Luca Giusti - Trading Meccanico

January 23, 2018 | Author: Sumanth Koyilakonda | Category: Market (Economics), Financial Economics, Investing, Financial Markets, Market And Exchange
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Trading Meccanico...

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TRADING MECCANICO

Luca Giusti

TRADING MECCANICO STRATEGIE E TECNICHE NON CONVENZIONALI SU AZIONI, OPZIONI, FUTURE E FOREX

EDITORE ULRICO HOEPLI MILANO

Copyright © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2015 via Hoepli 5, 20121 Milano (Italy) tel. +39 02 864871 – fax +39 02 8052886 e-mail [email protected] www.hoepli.it

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Tutti i diritti sono riservati a norma di legge e a norma delle convenzioni internazionali

ISBN EBOOK 978-88-203-6987-3

Realizzazione editoriale: Maurizio Vedovati – Servizi editoriali (www.iltrio.it) Copertina: Sara Taglialegne

Realizzazione digitale: Promedia, Torino

Il presente volume è realizzato a scopo puramente informativo, senza costituire consulenza o sollecitazione al risparmio. Qualsiasi informazione, valutazione e previsione è stata ottenuta ed elaborata da fonti che l’autore e la casa editrice ritengono attendibili, ma della cui accuratezza e precisione né l’autore né l’editore possono ritenersi responsabili.

Alla mia famiglia

SOMMARIO

Prefazione di Andrea Unger Introduzione

Parte I Le fondamenta del Trading Meccanico Capitolo 1 Un approccio meccanico al trading “Trading is a business”. Professionista o imprenditore del trading? “Show me the Money”. Quale funziona meglio? Capitolo 2 L’ingresso in posizione: l’importanza dei filtri operativi Dall’osservazione all’idea di trading L’importanza dei filtri operativi Il filtro del tempo Un time frame troppo veloce Il filtro del trend Il filtro della volatilità Si fa presto a dire “volatilità” Un filtro su una seconda serie storica Capitolo 3 Ha funzionato in passato… continuerà a funzionare in futuro? La prova degli anni: il backtest

Migliorare una strategia, evitando l’overfitting Separiamo la serie storica La validazione di un sistema meccanico Semplicità Non convenzionalità Condurre lo sviluppo del sistema su più strumenti Individuare i parametri migliori? No, quelli più stabili Out of Sample, Walk forward analysis e Montecarlo analysis Capitolo 4 L’ingresso è sopravalutato: la gestione del rischio La gestione del rischio Misuriamo il rischio: l’open drawdown (questo sconosciuto) Il dimensionamento della posizione (position sizing) Il controllo del rischio attraverso una corretta gestione della posizione Il controllo del rischio attraverso la costruzione di un portafoglio di operatività Un esempio di copertura di un portafoglio Il controllo del rischio sull’equity del sistema

Parte II Trading non direzionale Capitolo 5 Che cosa sono le opzioni La “Mela Morsicata” ci viene in aiuto Acquisto o vendita? Oltre al sottostante c’è di più… Il premio di un’opzione Scadenza dell’opzione Volatilità implicita Le greche Delta Theta Vega Gamma

Capitolo 6 La vendita di opzioni e la loro difesa Meglio venderle o comprarle? La vendita di opzioni: “nuda” è meglio… ma protetti Vendere naked put Ci si può coprire in tanti modi Il vertical spread Direzionale o non direzionale? Capitolo 7 Dalla vendita “a nudo” agli short strangle, agli iron condor… La nascita di un condor Trading meccanico di una strategia in opzioni Trading meccanico: dalla struttura in opzioni al sistema di copertura Liquidità e rispetto del proprio piano di trading Gamma negatività: ma non sarà troppa?

Parte III Trading direzionale Capitolo 8 Che cosa funziona sui futures A ognuno il suo Che cosa funziona sui future? Capitolo 9 Che cosa funziona sulle azioni (e le opzioni) Un impiego efficiente del capitale a disposizione Volatilità implicita: un utilizzo “indiretto”… Portafoglio originale Portafoglio originale solo long Portafoglio originale solo short Portafoglio solo long con filtro volatilità Portafoglio solo short con filtro volatilità Portafoglio con filtro volatilità

Portafoglio con filtro volatilità e copertura …e “diretto”: trading sulla volatilità La leva finanziaria Dalle azioni alle opzioni Capitolo 10 Che cosa funziona sul Forex? Che cosa funziona sul Forex? Fare il broker C’è qualcosa di buono sul Forex? Un sistema breakout sul Forex Le correlazioni fra le valute

Parte IV Spread trading meccanico Capitolo 11 Convergence trading su azioni, futures, Forex La cointegrazione Convergence trading su azionario Convergence trading sui futures Convergence trading sul Forex Capitolo 12 Divergence trading sulle commodities con le stagionalità Una stagionalità sui mercati azionari Un errore frequente Stagionalità sulle commodities: singolo o in spread Conclusioni L’Autore Bibliografia Glossario

Informazioni sul Libro

PREFAZIONE di Andrea Unger

idi una foto di Luca anni fa, era su un sito internet e pensai subito che fosse troppo sorridente per essere un trader serio. Non che i trader seri abbiano poco da ridere, ma semplicemente non mi trasmetteva l’idea che un’aria tanto felice potesse associarsi a una seria cultura della materia legata al trading. Tempo dopo lo conobbi di persona, all’ITForum, sorrideva anche allora e parlammo di trading. Dovetti ricredermi. Infatti, la sua aria sorridente era legata all’entusiasmo che lo portava a studiare la materia da vari punti di vista, e lo accompagnava una curiosità tale da coinvolgere chi gli stesse accanto. Forse sorridevo anche io dopo una ventina di minuti di discussioni sul trading. Ora il suo entusiasmo è stato raccolto, in qualche maniera, in queste pagine. Guardando l’indice del testo che vi accingete a leggere noterete che si copre una notevole vastità di argomenti, soprattutto per quel che riguarda la varietà dell’approccio operativo. C’è chi è specializzato nel trading discrezionale, chi sugli automatismi, chi sull’azionario e chi sulle valute. Luca è specializzato nell’essere trader e studioso di trading, un connubio forte che emerge pagina dopo pagina e che apprezzerete sfogliando il presente libro. Ogni testo presenta un’occasione di arricchimento e questo non fa eccezione. Però, potrebbe diventare persino pericoloso se solo vi farete prendere dallo stesso entusiasmo dell’autore e vorrete affrontare il mondo del trading in ogni sua sfaccettatura. Luca lo fa, ma ha anni di esperienza sulle spalle. Non è da tutti e spero che la lettura vi veicoli, invece, nella direzione che troverete più congeniale. Luca è trader e formatore, e nel libro sono presenti entrambi. C’è Luca stesso, e il suo mondo. In poche pagine (e lo dico per la vastità degli argomenti), Luca propone il suo rapporto con la Borsa, apre una porta per farvi entrare a vedere la sua postazione operativa e, come in un trailer, vi

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racconta i suoi anni maturati sui mercati. Ma non sarà un trailer con scene incollate solo per creare sensazione, ma sarà come un cortometraggio sufficiente a farvi conoscere l’autore e il suo mondo e a darvi le basi necessarie per costruire la vostra operatività. Qualcuno dice che far apparire facile quel che non lo è rappresenti un dono particolare. Ebbene Luca non ha questo dono e mai, come nel mondo borsistico, questo difetto diventa un pregio! Illudere il lettore proponendo formule magiche è prassi quanto mai consolidata nella letteratura finanziaria e posso dire che provo grande soddisfazione ogni volta che trovo un libro come questo, dove si evince chiaramente che, senza studio e passione, è impossibile affrontare il difficile mondo dei mercati finanziari. Posso già dirvi che scoprirete presto se la Borsa tiene in serbo un posto tutto per voi. Se rileggerete questo libro più volte, magari alcuni capitoli prima di procedere, allora forse vi sentirete in compagnia dell’autore, lo farete diventare la vostra guida, rivivendo la sua passione e sofferenza nel diventare trader di successo, sarà un primo importante passo nella direzione giusta. Buona lettura, e se il tempo è denaro, lo sarà ancor più quello dedicato a questo testo. Andrea Unger Quattro volte vincitore della World Cup Trading Championships

INTRODUZIONE

l trading è “il mestiere più bello del mondo”, quante volte l’avrete sentito dire. Ma altrettanto spesso avrete sentito anche la seconda parte di questa frase: “Ma anche il più difficile”. È mia personale opinione che la difficoltà di fare del trading la propria professione risieda, il più delle volte, nel modo con cui la maggior parte delle persone approcciano questa attività, cioè come se non si trattasse di un lavoro. Ogni professione, per essere appresa, richiede un importante investimento in termini di tempo e di energia, oltre che economico. Perché il trading dovrebbe fare eccezione? Vi sognereste mai di prendere un bisturi, e operare una persona, senza avere studiato medicina e avere fatto pratica come chirurgo, sotto la supervisione di qualcuno più esperto? Se mai qualcuno decidesse di farlo, vi stupireste della morte del paziente? Allo stesso modo, non dovreste stupirvi nel leggere che la maggior parte delle persone che fa trading perde soldi, questo perché lo approcciano senza una “vera” preparazione, e con una superficialità che i vostri risparmi, che avete faticosamente accumulato, non meritano di certo. In tutti i mestieri si può sbagliare, e in molti di essi il risultato finale non dipende esclusivamente dal proprio operato ma anche da fattori esogeni, che non ricadono sotto il proprio controllo: è così in medicina, ed è così anche nel trading. Questa è una delle poche professioni dove, se sbagli, perdi soldi, e se sbagli troppo spesso vai a compromettere seriamente la tua capacità di poter continuare a svolgerla. In molti mestieri, se commetti un errore vieni pagato comunque: è così per un impiegato, o un medico, o un magistrato, o un avvocato, o un commercialista e qualsiasi altra professione che prevede un’obbligazione di mezzo e non di risultato. In altri mestieri, invece, non vieni pagato; ma sono rari i casi in cui se sbagli perdi soldi. “Fare impresa” ricade in questa casistica, e non è casuale ritrovare frequentemente in diverse pubblicazioni la frase “Trading is a Business”. Comprendere questi aspetti dell’attività di trading, comunque essa venga svolta, part-time o full-time, è necessario per approcciare questo mestiere nella maniera corretta e con una preparazione scrupolosa alle proprie spalle, che non lasci nulla al caso o all’improvvisazione. Al giorno d’oggi, sono

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rimaste poche professioni dove ci si può ancora improvvisare: perché farlo con il trading, soprattutto alla luce di quanto possa essere costoso ogni errore commesso? Ciò che troverete in questo libro non rappresenta un punto di arrivo, ma un punto di partenza. Iniziamo da ciò che questo libro non è: non è una presentazione esaustiva di tutte le possibili strategie di trading che è possibile adottare operando sui mercati finanziari, nonostante passeremo in rassegna molti tipi di operatività, che fino a pochi anni fa erano a disposizione esclusivamente di hedge fund. Non è un manuale scritto con la finalità di spiegare, in maniera esaustiva, le caratteristiche base o il funzionamento di strumenti derivati, quali le opzioni o i futures. Non è una raccolta di codici di trading system o di setup operativi di qualche strategia offerta “chiavi in mano” al lettore. Questo libro presenta un approccio al trading sui mercati finanziari di tipo meccanico e improntato alla diversificazione strategica, cioè alla ricerca di operatività non convenzionali e poco correlate da affiancare in portafoglio. Che sia auspicabile ricercare un certo grado di diversificazione e una bassa correlazione fra le attività incluse nel proprio portafoglio di investimenti non è certo una novità, ma quella di cui parlo non si limita all’acquisto di diversi strumenti (azioni, obbligazioni, oro) su diversi mercati (Europa, Asia, America, Emergenti) e su diversi orizzonti temporali di investimento. Va oltre, e si spinge ad affiancare diverse strategie di trading, i cui risultati siano poco correlati, per cercare una regolarità e una stabilità a livello di portafoglio: la performance in termini assoluti diventa, allora, solo una mera questione di quanta leva possiamo permetterci di utilizzare. L’utilizzo della leva non va demonizzato: amplifica le fluttuazioni dei risultati della propria operatività, nel bene (quando si guadagna) e nel male (quando si perde). Se si esagera con essa, quando i risultati sono ancora altalenanti, il rischio è che il prossimo drawdown possa compromettere seriamente il proprio account. Occorre una certa consapevolezza nell’utilizzo della leva, ma su certe operatività (per esempio il pair trading) è necessaria. Approcciare il trading in maniera meccanica (o se preferite rule based trading) significa operare sulla base di regole predefinite, dai setup di ingresso alla scelta di quanto allocare sulla prossima operazione, alle regole di gestione della posizione. Fare trading in maniera meccanica non significa necessariamente automatizzare la propria operatività attraverso trading system che girano su una piattaforma: approcciando in questo modo, è possibile anche chiedere a una macchina di andare a mercato senza un intervento

dell’operatore umano, ma in certi contesti è ancora consigliabile inserire manualmente i propri ordini nella piattaforma. Fare trading sulla base delle idee, o gestire una posizione “di pancia”, sulla base delle sensazioni o dell’esperienza, discrezionalmente (e non secondo regole rigide e predefinite), è agli antipodi rispetto a questo approccio. Il trader privato che ha un approccio discrezionale, spesso, ricerca l’iperspecializzazione, sia in termini di strategia sia di mercato su cui operare. È difficile far comprendere a una persona che si avvicina al trading che sui mercati finanziari non esistono garanzie. Una delle poche certezze che ha il trader è che “nulla è per sempre”, e la strategia che si sta seguendo, prima o poi, smetterà di funzionare. L’accettazione di questo principio porta alla consapevolezza che, per poter continuare a fare questo mestiere, è necessario attrezzarsi con un portafoglio di strategie che riesca a reggere all’eventualità che una di queste inizierà a non funzionare più bene come un tempo. Questa consapevolezza e questo processo di transizione, dalla singola strategia a un portafoglio di strategie, richiedono un cambio di prospettiva non molto diverso da quello richiesto al professionista che intenda avviare un’attività imprenditoriale. Fra le altre cose, per questo “professionista aspirante imprenditore” diventa fondamentale comprendere come poter delegare parte del proprio lavoro ai suoi collaboratori, iniziando dalla codifica di un’attività, passando per il suo trasferimento e, infine, monitorandone lo svolgimento. Una delle cose più difficili da accettare, all’inizio, è che l’attività che è stata delegata possa essere svolta peggio di come la si sarebbe svolta da soli. Un approccio meccanico al trading rende possibile questa attività di codifica, trasferimento e monitoraggio, tanto a una macchina (trading automatico) quando ad altri trader (qualora si decida di strutturarsi in questo modo). Un approccio meccanico al trading permette, non da ultimo, di poterlo insegnare ad altri: se non è replicabile, è di poco interesse a chi desidera imparare a fare trading. La ricerca di strategie da poter affiancare, i cui risultati siano poco correlati fra loro, ci porta spesso a prendere in considerazione l’utilizzo di strumenti derivati in maniera analoga a come vengono utilizzati da certi hedge fund o altri operatori professionali. L’immaginario collettivo associa, a questi strumenti derivati, concetti quali un’eccessiva rischiosità o l’utilizzo di leve fuori controllo: va da sé che un hedge fund assume, allora, le sembianze di un veicolo rischioso e speculativo, da cui stare alla larga. Si dimentica, o si ignora, che uno strumento finanziario non è buono o cattivo a priori: è l’uso che se ne fa ciò che conta realmente. Esistono fondi obbligazionari o azionari

con profili di rischio ben più aggressivi di certi fondi hedge. Ciò che mi ha portato ad approcciare strumenti come le opzioni, per esempio, è stato proprio il potenziale di controllo del rischio che possono offrire al trader (se opportunamente utilizzati), rispetto a operare esclusivamente con strumenti come azioni o future. La prima parte del libro è dedicata all’importanza di approcciare il trading in maniera meccanica (sia che si scelga di operare su strumenti tradizionali, come future o azioni, sia su strumenti non lineari come le opzioni): da un’attenta codifica delle regole all’impiego di filtri operativi, dal backtest alla procedura di validazione della propria strategia di trading. Fondamentale è la definizione di un approccio alla gestione del rischio che inizia dal money management adottato (inteso sia come position sizing sia come position management), per proseguire con il controllo di ogni sistema sulla propria equity, per finire con la composizione di un portafoglio di operatività finalizzato a ricercare la maggior regolarità nel risultato finale. Nella seconda parte del libro passerò in rassegna una modalità di trading di tipo “non direzionale”. Mostrerò come poter ottenere equity poco correlate rispetto a quelle ottenute, con operatività più tradizionali, attraverso un approccio al trading non direzionale basato sulla vendita di opzioni: esaminerò sia la vendita “a nudo” che la “vendita coperta”, mostrando il funzionamento di strategie come gli iron condor e gli short strangle con le opzioni sui futures con “difesa meccanica” con il future sottostante. Tutte le strategie che vengono presentate hanno un approccio meccanico al trading, incluse quelle che si basano sulle opzioni, su cui vado a mostrare due differenti modalità di backtest di strategie. Nella terza parte del libro, mostrerò come affiancare all’operatività non direzionale un approccio al di tipo “direzionale” e presenterò due operatività dal carattere antitetico. La prima è tipo breakout, con esempi sul mercato valutario, azionario e sulle commodities. La seconda è una strategia di tipo reversal che, oltre a essere impiegata su un paniere di azioni molto numeroso, può essere anche seguita acquistando o vendendo opzioni su azioni, sulla base dei segnali prodotti dal trading system che opera sull’azione sottostante. È possibile operare secondo alcune delle tecniche più classiche dell’operatività direzionale, anche su grafici spread, sempre sulla base di precisi setup meccanici: questo sarà il tema centrale trattato nella quarta parte del libro. Il mercato valutario, e in particolare il Forex, può essere efficacemente approcciato come uno spread e, sviluppando questo concetto, presenterò

come sfruttare le correlazioni fra valute (intese come componenti di uno spread) per operare sui cross valutari. Il lavoro prosegue con alcuni esempi di operatività in spread di tipo convergence sui mercati azionari (pair trading), introducendo il concetto di “cointengrazione”. Mostrerò, infine, un trading system che opera sia su singole commodities sia su decine di coppie di contratti futures componenti uno spread intermarket, con un filtro basato sulle stagionalità. Tutte le operatività presentate hanno in comune il fatto di essere poco convenzionali. Ci sono infinite maniere di operare sui mercati, e non ho certo la presunzione di pensare che queste siano le strategie migliori per farlo, ma in comune hanno il fatto di non essere scontate o banali e hanno mostrato di poter ottenere, a livello di portafoglio, un’auspicabile decorrelazione in termini di risultati, producendo rendimenti molto interessanti anche per un trader privato.

PARTE I

Le fondamenta del Trading Meccanico

CAPITOLO 1

Un approccio meccanico al trading

ell’introduzione di questo libro ho fatto alcune premesse molto importanti su come ho scelto di approcciare l’operatività sui mercati finanziari: la maggior parte dei lettori di un libro salta l’introduzione, ma sono sicuro che tu non sei fra questi e che ne hai altresì colto quegli elementi che sono alla base delle tecniche che verranno descritte nei capitoli successivi. Se un’operatività ha funzionato negli ultimi 10 anni, non hai comunque la certezza che continuerà a funzionare in futuro, anche se è un buon inizio. Se un’operatività non ha mai funzionato negli ultimi 10 anni, è improbabile che inizi a funzionare proprio adesso che hai deciso di iniziare a seguirla. Per sapere se un’operatività ha funzionato bene negli ultimi 10 anni devi poterla testare (quello che in gergo si chiama backtest), e per farlo essa deve basarsi su regole predefinite, codificate in maniera tale da non lasciare spazio a interpretazioni soggettive: è così che, nell’introduzione di questo libro, abbiamo definito un’operatività “meccanica”. Accanto alla possibilità di testare una propria idea di trading, approcciare i mercati in questo modo ci offre altri vantaggi:

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1. la replicabilità: la codifica è il primo passo verso la replicabilità. Se non puoi codificare in regole come stai facendo trading, è probabile che ciò che stai facendo non sia replicabile da altri; ma, soprattutto, potrebbe non esserlo a lungo neppure per te. E questo ci porta al secondo vantaggio di un approccio meccanico al trading, ossia il monitoraggio. 2. Il monitoraggio: ciò che si basa su regole può essere facilmente controllato e monitorato. È più semplice effettuare analisi a posteriori, per capire se esistono spazi di miglioramento; ma, soprattutto, puoi coglierne molto più facilmente i primi segni di un degrado delle prestazioni che possano condurti a decidere di sottopesarla, fino a inibirla. È abbastanza intuitivo comprendere che “fare un tagliando” a un

trading system è più semplice che “fare un tagliando a se stessi”, soprattutto in quei momenti di completo disorientamento, dovuti all’incapacità di guadagnare come si era riusciti a fare in passato. 3. L’emotività: se tutto è già codificato e “deciso a tavolino”, non ti troverai a dover prendere decisioni discrezionali su che cosa fare in un contesto molto carico emotivamente, come quello in cui il mercato si è girato contro la tua posizione. Se hai già predefinito che cosa fare in ogni possibile scenario, e questo modo di gestire la posizione è stato premiante tanto nei backtest che hai effettuato, quanto nell’operatività reale che hai condotto finora, allora dovrai solo attenerti al piano prestabilito. Non dico che sarà sempre facile farlo: potrai sicuramente prevenire molti degli errori che un trader commette in questi momenti, ma ci saranno situazioni in cui attenersi al piano (o vedere un trading system farlo al posto tuo) non sarà facile e si renderà necessaria una certa dose di fiducia nel sistema meccanico che stai seguendo. 4. L’affiancare diverse operatività: quante cose riesci a fare nello stesso momento? Dipende da ciò che ti viene chiesto di fare e dal time frame su cui stai operando. Assicurarsi che una decina di ordini già impostati in piattaforma vengano eseguiti in maniera corretta non è la stessa cosa che osservare contemporaneamente dieci grafici, su diversi strumenti, analizzandone i book, in attesa di vedere una configurazione grafica favorevole per entrare in posizione. Allo stesso modo, trovandosi in posizione su una decina di strumenti contemporaneamente, non sarebbe semplice conservare la lucidità per decidere quale sia il momento migliore per uscire su ciascuno di essi. Approcciare i mercati in maniera meccanica ti permette di affiancare diverse operatività nello stesso momento, anche se effettuate su time frame molto stretti, grazie alla possibilità offerta da molte piattaforme di automatizzare la fase di esecuzione dell’ordine. Nessun trader conosce il risultato della prossima operazione: se così fosse, basterebbe fare “all in” come a poker e, con una sola operazione, ritirarsi milionari. Analogamente, lanciando una moneta, nessuno può sapere se nel prossimo lancio uscirà testa o croce. E non posso neppure “pretendere”, lanciando la moneta quattro volte, di ottenere due volte testa e due volte croce. Lanciandola cento volte, invece, è probabile che la distribuzione dei risultati ottenuti sia ugualmente suddivisa fra testa e croce. A differenza del lanciatore di monete, il trader impiega unicamente operatività che hanno un

edge (un vantaggio) statistico, ma anche la migliore strategia di trading può attraversare fasi caratterizzate da sequenze di operazioni negative (così come lanciando la moneta può capitare di incorrere in una sequenza di risultati “testa” consecutivi). La maniera migliore per superare queste fasi è quella di affiancare diverse operatività, seguendo dei criteri per la selezione su cui torneremo nel proseguo del libro.

“TRADING IS A BUSINESS”. PROFESSIONISTA 0 IMPRENDITORE DEL TRADING? Chi non ha mai sentito (o letto) la frase: “Trading is a Business”? O l’invito ad approcciare il “trading come un’attività imprenditoriale”? O a fare “trading come un professionista”? Ma cosa distingue un imprenditore da un professionista? La risposta è: “L’organizzazione della propria attività, del capitale e del lavoro di altri, sotto forma di impresa.” L’imprenditore, solitamente, assume un’obbligazione di risultato; il professionista un’obbligazione di mezzi (quindi presta un’opera intellettuale la cui remunerazione non è legata al risultato che il cliente è riuscito a conseguire, ma a una sua diligente esecuzione). Adesso invito a chiedere a voi stessi: state facendo trading come un professionista o come un imprenditore? Se trascorrete la giornata davanti a un monitor alla ricerca di precisi setup, sulla base dei quali aprire nuove posizioni, passando in rassegna decine di grafici ed effettuando analisi discrezionali che ci portino a decidere se entrare su una nuova posizione o se chiuderne una esistente, siete dei professionisti del trading. È con questa immagine che tutti abbiamo iniziato a fare trading e, in tutta franchezza, è anche quello che ho fatto per diversi anni. Se siete fisicamente in forma e in sintonia con il mercato, oltre che avere maturato l’esperienza necessaria, si producono anche risultati interessanti; ma è indispensabile sviluppare sistematicità, disciplina, e pazienza. Intere giornate passate a cercare dei setup di ingresso, senza trovare nulla di buono, è una delle prove più ardue da superare, perché per sopravvivere sui mercati è perentorio evitare l’errore di entrare comunque in posizione “per sfinimento”, anche senza le condizioni ideali per farlo. Finché arriva un giorno nel quale ciò che hai fatto finora non ti riesce più così bene come prima. È come se avessi perso quella sintonia con il mercato che avevi avuto fino a poco tempo fa: o sei cambiato tu o è cambiato il mercato, ma in entrambi i casi non è semplice

uscire da questa situazione perché mancano quei riferimenti che un approccio meccanico al trading avrebbe potuto darti. Si può approcciare il trading anche in un modo differente: come un imprenditore, per esempio. La discriminante è l’organizzazione della propria attività sotto forma di impresa: non sto pensando ad assumere altri trader e organizzare il loro lavoro; ma a un trader che ha decine di trading system che girano su molteplici mercati, attivi h. 24/24 e costantemente alla ricerca di quelle opportunità di trading e di quei setup che egli, in virtù della sua esperienza sui mercati, ha codificato come potenzialmente profittevoli. Niente più giornate passate a setacciare grafici in cerca di qualche opportunità, spesso per non trovare alcuna operazione che rispetti i propri setup di ingresso; ma giornate trascorse a monitorare decine di sistemi che stanno facendo trading al posto tuo, assicurandosi che lo facciano in maniera corretta e continuando a svilupparne di nuovi o, se preferite, a addestrare nuova “forza lavoro” da mettere in produzione non appena sia pronta. Una delle abilità che un imprenditore deve possedere è la capacità di delegare: il trader imprenditore sta delegando l’operatività, che il trader professionista continua a fare in proprio (e con degli oggettivi limiti legati al fatto di essere una persona sola), a decine di sistemi meccanici su cui dovrà vigilare periodicamente per assicurarsi che continuino a conseguire i risultati attesi (cioè a guadagnare). Qualunque sistema meccanico può smettere di funzionare da un momento all’altro: quindi, occorre definire dei criteri oggettivi per decidere quando vada staccato, o agganciato nuovamente non appena mostri di avere ritrovato la sintonia con il mercato (cosa che non sempre accadrà). È proprio per evitare di svegliarsi un giorno scoprendo che ciò che hai fatto finora non funziona più come prima, come era successo al trader professionista nell’esempio di poco fa, che il trader imprenditore continua nel suo lavoro di sviluppo di nuovi sistemi di trading, o se preferite nella formazione di nuova forza lavoro. Questa figura, che abbiamo scherzosamente (ma non troppo) chiamato trader imprenditore, ha creato un’azienda: i suoi dipendenti sono i sistemi meccanici (non necessariamente automatici, come sarà più chiaro nella seconda parte del libro) che ha sviluppato e messo in produzione, i suoi macchinari sono i server su cui stanno girando (spesso server virtuali, accessibili dalla propria postazione, ma anche dal proprio tablet o smartphone quando non si è davanti al video). Si tratta, a tutti gli effetti, di una piccola impresa, dove l’imprenditore è anche manager, ed è chiamato a vigilare che

tutto quanto funzioni sulla base delle direttive che ha impostato. Sostiene i costi per fare andare avanti la sua attività, che deve riuscire a coprire pienamente con i ricavi generati dalla sua attività di trading, configurando ogni cosa nella maniera migliore per garantire la continuità aziendale. Quest’ultimo aspetto è proprio uno degli elementi più sottovalutati anche da trader ormai esperti e “navigati”.

“SHOW ME THE MONEY”. QUALE FUNZIONA MEGLIO? Operatività meccanica od operatività discrezionale? È una scelta che divide molti trader. Avendole provate entrambe, nel corso degli anni ho scelto di privilegiare il primo di questi due approcci, ma questo non significa che una delle due sia necessariamente “migliore” dell’altra. E poi cosa significa “migliore”? “Migliore” in termini di profittabilità di una rispetto all’altra? “Migliore” in termini di replicabilità e di sostenibilità (psicologica ed emotiva) per il trader? Non tutto deve necessariamente essere “bianco o nero”. Conosco trader sistematici che (consapevolmente) impiegano trading system e sistemi meccanici per avere indicazioni utili per poter filtrare un ingresso di tipo discrezionale. Allo stesso modo, conosco trader discrezionali che individuano condizioni di ingresso in posizione con un’analisi sul market profile, per esempio, e si affidano a logiche meccaniche per la successiva gestione della posizione. Esistono indici che tracciano queste due differenti modalità di lavoro sui mercati attraverso le performance registrate dai CTA (Commodity Trading Advisor) che rientrano in queste rilevazioni: 1. Il “Barclay Systematic Traders Index” traccia le prestazioni di 482 managed programs condotti in maniera sistematica per almeno un 95% della loro esposizione. Questo indice fa riferimento a un controvalore complessivo gestito di 283,39 miliardi di dollari. 2. Il “Barclay Discretionary Traders Index” traccia le prestazioni di 136 managed programs il cui approccio è discrezionale per almeno un 65% della loro esposizione. Questo indice fa riferimento a un controvalore complessivo gestito di 21,47 miliardi di dollari. Si tratta di controvalori differenti, di campioni di osservazione con una

numerosità differente, e il Discretionary Index ammette comunque una componente sistematica (fino al 35%), ma può comunque essere interessante metterli a confronto e vedere le differenze in termini di performance negli ultimi 24 anni, iniziando dall’indice che traccia i risultati dell’operatività discrezionale di questi CTA (Figura 1.1). La Figura 1.2 illustra invece l’andamento dell’indice che traccia l’operatività di tipo sistematico (meccanica).

FIGURA 1.1 – I risultati ottenuti, a partire dal 1980, da parte dei CTA (Commodity Trading Advisor) che utilizzano strategie discrezionali.

FIGURA 1.2 – I risultati ottenuti, a partire dal 1980, da parte dei CTA (Commodity Trading Advisor) che utilizzano strategie automatiche. Ma è solo la performance che conta? A mio avviso no. Alla base di un’operatività sistematica c’è sempre un preciso lavoro di codifica (per essere meccanizzata), che le garantisce una replicabilità che non sempre ritroviamo in quella di tipo prevalentemente discrezionale, dove rimane centrale il ruolo dell’operatore umano (con tutti i suoi limiti, ma anche con quella visione di insieme e quella capacità di giudizio che deriva dall’esperienza che difficilmente può essere trasferita a una macchina).

CAPITOLO 2

L’ingresso in posizione: l’importanza dei filtri operativi

uove idee di trading nascono dallo studio dei grafici e dall’esperienza del trader che svolge questa operazione. Osserviamo, quindi, ciò che c’è a sinistra rispetto all’ultimo prezzo, perché è solo su una serie storica che possiamo individuare, analizzare e validare una nuova idea di trading con un certo rigore. Raccomandiamo una certa cautela a operare basandosi sulla convinzione che il mercato debba muoversi in un certo modo, perché tale prassi può nuocere gravemente alla salute del proprio account.

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DALL’OSSERVAZIONE ALL’IDEA DI TRADING Più l’idea è semplice, più sarà facile codificarla, e maggiori saranno le probabilità che possa superare la fase di validazione, cioè la serie di test a cui sarà sottoposta per verificarne la robustezza e diminuire le probabilità che un buon risultato, osservato in passato, sia solo frutto di sovraottimizzazioni e overfitting (concetti su cui torneremo nelle prossime pagine). La semplice osservazione di un grafico può trarre facilmente in inganno: per isolare quelle specifiche situazioni in cui periodicamente si presenta il setup di ingresso su cui si basa la nostra idea di trading, può essere utile caricare sul grafico alcuni studi costruiti ad hoc per questa finalità. Ma non basta: l’idea dovrà comunque essere codificata per essere testata su orizzonti più estesi rispetto al periodo esaminato visivamente. Per “codifica” intendo la traduzione, in regole oggettive, di quando entrare in posizione, quando uscire e con quanto farlo. Il lavoro di codifica dell’idea dovrebbe già essere stato fatto nel momento in cui si è stati chiamati a scrivere

uno studio che la isolasse sul grafico dei prezzi: tradurla in una strategia ancora grezza, e priva di accorgimenti relativi al position sizing o al position management, dovrebbe risultare abbastanza semplice. Più precisamente, un “x%“ delle volte che si verifica la condizione “A”, ho osservato un certo comportamento dei prezzi che, in caso di evoluzione positiva, ha portato a una vincita media pari a “W”, mentre nel caso di evoluzione negativa ha portato a una perdita media pari a “L”. Fermarsi a quantificare quante volte questa idea è stata efficace, non basta (per usare lo stesso linguaggio, l’indicazione di quell’x% dei setup di ingresso rilevati che ha avuto esito favorevole): nel trading “avere ragione” non significa necessariamente guadagnare. Se l’idea si dimostra vincente il 60% delle volte, ma la vincita media (“W”, per usare lo stesso linguaggio del periodo precedente) è la metà della perdita media (“L”), il risultato finale sarà quello di perdere denaro. Da sempre, chi inizia a fare trading cerca una tecnica che lo porti ad avere ragione più volte possibili, mettendo in secondo piano la ricerca di un equilibrio fra vincita media e perdita media e, più in generale, ogni considerazione sul controllo del rischio (a cui è stato dedicato un intero capitolo di questo libro). Analogamente, anche vincendo solo il 30% delle volte, si potrà comunque risultare trader profittevoli, a patto di riuscire a maturare una vincita media pari a 4 volte la perdita media. Profittevoli, ma psicologicamente molto “provati”, dato che non è semplice riuscire a seguire un’operatività se il più delle volte dobbiamo accettare di avere torto e chiudere in stop l’operazione; e in quelle rare occasioni in cui abbiamo ragione, riuscire a far correre i profitti rifuggendo la tentazione di “portare a casa” il guadagno maturato finora. Un approccio meccanico al trading rende immediata la quantificazione di queste grandezze e la presa di coscienza, da parte del trader, che il setup di ingresso in posizione è solo “una parte” del puzzle, e probabilmente è l’aspetto più sopravalutato. Alla base di un’idea di trading c’è un’inefficienza del mercato: una configurazione grafica che, osservata con una certa frequenza nel passato, ha mostrato un certo grado di affidabilità nell’evoluzione (rialzista o ribassista) dei prezzi. L’osservazione di un grafico e l’esperienza del trader non sono la sola maniera per individuare queste inefficienze. È possibile chiedere a una macchina di farlo al posto nostro, impiegando, per esempio, tecniche di data mining per individuarle. Dopo un lavoro durato ormai alcuni anni, stiamo iniziando a vedere i primi risultati di questa modalità di lavoro su un portafoglio di trading system che

operano sul mercato azionario americano. Ogni sistema si basa, infatti, su dei pattern di prezzo, individuati attraverso l’impiego di algoritmi genetici che setacciano ogni specifica serie storica alla ricerca di inefficienze su cui sia possibile operare. Quello della Figura 2.1 è un pattern di prezzo sul titolo Nike (NKE), individuato con l’impiego di algoritmi genetici, che viene impiegato da un trading system dal mese di aprile 2012. Queste sono le regole su cui si basa (con “AverageP” si intende il prezzo medio).

FIGURA 2.1 – Un semplice pattern di prezzo che è stato applicato sul titolo Nike. Quello che vediamo nella Figura 2.1 è un pattern che definisce un setup di ingresso rialzista (quindi il sistema va solo long) su grafici daily, con una banale uscita temporale (dopo 5 giorni in posizione). La Figura 2.2 riporta l’equity line, dal 2000 a oggi, prodotta con un capitale investito di 10.000 USD a operazione: Invece, le Figure 2.3 e 2.4 mostrano l’equity line nel corso degli ultimi due anni, da quando il trading system è in produzione (quindi “live”, sui mercati). Fino a quando continuerà a funzionare? Finché su questo mercato continuerà a presentarsi questa inefficienza in maniera simile a come ha fatto in passato.

FIGURA 2.2 – L’equity line del sistema applicato su Nike a partire dal 2000.

FIGURA 2.3 – L’equity line ottenuta dal sistema nel corso degli ultimi due anni (2012-2104).

FIGURA 2.4 – Il System Report, prodotto da TradeStation, relativo all’applicazione del sistema sul titolo Nike nel periodo 2012-2014.

L’IMPORTANZA DEI FILTRI OPERATIVI Non tutte le inefficienze che il trader riesce a individuare sono negoziabili, perché non riescono a sviluppare, mediamente, un profitto sufficiente (average trade) per coprire i costi di transazione: non tanto la componente legata alle commissioni, quanto piuttosto quella legata allo slippage. Anche un retail trader alle sue prime esperienze ha, ormai, accesso a profili

commissionali molto competitivi, rendendo quasi trascurabile l’impatto di questa voce di costo; più complicato è, invece, adottare soluzioni in grado di ridurre lo slippage che, su operatività di tipo intraday, può arrivare a erodere una frazione importante del profitto finale.

IL FILTRO DEL TEMPO Un esempio di inefficienza (che non è immediatamente sfruttabile) dovrebbe aiutare a chiarire cosa intendo. Siete sicuri di conoscere lo strumento su cui state facendo trading? Iniziamo con le azioni: quando si è sviluppata realmente la tendenza rialzista osservata in questi anni? Durante gli orari regolari di contrattazione o dalla chiusura della sera prima fino all’apertura del giorno successivo (fase che chiameremo di after hours)? Iniziamo da un titolo che molti conoscono e che non ha bisogno di presentazioni: Apple (AAPL). In una logica BUY&HOLD, il prezzo di un’azione Apple dal 1° gennaio 1999 al 31 dicembre 2010 ha registrato una crescita di circa 32 volte il valore iniziale. Al contrario, un investimento su un titolo come AKS (settore acciaio), avrebbe portato a una perdita di circa il 30% del capitale. Una domanda che potremmo porci, allora, è: il titolo AAPL, quando ha maturato questo rialzo? Durante la regolare seduta di contrattazione o durante la fase che abbiamo definito di after hours? Dopo le rettifiche sul prezzo di Apple intervenute negli ultimi mesi, dei 45 USD di crescita registrata dall’azione in questo periodo, 60 USD sono stati fatti a mercati chiusi, cioè nella fase after hours (comprando ogni giorno in chiusura e vendendo in apertura il giorno dopo), mentre nella fase diurna di contrattazione (comprando ogni giorno in apertura e vendendo in chiusura) si è registrata una perdita di 15 USD. Poco fa ho citato AKS: come si è arrivati alla perdita del 30% del valore dell’azione in questi 12 anni? Nella sola seduta regolare di contrattazione il titolo ha perso circa 88 USD, mentre nell’after hours (che include anche il premarket, quindi dalla chiusura della sera prima all’apertura del giorno dopo) il titolo ha guadagnato 81 USD, portando così a questa differenza finale di -7 USD rispetto alla quotazione di 23 USD di inizio periodo. Perché non scrivere un sistema in cui, tutti i giorni, vendere allo scoperto l’azione nella fase regolare di contrattazione, e poi ricoprire lo short e mettersi

long sull’azione dalla chiusura del giorno prima all’apertura del giorno dopo? A prescindere dal fatto che si tratterebbe di un sistema senza alcun controllo del rischio, l’incidenza dei costi di transazione andrebbe a erodere gran parte del profitto. Abbiamo individuato un’inefficienza che non possiamo sfruttare direttamente, come setup di ingresso, ma che potremmo invece cercare di sfruttare come filtro operativo: una condizione che deve essere verificata per far operare un sistema meccanico che impiega un setup di ingresso basato, per esempio, su un pattern di prezzo. Anche sui mercati future esistono inefficienze che è possibile sfruttare, se non come setup di ingresso, quanto meno come filtri operativi applicati ad altre condizioni di ingresso in posizione. Che risultati otteniamo se, ogni giorno, andiamo long su un contratto future al prezzo di chiusura delle ore 10:00 (ora di Chicago) e ci giriamo short al prezzo di chiusura delle ore 02:00 (ora di Chicago)? (Figura 2.5)

FIGURA 2.5 – Un semplice sistema bastato esclusivamente sulla componente temporale. Le Figure 2.6-2.9 illustrano il risultato sui contratti futures di Oro, Mais, Petrolio ed Euro.

FIGURA 2.6 – L’equity line del sistema, applicato sull’Oro, basato esclusivamente sulla componente temporale.

FIGURA 2.7 – L’equity line del sistema, applicato sul Mais, basato esclusivamente sulla componente temporale.

FIGURA 2.8 – L’equity line del sistema, applicato sul Petrolio, basato esclusivamente sulla componente temporale.

FIGURA 2.9 – L’equity line del sistema, applicato al future sul cambio Euro/Dollaro, basato esclusivamente sulla componente temporale. Anche in questo caso l’average trade sviluppato dal sistema su ciascuno di questi futures sarebbe, per buona parte, eroso dai costi di transazione. Tuttavia stiamo parlando di un sistema che è sempre a mercato e fa 2 operazioni ogni giorno: l’applicazione di un filtro che faccia operare il sistema solo in presenza di una volatilità adeguata, o in presenza di un pattern di prezzo rialzista o ribassista in queste fasce orarie, così come l’adozione di logiche di gestione della posizione, possono rendere questa inefficienza profittevole. L’ultimo esempio mostrato fa riferimento al future valutario sul cambio EUR/USD a termine scambiato sul CME-Globex, ma il risultato è analogo anche sul Forex (il mercato spot, over the counter). Il mercato valutario, nella sua alternanza fra le diverse sessioni (asiatica, europea e americana), offre opportunità interessanti per sviluppare trading system intraday, come questo sistema breakout che gira su EUR/USD e USD/JPY, su grafici a 15 min, restando in posizione poche ore, e con un nozionale variabile, in funzione della volatilità registrata prima di entrare in posizione (sono stati inclusi 1,6 pips di slippage round turn).

Gli average trade non sono indicativi, dato che il sistema effettua delle uscite frazionali, di tipo scaling out (sui quali torneremo nella seconda metà del libro). Nelle Figure 2.10 e 2.11 vediamo l’equity prodotta su EUR/USD negli ultimi 8 anni: il sistema è attivo, in produzione, dalla seconda metà del 2012.

FIGURA 2.10 – L’equity line di un sistema breakout applicato sul cambio EUR/USD, su grafici a 15 minuti, nel corso degli ultimi 8 anni.

FIGURA 2.11 – Il System Report del sistema breakout, applicato sul cambio EUR/USD, su grafici a 15 minuti, nel corso degli ultimi 8 anni. Le Figure 2.12 e 2.13 mostrano, invece, l’equity line prodotta sul cambio USD/JPY negli ultimi 8 anni.

FIGURA 2.12 – L’equity line di un sistema breakout applicato sul cambio USD/YEN, su grafici a 15 minuti, nel corso degli ultimi 8 anni

FIGURA 2.13 – Il System Report del sistema breakout, applicato sul cambio USD/YEN, su grafici a 15 minuti, nel corso degli ultimi 8 anni. Non è necessario scendere su time frame così veloci: si possono scrivere filtri temporali che isolano l’operatività all’interno di certe fasce orarie, così come in certi giorni della settimana o del mese. Sull’azionario americano, per esempio, esiste un bias rialzista molto interessante negli ultimi giorni del mese e nei primi del successivo. Nella seconda parte del libro prendiamo in esame un’operatività sulle commodities che si basa su un concetto molto efficace e che rientra di diritto fra i filtri temporali: le stagionalità.

UN TIME FRAME TROPPO VELOCE Sistemi come questo su EUR/USD (che gira su un grafico a 15 minuti, con una permanenza in posizione di poche ore) rivestono un peso abbastanza marginale nel mio portafoglio; anche la maggior parte delle operatività presentate di seguito nel libro non opera intraday, ma resta in posizione overnight per orizzonti che vanno da alcuni giorni fino a 6-7 settimane. Potersi coricare ogni sera senza posizioni aperte, o limitare la propria permanenza sul mercato al minimo indispensabile, è sicuramente un “lusso”, ma comporta un costo importante, e pochi sistemi riescono a farvi fronte. Questo costo prende il nome di “costi di transazione”, cioè l’incidenza di commissioni e slippage sull’average trade sviluppato da questa operatività. Non conosco molti sistemi meccanici in grado di sviluppare average trade capienti per sostenere questi costi, restando in posizione una manciata di barre a 5 minuti. Mentre conosco (e utilizzo) operatività dove l’impatto dei costi di transazione è quasi trascurabile, perché ogni posizione può restare aperta anche alcune settimane. Conosco trader intraday quasi ossessionati dal calcolo dell’incidenza dei costi di transazione (e di come questi siano variati nel corso del tempo sui vari strumenti su cui operano). Ed è comprensibile se il focus è prevalentemente su operatività veloci, ma talvolta capita che sia contattato da trader meno esperti che mi chiedono se un sistema, che metto loro a disposizione e che sta in posizione mediamente una settimana, riuscirà a sopravvivere ai costi di transazione. Ingresso e uscita da una posizione (considerando commissioni e slippage) comportano gli stessi costi sia che si stia operando su un grafico a 5

minuti, con l’idea di chiudere la posizione dopo poche barre, sia che si stia operando su un grafico daily, con un orizzonte di alcune settimane in posizione. Nel primo caso è probabile che un average trade lordo di 100 USD sul future Crude Oil finisca per essere più che dimezzato; mentre nel secondo caso, lo stesso costo su un average trade di 1.000 USD avrà un’incidenza trascurabile.

IL FILTRO DEL TREND Non tutte le inefficienze sono sfruttabili e una delle maniere per aumentare l’average trade è quella di utilizzare dei filtri operativi che vadano a isolare solo quei setup di ingresso che abbiano le maggiori probabilità di successo. È bene, però, ricordare che l’aggiunta di ulteriori condizioni al sistema, introduce altri parametri liberi e aumenta il rischio di overfitting: quindi, resta di fondamentale importanza andare a misurare la robustezza del sistema attraverso rigorose procedure di validazione, che saranno introdotte nei prossimi paragrafi. Fra i filtri operativi che possiamo prendere in considerazione, non esistono solo quelli di natura temporale che abbiamo esaminato, ma, per esempio, anche quelli di tendenza (di trend) che consentano al sistema un’operatività long solo se in accordo a un trend di fondo (e viceversa per lo short). Prendiamo il grafico daily dell’ETF sull’S&P 500 (SPY) negli ultimi 20 anni e testiamo come si sarebbe comportato un semplice sistema che compra 100 azioni al taglio dei prezzi a rialzo di una media mobile a 5 periodi (una settimana borsistica), e chiude la posizione al successivo taglio al ribasso (Figure 2.14 e 2.15).

FIGURA 2.14 – Un semplice sistema che utilizza l’incrocio dei prezzi di una media mobile a 5 periodi per ottenere i segnali di entrata e di uscita dal mercato.

FIGURA 2.15 – L’equity line del sistema, applicato nel corso degli ultimi 20 anni, sul grafico daily dell’ETF sull’S&P 500 (SPY) non è positiva. Il risultato è poco promettente, nonostante sia probabile che la semplice osservazione del grafico dei prezzi negli ultimi 3 anni ci avrebbe convinto del contrario (come attesta la salita finale dell’equity). Analogamente ad altri indici sui mercati azionari, anche SPY (l’ETF sull’Indice S&P 500) risponde bene a logiche di trading di tipo swing o reversal, e questo risultato non è una sorpresa. Lo stesso (banale) setup di ingresso applicato a un’azione come Apple (AAPL) avrebbe prodotto un risultato differente (Figura 2.16).

FIGURA 2.16 – Lo stesso sistema applicato su Apple avrebbe invece ottenuto risultativi decisamente più interessanti. Su un titolo come Apple, dove il prezzo delle azioni ha subito variazioni considerevoli nel corso dell’ultimo decennio, è consigliabile l’adozione di logiche di dimensionamento della posizione (position sizing) differenti da quella impiegata (cioè l’acquisto di 100 azioni). Acquistando un numero di azioni pari a un capitale investito prestabilito, ogni volta di 10.000 USD, l’equity che avremmo ottenuto è quella che possiamo vedere nella Figura 2.17. Il miglioramento, in termini di regolarità dell’equity finale, è notevole; ma soprattutto ci permette di evidenziare irregolarità, presenti nei primi anni presi in esame, che non erano così evidenti nel grafico precedente. Nel dimensionamento della posizione non stiamo ancora tenendo conto della diversa volatilità esibita dal titolo nelle diverse fasi di mercato che ha attraversato, così come della possibilità di reinvestire i profitti generati dal sistema, ma questi sono aspetti che andremo a prendere in considerazione nelle prossime pagine.

FIGURA 2.17 – Utilizzando la tecnica del position sizing (ossia acquistando sempre lo stesso controvalore di titoli Apple, ossia 10.000 USD) avremmo ottenuto questa equity line. Mantenendo la stessa logica di dimensionamento della posizione (10.000 USD di capitale investito su ogni operazione, invece dei 100 contratti fissi), torniamo a concentrarci su SPY. Questa volta andiamo, però, ad assecondare la sua natura reversal e invertiamo le condizioni del sistema: compriamo quando i prezzi tagliano a ribasso la media mobile a 5 periodi e chiudiamo la posizione quando la tagliano a rialzo (Figure 2.18 e 2.19).

FIGURA 2.18 – Un semplice sistema che compra quando i prezzi incrociano, dall’alto verso il basso, la media mobile a 5 periodi e vende quando i prezzi incrociano, dal basso verso l’alto, la stessa media mobile. Il risultato inizia a essere promettente, se consideriamo che si tratta di un setup di ingresso “grezzo”. Le fluttuazioni indesiderate nella parte centrale dell’equity sono legate alla volatilità che si è abbattuta sui mercati azionari

nell’autunno del 2008 (dopo il fallimento di Lehman Brothers), e una semplice logica di dimensionamento della posizione che ne tenesse conto potrebbe facilmente restituire un risultato molto più regolare (ma, come anticipato, torneremo successivamente su questo punto).

FIGURA 2.19 – L’equity line del sistema, applicato all’ETF sull’S&P 500, che compra quando i prezzi incrociano, dall’alto verso il basso, la media mobile a 5 periodi e vende quando i prezzi incrociano, dal basso verso l’alto, la stessa media mobile. I mercati azionari scontano un bias rialzista: mettiamo “alla prova” il sistema facendolo operare sia long che short (quindi al taglio a rialzo della media mobile a 5 periodi, non ci limitiamo a chiudere la posizione long, ma ne apriamo una short) (Figure 2.20 e 2.21). All’aumentare del numero di operazioni, osserviamo una minore regolarità sull’equity finale, proprio in virtù di questo bias che penalizza l’operatività short durante le lunghe fasi di trend rialzista che caratterizzano questo mercato. Anche considerando la sola operatività short, comunque il sistema non perde soldi. Quindi, introduciamo una nuova condizione: il filtro di trend, che ci consente di aprire una nuova posizione long solo se i prezzi sono sopra la media a 200 periodi (e allo stesso modo, di aprire una posizione short

solo se i prezzi sono sotto tale media) (Figure 2.22 e 2.23). Infine, trasformiamo anche la media mobile a 5 periodi, che finora aveva innescato gli ingressi e le uscite dalla posizione, in un filtro di trend, ma questa volta di breve periodo, per isolare un ritracciamento di breve (media a 5 periodi) in un trend rialzista di lungo periodo (media a 200 periodi). La nuova condizione di ingresso che il sistema andrà a ricercare sarà caratterizzata da 3 chiusure negative per l’ingresso in posizione long e 3 chiusure negative per l’ingresso short. La Figura 2.25 mostra l’equity line finale.

FIGURA 2.20 – Un sistema che compra (va long) quando i prezzi incrociano, dal basso verso l’alto, la media mobile a 5 periodi e vende (va short) quando i prezzi incrociano, dall’alto verso il basso, la stessa media mobile.

FIGURA 2.21 – L’equity line del sistema, applicato all’ETF sull’indice S&P 500, che compra (va long) quando i prezzi incrociano, dal basso verso l’alto, la media mobile a 5 periodi e vende (va short) quando i prezzi incrociano, dall’alto verso il basso, la stessa media mobile.

FIGURA 2.22 – Il codice del sistema che apre una posizione long se i prezzi incrociano, dall’alto verso il basso, una media mobile a 5 periodi e i prezzi si trovano al di sopra della media mobile a 200 periodi. Lo stesso sistema apre una posizione short se se i prezzi incrociano, dal basso verso l’alto, una media mobile a 5 periodi e i prezzi si trovano al di sotto della media mobile a 200 periodi.

FIGURA 2.23 – L’equity line del sistema, applicato all’ETF sull’indice S&P 500, che utilizza come filtro aggiuntivo la posizione della media mobile a 200 periodi.

FIGURA 2.24 – Il codice del sistema che apre una posizione long, dopo tre chiusure consecutive al ribasso, se i prezzi incrociano, dall’alto verso il basso, una media mobile a 5 periodi e i prezzi si trovano al di sopra della media mobile a 200 periodi. Lo stesso sistema apre una posizione short, dopo tre chiusure consecutive al rialzo, se i prezzi incrociano, dal basso verso l’alto, una media mobile a 5 periodi e i prezzi si trovano al di sotto della media mobile a 200 periodi. È doveroso puntualizzare che si tratta semplicemente di esempi, dove è completamente assente ogni logica di risk management, ma utili a comprendere l’efficacia di un filtro di trend, soprattutto quando si operi con dei sistemi long/short sui mercati azionari. Personalmente impiego diversi trading system, che lavorano su panieri di azioni, il cui codice è racchiuso in meno di 50 righe: con questo ci tengo a ribadire che le difficoltà di un approccio meccanico al trading, non sono certo nella codifica dell’idea, quanto nell’individuazione di una buona idea.

FIGURA 2.25 – L’equity line del sistema, applicato sull’ETF legato all’S&P 500, che richiede anche tre chiusure consecutive al ribasso/rialzo per aprire posizioni long/short.

IL FILTRO DELLA VOLATILITÀ La volatilità è la “benzina” necessaria a ogni sistema di trading meccanico per poter funzionare. Senza di essa, si riduce il potenziale di profitto insito nelle oscillazioni dei prezzi che il trading system cerca di catturare, e aumenta l’incidenza dei costi di transazione sull’average trade (in diminuzione). Abbiamo già chiamato in causa l’importanza di fare riferimento alla volatilità nel paragrafo precedente, a proposito del calcolo del dimensionamento della posizione: su questo aspetto torneremo nel prossimo capitolo. Perché non introdurre, allora, nel nostro sistema, un filtro che agisca solo su quei setup di ingresso che si verificano in condizioni di volatilità crescente o decrescente? Prima di procedere oltre, però, è necessario fare chiarezza su che cosa si intenda per “volatilità” e sulle diverse modalità di calcolo per poterla misurare. Questo concetto sarà richiamato anche nella seconda parte del libro, quando si prenderanno in esame alcune strategie che impiegano le

opzioni.

SI FA PRESTO A DIRE “VOLATILITÀ” Iniziamo con il dire che il concetto di “volatilità” fa sempre riferimento alla variabilità del sottostante, e distinguiamo: 1. la “volatilità storica”: indica quanto si è mosso (nel passato) il titolo. Ogni piattaforma ha, fra i suoi indicatori, la historical volatility, il cui valore è legato unicamente al movimento passato del sottostante (e non ha nulla a che fare con le opzioni); 2. la “volatilità futura”: indica di quanto si muoverà il titolo nel futuro (e chiaramente, a meno di non saper leggere il futuro, questa è una grandezza che possiamo solo pensare di stimare); 3. la “volatilità implicita”: questa è una grandezza sempre associata al “mondo delle opzioni”, ma in realtà ciò che rappresenta è l’aspettativa degli operatori su quanto sarà la volatilità futura del sottostante. Si tratta sempre di una grandezza che fa riferimento a una previsione sulla variabilità futura del sottostante, ma che è ricavata osservando i prezzi delle opzioni che vengono scambiate (ricavandola, quindi, “implicitamente” da tali prezzi). La volatilità implicita è un’indicazione (in percentuale) derivata da una qualunque delle tante formule per il calcolo del valore teorico di un’opzione. Per esempio, alla formula di Black & Scholes non si chiede di restituirci il valore teorico di un’opzione, perché per farlo ci richiederebbe di imputare (fra le altre cose) la volatilità futura che si verificherà sul sottostante. Spesso, questa formula può essere utilizzata “al contrario”, dandogli come input il prezzo (bid o ask) di un contratto di opzione che vedo scambiare sul mercato, ricavando così la volatilità futura che gli operatori, che si stanno scambiando questi premi, si aspettano che possa verificarsi prossimamente. Dato che non si tratta della volatilità futura del sottostante, ma solo di un’aspettativa legata a questa grandezza, allora è prassi dargli un nome diverso, che non lasci spazio a fraintendimenti: volatilità implicita (“implicita” perché è stata ricavata da questa formula per il calcolo del valore teorico di una opzione ed è “implicita” nei prezzi a cui quel contratto di opzione viene scambiato sul mercato in quel momento).

Quindi, i premi delle opzioni che vediamo negoziati non sono il riflesso di quanto si è mossa quell’azione in passato, ma delle aspettative degli operatori su quanto si muoverà nel prossimo futuro (anche se questa stima è ragionevole che tenga conto del movimento esibito finora da quello strumento). L’operatore deve, allora, effettuare una stima della volatilità futura partendo dall’analisi di quella storica, e ricorrendo a modelli econometrici più sofisticati per arrivare a determinare il premio dell’opzione. La volatilità storica e la volatilità implicita possono essere rappresentate insieme per poter effettuare delle comparazioni, partendo sempre dalla medesima assunzione, cioè che sono mean reverting (significa che manifestano un carattere che fa sì che, dopo un movimento verso un livello estremo, tendano poi a rientrare verso la loro media). Oltre a confrontare le due volatilità nello stesso periodo, potrei confrontare anche, fra di loro, l’andamento delle diverse volatilità storiche calcolate su diversi periodi e l’andamento delle diverse volatilità implicite calcolate sulle diverse scadenze delle opzioni. Il primo tipo di confronto restituisce indicazioni interessanti sull’alternanza di fasi di compressione ed espansione della volatilità mentre il secondo tipo di confronto mostra la presenza di calendar skew che rappresentano la base dell’operatività non direzionale con strategie in opzioni quali i calendar spread. Siamo sicuri che la volatilità storica sia una misura della volatilità sufficientemente precisa? Il suo più grande vantaggio è la sua comparabilità con quella implicita, dato che possono essere messe sullo stesso grafico, con la stessa scala, per effettuare facilmente dei confronti. Tuttavia, il fatto di essere calcolata unicamente utilizzando il prezzo di chiusura di una barra, se da un lato attenua il rumore di fondo, dall’altro non ci dà informazioni su ciò che è successo in corso di formazione di questa barra. Esiste (fra gli altri) un indicatore, molto utilizzato da chi scrive trading system (perché permette di avere a disposizione una misura della volatilità a cui condizionare alcuni dei parametri del sistema) e più preciso della historical volatility, che è l’average true range. Ideato da Wilder, ha come base di calcolo il true range. Quest’ultimo indica il valore maggiore tra le risultanti della misurazione di: 1. prezzo max di oggi e min di oggi; 2. chiusura ieri e max di oggi; 3. chiusura ieri e min di oggi;

Il valore maggiore fra questi è il true range. Il suo scopo è quello di quantificare la volatilità, cioè l’ampiezza delle oscillazioni del prezzo (se il true range è in aumento, allora rilevo un aumento della volatilità; se in diminuzione, allora rilevo una diminuzione della volatilità). Si osservi però come, accanto al valore della chiusura, questo indicatore vada a considerare anche massimi e minimi quali misure dell’oscillazione dei prezzi decisamente più puntuali del valore di chiusura. L’average true range non è altro che la media mobile del true range. Al centro del calcolo della volatilità storica (così come alla base della stima della volatilità futura incorporata nel calcolo della volatilità implicita) c’è il concetto di “deviazione standard”, una misura statistica della variabilità dei prezzi. Al lettore verrà subito alla mente uno degli strumenti di analisi tecnica più utilizzati: le Bande di Bollinger. Queste bande non sono altro che la proiezione di 2 deviazioni standard (calcolate su un certo periodo, diciamo gli ultimi 20 giorni) sopra e sotto una media mobile dei prezzi (anch’essa calcolata sullo stesso periodo di 20 giorni). Se i prezzi del sottostante fossero distribuiti secondo una nota distribuzione statistica detta “normale” (la classica curva “a campana” o Gaussiana) allora queste bande dovrebbero racchiudere il 95% dei prezzi del sottostante. Uso il condizionale perché, in realtà, non sono i prezzi del sottostante a essere distribuiti secondo una “normale”, ma le loro variazioni del sottostante. Anche la distanza fra la banda superiore e quella inferiore, che viene denominata bandwidth, può essere impiegata per costruire filtri di volatilità. Dalla deviazione standard all’average true range, dalla volatilità storica al bandwidth, sono tante le alternative a disposizione del trader per fare riferimento alla volatilità all’interno del proprio sistema meccanico per isolare le migliori condizioni in cui operare. Se riprendiamo la prima versione del sistema su SPY (senza la condizione delle 3 chiusure negative per entrare long e positive per lo short) e aggiungiamo, all’ingresso in posizione, un semplice filtro che ricerca una condizione di volatilità in aumento (average true range, calcolato sulle ultime 10 barre, maggiore dell’average true range, sempre calcolato sulle ultime 10 barre, ma rilevato 10 barre fa) il risultato è quello che potete vedere nelle Figure 2.26 e 2.27.

FIGURA 2.26 – Il codice del sistema che richiede un aumento della volatilità prima di aprire una nuova posizione long/short.

FIGURA 2.27 – L’equity line del sistema che utilizza anche un filtro di volatilità prima di aprire una nuova posizione long/short sul mercato. Con questo filtro le operazioni sono scese da 626 a 287, ma l’average trade è aumentato da 32 USD a 41 USD e il profit factor da 1,68 è salito a 1,82. Pur nella semplicità di questo filtro, questo è l’effetto ricercato (diminuzione del

numero di operazioni e miglioramento delle metriche del sistema, in particolare dell’average trade).

UN FILTRO SU UNA SECONDA SERIE STORICA È possibile codificare filtri molto interessanti impiegando una seconda serie storica, in virtù della relazione che la lega con quella principale. Ripartiamo dall’idea di usare la media mobile di una settimana borsistica (5 periodi) per comprare e vendere (short) il mini S&P 500 future. Per essere un sistema a mercato il 100% del tempo, l’equity prodotta sugli ultimi 10 anni è molto promettente (Figure 2.28 e 2.29). Lascio al lettore l’esercizio di cercare di migliorare la regolarità utilizzando qualcuno dei filtri spiegati in queste pagine, ma soprattutto di introdurre logiche di dimensionamento e gestione della posizione (assenti in questo sistema “grezzo”). È interessante vedere cosa succede quando aggiungo una condizione di ingresso basata su una seconda serie storica: il future Gold.

FIGURA 2.28 – L’equity line di un sistema applicato negli ultimi 10 anni al contratto mini future sull’S&P 500, che utilizza una media a 5 periodi per ottenere i segnali di entrata/ uscita dal mercato.

FIGURA 2.29 – Il System Report di un sistema applicato negli ultimi 10 anni al contratto mini future sull’S&P 500, che utilizza una media a 5 periodi per ottenere i segnali di entrata/uscita dal mercato. Nella Figura 2.30 vedete il codice del trading system con questa nuova condizione che richiede, in aggiunta a quella originaria, che il prezzo del future sull’Oro sia sopra la sua media mobile a 50 periodi per entrare long (e viceversa per aprire una posizione short).

FIGURA 2.30 – Il codice di un sistema che utilizza, oltre alla media a 5 giorni, anche una media mobile a 50 periodi come filtro per l’apertura di nuove posizioni long/short. Il grafico della Figura 2.31 mostra l’equity line prodotta. Confrontando le metriche del performance report di TradeStation (Figura 2.32), è piuttosto evidente l’efficacia di un filtro come questo su un sistema grezzo, ma vorrei contenere facili entusiasmi e aspettative eccessive.

FIGURA 2.31 – L’equity line del sistema, applicato nel corso degli ultimi 10 anni sul future dell’Oro, che utilizza come filtri le medie mobili a 5 e 50 periodi.

FIGURA 2.32 – Il Performance Report del sistema, applicato nel corso degli ultimi 10 anni sul future dell’Oro, che utilizza come filtri le medie mobili a 5 e 50 periodi. Si tratta solo di un punto di partenza, che vi invito a sviluppare, ma sempre all’interno di un framework di regole di gestione della posizione, che mancano nel codice presentato poc’anzi.

CAPITOLO 3

Ha funzionato in passato… continuerà a funzionare in futuro?

LA PROVA DEGLI ANNI: IL BACKTEST e equity prodotte nelle pagine precedenti sono il risultato di un backtest, cioè un’indicazione dei risultati che avrebbe prodotto un sistema meccanico applicato a una serie storica su un certo periodo di tempo. Il prodotto di questo “test sul passato” è un report (Strategy Performance Report) che contiene informazioni aggregate, fondamentali a chi intenda approcciare il trading in maniera meccanica. Alcune piattaforme producono lo stesso tipo di report, partendo però dalle operazioni realmente effettuate dal trader e anche quello più discrezionale potrebbe cogliere, dall’analisi delle operazioni che ha effettuato quotidianamente sui mercati, notevoli spunti di miglioramento. Ogni volta che ci si accinge a effettuare un backtest, sarebbe necessario interrogarsi sulla qualità dei dati della serie storica che si sta per utilizzare. Effettuare, infatti, una rigorosa analisi su dati di scarsa qualità, oltre a non avere una particolare utilità, potrebbe condurre il trader a decisioni errate in fase di sviluppo del sistema. Un esempio dovrebbe contribuire a chiarire meglio questo punto: consideriamo Barrick Gold (ABX). È solo un esempio (e ogni giorno ce ne sono a decine) di anomalia legata ai prezzi che vediamo sui monitor. Non dipende dal broker (il problema, infatti, è analogo per tutti): si tratta di errori che vengono corretti a mercati chiusi, come quello che è successo sul grafico del titolo ABX in Figura 3.1.

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FIGURA 3.1 – Un’ombra anomala sul titolo Barrick Gold (ABX) provocata da un problema tecnico. Quest’ombra “anomala”, con un massimo a 18,69, è un errore e in serata, in chiusura delle contrattazioni, questo spike era presente sui grafici di ogni piattaforma, creando qualche problema a chi impiega trading system programmati per passare un ordine all’indomani, sul massimo del giorno precedente (che si troverebbe, però, a un prezzo “irragionevole” se questa quotazione fosse reale). Durante la notte ci sono piattaforme che vanno a effettuare rettifiche e a “pulire” queste anomalie, e altre, invece, che non puliscono la seria storica, lasciando questi spike che non fanno altro che andare a inficiare il calcolo di indicatori o strategie meccaniche. L’immagine che vedete nella Figura 3.1 è di un broker che non fa queste rettifiche (e, ad oggi, continua a riportarmi sul grafico questo spike senza essere intervenuto per “fare pulizia”). La Figura 3.2, invece, è di un broker che fa queste rettifiche nel corso della nottata. Lo spike delle 14:30 è sparito e il trading system agganciato su questa serie storica (o qualsiasi indicatore calcolato su di essa) può riprendere il suo funzionamento, mentre quello che viene alimentato con la serie storica del primo grafico, si ritroverà a fare calcoli non corretti.

FIGURA 3.2 – Alcuni broker puliscono la serie storica dei prezzi e consentono di analizzare in modo corretto il reale comportamento del mercato. Quando si fa trading (in particolare trading meccanico), o si effettuano backtest, la qualità del dato è fondamentale, così come il fatto che il fornitore di questo flusso dati adotti a fine giornata le opportune rettifiche per mantenere questa serie storica “pulita” e senza queste anomalie nei prezzi. I risultati di un trading system possono divergere sensibilmente quando viene fatto girare su serie storiche “grezze”, dove non c’è la minima manutenzione: quello che può sembrare un’anomalia, o un caso isolato, si ripete molto più spesso di quanto uno possa immaginare. Alimentare una piattaforma su cui gira un sistema meccanico, con il flusso dati del primo grafico (senza rettifiche), è probabile che porterà a risultati molto diversi da quelli attesi (o documentati dal fornitore di tale sistema, che l’ha sviluppato e lo utilizza su serie storiche di migliore qualità). Se queste anomalie si presentano su mercati regolamentati, provate a pensare a quello che può succedere sulle serie storiche di prodotti over the counter come il mercato valutario. Un trading system sviluppato su una piattaforma che usa i dati del broker A, e che guadagna, potrebbe perdere se fatto girare sulla stessa piattaforma usando i dati del broker B. Anche sul Forex è importante orientarsi a un fornitore dati che faccia manutenzione su questi strumenti con la stessa cura con cui la fa su strumenti regolamentati. Stiamo solo sfiorando la punta dell’iceberg, perché non intendo aprire il capitolo sui “volumi”, dove trovare un fornitore di dati realmente affidabile non è solo difficile, ma parecchio costoso; così come ragionare sulla qualità intrinseca del dato: se torniamo ai due grafici precedenti e prendiamo un tick

chart del primo fornitore e lo confrontiamo con uno preso dal secondo, è facile accorgersi come nel primo manchino una buona parte dei tick (semplicemente perché il flusso in uscita del primo fornitore, per risparmiare banda, aggrega i tick che invia alla piattaforma, e perde, quindi, molte informazioni per strada).

MIGLIORARE UNA STRATEGIA, EVITANDO L’OVERFITTING L’utilità di effettuare un backtest non si limita al “responso” che il report prodotto può darmi relativamente a un sistema meccanico. Qualunque idea di trading individuata su un grafico richiede sempre un certo “affinamento” per poter produrre risultati soddisfacenti. Quando questo impegno, volto alla ricerca di un sistema migliore, si traduce in un “accanimento” verso l’individuazione dei migliori parametri di ingresso e gestione della posizione, è qui che può presentarsi un problema: la sovra ottimizzazione o, se preferite, l’overfitting. Un “classico” errore è quello di impiegare la procedura di ottimizzazione, offerta ormai da molte piattaforme, per trovare i parametri più performanti sul passato al fine di utilizzarli in futuro. Tale procedura non è qualcosa di “buono” o “cattivo” di per sé: è uno strumento, e come tale deve essere impiegato in maniera corretta, ed è fondamentale per effettuare alcune analisi finalizzate alla validazione del sistema. Una procedura di ottimizzazione lanciata su un trading system che impiega 5 parametri non fa altro che produrre un report con l’indicazione dei risultati che questo avrebbe prodotto sul passato, per tutte le possibili combinazioni dei valori su cui abbiamo deciso di fare fluttuare i 5 parametri. È come viene utilizzata questa indicazione che può fare una certa differenza. Se mi “accontento” dell’indicazione della combinazione di parametri che sul passato ha prodotto i migliori risultati, devo essere ben consapevole dei rischi a cui sto andando incontro. Infatti, all’aumentare delle condizioni utilizzate del sistema, e al diminuire del numero di operazioni effettuate, accresce la probabilità di incorrere in una soluzione sovra ottimizzata. In queste situazioni, è molto alto il rischio che questa versione del sistema, basata sui migliori parametri individuati con la procedura di ottimizzazione, possa non comportarsi altrettanto bene anche in futuro. Ipotizziamo di partire da un trading system che si basa su un certo setup di

ingresso, e che produce un’equity irregolare. Per recuperare regolarità potrei decidere di introdurre nuove condizioni sul passato, cercando di isolare specifiche situazioni, su cui inibire l’operatività del sistema ed evitare così di incorrere in operazioni perdenti. Per esempio, potrei adottare i filtri operativi descritti nel capitolo precedente, lanciando procedure di ottimizzazione volte a calibrare ogni nuovo parametro introdotto con queste condizioni aggiuntive, in maniera tale da “ripulire” tutti quei momenti in cui il sistema aveva incontrato difficoltà. Il risultato finale sarà quello di un sistema perfettamente addestrato su ciò che è successo in passato, ma probabilmente non abbastanza pronto a ciò che lo aspetta in futuro. Questo “abuso” di condizioni e filtri operativi, e un cattivo utilizzo della procedura di ottimizzazione, ci ha restituito un sistema tanto forte sul passato quando fragile sul futuro, poco robusto e assolutamente non in grado di ottenere gli stessi risultati in presenza di, seppur minime, variazioni nella serie storica su cui è stato addestrato. Questa modalità di lavoro produce sistemi addestrati non su quei segnali di ingresso, verificatisi in passato e che pensiamo continueranno a ripresentarsi anche in futuro (la componente sistematica), ma sul rumore osservato sulla serie storica, che ha poche probabilità di ripresentarsi nello stesso modo anche in futuro (la componente casuale). Questi ragionamenti sono trasversali e valgono per qualsiasi operatività: dal trading direzionale al non direzionale, allo spread trading, così come per tutti gli strumenti che andremo a utilizzare, dai futures alle azioni, al Forex, alle opzioni. Lo ribadisco perché ho osservato negli anni un’insolita tendenza, specie fra chi opera con strategie in opzioni, a ritenere il rischio di overfitting come un qualcosa di “estraneo” a questa operatività, e caratteristico solo di chi impiega trading system tradizionali su future o azioni. Un utilizzatore di trading system, chi è abituato a condurre test rigorosi su un’operatività prima di andare a mercato, o chi preferisce ragionare sulla base di setup meccanici e logiche testate prima, non è un trader più “fragile” o soggetto a un qualche rischio in più rispetto a uno discrezionale: è semplicemente più consapevole e preparato. Un utilizzo corretto della procedura di ottimizzazione ai fini della validazione di un sistema meccanico sarà presentato nei prossimi paragrafi, ma prima è necessario effettuare un’operazione…

SEPARIAMO LA SERIE STORICA

Prima di procedere oltre, l’operazione che dobbiamo effettuare è quella di suddividere la serie storica in due porzioni: quella che andremo a utilizzare in fase di addestramento del sistema meccanico (inclusi alcuni test di validazione); e quella che, invece, sarà utilizzata solo alla fine del nostro lavoro di sviluppo per esaminare le prestazioni del sistema su dati su cui non ha mai girato, così da poter decidere se metterlo in produzione con denaro reale. Chiameremo In Sample (IS) la porzione di dati su cui andare a addestrare il sistema, e Out of Sample (OS) la porzione di dati che utilizzeremo solo nella fase finale di validazione del sistema, e che non ha mai visto nel corso della fase di addestramento. Non esiste una regola che indichi l’esatta porzione della serie storica da destinare all’analisi Out of Sample: solitamente, la scelta che vedo effettuata con maggior frequenza prevede percentuali comprese fra il 10% e il 30%, ma si tratta di un valore che deve essere scelto, di volta in volta, in base a diverse considerazioni. Per esempio, su quale time frame lavorerà il sistema, quindi la frequenza con cui andrà a operare, oppure l’andamento del mercato nella porzione Out of Sample, scegliendo una porzione di dati che riesca a includere fasi diverse (rialziste e ribassiste, di alta e bassa volatilità, …) Anche se è prassi comune farlo, non necessariamente il periodo OS deve essere collocato dopo il periodo IS. Alcuni sostengono l’utilità di addestrare il sistema includendo anche il periodo più recente, collocando la porzione OS prima, in termini temporali, rispetto al periodo IS. Personalmente, preferisco condurre la fase finale della validazione su una porzione della serie storica successiva a quella IS, ma in presenza di una serie storica piuttosto lunga, che non ho utilizzato integralmente nella fase di addestramento, è frequente che vada a esaminare i risultati del sistema anche su periodi storici molto distanti, con la consapevolezza che potrei incontrare condizioni strutturali molto diverse da quello del più recente periodo OS. Lanciando un’ottimizzazione, sarà la stessa piattaforma a richiedere l’indicazione (in % sull’intera serie storica, oppure da una certa data) di un periodo OS da usare per analizzare come avrebbe performato il sistema meccanico su dati non utilizzati in fase di addestramento. Nonostante si tratti sempre di un periodo Out of Sample, questo non ha nulla a che fare con la porzione finale di serie storica che abbiamo messo nel paragrafo precedente. Il periodo OS richiesto dalla piattaforma servirà, infatti, per calcolare una metrica chiamata (in TradeStation) Robustness Index, il cui valore sarà tanto più alto quanto, nel periodo sopra citato, il sistema avrà performato meglio

rispetto al periodo IS. Un valore di tale indice pari a 100, per esempio, andrebbe a indicarci che quella combinazione di parametri individuata in fase di ottimizzazione ha prodotto, sulla parte finale della serie storica, un risultato in linea con quello prodotto nel periodo di addestramento. Lo sviluppatore sarà, quindi, portato a scegliere quelle combinazioni di parametri che hanno restituito un Robustness Index intorno a 100, scartando quelle combinazioni che, invece, non hanno prodotto risultati positivi al di là della fase di addestramento. Una selezione condotta su questa metrica allo stesso modo di come potrebbe essere condotta sul net profit delle diverse combinazioni di input, o sul profit factor, o sull’average trade, esporrebbe comunque al rischio di overfitting. Da qui la necessità di avere a disposizione un “vero” periodo OS, che contiene dati che il sistema meccanico non ha mai visto prima, da utilizzare nella fase finale di sviluppo, prima di decidere se metterlo in produzione con denaro reale.

LA VALIDAZIONE DI UN SISTEMA MECCANICO Per validazione di un sistema meccanico intendiamo una serie di procedure finalizzate a misurarne la robustezza, e quindi le probabilità che possa continuare a funzionare anche nella fase successiva a quello di sviluppo. Non ci sono tecniche per aumentare la robustezza di un sistema: ma ci sono principi, a cui ci si dovrebbe attenere in fase di sviluppo, e procedure, a cui sottoporre il sistema man mano che ci si avvicina alla versione definitiva, per contenere le probabilità di effettuare sovraottimizzazioni. Come ricordato in precedenza, stiamo comunque ragionando in maniera probabilistica e non deterministica, senza alcuna garanzia di un certo risultato. Scendere ad esaminare, in dettaglio, il funzionamento di ognuna di queste tecniche esula dagli scopi di questo libro: in primis, perché esistono ottimi manuali, scritti da autorevoli autori, sulla materia, e non posso che raccomandarne un attento studio. La seconda ragione è che si tratta di tecniche che, finché restano su un piano teorico, sono di modesta utilità. È solo intervenendo sul codice dei propri sistemi meccanici (su sistemi veri, quindi, e non su semplici esempi), e analizzandone i risultati, che si riesce a intuirne il potenziale (ed è la ragione per cui dedichiamo un’intera giornata di formazione a questa materia, mostrando il funzionamento di queste tecniche su 4 trading system con codice aperto messi a disposizione del partecipante).

SEMPLICITÀ Un sistema semplice, spesso, è anche un sistema robusto. Per semplicità intendo che l’idea, alla base del sistema, può essere codificata in poche righe di codice, con pochi parametri. Quando mi riferisco al numero di parametri intendo, naturalmente, sia quelli liberi (che assegniamo a input e facciamo fluttuare nel corso di un’ottimizzazione) sia quelli presenti nel codice, la cui scelta potrebbe essere stata fatta dallo sviluppatore senza particolari procedure di ottimizzazione, magari sulla base del buon senso. Il loro proliferare nel codice, comunque, aggiunge complessità e incrementa il rischio che un buon risultato del sistema sia figlio di una sovraottimizazione. I sistemi più semplici nascono, spesso, dall’osservazione del grafico e dall’esperienza del trader che lo osserva, che attraverso i propri schemi mentali, riesce a individuare delle regole isolandole rispetto al rumore di fondo presente sui mercati, che dovrà comunque codificare e testare. Inutile sottolineare che, spesso, un sistema semplice non produrrà un’equity line così regolare e gradevole. Per recuperare l’auspicata regolarità abbiamo due strade. La prima è quella di affiancare diverse operatività che, prese singolarmente, restituiscono equity poco regolari, ma che analizzate in maniera aggregata recuperano una certa regolarità sull’equity line finale. Ritorneremo su questo concetto nel capitolo dedicato al trading non direzionale con le opzioni, quando, sulla base di un preciso ragionamento, andremo ad affiancare due distinte operatività (sulle opzioni e sul future sottostante) proprio con l’intento di incrementare la regolarità del risultato aggregato. La seconda è quella di aggiungere dei filtri operativi al sistema grezzo. Se impiegati opportunamente, l’effetto sarà quello di riuscire a isolare solo le operazioni con le maggiori probabilità di successo, o quelle con i migliori rendimenti, restituendo all’equity finale una certa regolarità. L’altra faccia della medaglia, però, è un aumento della complessità, che rende necessario procedere con una certa cautela per evitare di sovra ottimizzare il sistema e di ritrovarsi fra le mani un prodotto poco robusto. Diventa essenziale, in questo caso, adottare alcuni accorgimenti in più per poter validare il sistema. Prima di procedere a esaminare alcune delle tecniche che possiamo utilizzare per valutare la robustezza del sistema così ottenuto, è importante sottolineare come, spesso, accanto alla semplicità esista anche un’altra caratteristica comune a sistemi robusti: la non convenzionalità. Una parte delle

operatività presentate in questo libro ricadono in questa definizione: si tratta di metodologie di lavoro poco convenzionali, spesso impiegate solo da hedge funds, ma sempre più alla portata anche del trader retail. Non si tratta dell’high frequency trading, che presenta barriere all’ingresso di tipo tecnologico fuori dalla portata del trader privato: le tecniche mostrate successivamente nel libro lavorano, il più delle volte, con orizzonti che vanno da alcune giornate in posizione fino anche a diverse settimane. Alla base di queste operatività ci sono regole semplici, ma applicate a strumenti il cui funzionamento non è così intuitivo: la buona notizia è che si possono imparare; quella cattiva è che richiedono qualche sforzo in più per comprenderle a fondo.

NON CONVENZIONALITÀ Sono numerose le operatività che rientrano in questa definizione di “non convenzionalità”: si pensi a strategie non direzionali con le opzioni come gli iron condor o gli short strangle con opzioni su futures, difese meccanicamente con il future sottostante; allo spread trading di tipo divergence o convergence; all’impiego dell’analisi sulla stagionalità sulle commodities; all’operatività su uno strumento al verificarsi di un setup di ingresso su un altro strumento, sulla base di una qualche relazione di tipo InterMarket (tutte operatività che saranno prese in esame successivamente nel libro). Rientra in questa definizione l’operatività, per esempio, sul solito ETF sull’indice S&P 500 (SPY) innescata dall’osservazione della sua volatilità implicita: facciamo trading sulla prima serie storica (SPY), sulla base di un setup di ingresso di tipo reversal che osserviamo su una seconda serie storica (la volatilità implicita calcolata partendo dalle opzioni sull’indice S&P 500). Questo sistema non funziona bene solo su SPY, ma su un paniere piuttosto ampio di strumenti (e fra poco vedremo come questo sia un aspetto importante nella validazione di un sistema per misurarne la robustezza). Basando i propri ingressi in posizione (nella sua versione più grezza) solo sulla volatilità implicita, non avrebbe avuto senso impiegarlo, perché avrebbe restituito ogni volta, nello stesso momento, le stesse indicazioni di ingresso in posizione. Nello stesso giorno, quindi, ci avrebbe detto di acquistare (o vendere, dato che il sistema è simmetrico e va long e short) tutti questi sottostanti, per poi gestire la posizione in base all’andamento di ciascuno. Ma

questo ingresso contemporaneo, con tutti questi titoli, avrebbe comportato un’esposizione eccessiva. Semplificando: se su tutti gli strumenti in portafoglio il sistema apre una posizione long nello stesso momento e il mercato di lì a poco crolla, tutti i titoli vanno in stop. Un portafoglio bilanciato correttamente dovrebbe, invece, contenere sia posizioni long che short, aperte in momenti diversi, con equity, per ogni strumento che, storicamente, dovrebbero mostrare la minor correlazione possibile. Perché non andare, quindi, ad aggiungere anche una condizione di ingresso basata sul grafico del singolo sottostante a questa efficace condizione di ingresso basata sulla volatilità implicita? In questo modo non facciamo più entrare il sistema su tutti gli strumenti, nello stesso momento, ma lo facciamo entrare solo su quelli su cui è presente un setup grafico ben preciso. Questo accorgimento ci permette di poter far girare questo sistema su un paniere di strumenti, mitigando l’effetto poco desiderabile descritto sopra (pur comunque senza esagerare, dato che le equity ottenute mostrano comunque correlazioni piuttosto elevate). Con questi accorgimenti, il risultato su SPY, così come su altri ETF, è interessante (Figura 3.3).

FIGURA 3.3 – L’equity line del sistema, applicato nel corso degli ultimi 10 anni sull’ETF legato all’S&P 500, dove il setup di ingresso è fornito dal

comportamento della volatilità implicita. Le Figure 3.4 e 3.5 mostrano lo stesso sistema sugli altri principali ETF broad based, come per esempio DIA (l’ETF sul Dow Jones) o su XLI (l’ETF sui titoli del comparto industriale).

FFIGURA 3.4 – L’equity line del sistema, applicato nel corso degli ultimi 10 anni sull’ETF legato all’indice Dow Jones, dove il setup di ingresso è fornito dal comportamento della volatilità implicita.

FIGURA 3.5 – L’equity line del sistema, applicato nel corso degli ultimi 10 anni sull’ETF legato all’andamento del settore industriale, dove il setup di ingresso è fornito dal comportamento della volatilità implicita. Allo stesso modo, si può estendere l’analisi anche altri ETF broad based (Figura 3.6).

FIGURA 3.6 – I risultati ottenuti applicando, su altri ETF del mercato americano, del sistema che utilizza come setup di ingresso la volatilità implicita dei sottostanti. Questi risultati sono ottenuti con una logica di position sizing di tipo percent volatility, allocando su ogni operazione un numero di azioni tale da contenere lo stop loss grafico sempre in 300 USD. Tutti i risultati sono già inclusivi di commissioni di 1 USD ogni 200 azioni (ho preso come riferimento le commissioni applicate da Interactive Brokers) e slippage pari a 4 centesimi o tick per ogni operazione.

Questo accorgimento dovrebbe però permetterci, seguendo più strumenti, di ottenere un’equity di portafoglio più interessante rispetto a operare solo sul migliore di questi strumenti (SPY). L’equity superiore è quella di SPY mentre quella inferiore è l’equity di un portafoglio composto da SPY, DIA, XLI, IJR (Figura 3.7).

FIGURA 3.7 – Il confronto fra l’equity ottenuta su SPY e l’equity di portafoglio ottenuta utilizzando lo stesso sistema su 4 sottostanti contemporaneamente (SPY, DIA, XLI, IJR).

Il profit factor finale scende (ma è normale dato che stiamo confrontando lo strumento su cui il sistema performa meglio, con un paniere di 4 strumenti su cui ha performance inferiori), ma ci sono altre metriche che, invece, confermano ciò che a un occhio attento non dovrebbe essere sfuggito: il risultato è più regolare (e non era scontato, dato la premessa iniziale) (Figura 3.8).

FIGURA 3.8 – I risultati ottenuti, anno dopo anno, dal sistema su SPY e sul portafoglio dei 4 sottostanti. Confrontando il “profitto medio” per ogni annata, e rapportando alla sua variabilità (la deviazione standard), si osserva come questo sia nettamente migliore sul portafoglio dei 4 ETF rispetto al solo SPY, ma la metrica più interessante che ottiene un sostanziale miglioramento è il max delay between peak (cioè il periodo più lungo intercorso prima che l’equity non sia riuscita a fare nuovi massimi), che scende da 2 anni a poco meno di 300 giorni. Nonostante si tratti di equity correlate positivamente (per la natura del sistema sopra descritta), si ottiene comunque un risultato più interessante

operando su più strumenti. Vediamo di spingerci ancora oltre, e facciamo girare il trading system (sempre con gli stessi parametri) su un paniere di una ventina di azioni (invece che di ETF broad based): il risultato è illustrato nella Figura 3.9. Ed è decisamente più interessante che non limitarsi a operare solo su SPY. Nonostante non sia nato come un sistema concepito per essere utilizzato su un portafoglio molto ampio di strumenti, il risultato su un piccolo paniere di azioni è, in termini di regolarità, preferibile a quello ottenuto su uno strumento come SPY, su cui era nato e su cui presenta le metriche migliori.

FIGURA 3.9 – L’equity di portafoglio ottenuta facendo girare lo stesso sistema su una ventina di titoli azionari americani.

CONDURRE LO SVILUPPO DEL SISTEMA SU PIÙ STRUMENTI Nell’esempio precedente abbiamo accennato all’importanza, per un sistema meccanico, di funzionare bene su un paniere di strumenti. Non è corretto, però, generalizzare in questo modo: esistono, per esempio, trading system che vanno a intercettare inefficienze specifiche a una singola serie storica; e il fatto

di non essere così diffuse e di non riuscire a trovare facilmente altri strumenti che restituiscono una risposta altrettanto buona, non ne pregiudica la validità. È il caso, per esempio, dei sistemi basati sui pattern di prezzo individuati con gli algoritmi genetici, di cui abbiamo parlato in precedenza: il sistema su Nike, presentato nel capitolo precedente, intercetta un’inefficienza specifica di quella serie storica, che potremmo non ritrovare facilmente anche su altre. A parte queste eccezioni, vedere un sistema meccanico funzionare bene su un paniere di strumenti è sempre “confortante”, e se l’idea alla base del sistema è un’idea semplice e di “buon senso” non dovrebbe essere troppo difficile osservare una risposta positiva, come è stato mostrato nel sistema precedente, che utilizza lo stesso sistema (con gli stessi parametri) basato sulla volatilità implicita per operare su un paniere di azioni. Questa è una caratteristica che, personalmente, ricerco già nelle prime fasi di sviluppo di buona parte dei sistemi e, a parte qualche rara eccezione, tutti quelli che finiscono in produzione girano su più mercati. Presi singolarmente, magari, non tutti producono equity così regolari, ma, analizzati nel loro insieme, restituiscono, invece, un ottimo risultato. È così per tutte le operatività presentate nel libro, ma ci tengo a ribadire che si tratta sempre di scelte soggettive: ci sono diverse alternative, che lo sviluppatore può prendere in considerazione, per cercare di sviluppare sistemi robusti. Questa è una di quelle che preferisco, ma non è l’unica. Per capire se il sistema sta effettivamente isolando la componente di “segnale” da quella di “rumore” di fondo, si potrebbe aggiungere artificiosamente, alla serie storica originaria, altro “rumore”, quindi alterazioni casuali di pochi tick della serie storica ed esaminarne il comportamento. Tuttavia, nell’ottica di seguire questo sistema su più strumenti contemporaneamente, preferisco procedere a svilupparlo su più strumenti in parallelo. Inizio quindi a scolpire il sistema, applicando la stessa strategia a più grafici di strumenti che condividono caratteristiche simili, per esaminare il risultato di ogni scelta progettuale su ciascuno di questi strumenti. Per esempio, se sto sviluppando un sistema di tipo reversal sul mercato azionario, cercherò di ottenere una buona risposta su un piccolo paniere di strumenti (una decina, di solito) che so già rispondere bene a logiche reversal. Non andrò, quindi, a cercare di sviluppare un sistema reversal che funzioni bene su SPY, Apple (AAPL) e Netflix (NFLX), perché conosco la natura degli ultimi due titoli e so già che rispondono bene a logiche breakout e non a logiche reversal. Sarebbe inutile, quindi, perdere tempo a cercare di scolpire un sistema che dovrebbe

ricercare, sul grafico, una risposta (reversal) che questi due titoli sistematicamente non offrono. È probabile che, aumentando la complessità del sistema originario, con condizioni aggiuntive e combinando diversi filtri operativi, si arrivi anche a trovare un sistema reversal che sembra funzionare su questi due strumenti, ma è improbabile che si tratti di una soluzione abbastanza robusta da poter essere messa in produzione. È solo facendo esperienza che si inizierà a conoscere meglio gli strumenti su cui abitualmente si va a lavorare, evitando di cercare di far funzionare certe logiche su strumenti che sapete già che a quelle logiche non rispondono bene. Uno strumento può cambiare la propria natura nel tempo: è per questo che “nulla è per sempre” e che bisogna essere sempre preparati all’eventualità che un sistema meccanico possa smettere di funzionare. Una delle ragioni alla base di questo malfunzionamento potrebbe proprio essere legata alla natura dello strumento sottostante, che non risponde più bene ai setup su cui era stato addestrato il sistema nel passato. Non si può prevenire: possiamo solo prenderne atto, attraverso un sistema di controllo oggettivo che ci indichi quando smettere di seguire questa operatività, e andare a inibire il sistema per evitare che faccia troppi danni al proprio account. È più semplice monitorare i risultati di una strategia meccanica rispetto ai risultati della propria operatività discrezionale, e soprattutto è più semplice inibirla ai primi segnali di degrado, così come riattaccarla non appena ritrova la sintonia con il mercato: torneremo su questi aspetti nel prossimo capitolo.

INDIVIDUARE I PARAMETRI MIGLIORI? NO, QUELLI PIÙ STABILI Durante la fase di sviluppo di un sistema meccanico, il trader è chiamato a effettuare delle scelte. Dietro a ognuna di queste scelte si cela un rischio: la sovra ottimizzazione o overfitting. Un principio “sano” a cui cerco di attenermi è, da sempre, quello di non usare procedure di ottimizzazione nella fase di sviluppo del sistema. L’idea di trading che sto cercando di codificare ha, quasi sempre, dei contorni abbastanza definiti: se devo impiegare delle Bande di Bollinger all’interno di un sistema su grafici daily, inizio sempre dai parametri di default (20 per la media mobile e 2 deviazioni standard); allo stesso modo, se devo impiegare una media mobile come filtro di trend, uso una media a 200 periodi. Quindi, in questa fase, non vado mai a lanciare ottimizzazioni per

trovare i parametri che restituiscono la risposta migliore, ma cerco di procedere a codificare l’idea di trading nella sua formulazione più “grezza”; è improbabile, infatti, che l’idea di trading osservata sul grafico potesse basarsi sull’utilizzo di una media mobile a 137 giorni e delle Bande di Bollinger calcolate a 1,86 deviazioni standard. Premetto che non sono un “fan” di indicatori e oscillatori: la maggior parte dei sistemi che utilizzo ne fanno un utilizzo sporadico, e quasi sempre come filtri operativi e non come setup di ingresso in posizione. Non entrerò in posizione perché uno stocastico esce da un’area di ipercomprato, ma andrò a cercare, finché si trova in questa area, un pattern sul grafico dei prezzi (magari su un time frame inferiore) o una rottura (o finta rottura) di un livello significativo. Una volta che è stata scolpita la versione “grezza” del sistema, che deve restituirmi una buona risposta sul paniere di strumenti su cui ho condotto lo sviluppo “in parallelo”, arriva il momento di analizzare la bontà dei parametri scelti, e soprattutto di esaminarne la stabilità. Quindi, il passo successivo sarà quello di lanciare una procedura di ottimizzazione, per raccogliere tutti i risultati prodotti da tutte le versioni del trading system associate a ogni differente combinazione di parametri. L’esame dei risultati di questa procedura di ottimizzazione consente allo sviluppatore di individuare non solo la miglior combinazione di parametri, ma anche di verificare se la variazione di ognuno di questi, in un intorno di quel valore, è in grado di produrre un risultato analogo o se, invece, il risultato prodotto degrada sensibilmente. Siamo alla ricerca, quindi, di “aree di stabilità”, cioè di intorni di valori, per ogni parametro libero del sistema, su cui cercare stabilità nel risultato finale prodotto dal sistema. Un’analisi effettuata a coppie di parametri, su un grafico di superficie come quello mostrato nella Figura3.10, è in grado di mostrare subito la stabilità di ogni combinazione di valori.

FIGURA 3.10 – l grafico a superficie mostra la stabilità delle varie combinazioni di valori (assi X e Z) rispetto a una metrica come, per esempio, il net profit (asse Y). La metrica su cui effettuare questa analisi è a discrezione dello sviluppatore: solitamente si cerca stabilità in termini di net profit o di profit factor, così come sul drawdown o sull’average trade. Lo sviluppatore dovrà, quindi, orientarsi sulla scelta della combinazione di parametri più stabile e non su quella più performante, fermo restando che la scelta finale dei valori da utilizzare (che magari si è deciso di far fluttuare su range molto ampi) non deve comunque snaturare la logica alla base del sistema e del progetto originario.

OUT OF SAMPLE, WALK FORWARD ANALYSIS E MONTECARLO ANALYSIS Dopo aver condotto la fase di sviluppo sulla base degli accorgimenti descritti e dopo avere effettuato queste analisi, siamo pronti a osservare il comportamento del sistema sulla porzione di serie storica (Out of Sample) che avevamo conservato proprio per questa fase finale. È capitato, talvolta, di arrivare a questa fase con due o tre varianti dello stesso sistema, tutte ugualmente interessanti, e scegliere quella da mettere in produzione osservando il comportamento di ciascuna su questa porzione finale di dati. Raccomando, comunque, molta attenzione nell’adottare simili

prassi, perché utilizzare i risultati dell’Out of Sample per scremare fra diverse decine di possibili varianti del sistema, altro non sarebbe che estendere la fase di addestramento (In Sample) anche a questa porzione di dati. Un risultato inferiore alle aspettative nel periodo Out of Sample dovrebbe invitare lo sviluppatore a rivedere alcune delle scelte effettuate, senza escludere l’ipotesi di abbandonare l’idea originaria. Per quanto abbiamo spiegato finora, il periodo Out of Sample è necessariamente una porzione della serie storica originaria, inferiore al periodo In Sample su cui il sistema è stato addestrato. Tuttavia, osservare come si comporta il sistema su dati che non ha mai visto prima può dare delle indicazioni molto importanti allo sviluppatore circa la sua robustezza. La Walk forward analysis è una tecnica che cerca di colmare questa necessità. Le tecniche presentate finora sono di immediata attuazione, anche con l’impiego di un foglio di calcolo (Excel, OpenOffice), e possono essere utilizzate anche su operatività che coinvolgono strumenti come le opzioni, dove non è semplice effettuare un backtest della propria strategia (torneremo su questo aspetto nella seconda parte del libro). La realizzazione di un’analisi di tipo Walk forward comporta, invece, qualche difficoltà in più. Anche se non è possibile, in queste pagine, effettuare un esame dettagliato delle caratteristiche di un’analisi di tipo Walk forward, o di come effettuare una simulazione Montecarlo sulle operazioni effettuate dal sistema sulla porzione di dati Out of Sample, ho ritenuto corretto richiamarle fra le tecniche di validazione a disposizione dello sviluppatore di sistemi meccanici. Esistono manuali dedicati all’implementazione di queste metodologie di analisi e si rimanda il lettore alla loro consultazione. Una delle analisi di tipo Walk forward più sofisticate oggi disponibili è quella offerta dalla piattaforma TradeStation, specie per la possibilità di effettuarla su un cluster di combinazioni di un diverso numero di segmenti (runs) o una diversa percentuale su cui definire il periodo Out of Sample, così come per l’avere combinato insieme l’analisi Walk forward con la Montecarlo analysis. Una delle tante indicazioni che questa analisi fornisce è quella periodica sui migliori parametri da utilizzare nel sistema, e ogni quanto tempo andare a ripetere la procedura di ottimizzazione. Personalmente non effettuo delle riottimizzazioni periodiche del sistema: se le prestazioni di un sistema iniziano a degradare sensibilmente, preferisco inibire il trading system lasciando spazio ad altri sistemi, continuando, però, a monitorarlo in paper trading; se ritorna

in sintonia con il mercato, allora lo rimetto in produzione (è preferibile che sia la fase di stacco sia quella di ri-attacco si basino su regole oggettive). Un’altra indicazione, più interessante in chiave di validazione e analisi della robustezza del sistema, che ci fornisce una WFA è quella relativa alla tenuta del trading system osservando l’andamento dell’equity che si ottiene dalla concatenazione dei risultati sui diversi periodi Out of Sample. Ottenere, in ciascuno dei cluster (originati dalle diverse combinazioni di runs e percentuali OS), un giudizio positivo è, senza dubbio, un’ottima indicazione circa la capacità del sistema di continuare a registrare risultati, nei periodi Out of Sample, in linea con quelli registrati in fase di addestramento (In Sample). Ciò che ricordo sempre a chiunque si avvicini a questa procedura è che, qualunque cosa tu voglia dimostrare lanciando una WFA, è probabile che ci riuscirai. La scelta che lo sviluppatore andrà a effettuare circa il range su cui far fluttuare i parametri del sistema, così come la scelta della suddivisione del periodo in sample nei vari segmenti di cui si compone l’analisi Walk forward o la scelta della percentuale di ogni segmento da destinare all’Out of Sample, possono pesare sensibilmente sul risultato finale di questa procedura, specie se effettuati in maniera superficiale. Sui risultati prodotti nei diversi periodi Out of Sample sarà possibile lanciare simulazioni di tipo Montecarlo, da cui ricavare importanti informazioni sul comportamento del sistema che dovremmo attenderci (e che non è quasi mai in linea con quello esibito nel backtest). Come detto, però, lascio al lettore la decisione se approfondire o meno queste tecniche, attraverso la lettura di manuali dedicati, consultando l’ottima manualistica online della piattaforma TradeStation dedicata a queste funzionalità, o con la partecipazione a uno dei corsi che periodicamente organizziamo e dedicati alla validazione dei sistemi meccanici.

CAPITOLO 4

L’ingresso è sopravalutato: la gestione del rischio

LA GESTIONE DEL RISCHIO inora non abbiamo ancora affrontato uno dei temi più importanti per chi fa trading sui mercati finanziari: la gestione del rischio. L’ingresso in posizione è uno degli aspetti più sopravalutati dai trader: è ciò su cui la maggior parte di loro si concentra, spesso mossi dall’idea che sia possibile individuare un setup di ingresso infallibile su cui riporre tutte le proprie speranze (e i propri risparmi). Se siete alla ricerca di una tecnica infallibile, che possa darvi garanzie di guadagnare, allora ho una buona e una cattiva notizia da darvi: la buona notizia è che potete smettere di cercare, la cattiva notizia è che questa tecnica non esiste. Esistono tanti setup di ingresso efficaci, ma nessuno infallibile, e ciò che determinerà il risultato finale, il più delle volte, sarà ciò che avete fatto dopo che siete entrati in posizione (position management), le scelte che avete adottato, a monte, sul suo dimensionamento (position sizing) e sulla composizione del vostro portafoglio di operatività. Sono le scelte che adotterete su questi tre piani che determineranno per larga parte il risultato finale.

F

MISURIAMO IL RISCHIO: L’OPEN DRAWDOWN (QUESTO SCONOSCIUTO) Il max drawdown è la misura della massima erosione del capitale (espresso dall’equity line del sistema) rispetto al picco massimo precedentemente raggiunto. Può essere espresso in termini monetari o in termini percentuali sul valore dell’equity, ma graficamente, nella sostanza, è la “valle più profonda” scavata sull’equity che si sta analizzando, e il momento “più difficile” nella

vita di quel sistema. Spesso si sente dire che “il peggior drawdown è quello che deve ancora venire”: non si tratta di un pessimismo strutturale che caratterizza chi fa trading, ma la consapevolezza che non ci sono certezze o garanzie, neppure quella che il peggior momento che ha attraversato il sistema sia ormai storia passata e che non si ripeterà più con la stessa intensità. Nell’esaminare una strategia, l’attenzione è quasi sempre rivolta all’equity prodotta dalle operazioni chiuse, ignorando le differenze rispetto a una che traccia, invece, cosa è successo durante la vita di ogni operazione: il drawdown di un’equity calcolato sulle operazioni aperte può essere sensibilmente diverso da quello solo sulle operazioni chiuse. Prendiamo in esame proprio un’operatività dove è facile cadere in questo tipo di errore, dato che un’operazione dura circa un mese: quella basata sulla vendita di opzioni (su cui comunque scenderemo in dettaglio nelle prossime pagine). Un venditore di strangle (una strategia che prevede la vendita simultanea di call e di put sulla stessa scadenza ma su strike differenti), per esempio su opzioni fronte mese, sa bene che nei primi giorni di vita di questa strategia è molto probabile che andrà a registrare a fine giornata un open loss, perché di solito gran parte del profitto finale di questo tipo di strategia è legato al passaggio del tempo. Osservando l’equity line della strategia, difficilmente cadrà nell’errore di pensare che quel risultato possa essere stato ottenuto senza vedere fluttuare il proprio account nel corso del mese di vita di ogni singola operazione. Invece, qualche volta, questa consapevolezza manca al trader con meno esperienza, o che finora ha operato con strategie veloci (intraday o di pochi giorni in posizione), dato che più la vita della singola operazione si accorcia e più le due equity (quella delle operazioni chiuse e quella che, invece, traccia in dettaglio cosa è successo nella vita di ogni singola operazione) tenderanno ad assomigliarsi. Il grafico della Figura 4.1 mostra l’equity di strategie short strangle che fa riferimento a soli due mesi di operatività, il mese di marzo (chiuso piatto) e quello di aprile (chiuso con un discreto guadagno), e contempla sia le operazioni chiuse nel corso di questi due mesi sia quelle tutt’ora aperte (in sintesi, è il net asset value – NAV –, o la valorizzazione, dell’account alla fine di ogni giornata borsistica).

FIGURA 4.1 – L’equity line di alcune strategie short strangle nel corso di due mesi di operatività (marzo-aprile 2014). Questo grafico è preso direttamente dallo statement del broker e si tratta, come precisato poc’anzi, di appena due mesi di operatività di un account che è stato dedicato soltanto a seguire le operazioni short strangle con opzioni monthly, con difesa meccanica, con il future sottostante, e riporta la valorizzazione a fine giornata di questo conto. Una fotografia un po’ diversa dal vedere semplicemente che marzo si è chiuso pari e aprile con un un discreto profitto, no? Molti hedge fund riportano NAV trimestrali, altri mensili, e allo stesso modo questa forma di visualizzazione delle performance fa perdere il dettaglio di ciò che succede su orizzonti più brevi, che sono quelli con cui deve convivere il trader che, a fine giornata, va a dormire con delle posizioni aperte in portafoglio, che magari stanno soffrendo e con cui deve convivere (ed è proprio questa sofferenza che, di solito, si perde nella rilevazione del profitto o della perdita finale dell’operazione). Vediamo un esempio diverso per comprendere ancora meglio di cosa si stia parlando. Prendiamo lo stesso trading system e vediamo le differenze fra due modalità di rappresentazione dei suoi risultati: quella nelle Figura 4.2 e 4.3, infatti, è la stessa equity che nella prima versione riporta solo la valorizzazione finale dell’operazione chiusa e nel secondo caso la valorizzazione “in corsa” (giorno per giorno) di ogni operazione. Se vogliamo scendere sui “freddi” numeri, osservo che il drawdown che avrei registrato solo sulla base delle operazioni chiuse è circa la metà di quello effettivamente registrato a fine giornata, tracciando l’open profit e open loss delle operazioni ancora aperte (Figura 4.4).

FIGURA 4.2 – L’equity line di un sistema che mostra solo la valorizzazione dell’operazione che è stata chiusa.

FIGURA 4.3 – L’equity line di un sistema che mostra la valorizzazione, giorno dopo giorno, di ogni operazione.

FIGURA 4.4 – Osservando i numeri reali si nota come il drawdown è molto diverso a seconda del tipo di contabilizzazione dei risultati. Portiamo all’estremo questo ragionamento, così da poter comprendere

meglio come, su certi Performance Report, sia possibile leggere percentuali di successo del sistema vicine al 90% e vedere equity di operazioni chiuse che salgono come rette a 45°, e senza la minima imperfezione (si vedano, a questo riguardo, i grafici delle Figura 4.5 e 4.6).

FIGURA 4.5 – L’equity line sale in linea retta senza particolari drawdown ma è stata ottenuta chiudendo le operazioni in profitto e lasciando aperte quelle in perdita.

FIGURA 4.6 – La “vera” equity line è quella che valorizza, giorno per giorno, tutte le operazioni compiute dal sistema. Come è stata ottenuta? Con un sistema di tipo grid (piuttosto grezzo) che piramida le posizioni e chiude solo quelle in profitto, lasciando aperte quelle in perdita, senza alcuno stop loss. La vera “fotografia” di cosa stia succedendo è quella che vediamo nella Figura 4.6 dove l’equity line riporta in dettaglio la

valorizzazione, giorno per giorno, di tutte le posizioni (incluse quelle aperte). In sintesi, su questo account si è monetizzato finora un profitto di poco più di 6.000 USD (Figura 4.5) a fronte di un open loss (quindi una perdita non ancora realizzata) di circa 10.000 USD. Quando alcune posizioni in loss non vengono recuperate, l’epilogo non può che essere quello mostrato nella Figura 4.7: il conto viene azzerato e viene perso sia quanto di buono era stato fin li realizzato sia il capitale iniziale.

FIGURA 4.7 – La chiusura di alcune posizioni in perdita può annullare i guadagni realizzati e portare a un azzeramento del capitale.

IL DIMENSIONAMENTO DELLA POSIZIONE (POSITION SIZING) A volte mi stupisco ancora di come un’operatività possa cambiare volto semplicemente cambiando la logica di position sizing (ossia il numero di contratti con il quale si entra in posizione). Non è fra gli obiettivi di questo libro quello di passare in rassegna tutti i criteri che possiamo adottare per un corretto dimensionamento della posizione in funzione della caratteristiche del sistema, della propria propensione al rischio e del capitale a disposizione. Lo scopo di questo paragrafo è, invece, quello di mostrare come l’adozione di una logica di position sizing un po’ più sofisticata rispetto a quelle accennate nelle pagine precedenti (un certo numero di azioni fisse, o lo stesso capitale investito su ogni operazione) possa restituire maggiore regolarità al risultato finale. Al di là della performance in termini assoluti, ciò che ogni trader dovrebbe ricercare è proprio questa regolarità: se il risultato è regolare, per amplificarlo sarà sufficiente incrementare l’impiego della leva utilizzata. Utilizzare troppa leva quando il risultato finale non è regolare, significa il più

delle volte compromettere il proprio account. Consideriamo un sistema (denominato VBW) di breakout piuttosto semplice, che nasce per essere fatto girare su panieri di strumenti senza alcun adattamento. Questo sistema, infatti, senza alterarne in alcun modo i parametri, restituisce risultati positivi su un gran numero di futures diversi, anche se le equity più regolari si ottengono su strumenti come Oro, Orange Juice, SoyMeal, Cacao, Sugar, Yen (ma anche altri hanno equity che prenderei in considerazione in un’ottica di portafoglio). Facendo girare il sistema sempre con 1 solo contratto future, ci sono però alcuni strumenti la cui equity non esibisce sufficiente regolarità, come Argento e Platino o come il Petrolio (WTI Crude Oil). Iniziamo con un’equity già piuttosto regolare, come quella sul future Gold (Oro), su cui ho adottato una logica di dimensionamento della posizione di tipo percent volatility (Figura 4.8).

FIGURA 4.8 – L’equity line del sistema VBW applicato sul future dell’Oro nel corso degli ultimi 20 anni, con la logica del percent volatility. Questa logica prevede di entrare in posizione con un numero di contratti differente ogni volta, in funzione di quella che è la volatilità esibita dal

mercato in quel momento, tenendo costante, per ogni trade, il rischio in termini monetari. Definito un rischio per operazione pari, per esempio a 5.000 USD, il sistema utilizzerà più contratti in presenza di bassa volatilità e meno contratti in presenza di alta volatilità, proprio per mantenere costante, in termini monetari, il rischio di ogni operazione in qualunque condizione di mercato. Non prendo, quindi, in considerazione la crescita dell’account per dimensionare la prossima operazione, ma uno stesso capitale che sono disposto a rischiare per ognuna di esse (le possibili varianti sono, comunque, numerose e, come detto, non è fra gli obiettivi di questo libro prenderle in esame tutte). Con 1 contratto fisso per ogni operazione avremmo ottenuto, invece, il risultato della Figura 4.9.

FIGURA 4.9 – L’equity line del sistema VBW applicato sul future dell’Oro nel corso degli ultimi 20 anni, utilizzando 1 contratto per ogni singola operazione. Il risultato è più chiaramente visibile nella Figura 4.10, quando consideriamo uno strumento come il Crude Oil, su cui la differenza fra le due equity inizia a essere piuttosto evidente, implementando la stessa logica

esposta sopra (percent volatility). La Figura 4.11 mostra l’equity line che si sarebbe ottenuta con 1 contratto fisso per ogni operazione. Analogamente anche su Silver, con il position sizing di tipo percent volatility avremmo ottenuto l’equity line mostrata nella Figura 4.12. La Figura 4.13 mostra l’equity line che si sarebbe ottenuta con 1 contratto fisso per ogni operazione.

FIGURA 4.10 – L’equity line del sistema VBW applicato sul future del Petrolio nel corso degli ultimi 20 anni, con la logica del percent volatility.

FIGURA 4.11 – L’equity line del sistema VBW applicato sul future del Petrolio nel corso degli ultimi 20 anni, utilizzando 1 contratto per ogni singola operazione.

FIGURA 4.12 – L’equity line del sistema VBW applicato sul future dell’Argento nel corso degli ultimi 20 anni, con la logica del percent volatility.

FIGURA 4.13 – L’equity line del sistema VBW applicato sul future dell’Argento nel corso degli ultimi 20 anni, utilizzando 1 contratto per ogni singola operazione. I pregi di questo sistema sono numerosi, a iniziare dal fatto di essere molto robusto (ma questo è uno degli aspetti che analizziamo in dettaglio proprio nel corso sul trading automatico, dove si affronta il tema della validazione di un sistema meccanico), o che si possa seguire impostando ordini in piattaforma da un giorno all’altro senza necessariamente doverlo automatizzare. È un sistema che resta, però, in posizione overnight per alcuni giorni e si può prendere in considerazione finché si opera su futures come Orange Juice, o anche SoyMeal, o Sugar, quindi abbastanza “leggeri”. Ma quanti trader se la sentirebbero di entrare in posizione sul future su Gold, o sul Crude Oil o sul Silver, per restare in posizione alcuni giorni? Anche il future Yen è impegnativo in termini di dimensioni e volatilità, ma possiamo facilmente sostituirlo con il più flessibile contratto spot su FX, scegliendo il nozionale desiderato e frazionandolo per consentirci di operare con qualunque account si abbia a disposizione (anche di poche migliaia di USD). Esistono alternative al contratto future tradizionale anche su Oro (i mini

future, per esempio, o il micro), o sul Crude Oil (mini future); così come per Oro, Argento e Crude Oil esistono i contratti spot (un po’ come per il Forex), e si possono negoziare cercando i ticker XAUUSD, XAGUSD, XTIUSD, frazionando così la posizione fino a 1/100. Allo stesso modo, alcuni broker offrono dei CFD (Contract For Difference) sui principali indici azionari e sulle commodities. Questa caratteristica, apre nuove possibilità anche in termini di position sizing, che sarebbero state precluse a molti trader che non potevano permettersi di entrare in posizione con più contratti future simultaneamente per adattarsi alla volatilità del mercato in quel momento. Il sistema VBW, utilizzando questi contratti spot, può essere quindi fatto girare su un portafoglio di strumenti (senza alterarne i parametri) anche con account di poche migliaia di dollari, in virtù del frazionamento fino a 1/100 del contratto future tradizionale. Questo frazionamento ha, però, un “costo”: nel caso dei CFD o del contratto spot si traduce in maggiori costi di transazione (quindi un bid-ask spread maggiore rispetto a quello che osserverei sul future tradizionale). Queste equity, è bene precisarlo, non includono commissioni o slippage, ma stiamo ragionando su un sistema che non opera intraday, ma resta in posizione anche alcuni giorni. Su Oro, per esempio, negli ultimi 5 anni vediamo un average trade superiore a 500 USD per ogni contratto, quindi in grado di assorbire anche maggiori costi di transazione legati all’impiego di questi strumenti derivati. Le equity presentate poco fa, probabilmente, sono ancora un po’ distanti dalla regolarità ricercata da un sistema che si intenda utilizzare con denaro reale, ma si tratta di un sistema pensato per funzionare su un paniere di strumenti: basta sovrapporre anche soltanto le tre equity presentate poc’anzi (Gold, Silver, Crude Oil, delle quali soltanto la prima può esibire una regolarità accettabile) per ottenere un risultato finale decisamente interessante (gli ultimi 10 anni dell’equity di questo portafoglio) (Figura 4.14).

FIGURA 4.14 – L’equity line ottenuta utilizzando i risultati ottenuti dal sistema sui futures di Oro, Petrolio e Argento.

IL CONTROLLO DEL RISCHIO ATTRAVERSO UNA CORRETTA GESTIONE DELLA POSIZIONE Come ho già evidenziato, molti trader sono focalizzati sulla tecnica di ingresso in posizione e non su cosa fare quando ci sono o quanto capitale allocare su quella che hanno appena aperto. Prendiamo in considerazione un sistema “grezzo” (senza logiche di position sizing e position management), che si basa su una logica di tipo volatility breakout e che lavora sulle rotture di livelli calcolati ogni settimana su EUR/USD. In questo caso si considerano ingressi con un nozionale pari a 100.000 (o 1 lotto, se preferite), e un’unica uscita alla fine della settimana (in queste equity ho già incluso uno slippage, per operazione, pari a 3 pips, e quindi abbastanza cautelativo) (Figura 4.15). La base di partenza è buona, anche se ci sono alcune irregolarità poco desiderabili e si osserva una leggera forma a “S” tipica di molti sistemi nell’ultimo decennio (caratterizzata da una parte centrale più volatile rispetto agli anni iniziali e finali). Iniziamo proprio a lavorare sulla forma per cercare di restituirle maggiore regolarità (Figura 4.16).

FIGURA 4.15 – L’equity line del sistema di tipo volatility breakout applicato al cambio euro/dollaro.

FIGURA 4.16 – Modificando il position sizing del sistema, l’equity line assume un andamento più regolare. È bastato andare a variare, ogni volta, il nozionale utilizzato su ogni operazione per ottenere questo risultato: in questo caso abbiamo utilizzato lo stesso algoritmo di position sizing spiegato nel paragrafo precedente e definendo, di volta in volta, per ogni operazione, un nozionale da utilizzare in

grado di contenere il rischio, in caso di stop, in 500 USD (incrementando il nozionale nei momenti di bassa volatilità e diminuendolo nelle fasi di mercato di alta volatilità, con una soglia minima e massima). Alcune irregolarità restano, specie nella parte centrale: vediamo come poterle attenuare attraverso una gestione della posizione un po’ più articolata, che non preveda un’unica uscita dal trade a fine settimana ma più uscite frazionali dalla posizione al verificarsi di certe condizioni (Figura 4.17).

FIGURA 4.17 – Modificando i criteri di uscita dalla posizione (prevedendo non un’unica uscita settimanale ma più uscite frazionate) aumenta la regolarità dell’equity line. Il profitto finale si riduce in termini assoluti, ma aumenta la regolarità: se desideriamo recuperare qualche dollaro in più, basta alzare un po’ la leva utilizzata (e sul Forex, questa possibilità, non manca di certo). Le alternative a disposizione, per una gestione più articolata della posizione, sono molteplici. Alcune delle principali tecniche di uscita frazionale dalla posizione (scaling out) prevedono: • • • • •

uscite su livelli grafici, uscite sulla base di indicatori tecnici, uscite in fasce orarie prestabilite, uscite temporali (dopo un certo numero di barre in posizione), uscite in funzione di una variazione della volatilità,

• • • •

uscite in funzione di una variazione del trend, uscite parziali in funzione di diversi livelli di stop, uscita sulla base di diversi tipi di trailing stop, uscita (anche parziale) sulla base di uno stop in pari, con diversi criteri di innesco.

Le logiche di scaling possono essere applicate anche all’ingresso in posizione, suddividendo il nozionale su entrate diverse, effettuate in momenti diversi, in presenza di precise condizioni tecniche, o in base all’evoluzione della posizione attuale (sulla base di alcuni ragionamenti effettuati sui grafici della MAE – Maximum Adverse Excursion – e MFE – Maximum Favourable Excursion). Se affianchiamo le due equity, prima e dopo gli interventi su position sizing e position management, credo che non ci sia molto altro da aggiungere (Figura 4.18).

FIGURA 4.18 – L’equity line dopo gli interventi su position sizing e position management migliora in modo evidente. Le uscite frazionali, specie quando applicate a un trading system automatico, sono un modo per avvicinare il comportamento del sistema a quello di un trader che, davanti a un grafico dei prezzi che sta perdendo momentum e con

una posizione aperta e in robusto guadagno, decidesse di liquidare parte della posizione e alzare lo stop in pari. Questo aggiunge, all’operatore chiamato a monitorare il sistema automatico, una certa dose di comfort psicologico nel seguire dei sistemi, specie trend following, che altrimenti sarebbe davvero logorante riuscire a mantenere in produzione. Come abbiamo visto, le uscite frazionali raramente migliorano il risultato finale (net profit) di un sistema, ma rendono l’equity line più regolare e questa maggiore regolarità permette, eventualmente, di alzare la leva utilizzata. Per esempio, ogni volta, si potrebbe scegliere il nozionale da usare sulla prossima operazione non più in base a un capitale fisso che si è disposti a rischiare (500 USD), ma in base all’1% della valorizzazione dell’account nel momento che il sistema prende posizione. In questo modo, man mano che il capitale a disposizione cresce, il sistema andrà a utilizzare nozionali più alti, incrementando il rischio; mentre quando decresce, riduce il rischio (secondo un sano principio di anti-martingala). Il risultato è quello in Figura 4.19.

FIGURA 4.19 – Le uscite frazionali rendono l’equity line più regolare. Ora, sull’asse verticale osservo importi che sono il doppio rispetto a prima. Come abbiamo già avuto modo di osservare, se un sistema produce un equity regolare, andare ad aumentarne i profitti, sfruttando come in questo esempio la leva offerta da strumenti come il Forex, è abbastanza semplice.

IL CONTROLLO DEL RISCHIO ATTRAVERSO LA COSTRUZIONE DI UN PORTAFOGLIO DI OPERATIVITÀ Una volta compresa l’importanza di sapere “che cosa fare quando si è in posizione”, e sviluppato finalmente un trading system “completo”, validato in maniera corretta, uno degli errori più comuni che si compie è quello di pensare di poter fare affidamento su questo sistema per sempre. Purtroppo “nulla è per sempre” e anche il sistema, che in questo momento si sta comportando in maniera impeccabile e in perfetta sintonia con il mercato, prima o poi attraverserà qualche fase “difficile”. Come fare per sopravvivere a situazioni come queste? La prima regola è quella di non affidarsi mai a un solo sistema, ma sempre a un “portafoglio di sistemi” (o, se preferite, di operatività) che nel passato abbiano mostrato risultati poco correlati fra loro. Preferisco l’espressione “portafoglio di operatività” in quanto queste considerazioni valgono non solo quando parliamo di trading system, automatici e non, su strumenti lineari come futures, azioni o Forex, ma per qualunque altro tipo di operatività che si voglia affiancare alle altre nel proprio portafoglio, dallo spread trading all’operatività non direzionale con le opzioni, a investimenti obbligazionari o nel settore immobiliare. Semplificando, quando si lavora con più sistemi molto diversi fra loro (perché operano su strumenti diversi, su time frame diversi e su logiche diverse) è improbabile che tutti smettano di funzionare, o attraversino fasi di difficoltà, nello stesso momento. Non sto pensando a nulla di così diverso da una sana gestione di un portafoglio clienti a cui è chiamata un’impresa: un’eccessiva esposizione su un cliente e l’assenza di altri significativi può portare, in caso di una sua perdita, alla cessazione della propria attività. L’obiettivo, nella costruzione di un portafoglio di operatività, è quello di individuare la combinazione in grado di massimizzare il rendimento, minimizzando la volatilità (intesa come variabilità del risultato finale). Per raggiungere questo risultato, a volte, si arriva anche a introdurre sistemi che non guadagnano, ma che sono in grado di ridurre sensibilmente la volatilità del portafoglio, performando particolarmente bene quando altre operatività mostrano invece una certa difficoltà, senza comunque fare troppi danni quando, invece, queste altre, storicamente, hanno performato bene. Diverse scelte, in termini di composizione del proprio portafoglio di operatività,

possono determinare differenti profili di rischio: esistono modelli, anche molto sofisticati, per poter effettuare ogni sorta di simulazione, ma in ogni caso si tratterà sempre di indicazioni frutto dell’analisi di ciò che è successo nel passato. Non abbiamo garanzie che, nel futuro, due operatività continueranno ad esibire la medesima decorrelazione osservata in fase di analisi. Davanti a un portafoglio di operatività che non si sta comportando secondo le attese possiamo rivederne la composizione, agendo sul dimensionamento della posizione di ogni sistema, per modificare il suo peso all’interno del portafoglio, fino anche a sostituire qualcuno dei sistemi (senza avere osservato un particolare degrado nelle sue performance) con altri che stanno mostrando un comportamento più funzionale alla stabilità dell’insieme. Per poter impiegare in maniera più efficace il capitale a disposizione si possono introdurre dei vincoli in termini, per esempio, di un numero massimo di posizioni aperte nello stesso momento. Quando, per esempio, si ha a che fare con un trading system che opera su un centinaio di azioni, investendo su ogni operazione 10.000 USD, per poterlo seguire, sarebbe impensabile dover avere a disposizione un account da 1 milione di USD (10.000 USD × 100 sottostanti), soprattutto se il sistema non si è mai trovato nello stesso momento in posizione su tutte le azioni su cui opera. Con piattaforme che sono oggi a disposizione anche del trader privato è possibile effettuare un’analisi finalizzata a individuare il numero massimo di posizioni aperte in simultanea, da impostare come vincolo per rendere efficiente l’impiego del capitale a disposizione su questo portafoglio azionario. Dalle analisi che abbiamo condotto, l’introduzione di questi vincoli al numero massimo di posizioni aperte, non altera la forma (la regolarità) dell’equity di portafoglio se i sistemi che lo compongono hanno una percentuale di successo (percent profitable) superiore al 60% e un rapporto fra vincita media e perdita media (win/loss ratio) compreso fra 1 e 2. Perdendo operazioni, si osserverà una diminuzione nella pendenza dell’equity finale (il sistema guadagna meno), ma a fronte di un impegno di capitale inferiore, che si traduce in un maggiore rendimento. Non è scontato arrivare allo stesso risultato in presenza di operatività di tipo trend following, con percentuali di successo basse ma una vincita media (rispetto alla perdita media) molto elevata; in questi casi, le operazioni perse a seguito del raggiungimento del numero massimo di posizioni potrebbero essere proprio quelle poche che registrano guadagni molto importanti, andando così a minare la performance finale del portafoglio. Questo non è il solo vincolo che

possiamo introdurre su un portafoglio di operatività: c’è chi ha deciso, per esempio, di adottare stop e target anche a livello di portafoglio, chiudendo tutte le posizioni in essere al verificarsi di una delle suddette condizioni. Come nel caso precedente, è sempre importante misurare come queste condizioni abbiano impattato storicamente sul portafoglio prima di una loro adozione (anche quando tale adozione sembra di assoluto buon senso).

UN ESEMPIO DI COPERTURA DI UN PORTAFOGLIO La massimizzazione del rendimento, minimizzandone la volatilità, è ciò che dovrebbe guidare ogni scelta di composizione di un portafoglio: non dovrebbe stupire, quindi, la scelta estrema di inserire un’operatività che nel lungo periodo ha mostrato di non guadagnare (o addirittura di perdere denaro) se questo può ridurre sensibilmente la volatilità dei rendimenti. Un esempio può aiutare a comprendere meglio cosa intendo. Il mercato azionario americano sconta un forte bias rialzista, ma sale diversamente da come scende: bisogna tenere conto di questo aspetto quando si costruisce un portafoglio di sistemi che operano long e short su azionario. Riporre la massima attenzione al bilanciamento dei sistemi in portafoglio non sempre può darci sufficienti garanzie di stabilità: l’evento imprevisto, il flash crash, come abbiamo iniziato a chiamarlo negli ultimi anni, è sempre possibile. Perché allora non affiancare un ulteriore sistema pensato unicamente per proteggere il portafoglio in presenza di eventi del genere al portafoglio di trading system? Non stiamo cercando un altro sistema con un’equity regolare da affiancare a quelli che compongono già il portafoglio, ma un sistema scritto appositamente per guadagnare (tanto) in quelle occasioni in cui il portafoglio soffre a seguito di questi crash improvvisi del mercato, e perdere (poco) nel resto del tempo. Iniziamo dal portafoglio più statico che si possa immaginare: un paniere di tutte le azioni dell’S&P 500, qua rappresentate dall’ETF SPY. Questa equity, in realtà, è stata ottenuta ipotizzando di chiudere e riaprire simultaneamente, in chiusura di ogni giornata, una posizione long su SPY per un controvalore pari a 20.000 USD, così da poter valorizzare (con un capitale investito costante) ogni giornata borsistica in posizione e poter calcolare le metriche di questo sistema (riportate a fianco di ogni figura). L’equity della Figura 4.20 è poco regolare e presenta drawdown notevoli,

ma non dovrebbe essere una sorpresa: se avessimo ottenuto fin da subito un’equity regolare, che senso avrebbe avuto cercare di comporre un portafoglio di trading system? È sufficiente, però, affiancare all’equity precedente quella di un sistema di copertura, che presenti quelle caratteristiche sintetizzate in precedenza (elaborato solo per ridurre la volatilità del portafoglio azionario), per ottenere il risultato presentato nella Figura 4.21. Anche senza scendere troppo in dettaglio sulle metriche, l’effetto sul risultato finale è già visibile a occhio nudo: il drawdown si riduce (specie se rapportato al profitto finale) e aumenta le regolarità.

FIGURA 4.20 – L’andamento dell’equity line di un sistema di tipo buy&hold sull’S&P 500.

FIGURA 4.21 – L’equity line risultante dall’unione delle equity del sistema di tipo buy&hold su SPY con l’equity del sistema di copertura dai flash crash. Se questo è l’effetto su un paniere statico come l’S&P 500, cosa dobbiamo aspettarci applicandolo a un portafoglio di trading system (che non sono sempre a mercato)? La Figura 4.22 mostra l’equity line di un portafoglio long/short: più regolare dell’equity di SPY, ma a uno sguardo più attento presenta alcune criticità che devono essere gestite. Una di queste si è manifestata proprio nelle ultime settimane (nella parte finale dell’equity) quando il portafoglio aveva aperto diverse posizioni long e aveva maturato una decisa esposizione rialzista, registrando, nell’arco di poche sedute, un forte drawdown (a seguito dell’acuirsi di alcune tensioni geopolitiche che hanno fatto crollare bruscamente il mercato).

FIGURA 4.22 – L’equity line di un portafoglio long/short sembra regolare ma presenta alcune criticità. Analizzato su questo orizzonte temporale (5 anni), sull’equity delle operazioni chiuse (non la open equity, cioè la valorizzazione dell’account, giorno per giorno, tenendo traccia del P/L di tutte le operazioni aperte, su cui torneremo fra poco), questo drawdown è stato (anche se di poche centinaia di dollari) il più ampio finora registrato. A distanza di un paio di settimane è stato recuperato per più di metà, ma sarebbe un errore considerare come rientrato questo allarme. Il portafoglio, che sconta un bias moderatamente rialzista dei mercati, ha mostrato come, in un momento di bassissima volatilità e di massima esposizione (dato che adottiamo un position sizing di tipo percent volatility, che tende a caricare di più le posizioni con bassa volatilità e a scaricarle con alta volatilità), un crash improvviso sui mercati possa fare danni importanti. Affianchiamo, quindi, a questo portafoglio, lo stesso sistema di copertura che avevamo utilizzato poco fa su SPY (senza alterarne i parametri), che si basa sull’impiego di un ETN sulla volatilità implicita (ticker:VXX).

FIGURA 4.23 – L’equity line del sistema migliora utilizzando un sistema di copertura che si basa sull’impiego di un ETN sulla volatilità implicita. Poiché l’equity era già abbastanza regolare prima dell’introduzione del sistema di copertura, ci affideremo all’analisi delle metriche calcolate su due nostri portafogli (con e senza copertura) (Figura 4.23). Iniziamo dal drawdown, che da 2.827 USD scende a 2.084 USD, cioè un 26% di riduzione (e già questo potrebbe bastare per ritenersi soddisfatti). In percentuale sul net profit (incluso il capitale iniziale, fissato qui a 100.000), il max drawdown scende dall’1,70% all’1,20%, e anche graficamente si vede come si attenui in maniera significativa, nella parte finale, il brusco ritracciamento dell’equity di portafoglio.

IL CONTROLLO DEL RISCHIO SULLEQUITY DEL SISTEMA La seconda regola prevede di adottare una forma di monitoraggio e controllo sul singolo sistema, il più possibile basata su criteri oggettivi e poco discrezionali, delle prestazioni del sistema. Quando bisogna smettere di seguire un sistema? La risposta a questa domanda non è scontata. Se tale risposta viene demandata alla soggettività di un giudizio discrezionale del trader, al moltiplicarsi dei sistemi che si sta

seguendo, il rischio è quello di non essere abbastanza tempestivi o determinati nell’arresto di un’operatività che sta iniziando a mostrare segni di degrado rispetto alle prestazioni attese (e questa esitazione può costare parecchio). Si può impostare il proprio sistema di controllo sulla base di criteri differenti: dal deterioramento di alcune delle metriche del sistema, osservate su finestra scorrevole, a criteri di tipo grafico, fino ad analisi di tipo statistico (per esempio, l’impiego di una simulazione Montecarlo per individuare il drawdown massimo sul 95% delle possibili equity, così da definire una soglia di inibizione del sistema al raggiungimento di un tale drawdown). Ci si può spingere anche fino a fare trading sull’equity line, non limitandosi alla semplice inibizione e riattivazione del sistema, ma definendo il dimensionamento della prossima operazione in funzione dell’andamento grafico esibito dall’equity, o sulla base di un’analisi statistica delle operazioni effettuate nell’ultimo periodo. Se queste modalità di controllo del sistema sulla propria equity sono consigliabili a chiunque sviluppi sistemi meccanici, è invece imprescindibile per coloro che abbiano intrapreso la strada della programmazione genetica. In quest’ultimo caso, semplificando, si va a chiedere a un software di individuare un paniere di trading system che l’operatore umano dovrà attentamente validare e selezionare, e che dovranno essere necessariamente controllati per tenere attivi solamente quelli più performanti, inibendo gli altri. È possibile approfondire le logiche su cui si basano questi sistemi di controllo, così come esaminare in dettaglio le tecniche di validazione dei sistemi che sono state introdotte nei paragrafi precedenti (partendo dai codici aperti dei trading system mostrati in queste pagine, per effettuare questi test), o lavorare sulle logiche di position management e position sizing, nelle giornate di formazione che compongono il percorso “Trading System Academy” che da alcuni anni mi vede coinvolto come relatore.

PARTE II

Trading non direzionale

e sapete con certezza dove andrà il mercato non avete bisogno delle opzioni: cercate di procurarvi quanta più liquidità possibile e puntate tutto sulla salita o discesa del mercato con lo strumento che offre la maggiore leva possibile (per esempio, un contratto future). Affermare di sapere dove il mercato sta andando con assoluta certezza e “puntarvi” sopra solo un paio di migliaia di dollari non è molto coerente, non trovate? A tutti gli altri, con meno certezze e un approccio probabilistico più che deterministico al problema della direzione dei mercati, sono dedicate le prossime pagine, nelle quali prendiamo in esame un approccio al trading di tipo non direzionale basato sulla vendita di opzioni. Esaminerò sia la vendita “a nudo” sia la “vendita coperta”, mostrando il funzionamento di strategie come gli iron condor e gli short strangle con le opzioni sui future con difesa meccanica con il future sottostante. Tutte le strategie che vengono presentate hanno sempre, alla base, un approccio meccanico al trading, incluse quelle che si basano sulle opzioni, su cui vado a mostrare due differenti modalità per condurre un backtest di queste strategie. Esistono diverse piattaforme con cui è possibile effettuare backtest di sistemi basati su strumenti “lineari”, come future, azionario o Forex; ma le cose si complicano quando si ha a che fare con degli strumenti “non lineari” come le opzioni, il cui valore non dipende soltanto dal sottostante ma da altri fattori come il passaggio del tempo o le aspettative, da parte degli operatori, sulla futura volatilità. Anche se l’obiettivo di questo libro non è spiegare “che cosa è un’opzione” (esistono ottimi manuali dedicati alle basi del trading con le opzioni), ho deciso di dedicare i prossimi paragrafi a sintetizzarne le caratteristiche e il funzionamento, senza la pretesa di una trattazione esaustiva della materia, ma solo come introduzione che spero possa essere di stimolo per ulteriori approfondimenti, se siete all’inizio, o come un utile ripasso, se utilizzate già

S

questi strumenti nell’operatività quotidiana.

CAPITOLO 5

Che cosa sono le opzioni

e opzioni sono contratti finanziari che danno al compratore il diritto, ma non il dovere, di acquistare (nel caso di un’opzione call) o di vendere (nel caso di un’opzione put) una determinata quantità di un’attività sottostante (titoli azionari, indici azionari, tassi d’interesse, future, materie prime, metalli preziosi, prodotti agricoli ecc.) a un prezzo determinato, a una data specifica (opzioni di tipo “europeo”) o entro una data specifica (opzioni di tipo “americano”). Quindi esistono solo due tipi di opzioni: quelle di tipo CALL e quelle di tipo PUT. Sono strumenti “derivati” perché il loro valore deriva dal valore di un altro strumento finanziario, comunemente chiamato “sottostante”, oltre che da altri fattori (i più importanti sono la vita residua di questo contratto e la volatilità implicita). Ogni opzione ha una data di scadenza oltre la quale cessa di esistere. Per le opzioni su azioni e indici sui mercati americani, il giorno della scadenza coincide con il terzo venerdì di ogni mese per le opzioni monthly, o ogni venerdì per le opzioni weekly. È caratterizzata da un “prezzo di esercizio”, detto comunemente strike price, che rappresenta il prezzo a cui viene acquistato (nel caso di una call) o venduto (nel caso di una put) il sottostante se il compratore ritiene vantaggioso “esercitarne” il proprio diritto di acquisto (per una call) o di vendita (per una put). Il prezzo registrato dal sottostante, in ogni momento della sua vita, rispetto al valore dello strike, consente di assegnare a un’opzione (sia di tipo call sia di tipo put) una delle tre possibili denominazioni (detta anche moneyness di un’opzione):

L

• At the money (ATM): quando lo strike è uguale (o molto vicino) al prezzo di mercato del sottostante. • In the money (ITM): quando l’esercizio dell’opzione è vantaggioso

rispetto al prezzo di mercato del sottostante. Ne consegue che una call si definisce ITM quando lo strike è inferiore al prezzo di mercato del sottostante, mentre una put la si definisce così quando lo strike è superiore al prezzo di mercato del sottostante. • Out of the money (OTM): quando l’esercizio dell’opzione non è vantaggioso rispetto al prezzo di mercato del sottostante. Ne consegue che una call si definisce OTM quando lo strike è superiore al prezzo di mercato del sottostante, mentre una put la si definisce così quando lo strike è inferiore al prezzo di mercato del sottostante. Per gli esempi che seguiranno faremo sempre riferimento a opzioni che hanno come sottostante dei titoli azionari americani, per i quali ogni contratto di opzione controlla 100 azioni del sottostante. Il continuo riferimento ai mercati d’oltreoceano non si basa su una qualche “esterofilia” del sottoscritto, ma sul fatto che questi sono i mercati con le opzioni più liquide al mondo, e torneremo presto sull’importanza di lavorare sempre con strumenti liquidi. Opzioni su azioni quotate su altri mercati hanno moltiplicatori differenti (si pensi ai mercati europei o a quello italiano), o scadenze diverse (si pensi alle opzioni sulle commodities, che scadono in diversi momenti nel corso del mese).

LA “MELA MORSICATA” CI VIENE IN AIUTO Un esempio dovrebbe aiutarci a chiarire cosa succede quando negoziamo un’opzione. Partiamo dall’acquisto delle azioni sottostanti e, in particolare, da 100 azioni di Apple (ticker AAPL). Acquistando un’azione (il sottostante) entro su un’operazione che non ha una scadenza temporale, e dove il guadagno o la perdita finale derivano solo dal movimento del titolo (il sottostante, appunto). Esempio: AAPL $ 105,00. BUY 100 AAPL @ $ 105,00 (= acquisto 100 azioni di Apple a $ 105 cad.). Costo operazione: $ 105 x 100 = $ 10.500,00. Se AAPL si porta a $ 108,00 (+2,8%). Profit ($ 108,00 - $ 105,00) × 100 = $ 300,00.

Il profilo di rischio di una posizione long del sottostante è quella presentata nella Figura 5.1: sull’asse orizzontale si è soliti rappresentare il valore del sottostante, mentre su quello verticale viene rappresentato il profitto o la perdita dell’operazione. La relazione lineare tra il movimento del sottostante e il profitto, o perdita finale, ora dovrebbe essere evidente: se il sottostante sale, si ottiene un guadagno, mentre se scende, si subisce una perdita.

FIGURA 5.1 – Il profilo di rischio (grafico Profit/Loss) di una posizione long sul sottostante. Uno dei vantaggi legati all’utilizzo delle opzioni, invece del sottostante, è la possibilità di creare dei profili di rischio non lineari, “su misura”. In Figura 5.2 è rappresentato il profilo di rischio di una strategia che sia chiama “calendar spread”, in cui viene definita un’area all’interno della quale è possibile guadagnare al passaggio del tempo se il titolo sottostante rimane all’interno di un certo range (questo tipo di trading viene detto “trading non direzionale” perché punta sulla “non direzionalità” del sottostante che si muove all’interno di un range contenuto di prezzi). Un profilo come questo è, spesso, il risultato finale che cerchiamo di ottenere combinando diversi contratti di opzione. Ma per ora, è meglio procedere per gradi. Poco fa abbiamo considerato l’acquisto del sottostante: vediamo ora come cambia la situazione acquistando un’opzione call invece del sottostante.

FIGURA 5.2 – Il profilo di rischio (grafico Profit/Loss) della strategia con le opzioni “calendar spread”. Comprando una call, ottengo il diritto di acquistare il sottostante al valore prefissato (strike price) entro la data di scadenza dell’opzione. Esempio: AAPL $ 105,00. BUY 1 AAPL JUN 90 Call @ $ 20,00 (= acquisto 1 opzione call su Apple – AAPL – con scadenza giugno e strike 90, pagandola $ 20 e con il solito moltiplicatore pari a 100 azioni del sottostante a cui si riferisce ogni contratto di opzione sui titoli azionari americani). Costo operazione: $ 20,00 × 100 = $ 2.000,00. Se AAPL passa da $ 105,00 a $ 108,00 (+2,8%) ne consegue che il valore dell’opzione AAPL JUN 90 call acquistata passerà, a scadenza, da $ 20,00 a $ 23,00. Durante la vita di questa opzione, la variazione del premio è invece funzione del Delta di questo contratto: un indicatore che sintetizza la variazione del valore dell’opzione al variare di $ 1 del sottostante. Ne consegue che se il sottostante AAPL cresce di $ 3 e il Delta vale 1 (come per una call ITM a scadenza), allora anche il valore dell’opzione crescerà di $ 3. Questa è una semplificazione, in quanto nella realtà, nel corso della vita di un’opzione call, il Delta fluttuerà fra 0 e 1, tendendo a 1 solo all’avvicinarsi della scadenza.

Comprando questa opzione call, quindi, il guadagno finale è pari a: Profit ($ 23,00 - $ 20,00) × 100 = $ 300,00 (+15%). Quindi, ottengo $ 300 di guadagno, che rappresentano un +15% rispetto al capitale investito di $ 2.000,00 per acquistare l’opzione call. Nel caso di acquisto del sottostante, i $ 300 di guadagno rappresentano invece un +2,8% rispetto a un capitale investito pari a $ 10.500,00, che è molto superiore ai $ 2.000,00 investiti per acquistare l’opzione call. L’acquisto di un’opzione consente di investire una quota di capitale inferiore rispetto al quello richiesto per le azioni sottostanti: queste sono, infatti, strumenti con una leva intrinseca. Il rischio massimo dell’operazione, inoltre, nel caso dell’acquisto di opzioni è già predefinito al momento dell’ingresso in posizione, ed è pari al premio pagato per acquistare il contratto. Questo è ben visibile dal grafico del profilo di rischio a scadenza dell’opzione call (Figura 5.3).

FIGURA 5.3 – Il profilo di rischio (grafico Profit/Loss) di un’opzione long call a scadenza. Dalla Figura 5.3 si vede come, acquistando un’opzione call, la relazione tra il movimento del sottostante e il relativo profitto/perdita non è più lineare su tutto il range di variazione dei prezzi del sottostante: è lineare soltanto per i valori del sottostante maggiori dello strike price e soltanto alla scadenza dell’opzione (vedremo che prima della scadenza il profilo di rischio non è più

lineare). Dallo stesso grafico si legge che, per valori del sottostante inferiori al valore dello strike price, la curva del profilo di rischio diventa orizzontale, indicando come la massima perdita su questa posizione sia limitata al solo premio pagato per acquistare il contratto di opzione call.

ACQUISTO 0 VENDITA? Riassumendo, acquistando una call, ottengo il diritto (non l’obbligo) di acquistare il sottostante al “valore di esercizio” (strike price) entro la “data di scadenza” dell’opzione. Se decido di acquistare il sottostante si dice che “esercito” l’opzione. Per acquistare l’opzione devo pagare un premio. Vendendo una call mi assumo, invece, l’obbligo di vendere il sottostante al “valore di esercizio” (strike price) nel caso in cui il compratore decida di esercitare la sua “opzione” di acquisto (sempre entro la “data di scadenza”). In caso di esercizio da parte del compratore, si dice che il venditore viene “assegnato”. A fronte di questo obbligo, il venditore dell’opzione incassa il “premio” della stessa. Riprendiamo l’esempio precedente, con Apple (AAPL) che quota $ 105,00: un operatore compra (BUY) 1 AAPL JUN 90 Call @ $ 20,00 e spende $ 2.000,00 per acquistare l’opzione; mentre un altro operatore è sua diretta controparte e quindi vende (SELL) 1 AAPL JUN 90 Call @ $ 20,00, incassando così $ 2.000,00. Se il prezzo delle azioni Apple aumenta, dopo pochi giorni, fino a $ 116,00, il compratore del contratto di opzione potrebbe decidere di rivenderla prima della sua scadenza, incassando l’incremento del premio che si è verificato (e sarà il Delta di questa opzione a indicarmi, in ogni momento della sua vita, la sensibilità del premio alla variazione del prezzo dell’azione sottostante). Non importa sapere chi abbia fatto da controparte nella chiusura di questa operazione: si è trattato di qualche altro operatore che, in quel momento, si trovava nel primo livello del book di questo contratto di opzione, cercando una controparte da cui acquistarla. Il compratore avrebbe, però, potuto anche “esercitare” il diritto alla base del contratto di opzione, acquistando 100 azioni di AAPL a $ 90,00 ciascuna, quando sul mercato adesso valgono $ 116,00. Esiste una convenienza nel farlo? Il valore di AAPL è di $ 6,00 superiore a quello di pareggio breakeven point, che è uguale a $ 110,00. Il compratore, infatti, ha già speso $ 20 per acquistare l’opzione call, che vanno sommati ai $ 90 che spenderebbe per ogni azione in caso di esercizio dell’opzione. Quindi,

tale operazione diventa conveniente solo se AAPL vale di più di $ 110,00. Se AAPL vale $ 116,00, allora il suo guadagno è pari a $ 6,00 per ogni azione: quindi, $ 6 × 100 = $ 600,00. Nella pratica vedremo che è molto più frequente chiudere questa operazione rivendendo il contratto di opzione, invece che esercitando il diritto sotteso a tale contratto. Con questo esempio abbiamo visto che un trade può essere aperto sia comprando un’opzione (posizione long) sia vendendola (posizione short). Se comprando un’opzione call ho un rischio massimo che è già predefinito dal premio pagato per l’acquisto, vendendola, il profilo di rischio dell’operazione è esattamente l’opposto (come si vede in Figura 5.4). La posizione del venditore di opzioni è esattamente contraria a quella del compratore: il rischio massimo, quindi, per il venditore, è illimitato.

FIGURA 5.4 – Il profilo di rischio (grafico Profit/Loss) di un’opzione short call a scadenza. Fino a ora abbiamo parlato delle opzioni di tipo call, ma gli stessi ragionamenti valgono per l’altro tipo: quelle put (Figure 5.5 e 5.6).

FIGURA 5.5 – Il profilo di rischio (grafico Profit/Loss) di una opzione long put a scadenza.

FIGURA 5.6 – Il profilo di rischio (grafico Profit/Loss) di un’opzione short put a scadenza. Riassumendo, esistono due tipi di opzioni: quelle di tipo call e quelle di tipo put, e ogni tipo di opzione può essere comprata o venduta. Abbiamo quindi 4 possibili profili di rischio con i quali è possibile costruire strategie di tipo direzionale e non direzionale.

OLTRE AL SOTTOSTANTE C’È DI PIÙ… IL PREMIO DI UN’OPZIONE

Il “premio” di un’opzione è il valore pagato per acquistarla (o incassato in caso di vendita) ed è formato da due componenti: Premio dell’opzione = Valore intrinseco + Valore temporale Il valore intrinseco è la differenza tra il valore del sottostante e lo strike price. Esempio: AAPL $ 105,00. BUY 1 AAPL JUN 90 Call @ $ 20,00. Il valore intrinseco è: $ 105,00 - $ 90,00 = $ 15,00. Quando il valore intrinseco è maggiore di 0, l’opzione viene detta ITM (In the money). Il valore estrinseco è la differenza tra il premio dell’opzione e il valore intrinseco. Nell’esempio di cui sopra, il valore estrinseco è pari a $ 20 - $ 15 = $ 5. Il valore estrinseco varia in funzione: • del tempo che ancora manca alla scadenza dell’opzione: più tempo manca alla scadenza e maggiore sarà il suo contributo al valore estrinseco. • della volatilità implicita: più alta è la volatilità implicita (cioè le aspettative da parte degli operatori sul futuro movimento del sottostante) e maggiore sarà il suo contributo al valore estrinseco.

SCADENZA DELL’OPZIONE Ogni contratto di opzione ha una scadenza temporale: se, raggiunta tale scadenza, è OTM (o ATM), allora non ha più alcun valore; mentre, se è ITM, il suo prezzo sarà pari al solo valore intrinseco e il broker provvederà al suo esercizio automatico. In ogni caso, a scadenza, un contratto di opzione cessa di esistere. Maggiore è la sua vita residua e maggiore sarà la componente estrinseca del suo premio: maggiore è il tempo che ha davanti, e maggiori sono le probabilità che l’opzione possa scadere ITM. Quindi, il passaggio del tempo ha come effetto quello di un’erosione del

premio dell’opzione, come possiamo vedere graficamente. Nelle Figure 5.7, 5.8 e 5.9 vediamo il profilo di rischio di un’opzione call al passaggio del tempo: nella prima è mostrato il profilo di rischio di una posizione long call al momento dell’acquisto, in cui è evidente la non linearità del profilo di rischio. Al passare del tempo la curva del profilo evolve (Figura 5.8) verso la configurazione finale (Figura 5.9) che caratterizza il contratto d’opzione al momento della sua scadenza temporale. L’inesorabile trascorrere del tempo aiuta il venditore di opzioni (put o call, indifferentemente) e danneggia il compratore. Alla scadenza, la sola componente del premio di un’opzione che sopravvive a questo processo di erosione è la componente intrinseca. Tale processo di erosione del valore temporale dell’Opzione dipende principalmente dalla vita residua della posizione e dalla sua moneyness. Grazie allo sviluppo delle piattaforme di trading a cui abbiamo assistito nell’ultimo decennio, è adesso possibile anche per un trader privato studiare, per esempio, l’evoluzione del profilo di rischio al passaggio del tempo, come quella mostrata in Figura 5.10.

FIGURA 5.7 – Il profilo di rischio di una posizione long call poco dopo l’acquisto.

FIGURA 5.8 – L’evoluzione del profilo di rischio al passare del tempo. Il profilo evolve verso la configurazione che avrà al momento della scadenza.

FIGURA 5.9 – Il profilo di rischio di una posizione long call alla scadenza dell’opzione. Il valore temporale è nullo.

FIGURA 5.10 – L’analisi del profilo di rischio di una posizione long call al trascorrere del tempo realizzata con una piattaforma professionale.

VOLATILITÀ IMPLICITA Fino a qui abbiamo visto come il premio dell’opzione dipenda dal prezzo del sottostante e dal passaggio del tempo. Come, però, ho già anticipato, il premio dell’opzione dipende anche da altri fattori, di cui il più importante è la variazione della volatilità implicita (una misura dell’aspettativa degli operatori sulla volatilità futura che esibirà il sottostante). Un incremento nel valore di questa si traduce in maggiore incertezza, che a sua volta si riflette nell’aumento dei premi delle opzioni. Al contrario, se la volatilità implicita diminuisce, il premio tenderà a “sgonfiarsi”, danneggiando il compratore e favorendo il venditore di quel contratto. Un’interessante caratteristica della volatilità implicita è che è mean reverting: è elevata la probabilità che a fasi di volatilità crescente possano seguire fasi di volatilità decrescente, e viceversa. Tale proprietà rende più semplice effettuare una previsione sulla sua futura evoluzione rispetto

all’evoluzione dei prezzi del sottostate (anche se stiamo ragionando sempre in termini probabilistici e non deterministici). Una differenza fondamentale, che è bene rimarcare quando si cerca di sfruttare questi due fattori (il passaggio del tempo oppure una variazione favorevole della volatilità implicita), è che il tempo è “certo” che passi, mentre non è “certo” ma solo “probabile” che la volatilità implicita inizi a scendere quando è alta e decrescente. Tralascio ogni considerazione relativa all’impatto di una variazione legata ai tassi di interesse o ai dividendi attesi: tranne che in situazioni estreme, si tratta di determinanti che hanno un impatto minore rispetto a quelle poc’anzi approfondite.

LE GRECHE Esistono altri fattori determinanti il premio dell’opzione ma, come già anticipato, non si ha la pretesa di esaurire la materia in queste poche pagine, bensì di fornire, invece, le basi di ciò che andremo a esaminare successivamente nel libro. È possibile misurare la sensibilità del premio dell’opzione al variare di queste tre determinanti, prezzo del sottostante, passaggio del tempo e variazione della volatilità implicita? La risposta è affermativa: attraverso quelle che vengono chiamate le “greche” delle opzioni.

Delta Il Delta dell’opzione indica la variazione del suo valore opzione al variare di $ 1 del sottostante. Una posizione Delta positiva è una posizione rialzista, quale quella in cui si trova, per esempio, un compratore di call o un venditore di put (ribassista se Delta negativa). Il valore 0,50 rappresenta il Delta dell’opzione ATM, ed esprime il fatto che il premio è variato in misura pari al 50% rispetto alla variazione registrata nel prezzo del sottostante. Il valore Delta viene espresso in termini numerici (per esempio, 0,50) o percentuali (per esempio, 50%). Per le opzioni di tipo call, il Delta è positivo: a una variazione positiva del prezzo del sottostante il valore dell’opzione aumenta (oppure, a una variazione negativa del prezzo del sottostante il valore della call diminuisce). Viceversa, nel caso di opzioni put il Delta è negativo, dal momento che esiste una

relazione inversa tra prezzo del sottostante e prezzo dell’opzione. Il Delta non è un valore costante. Nell’esempio appena esaminato, l’opzione presentava un Delta di 0,50. Esso, però, varia al mutare del prezzo del sottostante e all’avvicinarsi della scadenza dell’opzione. Sia nel caso di una call (Delta>0) sia di una put (DeltaO[1] o C
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