Marinucci, Angelo - Tra Ordine e Caos. Metodi e Linguaggi Tra Fisica, Matematica e Filosofia

April 13, 2017 | Author: transladitore | Category: N/A
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a Francesco, Anna, Armando e Teodor

Indice

Elenco delle figure

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Prefazione

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Introduzione

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1 L’essenza come riconoscibilit` a in fisica tra Ottocento 1.1 Ricerca e riconoscibilit` a dell’essenza . . . . 1.1.1 Completezza ed oggettivit` a . . . . . 1.1.2 Atemporalit` a e reversibilit` a . . . . .

fine Seicento e met` a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

2 La linearit` a e la scienza moderna 2.1 L’uso ed il significato del calcolo nella scienza moderna . . 2.1.1 Questioni generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.1.2 L’eredit` a dei Principia . . . . . . . . . . . . . . . . 2.1.2.1 Il significato della geometria dei Principia 2.1.2.2 Aspetti del metodo scientifico newtoniano 2.1.3 L’analisi algebrica . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.1.4 Il problema dei tre corpi . . . . . . . . . . . . . . . 2.1.4.1 Caos e rumore . . . . . . . . . . . . . . . 2.2 Linearit` a, perturbazioni e rumore . . . . . . . . . . . . . . 3 Questioni non-lineari 3.1 Ricapitolazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2 Problematiche non-lineari . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2.1 Sensibilit` a alle condizioni iniziali e parametri di 3.2.2 Ordini strani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2.3 Pi` u matematiche, un solo “mondo” . . . . . . . 3.3 Alcune questioni filosofiche . . . . . . . . . . . . . . . 7

39 42 43 45

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49 49 50 54 54 59 65 73 83 90

. . . . . . . . . . . . controllo . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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99 99 102 103 109 114 118

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4 Chiarimenti filosofici 4.1 Il concetto di rapporto . . . 4.1.1 Rapporto ed essenza 4.1.2 Rapporto e storia . . 4.2 Il concetto di relazione . . .

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5 Linguaggi, possibilit` a e concetti 5.1 Boltzmann e Wittgenstein . . . . . . . 5.2 Questioni spaziali . . . . . . . . . . . . 5.3 Somiglianze e confini . . . . . . . . . . 5.4 Dal Linguaggio ai giochi di linguaggio

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6 Concetto e possibilit` a 6.1 Regionalit` a strutturata . . . . . . . . . 6.2 La possibilit` a tra rapporto e relazione 6.2.1 Possibile e impossibile . . . . . 6.2.2 Coerenze e storie . . . . . . . .

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7 Dinamicit` a chiusa del rapporto e della 7.1 La realt` a tra effettualit` a e potenzialit`a 7.1.1 L’effetto di decoerenza . . . . . 7.2 Dinamicit` a chiusa della relazione . . .

relazione 171 . . . . . . . . . . . . . . . . 174 . . . . . . . . . . . . . . . . 180 . . . . . . . . . . . . . . . . 182

Riferimenti bibliografici

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Elenco delle figure

3.1 3.2 3.3 3.4

Sezione di Poincar´e . . . . Mappa di Poincar´e . . . . Crescita del mare caotico Attrattore di Lorenz . . .

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7.1

Il gatto di Schr¨ odinger . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 177

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Ringraziamenti

Desidero ringraziare tutti coloro con i quali ho avuto la fortuna di confrontare le idee espresse in questo lavoro, soprattutto perch´e, oltre alle parti e di loro specifica competenza, hanno spesso avuto la pazienza di leggere il testo nella sua interezza. Per questi motivi tengo particolarmente a menzionare il dottor Andrea Cintio, il dottor Stefano Salvia, il dottor St´ephane Finetti, il professor Niccol` o Guicciardini Corsi Salviati, il professor Luigi Perissinotto, il professor Giuseppe Longo, il professor Silvano Tagliagambe, il professor Luca Crescenzi e, non ultimo, Ubaldo De Robertis. Non vanno dimenticati tutti i colleghi di dottorato per le accese ed utili discussioni che hanno fatto maturare questo lavoro . Ancora pi` u da vicino ringrazio la mia Luciana che non ha mai mancato di farmi sentire la sua presenza. Un ringraziamento particolare va al professore ed al maestro Aldo Giorgio Gargani con il quale questo lavoro ha preso corpo. Un ultimo ringraziamento va al professor Mauro Mariani che si `e assunto l’onere di seguire questo lavoro dopo la scomparsa di Gargani.

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Prefazione

Per inquadrare nel modo migliore questo apprezzabile libro di Angelo Marinucci, rielaborazione della sua tesi di dottorato seguita dal compianto Aldo Giorgio Gargani, `e opportuno fare una breve digressione storica su un concetto che ne costituisce il motivo conduttore, quello di dominante, approfondito in particolare dal fisiologo russo Aleksej Alekseeviˇc Uchtomskij (1875-1942) in un’opera dal titolo omonimo1 . Allievo ed erede di Nikolaj Evgen’eviˇc Vvedenskij (1852-1922) e continuatore delle idee di Ivan Michajloviˇc Seˇcenov (1829-1905) sul determinismo biologico e il carattere sistemico dell’attivit`a del sistema nervoso centrale, Uchtomskij svilupp` o una teoria dei fenomeni psichici e del comportamento nel suo complesso che traeva spunto da un’indicazione di Johannes Reinke. Quest’ultimo in Die Welt als Tat (Il mondo come fatto), del 1899, parlava di forze formatrici indipendenti, che stanno alla base delle azioni umane, e che non derivano da energie n´e possono trasformarsi in esse, ma sono tuttavia “nocchieri delle energie”, “demoni”, nel senso che, pur non essendo controllate dalla coscienza, agiscono finalisticamente e presiedono alle funzioni degli organismi. Reinke aveva chiamato dominanti queste forze: e questo stesso termine, proprio negli anni in cui Reinke lo usava in un’accezione cos`ı marcatamente vitalistica, figurava, con tutt’altro significato, negli scritti di Richard Avenarius, in particolare in Kritik der reinen Erfahrung (Critica dell’esperienza pura), la cui prima edizione era sta pubblicata in due volumi tra il 1888 e il 1890. Avenarius l’aveva in particolare utilizzato per spiegare l’affermarsi della costante tendenza alla deproblematizzazione che caratterizza il comportamento teoretico in generale, anche nell’ambito di quella particolare forma di esso che `e il conoscere, e che si manifesta come bisogno di acquietamento, soddisfazione e liberazione che l’uomo prova quando si trova di fronte al sopraggiungere di qualche fattore nuovo che renda problematica una maniera consueta di vedere o di agire. Ne nasce uno sforzo di soppressione dell’inquietudine, attraverso l’eliminazione o comunque il controllo dell’oscillazione e della variazione, che assume una delle seguenti forme: 1. si pu` o cercare di ricondurre un “ignoto” qualunque a un “noto” analogo; 1 Cfr.

Aleksej A. Uchtomskij. Dominanta. Moskva-Leningrad: Nauka, 1966.

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Prefazione

2. si pu`o provare a trasformare l’incerto nel certo, l’insolito nel familiare, sfruttando l’assuefazione che, col tempo, si determina grazie alla frequenza con cui ricorre il valore, originariamente sentito come “diverso” o “divergente”; 3. infine, si pu`o tentare di attenuare e smorzare il carattere inquietante di una cosa o di un’idea, orientando altrove l’interesse e condannando quindi alla marginalit` a tutto ci` o che `e fonte di dubbio e di contraddizione. ` appunto questa costante tendenza alla deproblematizzazione che, secondo AveE narius, spiega lo sviluppo delle “dominanti”, cio`e di orientamenti che mirano ad assegnare a determinati punti di vista e concetti abituali una funzione duratura e a fare acquistare ad essi, in modo stabile, la caratteristica di capisaldi della conoscenza. Esse dunque possono essere considerate la risposta allo smarrimento di fronte al quale l’uomo si trova in seguito alla trasformazione di un valore consolidato in un altro, sentito come “diverso” e “contraddittorio”. Il bisogno di superare il conseguente stato di incertezza spinge alla ricerca di valori, criteri e leggi che, caratterizzandosi di nuovo come “noti”, “sicuri”, “veri”, eliminino l’oscillazione e l’inquietudine che la variazione ha determinato. Uchtomskij si riferisce, in parte, a questa accezione del termine “dominante”, che per`o viene da lui collocato all’interno di un quadro teorico assai diverso da quello di Avenarius. Egli si preoccupa soprattutto di trovare la base fisiologica della ricerca della stabilit`a e dell’equilibrio, di cui parla l’autore della Critica dell’esperienza pura, e della tendenza a trasformare in un sistema chiuso, costruito sulla base di un preteso riferimento alla totalit` a dell’esperienza acquisita e della illusione di poterla “passare in giudicato” in via definitiva, un sistema come la personalit` a dell’uomo nel suo complesso che, per sua propria natura `e essenzialmente aperto, caratterizzato dalla mancanza di confini netti e definiti una volta per tutte. Il fattore che sta alla base di questa tendenza e che `e dunque decisivo ai fini della trasformazione del sistema persona umana in un sistema chiuso `e, appunto, la dominante, da lui concepita e presentata come un focolaio di eccitazione nel sistema nervoso, che determina le reazioni dell’organismo agli stimoli esterni e interni. Il centro nervoso (o il gruppo di centri nervosi) dominante possiede un’elevata eccitabilit`a, accompagnata da un notevole grado di inerzia, vale a dire dalla capacit` a di mantenere questo stato anche quando lo stimolo iniziale cessa il proprio effetto attivante. Sommando in s´e l’eccitazione relativamente debole degli altri centri nervosi, la dominante se ne serve per rafforzare se stessa e nel contempo per inibire gli altri centri: in questo modo garantisce le coordinazioni degli sforzi dell’organismo in un’unica direzione e annulla gli eventuali elementi di disturbo. Ai livelli pi` u bassi del sistema nervoso la dominante si manifesta come disponibilit`a di un dato organo a essere sempre pronto a entrare in azione e come capacit`a di conservare a lungo questo stato di all’erta. Risalendo invece agli stadi superiori, ci si trova di fronte alla dominante corticale che costituisce la base fisiologica di tutta una serie di fenomeni psichici, tra cui, per esempio, l’attenzione, la memoria, l’attivit`a logica, l’emotivit` a. La possibilit` a di concentrare l’attenzione su determinati oggetti e la selettivit`a dell’apprendimento sono cos`ı fisiologicamente determinate dalle

Prefazione

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caratteristiche della dominante, che `e una costellazione che lavora a un determinato ritmo, ottimale per certe condizioni, e che `e in grado di rinforzare la sua capacit`a di eccitazione con impulsi costanti. Contemporaneamente, in rapporto con questo incremento di eccitazione, essa `e in grado di inibire gli altri riflessi presenti nella terminazione comune della vita nervosa. In questo modo, attraverso l’inibizione degli altri centri, si determina la selettivit`a dell’apprendimento: e d’altra parte si ha una concentrazione dell’attenzione, favorita dagli stimoli di media intensit`a. La dominante viene cos`ı configurandosi come la struttura fondamentale del comportamento umano: ma essa `e anche qualcosa di pi` u, in quanto “ciascuno di noi pu` o rilevare, attraverso l’introspezione, che quando essa `e presente, si accentua in modo rilevante, la capacit`a di cogliere e osservare determinati aspetti della realt`a e, nel contempo, cresce l’insensibilit`a per altre caratteristiche dell’ambiente. In questo senso la dominante pu`o essere considerata non soltanto il presupposto fisiologico del comportamento, ma anche il presupposto fisiologico dell’osservazione2 ”. “Un poeta rinchiuso in se stesso” - esemplifica Uchtomskij - “uno scienziato o un pensatore che antepongano alla realt` a il proprio mondo interiore, un soggetto incline a prestare attenzione solo a se stesso e a isolarsi sin dall’inizio dall’ambiente circostante, incapace di stabilire il minimo contatto con esso, saranno individui in qualche modo predeterminati e predestinati nella loro attivit` a e creativit` a. Nelle biografie delle persone con queste caratteristiche ci sono esempi ricorrenti di ripetizione ossessiva di un medesimo modus operandi, di uno stesso copione, a volte molto complesso, che essi recitano sempre allo stesso modo, in maniera tormentosa anche per loro stessi al solo fine di esaltare e di far trionfare la tendenza autistica di fondo che li caratterizza, nonostante che all’esterno l’ambiente storico in cui sono immersi sia inesauribile nella sua sovrabbondanza e nel proporre continue novit` a. In loro agisce in modo monocorde una dominante stazionaria, che funge da nido, attorno a cui si concentrano tutta la restante attivit` a, il comportamento nel suo complesso e la creativit` a nella sua interezza. Allo stesso modo uno scienziato dalla mentalit` a scolastica, che non ` e capace in alcun modo di liberarsi dalle teorie che gli sono state a suo tempo inculcate, cercher` a di applicare ovunque, a proposito e a sproposito, il suo punto di vista preferito e di far rientrare a tutti i costi in esso, deformandoli, i fatti vivi nel loro significato concreto. Informazioni inedite e persone nuove non gli dicono mai nulla di nuovo. Egli ` e stordito e accecato dalla propria teoria. Con quale frequenza, tra i ricercatori di professione, ci si imbatte in caratteri di questo genere: povert` a e unilateralit` a di pensiero, natura statica e fissa di esso!3 ”.

Ci` o che qui `e in gioco, in realt` a, non `e la povert`a di pensiero, bens`ı qualcosa di pi` u sottile e profondo, un meccanismo e un processo messi ben in luce da Wolfgang Pauli in un saggio, frutto del suo dialogo intellettuale con Jung4 , volto a 2 Cfr.

ibid., Princip dominanty, p. 126. ibid., p. 91. 4 Cfr. Wolfgang Pauli e Jung Carl G. Naturkl¨ arung und psyche. Z¨ urich: Rascher, 1952. Il saggio di Pauli ` e intitolato Der Einfluss archetypischer Vorstellungen auf die Bildung naturwissenschaftlicher Theorien bei Kepler (L’influsso delle immagini archetipiche sulle teorie scientifiche di Kepler) e quello di Jung Synchronizit¨ at als ein Prinzip akausaler Zusammenh¨ ange (la sincronicit` a come principio di nessi acausali). La traduzione italiana del primo ` e inserita in Wolfgang Pauli. Psiche e natura. Milano: Adelphi, 2006, pp. 57-121; il saggio di Jung si trova in Carl G. Jung. Opere. Vol. VIII. Torino: Bollati Boringhieri, 1983. Il dialogo e la collaborazione tra Pauli e Jung sono al centro di un libro, da me scritto in collaborazione con Angelo Malinconico, dal titolo Pauli e Jung. Un confronto sull’in-visibile in uscita a settembre presso l’editore Raffaello Cortina. 3 Cfr.

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Prefazione

scandagliare l’incidenza sulla nascita della scienza moderna hanno avuto le metafore, pi` u o meno ingannatrici, gli archetipi e quello che lo stesso Pauli, in un pensiero ripreso e riportato da Jung in una nota delle Riflessioni teoriche sul problema della psiche, del 19475 ”. ha chiamato l’inconscio dotato di una vasta realt`a oggettiva. Il caso di Keplero pu`o, da questo punto di vista, essere considerato emblematico per la frequenza, da lui stesso testimoniata nella Astronomia nova, a cadere in sempre nuovi labirinti in seguito alla forza trascinante di quello che egli chiam`o poi un ladro del mio tempo, e cio` e la credenza, appoggiata dall’autorit`a di molti filosofi, nei privilegi della circolarit` a, che lo spinse per molto tempo a condividere la convinzione di Brahe secondo la quale i pianeti si muovono in cerchi perfetti. Questa credenza “funziona tra le cose come un selettore la cui carica di verit`a `e fuori discussione. Essa guida Keplero nel labirinto e Galileo nei territori piani e illuminati. Essa sembra destinata a sopravvivere per l’eternit`a6 ”. La sua azione ostacola il libero dispiegarsi delle strategie razionali, che vengono imprigionate e costrette in una sorta di camicia di forza, di letto di Procuste: e tuttavia essa funge da selettore che, collocato all’inizio dei calcoli, “`e fondamentale affinch´e quei calcoli possano avere inizio7 ”. ` proprio questo il punto da cui prende avvio la riflessione di Pauli, che si E concentra proprio su questo problema del rapporto tra osservazione e calcolo, tra esperimento e teoria, che egli considera un caso particolare della relazione pi` u generale tra interiore (psichico) ed esteriore (fisico): “Nel caso della situazione della conoscenza si tratta del rapporto tra il conoscibile e il conosciuto. Il punto di vista puramente empirico, che vuol far risalire ogni spiegazione (Erkl¨ arung) a una descrizione (Beschreibung) (anche se generale e concettuale) non prende in considerazione il fatto che ogni enunciazione di un concetto o di un sistema di concetti (e con ci` o anche quella di una legge naturale) ` e una realt` a psichica d’importanza decisiva. (Nella lingua tedesca ci` o` e espresso nella parola Erkl¨ arung = chiarimento, spiegazione, in quanto a qualcuno diventa chiaro qualcosa; sfumatura questa, che manca nella parola Beschreibung = descrizione). Per questa ragione, in accordo con la filosofia di Platone, vorrei proporre d’interpretare il processo della comprensione della natura (nonch´ e la soddisfazione che l’uomo prova quando capisce, cio` e quando diviene cosciente di una nuova conoscenza) come una corrispondenza, cio` e come una sovrapposizione d’immagini interiori preesistenti nella psiche umana con gli oggetti esterni e il loro comportamento8 ”.

Questa proposta, a suo giudizio, pu`o spiegare la questione del ponte tra le percezioni sensoriali e i concetti, lasciata irrisolta dalla convinzione che le leggi della natura siano ricavabili dal solo materiale dell’esperienza: “Tutti i pensatori ragionevoli hanno concluso che un tale collegamento non pu` o essere effettuato tramite la pura logica. Sembra di gran lunga pi` u soddisfacente postulare a questo punto l’esistenza di un ordine cosmico indipendente dal nostro 5 Cfr.

Jung. Riflessioni teoriche sull’essenza della psiche, in ibid., 246 n. Enrico Bellone. Il sogno di Galileo. Bologna: il Mulino, 1980, p. 54. 7 Cfr. ibid., p. 56. 8 Cfr. Wolfgang Pauli. “Teoria ed esperimento”. In: Fisica e conoscenza. Torino: Bollati Boringhieri, 2007, pp. 105-106. 6 Cfr.

Prefazione

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arbitrio e distinto dal mondo dei fenomeni. Che si parli di partecipazione delle cose di natura alle idee o di propriet` a delle entit` a metafisiche - ossia, reali in s´ e -, il rapporto fra percezione sensoriale e idea rimane conseguenza del fatto che tanto la mente di chi percepisce quanto ci` o che viene riconosciuto mediante la percezione sono soggetti a un ordine pensato come oggettivo. Ogni riconoscimento parziale di un tale ordine naturale conduce alla formulazione di tesi che da un lato attengono al mondo dei fenomeni, dall’altro lo trascendono in quanto utilizzano, idealizzando, concetti logici universali. Il processo di comprensione della natura, come pure l’intensa felicit` a che l’essere umano prova nel capire, ossia nel prendere coscienza di una nuova verit` a, sembra basarsi su una corrispondenza, sulla concordanza tra le immagini interne preesistenti nella psiche umana e gli oggetti del mondo esterno con le loro propriet` a9 ”.

L’opera di Keplero, a suo giudizio, si presta in modo ottimale a esemplificare l’incidenza che, all’origine e nello sviluppo della scienza moderna, ebbero immagini simboliche e religiose che hanno radici in un livello del tutto inconscio e che rimangono inizialmente intrecciate al nascente spirito scientifico, in quanto in essa “l’immagine simbolica precede la formulazione cosciente di una legge di natura10 ”. A spingerlo alla ricerca delle leggi naturali sono immagini originarie, che la mente percepirebbe grazie a un istinto innato” e che “vengono da lui chiamate archetipiche11 ”. Si tratta di immagini come quella di Dio in quanto sfera infinita, che risale storicamente al medioevale Liber XXIV Philosophorum, del XII secolo, e che ha comunque delle precedenti versioni filosofiche e antiche nel mondo greco, come pure mitiche e arcaiche, quella del cerchio, il numero tre, legato alla Trinit`a, “attorno alle quali storicamente e ‘preistoricamente’, sin dall’infanzia dell’umanit` a, e invariantemente rispetto a differenti etnie e civilt`a, si sono costellate una serie di idee e rappresentazioni che le hanno avute come 12 nuclei ordinatori ”. Pauli evidenzia dunque come, alla fine del XVI secolo e nella prima met` a del XVII si abbia un complesso rapporto tra magia e tradizione alchimistica, da una parte, e spirito scientifico, dall’altra, che `e insieme di mescolanza e intreccio e di contrapposizione e distinzione: in questa temperie intellettuale Keplero si presenta come un pensatore che per un verso reagisce all’universo misterico, con la sua forte carica di immagini qualitative e simboliche, in quanto assertore e portatore di un modo di pensare allora del tutto nuovo, scientifico e quantitativo, basato su un’inedita alleanza tra indagine empirico-induttiva e pensiero logico-matematico: per l’altro e contemporaneamente mostra di avere, verso quella tradizione, un debito molto profondo, “il suo punto di vista non `e, infatti, puramente empirico, ma contiene elementi essenzialmente speculativi, come l’idea che il mondo fisico sia la 9 Cfr. idem, “L’influsso delle immagini archetipe sulla formazione delle teorie scientifiche di Keplero”. In: idem, Psiche e natura, p. 60. 10 Cfr. ibid., p. 77. 11 Cfr. ibid., p. 60. 12 Cfr. Enrico A. Giannetto e Pozzi Federica. “Pauli e Jung: una nuova prospettiva sulla scienza, sulla storia e sulla filosofia della scienza”. In: Prospettive della logica e della filosofia della scienza. A cura di Vincenzo Fano, Gino Tarozzi e Massimo Stanzione. Atti del convegno triennale della Societ` a Italiana di Logica e Filosofia della Scienza. Rubettino, 2001, p. 186.

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Prefazione

realizzazione di immagini archetipiche preesistenti13 ”. Si viene cos`ı a realizzare una forte integrazione tra le due componenti, nell’ambito della quale il pensiero causale della scienza naturale prende avvio da “immagini dal forte contenuto emozionale, che non sono pensate, ma piuttosto intuite con immaginazione quasi pittorica. In quanto espressione di uno stato di cose vagamente intuito ma ancora sconosciuto, queste immagini possono anche venire definite simboliche, secondo la definizione di simbolo proposta da Jung. In qualit`a di principi ordinatori e formativi di immagini in questo mondo di immagini simboliche, gli archetipi svolgono appunto la funzione di quel ponte da noi cercato tra percezioni sensoriali e idee e sono dunque una precondizione necessaria anche per la formazione di una teoria scientifica della natura14 ”. La lenta e complessa transizione da quel primo stadio, contrassegnato dall’egemonia di un contenuto inconscio che non risulta n´e definibile, n´e razionalmente descrivibile, a quest’ultimo, `e stimolata e resa possibile dalla formazione, come fase intermedia, di idee archetipiche che sono una ben definita rielaborazione di quello stato profondo della psiche, grazie alla quale esso pu`o cominciare a emergere a livello della coscienza. Queste idee archetipiche, a differenza degli archetipi propriamente detti, sono definibili e razionalmente descrivibili e proprio per questo soggette a correzioni: come infatti mostr`o di poter fare Keplero, la cui ricerca “inizialmente si muove nella direzione sbagliata e sar`a in seguito rettificata grazie ai risultati effettivi delle misurazioni15 ”. A conclusione di questa sua analisi Pauli chiama in causa Jung rilevando come sia “interessante che la parola archetipo, che Keplero per esempio adopera per le immagini preesistenti (platoniche), venga ora usata da C. G. Jung anche per fattori ordinatori non intuitivi, i quali si manifestano sia psichicamente che fisicamente16 ”. Anche Marinucci si occupa di labirinti, di ladri del tempo, di dominanti, di quadri concettuali che imbrigliano le strategie razionali in una delle loro fisionomie pi` u ricorrenti e durature nella storia della scienza, della fisica in particolare: l’idea della linearit` a, che, come viene da lui sottolineato, “non `e solo un concetto matematico, in quanto ha dei risvolti ontologici, epistemologici e filosofici in generale estremamente importanti”, per cui “pu`o essere pensata come la traduzione moderna dei concetti di ordine e semplicit` a della natura”. Essa `e alla base di quello che pu`o essere considerato il protagonista principale della fisica moderna, vale a dire le equazioni differenziali, ritenute in grado di tradurre in linguaggio matematico il movimento e i fenomeni naturali in generale. In questo scenario si sviluppano la pretesa e la fiducia che la matematica sia il linguaggio della natura e un paradigma incardinato sulla convinzione che una 13 Cfr. idem, “L’influsso delle immagini archetipe sulla formazione delle teorie scientifiche di Keplero”. In: Pauli, op. cit., p. 108. 14 Cfr. idem, “L’influsso delle immagini archetipe sulla formazione delle teorie scientifiche di Keplero”. In: ibid., p. 61. 15 Cfr. idem, “L’influsso delle immagini archetipe sulla formazione delle teorie scientifiche di Keplero”. In: ibid., p. 78. 16 Cfr. idem, “Teoria ed esperimento”, p. 106.

Prefazione

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teoria fisica, al contempo esplicativa e predittiva, sia in grado di ricondurre sotto un unico principio diversi tipi di problemi. Questo paradigma subisce varianti che Marinucci ricostruisce puntualmente. In particolare `e caratterizzato dal passaggio dall’originaria concezione newtoniana, secondo la quale la geometria `e una parte della meccanica, alla prospettiva di Lagrange, nell’ambito della quale la meccanica diventa una branca dell’analisi, o pi` u in generale della matematica, in quanto a essa `e ridotta. Ci`o significa che mentre nell’ottica newtoniana era fondamentale trattare o comunque ricondurre un problema alla geometria, in quanto la costruzione geometrica, e non la simbologia algebrica in s´e, `e ci`o che legittima il passaggio dalla matematica alla natura, i fisici del ‘700, con Lagrange in testa, ritengono di poter ampliare tale generalit`a distaccandosi dalla geometria e sostituendo a essa l’analisi. Da questa tendenza, orientata verso un’algebrizzazione dell’analisi, che escludeva ogni interpretazione geometria del calcolo, scaturisce l’idea, che diventer`a appunto dominante da quel momento in poi, secondo la quale, essendo la matematica una “branca” del calcolo, la posizione fisica di un problema coincide con la sua forma matematica. Ne consegue che tra la matematica e la realt` a non sussiste alcun salto. L’accecamento, di cui parla Uchtomskij, che questo tipo di dominante produce si manifesta in modo chiaro nell’atteggiamento assunto nei confronti del problema dei tre corpi trattato come il problema dei due corpi pi` u una perturbazione. Poincar´e ha il merito di gettare un fascio di luce su questa forma di cecit`a cominciando a parlare di sistemi non-lineari e di sensibilit` a alle condizioni e a porsi il problema di cosa significhi studiare l’equilibrio di sistemi di questo tipo. Quello che Marinucci chiama giustamente il potenziale di tragicit`a insito nel suo approccio sta nella convinzione, esplicitamente dichiarata, che non sia possibile risolvere il problema dei tre corpi con quello strumento matematico che era stato fino a quel momento, ed era ancora, non solo il nucleo concettuale della fisica, ma il modello assoluto di scientificit` a, cui tutte le altre scienze s’ispiravano. Ci`o determina la rottura dello schema chiuso all’interno del quale si era costretta la concettualit`a scientifica e filosofica e l’ampliamento dell’orizzonte degli oggetti di studio, non pi` u ristretto alla sola classe dei sistemi (deterministici) riducibili a pochi gradi di libert`a e non sensibili alle condizioni iniziali, e dunque lineari e completamente prevedibili a priori, ma esteso ai sistemi deterministici sensibili alle condizioni iniziali e non-lineari, come il problema dei tre corpi, e ai sistemi, come la dinamica di un gas, che hanno un comportamento stocastico, non potendosi conoscere n´e la posizione, n´e la propriet` a di tutte le particelle. Marinucci sottolinea con chiarezza e rigore le conseguenze di questa rottura. In primo luogo gli effetti del disordine dovuto alla non-linearit`a, e cio`e la perdita esponenziale d’informazione e l’emergenza di un ordine imprevedibile, dovuta al fatto che la somma degli elementi in gioco non `e pi` u in grado di render conto dell’ordine che si viene a costituire. Inoltre l’impossibilit`a di distinguere elementi essenziali da elementi accidentali e di sapere con certezza su quali aspetti puntare per comprendere l’evoluzione caotica del sistema. La configurazione di un sistema non-lineare diventa cos`ı uno stato finale, gravido di un passato che non `e possibile

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interpretare univocamente in modo da farne una sola storia, in quanto le stesse condizioni iniziali, pur se fissate con un piccolissimo margine d’errore, daranno luogo a un’evoluzione non completamente e temporalmente prevedibile e controllabile. Sulla base di questa analisi viene impostata in modo corretto la questione del rapporto tra non-linearit`a e imprevedibilit`a, evidenziando come non si tratti affatto di sinonimi: “se da un lato la non-linearit`a rende pi` u problematica la previsione rispetto a un modello lineare, dall’altro, per`o, non va pensata alla stregua di un mero disturbo, alla stregua del rumore: la non-linearit` a `e una propriet`a di un sistema, senza la quale lo si snaturerebbe”. Quello non-lineare `e quindi un sistema con un proprio statuto epistemologico, in grado d’inquadrare fenomeni e propriet`a specifiche, non riducibile ad altro di pi` u semplice o costitutivo A corredo e a sostegno di questa precisazione vengono evidenziate le conseguenze negative alle quali ha condotto l’identificazione, all’interno della fisica moderna, della non-linerit` a con il rumore. Da questa ricostruzione Marinucci trae una conclusione filosofica importante, che diventa il tema principale del discorso successivo, e che egli esprime nei termini seguenti: “la scelta di una via apre delle possibilit`a, e proprio per questo, chiude la possibilit` a di accedere ad altri punti di vista. In altri termini, si tratta di capire perch´e la non-linearit` a, non rientrando nello spazio di pensabilit`a della concettualit`a del tempo, non poteva essere riconosciuta come tale, a testimonianza del fatto che, appunto, scegliere e strutturare delle possibilit`a vuol dire sempre lasciarne delle altre. Il punto filosoficamente importante sar`a tener presente metodologicamente una pluralit` a di prospettive possibili, proprio nel momento in cui se ne definisce produttivamente una. L’ulteriore problema filosofico riguarda il fatto che, a rigor di termini, nel momento in cui ci si trova ad avere a che fare con uno spazio di pensabilit`a non solo chiuso, ma assolutamente chiuso, non si pone neanche il problema di una riconoscibilit`a di altri spazi di pensabilit` a che esulano da quello esistente”. Per esemplificare questo aspetto cruciale viene proposta l’analisi di enti geometrici, come le curve continue e non derivabili in nessun punto, e di dimensioni, come quelle frattali, che alla luce degli strumenti matematici e della concettualit` a dominante fino alla fine dell’800 non potevano che essere considerati mostri o deviazioni patologiche non legittimati ad entrare a far parte dell’insieme dei possibili oggetti della conoscenza. Queste evidenti lacune dello spazio della pensabilit`a disponibile rendono necessario il passaggio a una diversa prospettiva teorica che comincia a emergere con Boltzmann e si sviluppa pienamente nel secondo Wittgenstein che, come ha mostrato Gargani nel suo Wittgenstein. Musica, parola e gesto, proprio da Boltzmann ha tratto spunto per alcuni dei temi portanti del suo pensiero. L’alternativa in questione `e incardinata sull’idea di somiglianze di famiglia, che consente di individuare analogie e nessi inediti, frutto della costruzione di coerenze diverse tra linguaggi intesi come regionalit`a strutturate e di far in tal modo fronte ad esigenze sempre nuove che le forme di vita pongono di volta in volta.

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Questo tipo di strumento concettuale, sottolinea Wittgenstein, ci mette in condizione di cogliere “una rete complicata di somiglianze che si sovrappongono e si incrociano a vicenda”. Somiglianze in grande e in piccolo. Non posso caratterizzare queste somiglianze meglio che con l’espressione somiglianze di famiglia; infatti le varie somiglianze che sussistono tra i membri di una famiglia si sovrappongono e s’incrociano nello stesso modo: corporatura, tratti del volto, colore degli occhi, modo di camminare, temperamento, ecc. ecc. - E dir`o: i ‘giuochi’ formano una famiglia. E allo stesso modo formano una famiglia, ad esempio, i vari tipi di numeri: Perch´e chiamiamo una certa cosa numero? Forse perch´e ha una - diretta parentela con qualcosa che finora si `e chiamato numero; e in questo modo, possiamo dire, acquisisce una parentela indiretta con altre cose che chiamiamo anche cos`ı. Ed estendiamo il nostro concetto di numero cos`ı come, nel tessere un filo, intrecciamo fibra con fibra. E la robustezza del filo non `e data dal fatto che una fibra corre per tutta la sua lunghezza, ma dal sovrapporsi di molte fibre l’una all’altra. Se per`o qualcuno dicesse: Dunque c’`e qualcosa di comune a tutte queste formazioni, - vale a dire la disgiunzione di tutte queste comunanze- io risponderei: qui ti limiti a giocare con una parola. Allo stesso modo si potrebbe dire: un qualcosa percorre tutto il filo, - cio`e l’ininterrotto sovrapporsi di queste fibre17 ”. Guardando i giochi, dunque, non `e quindi dato cogliere qualcosa che sia realmente comune a tutti e che quindi corrisponda all’essenza del gioco che giustifichi dunque l’applicazione del nome comune. Per questo a essi non si pu`o applicare la nozione di insieme che presuppone, com’`e a tutti noto, proprio la presenza di una propriet`a che sia comune a tutti. Ogni possibile identificazione di una propriet` a di questo genere, che sarebbe comune a tutti i giochi, viene contrastata da Wittgenstein attraverso contrapposizioni significative. Se dici che `e essenziale al gioco il divertimento, citerei casi in cui parleresti di giochi esitando tuttavia a ` divertente del resto il gioco degli scacchi? O la caratterizzarli come divertenti. E roulette russa? Se dici che `e essenziale al gioco il vincere o il perdere, non `e certo difficile citare giochi in cui la competizione non ha nessuna parte, come i solitari. E cos`ı via. Ci`o che invece si pu`o ammettere `e che tra un gioco e l’altro vi sia, come detto, un’aria di famiglia che manifesta l’appartenenza comune attraverso somiglianze sfuggenti. Nel caso di una nozione come quella di gioco, quindi, nella misura in cui ci serve per illustrare una concezione del linguaggio, ci serve proprio il mantenere aperto il concetto. Se lo chiudessimo - come potremmo anche fare introducendo restrizioni nell’impiego del termine - ci rimetteremmo qualcosa. Perci`o introduciamo la nozione di gioco mediante esempi e poi diciamo: queste, e simili cose, si chiamano giochi18 . Ed ancora: Si danno esempi e si vuole che vengano compresi in un certo senso19 . Occorre poi mettere in evidenza che non abbiamo nessun 17 Cfr.

Ludwig Wittgenstein. Ricerche filosofiche. Torino: Einaudi, 1999, p. 47. ibid., § 69. 19 Cfr. ibid., § 71. 18 Cfr.

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diritto di indicare questa introduzione esemplificativa come un modo intuitivo, nel senso di vago ed approssimativo in cui talora viene usato questo termine, quasi che questa introduzione fosse una sorta di preparazione preliminare a cui dovr` a seguire necessariamente una determinazione rigorosa. L’apertura del concetto non deve essere confusa con la sua vaghezza: qualcosa `e infatti vago relativamente al problema di una determinazione rigorosa. Pi` u chiaramente: solo nella misura in cui, per scopi particolari, esigiamo determinazioni rigorose diciamo che un certo modo di procedere `e vago ed approssimativo. Inoltre nulla giustificherebbe l’idea che una nozione che non sia rigorosamente determinata sia per ci` o stesso inutilizzabile. Infatti noi “possiamo - per uno scopo particolare - tracciare un confine. Ma con ci`o solo rendiamo il concetto utilizzabile? Niente affatto!20 ”. Ci`o potrebbe essere sostenuto sulla base di un pregiudizio in cui la richiesta di una esatta determinazione venga avanzata prescindendo dai contesti e dagli scopi che vengono perseguiti. “Qui l’esemplificare non `e un metodo indiretto di spiegazione - in mancanza di un metodo migliore21 ”. Non ci sono due livelli, l’uno intuitivo in cui diciamo le cose alla buona, scusandoci di continuo con l’ascoltatore, e uno esatto, rigoroso in cui riesponiamo le cose nell’unico modo legittimo. Ma il procedere attraverso esempi non potrebbe forse mettere il nostro interlocutore in una situazione di incertezza imbarazzante? Ci`o pu`o anche accadere. Wittgenstein `e molto chiaro ed esplicito su questo punto: nell’accettare un metodo, quale quello da lui proposto nelle Ricerche filosofiche, basato sugli esempi, su immagini sfocate e non su concetti rigorosi e dai confini ben definiti, dobbiamo accettare di poter essere fraintesi. Ci`o fa parte del problema. Se dico Portami questo e mostro una foglia di quercia, forse 1. il mio interlocutore cercher`a di strapparmi di mano la foglia (o se ne star`a l`ı imbarazzato) 2. oppure mi porter`a una foglia di quercia; 3. oppure ancora mi porter`a una foglia qualunque. La foglia che mostro assolve funzioni differenti (come strumento del linguaggio). Nel secondo e terzo caso in modi diversi svolge la parte del campione. Nel primo vale per se stessa. Del resto non vi `e motivo, e forse non `e nemmeno possibile, garantirsi da ogni possibile fraintendimento. Vi sono fraintendimenti che potremmo non aver affatto previsto. Ed in ogni caso il fraintendimento avviene, per cos`ı dire, uno alla volta, e presumibilmente saremo sempre in grado di porre riparo a quel fraintendimento. Sulla base della prospettiva che viene in tal modo assunta il metodo cessa di essere un insieme di passi codificati da compiere per raggiungere uno scopo per essere concepito, invece. come una via che si costruisce nel momento stesso in cui la si percorre. Inoltre coerenze diverse non si collocano necessariamente in una successione temporale, ma possono essere pensate come contemporaneamente presenti, per cui di uno stesso contesto problematico possono essere prodotte coerenze diverse, frutto dell’attenzione per aspetti diversi del contesto medesimo. In questo senso possono essere “tenuti insieme” elementi e aspetti considerati 20 Cfr. 21 Cfr.

ibid., p. 48. ibid., p. 48.

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profondamente eterogenei in grado di far emergere significati nuovi. Diventa di conseguenza possibile confrontare e far convergere e interagire quadri concettuali diversi senza alcuna pretesa di ricondurli a un unico spazio di pensabilit`a. All’interno di un confronto cos`ı concepito i confini e/o le zone di confine delimitano sia spazi all’interno dei quali vigono pi` u giurisdizioni, sia spazi vuoti. Inoltre essi divengono mobili e possono essere spostati in seguito alle modalit`a e ai risultati delle interazioni tra le differenze in campo. Ci sono per`o modi diversi di far interagire queste differenze. Marinucci introduce, a questo proposito i concetti di “rapporto” e “relazione”. Col primo s’intende che lo spazio di possibilit`a, o le configurazioni possibili di un sistema, sono conoscibili dalla semplice analisi e definizione dei singoli elementi di un sistema presi separatamente. Col secondo si fa invece riferimento a uno spazio di possibilit`a che si costituisce a posteriori, a partire dall’interazione degli elementi che, in tal caso, sono definibili solo dopo l’interazione stessa, in quanto vengono considerati “distinti ed inseparabili”. Di qui, a seconda di come si svolge l’interazione si avranno diversi e molteplici spazi di possibilit` a. L’introduzione di una simile distinzione pone il problema di pensare una proliferazione non prevedibile di possibilit` a, senza poter individuare un’unit` a sottostante e fondamentale. La differenza tra i due tipi di approccio, legati ai due diversi concetti menzionati, si manifesta in modo particolarmente evidente nell’analisi di un problema specifico della meccanica quantistica, quello del presunto “salto” tra mondo microscopico e mondo macroscopico, che proprio per questo viene da Marinucci affrontato estesamente a partire dall’analisi delle conseguenze che emergono dal paradosso del gatto di Schr¨odinger. Merito di questo “esperimento mentale” `e quello di porre in modo chiaro la questione del confine tra la fisica classica e la meccanica quantistica e i loro rispettivi ambiti di pertinenza, mettendo in luce come lo spazio di possibilit` a della prima non sia tale da rispondere alle esigenze della seconda, malgrado il fatto che i concetti della fisica classica costituiscano il linguaggio per mezzo del quale `e descritta la preparazione degli esperimenti quantistici e ne vengono espressi i risultati. Per inquadrare correttamente tale questione `e necessario introdurre i concetti di possibile, reale e potenziale definendoli correttamente e stabilendone i mutui rapporti, cosa che Marinucci fa valendosi dell’analisi di oggetti macroscopici che mantengono un comportamento quantistico, i superconduttori. La situazione del gatto del paradosso di Schr¨odinger `e emblematica in quanto esso, per come `e costruito e configurato l’esperimento mentale, consiste formalmente di due sistemi dinamici: uno descrivibile da coordinate collettive (il complesso macroscopico) e l’altro da coordinate microscopiche. Essi sono detti rispettivamente: sistema collettivo e ambiente. Proprio a partire da questa situazione pu`o essere ben esemplificata e approfondita la differenza tra un approccio basato sul concetto di rapporto e una prospettiva che fa invece riferimento all’idea di relazione. Nel primo caso si assume infatti che il comportamento dei singoli “elementi” che costituiscono il complesso sia diverso dal comportamento globale di quest’ultimo, in

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quanto i primi sono soggetti a comportamenti quantistici, mentre il secondo `e soggetto alla fisica classica. Volendo sintetizzare tutto ci` o si pu` o scrivere: H = Hc + He dove H indica il sistema globalmente considerato, mentre Hc e He rappresentano, rispettivamente, la parte macroscopica e la parte microscopica. In questa modalit`a queste due componenti vengono meramente giustapposte, senza che si consideri tra loro alcun tipo di scambio energetico. In modo ben diverso si presentano le cose se invece Hc e He vengono considerati accoppiati o distinti e inseparabili, caratterizzati, cio`e, da quel carattere della sinteticit` a o, per meglio dire, della composizione, che Jung considerava tipico del simbolo. Componere  significa “porre insieme”, “mantenere uniti”. Ci`o che, nel simbolo, viene tenuto assieme sono gli opposti che il pensiero razionale e dirimente considera legittimamente separati e, nella mutua esclusione, disgiunge e distanzia. Questo tratto distintivo fa del simbolo il prodotto di un’intuizione che attraversa e lacera il tessuto logico dell’ordine normale e razionale del pensiero. In questo senso esso esprime tensione e antinomicit` a creatrice, ma anche unione e collegamento. Assumendo questa impostazione `e possibile render conto di un effetto di dissipazione termica dovuta proprio al fatto di “tenere insieme”, e non semplicemente giustapporre, tali sistemi. Si pu` o, di conseguenza, scrivere: H = Hc + He + Hint Con Hint  viene introdotto il riferimento a un concetto, quello di decoerenza, che viene spesso associato (e talvolta indebitamente confuso) con il collasso della funzione d’onda, con il quale `e in uno stretto rapporto, in quanto ne spiega le evidenze, anche se non d`a conto del collasso in quanto tale. Mentre per`o quest’ultimo `e il risultato del procedimento intenzionale che chiamiamo “misura”, la decorrenza `e l’effetto di un processo di conversione delle probabilit`a quantistiche nelle usuali probabilit`a classiche e di trasformazione del possibile nel fattibile che avviene anche senza il nostro intervento. Essa si verifica quando il fenomeno quantistico interagisce in un modo termodinamicamente irreversibile con l’ambiente in cui `e immerso, o qualsiasi altro sistema complesso esterno. Ognuno degli stati che lo compongono diventa cos`ı intricato (separatamente) con diversi aspetti dell’ambiente o del sistema esterno. Ci`o che risulta da questa interazione e dall’intricazione va trattato come un unico sistema. Quindi ciascuna componente del nostro fenomeno quantistico forma stati intricati separati. Le fasi di questi stati saranno alterate: ci` o distrugge la coerenza delle fasi fra le componenti, che diventano decoerenti. La decoerenza `e dunque la conseguenza dell’impossibilit`a di isolare in modo completo il fenomeno quantistico da ci` o che lo circonda, dove “per ci` o che lo circonda” s’intende tutto ci`o che interagisce con esso (un apparecchio, delle molecole d’aria, dei fotoni ecc.). Questa interazione provoca una distruzione molto rapida delle interferenze quantistiche del sistema. Le interferenze sono un fenomeno ondulatorio,

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e caratterizzano un comportamento quantistico. La distruzione delle interferenze, comporta, a sua volta, una soppressione delle sovrapposizioni di stati che caratterizzano l’oggetto quantistico; quest’ultimo, quindi, disponendo unicamente di alcuni stati semplici, assume immediatamente un comportamento classico. In un oggetto macroscopico (come appunto il gatto del “paradosso di Schr¨ odinger”) , ogni atomo che lo compone interagisce con tutti gli altri atomi dell’ambiente che gli sta attorno. Tutte queste interazioni provocano spontaneamente una sorta di “ronzio“ di interferenze quantistiche, che spariscono quasi istantaneamente. Ecco perch´e la fisica quantistica non si applica alla nostra scala: i sistemi non sono mai isolati. La velocit`a di decoerenza aumenta con la grandezza del sistema. Un gatto per esempio, formato da circa 1027 particelle, “decoerisce” in 10−23 secondi. Ci`o spiega perch´e non si sono mai visti dei gatti in uno stato di sovrapposizione tra la vita e la morte e perch´e la decoerenza sia cos`ı difficile da osservare. Per un elettrone, invece, il tempo di decoerenza (che viene detto “coefficiente di fluttuazione”) `e di circa 107 secondi, un tempo, quindi, abbastanza lungo per osservare gli effetti di interferenza in esperimenti come quello della doppia fenditura di Feynman. La decoerenza, quindi, non ´e un improvviso “salto”, come si `e ritenuto per molto tempo, in seguito al fatto che essa avviene a una velocit` a impressionante (in un intervallo di 10−27 secondi) - per cui d`a una forte impressione di discontinuit`a, di salto quantistico “istantaneo”. Recenti esperimenti sono per` o riusciti a rallentarne il decorso staccando particelle quantistiche dal loro ambiente. In seguito a questo rallentamento le sovrapposizioni di stati diventano evidenti. I componenti di interferenza eliminati dal processo di decoerenza, tuttavia, non svaniscono veramente - semplicemente non li notiamo a livello macroscopico perch´e sono sfasati. In effetti, vengono semplicemente dissipati nel nostro ambiente pi` u vasto. Possono essere assimilati alle piccole increspature nel mare, che risultano invisibili rispetto alle grandi onde, oggetto della nostra percezione. Potremmo dire - proseguendo nell’analogia e forzandola un poco - che le piccole increspature diventano intricate con altre piccole increspature finch´e non risulta impossibile dire da quale grande onda provenga ciascuna di esse, che diviene cos`ı non determinabile e non pi` u percepibile. Per le sue caratteristiche la decoerenza pu`o quindi essere considerata un processo di coagulazione, di “solidificazione”, di continuo “rastremarsi” del possibile verso il reale, del virtuale nel “qui e ora” che conferisce significato al tempo, che rispecchia questo ininterrotto processo di evoluzione che rende “macroscopiche” e percepibili solo alcune variazioni, le “grandi onde” dell’oceano della selezione naturale, dissipando in quest’ultimo le piccole increspature. Ecco perch´e essa si presta particolarmente bene a illustrare e analizzare i rapporti tra realt`a, possibilit` a e potenzialit` a. Nella meccanica quantistica, sottolinea Marinucci valendosi di queste premesse, le possibilit`a non sono disponibili a priori, ma sono costituite, sia in generale sia nella specificit`a della preparazione di un esperimento. Ecco perch´e `e impossibile assumerle isolatamente: la meccanica quantistica presenta forti e imprescindibili connotati olistici che rendono impossibile trattare isolatamente la componente macroscopica

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e quella microscopica tra le quali, separandole, sarebbe poi impossibile trovare una qualsiasi mediazione, dato che obbediscono a leggi contraddittorie. Il quadro che ne emerge presuppone ed esige, di conseguenza, il riferimento all’idea di relazione, attraverso la quale `e possibile pensare uno spazio di possibilit`a, per nulla predeterminabile a priori. In questo approccio il significato, pensato come pluralit`a di possibilit`a, si d`a nell’atto stesso del tenere insieme elementi diversi: esso `e, pertanto, qualcosa che si d`a congiuntamente e che si costruisce tramite la relazione come `e stata definita e in modo indissolubile rispetto a essa, in quanto solo nella relazione cos`ı intesa risulta possibile porre e pensare l’indistricabilit` a di elementi eterogenei e costituire le stesse possibilit`a, vale a dire lo sfondo dal quale emergono i significati puntuali. Diventa cos`ı chiaro che un concetto `e un prodotto per sottrazione, nel senso che quando qualcosa s’individua attraverso di esso si perviene a un esito che dipende strettamente dai nessi e dalle relazioni che lo producono. In questo modo, il concetto pu`o essere svincolato da una presupposta, completa e atemporale conformit`a e identit` a col suo oggetto. Esso, in quanto individua qualcosa, non ne esprime l’essenza, quanto piuttosto una differenza. L’idea di un percorso di questo tipo si trova in Calvino, nella lezione dedicata all’esattezza delle sei Charles Eliot Norton Poetry Lectures che avrebbe dovuto tenere all’universit`a di Harvard, nell’anno accademico 1985-1986, per discutere di alcuni valori letterari da conservare nel prossimo millennio, se la morte non fosse intervenuta a coglierlo prematuramente e in modo improvviso: “Alle volte cerco di concentrarmi sulla storia che vorrei scrivere e m’accorgo che quello che m’interessa ` e un’altra cosa, ossia, non una cosa precisa, ma tutto ci` o che resta escluso dalla cosa che dovrei scrivere; il rapporto tra quell’argomento determinato e tutte le sue possibili varianti e alternative, tutti gli avvenimenti che ` un’ossessione divorante, di struggitrice, il tempo e lo spazio possono contenere. E che basta a bloccarmi22 ”.

Se si assume questo punto di vista, il processo di acquisizione e conquista della conoscenza cessa di apparire incardinato sull’obiettivo tradizionale dell’accumulazione e dell’arricchimento di dati e informazioni, fino a comporre dal basso verso l’alto un quadro il pi` u esaustivo possibile del mondo che ci circonda. Esso comincia invece a essere concepito sempre pi` u come un percorso top-down , l’esito di uno sforzo tenace e costante di selezione e di restringimento, dall’ambito originario del possibile, con le sue opportunit`a presso che illimitate, al sistema dei vincoli dettati e imposti dall’adesione all’effettualit`a, vale a dire al reale quale ci si presenta qui e ora, cio`e nelle circostanze spaziali e temporali nei quali esso `e percepito e concettualizzato. Un cammino che assume la forma di una piramide rovesciata, in quanto parte dall’alto, da una base molto ampia, che tende poi a rastremarsi verso il basso, fino ad assottigliarsi in una sorta di vertice. Del resto `e proprio questo, dal complesso al semplice, e non viceversa, il percorso di sviluppo che pare seguire la genesi del linguaggio, i cui costituenti 22 Cfr.

Italo Calvino. Lezioni americane. Milano: Mondadori, 1993, p. 77.

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base sembrano dover essere individuati nei processi funzionali di carattere olistico che rendono possibile il fluire della comunicazione gi`a prima dell’avvento di un codice espressivo vero e proprio. Come rileva Ferretti, dal nostro punto di vista il discorso (la successione temporalmente e coerentemente ordinata delle espressioni comunicative) precede l’origine delle singole espressioni prese isolatamente: il primato logico e temporale del discorso sulle parti costituenti rappresenta uno dei nodi concettuali di maggior rilievo della nostra proposta23 . Marinucci conclude la sua analisi facendo brevemente riferimento all’attivit` a poietica propria della metafora che, accostando parti del linguaggio che non erano mai state messe insieme prima, produce giochi diversi e inediti. Il riferimento `e qui, in particolare, alla concezione interattiva della metafora, proposta da Black24 , secondo la quale, quando si usa una metafora, si attivano contemporaneamente due pensieri di cose differenti sostenuti da una sola parola o frase, il cui significato `e la risultante della loro interazione, appunto. In questo modo si produce un significato nuovo, diverso da quello letterale: si ha, cio`e, un’estensione o una variazione di significato determinata dal fatto che la parola viene attivata in un contesto nuovo. Abbiamo, quindi, un primo elemento di cui tener conto: la metafora `e sempre il risultato dell’interazione tra una parola (o un intero enunciato) e il contesto in cui si inserisce: essa `e, dunque, sempre un pezzetto, per quanto piccolo, di testo. Una parola qualsiasi pu`o venire usata isolatamente: ma, utilizzata in questo modo, non pu`o mai dar luogo a effetti metaforici. La parola e il contesto costituiscono insieme, in un’unit`a indissolubile, la metafora. Ma quale tipo di combinazione tra testo e contesto produce gli effetti metaforici? Per rispondere a questa domanda occorre in primo luogo tener presente che il significato di una parola consiste, essenzialmente, in una certa aspettativa di determinazione. Questa attesa `e guidata, per cos`ı dire, e condizionata dalle leggi semantiche e sintattiche che governano l’uso letterale della parola, e la cui violazione produce assurdit`a e contraddizione. In aggiunta a ci`o va sottolineato che gli usi letterali di una parola normalmente richiedono al parlante l’accettazione di un pacchetto di credenze standard che sono possesso comune di una data comunit`a di parlanti. La metafora agisce proprio su questo sistema di idee normalmente associato a una parola: essa, in particolare, comporta il trasferimento dei luoghi comuni usualmente implicati dall’uso letterale di un termine e la sua utilizzazione per costruire un corrispondente sistema di implicazioni da riferirsi a un secondo termine, per il quale, nell’uso letterale, queste implicazioni non valgono. “Proviamo, ad esempio, a pensare alla metafora come a un filtro. Si consideri l’affermazione: ’L’uomo ` e un lupo’. Qui, possiamo dire, vi sono due soggetti: il soggetto principale, l’uomo (o gli uomini) e un soggetto secondario, il lupo (o i lupi). Ora la frase metaforica in questione non sarebbe in grado di trasmettere il suo significato intenzionale a un lettore piuttosto ignorante in materia di lupi. Ci` o che si richiede non ` e tanto che il lettore conosca il significato standard di ‘lupo’ fornito 23 Cfr Francesco Ferretti. Alle origini del linguaggio umano. Il punto di vista evoluzionistico. Roma-Bari: Laterza, 2010, p. 117. 24 Cfr. Max Black. Models and metaphros. New York: Ithaca, 1962, pp. 39-41.

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da un dizionario, o che sappia usare la parola in senso letterale, quanto piuttosto che sia a conoscenza di quello che chiamer` o un sistema di luoghi comuni associati [. . . ] L’effetto, dunque, di chiamare un uomo ‘lupo’ ` e di evocare il sistema ‘lupo’ di luoghi comuni correlati. Se l’uomo ` e un lupo, egli ` e feroce, affamato, impegnato in una continua lotta, e cos`ı via. Ciascuna di queste asserzioni implicite deve essere ora condotta ad adattarsi al soggetto principale (l’uomo) sia nei sensi normali che in quelli inconsueti [. . . ] Ogni tratto umano di cui si pu` o senza inopportune distorsioni parlare in ’linguaggio lupesco’ sar` a messo in rilievo, e ogni tratto che non ha queste caratteristiche sar` a respinto sullo sfondo. La metafora-lupo sopprime particolari, ne sottolinea altri: in breve organizza la nostra visione dell’uomo25 ”.

Ci`o ci autorizza ad affermare che “la metafora crea una similarit`a, piuttosto che esprimere una qualche similarit` a precedentemente esistente26 ”. Il soggetto principale viene infatti “visto attraverso” l’espressione metaforica o, per meglio dire, proiettato sul campo dei soggetti secondari. Un sistema di implicazioni (o di ’luoghi comuni’) impiegato all’interno di un certo campo viene usato come strumento per selezionare, evidenziare, costruire relazioni, in una parola per strutturare, organizzare anche percettivamente, un campo differente. Questa operazione, che ha dunque una vera e propria natura percettiva, oltre che conoscitiva, in quanto attraverso il soggetto secondario conduce a mettere in luce e a vedere caratteristiche e propriet`a fino a quel momento del tutto inedite del soggetto principale, pu`o riuscire soltanto a due condizioni: 1. che entrambi i termini o soggetti siano presenti contemporaneamente nell’operazione medesima e interagiscano tra di loro; 2. che le implicazioni che vengono trasferite da un soggetto all’altro rimangano, almeno in una certa misura, implicite. Se infatti la metafora l’uomo `e un lupo venisse sostituita da una parafrasi letterale, che espliciti le relazioni rilevanti tra i due soggetti, essa perderebbe gran parte della sua efficacia, cio`e del suo valore di “illuminazione”. L’insieme di proposizioni letterali cos`ı ottenuto finirebbe inevitabilmente col dire troppo e col mettere in evidenza cose diverse dalla metafora, con il risultato di vanificare il contenuto conoscitivo di essa. Va infine tenuto presente che, attraverso la sovrapposizione creata, la produzione della relazione metaforica modifica anche il sistema di implicazioni associato al soggetto secondario, e non solo quello legato al soggetto principale. Se infatti chiamare ’lupo’ un uomo `e metterlo in una luce particolare, non va dimenticato che la metafora fa sembrare anche il lupo pi` u umano di quanto non sarebbe altrimenti. Possiamo allora dire, a questo punto, che la metafora agisce violando l’aspettativa di determinazione predisposta nel significato di una parola e genera, di conseguenza, un effetto di sorpresa e una tensione tra il significato originario della parola stessa e l’idea ora forzatamente provocata dal contesto in cui essa viene inserita. Se chiamiamo questo processo ’controdeterminazione’, per sottolineare che 25 Cfr. 26 Cfr.

ibid., pp. 39-41. ibid., p. 37.

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la determinazione fornita dal contesto procede in direzione contraria all’attesa, viola cio`e il sistema delle credenze standard associate al termine interessato, possiamo dire, con Weinrich27 , che la metafora `e una parola in un contesto “controdeterminante”. Questo stesso aspetto pu`o essere evidenziato parlando di tensione fra significato (Bedeutung) e intendimento (Meinung), dove il primo termine indica il contenuto abituale di una parola, considerata isolatamente, e il secondo il suo conformarsi al senso globale del discorso, al contesto che, a sua volta, esprime l’intendimento di colui che parla. Questa concezione della metafora si distingue da quella tradizionale, che trae origine dalla classica analisi fornita da Aristotele nella Retorica che, pur celebrando la facolt`a propria della figura retorica in questione di connettere termini fra loro irrelati, nondimeno associa sempre ad essa un significato parafrasabile nel linguaggio di codice. Al contrario, la metafora di cui parla Black non `e n´e vera, n´e falsa, cio`e non costituisce un buon candidato per il calcolo delle funzioni di verit`a, dal momento che per definizione rappresenta la rottura con il linguaggio ordinario di codice. Essa risulta traducibile in quest’ultimo quando ha ormai perso i suoi caratteri di originalit`a e di novit`a, ossia quando viene letteralizzata, dando origine ad un linguaggio ordinario e istituzionale. Anche in questo caso, pertanto, molto si gioca sulla relazione. In modo significativamente analogo al concetto definito nel modo che si `e visto, e cio`e come il prodotto di un processo di sottrazione, l’attivit` a poietica della metafora fa riferimento al fatto che il significato non `e dato prima dell’accoppiamento dei termini che la costituiscono, ma si produce in una specifica relazione. A essere costituita `e pertanto la stessa possibilit`a (o spazio di possibilit`a), in cui possono aver luogo uno o pi` u significati. Da questa pur breve analisi del lavoro di Marinucci emerge l’aspetto che, a mio modo di vedere, ne costituisce il pregio maggiore: il fatto cio`e di proporre conclusioni filosofiche che scaturiscono, in modo convincente, da una ricostruzione precisa e rigorosa di alcune delle pi` u significative svolte concettuali dell’itinerario del pensiero scientifico, dalla nascita della fisica moderna ai pi` u recenti sviluppi della meccanica quantistica. Buona lettura, dunque! Silvano Tagliagambe

27 Cfr. Harald Weinrich. Metafora e menzogna: la serenit` a dell’arte. Bologna: il Mulino, 1976, p. 89.

Introduzione

1. Uno degli elementi chiave che segna la nascita della scienza moderna `e, com’`e noto, il nuovo modo di conoscere. In generale, la novit`a consiste nella convinzione, affermatasi con Galilei e Newton, che conoscere la natura non vuol dire ricercarne prima di tutto le cause per poi darne una descrizione matematica o di altro tipo, ma, al contrario, anteporre la descrizione matematica del comportamento di un fenomeno per poi cercarne le cause. La matematica diventa, cos`ı, lo strumento fondamentale per la conoscenza della natura, lo strumento in grado di svelarne i segreti. In questo senso, i maggiori scienziati del periodo compreso orientativamente tra la fine del Seicento e la met` a dell’Ottocento affermano proprio che la matematica `e il linguaggio della natura28 . Per essere pi` u precisi, a partire dal Settecento, il calcolo diventa il linguaggio della natura. Esso `e effettivamente uno strumento potentissimo, in quanto rende possibile tradurre matematicamente il movimento. Questo `e un aspetto fondamentale, in quanto, se si eccettua un eventuale e non necessario ricorso ad un dio o a qualcosa in grado di garantire l’armonia di tutto ci`o che `e, ci`o che si trattava di conoscere veniva ridotto a materia e movimento. Si comprende ora come, sulle ali dei sempre maggiori risultati conseguiti, gli scienziati facessero grande affidamento sul calcolo e che gli altri settori della conoscenza prendessero la matematica e la fisica come modelli di scientificit` a. Attraverso il calcolo si riteneva di essere in grado di conoscere una volta per tutte la legalit`a della natura. Da un punto di vista filosofico, conoscere un fenomeno naturale voleva dire scriverne le equazioni differenziali. Proprio quest’ultime rendevano riconoscibile un oggetto come passibile di conoscenza scientifica la quale, pertanto, si ritrovava costretta entro specifici vincoli attraverso e all’interno dei quali esplicava la sua funzione. Se si considera il moto di un pianeta, scriverne le equazioni differenziali voleva dire individuare gli elementi responsabili della traiettoria, distinguendoli da quelli responsabili di mere perturbazioni. Per usare il linguaggio di Laplace bisognava essere in grado di distinguere le cause essenziali dalle “cause esterne” di un dato moto. In questo senso, come cercher`o di mostrare, nella fisica del Settecento, la matematica coincide con la natura. 28 Oltre al famoso passo del Saggiatore di Galilei, quest’affermazione, discussa nel secondo capitolo, si ritrova nelle opere di Lagrange, Fourier, Laplace ecc. . .

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In questa prospettiva, un problema pu`o essere trattato scientificamente se di esso se ne possono scrivere le equazioni differenziali. In tal senso, come si vedr`a nel seguito, si assiste ad uno slittamento per cui uno strumento di conoscenza diventa la razionalit` a della natura. Sebbene a grandi linee sia questo l’esito della traduzione settecentesca dei Principia di Newton, esso non `e affatto scontato, n´e tanto meno necessario. Lo stesso Newton, infatti, riteneva il calcolo niente pi` u che un metodo euristico. A differenza di quanto si pensa, la fisica del Settecento non pu` o essere ridotta ad un mero sviluppo dei risultati di Newton, in quanto presenta delle specificit`a. Dal punto di vista filosofico, `e interessante proprio il fatto per cui qualcosa pu`o essere oggetto di conoscenza scientifica se pu`o essere affrontato con il calcolo. A quest’idea si associa il riduzionismo analitico, per cui un fenomeno pu` o e dev ’essere ridotto, attraverso l’analisi, ai suoi componenti fondamentali, in quanto tutte le sue propriet` a sono pensabili a partire da quest’ultimi. Il problema dell’essenza si ripropone, dunque, in un senso che si potrebbe chiamare metodologico 29 , in quanto la conoscenza consiste nella delimitazione di uno spazio chiuso in grado di separare gli elementi primi di un fenomeno da quelli accidentali. Il modo per individuarli `e costituito dal riduzionismo analitico e dal fatto di non ammettere alcuno scarto tra la descrizione matematica di un fenomeno e la natura30 . Nel Settecento il calcolo ed il riduzionismo analitico diventano, oltre che strumenti di ricerca, la razionalit`a presente in tutto ci` o che `e passibile di essere conosciuto scientificamente, in quanto permettono di delimitare lo spazio di pensabilit`a di ci`o che pu` o essere oggetto di conoscenza scientifica. In questo senso si pu`o indicare nella delimitazione di un concetto chiuso di qualcosa, il fine e la fine della conoscenza di un fenomeno, in quanto soddisfa, in tal modo, ogni tipo di esigenza conoscitiva. Questo tipo di approccio alla conoscenza subisce un durissimo colpo nel momento in cui Poincar´e dimostra che non `e possibile risolvere il problema dei tre corpi attraverso l’individuazione di una soluzione analitica. All’interno del calcolo, all’interno della razionalit` a che aveva reso possibile raggiungere enormi successi, Poincar´e individua un limite invalicabile. Sulle sue orme, nella fisica s’introducono propriet`a come la sensibilit` a alle condizioni iniziali ed il fatto che non tutte le propriet`a di un sistema sono riducibili alla somma dei suoi elementi. Da questo punto di vista, al calcolo si affiancano altri strumenti ed altri tipi di descrizione matematica che, sebbene non consentano di giungere a soluzioni analitiche di equazioni differenziali non-lineari, permettono di affrontare un fenomeno e la sua traduzione matematica in modo da ottenere informazioni altrettanto scientifiche. I 29 E ` bene dire sin d’ora che questo ` e il senso principale che tratto tutte le volte che discuto dell’essenza. Quello secondario fa riferimento al fatto che mi sembrano difficilmente evitabili ricadute ontologiche. 30 Naturalmente la questione ` e pi` u complicata, nel senso che lo stesso Laplace fa un continuo riferimento al fatto che la conoscenza umana si muove per gran parte nell’ambito della probabilit` a. Nonostante ci` o, mi pare di poter affermare quanto detto; le motivazioni di tutto ci` o sono discusse in questo lavoro.

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frattali, le mappe di Poincar´e e gli esponenti di Lyapunov sono proprio un esempio concreto di tutto ci`o, in quanto forniscono anche informazioni qualitative di un fenomeno. Da un punto di vista filosofico, viene meno la coincidenza, tipicamente settecentesca, tra determinismo e prevedibilit`a, in quanto, dopo Poincar´e, si fa strada l’idea dirompente che un sistema deterministico possa dare luogo al caos. Ora, il punto `e che il caos deterministico `e qualcosa di assolutamente impensabile per uno scienziato del Settecento, nonostante avesse a disposizione sia la matematica sia i problemi fisici di ci`o che oggi si chiama non-linearit` a. Per comprendere tale questione, ho cercato di affrontarla da un punto di vista filosofico. La discussione della non-linearit`a, rispetto alla meccanica del Settecento, impone un’attenta riflessione filosofica sul modo in cui s’intende l’asserzione: “la matematica `e il linguaggio della natura”. Non si tratta pi` u di cercare di leggere in trasparenza la natura attraverso il calcolo, si tratta di prendere coscienza del fatto che la matematica offre modelli in grado di inquadrare, in un orizzonte teorico di senso, alcuni fenomeni naturali o, in certi casi, aspetti di fenomeni. Di conseguenza, non si tratta pi` u di differenziare, per dirla con Laplace, “cause esterne” da cause essenziali, ma di distinguere parametri in base ad un criterio di rilevanza, variabile a seconda dei contesti, anche riguardo ad uno stesso fenomeno. In questo nuovo ambito, il calcolo ed il trattamento esclusivamente quantitativo dei problemi fisico-matematici diventano un modo di procedere, accanto al quale si pongono altri e nuovi strumenti qualitativi come le descrizioni geometriche31 . Tutto ci`o `e reso necessario dal fatto che la non-linearit`a, con le sue propriet`a, rompe, come detto, l’equazione, tipicamente settecentesca, di determinismo e predicibilit` a. Di qui, leggere la natura `e sempre pi` u difficile e problematico. Gli stessi concetti di “linguaggio”, “matematica”, “natura” ecc. . . necessitano di essere ripensati. In questo senso, persino una fondazione rigorosa di un linguaggio come la matematica non sarebbe in grado di risolvere o aggirare i problemi conoscitivi posti. A mio modo di vedere, non si tratta, prima di tutto, di definire, di fornire un concetto chiuso di un linguaggio, natura ecc. . . , ma di pensare le relazioni di una pluralit`a di linguaggi e/o concetti e/o elementi in grado di definirsi non solo attraverso la via dell’assiomatizzazione, ma anche e soprattutto attraverso le loro reciproche interazioni ed attraverso il fatto di dover rispondere di volta in volta ad un problema in un contesto. Tutto ci`o `e possibile se si pensano il linguaggio ed il concetto come aperti e caratterizzati da vincoli di riconoscibilit`a e di costruzione dei loro oggetti, tali per cui possono essere in grado di rendere conto di alcuni aspetti della conoscenza. 31 Come mostrer` o nel seguito, uno degli intenti della traduzione della geometria dei Principia di Newton nel calcolo, operata nel Settecento, ` e l’eliminazione di ogni riferimento alle figure geometriche, in sede dimostrativa. Lo scienziato inglese, al contrario, riservava al calcolo una funzione euristica.

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2. Uno dei pi` u fortunati ed influenti modi di pensare il concetto di un oggetto pu`o essere senz’altro espresso come l’insieme di note comuni che lo delimitano. Compiere una simile operazione necessita preliminarmente di un metodo senza il quale non `e possibile render conto di nulla. In questo senso, ogni metodo influenza pesantemente il concetto dell’oggetto cui si giunge. Ora, se si pensa che la conoscenza sia in grado di giungere all’essenza delle cose, una volta individuato il criterio “giusto” , il concetto dell’oggetto rappresenta il fine e la fine della conoscenza. Quello del metodo `e, a mio avviso, l’aspetto peculiare del riproporre la questione dell’essenza nel periodo discusso32 , che, secondo me, distingue il percorso che condurr`a alla Meccanica analitica di Lagrange da Newton e Galilei e dall’essenzialismo precedente da cui la scienza moderna prende fortemente le distanze. Come si vedr` a, il ruolo affidato alle equazioni differenziali rappresenta, filosoficamente, la posizione di un vincolo metodologico in base al quale veniva “costruito” l’oggetto in quanto passibile di conoscenza scientifica. Ora, dato che in quest’epoca non `e possibile parlare di “costruzione” o di “modelli” e considerando la sovrapposizione di matematica e natura, una tale “costruzione” non pu`o che assumere la funzione di qualcosa che permette, in linea di principio, di individuare indirettamente l’essenza dei fenomeni. Se, al contrario, si pensa che non sia possibile raggiungere l’essenza delle cose, la questione si complica non poco. Da un lato si pu`o relativizzare il contenuto della conoscenza, dall’altro si pu` o mettere in discussione il metodo stesso. Cos`ı, ad esempio, `e possibile sottoporre ad indagine critica il contenuto di un concetto senza mettere in discussione il fatto che per conoscere si debba delimitare uno spazio chiuso33 . Laddove si metta in discussione il metodo `e necessario andare oltre l’idea che un concetto sia pensabile esclusivamente come un concetto chiuso. Se si accetta tutto ci`o, nel momento in cui si raggiunge un concetto in generale, esso, oltre che dell’oggetto, parler` a e sar`a testimonianza del modo in cui ci si `e approcciati ad esso. Questo, per`o, `e possibile solo se si pensano i metodi come una pluralit` a di “accessi” ai fenomeni senza con questo dover presupporre una unit` a sottostante. Il pericoloso esito, in opposizione a quanto appena detto, che si corre trattando di metodo, consiste nel pensarlo come l’imposizione di una razionalit`a. Di qui, come cercher`o di sostenere, un metodo costruisce in buona parte i suoi oggetti, nel senso che li rende riconoscibili come passibili di conoscenza e, nel momento in cui vengono sottoposti alla sua legalit`a, li rende conosciuti. 32 E ` bene chiarire sin d’ora che mi riferisco al fatto che, per aspetti che discuter` o, il Settecento scientifico non pu` o essere ridotto ad un mero sviluppo metodologico dei Principia di Newton, nei quali si trova una teoria matematica generale anteposta al “sistema del mondo”. Pur mantenendo questo schema, il Settecento ed una parte dell’Ottocento, nelle figure emblematiche di Lagrange, Laplace e Fourier, costruiscono attraverso il calcolo dei veri e propri criteri di riconoscibilit` a, in base ai quali un oggetto ` e passibile di conoscenza scientifica. In questo modo, come si vedr` a, s’impongono dei vincoli che non riguardano solo il contenuto della conoscenza, ma anche e soprattutto la sua forma che, nel periodo in discussione, doveva essere analitica. Mancando l’idea di “modello”, la descrizione matematica, nel periodo dell’analisi algebrica, ha cos`ı assunto risvolti epistemologici ed ontologici rilevanti. 33 Come si vedr` a, cercher` o di ripensare quest’idea dandole delle nuove coordinate.

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Se si accetta di porsi in una prospettiva “plurale”, il concetto di qualcosa, lungi dall’esser il fine e la fine della conoscenza, pu`o essere pensato come qualcosa che si ottiene per sottrazione, nel senso che non `e in grado di render conto esaustivamente della cosa. A partire da quanto detto, nel presente lavoro mi sono proposto d’individuare alcuni strumenti filosofici attraverso i quali poter pensare diversamente la nozione di “concetto”, ripensando ed arricchendo l’idea della delimitazione di uno spazio chiuso fino a giungere alla costruzione di spazi di possibilit`a. L’impianto propositivo e filosofico di questo studio emerge chiaramente nell’ultimo capitolo, nel momento in cui applico gli strumenti filosofici ottenuti ad un problema della meccanica quantistica, cercando, sia pur brevemente, di rendere maggiormente perspicui alcuni elementi del concetto di “realt`a” in fisica. Nella parte filosofica che precede l’ultimo capitolo cerco d’interpretare gli elementi evidenziati nella prima met` a del lavoro in chiave filosofica in modo da individuare degli strumenti metodologici e concettuali che permettano di pensare i problemi posti. A questo scopo mi sono servito del pensiero di Wittgenstein, di cui mi occupo nel capitolo quinto. Il capitolo quarto, intitolato Chiarimenti filosofici, rappresenta il tratto di unione tra le due parti di queto lavoro. In esso introduco i concetti di rapporto e relazione che si riferiscono a due atteggiamenti in cui si pu` o configurare sia l’attivit`a scientifica in particolare, sia il legame tra conoscenza ed oggetto in generale34 . In breve si pu`o dire che il rapporto fa riferimento al fatto che per conoscere qualcosa `e necessario individuare e definire in via preliminare i suoi componenti costitutivi e secondariamente farli, eventualmente, interagire. Detto sin troppo sinteticamente, la relazione fa riferimento al fatto che non in tutti i casi `e possibile render conto dell’oggetto riducendolo ai suoi componenti costitutivi, come se quest’ultimi ne fossero l’essenza. L’oggetto pu`o anche essere pensato a partire dalle interazioni tra i suoi elementi che proprio in un tale “stare assieme” vengono a chiarirsi, cos`ı come l’oggetto in generale. Il concetto dell’oggetto `e pertanto pensabile in una pluralit` a di prospettive, ciascuna delle quali racchiude uno spazio di possibilit` a diverse in cui esso pu`o assumere un significato. L’articolazione di quest’idea, esposta nel capitolo sesto, si basa sui concetti wittgensteiniani di gioco linguistico e di somiglianze di famiglia, per cui il chiarimento del significato di una parola fa comprendere quali somiglianze si trovano in primo piano e quali restano sullo sfondo, ricostruendo cos`ı lo spazio all’interno del quale un preciso significato `e possibile. Elaborando ed andando oltre le idee di Wittgenstein, affermo che il concetto di qualcosa pu`o esser pensato, oltre che come l’insieme di note comuni che delimitano o definiscono ci`o che s’intende conoscere, come l’individuazione di spazi di possibilit`a che, lungi dall’individuare l’essenza o il fondamento di qualcosa, giungono a costituire differenze concrete e contestuali. In questo senso, come si vedr`a, ad 34 Naturalmente, non ritengo un tale approccio l’unico possibile, tuttavia mi pare particolarmente interessante in quanto in esso si pu` o comprendere un nodo filosofico e storico importante.

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essere costituite sono le stesse possibilit` a, le quali a loro volta possono dar luogo a significati puntuali, comunque compresi in uno o pi` u spazi “regionali”. Il concetto, rendendo conto di possibilit`a e differenze `e da intendersi come ottenuto per sottrazione, proprio in contrapposizione con l’idea che essa sia qualcosa che giunge all’essenza della cosa, anche e soprattutto con accezione metodologica. Cogliere delle differenze `e, nello specifico, costruire una o pi` u coerenze, pi` uo meno intersecate, in cui aspetti diversi possono essere pensati assieme ed in modi diversi in un determinato contesto e per un determinato scopo. La contraddizione espressa nell’ultima frase risulta essere apparente solo se si pensano i linguaggi con cui si legge la natura come qualcosa di aperto. Questo tipo di argomentazione mette in luce che tutte quelle proposte che considerano i linguaggi in generale, e le teorie scientifiche in particolare, incommensurabili, presuppongono da un lato pi` u o meno espliciti vincoli concettuali e, dall’altro, che ogni linguaggio sia qualcosa di chiuso in se stesso. Pi` u linguaggi possono essere considerati confrontabili, o in generale comunicabili ed intrecciati, se si fa riferimento ad una nozione di linguaggio e di concetto come qualcosa di costitutivamente aperto e regionale35 , recuperando l’idea wittgensteiniana per cui i giochi di linguaggio sono “termini di paragone” che possono “strutturarsi” su somiglianze di famiglia. Ora, `e senz’altro possibile approfondire un linguaggio determinato e cercare di costruire un sistema in grado di essere applicabile ai fenomeni naturali, e non solo, ma `e altrettanto lecito e produttivo riflettere, metodologicamente, sul tipo di oggetto che uno specifico linguaggio intercetta, in modo da concentrare l’attenzione su possibilit`a e limiti di ci`o che pu`o esser detto “spazio di pensabilit`a”. Inoltre, in ogni disciplina scientifica, e non solo, per quanto possa ravvisarsi un linguaggio chiuso in s´e, esiste almeno un aspetto trasversale che interessa e mette in comunicazione pi` u linguaggi di discipline diverse. A ci`o si aggiunga, come cercher`o di mostrare, che i linguaggi, cos`ı come i loro concetti, sono ottenuti per sottrazione, ed in quanto tali sono costitutivamente insufficienti a coprire la pratica scientifica mutevole alla quale sono sovraordinati. 3. Mi pare importante, infine, soffermarmi sulla scelta degli argomenti e sul modo in cui vengono discussi. In questo senso, alcuni dei risultati filosofici ottenuti si sarebbero potuti raggiungere anche discutendo altri passaggi importanti della fisica e non solo. Avrei potuto, infatti, soffermarmi sul passaggio dalla gravit`a newtoniana a quella einsteiniana, trattare la nascita delle geometrie non euclidee ecc. . . Tenendo fermo il fatto che sarebbe interessante affrontare anche questi momenti centrali della storia della scienza, la scelta che caratterizza questo lavoro `e dovuta al fatto che, come accennato, problemi come quello dei tre corpi sono stati affrontati per ben due secoli all’interno del riduzionismo analitico e dell’analisi algebrica, per poi essere affrontati come problemi non-lineari. Tutto ci`o permette di far emergere chiaramente che ogni tipo di approccio conoscitivo in generale `e tale in quanto 35 Questi

concetti saranno discussi negli ultimi capitoli.

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si basa su presupposti filosofici pi` u o meno espliciti, riguardanti la fattura della natura. Inoltre, al fine di pensare le rivoluzioni fisiche e concettuali del secolo scorso `e necessario, a mio giudizio, riflettere proprio su quel periodo storico nel quale si sono istituzionalizzati dei modi di conoscere la natura che spesso tutt’ora indirizzano la ricerca scientifica e filosofica36 . Inoltre, il confronto tra la fisica del Settecento e la non-linearit`a permette di porre l’accento sul fatto che linguaggi diversi sono in grado d’individuare aspetti diversi di uno stesso oggetto d’indagine, senza che questi debbano essere preliminarmente pensati come reciprocamente esclusivi n´e riducibili in un senso o nell’altro. Da questa prospettiva, ho preferito collocare le mie riflessioni al di fuori della tradizione leibniziano-hilbertiana che conduce ad una soluzione fondazionale nei riguardi del linguaggio matematico e scientifico. Quello che m’interessa `e porre l’accento sul fatto che un linguaggio non `e necessariamente qualcosa di chiuso in se stesso, ma `e un modello che permette di cogliere delle differenze nel reale. Per questo motivo, la mia discussione del linguaggio si appoggia quasi esclusivamente sul pensiero di Wittgenstein, per il quale non si tratta tanto di dare una fondazione al linguaggio, ma di pensare le relazioni tra una pluralit`a di linguaggi. In questo modo mi `e stato possibile sviluppare delle conseguenze filosofiche le quali, oltre a riferirsi alla fisica discussa in questo lavoro, s’inseriscono in un dibattito metodologico pi` u generale, come mostra l’ultimo capitolo. Del resto, considerando la copiosa bibliografia esistente sulla linea di ricerca hilbertiana, mi pare pi` u adeguato e pi` u produttivo seguire un altro percorso di ricerca.

36 Nell’ultimo capitolo discuto, brevemente, un aspetto della meccanica quantistica, l’incontro/scontro tra mondo macroscopico e mondo microscopico.

Capitolo 1

L’essenza come riconoscibilit` a in fisica tra fine Seicento e met` a Ottocento

Nelle opere dei maggiori scienziati del periodo compreso tra la fine del Seicento e la met` a dellOttocento si pu`o ritrovare la convinzione, spesso espressa in modo pi` u che esplicito, che la matematica sia il linguaggio della natura1 . Proprio per questo motivo essa renderebbe possibile conoscere l’essenza della natura, la sua intrinseca legalit`a. Come si vedr`a, non si tratta dell’essenza cui si oppone la rivoluzione scientifica, ma di una serie di vincoli filosofici e metodologici che, a partire dal Settecento, riempiono e radicalizzano la proposizione: “la matematica `e il linguaggio della natura”. Per questo scopo, m’interessa approfondire l’attivit` a degli scienziati nel periodo in questione, poich´e il loro lavoro aveva una ricaduta culturale e sociale a dir poco enorme. Innanzitutto, c’`e da dire che, all’interno della cultura del Settecento, e non solo, la matematica e la fisica, in virt` u dei notevoli risultati raggiunti, rappresentavano gli esempi di scientificit`a cui ogni altra disciplina doveva tendere. La conoscenza della natura che queste scienze fornivano ed i loro metodi hanno, pertanto, assunto un valore epistemologico ed ontologico molto forte. L’aspetto ontologico e quello epistemologico vanno sempre tenuti assieme, e non vanno confinati alla sola fisica, in quanto informano e determinano anche altre discipline, soprattutto se si pensa, appunto, alla loro risonanza interdisciplinare. Non si dir` a mai abbastanza quanto le idee e i principi, che la scienza moderna veicolava, siano penetrati a fondo nella cultura del tempo e quanto ne abbiano condizionato lo sviluppo. Prigogine esprime cos`ı il senso che assunse la scoperta della gravitazione universale: . . . successo apparentemente completo del progetto di far confessare in un sol colpo la verit`a alla natura, di scoprire il punto di osservazione da cui, con un solo sguardo dominatore si pu` o contemplarla mentre si offre senza veli2 . 1 Oltre che al celeberrimo passo de Il saggiatore, affermazioni simili si trovano in Lagrange, Euler, Laplace, Fourier ecc. . . Fornisco una loro discussione nel prossimo capitolo. 2 Cfr. Ilya Prigogine e Isabelle Stengers. La nuova alleanza. Torino: Einaudi, 2007, p. 51.

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Dopo l’opera di Newton, i successi della fisica-matematica, e nello specifico quelli della cosmologia, si imposero, tanto da essere presi ad esempio in altre discipline3 . Basti, per ora, citare un passo di Kant: “Vogliamo vedere se ci riuscir` a di trovare un filo conduttore per una tale storia, e vogliamo poi lasciare alla natura di produrre l’uomo che sia in grado di redigerla secondo tale filo. La natura ha prodotto infatti un Keplero, che in modo inatteso ha sottoposto le orbite eccentriche dei pianeti a leggi determinate, e un Newton, che spieg` o queste leggi con una causa naturale universale4 ”.

Anche nella Critica della ragion pura Kant prende ad esempio la fisica e la matematica come modelli di scientificit`a. Egli afferma che queste discipline, a differenza della metafisica, si trovano “sulla via sicura della scienza5 ”. Gi`a solo dalle parole di Kant si mostra l’importanza di approfondire proprio quella fisica e quella matematica cui il filosofo di K¨onigsberg fa riferimento. Mi occuper`o nel prossimo capitolo di queste due discipline scientifiche, e soprattutto del loro indissolubile legame, in maniera tecnica e dettagliata. In questo brevissimo capitolo, per questioni di chiarezza espositiva, mi pare necessario anticipare alcuni elementi filosofici delle analisi fisiche e matematiche svolte in La linearit` a e la scienza moderna. Che la matematica sia il linguaggio della natura vuol dire che essa `e in grado di svelarne l’essenza. Quest’affermazione, tutt’altro che innocente, indirizza la conoscenza di un fenomeno qualsiasi verso la costituzione di un concetto che ne racchiuda l’essenza. In altri termini, il concetto `e qui pensato come uno spazio chiuso all’interno del quale sono compresi gli elementi essenziali della cosa in questione e, all’esterno del quale si trovano quelli accidentali. In questo senso, al forte valore ontologico associato al concetto di un fenomeno, conosciuto scientificamente, corrisponde un concetto pensato come l’insieme delle note comuni che definiscono qualcosa, o meglio come l’insieme degli elementi e delle relazioni che ne esprimono la legalit` a. In questa prospettiva, raggiungere il concetto di qualcosa vuol dire raggiungere il fine e la fine della sua conoscenza, raggiungere quel punto nel quale la conoscenza di qualcosa pu` o dirsi pienamente risolta. In questo senso, giungere alla formulazione di una legge scientifica o di un principio filosofico, vuol dire portare a compimento il cammino conoscitivo6 . 3E ` evidente il valore simbolico assunto dall’opera di Newton, al di l` a del “fisicalismo” che esplicitamente vi fa riferimento. Su questi argomenti cfr. Cristoforo Sergio Bertuglia e Franco Vaio. Non linearit` a, caos, complessit` a. Torino: Bollati Boringhieri, 2003, pp. 18-22; Cr´ epel, La naissance des math´ ematiques sociales, in Pour la science. Dossier, luglio, Les math´ ematiques ´ sociales, 8-13. Si considerino anche gli scopi dell’Ecole polythechnique. 4 Cfr. Immanuel Kant. “Idea per una storia universale da un punto di vista cosmopolitico”. In: Scritti di storia, politica e diritto. Roma-Bari: Laterza, 1995, p. 30. 5 Cfr Immanuel Kant. Critica della ragion pura. Roma-Bari: Laterza, 1997, pp. 14-16. 6 Tutto ci` o vale anche nel momento in cui si ammetta la possibilit` a di un mutamento delle leggi scientifiche, poich´ e il cammino conoscitivo, almeno nella fisica che fa riferimento all’analisi algebrica, rimane sempre indirizzato verso un fine ed una fine, siano essi intesi teleologicamente o effettivamente raggiungibili.

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Nel periodo storico preso in considerazione, il fatto che il libro della natura fosse scritto in caratteri matematici ed il fatto che se ne potesse svelare l’essenza ha un’altra importantissima conseguenza che emerge dall’analisi dell’attivit`a scientifica. Da un punto di vista metodologico, infatti, affermare che la natura `e scritta in caratteri matematici vuol dire vincolare, surrettiziamente, l’oggetto passibile di conoscenza scientifica a determinati requisiti. L’idea che la matematica fosse il linguaggio della natura, permise, in modi diversi, l’imporsi di uno spazio del concetto di qualcosa, come un che di chiuso da quei confini ben definiti, necessari ad una descrizione che cercava di essere completa, oggettiva, atemporale, deterministica ed universale della natura, che si riteneva possibile e necessaria. Una tale idea s’impose soprattutto dopo l’opera di Newton e, in particolar modo, dopo la sua effettiva ricezione all’interno della riflessione scientifica del Settecento. Per riuscire a realizzare una tale idea era necessario tradurre l’intuitiva geometria di Newton nella pi` u rigorosa e generale simbologia del calcolo, secondo le direttive leibniziane7 . Questo `e, in estrema sintesi, il lavoro che da Varignon conduce alla M´echanique analitique di Lagrange. Proprio i caratteri che la conoscenza scientifica doveva possedere per essere considerata tale, mostrano il tipo di descrizione del mondo che la fisica lagrangeanolaplaceana e, in generale la ricerca filosofica che si basa sul concetto chiuso, pretendevano di fornire. Se Galilei e soprattutto Newton hanno rivoluzionato la conoscenza della natura anteponendo la descrizione del comportamento dei fenomeni alla ricerca delle cause, come mostrer`o, il Settecento non pu`o essere pensato come un semplice e pacifica prosecuzione di questo progetto. La conoscenza scientifica della natura settecentesca presenta delle specificit`a proprie, che solo ultimamente stanno emergendo all’interno degli studi di storia della scienza. In questo senso, il riduzionismo analitico, vale a dire il modo preponderante di riconoscibilit` a di un oggetto scientifico, reintroduce, mutatis mutandis, il problema dell’essenza. Se, infatti, al fine di trattare un oggetto scientificamente, `e necessario ridurre le sue caratteristiche ad elementi primi e costitutivi, attraverso una sua analisi, allora si pone la necessit` a filosofica di delimitare uno spazio concettuale chiuso nel quale tali elementi primi possano essere contenuti e distinti da altro8 . ` bene tenere presente sin d’ora che, per il fatto che le leggi e i principi E filosofico-scientifici erano considerati, almeno nel Settecento, non solo la natura che descrivevano, ma l’intera natura, i caratteri appena nominati non si riferiscono, come detto, soltanto a ci`o che si va a descrivere, ma anche alla riconoscibilit` a di principi e leggi in generale, in quanto sono tali nella misura in cui rendono possibile una descrizione in grado di esaurire la conoscenza dell’oggetto. In altri termini, cercare l’essenza di qualcosa, rispondere ad una tale domanda, vuol dire anche e soprattutto determinare, pi` u o meno esplicitamente e coscientemente, le propriet`a 7 Cfr. Michel Blay. La naissance de la m´ ecanique analytique. Paris: Presses Universiter de France, 1992. 8 Approfondisco il riduzionismo analitico nei successivi due seguenti capitoli.

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L’essenza come riconoscibilit`a

che permettono di individuare un principio in quanto tale. Come mostrer` o, proprio una tale riconoscibilit`a ripropone in maniera nuova la questione dell’essenza. Nel contesto cui mi riferisco, essi devono, pertanto, essere completi, oggettivi, atemporali, universali e necessari. Come si vedr`a, all’interno di un tale insieme di coordinate, venivano costretti tutti quei problemi che andavano al di l`a di un simile modo di conoscere. Proprio l’approfondimento matematico, fisico e filosofico della scienza che ruota attorno all’analisi algebrica9 e della scienza “non-lineare” permetter` a di sollevare questioni filosofiche inerenti i linguaggi scientifici, e non solo. Detto questo, `e giunto il momento di approfondire che cosa significa che una descrizione debba essere completa, oggettiva, atemporale, universale e necessaria. Tratter`o nello specifico alcuni di questi aspetti, all’inizio, in modo del tutto generale, per poi vederli emergere dal tessuto della scienza del Settecento e per riconsegnarli ad esso.

1.1

Ricerca e riconoscibilit`a dell’essenza

Mi pare necessario, a questo punto, ribadire che il discorso che intendo impostare riguardo la ricerca e la riconoscibilit`a dell’essenza `e prima di tutto e fondamentalmente di carattere metodologico, ed in tal senso si differenzia nettamente dalla questione della conoscenza scientifica prima di Galilei e Newton. Come si vedr` a nel prossimo capitolo, la scienza che ruota attorno all’analisi algebrica e alla Meccanica analitica di Lagrange non si rivolge “direttamente” alla conoscenza dell’essenza della natura in generale, ma fornisce gli strumenti matematici, fisici e concettuali tali da discriminare ci` o che `e passibile di conoscenza scientifica da ci` o che non lo `e10 , costituendo in tal modo uno “spazio dell’essenza”. Ora, se a ci` o si aggiunge che sarebbe anacronistico applicare il concetto di modello matematico contemporaneo alla fisica moderna, allora `e possibile sostenere che le equazioni differenziali rappresentavano il modo di conoscere, venendo cos`ı ad assumere un valore ontologico, oltre che epistemologico. Alla fisica moderna che intendo trattare appartiene, pertanto, un metodo che si caratterizza per l’imposizione di una serie di vincoli conoscitivi, alcuni dei quali sono trattati di seguito in forma introduttiva. Per una discussione pi` u filosofica e generale rimando al capitolo Chiarimenti filosofici. 9 Per “analisi algebrica” s’intende il calcolo nel periodo che va orientativamente da Leibniz a Cauchy. A questo proposito si veda il capitolo La linearit` a e la scienza moderna. 10 Mi riferisco ad esempio alle difficolt` a incontrate nell’applicare il metodo scientifico alla dinamica delle popolazioni. “Non accade qui come nel moto dei corpi celesti in cui le forze perturbatrici sempre regolari persino nelle loro variazioni, non hanno mai altro che un influsso estremamente piccolo rispetto a quello della forza principale. I diversi elementi della popolazione sono, per cos`ı dire, in agitazione continua. Le leggi, i costumi, la civilizzazione li alterano ad ogni istante (Proc` es-verbaux de l’Acad´ emie des Sciences vol. V p. 214, seduta del 17 maggio 1813, citato in Giorgio Israel. La visione matematica della realt` a. Roma-Bari: Laterza, 2003, pp. 154-155)”.

L’essenza come riconoscibilit` a

1.1.1

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Completezza ed oggettivit` a

Dare una descrizione completa della natura `e un’idea che accomuna Platone, Lagrange, Laplace ed Einstein. Per quanto riguarda l’argomento specifico di questa sezione, anche la sola e semplice possibilit`a di una conoscenza che intenda riconoscere qualcosa come l’essenza, mostra una ben precisa direzione metodologica, vale a dire la ricerca di un principio, possibilmente unico e semplice, in grado di rendere conto di tutto il reale. L’esistenza di un tale principio poggia sul presupposto, proprio della nuova scienza del Settecento, che la natura sia interamente analizzabile con gli strumenti matematici del calcolo, gli unici in grado di dire l’ultima, e dunque la prima, parola sulle dinamiche del mondo. Per essere pi` u precisi, si pu`o dire che se le leggi fisiche, come la gravit`a, erano semplici, esse davano luogo a questioni che, come nel caso del problema dei tre corpi, sfuggono a quella perfezione e a quella semplicit`a. Di qui, nel periodo storico in questione, simili problemi sono stati affrontati riponendo fiducia negli sviluppi del calcolo, tali da ricondurre la complessit` a dei fenomeni alla e nella semplicit`a delle leggi della natura11 . Proprio di questo modo di guardare al mondo `e il concetto chiuso, classicamente inteso come insieme di note comuni che delimitano qualcosa: descrivere completamente qualcosa vuol dire delimitare uno spazio all’interno del quale si trova l’essenza di ci` o che `e in questione. La pretesa e la fiducia che la matematica sia il linguaggio della natura porta con s´e il fatto che la completezza non sia solo riferibile all’oggetto che le leggi descrivono, vale a dire alla sua comprensione, ma anche che si ripresenti in qualit` a di carattere essenziale di un concetto chiuso che sia in grado di rendere conto di qualcosa12 : lo spazio del concetto chiuso dev’essere, dunque, riempito completamente dalle note essenziali di ci`o che `e in questione, senza che altro di diverso sia in esso incluso o semplicemente includibile; quelle note in grado, ad un altro livello di dare una descrizione completa dell’oggetto13 . In questo modo si ammette un livello di conoscenza, anche laddove `e posto come teleologicamente raggiungibile, nel quale il concetto (Begriff ) sia in grado di afferrare (greifen) le cose, delimitando uno spazio chiuso in modo da poter distinguere nettamente i caratteri essenziali dai caratteri accidentali 14 . Se `e possibile cogliere gli elementi essenziali di qualcosa, ovvero quegli elementi che permettono di arrivare al reale, allora la descrizione del mondo che se ne ricava `e anche oggettiva ed ha un valore universale e necessario. All’interno di questa impostazione di ricerca, le leggi e i principi della natura, una volta individuati, 11 Rimando ai prossimi paragrafi di questo capitolo per una discussione dettagliata ed un conseguente chiarimento di questo punto. 12 In altri termini, ci si trova davanti ad un doppio vincolo. Da un lato la completezza, cos` ı come le altre caratteristiche che sto discutendo, riguarda l’oggetto descritto, dall’altro la stessa forma concettuale attraverso la quale qualcosa pu` o entrare nell’ambito di una conoscenza che non sia meramente accidentale. 13 Per un’analisi dettagliata di questo problema, rimando al prossimo capitolo. 14 La distinzione aristotelica tra essenze ed accidenti potrebbe apparire fuori luogo all’interno del nuovo paradigma dinamico che si delinea con la fisica moderna. In realt` a non ` e cos`ı, ed uso proprio queste nozioni per sottolinearlo. Pi` u avanti discuter` o dello statuto e del significato del tempo nella fisica moderna.

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L’essenza come riconoscibilit`a

assumono una vita propria, nel senso che assumono una validit`a che trascende, per principio, il contesto culturale del quale sono stati individuati; se non fosse cos`ı non sarebbero principi e/o leggi adatte ad essere risposte alla domanda posta. Ammettere la semplice possibilit` a di una simile presa forte sul reale vuol dire, metodologicamente, presupporre che ci` o che `e, sia di principio riconducibile a presunti elementi universalmente costitutivi, semplici e fondamentali, quegli elementi primi che, in sostanza, costituiscono lo spazio dell’essenza. Un tale metodo “riduzionista15 ”, che `e al centro della ricerca della delimitazione di uno spazio concettuale chiuso dell’essenza, analizza un qualsiasi problema riconducendo le sue relazioni a presunti elementi essenziali isolandoli e definendoli prima della loro interazione. Il ventaglio di possibilit` a che emerge da questo tipo di analisi `e completamente dato a priori ; a priori si conoscono, tendenzialmente, tutte le possibili configurazioni del problema in questione, poich´e si `e delimitato il suo campo “fondativo”. In una prospettiva riduzionista e fondazionale, se ogni relazione viene pensata sempre e solo a partire da una previa definizione dei suoi elementi, cui si assegna uno statuto fondativo, allora il tempo ha poco o nessun valore all’interno della relazione stessa, in quanto tutte le sue possibilit`a sono gi`a date e/o predeterminabili sin dall’inizio a priori16 . Se il geometra greco, cos`ı come appare nei dialoghi platonici, cercava di astrarre da questo quadrato per rivolgere la sua attenzione al quadrato in generale, le cui propriet`a essenziali si riferivano a tutti i quadrati particolari, il fisico moderno cerca17 di individuare quelle leggi, ad esempio del moto, che valgano per tutte le dinamiche e che siano in grado di descriverle completamente e a priori. In entrambi i casi l’indagine filosofica si muove cercando di definire il concetto chiuso di qualcosa. La fiducia riposta in una simile impostazione metodologica, pur confermata dai progressi delle scienze, ed in particolar modo proprio dalla cosmologia e dalla matematica, ha impedito alla fisica post-newtoniana di pensare che in un sistema, nonostante fosse regolato da leggi, alcune dinamiche relazionali potessero non essere sempre predeterminabili, anche laddove si siano isolati e definiti tutti gli elementi del sistema. In altri termini, si esclude che esse possano non essere necessariamente trattabili e/o comprensibili completamente all’interno della detta metodologia di ricerca. 15 Cfr. Edgar Morin. “Le vie della complessit` a”. In: La sfida della complessit` a. A cura di Bocchi Gianluca e Mauro Ceruti. Milano: Bruno Mondadori, 2007, pp. 25-36. 16 Mi pare utile riassumere quanto appena detto con “dinamicit` a chiusa del possibile”, concetto che tratter` o dettagliatamente nel prossimo capitolo. Cosa intendo per “dinamicit` a chiusa del possibile” gi` a qui risulta almeno sommariamente comprensibile. 17 Mi esprimo in questo modo perch´ e, al di l` a dei risultati, in questa sede m’interessa tenere conto della direzione generale in cui sono collocati gli obiettivi di una ricerca. In altri termini, m’interessa capire in che modo si cercasse una risposta alla domanda sull’essenza. Nei paragrafi dedicati alla fisica-matematica emerger` a proprio questa domanda come la fondamentale. Sono proprio loro che, in parte, rendono possibili, come detto, questi paragrafi.

L’essenza come riconoscibilit` a

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La questione del metodo si pone subito in primo piano; da quanto detto emerge che `e necessario, ancora di pi` u, puntare l’attenzione su ci`o che rende riconoscibile una legge e/o, pi` u in generale, un principio in quanto tale, all’interno dell’universo di discorso che sto trattando, il quale, per altro, vede l’imporsi del concetto chiuso come punto verso cui rivolgere il pensiero. Questo vuol dire che potrebbe essere possibile trovare nuove leggi, oltre che perfezionare quelle esistenti, ma solo e soltanto a condizione di tenere fermo che tutto ci`o che intende essere spiegazione del reale doveva rispettare quei requisiti che sto discutendo. 1.1.2

Atemporalit` a e reversibilit` a

Da quanto detto fin qui sulle esigenze che sono irrinunciabili quando si cerca l’essenza di qualcosa, emerge che il tempo non `e un elemento che entra in gioco nella formazione dello spazio chiuso dell’essenza. Questo avviene essenzialmente in due direzioni, tra loro relate. La prima `e implicita in quanto detto: lo statuto fondativo, che viene ad assumere il contenuto essenziale del concetto chiuso e la sua oggettivit`a escludono che tutto ci`o che si ritiene in grado di dare conto di qualcosa possa essere sottoposto al tempo, cio`e che possa subire mutamenti. In questo senso si pu`o parlare di atemporalit` a riferita al tempo cronologico che `e proprio di ci`o che muta, di ci`o che `e accidentale, ma non di ci` o che invece permane, di ci`o che `e essenza di qualcosa. I concetti che fondano ci`o che `e, non appartengono al tempo cronologico, ma sono pensabili come un passato logico, e non cronologico, che soggiace a tutto ci`o che `e. In altri termini, l’essenza, in quanto fonda, viene logicamente “prima” di ci` o di cui rende conto, e non ne subisce gli accidenti. ` bene dire che in questo contesto, “temporalizzare”, sottoporre un concetto E chiuso ed assolutamente inteso al tempo, vorrebbe dire cambiarne il contenuto, che a questo punto non potrebbe pi` u, a buon diritto, considerarsi propriamente essenziale 18 . Se cos`ı non fosse, il concetto assolutamente chiuso, come delimitazione dello spazio dell’essenza di qualcosa, non potrebbe svolgere il suo ruolo di punto finale e punto pi` u alto della ricerca e della conoscenza. In base a quanto detto, tutto ci` o vale se si considera che la questione dell’essenza viene qui posta come riconoscibilit`a, nel senso che non viene mai messo in discussione il fatto che, laddove si voglia parlare di conoscenza scientifica, quest’ultima deve rispettare certi criteri ritenuti imprescindibili. Se, accanto all’atemporalit` a, consideriamo il riduzionismo metodologico per cui, ripetiamolo, comprendere un sistema vuol dire isolarne gli elementi essenziali e definirli prima di ogni interazione, emerge un altro tipo di assenza di tempo, vale a dire la reversibilit` a. Se, in altri termini, un principio per essere tale deve essere un passato logico, deve cio`e collocarsi, usando un linguaggio aristotelico, prima di ci`o che spiega, secondo la sostanza, allora il tempo cronologico di ci`o 18 E ` una questione molto complicata, alla quale mi dedicher` o diffusamente nel prossimo capitolo. Per ora ` e sufficiente limitarsi a questa brevissima tematizzazione, in quanto prende in considerazione i caratteri generali che la delimitazione di uno spazio chiuso dell’essenza implica e presuppone per poter essere tale.

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L’essenza come riconoscibilit`a

che `e, `e abbracciato completamente da un siffatto passato logico. La reversibilit`a indica, appunto, il fatto che conoscendo ci`o che avviene in un determinato istante si conosce anche il passato e il futuro, a condizione che si conosca il principio o la legge immobile che spieghi il fenomeno in questione. Un tale concetto, fondamentale per molte leggi scientifiche, presuppone, a mio giudizio, proprio un discorso di questo tipo, soprattutto in un contesto come quello moderno nel quale, come mostrer`o, determinismo e predicibilit` a sono due concetti che s’implicano reciprocamente19 . All’interno di una dinamica, moderna e non solo, si possono distinguere, ma solo preliminarmente, un inizio, un processo intermedio ed un esito. Questi tre elementi si dispongono su una linea temporale che ha dei caratteri del tutto accidentali, in quanto essa `e del tutto confinata nella legalit` a atemporale che esemplifica e all’interno della quale `e totalmente compresa e comprensibile. Per questo motivo, una tale temporalit` a si inscrive all’interno del concetto chiuso. Nella descrizione dinamica di un sistema che `e contemporaneamente deterministico e prevedibile a priori il presente contiene il passato e il futuro. Mi pare che Prigogine, nel seguente passo, esprima bene quest’idea: “In dinamica il futuro e il passato giocano esattamente lo stesso ruolo o, il che ` e lo stesso, non hanno alcun ruolo. La definizione di uno stato istantaneo in termini delle posizioni e delle velocit` a delle particelle che lo costituiscono, contiene gi` a il passato ed il futuro del sistema; ogni stato potrebbe essere uno stato iniziale, come potrebbe essere benissimo anche lo stato finale di una lunga evoluzione [. . . ]; il mutamento non ` e altro che un dispiegarsi di una successione di stati essenzialmente equivalenti20 ”.

Dalla prospettiva della reversibilit`a, differentemente da quanto avviene per l’atemporalit`a, il tempo viene, cos`ı, ricondotto alla geometria21 ; esso `e a tutti gli effetti un parametro geometrico, che emerge solo nell’accidentalit`a di una misurazione, annullandosi nel complesso della legalit`a cui `e sottoposto. Il concetto chiuso si adatta perfettamente a pensare tutto ci`o da cui si pu`o, in ultima analisi, astrarre la componente temporale. Dentro un concetto chiuso sono inscritte e pensate, pi` u o meno esplicitamente, tutte le possibilit` a di qualcosa. Nel prossimo capitolo sar` a interessante sottolineare che tra possibilit`a e realt` a si instaura una corrispondenza diretta e completa, poich´e una volta compreso il reale, una volta raggiunti i suoi elementi essenziali, si conosce immediatamente il possibile22 , 19 Due osservazioni. La prima ` e che oggi si sa benissimo dell’esistenza di sistemi deterministici che presentano non poche difficolt` a di predicibilit` a, come i sistemi caotici. La seconda ` e la seguente: si potrebbe obiettare che non ` e detto che la reversibilit` a sia riferibile al discorso che sto svolgendo. Quest’obiezione ` e valida, tuttavia non tiene in adeguato conto il fatto che, in generale, la posizione di una domanda vincola a certi parametri non solo la risposta, l’oggetto, ma anche il metodo per raggiungerlo. Per una discussione approfondita di questo punto rimando al prossimo capitolo. Si pensi anche al modo in cui Socrate rimproverava i suoi interlocutori nel momento in cui alla domanda “che cos’` e. . . ”, rispondevano attraverso esempi. 20 Cfr. Prigogine e Stengers, op. cit., p. 195, 195. 21 Per quanto riguarda il tempo cronologico e la sua pensabilit` a in base ad immagini geometriche rimando ad Aristotele. “Fisica”. In: Opere 3. Roma-Bari: Laterza, 2001, ∆ 10-14 22 Il possibile, in questo contesto, ` e ci` o che pu` o essere, ci` o ancora non ` e, ed in questo senso ` e, rispetto all’impossibile in generale, gi` a volto verso la sua realizzazione.

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a meno che non si ammetta la presenza di un qualche ente ultramondano in grado di agire fuori dell’ordine “comunemente osservato23 ”, ma sempre in conformit` a ad un ordine pi` u ampio. Sulla linea temporale si dispone, in una tale prospettiva, solo e soltanto una particolarit` a, ricompresa in una legalit` a per la quale inizio, processo ed esito sono predeterminati o comunque predeterminabili oggettivamente. Filosoficamente si pu`o dire che, laddove si assuma che qualcosa abbia un’essenza di tipo atemporale, allora il suo darsi temporale-cronologico si riduce a qualcosa di accidentale. In una tale prospettiva, come detto, arrivare a chiudere un concetto, contenente l’essenza di qualcosa, vuol dire giungere al termine del percorso conoscitivo. Il concetto chiuso si presenta, dunque, nella prospettiva filosofico-epistemologica discussa, come il punto pi` u alto cui la conoscenza pu`o giungere, il suo fine e la sua fine. Il mondo che `e pensabile a partire da un simile rispetto `e sostanzialmente statico, in quanto tutto ci`o che di dinamico c’`e in esso `e accidentale, nel senso che non ha una dignit` a filosofica ed epistemologica propria, ma `e pensato a partire da una staticit`a di fondo, i cui aspetti ho sin qui mostrato, facendo riferimento ad alcuni caratteri costitutivi che un principio deve avere per essere considerato tale. Anticipando brevemente quanto dir` o riguardo il problema dei tre corpi, sar`a interessante proprio osservare i tentativi, da Newton a Poincar´e24 , finalizzati a ricomprendere questo problema all’interno di una specifica concettualit` a che, come mostrer`o, presenta i caratteri formali fin qui esposti, riempiti del contenuto specifico del tempo. In un tale mondo, pensato attraverso una rigida legalit`a, tutto ci`o che non `e ancora inscritto al suo interno pu` o essere pensato o come incomprensibile, vale a dire come qualcosa che non entrer` a mai nello spazio chiuso del concetto, o come qualcosa che attende di entrarci. Questa prospettiva contiene in s´e la forma di pensabilit`a e di conoscibilit` a di tutto ci` o che pu` o essere in generale, e non solo di ci`o che `e oggetto di ricerca, escludendo altri modi di pensabilit` a esterni ad essa. Sulla dinamicit`a chiusa del possibile, che `e in tal modo circoscritta o delimitata, mi dilungher`o nel momento in cui andr` o ad interpretare tutto ci` o che in questo capitolo si va componendo.

23 Cfr.

Tommaso. Somma conto i gentili. Bologna: Edizioni Studio Domenicano, 2001, III § 101,

389. 24 Per essere pi` u preciso, avrei dovuto fare dei distinguo, soprattutto tra la scienza “geometrica” di Newton e la scienza “analitico-algebrica” di Lagrange. Per ora si prenda per buona questa generalizzazione, in quanto alcuni aspetti del modo in cui ` e stato trattato il problema dei tre corpi risalgono proprio a Newton; per il resto, una trattazione dettagliata degli elementi appena nominati ` e proprio ci` o che sto per fare.

Capitolo 2

La linearit` a e la scienza moderna

Al fine di dare sostanza a quanto detto sin qui, in questo capitolo mi occupo direttamente del modo in cui gli scienziati moderni “facevano” scienza. Il taglio delle argomentazioni sar` a, pertanto, storico-scientifico, anche se accompagnato da una linea epistemologica di fondo.

2.1

L’uso ed il significato del calcolo nella scienza moderna

Come mostra il titolo di questo paragrafo, non `e mia intenzione seguire passo passo le vicissitudini del calcolo facendone la storia1 , m’interessa, invece, mostrare come il quadro concettuale emerso nel capitolo precedente derivi dallo statuto epistemologico e ontologico assegnato alle equazioni differenziali nel periodo preso in esame. Nonostante la riflessione filosofica si sia soffermata poco su questo aspetto, le equazioni differenziali rivestono un ruolo essenziale, nell’economia del pensiero filosofico moderno e non solo scientifico. Una riflessione sul significato e sulla centralit` a delle equazioni differenziali `e forse il miglior esempio dell’approccio settecentesco ed ottocentesco alla natura, in quanto esse rappresentano il punto pi` u alto ed il punto finale cui doveva tendere ogni indagine sulla natura, in quanto, nello specifico, erano ritenute in grado di tradurre in linguaggio matematico il movimento ed i fenomeni naturali in genere. Sar`a interessante notare, in questa prospettiva, che la traduzione matematica di problemi fisici, o pi` u in generale della natura, ponesse problemi che andavano al di l`a dei limiti della concettualit` a del tempo, ma che comunque, almeno fino a Poincar´e, i “geometri”, dalla fine del Seicento alla seconda met`a dell’Ottocento, cercarono di confinare all’interno del loro spazio di pensabilit`a chiuso. Infatti, nonostante tutte le difficolt`a note cui davano luogo le equazioni differenziali, l’idea fondamentale che guidava la ricerca era che, essendo la natura semplice, la sua 1 Su questo argomento sono molto utili i seguenti testi: Umberto Bottazzini. Il calcolo sublime: storia dell’analisi matematica da Euler a Weierstrass. Torino: Bollati Boringhieri, 1981; Carl B. Boyer. Storia del calcolo. Milano: Bruno Mondadori, 2007.

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La linearit`a e la scienza moderna

traduzione matematica risultava problematica solo e soltanto a causa dell’ignoranza o della limitatezza umana o degli strumenti di ricerca. Ora, di per s´e, la questione che m’interessa porre non `e tanto che uno spazio di pensabilit`a sia chiuso, ma che si pretenda che solo al suo interno si diano sia il pensabile sia il possibile in generale. Il problema di fondo `e dunque l’assolutezza di un tale riferimento, che faceva sentire il suo peso sia epistemologicamente sia ontologicamente. Da questa prospettiva, come si vedr`a, per molti scienziati del calibro di Laplace, Fourier e Lagrange, “leggere” la natura era sinonimo di coglierne l’essenza. Se, dunque, svelare le leggi che regolano la natura `e un compito che pu`o essere affrontato e portato a termine attraverso l’uso del calcolo, si comprende bene la centralit` a delle equazioni differenziali all’interno della fisica moderna, il cui ruolo e significato `e proprio ci` o che intendo chiarire. 2.1.1

Questioni generali

Le equazioni differenziali risultano essere, nel Settecento e per una buona parte dell’Ottocento, la porta di accesso al mondo. Il modo in cui esse svolgevano la loro funzione `e dato dalle domande alle quali dovevano rispondere. Attraverso esse si cercavano, in generale, delle leggi delle cui caratteristiche mi sono occupato nei paragrafi precedenti. Finora ho mostrato che tipo di requisiti doveva avere qualcosa per essere riconosciuto come una “legge”; ora, nello specifico, intendo mostrare come un fenomeno, per poter essere conosciuto esaustivamente, doveva essere tradotto in linguaggio matematico. Il punto consiste, in breve, nel capire in che modo si struttura la concettualit` a chiusa che ha dato vita al tipo di leggi scientifiche discusse. In termini generali, si pu`o dire che, in particolar modo dalla fine del Seicento fino praticamente a Poincar´e e a Boltzmann, gli scienziati hanno irrimediabilmente fatto affidamento sul fatto che, al fine di conoscere la natura, si potessero identificare legami diretti e proporzionali tra cause ed effetti esprimibili per mezzo di leggi matematiche e principi filosofici, con caratteristiche del tipo di quelle esposte nei paragrafi precedenti, poich´e in tal modo `e possibile rispondere adeguatamente alle questioni poste e soprattutto al modo in cui erano poste. Pi` u precisamente faccio riferimento a quell’atteggiamento filosofico e scientifico per cui conoscere qualcosa vuol dire delimitarne concettualmente l’essenza. Questo atteggiamento raggiunge, a mio giudizio, la sua forma pi` u completa nell’opera di Lagrange e di Laplace. In base a quanto detto, all’interno di un sistema, nella fisica lagrangeanolaplaceana, il problema principale era, pertanto, distinguere ci` o che `e responsabile della sua dinamica da ci`o che costituisce una semplice perturbazione, che si presuppone del tutto ininfluente ai fini della costruzione di un modello2 esplicativo. La perturbazione, in altri termini, ha un valore conoscitivo nella particolarit` a dei 2 In questa circostanza uso questo termine in un senso del tutto generico e generale, che verr` a presto specificato.

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singoli casi presi in esame e, a differenza di ci`o che concerne l’essenza di una dinamica, viene calcolata di volta in volta. “Il pi` u delle volte i fenomeni della natura sono complicati da cause estranee: un numero enorme di cause perturbatrici vi mescolano la loro influenza, tanto che ` e ben difficile riconoscerli. Per giungervi bisogna moltiplicare le osservazioni o gli esperimenti, affinch´ e, venendosi a distruggere mutualmente gli effetti estranei, i risultati medi mettano in evidenza i fenomeni ed i loro vari elementi3 ”.

Da questa prospettiva, risulta pensabile solo un modello esplicativo di un dato sistema, che sia, al limite, deterministico, in quanto esso deve necessariamente contenere in s´e tutte le informazioni che servono per la previsione esatta e completa del futuro, del passato, a partire dal presente, annullando di fatto il ruolo del tempo nella formazione di principi e leggi filosofici e scientifici. In altri termini, conoscere qualcosa vuol dire giungere a coglierne gli elementi costitutivi ed essenziali. All’errore ed alla probabilit`a, collegata ad esso o ad una conoscenza in generale, sia essa scientifica o di altro genere, non era attribuito alcuno statuto epistemologico proprio, anche se, da un punto di vista pratico, era ci`o con cui si aveva quotidianamente a che fare4 . Per questo motivo, si sono sviluppate molte tecniche matematiche per padroneggiare l’errore in modo da poterne tenere conto efficacemente nelle previsioni. All’atto pratico, dunque, essere in grado di esprimere leggi matematicamente generali, includeva anche un adeguato studio e valutazione degli errori. In questa prospettiva `e interessante soffermare l’attenzione sulle espressioni matematiche in cui erano tradotti i problemi fisici in generale, e non solo quelli relativi alle perturbazioni. Scendendo maggiormente nei particolari, mostrer` o che al di l`a della distinzione conoscitiva tra essenze ed accidenti, quest’ultimi erano comunque trattati matematicamente allo stesso modo delle prime. Ci`o sta, ancora una volta, a sottolineare l’impostazione e la generalit` a con cui venivano usate le equazioni differenziali. Dopo aver tracciato questa sin troppo breve linea guida, `e bene chiarire metodicamente e sviluppare adeguatamente ogni affermazione. Prima di iniziare, mi pare interessante introdurre una chiave esplicativa che riprende un’immagine che attraversa trasversalmente la storia del pensiero in tutte le sue forme: la matematica come linguaggio della natura. Per poter leggere il 3 Cfr. Pierre S. Laplace. “Saggio filosofico sulle probabilit` a”. In: Opere. Torino: UTET, 1967, pp. 298-299. Il testo francese recita: “Les ph´ enom` ene de la nature sont les plus souvent envelopp´ es de tant circostances ´ etrang` eres, un si grad nombre de causes perturbatrices y mˆ elent leur influence; qu’il est tr` es-difficile, lorsqu’ils sont fort petits, de les reconnaˆıtre. . . (cfr. Pierre S. Laplace. Essai philosophique sur les probabilit´ es. Paris: Courcier, 1814, pp. 107-108)”. Alla fine di questa parte del mio lavoro mi soffermer` o dettagliatamente su quanto sto introducendo in termini generali. 4 Da questa prospettiva, la probabilit` a` e fondamentale nell’opera di Laplace, che si ` e occupato direttamente del suo progresso. Si veda in particolar modo: idem, “Saggio filosofico sulle probabilit` a” e Cfr. Pierre S. Laplace. “Teoria analitica delle probabilit` a”. In: Opere. Torino: UTET, 1967.

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libro della natura5 `e necessario conoscerne il linguaggio in modo da poterne carpire, almeno teleologicamente6 , i segreti ultimi. Se si pensa la natura come un testo, mi pare interessante soffermarmi brevemente su cosa pu`o significare “leggere”. Questo termine, per quanto riguarda la presente questione, ha almeno due significati principali che `e bene chiarire subito. Da un lato pu`o voler dire avere un accesso diretto alla natura e poterla guardare in trasparenza senza alcun tipo di filtro o diaframma concettuale; dall’altro, pu`o voler dire, come indica la sua radice latina, “scegliere”, “interpretare”. In questo secondo senso, a differenza del primo, viene meno ogni tipo di purezza e completezza della conoscenza; ogni volta si guarda con uno sguardo particolare che evidenzia qualcosa, a seconda delle domande con cui s’indaga la natura, senza per questo avere la pretesa di dire l’ultima parola sulla natura, neanche teleologicamente7 . Prima di cercare di capire in che modo `e stata pensata la funzione del linguaggio nel quale sarebbe scritto il libro della natura, `e bene indicare, preliminarmente, quale sia un tale linguaggio, almeno per quanto riguarda la fisica e, in generale, la scienza moderna, ed in particolar modo postnewtoniana. Lo strumento matematico che `e stato ritenuto, per molti versi a ragione, in grado di descrivere il movimento e la materia `e, come accennato, quello delle equazioni differenziali 8 . Esse sono l’attore principale intorno a cui ruota e si sostiene la fisica e la scienza del Settecento e di buona parte dell’Ottocento. La loro importanza `e tale che, nonostante in molti testi del Settecento, come in quelli di Laplace, ci sia spesso un’apertura verso la possibilit`a di modificare le leggi della natura, laddove se ne identificassero altre in grado di render conto in modo migliore della natura, ci`o che non viene mai messo in discussione `e il fatto che un problema fisico debba essere tradotto in equazioni differenziali; e come mostrer` o, in un tipo particolare di equazioni differenziali. Nel panorama culturale in cui sono nate, esse erano strettamente legate al movimento9 , vale a dire a problemi fisici. In questa prospettiva si comprende 5 cfr. Galileo Galilei. “Il Saggiatore”. In: Opere. Vol. 1. Torino: UTET, 2005, p. 631: “La filosofia ` e scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si pu` o intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali ` e scritto. Egli ` e scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezi ` e impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi ` e un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto”. 6 Con questo termine faccio riferimento alla possibilit` a di un principio regolativo, con uno specifico valore ontologico, che sia in grado di orientare la ricerca scientifica con certezza e di permettere il suo continuo sviluppo. Mostrer` o come questa sia un’idea specifica e fondamentale di alcuni tra i maggiori fisici del Settecento, tra i quali Laplace. 7 Naturalmente, all’interno di questa forbice concettuale ` e pensabile una pi` u o meno fitta gradazione, che tuttavia fa riferimento a questi due atteggiamenti filosofici fondamentali che mi pare importante mantenere chiaramente distinti. 8 Come mostrer` o, sebbene Newton nei Principia usi un calcolo “geometrico”, faceva un uso, che si potrebbe definire “privato”, del calcolo “analitico”, uso che divent` o “normale” sin dalla prima generazione di scienziati postnewtoniani, in particolar modo continentali. 9 Cfr. Umberto Bottazzini. “I Principia di Newton e la M´ ecanique di Lagrange: osservazioni su meccanica e calcolo”. In: Radici, significato, retaggio dell’opera newtoniana. A cura di M. Tarozzi G.and Van Vloten. Societ` a Italiana di Fisica, 1989, pp. 303-304: “Le linee dovevano pensarsi come generate ‘per moto continuo di punti’ e analogamente le superfici e i volumi. Cose che ‘hanno

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bene come Newton parlasse di “quantit`a fluenti”. Non potendomi soffermare su tale questione, sar`a sufficiente dire che “nel Methodus fluxionum, Newton stabil`ı chiaramente il problema fondamentale del calcolo: essendo assegnato il rapporto delle quantit`a, stabilire la relazione delle flussioni di queste e viceversa10 ”. In questo modo, Newton stabil`ı una diretta relazione tra il calcolo differenziale ed il calcolo integrale, in particolare pose l’accento sul fatto che sono l’uno l’inverso dell’altro. Questo `e probabilmente uno dei meriti matematici maggiori che va attribuito a Newton e a Leibniz: da questo momento in poi non si parla pi` u di calcolo differenziale da un lato, e di calcolo integrale dall’altro, ma di calcolo11 . L’uguaglianza seguente fa di Newton e Leibniz gli scopritori del calcolo12 : Z

b

f (x)dx = F (b) − F (a)13

a

con F (x) primitiva di f (x). L’interpretazione dei problemi fisici in termini matematici, per cui velocit`a ed accelerazione diventano, esprimendomi col linguaggio attuale, derivata prima e seconda14 , `e presente gi`a nel modo d’interpretare il calcolo dell’area delimitata da una curva. Boyer rivolge l’attenzione sul fatto che “mentre le quadrature [vale a dire il calcolo dell’area] precedenti erano state ottenute per mezzo dell’equivalente dell’integrale definito inteso come limite di una somma, Newton qui determina innanzi tutto la velocit`a di cambiamento dell’area e, da qui, trova l’area stessa per mezzo di quello che oggi verrebbe detto integrale indefinito della funzione che rappresenta l’ordinata15 ”. In particolare, Newton pone l’accento sul fatto che `e il moto del punto a descrivere la curva che sottende l’area. Nella prospettiva newtoniana, tuttavia, il calcolo mantiene comunque un significato ed un’interpretazione profondamente geometrica. Per Newton `e fondamentale seguire il moto del punto che disegna una curva, poich´e, come mostrer`o, nella sua ottica `e fondamentale saper costruire, o ricostruire, le curve-traiettorie16 . Nonostante ci`o, il risultato, cui giunsero Newton e Leibniz insieme, rappresenta il punto d’inizio della stagione filosofico-scientifica settecentesca, nella quale si cercher` a in tutti i modi di mettere da parte la geometria di matrice greca, con la quale Newton si poneva in continuit`a, veramente luogo in natura e si osservano ogni giorno nel movimento dei corpi’ ”. 10 Cfr. Boyer, op. cit., p. 202. 11 Cfr. Aleksandr D. Alexandrov, Andrej N. Kolmogorov e Michail A. Lavrent’ev. Le matematiche. 2004: Bollati Boringhieri, Torino, pp. 157-164. 12 A rigore Newton e Leibniz, in base a quanto detto, non sarebbero i veri e propri scopritori del calcolo, infatti, i loro lavori si inseriscono in un panorama culturale che li ha resi possibili. Su questo cfr. Boyer, op. cit., pp. 99-194. 13 Uso un integrale definito, e non un integrale indefinito, per sottolineare il fatto che si tratta storicamente di una relazione tra due diversi problemi matematici in un contesto, come quello newtoniano, nel quale non esisteva il concetto di funzione. 14 cfr. Boyer, op. cit.; cfr. Richard Courant e Herbert Robbins. Che cos’` e la matematica? Torino: Bollati Boringhieri, 2004, pp. 513-517. 15 cfr. Boyer, op. cit., 198 e sgg. 16 Si vedr` a come sar` a necessario distinguere in Newton un metodo analitico delle flussioni da uno sintetico.

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per rivolgersi al calcolo leibniziano che aveva letteralmente conquistato gli scienziati del tempo, soprattutto sul continente. Nel Settecento s’impose, dunque, l’uso delle equazioni differenziali, ed in genere lo studio dei fenomeni fisici attraverso strumenti analitici17 . Prima di continuare `e bene chiarire una serie di questioni filosofico-matematiche che segnano la distanza e la vicinanza tra le innovazioni newtoniane e la nuova meccanica del Settecento. Mi pare necessario impostare il discorso in questa maniera perch´e `e fondamentale chiarire che la fisica del Settecento non `e solo uno sviluppo del pensiero di Newton, ma presenta proprie ed importanti peculiarit`a. Nel fare questo mi sembra, inoltre, essenziale dare anche l’idea del fatto che nell’et`a moderna non `e possibile considerare separatamente filosofia, matematica e fisica, poich´e tra di loro non c’`e, praticamente mai, soluzione di continuit`a. La prima cosa da fare, dopo aver dato delle direttive generalissime ed aver introdotto sommariamente le questioni filosofico-scientifiche fondamentali, `e chiarire, per quanto possibile, alcuni aspetti dell’eredit`a newtoniana. 2.1.2

L’eredit` a dei Principia

` ben noto che i Principia sono un’opera fondamentale per tutta la scienza E successiva; tuttavia non mi pare lecito ridurre la fisica che si istituisce durante il corso del Settecento, e che influenza buona parte dell’Ottocento, ad un semplice e non meglio definito sviluppo del pensiero scientifico ed epistemologico newtoniano. Per questo motivo, mi pare necessario soffermarmi brevemente su un paio di luoghi fondamentali dell’opera maggiore di Newton, in modo da evidenziare la sua vicinanza e la sua lontananza dalla fisica-matematica del Settecento. In primo luogo mi occuper`o del significato della geometria e poi di alcuni aspetti del metodo scientifico newtoniano, con particolare riferimento ai Principia. Di qui trarr` o delle conclusioni sul pensiero newtoniano, in modo da evidenziare elementi d’incontro e di scontro con la fisica-matematica successiva. 2.1.2.1

Il significato della geometria dei Principia

Per avere una prima idea e per toccare subito con mano la distanza tra l’approccio alla fisica di Newton e quello di Lagrange-Laplace18 , nei limiti posti, `e sufficiente, 17 Si deve notare che Newton scrisse Principia, in linguaggio geometrico, in modo da rendere pi` u intuitivo il passaggio dalla matematica alla natura, ed in modo da evitare di usare il metodo analitico delle flussioni, in quanto introduceva concetti che, in quel tempo, erano tutt’altro che ben definiti ed esenti da critiche, pur essendo estremamente utili. Per evitare tutti questi problemi, Newton si rifiut` o costantemente di esporre, nonostante richieste esplicite, il metodo analitico delle flussioni all’interno dei Principia, nonostante che questo testo ebbe ben tre edizioni. In questa scelta si riverbera anche tutta la polemica contro Cartesio e l’algebrizzazione dei problemi, risolubili anche geometricamente, in opposizione alla quale Newton si pone in continuit` a con i greci. 18 Naturalmente non mi riferisco all’indubbia situazione favorevole, matematica e fisica, che Lagrange o Laplace si trovarono a vivere, ma alle diverse impostazioni filosofiche e metodologiche di fondo che separano Newton dagli altri scienziati nominati, soprattutto in merito alle possibilit` a

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a mio modo di vedere, confrontare i due seguenti passi: “La geometria dunque si fonda sulla prassi della meccanica, e non ` e nient’altro che quella parte della meccanica universale che propone e dimostra l’arte di misurare accuratissimamente19 ”. “Abbiamo gi` a vari trattati di meccanica, ma il piano di questo ` e interamente nuovo. Io intendo ridurre la teoria di questa scienza, e l’arte di risolvere i problemi relativi ad essa, a formule generali, il semplice sviluppo delle quali fornisca tutte le equazioni necessarie per la soluzione di ciascun problema. Spero che la maniera in cui ho cercato di raggiungere quest’obiettivo non lasci nulla a desiderare. [. . . ]. In quest’opera non si trover` a nessuna figura [figures]. I metodi che vi espongo non richiedono n´ e costruzioni n´ e ragionamenti geometrici o meccanici, ma soltanto delle operazioni algebriche, sottoposte ad un procedimento regolare e uniforme. Coloro che amano l’analisi, vedranno con piacere che la meccanica ne ` e diventata una branca [branche], e mi saranno grati di averne cos`ı esteso il dominio20 ”.

Nel passo newtoniano la geometria `e una parte della meccanica. In Lagrange quest’ultima diventa una branca dell’analisi, o pi` u in generale della matematica, in quanto ad essa `e ridotta. Comune ai due “geometri” rimane, senz’altro, l’idea che il movimento sia traducibile in leggi matematiche; per il momento mi pare che l’abissale distanza tra i due passi parli per s´e abbastanza chiaramente. Procedendo con ordine, intendo, come detto, sviluppare alcune idee newtoniane, per poi passare alla fisica del Settecento, e dunque al chiarimento della citazione di Lagrange. Si `e visto brevemente come Newton legasse strettamente il calcolo al movimento e quale eccezionale risultato avesse raggiunto, tuttavia l’attore principale della teoria newtoniana del moto dei Principia, come mostra bene la citazione, `e la geometria. Il cortocircuito `e solo apparente, e svanisce subito se si considera che Newton possedeva un metodo analitico ed uno geometrico per affrontare quei problemi che cadono sotto il calcolo. Dalla scelta compiuta nei Principia s’intuisce gi`a che Newton preferisse il secondo al primo. In questa direzione, gi`a nella prima sezione dei Principia, Newton espone il metodo dimostrativo usato nella maggior parte del testo; la sezione s’intitola, appunto: “Metodo delle prime e delle ultime ragioni, col cui aiuto si dimostrano le cose che seguono”. Esso `e un metodo geometrico di trattare ci`o che nel contesto dell’analisi classica, `e il passaggio al limite21 . Naturalmente essi non vanno confusi, infatti, per Newton si tratta di vedere geometricamente il passaggio al limite e non di calcolarlo, come avviene analiticamente. di conoscere la natura e ai diversi assunti filosofici che sono alla base di tali possibilit` a. 19 Cfr. Isaac Newton. Principi matematici della filosofia naturale. Milano: Arnoldo Mondadori, 2008, p. 58. Mi pare importante sottolineare che il testo originale di Newton, a differenza della traduzione italiana, sottolinea i termini “geometria” e “meccanica universale”. Esso recita: “Fundatur igitur Geometria in praxi Mechanica, & nihil aliud est quam Mechanicæ universalis pars illa quae artem mesurandi accurate proponit ac demonstrat”. 20 Cfr. Joseph-Louis Lagrange. M´ echanique analitique. Paris: La Veuve Desaint, 1788, p. VI. Traduzione mia. Su questo argomento, Cfr. Bottazzini, op. cit. 21 Su questi argomenti cfr. Niccol` o Guicciardini. Reading the Principia. Cambridge: Cambridge University Press, 1999 e cfr. Niccol` o Guicciardini. Newton: un filosofo della natura e il sistema del mondo. Le Scienze, 1998.

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A questo proposito, i Lemmi I e VII del primo libro dei Principia, il primo da un punto di vista generale e il secondo da un punto di vista particolare, recitano: “Le quantit` a, come anche i rapporti fra quantit` a, che costantemente tendono all’eguaglianza in qualsiasi tempo finito, e prima della fine di quel tempo si accostano l’una all’altra meno di qualsiasi differenza data, divengono infine uguali 22 ”. “. . . dico che l’ultima ragione fra l’arco, la corda e la tangente ` e, scambievolmente, una ragione d’uguaglianza 23 ”.

In questo senso, Newton compie una ben precisa scelta preferendo il metodo sintetico delle flussioni al metodo analitico delle flussioni, di cui egli stesso era stato, fino al 1665, promotore24 . I motivi di una tale preferenza sono molti; ne accenner` o alcuni, in riferimento al discorso che sto svolgendo. La rivalutazione dei greci, accompagnata alla constatazione che i metodi dei “moderni”, in quanto manipolazione di simboli, allontanano irrimediabilmente dalla natura, spingono Newton nella direzione geometrica. La geometria permetteva di costruire e di “vedere” intuitivamente ci` o che l’analisi permetteva di raggiungere attraverso l’introduzione di concetti, per lo meno discutibili, quali gli infinitesimi. “Col metodo degli indivisibili le dimostrazioni sono rese pi` u brevi. Ma poich´ e l’ipotesi degli indivisibili ` e ardua e poich´ e quel metodo ` e stimato meno geometrico, ho preferito ridurre le dimostrazioni delle cose seguenti alle ultime somme e ragioni di quantit` a evanescenti e alle prime delle nascenti, ossia ai limiti delle somme e ragioni, e permettere, perci` o, il pi` u brevemente possibile, le dimostrazioni di quei limiti. Questo stesso, infatti, viene fatto anche col metodo degli indivisibili; ed essendo stati dimostrati i principi, li possiamo ora usare in modo pi` u sicuro. Perci` o, se nel seguito mi capiter` a di considerare le quantit` a come costituite da particelle determinate, o mi capiter` a di prendere segmenti curvilinei come retti, vorr` o significare non particelle indivisibili, ma divisibili evanescenti, non somme e ragioni di parti determinate, ma sempre limiti di somme e ragioni [. . . ]. Si obietta che l’ultimo rapporto di quantit` a evanescenti ` e nullo, in quanto esso, prima che le quantit` a siano svanite non ` e l’ultimo, 22 Cfr.

Newton, op. cit., p. 145. ibid., p. 149. Riguardo il passaggio al limite si veda anche ibid., p. 160. 24 cfr. Guicciardini, Reading the Principia. La distinzione tra analitico e sintetico mostra proprio la preferenza newtoniana, nei Principia, per la costruzione geometrica; essa, nello specifico, fa riferimento alla distinzione di Pappo, per il quale: “Analisi (resolutio) ` e una via o un procedimento mediante il quale, muovendo da ci` o che si cerca, considerato come fosse noto, si perviene attraverso quel che consegue, alla sintesi di quanto ` e stato concesso. Nell’analisi infatti, supponendo che ci` o che si cerca sia dato, si considera ci` o che consegue da esso e poi, di nuovo, quali siano i suoi antecedenti fino a che, regredendo in tal modo, non ci si imbatta in alcunch´ e o gi` a noto o facente parte del campo dei principi. Tale procedimento, poich´ e la soluzione si ottiene per regressione, si dice analisi. Nella sintesi invece, ponendo come gi` a dato ci` o che ` e trovato per ultimo nel procedimento analitico e, secondo natura, ordinando come prime le cose che antecedono e che nell’analisi figuravano come conseguenze e unendole le une alle altre si perviene infine a costruire la cosa cercata: ` e ci` o che si dice sintesi”. Questa distinzione tra analitico e sintetico ` e molto importante in quanto permette di chiarire uno slittamento di significato, tra Seicento e Settecento, del termine “analitico”. Nel Settecento esso fa riferimento alle nozioni di “simbolico”, “algebrico” ecc. . . ; nel Seicento “analitico” fa riferimento al metodo della scoperta, come in Pappo. Esso non ` e necessariamente simbolico o algebrico, e di certo nel Seicento non ci si trova davanti al significato recente del termine. 23 Cfr.

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e allorch´ e sono svanite non c’` e affatto. Ma con lo stesso ragionamento si potrebbe ugualmente sostenere che di un corpo che giunga in un certo luogo, dove il moto finisce, non esiste la velocit` a ultima. Questa, infatti, prima che un corpo giunga nel luogo non ` e l’ultima, e quando vi giunge non c’` e. La risposta ` e facile: per velocit` a ultima s’intenda quella con la quale il corpo si muove, non prima di giungere al luogo ultimo nel quale il moto cessa, n´ e dopo, ma proprio nel momento in cui vi giunge: ossia, quella stessa velocit` a con la quale il corpo giunge al luogo ultimo e con la quale il moto cessa. Similmente, per ultime ragioni delle quantit` a evanescenti si deve intendere il rapporto delle quantit` a non prima di diventare nulle e non dopo, ma quello col quale si annullano25 ”.

Questo passo, sebbene lungo, mi pare che sia un ottimo esempio del modo di ragionare geometrico di Newton ed in particolare del modo di trattare le figure geometriche e il loro rapporti. Emerge, infatti, l’idea che le figure geometriche sono concepite cinematicamente, proprio come si `e visto brevemente riguardo alla maniera newtoniana di concepire il problema del calcolo dell’area sottesa ad una ` proprio cinematicamente che Newton, nella prima sezione dei Principia curva. E fa vedere costruttivamente le ragioni di uguaglianza tra, ad esempio, una curva ed una retta. Si tenga inoltre ben presente che, al tempo di Newton, si aveva a che fare con curve e non con funzioni, poich´e il concetto di funzione, semplicemente, `e posteriore. Si pu`o, in tal modo, comprendere meglio che le curve studiate, per cos`ı dire, erano gi` a sempre interpretate come qualcosa di geometrico, e la nuova analisi con la sua simbologia poteva esser vista come un modo per complicare le cose. Di questo avviso `e Newton che, considera la via simbolica utile euristicamente, ma del tutto inadeguata da un punto di vista dimostrativo. Di diverso avviso `e, per esempio, Cartesio: “. . . infatti in essi [gli autori antichi] leggevo certamente molte cose sui numeri, che, fatti i calcoli, sperimentavo essere vere; riguardo poi alle figure essi mettevano molte cose in qualche modo proprio davanti agli occhi, e da esse traevano conclusioni; ma non mi pareva che essi dimostrassero adeguatamente all’intelletto per quale motivo le cose stessero cos`ı, e in che modo venissero trovate26 ”.

Newton compie la sua scelta fondamentale e si propone, sin dalla prima pagina dei Principia, in continuit`a con i greci ed in contrapposizione con l’indirizzo algebrico cartesiano. In questo modo egli delinea, implicitamente, il suo modo di approcciarsi alla natura, sul quale mi soffermer`o alla fine del prossimo paragrafo. Nella sua ottica, la geometria antica era, dunque, esemplare in quanto gli appariva “semplice, elegante, concisa, adatta ai problemi posti, sempre interpretabile in termini di oggetti esistenti. In particolare, secondo Newton, le dimostrazioni geometriche avevano un contenuto referenziale certo27 ”. 25 Cfr.

Newton, op. cit., pp. 156-157. Ren´ e Descartes. Regole per la guida dell’intelligenza. Milano: Bompiani, 2000, p. 171. Al di l` a della disputa matematica, mi pare ancor pi` u interessante evidenziare che le Regole non sono un testo matematico, ma di portata metodologica, il che rende ancora pi` u profonda l’opposizione ` necessario un tra i due filosofi. Inoltre, questo passo si trova nella quarta regola, intitolata “E metodo per investigare la verit` a delle cose”. 27 cfr. Guicciardini, op. cit., p. 29. 26 Cfr.

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Se, inoltre, “la geometria [. . . ] si fonda sulla prassi della meccanica”, l’idea basilare `e che, poich´e le forze generano traiettorie, allora `e possibile conoscerne una quando si `e in grado di ri-generarla28 . Newton pone la sua attenzione sulle pratiche costruttive del conoscere, in questo caso matematico, umano. La doppia centralit` a dell’intuizione geometrica e del riferimento oggettivo ed immediato proprio della geometria `e confermata dal fatto che i Principia sono scritti, appunto, in linguaggio geometrico, e non penso si debba aggiungere altro per mostrarne l’importanza. Questo, naturalmente, non vuol dire che Newton non facesse uso del calcolo simbolico. Come accennavo in una nota, Newton faceva di esso un uso “privato”29 , preferendo tradurne i risultati in linguaggio geometrico, in quanto si trattava essenzialmente di problemi geometrici. Egli lo considerava, pertanto, niente pi` u che uno strumento, a volte determinante, in grado di risolvere problemi spinosi, senza, per questo, caricarlo di altri e pi` u fondamentali significati. Nell’ottica newtoniana era fondamentale trattare o, comunque, ricondurre un problema alla geometria in quanto la costruzione geometrica, e non la simbologia algebrica in s´e, `e ci`o che legittima il passaggio dalla matematica alla natura. In altri termini, attraverso la geometria `e possibile, secondo Newton, ri-costruire qualcosa di esistente, col vantaggio di non dover fare i conti con la problematica simbologia dell’algebra30 . In aperta polemica con la Geometria “algebrica” di Cartesio, Newton preferisce la costruttivit` a e l’intuitivit`a della geometria di stampo greco, alla senz’altro maggiore generalit` a 31 che l’algebra cartesiana rende possibile, in quanto quest’ultima non permetterebbe un’immediata interpretazione in termini di fenomeni naturali. Prova ne `e la sezione V del I libro, veicolo della polemica anticartesiana, nella quale Newton risolve un problema, gi`a di Pappo, geometricamente, senza far riferimento alla mancanza di generalit`a che la sua soluzione comporta, rispetto al metodo 28 Questo

aspetto emerge, come visto, gi` a implicitamente sul modo newtoniano di affrontare il problema del calcolo dell’area sottesa ad una curva. Nell’ottica di Newton, il movimento di un punto disegna la curva. A questo proposito, ancora una volta, ` e importante sottolineare il fatto che Newton intenda le figure geometriche dinamicamente. 29 Wilson (cfr. Curtis Wilson. “The precession of the equinoxes from Newton to d’Alembert and Euler”. In: The General History of Astronomy 2 [1995], pp. 47–54) riscontra un tale uso nei Principia riguardo ai problemi spinosi creati dal moto lunare, cfr. Newton, op. cit., Libro III, Prop. 25-35. 30 E ` bene tenere presente che questi aspetti vanno riferiti, nella loro generalit` a, alla matematica del Settecento, in quanto anche Cartesio, Leibniz ed i matematici del Seicento riconoscono l’importanza della geometria nel momento della “solutio”, della costruzione geometrica dei risultati. Ci` o che, anche rispetto ai suoi contemporanei, Newton non condivide ` e l’eccessiva fiducia nelle procedure simboliche che, in base a quanto detto, non possono essere ancora chiamate analitiche in senso proprio. Di parere opposto a quello di Newton ` e Cartesio. 31 Quello della generalit` a, almeno nel Seicento, non era sempre ritenuto un requisito necessario che la soluzione di un problema dovesse irrimediabilmente esibire. Ad esso poteva essere preferita la specificit` a di una soluzione, in quanto poteva essere ritenuta in grado di svelare meglio l’essenza di un problema rispetto alla generalit` a. Resta il fatto che ` e proprio quest’ultima il requisito su cui punta da fisica del Settecento e non solo.

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cartesiano32 . I matematici continentali, al di l`a dell’indubbio influsso di Cartesio, sono stati pesantemente influenzati dal calcolo e dalle scoperte matematiche di Leibniz, il quale, in maniera diametralmente opposta a Newton, era un convinto promotore della nuova analisi, preferendo lavorare e mettendo al centro dei suoi interesse una simbologia, newtonianamente, irrimediabilmente ambigua33 . A mio giudizio, queste sono, sommariamente, le questioni ed i problemi che le scelte matematiche newtoniane pongono in primo piano, anche e non solo alla scienza del Settecento. Prima di soffermarmi brevemente sulle conseguenze filosofiche della costruzione geometrica newtoniana, come termine di paragone e di partenza per discutere della scienza del Settecento, `e necessario introdurre alcuni aspetti del metodo scientifico dei Principia. Per ora ci si pu`o accontentare di un primo risultato. Dopo questa breve caratterizzazione della geometria, e soprattutto del suo significato epistemologico in Newton, rileggendo la citazione lagrangeana, emerge ancor pi` u chiaramente la distanza matematica e strategica del pensiero di Newton da quello del Settecento, che recupera la sensibilit`a cartesiana alla generalit`a. Svilupper`o in seguito questo punto, per ora mi pare sufficientemente chiara la citazione di Lagrange per avere un’idea, sia pur generica, della sua distanza matematica dai Principia. 2.1.2.2

Aspetti del metodo scientifico newtoniano

Se i Principia non svolgono una funzione paradigmatica per quanto riguarda l’aspetto fin qui esaminato, dal punto di vista metodologico del fare scienza segnano una profonda rottura col passato e, nello stesso tempo, l’istituzionalizzazione scientifica di un nuovo modo di fare scienza34 . La novit`a di un tale atteggiamento si riflette e si manifesta gi` a nello stile espositivo, vale a dire nel modo in cui sono disposte le argomentazioni, dei Principia. Se si osserva la struttura dell’opera, si nota subito una novit` a: la discussione matematica precede, ed in questo caso permette, la filosofia naturale e la ricerca delle cause fisiche del moto, esposte, appunto, nell’ultima parte dell’opera35 . Questo 32 A ci` o si aggiunge che, tra l’altro, nell’economia dell’opera, tale sezione V risulta essere di secondaria importanza. Cartesio, nella sua Geometria, aveva risolto analiticamente lo stesso problema affermando che, sostanzialmente, non era mai stato risolto in maniera completa. 33 Per lo sviluppo della matematica del Settecento ha senz’altro un ruolo fondamentale Leibniz sul quale, tuttavia, non posso soffermarmi, in quanto non ` e mia intenzione fare una storia del calcolo. Il mio scopo principale, in questa parte del lavoro, ` e di far emergere un tipo di concettualit` a che, nello specifico, tiene insieme matematica, fisica e filosofia, senza soluzione di continuit` a. La necessit` a di giungere al cuore del discorso, vale a dire il rapporto tra l’analisi algebrica di Lagrange e la natura, mi impone forti limiti. 34 Faccio riferimento a ci` o che Cohen, nel suo La rivoluzione newtoniana, chiama “stile newtoniano”. Un esempio concreto di ci` o si vedr` a nel modo in cui, da Newton a Poincar´ e, quasi senza eccezioni, ` e stato affrontato il problema dei tre corpi. 35 Il terzo libro dei Principia inizia cos` ı: “Nei libri precedenti ho trattato dei Principi della Filosofia, non filosofici tuttavia, ma soltanto matematici, a partire dai quali, per` o, si pu` o discutere di cose [res] filosofiche” (cfr. Newton, op. cit., p. 607).

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aspetto `e il riflesso di un nuovo modo di porre in relazione la matematica e la natura. Una volta individuati i principi matematici del moto in maniera del tutto astratta, `e possibile, secondo Newton, porsi domande sulle cause di quanto descritto nel modello e proporne in generale un significato filosofico36 , oltre che un’applicazione quantitativa al reale, tale da poter costituire, almeno nelle intenzioni, un “sistema del mondo”, cos`ı s’intitola il terzo libro dei Principia 37 . Al fine di evitare ogni ingenua confusione tra discussione matematica e fisica, Newton torna spesso su questa distinzione: “Nello stesso senso generale assumo la parola impulso, in quanto in questo trattato esamino, come ho spiegato nelle definizioni, non le specie delle forze e le qualit` a fisiche, ma le quantit` a e le proporzioni matematiche. In matematica vanno investigate quelle quantit` a e quei rapporti delle forze che discendono dalle qualsiasi condizioni poste; ma quando si passa alla fisica, questi rapporti si devono confrontare con i fenomeni, affinch´ e si sappia quali condizioni delle forze convengano ai diversi generi dei corpi attrattivi. Allora soltanto sar` a lecito discutere pi` u sicuramente intorno alle specie, alle cause e alle ragioni fisiche delle forze38 ”.

Newton ha cos`ı introdotto un nuovo modo d’impostare la ricerca scientifica. Di certo, si pu` o dire che egli era consapevole che nei primi due libri della sua opera maggiore aveva dato vita ad una costruzione al limite matematicamente perfetta, che per` o, nel momento in cui veniva applicata alla realt`a, non coincideva altrettanto perfettamente con essa, rendendo, pertanto, necessaria una vera e propria interazione tra modello matematico e natura. Nel III libro, ad esempio, afferma che se i pianeti non si attraessero tra loro reciprocamente, ma a coppie, le orbite sarebbero ellittiche39 ; cos`ı, per` o, non `e, e Newton se ne rendeva conto perfettamente, per questo motivo si trattava essenzialmente di affinare il modello matematico 40 in modo da renderlo il pi` u vicino possibile alla realt` a. Nei primi due libri, Newton conduce una discussione matematica, in cui introduce scolii filosofici, 36 La prassi era di solito opposta a quella newtoniana, prova ne ` e la reazione degli scienziati europei, ed in particolare cartesiani, alla prima apparizione dei Principia. A questo proposito, si pensi a Kepler, che anteponeva, appunto, le cause alla matematica. La sua opera del 1609 s’intitola: “Astronomia nova aitiologetos, seu physica coelestis tradita commentariis de motibus stellae Martis, ex observationibus G.V. Tychonis Brahe”. 37 Proprio qui, nello schema dell’opera, si ripropone la distinzione tra analitico e sintetico cara a Newton. Nello specifico, i primi due libri sono analitici, il terzo sintetico. Dai fenomeni giungo alle forze, stabilite le forze giungo ai fenomeni. 38 Cfr. Newton, op. cit., p. 345. 39 Cfr. ibid., p. 643: “Poich´ e le gravit` a dei pianeti verso il Sole sono inversamente proporzionali ai quadrati delle distanze dal centro del Sole, se il Sole fosse in quiete e i pianeti rimanenti non agissero uno sull’altro, le loro orbite sarebbero ellittiche, avendo il Sole come fuoco comune, e la descrizione delle aree sarebbe proporzionale ai tempi”. Newton afferma che nella maggior parte dei casi le perturbazioni sono trascurabili, tranne, ad esempio, l’influsso di Giove su Saturno. Di qui, egli procede ad una determinazione della perturbazione. 40 Rispetto a Galilei ` e interessante notare che la novit` a newtoniana consiste, a mio giudizio, nel fatto che la teoria newtoniana ` e prima di tutto matematica, mentre quella galileiana ` e prima di tutto osservativa. Nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, Galilei, pi` u volte ed in vario modo, afferma la necessit` a di “difalcare gli impedimenti della materia” (cfr. Galileo Galilei. “Diaologo sopra i due massimi sistemi del mondo”. In: Opere. Vol. 2. Torino: UTET, 2005, p. 260). Questo tipo di atteggiamento implica un’azione dell’esperimento e sull’oggetto, mentre nell’ottica

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in modo da non farla sembrare vuota e in modo da indirizzarla al confronto, nel terzo libro con i dati astronomici41 . In particolare, Newton, sulla linea d’indagine che prevedeva la complicazione di modelli matematici semplici42 , svilupp` o, in riferimento ai problemi dovuti alla reciproca attrazione dei pianeti, tecniche per controllare le perturbazioni, che ebbero molta fortuna, basti ricordare il modo in cui, prima di Poincar´e, veniva affrontato il problema dei tre corpi su cui mi dilungher` o in seguito43 . Procedendo con ordine si pu` o dire che Newton, prima dell’appena accennata interazione tra modello e natura, non sviluppa direttamente soluzioni di singoli problemi fisici posti, com’era uso comune; al contrario, propone prima una teoria generale e matematica del moto, sviluppandola dal caso pi` u semplice a quello pi` u complesso. Quest’elemento va tenuto ben presente in quanto costituisce uno dei Leitmotiv della scienza moderna, e non solo dell’opera maggiore di Newton. All’interno di questo capitolo emerger` a, tra l’altro, proprio questo presupposto, nelle sue varie forme, assieme all’idea su cui si fonda. Per quanto riguarda Newton, si possono citare i Principia: La natura, infatti, `e semplice e non sovrabbonda in cause superflue delle cose44 . Una volta esposta una teoria generale e rigorosamente matematica del moto, Newton espone quei “Fenomeni”45 , di cui ha senz’altro tenuto matematicamente e qualitativamente conto nella formulazione della stessa teoria46 , e che rappresentano di Newton l’azione avviene sul modello matematico generale. Mi pare, a questo proposito, di poter far riferimento alla distinzione, proposta da Smith in “The methodology of the Principia”, tra il “se. . . allora” newtoniano e il “quando. . . allora” galileiano. 41 Cfr. Newton, op. cit., p. 607: “Nei libri precedenti ho trattato i Principi della Filosofia, non filosofici tuttavia, ma soltanto matematici, a partire dai quali, per` o, si pu` o discutere di cose filosofiche. [. . . ]. Tuttavia, affinch´ e non sembrassero vuoti, ho illustrato le medesime con alcuni scolii filosofici, trattando quelle cose che sono generali, e sulle quali, massimamente, la filosofia sembra essere fondata”. 42 Se nella sezione XI del primo libro Newton si occupa del moto dei pianeti intesi come punti inestesi, nelle sezioni successive considera, per complicazione, i pianeti come corpi estesi. 43 Da un punto di vista strettamente scientifico, ci sono naturalmente differenze tra l’approccio di Newton e quello delle successive generazioni di scienziati, tuttavia, l’impostazione concettuale del problema, dal pi` u semplice al pi` u complicato, resta costante. In particolare, mi riferisco all’idea che tutte le propriet` a di un complesso siano riducibili ai suoi elementi semplici e costitutivi. 44 Cfr. Newton, op. cit., p. 609. 45 La collocazione editoriale dei “Fenomeni”, indica la sua funzione di raccordo tra lo studio matematico generale e gli effettivi problemi che si tratta di risolvere. 46 In questo modo si spiega l’attenzione matematica dedicata da Newton, nel primo libro all’inverso del quadrato della distanza. Avere presente una tale linea guida non vuol dire, per` o, mescolare natura e matematica all’interno della teoria generale e matematica del moto. Un buon esempio di quanto detto e, nello stesso tempo, del fatto che Newton procede dal semplice al complicato mi pare l’incipit della sezione XI del primo libro; a pagina 310 si legge: “Fin qui ho esposto il moto dei corpi verso un centro immobile, quale, tuttavia, difficilmente esiste in natura. Infatti, le attrazioni, sogliono effettuarsi verso i corpi, e le azioni dei corpi attraenti e attratti sono, per la terza legge, sempre tutte uguali; perci` o non pu` o giacere in quiete n´ e il corpo attraente n´ e quello attratto, se i corpi sono due, ma entrambi, [. . . ], come per effetto di un’attrazione scambievole, ruotano intorno ad un comune centro di gravit` a; e se i corpi sono numerosi, quelli o sono attratti da uno solo e lo attraggono, oppure si attraggono tutti fra loro; e devono essere mossi fra loro in tal modo che il comune centro di gravit` a o giace in quiete o si

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il medio tra la matematica e la natura. Ho accennato in una nota che la teoria di Newton `e quantitativa, e non propriamente osservativa. In questo senso i “fenomeni”, pur basandosi sulle osservazioni, vanno al di l`a di esse, in quanto quest’ultime sono discrete e locali, mentre i primi cercano di comporre un quadro iniziale che rappresenta, nel caso della meccanica celeste, l’insieme delle regole del movimento dei pianeti. Per questa prima razionalizzazione dell’osservazione, e non solo, Newton si serve di “Regole” filosofiche che sono, appunto, poste subito prima dei “Fenomeni”. Di qui, la teoria generale del moto da un lato e i “Fenomeni” dall’altro, permettono a Newton di poter dar conto della realt`a. Della teoria generale del moto assumono rilievo maggiore quelle parti in grado di spiegare i “Fenomeni”. Come mostra il precedente passo citato del III libro dei Principia, i problemi fisici non sono perfettamente sovrapponibili alla loro caratterizzazione matematica, di conseguenza si stabilisce un rapporto virtuosamente circolare tra matematica e natura, il cui fine `e di migliorare il pi` u possibile il modello matematico. Nel momento in cui si doveva risolvere un problema particolare, data la teoria generale del moto ed i “Fenomeni”, l’interazione tra matematica e natura consisteva nel tradurre un problema fisico in un problema matematico. La strada che bisognava percorrere per rispondere alle questioni poste prevedeva una semplificazione ed un’astrazione del problema fisico. Da ci` o venivano dedotte conseguenze matematiche su ci`o che era oggetto di studio, cercandone una descrizione quantitativa che fosse la migliore possibile. In secondo luogo, proprio in base al fatto che la traduzione matematica costituiva un duplicato47 semplificato ed astratto della natura fisica, era lecito un confronto volto ad indicare quanto i risultati del modello matematico fossero distanti dalle osservazioni astronomiche, in modo tale da poterlo correggere, ripetendo quindi il percorso sin qui esposto48 . Un tale procedimento di correzione del modello, caratterizzato da una direzione ben definita, che va dal semplice e pi` u astratto al complicato e pi` u vicino alla natura, poteva concludersi nel momento in cui il modello matematico sembrava render conto in maniera sufficientemente accettabile del fenomeno in questione, o meglio delle osservazioni. Di qui, l’accuratezza dei risultati raggiunti dipendeva, per la mediazione dei “fenomeni”, dall’accuratezza e dalla precisione delle osservazioni, muove uniformemente in linea retta. Per cui mi accingo ora ad esporre il moto dei corpi che si attraggono scambievolmente considerando le forze centripete come attrazioni, sebbene forse, se si parlasse fisicamente, dovrebbero essere dette pi` u correttamente impulsi. Ma ora, ci occupiamo di proposizioni matematiche, e per questo, abbandonate le discussioni di carattere fisico, ci serviamo di un discorso familiare, col quale possiamo essere pi` u facilmente capiti dai lettori matematici”. Da queste stesse righe, e in tutta la sezione in questione, ` e comunque ravvisabile, a mio giudizio, abbastanza chiaramente che nel pensiero newtoniano, almeno qui, sia presente una componente fisica, seppur matematicamente astratta. Con questo, tuttavia, non intendo sostenere che Newton mescoli alla trattazione matematica propriet` a o argomentazioni fisiche, ma semplicemente che sono i problemi fisici ad essere trattati matematicamente; prova ne ` e lo scolio alla sezione XI. 47 Si ` e visto come la geometria, e pi` u in generale il metodo sintetico newtoniano, dei Principia mantenessero, secondo Newton, un riferimento ontologico certo, e comunque superiore rispetto alla “nuova analisi”. 48 Su questo punto ` e utile consultare Cohen, La rivoluzione newtoniana.

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ammesso che il modello matematico rendesse disponibili risultati minimamente accettabili49 . In questo complesso lavoro, il cui fine era quello di avvicinare il pi` u possibile matematica e natura, giocavano un ruolo fondamentale il fatto di poter linearizzare 50 , o di approssimare al secondo ordine51 , attraverso il metodo delle prime ed ultime ragioni, le curve. Questo modo d’impostare i problemi avr`a grande fortuna in tutta la fisica successiva, in quanto si dimostrer` a uno strumento estremamente utile e produttivo52 . Ricapitolando, i Principia di Newton risultano paradigmatici in quanto, nel complesso, rappresentano ad un tempo il nuovo modo e l’esempio fondamentale della maniera di trattare i fenomeni fisici53 . Normalmente, come accennato, la ricerca scientifica partiva dalle cause per giungere alle leggi matematiche; il capovolgimento di questo schema ebbe proprio nei Principia il suo esempio pi` u importante. Oltre a ci`o, a quest’opera va riconosciuto, come detto, il merito d’aver posto un’interazione particolare tra matematica e realt` a e di averla presentata come qualcosa in grado di produrre risultati generali. Inoltre, Newton propone una teoria, che `e al contempo esplicativa e predittiva, in grado di ricondurre sotto un unico principio diversi tipi di problemi. Il modo di procedere che la scienza newtoniana propone `e, metodologicamente parlando, molto interessante in quanto, allo studio fisico premette la formulazione di un modello matematico, di una teoria matematica generale del movimento, astratta da qualsiasi problematica fisica, tale da potersi, infine, confrontare con la realt` a fisica stessa. ` difficile, a questo punto, stabilire con nettezza lo statuto epistemologico E ed ontologico del modello matematico newtoniano. Resta il fatto che da questa prospettiva lo stesso Newton non `e mai stato chiaro. Come tutte le grandi opere, i Principia, oltre agli indubbi ed epocali passi avanti, hanno creato e lasciato irrisolte tutta una serie di questioni con le quali si sono potuti e dovuti confrontare molti dei maggiori scienziati del Settecento e non solo. Uno di questi `e la gravit` a. Se si legge lo Scolio generale, si ha l’impressione che a Newton non interessasse il problema filosofico della gravit`a. A quest’idea erano giunti i primi lettori dei Principia, e non solo. In effetti, egli afferma esplicitamente di non riuscire a spiegare la gravit` a, per lui, “. . . ` e sufficiente che la gravit` a esista di fatto, agisca secondo le leggi da noi 49 Da questa prospettiva, come si vedr` a, sin da Newton, il problema dei tre corpi ha creato enormi grattacapi agli scienziati successivi. 50 Si vedano a questo proposito: Newton, op. cit., Libro I, Lemmi VII, VIII e IX. 51 Cfr. ibid., Libro I, Lemmi X, XI. 52 Tutto ci` o` e vero se si ha presente il fatto che il Settecento far` a uso della nuova analisi e non del calcolo geometrico di Newton. Nel contesto newtoniano, le approssimazioni hanno la funzione di ricondurre un problema a qualcosa con cui si sa lavorare in modo da poterlo risolvere. Come mostrer` o, nel Settecento le approssimazioni assumono un ruolo fondamentale nella conoscenza della natura, non solo da un punto di vista fisico-matematico. Di qui, diventer` a centrale il concetto, non pi` u solo matematico, di linearit` a 53 E ` bene ricordare che il metodo newtoniano ` e stato applicato ad altri campi del sapere.

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esposte, e spieghi tutti i movimenti dei corpi celesti e del nostro mare54 ” A complicare la situazione, a pagina 612 si legge: “. . . non affermo affatto che la gravit` a sia essenziale ai corpi. Con forza insita intendo la sola forza di inerzia. Questa ` e immutabile. La gravit` a allontanandosi dalla terra, diminuisce”.

In verit`a, dai manoscritti e dalle lettere emerge una realt`a molto diversa, una realt` a pi` u privata nella quale Newton “finge” molte ipotesi, proprio perch´e ritiene fondamentale la questione filosofica della gravit`a. L’interesse per la questione filosofica “gravit`a” `e testimoniato dal fatto che Newton, anche dopo aver pubblicato i Principia, cambi` o pi` u volte orientamento. Se, ad esempio, nel 1702 affermava che nello spazio non c’`e alcun mezzo, nel 1693 e nel 1717-18 riteneva che, in realt`a un mezzo dovesse esistere. Mi pare che l’atteggiamento newtoniano sia ben compendiato dal seguente passo di una lettere indirizzata a Leibniz: Ma se, nel frattempo, qualcuno spiegher` a la gravit` a, assieme a tutte le sue leggi, con l’azione di una qualche materia sottile. . . , io sar`o ben lontano dal fare obiezioni55 . In questo si sarebbe infatti risolta la questione della gravit`a una volta per tutte. Al di l` a dell’atteggiamento fortemente pragmatico del Newton ufficiale dei Principia, sottolineato dal fatto che egli ammette esplicitamente di non riuscire a dare una spiegazione della gravit`a, cosa al quanto incresciosa per i tempi, e nonostante ci`o decide di pubblicare i Principia, accanto all’interesse filosofico per la questione `e presente un profondo interesse teologico. Nell’ottica di Newton, non era possibile ridurre tutto a movimento e materia, come avveniva nella filosofia meccanicista cartesiana; gli studi alchemici e teologici di Newton, tenuti sempre segreti, erano volti proprio all’individuazione di un principio attivo nella natura. Lo scolio generale e lo scambio epistolare con Bentley sulla questione delle stelle fisse sono proprio la testimonianza dell’urgenza dell’aspetto teologico accanto quello filosofico56 . Se Newton ha potuto cambiare idea filosofica sulla gravit` a, fino ad affermare quanto scritto nella lettera a Leibniz citata, dal punto di vista teologico Newton `e stato sempre fermo nelle sue convinzioni riguardo i problemi esposti. Riprendendo la metafora della lettura, mi pare che, per quanto riguarda Newton non ci si trovi rigidamente collocati in nessuna delle due alternative, in quanto per lui leggere il libro della natura voleva dire ricostruirne geometricamente le dinamiche, in modo da mantenere un riferimento, e non una coincidenza, ontologico diretto57 , al di l`a dei problemi di generalit`a dei risultati che tali costruzioni geometriche implicavano. Al di l`a della vaghezza e del disinteresse filosofico newtoniano, per cui sostanzialmente il suo sistema era valido solo in quanto funzionava, come del resto mostrano le ultime due citazioni, la centralit`a della geometria, e tutto il discorso intorno ad 54 Cfr.

Newton, op. cit., p. 802. passo ` e citato in Bernard Cohen. La rivoluzione newtoniana. Milano: Feltrinelli, 1982, p. 121. Faccio riferimento a queste pagine per l’impostazione generale di Newton riguardo al problema che sto trattando. 56 Su questi argomenti cfr. Guicciardini, Newton: un filosofo della natura e il sistema del mondo. 57 cfr. idem, Reading the Principia, p. 35. 55 Il

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essa, rappresentano un indizio importante che porta a pensare che Newton, pi` uo meno esplicitamente, sostenesse un’ineliminabile analogia 58 tra una matematica in vesti geometriche e la natura, che non implicava, almeno in Newton, una loro totale coincidenza, che emerger` a pienamente solo con Lagrange, Laplace e Fourier. Se si prende in considerazione il Timeo di Platone, si vede bene la distanza tra una geometria carica di significati ontologici, ed una geometria, quella dei Principia, che cerca di ri-costruire il mondo in un’analogia compositiva con l’atto e col disegno di Dio, che comunque rimane sostanzialmente distante, in quanto, secondo Newton, non `e possibile ridurre, neanche i soli moti planetari, a materia e moto59 . Tutti questi moti regolari non hanno origine da cause meccaniche [. . . ]. Questa elegantissima compagine del Sole, dei pianeti e delle comete non pot´e nascere senza il disegno [consilio] e la potenza di un ente intelligente e potente60 . Mi pare interessante soffermarmi, infine, sul termine “consilium”. Essendo riferito a Dio, deve assumere un’accezione forte, nel qual senso si riferisce ad una decisione, ad una scelta operativa, attuativa e progettuale. Se a ci`o si aggiunge che Newton ritiene che la geometria sia il linguaggio della natura, e quest’ultima `e un’espressione divina, si comprende bene che il compito dei “geometri” sia quello di ricostruire geometricamente il piano e l’ordinamento del cosmo, la scelta divina, senza con questo arrivare a Dio stesso. In questo caso, leggere la natura vuol dire, pertanto, approfondire l’analogia tra creato e ricostruzione geometrica. In base a quanto detto in questi due paragrafi, mi pare di poter escludere una coincidenza tra matematica e natura, come emerger` a nel Settecento, in quanto, per Newton, ripeto, non si pu`o ridurre il cosmo a moto e materia, ma bisogna introdurre, come mostra la citazione, una componente esterna alla scienza. 2.1.3

L’analisi algebrica

Gi`a prima di Cartesio era noto che le espressioni algebriche, rispetto alle costruzioni geometriche, lasciavano meno spazio all’intuizione e, appunto, alla costruzione, ma fornivano una generalit` a di risultati indubbiamente maggiore e pi` u solida. Il Settecento continentale, per questo motivo, e poich´e era imbevuto di matematica leibniziana, sviluppa il calcolo e, se cos`ı si pu`o dire, sostituisce gradualmente al linguaggio geometrico dei Principia il linguaggio analitico del calcolo. Se, infatti, Newton propone innanzitutto una teoria generale e matematica, i fisici del Settecento ritengono di poter ampliare tale generalit`a sostituendo alla geometria l’analisi61 . Come punto d’arrivo di questo percorso pu`o esser, a mio giudizio, presa 58 Cfr. Newton, op. cit., p. 611: “Certamente, contro il progresso continuo degli esperimenti non devono essere inventati sconsideratamente dei sogni, n´ e ci si deve allontanare dall’analogia della natura, dato che essa suole essere semplice e sempre conforme a s´ e”. 59 Si considerino, a questo proposito, l’enorme mole di studi newtoniani che esulano dalla matematica e dalla meccanica, e che riguardano la Bibbia e l’alchimia. 60 Cfr. Newton, op. cit., p. 798. 61 Bisogna avere presente che l’analisi settecentesca non ` e n´ e l’analisi di Newton n´ e quella di Leibniz, in quanto, sempre al fine di risolvere problemi fisici, vengono introdotti strumenti e metodi completamente nuovi. La traduzione dei risultati dei Principia e del suo metodo nel

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la M´echanique analitique 62 di Lagrange, nella quale si coglie con mano il definitivo distacco dalla geometria tanto cara a Newton. Data l’importanza strategica, mi pare utile riproporre, a questo punto il passo lagrangeano: “Abbiamo gi` a vari trattati di meccanica, ma il piano di questo ` e interamente nuovo. Io intendo ridurre la teoria di questa scienza, e l’arte di risolvere i problemi relativi ad essa, a formule generali, il semplice sviluppo delle quali fornisca tutte le equazioni necessarie per la soluzione di ciascun problema. Spero che la maniera in cui ho cercato di raggiungere quest’obiettivo non lasci nulla a desiderare. [. . . ]. In quest’opera non si trover` a nessuna figura [figures]. I metodi che vi espongo non richiedono n´ e costruzioni n´ e ragionamenti geometrici o meccanici, ma soltanto delle operazioni algebriche, sottoposte ad un procedimento regolare e uniforme. Coloro che amano l’analisi, vedranno con piacere che la meccanica ne ` e diventata una branca [branche], e mi saranno grati di averne cos`ı esteso il dominio63 ”.

Dal punto di vista filosofico, il passaggio dalla geometria al calcolo non `e affatto privo di conseguenze. Degno di nota `e che se Newton considerava la matematica parte della meccanica, Lagrange, in maniera diametralmente opposta, considera la meccanica una parte della matematica. Com’`e facile notare, l’attore principale della fisica e della matematica diventa l’equazione differenziale, vale a dire quell’espressione in grado di tradurre il movimento in un linguaggio matematico analitico, la cui generalit`a permetteva, almeno di principio di comprendere esaustivamente, almeno cos`ı si pensava nel Settecento, ogni tipo di problema fisico. Mi pare, a questo punto, necessaria una precisazione. Dalle parole di Lagrange si evince che non si tratta di una semplice traduzione di questioni fisiche in problemi matematici. Molto pi` u radicalmente, si pu`o sostenere che, essendo la meccanica una “branca” della calcolo, la posizione fisica di un problema coincide 64 con la sua forma matematica. Da ci`o ne consegue che tra matematica e realt` a non c’`e alcun salto. Non solo nelle parole di Lagrange, ma anche in quelle di Laplace e Fourier, tra gli scienziati pi` u influenti dell’epoca65 , emerge che il compito di un vero scienziato era sostanzialmente quello di scrivere le equazioni differenziali del linguaggio del calcolo ` e stata tutt’altro che semplice ed immediata. A questi sforzi, come mostrer` o, si accompagna una concezione del rapporto tra matematica e natura che, a mio modo di vedere, ` e estremamente distante dalle posizioni newtoniane. 62 Faccio riferimento a questo testo e non a quelli pi` u strettamente matematici perch´ e, come si vedr` a, il tentativo di risolvere problemi matematici ` e strettamente dipendente, almeno nel periodo ` dunque nella Meccanica analitica, cos`ı come in opere si simile in questione, da problemi fisici. E impostazione, che, a mio giudizio, si d` a il quadro generale dell’epistemologia del tempo, in quanto in essa si tengono assieme filosofia, fisica e matematica. Da questo punto di vista, sono esemplari le opere di Laplace. 63 Cfr. Lagrange, loc. cit. Traduzione mia. Su questo argomento, Cfr. Bottazzini, op. cit. 64 Fourier, a questa proposito, ` e ancora pi` u esplicito. In Jean B. J. Fourier. “Th´ eorie analitique de la chaleur”. In: Œuvres de Fourier. Vol. 1. Paris: Gauthier-Villars, 1888, p. XXIII si legge: “L’Analisi matematica ` e estesa tanto quanto la Natura”. 65 E ` bene chiarire che mi riferisco a questi autori, sconfinando per altro nell’Ottocento, in quanto rappresentano il punto d’arrivo di un processo, lungo un secolo, di affermazione del calcolo e del suo conseguente svuotamento di significato geometrico. Da questa prospettiva, sebbene Euler rappresenti un passo fondamentale verso i risultati di Lagrange, il suo calcolo ha ancora un’interpretazione ed un riferimento geometrico che proprio Lagrange cerca in tutti modi di abbandonare definitivamente. Non mi dilungo su questi aspetti in quanto lo scopo che mi prefiggo

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fenomeno che si trova a studiare. Per alcuni aspetti, si ripropone, si badi bene negli intendimenti, quanto affermava, in una circostanza analoga, Tolomeo: L’obiettivo cui dovrebbe aspirare l’astronomo `e questo: mostrare che i fenomeni celesti sono prodotti da moti circolari uniformi. Filosoficamente parlando, in queste prospettive si tratta di pensare il reale all’interno di una concettualit`a chiusa e predeterminata che si pretende essere in grado di risolvere ogni problema. Se da un lato si parla di moti circolari e dall’altro di calcolo, mi pare possibile individuare, nella forma di concettualit`a appena espressa, una forma di continuit`a, che va al di l`a del problema del cogliere l’essenza di qualcosa, poich´e configura quest’attivit`a attraverso il rispetto di procedure ben delimitate, all’interno dei limiti da esse stesse universalmente e necessariamente tracciati. Come emerger`a, il punto non `e tanto il fatto che si faccia riferimento o si ponga una concettualit`a chiusa, quanto il fatto che la si consideri l’unica possibile66 , metodologicamente oltre che ontologicamente. In piena sintonia col passo citato di Lagrange, Fourier afferma: “Le equazioni differenziali della propagazione del calore esprimono le condizioni pi` u generali, e riducono le questioni fisiche e problemi di analisi pura e questa ` e l’oggetto vero e proprio della teoria67 ”. [. . . ]. “Dopo aver stabilito queste equazioni differenziali, bisognava ottenerne gli integrali: il che consiste nel passare da un’espressione generale a una soluzione specifica soggetta a tutte le condizioni date. Questa ricerca difficile esigeva un’analisi speciale, fondata su teoremi nuovi, dei quali in questa sede potremo rendere manifesto l’oggetto. Il metodo che ne deriva non lascia niente di vago e di indeterminato nelle soluzioni e porta fino alle ultime applicazioni numeriche, condizione necessaria di ogni ricerca e scienza la quale non si arriverebbe che a delle inutili trasformazioni68 ”. [. . . ]. “Il suo attributo principale ` e la chiarezza; essa non possiede segni per esprimere le nozioni confuse. Essa avvicina i fenomeni pi` u diversi e scopre le analogie segrete che li uniscono. Se la materia ci sfugge, come quella dell’aria e della luce, per la sua estrema rarefazione; se gli oggetti sono lontani da noi nell’immensit` a dello spazio; se l’uomo vuole conoscere lo spettacolo dei cieli in epoche successive separate un gran numero di secoli; se le azioni della gravit` a e del calore si esercitano all’interno di un globo solido, a profondit` a che saranno per sempre inaccessibili, l’analisi matematica pu` o ancora afferrare le leggi di questi fenomeni. Essa ce li rende presenti e misurabili, e sembra essere una facolt` a della ragione destinata a supplire alla brevit` a della vita e all’imperfezione dei sensi; e, il che ` e ancor pi` u degno di nota, segue lo stesso metodo nello studio di tutti i fenomeni; li interpreta col medesimo linguaggio, come per testimoniare l’unit` a e la semplicit` a del piano dell’universo, e rendere ancor pi` u manifesto l’ordine immutabile che presiede a tutte le cause naturali69 ”. “Gli effetti del calore sono soggetti a leggi costanti che non possono essere scoperte senza l’aiuto dell’analisi matematica. La teoria che noi stiamo per esporre ` e essenzialmente di soffermarmi sull’uso delle equazioni differenziali nel momento in cui divengono, appunto, il principale punto di riferimento degli scienziati, e non ricostruirne la genesi. Su questo tema si pu` o consultare: Blay, op. cit. 66 Filosoficamente parlando, tracciare dei confini di una forma di pensabilit` a vuol dire certamente aprire uno spazio di pensabilit` a e possibilit` a, ma anche, nello stesso tempo, escluderne a priori altri. 67 Cfr. Fourier, op. cit., p. XXI. Traduzione mia. 68 Cfr. ibid., p. XXII. Traduzione mia. 69 Cfr. ibid., p. XXIII. Traduzione mia.

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ha per oggetto di dimostrare queste leggi; essa riduce tutte le ricerche fisiche sulla propagazione del calore a delle questioni di calcolo integrale al quale gli elementi sono dati dall’esperienza70 ”.

Le parole di Fourier sono molto esplicite, “leggere” la natura vuol dire, qui, coglierne pienamente l’essenza, poter distinguere chiaramente essenze ed accidenti, poter delimitare ogni volta uno spazio concettuale all’interno del quale l’oggetto indagato `e completamente, oggettivamente ed atemporalmente conosciuto. Con la svolta analitico-algebrica, alla realt`a fisica vengono affidati compiti ben precisi: “Lo studio profondo della natura ` e la fonte pi` u fertile delle scoperte matematiche. Questo studio non ha solo il vantaggio, presentando un oggetto ben determinato d’indagine, di escludere questioni vaghe e calcoli senza scopo; esso ` e inoltre un metodo sicuro per costituire l’analisi stessa e per scoprire elementi che c’interessa conoscere e che le scienze naturali devono sempre preservare: questi sono gli elementi fondamentali che si ripresentano in tutti i fenomeni naturali71 ”

Dalle citazioni precedenti, che a mio avviso presuppongono e vanno lette alla luce della gi` a discussa impostazione scientifico-metodologica lagrangeana, si vede bene come la realt` a fisica svolga un ruolo di sorgente dei problemi e di verifica dei risultati, il che `e in perfetta sintonia con la concettualit`a del tempo. C’`e, tuttavia, un altro elemento fondamentale, un’ulteriore funzione della natura molto interessante per la presente discussione; vale a dire, le propriet`a fisiche, ossia le propriet` a di una disciplina che `e parte del calcolo, entrano legittimamente in gioco anche nei momenti pi` u strettamente matematici del lavoro dello scienziato, in quanto evitano d’incappare in “questioni vaghe e calcoli senza scopo”, in cui si rischia di cadere attraverso una matematica “pura”. Si comprende bene come, in una simile situazione, la commistione tra natura e matematica, oltre ad essere “ovvia” in questo quadro culturale, era necessaria ed auspicata, in modo da poter superare ogni tipo di problema, anche e soprattutto matematico, data la condizione precaria della fondazione del calcolo. L’applicazione del calcolo e delle equazioni differenziali ai problemi fisici non procedeva, infatti, allo stesso ritmo della loro fondazione logico-matematica 72 , 70 Cfr.

ibid., p. 1. Traduzione mia. ibid., pp. XXII-XXIII. Traduzione mia. 72 Newton stesso affermava che il suo metodo per il calcolo “` e brevemente esposto piuttosto che accuratamente dimostrato”. Per una trattazione logicamente e matematicamente adeguata del calcolo bisogner` a attendere Cauchy e Weierstrass. Su queste problematiche Bottazzini, Il calcolo sublime: storia dell’analisi matematica da Euler a Weierstrass; Boyer, op. cit.; Nikolaj S. Piskunov. Calcolo differenziale e integrale. 2 volumi. Roma: Editori Riuniti, 1975. Per quanto riguarda gli autori in questione, la condizione generale del calcolo era la seguente. Il curatore delle Œvres de Fourier, nell’edizione del 1888, sottolinea le riserve sul rigore gi` a espresse da Lagrange e Laplace all’opera di Fourier: il “metodo [di Fourier] consiste nell’esprimere con un integrale definito la somma dei primi termini della serie, e poi di cercare il limite di questo integrale (Cfr. Fourier, op. cit., p. 158)”. Cfr. anche Morris Kline. La matematica nella cultura occidentale. Milano: Feltrinelli, 1976 e Morris Kline. La perdita della certezza. Milano: Arnoldo Mondadori, 1985. 71 Cfr.

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anzi quest’ultima, almeno fino all’inizio dell’Ottocento era spesso relegata in secondo piano, proprio a causa del susseguirsi dei pregevoli risultati73 della fisica matematica74 . Questo aspetto va sottolineato perch´e, nonostante il calcolo fosse lontano da un’adeguazione fondazione matematica, le equazioni differenziali rappresentavano, anche a livello esemplare per le altre discipline, la via obbligata di ogni proposizione matematica, fisica o filosofica che pretendesse di affermare qualcosa sul mondo, che fosse in grado di rispondere adeguatamente alle questioni poste, e soprattutto al modo in cui esse erano poste. Nel tessuto delle opere dei maggiori esponenti della scienza postnewtoniana `e palese lo sforzo e la considerazione in base alla quale, attraverso le equazioni differenziali, era possibile trattare esaustivamente ogni tipo di dinamica fisica che s’intendeva studiare. La tanto desiderata generalit`a spingeva sempre pi` u nella direzione di una formalizzazione, o meglio di una algebrizzazione dell’analisi, tesa ad escludere ogni riferimento o interpretazione geometrica del calcolo75 . L’idea fondamentale era sostanzialmente che, presupposta la sovrapponibilit`a di realt`a e matematica, ci fosse bisogno di riuscire ad esprimere e a trattare oggetti di studio con la massima formalit` a possibile. Per una maggiore chiarezza mi pare utile far riferimento allo schema secondo il quale Fraser76 periodizza i tre momenti fondamentali della storia del calcolo. Egli distingue tra un primo periodo “geometrico”, nel quale sono predominanti concezioni e problemi geometrici; un secondo periodo “algebrico”, le cui tappe fondamentali sono rappresentate dai lavori di Euler e Lagrange, che `e il periodo 73 L’utilit` a pubblica dei lavori ` e spesso sottolineata nelle opere degli autori che sto considerando, e non va mai, a mio modo di vedere, sottovalutata. Sia nel Discorso preliminare (XVII) sia nel corpo della Th´ eorie analitique de la chaleur, Fourier sottolinea proprio la funzione sociale del suo lavoro. A pagina 1 si dice: “Nessun argomento ha rapporti pi` u estesi con il progresso dell’industria”. Traduzione mia. 74 A spiegare il modo di fare ricerca in questa direzione era anche e soprattutto la particolare situazione politico-sociale del tempo; si ` e tra Settecento e Ottocento, periodo al quanto caotico. La Rivoluzione francese, infatti, non ha avuto solo risvolti politici e sociali, ma anche culturali. Prima della Rivoluzione, i matematici non avevano l’obbligo dell’insegnamento e potevano svolgere le loro ricerche nelle accademie nelle quali confluivano risorse da parte di principi e sovrani. A cavallo ` tra Settecento e Ottocento nascono numerose scuole, tra le quali ricordo l’Ecole polythecnique ` e l’Ecole normale sup´ erieure; uno dei loro scopi principali era essenzialmente quello di formare una classe d’ingegneri, di persone in grado di applicare le conoscenze scientifiche a problemi militari e sociali. Ad insegnare vennero chiamati i matematici pi` u illustri del tempo. Di qui, al di l` a dell’indirizzo tecnico, presente ad esempio in Fourier e Lagrange, dato alle scuole, nelle quali comunque s’insegnava sia matematica pura che applicata, proprio l’obbligo della docenza poneva nuovi problemi agli insegnati, che si trovarono a dover produrre manuali, la cui necessaria chiarezza espositiva fu un ingrediente importante per l’emergenza del problema della mancanza di rigore del calcolo (Kline, op. cit., Bottazzini, op. cit., pp. 214-240). Al di l` a di ci` o, ancora una volta, il problema coscientemente posto era quello di sottoporre la fisica ed i nuovi e vecchi problemi che essa poneva al calcolo, con la doppia finalit` a culturale e pragmatica. 75 Cfr. Craig G. Fraser. “The calculus as algebraic analysis: some observations on mathematical analysis in the 18th century”. In: Archive for History of exact Sciences 39.4 (1989), pp. 317–335. 76 Cfr. ibid., pp. 317-318.

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discusso in queste pagine; ed infine un terzo periodo “dell’analisi classica”, da Cauchy in poi77 . Senz’altro Lagrange “`e il punto d’arrivo della formulazione del calcolo attraverso l’approccio algebrico78 ”, tuttavia, a mio giudizio, una caratterizzazione esclusivamente matematica della questione `e insufficiente al fine di coglierne la concettualit`a sottostante. Per questo motivo, `e necessario avere sempre a mente quanto detto fin qui, in particolar modo sul rapporto tra matematica e realt`a. Scrivere un’equazione differenziale vuol dire, in generale, trattare matematicamente un problema fisico, nei modi suddetti. Ora, si tratta di capire cosa imponesse, matematicamente e filosoficamente, la coincidenza di matematica e natura a Lagrange, a colui che ha portato l’analisi algebrica alla sua pi` u alta formulazione. Un tale modo di procedere mi pare necessario anche perch´e lo sviluppo del calcolo settecentesco ha preso la via della formalizzazione, la via “algebrica”, piuttosto che quella pi` u strettamente e rigorosamente fondazionale. La detta coincidenza tra natura e matematica fa, innanzitutto, s`ı che quest’ultima possa ereditare ed utilizzare al suo interno ogni tipo di propriet`a fisica del problema in questione. In altri termini, come `e emerso dalle parole di Fourier e di Lagrange, argomentazioni fisiche potevano dirigere legittimamente l’analisi matematica di un problema in una direzione piuttosto che in un’altra. Se matematica e realt`a coincidono, e se il fatto di trattare problemi fisici permette di evitare calcoli insensati, allora l’algebrizzazione dell’analisi assume un significato ben preciso. Date, dunque, queste premesse, dal punto di vista matematico, al fine di ottenere i risultati cercati, `e sufficiente e necessaria la sola formalizzazione, quanto pi` u accurata possibile; la correttezza dei procedimenti matematici, accompagnata dalla certezza fisica dei risultati matematici, era, in questo quadro concettuale, sinonimo di verit` a 79 . In altri termini, procedere in maniera formalmente corretta era una garanzia sufficiente a decretare la verit` a di un teorema. Il fatto che si trattasse di una formalizzazione di un fenomeno fisico80 , in tal modo reso trattabile, aveva come conseguenza il fatto che le soluzioni 77 Naturalmente, una tale periodizzazione ` e soltanto orientativa, in quanto, ad esempio, in Euler rimangono elementi “geometrici”, mentre l’impostazione lagrangeana avr` a un’enorme risonanza per tutto l’ottocento, nonostante i lavori di Cauchy. In generale, inoltre, almeno fino a Boltzmann le equazioni differenziali restano il protagonista indiscusso di tutta la fisica. 78 Cfr. Craig G. Fraser. “Joseph Louis Lagrange’s algebraical vision of the calculus”. In: Historia Mathematica 14.1 (1987), pp. 38–53. 79 Mi pare importante sottolineare la distanza tra la certezza di un riferimento ontologico che Newton assicurava alle sue opere attraverso l’uso della geometria, basata sulla costruzione, e la certezza fisica del calcolo di Lagrange. Nel primo caso si pu` o parlare di analogia, come lo stesso Newton fa, tra la costruzione che il mondo ` e e la ri-costruzione scientifica del geometra. Nel secondo caso ci si trova di fronte alla coincidenza di matematica e natura, per cui verrebbe aggirato il problema newtoniano del diretto riferimento ontologico. 80 E ` bene tenere sempre presente che, in questo periodo, quando si parla di equazioni, o pi` u ingenerale di espressioni matematiche, si sta parlando sempre di qualcosa di fisico. Di qui, tutti gli studi pi` u strettamente matematici erano tesi a creare strumenti per trovare soluzioni a problemi fisici. A questo punto, a scanso di equivoci, ` e necessario ribadire che, da un punto di vista gnoseologico, la fisica viene prima della matematica, mentre, da un punto di vista ontologico, la

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singolari o tutti quei casi in cui il teorema falliva erano ritenute “paradossali”, e semplicemente ignorati. “L’analisi che abbiamo appena fornito ` e necessaria per non lasciare niente a desiderare sulla natura delle funzioni derivate; ma, come esse non riguardano che il valore di queste funzioni nei casi particolari, esse non influiscono affatto sulla teoria generale delle funzioni, finch´ e si considera la sola forma e la sola derivazione delle funzioni, la quale ` e conseguentemente indipendente dalle eccezioni che noi abbiamo trovato81 ”.

A questi paradossi era necessario rispondere all’interno dell’analisi algebrica. Il punto `e che, trattando di equazioni differenziali, scritte a partire da fenomeni naturali che s’intende conoscere, e che in quanto tali esistono, e ammessa la liceit`a di trasferire, e quindi usare, propriet` a fisiche nelle trattazioni matematiche, veniva ammessa, in sede matematica, l’esistenza delle soluzioni delle equazioni differenzia` solo con Cauchy che si iniziano a porre e a cercare di risolvere problemi di li82 . E esistenza all’interno della matematica; la sua impostazione “classica” del calcolo era pertanto profondamente diversa dall’analisi algebrica di Euler e Lagrange. Per costoro, infatti, oltre agli aspetti fin qui evidenziati, ed in base ad essi, la nozione di rigore era, in generale, sinonimo di formalizzazione, mentre per la tradizione classica del calcolo, inaugurata da Cauchy, rigore `e sinonimo di fondazione del calcolo all’interno della sola matematica, con strumenti esclusivamente matematici83 . Una tale distinzione di approccio `e sottolineata dal fatto che Lagrange, e prima di lui Euler, assumevano che ogni funzione fosse espandibile in serie di potenze, salvaguardandone o, per meglio dire, presupponendone ed imponendone la derivabilit` a. In questo modo si otteneva un doppio risultato; da un lato, si potevano manipolare le funzioni senza far ricorso agli infinitesimi o alla geometria, e dall’altro, era possibile risolvere esaustivamente ogni problema fisico, appunto attraverso il solo formalismo. In altri termini, in questo modo erano possibili, a loro modo di vedere, la generalit` a e la correttezza auspicate. A questo proposito, D’Alembert, anche laddove ha a che fare con un problema, ` fisicamente e matematicamente limitato nel tempo e nello spazio, afferma: E matematica viene prima della fisica. Rimane, infatti, valida l’affermazione galileiana, secondo la quale la natura ` e scritta in caratteri matematici, se si eccettua il fatto che alla geometria si sostituisce il calcolo. 81 Cfr. Joseph-Louis Lagrange. “Le¸ cons sur le calcul des fonctions”. In: Œuvres de Lagrange. Tomo X. Paris: Gauthier-Villars, 1884, pp. 83-84. Traduzione mia. Questi aspetti sono trattati negli articoli di Fraser considerati. Bisogna aggiungere che le parole di Lagrange vanno al di l` a del suo atteggiamento verso questi problemi, offrendoci un tratto generale del suo periodo storico. Come afferma Israel (Giorgio Israel. “Il determinismo e la teoria delle equazioni differenziali ordinarie”. In: Physis XXVIII.2 [1991], pp. 340-341), Poisson, trent’anni dopo il passo di Lagrange, dopo aver avuto a che fare con difficolt` a simili, semplicemente le ignora nel suo trattato di dinamica del 1833. 82 Israel, in ibid. e in idem, La visione matematica della realt` a , afferma, in questa direzione, che Laplace si comportava come se esistesse il teorema di esistenza ed unicit` a delle soluzioni delle equazioni differenziali ordinarie. Tale questioni sar` a introdotta da Cauchy solo nel 1827. Israel, nei detti testi, sottolinea l’assunzione, che definisce “metafisica”, di Laplace. 83 Naturalmente non ` e Cauchy che porta l’analisi classica al suo pi` u ampio sviluppo, tuttavia, senza dilungarmi, mi pare di poter affermare che il suo contributo sia stato essenziale.

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dunque evidente che attraverso la sola applicazione della Geometria e del calcolo, si pu` o, senza l’aiuto di altri principi, trovare le propriet` a generali del Movimento84 . Di qui, si pu`o dire che la matematica e, in una prospettiva pi` u ampia, il formalismo, in quanto tale, aveva lo scopo principale, all’interno di un’analisi, che si andava definendo, “algebrica”, di poter sempre considerare ogni questione da un punto di vista globale, o, nella terminologia che sto usando, generale. L’attenzione verso la formalizzazione pi` u che verso la fondazione `e bene espressa da D’Alembert nel “Discorso preliminare” del suo Trait´e de dynamique, in cui si legge: La certezza delle matematiche `e un vantaggio che queste scienze devono principalmente alla semplicit` a del loro oggetto85 ”. “Pi` u `e esteso, e considerato in modo generale ed astratto, l’oggetto che esse [= algebra, geometria e meccanica] abbracciano, pi` u i loro principi sono esenti da nubi e facili da afferrare.86 . Da queste parole si evince che se l’oggetto di una disciplina `e di ampia portata ed astratto, allora i suoi principi sono pi` u evidenti e facilmente coglibili. Inoltre, pi` u `e astratto un oggetto e pi` u `e semplice, e quindi fondamentale. Dalla sua semplicit`a consegue anche che il tipo di certezza cui si fa riferimento nella conoscenza in generale nel caso delle matematiche, `e quello pi` u alto. Di qui, il problema matematico che, in generale, si pone, come notato, non `e tanto fondazionale, quanto pi` u di correttezza formale. Si pu` o dire, in generale, che nel Settecento, poich´e la realt`a aveva un carattere determinato dalle precise configurazioni che assumeva, allora anche le equazioni differenziali, in quanto essenza della realt`a, avevano lo stesso determinato carattere. Come si `e visto, da un punto di vista strettamente matematico, non esistevano teoremi che andassero in questa direzione. In generale, per` o, come detto, sono dell’opinione che un punto di vista esclusivamente matematico sia molto limitativo, laddove venga assolutizzato, ma tuttavia necessario, in quanto approfondisce una parte importantissima delle problematiche filosofico-scientifiche del periodo preso in esame, e non solo. Dato il rapporto particolare tra matematica e natura, mi pare altrettanto importante puntare l’attenzione non solo sugli aspetti pi` u fisici e/o filosofici, quanto sulla loro interazione, necessaria per cercare di rendere conto dei presupposti e degli assunti ontologici ed epistemologici sulla fattura del mondo e sul ruolo della matematica che sono presenti in ogni tipo di conoscenza, e che sono ad un tempo ci`o che la permette e ci`o che la limita. In base ad i presupposti ontologici ed epistemologici emersi fin qui, si vede bene come il lavoro concettuale degli autori presi sin qui in esame si muova nella direzione di una sempre maggiore e chiara identificazione dei confini all’interno dei quali si compone la conoscenza della natura. 84 Cfr.

Jean B. D’Alembert. Trait´ e de dynamique. Paris: David, 1758, pp. VIII-IX. Traduzione mia. Faccio notare che questo testo ` e del 1743, vale a dire un periodo in cui l’analisi algebrica non era ancora giunta alla formalizzazione lagrangeana. Cfr. Fraser, “The calculus as algebraic analysis: some observations on mathematical analysis in the 18th century”. 85 Cfr. D’Alembert, op. cit., p. I. Traduzione mia. 86 Cfr. ibid., p. II. Traduzione mia.

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Da un punto di vista filosofico, emerge, in altri termini, che poter cogliere l’essenza di qualcosa, poter delimitare uno spazio all’interno del quale siano contenuti gli elementi costitutivi di qualcosa e all’esterno del quale si trovino quelli accidentali, vuol dire pensare ed assumere che sia sempre possibile, laddove si voglia risolvere un problema o conoscere qualcosa, arrivare ad elementi semplici e costitutivi, in ` questo un grado di rendere conto di ogni configurazione dell’oggetto in questione. E modo di procedere analitico, per scomposizione di ci`o che `e complicato, in modo da ridurlo al semplice, ai suoi elementi primi, anche e soprattutto in senso ontologico. L’idea che per spiegare qualcosa sia sufficiente procedere dal semplice al complicato, porta con s´e che la complicazione non apporti alcuna modifica sostanziale alle propriet`a degli elementi che la compongono. Questo accade perch´e gli elementi semplici sono anche caratterizzati ontologicamente, e perch´e si presuppone, in questo quadro concettuale chiuso, che non si diano propriet` a tipiche di un complesso di elementi che non siano riconducibili essenzialmente ai suoi componenti. In base a quanto detto, nel mondo della fisica che sto discutendo, `e possibile riscontrare un simile tipo di concettualit`a che, per l’importanza ed i pensanti influssi storici che ha avuto in molte altre discipline, non ultima la filosofia, rappresenta, a mio giudizio, un ottimo terreno di confronto per testare possibilit`a e limiti di una siffatta concettualit` a, da un punto di vista filosofico. Finora ho fatto riferimento ad un tipo di concettualit`a chiusa, cercando di farne emergere i caratteri salienti. Mi pare arrivato il momento di proporre un esempio concreto che, da un lato mostri come effettivamente possa prender voce un simile modo di affrontare i problemi e d’impostare la ricerca e, dall’altro, di far emergere altre questioni che finora sono rimaste sullo sfondo. In questo modo sar` a possibile porre al centro dell’attenzione uno degli scienziati pi` u importanti della storia, sia da un punto di vista scientifico sia filosofico, vale a dire Laplace. Dai suoi scritti, infatti, oltre allo scienziato, viene fuori in maniera molto pi` u forte che, ad esempio, in quelli di Lagrange, la figura del filosofo. Questi due aspetti renderanno possibile chiarire ed esplicitare alcuni aspetti generali legati al rapporto tra le equazioni differenziali e il mondo. Procedendo con ordine, penso che una breve discussione filosofica dell’approccio al problema dei tre corpi possa illustrare quanto fin qui detto.

2.1.4

Il problema dei tre corpi

Il problema dei tre corpi mi pare particolarmente adatto ad esemplificare quanto sta emergendo nel mio lavoro, perch´e esso mostra il modo in cui assunti sulla natura del mondo possano contemporaneamente aprire degli utilissimi e produttivi spazi di pensabilit`a e, nello stesso tempo, vincolare la ricerca in una ed una sola direzione. In questo senso, il problema dei tre corpi `e, a mio giudizio, emblematico perch´e, dati una serie di fenomeni fisici e di strumenti matematici sufficienti per individuarlo

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come una questione a se stante, almeno fino a Poincar´e, `e stato trattato come il problema dei due corpi pi` u una perturbazione87 . Una discussione filosofica di un tale problema cerca, dunque, di cogliere, nuovamente e pi` u nello specifico, la riproposizione di uguali schemi di ricerca e di una costante posizione delle questioni, nel gi` a proposto intreccio indissolubile di matematica, fisica e filosofia. Essendo disponibili numerosi studi storici, sia fisici sia matematici, preferisco affrontare la questione con un approccio pi` u filosofico. Nella storia del problema dei tre corpi si possono individuare degli aspetti ` proprio su quest’ultimi che mi voglio soffermare, senza fisico-filosofici costanti. E per`o dimenticare, nei limiti di questa impostazione, di far riferimento a innovazioni matematiche di particolare rilievo88 . La discontinuit`a dovuta alle innovazioni matematiche si accompagna ad un modo pressoch´e identico di affrontare metodologicamente il problema; questo almeno da Newton a Poincar´e escluso. Questo fatto non `e del tutto incomprensibile se si pensa che, nella modernit`a, la soluzione di molti problemi fisici era affidata alla scoperta di nuovi metodi matematici, il cui scopo principale, almeno nell’analisi algebrica, era proprio quello di fornire mezzi sempre pi` u potenti alla fisica. Nel delimitare il mio percorso, fin troppo stringato, mi soffermer`o sui punti che mi sono sembrati di maggiore interesse; il primo di essi non pu` o che essere l’opera maggiore di Newton. Si `e visto che Newton nel terzo libro dei Principia afferma, da un punto di vista generale, che se i corpi si attraessero esclusivamente a coppie, e se quello dotato di massa maggiore, nelle rispettive coppie, fosse fermo, le orbite descritte sarebbero perfettamente kepleriane. Entrando nello specifico, afferma: “Poich´ e i pianeti pi` u vicini al Sole (come Mercurio, Venere, Terra e Marte), a causa della piccolezza dei corpi agiscono l’uno sull’altro ben poco, gli afelii e i nodi di questi sono in quiete, salvo che siano perturbati dalle forze di Giove, di Saturno e dei corpi superiori. Quindi, per la teoria della gravit` a, se ne pu` o ricavare che 87 Da un punto di vista matematico, le serie erano considerate, nell’analisi algebrica, semplicemente come degli strumenti per risolvere problemi matematici, non gi` a come qualcosa di per s´ e problematizzabile. Fraser, (Fraser, op. cit.; idem, “Joseph Louis Lagrange’s algebraical vision of the calculus”), sottolinea come l’espansione in serie fosse proprio qualcosa di ovvio ed aproblematico. Darboux, curatore dell’opera omnia di Fourier, sottolinea che per Fourier trattare rigorosamente le serie vuol dire “esprimere attraverso un integrale definito la somma degli m primi termini della serie, e poi cercare il limite di questo integrale” (Cfr. Fourier, loc. cit.). Come visto, questo aspetto pu` o esser ricondotto ad assunti inerenti la natura del mondo. Nel caso specifico, le serie erano implicitamente assunte come convergenti. Come si vedr` a, alla fine di questo paragrafo, proprio sulla convergenza si rivolgono gli studi di Poincar´ e, il quale, nonostante dimostri la divergenza, in merito al problema dei tre corpi, tuttavia non si spinse fino alle pi` u profonde e catastrofiche conseguenze filosofiche e fisiche, o in generale, culturali cui il suo risultato fa implicito riferimento. 88 Se si pensa alla sola matematica, infatti, Lagrange aveva un numero di strumenti molto maggiori e molto pi` u potenti rispetto a Newton. Sono proprio le innovazioni matematiche che permettono a Clairaut di confermare “definitivamente”, almeno cos`ı pensava anche Euler, che l’attrazione gravitazionale seguisse r12 .

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gli afelii di questi si muovono alquanto in avanti, rispetto alle stelle fisse, e ci` o in ragione della potenza 32 delle distanze di questi pianeti dal Sole89 ”.

Tra i vari problemi dovuti alla reciproca attrazione, laddove le perturbazioni non siano trascurabili, a Newton non sfuggono, naturalmente, le irregolarit`a del moto lunare, di cui, rispetto al valore ottenuto attraverso le osservazioni astronomiche, riesce a calcolare solo la met` a dei risultati ottenuti attraverso l’osservazione. Nella Proposizione XLV del primo libro, nella quale si ricerca “il moto degli absidi lungo orbite che si approssimano moltissimo ai cerchi 90 ”, Newton, dopo aver ricavato i suoi risultati, afferma senza inserire ulteriori elementi che l’abside della luna `e pi` u veloce di circa il doppio91 . La comprensione di una simile affermazione non progredisce quando, nelle Proposizioni III e IV92 del terzo libro, compare un fattore “2” senza un’adeguata spiegazione all’interno del modello matematico del moto del primo libro n´e in altri luoghi dei Principia, nonostante Newton imposti chiaramente la necessit`a di uno studio delle perturbazioni. Sono proprio quest’ultime che si vengono a configurare come ci` o su cui concentrare l’attenzione per la soluzione del problema luna-terrasole. L’attenzione newtoniana sulle perturbazioni, con tutti i suoi problemi interni ai Principia, `e un indice importante del modo in cui egli tratta il problema dei tre corpi. Soffermarsi su questo punto `e importante perch´e un tale modo d’impostare la ricerca, in questo caso specifico, rester`a invariato per circa 200 anni, nonostante indubbi progressi tecnici e matematici. In generale, si pu`o dire che una perturbazione `e tale rispetto a qualcosa di regolare che, in quanto tale, subisce una modificazione. Regolari, nel testo di Newton, sono, come visto, le orbite kepleriane, vale a dire quelle ottenute considerando solo e soltanto l’attrazione tra due pianeti. Newton, dunque, giunge al problema dei tre corpi, per complicazione, poggiando sulla solubilit`a del problema dei due corpi, rispetto al quale l’oggetto di questo paragrafo ne `e appunto una complicazione, in quanto si aggiunge alle orbite stabilite grazie a Kepler una perturbazione. Per Newton e per i due secoli successivi affrontare il problema dei tre corpi `e equivalente ad affrontare il problema dei due corpi pi` u una perturbazione 93 . Nell’ultimo paragrafo di questo capitolo analizzo cosa presuppone e cosa comporta un simile approccio, tuttavia, qui mi pare interessante sottolineare come sia del tutto comprensibile la detta equivalenza, in quanto tutti gli elementi in possesso degli scienziati potevano essere effettivamente interpretati nella detta direzione. A ben vedere, essendo il problema dei due corpi risolto, si trattava di aggiungere “solo” sue modificazioni; tuttavia, risolvere una tale questione, che appariva come 89 Cfr.

Newton, op. cit., p. 645. ibid., p. 281. 91 Cfr. ibid., p. 288. 92 Cfr. ibid., pp. 623-629. 93 Su questa linea il problema degli n corpi tra loro interagenti va affrontato aggiungendo nuove perturbazioni. 90 Cfr.

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un completamento di qualcosa che gi` a esiste, pi` u che un problema a se stante, risult` o pi` u difficile del previsto94 . Da questa prospettiva, l’impostazione e le assunzioni newtoniane sono ben comprensibili, anzi del tutto condivisibili. Nello specifico, per quanto riguarda il problema della luna, Newton parte dall’“affermazione”, e non dalla “proposizione”, terza per la quale: La forza per effetto della quale la Luna `e trattenuta nella propria orbita, tende verso la Terra, ed `e inversamente proporzionale al quadrato della distanza dei luoghi dal centro della stessa.95 . Di qui Newton assume, oltre alla circolarit`a dell’orbita lunare, che la terra sia ferma96 . Si vede bene come egli ricrei le condizioni del moto dei due corpi, introducendo una perturbazione che va ad incidere solo sul moto lunare. Al di l`a di ogni altro possibile approfondimento, quanto detto mi pare sufficiente per mostrare come Newton imposti la questione in esame. Se si considera la storia di questo problema emerge che, fino a Poincar´e escluso, l’impostazione newtoniana `e rimasta sostanzialmente la medesima97 . ` interessante a questo punto soffermarsi sul dibattito settecentesco intorno al E problema dei tre corpi, poich´e possono emergere e chiarirsi elementi importanti, in particolar modo filosofici, che veicolano alcune opzioni di fondo, non necessariamente contraddittorie, sul modo di “leggere” la natura, proprie di questo modo specifico di impostare la soluzione del problema dei tre corpi. Wilson98 afferma che il fondamentale passo avanti teorico della fisica del Settecento `e stato quello di tradurre i problemi e le intuizioni newtoniane in equazioni differenziali e relegare il loro aspetto geometrico alle particolarit`a che di volta in volta si vanno ad indagare. Nonostante ci`o, come mostrato sin qui, il passaggio dalla geometria al calcolo `e tutt’altro che privo di conseguenze epistemologiche ed ontologiche; tanto `e vero che da questo punto di vista ho rilevato delle discontinuit` a tra Newton e tutti coloro che, nel Settecento come nell’Ottocento, si sono adoperati per sviluppare la fisica all’interno dell’approccio algebrico all’analisi. Verso la met`a del Settecento il dibattito scientifico intorno al problema dei tre corpi diviene particolarmente acceso grazie agli interventi di Euler, D’Alembert e Clairaut, fino a diventare rovente soprattutto a causa della polemica scoppiata tra quest’ultimo e Buffon99 . 94 Com’` e

noto, in realt` a il problema dei tre corpi, nella sua globalit` a, risulta insolubile. Newton, op. cit., p. 623. 96 Cfr. ibid., Libro III, Prop. XXVI. 97 L’impostazione del problema generale in questi termini ` e ribadita da Euler. Si deve aggiungere che nel Settecento e nell’Ottocento vengono sviluppate situazioni particolari in cui il problema dei tre corpi pu` o facilmente trovare una soluzione. Questi casi, si veda soprattutto Lagrange, non riguardano la soluzione generale del problema. 98 Cfr. Curtis Wilson. “The problem of perturbation analytically treated: Euler, Clairaut, d’Alembert”. In: The General History of Astronomy 2 (1995), pp. 89–107. 99 I testi principali ed iniziali di questo dibattito sono i seguenti. D’Alembert, Id´ ee generale d’un methode par laquelle on peut determiner le mouvements de toutes les planets, en ayant egard a leur action mutuelle, 1746; Leonard Euler. “Recherches sur le mouvement des corps c´lestes en g´ en´ eral”. In: Opera omnia. Vol. 25. Serie 2. Lipsia, 1960, 1747, pubblicato nel 1749; Euler, Recherches sur la question des in´ egalit´ es du mouvement de Saturn et de Jupiter, 1748, pubblicato 95 Cfr.

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In due memorie, Recherches sur le mouvement des corps c´lestes en g´en´eral e Recherches sur la question des in´egalit´es du mouvement de Saturn et de Jupiter, Euler fissa alcune vie possibili, battendo le quali potrebbe individuarsi la soluzione del problema dei tre corpi. Va subito detto che egli imposta la sua ricerca procedendo dal pi` u semplice al pi` u complesso e pi` u vicino alla natura, nel modo newtoniano, utilizzando, naturalmente strumenti matematici pi` u potenti. Infatti, per quel che m’interessa, parafrasando e riassumendo un passo della seconda memoria100 , Euler inizialmente suppone che le orbite di Giove e Saturno siano prive di eccentricit` a e che si trovino sullo stesso piano, di qui trae delle irregolarit`a. Secondariamente, mantenendo l’orbita di Giove circolare, considera l’eccentricit`a di Saturno, traendone di nuovo i valori delle irregolarit`a, diverse dalle precedenti e pi` u vicine alla natura. Seguendo questo schema i successivi passi consistono nel considerare l’eccentricit` a di Giove e l’inclinazione delle orbite dei due pianeti. Nonostante le successive complicazioni, Euler non giunge a risultati tali da poter considerare risolto il problema dei tre corpi. Per questo motivo, formula una serie di opzioni di ricerca, che possono essere schematicamente riassunte come segue: 1. La distribuzione della materia e la forma di uno o pi` u pianeti non `e omogenea101 ; 2. La forza di attrazione non segue perfettamente lazione del risultato di Newton;

1 r2 ,

il che implica la riformu-

3. Accanto alla forza di attrazione r12 ne esiste un’altra di diverso genere che perturba la relazione newtoniana. Euler propende per la seconda opzione, adducendo nelle sue analisi prove, a suo modo di vedere, “invincibili102 ”. Nello specifico, Euler nota che r12 funziona nel momento in cui si ha a che fare con orbite ellittiche e con corpi sferici dotati di massa omogeneamente distribuita. I pianeti, tuttavia, non posseggono nessuna di queste caratteristiche, di conseguenza, secondo Euler, bisogna rivedere r12 . Il modo in cui portare a termine questo compito era, purtroppo, tutt’altro che a portata di mano. I testi di Euler sono particolarmente significativi, in quanto sintetizzano, in generale, le opzioni intorno alle quali si svolge il dibattito scientifico ed il modo nel 1749; Clairaut, Du syst` eme du Monde dans les principes de la gravitation universelle, 1745, Clairaut R´ eponse aux R´ efl´ ections de M. de Buffon, sur la Loi de l’Attraction et sur le mouvement des Apsides, 1745, pubblicato nel 1749; Buffon, R´ efl´ ections sur la Loi de l’Attraction, 1745, pubblicato nel 1749. Naturalmente non sono di secondario interesse gli epistolari tra gli scienziati menzionati. 100 Cfr. Leonard Euler. “Recherches sur la question des in´ egalit´ es du mouvement de Saturn et de Jupiter”. In: Opera omnia. Serie 2. Lipsia: 25, 1960, pp. 47-49. 101 Questo implica che la forza di attrazione non ` e diretta verso il centro di un pianeta; ci` o potrebbe spiegare le irregolarit` a. 102 Cfr. Euler, “Recherches sur le mouvement des corps c´ lestes en g´ en´ eral”, p. 13.

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in cui esso si pone103 . Questo `e vero da due punti di vista. Metodologicamente, nel senso che viene istituzionalizzata l’equivalenza newtoniana tra affrontare il problema dei tre corpi e affrontare il problema dei due corpi pi` u una perturbazione, anche all’interno anche all’interno della fisica del Settecento e di buona parte dell’Ottocento104 . Matematicamente, nel senso che dopo aver tradotto il problema in equazioni differenziali, da Euler in poi non si tenta pi` u l’integrazione diretta, ma si cerca di determinare le soluzioni attraverso serie, per approssimazioni successive105 . Le tre opzioni risolutive sono state individuate e condivise da altri scienziati, che per` o non condividono necessariamente la direzione euleriana. D’Alembert, che comunque segue la stessa impostazione di ricerca dal semplice al complesso ritiene valida r12 , ma ad essa andrebbe affiancata un’altra forza magnetica, in grado di spiegare le discrepanze tra i risultati matematici e quelli delle osservazioni astronomiche. A differenza di Euler e, come si vedr` a, di Clairaut, nel ritenere valida 1 r 2 , D’Alembert ritiene che il problema dei tre corpi sia locale o comunque specifico di alcuni casi particolari, senza che per questo sia necessario mettere in discussione la relazione newtoniana globalmente, del resto in grado di rendere conto di molti fenomeni celesti. D’Alembert ricorda come fu Newton stesso ad affermare che la forza di attrazione `e molto prossima106 ad r12 107 , ed in questa direzione bisogna 103 A scanso di equivoci, va fatto notare che le proposte di Euler, cos` ı come la proposta di Clairaut di aggiungere un altro termine ad r12 , non erano percepite da questi autori come qualcosa di “eretico”, rispetto all’ortodossia newtoniana, come apparivano a Buffon. Sul solco dell’impostazione di Newton, si trattava di migliorarne comunque la teoria. Come si vedr` a, Clairaut fa leva proprio laddove Newton sembra alludere, in maniera pi` u o meno esplicita, al fatto che l’attrazione possa non seguire perfettamente r12 . 104 Ricordo che il passaggio dalla “geometria” newtoniana all’analisi algebrica settecentesca ` e tutt’altro che una semplice traduzione; come mostrato, infatti, la fisica del Settecento a delle peculiarit` a per cui non la si pu` o pensare come una mera appendice della scienza del Seicento in generale. 105 Ne Il problema dei tre corpi, Poincar´ e afferma: “Le difficolt` a iniziano non appena il numero n dei corpi ` e uguale a tre: il problema dei tre corpi ha finora eluso tutti gli sforzi degli analisti. Poich´ e l’integrazione completa e rigorosa si rivela impossibile, gli astronomi sono stati costretti a procedere per approssimazioni successive: l’uso di questo metodo era reso pi` u agevole dal fatto che le masse dei pianeti sono assai pi` u piccole in confronto a quella solare. Si giunse cos`ı all’idea di sviluppare le coordinate dei corpi celesti secondo le potenze crescenti delle masse” (cfr. Jules-Henri Poincar´ e. “Il problema dei tre corpi”. In: Geometria e caos. A cura di Claudio Bartocci. Torino: Bollati Boringhieri, 2006, p. 40). A pagina 41 continua: “Nonostante ci` o, il metodo che abbiamo descritto si ` e rilevato sino ad oggi pi` u che adeguato per le applicazioni pratiche: le masse sono infatti talmente piccole che il pi` u delle volte ` e possibile trascurare i loro quadrati e limitarsi pertanto all’approssimazione del primo ordine”. 106 Probabilmente D’Alembert fa riferimento alle Proposizioni III e IV del terzo libro dei Principia. Al di l` a dello specifico riferimento, l’idea di fondo mi pare chiara: se non si considerano le perturbazioni la relazione r12 risulta inattaccabile, mentre se le si prendono in considerazione, allora, bisogna discostarsi da r12 . 107 Va ricordato che grazie ad uno studio di D’Alembert viene messa da parte, almeno per il moto lunare, la prima delle opzioni che, per semplicit` a, ho riferito trattando Euler. In una lettera a quest’ultimo, D’Almbert scrive che se si considerasse la massa della luna concentrata in due globi uniti da un’asta, al fine di far coincidere risultati matematici ed osservazioni, quest’ultima avrebbe dovuto esser lunga circa il doppio del diametro terrestre (cfr. Craig B. Waff. “Clairaut and the motion of the lunar apse: the inverse-square law undergoes a test”. In: The general history

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muoversi. Clairaut, come accennato, `e in sintonia con la visione del problema data da Euler: pur sottolineando l’indubbio valore della formulazione newtoniana, ne sottolinea i limiti affermando che non si tratta di un problema locale, quanto pi` u di un indice della necessit` a di rivedere r12 108 . Clairaut, cos`ı come Euler, fa leva sulle oscurit` a e sulle ambiguit` a dei Principia, in modo da potersi rendere conto su cosa sarebbe stato pi` u saggio e produttivo agire. La situazione appariva estremamente complessa in quanto su un piatto della bilancia c’era l’enorme portata esplicativa e predittiva della legge di Newton109 , sull’altro le non trascurabili discrepanze tra risultati matematici ed osservazioni astronomiche110 . Clairaut, che nelle sue intenzioni voleva migliorare il risultato newtoniano, interpreta il passo in cui Newton afferma che il moto dell’apogeo lunare `e doppio rispetto ai suoi risultati in questa maniera: Newton avrebbe trattato il problema dei tre corpi proponendo una trattazione troppo limitata delle perturbazioni. Nel terzo libro ne considera solo una, ed inoltre considera solo orbite che possono essere approssimate ad un cerchio. Questo non implica che non si possa approfondire l’impostazione newtoniana attraverso una maggiore accuratezza nell’individuazione delle perturbazioni. In questa direzione si muoveva, come visto, anche Euler. L’idea di Clairaut `e, pertanto, di integrare, e non di rivoluzionare il lavoro newtoniano111 . Quest’attivit` a consiste proprio nell’inserimento di un altro termine accanto ad r12 , i cui effetti siano sensibili sulle “brevi” distanze e trascurabili per le grandi distanze, nelle quali funziona benissimo r12 112 . Nello specifico, da un punto di vista ipotetico, Clairaut pensava che si sarebbe potuto affiancare r14 ad r12 . Lo scopo di questa mossa era duplice: da un lato si poteva risolvere il problema della luna senza con questo intaccare il valore dei risultati ottenuti con il solo r12 , of astronomy 2 [1995], pp. 35–46). 108 Clairaut s’inserisce nel dibattito con il seguente lavoro, “Du syst` eme du Monde dans les principes de la gravitation universelle”, del 1745. 109 E ` bene ricordare che da questa prospettiva i Principia rappresentavano un livello mai raggiunto in passato. Se poi si considerano le teorie rivali dei Principia, il confronto e davvero improponibile, in quanto sono stati proposti contributi che non univano mai un pari ed alto livello di esplicativit` a e di predicibilit` a. Si prendano rispettivamente, ad esempio, da un lato i vortici di Cartesio e dall’altro le ellissi di Kepler. 110 Cfr. Alexis C. Clairaut. “Du syst` eme du monde dans les principes de la gravitation universelle”. In: Histoire de l’acad` emie royale des sciences (1745), pp. 329–364, p. 337: “Rivolgendo l’attenzione alla quantit` a di fenomeni con i quali [la relazione newtoniana] ha concordato, mi ` e parso difficile rigettarla cos`ı come ammetterla. Una supposizione che conduce solo a qualche vago risultato, pu` o coincidere con la Natura in qualche fenomeno, senza essere ancora solidamente stabilita; ma quando essa fornisce, per questi fenomeni, risultati che concordano con quelli che le osservazioni annunciano, la probabilit` a acquista parecchia forza”. 111 Clairaut era comunque fermamente convinto della generalit` a cui conduceva il particolare problema dei tre corpi e dunque della necessit` a di rivedere r12 . 112 Cfr. Clairaut, loc. cit.: Per Clairaut ci` o che ` e necessario era una legge di attrazione “che differir` a molto dalla legge del quadrato a distanze opportunamente piccole, e che diverger` a cos`ı poco da essa alle grandi distanze, che non sarebbe possibile percepire la differenza attraverso le osservazioni”.

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dall’altro cercava di ridurre ad un’unica legge “multitermine113 ” tutti i fenomeni, non solo celesti, che potevano essere ricondotti ad una forza di attrazione per cui non sembrava sufficiente r12 , ma necessario r14 114 . Nelle intenzioni di Clairaut si legge la volont` a d’individuare una sola legge, sia pure multitermine, in grado di spiegare i moti planetari unitamente ad altri fenomeni terrestri come la capillarit`a115 ; egli cerca, in altre parole, di spiegare il pi` u possibile con un’unica legge, riducendo le stesse perturbazioni a qualcosa di predicibile, o comunque di comprensibile all’interno del quadro complessivo del rapporto settecentesco tra fisica, matematica e natura, per cui la meccanica celeste rappresentava il modello di scientificit`a116 , non solo per gli altri settori della scienza. Contro la proposta di Clairaut apr`ı letteralmente le ostilit`a Buffon117 . Quest’ultimo oppone a Clairaut soprattutto argomentazioni che Clairaut definisce “metafisiche”, ma che permettono di evidenziare alcuni elementi in base ai quali una legge e/o un principio potevano essere riconosciuti tali, e questo relativamente ad entrambi i contendenti. Clairaut, come visto, faceva riferimento alla maggiore unit` a della conoscenza cui avrebbe portato la sua idea; egli riteneva importanti innanzitutto il grado di completezza predittiva e descrittiva di una legge, anche se multitermine. Buffon, al contrario, riteneva essere di primaria importanza l’assunto per il quale, essendo la natura semplice, lo devono essere anche le sue leggi118 . Per Buffon una legge dev’essere espressa da un singolo termine, in quanto una forza non pu` o essere espressa da pi` u termini, altrimenti verrebbe meno sia la semplicit` a sia l’unit` a, requisiti ineliminabili affinch´e una legge della natura possa essere considerata tale119 . Per Buffon r12 non `e modificabile ed in base a ci`o riduce il problema dei tre corpi ad un problema locale, accusando apertamente Clairaut 113 Waff

sottolinea giustamente a pi` u riprese come per Clairaut fosse fondamentale considerare la sua proposta di una legge multitermine come qualcosa di unitario. 114 Per Clairaut 1 non era affatto vincolante, egli era disposto a discutere altre proposte, laddove r4 non derivassero da scelte completamente arbitrarie. 115 Su questo cfr. Craig B. Waff. “Universal gravitation and the motion of the moon’s apogee: the establishment and reception of Newton’s inverse-square law, 1687-1749”. Tesi di dottorato. The Johns Hopkins University, 1976. 116 Secondo me, ` e fondamentale avere sempre presente questo aspetto per evitare forzature in qualsiasi direzione. Wilson apre un suo articolo, The problem of perturbation analytically treated: Euler, Clairaut, d’Alembert, con una citazione di Whewell che, nel 1840, afferma che l’astronomia ` e la scienza perfetta. Wilson commenta, a mio avviso in modo molto opportuno, la citazione dicendo che dopo Einstein e Poincar´ e questo elogio appare eccessivo, tuttavia esso mostra una verit` a storica, o, senza sbilanciarsi troppo, delle aspettative molto forti, tanto ` e vero che con Laplace, 1796, la meccanica celeste era davvero la regina delle scienze, considerando l’accuratezza delle previsioni del moto lunare che si era in grado di ottenere. 117 Il riferimento principale ` e a Buffon, Reflexion sur la loi de l’Attraction. Per un ottimo e puntuale resoconto della polemica in questione rimando a Waff, op. cit. 118 Rispetto agli elementi concettuali emersi nei primi paragrafi di questo capitolo, per entrambi i contendenti valgono anche reversibilit` a, oggettivit` a e atemporalit` a di una legge. 119 A ci` o va aggiunta un’idea di Buffon criticata dallo stesso Clairaut, vale a dire l’assunzione che ad ogni termine di un’espressione matematica debba corrispondere una forza. In quest’ottica ` e assurdo che alla sola forza d’attrazione possano corrispondere sia r12 sia r14 .

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di voler fare di una difficolt` a un principio. Per gli scopi di questo lavoro non `e necessario approfondire ulteriormente lo scontro. La polemica si conclude, comunque, a favore dell’espressione newtoniana r12 , grazie a nuovi calcoli effettuati da Clairaut stesso tra il 1748 e il 1749120 . Al di l` a degli spiacevoli toni della polemica, il risultato di Clairaut era straordinario. Euler, nella lettera del 29/6/1751, ribadisce che ora r12 `e saldamente stabilito. ` questa una conferma importante poich´e da essa, afferma Euler, “dipende l’intera E teoria astronomica”. Da un punto di vista generale, con i risultati di Clairaut ed Euler, si stabiliscono definitivamente, almeno per il tempo, il modo di affrontare il problema, le equazioni differenziali. Euler, inoltre, inizia a cercare di individuare sia soluzioni speciali sia eventuali periodicit`a, ponendo il problema della ricerca di equilibri, laddove possibile121 . Proprio su questi lavori si basano i risultati di Lagrange. Nel suo Essai sur le probl`eme des trois corps, egli individua in particolare un paio di configurazioni del problema che rendono possibile arrivare a soluzioni pi` u che accettabili. Esse, note come “equilibri di Lagrange”, tuttavia, sebbene del tutto valide, non illuminano la via per il raggiungimento della soluzione generale del problema, che a questo punto si mostra legato a profondi problemi matematici. L’opera di Lagrange rende del tutto esplicito che risolvere il problema dei tre corpi dipende dall’integrazione di un sistema differenziale di sesto ordine: `e questo il compito che si cercher`a di portare a termine nella seconda parte dell’Ottocento, facendo affidamento sull’analisi e sulla fisica, come si era fatto con profitto fino a quel momento. Al di l`a dell’utilit`a indubbia dei risultati122 di Lagrange e nonostante quanto egli stesso affermi all’inizio del saggio in questione123 , da un punto di vista teorico, il suo approccio al problema dei tre copri non `e propriamente innovativo, in quanto egli non lo affronta in generale, ma cerca degli equilibri, delle configurazioni in grado di agevolare la risoluzione del complicato sistema di equazioni differenziali. La soluzione del problema viene individuata da Poincar´e, il quale dimostra che il problema dei tre corpi non ha soluzioni generali, in quanto le serie sono divergenti. Questo `e un duro colpo a tutta la meccanica precedente, in quanto tale divergenza pone problemi serissimi alla questione generale della stabilit` a del sistema solare. In base a quanto detto sin qui questo risultato imporrebbe di 120 In quest’occasione Clairaut tiene particolarmente a precisare che le osservazioni di Buffon non sono state di alcun aiuto, e che aveva tenuto testa a Buffon perch´ e riteneva, e ritiene ancora nel 1749, le sue argomentazione completamente sbagliate. 121 Va, inoltre, ricordata l’attenzione di Euler per il problema ristretto dei tre corpi. 122 I punti lagrangeani di equilibrio rappresentano una soluzione speciale del problema dei tre corpi. Essi vengono utilizzati per mantenere in orbita attorno ad un pianeta sonde spaziali senza dispendio di energia. Ci` o` e reso possibile dal fatto che la geometria dei punti di Lagrange rappresenta una configurazione del problema dei tre corpi tale per cui il sistema ` e stabile. Una brevissima esposizione alla portata di tutti degli equilibri di Lagrange ` e offerta nel testo divulgativo: cfr. Alessandra Celletti e Ettore Perozzi. Ordine e caos nel sistema solare. Torino: UTET, 2007, pp. 36-40. Una discussione pi` u tecnica di queste problematiche ` e offerta in Florin Diacu e Philip Holmes. Celestial encounters. Princeton: Princeton University Press, 1996. 123 Cfr. Joseph-Louis Lagrange. “Essai sur le probl` eme des trois corps”. In: Œuvres de Lagrange. Tomo VI. Paris: Gauthier-Villars, 1884, pp. 230-1.

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rivedere l’uso e il significato delle equazioni differenziali, in quanto viene stabilito un limite invalicabile a quello che era il protagonista principale della fisica e della matematica moderna. In base ai risultati di Poincar´e, i moti descritti dalla legge di Newton sono tali in quanto `e possibile, in certi casi, trascurare alcune perturbazioni, che tuttavia, da Poincar´e in poi, avrebbero potuto iniziare a presentarsi come qualcosa di diverso e che va al di l` a della concettualit` a del tempo. Poincar´e nota infatti che una piccola perturbazione produce effetti macroscopici, tuttavia per circa sessant’anni non si approfondiscono le conseguenze di questi risultati. Neanche lo stesso Poincar´e esplicita la possibile dirompenza delle implicazioni epistemologiche della sensibilit` a alle condizioni iniziali. Da un punto di vista filosofico, la figura di Poincar´e `e fortemente problematica in quanto, nonostante le sue scoperte, resta saldamente ancorato a quella concezione per cui la fisica e la matematica si sorreggono a vicenda124 . In quest’ottica, la soluzione di Poincar´e del problema dei tre corpi, poich´e rimane qualcosa di negativo, pu`o esser pensata, storicamente, come una non-soluzione, in quanto non raggiunge la fine ed il fine dell’indagine sul problema, e in secondo luogo non sviluppa quanto di rivoluzionario contiene, vale a dire la non necessit`a di una coincidenza tra determinismo e prevedibilit`a125 . Naturalmente, nelle opere di Poincar´e non mancano riflessioni in questa direzione, tuttavia quest’ultime sono inserite in quadro concettuale ed epistemologico incapace di andare fino in fondo alle pi` u profonde implicazioni filosofiche dei suoi risultati. Egli `e, insomma, reticente a generalizzare su altri piani i suoi risultati “tecnici”. Prima di Poincar´e, in particolare con la prima posizione dell’analisi classica si inizia gi`a a mettere in discussione la coincidenza tra matematica e natura in una forma non ancora esplicita. L’analisi classica di Cauchy e Weierstrass puntava innanzitutto a sviluppare e fondare un calcolo che fosse autosufficiente, bandendo ogni intromissione di elementi o metodi che non fossero matematici. Si vede bene come questo non significhi immediatamente una messa in discussione completa della coincidenza tra matematica `e natura, in quanto la coincidenza deriva primariamente da assunti filosofici sulla natura e sulla matematica. Di certo, nell’indirizzo dell’analisi classica, pur ammettendo la coincidenza tra matematica e fenomeni naturali, non era lecito, per questo, utilizzare elementi che esulassero dalla matematica, a differenza di quanto avveniva nell’approccio algebrico all’analisi. Almeno inizialmente rimane intatta la fiducia che uno sviluppo della matematica fosse in grado di risolvere problemi irrisolti e migliorare la precisione dei modelli applicati alla fisica. Proprio questa fiducia e gli effettivi sviluppi della matematica hanno permesso di raggiungere i risultati di Lagrange e di Laplace. 124 Cfr.

Marcello Cini. Un paradiso perduto. Milano: Feltrinelli, 1999, pp. 51-52. Poincar´ e, op. cit., p. 42: “Gli sviluppi in serie che essi ottengono potrebbero essere perfino considerati come una soluzione definitiva del problema dei tre corpi, se si stabilisse la loro convergenza. Disgraziatamente non ` e cos`ı. In mancanza di questa convergenza, essi possono darci un’approssimazione indefinita: anche se forniranno pi` u decimali esatti rispetto ai procedimenti di una volta, non ne potranno fornire un numero arbitrariamente grande. [. . . ]. Il moto di tre corpi celesti dipende dalle loro posizioni e dalle loro velocit` a iniziali. Una volta assegnate queste condizioni iniziali, si sar` a definita una soluzione particolare del problema”. 125 Cfr.

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Di qui si comprende il potenziale di tragicit`a insito nel non-risultato di Poincar´e. Egli afferma che non `e possibile risolvere il problema dei tre corpi con quello strumento matematico che era stato, ed era ancora in parte126 , il nucleo di quella disciplina, modello assoluto di scientificit` a, cui tutte le altre scienze, e non solo, s’ispiravano127 . Solo sessant’anni dopo Poincar´e s’inizia a parlare di sistemi non lineari e di sensibilit` a alle condizioni iniziali128 . Proprio attraverso l’approfondimento di cosa significa studiare l’equilibrio di un sistema non-lineare `e possibile gettare una luce filosofica sulla concettualit`a nella quale erano inscritti i fenomeni fisici qui esemplificati dal problema dei tre corpi. 2.1.4.1

Caos e rumore

Attraverso quanto detto nei paragrafi precedenti e quanto esemplificato attraverso il problema dei tre corpi, ho mostrato come la linearit`a sia un elemento fondamentale per comprendere il compito e la forma delle leggi della fisica, in particolar modo nel periodo d’interesse. Nello specifico, `e importante avere sempre presente il valore di riferimento che gli studi di fisica matematica avevano proprio nel periodo preso in considerazione. Mi pare tuttavia necessario, al fine di far emergere ancora meglio gli assunti filosofici di fondo all’interno, e non solo all’interno, dei quali `e pensata la natura, considerare il disordine deterministico, in quanto in questo modo `e possibile gettare una luce sul modo chiuso di pensare la concettualit`a scientifica e filosofica in generale. Da un punto di vista filosofico, gli assunti o i presupposti sulla natura del mondo si compongono, a mio parere, in un ben determinato tipo di concettualit`a che ripropone, essenzialmente, il tracciamento di confini all’interno dei quali viene definito ci` o che si cerca comprendere. La seguente discussione, tuttavia, non deve portare, a mio giudizio, a pensare il rapporto tra linearit`a129 e non linearit`a come un confronto tra un modello 126 Da questa prospettiva Boltzmann osteggiava fortemente l’eccessiva importanza data allo strumento, pur utile, delle equazioni differenziali. 127 Non so se si possa parlare di un’effettiva e totale fiducia, ma certamente Poincar´ e nutre la speranza che si possa risolvere il problema dei tre corpi attraverso lo sviluppo della matematica, cfr. Poincar´ e, op. cit., p. 48: “Tutto ci` o che possiamo affermare ` e che il problema dei tre corpi non pu` o essere risolto con gli strumenti di cui disponiamo oggi: quelli che occorrer` a ideare ed impiegare per arrivare alla soluzione dovranno essere di certo assai differenti e di natura ben pi` u complessa”. 128 Gi` a nel 1907, Poincar´ e affermava: “Ma quand’anche le leggi naturali non avessero per noi pi` u segreti, potremo conoscere lo stato iniziale soltanto approssimativamente. Se ci` o ci permette di conoscere lo stato successivo con la stessa approssimazione, non abbiamo bisogno di altro, e diremo che il fenomeno ` e stato previsto, che esistono leggi che lo governano. Ma non ` e sempre cos`ı: pu` o succedere che piccole differenze nelle condizioni iniziali generino differenze grandissime nei fenomeni finali; un piccolo errore a proposito delle prime genererebbe allora un errore enorme a proposito di quest’ultimi. La previsione diventa impossibile” (cfr. Jules-Henri Poincar´ e. “Il caso”. In: Geometria e caos. A cura di Claudio Bartocci. Torino: Bollati Boringhieri, 2006, p. 108). 129 Si vede bene come faccia uso di un significato allargato del termine “linearit` a”; un significato che va al di l` a dello specifico senso matematico. Nel prossimo paragrafo la linearit` a emerger` a come una delle caratteristiche principali del modo moderno di pensare la natura.

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sbagliato o falso ed uno giusto o vero, altrimenti, nonostante gli indubbi passi avanti compiuti, ci si troverebbe a riaffermare quanto s’intendeva mettere in discussione. In altri termini, dal punto di vista filosofico `e del tutto infruttuoso sostituire una concettualit`a chiusa con un’altra; su questo aspetto mi dilungher`o nel prossimo capitolo. Per ora `e bene approfondire quanto `e appena emerso dal problema dei tre corpi. In generale, un sistema pu` o essere o non essere ridotto a pochi gradi di libert`a130 . Nel primo caso si ha un sistema deterministico, che a sua volta pu` o essere o non essere sensibile alle condizioni iniziali; nel secondo caso, il sistema ha un comportamento stocastico131 . Un esempio di sistema deterministico non sensibile alle condizioni iniziali `e la traiettoria, lineare e quindi completamente prevedibile a priori, che compie una palla di cannone. L’esempio si chiarisce cos`ı: se s’intende colpire un bersaglio si impostano tutti i parametri del cannone necessari a raggiungere l’obiettivo. Naturalmente, il lancio della palla non pu`o non contemplare un minimo di errore. Esso si trova in una relazione con i parametri di lancio tale per cui sar`a tanto pi` u piccolo quanto pi` u precisamente sono impostati i parametri. Per meglio dire, tra la conoscenza dei detti parametri e la precisione del lancio della palla esiste una relazione lineare, una relazione nella quale non si presentano problemi legati al caos. In altri termini, miglioramenti delle condizioni iniziali di lancio determinano, proporzionalmente, una maggiore precisione. Un esempio di sistema deterministico non-lineare `e, invece, il gi` a visto problema dei tre corpi, infine un esempio di sistema stocastico `e rappresentato dalla dinamica di un gas, del quale non si possono conoscere n´e la posizione n´e le altre propriet`a di tutte le particelle. A differenza della prima tipologia di sistema, le ultime due d`anno luogo a due tipi di disordine che `e bene distinguere in modo da poter comprendere ` necessario, dunque, il mancato sviluppo della non-linearit`a nel mondo moderno. E distinguere disordine deterministico e disordine stocastico. A questo proposito, `e bene riprendere e specificare meglio quanto detto sulla perdita d’informazione in un sistema caotico. Ho mostrato come si siano trovate soluzioni particolari al sistema dei tre corpi, ma che, nello stesso tempo, non si poteva abbandonare completamente la ricerca di una soluzione generale del problema; infatti, una soluzione particolare non `e in grado di gettare alcuna luce su eventuali altre, n´e sull’andamento generale della dinamica in questione. Date le difficolt`a, spesso insormontabili, di trattare quantitativamente le equazioni differenziali, il matematico Lyapunov ha mostrato che `e possibile studiare la stabilit`a di un sistema qualitativamente. Gi`a Poincar´e, reimpostando l’approccio al problema dei tre corpi aveva mostrato la sua insolubilit` a. Come detto, dai suoi studi in poi il problema dei tre corpi non `e pi` u trattato come il problema dei due 130 Con l’espressione “gradi di libert` a” si intende il numero di coordinate necessarie a descrivere univocamente un sistema. 131 Al fine di chiarire meglio la distinzione contemporanea tra il disordine caotico e quello stocastico, preferisco tenere distinti questi due aspetti, che possono, beninteso, comparire assieme. Sar` a cos`ı pi` u semplice comprendere la loro identificazione nella fisica moderna.

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corpi pi` u una perturbazione, ma diventa qualcosa a s´e stante132 , grazie soprattutto all’identificazione della propriet` a della sensibilit` a alle condizioni iniziali, pensata come una propriet` a caratterizzante un tipo di sistema. Ho detto, a questo proposito, che un sistema “sensibile alle condizioni iniziali” `e tale che una piccola variazione, o un piccolo errore, delle suddette avr`a effetti macroscopici, rendendo la dinamica instabile. Nel caso contrario, com’`e noto, la dinamica `e stabile. Pi` u precisamente, se si considera il seguente sistema di equazioni differenziali:  dx dt = f1 (t, x, y) dy dt = f2 (t, x, y) studiare la natura delle posizioni di equilibrio, vuol dire assumere la sua esistenza, imponendo le derivate uguali a zero. Per poter trattare matematicamente il problema, `e necessario linearizzare imponendo:  |¯ x(t) − x(t)| < ε |¯ y (t) − y(t)| < ε con x ¯=x ¯(t) e y¯ = y¯(t) soluzioni del suddetto sistema, vale a dire come posizioni di equilibrio da studiare. La linearizzazione porta al seguente sistema di equazioni differenziali lineari, detto sistema di prima approssimazione per un sistema non lineare:  dx dt = cx + gy dy dt = ax + by con a, b, c, g costanti. Individuare le soluzioni del sistema vuol dire trovarne gli zeri. Se si vuole studiare la dinamica in generale, `e necessario chiedersi a quali condizioni il sistema `e soddisfatto, vale a dire a quali condizioni la dinamica `e stabile, in base alle condizioni poste. Prima di Poincar´e e Lyapunov, come si vedr`a nello specifico, si riteneva, o meglio presupponeva, che lo studio del detto sistema lineare determinasse completamente la dinamica del sistema non lineare di partenza, vale a dire del caso in cui non si mantiene alcuna linearit`a, per t → ∞, tra la x e la y. Nello specifico si presupponeva che le soluzioni trovate e il rigore formale fossero sufficienti ad esaurire il problema133 . Poincar´e dimostr`o la falsit`a di una tale assunzione, su cui, da quanto detto, si basava il trattamento matematico e filosofico di questioni fisiche, come il gi` a visto problema dei tre corpi. 132 Questo, naturalmente, non vuol dire che tutto ci` o che ` e stato fatto sino a Poincar´ e sia falso. La linearizzazione ` e uno strumento fondamentale della fisica contemporanea. Ci` o che ` e cambiato ` e l’approccio al problema. In particolare, oggi si sa che linearizzando ` e possibile risolvere un problema specifico, la cui soluzione ha un valore solo in quel caso e non d` a informazioni globali. 133 Ricordo che Israel, (Israel, “Il determinismo e la teoria delle equazioni differenziali ordinarie”), mostra come Poisson ritenesse le soluzioni singolari dei semplici paradossi, tanto da non meritare neanche una menzione nel trattato del 1833. Israel, a mio modo di vedere a ragione, chiosa dicendo che “se le equazioni differenziali sono lo specchio dei fatti fisici e questi sono deterministici, allora le equazioni differenziali non possono dar luogo a forme di indeterminismo; e quindi l’esistenza delle soluzioni singolari ` e solo un ‘paradosso’ da spiegare”.

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Tornando al precedente sistema linearizzato si ottiene134 la seguente equazione: d2 x dx − (b + c) − (ag − bc)x = 0135 dt2 dt la cui equazione caratteristica `e: λ2 − (b + c)λ − (ag − bc) = 0 Attraverso lo studio delle radici λ1 e λ2 `e possibile conoscere l’andamento della dinamica della primitiva dell’equazione differenziale linearizzata: x = C1 eλ1 t + C2 eλ2 t che `e soluzione del sistema linearizzato; di qui, si pu`o studiare la stabilit`a rispetto alle precedenti condizioni poste:  |¯ x(t) − x(t)| < ε |¯ y (t) − y(t)| < ε L’esponente λ `e, pertanto, ci`o che permette di caratterizzare qualitativamente una dinamica caotica, ed in particolare ci permette di sapere per che tipo di valori essa risulta essere stabile o instabile. Nel caso specifico, si ha instabilit` a per λ > 0136 . 137 In altri termini, λ > 0 `e la traduzione matematica che permette di avere una stima dell’emergenza degli effetti della sensibilit`a alle condizioni iniziali. Pi` u in generale si pu` o dire che l’evoluzione esponenziale della perdita d’informazione pu`o essere trattata scientificamente attraverso gli esponenti di Lyapunov. In particolare, si fa riferimento al tempo di Lyapunov, il tempo che caratterizza la rapidit` a dell’allontanamento delle traiettorie, in un sistema non-lineare. Esso pu`o essere pensato come la misura in base alla quale saranno macroscopicamente evidenti gli effetti della non-linearit` a; attraverso esso si possono, in altri termini, indicare, convenzionalmente, dei limiti alla possibilit`a di compiere previsioni attendibili in ` bene avere sempre presente che ci si trova davanti ad uno un dato sistema138 . E 134 Per una trattazione matematicamente dettagliata di quanto qui esposto rimando a Piskunov, Calcolo differenziale e integrale II, 126 e sgg. e a Alexandrov, Kolmogorov e Lavrent’ev, op. cit., pp. 391-449 135 In particolare, derivando la prima equazione del sistema precedente si ottiene d2 x = d (cx + dt dt2

gy) =

d (cx) dt

+

d (gy) dt

= c dx + g dy . Ottenuto dt dt

equazione del sistema, si ottiene

2

d x dt2

d2 x dt2

= c dx + g dy e ricavando dt dt

dy dt

dalla seconda

= c dx + g(ax + by). Ricavando y dalla prima equazione si dt

2 d2 x + g(ax + gb ( dx − cx)). Da cui, ddt2x − (b + c) dx − (ag − = c dx dt dt dt dt2 136 E ` possibile reperire uno studio dettagliato dei valori di λ nel testo

bc)x = 0. di Piskunov indicato. 137 In base alle sole condizioni matematiche poste, emerge gi` a chiaramente che, in questo contesto, “tradurre” non vuol dire assolutamente “vedere in trasparenza l’essenza di qualcosa”. 138 In questo caso non si pu` o parlare di un vero e proprio valore di soglia, ma di tempo caratteristico, in quanto ` e del tutto convenzionale, stabilito in buona parte qualitativamente a 1 ` bene ribadire partire da τ = λ , dove τ ` e il tempo di Lyapunov e λ ` e l’esponente di Lyapunov. E che gli esponenti di Lyapunov d` anno una stima qualitativa della perdita d’informazione, che pu` o ha

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studio qualitativo, il che vuol dire che non `e immediatamente, e spesso neanche ` possibile, mediatamente, possibile stabilire la dinamica effettiva delle traiettorie. E per` o, riflettere su quello che tutto ci` o comporta. Dal punto di vista degli effetti di una dinamica caotica in generale, diventa importante, concettualmente parlando, pi` u che la non-linearit`a in s´e, il confronto tra gli effetti della linearit`a, o di quanto sia linearizzabile, da un lato, e gli effetti della non-linearit` a dall’altro, in quanto prima di un determinato tempo caratteristico, pi` u o meno grande, un’evoluzione non-lineare pu` o approssimarsi con profitto ad una lineare. Se, ad esempio, si considera il problema del moto dei tre corpi si comprende che, essendo il tempo di Lyapunov molto grande, gli effetti della non-linearit`a si avranno con un tempo talmente grande da poter prevedere, con una buona approssimazione, la posizione di un pianeta, senza tener conto della non-linearit` a, per un periodo orientativamente minore del tempo di Lyapunov, che comunque, in questo caso, `e dell’ordine di migliaia di anni139 . In questo contesto, la nonlinearit`a non scompare alla stregua di un disturbo; il sistema non diventa lineare, snaturandosi. Esso resta sensibile alle condizioni iniziali, ma pu`o essere trattato, in base a quanto detto e nei limiti di quanto detto, come se fosse lineare. Attraverso la manipolazione dei parametri di controllo, variando cos`ı lo stato iniziale si pu`o prevedere, compiendo previsioni d’ensemble 140 , anche se non in maniera completa ed oggettiva, in che momento la non-linearit`a emerger`a macroscopicamente mostrando i suoi effetti sulla dinamica in questione, rendendo in tal modo possibili previsioni proprio sull’evoluzione non-lineare, comunque incapaci di prevedere come si organizzer`a il sistema; non si pu`o, in altri termini, prevederne la configurazione. Calcolando orientativamente i margini all’interno dei quali non si presentano gli effetti della non-linearit` a, pur comunque agente, `e possibile compiere delle previsioni attendibili sull’evoluzione del sistema. Al di l`a del detto tempo caratteristico di Lyapunov, ripeto, `e possibile affermare solo che il sistema muter`a profondamente configurazione, ma non si pu`o prevedere quale configurazione assumer`a, vale a dire non si pu`o sapere a priori che ordine emerger`a dal sistema, o meglio non si pu`o prevedere la forma dell’attrattore cui il sistema dar`a luogo nella regione finita dello spazio delle fasi percorsa dalle traiettorie del medesimo. Di qui si ha che se si prendono due traiettorie vicine, all’interno di un attrattore, esse si allontaneranno di nuovo esponenzialmente, ripetendo quanto detto sin qui. non necessariamente corrispondere all’effettiva realizzazione di previsioni. Per quanto riguarda la meteorologia, infatti, si possono considerare attendibili previsioni compiute per un massimo di una settimana. Nonostante ci` o esso continua ad esser valido proprio in quanto da esso si richiede una stima qualitativa. 139 Se si considera, ad esempio, la meteorologia, si comprende, anche in maniera del tutto immediata, come il tempo di Lyapunov sia, in questo caso, breve, rispetto ai tempi astronomici. 140 Attraverso le previsioni d’ensemble si cerca di ridurre l’impatto dell’incertezza delle condizioni iniziali sui risultati finali, in modo da rendere il pi` u attendibili possibili le previsioni. Questo metodo, molto usato in meteorologia, consiste nell’iterare in uno stesso modello condizioni iniziali leggermente diverse, in modo da avere un’idea dell’andamento della non-linearit` a.

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A questo punto, mi pare interessante riassumere e sottolineare due aspetti del disordine dovuto alla non-linearit`a. Il primo, gi` a chiarito, riguarda la perdita esponenziale d’informazione. Il secondo, che riguarda pi` u il sistema in s´e, rivela una propriet` a della non-linearit`a, vale a dire l’emergenza. La non-linearit`a non `e solo perdita d’informazione, ma `e anche responsabile dell’emergenza di un ordine imprevedibile, del fatto che, come detto, il sistema si riorganizza141 . Un tale ordine si dice emergente proprio in virt` u del fatto che non pu` o essere, guardando al futuro, previsto a priori, n´e, guardando al passato, ricostruito a partire dai suoi elementi costitutivi, per nulla individuabili con certezza, data la sensibilit`a alle condizioni iniziali di un sistema non-lineare. Quello che si pu` o dire `e che, in questo caso, la somma degli elementi in gioco non `e in grado di render conto dell’ordine che si viene a costituire142 . Naturalmente, esso pu` o essere trattato scientificamente, studiato in s´e, ed usato come condizione iniziale per nuove previsioni, sottoposte comunque alla non-linearit`a e dunque, di nuovo, alla perdita d’informazione. Stando cos`ı le cose, lo stato di un sistema non-lineare `e il risultato di un evoluzione che non `e possibile ricostruire143 in maniera completa ed oggettiva, che anzi `e spesso inconoscibile144 . Questo aspetto merita, a mio giudizio, una notevole attenzione, in quanto, oltre a non essere pi` u possibile distinguere elementi essenziali da elementi accidentali, in una dinamica non-lineare, non si pu` o neanche sapere con certezza su quali elementi puntare l’attenzione per comprendere l’evoluzione caotica del sistema; per questo motivo risulta essere un elemento utile la previsione d’ensemble. Il fatto `e che, dunque, le stesse condizioni iniziali, in un sistema non-lineare, pur se fissate con un piccolissimo margine di errore, daranno luogo ad un’evoluzione non completamente ed atemporalmente prevedibile e controllabile. La configurazione di un sistema `e, perci`o, uno stato finale, gravido di un passato, che non `e possibile interpretare univocamente in modo da farne una sola storia. Dal punto di vista dell’evoluzione, ci`o che si considera come lo stato presente di un sistema, pu`o essere considerato come una condizione di transizione nella quale s’inserisce la misurazione scientifica, al fine di ottenere dei dati su cui compiere previsioni, del tutto inadeguata, se si pensa al tipo di domanda e al tipo di risposta propri della scienza moderna. Alternando perdita d’informazione ed isole di ordine si comprende come la 141 Se da un punto di vista conoscitivo si perde informazione, ci` o non vuol dire necessariamente che il sistema non si riconfiguri in qualche determinato modo. Se si considera, per esempio, la meteorologia, si pu` o dire che, sebbene sia impossibile stabilire che tempo far` a tra un mese su una determinata montagna, ci` o non vuol dire che tra un mese, su quella montagna, non si avr` a una determinata configurazione del tempo meteorologico. In altri termini, tra un mese piover` ao splender` a il sole o sar` a nuvoloso ecc. . . 142 La complessit` a` e propriet` a della non-linearit` a, che fa riferimento a tutti quei fenomeni per cui non si possono distinguere elementi primi ed essenziali. Per meglio dire la complessit` a ed il metodo analitico riduzionista sono due modi in cui pu` o essere trattato uno stesso fenomeno, in grado di cogliere in esso aspetti diversi. 143 In questo caso, laddove siano ricostruibili pi` u spiegazioni possibili, mi pare importante sottolineare, nessuna pu` o arrogarsi un valore epistemologico o ontologico superiore alle altre. 144 Come mostrer` o, il demone di Laplace non pu` o nulla contro la non-linearit` a, infatti, come ben si vede, dal punto di vista della comprensione completa del sistema, ` e del tutto infruttuoso epurare il sistema dal rumore. Tutto ci` o cui si pu` o giungere sono soluzioni speciali.

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non-linearit` a non sia sinonimo di assoluta imprevedibilit` a; se da un lato rende pi` u problematica la previsione rispetto ad un modello lineare, dall’altro, per`o, non va pensata alla stregua di un mero disturbo, alla stregua del rumore: la non-linearit` a `e una propriet` a di un sistema. In base a quanto detto, appare chiaro che essa sia da considerare una propriet` a di un sistema, senza la quale lo si snaturerebbe. La non-linearit` a ha, pertanto, un proprio statuto epistemologico. I metodi che si usano solitamente nello studio dei sistemi lineari risultano, come visto, essere inefficaci145 , in quanto cercano sostanzialmente di aggirare la non-linearit`a, perdendone effetti fondamentali quali l’emergenza. Il fatto che essa sia stata identificata, all’interno della fisica moderna146 , col rumore ha generato una serie di conseguenze su cui mi soffermer` o non appena chiarito come pensare il disordine stocastico. Se si prende in considerazione un sistema che non pu`o essere ridotto a pochi gradi di libert`a, ad esempio la dinamica di un gas, si nota subito che non ci si trova davanti ad un sistema deterministico, ma ad un sistema stocastico. Le condizioni iniziali non sono, appunto, riducibili a pochi gradi di libert`a, come nel moto dei tre corpi o di una palla di cannone; nel caso di un gas, infatti, non si possono conoscere la posizione e l’interazione di tutte le particelle, e perci`o si deve introdurre una variabile stocastica. A differenza del disordine deterministico, quello stocastico `e dovuto al fatto che non si `e in grado di tener conto delle relazioni tra le particelle147 , mentre nel caos deterministico ci troviamo davanti a problematiche diverse, legate, come visto, alla sensibilit` a alle condizioni iniziali. Da quanto detto, si potrebbe sostenere che il disordine stocastico sia semplicemente e solamente un problema di misurazione, da cui deriverebbe la centralit`a della probabilit` a cui sarebbe legata la conoscenza umana, almeno da Laplace in poi. Questo sarebbe vero se si considerasse un sistema lineare stocastico, in cui ogni problema sarebbe effettivamente riconducibile ad una questione di eliminazione del rumore. In quest’ottica basterebbe riuscire a purificare e a migliorare le misurazioni, in modo da mettere da parte la probabilit`a e far posto alla certezza. Questo `e, in sostanza, quanto si evince dai testi di Laplace sulla probabilit`a e, come visto, anche in D’Alembert e negli altri autori trattati. Tutto ci`o `e vero se si ammettono e concedono degli assunti filosofici per nulla scontati ed immediatamente accettabili. In altri termini, per giungere a simili conclusioni, bisogna presupporre che il mondo e le sue leggi siano, almeno nelle intenzioni, del tipo di quelle moderne, descritte precedentemente. Nel caso specifico, `e necessario che dietro la probabilit` a ci sia una verit` a oggettiva raggiungibile, almeno 145 Il metodo delle “approssimazioni successive” ne ` e un classico esempio. Usarlo vuol dire escludere l’emergenza dal sistema. Se, tuttavia, si limitano le pretese di controllo sul sistema non-lineare, esso risulta essere un valido strumento. 146 A mio giudizio, ` e possibile impostare un simile confronto al fine di far emergere chiaramente i presupposti filosofici della fisica settecentesca, e non solo, in quanto sono proprio quest’ultimi che hanno orientato gli scienziati verso un certo tipo d’interpretazione dei fenomeni non lineari e delle equazioni differenziali. 147 E ` bene sapere che, normalmente, quando si considera un gas, si assume che le particelle non interagiscano tra loro.

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in una prospettiva teleologica, e che, dunque, le descrizioni della natura non siano intrinsecamente probabilistiche, ma contingentemente probabilistiche, a causa delle strumentazioni e dell’intelligenza umana limitate, come `e nell’ottica di Laplace. Per lui, infatti, la certezza matematica coincide con la conoscenza esatta della ` tuttavia ammissibile, da un punto di vista strettamente modellistico, natura. E eliminando cos`ı ogni riferimento immediato e diretto alla natura, che esista un sistema stocastico lineare, le cui misurazioni possano essere perfezionate eliminando il rumore. Va fatta, per`o, una precisazione riguardo un “modello” stocastico e lineare molto particolare: la meccanica quantistica. Quest’ultima, intrinsecamente stocastica148 , c’insegna, sviluppando produttivamente idee di Boltzmann, che bisogna andare oltre il presupposto della conoscenza oggettiva, e che l’osservatore influisce in maniera determinante su ci`o che osserva149 . La meccanica quantistica `e pertanto estranea alla subordinazione della probabilit`a ad una verit`a di fondo, idea che ha resistito fino a quando Boltzmann non ha concesso alla probabilit`a uno statuto ` bene precisare che non sto discutendo del fatto che dietro epistemologico proprio. E la meccanica quantistica ci sia o meno una verit` a oggettiva, ma del fatto che un tale presupposto non `e per nulla scontato, n´e, a quanto pare, necessario. La stocasticit`a pu` o essere, dunque, una questione che va al di l`a della misurazione e che si radica in concetti e modi d’intendere la natura, dai quali pu` o assumere, del resto, significato. Ricapitolando e semplificando, si pu`o dire che se, per assurdo, fosse possibile togliere la non-linearit`a da un sistema, si otterrebbe un sistema diverso da quello di partenza; se, invece, fosse possibile ridurre il rumore di un sistema, fino ad eliminarlo del tutto, si avrebbe lo stesso sistema di partenza, caratterizzato da misurazioni al limite perfette, ma solo da un punto di vista modellistico, a meno che non si presupponga, com’`e avvenuto, una coincidenza tra modello matematico e realt` a. La domanda che a questo punto si pone `e la seguente: in che modo erano pensati gli effetti, all’interno della concettualit`a settecentesca ed ottocentesca, di ci`o che oggi `e la non-linearit`a? Sebbene in tale periodo non si possa parlare di non-linearit`a n´e di sensibilit`a alle condizioni iniziali, tuttavia i loro effetti rappresentavano dei veri grattacapi per gli scienziati dell’epoca, e non solo. Per questo motivo, sulla base degli effetti della non-linearit`a `e possibile discutere come venissero pensati all’interno della concettualit` a sin qui delineata.

2.2

Linearit`a, perturbazioni e rumore

A questo punto, dovendomi occupare degli effetti della non-linearit`a nel Settecento e nell’Ottocento, `e necessario compiere dei passi indietro rispetto a quelli fatti nel 148 Questa caratteristica emerge chiaramente se si confronta il concetto moderno di traiettoria con quello quantistico di funzione d’onda. 149 Si considerino le coppie di Heisenberg.

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paragrafo precedente. Bisogna, infatti, ammettere che l’osservatore non interferisca con l’osservato durante un esperimento o una misurazione e che ci sia una struttura ontologica forte della natura, conoscibile attraverso le equazioni differenziali. Ora, sulla scorta della distinzione di disordine stocastico e deterministico, `e possibile capire senza troppe difficolt` a il ruolo degli effetti della non-linearit`a nella fisica moderna. Naturalmente, con ci`o non intendo esprimere alcun giudizio di merito, m’interessa solo mostrare come la presenza di una concettualit` a chiusa, e soprattutto assolutizzata, porti ad interpretare unilateralmente la natura e la conoscenza, e a confinarle necessariamente in uno spazio precostituito. Questo tipo di confronto mi pare lecito e possibile in quanto, nel periodo storico preso in esame, c’erano tutti gli elementi matematici e fisici per ci`o che chiamiamo “non-linearit`a”150 , tuttavia, a mio modo di vedere, proprio il suddetto tipo di concettualit`a assolutizzata, nella forma specifica che ha assunto, non ha permesso lo sviluppo della non-linearit` a151 . Questo vale sia da un punto di vista metodologico, cio`e di ci`o che impone una simile concettualit`a, sia da un punto di vista contenutistico, cio`e del modo in cui essa `e stata riempita nel periodo storico considerato. Prima di proporre un’analisi filosofica del primo aspetto, mi pare importante rivolgere l’attenzione al secondo. Va detto innanzitutto che, da un punto di vista fisico, questo modo di procedere ha permesso di ottenere numerosi ed importanti risultati, cito solo gli equilibri di Lagrange, ed in generale tutte quelle scoperte per cui la fisica e la matematica erano ritenute gli esempi verso cui indirizzare ogni disciplina che voleva dirsi scientifica e in grado di raggiungere la verit` a. Questo modo di procedere `e, per me, strategicamente importante, in quanto `e un esempio del fatto che la scelta di una via apre delle possibilit` a, e, proprio per questo, chiude la possibilit` a di accedere ad altri punti di vista. In altri termini, si tratta di capire perch´e la non-linearit` a, non rientrando nello spazio di pensabilit` a della concettualit`a del tempo, non poteva essere riconosciuta come tale, a testimonianza del fatto che, appunto, scegliere e strutturare delle possibilit` a vuol dire sempre lasciarne delle altre. Il punto filosoficamente importante sar`a tenere presente metodologicamente una pluralit` a di prospettive possibili, proprio nel momento in cui se ne definisce produttivamente una. L’ulteriore problema filosofico riguarda il fatto che, a rigor di termini, nel momento in cui ci si trova ad avere a che fare con uno spazio di pensabilit`a, non solo chiuso, ma assolutamente chiuso, non si pone neanche il problema di una riconoscibilit` a di altri spazi di pensabilit`a che esulano da quello esistente. Ora, `e innanzitutto importante capire perch´e, fisicamente e filosoficamente, il problema dei tre corpi sia stato trattato, fino a Poincar´e, in un solo modo, 150 Come si vedr` a, il fulcro del discorso ` e proprio capire come venivano trattate le equazioni non lineari. 151 Come ` e emerso, matematica, fisica e filosofia, tutte insieme compongono un quadro unico ` possibile, tuttavia, cogliere delle corrispondenze senza che sia possibile stabilire delle priorit` a. E per cercare di capire le diverse voci attraverso le quali si esprimono simili esigenze.

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considerato l’unico. Da un punto di vista strettamente storico, risulta essere del tutto comprensibile il fatto che il problema dei tre corpi sia stato pensato come il problema dei due corpi pi` u una perturbazione, in quanto, in primo luogo, era noto come affrontare matematicamente problemi di questo tipo: le equazioni differenziali erano, epistemologicamente, la via attraverso la quale si poteva raggiungere legittimamente la natura e, nello stesso tempo, esse erano, ontologicamente, la stessa natura. In secondo luogo, era nota la causa fisica che lo produceva, e cio`e la gravit` a152 , ed infine, si sapeva risolvere il problema dei due corpi; di conseguenza non serviva altro per poterlo affrontare, in quanto, effettivamente, sembrava di essere ad un passo, anzi ad un corpo, dalla meta. Esso era, inoltre, perfettamente interpretabile nei confini della concettualit`a posta, sia dal punto di vista degli strumenti scientifici conosciuti sia dal punto di vista filosofico, in quanto si riproponeva la distinzione tra essenze ed accidenti e il procedimento conoscitivo che dal semplice giunge al complicato. Ora, il punto `e cercare di capire che cosa nasconde una tale comprensibilit` a, vale a dire, in base a cosa questo modo di affrontare il problema risultava “ovvio”. Questo vuol dire comprendere in che direzione era orientato lo studio delle perturbazioni e degli errori nel periodo storico in questione. Stabilita e ricostruita la legittimit`a per cui il problema dei tre corpi era essenzialmente pensato come il problema dei due corpi pi` u una perturbazione, `e necessario concentrare l’attenzione proprio su quest’ultima, ed in genere su tutto ci`o che costituisce una deviazione, un disturbo, da quelli che sono considerati i valori epistemologici ed ontologici di riferimento generale che guidavano la conoscenza di una dinamica in generale. Nelle opere di Laplace si trova sia una trattazione scientifica sia una trattazione filosofica delle perturbazioni. Nel Saggio filosofico sulle probabilit` a afferma: “Ogni osservazione ha per espressione analitica una funzione degli elementi che si vogliono determinare; e, se essi sono press’a poco noti, la funzione diventa una funzione lineare delle loro correzioni. Uguagliandola all’osservazione stessa, si forma un’equazione di condizione. Se si hanno molte equazioni del genere, le si combina in modo da ottenere tante equazioni finali quanti sono gli elementi, di cui si determinano poi le correzioni, risolvendo equazioni153 ”. “Generalmente gli errori dei risultati dedotti da un gran numero di osservazioni sono delle funzioni lineari degli errori parziali di ogni osservazione154 ”. “Il pi` u delle volte i fenomeni della natura sono complicati da cause estranee: un numero enorme di cause perturbatrici vi mescolano la loro influenza, tanto che ` e ben difficile riconoscerli. Per giungervi bisogna moltiplicare le osservazioni o gli esperimenti, affinch´ e, venendosi a distruggere mutualmente gli effetti estranei, i risultati medi mettano in evidenza i fenomeni ed i loro vari elementi155 ”. 152 Faccio notare che gi` a la generazione di Lagrange e Laplace non problematizza pi` u la gravit` a come facevano coloro che accusavano Newton di aver introdotto essenze occulte. Essa era semplicemente assunta. 153 Cfr. Laplace, “Saggio filosofico sulle probabilit` a”, p. 300. Il primo corsivo ` e mio, il secondo di Laplace. 154 Cfr. ibid., pp. 305-306. Il corsivo ` e mio. 155 Cfr. ibid., pp. 298-299.

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A mio modo di vedere, da queste citazioni emergono due modi di affrontare e considerare le cause perturbatrici e, di conseguenza, i loro effetti. Il primo, espresso dall’ultimo passo, fa riferimento al fatto che, non trattandosi di cause che rientrano nello spazio dell’essenza del problema in questione, esse sono destinate ad esaurirsi. Il secondo modo di affrontare le perturbazioni fa riferimento a quelle cause perturbatrici che hanno, per cos`ı dire, un peso maggiore in problemi come quello esposto dei tre corpi. In questo caso, come detto, la causa di perturbazione `e la stessa gravit`a, senza alcun dubbio uno degli elementi che compongono il nucleo centrale dello spazio concettuale delimitato dalla modernit` a156 , e non certo una “causa estranea”. A mio giudizio, per quanto riguarda questo secondo caso, `e importantissimo sottolineare il termine lineare, in quanto `e il concetto chiave che permette di ricostruire il modo in cui, nella cultura scientifica moderna, erano caricate di significato le perturbazioni e le equazioni differenziali. Queste citazioni rivelano, a mio avviso, che, in linguaggio matematico, gli scienziati facessero riferimento ad un mondo sostanzialmente esprimibile per mezzo di equazioni differenziali lineari, o comunque ad esse riconducibile. Esse erano ritenute in grado di rendere conto anche del tipo di perturbazioni che sto discutendo. Pi` u precisamente, Laplace fa riferimento a quelle perturbazioni che influiscono in maniera determinante su una dinamica, quale pu`o essere quella del moto dei tre corpi. Ora, la cosa interessante `e che le citazioni mostrano chiaramente che, laddove le perturbazioni sono del tipo di quello dei tre corpi157 , `e necessario farle rientrare nella concettualit`a chiusa, vale a dire trattarle con le equazioni differenziali. Le citazioni, tuttavia, come accennato, dicono qualcosa in pi` u, parlano, infatti, di linearit` a. Da ci`o deriva che il calcolo degli effetti di una perturbazione doveva essere risolvibile e dominabile, sempre attraverso le equazioni differenziali, la cui risoluzione era garantita, come visto, dall’esistenza fisica della dinamica in questione. Nei precedenti paragrafi ho fatto riferimento al fatto che gli scienziati presi in esame assumevano l’esistenza delle soluzioni delle equazioni differenziali. Questo indica che la realt` a fisica garantiva la linearit` a delle equazioni differenziali con le quali si indagava, e alle quali s’intendeva ridurre, la natura. Quello della linearit` a non `e, dunque, solo un concetto matematico, in quanto ha dei risvolti ontologici, epistemologici e filosofici in generale estremamente importanti. Essa, a mio giudizio, pu` o esser pensata come la traduzione moderna dei concetti 156 Tutto ci` o, come ricordato, non vale solo per la fisica, ma riguarda anche altre discipline. Oltre al gi` a citato passo kantiano, che auspicava un principio per la storia che valesse come la gravit` a per la fisica, si pu` o riconoscere nel self-interest smithiano, il principio di gravit` a della societ` a civile. 157 Mi pare importante, a scanso di equivoci, ribadire che questo tipo di perturbazione era dovuto a quella stessa causa che spiegava i moti planetari, vale a dire l’attrazione reciproca di tutti gli elementi del sistema solare. Si tratta, in altri termini, di una perturbazione che, evidentemente, non ha una “causa estranea”, per dirla con Laplace.

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di ordine 158 e semplicit` a della natura. Essa `e, infatti, alla base del protagonista principale della fisica moderna, vale a dire le equazioni differenziali. Nella scienza moderna, quando si parla di equazioni differenziali, si parla sostanzialmente di equazioni differenziali lineari, di cui si presupponeva la risolvibilit`a in base ad argomentazioni che non erano solo matematiche, ma, come visto, anche fisiche e filosofiche. Essa `e pensabile come un altro elemento essenziale di uno spazio concettuale chiuso che, racchiudendo in s´e le equazioni differenziali e con esse la natura, impone, ed ha effettivamente imposto, a quest’ultime un significato ed un uso, tale per cui non fu neanche possibile porre, come nel caso del problema dei tre corpi, la questione della sua non risolubilit`a159 , perch´e questo avrebbe voluto dire uscire da uno spazio di pensabilit`a che non ammetteva nulla di essenziale fuori se stesso, che valesse la pena di essere considerato tale, o pi` u in generale, che avesse una valenza epistemologica propria. Da un punto di vista metodologico, la non-linearit`a non poteva essere costituita come qualcosa di epistemologicamente rilevante e valido, in quanto non rispondeva ad alcuni requisiti esposti nella prima parte di questo capitolo160 . In un siffatto quadro filosofico-scientifico, un’equazione differenziale non lineare era pensata come un’equazione lineare pi` u una o pi` u perturbazioni, in quanto la non linearit`a matematica, di per s´e, non poteva avere cittadinanza nella spazio chiuso di pensabilit`a sin qui descritto: essa doveva essere ricondotta e pensata a partire dalla linearit` a. Nello specifico, poter risolvere problemi fisici voleva dire, nell’ambito della fisica moderna, avere a che fare con problemi matematici lineari, o comunque poter ridurre tutto ad essi, in quanto erano ritenuti problemi non solo risolvibili matematicamente, ma la loro solubilit`a era garantita dalla natura stessa. La linearit`a di un’equazione differenziale, cos`ı come la possibile linearizzazione per approssimazione di equazioni non lineari, `e la cifra matematica che permette di poter conoscere globalmente il passato ed il futuro, in quanto l’evoluzione matematica della dinamica pu` o essere seguita e prevista senza avere a che fare con qualcosa come la sensibilit`a alle condizioni iniziali. La linearit`a `e il fulcro attorno al quale si raccoglie la possibilit`a di rispondere alla domanda considerata nella prima parte del lavoro e di questo capitolo, che ho mostrato riproporsi, vale a dire la domanda che richiede l’essenza di qualcosa. Da questa prospettiva, “linearizzare” non voleva dire solo rendere trattabile un’equazione non lineare, ma voleva dire, pi` u sottilmente, scoprire il termine lineare, il responsabile dell’andamento complessivo di una dinamica161 . 158 Ricordo che nella prima parte di questo lavoro ` e emersa una relazione, non solo filologica, tra cosmos e ordine. Ci si trova, in tal modo, davanti a due esigenze simili. 159 Va ricordato che Lambert aveva posto la questione della non risolvibilit` a del problema dei tre corpi, tuttavia, le sue idee, oltre a non essere state accompagnate da argomentazioni matematiche adeguate, non furono prese seriamente in considerazione. 160 Essa, ad esempio, non permette di sovrapporre i concetti di determinismo e di completa prevedibilit` a di un sistema. 161 Si noter` a che in questa frase sono passato da una considerazione matematica ad una fisica, tuttavia, in base al discorso fatto fin qui, credo che una tale commistione di piani sia chiaramente

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Avere a che fare con la linearit` a, o comunque ricondurre ogni problema ad essa, voleva dire, sostanzialmente, avere a che fare con una legge matematica, che rispondeva ai canoni espressi nei primi paragrafi di questo capitolo. Questo `e vero se si presuppone che esistano le soluzioni di equazioni o di sistemi di equazioni siffatti. Essendo, come visto, il teorema di unicit`a ed esistenza delle soluzioni delle equazioni differenziali ordinarie del 1827, orientativamente prima di questa data, quanto detto sin qui si basava essenzialmente su assunti filosofiche circa la natura del mondo162 . In questo contesto, `e possibile, a mio giudizio, affiancare il concetto matematico di linearit`a con quello filosofico di semplicit`a della natura, nella formulazione laplaceana. Detto questo, si comprende bene come tutto ci`o che non rientrasse, direttamente o indirettamente, nei confini dello spazio chiuso e assoluto, ad un tempo scientifico e filosofico, della linearit`a, venisse pensato come un semplice ed inessenziale disturbo. A ben vedere, c’`e da prendere in considerazione, a questo punto, una questione importante che mostra la direzione nella quale si `e mossa la scienza del Settecento e non solo, e che ho lasciato in sospeso all’inizio di questo paragrafo. Riprendendo quanto detto in precedenza sul caos, si pu`o dire che, dal punto di vista degli effetti, non-linearit` a e rumore sono in parte confondibili163 . Mi spiego. Se consideriamo un sistema non-lineare al di qua del tempo di Lyapunov, vale a dire al di qua di quel valore nel quale la non-linearit` a inizia a produrre effetti macroscopici, essi possono essere, ed effettivamente erano, associati al rumore, ad un disturbo che impediva una corretta misurazione e, dunque, una perfetta conoscenza dell’evoluzione di un sistema164 . Si `e visto affacciarsi il problema del rumore nelle prime due citazioni laplaceane, pertanto `e bene riconsiderarle assieme al primo modo di affrontare le perturbazioni, vale a dire quello riferito alle “cause estranee”, che ho lasciato in sospeso. In questo caso ci si trova davanti a semplici disturbi dovuti a cause del tutto inessenziali, vale a dire esterne ai confini che delimitano lo spazio dell’essenza di ci` o che s’intende conoscere165 . Laplace, nei passi presi in considerazione, afferma che il loro effetto `e destinato ad estinguersi, senza che possa avere alcuna conseguenza nell’economia della dinamica in generale. A quest’ultima Laplace applica il calcolo delle probabilit` a. Essendo, tuttavia, come giustamente mostra lo stesso Laplace, impossibile evitare errori sperimentali, la probabilit`a `e lo strumento necessario per comprensibile. 162 Si tenga presente che il teorema di Cauchy non risolve tutti i problemi, in quanto ha un valore locale e non globale. Su tali questioni cfr. Israel, La visione matematica della realt` a. 163 Per evitare ogni equivoco, ricordo che per compiere delle previsioni, in sistemi non-lineari, vengono tutt’ora compiute linearizzazioni, a testimonianza del fatto che si tratta di uno strumento validissimo che, sin dalla fine del Seicento, ha permesso di ottenere pregevoli risultati. A questo proposito, io non discuto tale validit` a e tale utilit` a, ma il fatto che uno strumento, pure importante, inserito in una concettualit` a chiusa e assoluta, non possa non essere caricato di significati ontologici generali, al di l` a di qualsiasi contesto disciplinare o problematico in generale. 164 Si tenga presente che ` e tutt’ora possibile compiere previsioni attendibili, per un periodo di tempo relativamente breve, senza, praticamente, tener conto della non-linearit` a. 165 Come visto, nel caso del problema dei due corpi pi` u una perturbazione, la causa di quest’ultima era una causa ben nota ed essenziale: la gravit` a.

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calcolare gli stessi margini d’errore, all’interno dei quali determinare il grado di correttezza dei risultati ottenuti. All’interno del modo in cui s’intendeva rispondere alla domanda che richiede l’essenza, si pu`o intuire come la probabilit` a non potesse assumere alcuno statuto epistemologico proprio166 , anzi era pensata come la distanza che separava l’uomo dal Vero. Mi sembra interessante, a tal proposito, analizzare un celebre passo del Saggio filosofico sulla probabilit` a di Laplace: “Tutti gli avvenimenti, anche quelli che per la loro piccolezza sembrano non ubbidire alle grandi leggi della natura, ne sono una conseguenza necessaria come lo sono le rivoluzioni del sole. [. . . ]. Gli avvenimenti attuali hanno coi precedenti un legame fondato sul principio evidente che nulla pu` o incominciare ad essere senza una causa che lo produca. Questo assioma, noto sotto il nome di principio della ragion sufficiente, si estende anche alle azioni che giudichiamo indifferenti167 ”. “Possiamo pensare l’attuale stato dell’universo come una conseguenza del suo passato e causa del suo futuro. Un’Intelligenza che, per un dato istante, conoscesse tutte le forze di cui ` e animata la natura e la posizione di tutti gli oggetti che esistono, e se tale intelletto fosse anche in grado di elaborare una quantit` a cos`ı grande di dati, abbraccerebbe nella stessa formula i movimenti dei pi` u grandi corpi dell’universo e dell’atomo pi` u leggero: nulla sarebbe incerto per essa e l’avvenire, come il passato, sarebbe presente ai suoi occhi168 ”.

In base a quanto afferma questa citazione, il demone di Laplace ha, essenzialmente, le seguenti super capacit` a: 1. Conoscerebbe le leggi che regolano l’universo, le leggi di Newton; 2. Sarebbe in grado di conoscere perfettamente le condizioni iniziali di un qualsiasi sistema; 3. Avrebbe una capacit`a computazionale infinita. Di fronte ad una simile situazione, in cui `e presupposta, come esistente e al limite conoscibile, una vera natura delle cose, la probabilit`a indica solo e soltanto la distanza dal vero, perch´e il demone, in base ai suoi tre super poteri, `e in sostanza in grado di eliminare il rumore, il disturbo, o meglio di mettere da parte ogni elemento accidentale da ogni conoscenza e concentrarsi solo sugli elementi essenziali del sistema mondo. Che qui sia presente una identificazione tra gli effetti della non-linearit`a e quelli del rumore emerge ancor di pi` u se si confronta il secondo super potere del demone di Laplace con quanto detto sulle condizioni iniziali, in un sistema non-lineare. Il demone pu`o avere un’istantanea perfetta di un sistema qualsiasi, ed in base a ci`o sarebbe in grado di conoscere passato e futuro. Questo `e possibile solo se il sistema considerato ha un andamento essenzialmente lineare e disturbato da rumore e non in un sistema in cui determinismo e predicibilit`a non sono concetti sovrapponibili. Sarebbe inoltre necessario sapere quali cause hanno determinato la configurazione presente fotografata dal demone. Egli non potrebbe nulla contro la non-linearit`a, 166 Si pu` o parlare, in questo contesto, di probabilit` a preboltzmanniana, soprattutto se si pensa allo statuto epistemologico che essa assume nella meccanica quantistica. 167 Cfr. Laplace, op. cit., p. 242. 168 Cfr. ibid., p. 243.

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in quanto non pu`o, risalire il passato per distinguere tra essenza ed accidente e non pu`o sapere quale accidente `e stato rilevante per il raggiungimento dello stato attuale del sistema caotico preso in considerazione. Egli potrebbe solo compiere previsioni ensemble molto accurate, e mai perfette per il futuro, ma non potrebbe risalire il passato perch´e non si mantiene alcun tipo di linearit` a tra lo stato attuale di un sistema, preso come condizione iniziale, e ci`o che lo ha prodotto. Se, dunque, Laplace, ed in generale la fisica moderna, afferma che ci` o `e possibile, allora, oltre a manifeste assunzioni sulla fattura del mondo, `e necessario presupporre anche la sovrapposizione di non-linearit`a e rumore, e quella tra determinismo e predicibilit`a. In base a quanto detto qui, all’esposizione dei caratteri dei principi e del mondo lagrangeano-laplaceano e al metodo analitico riduzionista, la non-linearit` a non poteva non essere fatta rientrare all’interno dell’accidentalit`a, o comunque ricondotta, nella sua essenza, a linearit` a. Mi pare importante sottolineare come le parole di Laplace facciano riferimento, di nuovo, al riduzionismo analitico, al presupposto di un mondo che `e possibile descrivere in maniera completa, oggettiva, deterministica e atemporale. Questo vuol dire che non si pone n´e il problema n´e lo spazio filosofico per pensare il complesso del fenomeno da spiegare, ma quest’ultimo, per sua natura169 riconducibile a leggi lineari, pu`o essere complicato da elementi accidentali. Viene cos`ı estromessa la possibilit`a che si diano configurazioni di un sistema che, per una propria logica interna, non siano essenzialmente predeterminabili a priori. La fisica ed il pensiero moderno riducono pertanto la complessit`a a complicazione, in quanto era presupposto che quest’ultima potesse essere riducibile ad elementi semplici, disturbati dal rumore. In questo quadro, come detto, il demone di Laplace sarebbe effettivamente in grado di eliminare il rumore, in quanto per questo scopo mi pare pensato. A ben vedere, per`o, la citazione precedente dice di pi` u. Laplace non ci dice solo che eliminando il rumore ci troveremmo davanti ad un sistema deterministico, egli esclude ogni possibilit`a che qualcosa di diverso dalla linearit`a, con tutto ci`o che essa comporta, possa avere uno statuto epistemologico proprio170 . Come visto, la fiducia negli assunti filosofici di fondo era tale che, almeno fino a Poincar´e, il problema (non-lineare) dei tre corpi era trattato come il problema dei due corpi, per altro risolto gi` a da Newton, con l’aggiunta di una perturbazione. Questo aspetto si vede ancor meglio se si considera che il problema dei tre corpi non fu risolto da Poincar´e; egli riusc`ı a compiere un primo “salto concettuale” affermando 169 Mi esprimo in questo modo in virt` u del fatto che, nell’impostazione data da Laplace alla fisica, si assume che l’indagine scientifica, una volta raggiunti leggi e principi, sia in grado di dire l’ultima parola, e dunque la prima, sui suoi oggetti di ricerca ed in generale sul mondo. Si assume, astrattamente in senso hegeliano, che tutto sia riconducibile a quegli schemi concettuali che hanno fatto la fortuna della fisica moderna. 170 Nonostante i suoi super poteri, il demone di Laplace non potrebbe controllare completamente la non-linearit` a, e non potrebbe neanche eliminarla, altrimenti creerebbe un altro sistema, diverso dal precedente, in quanto l’autorganizzazione ` e possibile solo attraverso non-linearit` a, poich´ e, come detto, sono possibili sistemi stocastici lineari.

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che esistono fenomeni caratterizzati da ci` o che oggi `e noto come “sensibilit` a alle condizioni iniziali”171 . Se si `e seguito quanto detto sin qui, si comprende la portata traumatica del risultato di Poincar´e. Egli, sostanzialmente, ha dimostrato che quel problema non era risolvibile all’interno dell’intreccio di matematica, filosofia e fisica di cui mi sono occupato. Poincar´e mostra che alcuni dei risultati e dei problemi matematici e sperimentali che ruotavano intorno alle equazioni differenziali erano imbrigliati in una concettualit`a troppo stretta, la quale, se da un lato permise numerose scoperte, dall’altro ostacol` o numerosi sviluppi successivi, in quanto rappresentava uno spazio di pensabilit`a chiuso in senso assoluto, le cui irregolarit`a erano pensate come accidentalit` a, come intralcio e non come risorsa. Anche ad un livello filosofico si ripresenta la distinzione tra essenza ed accidente, che `e possibile dirimere attraverso una discussione di ci`o che sin qui ho chiamato “spazio chiuso di pensabilit`a”. Tutto ci`o `e possibile, a mio giudizio, se si mette in discussione il fatto di dover stabilire una verit`a fondamentale su qualcosa, e se si cerca di capire in base a cosa sono state poste certe domande e che risposta hanno avuto. Grazie ad un confronto col passato, come quello che ho cercato di proporre, `e possibile, a mio giudizio, porre domande diverse ed aprire nuovi spazi di pensabilit`a. Di conseguenza, dopo il percorso effettuato in questo capitolo, mi pare giunto il momento di affrontare le problematiche emerse da un punto di vista filosofico. In altri termini mi sembra arrivato il momento di chiarire direttamente, e cercare di andare oltre, l’idea di una concettualit` a chiusa e l’idea che conoscere debba significare tracciare un confine all’interno del quale, e solo all’interno del quale, si trovi l’essenza atemporale di qualcosa. Questo mi pare, filosoficamente, uno dei problemi principali che pone l’analisi, fin qui proposta, di quella disciplina, la fisica-matematica, che `e stata considerata, non solo nella modernit`a, il punto di riferimento e l’esempio di scientificit`a di tutte le altre discipline. Prima, per`o, `e necessario soffermarsi su alcuni aspetti della non-linearit` a nella fisica contemporanea.

171 cfr.

Poincar´ e, op. cit.; cfr. idem, “Il problema dei tre corpi”.

Capitolo 3

Questioni non-lineari

Fin qui mi sono occupato del rapporto tra ordine e caos nella fisica moderna. In questo capitolo intendo soffermarmi sul modo in cui, dopo Poincar´e, vengono studiati i sistemi dinamici. In questo modo sar`a possibile far emergere quelle questioni scientifiche e filosofiche di fondo che impongono di ripensare alcune categorie concettuali moderne e di introdurre nuovi strumenti filosofici, al fine ` proprio il confronto tra di uscire da una concettualit` a sin troppo stretta. E due modi diversi di fare scienza che permetter` a di evideziare concetti specifici, materia dell’ultima parte di questo lavoro. In tal senso, mi pare utile una breve ricapitolazione di quanto detto sin qui.

3.1

Ricapitolazione

All’interno dell’approccio algebrico al calcolo si intersecano e sostengono a vicenda filosofia, fisica e matematica in modo tale da formare una solida struttura in grado di valere come il referente privilegiato di ogni tipo di conoscenza che veramente tale voleva dirsi, in grado, in altri termini, di svelare i segreti della natura. Il protagonista principale, in grado di render conto della natura, era l’equazione differenziale, sostenuta dai progressi enormi che la fisica ha compiuto dal Settecento alla seconda met` a dell’Ottocento. L’equazione differenziale `e emersa essere il nodo attraverso il quale si teneva ferma l’idea che natura e matematica coincidessero; come si `e visto, un problema matematico era, in senso forte, un problema fisico, la natura. Attraverso il calcolo si pensava che fosse possibile leggere la natura in trasparenza, conoscerne le legalit`a. Naturalmente, scrivere un’equazione o un sistema di equazioni differenziali non voleva dire immediatamente conoscerne le soluzioni, tuttavia, l’introduzione di elementi esterni al ragionamento e alle procedure matematiche rendeva possibile rafforzare la centralit` a del calcolo nella conoscenza scientifica, cos`ı come, indirettamente, nella conoscenza in generale che alla scientificit`a della fisica matematica guardava come modello. Il valore epistemologico ed ontologico del calcolo in generale era tale che la soluzione di problemi fisici particolarmente ostici era affidata allo sviluppo 99

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del calcolo stesso1 , in quanto si pensava che avesse le potenzialit` a per inglobare la legalit`a di ogni fenomeno naturale, senza che si ponesse la questione delle possibilit`a e dei limiti di un siffatto strumento d’analisi2 . Da un punto di vista filosofico, l’equazione differenziale rappresentava un centro di riferimento attorno al quale si organizzava la scienza; essa aveva, pertanto, uno statuto epistemologico di primo piano. Se ci si fermasse qui, il calcolo rappresenterebbe uno strumento formidabile, capace di far compiere passi da gigante alla scienza e non solo. Oltre a questo dato di fatto, che pare difficile mettere in discussione, nel periodo preso in considerazione, ad esso vengono assegnati altri caratteri che ne fanno lo strumento della conoscenza, ` inutile insistere ancora sul fatto in grado di raggiungere la vera natura delle cose. E che gli scienziati pi` u importanti e pi` u influenti del tempo pensassero che l’analisi fosse estesa tanto quanto la natura, poich´e dovrebbe essere emerso con chiarezza. La cosa interessante `e che quest’idea porta con s´e l’enorme valore ontologico che le equazioni differenziali hanno assunto, nella forma pi` u esplicita, tra Settecento e Ottocento. Si `e visto, a questo proposito, come il compito di un vero scienziato fosse, sostanzialmente, quello di scrivere le equazioni differenziali del fenomeno che stava studiando. Questo tipo di razionalit`a, tuttavia, non poggiava su un’adeguata discussione delle possibilit` a e dei limiti epistemologici ed ontologici del calcolo, da un qualsiasi punto di vista. Questo modo di procedere, che cela importanti assunti filosofici, presenta i suoi risultati come qualcosa in grado di risolvere ed esaurire completamente la conoscenza di un qualsiasi problema scientifico. Questo, a sua volta, vuol dire assolutizzare un determinato metodo, in quanto lo si ritiene in grado di cogliere l’essenza di qualcosa. Il passaggio ad una concezione modellistica consapevole impone non solo un ripensamento del rapporto tra matematica e natura, ma anche di ripensare le categorie filosofiche che rendono possibile pensare una sovrapponibilit`a perfetta, o al limite teleologicamente perfetta, tra natura e matematica. La distinzione tra elementi essenziali ed elementi accidentali di una dinamica `e ben presente nel modo in cui venivano trattate le equazioni differenziali non lineari. La dinamica che si otteneva attraverso una linearizzazione era ci`o che rendeva conto della dinamica complessiva, mentre tutto il resto era un disturbo di per s´e destinato ad esaurirsi3 . Si `e visto, inoltre, che, al limite, anche le perturbazioni potevano trovare una trattazione scientifica, ma solo se di esse, ancora una volta, si potevano scrivere le equazioni differenziali. Questi due aspetti, al di l`a degli effettivi risultati scientifici ottenuti, testimoniano che ci si trova davanti ad una concettualit`a ben definita, chiusa ed autoreferente, i cui caratteri filosofici discuter`o 1 Un’esplicita

fiducia nei progressi del calcolo ` e presente sia nei testi di Euler sia di Lagrange. scienza del Settecento, soprattutto francese, era forte la propensione a pensare la natura esclusivamente in termini di materia e moto. Proprio quest’ultimo si pensava di aver catturato attraverso il calcolo. 3 In questo contesto e, a mio giudizio, solo a partire da queste considerazioni, si pu` o porre l’accento sull’importanza della probabilit` a in Laplace che pur essendo grande non assume mai minimamente uno statuto epistemologico proprio (cfr. Paola Dess´ı. “Laplace e la probabilit` a”. In: Rivista di filosofia 24 [Ottobre 1982], pp. 313–332). 2 Nella

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nel prossimo capitolo. Per ora mi pare necessario soffermarmi ancora su questioni filosofiche strettamente legate alla fisica e alla matematica. Lo statuto epistemologico ed ontologico che le equazioni differenziali hanno assunto, ha fortemente vincolato il loro uso, prova ne `e la centralit` a del concetto di linearit` a. Quest’ultimo, nel contesto filosofico-scientifico preso in esame, va inteso in due sensi strettamente relati tra loro. Il primo, pi` u matematico, fa riferimento al fatto le equazioni non lineari erano matematicamente pensate come equazioni lineari con l’aggiunta di qualcos’altro, del tutto inessenziale nell’economia dell’equazione. In secondo luogo, il concetto di linearit`a, da un punto di vista pi` u filosofico, fa riferimento al presupposto della semplicit` a della natura, su cui non mi dilungo. Le equazioni differenziali in generale risultavano, pertanto, chiuse all’interno di ` proprio a causa una concettualit` a che ne aumentava fortemente le potenzialit` a. E di una tale concettualit` a che la non-linearit`a e le sue propriet`a irriducibili non sono mai potute essere pensate come elementi con una propria dignit`a epistemologica, n´e come qualcosa in grado di individuare aspetti diversi del mondo. Di certo, rendere possibile considerazioni di questo tipo vuol dire, innanzitutto, mettere in discussione la concettualit` a, o se si vuole la razionalit`a, con la quale si leggeva la natura e si usavano gli strumenti di ricerca. Tutto ci`o porta con s´e anche il conseguente abbandono dell’assolutezza della quale erano investiti i risultati scientifici. Un esempio `e dato proprio dalla reciproca implicazione di determinismo e prevedibilit` a che emerge molto chiaramente dalle pagine di Laplace. L’idea `e che il comportamento di un sistema, di cui si conoscono gli elementi costitutivi, sia completamente prevedibile a priori, vale a dire prima che il sistema, per cos`ı dire, entri in funzione4 . Da un punto di vista storico, si sono analizzati anche gli argomenti che legittimavano un tale approccio ai problemi fisici5 . La mutua implicazione di determinismo e predicibilit`a deriva da una metodologia di ricerca per cui ogni propriet`a di qualsiasi sistema pu` o e deve 6 essere ridotta, tramite analisi, ai suoi elementi costitutivi ed essenziali. Reclamare la parzialit`a di una simile impostazione vuol dire metterne in discussione gli assunti filosofici di fondo, poggiando saldamente i piedi su problematiche scientifiche di difficilissima o di impossibile soluzione in una simile concettualit`a. Se nel capitolo precedente mi sono soffermato soprattutto su ci`o che succede al di qua del tempo di Lyapunov, ovviamente per λ > 0, vale a dire nel momento in cui gli effetti della non-linearit`a possono essere trascurati, `e arrivato il momento di esporre che cosa succede al di l` a del tempo di Lyapunov, quando la non-linearit`a mostra macroscopicamente i suoi effetti, quando, in altri termini, il rapporto tra le 4 Cfr. David Ruelle. “Determinismo e predicibilit` a”. In: Il caos. Le leggi del disordine. A cura di Giulio Casati. Le Scienze, 1991, pp. 14-15 5 A ci` o si aggiunga che, al di qua del tempo di Lyapunov ` e realmente possibile ed utile procedere per linearizzazioni, quindi, come ho cercato di mostrare, sarebbe intellettualmente scorretto additare criticamente questi strumenti scientifici, piuttosto che il quadro culturale in cui erano pensati ed in cui assumevano significato. 6 Nelle pagine seguenti, e soprattutto nei prossimi capitoli emerger` a che proprio questo passaggio, dalla possibilit` a alla necessit` a, ` e la cifra per cui una razionalit` a diventa la razionalit` a del mondo.

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cause e gli effetti di una dinamica cessa di essere interpretabile o riducibile ad una proporzionalit` a lineare7 . Se il tempo di Lyapunov `e un tempo caratteristico, allora tutto ci`o che si pu`o dire, ogni caratterizzazione di un sistema non-lineare8 sar`a in gran parte qualitativa.

3.2

Problematiche non-lineari

Un sistema non-lineare9 si distingue proprio dal fatto che per alcuni suoi parametri pu` o dar luogo al caos deterministico. Questo vuol dire che, innanzitutto, il rapporto tra determinismo e prevedibilit`a non `e cos`ı stretto come si pensava. L’esponente di Lyapunov, laddove si ha λ > 0, indica un limite alla prevedibilit`a o, se si vuole, misura la rapidit` a con cui si perde informazione. Un sistema non-lineare, pertanto, non `e pi` u completamente riducibile ad un sistema lineare, ottenuto attraverso una linearizzazione; esso `e un sistema con un proprio statuto epistemologico, in grado d’inquadrare fenomeni e propriet`a specifiche non riducibili ad altro di pi` u semplice o costitutivo10 . Ci`o avviene perch´e al di l`a del tempo di Lyapunov emergono configurazioni che possono essere trattate scientificamente, anche se non si pu`o tornare alle condizioni iniziali. In particolare, un sistema non-lineare presenta delle propriet`a che smentiscono l’assolutezza di quei metodi che ruotano attorno al concetto di linearit`a, cos`ı come `e stato caratterizzato nel capitolo precedente, e soprattutto all’uso effettivo che ne `e stato fatto. Se da un lato non si tratta solo di evidenziare come, all’interno di una concettualit` a, non sia possibile pensare determinate propriet`a e/o determinati sistemi, dall’altro, non si tratta di opporre due tipi di concettualit`a chiuse ma, dal mio punto di vista, si tratta di affiancare tipi di concettualit` a diverse, e di pensarle 7 Cfr. James P. Crutchfield et al. “Il caos”. In: Il caos. Le leggi del disordine. A cura di Giulio Casati. Le Scienze, 1987, p. 22: “Semplici sistemi deterministici, anche costituiti da pochi elementi, possono manifestare un comportamento aleatorio. Questa aleatoriet` a` e di natura essenziale e non scompare se si raccolgono ulteriori informazioni. A questo genere di aleatoriet` a si ` e dato il nome di caos”. 8 Nel resto del capitolo ogni volta che s’incontra il termine “sistema” si deve intendere “sistema non-lineare”. Ogni caratterizzazione diversa sar` a specificata. 9E ` bene avvertire sin d’ora che in questo paragrafo, cos`ı come in tutto il lavoro, la discussione della non-linearit` a, cos`ı come di alcune sue propriet` a, far` a riferimento solo alla fisica, in continuit` a col capitolo precedente ed in generale con la linea di questo lavoro. Sono consapevole del fatto che il discorso pu` o essere ulteriormente allargato ad altre discipline scientifiche e non, ma, a mio modo di vedere, in questo modo il discorso rischierebbe di diventare inevitabilmente generico, in quanto invece di discutere di problematiche filosofiche, finirebbe per essere, come troppo spesso accade, una mera ed inconcludente carrellata di usi della non-linearit` a e delle sue propriet` a. 10 Gli ovvi riferimenti sono soprattutto al riduzionismo analitico, al fatto che il fine della ricerca sia individuare elementi primi ed essenziali e a quelle caratteristiche, esposte all’inizio del capitolo precedente, per cui qualcosa ` e riconoscibile come un principio. Questi elementi saranno sottoposti ad una serrata critica la quale cercher` a, innanzitutto, di conquistare uno spazio diverso di pensabilit` a, nel quale, per usare un’immagine di Wittgenstein, avranno un ruolo sociale molto diverso.

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come qualcosa in grado di cogliere aspetti diversi di un fenomeno e di individuarne alcuni propri ed esclusivi11 . In linea di massima, la scienza, in questo caso la fisica, fornisce un gran numero contenuti ad argomentazioni di questo tipo, che altrimenti resterebbero prive di riferimenti; `e, invece, compito della filosofia riflettere sullo statuto epistemologico di questi contenuti. In questo lavoro, la scelta della non-linearit`a serve proprio a mostrare, attraverso un esempio concreto, che un nuovo approccio di ricerca non viene fuori dal nulla, ma si riferisce spesso a problemi gi` a posti, ma affrontati in una determinata maniera, in grado di individuare una risposta altrettanto determinata, diversa da quella che pu`o offrire un nuovo approccio. La storia, brevemente delineata, del problema dei tre corpi, mi pare sia un esempio molto calzante di tutto ci` o. Uno dei problemi di fondo mi pare, dunque, essere la concettualit`a filosofica, che discuter` o nel prossimo capitolo. Ovviamente la questione si complica laddove un metodo in uso viene considerato come il metodo da seguire per ottenere una conoscenza completa ed atemporalmente vera. In questo modo, infatti, un metodo diventa, pi` u o meno surrettiziamente, un modo per imporre una razionalit` a. Di qui, allora, non si tratta tanto di smentire un metodo scientifico che, come quello discusso, ha permesso di ottenere numerosi e tutt’ora validi risultati, ma di depotenziarne la portata ontologica ed epistemologica, in una parola, ridimensionare la sua presunta assolutezza. Queste, a mio modo di vedere sono problematiche propriamente filosofiche che tratter` o, nel loro contesto specifico, nel prossimo capitolo. Nelle pagine seguenti di questo capitolo discuter` o alcuni concetti importanti che ruotano attorno alla non-linearit`a e che possono essere pensati se si mettono in discussione alcuni assunti filosofici importanti della concettualit`a scientifica che ruota attorno all’analisi algebrica e alla fisica matematica tra la fine del Seicento e la seconda met` a dell’Ottocento. L’analisi di alcune problematiche centrali della non-linearit` a mi pare fondamentale al fine di dare maggiore solidit`a alla discussione filosofica dei prossimi capitoli. 3.2.1

Sensibilit` a alle condizioni iniziali e parametri di controllo

Che un sistema sia sensibile alle condizioni iniziali vuol dire che una loro piccola variazione pu` o dar luogo a traiettorie la cui distanza diverge esponenzialmente. 11 Come mostrer` o, non ` e possibile rigettare neanche una concettualit` a chiusa in quanto tale, poich´ e, come quella sin qui esposta permette di illuminare aspetti del reale. Si tratta di opporsi ad ogni pretesa di assolutezza sia epistemologica sia ontologica. Come mostra l’esempio della non-linearit` a un tipo di approccio alla conoscenza non ` e mai in grado di esaurire l’oggetto d’indagine. Naturalmente, ` e possibile produrre e discutere altri esempi come il cambiamento di prospettiva filosofica, oltre che scientifica, che c’` e dietro la relativit` a einsteiniana e la concezione dello spazio-tempo rispetto alla geometria dello spazio newtoniano. Nonostante ci` o, preferisco rimanere sulla non-linearit` a, in quanto ha il vantaggio di poter porre la questione non come una contrapposizione netta, quanto pi` u di una serie di problematiche che, come visto, sebbene affrontate almeno sin da Newton, tuttavia, non hanno trovato una propria dignit` a scientifica che solo dopo pi` u di due secoli, a causa di un cambiamento che ` e prima di tutto filosofico e culturale.

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Mi esprimo in questo modo perch´e, come si `e visto, l’esponente di Lyapunov si calcola rispetto ad uno stato di equilibrio di cui s’intende verificare la stabilit`a. Di conseguenza, un sistema non-lineare ha pi` u esponenti di Lyapunov, che non sono necessariamente tutti positivi, negativi o uguali a zero, ma possono essere, ad esempio, alcuni positivi, altri negativi. Se si considera λn il numero degli esponenti di Lyapunov di un sistema, in maniera molto schematica si pu`o dire che per tutti i λn < 0 si ha stabilit`a asintotica, le traiettorie convergono verso un attrattore puntiforme. Se alcuni λ sono uguali a zero ed altri sono negativi, si ha un attrattore ordinario diverso da un punto fisso; se esiste almeno un λ > 0, la distanza tra le traiettorie diverge esponenzialmente producendo un attrattore strano12 . Tutto ci`o se si prende in considerazione un sistema dissipativo. Pi` u in generale, attraverso l’esponente di Lyapunov `e possibile, dunque, capire se, per certi valori, un determinato equilibrio rimane tale o no, ma non si pu`o prevedere la dinamica per λ > 0; in altri termini, uno studio di questo tipo, nei casi in cui si ha instabilit`a, ha un valore qualitativo e pu`o essere pensato come la misura convenzionale della velocit` a con cui su perde informazione. Per λ > 0 si pu`o stabilire un tempo caratteristico oltre il quale non `e possibile compiere previsioni, n´e `e possibile dar conto della dinamica che produce una configurazione caotica di un dato sistema. Da questa prospettiva l’esponente di Lyapunov pu` o essere usato per misurare l’aumento di disordine di un sistema. In particolare, la formula di Pesin afferma che l’entropia13 `e la somma degli esponenti di Lyapunov positivi. Stabilire una misura del tasso di crescita dell’entropia di un sistema, vale a dire la rapidit`a con cui si perde informazione, vuol dire porre dei limiti alla comprensione analitica di un sistema sia verso il futuro sia verso il passato, giungendo cos`ı all’idea di irreversibilit` a caotica. ` importante ed interessante sottolineare, inoltre, come questo tipo di discorso E sia diametralmente opposto al progetto settecentesco esposto di eliminare dalla fisica e dalla matematica ogni ragionamento di tipo geometrico o qualitativo. Poincar´e `e il personaggio principale intorno al quale ruota questo cambiamento. Nell’ultimo ventennio dell’Ottocento, inoltre, iniziavano a sorgere i primi problemi di una visione esclusivamente quantitativa ed analitica della matematica e della fisica, celebrata nella Meccanica analitica di Lagrange. Weierstrass fornisce il primo esempio di curva continua e non derivabile, Poincar´e scopre che non esiste una soluzione analitica per il problema dei tre corpi. A questo proposito, `e bene ribadire, proprio il lavoro di Poincar´e ha un duplice valore. Esso `e negativo in quanto limita le possibilit`a di uno studio della natura con strumenti puramente 12 In generale si pu` o dire che un attrattore strano ` e un “oggetto matematico che descrive evoluzioni temporali con dipendenza sensibile alle condizioni iniziali” (cfr. Ruelle, op. cit., p. 19), mentre un attrattore ` e ordinario quando descrive evoluzioni temporali senza dipendenza sensibile alle condizioni iniziali. I concetti di attrattore ed in particolare di attrattore strano sono esposti pi` u avanti in questo capitolo. Laddove si ha λn = 0 la distanza tra le traiettorie resta costante; il sistema sar` a quindi stabile. Per una discussione dettagliata degli esponenti di Lyapunov rimando al gi` a citato Piskunov, op. cit., pp. II, 129-142. Si veda anche Bertuglia e Vaio, op. cit., pp. 185-200. 13 Il senso di entropia emerger` a nel prossimo paragrafo in riferimento ai sistemi conservativi e a quelli dissipativi.

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analitici. Esso `e positivo in quanto, proprio chiarendo le possibilit`a ed i limiti del detto approccio alla ricerca, riporta la geometria e gli studi qualitativi nel vivo della ricerca scientifica14 . Questo risultato vale sia in generale sia nello specifico dei sistemi non-lineari, siano essi dissipativi15 o conservativi16 . Proprio la necessit`a di studiare questi fenomeni diversamente `e ci` o che accomuna, in generale, i sistemi non-lineari. Tutti questi concetti, sinteticamente esposti, mostrano che sebbene possano darsi sistemi non studiabili attraverso un metodo analitico-riduzionista, assumendo un approccio “complesso” `e possibile giungere ad utili conclusioni. In altri termini, l’impossibilit`a di conoscere lo sviluppo della dinamica di un sistema non-lineare, non implica l’impossibilit` a di studiare ci`o che dalla sua caoticit` a emerge, come qualcosa che in s´e contiene propriet`a irriducibili a qualcosa di pi` u semplice e per questo costitutivo. Gi`a qui si vede come determinismo e prevedibilit` a non si implicano necessariamente e, nonostante ci` o, il caos deterministico non `e sinonimo di pura imprevedibilit` a, ma si tratta di un modo diverso di affrontare un problema. Un modo molto pi` u intuitivo per seguire meglio quanto sto dicendo `e fornito dalla meteorologia. Intuitivamente i fenomeni atmosferici, nonostante siano qualcosa di non totalmente controllabile e determinabile, non sono neanche qualcosa di puramente ingestibile ed impensabile17 . Gi`a ad uno sguardo preliminare salta subito all’occhio che tutto quanto ho detto sin qui sul concetto chiuso e sul modo “lineare” di guardare il mondo `e difficilmente applicabile a fenomeni di questo tipo. Il problema, che fu prima di tutti di Lorenz18 , `e il seguente: nella meccanica lagrangeano-laplaceana, se si conoscono approssimativamente le condizioni iniziali di un sistema e la legge che lo regola, `e possibile conoscere con la stessa approssimazione il suo comportamento; perch´e tutto ci`o non `e possibile “con i venti e con le nuvole19 ?” Lorenz giunse, da un punto di vista qualitativo, allo stesso risultato di Poincar´e, ma, a differenza di quest’ultimo ebbe un seguito. 14 La via aperta da Poincar´ e, anche se non immediatamente percorsa, ha portato notevoli risultati e si ` e arricchita di altri strumenti conoscitivi importanti. In questa sede non mi posso dilungare su questi argomenti, anche se nel prossimo paragrafo accenner` o alla mappa di Poincar´ e e ai frattali. 15 Un sistema si dice dissipativo quando evolvendo nel tempo non conserva il suo volume nello spazio delle fasi. 16 Un sistema si dice conservativo quando, pur evolvendo nel tempo, mantiene costante il volume nello spazio delle fasi. 17 Cfr. Ilya Prigogine. “La fine delle certezze”. In: La teoria della complessit` a. A cura di R´ eda Benkirane. Torino: Bollati Boringhieri, 2007, p. 34: “Una natura certa e deterministica era una natura controllabile. Una natura instabile, in grado di passare da uno stato ad un altro, sfugge in certa misura al nostro controllo. Ma noi non abbiamo scelta, dobbiamo cercare di controllare il clima, la meteorologia, bench´ e si tratti di sistemi instabili”. 18 Come detto questo tipo di comportamenti furono individuati prima di tutti da Poincar´ e, ma le sue idee non vennero sviluppate. In genere, con l’effetto farfalla di Lorenz tali fenomeni iniziano ad essere seriamente studiati. 19 Una buona e semplice introduzione di questo problema si trova in James Gleick. Caos. La nascita di una nuova scienza. Milano: Rizzoli, 2005, pp. 15-37.

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Poincar´e, facendo esempi simili a quelli qui proposti, afferma: “Una causa minima, che ci sfugge, determina un effetto considerevole, del quale non possiamo non accorgerci. . . Se conoscessimo con esattezza le leggi della natura e lo stato dell’universo all’istante iniziale, potremmo prevedere quale sar` a lo stato di questo stesso universo ad un istante successivo. Ma quand’anche le leggi naturali non avessero per noi pi` u segreti, potremmo conoscere lo stato iniziale soltanto approssimativamente. Se ci` o ci permette di conoscere lo stato successivo con la stessa approssimazione, non abbiamo bisogno di altro, e diremo che il fenomeno ` e stato previsto, che esistono leggi che lo governano. Ma non ` e sempre cos`ı: pu` o succedere che piccole differenze nelle condizioni iniziali generino differenze grandissime nei fenomeni finali; un piccolo errore a proposito delle prime genererebbe allora un errore enorme a proposito di quest’ultimi. La previsione diventa impossibile. . . 20 ”.

Che le previsioni del tempo siano qualcosa di impreciso `e un fatto noto, dovuto proprio alla non-linearit`a. Nonostante ci`o, sebbene non sia possibile prevedere che tempo far` a tra un mese, tuttavia, il sistema si configurer`a in un modo specifico; ci sar`a il sole, piover`a ecc. . . Una tale configurazione sar`a l’effetto di molteplici elementi, la cui interazione non lineare non permette una distinzione tra elementi oggettivamente essenziali che dirigono la dinamica e mere perturbazioni, destinate a spegnersi nell’economia della dinamica stessa. Alle difficolt` a dovute alla sensibilit`a alle condizioni iniziali, di natura pi` u propriamente matematica, si aggiungono, pertanto, quelle fisiche, relative alla selezione degli elementi da considerare per produrre una previsione, in quanto viene meno ogni criterio oggettivo di scelta, ed ancor meno, come pensava Laplace, si pu` o sostenere che le “cause estranee” verranno mutualmente ad annullarsi21 . Usando un altro tipo di linguaggio, in maniera pi` u rigorosa si pu`o dire che, dato un fenomeno, al fine di spiegarlo bisogna selezionare uno o pi` u parametri di controllo22 ed una o pi` u variabili di stato23 . Una tale scelta non si compie in base ad una distinzione tra essenza ed accidente, ma in base alla rilevanza che 20 Cfr. Poincar´ e, “Il caso”, pp. 107-108. Il passo citato continua cos`ı: “siamo di fronte al fenomeno fortuito”. Non ho inserito questa frase, in quanto il fatto di far riferimento a qualcosa di ignoto ed inconoscibile sar` a trattato pi` u gi` u. Per quanto riguarda gli elementi che sto sollevando mi pare che la citazione sia molto chiara e che il non aver inserito la frase qui riportata non ne snaturi il senso. 21 Cfr. Laplace, op. cit., pp. 298-299. Nell’ottica della scienza a cavallo tra Settecento e Ottocento, si dovrebbe sostenere che questo tipo di fenomeni risultano poco comprensibili per l’ignoranza legata all’intelligenza umana o per mancanza di strumenti tecnici sufficientemente precisi, e che, tuttavia, un’Intelligenza superiore potrebbe colmare le lacune umane. Per questo tipo di approccio si tratterebbe, in altri termini, semplicemente di fenomeni estremamente complicati, ma non complessi. Se, per esempio, si considerano i numeri irrazionali, anche l’Intelligenza di Laplace, nel momento in cui andrebbe ad eseguire i calcoli, introdurrebbe necessariamente un’approssimazione, in quanto ` e costretta a considerare una serie finita di cifre decimali. Una simile approssimazione, se considerata assieme all’effetto farfalla, potrebbe produrre effetti di rilievo, anzich´ e scomparire. 22 I parametri di controllo sono quelle “grandezze che agiscono sulle variabili di stato” e che caratterizzano un sistema (cfr. Bertuglia e Vaio, op. cit., p. 29). 23 Le gi` a definite variabili di stato sono quelle grandezze che “portano con s´ e la conoscenza che si ha di un sistema, durante l’evoluzione del modello nel tempo” (cfr. ibid., p. 29).

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un parametro ha, non in generale, ma rispetto al singolo problema 24 che s’intende affrontare. Questa precisazione `e molto importante in quanto un parametro e una variabile di stato possono essere rilevanti o non rilevanti, ma mai essenziali in un senso universale e necessario. Ogni volta che si compie una scelta, la si fa in una determinata direzione, ritagliando un aspetto particolare del fenomeno. La rilevanza `e dunque ci` o che fa di un parametro un parametro di controllo. Ora, naturalmente, pi` u parametri di controllo si prendono in considerazione, pi` u precisa sar` a la conoscenza, tuttavia, in un sistema non-lineare esiste, oltre ad un limite di prevedibilit` a, un’impossibilit` a fisica di considerare ogni minimo elemento di un sistema. Questo `e dovuto certamente al fatto che, di volta in volta, si ritaglia un aspetto di un oggetto, senza che con questo si possa assumere che sia possibile avere davanti agli occhi tutto lo spettro delle possibilit` a, ma `e dovuto anche al fatto che uno stesso oggetto, in condizioni diverse si comporta in modi talmente diversi che dei parametri di controllo rilevanti possono diventare irrilevanti. A ci`o si aggiunga che in condizioni diverse possono “scongelarsi” nuovi gradi di libert`a: entrano cos`ı in gioco nuovi parametri di controllo e nuove variabili di stato25 . Di conseguenza, ogni volta che ci si trova davanti ad un oggetto d’indagine non si pu`o non definire un contesto e delle condizioni nei quali lo si indaga, senza avere la pretesa che un risultato particolare debba valere necessariamente per l’oggetto in generale ed in s´e26 . In altri termini, nel momento in cui si compie una scelta, da un punto di vista filosofico, non si fa altro che costruire o ri-costruire l’oggetto da una specifica prospettiva; a ci` o saranno vincolate le risposte sperimentali che si possono ottenere. Affermare questo vuol dire che un modello, un sistema di equazioni, non possono risolvere un oggetto, vuol dire sostenere che matematica e natura non sono due concetti che combaciano in tutto e per tutto. Filosoficamente, si pu`o dire che la delimitazione di uno spazio chiuso di pensabilit` a `e sempre qualcosa che non 24 Tengo a ribadire un concetto. Uso questo termine in senso generico perch´ e non si tratta solo di oggetti diversi, ma anche di aspetti diversi dello stesso oggetto. Quest’idea va tenuta sempre presente, perch´ e molto spesso non esistono confini netti e necessari tra un problema fisico ed un altro, ovviamente in questioni prossime. Le distinzioni nette vengono introdotte proprio attraverso idealizzazioni matematiche, fisiche o filosofiche che, se da un lato permettono di ottenere delle risposte, all’altro non possono che aumentare irrimediabilmente la distanza con l’universo di possibilit` a insito, al limite, in ogni singolo fenomeno. Naturalmente, per certi aspetti, questa descrizione ` e un’iperbole, ma mi pare utile per chiarire il discorso. 25 Si pensi, a questo proposito alla transizione tra il moto laminare ed il moto turbolento di un fluido Cfr. Douglas R. Hofstadter. “Attrattori strani: enti fra ordine e caos”. In: Il caos. Le leggi del disordine. A cura di Giulio Casati. Le Scienze, 1987, pp. 75-77; cfr. Benoˆıt B. Mandelbrot. Gli oggetti frattali. Torino: Einaudi, 2000, pp. 126-136; cfr. Julio M Ottimo. “Il mescolamento dei fluidi”. In: Il caos. Le leggi del disordine. A cura di Giulio Casati. Le Scienze, 1991, pp. 152-160; cfr. Christian Vidal e Jean-Claude Roux. “Come nasce la turbolenza”. In: Il caos. Le leggi del disordine. A cura di Giulio Casati. Le Scienze, 1991, pp. 141-151; cfr. Manuel G. Velarde e Christiane Normand. “La convezione”. In: Il caos. Le leggi del disordine. A cura di Giulio Casati. Le Scienze, 1991, pp. 128-140. 26 Si ` e visto come nel Settecento non era insolito estendere la solubilit` a analitica e locale di un problema alla globalit` a del problema. Un esempio di ci` o` e rappresentato dal modo in cui Fourier tratta le serie nella Teoria analitica del calore.

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risolve ogni possibilit` a di conoscenza di un oggetto, ma `e qualcosa che apre una prospettiva su di esso, in quanto una sua conoscenza porta con s´e una selezione di elementi, all’interno di uno spazio di pensabilit` a. Di qui il concetto chiuso non pu`o esser visto come qualcosa che coglie l’essenza, non pu`o esser considerato come il fine e la fine della ricerca, ma come qualcosa in cui si concretizzano le limitate possibilit` a conoscitive, aperte all’interno di uno spazio di pensabilit` a. Nei prossimi due capitoli mi dilungher`o su questi aspetti pi` u filosofici, per ora mi pare sufficiente far riferimento alla distanza27 che c’`e tra il “lineare” ed il “non-lineare”, che `e profondamente filosofica, oltre che scientifica. Tornando alle questioni non-lineari e considerando cosa succede al di l`a del tempo di Lyapunov, si pu`o dire, qualitativamente, che si ha a che fare con configurazioni e propriet` a del sistema che emergono dal complesso del sistema28 , sia che si tratti di un sistema conservativo sia che si tratti di uno dissipativo, mantenendo le distinzioni fatte in precedenza. Di qui, per caos non s’intende il puro inconoscibile, esso `e semplicemente un concetto che fa riferimento al fatto che tra il determinismo assoluto e la pura casualit`a esistono una serie di fenomeni che non si lasciano pensare all’interno di una simile e troppo forte dicotomia. Giungere fino a parlare di tali questioni implica la presa d’atto dello statuto epistemologico della non-linearit`a, i cui fenomeni sono stati sempre o inclusi in una visione deterministica o considerati non scientifici. Per fare ci`o, `e necessario essere in grado di riconoscere qualcosa come sensato, anche a costo di modificare lo spazio di pensabilit`a proprio di una determinata disciplina scientifica, oltre che inserendo nuovi strumenti. Per chiarire meglio il discorso mi pare utile partire da un passo di Poincar´e. Si rimarr` a impressionati dalla complessit` a di questa figura, che nemmeno tento di disegnare. Nulla `e pi` u adeguato a darci un’idea di quanto sia complicato il problema dei tre corpi e in generale tutti i problemi di dinamica nei quali non esistano integrali uniformi29 . Poincar´e si rifiuta di disegnare una figura troppo complessa perch´e non sarebbe comprensibile in alcun modo, se non come qualcosa di insensato. Di qui, si pone il problema di rendere comprensibile ci` o cui da seguito la non-linearit`a in modo da superare la dicotomia tra caos e determinismo, visto che possono essere considerate nozioni non necessariamente contraddittorie. Come accennato, un significativo passo avanti pu` o essere fatto attraverso una discussione ed un tentativo di superamento degli assunti filosofici del determinismo, o meglio di una concettualit`a i cui caratteri sono gi`a stati esposti, anche se non ancora elaborati in 27 Non si tratta di un’opposizione assoluta, in quanto, ripeto, non si tratta di decretare la falsit` a di qualcosa e la verit` a di qualcos’altro, quanto pi` u si tratta capire cosa pu` o esser pensato a partire da un determinato approccio e perch´ e, cercando di evitare ogni forma di imposizione di un qualsiasi metodo ad ogni oggetto di conoscenza. 28 Un aspetto interessante, sul quale non mi soffermo, ` e quello del rapporto tra sistema ed ambiente. Questa scelta ` e dovuta al fatto che un sistema non-lineare pu` o dar luogo a comportamenti caotici per una propria logica interna. 29 Cfr. Claudio Bartocci. “Equazioni e orbite celesti: gli albroti della dinamica topologica”. In: Poincar´ e, Jules-Henri. Geometria e caos. Torino: Bollati Boringhieri, 2006, p. XXXIX.

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modo pieno. Finora `e emersa, a questo proposito, una serie di questioni che indicano la necessit`a di una via diversa che, soprattutto, non si connoti, epistemologicamente ed ontologicamente come una riproposizione, sotto sembianze diverse, di uno spazio di pensabilit` a che, ancora una volta, si arroghi un valore assoluto. Un ulteriore e significativo aspetto che permette di mettere in evidenza una tale necessit` a di rinnovamento filosofico `e rappresentato dalla possibilit`a di trattare qualitativamente, ma pur sempre scientificamente, le diverse configurazioni che un sistema non-lineare pu`o produrre. In questo caso non ci si rivolger`a tanto a tutti quei passaggi che costituiscono, dinamicamente, uno stato di un sistema, quanto pi` u alla sua struttura irriducibile e geometrica. Questo perch´e, come visto, non `e possibile ricostruire uno stato di un sistema con certezza assoluta, n´e verso il presente n´e verso il passato. A ci`o si aggiunga che oltre una certa soglia non `e possibile alcuna previsione. 3.2.2

Ordini strani

Il fatto che al di l`a del tempo di Lyapunov non sia possibile studiare analiticamente un sistema non-lineare, non vuol dire che esso non possa assumere “configurazioni ordinate” trattabili scientificamente. Un sistema, infatti, pu` o presentare ordini che emergono dal complesso delle interazioni caotiche che lo caratterizzano. Ci`o, in modi diversi, avviene sia per i sistemi dissipativi, che tendono ad un attrattore, sia per i sistemi conservativi. Quest’ultimi, `e bene ripetere, a differenza dei primi, non tendono ad alcun equilibrio di tipo termodinamico, ma, a seconda del valore dato di un parametro di perturbazione, potranno assumere una configurazione pi` u o meno ordinata o caotica. Il punto `e che, in tal modo, `e possibile concentrare l’attenzione sugli ordini strani, al di l` a del tipo di sistema non-lineare da cui si originano. In ogni caso, in tali sistemi, non `e possibile seguire analiticamente in modo globale la formazione di alcuna struttura ordinata emergente in generale. A questo punto `e arrivato il momento di far vedere, in senso fisico-matematico, in che modo caos e ordine siano due concetti i cui confini non sono cos`ı netti come pu`o inizialmente apparire, o come appariva, ad esempio, nel Settecento. Ogni volta, infatti, `e possibile spostare e/o ritracciare la linea di confine tra loro. Questo sar`a proprio uno degli elementi che discuter`o filosoficamente, ma per ora `e bene procedere senza salti concettuali e senza anticipare troppo. Poincar´e, dopo aver assodato che, in generale, di un sistema non-lineare conservativo non `e possibile individuare sempre soluzioni analitiche nel senso del programma settecentesco, inizia ad affrontare, come accennato, i sistemi non-lineari da un punto di vista geometrico e qualitativo. Com’`e facile intuire, in un lavoro di questo tipo, non mi posso dilungare eccessivamente su questi temi, pertanto, sar`a sufficiente un accenno alla “vicinanza” tra caos e ordine in un sistema non-lineare conservativo. L’idea di Poincar´e `e sostanzialmente la seguente: assodato che non `e possibile conoscere la dinamica di una traiettoria di un sistema non-lineare, `e possibile

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considerare la mappa che si forma attraverso le intersezioni tra l’orbita ed un piano, detto sezione di Poincar´e, trasversale al flusso del sistema (figura 1).

Figura 3.1: Sezione di Poincar´e. La traiettoria interseca la sezione di Poincar´e Σ nei punti xi−1 , xi e xi+1 .

Dopo un tempo lungo, l’evoluzione del sistema disegner`a una mappa, detta di Poincar´e, di cui la figura seguente ne `e un esempio.

Figura 3.2: Esempio di mappa di Poincar´e.

Questa mappa permette di distinguere zone di ordine dal cosiddetto mare caotico. Le zone che `e possibile riconoscere come ordinate sono caratterizzate da una stabilit`a delle orbite visibile dalla presenza di forme pi` u o meno circolari o ellittiche concentriche, nonch´e pi` u o meno regolari. Le zone di disordine, come mostra la figura, sono le restanti.

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Da un punto di vista matematico, la mappa di Poincar´e si ottiene, di nuovo, considerando un sistema non-lineare composto da una parte integrabile, vale a dire di cui si conoscono le soluzioni, pi` u una piccola perturbazione non integrabile30 . Rispetto a quanto detto nel capitolo precedente, da Poincar´e in poi, questa stessa idea, che, come visto, si pu` o far risalire a Newton, `e trattata in modo diverso. Nello specifico si riporta l’attenzione su aspetti qualitativi e geometrici, facendo particolare attenzione a cosa succede all’interno della mappa di Poincar´e al variare del parametro di perturbazione. A questo punto si pu`o scrivere la seguente funzione: H = H0 + εH1 dove H0 `e la parte integrabile, H1 `e la parte non integrabile ed ε `e il parametro di perturbazione31 . Da quanto detto, l’approccio analitico settecentesco non `e in grado di risolvere un tale problema. Nonostante ci` o, geometricamente e qualitativamente, `e possibile rilevare che, laddove la perturbazione `e nulla, si ha solo ordine, mentre laddove essa e diversa da zero si avranno situazioni simili a quella della figura 2 e cio`e zone d’ordine e zone di caos. Quest’ultime aumenteranno col crescere della perturbazione. Da ci`o segue che le forme circolari divengono sempre pi` u distorte fino a rompersi (figura 3). Dalla stabilit`a si passa all’instabilit`a fino a giungere al mare caotico di figura 2.

Figura 3.3: Crescita del mare caotico al crescere di ε.

Se da questo punto di vista si pu`o spiegare la transizione dall’ordine al caos, c’`e da rilevare che all’interno del mare caotico `e possibile riscontrare ancora una 30 Cfr. Michel Tabor. Chaos and Integrability in Nonlinear Dynamics. New York: John Wiley e sons, 1989, pp. 89-90. 31 Su questi argomenti cfr. ibid., pp. 89-186 e cfr. Diacu e Holmes, op. cit.

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compresenza di ordine e disordine. Ingrandendo una zona caotica, infatti, `e possibile individuare zone d’ordine che ripetono la struttura di figura 2 in maniera pi` uo meno rigorosa32 . Ci si trova, in altri termini, davanti ad una struttura frattale. Di nuovo si ha a che fare con una forma di comprensibilit`a geometrica. Prima di chiarire di che tipo di comprensibilit`a si tratta, `e necessario soffermarsi, sia pur brevemente, sui sistemi non-lineari dissipativi, ed in particolare sulla nozione di “attrattore” che, spesso, nei sistemi dinamici, `e anch’esso un frattale. Per ora, infatti, si pu` o dire solo che `e possibile descrivere qualitativamente ci` o che emerge dal complesso del sistema, senza ridurlo semplicemente ed esclusivamente alla somma delle sue parti. Come si `e visto nelle citazioni di Poincar´e, ed in generale come emerge dai suoi studi, bench´e non esistano soluzioni analitiche per i sistemi non-lineari, laddove si ha a che fare con integrali non uniformi, tuttavia `e possibile compiere studi qualitativi. Ancora una volta si tratta, in altri termini, di pensare qualcosa come sensato. Come detto, procedendo con ordine, mi pare necessario introdurre, brevemente, il concetto di attrattore. Se si prende un pendolo33 legato con un filo al soffitto, considerando gli attriti, da qualsiasi punto lo si lasci oscillare, tender` a sempre a raggiungere un equilibrio stabile, vale a dire il punto in cui smette di oscillare. Il punto nel quale il pendolo si ferma `e un esempio di attrattore 34 . In generale, si pu` o dire che un attrattore `e una particolare regione dello spazio delle fasi35 che un sistema tende a raggiungere nel corso della propria evoluzione. Nel caso del pendolo si ha il caso pi` u semplice, vale a dire un punto fisso. Ora, l’insieme dei punti dai quali viene lasciato oscillare il pendolo delimita il cosiddetto bacino di attrazione. Esso, in generale, `e una regione dello spazio delle fasi caratterizzata dal fatto che, a partire da un suo punto, il sistema evolve sempre verso l’attrattore. Un attrattore come quello appena esemplificato `e chiamato attrattore ordinario 36 , e permette di descrivere lo stato finale del sistema. Avere a disposizione un attrattore di questo tipo rappresenta la possibilit`a di descrivere un fenomeno ` certamente sempre auspicabile una situazione dandone una spiegazione unica. E del genere, tuttavia bisogna fare attenzione a non commettere l’errore categoriale per cui si considera una possibilit`a come una regolarit`a universale e necessaria. In altri termini, se si considera un sistema dissipativo, sebbene si possa dire che 32 Cfr.

Tabor, op. cit., 139 e sgg. ` e solo un possibile esempio. Per uno studio dettagliato ed accessibile sul pendolo si veda Bertuglia e Vaio, op. cit., passim. 34 Questo ` e, inoltre, un chiaro esempio di un sistema dissipativo, in quanto l’energia iniziale del pendolo, col passare del tempo scema, finch´ e il pendolo si ferma definitivamente. 35 Lo spazio delle fasi ` e uno spazio costituito dall’insieme di tutti i possibili valori delle n variabili di stato che descrivono il sistema. Le variabili di stato sono quelle grandezze i cui valori, funzioni del tempo, definiscono completamente e senza ambiguit` a tutto ci` o che sappiamo del sistema, o meglio l’insieme dei possibili valori delle coordinate spaziali e delle quantit` a di moto. 36 Non tutti gli attrattori ordinari sono punti fissi, ne esistono anche di altri tipi, tuttavia, per gli scopi di questo lavoro ` e sufficiente quanto detto sin qui. 33 Questo

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esso tenda verso un attrattore, non sempre si possono conoscerne le caratteristiche analiticamente. Se, per` o, si considera un sistema sensibile alle condizioni iniziali, come l’atmosfera, o un qualsiasi sistema caotico dissipativo, le cose non sono cos`ı semplici. In figura 4 si pu`o visualizzare la configurazione di un sistema caotico, in particolare ho riportato l’attrattore di Lorenz37 . Attrattori di questo tipo sono detti attrattori strani o caotici 38 . Questi oggetti sono topologicamente diversi dagli attrattori ordinari, il che vuol dire che non sono tra loro riducibili; mentre i primi hanno dimensione intera, i secondi possono avere dimensione frazionaria, questa caratteristica `e dovuta al fatto che mentre nella formazione degli attrattori ordinari le traiettorie vicine restano tali, rendendo possibile un forte controllo del sistema, negli attrattori strani le traiettorie divergono esponenzialmente, dando luogo al caos39 . Da quanto detto emerge che gli attrattori in generale sono indici di una certa stabilit`a di un sistema; gli stessi attrattori strani, sebbene non consentano un controllo al modo degli attrattori ordinari, non di meno permettono di gettare una luce sul sistema considerato olisticamente. Il punto `e adesso chiarire di che tipo di “luce” si tratta. A questo punto, per` o, la questione si complica, perch´e tutto ci` o che finora, per una migliore chiarezza, ho esposto separatamente, va brevemente riconsiderato insieme. Si `e visto che un sistema ha pi` u esponenti di Lyapunov, in quanto `e possibile studiare, di volta in volta, la stabilit`a di un determinato equilibrio in un intorno stabilito, il che vuol dire che sono possibili pi` u ordini; `e il caso dei sistemi dissipativi lontani dall’equilibrio, nei quali, come accennato i caos pu`o produrre ordine40 . Il sistema si riorganizza facendo emergere dalla propria dinamica non-lineare, dall’interazione tra i suoi elementi, delle configurazioni che non sono riconducibili alla somma degli elementi stessi, ma alla loro interazione, mai completamente prevedibile. 37 Si pu` o comprendere la genesi di una simile figura attraverso il classico esempio della mappa del fornaio. Mentre un fornaio lavora l’impasto del pane, quest’ultimo viene continuamente deformato, facendo s`ı che punti inizialmente tra loro prossimi traccino traiettorie divergenti. In tal modo, si produce un’orbita curva, aperta, infinita e confinata in una regione di spazio chiusa, caratterizzata, inoltre, dal fatto che essa non passa mai due volte sullo stesso punto. Naturalmente, in questo caso si considera il tempo come un elemento imprescindibile della dinamica. Per i dettagli matematici cfr. Bertuglia e Vaio, op. cit. e Gian Italo Bischi et al. Sulle orme del caos. Milano: Bruno Mondadori, 2004. 38 C’` e da fare una precisazione. Sebbene nella maggior parte dei casi “strano” e “caotico” siano sinonimi, e quindi sostituibili, tuttavia sono due concetti diversi. Il primo fa riferimento alla geometria (frattale) e alle propriet` a (frattali) dell’oggetto attrattore, mentre il secondo fa riferimento alla dinamica (caotica) che genera l’attrattore. Esistono, pertanto, attrattori strani (frattali) non caotici e attrattori caotici non strani (frattali). Per quanto riguarda gli argomenti specifici che sto trattando, ogni attrattore strano ` e caotico e viceversa, di conseguenza le due nozioni, come ` e usuale, possono essere interscambiate. cfr. Bertuglia e Vaio, op. cit., 160 sgg. 39 Cfr. Crutchfield et al., op. cit., p. 27. 40 Cfr. Prigogine e Stengers, op. cit.

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Figura 3.4: Attrattore di Lorenz.

Da un punto di vista filosofico e matematico, gli attrattori strani mostrano delle configurazioni che appaiono “ordinate” nel momento in cui diventa possibile pensarle come tali, nel momento in cui si apre uno spazio di pensabilit` a matematica, fisica e/o filosofica, nel quale possano avere uno “stato civile41 ” chiaro. 3.2.3

Pi` u matematiche, un solo “mondo”

Che cosa vuol dire che l’attrattore di Lorenz ha dimensione frazionaria e, nello specifico, per certi valori, essa `e pari a 2,6? La comprensione di oggetti di questo tipo `e l’esito della crisi dell’analiticit`a della seconda met`a dell’Ottocento, dovuta alla scoperta di curve continue e non derivabili in alcun punto, di curve incompatibili con ogni descrizione analitica, di curve prive in ogni punto di tangente42 . I frattali, dunque, sono uno strumento che rende comprensibile qualcosa di nuovo, in quanto riesce ad intercettare aspetti dei fenomeni che erano e restavano irrimediabilmente oscuri. In particolare, la dimensione frattale pu`o essere pensata come la misura del grado di complessit` a di un attrattore strano43 . A prescindere dalla loro origine e dal metodo di costruzione, tutti i frattali presentano una caratteristica importante: se ne pu` o misurare la scabrosit`a, la 41 Cfr. Wittgenstein, op. cit., § 125. Nei prossimi due capitoli cercher` o di individuare una direzione per la quale ` e dare maggiore corpo alle affermazioni di questo capoverso. 42 Per comprendere a pieno la dirompenza di una simile scoperta, si pensi al fatto che nel Settecento e nell’Ottocento la presenza di punti singolari non era tenuta in alcuna considerazione. 43 Cfr. Crutchfield et al., op. cit., p. 33.

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complessit`a o l’accartocciamento mediante un numero caratteristico, la dimensione frattale44 . Ci sarebbe molto da dire sulla geometria frattale, da un punto di vista matematico e fisico, tuttavia, siccome questo lavoro ha un taglio filosofico, mi limito ad esporre, brevemente, cosa s’intende per dimensione frattale, rimandando ad altri testi per ulteriori approfondimenti45 . Un modo estremamente intuitivo per avere un’idea dei frattali si trova nel testo Spazi, iperspazi, frattali 46 . Essendo molto chiaro e stringato, mi limito a riproporlo, al fine di procedere pi` u speditamente verso alcune considerazioni filosofiche, in modo tale da non frammentare troppo il discorso. La dimensione di uno spazio pu` o essere definita mediante una semplice formula algebrica, e questo ci permette di generalizzare il concetto di spazio e di introdurre gli ‘spazi frattali’. [. . . ]. A questo scopo osserviamo che se dividiamo un segmento (linea di dimensione d = 1), in N o = k parti uguali esso sar` a formato da N = k segmenti pi` u piccoli. In modo analogo, se dividiamo i lati di un quadrato (di dimensione d = 2) in N o = k parti uguali, esso sar` a formato da N = k2 quadratini. In generale, [. . . ], si ha: N o = k; N = kn Ne segue che la dimensione d di tali figure pu` o essere definita con la formula: d=

log N log N o

=

log kn log k

=

n log k log k

=n

Ora, all’atto pratico, se si prende un segmento e lo si divide in tre, si asporta la parte centrale e si ripete questa procedura ricorsivamente, si ottiene la cosiddetta polvere di Cantor, la cui dimensione sar` a: d=

log 2 log 3

= 0.6309

La polvere di Cantor pertanto avr`a una dimensione compresa tra un punto ed una linea. Ad ogni livello di iterazione delle operazioni descritte si ripresenter`a lo stesso livello di complessit`a47 . Esempi pi` u complessi sono in grado di descrivere 44 Cfr. Hartmut J¨ urgens, Heinz O. Peitigen e Dietmar Saupe. “Il linguaggio dei frattali”. In: Il caos. Le leggi del disordine. A cura di Giulio Casati. Le Scienze, 1987, p. 49 45 Cfr. Mandelbrot, op. cit.; cfr. Benoˆ ıt B. Mandelbrot. The fractal geometry of nature. New York: Freeman e Company, 1983; cfr. Giuseppe Arcidiacono. Spazio Iperspazi frattali. Roma: Di Renzo, 2004; cfr. Herbert Zeitler e Duˇsan Pagon. Fraktale geometrie. Eine Einf¨ uhrung. Braunschweig: Vieweg, 2000; cfr. Heinz O. Peitgen e Peter H. Richter. La bellezza dei frattali. Torino: Bollati Boringhieri, 1987. 46 Cfr. Arcidiacono, op. cit., 118 e sgg. 47 Cfr. Paolo Sommaruga. “Modelli frattali di oggetti naturali”. In: Le Scienze 282 (1992), p. 44: “Qualunque sia l’ingrandimento che otteniamo con il gioco del caos, esse [le immagini frattali] ` presentano lo stesso grado di complessit` a; i contorni frastagliati non li vedremo mai lisci. E questo un fatto caratteristico degli oggetti frattali che rivela come essi non siano caratterizzabili in termini di metrica euclidea (in quanto non ` e possibile assegnare loro una dimensione intera), n´ e in termini di analisi matematica (che si occupa di funzioni differenziabili i cui grafici, una volta sufficientemente ingranditi, si comportano localmente come segmenti di linee rette)”. Mi pare doveroso avvertire che esistono dei frattali, detti aleatori, in cui la dimensione varia al variare della scala. I frattali che qui si prendono in considerazione sono “regolari”, in quanto si mantiene la stessa regolarit` a (omotetia interna) ad ogni variazione di scala, come ` e per la polvere di Cantor.

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oggetti come attrattori strani, ma anche la forma delle nuvole, di una foglia di felce, di un gomitolo di lana, la distribuzione delle galassie ecc. . . . Tutti gli oggetti naturali citati sono dei ‘sistemi’, nel senso che sono formati da molte parti distinte, articolate tra loro, e la dimensione frattale descrive un aspetto di questa regola di articolazione48 . Alcuni degli oggetti citati, a seconda della risoluzione con cui li si considera, possono assumere regolarit`a frattali diverse. In questo caso si parla di multifrattali 49 . Da questa prospettiva, anche le dimensioni di un oggetto possono essere viste come qualcosa che varia a seconda delle domande che si pongono allo stesso, al modo in cui lo si considera, al modo in cui lo si “costruisce”. Nel testo appena citato, Mandelbrot presenta un esempio molto intuitivo, reso ancora pi` u semplice dall’uso delle tre classiche dimensioni euclidee, che vale la pena riportare. “Un gomitolo di 10 cm di diametro fatto di filo di 1 mm di diametro, possiede, in modo per cos`ı dire latente, diverse dimensioni effettive distinte. Con un grado di risoluzione di 10 m, si ha un punto, quindi una figura zero-dimensionale; con un grado di risoluzione di 10 cm, si ha una palla tridimensionale; con un grado di risoluzione di 10 mm, si ha un insieme di fili, dunque una figura unidimensionale; con un grado di risoluzione di 0,1 mm, ogni filo diventa una specie di colonna, e il tutto torna tridimensionale; con un grado di risoluzione di 0,01 mm ogni colonna si risolve in fibre filiformi e il tutto ridiventa unidimensionale; ad un livello di analisi pi` u avanzato, il gomitolo si ripresenta sotto forma di un numero finito di atomi puntuali, e il tutto si fa di nuovo zero-dimensionale. E via di seguito: il valore della dimensione non smette di saltellare50 ”.

Per quanto concerne questo lavoro, quanto detto vuol dire, innanzitutto, conquistare uno spazio di pensabilit`a per cui diventa possibile pensare qualcosa al di fuori delle classiche tre dimensioni intere e al di fuori dell’approccio analitico. Per quanto riguarda quest’ultimo, in base a quanto detto nel capitolo precedente, non si fa fatica a capire la sua totale impotenza di fronte a curve non derivabili. Riguardo, invece, le dimensioni, Aristotele affermava: Delle grandezze, quella che ha una dimensione `e linea, quella che ne ha due `e superficie, quella che ne ha tre `e corpo, e al di fuori di queste non si danno altre grandezze 51 . Quanto si dice in questo passo, schiude un insieme enorme di possibilit`a conoscitive che hanno permesso numerose conquiste scientifiche e non solo. Cos`ı `e anche per il calcolo. Questo passo, per` o, ancor pi` u perch´e detto da un filosofo, rappresenta una chiusura52 dell’orizzonte di possibilit` a, determinando un orizzonte di possibilit` a conoscitive. Proprio in quanto si tratta di un orizzonte, `e possibile far riferimento ad un altro sguardo sul mondo. Mandelbrot afferma: 48 Cfr.

Mandelbrot, Gli oggetti frattali, p. 17. quanto riguarda l’applicazione dei multifrattali alla distribuzione delle galassie si veda ibid., pp. 74-102 e Yurij V. Baryshev e Pekka Teerikorpi. La scoperta dei frattali cosmici. 2006: Bollati Boringhieri, Torino, pp. 278-298. 50 Cfr Mandelbrot, op. cit., p. 15. 51 Cfr. Aristotele. “Del cielo”. In: Opere 3. Roma-Bari: Laterza, 2001, p. 241. Corsivo mio. 52 I modi fondamentali in cui ` e possibile concepire una tale chiusura saranno discussi nel capitolo successivo. Una possibile via per procedere oltre i limiti concettuali in esso esposti sar` a delineata nel quinto capitolo. 49 Per

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“Le nuvole non sono sfere, le montagne non sono coni, le linee di una costa non sono cerchi e la corteccia non ` e piana, e neppure la luce di propaga in linea retta. Pi` u in generale, rivendico il fatto che le forme della natura sono cos`ı irregolari e frammentate che, comparate con Euclide - un termine usato in quest’opera per denotare ogni geometria standard - la natura non esibisce semplicemente un pi` u alto grado, ma un livello completamente diverso complessit` a. [. . . ]. L’esistenza di queste forme ci sfida a studiare quelle forme che Euclide lasciava in disparte in quanto ‘senza forma’ [formless], ad investigare la morfologia di ci` o che ` e ‘amorfo’ [amorphous]53 ”.

` normale, oltre che corretto, affermare che tra le due citazioni c’`e un modo E diverso d’intendere il concetto di dimensione, ma constatazioni di questo tipo devono essere accompagnate sempre, secondo me, da una discussione delle questioni filosofiche di fondo. Il passo di Mandelbrot si sofferma proprio sul fatto che `e possibile guardare le stesse cose con altri occhi, scoprire nuovi modi di mettere ordine nelle cose. Qualcosa pu`o, infatti, risultare “amorfo”, irregolare o patologico solo e soltanto rispetto ad una normalit` a. Di qui, a mio giudizio, il filosofo ha il compito di riflettere sulle possibilit` a ed i limiti dei nuovi modi di vedere, in modo che una normalit` a non diventi, surrettiziamente, una normativit` a assoluta. Da questa prospettiva, accettare un nuovo spazio di pensabilit` a non `e mai qualcosa di innocuo, in quanto ha forti ripercussioni, sebbene non sempre esplicite, sul modo di vedere la natura, in senso filosofico, matematico e fisico. Attraverso di esso si mettono in luce i vincoli scientifici e filosofici che, nei casi presi in esame non rendevano possibile pensare un ordine come tale. I frattali, come visto, permettono di gettare una luce su curve continue e non derivabili in nessun punto, su quegli enti geometrici, definiti “mostri”, o curve “patologiche54 ” in quanto non erano comprensibili con gli strumenti matematici e la concettualit`a dominata fino alla fine dell’Ottocento. Se poi si confronta tutto ci`o con gli assunti della fisica matematica che ruota attorno all’analisi algebrica, emerge ancora meglio l’idea che l’approfondimento di specifiche questioni ha permesso la nascita di nuovi problemi, che a loro volta hanno posto la questione di una concettualit`a diversa; basti pensare, in generale, al rapporto delineato tra matematica e natura55 . Dal mio punto di vista, `e fondamentale porre l’accento sugli spazi di pensabilit` a perch´e, come mostrer`o, non si tratta di affermare la verit`a o la falsit`a di qualcosa come un teorema, un concetto o altro, ma si tratta di capire che tipo di possibilit`a diverse possono essere di volta in volta aperte, a che domande si pu`o dare risposta. ` importante ribadire che non si tratta solo e soltanto di cambiare oggetto di E ricerca, quanto pi` u di vedere uno stesso problema attraverso una concettualit`a diversa, non solo nel contenuto, ma anche e soprattutto nella forma, nel senso 53 Cfr.

Mandelbrot, The fractal geometry of nature, p. 1. Traduzione mia. ibid.; cfr. Arcidiacono, op. cit., pp. 116-126. 55 Se si ripensa a quanto emerso nel capitolo precedente, in particolare al fatto che nonostante Lagrange e Poisson ritenessero i punti singolari qualcosa non degno di attenzione, si comprende quanto sia grande il salto concettuale, pi` u che scientifico che separa l’analisi algebrica ai frattali e, nello stesso tempo, quanto siano profonde le rinunce e i cambiamenti che si devono operare sulla visione della natura e della matematica del Settecento. 54 Cfr.

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che si rinuncia ad assegnare un valore atemporale ed universale ad una qualsiasi razionalit` a, sia essa scientifica o filosofica. Per questo motivo, in questo lavoro, ho preferito discutere soprattutto problemi fisico-matematici che hanno impegnato gli scienziati almeno dal Seicento in poi, per mostrare come spesso `e tra le pieghe dei problemi stessi, dai crampi mentali che sorgono da un determinato modo di affrontarli, che si trova lo spunto per un approfondimento del problema stesso e per un eventuale cambiamento di prospettiva.

3.3

Alcune questioni filosofiche

Per affrontare filosoficamente le questioni emerse `e possibile seguire molte strade. Quella che intendo seguire `e una via per la quale, di fronte all’opposizione tra caos e determinismo, non si tratta di delimitare una sorta di “terra di mezzo”, quanto pi` u d’iniziare a mettere in discussione i due membri della suddetta dicotomia, ed ancor pi` u profondamente la logica per la quale risultano tali. In altri termini, intendo rivolgere la mia attenzione al “terreno” filosofico nel quale le dette nozioni possono assumere un particolare significato piuttosto che un altro. Non si tratta tanto di prendere atto n´e che il determinismo sia meno rigido di quanto si pensasse nel Settecento, n´e tanto meno di osservare che `e possibile, mi si passi l’espressione, sottrarre terreno al puro caos indifferenziato, in quanto, cos`ı facendo, si misconoscerebbero tutte le importanti problematiche filosofiche di fondo. Esse, invece, pongono, a mio giudizio, il problema di conquistare una diversa concettualit`a filosofica in grado di aprire possibilit`a diverse attraverso le quali poter gettare una luce diversa sulle questioni trattate. Questo `e ci` o che emerge da queste pagine. Da quanto detto sin qui, si pu`o dire che il determinismo non `e risultato tale da implicare necessariamente una totale prevedibilit`a, mentre il caos, a sua volta, non `e sinonimo di totale imprevedibilit`a. Se da un lato il moto di tre corpi, reciprocamente attraentesi, sia deterministico, dall’altro `e caotico. Il caos deterministico, in altri termini, non `e una mera accozzaglia di termini. Il fatto che, comunque, al di l`a del tempo di Lyapunov, si perda informazione in maniera tale da non consentire previsioni attendibili, non vuol dire che il sistema, considerato nella sua generalit` a, debba necessariamente degenerare in qualcosa completamente fuori da ogni possibilit`a conoscitiva. Dei margini gnoseologici in questo senso si aprono se, invece di considerare il sistema esclusivamente da un punto di vista analitico riduzionista, lo si considera puntando l’attenzione alle relazioni tra gli elementi piuttosto che immediatamente sugli elementi stessi. In questo modo, `e possibile rendere visibili aspetti di un sistema caotico che altrimenti andrebbero semplicemente persi. Sebbene, infatti, ci siano forti limiti alla conoscenza ed alla descrizione di una dinamica caotica, `e possibile trattare scientificamente gli ordini che da essa complessivamente emergono, a patto che si affronti il problema delle possibilit` a e dei limiti di una concettualit` a quanto meno problematica.

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A mio parere non si pu`o adempiere a questo compito restando esclusivamente sul piano della fisica e/o della matematica, perch´e non `e possibile produrre qualcosa in grado di smentire o di verificare definitivamente il determinismo. Esso, infatti, poggia su assunti filosofici sulla natura, sul mondo e sulla conoscenza, ed ancor ` proprio su questo che pi` u sui modi e sulle vie attraverso cui essi vengono relati. E `e necessario puntare l’attenzione. Se si esclude il punto di vista filosofico, la validit`a della ricerca dell’essenza della natura non pu`o essere, dunque, in alcun modo smentita, in quanto pu`o essere sempre sostenuto che i problemi che rendono per lo meno ostico rispondere alla domanda sull’essenza, di per s´e legittima, siano esclusivamente legati alla strumentazione scientifica irrimediabilmente limitata, e che di necessit` a esiste una ed una sola legalit`a della natura, matematica o di altro genere. Quest’ultima pretesa, per`o, a sua volta, non pu` o nemmeno essere confermata definitivamente restando sul versante esclusivamente scientifico della questione56 , in quanto vengono comunque tirate in ballo e/o assunte posizioni filosofiche, pi` u o meno esplicitamente. Di certo, l’evoluzione scientifica pu`o chiarire sempre meglio e distinguere i suoi concetti, come si `e visto per quanto riguarda “determinismo” e “prevedibilit`a”, ma di qui non pu` o procedere molto oltre; essa, da sola, non pu`o dire che senso e che cosa implica concettualmente una tale distinzione, per restare al singolo ma significativo esempio proposto in queste righe. Andando oltre, l’esposizione degli “ordini strani” pone numerosi interrogativi filosofici sugli spazi di pensabilit`a e sui concetti chiusi57 . ` necessario, pertanto, conquistare una nuova prospettiva filosofica, poich´e E non si tratta tanto d’individuare nuovi oggetti d’indagine, quanto pi` u di riflettere sul metodo d’indagine. In questo modo `e possibile accedere ad una pluralit`a di prospettive in grado, innanzitutto, di rendere possibile l’individuazione e l’emersione di nuovi oggetti e nuovi aspetti degli stessi e di svincolare la ricerca dai confini dell’essenza, sia essa espressa da un determinismo forte o da altro. Essendo il mio discorso filosoficamente impostato, esso non si rivolge solo al campo dell’essenza, ma, come accennato, a tutto ci`o per cui pensare significa imporre una razionalit` a. In un altro contesto, ma con simili finalit`a, Nietzsche affermava: Il nichilismo appare ora non perch´e il dolore dell’esistenza sia maggiore di prima, ma perch´e si trova diffidenza a vedere un senso nel male e nella stessa esistenza. Un’interpretazione `e tramontata; ma poich´e vigeva come l ’interpretazione, sembra che l’esistenza non abbia pi` u nessun senso, che tutto sia invano 58 . Ora, il punto `e contribuire a formare una concettualit`a che non si presenti come la razionalit` a del mondo, anche se con contenuti innovativi. 56 Come

si vedr` a, dalla mia prospettiva, il punto non ` e risolvere questo dilemma, ma, per usare un termine di Wittgenstein, “dissolverlo”. 57 Naturalmente, esistono almeno altrettante problematiche fisiche e matematiche, che per` o non posso discutere in questa sede. 58 Cfr. Friedrich Nietzsche. “Frammenti postumi 1885-1887”. In: Opere di Friedrich Nietzsche. Vol. VIII. Tomo 1. Milano: Adelphi, 1990, p. 201.

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Buona parte del dibattito filosofico sulle propriet`a della non-linearit`a, tra le quali l’emergenza, presenta proprio l’approccio “complesso” alla conoscenza in generale come un paradigma totalizzante, dimenticando, a mio giudizio, proprio ci` o che il percorso storico-scientifico svolto sin qui afferma. In molti casi, in breve, a dispetto delle intenzioni, non si fa altro che riproporre una razionalit`a contenutisticamente diversa, ma strutturalmente assoluta, proprio come quella che cerca di superare. Per questo motivo, lo scopo principale del prossimo capitolo consister`a nel trovare il modo di concentrare l’attenzione sulla forma in cui si presenta uno spazio di pensabilit`a59 . Proprio per questo motivo mi `e sembrato necessario far emergere le questioni trattate dalla storia della scienza e della fisica.

59 E ` per questi motivi che in questo e nel capitolo precedente ho preferito rivolgere la mia attenzione direttamente a questioni di fisica e di storia della fisica.

Capitolo 4

Chiarimenti filosofici

In questo breve capitolo cercher`o di individuare alcuni dei principali nodi filosofici che sono emersi sin qui, pi` u o meno esplicitamente, e che comunque sono stati volutamente lasciati sullo sfondo per far posto alla necessaria problematizzazione di ` arrivato, dunque, il momento di precisare nozioni questioni fisiche e matematiche. E come quella di concetto chiuso, spazio di pensabilit` a ecc. . . Tali chiarimenti sono necessari al fine di individuare una via possibile per realizzare quanto affermato alla fine del capitolo precedente. I concetti qui esposti saranno ripresi nel capitolo intitolato Concetto e possibilit` a, al quale ne ho preposto un altro, Linguaggi, possibilit` a e concetti, nel quale, attraverso una lettura di alcuni elementi del cosiddetto secondo Wittgenstein, sar`a possibile acquisire importanti e necessari strumenti filosofici.

4.1

Il concetto di rapporto

Uno degli elementi su cui `e fondamentale concentrare l’attenzione, in modo da poter procedere oltre l’approccio metodologico-filosofico emerso nel capitolo precedente, `e il riduzionismo analitico. In questo senso `e necessario distinguere bene “riduzionismo” da “riduzione”. Quest’ultima `e una pratica scientifica fondamentale che ha permesso di raggiungere numerosi risultati, come testimonia, per esempio, la scienza settecentesca. Essa consiste nello scomporre un problema, in modo da poter cercare degli elementi semplici attraverso i quali poterlo descrivere. La riduzione ha, pertanto, un valore euristico ineliminabile. Il riduzionismo, al contrario, non `e un’attivit`a, ma `e un concetto filosofico che consiste nel pensare che risolvere un problema in generale voglia dire scomporlo1 per giungere ai suoi elementi costitutivi, i quali, una volta isolati, sono in grado di offrire un quadro completo di ci` o che s’intende conoscere2 . 1 Per 2 Cfr.

questo motivo si parla di riduzionismo analitico. Giulio Peruzzi, cur. Scienza e realt` a. Bruno Mondadori, 2000.

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Chiarimenti filosofici

A differenza della riduzione, il riduzionismo ha un valore epistemologico, cui si pu`o associare, com’`e stato fatto, un significato ontologico, tale per cui attraverso il riduzionismo diventerebbe possibile svelare i segreti della natura. Ora, la pratica scientifica di ridurre un fenomeno ai suoi elementi costitutivi non implica immediatamente asserzioni filosofiche sulla conoscenza in generale: selezionare degli elementi non vuol dire, infatti, necessariamente individuare l’essenza di qualcosa, ma pu`o voler dire scegliere elementi rilevanti per una descrizione di un fenomeno3 . Nonostante ci`o, all’interno dello specifico e delineato intreccio settecentesco tra matematica, fisica e filosofia, riduzione e riduzionismo risultano avere un campo semantico non molto distante. La pratica scientifica era pensata all’interno di un sostanziale riduzionismo, impostosi grazie ai successi della fisica e strutturatosi attorno ad assunti ontologici ed epistemologici per cui conoscere era sinonimo di cogliere l’essenza. All’interno di una metodologia riduzionista, conoscere vuol dire isolare e definire degli elementi costitutivi di un sistema o, pi` u semplicemente, di un problema, ai quali sar`a possibile ridurre tutte le propriet`a e, pi` u in generale, tutto ci`o che riguarda l’interazione degli stessi elementi primi. In questo modo non si fa altro che delimitare uno spazio di pensabilit` a all’interno del quale si conosce preliminarmente la sfera del possibile. Stando cos`ı le cose il fine e la fine della soluzione di un problema coincide con la delimitazione dello spazio di possibilit`a, i cui elementi sono in grado di risolvere completamente il problema stesso. In questa direzione, di volta in volta, nella realt`a si presenter` a una configurazione di un fenomeno, che non `e altro se non una concretizzazione di una delle possibilit` a determinabili a priori. In questa prospettiva, in generale per concetto chiuso s’intende la delimitazione dell’insieme delle note comuni che definiscono qualcosa. Sintetizzando, chiamo “rapporto”4 l’idea filosofica per cui conoscere qualcosa vuol dire isolarne e definirne gli elementi semplici, tali da delimitare uno spazio chiuso in cui la possibilit` a sia completamente predeterminata. Nel rapporto, L’interazione tra elementi di un sistema ed il sistema stesso `e, pertanto, pensata solo e soltanto a partire dai suoi elementi costitutivi5 . Introduco il concetto di rapporto al fine di svincolarlo da impliciti significati ontologici ed essenzialisti che il concetto di riduzione, inevitabilmente, si porta dietro. 4.1.1

Rapporto ed essenza

Se si carica il rapporto di valori epistemologici ed ontologici forti, si passa, al limite, da un metodo all’imposizione di una razionalit` a. In altri termini, uno strumento 3 Faccio

qui riferimento a quanto detto a proposito dei parametri di controllo. qui in poi tutte le volte che user` o i termini “relazione” e “rapporto” nei sensi che sto per definire, saranno in corsivo, in caso contrario saranno usati nel senso usuale. 5 In opposizione, ma non in contraddizione, a quest’idea nell’ultimo paragrafo di questo capitolo introdurr` o il concetto di relazione. 4 Da

Chiarimenti filosofici

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conoscitivo diventa il modo per individuare la sostanza ultima dell’oggetto conosciuto6 . In questo senso, delimitare uno spazio chiuso non vuol dire solo cercare di risolvere un problema, ma avere un metro per riconoscere l’oggetto che si ha di fronte come passibile di una trattazione scientifica. Le perturbazioni, laddove non erano un mero disturbo, potevano essere trattate scientificamente solo se se ne scrivevano le equazioni differenziali, in un contesto, `e bene ricordare, in cui l’analisi algebrica risultava essere la concettualit` a dominante. Soffermarsi su un tale valore ontologico ed epistemologico vuol dire coglierne vincoli filosofici, tanto profondi quanto spesso inapparenti. Se si presuppone che la natura, o pi` u in generale un oggetto di conoscenza, abbia un determinato tipo di razionalit` a, lo si vincola ad una sola conoscenza fondamentale in grado d’individuarne l’essenza. In questo modo non `e pi` u possibile pensare la possibilit` a di altri metodi7 , poich´e, anche quest’ultima si trova vincolata all’interno di una razionalit`a meccanica e procedurale, per cui conoscere significa seguire rigorosamente dei passi ben determinati in modo da giungere alla meta prefissata, vale a dire l’individuazione di elementi in grado di permettere una determinazione completa, oggettiva ed atemporale dell’oggetto. Nel caso pi` u generale ed ipotetico che sto discutendo, vuol dire dover cercare di definire degli elementi primi in modo da poter riconoscere l’oggetto di conoscenza in quanto tale, prima ancora di conoscerlo effettivamente. La presenza di forti assunti epistemologici e, soprattutto, ontologici sulla fattura della natura e della conoscenza impone, dunque, essenzialmente due vincoli, uno formale ed uno contenutistico. Il primo si riferisce alla riconoscibilit` a e alla costituzione dell’oggetto d’indagine, il secondo riguarda il fatto che una volta che si individuano e delimitano gli elementi essenziali di qualcosa, questi non mutano, proprio perch´e assumono un valore universale e necessario. Di qui, conoscere qualcosa vuol dire delimitarne lo spazio dell’essenza, in base al quale vengono distinti elementi essenziali ed accidentali di un fenomeno. Esempi si trovano soprattutto nel capitolo sulla scienza moderna; mi limito a richiamare il fatto che il compito dello scienziato era quello di scrivere le equazioni differenziali del fenomeno che stava studiando, e a rimandare al problema dei tre corpi. Di conseguenza, solo ci`o di cui si pu`o delimitare uno spazio dell’essenza pu`o essere oggetto di una conoscenza vera, in quanto il concetto chiuso, all’interno di una logica fondazionalista, diventa il fine e la fine della ricerca filosofico-scientifica. In uno spazio di pensabilit`a strutturato sul concetto chiuso, inteso come ci`o che bisogna raggiungere per conoscere veramente, tutto ci`o che esula da una tale griglia epistemologica rientra nell’errore 8 , in quanto ci` o che `e errato lo `e in quanto 6 Si

riconsideri, a questo proposito, il rapporto tra matematica e natura tra Settecento e Ottocento. 7 In questo contesto, la possibilit` a di altri metodi non pu` o che essere qualcosa di qualitativamente inferiore rispetto al metodo che ne coglie l’essenza. Per fare un esempio, una descrizione estetica del cosmo avr` a senz’altro minor valore rispetto ad una matematica e/o fisica. 8 Cfr. Gilles Deleuze. Differenza e ripetizione. Milano: Cortina, 2001, pp. 193-196.

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in esso non `e ravvisabile la struttura chiusa del concetto, n´e l’essenzialit` a dei suoi elementi. I suddetti vincoli, pensati al limite, impongono che tutto ci`o che pu` o essere conosciuto, debba essere delimitabile nel modo suddetto. Tutto ci`o cui non `e applicabile una simile razionalit`a o `e qualcosa di accidentale o `e qualcosa di cui non `e stato ancora possibile delimitare lo spazio dell’essenza. Si tocca, a questo punto, con mano l’esclusivit`a di una razionalit`a assoluta, ed i conseguenti limiti in cui `e costretta la possibilit` a. Come detto, laddove si delimita uno spazio di pensabilit`a, esso risulta essere saturo, essendo uno spazio dell’essenza. Esso, allora, non potr` a contenere altro se non gli elementi essenziali in grado di rendere conto completamente, atemporalmente ed oggettivamente del fenomeno che si vuole conoscere. In tal modo, tutte le possibilit`a di un oggetto cos`ı definito si trovano negli elementi essenziali che lo compongono. Riassumendo, se attraverso il rapporto `e possibile pensare un oggetto riducendolo ai suoi elementi pi` u semplici, allora `e possibile conoscere completamente a priori tutte le possibilit` a di un tale oggetto, nei limiti degli elementi individuati 9 . In tal modo, per chiarire meglio, si pu` o dire che “oggetto di conoscenza” ed “oggetto reale” non coincidono, o che l’“oggetto di conoscenza” coglie un particolare aspetto dell’“oggetto reale”. Come si `e visto nei due capitoli precedenti, riguardo uno stesso problema, quello dei tre corpi, diversi modi di affrontarlo producono conoscenze ed oggetti diversi, almeno in un senso matematico. Se al concetto dell’oggetto cos`ı definito si associa anche un valore ontologico, per cui gli elementi individuati ne costituiscono l’essenza, allora un tale concetto diventa il punto nel quale termina la ricerca su un tale oggetto. Se, invece, al rapporto si associa un valore epistemologico per cui esso diventa la razionalit` a della natura, allora, come detto, conoscere vuol dire applicare il metodo suddetto in maniera da costituire l’oggetto stesso. In questo modo, le propriet`a fondamentali dell’oggetto saranno quelle riconducibili agli elementi essenziali. Di conseguenza, la possibilit` a risulta completamente predeterminata ed immutabile. A questo proposito, nei capitoli precedenti `e emersa la nozione di “dinamicit` a chiusa del concetto”, che proprio una “possibilit`a” cos`ı configurata sintetizza. Essa fa riferimento, in particolar modo, al fatto che la possibilit`a sia sempre qualcosa di predeterminato sia all’interno dello spazio di pensabilit`a del rapporto sia all’interno dello spazio di pensabilit`a dell’essenza10 . Quest’ultimo, rispetto al rapporto, mantiene un ulteriore vincolo, per cui nient’altro, al di fuori degli elementi essenziali, pu` o render conto di un oggetto, e quindi modificarne le possibilit` a. In questo senso, la “dinamicit` a chiusa del concetto” fa riferimento al fatto che viene 9 Questa precisazione in corsivo ` e la cifra che permette di chiarire meglio la distinzione tra “rapporto” e “riduzionismo”. Essa permette di pensare la delimitazione di uno spazio chiuso non necessariamente come uno spazio dell’essenza. 10 La dinamicit` a chiusa, in questo senso, pu` o delimitare uno spazio dell’essenza ed uno spazio del rapporto, vale a dire chiuso e desostanzializzato.

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costituito lo stesso campo dell’oggettualit`a, vale a dire quello spazio per cui `e possibile trovare l’essenza dell’oggetto. ` bene ribadire che, all’interno di un contesto essenzialista, sono ben predefinite E le possibili caratterizzazioni che un elemento essenziale deve possedere per poter essere tale. Tutto ci`o, naturalmente, prima che si proceda alla conoscenza effettiva di qualcosa11 . Per quanto riguarda quest’ultima, si pu`o dire che se l’oggetto da conoscere si presenta in un groviglio di elementi essenziali ed accidentali, giungere a delimitare lo spazio dell’essenza vuol dire separare quest’ultimo attraverso dei confini netti dallo spazio di ci`o che `e accidentale. In questo modo lo spazio dell’essenza si presenta come qualcosa in cui vige una sola giurisdizione, in cui tutti gli aspetti dell’oggetto possono essere sciolti dal groviglio iniziale ed essere completamente determinabili a priori. In questo senso, recuperando quanto detto nel primo capitolo, il campo dell’oggettualit`a sar`a tale da ammettere solo concetti chiusi, tali da ammettere al loro interno solo e soltanto elementi tali da permettere una conoscenza completa, oggettiva, atemporale e universale. In questo contesto metodologico, ogni singolo concetto non potr`a non essere identico a se stesso, in quanto esso rappresenta una dinamicit` a chiusa dell’essenza, in quanto esso esaurisce a priori le possibilit`a dell’oggetto compreso. Inoltre, tutti i concetti, pur possedendo contenuti diversi, risulteranno pensabili all’interno di un’identit` a, per cos`ı dire, “formale”, in quanto si costituiscono allo stesso modo, poich´e appartengono allo stesso spazio di pensabilit`a dell’essenza. In altri termini, riprendendo la distinzione funzionale tra “oggetto di conoscenza” ed “oggetto reale”, si pu`o dire che i caratteri di completezza, oggettivit` a, atemporalit` a ed universalit` a, che costituiscono il concetto dell’oggetto di conoscenza (scientifica), determinano se si pu` o avere o meno conoscenza scientifica di un oggetto reale. 4.1.2

Rapporto e storia

In contrapposizione a quanto emerso sin qui, la storia della filosofia, la storia della scienza, cos`ı come la storia di qualsiasi altra disciplina o arte, insegnano che al mutare delle conoscenze, delle esigenze sociali e degli strumenti conoscitivi possono rafforzarsi o sgretolarsi certezze ritenute assolute. Se, ad esempio, si pensa alle parole con cui Euler accoglie i risultati di Clairaut che confermano la relazione gravitazionale newtoniana e poi si pensa alla novit`a della gravit`a einsteiniana, si comprende che i principi e le leggi, cos`ı come il concetto chiuso in generale, non hanno necessariamente un valore epistemologico 11 In questo senso, Stengers pone la questione della “pertinenza” dell’applicazione di un metodo ad un oggetto (cfr. Isabelle Stengers. “Perch´ e non pu` o esserci un paradigma della complessit` a”. In: La sfida della complessit` a. A cura di Bocchi Gianluca e Mauro Ceruti. Milano: Bruno Mondadori, 2007). Nei termini del mio discorso si pu` o dire che una dinamicit` a chiusa non ` e necessariamente uno spazio dell’essenza.

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Chiarimenti filosofici

ed ontologico assoluto, anzi proprio una tale pretesa assolutezza dovrebbe essere ridimensionata. Si vede bene come, dal punto di vista del contenuto, se si vuol tener conto di quanto appena esemplificato, bisogna almeno depotenziarne la portata conoscitiva del concetto chiuso, e cio`e considerarlo come uno spazio chiuso, ma non come uno spazio dell’essenza. Questo vuol dire, in altri termini, non considerare il vincolo contenutistico. Bisogna, in tal modo, introdurre il tempo nella conoscenza, in modo da mettere in discussione l’esclusivit`a e la staticit`a che offre la descrizione della natura delle leggi scientifiche moderne. Pi` u in generale, si tratta di mettere in discussione il fatto, per nulla ovvio, che conoscere voglia dire conoscere l’essenza. In tal senso ed in questo rispetto specifico, si fa spazio la storia in un senso ben determinato: fare la storia della conoscenza di qualcosa vuol dire individuare i modi in cui, di volta in volta, sono cambiati i confini e gli elementi che ne hanno costituito il significato, temporalmente determinato. Poich´e in questa prima via ipotetica 12 , attraverso l’inserimento del tempo si mettono in discussione solo lo statuto epistemologico e ontologico del contenuto del concetto chiuso, ma non la sua forma, la storia appare e pu`o apparire solo e soltanto come una successione di concetti chiusi, proprio dello stesso tipo di quello che s’intende mettere in discussione. Ammettere, dunque, che la conoscenza si differenzi all’interno di momenti o contesti diversi, non vuol dire necessariamente pensare diversamente. Si comprende che, se s’intende una tale “successione” come un progresso verso qualcosa come la verit`a, anche solo teleologicamente raggiungibile, si vede bene che si ripresenta perfettamente proprio quanto s’intendeva superare. Ci si muove, in altri termini, all’interno di una dinamicit`a chiusa la quale, vincolando la possibilit`a, si muove in uno spazio dell’essenza che ha un valore metodologico, poich´e ammette pi` u contenuti. Nei capitoli precedenti, si `e visto come la scienza offra contenuti diversi che, per`o, possono essere pensati in maniera diversa laddove intervenga una riflessione filosofica. Se, al contrario, una tale successione non assume particolari connotazioni, si comprende la necessit`a di una messa in discussione della stessa costituzione o forma di un tale tipo di concetto. Proprio questa `e l’indagine che, a mio modo di vedere, bisogna premettere ad un tipo di discorso che si muova sulla linea di quello appena svolto. Da questa prospettiva, gi`a il concetto di rapporto, inteso come un possibile metodo, e gli argomenti del capitolo precedente offrono un terreno concreto per proporre e discutere qualcosa di ulteriore. 12 L’aggettivo

si riferisce al fatto che in questi brevi capoversi assumo, appunto ipoteticamente, ` senz’altro che il tempo sia quello cronologico, senza considerarne altre possibili interpretazioni. E un argomento che meriterebbe un adeguato approfondimento, ma in questa sede ho deciso di soffermarmi su un’altra problematica, pi` u legata alla “forma” del concetto e ad alcuni modi in cui pu` o esser pensato. Alcune considerazioni sul tempo, laddove emergeranno saranno strettamente dipendenti proprio dalla prospettiva assunta nel presente lavoro.

Chiarimenti filosofici

4.2

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Il concetto di relazione

Rifiutare che il concetto chiuso, la delimitazione di uno spazio chiuso, voglia dire individuare l’essenza di qualcosa vuol dire rinunciare a poter conoscere solo e soltanto se ci si muove all’interno del paradigma fondazionalista, per il quale, come detto, esiste un solo tipo di conoscenza vera ed un solo modo per giungervi. Si `e visto che, all’interno della visione lagrangeano-laplaceana, ad un determinismo stretto di fondo si oppone il caos, inteso come “mole informe e confusa, non pi` u che materia inerte, una congerie di germi differenti di cose mal combinate tra loro13 ”. Ora, esponendo alcuni aspetti della non-linearit`a, ho posto il problema di conquistare uno spazio di pensabilit` a per qualcosa come il caos deterministico. Filosoficamente, questo vuol dire uscire da una concettualit`a nella quale l’unico caos pensabile `e quello appena descritto con le parole di Ovidio. In questa prospettiva, ho affermato che pensare il concetto chiuso, la dinamicit`a chiusa ed il rapporto non implicano n´e presuppongono necessariamente una concettualit` a fondazionalista o che si ricerchi un’essenza necessaria, universale ed atemporale. Naturalmente, non ho la presunzione di risolvere quello che `e uno problemi maggiori del secolo scorso e non solo, tuttavia, i temi approfonditi nei capitoli precedenti hanno permesso di chiarire una serie di questioni e, con ci`o, d’individuare alcuni nodi filosofici specifici su cui si pu` o far leva in questa direzione. In aggiunta ai chiarimenti gi`a forniti all’inizio di questo capitolo, `e necessario introdurre ulteriori delucidazioni filosofiche che permettano di uscire dagli schemi appena esposti, in modo da preparare il terreno per le argomentazioni del capitolo seguente. Non `e sufficiente, infatti, mostrare che un concetto chiuso o un metodo possono non essere pensati all’interno dell’essenza, bisogna almeno cercare una via possibile. Per questo motivo, in opposizione, ma non in contraddizione col concetto di rapporto, introduco una caratterizzazione del concetto di relazione o complesso 14 . Se nel rapporto la conoscenza di un insieme di elementi o di un tutto viene ridotta alla conoscenza delle singole parti, senza capire che il tutto possiede qualit`a che non si trovano nelle singole parti. Al contrario, il principio di complessit` a consiste nel mantenere intatto l’intreccio degli oggetti: distinguendoli ma tenendoli insieme15 . Morin, in questi termini, sintetizza, proprio quanto mostrato nel capitolo precedente: l’interazione tra gli elementi di un sistema produce delle propriet`a che non sono riducibili agli elementi stessi. Per quel che riguarda fenomeni diversi, cos`ı come un singolo fenomeno, sono possibili pi` u modi d’interrogarlo e, come visto, nei diversi casi possono valere diversi criteri. Di qui, ogni volta, a seconda delle 13 Cfr.

Ovidio. Metamorfosi. Milano: Garzanti, 2005, pp. I, vv. 7-9. seguito del lavoro user` o sempre il termine “relazione” perch´ e, pur facendo riferimento a questioni trattate da alcuni “filosofi della complessit` a”, non intendo seguire la loro via nelle mie argomentazioni filosofiche, forte del riferimento diretto soprattutto alla fisica e alla sua storia dei due capitoli precedenti. 15 Cfr. Edgar Morin. “Il complesso, ci` o che ` e tessuto insieme”. In: La teoria della complessit` a. A cura di R´ eda Benkirane. Torino: Bollati Boringhieri, 2007, p. 23. 14 Nel

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Chiarimenti filosofici

domande che si pongono, si tratter` a di individuare ci`o che pi` u `e “pertinente16 ” alla risoluzione del problema. Non si tratta pi` u d’imporre meccanicamente una razionalit` a, n´e si tratta di “sostituire un’evidenza oggettiva con un’altra”, ma di pensare uno spazio in cui si mantenga, in qualche modo, costante un riferimento ad una molteplicit`a di prospettive. Di conseguenza, nella relazione non `e possibile delimitare uno spazio chiuso di pensabilit`a nel quale la stessa possibilit`a e la riconoscibilit`a del concetto siano date (e vincolate) a priori. In questo caso, sono gli stessi elementi che assumono una configurazione ed un significato specifici emergenti, tali per cui ogni volta si pu`o costruire un concetto chiuso, si pu` o avere una conoscenza sempre locale, in quanto si riferisce a posteriori ad una possibile interazione. In questo senso, si tratta di adottare una strategia adatta al singolo caso, non un metodo universale17 . Il punto `e che il concetto di qualcosa implica una qualche unit`a e totalit` a. Queste possono essere prodotte contestualmente alla costruzione di un concetto, o possono preesistergli. In quest’ultimo caso si ripropone un discorso essenzialistico, nell’altro l’unit`a e la coerenza del concetto si possono ricostruire a posteriori, cos`ı come `e emerso riguardo la difficolt` a di posizionare il confine tra caos e ordine. In una prospettiva antifondazionalista, recuperando il concetto di rapporto ed affiancandolo a quello di relazione, si comprende che, dato un fenomeno, se ne possono dare almeno due descrizioni qualitative. Nella prima lo si riduce ad elementi pi` u semplici, nella seconda lo si descrive come complesso. Gi` a a questo punto, il problema filosofico posto concerne come pensare una molteplicit`a di prospettive, evitando da un lato, un relativismo rapsodico e, dall’altro di ricadere nell’essenzialismo, in quanto la relazione ed il rapporto fanno riferimento ad una pluralit` a di possibilit` a. In altri termini, bisogna, pertanto, fare molta attenzione a non considerare una tale pluralit`a come un tutto costituito di parti reciprocamente chiuse, esclusive ed incomunicabili. Oppure, all’opposto, sarebbe possibile pensare una tale molteplicit` a come un’unit`a nella quale si compongono organicamente le sue parti. In questo modo, per`o, non si farebbe altro che riproporre quanto s’intende mettere in discussione, vale a dire la dinamicit`a chiusa dell’essenza. Il punto `e porre la questione di differenti spazi di pensabilit`a senza presupporre un’identit`a di fondo, n´e un’unit` a che li comprenda. Agire in senso contrario vorrebbe dire vincolare la possibilit`a all’interno di una dinamicit`a chiusa ed autoreferente. Del resto, una trattazione positiva di tutto ci`o `e possibile in quanto una molteplicit`a senza un’unit`a di fondo non `e necessariamente una rapsodia incomprensibile, a patto di rivedere le pretese ontologiche ed epistemologiche della conoscenza. Rifiutare un punto di vista essenzialista, a sua volta, non vuol dire poter scegliere indistintamente tra una serie di possibilit` a ugualmente rilevanti o, se si preferisce, indifferenti. Questa posizione, pensata radicalmente, cela un assunto di fondo che si 16 Cfr. 17 Cfr.

Stengers, op. cit., p. 48. Morin, op. cit., p. 25.

Chiarimenti filosofici

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rivela essere un’ingenuit` a filosofica. Essa, infatti, presuppone che il soggetto possa astrarsi dal suo contesto ed avere davanti a s´e tutto lo spettro delle possibilit`a tra cui scegliere. Nella mia prospettiva, in cui la possibilit` a si riferisce ad uno spazio di pensabilit`a, ci si muove in una direzione diversa che discuter`o nel prossimo capitolo. Al fine di districare quest’ingarbugliata matassa, penso che proprio nell’approfondimento delle conseguenze filosofiche della relazione (e del rapporto) si possano individuare elementi interessanti. Nel seguente contributo, Morin si esprime proprio in questa direzione: “Ecco la settima via verso la complessit` a, la via della crisi dei concetti chiusi e chiari (dove chiusura e chiarezza sono complementari), cio` e della crisi della chiarezza e della separazione nella spiegazione. Qui abbiamo davvero una rottura con la grande idea cartesiana per cui la chiarezza e la distinzione delle idee sono indice della loro verit` a, e non possiamo quindi avere una verit` a che non si possa esprimere in maniera chiara e distinta18 ”.

Deleuze, filosofo sensibile a queste tematiche, afferma la stessa esigenza di Morin, indirizzando il suo discorso in una diversa direzione. “L’errore di Cartesio, riscontrabile in diversi testi, ` e quello di aver creduto che la distinzione reale tra le parti implicasse la loro separabilit` a. [. . . ]. Secondo Leibniz, invece, due parti di materia realmente distinte possono risultare inseparabili. [. . . ]. Un corpo flessibile o elastico possiede ancora parti coerenti che formano una piega, parti che non si separano in parti di parti, ma si dividono all’infinito in pieghe sempre pi` u piccole, che mantengono sempre un certo grado di coesione19 ”.

Nella relazione, gli elementi da cui emerge una struttura possono essere pensati come distinti ed inseparabili, proprio in opposizione a quanto avviene nel rapporto. Rispetto a Morin, Deleuze pone maggiormente l’accento sullo spazio di pensabilit` a all’interno del quale si concretizzano le interazioni tra elementi “distinti ed inseparabili”20 , proprio per evitare di cadere in quanto ho appena detto. Questo aspetto `e molto importante perch´e le possibilit` a proprie di una struttura, non predeterminabile a priori, assumono anch’esse un determinato spazio, a seconda del modo in cui si configura effettivamente la relazione. Le pieghe che in tal modo si formano, si riferiscono certamente all’aspetto, alla differenza che in una relazione emerge riguardo una determinazione dell’oggetto, ma anche e soprattutto allo stesso spazio di pensabilit`a all’interno del quale avviene la conoscenza. Lo spazio di pensabilit`a, seguendo la metafora di Deleuze, risulta piegato, senza che sia possibile “spiegarlo21 ”, se con questo s’intende l’assunzione surrettizia di 18 Cfr.

idem, “Le vie della complessit` a”, p. 29. Gilles Deleuze. La piega. Leibniz e il barocco. Torino: Einaudi, 2004, pp. 9-10. Sia per quanto riguarda questa citazione sia per la precedente, faccio notare che non ` e in discussione la loro correttezza storico-filosofica, ma il problema filosofico di fondo veicolato dai riferimenti specifici. 20 Cfr. ibid., passim. 21 Cfr. ibid., p. 10: “La spiegatura non ` e dunque il contrario della piega, ma segue la piega fino al formarsi di un’altra piega”. 19 Cfr.

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Chiarimenti filosofici

un’unit`a di fondo precostituita in grado di inglobare ogni differenziazione, ogni emergenza. L’impossibilit`a di accedere a qualcosa di ulteriore o di pi` u semplice rispetto ad uno spazio di pensabilit`a, per cos`ı dire, “piegato” `e ribadita da Deleuze quando afferma che “dato che piegare non si contrappone a spiegare, piegare significa piuttosto tendere-distendere, contrarre-dilatare, comprimere-esplodere (ma non condensare-rarificare, dicotomia che implicherebbe il vuoto)22 ”. In altri termini, non si tratta solo di affiancare pi` u metodi, presupponendo uno spazio di pensabilit`a omogeneo, unico, aperto ed indifferenziato tra i quali scegliere, ma di riflettere sul fatto che `e questo stesso spazio di pensabilit` a che `e oggetto di costruzione e che `e sempre passibile di modifiche, nel momento in cui si costruisce un concetto chiuso di qualcosa. Tutto ci`o, naturalmente, se si intende evitare di porre un orizzonte unitario di senso ulteriore ed assoluto rispetto a ci`o che `e oggetto di conoscenza23 . Il fine `e proprio quello di mantenere una pluralit`a di prospettive compresenti e di evitare di vincolare surrettiziamente la possibilit`a ad una qualsiasi razionalit` a chiusa ed autoreferente. Di qui, si tratta ora d’individuare una via possibile per pensare uno spazio di pensabilit`a che si configuri diversamente da una dinamicit`a chiusa ed autoreferente, nella quale la possibilit` a sia completamente predeterminata. In breve, il punto che cercher`o di sviluppare nel prossimo capitolo `e sintetizzato nel seguente passo di Wittgenstein. Questa molteplicit` a non `e qualcosa di fisso, di dato una volta per tutte; ma nuovi tipi di linguaggio, nuovi giochi linguistici, come potremmo dire, sorgono e altri invecchiano e vengono dimenticati24 . Di qui, non ci si pu` o esimere dal compito di pensare filosoficamente le prospettive emerse sin qui perch´e altrimenti si finirebbe per produrre un elenco, pi` u o meno dettagliato, di propriet`a emergenti e/o di discipline nelle quali si possono riscontrare. Proprio questo `e ci`o che intendo evitare; proprio per questo, dopo aver delineato in generale il problema, intendo soffermarmi ancora sul concetto chiuso e sugli spazi di pensabilit` a.

22 Cfr.

ibid., p. 12. discorso vale anche nel caso in cui si ponga una mancanza, altrettanto assoluta, di senso. In questo caso, verrebbe meno un qualsiasi riferimento concreto da cui un pensiero non pi` u assoluto rimane legato. In questa prospettiva, approfondire il determinismo laplaceano in una determinata prospettiva, come ho fatto, vuol dire individuare dei concetti filosofici e scientifici nel loro chiarirsi progressivo e nel loro mutare, senza per questo abbandonarsi ad un astratto, indeterminato ed assoluto nulla. Non penso, infatti, che un pensiero in generale che cerchi di andare oltre l’essenzialismo possa pensare paradossalmente il nulla come un principio costitutivo e/o regolativo della conoscenza. 24 Cfr. Wittgenstein, op. cit., § 23. 23 Questo

Capitolo 5

Linguaggi, possibilit` a e concetti

Come si pu`o ben capire, uscire dallo schema metodologico emerso sin qui vuol dire mettere in discussione tutti quegli elementi filosofici che lo rendono possibile. Questo compito pu`o essere svolto da molti punti di vista e non `e per nulla semplice delineare un quadro generale. Per quanto riguarda il presente lavoro, com’`e ovvio, seguir`o la linea che ho scelto puntando su quegli elementi e su quei concetti pi` u decisivi per gli scopi che mi sono posto. Naturalmente, al di l`a di ci`o che intendo sostenere sono possibili molti altri approfondimenti e molte altre direzioni d’indagine, cos`ı come `e possibile ricostruire la storia della scienza, della filosofia, o di qualche momento particolare, come ho fatto nel capitolo precedente, in molti modi per renderle fruibili o per sottolineare determinare aspetti, tuttavia, come emerger`a, `e importante avere coscienza di tutto ci`o, in modo da non riaffermare nascostamente proprio ci`o da cui s’intende prendere le distanze. Nello specifico, sarebbe inutile mettere in discussione l’assolutezza della concettualit`a chiusa emersa per poi sostituirla con un’altra, altrettanto assoluta, ma di diverso contenuto. Non resta ora che individuare e discutere una possibile diversa direzione attraverso la quale poter valutare positivamente il concetto chiuso, in quanto, come emerso nel precedente capitolo, esso si `e dimostrato essere un utilissimo strumento di ricerca, oltre che il fine e la fine della ricerca. La discussione storica e filosofica degli elementi emersi nel precedente capitolo permette proprio di avere sempre davanti agli occhi elementi concettuali specifici, in modo da non cadere, almeno cos`ı `e nei miei intenti, in sterili discorsi generali, senza delineare una risposta positiva alla questione del superamento del concetto chiuso. Proporre una risposta positiva significa indicare elementi concettuali ed un approccio filosofico alternativi che non assumano ci` o che `e emerso fin qui, in modo da evitare ogni tipo di discussione che poggi esclusivamente ed in maniera oppositiva ai presupposti del concetto chiuso. Questa precisazione mi pare fondamentale laddove si voglia realmente prendere le distanze da qualcosa. Ecco, dunque, che riguardo al concetto chiuso mi pare possibile mettere in discussione la sua assolutezza1 seguendo, in generale, due vie. La prima fa riferimento 1 Si

tenga presente che con questo termine, molto probabilmente in maniera impropria, intendo

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Linguaggi, possibilit`a e concetti

al contenuto del concetto chiuso, lasciando invariata la sua forma concettuale; la seconda fa riferimento proprio alla sua forma, vale a dire ai vincoli in base ai quali un oggetto `e costruito e reso riconoscibile. Nel primo caso, dunque, si ammette la possibilit` a che il contenuto di un concetto possa variare nel tempo, ma che ci` o che permette di riconoscerlo come tale resti inalterato. In questo modo non si farebbe altro che relativizzare, o meglio temporalizzare il suo contenuto. In mancanza di una messa in discussione del lato formale, anche lo statuto epistemologico ed ontologico di un concetto vengono relativizzati. Su questa linea, da un punto di vista filosofico, a mio giudizio non si va molto avanti, in quanto si resta vincolati proprio alla concettualit`a che s’intende mettere in discussione. Prima, per`o, di occuparmi della seconda direzione mi pare importante soffermarmi, seppur brevemente, sulla prima.

5.1

Boltzmann e Wittgenstein

Nel suo Wittgenstein. Musica, parola, gesto, Gargani ha mostrato il debito di Wittgenstein nei confronti di Boltzmann2 : proprio dal fisico Wittgenstein ha tratto spunto per alcuni dei temi pi` u importanti del suo pensiero, dei quali sto per occuparmi. In questo senso, Gargani confronta passi specifici dei due autori per sostenere la sua tesi, secondo la quale Boltzmann prefigura temi che saranno ripresi e sviluppati da Wittgenstein3 . Fare brevemente riferimento a Boltzmann `e fondamentale perch´e quest’ultimo esprimeva il suo disappunto contro alcuni punti centrali dell’epistemologia di stampo lagrangeano-laplaceana. Per questo motivo, `e necessario sottolineare come Wittgenstein sviluppi un pensiero antiessenzialista, ereditando alcuni nodi epistemologici innovativi rispetto al pensiero scientifico, ed ai suoi assunti filosofici, che si `e sviluppato tra Settecento e Ottocento. Di qui, lungi dal voler proporre un’interpretazione del pensiero di Boltzmann, mi limito ad evidenziare la vicinanza di Wittgenstein a Boltzmann4 , in parte integrando le osservazioni di Gargani. Una delle questioni che salta subito agli occhi `e quella dello statuto epistemologico della probabilit`a. Sulla probabilit` a Laplace afferma: “. . . si adopera il calcolo delle probabilit` a per determinare i risultati medi pi` u vantaggiosi, quelli cio` e che offrono meno presa all’errore. Ma questo non ` e ancora sufficiente: occorre calcolare la probabilit` a che gli errori dei risultati siano presi entro limiti stabiliti; altrimenti non si ha che una conoscenza imperfetta del grado di precisione ottenuto5 ”. riassumere tutto quanto emerso nel capitolo precedente. 2 Cfr. Aldo G. Gargani. Wittgenstein. Musica, parola, gesto. Milano: Cortina, 2008, pp. 57-76 3 Per un confronto puntuale, rimando proprio al testo di Gargani. 4 Non mi occuper` o di alcuni aspetti importanti del pensiero di Boltzmann. 5 Cfr. Laplace, op. cit., p. 299.

Linguaggi, possibilit` a e concetti

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Se a questa citazione si aggiunge che in Laplace l’utilissima probabilit`a `e pensata come distanza dal Vero, si comprende, come detto, che essa non ha alcuno statuto epistemologico proprio. Boltzmann, al contrario, inizia a porre la questione, seppure almeno all’inizio implicitamente, per cui “pi` u probabile” non vuol necessariamente dire “pi` u vero e reale”. Boltzmann fu il primo a sollevare la questione dello statuto esplicativo della probabilit`a, ribaltando completamente le idee di Laplace ed il mondo cui esse facevano riferimento, ponendo, pi` u o meno esplicitamente, la questione, e di sicuro l’esigenza, di una nuova concettualit` a. In Boltzmann la probabilit`a ha un proprio e positivo statuto esplicativo, in quanto concerne direttamente fenomeni di cui si pu`o avere una descrizione probabilistica, senza che quest’ultima rappresenti necessariamente un grado di lontananza dal vero. In base alla reversibilit`a, un uovo caduto a terra dovrebbe potersi ricomporre proprio come avviene in un film visionato al contrario, ma nessuno ha mai visto accadere una cosa simile. A partire dall’irreversibilit`a, introdotta dal secondo principio della termodinamica6 , si deduce che l’uovo non si ricompone perch´e `e altamente improbabile che ci` o accada, ma non perch´e `e impossibile 7 . “Dobbiamo fare la seguente osservazione: non si pu` o fornire una dimostrazione che, dopo un certo tempo t1 , le sfere debbono necessariamente essere mescolate in maniera uniforme, qualunque sia la distribuzione iniziale di stati. Questo risultato ` e infatti una conseguenza della teoria della probabilit` a, in quanto ogni distribuzione disuniforme di stati, per quanto improbabile, non ` e assolutamente impossibile8 ”.

Le osservazioni di Boltzmann si dirigono verso alcuni dei centri nevralgici della fisica lagrangeano-laplaceana, in quanto ne mettono in discussione alcuni assunti fondamentali. Si prospetta, pertanto, la possibilit`a di qualcosa di diverso e di ulteriore rispetto agli assunti settecenteschi che disponevano ed orientavano la ricerca verso la delimitazione di un mondo scritto essenzialmente in equazioni differenziali. Proprio contro il ruolo, ad un tempo ontologico ed epistemologico, che a quest’ultime era stato assegnato, si muovono le critiche di Boltzmann. 6 Boltzmann definisce cos` ı il secondo principio: “Se un sistema qualsiasi di corpi viene lasciato a se stesso e non viene influenzato da altri corpi, gli possiamo sempre indicare il senso in cui si svolge ogni sua variazione di stato. Di fatto, si pu` o indicare una determinata funzione di stato di tutti i corpi, l’entropia, definita in modo tale che ogni variazione di stato pu` o avere solo nel senso crescente di questa funzione, cosicch´ e questa pu` o solo aumentare col passare del tempo” (cfr. Ludwig Boltzmann. “Sulla meccanica statistica”. In: Modelli matematici. Fisica e filosofia. A cura di Carlo Cercignani. Torino: Bollati Boringhieri, 2004, p. 208). 7 Su tale questione cfr. Brian Greene. La trama del cosmo. Torino: Einaudi, 2004; Prigogine e Stengers, op. cit.; Ilya Prigogine e Gregoire Nicolis. La complessit` a. Torino: Einaudi, 1991. 8 Citato in Carlo Cercignani. Boltzmann e la meccanica statistica. Pavia: La Goliardica Pavese, 1997, p. 96. In questo stesso testo (cfr. ibid., p. 2) l’autore afferma: “Nella fisica del tempo di Boltzmann il fatto che non si osservassero certi fenomeni era ascritto alla loro impossibilit` a, sancita dal famoso Secondo Principio della termodinamica. Al giorno d’oggi, seguendo Boltzmann, riteniamo che questo principio affermi solo l’improbabilit` a estrema di questi eventi”.

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Linguaggi, possibilit`a e concetti

Nello specifico, Boltzmann, rivendicando “l’indispensabilit` a dell’atomismo nella scienza”, afferma: “Le equazioni differenziali della fenomenologia fisico-matematica non sono evidentemente nient’altro che regole per la costruzione e la connessione di numeri e concetti geometrici, ma questi, di nuovo, non sono nient’altro che immagini mentali da cui si possono predire i fenomeni. Esattamente lo stesso vale per le idee dell’atomismo, cosicch´ e io non riesco a riconoscere la minima differenza sotto questo aspetto. Del resto di un insieme di fenomeni non mi sembra mai possibile una descrizione diretta, ma sempre e soltanto un’immagine mentale. Quindi non bisogna dire con Ostwald: ‘non dovresti crearti alcuna immagine’; ma soltanto: ‘in essa dovresti includere il minor numero possibile di elementi arbitrari’9 ”.

Coerentemente con ci`o, Boltzmann pone la questione filosofica dello statuto delle ipotesi e dei modelli che, come emerge dal passo appena citato, si riferisce alla scienza in generale. In questo senso afferma: “Le nostre idee delle cose non sono mai identiche alla loro essenza. Sono solo immagini o anzi simboli, che rappresentano l’oggetto in modo necessariamente unilaterale, ma non possono fare altro che imitarne certi tipi di connessione, non intaccandone minimamente l’essenza10 ”. ` mia opinione che sia impossibile enunciare una sola proposizione che sia “E realmente solo un puro dato d’esperienza11 ”.

Eliminando di fatto l’idea della semplicit` a degli elementi costitutivi e dell’ammissibilit` a di un livello ultimo di conoscenza della natura di Laplace, Boltzmann abbandona di fatto l’idea che si possa dare una conoscenza completa e oggettiva del mondo. “La scienza perde in questo modo la sua impronta unitaria. In passato si rimaneva fedeli al fatto che potesse esistere solo una verit` a: gli errori erano molti, ma la verit` a una sola. Bisogna opporsi a questa opinione dal nostro punto di vista attuale; anche se la differenza tra la nuova opinione e la vecchia ` e di natura pi` u che altro formale. Non fu mai messo in dubbio il fatto che l’uomo non potesse mai riconoscere l’intera essenza di tutta la verit` a: questa conoscenza ` e solo un ideale12 ”. 9 Cfr. Ludwig Boltzmann. “Sull’indispensabilit` a dell’atomismo nella scienza”. In: Modelli matematici. Fisica e filosofia. A cura di Carlo Cercignani. Torino: Bollati Boringhieri, 2004, p. 61. Sulla posizione di Boltzmann nei confronti delle equazioni differenziali si veda Israel, “Il determinismo e la teoria delle equazioni differenziali ordinarie”, 137 e sgg. 10 Cfr. Ludwig Boltzmann. “Sui principi della meccanica”. In: Modelli matematici. Fisica e filosofia. A cura di Carlo Cercignani. Torino: Bollati Boringhieri, 2004, p. 175. 11 Cfr. Ludwig Boltzmann. “Sui principi e le equazioni fondamentali della meccanica”. In: Modelli matematici. Fisica e filosofia. A cura di Carlo Cercignani. Torino: Bollati Boringhieri, 2004, p. 158. 12 Cfr. ibid., pp. 134-135. Nel testo, Sullo sviluppo dei metodi della fisica teorica, si legge: “. . . non pu` o essere nostro compito trovare una teoria assolutamente corretta, mentre lo ` e quello di trovare un’immagine il pi` u possibile semplice che rappresenti i fenomeni nel modo migliore possibile” (Cfr. Ludwig Boltzmann. “Sullo sviluppo dei metodi della fisica teorica”. In: Modelli matematici. Fisica e filosofia. A cura di Carlo Cercignani. Torino: Bollati Boringhieri, 2004, p. 117).

Linguaggi, possibilit` a e concetti

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Ricercare non `e, dunque, costringere 13 la natura o il pensiero in generale in uno schema conoscitivo prefissato, come `e stato ed `e ancora per quanto riguarda la delimitazione di uno spazio chiuso dell’essenza, ma aprire nuovi spazi di pensabilit`a. Per quanto riguarda ci`o che m’interessa, `e importante comunque sottolineare come il discorso di Boltzmann sia sicuramente orientato epistemologicamente contro il dettato di Laplace, anche se `e pi` u difficile fare nette affermazioni sul lato ontologico. Nelle ultime pagine di Sulla meccanica statistica, Boltzmann ricorda come il secondo principio e i risultati della fisica in generale devono mostrare che `e possibile ordinare e vedere le cose in modo diverso, essi devono dunque essere di stimolo alla ricerca, e non essere assolutizzati o ontologizzati. Nello specifico afferma: “Non dobbiamo volere dedurre la natura dai nostri concetti, ma dobbiamo adattare i concetti alla natura. Non dobbiamo credere che si possa ordinare tutto secondo le nostre categorie e che esista un ordinamento del tutto perfetto. Questo sar` a sempre vacillante e adatto solo ai bisogni del momento. E anche la divisione della fisica in teorica e sperimentale ` e solo una conseguenza della divisione in due dei metodi che vengono usati per il momento e non durer` a in eterno. La mia attuale teoria ` e totalmente diversa da quella per cui certe questioni cadono fuori dai limiti della conoscenza umana. Infatti, secondo quest’ultima teoria, c’` e una mancanza, un’incompletezza dell’intelletto umano, mentre io considero l’esistenza di queste questioni, di questi problemi un’illusione14 ”.

Di qui, Wittgenstein cercher`a proprio di superare tali illusioni ed abitudini che portano a pensare in una sola direzione. Il significato ed il compito filosofico, oltre che scientifico, delle idee di Boltzmann e della filosofia del cosiddetto “secondo” Wittgenstein, pu`o essere riassunta con le parole del fisico: La teoria qui sviluppata va certamente al di l`a dell’esperienza in modo audace, ma ha proprio la caratteristica che dovrebbe avere ogni teoria di questo genere, dato che ci mostra i dati empirici in una luce del tutto nuova e ci stimola a riflettere e a ricercare ulteriormente15 .

5.2

Questioni spaziali

Il modo in cui `e emerso il problema del concetto chiuso all’interno del problema dell’essenza ha mostrato che esso non `e affatto qualcosa di innocente, n´e privo di presupposti indiscussi. Questi ultimi, infatti, come avviene in ogni tipo di ricerca, vincolano la riconoscibilit` a del cercato, e dunque il cercato stesso, in maniera spesso determinante. L’ideale, nel nostro pensiero, sta saldo e inamovibile. Non puoi uscirne. Devi sempre tornare indietro. Non c’`e alcun fuori; fuori manca l’aria per respirare. 13 Cfr. idem, “Sui principi della meccanica”, p. 177: “. . . la natura ci apparirebbe comprensibilissima. Ma non possiamo costringerla a ci` o. La possibilit` a che non si tratti di questo, che abbiamo bisogno ancora di altre immagini e di altre variazioni per rappresentare la natura, deve rimanere aperta, ed ` e comprensibile che la considerazione di questa possibilit` a sia stata consigliata dallo sviluppo pi` u recente della fisica”. 14 Cfr. idem, “Sulla meccanica statistica”, pp. 203-204. 15 Cfr. ibid., p. 210.

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Linguaggi, possibilit`a e concetti

Di dove proviene ci` o? L’idea `e come un paio di occhiali posati sul naso, e ci`o che vediamo lo vediamo attraverso essi. Non ci viene mai in mente di toglierli16 . Il concetto chiuso, laddove viene caricato di un forte valore epistemologico ed ontologico deve, infatti, possedere dei caratteri irrinunciabili. Proprio contro una simile idea si pone il pensiero di Wittgenstein. Egli ha il merito di proporre strumenti filosofici in grado di pensare in maniera originale. Proprio su questi aspetti `e necessario soffermarsi per poi riprendere il discorso del capitolo precedente. Uno dei modi attraverso cui Wittgenstein affronta tali questioni `e il commento alla domanda platonica “Che cos’`e qualcosa?”17 . Quando Socrate, ad esempio, chiede a Teeteto “Che cos’`e scienza?”18 , egli cerca una risposta attraverso cui l’essenza della “scienza” sia chiarita una volta per tutte, in modo che abbia cos`ı una validit`a universale e necessaria; prova ne `e il fatto che Socrate respinge la prima risposta di Teeteto, in quanto quest’ultimo, invece di dare a Socrate una definizione 19 , fornisce solo esempi 20 . Gli esempi hanno un carattere contingente, e dunque fanno riferimento ad uno spazio aperto di infinite risposte, legate ad altrettanto infiniti contesti. Una definizione, a detta di Socrate, ha il vantaggio di racchiudere dentro di s´e tutti i casi particolari, e si pone al di sopra di quest’ultimi, in quanto ne svela l’essenza nascosta21 . Nei suoi testi Wittgenstein si chiede spesso quanto e fino a che punto sia lecito un simile atteggiamento filosofico, in base al quale, ogni volta che si voglia comprendere qualcosa, si deve cercare sempre un’essenza. Nel Libro blu si legge: “La domanda di Socrate: Che cos’` e la conoscenza?. Qui le cose stanno ancora pi` u chiaramente, poich´ e la discussione comincia con l’esibizione, da parte 16 Cfr.

Wittgenstein, op. cit., § 103 subito che tutte le considerazioni che di qui in avanti saranno fatte su Platone non sono da intendere come una discussione del pensiero di quest’ultimo, ma sono funzionali al pensiero di Wittgenstein che, in questo caso, attraverso la domanda platonica, pi` u che al filosofo greco, si rivolge ad un certo atteggiamento metodologico verso la problematica della conoscenza. 18 Cfr. Platone. Teeteto. Milano: Mursia, 1994, 146c sgg. 19 Wittgenstein si oppone all’abitudine filosofica per cui per spiegare ` e sempre dare definizioni. Cfr. Wittgenstein, op. cit., § 217: “Ricorda che a volte richiediamo definizioni, non per il loro contenuto, ma per la forma della definizione. La nostra ` e una richiesta architettonica; la definizione ` e come un finto cornicione che non sorregge nulla”. 20 Cfr. Ludwig Wittgenstein. The big typescript. Torino: Einaudi, 2002, pp. 407-408: “Detto di passaggio, nella/secondo la/ vecchia concezione, per esempio quella dei grandi filosofi occidentali, esistono due generi di problemi in senso scientifico: problemi essenziali, grandi, universali, e problemi inessenziali, quasi accidentali. E, all’opposto, secondo la nostra concezione non esistono grandi problemi, essenziali, nel senso della scienza”. Cfr. Ludwig Wittgenstein. Libro blu e libro marrone. Torino: Einaudi, 1999, p. 163: “Gli esempi non erano descrizioni d’un esterno intese a farci intuire un interno che, per qualche ragione, non ci potesse essere immediatamente mostrato nella sua nudit` a. Ci viene da pensare che i nostri esempi siano mezzi indiretti per produrre una certa immagine o idea nella mente d’una persona, - che essi accennino a qualcosa che non possiamo mostrare. [. . . ]. Il nostro metodo ` e puramente descrittivo; le descrizioni che noi diamo non sono accenni di spiegazioni”. 21 L’Eutifrone di Platone, cui rimando, ` e un ottimo esempio di quanto detto (Platone. Eutifrone. Milano: Rusconi, 1998). 17 Avverto

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dell’alunno, d’un esempio di una definizione esatta, analoga alla prima, della parola conoscenza. Posto cos` ı il problema, sembra esservi qualcosa di errato nell’uso comune della parola conoscenza. Sembra che noi ignoriamo che cosa essa significhi, e che, quindi, forse non abbiamo il diritto di usarla. Noi risponderemmo: Non v’` e un unico uso esatto della parola ‘conoscenza’; ma noi possiamo istituire pi` u usi, che concorderanno pi` u o meno con i modi dei quali la parola ‘conoscenza’ ` e effettivamente usata22 ”.

Attraverso una definizione non si fa altro che delimitare uno spazio chiuso all’interno del quale sarebbe ravvisabile l’essenza di qualcosa. A quanto detto sin qui soggiace un’indiscussa immagine filosofica alla quale Wittgenstein si oppone direttamente. Tale immagine `e proprio quella che prevede il tracciamento di “confini fissi ”, allorch´e si voglia comprendere e/o spiegare qualcosa. “L’idea, che, per comprendere il significato d’un termine generale, si debba trovare l’elemento comune a tutte le sue applicazioni, ha paralizzato la ricerca filosofica: non solo non ha portato alcun risultato, ma ha anche indotto il filosofo a respingere, come irrilevanti, i casi concreti, l’unica cosa che avrebbe potuto aiutarlo a comprendere l’uso del termine generale23 ”.

Nei termini del capitolo precedente, Wittgenstein si oppone sia al vincolo contenutistico sia a quello formale. Egli `e contrario ad attribuire una razionalit`a ad un universo di discorso senza stabilirne la liceit` a e senza inserirla in una pluralit`a di prospettive. In particolare, come risulta da alcuni dei principali testi del cosiddetto secondo periodo, egli si accorge che non di tutto si pu`o chiedere “che cos’`e?”, e che questa domanda, tutt’altro che ingenua e neutrale, come del resto tutte le domande, predetermina la risposta, impone dei presupposti che dirigono l’intendere. La detta domanda, per esempio, implica che il suo ‘oggetto’ sia qualcosa di definibile precisamente, qualcosa di cui si possano stabilire perfettamente i contorni, ma non a tutto e non in tutte le circostanze, `e lecito un simile approccio. Molto spesso la discussione di tale aporia si svolge cos` ı. Prima si pone la domanda: Che cos’`e il tempo?. Questa domanda fa credere che quel che noi cerchiamo sia una definizione. Erroneamente noi pensiamo che una definizione sia ci` o che eliminer` a la difficolt` a24 . Wittgenstein muove questa stessa critica contro l’abuso della spiegazione causale; ci`o mostra bene come egli si rivolga ad ogni orientamento epistemologico che voglia presentarsi come il fondamentale, che pretenda di dire comunque l’ultima parola nella conoscenza di qualcosa, e che, in questo senso, intenda, in ultima analisi, imporre una razionalit` a in grado di esaurire e risolvere completamente in s´e ogni tipo di conoscenza, invece di presentarsi come uno strumento tra gli altri. 22 Cfr. Wittgenstein, op. cit., p. 39. Cfr. ibid., p. 5: “Le domande: Che cos’` e la lunghezza?, Che cos’` e il significato?, Che cos’` e il numero uno?etc., producono in noi un crampo mentale. Noi sentiamo che non possiamo indicare qualcosa in risposta ad esse, eppure dobbiamo indicare qualcosa. (Ci troviamo di fronte ad una delle grandi fonti di disorientamento filosofico: noi cerchiamo una sostanza [substance ] in corrispondenza ad un sostantivo [substantive ]; un sostantivo ci induce a trovare qualcosa corrispondente ad esso.)” 23 Cfr. ibid., p. 30. 24 Cfr. ibid., p. 39. 

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La seduzione che esercita la prospettiva causale sta nel fatto che essa porta a ` ovvio - cos`ı doveva succedere’. Mentre si dovrebbe pensare: pu`o essere dire: ‘E andata cos`ı, oppure in molti altri modi25 . Nelle Osservazioni sui colori, Wittgenstein, contrapponendosi ad ogni tipo di cristallizzazione delle possibilit` a del vedere, afferma a pi` u riprese che la fenomenologia non c’`e. Per` o ci sono problemi fenomenologici26 . Per sgomberare la ricerca filosofica dalla problematica dell’essenza, al fine di poter pensare una pluralit`a di prospettive, Wittgenstein sostiene che il ruolo che la filosofia deve svolgere `e terapeutico. Il punto `e che Una delle cause principali della malattia filosofica - una dieta unilaterale: nutriamo il nostro pensiero con un solo tipo di esempi27 . Wittgenstein cerca di superare l’atteggiamento filosofico proprio del concetto chiuso, o pi` u in generale l’atteggiamento filosofico per cui un metodo `e inteso come l’imposizione di una razionalit` a, assegnando, dunque, alla filosofia una funzione terapeutica. Compito della filosofia `e chiarire il linguaggio; esso, infatti, manca di perspicuit`a in quanto, appunto, “nutriamo la nostra mente con un solo tipo di esempi”. Non c’` e un metodo della filosofia, ma ci sono metodi; per cos`ı dire, differenti terapie28 . La “presentazione perspicua29 ” `e il fine cui deve tendere il lavoro del filosofo, vale a dire esso deve raggiungere una presentazione dell’uso del linguaggio tale da ripulirlo dalla mitologia in esso presente. Un esempio pu`o esser fornito dall’idea di togliere dall’interpretazione del linguaggio categorie di tipo causalistico30 , laddove siano indebitamente traslate dal campo dei processi fisici e meccanici, alla sfera del simbolismo linguistico, e pi` u in generale filosofico. ` importante sottolineare, a mio giudizio, come la polemica di Wittgenstein E non sia rivolta contro il concetto chiuso in senso stretto o contro il fatto che si possano delimitare degli spazi chiusi di pensabilit`a, ma contro la pretesa che esso sia l’unico modo di giungere alla verit`a, ammesso e non concesso che ve ne sia una. Per esprimermi nei termini usati nei paragrafi precedenti, ribadisco che Wittgenstein si rivolge contro ogni metodo pensato come l’imposizione di una razionalit` a, come una serie di passi predeterminati da seguire meccanicamente per raggiungere un obiettivo, come se fosse disponibile, o raggiungibile, un metodo o un linguaggio aproblematici. A questo proposito, Wittgenstein usa immagini davvero illuminanti: Il linguaggio ha pronte per tutti le stesse trappole: la straordinaria rete di strade sbagliate ben tenute //praticabili//. Cos`ı vediamo una persona dopo

25 Cfr.

Ludwig Wittgenstein. Pensieri diversi. Adelphi: Milano, 2001, p. 77. Ludwig Wittgenstein. Osservazioni sui colori. Torino: Einaudi, 1981, I, § 53. 27 Cfr. idem, Ricerche filosofiche, § 593. 28 Cfr. ibid., § 133. 29 Traduco in questo modo “¨ ubersichtliche Darstellung”, mentre con “Vorstellung” intendo “rappresentazione”. 30 Cfr. Wittgenstein, Libro blu e libro marrone, p. 203: tramite il processo di astrazione dalla cosa proprio del “che cosa”, “abbiamo la sensazione di poter dare ad un’esperienza un nome senza contemporaneamente impegnarci sul suo uso, e anzi senza alcuna intenzione d’usarlo”. 26 Cfr.

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l’altra percorrere le stesse strade e gi` a sappiamo dove uno girer` a, dove proseguir` a dritto senza notare la deviazione, ecc.,ecc..31 . Applicando questa citazione al tema del presente lavoro, si comprende la pericolosit`a filosofica, oltre che etica, di pensare un metodo, o intenderlo surrettiziamente, come un modo di imporre una razionalit` a, e come sia necessario rivolgersi ad una pluralit` a di prospettive. In precedenza ho mostrato, a questo proposito, il modo in cui `e stato trattato il problema non-lineare dei tre corpi fino a Poincar´e, proprio a causa di assunti metodologici ed ontologici sulla natura e sulla sua conoscibilit`a, che conducono, anch’essi, alla necessit` a di una `‘ubersichtliche Darstellung. La non-linearit` a non pu`o imporsi all’attenzione degli scienziati, neanche subito dopo Poincar´e, a causa di un determinato rapporto tra matematica e natura. Per Wittgenstein ci troveremmo di fronte ad una situazione la cui analisi farebbe emergere confusioni grammaticali. Il chiarimento di tali confusioni, per`o, non implica che la filosofia modifichi la scienza o la natura. Questo `e un punto molto controverso del pensiero di Wittgenstein, pertanto, prima di approfondire ulteriormente a cosa da luogo la filosofia come terapia e al fine di evitare fraintendimenti, `e necessario chiarire il rapporto tra filosofia e scienza. In questo senso, l’esempio proposto ed il rimando ai temi scientifici sviluppati nei capitoli precedenti, non possono far altro che agevolare il lavoro. ` utile iniziare con un paio di passi delle Ricerche filosofiche: E “La filosofia non pu` o in nessun modo intaccare l’uso effettivo del linguaggio; pu` o, in definitiva, soltanto descriverlo. Non pu` o nemmeno fondarlo. Lascia tutto com’` e. Lascia anche la matematica com’` e, e nessuna scoperta matematica pu` o farla progredire32 ”. “Non ` e affare della filosofia risolvere la contraddizione per mezzo di una scoperta matematica o logico-matematica; essa deve invece rendere perspicuo lo stato della matematica che c’inquieta, lo stato della matematica prima della soluzione della contraddizione. (E con ci` o non si esclude la difficolt` a.) Il fatto fondamentale, qui, ` e che noi fissiamo certe regole, una tecnica per un giuoco, e poi, quando seguiamo regole, le cose non vanno come avevamo supposto. Che dunque c’impigliamo, per cos`ı dire, nelle nostre stesse regole. Questo impigliarsi nelle nostre regole ` e appunto ci` o che vogliamo comprendere, cio` e, ci` o di cui vogliamo ottenere una visione chiara. [. . . ]. Lo stato civile della contraddizione, o il suo stato nel mondo civile: questo ` e il problema filosofico33 ”.

Da questi passi si evince che la filosofia non pu`o nulla sulla scienza. Essa, infatti, “lascia tutto com’`e”. Questo, per`o, non deve far pensare che il “com’`e” sia 31 Cfr.

idem, The big typescript, p. 422. idem, Ricerche filosofiche, § 124. Considerazioni di questo tipo si trovano in molte altre opere del filosofo austriaco, cfr. Ludwig Wittgenstein. Lezioni sui fondamenti della matematica. Torino: Bollati Boringhieri, 2002. 33 Cfr. idem, Ricerche filosofiche, § 125. 32 Cfr.

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qualcosa di dato in modo chiaro e distinto34 . Al contrario la perspicuit` a di ogni singolo linguaggio `e la cosa meno data di tutte. Qui s’inserisce proprio il tema della filosofia come terapia. Seguendo ed approfondendo l’esempio fisico appena proposto `e possibile dissolvere ogni dubbio. Il filosofo non `e colui che pu`o dimostrare un teorema per cui ogni tipo di equazione differenziale risulti solubile, ma, dati una serie di crampi mentali e problemi in cui `e incappata l’analisi algebrica, il filosofo pu`o giungere in generale ad una presentazione perspicua dei problemi matematici nel linguaggio in cui sorgono, in modo tale che uno scienziato possa avere chiare davanti a s´e35 delle direzioni in cui agire, proprio in base ad una chiarificazione dei limiti del linguaggio in cui egli si muove. Per quanto riguarda l’uso delle equazioni differenziali nell’analisi algebrica, un filosofo pu`o, per esempio, mettere in evidenza che, nonostante si ritenga che matematica e natura coincidano, i conti non tornano, e quindi egli pu` o mettere in discussione la detta coincidenza. Egli pu` o chiarire l’uso e la sovrapposizione di matematica e natura individuando possibilit`a e limiti di tali nozioni, chiarendo se si tratti di un uso o di un abuso. Il filosofo, cos`ı facendo, propone un nuovo gioco per chiarire i limiti e le possibilit`a di quello precedente. In base a ci`o lo scienziato prova a dimostrare se il problema `e risolvibile nello spazio di pensabilit`a dell’analisi algebrica. Prendendo in considerazione il nuovo gioco, compito dello scienziato sar` a dimostrare la solubilit` a delle equazioni differenziali esclusivamente attraverso strumenti matematici36 . Il caso storico della mancata dimostrazione di tutto ci`o mostra la necessit`a di aprire un nuovo spazio di pensabilit` a, in quanto bisogna poter pensare la non coincidenza di matematica e natura o, per non volare troppo in alto, la non coincidenza di determinismo e prevedibilit`a. Di qui, in questo caso specifico, il problema posto al filosofo `e chiarire il corto circuito tra “determinismo” e “prevedibilit`a”. A questo proposito, Wittgenstein `e illuminante quando, all’inizio delle sue Lezioni sui fondamenti della matematica, afferma: Mi limiter` o a produrre altro fumo per mandar via quello vecchio37 . Nelle Ricerche filosofiche, Wittgenstein dedica un paragrafo al chiarimento dei risultati della filosofia. I risultati della filosofia sono la scoperta di un qualche schietto non-senso e di bernoccoli che l’intelletto si `e fatto cozzando contro i limiti del linguaggio. Essi, i bernoccoli, ci fanno comprendere il valore di quella scoperta38 . 34 Se ci` o che ` e dato ` e la forma di vita (cfr. ibid., p. 295), non per questo si ` e di fronte ad un’ontologia fissa da cui partire per fondare teorie di qualsiasi tipo. In questo senso, ci` o che ` e dato ` e certamente la forma di vita, ma nel senso di pratiche da chiarire. Su questo punto si vedano le critiche di Wittgenstein a Russel. 35 Cfr. ibid., § 126: “La filosofia si limita, appunto, a metterci tutto davanti, e non spiega e non deduce nulla. - Poich´ e tutto ` e l`ı in mostra, non neanche nulla da spiegare”. 36 L’analisi classica nasce, in parte, anche dall’esigenza di fare ordine e chiarezza nel calcolo, evitando le indebite intromissioni fisiche tipiche dell’approccio algebrico al calcolo. In questa direzione, a mio parere, possono essere pensati l’urgenza e l’insorgere di teoremi di esistenza ed unicit` a di soluzioni. Questi teoremi s’inscrivono nel gioco dell’analisi classica e lo strutturano. Essa fa comunque riferimento a questioni filosofiche nuove rispetto alle precedenti. 37 Cfr. Wittgenstein, Lezioni sui fondamenti della matematica, p. 16. 38 Cfr. idem, Ricerche filosofiche, § 119.

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La differenza principale tra l’attivit`a del filosofo e quella dello scienziato, rispetto ad un problema scientifico `e la seguente. Se, dunque, il filosofo “scopre”, rende manifesto, lo scienziato “inventa”. Si parla a volte di scoperte matematiche. Torner`o pi` u volte su questo tema e cercher`o di far vedere che sarebbe molto meglio parlare d’invenzioni matematiche39 . Tutto ci` o vale nel momento in cui bisogna risolvere un problema come quello proposto. La filosofia, infatti, in questo contesto, sta “prima” della matematica. La filosofia, per`o, per raggiungere la presentazione perspicua di un gioco, per “scoprire” bernoccoli, produce altri giochi40 . La “produzione” filosofica si comprende ricordando che per Wittgenstein i giochi linguistici sono termini di paragone e non qualcosa di fisso in cui si deve costringere la realt`a. “I nostri chiari e semplici giochi linguistici non sono studi preparatori per una futura regolamentazione del linguaggio, - non sono, per cos`ı dire, prime approssimazioni nelle quali non si tiene conto dell’attrito e della resistenza dell’aria. I giochi linguistici sono piuttosto termini di paragone, intesi a gettar luce, attraverso somiglianze e dissimiglianze, sullo stato del nostro linguaggio41 ”. “Soltanto cos`ı, infatti, possiamo evitare l’illegittimit` a o la vacuit` a delle nostre asserzioni: prendendo il modello per ci` o che ` e: termine di paragone, - si potrebbe dire per un regolo - non idea preconcetta, cui la realt` a debba corrispondere. (Il dogmatismo in cui si cade cos`ı facilmente facendo filosofia)42 ”.

A partire da problemi effettivi difficilmente risolvibili, la filosofia pu`o variare le somiglianze di famiglia in modo da modificare uno spazio di pensabilit`a che risulta troppo angusto. Per comprendere l’enorme portata di una tale produzione `e necessario comprendere in che modo dev’essere inteso il gioco linguistico. Prima, per` o, `e necessario approfondire meglio la terapia filosofica, sulla scorta di quanto detto. L’esempio fisico proposto pone, in questo senso, un problema davvero interessante. La questione generale `e la seguente: in che modo si pu`o giungere a qualcosa come la “non-linearit`a” se non ne esiste la grammatica? Ammesso che il linguaggio ed il suo uso siano qualcosa che precede l’uomo ed in cui `e addestrato, sembrerebbe impossibile trovare una via di fuga. La risposta di Wittgenstein si basa, a mio modo di vedere, proprio sulla sua dissoluzione del concetto classico di linguaggio, inteso come un tutto monolitico ed aproblematico. Nei prossimi paragrafi mi soffermer`o su questo stimolante aspetto, per ora `e necessario introdurre preliminarmente altri strumenti del pensiero di Wittgenstein, che vanno comunque in questa direzione. Una via d’uscita pu`o essere indicata puntando l’attenzione sull’importanza della funzione terapeutica della filosofia. “/Gli uomini sono profondamente irretiti nelle confusioni filosofiche, cio` e grammaticali. E liberarli presuppone che li si strappi alla straordinaria molteplicit` a 39 Cfr.

idem, Lezioni sui fondamenti della matematica, p. 24. comprendere un gioco bisogna produrre altri e/o confrontarlo con altri giochi prodotti o gi` a disponibili. 41 Cfr. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, § 130. 42 Cfr. ibid., § 131. 40 Per

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di vincoli nei quali sono incappati. Si deve, per cos`ı dire, riordinare l’intero loro linguaggio. - Ma questo linguaggio si ` e formato //` e divenuto// cos`ı perch´ e gli uomini avevano - e hanno - la tendenza a pensare cos`ı. Per questo motivo, lo sradicamento funziona solo con coloro che vivono in una istintiva rivolta contro //insoddisfazione nei confronti del// il linguaggio43 ”.

Un’adeguata terapia filosofica non deve far altro che chiarire l’uso effettivo delle parole, mostrandone nello stesso tempo l’adeguatezza per un determinato scopo, tenendo fermo che ogni metodo, ogni modo di porre domande pu` o essere valido e ` necessario insistere ancora su non deve essere aprioristicamente messo al bando. E questo punto. La filosofia, in qualit` a di terapia, ha il compito di svincolare l’uomo da immagini che costringono a pensare in un modo, anche e soprattutto laddove queste non siano radicate in una forma di vita. “Il nostro linguaggio descrive anzitutto un’immagine. Ci` o che si deve fare dell’immagine, come applicarla, resta oscuro. Ma ` e chiaro che ` e questo che si deve indagare, se si vuole comprendere il senso delle nostre asserzioni. Ma l’immagine sembra dispensarci da questo lavoro; essa indica gi` a un’applicazione (completamente) determinata. In questo modo l’immagine s’impadronisce di noi44 ”.

Il fatto di esser prigionieri di un’immagine che “impedisce di comprendere l’effettivo uso e funzionamento del linguaggio45 ” ha due risvolti. Da un lato si `e portati a pensare che la cosa sia “vera” nel senso da cui si d` a attraverso l’immagine ed in essa; dall’altro, la stessa immagine, nella sua fissit` a, nel suo essere atemporalmente staccata da una pratica che in realt`a si evolve, si offre come strumento sostanziale e generale per guardare il mondo. Ecco, dunque, che attraverso l’approfondimento del linguaggio o meglio delle relazioni e dei rapporti che lo costituiscono `e possibile giungere ad una presentazione perspicua. L’approfondimento del linguaggio conduce ad una messa in discussione dei vincoli per i quali esistono relazioni semantiche ossificate ormai astratte dal tessuto vivente. Questo vuol dire varie cose. Svincolarsi da un modo di vedere e/o pensare vuol dire, innanzitutto, riconoscerne la parzialit` a e la coerenza che lo legittima e costituisce, in quanto basato su una pratica di vita, in quanto fa parte di un modo di abitare il mondo. La presentazione perspicua permette, nei termini del capitolo precedente, di vedere i limiti dello spazio di pensabilit` a che si radicano nell’uso di una parola o di un concetto. Cos`ı si chiariscono anche le possibilit` a aperte nella dinamicit`a chiusa che un concetto, di cui sono stati tracciati i confini, pu`o fornire. In questo senso, affrontando un problema in un determinato contesto, `e possibile porre nuove relazioni e nuovi rapporti, far comunicare parti del linguaggio o giochi che non erano mai state accostate. ci` o vuol dire che il linguaggio non `e qualcosa che sta prima o al di fuori del mondo che cerca di descrivere. Questi aspetti conducono ad una 43 Cfr.

idem, The big typescript, p. 422. Ludwig Wittgenstein. Ultimi scritti. La filosofia della psicologia. Roma-Bari: Laterza, 2004, § 392. 45 Cfr. il commento di Gargani a questo passo nell’introduzione all’edizione italiana di Cfr. ibid., p. xx. 44 Cfr.

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possibilit`a di aprire spazi di pensabilit` a diversi, proprio in quanto possono emergere problemi difficilmente pensabili dall’interno dell’effettiva dinamicit`a chiusa che un linguaggio, o meglio un gioco linguistico, pu` o irrimediabilmente offrire. 46 Il dissodamento del linguaggio deve tendere ad eliminare ogni tipo di coazione, ed indicare una direzione verso una molteplicit` a di prospettive, non astratte, ma radicate in esigenze ed in problemi reali ai quali si fa fatica a rispondere nei confini di pensabilit` a gi`a date e che, per tale ragione, pongono spesso il problema di pensare nuove relazioni e nuovi rapporti, che sempre ed in parte veicolano47 implicitamente. In questa direzione, oltrepassando il vincolo formale, Wittgenstein afferma che molte parole non hanno un significato rigoroso. Ma questo non ` e un difetto. Pensare che ci`o sia un difetto sarebbe come dire che la luce della mia lampada non sia una luce vera e propria poich´e non ha un confine netto48 . Come mostra la citazione, non si tratta di rigettare completamente un modo di pensare, quanto pi` u di non assolutizzarlo; la luce della lampada resta una luce vera e propria, nonostante non siano tracciabili confini netti in cui delimitarla. Quello della luce della lampada `e un buon esempio per mostrare la necessit`a di un metodo diverso da quello definitorio, in quanto quest’ultimo si mostra carente in certi ambiti. Quello che propone Wittgenstein `e un radicale cambio di prospettiva, senza per questo dover rigettare alcuno strumento conoscitivo. Quest’ultimo punto `e particolarmente importante, a mio giudizio, perch´e, come sottolinea lo stesso Wittgenstein, non si tratta tanto di una questione dell’intelletto quanto pi` u di volont` a49 , di atteggiamento filosofico, del modo di guardare le cose. A questo punto si aprirebbero molte questioni importanti del pensiero di Wittgenstein, e non solo, tuttavia, per gli scopi del presente lavoro mi pare pi` u interessante approfondire e caratterizzare meglio la pluralit` a che Wittgenstein ` il caso di riproporre oppone alla prospettiva essenzialistica e/o fondazionalistica. E il passo delle Ricerche filosofiche citato alla fine del capitolo precedente: Questa molteplicit`a non `e qualcosa di fisso, di dato una volta per tutte; ma nuovi tipi di linguaggio, nuovi giochi linguistici, come potremmo dire, sorgono e altri invecchiano e vengono dimenticati50 . A questo passo si pu` o affiancare il seguente: Tutto ci` o che la filosofia pu`o fare `e distruggere idoli. E questo significa non crearne di nuovi - ad esempio, nell’assenza di un idolo51 . Quanto detto rappresenta, dunque, il primo passo per poter guardare il mondo e il linguaggio sapendo che questa attivit` a avviene sempre da una particolare prospettiva. Da tale prospettiva, si iniziano a scorgere quegli elementi per cui il 46 Cfr.

idem, The big typescript, p. 429. nuovo, il problema dei tre corpi, cos`ı come tutta la discussione fatta intorno ad esso, vanno proprio in questa direzione. Si veda il passo gi` a citato: idem, Pensieri diversi, p. 77. 48 Cfr. idem, Libro blu e libro marrone, p. 40. 49 Cfr. idem, The big typescript, pp. 407-408. 50 Cfr. idem, Ricerche filosofiche, § 23. 51 Cfr. idem, The big typescript, p. 413. 47 Di

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concetto chiuso pu` o svincolarsi dall’essere pensato come il fine e la fine della ricerca filosofico-scientifica, come ci` o che `e in grado di risolvere in s´e la conoscenza. Una tale molteplicit`a pu`o tuttavia apparire come un qualcosa di totalmente astratto, come qualcosa che sta dietro e che fonda ogni determinato concetto chiuso. L’ultima citazione ammonisce proprio dal sostituire l’assolutizzazione positiva di un fondamento (Grund ) con l’assolutizzazione negativa di una mancanza di fondamento (Ab-Grund ). Finora, infatti, si `e rivendicata una necessit`a filosofica, e soprattutto metodologica, che, per`o, `e necessario articolare. Per portare a termine questo compito, non solo attraverso il pensiero di Wittgenstein, `e necessario soffermarsi sulle “somiglianze di famiglie” e su quei punti in cui il filosofo austriaco si sofferma sul tema del tracciare confini concettuali. In questo modo `e possibile aprire una strada per concretizzare molteplicit` a cui sono giunto.

5.3

Somiglianze e confini

Nei paragrafi precedenti ho posto in luce come la messa in discussione del concetto come spazio chiuso dell’essenza sia un’esigenza profonda di Wittgenstein; il passo successivo `e chiarire in che direzione vanno le idee innovative del pensatore austriaco, riguardo il tema in questione. All’immagine del “concetto”, pensato come uno spazio chiuso da confini rigidi, Wittgenstein sostituisce l’immagine delle “somiglianze di famiglia 52 ”. Il suo intento `e di andare oltre i limiti della classica immagine spaziale del concetto in generale53 . Per fare questo, Wittgenstein deve scontrarsi, prima di tutto, con un atteggiamento filosofico, per il quale definire il concetto di qualcosa vuol dire cercare e trovare uno o pi` u tratti comuni che costituiscono l’essenza del cercato54 , o che comunque tali da delimitare un insieme che possa valere universalmente e atemporalmente. “Considera, ad esempio, i processi che chiamiamo giochi. Intendo giochi da scacchiera, giochi di carte, giochi di palla, gare sportive, e via discorrendo. Che cosa ` e comune a tutti questi giochi? - Non dire: Deve esserci qualcosa di comune a tutti, altrimenti non si chiamerebbero ‘giochi’ - ma guarda se ci sia qualcosa di comune a tutti. - Infatti, se li osservi, non vedrai certamente qualche cosa che sia comune a tutti, ma vedrai somiglianze, parentele, e anzi ne vedrai tutta una serie. Come ho detto: non pensare, ma osserva! - Osserva, ad esempio, i giochi da 52 Gi` a in ibid., 67 sgg e in Ludwig Wittgenstein. Osservazioni filosofiche. Torino: Einaudi, 1999, 65 sgg, Wittgenstein inizia a porre la questione se i concetti siano qualcosa di “sfumato”. Ovviamente ancora non siamo giunti al paragrafo 71 delle Ricerche filosofiche, tuttavia, questi accenni sembrano muovere in questa direzione. 53 Si tenga ben presente che andare oltre qualcosa vuol dire, nell’economia del nostro discorso, cercare nuove possibilit` a, nuovi punti prospettici da affiancare a quelli esistenti, senza, dunque, rinnegarli. 54 Decontestualizzando un passo del Big typescript, senza per questo stravolgerne il senso, si pu` o applicare la seguente citazione a quanto stiamo sostenendo: Cfr. Wittgenstein, The big typescript, p. 407: “Come ho detto sovente, la filosofia non mi porta a nessuna rinuncia, perch´ e non mi vieto di dire qualcosa, bens`ı abbandono una certa combinazione di parole come priva di senso. Ma in un altro senso la filosofia esige una rinuncia , per` o una rinuncia del sentimento, non dell’intelletto”.

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scacchiera, con le loro molteplici affinit` a. Ora passa ai giochi di carte: qui trovi molte corrispondenze con quelli della prima classe, ma molti tratti comuni sono scomparsi, altri ne sono subentrati. Se ora passiamo ai giochi di palla, qualcosa di comune si ` e conservato, ma molto ` e andato perduto. Sono tutti ‘divertenti’ ? Confronta il giuoco degli scacchi con quello della tria. Oppure c’` e dappertutto un perdere e un vincere, o una competizione fra i giocatori? Pensa allora ai solitari. Nei giochi con la palla c’` e vincere e perdere; ma quando un bambino getta la palla contro un muro e la riacchiappa, questa caratteristica ` e sparita. Considera quale parte abbiano abilit` a e fortuna. E quanto sia differente l’abilit` a negli scacchi da quella nel tennis. Pensa ora ai girotondi: qui c’` e l’elemento del divertimento, ma quanti degli altri tratti caratteristici sono scomparsi cos`ı possiamo passare in rassegna molti altri gruppi di giochi. Veder somiglianze emergere e sparire. E il risultato di questo esame suona: Vediamo una rete complicata di somiglianze che si sovrappongono a si incrociano a vicenda. Somiglianze in grande e in piccolo55 ”.

Wittgenstein intende affermare che una gran quantit` a di sentieri a noi familiari si dipartono da questa parola e conducono in tutte le direzioni56 . A seconda dell’uso e del contesto particolare nel quale vengono usate una o pi` u parole, esse presentano diverse sfumature di significato che possono condurre all’impossibilit` a di definire in modo univoco la parola in questione. Proprio qui sta il punto: attraverso la critica del detto atteggiamento filosofico Wittgenstein riesce, in parte, ad aprire un nuovo spazio all’interno del quale pensare nuovamente la possibilit` a e la nozione di “concetto”. Nella contrapposizione tra “concetti chiusi” a “concetti aperti”, tuttavia, si perde il lato costruttivo, operativo, che l’edificazione di un concetto ha, ad esempio, in Wittgenstein, e che, come sta emergendo, non va verso una loro netta opposizione. Infatti, la sua critica non si rivolge al fatto che possano essere rigidamente delimitati dei concetti, ma contro il fatto che si debba agire comunque e sempre in questo modo57 . Per questo motivo mi pare fondamentale insistere sul fatto che la critica di Wittgenstein del concetto chiuso abbia come ultimo obiettivo la rivalutazione e la rilettura della possibilit` a. Nella sua prospettiva, non si tratta di ri conoscere linee di confine preesistenti che delimitano un concetto, ma di costruire, di tracciare linee, e cos`ı lasciare aperte delle zone, al limite, impossibili da circoscrivere58 , zone alle quali non si pu`o imporre astrattamente una razionalit`a tale da predeterminare completamente ed atemporalmente lo spettro dei possibili usi di un concetto. ` vero che posso imporre rigidi confini Le cose non stanno necessariamente cos`ı. E al concetto di ‘numero’, posso cio` e usare la parola numero per designare un concetto rigidamente delimitato; ma posso anche usarla in modo che l’estensione 55 Cfr.

idem, Ricerche filosofiche, § 66. ibid., § 525. 57 Cfr. Ludwig Wittgenstein. Causa ed effetto, seguito da Lezioni sulla libert` a del volere. Torino: Einaudi, 2006, p. 12: “(Non sarebbe del tutto insensato dire che la filosofia ` e la grammatica delle parole ‘dovere’ e ‘potere’, poich´ e cos`ı essa mostra che cos’` e a priori e cosa a posteriori)”. 58 Naturalmente questi sono esempi limite, al loro interno c’` e una molteplicit` a di casi ed applicazioni intermedie. 56 Cfr.

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del concetto non sia racchiusa da alcun confine. E proprio cos`ı usiamo la parola giuoco59 ”.

Wittgenstein stesso insiste spesso sul fatto che quanto da lui affermato si muove nella direzione della possibilit` a. Nelle Ricerche filosofiche Wittgenstein si esprime cos`ı: Innumerevoli tipi differenti d’impiego di tutto ci`o che chiamiamo segni, parole, proposizioni. E questa molteplicit` a non `e qualcosa di fisso, di dato una volta per tutte60 . Le somiglianze di famiglia sono elementi attraverso i quali le parole si mostrano collegate in una pluralit` a di reti semantiche, le quali strutturano una molteplicit`a di giochi linguistici. Ogni gioco, pur essendo un gioco, non identifica un unico61 tratto comune fondamentale, ma mette in primo piano una o pi` u somiglianze lasciandone sullo sfondo o non considerandone altre che, comunque, non costituiscono in maniera qualitativamente 62 differente il concetto di qualcosa. Pensa agli strumenti che si trovano in una cassetta di utensili: c’` e un martello, una tenaglia, una sega, un cacciavite, un metro un pentolino per la colla, la colla, chiodi e viti. - Quanto differenti sono le funzioni di questi oggetti, tanto differenti sono le funzioni delle parole63 . Il punto centrale del discorso `e che non `e una necessit` a logica, o di altro genere, a permetterci di tracciare una linea in un luogo piuttosto che in un altro, perch´e, rifiutando ogni illusione dovuta alla pretesa della possibilit`a di un approccio “puro” o di una conoscenza “pura” di un qualsiasi significato, ci si trova situati in un contesto, dal quale, e solo dal quale `e possibile porre domande64 , o cogliere nuove relazioni tra gli oggetti65 . In questa direzione, i concetti non sono pensati solo come il punto di partenza o il punto di arrivo della conoscenza, poich´e legare delle somiglianze di famiglia vuol dire, prima di tutto, aprire un nuovo spazio di possibilit`a e riconoscerlo come tale, senza per questo identificarne necessariamente tutti i suoi aspetti. Ognuno di essi va, infatti, costruito in quanto prossimo ad un modo di abitare il mondo. Ci` o mostra il fatto che un insieme di determinate possibilit`a sono tali a partire da una forma di vita, ma non per questo sono in grado di risolverla. In questo senso, la forma di vita `e qualcosa che legittima e, nello stesso tempo, eccede il tracciamento di un confine concettuale. Non `e, infatti, detto che all’interno di un confine, che individua un’identit`a, siano pensabili tutti i giochi possibili. Un esempio di quanto sto dicendo `e dato dal gi` a citato paragrafo 66 delle Ricerche filosofiche. Il “concetto” 59 Cfr.

Wittgenstein, Ricerche filosofiche, § 68. ibid., § 23. 61 Ovviamente lo stesso vale nel caso di una serie unica di tratti. 62 Con questo avverbio mi riferisco al fatto che privilegiare delle somiglianze rispetto ad altre non implica che si possa giungere nelle conoscenze a distinzioni come quella tra conoscenza dei elementi essenziali ed accidentali. 63 Cfr. Wittgenstein, op. cit., § 11. 64 Le forme di vita sono il nostro stesso poter domandare. 65 Il “perch´ e” ed il “come”, che determinano delle scelte, fanno emergere lo sfondo etico proprio del tracciare linee di confine. Nonostante ci` o, in questo lavoro, per ovvie ragioni terr` o da parte le questioni etiche per rimanere sul terreno dello spazio del concetto. 60 Cfr.

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di gioco si trova implicato in situazioni cos`ı diverse, che non `e possibile chiudere il suo spazio attraverso l’individuazione di un solo tratto comune a “tutti ” i giochi presi in questione, e che sia qualitativamente differente dagli altri possibili. “. . . ma vedrai somiglianze, parentele, e anzi ne vedrai tutta una serie. Come ho detto: non pensare, ma osserva! - Osserva, ad esempio, i giochi da scacchiera, con le loro molteplici affinit` a. Ora passa ai giochi di carte: qui trovi molte corrispondenze con quelli della prima classe, ma molti tratti comuni sono scomparsi, altri ne sono subentrati66 ”.

Il concetto `e sempre contestuale all’individuazione di somiglianze, per questo esso non si erge mai oltre e/o al di sopra del reale con la presunzione di fondarlo, ma rimane collegato strettamente al contesto d’uso che lo caratterizza, e si evolve con esso67 . Il concetto di qualcosa `e pertanto uno strumento che, di volta in volta, permette di cogliere delle differenze. Il tratto comune con cui lo si dovrebbe identificare viene contestualizzato rompendo il vincolo contenutistico, e messo in discussione in quanto tale, rompendo il vincolo formale, unica via per ripensare la possibilit`a. A partire dalle stesse condizioni iniziali, infatti, non bisogna presupporre indebitamente di ottenere gli stessi esiti, presupponendo un nesso di qualsiasi tipo che vincoli la possibilit`a ad un determinato spettro. Ma qui dobbiamo guardarci dal credere che, corrispondentemente alla natura del caso, esista una totalit` a di tutte le condizioni (per esempio, del camminare) cos`ı che quando tutte queste condizioni siano soddisfatte egli, per cos`ı dire, non possa far altro che camminare68 . Che la forma di vita ecceda il tracciamento di un confine, non significa solo che sono disponibili altre possibilit`a, ma anche che, rispetto a qualcosa di specifico, confini diversi sono contemporaneamente presenti, proprio perch´e, nello stesso tempo, davanti ad una stessa situazione, non c’`e alcun tipo di necessit` a assoluta che costringa a costruire un concetto in un modo piuttosto che in un altro. Se si focalizza l’attenzione sui confini di un gioco o di una parola, oltre a zone aperte, notiamo che oltre che pensare i confini come linee, potremmo (e non “dovremmo”) pensare a “zone di confine” nelle quali non c’`e una chiara distinzione tra il dentro e il fuori, nelle quali vige pi` u di una giurisdizione69 . Molte zone di confine di un gioco si sovrappongono a quelle di un altro gioco, ma escludono somiglianze che il primo gioco pu`o avere con un terzo preso in considerazione, e cos`ı via. Confronta il giuoco degli scacchi con quello della tria. Oppure c’` e dappertutto un perdere e un vincere, o una competizione fra i giocatori? Pensa allora ai solitari. Nei giochi con la palla c’`e vincere e perdere; ma quando un bambino getta la palla contro un muro e la riacchiappa, questa caratteristica `e sparita70 . 66 Cfr.

Wittgenstein, op. cit., § 66. questa prospettiva, la Darstellung di Wittgenstein si oppone al significato che “Vorstellung” ha assunto nella filosofia moderna, soprattutto a partire da Kant. 68 Cfr. Wittgenstein, op. cit., § 183. 69 Un buon esempio ` e proprio la gi` a proposta immagine wittgensteiniana della lampada. 70 Cfr. Wittgenstein, op. cit., § 66. 67 Da

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Quelle che ho chiamato “zone di confine” sono un esempio di come Wittgenstein cerchi di salvaguardare uno spazio logico alla possibilit` a; al loro interno, infatti, si possono compiere azioni che deformano lo spazio di pensabilit`a dandogli una nuova direzione ed una nuova configurazione, in base proprio alla messa in relazione di somiglianze diverse. Questo discorso vale anche nel momento in cui si pone attenzione a quelle zone di confine nelle quali non vige alcuna giurisdizione, nelle quali l’intersezione tra due o pi` u giochi produce un insieme vuoto. Innanzitutto, avere a disposizione una simile caratterizzazione vuol dire poterlo pensare come un problema. In secondo luogo, si tratta di conquistare nuove prospettive che consistono nel far emergere o nel costruire o nell’avvicinare diverse e/o nuove relazioni o rapporti, ad esempio attraverso il cambio della risoluzione con la quale `e affrontato un problema71 . In questo caso si tratta di far interagire giochi o elementi di giochi che non sono mai stati posti in relazione. In tal senso, rimane valida, a mio modo di vedere, la possibilit`a di modificare i confini o di introdurne di nuovi, laddove se ne riscontri la necessit`a effettiva, e cio`e radicata in problemi concreti, per i quali una tale inedita interazione pu` o essere una soluzione. In questa prospettiva, non `e neanche detto che i confini debbano avere una dimensione intera, in quanto essa pu`o essere benissimo frazionaria o, ancora, variare a seconda del modo in cui si considera un problema. Fuor di metafora, l’approfondimento e la chiarificazione, anche attraverso il confronto, di possibilit`a e limiti di un concetto possono rivelare elementi (somiglianze) inattesi, tali da ridurre sempre pi` u l’intersezione vuota tra due giochi. In generale, in ogni contesto, data una dinamicit`a chiusa e riscontrata una forte limitazione riguardo la soluzione di un problema, `e sempre possibile modificare lo spazio di pensabilit` a nella direzione che il problema stesso indica. In questo senso, non si tratta solo di privilegiare certe somiglianze, ma anche il modo di metterle insieme72 . Per far ci`o `e spesso necessario mettere in relazione, o in rapporto, elementi che non sono mai stati accostati; inoltre, in base a quanto detto sulla relazione non `e necessario doverne controllare gli esiti, fino al punto di giungere alla necessit`a di rivedere gli stessi termini in cui il problema `e stato posto inizialmente. Si tratta, in altri termini, di comprendere che non sempre la coerenza in base alla quale sono stati tracciati dei confini concettuali `e in grado di risolvere al suo interno ogni tipo di problema. Come mostrer`o alla fine di questo lavoro, `e proprio la costruzione di una coerenza che permette di risolvere un problema nuovo, in modo da poter gettare una nuova luce, da ordinare in maniera diversa le conoscenze73 . 71 Il riferimento ` e ai passi di Mandelbrot riportati nel terzo capitolo. La questione ` e che se sono non solo possibili, ma anche contemporaneamente presenti due modi di vedere una stessa cosa, attraverso gli strumenti che il pensiero di Wittgenstein offre, risulta abbastanza agevole pensare modi in cui posizioni diverse possano essere produttivamente confrontate. 72 In questo modo ` e possibile non rimanere confinati nei due vincoli. 73 Io ritengo che pensare, in generale, qualcosa di nuovo non voglia dire far riferimento a qualcosa di assolutamente staccato da ogni riferimento ad un contesto e ad un problema. Pensare diversamente mi sembra un modo astratto e tendenzialmente sterile di affrontare i problemi, non solo filosofici. Come detto su tali questioni mi dilungher` o alla fine del presente lavoro.

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Da quanto detto traspare come le diverse tipologie di giochi siano individuabili a partire da altrettanto diverse tipologie di intersezioni tra i giochi, dovute a punti di vista diversi attraverso i quali possono essere considerati. Ogni punto di vista non rappresenta, ma `e una possibilit`a diversa che corrisponde all’atto di tracciare confini per uno scopo, senza che questo significhi chiudere definitivamente lo spazio della possibilit` a. Non conosciamo i confini perch´ e non sono tracciati. Come s’`e detto, possiamo - per uno scopo particolare - tracciare un confine. Ma con ci`o solo rendiamo il concetto utilizzabile? Niente affatto! Tranne che per questo scopo particolare74 . Le citazioni e la discussione riguardo il “tracciare un confine” e la discussione sulle somiglianze di famiglia, sono degli elementi importanti per pensare diversamente il concetto chiuso. Esso non si presenta pi` u come il fine e la fine della ricerca scientifica o filosofica, non `e pi` u caricato del significato epistemologico ed ontologico emerso nel capitolo precedente. Ancora, non esiste pi` u un metodo in grado di cogliere l’essenza di qualcosa, proprio perch´e qualcosa come l’essenza `e dissolta a favore della possibilit`a e dell’apertura di spazi di pensabilit`a diversi, all’interno dei quali si pu`o porre la questione dell’essenza. Wittgenstein afferma che l’essenza `e espressa nella grammatica75 . Che tipo di oggetto una cosa sia: questo dice la grammatica. (Teologia come grammatica)76 . L’essenza ha un ruolo completamente differente da quello che aveva in precedenza. Essa `e relativa al linguaggio nel quale si colloca. Dopo il percorso fatto sin qui si pu` o comprendere bene come queste citazioni condensino in loro il superamento del vincolo contenutistico e di quello formale. Assieme all’essenza, anche il concetto chiuso subisce un forte decentramento: da luogo dell’identit`a diventa luogo delle differenze, anche e non solo contemporaneamente presenti. Esso mantiene un importante funzione conoscitiva, ma in un contesto filosofico completamente diverso. Attraverso il concetto chiuso non si delimita pi` u uno spazio dell’essenza da uno spazio degli accidenti, in modo da esaurire ogni aspetto di ci` o che `e in tal modo conosciuto. Tracciare una linea di confine vuol dire, invece, mettere in risalto un aspetto particolare, mantenendo costantemente “elementi residuali ”, che possono essere a loro volta chiusi in confini concettuali, tali da privilegiare una determinata somiglianza piuttosto che un’altra, tali, in altri termini, da ordinare lo spazio concettuale in una determinata maniera77 . In questo senso, si possono pensare i legami interni tra determinati giochi come relazione e/o rapporto. All’interno di un gioco `e possibile predeterminare a priori una dinamicit`a chiusa, senza con ci`o, aver a che fare con il problema dell’essenza. Nello stesso contesto possono darsi relazioni, in base alle quali possono emergere elementi inediti, tali da poter guardare qualcosa al di l`a di una dinamicit`a chiusa. 74 Cfr.

Wittgenstein, PU, § 69. Wittgenstein, op. cit., § 371. 76 Cfr. ibid., § 371. 77 Cfr. ibid., p. 287: “Molte cose possono dirsi intorno a una sottile distinzione estetica - questo ` e importante”. 75 Cfr.

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Un esempio tratto dagli scacchi, un gioco di cui si serve lo stesso Wittgenstein, `e utile per chiarire questo punto. In una partita di scacchi sono possibili indefiniti e non predeterminabili sviluppi, tuttavia in molti casi, a seconda delle circostanze, possono aver luogo “combinazioni forzate”, vale a dire qualcosa di completamente prevedibile a priori. Non essendo pi` u il fine e la fine della conoscenza di qualcosa, il concetto chiuso pu` o solo illuminare un aspetto di qualcosa, una determinata direzione, lasciando irrimediabilmente inespressi modi di relazione e possibilit` a, ma comunque pensabili, dato il suo depotenziamento epistemologico ed ontologico. Attraverso il concetto chiuso non si fa altro che sottrarre alcuni aspetti per rendere qualcosa utilizzabile. Esso, dunque, non ha pi` u alcuna pretesa di completezza, n´e di atemporalit` a e n´e di oggettivit` a, se non in uno spazio di pensabilit`a in cui questi concetti giochino un qualche ruolo. Esso non fa riferimento ad una totalit` a, ma ad una generalit` a di aspetti non pi` u atemporalmente essenziali, ad un ordinamento specifico nel quale trova senso. Per chiarire meglio questo aspetto, `e necessario restare ancora sul pensiero di Wittgenstein. Ci sono, infatti, ancora un paio di questioni da chiarire. Entrambe riguardano la dissoluzione del linguaggio inteso come un qualcosa di monolitico ed aproblematico. La prima si riferisce all’idea che non esiste un linguaggio puro ed originario, avulso da una forma di vita, cui dovrebbe giungere la terapia filosofica; la seconda si riferisce al fatto che, attraverso il chiarimento dell’uso del linguaggio non si arriva a costruire un linguaggio “perfetto”, il cui concetto possegga dei confini immodificabili. In sostanza si tratta di mostrare, in negativo, che n´e si parte o riscopre n´e si giunge a costruire un linguaggio che sia una totalit`a assoluta ed autoreferente, ed in positivo, che si pu`o giungere ad una generalit`a di aspetti che costituiscono un ordine possibile. Dopo aver approfondito il passaggio dal Linguaggio ai giochi di linguaggio, sar`a possibile recuperare, conclusivamente, le nozioni di relazione e rapporto.

5.4

Dal Linguaggio ai giochi di linguaggio

In questo paragrafo cercher` o di chiarire come s’intrecciano i giochi linguistici e le forme di vita, interpretando pi` u da vicino alcuni passi di Wittgenstein. Il fine consister`a nell’approfondimento di alcuni strumenti concettuali tali da poter essere applicati ai concetti di relazione e rapporto. Da quanto detto sin qui le prime domande che si pongono sono le seguenti: in base a che cosa si tracciano le linee? Ha senso chiedersi se esiste qualcosa come una linea “prima” o originaria, o se si pu`o parlare di un “primo” spazio di pensabilit`a originario? Il problema `e, in altri termini, il seguente. Dato che la filosofia ha un compito terapeutico, nei due sensi individuati, `e lecito pensare che, una volta chiarito il linguaggio, si possa giungere a vederlo in trasparenza in modo tale che esso non presenti pi` u alcun tipo di problema?

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Attraverso la discussione delle somiglianze di famiglia e dei giochi di linguaggio `e emersa un’intrinseca regionalit` a del linguaggio il quale, lungi dall’essere un tutto aproblematico, si trova dissolto in una molteplicit` a di giochi, strutturati ciascuno da diverse somiglianze. Detto ci` o, ancora, esiste una struttura fondamentale e/o nascosta del linguaggio che tiene insieme i giochi? In base a quanto detto nel capitolo precedente, si pu`o gi`a dire che parlare di una pluralit`a di regioni del linguaggio, o di una pluralit` a all’interno di una stessa regione, non vuol dire abbandonare il pensiero ad un astratto relativismo indifferenziato. “Il dire: Questa combinazione di parole non ha senso, esclude la combinazione dal dominio del linguaggio, e con ci` o delimita la regione del linguaggio. Ma quando si traccia un confine si possono avere diverse e svariate ragioni. Se delimito un’area con una siepe, con una linea, o in qualche altro modo, ci` o pu` o avere lo scopo di non far entrare o di non far uscire qualcuno; ma pu` o far parte anche di un giuoco nel quale i giocatori debbano, per esempio, saltar oltre il confine; oppure pu` o indicare dove termina la propriet` a di una persona e ha inizio quella di un’altra, ecc. Perci` o, tracciando un confine, non si dice ancora perch´ e lo si traccia78 ”. “Cos`ı, dunque, tu dici che ` e la concordanza fra gli uomini a decidere che cosa ` e vero e che cosa ` e falso! - Vero e falso ` e ci` o che gli uomini dicono; e nel linguaggio gli uomini concordano. E questa non ` e una concordanza delle opinioni, ma della forma di vita79 ”.

Per quanto riguarda, invece, il problema dell’individuazione di un elemento primo, in senso essenziale, esso si dissolve80 nel momento stesso in cui si pone, in base alle seguenti argomentazioni. Wittgenstein afferma che ci`o che si deve accettare, il dato, sono - potremmo dire - forme di vita 81 . Si tratta ora di capire come pensare questo “dato”. Va subito detto che nella citazione il termine “dato” fa riferimento al fatto che, in generale, la conoscenza non si configura nella forma di un soggetto che si rappresenta il mondo che gli sta di fronte e da cui `e astratto, come se si potesse, per cos`ı dire, tirarsi fuori dal mondo. Il soggetto conoscente, dunque, non si trova “prima” del mondo che intende conoscere. Esso esiste solo e soltanto in un mondo, in un linguaggio particolare, strutturato a partire da una serie di pratiche, abitudini ed usi che ne costituiscono la “forma di vita”. Questa situazione, per la quale ciascuno s’inserisce in un mondo gi`a esistente, `e “dato”, `e “forma di vita”. In base a quanto detto nel paragrafo precedente, sono proprio gli usi, le abitudini di una forma di vita che hanno bisogno di una chiarificazione filosofica, in quanto, essendo qualcosa che precede ed in cui prende forma la conoscenza di qualcosa, necessitano a loro volta di essere presentati perspicuamente per i motivi detti. 78 Cfr.

ibid., § 499. ibid., § 241. 80 Uso questo termine nel senso di Wittgenstein, Cfr. idem, The big typescript, §§ 86-93. 81 Cfr. idem, Ricerche filosofiche, p. 295. Il tedesco ` e: “Das Hinzunehmende, Gegebene - k¨ onnte man sagen - seien Lebensformen”. 79 Cfr.

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Dovendo fornire una Darstellung, e non una Vorstellung, si tratta di soffermarsi su “come `e” una forma di vita, piuttosto che cercare necessariamente di definirla, di riproporre la domanda “che cos’`e?”82 . Il problema filosofico sta nel fatto che si cerca necessariamente di spiegare, di inscrivere un “fenomeno originario83 ” all’interno di una serie di nessi causali, quando invece sarebbe opportuno “guardare” ci`o che si d`a. Si tratta di presentare e fare i conti, innanzitutto, con il fatto che si `e gi`a sempre all’interno di una forma di vita, alla quale e attraverso la quale, sin dalla nascita, si `e, per cos`ı dire, “addestrati”. Pi` u precisamente, non si entra in una forma di vita, ma si `e (in) una forma di vita in quanto ci si trova ad interagire con gli altri e col mondo, nel mondo. Nell’avere comunicazione con gli altri, nell’uso delle parole che caratterizza ogni forma di vita, `e gi` a espresso il dato del gioco (della cultura) che si sta giocando. ` dunque, un fatto che si usano in una certa maniera le parole, ma non per E, questo esso `e chiaro, o meglio “perspicuo”. La filosofia, secondo Wittgenstein, non pu`o trarre conseguenze, non pu`o astrarsi dalla vita per dare un significato concettuale e assoluto alle parole, ma pu`o solo mostrarne l’uso, pu`o arrivare fino ad un punto nel quale deve arrestarsi e dire: “agisco cos`ı84 ”. Ogni forma di vita presenta confini gi`a sempre tracciati. Ogni linea che viene tracciata lo `e in base alle esigenze della cangiante matrice antropologica, specchio del modo in cui una comunit` a abita il mondo 85 . La forma di vita, in questo senso, colora gi`a sempre di una particolare tonalit` a ci`o che vediamo, propone gi`a delle relazioni interne tra gli oggetti, senza che sia neanche postulabile un oltre “puro” o originario, che sia logicamente prima dell’uso del linguaggio, e che possa definire quest’ultimo in modo assoluto. La forma di vita, il fatto che una parola, un concetto ecc. . . abbiano sempre un particolare uso, sono, dunque, indici di un’arbitrariet`a senz’altro presente, anche se eticamente situata e non astratta. Ogni forma di vita, essendo una pratica, in quanto tale ha, o meglio `e, una tonalit`a etica. Nonostante l’etica in Wittgenstein sia una questione molto dibattuta ed estremamente interessante, non `e direttamente su di essa che intendo concentrare la mia attenzione. Sulle forme di vita si struttura uno spazio di pensabilit` a nel quale prendono forma relazioni e rapporti che a loro volta informano un campo di possibilit` a. Il linguaggio con cui si ha cos`ı a che fare poggia, in definitiva su un agire, per cui, 82 In questo caso, si pone di nuovo una questione di pertinenza senza con ci` o mettere astrattamente al bando un metodo in quanto tale. 83 Cfr. Wittgenstein, op. cit., §§ 654-655: “Il nostro errore consiste nel cercare una spiegazione dove invece dovremmo vedere questo fatto come un ‘fenomeno originario’. Cio` e, dove invece dovremmo dire: si gioca questo gioco linguistico”. “Non si tratta di spiegare un gioco linguistico per mezzo delle nostre esperienze, ma di prendere atto di un gioco linguistico”. 84 Cfr. idem, Pensieri diversi, p. 67: “L’origine e la forma primitiva del gioco linguistico ` e una reazione: solo sulla base di questa possono crescere le forme pi` u complicate. Il linguaggio - direi ` e un affinamento, in principio era l’azione”. Cfr. ibid., p. 93: “Le parole sono azioni”. 85 Affermare la possibilit` a di un soggetto avulso da un contesto ed in grado di tracciare linee vorrebbe dire cadere nel cosiddetto “linguaggio privato”, nonch´ e creare idoli.

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quando si vuole chiarire l’uso del linguaggio, non si resta vincolati ad un livello linguistico, ma si passa ad un livello prassiologico di analisi. Ma la fondazione, la giustificazione delle prove, arrivano ad un termine. - Il termine, per`o, non consiste nel fatto che certe proposizioni ci saltano immediatamente agli occhi come vere, e dunque in una specie di vedere da parte nostra, ma `e il nostro agire che sta a fondamento del gioco linguistico86 . Un simile stato di cose si comprende se si ammette che l’agire ecceda il linguaggio in cui si colloca87 ; quest’ultimo, in altri termini, non `e in grado di risolvere completamente una forma di vita. Come visto, proprio l’approfondimento di un tale spazio, composto anche di relazioni non predeterminabili nella loro globalit` a, pu`o portare ad una presentazione perspicua ed individuare qualcosa di ulteriore rispetto al dato spazio di pensabilit`a88 . All’interno di questa problematica si comprende: “Puoi pensare ora a questo ora a quello; puoi considerarlo una volta come questa cosa un’altra come quest’altra, e allora lo vedrai ora in questo modo ora in quest’altro. - In che modo, allora? Non esiste nessuna ulteriore determinazione. Ma come ` e possibile che si veda una cosa conformemente a un’interpretazione? La domanda presenta la faccenda come un fatto strano; come se qui fosse stato costretto in una forma che, propriamente, non gli si adatta. Ma qui nessuno ha spinto, o forzato nulla89 ”. “Molte cose possono dirsi intorno a una sottile distinzione estetica - questo ` e importante90 ”.

L’individuazione di sottili distinzioni estetiche, in grado di indicare qualcosa di ulteriore rispetto al gioco che si sta giocando, poggia proprio su quest’ultimo, sul fatto che si presuppongono alcune pratiche che, pur delimitando una dinamicit`a chiusa, non ne predeterminano necessariamente a priori gli esiti delle relazioni. Non si tratta solo di possibilit`a reciprocamente esclusive, poich´e in una dinamicit` a chiusa, a sua volta interna ad una forma di vita, sono contemporaneamente presenti ed attuate pi` u possibilit`a. Se, dunque, la forma di vita permette di vedere in una certa tonalit`a, sono comunque contemporaneamente presenti ed attuate molteplici sottili sfumature di colore. Una relazione pu`o produrre esiti diversi, non necessariamente riconducibili ad un nesso proporzionale e diretto tra causa ed effetto. Su questi argomenti torner`o nel prossimo capitolo, per ora bisogna seguire una strada parallela al fine di evitare fraintendimenti. Tornando alla forma di vita ed al contesto linguistico regionale, `e necessario insistere ancora su alcuni aspetti che permettono di comprendere meglio la forma di vita, intesa come modo di abitare il mondo. 86 Cfr.

Ludwig Wittgenstein. Della certezza. Torino: Einaudi, 2002, § 204. ` e uno dei punti fondamentali di questo lavoro, su cui ritorner` o alla fine. 88 Come si vedr` a, sebbene la forma di vita sia il termine della catena delle spiegazioni, il contesto dal quale si pone la necessit` a di una spiegazione ` e linguistico. Solo da un siffatto contesto ` e possibile tornare ad una prassi. 89 Cfr. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, § 264. 90 Cfr. ibid., § 287. 87 Questo

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“Con le parole Supponiamo che io creda? tu presupponi gi` a tutta quanta la grammatica della parola credere, l’uso ordinario che ben conosci.[. . . ]. Se l’impiego di credere non ti fosse gi` a familiare non sapresti affatto che cosa assumi qui (cio` e, per esempio, che cosa segua da un’assunzione del genere)91 ; “lo svolgimento del nostro gioco linguistico riposa sempre su una tacita presupposizione92 ”.

Si presenta qui un rapporto fondamentale nella forma di vita tra familiarit`a ed estraneit`a: per poter porre una qualsiasi questione, devo gi`a sapermi muovere in un ambito familiare, nelle istituzioni93 , nella grammatica del mio linguaggio. L’ambito familiare `e formato da quelle relazioni interne fra le parole che colorano un dato modo di vedere: non si percepiscono semplicemente forme e/o colori ma direttamente un aspetto, secondo il mondo in cui ci si trova, poich´e non `e il vedere che appare colorato, ma direttamente gli oggetti. Ora, concependo le relazioni interne del linguaggio in cui ci si trova, ci si pu` o rapportare a delle possibilit`a inscritte in un dominio d’uso di certi concetti, che si inscrivono una dinamicit`a chiusa. L’approfondimento o il chiarimento di un tale spazio chiuso e linguistico dato permette, come visto, di modificarne i confini, visto che non `e lo spazio chiuso di pensabilit`a che legittima le pratiche di vita, ma il contrario94 . Questa caratterizzazione delle forme di vita mostra di nuovo il fatto che le regole della grammatica del linguaggio non hanno uno statuto fondativo, esse si limitano a raccogliere e ad esprimere95 le applicazioni, la forma di vita in quanto espressa in un uso che `e una prassi96 effettiva, senza la quale non avrebbero senso. Nell’argomento contro il linguaggio privato `e espresso in maniera forte il fatto che il linguaggio `e una prassi ed una forma di vita condivise: Al trapasso privato da ci`o che vedo alla parola non potrei applicare nessuna regola. Qui le regole sono davvero sospese nel vuoto; perch´e manca l’istituzione della loro applicazione97 . Chi volesse creare un linguaggio privato non riuscirebbe a caratterizzarne i significati se non in maniera irrimediabilmente dipendente da quello proprio della forma di vita in cui si trova98 , altrimenti neanche si potrebbe parlare di linguaggio, ma ci si troverebbe davanti a scorrettezze grammaticali. 91 Cfr.

ibid., p. 253. ibid., p. 238. 93 Wittgenstein pone spesso l’accento sul termine “istituzione”, esso infatti offre la possibilit` a di evidenziare lo stretto legame con la tematica che lega insieme da una parte familiarit` a ed estraneit` a, e dall’altra i giochi linguistici: “Seguire una regola, fare una comunicazione, dare un ordine, giocare una partita a scacchi sono abitudini (usi, istituzioni)” (Cfr. ibid., § 199). 94 Cfr. ibid., § 457.: “L’intendere ` e come dirigersi verso qualcuno”. 95 “Darstellen” ha somiglianze anche con “esporre”. 96 Una prassi agita che ` e anche un agire. 97 Cfr. Wittgenstein, op. cit., § 380. 98 Cfr. ibid., § 257: certamente, che la sensazione sia privata ` e una proposizione grammaticale, ma, “quando si dice Ho dato un nome ad una sensazione, si dimentica che molte cose devono gi` a essere pronte nel linguaggio, perch´ e il puro nominare abbia un senso. E quando diciamo che una persona d` a un nome ad un dolore, la grammatica della parola dolore ` e gi` a precostituita; ci indica il posto in cui si colloca la nuova parola”. 92 Cfr.

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La forma di vita e la cultura, che su essa poggia, sono qualcosa che non va al di l`a delle pratiche effettive. Ci`o, per`o, non vuol dire che si dia o che si possa giungere all’ordine di tutte le cose, ma che, attraverso il chiarimento della loro grammatica diventa possibile determinare i confini di un gioco. Il linguaggio o meglio una o pi` u somiglianze di un gioco linguistico, in tale prospettiva, non sono qualcosa di esterno che fonda in maniera incontrovertibile la conoscenza. Il linguaggio, al contrario, `e problematico ed `e legittimato dalle pratiche che emergono a confermarlo o a smentirlo, nel momento in cui si giunge ad una presentazione perspicua. Essendo immersi nel mondo che un gioco cerca di descrivere, pratica e linguaggio agiscono l’uno sull’altro, rendendo possibile parlare di giochi di linguaggio e non di un linguaggio unico. Questo vuol dire che il linguaggio, presentandosi come insieme di relazioni, si riferisce ed `e immerso sempre e comunque in una sfera regionale, in quanto rende visibili la coerenza e le possibilit`a insite in una generalit` a di aspetti del mondo e non la totalit` a degli aspetti del mondo. Trattandosi di relazioni e non solo di rapporti, nel senso del capitolo precedente, non `e detto che tutte le possibilit` a debbano essere predeterminate ed essere vincolate ad esplicarsi necessariamente all’interno di una data regionalit`a, a meno di non essere disposti a modificarne i contorni. Come `e detto nelle Osservazioni sui colori : ` un dato di fatto che noi siamo nella condizione di comunicarci i colori delle “E cose mediante sei nomi di colore. E anche che non impieghiamo le parole: verde che d` a sul rosso, blu che d` a sul giallo, e cos`ı via99 ”. “In filosofia non ` e soltanto necessario imparare caso per caso che cosa si debba dire su un certo oggetto; ` e anche necessario imparare come se ne debba parlare. Si deve imparare, sempre di nuovo, il metodo per affrontarlo100 ”. “Si deve sempre essere pronti a imparare qualcosa di completamente nuovo101 ”.

Questo “nuovo”, questo porre nuove relazioni interne tra le parole poggia ancora su una forma di vita. Tutto ci` o, riguardo a quanto detto poco sopra, vuol dire che non `e stato predefinito nessun cammino causale, ma che, ad esempio, i “concetti di colore” vengono trattati “in modo simile ai concetti delle percezioni sensibili [Sinnesempfindung]102 ”, perch´e “non esiste il concetto puro di colore103 ”, infatti, “i differenti concetti di colore sono certo strettamente affini l’uno all’altro, le differenti ‘parole di colore’ hanno un uso affine; ma c’` e ogni sorta di differenze104 ”. 99 Cfr. idem, Osservazioni sui colori, III § 52. Cfr. idem, Ricerche filosofiche, p. 274.: “Gli aspetti di un tipo si potrebbero chiamare aspetti di organizzazione. Se l’aspetto cambia, le parti dell’immagine, che prima non andavano insieme, ora vanno insieme”. L’immagine dell’ordinare o dell’organizzare ` e molto presente in Wittgenstein, si veda anche idem, Libro blu e libro marrone, pp. 61-62. 100 Cfr. idem, Osservazioni sui colori, III § 43. 101 Cfr. ibid., III § 45. Cfr. idem, Ricerche filosofiche, p. 238.: “Lo svolgimento del nostro gioco linguistico riposa sempre su una tacita presupposizione”; anche Cfr. idem, Osservazioni sui colori, III § 101: “noi abbiamo pregiudizi che riguardano l’impiego delle parole”. 102 Cfr. ibid., III § 71. 103 Cfr. ibid., III § 73. 104 Cfr. ibid., III § 75.

156

Linguaggi, possibilit`a e concetti

“L’indeterminatezza del concetto di colore risiede, prima di tutto, nell’indeterminatezza del concetto di eguaglianza tra i colori, e dunque nell’indeterminatezza del metodo del confronto tra colori105 ”.

Questo non vuol dire porre l’esigenza, qui astratta, di dover giustificare l’indeterminatezza sussumendola ad una pretesa determinatezza originaria106 : non essere in grado dire esattamente che cos’`e un gioco [. . . ], non `e ignoranza. Non conosciamo i confini perch´e non sono tracciati. Come s’`e detto107 , possiamo - per uno scopo particolare - tracciare un confine. Ma con ci`o solo rendiamo il concetto utilizzabile? Niente affatto! Tranne che per questo scopo particolare108 . Le stesse regole, in quanto sono proprie di una forma di vita, sono arbitrarie, ci`o, di nuovo, vuol dire considerare la vita in quanto possibilit` a; `e dunque una prassi che di volta in volta permette di porre un ordine possibile. Se per i colori esistesse una teoria dell’armonia questa dovrebbe incominciare con una ripartizione dei colori in gruppi, e dovrebbe vietare certe mescolanze o certi accostamenti di colori e permetterne altri. E come la teoria dell’armonia non darebbe una fondazione [begr¨ unden] alle proprie regole109 . Quello che qui `e importante cogliere `e la valenza del gesto ordinatore nel suo restare legato ad una prassi, nella quale ha senso, e nel suo indicare una strada ` piuttosto che un’altra, senza rimandi a presunti enti di ordine superiore110 . E importante come viene sentito un colore, una parola, l’eco che porta con s´e, poich´e ogni particolare modo di sentire un colore manifesta una particolare sfumatura della forma di vita in cui ci si trova, ed il modo in cui s’interagisce con essa. Gli stessi elementi di un contesto familiare condiviso possono essere fatti interagire in modo diverso, senza che con questo debbano produrre esiti simili. “In realt` a, vorrei dire che neanche qui sono importanti le parole che enunciamo o quello che, enunciandole, si pensa; importante ` e per` o la differenza che esse fanno in luoghi differenti della vita111 ”. “Immaginiamo che certi uomini non contrappongano immagini colorate ad immagini bianche e nere, ma contrappongano immagini colorate a immagini blu e bianche. Cio` e: non potrebbe darsi che anche il blu non venisse sentito [empfinden] (vale a dire, usato) come un colore vero e proprio?112 ”.“Secondo in mio sentire [Gef¨ uhl], il blu spegne il giallo113 ”. “Per me, il verde ` e una particolare 105 Cfr.

ibid., III § 78. vorrebbe dire tornare all’interno di quel metodo classico per cui il movimento ha senso solo se ricondotto ad un fondamento stabile. 107 Il riferimento ` e a Wittgenstein, Ricerche filosofiche, § 68. 108 Cfr. ibid., § 69. 109 Cfr. idem, Osservazioni sui colori, I § 74. 110 Cfr. idem, Ricerche filosofiche, § 97: “C’illudiamo che ci` o che ` e peculiare, profondo, per noi essenziale, nella nostra indagine, risieda nel fatto che essa tenta di afferrare l’essenza incomparabile del linguaggio. Cio` e a dire, l’ordine che sussiste tra i concetti di proposizione, parola, deduzione, verit` a, esperienza ecc. Quest’ordine ` e un super -ordine tra – potremmo dire – super -concetti. Mentre in realt` a, se le parole linguaggio, esperienza, mondo, hanno un impiego, esso dev’esser terra terra, come quello delle parole tavolo, lampada, porta”. 111 Cfr. idem, Osservazioni sui colori, III § 317. 112 Cfr. ibid., III § 38. 113 Cfr. ibid., III § 39. 106 Questo

Linguaggi, possibilit` a e concetti

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stazione sulla strada colorata che va dal blu al giallo, e il rosso ` e un’altra114 ”. “Chi parla di un carattere di un colore pensa con ci` o, sempre e soltanto, a un determinato modo del suo impiego115 ”.

Nel discorso di Wittgenstein diventano centrali, grammaticalmente e filosoficamente, quelle differenze estetiche116 , oltre che etiche117 , che caratterizzano le stesse relazioni interne tra le parole. Wittgenstein, proprio in quanto si oppone alla ‘logica del doppio’118 , ad un qualcosa di significante posto “dietro” la proposizione, ci propone di guardare119 la grammatica, di chiarirla eliminando fraintendimenti e relative mitologie120 . Stando cos`ı le cose, il mondo potrebbe apparire qualcosa di ordinato, seppure in un modo particolare, alle cui regole, pi` u o meno esplicite, bisognerebbe sottostare. Al contrario, proprio in base a quanto ho esposto, esistono molti modi di giocare uno stesso gioco. Non essendoci momenti assolutamente finali o iniziali nell’aver a che fare col linguaggio, quest’ultimo si trova ad essere un sito estremamente frastagliato, muovendosi sul quale `e facile inciampare e cadere e dal quale non si pu`o prescindere per nessuna ragione, a meno di non voler creare idoli. Riassumendo, si pu` o dire che se il linguaggio si dice in molti sensi, in nessuno si dice che `e; ed ogni volta che lo si prova a caratterizzare ci si interagisce attivamente, modificandolo, sia positivamente, sviluppando nuovi e/o simili giochi, sia, negativamente, chiarendone un aspetto, in quanto ogni delimitazione di una regione d’uso del linguaggio postula qualcosa di ulteriore, che pu`o emergere in base ad un problema effettivo, legittimato da una prassi.

114 Cfr.

ibid., III § 40. ibid., I § 73; Cfr. ibid., III § 71. Qui come in altri punti, si comprende come il termine “etico”, e simili, da me usati stia ad indicare il cambio di prospettiva insito nel pensiero di Wittgenstein, egli dirige il suo discorso verso una problematizzazione, in senso nuovo, della possibilit` a e della molteplicit` a (Cfr. idem, Ricerche filosofiche, § 23). 116 Cfr. idem, Osservazioni sui colori, III § 156: “La differenza tra il nero e, per esempio, un viola scuro, ` e simile a quella che c’` e tra il suono della grancassa e il suono di un timpano. Del primo ` opaco e completamente nero”. Cfr. idem, Ricerche si dice che ` e un rumore e non una nota. E filosofiche, p. 287: “Molte cose possono dirsi intorno a una sottile distinzione estetica - questo ` e importante”. 117 In questo contesto s’inscrivono anche le differenze culturali, all’interno di una forma di vita, per cui due persone sono in grado di cogliere sfumature e/o somiglianze diverse contemporaneamente e, nello stesso tempo, confrontarle. 118 Cfr. Wittgenstein, Libro blu e libro marrone, passim, in particolare il Libro marrone. 119 Cfr. idem, Ricerche filosofiche, III § 66: “Non pensare, ma osserva”. 120 Cfr. idem, The big typescript, p. 431. 115 Cfr.

Capitolo 6

Concetto e possibilit` a

Nel paragrafo precedente `e emerso che la questione di un elemento originario e stabile al quale ricondurre la molteplicit`a del linguaggio si dissolve in pratiche mutevoli; lo stesso concetto di linguaggio come qualcosa di monolitico ed aproblematico, con un forte statuto fondativo, si dissolve nella pluralit`a dei giochi linguistici e nelle somiglianze che li strutturano. Il linguaggio, pertanto, risulta, in una tale prospettiva, pensabile come qualcosa di regionale: proprio questa nozione si tratta, ora, di approfondire. Per questo scopo, la discussione, oltre che delle Ricerche filosofiche, delle Osservazioni sui colori offre un ottimo spunto in questo senso. La molteplicit` a delle relazioni tra i colori che Wittgenstein esemplifica non vanno, come detto, ricondotte ad un’unit` a che le racchiuda tutte, ma sta a significare che esistono molti modi di mettere ordine tra i colori e, pi` u in generale, tra le cose, i concetti ecc. . . Nelle opere del cosiddetto secondo periodo, Wittgenstein si sofferma spesso proprio sulla problematica specifica del “mettere ordine”. A partire dal chiarimento di quest’ultima sar` a possibile caratterizzare meglio la “regionalit`a” del linguaggio. Si `e visto che i confini e le zone di confine dei concetti si presentano molto pi` u complessi di quanto `e stato finora pensato; lo stesso vale per il modo in cui gli elementi di un concetto o di un gioco linguistico occupano lo spazio interno di un concetto o di un gioco, determinandoli. Come per quanto riguarda l’immagine del “tracciare la linea”, cos`ı anche per quanto riguarda il “mettere ordine”, Wittgenstein sottolinea il fatto che una tale attivit`a `e vincolata, all’interno di una forma di vita, allo scopo per il quale viene compiuta. Nelle Ricerche filosofiche, a questo proposito si legge: Vogliamo mettere ordine nella nostra conoscenza dell’uso del linguaggio: un ordine per uno scopo determinato; uno dei molti ordini possibili; non l ’ordine. A tale scopo metteremo continuamente in rilievo quelle distinzioni che le nostre comuni forme linguistiche ci fanno facilmente trascurare1 . Mettere ordine tra le cose vuol dire semplicemente dare un ordine possibile, a partire da quello che `e un modo di abitare il mondo. Questa precisazione mi pare 1 Cfr.

idem, Ricerche filosofiche, § 132.

159

160

Concetto e possibilit`a

doverosa, in quanto la scelta e/o la costruzione di un ordine piuttosto che un altro non `e astrattamente arbitraria, ma `e sempre inquadrata in un particolare contesto, in cui sono aperte determinate possibilit` a. Da questo punto di vista, l’apertura di una possibilit`a diversa non va pensata astrattamente, ma sempre a partire da un mondo, da un linguaggio, nonch´e a partire da un reale crampo mentale. La questione che si pone a questo punto `e come pensare il senso di molteplicit` a che `e emerso in queste pagine. Ho mostrato che non si tratta di individuare qualcosa che sta a fondamento del linguaggio, n´e di qualcosa che pu`o definire completamente il linguaggio stesso. Wittgenstein, intelligentemente, attraverso le somiglianze di famiglia dissolve lo stesso concetto di linguaggio, inteso come una totalit`a in s´e necessariamente coerente. Non `e neanche pensabile come la somma di molteplici aspetti che in esso possono essere raccolti, se non, come potrebbe dire lo stesso Wittgenstein, per uno scopo preciso. Trattandosi di somiglianze di famiglia, la molteplicit`a delle possibilit`a del linguaggio `e qualcosa di relativo alle effettive interazioni che si producono nella forma di vita. Essendo davanti a relazioni e a rapporti desostanzializzati, la possibilit`a si trova all’interno di una dinamicit`a chiusa, in quanto `e essa stessa qualcosa di prodotto da interazioni “viventi” tra i concetti. Di conseguenza, poich´e non ci si sta muovendo all’interno di un paradigma analitico-riduzionista, una piccola variazione delle somiglianze non solo pu` o produrre uno spazio di pensabilit`a molto o poco diverso, ma non permette in ogni caso di prevederlo a priori, pur trovandosi tutto su un medesimo piano. Come per l’esempio scacchistico fatto in precedenza, nonostante siano date le regole del gioco e le condizioni iniziali, non c’`e nessun meccanismo causale in grado di predeterminare la sequenza delle mosse. La metafora del “mettere ordine”, anche al di l`a del pensiero di Wittgenstein, mi pare molto importante poich´e, essendo centrata su una pluralit` a di ordini possibili, permette di puntare l’attenzione su aspetti e relazioni che una consuetudine consolidata non permette di cogliere. Ma alcuni dei massimi risultati della filosofia si potrebbero paragonare solo al raccogliere libri che sembrano formare un insieme unitario ed al disporli su differenti scaffali; delle loro collocazioni, `e definitivo solo il fatto che essi non sono pi` u mescolati tra loro2 . Riprendendo quanto detto nel paragrafo precedente, il tracciare la linea, cos`ı come il mettere ordine, sono esiti cui pu` o condurre la filosofia come terapia. Come detto, il chiarimento dell’uso, ad esempio, di un concetto pu`o essere sufficiente a risolvere il problema che lo ha suscitato, proprio all’interno dello spazio in cui `e sorto. Nonostante ci`o, proprio la presentazione perspicua permette nello stesso tempo di render manifesti i confini di un concetto e, di conseguenza, ne evidenzia, oltre che le possibilit`a, i limiti. Quest’ultimi permettono, da un lato, di chiarire lo spettro di possibile applicazione delle possibilit`a, dall’altro di mostrare la specificit`a di un determinato modo di affrontare un problema, ponendo, implicitamente, la questione di altri modi di vedere. 2 Cfr.

idem, Libro blu e libro marrone, p. 62.

Concetto e possibilit` a

161

Da un lato si ha un linguaggio che ha sempre bisogno di essere chiarito; dall’altro manca completamente la possibilit`a di giungere ad un fondamento, si potrebbe dire metafisico, del linguaggio stesso. Inoltre, i giochi linguistici, del cui intreccio si compone l’uso del linguaggio, non hanno dei confini netti determinabili come qualcosa di atemporale. Di conseguenza, mi pare di poter dire che ci si trova davanti ad una serie di relazioni mobili dell’uso dei giochi linguistici. Il riferimento alle stesse somiglianze di famiglia sottolinea proprio la mancanza di un fondo necessitante e stabile dietro gli usi del linguaggio, in grado di dire e di cogliere l’essenza del linguaggio al di l` a della grammatica, e di qui al di l`a delle pratiche. Non devi dimenticare che il gioco linguistico ` e, per cos`ı dire, qualcosa d’imprevedibile. Voglio dire: Non `e fondato, non `e ragionevole (o irragionevole). Sta l`ı come la nostra vita.3 . Il linguaggio non si presenta come qualcosa che ha una struttura logica prima e fondamentale, come qualcosa che non ha un inizio cui ricondurre e ridurre tutte le analisi sulla sua struttura e che ne costituisce l’essenza. In questo senso Wittgenstein non parla di forme logiche fondamentali, ma di forme di vita. Ma la fondazione, la giustificazione delle prove, arrivano ad un termine. - Il termine, per` o, non consiste nel fatto che certe proposizioni ci saltano immediatamente agli occhi come vere, e dunque in una specie di vedere da parte nostra, ma `e il nostro agire che sta a fondamento del gioco linguistico4 . Wittgenstein giunge alla constatazione che, una volta raggiunta la roccia, la vanga5 si piega e non si pu`o che mostrare la forma di vita in qualit`a di ultima ratio, che per`o, lungi da essere una ratio esplicativa, non fa altro che mostrare pratiche in base a cui si orienta ed ordina l’assegnazione di un valore di verit`a, cos`ı come la conoscenza in generale6 . Di qui, il discorso filosofico pu` o fare a meno di una concettualit`a che ricerca il suo centro in qualcosa che assume il ruolo di fondamento e che debba essere riconosciuta come tale. Lo spazio di pensabilit` a in quanto tale non ha a priori un centro, ma, quest’ultimo pu`o essere pensato solo a posteriori, in quanto risulta prodotto dall’interazione di elementi in una forma di vita. Un concetto `e, dunque, un prodotto, come si diceva, per sottrazione. Di conseguenza, quando qualcosa s’individua attraverso un concetto, si produce qualcosa in funzione delle relazioni o dei rapporti che la producono. In questo modo, il concetto pu` o essere svincolato da una presupposta, completa ed atemporale conformit`a ed identit` a col suo oggetto. Un concetto, in quanto individua qualcosa, non ne esprime l’essenza, quanto pi` u una differenza. 3 Cfr. idem, Della certezza, § 559. Il testo originale recita: “Du mußt bedenken, daß das Sprachspiel sozusagen etwas Unvorhersehbares ist. Ich meine: Es ist nicht begr¨ undet. Nicht vern¨ unftig (oder unvern¨ unftig). Es steht da - wie unser Leben”. 4 Cfr. ibid., § 204. 5 Cfr. idem, Ricerche filosofiche, § 217: “Quando ho esaurito le giustificazioni arrivo allo strato di roccia, e la mia vanga si piega. Allora posso dire: ‘Ecco, agisco proprio cos`ı’ ”. 6 Il lato antropologico assume nel pensiero di Wittgenstein un rilievo di primario valore, che per` o non intendo approfondire in questa sede.

162

Concetto e possibilit`a

Del resto, gli innumerevoli esempi che Wittgenstein offre riguardo il tentativo di determinazione del concetto di “gioco”, mostrano che non `e possibile individuare uno o pi` u elementi che restano identici in tutti i giochi, tali da costituirne il concetto, non tanto perch´e non ve ne siano, ma perch´e ce ne sono troppi, e ciascuno pu`o rappresentare un modo di dare un ordine, di dare una forma al concetto di “gioco”, che, come detto, non si erge sopra le pratiche, ma `e legittimato dalla pratica, dalla forma di vita. Ora, sviluppando l’esempio della libreria `e possibile cogliere elementi in grado di far progredire produttivamente il discorso. Una libreria pu`o essere ordinata per autore, per casa editrice, per altezza dei volumi. Inoltre, i libri possono essere sistemati uno di fianco all’altro o possono essere sovrapposti. Come afferma Wittgenstein, “`e definitivo solo il fatto che non sono pi` u mescolati tra di loro”. Un determinato ordine `e qualcosa di funzionale rispetto ad uno scopo, nel senso che apre uno spazio in cui `e agevole trovare un posto a dei testi, mentre `e pi` u difficile trovare posto a degli altri, come nel caso in cui si dispongano i libri per argomento. Ora, se i testi difficili da collocare sono di pi` u di quelli per i quali `e semplice individuare la collocazione, allora, forse, al fine di rendere agevole l’individuazione di un testo, pu`o essere opportuno cambiare criterio di ordine o semplicemente modificarlo. Questo esempio oltre a ribadire quanto detto in questo capitolo, mostra che a partire da uno spazio di pensabilit`a nel quale sono inscritte determinate possibilit`a se ne possono modificare i confini laddove quest’ultimi siano troppo stretti. Analizzando la situazione di partenza (i libri che ho e l’ordine che ho scelto), possono giungere a mettere in discussione la validit` a e la pertinenza dell’ordine prescelto. Un ordine non `e altro che la configurazione di un gioco e ne delimita la regionalit`a. Come avverte pi` u volte Wittgenstein, giungere ad un ordine, o a rappresentarsi qualcosa in un concetto chiuso, non significa individuare l’essenza di qualcosa, ma mettere in primo piano delle somiglianze di famiglia e lasciarne sullo sfondo altre, raggiungendo cos`ı una coerenza, come per i libri della libreria. Ora, individuando un criterio diverso, o modificando il precedente la filosofia non aggiunge libri alla libreria, n´e modifica direttamente gli scaffali, ma getta una luce diversa sulla libreria e sul suo ordine. In questo modo `e possibile chiarire e ribadire che la filosofia lascia tutto com’`e e che si occupa, in generale, delle possibilit` a effettive dell’uso del linguaggio. Si pu` o, a questo punto, procedere oltre.

6.1

Regionalit`a strutturata

L’esempio dell’ordine in cui sono disposti i libri in una libreria mostra che la reale disposizione dei libri `e inscritta in una dinamicit`a chiusa di possibilit`a di ordinamento, nella quale si pu`o scegliere. Una tale scelta `e, pertanto, vincolata al contesto e all’oggetto con cui si ha a che fare. Se, ad esempio, `e possibile disporre i libri per autore, non `e possibile disporli per temperatura. Questo, a sua volta,

Concetto e possibilit` a

163

permette di avere un’idea della regione del linguaggio che sto considerando. Inoltre, il fatto che i libri siano disposti per autore mostra anche come una tale regione sia ordinata o strutturata7 . In una tale struttura sar` a, pertanto, semplice fare una stima degli autori maggiormente presenti nella libreria, mentre sar`a altamente scomodo contare quanti libri appartengano ad una stessa casa editrice, o quanti libri siano stati pubblicati nel 1978. In quest’ultimo caso, l’ordine adottato risulta del tutto inutile, ma non `e come se i libri fossero sparsi disordinatamente sul pavimento, in quanto questa possibilit` a non rientra nella delimitata dinamicit`a chiusa. Questo esempio `e utile per mostrare e ribadire che nel momento in cui sorge un problema, si ha sempre a che fare con una regione del linguaggio strutturata in una certa maniera8 all’interno di una dinamicit`a chiusa, nella quale si d`anno degli ordini possibili e, di volta in volta, uno reale9 . L’ordine effettivo deriva ed `e legittimato da esigenze pratiche, che possono mutare. Anche un mutamento possibile non `e qualcosa di totalmente astratto, ma si colloca sempre nella sua regionalit`a. In questo senso, sarebbe astratto cercare di disporre i libri per temperatura crescente. A tale proposito, si vedano tutti quei passi in cui Wittgenstein afferma che, se non c’`e una risposta, allora non si poteva neanche porre la domanda. La domanda stessa tiene la mente schiacciata contro un muro cieco, impedendole cos`ı di trovare l’uscita. Per mostrare ad uno come uscire, prima di tutto tu devi liberarlo dall’influenza fuorviante della domanda10 . Diviene ora necessario procedere oltre al fine di poter dar conto di tutti gli elementi concettuali emersi nelle pagine precedenti. A questo scopo `e necessario complicare l’esempio proposto. Una volta acquistati dei libri in formato digitale, ad esempio dei CD, si apre una nuova possibilit`a, che consiste nel disporre i libri per formato, prima quello digitale, poi quello cartaceo o viceversa. Ora, come detto, la filosofia, che lascia tutto com’`e, non `e in grado di acquistare dei testi, ma pu`o solo individuare ordini possibili. In questo caso, si vede bene come sia possibile distruggere un ordine (edificio) in modo da far fronte (spazio) a nuove esigenze (possibilit`a). “Da che cosa acquista importanza la nostra indagine, dal momento che sembra soltanto distruggere tutto ci` o che ` e interessante, cio` e grande ed importante? (Sembra distruggere, per cos`ı dire, tutti gli edifici, lasciandosi dietro soltanto rottami e calcinacci.) Ma quelli che distruggiamo sono soltanto edifici di cartapesta, e distruggendoli sgombriamo il terreno del linguaggio sul quale essi sorgevano11 ”.

La distruzione della filosofia non `e fine a se stessa, ma serve per liberare il terreno. Se il chiarimento di un concetto dal quale inizia a sorgere un crampo 7 Dopo tutto il percorso fatto sin qui, mi pare superfluo ribadire che una tale “struttura” non ` e qualcosa di vincolante. 8 Questo vale anche nel caso in cui non c’` e una struttura. 9 L’ulteriore opzione per la quale pi` u ordini reali siano contemporaneamente presenti ` e discussa pi` u avanti nel testo e non qui per ragioni di chiarezza espositiva. 10 Cfr. Wittgenstein, Libro blu e libro marrone, p. 216. 11 Cfr. idem, Ricerche filosofiche, § 118.

164

Concetto e possibilit`a

mentale mostra che quel concetto non `e pi` u legittimato da una pratica effettiva, allora e solo allora esso pu`o essere modificato, in quanto pu`o rappresentare un intralcio. In tutti questi casi, ci si trova davanti ad uno spettro di possibilit`a pensabili all’interno di uno stesso spazio di pensabilit` a, tuttavia quest’ultima citazione fa riferimento a qualcosa di ulteriore. Procedendo con ordine, `e bene occuparsi prima dei primi esempi proposti in questo paragrafo. In secondo luogo, discuter`o dei casi in cui si rende necessario distruggere al fine di sgombrare il campo per nuove costruzioni.

6.2

La possibilit`a tra rapporto e relazione

Raggiunto questo punto del discorso, la prima cosa da fare `e far interagire alcuni strumenti concettuali discussi nei paragrafi precedenti con i concetti di rapporto e relazione, al fine di chiarirli ulteriormente e di mostrare la loro utilit`a filosofica. Essendo il mondo ed il linguaggio qualcosa che precede l’uomo, se da un lato `e possibile ritornare a pratiche d’uso effettive attraverso la presentazione perspicua, dall’altro `e vero che ci si muove in una regionalit` a strutturata, in un contesto gi`a sempre “linguisticizzato”12 . Questo vuol dire che non esiste un contesto “puro”, ma sin dall’inizio, per usare un’immagine dello stesso Wittgenstein, vedo un’anatra o una lepre. In questo senso, se la condivisa forma di vita e la cultura personale “colorano” gi`a sempre il vedere, non `e quest’ultimo che appare colorato, ma sono gli oggetti ad apparire colorati13 . Si predica della cosa ci` o che `e insito nel modo di rappresentarla. Scambiamo la possibilit` a del confronto, che ci ha colpiti, per la percezione di uno stato di cose estremamente generale14 . Ora, se il linguaggio `e del tutto irresponsabile15 nei confronti della realt` a, e dunque non fonda nulla, ma `e esso stesso legittimato da pratiche, allora il linguaggio non `e in grado di coprire l’estensione delle pratiche, tanto pi` u che esse sono mutevoli, e che lo eccedono. Come appena detto, per` o, il contesto di partenza `e linguistico. Di qui, laddove un problema appare risolvibile all’interno del contesto di partenza, il linguaggio mostra la sua legittimit`a; in caso contrario si hanno due opzioni. Prima di discuterle, `e necessario ribadire che, dato un problema, si ha a che fare con la dinamicit`a chiusa nella quale si pone. Se le possibilit`a in essa contemplate e predeterminate, in quanto rapporto, forniscono strumenti sufficienti, `e possibile risolvere il problema al suo interno, senza dover rimuovere il vincolo formale che, sia pur desostanzializzato, fornisce una determinata riconoscibilit` a agli oggetti. 12 Come

chiarisce il passo citato nel paragrafo precedente (cfr. idem, Della certezza, § 204), il linguaggio si chiarisce, in ultima analisi, non attraverso un vedere, bens`ı attraverso un agire. 13 Di qui, laddove il colore, o la differenza che si coglie attraverso esso, tende a fissarsi, si va verso la costituzione di mitologie. 14 Cfr. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, § 104. 15 Cfr. Gargani, op. cit.

Concetto e possibilit` a

165

L’esempio dei testi in formato digitale mostra come sia possibile modificare la dinamicit`a chiusa senza metterne in discussione il vincolo formale; in questo caso, infatti, s’introduce qualcosa di diverso, ma in essa pensabile. Come dicevo, le cose cambiano quando tutto ci`o non `e possibile. In questo caso la prima e pi` u semplice situazione che si pone `e quella in cui una domanda n´e trova risposta nella dinamicit` a chiusa in cui sorge, n´e risulta legittimata dalle pur mutevoli pratiche. In questo caso si tratta di abuso linguistico, di scorrettezza grammaticale. La situazione si complica, invece, nel caso in cui un problema pur non trovando soluzione nella dinamicit` a chiusa in cui sorge, risulta legittimato nella forma di vita. In altri termini, in questo caso la cosa da pensare `e una pratica inedita. Dato che il linguaggio `e colorato, ma ci`o che appare tale sono gli oggetti di cui si occupa, restando nel rapporto e nella dinamicit`a chiusa, l’idea presupposta `e la riconoscibilit`a a priori dell’oggetto, vale a dire il vincolo formale. Proprio quest’ultimo `e ci` o che va messo in discussione, in quanto le pratiche eccedono il linguaggio, poich´e quest’ultimo ed il suo concetto risultano essere, come visto, prodotti per sottrazione e, in quanto tali, si collocano di fianco e non sopra al reale16 , potendone cos`ı cogliere aspetti o differenze. Per affrontare questo caso `e utile affiancare un paio di passi di Wittgenstein: “Dati i due concetti ‘grasso’ e ‘magro’, saresti disposto a dire che mercoled`ı ` e grasso e marted`ı ` e magro, o saresti meglio disposto a dire il contrario? (Io sono propenso a scegliere la prima alternativa.) Ebbene, qui ‘grasso’ e ‘magro’ hanno un significato diverso dal loro significato ordinario? Hanno un impiego diverso. Dunque, per parlar propriamente, avrei dovuto usare altre parole? Certamente no. - Qui io voglio usare queste parole (con i significati che mi sono familiari). - Non dico nulla delle cause del fenomeno. Potrebbero essere associazioni che hanno la loro origine nella mia infanzia. Ma questa ` e un’ipotesi. Qualunque sia la spiegazione, quell’inclinazione sussiste17 ”. “Devi dire cose nuove, e per` o tante cose vecchie. Devi dire in effetti solo cose vecchie che per` o siano anche nuove! Le diverse ‘concezioni’ devono corrispondere a diverse applicazioni. ` proprio vero ci` Anche il poeta deve sempre chiedersi: ‘E o che scrivo?’. Il che non deve necessariamente voler dire: ‘Succede cos`ı nella realt` a?’. Devi comunque portarti dietro qualcosa di vecchio. Ma per una costruzione. -18 ”.

Un tale “abuso legittimo” `e, pertanto, qualcosa che non si rassegna ad essere pensato nella regionalit`a strutturata in cui sorge19 . Di qui, proprio la presentazione perspicua, fornendo una descrizione delle possibilit`a e dei limiti della dinamicit`a chiusa, palesa proprio questa situazione irrisolvibile. Attraverso il riconoscimento 16 In

questo senso si pu` o pensare il fatto che Wittgenstein, nelle Ricerche filosofiche, parla dei giochi linguistici come termini di paragone. 17 Cfr. Wittgenstein, op. cit., p. 283. 18 Cfr. idem, Pensieri diversi, p. 82. 19 Mi pare che il tema delle perturbazioni sviluppato nel secondo capitolo possa offrire un effettivo terreno di confronto e di riscontro per quanto sto dicendo.

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Concetto e possibilit`a

del vincolo formale, emerge che `e il vedere ad essere colorato e non gli oggetti. In altri termini, il contesto linguisticizzato appare come tale e la dinamicit`a chiusa appare, appunto, chiusa. Va ricordato, per inciso, che, da quanto detto nei paragrafi precedenti, tutto ci`o non vuol dire che si giunga a qualcosa di “puro”, di “originario” o all’oggetto in s´e, poich´e la domanda posta, il problema da risolvere, a sua volta, gi` a in qualche modo, prefigura la direzione, o meglio le direzioni, in cui pu` o trovare soluzione. La relazione permette di pensare il fatto che degli elementi combinati in modi diversi a partire da un contesto problematico, possano produrre qualcosa che ecceda la dinamicit` a chiusa in cui si collocano, possano far riferimento a diverse somiglianze che non solo aumentano le possibilit` a, come nel caso del rapporto, ma giungono a mettere in discussione il vincolo formale. Il fatto che la relazione riesca a pensare insieme il contesto di partenza, la rottura del vincolo formale e l’uscita da una dinamicit` a chiusa `e molto importante perch´e evita di far scadere il discorso filosofico nella tematizzazione di una nozione astratta e sterile di possibilit` a, in quanto la relazione riesce a tenere legati questi aspetti ad un contesto problematico e ad un crampo mentale da risolvere che prefigura, e non predetermina, direzioni diverse e concrete per la sua soluzione, ad esempio, introducendo o collegando diversamente nuovi e/o vecchi elementi di uno o pi` u giochi. 6.2.1

Possibile e impossibile

In base a quanto detto, la relazione non pu`o indicare, in un senso troppo generico, il fatto che il tutto `e maggiore della somma delle parti, in quanto quest’ultimo approccio, una volta costruito, si muove all’interno di una dinamicit`a chiusa, all’interno di una possibilit`a codificata20 . Di conseguenza, rispetto a quanto detto nel capitolo precedente `e necessario precisare meglio il concetto di relazione. Ci`o `e possibile solo ora in virt` u degli strumenti di pensiero emersi interpretando la filosofia di Wittgenstein. La relazione fa riferimento alla rottura di una dinamicit` a chiusa, e quindi fa riferimento a possibilit`a non determinate (in quanto dinamicit`a chiusa), in quanto la forma di vita eccede il linguaggio. La relazione, rispetto ad uno spettro di possibilit` a codificate, si apre all’impossibile, non assoluto21 , ma relativo ad uno spazio di pensabilit` a22 . Essa fa riferimento al fatto che il metodo non `e solo un insieme di passi codificati da compiere per raggiungere uno scopo, ma pu` o anche essere pensato come una via che si costruisce nel momento stesso in cui la si percorre. 20 Questo

punto emerger` a pienamente nel prossimo capitolo. Sinteticamente si pu` o dire che se ` e la pratica a legittimare il linguaggio e a rendere possibile l’istituzionalizzazione di una pratica, la relazione cerca di pensare l’atto di tenere insieme elementi diversi, al di l` a di una loro codificazione. 21 Nella prospettiva che sto discutendo, parafrasando un passo di Wittgenstein, si pu` o dire che ci` o che ` e assoluto lo dice la grammatica. 22 Si pensi a ci` o cui da luogo la meccanica quantistica rispetto alla meccanica classica.

Concetto e possibilit` a

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Si tratta, in sostanza, di ribadire e pensare il fatto che, avendo a che fare con linguaggi intesi come regionalit` a strutturate, `e necessario e sempre possibile costruire coerenze diverse in grado di far fronte ad esigenze sempre nuove che l’eccedente forma di vita pone di volta in volta. Come visto, costruire una coerenza vuol dire individuare inedite somiglianze di famiglia, in modo da creare una nuova coerenza, al fine di produrre qualcosa d’impossibile all’interno di una data regionalit` a strutturata. Come si comprende, una tale impossibilit`a, non `e qualcosa di totalmente astratto, non `e qualcosa di cui non si pu`o parlare, ma `e un modo di pensare la possibilit` a di qualcosa di diverso senza che quest’ultima debba essere necessariamente codificata. Se fosse altrimenti, il “diverso” sarebbe riconducibile all’interno di un’identit`a regionale. Un paio di esempi possono senz’altro aiutare a comprendere quanto appena detto. Se si riprende la fisica discussa in questo lavoro, si vede bene come la meccanica non-lineare fosse impossibile all’interno dell’uso del linguaggio della meccanica del Settecento, nonostante fossero disponibili sia la matematica sia i problemi propri della non-linearit`a. Data la coincidenza di matematica e natura, dato un determinato vincolo formale, problemi come quello dei tre corpi erano costretti all’interno di un linguaggio nel quale esso coincideva col problema dei due corpi pi` u una perturbazione. Una volta al di fuori di questo spazio di pensabilit`a, la non-linearit`a si presenta come una coerenza diversa, nella quale, ad esempio, le propriet` a emergenti risultano essere qualcosa proprio della non-linearit`a, nel senso che non sono riducibili ad altro. In questo modo, la non-linearit` a assume un proprio statuto epistemologico. A sua volta, dopo essere stata codificata, la non-linearit`a `e una dinamicit`a chiusa che dispone di possibilit` a diverse ed ulteriori rispetto alla meccanica del Settecento, senza con questo essere necessariamente in contraddizione con essa. Una tale diversit`a non fa riferimento semplicemente ad un’aggiunta, ma anche ad un modo diverso di pensare la scientificit`a di un risultato. Inoltre, come accennato nell’introduzione, questo esempio porta con s´e anche un altro aspetto molto interessante, il fatto che le due dinamicit`a chiuse non si presentano nettamente separate tra loro, ma, a loro volta, a seconda di ci`o che si considera, `e possibile costruire un concetto chiuso che contenga degli elementi comuni tra l’una e l’altra. Se `e vero che al di qua del tempo di Lyapunov si pu`o considerare produttivamente una dinamica non-lineare come se fosse lineare, `e anche vero che oggi ci` o avviene con un atteggiamento filosofico diverso da quello del Settecento. Per quest’ultimo, infatti, oltre un certo limite non era possibile trattare in alcun modo le traiettorie. All’interno della non-linearit` a `e impossibile trattare analiticamente 23 le traiettorie al di l` a del tempo di Lyapunov. Nonostante ci`o `e possibile, come detto, compiere studi di altro genere ed egualmente scientifici. 23 E `

bene specificare che con questo termine mi riferisco all’analisi algebrica.

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Concetto e possibilit`a

Questo esempio, oltre a chiarire quanto detto sin qui, permette di mettere meglio a fuoco un’altra questione. Come `e possibile pensare la possibilit` a come qualcosa d’interno e di eccedente rispetto ad una dinamicit`a chiusa, cos`ı `e possibile pensare un’impossibilit`a interna ad una dinamicit`a chiusa (abuso illegittimo) ed un’impossibilit` a che eccede, e non esterna 24 , ad una dinamicit`a chiusa. 6.2.2

Coerenze e storie

La possibilit`a di produrre pi` u coerenze, come detto, `e data dalla rottura del vincolo formale. Proprio per questo motivo non si pu`o sostenere che una coerenza abbia un valore qualitativamente diverso rispetto ad un’altra, ma si possono senz’altro sostenere la pertinenza e la rilevanza di una coerenza rispetto ad un’altra, in base alle questioni poste. Nel capitolo terzo, si `e visto che, mantenere il vincolo formale porta a pensare la pluralit` a all’interno di un singolo modo in cui deve e pu` o prodursi. Di qui, ogni differenza `e pensata o riconducibile ad un’unit`a soggiacente. In altri termini, in questo caso ci si trova irrimediabilmente dentro ad una dinamicit`a chiusa. Dalla prospettiva che `e emersa in questi ultimi paragrafi, la rottura del vincolo formale porta con s´e la possibilit` a di produrre coerenze diverse in grado di rendere conto in maniera diversa dello stesso mondo. In questo senso, costruire pi` u coerenze vuol dire costruire pi` u storie, non solo tracciare diversi confini, ma tipi diversi di confine25 . Dalla configurazione del linguaggio, cos`ı come `e emersa nel capitolo precedente, si comprende facilmente che coerenze diverse non sono necessariamente completamente diverse tra loro, tali che non sia possibile confrontarle. Anche qui si tratta di individuare o ridefinire un problema ed un contesto, a partire dai quali anche questo tipo di questione pu`o evitare di essere astrattamente e sterilmente discussa. In questo senso, pi` u storie, intese come modi di ordinamento del reale diversi, possono intrecciarsi in vario modo26 . Nonostante le differenze profonde tra la fisica newtoniana e quella einsteiniana, ci si muove sempre all’interno della fisica classica27 . 24 Se fosse semplicemente esterna sarebbe qualcosa di astratto e del tutto indeterminato, al di fuori di ogni contesto problematico. 25 Estrapolando un passo dalle Ricerche filosofiche ed introducendolo in questo contesto, si pu` o dire: “Ma quando si traccia un confine si possono avere diverse e svariate ragioni. Se delimito un’area con una siepe, con una linea, o in qualche altro modo, ci` o pu` o avere lo scopo di non far entrare o di non far uscire qualcuno; ma pu` o far parte anche di un giuoco nel quale i giocatori debbano, per esempio, saltar oltre il confine; oppure pu` o indicare dove termina la propriet` a di una persona e ha inizio quella di un’altra, ecc. Perci` o, tracciando un confine, non si dice ancora perch´ e lo si traccia” (Cfr. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, § 499). 26 Wittgenstein ` e esplicito a questo proposito quando afferma: “La spiegazione storica, la ` spiegazione come ipotesi di sviluppo ` e solo un modo di raccontare i dati - della loro sinossi. E ugualmente possibile vedere i dati nella loro relazione reciproca e riassumerli in una immagine generale che non abbia la forma di un’ipotesi sullo sviluppo cronologico” (cfr. Ludwig Wittgenstein. Note sul “Ramo d’oro” di Frazer. Milano: Adelphi, 2006, p. 28). 27 Si pu` o pensare, ad esempio, al fatto che le propriet` a di un oggetto esistono oggettivamente, al di l` a del processo di misurazione.

Concetto e possibilit` a

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Un esempio ancora pi` u illuminante `e proprio dato dalla fisica approfondita in questo lavoro. Se, infatti, si pensano la linearit`a e la non-linearit`a come due coerenze, due storie, si pu`o senz’altro sostenere che, almeno da un punto di vista pratico, esse coincidano fino all’ormai noto λ1 . Per dirla con Wittgenstein, si `e di fronte a due giochi che hanno molti tratti comuni, pur essendo nettamente distinti da altri punti di vista. Oltre a ci` o c’`e ancora una cosa da sottolineare, vale a dire che diverse coerenze non si collocano necessariamente in una successione temporale. Esse, infatti, possono benissimo essere pensate come contemporaneamente presenti. Questo vuol dire che possono essere prodotte pi` u coerenze da uno stesso contesto problematico, in quanto `e possibile produrre concetti diversi di qualcosa che si concentrano su differenti aspetti. La molteplicit`a, in generale, pu`o darsi come rapporto, compresa all’interno di una dinamicit` a chiusa, e come relazione, al di l`a di un vincolo formale28 . Questo vale non solo nel momento in cui, dato un contesto, sorge un problema, ma anche e soprattutto nel momento in cui nello stesso contesto si confrontano due coerenze diverse, due concettualit`a diverse. Di due persone, per esempio, pu`o benissimo darsi che, contemporaneamente e sotto il medesimo rispetto, l’una sia cieca all’anatra, l’altra sia cieca alla lepre. Coerenze diverse sono, normalmente, contemporaneamente presenti rispetto ad uno stesso determinato contesto e/o agli stessi problemi. Ma qui dobbiamo guardarci dal credere che, corrispondentemente alla natura del caso, esista una totalit` a di tutte le condizioni (per esempio, del camminare) cos`ı che quando tutte queste condizioni siano soddisfatte egli, per cos`ı dire, non possa far altro che camminare29 . Questo passo s’inscrive molto bene in quanto detto in quest’ultimi paragrafi. Anche e non solo al di l`a di esso, si pu`o dire che ciascuno, anche se condivide la stessa regionalit`a strutturata con altri, non per questo, in situazioni identiche, debba formarsi idee identiche a quelle degli altri. Ci sono, per esempio, stili pittorici che non mi comunicano nulla in questo modo immediato, ma che tuttavia comunicano qualcosa ad altri uomini. Io credo che qui l’abitudine e l’educazione abbiano da dire la loro30 . Sono proprio le “sottili differenze” culturali che fanno la differenza, in quanto rendono possibili idee divergenti o identit` a concettuali diverse. Tali identit`a concettuali diverse spesso rappresentano, nella scienza e non solo, dei modi diversi ed ugualmente e contemporaneamente legittimi di costruire coerentemente approcci diversi ad un problema31 . In base a quanto detto, `e possibile confrontare quadri concettuali diversi, senza con questo dover restare legati al suolo dal quale sono nati, senza dover li risolvere in un’unica direzione ed in un unico spazio concettuale. 28 E `

sottintesa, naturalmente, la possibilit` a che si abbiano pi` u tipi di rapporto e di relazione. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, § 183. 30 ibid., § 265. 31 Nel prossimo capitolo, facendo un cenno alla meccanica quantistica, proporr` o proprio un esempio in questa direzione. 29 Cfr.

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Concetto e possibilit`a

All’interno di un confronto, i confini, e/o le zone di confine, delimitano sia spazi all’interno dei quali vigono pi` u giurisdizioni sia spazi vuoti. A mio modo di vedere, proprio approfondendo le somiglianze usuali `e possibile eludere il vincolo formale e dare nuova forma a confini sempre pi` u condivisi, in quanto, proprio il loro approfondimento pu`o dar luogo a somiglianze differenti ed innovative, sempre per uno scopo e a partire da un crampo mentale reale e da un contesto determinato. Gi` a se si considera uno stesso problema a partire da diverse prospettive e da scopi diversi i suoi confini cambiano radicalmente; `e proprio in una tale situazione che le differenze possono interagire. I due passi citati, ed in particolar modo il primo, nella prospettiva che `e emersa in queste pagine, mostrano che, individuare le condizioni di possibilit`a di qualcosa non vuol dire necessariamente risolvere un evento, se non dall’interno di una ` infatti, attraverso un metodo che si giunge a riconoscere regionalit`a strutturata. E, qualcosa come condizione di possibilit` a di qualcos’altro, in questo senso `e possibile giungere a cogliere non pi` u che differenze. Di qui, giungere a vedere anche la lepre, dopo aver visto di primo acchito l’anatra, non permette di parlare della totalit` a degli aspetti, poich´e in questo modo, surrettiziamente, si escludono altri possibili o, se si vuole, impossibili sensi. Nella prospettiva nella quale il concetto si costruisce per sottrazione, bisognerebbe parlare, a rigor di termini, di una generalit` a di aspetti. Il punto `e che sta tutto l`ı, contemporaneamente presente, in vista; basta solo guardare, ma per vedere bisogna irrimediabilmente presupporre qualcosa, senza che per`o si possa assumere qualcosa di puro od originario. Proprio la comprensione di questi limiti permette concretamente di pensare differenze.

Capitolo 7

Dinamicit` a chiusa del rapporto e della relazione

Da quanto `e emerso sin qui si pu` o affermare che le teorie scientifiche non fondano la conoscenza del reale, ma sono l’istituzionalizzazione e la formalizzazione di un modo di vedere o di approcciarsi ai fenomeni naturali, che risulta particolarmente utile. Ci` o vuol dire che non ci si trova di fronte ad una prassi che appartiene ad una teoria e che in essa si risolve completamente. Si tratta, infatti, di una prassi che `e costituzione di un significato che pu`o essere successivamente istituzionalizzato. Questo processo mostra che il concetto di qualcosa si ottiene per sottrazione concentrando, nello specifico, l’attenzione su determinati aspetti della cosa. Ci` o vale sia laddove ci si riferisca ad un fenomeno specifico sia laddove sono in questione i criteri di riconoscibilit`a e/o di scientificit`a di un oggetto. A partire da ci`o, si comprende che, nella prospettiva discussa, diventa un errore categoriale pensare il concetto per sottrazione come qualcosa che penetra in una presunta “essenza” della cosa. Wittgenstein `e particolarmente illuminante quando afferma: “Se ` e un calcolo, lo adottiamo come tale, facciamo di esso una regola. Facciamo della sua descrizione la descrizione di una norma. [. . . ]. Esso ci fornisce un modo per descrivere esperimenti, dicendo in che misura si discostano da esso. [. . . ]. Una volta che abbiamo conferito ad esso il nome di calcolo, esso diventa un quadro completo, che ci serve da campione e ci fornisce la terminologia per descrivere gli esperimenti. Potremmo aver adottato 2 + 2 = 4 per il fatto che due palline insieme con altre due palline bilanciano quattro palline. Ma, una volta adottata, quell’espressione assume una posizione di superiore distacco rispetto all’esperienza, viene, per cos`ı dire, pietrificata1 ”. “Tractatus logico-philosophicus, 4.5: La forma generale della proposizione ` cos`ı e cos`ı. - Questo ` ` e: E e il tipo di proposizione che uno ripete a se stesso innumerevoli volte. Si crede di star continuamente seguendo la natura, ma in realt` a non si seguono che i contorni della forma attraverso cui la guardiamo2 ”. 1 Cfr. idem, Lezioni sui fondamenti della matematica, p. 103. E ` bene ribadire nuovamente che il punto della questione non ` e cercare di rigettare le pietrificazioni, ma di pensarle all’interno di spazi di possibilit` a e non nell’eterno dualismo concetto-oggetto. 2 Cfr. idem, Ricerche filosofiche, § 114. Mi pare estremamente interessante riproporre qui un passo gi` a citato: “Si predica della cosa ci` o che ` e insito nel modo di rappresentarla. Scambiamo la

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Dinamicit` a chiusa del rapporto e della relazione

In questo senso `e possibile guardare le cose in tante maniere diverse non implica distinzioni di rango3 , a meno che non ci si muova all’interno di una dinamicit` a chiusa strutturata, vale a dire in uno spazio in cui le possibilit`a risultano essere gi`a costituite. Come `e emerso discutendo del concetto di rapporto, questo tipo di atteggiamento non `e necessariamente la riproposizione di uno spazio dell’essenza; `e possibile, infatti, pensare ad una dinamicit`a chiusa del rapporto, alla costituzione di uno spazio di possibilit` a predeterminabili, ma non per questo essenziali. Da questa prospettiva, se si considera la serie “12, 14, 13. . . [si tratta] di una tecnica estremamente poco pratica, ma non sbagliata. Supponiamo che nella mia matematica io ometta sistematicamente il 13. Si potrebbe obiettare che a) essa ` e inservibile, b) che ` e priva d’interesse. E in circostanze normali sarebbe proprio cos`ı. Ma se ci fosse gente terrorizzata dal numero 13, questa matematica potrebbe essere di grande importanza4 ”.

Di qui, sia il significato sia la sua istituzionalizzazione possono emergere, come detto, dal fatto che elementi si trovano collegati per qualche uso, all’interno di una prassi. Come ho sottolineato pi` u volte, ci sono molti modi di un tale “stare assieme”, i quali, a loro volta, costituiscono uno o pi` u spazi di possibilit`a. Di conseguenza, per quanto riguarda il significato, non si tratta tanto di porre l’attenzione sull’univocit`a di una definizione o di un’identit` a ricorrente, quanto pi` u si tratta di porre l’attenzione sugli spazi di possibilit` a costituiti dell’oggetto che s’intende conoscere. Ci`o sta a ribadire che, dalla mia prospettiva, non solo bisogna riferire il significato ad una pratica, in questo caso matematico-scientifica, ma lo stesso significato va pensato come possibilit` a, come costituzione di spazi di possibilit`a. Il modo di una tale istituzione dipende dal modo in cui sono “tenuti insieme” gli elementi di una regionalit`a strutturata, o come rapporto o come ` bene sottolineare anche il fatto che, per quanto riguarda il rapporto si relazione. E tratta di spazi costituiti per sottrazione, poich´e si corre il rischio di considerare una generalit` a di aspetti come se fosse una totalit` a. Vale la pena sottolineare ancora una volta questo punto e, per farlo, ricorrer`o nuovamente alle Osservazioni sui colori. A questo proposito, mi pare utile considerare insieme i seguenti passi: “Se per i colori esistesse una teoria dell’armonia questa dovrebbe incominciare con una ripartizione dei colori in gruppi, e dovrebbe vietare certe mescolanze o certi accostamenti e permetterne altri. E come la teoria dell’armonia, non darebbe una fondazione [begr¨ unden] alle proprie regole5 ”. “Non vogliamo trovare nessuna teoria dei colori (n´ e una teoria fisiologica n´ e una teoria psicologica) ma la logica dei concetti di colore. E questa riesce a fare quello che, spesso a torto, ci si ` e aspettati da una teoria6 ”. possibilit` a del confronto, che ci ha colpiti, per la percezione di uno stato di cose estremamente generale (ibid., § 104)”. 3 In questa prospettiva va interpretata, a mio modo di vedere, la polemica contro la necessit` a di conoscere attraverso l’individuazione di nessi causali. Generalizzando, si pu` o dire che la causalit` a costituisce un modo di tenere insieme elementi per una descrizione, per una conoscenza. 4 Cfr. Wittgenstein, Lezioni sui fondamenti della matematica, p. 87. 5 Cfr. idem, Osservazioni sui colori, I § 74. 6 Cfr. ibid., III § 188.

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“Le difficolt` a in cui c’imbattiamo riflettendo sull’essenza dei colori [. . . ] risiedono certamente in questo: che non abbiamo soltanto un concetto di eguaglianza fra i colori, ma ne abbiamo parecchi tra loro affini7 ”. “Non esiste il concetto puro di colore8 ”.

Il fatto che non ci sia il concetto di colore, vale a dire qualcosa di fisso o di fissato una volta per tutte, dal quale far discendere univocamente tutte le caratteristiche dei colori (tutte le possibilit`a), non `e necessariamente un problema. Un tale stato di cose, al contrario, risulta essere una risorsa, in quanto permette di mostrare che, anche laddove si volesse costruire una teoria, questa si limiterebbe a prescrivere certe relazioni tra i colori piuttosto che altre, ma in s´e sarebbe infondanta. Questo perch´e si tratterebbe di una istituzionalizzazione di una particolare “logica” dei colori. A mio modo di vedere, `e possibile interpretare una tale “logica” come lo stare assieme di relazioni tra i colori. Naturalmente, come mostrano i passi, sono possibili pi` u logiche dei colori, di conseguenza sono possibili pi` u modi di tenere assieme i colori. Una tale plurivocit` a non ha un senso negativo in quanto non `e presupposto alcun concetto puro ed univoco di colore che in tal modo viene reso vago. Essa rappresenta una risorsa in quanto permette la proliferazione di pi` u significati diversi, in pi` u regionalit` a strutturate. Ciascuno di essi, pertanto, indicher` a una logica diversa, una coerenza diversa, che tiene insieme i colori. Pi` u in generale, ciascun modo di tenere assieme i colori non farebbe altro che costruire l’oggetto con cui si ha a che fare ed il suo significato, vale a dire esso mostra un modo specifico di avere a che fare con l’oggetto in questione, in altri termini lo pensa in spazi di possibilit` a determinati, in dinamicit` a chiuse. Se mi fermassi qui si potrebbe avere l’impressione che la molteplicit`a di prospettive sia pensabile solo attraverso il concetto per sottrazione e la dinamicit`a chiusa del rapporto. Dal confronto tra la meccanica moderna e quella posteriore a Poincar´e `e emersa sia una messa in discussione dei vincoli contenutistici sia di quelli formali. In questo senso, la meccanica non-lineare non sostituisce un nuovo contenuto ad uno vecchio, ma introduce elementi e criteri di scientificit`a diversi; basti far riferimento alla netta opposizione tra la valutazione di Lagrange e quella di Poincar´e in merito alla pertinenza di studi e strumenti geometrici e qualitativi. Da questa prospettiva, rispetto all’approccio di Lagrange e Laplace, quello di Poincar´e certamente rende pi` u vaga la distinzione tra ordine e caos, tuttavia tale vaghezza `e risultata essere una risorsa, se si considerano i risultati conseguiti attraverso lo sviluppo della via intrapresa da Poincar´e stesso. L’approccio non-lineare, rispetto al precedente, rappresenta una coerenza diversa, ma non necessariamente contraddittoria; essa, in altri termini, tiene assieme gli elementi di una dinamica in maniera diversa. Essa `e un diverso modo di considerare un sistema non-lineare, 7 Cfr. 8 Cfr.

ibid., III § 251. ibid., I § 73.

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Dinamicit` a chiusa del rapporto e della relazione

rispetto al quale l’approccio precedente non risulta necessariamente sbagliato, proprio come per la serie “12, 14, 13” citata. Rendere conto di una tale diversit`a e mantenerne aperta la possibilit`a `e possibile, a mio giudizio, se si pensa la costituzione del concetto di qualcosa per sottrazione e se si considera il legame tra l’oggetto ed il suo concetto dal punto di vista della possibilit` a, per cui anche una tale opposizione s’incrina. La scelta di discutere due diversi approcci alle dinamiche non-lineari `e, secondo me, particolarmente felice proprio in quanto mostra che due concettualit`a diverse non sono di necessit`a mutualmente esclusive. Tra di esse si possono individuare numerose somiglianze ed altrettante differenze. Il che vuol dire che, per certi aspetti, si sottolineano differenze nel modo di affrontare i fenomeni non-lineari. Insomma, mutatis mutandis, in certe circostanze potrebbe essere di grande utilit`a contare diversamente; ad esempio, nel caso in cui le cose sparissero regolarmente in certe maniere9 . In questo senso, la meccanica non-lineare non solo tiene insieme diversamente gli elementi della meccanica di stampo lagrangeano-laplaceana, ma tiene insieme elementi diversi, differenziandosi cos`ı non poco. Ormai sar` a chiaro che il confronto appena riproposto non va confuso, per dirla con Wittgenstein, con uno “stato di cose estremamente generale”. Se i risultati del calcolo non sono la natura “purificata” e colta nella sua essenza, ma rappresentano una semplificazione, allora non `e sempre possibile costituire uno spazio di possibilit` a i cui elementi debbano essere prima di tutto distinti e separati per poi poter essere pensati. In altri termini, al di l`a del rapporto, si tratta ora di chiarire la dinamicit` a chiusa della relazione. Da quanto detto nella seconda parte del presente lavoro, si comprende gi`a a cosa mi riferisco. Prima di ribadirlo mi sembra opportuno proporre un esempio in grado sia di chiarire ulteriormente la questione sia di testare gli strumenti filosofici discussi in questo lavoro, in quanto non sono solo applicabili al contesto fisico principale di riferimento.

7.1

La realt`a tra effettualit`a e potenzialit`a

In riferimento alla fisica discussa, ho mostrato come il vincolo formale ed il vincolo contenutistico costruiscano un certo tipo di oggetto e di realt`a e come, attraverso la presentazione perspicua, si possa rendere palese lo specifico spazio di possibilit`a cui d` anno luogo. Per quanto riguarda la fisica che ruota attorno all’analisi algebrica, essa, per essere tale, deve descrivere e comprendere il suo oggetto nei modi esposti nel primo capitolo, attraverso una determinata configurazione del vincolo formale e del vincolo contenutistico. Si `e visto, in opposizione a ci`o, che il concetto di qualcosa, ottenuto per sottrazione, rappresenta un modo di guardare e di costituire un oggetto. In questo 9 Cfr.

idem, Lezioni sui fondamenti della matematica, p. 87.

Dinamicit` a chiusa del rapporto e della relazione

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senso possono essere “tenuti insieme” elementi considerati profondamente eterogenei in grado di far emergere un significato nuovo che, come per i colori, pu`o essere istituzionalizzato in modi diversi a seconda dell’utilit`a e del contesto. In secondo luogo, possono anche darsi modi diversi di “tenere insieme” gli stessi elementi di un sistema. Da ci`o si comprende che gli spazi di possibilit` a possono essere pensati come dinamicit`a chiusa del rapporto o della relazione. Nel primo caso si tratta di considerare gli elementi come distinti e separati, nel secondo come distinti ed inseparabili. In quest’ultimo caso il significato, pensato come possibilit` a, si d` a solo a partire dall’interazione, dall’atto di tenerli assieme e dal considerarli come un tutto che risulta incomprensibile se lo si legge esclusivamente a partire dall’analisi delle sue parti. Quest’ultimo aspetto pu`o essere ulteriormente mostrato applicando i risultati filosofici ottenuti ad un problema specifico della meccanica quantistica, il problema del presunto “salto” tra mondo microscopico e mondo macroscopico. Compiere un’operazione di questo genere `e particolarmente interessante perch´e questo problema, nonostante sia lontano da una soluzione definitiva, permette di cogliere in fieri il confronto-scontro tra “logiche” fisiche ed interpretazioni dei quanti diverse, nessuna delle quali si `e ancora imposta definitivamente sulle ` interessante, infatti, notare che alcune interpretazioni “emergentiste10 ” del altre. E problema trovano una via d’uscita proprio considerando le contraddittorie legalit` a della fisica classica e di quella quantistica a partire dalla loro relazione. In altri termini, proprio il fatto di considerarle come distinte ed inseparabili permetterebbe11 di superare il problema del salto dal microscopico al macroscopico. In particolare `e interessante confrontare, sia pur brevemente, come si cerca di risolvere il problema della realt`a nel mondo classico ed in quello quantistico. Nel fare questo non intendo minimamente essere esaustivo, semplicemente intendo mostrare, prendendo spunto da un’argomentazione di Heisenberg, un’applicazione possibile dei risultati filosofici ottenuti ad un problema di grande interesse ed attualit`a, in modo da chiarire meglio alcuni concetti esposti in questi ultimi capitoli. La distinzione tra il concetto di realt`a classico e quello quantistico `e lucidamente individuata e chiaramente espressa da Heinseberg12 : “noi oggettiviamo un’affermazione se pretendiamo che il suo contenuto non dipenda dalla condizione sotto la quale essa pu` o essere verificata. Il realismo pratico sostiene che ci sono delle affermazioni che possono essere oggettivate e che in effetti la massima parte della nostra esperienza della vita d’ogni giorno consiste di tali 10 Muto questo termine da Niccol` o Guicciardini e Gianluca Introzzi. Fisica quantistica. Una introduzione. Roma: Carocci, 2007, p. 261. 11 Il condizionale, ora pi` u che mai, ` e d’obbligo in quanto esistono posizioni diverse sull’argomento. 12 Sul problema della realt` a tra fisica quantistica e fisica classica rimando a Silvano Tagliagambe. L’epistemologia contemporanea. Roma: Editori Riuniti, 1991. Inoltre, ` e molto interessante il recupero e l’approfondimento della distinzione kantiana tra “realt` a” come categoria della “qualit` a” e come “categoria” della modalit` a, allo scopo di recuperare un senso di realt` a diverso dall’effettualit` a. Cos`ı: “le modalit` a dell’essere non dicono che cos’` e l’oggetto, ci` o che sta di fronte al soggetto, ma come sta in rapporto col soggetto medesimo (cfr. ibid., p. 212)”.

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affermazioni. Il realismo dogmatico pretende che non ci siano asserzioni riguardanti il mondo materiale che non possano essere oggettivate. [. . . ]; in realt` a la posizione della fisica classica ` e quella del realismo dogmatico. [. . . ]. Specialmente in fisica [classica], il fatto che noi possiamo spiegare la natura per mezzo di semplici leggi matematiche ci dice che abbiamo a che fare con caratteri genuini di realt` a, e non con qualche cosa che abbiamo – in qualsiasi significato del termine – inventato noi stessi. [. . . ]. Ma proprio la teoria dei quanta ` e un esempio della possibilit` a di spiegare la natura per mezzo di semplici leggi matematiche senza dover poggiare su quella base. [. . . ]. La scienza naturale ` e in effetti possibile senza la base del realismo dogmatico la base13 ”.

In altri termini, Heisenberg individua nel “realismo dogmatico” un vincolo formale, in quanto esso `e qualcosa che riguarda il legame tra matematica e natura ed il modo in cui dovrebbe essere una teoria per essere considerata scientifica. Individuando nel concetto di realt`a della fisica classica una possibilit`a ed un limite della fisica classica, egli afferma che all’interno di uno spazio di possibilit`a siffatto non sia possibile spiegare in toto i comportamenti quantistici. Infatti, il realismo pratico `e sempre stato e sar`a sempre parte essenziale della scienza della scienza della natura. Il realismo dogmatico, invece, non `e [. . . ] una condizione necessaria per la scienza naturale14 . Una legge fisica classica ed un corrispondente principio filosofico pensano il reale come effettuale e su di esso ricalcano il possibile. Se si considera una legge fisica che descrive la traiettoria di un corpo, si pu` o dire che essa permette di sapere, con un determinato margine di precisione, dove si trova ad un tempo t. Essa rende conto di tutte le possibili posizioni che effettualmente il corpo pu`o avere. Tutte queste possibilit` a sono passibili di diventare effettuali, proprio perch´e questo tipo di realt`a `e ci`o di cui la legge deve dar conto. All’interno della fisica classica, una legge deve render conto della realt` a qui ed ora, secondo le modalit`a che si accordano ad un mondo cos`ı come si presenta alla percezione dell’esperienza comune. In altri termini, all’interno di una concezione che costruisce un oggetto facendo riferimento ad una effettualit`a, la possibilit`a viene pensata come l’insieme delle effettualit`a possibili, pensate nella generalit`a di una legge che contempla, appunto, la totalit`a, intesa come somma, del fenomeno effettuale. In caso contrario, di un oggetto non si avrebbe un’adeguata conoscenza scientifica, all’interno delle strutture della regionalit`a in questione. In tal senso, si vede bene come la fisica classica costruisca il proprio oggetto e la propria realt`a. Come ripetuto pi` u volte, e come sottolinea Heisenberg, `e possibile pensare una fisica che non contempli il detto vincolo formale. Rispetto a quanto detto, se la non-linearit`a introduce strumenti di tipo qualitativo e geometrico all’interno della fisica classica, la meccanica quantistica dice qualcosa di diverso in un altro senso; essa ammette possibilit` a che non rientrano nell’effettualit` a o che la arricchiscono, a seconda dell’interpretazione che se ne d`a. 13 Cfr. Werner Heisenberg. Fisica e filosofia. Milano: Il Saggiatore, 2003, pp. 100-101. Heisenberg, in queste stesse pagine distingue anche un “realismo metafisico”, sostenendo che esso “compie ancora un passo al di l` a del realismo dogmatico affermando che le cose esistono realmente”. 14 Cfr. ibid., p. 100.

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Di certo essa costruisce qualcosa di diverso rispetto all’effettualit`a cos`ı come `e stata presentata, ed in particolare configura in maniera diversa il modo di concepire il concetto di realt` a. Una chiara e fruibile esemplificazione di tutto ci`o `e data dal celebre esperimento del gatto di Schr¨ odinger (figura 5). “Un gatto ` e posto all’interno di una camera d’acciaio assieme al seguente diabolico marchingegno: in un contatore Geiger c’` e una piccola quantit` a di di sostanza radioattiva, in modo tale che forse nell’intervallo di un’ora uno degli atomi decadr` a, ma anche, con uguale probabilit` a nessuno subir` a questo processo; [. . . ] se questo accade il contatore genera una scarica e attraverso un relais libera un martello che frantuma un piccolo recipiente di vetro che contiene dell’acido prussico. Se l’intero sistema ` e rimasto isolato per un’ora, si pu` o dire che il gatto ` e ancora vivo se nel frattempo nessun atomo ha subito un processo di decadimento. Il primo decadimento l’avrebbe avvelenato. La funzione d’onda del sistema completo esprimer` a questo fatto per mezzo della combinazione lineare di due termini che si riferiscono al gatto vivo e al gatto morto, due situazioni mescolate o sfumate in parti uguali15 ”.

Figura 7.1: Il gatto di Schr¨odinger

Anche e soprattutto chi non si occupa di meccanica quantistica non pu`o non notare qualcosa di strano: la fisica dei quanti ammette la possibilit` a o, meglio, la realt` a che il gatto sia vivo e morto. Ora, come tutti gli esperimenti mentali e gli esempi al limite, quello del gatto, oltre che a presentarsi in s´e e per s´e come problema, serve innanzitutto a mettere a fuoco un problema che, nel caso specifico si pu`o esprimere come segue. Il punto `e capire se e, eventualmente, come possono essere “tenuti assieme” i, pur contraddittori, macroscopico e microscopico. In altri termini, se il gatto non pu` o essere effettualmente in uno stato di sovrapposizione, seguendo Heisenberg bisogna capire cosa descrive la meccanica quantistica e, ammessa la sua correttezza, come si possa giungere al gatto vivo o (= aut) al gatto morto attraverso la misurazione, visto che, una volta aperta la camera d’acciaio, il gatto sar` a o meno ancora tra noi, e tertium non datur. 15 Cfr. Gian Carlo Ghirardi. Un’occhiata alle carte di Dio. Milano: Il Saggiatore, 2009, p. 331 che a sua volta cita le parole di Schr¨ odinger.

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Il fatto che la meccanica quantistica descriva la possibilit`a che il gatto sia vivo e morto deriva dal fatto che l’equazione di Schr¨odinger `e lineare e, pertanto, gli stati del gatto sono “sovrapposti”16 . Inoltre, se nella fisica classica ci`o che si calcola `e ci`o che si misura ed `e ci`o che appartiene oggettivamente all’effettualit` a di un oggetto, nella fisica dei quanti ci`o che si calcola (equazione di Schr¨ odinger a coefficienti complessi in spazi di Hilbert) non `e ci`o che si misura (valori che sono numeri reali)17 . In altri termini, la teoria [dei quanti] `e formulata in modo tale che essa non parla in generale delle propriet`a possedute dai sistemi ma solo delle probabilit`a di trovare certi esiti se si eseguono misure mirate ad identificare i valori delle propriet` a cui siamo interessati18 . La linearit` a dell’equazione di Schr¨odinger e la probabilit`a quantistica impongono di ripensare il concetto di realt`a, senza per questo dover necessariamente rinnegare il precedente. In particolare, i problemi si concentrano attorno alla sovrapposizione, dato che che nessuno ha mai visto il gatto di Schr¨odinger “passeggiare” per una citt`a. In questo senso, si pu`o iniziare a comprendere che anche la meccanica quantistica, in parallelo con la fisica classica, costruisce un proprio oggetto ed una propria realt`a. I problemi, come detto, nascono dalla difficolt` a di spiegare il comportamento classico dei macro-oggetti a partire da un substrato quantistico. Quello che si cerca `e, secondo alcuni fisici, un confine o una zona di confine che divida i territori del macroscopico e del microscopico, nei quali far vigere le due giurisdizioni, possibilmente senza sconfinamenti. “Quando si parla di confine preciso, nessuno pretende che esista un criterio di demarcazione perfettamente definito che consenta di asserire: fin qui vale la meccanica quantistica, oltre questa linea vale la riduzione del pacchetto. Per confine preciso si intende che la teoria dovrebbe contenere almeno un parametro che definisca una scala che consenta di valutare quando sia legittimo usare le equazioni lineari, quando usarle risulti approssimato e quando risulti decisamente errato19 ”.

Probabilmente il confine va individuato cercando di produrre una presentazione perspicua delle possibilit`a della dinamicit`a chiusa della fisica classica ed in quella quantistica. Un tale compito pu`o essere affrontato da molti punti di vista. Heisenberg, come visto, cerca di tracciare nuovamente il confine del concetto di realt`a. Questo perch´e i risultati raggiunti dalla meccanica quantistica pongono una serie di questioni essenziali alle quali la fisica classica non pu`o rispondere e che pertanto impongono di affrontare l’oggetto e la realt` a fisica in un modo diverso. In altri termini, lo spazio di possibilit`a della fisica classica non `e tale da rispondere alle esigenze quantistiche, nonostante che “i concetti della fisica classica 16 Senza entrare troppo nei dettagli, ` e possibile spiegare questa frase cos`ı: “L’equazione [di Schr¨ odinger] ` e [. . . ] lineare. Che cosa significa? Il fatto che l’equazione [Ψ] sia lineare implica che, se ψ1 e ψ2 sono due soluzioni, allora possiamo ottenere un’altra soluzione ψ combinandole linearmente: ψ = c1 ψ1 + c2 ψ2 , dove c1 e c2 sono due costanti. Si dice che ψ rappresenta uno stato di sovrapposizione ψ1 e ψ2 ” (Cfr. Guicciardini e Introzzi, op. cit., p. 149). 17 Cfr. Giuseppe Longo. “Incompletezza”. In: Per la Matematica. Vol. 4. Torino: Einaudi, 2010. 18 Cfr. Ghirardi, op. cit., pp. 326-327. 19 Cfr. ibid., pp. 327-328.

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formino il linguaggio per mezzo del quale descriviamo la preparazione dei nostri esperimenti e ne esprimano i risultati20 ”. Ora, una volta compresa la tonalit`a che colora il vedere, non si tratta di procedere verso un illusorio vedere “puro”, ma di provare a guardare in una differente prospettiva, non necessariamente chiusa in se stessa, producendo e confrontando giochi linguistici, vale a dire “termini di paragone”. I passi seguenti precisano la concreta direzione di Heisenberg: “Il mutamento del concetto di realt` a che si manifesta nella teoria dei quanta non ` e una semplice continuazione del passato; esso appare come una vera rottura nella struttura della scienza moderna21 ”. “Se si considera la parola stato come esprimente un potenzialit` a piuttosto che una realt` a – si pu` o anche semplicemente sostituire il termine stato col termine potenzialit` a – allora il concetto di potenzialit` a coesistenti ` e del tutto plausibile, giacch´ e una potenzialit` a pu` o implicare altre potenzialit` a o sovrapporsi ad esse. [. . . ]. Negli esperimenti sugli eventi atomici noi abbiamo a che fare con cose e fatti, con fenomeni che sono esattamente altrettanto reali quanto i fenomeni della vita quotidiana. Ma gli atomi e le stesse particelle elementari non sono altrettanto reali; formano un mondo di possibilit` a e di potenzialit` a piuttosto che un mondo di cose e di fatti22 ”. “I simboli matematici con cui descriviamo queste situazioni osservative rappresentano, pi` u che fatti, possibilit` a. Si potrebbe dire che rappresentano uno stadio intermedio tra il possibile ed il fattuale23 ”.

Rispetto all’uso classico del concetto di realt` a, intesa come effettualit` a, quello di Heisenberg pu`o esser pensato come un abuso legittimo che, quindi, impone una rilettura del concetto di realt`a in quanto lo spazio di possibilit` a della fisica classica, in cui assume significato, non `e in grado di rendere conto della realt`a intesa come potenzialit` a. In generale, si pone il problema di pensare il fatto che la matematica della teoria dei quanti renda conto di qualcosa che non `e oggettivabile, nel senso che si pone fuori sia del vincolo del realismo dogmatico sia di quello metafisico. A ci` o si aggiunge la difficolt`a di tenere assieme la legalit`a classica e quella quantistica. In altri termini, i problemi posti ruotano in primo luogo attorno a come pensare la sovrapposizione di stati del gatto e, in secondo luogo, attorno a come si possa passare, per cos`ı dire, dal gatto potenziale al gatto effettuale. Proprio qui entra in gioco la decoerenza. Essa, infatti, `e un tentativo di spiegare e tenere assieme potenzialit` a ed effettualit` a24 . In maniera schematica si pu`o dire che la decoerenza permette di passare dalla potenzialit`a quantistica alla possibilit`a classica attraverso un processo che mi 20 Cfr.

Heisenberg, op. cit., p. 58. ibid., p. 41. 22 Cfr. ibid., p. 217. 23 Cfr. Werner Heisenberg. Fisica e oltre. Torino: Bollati Boringhieri, 2008, p. 144. 24 Come ` e accaduto nel Settecento riguardo la questione della validit` a del discusso r12 newtoniano, anche per quanto riguarda questi problemi quantistici, e non solo, esiste un acceso dibattito, tutt’altro che concluso. Accanto alla decoerenza si pongono altri alternativi modi di affrontare questo problema. Nei termini del capitolo precedente, si vede bene come esistano coerenze diverse contemporaneamente presenti. Cfr. Guicciardini e Introzzi, op. cit., pp. 258-264 e cfr. Ghirardi, op. cit., pp. 339-372. 21 Cfr.

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accingo a trattare per cui, appunto, si perde la coerenza quantistica. Di qui, attraverso la misurazione avviene il collasso della funzione d’onda25 per cui il gatto appare effettivamente vivo o (aut) morto. Prima di entrare, brevemente, nel dettaglio dell’effetto di decoerenza, che permetter` a di descrivere il sistema che costituisce il gatto di Schr¨ odinger, `e necessaria un’importante precisazione. Nel discorso svolto in questo paragrafo ho introdotto i concetti di possibile, reale e potenziale. Da un punto di vista fisico si potrebbe pensare, anche in base ad alcuni passi di Heisenberg, che il potenziale sia, per cos`ı dire, una specie di “meta-possibile”. Una simile caratterizzazione non sembra molto precisa, in quanto esistono oggetti macroscopici che mantengono un comportamento quantistico. In questo senso, la descrizione quantistica pu` o assumere un senso di realt` a fisica ben definita. Mi riferisco ai super conduttori cui sto per fare cenno. In tal senso, mi pare utile far riferimento ad uno sviluppo possibile di questo tema nelle stesse parole di Heisenberg: Il realismo pratico sostiene che ci sono delle affermazioni che possono essere oggettivate e che in effetti la massima parte della nostra esperienza della vita d’ogni giorno consiste di tali affermazioni. Il realismo dogmatico pretende che non ci siano asserzioni riguardanti il mondo materiale che non possano essere oggettivate26 . Dopo una simile puntualizzazione, che meriterebbe ulteriori approfondimenti fisico-filosofici, `e giunto il momento di trattare pi` u da vicino l’effetto di decoerenza. 7.1.1

L’effetto di decoerenza

L’oggetto in generale (il gatto) consiste formalmente di due sistemi dinamici: uno descrivibile da coordinate collettive (il complesso macroscopico) e l’altro da coordinate microscopiche. Essi sono detti rispettivamente: sistema collettivo e ambiente. Quest’ultimo pu`o essere inteso sia come esterno sia come interno all’oggetto, in quest’ultimo caso fa riferimento alla sua materia. Se si considera quest’ultimo caso, si vede bene come il comportamento dei singoli “elementi” che costituiscono il complesso `e diverso dal comportamento di quest’ultimo, in quanto i primi sono soggetti a comportamenti quantistici, mentre il secondo `e soggetto alla fisica classica. Volendo sintetizzare tutto ci` o si pu` o scrivere: H = Hc + He dove H indica il sistema globalmente considerato, mentre Hc e He rappresentano, rispettivamente, la parte macroscopica e la parte microscopica27 . Nella forma appena proposta queste vengono meramente giustapposte, senza che si consideri tra loro alcun tipo di scambio energetico. In questo caso ci si trova di fronte ad una situazione precedentemente descritta dalla nozione di rapporto, per la quale due 25 Con

questo concetto s’intende il risultato del processo di misurazione. Heisenberg, Fisica e filosofia, p. 100. 27 Cfr. Roland Omn´ es. The interpretation of quantum mechanics. Princeton: Princeton University Press, 1994. 26 Cfr.

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elementi, rispondenti ad due legalit`a addirittura contraddittorie tra loro, vengono prima isolati e definiti e poi messi insieme. Dalla prospettiva del problema che s’intende affrontare, questo tipo di approccio non `e in grado di offrire alcuna soluzione, in quanto non pu`o che rimarcare la gi`a profonda discrasia tra mondo macroscopico e mondo microscopico. Se, al contrario, si considera Hc e He accoppiati28 o, mutuando la felice espressione deleuziana, distinti ed inseparabili `e possibile render conto di un effetto di dissipazione termica dovuta proprio al fatto di “tenere insieme”, e non semplicemente giustapporre, tali sistemi. Di qui, si pu` o scrivere: H = Hc + He + Hint dove Hint fa riferimento proprio alla dissipazione. Di conseguenza, “sebbene accada che le funzioni d’onda ambientali per due stati macroscopicamente differenti siano coerenti ad un certo momento [. . . ], esse diventano ortogonali molto rapidamente a causa del loro accoppiamento con differenti valori degli osservabili collettivi macroscopici29 ”. Cos`ı, il sistema passa da uno stato di coerenza quantistica in cui si ha la nota sovrapposizione di stati, per cui il gatto e vivo-o-morto30 , alle classiche possibilit` a per cui il gatto pu` o essere vivo o morto31 . La decoerenza `e un effetto dinamico che si svolge nella maggior parte della materia, ma `e estremamente difficile da osservare sperimentalmente. Una “prova” importante, anche se indiretta, a favore della decoerenza `e data dal comportamento dei superconduttori, vale a dire di quegli oggetti macroscopici che mantengono un comportamento quantistico. Essi, infatti, sono caratterizzati da assenza di dissipazione. Per quanto riguarda quest’ultimi, oltre che rimandare ad una presentazione tecnica32 , Lindley ha trovato una forma molto chiara ed immediata per spiegare di cosa si tratta. In modo estremamente perspicuo afferma: “. . . in un superconduttore gli elettroni si muovono in un modo coerente. In un comune filo di rame come in un superconduttore, la corrente elettrica ` e un flusso collettivo di elettroni, ma in un filo di rame gli elettroni si accalcano come una grande folla di persone che cercano di seguire un corteo in strade anguste. Essi urtano contro gli atomi di rame del filo e si urtano tra loro, e tutte queste collisioni, ostruzioni e diversioni si traducono in una resistenza al flusso. [. . . ]. In un superconduttore, invece, gli elettroni abbandonano ogni senso di identit` a individuale e si muovono come un tutt’uno, [nel senso che] si muovono in modo coerente33 ”.

A questo punto `e possibile tornare alla dinamicit` a chiusa della relazione, in quanto bisogna sottolineare il fatto che nella meccanica quantistica sono le stesse 28 Cfr.

ibid., pp. 268-322. ibid., p. 269. Traduzione mia. 30 Con “o” s’intenda il vel, la disgiunzione inclusiva. 31 Questa seconda “o”, a differenza della precedente, pu` o esser compresa facendo riferimento ad aut, la disgiunzione esclusiva. 32 Cfr. Omn´ es, op. cit., pp. 409-432. 33 Cfr. David Lindley. La luna di Einstein. Milano: TEA, 2005, p. 194. 29 Cfr.

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possibilit`a ad essere costituite, sia in generale sia nella specificit`a della preparazione di un esperimento34 . Esse, in altri termini, non sono disponibili a priori.

7.2

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Come si sar`a notato, i temi trattati in questi ultimi paragrafi sono stati esposti utilizzando alcuni strumenti individuati nella parte filosofica di questo lavoro, a partire da effettive esigenze filosofiche e scientifiche trattate nella prima parte. Ci` o permette di esplicitare chiaramente cosa d’intende per dinamicit` a chiusa della relazione. Con essa si sottolinea che un fenomeno diventa comprensibile se si pone attenzione allo stare insieme di elementi distinti ed inseparabili che si definiscono nel momento stesso in cui interagiscono. Una siffatta dinamicit`a `e “chiusa” perch´e, se `e vero che il significato emerge dalla pratica del tenere insieme, non bisogna dimenticare che tutto ci` o si svolge a partire da una regionalit`a strutturata e in ` infatti, inutile e sterile far riferimento ad una virt` u di un problema posto35 . E, possibilit` a “pura”, tanto pi` u che ho discusso del significato proprio riconducendolo alla possibilit` a. Presi isolatamente, sarebbe impossibile trovare una mediazione tra Hc e He , per il fatto che, cos`ı considerati, obbediscono a leggi contraddittorie. Si vede bene come il fatto che il confine sia sfumato non `e necessariamente un ostacolo, in quanto, rispetto alla fisica classica che `e generalmente analitica, la meccanica quantistica presenta forti connotati olistici36 , nel senso che il significato emerge dalla relazione tra elementi, come visto, estremamente eterogenei. Da un punto di vista metodologico, attraverso la relazione `e possibile pensare uno spazio di possibilit`a, per nulla predeterminabile a priori. In questa direzione, il significato, pensato come pluralit` a di possibilit` a, si d`a nell’atto stesso del tenere insieme elementi diversi. Esso `e, dunque, nella relazione e non pu`o essere dedotto matematicamente dalla combinazione di segni che, sfuggendo ad una non necessaria oggettivazione, non permetto di sovraordinare nulla di sostanziale alla prassi, come avviene, dopo l’istituzionalizzazione di una pratica, nel rapporto. Mi pare che qui emerga bene la differenza, gi`a sottolineata, tra il modo di pensare la molteplice possibilit`a proprio del rapporto e della relazione. Ci`o `e insito nel modo in cui tali concetti costruiscono gli spazi di possibilit`a e nel modo in cui gestiscono tutto ci` o che eccede e che non pu` o esser pensato in tali spazi. 34 Tra l’altro questo mostra perch´ e, pur parlando di relazione, sia necessario parlare di una “dinamicit` a chiusa della relazione.” 35 Potr` a sembrare ripetitivo, ma penso che sia fondamentale sottolineare questo aspetto, in quanto ` e essenziale sgomberare il campo da qualsiasi elemento che possa far confondere la relazione come un’astratta e sterile apertura di possibilit` a. 36 Il termine “olismo” va pensato all’interno delle precisazioni fatto sul concetto di relazione e in riferimento, di volta in volta, ad ogni singolo esperimento. In tal senso, mi riferisco alla pratica del considerare insieme pi` u elementi, e non necessariamente alla teoria dei quanti nella sua totalit` a.

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Come visto, per quanto riguarda il rapporto si tratta, in generale, d’inglobare qualcosa di esterno, in larga misura isolando e definendo inediti elementi, o di creare un’alternativa dinamicit` a chiusa. Per quanto riguarda la relazione si tratta, come mostrano bene gli esempi, di pensare l’indistricabilit`a di elementi eterogenei, di pensare, al limite, l’intracciabilit`a di un confine netto che, per`o, a dispetto di tutto, rappresenta una risorsa enorme, senza la quale andrebbe persa la comprensibilit`a di molti fenomeni, non solo fisici. In questo caso, la relazione, in un senso filosofico, in quanto dinamicit`a chiusa, va a costituire le stesse possibilit`a, vale a dire ci`o in cui si d`anno i significati puntuali. In tal senso, a seconda di come si “gioca” una relazione si ottengono spazi di possibilit`a diversi, indeterminabili a priori, in grado di rendere conto di ci`o che nel rapporto risulta al limite impensabile. Per comprendere meglio tutto ci`o, pu`o essere utile accostare quanto appena detto al concetto di metafora. Esiste una nutrita bibliografia sull’argomento, ma limitandomi a non pi` u di qualche parola, si pu`o far riferimento all’attivit`a poietica propria della metafora che, accostando parti del linguaggio che non erano mai state messe insieme prima, produce giochi diversi ed inediti. In questo senso, molto si gioca sulla relazione, cio`e sul fatto che `e possibile prescindere dalla necessit`a di una sua istituzionalizzazione (definitoria), pur restando possibile. In questo senso, quanto afferma Wittgenstein sui linguaggi e sulle somiglianze di famiglia, pu`o benissimo essere applicato al linguaggio scientifico e ai suoi molteplici e diversi spazi di pensabilit`a. In questa sede, naturalmente, non mi posso dilungare su questo tema perch´e, oltre alle questioni di filosofia del linguaggio in generale37 , si tratterebbe, ancora una volta, ma in senso diverso, di cercare di “tenere assieme” tutto ci`o con le tematiche emerse in questo lavoro. Nonostante ci`o, mi pare che emergano comunque in modo sufficiemente chiaro le linee essenziali del mio discorso. Detto questo, si pu`o, brevemente, accennare, a titolo esemplificativo, ad una distinzione tra paragone e metafora. Nel paragone “Il diamante brilla come il sole”, il significato `e dato a priori ed al di l` a dell’accostamento del diamante al sole. In questo senso, il diamante brilla anche prima di essere “accoppiato”38 col sole e viceversa. L’attivit`a poietica della metafora, invece, fa riferimento al fatto che il significato non `e dato prima dell’accoppiamento dei termini che la costituiscono, ma si produce in una specifica39 relazione, vale a dire dal modo particolare in cui vengono “tenuti insieme”. Il punto `e che, in base a quanto ho sostenuto sin qui, ci`o che `e costituita `e la stessa possibilit`a (o spazio di possibilit`a), in cui possono aver luogo uno o pi` u significati. 37 Cfr. Richard Boyd e Thomas S. Kuhn. La metafora nella scienza. A cura di Luisa Muraro. Milano: Feltrinelli, 1983. 38 Uso questo termine con esplicito riferimento a quanto detto nel paragrafo sull’effetto di decoerenza. 39 E ` importante sottolineare questo termine, in quanto una relazione, non facendo riferimento a spazi di possibilit` a precostituiti o gi` a disponibili, vale in quanto agita.

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Oltre a ricordare che, in questo senso, in meccanica quantistica ci` o che si calcola (equazione di Schr¨ odinger a coefficienti complessi in spazi di Hilbert) non `e ci`o che si misura (valori che sono numeri reali) e che quanto detto andrebbe ulteriormente approfondito, mi si permetta di di chiudere questo lavoro con il seguente passo, eloquente ed esplicitamente buio: “La degradazione (de-generazione) del linguaggio umiliato pu` o cantare parole incomprensibili. La vanit` a e tristezza dei fiori, l’agonia e vilt` a animali, l’esultanza inconsapevole dei bambini, il dolore del muschio calpestato, il raccapriccio di uno specchio infranto, la stanchezza della neve, il vento imbavagliato, possono trovare un suono oltre il discorso40 ”.

40 Cfr.

Carmelo Bene. Opere. Milano: Bompiani, 2004, p. 1023.

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