Luzzatto Codici tardoantichi di Platone ed i cosiddetti 'Scholia Arethae'

November 29, 2017 | Author: 1unorma | Category: Late Antiquity, Bible, Papyrus, Plato, Libraries
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Codici tardoantichi di Piatone ed i cosiddetti Scholia Arethae

Le pagine che seguono riguardano uno dei codici più noti della prima meta deü'opera omnia di Piatone, ü cosiddetto Clarkianus (B) della fine del IX secólo.^ La domanda che vogliamo porci è, dal punto di vista testuale, dcUa massima importanza: è ancora possibile individuare la data del modeUo e ricostruire almeno in parte la storia di questa edizione? Visto che il copista di B è lo stesso kalligraphos che ha copiato anche un altro códice^ che per i Bizantini ha costituito l'unica edizione di riferimento della vasta opera di Ateneo, e dato che ü Marciano di Ateneo non è ricollegabile in alcun rnodo ad Areta, è probabile che Giovanni, il copista che si sottoscrive aUa fine del Clarkianus di Platone, fosse uno dei più noti ed esperti caUigrafi attivi a CostantinopoÜ alia fine del IX secólo: un artigiano di grandissimal acribia ed esperienza cui si potevano affidare alcune fra le più impegnatiye impresc editoriali dell'epoca. L'imponente códice di Ateneo ci offre un primo spunto importante anche perché in questo caso Giovanni si è sicuramente cimentato in una trascrizione diretta da un esemplare tardoañtico vergato in maiuscola. G. Kaibel, l'editore teubneriano di Ateneo, non a caso sottolincava l'eccezionale valore ecdotico del Marciano sia per l'antichità dell'antigrafo sia per la diügenza del copista che ne ha riprodotto nei minimi particolari le caratteristiche testuali.^ Da' Oxford, Bodleian MS. E. D. Clarke 39 (sigla B negli studi sul testo di Platone), finito di copiare nell'anno 895 da un Giovanni che nella sottoscrizione (f. 418") si definisce kalligrapbos. Un utile elenco di spedmina disponibüi in R. Barbour, Greek Literary Hands A. D. 400-1600, Oxford 1981, nr. 37 (p. 11). È fácilmente accessibile un'ottima riproduzione facsimile dell'intero manufatto in Plato. Codex Oxoniensis Clarkianus 39 pbototypice editus, praefatus est T. W. Allen, Lugduni Batavorum 1898-1899. ^ Marc. gr. 447 (coll. 820). A dire Ü vero, per il solo fatto di essere stato copiato da Giovanni, il Marciano è stato connesso con Areta (cfr. già Allen, ibid., p. IV) anche se, come nota doverosamente N. G. Wilson, Scbolars of Byzantium, London 1983, p. 129, «there are no marginalia or other signs of Arethas' ownership». ' Cfr. Athenaei Naucratitae Dipnosopbistarum libri XV, I, Leipzig 1887, p. X: «ut archetypi antiquitate ita libradi diligentia et integdtate commendatur codex Marcianus». «MEG» 10, 2010, pp. 77-110

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ta l'importanza del códice B di Platone è verosimñe che una ipotesi del genere possa essere applicabile anche all'allestimento del corpus platónico per Areta, il cui amore per i libri antichi è peraltro assai noto. Lo dimostra appieno, ad esempio, il caso dell'antico códice con Topera di Marco Aurelio fatto copiare da Areta e da lui stesso descritto come un 7taA,atôv ßtßX,iov molto rovinato.'' Nel caso che si possa dimostrare che a monte di B ci sia un códice platónico tardoantico, sarà un fondamentale quesito filológico chiedersi quali delle caratteristiche di forma e contenuto del Platone del IX secólo provengano direttamente o indirettamente dal modello e quali siano invece da considerarsi innovazioni rispetto ad esso. Si incardinano qui due questioni della massima importanza per la storia dei testi dei grandi classici tra tardoantico e prima età bizantina: 1. I più antichi marginalia del Clarkianus, spesso veri e propri calligrammi a forma di triangolo rovesciato, di rettangolo, di trapezio, di croce greca, vergati in perfetta e professionale maiuscola di piccolo modulo, sono stati aggiunti dal committente del códice, cioè Areta, come ritiene fino ad oggi la maggior parte degli Studiosi, o provengono in solido con il testo di Platone dal modello e sono quindi di mano di Giovanni ü kalligraphos e/o dei suoi coUaboratori? Come si sa, una delle più salde convinzioni nell'ambito degli studi che da quasi un secólo e mezzo sono dedicati alla raccolta di codici di Areta è che egli abbia di suo pugno aggiunto i marginalia sui suoi libri attingendoli alie fonti più disparate e scrivendone anche di suoi. Nell'ultima parte di questo studio, proprio partendo dall'analisi di uno dei presunti scholia Arethae del Clarkianus, sarà possibile dimostrare che i decorativi calligrammi marginali del códice del IX secólo provengono sicuramente dal modello e che il modello era un códice tardoantico in maiuscola biblica contenente Tintero corpus platónico. 2. Il secondo quesito riguarda il rapporto tra opera omnia di un autore {Gesamtausgabe) e códice da biblioteca nella tarda antichita, ed è quesito della massima im'' Cfr. Areth. Ser. min. 44,1, p. 305 Westerink, e quanto scrivevo in Itinerari di codid antichi: un'edizione di Tuddide tra il II ed il X secólo, «Materiali e Discussioni per l'Analisi dei Testi Classici» 30, 1993, p. 171. Importante lo studio di G. Cortassa, La missione del bibliófilo Areta e la riscoperta dell'«A se stesso» di Marco Aurelio, «Orpheus» n.s. 18, 1997, pp. 112-140. ' Sono gli schol. B', «della mano più antica» come li definisce D. Cufalo nella sua recentissima edizione: Scholia graeca in Platonem, I, Scholia ad diálogos tetralogiarum IVII continens, Roma 2007, p. XXXVIII. ^ Vd. almeno: J. Bidez, Aréthas de Césarée, éditeur et scholiaste, «Byzantion» 9, 1934, pp. 391-408; P. Lemerle, Le premier humanisme byzantin, Paris, 1971, pp. 210-236; Wilson, Scholars, cit., pp. 120-130; L. Perria, Impaginazione e scrittura nei codid di Areta, «Rivista di Studi Bizantini e Neoellenici» 27, 1990, pp. 55-87; Ch. Brockmann, Die handschriftliche Überlieferung von Piatons Symposion, Wiesbaden 1992, pp. 37-41; G. Cavallo, Leggere a Bisanzio, Milano 2007, p. 174.

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portanza dal ptinto di vista filológico. Nel caso che si possa dimostrare che un códice di fine IX secólo, contenente la prima meta ácWopera omnia di Platone {Tetralogie I-VI), risale direttamente ad una edizione tardoantica, è lecito ritenere che anche questa edizione avesse una consistenza (o massa testuale) paragonabile e fosse in sostanza un codice-corpus? Contrariamente a quanto succède nel caso di molti corporal in ámbito latino, non ci sono state tramandate per via diretta sezioni cospicue di codici tardoantichi di grandi autori come Tucidide, Platone, Demostene, tali| da consentiré con sicurezza la ricostruzione di manufatti di alta densità e capienza come sono invece gli antichissimi codici del IV secólo d.C, Sinaitico e Vaticano, contenenti tutto l'Antico ed il Nuovo Testamento greco, una massa testuale cOrrispondente, come vedremo, all'intero corpus platónico. Il problema non è irrilevante perché una delle più comuni opinioni è che il códice tardoantico greco dovesse essere di norma un contenitore molto meno capiente délie vere e proprie biblioteche contenute talora in un manufatto bizantino del IX/X secólo. Ricordo qui la nota teoria dei corpuscula di G. Cavallo (mitigata solo in rarissimi casi come il Demostene di PSI 129)^ oppure la tendenza di J. Irigoin, nelle sue ricostruzioni della storia di note edizioni bizantine di Platone, a individuare tracce di manufatti antichi di consistenza ancora più ridotta dei codici-corpuscula^ Ha favorito il prevalere di quest'ottica la massiccia quantità di reperti dall'Egitto greco-romano, sempre cosí frammentari da indurre (anche nel caso in cui proyengano da codici pergamenacei di alto Uvello) alla ricostruzione di manufatti di limitata massa testuale e scarso tasso di riempimento della pagina:^ ciô awiene paradossalmente anche quando si sia indotti ad ipotizzare un codice poderoso di circa 700 fogli, com'è ad esempio il libro tardoantico delle Leggi di Platone descritto da J. Irigoin."^ Non è un caso che quest'ottica non abbia minimamente influito suUa storia del testo dei grandi autori latini nella tarda antichità, dove è stato da tempo riconosciuto dagli studiosi il ruolo fondamentale

^ Cfr. G. Cavallo, Conservazione e perdita dei testi greci: fattori materiali, sociali, culturali [1986], in Dalla parte del libro. Storie di trasmissione dei classici, Urbino 2002, pp. 49-175. Per Ü caso dei corpora demostenici, cfr. ibid., pp. 108-109, e per PSI 129, resto di un códice pergamenaceo in maiuscola biblica a tre colonne, cfr. la scheda nr. 43 di G. Cavallo mScritture libri e documenti nel mondo antico, a c. di G. Cavallo, E. Crisci, G. Messeri, R. Pintaudi, Eirenze 1998, pp. 123-124 (e tav. XXXV). Lo studioso nota che «tutto lascia credere che si trattasse di un corpus delle opere di Demostene: un'edizione-esemplare di epoca tardoantica del tipo di coUezione demostenica quale doveva essere a monte dei più antichi corpora delle opere di Demostene testimoniati in epoca rqediobizantina». * Cfr. J. Irigoin, Traces de livres antiques dans trois manuscrits byzantins de Platon (B, D, F), in Studies in\Plato and the Platonic Tradition. Essays presented to John Whittaker, ed. by M. Joyal, Brookfield 1997, pp. 229-244, dove lo studioso risale addirittura a rotoli papiracei. ^ Per la definizione' di questo parámetro, cfr. M. Maniaci, Costruzione e gestione della pagina nel manoscritto bizantino, Cassino 2002, p. 18. ^° In Tradition et critique des textes grecs, Paris 1997, p. 152.

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Maria-Jagoda Luzzatto dei codid-corpora pergamenacei di grande capienza^^ giunti a noi non casualmente ma per via di consapevole conservazione b b U ^ ^

Riproporre questo problema nel caso della storia dei testi greci ed in particolare del corpus platónico non è di poco conto perché ad esempio, a seconda dell'ipotesi di una presenza o meno di un imponente manufatto tardoantico e quindi di un ampio e coerente progetto editoriale a monte della copia diretta (o indiretta) bizantina, cambierà la valutazione di tutte le propriété sia testuaÜ che extratestuaÜ (titolature generaU o parziali, apparati di marginalia, tipologie ornamentali, etc.) recate dalla copia: gli eventuali sintomi di discontinuité rilevabiÜ neUa disposizione di elementi extratestuali, come ad esempio le titolature, possono essere interprétate come una traccia archeologica di una originaria differenziazione di manufatti übrari (rotoli o corpuscula) confluiti in un único bacino coUettore bizantino, ma possono anche essere un segnale della costituzione composita e/o deUo stato di degrado di un ipotetico códice tardoantico di opera omnia al momento in cui ne è stata eseguita una trascrizione completa e fedele nella prima età bizantina. ^^ Nel secondo caso diventa possibÜe retrodatare di secoli le caratteristiche complessive di un corpus e di un esteso progetto editoriale. Scegliere tra queste due vie, o perlomeno tenerle cautamente aperte ambedue nel corso della ricerca, contribuirebbe a recuperare dietro alia frammentazione documentada proveniente daU'Egitto tardoantico e cosí bene descritta, e con molti, salutari punti interrogativi, dalla Typology di E. G. Turner,^'' un filone molto più saldo e stabile^' ^^ Cfr. ad esempio la nitida messa a punto di E. Pöhlmatm, Einführung in die Überlieferungsgeschichte und in die Textkritik der antiken Literatur, I, Darmstadt 1994

pp. 89-91. '^ Questo aspetto è opportunamente sottolineato da G. Cavallo, Qualche annotazione sulla trasmissione dei classid nella tarda antichità [1997], in Dalla parte del libro, cit., pp. 31-32. Cfr. in particolare quanto lo studioso afferma a p. 32: «ad una estrema varietà dei manufatti greci, non facili quindi da classificare, corrispondono libri latini dalle caratteristiche piuttosto stabili». '^ Ho già avuto occasione di occuparmi di quesiti di questo genere nel caso del corpus delle Storie di Tucidide (cfr. Itinerari di codid antichi, cit.) e della seconda parte ¿éïopera omnia di Platone, cfr. Emendare Platone neWantichità: il caso del Vaticanus gr. 1, «Quaderni di Storia» 68, 2008, pp. 29-88. ''• E. G. Turner, The Typology of the Early Codex, Phüadelphia 1977. Cfr. quanto giustamente nota M. Maniaci, Costruzione e gestione, cit., p. 252: «L'incompletezza dei dati raccolti da E. Turner non consente di procederé ad un esame dettagliato del ñero nel códice antico». E tuttavia, da quella documentazione problemática, viene estrapolato come certo ü dato che i codici di pergamena erano di norma meno riempiti dei codici papiracei (cfr. ibid.). ^^ Cfr. del resto quanto osservava lo stesso G. Cavallo in Conservazione eperdita, cit..

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costituito da codici pergamenacei da biblioteca, contenitori di rüevantissima massa testuale, confezionati da esperti antiquarii e kalligraphoi^^ e destinati a durare secoli. Sottolineo anche che ricostruire grandi contenitori pergamenacei provenienti da note bibüotechc tardoantiche, in primis quelle di Costantinopoli, significa tracciare la storia dei corpora su manufatti dalla faciès palcografica e codicologica più prevedibile che nel caso dei codici papiracci. Non è infatti un caso che i coâici-corpora tardoantichi dei quali abbiamo notizia, diretta o indiretta, in ámbito sia greco che latino, siano serripre, senza eccezioni, grandi manufatti in pergamena associati a scritture canonizzate, mentre nel códice di papiro della tarda antichità compaiono spesso scritture informali o (se del tipo canónico) realizzate in maniera cursoria ed imperfetta.'^ 1. QoaAci-corpora profani e cristiani A conclusione del suo articolo del 1997 su forme e consistenza del códice greco profano nella tarda antichità, G. Cavallo affermava che, quando si tratta di manufatti di alto livcUo fórmale, «la mise en page dei testi in prop. 161: «sono i codici-co^^ora, insistiti su contenuti unitad [...] e tecniche librade stabilizzate, che costituiscono i manoscritti 'forti', destinati a conservarsi e a conservare nel tempo gli scritti in essi testimoniati; laddove invece i vettori di un singólo testo o i codid-corpuscula si configurano piuttosto come manoscritti 'deboli', transitod, destinati a sparire». ^^ Nella tarda antichitá e nell'alto medioevo i due termini sono equivalenti e indicano personale altamente specializzato nella copia e nel restauro di libd delle più varie epoche. Significativa la testimonianza di Giovanni Lido in piena età giustinianea: cfr. De Mens. 1, 33, p. 15, 22 Wuensch dvxiKoudpioi oi Kaxd "EXX^vaç KaA,A,iypd(|)Oi. Cfr. anche Corpus Glossariorum Latinorum {CGL) II 21, 8 (antiquadus ypd(l)oç KaA,A,iypd(l)Oç); II 2 1 , 19 (antiquare KaAA,iypa(t)fÍGai); III 307, 22

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