April 29, 2017 | Author: Carmelo Te Lombardo | Category: N/A
Al mio amore Cetty
PREMESSA E RINGRAZIAMENTI “Fotografare è mettere sullo stesso piano occhio, mente e cuore.” H.C. Bresson I tre elementi che distinguono i fotografi l’uno dall’altro, quelli che fanno la differenza, indipendentemente dall’attrezzatura usata. Dopo le richieste di molti lettori del blog ho deciso di ordinare, rielaborare e creare un manuale col materiale presente sul mio sito web marcocrupifoto.blogspot.com. In questo manuale ho cercato di trattare di fotografia a 360° in modo tale che sia il principiante sia il professionista possano trovare informazioni utili, si partirà dagli argomenti basilari fino a quelli più avanzati. Non è facile parlare di un argomento così vasto come la FOTOGRAFIA in un solo testo, anzi, probabilmente è impossibile, su ogni argomento trattato c'è sempre da approfondire, io cerco di toccare più aspetti possibili di questo mondo nel migliore dei modi, ma sta a te lettore andare avanti e non fermarti qui, anzi, non fermarti mai! A questo libro e al mio blog hanno contribuito coi loro articoli diversi fotografi che ho avuto la fortuna di conoscere durante il mio cammino e che qui voglio ringraziare: • • •
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Simone Tossani che ha scritto gli articoli sulla fotografia naturalistica e macro fotografia, un maestro di questi generi fotografici simonetossani.it Massimo Allegritti un maestro nel fotografare le gocce d'acqua arte-liquida.blogspot.com Diagaz una fotografa professionista che ha pubblicato sul mio blog e su questo libro articoli di vario genere, davvero interessanti sia per un neofita che per un pro diagaz.net Alex Coghe un fotografo appassionato ed esperto di Street Photography che si sta facendo valere in questo campo 500px.com/AlexCoghe Patrizia Savarese fotografa Glamour patriziasavarese.com Marco Stucchi esperto di fotografia immersiva e panoramica marcostucchi.com Alessio Bardaro ha collaborato col mio blog scrivendo alcuni articoli Claudia Prontera grande appassionata di fotografia e collaboratrice del mio blog. Pham Anh Vu pavphotography.altervista.org Leonardo Tuttoleo Nucci tuttoleo.it Aulo Ieri aulofotostudio.it Lorenzo Tedesco Alessandro Cappelli La copertina è stata realizzata da Stefania Stani, una Interior e graphic designer che potete contattare dal suo sito personale: heartdesign.eu
“Il fotografo, del resto, non si limita al semplice ruolo di un copista, E' un meraviglioso esploratore di aspetti che la retina non registrò mai.” Cit. di Man Ray Man Ray ai suoi studenti diceva: “Se volete fare fotografie, gettate via la macchina fotografica.”
SPONSOR Devo ringraziare la Prostudio360.it per il supporto che mi ha dato, senza il suo aiuto in strumentazione e risorse grafiche non sarei mai riuscito a scrivere il capitolo dedicato allo studio fotografico (tecnica e attrezzature) che trovate nella parte finale di questo libro. ProStudio360.it è un negozio online specializzato nella vendita di sistemi per lo Studio Fotografico e Video professionali. Consiglio di acquistare da loro il materiale fotografico per lo studio perché è di notevole qualità a costi contenuti.
INDICE La scelta della macchina fotografica • • • • • •
Obiettivo Otturatore e diaframma Specchio e pentaprisma Il mirino Display LCD Sensore
9 11 17 18 19 20 20
Dimensione dei sensori nelle fotocamere digitali
23
Gli accessori fotografici
25
• • • •
Schede di memoria Filtri Tubi di prolunga e lenti addizionali Esposimetro
25 29 33 34
La luce
36
Come impugnare la macchina fotografica
38
Occhio umano Vs Fotocamera
40
Come sviluppare l'occhio fotografico
42
La composizione dell'immagine
43
La percezione visiva
47
Bianco e nero o colore?
53
La messa a fuoco
56
ISO, DIAFRAMMI E TEMPI DI ESPOSIZIONE
57
•
La profondità di campo e il diaframma
59
•
Tempi di esposizione
64
• • •
La coppia tempo-diaframma La sensibilità ISO Programmi di scatto
66 68 71
I formati delle immagini
72
Come ordinare le foto senza usare programmi
74
Backup sicuro delle proprie foto
76
L'istogramma
78
I vantaggi della sovraesposizione
82
Il bracketing
85
Fotografia HDR
86
Bilanciamento del bianco
94
Cartoncino grigio medio e come si usa
95
Previsualizzare la foto e il falso mito di photoshop
97
H.C. Bresson e il cestino, tre elementi per una buona fotografia
99
Generi Fotografici
101
• •
Fotografia documentaria Il Reportage sociale: significato, difficoltà e semantica
101 103
•
Il Ritratto
107
•
Un Foto ritrattista
109
•
Cosa è la Street Photography
111
•
Leggi Fotografiche
112
•
Fotografia di moda
113
•
Fotografia glamour
114
•
Fotografia naturalistica, etica e rispetto dell'ambiente
117
•
Macrofotografia
119
•
Fotografia paesaggistica
135
• •
Stenoscopia Lomografia
136 138
•
Fotografia Sportiva
139
•
Fotografia Still-Life
144
•
Fotografia Astronomica
146
•
Fotografia Immersiva
151
•
Fotografia in 3D
184
Tecnica fotografica - Come fotografare…
189
•
Come fotografare di notte, i segreti della fotografia notturna
189
•
Come fotografare la neve
192
• •
Come fotografare il fuoco Come fotografare i fuochi d'artificio
193 194
•
Come fotografare i fulmini
195
•
Come fotografare il fumo
196
•
Effetto Panning
197
•
Come disegnare con la luce
198
•
Come fare le foto ai concerti
199
•
Come fotografare le gocce
201
La gestione del colore e profili ICC
216
•
Spazio colore e calibrazione monitor
219
•
Calibrazione di due monitor
221
Lo studio fotografico
228
Accessori basilari
229
Accessori per fotografia Still Life
233
Illuminazione studio fotografico
234
Tipi di luci continue
243
Tecnica fotografica coi flash
245
Tecnica fotografica in esterni col flash
251
Riflessioni sulla fotografia
255
•
Fotografia, Poesia e Benigni! L'analfabetismo fotografico in Italia
255
•
Come diventare famosi su Flickr
257
LA SCELTA DELLA MACCHINA FOTOGRAFICA Grazie alla rivoluzione che il digitale ha portato nella fotografia, ora essa è accessibile a tutti, perché i costi si sono notevolmente ridotti rispetto ai tempi in cui si usava la pellicola. Il primo pensiero che viene ad ogni aspirante fotografo è quello sulla scelta del mezzo fotografico, ed è da qui che voglio partire, perché la domanda “Quale macchina fotografica compro?” è uno di quei dubbi esistenziali di cui non ci si libera mai. L'avvento del digitale ha portato con se tanta confusione, questo soprattutto per colpa dell’eccessivo marketing ingannevole. Inizio subito a fare un po' di chiarezza parlando delle caratteristiche fondamentali dei vari tipi di fotocamera e cercando di sfatare i luoghi comuni. Dobbiamo prima considerare a cosa ci serve una macchina fotografica, qual è il motivo che ci spinge ad acquistarla? Ci serve per fare le foto ricordo con gli amici o la fotografia è una nostra grande passione e vogliamo cimentarci in questo campo? E che genere fotografico intendiamo praticare? Esistono diverse “categorie“ di apparecchi fotografici, quelli che interessano a noi sono: Compatte: Adatte per fare foto ricordo, sono le macchine fotografiche per "la massa", esistono però alcuni modelli di fascia alta che molti professionisti tengono nel taschino ma che ovviamente non sono paragonabili ad una reflex. Compatta Canon G12
Bridge: Sono caratterizzate da un obiettivo con una grande escursione focale. Si deve stare attenti a cosa scegliere perché una grande escursione focale comporta anche maggiori compromessi ottici. Micro 4/3 o EVIL (Electronic Viewer Interchangeable Lens = Mirino elettronico, Obiettivo intercambiabile): Come le reflex sono ad ottiche intercambiabili, ma sono prive dello specchio che riflette l'immagine sul pentaprisma e di conseguenza del mirino Bridge Fujifilm ottico, hanno prestazioni inferiori alle reflex ma il vantaggio di essere più facili da trasportare. Questo tipo di fotocamere sta avendo un discreto successo e la tecnologia di questi sistemi è sempre più avanzata, la dimensione dei sensori di questo tipo di fotocamera varia a seconda della casa produttrice. Recentemente le case produttrici hanno Olympus E-PL2 solo corpo deciso di rinominare questo sistema in New System Camera.
Reflex: Sono le macchine fotografiche dei professionisti e dei fotoamatori evoluti, hanno ottiche intercambiabili, un sensore più grande e prestazione superiori rispetto ai tipi di fotocamere visti finora. Chi compra un apparecchio del genere deve essere disposto a spendere per la fotografia, l'ottica di base, in genere un 18-55mm dopo un po' di tempo non basta più e si sente il bisogno di qualcosa di superiore. Se siete agli inizi consiglio una compatta di medio livello con elevata escursione focale e che vi permetta di poterla usare in manuale. In questo Nikon D7000 solo corpo modo avrete fra le mani una fotocamera che vi consente di cimentarvi in tanti generi fotografici e di fare molta pratica, ovviamente non avrà un'elevatissima qualità e in certe condizioni difficili farà vedere tutti i suoi limiti. Una fotocamera di questo tipo vi serve soprattutto per decidere quale genere fotografico praticare e se la fotografia è veramente la vostra vera passione. Io ho iniziato con una Kodak (una bridge) da 5 megapixel e 12X di zoom, l’ho usata per due anni, alcune foto che ho fatto con essa le tengo ancora in bella vista nella mia galleria fotografica, non sfigurano affatto a confronto di quelle fatte con la reflex perché quello che conta veramente è l’attimo colto.
Dopo un anno o due se vorrete crescere come fotografi, sentirete sicuramente l’esigenza di comprarvi una reflex, acquisto che potete comunque fare subito ma con un investimento iniziale notevole e col rischio che la fotocamera diventi un oggetto d'arredamento.
Analizziamo in dettaglio i singoli componenti:
Obiettivo La parola "fotografare" tradotta letteralmente dal greco, significa "disegnare con la luce". La luce che colpisce il soggetto (o più correttamente la scena inquadrata) si riflette ed entra attraverso l'obiettivo della fotocamera, l’immagine che si forma viene registrata sul sensore (o pellicola, se parliamo di fotografia all’argento). Gli obiettivi influiscono in modo decisivo sulla qualità delle nostre fotografie e anche in epoca digitale hanno un ruolo fondamentale, essi offrono risultati differenti in funzione dell’angolo di campo che sono in grado di coprire, esso varia a seconda della grandezza del sensore e della lunghezza focale, è più ampio quando questa è corta e viceversa. Sul piano teorico la focale è quel valore espresso in mm che indica la distanza fra il centro dell’ottica e il sensore, per convenzione si usa il valore della focale riferita al formato della pellicola 24x36mm, oggi la grandezza dei sensori Full Frame. Gli obiettivi sono solitamente composti da più gruppi di lenti per motivi legati alla qualità ottica e alla luminosità, in questo caso la focale si misura dal centro ottico dell'obiettivo che generalmente si trova in prossimità del diaframma, quindi la lunghezza focale può essere considerevolmente diversa dalla lunghezza fisica dell'obiettivo, per esempio esistono grandangolari che hanno le stesse dimensioni di un medio tele. Iniziamo a parlare delle categorie principali di obiettivi: -
Grandangolari Normali Teleobiettivi
Fisheye Canon - Foto di Dirk-Jan Kraan Flickr.com/photos/dirkjankraan/
Ognuno di essi può essere di tipo macro, decentrabile e stabilizzato. I grandangolari per convenzione hanno una focale inferiore ai 50mm e un angolo di campo molto ampio che va dai 60° agli 80° fino ad arrivare a 180° per i cosiddetti ultragrandangolari e fish-eye (questi ultimi hanno una elevatissima profondità di campo con valori compresi tra i 30cm e l'infinito), le ottiche grandangolari in generale esaltano l'effetto prospettico, ovvero i soggetti in primo piano sembreranno molto più grandi di quelli in secondo piano, l’uso del grandangolo può provocare distorsioni sul bordo del fotogramma, questi effetti di distorsione possono essere tranquillamente corretti con Photoshop, i teleobiettivi hanno una lunghezza focale superiore ai 50mm ed un angolo di campo che va dai 20° fino a 5°, i teleobiettivi a loro volta si distinguono in medio tele (da
80 a 150mm), teleobiettivi (da 200 a 400mm) e tele spinti (da 400mm in poi), gli obiettivi definiti normali hanno una focale nominale intorno ai 50mm e consentono di riprodurre una scena con un angolo di campo simile a quello dell’occhio umano, ovvero tra i 43° e i 45°. Poi esistono gli zoom che hanno la possibilità di variare l’escursione focale, passando da un grandangolo a un tele (dipende dagli zoom, non è sempre così), su di essi possiamo notare dei numerini, nel caso del mio zoom nikon 18-105mm leggo anche subito dopo 1:3.5-5.6, il primo numero dopo "1:" rappresenta la massima apertura di diaframma alla focale minima, mentre il secondo corrisponde alla massima apertura di diaframma con la focale più lunga, ovvero a 105mm la massima apertura è f5.6. ATTENZIONE ALLO ZOOM DIGITALE: molte fotocamere compatte e bridge sono spesso dotate dello zoom digitale, a differenza dello zoom ottico in cui varia la focale lo zoom digitale ingrandisce quello che viene catturato dal sensore della fotocamera, in questo modo però l’immagine perde qualità perché invece di avvicinare il soggetto si ingrandisce una porzione della foto, in pratica si usa una piccola parte del sensore, l’immagine perderà parecchia qualità. Molti sono convinti che al variare della focale vari la prospettiva, La prospettiva non cambia se il punto di vista e l’oggetto ripreso rimangono fissi, varia solamente se ci spostiamo dal punto di ripresa, è vero però che cambia la resa prospettica, i grandangolari tendono a enfatizzare le linee di fuga, i teleobiettivi invece schiacciano la prospettiva e i soggetti appaiono molto vicini l’uno all’altro. Quindi a seconda dell’ottica che si usa varia il senso della prospettiva nelle foto. Il rapporto tra gli oggetti, ovvero la distanza tra di essi varia a seconda della lunghezza focale utilizzata, nella prossima pagina un esempio pratico.
Foto realizzata con focale 105mm su APSC
Foto realizzata con focale 18mm su APSC
I pedoni sono a eguale distanza gli uni dagli altri in entrambe le foto (3 caselle), se li fotografiamo con un tele sembrano vicini, mentre con un grandangolo sembrano separati da uno spazio maggiore.
Come abbiamo possono essere: -
già
anticipato
gli
obiettivi
Macro: sono utilizzati per ottenere un rapporto di riproduzione del soggetto pari o superiore ad 1 (≥ 1:1), ovvero quando le dimensioni dell’immagine sul sensore sono pari o superiori alle dimensioni del soggetto su scala reale. Orientativamente gli obiettivi macro hanno una distanza minima di messa a fuoco dal soggetto molto bassa, circa la metà di quella possibile con un obiettivo normale, essa però non è fissa e varia a secondo dell’obiettivo.
Obiettivo decentrabile Canon TS-E 17mm f/4L
Gli obiettivi macro a seconda delle lunghezze focali vengono impiegati in modo diverso nella macrofotografia: 45-65 mm - fotografia di prodotti e oggetti di piccole dimensioni. 90-105 mm - insetti, fiori e piccoli oggetti da una comoda distanza. 150-200 mm - insetti e altri piccoli animali in cui è necessario lavorare a distanza. -
Stabilizzati: il sistema di stabilizzazione compensa le vibrazioni causate dalla mano con un movimento identico ma opposto annullandolo, la stabilizzazione un tempo riservata alle reflex è ormai presente anche nelle compatte.
-
Decentrabili: sono ottiche “particolari”, sbloccando una vite è possibile decentrare l’ottica facendo scorrere la parte anteriore dell’obiettivo verticalmente o lateralmente rispetto all’asse ottico. Questo tipo di ottiche vengono impiegate spesso nella fotografia di architettura, perché permettono ad esempio di fotografare un palazzo alto senza inclinare la fotocamera.
Come nella vita anche la fotografia è una questione di compromessi, non si può avere tutto! Le ottiche sono frutto di compromessi tra luminosità, risoluzione, ingombro, pesantezza ecc.. Più l'escursione focale è grande, come ad esempio nei 18-200mm più compromessi ottici vanno accettati, mi capita spesso di sentire neofiti che nei forum di fotografia (o nei gruppi su facebook) si chiedono il perché molti usano ottiche fisse invece che i versatilissimi 18200mm, il perché lo capirete leggendo queste righe... il 18-200mm ha una notevole escursione focale e dovrà rispondere a molti più compromessi ottici rispetto a un 18-55mm o a un 55-200mm, la qualità che vi daranno i due obiettivi sarà superiore rispetto a quella che vi potrà fornire un unico obiettivo che copre da solo le stesse lunghezze focali, è una questione di scelte, preferite la versatilità o la qualità? La risposta dipende dai risultati che volete ottenere.
Sul forum di fotografare.com un utente di nome Attilio durante una discussione fece un esempio molto azzeccato: “- Fare un'auto che va a 200 km/h non è difficile, una qualsiasi utilitaria con un motore un po' vispo ci arriva facilmente. - Fare un'auto che va benone in fuoristrada non è difficile, una suzukina o una pandina 4x4 non vanno affatto male. - Fare un'auto che abbia una grande capacità di carico non è difficile, una skoda station vagon carica un sacco di materiale. Ora provate a pensare ad un'auto che faccia 200 km/h, vada benone in fuoristrada ed abbia la capacità di carico di una station wagon, facilmente si finirà su un enorme e costoso SUV. Ora provate a pensare di dover costruire quel SUV con i soldi di una panda e poco più, la qualità ovviamente crollerà inesorabilmente.” Questo discorso vale anche per gli obiettivi, ecco perché mi metto a ridere quando leggo di bridge con obiettivi che arrivano anche a 36X al costo di una fotocamera compatta di scarso livello. Una caratteristica fondamentale in un obiettivo è la sua luminosità, indicata dal numerino accanto alla lunghezza focale (la massima apertura di diaframma corrispondente a quella focale), non esiste una linea di demarcazione netta tra obiettivi luminosi e meno luminosi, io considero luminosi obiettivi che vanno da un’apertura di f2.8 in giù. Ma quali vantaggi porta un’ottica luminosa? Per fare un esempio concreto, quando mi sono ritrovato a scattare in interni, e per essere precisi dentro una palestra, con il mio 18105mm f3.5-5.6 non potevo fare molto, potevo scattare a 18mm aprendo al massimo ad f3.5 e alzando gli ISO, invece, grazie al mio 35mm f1.8 sono riuscito a fotografare con tempi di scatto sufficientemente veloci senza alzare troppo gli ISO, cercando di non andare a tutta apertura perché più si apre il diaframma più la zona sfocata aumenta. In sostanza gli stop guadagnati ci permettono di salire con il tempo di scatto e di evitare il mosso alzando di poco o per niente la sensibilità ISO. Io qui mi riferisco alle fotocamere a obiettivi intercambiabili il discorso cambia per le compatte, che dispongono di tanti megapixel ma anche di un sensore di piccole dimensioni, non consiglio di alzare gli ISO, perché già a 400 ISO si avrà molto rumore elettronico, se pensate di scattare in ambienti chiusi vi consiglio di comprare una compatta di fascia alta con obiettivo luminoso. Inoltre grazie a un obiettivo luminoso nelle Reflex migliora la visione attraverso il mirino, per semplici motivi tecnici che capirete più avanti.
Insieme all’ottica ci viene fornito solitamente il paraluce, ma a cosa serve? 1) A contrastare la luce parassita evitando così una perdita di nitidezza, ovvero il flare. 2) A proteggere la lente frontale dell'obiettivo. 3) L’aggiunta di filtri di qualsiasi tipo davanti all’obiettivo aumenta le possibilità di rifrazioni parassite, quindi in questo caso l’uso del paraluce è estremamente consigliato. Quando ho parlato dei vari tipi di obiettivi non ho citato i catadiottrici. Lo schema costruttivo di un obiettivo catadiottrico è insolito rispetto a quello delle ottiche tradizionali. All’interno degli obiettivi catadiottrici oltre alle normali lenti troviamo due specchi, uno concavo e uno convesso che hanno la funzione di riflettere i raggi luminosi provenienti dal soggetto. Guardando lo schema ottico riportato qui a fianco possiamo meglio comprenderne il funzionamento. Possiamo notare nella parte bassa della foto degli elementi diversi, quelli colorati in azzurro sono delle lenti attraverso le quali i raggi di luce passano e quelli colorati di rosso sono degli specchi che li riflettono. La particolare posizione di specchi e lenti all'interno dell'obiettivo permette di avere a quest'ultimo delle dimensioni ridotte rispetto ad uno tradizionale, a parità di focale infatti, la lunghezza si riduce a circa un terzo, un gran risparmio, soprattutto in termini di maneggevolezza e praticità. In giro si trovano obiettivi “datati” che danno un senso di robustezza elevato poiché costruiti quasi per lo più in metallo, anche se questo li rende molto pesanti. Un altro fattore importante è il prezzo, notevolmente inferiore rispetto agli obiettivi tradizionali, questo è dovuto anche al fatto che la qualità delle immagini non è eccezionale. Il diaframma in questo tipo di ottiche è fisso. Non è possibile infatti aprirlo o chiuderlo e questo compromette molto l’utilizzo della profondità di campo. Da citare infine un'altra caratteristica molto particolare: la sfocatura, come potete vedere nella foto accanto i punti non a fuoco risultano avere la tipica forma a ciambellina.
Sfocatura obiettivo catadiottrico
La parte relativa agli obiettivi catadiottrici è stata scritta da Alessio Bardaro
Otturatore e diaframma Il diaframma è un meccanismo circolare o poligonale formato da sottili lamine metalliche che, scorrendo una sull’altra creano una variazione del diametro dell'apertura che regola la quantità di luce che passa attraverso l'obiettivo, la luce infine raggiunge il sensore (nella fotografia digitale) o la pellicola (nella fotografia analogica). Le fotocamere moderne utilizzano solitamente un tipo di diaframma regolabile chiamato "diaframma a iride". A determinare la quantità di luce che colpisce il sensore non è solo l’apertura del diaframma ma anche il tempo di esposizione. A tutta apertura il diaframma lascia passare, in un dato tempo determinato dal fotografo (tempo di esposizione), quanta più luce possibile verso il supporto sensibile; chiudendo il diaframma si riduce tale quantità di luce. Il diaframma può essere regolato su diverse aperture, distribuite regolarmente su una scala di intervalli detti numeri f (f/numero) o f/stop o comunemente "diaframmi". Valori di diaframma sono: Diaframma - foto di Nayu Kim Flickr.com/photos/nayukim/
f/1 f/1,4 f/2 f/2,8 f/4 f/5,6 f/8 f/11 f/16 f/22 f/32 f/45 f/64 (esistono anche valori intermedi)
L'intervallo tra i diversi valori del diaframma viene comunemente indicato in gergo stop. I numeri f sono calcolati e ordinati in modo tale che chiudendo il diaframma di 1 stop si dimezza la quantità di luce, chiudendolo di 2 stop si diminuisce la luce di 1/4, chiudendolo di 3 stop di un 1/8 e così via. l'otturatore invece è il dispositivo che ha il compito di controllare per quanto tempo il sensore resta esposto alla luce. Gli otturatori possono essere classificati in due tipi: -
Otturatori centrali Otturatori a tendina
Otturatore centrale
I primi sono dotati di lamelle disposte a raggiera, in modo simile a quelle del diaframma, questi ultimi non sono più in uso, i secondi sono composti da due superfici di stoffa o metallo disposte parallelamente lungo il piano focale, che scorrono verticalmente formando una fessura che lascia passare la luce. Otturatore a tendina
Specchio e pentaprisma Le reflex o anche SLR (Single Lens Reflex) hanno questa denominazione per via del loro sistema di mira composto da uno specchio posto a 45° rispetto all'obiettivo e da un pentaprisma (o pentaspecchio, più economico). In pratica lo specchio riflette la luce che passa attraverso l’obiettivo per poter visualizzare l’immagine dal mirino, il pentaprisma ha il compito di aggiustare l'immagine che altrimenti presenterebbe i lati destro e sinistro invertiti. Durante la fase di scatto lo specchio si solleva in modo che l’immagine possa essere catturata dal sensore; nella posizione sollevata lo specchio chiude la finestrella dello schermo di messa a fuoco, evitando l'ingresso di luce parassita dal mirino. Questo meccanismo consente di osservare nel mirino della macchina fotografica la stessa immagine catturata dall'obiettivo.
Per quanto riguarda le fotocamere compatte, bridge ed evil non è presente il sistema dello specchio e del pentaprisma, la luce passa attraverso l'obiettivo della fotocamera e finisce sul sensore che consente la visualizzazione dallo schermino LCD. In alcune fotocamere viene utilizzato un mirino ottico che comprende elementi dell'obiettivo completamente separati dal sistema di immagine, altre fotocamere dispongono di un mirino elettronico collegato al sensore.
Il mirino Il mirino è quel dispositivo che permette di visualizzare la scena inquadrata. Nelle fotocamere sono normalmente distinguibili quattro modelli di mirino. Mirino galileiano È il classico mirino che trovate nelle fotocamere usa e getta o nelle compatte economiche, è composto da due lenti all'interno di una finestrella vicino all'ottica, vi è disegnata una cornice raffigurante il campo inquadrato dall’obiettivo. È luminoso ed economico poiché è un sistema di mira semplice (a differenza di quello delle reflex). Mirino a pozzetto Oggi, in epoca digitale difficilmente troverete un fotografo che usa una macchina fotografica con questo sistema di mira, ma ai tempi della pellicola erano molto comuni, chi non si ricorda della mitica rolleiflex? Questo tipo di mirino è di norma utilizzato nelle biottiche, l'immagine è riflessa da uno specchio a 45° verso un vetro smerigliato posizionato sopra la fotocamera, il fotografo vede l’immagine come se guardasse in un pozzo. Un’altra fotocamera leggendaria (e ancora in produzione in versione digitale) che ha usato questo sistema è la Hasselblad. Mirino reflex
Hasselblad - Foto di Jeff Jackson Flickr.com/photos/jeffjackson/
Come suggerisce il nome questo tipo di mirino è usato nelle fotocamere reflex (digitali e analogiche), quello che non ho detto è che per motivi economici soltanto negli apparecchi di fascia professionale questo tipo di mirino permette una visione completa della scena inquadrata, nei modelli entry level e semi-pro viene reso visibile solo il 90-95% del campo inquadrato. Mirino digitale Nelle fotocamere digitali non reflex il mirino è costituito da un display LCD che visualizza in tempo reale l'immagine acquisita.
Display LCD Il Display LCD è presente in tutti i tipi di fotocamera digitale. Quello che vedete nell'immagine qui a fianco è il display di una compatta di fascia alta, la Canon G12, solitamente, in questa tipologia di macchine fotografiche non vi è il mirino e l'inquadratura la si fa dal display (ma nella G12 vi è anche un mirino). Nelle fotocamere Nikon quando si usa il display si dice che si attiva il Modo visione live view, lo specchio si solleva e l'otturatore si apre. Ciò consente alla luce di ricadere sul sensore della fotocamera. Le informazioni vengono lette dal sensore, elaborate dal processore e visualizzate nel monitor posteriore. Mentre il Modo visione live view è attivo, la luce non raggiunge il mirino della fotocamera poiché lo specchio è sollevato. Gli schermi LCD sono spesso scarsamente visibili in condizioni di forte illuminazione. Per questo motivo, il display può essere accompagnato da un piccolo mirino ottico di tipo galileiano (etichettato OVF, optical viewfinder), oppure da un mirino elettronico (EVF, electronic viewfinder) di cui abbiamo appena parlato.
Sensore Prima dell'avvento del digitale l'immagine era impressionata sulla pellicola, ora sul sensore, ovviamente reagiscono in modo diverso e i risultati sia nel bianco e nero che nel colore sono diversi (e non migliori). Iniziamo col dire che i sensori più usati nelle fotocamere sono il CCD e il CMOS, esiste anche il FOVEON attualmente impiegato sulle macchine fotografiche prodotte da Sigma. Sensore CCD Nikon D70S - Foto di Daniel Flickr.com/photos/camerarecycler/
La risoluzione di un sensore si indica con i Megapixel.
I Megapixel Per via del troppo marketing ingannevole la maggior parte della gente pensa che più megapixel ha una fotocamera più la qualità di essa sia elevata, non è vero, un numero più elevato di pixel permette, in linea teorica, un maggior potere risolutivo che influenza le dimensioni di stampa, ma questo è spesso limitato dal sistema ottico. Se il potere risolutivo dell'ottica è inferiore al potere risolutivo del sensore allora non si avrà alcun guadagno nell'aumento del numero di pixel, anzi, si avrà un peggioramento delle prestazioni del sistema a causa del maggiore rumore elettronico introdotto. 18 megapixel su un sensore largo 24x36mm è diverso che averli su un sensore piccolo 5.76x4.29mm, l'immagine risulterà degradata e peggiore.
Quindi fate più attenzione alle dimensioni del sensore e all’ottica che al numero di megapixel! Ma cosa sono i Megapixel? In fotografia digitale un megapixel è un milione di pixel, ed è un termine usato non solo per il numero di pixel in un'immagine ma anche per indicare quanti pixel totali ci sono sul sensore della fotocamera. Ad esempio, un sensore che produce immagini da 4288×2848 pixel è comunemente detto avere "12,2 megapixel" (4288 × 2848 = 12.212.224). Sul sensore i pixel sono disposti sullo stesso piano e sono allineati sia in orizzontale che in verticale, formano una struttura a righe e colonne. In questa sede non ci occuperemo di come in dettaglio il sensore funziona, su internet ci sono una miriade di siti tecnici più adatti a spiegazioni di questo tipo.
Autore Welleman - CFA (color filter array) o anche filtro RGB commons.wikimedia.org/wiki/User:We lleman
Nelle fotocamere digitali per calcolare i megapixel si deve prendere la somma totale di pixel generati moltiplicando le due dimensioni, per esempio una macchina fotografica in grado di produrre immagini a 1600 x 1200 pixel produrrebbe un totale di 1.920.000 pixel o 1,9 megapixel. Una fotocamera con il doppio dei megapixel rispetto ad un’altra non produce stampe grandi il doppio! Esempio pratico: una fotocamera da 24 megapixel non produrrà stampe grandi il doppio di una da 12 megapixel, il perché lo vediamo subito andando a questo sito: jjsapido.com/iafd/tutorial/calcolodpi/calcolodpi.htm Inseriamo i valori richiesti per entrambe le fotocamere, ed ecco il risultato, la fotocamera da 12 megapixel a 300DPI può fare stampe grandi 24cm (altezza)x 36cm (larghezza) mentre la fotocamera da 24 megapixel che produce immagini da 6048x4032 pixel produrrà stampe da 34x51cm, non il doppio. Tutto questo in linea teorica, non è solo la risoluzione a determinare la grandezza di una stampa, dipende molto anche dall’ottica e da altri fattori, io con la mia Nikon D90 da 12 Megapixel realizzo tranquillamente stampe di dimensioni 50x70 mentre dubito che una compatta da 12 megapixel realizzerà mai stampe qualitativamente paragonabili a quelle della mia reflex nonostante abbia gli stessi megapixel. Analizziamo più in dettaglio cosa è la risoluzione Camminando per strada vi è sicuramente capitato di passare vicino a un cartellone pubblicitario, la prima cosa che vi balza all’occhio è la scarsa qualità dell’immagine, solitamente sgranata e formata da un insieme di punti, ma basta allontanarsi un po' perché essa vi appaia ben definita. A questo punto arrivati dobbiamo introdurre il concetto di densità dei pixel, generalmente misurata in PPI, Pixel per Inch (pixel per pollice), ma più spesso sentiamo parlare di DPI
l'acronimo di Dots per Inch che significa letteralmente "Punti per pollice", cioè quanti punti immagine ci sono in un pollice, nel sistema metrico decimale indica quindi quanti punti immagine troviamo ogni 2,54 cm visto che per convenzione 1 pollice è uguale a 2,54 cm. In sostanza, più pixel ci sono in un pollice più l'immagine apparirà definita perché lo spazio tra di essi si riduce con l'aumentare dei pixel, e discorso inverso se i pixel sono pochi, più spazio vi è tra di essi più l'immagine apparirà sgranata. La risoluzione incide sulla resa dell'immagine a seconda dei supporti di visualizzazione, fotografie che sullo schermo del pc si vedono bene al momento della stampa possono risultare di scarsa qualità (a seconda della grandezza a cui si stampano). -
Sul web per la visualizzazione ottimale non servono più di 72dpi. Per la stampa su un giornale non serviranno più di 90dpi, perché quel tipo di carta non riproduce immagini con punti più piccoli. Un poster pubblicitario che generalmente si guarda da lontano richiede 150dpi. La stampa fotografica richiede invece 300dpi, al di sopra di questo valore l'occhio umano non è in grado di cogliere maggiore dettaglio, quindi avere una stampa da 800 Dpi non aggiunge nulla alla nostra immagine.
Ricollegandoci al discorso della scelta della fotocamera è tutta una questione di esigenze, se dovete stampare foto ricordo 10x15 cm sapete quanti megapixel bastano? 2 megapixel per stampare a 300dpi! Caso diverso se dovete allestire una mostra. Non mi stancherò mai di ripetere che l’apparecchiatura deve essere proporzionata alle vostre esigenze, sennò diventa un peso inutile, ho conosciuto persone che non hanno la passione per la fotografia ma che sono munite addirittura con reflex semi-pro, le usano per fare foto ad amici e parenti per poi fare stampe di piccole dimensioni perché costano meno....
DIMENSIONE DEI SENSORI
A seconda del tipo di fotocamera varia la grandezza del sensore, nell'immagine qui sopra potete vedere schematicamente le varie dimensioni dei sensori digitali, il sensore più grande qui rappresentato è il 36x24mm detto anche Full Frame. Sul mercato escono continuamente nuovi tipi di fotocamere con sensori di grandezza variabile, quindi non è possibile in un'immagine rappresentarli tutti, però vi sarà comunque di aiuto per capire le dimensioni dei vari sensori. Più grande è il sensore più pixel può ospitare, a parità di Megapixel il sensore più grande ha una qualità superiore e ad alti ISO il rumore elettronico è minore. Partiamo dalle comuni compatte, hanno un sensore di grandezza 1/2,5" (in figura 2,7 ma è una piccola variazione), quante volte avete sentito dire "voglio la compatta con tanti megapixel", nessuno si preoccupa di avere una macchina fotografica con una lente che non sia un fondo di bottiglia o una messa a fuoco dignitosa (ho usato compatte che come messa a fuoco erano peggio di un cellulare). Poi esistono compatte di qualità superiore, con un sensore di grandezza 1/1.63" (come la lumix lx5) che come vedete dalla figura è più grande di quello montato sulle tradizionali compattine, inoltre compatte come la lx5 o Canon G12 sono realizzate con maggiore cura,
hanno un autofocus più veloce, sfornano file in RAW e hanno una lente di buona qualità, per esempio nella panasonic lumix lx3 la lente è prodotta dalla Leica, mica male. 1/1.7" equivale a 7.6 mm x 5.7 mm = 43.32 mm² mentre 1/2.5" equivale a 5.76 mm x 4.29 mm = 24.71 mm² il primo ha una superficie quasi doppia rispetto al secondo, entrambi i sensori sono in formato 4/3 (come i vecchi televisori) e non 3:2 come dovrebbe essere un "vero" sensore fotografico. Per tradizione il formato fotografico è inteso con rapporto 3:2 perché è il rapporto del formato 35mm o 24x36, questo comunque non significa che sia il formato ideale, infatti nelle fotocamere medio formato si passa dal formato quadrato (es. 6x6) a quelli più o meno rettangolari come il 6x4,5 6x9 10x12 e via discorrendo. Oltre che sulle compatte i sensori appena descritti vengono montati anche sulle Bridge. Le EVIL hanno un sensore di dimensioni variabili a seconda della casa produttrice, ad esempio quello delle olympus pen misura 17,3x13,0mm mentre quello della sony nex è in formato APS-C che troviamo montato solitamente sulle reflex. I sensori delle Reflex a seconda della marca si differenziano di poco nelle dimensioni, per esempio nelle Nikon il sensore APS-C misura 23,5x15,7mm mentre nelle Canon il sensore APS-C è 22,2x14,8mm. Il sensore full frame non è il sensore più grande esistente sul mercato, per esempio abbiamo le medio formato 6x6, fate una ricerca su internet inserendo sul motore di ricerca la parola: "Hasselblad", sono un esempio di questo tipo di macchina fotografica, la grandezza del sensore è 56x56mm niente male vero? La tecnologia è in costante evoluzione e di continuo escono fotocamere "ibride" ovvero fuori dalle classiche categorizzazioni, per esempio compatte con un sensore più grande della maggior parte delle Evil, Reflex con un sensore di dimensioni superiori al Full Frame, o anche fotocamere con sensore piccolino da compatta ma ad ottiche intercambiabili!
GLI ACCESSORI FOTOGRAFICI Le Schede di Memoria - Guida alle schede di memoria SD Memorie SD, queste sconosciute, un breve viaggio nei meandri di un piccolo mondo che agli occhi di chi vi si accosta per la prima volta può spesso confondere e trarre in inganno. Sicuramente vi sarete chiesti almeno la prima volta dove sarebbero state "conservate" le foto che di li a poco sareste andati a scattare, niente di più semplice, nell'apposita scheda di memoria che va inserita all’interno dell’apparecchio. Nelle compatte raramente capita che ce ne sia una inclusa, e nelle reflex di solito se è inclusa, la capacità è bassa. Il più delle volte, invece, bisogna sceglierne una, e, tra marca, capacità, velocità e prezzo, capita che la confusione sia parecchia. La domanda che ci si pone quando non si è molto informati in merito è: Cosa sto comprando? Che differenza c’è? Perché questa costa il doppio di quest’altra? Quale prendo? Con questa mini guida cercheremo di scoprire appunto le caratteristiche che differenziano le varie schede. Partiamo dall’inizio. Con la definizione di SD che poi altro non è che l’abbreviazione di Secure Digital, indichiamo quello che è attualmente il più diffuso formato per le schede di memoria. Ci sono anche altri formati, li elenchiamo per conoscenza: Smart Media, MultiMediaCard, xD Picture Card (ormai in disuso da anni), Memory Stick formato proprietario usato da Sony, Compact Flash (schede che si trovano ormai solo su macchine di fascia alta preferite per affidabilità e prestazioni). All’interno delle schede possono essere immagazzinate grandi quantità di informazioni, dati, foto, video, musica, ecc… per poi essere utilizzate dagli apparecchi elettronici di uso comune. Il loro impiego va dai navigatori ai lettori mp3, dalle cornici digitali alle macchine fotografiche. Noi ci occuperemo prevalentemente dell’utilizzo con queste ultime, ma prima di entrare nel dettaglio è bene fare una distinzione sui vari tipi di schede SD presenti sul mercato. Troveremo infatti schede: • • • •
SD SDHC SDXC SDHC UHS-I
Le schede SD sono quelle più usate
Poi abbiamo le schede SDHC, Secure Digital High Capacity. Come si evince dal nome si differenziano dalle SD normali in quanto la loro capacità di immagazzinare dati è superiore rispetto alle prime. Esse infatti partono da una capienza superiore ai 2 Gb (4 Gb) fino ad un massimo di 32 Gb (questi limiti saranno sicuramente superati con l'avanzare della tecnologia). Salendo di categoria abbiamo le SDXC, abbreviazione di Secure Digital eXtended Capacity. Esse partono dalla capacità di 32 Gb e arrivano alla capacità massima teorica di 2048 Gb ossia 2 Tera. Da poco sul mercato e dal costo elevato, queste ultime hanno un file system proprietario diverso. Quando le comprate state attenti se sono supportate dall’apparecchio con il quale verranno utilizzate. Infine abbiamo le SDHC UHS-I sono schede anch’esse SDHC che seguono le nuove specifiche UHS-I (Ultra High Speed) capaci di arrivare a velocità teoriche di 312 Mbyte al secondo. In questa sede parleremo delle schede SDHC, che attualmente sono le più diffuse. Negli scaffali dei centri commerciali ne trovate in vendita a decine e si differenziano per marca, per capienza e per classe. Sono state infatti letteralmente "classificate" in base a degli standard di velocità. A farlo è stata la SD Association http://www.sdcard.org/ che altro non è che una specie di alleanza globale tra più di mille aziende coinvolte nella progettazione, nello sviluppo, nella produzione e nella commercializzazione di prodotti che utilizzano la tecnologia delle schede SD. Le classi sono così definite:
Se prendete una scheda SDHC in mano e la guardate, troverete oltre alla marca del produttore e la capacita anche un cerchietto con un numero dentro, ebbene quel numero rappresenta la classe di velocità della scheda.
Più la classe è alta, più la velocità in scrittura è elevata, più la scheda è performante e più costa. Oltre a alla classe, vi è la sigla attestante la velocità, espressa con un numero seguito da un per (x) tipo 100x 133x 200x o la velocità espressa in MB/S tipo 15 MB/S 20MB/S 30MB/S.
Cosa indicano queste scritte? Per quanto riguarda la velocità espressa con i numeri seguiti dal per (es. 133x ), questi indicano che la scheda può raggiungere la velocità di scrittura indicata. Tradotto in numeri con un esempio avremo quanto segue: se sulla scheda è riportato 133x vorrà dire che la quantità di dati scritti in un secondo è pari a 133 volte l’unita di misura di scrittura utilizzata per i cd (che è 0,15 Mbyte). Nello specifico avremo: 133x0,15 Mbyte/S che è uguale a 19,95 Mbyte al secondo. Se dovessimo trovare la scritta 200x la velocità sarebbe 200x0,15 Mbyte/S, quindi 30 Mbyte/S. Per le schede che riportano direttamente la velocità espressa in Mbyte/S non dobbiamo fare alcun calcolo. Bisogna porre attenzione però a questi dati. Le velocità riportate sono quelle massime, e sono dichiarate dal produttore e non verificate in maniera imparziale. Spesso sulla confezione o sulla scheda il produttore per evitare eventuali "lamentele" pone la scritta "up to" (fino a) e la velocità, oppure si nota addirittura la presenza di un asterisco accanto alla velocità che sta ad indicare che la velocità espressa è quella massima. Come districarsi quindi in questa serie di sigle e numeri? Sicuramente la classe di appartenenza è un elemento cardine al quale fare riferimento, ma direi che bisogna tenere anche in considerazione anche la marca, alcune case produttrici infatti, sono decisamente più affidabili di altre. A parità di marca ci sono poi quei prodotti di fascia alta, spesso destinati a utenti più esigenti etichettati come "prosumer" (professional-consumer). Fortunatamente anche internet ci può aiutare, basta digitare su qualsiasi motore di ricerca parole tipo "comparazione SD" e troveremo centinaia di siti che offrono confronti tra le varie case produttrici e tra i vari prodotti di diversa fascia della stessa casa. Alcuni offrono comparazioni effettuate con apparecchiature professionali, altri con metodi empirici, ma sicuramente bisogna prestare attenzione e verificare l’attendibilità dei risultati forniti. Quale scheda scegliere quindi? Naturalmente dipende da vari fattori. In primis dovete analizzare il prodotto con il quale verrà usata la scheda e le vostre attuali esigenze e immaginare quelle che potrebbero essere quelle nell’immediato futuro. Su una compatta
sicuramente sarebbe decisamente "sprecata" una scheda SDHC da 32 Gb di classe 10 con velocità indicata dal produttore di 30 MByte/S. Di contro su una reflex, per quanto possa essere una entry-level e l'utente un amatore alle prime armi potrebbe essere limitante comprare una scheda da 2 Gb in classe 2. I fattori da considerare per non cadere in errore sono: Capacità della scheda: Scattando con una compatta le dimensioni dei file Jpeg alla massima risoluzione vanno da circa 4 a circa 6 Mbyte, con una scheda da 4 Gb la capienza dovrebbe essere più che soddisfacente tranne in casi di lunghi viaggi. Scattando con una reflex e salvando i file in Raw o meglio ancora in Raw + Jpeg 4 Gb non bastano di sicuro. Sono da prendere in considerazione schede dagli 8 Gb in su e valutare l’idea di averne una o due di riserva. Classe della scheda: Per una compatta che non registra video in Full Hd una scheda di classe 2 va già bene, una di classe 4 è più che sufficiente, per una reflex che memorizza file di dimensioni più grandi e che può essere utilizzata in ambito sportivo quindi con raffiche di molti scatti effettuate in pochissimo tempo o con la nascita di nuove macchine che riprendono filmati in alta definizione è consigliabile scegliere una scheda di classe 6 o superiore. E' vero che le macchine sono dotate di buffer di grandi dimensioni, ma per evitare di riempirlo e di rallentare le operazioni di scrittura, è preferibile optare per prodotti più performanti. Diverso invece è il discorso del trasferimento dati dal supporto al computer, un conto è trasferire 8 Gb di dati da una scheda di classe 2, un conto è farlo con una scheda di classe 10, tenete in considerazione che potreste perdere anche 4 volte in più del tempo necessario con una scheda di classe inferiore. Marca: La marca fondamentalmente è una cosa soggettiva, di sicuro è preferibile scegliere marche conosciute e con esperienza nel settore a quelle di cui non si è mai sentito parlare. Di contro è anche vero che esistono prodotti di marche meno conosciute che offrono un rapporto qualità prezzo vantaggioso. Basate le vostre scelte in base alle vostre esigenze e non fatevi condizionare dal prezzo, la scheda la comprate una volta sola e andrà a contenere le vostre foto, i vostri video, il vostro lavoro, i vostri ricordi… detto questo non resta che cimentarsi nella scelta. Articolo scritto da Alessio Bardaro
Filtri
Filtri fotografici Cokin - foto di Tim Collins - Flickr.com/photos/tico24/
Quando si usava la pellicola nella borsa di un fotografo non potevano mancare i filtri, mentre oggi è molto raro trovare qualcuno che li usi. Nella fotografia digitale è possibile applicare in post produzione gli effetti che prima si ottenevano solo in fase di scatto ma nonostante questo i filtri sono ancora in commercio, questo perché alcuni di essi sono ancora utili e i loro effetti non sono ricreabili in Photoshop. Iniziamo parlando del filtro polarizzatore, non può mancare nel corredo di un fotografo perché i suoi effetti non sono riproducibili con nessun software. Serve a polarizzare la luce riflessa dalle superfici degli oggetti e dalle particelle atmosferiche, in sostanza rimuove i riflessi da tutte le superfici non metalliche e garantisce il massimo contrasto. Toglie i riflessi indesiderati anche dalle superfici d’acqua, ma può anche dargli rilievo, basta ruotarlo per ottenere l’effetto che desideriamo. Se si fotografa una vetrina grazie al filtro polarizzatore possiamo evitare di venire riflessi su di essa catturando solo quello che c'è all'interno e per questo motivo è anche utilizzato per fotografare quadri o altre opere protette da un vetro. Esistono due tipi di polarizzatori: -
Lineari Circolari
Sulle macchine fotografiche dotate di autofocus il polarizzatore deve essere circolare, esso viene montato sull'obiettivo, come già accennato ruotandolo si possono ottenere diversi effetti visualizzabili direttamente dal mirino della reflex. Grazie al polarizzatore possiamo ottenere in ripresa una saturazione naturale dei colori in modo da non forzare dopo in post produzione, questo effetto è dovuto all'eliminazione della luce riflessa. Nella fotografia paesaggistica servono anche a dare più profondità ai cieli azzurri.
L'effetto di un polarizzatore circolare sul cielo - it.wikipedia.org/wiki/File:CircularPolarizer.jpg
ATTENZIONE non ha effetto se scattiamo con il sole di fronte o alle spalle: dobbiamo stare tra 45° e 90° per ottenere dei buoni risultati, inoltre assorbe la luce di -2 stop circa. Altri filtri ancora utilizzati in fotografia digitale sono: Il filtro UV: oggi non più necessario, le moderne lenti incorporano già uno strato anti UV, in sostanza ha senso usarlo solo per proteggere la lente frontale dell'obiettivo, ma attenzione perché modifica le prestazioni dell'ottica su cui lo montate. I filtri neutral density e i filtri digradanti sono utilizzati essenzialmente nella fotografia di paesaggio.
Nella foto qui sopra la lente è intatta grazie alla protezione del filtro UV - foto di Davidd Flickr.com/photos/puuikibeach
Il filtro neutral density: altera l'esposizione e non introduce nessuna dominante di colore, questa tipologia di filtri viene classificata come ND, esistono ND2, ND4 e ND8, questa classificazione è fatta in base alla riduzione della luce.
Questo filtro appare solitamente grigio e riduce la luce che passa, la riduce di uno stop il filtro ND2, di due stop ND4 e di 3 stop ND8. Ma perché ridurre la luce? Esistono delle situazioni pratiche dove per quanto chiudiamo il diaframma o abbassiamo gli ISO la luce risulta sempre troppa, per esempio quando vogliamo realizzare una foto con un tempo di esposizione lungo (come nella foto di esempio alla pagina successiva).
Dati di scatto: 30 sec, F/10, ISO-100 e filtro ND - Foto Oceania di Kyle Kruchok Flickr.com/photos/kylekruchok/5583769327/
Filtri digradanti (o anche graduati a densità neutra): come dice il nome sono dei filtri che digradano dall'alto verso il basso, cioè sono trasparenti in basso e più scuri in alto, aiutano a equilibrare i cambiamenti di esposizione in una scena, per esempio in un paesaggio permettono di schermare maggiormente il cielo rispetto alla linea del terreno sotto l'orizzonte. Come potete vedere dalla figura alla vostra sinistra possono essere di vari colori. È meglio usare quelli a lastra (esistono anche a vite) perché permettono di regolare l’altezza a nostro piacimento in modo da far combaciare il cambio di densità con la linea dell'orizzonte, sono molto utili per riequilibrare i livelli di luce di un cielo troppo luminoso e di un primo piano scuro, non vi è mai capitato che durante la foto a un paesaggio urbano o naturale gli alberi o i palazzi risultino correttamente esposti mentre il cielo risulti sovraesposto? Usando uno di questi filtri potrete risolvere il problema! State attenti che l’area scura non scenda sotto l’orizzonte perché l’effetto risulti naturale. Di filtri digradanti né troviamo due tipi soft e hard. Gli hard sono adatti per le linee di confine molto nette come quella del mare, mentre i soft hanno una sfumatura più morbida, adatta per esempio in caso di panorami montuosi o che presentano alberi, in sostanza tutti quei paesaggi che presentano una linea d’orizzonte non ben definita.
Per i tramonti sul mare con sole frontale conviene usare i Reverse Graduated che sono dei soft al contrario, ovvero a metà lastra sono hard e sfumano a soft verso l'alto. Dopo aver analizzato i vari tipi di filtri c’è da fare una considerazione pratica, solitamente un fotografo non ha solo un’ottica e molto difficilmente esse avranno lo stesso diametro, quindi ci vorrebbe un filtro specifico per ogni obiettivo con un conseguente aumento delle spese, per nostra fortuna esistono degli anelli adattatori che ci consentono di montare lo stesso filtro su più ottiche di diverso diametro.
Da sinistra verso destra abbiamo filtro Seppia, filtro polarizzatore circolare, filtro arancione e in basso un adattatore per i filtri - foto di Tim Collins Flickr.com/photos/tico24/
Tubi di prolunga e lenti addizionali Questi accessori sono utilizzati per la macrofotografia, solitamente vengono adoperati dai fotoamatori alle prime armi che hanno a disposizione un budget limitato, un'ottica macro ha solitamente un costo elevato, quindi è giusto esplorare questo genere spendendo il meno possibile con risultati apprezzabili per decidere dopo se è quello che vogliamo fare o no. Iniziamo parlando delle lenti addizionali, vengono montate sull'obiettivo della reflex per incrementare il Foto di JD Hancock Flickr.com/photos/jdhancock/
fattore di ingrandimento, per le compatte è necessario acquistare degli anelli adattatori.
Si possono combinare tra loro più lenti per avere una maggiore capacità di ingrandimento, però attenzione, conviene montare per prima la lente di maggior potenza. Se potete evitate di montare più lenti, l’ideale sarebbe un unica lente con maggiore capacità di ingrandimento. Le lenti addizionali hanno di solito 2 vantaggi: -
Non assorbono la luce Aumentano l'avvicinamento al soggetto.
A differenza delle lenti addizionali i tubi di prolunga aumentano l'ingrandimento del soggetto e diminuiscono la minima distanza di messa a fuoco incrementando la
Foto di Pascal Flickr.com/photos/pasukaru76/
distanza dell'obiettivo sensore (vanno inseriti tra l'obiettivo e il corpo macchina), sono privi di lenti e vengono venduti di solito in set da tre pezzi di diversa lunghezza, usando tubi più lunghi o unendo più elementi assieme diminuisce la quantità di luce che colpisce il sensore. I tubi di prolunga sono muniti di contatti elettrici che permettono all'obiettivo e alla reflex di dialogare tra di loro per il mantenimento degli automatismi di esposizione e autofocus.
Foto di Guy Sie Flickr.com/photos/guysie/
Svantaggi dei tubi di prolunga: 1) Per usarli si deve smontare l'obiettivo esponendo il sensore alla polvere. 2) La luminosità si riduce per un valore di 1-2 stop circa. 3) Si avrà una maggiore difficoltà nella messa a fuoco perché nel mirino la scena sarà più scura.
Mentre ricapitolando le lenti addizionali presentano i seguenti vantaggi: 1) Costano meno dei tubi di prolunga. 2) Non comportano riduzione di luminosità. Attenzione, le lenti addizionali devono essere di buona qualità, pena, l’introduzione di aberrazioni che influiscono sulla qualità dell'immagine. Le aberrazioni aumentano con l'aumentare delle diottrie e si sommano montando una lente sull'altra. Le lenti migliori sono costituite da doppietti acromatici incollati. Da +1 a +3 possono andare bene anche a lente singola perché l'aberrazione è ridotta. Ma con +4 è facile che qualche aberrazione cromatica salti fuori.
Esposimetro L’esposimetro potendo essere sia interno (ovvero incorporato nella fotocamera) che esterno, esso è uno strumento di vitale importanza per un fotografo. L’esposimetro serve a misurare la luce necessaria per ottenere un'esposizione corretta suggerendoci la coppia tempo/diaframma da usare in base agli ISO che abbiamo impostato. Gli esposimetri si dividono in due categorie:
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A luce riflessa: lo sono tutti gli esposimetri incorporati nelle fotocamere, la misurazione avviene puntando la macchina fotografica verso il soggetto, l'esposimetro misura la luce che questo riflette verso la fotocamera.
A luce incidente: sono esposimetri esterni solitamente usati nella fotografia in studio, si posiziona accanto al soggetto da riprendere puntando la semisfera bianca verso la fotocamera, potrebbe capitare che la scena presenti un contrasto elevato, in questo caso puntate l'esposimetro direttamente verso la fonte di luce e calcolate una media tra questa lettura e quella delle zone in ombra. Nell'esposimetro della fotocamera la lettura della luce può avvenire in 5 modalità diverse, che devono essere scelte a seconda delle condizioni di luce e dell’atmosfera che vogliamo creare.
1) Multi zona o valutativa: è la modalità standard impostata sulle reflex, detta anche Matrix (Matrice), la scena viene suddivisa in zone, più precisamente in piccoli quadratini come in una scacchiera (o appunto una matrice), l’esposizione viene poi valutata su ogni singolo quadratino e infine, con un particolare algoritmo proprietario e diverso per ogni singolo costruttore, riportata a un valore "medio", la luce viene misurata e mediata secondo delle scene standard memorizzate nella fotocamera, è il sistema di misurazione attualmente più affidabile e avanzato. 2) Media a prevalenza centrale: sfrutta tutto il campo inquadrato ma si da più peso alla parte centrale, in cui si presuppone ci sia il soggetto, una volta era la modalità d'esposizione più diffusa, oggi sta andando piano piano in disuso in quanto con la "Valutativa" e la "Parziale", si ottengono quasi sempre risultati migliori, inoltre può produrre grossolani errori a causa di fonti di luce o zone d'ombre all'interno della scena. È adatta per i ritratti perché legge bene i toni della pelle, il soggetto però deve essere al centro della composizione. 3) Semispot o parziale: delimita un'area al centro dell’inquadratura alla quale dare più "importanza" nella misurazione della luce. La grandezza di quest'area varia da macchina a macchina, ma si aggira sempre tra l'8% e il 10% circa. Risulta utile quando si hanno soggetti in primo piano con sfondi chiari o luminosi, o anche quando si fotografa in leggero controluce. È simile alla spot (che ora vedremo), ma l'angolo inquadrato è più ampio, indicativamente 9° e risulta più complessa per chi è alle prime armi. 4) Spot: può essere definita come una "Parziale" ancora più accentuata. In pratica viene delimitata una piccola area al centro del fotogramma (anche in questo caso può variare e si aggira intorno al 2% o 3% circa) e l'esposimetro fornisce la coppia tempo/diaframma adatta solo per quella piccolissima porzione inquadrata ignorando tutto il resto della scena. È adatta in particolari situazioni di luce, come ad esempio spettacoli teatrali o in pieno controluce; misurando l’esposizione in modo preciso sul soggetto desiderato, la macchina non verrà ingannata dalla luce (o dal buio) che lo circonda. Utile, ma difficile da utilizzare. 5) Multi spot: rappresenta un'evoluzione del sistema spot, la si usa tutte le volte che nella scena sono presenti luminosità differenti, invece di lasciare decidere il sistema multi zona (in caso esso si sia rivelato inefficace) possiamo scegliere noi le parti che ci interessano e sarà poi compito della fotocamera fare la giusta media matematica per trovare l'esposizione corretta. Questa parte sulle 5 modalità di esposizione è stata scritta col contributo di Leonardo Tuttoleo Nucci
LA LUCE Abbiamo parlato della macchina fotografica e dei principali accessori, ma ciò che conta più di ogni altra cosa in fotografia è la luce, lo stesso termine "fotografia" deriva dal greco dall'unione di due parole phos (luce) e graphis (scrivere), letteralmente significa "scrivere con la luce". È la luce riflessa dal mondo intorno a noi che rende visibile il mondo stesso, una cosa fondamentale da sapere è che il comportamento della luce cambia a seconda delle superfici da cui è riflessa, superfici ruvide rifletteranno la luce disperdendola in tutte le direzioni, viceversa, superfici lisce non disperdono la luce. Indipendentemente dal soggetto e dalla fotocamera utilizzata la quantità e la qualità della luce presente sulla scena è determinante per la riuscita o no di una fotografia, quindi il fotografo deve saper sfruttare al meglio la luce disponibile. Più chiara è una superficie più luce rifletterà, infatti le superfici bianche riflettono gran parte dei raggi luminosi, viceversa quelle nere non riflettono la luce. Il senso di una foto può variare notevolmente a seconda dell’illuminazione utilizzata, poiché dalla luce dipende come percepiamo la forma e il volume degli oggetti, modificando l'illuminazione possiamo dare un tono più o meno drammatico a una foto, esaltare o nascondere certi dettagli. Senza entrare nel dettaglio fisico che piega il fenomeno, la luce, a seconda della fonte, ha una temperatura più calda o più fredda. La misurazione viene fatta in gradi kelvin. Nell'immagine seguente si vede il colore della luce e il relativo grado kelvin:
Qui di seguito alcune indicazioni sul colore in base alla fonte di luce: • • • • • •
Candela 1800°K luce molto calda Luce domestica (tungsteno): 2500°K luce calda Tramonto 3000°K - Lampada da studio al tungsteno 3200°K Luce solare/flash 5500°K luce bianca/neutra Luce cielo nuvoloso 7000°K luce leggermente fredda Lampada fluorescente superdiurna 8000°K luce fredda
In realtà ci sono molte più fonti di luce e non è raro trovarsi in condizioni di luce mista. È importante quindi impostare la corretta temperatura colore sulla macchina altrimenti c'è il rischio di avere fotografie blu/rosse/gialle. Lavorando in raw è possibile gestire la misurazione corretta del colore della luce in postproduzione, argomento che affronteremo più avanti parlando del bilanciamento del bianco. L’indubbio vantaggio della luce naturale è che possiamo disporre di essa a costo zero, ma come potete immaginare è difficile da gestire, varia continuamente di inclinazione,
intensità e colore; a seconda dell'ora del giorno, del mese o della zona geografica restituisce diversi effetti cromatici, vi consiglio di fare un esperimento, fotografate lo stesso paesaggio in diverse ore del giorno e durante stagioni differenti per vedere come muta al variare della luce. In interni la luce può passare solo attraverso le finestre, in questo modo solo una parte del soggetto risulterà illuminata creando ombre sulla parte opposta, per attenuare le ombre esistono due metodi, o usare un pannello riflettente oppure se è presente sfruttare la tenda bianca, con quest'ultimo metodo avremo una luce sensibilmente più morbida poiché la tenda agisce come una sorta di softbox, considerate però il fatto che la tenda assorbirà parte della luce abbassando il livello di luminosità della scena. Ricordate di tenere sempre spenta l’illuminazione della stanza per evitare situazioni di luce mista. Fotografando con una luce diffusa le forme e i volumi vengono messi meglio in evidenza, poiché come già detto le ombre risultano più morbide e i colori meno forti e accentuati. Al contrario la luce diretta del sole (come quella che si trova verso mezzogiorno) produce un forte contrasto, con colori intensi e ombre molto scure; quando ci troviamo in esterni in una giornata nuvolosa il contrasto diminuisce e l'illuminazione diviene più uniforme, se il sole viene completamente coperto dalle nuvole le differenze tra luce ed ombra scompaiono del tutto, l'illuminazione è uniforme e le ombre si formano soltanto nei punti dove la luce del cielo non può arrivare (per esempio sotto gli oggetti). Personalmente non amo scattare in questa condizione di luce. L’alba e il tramonto sono i momenti che preferisco (l’alba in particolar modo), il sole è basso sull’orizzonte e la luce è calda e morbida, soprattutto all'alba vi è una particolare atmosfera e le foto risultano più inusuali rispetto a quelle realizzate al tramonto, inoltre è bellissimo sentire l’aria pulita e il silenzio della città che ancora deve svegliarsi.
Lo Stretto di Messina all'alba - Foto di Marco Crupi
COME IMPUGNARE LA MACCHINA FOTOGRAFICA Una volta comprata la nostra macchina fotografica (ipotizziamo una reflex) dobbiamo imparare a tenerla in mano, esiste una tecnica corretta anche per questo. Io personalmente non penso ad applicarla alla lettera, fotografo sia in pellicola che in digitale e raramente ho avuto problemi di micro mosso, alcuni passaggi si fanno istintivamente e coi moderni sistemi di stabilizzazione di immagine oserei dire che sono quasi superflui, comunque sono cose da sapere. Per avere una postura corretta ed evitare il micro mosso durante la fase di scatto si deve: - Tenere i piedi leggermente larghi e posizionarne uno leggermente avanti - Usare il mirino - Piegare i gomiti avvicinandoli ai fianchi - La mano sinistra deve reggere il corpo della reflex e l'obiettivo da sotto, con il palmo rivolto verso l'alto permettendo anche di agire sui due anelli posti sull'obiettivo, ovvero lo zoom (se non è un’ottica fissa) e la messa a fuoco; la mano destra va sull'impugnatura della reflex con l'indice che è pronto a premere il pulsante di scatto. Per obiettivi molto pesanti, che si allungano durante la zoomata, consiglio di mantenere la mano sinistra sotto l'obiettivo oppure sul lato sinistro a forma di "C". Molto utile è il batterygrip sotto la reflex in modo da controbilanciare parzialmente il tutto e poter fare facilmente inquadrature verticali. - Trattenere il respiro uno o due secondi durante la fase di scatto, per eliminare qualunque vibrazione, si deve scattare a polmoni vuoti. - Conviene utilizzare tempi di scatto non troppo lunghi, questo dipende dall’ottica che si usa e dalla scena che si fotografa, in genere i tempi di sicurezza per evitare il micro mosso vanno minimo da 1/80 in poi, esiste una regola generale che dice che il tempo di sicurezza per
il micro mosso bisogna calcolarlo in base alla lunghezza focale, per esempio a 100 mm si usa 1/100 in analogico, mentre se siamo in digitale 100 mm si moltiplica per 1,5 ovvero un 1/150. - Usare un treppiedi o sfruttare gli appoggi naturali come per esempio un muretto. Questi accorgimenti tecnici che ho elencato possono essere utili quando si vuole fotografare un soggetto statico e magari vi è poca luce e non si ha un cavalletto a portata di mano, allora questo è il miglior modo per ridurre le vibrazioni evitando il micro mosso, dubito che riuscirete a usare tutti questi accorgimenti in generi come il reportage o la street photography.
L'OCCHIO UMANO Vs FOTOCAMERA La fotografia ci permette di vedere e registrare il mondo con sfumature particolari e personali, affermandosi come arte e non solo come mezzo riproduttivo. Ma quali differenze ci sono tra l'occhio umano e la nostra fotocamera? Inizialmente le somiglianze sono molte, l'occhio lascia entrare la luce attraverso la cornea che si comporta più o meno come la parte frontale dell'obiettivo, insieme al cristallino, che si trova dietro l’iride, sono gli elementi di messa a fuoco dell’occhio. La cornea raccoglie i raggi divergenti di luce, e li convoglia attraverso la pupilla. L'iride funziona come un diaframma variabile che regola l'intensità luminosa, il cristallino viene usato come una lente, per produrre un'immagine nitida, e un'area fotosensibile, la retina, per percepirla. Quindi possiamo dire che nella fotocamera al posto del cristallino c'è l'obiettivo, l'iride e la pupilla agiscono insieme come il sistema di apertura della fotocamera e al posto della retina vi è il sensore (o la pellicola). Sia il cristallino che l'obiettivo possono essere messi a fuoco su distanze diverse, entrambi formano un'immagine rimpicciolita e capovolta della scena. Le somiglianze però finiscono qui, ma stanno sviluppando delle fotocamere che funzionano esattamente come l'occhio umano (fotocamere non ancora disponibili al pubblico). La visione umana è controllata in parte dall'occhio, in parte dal cervello. Questo comporta che la nostra visione è selettiva. Le parole che state leggendo adesso, per esempio, vi appaiono nitide, mentre quelle circostanti vi appaiono indistinte. La visione selettiva elimina gli elementi che distraggono. La fotocamera quindi a differenza dell'occhio umano registra tutto, quindi quello che ai nostri occhi in un primo momento è sfuggito risultando invisibile in foto si vedrà, perciò la fotografia registra spesso troppe cose, quelle importanti assieme con quelle che importanti non sono. È raro che l'occhio ci presenti un'immagine sfuocata. Se spostate l'occhio da questo testo a un altro oggetto tutti i particolari vi appariranno ugualmente chiari, perché mentre si spostano i vostri occhi rimettono continuamente a fuoco.
Esempio: prendete due matite (una per mano) e tenetele in alto a distanze differenti, ora provate a vederle contemporaneamente, vi accorgerete che mettendo a fuoco sulla matita più vicina a voi non vedrete nitida la matita più lontana e viceversa. La messa a fuoco di una fotocamera funziona nello stesso modo, ed è utile per far cadere l'attenzione sulle cose che ci interessano escludendo quelle di minor importanza.
Come la fotocamera riduce il mondo tridimensionale a bidimensionale anche l'immagine che si forma sulla retina è bidimensionale, ma noi vediamo in tre dimensioni perché avendo due occhi vediamo da due punti di vista leggermente diversi, questo è il concetto base da cui partono le moderne fotocamere 3D dotate di due obiettivi posti a una certa distanza l’uno dall’altro, per essere precisi la stessa distanza che c’è fra i nostri occhi. Curiosità e approfondimenti Dopo aver parlato di quello che più ci interessa a livello fotografico ecco alcune interessanti curiosità sull'occhio umano relazionato alla fotografia: Per saperne di più andate a questi link: http://www.nadir.it/pandora/OCCHIO_FOTOCAMERE/dassio.htm http://www.fotografiaprofessionale.it/downloads/L_Occhio_del_Fotografo.pdf
COME SVILUPPARE L'OCCHIO FOTOGRAFICO Come si diventa dei bravi fotografi? Osservando! Un fotografo ha un modo di guardare diverso rispetto alle persone comuni e imparare ad osservare non è semplice come possa sembrare. Per acquisire un "occhio fotografico" si deve fare molta pratica, con e senza la macchina fotografica, ricordate la citazione di Man Ray all’inizio del libro? Foto di Alexander Boden Flickr.com/photos/bogenfreund/
“Se volete fare fotografie, gettate via la macchina fotografica.”
Uscite per la città fotografando quello che istintivamente vi attrae, sperimentando inquadrature diverse e "fotografate, fotografate e fotografate il più possibile per migliorare" così mi consigliò un fotografo quando iniziai, è un ottimo esercizio, semplice e molto proficuo, in parole povere la pratica è fondamentale. Considero obbligatorio guardare le foto dei grandi maestri della fotografia contemporanea e non, personalmente ho fatto grandi passi avanti grazie al libro "Le 100 foto più belle della National geographic", libro regalatomi da una persona per me molto importate, Chiara, un'artista eclettica (come potete vedere dal suo sito) che ha contribuito molto alla mia crescita come fotografo e come persona. Frequentate i forum di fotografia per parlare e condividere il vostro lavoro con altri fotografi, a tal proposito vi consiglio do iscrivervi su www.forumdifotografia.it Anche se il vostro obiettivo e migliorare come fotografi questo non vuol dire che dovete guardare soltanto fotografie, non mettete i paraocchi, guardate e imparate da ogni forma d'arte visiva, dai quadri dei grandi artisti ai fumetti, non li sottovalutate, penso che leggere fumetti sia un ottimo modo per "allenare" l'occhio, i fumetti di un certo livello hanno spesso inquadrature geniali e una composizione dell'immagine perfetta. Fatevi una cultura cinematografica, guardate i grandi classici del cinema, quelli proprio imperdibili a prescindere dai gusti personali, come "full metal jacket", "Gli intoccabili" e "Mary poppins", solo per citarne alcuni, fate particolare attenzione alle inquadrature e alla gestione delle luci.
LA COMPOSIZIONE DELL'IMMAGINE Molti riescono a ottenere foto composte correttamente anche senza aver studiato, questo perché probabilmente hanno un senso della composizione istintivo. Come già detto la fotocamera a differenza dell'occhio umano registra tutto, quindi quello che ai nostri occhi in un primo momento è sfuggito risultando invisibile, in foto si vedrà. Prima di scattare una foto si deve prestare attenzione sia al soggetto principale che agli elementi secondari, per non avere brutte sorprese in seguito, uno dei vantaggi del digitale rispetto alla pellicola è il poter eliminare più facilmente gli elementi di disturbo dell'immagine in post produzione. Ci tengo a dire che non esistono regole fisse che non possano essere trasgredite. Alcune fra le migliori fotografie ignorano qualsiasi regola di composizione, ma a meno che non abbiate un genio istintivo è meglio seguire le regole. Secondo la mia esperienza personale ci sono 9 regole fondamentali: 1°) Centrare bene quello che vi interessa, questo non significa che il soggetto della fotografia debba a tutti i costi stare al centro dell'immagine, anzi, molto meglio se il soggetto principale è decentrato, questi significa che dovete aver ben presente e far capire agli altri chi è il soggetto principale della foto.
Fotografia di Marco Crupi
2°) Non dividete mai la fotografia con una linea verticale o orizzontale passante per il centro, come potrebbe essere un palo o un albero. Inoltre l'orizzonte dovrebbe essere al di sopra o al di sotto del centro.
Fotografia di Marco Crupi - State attenti alle distorsioni del grandangolo, l'unica cosa che potete fare è correggerle in fase di post produzione, questa foto se notate bene presenta una lieve distorsione sulla linea dell'orizzonte.
Per esempio se si fotografa il mare la linea d’orizzonte non deve stare mai al centro, ma si deve dare più spazio al cielo oppure all'acqua. 3°) Se fotografate un panorama state bene attenti che la linea di orizzonte non sia inclinata, è orrendo vedere una foto in discesa o in salita, consiglio di fare più scatti fino a che non si è sicuri di aver realizzato almeno una foto con la linea di orizzonte perfettamente dritta. 4°) Prima di scattare, cercate il punto di vista migliore, provate ad inquadrare prima con la macchina in orizzontale e poi, senza spostarvi, inquadrate la stessa scena ruotando la macchina di 90°, spesso basta questo per cambiare volto ad una foto. Abituatevi a cercare punti di ripresa inusuali, soprattutto esercitatevi inizialmente con soggetti statici e cercatene sempre di nuovi, giocando con le varie lunghezze focali per vedere i risultati che si ottengono. Fotografare un soggetto frontalmente spesso può risultare banale, se per esempio volete conferirgli imponenza fotografatelo dal basso.
5°) Esistono delle regole base da seguire per inquadrare le persone, nei ritratti viene solitamente usato un teleobiettivo, o nella maggior parte dei casi un medio tele, riempite l'inquadratura evitando di lasciare troppo spazio vuoto sopra la testa. In un primo piano fate attenzione a non stringere il soggetto proprio sotto al mento, per aver un buona composizione dividete la foto orizzontalmente in tre parti uguali e mettete la linea degli occhi nel primo terzo. Quando fotografate un mezzo busto fate particolare attenzione alle mani, un errore frequente è quello di tagliarle all'altezza del polso. 6°) Bisogna cercare il centro d'interesse della scena che si vuole inquadrare e valorizzarlo il più possibile, si può intervenire in post produzione utilizzando lo strumento di ritaglio, oppure sfruttare la differenza tonale tra il soggetto e lo sfondo. Soggetto chiaro e fondo scuro (o viceversa) in questo modo si attira subito l'attenzione dell'osservatore. 7°) Prestate attenzione alle forme, le linee e i volumi, cercando di realizzare composizioni geometriche, questo discorso vale soprattutto per la fotografia di paesaggio urbano. Le linee sono le zone di confine tra due aree di elevato contrasto, dovuto a una differenza sia di luminosità che di colore, definiscono la forma ed è bene sfruttarle per Foto di Marco Crupi mettere in risalto il soggetto dell’immagine e guidare lo sguardo dell'osservatore. A seconda del tipo di linee prevalenti la foto comunicherà emozioni differenti, le linee orizzontali contribuiscono a dare un senso di calma ed equilibrio, mentre le linee verticali comunicano forza e vigore, le linee diagonali aggiungono dinamismo mentre quelle curve conferiscono ritmo e profondità. 8°) La regola dei terzi è una di quelle regole fotografiche di cui si parla tanto e che pochi o nessuno pensa ad applicare in fase di scatto, soprattutto in generi fotografici in cui non si costruisce la scena e si deve essere veloci nel cogliere il momento (come nella street photography), c'è da dire che soprattutto i fotografi più esperti tendono ad applicare questa regola senza volerlo, istintivamente. La si pensa ad applicare di più in post produzione, col giusto taglio è possibile dare alla nostra foto equilibrio e aiuterà i punti focali a catturare l'attenzione dello spettatore. Ma in cosa consiste questa regola? Consiste nel dividere la scena fotografata in "terzi", sia in orizzontale che in verticale. La griglia si chiude con due linee verticali e due orizzontali distanziate tra loro di un terzo: questo dividerà il tutto in nove parti uguali e quattro punti di passaggio. Quando componete la vostra immagine, dovete cercare di far coincidere i punti di interesse della scena nei punti di intersezione delle linee. Se fate in modo che i punti di interesse siano esattamente sugli incroci delle linee di divisione, la vostra foto potrà dirsi bilanciata.
Secondo questa regola lo spettatore tenderà a guardare la fotografia soprattutto nei punti di intersezione delle linee. 9°) Dopo avervi elencato tutte queste belle regolette con quest’ultima vi consiglio di provare a infrangerle tutte, le foto più belle che ho visto molto spesso non erano composte secondo le regole tradizionali, l’abilità del fotografo sta nel saper introdurre e disporre nell’inquadratura i giusti elementi di tensione basandosi sul proprio personale senso artistico. Molti pensano che basti semplicemente immortalare con la propria macchina fotografica una scena che in quel momento gli trasmette delle particolari sensazioni per poi attraverso quell'immagine farle provare anche ad altri, non c'è idea più sbagliata, senza lo studio, la tecnica e l'esperienza solo voi proverete delle emozioni davanti a quello scatto, emozioni scatenate dal ricordo che in voi suscita quell'immagine. La fotografia come tutte le arti ha una sua logica, non basta fare click per trasmettere qualcosa a chi guarda.
LA PERCEZIONE VISIVA 1.LINGUAGGIO E FOTOGRAFIA Solitamente quando una persona inizia ad interessarsi alla fotografia la prima cosa che fa è acquistare una macchina fotografica. Spesso poi fa un corso più o meno approfondito, dove impara le tecniche basilari, vedi il diaframma, i tempi, gli iso, il bilanciamento del bianco e cose simili. Poco o nulla viene detto dell’altro grande protagonista di una fotografia: il destinatario, l’occhio umano. In fondo la fotografia è un linguaggio. In linguistica Roman Jackobson aveva creato questo schema che "scomponeva" il linguaggio nel modo seguente: MITTENTE - CONTESTO - DESTINATARIO MESSAGGIO CONTATTO CODICE Tutto questo è riferito alla lingua dove il mittente è il parlante, il destinatario è colui che riceve il messaggio, il quale messaggio viene trasmesso in un determinato contesto e attraverso un codice conosciuto ad entrambi e grazie ad un contatto, permettendo quindi la trasmissione del contenuto. Usciamo dall’ambito linguistico e proviamo ad applicare questo stesso schema alla fotografia. Da una parte c’è il fotografo. Il contatto è la fotografia, il suo supporto (stampata, proiettata, pubblicata), il codice è la tecnica fotografica (che va comunque conosciuta), il messaggio è quello che risalta agli occhi dell’autore e il contesto è il dove o l’ambito fotografico in cui la scena viene presentata. Dall’altra parte c’è il destinatario, l’occhio umano. Ecco il nostro schema: FOTOGRAFO - CONTESTO - DESTINATARIO SOGGETTO SUPPORTO TECNICA FOTOGRAFICA La tecnica fotografica e il supporto fanno tantissimo. Ma non fanno tutto. In questo articolo vorrei concentrare la mia attenzione sul contesto/soggetto partendo però dal destinatario, l’occhio umano.
2.L’OCCHIO UMANO E LA CAPACITA’ DI PERCEPIRE LA REALTA’ La percezione umana è cosa assai complessa. Sono stati scritti libri e trattati a riguardo. Cosa ci mostra l’occhio e cosa seleziona il nostro cervello dell’immagine trasmessa? Perché lo seleziona? Su che base? L’uomo è incapace di concentrarsi su più cose contemporaneamente. Guardate il disegno.
Cosa vedete? Due persone di profilo? Un vaso? Ci sono entrambi. Ma il nostro cervello ce ne mostra uno alla volta: o vediamo il vaso o vediamo i profili. Quello che vediamo è il soggetto, il resto è lo sfondo. Uno alla volta, però. Cosa determina l’essere sfondo o l’essere soggetto? Innanzitutto la dimensione e il rapporto tra le dimensioni. Un soggetto grande viene notato prima di un soggetto piccolo. Nell'immagine del vaso si notano prima i due profili. In secondo luogo lo spazio e la loro collocazione in esso; il fatto che siano in un determinato punto della immagine invece che in un altro ha una importanza fondamentale e informa il nostro subconscio su quale sia il soggetto e quale lo sfondo. Anche il tipo di margini è importante. Un contorno netto ha più importanza nella nostra mente di un contorno sfuocato. Non solo anche la forma del contorno se è convesso o
concavo (un contorno convesso tende ad avere più importanza rispetto ad uno concavo), se è rotondo o diritto, se è in verticale in orizzontale o in diagonale.... L’illuminazione ha poi una grande importanza. La zona illuminata è considerata di maggior importanza rispetto alla zona in ombra. In conclusione, le variabili sono molte. Sono tutte da tenere in considerazione quando si fotografa. 3.APPLICAZIONE IN FOTOGRAFIA DELLO STACCO SOGGETTO - SFONDO Quando scattiamo una fotografia, vogliamo trasmettere un messaggio. Vogliamo mostrare agli altri cosa vede la nostra mente, cosa ci ha colpito. Il destinatario ha bisogno di sapere quale è il soggetto e quale è lo sfondo. In fotografia questo stacco è fondamentale. I nostri occhi quando guardano la realtà non sono mai fermi. Si spostano continuamente in modo casuale. Questi movimenti sono intervallati da brevissime pause in cui il nostro cervello accumula informazioni. La nostra corteccia celebrale rimette insieme i pezzi accumulati nelle pause (“fissazioni”) e ricostruisce il puzzle. Noi siamo in grado di catturare milioni di particolari perché la nostra percezione visiva è spalmata nello spazio e nel tempo. In una fotografia invece tutto si blocca, viene colto l’attimo. La realtà riprodotta in una fotografia è immobile, limitata nello spazio e congelata nel tempo. Non si possono cogliere altre sfaccettature se non quelle lì riprodotte. Ecco che diventa necessario chiarire cosa in quel momento era il soggetto della nostra visione, quale in quel momento è lo sfondo e quale è il protagonista. In realtà i soggetti possono essere più di uno ma qui nascono nuovi fattori, in particolare entra in gioco la loro collocazione nello spazio e il rapporto morfo-spaziale tra essi. Rimaniamo quindi sull’unico soggetto. Abbiamo detto che il nostro cervello percepisce quale sia il soggetto in base alla forma (a cui aggiungerei il colore), alla dimensione, alla posizione, ai margini e alla illuminazione. Nella staticità di una fotografia la nostra percezione visiva ha bisogno di trovare immediatamente il soggetto. Prendiamo una fotografia a caso, appena scattata per l’occasione:
Qual è il soggetto della foto? La bambola? La videocamera? I disegni? Non si capisce. Vi trovate davanti ad una foto di questo tipo e vi chiedete immediatamente quale sia il soggetto, cosa si voglia rappresentare. Perché? Perché ci sono troppi oggetti, di forme simili, alla stessa distanza e con gli stessi colori, stesse dimensioni, stessa illuminazione e stessi margini, tutto a fuoco. Una fotografia così non dice nulla è da prendere e buttare nel cestino. Vogliamo isolare la bambola. Mettiamoci dentro anche la videocamera, vogliamo che la bambola e la videocamera diventino i soggetti. Cosa posso fare? Ci si avvicina (così aumentano le dimensioni rispetto al resto) e si cambia la posizione dei soggetti nello spazio della fotografia.
Va meglio ma non va ancora bene. Lavoriamo sui margini, la cosa più semplice, sfuochiamo lo sfondo, apriamo il diaframma, invece che scattare a f5.6 scattiamo a f1.4 (o comunque alla massima apertura consentita dalla lente). Iniziamo a vedere lo stacco, ma qualcosa distrae, il colore. Il rosso dei capelli è ripreso dallo sfondo e dal libro. Togliamo le interferenze e creiamo un rimando di colore sulla fotocamera.
Ultimo tocco, l’illuminazione, con la luce metto in risalto i due soggetti.
Si tratta solo di una foto d’esempio. Ma è un esempio pratico in fotografia di quanto detto fino ad ora sul rapporto soggetto-sfondo. Quando si scatta si deve PREVISUALIZZARE, come diceva il grandissimo Ansel Adams. Si deve decidere PRIMA cosa mettere in risalto e cosa invece inserire nello sfondo. Una volta che si decide cosa si vuole mostrare al destinatario, si deve fare in modo che il messaggio arrivi chiaro, che la percezione visiva del destinatario sia appagata da una certa chiarezza formale. Guardate la differenza fra la prima fotografia e l’ultima che ho inserito, la prima, dove non era chiaro quale fosse il soggetto e la seconda, l’ultima, quella dove sono state applicate tutte le tecniche possibili per distinguere il soggetto dallo sfondo e quindi per mandare un messaggio chiaro al destinatario.
Non è una gran fotografia, anzi è proprio bruttina, ma quello che vorrei mostrare è un esempio pratico di quali siano i pochi accorgimenti per rispettare lo stacco soggetto sfondo, ovvero: 1.Cambiamo la nostra posizione (un passo avanti – un passo indietro, ma soprattutto chiniamoci se serve) 2.Scegliamo la lente corretta (un tele è più adatto a sfuocare rispetto ad un grandangolo) 3.Usiamo bene i diaframmi
4.Usiamo bene l’illuminazione 5.Previsualizziamo la fotografia, togliendo gli elementi di disturbo e di distrazione (ricordiamo che il rosso così come i colori accesi pesano!) ULTIMA COSA, RICORDATELA.... è una frase che ha in firma un amico iscritto al mio forum: "se un oggetto non aggiunge valore alla tua foto, gliene toglie". Se non potete eliminare fisicamente gli elementi di disturbo (quelli che distraggono dal soggetto), nascondeteli con i metodi elencati sopra... in primis... le gambe (ovvero spostatevi)! Articolo scritto da Diagaz www.diagaz.net e www.diagazforum.com
BIANCO E NERO O COLORE?
Foto di Marco Crupi - Flickr.com/photos/marcocrupivisualartist/
Se siete arrivati a questo punto del manuale di fotografia partendo da zero e seguendo tutti i consigli vuol dire che avete già comprato la vostra fotocamera, con le prime nozioni qui apprese avete iniziato a fotografare e un dubbio vi ha assalito "scatto a colori o in bianco e nero?". E se questo dubbio non vi è venuto durante la fase di scatto vi è venuto davanti al vostro programma per post produrre le foto. Innanzitutto sappiate che è meglio scattare a colori e convertire le foto in bianco e nero successivamente, con Photoshop o qualunque altro programma di fotoritocco. Questo per due motivi, il primo abbastanza logico è che una foto a colori può essere convertita in BN ma non viceversa e il secondo è che la qualità del BN realizzato con Photoshop o plug-in in esso aggiunti è superiore a quello fatto in macchina. Ma perché in era digitale, di HD e 3D si vedono foto in bianco e nero con grana e imperfezioni addirittura volute e ricercate? Non c’è un perché preciso, può essere una scelta dettata dal gusto personale, dalla volontà di ricercare un proprio stile o perché l’assenza di colore distrae meno l’attenzione dello spettatore dal messaggio che si vuole dare, non a caso il bianco e nero è indicato soprattutto per il reportage. Scegliamo di scattare a colori perché la realtà che vediamo è a colori e ci sembra quindi naturale riprodurla nella sua interezza.
Foto di Marco Crupi - Flickr.com/photos/marcocrupivisualartist/
La fotografia a colori è quindi un tipo di fotografia "realistica" a differenza del bianco e nero considerato più "astratto e artistico", io adoro usarlo per la Street photography. Nel bianco e nero le immagini hanno soltanto due dimensioni: prospettiva e contrasto, infatti quando fotografiamo in bianco e nero dobbiamo prestare particolare attenzione alle ombre e alle geometrie. Nella fotografia a colori invece alla prospettiva e al contrasto si aggiunge il colore, un elemento non di poco conto, infatti possiamo realizzare delle bellissime fotografie sfruttando solo quest’ultimo elemento. Se decidete di fotografare principalmente in bianco e nero, perché come me amate la Street photography dovete "cambiare occhio", cosa molto difficile è l’abituarsi a trascurare i colori come tali e a valutarli soltanto in base alla possibilità di tradurli in bianco, nero e sfumature grigie, nonché di sfruttare i contrasti fra luce e ombra. Chi invece fotografa a colori fa un ragionamento diametralmente opposto, ovvero acquista una particolare sensibilità alle più tenui sfumature di tono, di saturazione e di luminosità cromatica.
Foto di Marco Crupi - Flickr.com/photos/marcocrupivisualartist/
Ma alla fine dei conti quale scegliere? Per me dipende dal soggetto fotografato, ci sono soggetti che in BN rendono meglio che a colori e viceversa. Curiosità: un ritratto a colori dovrebbe essere per ovvie ragioni più realistico di uno in BN poiché la realtà non è in bianco e nero, questo però non è detto! Faccio un piccolo esempio, un giorno converto un ritratto a colori in bianco e nero, stranamente la versione in BN risultò più realistica di quella a colori, perché? Per due motivi: 1°) Il bianco e nero lo si accetta solitamente senza riserve nonostante l’assenza di colore, perché a esso siamo "abituati" e perciò la mancanza di colori è da noi ammessa come cosa del tutto normale. 2°) Il ritratto a colori che invece doveva apparirmi realistico mi è apparso a primo impatto irreale perché i suoi colori sembravano "falsi" poiché la carnagione presentava una strana dominante colore, dovuta sicuramente al fatto che il soggetto era vicino a un oggetto colorato su cui la luce si rifletteva. Ma se ci pensate, quella nella foto a colori era la realtà in quel momento, e allora perché mi è apparsa irreale? Perché in noi la percezione cromatica non è sviluppata al punto da farci avvertire consciamente negli oggetti lievi aberrazioni dei colori, quindi i colori vengono giudicati dalla memoria e se essi differiscono dalla norma (cosa che avviene automaticamente se l’illuminazione non è di un bianco assoluto) li giudichiamo irreali, ecco perché hanno inventato il bilanciamento del bianco (usatissimo nella fotografia di matrimonio).
MESSA A FUOCO Quando la vostra fotocamera mette a fuoco il soggetto non vi siete mai domandati come funziona? Quando ruotate la ghiera di messa a fuoco (anche quando usate l’auto focus) non fate altro che regolare la distanza tra le lenti dell'ottica e il sensore, un soggetto risulta nitido solo quando tale distanza risulta corretta.
Ghiera di messa a fuoco della Rolley B35 (ghiera più esterna, quella interna regola il diaframma), feet sta per piedi, sulle vecchie macchine fotografiche nella ghiera di messa a fuoco appariva la distanza di messa a fuoco indicata sia in feet che in metri.
La luce che entra nell’obiettivo è convogliata verso il sensore formando un cono, se il vertice di questo cono colpisce il piano del sensore, l’immagine è a fuoco, altrimenti risulta sfuocata.
Nella messa a fuoco automatica basta premere a metà corsa il pulsante di scatto e automaticamente un motorino elettrico sposta il gruppo lenti fino alla corretta messa a fuoco, sul mirino dovrebbe comparire una spia che vi avvisa che potete scattare (alcune fotocamere emettono anche un segnale acustico). Le reflex hanno solitamente 4 modalità di messa a fuoco: •
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AF one shot (Canon) o anche AF-S (Auto Focus Single su Nikon): funziona come appena spiegato, basta premere a metà corsa il pulsante di scatto per avere il soggetto correttamente messo a fuoco, è consigliabile utilizzare questa modalità di AF con soggetti fermi. AF continuo, AI Servo (Canon) o AF-C (Nikon): questa modalità aggiorna continuamente la messa a fuoco per tutto il tempo che teniamo premuto il pulsante di scatto, da utilizzare quando sappiamo di dover fotografare soggetti in movimento. AF intelligente, AI Focus (Canon) o AF-A (Nikon): la fotocamera decide automaticamente interpretando la scena se usare la modalità AF-S o la modalità AFC (a fuoco continuo), questo tipo di messa a fuoco è detta anche ibrida per questa sua particolarità. AF predittivo: da utilizzare anch’esso con soggetti in movimento, la fotocamera corregge la messa a fuoco cercando di prevedere il punto di messa a fuoco futuro stimando lo spostamento del soggetto nel breve intervallo di tempo dello scatto. Manuale: questo tipo di messa a fuoco era molto usata ai tempi della fotografia analogica, quando ancora i sistemi di messa a fuoco automatici non erano molto precisi, per utilizzarla si deve disattivare l'autofocus e ruotare la ghiera dell'obiettivo fino a che l'immagine non appare nitida. La si usa ancora oggi perché in determinate situazioni la messa a fuoco automatica può “sballare”, se per esempio un oggetto ostacola la linea visuale l’autofocus potrebbe non mettere a fuoco il piano voluto, oppure, caso molto comune, con un soggetto monocromatico (come per esempio un muro colorato) l’autofocus potrebbe andare in tilt tentando di valutarne la distanza.
Le moderne fotocamere possiedono molti punti di messa a fuoco, ed è possibile selezionare l’area del fotogramma in cui si trova il soggetto che si vuole mettere a fuoco.
Se il soggetto risulta decentrato potete inquadrarlo e metterlo a fuoco posizionandolo al centro del fotogramma, per poi ricomporre l’inquadratura senza rilasciare il pulsante di scatto in modo da mantenere le impostazioni, infine non vi resta che scattare!
ISO, DIAFRAMMI E TEMPI DI ESPOSIZIONE Partiamo con un piccolo esperimento: provate a prendere un foglio da disegno e un fazzoletto di carta, un pennarello con punta molto grande e uno con punta molto piccola, non importa di che colore. Ora fate queste piccole "prove": Primo esperimento: prendete il pennarello a punta grande e appoggiatelo per due secondi (contate, uno... due...) prima sul foglio da disegno, poi per lo stesso tempo sul fazzoletto di carta. Su quale foglio c'è il segno più grande? Ovviamente sul fazzoletto di carta che assorbe più inchiostro rispetto alla carta normale. Secondo esperimento: sullo stesso foglio di carta (prendiamo quello da disegno) appoggiate per due secondi prima il pennarello a punta grande poi il pennarello a punta piccola. Qual è il segno più grande? Ovviamente quello fatto con la punta grande. Ultimo esperimento: prendete il fazzoletto e il pennarello a punta grande; appoggiatelo prima per 5 secondi poi fate un altro segno appoggiandolo per una frazione brevissima di secondo. Qual è il segno più grande? Quello fatto restando per 5 secondi sulla carta. Riassumendo, se si vuole fare un segno grande si dovrà prendere una carta più assorbente, un pennarello con la punta più grande e lo si appoggerà per più tempo. Viceversa, se si desidera fare un segno piccolo si utilizzerà una carta meno assorbente e il pennarello a punta piccola che verrà appoggiato per pochissimo tempo. Ora immaginiamo che l'inchiostro sia la luce. Una fotografia è fatta di luce, gestendo la macchina fotografica decidiamo quanta luce andrà a colpire il sensore o la pellicola. Quello che prima abbiamo chiamato "segno" è in realtà la fotografia che risulterà dallo scatto. Seguiamo le prove che avete fatto con lo stesso ordine: ISO: gli iso indicano quanto è sensibile alla luce il sensore o la pellicola. Più gli iso sono bassi, meno è sensibile (come il foglio da disegno per intenderci), mentre più è alto il numero più è sensibile alla luce (come il fazzoletto). Quindi usando iso bassi avremo segni più piccoli (meno luce imprimerà il fotogramma) usando iso alti avremo segni più grandi (più luce verrà registrata sul fotogramma). DIAFRAMMI: il diaframma è quell'insieme di lamelle che trovate dentro l'obiettivo. Provate a staccare la lente e guardare attraverso il vetro, sul fondo trovate una levetta, provate a muoverla guardando dentro, vedrete queste lamelle che si aprono e si chiudono. Questo è il diaframma. Più sono aperte più luce entra (pennarello a punta grossa) più sono chiuse meno luce entra (pennarello a punta fine). Quindi, sempre per seguire il nostro esempio di prima, per fare entrare più luce e fare un segno maggiore dovremo aprire il diaframma, per avere un segno più piccolo dovremo chiuderlo. Come? Dipende dalla macchina che state usando. Le macchine vecchie vi fanno aprire e chiudere direttamente sulla lente, quelle più moderne ve lo fanno aprire dalla macchina. I valori vanno da numeri
bassi, quasi sempre con la virgola a numeri più alti. I numeri bassi aprono il diaframma i numeri alti lo chiudono: se ho il diaframma a 2,8 sarà molto aperto (punta grande, molta luce che entra) se sarà a 22 sarà molto chiuso (punta piccola, poca luce). TEMPI: in questo caso l'esempio è proprio simile alla prova, quando si parla di TEMPI si intende per quanto tempo si farà entrare luce nella macchina, per quanto tempo la luce colpirà il sensore o la pellicola. Più lungo è il tempo maggiore sarà la quantità di luce che verrà registrata nella fotografia (segno più grande). l'unità di riferimento è il secondo e di solito una posa di un secondo è molto lunga. Per foto in condizioni di luce normali i tempi sono decisamente più brevi, frazioni di secondo. Per esempio un tempo di 1/125 vuol dire che si è impostata una velocità di scatto di 1/125 di secondo. Sulla ghiera dei tempi che avete sulla macchina potreste trovate indicato 60, 125, 250, 500 non si tratta di secondi ma di frazioni di secondo (quindi 1/60, 1/125, 1/250...). Riassumendo per fare entrare più luce dovremo usare pellicole più sensibili o nel caso della fotografia digitale alzare gli ISO, aprire il diaframma (numeri bassi) e impostare tempi più lunghi, viceversa se si vuole far entrare poca luce. Articolo scritto da Diagaz www.diagaz.net e www.diagazforum.com Vediamo più in dettaglio i concetti appena illustrati.
La profondità di campo e il diaframma
Foto di Edgaa - Flickr.com/photos/edgaa/
Nel capitolo in cui spiego il funzionamento di una macchina fotografica (a pag. 9) abbiamo visto in generale come funziona e a cosa serve il diaframma, qui né parlerò più in dettaglio e spiegherò il concetto di profondità di campo (PDC). Quando si mette a fuoco una scena solo un piano sarà veramente nitido, si tratta di un’area di dimensioni molto variabili, chiamata profondità di campo; detto semplicemente la PDC è lo spazio che ci appare nitido davanti e dietro al nostro soggetto. Però attenzione, ricordatevi che realmente c'è un solo piano che risulta a fuoco!
La PDC è influenzata da tre fattori: -
Apertura del diaframma. Lunghezza focale. Distanza tra il soggetto e l’obiettivo.
A diaframmi più chiusi corrisponde una maggiore profondità di campo, mentre diaframmi più aperti come f1.4 (o anche f2.8) corrisponde una minore profondità di campo, più il diaframma è aperto più largo è il fascio di luce che disegna l’immagine sul sensore, viceversa, più chiuso è il diaframma più fine e quindi più preciso sarà il fascio di luce che disegna la nostra immagine, per questo avremo una maggiore zona di nitidezza davanti e dietro il soggetto. Attenzione, a diaframmi troppo chiusi si può incappare in un particolare fenomeno, ovvero la diffrazione. Impostando la fotocamera in manuale o a priorità di apertura avete la possibilità di ampliare o ridurre la PDC. Se per esempio impostiamo il diaframma a f22 avremo una notevole PDC, in sostanza avremo una porzione maggiore dell'area nitida davanti e dietro il piano di messa a fuoco, un'apertura del genere viene usata solitamente nella fotografia paesaggistica. Lasciando inalterato il diaframma e mantenendo la stessa distanza fotocamera-soggetto e aumentando la lunghezza focale diminuisce la PDC, mentre maggiore è la distanza del soggetto dall’obiettivo, più ampia è la PDC, viceversa più vi avvicinate al soggetto meno profondità di campo avrete. Per questo motivo nei paesaggi conviene usare i grandangolari, in modo da avere tutto a fuoco (ma anche per catturare una maggiore porzione di paesaggio) e i teleobiettivi nei ritratti perché permettono di sfocare facilmente lo sfondo. Molti sostengono che la PDC è maggiore nel digitale rispetto alla pellicola, questo è parzialmente vero e vale solo per le fotocamere che hanno sensori più piccoli del full frame.
Con una reflex dotata di sensore APS-C, più piccolo rispetto a un Full Frame si effettua in sostanza un ritaglio della parte centrale della foto, col risultato che sembra fatta con una focale più spinta, entra in gioco un fattore di moltiplicazione della focale che nel caso dell’APS-C è di 1,5 circa, per esempio un 35mm per il formato APS-C darà un inquadratura pari ad un 80mm in formato pieno, la PDC quindi resta la stessa perché legata solo al diaframma e alla lunghezza focale dell’ottica.
Ecco alcuni scatti effettuati a diversi diaframmi e lunghezze focali per farvi vedere come varia la PDC: Le foto di esempio sono state realizzate da Davidd: Flickr.com/photos/puuikibeach/
Come avete appena visto dalle foto di esempio per staccare il soggetto dallo sfondo è meglio usare un diaframma aperto. Una delle domande che maggiormente mi vengono poste soprattutto dai nuovi fotoamatori è se esiste un diaframma migliore, la risposta è semplice, dipende tutto dal risultato che si vuole ottenere, io per la Street photography uso diaframmi intermedi che dovrebbero darmi una maggior qualità dell'immagine, questo perché a diaframmi intermedi come f11 si sfrutta la parte centrale dell'ottica che è quella di maggiore qualità e non si rischia di incorrere nella diffrazione.
Tempi di esposizione Sono un altro parametro con cui possiamo dosare la luce, grazie all'otturatore possiamo decidere la durata dell'esposizione, a parità di diaframma, un tempo lento farà passare più luce rispetto ad un tempo rapido, tempo d’otturazione e apertura del diaframma regolano l’esatta quantità di luce da far arrivare al sensore. I tempi vengono indicati in frazioni di secondo, eccone alcuni: 1/2 - 1/4 - 1/8 - 1/15 - 1/30 - 1/60 - 1/125 - 1/250 - 1/500 - 1/1000 - 1/2000 - 1/4000 1/8000 Oltre questi che vi ho indicato le fotocamere permettono di usare anche frazioni intermedie per cui possiamo avere per esempio anche un tempo di 1/200 e di 1/800. Tutte le reflex permetto di usare la posa B (bulb) che permette l'uso di tempi molto lunghi (secondi, minuti o ore), la posa B torna utile in generi fotografici come la fotografia notturna. Quando si imposta la posa B l'otturatore viene aperto alla pressione del pulsante di scatto e viene chiuso quando il pulsante viene rilasciato, esiste anche la posa T che funziona in modo simile, premendo il pulsante inizia l’esposizione e ripremendolo finisce, in entrambi i casi si rischia di muovere la fotocamera, per questo conviene usare il telecomando o l’autoscatto. I tempi di scatto vengono distinti in lenti e rapidi; si possono definire lenti i tempi pari o più lunghi di 1/60, sono rapidi i tempi da 1/60 in poi, tutto dipende dalla focale in uso, dalla velocità del soggetto fotografato e dalla distanza che ci separa da esso, con un teleobiettivo generalmente 1/60 è un tempo lento e si avranno foto mosse se il soggetto è in movimento, mentre con un grandangolo spinto 1/60 può andare bene per congelare il movimento.
Se dobbiamo fotografare un soggetto statico e non possiamo alzare gli ISO o modificare l’apertura del diaframma l’unica è usare tempi lunghi evitando il mosso generato dalle vibrazioni della nostra mano con l’ausilio di un cavalletto. La giusta quantità di luce è data da una determinata combinazione di tempo e diaframma, corrispondente a un certo valore di esposizione. I valori di esposizione EV indicano la luminosità del soggetto inquadrato mediante una scala di numeri, la tabella alla nostra sinistra illustra le combinazioni tempo-diaframma e il relativo valore EV. Vediamo più sono gli EV
in
dettaglio
cosa
EV (exposition value) sta per Valore di esposizione, è relazionato alla luminosità della scena e alla sensibilità ISO del sensore, in sintesi gli EV possono essere considerati l'unità di misura della luce. Quando la luce varia di un EV per compensare basta spostarsi di un tempo o di un diaframma, quindi se la luce aumenta di un EV significa che
per far giungere la corretta intensità luminosa al sensore basta chiudere di un diaframma o impostare un tempo più rapido e viceversa. Però il tempo ed il diaframma non cambiano solo in base all'intensità della luce ma anche in base alla sensibilità ISO impostata. Il valore EV è riferito a una sensibilità di 100 ISO. Se varia la sensibilità si dovrà compensare la variazione con una differente coppia tempo/diaframma. Ad esempio, se passo da 100 ISO a 200 ISO dovrò dimezzare il tempo di esposizione o l'apertura del diaframma. Per calcolare EV, tempi e diaframmi un tempo si usava la tabella che avete visto prima, oggi si usa l’esposimetro che tutte le fotocamere di nuova generazione hanno incorporato.
La coppia tempo - diaframma
Grafica realizzata da Salvatore Li Causi
Apertura dell'obiettivo e tempo d'esposizione, ovvero diaframma e otturatore influiscono entrambi sull'immagine in due modi diversi. 1°) Modificando la quantità di luce che arriva al sensore: il diaframma ne muta l'intensità, l'otturatore ne varia il tempo. 2°) Ciascuno esercita sull'immagine un effetto diverso, il diaframma modifica la profondità di campo, mentre il tempo di esposizione se il soggetto è in movimento, a
seconda del tempo impostato possiamo congelare il movimento (usando tempi rapidi) o provocare un effetto mosso (usando tempi lunghi). Per registrare chiaramente l'immagine il sensore deve ricevere la giusta quantità di luce. Esistono delle combinazioni tempo-diaframma per cui usare un tempo d'esposizione breve con un diaframma aperto o un tempo d'esposizione lungo con un diaframma chiuso è ininfluente, almeno per quanto riguarda la quantità di luce che arriva al sensore. Il grafico-immagine nella pagina precendete mostra i rapporti di raddoppio e di dimezzamento fra diaframmi e tempi, usando questi valori potete modificare l'effetto sull'immagine facendo entrare sempre la stessa quantità di luce.
Tra le foto ci sono solo piccole variazioni per quanto riguarda la luminosità (per via del repentino cambiamento della luce naturale e di altri fattori determinati dalla fotocamera), gli unici cambiamenti palesi sono nella PDC e nell'effetto mosso.
La Sensibilità ISO Quando per via della scarsa illuminazione non è possibile variare il tempo di esposizione o il diaframma oltre un certo limite ci viene in aiuto la regolazione della sensibilità ISO. La sensibilità alla luce di un sensore viene definita nello standard ISO (International Standard Organization), nella pellicola veniva definito ASA, per variare gli ASA bisognava cambiare la pellicola, mentre in epoca digitale la sensibilità alla luce può essere regolata a nostro piacimento, più la tecnologia progredisce più i sensori riescono ad aumentare gli ISO senza presentare rumore elettronico. A ogni raddoppio degli ISO corrisponde un raddoppio della sensibilità alla luce del sensore (e viceversa ad ogni dimezzamento del valore si ha un dimezzamento di sensibilità), per esempio a 200 ISO possiamo fotografare con un tempo d’otturazione o a un’apertura di diaframma dimezzati rispetto a quelli necessari a 100 ISO. ESEMPIO PRATICO - ISO TEST 1
ISO 200 f/11 1/60 sec.
ISO 800 f/11 1/60 sec.
ISO 3200 f/11 1/60 sec.
ESEMPIO PRATICO - ISO TEST 2
Nel primo test ISO si nota come alzando gli ISO e mantenendo invariati tempi e diaframmi aumenta la luminosità della scena inquadrata, nel secondo test invece cerco di far capire cosa provoca alzare gli ISO, ovvero la comparsa del rumore e una perdita di dettaglio, le foto del secondo test sono state scattate con la compatta Canon G12.
Ma che valori settare di ISO? In condizioni di luce ottimale (che sia in esterni o in studio) è conveniente lasciare i valori ISO a un livello standard che di solito è 100 o 200 ISO a seconda della fotocamera digitale.
Due crop a confronto del precedente ISO TEST 2, come vedete ad ISO 3200 il rumore è elevatissimo rispetto a ISO 200
Cercate di non alzare mai gli ISO e di trovare prima una soluzione accettabile regolando il diaframma e il tempo di esposizione, se ciò non fosse possibile perché la luce comincia a scarseggiare imponendovi tempi di posa troppo lunghi alzate la sensibilità al minimo indispensabile per avere tempi di scatto rapidi e diaframmi non troppo aperti.
Vi dico questo perché aumentando la sensibilità ISO aumenta il rumore elettronico, ovvero una maggiore amplificazione elettronica del segnale digitale che provoca la comparsa dell’effetto di grana digitale e del rumore di croma, ossia puntini rossi o blu, l’immagine di conseguenza diventa meno nitida. In alcuni generi fotografici che richiedono un elevato dettaglio dell’immagine come ad esempio la fotografia di moda non si dovrebbero mai alzare gli ISO. Alle volte però questo effetto di grana causato dal rumore può essere usato a nostro vantaggio in post produzione, per esempio nel Bianco e Nero può dare un tocco in più alla foto. Attenzione, alcune fotocamere con una sensibilità "nativa" pari a 200 ISO possono scattare a 100 ISO in modalità estesa. A 200 ISO il sensore è in grado di lavorare nelle condizioni ottimali e di fornire il massimo delle prestazioni, Il poter abbassare la sensibilità a 100 ISO è semplicemente una comodità per le situazioni con molta luce, dove non vogliamo cambiare la combinazione tempo/diaframma. Questo abbassamento della sensibilità è ottenuto via software, abbassando la "luminosità" dell'immagine, in pratica è la stessa di quando si recuperano foto sovraesposte con camera raw. Questo comporta meno gamma dinamica e minor corrispondenza dei colori rispetto ad una foto esposta correttamente.
Programmi di scatto - Come settare in pratica tempi, diaframmi e ISO Dopo aver visto cosa sono tempi, diaframmi e ISO, andiamo a vedere in pratica come impostarli nella fotocamera, parliamo adesso dei programmi di scatto. Nell'immagine alla vostra sinistra la ghiera programmi/modalità di scatto della Nikon D90.
dei
Automatico: imposta automaticamente a seconda della scena inquadrata tempi, diaframmi, ISO e bilanciamento del bianco, in questa modalità non si possono impostare diaframmi e tempi ruotando la ghiera, è possibile impostare solo gli ISO manualmente.
Ghiera programmi di scatto
Menu in modalità Automatica
Infatti se andiamo nel menu di ripresa mentre siamo in modalità automatica vedremo che alcune opzioni tra cui il bilanciamento del bianco non possono essere cambiate.
Menu in modalità manuale
Manuale: siamo noi a scegliere la coppia tempo - diaframma e gli ISO, la fotocamera comunque ci dica quando l'esposizione è corretta o se stiamo sbagliando. Priorità dei tempi: scegliamo il tempo e la fotocamera imposta automaticamente il diaframma, utile quando il soggetto è veloce, modalità che uso nella street photography settando un "tempo di sicurezza" e lasciando la scelta del diaframma alla fotocamera. Priorità dei diaframmi: discorso inverso alla modalità priorità di tempi, settiamo il diaframma e la fotocamera imposta il tempo di scatto. Oltre a queste modalità esistono dei preset adatti a varie situazioni, se avete comprato questo libro dimenticatevi di esse perché con le nozioni qui apprese imparerete tutti i principi fondamentali della fotografia e riuscirete a cavarvela egregiamente in ogni situazione usando la modalità manuale (o quando è possibile le modalità a priorità di tempi o diaframmi).
I FORMATI DELLE IMMAGINI Prima di iniziare formato in cui memorizzate sulla formati e l’utilizzo esigenze.
a fotografare conviene settare il le nostre foto dovranno essere scheda di memoria, esistono diversi di essi varia a seconda delle nostre
Personalmente imposto sempre il formato che mi da la massima qualità dell’immagine, ovvero il RAW, mentre se devo fare foto con amici e parenti uso il formato Jpeg. Vediamo qui in dettaglio i vari formati immagine che sul menù della mia Nikon D90 escono alla voce "Qualità immagine": •
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RAW: Che in inglese significa puro, grezzo, questo file contiene senza compressioni tutte le informazioni catturate dal sensore della fotocamera, rispetto al jpeg consente una maggiore libertà di movimento in post produzione senza grandi perdite di dati. Questo formato non essendo compresso è più "pesante" in termini di spazio su disco, per le sue caratteristiche è considerato come il negativo digitale, non è presente su tutte le fotocamere ma solo su quelle di fascia medio - alta. Inoltre scattare in RAW ci assicura almeno uno o due stop di gamma dinamica in più rispetto alle immagini in JPEG. JPEG: Come potete vedere dall’immagine abbiamo tre tipi di JPEG, Fine, Normal e Basic, sono tre livelli diversi di compressione, il Fine sarebbe il JPEG meno compresso e quindi di migliore qualità. Questo è il formato con il quale solitamente si pubblicano le foto sul web, è un compromesso tra dimensione e qualità, più qualità avrà la foto più spazio occuperà su disco e viceversa. Io dopo aver elaborato il RAW in photoshop salvo il file in JPEG nella mia galleria fotografica personale. Vi ricordo che ogni volta che si apre un immagine jpeg per modificarla al momento del salvataggio viene nuovamente compressa, in parole povere perde di qualità, quindi non cancellate mai i file RAW che potrebbero servirvi per fare altre modifiche alle foto. RAW+JPEG: la fotocamera salva la stessa foto sia in RAW che in JPEG, modalità che ritengo inutile poiché salvando due volte la stessa foto in due formati differenti si possono scattare meno foto poiché la memory card si riempie rapidamente. Con i moderni computer convertire le foto da RAW a JPEG è un’operazione veloce che non richiede più molto tempo. TIFF: Non è presente nel menù della mia fotocamera ma vi spiego lo stesso cosa è, come il raw un'immagine in questo formato non viene compressa, la qualità è pari a quella del raw ma se guardate le dimensioni un file tiff solitamente è grande quasi il doppio, perché? Il RAW a differenza del TIFF non è un formato universale. Ogni fabbricante usa il suo e non tutti i software di elaborazione immagine possono trattare i file RAW dei vari produttori di fotocamere, il formato TIFF invece è universale ma per questo motivo registra le informazioni in modo meno efficiente.
Oltre ai formati di registrazione sulla scheda di memoria esistono anche i formati di esportazione, ovvero i formati con cui si esportano le immagini da un software di elaborazione dopo la post produzione. A noi fotografi interessa principalmente conoscere due soli formati di esportazione:
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Formato di esportazione da Adobe Photoshop (.psd): Esportando le fotografie in questo formato si salvano tutti i settaggi e i livelli applicati all’immagine, in questo modo è possibile poter modificare i parametri a nostro piacimento ed esportare la foto in un altro formato. Faccio un esempio pratico: Salvo la foto dalla fotocamera al pc, il file è in formato RAW, lo apro con photoshop, regolo luminosità, contrasto, creo livelli ecc..., a questo punto ho due alternative, o salvo direttamente in JPEG e così facendo se avessi dei ripensamenti dovrei modificare di nuovo da zero il file RAW, oppure salvo in formato .psd che mi permette di tornare indietro sulle modifiche effettuate e di esportare il file in JPEG o in altri formati. Formato di esportazione JPG: ne abbiamo appena parlato, ricordatevi che quando caricate una vostro foto su internet che sia sul vostro portfolio online, su un forum ecc... di ridimensionarla, un’immagine di 4288×2848 pixel risulterà pesantissima da caricare e inutile a una visione web dove al massimo conviene caricare immagini a non più di 1200 pixel per lato maggiore. ATTENZIONE quando lavorate sul Jpeg e poi salvate il lavoro il file viene ulteriormente compresso, non elaborate mai più di una volta lo stesso jpeg, perché viene compresso ad ogni nuovo salvataggio!
COME ORDINARE LE FOTO SENZA USARE PROGRAMMI Uno dei grandi problemi per un fotografo è ordinare e archiviare le proprie fotografie, senza creare disordine e confusione. Esistono diversi programmi per fare ciò, ma poi si finisce per essere dipendenti da essi, se dovete far vedere le vostre foto agli altri, magari masterizzando un dvd non potete pretendere che essi abbiano il vostro stesso programma di archiviazione, quindi lasciamo stare a casa il software. CONSIGLI UTILI: - Cercate di ordinare le foto sia per affinità di genere e contesto sia per affinità di colore, per esempio vedere delle foto in Bianco e nero intervallate con foto in seppia e a colori sparse qua e la non è il massimo. - Anche se le foto possono avere un genere fotografico in comune, può essere utile e divertente dividerle all'interno di quel genere per tematica (che successivamente può essere sviluppata portando a risultati interessanti). Personalmente nell'ordinare il mio archivio sono incappato in vari problemi che qui vi illustrerò con le relative soluzioni. PRIMO PROBLEMA: foto dello stesso genere rappresentano soggetti molto diversi fra loro.
stonano
messe
assieme
perché
LA MIA SOLUZIONE: Il mio genere preferito è la Street Photography, la prima cosa che ho fatto è stata creare una cartella con questo nome, i soggetti che rientrano in questo genere sono molto vari, io sto in una città di mare quindi avevo foto di pescatori e di altra gente legata al mare e foto di periferia e di strada, non era un bel mix, ho creato all'interno della cartella Street Photography la cartella "L'uomo e il mare" e la cartella "Street" questa è stata la soluzione al primo problema, creare delle sottocartelle all'interno della cartella chiamata con il nome del genere fotografico, possono nascere anche dei progetti interessanti. Se come me praticate più generi fotografici fate una cartella per genere, cioè Street Photography - Reportage - Ritratti - Paesaggi & Luoghi - Macro - Still Life - Opere architettoniche ecc.. SECONDO PROBLEMA: Come numerare le foto per farle stare in ordine LA MIA SOLUZIONE: Prima del nome della foto inserite questo tipo di numerazione "0000 -" per esempio la mia prima foto dell'album si chiama "paura dell'infinito" allora la rinominerò "0000 - Paura dell'infinito" la seconda "0001 - Vattela a pesca" e così via, io pratico più generi e le mie foto sono sottoposte a una severa selezione e quando arriverò alla 9999 saranno passati un po' di anni (per non dire molti), a quel punto creerò un'altra cartella magari intitolata "002 - Street photography", però se voi pensate di arrivarci presto
consiglio di aggiungere qualche zero in più (ovviamente dovete cliccare col tasto destro del mouse e selezionare "ordina per nome"). ATTENZIONE: non usate la numerazione classica tipo 1 - 2 - 3 ecc... perché arrivati dopo il 100 se premerete "ordina per nome" vi assicurò che l'ordine classico non sarà rispettato.
TERZO PROBLEMA: In un reportage o anche in una sequenza di foto con un filo conduttore possono esserci immagini che appartengono ad altri generi fotografici. LA MIA SOLUZIONE: Le soluzioni che vi consiglio sono due, o copiate le foto anche nella cartella del genere a cui appartengono se fossero prese singolarmente (quindi avrete 2 foto uguali sul pc) oppure più semplicemente ve ne fregate tanto verranno comunque viste; se per esempio in un reportage ci dovrebbero anche essere dei ritratti non consiglio di levarli perché sennò il nostro racconto fotografico perderebbe di forza.
BACKUP SICURO DELLE PROPRIE FOTO Passiamo all'argomento che preoccupa i fotografi che sono passati al rischio della perdita delle proprie fotografie.
digitale, ovvero il
Questo problema in realtà non appartiene solo ai fotografi che usano il digitale ma anche gli amanti della fotografia all'argento, benché i negativi siano abbastanza resistenti e se conservati bene durino a lungo, prima o poi invecchiano e si rovinano, come tutto nella vita, l'eternità non esiste purtroppo, però girovagando per i forum sembra che alcuni amanti accaniti dell'analogico ignorino questo semplice concetto e trovino nella facilità con cui si perdono i dati un capo di accusa al digitale, magari sbattendoti in faccia qualche bella stampa fatta da un negativo di inizio secolo. Il netto vantaggio del digitale sulla pellicola è poter fare migliaia di copie perfettamente identiche di uno stesso file in maniera semplice e veloce. Se ovviamente carichiamo le foto e i nostri dati importanti nella stessa partizione dove teniamo il sistema operativo senza fare copie di Backup siamo veramente degli incoscienti, prima o poi il nostro sistema operativo (e anche l'hardware) avrà sicuramente dei problemi, io navigo addirittura con un sistema operativo diverso (Ubuntu) da quello con cui elaboro le foto.
Hard Disk Drive - Foto di Norlando Probe - Flickr.com/photos/npobre/
Ecco alcuni consigli pratici per non rischiare di perdere le nostre fotografie: 1. Montate un HD interno dedicato unicamente all'archiviazione delle foto, così facendo se il vostro sistema operativo va in tilt potete formattare senza problemi. 2. Fate una copia dei vostri dati sia su DVD, Blu-Ray che su disco HD esterno, Hard disk che non userete per altri scopi, più lo usate meno durerà la sua vita. 3. Se a casa possedete più di un pc copiate la cartella con le vostre fotografie più belle. E' difficile o quasi impossibile che HD interno ed esterno, DVD/Blu Ray, Pen Drive e l'altro pc si rompano tutti nello stesso momento, però mettiamo caso siate veramente sfigati e cada un meteorite su casa vostra, o un terremoto se la inghiotta, avrete perso comunque tutto, ma c'è una soluzione anche a questo!
Esistono dei servizi online che offrono grandi quantitativi di spazio di archiviazione in maniera completamente gratuita, sono in pratica degli HD online, è possibile che anche il server della Microsoft esploda, ma penso sia più probabile il meteorite su casa vostra. Io vi consiglio due servizi: Windows Live Skydrive SkyDrive è un servizio di archiviazione dati gratuito al quale si accede col proprio Windows Live ID. Tutto ciò che si deve fare è registrare un account ed eseguire l’accesso a SkyDrive. Si avrà un pannello on line dal quale poter gestire i nostri file e cartelle, caricarne di nuovi, eliminarli ecc… La capienza è di 25GB ma in un prossimo futuro potrebbe essere aumentata ancora (prima era di soli 5GB), Con questo sistema abbiamo a disposizione un HD online da 25GB con la sicurezza che i nostri dati non verranno mai cancellati, se 25GB non vi bastano potete sempre aprire più account Hotmail. ADrive Mettiamo caso volete la sicurezza totale o oltre alle vostre foto migliori volete salvare tutto il vostro lavoro allora caricate i vostri file su Adrive che offre 50GB di spazio gratuito espandibili a pagamento fino a 10 Terabyte! Dropbox Offre dai 2GB fino a un massimo di 20GB gratuitamente (ma per arrivare a 20GB si devono portare iscritti), pagando si può arrivare a 100GB, è un servizio comodo per chiunque voglia salvare i propri dati e ritrovarseli sincronizzati in tempo reale su tutti i terminali che utilizza: pc, mac, linux, smartphone, iphone per avere i nostri dati sempre con noi. Dopo tutto questo ci vuole veramente un genio del male per perdere tutti i propri file!
L'ISTOGRAMMA L’istogramma è uno strumento essenziale in fotografia digitale, ma molti sconoscono cosa sia o non gli danno la dovuta importanza. Esso serve a capire se l’esposizione è corretta, se abbiamo perso dettaglio nelle zone in ombra o nelle zone delle alte luci. Molti si affidano allo schermo LCD della fotocamera, grosso errore, perché non sempre ci offre un risultato affidabile a causa della retroilluminazione dello schermo (troppo accesa o troppo spenta) o dell'illuminazione dell'ambiente esterno che se troppo intensa può darci fastidio nella visione dell'immagine e quindi indurci in errore nel valutare l’esposizione di una foto. Viene in nostro aiuto l’istogramma che può essere consultato in fase di scatto dallo schermo lcd della fotocamera o dal programma di post produzione da noi usato. In questo articolo userò la mia Nikon D90, consultate il manuale di istruzioni della vostra fotocamera per sapere come visualizzare l’istogramma. Subito dopo aver scatto la fotografia posso vedere il preview dell’immagine dallo schermino lcd.
Come potete vedere da qui posso vedere i dettagli dello scatto, il grafico in alto alla vostra destra è l’istogramma. In alcune macchine fotografiche potete visualizzare un istogramma più dettagliato, ovvero diviso nei tre colori RGB.
A noi in questa sede interessa capire come leggere l’istogramma composito, esso rappresenta la quantità di pixel presenti per le varie luminosità, l’immagine è correttamente esposta quando la zona dove inizia e finisce il grafico non è tagliata. Nell’istogramma sull’asse orizzontale abbiamo la luminosità divisa in 256 livelli di luminosità, partiamo da sinistra con lo 0 che indica il nero, andiamo verso destra con 255 che indica il bianco, a metà abbiamo il grigio e sull’asse delle y abbiamo la tonalità all’interno dell’immagine.
Ecco lo stesso scatto sottoesposto, in questo caso la curva si sposta verso la nostra sinistra, però non essendo tagliata tutte le informazioni che ci sono nei neri dell’immagine sono state catturate, quindi in post produzione con photoshop possiamo correggere i livelli ribilanciandola correttamente senza avere perdita di informazioni sui neri.
In questa versione sovraesposta l’istogramma si è spostato verso destra tagliando la curva, ho bruciato parte dei bianchi, quindi ho perso delle informazioni che non potrò più recuperare neanche con Photoshop. Da quanto spiegato finora potete capire l’importanza dell’istogramma, quando realizzate una foto guardandolo potete capire subito se l’immagine è esposta correttamente e se è recuperabile in fase di post produzione.
L’istogramma e Photoshop Se usate windows, in Photoshop per vedere l’istogramma basta premere CTRL + L oppure se usate MAC basta premere la scorciatoia da tastiera MELA + L.
Si apre la finestra dei livelli dove è possibile vedere l’istogramma.
Nella finestra dei livelli ci sono 3 cursori sotto l’istogramma, uno del nero 0, uno dei toni medi 1,00 sotto e uno dei bianchi 255. se prendo il cursore dei bianchi e lo trascino alla fine della curva espongo correttamente le alte luci, ho reso più luminosa la foto. Ma i toni medi sono ancora scuri, posso prendere il cursore del tono medio e portarlo verso sinistra e così ottengo un’immagine correttamente esposta, ovvero non avrò bruciato i bianchi, i neri non risulteranno chiusi, l’immagine è quindi leggibile, se chiudo e riapro il grafico dei livelli vedo che è bilanciato.
Aprendo l’immagine sovraesposta (quella dove ho bruciato i bianchi perdendo informazioni) e usando lo strumento livelli la prima cosa che balza all'occhio è la curva tagliata. Photoshop purtroppo non fa miracoli, non ricrea le informazioni che non sono state catturate durante la fase di scatto, l’immagine troppo sovraesposta rimarrà tale, per questo in fase di scatto è bene controllare l’istogramma. Ci sono delle situazioni dove non si avrà mai un istogramma perfetto, qui dobbiamo introdurre il concetto di latitudine di posa (gamma dinamica), che è la capacità del sensore di registrare le informazioni tra i bianchi e i neri, generalmente il sensore di una
macchina fotografica cattura sui 5 e 6 stop, vuol dire che tra il punto massimo di nero e il punto massimo di luce ci sono 5 diaframmi. Se la scena che andiamo a fotografare è molto contrastata, ovvero ha delle zone molto luminose e delle zone in ombra molto scure la macchina fotografica non riuscirà a catturare tutte le informazioni disponibili, il fotografo dovrà fare una scelta, dovrà rinunciare ad avere delle informazioni sulle alte luci o sulle ombre. Per fortuna la tecnologia ci viene incontro con la fotografia HDR, di cui parlo a pag. 85. Una curiosità: i nostri occhi, in condizioni ideali, riescono a distinguere solo 200 diversi livelli di grigio, i 256 toni disponibili in un’immagine digitale sono più che sufficienti per rappresentare anche le sottili variazioni di tonalità.
I VANTAGGI DELLA SOVRAESPOSIZIONE Questo articolo vuole essere una breve guida che spiega i motivi e i vantaggi della sovraesposizione nella fotografia digitale. Perché a destra? Ci si riferisce ovviamente all’istogramma, che come avete visto è uno strumento essenziale per i fotografi. Quando si dice di esporre a destra s’intende quindi che la curva dei toni RGB deve contenere più dati e raggiungere il picco sulla destra dell’istogramma. Ovvero: sovraesporre! Ma perché? Chi viene dall’analogico fatica a digerire questa tecnica. Eppure ha un suo senso e SE GESTITA AL MEGLIO può dare risultati davvero sorprendenti e non solo ad alti iso. Insomma, un motivo c’è, vediamo quale. Proviamo a dividere i livelli di grigio (dal nero al bianco) in 4096 livelli. FIGURA 1
L’immagine mostra una distribuzione “equa” dei toni di grigio. Il grigio medio si trova esattamente alla metà. Su un sensore digitale i toni non sono distribuiti così: nella figura 2 nella pagina successiva si vede la REALE distribuzione dei toni (in grigio, ovviamente) su un sensore digitale.
Senza entrare nei dettagli del cosa sono i 4096 livelli di grigio qui rappresentati, la cosa più evidente è che su 4096 livelli solo 64 sono nei toni del nero. 128 sono i grigi scuri, 256 i grigi medi e ben 3584 sono distribuiti nei grigi chiari. FIGURA 2
Se nella fotografia digitale io faccio una lettura media di un'area con zone in ombra, il sensore distribuisce la mia immagine sui toni neri e scuri, andando ad usare una gamma relativa alla zona scura come nella figura 3: FIGURA 3
In uno scatto del genere ho la maggior parte della gamma distribuita sui toni scuri. Una gamma davvero ristretta. Il tentativo di aumentarla (cosa normale nella gestione del raw: regolare l’esposizione e cercare il nero e il bianco “tira” la gamma dinamica) causerà la presenza di molto rumore e in certi casi perfino di posterizzazione. Il motivo è abbastanza ovvio. Provate a prendere un tessuto a maglia molto grossa e tirarlo… si riempie di buchi! Tirare una maglia fitta fatta con fili sottilissimi e quindi di molti più strati difficilmente vi presenta buchi quando la tirate. La stessa cosa accade qui. Tirare soli 64 +128 toni per spalmarli su circa 2000 livelli (il tentativo di ridistribuire la gamma come nella figura uno) crea questi “buchi” sotto forma di rumore e posterizzazione (che altro non è che una serie di passaggi tonali in una gamma troppo ristretta). Se invece sovraesponete la vostra immagine si distribuisce sui toni grigio medi – grigio chiari, coprendo una gamma molto maggiore: FIGURA 4
In questo modo tirare l’immagine non crea nessun disturbo perché state lavorando con una maglia fitta fitta fatta di tanti fili molto sottili.
QUANTO DEVO SOVREASPORRE? Questo argomento è spesso fonte di infinite discussioni, soprattutto nei vari forum e circoli fotografici. A mio parere non c’è una regola. Bisogna saper valutare la scena, l’unica cosa è non bruciare i bianchi. Diciamo che si dovrebbe sovraesporre fino al limite della bruciatura di un canale. Questo è visibile e controllabile solo tramite l’istogramma, non dall’anteprima! Quanto sovraesporre dipende dalla scena da fotografare, dalla macchina che si usa. Un CMOS normalmente tiene più le alte luci rispetto ad un CCD. Una macchina a 14 bit tiene molto più rispetto ad una macchina a 12 bit. Mi han parlato di una sovraesposizione di oltre tre stop, ma si trattava per l’appunto di un CMOS processato a 14 bit. Quanto sovraesporre sta a voi, al tempo che avete per valutare e misurare. L’unico consiglio che mi sento di dare è che se volete usare alti iso meglio sovraesporre anche di 1,5/2 stop misurando in SPOT sulla zona più chiara dell’immagine. La fotografia è bella e divertente proprio perché è creatività; saper usare la propria attrezzatura conoscendola ma senza avere dei dogmi sul come usarla fa parte del processo creativo. Articolo scritto da Diagaz www.diagaz.net e www.diagazforum.com
IL BRACKETING Il bracketing è una tecnica fotografica usata in fase di ripresa, consiste nel fotografare lo stesso soggetto più volte con diverse: esposizioni, aperture di diaframma, messa a fuoco o sensibilità ISO. Il bracketing dell'esposizione è usato molto spesso poiché è la base per realizzare fotografie in HDR (high dynamic range) ovvero foto ad alta gamma dinamica, consiste nel fotografare lo stesso soggetto variando l’esposizione, si scattano 3 foto (minimo) una correttamente esposta, una sovraesposta e un’ultima sottoesposta, analizzeremo meglio questo tipo di fotografia nel prossimo capitolo. Pulsante BKT (bracketing) nella Nikon D90, posto vicino alla ghiera di attacco dell'obiettivo
Il bracketing è utile non solo per realizzare foto in HDR ma anche in situazioni in cui è difficile ottenere una fotografia correttamente esposta con un singolo scatto.
Oltre al bracketing dell'esposizione ritengo utili il: -
Bracketing della PDC: Vengono scattate una serie di foto variando solo l’apertura del diaframma e lasciando esposizione e sensibilità ISO inalterate, in questo modo varierà solo la PDC.
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Bracketing del fuoco: Utile nella macrofotografia dove la PDC è limitata. Con questo tipo di bracketing si può avere una serie di fotografie con una diversa messa a fuoco per poi scegliere la migliore, oppure combinarle in post produzione.
Foto di Muhammad Mahdi Karim - en.wikipedia.org/wiki/File:Focus_stacking_Tachinid_fly.jpg
FOTOGRAFIA HDR
Foto di Bruno Ciampi Flickr.com/photos/brunociampi/
Sulla tecnica HDR (acronimo di High Dynamic Range), è stato scritto tanto, soprattutto per ciò che riguarda la tecnica di scatto e i programmi usati (Photoshop, Photomatix Pro, Easy HDR ecc..). Ma per realizzare veramente un HDR iniziamo dalle basi. La fotografia HDR consiste nel superare i limiti fisici del sensore aumentando la gamma dinamica estesa grazie alla possibilità di combinare in post produzione o in fase di scatto 3 o più foto con diverse esposizioni, questo comporta che le scene fotografate debbano essere statiche ed è quindi necessario un treppiedi. Molti sono convinti che questa tecnica porti ad avere foto molto contrastate con colori super saturi, non c’è niente di più sbagliato, quello che vedete in quel tipo di foto è solo un'orrenda post produzione che alle volte risulta interessante se ben realizzata. Ma da cosa è caratterizzata una vera foto in HDR? Da una gamma dinamica superiore a quella del sensore, ovvero con ombre aperte ed alte luci contenute anche in presenza di
forti contrasti. Ottenendo una foto impossibile da fare con un sensore normale, perché chiuderebbe le ombre oppure brucerebbe le alte luci. Da questa spiegazione si evince che non è possibile ottenere un HDR da un singolo scatto perché non si supera alcun limite di gamma dinamica del sensore, in un solo scatto non possono esistere le informazioni che sono contenute in più scatti. Ecco come fare le foto per realizzare un HDR: • • •
La prima foto per esporre le alte luci La seconda con un esposizione media La terza esponendo per le ombre
L'unione di queste 3 foto forma un unica immagine con una ricchezza di colori e dettagli superiore alla singola foto. Una curiosità: La fotografia HDR dovrebbe apparirci più realistica di una foto normale, poiché l’occhio umano è in grado di distinguere maggiori dettagli di un sensore, sia nelle luci che nelle ombre! Ora vi voglio parlare di qualcosa che non si trova normalmente nei tutorial sulla fotografia HDR, l’ha scritta un’autrice del mio blog di nome Sabrina Campagna. Per ottenere immagini realmente pregnanti e degne di nota, la cosa che più conta è la prima immagine, quella di partenza. Per ottenere il meglio, lo scatto deve essere compiuto in situazioni di luce non estreme. Le regole base per il primo scatto sono le seguenti: 1. No ai forti controluce. 2. No ad un’eccessiva presenza di nero in foto (come nel caso di foto notturne scattate con esposizioni non troppo lunghe). 3. No a cieli grigi. 4. No al troppo sole. Nel primo e nel secondo caso, infatti, a causa dell’elaborazione, l’HDR risultante nella maggior parte dei casi avrà un nero scolorito e rumoroso, a cui sopperire solo tramite un elevato contrasto che riporterà l’immagine più o meno ai toni originari di silhouette o notturno. Nel terzo caso i cieli troppo slavati e grigi possono dar luogo a macchie bianche di colore, laddove il programma non riesca a trovare toni adatti per la mappatura. Ciò capita soprattutto in zone dove il colore tende verso il bianco, per cui la macchia di colore risulterà di un bianco/grigio con contorni frastagliati (come si vede nell’immagine). Nel quarto ed ultimo caso, succede qualcosa di analogo al precedente. Il sole a picco può creare scompensi nello scatto originario, in quanto a meno di centrare bene la foto, il cielo risulterà tendente al bianco, per poi “bruciarsi” completamente durante la mappatura.
L’eccessiva rifrazione dei raggi UV, inoltre, può creare scoloriture anche su altre aree della foto, rendendo così l’HDR pressoché inutilizzabile. I soggetti migliori da fotografare sono quelli architettonici o comunque ricchi di dettagli, che verranno maggiormente evidenziati nella fusione HDR. COME REALIZZARE UNA FOTO IN HDR - FASE DI POST PRODUZIONE In questo tutorial studieremo come creare un’immagine HDR tramite Photomatix e la successiva ottimizzazione della stessa tramite Photoshop, il tutto partendo da tre scatti effettuati in formato RAW. Gli scatti di seguito utilizzati sono stati eseguiti con una reflex Canon 30D ed un obiettivo Canon 10-22mm. Diaframma f/9 con tempi di 1/8s, 0.5s e 2s. Come potete notare i tempi agli estremi sono esattamente a + e - 2 stop dal valore di riferimento di 0.5s. Le foto sono state scattate al museo delle scienze di Londra, ambiente ideale per sfruttare la tecnica hdr, sistemando la camera su di uno zaino in quanto da regolamento interno del museo è vietato usare il cavalletto, in modalità bracketing e autoscatto inserito in maniera da evitare qualsiasi movimento della camera al momento degli scatti. 1 - Creazione dell’HDR
Per la creazione dell'HDR utilizzeremo un ottimo programma chiamato Photomatix Pro, facile da utilizzare ed abbastanza intuitivo (vi sono molti tutorial in rete per approfondirne le caratteristiche). Lavorando con immagini TIFF a 16 bit il risultato sarà simile all'immagine seguente (32 bit):
Dopo aver settato il vero motore di Photomatix, cioè il "Tone Mapping", otterremo un'immagine TIFF a 16 bit per canale:
Configurare il Tone Mapping secondo il proprio gusto risulterà un'operazione piuttosto semplice data l'interfaccia priva di fronzoli. La differenza fra le due foto è evidente ma ancora non proprio soddisfacente...dominante giallognola e un po' slavata. Ciò che si otterrà dopo aver lavorato con Photomatix sarà simile all’immagine seguente:
Ritocco dei dettagli Passiamo alla fase di rifinitura per rendere l’immagine un po' più accattivante. Principalmente andremo a lavorare sulle luci, sulle ombre, sui toni, sul contrasto e sulla nitidezza. Aperta l’immagine precedentemente salvata da Photomatix, duplichiamo il livello di sfondo e modifichiamone l’esposizione (immagine > regolazioni > esposizione):
Proseguiamo desaturando il giallo (immagine > regolazioni > tonalità/saturazione)
Aumentiamo la nitidezza dell’immagine utilizzando una maschera di contrasto:
(In questo caso ho preferito aumentare subito la nitidezza invece che farlo alla fine del lavoro), uniamo il tutto e duplichiamo il livello così creato. Applichiamo il filtro controllo sfocatura/Gaussian Blur in modalità sovrapponi e bassa opacità (14% può andare bene) così facendo andiamo a caricare maggiormente il colore dell'immagine rendendola più corposa:
Uniamo nuovamente i livelli e duplichiamolo. Immagine > regolazioni > luminosità/contrasto utilizzando i seguenti valori: luminosità: -3; contrasto: +3. Uniamo nuovamente il tutto e duplichiamo il livello.
Immagine > regolazioni > curve
Uniamo il tutto e duplichiamo il livello. Si può vedere ancora una dominante giallognola che, personalmente, non trovo adeguata. Ripetiamo quindi la desaturazione del giallo con valore -65 ed impostando, per il livello superiore (modalità normale), un'opacità al 75%. Uniamo il tutto e duplichiamo nuovamente. Cerchiamo di aumentare la tridimensionalità del soggetto andando ad enfatizzare i punti di luce con lo strumento pennello in modalità sovrapponi / overlay con opacità di circa il 18% ed utilizzando come colore il bianco. Lo stesso procedimento dovrà essere eseguito per le zone in ombra usando un pennello nero (in alternativa potremo utilizzare gli strumenti brucia e scherma). Le dimensioni del pennello varieranno a seconda della parte che andremo a trattare. Uniamo il tutto ancora una volta e duplichiamo il livello. Passiamo in modalità 8 bit ed utilizziamo il filtro Effetto pennellate / Paint Daubs:
Abbassiamo l’opacità del livello al 30% e nei punti dove l’effetto risulta essere troppo accentuato (in questo caso sul radiatore del veicolo) utilizziamo lo strumento gomma per rendere visibile il livello sottostante.
Direi che il lavoro è finito!
In conclusione Come avrete intuito questo non è "IL" metodo ma un metodo che deve essere adattato alla foto da elaborare. Per un buon risultato è importante partire da una fotografia discreta con il più basso rumore possibile, dato che l’HDR tende ad enfatizzare questo rumore. Non tutti i soggetti sono adatti a questo tipo di elaborazione, metalli e superfici riflettenti, invece, daranno notevoli risultati. Partendo da un soggetto molto contrastato l’immagine finale risulterà altrettanto ben esposta e gradevole ma si avrà necessità di più scatti…5, 7 o addirittura 9. Un effetto simile, sebbene più grossolano, si potrà ottenere partendo anche da un solo scatto: sviluppando in maniera differente lo stesso file RAW variandone di volta in volta la luminosità. Sperimentare, sperimentare e ancora sperimentare. Spero di non essere stato troppo noioso o dispersivo ma piuttosto d’aiuto per avvicinarvi a questa tecnica fotografica. Tutorial di Gianluca Nespoli Sito web http://photo.net/photos/GianNes Flickr Account http://www.flickr.com/photos/30109972@N00/ Considerazioni personali di Andrea Doxphoto utente di Forumdifotografia.it I passaggi di creazione dei livelli per SFUMATURA controllata e MASCHERA DI CONTRASTO possono essere fatti, in maniera alternata, anche un paio di volte. Ovviamente tra il primo giro di SFUMATURA/MASCHERA DI CONTRASTO e il secondo, nel secondo tenere dei livelli di opacità con percentuali più basse. Una cosa fondamentale è unire sempre il livello creato dopo ogni modifica in modo da sovrapporre per bene il processo. Andrea Doxphoto http://www.doxphoto.it/
BILANCIAMENTO DEL BIANCO Il bilanciamento del bianco o anche WB (White Balance), è molto impiegato nella fotografia di matrimonio dove è importante che il vestito della sposa sia bianco puro e non alterato da dominanti colore, qui ci ricolleghiamo al concetto espresso nell’articolo "Bianco e nero o Colore?" dove spiegavo che il nostro cervello in casi come questo ritiene più reale una situazione "irreale" perché nella nostra testa il vestito della sposa è bianco. Per correggere la dominante luminosa abbiamo due alternative, o impostare nella macchina fotografica il tipo di sorgente luminosa o bilanciare il bianco in post produzione (metodo consigliato). Nella mia Nikon D90 il bilanciamento del bianco è impostato su AUTO, entrando nel menù ci sono vari tipi di WB (White balance). Per esempio, se sulla scena sono presenti delle luci a incandescenza basta selezionare il tipo di WB corrispondente e la fotocamera compenserà le luci per avere un soggetto bianco e dei toni neutri. La luce non è tutta uguale, sia a livello qualitativo che quantitativo, per esempio vi è differenza fra una lampada a incandescenza, un neon e la luce del sole, la qualità della luce è diversa in termini di temperatura colore, per esempio la luce di una lampada a incandescenza è definita calda, mentre un neon viene considerato una luce fredda. La luce neutra viene definita Day Light e corrisponde alla luce del sole in una giornata soleggiata, non nuvolosa a mezzogiorno. Se siete soliti post produrre le foto non c’è bisogno di settare il bilanciamento del bianco in macchina poiché potete ottenere risultati eccellenti e soprattutto più personalizzabili in fase di post produzione. Scattate sempre in formato RAW per i motivi già spiegati precedentemente aprite il file con camera raw, lightroom o altro software, potete così applicare la temperatura colore che più vi soddisfa senza perdere tempo durante la fase di ripresa. Ricordatevi che non sempre il bilanciamento del bianco deve essere perfetto, perché una correzione completa potrebbe ammazzare l'atmosfera, in sostanza non seguite sempre le regole, siate creativi e affidatevi al vostro gusto personale!
CARTONCINO GRIGIO MEDIO E COME SI USA In condizioni di luce mista la nostra fotocamera potrebbe avere molti problemi a bilanciare il bianco, in questo caso ci viene in aiuto il cartoncino grigio neutro 18% che viene usato anche per il calcolo dell'esposizione. Alcuni fotografi per il bilanciamento del bianco usano il cartoncino grigio neutro chiaro attorno al 5%, ovvero un compromesso fra il bianco totale ed i grigi più scuri. Massimiliano Albani un utente di www.forumdifotografia.it in una discussine scrive: Trovo molto utile il cartoncino grigio medio 18% per il bilanciamento del bianco in condizioni di luce mista, i colori vengono più fedeli di quelli che si ottengono usando un semplice foglio bianco. Foto di Wolfgang Lonien Flickr.com/photos/wjlonien/
Uso il cartoncino in questo modo: 1. Posiziono il foglio sulla scena in modo che rifletta la luce nello stesso modo di come la riflette il soggetto. 2. Scatto una foto naturalmente prendendo per intero il foglio. 3. Poi lo tolgo e scatto normalmente tutte le altre foto. 4. In PP con lightroom apro la foto con il foglio. 5. Nella sezione BASE del modulo SVILUPPO prendo il selettore del bilanciamento del bianco e clicco su una zona con luce uniforme del foglio 6. Fatto! Lightroom mi da il valore corretto della temperatura colore che applico a tutte le altre foto. Mentre per effettuare il bilanciamento del bianco in fase di ripresa con il cartoncino grigio dipende dal marchio della macchina fotografica, ma concettualmente la procedura è uguale per tutte. 1. Posizionare il foglio sulla scena in modo che rifletta la luce nello stesso modo di come la riflette il soggetto. 2. Scattare una foto al foglio in modo che occupi tutta o la maggior parte dell'inquadratura. Possibilmente con messa a fuoco manuale e con una corretta esposizione (importante per avere una corretta temperatura colore). 3. Nel menù della macchina andare su "WB personalizzato". 4. A questo punto si seleziona la foto precedentemente scattata e si può uscire dal menù. 5. Per i prossimi scatti scegliere dalle impostazioni del bilanciamento del bianco l'opzione "Personalizzato". Questa opzione adesso è regolata in base alla foto scelta prima. Sinceramente però, trovo più comoda e precisa la procedura in post produzione.
Un altro utente di nome sinXphotography risponde: Io utilizzo il ColorChecker (uno strumento suddiviso in caselle colorate che riproducono i colori fondamentali), praticamente si rifà al processo del cartoncino grigio medio, ma è molto più preciso come fedeltà dei colori. Si utilizza alla stessa maniera: • •
Bisogna scattare una foto al colorchecker nel set di scatto, con le medesime luci. In fase di post produzione, con il suo software si produce un file dng che verrà poi utilizzato in camera Raw o in lightroom per fare il bilanciamento.
È dotato anche di caselle bianche e grigie, con le quali si può fare il bilanciamento classico. È molto consigliato per lo still-life, ma si utilizza benissimo anche in esterni, nonché in servizi in studio. Per quanto riguarda il cartoncino, si dovrebbe fare uno scatto solo ad esso, sempre illuminato dalla luce del set, poi provare a impostare il WB personalizzato su quello scatto e dovrebbe funzionare per tutti gli scatti successivi.
SCATTARE PER IL DIGITALE, PREVISUALIZZARE LA FOTO E IL FALSO MITO DI PHOTOSHOP Una delle più grandi teorie e tecniche fotografiche del 900 riguardava il sistema zonale ideato dal grandissimo fotografo Ansel Adams. Cosa diceva? In poche parole Adams aveva creato una tecnica che permette ai fotografi di trasporre la luce che essi vedono in specifiche densità sul negativo e sulla carta ottenendo così un controllo migliore sulle fotografie finite, in pratica permette di determinare il tempo di posa e di sviluppo consentendo una migliore gradazione delle componenti del grigio. Senza entrare nel dettaglio Adams sosteneva che per avere uno scatto ben fatto bisognava: 1. Previsualizzare la foto: Adams stesso lo spiega così: "… visualizzare un’immagine […] consiste nell’immaginarla, ancor prima dell’esposizione, come una proiezione continua, dalla composizione dell'immagine fino alla stampa finale. La visualizzazione deve essere considerata più esattamente come un atteggiamento verso la fotografia piuttosto che un dogma. Ciò significa che il fotografo ha la totale libertà di espressione, e non è in nessun modo limitato… Non si tratta solo di mettersi in relazione con il soggetto, ma anche di prendere coscienza delle potenzialità espressive della sua immagine […]" Vedere in anticipo le soluzioni alternative con cui si può restituire un soggetto lascia ampio spazio all’interpretazione soggettiva, permettendo di utilizzare in ogni fase i mezzi più adeguati (in termini di esposizione e trattamento) necessari alla realizzazione dell’immagine che abbiamo visualizzato. 2. Scattare in modo che il negativo sia perfetto per lo sviluppo in camera oscura, ovvero scattare per la camera oscura: il fotografo, dopo aver eseguito il calcolo dell’esposizione , deve sviluppare il negativo in base all'esposizione. Ovviamente deve conoscere le caratteristiche tecniche della pellicola in relazione ai vari bagni di sviluppo e deve tener conto delle possibili variabili dello sviluppo (tempo, temperatura ed agitazione). E nel digitale? Le cose non sono cambiate molto. Il punto uno, la previsualizzazione, rimane ancora un punto fermo della fotografia. E' vero che ora la nostra mente è allettata dal tasto view ed eventualmente dal tasto erase, ma ora non stiamo parlando della fotografia della domenica ma di riuscire a fare una bella foto. Quindi, cancelliamo dalla nostra mente la possibilità di vedere e cancellare i nostri scatti. Gli scatti devono essere giusti. Pensati. Previsualizzati. In base a ciò che previsualizziamo, decideremo come impostare la fotocamera: sceglieremo la lente giusta, useremo una coppia tempi - diaframmi che ci darà il risultato auspicato, regoleremo anche la nuova variabile del digitale, gli iso (non che non ci fosse nell'analogico ma una volta montato un rullo con quello si scattava, al massimo si cambiava magazzino ma non era così immediato e versatile come ora) ; poi si scatta non più per la camera oscura ma per Photoshop.
Photoshop Spesso quando si parla di Photoshop si pensa ad infinite possibilità per STRAVOLGERE una immagine. Magari vi verranno a mente i numerosi strafalcioni presenti sulla rete e sulla carta stampata. Spesso si crede che con Photoshop si possano correggere gli errori in fase di scatto. Qualche volta...forse. Ma qui, di nuovo, non stiamo parlando della fotografia della domenica, ma del voler fare una bella foto. E dunque Photoshop non dovrà stravolgere la vostra fotografia. La vostra fotografia dovrà essere valorizzata dalla postproduzione. Per far questo bisogna sapere come lavora Photoshop, dove e come va a toccare l'immagine. Bisogna conoscerne gli strumenti, sapere quali pixel va a toccare; è necessario conoscere tutte le possibili varianti dei singoli strumenti. Non useremo tutti gli strumenti ma quelli che useremo dovremo conoscerli. In sostanza? Vorrei sintetizzare in uno schema i passaggi obbligati per scattare una fotografia corretta: 1. Previsualizzo: decido come sarà la mia foto dopo la post produzione (sì, non decido solo tempi e diaframmi ma decido anche come la postprodurrò) 2. In base a quanto sopra scelgo la lente e decido tempi diaframmi e iso tenendo conto delle caratteristiche tecniche del mio sensore (come Adams avrebbe tenuto conto della pellicola): CCD, CMOS... tenuta delle alte luci... 12 o 14 bit... esposizione a destra... devo conoscere i miei strumenti in poche parole. 3. Sviluppo il raw per photoshop (ovvero nel modo più “piatto” possibile, tirerò fuori una foto neutra, apparentemente brutta, ma che in realtà altro non è che una foto con un'ampia gamma dinamica con cui giocare) 4. Applico il corretto workflow in Photoshop, non vado a caso, seguo un iter corretto che va dalla luminosità al colore agli aspetti più creativi poi. Un'ultima cosa... da una foto corretta Photoshop può tirar fuori una bellissima foto. Da una foto sbagliata Photoshop tira fuori solo i difetti. Articolo scritto da Diagaz www.diagaz.net e www.diagazforum.com
H.C. BRESSON E IL CESTINO, TRE ELEMENTI PER UNA BUONA FOTOGRAFIA H.C. Bresson è l'autore di una affermazione che troviamo nell'80% delle firme nei forum di fotografia:"fotografare è mettere sullo stesso piano occhio, mente e cuore." Se ci pensiamo corrisponde ad una grande verità, nelle più belle fotografie questi tre "elementi" sono tutti prepotentemente presenti. Una grande verità, dicevo, fintanto che ci sia equilibrio tra i tre. Per avere un grande scatto ci vogliono tutti e tre, in modo equilibrato e in rapporto tra loro. Vediamo di analizzarli un po', approfondiamo la cosa... vi dico come interpreto io questa celeberrima frase. L'OCCHIO Il fotografo lo riconosci subito. Chi ama la fotografia osserva,cerca, rielabora. Il fotografo può sembrare "strano" agli occhi degli altri: si ferma ad osservare cose che apparentemente sono brutte e insignificanti... all'improvviso si getta in terra o si arrampica su un tavolo colto da un immenso entusiasmo... passa ora ed ore in attesa di un soggetto che magari non arriva, o se arriva non arriva come dice lui, ma lui non si annoia, l'attesa è adrenalina, l'idea di fotografare è eccitante quasi quanto fotografare. Il fotografo gira per le strade, per le campagne e per il mondo non per far turismo ma per fotografare. In fondo cosa fa il fotografo? Osserva, cerca ciò che non è visibile o evidente agli altri. Cerca, vuole quel soggetto, quella luce, quella angolazione. Rielabora, inquadra e scatta in modo che il soggetto acquisti valore. LA MENTE Parliamo di tecnica? Fondamentale. Sapere come reagire fotograficamente una volta che avete osservato e/o cercato, essere in grado di rielaborare e di rendere in modo pratico la vostra creatività e la vostra capacità di rielaborazione...questo lo fate con la tecnica. Non solo tempi, diaframmi, ISO, ma anche gambe (ah quanto sono importanti le gambe!!), regole compositive, proporzioni, simmetrie. La giusta conoscenza degli strumenti, la corretta scelta della lente, non perché quella è più leggera, ma perché è la più adatta per ottenere quello che voglio mostrare. La mente è saper controllare in modo razionale la nostra emotività creativa, saperla controllare e gestire in modo impeccabile. La mente è anche saper dire NO ad una fotografia che emotivamente ci coinvolge, anche per motivi personali, ma che obiettivamente non sarebbe interessante. La mente rende il soggettivo un po' più oggettivo.
IL CUORE Una fotografia tecnicamente impeccabile può non dire nulla. L'arte e nello specifico la fotografia sono un fortissimo mezzo di comunicazione, sono lingua e linguaggio, ma perché il messaggio risulti interessante e di valore è essenziale che il contenuto del messaggio vada a toccare le corde del cuore del destinatario. E' fondamentale che abbia un contenuto importante, chiaro, emotivamente drammatico. Anche una fotografia di architettura, pur non presentando elementi “vivi” e quindi alcuna azione rilevante o drammatica, data una certa illuminazione e una certa composizione può risultare emotivamente coinvolgente. H.C. Bresson dice che sullo stesso piano dobbiamo mettere occhio, mente E cuore E cuore, non O cuore e non SOLO cuore. Il che significa che per avere una buona fotografia, i tre aspetti che abbiamo analizzato devono essere tutti presenti, possibilmente in equilibrio. Spesso quando si fotografa qualcosa o qualcuno il cuore è l'aspetto prevalente. Il papà che fotografa il figlio, il cagnolino, il fiore appena sbocciato...sta fotografando qualcosa che emoziona lui ma non necessariamente sta scattando una bella fotografia. L'emozione e l'essere coinvolto a livello emotivo in quel momento porta spesso ad annullare l'aspetto razionale e oggettivo, inibendo la capacità critica di chi ha scattato. Ma anche soggetti emotivamente e socialmente “forti” vengono visti da chi scatta come una bella fotografia: quante volte ci imbattiamo in soggetti visti e rivisti, il vecchio sulla panchina, il barbone per terra, il bambino di colore, la vecchia col turbante. Magari in queste foto ci sono mille elementi di disturbo, errori grossolani, un'esposizione non corretta e una composizione casuale. Quante volte si pensa che solo perché si è fotografato un soggetto accattivante e coinvolgente si ha in mano una bella fotografia? Solo perché il cuore (ahimè troppo spesso solo il nostro) prevale sugli altri due aspetti. IL CESTINO Quanto aveva ragione il grande Bresson! Allora, quando scattiamo proviamo a metterci nei panni di una persona che non è emotivamente coinvolta col soggetto fotografato. Proviamo a guardare la nostra immagine con occhio critico. Ci sono errori? L'esposizione è sbagliata? Ci sono elementi di disturbo? E' composta male? Sarà anche un buon soggetto ma se è il caso si deve trovare il coraggio di buttarla proprio lì, nel cestino. E riproviamoci con un po' più di cognizione, usiamo meglio il nostro occhio e la nostra mente, magari saremo più fortunati! Articolo scritto da Diagaz www.diagaz.net e www.diagazforum.com
GENERI FOTOGRAFICI Cercherò di presentarvi i vari generi fotografici non con la “classica definizione” ma attraverso gli articoli dei fotografi specializzati in quei generi.
Fotografia documentaria « Documentaria è la fotografia della polizia scattata sul posto di un delitto. Quello è un documento. Vedi bene che l’arte è senza utilità, mentre un documento ha un’utilità. Per questo l’arte non è mai un documento, ma può adottarne lo stile. È quello che faccio io. » (Walker Evans) Questa "corrente" fotografica ha le sue controversie nel termine stesso, ovvero, la funzione di documento della fotografia era una cosa già assodata dai primi del 900, e in quanto tale, nel periodo storico in questione, non poteva essere considerata forma d’arte in quanto la caratteristica del documento è il riprodurre la condizione reale con estrema chiarezza, l’immagine deve avere un fine, un utilità, mentre l’arte tali funzioni non le aveva minimamente. Il concetto stesso di documento, prevede una chiara identificazione del soggetto fotografato (un esempio su tutti è il documento d’ identità, la cui foto viene sempre eseguita frontalmente per consentire il facile riconoscimento del soggetto), a seconda dell’ambito può o meno richiedere anche una contestualizzazione, cosa molto importante richiede imparzialità di veduta (una casa la fotograferò frontalmente e magari ne farò più scatti al fine di illustrare al meglio com‘è lo stabile, non se mi piace o non mi piace).
"Bridge over Han River at Ch'ao-Chou, Fukien [Chao'an, Fujian]" by John Thomson (1837-1921)
La fotografia documentaria nacque in Inghilterra nel 1877 grazie a due reporter londinesi John Thomson e Adolph Smith che immortalarono i quartieri più poveri della città.
Ma l’uso del termine "documentario" associato alla fotografia compare solo intorno agli anni ‘20, esso è preso in prestito dal cinema e i primi riferimenti dell’uso di questo termine compaiono in Europa. Gran parte dei testi fa risalire gli albori della fotografia documentaria alla depressione economica degli Stati Uniti e ai lavori del FSA (Farm security administration, organizzazione voluta dal presidente Roosevelt che aveva per fine la documentazione di diverse condizioni sociali negli stati uniti) ma ciò è vero solo in parte; vediamo di chiarire il perché di questa affermazione; prenderò ad esempio due "grandi nomi" della fotografia documentaristica, Walker Evans, Americano e l’altro Tedesco, August Sander. Andando a visionare le opere di questi due fotografi si noterà subito una modalità di ripresa volta alla massima nitidezza delle immagini rappresentate (i soggetti sono quasi sempre ripresi frontalmente, e riempiono l’immagine), spesso, se non sempre, le immagini sono studiate fin nei dettagli e non frutto di uno scatto Sharecropper by Walker Evans, ca. 1935-36 (LOC) "istintivo"; Osservando le differenze che corrono tra i due fotografi presi in esame (a onor del vero Believed to be in Public Domain From Library of Congress, Prints and Photographs Collections. va detto che tra i due corre quasi un decennio) si More on copyright: What does "no known potrà notare una differente modalità di restrictions" mean? interpretazione delle immagini. Mentre Evans loc.gov/rr/print/195_copr.html#noknown cura parecchio la forma e "l’asetticità" del soggetto, Sander lo contestualizza nel suo ambito di appartenenza, l’unico vero comune denominatore tra i due è il distacco dall’immagine al fine di evidenziare una realtà nuda e cruda. Walker Evans, si riteneva un’artista e le sue foto non erano fatte con finalità politiche o sociali (come invece potevano essere gli intenti di Lewis Hine o una contemporanea come Dorothea Lange) lui stesso non si considera un "documentarista" ma sosteneva di utilizzare uno "stile documentaristico" per fare foto artistiche. Successori di Evans furono negli anni '60 e '70 Garry Winogrand e Lee Friedlander. Avendo chiarito cosa in realtà si intende (o si intendeva) con genere documentaristico ritorno a quanto si diceva all’inizio in merito agli esordi di tale forma di fotografia, ovvero se con genere documentaristico si intende quello applicato da Evans e Sanders (che ha il merito di averci fornito uno tra i più ampi archivi di gente comune e lavoratori di vari mestieri) allora si, ma se si pensa alla definizione di detto stile come a un sinonimo di reportage, come oggi viene comunemente interpretato, allora direi che gli esempi di tale genere risalgono a parecchio prima. Una considerazione personale in merito alla "pappardella" scritta qui sopra, quando ho cominciato a fare fotografia pensavo che tutte queste cose fossero solo discussioni futili su
un termine piuttosto che un altro (documento o documentario, che differenza c'è?!..); ad oggi però mi sono reso conto che, come in una frase sono le parole giuste che la rendono grande, nella fotografia sono i piccoli dettagli, quelle "parole" che ad una fotografia possono dare un senso compiuto. Articolo scritto da Alessandro Cappelli
Il Reportage sociale: significato, difficoltà e semantica Mi ha molto colpito, leggendo l’editoriale di Emanuele Costanzo sull’ultimo numero di giugno 2009 di Foto Cult, la descrizione esatta della situazione attuale di tutti i circoli fotografici virtuali e non, dove afferma che: "…non tutti i generi godono delle stesse preferenze da parte dei fotografi. Quelli più gettonati sono la fotografia di viaggio, il paesaggio, la macro e la fotografia naturalistica. Solo una piccola percentuale si dedica con costanza e profitto ai generi di fotografia sociali, ovvero il reportage e la street photography". Per questo motivo vorrei fare una dissertazione sulla fotografia di reportage sociale, alla quale mi sento particolarmente vicino. Parlare di reportage sociale o, se vogliamo, di fotogiornalismo, vuol dire trattare di quella fotografia che, attraverso l’immagine, vuole raccontare particolari aspetti della società in cui viviamo; oppure portare a conoscenza di altri situazioni altrimenti sconosciute o lontane. Non necessariamente il fotografo deve rappresentare situazioni di degrado, violenza o sofferenza: la scelta dipende dalla sua sensibilità o "vocazione sociale". Comunque sia il reportage non si improvvisa. Occorre seguire delle fasi ben precise, una volta scelto l’obbiettivo da raggiungere e nello specifico, tratterò del reportage sociale filtrandolo attraverso le mie esperienze sul campo. LA FASE PREPARATORIA Come ho accennato sopra occorre predisporre di una adeguata preparazione culturale prima di affrontare il viaggio vero e proprio. A tale scopo, diversi mesi prima, incomincio a documentarmi sulla cultura, la religione, gli usi i costumi delle popolazioni e, anche se non antropologicamente fondamentale, ma utilissimo per me come medico, anche in ordine alle patologie mediche che potrò trovarmi ad affrontare. Questo lavoro è di rilevante importanza per cominciare a previsualizzare nella mia mente quelle situazioni che diventeranno il filo conduttore del reportage. In mancanza di una valutazione seria, si rischia di arrivare sul luogo e di cominciare a fotografare "random", senza una meta precisa, sperando di ottenere, alla fine, solo delle buone fotografie di soggetti casuali, che magari posso far colpo su coloro che osserveranno le mie fotografie, ma che non esprimono certamente il significato vero e profondo del reportage. E’ quindi sulla base di una attenta valutazione antropologica, che si può estrapolare il cuore del reportage, il filo conduttore che deve collegare le immagini trasformandole in un vero e proprio racconto. Il racconto, illuminato da un background culturale, non può comunque prescindere dalla propria soggettività. Come diceva W. Eugene Smith: "Quelli che credono che il reportage
fotografico sia selettivo ed oggettivo, ma non possa decifrare la sostanza del soggetto fotografato dimostrano una completa mancanza di comprensione dei problemi e dei meccanismi propri di questa professione. Il foto-giornalista non può avere che un approccio personale ed è impossibile per lui essere completamente obiettivo. Onesto sì, obiettivo no." Così, dentro di me, cominciano anche a nascere sensazioni, convinzioni e aspettative situazionali, che mi forzeranno la mano durante il viaggio vero e proprio. SUL CAMPO "Vale più la pratica della grammatica", racconta un vecchio adagio pregno di saggezza. Ciò lo si sperimenta quotidianamente sul campo. Arrivato con un pieno di nozioni e di aspettative, devo confessarvi che, viverle giorno per giorno, comporta passare, in un attimo, dalla gioia di incontrare quello che ti aspettavi e fotografare con grande forza, alla delusione di non poter esprimere fotograficamente un concetto che avevi in mente per motivi tra i più disparati. L’aspetto che, in ogni caso, ti arricchisce moltissimo è la possibilità di entrare in intimo contatto con la gente. Entri nella loro intima quotidianità, vieni accolto come uno di loro. Mangi allo stesso desco, condividi le loro emozioni e le fai tue: in una parola ti arricchisci dentro. Ecco che allora le immagini che riprendi non sono più una fredda documentazione situazionale, documentale o ambientale, ma divengono parte intima anche del tuo vissuto emozionale più profondo. L’immagine prende vita dentro di te e diventa parte di te, chiudendo in un abbraccio ideale anche chi ti sta vicino. Grazie alla collaborazione dei missionari che ti accompagnano puoi anche dialogare, farti raccontare e capire. Comprendere quanto grande sia l’onore che ti fanno accompagnandoti all’albero sacro e nel luogo dove esercitano la liturgia dei loro riti più segreti; quando ti spiegano come fanno a placare l’ira dello spirito dell’antenato o come nel caso in cui ti consentono di entrare nella loro riserva, dove nemmeno le autorità sono ammesse. In queste situazioni scattare una fotografia diventa quindi quasi un rito che ti incide dentro, come uno scalpello nella pietra. Ecco quindi che nella mente mi appare la fotografia finita, in BN, con i suoi chiaro/scuri, i tagli di luce, l’inquadratura adatta a sottolineare le parole del racconto. Il BN è pertanto il mio linguaggio, ben strutturato. Vedo il mondo in BN. Che tristezza, molti penseranno; in realtà la gamma tonale è così ampia da trascendere il colore, da poter creare continui e variati accostamenti tali da dare vita ogni volta a parole nuove o, come nella musica, ad armonie nuove. Pensare che nella musica vi sono solo sette note, la gamma tonale del BN gioca su 12 note (al minimo): quanta possibile creatività abbiamo nelle mani, anzi negli occhi!
Un altro discorso riguarda anche la scelta dell’inquadratura. A tutti sono note le regole auree della fotografia, chiamiamola così, canonica: la sintassi dei 2/3, dei pesi delle masse, del campo Gestaltico ed altre amenità del genere. Personalmente mi ritengo un anarchico:
ho un’avversione profonda per le regole, anzi le studio tutte per infrangerle. Amo la rottura della simmetria, la caduta dei pesi e me ne frego della linea dell’orizzonte che dovrebbe essere sempre e tristissimamente diritta e orizzontale. Amo l’asimmetria, la ricerca dell’asimmetria che, come sottolinea Augusto Pieroni: "…consistendo nel rompere svariate regole conservando però il rigore sufficiente a creare una nuova regola fatta di infrazioni… la sua riformulazione della dinamica e della geometria classica in una ritmica disparata e serpentina". I cui antesignani furono Paul Strand, Rodchenko, Moholoy-Nagy e Umbo. Ecco quindi che molte mie inquadrature escono nell’osservatore disorientamento, irritazione e sconcerto.
dai
canoni,
talvolta
creando
Mi intrigano molto le parole di Maria Giulia Dondero: "Il fotografo è essenzialmente testimone della propria soggettività, cioè del modo in cui si pone come soggetto davanti a un oggetto. Quello che dico è banale e ben noto. Ma insisterei molto su questa condizione (Barthes). La fotografia è enunciata da un corpo che ha preso posizione nel mondo, un soggetto polisensoriale. Per questo è necessario interrogarsi sull'insieme formato dalla macchina fotografica e dal fotografo, legati l'uno all'altra durante tutte le operazioni che portano alla realizzazione di una fotografia." Non ci interessa prendere in considerazione la macchina fotografica in quanto mero strumento, o la psicologia del fotografo, quanto piuttosto il modo in cui le diverse testualità mettono in scena la senso motricità del fotografo nell'atto macchinino della presa fotografica. Scattare un'immagine è descrivibile come un'esperienza di corpo a corpo: Il fotografo non è mai un soggetto disincarnato di fronte a un oggetto mantenuto a distanza, ma un soggettocorpo preso in una situazione intra-mondana della quale lui è uno degli elementi (Schaeffer 1997). Ogni testo fotografico è il risultato di una presa di posizione del corpo nel mondo - e non del mero atto disincarnato dello scatto. Esiste sempre un adattamento ipoiconico del corpo del fotografo con l'apparecchio fotografico e con il mondo guardato attraverso il visore: L’operazione di inquadratura mima in qualche modo quella dell'accomodamento visivo di un oggetto. Ma l'inquadrare non impegna solo lo sguardo. Per inquadrare un frammento di mondo è necessario innanzitutto sentirsi persi nel mondo. Sono delle componenti sensoriali non visive che mobilizzano il desiderio di fotografare un avvenimento. (Tisseron 1996). Con queste parole, apparentemente astruse, si vuole sottintendere che a farla da padrona, nello scattare un’immagine è un "unicum" di identificazione del mezzo meccanico, della presenza soggettiva, dell’atteggiamento psicologico, della visione ontologica del momento ed dell’analisi euristica del vissuto in quell’attimo: in definitiva emozionalità pura. Nello specifico della scelta delle mie inquadrature, entrano quindi in gioco dinamiche molto complesse ed interagenti, che nel caso specifico, mi portano con relativa frequenza a percepire il mio profondo emozionale come fuori dagli schemi ed a proporlo all’osservatore come affabulazioni di un linguaggio non convenzionale.
PROBLEMATICHE NELLA LETTURA E DIFFICOLTA' SEMANTICHE Il più significativo problema che affligge la lettura di una immagine di reportage è la decontestualizzazzione, ovvero quando l’immagine viene visionata singolarmente, al di fuori del contesto del reportage. Questa eventualità la incontro quotidianamente quando carico una fotografia sul sito. La singola immagine viene vista da molte persone che non conoscono il percorso logico del reportage e leggono la foto sulla base della loro esperienza personale. Questa esperienza può poggiare su solide basi di preparazione culturale, oppure no. Ma quello che più traspare evidente è che ognuno di noi legge l’immagine filtrandola attraverso il suo vissuto, la sua emotività, le sue convinzioni culturali ed il suo gusto estetico: è sufficiente? Purtroppo no, non basta per leggere in modo corretto una fotografia di reportage, così, isolatamente. Deve essere contestualizzata. Da qui la raccomandazione di passare all’osservazione anche delle altre fotografie dell’album proposto. In ogni modo, a mio parere, è bene sempre porsi la fatidica domanda: "Cosa vuole trasmettermi l’autore?" In apparenza appare di una banale ovvietà, ma se ci pensiamo a fondo sottintende che ci dobbiamo spogliare di tutte le nostre convinzioni, dobbiamo andare oltre una lettura euristica e liberarci dalle profonde radici ontologiche delle nostre categorie, ma, al contrario, siamo invitati ad aprirci a un’analisi semiologica asettica, disinibita, che sappia fruire della testualità dell’immagine in modo da decriptarne il senso più intimo. Se alla fine di questa "seduta psicanalitica" non riusciamo a trovare un senso compiuto e l’immagine rimane muta ai nostri sensi, allora questo "vuoto" è evidente significazione che la fotografia in esame è priva di contenuti e quindi futile ("brutta" nell’accezione più letterale del termine). BIBLIOGRAFIA UTILE 1. Arturo Carlo Quintavalle “Messa a fuoco” Feltrinelli Editore 1994 2. Nathan Lyons “Fotografi sulla fotografia” Agorà Editrice 1990 3. Augusto Pieroni “Leggere la fotografia” Editrice EDUP 2008 4. Pier Francesco Frillici “Sulle strade del reportage” Editrice Quinlan 2007 5. Pierluigi Basso Fossali & Maria Giulia Pondero “Semiotica della fotografia” Guaraldi Editore 2006 6. Michael Freeman “L’occhio del fotografo” Logos Editore 2008 Articolo di Pietro Collini www.blufoto.net
Il Ritratto
Un genere fotografico che non ha certo bisogno di presentazioni, praticato anche in altri tipi di arti visive. I ritratti possono essere realizzati sia in esterni che in studio. Gli obiettivi convenzionalmente usati nel ritratto hanno una lunghezza focale solitamente compresa tra i 70 e i 105mm che permettono una rappresentazione più fedele del volto del soggetto evitando le distorsioni delle ottiche grandangolari e lo schiacciamento dei piani tipico delle ottiche tele, preciso che mi sono riferito alle lunghezze focali senza considerare il rapporto di ingrandimento che varia a seconda delle dimensioni del sensore. Esistono fotografi ritrattisti che si avvalgono di grandangoli estremi per ottenere risultati insoliti e di grande impatto visivo, scattando dall’alto con un grandangolo il soggetto apparirà più piccolo e viceversa scattando dal basso il soggetto sembrerà più slanciato e imponente, quello che vi consiglio e di sperimentare usando diverse lunghezze focali contribuendo così a crearvi un vostro stile. Una delle ottiche più utilizzate dai fotografi che praticano questo genere è solitamente il 70-200mm F2.8 che in esterni permette una grande libertà di movimento e un’elevata qualità dell’immagine. l'illuminazione nei ritratti assume un’importanza fondamentale, non esiste un’illuminazione migliore di un'altra, tutto dipende dal risultato voluto e dalle caratteristiche che volete mettere in evidenza del soggetto fotografato.
Accorgimenti prima di iniziare a scattare: • • •
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Controlliamo di aver impostato il bilanciamento del bianco adatto alla fonte di luce, generalmente il WB automatico da buoni risultati. La sensibilità ISO deve essere quella standard. Conviene lavorare in manuale per avere un pieno controllo sui tempi di esposizione e soprattutto sul diaframma, quest’ultimo come ho già detto ci permette di variare la PDC. Caricare la batteria della macchina fotografica e portarne una di scorta, usare un battery grip non sarebbe una cattiva idea, inoltre bisogna controllare anche le pile di flash, telecomandi ecc... e tenerne di scorta nel caso dovessero abbandonarci. Portarsi più schede di memoria. Preparare tutti gli oggetti che potranno esserci utili durante lo shooting, per esempio sfondi, trucchi per le modelle o semplici oggetti che dovranno essere inseriti nella scenografia. Controllare se sul set è presente qualcosa di sporco, stropicciato, storto ecc... (è importante effettuare questo controllo con cura poiché la piega di una tovaglia può rovinare un bellissimo scatto). È utile creare un "libro" o per meglio dire un catalogo con immagini prese dai magazine (o anche realizzate da noi) per far capire al modello che risultato vogliamo ottenere e soprattutto nel caso di modelli non professionisti può risultare utile per suggerirgli le pose. Nella fotografia ritrattistica è importante cogliere ogni minima espressione del nostro soggetto, anche piccoli dettagli che possono sfuggirci in fase di scatto possono alterare e spesso rovinare quella che credevamo una bella fotografia, poiché usiamo il digitale non c’è bisogno di risparmiare scatti. È importante stabilire un rapporto umano con il soggetto e non eccessivamente professionale in modo tale da farlo sentire a proprio agio. Una volta scattate le foto che ricercavamo verso la fine della sessione proviamo anche composizioni insolite, a sperimentare con diverse focali o schemi
di luce particolari. Gli obiettivi da ritratto sono generalmente molto costosi poiché devono essere molto luminosi, non per scattare in condizioni di scarsa luce ma per poter sfocare lo sfondo aprendo il diaframma, un ottica con apertura massima a F2.8 può andare bene, ancora meglio sarebbe avere ottiche con apertura massima di F2.0, F1.8 o anche F1.4.
Vantaggi di un'ottica luminosa: •
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Nei ritratti in esterni poter sfocare lo sfondo ci permette di "eliminare" tutto ciò che distrae l'attenzione dal soggetto e di porre l’accento sui suoi colori non sui dettagli che grazie alla sfocatura andranno persi. Come ho già detto nel capitolo dedicato alla luce naturale le ore migliori per scattare sono l'alba e il tramonto, però in questi momenti della giornata la luce è insufficiente e un'ottica non luminosa non potendo scendere sotto F3.5 (come l'obiettivo base della mia fotocamera) o F4 ci costringe o ad aumentare gli ISO o in alternativa ad usare tempi di posa lunghi con rischio del mosso, avere un'ottica luminosa invece ci permette di realizzare ritratti usando tempi veloci e ISO standard con un gradevole effetto di sfocatura.
Un Foto ritrattista Ci sono vari generi di fotografia che si eseguono in studio, lo still life, foto di oggetti di piccole o grandi dimensioni; la foto di moda dove brave modelle preparate da esperti estetisti sanno atteggiarsi disinvolte alle richieste del loro fotografo, ed il ritratto commissionato da privati che insicuri si rivolgono ad un foto ritrattista. Quest'ultimo genere, che mi riguarda, necessita oltre alla conoscenza della tecnica anche di una buona dose di psicologia. Ormai da tanti anni sono un "fotografo ritrattista" pratico questa mia professione, ancora, con la classica pellicola bianconero 100 iso e scatto con una fotocamera Zenza Bronica 4x6 che monta un’ottica di 105 mm. La mia sala di posa è composta da diversi flash da studio e tre fondali in carta , uno nero uno bianco e uno grigio nuvoloso. Un momento importante è l’incontro fotografo soggetto, io cerco di non mettere in soggezione il cliente, lo metto a proprio agio parlando degli argomenti più disparati, dei gusti fotografici, del tempo, delle difficoltà per raggiungere lo studio ecc... devo farmi conoscere per guadagnare la sua fiducia. Per i più piccoli ci sono diverse approcci a seconda dell’età; a disposizione, sui miei scaffali ci sono giochi, peluche, caramelle e cerco di parlare anche con loro di argomenti familiari, della scuola degli amici ecc... per distrarli e coinvolgerli piano piano a diventare amici. Con i più vivaci catturerò le loro migliori espressioni grazie alla velocità del lampo flash. Sappiamo che la conoscenza della luce è l’elemento più importante in fotografia, in sala di posa diventa essenziale.
Con una sola fonte luminosa si possono fare ritratti bellissimi ma la combinazione di diversi illuminatori, ben dosati, daranno in studio risultati migliori. Immaginiamo di avere a disposizione tre flash con applicati altrettanti ombrelli diffusori, per ottenere una luce più morbida ed ombre meno nette (questo è il mio modo di fotografare) ne sistemiamo uno (luce principale) ad un lato del soggetto, un secondo dal lato opposto ma ad una distanza doppia del primo (servirà da schiaritore) il terzo sopra la testa per dare un effetto “silhouette” sui capelli e sul collo. Questo è un modo elementare per eseguire un ritratto classico, poi la fantasia e la creatività del fotografo cambierà disposizione e quantità dei flash. A questo punto, con un buon esposimetro-flash, troverò il diaframma da usare, alcune indicazioni rivolte al cliente per assumere semplici ma essenziali posture ed il ritratto è fatto! Lo sviluppo della pellicola e la camera oscura per la stampa sono una ulteriore opportunità per migliorare e personalizzare l’opera. La mia non più giovane età e la mia esperienza (oltre 50 anni di lavoro) mi aiutano molto sia nella ripresa che nella tecnica, ma devo confessare che ancora, quando porto a termine un'opera provo grande gioia ed emozione e questo mi sprona a continuare, sento però, con rammarico che queste sono ultime boccate di ossigeno ad un genere di fotografia che sta morendo. Articolo e fotografia realizzati da Aulo Ieri www.aulofotostudio.it
Cosa è la Street Photography
Foto di Marco Crupi - Flickr.com/photos/marcocrupivisualartist/
Dare una definizione esaustiva della Street photography non è semplice. Si potrebbe cominciare dicendo che è un genere fotografico, più precisamente un genere di reportage. La Street photography è infatti l’istantanea della vita urbana osservata per strada nella sua quotidianità e nei suoi molteplici aspetti: l’ironia, la tragedia, l’imprevedibilità, la bellezza ed anche la crudeltà. Le immagini di questo genere fotografico sono lo specchio della società, delle persone che la compongono, catturate durante la vita di tutti i giorni da qualche occhio attento alle sfumature dell'umana commedia che va in atto negli spazi pubblici. Essere uno Street photographer significa entrare in sintonia con la vita, percepirne gli umori, gli odori, i colori, viverla con intensità per poi cercare di rappresentarla solo dopo averla assorbita. Henri Cartier-Bresson, che con le sue immagini ha contribuito alla nascita della Street photography, disse che per cogliere attraverso l'obiettivo i momenti decisivi della vita è necessario porre sullo stesso piano mente, occhio e cuore. Un’attitudine che, sempre secondo le parole del celebre fotografo, richiede prontezza, disciplina, sensibilità e senso geometrico. Articolo scritto da Alxcoghe 500px.com/AlexCoghe
Leggi Fotografiche Dopo aver parlato della fotografia documentaria, del reportage, della street photography e del ritratto penso sia bene conoscere che cosa è vietato fotografare, se qualcuno può obbligarci a cancellare le nostre foto e come funziona con le liberatorie. Quando si sta per scattare una fotografia è bene ricordare alcune regole per evitare spiacevoli malintesi o problematiche legali, se usate il cavalletto può accadere che un poliziotto vi contesti l'occupazione abusiva di suolo pubblico, in realtà la norma si applica solo alle attività professionali o commerciali, ma c'è un po' di confusione in materia. In alcuni luoghi è vietato fotografare per ragioni di sicurezza: Aeroporti, stazioni, metropolitane, zone militari. Una cosa molto importante da sapere è che nessuno può sottoporci a perquisizione personale o sequestrarci l'attrezzatura, fanno eccezione le forze dell’ordine, ma neppure loro possono obbligarci a mostrare le nostre fotografie seduta stante, possono però metterci in stato di fermo e condurci in caserma per fondati sospetti di pericolosità sociale, e solo su autorizzazione giudiziale possono sequestrare la nostra macchina fotografica e visionare le foto. Per poter pubblicare la fotografia di una persona ci vuole obbligatoriamente la sua autorizzazione a meno che non sia fotografata in determinati contesti. Per i bambini poi la questione si complica ulteriormente, consiglio vivamente di non fotografare bambini che non siano i vostri figli o di chiedere prima il permesso dei genitori per evitare situazioni spiacevoli. Il diritto di cronaca è diritto di chiunque anche se non iscritto ad albi, registri e se non svolge neppure occasionalmente il mestiere di cronista. Lo stato italiano tutela la proprietà privata sopra ogni cosa fatto salvo il maggiore diritto comune, si può fotografare all’intero di una struttura privata solo se il proprietario (o chi per lui) ci da il permesso, il lavorare nella struttura non ci autorizza a poterla fotografare. Un vigilantes non è autorizzato a visionare e tantomeno cancellare le nostre fotografie. Può però invitarci ad uscire dalla struttura e chiamare le forze dell’ordine che procederanno all’identificazione. Qual è il principio? Il principio ispiratore è che a rigore di legge si è innocenti e sulla fotocamera potrebbero esserci immagini legate alla nostra sfera personale che nessuno può essere autorizzato per legge a vedere, nessuno se non dopo l’autorizzazione di un giudice, può accedere a quelle immagini. È possibile fotografare aziende private? Come già detto dall’interno della struttura sicuramente no senza autorizzazione, ma dall’esterno sicuramente si. Fanno eccezione quelle strutture pubbliche o private che, per vari motivi, rientrano tra gli obiettivi sensibili ad azioni terroristiche: le strutture Telecom, aziende di produzione e vendita di armi, le varie municipalizzate che gestiscono gli acquedotti, stazioni ferroviarie, dighe e centrali elettriche, insomma strutture chiave per trasporti, telecomunicazioni e servizi essenziali, pubblici o privati che siano.
Quando si viaggia per non incorrere in situazioni molto spiacevoli (non solo legali) Nital.it ha preparato un’utilissima guida a questo link www.nital.it/experience/viaggio05.php Conviene sempre chiedere al soggetto fotografato di firmare una liberatoria. Si tratta di un accordo scritto che ci autorizza a pubblicare le immagini. Se cercate su google troverete un sacco ti modelli di liberatorie, vi consiglio quello della Tau Visual (associazione nazionale fotografi professionisti) che potete trovare al seguente link www.fotografi.org/bozze_per_contratti.htm
Fotografia di moda Entrando in un negozio di vestiti, noterete sicuramente quelle belle fotografie realizzate in studio, osservatele con attenzione, sono realizzate in modo tale da porre l'accento non sul modello/a ma sul capo di abbigliamento, borsa, gadget ecc… quelle foto sono fotografie di moda, un genere fotografico in cui il soggetto principale sono i capi di abbigliamento e i vari accessori che devono essere pubblicizzati (borse, sciarpe, guanti ecc…). Se siete interessati a questo genere fotografico riviste che non potete perdere sono Vogue, Harper's Bazaar, Allure, Vanity Fair, Elle e Marie Claire solo per fare alcuni nomi. Per crearsi un proprio stile in questo genere fotografico trovo molto utile un consiglio presente in un video della TAU VISUAL che potete vedere a questo link: http://marcocrupifoto.blogspot.com/2011/01/individuare-un-proprio-stile-in.html
Fotografia glamour
Se andate a tradurre in italiano il termine glamour otterrete come risultato la parola "fascino", quindi le foto di glamour non sono necessariamente dei nudi come molti erroneamente pensano, ma tutte le foto che riescono a trasmettere fascino e seduzione possono essere considerate "glamour". Oltre la classica definizione di questo genere fotografico vi lascio una riflessione di una fotografa di Glamour di nome Patrizia Savarese www.patriziasavarese.com
C'era una volta il Glamour Glamour (spesso abbreviato in Glam) è un termine inglese assimilabile all'italiano "fascino", in particolare con riferimento a eleganza, sensualità, seduzione. Nello specifico si può riferire a: "la fotografia glamour è un genere fotografico usato in pubblicità e in pornografia" Già… una stessa descrizione per due generi diversi. Un concetto che non ho approfondito all’inizio della mia carriera di fotografa, 30 anni fa. Facevo delle foto "Glamour", e basta. Eravamo appena usciti da ondate di femminismo e di rivoluzione sessuale… e la liberazione dai tabù era una parola d'ordine. Inconsapevolmente e quasi casualmente ho iniziato a fare foto di nudo.
Nei primi anni da fotografa quasi tutto ciò che facevo aveva il sapore della trasgressione, come essere l'unica donna fotografa sotto ai palchi dei concerti rock, o come essere una delle prime a occuparmi di nudo e di nudo maschile. Motivo per il quale mi intervistarono in tv, prima serata Rai 2, anni '80. Ecco, dopo di ciò ho davvero iniziato a capire che la maggior parte della gente non aveva affatto "assorbito" l’idea di liberazione sessuale come la intendevamo noi ragazzi degli anni '70… Ero stata travolta da lettere maliziose, telefonate anonime…. Il 7 del Corriere (rivista allegata al Corriere della Sera) pubblicò una mia foto scattata in tour con gli Spandau Ballet… una foto innocente, secondo me, scattata dal loro manager in una stanza di un albergo a Madrid, su un lettone barocco, (così tanto per ridere…) eppure, maliziarono che facessi le orge e le fantasie malate di alcuni partirono in tutte le direzioni. Segnali di mentalità repressa. Per anni, il fatto che mi occupassi di foto di nudo incuriosiva maliziosamente gli uomini e di conseguenza infastidiva me. Non mi piaceva esporre né me né le mie modelle a questo genere di malizia. Eppure, l’Espresso (giornale di sinistra!) mi chiamava per produrre foto che illustrassero temi di sessualità e dove, non si sa perché, servivano immagini di nudo, sia che si trattasse di pillola, di violenza alle donne, di aborto, di maternità, di Aids, di coppia, comunque occorreva il nudo, anche in copertina faceva vendere di più! Spesso mi sono rifiutata di fare certe foto o le ho fatte cercando di evitare volgarità e malizia, eppure, nonostante ciò, oggi provo un vago senso di colpa. Poi, negli anni, '90-2000, c’è stato un crescendo e le Tv di Berlusconi hanno sommerso l'Italia con il peggio del peggio. Tutti si sono presto adeguati. Vedi il documentario "il corpo delle donne": http://www.youtube.com/watch?v=EBcLjf4tD4E Dov'eravamo finite, noi donne scese in piazza negli anni '70 per la nostra emancipazione?? Io stessa, oggi, ammetto, quindi, di essere incappata, senza rendermene conto, nei meccanismi di questo "Glamour" dalla doppia faccia. Tutti i soggetti fotografati (attori, attrici, modelle/i) dovevano mostrarsi accattivanti, sexy ad ogni costo. Posso solo dire a mia discolpa, di non aver mai utilizzato la volgarità, di non aver mai utilizzato le modelle come manichini passivi o come donne oggetto, nonostante le richieste pressanti dei giornali. Il Glamour come lo intendevo io, come tutt'ora lo intendo, è erotismo raffinato e sensualità, non questo schifo che si vede ovunque. Il trasgressivo Helmut Newton era più elegante e meno "forte" di un’immagine che oggi pubblicizza qualche saponetta o detersivo per la casa, o di tante immagini "Fashion" dove le donne si alternano tra guerriere sadomaso e vittime violentate da gruppi di boys.
Immagini prive di cultura e di raffinatezza, dove l’unico obiettivo è quello di scioccare per vendere. La parola "trasgressione" oggi, mi fa vomitare, strausata, abusata, non ha nulla a che vedere con la trasgressione rivoluzionaria e sovvertitrice della morale borghese. E' solo decadenza, sintomo di una triste repressione sessuale. Ho smesso di fare workshop nei festival di fotografia perche mi si chiedeva di farli solo sul nudo, il resto non attirava iscritti… Siamo una Repubblica di piazzisti e di guardoni. Abbiamo trasceso, la strada verso la liberazione è diventata uno scivolo verso il degrado. Ci meravigliamo di Berlusconi? E' il sogno di gran parte degli italiani la sua vita privata, purtroppo, ed il fatto che lui sia stato Premier giustifica e assolve i peccati di tutti! Non poteva esserci cosa più grave di un cattivo esempio al potere. Il berlusconismo si è radicato su un terreno fertile e di questo dobbiamo essere davvero consapevoli. Ed io accuso ora, anche certi settimanali di sinistra degli anni '80 che per vendere, mi chiedevano di fotografare belle ragazze seminude per le loro copertine. Dovevamo capire allora che se gli italiani sbavavano sulle pagine dei settimanali politici, comprandoli di più se in copertina c’era il nudo… beh, la nostra cosiddetta rivoluzione sessuale, forse, era stata fraintesa. Di questo avremmo dovuto occuparci, e lungi da me dall’essere moralista, anzi, vorrei una maggiore libertà di pensiero. Appunto, che tristezza invece, oggi, non c’è emancipazione, c’è solo mercificazione, con deboli e vinti, comprati da padroni e sfruttatori. Per risalire da questo fango, per fare pulizia… dobbiamo essere rigorosi, coerenti. Opporre onestà, eleganza, educazione, e vera liberazione mentale contro lo scempio di ogni intelligenza che passa ogni giorno in Tv e sui giornali, ed anche in rete. Mi appello ai colleghi fotografi perché la smettano di utilizzare modelle e modelli come vittime sacrificali ed oggetti di piacere per vecchi bavosi. Le foto di nudo e il Glamour… sono altra cosa. Articolo scritto da Patrizia Savarese www.patriziasavarese.com
Fotografia naturalistica, etica e rispetto dell'ambiente La fotografia Naturalistica è senza dubbio uno dei generi fotografici più affascinanti, sia perché si è a stretto contatto con la Natura e sia perché, approfittando dei momenti in cui ricerchiamo un soggetto o durante la fase di scatto, ci congediamo seppur temporaneamente, dalla quotidianità frenetica a cui siamo sottoposti costantemente. Oggi il termine "Fotografia Naturalistica" appare sempre più confuso. Ricerchiamo emozionalità di una scena ma nello stesso tempo pretendiamo una perfezione tecnica che ne valorizzi entrambi gli aspetti. Purtroppo la vita selvaggia, che sia una farfalla nostrana o una scimmia urlatrice del Costa Rica, non sempre permette abbinare una perfezione tecnica all’emozionalità e nonostante sia possibile ripiegare con stratagemmi comuni, facilitando tali operazioni, è importante prima di metterli in atto conoscere le conseguenze che un nostro irrispettoso comportamento può provocare, danneggiando un ambiente o situazione naturale. In particolare nella macrofotografia, è diventato sempre più diffuso utilizzare accessori come i Plump, aste a snodi modulari flessibili con all’estremità piccole pinze dove bloccheremo all’interno di esse il posatoio con il relativo soggetto. Consentono di crearci piccoli set fotografici potendo lavorare in totale comodità. Tuttavia esiste un utilizzo sconsiderato ed eccessivo di questo accessorio (riscontrato anche nei miei precedenti workshop), la potatura di un fiore o il taglio di arbusti secchi e delle foglie di alberi ecc. Vi propongo l’esempio della foto a destra che ritrae la rarissima rana Hyalinobatrachium valerioi ripresa in totale libertà in Costa Rica. Questa piccola rana indifesa e dall’aspetto simpaticissimo depone le sue uova sotto le foglie degli alberi solo se sono attraversate da piccoli ruscelli d’acqua corrente, per noi caratteristiche insignificanti ma che a loro consente la sopravvivenza. Ma non è tutto! La continuazione delle generazioni future in quanto al completamento della schiusa delle uova i girini per caduta andranno a finire dentro l’acqua continuando la loro vita e trasformarsi successivamente in piccole e splendide rane di poco più di 2 cm. La fitta foresta tropicale filtra moltissimo la luce non consentendo quasi mai di avere aree sufficientemente illuminate per lo scatto. Una delle funzioni utili del Plump è appunto spostare il soggetto con relativo posatoio andando a ricercare situazioni più favorevoli per una più efficace illuminazione. Come descritto precedentemente un nostro gesto non calcolato può provocare un danno permanente. Supponiamo infatti di strappare la foglia dall’albero per posizionarla ricercando una situazione migliore e finito il lavoro volerla riporre con furbizia sul ramo. Tutto sommato questo gesto potrebbe "in un certo senso" farci sentire a posto con la coscienza, la foglia è riposta sul ramo sopra l’acqua e i girini quando saranno pronti potranno farsi un bel tuffo! Sappiate che la foglia non potendo più nutrirsi dal ramo da cui
era alimentata seccherà e le stesse uova cadranno nell’acqua ancor prima che sia pronta la loro schiusa. Da qui, l'importanza da parte dei fotografi professionisti che svolgono attività di workshop, di inglobare nei loro programmi oltre le varie tecniche di ripresa, la formazione e il rispetto dell’ambiente e la vita attorno ad essa. E’ infatti possibile ottenere ugualmente uno scatto interessante sia sotto il profilo artistico che didattico, se preventivamente ragionato e calcolato, evitando allo stesso momento sia di recare danni permanenti alla piccola rana sia evitare che il fattore umano non inquini uno scenario naturale. La foto che vedete a inizio articolo mostra un set fotografico pensato preventivamente, lo stesso set che ci ha permesso di realizzare la foto della rana. Anziché strappare la foglia abbiamo deciso per una differente soluzione: costruire attorno ad essa un set che ci permettesse una efficace stabilità del posatoio, annullando preventivamente il rischio del micro mosso e consentirci di ricorreggere con illuminatori a LED la luce in quelle aree critiche dove non avrebbe restituito contrasti e tridimensionalità sul soggetto. La fotografia naturalistica si basa su una vasta scelta di tecniche fotografiche, come la fotografia paesaggistica, la macrofotografia, la fotografia d'appostamento e le trappole fotografiche, sempre senza arrecare danni o disturbi ai soggetti ripresi, e all'ambiente circostante. Il fotografo naturalista, è colui che mette in pratica queste tecniche. Articolo scritto da Simone Tossani simonetossani.it e Michele Monari
Macrofotografia Con il termine macrofotografia si indica un'immagine il cui soggetto viene catturato sul sensore in scala 1:1 fino a 10 volte le sue dimensioni originali, significa che ad esempio 1cm del soggetto equivale a un 1cm del sensore, la macrofotografia è generalmente legata a fiori e insetti, ma qualsiasi soggetto può rivelarsi interessante e originale se visto da molto vicino, si definisce invece fotografia close-up un'immagine in cui il soggetto viene catturato sul sensore in dimensioni pari a 1/10 fino a 1/2 della grandezza naturale, spingendo invece il fattore di ingrandimento oltre al 10x si entra nel campo della microfotografia. Simone Tossani fotografo NPS (Nikon Professional Service) www.simonetossani.it ha scritto un bellissimo articolo sulla Macrofotografia Naturalistica. Fotografie e testo qui di seguito sono di esclusivo copyright di Simone Tossani.
Le farfalle, le api, le mantidi sono gli abitanti affascinanti e coloratissimi di un mondo che solo la fotografia può esplorare. Ma qual è l'obiettivo adatto alla macro? È meglio una focale lunga o una focale corta? L'autofocus è davvero necessario? E lo stabilizzatore d'immagine? Meglio il flash o la luce naturale? Ecco alcuni consigli utili per non restare intrappolati nella tela del ragno. Non ho avuto la fortuna di frequentare scuole di fotografia o corsi specializzati; ho avuto però il privilegio di avere come maestro un grande fotografo che avrebbe dato filo da torcere ai cosiddetti specialisti del settore facendo parlare molto di sé.
Il mio caro maestro, (mio Padre) ancora prima di insegnarmi a tenere una macchina fotografica in mano, mi ha trasmesso il senso di quel grande patrimonio da immortalare che è la Natura, insegnandomi anzitutto a rispettarla in tutte le sue forme, ad osservarla e a classificarla. È proprio grazie alla formazione ricevuta, che ho deciso d'intraprendere l’avventura della fotografia naturalistica (e della macro in particolare), di cui mi sono letteralmente innamorato. Purtroppo però una bella immagine non è fatta solo di emozioni e tecnica; Non sono molti gli elementi che concorrono ad ottenere un ottimo risultato. L'inquadratura, la messa a fuoco, l'esposizione, la profondità di campo non devono rimanere solo sterili nozioni ma vanno ricercate e sperimentate sul campo, dove non sempre troviamo le migliori condizioni di ripresa possibili. Così ho capito che dovevo rinnovare il modo di fotografare, pur rimanendo ferme le istruzioni basilari inizialmente ricevute. La fotografia digitale ha portato delle comodità in più rispetto alla pellicola, che si apprezzano maggiormente in fase di ripresa. Il solo fatto di poter controllare la messa a fuoco e l'esposizione non è cosa di poco conto, soprattutto nella macro che esige la massima nitidezza e leggibilità dei dettagli. Senza pensare poi al risparmio e al contenimento degli sprechi: non è infrequente dover scartare tutti e trentasei gli scatti di un rullino perché il risultato non era proprio quello che immaginavamo. QUALE OBIETTIVO? È la prima domanda che ci poniamo quando decidiamo di scattare una fotografia macro. E la considerazione da fare per la scelta di un obiettivo riguarda le possibilità del nostro portafoglio: i prezzi del mercato italiano oscillano fra i 300 e i 1.900 euro circa a seconda della marca e della lunghezza focale. Per iniziare è sufficiente orientarsi su un prodotto di fascia medio-bassa, puntando perché no anche sul mercato dell’usato, che offre occasioni sempre più ghiotte. Del resto, l’indirizzo verso una categoria economica non si rivela sempre la peggior soluzione in considerazione del fatto che per coloro che si avvicinano per la prima volta a questa tecnica è difficile trovare un macro che non sia all’altezza della situazione. Le ottiche specificamente progettate per lavorare ad elevati rapporti d’ingrandimento non sono mai dei fondi di bottiglia e qualche volta possiamo imbatterci in gradite sorprese. Oltre al fattore costo, un’altra considerazione da fare prima dell’acquisto è il risultato che vogliamo ottenere dai nostri scatti. Effettuare una ripresa con un obiettivo macro con focale da 60mm, dà come risultato una scena diversa da una ripresa eseguita
con un 200mm; nonostante questa differenza è possibile ottenere risultati molto simili con l’impiego di appositi accessori come i tubi di prolunga: più avanti vedremo come ciò sia possibile e a quali difficoltà si andrà incontro. Nella scelta di un obiettivo macro non conta molto la sua luminosità, ossia la capacità massima di apertura, in quanto difficilmente si espone con il diaframma tutto aperto, se mai avere un’ottica più luminosa facilita l'operazione di messa a fuoco restituendoci un’immagine più chiara nel mirino, anche se a rapporti di riproduzione prossimi ad 1:1 si perderà circa uno stop. In commercio spesso troviamo obiettivi zoom con la dicitura Macro. Non mettendo in discussione le qualità di questi obiettivi, ci sentiamo di dire: ad ognuno il suo lavoro, questi infatti non sono dei veri e propri macro; permettono di arrivare ad una distanza di lavoro inferiore al loro abituale utilizzo tanto da generare ingrandimenti con rapporti di riproduzione nell'ordine di 1:2, ma non per questo possiamo paragonarli ad un'ottica progettata per tale scopo. È meglio che tutti i potenziali macrofotografi non prendano in considerazione un'ottica tutto fare, in modo da evitare investimenti che potrebbero rivelarsi non appropriati. Usiamo il Live View
Quasi tutte le reflex digitali dispongono del cosiddetto LiveView, che offre la possibilità di effettuare l'inquadratura attraverso il monitor LCD posteriore della macchina. Questa funzione, adottata da sempre nelle compatte, è stata introdotta per la prima volta nelle reflex digitali Olympus ed è diventata uno standard per diversi costruttori. Molti lo credono una trovata commerciale e, nella maggior parte dei casi è proprio così: vi figurate il fotografo sportivo alle prese con la lentezza di messa a fuoco in modalità LiveView? Ma nella macro, dove la rapidità è relativa, il tanto incompreso LiveView ci consente di focheggiare in manuale con un’estrema precisione, impossibile da avere sino ad oggi: la messa a fuoco, infatti, viene effettuata direttamente sul piano del sensore risultando cristallina.
Inoltre, ci mette al riparo da colpi della strega e dolori reumatici facendoci evitare di assumere scomode posizioni in fase di ripresa e facendoci risparmiare preziosi euro nell'acquisto di specifici accessori per l'accomodamento dell’occhio come i mirini angolari o simili. C'è da dire che non esistono reflex digitali con il pentaprisma intercambiabile come le gloriose Canon F1, Pentax LX o Nikon F3 che avevano a disposizione una serie di mirini intercambiabili a seconda del tipo di ripresa. Il LiveView li sostituisce diventando una specie di vetro smerigliato digitale senza gli svantaggi dell’inquadratura dritta con i lati invertiti come avviene in quelli a pozzetto. Inoltre possiamo ingrandire il soggetto inquadrato con fattori fino a 40x, scegliendo un punto ben preciso della nostra scena ed osservando così con estrema precisione la messa a fuoco e la profondità di campo a seconda del diaframma impostato. AUTOFOCUS? NO GRAZIE! Scordiamoci tutti i moduli autofocus sofisticati e multipoint coadiuvati da motori ultrasonici incorporati negli obiettivi perché non si prestano alla precisione richiesta dalla macrofotografia. La messa a fuoco manuale è la scelta migliore quando ci troviamo in presenza di un soggetto statico; diversamente per soggetti in continuo movimento sarà necessario essere equipaggiati con un buon autofocus, senza la pretesa però della stessa accuratezza assicurata solo dalla messa a fuoco manuale. Stessa cosa vale per gli obiettivi stabilizzati: la loro utilità darà maggiori soddisfazioni in altre applicazioni. Attenzione invece alla minima distanza di messa a fuoco di cui è capace l’obiettivo, laddove per distanza si intende quella intercorsa tra soggetto e piano pellicola o sensore. Consideriamo che a parità di rapporto di riproduzione, più la focale è corta minore sarà questa distanza, viceversa la stessa aumenterà con una focale più lunga, aumentando di conseguenza la probabilità di catturare il momento decisivo. Una maggiore distanza di lavoro consente di non avere il soggetto incollato alla lente frontale dell’obiettivo facendolo spaventare, evitando il rischio di rimanere con un posatoio vuoto! Il mio corredo macro utilizzato per tutti gli scatti che vedete in queste pagine è composto da quattro diverse focali: il Micro Nikkor AF-D 60mm f/2,8, il Micro Nikkor AFS 105mm f/2,8 VR, il Sigma 150mm f/2,8 EX DG HSM Macro e il Micro Nikkor AFD 200mm f/4. Benché siano tutte ottiche autofocus per sfruttare al massimo la compatibilità con le digireflex di ultima generazione, eseguo la messa a fuoco sempre in manuale. Tra queste focali le mie preferite sono il 60mm e il 200mm che reputo personalmente le fuoriclasse nel campo delle ottiche macro per la loro eccellente nitidezza e per l’ottimo micro contrasto che aiuta a restituire i particolari minuti degli insetti. Considerato il costo di circa tre volte inferiore rispetto al Micro Nikkor 200mm f/4, il 150mm f/3,5 Sigma è un’ottica eccellente in termini di nitidezza, che non ha nulla da invidiare agli originali ma restituisce immagini con una gradazione nettamente più fredda, obbligando una post produzione più accurata per ritrovare una resa cromatica fedele e brillante.
YOU TUBE... L'utilizzo di una focale tele ha i suoi indubbi vantaggi ma ci costringe a dar fondo al nostro portafoglio: consideriamo che un Micro Nikkor 200mm f/4 costa nuovo intorno ai 1.800-1.900 euro, cifre ben lontane dalle nostre possibilità. Ma non disperiamo: possiamo ottenere risultati molto soddisfacenti abbinando ad un 50-60mm appositi tubi di prolunga anteponendoli tra la reflex e l'obiettivo in modo da aumentare il tiraggio. Il che significa allontanare la lente posteriore dal piano pellicola/sensore aumentando il rapporto di riproduzione e ottenendo lo sfocato nei secondi piani come se utilizzassimo una focale lunga. Per capire meglio l'effetto dell’aumento del tiraggio di un obiettivo è sufficiente eseguire una prova pratica. Prendiamo un foglio di carta formato A4 (circa 20x30cm) e una torcia per illuminazione. Il foglio sarà il nostro sensore, la torcia il nostro obiettivo e il fascio di luce la proiezione dell’immagine catturata. Accendiamo la torcia e posizioniamola con la luce rivolta verso il foglio a circa 10cm, noterete che la proiezione della luce forma un cerchio di X diametro, adesso allontaniamo gradualmente la torcia di altri 5cm circa dal foglio. Osserviamo che, aumentando la distanza tra la torcia e il foglio di carta, le dimensioni del cerchio formato dalla luce proiettata aumentano al variare della distanza. Quindi potremmo constatare che, aumentando la distanza tra ottica e sensore, aumenta di conseguenza il rapporto di riproduzione. I tubi di prolunga sono reperibili in commercio dagli originali di alcuni tra i più noti costruttori di reflex ai vari costruttori di accessori fotografici universali. Tra questi la scelta è caduta sui Kenko per la possibilità di mantenere tutti gli automatismi della macchina. I tubi non sono la panacea di tutti i mali, ma hanno i loro pro e i loro contro. A favore dei tubi va detto che riducono la minima distanza di messa a fuoco dell'obiettivo in relazione al tiraggio, non degradano la qualità dell'immagine e mantengono tutti gli automatismi di esposizione e messa a fuoco. Di contro si perde la messa a fuoco all’infinito, la luminosità nel mirino diminuisce e la profondità di campo si riduce in maniera drastica. LA PROFONDITA' DI CAMPO La minore profondità di campo in seguito all’adozione dei tubi di prolunga si rivela un'arma a doppio taglio: se da una parte aumenta lo sfocato, eliminando elementi di disturbo nei secondi piani e conferendo allo sfondo un aspetto indistinto in modo da far risaltare il soggetto, dall'altra ci obbliga ad una precisione millimetrica nella messa a fuoco per valorizzarne tutti i dettagli. Ecco perché la messa a fuoco manuale è così importante. Inoltre ci obbligherà ad utilizzare diaframmi chiusi. Ma attenzione, non esageriamo! C'è un limite oltre il quale ogni obiettivo è soggetto al fenomeno della diffrazione, che si manifesta
in una perdita di nitidezza e in un ammorbidimento generale dell’immagine, nemici giurati della macrofotografia. È bene precisare che la profondità di campo aumenta ai valori f/ stop grandi (ad esempio f/1116, ecc.) e diminuisce impostando valori f/ stop piccoli (ad esempio f/2,8-4 ecc.). Se provassimo ad eseguire una ripresa con un diaframma molto chiuso (f/22), avremo una profondità di campo molto estesa che ci farebbe supporre una maggiore nitidezza di tutti gli elementi che compongono il soggetto. In realtà non è proprio così, in quanto si verifica il fenomeno della diffrazione. Purtroppo quando chiudiamo il diaframma a valori compresi tra f/16 e f/32 il potere risolvente dell’obiettivo diminuisce. Questo fenomeno sarà visibile solo riguardando le fotografie al computer o tramite il monitor della nostra reflex, quindi attenzione perché nel mirino reflex non si percepisce nessun decadimento di qualità. Non allarmatevi però. Se è vero che la diffrazione è un fenomeno ottico inevitabile è anche vero che un obiettivo macro degno di questo nome nasce progettato per dare il massimo a diaframmi chiusi, al contrario degli obiettivi tuttofare che registrano un vistoso calo di qualità ai diaframmi più chiusi. La luce giusta Per quanto sembri banale, la luce è l'elemento essenziale di ogni fotografia qualunque sia il genere di ripresa nel quale ci stiamo cimentando. Non esiste obiettivo blasonato o super stratosferica reflex ammiraglia al mondo che possa salvare uno scatto catturato con la luce sbagliata. La mia esperienza mi ha portato nel corso degli anni a sperimentare tecniche d’illuminazione basate sull’utilizzo di più flash. Ma le soddisfazioni più grandi le ho sempre ottenute con la luce naturale, per lo più radente, la migliore per esaltare le forme e i colori meravigliosi dei minuscoli abitanti dei boschi e dei prati. Non usare il flash però significa alzare la sensibilità Iso. Se con la pellicola è impensabile scattare una fotografia macro a 800-1600 Iso perché i risultati sono scadenti, con le reflex digitali di ultima generazione possiamo prenderci la rivincita sulla grana a pallettoni e sui dettagli spappolati. Ho la fortuna di utilizzare una Nikon D3 ma esistono in commercio digireflex di fascia media che possono vantare un contenimento del disturbo tale da rivaleggiare con questa super ammiraglia. Teniamo conto inoltre che la stampa delle fotografie perdona molti dei difetti che vediamo sul monitor del PC, cosicché possiamo dormire sonni tranquilli. Anche se reputo soggettiva la scelta della modalità di scatto opero costantemente in priorità di diaframmi, ma nei casi più difficili o quando desidero ottenere particolari effetti passo a quella completamente manuale. L'automatismo a priorità di diaframmi consente d'impostare l'apertura desiderata lasciando che la macchina calcoli automaticamente il tempo migliore in base alla luce a disposizione. Non esiste un diaframma particolare che può diventare lo standard da utilizzare costantemente, esiste però un valore di diaframma
in cui l'obiettivo solitamente dà il meglio di sé indipendentemente dalla situazione in cui ci troviamo.
Questo valore oscilla tra un diaframma pari a f/8 e uno pari a f/16. A diaframmi più chiusi andremo incontro a problemi legati alla diffrazione, anche se aumenteremo la profondità di campo. La scelta di lavorare in luce ambiente impone una regola: sveglia la mattina presto in modo da essere sul posto a fotografare prima del sorgere del sole. Un consiglio: portiamo sempre con noi una piccola torcia che durante l’attesa del sorgere del sole tornerà utile per scovare soggetti tra la vegetazione. Teniamo presente che la mattina presto, in seguito all’abbassamento della temperatura avvenuto durante la notte, potremmo approfittare della completa immobilità degli insetti dovuta al rallentamento del loro metabolismo. Man mano che l'aria si scalda avremo sempre più difficoltà ad avvicinarli.
IL TREPPIEDI
Il mosso e il micro mosso sono i nemici numero uno della nitidezza e in macro la nitidezza è tutto. Quindi rassegniamoci: dobbiamo acquistare un treppiedi. Portarsi dietro costantemente un peso, doverlo posizionare ogni qual volta si dovrà scattare una fotografia non è cosa facile da tollerare ma l’esperienza ci insegnerà che il treppiedi è l’unico amico che ci permette di eseguire quelle riprese che a mano libera sarebbe impossibile effettuare. Se state pensando a qualcosa di leggero come i treppiedi in carbonio state sbagliando. A parte il costo molto elevato, in macrofotografia non si rivelano utili perché poco stabili e soggetti a vibrazioni. La funzione del treppiedi è quella di costituire un supporto solido per evitare che si verifichino fenomeni di micro mosso e solo il suo peso può ovviare a questo inconveniente. Insomma, più il treppiedi è pesante, meglio assolve alla sua funzione. Con una compatta digitale basta un treppiedi leggero e versatile come il Manfrotto 055 Pro. Ma con la reflex è meglio non scendere a compromessi. Tutto dipende dal peso dell’attrezzatura ma se vogliamo fare un buon investimento scegliamone uno che pesi intorno ai 4-5 chilogrammi: il treppiedi non è soggetto alle mode e ci farà compagnia per molti anni a venire. Oltre ad un buon treppiedi è necessario disporre di una testa che garantisca la necessaria stabilità del sistema fotocamera/obiettivo. Meglio evitare le teste sfera perché se è vero che sono rapide nell’eseguire una ripresa, non facilitano il controllo accurato dell’inquadratura essendo libere nel movimento in ogni direzione. Una tra le tante soluzioni, anche se non la più efficace, è costituita dalle teste a 3 movimenti, anche se hanno il difetto di spostare l’inquadratura nel senso di rotazione della
manopola mentre effettuiamo il serraggio dell’asse di movimento. Certo, si può sempre ritagliare la fotografia con Photoshop, ma se vogliamo avere il controllo assoluto dell’inquadratura l’alternativa più valida è rappresentata dalle costose teste a cremagliera tipo la Manfrotto 410. Quest’ultima consente tramite rotazione di appositi pomelli di eseguire riprese accurate senza dover intervenire nel serraggio dell’asse di movimento. Inoltre consente il movimento in 3 direzioni con spostamenti micrometrici tanto da rendere più facile la ricerca di un efficacie parallelismo con il soggetto. Se vi piace esagerare come me, possiamo aggiungere una slitta micrometrica tipo la Manfrotto 454, che assicura il movimento micrometrico trasversale al campo visivo consentendoci di effettuare la messa a fuoco tramite lo spostamento di tutto il gruppo ottico. Peso, ingombro e costo sono elevati ma proporzionati ai livelli di nitidezza ottenuti.
Come scegliere un obiettivo Macro Scegliere un obiettivo è quasi sempre una sorta di tabù specie per chi non ha riferimenti all'atto pratico. Scegliere una focale corta o una lunga? C'è da dire che in entrambi i casi oltre all'aspetto tecnico e pratico anche l'aspetto finanziario influisce nella scelta. Per esempio rimanendo in casa Nikon la differenza tra un 60 e un 105 "con un prezzo di partenza del 60 che si aggira sui 500 euro" è di circa 300 euro mentre tra un 60 e un 200 micro è di quasi 1.000 euro e si capisce che l'investimento comincia ad essere elevato e quindi da prendere in esame per evitare una spesa inutile. Ma quali sono le differenze tra le tre focali? Principalmente nessuna, entrambi le ottiche consentono rapporti di riproduzione di 1:1 e identica è l'estensione della Profondità di campo. Ciò che cambia è la prospettiva (angolo di campo), e la minima distanza di messa a fuoco ma gli elementi che riprenderemo avranno pari estensioni delle aree di fuoco. Per farvi meglio comprendere questo concetto ho preso un calibro e posizionato a circa 45 gradi dal piano focale della macchina, questa posizione inclinata mi consente di simulare uno spessore ipotetico visibile sulla scala millimetrica dello strumento di misura. Vediamo gli esempi nella pagina seguente. Se notate alcune differenze di Rapporto di Riproduzione tra i tre obiettivi è perché entrambi alla minima distanza di lavoro in realtà riproducano da 1:1 a 1.09:1.
RIPRESA ALLA MINIMA DISTANZA CON FOCALE 60-105-200 a f/5.6
RIPRESA ALLA MINIMA DISTANZA CON FOCALE 60-105-200 a f/11
RIPRESA ALLA MINIMA DISTANZA CON FOCALE 60-105-200 a f/22
Le immagini riportate come esempio, mostrano come le tre le focali al medesimo valore di diaframma impostato e allo stesso rapporto di riproduzione, la Profondità di Campo ha pari estensione. Ma allora perché scegliere una focale lunga, più costosa e meno gestibile, se con un 60 otteniamo lo stesso risultato? La soluzione è tanto semplice quanto complessa. Cominciamo prima di tutto a comprendere quelle che sono le nostre esigenze fotografiche e con esigenze fotografiche intendo capire il tipo di ripresa che ci piace eseguire, soggetti contestualizzati, soggetti ripresi inglobando il loro habitat naturale o particolari a scopo artistico o a scopo didattico. Per la maggiore, la percentuale più alta delle nostre riprese quasi mai sono a rapporti di riproduzione che potremmo definire riprese macro (si intende per ripresa macro tutti quei rapporti di riproduzione pari o superiori da 1:2 a 10:1) ma bensì effettuiamo un Close Up ovvero, riproduciamo i nostri soggetti con un rapporto pari o inferiore a 1:2. Se per esempio inquadriamo una farfalla e vogliamo collocarla sul fotogramma effettuando una composizione armoniosa noteremo che in realtà la nostra distanza di ripresa e il valore visualizzato sull'elicoide di messa a fuoco, qualsiasi sia la focale utilizzata, è ben lontana da quello che noi potremmo definire un vero rapporto Macro. Ciò che realmente influisce nella ripresa è l'angolo di campo ovvero la sua prospettiva che darà uno sfondo più o meno sfuocato. Nelle quattro pagine seguenti la farfalla è stata ripresa allo stesso rapporto di riproduzione ma quello che cambierà è la distanza di lavoro, più vicino per il 60 mentre maggiore sarà la distanza utilizzata con il 200. La maggior distanza di ripresa per un fuoco lungo, se da una parte consente usufruire questa particolarità d'esercizio per estendere la profondità di campo è vero che ci obbliga a una chiusura più importante del diaframma perché l'angolo prospettico o angolo di campo non avrà sufficiente angolazione per utilizzare gli stessi parametri di un fuoco corto. Se da una parte, utilizzare un fuoco lungo macro implica l'ausilio di un buon cavalletto e una solida testa, dalla sua un fuoco corto ha la particolarità di poter riprendere i soggetti relativamente piccoli a mano libera sfruttando la sua prospettiva includendo nel fotogramma particolari interessanti ai fini di un documento che a noi interessa archiviare per degli studi sull'habitat del soggetto.
Articolo scritto da Simone Tossani simonetossani.it
Fotografia paesaggistica La fotografia paesaggistica è un genere fotografico che ritrae porzioni di mondo, non importa se gli spazi immortalati sono naturali o urbani. E' il genere fotografico probabilmente più praticato da professionisti e dilettanti, inutile parlare oltre di questo genere, trovo più interessante ed istruttivo farvi conoscere i suoi principali esponenti. Uno dei pionieri della fotografia paesaggistica e che non potete non conoscere è Ansel Adams, vi consiglio di farvi una ricerca su questo fotografo, qui in basso vi posto una delle sue foto più famose.
Foto di Ansel Adams The Tetons and the Snake River (1942) Grand Teton National Park, Wyoming en.wikipedia.org/wiki/File:Adams_The_Tetons_and_the_Snake_River.jpg
Oltre ad Ansel Adams sono da nominare Galen Rowell e Edward Weston. In Italia per fare alcuni nomi vi sono tre grandi fotografi paesaggisti degni di nota: • •
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Gabriele Basilico: marcocrupifoto.blogspot.com/2011/05/gabriele-basilico-i-grandi-fotografi.html Augusto De Luca: a questo link marcocrupifoto.blogspot.com/2011/04/il-colore-e-lafotografia-istantanea.html un articolo sulla fotografia istantanea in cui appare pure il fotografo Augusto De Luca Olivo Barbieri
Stenoscopia
Pinhole camera realizzata da Viacheslav Slavinsky Flickr.com/photos/svofski/
La stenoscopia è una tecnica fotografica che sfrutta il procedimento della camera oscura per riprodurre immagini. Tutto si basa sul foro stenopeico, (dal greco "stenos opaios"= stretto foro), il più delle volte praticato con uno spillo, da cui deriva il termine inglese di "pinhole" per definire questo tipo di fotografia. Con questo procedimento si realizzano immagini poco nitide, perché i raggi luminosi provenienti dal soggetto inquadrato creano dei piccoli cerchi. Diminuendo il raggio del foro si aumenta la nitidezza, aumentando anche il tempo di esposizione e la probabilità di avere problemi di diffrazione. L'elemento di particolare interesse in questo tipo di fotografia è quello di avere la nitidezza estesa a tutti gli oggetti inquadrati, con una conseguente profondità di campo illimitata. Questo è un tipo di fotografia lenta, con tempi di esposizione lunghi, che possono variare dai secondi alle ore, a seconda del soggetto che si vuole riprendere.
Foto di Matt Callow con pinhole camera Flickr.com/photos/blackcustard/
Si crea dunque un' immagine attesa, voluta e cercata, che contiene elementi impalpabili a causa/grazie a questa nitidezza mancante. Articolo scritto da Claudia Prontera Risorse utili: - A questo link stenopeika.blogspot.com un blog dedicato alla fotografia Stenopeica Nel link sotto potete vedere 2 video su come realizzare e costruire fotocamere artigianali "pinhole", video tutorial a cura di Gino Mazzanobile. Link: marcocrupifoto.blogspot.com/2011/01/stenoscopia-catturare-immagini.html
Lomografia La lomografia è un fenomeno fotografico che si è sviluppato dagli inizi degli anni '90, quando due studenti austriaci hanno trovato alcune compatte 35mm in un mercatino. Queste compatte provenivano dall'ex URSS e avevano la marca LOMO, acronimo di Leningradskoe Optiko-Mechaničeskoe Ob edinenie, luogo in cui sono state prodotte. La particolarità di questi apparecchi fotografici è quella di avere un obiettivo con una focale di 32mm, paragonabile ad un grandangolare medio, e una relativa luminosità f/2,8. La lente piccola, inoltre, conferisce alla foto una singolare vignettatura di sottoesposizione e immagini estremamente sature. Le immagini che si riescono a realizzare con una lomo risultano cariche di vitalità, con colori saturi e brillanti. Tutto ciò può essere accentuato utilizzando pellicole Foto di Cameron Russel Flickr.com/photos/camkage/ scadute. Guardando una lomografia si ha l'impressione quasi di entrare ed essere partecipi della foto stessa, proprio grazie alla vignettatura, e ogni cosa, anche l'oggetto più banale, rivela dettagli a cui prima non si dava importanza. Ciò che affascina di più di questo tipo di macchine fotografiche è l'imprevedibilità dello scatto, quello che immortali non viene reso con i colori con cui lo vedi, durante lo sviluppo ti rendi conto delle sorprese che una Lomo ti può fare. Per questo la lomografia si basa su due punti chiave, quali il non pensare minimamente alle regole compositive tradizionali e usare l'istinto per cogliere il momento. "Non pensare, scatta!" è il motto utilizzato dai lomografi e che è possibile trovare anche nel sito ufficiale www.lomography.it Qui sono presenti anche le "10 regole Foto di Kevin Dooley d'oro della lomografia", che consigliano di Flickr.com/photos/pagedooley/3018487307/ scattare foto ovunque e in ogni condizione, scattando senza guardare nel mirino per cogliere la natura così nel suo essere, con un effetto un po' Lomo.
Articolo scritto da Claudia Prontera
Fotografia Sportiva La fotografia sportiva non ha bisogno di presentazioni, chi non ha mai visto le schiere di fotografi appostati a bordo campo durante una partita di calcio? Io personalmente non seguo il calcio preferisco fotografare (e praticare) sport come la boxe e il karate, per questa tipologia di sport l’equipaggiamento adatto consiste in un obiettivo con lunghezza focale non superiore a 35mm, perché le foto migliori si fanno stando vicino ai combattenti. Durante gli sparring o gli allenamenti in palestra cerco di mettermi in modo tale da non disturbare gli atleti durante la loro attività, cercando allo stesso tempo la giusta distanza, cosa non molto facile. Per realizzare le seguenti fotografie ho utilizzato un 35mm f1.8 ma l’utilizzo di un grandangolo più spinto non mi sarebbe dispiaciuto.
Ora illustrerò l’equipaggiamento necessario per fotografare sport come il calcio o il basket in cui non è possibile stare vicino agli atleti. ATTREZZATURA NECESSARIA: •
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Obiettivo: minimo si deve avere uno zoom 70-200mm abbastanza luminoso, un’apertura massima di f2.8 è accettabile, in questo modo è possibile usare tempi di scatto veloci senza dover alzare gli ISO. Come è logico il teleobiettivo è d’obbligo, e quelli luminosi non sono economici, arrivano a costare nell’ordine delle migliaia di euro, se siete fotografi professionisti la soluzione migliore è il noleggio. Fotocamera: la fotocamera come caratteristica fondamentale deve avere un elevato numero di scatti al secondo, più veloce è la fotocamera meglio è. La macchina fotografica va imposta sulla modalità di scatto continua per non perdere nemmeno un fotogramma dell’azione. Monopiede: non serve solo per la stabilità, un teleobiettivo è molto pesante e ci si stanca facilmente senza un supporto su cui appoggiarsi.
Fotografo sportivo con Monopiede - Foto di DeusXFlorida Flickr.com/photos/8363028@N08/
Fotografia Still-Life
Fotografia di Dino Torraco torracodino.it
Lo Still Life è un genere fotografico che richiede molta creatività e l'abilità di saper controllare ogni dettaglio della scena. Al contrario di scattare istantanee spontaneamente, apre molte opportunità e permette al fotografo di avere il pieno controllo sul risultato della foto. Poiché la maggior parte degli scatti still life vengo realizzati in uno studio professionale, sia la composizione e l'illuminazione possono essere modificati in qualsiasi momento. Le opportunità sono infinite costruendo le scene con diversi oggetti messi insieme, un dettaglio di un a stanza, o solo un elemento con un background interessante, la chiave di tutto è la scena che deve unire in modo armonioso e coinvolgente i vari elementi per dare un effetto sullo spettatore. Quali sono le basi dello Still Life? Composizione: La prima cosa da considerare quando si scattano foto Still Life è l'oggetto (o gli oggetti) che avete intenzione di fotografare. L'idea è di lasciare che la fotografia racconti la sua storia. L'immagine deve comunicare con lo spettatore ad un livello molto sottile e sensoriale. Pertanto gli elementi che vengono utilizzati nella foto devono essere disposti in un certo modo, spesso gli oggetti vengono organizzati e riorganizzati più volte cercando di ottenere la giusta composizione.
Background: La seconda cosa da considerare è lo sfondo su cui gli oggetti compaiono. Lo sfondo deve offrire alla foto il giusto contrasto con tutto il resto della composizione, provate sfondi diversi per creare diversi effetti di luce. Generalmente si va dai normali pannelli di "bianco puro" a quelli di velluto nero per far assorbire la luce in modo che non vengano fuori riflessi luminosi nella foto. Consigli per iniziare a fare foto Still Life: • Per la composizione della vostra fotografia, provate a posizionare un oggetto alla volta e a fotografare man mano spostando continuamente di posizione gli oggetti. • Per quanto riguarda gli sfondi, si possono anche sperimentare la manipolazione delle immagini con software di editing per vedere il modo in cui lo sfondo appare sulla scena. • Per quanto riguarda l'illuminazione, si può provare a sperimentare con diversi colori e tipi di luce artificiale per migliorare la tonalità di luce ed ombra nella fotografia. • Un altro suggerimento per migliorare la vostra abilità fotografiche con lo Still Life è quello di raccogliere e studiare le opere di famosi fotografi osservando le loro composizioni e i loro stili. L'Illuminazione è forse l'aspetto più importante. A differenza di quanto si possa immaginare molti fotografi Still Life preferiscono usare la luce naturale perché dà un'illuminazione speciale che dona un particolare effetto alla composizione. Per questo motivo si pone la composizione vicino ad una finestra, associando spesso un foglio di carta bianco sul lato opposto alla fonte di luce per rifletterne un po' nelle parti in ombra.
Foto di Robin Flickr.com/photos/fotoosvanrobi n/
Le luci sono un fattore fondamentale nella fotografia Still Life, per un uso amatoriale solitamente si usano i flash per il minor consumo di energia, mentre ad uso professionale si usano le luci continue.
Il tavolo da still life che vedete a pag. 233 è uno strumento essenziale, sotto di esso va collocato un flash che serve a non far generare ombre, in modo da poter scontornare facilmente il soggetto in post produzione. Si devono utilizzare delle luci che tolgano le ombre illuminando il soggetto in maniera uniforme ma senza "appiattirlo", cosa che succede se tutte le luci colpiscono il soggetto con la stessa potenza, per evitare ciò, basta usare una luce principale più forte e le secondarie regolate a minor potenza per avere una maggiore tridimensionalità del soggetto. Un approfondimento sull'illuminazione in studio la trovate a pag. 234. Articolo scritto da Dino Torraco www.torracodino.it
Fotografia Astronomica
Foto di Francis Anderson - Flickr.com/photos/39548131@N06/
La fotografia astronomica è quel genere fotografico che consiste nella ripresa dei corpi celesti ed è forse il tipo di fotografia più difficile a livello tecnico. I corpi celesti ovviamente non esiste modo di illuminarli, inoltre è difficile farli apparire fermi per effetto della rotazione terrestre. Sole e luna, fortunatamente sono più facili da fotografare con le dovute accortezze e tecniche di ripresa. Iniziamo parlando dell'attrezzatura necessaria. Serve un buon telescopio, consiglio Newton o Cassegrain e che abbia almeno 200 mm di diametro e una lunghezza focale tra 1000 e i 2000 mm. Per fotografare la luna i tempi di otturazione sono rapidi, invece per i pianeti si deve avere un cavalletto estremamente stabile e un sistema di inseguimento del moto apparente delle stelle, dato che si può arrivare a usare tempi di esposizione lunghi. Foto di Steve Jurvetson Flickr.com/photos/jurvetson/
Il telescopio va montato su un cavalletto provvisto di montatura equatoriale che deve essere perfettamente allineata con l'asse di rotazione terrestre.
Come fotografare la Luna
Foto di Brian - Flickr.com/photos/makelessnoise/
Uno dei soggetti notturni per eccellenza è la luna, che purtroppo non è così facile da fotografare correttamente, perché si muove, infatti scattando con tempi lunghi registrate anche il suo movimento, se volete ottenere un paesaggio notturno dove la luna risulti ferma fate due scatti, il primo esponendo il panorama senza la luna, il secondo riprendendo la luna in primo piano, con un tempo adatto per esporla correttamente e evitare il mosso, di solito 1/30 di secondo circa, in fase di elaborazione inserite la luna ridimensionandola nella porzione di cielo del primo scatto. L'avrete vista lassù centinaia di volte.. mezza, 3/4, piena... quasi una magia.. stupenda! Riprendendo il discorso di prima, senza un telescopio fotografare la luna diventa molto difficile e si rischia di ottenere la solita foto banale del dischetto lunare in un cielo nero, questo perché l'immagine della Luna che si forma sul piano focale è in ragione di 1 mm ogni 100 mm di lunghezza focale, in parole povere un 100 mm dà una immagine di 1 mm di diametro, quindi con un 1000 mm la Luna appare come un disco da 10 mm di diametro. Per i pianeti occorre ingrandire notevolmente, serve un sistema di moltiplicazione della focale che si ottiene interponendo un opportuno oculare e adeguati tubi di prolunga, per
avere un'immagine decente dei pianeti le focali equivalenti devono essere dell'ordine dei 5000 - 20000 mm, in pratica sarebbe come utilizzare un moltiplicatore di focale 20x, cosa fattibile solo con telescopi di notevole stabilità e in condizioni meteo ottimali, con ottima trasparenza dell'atmosfera e assenza di turbolenza. Chi non può permettersi un telescopio ma vuole comunque provare a fotografare la luna, l'attrezzatura minima consiste in: - Una Reflex - Una obiettivo da minimo 300mm - Opzionalmente un tele-converter - Un treppiedi - Un telecomando con o senza fili Chiaramente le lenti sulle compatte non sono abbastanza "potenti" per poter avvicinare il nostro satellite ad almeno 1/8 (con il 300mm) sulla nostra foto, così da riempire gran parte dello scatto (Intendo la maggior parte delle compatte, alcune hanno una grande escursione focale a discapito della qualità perché aumentano i compromessi ottici, per avere risultati di buon livello come ho già detto è meglio usare una Reflex sia perché le lenti usate in queste macchine sono superiori qualitativamente sia perché hanno un sensore più grande ecc..). Chiaramente l'aspetto brutto della situazione con un obiettivo di elevata lunghezza focale come un 500mm è la stabilità; l'unica soluzione è un treppiedi molto robusto e un comando a distanza (potreste usare anche il timer interno dell'autoscatto della macchina). Bisogna cercare un posto tranquillo e lontano dall'inquinamento luminoso che può esserci in città, guardate il calendario e "sincronizzatevi" con la "luna che volete", poiché la luna si muove abbastanza velocemente controllate subito prima di scattare se è sempre la! Per quanto riguarda l'esposizione, la cosa è un po' complessa, perché fondamentalmente è una grossa palla luminosa bianca su uno sfondo nero, quindi, una soluzione ottimale potrebbe essere provare vari esperimenti col bracketing, così da avere un po' di materiale su cui lavorare in post-produzione, chiaramente andiamo almeno a f11. Vi consiglio anche di scattare in RAW, così sarete avvantaggiati sempre in post produzione, e magari fare qualche prova di cropping. Articolo scritto da Lorenzo Tedesco
Le tracce stellari
Foto di Darren Kirby - Flickr.com/photos/badcomputer/
In fotografia astronomica il tipo di ripresa più semplice da effettuare è quella che fa apparire le così dette "Tracce stellari". Si effettua una ripresa utilizzando tempi molto lunghi, così da mettere in evidenza il moto delle stelle. Le foto più suggestive si ottengono puntando l'obiettivo verso il Polo nord celeste, dove è possibile vedere la stella polare che rimane fissa (o quasi) al centro della foto e le altre stelle invece danno l'idea di ruotare intorno ad essa. Se invece si è in prossimità dell'equatore si otterranno tracce rettilinee. Ovviamente, più è lungo il tempo di posa e più lunghe appariranno le tracce. Se invece non si vuole mettere in evidenza il moto degli astri si può utilizzare un tempo di posa abbastanza breve. Solitamente si utilizza un 50mm come ottica base, ma sono molto usati zoom con una focale tra 28mm e 35mm. In base alla focale utilizzata cambia il tempo di esposizione massimo oltre cui si percepiscono i movimenti stellari. Il massimo tempo di esposizione è dato dalla formula T=550/f, dove T è il tempo di posa in secondi, ed f è la focale espressa in mm. Articolo scritto da Claudia Prontera
Tecnica del fuoco diretto con il telescopio Qui si rende necessaria una macchina reflex da cui si smonta l'obiettivo e si collega il telescopio tramite un anello adattatore chiamato anello T2. Quest'ultimo si inserisce su un accordo montato al posto dell'oculare. Il telescopio si utilizza così come un obiettivo a lunga focale, dunque è più semplice riprendere oggetti piccoli e deboli. Solitamente i telescopi, avendo una focale così lunga, hanno un rapporto focale raramente inferiore a f/6. Di conseguenza si avranno tempi di posa lunghi, che possono arrivare anche a 20 minuti. Un problema che potrebbe verificarsi è la mancata messa a fuoco utilizzando il normale vetrino della macchina fotografica, per cui sarà utile utilizzarne uno più chiaro o un ingranditore. Dunque, sistemata l'attrezzatura si hanno le seguenti condizioni: tempi di posa molto lunghi e focale lunga. E per l'inseguimento? Per evitare l'effetto mosso, o le tracce stellari, bisogna "inseguire" l'oggetto che abbiamo inquadrato per non far risentire la foto del movimento terrestre. A questo ci pensa un sistema di correzione consistente in un sistema ottico che permette di vedere una stella ad alto ingrandimento e una pulsantiera che permette di compensare il movimento su entrambi gli assi. Si rende necessaria dunque una Guida assistita, che si può effettuare in due modi: o si monta un telescopio sulla schiena del telescopio primario usato a fuoco diretto dalla fotocamera e si insegue la stella guida a mano o con l'aiuto della pulsantiera; oppure si effettua una guida fuori asse interponendo un prisma tra il corpo macchina e il telescopio che avrà il compito di deviare parte della luce perpendicolarmente all'asse del fuoco su un oculare secondario che consentirà di eseguire la guida. Questo tipo di fotografia dona un contrasto elevato, utile soprattutto nella fotografia planetaria, e offre nitidezza e luminosità nettamente superiori per gli oggetti del profondo cielo. Articolo scritto da Claudia Prontera
Fotografia Immersiva Articolo scritto da Marco Stucchi www.marcostucchi.com
Argomenti trattati: • • • • • • •
Introduzione Elenco articoli ed argomenti trattati L'immagine di partenza ...e di arrivo Gli otto scatti di partenza Le facce del cubo La creazione dell'immagine virtuale Conclusioni
Introduzione L'approccio che ho deciso di seguire nel corso di questi articoli è quello di accompagnare il lettore in tutte le fasi di creazione di una fotografia immersiva, dalla scelta della posizione del cavalletto, al salvataggio dei file, dalla giunzione delle immagini alla creazione di filmati in versione Adobe Flash o QuickTime. La fotografia immersiva richiede uno studio della composizione della scena, un attenta analisi del punto di scatto compreso il pavimento (tecnicamente punto di nadir), ed una fase di post-produzione impegnativa e certamente non trascurabile. Appresi i concetti base, sia pur nelle loro forme più elementari, sarete in grado di realizzare ottime panoramiche in grado di stupire chiunque.
Prima di cominciare il percorso di studio della fotografia immersiva, vi propongo una foto da me scattata. Questa immagine costituirà il nostro punto di partenza... e di arrivo durante tutte le analisi delle diverse fasi di lavoro. Qui mi limiterò a descrivere i passaggi fondamentali per la realizzazione di una foto immersiva, trattando i dettagli operativi nei capitoli seguenti. I link degli articoli saranno attivati appena disponibili. Negli articoli farò riferimento alla mia attrezzatura in mio possesso, ma i concetti descritti sono applicabili indipendentemente dall'attrezzatura usata.
L'immagine di partenza e di arrivo Prima di presentare le singole immagini che andranno a formare la panoramica, voglio mostrare il risultato finale di tutto questo lavoro. L'immagine sotto è una panoramica equirettangolare 360° x 180° ottenuta dalla fusione di otto immagini. Ora ripercorreremo tutti i passaggi che hanno permesso di raggiungere questo risultato.
Immagine panoramica equirettangolare 360° x 180° ottenuta attraverso lo stitching di 8 singole immagini
Gli otto scatti di partenza Il primo passo per realizzare un immagine immersiva è certamente il posizionamento del tripede prestando molta attenzione alle ombre che si producono dallo stesso sul terreno, mentre un secondo e non trascurabile aspetto da controllare è il posizionamento della macchina fotografica perfettamente in bolla. Trascurando queste operazioni preliminari la qualità di una fotografia immersiva può risultare irrimediabilmente compromessa. Ora siamo pronti per eseguire una serie di sei scatti sul piano orizzontale ogni 60° in modo da coprire tutti i 360° dell'orizzonte, al quale ne vanno aggiunti uno in alto (zenith) ed uno in basso (nadir). Con una serie di 8 scatti è possibile fotografe tutta la sfera che circonda il punto di ripresa, e siamo in grado di realizzare una fotografia immersiva. Ogni scatto presenta una parte sovrapponibile con lo scatto precedente e quello successivo. Questa parte dell'immagine servirà al programma di fusione (stitching software) per eseguire una corretta fusione delle immagini. Personalmente sulle sei foto scattate eseguo subito rimozione delle ombre del cavalletto, ed eventualmente di altri elementi indesiderati (oggetti ed eventualmente anche persone che sono elementi di disturbo). Per esperienza eseguo questa operazione di rimozione prima della giunzione delle immagini per avere delle immagini pulite prima di eseguire la fusione. È importante ricordare che in questa fase si deve operare sulle immagini singole solo sulla rimozione degli elementi indesiderati, ma non modificare la luminosità ed il contrasto di esse, anche se presentano delle imperfezioni. Per lo stitching delle immagini utilizzo PtGui, che considero uno dei migliori programmi per questo tipo di applicazioni. Il programma di stitching si occupa di fondere insieme alle 6 immagini orizzontali l'immagine scattata in alto (zenith), ma molto spesso dobbiamo manualmente trovare ed assegnare i punti di giunzione tra una o più foto orizzontali e la foto allo zenith, affinché lo stitching sia corretto e non presenti evidenti punti di giunzione. Ora lasciamo il lavoro di stitching al programma ed attendiamo che produca il risultato atteso, ricordandoci sempre di salvare l'output generato alla massima risoluzione. Per il punto verso il basso (nadir), lo stitching presenta maggiori difficoltà poiché inevitabilmente andiamo a scattare dove è posto il cavalletto sul quale abbiamo posizionato la macchina fotografica. Con un po' di esperienza e la conoscenza di qualche trucco è possibile ottenere una giunzione perfetta anche sul punto del nadir. L'output generato è un immagine equirettangolare con una striscia irregolare sul fondo dell'immagine. Quell'area nera costituisce l'area del punto del nadir che dobbiamo sostituire con l'immagine che abbiamo scattato. Ora sull'immagine equirettangolare è possibile operare tutte le operazioni necessarie per migliorarne la qualità: luminosità, saturazione, luci/ombre, contrato, ecc... Spesso quando utilizzo le curve a gli altri strumenti di Photoshop salvo i valori utilizzati in un file esterno
riutilizzabile. Il file salvato sarà molto utile durante la successiva fase di giunzione del punto del nadir, affinché anche ad esse vengano applicati gli stessi valori di correzione utilizzati per l'immagine equirettangolare.
Gli otto scatti realizzati con Nikon D300 e obiettivo Nikon 10.5mm fisheye su testa panoramica Manfrotto 303Plus
Le ultime due immagini a destra sono rispettivamente lo scatto allo zenith e lo scatto al nadir.
Le facce del cubo A questo punto si pone una domanda, come convertire un immagine equirettangolare in un cubo a sei facce? Pano2VR è un ottimo programma di conversione dei file in Flash e QuickTime sia per Mac che per Windows e che consente anche di trasformare un immagine equirettangolare in un cubo a sei facce. Elaboriamo la faccia del cubo che corrisponde al nadir, facilmente riconoscibile dal cerchio privo di immagine in esso contenuto. Photoshop c'è di aiuto per risolvere il problema. Ritagliando l'immagine originale scattata al punto nadir ed utilizzando gli strumenti di trasformazione ed altera immagine, timbro clone e tutto quello che Photoshop ci mette a disposizione per questo tipo di elaborazioni, riusciamo a fondere la faccia del cubo del nadir con l'immagine originale. Il livello di complessità di questa elaborazione è direttamente proporzionale alla complessità del pavimento che andiamo ad elaborare. Un area sabbiosa, liscia e senza asperità si può fondere con pochi click del mouse, viceversa la presenza di elementi molto dettagliati che non ammettono il minimo errore di giunzione, può impegnare parecchio tempo per realizzare una buona giunzione.
Le sei facce del cubo dopo l'elaborazione con Pano2VR. Stiamo giungendo alla fine del nostro lavoro. Tutte le facce del cubo sono pronte per la conversione in Flash o QuickTime per una navigazione virtuale del nostro lavoro, oppure possiamo convertire il cubo per una visione equirettangolare delle immagini raccolte. Qualsiasi sia la preferenza, le facce del cubo sono pronte per regalarci l'emozione di una ripresa a 360°!
La creazione dell'immagine virtuale Stiamo giungendo alla fine del nostro lavoro. Nel mio sito www.marcostucchi.com per la visualizzazione dei file multimediali ho utilizzato un player basato su Adobe Flash, poiché Adobe Flash è un plug-in cross-platform che garantisce una diffusione pressoché totale su tutti i computer utilizzati. Questo non esclude che sia possibile creare file multimediali interattivi basati anche su Apple QuickTime. Versione in Adobe Flash: marcostucchi.com/Panoramiche/VirtualTour/vt_26.html Versione QuickTime: marcostucchi.com/Panoramiche/VirtualTour/vt_qt_01.html
Conclusioni Abbiamo descritto in maniera sintetica il processo di creazione dell'immagine panoramica equirettangolare ed abbiamo generato i files multimediali per una esperienza interattiva veramente unica. Ora abbiamo le basi e le conoscenze necessarie per approfondire tutti gli argomenti esposti.
Fotografia immersiva - L'esecuzione degli scatti Introduzione Nel precedente articolo introduttivo abbiamo descritto la tecnica ed i software comunemente utilizzati per realizzare fotografie immersive. In questo capitolo analizzeremo con dettaglio le operazioni operazione di preparazione del tripiede e della testa fotografica, mentre nei successivi capitoli le operazioni di stichting e conversione dell'immagine equirettangolare in formato multimediale. Particolare attenzione in questo capitolo è dedicata all'impostazione della testa panoramica ed il ruolo centrale ed insostituibile che essa ricopre nel processo di creazione di un immagine panoramica. Essa dispone di un sistema - che costituisce il proprio tratto distintivo rispetto alle altre teste fotografiche - che consente di regolare la rotazione della reflex sul punto nodale dell'ottica utilizzata, ed evitare fastidiosi errori di parallasse. Durante l'esecuzione di questi scatti dovremo impostare la macchina in modalità manuale ed evitare gli automatismi.
Attrezzatura impiegata Per realizzare la fotografia immersiva non esiste una specifica attrezzatura fotografica, ma un insieme coordinato di strumenti fotografici per realizzare i propri scopi.
La mia personale attrezzatura - sulla base della quale ho sviluppato queste guide - si compone dei seguenti elementi: • Reflex Nikon D300 • Obiettivo Nikon 10,5mm fisheye • Cavo per scatto remoto • Tripiede Manfrotto 055Pro • Testa panoramica Manfrotto 303Plus • Piastra livellante Manfrotto 338 • Bolla a slitta Manfrotto 337
La macchina fotografica La prima scelta ragionevolmente passa dall'utilizzo di una reflex di fascia alta che permetta di ottenere immagini qualitativamente elevate e con un contenimento del rumore digitale molto buono.
L'ottica L'utilizzo di una lente fisheye con una copertura di 180° sulla diagonale permette di ottenere indubbi vantaggi in termini flessibilità durante l'esecuzione degli scatti. Con questa scelta, per l'esecuzione di una fotografia immersiva sono necessari 6 scatti sul piano dell'orizzonte, uno scatto al punto di zenith ed uno scatto al punto di nadir, per un totale di 8 scatto complessivi.
Tripiede Indipendentemente, dalla scelta della reflex e dell'ottica, un ruolo fondamentale è assolto dalla coppia tripiede e testa panoramica. Il tripiede deve essere solido e robusto in modo da sostenere senza la minima vibrazione la testa panoramica, reflex e obiettivo. Il sistema di scatto - composto dalla testa panoramica e dalla reflex con obiettivo -, può raggiungere il peso di svariati chili, per cui è necessario che il tripiede sia adeguatamente dimensionato al peso che dovrà supportare. La stabilità del tripiede è un elemento essenziale, non solo per le riprese con tempi di esposizione relativamente lunghi, ma anche nel caso di esposizioni multiple, ovvero scatti perfettamente sovrapponibili allo stesso soggetto ma con esposizioni diverse.
Testa panoramica Elemento essenziale nella realizzazione di immagini immersive è la testa panoramica. La testa panoramica, si differenzia dalla altre teste fotografiche - sfera, cremagliera - per la capacità offerta al fotografo di regolare il punto nodale dell'obbiettivo, e correggere gli errori di parallasse.
La piastra livellante Un accessorio che ho trovato molto utile durante l'esecuzione degli scatti e la piastra livellante. Questo accessorio si interpone tra il tripiede e la testa panoramica. Un fattore determinante per la realizzazione di una buona sessione di scatti è che tutto il sistema sia perfettamente in bolla, affinché le linee orizzontale e verticali siano perfettamente allineate. Talvolta per una precisa messa in piano del sistema di scatto, non risulta sufficiente la regolazione delle singole gambe del tripiede. La testa livellante assolve egregiamente questo compito, offrendo al fotografo un sistema preciso per potare in bolla la testa panoramica. Sarà sufficiente intervenire sui punti di regolazione della testa livellante affinché la bolla integrata alla testa panoramica sia perfettamente centrata.
La bolla livellante Il perfetto allineamento della testa panoramica però non deve essere vanificato da una imprecisa collocazione della reflex sulla staffa della testa panoramica. Per ovviare a questo potenziale problema applico sempre sulla slitta del flash una bolla livellante di controllo che mi permette di controllare che la reflex sia allineata sull'asse verticale.
Particolare della testa livellante Manfrotto 338 interposta tra il tripiede Manfrotto 055Pro e la testa Manfrotto 303Plus
Dettaglio della testa panoramica e della piastra livellante
Il punto nodale La correzione del punto nodale è condizione necessaria per la buona riuscita di un'immagine panoramica. Tecnicamente possiamo descrivere il punto nodale, come quel punto nel quale il cono di luce che entra dalla lente frontale si incrocia per proiettarsi sul sensore digitale o sulla pellicola. Il punto nodale varia da obiettivo ad obiettivo e molto raramente corrisponde al centro fisico dell'obiettivo. In alcuni schemi ottici il punto nodale può trovarsi in una posizione vicino alla lente frontale o anche davanti ad essa, mentre nel caso degli obiettivi zoom il punto nodale varia in funzione della lunghezza focale utilizzata. LA testa panoramica dispone di due assi con regolazioni micrometriche per correggere l'errore di parallasse che si genera se si ruotasse la reflex sull'asse del foro di fissaggio di essa invece che sull'asse del punto nodale. Spesso si ritiene che sia possibile eseguire immagini panoramiche utilizzando teste tradizionali, senza la correzione del punto nodale. Inevitabilmente l'utilizzo di una testa non panoramica, cioè senza la possibilità di impostare il punto nodale dell'ottica utilizzata, introdurrà degli errori parallasse difficili da correggere in fase stichting.
Preparazione della macchina fotografica per gli scatti L'esecuzione degli scatti per la realizzazione dell'immagine immersiva non presenta particolari difficoltà. In questa fase è però necessario tenere in considerazione un importante regola: dimenticare tutti gli automatismi che una moderna reflex è in grado di offrire al fotografo, e impostare la macchina su modalità di scatto manuale. • Impostare la qualità dei files generata dalla reflex su RAW. • Impostare l'autofocus su manuale. • Impostare il bilanciamento del bianco su manuale, ed impostare lo stesso su uno dei valori predefiniti offerti dalla reflex - incandescenza, fluorescenza, sole diretto, flash, nuvoloso, ombra - oppure applicare una temperatura colore su un valore personalizzato compreso tra 2.000 e 10.000 gradi Kelvin. • Impostare manualmente il tempo di scatto. • Impostare manualmente il diaframma. • Impostare preferibilmente, se la scena dello scatto lo consente, un opzione di bracketing. L'impostazione manuale della macchina, consente di avere una uniformità tra gli scatti, sia nell'esposizione sia nel bilanciamento del bianco. Se lasciassimo alla reflex la possibilità di impostare di automaticamente i dati di scatto, avremmo delle immagini con un'esposizione tecnicamente corrette se valutate singolarmente, ma non coerenti se inserite in un contesto di fotografia immersiva dove è necessario coprire l'intero orizzonte visibile. Questo è un aspetto molto importante da considerare e capire per evitare grossolani errori di esposizione in fase di stitching. Particolare del display della reflex con i dati di scatto impostati in modalità manuale
Esecuzione degli scatti Dopo aver posizionato il tripiede ed impostato i valori adeguati è giunto il momento di eseguire gli scatti. L'impostazione utilizzata con questo schema ottico prevede 6 scatti distanziati l'uno dall'altro di 60° per un totale 360° oltre agli scatti al punto di zenith ed al punto di nadir. Il numero di scatti dipende dalla lunghezza focale utilizzata, le teste panoramiche di fascia alta offrono un utile sistema a scatto per eseguire le fotografie alla corretta distanza angolare. Durante le mie sessioni di lavoro imposto il sistema a scatto della testa panoramica su 6 scatti ogni 60°. Sarà sufficiente ruotare la testa ed il sistema arresterà la rotazione in corrispondenza degli angoli: 0°, 60°, 120°, 180°, 240° e 300° offrendo al fotografo la massima precisione e totale sicurezza nell'esecuzione. Terminata la fase di scatto abbiamo tutte le immagini per procedere alla successiva fase di stichting nella quale le singole immagini verranno fuse tra loro per generare una singola immagine di grandi dimensioni in grado di coprire tutto l'orizzonte visibile dal fotografo nel punto di scatto. Nell'immagine in basso vediamo la reflex durante una reale fase di scatto. Nikon D300 con obbiettivo 10.5mm f/2.8 montata su testa panoramica Manfrotto 303Plus pronta all'esecuzione degli scatti
Dopo aver collocato il tripiede ed essersi assicurati una buona stabilità sul terreno innevato , ho fotografato la reflex durante i 6 scatti eseguiti sul piano orizzontale e lo scatto al punto di zenith. Ho omesso lo scatto al punto di nadir, poiché ho dovuto impugnare la reflex per eseguire manualmente lo scatto.
Gli otto scatti eseguiti dalla reflex esattamente nelle posizioni presentate nelle immagini sopra:
Le ultime due immagini a destra sono rispettivamente lo scatto allo zenith e lo scatto al nadir. Ed ecco il risultato finale: l'immagine equirettangolare di 360° x 180° che copre esattamente tutto l'orizzonte visibile. Tour virtuale al link: http://www.marcostucchi.com/Panoramiche/VirtualTour/vt_48.html
Conclusioni Ogni fotografia immersiva necessità di un accurata fase di pianificazione. Bisogna scegliere l'inquadratura più interessante, le migliori condizioni di luce, osservare con attenzione la presenza di luce parassita e riflessi, studiare il miglior punto di scatto considerando il punto di nadir, il tutto per creare un'immagine che immergerà completamente l'osservatore nel luogo di scatto. Tecnica ed esperienza sono fattori fondamentali per la buona riuscita della foto, ma certamente l'attrezzatura impiegata ricopre un ruolo fondamentale. In questo capitolo abbiamo posto l'attenzione sull'importanza della stabilità e solidità che deve fornire il tripiede all'intero sistema di scatto per prevenire qualsiasi vibrazione. Inoltre due utili accessori, la testa livellante e la bolla a slitta, forniscono al fotografo immersivo un ulteriore supporto per scattare su piani perfettamente allineati. La testa panoramica è lo strumento che permette di impostare il corretto punto nodale, e correggere gli errori di parallasse, difficili da eliminare in fase di stichting. Per ottenere i migliori risultati è necessario impostare la reflex in modalità manuale, abbandonando, almeno per una volta tutti i complessi automatismi che le moderne macchine sanno offrire.
Fotografia immersiva - Preparazione delle immagini Introduzione Concluse le operazioni di scatto sul campo, cominciano ora una serie di operazioni di post produzione le quali una volta terminate, ci permetteranno di ottenere una panoramica 360° o un file multimediale. In questo capitolo esaminerò le operazioni preliminari allo stitching eseguite sui singoli file. Queste operazioni non costituiscono una regola assoluta alla preparazione di un immagine immersiva, ma la mia personale esperienza, mi consiglia fortemente di eseguirle in questa fase. Quando si deve realizzare un immagine immersiva, in ogni sessione di scatto, avrete sempre il problema di rimuovere l'ombra del tripiede. Un pavimento irregolare senza dei punti di riferimento molto precisi, come terra, sabbia, neve, erba o asfalto può essere corretto con gli strumenti offerti da Photoshop senza particolari difficoltà. In particolare il timbro clone è lo strumento più indicato per questo tipo di ritocchi, poiché lascia al fotografo il massimo controllo sul punto di sostituzione, lasciando la libertà di impostare diametro, durezza e sorgente angolo di rotazione del timbro. Per questo tipo di interventi, dove il controllo manuale del ritocco deve essere massimo, preferisco il timbro clone agli strumenti Pennello correttivo al volo e Strumento Toppa. L'intervento di sostituzione sarà più impegnativo se il suolo presenta elementi architettonici con delle linee geometriche ben definite. In questo caso bisogna intervenire con molta cura ed caso viene valutato in funzione della complessità dell'intervento. Durante l'intervento di rimozione dell'ombra del tripiede, indipendentemente dalla complessità del ritocco, dobbiamo sempre operare prestando la massima attenzione affinché venga conferito al suolo sottostante il massimo grado di realismo e nessuna effetto residuo della sostituzione deve essere visivamente percepito. Ma non solo. Scattando su tutto l'orizzonte visibile - ovvero 360° - è molto probabile che vengano fotografati elementi indesiderati che possono disturbare lo scatto. Spesso gli elementi di maggior disturbo, specie se la panoramica ha una connotazione naturalistica, sono proprio i soggetti umani, oppure automobili, biciclette, fili e tralicci dell'alta tensione, in generale oggetti che depauperano il paesaggio. Io consiglio, in questa fase che precede lo stitching, ove possibile, di rimuovere questi elementi. Si avranno dei singoli scatti più puliti e la successiva giunzione sarà ancora più precisa.
I due esempi sotto presentano delle limitate difficoltà di ritocco, certamente superabili con minimo di esperienza con lo strumento Clone di Photoshop.
Nell'immagine a sinistra l'evidente ombra del tripiede e del fotografo. Nell'immagine a destra la rimozione completa dell'ombra ottenuta con lo strumento Timbro Clone di Photoshop.
Nella fase di ritocco bisogna prestare la massima attenzione per assicurare il massimo realismo all'immagine.
Un efficace trucco Nell'immagine sotto vi è l'ombra dell'onnipresente tripiede, ma l'ombra del fotografo è scomparsa. E' evidente che la superficie d'ombra prodotta dal tripiede è nettamente inferiore all'ombra che si sarebbe proiettata sulla neve dal tripiede stesso più la sagoma del fotografo. Il fotografo - in questo caso il sottoscritto - non è scomparso, semplicemente ha impostato la proprio reflex con l'autoscatto a 5sec e si è spostato di un paio di metri, ripetendo questa azione nei tre scatti dove era presente l'ombra del tripiede.
Conclusione In questa articolo ho descritto le fasi preliminari di elaborazione delle immagini prima della successiva fase di stitching, durante la quale si procede alla rimozione degli eventuali elementi indesiderati nell'immagine e dell'ombra prodotta dal tripiede. Nel successivo articolo effettueremo lo stitching delle immagini per produrre un immagine panoramica completa.
Fotografia immersiva - Lo stitching delle immagini Introduzione In questo capitolo, attraverso una serie di dettagliate spiegazioni, verranno eseguite le azioni necessarie alla creazione di un immagine panoramica: lo stitching delle immagini. Questa è la fase in cui le immagini scattate devono essere fuse tra loro affinché si possa creare un immagine di dimensioni maggiori rispetto al singolo scatto. Le immagini panoramiche possono coprire una angolo di ripresa variabile, ma in questo tutorial realizzeremo un'immagine immersiva in grado di riprendere completamente tutto ciò che circonda il punto di ripresa. Creato il panorama nel formato 360° x 180° è possibile, con l'uso di un convertitore di formato, produrre un file multimediale interattivo con il quale l'utente, trascinando il mouse, può navigare all'interno del panorama proprio come se fosse nel punto in cui è stata eseguita foto. Negli ultimi anni la diffusione della macchine fotografiche digitali, software specifici sempre più evoluti e potenza di elaborazione sempre maggiore a costi decrescenti hanno favorito lo sviluppo e la diffusione di questa tecnica fotografica molto particolare. Anche se è possibile eseguire panoramiche orizzontali con macchine fotografiche non reflex e di costo contenuto mediante il semplice allineamento e sovrapposizione delle immagini, i risultati professionali di altissima qualità possono essere raggiunti solo con un'atrezzatura specifica e con una buona dose di esperienza.
Il software di stitching Numerosi sono i software di stitching disponibili sul mercato, ma tra tutti quelli provati, quello che preferisco è Ptgui, nel momento in cui scrivo è giunto alla versione 9.1 Aprendo PtGui esso si presenta una maschera di benvenuto dove è riportato il numero di versione ed il tipo di versione: Standard oppure Professional. L'interfaccia utente è semplice, essenziale e razionale, ma allo stesso tempo molto efficace. In alto a sinistra è posto un pulsante denominato "Advanced" che consente agli utenti più esperti di interagire con un numero di opzioni maggiore.
Importazione delle immagini La prima operazione che dobbiamo eseguire è il caricamento delle immagini scattate all'interno di PtGui. E' sufficiente cliccare il pulsante Load Images e nella finestra di dialogo selezionare i files necessari alla creazione della nostra immagine panoramica. Nel mio tutorial i files caricati saranno i sei files scattati sull'asse orizzontale che complessivamente compongono l'intero orizzonte di 360°, più lo scatto effettuato in corrispondenza del punto di zenith, per un totale di sette scatti. Lo scatto effettuato in corrispondenza del punto di nadir lo utilizzeremo in seguito. Un'apprezzata caratteristica di PtGui è la capacità di leggere i dati Exif dei singoli file per determinare la lunghezza focale dell'ottica utilizzata. La lettura dei dati Exif è molto importante perché PtGui utilizzerà questi valori per la corretta elaborazione delle immagini. Spostandoci nella etichetta Source Images è possibile scorrere le miniature delle immagini precedentemente caricate, verificare il percorso e controllare l'altezza e la larghezza. Inoltre nella parte bassa della finestra una serie di utili pulsanti ci permettono di eseguire delle azioni quali: aggiungere, rimuovere o sostituire un immagine, spostare in alto o in basso un immagine, modificarne l'ordine.
Allineamento delle immagini Ora è giunto il momento di eseguire il primo stitching di prova per verificare la composizione del nostro panorama. Prima di eseguire lo stitching, mi posiziono sull'etichetta Source Images e clicco il pulsante Remove in corrispondenza dell'immagine con l'indice sei, ovvero lo scatto effettuato al punto dello zenith. Ptgui durante l'attribuzione degli indici alle immagini caricate utilizza la numerazione scientifica, ovvero attribuisce l'indice zero - e non uno - alla prima immagine. Per esempio, quando mi riferisco all'immagine con indice zero faccio riferimento alla prima immagine, oppure quando mi riferisco all'immagine con indice sei faccio riferimento alla settima immagine e così via. Perché devo rimuovere l'immagine con indice sei? Osservando tale immagine, l'esperienza accumulata a creare immagini immersive, mi porta a pensare con buona ragione che PtGui non riuscirà a trovare dei punti di giunzione tra questa immagine - scatto al punto dello zenith - e le altre immagini scattate sull'asse dell'orizzonte. L'immagine con indice sei è quasi totalmente occupata dal cielo azzurro e dal sole, tranne un estremo lembo di rocce che occupano la parte superiore destra dello scatto. Nonostante PtGui sia un eccellente programma in grado di analizzare e trovare punti i giuntura tra le immagini, questa immagine offre veramente pochi elementi per effettuare lo stitching. Dovremo manualmente trovare dei punti di giuntura. La situazione proposta costituisce certamente un caso limite non infrequente, ma PtGui di norma si comporta molto bene nella ricerca automatica dei punti di giunzione. Eseguiamo il primo stitching di prova. Clicchiamo sul pulsante Align Images dell'etichetta Project Assistant. Apparirà un finestra che informa l'utente che PtGui sta generando l'immagine panoramica. Conclusa l'elaborazione che di solito dura non di più di una decina di secondi, si apre automaticamente la finestra del Panorama Editor. La finestra di Panorama Editor è molto importante perché consente di vedere un anteprima dell'immagine panoramica, e se necessario effettuare le modifiche prima della creazione del panorama definitivo. Per ora possiamo ritenerci soddisfatti del nostro lavoro, ma non dobbiamo dimenticare che dobbiamo aggiungere l'immagine scattata in corrispondenza del punto dello zenith, precedentemente rimossa. Ci spostiamo nuovamente sull'etichetta Source Images ad aggiungiamo l'immagine utilizzando il pulsante Add nella parte in basso. Caricata l'immagine, PtGui ci avverte che non è in grado di provare punti di giunzione per la nuova immagine.
Procediamo come descritto in precedenza per ricreare il panorama, ma dopo la rigenerazione del panorama notiamo qualcosa di strano. Come avevo previsto per questa immagine PtGui non è stato in grado trovare in modo automatico punti di giunzione, ed ha fuso l'immagine del cielo sul panorama sottostante producendo un risultato non accettabile. In questa situazione dovremo procedere alla individuazione manuale dei punti di giunzione tra l'immagine scattata al punto di zenith e le immagini scattate sull'asse dell'orizzonte.
Ricerca manuale dei punti di giunzione Ci spostiamo sull'etichetta Control Points, con la quale utilizzeremo gli strumenti di PtGui per individuare i punti di giunzione e creare i collegamenti tra le immagini. L'area di lavoro è suddivisa in tre aree: in alto sono posizionate le immagine da giuntare, in basso i pulsanti per eseguire le azioni sulle immagini ed una tabella dei valori dei punti impostati. Dopo un analisi tra l'immagine scattata al punto di zenith e le altre che ho individuato, l'unica coppia di immagini che è possibile giuntare è quella con indice due e sei. In effetti l'immagine con indice sei presenta un'area utile allo stitching veramente ridotta, e non è stato facile individuare nelle altre immagini un'area corrispondente.
In situazioni così estreme PtGui mette a disposizione uno zoom molto efficace con un fattore di ingrandimento molto alto e la variazione dell'esposizione dell'immagine solo in anteprima - Preview exposure - per trovare i punti di giunzione con maggiore precisione. Tra le rocce della montagna ho individuato un cespuglio ed ho cominciato ad aggiungere dei punti di giunzione.
Successivamente ho ulteriormente aumentato il fattore di ingrandimento dello zoom per migliorare il posizionamento dei punti. Nella parte inferiore sinistra sono disponibili sei pulsanti utili per la navigazione tra le coppie di immagini e per l'analisi, l'aggiunta o la rimozione dei punti di giunzione.
Essi sono: • La coppia di pulsanti Prev e Next consento un rapido spostamento tra le immagini giuntate. • La funzione associata al pulsante Jump: una volta che l'utente ha inserito almeno due punti di giunzione su entrambe le immagini che formano la coppia da giuntare, Ptgui posiziona in modo automatico il cursore sull'altra immagine quando viene aggiunto un punto, lasciando all'utente la decisione di accettare la posizione suggerita o modificarla. • La funzione associata al pulsante Auto e molto simile a Jump e si differenzia dalla prima dal fatto che la conferma della posizione del punto viene effettuata direttamente dal programma, indicandolo un rettangolo lampeggiante contenente il numero indice del punto assegnato. • La funzione associata al pulsante Link permette di attivare lo spostamento simultaneo nelle finestre della coppia di immagini giuntate. E' una funzione molto utile poiché permette di spostarsi rapidamente tra le immagini muovendo il cursore su di una sola di esse. • La funzione associata al pulsante Contr. permette di aumentare il contrasto nel cursore di posizionamento a forma di lente, per una migliore individuazione del punto di giunzione.
Optimizer
Dopo l'impostazione dei nuovi punti è necessario eseguire nuovamente l'Optimizer ( F5 ). La modifica anche di un solo punto di giunzione richiede che sia ricreata la mappature da
parte di PtGui. Alla conclusione del processo di ottimizzazione appare una messaggio nel quale viene visualizzata una statistiche riassuntiva della distanza media, minima e massima dei punti. PtGui esprime un giudizio in base al valore medio della distanza dei punti. I giudizi positivi sono rappresentati con il colore verde e possono essere Good e Very Good, mentre i giudizi negativi in rosso sono Bad e Not So Bad. In presenza di questi ultimi due bisognerà rivedere il processo giunzione delle immagini tra loro, poiché sono presenti evidenti problemi di allineamento tra le immagini. Un altro utile ed interessante strumento di PtGui è la tabella Control Points che consente analisi della distanza dei punti di giunzione tra le immagini che compongono l'immagine panoramica. La tabella permette di allineare in direzione crescente o decrescente i valori in base alle colonne il che rende estremamente semplice la ricerca dei valori. I valori contenuti nella tabella assumono questo significato: tanto maggiore è il valore della distanza tra i punti tanto peggiore sarà l'allineamento delle immagini, tanto minore è il valore della distanza tra i punti tanto migliore sarà l'allineamento delle immagini. Quanto minore sarà il valore medio della somma dei valori delle distanza, tanto migliore sarà il risultato complessivo finale. Il giudizio dell'Optimizer si basa sull'analisi di queste informazioni.
Control Points Direttamente nella tabella Control Points, l'utente può decidere di eliminare quei punti che hanno dei valori troppo alti semplicemente premendo il tasto Canc, ricordandosi di eseguire nuovamente l'Optimizer ( F5 ). Inoltre è sufficiente eseguire un doppio click su un valore della tabella che PtGui automaticamente si sposterà sulla coppia di immagini nell'etichetta Control Points indicando in modo visivo con un quadratino lampeggiante il punto selezionato. Questa caratteristica rende PtGui un applicativo molto potente, poiché offre la flessibilità dell'interazione manuale sul processo di giunzione delle immagini, necessario in quei casi in cui il software non sia in grado di garantire risultati ottimali.
Panorama Editor Dopo aver analizzato i valori della tabella Control Points e valutato il giudizio espresso dall'Optimizer, se siamo soddisfatti del lavoro di giunzione eseguito fino ad ora, possiamo passare nel Panorama Editor per eseguire gli eventuali aggiustamenti di prospettiva e rotazione. Trascinando l'immagine tenendo premuto i tasto sinistro del mouse è possibile modificare la prospettiva del panorama, mentre trascinando il panorama con il pulsante destro premuto è possibile ruotare il panorama. Per trovare un preciso allineamento del panorama PtGui consente di applicare una griglia guida regolabile all'interno del Panorama Editor utilizzando il cursore centrale sotto l'immagine.
Inoltre a destra e in basso della finestra muovendo i cursori è possibile regolare il ritaglio del panorama. Questa opzione non è di particolare utilità nel caso si stia generando un panoramica 360° x 180° poiché si andrebbe a tagliare una parte dell'orizzonte.
Creazione del panorama Esaurito anche questo ultimo passaggio tutto è pronto per la creazione dell'immagine panoramica. Andiamo sull'etichetta Create Panorama, e prima di procedere analizziamo le opzioni offerte da PtGui. Cliccando sul pulsante Set Optimim Size PtGui offre la possibilità di salvare il file con queste tre possibilità: • Maximum size ( no loss of detail ) • For Print (4 Megapixel) • For web (0,5 Megapixel) Personalmente per creare delle bozze di lavoro utilizzo l'impostazione For Print, poiché è di rapida creazione e abbastanza dettagliata per avere una visione del panorama finale soddisfacente. Poi nella versione definitiva imposto la dimensione su Maximum size. Oltre alla scelta della dimensione PtGui offre la scelta del formato dei file. I • • • • •
formati disponibili sono: Jpeg - .jpg Tiff - .tif Photoshop - .psd Photoshop Large - .psb QuickTime - .mov
Un ulteriore opzione è rappresentata dal tipo di Layers selezionabili. Anche se questa opzione è utilizzabile con tutti i tipi di formato di file, essa trova il ragione di utilizzo nel formato di Photoshop, poiché permettere di decidere di salvare l'immagine scegliendo l'utilizzo che si desidera fare con i livelli: • Blended Panorama Only: singola immagine composta dalla fusione in un unico livello di tutte le immagini. • Individual Layers Only: immagine panoramica formata dalle singole immagini disposte su più livelli in modo da formare l'immagine intera. • Blended and Layers: immagine panoramica formata dalle singole immagini disposte su più livelli in modo da formare l'immagine intera, più singola immagine composta dalla fusione in un unico livello di tutte le immagini. Dopo aver impostato le opzioni di salvataggio appena descritte tutto è pronto per la creazione dell'immagine panoramica. È sufficiente cliccare su Create Panorama e PtGui potrà creare il file.
PtGui Batch Stitcher Quando salviamo i file alla massima risoluzione indipendentemente dal formato scelto, anche su un computer recente e potente, PtGui può impiegare diversi minuti per creare il file. PtGui mette ha disposizione una utilissima utility il PtGui Batch Stitcher. Questa utility consente di creare in background i file .pts di PtGui, lasciando libero l'utente di eseguire altre operazioni sul proprio computer. L'uso è estremamente semplice ed efficace. PtGui Batch Stitcher può essere lanciato come un normale programma dal quale si seleziona un singolo file o più file .pts che si vogliono elaborare in background. Una volta completato l'elenco dei file da elaborare è sufficiente cliccare su Start e l'utility eseguirà le elaborazioni sui file selezionati con le impostazioni scelte in precedenza. A PtGui Batch Stitcher è possibile accedere anche cliccando il pulsante Save and Send to Batch Stitcher nell'etichetta Create Panorama. La possibilità di elaborare i file .pts di PtGui in background si dimostra in tutta la sua efficacia nel momento in cui dobbiamo elaborare più file alla massima risoluzione. Personalmente durante una sessione di lavoro mi concentro sulla creazione delle immagini panoramiche, senza preoccuparmi di salvare le immagini alla massima risoluzione. Dopo aver finito il lavoro di preparazione delle immagini, lascio a PtGui Batch Stitcher l'onere di creare i file definitivi delle mie panoramiche, mentre io me dedico ad altre attività.
Risultato finale Conclusa l'operazione di stitching, l'immagine sotto è il risultato del lavoro di preparazione ed elaborazione che abbiamo in precedenza descritto in tutte le sue fasi. La parte in basso all'immagine panoramica occupata da una striscia nera corrisponde all'area dello scatto nel punto nadir, che nel prossimo articolo andremo a rimuovere e sostituire con l'area dell'immagine originale. L'immagine originale ha una dimensione di 11760px X 5880px. La dimensione del file è di 55,4mb nel .jpeg salvato alla massima qualità.
Elaborazione in Photoshop L'immagine panoramica creata può essere ritoccata direttamente in Photoshop per una regolazione delle luci/ombre, contrasto, saturazione, ecc... In questa ultima fase è opportuno un ulteriore attento esame del risultato di stitching, poiché possono essere ancora presenti delle residuali imperfezioni nella giunzione delle immagini. Per tanto controllando l'immagine ad un fattore di ingrandimento del 100%, sarà opportuno intervenire con il Timbro Clone laddove si manifestassero delle irregolarità. Questo ulteriore controllo dell'immagine panoramica, è successivo allo stitching, diversamente da quello che effettuo sulle singole immagini prima della loro giunzione. Questa doppia verifica precedente e successiva allo stitching solitamente garantisce un elevatissima qualità finale del panorama.
Fotografia immersiva - Ricerca automatica dei punti di giunzione Introduzione Nel capitolo dedicato allo stitching abbiamo osservato l'incapacità di PtGui di trovare dei punti di giunzione tra l'immagine scattata allo zenith e le immagini scattate sull'asse orizzontale. In realtà il comportamento di PtGui è ampiamente giustificato, visto che l'immagine scattata in corrispondenza del punto dello zenith presenta un area utile in alto a destra non superiore al 5% dell'immagine stessa, mentre il restante è completamente occupato dal cielo limpido ed azzurro. L'esempio proposto (vedi capitolo stitching) è certamente un caso limite di assoluta o quasi assenza di aree utili per la ricerca di punti di giunzione, ma non per questo improbabile durante una sessione fotografica. In queste situazioni è importante avere una conoscenza di PtGui è degli strumenti per la ricerca, alla quale si deve sempre affiancare una certa dose di esperienza operativa. PtGui, nel tempo, e nel susseguirsi delle versioni, si è guadagnato un'ottima fama di programma di stitching proprio per la capacità di cercare in modo rapido ed efficiente i punti di giunzione tra le immagini. Esclusi i casi limite vi presento una panoramica nella quale Ptgui, in modo totalmente automatico, ha cercato e trovato di punti di giunzione tra lo scatto al punto allo zenith ed un immagine scattata sull'asse orizzontale con una precisione ed accuratezza straordinaria. Certamente l'immagine di partenza ha fornito al programma dei riferimenti precisi ed identificabili, ma è assolutamente apprezzabile il lavoro svolto completamente in automatico da PtGui.
Come abbiamo appreso nel capitolo dedicato allo stitching, è necessario eseguire l'Optimizer ( F5 ) per ricreare la mappatura di PtGui necessaria all'allineamento delle immagini e per poter analizzare i valori delle distanze dei punti nella tabella di Control Point. Il giudizio di PtGui espresso nella finestra di dialogo è Very Good, un giudizio eccellente considerando che tutto il processo di ottimizzazione delle immagini è stato eseguito in automatico.
Ptgui ha generato una mappature di punti di giunzione praticamente perfetta senza nessun intervento manuale da parte dell'utente. Un risultato eccellente, apprezzabile visitando il relativo Virtual Tour 360 al link: http://www.marcostucchi.com/Panoramiche/VirtualTour/vt_01.html
Fotografia immersiva - Le facce del cubo Nel precedente capitolo abbiamo percorso le fasi per la creazione di un'immagine panoramica. In questo capitolo utilizzerò il programma Pano2VR per la correzione del cerchio nero in corrispondenza del punto di nadir e la creazione dei file interattivi in formato Adobe Flash o Quicktime.
Importazione dell'immagine La prima operazione da eseguire è caricare il file dell'immagine panoramica. Due sono le possibilità offerte. La prima, trascinare il file dalla cartella dove è contenuto sull'area tratteggiata in primo piano indicata con Trascina qui un panorama.
La seconda, caricare il file dell'immagine panoramica utilizzando il pulsante Seleziona File. Si apre una finestra di dialogo, dalla quale si può selezionare il tipo di panorama da caricare tra quelli contenuti nell'elenco. Questa opzione si dimostra particolarmente utile nel
momento in cui si debba caricare un panorama formato da singole facce del cubo, poiché è possibile impostare singolarmente ogni lato del cubo del panorama. Dopo aver selezionato il file da caricare, Pano2VR lo carica all'interno del programma eseguendo un ridimensionamento dell'immagine. Alla fine del processo di elaborazione nella parte sinistra delle finestra in primo piano viene presentata un'immagine ridotta del file caricato. In questa fase l'utente può già eseguire delle importanti regolazioni sui parametri di visualizzazione finale del panorama in formato multimediale, indipendentemente dal formato che successivamente sceglierà per l'esportazione.
Parametri di apertura La finestra Parametri di Apertura, consente di regolare la modalità con cui si presenterà l'immagine nel momento in cui verrà caricata nel player. I parametri di apertura permettono di regolare la rotazione, l'inclinazione e l'angolo di campo del panorama al momento dell'apertura. Il parametro Margini permette di regolare l'area visibile del panorama durante la navigazione interattiva, limitandone alcune aree. Questa opzione viene a volte utilizzata per inibire la navigazione dell'utente nell'area corrispondente il punto del nadir poiché quest'ultimo non è stato possibile correggerlo. Per finire il parametro Angolo di Campo - Zoom - permette di impostare l'ingrandimento minimo e massimo della funzione zoom.
Importazione dell'immagine equirettangolare nelle facce del cubo Dopo aver impostato i parametri di apertura, convertiamo il file precedentemente caricato in un cubo selezionando il pulsante Converti Input. Pano2Vr fornisce delle opzioni per il salvataggio della facce del cubo che lascio invariate tranne l'opzione Formato che imposto su Tiff. Conclusa la conversione dell'immagine equirettangolare nelle facce del cubo, nella cartella di progetto è possibile vedere le miniature dei file generati ed osservare il lato in basso del cubo che necessita della correzione del punto del nadir.
Correzione in Photoshop della faccia del cubo corrispondente al punto di nadir Ci avviamo ad eseguire un'importante operazione prima di convertire definitivamente l'immagine panoramica in file multimediale. Dobbiamo eseguire la correzione del punto corrispondente al punto di nadir, che dopo la conversione del panorama in facce del cubo corrisponde al lato inferiore. Dobbiamo rimuovere il disco nero e sostituirlo con l'area dell'immagine che andremo ad estrarre dalla foto originale che fino ad ora non avevamo utilizzato. Per questo tipo di intervento correttivo utilizzeremo gli strumenti di Photoshop. Per eseguire questo tipo di correzione non esiste una procedura ripetibile e standardizzata, ma soltanto un insieme di esperienze che permettono ad ogni situazione che si presenta, di risolvere nel migliore dei modi il problema. Prima di tutto è necessario individuare della foto originale l'area che dovrà essere copiata nella faccia del cubo da correggere. Dopo aver copiato l'area interessata nell'immagine da correggere, lo strumento che meglio si adatta a questa elaborazione è Trasforma e Altera Immagine, poiché permette di stirare la parte da correggere. Una volta eseguito l'adattamento tra l'immagine di destinazione e l'area sorgente, lo strumento Timbro Clone consente di eliminare ogni residuale presenza di elementi di giunzione ancora visibili. Il disco nero presente nella faccia del cubo è stato sostituito con la corrispondente area nell'immagine originale, ed è stato completamente eliminato ogni punto visibile di giunzione. Nessuna faccia del cubo necessita di ulteriori correzioni. Ora sarà sufficiente premere il pulsante Seleziona File, e nella finestra che si presenta sarà sufficiente ricaricare la faccia del cubo corrispondente alla faccia bassa.
Importazione delle facce del cubo Pano2VR, come in precedenza era successo quando è stata caricata l'immagine equirettangolare, visualizza sulla finestra in primo piano una miniatura del panorama caricato, in questo caso la sagoma di un cubo aperto proiettato su una superficie piana.
Esportazione del cubo in file multimediale Pano2VR ora può convertire le facce del cubo in una file multimediale per un esperienza di navigazione interattiva a 360°. Nella parte destra della finestra principale di Pano2VR selezionare dall'elenco Nuovo Formato di Output, scegliere tra Flash o QuickTime. La finestra Esporta Flash si presenta suddivisa in tre etichette: Impostazioni, Impostazioni Avanzate ed Html.
Nonostante le impostazioni offerte all'utente sono molte, la maggior parte di esse non necessita di spiegazioni poiché sono di semplice interpretazione e di intuitiva comprensione. Mi voglio comunque soffermare su quelle meritevoli di approfondimento. Quando si crea un file multimediale è opportuno considerare il rapporto tra qualità del file, prodotto e dimensione, tanto più se quest'ultimo sarà pubblicato su internet e reso fruibile attraverso un browser. Un file dalle dimensioni importanti certamente conserverà dettagli e sfumature cromatiche maggiori, ma necessiterà di un tempo di download molto lungo. Viceversa un file dalle dimensioni ridotte sarà rapidamente accessibile, penalizzando i dettagli dell'immagine. In questa situazione è necessario trovare un congruo equilibrio tra dimensione e qualità dell'immagine. Le opzioni che consentono di regolare questa scelta sono la Dimensione delle Facce del Cubo e la Qualità dell'Immagine. Personalmente imposto la Qualità dell'Immagine su un valore compreso tra 60 e 90 e la Dimensione delle Facce del Cubo tra 900px e 1600px che mi permettono di creare file multimediali di buona qualità con una dimensione compresa tra 1.8MB e 3.8MB, valori accettabili con una connessione a banda larga. Un'altra opzione che di regola utilizzo è Abilita la Rotazione Automatica del panorama. Concluso il caricamento del file, è possibile impostare la Velocità di rotazione ed il Ritardo affinché il panorama ruoti automaticamente all'interno del player. Pano2VR fornisce un utile strumento per personalizzare l'interfaccia ed i controlli durante il caricamento dei file e durante la navigazione.
Editor interface Durante il download dei files multimediali, che certamente possono impiegare qualche decina di secondi, è utile fornire al visitatore una barra di avanzamento del download. Lo strumento Editor Interface permette di personalizzare il caricamento dei file inserendo il proprio logo e fornendo un completo controllo dei pulsanti di navigazione attraverso la gestione degli eventi. Questa caratteristica rende questo strumento molto utile per arricchire la navigabilità del file multimediale. Pano2VR fornisce di default una serie di template per l'Editor Interface pronti all'uso, che certamente conviene prendere come spunto di partenza per creare le proprie interfacce personalizzate.
Formato multimediale Flash Impostate le opzioni per la creazione del file multimediale, sarà sufficiente cliccare il pulsante OK dopo aver deciso il percorso dove salvare il file del panorama multimediale.
Immagine panoramica definitiva Proiezione finale della panoramica equirettangolare dopo la correzione del punto di nadir. Nell'articolo introduttivo avevo detto che questa immagine sarebbe stato il nostro punto di partenza e di arrivo. Abbiamo concluso il nostro percorso tra le numerose fasi per la creazione di un'immagine panoramica, ed alla fine l'immagine che avevo scelto come punto di partenza è diventata in nostro, e spero gradito, risultato finale.
Fotografia in 3D Faccio la fondamentale premessa che per avere una foto 3D ci vuole un apparecchio di ripresa 3D che scatti due fotografie da due punti di ripresa distanti tra di loro alcuni centimetri (la distanza che c'è tra i nostri occhi).
Fujifilm FinePix Real 3D W3
Le elaborazioni che partono da un singolo scatto non forniscono immagini 3D ma al più immagini con un leggero effetto rilievo, concretamente non possono fornire immagini con informazioni aggiuntive come le vere immagini 3D.
Ma se non abbiamo una fotocamera che faccia foto in 3D, cioè quelle macchine fotografiche che hanno due obiettivi, come si fa? Il procedimento è semplice ma si può applicare solo con soggetti statici, quindi paesaggi, panorami, statue, monumenti ecc... In fase di scatto si deve cercare di riprodurre la distanza dei due occhi. Per avere risultati ottimi, non deve esserci nessuno spostamento nella scena inquadrata e ciò è garantito solo da due scatti sincronici. Inoltre lo slittamento deve mantenersi sullo stesso piano, in maniera assoluta, altrimenti avremo un risultato mediocre. Quindi con una macchina fotografica normale si deve fare un primo scatto e poi spostarsi a destra o sinistra sulla stessa linea di qualche centimetro e mantenendo la stessa lunghezza focale. Esiste una testa chiamata "macro rails" grazie alla quale è possibile spostare la fotocamera fino a 10cm sullo stesso piano. In post produzione una volta realizzate le 2 foto non ci resta che elaborarle con un semplice software capace di realizzare immagini tridimensionali chiamato ArBaGlyph, il programma è gratuito ed è scaricabile da questo sito: http://www.arba3d.com/ Macro Rails
Foto in 3D da un singolo scatto - Tutorial Photoshop
Dopo l'applicazione dell'effetto 3D potremo vedere le nostre foto con gli occhiali Rosso/Blu, ci vogliono proprio quelli che hanno questa colorazione delle lenti, quelli che danno al cinema (che hanno le lenti nere) non funzionano per vedere le foto in 3D realizzate con photoshop. Il risultato finale è spettacolare, guardate con gli occhialini l'immagine in alto rendervene conto.
per
Devo ringraziare Francesco Marzoli che ha realizzato il tutorial originale da cui ho derivato questo, nella sua utilissima guida per semplicità l'effetto viene spiegato su una foto a sfondo semplice, vediamo cosa cambia su una foto con uno sfondo più complesso. Link video tutorial di Francesco Marzoli: http://www.youtube.com/watch?v=uxiKHRSIejM Passaggi per realizzare fotografie 3D: 1°) Apriamo una fotografia con Photoshop CS5, se la foto è scattata con una reflex moderna e non avete una scheda video molto potente consiglio di ridimensionare l'immagine a 2000 pixel (o meno) sennò a un certo punto del tutorial vi bloccherete per un messaggio di errore. 2°) IN TEORIA: Dobbiamo staccare il soggetto principale dallo sfondo, con una "mappa in scala di grigi", lo sfondo dovrà avere un colore più scuro mentre gli elementi che devono apparire più vicini avranno un colore più chiaro. Per esempio nella foto che vedete qui sopra il cielo dovrà essere grigio molto scuro, quasi nero, il mare grigio medio e il soggetto principale (che sono io) e le rocce grigio chiaro.
IN PRATICA: Oltre al livello sfondo create un nuovo livello (il livello 1), poi tornate a selezionare il livello "sfondo", con lo strumento di selezione rapida, scontornate il soggetto principale dallo sfondo, se avete selezionato lo sfondo della foto andate sul livello 1, prendete lo strumento secchiello e riempite la selezione col grigio scuro, poi tornate sul livello denominato "sfondo" invertire la selezione, tornate sul nuovo livello e usando sempre il secchiello usate un grigio più chiaro. Nel caso della mia foto il risultato è questo
3°) Dopo aver fatto ciò, per non avere dei bordi troppo netti e avere un effetto più realistico, selezionate il nuovo livello, andate su Filtro - Sfocatura - Controllo sfocatura (impostate il valore 2). 4°) Interveniamo con il 3D, sempre con il livello 1 selezionato andiamo su 3D - nuova trama da scala di grigio - piano, come potete vedere viene creato un oggetto avanzato e al suo interno ci sono le opzioni del 3D.
5°) Andiamo ad incollare la foto originale su questo risultato, disattiviamo il livello 1, selezioniamo il livello di sfondo, facciamo click su selezione - tutto, andiamo su modifica - copia, andiamo su selezione - deseleziona, per togliere la selezione una volta copiato, andiamo ad incollare il nostro contenuto, riattiviamo il livello 1 e facciamo click due volte più in basso su texture - diffusione - livello 1 (come nella figura qui a destra) 6°) Si è aperto il file dell'oggetto avanzato, incolliamo qui sopra la nostra foto, andiamo su modifica - incolla, ora andiamo su File - Salva, poi andiamo di nuovo su File - Chiudi, Attenzione non stiamo chiudendo il progetto su cui lavoriamo stiamo chiudendo solamente il file dell'oggetto avanzato di photoshop, se non salviamo e chiudiamo questo file non possiamo andare avanti.
7°) Andiamo sul pannello 3D, se non lo visualizzate attivatelo andando su Finestra - 3D, 8°) Dal pannello 3D sulle impostazioni di rendering fate click su modifica, su stile lato scegliamo texture non illuminata, facciamo click su ok, poi andiamo di nuovo su modifica e abilitiamo l'ultima voce, su tipo stereo scegliamo Rosso/Blu e alla voce Piano focale impostiamo 0 mentre alla voce Parallasse impostiamo il valore 100, ecco il valore fondamentale di cui vi parlavo, praticamente maggiore é questo valore, maggiore sarà la profondità di campo. Il piano focale determina la distanza del soggetto, in avanti oppure indietro rispetto al centro focale del riquadro.
9°) Ora non ci resta che deselezionare il livello di sfondo, ritagliare la nostra immagine in modo da non avere un bordo bianco attorno e salvare il file nel formato che più ci è utile. Con questo procedimento se avete caricato originariamente un'immagine da 2000 pixel per lato maggiore, vi ritroverete un'immagine 3D da 1200 pixel per lato maggiore.
TECNICA FOTOGRAFICA - COME FOTOGRAFARE... Se prima abbiamo visto i principi cardine della fotografia adesso vediamo come applicarli per ottenere determinati risultati, considerate questo capitolo come una lista di "HOW TO" cioè "COME FARE A" o nel nostro caso "COME FOTOGRAFARE...". Ecco un elenco di cosa imparerete: • • • • • • • • • •
Come fotografare di notte, i segreti della fotografia notturna Come fotografare la neve Come fotografare il fuoco Come fotografare i fuochi d'artificio Come fotografare i fulmini Come fotografare il fumo Effetto Panning Light Painting Realizzare foto ai concerti Come fotografare le gocce d'acqua
Fotografia notturna
Foto di Matthew Grapengieser - mailto:Flickr.com/photos/33237881@N08/
La tecnica per realizzare quegli splendidi paesaggi urbani fotografati durante la notte non è difficile come può sembrare, ci vuole solo molta pazienza e l'attrezzatura giusta.
Attrezzatura essenziale: •
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Fotocamera: consiglio l’utilizzo di una reflex per motivi legati alla qualità dell’immagine, alla stabilità dovuta al suo peso e alla possibilità di cambiare ottiche. Ottiche: abbiamo già parlato dei vari tipi di obiettivi e delle lunghezze focali, dipende tutto dal risultato che si vuole ottenere, per la fotografia di paesaggi notturni sono consigliati i grandangolari o gli zoom do elevata qualità che vanno dal grandangolo al medio tele, anche fish eye se volete Foto di Neil Kremer Flickr.com/photos/neilarmstrong2/ ottenere risultati particolari. Un telecomando: in questo genere fotografico la stabilità della fotocamera è tutto! Anche se usate un cavalletto per quanto robusto sia le vibrazioni causate dal dito durante la pressione del pulsante di scatto provocheranno del micro mosso. La migliore soluzione è l’acquisto di un telecomando per comandare a distanza la reflex, se non avete il telecomando potete usare l’autoscatto. Un treppiedi: accessorio fondamentale per tenere ferma la fotocamera, ne esistono di diversi tipi, la regola fondamentale da seguire nella scelta di un treppiedi è quella di non prendere il cavalletto più leggero, prendetene uno che non sia eccessivamente pesante da trasportare ma che abbia un peso tale da non essere mosso facilmente dal vento, cercate un buon compromesso tra peso e maneggevolezza. Alcuni modelli hanno una colonna centrale estraibile o scomponibile, che consente un’ampia apertura delle gambe, questo facilita lo scatto a filo del terreno (utile soprattutto per gli appassionati di macrofotografia), sul treppiede possono essere applicati diversi tipi di teste snodabili, come per esempio la testa a sfera che permette un posizionamento istantaneo e semplifica l’utilizzo dei teleobiettivi, mentre la testa semplice favorisce movimenti separati su tre assi, esistono anche impugnature tipo joystick con blocco a grilletto e posizionamento rapido. Assicuratevi che nella testa vi sia incorporata la bolla di livello.
Ora che abbiamo preparato tutta l’attrezzatura necessaria non resta che aspettare che faccia buio e cercare una zona che ci piace, per iniziare consiglio di fotografare la città dall’alto in modo da non essere disturbati da auto o persone di passaggio (le luci delle auto da lontano creeranno delle bellissime scie luminose che daranno un valore aggiunto alla nostra fotografia).
COME IMPOSTARE LA FOTOCAMERA: Un errore comune a molti è l’alzare inspiegabilmente la sensibilità ISO, nonostante la foto sia fatta a un soggetto statico muniti di cavalletto. Se avete capito la spiegazione sulle basi della fotografia e sulla sensibilità ISO capirete che è una scelta infelice perché provoca del rumore elettronico inutile e orribile da vedere soprattutto in una foto di questo tipo. • •
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Gli ISO devono stare ai valori standard! Il diaframma va impostato a f11 per avere una buona profondità di campo e un'ampia zona dell'immagine messa a fuoco, una fotografia di paesaggio anche se notturna ha bisogno di diaframmi chiusi. Il tempo di esposizione varia a seconda della scena fotografata, devono essere utilizzati tempi di esposizione lunghi per via della scarsissima quantità di luce, la mia fotocamera per esempio arriva a 30 secondi dopo di che appare una scritta "BULB" Foto di Vinoth Chandar ovvero la famosa posa B di cui abbiamo già Flickr.com/photos/vinothchandar/ parlato a pag. 64. L'usare tempi lunghi (alle volte anche nell’ordine dei minuti) rende necessario l'utilizzo di un cavalletto. Se volete realizzare l'effetto "scie luminose" come nella foto alla pagina precedente di Neil Kremer basta fotografare le macchine che passano usando tempi lunghi.
ATTENZIONE: Con pose lunghe e utilizzando diaframmi più chiusi di f11 le luci (come quelle dei lampioni potrebbero apparire come stelle a varie punte), il fenomeno è dovuto alla luce radiante che si riflette sulle lamelle del diaframma e varia molto da un obiettivo all'altro. Inoltre la fotocamera durante le lunghe esposizione si riscalda molto, controllate il massimo tempo di posa B consentito sul libretto di istruzioni della macchina fotografica, tra uno scatto e l’altro prendete un po' di tempo per evitare guasti da surriscaldamento. Se invece di sera volete fotografare soggetti in movimento senza avere un effetto mosso dovete usare tempi pari o al di sopra di 1/100 di secondo, diaframma più aperto possibile (si consiglia di usare ottiche luminose) e ISO sopra gli 800, questo considerano una lunghezza focale massima di 50mm. Chi possiede fotocamere professionali di alto livello con sensore Full Frame non ha problemi ad alzare gli ISO perché il rumore generato è davvero insignificante. Al riguardo vi consiglio di andare a cercare i test ad alti ISO delle top di gamma delle varie case produttrici. Mentre una Reflex entry level già ad 800 ISO presentano un fastidioso rumore e perdita di dettaglio.
Come fotografare la neve
Foto di Laszlo Ilyes - Flickr.com/photos/laszlo-photo/
Vi sarà sicuramente capitato di provare a fotografare la neve affidandovi all'automatismo della fotocamera, ottenendo però risultati scadenti, scommetto che la foto che avevate ottenuto risultava grigia e sottoesposta. Questo perché la neve inganna sia l'esposimetro sia il bilanciamento del bianco delle nostre fotocamere, perché riflettendo i raggi del sole si comporta come una seconda fonte luminosa, la fotocamera nel calcolare l'esposizione la interpreta come area sovraesposta e cerca di ricondurre i valori a un grigio medio, vale a dire ad una tonalità meno riflettente rispetto al bianco. Esistono diversi accorgimenti da adottare per avere dei buoni risultati: •
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Il più semplice e ovvio è scattare col programma neve, che bilancia i bianchi adeguatamente e fornisce coppie tempo-diaframma adatte per ottenere foto correttamente esposte. Se invece volete fotografare in modalità manuale usate l'esposimetro in modalità spot, e puntatelo su una zona chiara dell'immagine per il calcolo dell'esposizione. Durante le giornate di sole la neve riflette l'azzurro del cielo, impostate il bilanciamento del bianco personalizzato e regolatelo inquadrando la neve (occhio che non presenti ombre). Poiché la neve riflette la luce ingannando la macchina fotografica, sovraesponete di circa un valore rispetto a quello proposto dalla fotocamera.
Attenzione, vi consiglio di portarvi il battery grip oltre alla batteria della fotocamera, perché alle basse temperature la durata delle batterie è più breve.
Come fotografare il fuoco Perché fotografare il fuoco spesso risulta difficile? Il fuoco inganna l’esposimetro della nostra fotocamera producendo più radiazione infrarossa che luce, le radiazioni infrarosse non sono utili alla riproduzione fotografica a meno che non si modifichi la fotocamera in modo tale da poterla catturare. Esistono dei piccoli accorgimenti per fotografare il fuoco, ipotizziamo di fotografare un fiammifero acceso: • • •
Scattare in un ambiente buio per evitare che altre fonti luminose falsino l'esposizione. Impostare la messa a fuoco manuale per non avere ritardi nello scatto. Aprire il diaframma in modo tale da sfocare lo sfondo e cercare di lavorare con tempi rapidi da 1/80 in poi, con tempi di esposizione troppo lenti la fiammata potrebbe diventare un tutt'uno poco bello da vedere.
Brian Finifter Flickr.com/photos/hamillianact or/
Esistono molteplici soluzioni per fotografare il fuoco e variano a seconda delle situazioni: 1. Caminetto acceso: misurare l' esposizione per il fuoco, sottoesporre di almeno 2 stop e compensare l' ambiente col fill-in flash. 2. Mangiafuoco: misurare l' esposizione sul volto del mangiafuoco e sottoesporre di 1 o 2 stop. 3. Falò: come per il caminetto ma senza fill-in, si può sottoesporre di 1 solo stop se la silhouette delle persone intorno al fuoco è un po' debole.
Foto di Denise Cross - Flickr.com/photos/ldcross/
Come fotografare i fuochi d'artificio
Foto di Mugley - Flickr.com/photos/mugley/
Per fotografare i fuochi d'artificio si deve impostare la macchina in modalità manuale e messa a fuoco manuale, si usano tempi che vanno dai 3 ai 5 secondi, diaframma a f11, ISO Standard (quindi 100 o 200 ISO dipende dalla vostra fotocamera), i valori di diaframmi e tempi appena detti sono indicativi poiché variano a seconda dell'intensità dei fuochi e dalla focale utilizzata. Per ottenere risultati d'impatto si deve usare un cavalletto e la posa B con il telecomando e chiudere l'otturatore dopo 2 o 3 secondi circa dall'esplosione. Attenzione, ricordatevi di togliere ogni sistema di riduzione del rumore per le pose lunghe, questo consiglio vale anche per la fotografia notturna.
Come fotografare i fulmini
Foto di John Fowler - Flickr.com/photos/snowpeak/
Per fotografare i fulmini si deve utilizzare un cavalletto e posa b (lo stesso discorso fatto per fotografare i fuochi d’artificio). Il diaframma va impostato almeno a f11, non consiglio di tenere un diaframma più aperto. I tempi di scatto devono aggirarsi intorno ai 15 secondi, più lungo è il tempo d'esposizione più probabilità ci sono che cada un fulmine mentre abbiamo l'otturatore aperto, il tempo d'esposizione massimo non dovrebbe superare i 30 secondi. Gli ISO non vanno modificati, devono rimanere quelli standard su cui è impostata la macchina, fotografica.
Come fotografare il fumo Per chi è alle prime armi fotografare il fumo può risultare molto difficile. L’attrezzatura necessaria è un flash, uno snoot, un riflettore, un fondale nero ed un po' di incenso (o qualsiasi altra fonte che generi del fumo per un tempo abbastanza prolungato). Il flash con lo snoot deve essere puntato attraverso il fumo verso il riflettore e con entrambi dovrete fare attenzione a non fare arrivare della luce sul fondale che dovrà essere sottoesposto. Impostate la messa a fuoco manuale e mettete a fuoco poco sopra la punta dell’incenso. Dopo aver spento la luce potete iniziare a scattare, avendo cura di impostare un diaframma che vi dia una sufficiente profondità di campo ed un tempo di esposizione che vi consenta di congelare il fumo. Il fumo è sempre in gradazioni di grigio e per colorarlo potete provare a colorare la luce del vostro flash oppure lavorare con il fotoritocco. Foto di Andrew Magill Flickr.com/photos/amagill/
Effetto Panning
Foto di Anita Ritenour - Flickr.com/photos/puliarfanita/
Per realizzare l’effetto panning si deve impostare la fotocamera in manuale, in teoria ci vorrebbe un treppiede ma si può anche tenere la fotocamera in mano se la luce non è troppo scarsa. Come prima cosa dovete disattivare il VR, a meno che non sia un sistema per la sola stabilizzazione verticale. Impostate la modalità di scatto continuo e la messa a fuoco continua, impostate un solo punto di messa a fuoco e puntatelo sul soggetto, a seconda della sua velocità imposteremo un tempo di scatto che non sia né troppo lento né troppo lungo, non dobbiamo congelare l'azione né rischiare che il soggetto venga mosso! Per la tecnica di ripresa basta seguire il soggetto con la fotocamera e premere il pulsante di scatto senza interrompere il nostro movimento. Con questa tecnica resta relativamente fermo il soggetto principale e abbastanza mosso lo sfondo conferendo alla composizione una sensazione di movimento, sappiate che è quasi impossibile che tutte le parti del soggetto risultino perfettamente a fuoco.
Light Painting, come disegnare con la luce
La foto che vedete non è un fotomontaggio, è uno scatto realizzato con la tecnica del "light painting", è una tecnica abbastanza semplice ma divertente, per poterla realizzare abbiamo bisogno di una fotocamera digitale che possa essere utilizzata in manuale, un cavalletto e una torcia. Fissate la macchina fotografica su un cavalletto, rendete totalmente buia la stanza in cui siete, regolate il tempo di apertura dell'otturatore (consiglio un tempo non inferiore ai 15 secondi), premete il pulsante di scatto e a questo punto potete dare libero sfogo alla vostra fantasia scrivendo il vostro nome o passando direttamente a cose più complicate ed elaborate.
Foto di Sean Rogers - Flickr.com/photos/rogerss1/
Come fare le foto ai concerti
Foto di Martin Fisch - Flickr.com/photos/marfis75/
La prima difficoltà è entrare al concerto. Se paghiamo il biglietto, in molti posti non siamo autorizzati a portare una reflex, quindi è importante cercare di ottenere un pass stampa, non è difficile come potremmo pensare. Proviamo a proporre i nostri servizi ai siti web dell’organizzazione di concerti e festival: potrebbero decidere di metterci alla prova, e magari anche tenerci – con me ha funzionato. In alternativa, offriamo la copertura del concerto a un quotidiano locale o contattiamo direttamente il locale o il teatro – in alcuni casi potrebbero offrirci un pass in cambio della possibilità di usare le nostre foto. Prendiamo in considerazione la posizione di riflettori e microfoni. Scattiamo qualche immagine di prova prima che l’artista salga sul palco o, se possibile, durante il concerto dei supporter, per verificare le condizioni e la resa delle nostre impostazioni. Senza flash siamo obbligati ad affidarci alle luci del palco, condizione difficile ma che aggiunge grande atmosfera. Un obiettivo f/2,8 è molto utile sui palcoscenici meno illuminati, ma non è essenziale, se non ne abbiamo uno, limitiamoci a impostare valori ISO più alti. Le luci di solito si muovono secondo disegni precisi, quindi stiamo pronti a scattare quando la luce disponibile sul palco arriva al massimo e il soggetto è perso nella propria musica. Possiamo ottenere splendide immagini anche del pubblico dei festival all’aperto. Usiamo un teleobiettivo e scattiamo dall’alto, in modo da eliminare gli elementi di distrazione. E ricordiamo di portarci anche un grandangolo per ampie visioni d’insieme della folla! Avere
due corpi macchina, uno con un grandangolo e uno con un teleobiettivo rende le cose molto più semplici. Scattare fotografie durante i concerti notturni non è una cosa semplice, anzi, la considero come una delle situazioni più difficili. Le difficoltà che potremmo incontrare sono di vario tipo, come il bilanciamento del bianco (a causa delle luci colorate) e del calcolo della misurazione dell'illuminazione. Ricordiamoci inoltre che in queste situazioni il soggetto o i soggetti, se si trattano di un gruppo, sono sempre in movimento ed è facile che quindi escano foto mosse per un tempo di esposizione troppo lungo. Bisogna essere ben attrezzati per scattare foto ai concerti e quindi vi serve un obiettivo che abbia una grande apertura per poter catturare tanta luce con tempi di scatto rapidi, ma deve avere anche una buona escursione focale, specialmente se vi trovate lontani dal palco. Un esempio di obiettivo che rispecchia questo profilo può essere il Canon EF 70-200 f/2.8 L USM.
Foto di Christian Holmér Flickr.com/photos/crsan/
Nel caso in cui abbiate ulteriori problemi con la corretta esposizione e foto mosse, provate a guadagnare anche qualche stop: abbassate di 1/3 o 2/3 stop e scattate a ISO 800 o 1600, ci penserete successivamente a recuperare l'esposizione e a correggere il disturbo in post produzione con un opportuno software di fotoritocco. Da questo potete capire che certe volte alzare gli ISO diventa indispensabile soprattutto quando non volete scattare a tutta apertura con le ovvie conseguenze che ne derivano, quindi vi servono corpi macchina che possano scattare ad alti ISO senza generare troppo rumore (reflex semi-pro in su). Per quanto riguardano concerti in interni o teatri, la cosa è un pochino più semplice per il fatto che le azioni degli attori non sono del tutto imprevedibili. Ah! Dimenticavo l'ultimo consiglio: state lontano dai laser! Articolo scritto da Pham Anh Vu pavphotography.altervista.org
Come fotografare le gocce
Come fotografare le gocce ce lo spiega Massimo Allegritti autore di questo articolo e delle foto in esso presenti, questo e il suo blog arte-liquida.blogspot.com Per prima cosa elenchiamo il necessario: 1 – Cavalletto 2 – Macchina fotografica digitale Reflex che abbia la possibilità di controllare flash remoti 3 – Flash esterno pilotabile da remoto (con o senza cavo) 4 – Comando remoto, preferibilmente a filo. 5 – Ottica con ridotta distanza di messa a fuoco. L’ideale è un’ottica macro, io uso un’ottica che ha una distanza di MAF di 28cm, più che sufficiente per questo uso. In alternativa, ottica fissa da 50mm con tubi di prolunga. 6 – Uno "stativo" sul quale fissare "l’erogatore" di gocce: io uso una vecchia lampada da scrivania cui ho tolto la parabola. 7 – Un erogatore di gocce: un contagocce o una siringa senza ago. L’ideale sarebbe un flussometro, di quelli che si usano per dosare l’erogazione delle flebo (Buona ricerca!) 8 – Un pannello di qualsiasi tipo/colore/materiale sul quale far cadere le gocce 9 – Un pannello riflettente: io uso una mensola Ikea (modello LACK)
10 – Un sacchettino di plastica o qualcosa del genere per proteggere l’obiettivo dagli schizzi. 11 – Il liquido da far gocciolare: potete sbizzarrirvi a seconda degli effetti desiderati.
Primo step: prepariamo il nostro set Fissiamo il contagocce sullo stativo e quest’ultimo al tavolo sul quale abbiamo messo il ripiano sul quale faremo cadere le gocce. Posizioniamo la fotocamera in un angolo di circa 15-20° rispetto al piano, e comunque a seconda dell’effetto che vogliamo ottenere. Con angoli prossimi allo 0, cioè con il piano focale parallelo alla traiettoria di caduta della goccia, si ottengono immagini della sola corona d’acqua, senza i riflessi sul piano. In questo caso dobbiamo stare attenti allo sfondo. Angoli maggiori di 20° portano a mostrare maggiormente la forma circolare della corona, con il risultato che le goccioline che si staccano risulteranno meno evidenti, così come sarà meno evidente il riflesso sul piano. Personalmente, preferisco angoli di 15-20° in quanto posso ottenere il riflesso sul piano (se lo voglio), e far risaltare le goccioline che si formano sopra la corona.
Contagocce
Pulsante di scatto
Secondo step: Impostazione della macchina - MAF manuale - Scatto in modo Manuale, così da avere pieno controllo di tempi e diaframmi - Sensibilità tra ISO tra 100 e 200 max - Se possibile, attivare la modalità "Mirror Up". Questo accorgimento, più che a ridurre le vibrazioni, serve a ridurre il tempo che intercorre tra la pressione del tasto di scatto e l’apertura dell’otturatore. Scattare con lo specchio già alzato permette di risparmiare quei millisecondi fondamentali per questo tipo di foto. - Impostate il flash interno in modo che comunichi con quello esterno: regolate manualmente la potenza del lampo a 1/64
Terzo step: prima di iniziare Prima di iniziare dobbiamo verificare che luce e nitidezza corrispondano a ciò che vogliamo ottenere. Regolate la MAF con un piccolo oggetto, posizionandolo nel punto in cui farete cadere la goccia. Dopodiché, con un cucchiaino, mettete un po’ di liquido sul piano, nell’area in cui cadranno le gocce. A questo punto impostate il diaframma a F16 e il tempo di scatto a 1/125 e fate una foto di prova senza l’uso dei flash. Vi servirà a capire quanta luce “di sottofondo” è presente nella scena. Meno ce n’è, chiaramente, meglio è. Se volete ridurre ulteriormente, impostate il tempo di scatto a 1/160 o max 1/200. A questo punto attiviamo i flash. Per avere maggiore tridimensionalità, è preferibile posizionare il flash esterno sul lato della scena. Posizioneremo quindi il pannello riflettente dalla parte opposta. Il flash esterno dovrà essere regolato a una potenza di 1/128, in modo da avere il più breve tempo di emissione del lampo: ciò ci permette di “congelare” la scena con maggior dettaglio. L’altro parametro da regolare sul flash è la parabola: lunghezze focali diffonderanno maggiormente la luce, mentre quelle lunghe tenderanno a concentrarlo in una determinata direzione. A voi la scelta. Per i miei scatti imposto uso 50mm. Anche l’altezza rispetto al soggetto è importante: per avere effetti di rifrazione e ombre, il lampo dovrà essere il più radente possibile al piano. Con il liquido campione sul piano, facciamo un po’ di scatti di prova per giudicare se luce e profondità di campo ci soddisfano. Quarto step: cogliere il momento giusto Ora è tutto pronto. Dobbiamo solo riempire il contagocce e cominciare a far cadere il liquido, nella speranza di catturare il momento giusto. Premeremo il tasto di scatto un istante prima che la goccia tocchi il piano. Dopo un po’ di prove, avremo “preso la mano” e riusciremo a catturare il momento giusto.
Nota sull’uso del flash Più il lampo è breve, più nitido è il risultato finale. Ad esempio l’SB600 di Nikon emette lampi della durata minima di 1/25000 sec a 1/64. Nel caso in cui, a 1/64, ci sia poca luce, si può avvicinare il flash. Oppure possiamo aumentare lo zoom della parabola, con però il risultato di avere una luce più "dura", perché più concentrata. L’alternativa è aumentare di uno stop la sensibilità (da 100 a 200ISO) o di aprire di 1/3, max ½ stop il diaframma. Dobbiamo però fare attenzione alla profondità di campo, in quanto l’apertura anche di 1/3 di stop modifica sensibilmente questo parametro.
La mia attrezzatura: • • • • • •
Nikon D200 Zoom Sigma 18-50/2.8 EX DC oppure 50/1.8 con tubi di prolunga Flash SB600 controllato in wireless dalla D200 (Nikon CLS) Cavalletto Manfrotto 190XB-PRO Testa a tre movimenti Manfrotto 804RC2 Comando remoto compatibile
Questo articolo continua nella pagina seguente.
APPROFONDIMENTO TECNICO POETICO Questo articolo e le foto in esso contenute sono stati realizzati da Massimo Allegritti, ed è protetto da Copyright, per utilizzare le immagini e il testo dovete contattarlo in privato attraverso il suo blog arte-liquida.blogspot.com
1 - Premessa Questo testo nasce dopo che molti, dopo aver visto le mie foto pubblicate sul mio blog e sulla mia pagina Facebook, hanno cominciato a chiedermi come facessi a ottenerle. questo articolo è un aggiornamento del precedente, ora che tecnica e equipaggiamento si sono evoluti, ritengo doveroso riscrivere tutto aggiungendo parti che prima avevo volutamente omesso. Questo testo non vuole essere un "Come fare per" (o meglio un "How to"), ma la spiegazione tecnico-poetica di ciò che c'è dietro i miei scatti. Green #1 E’ l’inizio di Arte Liquida. Scatto completamente manuale, con un biberon come erogatore di gocce, e un 18-135 come ottica. Ma è l’inizio di un cammino. Nikon D80, AF-S ISO250, SB-600.
18-135,
1/
[email protected],
2 - La preparazione Fotografare gocce è un'arte. E' come dipingere. Per me è lo stesso. E posso dirlo perché, in passato, ho dipinto sia con acquerello che con olio. Le sensazioni, le emozioni che si provano durante una sessione di scatto sono le medesime: • • • •
Attesa, mentre si prepara il set. Tensione e nervosismo, mentre si cerca lo scatto desiderato. Euforia, quando raggiungiamo finalmente l'obiettivo. Delusione, rabbia, quando, dopo due ore, il risultato non ci soddisfa appieno.
E' come nella pittura, o nella scultura, bisogna iniziare una sessione ben sapendo cosa si vuole ottenere. Nessun pittore o scultore si metterebbe davanti a un foglio bianco, o davanti a un blocco di marmo, senza aver bene in mente cosa vuol ottenere, sperando che venga fuori qualcosa di buono. Il risultato sarebbe soltanto un insieme di macchie di colore o un pezzo di roccia preso a martellate. Quindi, definito l'obiettivo, facciamo di tutto per ottenerlo, tenendo bene in mente una cosa fondamentale: mai cambiarlo. Se vediamo che luce, colori, effetti, non ci piacciono, non tentiamo di cambiare e stravolgere il tutto, solo perché abbiamo messo in piedi il set e quindi dobbiamo tirar fuori uno scatto per forza. In quei momenti ci affanniamo nel
tentativo, quasi disperato, di tirar fuori qualcosa di buono, ma il risultato sarà mediocre. In certe situazioni, invece, smontiamo tutto e resettiamo il cervello. Ci riproveremo il giorno dopo, a mente lucida.
3 - La materia Le gocce possono assumere soltanto determinate forme ma a questa particolare caratteristica si aggiunge, per fortuna, una buona dose di casualità che rende ogni scatto diverso dal successivo. Sempre. Non mi è mai successo, in svariate decine di migliaia di scatti, di avere due immagini perfettamente identiche. Mi spiego meglio. Le forme che si possono presentare sono principalmente quattro: - Singola goccia, o sequenze di gocce: catturate in fase di caduta. - Corona: ottenuta facendo cadere una goccia su un piano sul quale è posto del liquido. - Stelo: ottenuta facendo cadere una goccia in un recipiente colmo di liquido. Lo stelo è ottenuto dal "rimbalzo" della goccia che, a sua volta, genera una goccia che staccandosi dallo stelo risale verso l'alto fino a un punto morto, per poi ricadere. - Collisione: ottenuta facendo cadere due o più gocce. La prima genera lo stelo sul quale va a collidere la seconda, generando la classica forma a fungo (o a ombrello o a cappello). Se la 2° goccia va a scontrarsi con la goccia generata dallo stelo, la collisione può anche avvenire in posizione elevata rispetto a quest'ultimo, con effetti davvero interessanti. E' possibile anche ottenere collisioni multiple facendo cadere più gocce. Se ne deduce che, avendo a disposizione solo quattro, massimo 5 soggetti, fotografare gocce porta in sé il grosso rischio della banalità e della noia. E' qui che il nostro occhio e la nostra voglia di sperimentare faranno la differenza. A meno di accontentarsi di aver catturato uno stelo da mostrare orgogliosi a parenti e amici, che non sanno che di queste immagini è piena la rete. Orange #1 In questo scatto, realizzato manualmente, si vede molto bene lo stelo e la goccia creatasi dal "rimbalzo". Nikon D200, 50/1.8, 1/125@f18, ISO200, SB-600. L'acqua è materia e come tale ha un comportamento dettato dalle leggi fisiche. Proprietà come densità, tensione superficiale e densità possono impattare in maniera significativa sul risultato finale.
a - Dimensione della goccia La dimensione della goccia influisce pesantemente sulla dimensione della corona o dello stelo. Più è grande, più la corona sarà ampia e alta, o lo stelo sarà alto. b - Tensione superficiale La tensione superficiale è quella forza che tiene insieme le molecole di liquido. Pensiamo quindi allo stelo che si genera a seguito della caduta della nostra goccia: esso è formato da acqua che "torna su", ossia da molecole d'acqua che si attraggono tra loro. Se abbassiamo questa forza, ossia riduciamo la tensione superficiale, otterremo steli più alti e più sottili, perché l'acqua, risalendo, sarà meno "legata". Per ridurre la tensione superficiale è sufficiente utilizzare del brillantante per lavastoviglie (ne bastano poche gocce) o dell'imbibente, di quelli usati per evitare le macchie di calcare sui negativi. c - Densità La densità del liquido impatta sulla forma di corone e cappelli, non impatta invece su steli e gocce singole. Densità maggiori permettono forme più "controllabili", in quanto il liquido, essendo più "colloso", tenderà a formare forme più compatte e omogenee. Il latte è più denso dell'acqua e per questo permette di ottenere corone e cappelli più uniformi. Bisogna fare molta attenzione a non aumentare troppo la densità in quanto, a un certo punto, questa impedisce la creazione di corone. Come addensante io utilizzo della Gomma di Xanthan o della gomma di Guar, sciolta nel liquido che andrò a far cadere (principalmente acqua).
4 - La fisica Non si può catturare un istante, se non si conosce come si è generato. Perché solo sapendo come si genera possiamo decidere quando catturarlo. Procediamo per piccoli passi. La goccia inizia la sua caduta da una certa altezza H, partendo da ferma. Cadendo con accelerazione G, pari all'accelerazione di gravità, va a toccare il liquido, o il piano, dopo un tempo che si può calcolare invertendo l'equazione del moto uniformemente accelerato: H=1/2GT^2 , ossia T=radicequadrata di 2G diviso h. Se H è 30cm, T è circa 0.250 secondi, precisamente dopo 0.247 secondi. In quel preciso istante la goccia sta cadendo alla velocità V=G*T, ossia 2.42 m/s, ossia a 8.72Km/h. Supponendo che la corona si generi secondo la stessa legge, generalmente una corona non è più alta di 0,5cm. Se ne deduce, facendo qualche rapido calcolo, che il tempo di creazione di una corona è di circa 30ms. Quindi la nostra corona si sarà formata dopo 280ms dalla caduta della goccia. Attenzione, però, che è un "essere in divenire" che nasce al contatto della goccia col piano, raggiunge la massima fioritura dopo 30ms e muore dopo altri 30ms.
La dimensione della corona varierà molto in base a: - Dimensione della goccia. - Densità della goccia. - Altezza di caduta della goccia. - Quantità e qualità del liquido su cui è stata fatta cadere la goccia. Fate bene attenzione che se fate cadere la goccia su un piano asciutto non otterrete nulla: il liquido si infrange sul piano senza creare alcun effetto. La corona è infatti generata dal liquido posto sul piano, e non da quello in caduta. Se invece facciamo cadere la goccia in un recipiente con del liquido, abbiamo detto che si formerà uno stelo. Anche in questo caso le dimensioni varieranno in base a quanto valido per le corone, con l'aggiunta di un parametro importante che è la tensione superficiale. I tempi saranno un po' più lunghi, ma le tolleranze non cambiano: se vogliamo catturare un determinato istante dovremo essere precisi al millesimo di secondo.
Il Re e i suoi cavalieri
Per ottenere collisioni, la seconda goccia dovrà essere fatta cadere dopo un tempo T necessario affinché la prima goccia generi lo stelo. Per una goccia in caduta da circa 35cm di altezza, questo tempo è di circa 60ms. Variando questo tempo la collisione può avvenire sulla testa dello stelo o in corrispondenza della goccia ottenuta dal rimbalzo della prima. In questo caso si ottengono cappelli staccati dallo stelo,
estremamente affascinanti e d'effetto. Il Re e i suoi cavalieri In questo scatto, realizzato con un trigger, la seconda goccia si scontra con quella staccatasi dallo stelo. Ho fatto partire il lampo del flash qualche ms prima del solito, in modo da catturare il momento di impatto delle due gocce, che va a formare una magnifica corona. Nikon D300, 60/2.8 AF-D Micro, 1sec@f22, ISO200, SB-800, trigger auto costruito.
5 - L'attrezzatura Abbiamo quindi capito che per catturare certi istanti bisogna essere precisi e, soprattutto, veloci. Trattandosi di frazioni di millesimi di secondo, è chiaro che non sarà possibile lavorare in luce naturale. Ecco quindi il primo accessorio: il flash. Sarà lui a illuminare la scena e a "congelare" la nostra goccia, corona o stelo che sia. Va bene un flash qualsiasi, non necessariamente compatibile con la vostra fotocamera, purché sia controllabile da remoto via cavo o via wireless e che abbia la possibilità di controllare manualmente la potenza del lampo. Vi serve poi un'ottica macro, principalmente per due motivi: - La distanza di messa a fuoco ridotta vi permette di ottenere il massimo dalla vostra goccia, ossia di ingrandirla il più possibile e ottenere il massimo dei dettagli. - La possibilità di utilizzare diaframmi molto chiusi vi permette di avere una elevata profondità di campo senza ledere alla qualità dell'immagine. Per farvi un esempio, il 60/2.8 Micro AF-D della Nikon ha una distanza di messa a fuoco di 21 cm, permette un ingrandimento 1:1 e ha una apertura minima del diaframma pari a f45. Ciò vuol dire che fino a f22-f26 può essere usato senza grossi problemi. Una valida alternativa è il 50/1.8 con tubi di prolunga. In termini di nitidezza è pari al 60micro, ma ha un'apertura minima inferiore, f22, alla quale però soffre di una corposa diffrazione ottica. Vorrei soffermarmi su quest'ultimo parametro, ossia l'apertura del diaframma. Il vero, grosso problema da affrontare quando si fotografano le gocce è la profondità di campo. Una PdC errata porta a non avere a fuoco tutto il soggetto e ciò può essere fastidioso (a meno che non sia voluto). Facciamo un esempio. Per avere una buon ingrandimento di una corona si dovrà stare a circa 30cm dal soggetto. A questa distanza, alla focale di 60mm, che su sensori APS-C diventa 90mm per il fattore di moltiplicazione, la profondità di campo è circa 1.28cm a f16 e 1.82cm a f22. Volendoci avvicinare ulteriormente, per ottenere un ingrandimento maggiore, supponiamo a 25cm, la pdc diventa 0.84cm a f16 e 1.19cm a f22. Big Colours
avevo
calcolato.
Il
risultato
è
la
In questa immagine la corona si è allargata più del previsto, andando oltre la pdc che parte frontale fuori fuoco. L’immagine non è
completamente da buttare, ma se fosse stata completamente a fuoco sarebbe stata perfetta. Notare le macchie arancioni sullo sfondo nero, causate da eccessiva luce di fondo (comunque facilmente cancellabili in pp). Nikon D200, 60/2.8 Micro AF, 0.77sec@f20, ISO200, SB-600, Trigger HiViz. Capite quindi che, onde evitare immagini poco nitide, è necessario un cavalletto e far sì che le gocce cadano sempre nello stesso punto. Per questo possiamo costruirci una struttura di legno dal quale far cadere le nostre gocce. Ma cosa usare? Per corone e steli, un contagocce è perfetto: si ottengono grandi gocce e si può controllare molto bene il momento della caduta. Dobbiamo fissare il contagocce alla struttura, ma in modo che sia possibile ricaricarlo quando il liquido al suo interno è terminato. L'ultimo accessorio che raccomando è un comando a filo: ci permetterà di scattare senza mettere le mani sulla macchina, col rischio di spostarla e compromettere la MAF. Per i miei scatti uso la seguente attrezzatura: • • • • • •
Nikon D300 Nikkor AF-D 60/2.8 Micro Scatto remoto a filo nr. 2 Flash: SB-800 + SB-25 Cavalletto con testa a tre assi Un trigger elettronico per il comando del flash
6 - La tecnica Abbiamo quindi tutto. La nostra reflex digitale, il nostro cavalletto, il flash (meglio se due), la nostra struttura da cui far cadere le gocce e un punto in cui farle cadere, piano o bacinella che sia. E adesso? La prima cosa che dobbiamo fare è mettere a fuoco. Nulla di più semplice. Prendete una penna a sfera, di quelle a scatto, e smontatela, ottenendone il guscio vuoto. Appoggiate il guscio sul piano e fate cadere una goccia. Sistemate la posizione del guscio finché la goccia non centrerà perfettamente il guscio, passandoci dentro. Ora mettete a fuoco sul guscio sul bordo esterno del guscio e toglietelo. Abbiamo già fatto il grosso del lavoro. Ora però dobbiamo fare uno scatto di prova. Dovendo utilizzare il flash come luce principale, lavoreremo in ambiente semi-buio.
Impostate la macchina nel seguente modo: • • • • • •
Modalità M Valore di ISO più basso che potete ottenere Diaframma tra f16 e f22 Tempi tra 1/160 e 1/200 Flash in modalità M con potenza del flash a 1/64 e parabola a 24mm posto a lato della scena Se disponibile, impostate la macchina in Mirror-UP
Spegnete tutte le luci della stanza in cui siete, chiudetevi dentro e tenete accesa solo una luce di servizio, il minimo per vederci (un po' come in una camera oscura). Caricate il contagocce, premete sul comando a filo per alzare lo specchio e fate cadere la prima goccia. Dopo una frazione di secondo premete una seconda volta per realizzare lo scatto vero e proprio. Cosa sarà venuto fuori? Quasi sicuramente nulla. Avrete ottenuto una bellissima immagine del piano bagnato di acqua o di un bell'effetto onda sul pelo dell'acqua. E' normale. Non abbiamo ancora la percezione del tempo che passa dalla caduta della goccia al momento dello scatto. Facciamo un po' di prove, alleniamoci, e vedrete che dopo un po' comincerete a capire quando scattare. Ci possono volere pochi minuti, ma anche delle mezz'ore. Un consiglio: un'altezza più alta del contagocce permette di avere più tempo tra il rilascio della goccia e lo scatto, ma arrivando a destinazione a velocità più alta si avranno tolleranze più ridotte.
7 - Automatismi Scattando a mano ci accorgeremo, dopo poco, che la nostra capacità di successo è davvero molto, molto bassa: dopo un'ora e mezzo, mediamente, si saranno realizzati circa 200-250 scatti e solo una decina saranno "buoni". Anche la persona più paziente di questa terra si sentirà frustrata e tornerà a fare dei bellissimi ritratti alla figlia o alla propria fidanzata o gattino. Inoltre, i soggetti che possono essere ripresi HiViz sono solo due: corona e stelo. Scordatevi le collisioni. A mano non si possono ottenere, perché il tempo di creazione di un "cappello" è di mezzo millesimo di secondo. Prenderlo è quasi impossibile.
A meno che non ci si affidi a sistemi elettronici che, se opportunamente programmati, fanno scattare il lampo del flash al momento che decidiamo noi. A tal proposito esistono in commercio svariati dispositivi atti a questo scopo: il più economico e il più facile da usare è quello proposto da HiViz (www.hiviz.com). Si tratta di un circuitino elettronico che si monta seguendo le istruzioni via web e che è subito utilizzabile. Non bisogna essere dei maghi di elettronica per montarlo, visto che tutte le istruzioni sono corredate da chiarissime immagini. Se non volete comprarvi il kit da HiViz, risparmiando qualche soldino, potete sempre farvi da voi l'elenco dei componenti e comprarvelo in un qualsiasi negozio di componenti elettronici. I miei primi scatti di gocce (Yellow, Jelly, etc) sono tutti realizzati con l'HiViz.
Un altro, e forse quello più diffuso tra i "professionisti" del settore, è lo StopShot cognisys-inc.com/stopshot/stopshot.php A differenza dell'HiViz, ha un display e ha la possibilità di comandare una elettrovalvola. In questo modo si possono erogare più gocce e, di conseguenza, realizzare le collisioni. Il vantaggio è che è "plugh & shot", ma ha un unico piccolo difetto: costa circa 300$. Conosco molti, sul web, che ne osannano le caratteristiche e che sostengono che è il miglior investimento che si possa fare. Non lo metto in dubbio, sempre che se ne voglia fare un uso professionale. Per noi amatori costa decisamente troppo. Ci sono anche altri prodotti del genere, ma mi sento di consigliare solo questi due, in quanto affidabili e continuamente aggiornati. L'ultima alternativa è farsi un trigger da soli, ma in questo caso è richiesta una certa dimestichezza in elettronica e in programmazione. Il mio trigger, auto costruito, è basato su un microcontrollore Arduino Uno, che ho programmato e collegato a una breadboard con alcuni potenziometri (vedi foto qui accanto). Con questi posso decidere quando far scattare il flash, per quanto tempo tenere
aperta la valvola da cui usciranno le gocce e il ritardo tra due gocce. Con questo trigger ho realizzato RedHat e Independence Day. Con l'uso di automatismi la tecnica di scatto varia leggermente: il tempo di esposizione deve essere allungato ad almeno 1sec, oppure deve essere usata la posa Bulb. Questo per dare il tempo alla goccia di cadere e al flash di scattare, che è ciò che impressionerà l'immagine sul sensore. Dovremmo fare attenzione alla luce di fondo e fare delle prove a flash spento, in modo che non ci siano effetti di luce indesiderati. I trigger, una volta tarati, permettono rese elevatissime: ogni scatto è un potenziale successo.
8 - Sperimentare, sperimentare, sperimentare Non fermatevi alla prima corona o al primo stelo. Solo la sperimentazione e la pazienza portano a risultati che vi possono permettere di uscire dalla massa di gocce presente sulla rete. Provate liquidi e colori diversi, provate diverse posizioni del flash, preferibilmente affiancandone un secondo o montando filtri colorati, variate l'angolo di inquadratura della scena, ma soprattutto, come detto all'inizio, abbiate molta pazienza. Non abbiate fretta di ottenere subito scatti magnifici, come per ogni arte i risultati arriveranno con la costanza e lo stupore di chi si è addentrato in un micro-cosmo che nasce e muore in pochi millesimi di secondo.
LA GESTIONE COLORE E PROFILI ICC Gestione Colore e profili nella stampa Perché serve la gestione colore? Cosa sono i profili ICC e intenti di Rendering? Le variabili che contano nella stampa di una fotografia sono: colore, risoluzione, sfumature, finitura, durata. Ogni periferica vede e interpreta i colori a modo suo, il suo hardware gli impone di catturare, visualizzare o stampare determinati tipi di colore, ma cosa comporta tutto ciò? Comporta che quando andremo a stampare capiterà che la stampa sarà differente dalla stessa immagine vista a monitor! Il desiderio di tutti è avere in video e in stampa gli stessi colori. Senza la calibrazione i dispositivi (fotocamera, monitor e stampante) mostrano o producono gli stessi colori in modo differente. Perché succede questo? Innanzitutto il colore è definito da tre valori: R (rosso) G (verde) B (Blu). Questi sono i tre colori primari che l'occhio umano riesce a percepire e da cui crea tutto il restante spettro dei colori, quando noi alla periferica diamo tre numeri che definiscono il tipo di colore ogni periferica interpreta questi tre numeri in maniera differente. l'unica cosa da fare è calibrare le periferiche in modo da ottenere i profili ICC in modo che essi permettano di comunicare tra le periferiche qual è il giusto colore che devono rappresentare. Se le periferiche avessero lo stesso spazio colore, cioè vedessero la stessa gamma di colori, non ci sarebbero grossi problemi, peccato che quasi sempre le periferiche hanno uno spazio colore diverso l'una dall'altra. In questo caso intervengono gli intenti di rendering per cambiare quel colore che la periferica non può elaborare scegliendo il colore più prossimo possibile al colore reale. DEFINIAMO LO SPAZIO COLORE: Dire spazio colore o dire Gamut è la stessa cosa, quello che vediamo in questa immagine è la rappresentazione di quello che l'occhio umano riesce a percepire, oltre ci sono infrarossi ecc… Questo è lo spazio della luce visibile dell'occhio umano.
Ipotizziamo di avere due monitor, uno che lavora in Adobe RGB e uno in sRGB I triangoli che vediamo sono gli spazi colore dei due monitor, chiamiamoli per semplicità "Monitor Adobe" e "Monitor sRGB", la prima cosa che balza all'occhio è che il Monitor Adobe ha una gamma di colori molto superiore rispetto al Monitor sRGB. Se alle periferiche diamo gli stessi numeri RGB restituiranno colori differenti, esempio: se comandiamo ai due monitor di visualizzare un verde puro, quindi niente rosso, niente blu e il verde al massimo, succede che per il Monitor Adobe saremo su un punto più alto rispetto al Monitor sRGB, quest'ultimo non può andare oltre, la punta in alto del triangolo blu (Monitor sRGB) è il massimo verde che può fare, i valori numerici RGB saranno uguali ma i colori di fatto diversi. Curiosità: Non si può aumentare lo spazio colore di un monitor via software, è una questione di hardware. Lo spazio colore dei monitor è triangolare perché sono strumenti RGB, per calcolare il profilo di tutte le periferiche che usano un CCD si usa il massimo verde che riesce a riprodurre, il massimo blu, il massimo rosso, si trovano gli estremi e quindi si uniscono in maniera lineare dando un triangolo. Lo schermo del nostro pc riuscirà a riprodurre i colori all'interno del triangolo (spazio colore), tutto quello che c'è fuori di esso per lui non esiste. Se volessimo vedere lo stesso colore in entrambi i monitor dell'esempio, l'unica soluzione è degradare lo spazio colore del monitor adobe in quello del monitor sRGB.
Ma perché il triangolo dello spazio colore è più allungato verso il verde? Si tende ad aumentare i verdi perché l'occhio è molto più sensibile ad essi, per una questione di evoluzione l'occhio si è abituato a vedere molte sfumature di verde, se ad esempio guardiamo il cielo vediamo meno sfumature di azzurro, non è che non ci sono, semplicemente non le percepiamo. Lo spazio colore sRGB è usato solitamente dalle macchine compatte di fascia bassa, mentre l'Adobe RGB viene impiegato dalla compatte di fascia alta, Evil e ovviamente sulle Reflex. Scattando in RAW non si associa un profilo colore alle immagini perché non è ancora stato fisicamente assegnato, lo si fa dopo in Post Produzione. Il Raw essendo il negativo digitale può essere sviluppo in Adobe RGB, ma conservandolo, un domani (se le nuove tecnologie lo permetteranno) potrò svilupparlo con un profilo colore ancora più ampio. Anche le stampanti hanno un loro spazio colore che è definito dal loro set di inchiostri, più inchiostri ci sono più colori potranno riprodurre, per questo motivo si tende ad avere stampanti con sempre più inchiostri. Quando il profilo colore non ha forma triangolare allora si tratta di una stampa in quadricromia, CMYK è l'acronimo per Cyan, Magenta, Yellow, Key black; difficilmente si stampa un libro con le getto di inchiostro poiché è troppo costoso, col CMYK vengono impiegate le stampanti offset. Se guardate lo spazio colore CMYK a confronto con quello Adobe RGB con il quale "sviluppiamo" le nostre foto vi renderete conto che quest'ultimo è molto più grande del primo, quindi i colori della stampa su libro è meno fedele rispetto a quello che vediamo a video. Nella stampa fotografica è molto importante sapere su quale carta andiamo a stampare, per esempio la carta lucida essendo meno assorbente restituisce una gamma di colori più ampia, la sua Stampante offset superficie è pensata per dare più risalto ai colori, pecca però dal lato della durata, poiché non impregnando la carta i colori si deteriorano più facilmente. La carta Fine Art al contrario dura molto di più ma riproduce una minore gamma di colori (però solitamente si ottengono effetti molto belli e particolari). Quindi fate attenzione alla carta su cui andate a stampare perché può far cambiare il colore della foto!
Spazio colore e calibrazione monitor - Discussione su Forum di fotografia.it Su Forumdifotografia.it sono state fatte delle discussioni molto interessanti su questo argomento, le riporto qui, ringraziando gli utenti della community.
DOMANDA Messaggio di Massimiliano Albani Flickr.com/photos/massimiliano_albani/ Ciao a tutti, Come qualcuno di voi già sa sono un nuovo felice possessore di un monitor DELL U2410. Fino ad oggi non mi sono mai interessato di regolare bene il monitor, di profili colore di windows etc etc.. Mi sto rendendo conto che l'argomento è molto complicato e che, sebbene questo monitor abbia calibrazioni fatte in fabbrica con tanto di certificato, risultati professionali si ottengono solo con una calibrazione fatta con sonda esterna… Partiamo dal presupposto che per ora non mi interessano risultati professionali e ne tanto meno comprare una sonda esterna, nel monitor ho due preset calibrati in fabbrica: Adobe RGB e sRGB. Vorrei sfruttare nel migliore dei modi questa caratteristica, ma ho parecchi dubbi. A rigor di logica la soluzione migliore mi sembra quella di partire già dallo scatto in Adobe RGB, utilizzare quel preset e settare photoshop come spazio colore, appunto, Adobe RGB. E' corretto? Poi, installando i driver del monitor, ho notato che nella gestione del colore di windows ho un nuovo profilo della DELL, cosa comporta? Che impatto ha la configurazione che scelgo sulla foto finale distribuita sul web, oppure ad amici che la visualizzeranno con monitor diversi? I colori rimarranno fedeli alla mia elaborazione in PP?
RISPOSTE SandroOne Usa il profilo colore RGB reflex, RGB monitor, e per internet salva con profilo SRGB. Massimiliano Albani Grazie mille Sandro per il passaggio. Una cortesia, potresti motivare queste scelte? Mi interessa anche capire qualcosa di più, ad occhio mi sembra migliore il preset Adobe RGB rispetto a sRGB, cosa implica utilizzarlo? sinXphotography - Flickr.com/photos/sinxfoto/ Partiamo dal presupposto che per sfruttare al meglio il tuo nuovo monitor dovresti calibrarlo con un calibratore esterno (come mi fece notare una volta un esperto nel settore, avere un buon monitor e non calibrarlo è come avere una ferrari per andare a 30km/h).
Detto ciò, a parer mio dovresti usare il profilo Adobe98 sulla reflex, come profilo monitor ripeto dovresti calibrarlo, ma per il momento assegnagli quello Dell che hai "scoperto" installando i driver. Anche su PhotoShop metti come standard Adobe 98 e prima di mandare i tuo lavori in rete converti i profili in sRGB. Spero di esser stato chiaro... Sagramor81 - www.antoniocapurso.it Ammetto di non essere molto indottrinato sull'argomento. A me hanno sempre consigliato, come dice sinXphotography, di usare il profilo Adobe98. Mi hanno anche detto - relata refero - di utilizzare sempre lo stesso profilo dallo scatto in poi (reflex, schermo, stampante). Non capisco sinceramente perché si dovrebbe convertire in sRGB per mettere i lavori in rete. Sandro One @Massimiliano - Per quanto riguarda l'RGB su reflex e Photoshop è per mantenere la stessa visualizzazione dei colori e non in maniera alterata. @Sgramor81 - sRGB è l'unico profilo supportato nativamente da Windows e tutti i browser ed è quindi l'unico che consente la visualizzazione corretta dei colori, almeno ad oggi. sinXphotography I colori che noi vediamo e "manipoliamo" sono racchiusi in una cosa definita spazio colore che per essere letta ha bisogno di una chiave di lettura universale in modo che ogni monitor dal più economico al più costoso riesca a restituirci una visione più o meno omogenea. Da qui nasce il "profilo colore" che sarà la nostra chiave di lettura, di profili colore ne esistono diversi e comprendono diverse gamme dinamiche. A me hanno insegnato a lavorare in questo modo: - Aprire il file raw da camera raw a 200 dpi o superiore nello spazio colore Prophoto (uno dei più completi, che consente di modificare la nostra foto con più varianti cromatiche possibili) - Finite le nostre modifiche si assegna un profilo colore in base a quella che sarà la destinazione del nostro lavoro, ovvero se dovrà andare in stampa presso una tipografia solitamente si convertirà in CYMK, se invece per esempio andrà su web, si convertirà in sRBG poiché questa è la "chiave" più universale che esista. Alla base di tutto però ci deve essere una calibrazione del monitor, ovvero uno strumento che indichi al computer quale base di dati utilizzare per restituire al nostro occhio (tramite il monitor) i colori in maniera universale, in base al profilo colore che si utilizza nella foto. Infatti il calibratore crea un profilo colore al monitor, e questo profilo verrà utilizzato dalle applicazione come quello di Adobe, come base di partenza per definire tutti gli altri profili colore.
Fatto questo potrete per esempio valutare una foto di un altro utente in rete, poiché sapete che voi avete il monitor conforme allo standard internazionale del colore. Sappiate che non vi ho praticamente spiegato niente, e che l'argomento è davvero vasto....quindi vi ripeto, conviene che approfondiate autonomamente l'argomento. Luca Adame Lombardi Uhm, troppe domande, e troppe risposte che generano altre domande. Ti consiglio di ricominciare da qui: boscarol.com Mauro Boscarol è un'autorità mondiale sulla gestione del colore, a volte i suoi articoli possono sembrare eccessivamente tecnici e scoraggianti, ma se si riesce a superare le difficoltà iniziale diventano una miniera di informazioni per capire la gestione del colore in digitale.
Calibrazione di due monitor - Discussione su Forum di fotografia.it Questa discussione è utile anche per chi deve calibrare un solo monitor.
DOMANDA Gennaro Mazzacane Esaminando le mie foto ho capito che c'è qualcosa non va nel mio monitor, per questo motivo me ne sono fatto prestare uno e l'ho montato sul mio pc (due monitor). Il risultato è davvero catastrofico e io ho necessità di regolare entrambi gli schermi in modo adeguato. Quello che ho provato a fare è : - Impostare gli stessi profili colore che ho in Photoshop (adobe rgb 1998) che ho anche sulla mia canon 50d. - Con Calibirize ho provato a regolare il nuovo monitor. Essendo che io devo fare alcuni fotolibri, non vorrei avere sorprese in fase di stampa. Vorrei, quindi, una corretta calibrazione dello schermo. La mia paura è che in Post Produzione possa devastare una foto a causa di una cattiva calibrazione, sono nel panico più totale.
RISPOSTE Kazama Ma i tuoi monitor coprono la gamma adobe rgb? Se non la coprono è inutile impostare come profilo colore adobe rgb, perché quelle sfumature di colore non le vedrai mai, meglio lasciare il classico sRGB. A meno che non siano monitor da 400 euro in su difficilmente la copriranno.
Marco Crupi Eccoti un video tutorial che ti spiega come calibrare il monitor (e anche come ritoccare in modo professionale la pelle e il viso): youtube.com/watch?v=kFDbeNWCZDg Massimiliano Ferrari - Blog personale shotsforpassion.com Il discorso della calibrazione è ampio e complesso, cercherò di spiegare quello che per ora ho capito del magico mondo dei profili di calibrazione. Per calibrare un monitor in modo decente serve un colorimetro, che ha un suo costo (magari trovi un amico che te lo presta) Calibrare due monitor "ad occhio" non è fattibile, se si vogliono risultati precisi (io ci ho provato, risultati tremendi). Dicevo, serve un colorimetro (economico, parti dai 150€ o giù di li) oppure uno spettrometro (costoso, credo partano dai 400€).
Colorimetro Spyder 3 Elite
Col colorimetro puoi calibrare solo gli schermi (che emettono luce), con lo spettrometro puoi calibrare sia gli schermi che le stampanti (che non emettono luce, ma la
riflettono). Gli spettrometri sono più precisi, ma per i miei usi un colorimetro è sufficiente. Il colorimetro/spettrometro sono strumenti che misurano la risposta dei vari colori a varie intensità, e creano una curva di calibrazione che "corregge" la risposta naturale del monitor, in modo da ottenere una risposta corretta. La taratura di un singolo monitor è semplice: colleghi il colorimetro, fai partire il software, appoggi il colorimetro sul monitor, segui le istruzioni (il software "legge" l'intensità dei vari colori tramite il colorimetro, e ti da indicazioni su come regolare il monitor: contrasto, luminosità, parametri RGB, ecc...) ed alla fine imposta una curva di calibrazione, che viene salvata come "profilo" del monitor. Questo profilo viene caricato ed applicato alla scheda video ogni volta che accendi il computer, e quindi corregge le imperfezioni naturali nella risposta del monitor. Ora complichiamoci la vita, cosa succede se vogliamo calibrare due monitor? Per quanto ho capito, il colorimetro principalmente serve a "linearizzare" la risposta dei colori del monitor. Se io però ho due monitor, uno che copre il 50% dell'AdobeRGB, ed uno che copre il 90% dell'AdobeRGB, e li calibro in modo indipendente, ottengo due monitor che sono si calibrati, ma che producono colori diversi, nel senso che un monitor che copre il 90% dell'AdobeRGB avrà un rosso "più rosso" di un monitor che arriva solo al 50% dello spazio colore adobeRGB.
E quindi, per quanto siano linearizzati, se guardo la stessa foto avrò comunque dei colori diversi. Se voglio che la stessa foto sia uguale su entrambi i monitor bisogna "castrare" il monitor che copre il 90% dell'adobeRGB per fargli coprire solo il 50% dell'adobeRGB. Alcuni colorimetri hanno il software di calibrazione che fa questa cosa, altri no, dipende dal software che accompagna il colorimetro (e da quanto lo si paga, tipicamente lo fanno quelli più costosi). Ora, avrò la stessa immagine su entrambi i monitor, ma perdo la qualità maggiore che potevo avere sul monitor che copriva il 90% dell'adobeRGB. Ora, cosa ce ne facciamo di tante foto a schermo se non le stampiamo? Ok, stampiamole, ma come? Come si calibra una stampante? Si calibra con uno spettrometro. Si lancia l'apposito software, che stampa da poche a molte pagine piene di rettangolini colorati dei colori più disparati, si usa lo strumento e (manualmente per i comuni mortali) si inizia una lunga sessione di lettura di tutti le patch di colore stampate (centinaia) e si crea un profilo per quella ben specifica terna di Stampante-Inchiostri-Carta. Cambi la carta? devi calibrare la carta nuova. Cambi marca di inchiostri? devi ricalibrarli (assieme alla carta) Vuoi aggiornare il driver della stampante? io non lo farei... A questo punto ho uno (o più) monitor calibrati, ed una stampante/inchiostro/carta calibrata. Ora puoi fare una stampa "controllata" ben sapendo che se il tuo monitor ha un rosso incredibile, e la stampante produce solo un rosso sbiadito, il risultato sarà comunque diverso, ma almeno nei mezzitoni le cose dovrebbero essere piuttosto simili. Però, aspetta un attimo... con che luce la guardi la foto stampata? Perché se la guardi alla luce del sole è una cosa, ma se la guardi sotto ad una lampadina ad incandescenza, che ha una luce calda, ti falsa tutti i colori, e se stampi una foto per una mostra dove hanno delle lampade al neon, allora devi fare una calibrazione stampa per quello specifico tipo di luce, in modo che la foto abbia i colori che dici tu, con la luce che la illumina che hanno deciso gli altri. Mancherebbe ancora un passaggio, volendo si può calibrare la macchina fotografica, di modo che se fotografo un pupazzo verde, sul monitor vedo lo stesso identico verde del pupazzo che tengo in mano di fianco al monitor, ma questi tipicamente complica le cose per nulla, nel senso che di solito un fotografo elabora una foto per "tirare fuori" certi colori e certi contrasti, non per creare una foto cromaticamente accurata rispetto al vero. Ecco, questo è quanto ho capito per ora sulla calibrazione.
Personalmente ho 2 monitor da 19 pollici LCD, uno IPS (alto costo) ed uno TN (basso costo) tarati in modo indipendente perché il software del mio colorimetro NON fa la calibrazione simultanea di due monitor, c'è qualche differenza nei colori, ma mi accontento, sono comunque abbastanza simili (quando non erano calibrati le differenze erano abissali). Inoltre ho tarato gli schermi di 3 portatili (1 mio e 2 della mia dolce metà) che così non hanno più quel maledetto bianco che spacca gli occhi. Ho tarato gli schermi dei PC di un altro amico fotografo. Ed infine ho tarato anche il monitor del computer che uso in ufficio. Quando cominci a vedere i colori "giusti" poi non puoi più farne a meno. Una cosa da dire è che schermi identici di computer identici possono avere curve di calibrazione molto diverse: me ne sono accorto quando ho calibrato gli schermi di 2 netbook identici (mio e della morosa) che o acquistato assieme e che hanno due curve di calibrazione molto diverse. Ma dopo la calibrazione i colori sono uguali! Non ho mai calibrato stampanti o macchine fotografiche. Per ora mi accontento di vedere la stessa foto con gli stessi colori su tutti i miei monitor. Molto (di quel poco) che so sulla calibrazione l'ho imparato su questo sito UK Commercial photography - Northlight Images northlight-images.co.uk di un fotografo espertissimo in materia. Ho caricato alcune immagini esemplificative: Monitor LCD 19" (Belinea) calibrato e netbook non calibrato
Monitor LCD 19" (Belinea) calibrato e netbook calibrato
Curva di calibrazione del monitor Belinea
Curva di calibrazione del Netbook
Risposta di Simone82 indirizzata a Massimiliano Ferrari Ma se provassi a farlo sarebbe tempo speso inutilmente (si riferisce alla calibrazione simultanee di due monitor molto diversi a livello qualitativo, IPS (alto costo) ed uno TN (basso costo) usati da Massimiliano Ferrari). La risposta dei pannelli IPS e dei pannelli TN è diversa tra loro: anche se tu avessi l'hardware in grado di calibrare i monitor in maniera perfettamente uguale come curva di risposta, nell'un caso vedresti un maggiore contrasto nell'altro caso dei colori leggermente più slavati. E questo indipendentemente dalla castrazione che dovresti fare sul profilo colore dell'IPS. D'altronde se i primi costano non meno di €500 ed i secondi anche €99 ci sarà un motivo in termini di qualità. L'unico modo corretto di calibrare due monitor è acquistare periferiche uguali, come hai notato comprando due netbook uguali. Della curva di calibrazione precalibrazione non ci può interessar di meno: evidenzia soltanto qual è lo spostamento dai colori reali in quella periferica causato dall'installazione dei driver standard. Ciò che importa è la curva di calibrazione postcalibrazione, che deve essere una bella linea retta con tutti e tre i colori sovrapposti: solo a quel punto avrai normalizzato tutti i colori nelle giuste percentuali tra loro. Se poi si vuole lavorare all'interno di color workflow corretto, la situazione è estremamente complicata: dipende dall'illuminazione della stanza, che dovrebbe essere neutra, diffusa e con una temperatura colore di 6500K (e non le 3000K che vengono utilizzate normalmente) ad una potenza di 120 lumen; le stampanti andrebbero scelte ad almeno 8 inchiostri valutando le differenti tipologie di stampa e quali supporti si usano (alcune vanno meglio sulle carte matte, altre sulle carte glossy, alcune vanno meglio sui neri, altre sul contrasto totale, etc.). La calibrazione di diverse periferiche, inutile dirlo, va fatta con lo stesso strumento, inutile calibrare il monitor con il colorimetro e poi passare allo spettrofotometro per stampanti e proiettori, non avrebbe senso. Se il tuo portatile lo porti fuori dalla tua stanza di lavoro, lo devi ricalibrare sulle nuove condizioni di luce, utilizzando l'apposito comando che fa calcolare al colorimetro la luce ambientale. Lo sposti in un ambiente con un clima diverso? Lo si ricalibra. I professionisti calibrano lo schermo almeno 1 volta al giorno. Ideale per chi vuole fare stampe professionali in casa è fare l'intero processo di calibrazione e profilazione delle periferiche almeno 1 volta al giorno. Son costi, soprattutto per le stampanti, che vanno previsti, e non è detto in tal senso che non sia più sensato rivolgersi per la stampa ad un servizio professionale che ti invii automaticamente il loro profilo di stampa ogni volta che ne generano uno. Quello che non si è detto delle stampanti infatti è che vanno calibrate una volta al giorno (almeno ogni volta che le accendi), gli studi professionali lo fanno fino a 4 volte al giorno, in base al volume di stampa. Profilare (e non calibrare, sono cose diverse) la macchina fotografica è poi l'operazione più semplice di tutte: basta scattare una foto su una color chart della X-Rite e darla in pasto allo script gratuito che ti tira fuori i colori reali. Lo si può fare per singolo illuminante (più preciso), o per doppio illuminante (meno preciso ma adatto a diverse condizioni di luce): in pochi secondi si ha un profilo colore adatto per quella tripletta di corpo macchina +
obiettivo + sorgente luminosa. Il fatto che un fotografo tira fuori i colori che gli servono e non quelli reali non toglie che partire dai colori reali è più facile che partire da un azzurro slavato del cielo che devo correggere modificando la curva di risposta della foto. E se in una sessione di scatto utilizzo diversi obiettivi a diverse condizioni di luce, mi garantisco che anche i colori che voglio ottenere siano coerenti per tutte le foto, invece di dover lavorare ogni volta su colori differenti perché non ho profilato la macchina: quanti azzurri del cielo dovrò prima normalizzare?
LO STUDIO FOTOGRAFICO Prima di iniziare questo capitolo voglio ringraziare il fotografo Giuseppe Santagata, con cui ho realizzato le foto alle modelle che vedrete nelle pagine seguenti. Questa parte del libro è dedicata alla fotografia in studio, sono da considerare parti di questo capitolo gli articoli "Un Foto ritrattista" a pag. 109, "Lo Still Life" a pag. 143 e "Come fotografare le gocce" a pag. 200. Lo studio fotografico a differenza della luce naturale ci permette di avere un totale controllo sulla qualità e quantità della luce. Prima di passare ad analizzare l’attrezzatura necessaria per uno studio è necessario partire dallo spazio minimo richiesto per allestirne uno, tutto dipende dai risultati che vogliamo ottenere e se ci serve per un’attività amatoriale o professionale, perché nel secondo caso abbiamo bisogno di molto spazio. Lo studio fotografico del professionista deve essere diviso in varie zone, all’entrata di esso ci dovrebbe essere una stanza per ricevere i clienti in cui ci sia anche un pc da usare per la post produzione, la stanza dedicata al set fotografico deve poter ospitare almeno 4 flash (o altri sistemi di illuminazione come le luci continue) e permettere una certa distanza tra il fotografo e il soggetto e tra quest'ultimo e lo sfondo, la grandezza ideale sarebbe 10x10 metri (la stanza in cui si fotografa), infine ci deve essere una zona dedicata al makeup e al cambio di abito (che possono anche coincidere) e un magazzino per conservare le attrezzature. Altri accorgimenti da adottare: •
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Se nella stanza dedicata al set fotografico ci sono finestre assicuratevi che da esse non passi luce quando sono chiuse, meglio oscurarle con tende nere in modo da permettere il passaggio dell’aria ma non della luce. Il colore della stanza, delle pareti e del pavimento è preferibile che sia una tinta neutra e scura, per evitare di influenzare i colori della foto, il bianco è da evitare poiché riflette la luce. Le prese elettriche conviene siano di tipo schuko in modo tale da poter alimentare senza adattatori quasi tutti gli illuminatori da studio. Per esperienza personale vi consiglio di dotare lo studio di un sistema di climatizzazione. Nella stanza dedicata al set fotografico oltre alle attrezzature dedicate alla fotografia installate uno stereo, la musica può aiutare il soggetto a rilassarsi.
Questo per quanto riguarda uno studio fotografico professionale, per un fotoamatore il discorso è diverso, deve comunque dedicare una stanza di casa sua al set fotografico ma non ha bisogno di una stanza per ricevere i clienti o di un’area specifica da dedicare al make-up e cambio abito.
ACCESSORI BASILARI PER STUDIO: •
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Bisogna munirsi di un porta fondali da mettere dietro al soggetto, di fondali ne esistono diversi tipi che si distinguono per materiale e colori, si devono avere sia di carta che di tela perché hanno una resa differente. Servono almeno tre-quattro flash, la potenza minima che vi consiglio è di almeno 400W. Due servono per illuminare il soggetto e il rimanente per il fondale (se non è un fondale nero), oltre ai flash da studio ricordatevi di comprare dei buoni stativi. I flash da studio sono muniti di una sorta di parabola che direziona la luce sul soggetto generando ombre nette, ideale se cerchiamo un certo tipo di risultato, però possiamo aver la necessità di ammorbidirla, a questo scopo bisogna acquistare degli ombrellini bianchi traslucidi, da montare sul flash davanti alla parabola o ancora meglio dei soft box, questi ultimi sono più costosi degli ombrellini ma forniscono un’illuminazione migliore, più intensa e morbida. Pannelli Riflettenti. Inoltre è bene avere a disposizione una truccatrice (essenziale in questo genere) e un'assistente che vi aiuti con l’illuminazione e i vari imprevisti.
L’attrezzatura necessaria varia molto a seconda delle esigenze del fotografo e delle preferenze, io per esempio preferisco i flash alle luci continue (per motivi che vedremo successivamente), le attrezzature che ho appena elencato permettono una grande libertà di movimento e buoni risultati, per provare le attrezzature da studio e farvi un'idea di come funziona è una buona idea noleggiare uno studio fotografico da un fotografo nella vostra città. Iniziamo parlando degli ombrelli e dei softbox, di entrambi ne esistono un'ampia gamma, variano di forma e dimensioni e sono essenziali per gestire e ammorbidire la luce. Gli ombrellini si montano davanti al flash, fanno rimbalzare la luce sulla propria superficie restituendola più diffusa verso il soggetto, a seconda delle dimensioni e forma dell’ombrello si ottiene una luce più o meno concentrata, inoltre questa luce varia anche a seconda del rivestimento interno, gli ombrelli con un rivestimento interno bianco ammorbidiscono notevolmente la luce, a differenza degli ombrelli con un rivestimento interno argentato che riflettono rispetto ai primi maggiore luce verso il soggetto aumentando il contrasto della foto.
Prostudio360.it - Ombrello rivestimento argentato Link Prodotto
I soft box detti anche Bank sono delle strutture in tessuto nero al cui interno vengono alloggiati uno o più flash (o luci continue). All’interno i bank come gli ombrelli possono essere bianchi o argentati. Per ammorbidire e diffondere la luce i soft box sono preferibili rispetto agli ombrelli, questi ultimi a confronto restituiscono una luce più dura e meno diffusa.
Prostudio360.it - Soft Box ottagonale Link Prodotto
Iniziate facendo book fotografici in esterni: • • • •
Munitevi di una fotocamera reflex con ottiche adeguate al ritratto. Un pannello riflettente. Un assistente. Un flash portatile da studio con generatore annesso, se non avete un assistente vi conviene usare i flash a slitta, ovviamente sono meno potenti dei flash portatili da studio ma hanno il vantaggio di essere più versatili e semplici, al momento dell’acquisto controllate che possa essere regolato manualmente e comandato in remoto. Il limite maggiore di questa tipologia di flash è la dimensione ridotta, per aumentare la dimensione apparente della lampo vi basterà sfruttare superfici bianche sulle quali far rimbalzare la luce per diffonderla, come un pannello riflettente o un muro bianco. Personalmente, per iniziare a fotografare in studio ho fatto pratica in uno spazio abbastanza ristretto che mi permetteva comunque di ottenere risultati accettabili, mi sentivo però molto limitato poiché non potevo divertirmi variando lo schema di illuminazione, in parole povere non potevo spostare i miei flash ottenendo risultati significativi. Come primo acquisto consiglio di comprare un flash da studio portatile per realizzare anche foto in esterni, per utilizzarlo vi consiglio l'aiuto di un assistente o in sua assenza di portarvi uno stativo su cui montarlo.
Prostudio360.it - Flash portatile - Link prodotto
Il mio flash ha una potenza di 400W ed è adatto sia in esterni che come flash per lo studio
fotografico. La potenza massima è di 400W ma si può regolare girando una manopola, il powerpack (che contiene la batteria ed i comandi) mi da un autonomia di 160 scatti. Il tempo di ricarica del Powerpack è di 3 ore. Specifiche tecniche del mio Flash: • • • • • • • •
Dimensioni, senza riflettore (LxAxA) W. 21x32x13cm Potenza di Flash 400W Numero guida 64 Tempo di ricarica ca. 2-4sec. Lampada pilota 50W Tipo di innesco cavo sincro, pulsante di prova lampo Temperatura del colore 5300-5600K Peso ca. 1180g
I fondali, quelli per lo still life vanno bene di dimensioni 70x100cm circa, mentre quelli per la fotografia di persone devono essere ovviamente più grandi. Come primo fondale compratene uno di colore grigio perché all’occorrenza può diventare bianco o nero, per farlo diventare bianco basta una forte illuminazione su di esso, discorso inverso per farlo diventare nero.
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A seconda del fondale può variare l'illuminazione utilizzata, se usiamo un fondale bianco questo deve essere illuminato con una potenza doppia rispetto all'illuminazione utilizzata sul soggetto. Con un fondale nero se le luci vanno a illuminare il fondale esso diventa grigio.
Consiglio anche l’acquisto del Green Screen, ovvero un fondale verde di una tonalità particolare che in natura non esiste, serve a poter utilizzare la tecnica Chroma key (colore chiave), il fondale verde ci permette in post produzione di scontornare velocemente il soggetto dallo sfondo per sostituirlo con un altro, esistono software che analizzando la chiave di colore eliminano il verde dello sfondo in maniera automatica, in questo modo è possibile applicare qualsiasi tipo di sfondo.
Prostudio360.it - FotoQuantum® StudioTools™ Supporto Telescopico per Fondali 3m (120 - 307cm) prodotto - Fondale in tessuto Verde, 3x6m Link Prodotto - Versione nera Link - Versione bianca Link
Link
Durante la fase di scatto con il green screen si deve illuminare in modo omogeneo il fondale e porre il soggetto a una distanza di circa tre metri per far sì che non ci siano fastidiosi riflessi verdi sul contorno del soggetto. I green screen professionali sono in un
materiale che riflette poco per minimizzare i riflessi che fanno perdere drasticamente qualità e rendono più difficile lo scontorno. Per sorreggere il fondale avete bisogno del porta fondali, nella figura alla pagina precedente avete visto il porta fondali composto da due treppiedi estensibili e una barra trasversale per sorreggere il fondale. Ora vi propongo altri tipi di porta fondali, sono quelli a muro e quelli autopole, entrambi potete acquistarli da prostudio360.it
Prostudio360.it - Supporto Fondali elettrico
Attraverso un telecomando i fondali possono essere arrotolati o srotolati, rendendo facile e veloce la selezione dei fondali. I 4 ganci in metallo, offrono la stabilità necessaria per essere applicati sia al muro che al soffitto. Grazie a un adattatore (spigot) il sistema di supporto dei fondali può essere rapidamente montato su treppiedi. Un Autopole è un supporto che va dal pavimento al soffitto. E' possibile montare su di esso lampade, fondali, morsetti, riflettori, ecc…
Prostudio360.it - Autopole
ACCESSORI PER FOTOGRAFIA STILL LIFE Per la fotografia still life possiamo scegliere se utilizzare: •
Il tavolo da still life: composto da una superficie in plexiglass semi trasparente, questa superficie può essere incurvata richiamando la struttura del fondale limbo.
Prostudio360.it - FotoQuantum® StudioTools™ Tavolo Fotografia prodotto 120x60cm Link Prodotto
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Il cubo di luce: elimina completamente le ombre, uno strumento indispensabile nella fotografia di prodotto.
Prostudio360.it - FotoQuantum® Daylight Kit 600/600 (4x30W) + Cubo di luce 77x77x77cm Link Prodotto Prostudio360.it - FotoQuantum® StudioTools™ Cubo di luce 152x152x152cm Link Prodotto
ILLUMINAZIONE STUDIO FOTOGRAFICO La scelta del tipo di illuminazione è la parte più importante e difficile nell'allestimento dello studio fotografico, personalmente preferisco i flash alle luci continue, lavorare con le luci continue ci consente di vedere subito gli effetti della luce sul soggetto, ma di contro hanno un non indifferente consumo energetico e riscaldano molto di più l’ambiente (causando problemi col makeup che va continuamente ritoccato) e possono dare fastidio al modello. Consiglio di acquistare i flash monotorcia, soprattutto se non avete molto spazio, sono più economici ma meno potenti dei flash con Prostudio360.it - Flash monotorcia FotoQuantum generatore, la differenza fra questi ultimi e i LightPro FQC-400HLR Link Prodotto monotorcia è semplice, i flash monotorcia hanno nel corpo chiamato torcia sia la lampada flash sia il generatore (in cui si trovano i comandi situati dietro il flash), nel caso dei modelli con generatore la torcia è più compatta ed è collegata tramite un cavo al generatore che consente di controllarne la potenza. I flash da studio hanno al centro una luce continua definita pilota, non è molto potente ma serve per mettere a fuoco il soggetto. I flash possono essere collegati alla fotocamera in due modi, o tramite un cavo sincro o con appositi trasmettitori che comunicano con gli illuminatori attraverso onde radio. Inoltre potete mettere in comunicazione tra di loro più flash anche senza collegarli tutti alla fotocamera, tramite una fotocellula integrata (o esterna) potete usare il flash in modalità "slave" (servo comandata), in sostanza il flash principale collegato alla fotocamera emette il lampo di luce che raggiunge la fotocellula del flash secondario, il tempo di emissione del secondo lampo è così rapido che è impossibile vedere i lampi in sequenza, sia l'occhio umano che il sensore della fotocamera li percepiscono come un unico lampo.
Recentemente ho avuto il piacere di entrare in possesso del FotoQuantum LightPro Kit Flash da studio fotografico di ProStudio360.it Ho usato questo kit per iniziare a realizzare book fotografici in studio, prima di mostravi gli scatti da me realizzati voglio illustrarvi le caratteristiche tecniche di questi accessori. Partiamo dalle due unità flash, hanno una potenza di 200W, numero guida 50, una temperatura del colore di 5600K, hanno una lampada pilota alogena da 150W e un tempo di ricarica di 0.8-1.8s. Metodi Triggering: Sensore slave/Cavo sincro/pulsante test. Possiedono una ventola di raffreddamento e un sistema di protezione contro il surriscaldamento. Le
dimensioni
sono
di
30x12.5x12.5cm
(senza
riflettore) ed il peso è di 1.80kg. Coi flash sono inclusi i riflettori in metallo, cavi di alimentazione (4m) e i cavi sincro. I treppiedi hanno un'altezza massima di 2425mm e una minima di 730mm, sono divisi in 3 sezioni e hanno un peso di 1590g. Sono abbastanza robusti e facili da trasportare. Nel kit sono presenti anche dei softbox di dimensioni 60x90cm, sono in Nylon e l'anello è in alluminio. All'interno sono in argento riflettente mentre il colore esteriore è il nero. Sono un accessorio davvero essenziale che non può mancare nello studio fotografico di un fotografo. Sono utilissimi per ottenere una luce diffusa senza ombre troppo nette.
Prostudio360.it - FotoQuantum® StudioTools™ Softbox FQSB-030, 60x90 cm Link Prodotto
Usando anche il flash portatile all'interno dello studio montato su uno stativo ho ottenuto risultati veramente notevoli. Se però il vostro budget ve lo permette consiglio l'acquisto del FotoQuantum LightPro Kit Flash FQC-400LR + Softbox + Treppiede. La differenza sostanziale sta nell'unità flash più potente e dotata di controlli più avanzati. E' compatibile con la baionetta Bowens, la ventola di raffreddamento è molto silenziosa ed efficiente, non ho mai avuto problemi di surriscaldamento (il circuito di nuova generazione è stato progettato per resistere al calore), e il tempo di ricarica fra un lampo e l'altro è molto breve. Girate pagina per vedere le foto che ho realizzato con questa attrezzatura.
TIPI DI LUCI CONTINUE Luci a fluorescenza: Producono una luce gestibile e molto morbida, sono a basso consumo di energia e sono molto utilizzate nei ritratti e nello still life.
Prostudio360.it - FotoQuantum® StudioMax™ Kit Daylight 450/450 + Ombrellini Link Prodotto
Prostudio360.it - FotoQuantum® LightPro™ Kit Daylight FQCL 1750/1750 Link Prodotto
Oltre agli illuminatori appena citati abbiamo i neon a luce fredda, particolarmente indicati per la fotografia still life (ma anche di ritratto), hanno la stessa temperatura colore dei flash 5500°K, ovviamente sono notevolmente più costosi dei normali neon ma anche notevolmente più potenti ed efficienti, i neon comuni non sono adatti alle esigenze di illuminazione di un fotografo professionista ma possono comunque essere utilizzati se si mira a risultati particolari e si vuole sperimentare con un'illuminazione insolita, i neon a luce fredda da studio non riscaldano l'ambiente a differenza delle luci al tungsteno, e sono dotati di alette mobili per direzionare la luce, ne esistono vari tipi per dimensioni e numero di neon usati. Luci a incandescenza: o anche dette luci a Tungsteno, poiché la luce viene generata per incandescenza di un filamento di tungsteno, hanno una temperatura colore di circa 2600-2900K e in quelle specifiche per la fotografia può arrivare fino a 3200K. Recentemente le lampade a tungsteno sono diventate alogene, perché grazie al gas alogeno possono raggiungere temperature ancora più elevate! Le lampade a Tungsteno non sono indicate nello Still life di alimenti poiché producono un elevato calore che potrebbe alterali. Alla vostra sinistra lo schema di una lampada a incandescenza, in basso la foto di una lampada alogena. Luci a scarica HMI: questo tipo di illuminazione mi piacerebbe poterla usare, peccato per il costo elevatissimo, le luci a scarica HMI hanno una resa cromatica day light, per questa loro caratteristica vengono utilizzate anche in esterni grazie alla perfetta integrazione con la luce ambiente, hanno una qualità eccezionale e come era facile intuire vengono usate anche nel mondo del cinema.
Schema lampada a incandescenza - Fonte Wikipedia - Autore Fastfission
Arri 12.000W HMI Fresnel, temperatura colore 5600K estremamente luminoso e potente, ma non a buon mercato, costa circa 11.000 Euro!
TECNICA FOTOGRAFICA COI FLASH Quando lavorate con l’illuminazione flash la prima cosa che dovete imparare è che: •
Il diaframma è l'unico strumento che regola l'esposizione sul soggetto.
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Il tempo di esposizione deve essere pari o inferiore al tempo di sincronizzazione della fotocamera con il flash, controlla la quantità di luce ambiente che la macchina registra, se scattate due foto con lo stesso diaframma e tempi diversi l'esposizione sul soggetto rimane immutata perché l'effettiva velocità di scatto è influenzata solo dal flash che lavora con tempi molto brevi. Provate a fare un esperimento, impostate un tempo di esposizione più veloce del tempo di sincronizzazione del flash, sulla foto apparirà una banda nera, quella è la tendina dell'otturatore della fotocamera.
Nella prima immagine si vede a destra la banda nera dell'otturatore, ho usato un tempo di scatto di 1/200 s. a f20, superiore al tempo di sincronizzazione dei flash, nella seconda invece il tempo di scatto l'ho impostato a 1/100 s. sempre a f20, il risultato lo potete vedere coi vostri occhi.
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Maggiore è la dimensione di una fonte luminosa e più morbida e diffusa sarà l'illuminazione ottenuta, questo è il principio dei softbox e degli ombrelli che aumentano la dimensione del lampo prodotto dal flash.
Prostudio360.it - FotoQuantum® Flashes FQS-180/180 Link Prodotto
Nella pagina successiva potete vedere l'immagine di esempio che mostra i differenti risultati utilizzando un flash con e senza softbox. Nelle foto alla vostra sinistra è stato montato davanti al flash un softbox, mentre per realizzare le foto alla vostra destra è stato tolto, come potete vedere i flash muniti di softbox producono un’illuminazione più diffusa e omogenea, con ombre molto morbide, risultato totalmente opposto si è ottenuto levando i softbox, i flash senza di essi hanno generato un'illuminazione più dura e ombre molto nette. la luce diretta può essere usata in determinati casi per mettere in risalto aree specifiche del corpo.
Flash in studio Una volta allestito il nostro studio fotografico dovremo imparare a usare i flash che abbiamo acquistato, la loro potenza può essere regolata a seconda delle nostre esigenze, ma in realtà per "potenza" si intende la durata della luce emessa, quindi il lampo di un flash impostato a piena potenza durerà il doppio rispetto al lampo emesso dallo stesso flash settato a metà della potenza. Mi sembra doveroso introdurre adesso il concetto di numero guida. Il numero guida che trovate nei flash indica la potenza dello stesso, conoscere il numero guida del flash è di fondamentale importanza per poter impostare il corretto diaframma da utilizzare conoscendo la distanza tra il flash e il soggetto. Esiste una formula matematica: 𝐷𝑖𝑎𝑓𝑟𝑎𝑚𝑚𝑎 =
Numero guida Distanza �lash
Tutto questo tenendo conto che scattiate a una sensibilità ISO standard (ovviamente se usate i flash non ha senso alzare gli ISO). Per quanto riguarda i flash a cobra esistono automatismi che consentono di trovare automaticamente il diaframma. Personalmente quando uso i flash, faccio delle prove a diverse aperture di diaframma perché si possono ottenere risultati particolari non seguendo le regole e facendo scegliere al proprio senso artistico. Ho già spiegato a pag. 33 come utilizzare l'esposimetro, in questo capitolo faccio un approfondimento, perché non è possibile parlare di fotografia in studio senza citare questo fondamentale strumento. Vediamo come calibrare l'esposimetro Prima di tutto bisogna tararlo facendo la lettura di una luce flash su una superficie di colore corrispondente al grigio medio 18%. Fotografiamo la superficie col diaframma suggerito dall'esposimetro e andiamo a vedere in photoshop se il grigio al 18% corrisponde a un grigio 50% nella scala RGB, ossia R128, G128, B128. Provate ad andare su uno dei tanti tool online come questo: medusastudio.it/tavolozza.php Impostate per R, G e B il valore 128, otterrete un grigio 50%.
Chiarito questo aprite l'immagine in photoshop, per prima cosa applicate una sfocatura media in modo da avere un colore uniforme, in questo modo i valori RGB nella info dell'immagine dovrebbero corrispondere come ho già detto a 128, potete anche controllare nella finestra Livelli, dovrebbe esserci una linea verticale al centro corrispondente al valore 1 (come nell'immagine di esempio).
Se così non fosse dovrete andare ad agire sull'esposimetro per cambiare la sensibilità. Ovviamente dovrete ripetere questo test finché non avrete calibrato perfettamente l'esposimetro. In studio per i motivi già illustrati precedentemente non avendo senso variare il tempo di esposizione (che conviene far coincidere col tempo di sincronizzazione del flash) gli unici due parametri che possiamo modificare in macchina sono i diaframmi e gli ISO, al variare dei primi però varia la PDC e i secondi devono rimanere sul livello standard della fotocamera, l’unica soluzione per ottenere una corretta esposizione è variare l'intensità della luce sui singoli flash! Un errore comune è di allontanare l’illuminazione dal soggetto che stiamo fotografando per diminuire la quantità di luce, invece andrebbe diminuita la potenza del flash dagli appositi comandi, è un errore perché lo spostamento cambia l’effetto della luce, fate una prova, scattate due foto prima diminuendo la potenza dai comandi e poi scattate la seconda foto aumentando di nuovo la potenza e allontanando il flash, otterrete due effetti differenti! Questo perché la luce decade rapidamente, se per esempio raddoppio la distanza tra il flash e il soggetto la luce non si dimezza ma diventa 1/4.
Per disporre le luci possono venirvi in aiuto gli schemi di illuminazione, su internet se ne trovano molti, dai più semplici ai più avanzati, su you tube ho trovato un video molto interessante: http://www.youtube.com/watch?v=Jplv_dxtz8A Inoltre vi segnalo una serie di video sulle varie tecniche di illuminazione e su come allestire uno studio fotografico low cost, video tutorial realizzati dal fotografo Luciano Boschetti, li ho raccolti sul mio blog al link: marcocrupifoto.blogspot.com/2010/12/studio-fotografico-per-il-ritratto.html Esistono anche software appositi che simulano l’illuminazione in studio per decidere prima come disporre le luci. C'è da fare una piccola riflessione sugli schemi di illuminazione, essi trovano il tempo che trovano perché è molto più importante capire i principi dell'illuminazione e regolarsi secondo i proprio gusti senza provare a copiare gli altri, anche perché sul web e in alcuni manuali si trova la foto finita (cioè già post prodotta) e il relativo schema di illuminazione, questo non ha quasi senso, poiché non sappiamo i tipi di flash impiegati e con quali settaggi sono stati usati (potenza, altezza e distanza precisa dal soggetto), inoltre non conosciamo la post produzione che c'è dietro la foto! Il mio consiglio è sperimentare molto giocando con le luci, aiutati da un conoscente che abbia la pazienza e il tempo per farvi da modello, mi rendo conto però che non tutti sono così fortunati, in questo caso ci viene in aiuto facebook, grazie ad esso è possibile cercare di entrare in contatto con modelli/e o aspiranti tali disposti a posare gratuitamente per noi in cambio del cd con le foto, esistono anche network dedicati alle modelle e ai fotografi. Durante la fase di scatto cercate di catturare ogni minima espressione, perché anche piccoli cambiamenti possono portare a risultati differenti non subito visibili, insomma non risparmiate le foto. Fotografare in digitale però non ci autorizza a non curarci del set o del makeup perché tanto c’è photoshop! Quando una foto è curata già dall’inizio porterà a risultati di alto livello, una foto mediocre sempre mediocre resterà, con photoshop può sicuramente migliorare ma non crediate che questo software faccia miracoli trasformando il piombo in oro.
TECNICA FOTOGRAFICA IN ESTERNI COL FLASH Il flash in esterni può essere utilizzato anche in buone condizioni di luce, per dare un effetto particolare alla foto, parlo ovviamente dei flash portatili da studio e non di quelli integrati nella fotocamera.
Foto non elaborata in photoshop realizzata con flash portatile da studio
Uno dei miei principali problemi quando ho iniziato a scattare col flash in esterni era come rendere visibile anche lo sfondo dietro il soggetto, perché scattando alla velocità di sincronizzazione del flash il soggetto risultava correttamente esposto ma si perdeva il paesaggio alle sue spalle. La soluzione è in realtà semplice, basta pensare ai principi base della fotografia, per far percepire al sensore la luce presente sulla scena basta impostare tempi di posa più lenti dei tempi di sincronizzazione con il flash, così facendo il flash emetterà un lampo in contemporanea all'apertura dell'otturatore ma quest'ultimo resterà qualche millisecondo in più aperto permettendo anche alla luce ambiente di raggiungere il sensore. Ricordatevi comunque che il tempo di posa impostato nella fotocamera non ha alcuna influenza sull'esposizione della foto, scattare a 1/60 o a 1/100 quando la durata del lampo flash che espone la scena è molto più breve è indifferente.
Quando fotografate il modello/a durate il tramonto usando il flash otterrete un effetto irreale e poco gradevole, questo perché la luce del flash ha una temperatura colore uguale alla luce diurna 5500°K, quindi in una foto al tramonto dove la luce è più calda il soggetto risulterà illuminato frontalmente con una luce più fredda, personalmente risolvo questo problema in post produzione ma c'è chi ancora preferisce applicare delle gelatine colorate al flash.
Strumenti essenziali che non possono mancare nel corredo di chi fotografa in esterni sono il fondale pieghevole e il pannello riflettente.
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Prostudio360.it - FotoQuantum® StudioTools™ Riflettore 5 in 1, 71x112cm Link Prodotto
USO FLASH A COBRA In esterni non è raro vedere fotografi che usano i cosiddetti flash a cobra, poiché rispetto ai flash da studio portatili sono più comodi da trasportare e non necessitano di un assistente o di uno stativo, inoltre rispetto ai flash incorporati nella fotocamera hanno una portata maggiore. Le modalità fondamentali di questo tipo di flash sono: Manuale, Auto e TTL. In modalità manuale è necessario un esposimetro per misurare la luce presente sulla scena e impostare di conseguenza il diaframma (si fa partire il lampo e si legge il diaframma di lavoro sull'esposimetro esterno, in base al valore ottenuto si setta il diaframma nella fotocamera), in questa modalità si può decidere la potenza del flash. La massima potenza è rappresentata dal numero 1/1. Nella modalità automatica il flash emette un lampo e facendo una lettura della luce di ritorno stabilisce la giusta esposizione, la luce del prossimo lampo viene dosata in maniera automatica. La funzione TTL (Through-the-lens ovvero "attraverso la lente") è molto utilizzata, il flash non fa altro che leggere la luce attraverso la macchina fotografica. Vediamo come funziona: Impostando la funzione TTL durante la fase di scatto il flash emette dei prelampi prima che si apra la tendina dell'otturatore, la luce emessa colpisce il soggetto e torna indietro, essa viene riflessa dalla tendina ancora chiusa e letta da un sensore per dosare la giusta quantità di luce del flash. Esistono due tipi di modalità TTL, la standard, ovvero la luce del flash considerata come fonte di illuminazione principale e la fill-in che al contrario si usa quando esiste un'altra fonte di illuminazione principale e il flash viene usato come luce di riempimento delle ombre, dobbiamo solo stare attenti alle ombre generate dal flash e all’effetto di appiattimento provocata da una luce diretta! Per riempire solo le ombre senza effettuare effetti irrealistici può essere necessaria una compensazione negativa, ovvero abbassare il valore della potenza del lampo che il flash considera corretta, dipende molto dall’illuminazione presente sulla scena e sta a voi regolarvi effettuando varie prove sul campo.
Per ammorbidire la luce generata dal flash TTL che spesso risulta troppo dura, potete usare un diffusore.
Prostudio360.it - Diffusore Universale per Flash Link Prodotto
In interni se non siete muniti di diffusore potete sfruttare le pareti o il soffitto della stanza, basta che non siano colorati sennò vi ritroverete delle sgradevoli dominanti colore, la parete o il soffitto devono essere bianchi o al limite grigi. È anche possibile sganciare il flash a cobra dalla fotocamera e posizionarlo in un punto a nostro piacimento, può essere attaccato a un treppiedi o essere appoggiato anche su una qualsiasi struttura stabile come un mobile o un muretto, per fare ciò è necessario che il flash sia munito di servo cellula.
RIFLESSIONI SULLA FOTOGRAFIA Fotografia, Poesia e Benigni! L'analfabetismo fotografico in Italia "La poesia non è fuori, è dentro... Cos'è la poesia, non chiedermelo più, guardati nello specchio, la poesia sei tu..." o anche "E vestitele bene le poesie, cercate bene le parole, dovete sceglierle! A volte ci vogliono otto mesi per trovare una parola! Sceglietele...che la bellezza è cominciata quando qualcuno ha cominciato a scegliere." Bellissime frasi tratte dal film la tigre e la neve di Benigni, ma cosa centra Benigni con la fotografia? Prima guardatevi questo fantastico video youtube.com/watch?v=Phk_o91gzEU Se il link non dovesse più funzionare cercate su youtube "Benigni Poesia". In 2 minuti e mezzo è riuscito a esprimere dei concetti bellissimi e validi per qualsiasi forma d'arte... che se compresi veramente possono essere più d'aiuto di qualsiasi manuale di tecnica fotografica. Io metterei questo video all'inizio di ogni corso fotografico di base. "Non esiste una cosa più poetica di un'altra!" non è necessariamente vero che per fare belle fotografie (termine molto vago) si ha bisogno di soggetti belli e originali, un esempio? Cercate su google "Peperone numero trenta di Edward Weston" (non posso inserirlo qui perché è un'immagine protetta da copyright). E' una delle opere più famose di un grande maestro della fotografia del novecento, un peperone, vi rendete conto?. Voglio condividere con voi il pensiero di Alberto Pellegrinet espresso in una discussione su forumdifotografia.it: Anche dalle foto pubblicate si denota che purtroppo tutta l’energia dei fotografi è orientata verso la tecnica piuttosto che la “poesia”, e pure i commenti: solo tecnici, alcuni addirittura consigliano di accentuare colori, da immagini viste a computer dove, a seconda del computer utilizzato e dal costo dello stesso i colori hanno un valore pressoché informativo. Ci sono poi quelli che presi da entusiasmo si ritrovano ad elargire consigli su come e cosa fare senza averne le capacità. La fotografia per molti non è quella che dovrebbe essere, è un passatempo, una sorta di emulazione del lavoro, un modo per farsi notare o pavoneggiarsi con le ultime novità del momento, questo anche, perché in Italia non si è mai considerata la fotografia come materia di studio. Cito una frase di Lazlo Moholy Nagy: “Anyone who fail to understand photography will be one of illiterates of the future”. Era il 1927, ed è purtroppo cosi, l’Italia s’è persa per strada ed è rimasta analfabeta, fotograficamente parlando, pochi fotografi conosciuti internazionalmente, nessuna scuola a livello universitario, poche gallerie, pochi eventi e nessuna rivista valida (sulla fotografia), e soprattutto poca qualità dell’immagine; si continua però a studiare pittura mentre le riviste e giornali sono piene di immagini…povere.
In un articolo apparso nel suo blog, Paola Iezzi, grande appassionata di fotografia scriveva: "Avallare l’ignoranza contribuisce ad abbassare il livello medio del gusto e della qualità della vita stessa e fa si che la società sprofondi sempre più nell’oblio più completo. Confrontarsi con chi ne sa più di noi, ci aiuta ad avere una visione più ampia e globale. Chiudersi a questo confronto significa precludere a se stessi e alla società della quale siamo parte, la possibilità di progredire e di evolverci in qualcosa di meglio. Difendere, quindi diffondere l’ignoranza è quanto di peggio una società illuminata e un individuo, che per di più si dica sensibile ed illuminato, possano fare, soprattutto se questa difesa ipocrita venga fatta per il proprio personale tornaconto, per accrescere il proprio ego.” E non cercate la novità, la novità è la cosa più vecchia che ci sia. E se il verso non vi viene, da questa posizione, né da questa, ne da così, buttatevi in terra! Mettetevi così! Ecco... ohooo...è da distesi che si vede il cielo... guarda che bellezza, perché non mi ci sono messo prima... I poeti non guardano, vedono. Fatevi obbedire dalle parole, se la parola 'muro' non vi da retta, non usatela più...per otto anni, così impara! Che è questo, bhooo non lo so! Questa è la bellezza, come quei versi là che voglio che rimangano scritti li per sempre... forza, cancellate tutto che dobbiamo cominciare! La lezione è finita. Ciao arrivederci.
Come diventare famosi su Flickr Tutti (o quasi) i fotografi iscritti a Flickr una volta caricate le foto sul proprio account si pongono la medesima domanda : "Come posso diventare popolare su Flickr?" Io me la sono fatta 4 anni fa quando ho aperto il mio account: http://www.flickr.com/photos/marcocrupivisualartist/ Dopo molte ricerche e aver questo articolo.
accumulato una certa esperienza posso finalmente scrivere
Girovagando fra i vari album fotografici è facile imbattersi in foto mediocri con 4 o 5 pagine di commenti e foto bellissime che non hanno neanche un misero commento. Da cosa dipende ciò? In un gruppo di discussione su Flickr un utente si poneva il medesimo quesito e questa fu la risposta di giorgioGH (il nickname dell'utente che risponde): "Condivido pienamente le tue perplessità. Io ho iniziato con Flickr nel 2006 e, secondo me, da quel momento è cambiato in modo sostanziale sull'onda dei social network. Mi spiego: per avere tanti commenti devi avere una tua "vetrina" su una strada molto frequentata che è rappresentata dai tuoi contatti. Tali contatti, però, devono essere stimolati a guardarti e a spedire il commento; credo che questo si ottenga con un lavoro certosino e paziente col quale tu a priori invii il tuo commento positivo a foto (di qualsiasi qualità) di tutti i contatti e il destinatario si sente poi in dovere di farlo con te. E' una specie di voto di scambio, da mantenere sempre attivo. Per molti l'obiettivo è di vedere la propria foto su explore. L'entrata in explore si basa (almeno per la componente maggiore) su un algoritmo che tiene conto del numero di commenti e di preferiti pervenuti nell'unità di tempo. In questo modo su explore ora vanno foto semplicemente molto commentate e "favorite" nelle prime 24 ore dal posting che raramente (mio personale parere forse errato) sono belle. Sono semplicemente prodotti di questo sistema di social network, non di una scelta artistica." Condivido pienamente la riflessione appena espressa, però ci tengo a precisare che essere dei bravi fotografi e inserire delle belle foto invoglia ancora di più a lasciare dei commenti e ad aumentare la propria popolarità, perché la gente condivide le tue foto e ne parla con gli amici, mentre se si fa solo "marketing" si avranno tanti bei commenti dati per educazione. Parliamo dei Gruppi di Flickr, a cosa servono? Sono veramente utili? Tranne qualche rara e lodevole eccezione, nei gruppi la maggioranza degli utenti posta la propria foto e se ne va senza manco guardare le altre, ma così facendo ognuno pensa al suo e quindi l'ammontare dei commenti effettuati e ricevuti è pari a 0. I gruppi che non mettono regole e moderazione vengono definiti "gruppi spazzatura" perché funzionano come ho appena esposto, esistono dei gruppi invece che ti "obbligano" a commentare e guardare le foto degli altri, se dovete partecipare a un gruppo sceglietene uno serio con questi requisiti, sempre meglio che niente. Io la cosa che più preferisco e guardo nei gruppi sono le discussioni e alle volte spulcio il pool in cerca di qualche scatto degno di nota.
Sul forum di aiuto di Flickr trovo un'altra domanda/risposta che vale la pena citare: Domanda dell'utente Simmonsstummer "Salve a tutti, pongo una delle domande più banali della storia di Flickr. Come faccio a ottenere visibilità specifica dei miei files? A parte i gruppi nei quali sembra quasi che i pool non li guardi nessuno, come faccio a fare in modo che la gente si interessi in maniera sistematica e non casuale come sembrerebbe? E' meglio uploaddare più volte al giorno o una volta sola? Perché i messaggi dei forum sono poco frequentati? Perché il cielo è azzurro? insomma perché non mi scrivete il vademecum dell'ottimo flickrer???" Risposta dell'utente Mirco "Bellissima domanda la tua. Ovviamente c'è già chi ci ha pensato, Thomas Hawk: thomashawk.com/2006/02/top-10-tips-for-getting-attention-on.html E' da quanto ne ho capito seguendo alcune discussioni sui gruppi principale questo c'azzecca. Personalmente mi pare una sorta di formula matematica per cavalcare la popolarità, alcuni consigli io li trovo "trucchetti da navigato venditore di aspirapolveri porta a porta". Leggi, pensa, elabora per tuo conto. Questo è il primo consiglio che mi sembra opportuno darti. Quello che scriverò da qui in poi non devi prenderlo come oro colato, perché anch'io sono un principiante e non una Flickrstar come *****, solo per citare un nome. La cosa principale ovviamente è avere foto belle, bei colori, bei bianco e nero, belle composizioni, bei temi e soggetti. Questo è l'ingrediente principale per iniziare a farsi un poco il nome su Flickr. Se non hai questa base minima è inutile anche solo pensare di acquisire popolarità. Poi il resto è tanto sacrificio con la tastiera e con la macchina fotografica, pubblica regolarmente e partecipa, partecipa, partecipa attivamente ai gruppi a cui sei interessato. Personalmente ritengo inopportuno avere mille friends e non guardare mai i loro lavori, scegline al max 100 tra quelli che pensi possano insegnarti qualcosa, commenta, discuti e segui giornalmente i loro lavori in modo da instaurare un rapporto di stima con chi ti è amico su Flickr. Questo è il percorso lungo e tortuoso. Poi ritengo che esistono delle scorciatoie o delle vere autostrade che ti portano alla popolarità, ma ho visto che non hai i requisiti: non sei una avvenente ragazza che pubblica autoscatti maliziosi. Credimi, questo aiuta sensibilmente a diventare popolare su Flickr... :-) Prendi tutto quello che ti ho scritto con le pinze, leggilo, elaboralo e fatti una tua idea. Un'ultima domanda: Ma perché ti interessa diventare popolare su Flickr? E' poi così importante? Buona fortuna!" Passiamo ora a parlare del tipo di account, esistono gli account Pro e quelli gratuiti, ovviamente chi paga è sempre più avvantaggiato (purtroppo così va il mondo), gli account gratuiti possono caricare 100 mega di foto al mese mentre quelli pro non hanno alcun limite e possiedono le statistiche, se sei una persona all'inizio con la fotografia o che scatta
poche foto quando capita può andar bene l'account gratuito di Flickr, tanto le foto anche i Pro le ridimensionano a non più di 1024pixel per lato maggiore perché sennò diventano pesanti da visualizzare e si corre meno il rischio che vengano rubate per farci delle stampe, ridimensionandole a questa risoluzione si possono caricare un buon quantitativo di fotografie. Per chi possiede un sito web consiglio di esporre anche li le proprie foto su Flickr, in modo tale da farle indicizzare meglio da google, oltre alle foto, nel post inserite anche un breve testo e il link diretto al vostro album su Flickr. Arriviamo alla conclusione di questo articolo da cui è emersa una visione non troppo positiva di Flickr, purtroppo non è un sistema meritocratico, oltre ad essere dei bravi fotografi ci si deve dare dentro col marketing e secondo me questo è molto triste. I siti di condivisione foto ci danno un sacco di strumenti utili che prima dell'avvento del digitale erano fantascienza, purtroppo li usiamo in modo improprio e stupido, basterebbe correggere i nostri comportamenti sbagliati, resistere alla tentazione di fare "marketing" lasciando bei commenti a tutti indistintamente solo per farci dire "bravo bella foto" ma criticando in modo intelligente e avere il coraggio di dire la propria opinione, solo in questo modo potremo crescere e migliorare. La vanagloria lasciatela ad altri che non porta a niente, alla fine dei conti solo a un grande vuoto e a qualche migliaio di commenti che valgono meno della carta igienica. Albert Einstein diceva: "Non cercare di diventare un uomo di successo, ma piuttosto un uomo di valore."
Flickr sta cambiando il modo di fotografare e di intendere la fotografia Sono stato molto attivo su Flickr e oltre ad aver stretto legami con altri fotografi ho notato che in questo social network fotografico esistono delle foto che a primo impatto attraggono di più l'attenzione e i commenti dell'utente medio, foto che in genere presentano colori molto accessi, foto in stile Vintage, HDR super spinti, foto di belle ragazze magari scattate da loro stesse col cellulare o la compattina mentre sono in mutande e fanno il funcio, scarpe della converse, cuoricini creati e fotografati nei modi più disparati, gattini e cliché vari. Ma dov'è il problema? Il problema sorge per la nuova generazione di fotografi, prima dell'avvento del digitale per avvicinarsi a quest'arte si comprava un bel libro di fotografia, ci si documentava, si vedevano le foto dei grandi maestri, si faceva amicizia con qualche fotografo (magari quello col negozio sotto casa) e si iniziava a scattare, era tutto più difficile e alle volte non sempre è un male. Seguite il mio ragionamento, il ragazzino che compra una digitale si apre un account Flickr e inizia la sua avventura in questo mondo, sfoglia gli album fotografici e si accorge che certi tipi di foto sono molto apprezzati, istintivamente gli piacciono, logicamente è portato a pensare che le foto che vanno per la maggiore, cioè gattini, vintage e converse (foto che spesso trovo nella sezione "foto più interessanti degli ultimi 7 giorni" o su "Esplora") siano LA FOTOGRAFIA e inizia a imitarli assumendo quello stile, forse un giorno cambierà modo
di fotografare o forse no, perché gli si è fottuta la testa dopo aver visto che il suo gattino ha ricevuto 800 commenti di "bravissimo", allora perché cambiare? Ovviamente un fotografo che ha già assunto un suo stile e ha fatto altre esperienze difficilmente si lascerà influenzare per ricevere solo tanti commenti. Ma perché certe foto pur essendo dei capolavori ricevono pochi commenti e vengono sorpassate dalle solite foto stereotipate? Io penso che per cogliere la bellezza di una foto, ci voglia anche una certa dose di sensibilità e di cultura (cosa che non tutti hanno), è più facile stupire con un tramonto super colorato con colori molto accesi che con una foto di street in bianco e nero che richiede anche una certa sensibilità da parte dell'osservatore, io sono convinto che se Henri Cartier Bresson fosse vissuto ai nostri tempi e avesse avuto un account Flickr non sarebbe stato calcolato minimamente dal 90% degli utenti. Ho esposto questa tesi su un gruppo di discussione di Flickr e la risposta fu questa: "Questo discorso è importante e ciò che ha scritto Marco riguardo Bresson, ovvero che se fosse su Flickr non se lo filerebbe nessuno, corrisponde alla verità. E sappiamo bene che è così. Su una foto di Scianna che spacciai per mia ebbero il coraggio di dirmi anche in forma privata, che le mani di Marpessa erano troppo varicose!!!!!! Ma porkk....!!!!!!!!!".