'urina», «caciano fuori li vermi» e ancora altro. Le mele grattugiate e date fresce, ai bambini piccoli sono indicate quando questi hanno la cacca sciolta, e il Castelvetro nel suo "Brieve racconto di tutte le radici di tutte l'erbe e ditutti i frutti che crudi o cotti in Italia si mangiano" scrive del "pomo paradiso": «Questo frutto non è niente più grosso che il pomo di due du e anni et è molto simile simile di forma a quell qu ello, o, ma la corteccia sua è gialla, macchiata di picciole macchie rosse quanto è il sangue; e quanto più si guarda (conserva) è tanto migliore; e, oltre all'ottimo suo gusto, ha un u n soavissimo odore odo re e tanto tanto che, messo tra' pannilini, pannilini, dà loro un dolce odore, odo re, e le corteccie corteccie (bucce) sue poste sopra sopr a brace, profuma prof uma tutta la la camera came ra di d i gratissimo gratissimo profu pr ofumo». mo». Ecco, proprio come faceva la zia Marietta, che era pure la quasi centenaria zia del nonno: metteva sempre le bucce dei pomi sopra la stufa di cotto del tinello, e profumava così inverni della nostra fanciullezza. chestesse ora per ritrovare ritrov are questo qu esto odor od oreeglidevo raccogliere le mele mel e selvatiche; selvatiche;Solo quelle ste sse che dalla loro fermentazione si ricava il sidro migliore e, distillando il sidro, una profu p rofumat mataa acquavite. acquavite.
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L'acero. Il suo legno è tra i più belli e pregiati. In primavera, nell'ora meridiana, meridia na, ritornando ritornand o a casa dall'ufficio dall'ufficio per il pranzo, passavo per un viale fiancheggiato da aceri (ora sono stati tagliati per far largo alle automobili) e sopra la mia testa c'era un brusio allegro di api felici: assieme alle foglie questi alberi sbocciano i fiori che sono sempre ricchi di nettare. Il miele d'acero, d'ace ro, poi, p oi, è profumato prof umato e limpido limpido ed è un u n vero v ero peccato peccato che sempre più rari r ari diventino questi q uesti alberi alberi nei pubblic pub blicii giardini giardini e lungo le strade, dove do ve amministratori incolti preferiscono sostituirli con alberi esotici e costosi che, magari, mal si adattano al nostro clima e non rallegrano l'autunno dei cittadini come potrebbe potrebb e l'acero. l'acero. Quando a fine estate si tagliava l'ultimo fieno, il più profumato e desiderato dagli animali che stanno d'inverno rinchiusi nelle stalle, e alla sera si rientrava, ci facevano salire sopra il carro: da lassù pareva d'essere alti sopra il mondo, mond o, e come u ubriachi briachi di odo odori, ri, di sole e di aria. Il cavallo cavallo baio era condott condo tto o alla brigli brigliaa da mio padre padr e o da d a un famigli famiglio, o, e quando q uando il carro carro passa p assava va sotto un arco ombroso di aceri, ci sembrava cosa ardita alzarci in piedi sul fieno traballante per strappare le disàmare dai rami che poi, giunti a casa, lanciavamo dall'alto del poggiolo verso il cortile per vederle vorticare nell'aria. Noi, le disàmare, le chiamavamo «eliche». Un Un mattino d d'autun 'autunno no inoltrato, quando le foglie erano cadute e le cime all'orizzonte imbiancate dalla neve, camminando camm inando in silenz silenzio io sul muschio d del el bosco arrivai a una rradura adura che si allungava all ungava verso i pascoli. pascoli. Ero sottovento e potei po tei sorprendere sorpr endere una un a femmina di capriolo con i suoi due du e piccoli piccoli dell'anno dell'anno che con il muso muso verso v erso terra smuovevano le foglie ogni tanto scegliendone una che poi, alzando la testa, lentamente lent amente mangia mangiavano. vano. Osservando con più attenzi attenzione one con il binocolo potei po tei vedere che erano le foglie dell'acero isolato che confinava con il prato, e che sceglievano quelle che avevano il colore più vivo e brillante. Lessi poi che le foglie di questi alberi sono particolarmente ricche di sostanze minerali, vitamine e azoto, che contengono poca cellulosa e che per gli erbivori sono persino persin o più p iù appetit app etitee dell'erba medica. Il genere "Acer", "Acer", della d ella famiglia famiglia delle "Aceraceae "Aceraceae", ", è molto mo lto ricco di specie; sp ecie; quasi tutte in Europa, in Asia e nell'America settentrionale. Sono alberi a foglie caduche; i nostrani hanno le foglie palmato- lobate, con picciolo lungo, senza I fiori sonoinracemosi, giallognoli, hanno ilIl calice stipole. e la corolla divisi cinque elementi; sonopentameri: poligami oossia ermafroditi. frutto è formato da d a due sàmare sàmare affiancate affiancate che a maturità si dividono, portand po rtando o nel n el vento il seme che è contenuto contenu to in un u n carpello carp ello appiattito. appiattito. (Da ( Da
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ragazzo mi piaceva ragazz p iaceva masticarlo). L'"acero minore" è un alberello che di rado supera i cinque metri; viene anche chiamato "Acero di Montpellier" perché è frequente in Provenza. Veget egetaa nel n el bacino del Mediterran Mediterraneo, eo, nelle Prealpi, nelle zon zonee temperate della d ella Svizzera Svizz era e della d ella Germania, Germania, nel n el Caucaso, nella n ella Persia; ama il sole e non no n teme la siccità; a volte cresce tra le rocce. Il suo legno ha il peso specifico superiore a quello dell'acqua dell'acqua ed è un ottimo ottimo combustibil comb ustibile. e. Anche l'"acero campestre" non è un albero di grande altezza, ma può raggiungere i quindici metri; la sua chioma è larga e fitta. Lo si trova in tutta Europa fino in Inghilterra e in Russia; anche sparso nei boschi di conifere. E' chiamato "campestre" perché un tempo veniva usato a sostegno dei filari delle viti e sopporta molto bene le potature più drastiche; inoltre si adatta a climi e terreni diversi. L'"acero riccio" è un grande e bellissimo albero: può raggiungere anche i trenta metri d'altezz d'altezza; il suo fusto fu sto è diritto, d iritto, la corteccia grigio-cener grigio-cenere, e, i rami eretto-patenti, la corona densa e larga; ha foglie simili a quelle del platano. Nell'autunno Nell'autunn o assume assu me quello qu ello splendido splend ido colore color e rosso ros so vivo v ivo che più di ogni ogn i altro altro spicca, come grande solista, nella sinfonia del bosco. Ama i climi freddi e continentali e, a Settentrione, arriva fino in Norvegia e in Finlandia; supera i freddi inverni e le primavere a volte nevose come questa del 1991 perché ha la caratteristica di ritardare il suo risveglio dopo il riposo invernale. La sua foglia rossa è lo stemma nella bandiera canadese. E da questi alberi gli indiani del Nord America sanno ricavare una dolce linfa che diventa medicina e alimento; e in Canada, e oggi anche da noi, si può pu ò trovare tro vare in commercio uno un o sciropp sciro ppo o d'acero d 'acero per p er preparare pr eparare particolari p articolari dolci. Pure l'"acero l'"acero di mon monte" te" è un albero che può arrivare a quaranta metri d'altezzza; la sua cortecci d'altez cor tecciaa è più scura del riccio; le le fogli fo gliee sono son o grandi gran di anche anch e quindici centimetri, a cinque lobi, dentate; le disàmare sono arcuate a «V». Il suo nome ci dice che ama di più le pendici delle colline e dei monti (può arrivare fino a duemi du emila la metri) metri) che non le pia pianur nure; e; non forma boschi b oschi puri ma si trova isolato o a piccoli gruppi. Il suo legno è tra i più belli e pregiati, è di colore bianco- avorio, sericeo, sericeo, facile facile da lavorare e di lunga durata du rata se usato usato negli interni. Stagionato per lungo tempo, anche dieci anni, viene usato dai liutai per i fondi, le fasce, il manico e i ricci degli strumenti ad arco. Uno quest qu estii aceri ace montani mon è diventato diventat o famoso fera amoso nappesa ell'A 'Appenn ppennino ino bolognese b olognese dove, si di racconta, cheri tra letani secolari fronde statanell l'immagine miracolosa di una Madonna portata dall'Oriente al tempo delle Crociate.
Nel 1358 1358 all ombra di d i quest qu est albero albero,, si costruì costru ì una un a chiesetta chiesetta dedicata alla alla 70
Madonna dell'Acero e ancora oggi, al 5 agosto di ogni anno, si celebra una festa. Aceri di molti secoli si trovano sui monti del Gennargentu in Sardegna, e sui Nebrodi, in Sicilia. In Abruzzo, nel comune di Pizzone, se ne trova uno che misura quasi sette metri di circonferenza. E pensare che un mio compaesano che aveva intenzione di creare un boschetto bo schetto di aceri su un prato abbando abban donato, nato, un u n lunedì lu nedì mattina si vide tagliati tagliati da incivili turisti, che forse volevano farsi bastoni da passeggiata, tutti i giovani virgulti che aveva impiantato! Anche i poeti hanno cantato gli aceri. Virgilio, irgilio, nell'" n ell'"E Eneide" (Libro Secondo, Second o, 112) Ci racconta che di d i travi d'acero era fatto il cavallo dell'inganno di Troia: «Già sorgeva il cavallo / fatto di travi d'acero: allora più che mai / i nembi risuonavano per tutto il vasto cielo...». Anche Pasternàk, sia nello "Zivago" che nelle poesie, ricorda gli aceri e in "Autunno d'oro" scrive: «... Casette tra gli aceri gialli / come in cornici dorate, / dove a settembre sull'alba / gli alberi stanno a due a due / e sulla corteccia il tramonto / lascia una traccia d'ambra». Esenin, il biondo biondo-rosso -rosso poeta contadino, canta di un «Acero «Acero antico» antico» che: «Vegli «V eglierà erà sulla su lla Russia celeste celeste / l'acero l'acero ritto su un piede. / So che tu sei grandissimo amico / di chi bacia la pioggia dei tigli, / anche perché, acero antico, / a me nel capo somigli». (La traduzione è di Renato Poggioli). T eofrasto, nei suoi trattati di botanica scrive che l'acero era prescelto per i mobili di maggiore eleganza, e Ovidio ci ha lasciato scritto che di acero era il trono di Tarquinio Tarquinio Prisc Pr isco. o.
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Il gelso. Gli alpini del Garda mi dissero che erano morari.
Giunti alla classe classe terza terza la maestra Elisa, Elisa, che l'autunno l'autun no precedente pr ecedente aveva voluto che ogni o gni scolaro scolaro arrivasse arr ivasse a scuola scuola con un diverso ramosce r amoscell llo o d'albero, alla fine del maggio 1929 ci portò dei bozzoli dalla pianura. Ci spiegò spieg ò che dentro ognuno ognun o c'era una farfalla che che prima era bruco e prima p rima ancora piccolo ovetto che, dischiuso al tempo che i gelsi mettono le foglie, mangiando queste era mutato e cresciuto fino a costruirsi intorno la sua casa di fili di seta. Ma qui in montagna non avevamo né gelsi né filugelli né, quindi, bachicoltura, e aspettammo con curiosità di veder uscire il "bombice del gelso" dal bozzolo che la nostra maestra aveva posato tra i doppi vetri della finestra al sole. Per vedere i primi gelsi, ma senza distinguerli ancora dagli altri alberi, dov ettii aspettare dovett aspettare qualche qualche anno, anno , e fu verso Bassano Bassano quando q uando ancora la bachicolturaa era in p bachicoltur pieno ieno svilupp sv iluppo o e gli alberi di gelso rispettati e protetti da una legge apposita del 1937 che ne vietava l'abbattimento. Nel 1941 1941,, con altra legge, legge, si precisò che ch e i pref prefetti etti avevano avevan o facoltà f acoltà di vietare anche il capitozzamento e la potatura invernale «di piante di gelso i cui rami non abbiano raggiunto raggiunto i tre anni di età, età, consentendo solo la rimondatura e la spuntatura a sfogliatura eseguita. Possono altresì vietare che la foglia di gelso sia utilizzata per scopi diversi dall'allevamento del baco da seta...» Altre cose indicava ancora questa legge a protezione dei gelsi. Poi, con gli anni, la bachicoltura morì, si chiusero le filande e si dimenticarono anche le canzoni delle filandaie (che ora sono oggetto di ricerca antropologica). Quasi tutti i gelsi sparirono dalle nostre campagne perché la seta veniva importata dall'Oriente come nei tempi lontani. Ora, da qualche anno, qui nel Veneto che per secoli era stato il luogo di maggior produzione, si riparla di gelsi, di filugelli e di seta; solo che sono sorti altri problemi di origine genetica in merito al bombice del gelso. E poi bisognerebbe reimpiantare i filari di gelsi come erano un tempo, perchéé pochi perch po chi ne sono so no rimasti a segnare segnare le cavedagne caved agne tra campo e campo. camp o. (In ( In questi giorni un amico scultore va lungo i margini dei coltivi in cerca di vecchi ceppi ceppi di moraro che poi po porta rta nel suo studio dove do ve li lavora lavora al fine di
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mettere in luce le forme e le qualità del legno variegato, inserisce in essi ciottoli di fiume levigati dai millenni e metalli preziosi creando così opere d'arte che hanno il mistero della creazione). Se anche il gelso non è albero della mia terra montana, mi è caro per un particolare ricordo ricor do che risale alla tarda tarda p primavera rimavera del d el 1941. 1941. In quell'anno q uell'anno,, con la resa della Grecia, avevamo finito di penare freddo e fame tra le più alte montagne dell'Albania dove la tormenta non dava mai requie. Scendemmo giù gi ùd daa lì a ricalpes ricalpestare tare l'erba l'erba novell nov ellaa dopo dop o mesi di neve e un u n giorno di giugno, gi ugno, con grande grand e caldo, caldo, andando giù giù alle rive del fiume Devoli per lavarmi e rinfrescarmi dalla rogna e dai pidocchi, mi imbattei in alcuni alberi grandi e forse antichi che tra i rami rami portavano frutti che per la forma mi ricordavano i lamponi. Il mio istinto mi disse di mangiarli e subito mi piacquero per il loro dolce non stucchevole stucchevole ma piuttosto piuttosto acquo acquoso. so. Ce n'erano di bianchi, di rosa, di rossi quasi viola e questi mi lasciavano il loro colore sulle dita e attorno alla bocca. Gli alpini del Garda mi dissero che erano «morari» e mi venne da pensare che forse erano stati impiantati al tempo della Repubblica di Venezia quando questa aveva il commercio mondiale della seta, dopo che un frate aveva portato po rtato dall'Estremo dall'Estremo Oriente O riente le uova uov a del filugello dentro dentr o una u na canna cann a di bambù b ambù che gli faceva da bastone. (Anche questo ce lo aveva raccontato la maestra Elisa). Ma sta stando ndo a Procopio furo furono no due monaci mon aci che nell'anno nell'anno 551 portarono a Costantinopoli i primi bachi da seta; Teofane da Bisanzio dice invece che fu un persiano, al tempo dell'imperat dell'imperatore ore Giustiniano, Giustiniano, a contrabbandare contrabband are il seme dal paese dei Serii, dentro la cavità di un bastone. Il gelso, "Mor "Morus us alba" L., L., appartiene ap partiene alla famiglia famiglia delle Mor Moracee, acee, di cui fa fa parte pure p ure il fico, e la caratteristica caratteristica di questa pianta è un lattice lattice che viene secreto come difesa a ferite o lesioni per evitare la penetrazione di parassiti nel loro organismo. Al genere "Morus" appartengono dodici specie distribuite nelle zone temperate del nostro emisfero. Il gelso è albero di media grandezza, ma può arrivare anche a venti metri e vivere qualche secolo; ha una corona espansa e densa; la corteccia, quando è giovane, è grigia, poi si incupisce tendendo al bruno e si fessura nel senso della lunghezza; i rami sono lisci e glabri. Le preziose foglie che attraverso il filugello ci dànno la seta, alterne quasi contrapposte, coni breve picciolo scanalato; a volte hannosono forma di cuore altre trilobata, con margini seghettati irregolarmente, acute agli apici; il loro colore è di un bel verde chiaro. Fiorisce in aprile-
maggio e lo stesso soggetto porta fiori maschili e femminili in amenti 73
pedu ncolati pedunco lati.. I frutti fru tti originati dalla infior infiorescenz escenzaa sono son o lunghi lun ghi un paio di di centimet centi metri, ri, di colore avorio, o bianco-rosato, o rosso v vivo ivo e cupo; cupo ; il loro loro sapore risulta dolce ancora prima della maturazione. Il "Morus alba", la cui terra d'origine è la Cina, è giunto in Europa in antichissima data; la sua coltivazione si è poi estesa fin dove era possibile, seguendo lo sviluppo dell'industria della seta. Il "Morus nigra" L., o moro, viene un po' più grande del gelso e ha l'aspetto più rustico e robusto; il fogliame è più denso, il picciolo delle d elle foglie foglie più corto, corto , queste qu este sono anche più p iù grandi grand i e la pagina inferiore è coperta da una peluria simile a feltro. La sua patria d'origine è l'Asia Minore e veniva coltivato per i suoi frutti che fermentati davano un vino leggero e, distillati, un'ottima grappa. Secondo Ovidio, che nelle sue "Metamorfosi" lo collega alla leggenda di Piramo e Tisbe, Tisbe, un gelso gelso moro mor o ombrava o mbrava la tomba di Nino Nino fondatore fo ndatore di Ninive. Questa Qu esta usanza di piantare alberi sulle su lle tomb tombee si manifestava nei pop p opoli oli antichi anti chi perché sapevano che il corpo disciolto disciolto e decomposto in umori umor i veniva assorbito dalle radici e che la materia si sarebbe vivificata negli alberi continuando così, per anni e per secoli, a testimoniare l'affetto e la memoria ai posteri. Il gelso era da Plinio considerato «Albero sapientissimo» perché è l'ultimo a sbocciare e il primo a maturare la frutta; in questo modo evita i dannosi effetti del freddo intempestivo e i frutti restano poi a lungo sui rami. Pare anche che le donne romane e greche con il succo di questi frutti si tingessero le guance.
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Il ciliegio. Al suo posto costruiranno un condominio per i villeggiant villegg ianti. i.
La neve che aspett aspettavo avo a d dic icembre embre e che per tutto l'anno non n on è venuta, si è fatta vedere in aprile quando i tre ciliegi stavano per aprire le corolle. Stando dentro il letto sentivo un differente silenzio; ma anche la luce, la poca po ca luce che sempre sempr e la notte conserva, con serva, aveva differen d ifferente te riflesso. Pensavo, Pen savo, vagavo vaga vo con la mente per contrade e tempi lontani ma poi il pensiero sempre ritornava ritorn ava là: ai ciliegi. ciliegi. Forse può pu ò sembrare ridicolo che un uomo della mia mia età, età, con tutte le cose cose che stanno accadendo, si soffermi a trepidare per i ciliegi in attesa della fioritura. Pensavo anche a quelle onde bianche di ciliegi in fiore che ai piedi delle mie montagne montagne aspettavano aspettavano insetti insetti pronubi pron ubi o un legge leggero ro zeffiro, ma non n on la neve e il vento del Nord. Ma forse laggiù, attorno a Marostica, mi dicevo, non arriverà la neve; e poi i fiori avranno «legato», nel profondo dei pistilli il polline po lline avrà già fecondato fecond ato gli ovari. Anche quest'anno il costante amico, amico, a fine maggio, maggio, mi porterà po rterà una o due ceste di ciliegie ciliegie che sempre sempr e mi suscita su scitano no meraviglia e golosa tenerezza. tenerezza. Più dellaa selvaggi dell selvaggina, na, più del vino, più ancora ancor a del pane, più p iù di ogni o gni altro altro cibo, insomma, sono attratto dalle ciliegie. Persino quell'inverno nella steppa russa le sognavo, sognavo, persino in campo di d i concentramento. concentramento. Nella Nel ladimia adolescenza adolescenz una un a delle prima letturequello è stata "Il "Ililgiardino ciliegi" Cechov; il mioa primo viaggio è stato con trenino adei cremagliera, cremagli era, organiz o rganizzzato dal d al prete dei d ei ragazz ragazzi, per arrivare arrivar e a una un a fraz fr azione ione dove in agosto maturano le marasche selvatiche. In Val d'Aosta, in quel giugno del 1940 quando si stava per entrare in guerra, ogni sera, con un amico amico che ora o ra è in Australia, Australia, dopo il rancio rancio troppo trop po scarso si andava a saziare la nostra fame con le ciliegie selvatiche che maturavano lungo la Dora o tra le rovine dei castelli. Erano piccole e succose, le contendevamo ai tordi e ai merli e l'amico, come gli uccelli, le inghiottiva con il nòcciolo. Ma le più impensabili e incredibili furono quelle ciliegie secche che scopersi in un ripostig ripostigli lio o sotterraneo sotterraneo di un'isba un 'isba sulla sulla riva del Don: che senso di primavera hanno saputo donarmi do narmi in quel gelo gelo fo fossil ssilee quando quand o le bollivo
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nell'acqua di neve! Si dice che il ciliegio sia originario dall'Asia; sarà forse per questo qu esto che lo ritroviamo ritrov iamo nelle antiche poesie po esie cinesi cinesi e che in Giapp Giappon one, e, per gli scintoisti, è oggetto oggetto di d i veneraz vener azione ione e cu culto, lto, tanto che ch e alla sua fioritura fioritur a è riservata una grande festa: quelle bianche nuvole di petali rappresentano la felicità effimera ma anche la beatitudine eterna. Nella Nel la nostra nostr a vecchia Europa Europ a il ci cilieg liegio io selvatico è indigeno; indigeno ; nell'antica Grecia si parlava di ciliegio domestico sin dai tempi di Alessandro; Erodoto, nel Libro Quarto della sua "Storia", racconta che oltre il territorio degli Sciti si trova un'ampia regione ai piedi di alte montagne dove gli abitanti si cibano del frutto degli alberi: «... Pontico si chiama l'albero del cui prodotto si cibano; ha le dimensioni dimensioni di una un a pianta di fico, più o meno, e produce pro duce un frutto grande come una u na fava e che ha anche anch e il nòcciolo; nòcciolo; quando è maturo lo filtrano filt rano attraverso attraverso panni p anni e ne cola un succo denso e scuro che chiamano "aschi"; se lo sorseggiano e lo bevono mescolato al latte...» Secondo Plinio, il grande buongustaio Lucullo, reduce dalla guerra contro Mitridate, portò a Roma le "apro "aproniane" niane",, le nostre no stre marasche, marasche, che in seguito furono furo no esportate fino alla Britannia. A quel tempo erano già conosciute le "duracinae" che venivano coltivate fin sul Reno e in Belgio. I ciliegi appartengono alla grande famiglia delle Rosacee, piante dicotiledoni con numerosissime specie sia erbacee che legnose, distribuite in tutto il mondo. Il genere "Prunus" conta circa duecento specie, ma è dal ciliegio montano, "Prunus avium" L., che derivano le tante "cultivar" per la produzione dei frutti. E' stato denominato "avium" perché quasi tutti gli uccelli sono ghiotti delle sue drupe e anche perché è da loro che viene disseminato su larghe aree: il nòcciolo che ingeriscono con la polpa viene espulso con le feci e cade ai piedi degli alberi dove gli uccelli vanno ad appollaiarsi per dormire la notte o per digerire. Nascerà, e in pochi anni diventerà un alberello di bell'aspetto. Potrà raggiungere un'altezza di venticinque ventic inque metri e il diametro diametro di quasi qu asi un metro, dirit d iritto to di fusto fu sto e non molto ramificato. Si espande se isolato. La corteccia, formata da vari strati, è bruno chiara, ma con gli anni diventerà più scura e screpolata; le radici sono molto estese, fittonanti, dalle più superficiali fuoriescono numerosi polloni. Le gemme sui rami sono raccolte a mazzetti, di colore nerastro, con le squame orlate di chiaro. Le foglie alterne, ovate e lunghe fino a quindici centimetri, dentate e con le nervature bene evidenti; i fioribianchi sono ermafroditi, in fascetti corimbosi penduncolati con la corolla a petali rotondato-smarginati. Il frutto è la bella drupa che tutti sanno; distillata dà limpido "kirsch". Il legno
del ciliegio selvatico è di meraviglioso colore rosato, lucido, elastico e 76
particolarmente adatto per p er i lavori lavor i dei bravi br avi artigiani artigiani falegnami (come sono so no belle le rustiche credenz creden ze di ciliegio!). ciliegio!). L'areale dove dov e vegeta occupa una u na vasta v asta zona eurasiana; vive spontaneo nelle foreste di latifoglie e in certe località si arrampica fino a millesettecento metri d'altitudine. Ama le pendici solatie e i terreni calcarei. D'autunno il suo fogliame diventa una brillante orifiamma che illumina i boschi più scuri. Sarà per tutto questo che attorno alla casa ho voluto tre ciliegi domestici e, l'anno l'a nno scorso, ho piantato piantato diversi d iversi polloni di marasco selvatico? selvatico? E in un mio racconto ho voluto scrivere di un ciliegio selvatico cresciuto sul tetto di paglia di una pov p overa era casa di montag mon tagna? na? L'avevo sentito raccontare e poi ebbi occasione occasione di vederlo v ederlo in una u na fotografia fo tografia del 1915, 1915, prima p rima che la guerra guer ra abbattesse ab battesse casa e ciliegi ciliegio. o. Ma uno, però, nelle vicinanze è rimasto; e il vecchio Titta, che ora avrebbe più di cento anni, an ni, diceva d iceva di ricordarlo ricor darlo quand qu ando o lui era er a ancora ancor a bambino. bamb ino. E' tutto contorto, scorticato, pieno di schegge di granata e di pallottole, eppure fruttificaa ancora e anche quest fruttific qu est'anno 'anno butte b utterà rà i suoi fiori, fior i, anche se, quando le ciliegie saranno mature, più nessun ragazzo salirà tra i rami a impiastricciarsi mani, viso e camicia di rosso e dolce succo. La vecchia casa contadina vuota e abbandonata è ora in vendita, al suo posto costruiranno un condominio per i villeggianti e anche il vetusto ciliegio sarà abbattuto per far largo alle automobili. Con lui se ne andrà un pezzo di storia, della nostra giovinezza. Come nell'ultima scena del "Giardino dei ciliegi", dopo che Ljubov' Andreevna costretta a vendere il ciliegeto alla speculazione, prima di abbandonarlo, abbracciata al fratello Gaev, mormora singhiozzando: «Mio caro, dolce, do lce, meraviglioso giardino.. giard ino.... Vita Vita mia, giovinezza giovinezza mia, felic f elicità ità mia. Addio!... Addio». E il vecchio maggiordomo Firs rinchiuso e dimenticato dentro la casa sente in lontananza la scure che si abbatte sugli alberi.
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