Lomonaco - Una introduzione all'algebra lineare

March 9, 2017 | Author: r0cc0 | Category: N/A
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Luciano A. Lomonaco

Un’introduzione all’algebra lineare Terza edizione

ARACNE

Copyright © MMVI ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, 133 A/B 00173 Roma (06) 93781065 isbn 88–548–0144–5 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: ottobre 1997 II edizione: giugno 2005 III edizione: luglio 2006

INDICE

Capitolo 1 STRUTTURE ALGEBRICHE 1 2 3 4 5 6 6

1

Generalit`a sulle strutture algebriche Gruppi Azioni di un gruppo su un insieme Anelli Polinomi su un dominio di integrit`a Polinomi su un campo Fattorizzazione di un polinomio Esercizi

Capitolo 2 SPAZI VETTORIALI 1 2 3 4 5 6 7

1 5 9 12 16 21 25 33

37

Spazi vettoriali su un campo Dipendenza e indipendenza lineare Basi e dimensione Sottospazi Sottospazi congiungenti e somme dirette Generalit`a sulle applicazioni lineari Monomorfismi, epimorfismi ed isomorfismi Esercizi

37 40 45 53 58 64 69 77

Capitolo 3 MATRICI, DETERMINANTI, SISTEMI LINEARI 1 2 3 4

Generalit`a sulle matrici Matrici a scala Definizione e prime propriet`a dei determinanti Dimostrazione del Teorema di Esistenza ed Unicit`a i

83 83 90 96 100

5 6 7 8 9

Ulteriori propriet`a dei determinanti Calcolo dell’inversa di una matrice Generalit`a sui sistemi lineari Il metodo dei determinanti Il metodo di Gauss–Jordan Esercizi

Capitolo 4 MATRICI E APPLICAZIONI LINEARI 1 2 3 4 5

Matrici e applicazioni lineari Cambiamenti di riferimento Alcune applicazioni dei determinanti Autovettori, autovalori e polinomio caratteristico Diagonalizzazione Esercizi

Capitolo 5 SPAZI VETTORIALI EUCLIDEI 1 2 3 4 5

Forme bilineari e prodotti scalari Spazi vettoriali euclidei Il Procedimento di Gram–Schmidt Diagonalizzazione ortogonale Forme quadratiche Esercizi

104 118 124 128 137 148

153 153 161 163 167 173 181

185 185 193 198 204 209 213

TAVOLA DELLE NOTAZIONI

215

INDICE ANALITICO

217

ii

Nota dell’autore Il presente volume `e destinato a studenti del primo anno dei corsi di laurea triennali delle Facolt` a si Scienze ed Ingegneria. In esso sono trattati alcuni dei pi` u classici argomenti elementari di Algebra Lineare. Si assume che lo studioso lettore abbia gi`a una certa familiarit`a con alcuni argomenti di base quali l’insiemistica (insiemi, coppie ordinate, prodotto cartesiano, relazioni d’equivalenza, relazioni d’ordine, applicazioni, iniettivit`a, suriettivit`a) e la costruzione degli insiemi numerici (numeri naturali, interi, razionali, reali e complessi). Desidero ringraziare gli amici Maurizio Brunetti e Giovanni Cutolo per il contributo che hanno dato alla stesura di questo libro.

Luciano A. Lomonaco

iii

Capitolo 1

Strutture algebriche: gruppi, anelli e polinomi

§1. Generalit` a sulle strutture algebriche Siano S e K due insiemi non vuoti. Definizione 1.1.

Una operazione interna ∗ di S `e una applicazione ∗ : S × S −→ S

L’immagine ∗(a, b) dell’elemento (a, b) ∈ S × S si indica di solito con il simbolo a ∗ b. Definizione 1.2. se

Una operazione (binaria) interna ∗ di S si dice associativa a ∗ (b ∗ c) = (a ∗ b) ∗ c

∀ a, b, c ∈ S .

In tal caso scriveremo semplicemente a ∗ b ∗ c. Definizione 1.3. applicazione

Una operazione esterna ⊥ di S con operatori in K `e una ⊥: K × S −→ S .

L’immagine ⊥ (λ, b) dell’elemento (λ, b) ∈ K × S si indica di solito con il simbolo λ ⊥ b. Esempio 1. L’addizione + e il prodotto · negli insiemi numerici N, N0 , Z, Q, R, C sono operazioni interne associative. La divisione : non `e una operazione (non si pu` o dividere per 0 in N0 , Z, Q, R, C e si pu` o effettuare la divisione tra i numeri naturali o interi relativi m, n se e solo se m `e multiplo di n). In Q − {0} `e sempre possibile effettuare la divisione, e pertanto in

1

2

Un’introduzione all’algebra lineare tale insieme : `e una operazione interna, ma `e facile verificare che essa non `e associativa. Infatti, ad esempio, (16 : 4) : 2 6= 16 : (4 : 2) .

Definizione 1.4. Una struttura algebrica ad n operazioni sull’insieme S `e una (n + 1)-pla (S; ∗1 , . . . , ∗n ) dove ∗1 , . . . , ∗n sono operazioni, interne o esterne, di S. S si dice sostegno della struttura algebrica (S; ∗1 , . . . , ∗n ). Spesso, con abuso di notazione, si indicher`a con S anche la struttura algebrica (S; ∗1 , . . . , ∗n ). Sia ora ∗ una operazione interna di S e sia T ⊆ S. Si dice che T `e stabile rispetto all’operazione ∗ se ∀ a, b ∈ T si ha che a ∗ b ∈ T . Se invece ⊥ `e una operazione esterna di S con operatori in K, diremo che T `e stabile rispetto a ⊥ se ∀ b ∈ T, λ ∈ K si ha che λ ⊥ b ∈ T . Osserviamo che se T `e una parte stabile di S rispetto ad una operazione ∗, in T si definisce una operazione, ancora denotata con ∗, che si dice indotta, che `e la restrizione dell’operazione di S a T . Definizione 1.5. Sia (S; ∗1 , . . . , ∗n ) una struttura algebrica e sia T ⊆ S. Diremo che T `e una parte stabile della struttura S se T `e stabile rispetto ad ogni operazione di S.

Esercizio. Verificare che l’intersezione di una famiglia di parti stabili di una struttura algebrica `e ancora una parte stabile per tale struttura. Definizione 1.6. Un semigruppo `e una struttura algebrica (S; ∗) dotata di una operazione interna associativa. Ad esempio (N; +) e (N; ·) sono semigruppi. Sia ora (S; ∗) una struttura algebrica con una operazione interna. Definizione 1.7.

Un elemento u ∈ S si dice neutro a destra se risulta x∗u=x

∀x∈S .

Si dice invece che u `e neutro a sinistra se u∗y =y

∀y∈S .

Cap. 1 – Strutture algebriche

3

Infine u si dice neutro se `e neutro a destra e a sinistra. Proposizione 1.8. Se u, u′ ∈ S e si ha che u `e neutro a destra e u′ `e neutro a sinistra, allora u = u′ . In particolare quindi, esiste al pi` u un elemento neutro in (S; ∗). Dimostrazione. Basta osservare che u′ = u′ ∗ u = u. Definizione 1.9. monoide.

2

Un semigruppo (S; ∗) dotato di elemento neutro si dice

Osserviamo che il semigruppo (N; ·) `e anche un monoide, con elemento neutro 1, mentre (N; +) non lo `e. E’ invece un monoide la struttura additiva (N0 ; +), con elemento neutro 0. Supponiamo ora che la struttura (S; ∗) sia dotata di elemento neutro u e sia x ∈ S. Definizione 1.10. L’elemento x si dice simmetrizzabile in S rispetto a ∗ se esiste un elemento y ∈ S tale che x∗y =u=y∗x . In tal caso y si dice simmetrico di x. Proposizione 1.11. Sia (S; ∗) un monoide e sia u il suo elemento neutro. Ogni elemento simmetrizzabile di S `e dotato di un unico simmetrico. Dimostrazione. Sia x ∈ S simmetrizzabile e siano y, y ′ ∈ S simmetrici di x. Risulta che y ′ = y ′ ∗ u = y ′ ∗ (x ∗ y) = (y ′ ∗ x) ∗ y = u ∗ y = y ovvero y = y ′ .

2

Quando una operazione `e denotata con il simbolo +, viene detta addizione (o talvolta anche somma) e si dice che l’operazione `e espressa in notazione additiva; se esiste l’elemento neutro rispetto all’addizione, esso viene indicato con il simbolo 0 (zero); il simmetrico y di un elemento x rispetto all’addizione viene indicato con il simbolo −x e si dice opposto di x. Analogamente, se l’operazione `e denotata con il simbolo ·, viene detta moltiplicazione (o talvolta

4

Un’introduzione all’algebra lineare

anche prodotto) e si dice che l’operazione `e espressa in notazione moltiplicativa; se esiste l’elemento neutro rispetto al prodotto, esso viene denotato con il simbolo 1 (uno); il simmetrico y di un elemento x viene indicato con il simbolo x−1 ovvero anche x1 e si dice inverso di x. Il simbolo · viene talvolta omesso e si scrive, ad esempio, indifferentemente x · y oppure xy. Useremo spesso la notazione x−1 per indicare il simmetrico di un elemento x ogni volta che la notazione usata non sia quella additiva. Sia (S; ∗) un monoide, con elemento neutro u, e sia x ∈ S. Poniamo x0 = u e definiamo, per ogni n ∈ N, un elemento xn ∈ S induttivamente ponendo xn := xn−1 ∗ x .

L’elemento xn cos`ı definito si dice potenza n-ma di x. Si verifica agevolmente che (1)

xn+m = xn ∗ xm

(xn )m = xnm

;

∀ n, m ∈ N0 .

Se x `e simmetrizzabile, poniamo, per ogni n ∈ N, x−n := (x−1 )n . Si prova che, con tali posizioni, le (1) sono verificate per ogni n, m ∈ Z ed inoltre x−n = (xn )−1 . Un discorso analogo pu`o essere fatto quando si usa la notazione additiva. Ad esempio, se consideriamo il monoide (H; +), con elemento neutro 0, per ogni x ∈ H poniamo 0x = 0 e definiamo, per ogni n ∈ N, un elemento nx ∈ H, induttivamente, ponendo nx := (n − 1)x + x .

L’elemento nx si dice multiplo n-mo di x. Si verifica agevolmente che (1′ )

(n + m)x = nx + mx

;

(nm)x = n(mx)

∀ n, m ∈ N0 .

Nel caso in cui x sia dotato di opposto −x, per ogni n ∈ N poniamo (−n)x = n(−x). Si prova che, con tale posizione, le (1′ ) sono verificate per ogni n, m ∈ Z ed inoltre (−n)x = −(nx). Definizione 1.12. (2)

Un elemento x ∈ S si dice regolare se

x∗y =x∗z ⇒ y =z

Proposizione 1.13.

;

y∗x=z∗x ⇒ y =z .

Ogni elemento simmetrizzabile `e anche regolare.

Dimostrazione. Sia x simmetrizzabile e sia x ∗ y = x ∗ z. Allora y = u ∗ y = x−1 ∗ x ∗ y = x−1 ∗ x ∗ z = u ∗ z = z .

Analogamente si prova l’altra implicazione.

2

Definizione 1.14. Una operazione interna ∗ in S si dice commutativa se accade che x ∗ y = y ∗ x per ogni x, y ∈ S.

5

Cap. 1 – Strutture algebriche

§2. Gruppi Definizione 1.15. Un monoide (G; ∗) `e un gruppo se ogni suo elemento `e simmetrizzabile. Se poi l’operazione ∗ `e commutativa, il gruppo (G; ∗) si dice abeliano. In altre parole un gruppo G `e una struttura algebrica (G; ∗) dotata di una operazione interna ∗ tale che (i) (ii) (iii)

∗ `e associativa; esiste un elemento neutro u; ogni elemento `e simmetrizzabile.

In particolare quindi, ogni elemento di un gruppo `e regolare, cio`e vale la (2) per ogni x ∈ G, ovvero, come si suol dire, vale la regola di cancellazione. Osserviamo che in un gruppo (G; ∗) vale la seguente propriet`a. Per ogni x, y ∈ G esiste un unico elemento w ∈ G tale che x ∗ w = y. Infatti se un tale elemento w esiste si ha che w = x−1 ∗ x ∗ w = x−1 ∗ y e ci`o prova l’unicit`a di w. D’altra parte, posto w = x−1 ∗ y `e chiaro che x ∗ w = x ∗ x−1 ∗ y = y. Definizione 1.16. Sia (G; ∗) un gruppo e sia H ⊆ G, H 6= ∅. Si dice che H `e un sottogruppo di G se H `e una parte stabile di G rispetto all’operazione ∗ e se inoltre per ogni x ∈ H si ha che x−1 ∈ H. Se H `e un sottogruppo di G si scrive H ≤ G. Osserviamo che se H ≤ G, allora H `e esso stesso un gruppo rispetto all’operazione che G induce su H. Ogni gruppo G possiede i seguenti sottogruppi, detti impropri: G stesso e il sottogruppo banale 1 = {u}. La seguente proposizione consente di caratterizzare i sottogruppi di un gruppo. Proposizione 1.17. solo se

Sia H una parte non vuota di G. Allora H ≤ G se e x−1 ∗ y ∈ H

∀ x, y ∈ H .

Dimostrazione. Se vale tale condizione e x ∈ H, allora anche u = x−1 ∗ x ∈ H. Inoltre x−1 = x−1 ∗ u ∈ H. Infine, se anche y ∈ H, allora x ∗ y = (x−1 )−1 ∗ y ∈ H. Viceversa, se H `e un sottogruppo di G e x, y ∈ H, allora anche x−1 ∈ H e quindi x−1 ∗ y ∈ H. 2

6

Un’introduzione all’algebra lineare Esempio 2. Il gruppo banale ({0}; +), usando la notazione additiva, ovvero anche ({1}; ·), in notazione moltiplicativa. Esempio 3. (Z; +), (Q; +), (R; +), (C; +). In tali gruppi l’elemento neutro `e 0 e per ogni x il simmetrico di x coincide con il suo opposto −x. Osserviamo che ogni gruppo di questo esempio `e un sottogruppo del successivo.

Esempio 4. (Q − {0}; ·), (R − {0}; ·), (C − {0}; ·). In tali gruppi l’elemento neutro `e 1 per ogni x il simmetrico di x coincide con il suo inverso x−1 . Anche in questo esempio, ogni gruppo risulta un sottogruppo del gruppo successivo.

Esempio 5. ({−1, 1}; ·). In tale gruppo l’elemento neutro `e 1 ed inoltre l’inverso di −1 `e −1 stesso. ({−1, 1}; ·) `e un sottogruppo di (Q − {0}; ·). Esempio 6. Per ogni m ∈ Z, definiamo un sottoinsieme mZ di Z ponendo mZ :=

n

km | k ∈ Z

o

.

mZ `e l’insieme dei multipli di m. Si verifica facilmente che mZ ≤ Z per ogni m ∈ Z. Inoltre mZ = {0} se e solo se m = 0. Negli altri casi mZ ha infiniti elementi.

Esempio 7. Sia B ⊆ Q il sottoinsieme di Q costituito dai numeri razionali del tipo a/b dove a, b sono interi non nulli coprimi e b `e pari. Allora (B; ·) `e una parte stabile di (Q − {0}; ·), ma non `e un sottogruppo.

Sia X un insieme non vuoto e consideriamo l’insieme SX delle permutazioni di X, ovvero delle applicazioni biettive di X in s´e. L’identit`a di X, idX , `e una particolare permutazione. Inoltre, se f, g ∈ SX , anche la composta g ◦ f ∈ SX . Per ogni f, g ∈ SX poniamo f ·g =g◦f . La struttura algebrica (SX ; ·) `e un gruppo. Infatti vale la propriet`a associativa, idX `e l’elemento neutro e ogni permutazione f ∈ SX ammette una inversa f −1 ∈ SX che `e l’elemento simmetrico di f in SX rispetto all’operazione ·. Il gruppo (SX ; ·) prende il nome di gruppo delle permutazioni su X. Osserviamo

7

Cap. 1 – Strutture algebriche

che se X possiede almeno tre elementi SX non `e abeliano. Siano infatti a, b, c ∈ X tre elementi distinti. Definiamo due permutazioni f, g : X −→ X ponendo f (x) = g(x) = x

∀ x ∈ X − {a, b, c}

ed inoltre f (a) = b, f (b) = a, f (c) = c g(a) = a, g(b) = c, g(c) = b . Il lettore potr`a verificare che g◦f 6= f ◦g. Se X = Jn = {1, 2, . . . , n} scriveremo talvolta Sn invece di SX . Sn prende il nome di gruppo delle permutazioni, o anche gruppo simmetrico, su n oggetti. Per ogni n consideriamo il gruppo Sn . Se f ∈ Sn , i ∈ Jn e si ha che f (i) = i, si dice che i `e fissato da f . Definizione 1.18. Una trasposizione `e una permutazione che lascia fissati tutti gli elementi tranne (al pi` u) due. In base a tale definizione, l’identit`a `e una trasposizione, poich´e lascia fissati tutti gli elementi. Proposizione 1.19. Ogni permutazione f pu`o essere espressa come il prodotto di trasposizioni. Tale decomposizione non `e unica, per`o se f = ǫ1 · . . . · ǫn = ǫ′1 · . . . · ǫ′m (dove ǫ1 , . . . , ǫn , ǫ′1 , . . . , ǫ′m sono trasposizioni), allora m ed n hanno la stessa parit`a. Definizione 1.20. Diremo che f `e una permutazione pari se essa `e prodotto di un numero pari di trasposizioni, dispari in caso contrario. Ad esempio ogni trasposizione `e una permutazione dispari, mentre l’identit`a `e una permutazione pari. Per ogni n ≥ 2 poniamo An =



f ∈ Sn | f `e pari



⊆ Sn .

Esercizio. Provare che An ≤ Sn per ogni n ≥ 2.

8

Un’introduzione all’algebra lineare

Il sottogruppo An di Sn si dice gruppo alterno su n-oggetti. Definiamo ora una applicazione σ : Sn −→ {±1}

(3) ponendo

σ(f ) =



1 se f `e pari −1 se f `e dispari.

Si verifica agevolmente che se f, g ∈ Sn si ha che σ(f · g) = σ(f ) · σ(g) ;

σ(idJn ) = 1

ovvero, come si suol dire, σ `e un omomorfismo del gruppo Sn nel gruppo moltiplicativo {±1}. Tale omomorfismo prende il nome di segnatura. Poich´e per ogni f ∈ Sn si ha che f · f −1 = idJn , dall’osservazione precedente deduciamo che 1 = σ(idJn ) = σ(f · f −1 ) = σ(f ) · σ(f −1 ) e quindi σ(f ) = σ(f −1 ).

Esempio 8. Sia f ∈ S5 definita ponendo f (1) = 2, f (2) = 4, f (3) = 3, f (4) = 1, f (5) = 5 . La permutazione f si descrive anche con il simbolo   1 2 3 4 5 f= . 2 4 3 1 5 Gli elementi 3, 5 sono fissati. Se g `e la trasposizione che scambia 1 e 2 e h `e la trasposizione che scambia 2 e 4, ovvero     1 2 3 4 5 1 2 3 4 5 g= ;h = 2 1 3 4 5 1 4 3 2 5 allora f = h · g. Quindi f `e pari e σ(f ) = 1. Osserviamo che   1 2 3 4 5 f 6= g · h = . 4 1 3 2 5

Esempio 9. Consideriamo il gruppo S3 delle permutazioni sull’insieme J3 = {1, 2, 3}. E’ facile verificare che o n S3 = I, σ1 , σ2 , τ1 , τ2 , τ3

9

Cap. 1 – Strutture algebriche dove I = idJ3 e inoltre σ1 =



1 2

2 3 3 1



;

σ2 =



1 3

2 3 1 2



τ3 =



sono le permutazioni senza punti fissi e τ1 =



1 1

2 3 3 2



;

τ2 =



1 2 3 2

3 1



;

1 2

2 3 1 3



sono le trasposizioni che fissano 1,2,3 rispettivamente. La seguente tabella descrive la moltiplicazione in S3 · I σ1 σ2 τ1 τ2 τ3

I σ1

σ2 τ1 τ2 τ3

I σ1 σ2 τ1 τ2 τ3

σ2 I σ1 τ2 τ3 τ1

σ1 σ2 I τ3 τ1 τ2

τ1 τ2 τ3 I σ1 σ2

τ2 τ3 τ1 σ2 I σ1

τ3 τ1 τ2 σ1 σ2 I

dove il prodotto tra due elementi x e y si ottiene selezionando x sulla prima colonna e y sulla prima riga e determinando l’elemento della tabella sull’intersezione della riga di x e della colonna di y.

§3. Azione di un gruppo su un insieme Consideriamo ora un gruppo (G; ∗) con elemento neutro u. Sia inoltre X un insieme non vuoto e ⊥ una operazione esterna di X con operatori in G. Definizione 1.21. L’operazione ⊥ viene detta azione (sinistra) se (i) (λ ∗ µ) ⊥ b = λ ⊥ (µ ⊥ b) ∀ λ, µ ∈ G; ∀ b ∈ X; (ii) u⊥b=b ∀b∈X . In tale situazione diremo che G agisce (a sinistra) su X mediante l’operazione ⊥. Osserviamo che ∀ λ ∈ G `e possibile definire una applicazione fλ : X −→ X

10

Un’introduzione all’algebra lineare

ponendo fλ (a) = λ ⊥ a, per ogni a ∈ X. L’applicazione fλ `e una permutazione e la sua inversa `e fλ−1 . Infatti, per ogni a ∈ X si ha che fλ−1 (fλ (a)) = fλ−1 (λ ⊥ a) = λ−1 ⊥ (λ ⊥ a) = (λ−1 ∗ λ) ⊥ a = u ⊥ a = a

e analogamente fλ (fλ−1 (a)) = a . Quindi una azione di G su X induce una applicazione ω : G −→ SX λ 7→ fλ che talvolta prende il nome di rappresentazione. Definizione 1.22.

Sia ⊥ una azione di G su X. Per ogni a ∈ X, l’insieme [a] = { λ ⊥ a | λ ∈ G }

si dice orbita di a rispetto all’azione ⊥. Definizione 1.23.

Definiamo una relazione ≡ in X ponendo a≡b

⇐⇒

∃λ∈G|b=λ⊥a

(ovvero a ≡ b ⇐⇒ a, b appartengono ad una stessa orbita). Tale relazione `e d’equivalenza in X. Infatti `e chiaro che a ≡ a (propriet`a riflessiva) in quanto a = u ⊥ a. Inoltre a ≡ b =⇒ b ≡ a (simmetria) in quanto se esiste λ ∈ G tale che b = λ ⊥ a si ha anche che λ−1 ⊥ b = λ−1 ⊥ (λ ⊥ a) = (λ−1 ∗ λ) ⊥ a = u ⊥ a = a . Infine, si ha che a ≡ b, b ≡ c =⇒ a ≡ c

11

Cap. 1 – Strutture algebriche

(transitivit`a) in quanto se esistono λ, µ ∈ G tali che b = λ ⊥ a, c = µ ⊥ b allora c = µ ⊥ b = µ ⊥ (λ ⊥ a) = (µ ∗ λ) ⊥ a . Le classi di equivalenza di tale relazione sono le orbite che, pertanto, costituiscono una ripartizione dell’insieme X. Consideriamo ora un esempio importante di azione di un gruppo su un insieme. Sia X un insieme non vuoto e consideriamo la n-ma potenza cartesiana Xn = X × . . . × X | {z } n

di X. Sia inoltre G = Sn . Definiamo una azione ⊥: Sn × X n −→ X n come segue. Se f ∈ Sn , ovvero f : Jn −→ Jn `e una biezione, e x = (x1 , . . . , xn ) ∈ X n , poniamo f ⊥x=y dove y `e la n-pla (xf (1) , . . . , xf (n) ). In altre parole la n-pla y si ottiene dalla n-pla x scambiando di posto le coordinate x1 , . . . , xn nel modo indicato. E’ agevole verificare che ⊥ `e una azione di Sn su X n . Una orbita di tale azione si dice sistema di ordine n di elementi di X. Un sistema [x1 , . . . , xn ] sar`a pertanto la classe della n-pla (x1 , . . . , xn ) ma anche, equivalentemente, di una qualunque altra n-pla ottenuta da (x1 , . . . , xn ) permutando arbitrariamente le coordinate. Osserviamo esplicitamente che gli elementi x1 , . . . , xn non sono necessariamente distinti a due a due. La nozione di sistema di elementi di un insieme ci consente di considerare n elementi di un insieme, non necessariamente a due a due distinti, senza badare all’ordine in cui essi compaiono. Se S = [x1 , . . . , xn ] `e un sistema, per ogni i = 1, . . . , n scriveremo xi ∈ S e diremo che xi appartiene ad S. Se inoltre S ′ = [y1 , . . . , yk ] `e un altro sistema e (y1 , . . . , yk ) `e un rappresentante di S ′ scriveremo S ′ ⊆ S e diremo che S ′ `e incluso in S se n ≥ k ed inoltre esiste un rappresentante (xi1 , . . . , xin ) di S tale che y1 = xi1 , . . . , yk = xik .

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Un’introduzione all’algebra lineare

§4. Anelli Definizione 1.24. Una struttura algebrica (A; +, ·) si dice anello se +, · sono operazioni interne di A tali che (i) (A; +) `e un gruppo abeliano; (ii) (A; ·) `e un semigruppo; (iii) x · (b + c) = (x · b) + (x · c) ∀ x, b, c ∈ A; (b + c) · x = (b · x) + (c · x) ∀ x, b, c ∈ A. La (iii) `e nota come propriet`a distributiva del prodotto rispetto alla somma. Proposizione 1.25. Sia A un anello. Si ha che (i) a · 0 = 0 e 0 · a = 0 per ogni a ∈ A; (ii) a · (−b) = −(a · b) = (−a) · b per ogni a, b ∈ A; (iii) (na) · b = n(a · b) = a · (nb) per ogni a, b ∈ A, n ∈ Z; (iv) x · (b − c) = x · b − x · c per ogni x, b, c ∈ A; (b − c) · x = b · x − c · x per ogni x, b, c ∈ A. Se l’operazione · `e commutativa, l’anello A si dice commutativo. Se esiste l’elemento neutro rispetto al prodotto, A si dice unitario. Osserviamo che se l’anello unitario A non si riduce ad un solo elemento si ha che 1 6= 0. Infatti se fosse 1 = 0 si avrebbe, per ogni a ∈ A che a=a·1=a·0=0 . Definizione 1.26. Sia (A; +, ·) un anello e sia B ⊆ A. Diremo che B `e un sottoanello di A se B `e una parte stabile di A rispetto alle operazioni +, · ed `e esso stesso un anello rispetto a tali operazioni. Definizione 1.27. Sia A un anello commutativo. Diremo che A `e un dominio di integrit`a se accade che a·b=0

=⇒

a = 0 oppure b = 0

ovvero, equivalentemente, a · b = 0, a 6= 0

=⇒

b=0

o ancora a 6= 0, b 6= 0

=⇒

a · b 6= 0 .

Il lettore potr`a verificare che se F `e un dominio di integrit`a, il suo sottoinsieme F − {0} `e stabile rispetto alla moltiplicazione.

Cap. 1 – Strutture algebriche

13

Teorema 1.28. Sia F un dominio di integrit`a. Allora in F vale la regola di cancellazione, nel senso che se a ∈ F − {0} e b, c ∈ F sono tali che ab = ac allora b = c. Dimostrazione. Si ha che 0 = ab − ac = a(b − c) e quindi, poich´e F `e un dominio di integrit`a e a 6= 0, si ha che b − c = 0 e quindi b = c. 2 Definizione 1.29. Un anello unitario (F; +, ·) si dice corpo se (F − {0}; ·) `e un gruppo, ovvero se ogni elemento non nullo di F `e invertibile. Se poi il prodotto · `e anche commutativo, diremo che F `e un campo. Osserviamo che un campo F `e anche un dominio di integrit`a. Infatti se a, b ∈ F e se a · b = 0 e a 6= 0, allora a `e invertibile e si ha che b = a−1 · (a · b) = a−1 · 0 = 0 . Definizione 1.30. Sia (A; +; ·) un anello e sia K ⊆ A un suo sottoanello. Diremo che K `e un sottocorpo (sottocampo rispettivamente) di A se (K; +, ·) `e un corpo (campo rispettivamente).

Esempio 10. Sia K = {0, 1} e poniamo 0 + 0 = 0 = 1 + 1; 1 + 0 = 1 = 0 + 1 0 · 0 = 0 · 1 = 1 · 0 = 0; 1 · 1 = 1 . Con tali posizioni (K; +, ·) `e un campo. Esempio 11. (Q; +, ·), (R; +, ·), (C; +, ·) sono campi, come `e agevole verificare. Inoltre Q `e un sottocampo di R e di C ed R `e un sottocampo di C.

Esempio 12. (Z; +, ·) `e un anello commutativo unitario ma non `e un campo, in quanto (Z − {0}; ·) non `e un gruppo.

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Un’introduzione all’algebra lineare √ √ √ Esempio 13. Sia Q[ 2] = { a + b 2 | a, b ∈ Q } ⊆ R. Si verifica che Q[ 2] `e un campo rispetto alle operazioni usuali di somma e prodotto, ed `e un sottocampo di R.

Esempio 14. Sia H = { a + ib + jc + kd | a, b, c, d ∈ R } e definiamo le operazioni di somma e prodotto come segue. Poniamo (a + ib + jc + kd) + (a′ + ib′ + jc′ + kd′ ) = a + a′ + i(b + b′ ) + j(c + c′ ) + k(d + d′ ) . Poniamo inoltre

i2 = j 2 = k 2 = −1 i · j = k = −j · i j · k = i = −k · j k · i = j = −i · k

e definiamo (a + ib + jc + kd) · (a′ + ib′ + jc′ + kd′ ) = aa′ − bb′ − cc′ − dd′

+ i(ab′ + ba′ + cd′ − dc′ )

+ j(ac′ + ca′ + db′ − bd′ )

+ k(ad′ + da′ + bc′ − cb′ ) . Si verifica che 0 + i0 + j0 + k0 `e l’elemento neutro rispetto alla somma, 1 + i0 + j0 + k0 `e l’elemento neutro rispetto al prodotto e che con tali operazioni H `e un corpo, ma non un campo. H prende il nome di corpo dei quaternioni ed i suoi elementi si dicono quaternioni, ovvero anche numeri hamiltoniani.

Introduciamo ora la nozione di ideale di un anello. Sia H un sottoinsieme non vuoto del sostegno di un anello A. Definizione 1.31. H si dice ideale (bilatero) di A se (i) (H; +) `e un sottogruppo di (A; +); (ii) ∀ h ∈ H, ∀ x ∈ A si ha che x · h ∈ H, h · x ∈ H. In particolare, un ideale di A `e anche un sottoanello di A. I sottoinsiemi {0} e A sono certamente ideali di A e sono detti ideali banali. Un ideale H 6= A si dice ideale proprio.

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Cap. 1 – Strutture algebriche

Proposizione 1.32. Sia H un ideale di un anello unitario A. Se in H c’`e un elemento invertibile h, allora H = A. Dimostrazione. Sia a ∈ A. Si ha che a = (a · h−1 ) · h ∈ H e quindi H = A.

2

In particolare, se 1 ∈ H allora H = A. Si verifica agevolmente che il sottogruppo mZ del gruppo additivo degli interi `e anche un ideale dell’anello degli interi. Si verifica anche che se F `e un campo gli unici suoi ideali sono quelli banali. Infatti tale condizione caratterizza i campi. Proposizione 1.33. Un anello commutativo unitario A `e un campo se e solo se i suoi unici ideali sono quelli banali. Dimostrazione. Sia A un campo e sia H 6= {0} un suo ideale. Sia inoltre h ∈ H − {0}. L’elemento h sar`a invertibile, e quindi, come gi`a osservato, H = A. Viceversa, supponiamo che A sia un anello commutativo unitario e che i suoi ideali siano solo quelli banali. Sia h ∈ A − {0} e proviamo che h `e invertibile. Definiamo un sottoinsieme (h) di A ponendo (h) = { a · h | a ∈ A } . Si verifica facilmente che (h) `e un ideale di A. Tale ideale `e distinto da {0} in quanto h ∈ (h). Pertanto (h) = A e cio`e 1 ∈ (h). Esiste allora un elemento a ∈ A tale che a · h = 1 e quindi h `e invertibile. 2 Esempio 15. In Z × Z definiamo le operazioni di somma e di prodotto ponendo (a, b) + (a′ , b′ ) = (a + a′ , b + b′ ) ;

(a, b) · (a′ , b′ ) = (a · a′ , b · b′ ) .

In tal modo otteniamo una struttura di anello commutativo unitario (Z × Z; +, ·), con unit` a (1, 1). Osserviamo che i sottoinsiemi Z × {0} e {0} × Z di Z × Z sono entrambi sottoanelli unitari, ma i loro elementi neutri rispetto alla mo`ltiplicazione non coincidono con quello di Z × Z.

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Un’introduzione all’algebra lineare

§5. Polinomi su un dominio di integrit` a Mostreremo ora come, a partire da un dominio di integrit`a unitario F si pu`o costruire un nuovo dominio di integrit`a unitario F[x], l’insieme dei polinomi su F. Ricordiamo che una successione in un insieme non vuoto S `e una applicazione a : N0 −→ S . L’immagine a(n) di n ∈ N0 in S si denota di solito con an e la successione a si indica con uno dei seguenti simboli: (an )n∈N0 ; (a0 , a1 , . . . ) , o anche, pi` u ˆ semplicemente, (an ). Sia ora F un dominio di integrit`a unitario e sia F l’insieme delle successioni (an )n∈N0 in F definitivamente nulle, ovvero tali che esiste ˆ una struttura di anello m ∈ N0 tale che ak = 0 per ogni k > m. Daremo a F ˆ Poniamo definendo le seguenti operazioni. Siano (an )n∈N0 , (bn )n∈N0 ∈ F. (an )n∈N0 + (bn )n∈N0 = (cn )n∈N0 (an )n∈N0 · (bn )n∈N0 = (dn )n∈N0 dove ck = ak + bk ; dk =

X

i+j=k

ai bj

∀ k ∈ N0 .

Osserviamo che se ah = 0 ∀ h > m e bh = 0 ∀ h > m′ si ha che dh = 0 ∀ h > m + m′ . Infatti, se h > m + m′ , affinch´e sia i + j = h deve accadere che i > m oppure j > m′ . Pertanto ogni addendo della somma che definisce dh si annulla. E’ chiaro anche che per ogni k ∈ N0 la somma X ai bj i+j=k

`e finita. Si verifica agevolmente che (i) + `e una operazione interna associativa e commutativa; (ii) 0=(0, 0, . . . ) `e l’elemento neutro rispetto a +; ˆ la successione (−an ) `e l’elemento opposto di (an ); (iii) ∀ (an ) ∈ F (iv) · `e una operazione interna associativa e commutativa; (v) 1=(1, 0, 0, . . . ) `e l’elemento neutro rispetto a ·; ˆ si ha che (vi) Per ogni (an ), (bn ), (cn ) ∈ F    (an ) · (bn ) + (cn ) = (an ) · (bn ) + (an ) · (cn ) .

ˆ `e un anello commutativo con unit`a. I suoi elementi sono detti Pertanto F polinomi (su F).

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Cap. 1 – Strutture algebriche

ˆ − {0} e sia m = max{k ∈ N0 | ak 6= 0}. Definizione 1.34. Sia (an )n∈N0 ∈ F Lo scalare am si dice parametro direttore di (an )n∈N0 , mentre l’intero non negativo m prende il nome di grado di (an )n∈N0 e si denota con il simbolo  deg (an )n∈N0 . Un polinomio di grado 0 si dice costante. Lo scalare a0 prende il nome di termine costante del polinomio. Lemma 1.35.

Siano (an )n∈N0 , (bn )n∈N0 due polinomi non nulli e sia (an )n∈N0 + (bn )n∈N0 6= 0 .

Si ha che  deg (an )n∈N0 + (bn )n∈N0 ≤ max{deg(an )n∈N0 , deg(bn )n∈N0 } deg(an )n∈N0 = deg(−an )n∈N0 .

ˆ `e un dominio di integrit`a unitario. Inoltre Proposizione 1.36. L’anello F vale la legge di somma dei gradi, ovvero si ha che deg (an )n∈N0 · (bn )n∈N0



= deg(an )n∈N0 + deg(bn )n∈N0

ˆ − {0}. per ogni (an )n∈N0 , (bn )n∈N0 ∈ F Dimostrazione. Siano (an )n∈N0 , (bn )n∈N0 due polinomi non nulli su F di grado m, m′ rispettivamente e sia (dn )n∈N0 = (an )n∈N0 · (bn )n∈N0 . Si ha che dm+m′ = am bm′ 6= 0 . Pertanto (dn )n∈N0 6= 0 e deg(dn )n∈N0 = m + m′ .

2

Consideriamo l’applicazione iniettiva ˆ. Φ : α ∈ F 7−→ (α, 0, 0, . . . ) ∈ F ˆ mediante tale applicazione, e D’ora in avanti identificheremo F con Φ(F) ⊆ F quindi ogni scalare α con il polinomio costante ad esso associato (α, 0, 0, . . . ). Poniamo ora x = (0, 1, 0, 0, . . . ) .

18

Un’introduzione all’algebra lineare

Proposizione 1.37.

Per ogni n ∈ N si ha che xn = (0, . . . , 0, 1, 0, 0, . . . ) . | {z } n

Dimostrazione. Se n = 1 l’asserto `e banale. Sia dunque n > 1 e supponiamo induttivamente che xk = (0, . . . , 0, 1, 0, 0, . . . ) ∀ k < n . | {z } k

Si ha che

xn = xn−1 x = (0, . . . , 0, 1, 0, 0, . . . )(0, 1, 0, 0, . . . ) | {z } n−1

= (0, . . . , 0, 1, 0, 0, . . . ) | {z } n

come si verifica agevolmente.

2

Definizione 1.38. Un polinomio (an )n∈N0 tale che esiste un unico k ∈ N0 tale che ak 6= 0 si dice monomio (di grado k). Un monomio di grado k `e pertanto un polinomio del tipo (0, . . . , 0, ak , 0, . . . ) . | {z } k

Abbiamo che

(0, . . . , 0, ak , 0, . . . ) = (ak , 0, 0, . . . )(0, . . . , 0, 1, 0, . . . ) = ak xk | {z } | {z } k

k

e quindi un qualunque polinomio (an )n∈N0 pu`o scomporsi in modo univoco in somma di monomi come segue: (a0 , a1 , . . . , am , 0, . . . ) = (a0 , 0, . . . ) + (0, a1 , 0, . . . ) + (0, 0, a2 , 0, . . . ) + · · · + (0, . . . , 0, am , 0, . . . )

= a0 + a1 x + a2 x2 + · · · + am xm .

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Cap. 1 – Strutture algebriche

Ad esempio 0 = (0, 0, 0, . . .) = 0 e 1 = (1, 0, 0, . . .) = 1. Consideriamo ora due polinomi f = a0 + a1 x + · · · + am xm ; g = b0 + b1 x + · · · + bm′ xm



e supponiamo che sia m ≤ m′ . Le formule che definiscono le operazioni di somma e prodotto tra polinomi consentono di verificare che, con questa nuova notazione, si ha f + g = a0 + b0 + (a1 + b1 )x + · · · + (am + bm )xm + bm+1 xm+1 + · · · + bm′ xm





f g = a0 b0 + (a0 b1 + a1 b0 )x + (a0 b2 + a1 b1 + a2 b0 )x2 + · · · + am bm′ xm+m . Quando si usa la notazione a0 + a1 x + · · · + am xm invece della notazione ˆ si indica con il simbolo F[x] e il (an )n∈N0 il dominio di integrit`a unitario F polinomio x prende il nome di indeterminata. Proposizione 1.39. costanti non nulli.

Gli elementi invertibili dell’anello F[x] sono polinomi

Dimostrazione. Sia f un polinomio invertibile. Sar`a necessariamente f 6= 0; inoltre, detto g l’inverso di f , anche g sar`a non nullo e avremo che f g = 1. Pertanto 0 = deg(1) = deg(f g) = deg(f ) + deg(g) e quindi deg(f ) = 0 ed f `e costante.

2

In generale non vale il viceversa. Si ha per`o che se f `e un polinomio costante, ad esempio f = c ∈ F, e c `e invertibile, allora chiaramente f `e invertibile come polinomio ed il suo inverso `e il polinomio costante f −1 = c−1 . Corollario 1.40. Se F `e un campo, gli elementi invertibili di F[x] sono tutti e soli i polinomi costanti non nulli. Torniamo ora al caso pi` u generale in cui F `e un dominio di integrit`a. Il seguente enunciato `e conosciuto come l’algoritmo euclideo della divisione tra polinomi.

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Un’introduzione all’algebra lineare

Teorema 1.41. Siano f, g ∈ F[x] due polinomi e sia g 6= 0 e supponiamo che il coefficiente direttore bm di g sia un elemento invertibile di F. Esistono allora, e sono univocamente determinati, due polinomi q, r ∈ F[x] tali che (i) f = g · q + r ; (ii) r = 0 oppure deg(r) < deg(g) . Dimostrazione. Proviamo l’esistenza di q, r. Se f = 0 basta porre q = r = 0. Sia dunque f 6= 0. Se deg(f ) < deg(g) basta porre q = 0 , r = f . Supponiamo pertanto che deg(f ) ≥ deg(g). Poniamo n = deg(f ), m = deg(g). Sia ad esempio f = a0 + a1 x + · · · + an xn ; g = b0 + b1 x + · · · + bm xm con n ≥ m ≥ 0 , an , bm 6= 0. Se n = 0 anche m = 0 e quindi f = a0 , g = b0 e basta porre q = a0 b−1 0 , r = 0. Esaminiamo quindi il caso in cui n > 0 e procediamo per induzione. Supponiamo induttivamente che se f1 ∈ F[x] − {0} e deg(f1 ) < n esistono q1 , r1 ∈ F[x] tali che f1 = gq1 + r1 e r1 = 0 oppure deg(r1 ) < deg(g). Consideriamo il polinomio n−m h = an b−1 ·g . m x

Si ha che h 6= 0, deg(h) = n e il parametro direttore di h `e proprio an . Poniamo allora f1 = f − h . n−m Se f1 = 0 si ha che f = h e si pone q = an b−1 , r = 0. Se f1 6= 0 si ha m x che deg(f1 ) < n e quindi per l’ipotesi induttiva esistono q1 , r1 ∈ F[x] tali che f1 = gq1 + r1 e r1 = 0 oppure deg(r1 ) < deg(g). Ma allora n−m n−m f = f1 + h = gq1 + r1 + an b−1 g = g(q1 + an b−1 ) + r1 . m x m x n−m e r = r1 . Ci`o completa la dimostraBasta quindi porre q = q1 + an b−1 m x zione induttiva dell’esistenza della coppia q, r. Proviamo ora l’unicit`a di tale coppia. Supponiamo che

f = gq + r = gq ′ + r ′ dove q, q ′ , r, r ′ ∈ F[x] e si ha che r = 0 oppure deg(r) < deg(g) e r ′ = 0 oppure deg(r ′ ) < deg(g). Abbiamo che g(q − q ′ ) = r ′ − r .

Cap. 1 – Strutture algebriche

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Se r ′ 6= r e r, r ′ 6= 0 si ha che g(q − q ′ ) 6= 0 e

max{deg(r), deg(r ′ )} = deg(r ′ − r) = deg(g) + deg(q − q ′ ) ≥ deg(g) .

Pertanto deg(r) ≥ deg(g) oppure deg(r ′ ) ≥ deg(g), e questa `e una contraddizione. Se r ′ 6= r ma r = 0 oppure r ′ = 0, si ragiona in modo analogo. Esaminiamo infine il caso in cui r = r ′ . Abbiamo che g(q − q ′ ) = 0

e poich´e g 6= 0, deve accadere che q − q ′ = 0 ovvero q = q ′ .

2

Abbiamo gi` a osservato che per ogni dominio di integrit`a unitario F anche F[x] `e un dominio di integrit`a unitario. Ha senso quindi considerare l’anello dei polinomi su F[x] che si indica ad esempio con F[x][y], o anche con F[x, y], ed `e a sua volta un dominio di integrit`a unitario. Gli elementi di tale anello si dicono polinomi su F nelle indeterminate x, y. Pi` u in generale si pu`o definire, induttivamente, per ogni n ∈ N, il dominio di integrit`a unitario F[x1 , . . . , xn ] che prende il nome di anello dei polinomi su F nelle indeterminate x1 , . . . , xn . Un polinomio f ∈ F[x1 , . . . , xn ] avr`a quindi una espressione del tipo X ar1 ,...,rn x1r1 . . . xrnn f= r1 ,...,rn

dove ar1 ,...,rn ∈ F e la sommatoria `e finita (ovvero solo al pi` u un numero finito dei coefficienti ar1 ,...,rn `e non nullo). Il generico addendo ar1 ,...,rn x1r1 . . . xrnn si dice monomio di grado r = r1 + · · · + rn . Se f 6= 0 il grado di f sar`a poi il massimo dei gradi dei suoi monomi. §6. Polinomi su un campo D’ora in avanti sia F un campo. Osserviamo che, in tale situazione, dati due polinomi f, g, per poter applicare l’algoritmo euclideo della divisione a tali polinomi basta supporre che sia g 6= 0. In tal caso, infatti, il parametro direttore bm di g `e un elemento non nullo del campo F e quindi `e invertibile. Per ogni polinomio f = a0 + a1 x + · · · + an xn definiamo una applicazione ponendo

f : F −→ F

f (c) = a0 + a1 c + · · · + an cn .

E’ d’uso comune anche scrivere f (c) in luogo di f (c). f si dice applicazione polinomiale associata ad f . E’ chiaro che se f = 0 allora f `e l’applicazione polinomiale identicamente nulla, ovvero f (c) = 0 per ogni c ∈ F. Se invece f `e una costante a0 , si ha che f (c) = a0 per ogni c ∈ F e cio`e f `e l’applicazione costante in a0 .

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Un’introduzione all’algebra lineare

Lemma 1.42. Per ogni polinomio f e per ogni scalare c esiste un unico polinomio q tale che f = (x − c)q + f (c) . Dimostrazione. Usando l’algoritmo euclideo della divisione, troviamo un’unica coppia (q, r) di polinomi tale che f = (x − c)q + r dove r = 0 oppure deg(r) < deg(x − c) = 1, ovvero r = 0 oppure deg(r) = 0. In altre parole r `e una costante. Si ha che f (c) = (c − c)q(c) + r(c) . Pertanto r `e il polinomio costante f (c), come richiesto.

2

Definizione 1.43. Sia f un polinomio non nullo e sia c ∈ F. Si dice che c `e una radice (o anche uno zero) di f se f (c) = 0. Da tale definizione si deduce banalmente che un polinomio di grado 0 non possiede radici. Definizione 1.44. Siano f, h due polinomi non nulli. Diremo che f `e divisibile per h, ovvero anche che h `e un divisore di f , e scriveremo h|f , se esiste un altro polinomio g tale che f = hg. Teorema di Ruffini 1.45. Sia f un polinomio non nullo. Uno scalare c ∈ F `e una radice di f se e solo se f `e divisibile per (x − c). Dimostrazione. In base al lemma precedente, esiste un unico polinomio q tale che (4)

f = (x − c)q + f (c) .

Pertanto, se c `e una radice di f si ha che f (c) = 0 e quindi f = (x − c)q ovvero f `e divisibile per (x − c). Viceversa, se esiste un polinomio h tale che (5)

f = (x − c)h

dall’unicit`a del quoziente e del resto di una divisione tra polinomi e dal confronto tra la (4) e la (5) si deduce che h = q e f (c) = 0, ovvero c `e una radice di f . 2

Cap. 1 – Strutture algebriche

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Teorema 1.46. Se c1 , . . . , ct sono radici distinte di un polinomio f , allora f `e divisibile per (x − c1 ) . . . (x − ct ). Dimostrazione. Se t = 1 l’asserto `e vero per il Teorema di Ruffini. Procediamo per induzione. Sia t > 1 e supponiamo che se c2 , . . . , ct sono radici distinte di un polinomio q allora q `e divisibile per (x − c2 ), . . . , (x − ct ). Poich´e c1 `e una radice di f , esiste un polinomio q tale che f = (x − c1 )q. Poich´e c2 , . . . , ct sono radici di f distinte da c1 , si ha che f (ci ) = (ci − c1 )q(ci ) = 0 per ogni i = 2, . . . , t, e quindi q(ci ) = 0 per ogni i = 2, . . . , t e c2 , . . . , ct sono radici di q. Pertanto, per l’ipotesi induttiva, esiste un polinomio h tale che q = (x − c2 ) . . . (x − ct )h e quindi f = (x − c1 )(x − c2 ) . . . (x − ct )h . 2 Corollario 1.47. Sia f un polinomio non nullo e sia deg(f ) = n. Allora f ha al pi` u n radici. Dimostrazione. Siano c1 , . . . , ct le radici di f . Per il Teorema 1.46 esiste un polinomio h tale che f = (x − c1 ) . . . (x − ct )h e quindi deg(f ) = deg(x − c1 ) + · · · + deg(x − ct ) + deg(h) = t + deg(h) cio`e deg(f ) ≥ t.

2

Teorema (Principio di identit` a dei polinomi) 1.48. Sia F un campo infinito e siano f, g due polinomi su F. Se f 6= g allora f 6= g. Dimostrazione. Dimostreremo equivalentemente che se f = g allora f = g. Sia quindi f = g. Ci`o vuol dire che f (c) − g(c) = 0, ovvero (f − g)(c) = 0, per ogni c ∈ F. Quindi ogni elemento del campo `e radice del polinomio f − g. Se fosse f − g 6= 0, detto s il grado di tale polinomio, f − g avrebbe al pi` u s radici. Poich´e invece ne possiede infinite, deve essere f − g = 0 ovvero f = g. 2

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Un’introduzione all’algebra lineare

Definizione 1.49. Sia f un polinomio e sia c una radice di f . La molteplicit`a µ(c) di c `e il massimo intero non negativo k tale che f `e divisibile per (x − c)k . Diremo che c `e una radice semplice se µ(c) = 1, multipla se µ(c) ≥ 2. Definizione 1.50.

Sia f = a0 + a1 x + · · · + an xn un polinomio. Il polinomio Df = a1 + 2a2 x + · · · + nan xn−1

prende il nome di derivata di f o anche polinomio derivato di f . Si verifica agevolmente che D(f + g) = Df + Dg ; D(f g) = (Df )g + f (Dg) ;  D (x + c)n = n(x + c)n−1 .

Teorema 1.51. Sia f un polinomio e sia c una sua radice. c `e una radice multipla se e solo se `e radice anche del polinomio Df . Dimostrazione. Sia c una radice multipla di f . Esiste allora un polinomio h tale che f = (x − c)2 h. Quindi Df = 2(x − c)h + (x − c2 )Dh . Pertanto (Df )(c) = 0 e c `e una radice di Df . Viceversa, supponiamo che c sia radice di f e di Df . Esiste un polinomio h tale che f = (x − c)h e quindi Df = (x − c)Dh + h . Pertanto 0 = (Df )(c) = (c − c)(Dh)(c) + h(c) ovvero h(c) = 0. c `e quindi una radice di h ed esiste un polinomio q tale che h = (x − c)q. Sicch´e f = (x − c)h = (x − c)2 q e c `e una radice multipla di f .

2

Teorema 1.52. Sia f un polinomio non P nullo e sia deg(f ) = n. Se c1 , . . . , ct sono le radici (distinte) di f si ha che i µ(ci ) ≤ n. Dimostrazione. Omessa.

2

Cap. 1 – Strutture algebriche

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§7. Fattorizzazione di un polinomio Affrontiamo ora il problema della fattorizzazione in F[x]. Definizione 1.53. Siano f, g due polinomi non nulli. Diremo che f e g sono associati, e scriveremo f ∼ g, se esiste un polinomio invertibile (ovvero una costante non nulla) k tale che f = kg. Si verifica facilmente che ∼ `e una relazione di equivalenza. In particolare se f ∼ g allora f |g e g|f . Viceversa, se f |g e g|f , esisteranno dei polinomi h, h′ tali che g = hf e f = h′ g. Pertanto g = hh′ g e quindi, per cancellazione, 1 = hh′ e h `e invertibile, cio`e f ∼ g. Osserviamo esplicitamente che tutti i polinomi di grado 0, ovvero le costanti non nulle, sono tra loro associati e formano una classe completa di equivalenza rispetto a ∼. Si pu`o dire qualcosa di pi` u: se f ∼ g allora deg(f ) = deg(g). Infatti se f ∼ g allora esiste una costante non nulla k tale che g = kf . Ma allora deg(g) = deg(k) + deg(f ) = deg(f ), essendo deg(k) = 0. Sia ora f un polinomio non nullo e di grado positivo. Se k `e un polinomio invertibile, `e chiaro che k|f . Infatti f = k(k−1 f ). I polinomi invertibili e i polinomi associati ad f si dicono divisori impropri di f . Se h|f ed h non `e un divisore improprio, diremo che h `e un divisore proprio di f . In tal caso, poich´e h non `e invertibile, sar`a deg(h) > 0. Inoltre esister`a un altro polinomio h′ tale che f = hh′ , ed anche h′ non sar`a invertibile, altrimenti f ed h sarebbero associati. Pertanto anche h′ sar`a un divisore proprio di f e si avr`a deg(h′ ) > 0. Poich´e infine deg(f ) = deg(h) + deg(h′ ) avremo che deg(h) < deg(f ). Definizione 1.54. Sia f = a0 + a1 x + · · · + an xn un polinomio non nullo di parametro direttore an . Se an = 1 diremo che f `e monico. Lemma 1.55. Sia g = b0 + b1 x + · · · + bm xm un polinomio non nullo di parametro direttore bm . Esiste allora un unico polinomio monico, di uguale grado, h = c0 + c1 x + · · · + cm−1 xm−1 + xm associato a g. o prova l’esistenza di h. L’unicit`a Dimostrazione. Basta porre h = b−1 m f . Ci` si verifica poi in modo agevole. 2

26

Un’introduzione all’algebra lineare

Definizione 1.56. Siano f, g due polinomi non nulli. Un polinomio non nullo p si dice massimo comun divisore di f e g se p|f , p|g ed inoltre per ogni divisore comune h di f e g si ha che h|p. Proveremo ora l’esistenza di un massimo comun divisore di due qualunque polinomi non nulli f e g usando un metodo noto come l’algoritmo delle divisioni successive. Poniamo g0 = f , g1 = g e usiamo ripetutamente l’algoritmo euclideo della divisione. Abbiamo che esiste un’unica coppia (f1 , g2 ) tale che g0 = g1 f1 + g2 con g2 = 0 oppure deg(g2 ) < deg(g1 ). Se g2 6= 0, abbiamo che esiste un’unica coppia (f2 , g3 ) tale che g1 = g2 f2 + g3 con g3 = 0 oppure deg(g3 ) < deg(g2 ). Possiamo procedere in questo modo finch´e, dopo un numero finito di passi, il resto non sar`a nullo. In altri termini, esiste n ∈ N ed esistono (e sono univocamente determinati) dei polinomi non nulli f1 , f2 , . . . , fn , g2 , . . . , gn tali che deg(gn ) < deg(gn−1 ) < . . . < deg(g2 ) < deg(g1 ) e tali che g0 = g1 f1 + g2

(6)

g1 = g2 f2 + g3 g2 = g3 f3 + g4 .. . gn−3 = gn−2 fn−2 + gn−1 gn−2 = gn−1 fn−1 + gn gn−1 = gn fn

Il polinomio gn `e un massimo comun divisore di f e g. Infatti dall’ultima delle (6) si deduce che gn |gn−1 . Pertanto dalla penultima delle (6) si deduce che gn |gn−2 . Infatti, poich´e gn |gn−1 , esiste un polinomio h tale che gn−1 = hgn e quindi gn−2 = gn hfn−1 + gn = gn (hfn−1 + 1) . Iterando questo procedimento, dalla terzultima delle (6) si deduce che gn |gn−3 e cos`ı via, fino a trovare che gn |g1 e gn |g0 , ovvero gn |f , gn |g. Pertanto gn `e un divisore comune di f e g. Se poi p `e un altro divisore comune a f e g, si ha che p|g0 e p|g1 . Dalla prima delle (6) si deduce allora che p|g2 , e poi dalla seconda delle (6) si deduce che p|g3 e cos`ı via, fino a trovare che p|gn . Pertanto gn `e un massimo comun divisore di f e g.

Cap. 1 – Strutture algebriche

27

Proposizione 1.57. Siano f, g due polinomi non nulli. Esiste allora un unico polinomio monico h che sia massimo comun divisore di f e g, e si scrive h = mcd(f, g). Dimostrazione. L’esistenza di un massimo comun divisore di f e g `e gi`a stata provata. Osserviamo ora che se p, p′ sono entrambi massimi comun divisori di f e g, allora deve accadere che p|p′ e p′ |p. Pertanto p ∼ p′ . Viceversa, se p `e un massimo comun divisore di f e g e p′ ∼ p allora si verifica agevolmente che anche p′ `e un massimo comun divisore di f e g. In altre parole, i massimi comun divisori di f e g formano una classe completa di equivalenza di polinomi associati. Pertanto, in base ad un lemma precedente, esister`a un unico rappresentante monico di tale classe. 2 Definizione 1.58. Siano f, g due polinomi non nulli. Diremo che f e g sono coprimi se mcd(f, g) = 1. Corollario 1.59. Siano f e g due polinomi non nulli e sia p un massimo comun divisore di f e g. Esistono allora due polinomi a, b tali che p = af + bg . Dimostrazione. Consideriamo il polinomio gn ottenuto con l’algoritmo delle divisioni successive. Abbiamo gi`a osservato che gn `e un massimo comun divisore di f e g. Inoltre, dalla prima delle (6), abbiamo che g2 `e della forma a1 f + b1 g. Sostituendo nella seconda delle (6) deduciamo che anche g3 `e della forma a2 f + b2 g, e cos`ı via, fino a trovare che esistono dei polinomi a′ , b′ tali che (7)

gn = a′ f + b′ g .

Poich´e p ∼ gn , esiste un polinomio invertibile k tale che p = kgn . Moltiplicando entrambi i membri della (7) per k otteniamo quindi p = kgn = ka′ f + kb′ g e quindi l’asserto, con a = ka′ , b = kb′ .

2

Dal corollario precedente si deduce che se f e g sono coprimi esistono dei polinomi a, b tali che (8)

1 = af + bg .

28

Un’introduzione all’algebra lineare

D’altra parte, se vale la (8) allora 1 = mcd(f, g). Infatti `e chiaro che 1|f , 1|g. Inoltre, se anche h|f , h|g, esistono dei polinomi h1 , h2 tali che f = hh1 ;

g = hh2

e quindi, sostituendo nella (8) si ha che 1 = ahh1 + bhh2 = h(ah1 + bh2 ) e quindi h|1. Quindi f e g sono coprimi se e solo se esiste una espressione del tipo (8). Definizione 1.60. Sia p un polinomio di grado positivo. Diremo che p `e irriducibile se non possiede divisori propri. Osserviamo che se deg(f ) = 1 allora f `e irriducibile. Infatti si `e gi`a osservato che un divisore proprio di f dovrebbe avere grado positivo e minore del grado di f , e ci` o `e impossibile. Proposizione 1.61. Sia p un polinomio irriducibile e siano f, g due polinomi non nulli tali che p|f g. Allora p|f oppure p|g, ovvero, come si suol dire, p `e un elemento primo di F[x]. Dimostrazione. Supponiamo che p non divida f e proviamo che p|g. Poich´e p|f g, esiste un polinomio h tale che f g = ph. Inoltre, essendo p irriducibile, esso ammette come divisori solo gli invertibili e gli associati. Poich´e p non divide f , gli unici divisori comuni ad f e p sono gli invertibili, cio`e mcd(f, p) = 1. Esisteranno quindi dei polinomi a, b tali che 1 = ap + bf e dunque g = apg + bf g = apg + bph = p(ag + bh) . 2 Possiamo ora enunciare e dimostrare il teorema fondamentale della fattorizzazione in F[x].

29

Cap. 1 – Strutture algebriche

Teorema 1.62. Sia f un polinomio di grado positivo. Esistono allora, e sono univocamente determinati, una costante non nulla k, un intero positivo r e dei polinomi monici irriducibili f1 , . . . , fr tali che f = k · f1 · . . . · fr . Dimostrazione. Proviamo l’esistenza di una fattorizzazione del polinomio f come prodotto di una costante non nulla e dei polinomi monici irriducibili. Se deg(f ) = 1 allora il polinomio f `e del tipo f = α + βx

(α, β ∈ F, β 6= 0) .

Allora possiamo scrivere f = β(β −1 f ) = β(β −1 α + x) e questa `e una fattorizzazione del tipo richiesto. Supponiamo ora che deg(f ) = n > 1 e procediamo per induzione, ovvero supponiamo che i polinomi di grado positivo e minore di n ammettano una fattorizzazione del tipo richiesto. Se f `e irriducibile e an `e il suo parametro direttore, allora f = an (a−1 n f) `e una fattorizzazione del tipo richiesto. Se invece f non `e irriducibile, allora esistono due polinomi h′ , h′′ di grado positivo e minore di n tali che f = h′ h′′ . Ma allora, per l’ipotesi induttiva, esistono delle costanti non nulle k′ , k′′ e dei polinomi monici irriducibili h′1 , . . . , h′s , h′′1 , . . . , h′′t tali che h′ = k′ · h′1 · . . . · h′s ;

h′′ = k′′ · h′′1 · . . . · h′′t

e quindi f = (k′ k′′ ) · h′1 · . . . · h′s · h′′1 · . . . · h′′t . Proviamo ora l’unicit`a di una fattorizzazione del tipo richiesto. Siano k, k′ due costanti non nulle e f1 , . . . , fr , g1 , . . . , gs dei polinomi monici irriducibili tali che (9)

f = k · f1 · . . . · fr = k′ · g1 · . . . · gs .

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Un’introduzione all’algebra lineare

Allora g1 |f1 · . . . · fr ; pertanto, essendo g1 irriducibile e quindi anche primo, g1 dovr`a dividere qualcuno dei polinomi f1 , . . . , fr . Ad esempio sia g1 |f1 . Dovr`a esistere un polinomio h tale che f1 = hg1 e poich´e f1 `e irruducibile, h sar`a un invertibile. Ma allora f1 ∼ g1 e poich´e f1 , g1 sono entrambi monici si avr`a f1 = g1 . Dalla (9) si ottiene allora, per cancellazione, che k · f2 · . . . · fr = k′ · g2 · . . . · gs . Questo procedimento si pu`o iterare. Se fosse r 6= s, ad esempio r < s, dopo r passi si otterrebbe (10)

k = k′ · gr+1 · . . . · gs

e ci` o `e assurdo, in quanto il primo membro della (10) ha grado 0 mentre il secondo membro della (10) ha grado positivo. Dobbiamo quindi dedurre che r = s e che fi = gi per ogni i = 1, . . . , r. Inoltre, dopo r cancellazioni, si ottiene che k = k′ e ci` o conclude la dimostrazione. 2 Concludiamo questo capitolo con alcune osservazioni sui polinomi a coefficienti reali e complessi. Le dimostrazioni degli enunciati che saranno di seguito esposti sono omesse, essendo per lo pi` u di natura non elementare. Teorema fondamentale dell’algebra 1.63. Ogni polinomio non costante f ∈ C[x] ammette una radice. Corollario 1.64. Sia f ∈ C[x] un polinomio non nullo, e sia deg f = n. Se z1 , . . . , zt ∈ C sono le radici (a due a due distinte) di f e b1 , . . . , bt sono le molteplicit`a di tali radici, si ha che f = an · (x − z1 )b1 · . . . · (x − zt )bt ovvero, come si suol dire, ogni polinomio `e completamente riducibile in C[x]. Poich´e R pu`o identificarsi con un sottocampo di C mediante l’inclusione a ∈ R 7−→ a + i0 ∈ C possiamo anche considerare R[x] identificato con un sottoanello di C[x], ovvero considerare un polinomio a coefficienti reali anche come polinomio a coefficienti complessi. Se z = a + ib ∈ C (con a, b ∈ R), indichiamo con z = a − ib il suo complesso coniugato. Osserviamo esplicitamente che z + z e z · z sono numeri reali, per ogni z ∈ C.

Cap. 1 – Strutture algebriche

Lemma 1.65.

31

Sia f ∈ C[x] un polinomio a coefficienti reali, ovvero sia f = a0 + a1 x + · · · + an xn

con a0 , . . . , an ∈ R. Se z = a + ib ∈ C `e una radice di f anche z `e una radice di f . Dimostrazione. Ricordiamo che i coefficienti ai sono reali, quindi ai = ai per ogni i. Pertanto f (z) = a0 + a1 z + · · · + an z n = f (z) = 0 = 0 e quindi z `e una radice di f .

2

E’ possibile dare una caratterizzazione dei polinomi irriducibili in R[x] e C[x]. Teorema 1.66. Un polinomio complesso non costante f `e irriducibile se e solo se deg f = 1. Teorema 1.67. Un polinomio reale non costante f `e irriducibile se e solo se deg f = 1 oppure deg f = 2 e posto f = a0 +a1 x+a2 x2 si ha che a21 −4a0 a2 < 0. Lo scalare a21 − 4a0 a2 si dice discriminante di f . Teorema 1.68. Sia f ∈ R[x] un polinomio non nullo e sia deg f = n ≥ 1. Allora f pu`o esprimersi, in unico modo a meno dell’ordine dei fattori, come prodotto f = an · g1b1 · . . . · gsbs · h1c1 · . . . · hct t

dove g1 , . . . , gs sono polinomi monici di primo grado, h1 , . . . , ht sono polinomi monici di secondo grado irriducibili e b1 , . . . , bs , c1 , . . . , ct sono interi non negativi. Osserviamo che n = b1 + · · · + bs + 2c1 + · · · + 2ct . Inoltre, poich´e i polinomi g1 , . . . , gs sono monici e di grado 1, per ogni i esister`a uno scalare αi ∈ R tale che gi = x − αi . Pertanto αi sar`a una radice di f di molteplicit`a bi . Analogamente, poich´e h1 , . . . , ht ∈ R[x] sono monici di secondo grado, per ogni j esisteranno degli scalari βj , γj ∈ R tali che hj = βj + γj x + x2 . D’altra parte gli hj sono irriducibili in R[x] ma non in C[x], e poich´e un polinomio reale che ammette un numero complesso z come radice ammette anche z come radice, per ogni j esister`a un numero complesso zj tale che hj = (x − zj ) · (x − zj ) = x2 − (zj + zj )x + zj zj e quindi βj = zj zj e γj = zj + zj .

32 Corollario 1.69. radice (reale).

Un’introduzione all’algebra lineare

Ogni polinomio f ∈ R[x] di grado dispari ammette una

33

Cap. 1 – Strutture algebriche

Esercizi. 1. Sia X un insieme non vuoto e sia End(X) l’insieme delle applicazioni di X in s´e. Definiamo una operazione interna · in End(X) ponendo f · g := g ◦ f .   (i) Provare che la struttura algebrica

(ii) sia Y ⊆ X e sia B=

n

End(X); · `e un monoide;

f ∈ End(X) | f (y) = y ∀ y ∈ Y

provare che B `e una parte stabile di End(X).

o

⊆ End(X) ;

2. Sia X un insiemenon vuoto  e indichiamo  con P (X) il suo insieme delle parti. (i) Provare che P (X); ∩ e P (X); ∪ sono monoidi commutativi, specificando qual `e l’elemento neutro; (ii) provare che in tali strutture algebriche non vi sono elementi simmetrizzabili distinti dall’elemento neutro. 3. Sia X un insieme non vuoto e sia Y una sua parte non vuota. Indichiamo con PY (X) l’insieme delle parti di   X contenenti Y (inclusione stretta).   (i) Provare che PY (X); ∩ `e una parte stabile del monoide P (X); ∩ ed `e a sua volta unmonoide;    (i) Provare che PY (X); ∪ `e una parte stabile del monoide P (X); ∪ ed `e a sua volta un semigruppo (ma non un monoide).

4. Sia X un insieme non vuoto. Provare che la differenza tra sottoinsiemi `e una operazione interna non associativa in P (X). 5. Sia S 1 la circonferenza unitaria del piano euclideo, ovvero l’insieme dei punti P del piano le cui coordinate x, y in un fissato riferimento monometrico ortogonale soddisfino la relazione x2 + y 2 = 1. Per ogni θ ∈ R indichiamo con Pθ il punto di coordinate cos θ, sen θ. Poich´e per ogni θ si ha che cos2 θ + sen2 θ = 1, si ha che Pθ ∈ S 1 . D’altra parte ogni punto P ≡ (x, y) di S 1 `e di questo tipo. Definiamo una operazione · in S 1 ponendo Pθ · Pθ′ = Pθ+θ′ . (i) Provare che la struttura (S 1 ; ·) `e un gruppo abeliano e il suo elemento neutro `e il punto P0 ≡ (1, 0); (ii) provare che il sottoinsieme H costituito dai punti P2πθ con θ ∈ Q `e un sottogruppo di S 1 . 6. Sia X un insieme non vuoto e sia C(X) l’insieme delle applicazioni di X in R. Definiamo due operazioni ⊕ e ⊙ in C(X) ponendo (f ⊕ g)(x) = f (x) + g(x) ;

(f ⊙ g)(x) = f (x) · g(x)

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Un’introduzione all’algebra lineare per ogni f, g ∈ C(X)  e per ogni  x ∈ X. (i) Provare che C(X); ⊕, ⊙ `e un anello commutativo unitario;

(ii) provare che se X contiene pi` u di un elemento allora C(X) non `e un dominio di integrit`a; (iii) descrivere gli elementi invertibili di C(X); (iv) sia Y un sottoinsieme proprio non vuoto di X. Posto IY =

n

f ∈ C(X) | f (x) = 0 ∀ x ∈ Y

o

provare che IY `e un ideale (non banale) di C(X) e che tale ideale `e massimale nell’insieme I degli ideali propri di C(X) parzialmente ordinato per inclusione se e solo se Y `e un singleton. 7. Trovare il massimo comun divisore monico tra i polinomi reali f = x3 − x2 + x − 1 ;

g = x4 − x3 − x2 − x − 2 .

8. Trovare il massimo comun divisore monico tra i polinomi reali f = x4 − 1 ;

g = x3 − 6x2 + 11x − 6 .

9. Trovare il massimo comun divisore monico tra i polinomi reali f = x3 − x2 + x − 1 ;

g = x3 − 6x2 + 11x − 6 .

10. Sia f ∈ Q[x]. Provare che f `e associato ad un polinomio a coefficienti interi. 11. Determinare due polinomi in Z[x] che ammettono le stesse radici ma non sono associati. 12. Sia f ∈ Q[x] un polinomio a coefficienti interi. Ad esempio sia f = a0 + a1 x + · · · + an xn , con a0 , . . . , an ∈ Z. Provare che se u/v ∈ Q `e una radice di f , dove u, v sono interi coprimi, ovvero privi di fattori comuni non invertibili, allora u|a0 e v|an sono numeri interi. 13. Sia f ∈ Q[x] un polinomio monico a coefficienti interi. Provare che ogni sua radice (razionale) `e intera. 14. Sia f = a0 + a1 x + · · · + an xn ∈ Z[x]. Provare che ogni sua radice (intera) divide a0 .

Cap. 1 – Strutture algebriche

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15. Sia F un campo e sia I il sottoinsieme di F[x] costituito dai polinomi aventi il termine costante nullo, ovvero del tipo f = a1 x + · · · + an xn . Sia inoltre I l’insieme degli ideali propri di F[x] parzialmente ordinato per inclusione. (i) Provare che I `e un ideale di F[x]; (ii) provare che I `e massimale in I; 16. Provare che gli ideali non banali dell’anello degli interi Z sono tutti e soli quelli del tipo I = mZ, dove m `e un intero positivo.

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