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LO SCIAMANO ED IL SUO MONDO
Una selezione di autori sullo sciamanesimo a cura di Ugo Pennacino-Torino-Italy 2017.
LO SCIAMANESIMO di Beppe Fornara
Il “COSMO” nella visione sciamanica. La visione sciamanica, riscontrabile in quasi tutte le tradizioni umane più ancestrali, individua tre realtà coesistenti o “regni”: Il Regno Superiore, associato al cielo e oltre il cielo, popolato di varie entità. Il Regno di Mezzo, ove vive l ’umanità con gli altri esseri viventi. Il Regno Inferiore o sotterraneo e/o il mondo sotto l ’acqua (fiumi, laghi, mari) anche questo abitato da spiriti. Unisce queste realtà un’asse verticale definita (sia nelle culture animistiche sia più tardi anche in varie religioni) “l ’Asse del Mondo o Albero Cosmico”. Questa “visione dei Regni” è stata poi fatta propria da culture e civiltà evolutesi in seguito, quali i Celti, i Germani, i Maya (solo per citarne alcuni tra i più conosciuti), mentre in altre si è modificata. Mentre la “Realtà” è l ’intreccio tra la dimensione della veglia e quella del sogno. Circondano i tre regni, gli Spiriti delle Quattro direzioni del mondo che, nel loro eterno movimento, completano la “Realtà”. I “poteri“ dello sciamano gli permettono di “passare” da un regno all’altro e muoversi agevolmente anche nel mondo del sogno, oltre che della veglia; gli Sciamani interagiscono quindi con i tre mondi e gli spiriti che li abitano. Nell’Antropologia Culturale lo Sciamanesimo è il termine che indica l 'insieme delle credenze e il modo di vivere e di vedere il mondo delle società animiste non alfabetizzate, imperniato intorno ad una particolare figura di guaritore-saggio e alla sua attività magica - religiosa: lo sciamano. Lo sciamanesimo è la pratica spirituale più antica conosciuta dall’'uomo e si riferisce a una vasta gamma di credenze e pratiche tradizionali che comprende la capacità di diagnosticare e curare malattie, e le soluzioni a tutti i possibili problemi della comunità e del singolo, dal come procurarsi il cibo al come sbarazzarsi dei nemici. Ciò attraverso l 'asserita capacità dello sciamano di "viaggiare" in stato di trance nel mondo degli spiriti e di avere la capacità di avvalersi dei loro poteri e di utilizzare i loro consigli . È questa la principale caratteristica dello sciamano che lo contraddistingue da altre forme di guaritore. Lo sciamanesimo è un'antichissima pratica trans culturale che presenta caratteri distintivi ben precisi e comuni, all’interno di una struttura flessibile, capace cioè di adattarsi a diverse culture. Secondo svariati dizionari etimologici, la parola sciamano (per la prima volta attestata nel 1698) sarebbe entrata
nell'italiano dall’inglese shaman, questo (attraverso lingue slave e germaniche) dal tunguso šaman, a sua volta dal pali samana, derivato dal sanscrito sramana che significa "monaco". Da notare la radice indoeuropea sa legata al verbo "sapere" e mánu al termine “uomo” quindi uomo sapiente. Lo sciamanesimo è diffuso in tutti i continenti, dall’America del Nord e del Sud, all’Africa (con le sue forme animistiche molto particolari), agli Aborigeni australiani (con i loro miti e credenze del “Tempo del Sogno”), fino alle forme spirituali delle isole polinesiane e all’incredibile varietà di credenze, pratiche e riti presenti tra le popolazioni dell ‘Asia. In Europa le pratiche tradizionali sono rimaste solo tra i Sami (Lapponia), ma lo sciamanesimo sta rivivendo una sua diffusione anche nella cultura occidentale, attraverso svariate ritualità che, senza fare riferimento a una specifica tradizione, possono essere antropologicamente considerate sciamaniche. Lo sciamano è generalmente considerato come un guaritore e un mediatore tra il mondo conosciuto o realtà ordinaria e il mondo spirituale. E’ ritenuto esperto nel comunicare con gli spiriti attraverso il cambiamento del suo stato di coscienza quotidiano, entrando quindi in uno stato di coscienza alterato per 'viaggiare' nella realtà dei mondi spirituali e riportare risposte, conoscenza e guarigione per il suo paziente e/o consultante. Le pratiche sciamaniche sono caratterizzate da tratti comuni presenti in tutte le parti del mondo, è quindi un sistema flessibile, che si è adattato nel corso del tempo; le prime testimonianze sono documentate da pittogrammi e graffiti rinvenuti in varie grotte e su pareti rocciose che risalgono ad almeno 30.000 anni fa. Lo sciamanesimo ha anche lo scopo di riportare armonia ed equilibrio tra il mondo visibile, quello della realtà comunemente percepita, e i mondi spirituali invisibili. Ogni stato di conflitto, problema o malattia sperimentato nella vita della comunità o dell'individuo è causato da una disarmonia nel mondo invisibile. Lo sciamano con le sue pratiche di 'pulizia' dalle intrusioni, di recupero di determinati poteri o addirittura di parti di anima è in grado di riportare equilibrio e pace nelle persone o nel gruppo. Solo attraverso il raggiungimento dell'equilibrio con il mondo naturale e soprannaturale è possibile vivere in armonia e prosperare. La figura dello sciamano. La figura dello sciamano nasce nelle società umane naturali (impropriamente definite“primitive”) con lo scopo di risolvere problematiche di base per la sopravvivenza di qualsiasi gruppo, ovvero: salute, riproduzione e sussistenza. Secondo queste società, in ultima istanza, erano gli spiriti ultraterreni a determinare la sorte e gli
avvenimenti terreni; ogni problema poteva perciò essere risolto solo da qualcuno che avesse la capacità e i mezzi per entrare in contatto con tali spiriti, affrontando un "viaggio" ultraterreno nel loro mondo, trovandovi la soluzione ai problemi. Questo è lo sciamano, un"ponte" tra il mondo terreno e quello ultraterreno. Secondo la cultura sciamanica, non si può diventare sciamani per scelta o per semplice iniziazione, ma si deve ricevere una "chiamata" da parte degli "spiriti" e a questa chiamata non si può rispondere negativamente. Detto ciò, in alcune culture si prevedeva un qualche tipo d’iniziazione per lo sciamano. Per chi la riceve, la "chiamata" è spesso un dramma: essa ne sconvolge la vita e ne mina seriamente la stabilità e l'integrità fisico-psichica; il chiamato ne farebbe volentieri a meno. Tuttavia, il non accettare, sempre secondo la tradizione sciamanica, avrebbe conseguenze molto più gravi, che potrebbero portarlo fino alla follia e alla morte. Generalmente nello sciamanesimo classico, gli sciamani sono di sesso maschile, ma esistono anche sciamani di sesso femminile e il loro numero aumenta man mano che ci si avvicina ai gruppi sedentari, soprattutto nelle società agricole e contadine (ad esempio Uzbeki e Tagiki, ma anche gruppi etnici dell’Estremo Oriente e del Sudest asiatico). Il loro ruolo però è generalmente più marginale rispetto a quello degli sciamani maschi perché, sempre secondo la tradizione sciamanica, il "viaggio" dello sciamano di sesso maschile sarebbe di ben più ampio respiro, avrebbe un raggio d'azione molto più vasto e la sua azione sarebbe molto più potente. Le sciamane (dove esistono) sarebbero invece generalmente più "specializzate" in quelle cure che prevedono l 'uso della farmacopea naturale (erboristeria e componenti minerali). Molte caratteristiche dello sciamanesimo possono appartenere sia agli uomini sia alle donne senza riguardo per le loro differenze biologiche. Sciamani di entrambi i sessi che suonano tamburi, intonano canti rituali e compiono guarigioni, esistono in tutto il mondo, anche se in molti luoghi gli sciamani di una tribù appartengono in modo predominante o a un sesso o all’altro. I gruppi etnici Huichol del Messico, per esempio, hanno sciamani specializzati sia in guarigione sciamanica sia in arte sciamanica. Gli uomini sono per la maggior parte guaritori e ritualisti e le donne artiste. Da sempre uomini e donne Huichol operano insieme lungo i sentieri paralleli del guaritore e dell’artista e spesso mariti e mogli seguono l’apprendistato per lo stesso periodo di anni, offrendo sacrifici differenti alle diverse divinità che rappresentano la via del guaritore e quella dell’artista. Insieme, ma individualmente, lottano per raggiungere ciò che è chiamato completamento, e si aiutano a vicenda verso la meta. Tra gli Araucani del Cile, invece, gli sciamani sono solo donne, come in Corea e come una volta in buona parte della Cina, in Giappone e in India.
Secondo la maggior parte delle tradizioni sciamaniche, nel corpo della terra esistono alcuni luoghi di potere che rilasciano emanazioni percepibili e sperimentabili nel corpo. Gli osservatori occidentali si accorgono di rado che lo sciamanesimo ha a che fare con il femminino, eppure la maggior parte degli sciamani e delle sciamane, da qualsiasi parte del mondo provengano, operano nel regno del femminino. Essi pregano la Madre degli Animali o la Madre di tutte le cose, la Madre Oscura, la Nonna della Crescita, la Dea della Morte o qualche altra manifestazione del Divino femminino nel suo aspetto di potere oscuro, magico e guaritore. Geoffrey Ashe, studioso britannico di sciamanesimo, ha scritto che in origine gli sciamani erano donne e che la forma più antica della parola sciamano significa proprio donna. Egli afferma che la comunità paleolitica si frazionò in tribù diverse con dialetti diversi e fu allora che nel dialetto tungus il termine “shaman” assunse anche la connotazione maschile. Ashe collega l ’antico sciamanismo femminile alla costellazione dell’Orsa Maggiore e ad Artemide, e lo situa in epoca paleolitica. Egli afferma che nell’antichità lo sciamanismo non era un fenomeno individuale, ma veniva praticato dalle donne in gruppo. E il potere del gruppo femminile è radicato biologicamente nel ciclo mestruale e nei misteri di sangue del parto. In realtà, il periodo mestruale è davvero“tabù”, ma nel senso più antico del termine e cioè “sacro”. Per gli esseri umani esso costituisce l ’evento magico più importante del mese lunare, che corrisponde alla fase crescente e a quella calante della luna e al flusso e riflusso delle maree. Il professor Lawrence DurdinRobertson , studioso irlandese sulle tradizioni della Dea, ritiene che il primo sangue offerto sull ’altare fu sangue mestruale: il flusso libero della sciamana restituito alla Madre Terra. Ancora oggi i Lama dell’area Himalayana (Buddhismo Tantrico) si servono del potere del sangue mestruale nelle cerimonie in onore della Dea Tara e ritengono che il sangue del primo mestruo sia una componente fondamentale di tutti i preparati di guarigione per tutta la comunità. Secondo i Lama questo sangue ha vibrazioni potenti che favoriscono la benevolenza della dea come “sacrificio” che non immola nessuna vita. Lo sciamano, diversamente da quanto succede per il sacerdote o il re, non deriva da un'istituzione, ma ha base empirica, possiede facoltà innate o trasmesse e, a differenza invece dello stregone-medico, ha un comportamento di carattere estatico, in trance è ponte fra le energie spirituali e quelle terrene, un canale della volontà divina e delle forze della natura che mette a disposizione dell’umanità attraverso l 'amore e la comprensione. Durante l 'estasi s’impadronisce di lui una forza (che può essere concepita sia dinamicamente come impersonale, sia animisticamente come spirito o demone): con quest’aiuto lo sciamano influisce sulla vita dei compagni.
Il legame fra lo sciamano e il potere che lo invade è molto stretto, perde la sua personalità e diventa temporaneamente l '"altro". Sciamani dell'America settentrionale e della Groenlandia portano maschere proprio per sottolineare questo significato. Non sempre tutto questo viene sentito come un dono ma anche temuto come la morte, per la sua potenza. Alcune culture sciamaniche fanno risalire la loro origine alle donne, come “la tradizione dell’Aquila” diffusa presso varie culture del Nuovo Mondo, o la Cultura dei Mapuche, in Cile, dove le sciamane operano con una tradizione che si perde nella notte dei tempi, seguendo i cicli lunari. Gli Sciamani sono anche i detentori delle tradizioni mitologiche presso varie culture, con un ruolo fondamentale nella struttura stessa delle società di cui fanno parte. Le regole fondamentali della pratica sciamanica sono il rispetto dell’individualità e della libertà di ogni singolo individuo; divieto per lo sciamano è nuocere a sé e agli altri, mancare di rispetto alla Madre Terra e a qualsiasi espressione di vita materiale e spirituale, e ricevere compensi in denaro. Aspetto significativo della "cura" nella credenza sciamanica è che la guarigione è sia fisica sia psichica. Parte della psichiatria moderna attribuisce le eventuali guarigioni a ipnosi o auto ipnotismo o anche a ipnotismo collettivo. Gli strumenti musicali, per esempio, con il frastuono violento che spesso accompagna queste pratiche, “strappano" il guaritore e il paziente dalla loro solita esistenza, con funzione terapeutica. Diffusione. Lo sciamanesimo, originariamente legato alle culture di cacciatoriraccoglitori, appare diffuso quasi ovunque nel mondo, dall'Australia alle Americhe con caratteristiche comuni. Lo sciamanesimo è presente nel continente africano sotto diversi aspetti e forme e spesso usato a scopo di lucro ai danni della popolazione (molto povera e credente). Nelle grandi civiltà dell’antichità, come quella Cinese e Indiana, le grandi civiltà del Mediterraneo, quelle Mesoamericane e Andine è molto probabile che sia originariamente esistito, ma che poi, con l ’avvento delle religioni istituzionalizzate, sia stato da esse“incorporato” e profondamente modificato, perdendo, in buona parte, la sua originalità ed efficacia. In Africa non si utilizza solo il termine "sciamani" per identificare gli "operatori" del mondo magico, ma si usa anche la parola “stregoni” . In effetti, presso alcune culture del Continente Nero, la manifestazione spirituale presente nei rituali rende l ’uomo controllato dagli spiriti che, proprio al contrario della pratica sciamanica, vengono a “prendere possesso” dell’operatore per un certo periodo. Quindi è arduo individuare una netta differenza tra pratiche sciamaniche e possessione. Nelle tradizioni delle popolazioni Tunguse (Siberia) lo
sciamano, prima di essere tale, è un “malato”, ovvero un posseduto dagli spiriti. Nelle pratiche africane, proprio come nelle tradizioni sciamaniche, gli spiriti sono “chiamati” dalle danze, dal suono di tamburi, da canti, incensi e libagioni. Sepolture in caverne del nord dell'Iraq, a Shanidar, datate 150.000 anni fa, come altre nell’Europa preistorica, pitture rupestri e graffiti sparsi un po’ ovunque sulla Terra, recano tracce di riti sciamanici. Particolarmente radicato appare presso varie popolazioni Siberiane, dove non c'è, stata l ’influenza di culture evolutesi in seguito. Lo sciamanesimo siberiano è pertanto considerato dagli studiosi quello classico, il meno“contaminato". Sappiamo che lo Stretto di Bering, in vari periodi nel corso dell’ultima glaciazione, era l 'itinerario seguito dai cacciatori del paleolitico (Homo sapiens sapiens) per penetrare nel Continente Americano mentre dal sud-est dell'Asia raggiunsero l ’Australia. Studi genetici effettuati ci parlano di almeno due ondate di popolazioni che si trasferirono nel nuovo e nel nuovissimo continente circa 60.000 e 40.000 anni prima della nostra. Pratiche sciamaniche si ritrovano quasi ovunque: presso i Ciukci, gli Inuit, gli Yupik, i Samoiedi, i Cumani, i Tartari e i Mongoli, i Buriati, i Daigate del Borneo, in Oceania, nel Sud-Est Asiatico, in India, Tibet, Giappone e nel continente americano; si hanno anche forme più diversificate come presso gli Yoag Indiani, oppure i Berserker germanici che, inondati di sacra energia, combattevano senza accorgersi di gravi ferite loro inferte dagli avversari o addirittura gli eroi colmati dallo spirito di Jahvè nell'antico Testamento (a es. Gedeone e Saul). Riti sciamanici avevano continuato a essere praticati nel corso della storia in Cina: la loro presenza è confermata dalle fonti storiche della dinastia Han, secondo cui numerosi sciamani che abitavano il territorio cinese nel III secolo a.C. erano invitati dagli imperatori per la costruzione di altari e templi nella capitale. Nonostante l 'ostilità dei funzionari di corte essi mantennero un ruolo importante per oltre un millennio fino all'emanazione di un editto del 1023 che rimandava gli sciamani nelle loro province d 'origine, decretando l 'abbattimento dei loro altari in un'epoca in cui il pensiero della filosofia di Confucio aveva ormai permeato la struttura dello stato, lo sciamanesimo venne quindi abolito dalla corte e de-ufficializzato, continuando però a essere praticato a livello popolare fino ai giorni nostri. Gli indigeni della Nuova Guinea, sotto l'effetto di alcune sostanze psichedeliche, erano convinti di entrare in contatto con i parenti defunti: il problema che sorgeva era che un morto tornato tra i vivi cambiava il proprio carattere, così da buono sarebbe potuto divenire cattivo e viceversa; questo cambiamento era alla base dei riti funerari, tesi a prevenirlo o ad assecondarlo.
I Roro della Nuova Guinea inscenavano una strana cerimonia per richiamare al villaggio gli spiriti dei morti, considerandoli loro alleati. Esistono diverse teorie per spiegare la diffusione quasi globale dello sciamanesimo, le principali sono: 1. La “diffusionista”; ipotizza che il fenomeno, nato presso un popolo, si sia diffuso per “contaminazione” da un popolo all'altro, da un luogo all'altro. 2. La “derivazionista”; originatosi presso le prime popolazioni africane di Homo sapiens-sapiens, che si sono poi diffuse sul pianeta. 3. La “strutturalista”; ipotizza che il fenomeno sia sorto contemporaneamente in vari luoghi e presso varie popolazioni perché innato nella struttura mentale umana. Secondo l 'antropologia ufficiale, gli elementi fondamentali caratterizzanti dello sciamano, comuni a tutti i luoghi ove la credenza sciamanica si è diffusa e, pressoché identici dall'Australia alle Americhe, all'Asia, sono: 1. La chiamata sciamanica. Lo sciamano, prima di diventare sciamano, asserisce di ricevere una "chiamata" da parte degli "spiriti", ai quali non può rifiutarsi di rispondere. 2. Il viaggio sciamanico. Un "viaggio" mentale, onirico nel "mondo degli spiriti", che lo sciamano compie alla propria investitura e successivamente, con modalità differenti (a volte anche per mezzo di allucinogeni), a ogni suo intervento volto a risolvere problemi propri, della comunità o di singoli. Le fasi caratteristiche del "viaggio" sono: I. trance (stato psichico alterato che in alcuni casi viene raggiunto tramite l 'uso di allucinogeni e che permane per tutta la durata del "viaggio"), II. metamorfosi, lo sciamano si trasforma (durante il viaggio, quindi in sogno) nell'animale che lo protegge e da cui deriva il proprio potere per apprendere le risposte di cui necessita da varie tipologie di entità spirituali. III. combattimento (può avere, durante il viaggio, combattimenti contro gli spiriti e altri sciamani) e spesso questa fase non è presente. IV ritorno (lo sciamano "rientra" dal "viaggio" con la soluzione al problema). 3. L’ argirismo, è il divieto per lo sciamano di ricevere compensi in denaro pena la perdita del potere sciamanico.
Animali di Potere e Maestri Spirituali. In accordo con molte tradizioni sciamaniche nel mondo, lo sciamano opera nel campo dell'invisibile sempre in compagnia di alleati spirituali, che in genere si manifestano in forma di animale, in genere selvatico, oppure in forma umana, in genere uomini o donne illuminati del lontano passato. Gli sciamani secondo la direzione che esplorano, incontrano diversi tipi di spiriti. Se si muovo nella direzione del basso, Regni Inferiori o nella parte spirituale del Regno di Mezzo, in genere incontrano Animali di Potere, se invece si muovono verso l 'alto, nei Mondi Superiori , incontrano guide spirituali in forma di Maestri. In tutti i regni, gli sciamani incontrano solo spiriti benevoli, compassionevoli, che hanno saggezza e portano guarigione. I nostri compagni animali o maestri superiori esibiscono modelli di comportamento che vogliono trasmettere messaggi di guarigione e insegnamenti. Quando s’incontra uno spirito animale o umano, il suo potere può ricondurre a una armonia che, per qualche motivo, si è incrinata. Il consultante chiede allo sciamano un aiuto e lo sciamano, viaggiando nei Regni spirituali, ritorna con un messaggio che permette di riportare equilibrio al consultante. Sovente è lo sciamano stesso che comunica con queste entità spirituali per continuare nella sua strada di perfezionamento. Sia gli animali sia gli spiriti benevoli di umani Illuminati sono entità che conducono alla saggezza e alla comprensione del singolo nel Grande Mistero della Vita e nell’onorare ogni vivente come una possibile fonte d ’insegnamento. La Chiamata Sciamanica. Carlos Castaneda diceva spesso ai suoi apprendisti:'lo Spirito arriva se voi lo cercate!' Qui sta il senso della differenza tra le chiamate sciamaniche tradizionali e quelle moderne. I popoli con tradizioni sciamaniche vivono in continuo contatto con la realtà spirituale, avvalendosi degli sciamani (a loro volta coadiuvati da Guide Spirituali), per questo motivo a loro non è richiesta alcuna formazione. Gli uomini e le donne nascono e crescono insieme al mondo invisibile. La nostra società occidentale moderna invece ci ha fatto crescere negando la presenza degli spiriti, ignorando i loro poteri e denigrando, nella migliore delle ipotesi, coloro che si ritengono in contatto diretto con questi esseri invisibili. Per noi quindi raramente gli esseri spirituali ci raggiungono di loro spontanea volontà, il più delle volte non siamo educati a percepire la loro esistenza e la loro presenza. Per questo motivo l 'iniziazione sciamanica nella nostra cultura può avvenire in diversi modi. Naturalmente per coloro che hanno già una connessione con il mondo spirituale, la chiamata avviene molto spesso nei sogni, ricevendo la visita di animali o entità che fungono da aiutanti o da
protettori nel mondo dei sogni, oppure con visioni a occhi aperti, oppure attraverso ostacoli e impedimenti da superare. La maggior parte di noi invece ignora completamente queste possibilità, e l 'iniziazione diventa un percorso di scoperta di se stessi e delle proprie capacità extrasensoriali. Ciò che la nostra cultura non ci ha fornito, dobbiamo acquisirlo in altro modo, attraverso letture di libri, condivisione di esperienze altrui, e certamente anche esperienze dirette di ricerca della visione sciamanica. Il percorso sciamanico diventa quindi un percorso di vita, in cui le esperienze dirette con i mondi spirituali diventano passione, sorpresa, meraviglia, scopo di vita. Questo può avvenire soltanto in modo progressivo, graduale, facendo diverse esperienze, lavorando con altre persone in cerchio, condividendo e confrontando le proprie scoperte e abilità con altri. Secondo gli sciamani la malattia mentale simboleggia la “nascita di un guaritore”, spiega Malidoma Patrice Somé. I disturbi mentali sono emergenze spirituali, crisi spirituali e devono essere presi in considerazione come tali per aiutare il guaritore a “nascere”. Ciò che nella cultura Occidentale viene visto come malattia, il popolo Dagara lo considera una “buona notizia dall’altro mondo”. La persona che sta attraversando la crisi è stata scelta per comunicare un messaggio alla comunità dal regno dello spirito. “Disturbi mentali e disturbi comportamentali di ogni tipo sono tutti segni che due energie incompatibili si sono fuse nello stesso campo,” dice il Dott. Somé. Questi disturbi si verificano quando la persona non viene assistita nel rapportarsi con la presenza dell’energia del regno dello spirito. Una delle cose che il Dott. Somé notò quando arrivò negli Stati Uniti nel 1980 per i suoi studi universitari, fu il modo in cui l ’Occidente tratta la malattia mentale. Quando un suo collega fu ricoverato in un istituto mentale a causa di “depressione nervosa” il Dott. Somé decise di andare a fargli visita. Non sapeva però che questa visita sarebbe stata per lui una fonte di riflessione. “Ero così scioccato. Quella fu la prima volta che mi sono ritrovato faccia a faccia con ciò che viene fatto qui alle persone che presentano gli stessi sintomi che ho visto nel mio villaggio”. Ciò che colpì il Dott. Somé fu che l ’attenzione ai sintomi era basata sulla patologia, sull’idea che quella condizione era qualcosa che doveva essere fermata. Questa visione era in completa opposizione con il modo in cui la sua cultura considera questa situazione. Mentre si guardava intorno nel reparto osservando i pazienti, alcuni in camicie di forza, altri tenuti in celle perché sotto farmaci, altri che urlavano, fece questa considerazione: “Così è questo il modo in cui i guaritori che stanno tentando di nascere vengono trattati in questa cultura. Che peccato! Che peccato che una
persona finalmente allineata con la potenza dall’altro mondo venga così sprecata”. Noi occidentali non siamo educati ad affrontare e riconoscere l ’esistenza di fenomeni psichici, di un mondo spirituale. In effetti le abilità psichiche sono quasi denigrate. Quando le energie del mondo spirituale emergono in una psiche occidentale, l ’individuo è completamente incapace di integrarle o anche soltanto di riconoscere cosa sta accadendo. Il risultato è tremendo: senza il giusto contesto e assistenza nei rapporti con un altro livello di realtà la persona è considerata folle. Il dosaggio pesante di farmaci anti psicotici aggrava poi il problema e impedisce l ’integrazione delle due energie che potrebbe portare allo sviluppo ulteriore dell’anima e alla crescita dell’individuo che ha ricevuto queste energie. Nel reparto di salute mentale il Dott. Somé vide molti esseri in giro fra i pazienti, “entità” che sono invisibili alla maggior parte delle persone ma che gli sciamani e sensitivi sono in grado di vedere. “Sono loro la causa della crisi in queste persone”, affermo’. Gli sembrò che questi esseri stessero cercando di eliminare i farmaci e i loro effetti dai corpi delle persone con cui stavano cercando di fondersi, aumentando così il dolore dei pazienti. “Gli esseri agivano quasi come una sorta di escavatore nel campo energetico delle persone. Le persone cui stavano facendo tutto ciò urlavano e basta”. Non poteva più stare in quell’ambiente e dovette andar via. Nella tradizione Dagara la comunità aiuta la persona a conciliare le energie di entrambi i mondi. La persona così è in grado di essere un ponte tra i mondi e aiutare gli altri con le informazioni e le guarigioni di cui hanno bisogno. La crisi spirituale si conclude con la nascita di un nuovo guaritore. Gli esseri spirituali che stavano aumentando la sofferenza dei pazienti in ospedale cercavano, in realtà, di entrare in intima comunicazione con loro al fine di trasmettere dei messaggi dall’altro mondo. Le persone con cui avevano scelto di unirsi non ricevevano assistenza per imparare a essere un ponte tra i mondi e i tentativi di unione degli esseri fallivano. Il risultato è stato il mantenimento del disordine iniziale dell’energia e l ’aborto della nascita di un guaritore. “La cultura occidentale ha sempre ignorato la nascita di un guaritore”, afferma il dottor Somé. “Di conseguenza, ci sarà una tendenza dall’altro mondo a continuare a provare con quante più persone possibile, nel tentativo di attirare l’’attenzione di qualcuno”. Gli spiriti sono attratti da persone i cui sensi non sono stati anestetizzati. “La sensibilità è praticamente letta come un invito a entrare”, osserva. Coloro che sviluppano i cosiddetti disturbi mentali sono più sensibili ed ecco perché le entità del mondo dello spirito li scelgono e nella cultura occidentale sono considerati semplicemente ipersensibili. Le culture indigene non la vedono in questo modo e di conseguenza le persone effettivamente sensibili non si
sentono troppo sensibili e sanno semplicemente che il loro compito è fare da ponte tra i due mondi. Come trattano gli sciamani quella che in Occidente è chiamata Schizofrenia? La schizofrenia è caratterizzata da una speciale “ricettività a un flusso d ’immagini e informazioni che non possono essere controllate”, ha detto il dottor Somé. “Quando questa condizione si verifica in un momento che non viene scelto personalmente, e in particolare quando si tratta d ’immagini che fanno paura e non coerenti, la persona va in delirio”. In questa situazione è necessario prima separare l ’energia della persona dalle energie estranee, utilizzando la pratica sciamanica (nota come “sweep”), per cancellarne la seconda aura. Con la pulizia del campo energetico la persona non viene investita da una marea d’ informazioni e non ha più ragione di essere spaventata e turbata, spiega il dottor Somé. Dopodiché è possibile aiutarla ad allinearsi con l ’energia dello spirito che sta cercando di venire dall’altro mondo, passandole attraverso, questa “fase” può creare grosse difficoltà con conseguenti problemi fisici e mentali. “L’energia del guaritore è un’energia ad alta tensione”, osserva. “Quando è bloccata, brucia la persona. E ‘come un corto circuito. Questo è il motivo per cui può essere davvero spaventoso e capisco perché questa cultura preferisce confinare queste persone”. Ancora una volta, l ’approccio sciamanico è quello di lavorare sull’allineamento delle energie, se non c’è un blocco la persona può diventare il guaritore che è destinato a essere. Bisogna sottolineare però che non tutti gli esseri spirituali che entrano nel campo energetico di una persona sono lì per promuovere la nascita di un guaritore. Ci sono anche energie negative pure, presenze indesiderate nell’aura. In questi casi l ’approccio sciamanico è quello di rimuoverli piuttosto che lavorare per allineare le energie discordanti. Alex: Pazzo negli Stati Uniti, Guaritore in Africa. Per testare la sua convinzione che la visione sciamanica della malattia mentale vale anche per il mondo occidentale, così come nelle culture indigene, il Dottor Somé portò con sé un malato mentale al suo ritorno nel suo villaggio in Africa. “Sono stato spinto dalla mia curiosità di scoprire se c’è verità nell’idea che la malattia mentale sia collegata alla “congiunzione” con un essere spirituale proveniente da un’altra dimensione” . Alex era un diciottenne, aveva avuto un crollo psicotico
all’età di quattordici anni. Manifestava stati di allucinazione, tendenze suicide e aveva attraversato cicli di depressione gravi. Era in un ospedale psichiatrico, sotto farmaci, ma non stava guarendo. “I genitori avevano fatto di tutto, senza successo”. “Non sapevano cos’altro fare”. Con il loro permesso, il Dott. Somé portò Alex con sé in Africa. “Dopo otto mesi, Alex era diventato abbastanza normale. E’ stato in grado di coadiuvare i guaritori nei processi di guarigione di altre persone; stava seduto con loro tutto il giorno e li aiutava, li assisteva in quello che stavano facendo con i loro pazienti... Ha trascorso circa quattro anni nel mio villaggio”. Alex era rimasto per scelta, non perché avesse bisogno di essere guarito. Si sentiva “molto più sicuro in Africa che in America”. Per allineare la sua energia con quella dell’essere spirituale, Alex ha attraversato un rituale sciamanico leggermente diverso da quello utilizzato con le persone della cultura Dagara. “Il risultato è stato simile, anche se il rito non era letteralmente lo stesso”, spiega il Dott. Somé. Il fatto che allineare l ’energia abbia funzionato per guarire Alex ha dimostrato al Dott. Somé che la connessione tra mondo spirituale e malattia mentale è davvero universale. Dopo il rituale, Alex ha iniziato a condividere i messaggi che lo spirito aveva per questo mondo. L’intera esperienza l ’ha portato ad andare al college per studiare psicologia. Ha deciso di tornare negli Stati Uniti dopo quattro anni perché “ha scoperto che tutte le cose che doveva fare erano state fatte e avrebbe quindi potuto andare avanti con la sua nuova vita”. L’ultima volta che il Dott. Somé ha sentito Alex, il ragazzo stava frequentando la scuola di specializzazione in psicologia ad Harvard. Nessuno pensava che sarebbe mai stato in grado di completare gli studi universitari. Un approccio sacro rituale alla malattia mentale. Uno dei doni che uno sciamano può portare al mondo occidentale è quello di aiutare le persone a riscoprire i rituali e i processi di guarigione. “L’abbandono dei rituali può essere devastante. Dal punto di vista spirituale, il rituale è inevitabile e necessario se si vuole vivere” ha scritto il Dott. Somè nel suo saggio“Ritual: Power, Healing and Community”. “Dire che il rituale è necessario nel mondo industrializzato è un eufemismo. Abbiamo visto con la mia gente che è probabilmente impossibile vivere una vita sana senza di esso”. Il Dott. Somè ha capito che i rituali usati nel suo villaggio non potevano essere semplicemente trasferiti in Occidente, così durante i suoi anni di lavoro sciamanico ha progettato rituali che soddisfano le esigenze molto diverse di questa cultura. Una di queste esigenze è ad esempio che le persone capiscano che il loro disagio proviene dal fatto che sono “chiamati da esseri provenienti da un altro mondo a collaborare nel lavoro di guarigione”.
Il rituale permette loro di uscire dal disagio e accettare questa chiamata. Un’altra necessità riguarda l ’iniziazione. Nelle culture indigene di tutto il mondo, i giovani sono iniziati alla vita adulta quando raggiungono una certa età. La mancanza di tale iniziazione in Occidente è parte della crisi che gli individui vivono. Un altro rito che va molto bene per le persone che chiedono il suo aiuto è fare un falò e metterci dentro elementi che simboleggiano le questioni che stanno creando problemi. “Potrebbe essere rabbia e frustrazione nei confronti di un antenato che ha lasciato un’eredità di omicidio e riduzione in schiavitù o qualsiasi altra cosa negativa: energie nefaste con cui il consultante deve convivere “, spiega lo sciamano. “Se queste cose vengono viste come ciò che sta bloccando la persona, allora ha senso cominciare a pensare in termini di come trasformare quel blocco in una strada che porti a qualcosa di più creativo e appagante”. Si può credere o no in un mondo degli spiriti o nel fatto che siamo fatti di energie, ma ciò che è davvero interessante di questo articolo è il punto di vista alternativo che offre. Siamo abituati a pensare al disturbo mentale come a una malattia da guarire, qualcosa che non funziona più nella persona e deve essere aggiustata con trattamenti, farmaci, ricoveri. Questo sciamano invece ci offre tanti spunti su cui riflettere soprattutto in una società come quella occidentale, nella quale si tende a dare molto credito a ciò che dice la scienza a discapito di una visione più spirituale ed energetica. Lungi da me affermare che la scienza stia sbagliando o non sia utile, semplicemente ritengo che adottare un punto di vista completamente materialistico sia riduttivo in un campo vasto e per molti versi ancora sconosciuto come il benessere mentale e fisico (tra loro strettamente interconnessi). Dal mio punto di vista che si parli di sciamani, guaritori, psicologi, medici, bisogna tener presente sempre il fine ultimo di una professione di guarigione: aiutare la persona a ritrovare il benessere e la serenità, due componenti che sono la base su cui costruire la vita. Bibliografia. Centro Studi per lo Sciamanesimo The Foundation For Shamanic Studies-California. SCIAMANI – I Maestri dell’Umanità – Graham Hancock – Ed. TEA RAZZE E POPOLI DELLA TERRA -Renato Biasutti – Ed. UTET .
LO SCIAMANESIMO: IL PUNTO DI VISTA PSICOANTROPOLOGICO di Autore Sconosciuto. Premessa: prima di entrare nel vivo della dissertazione sulle caratteristiche psicologiche o psicopatologiche dello sciamano è necessario comprendere il motivo della presenza degli sciamani.
Agli albori della vita dell’uomo sulla terra, la natura doveva apparire come qualcosa di minaccioso, spaventoso e incontrollabile. Questo portò gli uomini a sentirsi in uno stato d ’inferiorità nei suoi confronti. Il credere agli spiriti aveva allora il valore di tentare di dare un significato e di comprendere il mondo circostante. Le pratiche sciamaniche, dunque, permisero ai nostri antenati di mantenere il loro equilibrio spirituale nella difficile lotta con la Natura. Ora veniamo all’assunto principale: lo sciamano è sano di mente? In questo capitolo, ci soffermeremo a considerare tale domanda in una duplice prospettiva: la prima da un punto di vista occidentale (la cui valutazione degli aspetti di salute mentale attinge a un linguaggio medico-psichiatrico), la seconda dal punto di vista della cultura della tribù dove gli sciamani sono inseriti, quindi, più in generale del loro valore nel loro sistema culturale . 1) L’inizio delle osservazioni sulle manifestazioni degli sciamani risale al diciannovesimo secolo. In questo periodo le loro caratteristiche diagnostiche salienti come esclamazioni e movimenti incoerenti, bava alla bocca, sguardo vacuo e totale perdita di conoscenza, meritavano una spiegazione ovvia e semplice: gli sciamani sono abili e smaliziati ciarlatani, che simulano la possessione da parte di " demoni" per approfittare della credulità della tribù. L’opinione si modifica agli inizi del 1900. I "servitori degli spiriti" divennero persone dalla mente instabile: neuropatici. Mentre quest'idea era ancora inespressa in V. M. Mikhailovskii (1892), nel 1905 N. N. Kharuzin proponeva «di riconoscere che i veri sciamani [...] sono soprattutto persone neuropatiche, nelle quali le deviazioni nervose si sono sviluppate in una particolare direzione». V. B. Bogoraz sosteneva che, tra gli sciamani a lui noti, «molti erano in pratica isterici e alcuni erano letteralmente mezzi matti»; per dichiarare poi nel 1910 che «lo sciamanesimo è una forma di religione creata da una selezione delle persone mentalmente più instabili». G. V. Ksenofontov pubblicò nel 1929 “The Cult of Madness in Ural-Altaic Shamanism”. D. K. Zelenin scrisse nel 1928 che un individuo sano non sarebbe neanche potuto diventare uno sciamano; solo un neuropatico, che «gli spiriti continuamente invadono», poteva infatti curare chi soffriva di "possessione spiritica" senza rischi per la propria incolumità. Afferma Zelenin: «Lo sciamano [...] è un neuropatico, costretto dal clan ad assumere una peculiare funzione medica: assorbire personalmente i demoni della malattia dai sofferenti della comunità». Teorie simili prevalevano anche tra gli studiosi dell'Europa occidentale. Troviamo comunque in S. A. Tokarev la concezione più chiara e concisa dello sciamano come neuropatico: «Tutti gli osservatori unanimemente
riportano che il "servitore degli spiriti è soprattutto un individuo nervoso, isterico, soggetto ad attacchi, occasionalmente un epilettico [...] La stessa seduta sciamanica ha molte similitudini con un attacco d’isteria». Il carattere ereditario dello sciamanesimo portò, in parecchie popolazioni, alla credenza che le speciali qualità mentali tipiche dello sciamano si trasmettessero dai genitori ai figli. A. V Anokhin scrisse nel 1924 che tali individui «ricevono la predisposizione alla vocazione sciamanica solamente dai loro antenati, attraverso un disturbo nervoso: l 'epilessia. L. Shternberg dà questa interpretazione: «Per diventare sciamano, è essenziale avere una particolare organizzazione neurale morbosa, una tendenza a stati di estasi, suscettibilità a diversi tipi di allucinazioni e così via; in una parola, bisogna soffrire d’isteria e l 'isteria, come sappiamo, è facilmente trasmissibile per via ereditaria». Secondo questi studiosi, dunque, gli sciamani erano persone dalla mente aberrata, e tale ipotesi, mai del tutto provata, si affermò trionfalmente passando da un'opera all'altra. Come avviene spesso nell'ambito scientifico, infatti, un’opinione consolidata non è più messa in discussione; così anche il rinomato neuropatologo S. N. Davidenkov, nel 1947, parlava dello sciamanesimo come di un «culto dell'isteria», «una nevrosi organizzata, che assume una forma stabile e definitiva». Un gran numero di autori ha affermato che la seduta sciamanica ricorda un attacco isterico. S. N. Davidenkov scrive: «Il fatto che certe caratteristiche della seduta sciamanica siano perfettamente coincidenti con l 'isteria è evidente per qualunque neuropatologo». Egli si riferisce a quei momenti in cui lo sciamano si contorce come un epilettico o perde conoscenza. Gli attacchi, tuttavia, non disturberebbero il procedere dei complicati rituali della seduta? Si rispose anche a quest’obiezione: lo sciamano sarebbe in possesso di «un enorme potere di autocontrollo negli intervalli tra i vari attacchi che lo colpiscono durante le cerimonie» (Czaplicka, 1914). È necessario che vi sia quest’aspetto di possibilità che sia essa reale o simulata, di "attacchi" o "svenimenti" durante la cerimonia; essi ne sono una parte indispensabile, logicamente connessa con i suoi scopi e con la sua sostanza. Nel rituale, il linguaggio del movimento del corpo acquista un suo valore e un suo significato peculiare, ed è ciò che si deve fare; ad esempio se lo sciamano trema dalla testa ai piedi, oppure ha uno scatto d'ira o salta in piedi e grida, significa che gli spiriti sono entrati in lui o che sta lottando con demoni ostili; se giace incosciente, significa che la sua anima ha lasciato il corpo e vaga in altri mondi. Perciò, durante la seduta, così come durante tutta la sua esistenza, caratterizzata da una sintomatologia definibile col nome di “malattia sciamanica”, egli si comporta come richiesto dalle credenze della sua gente.
Gli svenimenti e gli attacchi rituali dello sciamano hanno un’origine comune con la malattia sciamanica. Si tratta di uno schema comportamentale che fa riferimento al proprio ruolo di mediatore con gli spiriti; una volta intrapreso un cliché lo vivrà fino in fondo, senz’altro deviarne. (Balzer 1998). La visione dello sciamano come individuo mentalmente disturbato regnò nell'ambito scientifico per quasi mezzo secolo, e anche se studiosi come S. M. Shirokogorov (1919), I. N. Kosokov (1930) e I. M. Suslov (1931) non la accettarono, le loro lezioni furono per lo più ignorate. In Occidente, uno dei primi a rifiutare questa tesi fu N. Chadwick nel 1936, ma le sue critiche non portarono comunque alla crisi di tale teoria. Solo negli ultimi trenta o quarant'anni si è verificata una vera e propria svolta interpretativa: l 'assunto secondo il quale la mente dello sciamano sarebbe caratterizzata da deviazioni rispetto alla norma non viene infatti più considerato soddisfacente da molti studiosi. Ciononostante, l 'idea dello sciamano come individuo disturbato dal punto di vista psicologico non è stata del tutto abbandonata. 2) Vediamo ora gli stessi sintomi, o meglio le stesse caratteristiche, dello sciamano in modo più allargato, cioè cerchiamo di dare un significato più analitico alle sue azioni, anche con gli occhi del clan o della tribù, dove lo sciamano vive. La visione sciamanica come primissima forma di contatto con il sacro e al tempo stesso di cura e guarigione, a proposito della definizione e della sua concezione di salute, si allontana dalla nostra classica visione occidentale. La salute è un fatto globale, è una condizione di benessere, uno stare bene nel corpo e nello spirito, è un giusto equilibrio tra le forze della natura e le forze dello spirito. Lo spirito deve quindi armonizzarsi con il corpo, con il mondo circostante, con la natura, con gli altri e con gli spiriti del mondo. Una visione che ricorda la concezione olistica della natura psicosomatica dell’uomo e quella della cultura neoplatonica rinascimentale con la sua visione dell’anima mundi, dell’anima del mondo. Il grande storico delle religioni Mircea Eliade rilevò che il ruolo e la funzione dello sciamano sono innanzitutto quelli di essere coinvolto nelle «tecniche dell’estasi». Lo sciamano va in estasi o trance e attua una comunione e un contatto diretto con gli spiriti coinvolti nella malattia o nel danno dell’individuo oppure della stessa comunità. Egli ha la capacità in questo sistema sociale, religioso e simbolicamente riconosciuto, di comunicare con la morte, con i demoni, con gli spiriti della natura senza esserne catturato o sopraffatto. Significativo è che lo spirito dello sciamano possa lasciare il proprio corpo e vagare intenzionalmente nei «mondi altri» dove egli cerca l ’anima
perduta del malato, restituendola. Ma lo sciamano è soprattutto in grado di curare la più terribile forma di malattia primitiva: la perdita dell’anima. La guarigione sciamanica nella sua forma fondamentale è quel processo in cui può avvenire la restituzione dell’integrità psichica e fisica, sia restituendo l ’anima, eliminando cioè il male o uno spirito maligno o comunque estraneo dal corpo del malato, sia rimuovendo oggetti all ’interno del corpo o bloccando e inibendo malefici, oppure ancora risolvendo una colpa per aver infranto un qualche tipo di tabù. Tutte queste procedure sono orientate al bilanciamento e al ripristino dell’armonia dell’anima del soggetto e del suo rapporto funzionale con il mondo. La cura sciamanica, vista da Lévi-Strauss quale esatto equivalente di quella psicanalitica, mira a riportare alla coscienza conflitti e resistenze rimasti fino allora inconsci, facendoli rivivere nel paziente, mediante una precisa manipolazione psicologica (L. Strauss 1958). I gesti e le formule pronunciate dallo sciamano che Mauss chiama rispettivamente riti manuali e riti orali(M. Mauss 1950), garantiscono l ’efficacia simbolica dell’azione terapeutica. Quest’efficacia è storicamente e culturalmente condizionata, in quanto si basa sulla condivisione da parte del guaritore, del paziente e del pubblico di una medesima tradizione collettiva e di una comune rappresentazione del mondo. La terapia sciamanica si differenzia da quelle analoghe operate da maghi, stregoni e medicinemen, per il fatto che lo sciamano opera in uno stato di trance. Egli può guarire il malato solo compiendo un viaggio estatico poiché le cause degli eventi non sono da individuare sulla terra ma nel mondo degli spiriti. Lo sciamano si distingue perciò dagli altri specialisti del sacro per le sue eccezionali doti estatiche. L’estasi e la trance sciamanica, che implicano la capacità da parte dello sciamano di distaccare l ’ anima dal corpo, sono intrinsecamente connesse al motivo dello sdoppiamento. L’anima o le anime dello sciamano, così come gli spiriti adiutori, rappresentano dei doppi, delle proiezioni esterne di sé che costituiscono una sorta di alter-ego dello sciamano stesso. La trance si configura come uno stato dissociativo che rispecchia la disgregazione del mondo, il caos ove lo sciamano è chiamato a intervenire al fine di ristabilire l ’ordine cosmico e garantire così la sopravvivenza della comunità. L’azione simbolica sciamanica si gioca tutta allora in quell’intervallo entro il quale il rischio della definitiva distruzione e quella della nuova creazione appaiono di poco separabili (U. Galimberti 1994). Apriamo ora una parentesi sugli aspetti psicologici del rituale sciamanico, cioè quel percorso interiore che lo sciamano stesso compie per arrivare allo stato di estasi, che è in sé sia lo stato più concentrato che quello più dissociato e più terapeutico.
Dato che proprio lo stato di estasi è il punto nevralgico sia della specificità sia delle possibilità maieutiche dello sciamano. Lo stato d 'animo durante la preparazione alla seduta. «Se lo sciamano desidera praticare e sta aspettando la giusta opportunità, tutto è per lui più facile; ma se ciò gli è richiesto ed è forzato a praticare, gli è più difficile, poiché si deve porre in una condizione in cui desideri praticare». L'esperienza accumulata da molte generazioni di sciamani ha portato a procedimenti che velocizzano il raggiungimento dell'estasi. Secondo le testimonianze fornite dalla letteratura, i "servitori degli spiriti" di certe popolazioni facevano uso di sostanze stupefacenti e allucinogene per facilitare l ’ingrasso nello stato dissociativo. L’autoipnosi. L'idea che l 'estasi sia un tipo di autoipnosi fu avanzata già agli inizi del secolo (N. N. Kharuzin nel 1898, L. Shternberg nel 1912, S. M. Shirokogorov nel 1919). L’autoipnosi è “uno stato di coscienza modificato, ottenuto attraverso un lungo, serio, costante, impegnativo e motivato allenamento a rivolgere la mente dall ’esterno all’interno” (A. Brugnoli 2000). Tutto ciò che sappiamo riguardo all’ estasi sciamanica, è coerente con quest'ultima definizione: una volta che l 'estasi è stata raggiunta, attraverso l ’autoipnosi, lo sciamano è in grado di impiegare quelle capacità dell'organismo umano che non sono esibite in stati normali. Un esempio lampante è la dimostrazione d ’incredibile forza fisica durante lo stato di estasi: «In quei casi lo sciamano è in grado di mostrare un'energia totalmente incoerente con il proprio profilo fisico; deboli sciamane hanno tanta forza quanta svariati uomini adulti e non possono essere trattenute; se necessario, donne o uomini anziani divengono agili e giovanili», come riportato da Shirokogorov. Lo stato di estasi rende possibili alterazioni nel funzionamento degli organi di senso che sono strabilianti per chi le osservi: l 'organismo può non reagire a stimoli molto forti e non sperimentare sensazioni presenti invece nello stato normale. Se lo sciamano infatti è convinto di essere posseduto da uno spirito che non sente dolore, è in grado di sopportare coltellate, tagli e colpi di ogni genere senza soffrire. D'altro canto, sembra anche che durante l 'estasi gli organi sensoriali aumentino straordinariamente le loro capacità. Conviene essere molto cauti sull 'argomento, poiché l ’osservatore può essere tratto in inganno e le sue impressioni non possono essere verificate; ma non possiamo semplicemente ignorare i molti resoconti che
suggeriscono come le percezioni dei sensi dello sciamano in stato d 'estasi si acuiscano straordinariamente. L’Estasi. È la condizione mentale che lo sciamano raggiunge attraverso la concentrazione e la meditazione e che temporaneamente lo pone in una condizione dissociativa rispetto la realtà, ma che gli dà la possibilità di entrare in contatto col mondo delle sue visioni; la quantità di tempo richiesta per raggiungere questo stato dipende dalle sue personali capacità. L'estasi è uno dei tratti peculiari dell'attività sciamanica e lo distingue dalle altre categorie di sacerdoti, come già è stato sottolineato in numerose occasioni. Perciò S. A.Tokarev osservava che «l 'utilizzo di metodi di relazione estatica con il mondo soprannaturale è la più tipica caratteristica dello sciamanesimo». Per lo stesso motivo, M. Eliade dette al suo libro Shamanism il sottotitolo Archaic Techniques of Ecstasy. Secondo Shirokogorov, quando lo sciamano cade in estasi «la sua mente, la sua lingua e il suo corpo sono rapiti dagli spiriti e lui si abbandona totalmente all'immagine dello spirito; i suoi desideri e le sue sofferenze s’impadroniscono di lui». La forza delle visioni e il senso di realtà delle allucinazioni possono essere così grandi che lo sciamano correrebbe addirittura il rischio di morire durante la seduta, se il pericoloso viaggio verso il mondo ultraterreno gli facesse incontrare un potente nemico che, secondo la credenza popolare, ne potrebbe catturare l 'anima e ucciderlo; ma più spesso, a quanto sembra, gli sciamani non si estraniano del tutto e sono consci del fatto che le persone, sedute con loro nella tenda stanno seguendo da vicino, ogni loro movimento. A lato dell’importanza della condizione nello sciamanesimo, rimane sempre il discorso sulla possibilità del suo controllo; N. Chadwick, riguardo a quest’aspetto scrive: «Questa condizione strana, esaltata e squisitamente mentale, non solo è raggiunta consciamente, ma può anche essere controllata del tutto, consciamente e con successo, in conformità alle prescrizioni della tradizione». Ciò implica che l 'estasi sia sostanzialmente una situazione programmata in anticipo consciamente, che il “servitore degli spiriti” raggiunge attraverso l 'autosuggestione. La comunità che assiste lo sciamano, conferendogli consenso collettivo, svolge la principale funzione di contenere la potenza del sovrannaturale, limitando il rischio del suo pericoloso viaggio nelle lontane regioni dell’incodificabile alla ricerca del codificabile. Il male assume i caratteri di un evento sociale, dove la malattia non è individualizzata e autonomizzata, come accade nella nostra civiltà occidentale, ma si ripercuote sull ’intera comunità, mettendone in grave pericolo la vita. Il delirio e le sofferenze del malato non sono vissuti nella
più completa solitudine e nel doloroso isolamento di quest’ultimo dalla società, ma trovano sfogo ed espressione proprio entro la comunità stessa, ove sono inseriti e contestualizzati. Lo sciamano e il gruppo, mediante la profonda condivisione di rappresentazioni mitiche e linguaggi simbolici, contestualizzano il delirio del malato, ricodificandolo e riportandolo entro nuovi orizzonti di senso. Lo sciamano può essere inteso come un “malato” che è riuscito a guarirsi, che ha imparato cioè a controllare i propri stati di dissociazione, senza però eliminarli. Le crisi iniziatiche del futuro sciamano si manifestano nelle più svariate forme: fuga, visioni, allucinazioni, amnesie, catalessi, insensibilità, sonnambulismo, deliri, attacchi di panico. Fenomeni che furono, come abbiamo visto precedentemente, interpretati dal punto di vista patologico come isteria artica (Shirokorov), personalità multipla, schizofrenia, crisi nervose di tipo psicotico. Ora, in questa prospettiva, tali eventi non sono vissuti dallo sciamano come disturbo psichico ma, al contrario, come risorsa ed autentica esperienza del numinoso che afferra la psiche e trasforma il soggetto. Conclusioni. La furia dello sciamano durante la "malattia sciamanica" e gli attacchi durante la seduta non vanno considerati come sintomi di qualche male ereditario. La "bizzarria" del suo comportamento durante il rituale o nella vita di tutti i giorni dipende dalla natura del suo ruolo, che vive con tutto se stesso, e che comunque non tutti gli sciamani sono in grado di svolgere fino in fondo. Alcuni di essi infatti compiono solo parzialmente i loro compiti, altri si accollano questo incarico, ma desiderano, con l 'avanzare dell'età, di «liberarsi dagli spiriti» e affidare tale onere a persone più giovani; altri ancora portano il loro fardello fino all'ultimo giorno di vita. È importante riconoscere che i "servitori degli spiriti" vivono un'esistenza interiore intensissima. «Il talento dello sciamano non è un dono, ma un fardello». Non tutti, infatti, sono in grado di sopportare lo stress, perché ciò richiede una notevole forza psichica. Ecco il motivo per cui alcuni sciamani muoiono durante la seduta, persuasi di essere stati sconfitti dagli spiriti maligni. Lo sciamano può anche convincersi che questi ultimi, irati per la sua disobbedienza o per qualche altra mancanza, richiedano la sua morte o una punizione attraverso la malattia. BIBLIOGRAFIA italiana. M.M. Balzer. I mondi degli sciamani. Claudio Gallone Editore, Milano. 1998 A. Brugnoli. Stati di coscienza modificati, un approccio multidimensionale. Istituto Italiano di Ipnosi Clinica e Psicoterapia “H. Bernheim”. 2000. E. De Martino. Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo. Torino. 1973, p. 95.
M. Eliade. Le chamanisme et les techniques archaïques de l’extase, Paris, 1951 (trad. it. Lo sciamanesimo e le tecniche dell’estasi, Roma-Milano. 1951, p. 171). U. Galimberti. La terra senza il male: Jung dall’inconscio al simbolo. Milano. 1994, p.58. R. Hamayon. Dall’iniziazione solitaria all’investitura ritualizzata: il caso dello sciamano dei Buriati, in J.Ries (a cura di), I riti d’iniziazione, Milano. 1989, pp. 105-135. C. Lévi-Strauss. Anthropologie structurale, Paris, 1958 (trad.it. Antropologia strutturale, Milano. 1980. pp. 210-229). M. Mauss. Sociologie et anthropologie, Paris, 1950 (trad.it. Teoria generale della magia e altri saggi. Torino. 1965, pp. 48-58). T. Nathan, I. Stengers. Medici e stregoni. Boringhieri Bollati. Torino. 1998. E. Nonveiller. Tra sciamanismo e psicoanalisi. www.psychomedia.it Stepanova. L’invocatrice degli dei. Storie di vita di una S.buriata. Xenia Ed. Milano. 1998.
SCIAMANISMO E MEDIANITA’ COME FUNZIONI ARCHETIPALI DEL SE’ di Paolo Minerva Michael Harner è un antropologo americano che ha studiato il fenomeno dello sciamanismo tra le popolazioni tribali ed è considerato la massima autorità in questo settore. I suoi studi non si sono limitati ad osservare e studiare le pratiche sciamaniche di alcune popolazioni indigene dell’America meridionale, ma si sono spinti a fondare una vera e propria scuola di sciamanismo aperta alla cultura occidentale, individuando dunque in questa pratica una forma di trasversalità culturale, trasferibile ad altri semplicemente attraverso un’adeguata e specifica formazione. La ricerca antropologica di Harner ci aiuta a comprendere che lo sciamanismo non è un sistema culturale di credenze, e tanto meno una forma di religione o un sistema di fede, bensì un metodo di contatto con altri livelli di realtà che convive con i sistemi religiosi e culturali; è a essi complementare e può esistere in comunità cosiddette evolute dal punto di vista del progresso scientifico. Attraverso il suo progetto formativo, Harner ha dimostrato come lo sciamanismo possa essere appreso da tutti come qualsiasi altro metodo, e dunque non è strettamente legato a facoltà eccezionali di tipo medianico, ma semplicemente a una componente naturale e comune, presente in ogni essere umano, che può essere attivata, o esaltata là dove già si esprime. Questa lettura antropologica, e dunque per certi aspetti scientifici, è fondamentale per sostenere la tesi che la medianità, vale a dire la capacità di mettersi in contatto con entità e mondi differenti da quelli che conosciamo, per quanto apparentemente sorprendente, affascinante o anche solo foriera di pregiudizi, è insita nella natura umana, non ha niente di temibile o pregiudiziale e, come tutte le pratiche, va solo valutata per la serietà con la quale è affrontata. Questa prima evidenza antropologica sulla “normalità” dello sciamanismo e della medianità non è ancora sufficiente per superare il pregiudizio che il
mondo scientifico pone intorno all’esistenza effettiva di questi mondi che per convenzione e brevità definiremo “paralleli”. Attingiamo allora a evidenze collaterali dallo stesso mondo scientifico soffermandoci sull’idea, per il momento generica, di “Campo energetico”, o “Campo vibrazionale”. Possiamo definire come “Campo” uno spazio in cui agiscono determinate forze, definito e delimitato dalla caratteristica delle forze che incidono in quello spazio, forze che possono avere evidenze scientifiche, psicologiche, o di altra natura, là dove quando sono di “altra natura” sono motivo di pregiudizio o di scetticismo. È semplice convenire, per esempio, sull’esistenza di un“Campo relazionale”, psicologicamente inteso, come quello spazio d’interazione che si crea tra due o più persone; campo d’interazione in cui si declinano dinamiche diversificate che tutti possiamo riconoscere. Non rimaniamo scandalizzati o scettici quando gli psicologi definiscono un campo relazionale per descrivere o spiegare quello che avviene tra le persone; e il limite della comprensione dei campi relazionali sta solo nella complessità con la quale ci sono presentati, non nel dubbio della loro esistenza, nell’inaccettabilità del paradigma che li definisce. Non tutti possono descrivere correttamente cosa sia, per esempio, un campo elettromagnetico, ma lo abbiamo sentito nominare talmente spesso che lo abbiamo inserito nella categoria delle cose esistenti e indiscutibili. Eppure già il Campo Elettromagnetico, rappresenta una struttura scientifica e determinata piuttosto “magica” sia per l ’apparente assenza di un’evidenza sensoriale, sia per la varietà di effetti che può provocare. I Campi Elettromagnetici sono presenti ovunque nella nostra vita e sono determinati sia da eventi e fenomeni naturali che da eventi e fenomeni artificiali, e tutti determinano effetti circa evidenti o riconosciuti sulla nostra salute, ma anche sul nostro stato fisiologico in generale, compreso l ’umore, pur non essendo visibile a occhio nudo nessuno degli elementi che incidono in questo campo: le cosiddette onde elettromagnetiche. Rimanendo nell’ambito della fisica pura e incontestabile, un altro genere di Campo che va ancora oltre l ’invisibilità del Campo Elettromagnetico è il Campo Quantico. Di Campi Quantici ormai non ne parla solo la Fisica (quantistica), ma anche la medicina, la letteratura, i terapeuti, i maestri spirituali. Di cosa si tratta e come la sua comprensione ci aiuta nel nostro scopo? Ci aiutiamo con le parole semplici del fisico Fred Alan Wolf, divulgatore scientifico e scienziato aperto a molte discipline, quindi in grado di fare connessioni credibili con altre discipline che non siano la fisica: “La parola “quanto” si riferisce ad una intera quantità di qualcosa; dunque un quanto di mele potrebbe essere una mela ed un quanto di energia potrebbe essere una quantità intera di energia. […] “
Quando la fisica quantistica fu pienamente formulata, divenne chiaro che la ragione per la quale la natura aveva creato tutte le cose discontinue, riguardava più l 'osservazione della natura stessa che non una sua oggettiva qualità intrinseca. Quindi, la coscienza iniziò ad assumere un ruolo. Tuttavia, quale sia questo ruolo e come lo svolga, è ancora fonte di dibattito scientifico. Ciò che apparve chiaro era che doveva esserci una realtà soggiacente a quella oggettiva di ogni giorno e che questa rimaneva nascosta alla vista. Tale tipo di realtà era accessibile ai fisici tramite i rapporti matematici ma continuava a essere non osservabile, sebbene avesse conseguenze osservabili. L’espressione campo quantico significa il campo invisibile di questa realtà. Con Universo quantico s’intende la comprensione corrente della realtà, incluso questo campo invisibile, e le fluttuazioni quantistiche significano l 'effetto di tale campo sulle cose che osserviamo.” In estrema sintesi, pur non volendo essere il presente articolo esaustivo delle ragioni scientifiche della “normalità” dei fenomeni medianici, con la fisica quantistica si presuppone scientificamente l ’esistenza di mondi nascosti all’osservazione e alla percezione umana, così per come noi conosciamo le capacità umane e il carattere sensoriale della conoscenza. Possiamo spingerci oltre, pur rimanendo nel campo scientifico, inoltrandoci questa volta nella ricerca di un biologo inglese: Rupert Sheldrake, che ha sviluppato la teoria dei Campi Morfici. In estrema sintesi questa teoria afferma che ogni struttura organizzata di attività del pensiero compresi i sogni, le esperienze cosiddette mistiche e gli stati modificati di coscienza, hanno una loro struttura energetica che si organizza in Campi detti “Morfici” che non spariscono, ma restano disponibili e possono spostarsi da una persona a un’altra grazie a quella che da Sheldrake è definita “Risonanza Morfica”. Secondo Sheldrake l ’esistenza dei Campi Morfici avrebbe come conseguenza che se un certo numero di persone che arrivi, a formare una massa critica sviluppa, ed esprime alcune capacità comportamentali o psicologiche, queste possono essere acquisite dai membri della stessa specie che ancora non le possiedono, solo ed esclusivamente attraverso la risonanza che si crea nel Campo Morfico generato dall’attivazione di quelle capacità. È evidente che si apre un mondo di possibilità immaginative verosimili (o inverosimili?) in cui è possibile ipotizzare l ’esistenza di Campi Morfici colmi d ’informazioni, notizie, capacità; sicuramente: dati, che in qualche modo qualcuno riesce a raggiungere (per suo talento o per “esercizio sciamanico”) più di altri, ma che, in realtà, esistono e sono a disposizione di tutti. Mentre la scienza, passo dopo passo, pregiudizio dopo pregiudizio, scetticismo dopo scetticismo, arriva a comprendere, a dimostrare e convincersi dell’esistenza di una“medianità scientifica”, in altre discipline,
in altri apporci culturali, in altre esperienze, il mondo dello sciamanismo e della medianità, continua a svilupparsi e a evolvervi, non senza contraddizioni, dovute, però, soprattutto, alla malafede e al malaffare che in molte situazioni certamente inquinano la trasparenza, la volontà, la mistica e l ’etica della ricerca e delle esperienze. Nell’idea che ci piace portare avanti di una sostenibilità della dimensione sciamanica/ medianica, nella civiltà contemporanea, possiamo ridefinire questa dimensione come un archetipo del Sé, una parte di quel modello col quale possiamo raffigurare e rappresentare il Sé nella sua complessità olistica. Se intersechiamo l ’esperienza personale con quella filogenetica, crediamo che le funzioni del Sé siano sempre le stesse e possono essere riassunte e “semplificate” attraverso una struttura di sette rappresentazioni archetipiche che abbiamo chiamato Archetipi Guida. L’archetipo è una rappresentazione immaginifica, icastica, ed evocativa che siamo in grado di riconoscere intuitivamente. Possiamo dunque immaginare che fin dall’inizio della civiltà dell’uomo le esigenze, le necessità, la stessa coscienza si sia lentamente evoluta intorno a sette principali e fondamentali funzioni che rappresentano ognuna una parte del Sé, con cui ancora oggi, come all’inizio, abbiamo a che fare. Nell’evoluzione della specie, così come, nel picco dell’evoluzione e della crescita individuale, dalla nascita alla morte, facciamo e abbiamo sempre fatto i conti con queste funzioni fondamentali sulle quali spesso abbiamo costruito sovrastrutture. Possiamo raffigurare queste parti fondamentali ognuna come un archetipo antropomorfo, perché ci rapportiamo con loro esattamente come se ci rapportassimo con figure indipendenti, portatrici di bisogni, di esigenze, di competenze, e tutti insieme gli Archetipi Guida contribuiscono allo sviluppo dell’intero sistema. Lo Sciamano è uno di questi Archetipi Guida, vive in noi ed è in continuo lavorio per rapportarsi con gli altri archetipi cercando accordi, compromessi, armonie e talvolta conflitti. Ecco che allora i nostri conflitti, o le armonie, possono essere lette, interpretate, gestite, come conflitti e armonie tra archetipi che semplicemente si occupano di cose diverse, così come possiamo facilmente riconoscere le diverse esigenze che riconosciamo in noi stessi. Lo Sciamano è portatore della nostra atavica propensione a connetterci con spazi, linguaggi, mondi che oggi definiamo “altri” o Campi Morfici o di altro tipo non ancora scoperti, sono dimensioni che semplicemente si collocano al di la della sensibilità percettiva conosciuta; fanno parte di una realtà più vasta, con la quale siamo connessi, nonostante le nostre resistenze.
Gli Archetipi Guida non agiscono in sequenza o in gerarchia, ma lavorano come una tribù essenziale, nella quale c’è tutto quello che occorre per evolversi. Ritrovarsi nella semplicità e nella completezza di una tribù interiore, completa di tutti i suoi membri, può servire a fare chiarezze, a trovare soluzioni, ma soprattutto a trovare senso e continuità dell’essere. Dunque c’è un senso legato alla dimensione della sopravvivenza, coniugata oggi anche con il valore del denaro, o della proprietà privata, o con l ’istinto di sopravvivenza necessario biologicamente alla continuazione della specie. L’archetipo che a questo si dedica, lo possiamo raffigurare come Il Cacciatore, quel Cacciatore che fin dai tempi della preistoria si dedica alla ricerca del cibo, alla protezione dal freddo, alla sessualità, ai bisogni vitali ed essenziali, o vissuti tali. Salute, malattia, sensorialità, sentimenti. Abbiamo chiamato Amante l ’archetipo che si occupa di questo e che, insieme al Cacciatore, forma la coppia basilare, delegata ai bisogni soggettivi, mentre già con il terzo archetipo, il Guerriero, si comincia a profilare l ’insieme delle cosiddette funzioni gregarie. Il Guerriero gestisce e difende il sapere, la conoscenza, l ’abilità e la competenza, che oggi si declina socialmente prima attraverso la scuola e dopo attraverso il lavoro in tutte le sue espressioni. Il Saggio è l ’archetipo che riesce a distillare il sistema dei valori, quelli che nelle circostanze estreme aiutano a decidere, a risolvere un conflitto, a determinare la giustizia di una scelta, la gerarchia necessaria a decidere. Il sistema di pensiero, l ’attitudine e lo stile del proporsi agli altri, di avere un sistema di credenze è gestito dall’archetipo del Capo Tribù, colui al quale ci rivolgiamo per sapere qual è l ’orientamento del sistema, chi fa la legge, intesa come sistema di credenze, consuetudine, cultura dominante, e colui al quale facciamo riferimento per proporre nel gruppo il nostro pensiero, chi gestisce la forza di questo pensiero e l ’attitudine alla leadership. La funzione identitaria l ’abbiamo voluta intendere come la capacità, l ’attitudine a essere adeguati, a rappresentarsi in maniera coerente nelle diverse situazioni, ognuna delle quali richiede un copione diverso ed è per questo che abbiamo raffigurato quest’archetipo come un Attore, non nella sua dimensione del “far finta”, quanto nella sua capacità pirandelliana di interpretare la varietà dei ruoli, tutti veri anche se, a volte, molto diversi tra loro. La flessibilità di giocare con le proprie identità, di avere più maschere a disposizione è una forza, una risorsa di equilibrio e di adattabilità positiva. Attraverso la loro interazione, i sette Archetipi Guida ci guidano verso la conoscenza di sé e del proprio sviluppo e ognuno di noi può lavorare con
essi per conoscerli, semplicemente chiamandoli per nome, evocando così i loro territori di competenza, e cercando di comprendere quali sono le loro esigenze, così come faremmo con qualcuno esterno a noi, in un gioco di specchi che ci riflette e che ha come scopo semplicemente la ricerca della consapevolezza.
GLI ARCHETIPI DELL'INCONSCIO COLLETTIVO di Autore Sconosciuto. Jung, allievo e contemporaneo di S. Freud, parte dall’'assunto che la vita psichica consti di un lato cosiddetto conscio e di un lato cosiddetto inconscio. La psicoanalisi freudiana e la psicologia analitica junghiana si differenziano da ogni altra psicologia per la priorità che esse riconoscono all’'inconscio quale fattore determinante la vita psichica. Mentre Freud si terrà sempre saldo alla descrizione dell ’inconscio unicamente come inconscio personale, Jung individua "sotto", per così dire, lo strato inconscio più superficiale che in sé contempla il patrimonio di esperienze e acquisizioni personali del soggetto lungo la sua storia, e i "complessi a tonalità affettiva", uno strato più profondo e arcaico che egli chiama inconscio collettivo, strato questo che apparterrebbe a tutta la specie umana, indipendentemente da razze, latitudini, luoghi; esso sarebbe patrimonio comune e custodirebbe in sé appunto gli archetipi. Mentre Freud legge nel processo psichico una dinamica conservativa, Jung riconosce in esso anche un lato progettuale. Egli attinge, per descrivere la vita psichica, al modello energetico che mutua in parte dalle scienze della fisica, modello secondo il quale la psiche è un generatore autonomo di energia in virtù del dialogo interno tra due poli opposti: la coscienza e l ’inconscio. Jung considera l ’inconscio, un sistema vivo. Egli non opera concettualmente in base alla "topica" freudiana che divide nettamente la coscienza dall'inconscio, perché si trova maggiormente attratto e convinto dalla definizione dei due lati psichici come presenze perennemente dialoganti, dialogo da cui scaturisce la trasformazione dell ’energia (il tono affettivo, quale quid energetico, che si trasforma in valutazione, la quale si trasforma a sua volta in sentimento) che i due poli garantiscono giocando alternativamente e reciprocamente i ruoli di soggetto e oggetto. Da ciò si deduce che può esserci una coscienza inconscia (oggetto) e un inconscio cosciente (soggetto) in una fluidità che da W. James, sappiamo già, fu definito campo trans marginale.
La psiche come mediazione tra i due modi di descrivere l’essere: lo spirito e la materia in Jung, come la tradizione filosofica e letteraria, vedono nella psiche il punto d’incontro tra spirito e materia. Secondo tale modello la psiche è come una terra di mezzo tra spirito e materia; nella sua parte superiore troviamo il pensiero, in quella inferiore troviamo gli istinti. Istinti e Archetipi dell’intuizione. Jung approda al concetto di archetipo partendo dalla riflessione sulla natura degli istinti e su come loro siano gestiti ed elaborati dall'inconscio. Egli non sa dare, come nessuno del resto, una definizione esaustiva degli istinti. Certo, essi sono coercizione all'azione e alla reazione di là dalla finalità. L'istinto in azione è un processo non coscientemente finalizzato. Nell'inconscio esso si auto percepisce in forma d’intuizione che esplode nella coscienza. L'intuizione implica la percezione di tutte le possibilità insite in una situazione, in altre parole essa implica il risveglio del simbolo polivalente; essa non è né pensiero, né sensazione, né sentimento. Percezione istintuale e gesto istintuale . L'archetipo non è qualcosa d 'altro dall'istinto; esso rappresenta l 'altra faccia della medaglia o del "foglio". Intuizione e istinto sono due concetti analoghi e rovesciati: l 'intuizione è detta da Jung anche percezione istintuale (ossia il contenimento di quell'energia che, altrimenti, sarebbe agita nel gesto istintuale). Con il termine percezione istintuale Jung intende la situazione che costringe il soggetto a percepirla e ad attivare in sé l 'universo di possibilità pertinenti tra le quali cercare risposta. E' detta "istintuale" per il carattere dell'obbligatorietà cui è soggetta, e "percezione" in quanto, come energia contenuta, è appunto percepita, in forma d’intuizione, dalla coscienza. La stessa energia (libido) pertanto può esprimersi in un gesto coatto, a coscienziale, "istintuale"; oppure può essere incanalata e compresa in un'istanza percepibile dalla coscienza, esprimendosi come "percezione istintuale". La percezione istintuale è la prima auto rappresentazione dell 'istinto. L'istinto è, dunque, il manifestarsi immediato dell’Essere, cui corrisponde una possibilità di contenimento della stessa immediatezza.
Riepilogo. La percezione istintuale, è l 'esplosione nell'inconscio, in forma d ’intuizione, dell'energia istintuale trattenuta. L'energia (la libido) è sempre la stessa; essa però può prendere la via della conservazione di comportamenti collaudati (e così si esprime nel gesto istintuale), oppure può essere trattenuta e diventare così percezione istintuale (rendendosi energia disponibile per nuova conoscenza). Istinti e archetipi dell 'intuizione formano l 'inconscio collettivo. A ogni istinto corrisponderebbe un archetipo. L'archetipo è una forma vuota. E' un insieme di possibilità rispetto a una situazione tipica della vita. Il soggetto, sia pure inconsciamente, ricorre sempre all'archetipo per comprendere e quindi creare nuova conoscenza rispetto alle situazioni tipiche dell'esistenza. Esso (l 'archetipo come percezione istintuale) è il responsabile del mondo della creatività in contrapposizione al mondo dell’obbligatorietà e della conservazione (regno del gesto istintuale). Data la natura dinamica della psiche, possiamo ipotizzare che ciò che è istinto oggi, possa essere stato archetipo per una specie precedente o forse, addirittura, per un ciclo evolutivo anteriore. All'interno del ciclo evolutivo cui noi apparteniamo e nelle potenzialità che ci appartengono da quando ci diciamo Uomo, noi siamo dotati di determinati istinti e di determinati archetipi. Chissà, forse stiamo oggi preparando nuovi istinti per i prossimi uomini. L'inconscio è un sistema vivo nella memoria dei toni affettivi e delle risposte collaudate per essi: i "primitivi" non vivevano direttamente l 'evento pericoloso ma elaboravano nei miti, nei riti magico - religiosi il tono affettivo che l 'evento pericoloso suscitava in loro. Ci fu un tempo in cui l 'uomo non sapeva differenziare se stesso dal mondo, né, dunque, sapeva distinguere l 'oggetto esterno dalla sua proiezione. L'inconscio è ancora oggi pronto a reagire, col suo patrimonio millenario, per vie invisibili attraverso l 'attivazione degli archetipi che, come abbiamo visto, costituiscono le forme di manifestazione creativa degli istinti. Jung porta come esempio per dire il passaggio da uno stato di "conservazione" a uno stato di maggiore coscienza, i riti di fertilità della tribù Wachandi: gli uomini del villaggio, dopo aver allontanato le donne, e dopo aver scavato nella terra una buca a forma di vagina, danzano con le loro spade erette (che simboleggiano il fallo) e poi le gettano nella buca. Il naturale fatto biologico della procreazione è collegato col fatto culturale della semina e della coltivazione.
L'atto puramente pulsionale del congiungimento di maschio e femmina sul piano biologico - corporeo (il gesto istintuale) si trasforma, mediante il simbolo, incanalando quella stessa energia erotica verso nuove forme di vita, di conoscenza, di "spazi mentali". Premesse psichiche all'attivazione dell 'archetipo: a) Fragilità della coscienza "infelice". Quanto più il soggetto è cosciente (e quindi, in virtù di un lavoro introspettivo, ha assottigliato la barra divisoria tra la sua individualità cosciente e l 'inconscio collettivo) tanto più gli verranno incontro gli archetipi che gli parleranno attraverso sogni, intuizioni, visioni, ecc., affinché tramite essi egli prosegua e completi la dinamica fondamentale e rarissima dell'individuazione. Con questo termine Jung intende indicare il processo attraverso cui avviene la sufficiente integrazione dell'inconscio alla coscienza; integrazione grazie alla quale l 'individuo diviene quel preciso, unico e indivisibile soggetto che già in potenza egli è. b) Fragilità della coscienza "incosciente". Quanto meno il soggetto è cosciente, tanto più seguirà la coscienza collettiva zittendo l 'inconscio e togliendo importanza pratica all'Io. Egli saprà restare ancorato solo al mondo concreto e agli automatismi, consumando la vita nella frammentazione e nell' astoricità dell'esperienza. Anche in questo caso, di minima coscienza e di "elementarità" psichica fino alla coscienza "primitiva", "psicotica", possiamo assistere a un'intensa manifestazione archetipica. S'intende qui per automatismo psicologico un comportamento cosciente su cui l 'Io potrebbe produrre modifiche ma che è sottratto al suo potere da una sorta di dominante funzione istintuale. L'energia archetipica. La condizione sufficientemente "evoluta" della coscienza non garantisce quest'ultima dall'ambivalenza archetipica. L'archetipo è energia distruttrice e creatrice al tempo stesso: distruttrice perché sottrae il soggetto alla percezione ordinaria dell'esistenza e di se stesso; perché esso archetipo induce possessione e non è riconoscibile nel suo agire se non a posteriori; creatrice e risanatrice perché, attraverso la sua capacità di indurre stati coscienziali "distorti", pare mettersi in moto al fine di equilibrare un preesistente atteggiamento unilaterale, "ingiusto" e "patologico" della coscienza. Si potrebbe dire che esso agisce terapeuticamente attraverso il paradosso: una sorta di caricatura del "funzionamento ordinario" della coscienza. V'è dunque un senso certamente anche nella distruttività dell‘archetipo; essa va a ridimensionare, tramite esperienza estremamente frustrante e dolorosa, un malsano atteggiamento coscienziale (l 'unilateralità già accennata).
Le rappresentazioni archetipiche. L'archetipo in quanto tale è irrappresentabile. Nei sogni e nelle fantasie si trovano le rappresentazioni archetipiche che costituiscono gli effetti dell'archetipo. E' la stessa situazione che in fisica si presenta con l 'atomo e le particelle subatomiche: non si mostrano in sé e per sé. I loro effetti, le loro "tracce", sì. Accade cioè che materia e spirito siano entrambi irrappresentabili e che solo la psiche e i suoi contenuti lo siano. Siamo immersi nella psiche e tutto ciò che del mondo e di noi sappiamo, necessariamente lo sappiamo attraverso il filtro della psiche. Se poi si pensa a come le nevrosi (conflitti inconsci segnati dall'unilateralità dell'atteggiamento cosciente) possano essere fenomeni sociali, ciò induce a pensare che vi sia corrispondenza di attivazione archetipica e nell'individuo e nel sociale, corrispondenza che può segnare un'epoca secondo il tipo di archetipo costellato (attivato) e dell'atteggiamento verso di esso. Può essere verso maggiore conoscenza e libertà (com’è stato per esempio il "mitico '68" e il suo bisogno utopico e archetipico insieme di "redenzione"); può essere verso una restaurazione nostalgica e di schiavitù spirituale crescente: la restaurazione dell’Impero" nel periodo fascista o, per certi aspetti, gli stessi nostri anni attuali. Nel singolo individuo l 'attivazione archetipica può essere una strada che deve essere percorsa per preservarsi dagli abusi della coscienza collettiva, che tende ulteriormente a unilateralizzare la coscienza individuale. Tra i fondamentali archetipi Jung cita: quello dell'Ombra, quello dell'Anima, quello del Vecchio Saggio. Possiamo anticipare che essi sono le personificazioni delle tappe fondamentali lungo il processo d ’individuazione e ciascuno cela dietro di sé i successivi. Se le trasformazioni e relative dinamiche sono simbolicamente personificate, il processo della trasformazione, in quanto tale, è rappresentato da situazioni, luoghi, modi e mezzi tipici ("archetipi della trasformazione") che simboleggiano la specie di trasformazione di cui si tratta. Caratteristica di questi, come di tutti i simboli, personificazioni e no, è la loro plurivocità, polivalenza, paradossalità (come lo spirito degli alchimisti che è giovane e vecchio insieme), e "la loro pienezza di riferimenti che rende impossibile ogni univoca formulazione." Il processo simbolico prosegue Jung, può essere rappresentato dalle immagini alchemiche, come pure dal sistema tantrico dei "chakra" ecc. ed è "un'esperienza nell'immagine e dell'immagine".
Il suo svolgimento presenta una struttura enantiodromica, ovvero "un ritmo negativo e positivo, di perdita e di guadagno, di luce e di tenebra". L'inizio del percorso è caratterizzato da una situazione impossibile. Suo scopo è un'illuminazione o un più elevato grado di coscienza per mezzo del quale il punto di partenza è superato su un piano più alto. In termini di tempo il processo può presentarsi condensato in un sogno, in un breve istante di esperienza o mesi o anni secondo il punto di partenza e dello scopo che dev'essere raggiunto. L'Ombra è la prima raffigurazione archetipica che si incontra lungo il cammino della via interiore: come in uno specchio ci è rimandata la nostra immagine interiore. Additando il limite personale l 'Ombra si fa lanterna verso figure sempre più numinose. Il primo momento dell'incontro con l 'Anima è generalmente segnato dal suo lato elfico irrazionale ove saggezza e follia sono una cosa sola. Pare necessaria una totale resa perché nuovi e più profondi livelli di significato possano emergere. L'archetipo del significato altro non è che quello del Vecchio Saggio: nel mito e nel folkore impersona lo Spirito. Anch'esso ha natura dicotomica. Può mostrare il lato superiore o quello inferiore di se stesso. I Principali Archetipi dell’Inconscio collettivo indicati da Jung: L’Ombra, l ’Anima e il Vecchio saggio. L'inconscio ha a disposizione molti più dati della piccola e giovane coscienza ed esso riesce quindi ad avere una visione più globale e integrata che gli permette di suggerire soluzioni sensate. Introduciamo il discorso ricordando gli ultimi concetti fondamentali riportati precedentemente. Tra i fondamentali archetipi Jung cita: quello dell'Ombra, quello dell'Anima, quello del Vecchio Saggio. Essi sono le personificazioni di tappe fondamentali lungo il processo d ’individuazione e ciascuno cela dietro di sé i successivi. Se le trasformazioni e le relative dinamiche sono simbolicamente personificate, il processo, in quanto tale, della trasformazione è rappresentato da situazioni, luoghi, modi e mezzi tipici ("archetipi della trasformazione") che simboleggiano la specie di trasformazione di cui si tratta. Caratteristica di questi, come di tutti i simboli, personificazioni e no, è la loro plurivocità, polivalenza, paradossalità (come lo spirito degli alchimisti che è giovane e vecchio insieme), nonché "la loro pienezza di riferimenti che rende impossibile ogni univoca formulazione." Il processo simbolico
prosegue Jung, può essere rappresentato dalle immagini alchemiche, come pure dal sistema tantrico dei "chakra" e da altre ancora, ed è "un'esperienza nell'immagine e dell'immagine". Il suo svolgimento presenta una struttura enantiodromica, ovvero "un ritmo negativo e positivo, di perdita e di guadagno, di luce e di tenebra". L'inizio del percorso è caratterizzato da una situazione impossibile. Suo scopo è un'illuminazione o più elevato grado di coscienza per mezzo della quale il punto di partenza è superato su un piano più alto. In termini di tempo il processo può presentarsi condensato in un sogno, in un breve istante di esperienza o mesi o anni a seconda del punto di partenza e dello scopo che dev'essere raggiunto. L'archetipo dell’Ombra. Secondo Jung l 'Ombra è la prima raffigurazione archetipica che si incontra lungo il cammino della via interiore: come in uno specchio ci è rimandata la nostra immagine interiore avanti cui nessun trucco d 'identificazione totale con la nostra 'Persona' regge. Persona sta qui per identità di copertura in cui si è quel che gli altri vogliono che noi si sia e quel che noi amiamo pensare di essere. Persona è la maschera dell'attore. L'atto riflessivo su noi stessi, accompagnato dall'ausilio dell'inconscio stimolato, ci restituisce anche ciò che di noi non amiamo vedere. L'Ombra è quindi la figura negativa portatrice dei nostri limiti. Incontrarla, un po' ridicola e un po' minacciosa, significa accettarla e, accettandola, permetterle di offrire quanto di prezioso racchiude in se stessa: non scordiamo che ogni simbolo è ambivalente e che ogni negativo è ponte verso un positivo e viceversa in un costante gioco dialettico. Additando il limite l 'Ombra si fa lanterna verso figure sempre più numinose e accade così che, attraverso di lei (figura con cui è bene ricordare, si con vivrà tutta la vita stante l 'infinita imperfezione e l 'infinita perfettibilità dell'uomo), si faccia avanti l 'archetipo dell'Anima. Sogni d’incontro con l'Ombra possono essere i seguenti: "La sognatrice entra in un palazzo dai grandi saloni. Nascosta assiste al turpe lavoro che là dentro, ad opera di una megera, si va compiendo: giovani donne sono pietrificate e quella di turno, come tutte le altre, lascia fare limitandosi a chiedere che non le sia fatto sentir dolore." ” La sognatrice vede uscire tanti macellai dai loro negozi ciascuno dei quali porta in braccio la propria donna ingessata dalla cintola in giù. Si sa che le loro gambe sono sanissime!" "Il sognatore su di una grossa moto vede sul marciapiede un collega che
lui sa essere il migliore nel loro settore in città. S'accorge in quel momento, in cui è roso dall’invidia, d 'avere un pene lunghissimo, e sottilissimo ravvolto a fune, che gli ostacola la guida." "Il sognatore scorrazza spensierato e frivolo nel deserto a bordo di un carretto trainato da un cane. Si ritrova a casa dei suoi genitori dove un sacerdote dice che nel deserto è giusto andarci solo per trovare Dio." L'archetipo dell'Anima. L'archetipo dell'Anima non rimanda a nessun concetto religioso di stampo dogmatico. Essa rimanda a quanto di più vivo, spontaneo, aprioristico c'è nella psiche, nei suoi umori, reazioni, impulsi. "E' qualcosa che vive di per sé, che ci fa vivere; una vita dietro la coscienza, alla quale non può essere completamente integrata e dalla quale, piuttosto emerge." L'immagine dell'Anima, sostiene Jung, è proiettata dagli uomini sulle donne (mentre in queste ultime è l 'immagine corrispondente, l 'Animus, a essere proiettata sugli uomini). L'Anima permette l 'accesso al mondo del trascendente, del metafisico e degli dei. "Tutto quel che l 'Anima tocca diventa numinoso, cioè assoluto, pericoloso, soggetto a tabù, magico (...) In quanto vuole la vita, l 'Anima vuole il bene e il male (...) crede nel bello e nel buono (...) E' occorsa una lunga differenziazione cristiana per chiarire che il bene non è sempre bello e che il bello non sia sempre buono (...) L'Anima è conservatrice e si attiene in modo esasperante all'umanità antica. Perciò appare spesso e volentieri in veste storica, dimostrando predilezione per la Grecia e l 'Egitto". Il confronto con l 'Anima richiede molto più coraggio che il confronto con l 'Ombra proprio perché qui si entra nel terreno proibito degli dei: si entra cioè in quei fatti psichici che fino ad ora furono, e ancora spesso sono, proiettati all'esterno. Per il figlio è la madre personale il luogo della proiezione dell'Anima quale patrimonio di risorse spirituali e morali. Per l 'uomo antico era la dea o la strega. Per l 'uomo medioevale l 'Anima era proiettata nella Regina del cielo e nella Madre Chiesa. Il primo momento dell'incontro con l 'Anima è generalmente segnato dal suo lato elfico irrazionale ove saggezza e follia sono una cosa sola. Essa sospinge la nostra vita in un'ondata di caos ove tutti i nostri riferimenti, i nostri parametri crollano, ove la sconfitta del nostro Io è totale. Pare necessaria una totale resa perché nuovi e più profondi livelli di significato, tramite appunto "l 'archetipo del significato" (in figura di
giovane-vecchio) emergano dietro l 'archetipo dell'Anima (che di solito si presenta in figura giovanile) e del suo gioco apparentemente crudele. Sogni di "mortificatio" e di resa totale possono essere considerati i seguenti: "Il sognatore è chiamato militare e finisce nella parte più brutta della caserma. È collocato in una camera vicino ai gabinetti. Cattivo odore e squallore. Qualcuno lo invita a ribellarsi ma egli non accoglie il suggerimento. Sa che "ci deve passare" e che in ogni caso la sua identità è altrove." "La sognatrice viaggia a bordo della sua macchina con in testa una precisa meta. Giunge a un cimitero." "La sognatrice va in montagna per sciare ma è scalza. Ha fame ma non le viene dato da mangiare né nel ristorante di lusso né al piccolo chiosco." Sogni dell'Anima (Animus) folle possono essere considerati i seguenti: "Il sognatore è a spasso in una pausa di lavoro con i colleghi. Discutono su una inquietante vicenda che sconvolge gli abitanti della zona: una strana creatura ammazza e divora le persone che incontra. Mentre passeggiano viene loro incontro una giovane donna che spiega loro il suo dramma: è affetta da strana malattia che le fa fare cose di cui poi non serba alcuna memoria. Comprendono che è lei il mostro. La donna sente sopraggiungere una delle sue crisi e chiede loro aiuto: se non la lasceranno sola, se non avranno paura di lei, potrà guarire e così accade. Il sognatore avverte per tutto il tempo una profonda vicinanza con la donna malata." "La sognatrice vede un suo caro amico furoreggiare a bordo della moto. Egli è fuori di sé. Vorrebbe aiutarlo e cerca di salire a bordo con lui. Uno gnomo però la toglie di peso e occupa il suo posto: seguirà lui il "folle". Dopo acrobatiche evoluzioni la moto scontra un altro mezzo e i due vengono scaraventati via. La sognatrice sa che l 'amico è stato catapultato davanti ad una chiesa. A quel punto ella sente che entrambi sono una cosa sola e che potrà rimettersi in contatto con la sua guida spirituale." E' evidente che in questo sogno il Vecchio Saggio, lo spirito, è rappresentato dallo gnomo, mentre l 'Animus impazzito, "negativo", è rappresentato dall'amico. Sogno dell'Animus "assennato": "La sognatrice è con un ragazzo biondo dagli occhi azzurri. Ella non lo tollera perché lo sente assolutamente critico nei suoi confronti." Sogno dell 'Anima "assennata": "Il sognatore vede giungere verso la tribù onirica cui appartiene un gruppo di donne dotate di un'arma potentissima: è l 'arma del pensiero tramite cui possono spostare e lanciare oggetti. Esse sono per definizione il Nemico. Neanche l 'evocazione degli spiriti protettori ha potere su di loro.
Le donne però si svelano generose e violente a un tempo: esse lasciano sì andare il sognatore ma costringendolo a fare i conti con l 'umiltà e con l 'umiliazione. L'archetipo del Vecchio Saggio. L'archetipo del significato altro non è che quello del Vecchio Saggio: nel mito e nel folclore impersona lo Spirito. Anch'esso ha natura dicotomica. Può mostrare il lato superiore o quello inferiore di se stesso. Superiore è quello che si fa, con spirito giovanneo, annunciatore del Sé, o anche più semplicemente, è quello che porta a un arricchimento di fattori spirituali in chi fin là li ha rimossi. Inferiore quando mostra per esempio la fissazione del sognatore a stati mentali remoti e allora lo spirito va a coincidere, in forma di bambino, con l 'Ombra infantile. "Il Vecchio Saggio appare nei sogni come mago, medico, sacerdote, maestro, professore, nonno (Grande Padre), o persona comunque autorevole. L'archetipo dello spirito in forma di uomo, gnomo o animale, si presenta sempre in una situazione in cui perspicacia, intelligenza, senno, decisione, pianificazione ecc., sarebbero necessari, ma non possono provenire dai propri mezzi. L'archetipo compensa questo stato di carenza spirituale con contenuti capaci di colmare la lacuna." Sogni del "Vecchio Saggio": "Il sognatore sta scalpellando il legno di un pavimento per giungere alle venature più pure. E' molto stanco ma un vecchio al suo fianco lo induce a continuare perché egli dice, "Cristo ha svolto molto più lavoro di te". Il sognatore insiste e intanto il Vecchio muore. Il sognatore piange a dirotto e il vecchio si siede dicendogli che è contento di averlo visto piangere per lui. Dopodiché torna a morire." "La sognatrice assiste al formarsi di un enorme vortice che sta risucchiando tutta la materia dell'universo. Dio le chiede il bilancio della sua vita ed ella sente che sta per morire risucchiata nel grande buco nero. Dio le chiede se ha ancora qualche affetto che la lega alla terra: "Sì, mia madre". Dovrà morire comunque." Abbiamo accennato all'archetipo del "Vecchio Saggio" e abbiamo visto che, secondo Jung, esso custodisce il "senso" ancora nascosto dell'esperienza. Donde ci giunge dunque tale "senso", da dove "prendiamo" il significato? E' evidente, proprio per quanto fin qua detto, che esso ci giunge dall'inconscio. Già sappiamo che esso presenta due facce: una volta al passato, all'istinto, al preistorico e preconscio; l 'altra volta al futuro che esso sa anticipare in virtù della "istintiva preparazione e
disponibilità dei fattori che determinano la sorte dell'uomo. Una conoscenza completa della struttura inconscia presente in ogni individuo fin dalla sua origine permetterebbe di preannunciarne ampiamente il destino(...). Generalmente la coscienza pensa senza tenere in considerazione le precondizioni ancestrali e senza calcolare l 'influsso di questo fattore a priori sul modo in cui si configura il destino. Se noi pensiamo in termini di anni, l 'inconscio pensa e vive in termini di millenni. (...) Processi e funzioni psichiche esistevano ben prima che vi fosse una coscienza dell'Io. L'aver pensieri fu una realtà ben anteriore a quella in cui l 'uomo poté dire sono consapevole di pensare". L'inconscio ha a disposizione molti più dati della piccola e giovane coscienza ed esso riesce quindi ad avere una visione più globale e integrata che gli permette di suggerire soluzioni sensate. L'inconscio, che esisteva e "funzionava" già prima della coscienza, continua ora accanto ad essa, con o senza il suo appoggio e, come per la coscienza "primitiva", anche per la nostra coscienza "civilizzata" il rischio di "perdere l 'anima" in virtù di possessioni, fascinazioni, incantesimi, persiste e anzi aumenta col crescente impallidire dei simboli trascendenti esteriorizzati che in passato ci salvaguardavano dai movimenti dell'inconscio. Il bisogno spirituale che quei simboli andavano a realizzare ora non può essere più soddisfatto se non ritrovando quei simboli là dove da sempre risiedono. Ecco perché con Jung anche noi pensiamo che conoscere l 'inconscio sia questione vitale perché oggi si tratta di esistere o non esistere spiritualmente. E, per tutto quello che sappiamo, è da noi stessi che potremo rinascere in un nuovo tipo di battesimo che solo le oscure acque dell 'inconscio possono permettere. [...]
MEDIUM E SCIAMANI: due mondi a confronto. di Bruno Severi Antichi aneliti. Secondo Mircea Eliade (1974), lo sciamano è colui che, attraverso un percorso iniziatico che prevede, al suo termine, una morte simbolica seguita da una rinascita, ha raggiunto la possibilità di dialogare con una realtà e con esseri sovrumani. E' un maestro dell'estasi perché può padroneggiare tale stato e servirsene per raggiungere, ogni volta che lo desideri, sia il mondo superiore degli dei, sia quello sotterraneo degli spiriti e degli antenati. Grazie a questo suo peculiare rapporto con le dimensioni ulteriori, e grazie agli insegnamenti che da esse può trarre, egli svolge
l 'importante compito sociale di guaritore, di consigliere, di indovino e di psicopompo oltre che, spesso, quello di capo spirituale e di custode delle tradizioni della propria comunità. Lo sciamanesimo è un fenomeno che sin dalla preistoria si è affermato e si è diffuso in tutti i continenti ed è ancora radicato e manifesto in alcune delle aree culturalmente più primitive. Solo nei paesi cosiddetti occidentali esso sembra scomparso da tempo. Meglio sarebbe dire che si è trasformato, che ha assunto nuove sembianze, un diverso modo di apparire. L'esasperato razionalismo e tecnicismo che caratterizzano questi paesi, insieme ad un rapporto della gente sempre più distaccato con la natura, hanno emarginato da tempo quei solitari e molto particolari personaggi che dovrebbero rappresentare il ricordo di un mondo ancestrale nel quale lo sciamanesimo era una costante di vitale importanza. Spesso, la nostra cultura e la nostra civiltà li hanno contrastati, se non eliminati fisicamente. Molto a proposito è stato scritto da Pierangelo Garzia (1993) quanto segue:"Una cultura come la nostra che storicamente privilegia uno stato di coscienza a discarico di tutti gli altri, la coscienza vigile ai fini della produttività industriale, non può che guardare con sospetto alle varie forme di estasi, trance, veggenza, sensitività, coscienza extracorporea". Lo sciamanesimo a volte si è snaturato imboccando altre strade che potessero stare al passo con i tempi e con il progresso sociale e tecnologico. In altre circostanze, invece, interi popoli sono stati costretti ad abbandonare la propria cultura sciamanica e assumere altre credenze perché vinti e dominati da altre genti che quella cultura non avevano più. In altre parole, lo sciamanesimo si è trasformato, per propria scelta o per forza, in religione istituzionalizzata (Eliade, 1974; Lapassade, 1995; McKenna, 1995). In Occidente, ma anche altrove, gli spiriti guardiani dello sciamano e degli altri membri della comunità tribale hanno preso le vesti dell'angelo custode. I rapporti con la dimensione trascendente sono stati fatti propri dai sacerdoti delle religione istituzionalizzate, che si sono presi pure l 'incarico di svolgere quelle cerimonie, i riti funebri che, prima di loro, gli sciamani svolgevano per accompagnare agli inferi l 'anima di chi era appena deceduto. L'iniziazione, che gli sciamani dovevano affrontare solo dopo essere passati attraverso difficili prove culminanti in una morte e in una resurrezione rituali, trova un parallelo nel sacramento del battesimo ( Eliade, 1954; 1984). Anche l 'esorcismo, praticato ancor oggi nell'ambito della Chiesa cattolica, vede un preciso equivalente in uno dei compiti più tipici dello sciamano: quello di liberare, in chi ne è posseduto, dagli spiriti maligni. Qua e là per l 'Europa assistiamo tuttora alla celebrazione di feste e cerimonie che, pur rivestite di una cornice cristiana, sono di chiare origini pagane e che tradiscono, in molti dei loro aspetti, alcuni caratteri antichi tipici dello sciamanesimo (Eliade, 1954; 1984).
Ogni iniziativa personalizzata per raggiungere un'emancipazione spirituale al di fuori dell'ordine ecclesiastico costituito è sempre stata, talora con estrema durezza, osteggiata dai rappresentanti della Chiesa. Specialmente in passato, chi solamente udiva voci, o parlava con esseri invisibili, o forniva prova di capacità che al giorno d 'oggi definiremmo paranormali, o riteneva, infine, di avere raggiunto, in qualche modo, verità trascendentali non del tutto ortodosse, puzzava immancabilmente di zolfo e veniva, con i dovuti modi, ridotto alla ragione o alla pace perpetua. La stessa caccia alle streghe di alcuni secoli fa è stata interpretata come un tentativo fatto dalla Chiesa per eliminare, una volta per tutte, ogni residuo di riti e pratiche arcaiche e pagane che si sovrapponevano e si mescolavano alle ritualità cristiane (Eliade, 1984). Probabilmente, tra questi sciagurati figuravano anche gli eredi di quel mondo sciamanico che ha rappresentato, e in parte rappresenta tuttora, un modo istintivo e personale di confrontarsi con una realtà che ci trascende. La figura del medium compare anch'essa in tempi molto antichi e raggiunge, a un certo momento e presso le maggiori civiltà, una funzione sociale molto importante. Nell’immaginario della gente di allora, il medium era quella persona che è stata prescelta dagli spiriti o dagli dei per comunicare agli abitanti di questo mondo i loro messaggi (profani, spirituali e profetici). Questo compito implica che il medium sia letteralmente posseduto da queste entità soprannaturali che, una volta penetrati in lui, usano il suo corpo e la sua voce per far conoscere i loro pensieri o per rispondere alle domande che vengono poste. Il medium è realmente un mezzo, uno strumento e, in quanto tale, è in genere inconsapevole durante la sua trance di ciò che avviene e di ciò che è comunicato (trance di possessione con incoscienza e successiva amnesia spesso totale). Una differenza sostanziale che si può ravvisare tra i medium dei popoli dell'antichità e quelli nostrani è che i primi ricoprivano maggiormente un ruolo di tipo sociale: erano dei professionisti, delle figure istituzionalizzate e universalmente riconosciute al servizio della comunità e degli spiriti. La loro era spesso una trance rituale (possessione da parte di esseri divini o da parte del Dio stesso). I nostri medium, al contrario, hanno in parte perduto questo ruolo sociale e svolgono la loro funzione spesso ai margini della società o entro una ristretta cerchia di persone e quasi in maniera clandestina. Mancano del riconoscimento unanime della società in cui vivono e per questa ragione agiscono nell'ombra e senza alcun clamore.
Inoltre, come è stato detto in precedenza, e salve rare eccezioni, il medium che tutti conosciamo non sa nulla di certo degli spiriti dai quali è posseduto e non sa nemmeno nulla del mondo ultraterreno in cui essi vivono. La cartografia di questo mondo è a lui del tutto sconosciuta. Il Cammino. E' mia opinione che i medium, quei personaggi così ancora poco compresi nella loro essenza, nel loro ruolo e nelle modalità di portare avanti i propri compiti, potrebbero essere dei potenziali sciamani che non hanno saputo o potuto seguire un cammino per loro troppo irto di difficoltà e di pericoli. Pur essendo dotati di un quid che permette loro di entrare in dimensioni sconosciute, non possiedono né le motivazioni, né la vocazione per sviluppare e godere di quel loro particolare dono. O, anche, la società in cui vivono ha perduto da tempo le tradizioni e i maestri cui appoggiarsi. Tuttavia, la paura della morte, della pazzia, o di chissà cos’altro li ha sopraffatti, li ha fatti arretrare. Anzi, molti non vogliono nemmeno avvicinarsi a quel territorio entro il quale si può trovare il principio di ogni cosa, come si può trovare la propria fine. Tra coloro che non hanno osato o non hanno potuto calarsi in quel baratro terrifico, che sono rimasti sulla soglia o vi hanno mosso solo pochi passi, tra coloro che, affascinati e terrorizzati nello stesso tempo, hanno sentito un richiamo ma non l'hanno assecondato perché privi di determinazione o di una guida, tra coloro che a un certo punto della loro vita hanno sentito scattare una piccola molla nel loro cuore che ha aperto la porta ad altre realtà, tra costoro ritengo possano reclutarsi i medium, i sensitivi, i mistici mancati, i visionari, i maghi e i taumaturghi. Al contrario, i veri sciamani, dopo avere percorso il loro lungo cammino iniziatico, hanno imparato a produrre e a controllare la propria trance e a entrare in nuove dimensioni, a convivere con entità benevole o non, a trattare con forze estranee alla nostra usuale esperienza fenomenica. Essendosi lasciati simbolicamente morire nel corso del loro processo iniziatico, gli sciamani sono nati ad una nuova vita all’ ’interno del quale sanno padroneggiare con tecniche appropriate i misteri e le forze di questo nuovo mondo e dialogare con essi avendo superato ogni paura. Sono gli intermediari tra questo e un altro piano esistenziale. Da quest'ultimo possono trarre insegnamenti e consigli utili a lenire le sofferenze di questa terra o a illuminare di luce nuova le nostre domande più profonde. Infatti, secondo la visione cosmologica di diverse società sciamaniche, è esistito un periodo paradisiaco che ha preceduto il Tempo, nella quale tutte le forze della natura erano in contatto tra loro e in perfetta armonia. Anche l 'uomo entrava a far parte di questo rapporto universale (mito
dell'Eden e del paradiso perduto secondo la nostra cultura cristiana). Ma, a un certo momento, tutto questo si modificò e avvenne la separazione tra le varie parti ed energie della natura. Joan Halifax (1990), a questo proposito, ci rammenta: "La fine del Paradiso ha dato inizio al tempo e alla morte, i canali di comunicazione che davano accesso ai regni non umani si sono in gran parte spezzati. Si possono così leggere i riti e le cerimonie come tentativi per ristabilire l 'unità mistica del Paradiso: l 'azione rituale ricerca qualche tipo di contatto e di controllo sugli spiriti e sulle altre forze generalmente inaccessibili al comune mortale". Spiriti che, se soggiogati, possono tornare utili; se invece sono privi di ogni controllo, possono compromettere l 'equilibrio psichico e spirituale di una persona, di una famiglia o dell'intero gruppo sociale. Ci dice il noto antropologo russo Shirokogoroff (1935): "Lo sciamano padroneggia gli spiriti e libera dalla loro attività i membri della comunità. Quando manca lo sciamano, allora gli spiriti divengono liberi: poiché nessuno più li controlla, essi cominciano a entrare nei membri del clan e a produrre vari effetti dannosi". Non c'è situazione peggiore, per chi crede alla realtà di queste presenze, di essere completamente in loro balia. Luci e Ombre. Come ha giustamente sottolineato Pierangelo Garzia (1993b), in accordo con altri studiosi (Bourguignon, 1979; Eliade, 1974, etc.), gli sciamani presentano un atteggiamento attivo nei confronti delle loro esperienze, cui si contrappone un atteggiamento passivo da parte dei medium. Per i primi c'è il conforto di una luce di conoscenza che li guida e li consiglia; per i secondi questo conforto è in genere assente ed essi subiscono passivamente esperienze che li trascendono e li trascinano come foglie al vento. I medium sarebbero, in definitiva, strumenti tenuti in mano da forze che albergano in altre dimensioni, anziché essere loro stessi chi sa padroneggiarle. Nonostante le apparenze, credo che la distanza tra queste due posizioni non sia incolmabile. Si tratterebbe, a mio avviso, di esperienze che, sebbene vissute in misura e con consapevolezza nettamente diverse, presentano notevoli affinità sostanziali. Che le differenze non siano così nette lo dimostra il fatto che tra lo sciamano e il medium delle sedute spiritiche si possono cogliere numerosi e indiscutibili punti in comune. Esaminiamone alcuni. Lo sciamano è quel particolare personaggio che ha tra le sue funzioni più caratteristiche quella di porsi come ponte tra questo e un altro mondo abitato da presenze spirituali e dalle anime dei morti, come è già stato precisato. Di questo altro mondo conoscono alla perfezione le leggi e la geografia (Grof e Halifax, 1978). Anche il medium è colui che mette in
comunicazione i partecipanti alla seduta medianica con un altro mondo inteso come l 'aldilà, come il mondo dei defunti o quello degli spiriti. Ma dell 'aldilà non conoscono nulla o quasi nulla. Entrambi si avvalgono di spiriti aiutanti (spiriti guida, controlli, spiriti guardiani, ausiliari o tutelari), ovvero di entità non appartenenti alla nostra dimensione che facilitano la comunicazione con quel 'altro mondo e con i suoi evanescenti abitanti. Sia l 'uno che l 'altro asseriscono, o possono anche dimostrarlo, di possedere la capacità di produrre fenomeni di tipo paranormale anche se, a volte, alcuni di essi ricorrono, nelle loro esibizioni, ad abili trucchi (De Martino, 1973). Per poter operare, tutti e due debbono entrare in un particolare stato modificato di coscienza comunemente indicato come trance, detta di possessione per i medium, estatica, o con visioni, o viaggiante per il secondo. Tuttavia, il noto filosofo e etnologo francese Georges Lapassade (1995) ci rammenta che"anche nello sciamanismo l 'elezione del futuro sciamano, il suo reclutamento attraverso la malattia, implica talvolta una crisi spirituale che può comportare inizialmente una possessione. Questa possessione iniziale sarà però superata molto presto e l 'ulteriore pratica sciamanica sarà caratterizzata e fondata essenzialmente sul volo dell'anima (estasi) e non più sulla trance di possessione". Se alcuni sciamani continuano ad essere posseduti dagli spiriti, questo fatto può rappresentare un aspetto regressivo delle loro potenzialità. Infatti, la seduta sciamanica a volte sembra rispecchiare quanto si può leggere nei resoconti delle più famose e classiche sedute spiritiche. Ad esempio, nel libro di Eliade (1974), che più volte abbiamo citato, ci viene così descritto un rito sciamanico siberiano con caratteristiche medianiche: "A un tratto si sente la voce degli spiriti, da tutti gli angoli, voci che sembrano venire da sottoterra o da una grande distanza. Il ke'let ( lo spirito invocato) entra nel corpo dello sciamano e questi, agitando il capo, comincia a gridare e a parlare con una voce di testa, che sarebbe la voce stessa dello spirito. Nel frattempo, nell'oscurità della tenda, si verificano fenomeni strani d 'ogni specie: levitazione di oggetti, un tremare della stessa tenda, pioggia di pietre e di pezzi di legno, ecc. Usando la voce dello sciamano gli spiriti dei morti s'intrattengono coi presenti". Descrizioni del tutto simili a questa sono riportate da Ernesto De Martino nella sua famosa opera "Il Mondo Magico" (1973). La trance medianica e quella estatica dello sciamano aboliscono parzialmente o totalmente la coscienza vigile e possono terminare, specialmente la prima, con amnesia di quanto è stato visto o udito (Eliade, 1974; Bourguignon, 1976). Certamente per gli sciamani, talora anche per i medium, è necessario iniziare la seduta con un preciso rituale che prevede per i primi
l 'esecuzione di musiche, di canti, di danze e di invocazioni che si alternano a momenti di raccoglimento interiore. Il tutto viene favorito dalle ore notturne, dal buio e dalla partecipazione quasi religiosa dei presenti o, perlomeno, da un loro atteggiamento improntato alla fiducia e alla positività. Un rituale, anche se in genere molto più semplificato, è spesso richiesto nelle sedute spiritiche che avvengono di solito al buio o nella semioscurità, il tutto corroborato dal raccoglimento interiore dei partecipanti e da una loro costruttiva collaborazione. A maggior conferma di quanto è stato appena detto, parlando di sedute medianiche Giorgio di Simone (1979) ci precisa: "Nei paesi anglosassoni e in particolare nelle sedute pubbliche inglesi, con l 'intervento di molte persone, la seduta è generalmente preceduta da musiche, inni e combustione di profumi". Ernesto De Martino (1973) puntualizza molto efficacemente come l 'operare nel buio sia una necessità di primaria importanza per favorire il distacco tra il nostro mondo interiore e quello fenomenico e indurre con più facilità lo stato di trance, non importa se sciamanica o medianica:" E' ben noto agli studiosi di magia sciamanico che l ’esigenza delle tenebre trova talora espressione nella costruzione artificiale di luoghi oscuri ad hoc per le pratiche sciamaniche, o anche la utilizzazione di recessi oscuri esistenti. L'analogia col tanto discusso e sospettato gabinetto medianico dei medium europei è evidente". Vediamo un bell'esempio di impiego di un gabinetto medianico improvvisato in un resoconto del celebre esploratore artico K. Rasmussen che ebbe la seguente esperienza con uno sciamano eschimese chiamato per esorcizzare il suo imminente viaggio: "A sera, quando le tenebre erano già fitte, Unaleq arrivò seguito da tutta la sua famiglia, pronto ad adempiere la promessa... Era nostra speranza che Unaleq avrebbe avuto la sua trance nella camera da pranzo dove tutti potevano essere presenti e assistere alla sua trasformazione in Tulorialik (il più potente e influente dei suoi spiriti adiutori), ma il vecchio dichiarò con estrema decisione che il vano in questione, essendo usato da tutti, era troppo impuro per ricevere la visita dei suoi spiriti. L'invocazione doveva invece aver luogo nel mio piccolo studio... Egli poi chiese che tutte le luci fossero spente, e si andò a ficcare sotto la mia scrivania. Sua moglie Tuglik appese delle pelli intorno al tavolino, in guisa che suo marito era ora celato a tutti gli sguardi dei profani" (Rasmussen, 1929). Sia nella seduta sciamanica sia in quella medianica è necessario spesso combattere e neutralizzare entità spiritiche ostili che, non invitate, subentrano e si sostituiscono a quelle che si cerca invece di evocare. Mircea Eliade (1974) ripetutamente sottolinea come vi sia, all’interno della seduta sciamanica, la costante partecipazione di un gruppo di persone, se non di tutta la tribù. Tali persone non sono semplici osservatori o
testimoni, ma spesso intervengono fattivamente in vario modo per aiutare lo sciamano a condurre la cerimonia. A questo punto sorge automatica l 'analogia con la seduta spiritica che si svolge sempre con la partecipazione di più persone (gruppo medianico) che servono a creare la cosiddetta catena e a dare supporto all'azione del medium. Le stesse persone partecipanti sia alle sedute spiritiche sia a quelle sciamaniche rappresentano anche la parte che pone le domande o ha situazioni esistenziali da risolvere e che possono perciò trovare una risposta o una soluzione solo ricorrendo a chi sa superare i confini del mondo fenomenico mettendosi in contatto con una diversa realtà. E' qui adombrata la funzione sociale svolta dalle due figure in questione (De Martino, 1973; Eliade, 1974; Valla, 1983). Come lo sciamano è spesso un preciso punto di riferimento spirituale per la sua comunità così, talora, anche il medium si atteggia a vate, a sacerdote, o a portavoce di messaggi spirituali che gli vengono comunicati dall'Alto, da una dimensione spirituale elevata il cui accesso è solo a lui riservato. Un Eletto, insomma! Questi sono i principali punti (ma altri ve ne sono certamente) che accomunano i due personaggi che solo apparentemente ci sembrano così diversi. Per poterne evidenziare ulteriormente le caratteristiche, ed anche le eventuali differenze, concordo con quanto suggerisce Pierangelo Garzia (1993b): " Oltre all'osservazione diretta del comportamento di un soggetto in trance, è ovvio che si renderebbero necessari la raccolta e l 'analisi di tutta una serie di parametri psicofisiologici, di indagini psicodiagnostiche, di valutazioni culturali sociali". Non dobbiamo, inoltre, dimenticare che con il termine trance molto spesso viene intesa tutta una serie di condizioni diverse tra loro o, meglio, di diversi stati modificati di coscienza che, non è detto, debbano avere necessariamente un'origine o un qualche denominatore comuni (Lapassade, 1995). A volte i contenuti che si ritrovano all'interno di vari tipi di trance sembrano aprirsi a un panorama comune, mentre differenti possono essere le premesse ed i metodi di induzione. Anche la situazione opposta, nella quale lo stesso tipo di trance può evocare esperienze soggettive completamente diverse, è ugualmente possibile. Oltre il Tunnel. Gordon Wasson (1980), uno dei maggiori studiosi di piante psichedeliche usate in contesti rituali, così ci illustra l 'esperienza sciamanica: "Nella sua trance lo sciamano intraprende un lungo viaggio verso il luogo degli antenati dipartiti, verso il mondo degli Inferi o laddove dimorano gli Dei".
Parlando più in generale dello stato di estasi (sciamanica, mistica, spontanea o indotta da sostanze psichedeliche, etc.), lo stesso studioso ci precisa: "Quando sei in estasi, la tua stessa anima sembra essere prelevata dal corpo e andar via. Chi ne controlla il volo: sei tu oppure il tuo "inconscio", oppure ancora una "potenza superiore"? Forse c'è un buio pesto, eppure vedi e senti con maggiore chiarezza che mai prima. Ti trovi finalmente di fronte all'Ultima Verità: è questa la sconvolgente impressione (o illusione) che ti afferra. Potrai visitare l 'inferno o i campi Elisi di asfodelo, o il deserto di Gobi o le distese desolate dell'Artico". Naturalmente, le cose viste da uno sciamano siberiano nei mondi ultraterreni rifletteranno le sue credenze religiose e cosmologiche e differiranno da ciò che uno sciamano Sud Americano, Eschimese, Australiano o di altri luoghi invece riferisce di vedere nel corso dello stesso viaggio. Ciò mi induce a credere che questi viaggi siano voli della mente attraverso percorsi che portano nelle profondità più inesplorate della psiche umana. E ciò che laggiù vi si incontra viene riportato in superficie modificato dal filtro della propria coscienza, delle proprie esperienze e delle proprie credenze (Lapassade, 1995). Le potenze incontrate in quegli oscuri recessi (oserei dire le figure archetipiche) possono prendere così indifferentemente l 'aspetto di Buddha, di Cristo, del Demonio, degli spiriti degli antenati, di animali, di mostri o delle varie potenze celesti e infernali che regnano nel Pantheon particolare di ciascuno di questi spericolati esploratori dell'anima. Fossili viventi. Ci sono voci autorevoli che confermano lo stretto rapporto di parentela tra i due personaggi in questione. Ad esempio, il noto parapsicologo John Beloff (1979), parlando di spiritismo, ha affermato: "La sua idea fondamentale, quella della comunicazione con gli spiriti dei defunti, sgorga da una venerabile tradizione occulta: gli sciamani e gli stregoni furono i predecessori dei medium". Lo stesso Mircea Eliade, nella sua opera fondamentale: Lo sciamanismo e le tecniche dell'estasi (1974), mentre tratta di sciamanesimo siberiano, ci descrive alcune popolazioni presso le quali la vera tradizione sciamanica sembra in buona parte decaduta ed è stata gradatamente sostituita da manifestazioni con caratteri più spiccatamente medianici. A questo riguardo, nella stessa opera, troviamo questa ulteriore precisazione: "Vogliamo dire che quando non si riesce a padroneggiare gli spiriti, si finisce con l 'esser da essi e, in tal caso, la tecnica magica dell'estasi diviene un semplice automatismo medianico". Questo sottintende il fatto che lungo il suo difficile cammino, l 'aspirante sciamano può, talora, incontrare stati di trance che non sono strettamente sciamanici
come, ad esempio, quelli medianici. Se questo incidente di percorso non consente all'apprendista sciamano di raggiungere la fine della sua strada, oppure egli decide di non procedere oltre, avremo di conseguenza una figura ibrida che oscilla tra la possessione e l 'estasi. Ciò spiega perché i veri sciamani, quelli che hanno subito una vera iniziazione ed hanno poi ricevuto un successivo insegnamento segreto da parte di maestri sciamani più anziani, sono ormai rari, mentre abbondano quelli che si sono fermati a metà strada e che non sanno perciò padroneggiare pienamente le forze che aleggiano attorno o dentro di loro. Importante è anche il fatto di trovare una certa abbondanza di esempi di situazioni intermedie o miste tra questi due tipi di trance. Leggiamo che presso le popolazioni maghrebine si trova un tipo di veggente con una particolare trance che si pone a metà strada tra quella con visioni dello sciamano e quella di possessione del medium. "La veggente maghrebina è nello stesso tempo una posseduta dagli spiriti e la loro dominatrice" (Virolles-Souibes e TitouthYacine, 1982). Erika Bourguignon (1989), notissima antropologa americana, ci segnala alcune società all'interno delle quali un singolo individuo dà luogo alternativamente a entrambi i due tipi di trance. Altre forme di trance di tipo intermedio tra quella di possessione e quella sciamanica sono accuratamente descritte da G. Rouget nella sua notissima opera "Musica e Trance" (1986). Ma questa oscillazione tra un tipo di trance e l 'altro può dipendere da fatti molto lontani nella storia dell'uomo. L'antropologo M. Winkelman (1989) ritiene che partendo dallo sciamano delle società di cacciatori e di raccoglitori, si passa attraverso lo sciamano-guaritore per poi arrivare, alla fine di un lungo percorso, ai medium e ai guaritori delle società maggiormente complesse e organizzate. Lungo questa linea di trasformazione, si può notare come certe funzioni sociali che lo sciamano incentrava su di sé vengano via via delegate a personaggi diversi e sempre più specializzati: i sacerdoti, i capi politici, i guaritori, i medium, i maghi, gli indovini, etc. Questo passaggio dei ruoli dipende certamente dal fatto che, evolvendosi la società in cui opera, lo sciamano non riesce più a stare al passo con le crescenti innovazioni e trasformazioni della sua comunità e non può più dare risposte adeguate alle numerose e complesse domande che la gente gli pone. Deve, in definitiva, frantumarsi in tante parti distinte. Ne consegue che i veri sciamani, laddove esistono ancora, sono ormai delle vere rarità, ovvero sono dei fossili viventi. Ad ognuno la sua Trance. Il sopracitato Winkelman (1986) ha svolto anche un'analisi statistica sui parametri psicofisiologici che si presentano nelle varie tipologie di trance: quella dei veri sciamani, quella degli sciamani-guaritori, quella dei guaritori e quella dei medium. Questa analisi ha mostrato che i
punti comuni della trance di questi personaggi sono più rilevanti delle differenze che si possono cogliere. Peters e Price-Williams (1983) concordano con Winkelman e ritengono che le differenze siano essenzialmente secondarie e riflettano le attese individuali e culturali. Essi sostengono che anche altri stati modificati di coscienza, come l 'ipnosi profonda, la meditazione e il risveglio e l 'ascesa di Kundalini attraverso i chakra, abbiano una radice comune con l 'estasi sciamanica. A. J. Mandel (1980) va ancora oltre. Studiando i correlati neurologici di varie tipologie di stati modificati di coscienza caratterizzati da esperienze di tipo estatico, ha trovato tra essi una strettissima somiglianza. Per questo Autore sono neuro logicamente correlabili i seguenti stati modificati di coscienza: le esperienze estatiche degli epilettici, l 'effetto di droghe allucinogene, l ' "esperienza mistica" di William James, l' "individuazione" di Jung, il "Satori" del buddismo Zen, il "Samadhi" yogico, l 'estasi di Santa Teresa, l 'estasi sciamanica descritta da Mircea Eliade, la de automatizzazione di Dikman, etc. Anche secondo l 'antropologa americana Peggy Ann Wright (1989), numerosi stati modificati di coscienza si conformerebbero a un medesimo modello neurologico. Questo modello spiegherebbe l 'emergenza di tali stati modificati di coscienza con l 'attivazione ippocampo-settale in conseguenza di vari stimoli, sia fisici (fame, privazione del sonno, suoni o musiche particolari), che di tipo meditativo, oltre che all’ 'impiego di sostanze allucinogene. L'unica differenza che viene ipotizzata tra l 'estasi sciamanica e la trance dei medium consisterebbe nella successiva stimolazione dell'amigdala da parte dei medium, che invece mancherebbe negli sciamani. L'implicazione dell 'amigdala sarebbe anche alla base del comportamento spesso epilettoide che i medium manifestano nel corso delle loro sedute. Nonostante queste importanti affermazioni, le cose non appaiono ancora del tutto risolte. Un esempio per tutti è dato dalla posizione del notissimo studioso Charles Tart (1977) che, con considerazioni di ordine psicologico, sostiene che la trance di possessione sia un'entità a sé, senza connessioni con condizioni psichiche dello stesso genere. Anche altri ricercatori, con motivazioni diverse, concordano con il giudizio di Tart. Tuttavia, un punto mi sembra essere sufficientemente chiaro e non credo possa suscitare eccessivo scandalo: molte persone sono in grado di accedere, con mezzi diversi, a particolari stati modificati di coscienza. E, a seconda del loro vissuto, dell'ambiente socio-culturale in cui sono vissuti, della loro sensibilità e predisposizioni individuali e degli scopi che si prefiggono, esse potranno accedere a esperienze ultra psichiche diverse, o apparentemente diverse.
Proprio come il medium attiva una trance da possessione, uno sciamano una trance estatica con visioni e un mistico un'estasi cosmica con fusione in Dio. Un fatto analogo succede a chi si cimenta con droghe psichedeliche: ognuno otterrà invariabilmente degli effetti tutti suoi particolari, anche se la droga usata è la stessa (Barron et al., 1964; Tart, 1977). In definitiva, per le ragioni sopra esposte, molto democraticamente non mi sembra azzardato affermare: "A ognuno la sua trance!". Conclusioni. Per concludere, vorrei aggiungere solo poche parole che spero possano sintetizzare in poche righe il mio pensiero. Per prima cosa, inquadrerei il comportamento del medium come un tentativo inconscio, se non istintivo, di entrare in una dimensione magica ancestrale dove il rapporto con gli spiriti è un mezzo per travalicare i limiti della condizione umana e affidarsi a potenze superiori per ricevere da esse aiuto e consiglio. D'altra parte, il ricorso al magico, al trascendente, è una costante dell'uomo di tutti i tempi e di tutte le civiltà, anche di quella super moderna e sofisticata entro cui noi viviamo. Le differenze tra i medium e gli sciamani, che certamente esistono, si possono spiegare principalmente con il fatto che ognuno dei due è in grado di accedere, mediante la trance, a un'altra realtà. Forse si tratta della stessa realtà per entrambi o, forse, si tratta di due realtà adiacenti i cui confini sono sfumati e incerti: ricca di insegnamenti e di forze certe, malleabili per lo sciamano, mentre è buia, confusa e incerta per il medium. Il primo vede questa realtà rischiarata dai frutti della sua iniziazione, dagli insegnamenti segreti ricevuti dal suo maestro e dal sostegno rassicurante della sua tradizione. Il secondo, privo di ogni strumento e di una guida idonea, brancola letteralmente nel buio all'interno di quel nuovo mondo e non sa nemmeno prevedere ciò che gli potrà succedere durante il suo stato di trance. E, spesso, quando ne esce, non ricorda nulla della propria esperienza. Allo stesso modo Dante Alighieri, giunto alla soglia del triplice regno dei morti, senza la guida di Virgilio non avrebbe saputo o potuto procedere oltre e intraprendere quell 'avventura che ci ha descritto così meravigliosamente nella Divina Commedia. Avventura che alcuni identificano con un vero e proprio viaggio iniziatico. BIBLIOGRAFIA italiana. Beloff, J. (1979) Panorama storico. In: L'Universo della Parapsicologia. A cura di B. B. Wolman, Armenia Editore, Milano. De Martino, E. (1973) Il mondo magico. Universale Scientifica Boringhieri, Torino. Di Simone, G. (1979) Alla voce: Seduta spiritica. In: L'Uomo e l'Ignoto. Armenia Editore, Milano. Eliade, M. (1954) Trattato di Storia delle Religioni. Boringhieri, Torino. Eliade, M. (1974) Lo sciamanismo e le tecniche dell'estasi. Edizioni Mediterranee, Roma.
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LO SCIAMANESIMO E LA RELIGIONE di Autore Sconosciuto. Con il termine sciamanesimo si designa non tanto una forma di religione quanto un comportamento religioso che è abbastanza comune in alcune religioni primitive. Lo sciamanesimo è un insieme di diversi elementi magico - religiosi che ha come figura dominante lo sciamano: una persona, cioè, alla quale la tribù affida il compito di essere il mediatore fra gli uomini e il mondo degli spiriti e delle divinità. La parola “sciamano” deriva dal tunguso saman che comunemente viene interpretata come «chi è in stato di estasi». Simboli. Essendo un fenomeno rintracciabile in quasi tutte le religioni primitive, si carica di particolari simboli nelle sedute regolate da una meticolosa etichetta cerimoniale. I più comuni sono: il tamburo con percussore, il kultrun (tamburo a forma di cono al cui interno vi sono tre pietre magiche), i bastoni terminanti a testa di cavallo e dotati di sonagli, la zucca vuota (America meridionale). Diffusione. Lo sciamanesimo è diffuso nelle religioni di culture miste: in alcune zone dell’Asia, Africa, America, Oceania. Storia. Le tracce di una forma di sciamanesimo, benché profondamente modificato in rapporto a quello di oggi, specie nell’area artica e nell‘area asiatica centro-settentrionale, risalgono al paleolitico superiore. Le culture del paleolitico erano quelle della caccia e della pesca. I reperti archeologici della grotta di Lascaux (14.000-12.000 a.C.) e quelli delle grotte dei Trois-Frères presentano temi di caccia in cui è inserita una
figura umana con testa d ’uccello che affronta un bisonte, o un uomo cornuto in procinto di danzare, coperto di pelli di cervo e cavallo. Queste figurazioni rupestri attestano rituali preistorici di controllo della caccia, durante il quale si presumono tecniche di accesso dello «stregone» alla condizione animale e quindi esperienze sciamaniche di «discesa» ai Signori degli Animali. Un aspetto essenziale del cerimoniale sciamanico é il «costume», rimasto immutato nel tempo e tuttora conserva il valore d’identificazione con l ’animale per realizzare un contatto con esso, al fine della moltiplicazione della specie. Pur permanendo nello sciamanesimo la stessa comune credenza negli Esseri Celesti e nelle tecniche di estasi che consentono di ascendere al loro piano, la sua forma più imponente si manifesta nei popoli altaici, ugro-finnici e artici, che nella loro vita cultuale organizzano rappresentazioni mitologiche in funzione dell’azione intermediatrice dello sciamano che emerge nelle occasioni più importanti della vita del clan e delle persone, come tra il gruppo e il mondo degli spiriti. Nelle aree citate, l 'intervento dello sciamano è considerato liberatorio. I fenomeni, le esperienze, le tradizioni dello sciamanesimo sono complesse e variabili da stirpe a stirpe. A volte le civiltà confinanti hanno influenzato notevolmente i rituali e l ’iniziazione sciamanica e ciò indipendentemente dalla sua origine culturale. Si potrebbe dire, se non si peccasse di superficialità, che lo sciamano, per la sua spiccata vocazione, per il servizio che presta alla sua comunità e per la ferrea disciplina cui si sottomette, esercita un vero ministero. In questo periodo esistono segni evidenti di sciamanesimo non solo nelle culture etniche, ma anche nella religione indigena tibetana e nel lamaismo, nell’area induista e buddista (Yoga, Tantra, sette shivaìtiche, vishnuitiche), in alcune sette islamiche (dervisci, sette sufiche), nella religione cinese antica, nello shintoismo e in seno al cristianesimo orientale. Dottrina. La connessione tra esperienze sciamaniche e mondo animale riflette una tradizione culturale presente nell’Asia centro-settentrionale e nelle zone artiche in cui era viva la ’ideologia religiosa della caccia. La figura dello sciamano è caricata di un potere sacrale nella vita del gruppo (cacciatori pescatori) ed è lui che, procurando il tempo propizio, assicura l ’abbondanza della preda, dopo i contatti con il Signore o la Signora degli Animali. I rapporti mistici tra sciamano e mondo animale diventano molto intensi, tanto da permettere la sua identificazione con essi. Uscendo da sé, lo sciamano si adegua al modello divino, all’Animale Mitico, Animale Antenato, Animale Demiurgo. Vi sono quattro elementi fondamentali nello sciamanesimo:
1.La guarigione di malattie. Il caso più caratteristico dell’intervento sciamanico è connesso alla credenza che le malattie sono dovute alla condizione di labilità e di pericolo in cui l ’uomo cade, quando la sua anima, fuggita da lui, erra liberamente esponendosi ai pericoli e ai danni derivanti dagli spiriti e dal mondo. Il rimanere senz’anima è il più grosso rischio esistenziale. Lo sciamano invoca gli spiriti e con il loro aiuto cattura l ’anima vagante e la riporta nel suo corpo. Nei riti per salire al cielo imita il volo degli uccelli e attraversa nove regioni e nove porte del mondo celeste. Eleva poi preghiere di ringraziamento agli spiriti benigni (quelli del fuoco, della casa e di protezione personale). Nel nono cielo risiede il Signore degli Animali. 2.Il trasferimento (transfert) nell’immagine di uno spirito. Lo sciamano trasferisce, per imprigionarlo stabilmente, in un’immagine di legno uno spirito che egli solo può vedere. Dopo il rito, attraverso il quale egli lega magicamente lo spirito all’immagine, il gruppo si libera da possibili rischi. Gli spiriti «cattivi» più comuni sono Busen (presso i Goldi), Sekka e Yor. 3.I riti di caccia. Lo sciamano, all’inizio del periodo di caccia e pesca (presso gli Eskimesi ad esempio, in primavera all’epoca del disgelo e in autunno all’epoca della prima neve) con un suo viaggio estatico visita il Signore degli Animali e dei Pesci che satolla di cibi sacrificali per renderlo benevolo verso il clan che potrà così abbondare di preda. 4.Il rito di accompagnamento di un defunto. Lo sciamano ha l ’obbligo di guidare all’altro mondo lo spirito del defunto, aiutandolo a superare le paure e le difficoltà del viaggio e a inserirsi nel regno dei morti. Culto. Il rituale sciamanico si fonda su di un cerimoniale molto complesso i cui elementi essenziali sono: a) l ’estasi durante la quale lo sciamano rivela, per una particolare costituzione psichica molto labile, la sua «vocazione» a uscire fuori da sé e compiere l ’ascesa verso il Signore degli Animali. Egli si sottopone a durissimo tirocinio per superare le prove, dopo di che è «consacrato» sciamano del clan; b) il costume sciamanico che risponde a precise esigenze rituali, ripete le forme e l ’aspetto di un uccello, e ha la funzione di proteggere lo sciamano. Esso assume semplicemente il valore di mediazione; è la forza dello spirito che aiuta lo sciamano a compiere le operazioni richieste; c) il tamburo sciamanico che è lo strumento mediatore fra lo sciamano e i mondo divino.
Esso costituisce una forma dell’albero cosmico (secondo la tradizione di molte culture etniche, l ’albero cosmico è centro e fondamento del cosmo, è la colonna gigantesca attorno alla quale ruota la terra, e si trova davanti alla casa del Dio creatore). Garantisce la stabilità del mondo (celeste - terrestre - infernale), è origine della vita (è riserva inesauribili delle energie fecondanti e vitali) e attraverso di esso lo sciamano compie le sua ascesa e la sua discesa. Il tamburo, con le sue rappresentazioni, diventa un microcosmo nel quale è realizzata la vera funzione sciamanica. E ‘chiamato anche il «cavallo dello sciamano». Il rito sciamanico coinvolge sempre tutto il gruppo per la viva credenza né gli Spiriti e negli antenati che manifestano la loro benevolenza consentendo abbondanza di caccia e di pesca. Morale. I doveri etici dello sciamanesimo possono essere sintetizzati così: aiutare chi ha bisogno, avendo costante cura dei poveri; immolare animali agli dèi (ad esempio a Dobedoi, una delle tante divinità invocata dai Buriati nella Mongolia); versare offerte per le feste sacrificali osservare il rito della purificazione per liberarsi da ogni odore umano prima della caccia; manifestare sentimenti di amicizia e di riverenza verso gli animali; evitare le occasioni che facilitano la fuga dell’anima; mantenere vivo il culto per gli déi, per gli antenati, per la natura, per gli astri; sostenere lo sciamano nel suo ministero. Bisogna avvertire che le generalizzazioni etiche sono rischiose perché spesso s’infrangono contro la caratterizzazione della vita religiosa dei vari gruppi; ma preferiamo indicarle perché si riferiscono a un fenomeno di vasta portata per le aree culturali interessate. I Baulé della Costa D'Avorio. Circa duecento milioni di uomini, in diverse parti del mondo, vive una molteplicità di esperienze religiose che presentano una serie di caratteristiche simili, tanto che vengono abitualmente indicate con il nome comune di religioni tradizionali o primitive. Chi sono questi «primitivi»? Come si esprime la loro vita religiosa? Come li incontra la Chiesa? Sono altrettante questioni delicate e a volte controverse. Primo problema: le incertezze del vocabolario. L’etichetta, sotto di cui viene raggruppato questo insieme di forme religiose, rischia di privilegiare un aspetto solo fra gli altri, o peggio
ancora, di accreditare in maniera circa cosciente certe ipotesi sull’origine e sviluppo delle religioni e delle società. Parlare semplicemente di religioni primitive può chiamare in campo tutta una visione del mondo. L’Africa è il continente dove fioriscono ancora le religioni primitive, che assumono però un’estrema varietà di forme: si è arrivati a contarne un migliaio! Alcune emergono fra le altre, e i nomi dei gruppi etnici cui appartengono sono abbastanza conosciuti: i Bambara, i Baulé, i Dogon, i Mossi, i Pigmei, i Senufo... Si potrebbe dire, in un certo senso, che in Africa ci sono tante religioni tradizionali quanti sono i gruppi tribali. Esse presentano, tuttavia, un certo numero di caratteristiche comuni, che un filosofo africano ha riassunto nel modo seguente: . Credenza in una forma suprema trascendente, creatrice di tutte le cose; tutti vivono immersi in un ambiente sacro che devono rispettare (doveri rituali, proibizioni, ecc.). . Profondo senso dell’unità di tutte le cose e della responsabilità dell’uomo nei confronti dell’equilibrio universale. . Credenza nella necessità di mantenere intatti e di custodire nel tempo i legami tra i vivi e i morti. . Fede nell’immortalità dell’anima. . Mistero e forza della parola. . Potenza del ritmo: se il ritmo cessa, la vita si ferma. . Assenza di proselitismo. . Necessità dei riti e delle offerte. . Rispetto rigoroso delle gerarchie, di nascita o di funzione sociale. Ma queste formule astratte acquistano un senso soltanto se immerse nella vita quotidiana. Scegliamo un caso concreto, il popolo dei Baulé, in Costa d’Avorio, seguendo come guida il padre Vincent Guerry che, dopo aver condiviso fraternamente, per dieci anni, vivendo in una capanna molto povera, la vita di un villaggio Baulé, ha scritto un piccolo libro che è un capolavoro di osservazione e di capacità espressiva. La mentalità dei Baulé a confronto. 1) Vita sociale. Scopriamo prima di tutto una mentalità del tutto diversa dalla nostra: «Per sentirsi sicuro, il bianco ha bisogno di dare un’organizzazione alla sua vita di ogni giorno. Tutto avrà dei confini precisi: ogni cosa si svolgerà a suo tempo e luogo(...). Agli occhi degli africani, il bianco si caratterizza per questo gusto della precisione, dell’organizzazione (...).
Allineare, contare, misurare, separare... tutto ciò è la specialità del bianco. Il Baulé al contrario ha bisogno di unione, di comunione, ama l ’unità la mescolanza, i contorni sfuocati, il mistero. Ha orrore di ciò che è diviso, separato, chiaro, preciso. Ha paura dell’isolamento (...).Questo desiderio è tanto profondo che sembra che una buona parte della religione dei Baulé nasca da una solitudine, da un bisogno di sicurezza (...). Questo bisogno porta a circondarsi di una moltitudine di divinità. Si è letteralmente immersi nelle divinità, non si può fare un passo senza incontrarne qualcuna.” Mi ricordo di aver portato all’’ospedale una donna in fin di vita. Prima di lasciare il cortile della capanna, si è dovuto offrire un sacrificio agli antenati. Poi i parenti che erano saliti in macchina per accompagnare l ’ammalata hanno cominciato una lunga litania. Attraversando il ruscello, abbiamo dovuto rallentare per rivolgere un’invocazione a quest’acqua potente; arrivati in cima a una collina, i parenti hanno lanciato le loro suppliche verso il picco roccioso che domina tutta la regione; poi è stata la volta del fitto boschetto, dove risiedono i geni della terra... E ci saremmo dovuti fermare anche ai piedi del grande baobab protettore. Io dicevo fra me e me: «Quale altra religione ha gli déi così vicini all’uomo?. Immerso nella divinità, il Baulé è anche sprofondato nell’universo. L’universo aderisce a lui, è una cosa sola con lui... È un amico.» 2) Vita intellettiva. Un’altra differenza capitale tra gli occidentali e gli africani è il modo stesso della conoscenza. «Per noi occidentali (racconta p. Guerry) di fronte a una cosa, a un avvenimento, si tratta prima di tutto di vederci chiaro (...). Ora, per vedere bene (...) bisogna fare un passo indietro, separarsi dall’oggetto, porsi a una certa distanza (...). E ancora, non ci basta prendere le distanze dal nostro universo; per comprenderlo bene, abbiamo bisogno di scomporlo in tutti i suoi elementi, perché i contorni sfuocati, confusi, ci danno fastidio. Per un africano avviene esattamente il contrario. Quando un Baulé si trova di fronte a un oggetto o a un avvenimento, non cerca di vederci chiaro, ma di gustare. Per capire una cosa, bisogna coincidere con essa, sperimentarla, «mangiarla». Non si tratta di un «vedere», ma di un «sentire» (...). Nella comunità del villaggio, non esiste un insegnamento teorico delle tradizioni. Non si chiederà mai a un bambino, per esempio, di lasciare il lavoro o il gioco per sedersi lontano dalla vita a imparare i principi del feticismo. Meglio che con qualsiasi lezione, il bambino comprenderà il feticismo vivendolo, “mangiandolo”». 3) il Tempo. Un ultimo aspetto: la concezione del tempo. «Per l ’occidentale, il tempo è una cosa che si possiede; è un qualcosa di distinto da noi, che si trova al di
fuori di noi (...). Inoltre, noi distinguiamo molto bene i tre tempi: passato, presente, futuro (...). A cavallo tra questi tre tempi, siamo continuamente tirati di qua e di là preoccupati, frettolosi. Per noi, la felicità è nell’avvenire; si prepara ogni giorno, ma non è mai per oggi. Per il Baulé, il tempo non è una cosa che si possiede: aderisce a noi, si vive. E in questo senso il Baulé ha sempre tempo per sé, perché il tempo fa parte di lui stesso: basta vivere pienamente l ’istante in cui ci si trova (...). L’unica cosa importante è il presente. Il passato come entità misurabile non ha nessuna importanza: solo dei fatti vissuti in una dimensione atemporale, lasciano un segno nella memoria: Quanti anni hai? —«Non lo so». Non è soltanto ignoranza: è mancanza d’interesse (...). Il futuro non esiste (...). Al momento del raccolto si mangiano i frutti nella felicità più completa, senza pensare ai giorni di carestia che verranno. Le nostre vacanze sono avvelenate dalla data del rientro al lavoro, che ci ronza continuamente nella testa (...). «Tu, bianco, sei sempre occupato a contare, mi dicono, il tuo cuore non è tranquillo!».” Forse è per questo che il Baulé è sempre sorridente e disteso, felice di vivere il momento presente. La sua gioia è «quando il dolce è nella bocca». Non ciò che si aspetta, ma ciò che si gusta al momento presente. Per lo stesso motivo, non esiste nulla di assoluto, di definitivo (...). Per il Baulé tutto è relativo, anche la religione; il feticismo oggi va bene; ma se domani ci si accorgerà che un’altra religione va meglio, si vedrà di provarla. Il mio spirito protettore mi tutela perfettamente in questo momento; ma non ho preso nessun impegno nei suoi confronti, e se un giorno non sono più soddisfatto, posso gettare la sua statuetta nella foresta.» Il fatto di prendere delle decisioni definitive, come fanno i bianchi, è per loro un mistero incomprensibile. In sintesi troviamo un bisogno di mistero, di unione,con molte divinità vicine all’uomo che popolano l ’universo. Non si cerca di “vedere”, quanto di“gustare “vivendo e gustando il momento presente, convinti che tutto è relativo in questo mondo visibile che ripete quello invisibile dove si trovano gli antenati. La contadina saluta tutti gli abitanti del villaggio che incontra per strada: «Signore, il giorno cresce», dice. «Signora, è la freschezza del mattino», risponde l ’altro. E continua a camminare con lena, sorpassando un contadino più indolente: «Signore, tu sei il primo!». «Signora, tu sei l ’ultima» «E che notizie porta l ’ultima ora?». «Ero l ’ultima ed ecco che sono arrivata fino a te!». Soltanto dopo questi primi scambi, indispensabili, la conversazione potrà cominciare. Se la contadina incontra qualcuno che viene in senso inverso, indovina dalla sua andatura o dal suo carico se viene dal campo o da un altro villaggio; e, secondo il caso, sceglierà la formula.
Una reale difficoltà per lo straniero è l ’apprendere queste innumerevoli forme che variano con le persone, le ore del giorno e le circostanze. Chi vuol farne la lista, riempie ben presto dieci grandi pagine. Da qui la sorpresa del Baulé quando incontra un bianco, sentendo sempre lo stesso «buon giorno! come va?». Arrivata nel campo, la sposa trova suo marito, che l ’aveva preceduta mentre lei puliva i bambini. Le formule di gentilezza riprendono, perché si è delicati in famiglia come in società; è incantevole ascoltare la bimba, che incomincia appena a parlare, suo salutare padre al lavoro: «Papà, coraggio!». «Figlia mia, è la freschezza del mattino!». «Figlia mia, il mattino è bello?». «Papà, il sole è alto; vengo a felicitarmi con te per il tuo lavoro!». Poi sarà il turno della sposa di riprendere la stessa litania. Partendo grida: «Rimaniamo insieme!». «Sì, ci ritroveremo laggiù!». «Signore, il tempo si oscura! Signora, il tempo si oscura»! (Si deve sempre cominciare a salutare la gente del proprio sesso). «Signore, l ’oscurità arriva!», risponde il capo del cortile. La vita matrimoniale . 1.La sposa e il suo feticcio. L’uomo e la donna sono due avversari che si amano. Attirato l ’uno dall’altro, devono difendersi l ’uno dall’altro, perché ambedue hanno un feticcio personale di cui devono bilanciare la forza; l ’influenza della donna è così forte che l ’uomo perderebbe la sua indipendenza se non ci fossero i suoi feticci per proteggerlo. In effetti, oltre al matriarcato del quale vedremo più avanti gli effetti, la sposa possiede il più grande feticcio che ci sia in un paese Baulé: il suo sesso. Per comprendere tutta la serietà del culto che i Baulé rendono a questo feticcio, bisogna assistere alle danze che hanno luogo all’uscita delle recisioni; bisogna vedere il raccoglimento dei visi e il rispetto impressionante con il quale si cantano le lodi della Fecondità. È un feticcio terribile, che l ’uomo non ha il diritto di guardare se non vuole essere punito a morte: se una donna sta procedendo alla sua lozione vaginale e un uomo la vede, deve morire. È ancora a questo feticcio che si ricorre nelle grandi circostanze: guerra, epidemia, stregoneria; poiché è più potente di tutti gli altri feticci messi insieme, più forte del demonio. In caso di guerra, gli uomini si sentono impotenti; fanno appello alle loro spose che, vestite di perizomi bianchi, danzano adyanou tutto il giorno per evitare il massacro dei loro figli o la disfatta dei loro mariti.
Tutte le donne iniziate formano un'associazione culturale; esse soltanto possono rendere il culto alla loro dea. L’altare è formato da un grande vaso rovesciato e posato sul suolo. La sacerdotessa è eletta a vita; è lei che, dopo la processione attorno al villaggio, si siede nuda su quest’anfora, e sgozza la vittima facendosi colare il sangue attorno. 2.La sposa e suo marito. Di fronte a questa potenza femminile l ’uomo ha bisogno di mobilitare tutti i suoi feticci per mantenere la sua indipendenza. Il suo sesso non è un feticcio, ma egli possiede altre divinità che variano da uomo a uomo. Questi feticci hanno le loro esigenze che le spose devono rispettare. 3.Conclusione. Ciò che colpisce nella vita coniugale dei Baulé, è in primo luogo il ruolo secondario che ha la sessualità (a differenza di quello che si può notare nell’Europa moderna o nella civiltà Islamica). Ciò che primeggia è la fecondità. Ciò che è religioso, sacro, è la generazione. Nell’atto di procreare si entra in contatto con la divinità, si comunica con i riti di fecondità che governano l ’universo. Bisogna dunque evitare di fermarsi al sessuale che rischia di essere un ostacolo. Se fosse possibile, bisognerebbe trascenderlo per arrivare direttamente al figlio, che ha voluto prima di tutto. I genitori reagiscono talvolta contro i figli che «giocano nella sabbia», non tanto per un divieto, ma perché temono che il loro figlio o la loro figlia divengano oulakafouè. Questa parola intraducibile designa la pigrizia generata dalla dissolutezza sessuale. Il Baulé sa che se il figlio si lascia prendere dal piacere sessuale non s’interesserà più né della famiglia né del lavoro dei campi; diventerà un vagabondo. Seconda osservazione: il conflitto permanente fra fecondità e stirpe. In Occidente, quando si dice famiglia, si pensa soprattutto al padre, alla madre e ai bambini. Presso i Baulé la famiglia comprende cento persone, o anche più, molto legate nella buona e cattiva sorte: un uomo chiama suo cugino «mio fratello», suo zio «mio padre»; e questo non è solo un modo di parlare; è una realtà, una prossimità, un’unità. Ma ecco che un’altra forza, non meno potente, interviene: la fecondità. Questa famiglia, questa stirpe, bisogna estenderla, perpetuarla, e per questo è necessario far intervenire un elemento estraneo (uno sposo o una sposa), per avere dei bambini. Da qui il dramma della vita coniugale: due potenze entrano in conflitto La forza di coesione della stirpe in lotta contro il desiderio di fecondità. I due individui l sono attirati l’uno verso l ’altro per estendere la stirpe e nello stesso tempo sono ritenuti all ’interno della loro i stirpe che non vuole aprirsi per lasciarli partire. In questa lotta ineguale è sempre la stirpe che prevale.
Non vi è mai rottura: il matrimonio è un’uscita provvisoria tollerata da una parte e dall’altra, ma ognuno ritorna in seguito a casa sua, recuperato dalla sua stirpe che non l’ha mai lasciato definitivamente partire. La Morte. I riti funerari abituali. Quando l ’ammalato muore, i parenti si rotolano nella polvere e nella melma urlando. Se si tratta di un bambino, all’inizio dell’agonia la madre ha già abbandonato il piccolo fra le braccia della nonna o di una zia, ed è andata lontano per non vedere morire suo figlio; là si getta a terra, mezzo svestita, torcendosi e battendo il suolo violentemente con le braccia e le gambe. Un vecchio afferra il tam-tam e lo batte a colpi irregolari con due bacchette forcute. Il suono del tam tam è udito a grande distanza. Un giorno a Kouassiblékro si celebrava un funerale, e stavo andando a Brobo: da 15 Km ho potuto seguire nettamente i colpi ripetuti del tam-tam fino al mio arrivo. Il ritmo è significativo: il tamburo parla veramente. Appena gli abitanti del villaggio lo sentono, devono tutti abbandonare il lavoro dei campi, e venire a partecipare a questo grande avvenimento: la partenza di uno di loro per il paese degli avi. Per i sei primi mesi che seguono la morte del congiunto, il vedovo o la vedova deve rispettare le proibizioni seguenti: non bere acqua attinta alla vigilia, non lavarsi, non fare che un pasto al calare del sole, non cantare, non picchiare nessuno, né bambini né animali, non compiere alcun atto sessuale, abbraccio o stretta di mano, portare solo perizomi fatti con corteccia, piangere al levare e al calare del sole, non cibarsi che di cose preparate il giorno stesso e, per evitare che resti fra i denti qualche frammento del cibo della vigilia, pulirsi la bocca con uno stuzzicadenti prima e dopo il pranzo. Terminato il periodo, nel giorno fissato, il vedovo o la vedova, accompagnato da qualcuno, va nel campo a piangere per qualche istante. Di ritorno al villaggio gli si chiede di consegnare all’erede gli oggetti appartenenti al congiunto. Arrivano poi le donne che vengono a lavare il vedovo (kolanounzifouè). Sono necessariamente vecchie vedove che compiono questa funzione. Hanno fatto precedentemente una lozione nella quale c’è caolino ed erbe; hanno confezionato pure una spugna schiacciando due tronchi di banano. La Religione Cielo e Terra. Firmamento (Nyamyen) e Terra (Asyè) formano una coppia di amici inseparabili. Un vecchio me ne dava la ragione: «Ogni volta che apri gli occhi tu, scorgi contemporaneamente cielo e terra; sono tutti e due come la campanella e il batacchio (laoulè, shanè), non possono concepirsi
l ’uno senza l ’altro, sono indispensabili l ’uno all’altro; esistono l ’uno per l ’altro». Si suppone che siano uguali, ma non se ne sa nulla; nessun morto ha potuto dircelo. Alcuni dicono che è Anangamam ad aver creato insieme Nyamyen e Asyè. In effetti non potremmo mai far rientrare la religione baulé nelle nostre categorie teologiche. Si tratta di una coppia di sposi? Alcuni lo affermano dicendo che Firmamento è il marito, poiché è sopra la terra ed ha l ’abitudine di gridare molto forte con il tuono; mentre la terra è sotto, fecondata dalla pioggia di Nyamyen, silenziosa e dolce come una donna. Ma queste sono solo interpretazioni individuali. La lingua non può aiutarci a trovare una soluzione, poiché in baulé non esiste un genere che possa fare di Nyamyen un nome maschile e Asyè un nome femminile. Queste due divinità si invocano quasi sempre insieme: prima dei sacrifici prima di bere il vino di palma, prima di attribuire il primo colpo di zappa nel campo, prima di entrare in una nuova casa. Il proprietario lontano. Il grande capo del pantheon baulé è Firmamento (Nyamyen). Gli si dà il titolo più grande: capo (nana), maestro, proprietario, padrone (me, si). Ma mai si chiama padre (siè). Si usano pure nei suoi riguardi espressioni incomprensibili di origine ashanti, che esprimono tuttavia il mistero di questo Dio inaccessibile. E una potenza immateriale. Se Nyamyen è il nome della volta celeste, si distingue tuttavia dal blu del firmamento che vediamo sopra le nostre teste. Il cielo visibile lo rappresenta e nello stesso tempo lo nasconde. Per esprimere questo concetto, i vecchi baulé prendono l ’esempio delle statuette: «Quando adori una statua, tu vedi il legno, ma lo spirito che è dentro tu non lo vedi; così tu vedi il cielo, ma colui che vi è dentro nessuno l ’ha mai visto». Dato che non si conosce la forma di questo Dio, non si è mai potuto rappresentarlo: «Non si sa a chi rassomigli». Nessun segno, nessun oggetto scolpito raffigura l ’immagine di Firmamento. Di fatto, si trovano a volte degli oggetti chiamati piccoli firmamenti» (nyamyen - ba) - come per esempio il bablèngolè, piccolo arco che si appende al tetto della capanna -, ma sono solo dei feticci che non hanno nulla a che vedere con Firmamento, se non il fatto di portarne il nome. Non si ha nessuna notizia sull’origine di questo dio; è per questo che si chiama con il nome Anangaman. Ha un’origine questo dio? Non se ne sa niente. Condivide il nome d’anangaman con altri esseri, il sole per esempio o le stagioni; ma queste cambiano nel corso del giorno e dell’anno mentre Nyamyen rimane immutabile. Nessuno può avere la minima influenza su di lui; si può sconvolgere la terra, eccitare la furia degli spiriti, ma Nyamyen è impassibile. D’altra parte nessuno può tenerlo in mano.
Le altre divinità sono invece tra le mani degli uomini; c’è una divinità per la terra, esistono i feticci, si comprano, si ereditano. Ma lui, lui solo non è alla mercé dell’uomo. A questo dio lontano non si può fissare un luogo né un posto in cui incontrarlo; si convoca la terra e un feticcio qualsiasi in un luogo preciso e ve si fissa (bè taha); Firmamento non si muove quando l ’uomo lo chiama. È in ogni luogo e domina tutto, vede tutto, perfino i pensieri degli uomini; è immenso e impenetrabile come una grande foresta. Una volta, si dice, parlava nel tuono, e i veggenti sapevano interpretarne la voce; ma gli uomini si sono pervertiti e non c’è più veggente capace di comprendere questo linguaggio misterioso. La sua distanza e la sua immensità lo tagliano fuori dagli uomini. Come raggiungerlo? Il Baulé s’innalza disperatamente sulla punta dei piedi per porgergli la sua gallina in sacrificio. Padrone di tutto, capo di tutti, Nyamyen ha troppe cose da fare; come potrebbe occuparsi di un caso particolare? Con il mio feticcio quello che mi ha lasciato mio padre mi trovo più a mio agio, mi appartiene, è per me, il suo compito è di occuparsi di me. Se le cerimonie cultuali in onore di Nyamyen sono molto rare, il suo nome invece è sempre sulle labbra di tutti. Per ringraziare qualcuno, si dice: «Prendo Nyamyen per ringraziarti» (m fa Nyamyen kpli n no ase). «Che Nyamyen ti conservi in vita» (man Nyamyen kpli mindà o ngouan). Dopo un successo qualunque: «Se non ci fosse stato Nyamyen!» (s o ti a Nyamyen ti!). Quando un oratore ha parlato bene: «È Nyamyen che gli ha messo queste parole sulla bocca» (Nyamyen kpli o afa nde o oulai i nouan). Quando uno guarisce da una malattia: «È Nyamyen che ti ha salvato» (Nyamyen kpi oayiuo). Quando cade la pioggia, si ringrazia Nyamyen (é! Nyamyen cpli kola o!ande Nyamyen kpli o ae è). A uno scampato pericolo: «Nyamyen è grande!» (è! Nyamyen ti kpli). Se si ritrova un oggetto smarrito: «Congratulazioni, Nyamen» (Nyamen pli mo o!). Ma è soprattutto nelle situazioni difficili che si fa e appello a Firmamento: parlando di un lavoro difficile che si deve iniziare: «Nyamyen è presente» (Nyamyen kpli o le); attribuendo il primo colpo di zappa nel campo: «Nyamyen, fa che il lavoro che sto iniziando porti frutto» (Nyamyen kpli diyouman mo m ae ye, man n nyan moae sou). Quando qualcuno parte in viaggio: «Che Nyamyen ti accompagni! Che Nyamyen ti faccia ritornare!» Prima di iniziare qualche cosa si deve sempre dire: «Se Nyamyen lo vuole» (sè Nyamyen di su); se no si rischia di fallire. L’espressione «per fortuna!» si traduce con: «È cosa che riguarda Nyamyen» (Nyamyen sa! sa kola lè Nyamyen).
Si dice che Nyamyen ha creato tutto. Ma per un Baoulé due concetti contraddittori possono essere ambedue veri; egli afferma infatti che la terra, il demonio e i feticci non sono usciti dalle mani di Firmamento. Per esprimere l ’atto creatore, si usano tre espressioni: egli ha «percosso» (bô) come il maniscalco martella il ferro; egli fa «scendere» (dyra) da lui questi oggetti che possiede; egli fa «scaturire» (yi) misteriosamente. Quest’ultima espressione è usata anche per indicare le espressioni incomprensibili dei bianchi: le automobili, gli aerei strumenti da magia. Ma non si trova mai la parola «generare» a proposito di Nyamyen: pur avendo creato tutto, non ha generato né gli uomini né la creazione. Dopo aver creato tutto, non si occupa più della sua opera. Il demonio, gli spiriti possono fare il male agli uomini. Nyamyen li lascia fare senza mai intervenire; è il grande solitario, chiuso nel suo eremo, lontano dal mondo di cui si disinteressa. Non si corre alcun rischio con Firmamento; pone dei richiami, in particolare, per coloro che fanno del male al prossimo: a chi è geloso, a chi augura il male, a chi manca di rispetto ai genitori. Ma si sa che questo re bonaccione non castigherà nessuno. Poiché la sua caratteristica è, di essere buono, di amare gli uomini; ciò che lo offende di più è il disprezzo verso la persona umana. Un esempio: i «peccati» sessuali offendono la terra: come l ’incesto, l’adulterio e le relazioni ambigue esigono un sacrificio alla terra. Ma se si tratta di un adulterio compiuto in presenza del marito per disprezzarlo e umiliarlo, questo è un peccato contro Nyamyen. Per troppo amore agli uomini, Nyamyen diventa bonaccione, incapace di fare il minimo male. Perfino nei giuramenti non si può ricorrere a lui: dire «giuro su Firmamento» (n kan Nyamyen) o «che Firmamento mi uccida se ...» non ha alcun significato. Simili espressioni sono considerate puerili poiché tutti sanno che questo Dio non ha mai ucciso nessuno. Stessa cosa dicasi per le maledizioni: si fa appello ai feticci, o agli spiriti, che sono terribili; mentre Nyamyen non è mai stato cattivo (Nyamyen o yo man mounzuè); non è pericoloso, non è iracondo, non c’è alcuna focosità in lui (o e a nda, o yeye man). Poiché questo dio non è mai in collera, non c’è da placarlo con sacrifici di espiazione come si fa con gli altri. Invece, ogni tanto, gli si offrono sacrifici di lode (nanmoya te) per ringraziarlo. E' così che a volte, dopo un buon raccolto d ’igname, il veggente decide una festa generale in onore di Nyamyen. Ognuno offre un sacrificio nel proprio cortile. Ma se c’è qualcuno che non vuol farlo, è libero, non rischia niente. E sempre di domenica che si offre il sacrificio a Firmamento. Da sempre questa giornata gli è consacrata e in certe tribù, prima dell’arrivo dei bianchi, non si lavorava in questo giorno. Ma con l ’inizio della colonizzazione e dei lavori forzati, in questo giorno, essendo l ’unico libero, si prese
l ’abitudine di lavorare il proprio campo. Prima di offrire un sacrificio a Nyamyen gli si versa una libazione d ’acqua; questa è l ’offerta che preferisce poiché è l ’autore dell ’acqua: è lui che dà agli uomini la pioggia. Le vittime che ama sono le pecore o le galline, ma sempre bianche. Sacrificando un animale, il Baoulé si erge sulla punta dei piedi, il braccio teso verso il cielo, scusandosi così: «Le mie mani non possono arrivare fino a te, è per questo che ho versato il sangue alla terra». A volte si lancia il pollo sul tetto della casa perché arrivi più vicino a Firmamento. Ogni volta poi che ci si dispone a offrire un sacrificio agli avi, agli spiriti o ai feticci si comincia con una invocazione a Nyamyen perché sia accolto. Al termine della cerimonia, si chiede ancora a Nyamyen di completare ciò che manca ai favori richiesti: «Nyamyen kpli, fa goua sou». L’espressione usata per indicare i morti (bo-otiè-mou: quelli che ci hanno già preceduto) indica che tutti noi ritorneremo al nostro paese d ’origine. Invece, gli auguri che si fanno per i morti non ci rivelano niente di preciso sullo stato dei defunti. Per un amico, si dirà questo: «Che si addormenti nella pace e che non ci siano che belle termiti a leccarlo». Per un nemico, non si augura sofferenza specifica: «Vattene col tuo demonio e non ritornare più». Sembra tuttavia che ci sia una punizione per quelli che sono stati veramente cattivi. Gli avi rifiutano loro l ’entrata nel blolo: non voglio gente malvagia nel loro villaggio. E per questo che si vede in giro della gente che agonizza indefinitamente senza poter morire. Altri sono morti, ma i loro wawè sono errabondi, i veggenti li individuano in cerca di riposo. È il caso di tutti i suicidi; nessuno di loro può entrare nel villaggio degli avi. Ma, se non c’è un tribunale per il defunto che arriva, costui è tuttavia convocato per un altro giudizio. Al suo arrivo, il consiglio degli avi gli chiede notizie della terra e specialmente vuol sapere come si è stati trattati dai parenti e dagli amici durante la vita. Subito il giudizio è pronunciato. Si ricompensano i buoni, si puniscono i cattivi sulla terra. È per questo che c’è sempre sulla terra una certa inquietudine dopo la partenza di un defunto: «Che cosa racconterà agli avi?». A volte i morti sono frequenti in famiglia; si dice allora che sono gli avi che si vendicano; a volte al contrario il defunto ha fatto un eccellente rapporto e la felicità vive nella famiglia. Ad ogni modo gli avi hanno i nostri destini in mano: possono concedere buoni raccolti, guarire malattie, far avere bambini a donne sterili, procurare selvaggina nella caccia, ecc. I1 blolo non è un luogo fisso; non ho mai visto nessuno fare un segno per indicare il luogo del soggiorno degli avi. Ma ciò che è certo è che non è il cimitero. Abbiamo già visto la poca premura che si ha nell ’accompagnare il morto alla sua tomba.
Questo luogo è sistematicamente abbandonato. Poiché i morti sono là nel villaggio, nel cortile, al campo: si parla continuamente con loro, si chiamano spesso in caso di bisogno, si racconta loro tutto. E qual ’è il Baoulé che non ha incontrato un giorno o l ’altro un morto col quale ha potuto parlare? Tutta la vita religiosa e sociale è dominata dagli oumyen che intervengono in ogni decisione riguardante il villaggio e la famiglia. Tuttavia il morto ha diritto al culto solo dopo la sua sepoltura. Inoltre, nell’attesa, gli si prepara un buon pasto per il viaggio. Nella tribù Faafouè per otto giorni consecutivi si preparano, ogni sera, buone salse che si depongono nel luogo in cui una volta il defunto dormiva, mentre il culto propriamente detto comincia solo dopo il ritorno dal cimitero. È il sacrificio che esprime l ’adorazione. Facendo colare il sangue di una vittima si riconosce la supremazia di una divinità sulla vita. Si comincia con una libazione d ’acqua che si versa sui gradini della casa del defunto chiamando tutti gli avi della famiglia: «Ecco la vostra acqua, venite a berne tutti, stiamo per offrirvi un sacrificio». Non si adora mai un oumyen separatamente, senza invitare tutti gli altri; poi si sgozza il pollo, si fa colare il sangue sulle pareti della casa in uno spazio fissato una volta per tutte, e si incollano alcune piume sul sangue coagulato. Le vittime preferite degli avi sono: i buoi, i montoni, i capretti, i polli e i tacchini; rifiutano tutti gli altri animali. È di lunedì, giorno a loro consacrato, che si faranno i sacrifici. Se il defunto è un notabile importante, non gli si offriranno dei sacrifici su una parete, ma su un tamburo o su un sedile. Si useranno il klain kpli e il klain sin, che sono i due tamburi dei grandi avi. Si percuotono per cantare i loro inni, si pronunciano proverbi in loro onore, poi si sgozza la vittima sui fianchi dello strumento. Il grande tamburo, che è spesso alto più di due metri, è oggetto di un culto speciale: rappresenta la vita degli avi. Prima di percuoterlo, si descrive attorno un grande cerchio, tracciato con della cenere. Ci si può avvicinare a esso in silenzio solo dopo essersi scalzati. Se colui che lo tiene inclinato, avesse la disattenzione di farlo cadere, un tempo lo si sarebbe immediatamente decapitato per punizione; oggi ci si contenta di tagliargli leggermente il lobo dell’orecchio per far colare un po’ di sangue sullo strumento. Il sedile rappresenta pure i grandi capi scomparsi; solitamente il sedile scelto per il culto è quello di cui si serviva il defunto per giudicare, ma in certe tribù, gli Akouè per esempio, se ne scolpisce a questo scopo uno nuovo. Su questo sedile, sormontato a volte dalla canna del capo, si farà colare il sangue dei sacrifici. Spesso un solo sedile rappresenta tutti gli avi del villaggio, ma succede anche che ne esistano collezioni intere.
È su questo altare che si verserà il sangue dei buoi nell’occasione dell’intronizzazione di un nuovo capo, convocando tutti gli avi del villaggio e della tribù. Il mondo degli avi fa sì che la società baoulé si costituisca in un tutt’uno unitario. Gli deve la sua unità: tutti sono usciti da uno stesso paese e si dirigono insieme verso una stessa regione misteriosa. Questo ciclo ininterrotto, questa vita unica che supera tutti i fatti terreni, questo «vivere insieme sempre» sono una forza incredibile. E anche questa fede negli avi che salva l ’individuo baoulé dall’anonimato, che gli impedisce di essere schiacciato dal gruppo. Poiché si tratta di una immortalità personale; non è generica, come in India, dove tutti sono fusi nel grande tutto. Ogni morto mantiene la sua individualità: quando si adorano gli avi, si chiamano gli uni dopo gli altri ognuno col proprio nome. Ogni uomo è destinato a entrare nel consiglio degli avi: è dunque una potenza che bisogna rispettare. L’ammalato mal curato si vendicherà dopo la sua morte. L’infermo, il neonato, il pazzo stesso sono rispettati. Si cerca di farseli amici per l ’aldilà. Gli spiriti della terra (asyè ousou) sono esseri che possono rivestire forma umana. In questo caso chiunque li può vedere. Si incontrano solitamente nei boschetti folti, vicino ai ruscelli o sulle colline. Mentre gli idoli sono indipendenti gli uni dagli altri, gli spiriti della terra vivono sempre in società, in villaggi. Sono sessuati, si sposano e si riproducono. Non hanno bella apparenza: piccoli o giganti, gobbi o deformi; hanno le dita dei piedi al posto dei talloni o un sol braccio. Capelli lunghi che trascinano fino a terra. Si cibano di banane e di manioca rubata nei campi e bevono vino di palma. Alcuni tuttavia sono puri spiriti (wèwè); solo il veggente può comunicare con loro, ma solo quando va in trance. Fra questi spiriti alcuni sono buoni, amano gli uomini, quando li incontrano, chiedono notizie del villaggio, offrono da mangiare e li invitano a ballare con loro. Chiedono a volte di venire ad abitare nel villaggio degli uomini (klo assie ousou). Capita qualche volta che un veggente venga a trovare un baoulé per dirgli: «Ho visto uno spirito che ti ama, ti segue, e vuol vivere con te; fa fare una statuetta e adoralo». Ed ecco che lo scultore si mette al lavoro e costruisce uno di quei piccoli capolavori che si possono ammirare in tutti i musei del mondo. Perché rappresentare questi esseri orribili, sotto tratti così gentili (queste statue sono veramente di una grande bellezza!)? Perché, dicono i baoulé, quando un bambino nasce in una famiglia, rassomiglia alla statuetta. Le maschere che si scolpiscono per raffigurare gli idoli sono invece orribili per suscitare paura. Per esprimere ammirazione davanti a un bel ragazzo o a una bella ragazza si dice: «Al vederlo si direbbe una statuetta» (o ti klaman ckè waka snan! a wan bè sèli). Mentre per insultare
qualcuno, si dice: «Sei brutto come una maschera» (a ti kanhi kè Dyè sa!). Quando si è ultimata la statuetta, la si pone in un angolo della casa. Spesso la si ricopre di un perizoma per nasconderla ai ladri, sapendo che queste sculture valgono una fortuna. Si mette ai loro piedi una piccola ì ciotola di terra, nella quale ogni giorno si depone un po’ di cibo come offerta. Quasi sempre questo spirito verrà presto raggiunto da un compagno o una compagna poiché non possono vivere allo stato celibe: si vede così in un angolo della casa una statuetta maschio vicino a una statuetta femmina. Succede a volte che lo spirito preferisca sposare gli umani; rimarrà allora solo, ma chiederà che gli venga offerta una notte o una settimana dal suo fedele o dalla sua fedele. Ogni spirito porta un nome che verrà dato quasi sicuramente ai neonati: «Adyo», «Aablè», ecc. Ma ci sono anche degli spiriti cattivi: sono quelli che rifiutano di venire al villaggio (blo asiè ousou, blo ningè), non amano gli uomini, non li seguono, non si, accompagnano ad essi (biè sou biè sou, biè fou man biè): il loro compito è di fare del male, di uccidere la gente. Per placarli si offrono loro dei sacrifici: ai piedi di una montagna, vicino a un albero, in riva ad un ruscello ecc. Gli amoin, che volgarmente si chiamano «feticci», sono forze misteriose che si accattivano solo con un culto. Sono puri spiriti (wèwè), dunque invisibili. Si possono vedere in sogno e i veggenti possono contemplarli a loro piacere. «Sono esseri bellissimi, nulla è paragonabile a loro sulla terra». Sono considerati un dono fatto agli uomini dagli spiriti. Si racconta che un giorno un ragazzo passeggiava in una foresta quando sbucò improvvisamente in una radura in cui gli spiriti avevano costruito il loro villaggio. Poiché incombeva un temporale, il piccolo raccolse un feticcio che trovò per terra e lo pose al riparo in una casa. Per ricompensarlo gli spiriti glielo regalarono; ed è da quel momento che gli amoin si sono diffusi nel mondo degli uomini. Ma come questi feticci giunsero dagli spiriti? Nessuno lo sa. Ciò che è certo è che non hanno nessuna relazione con Nyamyen, non li ha creati lui, non ha alcuna influenza su di loro, ed essi stessi sembrano ignorare Firmamento. Invece servono da intermediari fra il demonio e gli uomini. Conoscono le intenzioni malvagie del demonio, e quando una disgrazia si avvicina, avvertono gli uomini e li proteggono. Il feticcio è dunque uno strumento prezioso, ma è uno strumento a doppio taglio, per il suo carattere difficile e per la sua vicinanza al demonio. Una volta i feticci erano buoni; con un po' d’acqua e un po' di vino di palma diventavano preziosi protettori; ma ora sono diventati esigenti e se non si accontentano, diventano complici del demonio che li circuisce (baè o oulou i bò) per fare del male agli uomini. I feticci non son amici degli uomini. Con i feticci non si ritrova quella specie di relazione sentimentale, di affettività che esiste fra l ’uomo e gli spiriti. Si ha paura degli amoin perché possono uccidere o salvare a
secondo del compenso che ricevono. Poiché la potenza di un feticcio varia a seconda di ciò che gli si dà da mangiare. Così lokosuè, quelle stoviglie che si mettono su un legno biforcuto all’ingresso della casa, se si riempiono di cose buone (uova, arachidi, ecc.) diventano occasione di forza e di aiuto; se si lasciano, vuote per un certo tempo diventano occasione d’indebolimento o asaky (e l’amoin passa dalla parte del demonio e si ritorce contro di noi). Il fedele è padrone del suo feticcio. Non ha alcun rispetto per lui; la sua preghiera assomiglia spesso ad un mercanteggiare: «Se mi concedi un buon raccolto, avrai il tuo capretto»; se poi non ottiene ciò che desidera, lo maltratta: «Ti avevo promesso un pollo, ebbene un uovo intanto ti basta!», e quando non è soddisfatto dei suoi servigi, polemizza: «Attento! Ti abbandonerò per andarmi a cercare un altro feticcio». «Andare a cercarsi il proprio feticcio», ecco l ’espressione che indica in modo preciso la concezione utilitaristica degli amoin (n-ko tou mi amoin). Se questo feticcio si rivela inefficace, lo si minaccia, lo si insulta, e per finire lo si butta via. Ma per uno buttato via ce ne sono dieci altri che si presentano, poiché il numero degli amoin aumenta ogni giorno; i veggenti ne scoprono sempre dei nuovi. Il profeta (awèfouè) è colui che agisce sul confine (o dii awè), cioè colui che si muove nel no man’s land, che divide il mondo degli uomini da quello degli dei. Può essere il portavoce di diverse divinità; tuttavia di solito è il portavoce specifico di una di esse: Ngbla, Komyen, per esempio. Ogni uomo, ogni donna può diventare profeta: la funzione tuttavia non è ereditaria. I Baulé sono sempre sorridenti e sereni. Mi sono chiesto per lungo tempo quale poteva essere la sorgente di questa serenità. Anche perché, a dire il vero, esistono motivi di sofferenza nel villaggio: la fame, le malattie, la paura dei feticci, e soprattutto la morte. Sono continuamente alla mercé di qualche calamità: la siccità, gli incendi, la collera di uno spirito. Se una grave malattia colpisce un loro bambino, non hanno alcun rimedio se non attendere la morte. Malgrado ciò, c’è sempre una gioia diffusa nel villaggio: le risate dei giovani sulla piazza, il sorriso delle vecchie che filano il cotone, il canto di un adulto che sembra danzare maneggiando il suo machete nell ’erba alta. Basta ascoltare, di sera, le donne che chiacchierano sotto la luna nella stagione del raccolto dell’igname, quando nelle case c’è poco o niente da mangiare; invece di lamentarsi, si prendono benevolmente in giro ridendo: «Nessuna di noi è riuscita a fare una salsa decente questa sera; le donne non sanno più fare da mangiare!». Quando penso ai volti tesi e spesso tristi che s’incontrano nelle nostre grandi città d ’Occidente, mi chiedo dov’è la felicità, dov’è il «dolce»: questa è infatti la parola che si usa qui per indicare la gioia di vivere.
Ora, per il Baule, «il dolce è in bocca» (fè o bè nouan nou); ciò significa che per essi non esiste un «Bene» astratto, lontano o futuro, come una cosa pensabile o immaginabile e verso la quale si va. Il bene cioè la felicità, è un fatto che si sperimenta subito, è ciò che si vive e che si gusta ora. Il frutto che non si ha ancora in bocca o che si è già digerito non è il dolce: non esiste cioè un concetto analogico di dolce. Per comprendere il senso di questo «dolce» bisogna entrare in una categoria di tempo diverso dalla nostra. Ce n’è uno tuttavia che non conosce la dolcezza, il cui intimo è «amaro» (i knou è vi): è il demonio (baè) che può solo fare del male. Mentre Nyamyen è incapace di fare del male, anche per punire, Baè è incapace di fare il bene. Ma chi è? Da dove viene? Non se ne sa nulla. Nessuno può vederlo, neppure in sogno, nessuno può entrare in dialogo con lui; solo i veggenti, con l ’aiuto degli spiriti, possono conoscere le sue mosse. Il suo compito è di distruggere i wawè degli uomini. Quando Baè si è impossessato di un wawè, lo depone su di un grosso sasso o nella scanalatura di un tronco d ’albero. Per tutto questo tempo l ’uomo che non possiede più il suo wawè diventa anemico fino al momento in cui il profeta per mezzo di auspici ne indica il rimedio: bisogna dare una gallina al demonio perché liberi il wawè. Ma a volte Baè divora il wawè; in questo caso l ’uomo muore e ritorna dagli avi senza wawè; come abbiamo già visto, il wawè non è necessario per diventare oumyen. Non esiste una persona specifica che sia stregone, nessuno li conosce. Solo il veggente un giorno, interrogando gli spiriti per conoscere la causa di una disgrazia, ha ricevuto questa rivelazione: quella donna anziana che abita, da sola, ai margini del villaggio è una strega, il Baè la possiede, il suo intimo è amaro (i knou é vi), essa fa del male e cerca di uccidere. Lo stregone stesso ignora spesso di essere posseduto, sente in sé una forza diabolica che lo spinge al male, desidera uccidere e divorare le anime come il Baè. Gli stregoni agiscono nella solitudine, si nascondono; durante la notte scavano un buco vicino al villaggio e vi sotterrano una coda di topo, dei peli di porcospino, un dente di scimmia e qualche foglia. Oppure depongono una conchiglia davanti all’uscio di una casa, delle foglie su un sentiero su cui un tale deve passare. Ma soprattutto si impossessano di oggetti che appartengono alle loro vittime: una scarpa, un pezzo di perizoma; a volte sentono il bisogno di qualche goccia di sangue o di un brandello di carne umana. Possono lanciare frecce invisibili che, penetrando nel petto, provocano una morte lenta, se un profeta non giunge in tempo a cavarne la punta. Quando uno stregone è smascherato dal profeta, se ne ha paura, ma non c’è odio verso di lui, perché si sa che non è responsabile del male che fa; una forza malvagia si è impossessata di lui senza che egli sappia come.
Si decide la sua morte solo quando si sono provati invano gli altri esorcismi. Gli esorcismi sono molto vari. A volte si prende un bastone infiammato e lo si mette nella mano dello stregone dicendogli: «Va via col tuo demonio». Lo stregone prende allora la direzione che vuole; ritorna più tardi, liberato; il demonio è uscito da lui con il fuoco. Il fuoco, come l ’amarezza, è il simbolo del male e dell’odio, mentre la freschezza dell ’acqua è segno di felicità. In sintesi. 1. L’essenza della religione dei Baulé è costituita da un buon rapporto con il mondo invisibile, che ripete, per così dire, quello visibile: accanto alla natura, un mondo di spiriti-feticci e di divinità; accanto al mondo umano, il mondo degli antenati che gli dà vita e forza. E al di sopra di tutto, Nyamyen, il dio del cielo, misterioso e lontano, che è buono e non ha bisogno di essere placato con sacrifici espiatori, come gli spiriti della terra e i feticci. Gli si offrirà eventualmente qualche sacrificio di lode, ma si avrà sempre il suo nome sulle labbra, in tutti i momenti della vita quotidiana (per ringraziare qualcuno: «Nyamyen illumini il tuo volto!»;... quando un oratore ha parlato bene: «È Nyamyen che gli ha messo queste parole sulle labbra!»;... quando si è sfuggiti a un pericolo: «Nyamyen è grande!»). 2. Senza calendario liturgico e feste a data fissa, la vita religiosa si organizza intorno alla vita quotidiana, che viene ad essere avvolta in una rete di prescrizioni regolate dalla tradizione; si consultano gli indovini e gli stregoni, ma anche tutta la comunità del villaggio, che viene coinvolta nelle grandi decisioni attraverso lunghe discussioni dell’assemblea. Una nascita, un matrimonio, un funerale sono avvenimenti che danno luogo a feste e a sacrifici, così come un’epidemia o una disgrazia. 3. Lungo tutta la giornata, il Baulé rimane in contatto col mondo invisibile. «Quando comincia a coltivare il suo campo, affondando la zappa nel suolo, chiede scusa alla terra: “Perdonami se ti colpisco in questo modo; non è per cattiveria, ma perché ho bisogno di te, per nutrire me stesso e i miei. Sii buona con noi”. Durante la caccia, parla con la rete, chiedendole di essergli favorevole e di fargli prendere una buona quantità di selvaggina. Traversando un corso d’acqua, lo supplica: “Scusami, sono costretto ad attraversarti, non uccidermi”. Prima di mangiare, prende un po’ di cibo per offrirlo alla statuetta che sta in un angolo della capanna. Prima di bere, versa qualche goccia di vino di palma sul terreno, invitando il cielo e la terra a venire a bere con lui. E di notte si ritrova insieme alla sua sposa, di fronte alla divinità più potente: la fecondità. Anche la malattia è un personaggio: è un inviato, un messaggero che bisogna rispettare. Così
vivono in mezzo alla savana africana circa mezzo milione di Baulé, poveri e felici, immersi in una tradizione che li schiaccia e nello stesso tempo li sorregge, con i loro tratti originali innestati sul fondo comune di tutte le religioni africane (ad esempio, l’usanza della libera unione prima del matrimonio, che è di regola fra i Baulé, contrasta col rigore morale di altre popolazioni...).» 4. E non ho parlato delle maschere! La loro funzione è molto diversa da quella delle nostre maschere, che servono soltanto a nascondere un volto in un’atmosfera di scherzo o di dissimulazione. La maschera africana, per riprendere la formula indovinata con cui Garaudy caratterizza le religioni africane, ha lo scopo di rendere visibile l'invisibile, di renderlo presente. Ai confini tra il visibile e l ’invisibile, i due mondi tra cui la religione mantiene i contatti, la maschera è un «medium» che permette all’uomo di raggiungere le proprie sorgenti: la natura, gli antenati, gli dèi. La maschera fa partecipare alla realtà profonda che sostiene tutto l ’universo, e l ’africano che la porta, nella danza, riceve da essa una carica di energia spirituale per se stesso e per la comunità. «Quello che noi chiamiamo danza, musica, scultura, non sono che le componenti di un’unica azione, che tende a captare e a trasmettere una forza nella comunità che la invoca e la evoca. Si attualizza e si risveglia la potenza di un antenato o di un dio, rivivendo il mito attraverso il rito», scrive Garaudy, che insiste sulla potenza terrificante della maschera: «Ho visto morire un uomo che portava la maschera di una tribù che non era la sua. La maschera è caricata di una forza tale che può uccidere chi la porta indebitamente». Tutte le religioni africane usano le maschere, che riflettono gli aspetti particolari delle diverse tradizioni in cui affondano le radici, con tutta una gamma di connotazioni che vanno dalla serenità al terrore sacro. Ma non è facilmente consentito ai bianchi, e ancor meno ai turisti di. passaggio, di assistere alle cerimonie in cui intervengono le maschere. Passi antologici. “Tu Maestro... Mio Dio, nella pace ho riposato questa notte; fa’ che io passi questo giorno nella pace! Tu hai preparato nella pace il sentiero che percorrerò, fa’ che su questo sentiero io cammini diritto! Se parlo, allontana da me la calunnia; se ho fame, togli dalle mie labbra le parole di protesta; se sono nell’ abbondanza, distruggi in me l’orgoglio! Che questo giorno trascorra invocando te, Maestro, che non conosci altro maestro!” (Preghiera del mattino dei Galla, Africa) L’idea di un Essere Creatore la si ritrova presso tutti i popoli. Riportiamo due esempi:
I Maori della Nuova Zelanda hanno riflessioni che in qualche modo si potrebbero ricollegare a quello che leggiamo nella Bibbia. Anche essi fanno riferimento alla parola creatrice di Dio. Io dimorava all’interno dello spazio pulsante dell’immensità. L’universo giaceva nelle tenebre con acqua in ogni dove. Non esisteva alcun barlume di alba, alcuna chiarità, alcuna luce. E il suo inizio fu in quelle parole per cessare, lui, di essere inerte. «tenebre, divenite tenebre sature di luce» e immediatamente la luce apparve. Allora egli ripeté nello stesso modo le medesime parole per cessare, lui, di essere inerte: «luce, divieni una luce satura di tenebre» e di nuovo l’ oscurità sopravvenne profonda. Poi, una terza volta egli parlò ancora dicendo: «che ci sia una oscurità in alto che ci sia una oscurità in basso, che ci sia una luce in alto che ci sia una luce in basso un dominio di luce, una luce splendida». E allora una grande luce irruppe dominatrice. Poi, Io guardò le acque gravitanti intorno a lui, in alto, e parlò una quarta volta, dicendo: «voi, acque di Tai-Kama, siate separate, e i cieli siano formati». E il cielo allora rimase sospeso. «E tu, crea, o Tupua-horo-nuky». E subito la terra mobile si distese. Gli abitanti di Tahiti parlano della pre-esistenza di Dio prima della creazione: Egli esisteva: Taaroa era il suo nome. Nell ’ immensità vuota dello spazio non c’era terra, non c’era cielo, non c’era mare, non c’era uomo. Dall ’ alto Taaroa esprime la sua parola. Unico esistente, egli diviene l ‘universo. Taaroa è la radice. Taaroa è le rocce, è le sabbie. E così che egli si è chiamato. Taaroa è la luce. Taaroa è all ’ interno. Taaroa è il germe. Taaroa è in basso. Taaroa è fermo. Taaroa è saggio. Egli è il creatore del paese di Hawai, di Hawai la grande e l 'ha consacrata, per essere un corpo ed un guscio per Taaroa. La sua spina dorsale per fare le creste delle montagne,
le sue costole per farne i pendii, le sue parti vitali per farne le nuvole veleggianti, la sua carne per farne il grasso della terra, le unghie delle sue dita e i suoi artigli per farne scaglie per i pesci e conchiglie, le sue piume per farne alberi, arbusti e rampicanti onde rinverdire la terra, i suoi intestini per farne gamberi, granchi e anguille per i fiumi e il mare; e il sangue di Taaroa, bollente, su in alto per arrossare il cielo e gli arcobaleni. Ma la testa di Taaroa restò a lui, sacra; ed egli continuò a vivere, la testa di sempre sopra un corpo indistruttibile. Dio è sempre presente. Ecco alcune espressioni molto significative degli Ashanti: Il Sole sfolgora e manda giù il suo calore; la Luna si leva nel suo splendore; cade la pioggia e il sole torna a splendere. Ma l ’ occhio di Dio sovrasta a tutte queste cose; nulla gli è nascosto. Sii tu in casa o in riva all’acqua, oppure nella fitta ombra degli alberi, Egli è in ogni luogo sopra di te. Tu credi di prevalere su un povero orfanello, o lo insidi nei suoi averi e lo inganni pensando: «Nessuno mi vede». Rifletti, tu sei davanti all ‘occhio di Dio. Egli ti farà scontare non oggi, non oggi, non oggi. Anche le tribù degli Akan della Guinea superiore hanno idee simili: Il sole splende e arde chiaro su di noi, la luna sorge nel suo splendore. La pioggia cade, e poi riluce il sole, ma l ’occhio di Dio e più alto di tutto questo, nulla gli è nascosto. Che tu stia a casa, che tu sia presso l ’acqua oppure nella folta ombra degli alberi, sempre egli è sopra di te. Tu pensi di essere molto più di un orfano, tu miri ai suoi beni e lo inganni. E il tuo pensiero è: nessuno mi vede. Ricorda: sei davanti all ‘occhio di Dio. Egli ti darà, un giorno, quello che ti spetta, non oggi, non oggi, non oggi, un giorno ti darà quello che ti spetta, perché tu hai pensato nel tuo cuore: è solo un orfano, è solo uno schiavo, Dio ti darà, un giorno, quello che ti spetta,
non oggi, non oggi, non oggi. La preghiera: il Padre nostro dei popoli: Nelle preghiere dei non cristiani ci sono scintille di verità. Dicono l ’attesa che c’è nel mondo, di un messaggio che risponda a tutti gli interrogativi dell ’intelligenza e della vita. Abbiamo raccolto alcune di queste scintille di verità e abbiamo formato con esse il «Padre Nostro dei popoli». Sono cariche di toni commoventi e di genuino slancio e, spesso, di spontanea poesia. PADRE NOSTRO... (Africa - Preghiera dei Khoikoi) Non sei tu nostro padre, tu, Tsuigoa? Oh, che noi ti possiamo lodare! Oh, che noi ti possiamo contraccambiare! Tu, padre dei padri, Tu, o Signore, tu, Tsuigoa. ... CHE SEI NEI cieli. (Perù Preghiera degli Incas) O Viracocia signore dell’universo, ascoltami! Dall’altezza del cielo, dalla profondità del mare, dove sempre tu abiti, o creatore del mondo, o autore degli uomini o signore dei signori! ... SIA SANTIFICATO IL TUO NOME...(Antico Egitto - Inno al dio Amon) Amore a te regna nel cielo meridionale simpatia per te nel cielo settentrionale. La tua bontà conquista i cuori il tuo amore disarma le braccia. Salute a te che tutto hai creato. ... VENGA IL TUO REGNO... (Giappone - Preghiera al dio Kwan-on) O tu, che brilli in tutta l ’eternità, simile al sole, la cui gloria non può essere contrastata da alcuna potenza, o tu, simile al sole nel suo corso di grazia, effondi luce sul mondo. ... SIA FATTA LA TUA VOLONTÀ…(Africa - Canto dei Pigmei Hakka) Creatore, o Creatore! Tu sei il Padrone, Padrone di tutto. Creatore, o Creatore! Tu sei il Padrone della Foresta, Padrone degli alberi, Padrone delle creature, Creatore, o Creatore! Tu sei il Padrone Noi siamo i tuoi sudditi, comanda e ubbidiremo. ... COME IN CIELO COSÌ IN TERRA... (Antica Grecia - di Cleante Ateniese) A te veramente questo universo intero, che ruota attorno alla terra, ubbidisce, dovunque lo spingi, e spontaneamente da te vien tratto... senza di te, o Dio, nulla avviene sulla terra, né nell ’aere divino del cielo, né sul mare, ad eccezione di quello che i malvagi effettuano per loro stoltezza.
… DACCI OGGI IL NOSTRO PANE QUOTIDlANO... (Rhodesia - Preghiera dei Boscimani) O creatore, o creatore, non siamo noi tuoi figli. Non guardi tu alla nostra fame? Donaci da mangiare. Padre, io vengo a te, sospiro a te, donaci cibo e le cose tutte, onde possa vivere. ...RIMETTI A NOI I NOSTRI DEBITI... (India) O Signore, non guardare a tutti i miei peccati! Il tuo nome, o Signore, è «Guarda sereno»; Fa’ che il tuo alito mi purifichi, come tu vuoi. ...COME NOI LÌ RIMETTIAMO AI NOSTRI DEBITORI… (Preghiera giainista, sec. VIII a.C.) Che io senta amore per tutti gli esseri, compassione per quelli che sono afflitti sulla terra: che degli erranti sempre io mi occupi; questo degnati concedermi, o Signore; così, fammi divenire, o Signore. NON C'INDURRE IN TENTAZIONE MA LIBERACI DAL MALE... (America Centrale Preghiera degli Indi Qechua) Domani sarà di nuovo giorno, domani di nuovo apparirà la luce del sole. Io non so, dove sarò. Soltanto tu, o mio Dio, tu mi vedi, tu mi proteggi su ogni strada, in ogni oscurità, davanti ad ogni ostacolo che tu puoi superare, che tu puoi vincere, tu o Dio, tu mio signore, tu signore dei monti e delle valli. RITO DI INIZIAZIONE: consacrazione delle armi. Tu sole che vedi tutte le cose Tu i cui raggi splendenti Penetrano attraverso la nube nera, Sole, a te questo omaggio! Davanti al tuo sguardo che folgora, E davanti alle rapide frecce Della tua faretra infuocata, Pavida la notte si inabissa Costernata nell’ oscuro, profondo. Con i tuoi colpi scintillanti di luce Le strappi il mantello, Il nero mantello, foderato di fuoco, Trapunto di stelle fulgenti, Le strappi il nero mantello!
Tu, sole, che vedi tutte le cose, Tu, i cui raggi splendenti Penetrano attraverso la nube nera, Sole, a te questo omaggio! (letteratura dei FAN: Congo-Bantù) I morti non sono morti «Ascolta più spesso le cose che gli uomini, la voce del fuoco si sente, senti la voce dell ’acqua. Ascolta nel vento l’albero che singhiozza: è il respiro degli antenati. Quelli che sono morti non sono mai partiti, sono nell ’ombra che si rischiara e nell’ombra che si addensa; i morti non sono sotto terra sono nell ’albero che freme, sono nella foresta che geme, sono nell ’acqua che scorre, sono nell ’acqua che riposa, sono nella capanna, sono in mezzo alla folla: i morti non sono morti». Valori nelle religioni primitive. Il nostro secolo è stato testimone di un vero capovolgimento di opinione nei confronti delle religioni primitive, a lungo disprezzate come non civili o selvagge... Gli artisti hanno dato il loro contributo, all’inizio del secolo, rivelando agli occidentali l ’arte africana; ma l ’hanno staccata, purtroppo, dal suo contesto culturale e religioso. Tuttavia, il mondo «selvaggio» dell’Africa o dell’Oceania, tramite le sue espressioni artistiche, ha cominciato ad essere preso in considerazione come un mondo diverso, che fa sorgere un universo d’interrogativi, e a cui Malraux riserva un ampio spazio nel suo museo immaginario: «la maschera e Poussin, l ’antenato e Michelangelo, non sono degli antagonisti ma dei poli». Intorno agli anni cinquanta, il sociologo Lévy-Bruhl, con molta onestà, corregge le tesi che aveva sostenuto all’inizio del secolo sull’esistenza di una mentalità primitiva di tipo inferiore, prelogica e «mistica», in rapporto a una nostra mentalità ritenuta logica e affrancata dal misticismo, mentre Van der Leeuw dimostra che la cosiddetta mentalità prelogica è in realtà una mentalità metalogica. E, nella prefazione al trattato sulla storia delle religioni di Mircéa Eliade, Georges Dumézil osserva che la ricerca degli studiosi, che intorno al 1900 si collocava sotto il segno del mana (forza misteriosa e diffusa che è sempre precedente al ragionamento logico), si
colloca ormai sotto il segno del logos, partendo dall’idea, sempre più verificata, che di là dal polverone sollevato dai suoi vari elementi, una religione è un sistema, un pensiero articolato, una spiegazione del mondo. Le prese di posizione si moltiplicano. La nostra cultura occidentale logicomatematica, che costituisce un progresso dello spirito umano, ma non rappresenta affatto un assoluto, potrebbe aver perso da un lato ciò che ha guadagnato da un altro! «L’equazione di Heisenberg è davvero, di diritto e di fatto, un’operazione intellettuale più alta (e più specifica dell’intelligenza umana) di un dialogo di Platone, di un’opera di Mozart, di una tragedia di Eschilo, di una tela di Picasso, di una maschera africana?...», scrive p. Pohier. Si potrebbero moltiplicare le citazioni: da Jacques Soustelle, esperto delle religioni antiche del Messico, che conclude che niente ci permette di supporre che l ’uomo di Neanderthal fosse meno intelligente di noi; a LéviStrauss che trova presso i Nambikwara, una delle tribù più primitive del mondo, «l ’espressione più commovente e più vera della tenerezza umana», a Garaudy che saluta come una perla, nel dialogo delle civiltà, l ’isola intatta di Bali, agli antipodi della cultura occidentale, dominata dalla ragione e dalla preoccupazione del «fare»! («Qui, l ’essere si dilata nel Tutto. La vita non è un compito da svolgere, è una pienezza. Il problema è quello di scoprirla. Con questo, noi raggiungiamo forse la forma più alta della spiritualità»). Schematizzando, si può parlare di due modelli complementari di cultura. Una, di tipo diurno (che si dispiega nella scienza, nella politica e nelle attività sociali ed economiche), culmina nelle società occidentali contemporanee. L’altra, di tipo notturno (che privilegia il campo artistico, etico e religioso), domina nelle società tradizionali, in Africa e in Asia. La convinzione che ogni civiltà deve essere rispettata è importante per un cristiano, perché egli deve sapere che gli uomini che appartengono a una determinata cultura sono chiamati a convertirsi a Gesù Cristo e non al modello di cultura di chi lo annuncia. L’evangelizzazione è un richiamo alla conversione e non un invito a lasciare una cultura per un’altra. A volte siamo stati troppo solleciti nel defraudare i «primitivi», divenuti cristiani, delle loro usanze, delle loro istituzioni e delle loro feste. Le religioni primitive sono il traguardo millenario cui pervenne il genio collettivo di uomini che superarono ad uno ad uno gli ostacoli che si opponevano alla loro sopravvivenza: sono riusciti a vincere la fame, la sete e tutti i pericoli della natura, e a vivere insieme in armonia, accettando consapevolmente la solitudine dell’esistenza e il terrore inconfessato dell’uomo, che si interroga sul senso della vita. Come dice molto giustamente un missionario dell’Africa, queste religioni rappresentano, più che una verità, una via, uno sbocco per le difficoltà dell’esistenza umana, una interpretazione dell’esistenza nell’ambito di un determinato genere di
vita. Questi tentativi si esprimono attraverso mille forme di rappresentazione e di realizzazione. Il punto di partenza, una specie di livello zero dell’esperienza religiosa, è la credenza in una realtà vaga, che sta al di là dell’esperienza abituale, a cui le popolazioni della Polinesia hanno dato il nome di mana; gli etnologi hanno trovato credenze analoghe in tutte le forme della religione primitiva: il ka degli egizi; il grande Manitù degli Algonchini (alcuni aggiungerebbero anche la baraka dei musulmani e la «fortuna» o la «iella» del linguaggio popolare!). Su questa base elementare, secondo gli etnologi, compaiono i tabù (per difendersi dal mana), la magia (per captarne la forza) e la religione (per cui il mana diventa il «sacro»). L’umanità dispiega allora i tesori della sua immaginazione e fa nascere, esplorando contemporaneamente le tre piste dei tabù, della magia e delle forme elementari di religione, i riti e i miti, dialetticamente connessi gli uni agli altri. I tratti del volto di Dio sono spesso condizionati dal tipo di vita, che a sua volta è legato sia all’economia sia al paesaggio. I popoli cacciatori lasciano poco spazio al culto degli antenati e credono generalmente in un Dio supremo, assistito da divinità locali del bosco e della foresta. I pastori nomadi hanno una forma elevata di religione, fondata sulla sublimità di un Dio che abita nel cielo. Presso le popolazioni dedite all’agricoltura, la figura del Dio supremo tende ad affievolirsi dietro alle divinità della procreazione e ai riti di fertilità della terra. I popoli che vivono in montagna tendono a concepire un Dio che abita sul monte più alto... Su queste considerazioni tutti si trovano d’accordo. Limiti delle religioni primitive. Ma ai successi si mescolano i fallimenti. La storia delle religioni del passato ci mostra le forme, per noi mostruose, a cui conducono certe evoluzioni della religione, come i sacrifici umani degli Aztechi al dio sole, al quale si offriva il cuore strappato alle vittime. Sono cose che appartengono al passato, direte voi. Ma quante usanze crudeli esistono ancora presso alcune tribù africane, come quella di seppellire il neonato insieme alla madre quando questa muore in seguito al parto! Io stesso ho conosciuto un ragazzo che era stato seppellito in questo modo quando era appena nato: suo padre l ’aveva salvato per miracolo, tirandolo fuori in gran segreto dalla tomba, ma poi aveva dovuto separarsi da lui altrettanto in segreto. E quanti altri aspetti, ancora attuali, si potrebbero citare: dal potere particolare degli stregoni con i loro sortilegi e i loro veleni, alla complessità opprimente dei riti e dei sacrifici.
Ho rivolto la stessa domanda a due missionari, a cui sta a cuore, insieme all ’apostolato, anche la riflessione teologica. Uno di loro si trovava in Vietnam, tra le popolazioni della montagna, e l ’altro nel cuore dell’Africa. La domanda era questa: secondo la vostra esperienza, quando un pagano diventa cristiano, come esprime la novità che il cristianesimo ha prodotto nella sua vita? Mi hanno risposto entrambi esattamente allo stesso modo: ha l ’impressione di lasciare un mondo di terrore, per entrare in un altro mondo dove regnano la pace, la gioia, la libertà e la fraternità cristiana. Limiti delle Cultura Occidentale. Dopo aver fatto queste necessarie precisazioni, vorrei ancora ripetere che noi occidentali, così ricchi di cultura, non dobbiamo vantare troppo una nostra superiorità, perché noi stessi stiamo cercando con fatica una soluzione ai problemi dell’età post-industriale, non siamo capaci di eliminare l ’orrore delle guerre e incontriamo grosse difficoltà a sconfiggere l ’opprimente solitudine delle grandi città e il terrore dell’era atomica! Dobbiamo stare attenti non solo a non defraudare del meglio della loro cultura coloro che si convertono dalle religioni primitive, (col rischio che poi si orientino verso qualche setta o qualche chiesa «marginale», come l ’harrismo o il kimbanguismo in Africa), ma dovremmo anche riflettere su tutto ciò che possiamo imparare, su ciò che la nostra cultura occidentale ha perduto, come il senso dell’incontro, dell’ospitalità e della festa. Gli africani mi hanno evangelizzato, dice un sacerdote francese che vive in Tanzania, spiegando come è mutato il suo modo di leggere il vangelo, da quando ha scoperto un nuovo senso delle relazioni umane. «Felice paese, conclude, dove ogni festa si esprime attraverso la danza; dove ho potuto vedere dieci vescovi danzare insieme al loro popolo, intorno a Colui di cui erano venuti a condividere la gioia»! Durante una trasmissione radiofonica, Garaudy ha sintetizzato l ’apporto culturale specifico dell’Africa, che consiste a suo avviso in un senso molto vivo della comunione, vissuta in tre direzioni: comunione con la natura, comunione con gli uomini, comunione con Dio. Con le necessarie purificazioni sul piano del vissuto, che cosa c’è di più evangelico dello sviluppo di questa comunione e del suo esercizio nella vita ecclesiale, dove non potrà che portare a un rinnovamento delle forme istituzionali e liturgiche? Vescovi e teologi si occupano con un interesse sempre maggiore di questi problemi. Nel dialogo delle civiltà, deve essere presente anche il nostro dialogo con le giovani chiese.
Gli artisti dell‘inizio del secolo hanno rivelato l ‘arte africana; per questa via abbiamo scoperto una cultura originale che ci provoca a riflettere sulle nostre carenze! Al polo opposto delle nostre culture “diurne” stanno queste culture “notturne”, diverse e complementari. Esse sono l‘esito di una ricerca millenaria di uno sbocco per la vita umana, attraverso faticosi tentativi di spiegare il mondo e di dare un volto a Dio, incorrendo anche in fallimenti e mostruosità di cui rimane ancora traccia, in un’atmosfera di terrore. Ma anche noi abbiamo i nostri orrori e i nostri terrori e non abbiamo più come loro il senso dei rapporti umani e della festa e il senso della comunione: il dialogo ci può arricchire.
SCIAMANESIMO MONGOLO-SIBERIANO di Hugo Novotny [...]Nell’Ulan-Ude, capitale della Buriazia, Repubblica appartenente oggi alla Federazione Russa e ubicata nella zona a sud est della Siberia, siamo potuti avanzare su tre linee di ricerca: 1. Le pratiche dello sciamanesimo siberiano buriato. 2. Le pratiche religiose e mistiche del buddhismo tibetano lamaista, più specificatamente della scuola tantrica Kâlachakra . 3. Gli interscambi su ambo i temi con gli specialisti del Centro Buriato dell’Accademia delle Scienze della Russia (ACR), specialmente della sezione Buddhista-tibetano-mongola del centro e il materiale scritto a cui abbiamo potuto accedere. A Ulan-Bator ci siamo stati due volte: nell’aprile e nell’agosto del 2010, rispettivamente cinque e trenta giorni, durante i quali abbiamo raccolto il materiale sul campo (testi, foto e video) che sono in questa produzione, sia riguardo lo sciamanesimo mongolo sia il buddhismo tantrico tibetano. La Buriazia è a 100 km a sud est del Lago Baikal, luogo sacro per gli abitanti di tutta questa regione buriato-mongola, qui si trova Ulan-Ude, importante centro di riferimento tanto per lo sciamanesimo siberiano come per il buddhismo tibetano. A differenza del resto della Russia, qui la presenza della Chiesa Ortodossa Russa è minima, perché il cristianesimo non è riuscito storicamente ad imporsi sulle forti credenze sciamaniche delle popolazioni di questa zona. Cosa in cui riuscì il buddhismo, che non eliminò lo sciamanesimo, ma ne integrò molti dei suoi elementi. Così, la corrente predominante oggi qui è il buddhismo tibetano gelugpa o setta “dei berretti gialli”.
Sciamanesimo siberiano buriato. Nella città di Ulan-Ude abbiamo visitato in varie occasioni il centro religioso sciamanico “Tengeri” (versione buriata del mongolo “tengri” -spirito del Cielo), ubicato in un quartiere lontano però dentro i confini della città, considerato il centro più attivo della religione, con “autorizzazione ufficiale” a funzionare pubblicamente. Nel centro “Tengeri” abbiamo partecipato a due sessioni sciamaniche, una con entrata in trance classica tramite “bubnas” o tamburi sciamanici e un’altra tramite campane e mantra buddisti tibetani. Le sedute collettive erano portate avanti insieme da vari sciamani con la presenza attiva degli abitanti, buriati e russi, interessati a chiedere l ’aiuto degli spiriti tramite loro. Nel caso dell’entrata in trance classica tramite i tamburi sciamanici, gli sciamani iniziano con un’invocazione congiunta degli spiriti dei loro antenati, invitandoli a scendere sui loro altari; dopo un po’ entrano in trance uno ad uno per dare aiuto ai devoti. In questo passo, il tamburo si converte nel “veicolo”, attraverso il quale lo spirito arriva allo sciamano e lo possiede. La cerimonia con entrata in trance tramite le campane vajra-ghanta e il mantra Om mani padme hum è una chiara acquisizione dal lamaismo, con la quale si invocano non gli spiriti degli antenati, ma divinità tantriche. In questo caso, dopo l ’introduzione collettiva degli sciamani e l ’entrata in trance individuale, dove vanno avvicinandosi uno ad uno i credenti per chiedere consiglio o aiuto, si fa un’offerta collettiva alle divinità, a cielo aperto, di latte, acquavite (vodka), caramelle e dolci per chiudere finalmente la seduta con un ringraziamento collettivo, nuovamente dentro la sala, alle divinità che sono venute in aiuto. È notevole la devozione dei credenti, specialmente nel momento dell’entrata in trance e “arrivo” degli spiriti, in quello della consultazione e nel ringraziamento finale. La terza volta abbiamo partecipato ad una cerimonia d’iniziazione di un nuovo sciamano. Durante l ’iniziazione, il nuovo sciamano, un buriato corpulento con aspetto da lottatore di pesi massimi, faceva le offerte agli spiriti del cielo insieme al suo maestro, intorno a tre giovani pioppi piantati per l ’occasione; con vari “jadaki” (fazzoletti di seta sacri) color azzurro cielo attaccati ai rami. Ad un certo punto, il nuovo sciamano consegna in modo cerimoniale al maestro una piccola coppa con vodka collocandola sopra il tamburo e, mentre entrambi proseguono con i canti, il maestro invoca gli spiriti e getta la coppa al cielo. Poi iniziano a cercare, dove è caduta la coppa fino a che la ritrovano dentro un jadaki, nei rami di uno degli alberi. E
con un’allegria incontenibile, come fosse un bambino, l ’iniziato comincia a correre in cerchio intorno agli alberi: la coppa non era caduta al suolo, gli spiriti hanno accettato l ’offerta. E di questo il nuovo sciamano rende grazie. La cerimonia si è conclusa con il sacrificio rituale di un agnello, fatto dagli assistenti con estrema delicatezza e secondo un preciso procedimento antico, che viene poi preparato e messo sulla tavola di celebrazione tra gli sciamani ed i familiari dell'iniziato. Buddhismo tibetano lamaista Le cerimonie sciamaniche di offerte alla terra e al fuoco sono notevolmente simili alle cerimonie lamaiste, in particolare la chiusura del rituale annuale Kâlachakra, chiamato "Yinsreg", con offerte anche attraverso il fuoco, alle 722 divinità del mandala. Questo rituale ha una funzione protettrice: allontanare gli “spiriti cattivi”, dare protezione, forza e benessere ai credenti. Entrambe le cerimonie, sciamaniche e lamaiste, cercano di svolgere la stessa funzione: un altro esempio del sincretismo regnante. Seguendo un'antica tradizione, il 15°giorno del 3° mese lunare in tutti i datsan del Tibet, della Mongolia e della Buriazia inizia l ’Hural "Duinjor", rito annuale dedicato alla divinità tantrica Kâlachakra. . La prima settimana consiste nella costruzione del mandala, con polvere di pietre del lago sacro Baikal, tinte di differenti colori. Lo costruiscono quattro monaci allo stesso tempo, tutti i giorni dalle prime ore del mattino fanno le loro visualizzazioni e canti con mantra, fino a convertirsi loro stessi nella divinità Kâlachakra; e poi perfino la notte lavorano alla costruzione del mandala, ognuno da un lato dello stesso, mentre altri continuano con cantici e preghiere. La seconda settimana si svolgono le preghiere e le meditazioni centrali del rituale, i monaci si rappresentano dentro il mandala e invitano le divinità a scendere, facendo con devozione vari tipi di offerte e lodi. Infine, l ’ultima settimana, il rituale "Yinsreg" di offerte al fuoco e la distruzione del mandala. Dopo aver lodato le divinità, i lama si separano da loro, le invitano a tornare alle loro abitazioni celesti e distruggono ritualmente il mandala. I resti della "polvere sacra" del mandala sono divisi in due metà: una di queste si divide in piccole porzioni tra i credenti, al fine di trasmettere la carica positiva nelle loro vite; e l 'altra metà è data come offerta al Dio dell’Acqua, nel fiume più vicino, affinché irradi la sua benefica influenza a tutta l ’umanità. Con questo rituale di distruzione del mandala termina il periodo annuale di cerimonie Duinjor, che ha il significato profondo del distacco per ricordare che tutto ciò che si manifesta è impermanente e insostanziale, la vacuità di tutti i fenomeni.
In Buriazia, tra tutti i monasteri esistenti, solo uno di loro: il Duinjor Datsan di Ulan-Ude, è interamente dedicato al tantrismo Kâlachakra e ha una "facoltà Duinjor" che forma nuovi lama in questa scuola, fino a qualche tempo fa "segreta" e ora aperta a numerose iniziazioni e rituali pubblici. Sia il monastero più grande in Buriazia: il Datsan Ivolguinsky, come gli altri datsan della regione, sono invece centrati sulla formazione filosofica e sul culto religioso all 'interno del buddhismo tibetano Gelugpa. Interazione. È molto evidente l 'interazione tra sciamanesimo e lamaismo: essi condividono molte allegorie e aspetti cerimoniali. Si possono vedere i lama, come gli sciamani, fare offerte al fuoco, offrendo latte, vodka, caramelle e biscotti alle loro divinità, rispondere a domande e predire il futuro sgranando il rosario. Allo stesso modo gli sciamani invocano le divinità tantriche con le campane e i mantra buddisti. Si può verificare a occhio nudo la tesi degli studiosi buriati che l ’arrivo del lamaismo in queste terre ha incorporato molti elementi dello sciamanesimo locale, per attirare la popolazione verso il loro culto. Raffinando e superando alcune pratiche, come ad esempio le offerte di cereali, latte, biscotti al posto di sacrifici animali (e in passato umani) che si facevano nelle sedute sciamaniche. Inoltre entrambi hanno subito il periodo della repressione stalinista e la pressione della Chiesa ortodossa russa fino ad oggi, per cui si avverte una certa complicità tacita e rispetto reciproco. Archivi dei testi sacri. Sia lo sciamanesimo che il lamaismo sono stati perseguitati e praticamente annichiliti durante la repressione stalinista degli anni ‘30 del secolo scorso. Dopo la distruzione di monasteri e templi, la letteratura tibetana è stata recuperata principalmente dagli scienziati dell'Accademia Russa delle Scienze (ARS) e da alcuni pochi lama sopravvissuti. La parte recuperata dagli scienziati si trova oggi conservata nella sezione Buddhista-tibetanomongola dell ’archivio del Centro scientifico buriato dell 'ARS. Ci sono circa 40.000 pezzi, inclusi i testi sacri del Ganzhur (raccolta degli insegnamenti del Buddha), Danzhur (commenti di diversi lama ai discorsi del Buddha) e altri scritti di lama tibetani. In generale, sono testi in tibetano e mongolo antico, con edizioni di varie epoche e provenienze, oltre ad alcune unità bibliografiche in russo. Di questi testi è piccolissima la parte che è stata tradotta in altre lingue, poiché nei monasteri buddisti del
Tibet, della Mongolia e della Buriazia l 'insegnamento, la pratica mistica e i servizi religiosi sono ancora in tibetano o in mongolo. Un altro "tesoro" del genio tibetano conservato presso il Museo Nazionale della Buriazia è l 'Atlante della Medicina Tibetana, trattato del XVII secolo con una serie di settantasei tavole, ognuna opera d 'arte in sé, che riassume le vaste conoscenze sviluppate dal buddhismo tibetano su questa tematica. Ancora oggi la medicina tibetana si pratica attivamente in tutta la regione buriata, ed è una delle attività più importanti in molti monasteri della zona. Essi hanno anche inserito molte erbe autoctone nei procedimenti curativi, grazie alla stretta collaborazione tra i monasteri e l 'Accademia Russa delle Scienze. Nel caso dello sciamanesimo è molto poca la letteratura esistente, affidabile e accessibile. Su tutti un testo scritto nel 1846 dallo scienziato buriato Dorji Banzarov: "La fede nera, o lo sciamanesimo nei mongoli”, che si trova nella Biblioteca Nazionale della Buriazia. Ricordiamo che, prima di entrare nella Federazione russa, questa regione era denominata Buryat-Mongolia. Lungo la strada che da Ulan-Ude porta a Ulan Bator, la capitale della Mongolia, abbiamo incontrato molti luoghi di culto, denominati in mongolo "Oboo", dove i credenti realizzano le loro richieste perché considerati luoghi "sacri" nei quali abitano spiriti in grado di aiutare la realizzazione delle loro richieste. Di solito si trovano vicino a strade, in modo che ogni viaggiatore possa avvicinarsi, fare la sua richiesta e offerta e con questo liberare il viaggio da incidenti. Anticamente si facevano sacrifici animali per ottenere la benevolenza degli spiriti dell’Oboo. In seguito all'espansione del buddhismo in queste terre, le offerte divennero cereali, latte, vino, dolci o monete, come in generale si usa nei servizi religiosi buddisti. Gli Oboo possono essere monoliti di legno intagliato circondati da colonne, anch’esse di legno, le "colonne del mondo" che collegano la terra con il cielo e molti "Jadaki" o fazzoletti sacri, legati a loro, di solito color azzurro cielo che però possono anche essere rossi, bianchi, gialli e verdi quando compongono una collezione. L’Oboo può essere anche semplicemente un cumulo più o meno grande di rocce del luogo con un piccolo palo al centro, che svolge la stessa funzione di "asse del mondo", dove vanno legati i "jadaki". Questi fazzoletti li abbiamo visti ogni volta più frequentemente, non solo sugli oboo, ma anche su alberi, ponti, piante, pietre e qualsiasi luogo in cui può essere legato un fazzoletto. E indifferentemente nei luoghi di culto sciamanici o buddhisti. Nel caso della Mongolia, il sincretismo tra i due culti è totale.
Sciamanesimo mongolo. Qui troviamo un fenomeno in crescita accelerata a partire dagli anni ‘90. In Mongolia, anno dopo anno, aumenta la quantità di nuovi sciamani, che sono sempre più giovani. Abbiamo partecipato a sedute con sciamani e sciamane di 24-26 anni, ma ci hanno anche parlato di sciamani di tredici e quattordici anni, che gli sciamanisti mongoli, considerano come i primi rappresentanti di una nuova civiltà. E' impressionante vedere con che gusto i giovani diventano sciamani o hanno amici sciamani. Gli sciamanisti mongoli sostengono che siamo in un momento storico decisivo in cui i grandi spiriti torneranno sulla Terra per favorire la nascita di una nuova civiltà. E che questa volta, secondo quanto è stato annunciato recentemente ad una giovane sciamana: “i grandi spiriti verranno dall'Atlantico”... Secondo loro, i “tengri”, gli spiriti del Cielo, hanno bisogno di più sciamani per realizzare questo piano, rafforzare lo sciamanesimo indebolito dalle persecuzioni, aiutare la loro gente e l 'umanità intera a superare questo momento critico e compiere un salto storico. I mongoli pensano che gli sciamani abbiamo una funzione molto importante da compiere, in questo momento, quella di connettersi con i grandi spiriti. Così come l 'avevano in altri periodi molto significativi della storia mongola ed euroasiatica: la dinastia degli Unni e dell 'impero di Gengis Khan, quando lo sciamanesimo divenne la religione di stato e influenzò fortemente tutti gli ambiti della vita dell 'impero: religioso, culturale, politico, militare. Ancora oggi si vedono gli sciamani svolgere diversi ruoli, personali e sociali: guaritori, consiglieri, facendo diagnosi e predizioni, assistendo e guidando i bambini... In quest'ultimo ruolo, è stato molto interessante assistere alla sessione di una sciamana molto giovane in un quartiere periferico di Ulan-Bator, con sua madre come aiutante e tutta la famiglia attorno a domandare, chiedere consiglio, aiuto o guarigione; chiaro, non alla giovane donna che lei era nella sua vita quotidiana, ma ai suoi spiriti ancestrali: un avo di molte generazioni precedenti o una regina, anche lei di altri tempi, che si reincarnavano in lei alternandosi durante la trance. Molto impressionante anche il buon umore regnante durante tutta la sessione, dentro e fuori dalla trance. Questo buon umore è caratteristico delle sessioni sciamaniche mongole in generale, cosa che non abbiamo trovato in Buriazia. Un'esperienza molto interessante è stata partecipare alla cerimonia d’iniziazione di un nuovo sciamano, durante la quale abbiamo potuto verificare il grande significato e la grande carica devozionale messa in
gioco, tanto per l 'iniziato quanto per gli sciamani presenti, i familiari e specialmente l 'aiutante del nuovo iniziato. La cerimonia, che dura tutta la notte fino al mezzogiorno seguente, si sviluppa collettivamente, concentrando tutti quanti la “forza” sull'iniziato affinché possa “connettersi” per la prima volta col suo spirito e riceverlo, entrando così in trance. Per questa occasione speciale si compone un canto che ricorda all 'iniziato il nome, il luogo e le caratteristiche dello spirito ancestrale che lo ha scelto per diventare sciamano, informazione che viene comunicata dal vecchio maestro sciamano che guida l 'iniziazione. Questo canto è cantato a cappella dall'aiutante dell'iniziato e dai suoi familiari presenti, mentre nel frattempo il nuovo sciamano gira e suona il suo tamburo, cercando di entrare per la prima volta in contatto col suo spirito ancestrale. Prima si sono svolti vari passi di purificazione e preparazione: dell 'iniziato, dei suoi attributi e dell'ambito. E' stato commovente vedere l 'iniziato chiedere aiuto agli spiriti del Cielo per realizzare il “contatto” e poi ringraziarli per averlo raggiunto. Così come il suo stato di commozione emotiva, durante la prima trance, quando i suoi familiari, uno per uno, si sono avvicinati per fargli l 'imposizione delle mani. E' stato quindi chiaro che, almeno nel caso che stavamo osservando, l 'iniziazione di un nuovo sciamano non è una formalità esterna, ma un vero e proprio lavoro, individuale e collettivo, per raggiungere la trance e la possessione da parte dello spirito ancestrale. Negli sciamani più esperti, l 'entrata in trance è molto più rapida. E' stato anche molto interessante per noi partecipare attivamente alle sedute. Il caso più significativo si è verificato con Ariane e la nostra amica sciamana-messaggera Tuia. Nel momento che la sciamana (il suo spirito in realtà) inviava un'ondata di benessere attraverso una ciotola con una bevanda che lei soffiava dolcemente, Ariane ha sperimentato un forte registro di connessione con la Forza e si è sentita lanciata verso il Profondo, con tutti i registri proprio del caso, e una durata psicologica di vari minuti... Secondo Bumochir Dulam, un giovane antropologo e sciamanista, professore dell'Università Statale della Mongolia e conduttore di un programma televisivo sullo sciamanesimo, con il quale ci siamo trovati in buona sintonia, nell'ultimo periodo stanno apparendo non solo spiriti molto antichi, ma anche non terrestri. I primi mettono i propri sciamani davanti alla necessità di ampliare le loro capacità di “contatto”: i secondi hanno aperto nuove incognite agli studiosi mongoli, obbligandoli a rivedere la loro“mappatura” del mondo spirituale.
Bumochir ha sottolineato la necessità attuale della meditazione e di una nuova etica che aumenti il livello degli sciamani, permettendo loro di connettersi con spiriti più potenti. Nella visione sciamanista mongola, quanto più basso è uno spirito, tanto più richiede alcool e sostanze stimolanti durante la trance e meno “esigenze etiche”; quanto più alto e potente, meno richiede sostanze bensì capacità di concentrazione, meditazione e di un “reale atteggiamento di aiuto agli altri”. Su questo punto, hanno trovato di molto interessante il Messaggio di Silo. Un'altra coincidenza interessante con gli sciamani mongoli nel modo di vedere lo spirituale è la corrispondenza del loro concetto di “spirito” con il concetto siloista di “guida interna”. Loro sono convinti per esempio che quanto uno spirito è più antico, più lontano nel tempo, tanto è più potente. Molte delle loro considerazioni in questo senso, ci hanno fatto ricordare le frasi del paragrafo di Umanizzare la Terra, dove Silo afferma: “Quanto più forti sono state le invocazioni, da tanto più lontano le guide sono accorse, portando con sé il migliore consiglio. Da questo ho compreso che le guide più profonde sono anche le più potenti. Ma solamente una grande necessità può svegliarle dal loro letargo millenario”. Come il capitolo riferito ai modelli di vita: “Esistono, però, modelli profondi, che non cambiano mai e che dormono nella parte più interna della specie umana in attesa del loro momento.” Buddhismo tantrico tibetano. I segni più significativi di contatto con il Profondo attraverso la via tantrica buddhista li abbiamo incontrati nella scuola denominata Kâlachakra. A questa scuola sono appartenuti i lama più interessanti e ispirati della Mongolia. Un esempio molto significativo è Geggeen Zanabazar, il primo Bogdo Khan, che convertì la Mongolia in uno stato buddhista nel XVII secolo. Il simbolo statale mongolo “Soyongo” disegnato da Zanabazar, è una stilizzazione del simbolo della Kâlachakra . Oltre ad essere capo di stato, politico, militare e religioso, fu anche un grande artista. Tanto i mandala in tessuto come i Buddha e Tara in bronzo, sono produzioni di una profonda bellezza. Un altro caso di grande interesse è il Choijin Lama Luvsanhaidav, un lama sciamanico o sciamano religioso che fu Oracolo di Stato di suo fratello, l '8° Bogdo Khan di Mongolia, all'inizio del XX secolo. Il tempio-monastero presso il quale operò tra il 1908 e il 1918, è stato accuratamente conservato fin ad oggi come museo.
Il Museo Choijin Lama, con i suoi diversi templi: dell'entrata in trance, della meditazione, del culto, ecc. conserva le figure, le allegorie e gli ambiti più suggestivi di tutto ciò che è stato trovato in questa regione, nell'ambiente Buddhista tibetano. E' notevole l 'energia che si può percepire, per esempio, nell'entrare nel piccolo tempio di meditazione tantrica utilizzato dal Choijin Lama (Yadam Temple). Livsanhaidav entrava in trance nel tempio principale del suo monastero e poi andava a riferire ai funzionari e ai membri del clero le profezie trasmesse dalle divinità. Choijin Lama era posseduto non da uno spirito ancestrale, come gli sciamani in generale; ma da tre divinità tantriche buddiste considerate molto potenti: Naichin Choijin, Dorzhshugden e Zamura. La grande intensità della trance che, oltre alla capacità profetica, gli dava un'enorme forza fisica, lo portava abitualmente a perdere conoscenza alla fine della seduta. A quel punto veniva trasferito dai suoi aiutanti al tempio della meditazione, dove riprendendo i sensi, entrava in meditazione tantrica Kâlachakra . La modalità del suo lavoro mistico consisteva, così come nel tantrismo buddhista in generale e nella scuola Kâlachakra in particolare, nel trasformare le forze più dense in energia ogni volta più sottile, elevandola fino a giungere alla completa illuminazione e al Nirvana. I sei templi ubicati in questo piccolo monastero, hanno un secondo piano non accessibile. Chiedendo alle guide del museo che c'era lì, ci hanno risposto: “niente, vuoto!”. Che nella visione buddhista, il vuoto, il non-manifesto, occupa un posto molto rilevante e complementare all'esistente o manifesto. Per quel motivo, tutti i templi in questo monastero mettono il manifesto nel pianoterra e il non-manifesto, il vuoto, al secondo piano. Riguardo al raggiungimento di stati di coscienza ispirata nello sciamanesimo siberiano - mongolo . Di ciò che abbiamo osservato in questi viaggi, specialmente nell'ultimo di quelli fatti in Mongolia, possiamo concludere che lo stato di coscienza sperimentato dagli sciamani è di trance, per lo spostamento e sostituzione dell'io da parte di un'entità spirituale; con differenti intensità d ’ispirazione nell 'estasi e nel rapimento, e con differenti capacità; per usare le loro parole, a seconda “delle capacità dello spirito che ti possiede”, che sia ancestrale, spirito non umano o divinità.
Questo contatto col piano spirituale è motivato alla base dal credere possibile una comunicazione diretta con il Cielo, la quale ci possa dare attributi sovrannaturali. Nella tradizione sciamanica il tamburo è il “veicolo” attraverso il quale lo spirito raggiunge lo sciamano e lo possiede. Il suono ritmico del tamburo facilita la concentrazione dello sciamano nel suo proposito e nella sconnessione di ogni altro stimolo, fino ad arrivare alla trance e all 'essere posseduto dallo spirito, che precedentemente è stato invocato e invitato a discendere nei fuochi dell'“altare”: dall'altare al tamburo e da lì allo sciamano, “prendendo possesso” del suo corpo. L'uscita dalla trance termina allo stesso modo con un battere del tamburo e, in alcuni casi, con piccoli salti e gesti di “allontanamento” dello spirito. E' evidente l 'importanza della forte carica devozionale da parte dello sciamano nel prendere contatto con i suoi “spiriti”, sia principali sia ausiliari, al fine di realizzare i suoi compiti durante la trance: predizione, guarigione, aiuto, ecc. Questa relazione devozionale con i propri spiriti ci sembra chiaramente corrispondente con quello che Silo ha chiamato relazione con la “guida interna”; è chiaro che nel caso degli sciamani questa relazione è registrata non solamente in termini di presenza, dialogo e accompagnamento, ma arriva fino alla “possessione”. Di stati d ’ispirazione più in là della trance e della sostituzione dell'io, verso la sospensione e soppressione dell 'io, non siamo riusciti ad identificare indicatori sufficienti; anche se alcuni di loro ci hanno parlato di esperienze nelle quali la “perdita di conoscenza” è totale ed è necessario che l 'assistente li aiuti poi a “tornare” in questo piano. Ad ogni modo, non sembra che possano contare su tecniche sufficienti per raggiungere la capacità di accesso al Profondo. Riguardo al raggiungimento di stati di coscienza ispirata nel buddhismo tantrico tibetano Kâlachakra. La tecnica utilizzata consiste nella concentrazione progressiva della rappresentazione della divinità doppia (Kâlachakra e la sua sposa), nell'aumento progressivo della carica affettiva e successiva fusione e conversione nella divinità, sempre accompagnata dalla ripetizione dei rispettivi mantra, per continuare poi fino all'esperienza del “vuoto” universale, il Nirvana. La spiegazione del Buddha Lama dedicato alla pratica e all 'insegnamento del tantrismo Kâlachakra nel monastero Duinjor Datsan della Buriazia, sviluppa i seguenti passi:
1. Invocazione della divinità, rappresentandola davanti a sé e precisando, dettagliatamente, tutti gli attributi contenuti nell'immagine della divinità doppia e del suo intorno. Poi si allontana la rappresentazione. 2. Si torna a invocare e rappresentare la divinità Kâlachakra e il suo intorno davanti a sé, realizzando ora le lodi del caso, attraverso i rispettivi mantra e le offerte, tanto materiali quanto mentali. Questo è il passo in cui si aumenta fortemente la carica devozionale nell'operatore. Poi si allontana la rappresentazione. 3. Si invoca per la terza volta la divinità, e questa volta l 'operatore si fonde con lei, trasformandosi lui stesso nella divinità doppia. Questo processo si realizza prima di tutto in ognuno, facendo nascere in se stessi la divinità e poi, ci si rappresenta dentro il mandala, si invoca la discesa con lodi ed offerte alle 720 divinità fino alla trasformazione dell'operatore stesso nella divinità. Si cerca quindi di andare oltre la trance, in questo caso attraverso lo spostamento e la sostituzione dell'io tramite la pratica tantrica, fino all'esperienza del “vuoto” universale. Vuoto che, nella pratica Buddhista, non si registra come il nulla, ma come esperienza della “verità”, l 'Assoluto, il Nirvana. Loro parlano di cinque livelli o stati successivi ascendenti: illuminazione del corpo, illuminazione della parola, illuminazione della ragione, stato di saggezza e stato di Nirvana. Come nel tantrismo in generale, si tratta qui di muovere e trasformare le forze più dense in energia ogni volta più sottile, elevandola fino ad arrivare alla completa illuminazione. 4. Sorge l 'impulso a tornare verso questo spazio-tempo, accompagnato dal registro di compassione, per aiutare tutti gli esseri viventi a uscire dalla sofferenza. Secondo quanto detto, questa compassione verso tutti gli esseri viventi è fortemente incorporata nel sâdhana o ascesi tantrico Buddhista. Secondo la testimonianza del Buddha Lama e i registri descritti, possiamo riconoscere nei praticanti attuali stati di estasi e rapimento ispiratori; anche se si osservano allo stesso tempo chiari segnali di esperienze di riconoscimento nel corso storico di questa corrente. Testo tratto dal libro: “La Coscienza ispirata nello sciamanesimo mongolo-siberiano e nel buddismo tibethano in Buriazia ed in Mongolia” del 2010 .
LO SCIAMANESIMO MESOAMERICANO Dai maya ai Curanderi messicani di Andrea Romanazzi Il multi verso Maya e l ’albero cosmico. La tradizione religiosa Mesoamericana deriva direttamente dai primi colonizzatori del Nuovo Mondo, ovvero le popolazioni asiatiche che 50.000 anni a.C. attraversarono lo stretto di Bering, insieme alle loro credenze magico - religiose tra cui appunto lo sciamanesimo, il culto degli antenati e la credenza di un universo multistrato che caratterizza la cosmogonia di tali popoli. Come un gigantesco albero di Ceiba, suddiviso in radici, tronco e rami, l ’universo conosciuto è diviso in tre mondi, quello di mezzo, ove vivono gli uomini, quello superiore ed inferiore, a loro volta suddivisi in ulteriori livelli. Nella tradizione Maya, ad esempio, i livelli del mondo inferiore sono nove, attraverso i quali il defunto doveva esplorare le profondità ctonie dell’universo, per poi risalire tra gli spiriti che popolano i tredici livelli superiori. Il sacro albero sciamanico caratterizza tutta la tradizione sciamanica mesoamericana. Forse la più nota rappresentazione è quella proposta sulla lastra tombale presente a Palenque, in Messico. Nel Tempio delle Iscrizioni, forse la più nota piramide Maya, altro non è che essa stessa un racconto tridimensionale del viaggio sciamanico tra i mondi. Al suo interno, ed in particolare nella “camera delle Visioni”, i sovranisciamani entravano in comunione, attraverso stati alterati di coscienza. Era uno dei tanti “luoghi dei sogni” Maya, dove i re-sciamani potevano riconnettersi con i propri spiriti, guida o uay, nonché l ’accesso a Xibalbà, ovvero“il luogo della paura”, come testimoniano i molteplici bassorilievi parietali che raffigurano antenati e divinità dell’Oltretomba. Fu Alberto Ruz Lhuiller a riscoprire, nel 1952, il sito. Rimuovendo una pietra del pavimento in una sala del tempio scoprì un passaggio segreto che conduceva, attraverso una lunga scalinata di sessantasei gradini, ad una cripta situata nel centro della piramide. Era la tomba del re Pakal, controllata dalle anime di cinque uomini trovati lì sepolti proprio a guardia del passaggio. All’interno della cripta è presente un lastronebassorilievo più noto per l ’ipotesi extraterrestre, ovvero come la raffigurazione di un astronauta alla guida di un razzo ante litteram con tanto di respiratori e comandi manuali. In realtà raffigura un uomo, o molto più probabilmente uno sciamano, intento a scalare l ’albero universale, che si estende dalle profondità dell’Oltre mondo, raffigurato dalle fauci aperte di un mostro infernale, il serpente di osso, sino ai mondi ultrafanici raffigurati dal magico uccello piumato,
Itzam-Yeh, ovvero“l ’apportatore di magia” che raffigura le imponenti forze naturali nonché l ’unione estatica degli sciamani con il divino. Sarà questo albero universale a trasformarsi, successivamente, nella più nota “croce maya” espressione, per i missionari cristiani che approdavano nel Nuovo Mondo, della rivelazione del Cristo anche tra gli infedeli. In realtà il ricordo del sacro culto dell’albero da cui discendono gli Dei sulla terra e su cui si sviluppa l ’Universo è presente ancora oggi nel folklore locale come nel rituale “dei volatori” i Totonachi. Cinque uomini, vestiti con gli abiti tradizionali, si arrampicano su di un palo altissimo. Raggiunta la cima quattro di questi si sistemano delle corde attorno al corpo preparandosi ad una sorta di bungee jumping mentre il quinto suona i sacri strumenti. Terminata la musica i “volatori” si gettano giù dall’ ’albero verso i quattro angoli del globo. Per alcuni si tratterebbe di un rituale di fertilità, in realtà potrebbe essere la simulazione degli dei che ridiscendono sulla Terra. Effettivamente comunque rituali di fertilità erano svolti presso i Maya, ad esempio a Uxmal è presente un elemento betilico fallico infisso nella terra e strettamente connesso ai culti di procreazione. Culti di fertilità sono poi presenti a Chichèn Itza, letteralmente “bocca del pozzo dei maghi", da cui ("bocca"), ch'en ("pozzo") e itz ("magia"), ove si venerava il culto del Serpente, il sacro crotalo che mutando pelle diviene simbolo della vita oltre la morte e della rinascita e rigenerazione universale. Esso è il simbolo del fallo maschile primordiale ma anche dei sacri e sinuosi movimenti ondulatori femminei. Ecco così che il serpente nell’atto di cibarsi dell’uomo che gli spunta terribilmente dalla testa, altro non è invece che il simbolo di una eiaculazione dell’uomo che fuoriesce invece dal corpo del rettile nella sua novella vita. Anche il “salasso fallico” che veniva praticato dai Maya riporta direttamente al concetto di Creazione frutto del culto fallico di fertilità e dell’estasi orgasmica del Dio. Nei rituali di decapitazione svolti presso i Maya in realtà, troncare il capo di un uomo garantiva l ’apertura di un passaggio per il Signore degli Inferi che attraverso tale foro poteva ritornare sulla Terra con la propria energia divina o itz. Questa la motivazione dei bassorilievi raffiguranti mostruose creature che fuoriescono dal corpo decollato del sacrificato, mentre gli schizzi di sangue diventavano eiaculazioni energetiche in grado di ridare fertilità alla terra. Espressione di un credo di fertilità vegetazionale, il rituale era sicuramente mutuato dalle credenze sacro-vegetazionali ove il dio del granturco era “sacrificato”, con il taglio della mietitura, per poter assicurare novella vita. Egli rinasce dalle proprie ceneri e inonda di fertilità il suolo con il suo “sangue”.
Sciamanesimo e curanderismo. Anche in Mesoamerica, come nel resto del continente, la cultuazione del divino, avveniva esclusivamente con fini pratici e con l ’unico scopo di migliorare la vita dell’uomo. In questa tradizione magico - religiosa il dio non è immaginato come una entità primigenia e universale, ma attraverso le sue manifestazioni più terrene. Tutto quello che circonda l ’uomo, montagne, fiumi, mari, foreste, sono espressione del ch’ulel, il principio o energia divina. Queste manifestazioni vengono cultuate come antropomorfe o zoomorfe che, nella tradizione Maya diventano il potente serpente piumato, il dio fulmine Cauac, che viveva nelle profondità delle grotte o il più noto Quetzalcoatl il dio giaguaro, legato al culto di morte e resurrezione raffigurato dalle macchie gialle e nere sulla pelle che rappresentano appunto la luce e l ’ombra, la vita e la morte. Queste credenze pagane non sono assolutamente defunte, anche se il 90% della popolazione dell’area Mesoamericana professa la religione cattolica, portata in tali terre tra il XVI e il XVII secolo dai missionari che cercarono di innestarla sui culti preesistenti, le antiche divinità non sono mai state cancellate, ma semplicemente “ribattezzate” con i nomi dei santi cristiani. Il realtà ancora oggi spesso il cristianesimo è solo la religione di facciata. Intermediario tra l ’uomo è il divino è lo sciamano, colui che conosce il linguaggio degli dei e può dialogare con loro. Egli è spesso sacerdote e guaritore, in un mondo ove la malattia è legata al disequilibrio energetico e al rapporto con entità spirituali e sovrannaturali. E’ lo sciamano che deve rinsaldare il legame rotto attraverso la conoscenza della medicina tradicional e l ’ausilio degli spiriti. Lo sciamanesimo mesoamericano utilizza in maniera diffusa le sostanze allucinogene sia vegetali sia animali, come il Bufo, il cui uso era già descritto in quello che rimane dei documenti Aztechi e Maya, distrutti con l ’arrivo dei Conquistadores. In molti dialetti autoctoni sciamano e tabacco sono sinonimi, indicati in alcune aree con il termine seripigaro, ovvero, intossicato da tabacco . Gli Aztechi utilizzavano funghi della famiglia dei Panaeolus o Psilo cybe, definiti il “lampo degli dei”, mentre i Maztechi consideravano i funghi come delle entità dotate di vita propria. Nel Messico del nord è molto diffuso tra gli Huichol l ’utilizzo del peyote, raccolto in appositi pellegrinaggi nel Wikuta, il sacro deserto, che diviene espressione del sacro insieme al culto del mais e del cervo creando una “trinità” cultuale naturale. Tra i Tarahumara e i Mazatechi, invece, è diffuso l ’uso dell ’ololiuhqui, un allucinogeno che aprirebbe le porte della Visione o Nierika, ovvero le porta verso l ’Oltre mondo. Nella tradizione sciamanica mesoamericana sono presenti entrambi i sessi, come peraltro nelle antiche tradizioni Maya, dove, ad esempio, si narra di Yaxchilan, una potente sciamana nota per la sua capacità divinatoria e i suoi poteri donati dagli
antichi antenati serpente, e donne sciamane erano presenti ancora prima nelle tradizioni Olmeche e Mazteche. Normalmente, comunque, gli uomini hanno funzioni più legate alla comunità, mentre le donne sono legate ad un ambiente più domestico. Tra i compiti più comuni troviamo quelli divinatori e quelli legati alla guarigione. Presso gli Huichol, della Sierra Madre Occidentale del Messico, discendenti dei cacciatori e raccoglitori chichimechi o teochichimechi, nel loro linguaggio Uto-Azteco, lo sciamano è chiamato Wixarika, ovvero “colui che onora gli antenati”. Il reclutamento è connesso alla volontà divina e spesso una lunga malattia individua il futuro sciamano che poi deve seguire un lungo periodo di training di circa cinque anni che lo porta a conoscere le simbologie, le offerte, il linguaggio degli dei e con gli spiriti guida. In particolare l ’alleanza con gli animali è legata a rituali che consistono nella cattura dell ’animale per utilizzare il suo sangue. Uno dei più comuni è legato al taglio della coda di un serpente e con il suo sangue si bagnano i polsi, le guance, la gola, ma senza uccidere l ’animale che poi viene nuovamente lasciato libero. Un ruolo fondamentale ha la conoscenza della magia del peyote, venerato come una divinità che permette allo sciamano che lo ingerisce l’estasi. Poiché però tale cactus non cresce sul territorio, vengono effettuate lunghe spedizioni per andarlo a recuperare in quella terra desolata definita appunto il “deserto del peyote”. Molteplici sono così i racconti mitizzati di questo viaggio dal mare ad ovest, fino alle cime di Wirikuta, l ’ancestrale luogo sacro degli Huichol. Durante questi pellegrinaggi vengono raccolti dallo sciamano gli oggetti di potere che poi utilizzerà durante i suoi rituali come la bacchetta piumata utilizzata nelle fumigazioni, piante, pietre ed amuleti. Pellegrinaggi simili sono presenti anche nelle tradizioni degli sciamani owirùame, tra gli indigeni Tarahumara. Al fianco dello sciamano, alcune volte confuso con esso, troviamo la figura del Curandero. Il Curanderismo è una sorta di disciplina olistica che utilizza il potere delle erbe, unito a quello degli spiriti, per la guarigione e la divinazione. Tale tradizione si è sviluppata nel recente passato in America Latina ed in particolare in Messico, in una commistione tra credenze locali e la cultura spiritualista che proveniva dall’Europa e dai vicini Stati Uniti. I curanderi, di entrambi i sessi, non hanno un testo sacro o una “scuola”, ma ognuno pratica una propria tecnica praticospirituale appresa dall’’esperienza. I Curanderi sono i medici dei poveri, spesso con vere e proprie specializzazioni. Ecco così che troviamo la partera, ovvero una figura simile alla “mammana” italiana, colei che sovraintende il parto e aiuta le
donne in stato interessante, e le Hermanitas, le “sorelline”, veggenti, in grado di individuare le malattie e praticare cerimonie di purificazione, dette Limpias. Un'altra figura particolarmente nota è lo huesero, specializzato nel curare le fratture e le malattie ossee, anche attraverso la tecnica della temazcal, una sorta di “capanna sudatoria” mesoamericana. Un altro tipo di curanderi messicani sono i graniceros, persone capaci di controllare gli eventi atmosferici nonché le malattie generate dagli aere, spiriti che si manifestano come vento e che entrano nel corpo delle persone riempiendo i vuoti lasciati dall’anima che per alcuni motivi si è allontanata. Uno dei centri più noti per vedere dal vivo questi rituali è la comunità indigena Tzotzil di San Juan Chamula. All’interno della Chiesa del paese esteriormente cristiana, ancora oggi vengono svolti rituali di guarigione attraverso l ’utilizzo di candele, uova e sacrifici di galline. Quest’ultimo, infatti, fungerà da transfert per il male, ovvero prenderà in consegna la malattia che affligge il cliente del curandero. Tra i molteplici rituali, sui quali non ci soffermeremo perché da soli richiederebbero uno studio a sé, vi è quello di purificazione, detta limpia, attraverso l ’utilizzo della albahaca, ovvero il basilico. I curanderi, dopo aver accertato che il male sia di origine spirituale, realizzano delle lozioni con cui strofinano il corpo del cliente circondato da candele rose e petali di rosa. Successivamente con un mazzo fresco di basilico picchiettano il corpo dello stesso e lo “ripuliscono” dalle energie negative. Successivamente il mazzo di foglie viene posto dinnanzi al cliente che vi deve salir sopra e pestarlo con l ’intenzione della purificazione. Infine il curandero versa sopra tali foglie dell’alcool o della benzina e da fuoco al tutto per far cancellare le negatività. Il tutto si svolge tra candele dai differenti colori e combinazioni delle stesse, come in un curioso codice morse, il cui significato è noto solo al curandero, e bottiglie di bevande gassate, in particolare coca-cola. Infatti una credenza comune anche ad altre aree culturali, vuole che la malattia si annidi nel ventre, così l ’eruttazione che segue alla bevuta del malato è la rappresentazione scenica dell’allontanamento del male. Un’altra tecnica utilizzata dai curanderi, sempre basata su una magia simpatico-naturalistica, più che altro legata però all’eliminazione del malocchio, è quella legata all ’utilizzo dell ’uovo. Nella tradizione mesoamericana se una donna, un bambino o un ragazzo hanno un sonno agitato, diarrea, vomito e / o uno stato febbrile si pensa siano stati affatturati da qualcuno. La cura tradizionale per il “mal de ojo” nel Messico rurale comporta che un curandero passi sul corpo del cliente un uovo di gallina per fargli assorbire le negatività.
Successivamente l 'uovo viene rotto in un bicchiere ed esaminato e successivamente gettato via ad un crocicchio eliminando così il male. Ovviamente questo, come tutti gli altri rituali, possono essere svolti solo dal curandero perché egli è il detentore del potere e della conoscenza. Il potere è donato allo sciamano dal rituale dello yagè, una mistura allucinogena ottenuta dall ’infusione di due piante, la Banisteriopsis Caapi e la Pychotria Viridis, che viene preparato dagli stregoni che si sincerano prima di aver cacciato tutti i demoni che possono insinuarsi nella bevanda sacra. Tale rituale permette allo sciamano di “svuotarsi” e permettere l ’ingresso nel suo corpo degli spiriti degli dei, spesso sostituiti dai santi Cattolici che hanno oggi quasi completamente sostituito il pantheon autoctono, o dei defunti che così daranno a lui indicazioni divinatorie o di guarigione. Divenuti, curanderi essi diventano anche i depositari di oggetti di potere come i sonagli di cascabel, ovvero del serpente a sonagli, oppure gli ojos de venado, semi di una particolare leguminosa, la caesalpinia cristata.
SCIAMANI PERUVIANI Di Mario Polia Il "maestro dei maestri": lo spirito che parla. In una comunità rurale di Sicches, Ayacaba, raccolsi dalla viva voce di un'anziana contadina la più significativa definizione popolare di maestrocurandero: "es el enmishau de naciòn, "colui che per nascita è sensibile al potere delle piante che fanno vedere e possiede il loro stesso potere". Le mishas sono, in genere, gli allucinogeni vegetali. Si noti come, nella definizione, si indichi chiaramente un carisma che traduce una vocazione innata. Sciamano si nasce e opportuni segni dimostrano inequivocabilmente la vocazione. Tra questi il più importante, nelle Ande del Nord del Perù, è la capacità di farsi trasportare dal potere delle piante per vedere nell’invisibile. Questa figura di guaritore-indovino, conoscitore dei segreti dei vegetali e delle più profonde esigenze dell'anima della sua gente, dunque dichiaratamente benefico, non esita, tuttavia, a trasformarsi in potere distruttore nei confronti dei contrarios: i suoi avversari e avversari dei suoi clienti. Il maestro curandero, erede di uno sciamanesimo antico e assai più articolato di quanto oggi sia, racchiude in sé ciò che resta delle pratiche degli antichi collegi di divinatori, raccolti in corporazioni di specialisti, dei collegi terapeutici che, al tempo dell'impero incaico, coesistevano
col culto statale e le funzioni sacerdotali a esso annesse. Il curandero di oggi, come lo sciamano di ieri, non è il sacerdote delle figure divine superiori, degli dèi celesti, ma è sacerdote e interprete del polimorfo mondo intermedio tra dèi e uomini, composto di forze intelligenti che attuano continuamente nelle vicende di tutti i giorni, nei cicli vegetali e stagionali, nella fecondità delle piante, degli animali, degli uomini, attendono ai riti che ne invocano l 'intervento nel "bene" e nel "male": per guarire o per uccidere. Il curandero è il sacerdote degli spiriti, o encantos. Con essi egli stabilisce un dialogo diretto, li vede tramite il potere delle sostanze allucinogene che, sulle Ande del Nord, sono tradizionalmente quattro: il San Pedro, primo in ordine d 'importanza, assunto solo o in combinazione con la Datura (misha guarguar) o con vari tipi di Brugmansia (misha toro, misha leòn, misha rastrera, ecc.) Normalmente alla bevuta rituale del decotto del cactus si accompagna l 'azione sinergica del tabacco selvatico, tabaco moro o coltivato e tabaco dulce, assorbito in infusione alcolica attraverso le narici. Ovviamente là dove noi parliamo di "potere allucinogeno" o "azione sinergica" l 'uomo andino usa i termini di virtud, o poder, intendendo con essi la manifestazione d 'uno spirito che è nella pianta costituendone l '"anima", il "potere" nel senso di forza senziente capace di stabilire un contatto con lo sciamano rivelandoglisi o parlandogli. Il potere del San Pedro, afferma il maestro Concepciòn Guerrero, " rompe el cerebro y pasa màs allà". Tutto ciò che accade in "questo" mondo, traduce la presenza e l 'influsso di forze appartenenti all'"altro" mondo. Salute e malattia sono sovente il risultato di un corretto, o scorretto, rapporto rituale con gli encantos. La malattia, essenzialmente, può essere provocata: per azione autonoma degli encantos anche in seguito a una omissione rituale (ad es. non fare offerte a un lago, o montagna, o roccia di potere), oppure all'infrazione di un tabù (non osservare digiuno e astinenza rituale in certe occasioni; compiere azioni che irritano gli encantos come, per esempio, penetrare in antichi sepolcri, tagliare piante di potere senza le dovute offerte, ecc.). Un evento naturale, uno spavento improvviso, può far uscire l 'anima (sombra) dal controllo della sfera della normale coscienza. Proiettata "fuori" da "questo" mondo che, come si è detto, coincide con la percezione sensoriale e razionale della coscienza di veglia, la sombra principio immateriale animatore del corpo e fondamento della personalità, mai confuso con lo "spirito" inteso secondo i canoni della concezione cristiana, varca una soglia di là dalla quale si estende il mondo degli spiriti. Gli encantos tutelari dei luoghi nei quali si produsse lo spavento (susto) catturano la sombra provocando la sintomatologia che ne denuncia la perdita. L'azione degli spiriti può essere sollecitata da un operatore magico
negativo, che ha connotazione autonoma e opposta a quella del curandero, detto malero, nel senso letterale di "facitore di mali"; brujo, "stregone"; hechichero, "fattucchiere". Il "malero" agisce normalmente per conto di persone che si rivolgono a lui por envidia o malo pensamiento, come a uno specialista, al fine di colpire con malattie, disgrazie, morte, i loro avversari. Le malattie d 'origine magica sono dette enfermedades de dafio, o de hombre, o pestes de humano. Un tipo particolare di maleficio, detto dafio por boca, consiste nel somministrare alla vittima un filtro nella composizione del quale entrano a far parte ingredienti propriamente dotati di valore magico assieme a sostanze molto tossiche. Una quarta categoria di malattie, che normalmente non sono trattate dal curandero, sono le enfermedades de dios che comprendono le malattie importate dai bianchi e tutte quelle malattie per le quali il San Pedro nella sessione terapeutica (mesada) non ha rivelato origine sovrannaturale o magica. Questa, in estrema sintesi, la teoria medica tradizionale. Il campo d'azione del curandero riguarda le malattie di origine magica o sovrannaturale, quelle malattie, cioè, che presuppongono l 'intervento di forze del mondo mitico visualizzate, o indicate in vari modi, tramite lo spirito della pianta sacra che è il primo e il più importante degli spiriti ausiliari dello sciamano. Così si esprime il maestro Concepciòn Guerrero di Palo Bianco: «il potere, o la virtù, è ciò che fa vedere. Il potere è uno spirito. Questo spirito sta nella pianta. Se non ci fosse, dentro non si potrebbe vedere. Perché non dovrebbe farsi vedere? Quando uno beve con buona disposizione (corazòn) e secondo la domanda, si fa vedere. Dipende dalla persona. Se è buona, si vede, altrimenti no (...) Si presenta come un uomo e parla. Si presenta con poncho, cravatta. Come qualsiasi persona. Lo spirito parla e dice quello che uno ha, quello che ha un altro, e da dove deriva (la causa della malattia). Dà anche consigli sulle medicine, se una persona sta male a causa di uno spavento (està asustada) o se è stata affatturata (trabajada). Uno gli chiede: che erba può curare quello lì? e lui te lo dice». Un altro maestro di Socchabamba, Ayacaba, sottolinea la consequenzialità fra buona disposizione, che implica essenzialmente la volontà di non far del male e la fede nel curandero e nelle pratiche tradizionali, ed effetto della droga. In altre parole: il San Pedro "sceglie" egli stesso la persona cui parlare in base alla giusta disposizione della stessa: «Si, si, fa vedere, fa vedere, come per fare un esempio, quando voi state dormendo (...) e sognate che (...) state camminando e così è il potere che lo lascia venire, così è il potere quando il San Pedro (...) quando le persone sono un poco decenti, pulite, allora si lasciano vedere le cattive azioni...» (M.1ximo Merino). Decentes si riferisce
alla buona disposizione di colui che consulta lo spirito della pianta e "buona" significa che consulta per curare, far vedere chi ha procurato la malattia e con quali rimedi (rituali e vegetali) può essere curata. Limpias, "nette", "pulite", si riferisce non solo all'atteggiamento di cui sopra ma anche alla nettezza psico-fisica ottenuta mediante l 'osservanza della dieta che normalmente precede e segue l 'assunzione della droga: non magiar carne di selvaggina; non mangiare cipolla o aglio, pepe rosso, pepe, grasso, carne di maiale; non bere alcool; non consumare rapporti sessuali e, durante lo svolgimento delle cerimonie terapeutiche e per le seguenti ventiquattro ore dall’ 'assunzione della droga, non vedere fiamme. Marino Aponte, uno dei più celebri curanderos di Huancabamba, ci spiegò: «Nel San Pedro c'è un potere che permette di vedere. Questo potere è uno spirito. In certe persone che possono lo spirito, si fa vedere. Io talvolta l 'ho visto, ma non sempre. Qualche volta si presentano nell'aria persone piccole o adulte. Vi sono figure maschili o femminili che si presentano con vestito bianco, lungo lo strascico. A volte si presentano come animali: si vede specialmente il gatto. Vedo pure figure colorate come l 'arcobaleno». La relazione col felino è tutt'altro che casuale e rimanda a tempi lontani, quando simbolo del potere sciamanico era il giaguaro ringhiante che appare invariabilmente nei tratti delle divinità e sui copricapo e insegne degli sciamani o guerrieri-sciamani della cultura di Moche. Adriano Melendres, che fornisce la notizia riportata di seguito, fu da noi ascoltato, durante lo svolgimento di una seduta terapeutica notturna, miagolare mentre indicava un punto vicino all 'altare magico, mesa, segnalando la presenza di uno spirito-gatto: «II San Pedro ha spirito. Questo è il suo potere che lasciarono i primi signori, gli Incas. O sarà Dio che lo ha lasciato? I vecchi dicono che anche San Pietro beveva la sua erba San Pedro, ma il primo a darlo ai suoi discepoli è stato San Cipriano (...) Lo spirito io lo vedo in forma di uno straniero che apre le porte per entrare a vedere le medicine. Il suo vestito è verde, un po' giallastro (i colori del San Pedro maturo), con pantaloni, cravatta, capelli biondi». È notevole l 'accenno alla simbolica "porta" che divide il mondo di tutti i giorni dal mondo-stato di coscienza nel quale le medicine si lasciano percepire nella loro essenza (possono parlare, sono visualizzate come forme radianti) e nel quale lo sciamano entra guidato dallo spirito del San Pedro. Adriano prosegue: «Oltre allo spirito straniero vedo molte figure come condor che volano, ogni tipo di animali, ciò che più si presenta sono le immagini dei santi. Si presentano tori, automobili, aerei, puma (liòn), giaguarì (tigre), serpenti con una testa come lo shushupe (serpente mitico con barba e baffi). Vedo sia uomini sia donne (abbigliati) come (quelli) di Chota e di Sondrillo (Huancabamba). Vedo come vasi di fiori da altare.
E chiese. Vedo arcobaleni, come si vedono nella cordigliera, e pioggia anche, molta pioggia». Nella fantasmagoria delle immagini suscitate dall'azione della pianta sacra, Adriano dà corpo e senso ai simboli ed alle immagini della propria cultura, formata sulle radici profonde della sua gente e sulla propria cultura di curandero, ma esposta altresì agli influssi della cultura d 'importazione per cui, accanto allo spirito biondo abbigliato in foggia straniera (non-india) e alle immagini "forti" della cultura importata (aerei, auto), compaiono figure del mondo religioso cristiano, i santi che proteggono il curandero, ma anche gli eterni simboli dello sciamanesimo americano: i grandi rapaci signori dei cieli; i possenti felini padroni della terra; il serpente mitico (anche i serpenti delle ceramiche Chavìn hanno lunghi baffi) signore del sottosuolo e del seno delle acque, metamorfosi dello spirito degli antenati. In una successiva visione Adriano ci dichiarò di aver visto, in prossimità di un lago sacro, un giardino fiorito composto da piante medicinali invisibile per chi, non sciamano, percorra quelle fredde solitudini andine al centro del quale vi era l'Inca con le sue insegne regali che gli mostrava le erbe che curano. Santos Calle di Hualcuy, Ayabaca, vedeva lo spirito del San Pedro "come la più bella ragazza del mondo con gonna scampanata. Bianca, bionda, capelli lunghi e occhi azzurri. Balla huayno a non finire. La gonna è bianca con strisce gialline, come le strisce del San Pedro. Lei risponde alle domande che le si fanno". Gelso Avendaiio di Ayabaca mi disse che, al momento della visione, lo spirito del San Pedro "gli si presentava come un santo. Proprio come si disegna San Pietro, il primo papa. A volte si presenta una donna bella, con grandi trecce, come una ragazza mochicha (come nelle raffigurazioni degli antichi vasi). Altre volte si presenta la stessa pianta con fiori aperti. Possono essere fiori bianchi con cuore giallo o fiori bianchi con cuore rosso. I colori hanno molta importanza: rosso o giallo vuol dire che al San Pedro piace lavorare. Il colore pallido e giallo-verdastro è del San Pedro abbandonato, cioè una pianta selvatica. La pianta selvatica è meno potente di quella coltivata nel giardino perché questa è abituata a veder gente. Gli spiriti della pianta selvatica e di quella coltivata sono diversi; infatti la pianta selvatica può far vedere mostri come draghi che sputano fuoco o combinazioni dei colori dell'arcobaleno (l'arcobaleno ha significato infausto). Lo spirito del San Pedro selvatico si presenta talvolta come drago, o coccodrillo, o come un serpente enorme". Che cosa vede lo sciamano mediante l 'azione dello spirito del San Pedro? Riassumiamo schematicamente qui sotto: spiriti tutelari di luoghi di potere (laghi, montagne, fiumi, rocce, antiche rovine o cimiteri) a fini difensivi o propiziatori; spiriti di piante "di
potere", allucinogene o medicinali, o semplicemente pericolose a causa dello spirito che in esse. risiede, a scopi terapeutici o di difesa; le entità sovrannaturali responsabili delle malattie: spiriti che agiscono autonomamente o in seguito alle operazioni di maleros; i responsabili materiali dei malefici (dafios): i maleros e gli oggetti da questi usati per indurre i malefici; i remedios: le piante percepite come fonte di potere terapeutico indicate dallo spirito del San Pedro, dell'lnca, ecc.; i responsabili di furti, assassini, tradimenti o altre azioni dannose o socialmente riprovevoli; i luoghi dove sono occultati tesori, cadaveri, ecc.; le condizioni e lo stato presente di persone lontane; la qualità intrinseca, benefica o malefica, degli oggetti di potere (aste, spade, pietre, manufatti antichi, ecc.) che, al pari delle piante sacre, hanno una propria controparte spirituale che si presenta in varie figure sotto l 'effetto del San Pedro. Come risulta da questo elenco, funzione terapeutica e divinatoria si assommano nell 'unica persona del curandero e di entrambe è garante lo spirito della pianta sacra, in quanto permette la vista en virtud, la percezione dei poteri del mondo mitico. Senza la capacità di vedere oltre le apparenze fisiche delle cose non si è sciamani e, data la funzione della pianta psicotropa nel ruolo tradizionalmente svolto dallo sciamano, il San Pedro è detto comunemente il maestro de los maestros. Continuità culturale. La continuità nell'uso del Trichocereus nel Perù è documentata, nell'arte, fin dal 1300 a.C., da una lastra scolpita che mostra un personaggio mitico avente nelle mani, un cactus colonnare che, sulla scorta di altre rappresentazioni plastiche ceramiche, si è proposto di identificare col Trichocereus. La lastra fu rinvenuta nel tempio antico di Chavìn. Il personaggio è raffigurato nel tipico sembiante del felino volador, con tratti di uccello rapace (becco, ali), di felino (zampe, zanne), e con una cintura di serpenti. I tre animali rapace, felino, serpente, nelle ceramiche dello stile di Chavìn (1300-700 a.C. circa) appaiono frequentemente in associazione con un cactus glabro recante quattro nervature. In un vaso globulare di stile Chavìn del Museo Nacional de Antropologia y Historia di Lima, un giaguaro è raffigurato frontalmente uscente da una cavità (il corpo del vaso) in associazione con due cactus glabri con quattro nervature. In un altro vaso dello stesso stile il felino, rappresentato di profilo, è associato ad un serpente mitico, felinizzato, e a due cactus dello stesso tipo. Questi due esemplari, frammentari e restaurati, somigliano ad un vaso di Chavìn integro, con corpo globulare ed ansa a staffa, che presenta un felino dal mantello ocellato (giaguaro) in associazione con cactus glabri con quattro nervature (collezione Munson-Williams, Proctor Institute, Utica, cf. Sharon, 1972:115). In una ceramica dello stesso stile,
della collezione Enrico Poli di Lima, sul corpo del vaso è presente un rapace felinizzato (aquila, falcone) in associazione con cactus dello stesso tipo dei precedenti. In un'altra ceramica della stessa collezione il corpo del vaso è formato da due cactus colonnari, flessi ad arco, con un germoglio uscente da essi, circondati da un serpente mitico. Il numero quattro, nell'antico Perù, ha relazione simbolica con lo spazio terrestre fino alla cosmografia incaica della terra quadripartita che corrisponde alle quattro divisioni (suyu) dell'ordinamento imperiale, nonché all'assetto urbano e sociale della capitale dell 'impero: Cuzco, l 'Ombelico. Anche al di fuori del Perù, in altre culture americane, il numero quattro simboleggia la terra. Circa il significato mitico dei tre animali forse questo è da porre in relazione col carattere e il simbolismo tradizionale di ognuno di essi e con le zone spaziali da essi occupate e "dominate". Il serpente è in relazione simbolica col grembo delle acque e con le regioni del sottosuolo, che sono anche il mondo dei morti e delle forze germinali. Il felino, specialmente il giaguaro, è, per la sua forza, il sovrano incontrastato della foresta come il puma lo è delle regioni andine, signore della notte, animale sciamanico per eccellenza, fu venerato come ipostasi divina fin da tempi assai remoti, come, appunto, a Chavìn de Huantar. Il puma compare tra i simboli del potere degli Incas. La metamorfosi felina dell'operatore è un elemento mitico tuttavia assai frequente nello sciamanesimo andino e amazzonico. Il rapace, aquila o falco, simboleggia il dominio dei cieli ed esprime la capacità di "volare" dal "mondo di qui" ai mondi superiori. La tripartizione dell 'universo in tre "mondi" (pacha), che corrisponde anche a tre condizioni temporali secondo il duplice significato di pacha come "terra" e come "tempo"è tipica non solo della cultura incaica, che ne elaborò l 'ultima formulazione, ma proviene da tempi lontani ed è comune alle più diverse culture. L'uomo occupa la terra del mezzo, il "mondo-tempo di qui" (kai pacha), posto fra il mondo sotterraneo dei morti e delle potenze ctonie (urin pacha) e il mondo superiore (hanan pacha) degli antichi dèi spodestati dalla religione dei conquistatori spagnoli. Il compito tradizionalmente svolto dallo sciamano è far da ponte fra i due mondi mediante il passaggio dallo stato di coscienza, comune a tutti, col quale il "mondo-tempo di qui" è percepito, agli "altri mondi" percepiti come facenti parte di una diversa condizione fisica e temporale. Il passaggio agli "altri" mondi presuppone, da parte dello sciamano, il passaggio ad uno stato "diverso" di percezione extrasensoriale, attraverso il quale la "vista" dello sciamano si apre sul mondo mitico tradizionale allo scopo di instaurare un contatto con le forze (spiriti) che lo compongono a fini magico - terapeutici, magico-Iesivi o a scopi divinatori. Nella teoria e pratica sciamanica, infatti, il trascendimento del mondo vissuto così come appare equivale a un contemporaneo trascendimento della condizione normale di percezione temporale. Il maestro curandero dei nostri giorni,
che è contemporaneamente un a divino, nonostante la deculturazione in atto, è il depositario e continuatore di gran parte delle conoscenze e tecniche dello sciamanesimo tradizionale. Egli deriva il suo carisma dal fatto di possedere la vista en virtud: la capacità di "vedere" gli spiriti (virtudes, encantos). In epoche posteriori alla formazione e diffusione della cultura di Chavfn, ceramiche della cultura Lambayeque-Moche del Museo Larco di Lima mostrano personaggi femminili col capo velato in atto di mordere un cactus. Forse, la forma antica di assumere il Trichocereus era cibandosene, o spremendone il succo in un mortaio, senza cuocerlo come oggi comunemente si usa. Evidenza o possibilità dell'uso del Trichocereus, oltre che su ceramiche Nazca e Moche, si ha in ritrovamenti archeologici che hanno restituito resti di cactus a Nazca e a Las Aldas (Fung Pineda, 1969).Verso la metà del secolo XVII, il padre Bernabe Cobo, nella sua "Historia del Nuevo Mundo", descrive il Trichocereus tramandando il nome indigeno achuma (cfr. il nome attuale huachuma), probabile alterazione di kachum: in quechua "cetriolo", "cactus senza spine": «La achuma è una specie di grosso cardo (...) Questa è una pianta per mezzo della quale il demonio traeva in inganno gli indios pagani del Perù della quale essi facevano uso per i loro inganni e superstizioni. Il succo, bevuto, fa uscir fuori di senno in modo che quelli che ne bevono rimangono come morti e si è visto persino morire qualcuno a causa dell 'eccessivo freddo che il cervello riceve. Trasportati da questa bevanda, gli indios sognavano mille menzogne che credevano vere. E di genere freddo in terzo grado e umido nel secondo». Lo stesso Cobo tramanda il nome di avacollay, dal quechua awacolla, nome col quale ancora oggi è designato l 'aguacolla, o gigantòn, una varietà spinosa di Trichocereus. Il curandesimo andino. Il curanderismo andino del Perù settentrionale, nonostante il processo di deculturazione che interessa, a vari livelli e con maggiore o minore intensità, le comunità autoctone rurali, anche a causa dell'isolamento geografico di alcune di esse, presenta ancora un quadro in cui sono riconoscibili elementi originari accanto ad elementi d 'importazione. Tra questi ultimi occorre menzionare non solo gli evidenti influssi dell'universo religioso cristiano, sebbene reinterpretato parzialmente dall'uomo andino ma anche le influenze, talvolta meno evidenti, provenienti dalla diffusione del folklore magico spagnolo che si diffondeva parallelamente (e nonostante) l 'evangelizzazione. Sebbene Dio non intervenga direttamente originando le malattie, tranne in alcuni casi delle enfermedades de Dios come conseguenza di colpe commesse, tuttavia la sua presenza è continuamente sentita dal curandero: è Dio che "dà il permesso" di curare, di vedere attraverso
il San Pedro; è Dio che protegge, curandero e pazienti dai colpi dei maleros che hanno il diavolo come compadre; è Dio che dette la prima volta la sua benedizione alla pianta sacra; in nome di Dio comincia la cerimonia terapeutica della mesada; il crocefisso, assieme alle immagini della Vergine e dei santi sono spesso presenti sull'altare(mesa) del maestro, ecc. Con ciò il ruolo del curandero resta, nella cultura andina, nettamente separato dal ruolo del prete cristiano. Non di rado esso viene sentito alternativo e antagonista al ruolo del prete e del dottore della medicina ufficiale nel senso polemico d 'un recupero dell 'identità culturale autoctona. Di fatto il curandero non è sovrapponibile comunque al prete per tutto ciò che si riferisce al culto di Dio e dei santi, così come il ruolo del prete non è sovrapponibile a quello del curandero andino per quel che concerne il controllo delle forze del mondo mitico tradizionale. In altre parole: l 'evangelizzazione non ha potuto estirpare dalla coscienza del campesino la fede negli encantos che popolano il mondo, sentito tradizionalmente come un essere animato da potenze che determinano i fenomeni che accadono nel mondo visibile. L'azione degli encantos nella vita quotidiana non è sentita meno drammaticamente per il fatto di credere in Dio sicché il ruolo del curandero; interprete e intermediario fra uomo e spiriti, resta insostituibile ai fini della sopravvivenza dell 'identità culturale indigena e dell'equilibrio psichico e sociale del singolo e della comunità. Il curanderismo andino presenta ancora viventi i tratti fondamentali che tradiscono la sua continuazione da uno sciamanesimo antico: raggiungimento dell'estasi (o trance) per mezzo di sostanze psicotrope; estasi, o trance, finalizzata al raggiungimento di fini divinatori o terapeutico - divinatori (diagnosi sciamanica); ruolo dell'operatore come intermediario fra i tre mondi; fede nella possibilità d 'intervento di forze immateriali, che animano il mondo visibile, a seguito di operazioni di evocazione, o propiziazione, o per autonomo volere delle stesse; ruolo degli spiriti ausiliari (compactos) che assistono il maestro permettendogli di "vedere", difendendolo dall'azione contraria di spiriti ausiliari di operatori negativi; pratiche terapeutiche sciamaniche di "estrazione" del male, inteso come effetto di un contagio sovrannaturale, dal corpo del malato e di "fissazione" del contagio su un oggetto appropriato; ruolo e natura degli oggetti di potere usati a fini terapeutici e difensivi; ruolo del digiuno e del canto. Per ciò che si riferisce alle pratiche terapeutiche, queste consistono essenzialmente nelle Limpiada, o limpia, cerimonia di estrazione del contagio dal corpo del malato mediante strofinazione con verghe e oggetti di potere. La botada, o despacho, consiste nell'eliminazione rituale del contagio che viene "estratto" dagli oggetti usati per la limpiada e inviato alla terra, alla notte, alle acque dei laghi sacri; Limpia de cuy, cerimonia di estrazione del contagio mediante strofinazione con un porcellino
d 'india, o cuy, alla quale seguono, in genere, pratiche di divinazione mediante extoscopia; Chupada, o suzione del paziente effettuata dal curandero che ha nella bocca tabacco o altre specie vegetali, assieme a profumi. La chupada termina anch'essa con la botada; purgas, provocazione del vomito e/o diarrea mediante la somministrazione di sostanze vegetali allo scopo di eliminare, attraverso le deiezioni, il corpo dai contagi provocati da ma/eros che, si ritiene, si fissano nello stomaco; bagni rituali nei laghi sacri con funzione catartico - propiziatoria; “Llamada de la sombra”, richiamo della sombra nei casi in cui questa sia stata "rapita" da un'entità sovrannaturale come conseguenza di uno spavento (susto) o per opera di un ma/ero che, mediante evocazioni (citaciones), ha "estratto" la sombra dal corpo della vittima. Riti e formule. Dato il carattere non esaustivo del presente saggio, dobbiamo limitarci ad offrire una serie di informazioni essenziali sulle operazioni rituali che presiedono alla raccolta, preparazione e assunzione del San Pedro, rimandando per una trattazione più completa al nostro lavoro (Polia 1988:50-64). La raccolta della pianta è effettuata secondo precise prescrizioni rituali; infatti, non si tratta della raccolta di una qualunque specie medicinale, ma di una pianta per eccellenza sacra in quanto abitata da uno spirito, e dalla disposizione corretta di chi la raccoglie dipende, fra l 'altro, il corretto svolgimento della sessione terapeutica e la buona disposizione da parte dello spirito della pianta a parlare allo sciamano, rivelandogli le cause sovrannaturali e i rimedi. Gli elementi rituali generalmente osservati dai curanderos sono i seguenti: osservazione del tempo propizio alla raccolta del San Pedro in accordo con le fasi lunari, in quanto il potere della pianta ha diretta relazione con la luna, e in concomitanza con certe ore del giorno o della notte e con certi giorni (specialmente il venerdì e il martedì, i giorni "magici" del folklore spagnolo). Osservazione del luogo in cui viene effettuata la raccolta della pianta: in genere la pianta selvatica è considerata più forte ed anche più pericolosa da usare di quella coltivata. Alcuni curanderos preferiscono coltivare il San Pedro per "abituarlo alla presenza dell'uomo", altri preferiscono usare il San Pedro spontaneo. Il San Pedro che cresce in luoghi di potere è saturo della virtud e degli influssi di quei luoghi che determineranno e influiranno a loro volta sul carattere della visione. La pianta che cresce in luoghi prossimi a zone disboscate mediante incendio, o esposte comunque alla vista di fuochi, è priva di potere in quanto il fuoco arranca el poder, "distrugge il potere" della pianta. Il divieto di usare fuochi persiste nella
fase di preparazione della bevanda rituale, durante lo svolgimento della sessione terapeutica, o mesada, o nelle ventiquattro ore seguenti. Osservazione del numero di nervature (vientos) del cactus, in base a criteri di numerologia simbolica che variano da maestro a maestro con alcuni elementi comuni: importanza del numero sette e nove; relazione tra potere della pianta e numero di costolature per cui il primo è maggiore quanto maggiore è il numero delle costolature; importanza del San Pedro de cuatro vientos, ritenuto particolarmente potente, forse a causa della sua rarità. Osservazione della specie di San Pedro in base alla presenza o assenza di spine: il San Pedro legitimo ha spine assai minute, il gigantòn, o aguacolla ha spine lunghe e da alcuni curanderos è scartato. Preparazione rituale della persona che raccoglie il San Pedro: osservazione della dieta, cioè del tabù che riguarda certi alimenti e l 'uso del sesso in un periodo variabile che precede la raccolta. Oggi queste prescrizioni non sono più seguite dall'unanimità dei curanderos. Proibizione alla donna mestruata di raccogliere la pianta. Purezza rituale dello strumento usato per il taglio: il coltello non deve aver tagliato aglio, cipolla; non deve essere contaminato dal grasso di maiale; dal pepe rosso; dal sale; dal sangue umano e animale. Offerte rituali (pagos) che contemplano l 'uso di profumi; di zucchero; miele; polvere di mais bianco; talco; alcool di canna, allo spirito della pianta col fine di espiare la morte della stessa e propiziarne il favore. Formule propiziatorie recitate, o cantate, durante il taglio della pianta mediante il quale si chiede allo spirito del San Pedro di assistere il curandero, concedendogli una chiara visione delle cause e dei rimedi ai mali e di astenersi dal danneggiare col suo potere la mente del curandero e dei suoi pazienti. Riportiamo, a mo' di esempio, qualcuna di queste formule. Celso Avendaiio di Ayabaca: «Ti addolcisco con questo vino e queste cose dolci, affinché tu sia dolce, allegro e contento e non mi faccia piangere (...) Ti offro profumo ("Agua Florida") a mezzogiorno, alle dodici del giorno». Concepciòn Guerrero de Palo Bianco: «Facciamo offerte a questo San Pedro affinché non permetta che qualcuno ci danneggi magicamente, per parlare a tutta la mia gente. Così pure per quest’ora ti taglio, San Pedrito, affinché tu mi parli e mi liberi nei miei sogni e nei miei lavori, ti offro quest’Agua'Florida (un profumo). Per quest’ora e questo momento io ti taglio affinché mi dica tutta la tua verità e mi resti stampata in petto per questo momento». Riti e formule di preparazione. La preparazione del San Pedro presenta i seguenti elementi rituali.
Osservazione del tempo propizio alla preparazione: in genere si preferisce il tramonto o le ore seguenti il mezzogiorno; preferiti sono pure i giorni di martedì e venerdì. Purezza rituale del recipiente usato per contenere il San Pedro: per esso valgono gli stessi tabù esposti parlando del coltello usato per il taglio. Gesti: croci tracciate con la spada rituale sulla pentola nella quale è stato posto nell 'acqua il cactus. Oggetti apotropaici posti a protezione del recipiente, affinché non vi s’introducano influssi nefasti di maleros allo scopo di oscurecer la vista del curandero: aste di legni magici, come la chonta o l’hualtaco (Loxopterigium hualtango), disposti in croce sull’imboccatura del recipiente. Eventuale aggiunta al San Pedro, tagliato in fette, di profumi o di altre erbe. Talvolta sono aggiunte le purgas licopodiacee d 'altura con potere emetico o fortemente purgante per fini catartici (il vomito espelle il maleficio) o le mishas, Brugmansie che potenzia l 'effetto del San Pedro. Proibizione di far traboccare fuori dal recipiente l 'acqua di cottura: il contatto con le braci spezzerebbe il potere della pianta. Osservazione del tempo di cottura variabile fra le tre e le sette ore, o di un numero variabile di evaporazioni e di aggiunte d 'acqua. Anche in questo caso il simbolismo numerico gioca un ruolo importante. Qualificazione della persona preposta alla preparazione del San Pedro: il maestro o un suo aiutante. E’ interdetta la presenza di profani. Recitazione di formule propiziatorie: «Nell'ora (propizia) iniziamo a cucinare la huachuma per questo momento e ci dica la verità e non ci abbandoni mai su un cattivo cammino, che ci accompagnino coi loro spiriti San Pietro e San Paolo». Nella distribuzione del San Pedro, che è bevuto dal maestro e dai presenti, a eccezione di quelli che presentano disturbi nervosi, si notano i seguenti elementi rituali: La persona che ha preparato il San Pedro deve poi distribuirlo. La distribuzione avviene usando un unico bicchiere e facendolo passare in giro in senso orario o "solare": da sinistra a destra, riempiendolo di nuovo dopo che ognuno dei presenti ha bevuto la sua dose. Il numero delle dosi (e dunque dei giri di distribuzione) che è in genere di tre bicchieri o meno, riempiti dal maestro o su sua indicazione. Frase augurale pronunciata da chi beve all 'indirizzo del vicino che berrà dopo di lui: salud, o simili. Frequentemente chi beve si segna previamente col segno della croce. A volte si augura salud al vicino e al maestro. Invocazione propiziatoria alla virtud (spirito) della pianta che, con poche varianti, presenta due elementi fondamentali: la richiesta di una visione chiara e lo scong1uro di non danneggiare nessuno. Riportiamo qualcuna di tali formule pronunciate all 'atto di distribuire il San Pedro. Celso Avendafio: «II mio San Pedro è di sette primavere, di
sette virtù, di quattro nervature, di dodici aurore e con lui mi accingo a curare tutti coloro che lo berranno, perché si curino delle loro malattie di qualsiasi tipo esse siano, affinché scompaia la loro cattiva sorte, le tristezze da loro, dal loro bestiame, dalle loro coltivazioni e semine, dai loro famigliari e da tutto. Permettimi, signore, di brindare questa coppa coi miei compagni. Salute!». Ramòn Carrillo di Pasapampa, Huancabamba: «Nel nome di Dio onnipotente, San Pedro benedetto portiere del cielo io ti bevo per la santa virtù e per la santa benedizione che Dio ci ha dato. Mi curerai, mi libererai da ogni cajadura, da ogni suchadura (disturbi prodotti dall’ 'azione degli encantos di luoghi di potere) e mi darai sollievo e curerai da intorpidimenti e colpi di freddo di qualche viento (vento, ma anche spirito che trasmette il proprio influsso col vento), di qualche cajo (cajadura), nel nome di Dio onnipotente e della Vergine santa miracolosa, Croce di Chalpòn, Vergine potente del Cigno, Gesù Nazareno di San Pablo e Signore dei miracoli, Signore dell 'umiltà del porto di Sechura. Bevo il remedio (il San Pedro) nel nome di Dio (e) onnipotente ...che oggi ci illumini e ci allucini, con il permesso e la benedizione di nostro signor Gesù Cristo. Salute!». Un maestro di Salalà, Huancabamba: «Erbe buone... buon San Pedro, buoni spiriti ausiliari (compactos) in buone ore. San Pedro buono togli l 'oscurità (despeja) e schiarisce, concentrati nel nostro cuore, nelle nostre ossa, concentrati nel nostro cervello, nella nostra carne, concentrati, erba buona... San Pedro bello, con la tua bella erba concentrati e che (io) possa vedere questi bei signori che si trovano qui con la tua bella visione». Zone di diffusione del San Pedro. Con il nome di San Pedro la medicina indigena e il folklore magico peruviano designano diverse varietà di un cactus allucinogeno usato a fini divinatori: il Trichocereus pachanoi B. & Br., studiato per la prima volta nel 1918 da N.L. Britton e J.N. Rose (1920:1,134). Sono state classificate quarantasette specie di Trichocereus diffuse in Perù, Ecuador, Bolivia, Cile, Argentina; tredici specie sono state identificate nel Perù (Backeberg 1958; Ostolaza 1984:102-4). Nel Perù l 'habitat naturale della pianta si situa di preferenza nella fascia climatica compresa fra i 2000 e i 3000 metri di altitudine, in particolar modo nella valle interandina di Huancabamba, lungo il corso del Rlo Tomayacu e Santa Rosa, affluenti del Rio Quiròz, nella provincia di Ayacaba e, nel dipartimento di Ancash, nella Quebrada di Santa Cruz. Il cactus è coltivato ampiamente in tutte le aree culturali della sierra e della costa non solo per le sue proprietà psicotrope, dovute alla presenza di un complesso sinergico di alcaloidi tra i quali la TMPE
(trimetossi-feniletilarnina o mescalina), ma anche per i poteri di magico custode degli orti e delle case di cui la pianta tradizionalmente gode. L'area nella quale, dal 1971, stiamo svolgendo indagini etnologiche sulla medicina tradizionale andina, è compresa fra i 4°30' e 5°41' di latitudine Sud e gli 80°1' e 79°20' di longitudine Ovest. Include le provincie di Ayacaba, al Nord, e di Huancabamba, al Sud. Il limite settentrionale ultimo è costituito dalla frontiera politica che separa il Perù dall'Ecuador. Il cactus è conosciuto anche, nelle zone in esame, coi nomi di huachuma o huachumo; cardo santo; remedio; misha (lo stesso nome è dato a specie di Brugmansia e alla Datura); aguacolla. La medicina tradizionale andina di Piura distingue un San Pedro "maschio", o huachumo, da un San Pedro "femmina", o huachuma. Il macho, o cimarròn ("selvatico") presenta spine lunghe, al contrario del San Pedro "legittimo". Una gran parte dei curanderos da noi intervistati non lo consideravano efficace "per vedere" e affermano che questo è il San Pedro usato dagli specialisti di magia negativa, o maleros. Per altri curanderos il San Pedro macho ha un solo corpo mentre il San Pedro hembra ha ramificazioni. Grande importanza, in genere, è data al numero delle nervature della pianta e alle sue qualità specifiche. Se si confrontano le due aree di distribuzione delle droghe culturalmente più importanti del Perù andino, il San Pedro e la coca, si nota a prima vista una caratteristica generale: l 'area di definizione culturale della coca corrisponde a un'area nel quale non si usa il San Pedro, e viceversa. Il limite meridionale della sierra del Perù è rappresentato da Chachapoyas, dove l 'uso si sovrappone.
ESTASI SCIAMANICA E PIANTE PSICOTROPE NELLA SELVA PERUVIANA. di Antonio Bianchi Oltre il 63% del Perù è costituito dalla selva amazzonica. A partire dal versante orientale delle Ande è visibile dall'aereo come un mare verde interrotto da filiformi fiumi che scendono verso l 'Atlantico con pigre e contorte anse. Nonostante la sua enorme estensione, solo il 9% della popolazione peruviana vive nella selva: eppure il suo fragile ecosistema è già vicino al collasso in numerosi punti. Uno di questi è proprio Pucallpa, la seconda città dell 'Amazzonia peruviana dopo Iquitos: qui schiere di disperati provenienti dalle Ande, vivendo di una labile economia di sussistenza, hanno finito col riempire gli squallidi pueblos jovenes che oramai costituiscono gran parte dell 'agglomerato urbano. Lo stesso centro della città ricorda molto quei tipici insediamenti del Terzo Mondo ove su una moltitudine di tetti in lamiera si levano qua e là rare strutture di cemento a più piani.
Pucallpa è unita alla capitale da una precaria strada asfaltata per soli 220 chilometri, resa quasi impraticabile durante la stagione delle piogge: i costi dei trasporti sono quindi altissimi e insieme al narcotraffico e al taglio del legname, hanno contribuito alla crescita di un' oligarchia economica che di fatto controlla la vita sociale e politica della città. A parte tale gruppo, costituito da meno dell' 1% della popolazione, a un livello più basso commercianti, negozianti, mediatori, membri della burocrazia statale e qualche allevatore, circa il 10% della popolazione, godono di certi privilegi non solo economici. Infine, un altro 14% della popolazione è costituito da piccoli commercianti che, con un capitale minimo, comprano e vendono praticamente di tutto nei tre mercati della città o agli angoli delle strade: a essi si aggiungono alcuni artigiani e lavoratori indipendenti. La maggior parte della popolazione, oltre il 50%, è costituito da umili lavoratori che vivono nei «nuovi villaggi» che sorgono continuamente attorno alla città, privi di servizi e infrastrutture, spesso a ore di distanza dal luogo di lavoro. Essi sono costretti a spendere gran parte del loro tempo in mini pullman stipati all'inverosimile: tornati a casa, la pressoché totale assenza di strutture igieniche li espone a numerose patologie, tra la quale spiccano quelle riferibili alla contaminazione delle acque potabili. Un ultimo segmento di popolazione è costituito da un gran numero di marginali vagabondi, prostitute, indigeni acculturati, piccola delinquenza che vagano tutto il giorno nei pressi dei mercati o delle principali vie d 'accesso alla città alla ricerca di un'occasione per rimediare il necessario per pagarsi il pranzo della giornata. In un simile scenario la guerriglia di «Sendero luminoso» e il narcotraffico hanno trovato un terreno estremamente fertile. Cinque anni di feroce guerra tra una guerriglia, sempre più lontana dalle motivazioni ideologiche iniziali e sempre più torbidamente legata al traffico di cocaina, e una repressione militare spietata pronta a cogliere ogni motivo per scatenare sanguinose rappresaglie, hanno di fatto portato in tutta la provincia alla scomparsa di ogni presunto diritto umano e alla sospensione di ogni parvenza di organizzazione e rivendicazione politico-sociale. Pucallpa è comunque sicuramente l 'agglomerato urbano amazzonico dove è più facile stabilire contatti con le comunità indigene che, come nel caso degli Shipibo, arrivano a vivere praticamente alla periferia della città. Gli Shipibo sono un'etnia decisamente acculturata, di lingua pano, che conta tra 16.000 e 20.000 persone raggruppate in villaggi mediamente costituiti da 150-200 individui stanziati lungo l 'Ucayali e i suoi affluenti, a nord e sud di Pucallpa. Si tratta di una popolazione che dipende dal fiume in maniera essenziale tanto per le comunicazioni che per l 'economia: in questo si differenzia da popolazioni vicine come gli Ashaninka, i Piro, gli Amahuaca decisamente più inseriti nell 'ecosistema della foresta piuttosto che in quello fluviale. Ovviamente questo ha determinato una certa
facilità, in passato, di contatti con missionari prima e poi con commercianti, caucheros, ecc. Nei villaggi maggiori sono presenti scuole di Stato e generalmente, i villaggi Shipibo sono dotati di una spiccata e ben differenziata organizzazione politica, per lo meno se paragonati a quelli di altre etnie. L'economia Shipibo (BERGMAN 1990) si basa essenzialmente sulla coltivazione di banane, mais, fagioli, yuca e, in misura molto minore, di riso. L'apporto proteico viene soprattutto dal pesce e questo spiega perché, quando nell 'epoca delle piogge i pesci si disperdono su una maggiore superficie d 'acqua, sia frequente incontrare nelle comunità Shipibo casi di denutrizione, soprattutto infantile. Una certa importanza ha anche l 'allevamento domestico di piccoli animali da cortile, mentre sempre meno ne ha la caccia, a causa del depauperamento progressivo della fauna amazzonica. La dieta progressivamente più povera, soprattutto in proteine, e i problemi connessi con uno stile di vita che predilige villaggi sempre più popolati, stanno creando notevoli problemi sanitari tra i Shipibo: nei grossi villaggi è sempre più difficile poter disporre di fonti idriche non inquinate e la gestione dei rifiuti crea notevoli problemi igienici. Naturalmente tutto ciò si riflette in un aumento delle patologie infettive e nell 'emergere di nuove malattie, anche per la maggior frequenza di contatti con le popolazioni vicine e, soprattutto, con i commercianti mestizos. Anche le sindromi psicopatologiche culturalmente tipiche del mondo amazzonico, segnale fedele del livello di stress sociale delle comunità native, sembrano aver avuto negli ultimi anni un incremento notevole. Tra esse va menzionato il susto, «spavento», il dafio, «danno» causato dall'envidia dei vicini, il mal de ojo, o «malocchio», il mal de aire, o «mal d 'aria», provocato da «venti» naturali che entrano in un corpo privo di difese. Sono tutte sindromi che possono assumere varie configurazioni sintomatologiche, caratterizzate per lo più da una non specificità dei segni, accompagnate da un decadimento generale dell'organismo. È questo il campo specifico di applicazione dell'arte sciamanica di cura, anzi è l 'unico campo ancora di competenza dello sciamanesimo. La recente integrazione delle comunità native nell'economia di mercato ha infatti privato lo sciamano delle sue funzioni di leadership carismatica a vantaggio di nuove figure istituzionali imposte dal governo centrale, mentre in campo terapeutico una maggior efficienza dei servizi sanitari statali ne ha ulteriormente ridotto la sfera di competenza. Lo sciamano ha risposto a questa crisi di potere specializzandosi, per così dire, in un settore specifico che può genericamente essere definito come «psicosomatico», inteso come «benessere globale della persona». È sorprendente come il sincretismo amazzonico abbia portato il locale sciamanesimo, in crisi di valori e di ruolo politico all 'interno delle comunità, a rispondere a questa sfida in maniera estremamente moderna
attribuendo allo sciamano quelle competenze che nella nostra sofisticata società sono proprie dello psicoterapeuta. L'affinità, comunque, non deve trarre in inganno: a mio avviso infatti esistono marcate differenze tra le due figure professionali evidenziabili ad esempio dal differente approccio al paziente. Nello sciamanesimo amazzonico la storia individuale del paziente passa in secondo piano essendo l 'attenzione del terapeuta tutta focalizzata a individuare i conflitti nel mondo degli spiriti attraverso la visione indotta dall'uso di piante psicotrope, tra cui, per importanza ed effetti, merita una menzione particolare l 'ayahuasca. Lo sciamano, attraverso l 'ingestione di questa, cerca di «vedere» le cause della malattia, spesso indipendentemente dai sintomi manifestati, evitando deliberatamente di attribuire a questi quel 'importanza che è la base stessa del lavoro dello psicoterapeuta moderno (DOBKIN DE RIos 1992). Comprendere il ruolo e la funzione dell'ayahuasca significa probabilmente penetrare l 'essenza più profonda dei misteri della foresta amazzonica. Sfortunatamente, oggi che di questa bevanda allucinogena si parla con sempre maggior frequenza, anche in ragione del suo diffondersi al di fuori della foresta amazzonica, sembra che alla maggior quantità di articoli che compaiono sulle riviste specializzate corrisponda una più diffusa superficialità nel trattare l 'argomento. E questo non è dovuto semplicemente a una minor disponibilità da parte dei ricercatori a trascorrere lunghi periodi di tempo nell'inospitale ambiente amazzonico, ma anche a un generale riduzionismo nel trattare l 'argomento. È qualcosa che tipicamente avviene quando un argomento, favoleggiato per lunghi anni, diventa rapidamente accessibile, magari standosene comodamente seduti in qualche tranquillo centro di terapie olistiche. Si passa cioè da una fase in cui non si comprende ma si percepisce appena l 'importanza del «contesto» sciamanico nello strutturare l 'esperienza visionaria, percezione che va maturando e perfezionandosi in maniera proporzionale al tempo speso tra le varie etnie dagli antropologi delle scorse decadi, a un approccio riduzionistico secondo cui, essendo l 'esperienza adatta a grandi gruppi di persone eterogenee, deve essere descrivibile secondo standard generali. Ciò è dovuto, per lo meno in parte, al rapido diffondersi di nuove religioni sincretiche dall'Amazzonia brasiliana che hanno raggiunto larghe fasce di popolazione urbana. Sulla base di quanto detto non sono pochi gli autori che considerano i fenomeni religiosi che si stanno sviluppando nell'Amazzonia brasiliane in particolare la setta del Santo Daime e dell 'Unùlo de Vegetao come completamente indipendenti rispetto allo sciamanesimo amazzonico, in aperto contrasto con quanto affermato dagli adepti di queste nuove religioni. Riconoscendomi pienamente in tale tesi tralascerò di menzionare queste recenti esperienze richiamandomi piuttosto ai vari usi della
bevanda in ambiente aborigeno. L'ayahuasca è, di fatto, un decotto ottenuto attraverso una lenta ebollizione di due piante: una liana, la Banisteriopsis caapi, e un arbusto, noto come Psychotria viridis. Nella liana sono contenuti degli alcaloidi di natura carbolinica, come l 'armina e l ‘armalina; nella Psychotria viridis, che gli indigeni dell'area di Pucallpa chiamano chacruna, degli alcaloidi di natura dimetiltriptaminica, dotati sicuramente di attività allucinogena analoga a quella dell'acido lisergico (competitori del sistema serotoninergico). Poiché questi ultimi composti sono inattivi per via orale e le carboline non hanno dimostrato un'attività allucinogena se somministrate da sole, è stato proposto che l 'azione delle carboline consista solamente nell'inibizione delle monoaminoossidasi, che inattiverebbero le molecole dimetiltripatirniche, permettendo così a esse di esplicare tutto il loro potere allucinogeno (On 1993). Secondo tale prospettiva la Psychotria viridis sarebbe quindi l 'elemento essenziale nel provocare le allucinazioni indotte dalla bevanda. Tale ipotesi è tuttavia contraddetta da tutti i curanderos della selva con cui ho parlato, i quali affermano viceversa che è la liana che dà la forza e lo spirito alla pozione e anzi qualcuno di loro è arrivato ad affermare di ingerire spesso solo la liana senza chacruna, soprattutto quando la prima è raccolta nel profondo della selva e pertanto è particolarmente potente. A mio avviso, è in diatribe come questa che si scontrano differenti paradigmi culturali, ove l 'impostazione chimicofarmacologica occidentale è incapace di comprendere la complessità della concezione sciamanica dell'esperienza visionaria per la quale le allucinazioni possono essere una componente tutto sommato trascurabile. L'ayahuasca, intesa come bevanda sacra patrimonio delle tradizioni sciamaniche native, ha affascinato gli studiosi occidentali fin dai primi contatti: è infatti già R. Spruce, nella metà del secolo scorso, a incontrare l 'uso della bevanda tra gli Indiani Tukano del Vaupes colombiano e a dedicarvi alcuni interessanti scritti (1874). L'ecuadoriano M. Vìllavicencio la incontrerà nel Rio Napo e sarà il primo non indiano a sperimentare gli effetti psicoattivi (1874). L'esploratore tedesco T. Koch-Griinberg ne descriverà il rituale, sempre tra gli indiani Tukano dell'Amazzonia colombiana, all'inizio del secolo (1906), mentre nel 1912 un articolo piuttosto romanzato, comparso sul «Times» di Londra, ne celebra i presunti effetti paranormali e telepatici. Sarà P. Reinburg a pubblicare sul «Joumal de la Société des Américanistes» di Parigi una prima monografia sulla pianta (1921); ma saranno soprattutto gli studi di un giovane botanico nordamericano, R. E. Schultes, inviato negli anni '40 in Amazzonia dal suo governo per studiare l 'Hevea brasiliensis, preziosissimo albero della gomma (siamo in piena Seconda Guerra mondiale), a rendere accessibile al mondo accademico una quantità impressionante di materiale botanico ed etnobotanico. Schultes, che
qualcuno comincia a considerare come uno dei fondatori della moderna etnobotanica, diventerà negli anni '60 un punto di riferimento per la cultura giovanile, con Albert Hofman, lo scopritore dell 'LSD; sodalizio che culminerà nella pubblicazione di un testo ( SCHULTESR – HOFMAN 1976) considerato ancora oggi come testo di riferimento sulle piante allucinogene. Il contributo di Schultes fu senza dubbio importantissimo; grazie a lui importanti questioni ed errori di tassonomia botanica delle piante impiegate nello sciamanesimo amazzonico furono chiariti ed egli va considerato un pioniere anche nell'impegno ecologico per la salvaguardia della biodiversità amazzonica e delle conoscenze indigene a esse connesse. Contemporaneo di Schultes è il grande antropo10go tedesco G. ReichelDomaltoff, che negli anni '60 visse per alcuni anni con gli indiani Barasana e Desana, gruppo Tucano del Vaupes colombiano fornendo in uno dei suoi scritti (1975) una descrizione relativamente dettagliata dell'uso dell 'ayahuasca in contesto aborigeno. Di notevole importanza è il suo sforzo di individuare le varie fasi di intossicazione della bevanda e di collegare gli effetti psicofisici di questa alla complessa mitologia e cosmologia indigena richiamando i lavori neurofisiologici di Knoll e KIuger (1959) sui fosfeni. Secondo questo approccio gli elementi geometrici dell'arte indigena sarebbero riconducibili a forme geometriche impresse nella retina del soggetto e percettibili in determinati stati in cui le normali strutture nervose inibitorie sono chimicamente alterate. La probabile partecipazione di una simile componente va tuttavia integrata in una prospettiva più complessa come rivelano recenti studi sulle NDE (Near Death Experiences, «esperienze vicino alla morte»). Negli anni '60 e '70 si assiste a un notevole proliferare di pubblicazioni di vari antropologi che, trascorso un certo periodo di tempo tra le varie tribù dell'Amazzonia peruviana, riportano l'uso dell'ayahuasca da parte degli sciamani. J. Siskind (1973) lo descrive tra gli Sharanahua, una tribù estremamente isolata che vive nell 'Alto Rio Purus ove lo sciamanesimo gode ancora un notevole prestigio, K. Kesinger (1973) tra i Cashinahua, una tribù limitrofa, mentre G. Weiss in un'opera monumentale ne sottolinea l 'importanza per gli Ashaninka (1973), tribù resa celebre dai racconti di Cesar Calvo (1982), ambigua figura tra il poeta e l 'avventuriero e fu particolare in Le tre metà di l no Moxo con un linguaggio fantastico e visionario che rende bene l 'ambiente della foresta amazzonica dove la realtà svanisce in effimeri effetti illusori. Calvo narra la vita di un bambino mestizo fatto rapire da uno stregone amahuaca e da questi iniziato ai misteri della selva. Alcuni ritengono che questa sarebbe una versione più romanzata dell 'avventurosa vita di Manuel Cordoba-Rios, già descritta da B. Lamb (1985) in forma di reportage antropologico, bersaglio di critiche polemiche simili a quelle che accompagnarono le opere di Castaneda (1980). Grande fu comunque il successo del libro di Lamb tra
le giovani generazioni degli anni '70, e se Castaneda ha contribuito non poco al viaggio di molti in Messico alla ricerca «della magica terra del peyote» il libro di Lamb li ha sospinti ancora più a sud fino ai lenti e afosi affluenti del Rio delle Amazzoni. Naturalmente, tutto ciò ha ben poco a vedere con lo sciamanesimo delle etnie indigene e se molte volte si è trattato di un turismo superficiale e commerciale, per qualcuno è stato invece l 'inizio di un serio approccio al mondo dell' ayahuasca e forse anche di un impegno civile a fianco delle popolazioni indigene. Se fin qui abbiamo parlato soprattutto del mondo indigeno, va ora precisato che molti dei giovani occidentali alla ricerca di nuovi significati esistenziali si fermavano alle poche città della selva peruviana facilmente raggiungibili con l 'aereo: Iquitos, Pucallpa e Madre de Dios. Questo era il regno dei curanderos mestizos, termine generico con cui si indica una larga fascia della popolazione amazzonica non indiana, che vive nelle città o lungo i fiumi principali. Questo mondo reso celebre dai lavori di M.Dobkin de Rios (1972) è stato poi studiato più approfonditamente da L. E.Luna (1986). Il «vegetalista» che è colui che ottiene le sue conoscenze di natura spirituale o comunque sovrannaturale direttamente dalle piante, o meglio dagli spiriti di queste, chiamate «madri» usa tali poteri a fini diagnostici o terapeutici. Ciò avviene attraverso l 'ingestione di tali piante, che possiedono quasi sempre poteri allucinogeni: così, l' ayahuasquero ingerisce l' ayahuasca, il toero beve il succo del toè, Brugmasia suaveolens, il camalongero ingerisce la camalonga, una pianta ancora di dubbia classificazione. Naturalmente non tutti coloro che ingeriscono le varie piante allucinogene sono automaticamente «vegetalisti»: essi devono prima attraversare un lungo e difficoltoso apprendistato definito con il termine generico di «dieta», che consiste in un isolamento nella foresta, in uno stato di quasi deprivazione sensoriale associato a un regime dietetico particolarmente duro, durante il quale l 'adepto ingerisce frequentemente la pianta prescelta fino a quando, dopo varie sofferenze, la «madre» o «spirito» della pianta, mossa a compassione, gli appare concedendogli la sua benevolenza e i suoi doni di potere. Poiché tale insegnamento deriva direttamente dagli spiriti delle piante, L. E. Luna le ha definite «piante maestro» (1984) identificandone una cinquantina. Lo spirito di queste, chiamato appunto «madre», è stato oggetto di un interessante studio da parte dell 'antropologo francese J. P. Chaumeil (1987-88). La «madre» di una pianta può essere definita come l 'essenza stessa del potere generatore della pianta: essa appare allo sciamano sotto forma di entità spirituale in grado di trasmettere conoscenze inaccessibili alle persone comuni. La percezione della «madre» di una «pianta maestro» è la differenza fondamentale tra uno sciamano e un non sciamano, in quanto, a differenza dalle comuni
visioni, le «madri» non solo sono sempre veritiere ma anche in grado di trasmettere una qualche forma di insegnamento. L'ingestione di una pianta allucinogena è quindi finalizzata al contatto con queste entità spirituali; man mano che lo sciamano avanza nel suo cammino, egli acquisisce maggior familiarità con esse al punto che i più anziani possono evocarne la presenza senza ingerire la corrispondente pianta allucinogena ma semplicemente cantandone i rispettivi «canti» o icaros. Gli icaros di una pianta, diversi da sciamano a sciamano, e donati a questi direttamente dalla «madre» della pianta, sono canti che, intonati sotto gli effetti dell 'allucinogeno, permettono di evocarne la presenza. Una volta che ciò avviene, un buon sciamano può permettersi di manipolare il contenuto visionario dei partecipanti alla sessione, aumentando o diminuendo l 'intensità delle visioni, inducendo determinate allucinazioni ed evitandone altre. È quindi lo spirito della pianta, la «madre» di questa, a conferire in ultima analisi allo sciamano il suo potere, ed è attraverso di lei che egli può esercitare la sua arte. Per i partecipanti alla sessione, viceversa, l 'effetto dell'ayahuasca consisterà in una serie di visioni che appaiono come una sorta di fenomeno elettromagnetico che va e viene a onde e può essere evocato e modificato dal canto del «maestro». Questo ci porta a considerare la differenza fondamentale tra l 'effetto dell'allucinogeno, in termini di contenuto visionario in uno sciamano e in un non-sciamano. Si tratta della differenza tra un'esperienza ritenuta oggettiva (e quindi reale, validata dalla e nella cultura: la percezione dell'essenza o «madre» delle «piante maestro») e un'esperienza soggettiva e quindi valida (o reale) solo per il soggetto che ha le visioni (percezioni introspettive di se stesso e/o di fatti che avvengono all 'esterno). Quindi, mentre le esperienze di auto guarigione, di comunicazione a distanza (effetti telepatici) e di percezione di eventi futuri (effetti predittivi) hanno valore solo per il soggetto che le sperimenta, e possono essere riconducibili, secondo un approccio «scientifico», a un paradigma psicoterapeutico o parapsicologico, le visioni sperimentate dallo sciamano e da questi indotte attraverso il contatto con la «madre» della pianta allucinogena sono ritenute oggettive e reali e come tali il potere o il sapere che da esse deriva sono a beneficio dell 'intera comunità. È quindi impossibile ricondurle ai nostri paradigmi interpretativi. Ma in che misura l 'incontro con la «madre» dell'ayahuasca influisce sul contenuto delle visioni indotte dalla pozione psicotropa? Va innanzitutto precisato che gli effetti dell'ingestione dell'ayahuasca sono spesso descritti come una mareacion, termine che spesso è erroneamente tradotto come «allucinazioni»: la mareacion, dal verbo marear, soffrire di «mal di mare», chiaro riferimento al decorso ondulatorio dell'esperienza, è infatti una complessa esperienza cinestesica che coinvolge tutte le percezioni sensoriali del soggetto in cui i suoni sono percepiti come visioni
e gli stimoli tattili o visivi come melodie. Non sorprende quindi che le complesse conoscenze tradizionali relative alle manipolazioni del contenuto visionario siano spesso tramandate sotto forma di canti o icaros, che servono poi per evocare nel soggetto specifiche visioni. Spesso infatti gli icaros cantati dallo sciamano sono percepiti come disegni o visioni precise e un buon sciamano è in grado di evocare in tutti i presenti, durante la sessione, gli stessi disegni: tutta la produzione artistica tradizionale di alcune etnie amazzoniche, come ad esempio i Tukano o gli stessi Shipibo è interpretabile in questa chiave. I disegni e le visioni, spesso stilizzati in forme geometriche, rappresentano nello stesso tempo esseri mitici e specifiche regioni del cosmo e quando nei suoi viaggi estatici lo sciamano percepisce nuove regioni o nuove entità, queste sono prontamente tradotte in nuovi canti. Lo sciamano possiede, grazie all'utilizzo delle piante allucinogene, una dettagliata conoscenza delle varie regioni cosmiche: quando la mareacion prodotta dall'ayahuasca sale, egli visita i differenti esseri mitici e traduce tali esperienze in canti che successivamente serviranno per ripercorrere gli stessi viaggi o condividerne il contenuto con gli altri partecipanti alle sessioni. Alcuni esseri mitici sono ritenuti di particolare importanza: tra gli Shipibo primeggia il «Grande Boa», signore assoluto del mondo acquatico da cui questo popolo dipende in maniera vitale; mentre tra gli Ashaninka, gente della foresta, maggior importanza è attribuita al giaguaro e tra gli Amahuaca all' otorongo, la pantera nera. Secondo B. Il1ius (1994) lo sciamano Shipibo, dopo aver ricevuto la visita dei vari esseri spirituali, ne apprende gli insegnamenti imitandone i canti che poi trasforma in disegni utilizzati come modelli per la produzione artistica tradizionale da parte delle donne del villaggio. Secondo alcuni nostri informatori (Dori G.A. di Yarinacocha e Don M.M. di Paoyan, 1994) avviene piuttosto un tipo di trasmissione diretta tra sciamano e artigiani durante le sessioni a base di ayahuasca, in cui questi ultimi percepiscono i canti dello sciamano sotto forma di disegni geometrici che poi riproducono nelle forme artistiche tradizionali. Lo sciamano diventa quindi una specie di «traduttore» tra il mondo dello spirito e quello degli uomini: esistono comunque allucinazioni più frequenti percepibili anche da chi è privo di un adeguato training iniziatico. Tra queste ultime B. lllius (1994) riporta l 'esperienza della «visione a raggi X» riportata anche da altri autori occidentali (lHARNER 1982), la percezione dell'«aura» e quella di figure geometriche astratte che si estendono su tutti gli oggetti contemplati dallo sperimentatore. In quest'ultimo caso «i disegni allucinatori formano spesso una sofisticata rete infinita che si estende su tutti gli oggetti percepiti, tanto nella realtà fisica come in quella visionaria» (lLuus 1994:194). Secondo i nostri informatori tali disegni, quando percepiti sul corpo fisico dei partecipanti alla cerimonia, rappresentano i «disegni» o «vestiti» corporei di questi,
intesi come rappresentazione visiva dello stato energetico del soggetto su cui lo sciamano effettua la propria diagnosi. Corrispettivo artistico, nella realtà ordinaria, di questo «corpo energetico», è il fari, o vestito tradizionale, che è indossato in speciali occasioni cerimoniali. Anticamente esso era realizzato solo dopo un'attenta percezione del «vestito energetico» del futuro possessore (G.A., com. pers.). La parte del corpo in cui tali disegni energetici diventano più luminosi è senza dubbio la testa dove la loro luminosità può dar origine a un' «aura» o «corona», direttamente proporzionale alla forza spirituale del soggetto. Nella locale produzione artistica, tale «aura» è raffigurata con la corona di piume indossata sul vestito tradizionale . Le analogie tra potere, luce, piume e corona sciamanica sono d 'altra parte già ben elaborate da G. Baer (1981) per gli indiani Matsingenka del Perù e da Halifax (1982) per lo sciamanesimo nord americano. L'intensità dell 'aura/corona è proporzionale alla quantità di energia spirituale accumulata dallo sciamano attraverso i suoi viaggi nelle regioni più remote del cosmo, grazie all'aiuto degli spiriti ausiliari più potenti: la loro visita ha l 'effetto di potenziare e purificare l 'aura dello sciamano e di trasformare i suoi disegni corporei in forme progressivamente più luminose ed eleganti. Tale capacità si traduce tanto in una maggiore luminosità «energetica» dello sciamano, percettibile sotto l 'effetto dell'ayahuasca, quanto in una maggiore raffinatezza dei suoi icaros e in una maggiore qualità artistica delle opere prodotte dal suo clan. E infatti nelle opere artistiche più pregiate non manca mai il motivo centrale del «Grande Boa» identificato da B. I1lius (1994) in due rombi uniti nei loro angoli. Tutto ciò, a nostro avviso, ci porta a riflettere sulla complessità dell'approccio dello sciamano ayahuasquero, difficilmente comprensibile secondo il semplice paradigma etnofarmacologico o «psichedelico» con cui alcuni autori si sono avvicinati a esso. Nelle etnie indigene dell'Amazzonia peruviana l 'esperienza indotta dall' ayahuasca coinvolge tutti gli aspetti della vita sociale, religiosa, artistica e culturale. Solo condividendo nella vita ordinaria tutti questi aspetti si potrà comprenderne davvero la natura e la reale importanza. I ricercatori nel campo degli Stati Alterati di Coscienza hanno da sempre sottolineato l 'importanza delle sostanze chimiche nell'indurre alcuni determinati stati peculiari. I loro studi hanno comunque enfatizzato l 'importanza di un appropriato ambiente e di determinate aspettative psicologiche. Quando tali premesse sono rispettate, le esperienze indotte da piante psicotrope sono non solo utili ma spesso mostrano alcuni interessanti effetti terapeutici o parapsicologici. Al fine di ricercare tali premesse, differenti culture in varie parti del mondo hanno elaborato particolari «mappe» per guidare l 'adepto durante gli stati di alterazione delle proprie coordinate spazio temporali che l 'uso
di tali piante spesso comporta. Questo articolo, basandosi su tali considerazioni, ha esaminato l 'uso di una bevanda allucinogena chiamata ayahuasca in un contesto sciamanico ancora ben vivo nell'Amazzonia peruviana e in particolare la sua integrazione in una «mappa» di apprendistato sciamanico. L'Autore ritiene che affrontare lo studio dell'uso dell' ayahuasca da un punto di vista esclusivamente chimico-farmacologico significa probabilmente prendere in esame solo le componenti meno significative di una antica, ma ancora viva, saggezza. Bibliografia BAER, G. 1981 Religion and Symbols: A Cae in Point jrom Eastern Perù. The Matsigenka View oj the Religious Dimension oj Light, «Scripta Ethnologica BERGMAN,R. 1990 Economia Amazonica, CAAP, Lima BLACKMORE,S.1993 Dyng to Live, Grafton, London CALVO,C.1982 Le Tre Metà di Ino Moxo, Fe1trinelli, Milano CARNEIRO,R.L. 1980 Chimera oj the Upper Amazon, in: De Mille (ed.) 1980, The Don Juan Papers, Further Castaneda Controversies, Ross-Erikson Publishers, Santa Barbara CHAUMEIL,J.P. 1987-88 Les Plantes quijont Voir, «L'Ethnographie», 2-3, pp. 54-84 DOBKINDERros, M. 1972 Visionary Vine, Wave1and Press, Prospect Heights DOBKINDERIOS, M. 1992 Amazon Healer, Prism Press, Bridport GEBHART-SAYER,A. 1986 Una terapia estetica. Los diseìios visionarios del Ayahuasca entre los Shipibo-Conibo, «America Indigena», 46, l, pp. 189-218 HALIFAX,J. 1982 Shaman, The Wounded Healer, Thames and Hudson, London HARNER,M. 1982 The way oj the Shaman, Bantam, New York lLLIUS, B.1994 La «Gran Boa»: Arte y Cosmologia de los Shipibo-Conibo, «Amazonia Peruana» KENSINGER,K. 1973 Banisteriopsis Usage among the Peruvian Cashinahua, in: Hamer M., Hallucinogens and Shamanism, Oxford Univo Press, London KNOLL,M. - KUGLER,1. 1959 Subjective Light Pattern Spettroscopy in the Encephalograjic Frequency Range, «Nature KOCH-GROBER,T. 1906 Die Makù, «Anthropos», 1,877-906 LAMB,EB. 1985 Rio Tigre and Beyond, North Atlantic Books, Berke1ey. LUNA, L.E. 1986 Vegetalismo, Shamanism among the Mestizo Population oj the Peruvian Amazon, Almqvist & Wiksell, StocholmLUNA,L.E. 1984 The Concept oj Plants as Teacher among Mestizo Shamans oj Iquitos, Northeastern Perù, «Joumal ofEthnopharm REICHEL-DoLMATOFF,G. 1975 The Shaman and the Jaguar, TempIe Univo Press, PhiIadelphia REICHEL-DoLMATOFF,G. 1978 Beyond The Milky Way, Hallucinatory Imagery oj the Tukano SISKIND,1. 1973 To Hunt in the Morning, Oxford Univo Press, London SPRUCE,R. 1874 On Some Remarkable Narcotics oj the Amazon Valley and Orinoco Magazine VILLAVICENCIO, M. 1858 Geografia de la Republica del Ecuador, R. Craigshead, New York WEISS, G. 1973 Shamanism and Priesthood in Light oj the Campa Ayahuasca Cerimony, in: Hemer M., Hallucinogens and Shamanism, Oxford Univo Press, London
SCIAMANISMO, ALLUCINOGENI E MELOTERAPIA di Ettore Biocca Sebbene esistano differenze sostanziali sia nella struttura chimica che nelle proprietà biologiche delle sostanze ad azione sul sistema nervoso usate dagli indi, tabacco, coca, allucinogeni vari, tuttavia tali sostanze assumono tutte, nelle culture indigene americane, un significato importante nel campo medico e nel campo sociale. Presso moltissimi gruppi indi, quali per esempio i Tukano e Tariana dell ’Alto Rio Negro, da me studiati (1964), il
fumo del tabacco fa parte del cerimoniale magico e non è concesso alle donne e ai fanciulli fumare. Lo sciamano, per fare esorcismi, per curare malattie, allontanare tempeste e fulmini, lancia ampie boccate di fumo, accompagnate in genere da movimenti della mano. In una leggenda Baniwa del Rio Içana il lanciare fumo di tabacco da parte dello sciamano è impersonato dall ’essere soprannaturale Dzuri; il fumo del tabacco fu il primo alimento con cui venne nutrito Jurupari, eroe civilizzatore Tariana. Come l ’uso del tabacco, così la preparazione e l ’uso della coca (ipadù) sono, tra questi indi, riservati agli uomini adulti. Come tutti sappiamo l ’uso della coca risale certamente in America Latina a tempi antichissimi. Già Pizarro conobbe l ’esistenza della coca nel Peru e i conquistatori spagnoli ben presto compresero l ’importanza della droga, che fu usata ampiamente per rendere più facile ed economico lo sfruttamento dei lavoratori indigeni, soprattutto nelle miniere. "Essa infatti, scrive il grande etnologo Koch-Grünberg (1909-10), scaccia la fatica, la fame e sprona il corpo e l ’anima a maggior rendimento". Gli Yanoama, indi che vivono nella foresta tra l ’Alto Rio Negro e l ’Alto Orinoco, non fumano tabacco, ma pongono grosse cicche fatte con foglie di tabacco tra le labbra e i denti. Ho cercato più volte di chiedere attraverso gli interpreti perché le usassero e quali sensazioni provassero. La risposta è stata analoga a quella che ho ricevuto quando ho chiesto ai Tukano e Tariana perché mettessero, ipadù, cioè polvere di foglie di coca, tra le labbra e i denti. Essi affermano di avere così maggiore resistenza alla fatica, scomparsa della fame e della sete e senso di benessere. Anche il padre missionario Gois, che è vissuto a lungo con questi indi, usava porre per le stesse ragioni durante i viaggi la cicca preparata dagli indi, tra le labbra e i denti. Interessante è la leggenda raccolta da Oliveira (1931) sulla nascita di Jurupari, che dimostra come al tabacco e alla coca vengano attribuite da questi indi proprietà magiche analoghe, connesse con il culto del Jurupari, destinate fondamentalmente a perpetuare la supremazia degli uomini sulle donne. Accanto al tabacco e alla coca gli indi usano anche sostanze dall ’azione prevalentemente eccitante e allucinogena, e tra queste merita di essere ricordato il caapi. Verso la metà del secolo scorso Spruce (1908) riportò l ’arbusto chiamato da Griesebach Banisteria caapi, che è stato poi oggetto di moltissimi studi: la stessa pianta come egli afferma, "viene chiamata nella lingua degli Inca, Ayahuasca o vino dell ’uomo morto. Egli risalì l ’Uaupés e nel villaggio di Panoré assistette alla cerimonia del caapi. "Durante la notte, egli scrive, i giovani presero il caapi cinque o sei volte negli intervalli tra le danze; ma solamente poco alla volta... In due minuti o meno dalla bevuta l ’effetto comincia a essere apparente. L’indio diventa pallido di morte e trema in ogni membro; il suo aspetto è orribile.
Improvvisamente si succedono sintomi contrari. ...Sembra posseduto da una furia invincibile, brandisce qualsiasi arma vicino alle sue mani, il suo murucu, l ’arco e le frecce o il coltello e si precipita verso la porta, dà violenti colpi sul terreno, gridando tutto il tempo ‘Cosi farei al mio nemico se fosse qui’. Dopo circa dieci minuti l ’eccitazione è passata e l ’indio diventa calmo ma pare sfinito...". Anche il grande scienziato Wallace (1853), collaboratore di Darwin, visitò il Rio Uaupés quasi nello stesso periodo e descrisse la stessa azione del caapi sui giovani guerrieri durante le feste collettive in onore di Jurupari. Il caapi ha, secondo gli indi, anche un’azione divinatoria. "Il caapi è bevuto dallo stregone, scrive Spruce, quando è chiamato per giudicare in una disputa o in una contestazione, per dare risposta appropriata a una richiesta, per scoprire i piani del nemico, per dire se stanno arrivando stranieri, per accertare se le mogli sono infedeli o, nel caso di un uomo malato, per dire chi lo abbia stregato". Stradelli (1890) scrive che a Taraquá nell’ ’Uaupés gli indi si rifiutarono di dargli il caapi che essi bevvero, perché in esso erano state mescolate le ceneri di un defunto, durante una cerimonia di endo cannibalismo. Koch-Grünberg, che volle provare su se stesso l ’azione della bevanda, bevve due piccole cala basse di caapi. Trovandosi nella semi-oscurità, vide davanti agli occhi fiamme di molti colori che si proiettavano sulla carta in cui cercava di scrivere appunti. Dalla descrizione precisa che egli fornisce, la quale ricorda la visione di guglie luminose e mobili di cattedrali fuggenti cui fa riferimento Michaud, sembra evidente che abbia avuto, sotto l ’azione del caapi, uno scotoma scintillante, che si ritiene provocato da spasmi vasali nei lobi occipitali. "Lo sciamanismo, scrive il grande etnologo e amico scomparso Herbert Baldus (1950), è un’istituzione sociale i cui rappresentanti, attraverso l ’estasi ottenuta secondo metodi tribali, entrano in contatto col soprannaturale per difendere la comunità, sia attraverso viaggi nel mondo dell’aldilà, sia attraverso la possessione da parte di spiriti". Ho intrapreso nel 1963 un viaggio nell’Alto Rio Negro per incontrarmi con il più famoso sciamano Tariàna a me segnalato dal padre missionario Beksta. Desideravo raccogliere le piante usate dagli sciamani a scopo allucinogeno e tutti i dati d’interesse biologico. Ho passato alcuni giorni nella capanna di questo vecchio sciamano e per una fortunata combinazione, il mio arrivo coincideva nel momento esatto in cui nasceva la nipotina dello sciamano, ed è stata interpretata come un fenomeno soprannaturale e ha facilitato enormemente il mio lavoro. Fui chiamato a essere"compadre" della bambina. Ho potuto così raccogliere piante attive che sono state studiate assieme con Marini Bettolo, Delle Monache, Galeffi e Montalvo (1964, 1965), di cui si riferirà in altra sede, e ho potuto assistere
a cerimonie di sciamanismo. Il figlio della sciamano, padre della bambina, educato nella missione di Jauareté, mi ha fatto da interprete. Ritengo che il racconto del vecchio sciamano, a me tradotto dal figlio, che cercava di riassumere i lunghi discorsi paterni sulla vita degli sciamani dell’Alto Rio Negro, abbia notevole interesse. "Quando essi (gli sciamani) studiano, fanno digiuni: mangiano solo bejù, maniuara... non possono aver rapporto con una donna. Il pagé riempie l ’osso di arpia con paricà, soffia nella narice... Paricà è preparato con corteccia di albero... Non tutti possono cantare i canti del pagé. Se uno volesse inalare e cantare senza essere pagé cadrebbe morto lì stesso. Per questo è proibito cantare alcuni canti dei pagé. Esiste un canto per insegnare agli apprendisti, uno per curare il malato e un altro ancora contro il nemico. Dopo il canto, il pagé prende il sigaro e soffia per disperdere il fumo... Per curare il malato, il pagé si dipinge il volto in maniera diversa che per la danza. Sulle guance un circolo e un punto nel mezzo: è l ’occhio di falco. Il maracà del pagé ha piccoli buchi da un lato, che corrispondono nell’altro lato: servono per fare uscire ed entrare la forza e per soffiare il fumo. Il manico è la spada del loro sogno, è stato bagnato con acqua di paricà, perché nel loro sogno essi vedano e abbiano forza. Nel a maracà. ci sono disegni; il a maracà ,il loro corpo, corpo di pagé, è una specie di scudo che essi usano. Quando fanno queste cerimonie chiamano gli spiriti degli uccelli, cantano, soffiano il fumo, fanno il resto e l ’ammalato guarisce". Certamente il canto fa parte essenziale del rituale magico degli sciamani. Io ho desiderato conoscere anche le parole e il significato dei canti sciamanici. In quel ’occasione il vecchio pagé chiamò per me con il suo canto i suoi spiriti ausiliari, perché "aiutassero" lui e me a curare i malati. Questa è la traduzione della registrazione di un canto sciamanico in lingua tariana, che ho registrato su nastro magnetico e che indica il significato sciamanico del caapi. "Da quando il mondo cominciò a esistere noi, fummo figli dei pagé che noi siamo, e bevemmo questo caapi; noi siamo stati così fin dal principio del mondo. Terra, bella terra dove viviamo, riuniamo il sentimento di questa terra sopra questi orizzonti; riuniamo i nostri dolori per vedere chi soffre. Con la forza di questo caapi si apra tutta la natura! Spiriti del falco dalla coda di forbice, dell ’avvoltoio e della rondine, portare cuia di acqua e foglie calmanti per rinfrescare il corpo e togliere la malattia!" A lungo il vecchio cantò e quando finì, la sua cerimonia mandò via con affetto gli spiriti ausiliari che aveva invocato: "Nonna dell’acqua, porta via questo vaso, quest’acqua. Spiriti degli uccelli tornate al vostro luogo. Ritiratevi miei compagni, mie fratelli. Portate via le vostre armi, il nostro "maracà", la nostra pietra; ritiratevi con tutto. Abbiamo finito fratelli miei, ritiratevi".
Il pagé restò alcuni minuti in silenzio, poi intonò un nuovo canto, lento e monotono come i precedenti. "Così come siete venuti, o spiriti, per aiutarmi, così ripartite". Riuscii ad avere le radici e i tronchi di liane con i quali i Tariana preparano il paricà: l ’esame fatto da Marini Bettòlo e colleghi ha documentato una ricchezza di alcaloidi del gruppo dell’armina. Prima di chiudere questa rapidissima introduzione sullo sciamanismo, sugli allucinogeni e sulla meloterapia, desidero ricordare brevemente anche l ’altro gruppo linguistico culturale indio da me studiato, gli Yanoama dell’Alto bacino amazzonico e orinochese (1965). Essi inalano polveri allucinogene di origine vegetale (Piptadenia, Virola, ecc.), che chiamano, epenà, per venire così in contatto con gli spiriti eterni (Hekurà) degli animali, delle piante, dei fenomeni della natura. L’uso dell’epenà fa parte del rituale magico per chiamare gli spiriti e farli penetrare nel corpo per curare le malattie, ecc. e non può essere profanato. Anche presso questi gruppi indi l ’iniziazione si compie con un lunghissimo periodo d’isolamento e di digiuno, durante il quale il giovane viene continuamente sottoposto all’inalazione della polvere a epenà. Emaciato, stanco, intossicato, lentamente comincia ad avere contatto con il mondo degli spiriti Hekurà, che dai monti scendono per venire da lui, per entrare nel suo corpo e trasformarlo in dimora di Hekurà. Il vecchio sciamano insegna, come dice la Valero (1966) (la donna da essi rapita ancora bambina, che per tanti anni è vissuta con loro), solo di notte. "Facevano spegnere i fuochi perché gli Hekurà non possono avvicinarsi se c’è luce. Poi il vecchio incominciava a cantare; allora si poteva riaccendere il fuoco. Quando l ’apprendista era così ebbro di epenà che non poteva neppure stare in piedi, un uomo si metteva dietro di lui e lo sorreggeva mentre quello che insegnava andava avanti e indietro, cantando, perché il giovane facesse lo stesso. Doveva ripetere i canti che il maestro insegnava. Ripeteva il primo, il secondo canto; poi il vecchio si allontanava dicendo: "Canta più forte, non sento nulla... più forte" Il giovane cantava più forte; il vecchio si allontanava ancora e ripeteva: "Canta più forte, non sento nulla" e mandava a soffiargli nuovo epenà nelle narici. Se il giovane sbagliava le parole o se le dimenticava, il vecchio "sciapori" ripeteva finché l ’altro aveva imparato. Il maestro faceva alzare il giovane stordito dall ’epenà, lo faceva andare avanti e indietro, girando e cantando con le braccia aperte. Doveva andare lentamente, diceva, perché se fosse andato svelto, il cammino degli Hekurà, che non era ancora ben formato, si sarebbe rotto e gli Hekurà non sarebbero venuti più al suo richiamo...". Nel lungo periodo per divenire sciamano, quando i giovani sono iniziati all’ ’uso degli allucinogeni, ogni richiamo sessuale deve essere allontanato. "Una donna, dice sempre la Valero, tinta di odoroso urucu, passò vicino alla capanna in cui si trovava, un giovate isolato per l ’iniziazione.
Il giovane si disperò, pianse: ‘Padre, gridava, questa donna del male mi è passata vicina; adesso i miei Hekurà mi stanno lasciando. Già stanno portando via le loro amache. Padre, gli Hekurà mi hanno lasciato solo! Quelli che tu avevi messo nel mio petto, già sono partiti’. Allora i vecchi gridavano, gridavano contro noi donne: per una sola che era passata così dipinta e profumata, noi tutte eravamo incolpate". Cioè oscurità, digiuno, isolamento, astinenza sessuale, allucinogeni, danze e canto servono a creare quella particolare atmosfera irreale e di mistero necessaria per le complesse manifestazioni sciamaniche. Fusiwe, marito di Helena Valero, era considerato un grande sciamano. In un suo canto a me ripetuto e tradotto dalla Valero, egli così diceva: "Gli Hekurà mi trovarono: ero solo in un giorno di silenzio. La figlia di Hekurà veniva danzando verso di me; quando è arrivata vicino, mi ha spinto, sono caduto, ha aperto il mio petto, la mia gola, ha pulito tutto il mio sangue. Ha strappato la mia lingua e ha messo al suo posto penne di Hekurà. Era bella; non esiste donna bella come quella! Ero morto disteso, ma sentivo tutto quello che la figlia di Hekurà cantava. Una nuova lingua hanno messo nella mia bocca, per questo conosco e canto i canti degli Hekurà…". Il canto sciamanico quindi è la via attraverso la quale gli spiriti della natura si manifestano usando la voce dello sciamano. Col dominio sugli spiriti Hekurà, gli uomini riescono, attraverso gli allucinogeni, a divenire uno strumento utile alla conservazione e alla difesa del gruppo cui appartengono. Un carattere però mi sembra che differenzi la sciamanismo yanoama dalla maggior parte degli altri sciamanismi, anche della stessa America Latina, sul quale desidero richiamare l ’attenzione. Al posto di uno sciamano isolato e potente, come il vecchio Tariana da me visitato, esiste tra gli Yanoama uno sciamanismo collettivo; al posto di uno stato estatico raggiunto solo da pochi eletti, gli Yanoama riescono ad avere un’estasi collettiva raggiunta da tutti o quasi tutti gli uomini adulti attraverso l ’uso controllato e dosato di alcaloidi allucinogeni. Nell’epenà da noi raccolto presso vari gruppi Yanoama, Marini Bettolo, Delle Monache e Galeffi hanno messo in evidenza noti alcaloidi ad azione allucinogena e precisamente bufotenina, N-ossido di bufotenina, N-Ndimetiltriptammina, N-ossido della N-N-dimetittriptammina, ecc. Abbiamo registrato con E. Bagalino su nastro magnetico molti canti degli sciamani che abbiamo poi tradotto con Helena Valero. Riportiamo la traduzione di alcuni frammenti di canti che mostrano non solo un affascinante mondo poetico, ma che permettono di iniziare un’analisi medica sul tipo di allucinazioni provocate da queste sostanze. Presso gli Yanoama del Rio Ocamo (Alto Orinoco) una donna aveva perduto l ’ombra o l ’anima e gli sciamani, sotto l ’effetto degli alcaloidi
allucinogeni dell’epenà cercavano di strappare via il male, impersonato dallo spirito Yai, e di ricondurre così l ’anima nel corpo della donna. Essi cantavano questi canti, interrotti spesso da grida e contorsioni che volevano indicare l ’arrivo di spiriti ausiliari. "Stelle rosse come sangue stanno cadendo con sangue! Che visione meravigliosa! Fanciulle con ornamenti di foglie alle orecchie. Hokosiwe è un monte alto con palme. E’ nero, le sue rocce hanno graffi come serpenti... La corona degli Hekurà è graffiata con sangue a strisce di serpenti... Ho avuto terrore. E’ passato un lampo avanti ai miei occhi. Ho strappato dalla donna pelle di Yai. E’ questa pelle che fa ruotare il mio sguardo. Vedo strisce di fuoco in terra come serpenti... Ho paura... All’orecchio degli Hekurà, padre mio, è appesa una stella di sangue...". E’ utile ricordare che le strisce di sangue e i serpenti di fuoco (scotoma scintillante?) sono elementi che ritornano frequentemente nei canti sciamanici sotto l ’azione degli allucinogeni. A lungo potrebbero continuare i ricordi di aspetti dello sciamanismo indio che interessano la nostra medicina contemporanea e la nostra stessa società. Il significato della meloterapia e della terapia psichica, il meccanismo di azione delle sostanze allucinogene, i rapporti tra medicina india e la nostra medicina, ecc. saranno ampiamente illustrati dai colleghi che parleranno in questa sezione. Io mi sono principalmente proposto di ricordare come il canto e la poesia sciamanica vengano stimolati in forma calibrata e dosata da sostanze ad azione sul sistema nervoso, e rappresentino i grandi strumenti di cui si servono gli sciamani nelle loro terapie prevalentemente psichiche. Tali sostanze, e in particolare gli allucinogeni, non vengono presi dagli indi per soddisfare stati morbosi di assuefazione individuale, ma il loro uso viene sottoposto in gran parte al controllo delle collettività che lo proibiscono agli organismi che essi considerano più deboli e cercano di utilizzano nell’interesse delle collettività stesse. Lo sciamanismo infatti non è che un’espressione di queste culture che trovano nello sciamano la figura che maggiormente le rappresenta. Bibliografia italiana E. Biocca: Viaggi tra gli Indi. Ed. C.N.R. 4 Vol., 1965. E. Biocca: Yanoama. Dal racconto di una donna rapita dagli Indi. Bari Ed. De Donato, 1966. E. Biocca, C. Galeffi., E.G. Monta1vo e G.B. Marini Bettolo: Sulle sostanze allucinogene impiegate in Amazzonia. Nota I. Osservazioni sul Parità dei Tukano e Tariana del bacino del Rio Uaupés. Ann. di Chimica, 5, 1175-1178, 1964. G.B. Marini Bettolo, E. Biocca, C. Galeffi, F. Delle Monache, E.G. Montalvo, Allucinogeni impiegati dagli Indi del Bacino Amazzonico e dell’Alto Orinoco. Ann.Ist. Super. Sanità, 1, 784-792, 1965. G.B. Marini Bettolo. F. Delle Monache e E. Biocca, Sulle sostanze allucinogene dell’Amazzonia, Nota II. Osservazioni sull’Epenà degli Yanoami del bacino del Rio Negro e dell’Alto Orinoco. Ann. di Chimica, 5, 1179-1186, 1964.
VISIONE POSSESSIONE ESTASI SULLA TEORIA DELLA TRANCE RITUALE di Antonio L. Palmisano Fra gli eventi più spettacolari e affascinanti ai quali possa assistere un antropologo impegnato nella ricerca etnografica sul terreno, vi sono sicuramente i culti di trance. Ma in cosa consiste una trance? La letteratura etnografica parla di stati modificati di coscienza, talvolta di stati alterati di coscienza; considera innanzitutto le cosiddette trance di possessione, spesso anche le trance di visione, più raramente le trance estatiche. I lavori etnografici si concentrano sull’attore sociale, protagonista della trance, sulla sua prospettiva: agli occhi dell’etnografo questi pare “essere agito” da un’estranea entità, spirito, forza, divinità o altro, secondo le teorie locali e accademiche dello specifico culto in questione. L’antropologo intento al lavoro sul terreno si occupa poi degli altri partecipanti al rituale, di quanti sono presenti e in diversa misura fungono da co-attori. E infine focalizza l ’attenzione sul professionista della trance rituale. Questi pare agire da medium, da interprete, più propriamente da traduttore. Il “signore degli spiriti”, come è chiamato per esempio nei culti zar dell’Etiopia, traduce un mondo a un altro, ma soprattutto trasporta un uomo in un altro mondo, di là dai limiti di questo, in una zona-limbo, che segue la vita e precede la morte. L’autore ha condotto la ricerca sul terreno in Etiopia da settembre 1992 a agosto 1996 in modo continuato, e a più riprese durante gli anni seguenti fino a oggi. Ringrazia in modo particolare Paul Baxter e Ron Reminick per la lettura della prima stesura di questo scritto e gli articolati e precisi commenti. Infine, dedica questo lavoro alla memoria dell’amico Georges Lapassade. Dalle etnografie alla teoria della trance. Agli antropologi contemporanei non è rimasto alcun ambito di ricerca nel quale non risulti inevitabile un confronto fra le proprie etnografie e la straordinaria mole dei lavori realizzati in passato. Perfino la ricerca etnografica in un campo così specifico, quale è quello dei culti zar in Etiopia, deve prendere in considerazione le etnografie, decisamente numerose, su questi specifici culti di possessione in Africa dell’Est oltre, ovviamente, a considerare la letteratura relativa alle trance rituali (visione, possessione ed estasi) nei differenti contesti sociali, culturali e politici dell’Africa in generale e degli altri continenti. Del resto, oltre a costituire al contempo specifici contributi a una teoria generale della
trance, i precedenti lavori etnografici sono il risultato di quella stessa teoria generale certamente non ancora formulata in modo compiuto. La mia ricerca sul terreno non si sottrae a questo processo circolare caratterizzante la costituzione del sapere antropologico relativo alla trance rituale. In fondo, anche il più modesto contributo etnografico verso la definizione del complesso dei culti zar in Etiopia, scopo di questo lavoro, perché singolo gradino di una scala che conduce a una teoria generale della trance, inizia con la discussione delle precedenti etnografie, una discussione complementare e funzionale alle proprie attività di ricerca sul terreno. Nessun antropologo è nato sul terreno, dove si ritrova a ricercare; piuttosto, ogni antropologo decide di praticare una specifica ricerca sul terreno proprio sulla base del dialogo con la letteratura etnografica. Nel caso dei culti zar d ’Etiopia, l ’attore sociale, il protagonista della trance pare “essere agito” da altra entità, spirito o Divinità che sia, secondo le teorie tribali e regionali e/o accademiche, del culto in questione. L’attore sociale può “essere cavalcato” da uno dei numerosissimi spiriti protagonisti del culto e questa esperienza, sconvolgente e dolorosa in prospettiva emica, avviene durante lo stato di trance dell’attore sociale, lo ye zar faras, il “cavallo dello zar”, la cui azione consiste appunto nello “essere agito”. Mentre l ’altro protagonista è il bale zar, anche chiamato bale wuqabi, “signore degli spiriti” presiede la sessione di trance e agisce tanto da sacerdote del culto come pure da maestro dell’esperienza di trance nei confronti dei nuovi adepti e/o del cosiddetto “malato”, operando talvolta come incarnazione della stessa Divinità. Il gruppo dei credenti, infine, non è semplicemente presente al rituale limitandosi a una azione di supporto, ma costituisce il terzo polo intorno al quale si catalizza e dipana l ’azione di possessione. Nel termine zar rilevo la radice semitica zar, con il significato di “visita”, una radice che allude a qualcuno che “viene”, che “raggiunge” o “scende” ecc. ma anche “affligge” (cfr. per esempio nell’arabo antico e moderno il verbo zara-yazuru, in uso nell’accezione di “visitare” ma anche “infastidire, affliggere”). Nella mistica musulmana e pre-musulmana, poi, il termine zar indica un colore, in particolare il colore oro, che insieme al blu esprime la pienezza dell’anima che ricerca la Divinità (mentre el hidr indica il verde, identificato nel cristianesimo più tardo con la figura di San Giorgio). Per quanto riguarda il termine faras, “cavallo” in amharico, rileviamo invece la sua assonanza con il sostantivo persiano firas che indica “chiaroveggenza”. In amharico e in altre lingue semitiche, con il termine bal s’intende “proprietario, padrone, signore, maestro ecc.”; in poesia, ma anche nel linguaggio figurato, il termine bale indica un “messaggero”. Nella letteratura antropologica internazionale sono
disponibili numerose monografie sulle trance rituali, ma questi lavori trattano generalmente due sole categorie: le trance sciamaniche e le trance di possessione. Dunque, considerano o sciamani o posseduti. Sebbene lo sciamanesimo sia propriamente siberiano, questo termine è stato e continua a essere impiegato, con mia perplessità, anche nei lavori etnografici che più in generale trattano delle trance di visione: l ’antropologia culturale americana ha così adoperato il termine “sciamano” per etichettare i professionisti della trance di visione in qualunque parte del mondo si trovassero. In questo caso, sembra che il termine “sciamano” si riferisca a un ruolo e questo, indipendentemente dal contesto sociale e religioso nel quale viene a essere per formato, come se le esperienze visionarie non avessero alcun rapporto con il contesto all’interno del quale vengono a essere espresse o articolate. Il termine è comunque in voga anche nei lavori etnografici riguardanti le esperienze di trance visionaria in America del Sud e del Nord, e in Australia oltre che in Africa. Le trance di possessione, studiate in particolare da antropologi inglesi, francesi e italiani, sono invece state osservate specialmente in Africa. Per queste due categorie disponiamo dunque di una gran quantità di monografie classiche: Michel Leiris (zar), Alfred Metraux (voudou), Roger Bastide (candomblé), Conti Rossini (camminatori sul fuoco) ecc. Ma le opere in questione non costituiscono altro che delle sintesi parziali: restano monografie limitate a uno studio etnografico, soprattutto storico, di casi di sciamanesimo o di possessione rituale in questo o quel luogo, di questa o quella tribù. Sintesi generali riguardanti le trance rituali sono in effetti rare. Un’eccezione in questo senso è rappresentata dal lavoro di Fritz Kramer, “Der rote Fez. Über Besessenheit und Kunst in Afrika” del 1987, in cui viene proposta una teoria dei riti di possessione in Africa. Altra eccezione, nella letteratura francofona, è rappresentata da Luc de Heusch, “Cultes de possession et religions initiatiques de salut en Afrique”del 1962, che in una visione strutturalista ha tentato una contrapposizione, ormai celebre, fra sciamanesimo e possessione. Ma anche Gilbert Rouget, nel suo “La musique et la trance”del 1980, ha iniziato una sintesi sulle trance rituali, sebbene nella prospettiva dell’etnomusicologo. Si tratta comunque di specialisti delle trance di possessione e non certo delle trance di visione. In questi autori neppure la trance estatica viene considerata; se non, come per esempio in Rouget, in opposizione alla possessione: l ’estasi, caratteristica della grande mistica cristiana e musulmana, sarebbe individuale, presupponendo silenzio e immobilità, solitudine e raccoglimento, e così di seguito. I grandi mistici Teresa
d ’Avila, Caterina da Siena, all’Husayn ibn Mansur al Hallaj e numerosi altri, si ritirano nella solitudine, nell’immobilità, nella preghiera, nella contemplazione, mentre la trance di possessione, che Rouget chiama “trance” tout court, è collettiva, con musica e tamburi, e molto movimentata con le sue danze. Ecco dunque perché Rouget non considera l ’estasi come oggetto del suo studio sulla trance e non tratta l ’argomento: è solo in connessione con la musica, a partire dalla musica, che Rouget si pone il problema della trance. Da una antica antinomia ai contemporanei paradigmi della trance. Una definizione dei tre maggiori paradigmi della trance, ovvero una breve discussione delle istituzionalizzazioni degli stati modificati di coscienza e visione, possessione ed estasi, permette di procedere a un abbozzo d ’analisi della struttura della trance. Per “trance estatica” Georges Lapassade intende una trance che forse ha qualche parentela con il sufismo, ma che rovescia le concezioni sufi: nelle confraternite musulmane non c’è la solitudine, ma il gruppo, non c’è il silenzio ma i tamburi e i flauti, non c’è l ’immobilità ma la danza estatica. Rouget affronta in un significativo capitolo quella che chiama la “trance araba” o “trance mistica”, trance delle confraternite popolari; ma non la definisce trance estatica. Come de Heusch, Rouget costruisce il suo discorso sull’antinomia sciamano/posseduto: lo sciamano è un visionario, si serve della musica ma non incarna alcuno spirito; egli semplicemente “viaggia” e semmai “raggiunge” questi spiriti. Riprendendo, insomma, una espressione fantasiosa, “Lo sciamano infila la sua testa nel cielo, mentre il posseduto fa entrare il cielo nella sua testa”. Così, Rouget resta fedele alla tradizionale antinomia fra lo sciamano e il posseduto, fra la trance di visione e la trance di possessione, e nei suoi lavori non riscontriamo il terzo paradigma, quello della trance estatica. Un altro esempio di pensiero antinomico, questa volta statunitense, è dato da Erica Bourguignon con la sua ricerca a Haiti. Bourguignon si considera una specialista della possessione, e il suo sforzo di teorizzazione, “Psychological anthropology”del 1979, ha avuto una grande influenza su Rouget. I risultati più importanti si ritrovano sintetizzati in un capitolo sulla strutturazione e percezione dello spazio, dei colori e delle emozioni in differenti società, ovvero come si relazionano emozioni, ragionamento e immaginazione. Uno dei suoi capitoli è così dedicato agli “stati alterati di coscienza”: è un capitolo sulle trance. Uno stato modificato di coscienza viene chiamato “trance” quando è socialmente organizzato o socialmente sfruttato, ritualizzato secondo le corrispondenti aspettative presenti in una
determinata società. Le problematiche con le quali si confronta qui Bourguignon e si tratta di una sintesi di una certa importanza, riguardano il passaggio dagli stati modificati di coscienza alla trance: le allucinazioni, per esempio, se collettivizzate possono divenire delle visioni. Considerare la visione come una sorta di allucinazione ritualizzata è un approccio sicuramente interessante, stimolante per la riflessione. Il termine “alterato”impiegato da Bourguignon evoca il concetto di deviazione dalla norma, implicando una qualificazione negativa dello stato. Preferisco dunque l ’uso del termine“modificato” a indicare i processi di trasformazione di ciò che chiamiamo “coscienza”. Lo sciamanesimo implica la trance di visione, ma le trance di visione possono aver luogo anche in assenza di sciamanesimo, ovvero in assenza della ritualità sciamanica e della professione di sciamano. Lo sciamano esplica insomma la trance di visione fra tante altre attività: capo di caccia, guaritore, esperto di piante ed erborista ecc. Non possiamo comunque parlare di sciamanesimo senza esperienza di trance di visione e senza la cosiddetta “esperienza extra-corporea”, the out of the body experience. Allo sciamano è attribuita in effetti la capacità di uscire dal proprio corpo per cercare, per esempio, una persona scomparsa. Un secondo contributo di Bourguignon riguarda più specificamente le trance di possessione e al loro interno effettua una categorizzazione dicotomica. Nella sua sistematizzazione, Bourguignon distingue due grandi insiemi di trance di possessione: la trance di possessione terapeutica, presente in Africa dell’Est con danze nelle quali viene rappresentata la Divinità e la trance di possessione cerimoniale, diffusa nell‘Africa dell’Ovest. Questi due insiemi sono contrapposti l ’uno all’altro, così come le trance di possessione sono contrapposte, nella loro unità, alle trance di visione. L’esempio fornito per l ’Africa dell ’Ovest è rappresentato dal candomblé e dal voudou, entrambi esportati poi in America. Bourguignon, che ha studiato il voudou in Haiti e nel Benin, nega a questo rituale ogni funzione terapeutica. Si tratterebbe di una messa in scena, una incarnazione della Divinità, una cerimonia senza alcuna finalità terapeutica. Nell’Africa dell’Est, al contrario, non vi sarebbe altro che terapia. Ma si tratta di una poco convincente distinzione geografica. Difatti, come si potrebbe classificare lo ndop, senz’altro presentato da tutti gli autori nei suoi aspetti terapeutici e così diffuso in Senegal? Soprattutto, poi, ogni etnografia in Africa dell’Est smentisce la validità della categoria introdotta da Bourguignon. De Heusch, Rouget e Bourguignon hanno il merito di contrapporre la visione alla possessione, due differenti istituzionalizzazioni di stati modificati di coscienza, due differenti trance rituali. Viene a non essere comunque presa di fatto in considerazione
quella terza grande famiglia di stati modificati di coscienza che Rouget aveva chiamato “trance araba”. Si tratta di ideal tipi, e per di più incompleti. Del resto, per esempio, anche presso gli sciamani si trovano trance di possessione. Perché poi e soprattutto, non considerare le danze estatiche una terza categoria, un terzo paradigma di stati modificati di coscienza, istituzionalmente ritualizzati? Rouget e gli altri non hanno messo sullo stesso piano di analisi la struttura delle trance di visione, possessione ed estasi. È probabile che questo sia avvenuto per una consueta quanto diffusa, nonché erronea e fuorviante, identificazione della trance con esibizioni “psicopatiche”, ovvero per la riduttiva e fallace interpretazione della trance come terapia e per l ’usuale e consolidata riluttanza, almeno fino ai tempi recenti, a considerare oggetto di studio etnografico la mistica cristiana e musulmana. Gli studi di Ernest Gellner, raccolti in “Muslim society”del 1981, hanno chiaramente dimostrato, almeno per il mondo dell’Islam, che una etnografia in questo senso non solo è possibile, ma conduce a interessanti e profonde riflessioni soprattutto nel campo dell’antropologia sociale e dell’antropologia della religione. Quando gli studi “etnografici”, di fatto pseudo - etnografici , su comunità dell’Europa e del Mediterraneo si distaccheranno dalla demologia a ideologia nazional-popolare e dall’approccio storico-culturale e folkloristico dal vago sapore paesano, quando non addirittura “strapaesano” riferendoci a una nota espressione di Cesare Pavese, riportato forse da quelle sagre campanilistiche di cui spesso tali studi si occupano, per entrare finalmente nell’antropologia sociale e riflessiva, potranno prodursi lavori probabilmente fruttuosi, come del resto già mostrano gli studi di Jeremy Boissevain, Jean G. Peristiany, Eric Wolf e alcuni altri. Lapassade ha comunque posto la trance estatica sullo stesso piano d ’analisi della trance di visione e di possessione. Se si ammette che la trance è una sintesi di stato psicologico e rituale, è opportuno indicare in prospettiva etica lo stato psicologico che soggiace a tali rituali: la dissociazione. Per lo sciamano si dirà che è il viaggio visionario, ovvero l ’allucinazione ritualizzata per la possessione è lo sdoppiamento della personalità, ovvero la doppia dissociazione persona-corpo/corpo, ben conosciuta in ipnosi; per l ’estasi è lo stato d ’estasi, che nella prospettiva dell’attore sociale non è una “uscita dal corpo” ma una fusione con il cosmo, con la Divinità (sufismo ortodosso) o l ’annichilimento,l ’annullamento del soggetto nella Divinità (sufismo eterodosso). Nella trance rituale non è tanto la distinzione fra i tre stati modificati di coscienza a permettere la comprensione della trance, quanto rilevare con
quali modi lo stato modificato di coscienza è ritualizzato nelle specifiche società, e questo nella prospettiva dell’attore sociale. Quando si dice che gli stati modificati di coscienza sono l ’oggetto di un rituale, significa che alcuni rituali utilizzano questi stati modificati di coscienza con finalità sociali. Si tratta dunque di rituali che mobilitano, inducono e gestiscono specifiche esplicazioni di determinati stati di coscienza e non necessariamente, ancor meno contemporaneamente, tutte le esplicazioni. Il rito di possessione non mobilita le allucinazioni. Anche se l ’allucinazione è una potenzialità della specie umana, nello stato di possessione non è implicita una mobilitazione dell’allucinazione. Rileviamo invece in essa la mobilitazione di una disposizione allo sdoppiamento della personalità, quantomeno alla dissociazione personacorpo: una sorta di sonnambulismo. Durante la trance, con il corpo divenuto luogo-casa della Divinità, l ’iniziato si trova “fra le due soglie”, una zona che segue in termini temporali la vita e precede la morte o che si colloca sulla linea di demarcazione fra vita e morte. (Cfr. Shihaboddin Yahya Sohravardi, 11551191, in “L’arcangelo purpureo”). Questo concetto è stato espresso anche da Muhyi a Din Abu Bakr Muhammed ibn Ali ibn Arabi (1165-1240), nel suo “Le rivelazioni meccane”, impiegando il termine persiano barzakh, che sta significando “intervallo fra la morte e la resurrezione, interstizio, isthmus” ma anche “situazione di pericolo, legame, inizio d ’immaginazione, capriccio” e perfino “qualcuno innamorato di una donna”. Il sonnambulismo (cfr. Gallini 1983), scoperto e discusso nel secolo XVIII e XIX in seguito ai lavori di Anton Mesmer (1734-1815), e considerato non come trance ma come “stato magnetico”, era concepito come uno stato durante il quale un’altra personalità poteva emergere, rimpiazzando per un certo periodo la personalità ordinaria. Proprio questo stato ipnotico, ma secondo la teoria del tempo, sarebbe servito di supporto all’incarnazione di Divinità. Una personalità seconda, potenziale nello psichismo umano, può emergere attraverso le tecniche rituali e ipnotiche andando a servire di supporto psicologico alla danza, ovvero al rito di possessione. Diversamente, senza sdoppiamento della personalità, senza possibilità di una personalità seconda, non si comprende come l ’attore-agito possa prendersi per Shango o qualunque altra Divinità: avremmo solo un teatro della possessione e non una trance di possessione. Perché ci sia quest’ultima è necessario che il posseduto“dimentichi” ovvero, rivendichi di aver dimenticato, di aver espresso una personalità seconda. Alla fine della passeggiata sonnambulica, la sonnambula si sveglia, “dimenticando” di essere stata sonnambula durante il suo sonno.
Egualmente, in una sessione voudou, il posseduto “dimentica” di essere stato Shango e ritorna a essere il contadino, il carrettiere, il sottoproletario urbano haitiano di sempre. Alla conclusione di una sessione zar di possessione in Etiopia, dopo essere stato Abdel Kader o Adal Muhammed, il posseduto continuerà a essere un contadino amhara o un allevatore oromo, rivendicando eventualmente di avere “dimenticato” l ’esperienza di essere stato un’altra persona senza tuttavia negare i suoi stretti legami con lo zar, con la Divinità, qualunque fossero i suoi attributi: angelici o demoniaci. Le ritualizzazioni degli stati modificati di coscienza. L’analisi delle forme di ritualizzazione degli stati modificati di coscienza, ovvero l ’analisi dei modi e delle modalità di istituzionalizzazione delle trance rituali, conduce così all’identificazione della struttura delle trance di visione, possessione e estasi. Per“modo” intendo una qualità secondaria in termini filosofici della trance, una qualità in effetti riscontrabile nella trance di visione, possessione ed estasi. Per“modulazione”intendo il passaggio da un modo all’altro, ovvero sottolineo l ’aspetto processuale di ognuno dei quattro modi citati, iniziazione, terapia, liturgia, divinazione e la capacità di ognuno di questi modi di essere trasformato nell’altro, in accordo con i contesti e le condizioni sociali, politiche e individuali servite dallo specialista della trance, per esempio il bale zar. I due termini, spesso impiegati come sinonimi, sono presi in prestito dalla musicologia: lo specialista del culto zar è simile al direttore d ’orchestra o al solista che armonizza musicisti del tutto inusuali o uno strumento molto particolare: uomo e strumento sono un unicum, un tutt’uno, per lo meno nella trance. Forse non è solo l ’auto rivendicato oblio, l ’amnesia, a fare la differenza fra il teatro della trance e la trance, ma anche l ’idea di Divinità: sono la cosmologia e la fede a fare la differenza. In merito a questo tema, ricordo il frammento di una lunga conversazione con Lapassade, durata tre giorni, tenuta nell’estate del 1989 nella mia casa di campagna in Puglia: Lapassade – Si può fare anche un teatro delle Divinità: “Fammi fare la parte di Shango” ecc. E in quel momento l ’attore sa che recita Shango... Palmisano – La differenza fra trance e teatro della trance sarebbe che tu, attore-agito, non puoi svolgere la parte della Divinità. Tu non puoi dare una rappresentazione dell’irrappresentabile ma hai un principio, un saggio di conoscenza dell’invisibile, almeno nella prospettiva del posseduto... Lapassade – Se si spiegano a un attore i tratti essenziali della personalità di Shango, costui potrà rappresentarlo tranquillamente e fornirci un teatro del candomblé, per esempio. La differenza è che l ’attore non sarà mai identificato completamente nella Divinità.
A. Iniziazione. Le cerimonie di iniziazione possono essere una modalità della ritualizzazione di stati modificati di coscienza. Ci sono ovviamente iniziazioni senza trance e queste sono degli apprendimenti di routines e ruoli sociali per i quali non viene riconosciuta l ’opportunità, ovvero la funzionalità, dell’attivare [avviare, procurare, produrre, indurre, facilitare] il cambiamento dello stato di coscienza. Perché ci sia trance, nell’iniziazione questa deve essere considerata in prospettiva emica come una“necessità”, funzionale a uno specifico esito, il basculement della coscienza, nella terminologia di Lapassade, ovvero il cambiamento di stato di coscienza. Una significativa modificazione della coscienza, come può essere una allucinazione, provocabile per esempio attraverso sostanze allucinogene o altre e più sofisticate tecniche, viene realizzata in effetti durante specifici processi di iniziazione. L’uso per esempio dell’ayahuasca, un allucinogeno diffuso in Perù e in generale nell’America Centrale e del Sud, permette la modificazione dello stato ordinario di coscienza, provocando uno stato allucinatorio che viene ritualizzato come visione. Se si considera l ’uso “sciamanico” o etnico dell’ayahuasca, e la letteratura sul suo uso ritualizzato, rileviamo riti di iniziazione in cui si somministra la ayahuasca ad adolescenti ma non “per farne degli sciamani”, quanto “per farne degli uomini”, ovvero per facilitare loro l ’attraversamento della pubertà, guidandoli istituzionalmente verso l ’età adulta, verso l ’assunzione di altri ruoli e responsabilità, verso l ’acquisizione di un nuovo status. L’iniziazione consiste dunque nell’apprendimento a passare dalla allucinazione alla visione. Con l ’uso dell’ayahuasca il giovane viene inserito in un gruppo adulto e già visionario, ovvero in un gruppo che conosce il passaggio iniziatico dall’allucinazione alla visione, avendolo reso una propria specifica e significativa esperienza. Gli adulti del gruppo hanno la competenza di gestire le allucinazioni che, così ritualizzate, divengono visioni socialmente, e non solo individualmente significative. Le allucinazioni sono allora gestite come una sorta di imagerie collettiva. Ai giovani uomini viene trasmessa una intera simbolica, con il suo insieme di significati socialmente congruenti. In questo stato, l ’iniziato non vede più serpenti o mostri ma Divinità: dall’allucinazione popolata da indefinibili bestie feroci e minacciose passa alla visione di Divinità. Al posto di selvaggi e terrificanti animali, il giovane adulto comincia a“vedere”altro: le sue visioni sono ora visioni della Divinità. È il passaggio
dall’allucinazione alla visione, è il passaggio dall’iniziazione alla liturgia, è il passaggio da una cerimonia di adolescenti terrorizzati dall’ignoto a una cerimonia di adulti avviati alla conoscenza dei misteri, una cerimonia nella quale finalmente si dialoga con le Divinità attraverso il canto, proprio con quelle Divinità verso le quali tutti anelavano e anelano. È comunque possibile provocare allucinazioni senza l ’impiego di sostanze allucinogene. Presso i Lotuho del Sudan, per esempio, lo specialista del rituale, lo hobu, soffia nelle orecchie degli iniziati, dopo averli fatti danzare per giorni fino allo spossamento, mentre induce l ’iniziato a ricorrere a specifiche tecniche di respirazione: viene così a prodursi uno stato di trance catalettica accompagnata da visioni. Questi “sonni profondi” durano anche più giorni. Ancora: nella letteratura etnografica classica leggiamo che, per esempio, i Sioux lasciano l ’adolescente in una foresta; nella solitudine più completa, il giovane intende le grida degli uccelli notturni, dei rapaci: alle sue angosce e allucinazioni può così sostituire l ’immagine, la visione del padre di suo padre, un uomo, che viene da lui e infine parla con lui. Questa iniziazione è dunque una liturgia. B. Terapia (conversione). La ayahuasca è impiegata anche in alcune terapie. E la terapia è una seconda possibile modalità di ritualizzazione di stati modificati di coscienza. La differenza fra iniziazione ed etno terapia è che la prima coinvolge come comunità dei gruppi o classi di età, ovvero si occupa del passaggio da uno status all’ ’altro in termini di età sociale, divenendo azione politica mentre la seconda, assume come comunità uno o più malati che intendono essere socialmente riconosciuti tali, ovvero“malati” in attesa di “guarigione” e anche qui si tratta di un passaggio di status ma questa volta in termini di guarigione, divenendo azione salvifica. In questo caso, dunque, non abbiamo più a che fare con una iniziazione tout court ma con una terapia, anche se la terapia può fungere adesso da iniziazione. In effetti, la persona definita come malata guarisce divenendo capace di svolgere pratiche dapprima cerimoniali e quindi rituali e proprio liturgiche durante il processo di guarigione. Per esempio, nelle terapie che prevedono l ’uso del chat, un leggero allucinogeno molto diffuso in Etiopia e più in generale nel Corno d ’Africa e in Yemen. Il paziente sotto terapia mastica le foglie, e può “vedere” gli spiriti e “parlare”con loro ma in ultima analisi il terapeuta conduce il paziente all’interno della modalità della liturgia, ovvero lo guida nel cammino verso la “guarigione”. Si tratta in un certo senso di una ripetizione individuale dell’iniziazione primaria, una iniziazione che ora non ha nulla più a che
vedere con l ’iniziazione al sistema di classi d ’età ma che soddisfa la “richiesta di salute”, in quanto fa uso dell ’immagine del processo di guarigione. Le foglie di chat contengono phenilkylamine, principalmente due differenti chatamine (appartenenti alle phenilpropylamine) cathinoni, che sono S(-)alpha-propiophenoni e cathine, ovvero (+)norpseudoephedrine e un gruppo di sostanze di complessa analisi, conosciute come catheduline, le cui proprietà farmacologiche sono ancora da studiare(Cfr. Brenneisen 1984). La concentrazione di entrambe le chatamine e delle catheduline variano significativamente in rapporto alla qualità della chat, il metodo di coltura delle piante (irrigazione, fertilizzanti ecc.), la loro età, le parti della pianta e soprattutto il grado di freschezza delle foglie: i processi di ossidazione modificano considerevolmente concentrazioni ed effetti dei composti contenuti in esse. (Cfr. Kalix 1984). I “malati”, dunque, non sono malati nel senso di una diagnostica occidentale, ma non sono neppure, in prospettiva emica, quello che dovrebbero essere, ovvero quello che ci si aspetta da loro che siano o che loro pensano di dovere essere, ossia che loro pensano che la società si aspetta che loro siano. Ripetono così l ’iniziazione per divenire ciò che devono divenire o che pensano di dovere divenire. Ufficialmente l ’iniziazione è una esigenza sociale di passaggio di età, di transizione di status e ruoli mentre per il malato e per la sua società questa iniziazione è rappresentata come il passaggio dalla malattia alla salute. Sia in prospettiva sociale come pure nella prospettiva di una antropologia della religione entrambe appaiono e sono de facto delle conversioni. Le categorie di “malattia” e di “salute” differiscono da quelle occidentali, ma come queste ultime anche le prime sono parte di un universo simbolico, espressione di una imago mundi. Una volta comprese nella prospettiva degli attori sociali, forniscono significato al mondo dell’osservatore: formano osservato e osservatore. C. Liturgia. Iniziazione e terapia sono le prime due modulazioni di una trance la cui struttura viene a essere qui analizzata. La liturgia rappresenta la terza modalità, ovvero la terza forma ritualizzata di stato modificato di coscienza. Incontriamo la liturgia nella descrizione delle relazioni con il mondo extra-sociale che sono relazioni di connivenza con il mondo super-naturale ma, paradossalmente, nella letteratura riguardante lo zar troviamo che raramente lo zar è considerato come liturgia: le componenti terapeutiche,
e soprattutto le performances terapeutiche, sono enfatizzate tanto quanto sono ignorati dai ricercatori gli aspetti liturgici. Eppure, la liturgia nei culti zar è ricca, articolata, dettagliata e ancorata a una cosmogonia e teologia particolarmente sviluppate. Lo stesso accade nel ndop del Senegal, per il quale disponiamo appunto di numerose e ampie descrizioni ma sempre relative a terapeuti e terapie. Siccome gli studiosi occidentali hanno indagato con lena le funzioni terapeutiche dello zar e dello ndop, questi culti sono stati conseguentemente ridotti a terapie. Per Bourguignon, addirittura, nei rituali di possessione, liturgia e terapia si escluderebbero a vicenda. Ma ogni relazione socialmente codificata con la Divinità è una liturgia, e il suo apprendimento è una iniziazione. La sua realizzazione poi, è una conversione; ed è una terapia in quanto tale. Ovvero, il linguaggio della “guarigione” si risolve nella prassi della conversione: conversione,“salute”e salvezza, ovvero armonia in una nuova struttura di relazioni che di fatto coincidono. D. Divinazione. Come quarta modalità di ritualizzazione degli stati modificati di coscienza consideriamo infine la divinazione. Con riferimento critico alle categorie proposte da Rouget e de Heusch, la divinazione sciamanica ancora una volta è una visione: lo “sciamano” mantiene la propria identità quando nello stato di trance va a vedere dove si trova l ’oggetto perduto o dove si trova la fonte della malattia o come si prospetta la stagione della caccia. Durante lo stato modificato di coscienza lo “sciamano” ha delle visioni ma mantiene la sua personalità: è un veggente, un visionario che non sperimenta uno sdoppiamento di personalità. Nel caso della possessione, invece, non è il posseduto a “vedere” ma è la Divinità che servendosi del corpo del posseduto, indica agli altri dove cercare per trovare l ’oggetto perduto o dove cacciare la selvaggina nascosta ecc. In questo caso non abbiamo dunque a che fare né con un veggente né tanto meno con un profeta ma con un medium. La profezia, difatti, appartiene alla categoria della trance estatica: i profeti possono essere definiti come messaggeri in stato di trance. Quando parliamo di “sciamano”, non possiamo affermare che sia un profeta ma un indovino, proprio come era un indovino la Pizia di Delfi, del resto. Nello stato estatico, il profetismo è l ’equivalente della veggenza nella trance di visione e della mediumship nella trance di possessione: il profeta non è il mezzo di Dio ma l ’autorizzato da Dio a parlare in nome di Dio, mentre il posseduto è il mezzo della Divinità el ’indovino è un semplice “visionario”. La divinazione è egualmente performata in tutti questi differenti ruoli. È qui in atto un processo cognitivo: la conoscenza umana viene fondata,
legittimandola, attraverso specifici riferimenti alla Divinità all’interno di specifici insiemi di regole nel contesto di specifiche cosmologie, ovvero nel contesto di un complesso e sofisticato sistema di rappresentazioni. La trilogia “trance di visione, trance di possessione, trance estatica” permette di meglio comprendere l ’enorme mole di monografie e di note e resoconti etnografici riguardanti la trance e gli stati modificati di coscienza. E l ’iniziazione, la terapia, la liturgia e la divinazione sono le quattro forme rituali, modalità e modulazioni, nelle quali si esplica ognuno dei grandi gruppi di trance che analizziamo. Dalla teoria della trance alla etnografia dello zar in Etiopia. Paese complesso, l ’Etiopia presenta numerosi gruppi etnici circa settantotto, in continua e complicata interazione. In quasi tutte queste società sono praticati culti di possessione. Ho avuto modo e occasione di venire a contatto con numerosi gruppi di culto e di conoscere specialisti della trance nei diversi contesti etnici, economici, politici e culturali del paese. Il caso etnografico di Garesu e del culto di Wofa, un culto di possessione praticato sugli altopiani dell ’Etiopia in un contesto chiaramente interetnico, è di particolare interesse per lo studio delle trance rituali e ancor più specificamente per come si articola in esso la quarta modalità di ritualizzazione dello stato modificato di coscienza, ovvero la divinazione. Il leader, un potentissimo “cavaliere di spiriti” quando incarna la Divinità Wofa, parla agli uomini una lingua sacra tradotta in consecutiva in oromo e in amharico da un altro specialista del culto, lo aggafari. Il processo di traduzione avviene in stato di trance di fronte a numerosi fedeli, in un tempio situato all’ ’interno di un villaggio-santuario fondato dallo stesso Garesu. I suoi confini chiaramente fondano un luogo, decisamente sacro, dove si praticano culti di trance in forma di culti di possessione. Nel tempio del santuario si trovano i protagonisti di una straordinaria performance: Garesu quando diventa Dio in terra è chiamato Wofa; lo aggafari, ovvero il suo aiutante, il cosiddetto “custode delle porte invisibili” e fedeli in gran numero. Inizia così dunque un particolare processo di costruzione della realtà: “Sono le due del mattino. Entro nel gelma, già pieno di fedeli per le suppliche. Mi lasciano passare, con fatica. Non vi è più posto: 100-120 fedeli in un tempio di 15-16 metri di diametro. Mi fermo a pochi metri dallo aggafari. Dopo aver atteso per alcuni giorni, Wofa è finalmente sceso e questa è la ragione per la quale mi hanno svegliato. Wofa sentenzia e risolve ogni problema, Wofa giudica, Wofa risponde. La sua risposta rimbalza ai supplicanti attraverso lo aggafari. Nella risposta i supplicanti sono aiutati dai più esperti o anche da qualche apprendista
bale wuqabi. Il canto di Wofa è molto rapido e ritmico. Prima che sia terminato, il fraseggio è seguito dallo aggafari che traduce in oromo e poi in amharico alla stessa velocità, musicalità e ritmo. Il supplicante cerca di entrare in quello stesso ritmo mentre pone le sue domande, ma non sempre vi riesce. La sua supplica è trasmessa con lo stesso canone dallo aggafari a Wofa. Infine, la risposta va da Wofa allo aggafari e da quest’ultimo al supplicante e quindi di nuovo vice versa. La prossima parola è del supplicante l’ultima parola, appartiene esclusivamente a Wofa”. La Divinità, protetta e nascosta da un muro, parla una lingua incomprensibile; al di là del muro-confine interno che segna lo spazio strettamente e assolutamente sacro, il non-luogo per eccellenza, si trovano i credenti mentre, seduto per terra all’ ’interno dello spazio sacro per antonomasia, eppure vicino alla porta-tenda più prossima ai fedeli, lo aggafari traduce: traduce dalla lingua divina, che risulta a tutti gli uomini ugualmente incomprensibile, in due lingue umane, diversamente contrapposte ma entrambe a tutti comprensibili. In questo caso, le due lingue umane costituiscono un’unità in giustapposizione all’ ’incomprensibilità della lingua divina. Si tratta di un momento dunque di unità fra i credenti: unità e comunanza di esperienza, l ’esperienza del sacro espressa politicamente. Fuori dal contesto di trance e di possessione divina che avviene all’ ’interno del tempio, il ruolo principale dello aggafari è di consigliere sfuggente. Lo aggafari non si trova mai molto vicino al leader resta in posizione defilata. Nella vita di tutti i giorni, costruisce e ribadisce questa sua posizione di marginalità o come tale rappresentata dallo stesso. La sua vita quotidiana è in funzione dell ’espressione di se stesso in quanto uomo del margine: è protagonista ma nella zona d ’ombra. Lo aggafari resta talmente“ai margini” che, per esempio, quando è nello elfigna si posiziona lontano dal divano-trono di Garesu, sulla soglia della porta che conduce all’ ’esterno. Anche nelle riunioni pubbliche lo aggafari non è immediatamente visibile, eppure è presente, vicino alla porta, sempre in contatto visivo con il leader. Lo aggafari, una specie di bale zar secondario ovvero un co-medium, sembra agire come una sorta di interprete, più precisamente come un traduttore, un semplice traslatore di oggetti, pensieri, parole e opere non sue, collocato ai confini del mondo degli uomini e ai confini del mondo divino. Il Dio Wofa discende su Garesu e questo impressiona particolarmente i suoi seguaci. Spesso altri spiriti visitano Garesu, spiriti meno complessi, di più facile comprensione, con i quali la comunicazione risulta più semplice. Garesu è comunque in grado di “cavalcarli” tutti: è un potentissimo bale wuqabi. I seguaci del culto sono numerosi. Oltre ai fedeli della Chiesa Ortodossa d ’Etiopia e dell ’Islam vi è infatti in Etiopia una forte presenza di credenti che praticano culti locali, seguaci di quella che
posso legittimamente definire la Terza Confessione, un esteso insieme di culti e religioni locali che si affiancano alle due confessioni internazionali. La Divinità in questione, Wofa, si manifesta in determinati giorni del calendario rituale. Garesu stesso diviene la Divinità e parla. Quando parla, giudica e questi giudizi si risolvono in sentenze. Sentenze divinatorie! Due partiti in disputa si recano al tempio: chiedono un consiglio, un parere, un intervento. L’uomo, Garesu, entra dunque in trance e quando la Divinità lo pervade, nella prospettiva degli attori sociali, diviene di fatto la Divinità, Wofa. Nella sua mente esiste allora solo il Dio e può giudicare il “caso”: definisce e risolve momenti di disordine e di sofferenza all’ ’interno della comunità, dovuti a contingenze interne ed esterne; dirime controversie e compone liti. Il giudizio formulato da Garesu in queste precise situazioni rituali e liturgiche è definitivo, senza possibilità d ’appello. Una volta pronunciatasi, la Divinità non può essere discussa. Nessuna parola fonda quanto la parola divina. Lo elfigna è il luogo di soggiorno di Garesu. Nel salone si trova un gran divano, le porte della cucina, aperte danno al suo interno. Diversi ospiti, tutti più o meno interessati a mostrarsi potenzialmente vicini a Garesu, conversano. Lo aggafari è seduto a distanza da tutti gli altri, frequentemente si trova in piedi vicino alla porta di uscita o sulla soglia delle cucine dello elfigna mentre continua con gli occhi e con piccoli cenni delle mani a comunicare con Garesu, fornendo informazioni aggiuntive e consigli. All’ ’occorrenza, il gashe, letteralmente “scudo” in amharico, è titolo onorifico e anche forma di cortesia all ’indirizzo di chi è riconosciuto dotato di carisma e autorità, poteva o può diventare anche ras, capo politico-militare di un gruppo etnico, ovvero di un gruppo di discendenza e/o locale: egli è uno “scudo”. Nella prospettiva emica, questo suo essere in grado di proteggere la comunità, infatti è associato alla capacità di entrare in contatto diretto con la Divinità, un Dio in questo caso dal carattere molto difficile, Wofa, Divinità di un pantheon minore. Il suono-lingua divina emesso dalla Divinità si trasforma in lingua degli uomini attraverso lo aggafari e quindi la parola viene commentata dai fedeli presenti e rinviata direttamente alla Divinità o passando per lo aggafari. Il “canto”di Wofa e dello aggafari è incalzante, melodioso, affascinante, ipnotico. Qualche supplicante piange. I volti mostrano sofferenza e un intenso pathos è nell ’aria. Alcuni mentono durante la supplica. Non hanno il coraggio di confessare pubblicamente le loro colpe, i loro problemi: temono di compiere passi falsi. Una giovane donna, accompagnata dalla madre, mente. La sua menzogna viene immediatamente scoperta da Wofa. Stravolta dal terrore, la giovane si getta per terra, striscia fra le nostre gambe e sui piedi, striscia invocando il perdono che non ottiene.
“Presto morirai!”, dice la voce dello aggafari che in amharico aggiunge: “… o tua madre morirà al tuo posto!”. Le terminologie religiose e giuridiche si complementano e si sovrappongono identificandosi: giudizio, giorno del giudizio,“giudizio universale”, comparire con il correo, nominare il testimone. Ma la parola ultima spetta alla Divinità. “Che cosa fare di questa donna?”, ecco in quali termini si pone la questione per quanti hanno inteso l ’avvenimento come problematico, ecco perché nella prospettiva emica si parla di giudizio ovvero di“giorno del giudizio”. È in questo giorno che si chiude il processo corale di costruzione del caso. Gravi responsabilità sociali sono implicite nel processo decisionale. Ecco perché il termine tecnico adoperato localmente per definire un tale processo è “giudizio”. Iniziazione, terapia, liturgia e divinazione nello zar d ’Etiopia. Un’articolata ed esaustiva etnografia della trance può difficilmente prescindere dall’identificazione e distinzione analitica delle quattro modalità di istituzionalizzazione della trance ovvero le quattro forme di ritualizzazione degli stati modificati di coscienza: iniziazione, terapia, liturgia e divinazione. E le quattro modalità possono essere ritrovate in ognuna delle principali interpretazioni emiche della trance, indipendentemente dalle loro specificità: trance di visione, trance di possessione e trance di estasi. Generalmente, però, pochi lavori etnografici trattano di più di una o due di queste modalità di istituzionalizzazione di stati modificati di coscienza per una singola teoria emica della trance. Se analizziamo la letteratura riguardante lo sciamanesimo, per esempio, non troviamo mai le quattro modulazioni trattate distintamente ma le incontriamo sempre descritte indistintamente, intrecciate le une alle altre, quando non confuse le une con le altre. Lo stesso accade per la letteratura sulle possessioni, per esempio il voudou o il candomblé o lo ndop o lo zar, come pure per la letteratura sulle estasi, dove le quattro modulazioni si ritrovano a essere descritte come un vero e proprio conglomerato. Disponiamo dunque di numerose etnografie sugli stati modificati di coscienza ma solo alcune di esse considerano l ’intero sistema rituale come un insieme integrato, e non indistinto. Anche i culti zar dell’Etiopia sono stati sottoposti a questo processo di frammentazione e de contestualizzazione, ovvero di riduttiva conglomerazione. Il lavoro di Lapassade sulle trance è interessante principalmente per l ’ammissione di una co-presenza di questi quattro aspetti o modulazioni della trance iniziazione, terapia, divinazione e liturgia, riconosciuta in
ognuna delle grandi categorie della trance rituali o stati modificati di coscienza istituzionalizzati, indipendentemente dalle loro specificità: trance di visione, di possessione e trance estatica. Per Lapassade, per esempio, anche la trance sonnambulica che è un soubassement psicologico della possessione, può essere manipolata e incanalata secondo le quattro modalità rituali: iniziazione, terapia, liturgia (il cui aboutissement è la conversione) e divinazione. Rare sono state le eccezioni, per esempio un breve lavoro con ricerca sul campo realizzata da Torrey sullo zar. Secondo Torrey (1970) in Etiopia si riconoscono tre forme diverse di cerimonia zar: zar terapeutico (e di iniziazione), zar di conversione (liturgico) e “seer”-zar o zar “profetico” (ma “divinazione”, è termine che in questo caso preferiamo, perché “profezia” è una categoria propria dell’estasi e non della possessione). Tuttavia, solo pochi anni dopo, Torrey disconosce di fatto il suo primo lavoro sullo zar d ’Etiopia, pubblicato nel 1970 ma già presentato nel 1966 alla “Third International Conference of Ethiopian Studies” di Addis Ababa nel 1966, focalizzando tutta l ’attenzione sull ’identità medium-psichiatra (Torrey 1972) e lo fa con successo di pubblico a giudicare dalla diffusione dell ’edizione rivista e corretta pubblicata nel 1986. Zempleni (1966) ha anticipato o comunque ha intuito quanto poi trattato esaustivamente da Lapassade (1990): senza impiegare il termine “liturgia”, descrivendo in effetti le liturgie che danno l ’avvio al processo “terapeutico”. Così, nell’esempio dello zar dell ’Etiopia, le quattro modulazioni della trance, le articolazioni o esplicazioni della trance, possono difficilmente essere trattate indipendentemente le une dalle altre e ancor meno, indipendentemente dalla loro società: esse si rivelano come delle situazionalizzazioni ad hoc dei culti di trance. E questo non impedisce al ricercatore, come suggerisce la mia pluriennale ricerca sul terreno, di riconoscerle agevolmente: zar d’iniziazione, zar terapeutico, zar liturgico (zar di conversione) e zar di divinazione. Zar di iniziazione e zar terapeutico vengono performati indipendentemente da particolari eventi o festività dell’anno e indipendentemente dalle specificità dei wuqabi, ovvero a prescindere dalle connotazioni e desideri degli spiriti zar dunque dalle cosiddette “necessità” o come tali recepite, del posseduto o aspirante posseduto. Lo zar liturgico può venire identificato e osservato specialmente in occasione delle grandi feste nazionali, per il meskal o il timkat, questi grandi eventi festivi nazionali divengono altrettante opportunità per numerose iniziazioni individuali, ovvero conversioni al culto attivo degli zar. Lo zar di divinazione, invece, ha luogo secondo un particolare calendario degli spiriti e secondo le richieste di credenti e clienti, presentate individualmente o ancora più spesso in gruppo.
A. Zar (terapeutico e) di iniziazione. Nel processo iniziatico, i due ruoli principali sono svolti dal bale zar e dallo ye zar faras. Lo ye zar faras apprende a conoscere, ovvero a riconoscere lo spirito zar che lo possiede e a conciliarsi con questo. La sua iniziazione comprende innanzitutto l ’apprendimento delle danze specifiche associate ai corrispondenti spiriti zar o wuqabi. Queste danze, che hanno il loro acme nel gurri, una violenta e ripetuta rapida roteazione del capo e del busto, si distinguono attraverso variazioni nel ritmo e nei movimenti. Grazie allo stile di danza ogni wuqabi può essere identificato da ogni membro del gruppo di culto. L’iniziando apprende poi le “canzoni di guerra”, fukkara, di ogni spirito zar con il quale ha o presume di avere relazioni. Il canto viene intonato dal posseduto o aspirante-posseduto come espressione indubitabile della correttamente appresa forma di relazione con lo specifico zar. Nella prospettiva della cosmologia zar, il fukkara è il canto di guerra intonato dallo stesso spirito zar quando è finalmente sceso sulla persona facendone il suo cavallo, ye zar faras. Il bale zar padroneggia tutti gli spiriti del mondo dello zar etiopico (sempre contestualizzando il culto nella versione locale). È capace di rendere visibile, attraverso difficili domande e minacce, anche lo zar ancora sconosciuto all ’interno di quel circolo di iniziati e costringerlo a svelare la sua personalità e rivelare i suoi desideri in modo da poter essere soddisfatto. Per essere soddisfatto, infatti, dunque adorcizzato, uno spirito zar deve essere reso pubblico, ovvero riconosciuto. Lo zar divinatorio è a volte chiamato zar profetico, “seer”-zar, nella letteratura anglofona degli anni ‘70 e ‘80. È senza dubbio preferibile il termine “divinazione”, in quanto il termine “veggenza” o il termine “profezia” appaiono più appropriati nel caso della visione e dell ’estasi, non della possessione. Il bale zar ha fra l ’altro anche il compito di identificare, quindi di definire, la classe sociale dello spirito zar e conciliarla con la situazione finanziaria dell ’adepto (oppure del cosiddetto “paziente”). Nelle gerarchie zar, per esempio, lo spirito zar degli adepti meno abbienti appartiene alla schiera dei servitori dei grandi spiriti zar, i cosiddetti wureza. Quando un bale zar valuta correttamente la situazione finanziaria dell’adepto, può associargli uno zar costoso, dalle grandi pretese, oppure uno zar servitore dei grandi zar, trasferendo così il primo spirito a un adepto (il “paziente”) che dispone di maggiori risorse economiche, kureynya, capace di sopportare finanziariamente le richieste dello zar più esigente. Tutte le attività di “soddisfazione dello zar” servono a
trasformare quello zar in uno spirito protettore dell’adepto (il “paziente”), prevenendo e impedendo eventuali ulteriori e imprevedibili richieste da parte di altri zar. Mentre alcune richieste sono di natura simbolica, difatti, altri spiriti zar esigono gioielli, vestiti eleganti e lussuosi o oggetti di difficile reperibilità. B. Zar terapeutico (e di iniziazione). Lo zar terapeutico o terapia di gruppo, assume spesso la funzione di processo iniziatico e lascia anche rilevare significative somiglianze con lo zar liturgico o di conversione. I partecipanti, presenti alle sessioni terapeutiche insieme al malato che prima o poi verrà posseduto dallo zar, hanno tutti già avuto esperienze di possessione: al di là dei posseduti durante la cerimonia, wadaja, altri partecipanti hanno avuto esperienze di possessione in precedenti occasioni proprio a opera dello specifico zar in questione. I partecipanti sono dunque tutti collegati da un filo comune: i più esperti sono insieme a coloro che devono essere iniziati e che adesso vengono presi in considerazione dal terapeuta zar. La terapia è de facto una iniziazione al culto zar, ovvero l ’iniziazione al culto degli zar assume ad hoc la forma del processo di conduzione verso la guarigione. Ho avuto modo di incontrare diversi processi terapeutico - iniziatici che si risolvevano con l ’integrazione dell’individuo nel gruppo di culto zar, e quindi nella sua integrazione nella comunità locale, con l ’attribuzione e assunzione di un nuovo status e nuovi ruoli. Sulla base delle mie ricerche e della letteratura etnografica è possibile riconoscere le linee principali di questa struttura: sospetto di “malattia” da parte di parenti e amici oppure rivendicazione di “malattia” da parte dell ’attore sociale, da parte del “malato”; richiesta individuale o di gruppo indirizzata a specifiche istituzioni taumaturgico salvifiche: la persona e/o i suoi parenti si rivolgono al bale zar; regolamentazione e normalizzazione delle relazioni fra la persona e il “suo” zar; apprendimento delle corrette procedure nel rapportarsi allo zar in questione oltre che con il mondo degli zar in generale: abilità formali e conoscenze specifiche vengono a essere conseguite (danze e canti); aspettative di eventi di possessione nelle prossime sedute terapeutiche o meno che siano, hadra; sacrifici individuali e collettivi compiuti in occasione della prima possessione elaborata con successo; routinizzazione delle relazioni fra lo zar ovvero gli zar e la persona: “guarigione”. Parenti e amici si rivolgono al bale zar solo dopo aver esaurito l ’iter della diagnostica medica, dopo essere stati in un ospedale e aver consultato numerosi specialisti, in modo da escludere una eziologia riconducibile con certezza a patologie definibili nei termini della medicina istituzionale. L’assenza di patologie chiaramente identificabili come “patologie mediche
ufficiali” genera timore e al contempo, soddisfazione: ora è possibile l ’attribuzione dello status di “malato” nella prospettiva locale, nonostante tutto che ne consegue. Le richieste del medium – bale zar o altro che sia (il “medico”) infine, variano in rapporto all ’adepto (il “paziente”), come del resto accade in molte pratiche psicoterapeutiche e in quasi tutte le prestazioni professionali, a onorario variabile in base alle difficoltà presentate dal caso e allo status del cliente. C. Zar liturgico o di conversione. Il medium conduce l ’uomo o la donna in trance alla scoperta di nuovi mondi, i mondi della trance, mondi situati fra le due soglie e li riporta indietro: li conduce appena oltre la porta della vita, ma potrebbe condurli anche oltre la porta della morte. Durante la trance, infatti, con il proprio corpo prestato come luogo-casa della Divinità, la persona trova se stessa proprio “fra le due soglie”. È questa una zona che, secondo gli iniziati, segue in termini temporali la vita e precede la morte; una zona collocata sulla linea di demarcazione fra vita e morte. Nella preparazione dell ’eventuale visita del suo spirito zar, un adepto, donna o uomo che sia, trascorre in trepidazione tutta una giornata o perfino settimane. Come del resto già accadeva per sua madre o suo padre, l ’adepto viene posseduto una o due volte l ’anno dal “suo” zar. Non sa però esattamente in quale fra quei giorni festivi o forse durante un pellegrinaggio, lo zar farà visita. Ha comunque preparato tutto l ’occorrente per l ’imminente visita dello spirito zar: ha invitato i vicini, ha indossato i vestiti più belli, le collane, le perle, tutta la sua bigiotteria, profumandosi con cura. Ha preparato cibi raffinati e nulla verrà toccato prima dell’arrivo dello spirito visitatore. Ha approntato il vino di miele e la birra se è di fede cristiano-ortodossa o il chat se è di fede musulmana e attende ansiosamente la visita dello zar dopo aver disposto tutto l ’occorrente per il perfetto svolgimento della cerimonia del caffè. Il tema della visita dello zar, rappresentato come una sorta di sposo e/o amante atteso con ansia, traspare chiaramente nel complesso dei preparativi. Sono stati anche sacrificati animali polli, oche, agnelli e pecore come pure vitelli, manzi e perfino tori, a secondo del tipo di richieste manifestate dallo zar e a seconda del “colore” dello zar che “scenderà” a fare visita. Lo zar “scenderà” oppure non “scenderà” e questo dipenderà nella prospettiva degli attori sociali dalla corretta organizzazione della festa, dall’esecuzione inappuntabile dei preparativi per accoglierlo insomma, dal perfetto espletamento della liturgia. Se lo zar
non “scenderà”, i parenti, gli amici, i vicini prenderanno parte al banchetto come si fa per un normale festino e sarà una tranquilla e gioiosa festa come tante altre. Ma quando lo zar giunge, prende con forza possesso del suo “cavallo”: la donna comincia a gridare a parlare come in un sonno agitato, cade per terra e si copre il volto con una stoffa colorata del colore voluto dallo spirito. In quel momento il suo corpo diviene il luogo di residenza dello spirito zar e lo spirito usa questo corpo come meglio gli aggrada: come cavalcatura. Ma anche altri fra i presenti possono diventare cavalcature di quello stesso o di altri spiriti. E tutti sono invitati a raggiungere lo stato di trance con ogni genere di incitazioni. In un gruppo, per esempio, l ’esortazione è: “Chi è il maschio che può superare il limite?!” ben conosciuto dagli iniziati ma dal significato nascosto per altri fra i presenti, il testo originale suggerisce: “Wesen bante lai wend alle wey?!”. Ora, wesen può significare “confine” ma allo stesso tempo è appunto il nome di uno spirito o una Divinità minore di questo pantheon, Wesen, in uno dei molti suoi attributi. Questa frase deve essere perciò intesa come un invito perentorio, un richiamo altamente significativo per i fedeli più attenti, pronti a raggiungere lo stato di trance, un obbligo per coloro che hanno dedicato la propria vita a Wesen: “Qualche uomo è disponibile ora ad andare in trance, a servire da luogo di manifestazione di Wesen a rendere il proprio corpo un confine sicuro all ’interno del quale il nostro Wesen il conoscitore dei confini, il confine stesso, possa trattenersi perché noi credenti possiamo ascoltarlo???!? Avanti, coraggio! Arka, arka! E’ il momento!”. L’adepto è divenuto “il cavallo dello spirito”, ye zar faras. Canta e danza eseguendo canti e danze che “piacciono” a quel particolare zar che si è manifestato in quel ’occasione. Il posseduto può, secondo i contesti cultuali e teologici, correre velocemente, arrampicarsi sugli alberi, tagliarsi con lame senza sanguinare, ingoiare cocci di vetro senza ferirsi, “parlare lingue sconosciute” o colpirsi duramente con pesanti bastoni o essere violentemente frustato. Lo stato di possessione può durare poche ore come anche alcuni giorni. La personalità dello spirito è rappresentata come estremamente gelosa e possessiva, ipersensibile, capricciosa e del tutto imprevedibile. I parenti, i vicini e gli amici che prendono parte alla cerimonia possono anche essere posseduti, ma nel caso di feste preparate ad hoc per la visita di uno specifico zar a una specifica persona ci si attende che tutti riconoscano un diritto primario di festeggiamento all’attore della cerimonia. E tutti hanno un compito preciso: chiedere e pregare lo zar perché tratti bene il suo “cavallo”, impegnandosi a tentare ogni possibile mediazione fra cavallo e cavaliere e promettendo allo zar di soddisfare qualsiasi suo desiderio se non infierirà sul posseduto: “Ti
preghiamo, non maltrattare il tuo cavallo...” (adorcismo). Essi sono i testimoni di una istituzionalizzata relazione fra l ’uomo e la spirito zar. Le conseguenze di un mancato soddisfacimento dei “desideri” dello zar sfocerebbero nella prospettiva degli adepti, nella pazzia, nella malattia o perfino nella morte del “cavallo”. Una volta soddisfatto, lo zar si ritira ma solo fino alla prossima visita. L’adepto cade allora in un sonno profondo e dopo essersi risvegliato, rivendica di non ricordare più nulla dell ’esperienza di possessione. La modulazione liturgica è del tutto evidente. La liturgia è partecipazione alla venerazione dello spirito e la conversione è il movimento verso una piena interiorizzazione della liturgia, verso una fede completa: la liturgia non è ipso facto una conversione. Quando c’è solo venerazione, inoltre, non si riscontrano necessariamente terapia e veggenza o divinazione. D. Zar profetico o divinatorio. Questo zar risolve i piccoli e grandi problemi di uomini e donne, di gruppi famigliari e comunità locali che si rivolgono al bale zar. Gli adepti, iniziati e iniziandi, si siedono in circolo, formando una assemblea, una jama’a, mentre gli assistenti, qeddam, del bale zar offrono a tutti i presenti caffè da bere, come in una visita di cortesia: si tratta della cerimonia chiamata guenda. Il bale zar si siede a parte, indossa vestiti particolari ed è con i suoi paraphernalia: collane, anelli di ogni genere, una lancia e così via, a secondo dei contesti locali o dello specifico gruppo di culto. Quando gli adepti, conosciuti in letteratura anche come “ospiti” o “clienti”, incominciano a sentirsi a loro agio, il bale zar inizia il suo intervento. Richiede con forza allo zar di manifestarsi. In effetti il bale zar è l ’uomo capace di condividere il cibo insieme allo zar quando meglio crede, unico fra gli umani a essere in grado di mantenere lo spirito zar sotto controllo. Quando lo zar “scende”, ovvero prende possesso di lui o lei, gli adepti cominciano a battere le mani e a cantare le canzoni di quello specifico zar: tutti sono in grado di riconoscerlo. Il bale zar comincia allora a danzare, e compie azioni eccezionali. Parla infatti la lingua della Divinità, prevede il futuro, legge nel passato degli uomini, ingoia carbone ardente, risolve questioni spinose: media nei conflitti e realizza l ’accordo e la pace fra partiti o fazioni in disputa. Gli ospiti cominciano così a sottoporre allo zar i loro variegati e complessi casi. Una donna, per esempio, ha perso un anello di grande valore e vorrebbe ritrovarlo; il bale zar le indica quindi il luogo del probabile ritrovamento.
Come già osservato dai primi ricercatori: “Finally the patient is enrolled for the rest of his life in the zar society of fellow sufferers ...”. In queste occasioni i fedeli, i clienti, i “pazienti”, trovano inediti ritmi di vita e attribuendo nuovi e più articolati significati alle loro difficoltà, elaborano nuovi stili di vita, nuovi e diversi atteggiamenti nei confronti dell’esserci nel mondo. Spesso la cerimonia all’interno delle performances di zar divinatorio agisce da iniziazione al culto zar. Tuttavia, come mostra il caso del gelma di Garesu, questa cerimonia ha forti connotazioni processuali: si tratta qui soprattutto di un giudizio-tribunale, in cui il bale zar è il giudice, mentre il posseduto, ovvero il posseduto-zar, è l’imputato. Due vicini hanno litigato per una questione di confini di podere o per questioni adulterine o altro e si ritrovano ora a discutere il caso insieme a parenti e amici per ascoltare le parole del bale zar; infine, accolgono attenti e timorosi la sentenza del bale zar e il giudizio è inappellabile. Alla fine della seduta, in aggiunta ai doni offerti all ’inizio della cerimonia, è devoluta una somma in denaro o in beni al bale zar e alla casa ospitante. Riflessioni sulla struttura dello zar in Etiopia. Ognuna delle quattro norme rituali del culto zar non appare in forma “pura” e disconnessa o comunque non interagente con le altre. Del resto, tali modalità sono presenti in ogni trance di visione come pure di possessione o di estasi. Nel caso dello zar d ’Etiopia la formazione del culto e dunque la processualità delle modalità rituali, è estremamente situazionale: dipende dal milieu in cui bale zar, adepti e ricercatore si ritrovano. Nella grande città incontriamo di tutto: zar con uomini, con donne, con giovani e anziani ecc. Frequentemente incontreremo zar d’iniziazione e zar liturgico e ancora più spesso zar terapeutico; soprattutto, ci confronteremo con i processi terapeutici alla presenza di cosiddetta “possessione maligna”: la terapia interviene in effetti quando uno zar, particolarmente scontento e rabbioso, agita e agisce il suo “cavallo” in modo violento e disordinato, facendolo soffrire. Quando uno zar è insoddisfatto, per adorcizzarlo è richiesto il sacrificio di uno o più animali, solo dopo aver organizzato un festino, è possibile ritrovare la serenità. Nel contesto del culto zar, una “terapia” è innanzitutto un atto di riconciliazione con lo spirito: salute e salvezza coincidono. Ma quando si tratta di ritrovare un anello perduto o risolvere una disputa fra vicini non è decisamente il caso di parlare di “terapia”: abbiamo a che fare con lo zar di divinazione. Nel contesto divinatorio lo zar può essere perfino subordinato al bale zar, divenendo un suo assistente: indica prontamente dove poter trovare l ’oggetto smarrito o come poter sedare una contesa o risolvere un conflitto.
La parola divina, la parola salvifica, risolutrice e inappellabile, è traslata dal mondo degli spiriti al mondo degli uomini. Ecco allora la sequenza del processo di traslazione: silenzio, suono indistinto, suono, suono “articolato” musicalmente, lingua della Divinità, lingua umana, comunicazione di un messaggio all ’esterno, linguaggio della comunità, linguaggio della persona. Questa è translatio: fondazione di una parola che è incontrovertibile, legittima, ordinatrice, solida come episteme. Il linguaggio adoperato dagli spiriti per parlare agli adepti durante il rituale di trance come pure la stessa lingua liturgica del bale zar, oltre a essere altamente complessa sotto l ’aspetto lessicale e grammaticale, opera esclusivamente per metafore (traslati, iperboli, metonimie, sineddochi ecc.) arditissime e complesse anche surreali. Necessitano pertanto di una traduzione. Non è però una traduzione che riguarda il topos della glossolalia, ovvero la traduzione di lingue straniere o misteriche in lingua locale o nazionale. È la traduzione di un mondo a un altro mondo. Di fatto e ancor più, nei culti zar di divinazione è partorito un mondo, un mondo di senso, dal nulla prima ancora che da un altro mondo, prima ancora che da un secondo, ipotetico mondo, un aldilà. È che in questo mondo, apparentemente uno, come mi raccontava Garesu in una lunga notte di rivelazioni di teologia zar, ci sono infiniti mondi. E questi mondi sarebbero così “pronti” a essere riconosciuti come esistenti al di là della tenda-muro, affinché da essi possa nascere il senso, il senso del mondo, del mondo della vita di tutti i giorni: il mondo del nostro ordine. L’attività del medium si concretizza quindi in un translatum sociale, politico ed esistenziale. Del resto, “Fiat lux!” Fu la parola divina; “…E la luce fu!”, come confermano le Sacre Scritture. La parola prende corpo dal suono che già la testimonia nel suo nascere e uscendo dal recinto sacro entra nei limiti di un mondo da essa stessa creato. “Fiat lux!”: una parola esternata ha fondato il cosmos, riempiendo il vuoto, trasformando il cavos in caos e infine in universo, con conseguenti nuove e più definitorie parole. I culti zar sembrano forse appartenere a un mondo estraneo, limitato a pochi gruppi di iniziati. Sono piuttosto il paradigma di forme diverse da quelle occidentali dell ’organizzazione sociale, politica, religiosa e perfino economica del mondo: sono una teologia politica “altra”. È necessario comprendere ed è necessario assumere prospettive “altre” per comprendere cosmologie e teologie di tale interesse anche per riflessioni epistemologiche. L’osservazione partecipante s’impone ma non è esclusa la possibilità al ricercatore di aderire al culto di visione, possessione o estasi in modo tale che, giunti a un sufficiente livello di fede, come è usuale per esempio nel caso dei culti zar dell’Etiopia, gli sia“concessa” per impiegare un concetto emico cultuale o comunque resa possibile l ’esperienza decisamente significativa di una trance di possessione, magari prolungata
e ripetuta, per opera di uno o più “spiriti”: esperienza che senza dubbio permette al ricercatore di meglio comprendere il tema sul quale riflette e del quale discute, proprio con gli “occhi dell’altro”. Bibliografia italiana Conti Rossini Carlo “I Camminatori sul fuoco in Etiopia” e “Magica” 1943-1946. De Martino Ernesto “La Terra del Rimorso” Milano, il Saggiatore, 1961. Faldini Luisa “Viaggio ad Ife. La possessione del vudù haitiano, Ars Regia, 1993. “La conservazione dell’armonia cosmica nel vodu haitiano”, Genova Erga, 1993. “Corpi senz’anima. Aspetti della vita e della morte nel vodu haitiano”, Ars Regia, 1994. “Sotto le acque abissali. Introduzione ai vodu di haiti”,Aracne, 1995. “Il vodu” , Milano, Ed. Xenia, 1999. Gallini Clara “La sonnambula meravigliosa. Magnetismo ed ipnotismo nell’800 italiano. Feltrinelli 1983. Palmisano A.L,Mito e Società. Analisi della mitologia dei Lotuho del Sudan. Milano: Franco Angeli, 1989 -“ “Presenza, assenza e rappresentazione nelle trance rituali”, in Rimorso. La tarantola fra scienza e letteratura. Atti del Convegno sul Tarantismo, San Vito, 28-29 maggio 1999. Nardò: Besa Editore, 2001:138-149 -“Esercizi in mistica pagana: suono e parola divina nei culti zar dell’Etiopia”, in Africa, LVII, 4, 2002a:471-501.
SCIAMANESIMO E PSICHEDELIA. di Bruno Severi. Le cosiddette droghe psichedeliche sono state da sempre, in qualche modo, associate alla religione. I funghi psichedelici, in particolare l ’Amanita muscaria, sono stati usati dagli sciamani siberiani da alcune migliaia di anni fino ai giorni nostri. Con essi, questi particolarissimi personaggi potevano entrare in uno stato di trance che consentiva loro di intraprendere il cosiddetto volo dell’anima. Durante questo volo, la loro anima abbandonava momentaneamente il corpo e si trasferiva in altre realtà popolate dagli Dei o da varie categorie di spiriti e di anime di defunti. Già 2.500 anni fa gli Sciti impiegavano la marijuana durante le loro cerimonie religiose, così come ne facevano un vasto uso rituale, gli antichi Egizi, i Cinesi, gli Indiani e gli Assiri. Anche l ’Haoma dell’Avesta iranico e il Soma, descritto negli antichi inni Vedici dell’Induismo primitivo, sembra derivassero da piante psichedeliche che solo ora gli studiosi sembrano avere identificato. I riti dionisiaci, così come altri culti misterici similari dell’antica Grecia, si ritiene fossero basati sull’assunzione di sostanze estratte da piante psichedeliche (secondo le varie interpretazioni, Amanita muscaria, ergot della Claviceps purpurea, vino mescolato a particolari sostanze, ecc.). L’impiego del vino nelle cerimonie religiose cristiane potrebbe essere un lontano ricordo di questi riti più antichi. Se passiamo al continente americano, troviamo altre innumerevoli importanti testimonianze dell’impiego sacramentale delle piante contenenti principi attivi psichedelici. Testimonianze che non sono solo un ricordo di un lontano passato, ma che ai nostri giorni trovano ancora
ampia diffusione. Le cronache dei Conquistadores spagnoli sono piene di condanne e accuse da parte dei missionari contro l ’uso del peyote, che non è altro che un piccolo e apparentemente insignificante cactus che contenga, come principio allucinogeno, la mescalina. La fase più spettacolare dell’intossicazione del peyote è rappresentata da visioni e allucinazioni caleidoscopiche ripiene di forme rapidamente cangianti e dai colori assai vivi. Le popolazioni precolombiane del Messico e dell'America centrale ritenevano che il peyote fosse un messaggero divino in grado di metterci a diretto contatto con gli Dei. Per questa ragione, nei tempi antichi, il peyote era ingerito dai sacerdoti per rivolgere richieste agli Dei o per conoscerne il volere. Per simile impiego avevano dei piccoli funghi del genere psylocibe, considerati dai popoli messicani come funghi sacri. Gli indiani del Nord America, nella seconda metà del diciannovesimo secolo, nelle loro scorrerie nel Messico settentrionale conobbero l ’impiego del peyote. Dopo il 1880, fu fondato, all’interno di varie tribù di pellerossa, un culto che era un misto di animismo e di cristianesimo e che vedeva nell’ingestione del peyote l ’espressione più alta dei loro riti. Una sorta di sacramento. Questo culto prese il nome di “Native American Church” ed è l ’unica confessione religiosa degli Stati Uniti alla quale è consentito dalla legge l ’uso di una sostanza psichedelica, altrimenti tassativamente proibita. La stessa sostanza che si trova nel peyote, la mescalina, è presente in notevole quantità in un altro cactus che prospera in Ecuador e nel nord del Perù, il San Pedro (Trichocereus pachanoi). I principi attivi di questa pianta erano e sono ancora utilizzati per mettere in uno stato di trance estatica gli sciamani andini e consentire loro di dialogare con il mondo degli spiriti e delle divinità del loro variegato pantheon religioso. Sempre nei paesi andini, gli antichi Inca usavano le foglie di coca per usi rituali. In quasi tutta l ’area amazzonica, si raggiunge il mondo degli spiriti e si dialoga con esso mediante l ’assunzione di una miriade di sostanze di origine vegetale tra cui una delle più importanti e diffuse è l ’ayahuasca. La pianta del tabacco è ugualmente ritenuta sacra da varie popolazioni sparse in tutto il continente americano. Il tabacco, originario delle Americhe, fu considerato già dagli Aztechi come il corpo della Dea Cihuacohatl e trovò una diffusissima utilizzazione sacramentale da parte degli sciamani sia amerindi sia pellerossa, i quali usavano fiutarlo o fumarlo, in quantità anche enormi, allo scopo di indurre trance estatiche o allucinatorie.
Psichedelici ed endogeni. Nei non lontani anni settanta, gli studiosi nel campo degli stati alterati di coscienza si resero conto che i vari termini: allucinogeno, psichedelico, psicotomimetico, psicotropo, psicolettico, etc, riferiti a quelle sostanze in grado di alterare il nostro normale stato di coscienza, non erano più sufficienti per coprire tutta la gamma di situazioni e di vissuti interiori che andavano scoprendo. Per questa ragione fu introdotto il termine endogeno con riferimento a quei principi attivi, in genere derivati dal mondo vegetale, in grado di indurre la profonda sensazione soggettiva di comunione o di stretto rapporto con la divinità o con un principio cosmico trascendente. In definitiva, gli endogeni sono ritenuti capaci di indurre degli stati di coscienza di tipo mistico estatico. Letteralmente la parola endogeno deriva dalla somma di tre termini dell’antica lingua greca En=dentro; Theo=Dio, divino; Gen=diventare, ossia “Diventare, divini dentro”, nel senso di essere ispirati o posseduti da un Dio. Tra le tante sostanze in grado di modificare in profondità il nostro normale stato di coscienza in senso religioso solo poche sono unicamente endogene, la maggioranza è sia endogena, sia allucinogena. Il prevalere dell'una o dell'altra caratteristica dipende, oltre naturalmente dalla composizione chimica della sostanza, da una sequenza di variabili legate principalmente al cosiddetto “set” (stato psicologico ed emozionale del soggetto unitamente alle sue inclinazioni personali e al suo background culturale) e al “setting” (il contesto in cui si fa l 'esperienza). Comunque, è anche vero che certe piante sono tipicamente considerate come evocatrici di stati psicologici che sono fatti rientrare nella sfera del trans personale e del mondo mistico. In contesti rituali, più raramente in situazioni profane, le esperienze che ne derivano possono essere di tipo estatico nel senso più profondo del termine, almeno per chi le vive. Molti resoconti di persone che si sono cimentate con l ’LSD, il peyote, l 'ayahuasca, la salvia divinorum, l 'amanita muscaria, alcuni tipi di tabacco amazzonico e i vari funghetti allucinogeni del genere psylocibe, etc., evidenziano, con una certa frequenza, vissuti che appaiono assolutamente di tipo mistico ed hanno prodotto il più delle volte, sostanziali e durature trasformazioni nelle concezioni filosofiche e religiose di chi ha avuto queste esperienze. Molti valori sono cambiati radicalmente e nuovi ideali, mai prima considerati, hanno indirizzato la loro vita sostituendosi a quelli precedenti. Sono stati fatti dei precisi confronti tra le esperienze indotte da sostanze endogene e le vere estasi mistiche, sia cristiane e non.
Spesso non si è colta alcuna differenza tanto che un giudice esterno, davanti a dei resoconti sia di estasi prodotte da sostanze psichedeliche e sia di classiche estasi religiose, non è stato in grado di attribuire un’esperienza né all'uno, né all'altro gruppo. Nelle estasi indotte da endogeni, sia l 'aspetto cognitivo, sia quello più strettamente emozionale, non differiscono in nulla dai racconti fatti dai più famosi mistici dell’antichità sui loro rapimenti estatici avuti in condizioni certamente non favorite dall'assunzione di particolari sostanze. La razza umana ha una lunghissima e venerabile storia di rapporti con questo genere di sostanze psicoattive. Il mondo vegetale n’è pieno e ogni angolo della terra ha il suo corredo di piante dalle quali varie popolazioni hanno estratto principi attivi con proprietà allucinogene o endogene. Il loro rapporto con le varie religioni o forme di religiosità, sia nello stato embrionale dell'uomo primitivo, sia nelle forme più evolute che successive civiltà, è sempre stato molto stretto e non si è mai totalmente interrotto. Un uomo che assuma una sostanza endogena, secondo il suo background religioso, della sua cultura e della sua sensibilità (set), potrà attribuire a entità spirituali o allo stesso suo Dio le immagini percepite e gli incontri avuti durante l ’esperienza. Ma vi sarà anche chi, all’opposto, cercherà di darne una spiegazione laica e materialistica come può essere, ad esempio quella che si rifà a banali e transitorie allucinazioni o ad altre inconsuete aberrazioni della mente mediate da particolari reazioni chimiche all’interno del cervello. Gli sciamani del periodo preistorico sono stati i primi a raccogliere e a trasmettere alle successive generazioni i segreti da loro carpiti alla natura. Erano, come ci riferisce il notissimo studioso di storia delle religioni Mircea Eliade, i maestri dell’estasi, estasi che essi raggiungevano sia con mezzi chimici (di derivazione vegetale), sia con altre tecniche della più varia natura (danze, canti, digiuni, isolamento, mortificazioni, ascolto di suoni e ritmi stereotipati, etc.). E non mancano certo gli studiosi (tra i quali spiccano il famoso etnomicologo Gordon Wasson e l ’etnobotanico Terence McKenna) che ritengono che la primitiva e rozza religiosità dell'uomo primitivo si sia notevolmente evoluta grazie al casuale incontro con alcune particolari piante (endogene e psichedeliche) di cui si è cibato. Questo semplice e casuale fatto avrebbe aperto la sua coscienza verso stati mai prima sperimentati mettendolo a confronto con nuove realtà sino allora nemmeno immaginate. Secondo quest’ipotesi, con l 'assunzione di sostanze psicoattive e ancor più di endogeni, si sarebbe verificato un sostanziale salto di qualità tra gli uomini della preistoria. La loro coscienza, fino a quel punto rudimentale e legata unicamente agli istinti e
agli aspetti pratici della vita, avrebbe subito, con l 'uso di quelle piante, uno straordinario e improvviso balzo evolutivo. Le nuove visioni che si sono loro inaspettatamente presentate, erano popolate da creature mai incontrate prima, da esseri invisibili al nostro normale stato di coscienza, da forze, energie e rapporti tra le cose e tra gli esseri di questo mondo mai prima avvertite. Le visioni e i contenuti erano molto più ricchi, oltre che di tipo diverso, rispetto a quanto si presentava sia nel normale stato di veglia, sia nello stato di sogno. Alla loro vecchia e semplice coscienza si andava aggiungendo una nuova consapevolezza: che oltre al mondo visibile, percepibile da tutti, ne esiste un secondo, oscuro o luminoso, pauroso o rassicurante, abitato da divinità o da esseri malefici, esplorabile o del tutto impraticabile a seconda che si riesca o no a trovare la chiave per entrarvi e se ne conoscano nello stesso tempo le regole che lo governano. Chi vi entrava senza alcuna preparazione vi poteva trovare la morte o la pazzia. Ben presto furono identificate alcune persone che avevano maggiori capacità delle altre a modificare il loro stato di coscienza e di usare questa nuova condizione per entrare in quel mondo secondo e dialogare con le misteriose presenze che vi abitavano. Con particolari rituali, formule e sacrifici, man mano sempre più elaborati ed efficaci, le terrifiche entità dell'altro mondo potevano essere avvicinate, si poteva anche farsele amiche, alleate. Queste entità avevano spesso le sembianze di animali o di persone defunte. Si scoprì che era possibile chiedere loro consiglio, farsi predire il futuro, ricevere utili informazioni per la caccia e per la guerra, sapere come guarire le ferite e le malattie. Questi uomini speciali (gli sciamani) erano anche in grado, con il permesso e l 'aiuto di queste entità, di poter viaggiare nella nuova dimensione, di scoprire le divinità che governavano i regni sotterranei o quelli celesti, incontrare i signori della vita e della morte. Allo stesso modo con cui Dante Alighieri visitò il mondo dell'oltretomba guidato da Virgilio, lo sciamano era accompagnato in quelle lande sconosciute da una o più entità spirituali con le quali aveva fatto amicizia o con la quale aveva instaurato un qualche rapporto di collaborazione. In questi viaggi avventurosi, che potevano costare la vita alla minima imprudenza ed errore, fu scoperto il mondo dei trapassati, il loro rifugio finale. Avendo appreso sia il modo per entrare in questi incredibili stati di coscienza, vissuti per accedere a dimensioni ultramondane, sia avendo di queste ultime appreso la topografia, lo sciamano poteva ora divenire
l 'intermediario tra questo e l 'altro mondo, e in particolare si assumeva il compito di guida dei defunti accompagnandoli, perché non si perdessero, verso il misterioso e oscuro regno delle ombre. Nacque così, e si perpetuò, la funzione di psicopompo dello sciamano della preistoria. I voli estatici in queste dimensioni consentirono anche di conoscere in dettaglio le varie tipologie di entità spirituali che vi abitavano. Vi erano spiriti buoni con i quali era facile prendere rapporto e ricevere aiuto e consigli. Altre entità erano apparentemente pericolose ma, con opportune astuzie e rituali, potevano essere piegate ai propri desideri ed essere mutate in alleati. Infine, non mancavano gli spiriti assolutamente ostili con i quali occorreva combattere per non soccombere e per evitare danni sia allo sciamano, sia alla sua comunità. Contro questa ultima categoria di spiriti lo sciamano con le sue sole forze non poteva nulla, poteva contrastarli solamente con l 'aiuto degli spiriti alleati. In ogni modo, anche se guidato, il suo accesso alle regioni dell'altra dimensione era sempre un'impresa estremamente pericolosa. Non si poteva osare tanto senza un’opportuna selezione e preparazione. L’iniziazione sciamanica. Apparve ben presto chiaro che non tutti potevano diventare gli intermediari tra i due mondi, solo pochi eletti, con una speciale predisposizione innata e che erano stati in un qualche modo prescelti dagli spiriti a questa missione, potevano diventare sciamani. Spesso, questa sorta di vocazione o di chiamata all’ 'arte dello sciamano si manifestava nel corso di una grave malattia o di un pericoloso incidente, talora dopo essere stati colpiti dal fulmine, in situazioni dunque nelle quali la persona era giunta veramente ad un passo dalla morte. In questo stato era facile che si presentassero visioni, sogni o allucinazioni popolate da strani esseri che davano al moribondo un segno, indicavano una strada, prospettavano una missione. Molto spesso, in queste visioni la persona assisteva a una rappresentazione allucinatoria nel corso della quale vedeva, come in preda ad una esperienza extracorporea (OBE), il proprio corpo separato dalla sua coscienza nell’ ’atto di venire fatto a pezzi dagli spiriti, dilaniato nel modo più feroce e minuzioso e buttato da parte. In seguito poteva vedere la ricostruzione del suo corpo con nuove membra, con nuovi organi e con nuovi fluidi per opera delle stesse entità spirituali. Attraverso questi processi così brutali il futuro sciamano rinasceva simbolicamente a una nuova vita, molto più ricca ed evoluta di prima, lasciando alle spalle un corpo e una coscienza ormai inutili. Gli spiriti
trasmettevano poi al neofito i loro insegnamenti segreti e specialissimi poteri. Una volta guariti dalla malattia, guai a non seguire quelle indicazioni, a non seguire la strada che in qualche modo era stata indicata. Non c'era possibilità di rifiutare, pena la follia o la morte. Tutto questo rappresentava la prima fase dell'iniziazione sciamanica contraddistinta, come si è visto, da esperienze trans personali popolate da spiriti e da scene terrificanti, dall’incontro con la morte e da una rinascita e, infine, da un corpo d’ insegnamenti segreti. Solo morendo alla loro precedente esistenza potevano affacciarsi a una nuova vita, spiritualmente più evoluta e arricchita da esperienze e insegnamenti che mai si sarebbero aspettati. In seguito dovevano affrontare la parte finale dell'iniziazione, quella tradizionale. Uno o più sciamani anziani trasmettevano al neofita i loro segreti, le loro esperienze e tutte quelle tecniche che permettono di padroneggiare le misteriosi energie dell 'altra dimensione. Infine, dopo una difficile prova sul campo per verificare il grado di preparazione raggiunto, si diventava a tutti gli effetti sciamani e ci si metteva al servizio della propria comunità per alleviarne le sofferenze o scioglierne le incertezze. Si diventava gli intermediari tra questo e l 'altro mondo, con poteri soprannaturali veramente unici. Grazie all'estasi, che avevano imparato a prodursi e a padroneggiare, i nuovi sciamani raggiungevano altre dimensioni, viaggiavano e incontravano gli spiriti, i defunti e i signori dei regni celesti e degli inferi, ricevevano da loro consigli, nuovi insegnamenti e più penetranti energie. In altre parole, era trascesa la condizione umana per entrare nel mondo del mito e del divino. "C'è un mondo di là da questo, un mondo che è molto lontano ma anche assai vicino, e invisibile. Ed è là, dove vivono gli Dei, dove vivono i morti, gli spiriti e i santi, un mondo dove ogni cosa è già successa e ogni cosa è conosciuta. Quel mondo parla. Ha un suo linguaggio particolare. Io riferisco quello che dice. I sacri funghi mi prendono per mano e mi conducono nel mondo, dove ogni cosa è conosciuta. Sono essi, i sacri funghi, che parlano in modo che io possa capirli. Io pongo loro delle domande ed essi mi rispondono. Quando ritorno dal viaggio che ho fatto con loro, racconto ciò che mi hanno detto e ciò che mi hanno mostrato". Questo è quanto ha raccontato, alla metà del secolo scorso, al famoso etnobotanico R.E. Schultes e allo scopritore dell 'LSD A. Hofmann, la sciamana mazateca Maria Sabina riguardo alle sue esperienze spirituali a cui accedeva con l 'uso di funghi allucinogeni contenenti psilocibina, seguendo una secolare tradizione risalente alla civiltà Azteca.
Le funzioni principali degli sciamani sono molteplici. In primo luogo sono i depositari della cultura del loro gruppo che riguarda la cosmogonia, le leggende, le tradizioni, i miti. Altra fondamentale funzione riguarda l ’attività come guaritore. A questo proposito occorre precisare che per i popoli primitivi l ’origine delle malattie è generalmente dovuto alla perdita dell’anima o al furto di essa da parte di entità spirituali malevole. In questo caso, lo sciamano è incaricato dai familiari dell’ammalato di ritrovarla. Per far questo, egli attua una seduta cerimoniale nel corso della quale, attraverso tecniche che gli sono proprie, entra in un particolare stato modificato di coscienza (trance estatica) che gli permette di compiere il cosiddetto volo dell’anima. La sua anima esce dal corpo e va alla ricerca di quella della persona ammalata e, se necessario, raggiunge in spirito il regno degli inferi. Non solo gli spiriti possono essere la causa delle paure e delle malattie all’interno di una comunità. Anche gli stessi sciamani, su propria iniziativa o su incarico di altre persone, possono indirizzare un maleficio verso una persona al fine di farla soffrire o di farla morire. In tale evenienza, sarà incaricato un altro sciamano per cercare di neutralizzare l ’attacco e di ribattere colpo su colpo alle magie avversarie. Presso molte culture primitive, la mancanza di uno sciamano rappresenta la più grande disgrazia che possa capitare a una comunità. Questa rimane senza alcuna guida, in totale balia degli spiriti e delle forze della natura. Non sa come reagire e come rapportarsi con essi, non sa interpretare i segni che da essi provengono. Una comunità che si trovi in questa non augurabile situazione, in definitiva, è destinata a disgregarsi, a non avere alcuna possibilità di continuare la propria esistenza. E’ come una nave con il timone rotto in balia della tempesta. Il suo destino è segnato, non c’è alcuna possibilità per fronteggiare le incontenibili forze che incombono su di essa. Da queste considerazioni, appare evidente come un’importantissima nuova funzione sciamanica sia quella psicoterapeutica. Ossia, stabilizzare il clima sociale e psicologico della comunità, alleviare o risolvere ogni tipo di tensione e di paura, assumersi in prima persona il compito di acquietare gli spiriti affinché l ’intera popolazione non ne debba soffrire la collera.
MUSICA E STATI MODIFICATI DI COSCIENZA di Luca Bertolini Nel saggio di Gilbert Rouget, “Musica e Trance” (1986), è svolta un'imponente ricostruzione delle relazioni che legano questi due elementi, in una prospettiva etno musicologa di notevole respiro. Sarà necessaria una presentazione di questo notevole studio, per articolare un confronto che sia nel contempo complesso e approfondito. Bisogna subito rilevare che l ’approccio da cui muove questa ricerca ha la finalità di ricostruire la funzione svolta dalla musica all’ ’interno dei processi di trance. In questa ricerca è così messo in rilievo un aspetto pragmatico e comunicativo della musica, in una dimensione di tipo funzionale, che guarda con un certo interesse anche a quella semantica. Questa particolare impostazione ha l ’obiettivo di ricostruire le tematiche immaginative legate alla musica a partire dalla ricorrenza dei fenomeni di trance all’interno della ritualità. In questo modo, le tematiche immaginative legate alla costituzione dell’oggetto musicale sono analizzate all'interno del quadro offerto dalla ritualità, e all’ ’interno di questo contesto si esamina il ruolo della musica che è solo una delle componenti attraverso cui la trance si manifesta. Il testo di Rouget parte dalla distinzione fra atteggiamenti passivi di fronte alla musica, cui fa capo il fenomeno della possessione e atteggiamenti attivi, a cui si connette la trance. Tanto lo sciamanismo quanto la possessione sono caratterizzati dalla trance, ma cambia in modo caratteristico la modalità di reazione rispetto alla dimensione rituale. Nello sciamanismo il soggetto cade in una sorta di trance volontaria che si connette in modo pregnante al modello del viaggio iniziatico in cui lo sciamano è attivo, prende possesso a livello rituale, degli spiriti animali che lo accompagnano e suona durante la cerimonia, sottolineando le varie tappe del suo percorso, confermando continuamente la propria individualità. A questa dimensione attiva della trance, Rouget ne contrappone una passiva, che è quella della possessione, in cui il soggetto perde la sua individualità, è abitato da uno spirito, cade in trance in modo involontario e questo carattere si riverbera nel rapporto che egli ha con la musica: da uno stato d’iniziale passività, caratteristica del neofita, verso una interazione sempre più attiva nel ruolo dell’officiante. A queste diverse dimensioni della trance corrispondono differenti utilizzi della musica durante la cerimonia. Si potrebbe dire che le funzioni espressive della musica cambino secondo il tipo di rappresentazione dello stato di trance cui debbono riferirsi all’ ’interno degli specifici sistemi religiosi in cui si muovono. In particolare, trance identificatoria e trance non identificatoria, usano differenti tipologie musicali. Si tratterà allora di
vedere quale ruolo gioca la musica nei rituali, in che modo essa interagisce con la dimensione della trance e che funzione essa svolge nell'articolazione temporale del rituale, rispetto alle varie fasi di trance che lo attraversano. Questa analisi dovrà tenere conto di un aspetto paradossale: anche se la musica entra nella dimensione rituale ed ha un carattere funzionale, essa ha una propria organizzazione sistematica e quindi impone, a sua volta, che il rituale debba in qualche modo conformarsi a quella che è la sua struttura formale. La dinamica del rituale dovrà così confrontarsi con l ’oggettualità della musica, con la dimensione della pratica esecutiva e dell’ascolto. A sua volta, si dovrà parlare di una pratica della musica all’interno della dinamica ritualistica della trance. A questo problema se ne intreccia un secondo non meno significativo, dal punto di vista metodologico: ha senso parlare di una possibile ricostruzione della tipologia della musica all’interno della dimensione rituale, limitandosi all’analisi delle strutture musicali, se sappiamo già che vi è una enorme varietà di musiche diverse le quali, al variare delle ritualità, producono i medesimi effetti per quanto riguarda l ’entrata in trance dei partecipanti? Dal fatto che non si possa attribuire a una formalizzazione della sostanza sonora la funzione che la musica svolge nei rituali di possessione, Rouget conclude che è un preconcetto attribuire alla scelta di certe scansioni ritmiche (per lo più passaggi da ritmi regolari a ritmi irregolari o da valori dispari a valori pari) la funzione di condurre alla trance nella dimensione rituale. Questo è un buon esempio di capovolgimento di un problema teorico. Se è possibile condividere la polemica che Rouget svolge nei confronti di un’impostazione fisiologista che non sa addentrarsi nelle specificità dell’intero complesso di una cerimonia, non è possibile annullare una istanza espressiva in nome delle sue mancate ricorrenze. Tanto più se si è poi disposti ad ammettere che gli accelerando e i crescendo svolgono un ruolo importantissimo nello scatenamento della trance ma che non si tratta di una regola assoluta. Secondo l ’analisi semantica di un rituale, il richiamo a regole risulta comunque faticoso ma non si risolve certo limitandosi a osservare che il ritmo e la trance si connettono attraverso le matrici culturali che fanno da sfondo a questo rapporto. Il problema da sollevare riguarda in fondo la costituzione del significato e in questo senso il fatto che vi sia una relazione diretta fra strutture ritmiche e trance o che varie culture la vengano a tematizzare secondo prospettive proprie, imporrebbe una disanima analitica che cerchi di guardare alla dimensione della ritualità a partire dalla constatazione dell'esistenza di un modo diverso di dare la relazione nelle varie occorrenze. Si tratta di un problema che Rouget avverte in modo
discontinuo: lo suggerisce l ’osservazione che Rouget fa a proposito del Bolero di Ravel, quando nota che il suo ascolto non provoca fenomeni di trance tra il pubblico di una sala di concerti. A questa osservazione si potrebbe rispondere che il carattere d ’ipnoticità del brano nasce dalla interattività attraverso cui un medesimo oggetto è presentato attraverso dimensioni timbriche diverse, secondo un preciso processo espressivo che non ha necessariamente uno scopo rituale. Tuttavia, il carattere ipnotico di quella musica, mette in evidenza la costituzione d’identità oggettuale rispetto al quale il carattere iterativo e quello dinamico vengono a svolgere una funzione di variazione strutturale a partire da un oggetto dato. In questo senso il carattere d’ipnoticità del brano è comunque avvertibile, ed è possibile mettere in evidenza questo carattere espressivo guardando alle regole della sua forma costruttiva. Questo potrebbe essere un criterio per riavviare la discussione sulla funzione del crescendo, lasciando cadere atteggiamenti che vanno verso forme di relativismo culturale e che Rouget critica a fondo. Si è visto, dunque, che il carattere di ripetizione del Bolero si lega al carattere di costituzione oggettuale di conferma dell ’oggetto che si presenta nella sua mutevolezza timbrica, nel suo incrementarsi dinamico. Questo carattere è fondamentale anche nel ripresentarsi ossessivo delle scansioni ritmiche, tipico di alcune musiche di possessione. Questo andamento ipnotico, dal punto di vista ritmico, può essere ripetuto o può essere accelerato progressivamente senza perdere il carattere d’interattività che riconfermandone l ’identità, determina una situazione espressiva di tipo incantatorio: il carattere d ’incantamento è legato alla contemplazione di un oggetto che, presentandosi attraverso incrementi legati alla dinamica, suggerisce a livello percettivo l ’idea di un approssimarsi, di un avvicinamento della fonte sonora alla soggettività che percepisce. Qui potremmo comunque segnalare una differenza significativa rispetto alle irregolarità della fluttuazione ritmica nella musica prodotta dallo sciamano. A una struttura iterativa che si sviluppa lentamente attraverso una accelerazione e l ’incremento dinamico riconducibile a un andamento di tipo circolare, corrisponde nella musica sciamanica una pulsazione che si fa riconoscere parzialmente attraverso una continua mutevolezza della scansione. Questa differente scansione della ritmica differenzia in modo pregnante la funzione svolta dalle categorie espressive che prendono forma attraverso diverse modalità di costituzione dell’oggetto musicale; queste diverse forme costitutive giocano un ruolo nella dimensione rituale anche all’interno della polarizzazione attivo-passivo proposta da Rouget. Un esempio evidente di questa impostazione è l ’analisi del ritmo nella possessione, dove Rouget distingue fra un aspetto della ritmica in sé, in quanto messaggio ricevuto dall’ ’individuo in trance, e una modalità della
sua percezione nella danza, in cui di nuovo emerge la distinzione fra un momento passivo e un momento attivo. Ma, a questo livello di analisi, risulta difficile distinguere nettamente i due momenti che si pongono in una struttura continua, perché, nel momento del rapporto percettivo, ci deve essere un ulteriore investimento di senso che spinga il posseduto a danzare. Nella sua accurata ricostruzione dei cerimoniali, Rouget effettua una distinzione molto importante per comprendere meglio la peculiarità della ritualizzazione sciamanica rispetto agli altri cerimoniali. La domanda è intorno a chi esegue la musica e in quale stato nell’ambito delle cerimonie di possessione. Di norma, osserva Rouget, i musicisti non entrano in trance: si tratta di non adepti che ricevono una retribuzione, che sono i pilastri della cerimonia, ma debbono rimanere esterni al culto. Essi possono essere ispirati durante la cerimonia ma non devono cadere in trance: per il posseduto è la musica eseguita da altri a provocare la trance. Vi è una sorta d’incompatibilità fra stato di possessione e musica, inteso come comportamento attivo: vi è una sottomissione del posseduto al musicista, nel senso di un dialogo. Il posseduto danza ciò che il musicista gli comunica con la musica e lo strumento musicale diventa la voce della divinità con una ricaduta di questa relazione sulla simbologia degli strumenti musicali. E’ evidente che questa situazione è l ’opposto della cerimonia sciamanica dove il particolare stato di trance volontaria dello sciamano permette una sintesi fra momento della trance e quello dell’ispirazione. Anche qui la comunicazione viene in qualche modo a sorreggere nodi teorici che non le competono. Una delle caratteristiche salienti del saggio di Rouget sta proprio nel suo guardare al momento comunicativo senza prendere posizione rispetto agli aspetti che debbono sostenerlo: tutta l ’analisi del fenomeno musicale tende a scavalcare il problema della costituzione oggettuale e molti problemi sono accostati fra di loro tramite considerazioni di tipo pragmatico. In questo modo, sembra che l 'argomentazione tenda ad assumere un andamento circolare senza troppo confrontarsi con il momento di passaggio che è presunto, fra ricezione della musica intesa come messaggio e la trasposizione dei caratteri ritmici in momenti di articolazione dello spazio da parte del corpo. La conclusione della prima parte del saggio è dedicato alla ricostruzione del modo di vivere la musica nel suo rapporto con gli Dei e con la malattia, nella dimensione rituale della possessione. Qui sono esplicitati i presupposti teorici di Rouget, in modo molto chiaro. L’analisi dei campi del sentire che tocca la musica si articola su quattro piani: fisiologico, psicologico, affettivo, estetico. Sul piano fisiologico, l ’udito è la principale funzione sensoriale ma non
l ’unica. La musica, essendo costituita di vibrazioni, esercita sul corpo umano un’azione materiale e concreta e così esiste una sorta di palpabilità della vibrazione musicale. Attraverso questo spostamento del piano del discorso, Rouget può parlare a livello percettivo della palpitazione dei suoni del violino per il tramite della cassa armonica, della percezione delle vibrazioni di un tamburo con il ventre. La musica può invadere il corpo intero, sommergerlo, come accade con la musica per organo e farlo materialmente risuonare. Se nel percepire il pulsare del tamburo diventa così importante la vibrazione del ventre, a questo fenomeno fisiologico dovrà necessariamente corrispondere una valorizzazione immaginativa che tematizza in modo significativo quella sensazione legata alla elasticità dell’onda e la fa riconoscere come significativa in connessione alla dimensione sonora. Siamo già un passo oltre la dimensione della fisiologia e da questo momento è essenziale partire per una analisi del contesto percettivo, come mostra già l ’utilizzo linguistico di vocaboli che hanno una forte componente immaginativa che tende a portare il senso del discorso più in là di quanto ci si potrebbe attendere. La musica è per essenza movimento. Traendo la propria origine da movimenti corporali essa si svolge per definizione nel tempo, incita al movimento. Ma, svolgendosi nel tempo per definizione, i rapporti del suono con se stesso mutano continuamente e tali cambiamenti hanno luogo a vari livelli nello spessore temporale. Esiste uno stratificarsi delle durate a partire da una sorta di omogeneità del tempo che fa capo alle trasformazioni della coscienza legate alla musica. Nel suo aspetto più immateriale (il suono totalmente isolato dalla sua fonte), la musica è sentita come movimento che si realizza nello spazio. La cosa si fa più sensibile nella danza: danzare vuol dire iscrivere la musica nello spazio attraverso le incessanti modificazioni dei rapporti tra le diverse parti del corpo. In riferimento alle tematiche inerenti l ’organizzazione temporale dei vissuti nelle cerimonie di possessione, Rouget polemizza con la nozione troppo generica secondo cui le musiche di possessione sarebbero tutte riconducibili a modelli in cui sono dominanti la ripetizione degli elementi melodici e ritmici attraverso un semplice incremento della dinamica e una intensificazione ritmica, questa caratterizzazione si rivela insufficiente perché perde di vista la tendenza all’ ’omogeneità, intesa anche in senso temporale che si nasconde dietro a queste costruzioni musicali. Rouget nota giustamente che se gli elementi melodici e dinamici dei cerimoniali di possessione creano le sequenze interne che strutturano dall’interno il cerimoniale, garantendone una continuità temporale, questo può accadere proprio perché i vari brani che si concatenano fra di loro appartengono tutti allo stesso genere, dando quindi una sensazione di
sviluppo e di rinnovamento del tempo musicale, attraverso l ’unità della cerimonia stessa, che è poi l ’unità del genere musicale. Si tratta insomma di un modo per rendere omogenea la dimensione temporale della cerimonia attraverso l ’alternarsi di strutture di tipo modulare, tutte omogenee tra di loro. Si comprende allora come una descrizione che si limitasse a indicare nella dinamica dei crescendo e degli accelerando l ’autentica componente descrittiva della cerimonia si rivelerebbe inadeguata, perché perderebbe di vista queste processualità, che sono davvero fondanti. In questo quadro, la musica trasforma il nostro modo di essere nel mondo attraverso la modificazione esplicita del nostro modo di intendere la dimensione spazio-temporale. In questa ricostruzione il momento emotivo legato alla musica è naturalmente di tipo associativo mentre il momento estetico fa capo alla dimensione dell’affettività. Questa ricostruzione della dimensione esistenziale delle società in cui si attuano i miti di possessione è molto efficace per comprendere a fondo il quadro di riferimento entro cui tali riti s’inscrivono. Rouget dedica poi nel suo testo, un’approfondita analisi della figura dello sciamano. Nello sciamanismo l ’attività musicale è prodotta da un tirocinio strumentale, una sorta di apprendimento che ha una lunga durata, in quanto il tamburo non è solo uno strumento musicale ma un oggetto che permette un’azione magica sulla natura. La pratica musicale accompagna anche l ’entrata in estasi dello sciamano che in questo rapporto si muove nella dimensione magica dello sciamanizzare facendo musica: si tratta della medesima attività. Da questo punto di vista, allora, il posseduto è un musicato mentre lo sciamano è un musicante, più esattamente un musicante del proprio ingresso in trance. All’interno di questa relazione fra musica e trance, il ruolo del tamburo è di sostenere il canto o di drammatizzare l ’azione narrata dallo sciamano o di accompagnarne la danza, attraverso la sottolineatura del ritmo. In questo senso, la funzione del tamburo è di svolgere un’azione simile a quello che svolge la musica nel teatro. La funzione del canto è incantatoria, è la via d’accesso narrativa al mondo di spiriti che è così evocato e comunicato al pubblico, indispensabile perché la cerimonia abbia luogo. E nella cerimonia, la funzione del tamburo è di accompagnare chiamate e responsorii, il cui incrementarsi facilita l ’avvento della trance. In questa sua ricostruzione Rouget sottolinea che la stessa danza dello sciamano produce un esercizio estenuante che ne provoca la crisi e la caduta in trance. L’insieme di tutte queste pratiche corporee indica nello sciamano colui che fa un più ampio uso della musica nell’ambito dei cerimoniali legati alla trance. Tratto dal libro: Stati modificati di Coscienza e Musica:flussi, interazioni e rapporti reciproci di L. Bertolini.
SULL’INIZIAZIONE SCIAMANICA NELLE TRADIZIONI TRIBALI Di Leuviah Il fenomeno dello sciamanesimo è il punto di partenza per studiare e analizzare, dal punto di vista mistico-esoterico, la ritualità all’interno delle comunità tribali di tutto il mondo. Lo sciamano rappresenta la figura di maggior rilievo nel sistema tribale delle etnie dell’Asia, dell’Europa, dell’Africa, dell’Oceania e delle Americhe. L’origine del termine stesso “sciamano”, deriva dalle lingue parlate dai popoli dell’Asia centrale e settentrionale e si riferisce a una figura centrale all’ ’interno dei villaggi che può ricoprire diversi ruoli, dal mago allo stregone, dall’uomo-medicina al sacerdote, dal mistico al poeta. Lo sciamano è altresì lo psicopompo della tribù, ovvero l ’iniziato che, tramite le proprie conoscenze e capacità, accompagna le anime dei defunti nel trapasso tra la vita e la morte fisica. Tale figura è dotata di peculiari poteri magici, guaritivi e religiosi, che non permettono a qualunque mago, uomo-medicina o sacerdote di ricoprire il ruolo dello sciamano: lo sciamano utilizza una tecnica propria soltanto a lui. Altre figure, come il prete sacrificatore (Cohen), possono coesistere a fianco dello sciamano ma quest’ultimo resta sempre la figura predominante per ciò che riguarda l ’attività esoterico - religiosa della comunità. Ciò deriva dal fatto che, soprattutto nelle aree siberiane e dell’Asia centrale, lo sciamano è considerato come il “Gran Maestro” dell’estasi. Queste iniziali considerazioni ci permettono di poter diradare le nubi che oscurano il nostro cammino, senza scendere a considerazioni etimologiche, sociologiche e storiche che ci allontanerebbero soltanto dal fine della nostra ricerca. Partendo dallo studio dei popoli artici, siberiani e centro-asiatici, troviamo numerosi punti in comune che caratterizzano i diversi gruppi, nonostante le differenze etniche e linguistiche. Oltre al nomadismo e all’economia basata sulla caccia, la pesca, l ’agricoltura e l ’allevamento, questi popoli sono accomunati dalla religione. Infatti i gruppi etnici che prendiamo in esame, venerano un Gran Dio Celeste, creatore e onnipotente. In alcune di queste tribù il nome del Gran Dio coincide con il termine “il Cielo” e anche quando quest’ultimo termine è concretamente assente nelle lingue tribali, la divinità è indicata con diversi vocaboli, tra cui “l ’Alto”, “l ’Elevato", “il Luminoso”, ecc . Le tribù dell’Asia settentrionale chiamano il proprio Dio “la Luce Bianca”, “l’Assai Elevato Signore”, “L’Uno d ’in Alto”, “il Signore dell’Alto”. Nell’Asia centrale le etnie turco-tartare chiamano il Gran Dio, “il Capo”, “il Padrone” e spesso, “il Padre”.
Questo Dio che abita nei Cieli Superiori ha diversi “figli” o “messaggeri” che si occupano per suo conto, dei Cieli Inferiori. Generalmente in tutte le tribù a cui facciamo riferimento, si parla di Sette o Nove “Figli” o “Figlie” con i quali lo sciamano ha un rapporto particolare. Il ruolo di questi Figli e Messaggeri del Dio Celeste è sorvegliare e aiutare gli uomini. Il pantheon delle divinità è spesso assai più numeroso e solitamente manicheo: nelle credenze delle tribù dei Buriati dell’area asiatico siberiana troviamo sino a cinquantacinque Dei “buoni” che si scontrano con quarantaquattro Dei “malvagi” in una lotta senza fine. Esaminando i caratteri principali di queste credenze religiose si incontrano diverse analogie con le religioni degli Indoeuropei: un Gran Dio Celeste o della Tempesta che governa i Cieli Superiori e una serie di “figli” e “messaggeri” che interagiscono con gli uomini (vedi gli Açvin e i Dioscuri). Inoltre la venerazione del Fuoco, i riti di caccia e la concezione della morte sono ulteriori punti d ’incontro tra le religioni dei gruppi etnici dell’Asia centro-settentrionale e Indoeuropei. Il Reclutamento e l’Iniziazione. Nella Siberia e nell’Asia nord-orientale le principali vie di reclutamento sciamanico sono: 1. la trasmissione ereditaria della professione sciamanica; 2. la vocazione spontanea, “la Chiamata”, “l ’Elezione”. Bisogna precisare che lo sciamano che ha conseguito la seconda via è considerato molto più potente di uno sciamano ereditario. Lo sciamano è riconosciuto tale solo quando ha ricevuto una doppia istruzione: 1. istruzione d ‘ordine estatico (sogni, trance, visioni); 2. istruzione d ’ordine tradizionale (ovvero dopo che abbia conseguito le capacità di utilizzare le tecniche sciamaniche e di aver dimostrato una sufficiente conoscenza dei nomi e delle funzioni degli spiriti, della mitologia, della genealogia del clan, del linguaggio segreto). Questa doppia istruzione è una vera propria iniziazione a cui gli spiriti e i vecchi maestri sciamani sottopongono il candidato. L’iniziazione può avvenire tramite un cerimoniale cui assiste tutta la tribù ma nella maggior parte dei casi è un’iniziazione personale effettuata in sogno o nell’esperienza estatica del neofita. Solamente attraverso quest’esperienza, un individuo ritenuto dapprima “psicopatico” o “nevrotico” da parte degli altri membri della tribù è riconosciuto da questi ultimi come sciamano. Nell’area siberiana e asiatica esistono differenze per ciò che riguarda il reclutamento degli sciamani ma in linea generale le varie tribù credono
che i poteri sciamanici siano un dono del Gran Dio o degli spiriti, che si nasca sciamano in potenza e si venga in seguito riconosciuto tale dalla comunità. La tribù riconosce che un suo membro è dotato di poteri sciamanici solo quando questi li manifesta. All’avvicinarsi della maturità il candidato ha delle visioni, canta durante il sonno, ama isolarsi e passeggiare per luoghi solitari e così via, fin quando non si unisce a un vecchio sciamano per essere istruito: in questo modo il discepolo si avvicina al Maestro che lo inizia alla via sciamanica. In alcune tribù il candidato è riconosciuto al manifestarsi in lui di una sorta di possessione da parte degli spiriti: egli scappa dal villaggio, si nutre della scorza degli alberi, perde coscienza, si getta nell’acqua e nel fuoco, si ferisce con lame, ecc; in altre tribù ancora, come i Manciù e Tungusi della Manciuria, i poteri sciamanici si trasmettono da nonno a nipote alla morte del primo (al figlio non sono dati i poteri perché questi deve prendersi cura del padre). Nel caso non vi sia discendenza i poteri passano a un altro membro della tribù. Il nuovo sciamano è però sempre riconosciuto tale dalla comunità al manifestarsi di esperienze estatiche in particolare qui, il candidato scappa per sette giorni nelle montagne, si procura il cibo cacciando a mani nude e ritorna al villaggio sporco, con i vestiti laceri e aspetta dodici giorni prima che uno spirito lo possegga e lo prepari all’iniziazione. Tra i Buriati Alari, i candidati sciamani, all’età di tredici anni, sono posseduti nei sogni dagli spiriti. Durante l’estasi il candidato canta inni magici, dimostrando di conoscere il linguaggio segreto degli sciamani prima che gli sia insegnato: a questo punto i membri della tribù lo riconoscono sciamano. In altre tribù di Buriati, si crede che l ’anima del candidato sia rapita e portata via per essere istruita nel palazzo degli Dei e che gli Dei stessi svelino al neofita i segreti iniziatici, inoltre lo sciamano deve passare attraverso tre gradi di iniziazione prima di essere riconosciuto dalla comunità come Maestro Sciamano. La caratteristica che accomuna il riconoscimento dello sciamano, da parte degli altri membri della tribù nelle diverse popolazioni da noi prese in analisi è la manifestazione di malattie e scompensi a livello psichico, solitamente di tipo epilettico. Numerosi etnologi e antropologi hanno cercato di dare una risposta scientifica a questi fenomeni, ma noi ci limitiamo a citare questo carattere comune e assumerlo come un dato di fatto, senza addentrarci in speculazioni psico-patologiche che ci allontanerebbero dal tema del nostro studio. Ciò che la scienza attuale definisce come malattia o psico-patologia, per un candidato sciamano non è altro che un segno della “Scelta” che sta per intraprendere: è la “Cura” stessa per guarire la “Malattia”. Dopo aver sostenuto la “prova” della
malattia, lo sciamano è in grado di dominare la malattia stessa, di autoprovocarsi una crisi di tipo nevrotico-epilettica e di controllarla tramite i suoi poteri. La malattia non è altro che una fase dell’iniziazione, un momento di passaggio che permette al candidato di ottenere i poteri terapeutici per guarire se stesso e gli altri: ecco quindi come lo sciamano è al tempo stesso anche uomo-medicina. Lo sviluppo delle facoltà animiche e mentali si accorda con certe psicopatie: una disfunzione psico-fisica può promuovere una funzione animica (vedi “Il Giuramento Massonico”): la guarigione della malattie coincide col risveglio dell ’anima vegetativa e il cammino iniziatico altro non è che l ’educazione dell’anima vegetativa e dell’anima senziente. Lo sciamano educa la propria anima vegetativa dopo averla risvegliata durante l ’iniziazione e la riconosce come legge che governa ogni forma di vita, cercando di vivere in buon accordo con essa. Il lavoro dello sciamano, in un primo tempo, si basa sulla presa di coscienza delle forze che vivono e operano nel corpo fisico (quando è Apprendista) e in seguito, porterà queste forze a unità di servizio della mente e della volontà sino alla Maestria. Le tecniche che riguardano il corpo fisico sono utilizzate con l ’unico scopo di insegnare all’anima vegetativa di mettersi al servizio delle forze più sottili che vivono nell’uomo, il controllo del respiro, la giusta e corretta posizione nello stare seduti, il silenzio, la capacità di saper sentire, ascoltare, ascoltarsi, estraniarsi dai rumori mondani . Educando l ’anima vegetativa lo sciamano trasforma il suo corpo, lo risana dalle malattie, proiettandolo al di là della legge del tempo e dello spazio. Lo sciamano ottiene, dal connubio con la propria anima vegetativa, la padronanza della propria vita e della propria morte. Lo sciamano potrà risvegliare centri corporei sede dell’anima vegetativa, come il talamo e l ’epitalamo, l ’epifisi o pineale, l ’ipofisi o pituitaria, la tiroide, la ghiandola del timo, la ghiandola epatica, le ghiandole surrenali, il pancreas e la propria pelle. Nelle tribù indigene sud-americane della Terra del Fuoco, il neofita, durante l ’iniziazione, si sfrega con delle pietre sacre la pelle del viso fino a che appaia una seconda e talvolta persino una terza pelle, la “pelle nuova”, visibile ai soli iniziati (vedi “Il Volto Verde” e “La Faccia Verde” di Gustav Meyrink). Ecco un esempio dell’importanza del risveglio di una delle più importanti ghiandole del nostro organismo: la pelle organo psichico per eccellenza. Anche l ’anima senziente sarà risvegliata e educata: lo sciamano riuscirà infatti a sviluppare i propri sensi fino ad acquistare doti di chiaroveggenza e chiaro udienza. La via iniziatica mostra allo sciamano come controllare le sue funzioni corporee per resistere a shock e sforzi
sovrumani e, al tempo stesso, come mettersi in contatto con i Cieli Superiori. Lo sciamano raggiunge un alto livello di auto-controllo sulle proprie facoltà fisiche e mentali, tale da permettergli di attraversare indenne esperienze estatiche, mettendole al servizio di se stesso e della comunità. Anche l ’iniziazione sciamanica, come le iniziazioni ai culti antichi, prevede una“morte”simbolica del candidato (malattia) e una rinascita (guarigione). Le esperienze estatiche del candidato, siano esse legate a sofferenze fisiche, mentali o oniriche, rappresentano lo “smembramento del corpo e della mente dell’iniziato” (vedi morte di Osiride), condizione sine qua non, per la rinascita e la rigenerazione fisico-mentale dello sciamano. Gli sciamani narrano di essere scesi negli Inferi durante l ’iniziazione, di aver comunicato con gli spiriti degli sciamani morti, lottato con demoni e di essere riusciti e ri-nati, (vedi Bardo Todol e Inferno di Dante) discendere nel proprio inferno personale, affrontare i demoni delle passioni e risalire attraverso i peli della barba di Lucifero unico tramite per uscire dagli inferi. La tradizione iniziatica dei popoli del Caribe prevede che il neofita assuma una droga estratta dalla pianta tapini: questa gli permette di affrontare lo smembramento del suo corpo da parte degli spiriti mentre è trasportato nei cieli, di sopportare il dolore fisico e di godere di visioni estatiche. Presso le tribù Yakuti della Siberia il candidato deve resistere tre giorni e tre notti senza mangiare né bere, dopodiché il suo corpo sarà smembrato e tagliato tre volte: le membra sono staccate e separate con un uncino di ferro, le ossa ripulite dalla carne, le sostanze liquide gettate al vento e gli occhi strappati dalle orbite (vedi Giuramento Massonico). In seguito tutte le ossa sono ricomposte e legate con fili di ferro. Questo procedimento può durare da tre a sette giorni; frattanto l ’anima dello sciamano è rapita da un mitico Uccello Rapace-Madre dotato di un becco di ferro (nota: questo volatile si presenta due volte nel corso della vita dello sciamano, cioè alla nascita spirituale e alla sua morte). L’Uccello trasporta l ’anima del candidato negli inferi e la fa maturare su un ramo d ’abete: quando è matura l ’Uccello torna sulla terra, smembra il corpo del candidato e dà la carne in pasto agli spiriti malvagi della malattia e della morte. Dopo che gli spiriti hanno mangiato il corpo, l ’Uccello ritorna sulla terra, ricompone le membra, restituisce l ’anima al nuovo sciamano e lo risveglia: questa esperienza dona allo sciamano la facoltà di guarire se stesso e gli altri (a questo punto è opportuno ricordare il Canto IX del Purgatorio di Dante vv. 1-33: Dante si addormenta nella Valletta dell ’antipurgatorio e sul far del giorno sogna di essere sul monte Ida, quando un’Aquila scende dal cielo su di lui, lo ghermisce e lo porta su nella sfera del fuoco, dove tutti
e due ardono. Il Poeta si risveglia sotto la forte impressione di questo calore ed è pronto a riprendere il suo cammino). È importante soffermarci sul mito dell ’Uccello: presso le tribù siberiane l ’Essere Supremo (chiamato Aij Tojen = “Creatore della Luce”) è rappresentato come un’Aquila a Due Teste. Analogamente presso le tribù Caribe della Guiana, l ’intermediario fra il Dio Creatore e gli uomini è rappresentato dal “Grande Padre Avvoltoio”. La tradizione yakuti narra che Aij Tojen creò il primo sciamano; piantò nella sua dimora celeste una betulla a otto rami (albero sacro per eccellenza presso gli yakuti, detto “Albero Celeste”) e su questi dispose i nidi per i figli del Creatore (i futuri sciamani). La betulla simboleggia l ’Albero Cosmico o Asse del Mondo, essendo posizionato, secondo la tradizione, al centro del mondo (il simbolo dell ’albero al centro del mondo lo ritroviamo nelle tradizioni nella maggior parte delle religioni come Albero della Conoscenza del Bene e del Male / Albero della Vita). Inoltre Aij Tojen piantò tre alberi sulla terra ed è in loro ricordo che ogni sciamano possiede un albero, dalla cui vita egli dipende. Lo sciamano deve arrampicarsi in cima al suo albero per completare la propria iniziazione. L’arrampicata dell ’albero o del palo, a seconda delle diverse tradizioni, si può considerare come una delle varianti del tema mitico - rituale dell’Ascensione al Cielo, presente nelle religioni monoteiste (Albero della Cuccagna). L’ascesa rituale di un albero la troviamo anche presso le tribù sud e nord americane, mentre presso gli indigeni australiani lo sciamano deve ascendere ai cieli arrampicandosi su una corda magica (vedi analogie col fachirismo indiano). Un’altra tradizione yakuti prevede che il corpo dell’iniziando sia trasportato per tre anni negli Inferi dagli spiriti del male: questi gli tagliano la testa, ponendola davanti al corpo, di modo che il candidato possa assistere coi suoi occhi allo smembramento del proprio corpo e alla scarificazione del suo scheletro (vedi il simbolo dello Scheletro nel Gabinetto di Riflessione, durante la stesura del Testamento Spirituale ( vedi INFERNO di Dante Canto XXVIII vv. 118-142: Bertram dal Bornio ). La carne è data in pasto agli spiriti delle malattie: in seguito nuove membra sono collocate sullo scheletro e dentro di esse sarà fatto scorrere nuovo sangue (vedi nomi dell ’anima nel giuramento: Nephesh= è il sangue come è detto : “Perché il sangue è la vita” - Deuteronomio, XII, tredici). Anche presso le tribù eschimesi è fondamentale la contemplazione del proprio scheletro per potersi reintegrare nella matrice della Grande Vita (lo scheletro è il simbolo dello scaturire della vita tanto umana che animale), liberandosi dell’illusione della carne e ritrovando la sorgente della vita spirituale che, al tempo stesso, è “Verità” e “Vita”. Nelle tribù siberiane lo sciamano, durante l ’esperienza estatica, è posseduto da uno spirito femminile (maschile nel caso che si tratti di uno
sciamano donna, ma i casi sono molto rari), con il quale, in seguito, celebrerà le sue nozze mistiche. La sposa(o sposo)celeste ha parte degna di importanza durante l ’iniziazione solo per ciò che riguarda il contatto con l ’altra parte del divino (fusione tra parte maschile e femminile, la dualità che riporta all’ ’unità). Nella tradizione caribe, il neofita incontra, durante l ’esperienza estatica, lo Spirito delle Acque (Amana), che è una donna di grande bellezza la quale lo induce a immergersi insieme a lei nel fiume. Gli spiriti giocano un ruolo importante nella vita dello sciamano: egli infatti può comunicare con loro e avere “spiriti ausiliari” o “familiari”. Il numero e il tipo di spiriti familiari varia secondo le tradizioni, ma generalmente si tratta di sette spiriti zoomorfi che aiutano lo sciamano e uno “Spirito della Testa” che lo accompagna e lo protegge durante i viaggi estatici (Spirito Guida). Gli animali rappresentano le anime dei defunti reincarnati e spesso viene a loro attribuita la funzione di psicopompi perché accompagnano le anime dei morti nell’Aldilà come il Dio egizio Anubi. Durante l’iniziazione lo sciamano deve imparare il “linguaggio segreto” che gli permette di comunicare con gli spiriti dell’Aldilà e dei Cieli Superiori. Il Maestro e gli spiriti stessi insegnano al nuovo sciamano il “linguaggio segreto” che trae la sua origine dall’imitazione dei versi e delle grida degli animali e per queste ragioni gli animali vengono infatti venerati, rispettati e posti sullo stesso piano degli uomini come nelle religioni totemiche. L’esperienza estatico - iniziatica, nelle tradizioni asiatiche e siberiane, prevede un viaggio onirico che cambia a seconda delle tradizioni: nella maggior parte dei casi il candidato viaggia nel mondo degli Dei (Cieli Superiori - Prova dell’Aria), attraversa un mare (Prova dell’Acqua) e discende negli inferi (Prova della Terra). Il punto cruciale del viaggio è quando il candidato deve ricavare tre tamburi dal legno dell’Albero Sacro. Questi oggetti serviranno per assistere le donne partorienti, per guarire i malati e per ritrovare gli uomini sperduti fra le nevi. Il Signore dell’Albero svelerà al candidato anche le sette piante curative per guarire le malattie degli uomini. Dopodiché il recipiendario attraversa deserti e pianure utilizzando come guide un topo e un ermellino finché giunge presso una montagna e dopo tre giorni di marcia, penetra in una caverna: qui trova un uomo intento a una fucina che, afferrandolo con una tenaglia, lo immerge nel fuoco (Prova del Fuoco). Il fuoco cuoce per tre anni il corpo del neofita, completando così la sua iniziazione. Ritroviamo caratteristiche simili presso le popolazioni eschimesi e australiane: tra gli indigeni di Warburton Ranger (Australia Occidentale) l ’aspirante sciamano penetra in una caverna e due eroi totemici il gatto
selvatico e l ’emù, lo uccidono, gli smembrano il corpo, ne traggono gli organi che sono sostituiti con sostanze magiche ricavate dai minerali. Gli asportano anche la tibia e la scapola che fanno seccare e prima di rimetterle a posto, le farciscono con le stesse sostanze. Durante questa prova l ’aspirante sciamano è sorvegliato dal suo Maestro iniziatore che mantiene accesi i fuochi e controlla le sue esperienze estatiche. In altre tribù il candidato è ferito da una lancia invisibile scagliata dagli spiriti che gli entra nella nuca, gli traversa la lingua ed esce dalla bocca; la lingua del candidato rimane forata e una seconda lancia gli taglia la testa facendolo soccombere. In seguito questi sarà trasportato in una profonda caverna dove gli spiriti sostituiranno i suoi organi. Dopo l ’iniziazione il candidato riprende coscienza ma non può praticare le sue arti per un anno (vedi Silenzio dell’Apprendista massone) e se nel frattempo l ’apertura sulla lingua si richiude, deve rinunciare a essere sciamano. Durante questo periodo impara dagli altri sciamani i segreti dell’arte della medicina e soprattutto a utilizzare i frammenti di quarzo che gli spiriti gli hanno introdotto nel corpo. Anche tra le tribù africane troviamo l ’usanza di perforare il corpo dell’iniziato, sia fisicamente sia simbolicamente. In particolare presso le tribù sudanesi dei Monti Nuba, il neofita deve passare attraverso tre consacrazioni iniziatiche: durante la prima gli sciamani anziani “aprono” la testa del neofita affinché lì spiriti possano entrarvi. Gli indigeni del Borneo, invece, trafiggono con una freccia il corpo dell’iniziato a livello del cuore, affinché la sua anima si carichi di pietà per i malati e i sofferenti. Anche l’elemento fuoco è basilare nelle diverse iniziazioni. Abbiamo visto l ’importanza del calderone in cui gli spiriti immergono il corpo del neofita nelle tradizioni asiatico - siberiane, e ancora possiamo portare l ’esempio, noto a tutti, delle iniziazioni tra i popoli caraibici: il neofita deve camminare sui carboni ardenti senza bruciarsi e senza che le vesti prendano fuoco. Analogamente tra gli indiani del Nord America, il candidato deve tenere in mano una pietra arroventata senza ustionarsi. Le iniziazioni sciamaniche presso gli eschimesi e gli indiani del Nord e Sud America sono simili a quelle precedentemente descritte. Anche in queste tradizioni il neofita si reca in una caverna in cui avrà un’esperienza estatica e sarà iniziato dagli spiriti: la discesa nella viscere della terra è fondamentale per il neofita poiché durante questo viaggio egli sarà purificato dai peccati commessi e solo allora potrà avere l ’esperienza estatica che gli permetterà di uscire al di fuori della terra e rinascere. La fase finale dell’iniziazione presso le tribù eschimesi avviene quando il Maestro sciamano trasmette al suo discepolo il “lampo di luce” (vedi Luce Massonica) che entrerà nel corpo del neofita penetrando il suo cuore e il
suo cervello (IV, VI e VII Chackras). A questo punto il nuovo sciamano potrà vedere al di là delle tenebre che celano i segreti agli uomini. Nella tradizioni dei popoli Manciù dell’Asia l ’iniziazione si svolge d ’inverno e il neofita deve scavare immergersi in nove nove aperture, precedentemente scavate nel ghiaccio (Prova della Terra), e uscirne fuori nuotando (Prova dell’Acqua). Il neofita deve essere quindi in grado di scaldare sufficientemente il suo corpo tramite il “calore psichico” (prove simili le troviamo nelle iniziazione eschimesi e nelle prove logicotantriche). L ’iniziazione degli uomini medicina australiani comporta anch’essa una morte simbolica e una rinascita spirituale del neofita. Il maestro si presenta sotto forma di scheletro al candidato e trasforma quest’ultimo in un neonato (vedi Iniziazione Massonica, Prova della Terra – Gabinetto di Riflessione). Dopo averlo posto in un sacchetto, il Maestro si arrampica sull’Arcobaleno (chiamato Serpente Arcobaleno) e giunto in cima lo scaglia in cielo, uccidendo il neofita. Dopodiché introduce nel cadavere del neofita-neonato dei serpentelli-arcobaleno e dei cristalli di quarzo che saranno fondamentali per permettere al futuro sciamano di elevarsi in volo: in seguito il candidato è ricondotto sulla terra e svegliato. Il mito dell’arcobaleno, come ponte tra la terra e i cieli, lo ritroviamo anche nelle tradizioni giapponesi e mesopotamiche. Nelle tradizioni dell’India, della Mesopotamia e nel giudaismo stesso vi è riferimento ai sette colori dell’arcobaleno che rimanda ai sette cieli; Buddha è spesso raffigurato seduto cavalcioni di un arcobaleno a sette raggi, per significare che egli trascende il cosmo, e i sette cieli. Nelle tradizioni nordiche il Dio Heimdall, armato di spada e lancia, custodisce il Bifrost (il ponte-arcobaleno che congiunge la Terra al Valhalla). Ricordiamo altresì Genesi IX, 12-17, dove l ’Arcobaleno simboleggia il patto Noachico. Nella Bibbia troviamo riferimenti all’Arcobaleno che circonda il Trono di Dio (vedi Ezechiele I, 28; Apocalisse IV, 3), mentre nel libro del Siracide il tema dell ’Arcobaleno divino è al centro di un proverbio (XLIII, 11-12). La ziqqurat babilonese era talvolta rappresentata a mezzo di sette colori, simboleggianti le sette regioni celesti: salire su per vari piani della ziqqurat era come raggiungere la sommità del mondo cosmico. Ritornando alle tradizioni tribali da noi prese in esame, bisogna ricordare che nelle cerimonie di investitura dello sciamano sono usati nastri colorati chiamati “arcobaleno” e i tamburi sciamanici recano disegni raffiguranti l ’arcobaleno. Tanto presso i Turchi quanto presso i Samoidei Yurak, il tamburo è chiamato “arco” o “ponte celeste” (vedi importanza della Batteria durante i riti massonici). Per ciò che riguarda i cristalli invece, gli indigeni dell’Oceania credono che nei tempi antichi una pietra o un cristallo magico si sia staccato dal cielo e malgrado sia caduto sulla terra, i suoi frammenti continuano a dispensare
una sacralità uranica, cioè chiaroveggenza, saggezza, potere divinatorio, capacità di volare ecc. Lo stesso simbolismo uranico è presente presso i miti del folklore europeo, i mitici palazzi di cristallo sede di oggetti miracolosi e di potere sovrumano, nella religione cristiana Lucifero e gli angeli ribelli avevano una pietra incastonata nella testa che hanno perso in seguito alla cacciata dal Paradiso e alla caduta sulla terra, origine del mito del Graal e musulmana la Ka’ba. I cristalli di quarzo hanno diverse proprietà, in riferimento alle scienze e alle tradizioni e possiamo così sintetizzare: energetiche – orologio . dinamico-elettromagnetiche – piezoelettricità. artistico - simboliche – occhi delle madonne nere. curative – cristallo terapia. magico - occulte – imprigionare le anime / chiaroveggenza / teschi di cristallo. La cerimonia iniziatica nelle diverse culture tribali rimanda sempre a caratteristiche comuni (eviscerazione, sostituzione degli organi, discesa negli inferi e ascensione estatica ai cieli superiori, malattia, follia, sogno) che simboleggiano la Morte del neofita e la Rinascita dello sciamano. Oltre a queste caratteristiche comuni, dobbiamo accennare al mito della decadenza sciamanica. Tanto le tradizioni siberiane e asiatiche quanto quelle del caribe e dell’Oceania, narrano che all’origine dei tempi gli sciamani viaggiavano liberamente tra la terra e i cieli. Essi erano potenti quanto il Dio Creatore e in seguito furono puniti dal Dio stesso e persero i loro poteri diretti. Traspare quindi dal mito un’epoca primordiale nella quale la comunicazione tra gli sciamani e Dio era più diretta e avveniva in modo concreto come Età dell’Oro, Età Atlantidea, (vedi Rudolf Steiner). In generale, un’antica Era in cui gli sciamani erano grandi e potenti, seguita da un’altra Era di decadenza. In seguito ad un atto d ’orgoglio o di rivolta da parte dei primi sciamani, Dio interdisse loro l ’accesso diretto alle realtà spirituali (vedi mito di Prometeo e Lucifero): essi non possono vedere più gli spiriti con occhi umani e l ’ascesa al cielo potrà compiersi solo tramite l ’estasi. Tuttavia soltanto gli sciamani sono in grado di ristabilire la comunicazione interrotta fra Dio e gli uomini. Il mito comune della decadenza ci porta direttamente alle radici delle tradizioni dei popoli da noi studiati. Questo traguardo è in realtà il punto di partenza per poter comprendere il valore simbolico delle religioni dei popoli tribali, poter riconoscere in questi i portatori e i conservatori delle tradizioni primordiali poste alla base della nostre civiltà.
IL VIAGGIO SCIAMANICO di davide Ferraris Il viaggio sciamanico può essere definito l’esperienza estatica del sogno consapevole in cui si è liberi di esercitare l ’intento nella direzione della responsabilità’, un modo per padroneggiare i propri stati di coscienza che caratterizza l ’approccio sciamanico tradizionale. È una pratica terapeutica per sé e per gli altri, in quanto consente di osservare e interagire con l ’ignoto, sia esso inconscio o superconscio, per favorire e dirigere un processo di trasformazione. È anche una pratica sacra, in quanto originaria via di accesso alla dimensione spirituale. In biotransenergetica, il viaggio sciamanico come metodo tradizionale di tipo estatico, accompagnato dal suono del tamburo, è utilizzato insieme alle altre pratiche di trasformazione interiore e risulta sempre molto utile ed efficace. In questo numero monografico sono riportati i resoconti di alcune esperienze, gentilmente concessi dai partecipanti. L’intento è quello di offrire al lettore degli spunti che permettano di cogliere la bellezza, l ’intensità e il valore di questi processi, capaci di rivoluzionare il senso di un’esistenza. Certo il viaggio sciamanico non è un percorso facile ed è meglio essere accompagnati da un buon conduttore/terapeuta o anche da un gruppo di compagni di viaggio. Affrontare un’esperienza di trasformazione con un gruppo di compagni è quanto avviene in una pratica simile della biotransenergetica: ‘in viaggio per risvegliarsi’. Questa pratica riprende le antiche metodiche sciamaniche, nelle quali tutta la tribù si prendeva in carico la ‘malattia’ espressa da uno dei suoi membri. Con questo strumento si vuole consentire a tutto un gruppo di ‘curarsi insieme’, favorendo in ciascuno il superamento dei propri limiti mentali e la liberazione dalle proprie illusioni. “Viaggio Sciamanico”, due parole che nella cultura di massa contemporanea evocano emozioni forti, tra cui fascino, esotismo, curiosità, diffidenza, ansia, aspettativa, speranza. Il viaggio e lo sciamano rappresentano entrambi un incontro con lo sconosciuto, con il mistero, il superamento del confine di un territorio noto per addentrarsi in profondità nell’esperienza del reale ignoto. Un incontro che richiede coraggio nell’abbandono delle sicurezze e forza nell’accogliere ogni evento come sfida positiva. Quando il viaggio è sciamanico, significa che ci stiamo trovando nel cuore di un percorso evolutivo interiore, comunque lo si definisca. Come ci ricordano i grandi studiosi delle religioni, tra gli altri M. Eliade, C.G. Jung, E. Zolla, lo sciamanismo, antico di almeno cinquantamila anni, è all’origine di ogni percorso spirituale e attraversa in modo omogeneo tutti i popoli e le culture fino ai tempi moderni.
Passa attraverso il mitraismo e i misteri eleusini nel mondo greco-romano, ma anche la tragedia e gli eroi orfici. Più tardi, in occidente, lo ritroviamo nell’alchimia o nella recente teosofia e oggi nella ricerca scientifica più avanzata, ad esempio nella fisica dei quanti e nella medicina PNEI (psiconeuroendocrinoimmunologia). Nel mondo, lo troviamo nel taoismo in Cina, nello yoga vedanta in India, nella cabala giudaica o nel sufismo islamico. Anche le grandi religioni rivelate e fondate su testi sacri, indicano in una qualche esperienza di tipo sciamanico un loro importante momento fondativo, che si tratti delle meditazioni di Gesù nel deserto, di Maometto sul monte Hira o di Mosè sul Sinai. Allo stesso modo, l ’arte medica come capacità di cura del corpo e della mente è stata, in primo luogo, un’arte sciamanica, che si tratti di chirurgia, erboristeria, massoterapia o psicoterapia. Lo sciamano, questo sconosciuto, merita dunque la massima considerazione e rispetto, ma soprattutto la nostra disponibilità a capirne l ’eredità più preziosa ed esserne capaci e onorevoli collaboratori se non interpreti. Un’eredità costituita da conoscenze e strumenti operativi o, forse soprattutto, un particolare stato di coscienza, una grande capacità di rapportarsi con la diversità, di sacrificarsi, di amare gli altri e la natura. Nel modello trans personale, ma non solo in esso, le moderne metodologie terapeutiche non possono che riconoscersi in pratiche e fondamenti teorici che derivano da questa cultura originaria. Una cultura che potremmo anche rintracciare, in senso esteso, nell’ ’intero processo di trasformazione fisio-psico-spirituale, come affermano, tra gli altri, A. Mindell, E.C. Mendes, S.Grof e P.L. Lattuada . Le diverse tradizioni sciamaniche, variegate quanto lo sono i popoli della terra, sono ancora oggi ben vive e presenti in tutto il mondo, nelle sopravvissute culture indie, ma anche nelle culture indigene rurali e nelle moderne metropoli. Per quanto sia seriamente minacciata l ’esistenza della loro espressione pura e di coloro che ne sono interpreti, lo sciamanismo interessa ancora centinaia di milioni di persone e si espande rapidamente attraverso innumerevoli sincretismi. L’antropologia, l ’etnopsichiatria e la psicoterapia trans personale hanno già capito l ’importanza e la necessità di conoscere e interagire con questa realtà, ma è chiaro che questa responsabilità riguarda molti altri contesti disciplinari, in ambito medico, filosofico, sociologico, politico, artistico, ecc. «Lo sciamanismo, antico di almeno cinquantamila anni, è all’origine di ogni percorso spirituale e attraversa in modo omogeneo tutti i popoli e le culture fino ai tempi moderni» . Sciamano tradizionale, uomo o donna, definito da Mircea Eliade “colui che padroneggia le tecniche dell’estasi”, è “lo specialista di una trance durante la quale si ritiene che la sua anima
possa lasciare il corpo per intraprendere ascensioni celesti o discese infernali” (…). “Il termine ‘sciamano’ viene dalla regione siberiana, in particolare dalla parola tungusa ‘shaman’. In altre lingue del centro e del nord dell'Asia i termini corrispondenti sono: lo yakuta ojun, il mongolo buga, boga e udagan, il turco-tartaro kam”. In altre regioni del mondo è l ’araucan del Cile, il semang della Malacca, il manang tra i daiachi del Borneo, il machi degli araucani, ecc. Cambiano i nomi, ma si riferiscono tutti alla stessa figura: l ’uomo-medicina che, “per mezzo della sua trance, guarisce, accompagna i morti nel ‘regno delle ombre’ e fa da mediatore tra gli umani e i loro dei, celesti o infernali, grandi o piccoli”. Sempre Mircea Eliade ci ricorda che “lo sciamano è il grande specialista dell'anima umana: lui solo la ‘vede’, perché ne conosce la ‘forma’ e il destino”. Ma soprattutto, “lo sciamano è un malato guarito, un malato che è riuscito a guarirsi da se stesso. Quando la vocazione dello sciamano o del medicine-man si rivela attraverso una malattia o un attacco epilettoide (attacco epilettico o con le medesime manifestazioni), l 'iniziazione del candidato equivale spesso alla guarigione” e questa iniziazione “può essere benissimo effettuata in sogno o nell’ 'esperienza estatica del neofita”. A quel punto, l ’iniziato accede alle ‘vie che conducono all'altro mondo e, se ci si trova all’interno di una tradizione evolutiva, mediante quel cammino l 'essere interiore del viaggiatore diventa armonioso. Nel sufismo, ad esempio, come ci ricorda lo psichiatra Javad Nurbakhsh9, l ’oblio in cui versa la mente ordinaria dell ’uomo gli “rende necessaria l ’entrata nella Via (tarîqa) e il percorso di realizzazione spirituale, affinché per mezzo della morte iniziatica (fanâ’) e dello svelamento intuitivo (kashf ) l ’uomo percepisca e gusti l ’originaria realtà divina, di cui fino a quel momento era rimasto immemore”. Arnold Mindell, prolifico autore sul tema del corpo sognante dello sciamano, ci ricorda che “la via principale verso il potere è sognare, che è molto più che ricordare immagini durante il sonno. È ancora di più del sogno lucido, durante il quale si resta consci durante il sonno. Sognare è qualcosa che somiglia alla ‘immaginazione attiva’ di Jung, dove il sognatore incontra esperienze di sogno sulla carta, attraverso la danza, o nella propria mente, sotto forma di dialoghi o visualizzazioni. Il sogno dello sciamano, considerato in profondità, implica il senso dell ’energia e non porta semplicemente all’insight o al miglioramento della vita quotidiana. Osservando, identificando, differenziando, confrontando e seguendo inusuali processi secondari, così come si presentano in ogni momento, lo sciamano ottiene vitalità e un rinnovato senso di sé stesso”.
Il viaggio sciamanico è dunque sia la singola esperienza con valore conoscitivo e terapeutico, sia un modo di intendere e agire la propria esistenza quotidiana, sia il cammino spirituale sia «nel modello trans personale, ma non solo in esso, le moderne metodologie terapeutiche non possono che riconoscersi in pratiche e fondamenti teorici che derivano da questa cultura originaria. Una cultura che potremmo anche rintracciare, in senso esteso, nell’intero processo di trasformazione fisio-psico-spirituale» che procede verso la morte-rinascita, con la quale il viandante giunge all’iniziazione mistica. Il comune denominatore è dato da quell ’insieme di qualità che caratterizzano un cammino evolutivo: la volontà di migliorarsi sotto ogni profilo, pratico ed etico; il superamento del limite apparente; la liberazione dalle illusioni, la cura delle “ombre” e l ’accesso alla pace, al benessere, all’amore universale. Come ci ha ricordato Richard Bach con il suo famoso gabbiano, ognuno di noi può imparare a volare oltre se stesso, oltre ogni ragionevole dubbio. Bibliografia 1 Eliade M., Lo sciamanismo e le tecniche dell ’estasi. Edizioni Mediterranee, Roma 1974-1951. 2 Jung C.G., Psicologia e Religione, Bollati Boringhieri, Torino 1979 (ed. or. 1940) 3 Zolla E., I mistici dell’occidente, Adelphi 1997; Uscite dal mondo, Adephi 1992; Archtipi,Marsilio 4 Mindell A., The shaman’s body, HerperCollins, NY 1993 5 Mendes E.C., Piscotranse, Pensamento, SP 1980 6 Grof S., Il gioco cosmico della mente, Red 1998 7 Lattuada P.L., La biotransenergetica, Xenia 1997; Oltre la mente, Franco Angeli 2004; Potere spirituale e guarigione, Meb 1986. 8 op. cit. 9 “Il Sufi è colui che si incammina verso la Verità-Realtà col passo dell'Amore“. Javad Nurbakhsh, psichiatra iraniano, Maestro dell'Ordine Nematollahidei Sufi dal 1952 (www.nimatullahi.org) 10 Mindell A., op. cit. p. 80 11 Bach R., Il gabbiano Jonathan Livingston, BUR 1977 (ed. or. 1973)
STATI SCIAMANICI di P.L. Lattuada. Una nota stonata. Si dice che la cultura occidentale sia fondata sulla ragione e lo si dice in tono definitivo, tanto da crederci. La ragione è stata poi identificata con il pensare e il pensare, in quanto facoltà di mettere in rapporto i concetti e le preposizioni, ha finito con l ’equivalere a giudizio, discernimento, logica. Il tutto è stato messo al servizio di una morale, quella giudaico-cristiana e confezionato come il prodotto più sano ed elevato dell’attività mentale. Col tempo si è finito per dimenticare che il termine ‘ragione’ deriva dal latino ratus, participio passato di reri, che significava in origine ‘stabilire, fissare, contare’ e che il termine ‘razionalità’ deriva dal campo economico,
nel quale era stato introdotto per designare il comportamento tipico di chi calcola i rischi e i vantaggi di una certa azione per trarne il maggior profitto. Col tempo si è spinti fino a considerare la razionalità l ’essenza stessa dell’uomo. E nessuno pare stupirsi. La nostra cultura, fondata sulla facoltà di calcolare come trarre maggior profitto dalle nostre azioni, crede in un Dio che ci esorta ad amarci gli uni gli altri come fratelli. Qualcosa stona: amore e tornaconto personale non vanno d ’accordo. È esperienza di noi tutti che con la ragione non si arriva all’amore, ma la cultura del primo mondo, la “civiltà definitiva” persevera nell’impresa improbabile della moglie ubriaca e della botte piena. Vuole tutto: anche il caffè, come direbbe Battiato. Si erge a paladina dell’amore e si arrocca nella cittadella fortificata della ragione, persegue la democrazia attraverso la dittatura della ragione, predica la fratellanza ma a patto che i fratelli diversi riconoscano il loro errore e si ravvedano. A proposito di radici… C’è da chiedersi a quali radici appartengano ad esempio il popolo degli shuar, che da quarantamila anni ripetono: “il mondo è ciò che sogni”; oppure i nativi americani, che ripetono “mitakuye oyasin, cioè “siamo tutti fratelli”, tanto per restare in occidente. Tralasciamo l ’oriente, perché sarebbe troppo facile e andiamo in Africa, dove i sufi della Tunisia ricordano: “il paradiso è negli occhi di chi lo guarda”; oppure nella lontana Australia, dove gli aborigeni è risaputo che ritengano (e sono in buona compagnia, si pensi al maya dei buddisti, al nagual dei toltechi) che la realtà ordinaria sia fasulla e la realtà vera risieda nel tempo del sogno e di intuizione. A noi piace chiamarlo ‘il versante scordato’: quello della Dea, quello dionisiaco, quello dell ’intuizione. L’importanza attribuita nei secoli all’ ’intuizione, in quanto “conoscenza diretta, pronta e immediata di una verità che si manifesta allo spirito senza bisogno di ricorrere al ragionamento”, ne risalta il valore irrinunciabile per qualsiasi sistema di conoscenza che voglia fornire garanzie di validità. Già Aristotele e Platone affermavano la possibilità di percepire direttamente i principi primi mediante l ’intuizione. Plotino, Sant’Agostino e i mistici medievali indicano nell’intuizione “l ’unica via per l ’uomo di entrare in contatto con Dio”. Per San Tommaso ha carattere intuitivo la stessa Conoscenza Divina, intesa come creatrice dei suoi stessi oggetti. Nella filosofia moderna il concetto di intuizione viene a coincidere con quello di evidenza, Cartesio definisce l ’intuizione la “percezione immediata di alcuni singoli contenuti assolutamente certi”, mentre Locke riconosce nell’intuizione “la via privilegiata per percepire
immediatamente e con sicurezza la concordanza e la discordanza tra i diversi contenuti”. Spinosa riconosce all’intuizione la prerogativa di “rendere partecipe il soggetto della natura dell’oggetto,” affermando così la superiorità della scienza intuitiva. Più complesso è l ’approccio di Kant, che distingue tra un’intuizione sensibile intesa come la percezione immediata dell’oggetto e un’intuizione intellettuale propria di Dio, per la quale l ’oggetto stesso è creato. Con Hegel e la filosofia idealista l ’intuizione intellettuale diviene anche attributo umano e si definisce come “il mezzo attraverso il quale l ’uomo coopera al processo di creazione dell’oggetto”. Bergson a sua volta concepisce l ’intuizione come “forma privilegiata di percezione che permette di superare gli schemi dell’intelletto per giungere a una più vera comprensione dell’oggetto in tutta la sua plasticità e dinamicità”; allo stesso modo, Husserl considera l ’intuizione eidetica “l ’unica via per cogliere l ’essenza”. Comunque la si concepisca, l ’intuizione dispensa la logica e il ragionamento analitico tipico della cosiddetta mente duale. Essa sembra procedere da un piano trans personale, un livello che richiede, per essere attinto, di varcare la soglia della fiducia, andare oltre, lasciarsi completamente andare. La resa sarà di volta in volta al divino, alle muse ispiratrici, alle voci dal profondo, ai messaggi di ordine spirituale, all’archetipo o al sesto senso, ma dovrà comunque essere totale, senza riserve. Sarà possibile così affacciarsi al piano della Coscienza Unitiva, il piano nel quale si realizza la piena fusione tra soggetto e oggetto, dove la trascendenza diviene identificazione con l ’Uno, con la sorgente stessa di ogni forma di conoscenza. È il piano della meditazione, della preghiera, dell’illuminazione, il luogo del risveglio dove tutto è perfetto così, dove si coglie il significato di ogni cosa e la si riconosce essere esattamente al proprio posto. Come attingere quel piano di realtà? Chiedendosi perché? Pensando? Analizzando il problema? Forse. Anche con la forchetta si riesce a bere qualche goccia d ’acqua, altra cosa è usando il bicchiere. O meglio la coppa, il calice dell ’alleanza. Prendete e bevetene tutti, non senza sudore, lacrime e sangue, non senza sacrificio, ma il Regno dei cieli è alla portata di tutti coloro che vogliano guardare con intento puro, lo sguardo del cuore, l ’occhio unico dell’intuizione. Il viaggio sciamanico è uno strumento antico di millenni che ancora si impone come viatico per “la visione del sole”, l ’uscita dalla caverna platonica dell’illusione.
Un’esperienza. Il corpo disteso pesa, il respiro leggero fluisce, il tamburo suona e ti guida, Ti dimentichi del corpo fisico che resta qui fermo ad aspettare il tuo ritorno e tu vai in volo, nessun legame, guardi tutto ciò che dentro tiene e lascia, vola. Sono nel nido, sento la paura di spiccare il volo, sento la voce: “Segui la tua via di falco, la tua via, il tuo volo. Il volo è la tua natura, la paura è solo il prezzo che hai dovuto pagare per la vita, ma stai ancora sognando quel sogno, svegliati! Il prezzo l ’hai pagato, sei libero! Il prezzo l ’hai pagato, perché ancora sognare un sogno di colpa e di timori? In quali cellule, in quale aggregato della tua massa corporea si annidano i sogni dell’ombra o sei alle prese con la vergogna, con il perfezionismo, con la sfiducia. Qual è il sogno che vuoi sognare? Ti ricordi? Enunciasti un sogno, lascia volare la tua anima verso quel sogno. Guarda pure le desolate distese dell’ombra, non temere, guarda pure i deserti della disperazione, guarda pure il terrore cieco o la rabbia funesta, guarda pure, questo non impedisce alla tu anima di volare… su questo pianeta sotto il tuo sguardo e in questo universo c’è di tutto, dal terrore più cieco, dall’odio più bieco, all’ ’amore più elevato. Cosa aspetti a volare? Che non ci sia più traccia di ombra intorno a te? E allora aspetta seduto perché aspetterai per molto tempo e non temere il contatto con il dolore, penserà il volo della tua anima a liberarti quando ne entrerai in contatto; e non temere il passato: esso costruisce il tuo futuro, ma né l ’uno né l ’altro sono reali, è adesso che puoi volare il tuo volo libero senza ‘se’, senza ‘ma’. I ‘se’, i ‘ma’ sono solo un tentativo di pararti il culo! È il tuo narcisismo che non vuole fallire, è il tuo ego che ha paura di non farcela. Guarda le vette, guarda le correnti, non si è mai visto un falco pararsi il culo. Vola, lascia il soffio soffiare e l ’alito alitare, dispiega le ali!” Sono un falco, mi vedo su di un albero completamente secco. Mi chiedo: “come faccio, devo spiccare il volo, devo fare un salto nel buio”. Un attimo dopo sto volando mentre piango, ma subito mi ritrovo appollaiato, questa volta sulla carcassa di me che galleggia; sono un falco, attaccato a qualcosa di morto che galleggia. Sento la voce: “è inutile restare attaccati a qualcosa del passato”. Riprendo a volare, volo molto basso, intorno a me c’è molto buio, non è il volo libero che voglio fare, allora lascio uscire la voce! Sento una dilatazione dal centro, come qualcosa che si amplifica all’ ’interno, non c’è più buio, non c’è niente sotto di me. Sento una sensazione di libertà, di volo continuo, costante. Mi trasformo in cigno, il collo lungo, il volo costante, le grandi ali che vanno su e giù e la testa ferma che guarda l ’orizzonte; un orizzonte rosé, un tramonto, molto bello. […]
ESTASI E POSSESSIONE UNO SGUARDO ANTROPOLOGICO SULLA PLURALITA’ DEGLI STATI DI COSCIENZA. Intervista condotta da Giuliana Scalera McClintock a Tullio Seppilli. _Nella tua relazione hai affrontato la questione degli stati di coscienza in rapporto ai modi attraverso cui si costruisce la rappresentazione del mondo. Puoi tornare su questa definizione?_ In effetti, nella mia relazione avevo tentato, in una prospettiva antropologica, una preliminare riflessione sugli “stati di coscienza” di cui l ’estasi e la possessione costituiscono tipologie specifiche e su alcuni meccanismi che vi sembrano in qualche modo correlati, mediante i quali gli uomini giungono a rappresentarsi la realtà che li circonda e a rapportarvisi. Il primo problema, naturalmente, è il significato stesso di stati di coscienza e la definizione di coscienza cui esso rinvia. Assumevo, in prima approssimazione, una definizione abbastanza ragionevole di coscienza come“vissuto soggettivo”, l ’area dei processi psichici vissuta consapevolmente, per così dire. E mi ponevo il problema del nocciolo duro di una tale definizione e cioè cosa debba intendersi, allo stato attuale della ricerca, con il termine consapevolezza, l ’essere presenti in un dato momento alla coscienza e quale sia il suo rapporto con l ’esserci o l ’essere nel mondo della Daseinanalyse e del suo trasferimento nella stimolante riflessione demartiniana sulla presenza e sul ricorrente rischio di una sua“crisi”, intesa, direi, come rischio di un frantumarsi o dissolversi della propria unità psichica soggettiva e della sua autonomia rispetto agli stimoli esterni via via percepiti. Quel che qui soprattutto ci interessa, però, è il carattere plurimo dei possibili stati di coscienza, il manifestarsi cioè, volta a volta, di stati di coscienza tra loro anche assai eterogenei. Con i problemi che ne derivano: quali ne siano i profili specifici, quali i meccanismi costitutivi e i fattori che vi interferiscono, quali i possibili “passaggi” dall’uno all’altro, e quale frequenza, quale peso e quali interpretazioni e funzioni essi abbiano nelle differenti culture. Fino a non molto tempo addietro, in proposito, era corrente l ’idea di uno stato di coscienza ritenuto “normale”, rispetto al quale tutti gli altri si consideravano “alterati”, e si postulava che un tale stato fosse ben individuabile e circoscritto, chiaramente rappresentato dal “nostro” stato di coscienza quotidiano. Così, per fenomeni come l ’estasi o la possessione, i vissuti onirici o la condizione ipnotica, o anche una violenta agitazione emotiva, si parlava appunto di stati di coscienza “alterati”. Oggi, come è noto, si preferisce l ’espressione stati“altri” di coscienza o, più in generale, si parla semplicemente di una pluralità di stati di coscienza proprio per non caratterizzare aprioristicamente e in modo assoluto come unico stato normale quello della“nostra” coscienza ordinaria: la quale
appare essa stessa, peraltro, come un’area assai articolata e non è comunque omologabile tout court alla coscienza ordinaria di ogni contesto di cultura. In questo orizzonte, e con tutte le cautele del caso, mi ponevo il problema di una possibile direttrice di riflessione: se cioè lo stato, o gli stati di coscienza che solitamente avvertiamo come “normali” non si collochino in un’area di equilibrio psichico intermedio tra due opposte polarità. Da un lato l ’apertura a ciò che ci giunge attraverso i nostri sensi, la disponibilità percettiva agli stimoli esterni. Dall’altro il “lavorio interno” o“interiore”, se vogliamo e dunque la evocazione di precedenti esperienze richiamate alla mente da tali stimoli e, in generale, ogni “contenuto” cognitivo e/o emozionale, che per i più eterogenei fattori emerga in un dato momento nella nostra coscienza. Lo stato della cosiddetta normalità quotidiana che ci appare il più adeguato per un attivo e produttivo rapporto con il mondo che ci circonda , si configurerebbe così come una condizione della soggettività in equilibrio fra l ’attenzione agli stimoli esterni e, di contro, l ’aggancio a precedenti esperienze, l ’affiorare di immagini introiettate in altri momenti, il peso delle strutture fondanti del nostro assetto psico culturale. In questa condizione di bilanciamento, il richiamo delle passate esperienze e della cultura via via introiettata viene, per così dire, guidato dal verificarsi degli eventi percettivi e il “lavorio interno”, ne risulta così in larga misura “imbrigliato alla realtà”. Ma proprio perciò attraverso la fitta maglia degli ancoraggi associativi, questo lavorio consente di integrare le singole percezioni in una rete di ricordi e di possibili riconoscimenti e per tale via di conferire loro un qualche significato e di farvi seguire risposte operativamente adeguate, e, almeno in una data cultura, “normali”. Se questa direttrice di ragionamento appare fondata, si potrebbe ipotizzare che uno “sbilanciamento” verso l ’attenzione agli stimoli esterni, che invadono così l ’intera coscienza, caratterizzi stati come quello ipnotico o i vari stati ecolalici o ecocinesici, in cui l ’individuo riproduce coattivamente quanto ascolta o quanto si muove davanti a lui, ripete automaticamente come una eco quanto gli è detto o imita passivamente i movimenti che stimolano il suo campo visivo: una condizione nella quale non ci si riesce a“staccare” dalla involontaria identificazione con ciò che è percepito. Torna qui alla mente la casistica etnografica esposta da Ernesto de Martino né “Il mondo magico”: la ecolalia che si manifesta fra i Tungusi nella condizione olon o la condizione latah, documentata nella Malaysia: la persona che attratta dalle oscillazioni dei rami di un albero scossi dal vento è “costretta” a mimarne il movimento. In questi casi, per dirla con lo stesso de Martino, «la presenza si comporta come una eco del mondo [...] e perciò scompare e abdica come presenza» (Il mondo magico, 1948, p. 93). Di contro, nella opposta condizione di un almeno parziale distacco
della coscienza dal succedersi degli stimoli percettivi, di un suo ripiegamento, cioè, verso lo psichismo interno e le rappresentazioni che vi emergono, in questa opposta condizione, dicevo, potremmo collocare stati come la meditazione, il sogno, talune forme di cosiddetta “allucinazione”, e infine l ’estasi, appunto, e per certi versi la stessa possessione: stati di coscienza in cui lo psichismo, in qualche modo distaccato dagli eventi esterni, “lavora” con materiali acquisiti in precedenza e ormai costitutivi del patrimonio interiore. E tuttavia, va detto, anche in questi stati rimane in genere una certa permeabilità agli stimoli esterni: i quali possono provocare con il loro impatto la riapertura verso il mondo esterno e quindi un ritorno allo stato “normale”, o risultare invece incorporati e rielaborati dentro la logica del lavorio interno: il suono di un campanello, ad esempio, può portare a una brusca interruzione del sonno, annullando lo stato onirico e riportando il soggetto a uno stato di veglia, o venire invece riassorbito e ri significato come un ulteriore elemento nella trama del sogno, che continua così il suo percorso. _La possessione non potrebbe ricadere anche nell’altro stato, se viene in genere descritta come essere afferrati dall’esterno?_ In effetti, lo stato di possessione è costruito attraverso una complessa dinamica. Come nell’estasi che presenta con la possessione parecchie analogie, anzitutto la coscienza si ritira e si distacca dal mondo esterno: nella possessione, in genere, mediante un processo attivato dalla incorporazione di determinate sostanze psicotrope come l ’alcool o la mescalina o l ’ayahuasca, ad esempio o, paradossalmente, proprio dal concentrarsi dell’attenzione su un unico stimolo esterno, sempre uguale a se stesso o comunque ossessivamente ripetuto, ad esempio un martellare continuo e ritmico di tamburi. Su queste tecniche di alterazione psichica vorrei tornare in seguito. Ma i contenuti della possessione, una volta che questa è in atto, l ’essere posseduti da una divinità (o da un demone) che“entra” in noi, “essere” la divinità stessa, sono il risultato dell’emergere, nel nuovo stato di coscienza, di rappresentazioni evocate “dal di dentro”: certo, culturalmente apprese, ma ormai costitutive del repertorio psichico personale e, sul momento, richiamate nel vissuto soggettivo ed esplicitate in specifici comportamenti, quasi sempre in un contesto rituale in cui i fedeli, interni alla medesima cultura, le riconoscono e le condividono in un attivo e articolato gioco di ruoli che si rafforzano vicendevolmente. _Tornando alla coscienza “normale”, in che senso questa risulta culturalmente condizionata?_ Credo che occorra innanzitutto ribadire che la cosiddetta coscienza “normale” o “ordinaria” costituisce pur sempre, anche nella “nostra” cultura, un arco di stati abbastanza variegato. In taluni casi, ad esempio, l ’apertura agli stimoli esterni è piuttosto debole, frammista a elucubrazioni interne non necessariamente attivate da tali stimoli: quando
cioè siamo assorti, distratti, sovrappensiero, poco attenti ai dettagli di quanto ci circonda, che perciò risultano superficialmente percepiti e scarsamente memorizzati. Altro è il caso dell’attenzione concentrata, in cui la coscienza è chiaramente vigile, intensamente aperta agli stimoli esterni, spesso focalizzata su una parte specifica del contesto ambientale oppure su quanto proviene da alcuni canali percettivi e non da altri, solo da quello acustico, ad esempio, o solo da quello olfattivo; o in cui essa è focalizzata nell’attesa di taluni segnali che in base a precedenti esperienze si considerano in qualche modo significativi. È un’attenzione, questa, che restringe ogni collegamento con il “mondo interiore”a quanto è funzionale al riconoscimento e alla valutazione del proprio oggetto esterno di interesse. D’altra parte, se ritenuti allarmanti o comunque emozionalmente significativi, certi segnali possono anche oltrepassare selettivamente le stesse barriere frapposte agli stimoli esterni in uno stato di coscienza ripiegato verso un lavorio interiore, come se vi funzionasse una sorta di attenzione specifica latente: così, essi possono“transitare” provocando il passaggio a uno stato di coscienza più idoneo a produrre una risposta operativa adeguata. È noto il caso delle mamme che si svegliano, passano cioè dal sonno allo stato di coscienza“normale”, se il figlio piange, mentre continuano tranquillamente a dormire a fronte di altri rumori di analoga intensità. Tutto ciò apre una serie di questioni. Ad esempio quella del peso relativo affidato ai vari canali percettivi la vista, l ’udito, il tatto, ecc. che non è sempre uguale. Non è uguale tra le varie persone, non è uguale nelle diverse professioni, non è uguale nelle differenti culture. Le diversità dei contesti naturali e delle modalità sociali di sopravvivenza e adattamento all’ambiente comportano infatti, per le diverse comunità umane, una maggiore o minor funzionalità e rilevanza dei vari canali attraverso cui il mondo è esplorato e percepito: i quali “servono” e sono usati perciò, in ciascuna comunità, in diverso modo e in diversa misura, e in diverso modo e in diversa misura essi vengono dunque addestrati nelle varie comunità mediante vere e proprie e diversificate tecniche del corpo (per rifarci a un termine ormai classico introdotto nel 1934 da Marcel Mauss). Basti pensare, ad esempio, al diverso peso e alle eterogenee valutazioni e significati che assume (e a tal fine è addestrato) il controllo olfattivo dell’ambiente, o quello del gusto dei cibi, nelle differenti civiltà e nei differenti periodi storici o anche nei diversi strati sociali di una medesima civiltà, come quella europea. E proprio perché l ’immagine della realtà, e la sua stessa interiore memoria, si costituiscono mediante l ’integrazione e l ’elaborazione di quanto via via proviene da ognuno dei vari canali percettivi, proprio per questo, dicevo, il diverso peso affidato a ciascun canale nelle varie culture trapela in qualche modo in una diversa “composizione” complessiva delle loro rappresentazioni del mondo, certo a
livello di coscienza ordinaria ma probabilmente anche in stati di coscienza“altri”come quello onirico. Estremizzando le cose, e per capirci meglio: proviamo a immaginarci un mondo percepito e rappresentato, e forse sognato, in termini esclusivamente visivi o esclusivamente olfattivi o esclusivamente sonori. O ancora, e più realisticamente, la rappresentazione del mondo (o le priorità di attenzioni) di chi è privo sin dalla nascita di un canale percettivo come la vista. Ma un peso diverso dei vari canali percettivi emerge appunto anche all’interno di una medesima società, ad esempio nelle“abilità di partenza”, preliminarmente richieste e poi fatte oggetto di specifico addestramento, nella pratica di molte professioni che divergono non solo per quanto riguarda la destrezza manuale, la forza fisica, la capacità di resistenza, l ’intelligenza o il possesso di talune nozioni basilari, ma anche, appunto, per l ’abilità di utilizzo di specifici canali percettivi. Pensiamo a quanto pesi la selettività acustica per un direttore d ’orchestra, o la sensitività gustativa per un sommelier o un assaggiatore di oli d ’oliva, o ancora, a quanto contasse la penetrazione visiva per una vedetta posta all’erta sulla coffa dell’albero maestro nelle antiche imbarcazioni a vela. D’altra parte ci sono “passaggi”, nell’attenzione percettiva, che nemmeno raggiungono la piena consapevolezza. Una vecchia indagine empirica in una scuola statunitense frequentata da allieve“di buona famiglia”cui era richiesta una molta rapida lettura ad alta voce di un elenco di parole scritte su una tabella, appurò una circostanza curiosa: che quando esse si imbattevano in una parola “sporca”, inserita ad arte nell’elenco, questa era letta in qualche modo storpiata occultandone così il significato o, addirittura, era inconsapevolmente “saltata”. Evidentemente, per essere censurata, la parola incriminata doveva essere stata in precedenza percepita e correttamente decodificata: ma queste operazioni non avevano raggiunto il livello della coscienza consapevole. _A questo punto mi sembra che tu avessi introdotto la questione se esiste memoria nel passaggio da uno stato di coscienza a un altro. È questo un tema a cui sono particolarmente sensibile perché, nell’ambito delle iniziazioni dionisiache, rituali estatici erano utilizzati come preparazione alla morte e in alcuni testi misterici dionisiaci si chiede esplicitamente di ricordare, al momento della morte, l ’esperienza “estraniante” a cui si era stati sottoposti._ La questione del “ricordare”, nel passaggio tra uno stato e l ’altro, ripropone in qualche modo la definizione stessa di coscienza come vissuto soggettivo e il significato del suo possibile articolarsi in una pluralità di stati: quale “filtro” può far sì che cambiando stato di coscienza sia perduta (o risulti inaccessibile) la memoria di quanto vissuto nello stato precedente? E perché ciò avviene volta a volta in differente misura e si manifesta con differente peso a seconda dei diversi stati di coscienza che sono coinvolti?
È ben noto che spesso non ci rimane alcuna traccia consapevole di un sogno appena terminato; o se al risveglio lo rievochiamo agevolmente esso è dimenticato nel giro di poche ore; altre volte, invece, un sogno resta impresso per anni e anni nella memoria. Che natura hanno questi “filtri”? Quando intervengono? In quali casi il ritorno a un precedente stato di coscienza riapre la memoria di quanto vi era stato vissuto? Al risveglio, ad esempio, ricordiamo abbastanza bene quanto accaduto prima di addormentarci. E in che rapporto stanno tali “filtri” con la censura tra lo psichismo inconscio e lo stato di coscienza“ordinario” o, più precisamente, tra lo psichismo inconscio e il “sistema preconscio-cosciente” (per usare una più adeguata terminologia analitica)? A proposito di questa tematica avevo citato nella mia relazione una pur discutibile sperimentazione condotta da Pierre Janet su una condizione allora assai diffusa e largamente visitata dalle scienze umane, l ’isteria: una sperimentazione di cui egli dà conto nel 1889 nel suo famoso volume “L’automatisme psychologique”. Lavorando sulla scissione di personalità di alcune donne isteriche, Janet aveva appurato una sorta di alternanza di due memorie, le quali non comunicavano tra loro: una che riannodava le esperienze via via compiute nei successivi stati di normalità, costituendosi così come memoria di quanto occorso nella vita ordinaria; e un’altra, invece, custode del ricordo accumulato degli accadimenti verificatisi nelle ricorrenti fasi di coscienza “altra”. Così, Janet provò ad agire su una “paziente” di assai “bassa” estrazione sociale e totalmente illetterata. Durante il susseguirsi delle fasi di coscienza“altra” la istruì, le insegnò le buone maniere e molte altre cose, la fece diventare “una signora”: e tale appariva ormai ogniqualvolta essa si trovava nella fase “altra”. Ma nel momento in cui si riaffermava la coscienza ordinaria la donna tornava a essere quella di prima: tra i due stati di coscienza non vi era, appunto, alcuna comunicazione. Particolarmente interessanti mi sembrano anche le riflessioni sugli stati di coma, certo tra loro assai eterogenei, per i quali non è semplice verificare con certezza se vi permane qualche forma di coscienza, pur difficilmente recuperabile al momento del possibile risveglio, e se essi risultino almeno parzialmente aperti ai canali percettivi. Citavo in proposito, nella mia relazione, il testo di uno scrittore portoghese scomparso di recente, José Cardoso Pires,“De profundis”, del 1997, pubblicato in Italia da Feltrinelli nel 2002. Nel gennaio del 1995 Cardoso Pires fu colpito da un’ischemia cerebrale e rimase in coma per circa un anno. Da questo stato“opaco”, una volta tornato alla normalità, i ricordi riemergevano come “bagliori”. In questo libro abbastanza sconvolgente lo scrittore cerca di ricostruirli, o di tracciarne, almeno, l ’immagine che ne rimaneva. _Nella tua relazione avevi anche toccato il problema di quale posto
occupa, nel quadro degli stati “altri”, l ’allucinazione._ Ne avevo parlato a proposito di un vecchio problema: se avesse senso considerare “patologici” gran parte degli stati di coscienza che un tempo si definivano “alterati”, o se non fosse più corretto e fruttuoso esaminarli ciascuno in base alla sua interna logica, al suo statuto e alla sua funzione in un contesto storico-sociale determinato. Certo, l ’allucinazione, lo ricordavo poco fa, si manifesta come espressione di uno stato di coscienza in cui specifici contenuti interni, particolari rappresentazioni psichiche elaborate sotto lo stimolo di differenti fattori, obliterano le percezioni esterne o vi si integrano in vario modo, sovrapponendovisi, in una sorta di proiezione, talché tali contenuti appaiono soggettivamente come una realtà effettivamente percepita: una condizione di percezione apparente, visiva o auditiva, ad esempio, in cui l ’interno straripa in certo senso verso l ’esterno e come “esterno” viene appunto soggettivamente vissuto. Ma è interessante riflettere sulla tipologia di questi interni contenuti di queste rappresentazioni che straripano verso l ’esterno, sulle loro matrici culturali e in particolare sul diverso livello di condivisione sociale che esse possono suscitare e sulle conseguenze che ne derivano per la sorte degli individui che ne risultano coinvolti. In altre parole: quanto si scostano le “visioni” degli allucinati da ciò che appare plausibile a chi sta intorno a loro?In che misura tali visioni rappresentano una eventualità ritenuta possibile e, dunque, culturalmente condivisa da parte dell’intorno sociale, in quanto esse “restituiscono” alla comunità ciò che è già nella sua cultura? Ho avuto spesso occasione in passato, durante alcune ricerche nell’Alta Valnerina umbra, di imbattermi in contadini o pastori che avevano “avvistato” le processioni notturne dei morti, o“si erano imbattuti” in una strega e avevano parlato con lei, o“avevano visto sparire nell’ ’aria” un soccorritore dopo averne ricevuto aiuto. Ma tutto ciò avveniva in un contesto in cui l ’esistenza delle streghe era culturalmente condivisa: incontrarle risultava infrequente e suscitava perciò un grande interesse nei confronti di chi ne aveva avuto diretta esperienza ma costituiva un evento del tutto plausibile, che confermava peraltro quanto già tradizionalmente “si sapeva”. Così, questi episodi, in quel contesto culturale, non isolavano chi né era il soggetto e, anzi, ne facevano un prezioso testimone/narratore. Ma chi in una metropoli moderna proietta rappresentazioni simili, o anche “aggiornate”, penso a talune allucinazioni che vedono protagonisti “i marziani”, o anche soggetti “normali” di cui è tuttavia impossibile la concreta presenza, manifesta qualcosa di incoerente con quanto ritenuto plausibile nella cultura circostante: e la diffidenza suscitata perciò in chi gli sta intorno costituisce il momento iniziale per un
percorso di isolamento individuale che, al di là di ogni valutazione tecnica, si intreccia inevitabilmente con lo stigma della follia. _Quale può essere il contributo specifico dell’antropologia alla comprensione degli stati di coscienza?_ La meditazione, il sogno, gli stati di trance, dall’estasi alla possessione, sono stati abbastanza ben definiti e analizzati dalle neuroscienze, non solo dall’antropologia. Ma se ci interroghiamo sul significato specifico di un possibile approccio antropologico, mi vengono in mente alcune possibili direttrici di lavoro. Anzitutto, l ’uso sociale degli stati“altri”: come le varie culture considerano, interpretano e utilizzano, nelle loro pratiche individuali e collettive, i diversi stati di coscienza e in particolare, appunto, i cosiddetti stati“altri”. Certo, almeno in questo senso, l ’Occidente attuale è particolarmente lontano da questa problematica, ma quasi tutte le altre culture assegnano ai vari stati di coscienza non ordinari precise e specifiche funzioni socialmente consolidate: funzioni conoscitive e funzioni di contatto con altri livelli di esistenza. Forse ne potremo riparlare. Una seconda direttrice di lavoro potrebbe concernere la produzione sociale di questi stati. Da una parte, il peso dei sistemi di vita e delle cosmo visioni nel determinarsi dei vari stati non ordinari di coscienza, nella loro frequenza e nella loro qualità. Dall’altra, le tecniche volontarie o semi volontarie volta a volta praticate nelle varie culture perché tali stati giungano a manifestarsi (o, al contrario, per uscirne e ripristinare lo stato di coscienza ordinario). Possiamo anche considerare una direttrice di lavoro più esterna, in cui oggetto della riflessione antropologica non siano gli stati “altri” di coscienza bensì l ’interesse intellettuale, e anche strettamente scientifico, che essi in qualche modo suscitano in società più vicine a noi. Ci sono epoche storiche, in Occidente, in cui l ’attenzione ad alcuni di questi stati come la trance o lo stato ipnotico ad esempio, appare molto forte. L’epoca vittoriana, in particolare, che ha visto peraltro il fiorire dell’antropologia positivistica, è stata contrassegnata da un fortissimo interesse per taluni fenomeni “paranormali” e per gli stati di trance prodotti nel corso delle sedute spiritiche. È l ’epoca in cui fu fondata a Londra, nel 1882, la Society for Psychical Research, l ’epoca degli impegnativi studi sulla condizione medianica e dei numerosi tentativi di fotografare, durante le sedute, il cosiddetto “ectoplasma”. Su Eusapia Paladino si cimentarono e intrapresero accesi dibattiti antropologi come Cesare Lombroso, psichiatri come Enrico Morselli e Leonardo Bianchi, fisiologi come Charles Richet, fisici come i coniugi Curie, giornalisti come Luigi Barzini. È anche l ’epoca di un grosso interesse scientifico per l ’ipnosi (un mio antenato psichiatra, Giuseppe Seppilli, pubblicò a tal proposito contributi che appaiono tuttora significativi, tant’è che uno di essi, “I fenomeni di suggestione nel sonno ipnotico e nella veglia”, del 1885, fu di
recente riedito). È noto d’altronde che nella stessa epoca dilagava in Europa, negli ambienti artistici, l ’assunzione di sostanze psicotrope come l ’oppio, al fine di raggiungere un particolare stato psichico attivatore di prodigiose capacità creative. Si apriva così una significativa vicenda che avrebbe assunto nella società occidentale dimensioni notevoli, dando luogo a una imponente fenomenologia economica e psico culturale in costante evoluzione come coagulo di orientamenti in vario modo “devianti”: un fenomeno del tutto diverso, comunque, dall’uso rituale di sostanze psicotrope tipico di gran parte delle società tradizionali e della nostra antichità classica (talché l’utilizzo di tali sostanze nella odierna società occidentale fu definito invece un “uso selvaggio”). Ma in merito non è qui il caso di procedere oltre. _Hai parlato di tecniche culturali per la produzione artificiale di stati “altri” di coscienza..._ Già, ve ne sono di differenti generi. Ho prima ricordato l ’assunzione diretta di sostanze psicotrope: l ’oppio, appunto, o la mescalina ricavata dal cactus messicano peyotl o da quello andino san pedro o la psilocibina ricavata dal fungo messicano san isidro o l ’ayahuasca amazzonica, le bevande alcooliche, e tante altre ancora con effetti diversi e di varia intensità, il cui consumo si intreccia spesso, sinergicamente, con tecniche più strettamente psico-culturali. Anche queste che definisco più strettamente psico-culturali sono di diverso tipo, ma si strutturano quasi sempre intorno a operazioni che si traducono nel concentrarsi dell’universo percettivo in un unico “oggetto”omogeneo e in un certo senso invariante. Abbandonarsi all’ascolto ossessivo di un’unica fonte sonora come una monotona nenia o l ’insistente rullio dei grandi tamburi nei rituali africani e afro-americani. Oppure osservare per lungo tempo e in modo esclusivo il lieve e uniforme tremolìo di una foglia. O l ’“attenzione fissa in un solo punto” nelle pratiche di concentrazione dello yoga. Quando l ’intero universo percettivo non presenta più alcuna interna varianza e alcun mutamento nel tempo esso finisce per scomparire e nello schermo di questa“coscienza distaccata” possono proiettarsi, evocate e guidate dalle attese rituali, le più diverse rappresentazioni culturali. Avevo anche fatto l ’esempio di una condizione sperimentale: un individuo collocato all’interno di una sfera monocroma, in cui l suo ‘intero campo visivo non presenti perciò la benché minima possibile variazione, non potrebbe prima o poi non entrare in uno stato allucinatorio, proiettando al di fuori l ’oggetto dei suoi pensieri perché il suo vero“di fuori” cesserebbe soggettivamente di esistere. Questo“distacco” dal mondo esterno come passaggio a una proiettiva evocazione del mondo interiore è peraltro raggiunto in taluni contesti anche tramite vere e proprie tecniche del corpo, come le immobili posture per la meditazione, le pratiche
respiratorie, o anche specifici movimenti coreutici o mimico-gestuali che strumentano spesso l ’ingresso nella trance sciamanica. Come vedi, si tratta di un ampio ventaglio di procedure, volta a volta presenti nelle diverse culture e finalizzate a produrre differenti stati non ordinari di coscienza, le quali molto spesso si intrecciano e si rafforzano vicendevolmente. Nel nostro orizzonte mentale la conoscenza che proviene dagli stati “altri”, fatta eccezione per il sogno recuperato dalla psicoanalisi, occupa uno spazio marginale. Non è stato così per le società antiche, né è così per altre culture che continuano a muoversi in un immaginario profondamente diverso dal nostro, mi pare. Proprio per rispondere più direttamente al tema del convegno avevo cercato nella mia relazione di esaminare il rapporto fra gli stati non ordinari di coscienza e alcune possibili tipologie di conoscenza. Si tratta, in fondo, di vedere come e in che misura in alcune culture si assegnino agli stati“altri”, o ad alcuni di essi, capacità di pervenire a conoscenze altrimenti irraggiungibili. Talché l ’accesso a tali stati assume, fra le altre, la funzione di un percorso conoscitivo: conoscenza di realtà parallele, conoscenza di realtà lontane, conoscenza di realtà passate o future. Un punto di vista pressoché abbandonato dall’ ’attuale cultura occidentale. Il fatto è che entrare in un altro stato di coscienza significa, in molti contesti sociali, varcare i limiti delle ordinarie modalità del conoscere, moltiplicarne le possibilità, penetrare entro inconsueti e talora infidi territori; sapere ciò che sta avvenendo in un altrove che non si può avvertire con i normali canali percettivi; aprirsi a contatti con forze numinose, con figure dell ’orizzonte mitico - cerimoniale; entrare dentro realtà collocate in un mondo “altro”, come quello dei morti; percepire dentro di sé la presenza di un’entità divina (esserne “il cavallo”, come ancora si usa dire in tutti i rituali giunti in America con gli schiavi strappati alle coste dell’Africa occidentale, nel candomblé brasiliano, nella santería cubana, nel vodu haitiano, ...). I vaticinatori parlavano spesso in uno stato di coscienza“altro”, ed erano posseduti dal dio i sacerdoti dei templi di Esculapio, quando emettevano diagnosi e prognosi per i malati che a essi si rivolgevano. Cadevano d ’altronde in uno stato onirico speciale (la incubatio) i fedeli che dopo il loro lungo e faticoso pellegrinaggio sostavano a riposare nei santuari cristiani e ricevevano, così, la risposta divina ai loro problemi. Gli sciamani devono raggiungere uno stato di trance per entrare in un mondo “altro” dove cercheranno di recuperare l ’anima strappata da uno stregone al loro paziente, per riportarla nel corpo del suo proprietario e, così, risanarlo. Anche i medium entrano in trance per comunicare con le persone defunte. I sogni forniscono in molte culture informazioni poi largamente utilizzate nella vita quotidiana: una pratica che ha lasciato qualche traccia in alcune aree sociali del nostro Sud (il marito che in sogno continua ad aiutare la famiglia rivelando alla vedova il terno vincente
nella successiva estrazione del lotto). È significativo, d ’altronde, che nell’ ’orizzonte cristiano l ’essere posseduto ha sempre una connotazione negativa, e i relativi vissuti sono attribuiti all’influenza di forze demoniache: così, mentre nelle culture tradizionali appaiono centrali, come abbiamo visto, le pratiche per produrre l ’ingresso negli stati di coscienza non ordinari come appunto la possessione (pratiche adorcistiche), nell’orizzonte cristiano invece sono centrali le pratiche per far cessare lo stato di possessione, “scacciando”così dal corpo dell’indemoniato la presenza delle forze negative (pratiche esorcistiche). Persino nei confronti di uno stato come l ’estasi religiosa, caratteristico di molte sante e di alcuni santi, la Chiesa mantiene un atteggiamento di sospetto critico. E in effetti, la preoccupazione cristiana a fronte della “perdita della presenza” di chi è posseduto o entra in uno stato di estasi ha in qualche modo elementi di analogia con le moderne valutazioni della cultura laico - scientifica. C’è comunque un quesito che in questo quadro di ragionamenti dobbiamo in ogni caso porci: se lo stato di possessione, o anche l ’estasi e altri stati non ordinari di coscienza, non abbiano in effetti almeno anche una funzione di rilassamento e riequilibrio emozionale, di protezione mentale o l ’abbiano, per lo meno, in alcuni contesti socioculturali. Penso, ad esempio, ad alcune valenze dello hathayoga nel complesso orizzonte religioso del subcontinente indiano. Certo, non è qui possibile affrontare convenientemente un tale problema. Ma una impressione forte mi viene in questo senso dalla sempre crescente partecipazione alle attività dei tanti centri di culto afro - brasiliani, i terreiros del candomblé, più di mille nella sola area urbana di Salvador da Bahia, che credo possano essere letti anche come una potente rete di centri di salute mentale al servizio di cittadini di ogni genere, età e ceto sociale. _Quando le persone sono possedute, staccano completamente il positivo legame con il mondo esterno o in una certa misura lo mantengono?_ La mia esperienza, nata soprattutto dallo studio dei rituali afro-americani, è che anche in piena ed evidente possessione, i fedeli (che sono quasi sempre “iniziati”) mantengono un qualche controllo percettivo del mondo esterno. Ricordo un paio di casi abbastanza banali, e tuttavia indicativi, cui ho potuto assistere nel corso di cerimonie di candomblé, appunto a Salvador da Bahia. Primo caso. Una sala abbastanza grande, il cui soffitto era sorretto da grosse colonne. La cerimonia era in pieno corso. I grandi tamburi avevano evocato gli dèi, che erano “discesi” nelle iniziate. Queste, oramai in pieno stato di possessione (e con i sintomi classici di questo stato), avevano ricevuto le maschere e ciascuna di esse, nella danza rituale ritmata dai grandi tamburi,“era” perciò l ’orixá che la possedeva. I fedeli stavano tutti in circolo attorno al gruppo delle possedute in frenetico movimento e alla figura immobile e severa del sacerdote (il babalorixá), che da una sorta di
trono presiedeva la cerimonia. Quello che voglio dire è che anche nei momenti in cui la danza aveva raggiunto la massima tensione, mai , dico mai, una posseduta ha urtato seppur leggermente le colonne disseminate nell’area in cui la cerimonia si svolgeva. Secondo caso. Un terreiro povero, nel quale il tetto del capannone in cui si teneva la cerimonia aveva grosse crepe. Nel pieno della danza rituale comincia un rovescio di pioggia e ben presto l ’acqua che filtra dal tetto produce nel pavimento ampie pozzanghere. Ma anche qui, seppure in un evidente stato di possessione, nessuna delle iniziate metta il piede nelle pozze d ’acqua, nessuna si bagna. Almeno nei casi di questo tipo ma anche il comportamento degli“indemoniati” pare confermarlo, sembra dunque che negli stati di possessione una qualche attenzione percettiva verso il mondo esterno rimanga comunque aperta e consenta altresì possibili aggiustamenti comportamentali. Anche negli stati di estasi vissuti dallo sciamano sembra peraltro rimanere in lui una certa percezione del gruppo che gli sta intorno: la comunità “vede” che lo sciamano entra nel mondo“altro” a recuperare l ’anima del suo paziente, ma anche lo sciamano, al medesimo tempo,“sente” verosimilmente che qualcuno sta intorno a lui, appunto, e in questo gioco “teatrale” di ruoli probabilmente ne ha effettivo bisogno. Per concludere... Forse è ancora opportuno sottolineare come sembra attestino certe evidenze, che alcuni stati particolari di coscienza favoriscano il prodursi di fenomeni di percezione extrasensoriale (e giungano probabilmente ad attivare anche possibili interferenze“a distanza”). Ricordo ad esempio che Emilio Servadio, esperto psicoanalista, mi raccontò più volte, eravamo ancora nella seconda metà degli anni ’50, come durante lo svolgersi delle sedute e nella temperie psichica che vi si produceva, fosse abbastanza frequente che nel paziente si verificassero, appunto, fenomeni di telepatia e in genere forme di percezione extrasensoriale. Ma bisogna dire che qui siamo in un campo nel quale occorrerà ancora molto, ma molto, lavorare. Per ora non mi resta che ringraziare te e i possibili lettori per la vostra pazienza.
SAGGEZZA TRIBALE: IL SENTIERO SCIAMANICO . di Michael Harner Foundation for Shamanic Studies. Nato il 27 aprile del 1929, Michael Harner è ampiamente considerato la massima autorità a livello mondiale nel campo dello sciamanismo ed ha avuto un’influenza enorme sia sul mondo accademico sia sul pubblico generale. Nell’ambito accademico, egli ha svolto delle approfondite ricerche sul campo nell’Alta Amazzonia, nella parte occidentale del Nord America, nell’ ’Artico canadese e tra i Sami (Lapponi).
Ha condotto degli studi pionieristici sugli indiani Jìvaro dell’Amazzonia (oggi conosciuti come Shuar) e ampie indagini sullo sciamanismo in tutto il mondo. Inoltre, ha avuto una parte importante nel rendere consapevoli gli studiosi del ruolo centrale delle sostanze psichedeliche nelle pratiche sciamaniche in molte culture tribali. La descrizione della sua esperienza di iniziazione con l ’ayahuasca nella giungla amazzonica, descritta nel suo libro “La via dello sciamano”, è diventata un esempio classico del potere di queste sostanze. Il libro fornisce uno splendido resoconto della loro importanza in alcune tradizioni sciamaniche, della loro capacità di trasmettere una nuova visione del mondo e determinare una trasformazione personale, come pure della loro capacità di rendere i ricercatori più sensibili e capaci di comprendere più profondamente le culture e le pratiche in cui quelle sostanze sono utilizzate. Dopo questa esperienza, Harner intraprese un lungo e approfondito addestramento sciamanico, prima con dei maestri Shuar e poi con degli sciamani in altre parti del mondo. La combinazione del suo training antropologico e competenza accademica, dei suoi studi sullo sciamanismo in differenti culture e del suo addestramento sciamanico personale ha prodotto un’ampiezza e profondità di competenza e influenza rare, e forse uniche. Nel 1987 Harner lasciò l ’università per dedicarsi a tempo pieno al lavoro in campo sciamanico e creò la Foundation for Shamanic Studies. La fondazione finanzia ricerche e pubblicazioni, offre dei corsi di addestramento nelle tecniche sciamaniche in tutto i mondo, ha membri a livello internazionale e in un intrigante capovolgimento culturale, ha reintrodotto le pratiche sciamaniche in parti del mondo dove quelle tradizioni erano andate perdute o erano state represse. Le sue numerose pubblicazioni includono i libri: The Way of the Shaman, Hallucinogens and Shamanism, The Jìvaro; egli è inoltre co-autore di un romanzo intitolato Cannibal. Ciò che Yogananda ha fatto per l’Induismo e D.T. Suzuki ha fatto per lo Zen, Michael Harner lo ha realizzato per lo sciamanismo, specificamente portando questa tradizione e la sua ricchezza alla consapevolezza del mondo occidentale. Roger Walsh e Charles S. Grob “Ero entrato all’Università di Berkeley, in California, nel 1950 pensando di diventare archeologo. Poi, nel corso delle mie ricerche archeologiche, scoprii che gli Indiani che vivevano in quelle zone erano come delle enciclopedie che nessuno apriva. Ciò mi rese più consapevole dell’incredibile quantità di conoscenze che si potevano ottenere semplicemente chiedendo agli anziani della tribù. Nel 1956-1957 svolsi le mie ricerche per il dottorato in antropologia
nell’Ecuador orientale tra gli indigeni Jìvaro, che oggi sono generalmente chiamati Shuar. Ritornai in Amazzonia nel 1960-1961 per studiare la cultura dei Conibo nel Perù orientale e tornai tra gli Shuar nel 1964 e nel 1973. Attorno al 1966 ho insegnato come visiting professor alla Columbia University di New York e all’’Università di Yale, e poi ho accettato una cattedra in antropologia alla Graduate Faculty della New School for Social Research di New York. Rimasi lì dal 1970 in poi, a volte insegnando anche a Berkeley. Durante i miei ultimi anni alla New School, mi sono assentato sempre più spesso dall’insegnamento accademico per concentrarmi sul lavoro e sull’insegnamento sciamanici. Poi, nel 1987, mi sono ritirato completamente dall’università per dedicarmi unicamente allo sciamanismo. -Come hai saputo inizialmente circa l ’uso delle piante psicoattive?Ero a conoscenza del peyote e avevo letto qualcosa sull’uso dell’ayahuasca, ma non capivo ancora la loro importanza. Quando poi vissi tra gli Jìvaro nel 1956-1957, mi trovai all’improvviso in una società di sciamani. Circa uno su quattro dei maschi adulti e un numero molto minore di donne erano sciamani. Nel corso delle mie ricerche sul campo, ho intervistato questi sciamani e tutti dissero che avrei dovuto intraprendere la ricerca della visione presso una cascata sacra e prendere la loro bevanda. Capii che ciò era importate e mi accingevo a farlo, quando sopraggiunse la stagione delle piogge e dalla cascata cominciarono a cader giù tronchi d’ albero. Così era troppo pericoloso, perché, se ci fossimo bagnati nella cascata, saremmo potuto essere colpiti e uccisi dai tronchi. Alcuni anni dopo feci questa esperienza con loro, ma solo dopo essere stato con i Conibo dell’Amazzonia peruviana nel 1960-1961. Ho preso l ’ayahuasca per la prima volta proprio allora, con i Conibo. La mia ricerca sul campo stava volgendo al termine e stavo cercando di ottenere informazioni sul loro sistema spirituale. I Conibo dissero che c’era solo un modo per conoscerlo: dovevo prendere la bevanda. Così la presi. In realtà non avevo molte aspettative. Mi avevano detto che si potevano vedere cose terrificanti. Dissero che la bevanda era conosciuta anche con il nome di “piccola morte”, perché poteva indurre un’esperienza simile alla morte e in qualche raro caso le persone erano effettivamente morte. Ma nei villaggi in cui vivevo, la grande maggioranza degli sciamani la utilizzava quasi ogni notte, quindi non era una cosa così eccezionale. Il mio libro, “La via dello sciamano”, include una descrizione dettagliata di quella mia prima esperienza. -Quando sei ritornato da quella esperienza, che cos’era differente per quanto riguarda il senso di te stesso e di che cosa stavi facendo là?Allinizio, non era tanto il senso di me stesso a essere diverso. Ero invece completamente stupito e affascinato dal fatto che tutta un’altra realtà si era aperta e manifestata con l ’ayahuasca. Questa realtà non poteva essere
semplicemente il frutto della mia fantasia, perché le esperienze che avevo avuto erano le stesse di quelle che avevano i Conibo quando prendevano la bevanda. C’erano corrispondenze fin nei minimi dettagli senza che ne avessimo mai parlato tra di noi prima. Uno sciamano poi disse che potevo diventare realmente un maestro sciamano; disse che avevo sperimentato e appreso così tanto in quella prima esperienza che era esattamente quello che avrei dovuto fare. Poiché era una rara opportunità, decisi di sfruttarla e fu allora che iniziai il mio addestramento sciamanico. Prendevamo l ’ayahuasca a ogni sessione, i Conibo non praticavano molto lo sciamanismo senza di essa. Nel passato tuttavia essi avevano i muraya sciamani che lavoravano solo con il tabacco ed erano molto rispettati. Ma all’epoca dei miei studi in Amazzonia, non si trovavano più dei muraya. Tuttavia, ho utilizzato l ’acqua di tabacco con gli Jìvaro, e anche questa era una bevanda degli sciamani. Si immergono le foglie verdi del tabacco nell’acqua fredda e poi si beve l ’acqua o la si inala attraverso il naso. -L’acqua di tabacco poteva indurre delle esperienze visionarie?Sì, ha la capacità di intensificare le percezioni, almeno con quel tipo particolare di tabacco non trattato. È molto potente. Si prende per nutrire i propri spiriti ausiliari, i quali amano il tabacco. Si utilizza anche per renderli più vigili perché, se uno stregone vuole danneggiarti, essi saranno pronti a reagire e a proteggerti. Diversamente dai Conibo, gli Jìvaro erano molto coinvolti in lotte e guerre. -Gli Jìvaro utilizzavano l ’ayahuasca per decidere se fare o no una razzia o iniziare una guerra? La utilizzavano, cioè, per prendere delle decisioni che riguardavano la collettività?Bene, per prima cosa dovremmo abituarci, ed io dovrei dare l ’esempio, a chiamarli Shuar, perché è così che vogliono essere chiamati. No, i Shuar non prendevano l ’ayahuasca per prendere delle decisioni collettive. So che ciò è stato riferito per la tribù affine degli Achuar, ma non è esattamente così. Gli Jìvaro veri e propri cioè, gli Shuar Untsuri (chiamati anche Shuar Muraya o Shuar delle Colline), il gruppo con cui ho lavorato io, erano profondamente convinti che di norma solo un persona alla volta dovesse prendere l ’ayahuasca, altrimenti il contatto con gli spiriti si sarebbe attenuato o alterato. A volte, tuttavia, due sciamani potevano prenderla assieme, per esempio per fare del lavoro di guarigione. -Gli Achuar sono una tribù differente?Sì, sono una tribù strettamente imparentata con gli Jìvaro, con un dialetto mutuamente intelligibile, ma alcuni aspetti importanti della loro cultura sono differenti. Per esempio, diversamente dai Shuar, essi non tagliavano le teste dei nemici uccisi e non le rimpicciolivano per farne dei trofei. In ogni caso, per ritornare alla domanda precedente, il natemä, che è il nome shuar per l ’ayahuasca, poteva essere preso da uno sciamano a scopo divinatorio prima di una incursione. Comunque, si prendeva soprattutto
per scoprire se il momento era propizio per fare l ’incursione e se gli auspici erano favorevoli oppure no. La bevanda era presa anche per scoprire se qualcuno, attraverso la stregoneria, era responsabile di una malattia o di una morte. In questo ultimo caso, se la divinazione confermava tale sospetto, si poteva arrivare a un’incursione per assassinarlo. -Che cosa ci puoi dire riguardo alla stregoneria? Sembra che presso alcune tribù la stregoneria sia associata con l ’uso dell’ayahuasca.Sì, è vero. Attraverso decenni di lavoro in campo sciamanico sono giunto a delle conclusioni che mi hanno aiutato a capire la cultura dei Shuar, incluso il loro interesse per la stregoneria o magia nera. Normalmente la “stregoneria” implica delle azioni ostili o amorali ed è quindi in netto contrasto con la guarigione. Per prima cosa, però, permettimi di spiegare brevemente ciò che gli sciamani di tutto il mondo hanno scoperto riguardo alla cosmologia della realtà non ordinaria. Secondo tutte le tradizioni sciamaniche, ci sono tre mondi: il Mondo di Sopra, il Mondo di Mezzo e il Mondo di Sotto. Il Mondo di Sopra e il Mondo di Sotto, che si trovano sopra e sotto di noi, sono completamente nella realtà non ordinaria e oltre il dolore e la sofferenza. All’opposto, il Mondo di Mezzo, quello in cui viviamo, ha sia degli aspetti ordinari o materiali, che degli aspetti non ordinari o spirituali. È anche il Mondo in cui si incontrano il dolore e la sofferenza e questi esistono in entrambe le dimensioni, ordinaria e non ordinaria, del Mondo di Mezzo. Gli stregoni si specializzano nel fare il loro lavoro nel Mondo di Mezzo. I Shuar sono molto coinvolti con gli spiriti del Mondo di Mezzo. Ci sono spiriti del Mondo di Mezzo di tutti i tipi, esattamente come ci sono esseri umani e specie di tutti i tipi nella realtà ordinaria del Mondo di Mezzo. Gli spiriti del Mondo di Mezzo non hanno superato e trasceso le forme della coscienza proprie a questo mondo. Così gli sciamani Shuar hanno a loro disposizione degli spiriti che presentano una varietà di personalità e di comportamenti, e che non si sono elevati al di sopra della vita ordinaria e delle preoccupazioni quotidiane. Possono essere gli spiriti di qualsiasi essere vivente: animali, insetti e umani. Lavorare con gli spiriti del Mondo di Mezzo è allo stesso tempo difficile e pericoloso, e questo è il mondo in cui sono coinvolti gli sciamani Shuar. Essi non lavorano nel Mondo di Sopra, diversamente da tanti altri popoli sciamanici. Inoltre, non scendono molto profondamente nel Mondo di Sotto cioè, vanno solo nei laghi e nei fiumi. Una cultura che è troppo legata agli spiriti del Mondo di Mezzo è una cultura che avrà la stregoneria. La magia nera (sorcery) è tipicamente un’azione ostile. Nella mia etnografia degli Jìvaro l ’ho chiamata stregoneria (bewitching). Ci sono dei nomi nella cultura dei Shuar per definire chi la pratica e uno è wawek. Un wawek è uno sciamano che è diventato malvagio. Sono considerati sciamani malvagi perfino se sono
membri della propria famiglia e se stanno indirizzando i loro sforzi per affrontare i nemici comuni, che essi hanno in gran numero. Posso contrapporre ciò alla cultura dei Conibo. Anch’essi hanno lo sciamanismo, ma non hanno questo tipo di comportamento aggressivo. Le loro pratiche inoltre includono molti viaggi sciamanici nel Mondo di Sopra e di Sotto. Prendo molto seriamente il fatto della realtà degli spiriti. In effetti, la loro realtà fornisce una spiegazione semplice, “parsimoniosa” nel linguaggio delle scienze, per dei fenomeni altrimenti inesplicabili. Sfortunatamente questa spiegazione fu rifiutata dalla scienza occidentale durante la cosiddetta Età dell ’Illuminismo. Credo che alla fine lo sciamanismo porterà a riconsiderare la credenza che gli spiriti non esistono, una credenza che considero il tallone di Achille e l ’anello mancante della scienza. Così io lavoro molto, e con molto successo, con gli spiriti. -Come definisci uno spirito?Uno spirito può essere considerato un’essenza animata che ha intelligenza e gradi diversi di potere. Può essere visto più facilmente nell’oscurità completa e meno frequentemente in una luce forte, e in uno stato alterato di coscienza piuttosto che in uno stato ordinario. In effetti ci sono dei dubbi se si possa affatto vedere in uno stato ordinario di coscienza. -Hai preso l’ayahuasca sia con i Conibo sia con i Shuar. Sembrano dei contesti socioculturali abbastanza differenti: tipi diversi di strutture mentali e forse ambienti fisici diversi. Furono anche le tue esperienze soggettive differenti?Sì, lo sono state. Ho percepito la presenza degli spiriti del luogo e le attività che erano svolte nell’area. Ciò che incontravo non era solo la conoscenza cosmica, ma anche la conoscenza di specifici spiriti del luogo, spiriti riconosciuti dalla gente locale, come pure questioni specifiche che riguardavano i malati. Così gli spiriti del luogo entrano direttamente in quelle esperienze. -Potresti dire di più a proposito della “conoscenza cosmica”?Le mie concezioni del cosmo non derivano esclusivamente dalle mie esperienze con l ’ayahuasca, anche se furono queste a introdurmi a una nuova e più ampia visione della realtà. Le esperienze che ho fatto successivamente con gli stati alterati di coscienza e con gli stati sciamanici di coscienza, indipendenti dall’ayahuasca, hanno pure avuto effetti importanti. Dopo aver fatto la mia prima esperienza con l ’ayahuasca con i Conibo nel 1961, ho cominciato a studiare e analizzare la letteratura antropologica con grande entusiasmo e con grandi aspettative. Come R. Gordon Wasson e altri a quel tempo, ero convinto che tutte le religioni avessero avuto origine dalle esperienze indotte dalle piante allucinogene.
-Siamo passati tutti per questa fase. Alcuni di noi sono ancora in questa fase.Sì. Ma quando sperimenti dei metodi e delle vie di accesso diverse dalle piante, allora scopri che si tratta di una cosa ben più grande delle piante: scopri che esiste tutta un’altra realtà e che ci sono differenti entrate per accedervi. Questa è la cosa veramente entusiasmante, perché non puoi più dare una spiegazione riduttiva dicendo che “è solo un effetto delle piante”. Questo è quello che mi entusiasma. Vedo degli schemi generali, degli schemi cosmologici, indipendentemente dal fatto che si utilizzi l ’ayahuasca o uno stimolo sonoro come il tamburo. Così prendo molto seriamente l ’idea che esista un’altra realtà. Prendo molto seriamente l’idea che la morte non è morte e che la vita non è vita. [Ride]. Ma sono concetti utili. -Diresti che il tuo modo di pensare circa il mondo si modificò e si sviluppò dopo le tue ricerche sul campo tra i Conibo e gli Jìvaro?Sì. Nel 1972 pubblicai la mia etnografia, The Jìvaro, e poi il mio libro, Hallucinogens and Shamanism, basato su di un simposio organizzato da me e da Claudio Naranjo al convegno del 1965 dell ’American Anthropological Association. I primi anni Sessanta furono un periodo critico per il nostro entusiasmo circa questo campo di indagine chiedendoci dove stavamo andando e che cosa stavamo scoprendo. Per quanto riguarda l ’evoluzione delle mie idee, all’inizio pensavo che si trattasse solo delle piante. In quegli anni mi interessai perfino a questa cosa di Haiti e pensai che ci fosse un’infusione di erbe usata per creare gli zombi. Come antropologo ero interessato al ruolo di queste piante nella vita umana e nella conoscenza tradizionale. Nonostante avessi provato alcune delle nuove sostanze chimiche che stavano diventando disponibili a quel tempo, in genere non era quello che mi interessava. Ero, e ancora sono, un antropologo. Voglio capire come le cose sono giunte a essere quelle che sono e che cosa i popoli nativi conoscono realmente. Non ho mai considerato i popoli nativi come dei laboratori per i nostri esperimenti nelle teorie sociali e psicologiche. Io li considero dei maestri. Il problema è che la maggior parte degli occidentali non è pronta per i loro insegnamenti. Non ho nulla contro le misture di Shasha Shulgin e così via, semplicemente non mi interessano. Ho un interesse molto maggiore per le cose sperimentate e convalidate nel tempo e per le loro conseguenze storiche per l ’umanità. Alla fine, sono giunto a molti punti morti. Per esempio, ero sicuro che il pituri, Duboisia hopwoodii, usato dagli Aborigeni australiani, abbia mostrato di avere effetti simili alla Datura, ma non trovai elementi per dimostrarlo. Il caso degli sciamani Inuit sembrava un altro punto morto perché nulla dimostrava che utilizzassero le piante psicotrope, eppure avevano delle esperienze spirituali molto forti. Per molto tempo l ’evidenza era di fronte ai miei occhi, ma non potevo vederla: il fatto che forse nel 90% delle culture sciamaniche si utilizzasse il suono monotono delle
percussione per entrare in uno stato alterato di coscienza, piuttosto che le sostanze psichedeliche. Infine, decisi di provare con il tamburo. Avevo l ’idea preconcetta che esso non sarebbe stato in grado di fare nulla, ma ecco, dopo vari esperimenti, funzionò. Successivamente trascorsi del tempo con gli Indiani della Costa di Nord Ovest, i quali utilizzavano in modo molto efficace il tamburo per entrare nello stato sciamanico di coscienza. Ora ho una grande considerazione per il suono monotono delle percussioni particolarmente alla frequenza di quarantasette hertz (cicli per secondo), corrispondente alla gamma di frequenza delle onde theta del EEG per la sua capacità di produrre esperienze simili e permettere alle persone addestrate di raggiungere gli stessi stati alterati di coscienza. Naturalmente c’è sempre una differenza tra l ’uso di una droga specifica e qualche altra tecnica. Ma quelle differenze non rappresentano dei cambiamenti nella cosmologia di base o dei cambiamenti nelle conclusioni fondamentali che uno raggiunge. Così la mia pratica sciamanica si basa sulla stimolazione sonora fornita dal suono monotono del tamburo e di altri strumenti a percussione. Ciò ha reso facile per me insegnare lo sciamanismo nel corso degli anni, perché si tratta di un metodo legale, sicuro, efficace e antico. Insegna alle persone che c’è più di una porta per accedere alla realtà non ordinaria, come del resto hanno sempre saputo gli sciamani di varie parti del mondo. Naturalmente anche la meditazione silenziosa può portarci in luoghi simili. Non si deve utilizzare per forza il suono monotono del tamburo, però quest’ultimo rende tutto più facile. -Diresti che questo tipo di suono permette di accedere a realtà simili a quelle prodotte dalle piante e dalle droghe allucinogene?Sì, ne sono convinto. Però questo sentiero è generalmente più sottile e richiede più tempo. D’altra parte, la possibilità di accedere a quella realtà è sempre aperta e ciò rende possibile il lavoro di guarigione sciamanica. -In un articolo che hai scritto sull’uso delle piante del genere Datura nella stregoneria europea, hai suggerito che i loro effetti sono abbastanza diversi da quelli prodotti, per esempio, dall’ayahuasca e dalle triptamine, o dal peyote e dalle fenetilamine.È virtualmente impossibile funzionare prendendo delle forti dosi di questi alcaloidi del tropane. Tra i Shuar avevo utilizzato le piante solanacee del tipo Brugmansia-Datura. Negli Stati Uniti, nei primi anni Sessanta, avevo perfino provato l ’unguento che le“streghe” europee utilizzavano per “volare”. Le mie conclusioni e le ipotesi che ho presentato in quel ’articolo, erano che non era possibile praticare lo sciamanismo utilizzando queste droghe potentissime, che generalmente rendono la persona incosciente anche per trentasei ore. Secondo la mia opinione, lo sciamanismo europeo fu costretto ad abbandonare il tamburo perché il suo rumore esponeva le
persone alla persecuzione della Chiesa. Un’eccezione fu quella del lontano Nord, l ’Artico, dove i Sami, o Lapponi, continuarono a usarlo fino all’arrivo dei missionari. Nelle aree più meridionali dell’Europa dove il tamburo fu abbandonato, si passò specialmente a delle misture contenenti delle solanacee della famiglia della Belladonna. Ma se prese in dosi sufficienti, queste ti rendono incapace di agire e non potresti fare alcun lavoro di guarigione o divinazione, in quanto avresti pochissimo controllo sulle tue esperienze nella realtà non ordinaria. In questo senso, non sarebbe realmente utile per lo sciamanismo. Per questo motivo, io credo, distinguevano il sabba dall’esba, come ho indicato nel mio libro, Hallucinogens and Shamanism. Probabilmente il sabba era il viaggio delle “streghe” nella realtà non ordinaria sotto l ’effetto delle piante allucinogene, mentre l ’esba era la riunione formale di questi sciamani nella realtà ordinaria. È solo una teoria, ma spiegherebbe questa dicotomia peculiare della stregoneria europea, che era realmente una forma di sciamanismo. Questa dicotomia non era presente tra i Sami dell’Europa più settentrionale all’inizio del ventesimo secolo, perché essi stavano ancora usando il tamburo. -Stai dicendo che anche gli abitanti dell ’Europa centrale utilizzavano il tamburo, ma furono costretti ad abbandonarlo?Non ho dati certi per provare questa teoria, ma non posso pensare che non avessero il tamburo. Il tamburo era ancora usato nello sciamanismo fino all’inizio del ventesimo secolo nella parte più settentrionale della Scandinavia, l ’area dove la persecuzione religiosa in Europa avvenne più tardi. Teresa di Avilar poteva usare il tamburo nel suo lavoro spirituale in Spagna, ma era una suora“al servizio di Cristo”. Ci sono anche dei documenti di arte mediterranea che mostrano il tamburo. Sì. Secondo me, non potevano usare il tamburo se non volevano essere scoperti dall’Inquisizione, perciò dovevano usare dei metodi silenziosi. Gli unguenti di erbe erano segreti e si potevano scoprire meno facilmente. Ho trovato la stessa cosa nei villaggi degli Inuit. Non suonano il tamburo entro il raggio di ascolto di altre persone, perché sarebbero identificati e denunciati alle autorità cristiane. Così l’uso del tamburo è realmente passibile di punizione in una situazione di persecuzione. -Hai trovato qualche testimonianza circa l ’uso di piante alternative in Europa? Come piante contenenti la triptamina o funghi contenenti la psilocybe?Ho fatto delle ricerche su questo argomento, naturalmente. Non sono a conoscenza di testimonianze certe, ma si presume che gli antichi guerrieri scandinavi utilizzassero l ’Amanita muscaria per entrare in uno stato di violenta esaltazione. Ci sono delle testimonianze indirette, suggerite da R. Gordon Wasson, che sembrano avvalorare ciò. -Hai provato i funghi Amanita?-
No, non ho fatto questa esperienza. Tra i Samoiedi, uno dei gruppi siberiani più occidentali, non molto lontani dai Sami della Scandinavia, talvolta sia gli sciamani sia i non sciamani mangiavano o bruciavano i funghi dissecati dell’Amanita per modificare la coscienza e fare del lavoro spirituale. Non ho ancora pubblicato questo materiale, ma per quanto ne so, questa è la testimonianza più importante circa l ’uso dei funghi psicotropi tra i gruppi nativi più occidentali dell’Eurasia. Secondo me, è probabile che nei tempi antichi questa conoscenza fosse nota un po’ più a sud e a ovest nella Scandinavia. Probabilmente i guerrieri scandinavi erano posseduti dal potere del fungo, come possono esserne possedute ancora oggi le persone siberiane non sciamane che desiderano ottenere una forza fisica e una resistenza straordinarie. -Alla fine ti sei “diplomato” come sciamano, per usare un termine occidentale? Ti hanno detto i tuoi maestri che eri pronto per iniziare una pratica sciamanica?Non ti diplomi mai come sciamano. Può andare avanti all’infinito. I maestri non ti dicono quasi mai che sei pronto. Proprio come la psicoanalisi. I maestri ordinari non sanno mai se sei pronto. Ci sono due tipi di maestri. Uno è un maestro ordinario, credo quello a cui ti riferivi qualcuno come me o come i maestri sciamani con i cui ho lavorato presso i popoli indigeni. Poi ci sono i maestri spirituali, i quali sono i veri maestri. I maestri spirituali possono dirti, ed effettivamente ti dicono, che cosa puoi fare, mentre invece i maestri umani ordinari sono semplicemente dei facilitatori. Le autorità fondamentali sono gli spiriti con cui lavori, ed essi ti dicono che cosa puoi e che cosa non puoi fare. Anche per questo motivo ritengo che generalmente sia un errore qualificarsi come uno sciamano, perché il potere può essere tolto in ogni momento. Chiunque affermi di essere uno sciamano comincia a focalizzarsi sul proprio ego. Egli o lei, comunque, non è quasi nulla, perché uno è uno sciamano solamente quando gli spiriti vogliono che quella persona lo sia. -Hai ricevuto delle visioni o intuizioni dagli spiriti delle piante, con cui hai lavorato, circa la cultura da cui provieni? La nostra è una cultura così dominatrice. Gli spiriti hanno qualcosa da dire in proposito?La nostra cultura è considerata una cultura deformata e lontana dal contatto con queste verità. Credo che gli spiriti compassionevoli abbiano la missione di cercare di comunicarci la loro esistenza, così da poter continuare il loro lavoro per ridurre la sofferenza e il dolore nella nostra realtà. Ma non sono onnipotenti. Non possono farlo senza l ’aiuto di intermediari e gli sciamani sono, in modo particolare, dei potenti intermediari. Così, proprio perché gli spiriti hanno bisogno di aiuto in questo, ti insegneranno delle cose sorprendenti per incoraggiarti ad aiutarli. Ma loro sono in una realtà e noi siamo in un’altra. L’unico modo in cui possono penetrare in questa realtà, tranne che in circostanze molto
rare, è con l ’aiuto dal nostro lato. Noi abbiamo il nostro potere; essi hanno il loro potere. Quando stringiamo un’alleanza con loro, allora possono avvenire le guarigioni miracolose e i miracoli della conoscenza. Così la spinta principale che mi motivava a utilizzare le piante in Amazzonia continua nel mio lavoro presente basato sulla stimolazione sonora ed era il fatto che gli spiriti cercavano di rendermi più consapevole della loro esistenza e di coinvolgermi, così da poter insegnare e coinvolgere altri. Ma non mi hanno mai detto esplicitamente perché era così. Implicitamente, tuttavia, era per ridurre l ’ignoranza spirituale e la sofferenza nella realtà ordinaria. -Puoi incontrare gli stessi spiriti, sia sia tu acceda a quella realtà tramite le piante che attraverso il tambureggiamento?Puoi incontrare alcuni degli stessi spiriti, ma non tutti, perché gli spiriti di piante specifiche possono rivelarsi e collegarsi con te in gradi diversi. Molto dipende da quanto gli spiriti ti ritengano pronto per ricevere certi insegnamenti e da che cosa considerino necessario per te in un momento particolare. Lavoro ancora con alcuni degli spiriti alleati che avevo in Amazzonia, ma ora ce ne sono altri. Alcuni sono meno importanti di quanto lo fossero in passato, altri sono più forti ora. -Oltre agli spiriti compassionevoli, ci sono anche spiriti malevoli?Sì. Qui, nel Mondo di Mezzo, gli spiriti presentano l ’intera gamma di personalità che incontriamo nella realtà ordinaria. Che cosa sia “malevole” è una domanda interessante. Altre specie possono considerare gli uomini come malevoli, come quando le uccidiamo o le rendiamo schiave. Ma noi non ci consideriamo cattivi e non vediamo la specie umana come malvagia. Perciò molti dei cosiddetti“spiriti maligni” spesso stanno semplicemente cercando di vivere la loro vita ed esistere a modo loro, proprio come facciamo noi. Più spesso, invece, non sanno nemmeno di essere morti. Stanno semplicemente facendo le stesse vecchie cose, ma le stanno facendo nella dimensione non ordinaria del Mondo di Mezzo. Ciò può includere semplici cose come spiriti di insetti che si introducono nelle persone. -A quali conclusioni sei giunto riguardo ai diversi tipi di spiriti? Hai menzionato il Mondo di Mezzo, contrapponendolo al Mondo di Sopra e di Sotto. Ci sono spiriti degli animali, spiriti delle piante, spiriti degli antenati e altri esseri umani che sono deceduti. Ce ne sono altri che non sono né umani né animali? Ci sono spiriti extraterrestri?Comincerò con gli antenati, perché sono molto importanti. Gli spiriti compassionevoli di qualsiasi specie stiamo parlando, si trovano specialmente nel Mondo di Sopra e di Sotto, e questi spiriti provano compassione per gli esseri che soffrono in generale. Gli antenati invece tendono a focalizzarsi sulla compassione per i loro discendenti.
Per questo motivo molti sciamani si rivolgono a questi spiriti per ottenere aiuto. -Non diresti che gli extraterrestri sono spiriti del Mondo di Sopra?No. Dal nostro punto di vista, tutte le galassie dell’universo astronomico sono parte del Mondo di Mezzo. Gli extraterrestri, per quanti sforzi abbiamo fatto per cercarli, sembrano essere come una ricerca priva di reali motivazioni. Se ci sono degli extraterrestri, e presumo che ci siano, va benissimo. Sono semplicemente della gente che vive la propria vita da qualche parte su un’altra roccia. [Ride]. Il Mondo di Sopra si estende oltre il mondo materiale. Considera gli sciamani di Tuva nell’Asia centrale. Quando viaggiano oltre le stelle, essi vanno nei nove cieli e poi c’è il cielo bianco al di sopra. Il Mondo di Sopra si trova oltre la realtà ordinaria, oltre l ’universo degli astronomi. E per ogni sciamano il centro dell’universo è esattamente là dove egli si trova nella realtà ordinaria. Tu sei il centro dell ’universo. -Si possono incontrare altri tipi di spiriti che non sono né animali, né piante, né esseri umani? O spiriti di un luogo particolare?Sì. Puoi incontrare gli spiriti degli elementi, per esempio. Sono molto potenti, ma non hanno compassione. Si possono trovare anche gli spiriti dei luoghi, ma generalmente è una costellazioni di spiriti di quel luogo, inclusi gli spiriti degli antenati locali. -Stai dicendo che i tre mondi si trovano dentro di noi? Che sono degli schemi interiori?No, non sto dicendo questo. Lo sciamano è una persona pragmatica ed empirica. I mondi si trovano là dove lo sciamano li vede. L’idea che tutto questo succeda dentro di noi è, invece, una teoria. -Come confronteresti la cosmologia sciamanica con quella della Filosofia Perenne?Ciò che gli sciamani hanno scoperto concorda con gran parte della Filosofia Perenne. Purtroppo ritengo che, tra alcuni studiosi e scrittori, ci sia la tendenza a considerare lo sciamanismo come primitivo. Ma ipotizzare che esista una gerarchia evolutiva secondo la quale le società basate sulle caste del subcontinente Indiano ospitano le forme più elevate ed evolute di spiritualità, è un’idea alquanto ingenua. Una volta che gli spiriti hanno messo le mani su di te, non importa più quale fosse la tua intenzione originaria che tu volessi seguire il sentiero buddista, il cristianesimo o altro. Quando dai agli spiriti l ’opportunità di trasmetterti degli insegnamenti, essi ti daranno quello di cui hai bisogno, non quello che avevi programmato secondo i valori della tua cultura. -Ritieni che gli spiriti siano sempre attorno a ciascuno di noi?Sì, gli spiriti del Mondo di Mezzo lo sono, ma generalmente non quelli del Mondo di Sopra e di Sotto. E questo è parte del problema. Nel mondo ci sono molte malattie che hanno una causa spirituale, perché le persone non
sono consapevoli di ciò che le circonda. Prendi la ”possessione” per esempio. Secondo la mia opinione, è giusto fare della psicoterapia e somministrare dei farmaci alle persone considerate psicotiche o schizofreniche. Va benissimo. Ma il trattamento di tipo occidentale generalmente ignora la possibilità che nella malattia siano coinvolte delle forze spirituali. Nel mondo contemporaneo abbiamo rifiutato il modello della malattia causata dalla possessione e l ’abbiamo sostituito con qualcosa che è più accettabile alla scienza dell ’Età dell ’Illuminismo. Siamo impantanati nella scienza del diciottesimo secolo. -Hai visto dei casi di psicosi curati dagli sciamani?Credo di sì. Tuttavia è molto difficile isolare i diversi fattori terapeutici nei singoli casi, ed io non sono qualificato per valutare clinicamente che cosa costituisca un caso di comportamento psicotico. La nostra Fondazione per gli Studi Sciamanici è una specie di università dello sciamanismo. Noi addestriamo delle persone che sono già psicoterapeuti, medici e psichiatri, ed essi possono cercare di integrare nella loro pratica ciò che hanno imparato e fare degli esperimenti con dei casi di psicosi accertati clinicamente. Sicuramente ho visto delle persone che manifestavano dei comportamenti estremi, inclusi degli alcolisti e dei drogati, i quali cambiarono radicalmente dopo il lavoro di de-possessione. La chiesa Spiritista del Brasile, che ha almeno tredici milioni di membri, incorpora degli elementi africani, indigeni sudamericani ed anche europei nel suo lavoro di de-possessione. Alcuni anni fa, il presidente della chiesa Spiritista mi raccontò che il governo brasiliano acconsentì ad affidare loro un istituto mentale per un anno come un esperimento. Secondo quanto mi disse, alla fine dell’anno non c’erano più pazienti nell’istituto. Ora, questo resoconto è probabilmente esagerato. Però ci ricorda che uno dei nostri scopi è riportare il lavoro di de-possessione nel modo di vita occidentale come una pratica valida, che può essere utilizzata congiuntamente ad altre pratiche terapeutiche. Perché funzioni, tuttavia, non puoi utilizzarla con persone che stanno prendendo psicofarmaci. Esse devono essere presenti consapevolmente perché questo lavoro abbia successo. Nel frattempo, una delle tragedie della nostra cultura è che le istituzioni mediche rifiutano la possibilità che, nei casi di malattia mentale, possano operare anche dei fattori spirituali. -Il lavoro è fatto realmente dagli spiriti?Non soltanto. Lo sciamano deve lavorare con gli spiriti. Bisogna che entrambe le forze siano operanti. La de-possessione è uno degli approcci terapeutici più entusiasmanti di cui sono a conoscenza. Noi lo insegniamo solo ai nostri studenti più avanzati, dopo che hanno fatto almeno tre anni di lavoro, e generalmente molti di più. Allora ricevono un addestramento nel lavoro di de-possessione. Una cosa interessante riguardo la malattia dovuta alla possessione è che essa è relativamente sconosciuta nelle culture
native del Nuovo Mondo. Ce n’è un po’ sulla Costa di Nord Ovest e ci sono degli indizi tra gli Inuit. Sembra che sia una malattia associata molto di più con il Vecchio Mondo. C’è un mistero qui perché sia un problema del Vecchio Mondo poi importato nel Nuovo Mondo. -Forse ha a che fare con l ’influenza della Chiesa, che ha negato l’esistenza degli spiriti riconosciuti nelle tradizioni europee?Se si nega l ’esistenza degli spiriti, si è più vulnerabili alla possessione inconsapevole. Se invece si lavora direttamente con gli spiriti, è più facile proteggersi. Generalmente uno diventa vittima di una possessione e si ammala quando c’è stata una perdita significativa dell’anima a causa di un trauma, come pure una perdita del proprio potere spirituale. Se non ci sono degli sciamani nelle vicinanze, si può fare ben poco, ma se ci sono, essi possono porre rimedio alla perdita dell’anima. Perciò, penso che tu abbia ragione. Quando le persone sono vuote spiritualmente, allora c’è posto per la possessione involontaria. -A livello personale, in che modo il lavoro con le piante e con il tambureggiamento sciamanico ha cambiato la tua visione della vita, della morte e della spiritualità?Radicalmente. Non considero più la realtà ordinaria come l ’unica realtà. C’è tutta un’altra realtà ed è quella più grande. Questa realtà è solo un’esperienza transitoria: sei qui per un certo numero di anni, ma l ’altra realtà è infinita. Se si ritorni indietro o no, è un’altra questione. Personalmente non sono interessato a reincarnarmi perché, una volta che sei stato“là fuori”, è un’estasi e un’unione ineffabile. Penso che il mondo materiale sia fondamentalmente soltanto una sosta momentanea. Ma dovremmo fare il massimo per aiutare qui perché, diversamente dal Mondo di Sopra e di Sotto, questa è la realtà della sofferenza e del dolore. -Questa è una realtà darwiniana.Di fatto, credo che la nostra definizione della vita sia una visione molto biocentrica. Noi siamo entità biologiche, così definiamo la vita nei nostri termini. Ma per me l ’intero universo è vivo, e non deve essere solo in forma biologica. Per la loro stessa natura, le forme biologiche sono sottoposte al processo di selezione naturale ed evolvono. La selezione naturale implica la competizione e per sopravvivere la competizione richiede che si abbia paura. Naturalmente, sei anche ricompensato con il piacere dell’atto sessuale allo scopo di creare la generazione successiva. Stiamo parlando del DNA che vuole persistere. Così il Mondo di Mezzo in cui viviamo è un mondo dove si deve sperimentare la paura per sopravvivere. Quando qualcuno fa un viaggio sciamanico grandioso, egli è spesso riluttante a ritornare da quel ’esperienza estatica, molto lontana dalla paura e dal dolore del Mondo di Mezzo. Così noi abbiamo delle tecniche ben definite per assicurarci che uno ritorni. È risaputo che certi sciamani possono andarsene per sempre quando vogliono, ma il trucco è
ritornare qui e fare il lavoro di guarigione. Non ci è data la conoscenza estatica solo per rimanere ad aspettare la nostra morte. Ci è data questa conoscenza, e il potere spirituale che l ’accompagna, per poter aiutare a ridurre la sofferenza, il dolore e l’ignoranza spirituale qui nel Mondo di Mezzo. La morte non è poi niente di che. Vorrei vivere il più a lungo possibile per vedere l ’esito di questa vita e per rimanere con la mia amata sposa, Sandra. Ma certamente non temo la morte come la temevo nel passato. Sono ancora molto un essere umano imperfetto e non ho mai avuto l ’intenzione o la capacità di essere perfetto. Non è uno scopo dello sciamanismo di insegnare alle persone a condurre delle vite modello ed essere dei guru. Gli sciamani hanno il dovere di ridurre la sofferenza e il dolore attraverso il duro lavoro di guarire gli altri. Questo è il loro compito. Inoltre essi aiutano i morenti e i morti, perché gli sciamani guariscono anche le anime dei morti che sono rimaste bloccate nel Mondo di Mezzo, se esse vogliono aiuto. Lo sciamanismo può gratificarci molto a livello emotivo, sia per quanto riguarda l’acquisizione della conoscenza sciamanica che la possibilità di aiutare gli altri. I miei studenti dicono spesso quale privilegio sia fare questo lavoro. E che cos’è questo lavoro? È quello di aiutare gli altri, ma i praticanti sciamanici finiscono per sentirsi meglio verso se stessi! Ciò che appare come un sacrificio al mondo esterno è in realtà il punto più elevato della vita della persona. Ha l ’effetto di cambiare la tua prospettiva. E naturalmente uno impara a prendere meno seriamente le cose che dovrebbero essere prese meno seriamente. Allo stesso tempo, lo sciamano è immerso nella vita quotidiana, ha una moglie o un marito e dei figli, è un cacciatore, un coltivatore, un banchiere, un esperto di informatica o altro. Una parte della routine quotidiana si svolge nella realtà ordinaria e va bene così. È molto meglio essere radicati in questa realtà, così si può avere una specie di piccola vacanza. Poi quando si è chiamati a fare del serio lavoro spirituale, ci si ricarica e si ritorna alla vita quotidiana in piene forze. L’idea nello sciamanismo non è di cercare di essere un modello esemplare per tutti in ogni momento, né di essere costantemente in uno stato mistico. Tutto ciò va bene, ma si tratta di una tradizione diversa. Così, spesso si possono incontrare degli sciamani che si divertono a scherzare e comportarsi in un modo un po’ pesante quando non stanno lavorando, allo stesso modo in cui potresti trovare dei medici e infermieri del pronto soccorso che mostrano un “inappropriato” senso dell’humour su certe cose. I non sciamani spesso non possono capire questi comportamenti. Ma poi quando si ritorna al lavoro, boom! Sei di nuovo in trincea. -Gli stati alterati di coscienza trasmettono implicitamente qualcosa riguardo all’etica? Insegnano alle persone a condurre una vita più etica?Sperimentare uno stato alterato nel Mondo di Mezzo non lo farebbe necessariamente. Tuttavia, fuori dal Mondo di Mezzo, lo stato sciamanico
di coscienza ti mette in contatto con gli insegnamenti degli spiriti compassionevoli. Essi si preoccupano di ridurre il dolore e la sofferenza e certamente rendono più difficile per te agire in modo non etico. Non che tu non possa comportarti in maniera non etica, ma sarà molto più difficile farlo. In modo simile, le persone che vengono a studiare con noi all’inizio potrebbero non avere alcun interesse per l ’ecologia. Ma dopo pochi viaggi cominciano ad avere una visione diversa, e inaspettata, circa l ’interconnessione di tutte le specie e circa il pianeta che è la loro casa. Una volta che cominci a renderti conto che noi non siamo superiori al resto del cosmo, ma che siamo semplicemente parte di esso, ciò crea un orientamento più compassionevole ed etico. Se sai che la realtà materiale non è l ’unica esistente, puoi abbandonare il tuo interesse a ottenere tutto ciò che puoi in questa realtà prima di morire. Qualcuno ha scritto un libro intitolato “Morire ricchi”. Che concetto sorprendente, no? Penso che l ’autore abbia fatto un sacco di soldi scrivendolo, ma non so se sia ancora vivo. [Ride] -Qualcun altro ha scritto un libro sul morire privi di tutto dando via ogni cosa prima di morire.Sì, è come dovrebbe essere. -Gli spiriti possono aiutarti a fare quello che fai, ma tu stai ancora scegliendo di farlo, no?Penso che sia una cosa a doppio senso. Gli spiriti hanno un’influenza su di te, e tu non sei mai totalmente separato da essi. C’è una specie di effetto osmotico, così che le connessioni spirituali ti pervadono. Proprio ora, mentre sto parlando con te, sto vedendo molti spiriti. Non perché li stia chiamando, ma perché sto discutendo di un argomento che a loro sta molto a cuore. Ma l ’effetto vero è quando sei“in servizio” e non nella tua vita ordinaria. La tua vita ordinaria è spesso molto imperfetta. Credo che debba essere così perché, se tu fossi troppo soddisfatto della vita ordinaria, non proveresti alcuna attrazione per quest’altra realtà. La maggior parte delle persone che realmente prendono seriamente questo sentiero hanno sofferto molto. Forse non nel modo drammatico e traumatico descritto nella letteratura sulla Siberia, ma hanno sofferto. Essi sperano che la vita sia più di questo. Una volta che cominci a interagire con gli spiriti, essi ti guidano in modi che non sono più interamente una tua libera scelta. Potresti fare un viaggio per ottenere qualcosa, ed essi ti danno ciò di cui hai bisogno, non ciò che vuoi tu. Così c’è un feedback. -E per quanto riguarda quelli che prendono il sentiero della stregoneria? Stanno facendo quella scelta, no?Le persone che seguono il sentiero della stregoneria spesso sono state possedute inconsapevolmente da spiriti sofferenti del Mondo di Mezzo, che hanno atteggiamenti ostili. In questa misura, il termine di “libera scelta”
può essere discutibile. Gli spiriti compassionevoli resteranno con te fino a quando non segui il sentiero della stregoneria, ma se lo fai, ti abbandoneranno. Noi siamo come delle batterie ricaricabili e, a livello spirituale, siamo ricaricati costantemente fino a quando lavoriamo in alleanza con gli spiriti compassionevoli che vogliono ridurre il dolore e la sofferenza nel mondo. Quando, magari per rabbia, facciamo un grande errore e decidiamo di saldare i conti con qualcuno, allora gli spiriti di guarigione si separano. Non ti daranno il loro sostegno in simili azioni. Tu hai ancora del potere residuo la batteria era stata caricata e puoi recar danno ancora per un bel po’. Ma alla fine il tuo potere si esaurirà perché la fonte del potere non c’è più. E qualsiasi cosa tu invii all’esterno, ti ritorna moltiplicato. Allora sarà disastroso per te, perché il tuo potere protettivo se ne è andato. Ci sono degli stregoni che possono continuare le loro attività per un certo tempo traendo potere da spiriti diversi dagli spiriti compassionevoli, ma è un grosso errore seguire questa via. Uno dei vantaggi dell’educazione sciamanica è che impari che puoi arrabbiarti con qualcuno senza però danneggiarlo spiritualmente, in questo modo proteggendo anche te stesso. Tuttavia le persone che non sono addestrate sciamanicamente di solito non hanno la disciplina di sapere che dovrebbero controllare il loro potere spirituale quando si arrabbiano veramente. -Hai mai provato la combinazione della medicina delle piante e del tambureggiamento allo stesso tempo?Con il peyote, naturalmente. Ma il peyote è così blando che si può fare facilmente. Comunque, con una forte dose di ayahuasca non vuoi nemmeno sentire l ’abbaiare di un cane o il pianto di un bambino. È una cosa travolgente. Con l ’ayahuasca vuoi sentire i canti, che sono molto belli, e questi ti connettono in modo molto forte ai tuoi alleati spirituali. Ma non includono il tambureggiamento. -Carlos Castaneda ha stimolato l ’interesse nello sciamanismo e ha avuto un’influenza enorme sulla cultura psichedelica contemporanea. Che cosa pensi di Castaneda?Egli ha svolto un ruolo importante. Ha mostrato al mondo occidentale che i popoli nativi potevano avere una prospettiva affascinante e profonda della realtà, anche se camminavano scalzi. Egli ha anche contribuito a fornire uno schema di riferimento e una direzione a quelle persone nel movimento psichedelico che avevano difficoltà a capire come interpretare e organizzare le proprie esperienze. In effetti, Carlos stesso aveva avuto delle difficoltà a organizzare le sue prime esperienze. Così è come ci siamo incontrati per la prima volta. Dopo aver concluso le mie ricerche tra i Conibo, nel 1962 entrai ad insegnare all’Università di Berkeley. Qui, una sera, feci una conferenza su “Droghe e realtà nell’Alta Amazzonia”. Carlos, che era uno studente universitario, lesse della mia conferenza e, nel 1963,
venne a cercarmi al convegno annuale dell’American Anthropological Association. Disse che era curioso di sapere come io organizzavo concettualmente queste esperienze, perché lui non aveva ancora trovato uno schema di riferimento o un indirizzo teorico entro cui collocare le proprie. Così condivisi con lui come le percezioni della realtà proprie alle tribù dell’Alta Amazzonia fossero influenzate dall’ayahuasca e altre sostanze. Quando poi Carlos cominciò a parlare, rimasi impressionato dai suoi racconti perché erano così belli. Infatti, lo incoraggiai a metterli per iscritto. Così, qualche settimana dopo, ritornò a Berkeley con il resoconto della sua prima esperienza con il peyote, che divenne in seguito un capitolo del suo libro. Era ottimo e lo incoraggiai a scrivere di più, e lui portò dell’altro materiale qualche settimana dopo. A quel tempo, penso che egli fosse abbastanza onesto circa quanto gli era successo e che i suoi resoconti riflettessero delle esperienze reali. Incoraggiai Carlos a scrivere un libro, cosa che egli fece. Alla fine lo pubblicò con la casa editrice dell’Università della California (University of California Press), perché le case editrici più commerciali di New York non erano pronte e non sapevano che fare con un libro del genere. Infatti la prima recensione sul New York Times del libro di Carlos, The Teachings of Don Juan [A scuola dallo stregone] fu scritta da uno specialista sul Don Juan europeo, il Don Giovanni del Rinascimento! Egli scrisse una breve recensione, molto critica e incomprensibile. Il Times non aveva alcuna idea del significato del libro. Solo molti anni dopo, quando Carlos divenne popolare, il New York Times scelse dei recensori più adatti. Uno dei contributi più importanti di Carlos fu quello di introdurre i termini “realtà ordinaria/realtà non-ordinaria”, i quali sono tuttora estremamente utili. In precedenza, l ’antropologo americano Robert Lowie aveva utilizzato i termini“ordinario/straordinario”, ma nulla funziona meglio dei termini “ordinario/non-ordinario”. Sfortunatamente, in libri successivi, Carlos non mantenne più una distinzione adeguata tra i due termini. I suoi primi due libri [A scuola dallo stregone e Una realtà separata, N.d.T.] erano più vicini allo sciamanismo e a ciò che considero esperienze indotte dagli psichedelici. In seguito Carlos si concentrò più verso il proprio mondo interiore. I suoi libri successivi hanno a che fare ben poco con lo sciamanismo e molto invece con il mondo personale di Carlos, come la sua concezione dello sciamanismo Tolteco e nessuno sa chi fossero realmente i Toltechi. È semplicemente un concetto archeologico. -Oggi molti ritengono che la maggior parte di ciò che Castaneda ha scritto sia una finzione. Tu credi che Don Juan, il suo sciamano mentore, fosse una persona reale?Credo che Don Juan fosse reale. Tuttavia, credo che alcuni aspetti di Don Juan descritti da Carlos fossero delle figure composite e altri aspetti, descritti in libri successivi, fossero stati “sognati” da Carlos. Molto tempo
prima Carlos mi aveva invitato ad andare con lui a visitare Don Juan. Sfortunatamente non avevo il tempo per andare con lui in Messico e da allora mi sto prendendo a calci. Ma Don Juan ed io eravamo in contatto attraverso Carlos. Carlos voleva che il suo libro fosse pubblicato. Quando ne fece menzione a Don Juan, egli disse che non sapeva realmente se fosse importante ma, se Carlos lo voleva, l ’avrebbe aiutato. Così fece fare tre maschere di potere. Una era per l ’agente letterario di Carlos, una era per Carlos e una per me. Posso assicurarti che queste maschere sono delle cose reali. Infatti sono maschere molto pericolose. -Sono effettivamente delle maschere fisiche? Perché sono pericolose?Sì, sono degli oggetti materiali. Posso mostrarti la mia se vuoi, però ti chiedo di non toccarla, okay? Sono pericolose perché hanno un potere spirituale immenso, che però proviene dal Mondo di Mezzo. Carlos non è mai uscito dal Mondo di Mezzo. Nei suoi libri, non troverai mai alcun riferimento al Mondo di Sotto o al Mondo di Sopra, né troverai alcun riferimento alla guarigione. Egli era nel mondo dello stregone. In modo non sorprendente, le persone che sono attratte ai seminari dei suoi allievi spesso non sono delle persone orientate verso la compassione e la guarigione, ma piuttosto solamente verso il potere. -Cercano di accumulare il potere?Sì. Comunque, il potere da solo non è sciamanismo. Ma volevo bene a Carlos. Era un gran narratore e parlava nel modo in cui scriveva, ma con humour. Potevi rimanere ad ascoltarlo per ore. Ne saresti rimasto incantato. Tuttavia, Carlos non era realmente interessato allo sciamanismo di per sé. -Le sostanze psichedeliche sono state parte della tua vita in anni più recenti?No, non in anni recenti. Non è che non le ritenga più importanti. Lo sono state in un certo momento come via di accesso verso un’altra realtà. Oggi, tuttavia, non voglio spingermi troppo profondamente in quella realtà, tranne quando sto lavorando. E generalmente mi piace uscirne dopo mezz’ora. -Che cosa consigli ai tuoi studenti che vogliono prendere gli psichedelici?Va benissimo se vogliono farlo, è affar loro. Tuttavia non voglio che i miei studenti si facciano l ’idea che devono farlo. Voglio che essi abbiano il quadro più ampio che esiste un’altra realtà e che è accessibile con mezzi diversi. -Quale eredità vorresti lasciare alle generazioni future?Beh, se dovessi morire domani, penserei che sia riuscito a fare più di quanto avessi mai sperato. Mi sento molto fortunato. Non ho mai immaginato questo sentiero e non ho mai immaginato quanti studenti avrebbero voluto seguirlo. Sono soddisfatto di quanto è già stato
realizzato, perché ora ci sono così tante persone ben addestrate e preparate a lavorare sciamanicamente con gli spiriti e a imparare da loro, che io non sono più essenziale. Il movimento ha la propria forza. Così ora sono molto rilassato. Qual è la mia eredità? Beh, i miei studenti in primo luogo, perché essi continueranno il mio lavoro e alcuni di loro andranno molto più lontano di me.
PER UNO SCIAMANESIMO CRITICO di Tullio Carere Comes. Per gli sciamani il mondo visibile è solo una piccola porzione del mondo invisibile da cui proveniamo, al quale ritorniamo alla fine del nostro percorso terreno e dal quale attingiamo le risorse indispensabili per orientare la nostra vita di tutti i giorni e risolvere ogni sorta di problemi. Per i moderni psicoanalisti il mondo invisibile è stato sostituito dall’inconscio, uno spazio da esplorare con strumenti interpretativi piuttosto che una dimensione cui affidarsi per ricavarne ispirazione e nutrimento. Una psicologia del sospetto ha preso il posto di una psicologia della fede. È possibile tuttavia vedere le due psicologie non in alternativa ma come due poli di una unità dialettica, entrambi necessari per una relazione vitale e consapevole con la matrice invisibile/inconscia della nostra esistenza. Il mio interesse per il tema da cui prende avvio il tema di cui parleremo questa sera risale a molti decenni orsono, al tempo dei miei studi universitari.Collaboravo a una rivista che si chiamava “Libera critica”. Erano gli irrequieti anni Sessanta e la libertà di criticare tutto e chiunque si ponesse come portatore di una verità qualsiasi era un’esigenza che si respirava nell’aria. D’altra parte, sentivo questa libertà di critica come necessaria, ma non sufficiente. Sentivo che lasciata a se stessa sarebbe diventata distruttiva, come effettivamente accadde negli anni che seguirono il ‘68. Occorreva qualcos’altro, qualcosa che sostituisse i vecchi valori che per noi erano finiti fuori corso. Era un’esigenza spirituale che non trovava più risposte nei dogmi e negli stanchi riti della religione. Avevo bisogno di una spiritualità laica, fondata sull’esperienza diretta e non su una fede e un credo. Trovai, o credetti di trovare una prima risposta nell’antroposofia di Rudolf Steiner, singolare figura di filosofo ed esoterista, nella cui opera sterminata mi immersi in parallelo con gli studi di medicina, sotto la guida di un medico steineriano. Oggi direi che Steiner è il primo sciamano che ho incontrato nella mia vita, perché in effetti dello sciamano aveva tutte le caratteristiche principali. Tornava dai suoi viaggi astrali raccontando storie meravigliose di angeli, demoni ed eventi soprannaturali di ogni sorta. Come un antico sciamano riuniva in sé tutte le scienze e tutte le arti: era medico, educatore, poeta, scultore, architetto,
agronomo, filosofo, sociologo, antropologo, musicologo. Degli sciamani aveva la fervida fantasia e conquistava gli animi non solo con le sue storie appassionanti, ma anche dimostrando che le cose che immaginava, per quanto inverosimili, messe in pratica sembravano funzionare davvero. Ancora oggi le sue indicazioni sono applicate nell‘agricoltura biodinamica di cui è stato l ’ispiratore, la medicina antroposofica ha un buon numero di adepti e le scuole Waldorf, in cui si applicano i suoi principi pedagogici, sono ancora molto frequentate. Infine, degli sciamani aveva la caratteristica inconfondibile di non nutrire il minimo dubbio sulla realtà delle sue visioni. Descriveva quei mondi come un antropologo descriverebbe le culture esotiche che sta studiando, proprio come lo sciamano tradizionale crede che gli animali di potere e gli altri esseri spirituali che incontra esistano proprio nella forma in cui lui li vede. Da questa fede non disturbata dal dubbio, d 'altra parte, gli sciamani traggono la forza e il potere delle loro visioni. Per alcuni anni provai a sviluppare a mia volta la capacità di vedere ciò che il veggente vedeva. Steiner sosteneva che chiunque, con appropriati esercizi, avrebbe potuto farlo. Sfortunatamente io, per quanto mi applicassi, non riuscii a estendere in modo apprezzabile la mia capacità percettiva né, d ’altra parte, mi sembrava che ci riuscisse nessuno dei seguaci di Steiner che conobbi in quegli anni. Avevo l ’impressione che tutto si basasse, in quel movimento, sulle rivelazioni copiosamente fornite dal maestro, ma che nessuno riusciva a verificare con esperienze di prima mano. Tutta la costruzione di Steiner era troppo esoterica, troppo incontrollabile e priva di autocritica per i miei gusti. Sicché già prima della laurea avevo rinunciato all’idea di diventare un medico steineriano e avevo spostato la mia attenzione dall’invisibile all’inconscio, una dimensione sempre misteriosa, ma che tutto sommato trovavo più accessibile. Non era necessario percepirla, bastava interpretarla. Così decisi di diventare psicoanalista, uno spazio dove le mie due anime, quella mistica e quella critica, riuscivano a convivere molto meglio. La psicoanalisi è un cammino di liberazione che ha notevoli punti di contatto con il buddhismo che Freud ha conosciuto attraverso Schopenhauer. Per entrambi la verità fondamentale, la “prima nobile verità”, è il dolore: entrambi offrono una cura del male di vivere. La“seconda nobile verità” è che la causa fondamentale del dolore è l ’ignoranza: l ’illusione protegge dal dolore, ma nello stesso tempo lo mantiene. La“terza nobile verità” è che è possibile liberarsi dalla sofferenza che deriva da ignoranza e attaccamento alle illusioni. La “quarta nobile verità” consiste nel metodo utilizzato per raggiungere la liberazione e i metodi differiscono nelle due tradizioni, ma in entrambi i casi sono fondati sulla consapevolezza che dissolve l ’ignoranza (per il buddhismo) o porta alla coscienza l ’inconscio (per la psicoanalisi). Al di là
delle differenze, queste due grandi tradizioni sono unite dalla profonda aspirazione umana a raggiungere la verità superando l ’illusione in cui è immersa la coscienza ordinaria, accettando di pagare il prezzo di dolorosa disillusione in una prospettiva, per quanto inizialmente faticosa, di risveglio e liberazione. In questa visione del mondo, nelle sue diverse varianti, la verità e la realtà sono nettamente contrapposte al sogno e all’illusione. Tuttavia, già alcuni dei primi psicoanalisti, in particolare Jung e Adler, avevano visto nel sogno, e più in generale nell’inconscio, anche una funzione positiva, creativa e progettuale, al di là del serbatoio di desideri rimossi. L’inconscio per questi analisti non è semplicemente un luogo oscuro pieno di desideri proibiti da portare alla luce della coscienza, ma anche e soprattutto una matrice di impulsi vitali, generativi e risanativi. In epoca post freudiana anche diversi analisti del campo freudiano, come Loewald e Bion, si sono avvicinati a questa concezione dell’inconscio (di Bion si diceva infatti che era uno sciamano). La psicoanalisi ha dunque riscoperto qualcosa che era già noto sin dai tempi più antichi: esiste una dimensione, che gli psicoanalisti chiamano inconscio e gli sciamani regno degli spiriti, da cui provengono sia la malattia sia la guarigione. Occorre imparare a muoversi in questa regione sia per disinnescare le cause della malattia, sia per attivare le forze di guarigione, cambiamento e crescita. Chi, come noi, cerca una sintesi dialettica tra la psicologia della fede degli sciamani e quella del sospetto degli psicoanalisti, si trova di fronte a una serie di questioni. Per cominciare, quanto è seria per noi la motivazione al viaggio interiore? La maggior parte delle persone che iniziano un’analisi o una terapia lo fanno perché hanno un disturbo o un problema che sperano di risolvere nel modo più rapido e indolore possibile, senza cambiamenti sostanziali nella personalità o nello stile di vita. Solo una percentuale relativamente piccola di persone arriva al punto che è al centro di tutti gli insegnamenti sapienziali, e che si può esprimere così: l 'uomo è un animale incompiuto, e tutti i suoi affanni derivano in un modo o nell’ 'altro da questa incompletezza. Solo se questa verità esistenziale è colta può nascere l 'impulso a iniziare quel viaggio alla ricerca di sé che è il nucleo centrale del viaggio sciamanico, o delle varianti che chiamiamo cammino di risveglio, di liberazione, di realizzazione o di illuminazione. Il candidato all’iniziazione sciamanica è di regola un soggetto portatore di qualche forma di disagio mentale. Analogamente i candidati alla professione di psicoanalista non devono essere troppo sani: i soggetti troppo normali sono detti“normopatici”, persone che stanno troppo bene nella loro pelle per poter diventare dei buoni psicoanalisti. Bisogna partire dalla condizione di “paziente”, un soggetto portatore di un pathos che inizialmente significa sofferenza, ma gradualmente deve trasformarsi in passione. Il paziente ordinario è in realtà impaziente, vuole raggiungere il
suo obiettivo e lasciare la cura prima possibile. Ma il paziente destinato alla carriera di sciamano o psicoanalista deve essere doppiamente paziente: deve abbandonare ogni fretta per iniziare un cammino che durerà tutta la vita, e che a un certo punto diventerà la cosa più importante della sua vita. E’ un viaggio difficile e carico di insidie, ed è illusorio pensare di poterlo fare da soli. Occorre allora, anzi è di vitale importanza scegliere la compagnia giusta, cioè quella adatta ai nostri bisogni, inclinazioni e preferenze. Scanziani ha inventato il termine felice di “entronauti” per indicare quei navigatori dei mondi interiori alla ricerca delle risorse che mancano in quelli esteriori, e che sono necessarie all'animale incompiuto per procedere verso il suo compimento, verso quello stato di realizzazione o illuminazione che è l ’unico vero rimedio all’angoscia esistenziale che segnala la sua incompletezza, quel vuoto che la coscienza ordinaria si illude di colmare con ogni sorta di attaccamenti esteriori: agli oggetti, all’immagine, alle sicurezze affettive, economiche, logistiche. Gli sciamani sono i primi entronauti e ancora oggi i loro procedimenti sono in buona parte validi per molti viaggiatori. Tuttavia, per indicare un tipo di sciamanesimo più corrispondente alle esigenze dell'uomo contemporaneo credo che il termine coniato da Scanziani sia più felice. Quali caratteristiche deve dunque avere oggi, a nostro avviso, una compagnia di entronauti? Se dico che deve essere possibile farvi un lavoro esperienziale, dico una cosa ovvia. Anche in un corso di barca a vela bisogna salire su una barca. Ma esiste una via d 'accesso privilegiata all’esperienza dei mondi interiori? Sì, esiste. Possiamo dirlo con sufficiente sicurezza perché su questo punto gli sciamani tradizionali e Freud sono d 'accordo. Il sogno è la via regia all'invisibile o all’ 'inconscio. L'entronauta deve imparare a sognare. Vale a dire, deve imparare innanzitutto a ricordare i sogni notturni, poi a chiamarli, a interrogarli, a decifrare le risposte. Occorre imparare a entrare nel mondo dei sogni in modo sempre più consapevole, e poi sognare anche da svegli, ovvero attivare la rêverie , quello stato oniroide che dà accesso al mondo immaginale, il mondo in cui si aggirano sia gli spiriti degli sciamani sia i fantasmi degli psicoanalisti. Poi c’è la questione del lavoro. Per gli sciamani si tratta essenzialmente di contattare gli spiriti e dirgli che cosa ci si aspetta da loro. Fatto questo, per lo sciamano non c’è molto altro da fare. Il resto lo fanno gli spiriti. Per lo psicoanalista è diverso. Il sogno e la fantasia sono solo dei materiali elaborare. Se c’è una cosa su cui tutti gli psicoanalisti e psicoterapeuti sono d 'accordo è l 'alleanza di lavoro. Se manca questa non si va lontano. E alleanza di lavoro vuol dire diverse cose. Avere un obiettivo, un progetto per raggiungerlo, un metodo di lavoro. Ma soprattutto una relazione regolare, continuativa, affidabile, impegnativa.Cerchiamo di chiarire la questione della relazione di lavoro con riferimento a tre figure nodali: lo sciamano, il guru, lo psicoanalista.
Se oggi lo sciamanesimo è ancora attuale, è perché qualcosa è andato perduto con le figure che gli sono succedute, essenzialmente l 'accesso rapido e virtualmente alla portata di tutti al mondo immaginale, mediato da un “tecnico del sacro” che non è un essere semi divino come il guru e nemmeno un professionista con la preparazione scientifica di un medico o di uno psicologo di regola richiesta come base per il training psicoanalitico. Anche una persona molto semplice, persino un analfabeta, può diventare uno sciamano, purché se ne senta chiamato e superi le prove iniziatiche previste in tutte le tradizioni sciamaniche. Questo è affascinante e liberatorio, a fronte delle pretese agguerrite da parte di diverse corporazioni professionali di avere l 'esclusiva della cura dell'anima o del sé. Sono due diverse logiche, che possono certo integrarsi ma che non debbono essere confuse. Una è quella del tecnico della scienza moderna, medico o psicologo, attrezzato e abilitato per curare diverse forme di patologia con le procedure che la ricerca ha dimostrato efficaci per la cura di quei disturbi. L'altra è quella del tecnico del sacro, lo sciamano, che non cura direttamente i disturbi, ma si prende cura dell'anima. Anche se lo sciamano è un tecnico sui generis, perché la cura dell'anima non può mai essere una cura standardizzata o protocollare. Quindi lo sciamano è sì un tecnico del sacro ma per lui la tecnica è o dovrebbe essere sempre subordinata a un processo, sempre unico e imprevedibile, di liberazione o illuminazione dell'anima. La forza dello sciamano è nella sua fiducia assoluta di vivere in un mondo magico abitato da potenze che possono essere evocate e messe al servizio dei bisogni di guarigione o realizzazione degli esseri umani. L'ingenuità della sua fede è la sua forza, ma anche la sua debolezza.La rinuncia alla prudenza critica e autocritica lo espone a ogni forma di inganno e di autoinganno, pericolo che l 'Oriente e l 'Occidente hanno cercato di neutralizzare producendo due figure opposte: il guru e lo psicoanalista. Le tenebre dell'illusione debbono essere dissolte con la luce del maestro illuminato o con quella della conoscenza scientifica. Va da sé che anche l 'illuminazione del maestro e la scienza dello psicoanalista possono essere a loro volta illusorie. Tuttavia non c è dubbio che entrambi offrano qualche garanzia in più rispetto alla fede ingenua dello sciamano. La richiesta di resa completa che il guru rivolge al discepolo è fondata su un argomento solido: la fonte di ogni autoinganno è l ’ego, cioè il soggetto identificato con le sue operazioni mentali ed estremamente riluttante a uscire da questa identificazione, uscita che per lui è mortale: quella“morte dell’ego” che è la chiave di ogni cammino spirituale. Il discepolo si libera dall’ego affidandosi alla guida del guru, nell’attesa di trovare quella guida interiore che si suppone il guru abbia già trovato. Lo psicoanalista offre una via diversa di liberazione dall’autoinganno, sulla linea del monito conosci te stesso che fonda il dialogo filosofico: un
cammino di conoscenza che, prendendo le mosse dal socratico “sapere di non sapere”, mette in questione ogni presunto sapere, dunque tutti i saperi illusori su cui si regge la fragile identità dell’ego. Possiamo considerare la psicoanalisi, assieme alle forme di cura germogliate dal ceppo psicoanalitico, come la versione contemporanea del dialogo filosofico. È una via molto più accessibile all’uomo occidentale, che dopo l ’Illuminismo non è più disposto ad affidare la propria vita alla guida di alcuna autorità spirituale che si presuma illuminata. Il dialogo apre uno spazio tra (dià) due interlocutori disposti a mettere in sospeso o in gioco i rispettivi saperi, uno spazio in cui il logos (la logica, la verità) del processo può rivelarsi. In questo modo il logos sostituisce il guru nella guida del processo. Va detto peraltro che Freud aveva due anime: una filosofica dialogica, e l ’altra scientifica positivista. La scienza empirica, ai cui metodi Freud sperava di ricondurre la psicoanalisi, non ha nulla a che vedere con il logos: i suoi metodi sono diretti unicamente alla verifica sperimentale di ipotesi e teorie. E poiché Freud ha permesso alla sua anima scientifica di avere il sopravvento su quella filosofica, il risultato è stato che la teoria psicoanalitica e in seguito una miriade di teorie psicoanalitiche, hanno occupato la maggior parte dello spazio che sarebbe dovuto restare libero per l ’ascolto del logos. Di conseguenza, salvo rare eccezioni (ricordiamo in particolare quella di Bion, che con la sua ingiunzione di lavorare senza memoria e senza desiderio ha riaperto quello spazio) il lavoro analitico è stato ed è guidato dalle teorie dell ’analista, piuttosto che dal logos del processo, cosa che ha spinto in secondo piano o ha obliterato del tutto, la psiche come anima, cioè come luogo della luce o verità originaria, che era invece centrale nel lavoro sia dello sciamano sia del guru. Il risultato è che in linea di massima lo psicoanalista tende a liberare l ’uomo dalla nevrosi per consegnarlo alla“comune infelicità”, come onestamente ebbe a riconoscere Freud, piuttosto che additargli la meta più ambiziosa che Nietzsche aveva ripreso da Pindaro: “Uomo, diventa ciò che sei”. Il riconoscimento dei meriti e dei limiti propri di ciascuna delle tre figure guida per noi più rilevanti per il cammino evolutivo dell’uomo ci porta a tentare una sintesi dei fattori più significativi delle tre tradizioni. Dallo sciamano ereditiamo le pratiche di rêverie o immaginazione attiva che danno accesso al mondo immaginale, popolato da intermediari (metaxù, li chiamavano i Greci) come animali di potere, maestri, angeli o demoni che fungono da guida nei passaggi trasformativi o generativi del cammino interiore. Il mondo immaginale, con tutte le sue figure divine o semi divine, è naturalmente molto frequentato in tutte le religioni, dove tuttavia queste figure sono tendenzialmente intese, non diversamente da quanto avviene nello sciamanesimo delle origini, come entità metafisiche realmente esistenti in qualche dimensione ultraterrena.
Lo sciamanesimo critico si differenzia da quello ingenuo, come dal realismo metafisico delle religioni, per la consapevolezza simbolica grazie alla quale non perdiamo di vista il fatto che tali figure sono il prodotto della attività mitopoietica che produce le figure del nostro immaginario personale, di quello indù in India, di quello cristiano in Occidente, e di tutte le altre culture di ogni tempo. Impariamo a costruire i nostri miti o a utilizzare quelli offerti dalle diverse culture come strumenti simbolici che facilitano il passaggio di energia e informazioni dal visibile all’invisibile, e viceversa, senza scambiarli idolatricamente per entità metafisicamente esistenti. Dal guru prendiamo la centralità del messaggio che indica all’uomo la sua missione di illuminazione o realizzazione del suo vero sé, quel’atman in cui convergono il nucleo essenziale del sé e quello dell’intero universo. L’importanza di questa focalizzazione si coglie nel confronto con i mille rivoli in cui l ’attenzione dello sciamano rischia di disperdersi nel mondo immaginale o le mille teorie da cui l ’attenzione dello psicoanalista rischia di essere condizionata. Il guru indica questa meta incarnandola, testimoniando con il suo stesso essere la possibilità di tale raggiungimento supremo. Nel mondo occidentale il filosofo ama la sofia come il guru ama la luce spirituale, ma a differenza di questo non crede di poterla incarnare o di diventare uno con la sofia, in altre parole non crede nella possibilità di diventare compiutamente saggio, ma solo in quella di avvicinarsi alla saggezza per quanto glielo consentono i suoi limiti umani, prendendola piuttosto come la stella polare che orienta la sua navigazione. È un cammino incerto e mai concluso, in cui non si deve mai abbassare la guardia della coscienza critica. In questo viaggio il filosofo antico, ma sempre più anche quello moderno, fa uso di esercizi spirituali per rafforzare le capacità di determinazione, concentrazione e consapevolezza, non diversamente dal guru che raccomanda pratiche meditative analoghe ai suoi discepoli. È decisiva in entrambi i casi la comunità (sangha, per i buddisti) che si raccolga intorno al maestro nella prospettiva orientale e che ha in Occidente le caratteristiche di una rete di ricercatori, una sezione locale della grande rete della filosofia perenne che si estende in tutti i tempi e tutte le culture. Le nebbie dell’autoinganno e dell’illusione sono gradualmente dissolte dall’insegnamento del maestro in un caso e dal lavoro permanente di correzione reciproca all’interno della rete di relazioni asimmetriche e simmetriche nella nostra prospettiva occidentale. Ciò che caratterizza l ’alleanza di lavoro, nella comunità filosofica della philosophia perennis, è l ’obiettivo prioritario definito con termini come illuminazione, risveglio, liberazione, realizzazione, cosa che la distingue da ogni altra comunità che si organizzi intorno a obiettivi di profilo più
basso, più o meno legittimi. A questo obiettivo si lavora, oltre che con gli esercizi di tipo meditativo accennati sopra anche e soprattutto nei modi con i quali il genio di Freud ha rivoluzionato la pratica millenaria della conoscenza di sé: l ’analisi del transfert e delle resistenze. Ciò di cui è essenziale prendere coscienza è in primo luogo ciò che noi continuamente e inevitabilmente trasferiamo sulle nostre relazioni significative in termini di desideri, bisogni, paure, rancori e simili materiali del nostro mondo interno e corrispettivamente le nostre risposte ai trasferimenti diretti a noi e in secondo luogo i modi in cui resistiamo al cambiamento richiesto dal processo evolutivo, cercando di mantenere omeostaticamente l ’assetto esistenziale cui siamo abituati e la cui messa in crisi ci fa mancare il terreno sotto i piedi. Per contrasto, nella comunità tradizionale è pressoché assente l ’analisi del transfert idealizzante sulla propria guida e comunità, e rispettivamente demonizzante su guide e comunità concorrenti (con la conseguente impossibilità di risolverlo), come anche dei modi in cui tali transfert sono utilizzati per resistere al cambiamento, per sentirsi gli eletti del Signore e per alimentare le guerre di religione che da millenni insanguinano il pianeta.
ERBARIO DELLO SCIAMANO Calea zacatechichi (hoja de dios) Nome: Calea zacatechichi Famiglia: Compositae Genere: Calea Specie: Calea zacatechichi Schl. Sinonimi: zacate de perro; hoja madre, hoja de dios, thle-pelakano (foglia di Dio) Provenienza: Messico e Costa Rica Principi attivi: sesquiterpeni (calassina, ciliarina); germacranolidi (acetossi-zacatechinolide, 1-osso-zacatechinolide). Formula chimica e proprietà chimico fisiche dei principi attivi Nome: calassina. Formula Molecolare: CHO (peso molecolare = 344,4).19206 Nome sistematico: 2-acido propenoico, 2-metil-, estere 2,3,3a,4,5,6,7,11a-octaidro-6,10-dimetil-3-metilene-2,7-diosso6,9epossiciclodeca(b)furan-4-ile, (3aR-(3aR*,4R*,6R*,10Z,11aR*)).
Numero di registro CAS: 30412-86-3. Punto di fusione: non sono presenti in letteratura dati relativi al punto di fusione. UVmax: non sono presenti in letteratura dati relativi all ’UVmax. Solubilità: non sono presenti in letteratura dati relativi alla solubilità. Non sono presenti in letteratura dati relativi alla formula molecolare, al nome sistematico, al numero di registro CAS, al punto di fusione, all ’UVmax e alla solubilità della ciliarina, all’acetossi-zacatechinolide e all’osso-zacatechinolide. La pianta contiene un gran numero di principi attivi. Nonostante ciò, allo stato attuale non è possibile ricondurre inequivocabilmente ad alcuna di queste molecole l ’effetto onirico/allucinogeno riferito dagli assuntori della Calea zacatechichi. Uso storico. La Calea zacatechichi è una pianta utilizzata in Messico (particolarmente nella regione di Oaxacada dei nativi Chontal), nella medicina tradizionale e sciamanica sin dall’’epoca precolombiana. Zacatechichi è una parola Nahuatl (azteca) che significa“erba amara”. Con tutta probabilità la Calea zacatechichi corrisponde al “chichixihuitl”, una pianta impiegata dagli antichi Aztechi in campo medico per indurre sogni. La pianta è estesamente utilizzata nella medicina popolare messicana: un infuso di radici, foglie e fusto è impiegato, nel trattamento dei disturbi gastrointestinali, come colagogo, catartico, febrifugo. Assieme ad altre Compositae la pianta essiccata è utilizzata come insetticida. L’uso sciamanico divinatorio è quello della induzione di sogni particolarmente vividi con visioni reali di profonda conoscenza ed immaginazione. Uso attuale. Alcuni messicani della regione di Oaxaca la utilizzano ancora oggi per curare alcune patologie. Alcuni autori riportano la testimonianza degli indiani Chontal, che utilizzano le foglie della pianta (che sono fumate o bevute sotto forma di infuso) per ottenere messaggi divinatori durante il sonno notturno, attraverso i sogni. I siti web che commercializzano le “Smart Drugs” inseriscono la pianta nella categoria delle erbe allucinogene con effetti “oneirogenici” (aumento delle percezioni sensoriali dei sogni durante il sonno), anche se in realtà le proprietà farmacologiche dei costituenti psicoattivi della pianta non sono state ancora chiarite con studi clinici sistematici.
Legislazione. In Italia nessuno dei principi attivi della Calea zacatechichi né l ’intera pianta o parti di essa sono inseriti nelle Tabelle contenenti le sostanze stupefacenti o psicotrope sottoposte alla vigilanza ed al controllo di cui all’ ’articolo quattordici del Decreto del Presidente della Repubblica 309/90 e successive modifiche. Ad eccezione della Polonia in cui, a partire dal marzo 2009, tutte le parti della Calea zacatechichi (semi, piante, estratti) sono inserite nello stesso elenco degli oppiacei, dell ’eroina e dell ’idrocodone, in Europa non esistono restrizioni legali a carico della Calea zacatechichi o dei suoi principi attivi. La detenzione, il commercio e la coltivazione della Calea zacatechichi sono legali negli Stati Uniti, sebbene non sia stato approvato il suo utilizzo in ambito alimentare. Proprietà farmaco-tossicologiche. La Calea zacatechichi è una pianta utilizzata dagli indiani Chontal del Messico per l ’oniromanzia (tecnica divinatoria basata sui sogni). Poiché non sono ancora noti i principi attivi responsabili degli effetti onirico/allucinogeni riferiti dai consumatori di Calea, non è possibile stabilire quali siano i meccanismi biochimici che stanno alla base degli effetti farmacologici indotti dalla pianta. In letteratura è riportato uno studio condotto in doppio cieco e contro placebo su volontari sani ai quali sono state somministrate basse dosi di un estratto di Calea zacatechichi (circa 1 g/kg). Nei soggetti che hanno assunto l ’estratto si é evidenziato, rispetto ai controlli, un significativo incremento dei tempi di reazione, del sonno leggero e del numero di risvegli spontanei. Inoltre è stato osservato un aumento dell ’attività onirica durante le fasi di sonno leggero. L’assunzione di tè di Calea zacatechichi prima di dormire induce sogni più realistici e facilmente rievocabili durante la fase di veglia. La Calea zacatechichi genera una sensazione soggettiva di benessere e rilassamento che perdura per più giorni. È stato dimostrata nel ratto un’azione antinfiammatoria dell ’estratto acquoso di Calea zacatechichi. Tale effetto, valutato con il modello sperimentale dell ’edema indotto da carragenina, è stato attribuito alla capacità dell’estratto di inibire la sintesi di prostaglandine e di leucotrieni. Al momento però non sono ancora noti i principi attivi responsabili di questo effetto farmacologico. In uno studio è stato osservato come l ’estratto alcolico di Calea zacatechichi eserciti in vitro un effetto inibitorio nei confronti del fattore
di trascrizione NF-kB, proteina complessa coinvolta nei processi infiammatori. L’effetto biologico è stato attribuito a lattoni sesquiterpenici contenuti nell’ ’estratto di Calea zacatechichi e presenti anche in piante officinali utilizzate per la loro attività antinfiammatoria quali l ’Arnica montana ed il Tanacetum parthenium. In uno studio condotto sull’animale da esperimento utilizzando varie piante messicane, ha evidenziato un effetto ipoglicemizzante della Calea zacatechichi. Dalla Calea zacatechichi sono stati estratti alcuni flavonoidi attivi nei confronti del ceppo Dd2 di Plasmodium falciparum resistente alla clorochina. Tossicità. Non sono noti studi tossicologici sull’ ’animale da esperimento volti a stabilire la tossicità della Calea zacatechichi. Gli estratti organici di Calea zacatechichi causano nel gatto alterazioni dell ’attività elettrica cerebrale evidenziabili all’ ’elettroencefalogramma e sonnolenza. Dosi elevate inducono incremento della salivazione, atassia e, occasionalmente, conati di vomito . Effetti avversi. Alcuni siti web segnalano che la Calea zacatechichi, assunta a dosi elevate, causa tachicardia, ipertensione, ansia, irritabilità ed insonnia. Salvia divinorum (magic mint) Nome: Salvia divinorum Famiglia: Labiatae Genere: Salvia Specie: Salvia divinorum Epling & Jativa Sinonimi: hojas de Maria, yerba Maria, hierba de la pastora, ska Maria pastora, magic mint, diviner’s mint Provenienza: Messico Principi attivi: salvinorina A La salvinorina A è la molecola farmacologicamente attiva contenuta nella Salvia divinorum. Altre sostanze presenti quali salvinorina B-F sono farmacologicamente inattive (1-4). La concentrazione di questo principio attivo nelle foglie può variare tra gli 0,89 ed i 3,7 mg/g di peso secco.
La salvinorina A è un neoclerodano diterpene (probabilmente l ’unico terpenoide psicoattivo noto) chimicamente unico nel suo genere, rappresentando il solo agonista non azotato ad oggi conosciuto selettivo per i recettori oppioidi . La salvinorina A ha una struttura chimica differente rispetto a quella degli altri allucinogeni naturali (N,N-dimetiltriptamina, psilocibina, mescalina) (5,6). Formula Molecolare: CHO (peso molecolare = 432,5). Nome sistematico: (2-..,4-..,6-..,7-..,9-..,10-..,10-..)-2H-nafto(2,1c) piran-7-acido carbossilico,9-(acetilossi)-2-(3-furanil)dodecaidro-6a, 10b-dimetil-4,10-diosso-metilestere. Numero di registro CAS: 83729-01-5. Punto di fusione: 242-244°C. UVmax: 238 nm. Solubilità: la salvinorina A è solubile in alcol metilico, acetonitrile e cloroformio. Uso storico. La Salvia divinorum è conosciuta e utilizzata dagli sciamani delle popolazioni mazateche della regione di Oaxaca da molti secoli. I mazatechi ne conoscono le proprietà allucinogene e la utilizzano sia nelle iniziazioni sciamaniche, sia durante le cerimonie di guarigione. Colui che è iniziato alle pratiche sciamaniche deve seguire un percorso che lo avvicina alle divinità, dapprima attraverso il consumo della salvia, poi attraverso il consumo dei semi della Rivea corymbosa, ed infine attraverso il consumo dei funghi allucinogeni. Gli indiani mazatechi attribuiscono alla Salvia divinorum nomi che ricordano il suo legame con la Vergine Maria (Ska Maria Pastora, hojas de Maria, Yerba Maria), della quale la pianta è ritenuta essere l’incarnazione. Tradizionalmente in Messico sono utilizzate le foglie fresche che sono masticate in un luogo buio e silenzioso fino a quando si manifestano le visioni: allora lo sciamano-guaritore è in grado di scoprire mediante il contatto con il soprannaturale, le cause delle malattie, di predire il futuro, di rispondere ad importanti questioni (scoprire i colpevoli di crimini o semplicemente ritrovare oggetti smarriti). La Salvia divinorum è inoltre utilizzata per il trattamento di numerose patologie, quali: cefalea, reumatismi, gonfiore addominale, diarrea. Uso attuale. Venduta fino al 2005 (anno in cui fu inserita nella Tabella I della lista delle sostanze stupefacenti o psicotrope sottoposte alla vigilanza ed al controllo di cui all’ ’articolo quattordici del Decreto del Presidente della Repubblica
309/90 e successive modifiche) negli “Smart Shop”, la Salvia divinorum è consumata in diversi modi: le foglie fresche possono essere masticate o utilizzate per preparare un tè; le foglie essiccate possono essere masticate o fumate (11). alcuni studi propongono un’estrazione liquida del principio attivo (in isopropanolo) per ottenere una tintura madre di grande potenza ed efficacia (in quest’ultimo caso la salvinorina A può essere vaporizzata ed inalata). Legislazione. Con il Decreto Ministeriale n. 11 del gennaio 2005, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 54 del 7 marzo 2005, l ’Italia ha provveduto ad inserire la Salvia divinorum e la salvinorina A in Tabella I (13). Attualmente in molti stati dell ’Europa, America ed Asia l ’utilizzo della Salvia Divinorum non è vietato poiché né l ’intera pianta né alcuna parte dei suoi costituenti sono inserite nell’ ’elenco delle sostanze sottoposte a controllo. In particolare, gli Stati Uniti consentono la detenzione e la commercializzazione della Salvia divinorum (ad eccezione della Louisiana e di una città nel Missouri, St. Peter); in Europa, l ’utilizzo della Salvia divinorum è proibito in Danimarca, Finlandia, Spagna e Belgio. Dal 2006 è inoltre proibita in Svezia e dal 2008 in Germania la Salvia divinorum è stata aggiunta all’ ’Appendice I delle sostanze ad effetto narcotico. Nel corso del 2009 anche la Russia ne ha vietato l ’utilizzo. È inoltre proibita in Australia e nella Corea del Sud mentre in Giappone è una delle sostanze sottoposte a controllo. Proprietà farmaco-tossicologiche. Gli effetti allucinogeni della Salvia divinorum sono da attribuire alla salvinorina A, il principale costituente della pianta, identificato da Ortega ed isolato da Valdes nei primi anni ’80. La farmacocinetica della salvinorina A è stata studiata nel ratto e nei primati. È eliminata in modo relativamente veloce; la sua emivita di eliminazione è di circa settantacinque minuti; l ’emivita nel cervello varia tra otto e trentasei minuti. È metabolizzata da vari enzimi ossidativi ed è substrato per la proteina P-gp (proteina di membrana che ha la capacità di estrudere sostanze dalla cellula). L’attività farmacologica della salvinorina A può essere paragonata a quella degli allucinogeni sintetici LSD (dietilamide dell ’acido lisergico) e DOB (4-bromo-2,5-dimetossifenilisopropilamina), rispetto ai quali si
differenzia per il meccanismo d ’azione. Il composto, infatti, è un potente agonista dei recettori kappa (k) per gli oppioidi la cui stimolazione sembra essere correlata agli effetti psicotropi associati al consumo di estratti di Salvia divinorum. Inoltre, studi effettuati sia in vitro che in vivo, hanno dimostrato che la salvinorina A non ha alcuna affinità per i recettori serotoninergici 5-HT2A che rappresentano, invece, il principale target molecolare degli allucinogeni classici (LSD, N,N-dimetiltriptamina, psilocibina, mescalina). In aggiunta, è stata anche dimostrata la totale mancanza di affinità della salvinorina A nei confronti di altri bersagli molecolari quali recettori accoppiati a proteine G, trasportatori e canali ionici. La somministrazione per via inalatoria di 200-500 µg di salvinorina A causa la comparsa di allucinazioni; gli effetti insorgono dopo circa trenta secondi dall’ ’inalazione, raggiungono una fase di plateau in 5-10 minuti e scompaiono dopo 20-30 minuti. Il quantitativo di principio attivo presente nelle foglie varia tra 0,89 e 3,7 mg/g di peso secco. In genere queste concentrazioni, contenute in 1 grammo di foglie, sono sufficienti a indurre effetti psicoattivi. Nella medicina popolare, assunta in piccole quantità (4-5 paia di foglie fresche o essiccate), la Salvia divinorum è stata utilizzata come tonico (per combattere la fatica) e come forma di panacea, vero e proprio medicamento al quale sono state attribuite proprietà magiche. Gli infusi ottenuti invece con quantità più grandi della droga (20-60 paia di foglie fresche) agiscono da allucinogeni (10). Le allucinazioni sono solitamente visive, uditive e tattili. In seguito all’ ’assunzione di Salvia divinorum sono state descritte visioni di superfici bidimensionali, percezione di ritorno a luoghi del passato (soprattutto dell ’infanzia), sensazioni di movimento (di essere tirati o torti da una qualche forza sconosciuta), sensazioni di perdita del corpo o della propria identità, euforia immotivata e incontrollabile e vissuto di esperienze extracorporee (sensazione di trovarsi in più luoghi nello stesso istante). Gli estratti di Salvia divinorum sembrano possedere anche proprietà antidepressive. Questo effetto presumibilmente trova conferma negli effetti antidepressivi esercitati dagli agonisti selettivi del recettore k per gli oppioidi. In letteratura è riportato il caso di una ragazza di ventisei anni affetta da depressione nella quale è stata osservata una remissione dei sintomi depressivi in seguito all’assunzione di Salvia divinorum. Un’altra potenziale applicazione terapeutica della salvinorina A potrebbe riguardare il trattamento di patologie caratterizzate da disturbi della percezione, quali schizofrenia, disturbi bipolari e malattia di Alzheimer. È stata fornita una spiegazione scientifica dell ’uso tradizionale della pianta nel trattamento della diarrea. La somministrazione di estratti standardizzati di Salvia divinorum nel porcellino d ’India provoca a
livello dell ’ileo un effetto inibitorio sulla trasmissione colinergica enterica. Tale effetto sembra essere legato all’ ’attivazione da parte della salvinorina A dei recettori pregiunzionali del colon k per gli oppioidi e CB per i cannabinoidi. Gli agonisti dei recettori oppioidi, infatti, inibiscono il rilascio di acetilcolina da parte dei neuroni del plesso mioenterico ed attenuano così le contrazioni della muscolatura liscia longitudinale. Tossicità. Non sono noti dati sulla tossicità della Salvia divinorum sull’uomo o nell‘animale da laboratorio. Effetti avversi. Un bollettino informativo (“Information Bulletin”) sulla pianta edito dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, elenca gli effetti avversi conseguenti all’uso prolungato di estratti della Salvia divinorum. Tali effetti comprendono depressione, schizofrenia e flashback negativi (effetti simili a quelli riportati per l ‘LSD). Questo stesso bollettino informa inoltre che produzione, distribuzione e abuso della Salvia divinorum o della salvinorina A non sono perseguiti nella maggior parte degli Stati Uniti, sebbene ci sia una volontà da parte del Congresso di includere la pianta ed il suo principio attivo nel “Controlled Substance Act”. Sono stati anche riportati fenomeni, soggettivi e non, quali nausea, incoordinazione motoria, vertigini, riduzione della frequenza cardiaca e sensazioni di freddo. Sotto effetto della Salvia divinorum è possibile incorrere in una serie di rischi correlati ad una alterazione della percezione dell ’ambiente circostante (può essere per esempio rischioso stare vicini alle finestre). Mescolare la Salvia divinorum con altre sostanze ne rende imprevedibili gli effetti. Un caso di psicosi persistente caratterizzato da ecolalia (ripetizione involontaria di parole o frasi pronunciate da altre persone), paranoia, conflitto di idee ed agitazione psicomotoria è stato descritto in un giovane di ventuno anni senza pregressi disturbi mentali che aveva fumato Salvia divinorum. Interazioni farmacologiche. Non sono state finora documentate interazioni farmacologiche nell’uomo. Tuttavia, il dato che la salvinorina A è substrato sia per vari enzimi ossidativi sia per la glicoproteina P fa supporre che interazioni farmacologiche siano possibili.
Sceletium tortuosum (kanna) Nome: Sceletium tortuosum Famiglia: Mesembryanthemaceae/Aizoaceae Genere: Sceletium Specie: Sceletium tortuosum Sinonimi: kanna, channa Provenienza: Repubblica Sudafricana, nelle province ad Est ed Ovest di Città del Capo Principi attivi: mesembrina, mesembrenone, 4’-O-demetilmesembrenolo, tortuosamina. Lo Sceletium tortuosum contiene alcaloidi in percentuale pari al 1-1,5%. La mesembrina risulta essere l ’alcaloide principale (0,3 e 0,86% rispettivamente nelle foglie e nel fusto) (2). Sono altresì presenti il mesembrenone ed il 4’-O-demetilmesembrenolo. La tortuosamina, anch’essa isolata dallo Sceletium tortuosum, ha struttura molecolare simile a quella della mesembrina: la differenza tra le due molecole è legata al fatto che la tortuosamina ha l ’anello pirrolico aperto. I principi attivi sono contenuti nelle parti aeree della pianta. Il contenuto di mesembrina e di 4’-O-demetilmesembrenolo diminuisce durante le fasi di preparazione della poltiglia vegetale della pianta secondo il metodo tradizionale (vedi uso storico); il mesembrone invece, a seguito del medesimo trattamento, subisce un incremento di concentrazione. Si pensa inoltre che questo metodo di preparazione possa facilitare la degradazione microbica o la sublimazione degli ossalati contenuti in elevata percentuale nella pianta (3,6-5%), rendendone più gradevole il gusto. Nome: mesembrina. Formula Molecolare: CHNO (peso molecolare = 289,4). Nome sistematico: 3a-(3,4-dimetossifenil)octaidro-1-metil-6Hindol-6-one. Numero di registro CAS: 468-53-1. Punto di fusione: la mesembrina bolle senza fusione a 186-190°C, il suo cloridrato fonde a 179-181°C. UVmax: non sono presenti in letteratura dati relativi all’UVmax. Solubilità: solubile in alcol, cloroformio, acetone. Nome: mesembrenone. Formula Molecolare: CHNO (peso molecolare = 287,4). Nome sistematico: 3a-(3,4-dimetossifenil)-1-metil-3,4,5,6,7,7aesaidro2H-indol-6-one. Numero di registro CAS: 468-54-2. Punto di fusione: non sono presenti in letteratura dati relativi al punto di fusione.
UVmax: non sono presenti in letteratura dati relativi all’UVmax. Solubilità: non sono presenti in letteratura dati relativi alla solubilità. Nome: 4’-O-demetilmesembrenolo. Formula Molecolare: CHNO (peso molecolare = 275,4). Nome sistematico: 3a-(3-metossi 4-idrossifenil)-1,2,3,3a,7,7aesaidro1-metil-6H-indol-6-olo. Numero di registro CAS: non sono presenti in letteratura dati relativi al Numero di registro CAS. Punto di fusione: non sono presenti in letteratura dati relativi al punto di fusione. UVmax: non sono presenti in letteratura dati relativi all’UVmax. Solubilità: non sono presenti in letteratura dati relativi alla solubilità. Nome: tortuosamina. Formula Molecolare: CHNO(peso molecolare = 326,4). Nome sistematico: 2-[6-(3,4-dimetossifenil)-7,8-diidro-5H-chinolin6-il]-N-metil-etanamina. Numero di registro CAS: non sono presenti in letteratura dati relativi al Numero di registro CAS. Punto di fusione: non sono presenti in letteratura dati relativi al punto di fusione. UVmax: non sono presenti in letteratura dati relativi all’UVmax. Solubilità: non sono presenti in letteratura dati relativi alla solubilità. Uso storico. Gli usi tradizionali della materia vegetale secca (preparata per essere masticata, fumata, o usata come un tabacco da fiuto) comportano la soppressione della fame e della sete, la sedazione e l ’aumento di umore. L’uso tradizionale si fa risalire agli Ottentotti, popolazione sudafricana, inizialmente stanziata a nord del fiume Orange in gran parte sterminata dai Boeri nel sec. XVIII. Gli Ottentotti chiamavano la pianta “kanna” ma con l ’arrivo dei Boeri olandesi il nome si trasformò in “kaugoed di kauwgoed”(beni da masticare). I gruppi nativi Sudafricani utilizzavano le parti aeree dello Sceletium tortuosum per preparare il “kaugoed”, una poltiglia vegetale che era masticata ripetutamente per estrarne il succo che era poi ingerito. Il kaugoed, preparato raccogliendo e sminuzzando lo Sceletium tortuosum con delle pietre, era lasciato “fermentare” in contenitori chiusi per diversi giorni prima di essere consumato. Alcuni autori riportano come il kaugoed fosse talvolta assunto come tè oppure fumato assieme alle foglie di Cannabis sativa. Ci sono racconti riportati sino ai giorni nostri e relativi agli Ottentotti, dai quali si deduce che questo popolo, più di due secoli fa, masticava proprio lo Sceletium tortuosum. Si riporta infatti che, sotto gli effetti dello Sceletium
tortuosum si potesse osservare in questa gente: «….un risveglio dei loro spiriti selvaggi, i loro occhi scintillavano e le loro facce mostravano riso e gaiezza. Apparivano migliaia di idee deliziose, ed una piacevole baldoria che gli permetteva di divertirsi con semplici gesti. Prendendone in eccesso perdevano la coscienza e cadevano in un terribile delirio….» (2). In realtà in epoche successive non è stato più riportato l ’uso narcotico/allucinogeno di questa pianta. Uso attuale. Oggi lo Sceletium tortuosum è commercializzato su siti Internet sottoforma di tavolette o capsule, e è consigliato per il trattamento degli stati d ’ansia e dell ’ umore depresso, come supporto per la cessazione dal fumo, nel caso di deficit dell ’attenzione, come aiuto nelle fasi di intenso studio. La dose tipica consigliata varia tra i cinquanta ed i 100 mg una o due volte al giorno, sebbene sui medesimi siti sia riportato un dosaggio che può arrivare sino a 200 mg due volte al giorno (se assunto sotto la supervisione di un medico). Se sniffato, 20 mg già producono effetti sostanziali e sono propagandati effetti quali: stimolante dell ’umore e del senso di vicinanza agli altri, sebbene a dosi “consistenti” (che però non sono definite quantitativamente) possa dare delirio. La combinazione con l ’alcol e la cannabis produce effetti soggettivi allucinatori intensi. Legislazione. In Italia né la mesembrina, né il mesembrenone, il 4’-O-emetilmesembrenolo o la tortuosamina, né l ’intera pianta o parti di essa sono inseriti nelle Tabelle contenenti le sostanze stupefacenti o psicotrope sottoposte alla vigilanza ed al controllo di cui all’articolo quattordici del Decreto del Presidente della Repubblica 309/90 e successive modifiche. In Europa non esistono restrizioni legali a carico dello Sceletium tortuosum o dei suoi principi attivi. La detenzione, il commercio e la coltivazione dello Sceletium tortuosum sono legali negli Stati Uniti, sebbene non sia stato approvato il suo utilizzo in ambito alimentare. Proprietà farmaco-tossicologiche. Esistono pochissimi studi relativi agli effetti farmacologici e tossicologici dello Sceletium tortuosum o dei suoi principi attivi. La mesembrina, nota per i suoi effetti a livello del sistema nervoso centrale, è un inibitore del reuptake della serotonina e possiede effetti
antidepressivi, blandamente sedativi e ansiolitici. In virtù di questi effetti la mesembrina potrebbe essere ulteriormente studiata per un eventuale trattamento della depressione lieve o moderata, di disturbi della sfera psichica di tipo ansioso, della dipendenza da alcol o da sostanze stupefacenti, per la bulimia nervosa o per disturbi di tipo ossessivo compulsivo. La mesembrina esercita anche un’attività inibitoria a livello dei recettori dopaminergici, adrenergici e nicotinici. Sia il “kougoed” che gli alcaloidi dello Sceletium tortuosum esplicano un’azione di tipo narcotico ansiolitico. È stata dimostrata, in vitro, un’attività antitumorale del mesembrone sulla linea cellulare tumorale umana Molt 4. Allo stato attuale non esistono ancora studi sperimentali riguardanti gli effetti farmacologici della tortuosamina. Tossicità. Non sono noti dati relativi alla tossicità acuta dei principi attivi dello Sceletium tortuosum. Effetti avversi. Gli effetti non desiderati associati più frequentemente all’uso dello Sceletium tortuosum sono cefalea, apatia, perdita dell’appetito e depressione. Presumibilmente la mesembrina, attraverso l ’inibizione della ricaptazione della serotonina, determina un incremento della stessa tale da poter provocare l ’insorgenza di una sindrome serotoninergica potenzialmente fatale. Tale sindrome si manifesta con disturbi di tipo comportamentale (stato confusionale con ipomania e agitazione), disfunzioni del sistema nervoso autonomo (diarrea, brividi, febbre, sudorazione, alterazioni della pressione arteriosa, nausea, vomito) e alterazioni delle funzioni neuromuscolari (mioclonie, iperriflessia, tremore e difficoltà a coordinare i movimenti). Interazioni farmacologiche. L’uso dello Sceletium tortuosum, dal momento che la mesembrina agisce come inibitore del reuptake della serotonina, dovrebbe essere evitato in caso di terapia con farmaci quali gli inibitori selettivi della captazione della serotonina o gli inibitori delle monoamminoossidasi (MAO). Inoltre lo Sceletium tortuosum può interagire anche con piante che causano effetti farmacologici simili quali Ruta siriana (Peganum harmala), Ayahuasca
(Banisteriopsis caapi), Passiflora (Passiflora incarnata), Yohimbe (Corynanthe Yohimbe). In letteratura è riportato il caso di un poliassuntore che ha sperimentato un episodio di flashback traumatico in seguito all ’assunzione concomitante di alcol, Cannabis e Sceletium tortuosum. Scutellaria nana (dwarf skullcap) Nome: Scutellaria nana Famiglia: Lamiacee Genere: Scutellaria Specie: Scutellaria nana Sinonimi: dwarf skullcap Provenienza: California Principi attivi: scutellarina Poco o nulla si sa sul principio attivo e le altre sostanze contenute in questa pianta. Notizie aneddotiche riportano che la Scutellaria nana sia una pianta con proprietà psicoattive che viene utilizzata come leggero sedativo (ansiolitico). Nome: scutellarina. Formula Molecolare: CHO(peso molecolare = 462.3). Nome sistematico: 2- flavone, 4’,5,6,7-tetraidrossi-, 7-.Dglucopiranuronoside. Numero di registro CAS: 27740-01-8. Punto di fusione: >300°C. UVmax: 285, 335 nm. Solubilità: insolubile in acqua, solubile in soluzioni alcaline e in acido acetico glaciale, poco solubile nei solventi organici. Uso storico. Secondo alcune fonti consultabili in Internet la pianta, originaria del Sud Ovest degli attuali Stati Uniti, è stata utilizzata nel corso dei secoli dagli indiani del Nord America come sedativo e nel trattamento dell ’insonnia e dell ’ansia. Uso attuale . La pianta è utilizzata in campo medico come sedativo ed è stata prescritta in alcuni casi di epilessia ed insonnia. I siti web che commercializzano le “Smart Drugs” inseriscono la pianta nella categoria delle erbe allucinogene che, se ingerite a grandi dosi,
possono causare sensazioni di stordimento, anche se in realtà le proprietà farmacologiche dei costituenti psicoattivi della pianta non sono state ancora chiarite con studi clinici sistematici. Non sono inoltre stati condotti trial clinici sull’uomo che possano comprovare le proprietà ansiolitiche e sedative della pianta. Il sito ufficiale dei prodotti a marchio Spice descrive la pianta in maniera molto generica, specificando semplicemente come essa sia molto conosciuta e utilizzata tradizionalmente dai Cherokee e da altre tribù di indiani nativi del Nord America. Legislazione. In Italia né la scutellarina, né l ’intera pianta o parti di essa sono sottoposte ad alcun tipo di controllo legislativo. Non si hanno notizie di particolari provvedimenti restrittivi in Europa e negli Stati Uniti a carico della pianta o del suo principio attivo. Proprietà farmaco-tossicologiche. La letteratura scientifica si occupa delle diverse specie di piante appartenenti tutte al genere Scutellaria, a cui si riferiscono proprietà antitumorali (5,6), antiangiogeniche, epatoprotettive, antimicotiche, antibatteriche ed antivitrali. sono riportati numerosi studi in vitro sulle capacità antitumorali di Scutellaria litwinowii, la cui azione sarebbe dovuta alle proprietà citotossiche ed apoptogeniche dei suoi componenti. Tossicità. Fonti non ufficiali su Internet riportano che un sovradosaggio della tintura madre di Scutellaria causa vertigini, stupore, confusione, spasmi degli arti, polso intermittente, e sintomi di epilessia. Effetti avversi. Sono stati segnalati alcuni casi di danno epatico a seguito dell’assunzione di Scutellaria nana. Tuttavia, ad un più attento esame, sembra che i prodotti che hanno causato danni epatici, oltre a contenere la Scutellaria nana contenessero anche il Teucrium chamaedrys, una pianta di cui sono note le proprietà epatotossiche (14-15). In un caso documentato è segnalata la morte di un giovane di ventotto anni a seguito dell ’ingestione di un prodotto erboristico contenente estratti
vegetali di Scutellaria nana, Pau d’Arco (un enorme albero nativo della foresta amazzonica) e zinco. Anche in questo caso tuttavia sembrerebbe essere avvenuta una contaminazione della miscela di erbe assunta dal soggetto con il Teucrium chamaedrys. Fonti non ufficiali su Internet riportano, tra i principi attivi del Teucrium chamaedrys, proprio la scutellarina. Ricordiamo che l ’uso in qualunque forma di Teucrium chamaedrys è proibito dallo stesso Ministero della Salute in Italia proprio a causa della sua epatotossicità. Interazioni farmacologiche . Sebbene non ben documentati, sono stati segnalati fenomeni di rinforzo degli effetti dei farmaci che causano sonnolenza.
Effetti in gravidanza. Fonti non ufficiali su Internet riportano casi documentati di tossicità in gravidanza, a causa del fatto che può inibire il rilascio di gonadotropine corioniche e di prolattina. Sida cordifolia (malva branca) Nome: Sida cordifolia Famiglia: Malvaceae Genere: Sida L. Specie: Sida cordifolia L. Sinonimi: llima, malva branca, country mallow, bala, pinellia Provenienza: India Principi attivi: efedrina, (nell ’estratto della pianta: 0,8% a 1,2% di alcaloide) pseudoefedrina, vasicinone e vasicina (1). I principi attivi elencati sono presenti nei semi, nelle foglie e nelle radici. L’efedrina, alcaloide principale della pianta, è un solido cristallino, di colore bianco, dal sapore amaro e dall’ ’odore lievemente aromatico. L’efedrina ed il suo isomero ottico, la pseudoefedrina, sono strutturalmente molto simili alla metamfetamina e alla dobutamina. I laboratori clandestini, che sintetizzano illecitamente amfetamina e derivati amfetaminici, utilizzano una semplice deidrogenazione per ottenere metamfetamina a partire dall’ ’efedrina. L’efedrina contiene due
atomi di carbonio asimmetrici; solo l-efedrina e l ’efedrina racemica sono utilizzate nella pratica clinica. Nome: efedrina. Formula Molecolare: C10H15NO (peso molecolare = 165,2). Nome sistematico: (1R,2S)-2-metilammino1-fenilpropanolo. Numero di registro CAS: 299-42-3. Punto di fusione: 38°C. UVmax: 251nm. Solubilità: solubile in acqua, alcol, cloroformio, etere, glicerolo e paraffina liquida. Nome: pseudoefedrina. Formula Molecolare: C10H15NO (peso molecolare = 165,2). Nome sistematico-(1-(metilamino)etil benzene metanolo. Numero di registro CAS: 90-82-4. Punto di fusione: 116-119°C. UVmax: 251 nm. Solubilità: solubile in alcol etilico, etere, parzialmente solubile in acqua. Nome: vasicinone. Formula Molecolare: CHNO (peso molecolare = 202,2). Nome sistematico: 2,3-diidro-3-idrossipirrolo(2,1-b)quinazolin9(1H)-one. Numero di registro CAS: 486-64-6. Punto di fusione: non sono presenti in letteratura dati relativi al punto di fusione. UVmax: non sono presenti in letteratura dati relativi all ’UVmax. Solubilità: solubile in acqua. Non sono presenti in letteratura dati relativi al punto di fusione. Nome: vasicina. Formula Molecolare: CHNO (peso molecolare = 188,2). Nome sistematico: 1,2,3,9-tetraidro pirrolo(2,1-b)quinazolin-3-olo. Numero di registro CAS: 6159-55-3. Punto di fusione: 210°C. UVmax: non sono presenti in letteratura dati relativi all’ UVmax. Solubilità: solubile in acetone, cloroformio, alcol, parzialmente solubile in acqua, etere e benzene. Uso storico. La medicina tradizionale indiana utilizza da più di duemila anni le radici, le foglie, i semi ed il fusto della pianta, ciascuna parte avendo delle proprietà terapeutiche specifiche per trattare l ’asma bronchiale, l ’influenza e il raffreddore, l ’insufficienza respiratoria, il mal di testa, la congestione nasale, i dolori osteoarticolari, la tosse e l ’edema.
Uso attuale. La medicina ayurvedica utilizza la Sida cordifolia come coadiuvante nella terapia dell ’asma: nel medesimo contesto è altresì miscelata assieme ad altre erbe indicate per aumentare“l ’energia vitale” e il tono dell’organismo. L’estratto di Sida cordifolia, che può contenere dallo 0,8 al 1,2% di efedrina, è venduto nei siti specifici in Internet come stimolante del sistema nervoso centrale procurando un effetto simile a quel dell ’amfetamina ed è ricercato tra i consumatori di herbal ecstasy (così sono chiamate genericamente le piante che contengono efedrina) per i suoi effetti euforizzanti. È facilmente reperibile su Internet, e quindi senza necessità di alcuna prescrizione medica né di controllo medico. L’estratto secco di Sida cordifolia è presente in numerosi prodotti naturali in vendita in Italia, ma presenta tutti i rischi e le controindicazioni dell ’Ephedra sinica. I rischi maggiori sono per i pazienti cardiopatici, gli ipertesi e coloro che stanno assumendo psicofarmaci o altre erbe stimolanti. Come nel caso del Ma huang, anche per la Sida cordifolia sono proposti messaggi allettanti che invitano al consumo della pianta. È facile infatti trovare messaggi invitanti del tipo: «…(omissis)… è il primo ecstasy naturale privo di efedra o Ma huang. Definito dai più. migliore dell’originale …(omissis)… Attualmente il prodotto più forte nella gamma degli stimolanti estatici, ha immediatamente riscontrato un forte successo tra i consumatori abituali di herbal ecstasy. Perfetto per il Dance Floor, sviluppa una incredibile sensualità, sorrisi, amore, energia e passione». La pubblicità, in questo caso, reclamizza un prodotto che promette di regalare piacevoli sensazioni senza dover ricorrere all’ ’assunzione di Ephedra sinica o Ma-huang, ma non pubblicizza il fatto che il principio attivo contenuto nella Sida cordifolia è lo stesso di quello contenuto proprio nel Ma-huang o nell’ ’Ephedra sinica. Legislazione. In Italia né l ’efedrina, né la pseudoefedrina, né il vasicinone o la vasicina, così come l ’intera pianta o parti di essa sono incluse nelle Tabelle della lista delle sostanze stupefacenti o psicotrope sottoposte alla vigilanza e al controllo di cui all’ ’articolo quattordici del Decreto del Presidente della Repubblica 309/90 e successive modifiche. L’efedrina e la pseudoefedrina tuttavia sono inserite nella categoria uno dell’allegato I per le sostanze classificate di cui al Decreto Legislativo n. 258 del dodici Aprile 1996 (G.U.112 del 15/05/1996) che riguarda il recepimento della direttiva 92/109/CEE relativa alla fabbricazione e all’ ’immissione in
commercio di talune sostanze impiegate nella fabbricazione illecita di sostanze stupefacenti e psicotrope. Tale allegato è presente nel Testo aggiornato della legge 309/90 (G.U. n. 62 del 15/03/06). L’efedrina e la pseudoeferina inoltre sono inserite nella lista dei farmaci, delle sostanze biologicamente o farmacologicamente attive di cui all’ ’articolo uno della legge n. 376/00:“Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping” pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 294 del 18 dicembre 2000. Tale lista è stata approvata con Decreto Ministeriale del 15 ottobre 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 278 del 27 novembre 2002. Un campione di urine è giudicato positivo a un controllo antidoping quando presenta una concentrazione di efedrina pari o superiore a dieci µg/ml. In Svizzera i prodotti contenenti derivati dell ’efedrina sono registrati quali prodotti farmaceutici acquistabili solo con ricetta medica. La Food and Drug Administration (FDA) americana ha recentemente bandito l ’impiego di Sida cordifolia, avendo contestualmente proibito la vendita d’integratori alimentari contenenti alcaloidi dell ’Ephedra sinica, che sono stati giudicati come integratori che presentano un irragionevole rischio per la salute umana. Nel corso del 2004 in America alcune società di medicina ayurvedica hanno presentato ricorsi nei confronti della FDA chiedendo di far rientrare nella legalità il commercio e l’utilizzo degli integratori alimentari a base di Sida cordifolia. Non si è a conoscenza, al momento, del risultato di tali ricorsi. Proprietà farmaco-tossicologiche. Le proprietà farmacologiche della Sida cordifolia sono da attribuire alla presenza di efedrina, pseudoefedrina e di altri alcaloidi strutturalmente correlati. L’efedrina e la pseudoefedrina sono agenti simpaticomimetici dotati di attività agonista, sia diretta che indiretta, nei confronti dei recettori e adrenergici e stimolante il sistema nervoso centrale. L’efedrina può essere assunta per via inalatoria (i sali di efedrina sono stati usati come decongestionanti nasali) e viene assorbita bene anche attraverso la cute sotto forma di unguento. Gocce di efedrina alla concentrazione di 0,1% applicate agli occhi sono efficaci per il trattamento della congiuntivite allergica. Quando l’efedrina era somministrata per via orale per i suoi effetti broncodilatatori e decongestionanti, la dose media era di 25-50 mg/kg/die da ripetere se necessario ogni 3-4 ore con il limite totale quotidiano di 150 mg. La dose pediatrica è di 2-3 mg/kg/die di peso corporeo o 100 mg/ m2/die di superficie corporea, suddivise in 4-6 dosi. In caso di somministrazione parenterale, era consigliata la minima dose efficace
(12,5-25 mg). Dopo somministrazione orale l ’efedrina viene rapidamente e completamente assorbita a livello intestinale. Una volta assorbito il composto, che presenta un elevato volume di distribuzione, raggiunge il picco plasmatico dopo un’ora dall’ ’assunzione. L’emivita plasmatica della sostanza varia da tre a sei ore a seconda del pH urinario ma i suoi effetti farmacologici perdurano per circa uno ora. L’efedrina e i composti a essa correlati sono lipofili e possono attraversare la barriera ematoencefalica interagendo con il sistema nervoso centrale. Solo una piccola parte di efedrina è metabolizzata ad opera del fegato; le principali reazioni che la sostanza subisce sono N-demetilazione (8-20%) e deaminazione (4-13%). La maggior quota di efedrina (circa il 53-74%) è invece secreta in forma immodificata con le urine. L’escrezione urinaria, per la presenza di un amino gruppo ionizzabile, viene favorita dal pH acido delle urine. A livello centrale l ’efedrina esercita un potente effetto stimolante, ha trovato impiego come ingrediente ad azione anoressizzante centrale contenuto in prodotti dimagranti e per il trattamento della narcolessia e degli stati depressivi. A livello cardiovascolare determina incremento della forza di contrazione del cuore, aumento dell ’output cardiaco e vasocostrizione periferica con un conseguente aumento sia della pressione sistolica che della diastolica. L’alcaloide, stimolando i recettori adrenergici, induce rilassamento della muscolatura liscia bronchiale, riduzione del tono e della motilità intestinale, rilassamento delle parete vescicale e del tono della muscolatura uterina. È stato dimostrato che l ’efedrina e la pseudoefedrina posseggono effetti anti-infiammatori nei confronti dell ’edema indotto da carragenina nel topo (13). Inoltre, l ’estratto crudo di Ephedra sinica ha mostrato in vitro la capacità di inibire la via classica di attivazione del complemento. Sempre in vitro, sono stati osservati effetti antibatterici nei confronti dello Staphylococcus aureus (15), effetti citotossici nei confronti dell ’epatoblastoma HepG2 e del neuroblastoma Neuro-2a, un blando effetto epatoprotettivo nei confronti della citotossicità indotta dal tetracloruro di carbonio . La Sida cordifolia è stata diffusamente utilizzata dalle tribù dello stato di Gujarat in India per i suoi presunti effetti vasodilatatori e cardioprotettivi. Non esistono dati clinici che supportino tale uso. Tuttavia, recentemente è stato dimostrato che un estratto idroalcolico di foglie di Sida cordifolia somministrato per via orale in associazione a propranololo produce effetti cardio protettivi nell’infarto del miocardio indotto sperimentalmente nel ratto. Sempre nel ratto, è stato anche dimostrato che la somministrazione orale di un estratto metanolico ottenuto dalle parti aeree di Sida cordifolia
possiede effetti antipiretici ed è in grado di proteggere dagli effetti ulcerogeni indotti dall’aspirina e dall’etanolo. Tossicità. La maggior parte degli studi sugli aspetti tossicologici dell ’efedrina naturale sono stati eseguiti sul Ma-huang (Ephedra sinica) e non sulla Sida cordifolia. Un recente studio ha dimostrato che l ’assunzione di integratori alimentari a base di Ephedra sinica e caffeina incrementa la pressione arteriosa. In particolare è stato osservato che l ’assunzione di una singola dose orale di un’associazione contenente efedrina e caffeina (rispettivamente 20 mg e 200 mg) causa un incremento della pressione sistolica pari a 14 mm di Hg e della pressione diastolica pari a 6 mm di Hg. In un altro studio condotto contro placebo su soggetti sani, sono state studiate le variazioni pressorie in seguito alla somministrazione orale di efedrina (0,1 mg/kg), caffeina (4 mg/kg) e delle due sostanze associate. In riferimento all’ ’azione sulla pressione arteriosa per la caffeina è stato osservato, rispetto al placebo, un incremento compreso tra 3 e 6 mm di Hg, per l ’efedrina l ’incremento è risultato invece pari a 12 mm di Hg. L’associazione delle due sostanze, infine, ha determinato un aumento della pressione arteriosa, rispetto al placebo, pari a 15 mm di Hg (21,22). Dati relativi alla tossicità acuta dell’efedrina: Nell’ ’uomo - DLo: 9 mg/kg Nel topo - DL50 dopo somministrazione intraperitoneale: 350 mg/kg Nel topo - DL50 dopo somministrazione endovenosa: 74 mg/kg. Dati relativi alla tossicità acuta della pseudo efedrina: Nell’ ’uomo - DLo: 9 mg/kg Nell’ ’uomo - TDLo 64 mg/kg. Effetti avversi. I più comuni effetti avversi centrali associati all’uso di efedrina sono: tremori, stati di ansia e confusionali, irrequietezza, insonnia e stati psicotici; in seguito ad overdose possono invece manifestarsi psicosi paranoiche e allucinazioni. A livello cardiovascolare l ’efedrina può indurre ipertensione arteriosa, vasocostrizione, tachicardia, palpitazioni, ischemia del miocardio e arresto cardiaco e predisporre all’ ’insorgenza di ictus ischemico o emorragico. In letteratura viene riportato il caso di una donna di trentacinque anni affetta da broncospasmo che ha manifestato una cardiomiopatia in seguito all’ ’uso cronico di dosi elevate di efedrina. In seguito ad assunzioni ripetute di efedrina si può sviluppare tolleranza (riduzione dell ’efficacia fino alla perdita dell ’effetto). L’overdose da
efedrina si manifesta con nausea e vomito cui seguono cefalea, agitazione, stati di ansia, tremori, tachicardia e ipertensione. L’eccessivo incremento della pressione arteriosa può portare a emorragia cerebrale ida cordifolia e a infarto del miocardio. In seguito ad aritmie ventricolari si può avere arresto cardiaco e morte. L’efedrina è controindicata nei casi di ipertensione, ipertiroidismo, feocromocitoma e glaucoma acuto ad angolo chiuso. La sua assunzione dovrebbe essere effettuata con cautela dai pazienti affetti da ipertrofia prostatica o da insufficienza renale. Una metanalisi che ha valutato studi clinici e dati provenienti dal sistema di segnalazione delle reazioni avverse della FDA, sugli effetti di preparati a base di Ephedra sinica o di efedrina, utilizzati a scopo dimagrante o per migliorare le prestazioni atletiche, ha dimostrato che l ’uso di Ephedra sinica o di efedrina in associazione a caffeina aumenta il rischio di aritmie cardiache e di disturbi gastrointestinali, psichiatrici e del sistema nervoso autonomo. Interazioni farmacologiche. L’efedrina può interagire con gli inibitori delle monoaminossidasi (MAO) causando un incremento dei livelli di noradrenalina con conseguente aumento del tono simpatico. In seguito a questa interazione si possono manifestare sintomi quali cefalea, febbre, aritmie e crisi ipertensive. Pertanto l ’efedrina non dovrebbe essere assunta da pazienti in trattamento con inibitori delle MAO o da pazienti che hanno sospeso il trattamento con tali farmaci da meno di quattordici giorni. L’efedrina, può ridurre l ’efficacia farmacologica dei farmaci antipertensivi; associata alla clonidina può causare incremento dei livelli di noradrenalina e innalzamento della pressione arteriosa. L’efedrina, se associata ai farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS), può favorire l ’insorgenza di lesioni a carico della mucosa gastrica. Inoltre la sostanza può incrementare il metabolismo dei corticosteroidi riducendone i livelli plasmatici. I pazienti asmatici in trattamento con tali farmaci dovrebbero quindi evitare l ’assunzione di prodotti a base di efedrina. L’escrezione urinaria dell ’efedrina è pH-dipendente. I farmaci di seguito elencati sono in grado di alcalinizzare le urine e di conseguenza rallentare l ’eliminazione dell ’efedrina.Un maggiore rischio di eventi avversi di tipo cardiovascolare (ipertensione, tachicardia o aritmie cardiache) è stato osservato dopo somministrazione concomitante di efedrina e dei seguenti farmaci: La reserpina causando deplezione di noradrenalina, può ridurre l ’efficacia dell ’efedrina. La teofillina può causare una maggiore incidenza
degli effetti avversi centrali e gastrointestinali (irrequietezza, insonnia e nausea) che si manifestano in seguito alla somministrazione di efedrina. Infine va presa in considerazione l ’associazione tra efedrina e caffeina. Quest’ultima infatti può potenziare gli effetti simpaticomimetici dell ’efedrina e causare tachicardia, ipertensione, ictus e aritmie cardiache. L’uso concomitante di queste due sostanze dovrebbe essere pertanto evitato. Effetti in gravidanza. L’efedrina è in grado di passare nel latte materno e di attraversare la placenta. L’ingestione della sostanza durante la gravidanza può causare nel feto iperattività, irritabilità e tachicardia. Per tali ragioni la FDA ha assegnato i prodotti a base di Ephedra sinica alla categoria 2c: da non usare in gravidanza e/o durante l ’allattamento. Ephedra sinica (ma huang) Nome: Ephedra sinica Famiglia: Ephedraceae Genere: Ephedra L. Specie: Ephedra sinica Stapf. Sinonimi: mao, ma-huang Provenienza: Asia (Cina, Corea, Giappone) Principi attivi: efedrina, d-pseudoefedrina, N-metilefedrina, N-metilpseudoefedrina, norpseudoefedrina, norefedrina (fenilpropanolamina) L’efedrina, alcaloide principale della pianta, è un solido cristallino, di colore bianco, dal sapore amaro e dall’odore lievemente aromatico. L’efedrina e il suo isomero ottico, la pseudoefedrina, sono strutturalmente molto simili alla metamfetamina e alla dobutamina. I laboratori clandestini, che sintetizzano illecitamente amfetamina e derivati amfetaminici, utilizzano una semplice deidrogenazione per ottenere metamfetamina dall’ ’efedrina. L’efedrina contiene due atomi di carbonio asimmetrici; solo la l-efedrina e l ’efedrina racemica sono utilizzate nella pratica clinica. Le parti aeree delle diverse specie di Ephedra sinica contengono percentuali variabili (ma comunque comprese tra lo 0,02% ed il 3,4%) di sei alcaloidi concentrati essenzialmente a livello degli internodi dei fusti. L’efedrina è l’alcaloide presente in quantità dominante (50-85% degli
alcaloidi contenuti nell’erba essiccata), seguito dalla d-pseudoefedrina (~25%) e da minor quantità di norefedrina, norpseudoefedrina, metilefedrina, metilpseudoefedrina. Sono altresì presenti: glicani (efedrani A-E), oli volatili (limonene, carofillene, fellandrene e altri); piccole quantità di saponine, catechine e tannini (1). La norefedrina è strutturalmente identica alla fenilpropanolammina, una molecola sintetica utilizzata in passato per perdere peso e come decongestionante della mucosa nasale finché diversi studi hanno dimostrato l ’aumentato rischio di ictus dopo trattamento con tale sostanza e hanno spinto le industrie farmaceutiche a ritirare volontariamente dal commercio tutti i prodotti a base di fenilpropanolammina. La fenilpropanolammina è una miscela racemica di norefedrina: in realtà l ’Ephedra sinica contiene solamente l ’isomero (-). La fenilpropanolammina sembra avere importanti interazioni a livello farmacodinamico con la caffeina, tanto che la Food and Drug Administration americana ha messo al bando la combinazione tra le due molecole sin dal 1983 (2). Formula chimica e proprietà chimico fisiche dei principi attivi: Nome: efedrina. Formula Molecolare: C10H15NO (peso molecolare = 165,2). Nome sistematico: (1R,2S)-2-metilammino1-fenilpropanolo. Numero di registro CAS: 299-42-3. Punto di fusione: 38°C. UVmax: 251 nm. Solubilità: acqua, alcol, cloroformio, etere, glicerolo, paraffina liquida. Nome: pseudoefedrina. Formula Molecolare: C10H15NO (peso molecolare = 165,2). Nome sistematico: (1S,2S)-2-metilammino-1-fenilpropanolo. Numero di registro CAS: 90-82-4. Punto di fusione: 116-119°C. UVmax: 251 nm. Solubilità: alcol etilico, etere. Parzialmente solubile in acqua. Nome: metilefedrina. Formula Molecolare: C11H17NO (peso molecolare = 179,3). Nome sistematico: (1R,2S)-2-dimetilammino-1-fenilpropanolo. Numero di registro CAS: 17605-71-9. Punto di fusione: 190°C. UVmax: 251 nm. Solubilità: cloroformio, etere. Nome: metilpseudoefedrina. Formula Molecolare: C11H17NO (peso molecolare = 179,3). Nome sistematico: (1S,2S)-2-dimetilammino-1-fenilpropanolo. Numero di registro CAS: 51018-28-1.
Punto di fusione: 190°C. UVmax: 251 nm. Solubilità: cloroformio, etere. Nome: norpseudoefedrina (catina). Formula Molecolare: C9H13NO (peso molecolare = 151,2). Nome sistematico: (1S,2S)-2-ammino-1-fenilpropanolo. Numero di registro CAS: 36393-56-3. Punto di fusione: 75-78°C. UVmax: 251 nm. Solubilità: cloroformio, etere. Ephedra sinica Nome: norefedrina (fenilpropanolamina). Formula Molecolare: C9H13NO (peso molecolare = 151,2). Nome sistematico: (1R,2S)-2-ammino-1-fenilpropanolo. Numero di registro CAS: 14838-15-4. Punto di fusione: 101°C. UVmax: 251 nm. Solubilità: alcol, cloroformio, etere. Uso storico. Il termine cinese Ma-huang potrebbe essere grossolanamente tradotto in italiano come “astringente giallo”, “equiseto giallo” o ancora, “canapa gialla” (il termine huang significa giallo; ma può avere, invece, significati differenti) e indica in maniera specifica le parti aeree dell ’Ephedra sinica. La medicina tradizionale cinese riconosce proprietà medicamentose agli steli verdi della pianta che vengono essiccati, bolliti in acqua calda e somministrati sottoforma di tè. La dose consigliata corrisponde a 1,5-9 gr di decotto d ’erba al giorno. Altre tre specie di Ephedra sembrano contenere alcaloidi, sebbene non siano riconosciute dalla farmacopea cinese (Ephedra minuta Florin, Ephedra distachya L., Ephedra gerardiana Wall). La Ephedra gerardiana viene utilizzata da qualche tempo immemorabile nella medicina tradizionale indiana. Sebbene in passato la Cina abbia rappresentato il maggior produttore di Ma-huang nel mondo, attualmente l ’India e il Pakistan sono riconosciuti tra i principali produttori della pianta (1). In passato l ’efedrina, il principio attivo dell ’Ephedra sinica, è stata utilizzata nel trattamento della sindrome di Stokes-Adams e come stimolante del sistema nervoso centrale nella narcolessia e negli stati depressivi. L’efedrina e i suoi sali sono stati utilizzati nel trattamento di forme lievi di asma bronchiale e di broncospasmo; attualmente però i broncodilatatori più selettivi (..2-stimolanti) ne hanno soppiantato l ’uso, in
virtù del fatto che l’efedrina è in grado di stimolare anche i recettori adrenergici. L’efedrina è stata anche utilizzata per contrastare l ’incontinenza urinaria, sebbene la sua efficacia in questo senso non sia stata chiaramente dimostrata. In effetti l ’efedrina causa ritenzione urinaria soprattutto negli uomini con iperplasia prostatica benigna. È stata anche utilizzata nel trattamento dell’ipotensione arteriosa che interviene a seguito di anestesia spinale (3,4). Uso attuale. La maggior parte degli integratori alimentari contenenti Ephedra sinica, sono commercializzati con l ’indicazione di fornire un aiuto per perdere peso o migliorare le prestazioni atletiche di chi l ’assume. Spesso tali integratori vengono però venduti in associazione ad altri prodotti contenenti fonti naturali di caffeina (Paulinia cupana o guaranà e Cola nitida o kolanut) al fine di aumentare gli effetti dell ’efedrina e per ottenere una combinazione di droghe definite “eccitanti” da usare ad esempio in discoteca. Un quantitativo tipico di caffeina offerto nei “mix” di erbe varia tra i quaranta e i 200 mg di prodotto (2). Si stima che, solo nel 1999, dodici milioni d ’individui, negli Stati Uniti, abbiano usato tre miliardi di dosi d ’alcaloidi dell ’Ephedra (5). Negli “Smart-Shop” italiani si commercializzano prodotti a base di Ephedra estremamente eterogenei sia per quel che riguarda il contenuto di principio attivo che per l ’associazione con altri estratti vegetali contenenti molecole farmacologicamente attive (caffeina, teobromina, teofillina). Molti dei prodotti in commercio contengono associazioni di Ephedra e kola nut (caffeina), sida cordifolia (efedrina), guaranà (caffeina), ginseng (ginsenosidi), damiana (damianina), yohimbe (yohimbina). Tali associazioni dovrebbero potenziare gli effetti del singolo componente della miscela. Non a caso, spesso i prodotti erboristici a base di efedrina vengono definiti con il nome generale di “herbal ecstasy”. Il consumo a dosi incontrollate di questi preparati può portare all’ ’assunzione di un quantitativo tale di principio attivo da risultare pericoloso. L’efedrina viene, infatti, largamente utilizzata come simpatico mimetico a scopo voluttuario e, per le sue capacità lipolitiche, nelle diete alimentari soprattutto in associazione con altre sostanze, quali caffeina e acido acetilsalicilico. Le preparazioni a base di Ephedra sinica vengono pubblicizzate in modo suadente, invitante e rassicurante. Riportiamo a titolo di esempio come viene reclamizzato uno di questi prodotti: «… (omissis)….giudicato dagli utilizzatori smaliziati come la miglior herbal ecstasy sul mercato, produce una incredibile ondata di benessere ed energia che pervade tutto il corpo avvolgendolo in una gentile e
provocante sensazione di brividini su e giù per la schiena. È il più venduto herbal ecstasy nei Vitamin Store e “Smart Shop” d ’Europa. È usato anche da molti salutisti per aiutare la perdita di peso e aumentare l ’energia. (omissis)…è sicuro perché prodotto secondo le rigorose disposizioni delle leggi statunitensi (Food, Drug and Cosmetic Act) ». Legislazione. In Italia l ’efedrina, la pseudoefedrina, la metilefedrina, la metilpseudoefedrina e la norefedrina, come pure l ’intera pianta o parti di essa, non sono incluse nelle Tabelle contenenti le sostanze stupefacenti o psicotrope sottoposte alla vigilanza ed al controllo di cui all’ ’articolo quattordici del Decreto del Presidente della Repubblica 309/90 e successive modifiche. È invece inclusa nella Tabella I la norpseudoefedrina (o catina). Il Ministero della Salute ha inserito la pianta erbacea e gli steli dell ’Ephedra sinica nell’ ’elenco degli estratti vegetali non ammessi negli integratori alimentari (6). L’efedrina, la pseudoefedrina e la norefedrina tuttavia sono inserite nella categoria 1 dell ’allegato I per le sostanze classificate di cui al decreto legislativo n. 258 del 12 Aprile 1996 (G.U. 112 del 15/05/1996) che riguarda il recepimento della direttiva 92/109/CEE relativa alla fabbricazione e all’ ’immissione in commercio di talune sostanze impiegate nella fabbricazione illecita di sostanze stupefacenti e psicotrope. Tale allegato è presente nel Testo aggiornato del DPR 309/90 (G.U. n.62 del 15/03/06). L’efedrina, la pseudoeferina e la metilefedrina sono inserite nella lista dei farmaci, delle sostanze biologicamente o farmacologicamente attive di cui all’ ’articolo uno della legge n. 376/00: “Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping” pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 294 del 18 dicembre 2000. Tale lista è stata approvata con Decreto Ministeriale del 15 ottobre 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 278 del 27 novembre 2002. La regolamentazione di tale sostanza è tuttavia disputa di controversie nonostante evidenze scientifiche mostrino pesanti effetti collaterali a carico del sistema cardiovascolare e del sistema nervoso centrale. Pertanto a causa delle reazioni avverse è possibile asserire che i preparati “erboristici” a base di efedrina possono risultare particolarmente pericolosi in relazione alla possibilità che una sensibilizzazione “non grave” (legata alla suscettibilità individuale nei confronti dell’efedrina) si trasformi, compatibilmente con le condizioni generali del soggetto e con eventuali patologie preesistenti, in patologie più importanti, con esito talvolta fatale (7). Recentemente la Food and Drug Administration (FDA), ha affermato che gli integratori contenenti efedrina comportano rischi per la salute a
breve e lungo termine. Per tale motivo, la medesima FDA ha deciso di proibire tutti i prodotti che contengano dei derivati dell ’efedrina (8,9). Inoltre tale sostanza risulta inserita nella lista delle sostanze proibite pubblicata dalla WADA (World Antidoping Agency). Un campione di urine viene giudicato positivo a un controllo antidoping quando presenta una concentrazione di efedrina e metilefedrina pari o superiore a dieci µg/ml (10). Proprietà farmaco-tossicologiche. Le proprietà farmacologiche dell ’Ephedra sono dovute alla presenza di efedrina, pseudoefedrina e altri alcaloidi strutturalmente correlati. L’efedrina e la pseudoefedrina sono agenti simpaticomimetici dotati di attività agonista, sia diretta che indiretta, nei confronti dei recettori adrenergici e stimolanti il sistema nervoso centrale (11,12). L’efedrina può essere assunta per via inalatoria (i sali di efedrina sono usati come decongestionanti nasali) e viene assorbita bene attraverso la cute sotto forma di unguento. Gocce di efedrina alla concentrazione di 0.1% applicate agli occhi sono efficaci per il trattamento della congiuntivite allergica. Quando l ’efedrina era somministrata per via orale, per i suoi effetti broncodilatatori e decongestionanti, la dose media era di 25-50 mg/kg/die da ripetere se necessario ogni 3-4 ore, con il limite totale quotidiano di 150 mg. La dose pediatrica è di 2-3 mg/kg/die di peso corporeo o 100 mg/m2/die di superficie corporea, suddivise in 4-6 dosi (8). In caso di somministrazione parenterale, era consigliata la minima dose efficace (12,5-25 mg). Dopo somministrazione orale l ’efedrina viene rapidamente e completamente assorbita a livello intestinale. Una volta assorbito, il composto, che presenta un elevato volume di distribuzione, raggiunge il picco plasmatico dopo un’ora dall’assunzione. L’emivita plasmatica della sostanza varia da tre a sei ore a seconda del pH urinario ma i suoi effetti farmacologici perdurano per circa uno ora. L’efedrina e i composti a essa correlati sono lipofili e possono attraversare la barriera emato-encefalica. Solo una piccola parte di efedrina viene metabolizzata ad opera del fegato; le principali reazioni che la sostanza subisce sono N-demetilazione (8-20%) e deaminazione (4-13%). La maggior quota di efedrina (circa il 53-74%) viene invece secreta in forma immodificata con le urine. L’escrezione urinaria, per la presenza di un amino gruppo ionizzabile, viene favorita dal pH acido delle urine (4,5,13). A livello centrale l ’efedrina esercita un potente effetto stimolante; ha trovato impiego come ingrediente ad azione anoressizzante centrale
contenuto in prodotti dimagranti e per il trattamento della narcolessia e degli stati depressivi (4). A livello cardiovascolare determina incremento della forza di contrazione del cuore, aumento dell’output cardiaco e vasocostrizione periferica con un conseguente aumento sia della pressione sistolica che della diastolica (14). L’alcaloide, stimolando i recettori adrenergici, induce rilassamento della muscolatura liscia bronchiale, riduzione del tono e della motilità intestinale, rilassamento della parete vescicale e riduzione del tono della muscolatura dell’utero. È stato dimostrato che l ’efedrina e la pseudoefedrina posseggono effetti anti-infiammatori nei confronti dell ’edema indotto da carragenina nel topo (15). Inoltre, l ’estratto crudo di Ephedra sinica, ha mostrato in vitro la capacità di inibire la via classica di attivazione del complemento (16). Sempre in vitro, sono stati osservati un effetto antibatterico nei confronti dello Staphylococcus aureus (17), un effetto citotossico nei confronti dell ’epatoblastoma HepG2 e del neuroblastoma Neuro-2a (18), un blando effetto epatoprotettivo nei confronti della citotossicità indotta dal tetracloruro di carbonio (19). Tossicità. La DL50 dell’Ephedra sinica e dell’efedrina é rispettivamente 5,4 g/kg e 64,9 mg/kg. L’efedrina rappresenta circa il 5085% della frazione alcaloide totale presente nell’Ephedra sinica, gli altri principi attivi della pianta (per es. la pseudoefedrina) risultano essere meno attivi rispetto all’efedrina e, inoltre, l ’assorbimento dell’efedrina presente negli estratti di Ephedra sinica, trovandosi all’interno della matrice vegetale della pianta, è minore rispetto a quello della sostanza pura. Queste osservazioni suggerirebbero una minore tossicità dell’estratto di Ephedra sinica rispetto a quella dell’efedrina (20,21). Alcuni autori sostengono che il potenziale neurotossico degli estratti di Ephedra sinica é maggiore rispetto a quel dell’efedrina sintetica, in virtù dell’effetto sinergico esercitato dalla frazione alcaloide dell’estratto o per la presenza nella pianta di altri principi attivi non ancora identificati (18,20,21). È stato dimostrato che l ’assunzione di integratori alimentari a base di Ephedra sinica e caffeina incrementa la pressione arteriosa. In particolare è stato osservato che l ’assunzione di una singola dose orale di un’associazione contenente efedrina e caffeina (rispettivamente 20 mg e 200 mg) causa un incremento della pressione sistolica pari a 14 mm di Hg e della pressione diastolica pari a 6 mm di Hg (2). In un altro studio condotto contro placebo su soggetti sani, sono state studiate le variazioni pressorie in seguito alla somministrazione orale di efedrina (0,1 mg/kg), caffeina (4 mg/kg) e delle due sostanze associate.
Per la caffeina è stato osservato, rispetto al placebo, un incremento della pressione arteriosa compreso tra 3 e 6 mm di Hg, per l ’efedrina l ’incremento pressorio è risultato pari a 12 mm di Hg, infine l ’associazione delle due sostanze ha determinato un aumento della pressione, rispetto al placebo, pari a 15 mm di Hg (22,23). Dati relativi alla tossicità acuta dell’efedrina. Nell’uomo - DLo: 9 mg/kg (24) Nel topo - DL50 dopo somministrazione intraperitoneale: 350 mg/kg Nel topo - DL50 dopo somministrazione endovenosa: 74 mg/kg Dati relativi alla tossicità acuta della pseudo efedrina. Nell’uomo - DLo: 9 mg/kg, TDL 64 mg/kg (25) Dati relativi alla tossicità acuta della norefedrina. Nel bambino - TDLo: 0,938 mg/kg Nel neonato - TDLo: 1,25 mg/kg Nell’ ’uomo - TDLo: 9 mg/kg Effetti avversi. I più comuni effetti avversi centrali associati all’uso di efedrina sono: tremori, stati di ansia e di confusione, irrequietezza, insonnia e stati psicotici; in seguito ad overdose possono manifestarsi psicosi paranoiche e allucinazioni (11). A livello cardiovascolare l ’efedrina può indurre ipertensione arteriosa, vasocostrizione, tachicardia, palpitazioni, ischemia del miocardio e arresto cardiaco (26) e predisporre all’ ’insorgenza di ictus ischemico o emorragico (27). In letteratura viene riportato il caso di una donna di trentacinque anni affetta da broncospasmo che ha manifestato una cardiomiopatia in seguito all’ ’uso cronico di dosi elevate di efedrina (28). In seguito ad assunzioni ripetute di efedrina si può sviluppare tolleranza (riduzione dell ’efficacia fino alla perdita dell ’effetto). L’overdose si manifesta con nausea e vomito cui seguono cefalea, agitazione, stati di ansia, tremori, tachicardia e ipertensione. L’eccessivo incremento della pressione arteriosa può portare a emorragia cerebrale e a infarto del miocardio. In seguito ad aritmie ventricolari si può avere arresto cardiaco e morte. L’efedrina è controindicata nei casi di ipertensione, ipertiroidismo, feocromocitoma e glaucoma acuto ad angolo chiuso. La sua assunzione dovrebbe essere effettuata con cautela dai pazienti affetti da ipertrofia prostatica o da insufficienza renale
(2,4,29,30). Una metanalisi che ha valutato studi clinici sugli effetti di preparati a base di Ephedra sinica o di efedrina, utilizzati a scopo dimagrante o per migliorare le prestazioni atletiche, ha dimostrato che l ’uso di Ephedra sinica o di efedrina in associazione a caffeina aumenta il rischio di aritmie cardiache e di disturbi gastrointestinali, psichiatrici e del sistema nervoso autonomo (31). Per quanto riguarda le manifestazioni di eventi avversi occorsi a seguito dell ’assunzione di integratori alimentari a base di Ephedra sinica, ricordiamo che nel 1998, negli Stati Uniti sono stati segnalati più di 800 casi di effetti collaterali, rappresentati da psicosi, attacchi cardiaci e ictus (18). Sempre nel 1998 sono giunte alla FDA circa 16.000 segnalazioni di reazioni avverse da farmaci provenienti dal database della Metabolife International, uno tra i maggiori distributori di integratori dietetici a base di Ephedra sinica presente sul mercato nordamericano. Il database della Metabolife conteneva circa 2000 segnalazioni di eventi avversi manifestatisi dopo assunzione di integratori a base di Ephedra sinica. Tra le segnalazioni riportate vi erano tra l ’altro: tre casi di decesso, venti casi di attacco cardiaco, ventiquattro casi di ictus, 465 episodi di dolore toracico e 966 casi di disturbi del ritmo cardiaco. Sono stati riportati anche quarantasei casi di sindromi psichiatriche che hanno richiesto ospedalizzazione e ottantadue casi in cui è risultato necessario un intervento medico d ’urgenza. Il report della Metabolife ha inoltre evidenziato che il 96% delle reazioni avverse da farmaci gravi (ictus, attacco cardiaco ecc.) si era manifestato alle dosi terapeutiche. Nei casi in cui è stato possibile risalire all’età delle persone che avevano manifestato reazioni avverse è emerso che il 50% dei consumatori non aveva più di trentacinque anni e che la maggior parte di essi aveva goduto sino a quel momento di buona salute (31). In letteratura è stato riportato un caso di colite ischemica con dolore addominale associato a diarrea sanguinolenta in un uomo di quaranta anni, probabilmente legato all’assunzione di Ma huang (32). Interazioni farmacologiche. L’efedrina può interagire con gli inibitori delle monoamminoossidasi (MAO) causando un incremento dei livelli di noradrenalina con conseguente aumento del tono simpatico. In seguito a questa interazione si possono manifestare sintomi quali cefalea, febbre, aritmie e crisi ipertensive. Pertanto l ’efedrina non dovrebbe essere assunta da pazienti in trattamento con inibitori delle MAO o da pazienti che hanno sospeso il trattamento con tali farmaci da meno di quattordici giorni (33,34). L’efedrina può ridurre l ’efficacia farmacologica dei farmaci antipertensivi (35); associata alla clonidina può causare incremento
dei livelli di noradrenalina e innalzamento della pressione arteriosa (36). Se associata ai farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), può favorire l ’insorgenza di lesioni a carico della mucosa gastrica (37). Inoltre la sostanza può incrementare il metabolismo dei corticosteroidi riducendone i livelli plasmatici. I pazienti asmatici in trattamento con tali farmaci dovrebbero quindi evitare l ’assunzione di prodotti a base di Ephedra sinica (38). L’escrezione urinaria dell’efedrina è pH-dipendente. I farmaci di seguito elencati sono in grado di alcalinizzare le urine e di conseguenza rallentare l’eliminazione dell’efedrina (39): sAcetazolamide, Cloruro di ammonio, Antiacidi,Bicarbonato di sodio. Un maggiore rischio di eventi avversi di tipo cardiovascolare (ipertensione, tachicardia o aritmie cardiache) è stato osservato dopo somministrazione concomitante di efedrina e dei seguenti farmaci: Digossina (34), Ciclopropano (40),Fenilpropanolamina (41), Pseudoefedrina. La reserpina, causando deplezione di noradrenalina, può ridurre l ’efficacia dell ’efedrina (42). La teofillina può causare una maggiore incidenza degli effetti avversi centrali e gastrointestinali (irrequietezza, insonnia e nausea) che si manifestano in seguito alla somministrazione di efedrina (43). Infine va presa in considerazione l ’associazione tra efedrina e caffeina. Quest’ultima infatti può potenziare gli effetti simpaticomimetici dell ’efedrina e causare tachicardia, ipertensione, ictus e aritmie cardiache. L’uso concomitante di queste due sostanze dovrebbe essere pertanto evitato (27). Effetti in gravidanza. L’efedrina è in grado di passare nel latte materno e di attraversare la placenta. L’ingestione della sostanza durante la gravidanza può causare nel feto iperattività, irritabilità e tachicardia. Per tali ragioni la FDA ha assegnato i prodotti a base di Ephedra sinica alla categoria 2c: da non usare in gravidanza e/o durante l’allattamento (44). Spice Solo da pochi anni è stato accertato l ’arrivo sul mercato “on-line” e nei negozi specializzati in articoli “etno” di nuove “Smart Drugs”, denominate “Spice”. Nel caso delle Spice non si tratta di un solo composto di origine vegetale ma, da quanto risulta già nelle etichette dei prodotti in commercio, di miscele di più erbe che possono essere fumate al pari del tabacco. In realtà le Spice vengono pubblicizzate e vendute come incenso,
come“una miscela esotica di piante che rilascia un ricco aroma mentre brucia, non destinata al consumo umano”. Gli utilizzatori di Spice indicano invece che, dopo aver fumato il prodotto, si avvertono effetti simili a quelli ottenuti fumando la cannabis. Gli stessi utilizzatori parlano delle Spice come erbe fumabili per uno“sballo legale”, facendo riferimento al loro status giuridico. Al momento esistono un gran numero di prodotti riuniti sotto il marchio “Spice”. Fra i più conosciuti: Spice Silver, Spice Gold, Spice Diamond, Spice Arctic Synergy, Spice Tropical Synergy e Spice Egypt. I vari prodotti riportano in etichetta quasi sempre gli stessi composti vegetali anche se in proporzioni differenti. L’etichetta apposta sui coloratissimi pacchetti delle Spice indica che il prodotto contiene da 0,4 a 3 g di una miscela di erbe dalle presunte proprietà psicoattive. Queste piante sembrano essere state scelte perché alcune di esse sono tradizionalmente utilizzate da alcuni gruppi etnici sudamericani o asiatici come ‘sostituti della marijuana’: in tal modo gli utenti possono aspettarsi effetti simili a quelli ottenuti dopo aver fumato cannabis. In realtà, sulla base della conoscenza del contenuto chimico di alcune di queste piante, per almeno due di esse, la Pedicularis densiflora (Indian Warrior) e il Leonotis leonurus (Lion’s Tail) vengono riportati in letteratura degli effetti psicoattivi. Per le altre piante, le notizie sono soprattutto aneddotiche e la letteratura scientifica scarsa. Definito: Fagiolo da spiaggia Canavalia maritima; sin. C. rosea Fabaceae Lion’s tail Leonotis leonurus Lamiaceae Honeyweed/Siberian motherwort Leonurus sibiricus Lamiaceae Loto sacro Nelumbo nucifera Nelumbonaceae Loto bianco e Loto blu Nymphaea alba e Nymphaea caerulea Nymphaeaceae Indian warrior Pedicularis densiflora Orobanchaceae Dwarf skullcap Scutellaria nana Lamiaceae Maconha brava Zornia latifolia o Z. diphyilla Fabaceae. Una ricerca condotta nel 2009 dall’ ’Osservatorio Europeo delle Droghe e delle Tossicodipendenze (EMCDDA) ha rilevato che la maggior parte dei rivenditori online di prodotti Spice ha sede nel Regno Unito (37%), Germania (15%), Paesi Bassi (14%) e Romania (7%) (1). Tuttavia, benché siano ancora vendute in negozi-on line di Regno Unito, Romania, Irlanda e Lettonia, le Spice non sono più reperibili nei negozi online con sede in Germania, Austria e Francia a seguito di azioni legali volte a vietare o controllare i prodotti di marchio Spice messe in atto da questi stati. In Internet il prezzo medio in euro di prodotti Spice cambia a seconda del paese e della “potenza” del prodotto, ma si aggira mediamente tra i venti e i 30 euro per una confezione da 3 g. Considerando che 3 g di prodotto sono sufficienti per circa sette “dosi” (0,4 g a “dose”), il prezzo delle Spice è
pressapoco paragonabile a quello della cannabis, vale a dire circa 3-4 euro/dose. Nel corso del 2009 l’EMCDDA ha segnalato come alcuni rivenditori stiano attualmente pubblicizzando delle miscele di erbe alternative alle Spice. In particolare, sono state identificate ventisette diverse miscele tra cui la Yucatan Fire, Sence e Genie. Pubblicizzate come prodotti contenenti ingredienti di origine vegetale, tuttavia, secondo informazioni fornite dal rivenditore, alcune di esse conterrebbero estratti vegetali di Amanita muscaria, fungo con proprietà allucinogene. Il consumo delle Spice preoccupa e allarma la comunità scientifica non solo per i composti di origine vegetale che compongono il prodotto, di cui peraltro si conosce poco o nulla circa il contenuto in principi farmacologicamente attivi, ma anche per l ’individuazione in molte Spice di cosiddetti “cannabinoidi sintetici”, sostanze testate su modello animale ma prive di sperimentazione clinica controllata sugli esseri umani. A ciò si aggiunge il fatto che se le conoscenze sui singoli composti di queste miscele sono scarse, non si hanno invece notizie sulle interazioni farmacologiche e sulle proprietà dei principi attivi presenti nelle miscele che possono dar luogo a effetti additivi o sinergici non prevedibili. Solo l ’osservazione clinica degli effetti sugli assuntori può colmare il vuoto delle conoscenze. È stato dalla fine del 2008, infatti, che alcuni Stati europei (Germania, Austria, Danimarca e Olanda) insieme alla Drug Enforcement Administration (DEA) statunitense hanno segnalato la presenza, nei prodotti di marchio Spice, di composti sintetici psicoattivi con azione sui recettori cannabinoidi (3-4). In particolare, il National Focal Point on Drugs and Drug Addictions (NFP) austriaco ha formalmente notificato all’EMCDDA l ’individuazione di una nuova sostanza psicoattiva (il cannabinoide sintetico JWH-018) nei prodotti Spice Gold, Silver e Diamond. Allo stesso modo, l’NFP tedesco ha notificato il rilevamento del cannabinoide sintetico CP 47,497, mentre Olanda e Danimarca hanno segnalato la presenza in tali prodotti del cannabinoide sintetico JWH-073. Al di fuori del contesto europeo, il DEA americano ha notificato la presenza di piccole quantità del cannabinoide sintetico HU-210 in altri prodotti di marchio Spice. Queste molecole, probabilmente aggiunte alla miscela di erbe, sono state originariamente sviluppate in laboratorio a scopo di ricerca, per studiare i meccanismi molecolari e biochimici del sistema degli endocannabinoidi su modelli animali e poi utilizzati nelle Spice. A livello internazionale, per nessuno dei cannabinoidi sintetici sopra menzionati esistono restrizioni al commercio o all’ utilizzo, così come non esiste alcuna autorizzazione a livello europeo per un loro impiego come farmaci. Non esistono inoltre dati ufficialmente pubblicati sulla sicurezza nell’utilizzo di tali sostanze ed è poco noto il loro effetto sugli esseri umani.
Inoltre, la loro non comune struttura chimica sommata ad alcune caratteristiche come la volatilità (e dunque la possibilità di essere “fumate”) e l ’attività a basse concentrazioni, rappresentano per i ricercatori una nuova sfida analitica e tossicologica. Si può presumere che diverse quantità o combinazioni di cannabinoidi sintetici siano stati aggiunte ad alcuni prodotti Spice per riprodurre alcuni effetti simil-cannabis. Tuttavia, non vi è alcuna prova che i cannabinoidi sintetici JWH-018, JWH-073, HU-210, CP 47,497 e i loro omologhi siano presenti in tutti i prodotti di marchio Spice (o simil-Spice) o addirittura in tutte le partite di uno stesso prodotto. Alcune informazioni dei media suggeriscono che alcuni prodotti Spice possono essere stati prodotti in Cina, ma non è ancora chiaro dove e come avviene la produzione delle miscele di erbe aromatiche, dei cannabinoidi sintetici, e dove e come avviene la loro miscelazione. Tutti i testi riportati in questa antologia sono a disposizione sul Web.
Ugo P. Il Redattore
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