Libro Kriya completo

February 19, 2018 | Author: krs09 | Category: Thought, Karma, Ludwig Van Beethoven, Mind, Chakra
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Kriya Yoga: sintesi di un’esperienza personale

Autore: Ennio Nimis

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PRIMA PARTE: RICERCA DEL KRIYA I/01 I/02 I/03 I/04 I/05 I/06 I/07

Autodidatta p.3 Un'organizzazione di Kriya p.18 Difficoltà con lo studio del Kriya per corrispondenza p.29 Assenza di respiro p.43 Ricerca del Kriya originale p.56 Sguardo alla vera natura del Kriya p.73 Fine di un'epoca p.88

SECONDA PARTE: CONDIVISIONE DELLE TECNICHE KRIYA II/01 Forma base del primo Kriya p.111 II/02 Kriya superiori p.130 II/03 Diverse scuole di Kriya p.141

TERZA PARTE: PIANO DIDATTICO IN SEI FASI III/01 Inizio p.161 III/02 Visione teorica del Kriya Yoga p.175 III/03 Verso la piena esperienza del Kriya p.188 III/04 Kriya delle cellule p.208 Appendice 1 Alcune note sulle routine ad incremento progressivo p.217 Appendice 2 Le quattro fasi della Alchimia Interiore p.228

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PRIMA PARTE: RICERCA DEL KRIYA

CAPITOLO I/01

AUTODIDATTA

La mia ricerca spirituale cominciò quando, affascinato in modo inesplicabile dalle persone sedute nella "posizione del loto", comprai un libro introduttivo allo Yoga classico. Il fatto di poter fare qualcosa d’importante senza muovermi da alcuna parte, senza i rischi e i pericoli degli sport classici, mi attraeva: lo Yoga mi appariva come un’arte, la più perfetta di tutte, che non presentava dei limiti intrinseci. Avevo quindici anni, frequentavo il liceo, quando incominciai a nutrire grandi speranze nei confronti di «certe pratiche orientali». Un compagno di scuola mi disse di possedere un testo dove erano spiegati, in tutti i dettagli, varie forme di Pranayama, aggiungendo che: «questi esercizi ti trasformano dentro...». Cosa poteva significare ciò? Non poteva certo riferirsi al solo conseguimento di particolari condizioni di rilassamento o di concentrazione; sicuramente non alludeva all’aderire ad una particolare filosofia o a mutare la propria concezione della vita, ma intendeva qualcosa di più coinvolgente. L'amico non si decise a prestarmi il libro e dopo alcuni giorni non ci pensai più. Per quanto riguarda altre letture, a differenza dei miei coetanei, prediligevo testi poetici, in particolare quelli che trattavano di temi che potevo collocare idealmente entro la cornice della vita campestre in cui vivevo parte del mio tempo libero. In quei giorni, quando vissi dal punto di vista affettivo qualcosa di intenso che percepivo come una difficile sfida, verso cui la mia emotività imprudente mi spingeva a fare dei passi che si rivelarono distruttivi, intrapresi il rito quotidiano di ascoltare musica classica, soprattutto Beethoven.1 Durante lunghe passeggiate in mezzo alla natura, l'improvvisa vista di un paesaggio così bello da togliere il respiro, accompagnato da un brano della musica di Beethoven, la quale non aveva mai smesso di risuonare nella mia mente e che ora era udita con più grande intensità a causa della febbre di quello shock estetico, afferrava l'anelito del mio cuore, cancellava ogni immagine dalla mia mente e mi concedeva un perfetto godimento entro un Lo studio della vita di Beethoven fu nutrimento per la mia anima. Egli estrasse dalle profondità del suo essere una musica incomparabile da offrire ai suoi fratelli, all’umanità. La tragedia della sordità lo colpì nel pieno della stagione creativa. Reagì in modo dignitoso decidendo di portare avanti, in condizioni quasi impossibili, la vocazione artistica. Il tremendo impatto della sua coraggiosa decisione si può trovare nel Testamento di Heiligestadt. 1

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ebbro ideale di perfezione. Il mio atteggiamento verso quella realtà che prendeva possesso della mia anima assunse gradatamente un tratto distintivo di profonda riverenza. Tecnica del vuoto mentale Un giorno un semplice testo, Yoga in 20 lezioni, esposto presso l’edicola della stazione ferroviaria, attirò la mia attenzione. Lo acquistai d'impulso. In un angolo della nostra palestra, durante le lezioni di Educazione Fisica, dopo gli esercizi preliminari di riscaldamento, l’insegnante mi dava il permesso di separarmi dai compagni di classe – che si divertivano con qualche gioco di squadra – e di dedicarmi a padroneggiare alcune posizioni di Yoga (Asana). L’insegnante era stupefatto nell’osservare come riuscissi a muovere i muscoli addominali per mezzo della tecnica Nauli. Obiettivamente parlando, il mio libro di riferimento sullo Yoga non era di qualità mediocre: c'era, insieme a ogni posizione (Asana), il chiarimento del significato del nome che la designava, una breve annotazione sul miglior atteggiamento mentale nei confronti della pratica e molte considerazioni su come ciascuna poteva stimolare certe particolari funzioni fisiologiche (importanti ghiandole endocrine ecc.). Era chiaro che queste posizioni non dovevano essere considerate come un semplice "lavoro di stretching", ma come un mezzo per fornire uno stimolo complessivo a tutti gli organi interni per aumentarne la vitalità. Il senso di benessere, percepito alla fine della sessione parlava in favore dell’utilità di questa pratica. Un capitolo intero era dedicato alla "Posizione del cadavere", Savasana, da praticarsi per ultima. Questa istruzione rivelava che l'autore ci aveva aggiunto qualche cosa appresa in altri contesti. Strutturata con gran cura, tale spiegazione divenne infatti la mia prima lezione di meditazione. Il testo non perdeva di vista ciò cui mirava (come faceva invece la maggioranza di libri che trattavano temi analoghi, attraverso complicate dissertazioni sulle più svariate forme di energia all'interno del corpo ecc.) ma, con un linguaggio tipicamente occidentale, presentava l’interessante possibilità di fermare tutte le funzioni mentali e, senza cadere nello stato di sonno, rimanere per un certo tempi in uno stato di pura consapevolezza. Sottolineava così la possibilità di porre a riposo le facoltà pensanti e ricaricare di fresca energia il nostro sistema psico-fisico. Fui attratto dalla esagerata promessa che, in venti minuti, tale pratica avrebbe fornito un riposo mentale equivalente a tre ore di sonno. Tale esercizio si rivelò, per molte ragioni, essenziale; grazie ad esso, verificai una volta per tutte la differenza, tuttora cruciale per la mia comprensione del Kriya Yoga, tra "mente" e "consapevolezza". 4

La posizione da assumere era quella supina, le braccia distese lungo i lati del corpo e una benda per coprire gli occhi, onde non essere disturbati dalla luce. Dopo due o tre minuti di quiete, l'esercizio cominciava con l'affermazione mentale: «sono rilassato, sono calmo, non penso a niente». Quindi, per entrare nello stato definito dall'autore "vuoto mentale", era necessario portare avanti una sola azione: dare una forma visiva ai pensieri, spingendoli via, uno per volta, come se «una mano interna li trasportasse dolcemente dal centro dello schermo mentale verso la sua periferia». Tutti i pensieri, senza eccezioni, dovevano essere messi da parte, anche il pensiero di star praticando una tecnica. Per eseguire correttamente questo processo delicato era essenziale "vedere" ogni pensiero, anche se questo aveva caratteristiche astratte. Non si doveva mai irritarsi per i nuovi pensieri, ma, visualizzandoli come un oggetti, li si spostava da parte mettendoli come "in attesa", impedendo così che sviluppassero, a loro volta, un’ulteriore catena di altri pensieri. Dopo aver spinto via ciascun pensiero si ritornava al centro, tra le sopracciglia (Kutastha) e ci si distendeva in qualcosa che era come un lago di pace. In tal modo il potere di spingere da parte altri pensieri che avrebbero bussato alle porte dell’attenzione sarebbe aumentato. Quando in certe occasioni – che seguivano episodi di forte disturbo emotivo – il meccanismo non voleva mettersi in moto, allora si trasformava la propria concentrazione in un piccolo ago che continuava a toccare istante dopo istante la zona tra le sopracciglia: ad un certo punto la fatica impiegata in tale atto scompariva e un rilassamento simile allo stato che precede il sonno sopraggiungeva. Dopo alcuni minuti, la situazione era la seguente: mentre una parte dell'essere assorta nel Kutastha, godeva di un piacevole senso di riposo, un'altra parte, che si trovava alla periferia della precedente, caratterizzata come da un tranquillo tremolio, osservava passivamente un processo di creazione d’indefinite immagini. La consapevolezza rimaneva così ferma e tranquilla per alcuni minuti. Nella mia esperienza questo stato non durava più di 10 o 15 minuti e l'esercizio, nella sua totalità, preparazione compresa, non superava i 25-30 minuti. La tecnica finiva inevitabilmente in un modo strano: lo stato di calma profonda era interrotto dal pensiero che l'esercizio dovesse essere ancora intrapreso, alla qual cosa il corpo reagiva con un fremito e il cuore batteva più veloce. Quindi appariva la consapevolezza che esso era stato portato perfettamente a termine. Da bravo studente, usai tale mezzo per riposare, di pomeriggio, tra una 5

sessione di studio e quella successiva e cominciai ad affezionarmi ad esso. Decisione di estendere la dinamica di questa tecnica alla vita pratica. Quanto stavo sperimentando non mi lasciava indifferente; era interessante osservare il modo in cui il processo mentale poteva essere momentaneamente arrestato, il modo in cui la sua apparente consistenza si affievoliva mentre uno stato di pura consapevolezza, autonoma da contenuti, contrassegnata da una costante continuità nascesse. Intuii che questo stato particolare era la mia più vera essenza. Il Cartesiano: «Penso dunque sono», gradualmente divenne: «Se non sono in grado di dominare il meccanismo del pensiero al punto di poterlo fermare a volontà, non posso dire di esistere realmente». Provai ad estendere le dinamiche essenziali di questa tecnica alla vita pratica, applicando la stessa disciplina ai pensieri specialmente nei momenti di inattività. Cruciale fu quel momento della mia vita e ciò che avvenne mi sorprese: cercando il silenzio mentale (come lo chiamava Sri Aurobindo) entrai in una specie di vuoto gelido. Talvolta, la mia vita sembrava come un'isola che emergeva da un oceano di dolore. Non fu facile sostenere la sfida di quel cupo e depresso stato d'animo, ma la lezione che ne ricavai fu oro puro. Applicare questa disciplina e disperdere il fumo dei nostri pensieri significa non solo ottenere uno stato di silenzio, pace, rilassamento ma anche vedere con chiarezza un fatto che ci riguarda intimamente. Scopriamo impietosamente la perversa situazione che caratterizza il nostro modo di vivere e che si rivela come la causa primaria della nostra miseria. Nello specchio della nostra introspezione resa limpida e non distorta, cominciamo a vedere l'influenza enorme che la ricerca di una continua iniezione di piccoli piaceri, inutili e pericolosi ha sulla nostra vita. Capiamo il grado di dipendenza da certe abitudini. Ne abbiamo a dozzine, da apparentemente innocenti come il bere bibite zuccherate, che pian piano mina la nostra salute, a più complicate, costose e cerebrali. Afferrarsi testardamente alle vecchie abitudini è una delle cause che creano una rottura delle relazioni umane o un netto deterioramento di esse. Quando siamo abbastanza lucidi per concepire un modo alternativo di vivere e liberarci da tutto questo spreco di energia, dopo avere respirato per alcune ore la limpida, scintillante, celestiale euforia della libertà, incontriamo con una resistenza significativa. Rinunciare ad una abitudine è come subire una morte interiore. Ciascun piacere derivato dalle nostre abitudini è avvolto, e nobilitato in modo inaspettato da una rete di pervicaci emozioni. I nostri sentimenti sembrano 6

cospirare ad ingannarci in modo che noi portiamo avanti in perpetuo, difendendola audacemente da ogni attacco, la causa del nostro continuo impoverimento. Il fascino ipnotico di questa forza è grande, ma non abbiamo alternative: a meno che non vogliamo creare uno dopo l'altro tutti i possibili fallimenti, dobbiamo fermare l'agonia di questa situazione perversa. La vita richiede duri sacrifici, mollare la presa su certe situazioni e volgere il nostro cuore verso nuovi schemi di vita. Sebbene la nostra disciplina è percepita come una agghiacciante inutile tortura, se accettiamo il suo apparente dolore, scopriremo che dura poco. Morirò per vivere! Durante il mio primo anno all'università, mentre scivolavo inesorabilmente nell'abitudine di nutrirmi continuamente di innumerevoli memorie di speranze perdute, e continuavo a rubare ore al tempo che avevo programmato per lo studio per leggere i classici Romantici, un fatto particolare mi spinse di nuovo verso la piena applicazione di quella severa disciplina che riguardava i pensieri. Un amico mi "iniziò" alla seconda Sinfonia di Mahler Resurrezione. Avendo cercato di penetrare il suo significato leggendo tutto quello che potevo trovare su di essa, la ascoltavo rapito nella quiete della mia stanza. Dopo molti entusiasti ascolti integrali, mi ritornava in mente durante il giorno. Cresceva, si amplificava nei momenti di pace, espandendo gli stati elevati della mia mente. Le parole «Sterben werd ich, um zu leben!» - Morirò per vivere! -, scritte dallo stesso Mahler e cantate dal coro nell'ultimo movimento sinfonico, erano un'eco chiara al mio progetto. Esse divennero come un filo attorno al quale il mio pensiero si cristallizzò, mentre il fascino dell’intera opera ripristinò in un modo chiaro una visione d’infantile bellezza. «Was du geschlagen, zu Gott wird es dich tragen!» (Quello che tu stesso ti sei guadagnato, ti porterà a Dio!) così finiva la poesia. Così lo interpretavo: «Il fatto stesso che hai continuato a lottare, incessantemente, ti ricompenserà con la immersione finale nella Luce». Sebbene avessi letto su Reincarnazione, Karma, Dharma, Maya e simili, non era possibile aderire "ipso facto" a questo modo orientale di pensare; in quel periodo di svolta della mia vita, ricevetti aiuto invece dalla suggestione creata da quel brano musicale. Ero determinato a rifiutare il "conforto" dei pensieri, fioche luci della mente, tremolanti nella notte dell'incertezza; ero deciso a porre la parola fine a tutto ciò che non era vero, volevo incontrare la verità assoluta, senza fronzoli non importa quale fosse – ed ero pronto ad attraversare con gli occhi ben 7

aperti un vasto territorio di dolore. Mentre intensificavo il mio sforzo, continuavo a ripetere entro di me: «Morirò per vivere»! Un giorno attraverso un sentiero mal tracciato, raggiunsi un posto su un'altura: il pensiero fisso era cosa avrei dovuto fare negli anni a venire onde tenere vivi i miei ideali. Mi venne l'idea di riprendere con più serietà di un tempo la pratica dello Hatha Yoga. Considerando i benefici per la salute, per la memoria ecc. pensai che potesse essere un grande aiuto. Acquistai il libro di B.K.S. Yengar Teoria e pratica dello Yoga. Per un mese, circa un'ora al giorno volava via in una piacevole disciplina. Alla fine del libro c'era una breve introduzione sul luminoso potere del Pranayama. Delle annotazioni prudenziali invece di smorzare il mio entusiasmo e guidarmi ad una estrema prudenza, mi accesero invece un'infuocata volontà di praticarlo intensamente. Vi trovai questo brano: «Il martello pneumatico può spezzare la roccia più dura. Nel Pranayama lo yogi usa i suoi polmoni come uno strumento pneumatico. Se esso non è usato propriamente, esso distrugge sia lo strumento stesso sia la persona che lo usa. La pratica scorretta crea una sollecitazione impropria nei polmoni e nel diaframma. Il sistema respiratorio ne soffre e il sistema nervoso è colpito negativamente. Le stesse basi della salute fisica e mentale verrà scossa da un pratica erronea del Pranayama». Quando lessi quelle linee, un lampo improvviso pose il silenzio e la quiete nel mio essere. Tale avvertimento prudenziale portò il mio interesse alla esasperazione, proprio per il fatto che quanto cercavo di raggiungere era qualsiasi cosa che producesse un cambiamento nel mio intimo. Avevo bisogno di una qualsivoglia "miscela esplosiva" per sopraffare le resistenze interne; persino un "terremoto interno" era da preferirsi alla presente situazione. Forse attraverso quella disciplina avrei potuto imparare il segreto per «morire a me stesso». Una citazione dalla Bhagavad Gita colpì la mia immaginazione: «(Lo yogi) conosce l'eterna gioia, quella che è al di là del confine dei sensi e che la ragione non può afferrare. Abita in questa realtà e non si allontana da essa. Ha trovato il tesoro dei tesori. Non c'è nulla più grande di questo. Colui che lo ha raggiunto non sarà toccato dal più grande dei dolori. Questo è il vero significato dello Yoga – una liberazione dal contatto col dolore e con la disperazione.» Ero veramente emozionato, non avevo mai letto nulla di simile! Ripetevo spesso tale frase a quegli amici cui ritenevo di poter trasmettere il mio entusiasmo.

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Pranayama Non è un compito difficile capire che gli esercizi di respirazione non sono volti ad allenare i muscoli del torace, fortificare il diaframma o creare delle condizioni particolari d’ossigenazione di sangue ma ad agire sull'energia Prana - presente nel nostro sistema psicofisico. Durante tale pratica, si cerca di percepire i flussi d’energia attraverso canali sottili chiamati Nadi. I principali sono Ida, che fluisce verticalmente lungo il lato sinistro della colonna spinale - si dice che possieda una natura femminile - e Pingala - di natura maschile - che fluisce parallelamente alla precedente. Nel mezzo fluisce Sushumna, al di là della dualità collegata alle Nadi laterali. Non è difficile pensare che tali canali, proprio come i tubi che conducono l'acqua nelle case, possano essere "arrugginiti", "sporchi", "ostruiti" e che questo fatto implichi una diminuzione della vitalità nel corpo. L'ammontare dell’"immondizia" nelle Nadi può essere collegata a disarmonia e conflitti nella nostra disposizione d’animo; pulendo questi canali attraverso le tecniche di Pranayama si ottiene una trasformazione interiore che si rifletta anche sulla personalità. Ci sono momenti nella nostra vita nei quali ci sentiamo più esteriorizzati, altri in cui avviene il contrario; in una persona sana quest’alternanza significa un equilibrio tra una vita di rapporti positivi ed un contatto sereno con la profondità del proprio essere. Sfortunatamente, molte persone non possiedono tale armonia. Le persone troppo introverse tendono a perdere il contatto con la realtà. La conseguenza è che le vicissitudini della vita sembrano coalizzarglisi contro onde minare la loro pacifica padronanza di sé. Le persone troppo estroverse tradiscono fragilità nel fare i conti con quello che sale dal regno subcosciente e possono dover affrontare dei momenti inaspettati di angoscia. Attraverso la pratica del Pranayama, specificamente la varietà a naricialternate, tali tendenze opposte verranno, almeno temporaneamente, equilibrate. In pratica, ci sarà più gran consapevolezza emotiva, criteri più precisi di valutazione e più abilità di elaborare le informazioni, più grande intelligenza operativa. Da questa più efficiente sinergia tra pensiero e affettività, ne verrà un’emozionalità più intensa e calibrata ed un pensiero logico più chiaro, preciso e completo. Da quest’equilibrio può nascere l'intuizione che permette di scavalcare la logica sequenziale del pensiero razionale ed affrontare al meglio quei momenti della vita in cui si prendono le importanti decisioni. Quando s’incominciano a percepire i primi buoni effetti derivanti dalla pratica, la persona è incoraggiata a persistere, andando anzi sempre più in profondità, cercando "qualcosa di più". Questo "di più" è l’attivazione della corrente Sushumna che, fluendo, crea un'esperienza di gioia, felicità, 9

esaltazione. Questo è l’inizio vero e proprio dell’avventura "mistica", un processo che si mette in moto nonostante il soggetto potrebbe non avere alcun barlume sul significato di tale esperienza. Routine di base: [a] Nadi Sodhana È importante, prima di cominciare l'esercizio, pulire le narici così che il respiro possa fluire liberamente. Questo può essere fatto usando acqua, inalando essenza d’eucalipto e soffiandosi il naso. Talvolta qualcuno si lamenta del fatto che una delle due narici è sempre ostruita: questo è un problema medico che va preso nella dovuta considerazione. Se l’ostruzione è causata da un serio raffreddore, non si dovrebbe praticare nessun esercizio di Pranayama. Per incominciare, la bocca deve essere chiusa, la narice destra deve essere tenuta chiusa dal pollice destro e l’aria è lentamente, uniformemente e profondamente inspirata attraverso la narice sinistra. L’inspirazione dura da sei a dieci secondi. È importante non esagerare e sentire l’esercizio come faticoso. Dopo avere inspirato attraverso la narice sinistra, si chiude la narice sinistra col mignolo ed anulare - sempre della stessa mano – e si espira attraverso la narice destra, sempre secondo lo stesso lento, uniforme e profondo ritmo. Poi, le narici si scambiano il ruolo: mantenendo chiusa la narice sinistra, l’aria è lentamente, uniformemente e profondamente inspirata attraverso la narice destra. Poi, chiudendo la narice destra col pollice, l’espirazione avviene attraverso la narice sinistra, sempre in modo lento, uniforme e profondo. Questo è un ciclo: all’inizio se ne fanno sei, poi dodici. Si può usare un conteggio mentale per essere sicuri che inspirazione ed espirazione abbiano la stessa durata. Una breve pausa per un conteggio mentale di tre, avviene dopo ciascun’inspirazione. Le dita possono essere usate per aprire e chiudere le narici in diversi modi ed ognuno può fare come preferisce.2

Una tradizione suggerisce che l'espirazione duri un tempo doppio di quello usato per l'inspirazione, mentre la pausa dopo l'inspirazione duri un tempo di ben quattro volte tanto. 2

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[b] Ujjayi La tecnica consiste nell'inspirare profondamente e poi espirare attraverso entrambe le narici, producendo un suono/rumore nella gola. Durante l’espirazione tale suono non è forte come durante l'inspirazione. Dopo la pratica d’alcuni giorni, l'azione respiratoria si allunga senza sforzo. Quest’esercizio è praticato normalmente per dodici volte. Un conteggio mentale aiuta a far sì che inspirazione ed espirazione abbiano la stessa durata. È importante non solo concentrarsi sul processo stesso, ma anche sul senso di benessere e di calma indotta; in tal modo la concentrazione si approfondisce. [c] Bandha Il collo e la gola sono leggermente contratti, mentre il mento s’inclina verso il petto (Jalandhara Bandha). I muscoli addominali sono leggermente contratti per intensificare la percezione d’energia nella spina dorsale (Uddiyana Bandha). I muscoli del perineo - tra l'ano e gli organi genitali - sono contratti come a volerli sollevare verticalmente e inoltre, in contemporanea, la parte inferiore dell'addome è premuta indietro (Mula Bandha). I tre Bandha sono applicati simultaneamente e mantenuti per approssimativamente quattro secondi onde provocare una lieve vibrazione del corpo; quest’esercizio è ripetuto per tre volte. Col tempo può essere percepita una sensazione di corrente energetica che sale lungo la colonna spinale, un brivido interno quasi estatico. Dopo due-tre settimane di pratica, I Bandha sono praticati anche durante il Nadi Sodhana – dopo l'inspirazione, durante la breve pausa del respiro. [d] Concentrazione finale Con un atteggiamento di profondo rilassamento, l'attenzione, per almeno cinque minuti, è intensamente indirizzata nel Kutastha - il punto tra le sopracciglia.

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Primi effetti Attraverso una pratica seria, volli vedere da me se la disciplina del Pranayama fosse realmente dotata di tale forte potenzialità. Intrapresi questa pratica in un "modo assoluto", con una concentrazione feroce, quasi fosse la mia unica ragione di vita. (Ricordo con nostalgia quest’intensità, ogni qual volta mi accorgo che difetto della spontaneità iniziale.) Praticai la routine descritta il mattino e la sera, stando attento a che lo stomaco fosse vuoto. Essa era preceduta da qualche esercizio di stretching o, quando avevo più tempo, da qualche semplice Asana. Quindi assumevo la posizione del mezzo-loto, seduto sul bordo di un cuscino e tenendo la schiena in posizione diritta. Mi concentravo con zelo nell’applicare correttamente le istruzioni unendovi uno spirito di inventiva; mi concentravo alternativamente sulle sensazioni alternate di fresco e di tepore prodotte dall’aria che sfiorava la mano, usata per aprire e chiudere le narici. La pressione, il lieve e uniforme fluire del respiro… ogni dettaglio si rivelò molto piacevole. Divenendo consapevole di ciascun particolare tecnico riuscivo a mantenere una vigile attenzione senza esserne stressato. Talvolta nei primi giorni di sole dopo l'inverno, quando i cieli erano cristallini, blu come non lo erano mai stati, praticai spesso all'aria aperta e contemplavo ciò che mi circondava. In una fossa piena di cespugli ricoperti di edera, il sole riversava la sua luce su dei fiori. Alcune settimane prima, essi erano sbocciati durante i freddi giorni invernali ed ora, incuranti dei giorni più miti, si attardavano nella loro incantevole radiosità. Ero profondamente ispirato. Mai avrei pensato che lo Yoga mi potesse guidare verso la dimensione del godimento estetico: potevo solo immaginare che, qualora dall’esterno provenisse uno stimolo estetico, lo Yoga potesse fornirmi una duratura base di lucidità, aiutandomi così a mantenere la sua bella atmosfera durante la vita quotidiana. Ma ora sentivo che la percezione delle cose era cambiata; cercavo ovunque dei colori intensi restando affascinato da essi come se fossero una sostanza materiale che potevo toccare e accogliere in me. Guardandomi intorno, appariva un panorama tra le foglie: un gruppo di case distanti che circondavano un campanile. Chiudevo gli occhi e mi affidavo ad un’interna radiosità. Dopo alcune settimane di pratica entusiasta, durante un quieto pomeriggio, poco prima del tramonto, camminavo in mezzo agli alberi. Dando ogni tanto un breve sguardo ad un commento di alcune Upanishad, che portavo con me, una frase risvegliò una consapevolezza del tutto nuova, ma nello stesso tempo antichissima: «Tu sei Quello»! Chiusi il libro e cominciai a ripetere estasiato quelle parole. Non so se la mia ragione riusciva 12

ad afferrare l’incommensurabile implicazione di quell’affermazione, ma sì … io ero quella luce che filtrava attraverso le foglie che, testimoni della primavera che portava la nuova vita, erano di un verde incredibilmente delicato. A casa, non tentai neppure di stendere su carta il "momento di grazia" esperito - non sarei stato capace di farlo. Il mio unico desiderio era di immergermi sempre più in questa nuova sorgente interiore di comprensione e illuminazione. Solo quella particolare "luce" poteva instillare nel mio essere un equilibrio sovrumano e impedirmi dall'agire, per quanto riguarda i rapporti umani, guidato da impulsi distruttivi generati da enormi, incontrollabili emozioni nutrite dalla linfa grigiastra della mie paure. Tante volte ebbi occasione di osservare un cambiamento nel funzionamento complessivo della mia mente - memoria, concentrazione... - questo accadeva sopratutto durante gli esami. Alcuni minuti prima di sostenere un esame, praticando un po’ di Pranayama, ero investito da un’improvvisa calma che durava per l’intero esame, non importa quale fosse l'atteggiamento dell'esaminatore. Non mi sentivo nervoso per niente. Ero capace di essere totalmente padrone delle mie parole, tanto da esprimere non solo quello che sapevo, ma anche qualche cosa più - come se alcuni concetti divenissero allora chiari per la prima volta. Risveglio di Kundalini Dopo avere acquistato le opere di Ramakrishna, Vivekananda, Gopi Krishna e gli Yoga Sutra di Patanjali (un grosso volume con i commenti di I.K. Taimni), decisi infine di acquistare anche l’autobiografia di un Santo Indiano, che indicherò con le iniziali P.Y. 3, un libro che avevo già visto anni prima ma che non avevo acquistato in quanto, sfogliandolo, avevo notato che Il lettore comprenderà perché non menziono il nome di P.Y. - non è difficile comunque dedurne l’identità! Ci sono molte scuole di Yoga che diffondono i suoi insegnamenti secondo una precisa legittimazione. Una di queste, attraverso i suoi rappresentanti, mi fece comprendere che non solo non avrebbe tollerato la minima violazione del Copyright, ma che non gradiva che il nome del loro amato Maestro venisse, in Internet, mescolato a discussioni sul Kriya. La ragione va ricercata nel fatto che, in passato, delle persone usarono quel nome per fuorviare la ricerca di un gran numero di ricercatori che stavano cercando di ricevere gli insegnamenti originali. Voglio porre l’accento sul fatto che nelle pagine seguenti mi soffermerò solo sommariamente sulla mia comprensione dei Suoi insegnamenti, senza alcuna pretesa di riuscire a dare un resoconto obiettivo di essi. Un lettore interessato non dovrebbe rinunciare al privilegio di rivolgersi alla letteratura originale! 3

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non conteneva istruzioni pratiche. La mia speranza adesso era di trovarvi delle informazioni utili come gli indirizzi di alcune valide scuole di Yoga. La lettura di questa autobiografia mi appassionò molto e mi portò in una fase di grande aspirazione verso il sentiero mistico: mi trovai in certi momenti a bruciare di una febbre interiore. Tutto ciò creò un terreno fertile per l'avverarsi di un evento che fu radicalmente diverso da quello che avevo sperimentato prima. È stata un'esperienza spirituale "intima", ciononostante ho deciso di parlarne in quanto ho ascoltato la descrizione di eventi simili dalle labbra di molti ricercatori. Possiamo considerarlo un esito tipico di quanto si può raggiunge attraverso la pratica del Pranayama. Le premesse avvennero quando una notte, assorbito nella lettura della autobiografia di P.Y., ebbi un brivido, come una corrente elettrica che attraversava il corpo. L'esperienza fu insignificante in se stessa, ma il fatto fu che mi spaventò molto. Conoscendo il mio carattere, ciò era alquanto strano. Un pensiero mi attraversò la mente che un evento più profondo sarebbe avvenuto in breve e che sarebbe stato forte, molto forte e che non avrei potuto fermarlo in nessun modo. Era come se la mia memoria avesse una inspiegabile familiarità con esso e il mio istinto conoscesse il suo potere inesorabile. Decisi di lasciare che le cose avvenissero senza ostacoli e di proseguire con la lettura. I minuti trascorrevano, ma non ero capace di proseguire con la lettura; percepivo un senso di inquietudine che si trasformò in ansia, e poi divenne paura, una paura intensa di qualche cosa di ignoto, una minaccia alla mia esistenza. Non avevo davvero mai provato un simile terrore. In momenti di pericolo, mi era capitato di restare come paralizzato, incapace di pensare, ma ora l'ansia era di qualità diversa, era panico per qualche cosa d’alieno all'esperienza comune, qualche cosa di assolutamente imprevedibile. Mentre la mente prevedeva le peggiori ipotesi su quanto stava per accadere, sentivo l'urgenza di fare qualcosa, anche se non sapevo cosa. Assunsi la posizione di meditazione ed attesi. Mi sembrava d’essere vicino alla pazzia - o alla morte. Una parte di me, forse la totalità di quell'entità che io chiamo "me stesso", sembrava al punto di scomparire; i peggiori pensieri, minacciosi, erano sospesi sopra di me senza una chiara ragione.4 In quei giorni avevo finito di leggere Kundalini, l'energia evolutiva dell’uomo di Gopi Krishna. L'autore descriveva come, seguendo un’intensa pratica di concentrazione sul settimo Chakra, aveva avuto un'esperienza splendida di "risveglio", mentre, dopo di ciò, probabilmente poiché il corpo non era preparato, aveva incontrato dei seri problemi fisici e, di riflesso, anche psichici. Secondo quella descrizione, nel suo corpo un'energia si era messa in movimento dalla base della spina dorsale verso il cervello. Talmente forte era il flusso da costringerlo a letto ed impedire il completamento delle normali funzioni fisiche. Aveva l’impressione di stare letteralmente bruciando di un fuoco interno, che non riusciva a spegnere in alcun modo. Settimane più tardi egli scoprì intuitivamente come controllare il fenomeno, il quale rivelò la sua natura come una 4

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Il mondo spirituale mi sembrava un orribile incubo, capace di distruggere, annientare la persona che gli si era imprudentemente avvicinata. La vita consueta, al contrario, mi sembrava la realtà più cara, più sana. Temevo di non riuscire più a ritornare in quella condizione. Ero convinto, nel modo più assoluto, che una malattia mentale stesse facendo a pezzi il mio essere: la ragione era che avevo aperto una porta a ciò che era molto più immenso di quanto potevo prefigurarmi. Decisi di fermare l’esperienza e rimandare, se possibile, il momento fatale. Mi alzai e uscii all'aria aperta. Era notte e non c'era alcuno a cui comunicare il mio terrore! Al centro del cortile di casa ero oppresso, soffocato, schiacciato da un sentimento di disperazione, invidiando quelle persone che non avevano mai praticato lo Yoga. Provavo rimorso perché, attraverso parole aspre, avevo ferito un amico. Questi, come molti altri, aveva un tempo preso parte alla mia ricerca; poi aveva rinunciato alla pratica e si era preoccupato soltanto di godersi la vita. Dotato di una giovanile baldanza, gli avevo indirizzato parole per nulla affettuose, e queste mi rintronavano ora in testa; provavo dolore per aver espresso una crudeltà ingiustificata senza sapere che cosa realmente vi fosse nella mente e nell’anima dell’amico. Avrei fatto qualsiasi cosa per averlo di nuovo davanti a me, per potergli dire quanto mi spiaceva. Sentivo di aver violato brutalmente il suo diritto a vivere come meglio credeva; non aveva cercato altro che la salute psicologica e non si era arrischiato ad avventurarsi in pratiche di cui non si sentiva sicuro e che, intuiva, avrebbero potuto arrecargli più problemi di quanti non ne avesse. Considerata la mia gran passione per musica classica, pensai che una bella musica avrebbe avuto un effetto calmante, forse una protezione dall'angoscia, forse un aiuto per ritornare indietro... perché non tentare? Fu la musica di Beethoven - il suo Concerto per violino ed orchestra – a calmarmi e, mezz’ora dopo, a conciliarmi il sonno. La mattina seguente mi svegliai con la stessa paura. Per quanto possa sembrare strano, i due fatti cardine che oggi suscitano le emozioni più intense della mia vita – che c'è una Intelligenza Divina alla base stessa di ogni cosa che esiste nell'universo e che l'uomo può praticare una precisa disciplina per entrare in sintonia con essa -- mi comunicavano un senso di orrore! La luce del sole entrava nella stanza attraverso le fessure delle imposte. esperienza di realizzazione spirituale. Per quel che mi riguarda, temevo di essere arrivato alla soglia della stessa esperienza ma, siccome non vivevo in India, ero spaventato dal fatto che le persone attorno a me potessero non capire; in tal caso le conseguenze sarebbero state terribili! Nessuno avrebbe potuto assicurarmi che, come accadde a Gopi Krishna, essa si sarebbe indirizzata verso un esito corretto, benefico. 15

Avevo un intero giorno davanti a me. Sarei uscito di casa per cercare di distrarmi in mezzo ad altre persone. Incontrai degli amici ma non dissi nulla di quello che stavo sperimentando. Passai il pomeriggio scherzando su varie cose, comportandomi proprio come le persone che avevo sempre considerato pigre e intellettualmente spente; riuscii a nascondere la mia angoscia. Il primo giorno passò così - la mia mente era logora. Dopo due giorni la paura diminuì e finalmente mi sentii sicuro. In ogni modo, qualche cosa in me era cambiata: non riuscivo infatti a pensare allo Yoga: rifuggivo da quell'idea! Una settimana più tardi, distaccato e calmo, cominciai a pensare al significato di quello che era accaduto. Compresi la natura della mia reazione. Avevo, da codardo, volto le spalle proprio all'esperienza che avevo perseguito per così lungo tempo! La dignità presente nel profondo del mio animo mi diceva che dovevo ricominciare la ricerca dal punto dove l’avevo abbandonata, accettando tutto quello che sarebbe accaduto, lasciando che ogni cosa seguisse il suo corso, anche se ciò avesse potuto implicare la perdita della mia vita o della salute mentale. Ripresi la pratica del Pranayama, intensamente come prima. Alcuni giorni passarono e non percepii alcuna forma di paura; poi sperimentai qualche cosa di tremendamente bello. (Molti lettori riconosceranno nella seguente descrizione la loro stessa esperienza.) Era notte. Mi trovavo rilassato in Savasana, quando percepii una piacevole sensazione, come se un vento elettrico stesse soffiando nella parte esterna del corpo, propagandosi rapidamente e con un moto ondoso, dai piedi alla testa. Il corpo era così stanco che non potevo muovermi, anche se la mia mente impartì l’ordine di muovermi. La Tranquillità era così profonda, che non avevo alcun timore. Ero capace di mantenere la totalità del mio essere assolutamente composta e serena. Poi il vento elettrico fu sostituito da un’altra sensazione, comparabile ad un’enorme forza che entrava nella spina dorsale e rapidamente saliva al cervello. Quell'esperienza fu caratterizzata da un indescrivibile e fino allora ignoto senso di beatitudine, e tutto fu accompagnato dalla percezione di un’intensa luminosità. Posso condensare tutto ciò che riesco a ricordare con un’espressione - «una certezza chiara ed euforica di esistere come oceano illimitato di consapevolezza e beatitudine! ». Nell’opera Dio esiste, io l’ho incontrato, l'autore, A. Frossard, tenta di descrivere un'esperienza simile usando il concetto di "valanga al contrario". La valanga è qualcosa che crolla, che va in giù, prima lentamente, poi in modo più veloce e violento allo stesso tempo. Frossard suggerisce di immaginare una "valanga al contrario" che comincia raccogliendo le forze ai piedi della montagna e sale verso l'alto spinta da un potere che aumenta e poi, 16

improvvisamente, fa un balzo verso il cielo. Non so quanto tempo durò quest’esperienza, ma il suo culmine fu di soli pochi secondi, dopo i quali la mia coscienza mollò la presa e si lasciò cadere in un sonno calmo ed ininterrotto. La cosa strana è che nell'istante in cui la ebbi, la trovai familiare. Quando finì, mi girai di lato e caddi in un sonno calmo, ininterrotto. Il giorno seguente, quando mi svegliai, non ci pensai; mi ricordai di essa solo alcune ore più tardi, durante una passeggiata. Fui preso dalla bellezza di quell’esperienza e, appoggiandomi ad un albero, per molti minuti fui letteralmente affascinato dal quel ricordo e dal riverbero di quello stato d’animo. Il pensiero cercava di familiarizzarsi - compito impossibile - con un'esperienza che lo travalicava. Tutto ciò che fino allora avevo pensato sullo Yoga non aveva affatto importanza. Per me l'esperienza era come essere stato colpito da un fulmine. Non avevo nemmeno la possibilità di scoprire quali parti di me erano ancora là e quali erano scomparse per sempre, non ero capace di capire realmente quello che mi era accaduto, piuttosto non ero sicuro se "qualcosa" fosse davvero accaduto.

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CAPITOLO I/02

UN'ORGANIZZAZIONE DI KRIYA

Intraprendere la pratica del Pranayama fu come piantare un seme nella desolazione della mia anima: crebbe illimitatamente in gioia e libertà interiore. La consuetudine stabilitasi di gioire del flusso controllato del mio respiro cambiò il corso della mia vita: questa disciplina implicò molto di più che smussare le disarmonie e conflitti entro la mia personalità o raffinare la capacità del godimento estetico: si prese cura delle mie speranze e le portò avanti. Una certezza d’eternità, una condizione euforica che si distendeva oltre i confini della mia consapevolezza - come una specie di memoria che si nascondeva nei recessi della coscienza - cominciò a rivelarsi come se una nuova regione del mio cervello fosse stata stimolata verso una condizione di pieno risveglio. Per quanto riguarda l'esperienza di Kundalini, apparve di nuovo nei mesi seguenti. Mi impegnavo a studiare fino a tardi concedendomi, ogni tanto, un brevissimo riposo. Nel momento in cui, esausto, mi distendevo per dormire, dopo alcuni minuti essa avveniva e la salita dell'energia si verificava più di una volta. Ci sono circostanze che la favoriscono. Ci vuole molto di più che un tiepido interesse o una aspirazione verso una realtà superiore: il proprio cuore deve essere in fiamme! Poi la propria tecnica di meditazione deve includere un'intensa concentrazione nel Kutastha - meglio se seguita da quella sul Sahasrara ("Loto dai mille petali" in cima alla testa). Inoltre, il fattore che rende l'esperienza quasi automatica è il dedicarsi a qualsivoglia lavoro o studio che richieda una continua concentrazione. Questo deve essere portato avanti senza cedere alla tendenza di addormentarsi. Quando ci si distende per dormire, dopo pochi minuti, in una pacifica condizione intermedia tra sonno e veglia, l'esperienza avviene. Ora, anche se questa esperienza fosse apparsa una sola volta nella mia vita, le attese per alcune opportunità professionali mutarono per sempre. Qualunque professione contemplassi, doveva lasciarmi il tempo necessario per le mie pratiche meditative. Una vita passata solo a studiare o a lavorare mi pareva senza senso. Molte persone hanno la stessa meta, ma sono travolte dagli eventi e continuano ad anelare verso una libertà che non arriverà mai. Per quanto riguarda i rapporti con gli altri, non seppi fare a meno di utilizzare la realtà della vita quotidiana come un campo di osservazione: nella mia giovanile baldanza ero convinto di riuscire a vedere le persone come in trasparenza. Commisi l’errore di voler discutere con altri delle mie opinioni. Siccome per me la miseria umana consisteva in un solo fatto - la tirannia dei 18

pensieri incontrollati e delle emozioni istintive e selvagge - cercai di rendere i miei amici consapevoli di ciò. Infatti, il loro modo di agire e di esprimersi mi appariva come accompagnato da una specie di isteria la quale incarnava un inganno mentale: volevano creare una immagine totalmente falsa di sé. L'enorme quantità di energia sprecata in questa commedia, era controbilanciata da periodi in cui davano l'impressione di "implodere" in se stessi. Scomparivano per un certo tempo e, strano a dirsi, non riuscivano più a tollerare la presenza di quegli amici che dicevano di amare così tanto. Credevo che il Pranayama avesse il potere di aiutarli vivere meglio rivelando un fondo di illimitata gioia disteso dietro la non necessaria auto tortura delle loro sceneggiate. Smascherai spietatamente il loro comportamento, tanto da generare una violenta reazione. Quasi per scongiurare la fatica di ascoltarmi attentamente, risposero che ero incapace d’amare, di rispettare e di mostrare disponibilità umana verso gli altri. Inoltre, la trasparenza mentale di cui parlavo sembrava un vuoto insignificante, qualche cosa di innaturale; aveva il sapore della «morte», era come una morsa fredda e dolorosa che minacciava di estinguere ogni gioia nella loro vita. Solamente un amico, un "Hippy", manifestò un po' di empatia; l'unica cosa che considerava impropria era l'eccessivo entusiasmo nel potere del Pranayama. Gli altri continuarono a rivoltarsi contro di me con amarezza. Nacque un periodo della mia vita in cui, disorientato, mi chiesi quale fosse il ruolo della sincerità e onestà nell'amicizia. Dovetti cedere e ammettere che, almeno per il momento presente, non ero capace di parlare esprimendo un senso genuino di rispetto e amore. Tormentato da sensi di colpa, mi convinsi che stavo effettivamente sfruttando le confessioni e i racconti dei miei amici solo per cercare conferma alle mie teorie. Prime informazioni sul Kriya Proseguii lungo la strada che mi ero scelto, ben deciso a migliorare, senza alcun limite, l’arte del respiro. Nella lettura della autobiografia di P.Y. arrivai al punto in cui l'autore parla del Kriya Yoga, quel genere di Pranayama, che fu per primo insegnato da Lahiri Mahasaya. Egli scrisse che questa tecnica avrebbe dovuto essere padroneggiata in quattro stadi successivi. Questo fatto accese la mia curiosità. Lahiri Mahasaya era dipinto come l'incarnazione dello Yoga: questo mi faceva pensare che ci doveva essere qualcosa di unico nel suo "sentiero"! Amavo il Pranayama e l’idea di approfondirlo attraverso quattro livelli mi sembrava qualcosa di meraviglioso: se le tecniche che avevo già praticato mi avevano dato risultati così belli, era chiaro che un sistema fatto di quattro livelli li avrebbe ingigantiti! 19

Cominciai ad esplorare tutta la letteratura che riuscivo a trovare sul Pranayama e continuai a leggere i libri di P.Y. Ero stupito dalla sua personalità, dotata d’incomparabile potere di volontà e spirito pratico. Non mi emozionava quando parlava con un tono puramente devozionale, bensì quando assumeva un tono tecnico che mi permetteva di avvicinarmi a qualche aspetto dell'arte sottile del Kriya – allora la consideravo un'arte in continuo perfezionamento, non un impegno religioso. Ciò che riuscii a intuire fu che il Pranayama insegnato nel Kriya Yoga consisteva di un modo di respirare lento e profondo, mentre la consapevolezza era focalizzata sulla spina dorsale. In qualche modo l'energia interiore veniva fatta ruotare attorno ai Chakra. L'autore poneva l’accento sul valore evolutivo del Pranayama, non solo includendo il lato spirituale di un uomo ma anche i suoi lati fisici e mentali. Spiegava che se noi paragoniamo la spina dorsale ad una sostanza ferromagnetica, costituita, come insegna la Fisica, di magneti elementari che si volgono verso la stessa direzione quando un campo magnetico è sovrapposto ad essi, allora l'azione del Pranayama è analoga a questo processo di magnetizzazione. Creando un orientamento uniforme di tutte le parti "sottili" dell’essenza fisica e astrale della nostra spina dorsale, il Kriya Pranayama brucia i cosiddetti "cattivi semi" del nostro Karma. Ci riferiamo al Karma allorquando riportiamo la comune credenza che una persona erediti dalle vite precedenti una gran massa di tendenze latenti, comparabili a semi destinati a fiorire, alla fine, nella vita attuale. Naturalmente il Kriya è una pratica che può essere sperimentata senza dovere necessariamente accettare alcun credo. Comunque, siccome il concetto di Karma sta alla base del pensiero indiano, vale la pena di comprenderlo e parlarne liberamente. Secondo questa credenza, il Pranayama può essere considerato un processo che esaurisce gli effetti di quei semi prima che si manifestino nelle nostre vite. È spiegato ulteriormente che le persone che sono attirate intuitivamente da metodi di sviluppo spirituale come il Kriya, hanno già praticato qualcosa di analogo nell’"incarnazione precedente". Si fa notare, infatti, che tale azione non è mai invano e nella presente incarnazione la persona riprende il suo cammino esattamente da dove, in un passato remoto, lo aveva abbandonato. Mi chiedevo se i quattro livelli del Kriya consistessero nello sviluppare un processo di concentrazione sempre più profondo nella spina dorsale, includendo anche la consapevolezza di particolari aree nel cervello. La mia immaginazione era scatenata e il mio fervore cresceva. Il mio problema urgente era decidere se dovevo, o no, partire per l'India dove cercare un insegnante per ottenere tutti i chiarimenti necessari al Kriya. Siccome progettavo di completare al più presto possibile i miei studi 20

universitari, esclusi un viaggio immediato. Scelsi piuttosto di migliorare gli esercizi che già praticavo, usando i libri che potevo trovare - poco importava in che lingua fossero scritti. Per lo meno ora sapevo cosa ricercare: un tipo di Pranayama in cui si dovesse visualizzare l'energia che ruota in qualche modo attorno ai Chakra. Se questo era - come P.Y. affermava - un processo universale, avevo delle buone probabilità di rintracciarlo presso altre fonti. Qualcosa riposto in un angolo della mia memoria mi ritornò vivo davanti agli occhi. Quando ero piccolo, leggevo tutto ciò che mi capitava tra le mani, specialmente libri censurati dalla Chiesa o, per qualche ragione, considerati non adatti alla mia età; ero orgoglioso di esercitare una totale libertà di scelta; non badavo ad alcun suggerimento. Sprecai molto tempo in letture di poco conto; tra quel gran mucchio non era possibile distinguere in anticipo i libri che avevano un po' di valore da tanti altri che, pur avendo un titolo allettante contenevano le invenzioni di coloro che amavano sbalordire le persone. Alla fine compresi di aver fatto un viaggio in un caos indistinto. Capivo con amarezza che i segreti più preziosi erano ancora ben nascosti a me in qualche altro libro che non ero stato abbastanza fortunato di trovare. Ma torniamo a noi, mi ricordavo, indistintamente, di aver visto dei disegni che ritraevano, di profilo, una persona: c’erano diversi circuiti di movimento energetico che attraversavano il suo corpo. Nacque l’idea di cercare la necessaria informazione nella sfera esoterica piuttosto che nei libri classici di Yoga – come gli Yoga Sutra di Patanjali, lo Hatha Yoga Pradipika. Cominciai a frequentare una rivendita di libri usati; era molto ben fornita, probabilmente perché una volta era stata la libreria di riferimento della Società Teosofica. Trascurai i testi che trattavano solo di temi filosofici, mentre, estatico e senza badare al tempo, sfogliavo quelli che illustravano degli esercizi pratici. Prima di acquistare un libro mi assicuravo che accennasse alla possibilità di guidare l'energia lungo certi condotti interni, creando così le condizioni per il risveglio dell'energia Kundalini. Fin dalla prima visita fui molto fortunato; leggendo l'indice di un testo in tre volumi, che presentava il pensiero magico della confraternita Rosacroce, fui attirato dal titolo di un capitolo: Esercizio di respirazione per il risveglio di Kundalini. Si trattava di un approfondimento del Nadi Sodhana; questo era, secondo gli autori, il segreto per svegliare l'energia misteriosa! Delle note ammonivano che l'esercizio non doveva essere usato in modo esagerato, perché rischiava di risvegliare Kundalini prematuramente. Ciò doveva essere evitato con tutti i mezzi. Di sicuro, questo non poteva essere il Kriya di P.Y., il quale, da vari indizi, non era eseguito respirando 21

alternativamente attraverso le narici. Continuai a frequentare la libreria; il proprietario era molto gentile con me ed io mi sentivo quasi obbligato, anche in considerazione del prezzo conveniente dei libri - di seconda mano ma in condizioni perfette - di comprarne almeno uno ad ogni visita. Spesso troppo spazio era destinato a teorie che rifuggivano dai semplici concetti che trattavano della vita pratica, cercando di descrivere quello che non è visto, quello che non può essere sperimentato - come i mondi astrali, i vari gusci sottili d’energia che avvolgono il nostro corpo fisico. Un giorno, dopo una faticosa selezione, mi avvicinai al proprietario tenendo in mano un libro; forse mi lesse negli occhi che non ero sicuro del suo valore e mentre lo riguardava decidendo il prezzo, sembrò ricordare qualche cosa che avrebbe potuto accendere il mio interesse. Mi condusse in un angolo nascosto del suo negozio e m’invitò a frugare in un mucchio disordinato di fogli contenuti in una scatola di cartone. Tra una quantità consistente di materiale miscellaneo (serie complete della rivista teosofica, note sparse di un vecchio corso di ipnosi ecc.) - trovai un libretto, scritto in tedesco da un certo K. Spiesberger che illustrava diverse tecniche esoteriche tra cui il Respiro Kundalini. Non avevo allora abbastanza dimestichezza con la lingua tedesca, ma riuscii ad intuire subito la straordinaria importanza di quella tecnica; a casa, con l'aiuto di un dizionario, sarei riuscito indubbiamente a decifrarla.5 La descrizione di questa tecnica ancora mi stupisce; l’autore, infatti, non era tanto vicino al Kriya di Lahiri Mahasaya quanto alla versione portata in occidente da P.Y.. Durante un respiro profondo, l'aria era immaginata, invece del suo corso abituale, fluire dentro la colonna spinale; era perciò indicata la visualizzazione di questa come un tubo vuoto. Inspirando l'aria, questa doveva essere immaginata fluire dentro il tubo cavo dalla base fino alla zona tra le sopracciglia; espirando, si sarebbe dovuto sentire che l'aria andava in giù verso il Muladhar lungo lo stesso percorso. C'era anche la descrizione di due particolari suoni che l'aria originava nella gola. In un altro libro, in Inglese, c’era una descrizione esaustiva del Respiro Magico - che era circa lo stesso esercizio, ma la differenza consisteva nel visualizzare/sentire l'energia intorno alla spina dorsale, seguendo un percorso ellittico, non entro di essa. Tramite l'inspirazione, l'energia saliva dietro la colonna spinale, fino al centro della testa; espirando, scendeva lungo la parte 5

Sorrido quando sento persone affermare di essere appassionate di Kriya, e tuttavia non si danno da fare nello studiare importanti testi in inglese, avendo paura – così dicono - di interpretare male tale idioma! Sono convinto che il loro interesse è superficiale e piuttosto emotivo. Tale era il mio entusiasmo, che sarei stato in grado di mettermi a studiare il Sanscrito o il Cinese, o qualsiasi altra lingua nella quale, ahimè, fossero stati compilati gli insegnamenti essenziali del Pranayama! 22

frontale del corpo, proprio come nella "Orbita microcosmica", la tecnica descritta nei testi dell'Alchimia Interiore che rappresenta la tradizione mistica dell’antica Cina. Lasciai da parte tutto l'altro materiale. L’espressione di soddisfazione con la quale mi presentai al proprietario della libreria, come se avessi trovato un tesoro di valore insondabile, mi cagionò certamente un aumento di prezzo. Ritornando a casa, non potevo non trattenermi dallo sfogliare quelle pagine, molto curioso a riguardo di alcuni disegni grezzi che illustravano altre tecniche basate sul movimento dell’energia interiore. Lessi che il Respiro Magico era uno dei segreti più preziosi di tutti i tempi: questo mi riempii del più grande entusiasmo; se praticato costantemente, con forza di visualizzazione, avrebbe costruito una specie di sostanza interna che avrebbe poi condotto alla visione dell'occhio spirituale. Mi convinsi che il Respiro Magico era il Kriya di Lahiri Mahasaya. Lo incorporai nella mia routine quotidiana: esso sostituiva la pratica dell'Ujjayi Pranayama. Ero molto soddisfatto anche se nelle settimane successive non percepii dei sostanziali mutamenti negli effetti. Mentre cercavo tutti i modi possibili per trovare altre informazioni utili, rileggendo un testo di P.Y. venni a sapere, con mio grande stupore, che questi aveva scritto un intero corso di lezioni sul Kriya, e che queste si potevano ricevere per corrispondenza. Ciò mi avrebbe risparmiato, almeno per alcuni anni un viaggio in India. Mi iscrissi il più velocemente possibile a tale corso. Far parte di un'organizzazione e di un gruppo di meditazione Un giorno, attendendo l’arrivo delle lezioni, giunse una lettera della organizzazione mi informava dell’esistenza di altre persone, vicino a me, che praticavano il Kriya Yoga e che avevano formato un gruppo. Ne fui entusiasta, fremevo dell’anticipazione gioiosa di incontrarle. Quella sera riuscii a stento a prendere sonno. Il primo contatto avvenne incontrando il kriyaban (colui che pratica il Kriya) che organizzava quelle riunioni. Con grande entusiasmo ed una specie d’euforia, nutrita dalle mie recenti esperienze spirituali, mi avvicinai a lui nella speranza di ricevere maggiori dettagli sulla tecnica del Kriya. «Troppo brillanti erano i nostri cieli, troppo distante, troppo fragile la loro eterea sostanza», scrisse Sri Aurobindo: non avrei mai pensato che alle conseguenze del nostro incontro si sarebbero potute applicare tali parole! Con amara ironia, direi che la fase attuale della mia esistenza era troppo un felice per durare. La vita è fatta di brevi momenti di tranquillità ed equilibrio immersi tra alternate vicissitudini durante le quali una persona sperimenta i problemi, le limitazioni, le deformazioni causate dalla mente umana. Avvicinandomi a tale personaggio con totale e disarmante sincerità, non 23

potevo rendermi conto di quale duro colpo stessi per ricevere. Visibilmente emozionato, mi diede il benvenuto, sinceramente entusiasta di incontrare uno con cui condividere la sua passione. Sin dal primo istante del nostro incontro - non avevo ancora varcato la soglia della sua casa - gli dissi quanto fossi entusiasta della pratica del Kriya! Di rimando mi chiese quando fossi stato iniziato al Kriya, dando per scontato che l’avessi ricevuto dalla stessa organizzazione di cui lui era un membro. Quando seppe come avevo imparato la tecnica, rimase pietrificato, mostrando un sorriso amaro di sconforto. Era come se gli avessi dichiarato di essere l'autore del più gran crimine. Mi disse con enfasi che il Kriya non poteva essere appreso attraverso libri. Cominciò il racconto - che in seguito avrei avuto l'opportunità d’ascoltare tante volte fino alla nausea - dello yogi tibetano Milarepa che, avendo acquisito senza le benedizioni del suo Guru, delle tecniche spirituali, non ricavando risultati incoraggianti anche se queste erano state praticate con grande intensità, ricevette finalmente le stesse istruzioni dalla bocca del suo Guru - con le benedizioni di questo - ed i risultati questa volta arrivarono facilmente! Sappiamo che la mente umana è condizionata più da una storia che dall'inferenza logica! Un aneddoto come questo, anche se completamente immaginato, tanto per costruire la trama di un romanzo, possiede un genere di "luminosità interna" che condiziona il buon senso di una persona: suscitando una emozione in noi, può far accettare conclusioni che apparirebbero assurde alla facoltà raziocinante. Questa storia mi ammutolì, non seppi cosa rispondere. C'era solamente un modo per imparare il Kriya: essere iniziato da un "Ministro" autorizzato dalla direzione della sua organizzazione! Secondo quanto diceva, nessun'altra persona era autorizzata a insegnare quella tecnica. Fissandomi direttamente negli occhi, con un enorme impatto emotivo cominciò a dirmi che una pratica imparata da qualsivoglia altra fonte «non valeva nulla, non sarebbe stata effettiva per quanto riguarda la finalità spirituale», ed eventuali effetti, solo apparentemente incoraggianti, sarebbero stati «solo una pericolosa illusione nella quale l'ego sarebbe rimasto intrappolato per molto tempo». Infiammato da una fede assoluta, si lanciò in una digressione sul valore del "Guru" - Maestro spirituale - un concetto che per me rimaneva enigmatico, anche perché attribuito ad una persona che non era stata conosciuta direttamente. In base a quello che mi comunicava, poiché lui era stato iniziato al Kriya da canali legittimi, P.Y. era una presenza reale nella sua vita: era il suo Guru. La stessa cosa avveniva per coloro che appartenevano al suo gruppo. Il loro "Guru" era l’aiuto che Dio stesso aveva loro inviato, quindi un 24

tale evento era «la più gran fortuna che potesse accadere ad un essere umano». La conseguenza logica - e l’amico rilevò questo con grande enfasi era che abbandonare di conseguenza tale forma d’aiuto, o cercare un percorso spirituale diverso, equivaleva a «rifiutare con disprezzo la mano del Divino protesa in benedizione». Sorrise, poi mi condusse nella sua stanza e mi chiese di dimostrare per lui la mia tecnica Kriya appresa dai libri. Era naturalmente curioso e, suppongo, dalla speranza di verificare un ben radicato pregiudizio secondo cui la tecnica, appresa fuori dai canali legittimi non poteva essere - a causa di una particolare legge spirituale - che corrotta. Fu sollevato, intimamente rassicurato quando vide che stavo respirando attraverso il naso e non attraverso la bocca, come a lui era stato detto di fare; la mia pratica era - secondo la sua impressione - chiaramente sbagliata. Mi chiese di spiegare più profondamente quello che visualizzavo internamente durante la mia respirazione e, mentre glielo stavo descrivendo, vedevo una soddisfazione intima che si diffondeva sul suo volto. Il lettore ricorderà che, secondo i libri letti, l’energia interiore poteva essere guidata sia lungo un percorso ellittico attorno ai Chakra sia in su e in giù dentro la spina dorsale. Avevo provato entrambi i metodi ma, poiché P.Y. aveva scritto che la pratica del Kriya avveniva facendo ruotare l'energia attorno ai Chakra, mi ero abituato principalmente al primo metodo; perciò questa fu la versione che esposi. Inoltre, avendo letto in un altro libro che durante il Kriya Pranayama si doveva cantare mentalmente Om nei Chakra, aggiunsi anche questo dettaglio. Non potevo immaginare che P.Y. avesse deciso di semplificare le istruzioni e insegnare in occidente l’altra variante omettendo il canto mentale di Om. Mentre parlavo, il mio amico non riconobbe il suo Kriya. Il "segreto" cui lui era legato non era dunque stato violato da alcun autore dei miei libri esoterici! La situazione era davvero bizzarra: gli stavo esponendo quello che a tutti gli effetti era davvero il Pranayama originale di Lahiri Mahasaya e lui sorrideva con espressione sarcastica, sicuro al cento per cento che stessi dicendo delle sciocchezze! Fingendo di sentirsi addolorato per la mia naturale disillusione, mi confermò in un tono ufficiale, definitivo, che la mia tecnica «non aveva niente a che fare con il Kriya Pranayama»! Poiché la mia posizione era totalmente inconsistente, mi raccomandò di spedire una descrizione scritta, precisa e dettagliata, delle mie vicissitudini alla direzione della scuola, nella speranza che loro mi accettassero come discepolo. Solo allora avrei potuto legittimamente far parte della grande famiglia del Kriya e praticare in modo sicuro sotto la loro sorveglianza. Ero come inebetito dal tono che il nostro dialogo stava assumendo; per riattivare l'amabilità iniziale della riunione tentai di rassicurarlo parlando 25

degli effetti positivi che avevo ottenuto con la mia pratica. Quest’affermazione ebbe l'effetto di peggiore la situazione, dandogli l'opportunità per una seconda reprimenda, davvero non completamente sbagliata, ma in ogni modo fuori luogo. Mi chiarì che, nella pratica del Kriya, non avrei mai dovuto cercare degli effetti tangibili; meno ancora vantarmene, perché così « li avrei persi». Quel "bravo giovine", senza rendersi conto, si era cacciato in una chiara contraddizione: stava dicendo che i risultati erano importanti ed uno non doveva neppure rischiare di perderli raccontandoli ma, poco prima, aveva sottolineato che non valevano niente. Realizzando che mi aveva dedicato fin troppo del suo tempo, una strana metamorfosi avvenne nel suo comportamento. Era come se tutto un tratto fosse stato investito da un ruolo sacro: promise che avrebbe pregato per me! Per quel giorno, almeno, avevo perso la partita. Dissi all'amico che avrei seguito i suoi suggerimenti. Il gruppo di persone che praticavano il Kriya s’incontravano due volte a settimana per praticare insieme tali tecniche. La stanza dedicata alla meditazione aveva un arredamento essenziale, ma piacevole. I membri si erano auto tassati per affittarla affinché la sua fruizione non dipendesse dai capricci del proprietario, e anche per il piacere di consacrarla esclusivamente ad un uso spirituale. La mia frequentazione avvenne in un periodo che ricordo con particolare nostalgia: l'ascoltare canti spirituali indiani, tradotti ed armonizzati all'occidentale e, soprattutto, il fatto di meditare insieme era una vera gioia! Tutto mi sembrava paradisiaco - anche se l'ammontare di tempo dedicato alla pratica delle tecniche era davvero corto: non più di 20 minuti, spesso solo 15. Una sessione di pratica collettiva, di particolare ispirazione, arricchita da canti devozionali, avveniva alla vigilia di Natale e durava molte ore. Siccome non avevo ricevuto ancora il Kriya nel "modo ufficiale", mi fu richiesto di limitare la pratica al puro atto di focalizzare la mia consapevolezza nel punto tra le sopracciglia. Al termine di ciascuna seduta di meditazione era previsto che ci allontanassimo in silenzio, perciò cominciai a conoscere più da vicino i miei nuovi amici solo durante gli incontri mensili. In effetti, una volta il mese c’era il "pranzo sociale". Era una bella occasione di passare insieme del tempo parlando e rallegrandosi della reciproca compagnia. Perché molti di noi non godevano dell'approvazione e meno ancora dell'appoggio nella pratica dello Yoga da parte della loro famiglia, l'occasione unica di trovarsi fra persone con le stesse idee ed interessi era un'esperienza di gran serenità e rilassamento. Sfortunatamente un certo imbarazzo rovinava la piacevolezza degli incontri. 26

La direzione dell’organizzazione chiedeva di non parlare tra noi di altri percorsi spirituali e di non trattare i specifici dettagli del Kriya. Tale compito doveva essere riservato solamente a persone di proposito autorizzate dalla scuola e nel nostro gruppo nessuno aveva ricevuto tale autorizzazione. Durante gli incontri, la necessità di indirizzare i contenuti delle conversazioni su binari ben definiti rendeva difficile trovare un argomento di conversazione che rispettasse le regole, essendo, nello stesso tempo, interessante. Non era certo quello il luogo per pettegolezzi mondani, disadatti a gruppo spirituale. Certo si poteva conversare sulla bellezza del percorso Kriya, sulla gran fortuna di averlo trovato! Ma, come si può presumere, dopo alcune riunioni di "reciproca esaltazione", cominciò a regnare nel gruppo una noia quasi allucinante. Come ultima risorsa, qualcuno si arrischiava a fare qualche battuta innocente; non si trattava certo di storielle che potevano offendere qualcuno, ma di un uso moderato del senso dell'humour. Purtroppo questo si scontrava con l'atteggiamento ispirato a devozione tenuto dalla maggior parte dei membri e capitolava di fronte alla loro fredda reazione, incapace di mostrare una sola briciola di vera giovialità. Non posso certo dire che le persone erano sul depresso andante, anzi parevano divinamente felici, ma quando si cercava di apparire simpatici, si riceveva uno sguardo e un abbozzo di sorriso che ti lasciava raggelato per il resto della giornata. Non ci si deve meravigliare che il gruppo fosse caratterizzato da un grande riciclo; molti, entrati con entusiasmo, dopo alcuni mesi non solo decidevano di abbandonarlo ma poi si davano da fare per rimuovere completamente quell'esperienza dalla loro coscienza. Il mio temperamento aperto mi permise di avvicinare qualche persona e stabilire un legame che più tardi divenne vera amicizia. Comunque, non era così facile trovare quello che si poteva chiamare un libero ricercatore nel campo spirituale: molti erano "devoti" dalla intensa carica emotiva che indossavano un paraocchi. Anche se cercavo di fare del mio meglio per convincermi di trovarmi fra individui simili a me - vale a dire appassionati, entusiasti del Kriya - dovetti ammettere che la realtà era ben diversa! Alcuni reagivano al mio entusiasmo con un certo fastidio: non potevano credere che non coltivassi alcun dubbio o incertezza verso il sentiero del Kriya. Consideravano la mia euforia quella tipica di un principiante immaturo. Una persona che praticava il Kriya da molti anni mi disse: «Quando riceverai il Kriya resterai deluso». Non riesco a capire cosa avesse inteso, dal momento che quando ricevetti il Kriya, ne fui entusiasta. Con lo scopo non ben celato di ricevere qualche delucidazione sulla tecnica del Kriya, in svariate occasioni provai a discutere quella che era stata 27

la mia pratica di esso come l'avevo appresa dai libri. Speravo che qualcuno, facendo qualche osservazione su di essa si lasciasse scappare il segreto. Nessun "corteggiamento" riuscì ad estrarre da loro nemmeno una briciola d’informazione. Tutti ripetevano che non erano «autorizzati a dare spiegazioni»: questa regola era strettamente rispettata: avevano ricevuto la tecnica, sottoscrivendo una precisa e solenne promessa di segretezza! Segretezza! Come insolito risuonò tale termine alle mie orecchie, che strano richiamo, che misteriosa fascinazione esercitò sul mio essere! Fino a quel momento avevo sempre creduto che fosse di poco o di nessun valore il modo in cui un certo insegnamento fosse appreso, su quale genere di libri fosse stato studiato; l'unica cosa importante era che dovesse essere praticato in modo corretto, con l’aggiunta, auspicabile, del costante desiderio di perfezionarlo. Cominciò ad entrarmi in testa l'idea che fosse una bella cosa quella di proteggere un insegnamento prezioso da occhi indiscreti. In seguito, nel corso di molti anni, fui testimone di una serie innumerabile di assurdità che si originarono da questa richiesta; in modo drammatico, ebbi l’evidenza che essa portò delle ripercussioni miserabili nella vita di migliaia di persone. Con l'eccezione di una sola persona (che nutriva veramente delle strane idee sul sentiero spirituale, al punto tale che un giorno pensai che non ci stesse tanto con la testa) questi nuovi amici kriyaban parevano censurare il mio eccessivo interesse per le tecniche, affermando che la devozione era molto più importante; spesso facevano riferimento ad un concetto che a mio avviso stonava nel campo dello Yoga: il valore supremo della lealtà nei confronti di P.Y. e della sua organizzazione. Mentre il loro sforzo nel praticare le tecniche di meditazione in modo profondo non era rimarchevole, cercavano con ogni mezzo esteriore (letture, canti devozionali, convocazioni...) di estrarre dalle profondità della loro psiche qualsivoglia traccia di attitudine religiosa, ogni briciola di aspirazione spirituale. La impregnavano col naturale affetto del cuore per il loro Guru anche se lo avevano conosciuto solo per mezzo di foto - ottenendo in tal modo la fermezza di una dedizione che sarebbe durata per una vita intera. Chiamavano la solidità della loro resa a tale ideale: "Bhakti" – devozione. Pensando a quei tempi, mi chiedo quale potesse essere l'opinione che si erano fatti del mio atteggiamento impaziente, troppo diverso dalla loro quietudine. Nella mia sensibilità, non riuscivo a concepire l'idea di appoggiarmi passivamente alla protezione di un santo che ti risolve i problemi. Questo fatto, assieme ad altri sperimentati in quella scuola, furono la cause di un vero conflitto. Il mio approccio al sentiero spirituale era realmente diverso dal loro e non c'era speranza di raggiungere un punto di contatto, un terreno comune. 28

CAPITOLO I/03 DIFFICOLTA' CON LO STUDIO DEL KRIYA PER CORRISPONDENZA Poco dopo la mia ammissione al gruppo fui presentato ad una signora anziana che era stata in corrispondenza con P.Y. stesso. Grazie alla sua serietà, sincerità e comportamento "leale", aveva ricevuto l’autorizzazione di insegnare le tecniche preliminari al Kriya. Il suo temperamento era molto dolce e sembrava più incline alla comprensione che alla censura. M’insegnò due tecniche preliminari al Kriya, invitandomi a limitare la mia pratica a queste. 6 La prima calma il respiro e l’intero sistema psicofisico; è detta Hong-so a causa del Mantra impiegato. La seconda riguarda l’ascolto dei suoni interiori (astrali) che, approfondendo, si mescolano, si fondono col suono di Om. Non mi diede queste istruzioni in un’unica sessione ma in due momenti diversi - la seconda quattro mesi più tardi. Ebbi perciò la splendida opportunità di dedicarmi per molto tempo solamente alla prima tecnica e, per altri mesi, nell’attesa dell’iniziazione al Kriya, alla combinazione delle due: la prima il mattino, la seconda di notte. Potei sperimentare perciò il significato e la bellezza di ciascuna. Tecniche preliminari al Kriya [I] La tecnica Hong-so è semplice e consiste - dopo alcuni respiri profondi che ossigenano il sangue e calmano il sistema - nel lasciare il respiro libero, ripetendo mentalmente il Mantra Hong-so, collegando la sillaba Hong con l'inspirazione e So con l'espirazione. La concentrazione, lo sguardo interiore, viene mantenuto sul terzo occhio. La raccomandazione essenziale è non influenzare il respiro attraverso la volontà, poiché esso deve procedere in modo del tutto naturale e spontaneo. [II] Per praticare la tecnica Om, uno yogi appoggia i gomiti su un comodo sostegno che può essere stato costruito anche solo per questa funzione. L'appoggio può essere dato da una tavoletta orizzontale fatta di qualsiasi materiale coperta di gommapiuma e fissata su un’asta verticale d’altezza regolabile. È bene che uno si chiuda in una stanza per evitare che qualcuno possa disturbare - il miglior momento per questa pratica è la sera o la notte. 6

Volendo essere precisi, mi corresse anche i cosiddetti "Esercizi di Ricarica" che avevo già appreso dalle lezioni scritte. Questi erano degli esercizi fisici simili alla ginnastica isometrica che si praticavano stando in piedi. In essi la forza della concentrazione dirigeva il Prana in tutte le parti del corpo. 29

La tecnica consiste nel chiudere le orecchie coi pollici e nell'ascoltare qualsiasi suono interiore, continuando a ripetere mentalmente «Om, Om Om...» (seguendo un ritmo lento di circa un Om per secondo) durante tutta la pratica. L'attenzione, secondo quanto appresi, doveva essere diretta alla parte interna dell'orecchio destro, poiché è lì che i suoni sottili possono essere facilmente realizzati e con più chiarezza. L'intuizione dello yogi comincia un lungo viaggio nella sua più profonda memoria, quella della sua origine divina. Il suono dell’Om può apparire attraverso diverse varianti; può essere percepito facilmente dopo che gli orecchi sono stati chiusi, non appena si crea un minimo di calma interiore. L'atteggiamento corretto è quello di focalizzarsi sulla più forte tra queste varianti. Ogni ripetizione mentale del Mantra Om mantenendo desta l’attenzione è essenziale; la consapevolezza segue pazientemente ciascun debole suono interiore come se fosse un "filo d’Arianna" per uscire fuori del labirinto della mente. Gradualmente si avvicina ad una dimensione sublime, quella della Realtà Omkar che è la vibrazione dell'Energia primordiale. Prevedendo il pensiero che si stava formando nella mia mente, la mia insegnante precisò che la tecnica Hong so, nonostante la sua apparente semplicità, non era per niente facile! Disse che se i risultati mi avessero deluso, la causa sarebbe stata alcuni sottili errori nella pratica. Rimase un po' sul vago ma, con un sorriso incoraggiante, concluse: «La tecnica contiene tutto ciò di cui hai bisogno per entrare in contatto con l'Essenza Divina». Devo ammettere, francamente, che il mio atteggiamento da principiante mi portò a considerare il Mantra come una "parola magica" che poteva darmi, con pochi giorni di pratica, una concentrazione sovrumana. Chiaramente incontrai una forte disillusione: quella mi sembrava la procedura più noiosa del mondo. La pratica sembrava inutile e ottusa. Un giorno, sostenuto dalla stessa buona volontà che caratterizza il mio modo di imparare, incominciai ad osservare con attenzione due dettagli che, a mio avviso, era i responsabili dei miei fallimenti. [1]… Ripetendo il Mantra mentalmente tante e tante volte, esso può facilmente e naturalmente conformarsi ad un ritmo che ha la tendenza a mantenersi immutato. Se il respiro segue questo ritmo è chiaro come il sole che non rallenterà mai! Quando tale ritmo si è stabilizzato, la persona inspira ed espira anche se il corpo "gradirebbe" o "potrebbe" rimanere dei momenti senza respirare. Chiunque può evitare quest’errore rimanendo sempre attento a non cadere in tale tranello. Le pause tra un respiro e l’altro devono "poter esistere"; perciò esse dovrebbero essere sperimentate, anche se ciascuna dura meno di un istante. Questo semplice fatto è sufficiente per calmare drasticamente il respiro, mentre una condizione di totale o quasi perfetta immobilità si 30

stabilizza nel corpo. [2]…Durante l'inspirazione il torace si dilata e si crea una tensione elastica. Mentre i polmoni e il diaframma sono tesi, c'è una forza elastica che cerca di rilassarli. Perciò la pausa tra inspirazione ed espirazione è contrastata non solo dal ritmo ma anche dall'elasticità dei muscoli della cassa toracica. È un'ottima cosa essere consapevoli di questa forza elastica: ciò basta per rendere più confortevole e più libera la pausa dopo l’inspirazione - l'esercizio allora verrà eseguito e sperimentato nella massima armonia. Mettendo tutto questo in pratica - un "circolo virtuoso" tra la calma crescente e la ridotta necessità di ossigeno - mi portò in una gradevole condizione in cui il movimento dell'aria attraverso il naso era così lieve da essere del tutto impercettibile. Quando tentai di discutere le mie osservazioni con coloro che praticavano tale tecnica, mi resi conto di quanto fosse difficile per loro parlare di simili argomenti. Talvolta incontrai un’enorme ed irragionevole resistenza verso tale discussione. C'erano coloro che non erano soddisfatti della loro pratica ma progettavano di migliorarla in futuro (in tale occasione avrebbero preferito posporre l'ascolto dei miei ragionamenti), mentre altri non riuscivano a comprendere quello che stavo dicendo. Ricordo che quando cercai di discutere questi dettagli con una signora che era amica della nostra famiglia da molti anni, lei finse di ascoltarmi con attenzione; alla fine disse brutalmente che lei aveva già un Guru e non sentiva il bisogno di un altro. La sua osservazione mi ferì profondamente, poiché non era mia intenzione insegnarle nulla: il mio scopo era portare avanti un discorso costruttivo che potesse essere di ispirazione per entrambi. A parte questo, che amicizia ci può essere tra due persone quando una si esprime in questo modo? Fu il susseguirsi di episodi simili a confermarmi l'idea che non essendo stati incoraggiati a fidarsi della limpidità dell’auto osservazione, molti tra i miei amici andavano avanti ad eseguire meccanicamente quello che era divenuto null’altro che un vuoto rituale, ma che comunque metteva in pace la loro coscienza. Per introdurre la seconda tecnica preliminare, la cosiddetta tecnica Om, la signora spiegò che il suo insegnante P.Y., (lo stesso che decise che questa tecnica, fra tante possibili, dovesse essere una preparazione necessaria e non facoltativa al Kriya) aveva illustrato in un modo nuovo l'insegnamento della Trinità. Om è l'Amen della Bibbia - lo Spirito Santo, il suono "testimone" della vibrazione dell'energia che sostiene l'universo. La tecnica Om che stavo per imparare, una scoperta che i mistici fecero tempo 31

addietro, rende possibile percepire tale vibrazione. Grazie ad essa è possibile essere guidati verso l’esperienza del "Figlio" - la consapevolezza Divina presente all’interno della vibrazione energetica summenzionata. Alla fine del proprio viaggio spirituale, uno può raggiungere la più alta realtà: il "Padre" - la consapevolezza Divina che risiede oltre tutto ciò che esiste nell'universo. 7 Il chiarimento ricevuto dalla signora era caratterizzato da un tale sentimento di sacralità che rimase con me nei mesi seguenti e mi aiutò a superare la fase iniziale della pratica nella quale sembrava improbabile che i suoni interiori apparissero. Ripenso con nostalgia a quel tempo in cui vivevo confinato nella mia stanza come un eremita. Dopo tre settimane di pratica assidua, un giorno, dopo circa dieci minuti dall’inizio, mi resi conto che stavo ascoltando un suono interiore. Non avvenne all’improvviso: era come se lo stessi già ascoltando da alcuni minuti. Mi trovavo in uno stato di gran rilassamento, il suono mi ricordava il ronzio di una zanzara, poi finalmente si trasformò nel suono di una distante campana, che era un abbraccio di dolcezza. Si trattò di una vera esperienza estatica e si manifestò in un modo talmente strano che mi incantò. Ascoltare l'Om significò toccare la bellezza stessa. Non riesco ad immaginare qualcosa di simile che possa far sentire una persona così a proprio agio Per la prima volta nella mia vita sentii che il concetto di "devozione" aveva un senso. Ricordo che quando mi nasceva quel senso di beatitudine, dicevo a me stesso «Questo è esattamente quello che ho sempre desiderato, e non voglio perderlo più».8 Ricordo della mia cerimonia di iniziazione al Kriya Studiando il corso per corrispondenza, imparai diversi modi per creare delle abitudini salutari e come comportarmi onde non ostacolare ma anzi favorire il fiorire delle mie esperienze spirituali. Cercai in ogni modo di abbracciare la visione religiosa Induista-Cristiana Tale tecnica non appartiene a quelle incluse nel Kriya originale, nel quale i suoni interiori si manifestano senza chiudere le orecchie. Non è una invenzione di P.Y. in quanto è descritta ampiamente nei libri di yoga classico, col nome di Nada Yoga - "lo Yoga del suono." Essa è un’ottima tecnica di preparazione al Kriya in quanto invece di porre l’accento sul "fare" insegna l’atteggiamento di "percepire". 7

Molti affrontano il Kriya con un atteggiamento sbagliato, quasi per cercare risultati che gratificano l'ego. Credono e sperano che il Kriya sia un percorso di "crescita psicologica" ma non vi troveranno un sostituto della psicoterapia! La cosa migliore è rilassarci ricreando tramite la memoria l’atmosfera delle esperienze più belle incontrate nella nostra vita e sentire un forte desiderio di ritrovarle nella vibrazione Om. 8

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della scuola. Fu facile per me ammirare e amare la figura di Krishna, immaginandoLo come la quintessenza di ogni bellezza; più difficile fu avvicinarsi alla figura della Divina Madre, che non era la Madonna, ma un addolcimento dell’idea della dea Kalì. Tanto mi diedi da fare che mi allontanai di molto da me stesso. Lessi e rilessi solo gli scritti di P.Y.; talvolta trovavo un suo particolare pensiero così bello e così perfetto che lo scrivevo su un foglio di carta e lo tenevo davanti a me sulla scrivania, mentre studiavo. Mentre continuavo a ricevere da chiunque, anche senza chiederle, lezioni di devozione, umiltà e lealtà, il mio interesse per il Kriya divenne una vera e propria brama, una febbre che mi consumava. Non capivo il motivo per cui dovevo attendere tanto: la mia anticipazione, a volte, diveniva una inutile tortura. Il Kriya vero e proprio poteva, di norma, essere richiesto dopo un anno di studio delle lezioni per corrispondenza. Nel mio caso, per motivi contingenti il materiale scritto che la scuola inviava viaggiava per nave e i ritardi erano enormi – tale periodo divenne di due anni. Coloro che già possedevano il Kriya, mi prendevano in giro con malcelata crudeltà e mi dicevano: «Vedrai che a te il Kriya neanche lo daranno, perché un devoto non deve desiderare una tecnica con tanta intensità: Dio si trova anzitutto con la devozione e l’abbandono alla Sua volontà». Cercavo di stare buono; attendevo e sognavo. Alla fine venne il momento in cui potei formalmente richiedere l’insegnamento per corrispondenza del Kriya. Passarono quattro mesi, ogni giorno speravo di ricevere il tanto desiderato materiale, finalmente arrivò una busta. La apersi con un’aspettativa che non riesco a descrivere: rimasi profondamente deluso perché conteneva soltanto altro materiale introduttivo. Dall’indice del materiale, posto alla prima pagina, compresi che la lezione che tenevo in mano era la prima di una serie e che la tecnica completa sarebbe giunta entro circa quattro settimane. Così, per un altro mese, avrei dovuto studiare le solite filastrocche che conoscevo a memoria. Avvenne invece che nel frattempo un Ministro di quella organizzazione visitò il nostro paese e potei partecipare ad una cerimonia di iniziazione. Dopo mesi di attesa, finalmente giunse il tempo di «stringere un patto eterno con il Guru e ricevere la tecnica Kriya nell’unica maniera legittima, carica quindi delle Sue benedizioni». Quelli che, come me, erano pronti a ricevere l'iniziazione, erano circa un centinaio. Ci trovammo in una bellissima stanza, affittata per l'occasione ad un costo molto elevato, decorata con tantissimi fiori, quanti non ne ho mai visti in vita mia, neanche nei più sontuosi matrimoni! L’introduzione alla cerimonia avvenne in un modo sfarzoso: una trentina di persone indossando una sobria uniforme, entrarono in fila nella stanza, con atteggiamento solenne 33

e mani giunte in preghiera. Mi venne spiegato che quelle persone facevano parte del gruppo locale il cui capogruppo era uno stilista il quale aveva preparato la coreografia di quella entrata trionfale. I due Ministri, appena arrivati dall'estero camminavano umilmente, disorientati, dietro di loro. La cerimonia vera e propria incominciò. Accettai senza obiezioni che ci fosse richiesta una promessa di fedeltà eterna non solo al Guru P.Y. ma anche ad una catena formata da altri cinque Maestri: Lahiri Mahasaya ne era un anello intermedio mentre P.Y. era il così detto Guru-precettore, ovvero colui che si sarebbe parzialmente assunto il peso del nostro Karma. Sarebbe stato veramente strano se nessuno avesse avuto dubbi su quest’ultimo evento: ricordo, infatti, che un’amica mi chiese se P.Y. - non potendo confermarlo, essendo residente nei mondi astrali - l'avesse realmente accettata come "discepola" prendendosi, di conseguenza, anche il fardello del suo Karma. Ci assicurarono che il Cristo apparteneva a questa catena di Maestri e che un tempo era apparso a Babaji (Guru di Lahiri Mahasaya) chiedendogli di mandare qualche emissario nell'Ovest per diffondere l'insegnamento del Kriya. Questa storia non mi provocò alcuna perplessità: forse non avevo il tempo di pensarci. Ero ansioso di ascoltare la spiegazione della tecnica che sarebbe avvenuta di lì a poco. D’altro canto, considerare che la missione di diffusione del Kriya, fosse originata dal Cristo stesso era un’idea assai carina. La tecnica Kriya incarnava le più effettive benedizioni di Dio alla Sua creatura privilegiata, l'essere umano, dotata, a differenza degli animali, di sette Chakra. La scala mistica dei Chakra fatta di sette gradini è la vera autostrada verso la salvezza, la via più veloce e più sicura. La mia mente era in una condizione d’enorme attesa per quello che avevo desiderato con tutto il mio essere: per questo mi ero seriamente preparato da mesi. Non partecipavo ad una cerimonia per far contento qualcuno o per salvaguardare una tradizione di famiglia: essa rappresentava il coronamento di una scelta definitiva! Il mio cuore era immensamente e perfettamente felice anticipando la gioia che sarebbe scaturita dalla pratica del Kriya. Quando arrivammo alla spiegazione del Kriya Pranayama, scoprii che già conoscevo la tecnica: si trattava del Respiro Kundalini che avevo trovato tempo addietro nelle mie letture esoteriche - quello in cui la corrente energetica fluiva totalmente all’interno della spina dorsale. Ho già spiegato che non lo avevo preso in seria considerazione poiché P.Y. nei suoi scritti aveva scritto che l’energia ruotava «attorno ai Chakra, lungo un circuito ellittico». Non fui deluso, anzi, la tecnica mi sembrava perfetta. La spiegazione delle tecniche Maha Mudra e Jyoti Mudra (non usavano mai il termine più comune Yoni) concludeva le istruzioni tecniche. Tutte le tecniche vennero spiegato nei minimi dettagli, in un modo che non 34

ammetteva la minima variante e, inoltre, venne caldamente raccomandata una precisa routine. Se fosse sorto il minimo dubbio sulla correttezza di un certo dettaglio, nessuno era incoraggiato a tentare un esperimento per conto proprio e trarre da sé le conclusioni. L'unica azione "corretta" era quella di prendere contatto con la direzione della scuola, esporre il problema, ricevere i consigli appropriati. Questo, in effetti, fu quello che sempre feci. Imparai ad interagire solamente con persone "autorizzate"; cercavo con molta serietà il loro giudizio come se fosse dato da esseri perfetti che non potevano sbagliare. Credevo che fossero dei "canali" attraverso i quali le benedizioni del Guru fluivano. Inoltre, ero intimamente convinto che - anche se non lo ammettevano per umiltà - loro avessero già raggiunto il più alto livello di realizzazione spirituale. Voglio anticipare qui un problema che è fondamentale nel costruire una buona routine Kriya. Il primo esercizio da praticarsi era la tecnica di osservazione del respiro (la tecnica Hong-so) che durava da dieci a venti minuti. Il respiro si sarebbe calmato e ciò avrebbe creato un buon livello di concentrazione. Poi, dopo avere messo gli avambracci su un appoggio, iniziava l'ascolto dei suoni interiori – questo avrebbe richiesto circa lo stesso tempo. Poi ci sarebbe stata un'altra interruzione a causa del Maha Mudra. Infine, ritornando nella posizione immobile e cercando di ripristinare lo stato di sacralità, s’incominciava il Kriya Pranayama nel rigido rispetto di tutte le istruzioni. Dopo lo Jyoti Mudra, la routine Kriya si sarebbe conclusa con dieci minuti di pura concentrazione nel Kutastha assorbendo gli effetti della pratica. Nella mia esperienza pratica, le due tecniche preliminari erano profondamente sacrificate, mentre il tempo da dedicarsi alla concentrazione finale era troppo breve. Durante l’esecuzione della tecnica Hong-so, il pensiero che presto avrei dovuto interromperla per passare alla tecnica Om mi creava una sensazione di disturbo, limitando il mio abbandono totale alla sua bellezza. Lo stesso accadeva con la seconda tecnica, che veniva interrotta per praticare il Maha Mudra e il Pranayama. La tecnica d’ascolto dell'Om era in se stessa un universo "completo" e portava all'esperienza mistica: ecco perché l'atto di interromperla era qualcosa di peggio che un semplice disturbo. Era incompatibile con ogni logica; come se, riconosciuto con piacevole sorpresa un amico in mezzo alla folla, mi intrattenessi con lui, poi, all’improvviso, gli volgessi le spalle, mi mescolassi alla folla con la speranza di sperimentare entro breve tempo la sorpresa di incontrarlo nuovamente per riprendere la conversazione sospesa. Il suono di Om rappresentava l'esperienza mistica stessa, la Meta che cercavo, perché mai avrei dovuto interromperne quella sublime sintonia per poi riconquistarla attraverso un'altra tecnica? Forse perché il Kriya Pranayama 35

era una procedura più elevata? Più elevata? Ma cosa diavolo significa? È una cosa senza senso! Mi costrinsi a questa assurdità per un periodo estremamente lungo. Provo imbarazzo a confessare che durò non meno di tre anni. Proseguii senza mutare la routine che mi era stata consigliata, sperando in una ipotetica evoluzione futura di tale precaria situazione. Tale era il potere di quella follia che nel nostro gruppo era chiamata "lealtà". Ero divenuto come uno di quegli animali nutriti dall’uomo che perdono il potere di essere auto sufficienti. Allora, il pensiero di usare la mia testa mi pareva un atto di stupida superbia. Difficoltà col materiale stampato relativo ai Kriya superiori Nella mia ricerca spirituale, la tecnica del Secondo Kriya fu un segreto ben-sigillato per molti anni. 9 Siccome P.Y. scrisse che la tecnica del Secondo Kriya rende capace uno Yogi di lasciare il corpo consciamente a volontà, apprendere tale delicato meccanismo era uno dei miei sogni. Ero certo che esercitarmi con tale procedura avrebbe avuto un forte effetto sulla mia evoluzione spirituale. Fra i kriyaban del gruppo di meditazione, c'era una signora, che aveva ricevuto l'iniziazione al Kriya molti anni addietro e aveva un tempo vissuto presso la sede centrale della nostra scuola. Un giorno le chiesi se avesse ricevuto il Secondo Kriya. Sembrò non capire la domanda. Perciò, celando il mio stupore, le ricordai che un discepolo di Lahiri Mahasaya, Swami Pranabananda, aveva accompagnato il momento della sua morte con la pratica del Secondo Kriya. Si alterò visibilmente, dicendo che la citazione chiaramente si riferiva alla tecnica del Pranayama: un respiro, poi un altro ancora e questo "secondo respiro" era, a suo dire, il "Secondo Kriya"! Mi sentii mancare; la guardai in modo mite ma intenso: senza rendersi conto mi aveva rivelato in quale infimo posto avesse messo quanto P.Y. aveva scritto o detto. Ebbi l'impressione che la stessa idea di un'ulteriore tecnica da aggiungersi col tempo alle troppe già ricevute e praticate quotidianamente, la infastidisse alquanto. Era come se sentisse di aver fatto uno sforzo così grande 9

Se ora considero che cosa diversi insegnanti dissero e stanno dicendo attualmente su questa tecnica, penso a una iettatura che ci grava sopra! Come se stessero esplicando una volontà perversa, essi diedero sfogo a tutta la loro abilità di generare la più selvaggia deformazione. Uno di loro tentò di convincermi che il Secondo Kriya era simile alla tecnica tibetana di aprire un foro nella Fontanella (cima della testa) e la prova della validità della tecnica era la stessa delle tradizioni tibetane: un kriyaban avrebbe dovuto poter inserirvi il gambo di un fiore (!). Non opprimerò il lettore con l'elenco di altre sciocchezze udite da me nel corso degli anni. La ragione che spiega come mai rimasi pressoché ipnotizzato dal fascino magico di tali assurdità, era che avevo l'attitudine di privilegiare tecniche complicate. 36

nello stabilirsi nell'abitudine alla pratica quotidiana del Primo Kriya che non poteva impegnarsi maggiormente - aveva già «dato il massimo». So per certo che fino ad oggi è rimasta ferma nella sua convinzione. Non so quale fu il peggior esempio di quella che chiamo mancanza di rispetto per il Kriya, se quello riferito o il seguente. Un giorno una signora dall'aspetto aristocratico mi rivelò di aver ricevuto molto tempo addietro l'iniziazione ai cosiddetti Kriya superiori. Pieno di entusiasmo sgranai gli occhi. Disse che si era sentita così indegna che li aveva messi in disparte e, dopo un po' di tempo, li aveva dimenticati completamente. Quest'ultimo abominio era inconcepibile per me. Quando obiettai che il suo comportamento sembrava una manifestazione di indifferenza verso gli insegnamenti elevati del suo Guru, mi guardò smarrita come se la mia impertinenza avesse violato una legge implicita: non entrare impudentemente nella dimensione intima del suo Sadhana. Mi rispose dicendo che quello che aveva le bastava; poi troncò bruscamente il discorso. La scuola forniva solamente per scritto istruzioni sui Kriya superiori. Non vennero mai impartite delle iniziazioni dirette. Il lettore può intuire quanto fossi interessato a imparare per bene tali tecniche. Esse venivano illustrate nell'ultima parte del corso per corrispondenza. Purtroppo alcuni dettagli erano ambigui. Avevo dei dubbi su come il Kechari Mudra dovesse essere ottenuto (P.Y. scrisse che esso era un tecnica importante, da essere praticata regolarmente onde risvegliare Kundalini), incerto su come eseguire la forma particolare di Secondo Kriya e anche su come padroneggiare la tecnica del Thokar (la scuola lo chiamava Terzo e Quarto Kriya) che richiedeva dei particolari movimenti della testa. Scrissi alla direzione della scuola per fissare un appuntamento con uno dei suoi rappresentanti, un Ministro che presto sarebbe giunto in visita in Italia. Speravo di chiarire ogni cosa in quella occasione e attendevo quell'appuntamento con grande anticipazione. Quando il Ministro arrivò gli fui presentato. Disse che avrebbe chiarito i miei dubbi appena possibile. Ero tranquillo e attendevo. Fui molto deluso quando mi accorsi che questi continuava a posporre, senza valide ragioni, il momento del nostro incontro. Siccome avevo deciso di non arrendermi, finalmente ci incontrammo. Attraversai un'esperienza veramente spiacevole. Credevo che l'ipocrisia, la burocrazia, le formalità, le piccole falsità e sottili violenze all’onestà altrui fossero totalmente estranee a chi dedicava la propria esistenza a praticare e insegnare il Kriya. L’impressione che ebbi fu simile a quella di incontrare un manager che aveva altre cose più importanti in testa e che era molto irritabile. Fu irremovibile sul non parlare del Kechari Mudra e per quanto riguarda i movimenti del Thokar, mi consigliò bruscamente di limitare la mia pratica 37

alle tecniche del Primo Kriya. Affermò che ero troppo agitato per essere un buon kriyaban (...ero solo disperato e profondamente deluso); infastidito m’invitò bruscamente ad indirizzare le mie domande, in forma scritta, alla direzione della scuola. Non servì a nulla obiettare che non era possibile verificare per mezzo di una lettera i movimenti della testa, mi trovai di fronte ad un muro ed il rifiuto fu assoluto. Avevo sempre avuto fiducia e rispettato quella scuola; avevo studiato tutta la relativa letteratura come se avessi dovuto preparare un esame universitario. La mia costernazione era quella d’essere ora un testimone impotente del capriccio insensato di un uomo in una posizione di potere. Dopo l'intervista con quel personaggio mal disposto, mi trovavo in una atroce condizione mentale ed emotiva. Coloro che mi videro subito dopo tale incontro rimasero scioccati: dissero che ero irriconoscibile. Afferrato quello che era successo, un'amica kriyaban con voce agnellata suggerì che quella era una importante "calmata" che Gurudeva mi aveva dato. Non riuscivo ad accettare alcun invito alla calma e a lasciar perdere l'intera questione. Ci sono pensieri infantili che emergono in momenti difficili: temevo, oscuramente, che quest’uomo, ritornato alla direzione della scuola potesse parlare male di me, dicendo qualche cosa che nel futuro avesse potuto mettere in pericolo un'altra opportunità di avere quei chiarimenti tanto agognati. Temevo di non poter più affidarmi al rapporto idilliaco con quella organizzazione di Kriya che per tanti anni aveva rappresentato il mio orizzonte. Allo stesso tempo, un'altra parte di me stesso, che le regole del gruppo non erano riuscite a soffocare completamente, sapeva che quell'esperienza distruttiva si sarebbe trasformata in qualcosa di cruciale non solo per me, ma anche per altre persone. L'autodidatta entusiasta del Pranayama, risvegliato da un sonno fin troppo lungo per mezzo di quel salutare calcio "nel fondo schiena", stava godendosi l'intera situazione. Anni dopo venni a sapere che un gruppo di appassionati di Kriya, che vivevano in un'importante città europea, dopo avere cercato invano di ricevere dai cosiddetti "Ministri autorizzati" i chiarimenti sui Kriya superiori, si erano rivolti ad un insegnante indiano invitandolo nel loro gruppo. Questi accettò l'invito, giunse nel gruppo e, dando una lettura veloce al materiale scritto, oggetto di così tanti dubbi, affermò di non riconoscere il Kriya da lui praticato. Gli insegnamenti scritti forniti dalla scuola erano effettivamente ambigui. Per portare un esempio, il Mantra era presentato in un modo inusuale, scritto in modo specifico per gli anglofoni (om naw maw bhaw….). Si può rispettare 38

questa scelta, ma solo fintantoché essa sia integrata da una nota che riporta il vero spelling del Mantra. A parte questo, la cosa assurda era che detto Mantra era sempre scritto con dodici sillabe separate, come se non di un Mantra si trattasse ma di dodici. Il lettore medio non era capace di riconoscere affatto il Mantra: Om Namo Bhagavate Vasudevaya e perdeva tempo a cercare invano di immaginare l’origine e il significato di ciascuna delle sillabe, come se ciascuna fosse uno strano bija Mantra. Ora, conoscendo gli indiani, sono sicuro che quel Maestro aveva totale familiarità con quanto andava leggendo ed era capace di chiarire ogni dubbio. Stava fingendo: la sua sceneggiata era intesa a dare l’impressione che gli insegnamenti di P.Y. fossero totalmente errati, ingannevoli, costruiti di fantasia. In questo modo voleva dare l’impressione di essere venuto presso il gruppo per salvare le persone da un completo abisso di errore. Affermò che era necessario ripartire completamente daccapo e ricevere di nuovo, da lui, l’iniziazione al Primo Kriya. Come conseguenza perse immediatamente due terzi degli studenti che rifiutarono categoricamente di diventare formalmente "suoi discepoli", come lui richiedeva. Quelli che accettarono le condizioni furono iniziati di nuovo nel Primo Kriya e ricevettero tecniche nuove come il Kechari Mudra e il Navi Kriya. Provvidenzialmente la segretezza non fu rispettata, ed informazioni preziose giunsero ai miei orecchi. Alcuni praticanti assidui ricevettero in seguito anche i Kriya superiori; qualcuno tra loro non si fece più sentire e scomparve, come in un buco nero, nell'orbita di quell’insegnante, altri rimasero con un piede nella scuola ed uno fuori, portando avanti una pratica contraddistinta da molti ripensamenti e da un generale sentimento d’insoddisfazione. Ripensandoci, forse quel monaco almeno su un punto aveva ragione: calmo non ero affatto, anzi non lo sarei stato proprio più. Volevo conoscere il Kriya alla perfezione e nessuno ormai avrebbe più potuto trattenermi, con nessuna motivazione. Anzi, trovavo strano, che una simile passione non dominasse l'esistenza dei miei amici kriyaban. Pur restando fedele alla mia organizzazione Kriya, non accettavo veti. Mi rivolsi a quella signora anziana che mi aveva già insegnato le tecniche preliminari e che era investita ufficialmente del ruolo chiamato "Meditation Counselor". Mi incolpò di aver reso burrascoso il colloquio col Ministro. Lei i Kriya superiori li aveva appresi anni prima e solamente in forma scritta, proprio come me. Cosa alquanto strana - a mio avviso una negligenza imperdonabile - non se li era mai fatti controllare da discepoli diretti di P.Y., pur avendo avuto tante occasioni per farlo. In seguito aveva smarrito tale materiale scritto e non si era mai curata di richiederne una nuova copia. In parole povere, forse ne sapeva meno di me. Incapace, come era, di chiarire i 39

miei dubbi tecnici, sostenne comunque con forza, anche se nel suo modo sempre dolce, che il consiglio del Ministro incarnava la volontà di Dio. Cercai di ragionare con lei sul mio diritto e dovere di esplorare tutte le fonti possibili. Discussi il progetto di andare in India a perfezionare il mio Kriya. Farfugliò qualcosa sull'India, su tante persone che a suo dire restarono deluse o che trovarono la droga o che persero la grazia del rapporto Guru-discepolo. Non capivo. Mi portò l'esempio di coloro che incontrarono in un famoso Ashram un insegnante che diede loro l'iniziazione al Kriya senza averne alcuna autorizzazione e che lo mescolava con tecniche che nulla avevano a che fare col Kriya. Mi uscì d'istinto una frase molto forte di cui poi mi sorpresi: «Dovessi ricevere un insegnamento sul Kriya dal peggiore delinquente del mondo, sarei capace di trasformarlo in oro. E se questo fosse inquinato avrei l'intuizione di separare il grano dall'oglio». Rimase sorpresa, forse pensava che tante parole e ammonimenti non erano serviti a niente. Sospirando disse che la mia logica nasceva da un ego ferito. Mi girai verso una particolare foto di P.Y., presa lo stesso giorno della sua morte. Era stata incorniciata con molta cura, alcuni fiori e un pacchetto di incenso erano posti davanti ad essa. In quei momenti di silenzio, mi sembrò di vedere come se una lacrima fosse in procinto di formarsi nei suoi dolci occhi (non era una sensazione bizzarra, altre persone mi riferirono la stessa impressione); le riferii questa osservazione, divenne seria, e guardando in lontananza verso un punto indefinito, sospirò gravemente: «Questa impressione prendila come un avvertimento; il Guru non è contento di te»! Non c'era alcun dubbio che non stava affatto scherzando. In quel momento mi resi conto di come P.Y. fosse una "presenza" nella sua vita, anche se non lo aveva mai incontrato di persona! Mi parlò a lungo, ininterrottamente per circa un'ora. Continuò a spiegare che l'intelligenza è un'arma a doppio taglio: essa può essere usata per eliminare l'ascesso dell'ignoranza e anche per recidere di netto il collegamento con la linfa vitale che sostiene il percorso spirituale. Poi mi parlò di un discepolo di P.Y. il quale, un tempo, aveva fatto parte della direzione della scuola, poi si era messo in proprio aprendo una scuola di Kriya: un "traditore" secondo lei. Lo paragonò all'angelo Lucifero, bello e intelligente. Poi si perse parlando di disciplina, di lealtà ... Ricordo in particolare un aneddoto che voleva illustrare come tutto quello che l'organizzazione mi chiedeva veniva direttamente da Dio. Mi raccontò quanto accadde quando un discepolo decise di lasciar l'Ashram di P.Y.. Il Guru, consapevole di ciò, cercò di fermarlo, quando sentì internamente una voce - quella di Dio stesso, Lei assicurò - la quale gli intimava di non interferire con la libertà del discepolo. Il Guru obbedì ed in un bagliore d’intuizione vide tutte le incarnazioni future 40

del suo discepolo, quelle in cui lui si sarebbe perso, nelle quali avrebbe continuato a cercare - in mezzo a sofferenze innumerabili e indicibili, passando da un errore ad un altro - lo stesso sentiero spirituale che ora stava abbandonando. Poi, alla fine, sarebbe ritornato sullo stesso sentiero. La signora disse che il suo Guru specificò il numero delle incarnazioni che quest’immenso e desolato "viaggio" sarebbe durato: approssimativamente trenta (!) La morale di questa storia era evidente, qualcosa da cui non potevo sfuggire: dovevo ubbidire a ciò che mi era stato consigliato e non cercare altro «perché quella era sicuramente la volontà di Dio». Se non lo avessi fatto mi sarei senz'altro perso in un labirinto di enormi sofferenze e chissà quando avrei di nuovo ritrovato la strada giusta. Sebbene ammirasse la serietà con la quale procedevo lungo il sentiero diversamente da altre persone tiepide ed esitanti che andavano da lei unicamente per essere ricaricate di una motivazione che non riuscivano a trovare in loro stessi - era delusa per il fatto che la devozione che lei provava per il suo Guru mi era totalmente estranea. Raccontando questo o altri episodi della vita di P.Y., cercava di rendermi partecipe delle sue esperienze. Le sono grato per tutti i suoi sforzi sinceri e per il tempo che spese per me; ma come poteva cambiare la mia natura? Fece quello che era nelle sue possibilità: non poteva dar sollievo alla mia immensa sete di conoscenza dell’arte del Kriya. Guardando i suoi begli occhi rattristati, ebbi la chiara impressione che lei fosse in permanente anticipazione che io agissi in qualche modo "sleale." Non seguii i suoi consigli. A lungo sperai di trovare in qualche libro indizi che mi aiutassero a chiarire i dubbi che riguardavano sui Kriya superiori - uno era la prassi del Kechari Mudra, il secondo cosa fossero i colpi psicofisici con cui P.Y. assicurava che era possibile risvegliare i Chakra. La mia ricerca prese una particolare direzione: lei stessa mi aveva fatto tre nomi di discepoli diretti di P.Y. che avevano litigato con la direzione della scuola e che in seguito si erano messi per conto proprio. Senza farle sapere nulla, acquistai tutto il materiale pubblicato da loro, persino registrazioni di loro conferenze. Speravo che per mostrare quanto fossero abili col Kriya, essi uscissero fuori con delle frasi interessanti, più profonde del materiale fornito dalla scuola. Avevo anche una debole aspettativa che regalassero al lettore (che trascurava la fonte principale per ascoltare la loro voce di dissenso) il regalo di un materiale didattico più accurato. Il primo discepolo sembrava un esperto in chiacchiere ed era avaro con le spiegazioni pratiche; il secondo era indubbiamente più professionale, dotato di spirito didattico, ma dalla sua letteratura e registrazioni su nastro solo una delle sue frasi gettò una debole luce su uno dei Kriya superiori; nella 41

letteratura del terzo discepolo – sorprendente e preziosa in quanto, avendo incontrato la tragedia della malattia mentale, raccontava dettagliatamente il suo travaglio – trovai (tranne una frase illuminate sul ruolo del Kechari Mudra) solo una devastante banalità. I segreti, se ne avevano, erano ben custoditi! Mesi più tardi, la signora che avevo conosciuto, la meditation counselor venne a sapere che avevo letto i "libri proibiti". Non avevo dubbi che in questo terzo millennio una persona potesse leggere quello che riteneva più conveniente e così feci; uno di questi libri anche se non chiariva nulla era interessante: ne regalai una copia ad alcuni amici! Dopo alcuni mesi, un amico mi mostrò una lettera nella quale lei si riferiva a me come «uno che pugnala il suo Guru alle spalle e distribuisce pugnali affinché altri facciano lo stesso»! La sua reazione fu così abnorme che non mi ferì affatto; sperimentai piuttosto per lei una sorta di tenerezza. Sentii che aveva agito sull'onda di un’emozionalità irrefrenabile e che decenni di condizionamento avevano influito irreparabilmente sul suo buonsenso. Ravvisando che le sue infauste attese nei miei confronti si erano materializzate, sono certo che mentre scriveva quella lettera e ci riversava molte altre considerazioni come per liberare tutta la tensione accumulata, la sua espressione doveva essere stata finalmente tranquilla e serena come quella di chi assapora una dolce, intima, soddisfazione. Alcuni anni dopo, quando il mio rapporto con quella scuola di Kriya era quasi completamente compromesso, incontrai un altro dei suoi rappresentanti: in cinque minuti quel ministro mi mostrò (senza riserve ed isterismi) come venivano fatti i movimenti del Terzo e Quarto Kriya e mi incoraggiò nella pratica di tutte le tecniche del Kriya. Aveva Dio mutato i Suoi piani, o avevo finalmente incontrato una persona educata ed assennata?

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CAPITOLO I/04

ASSENZA DI RESPIRO

Vincendo una certa riluttanza, cominciai a leggere alcuni libri scritti dai discepoli di Lahiri Mahasaya, che non avevano alcun collegamento con P.Y.. La mia esitazione ad abbandonare la letteratura legata a P.Y. derivava dal fatto che, a mio avviso, egli era unico ed ero certo che avrei usato solo il suo insegnamento durante la mia vita. Se qualcuno affermava che c'erano dei segreti sul Kriya da potersi ottenere al di fuori del lascito di P.Y., questo fatto m’infastidiva. I libri scritti da diretti discepoli di Lahiri Mahasaya (o da loro discepoli) erano pochi: principalmente commenti dei classici spirituali. Mi delusero parecchio e mi fecero rimpiangere lo stile chiaro di P.Y. Non vi trovai nient’altro che parole vuote, prive di alcun significato, ripetizioni senza fine unite alla caratteristica intollerabile di saltare continuamente da un argomento ad un altro. I chiarimenti pratici che erano presentati come preziosi non erano altro che delle povere cose copiate dai libri classici di Yoga. Erano scritti così male da far pensare che l'autore non si fosse neanche dato la pena di controllare i testi originali che citava. Probabilmente aveva copiato da un altro libro il quale a sua volta era copiato da altri, in una catena dove ogni autore aggiungeva qualche strana considerazione tanto per contraddistinguere il suo personale contributo. Mi convinsi a torto che da quelle fonti non avrei potuto ricavare nulla. Decisi di studiare di nuovo tutto il materiale fornito dalla organizzazione e scavare più profondamente in esso. Ero solito incontrare alcuni amici kriyaban la Domenica pomeriggio, leggere alcuni pezzi cruciali dalle lezioni sul Kriya e parlava di questi durante una passeggiata. Ciascuno si impegnava in uno studio personale di cui quelle chiacchierate rappresentavano un vertice. Rabbrividisco al pensiero di quanto sterile fosse il nostro sforzo - come cavar sangue da un muro - eppure le cose andarono avanti così per circa due anni. Poi una profonda crisi sradicò ogni apparente certezza. Essa nacque dalla decisione ostinata di affrontare nel modo yogico i problemi connessi con una delicata relazione umana. Scelsi, fra tutti gli scritti di P.Y., una frase che sembrava confermare quei modi di comportamento verso cui il mio istinto cieco mi conduceva. Ingannai me stesso ripetendola internamente come un Mantra mentre agivo in un modo che era contrario al buon senso. Non riuscii a vedere che questo letale approccio mi impediva di esercitare prudenza e discriminazione. Stavo agendo come sostenuto dall’"alto", immaginando che le benedizioni e la forza del Guru fossero con me. Il fallimento venne e fu desolante e deplorevole. In un primo momento non riuscivo ad accettarlo. Rifiutavo di credere di avere agito in modo errato. Ero convinto che l'altra persona fosse incapace di essere all’altezza del mio modo di agire. Credevo che il mio fosse un fallimento 43

apparente, che un giorno tutto si sarebbe risolto a mio favore. Poi il mio sogno illusorio cominciò a disintegrarsi, lentamente ma inesorabilmente. Per alcuni mesi non fui capace di rintracciare il filo di un pensiero coerente, poi riuscii a guardare all'intera situazione con il dovuto distacco. I miei primi sforzi nell'esplorare il mio Pranayama che avevo appreso dai libri erano accompagnati da intelligenza e anche da un po' di coraggio: potevo servirmi solo della mia intuizione. Questa disciplina era per me un'arte da perfezionarsi con la più grande concentrazione. Mentre praticavo, sognavo i suoi impensabili sviluppi ed ero quietamente eccitato durante ciascun istante di essa. Questo mi rivelò un autentico paradiso! Per ciò che concerneva il modo con cui avevo affrontato la pratica delle tecniche Hong So e Om, ero stimolato dall'idea (che si rivelò falsa) che esse non erano efficaci come il Kriya Pranayama. Espressi perciò una dedizione che non fui più in grado di riprodurre: il risultato mi ricompensò immensamente. In seguito, avendo ricevuto il Kriya, l'idea di praticare «la tecnica più veloce tra quelle che favoriscono l'evoluzione spirituale» fece perdere il mordente alla intensità del mio sforzo. A parte altri stupidi pensieri, avevo bevuto l'idea infantile che ciascun respiro Kriya producesse «l'equivalente di un anno solare di evoluzione spirituale» e che con un milione di questi respiri avrei raggiunto infallibilmente la Coscienza Cosmica. Cercavo solo di eseguire il più gran numero possibile di Pranayama onde avvicinarmi più velocemente al momento in cui avrei completato il numero menzionato sopra. L'atmosfera ipnotica delle "benedizioni del Guru" fece sì che non mi rendessi conto della situazione in cui ero lentamente scivolato e quindi non sentivo vergogna o rimorso. Mi sentivo un essere privilegiato, cui era stato concesso un vantaggio inaspettato. «Non siete contenti di aver trovato un vero Guru? - per anni ascoltai questo ritornello dall'organizzazione - Non siete entusiasti che Lui sia stato mandato a voi da Dio Stesso?» «Oh siiii che siamo contenti» rispondevamo con lacrime di gioia. Questa idea, più di qualsiasi altro fattore, ebbe effetti letali su di me: fu la culla in cui il mio ego fu nutrito e rafforzato. Il ricordarmi che ero entrato nella organizzazione di Kriya solo per perfezionare la mia già buona pratica del Pranayama creò un dolore pungente: era imperativo ricreare lo spirito di una autentica ricerca. Dovevo smettere di comportarmi come un uomo che ha trovato un tesoro, lo nasconde e ci dorme sopra soddisfatto; era necessario da questo momento in avanti, se il Pranayama era effettivamente un tesoro come ero convinto, usare la mia intelligenza per perfezionarlo. Questo implicò accettare anche il disagio dell'incertezza e del dubbio. 44

Patanjali Studiai gli Yoga Sutra di Patanjali per trovarvi un indizio su come pianificare una routine di Kriya. Patanjali fu un pioniere nell’arte di considerare razionalmente il sentiero mistico, cercando di individuare una direzione agli eventi che fosse universale, fisiologica, che spiegasse come mai un certo fenomeno, inerente al sentiero spirituale, dovesse precederne un altro e necessariamente seguirne un altro. La sua fatica di sintesi potrebbe essere criticata, o, a causa della sua distanza temporale, essere di difficile comprensione ma, in ogni caso, è di straordinaria importanza. Nello sviluppo del processo mistico (Yoga), egli individua otto passi: Yama, Niyama, Asana, Pranayama, Pratyahara, Dharana, Dhyana, Samadhi. Ci sono diversi modi di tradurre questi termini sanscriti. Yama: autocontrollo (non-violenza, non mentire, non rubare, non lussuria e non attaccamento). Niyama: osservanze religiose (pulizia, appagamento, disciplina, studio del Sé, e resa al Dio Supremo). Per quanto riguarda Asana (posizione del corpo) Patanjali spiega che deve essere stabile e comoda. La prima azione significativa è il Pranayama: regolazione del Prana principalmente tramite la regolazione del respiro. Ne nasce uno stato di calma e di equilibrio che diviene il fondamento dei passi successivi. La fase del Pranayama conduce allo stato elevato di assenza di respiro. Pratyahara (la consapevolezza è scollegata dalla realtà esterna) richiede perfetta immobilità. Dharana significa concentrazione (focalizzare la mente su un oggetto scelto). Dhyana è meditazione o contemplazione (la prosecuzione dell'azione di focalizzazione come un flusso costante ininterrotto della consapevolezza che esplora pienamente tutti gli aspetti dell'oggetto scelto) e Samadhi è perfetto assorbimento spirituale (contemplazione profonda, nella quale l'oggetto della meditazione diviene inseparabile da colui che medita). Per quanto riguarda Dharana e Dhyana, Patanjali spiega che, dopo la scomparsa del respiro, lo Yogi dovrebbe cercare un oggetto concreto o astratto verso cui volgere la sua concentrazione ed esercitarla in una specie di meditazione contemplativa fino a perdersi in esso. Onde porre in relazione gli otto passi di Patanjali con il Kriya, appare chiaro che i primi due passi (le cose che è giusto fare come anche quelle che è giusto evitare) dovrebbero essere dati per scontati senza menzionarli. È palese la totale inutilità delle "prediche" moraleggianti. Questo non significa che la vita del kriyaban possa essere dissoluta. Però la necessità di conformarsi a dei precisi precetti morali è qualcosa che si comprende solo dopo aver gustato il miele dell'esperienza spirituale. Per dirla in modo semplice, si è visto che delle persone che conducono una 45

vita moralmente discutibile hanno avuto successo con il Kriya arrivando spontaneamente alla cosiddetta vita virtuosa, mentre molti "benpensanti" abbiano fallito. Un buon insegnante di Kriya è sempre incline a far finta di non vedere tanti fatti discutibili riguardanti il comportamento dell’allievo. Egli ha gran fiducia nell’effetto trasformante della pratica del Kriya. D'altro canto è ovvio che se una persona, desiderosa di imparare il Kriya, va dall'insegnante e questi gli propone le regole morali di Patanjali (Yama, Niyama) chiedendogli una solenne promessa di adeguarsi ad esse, quasi sicuramente l’allievo farà tale promessa, solo per accontentare l'insegnante. Per quanto riguarda Asana, nel Kriya si utilizza comunemente il mezzo-loto (raramente Siddhasana, e ancor più raramente Padmasana). La maggior parte degli insegnanti di Kriya non si sognano nemmeno di sprecare il loro tempo nel dare dei consigli personali dettagliati che riguardano questo punto: sanno che lo studente serio e risoluto userà il suo buon senso per trovare una posizione ideale e confortevole, in modo di poter mantenere facilmente la schiena ben diritta durante la pratica del Kriya. La pratica del Maha Mudra, oltre al suo ruolo importante nel preparare il corpo per il Pranayama, aiuta a mantenere la spina dorsale sempre flessibile. Il Pranayama è il nucleo del Kriya Yoga: i kriyaban lo sanno bene! Quello che invece sembrano scordare è il fatto che esso è solo una fase dell'intero processo. Il Kriya Pranayama, soprattutto se integrato ai Kriya superiori, prevede delle procedure così ampie e delicate che molti kriyaban non hanno il tempo per prestare la dovuta attenzione a ciò che viene dopo. Nella assoluta immobilità fisica avviene il Pratyahara che, senza soluzione di continuità, sfocia nel Dharana e quindi nel Dhyana. Le tecniche che richiedono movimento devono essere idealmente e praticamente collocate entro la fase del Pranayama: globalmente esse costituiscono una decisa azione sul respiro e quindi sull'energia in esso contenuta. Il Prana viene guidato, incanalato - donde l'utilità di certi movimenti – in precise parti del corpo. Il respiro e il cuore rallentano. Durante il Pratyahara la consapevolezza del respiro viene dimenticato quasi del tutto: esso prosegue liberamente con il suo ritmo naturale. Intensificando la consapevolezza della spina dorsale e dei centri del cervello, esso si calma quasi del tutto. In questa fase, e in quelle successive, non è possibile muovere alcun muscolo del corpo. Entrando in una immobilità ancora più grande, quella mentale, si incontra la Realtà Omkar nella forma di suono interiore e luce spirituale. Questa fase è Dharana che diventa spontaneamente Dhyana: i confini tra le due essendo in pratica indistinguibili. 46

Quindi è da escludere che dopo il Kriya Pranayama la propria routine si completi col semplice attendere passivamente cinque-dieci minuti prima di alzarsi dalla propria Asana. Non fu difficile rispettare questo principio; la sua correttezza appariva proprio dalla profusione di interna gioia. La concentrazione sul terzo occhio l'"occhio interiore" che Wordsworth con parole appropriate definisce come "l'estasi della solitudine" - avveniva spontaneamente. Non praticai mai più la tecnica Hong So prima del Pranayama ma, eventualmente, solo dopo. Delle volte, specie la sera, la sostituivo con la tecnica Om. Questa felice scelta fece nascere uno dei periodi più belli della mia vita, ma per parlare di questo è necessario premettere alcune considerazioni sul Japa. Mére (la Madre) Il gran fascino per quest’eminente figura era incominciato anni prima, dopo aver incontrato il pensiero di Sri Aurobindo - i cui Aforismi, la sua Sintesi dello Yoga e il poema epico Savitri mi avevano profondamente impressionato. Dopo la morte di Aurobindo nel 1951, fu Mére che portò avanti la sua ricerca e incarnò il suo sogno: che il Divino - l’intelligente forza evolutiva alla base di tutto ciò che esiste - potesse giungere ad una perfetta manifestazione su questo pianeta! «Il mondo non è uno accidente mal riuscito: è un miracolo che si muove verso la sua piena espressione» e «Nella materia, il Divino diviene perfetto…» erano le sue frasi preferite. Dal 1958 al 1973 - l'anno in cui Mére lasciò il corpo - cercò di trovare dov'era il passaggio alla prossima specie, di scoprire un nuovo modo di vita nella materia e raccontò la sua straordinaria esplorazione a Satprem. I loro colloqui sono trascritti nell'Agenda [Edizioni Mediterranee]10 Lei non si atteggiò a Guru tradizionale, sebbene cercasse di estrarre da ogni essere umano che veniva a cercare inspirazione ai suoi piedi, tutte le potenzialità nascoste. «Non appartengo ad alcuna nazione, ad alcuna civiltà, ad alcuna società, ad alcuna razza, ma al Divino. Non obbedisco ad alcun Maestro, ad alcun sovrano, ad alcuna legge, ad alcuna convenzione sociale, ma al Divino» affermava. La Sua presenza nella mia vita, evocata da letture attente e appassionate, agiva come una pressione interna che invocava la necessità di estrarre un significato da ciascuna parte della mia esistenza. Secondo il suo insegnamento, uno diventa un vero individuo solo quando, in un aspirazione Questo grandioso documento – 6000 pagine in 13 volumi – è il resoconto delle scoperte di Mére in un periodo di 22 anni. 10

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costante per una più grande bellezza, armonia, potere e conoscenza, è perfettamente e compattamente unificato attorno al suo centro divino. Lei pose l’accento sul valore di non cercare ad ogni costo di divenire puri davanti agli occhi degli altri, ma di comportarsi in armonia con la verità del proprio essere. Secondo Mére, ciascuno dovrebbe riconoscere il proprio lato oscuro, accettare il fatto che nel profondo del suo essere si agita la stessa sostanza che in alcuni si è sviluppata in un modo di vivere disapprovato dalla società. Non so dove trovai l’affermazione secondo cui «il desiderio della purezza è il più grande ostacolo sul cammino spirituale»! «Non cercate di sembrare virtuosi - aggiunse - vedete fino a che punto siete uniti, una sola cosa con tutto ciò che è anti-divino.» Non riuscirò mai a descrivere l’esplosione di gioia, il sentimento di libertà che provai leggendo quelle parole così rivoluzionarie! Japa Fui molto colpito da come Mére trattava un tema che poi divenne uno dei miei favoriti miei: il Mantra (Japa). Durante la proiezione di un film lei ascoltò il Mantra Sanscrito: OM NAMO BHAGAVATE. Si chiese cosa sarebbe successo se lei lo avesse ripetuto durante la sua meditazione quotidiana. Lo fece ed il risultato fu straordinario. Riferì che: «(Il Mantra) coagula qualche cosa: tutta la vita cellulare diviene una massa solida, compatta, in una enorme concentrazione - con una sola vibrazione. Invece di tutte le solite vibrazioni del corpo, c'è ora una sola vibrazione. Diviene dura come un diamante, una sola concentrazione massiccia, come se tutte le cellule del corpo avessero... Mi sono irrigidita. Ero così rigida che ero una sola unica massa». [Questa citazione, così come le prossime, sono tolte dall'Agenda di Mére.] La pratica del Japa divenne una abitudine che durò per tutta la vita. Quando sedeva per la meditazione, cominciava sempre con la ripetizione del Mantra e c'era una risposta nelle celle del corpo: tutte cominciavano a vibrare come «afferrate da un'intensità di aspirazione» e quella vibrazione continuava ad espandersi. Non è qui il luogo per soffermarci sulle fasi sottili del suo lavoro nel corpo: lei usava il Mantra per accelerarlo. Quello che era importante per me era il fatto che osava sfidare l'autorità di Sri Aurobindo. In effetti, disse a Satprem: «Sri Aurobindo non diede alcun [Mantra]; disse che uno dovrebbe essere capace di fare tutto il lavoro senza dovere ricorrere a mezzi esterni. Se lui avesse raggiunto il punto dove mi trovo adesso, avrebbe visto che il metodo puramente psicologico è inadeguato e che un Japa è necessario, perché solamente il Japa ha un'azione diretta sul corpo. Quindi dovetti trovare il 48

metodo tutto da sola, trovare il mio Mantra da sola. Ma ora tutto è pronto, ho fatto il lavoro di dieci anni in pochi mesi.» In molti pezzi dell'Agenda di Mére sono riportate le loro discussioni su come il Mantra calma le persone attorno creando un'atmosfera di tale intensità che le disarmonie cessano di esistere. Inoltre: «Il Mantra ha una grande azione: può prevenire un incidente. Esso scaturisce in un lampo, all'improvviso» ma «deve apparire senza che uno lo pensi di proposito: dovrebbe scaturire spontaneamente dall'essere, come un riflesso, esattamente come un riflesso.» Ma il Mantra è anche la più dolce di tutte le cose: «Nei giorni in cui non ho delle preoccupazioni o delle difficoltà speciali (giorni che potrei chiamare normali, quando sono normale), tutto quello che faccio, tutti i movimenti di questo corpo, tutto, tutte le parole che pronuncio, tutti i gesti che faccio sono accompagnati e sostenuti e ricoperti per così dire, da questo mantra: OM NAMO BHAGAVATEH... OM NAMO BHAGAVATEH... tutti, tutto il tempo, tutto il tempo, tutto il tempo». Un ultimo commento sorprendente che cito è che lei era capace di notare la differenza tra quelli che hanno un Mantra e quelli che non lo hanno. «Con quelli che non hanno un Mantra, anche se hanno una forte abitudine alla meditazione o alla concentrazione, qualcosa attorno a loro rimane fosco e vago, mentre il Japa infonde a quelli che lo praticano una qualche precisione, solidità: un'armatura. Diventano per così dire galvanizzati. Inutile dire che in quei giorni una sola idea ruotava nella mia mente: dovevo trovare il mio Mantra. Feci esperimenti con quello di Mére - Om Namo Bhagavate - ma non funzionava per me. Nel frattempo seguii la routine di Kriya più semplice possibile e cercai di vivere un modo più consapevole (essere continuamente attento ad ogni percezione, interna ed esterna). Cercai di realizzare la ben nota istruzione di mantenere risolutamente un atteggiamento imparziale verso eventi piacevoli e sgradevoli, mantenendomi come un "testimone" distaccato. Questa disciplina è raccomandata pressoché in tutti i libri che trattano di pratiche meditative orientali. Dopo tre giorni, io mi sentii insopportabilmente stressato come se tutto fosse una finzione, un'illusione. Fu a questo punto che incontrai e lessi avidamente una biografia di Swami Ramdas, il santo indiano che si era mosso in lungo e in largo attraverso tutta l’India ripetendo incessantemente il Mantra Sri Ram Jai Ram Jai Jai Ram Om. Questo fu davvero un evento importante: la sua fotografia - la semplicità quasi infantile del Suo sorriso - accese la mia intuizione e mi spinse a provare la stessa pratica. 49

Da questa decisione venne qualche cosa che è rimasta sempre nella mia vita come un’esperienza di vetta. Con l'aiuto di un mala (rosario) incominciai a praticare il Japa ad alta voce per 108 volte durante una passeggiate, poi tentai di continuarlo mentalmente durante la restante parte del cammino e durante le attività della giornata. (Sebbene le tradizioni Orientali raccomandino che il Japa sia fatto mentalmente, ho la certezza che esso dovrebbe essere fatto a voce alta perlomeno durante un insieme iniziale di un centinaio di ripetizioni. L’esperienza e il buon senso contraddicono inoltre la credenza che un Mantra funzioni solo se è ricevuto dal proprio Guru; naturalmente è chiaro che una persona esperta che ci aiuta a scegliere un Mantra ed usa tutto il suo potere di persuasione per convincerci ad applicarlo continuamente, ci fa il più grande favore possibile, ma questo è tutto!) Il suono del Mantra che già avevo ascoltato in una registrazione di un canto spirituale, era molto piacevole. Siccome la scelta del mio Mantra era scaturita da una predilezione inequivocabile, amavo accarezzare la sua vibrazione, prolungarla sulle mie labbra, farla vibrare nel mio petto, investirla dell’aspirazione del mio cuore. Il mio atteggiamento non fu mai l’attitudine di supplica di un devoto che si lamenta e singhiozza ma quella di un uomo che si trova ad un passo dalla sua meta. Anche se qualche volta mi sentivo un po’ stordito, ero determinato a non abbandonare mai la pratica. Dal momento che, facendolo, notai un impulso irresistibile di mettere tutto in ordine, pensai che il Mantra potesse lavorare in un modo simile pulendo la mia sostanza mentale e mettendo in ordine la mia "mobilia psicologica". La pratica era come un martello pneumatico che distruggeva il cemento dei condizionamenti mentali, permettendomi di attraversare indenne le sue paludi e raggiungere la dimensione della pura consapevolezza. Avevo l'impressione che esso annullasse il rumore di fondo delle mente, della cui presenza ero consapevole solo quando mi sedevo per praticare il Kriya – talvolta mi sentivo disperato poiché esso bloccava definitivamente ogni tentativo di concentrazione. Ci sono dei pensieri che possiamo visualizzare, identificare e bloccare, ma un diffuso persistente rumore di fondo annulla tutti i nostri sforzi. Questo è vinto col Japa! Questo mezzo è unico, può fare "miracoli" proprio dove falliscono le nostre migliori intenzioni! Ero stupefatto nel percepire il suo deciso effetto. Ci deve essere sicuramente una ragione se il Japa ("Preghiera Continua", "Preghiera Interiore", "Preghiera del Cuore", Dhikr) fu ed è la pratica base della maggioranza dei mistici. So che alcuni kriyaban non usano mai il Japa; obiettano che Lahiri Mahasaya non raccomandò tale pratica. A questo possiamo ribadire che pressoché tutti 50

suoi discepoli, indù e musulmani, lo praticavano poiché era, a quell'epoca ed in quel ambiente, una pratica molto diffusa. Lo stato di assenza di respiro Venne l'estate e ogni giorno praticavo il mio Japa di mattina e il Kriya a mezzodì in campagna. Un giorno, durante il Pranayama mentale, mentre stavo salendo e scendendo su e giù attraverso i Chakra, percepii distintamente una fresca energia che sosteneva il corpo dall’interno. Entrai in un'immobilità perfetta e, ad un certo momento, scoprii di essere completamente senza respiro. Questa condizione durò vari minuti, senza alcun sentimento di disagio: non c'era né il minino fremito di sorpresa, né il pensiero: «Finalmente ho ottenuto questo stato! » Questo evento era di una gioia oltre le parole: in una profondità fatta di blu, essa conteneva i cieli della mia infanzia. Nei giorni successivi lo stesso meccanismo si verificò di nuovo. Osservai una perfetta associazione tra la pratica del Japa e l'ottenimento di questo stato. Fui sorpreso che una delle più semplici tecniche del mondo, qual è il Japa, avesse prodotto un tale prezioso risultato! Prima di cominciare la mia pratica Kriya, guardavo il panorama circostante e mi chiedevo se tra poco avessi sperimentato ancora una volta quello stato: dopo circa 35-40 minuti avevo già completato la parte attiva - gli ultimi respiri del Pranayama - e poi, dopo non più di due o tre minuti, mentre a malapena avevo completato un giro di concentrazione sui Chakra in su e in giù, il miracolo avveniva. Un incomparabile senso di libertà interiore - che è impossibile da dimenticarsi – accompagnava l'impressione di essere implacabilmente frantumato dalla bellezza della natura e, allo stesso tempo, di essere situato al di sopra del mondo intero. Per quanto riguarda gli effetti sulla vita quotidiana, mi ricordava ciò che Sri Aurobindo scrisse descrivendo il momento in cui piede sul suolo indiano, dopo il lungo periodo di studi in Inghilterra. Parlò di una vasta calma che discese su di Lui, lo circondò e con Lui rimase per sempre. In seguito, osservai attentamente, come sorgeva lo stato di assenza di respiro. La mia consapevolezza faceva una pausa su ogni Chakra approssimativamente per dieci secondi - come un'ape attratta dal nettare nei fiori, che si libra su ciascuno in grande delizia - "toccando" lievemente il suo nucleo lungo un percorso antiorario (se guardato dall'alto). Più mi rilassavo durante questa azione interiore, più divenivo consapevole di una fresca sensazione di energia che 51

sosteneva ogni parte del mio corpo. Ero così simultaneamente consapevole sia dei Chakra che del corpo nel suo insieme. Una percezione ben netta di leggerezza interiore e assoluta trasparenza mentale era il segno che lo stato senza respiro si stava stabilendo. La respirazione, che nel frattempo era divenuta molto molto corta, alla fine raggiungeva l'immobilità, come un pendolo che arriva dolcemente al punto di equilibrio. Nel corso di tre mesi vissi in questa dimensione celestiale, perfettamente a mio agio, senza alcun desiderio da realizzare. Una calma euforia mi accompagnava: la certezza di aver trovato finalmente qualcosa di stabile e immutabile entro l’evanescente flusso dell’esistenza, che talvolta sembra avere la consistenza di un’infinita teoria di riflessi sull’acqua. Barlumi dello stato finale di libertà toccavano la mia mente... Quando uscivo per una passeggiata, se incontravo qualcuno e mi fermavo ad ascoltarlo, non importa quello che dicesse, un’improvvisa gioia scoppiava nel mio petto, saliva fino agli occhi, tanto che era difficile trattenere le lacrime. Guardando le montagne lontane o altre parti del paesaggio, cercavo di indirizzare verso di esse quello che sentivo, onde trasformare la gioia paralizzante in un rapimento estetico: questo tratteneva la gioia che serrava il mio essere, e la nascondeva. Assenza di respiro non significa azione; essa è la mancanza totale di movimento e del più lieve palpito causato dal pensiero, comunque è da tale stato che nasce l’azione che cambia il proprio destino. Aurobindo scrisse «La mente non agisce; semplicemente dai suoi recessi origina un’azione irresistibile». Seguirono diversi cambiamenti esteriori nella mia vita; certamente la luminosità che un giorno mi avrebbe aiutato a liberarmi di tutti i miei dubbi a riguardo della decisione di scrivere un libro sul Kriya, rompendo così il voto di segretezza, cominciò ad irradiarsi sin da quest'epoca incantevole. Pensavo: «Non devo dimenticarmi mai di quest’esperienza, voglio provarla ogni giorno della mia vita poiché è la cosa più vera mai sperimentata»! Sembrava impossibile perderla. Durò quasi un anno, poi lo persi. Il mondo dei "Guru itineranti" si stava avvicinando alla mia vita, e con esso un'incredibile confusione.

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UNA NOTA SUL JAPA La letteratura sul Japa è molto vasta e di grande ispirazione. I miei libri preferiti sono: In cerca di Dio di Swami Ramdas e I racconti di un pellegrino russo [Anonimo; Bompiani]. Si tratta di due semplici libri, facili da trovarsi, che spiegano con semplicità sorprendente tutto ciò che è essenziale sul Japa. Swami Ramdas nacque nel 1884 a Hosdrug, Kerala, India e venne chiamato Vittal Rao. Visse una vita normale finché raggiunse i trentasei anni e sperimentò pure gli alti e bassi della vita di un capofamiglia. Spesso ricercò quale fosse il vero significato della vita e sentì la necessità di intraprendere il percorso spirituale per trovare la "Pace" reale. Al momento propizio, suo padre l'iniziò nel Mantra di Ram, assicurandolo che ripetendolo incessantemente avrebbe, a tempo opportuno, raggiunto la felicità divina alla quale aspirava. Fu allora che rinunciò alla vita secolare ed andò in cerca di Dio quale un Sadhu mendicante. I primi anni della sua nuova vita sono descritti nella citata autobiografia. Il Mantra "Om Sri Ram Jai Ram Jai Jai Ram" era sempre sulle sue labbra. Oltre alla pratica del Japa, adottò la disciplina di guardare tutte le persone come forme di Ram - Dio - e di accettare ogni evento come provenisse dalla volontà di Dio. In breve tempo il Mantra sparì dalle sue labbra ed entrò nel suo cuore. Vide una piccola luce circolare nel punto tra le sopracciglia che gli regalava brividi di delizia. Poi la luce abbagliante lo permeò e l'assorbì. Perso in questa beatitudine inesprimibile rimaneva seduto per ore. Il mondo gli sembrava come una fioca ombra. Raggiunse ben presto uno stadio in cui questo dimorare nello spirito divenne un'esperienza permanente ed immutata. Ramdas raggiunse il Mahasamadhi nel 1963. Incontrare la semplicità della sua vita e la grandezza della sua esperienza è molto ispirante: si riceve un impeto fresco per incominciare col Japa. Il secondo libro, I racconti di un pellegrino russo, è legato all'Esicasmo, un movimento Cristiano Ortodosso che ha somiglianze stupefacenti con il percorso del Kriya Yoga (vedi ulteriore discussione nel capitolo III/01). L'origine di questo classico spirituale è, per molti versi, un mistero. Nessuno sa per certo se si tratta di una storia vera che riguarda un particolare pellegrino, o un romanzo spirituale creato per diffondere il lato mistico della fede Cristiana Ortodossa. Siamo colpiti dalle parole di apertura: «Per grazia di Dio sono un Cristiano, per le mie azioni un grande peccatore, e per vocazione un vagabondo di umile 53

nascita senza dimora che erra da luogo in luogo. I miei beni sono una bisaccia con un po' di pane secco, ed una Bibbia nel taschino. Questo è tutto». La vita dell'eremita errante è posta davanti al lettore come guida ed imitazione. Coloro che vorrebbero veramente condurre una vita spirituale sentiranno sicuramente un'onda di attrazione per questo semplice e coraggioso modo di vivere e trarranno beneficio dall'idea centrale di incominciare con un numero fisso di ripetizioni di un Mantra e poi aumentarlo finché diviene automatico. Onde realizzare l'ideale di "pregare incessantemente", il pellegrino è istruito a ripetere la Preghiera di Gesù 6000 volte al giorno, poi passare a 12000. Poi scopre che la Preghiera è sulle sue labbra e nella sua mente ogni momento in cui lui è sveglio, così spontaneamente e senza sforzo come il respiro stesso. In questa meravigliosa condizione riesce a sperimentare il fulgore della luce divina, l'intimo "segreto del cuore". Per dare l'idea di quello che, da ora in avanti, è divenuta la sua vita, cita il passaggio Evangelico degli uccelli dell'aria ed dei gigli del campo, identificandosi con essi come completamente dipendenti da Dio: qualunque cosa che avviene non può separarlo da Dio. L'importanza di avere questi esempi come riferimento è sentita quando uno incontra momenti in cui la tentazione di abbandonare la pratica del Japa è tremenda. Talvolta uno si potrebbe sentire come un convalescente in un difficile processo di guarigione; talvolta il rumore proveniente dal mondo esterno arriverà alle sue orecchie come amplificato, mentre la sensibilità allargata darà l'impressione di essere divenuto più fragile, vulnerabile ed indifeso. Ed è allora che è necessario concentrarsi sul Mantra scelto con un fervore assoluto, al punto di sfinimento – un apparente sfinimento. Ho usato il termine "sfinimento" dopo aver discusso il Japa con un amico. Egli praticava senza ottenere alcun risultato. Ebbi l'impressione che il Japa fosse per lui un atto cerebrale. Erano i suoi pensieri che lo ripetevano, la sua vibrazione non era collegata in alcun modo al suo corpo. Lo osservai attentamente mentre praticava: fui testimone di una pratica esangue, una stanca richiesta di misericordia a Dio. Non per nulla aveva messo da parte il suo bel Mantra indiano e scelto una espressione nella sua lingua madre che non era altro che un sospiro di autocommiserazione. Non c'era da meravigliarsi se, dopo alcuni giorni, abbandonò del tutto la pratica. Non sapeva che si accingeva a divenire il più grande sostenitore del Japa. Il momento di svolta avvenne quando un giorno partecipò ad un pellegrinaggio di gruppo. Qualcuno incominciò a recitare il rosario - un numero fisso di ripetizioni della stessa Preghiera: a questo tutti i pellegrini si unirono. Anche se stanco e quasi senza fiato, il mio amico non si sottrasse a 54

quest’atto ispirato a devozione. Camminando e sussurrando la preghiera, cominciò ad entrare in uno stato di tranquillità mai conosciuta prima. Guardò con occhi diversi lo spettacolo dei paesaggi che mutavano attorno a lui man mano che procedeva e gli sembrò di vivere una situazione paradisiaca. Continuò a ripetere la Preghiera senza sosta lungo tutto il percorso, dimenticando completamente che era stanco e assonnato. Quando il gruppo si fermò per una sosta ebbe la fortuna di essere lasciato solo – indisturbato; entrò in uno stato introspettivo e fu pervaso da qualcosa che vibrava nel suo cuore e che lui identificò con la Realtà Spirituale. Lo stato estatico assunse la consistenza della realtà, diviene quasi insostenibile, lo travolse. Questa esperienza gli insegnò il modo corretto di praticare il Japa. Mi rivelò che il segreto era raggiungere e superare lo stato di "sfinimento". Dopo alcuni esperimenti ritornò al suo Mantra indiano e con esso raggiunse l’assenza di respiro.

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CAPITOLO I/05

RICERCA DEL KRIYA ORIGINALE

Durante una gita a Vienna (Austria), trovai un testo scritto da uno Swami Indiano, che affermava di insegnare il Kriya originale di Lahiri Mahasaya - quello di P.Y. era menzionato come una forma lievemente modificata. Ovviamente il testo, come infiniti altri che avrei letto in futuro, doveva servire da esca, per interessare le persone a quella scuola di Kriya fondata dallo Swami e non includeva spiegazioni pratiche. Ero molto incuriosito quando lessi che la pratica del Pranayama doveva essere considerata errata se, dopo un opportuno numero di respiri di assestamento, il praticante - senza chiudere gli orecchi - non avesse ottenuto l’esperienza del suono interiore dell’Om. L'affermazione valeva la pena di essere presa in considerazione: era chiaro che l'insegnante si riferiva ad una pratica molto profonda del Pranayama. Leggendo il libro, ebbi la sensazione che l'autore conoscesse il processo del Kriya Yoga più profondamente di altri insegnanti. Il Kriya era, secondo lui, suddiviso in sei livelli. Egli affermava che essi costituivano dei gradini progressivi volti a produrre l’illuminazione finale che sarebbe avvenuta nel cervello, nella cosiddetta "grotta di Brahma". Nella parte frontale di questa regione vi è la ghiandola ipofisi e, dietro, la pineale: rispettivamente la sede del sesto e del settimo Chakra. Fra questi due "poli" si sarebbe prodotta un’emissione di luce, una specie d’arco di voltaico il quale avrebbe "illuminato" la regione. Questo fatto era descritto come un "matrimonio mistico". La descrizione era accompagnata da uno schizzo suggestivo che invogliava a credere alla validità e universalità dell'esperienza. Non avevo alcuna idea su quando e dove avrei avuto l’opportunità di incontrare questo insegnante ma pregustavo la meravigliosa possibilità di approfondire il Pranayama e di chiarire, probabilmente, ogni altro dubbio che riguardava il Kechari Mudra e i Kriya superiori. Ero eccitato come un bambino che sta per ricevere il più bel regalo. Nei mesi seguenti, la mia idea fissa era intuire in che modo il Pranayama potesse essere approfondito. Talvolta appariva un dubbio insidioso: qualora avessi ricevuto questo nuovo insegnamento, come avrei fatto a capire se esso era davvero quello originale oppure non era altro che un’invenzione? La ragione di tali incertezze derivava dai miei condizionamenti di allora secondo i quali qualsivoglia informazione Kriya, ottenuta al di fuori della scuola, poteva essere un’invenzione da parte di coloro che curavano solo i loro interessi personali, come far soldi o esercitare potere sulle altre persone. Comunque ragionai così: l’ascoltare l’Om con le orecchie aperte sarebbe stata 56

la prova di un ottimo approfondimento del Pranayama. Mi convinsi che la decisiva aggiunta tecnica consisteva nel cantare mentalmente Om nei Chakra, esercitando, allo stesso tempo, tutta la possibile attenzione all’ascolto dei suoni interiori. 11 Non ricordo quanti di questi respiri ero solito praticare ciascun giorno: di sicuro non più di 48-60 unità. Siccome la mia scuola di Kriya mi aveva insegnato a praticare il Pranayama con la bocca aperta o semichiusa, così continuavo a fare. Dopo questi piacevoli respiri continuavo ad ascoltare internamente. La cosa migliore era di rimanere consapevole del respiro (un respiro calmo, breve, quasi impercettibile che pare quasi stia per scomparire), ponendo in relazione ciascun respiro con un Chakra diverso.12 Poiché la tecnica di ascolto dell’Om appresa all’interno della scuola mi aveva regalato la più profonda delle soddisfazioni, ero certo del successo con il mio nuovo intento. Il suono interiore apparve dopo appena quattro giorni di pratica assidua. Era d’inverno e avevo tre settimane di vacanza. Scelsi di rimanere tutte le mattine nel caldo della mia casa praticando il più possibile. Sperimentai un appagamento totale come se il percorso Kriya fosse giunto alla fase finale. Durante il giorno tutte le cose sembravano essere circondate da un alone magico che rendeva ogni dissonanza impossibile. Tutto era come trasfigurato; era come vivere in una realtà perfetta, ogni cosa mi sorrideva in estasi; ogni dolore era volato lontano dal mio sguardo. Trascorsi anche alcuni giorni in una bella località di sport invernali, dove ero libero di camminare nella campagna bianca di neve senza una destinazione prefissata. Mentre oziosamente camminavo senza una meta, il tramonto veniva presto e colori meravigliosi tingevano il paesaggio; le luci del piccolo villaggio sprofondato nella neve si accendevano nel buio. Quello rimarrà per sempre lo splendido simbolo del mio contatto con l’esperienza Omkar. La cosa curiosa è che ancora non conoscevo l’insegnante, avevo soltanto letto il suo libro: era l’intensità della mia pratica che era totale! Le vacanze invernali finirono e ripresi il lavoro. Nei pochi momenti liberi pensavo alla preziosità del Kriya e visualizzai per il mio futuro la possibilità 11

Quel insegnante mi avrebbe deluso. Quello che stavo ora indovinando era il Kriya originale di Lahiri Mahasaya non la forma insegnata da quello Swami. Durante il corso degli anni, questi aveva purtroppo semplificato la tecnica originale. L'intera questione è affrontata in dettaglio nel capitolo II/3: quello che lui insegnava prima di fare tanti cambiamenti è ricostruito nella trattazione della scuola [A]. 12

Nel libro avevo trovato un dettaglio profondo: se vogliamo fare un notevole progresso spirituale, dovremmo impegnarci ad essere consapevoli di 1728 respiri al giorno. 57

di approfondire, con totale dedizione, anche i Kriya superiori. Un giorno, sul luogo di lavoro, mi trovavo in una stanza da cui, attraverso una porta di vetro, potevo vedere da lontano le montagne e contemplare sopra di loro un cielo di un puro celestiale. Ero in estasi! Quel cielo distante era lo specchio dei miei anni futuri dove avrei gioito solamente del mio Kriya. Per la prima volta, il progetto di andare in pensione e vivere con un minimo reddito, permanendo in questo stato per il resto dei miei giorni, venne a me. Il mio primo insegnante di Kriya L’autore del libro, a causa della necessità di essere sottoposto ad un intervento chirurgico negli Stati Uniti, si sarebbe presto fermato in Europa; mi diedi molto da fare per incontrarlo e ricevere da lui l’iniziazione al Kriya. Quel momento giunse finalmente! La conferenza introduttiva fu di grande impatto emotivo. Egli aveva un aspetto maestoso e nobile, era "bello" nel suo abito ocra, anziano con capelli lunghi, barba pure - era la personificazione del saggio. Lo sbirciavo nascosto dietro alcune file di persone; sentivo che parlava del lascito di Lahiri Mahasaya per esperienza diretta. I concetti teorici che introdusse erano assolutamente nuovi per me e creavano una cornice bella e coerente per una pratica Kriya concepita come un unico processo progressivo di sintonia con la realtà Omkar. Come un filo in cui sono infilate delle perle, la percezione Omkar attraversava tutte le diverse fasi del Kriya. Il Maha Mudra non era separato dal Pranayama il quale non era separato dal Pranayama mentale. Inoltre, la realtà Omkar doveva essere percepita non solo nell'aspetto di suono e luce ma anche come "sensazione di oscillazione" (altre volte parlò di un senso di pressione). Le sue stupende e affascinanti parole erano per me una rivelazione ma in certi momenti, essendo enormemente curioso di apprendere i nuovi dettagli tecnici, ero incapace di prestare la dovuta attenzione a quanto diceva e perciò non compresi subito tutte le implicazioni di quei concetti. La mia ossessione era: «Che tipo di suoni nella gola devono essere prodotti in questo Kriya originale? Fino a quale centro sale l'energia durante l’inspirazione?» Per far sì che gli studenti comprendessero l'aspetto di movimento proprio di Omkar, "toccò" alcuni di loro (testa e torace) vibrando la sua mano, cercando di trasmettere questo tremito al loro corpo. Stava guidando noi ascoltatori in una meravigliosa dimensione, si donò completamente a noi affinché potessimo intuire il profumo di questa esperienza. L'iniziazione al Primo Kriya mi entusiasmò e mi deluse allo stesso tempo: i piegamenti che precedevano il Maha Mudra erano realmente preziosi e così 58

fu anche la meditazione finale, chiamata impropriamente Paravastha, ma il Pranayama sembrava sparito e ridotto ad un brevissimo processo puramente mentale. Il suo Secondo Kriya, che appresi mesi dopo, era facile e godibile: esso conteneva una bella forma di respirazione. Consisteva principalmente nel fondere il Mantra di dodici sillabe (Om Namo Bhagavate Vasudevaya) con un respiro frammentato. L'effetto era di toccare internamente ciascun Chakra con una sillaba. 13 Nessuno tra noi incontrò difficoltà nell'eseguirlo e nel farlo diventare parte regolare della propria routine quotidiana. Tuttavia, nonostante la sua rimarchevole capacità di persuasione, il terreno che lui aveva dissodato e stava coltivando cominciò a diventare sterile in quanto aveva commesso il fatale errore di non spiegare alcune delle tecniche che Lahiri Mahasaya ci aveva tramandato – non solo parte dei Kriya superiori ma anche alcune tecniche base come il Kechari Mudra e il Navi Kriya. Consapevole che lo spirito del Kriya originale fosse stato perso presso le altre scuole, si concentrò solo sul farci toccare il suo nucleo. Le tecniche originali del Kriya di Lahiri Mahasaya, lui le aveva provate tutte e aveva concluso che alcune non erano essenziali, che altre erano troppo delicate e difficili da praticare. Il tentativo maldestro di applicarle avrebbero potuto risolversi in un’inutile distrazione per gli studenti e, per lui, insegnante, in una perdita di tempo. Si espresse in modo molto fermo: la richiesta, da parte di alcune persone, di ricevere altre tecniche superiori dimostrava il loro scarso impegno nei confronti della pratica di base. Quanto diceva era vero, eppure finì per isolarlo. Non aveva tenuto conto della realtà della mente umana, della sua curiosità insaziabile, del rifiuto totale di ubbidire a qualunque censura. Aveva tutti i mezzi necessari per attrarre il mondo occidentale. Il libro che aveva scritto era stato una perfetta azione strategica che lo aveva reso popolare in occidente, facendogli ottenere un posto di centrale importanza nel campo del Kriya. Inoltre c'era anche la sua figura di saggio indiano che colpiva le persone. C'erano centinaia di ricercatori che erano entusiasti di lui, che erano pronti a sostenere la sua missione, che l'avrebbero sempre trattato come una "divinità" e si sarebbero comportati in maniera altrettanto rispettosa anche con eventuali suoi collaboratori o successori. Ma la sua infausta decisione mise in moto un meccanismo inesorabile che allontanò le persone a lui più indispensabili. Letteralmente divorati dalla brama di ricevere gli insegnamenti completi, cominciarono a volgersi alla 13

Questo insegnamento è del tutto simile all'Omkar Pranayama che molte scuole di Kriya danno oggi come introduzione al Secondo Kriya. Il modo particolare con cui questa scuola lo insegna oggi è illustrato nel capitolo II/03 (vedi scuola [A]) 59

ricerca di altri maestri. Deluso dalla loro defezione, si intestardì a focalizzarsi sempre più sull'essenza dell'insegnamento semplificando ulteriormente l'insieme di tecniche del Primo Kriya. Ebbi la prova drammatica della sua solitudine quando un giorno, durante una seduta di ripasso del Kriya, rivolgendosi al pubblico, affermò che il vero Pranayama poteva avvenire solo nello stato di respiro calmo: al contrario, quello con contrassegnato da un respiro lungo, profondo (che molti sapevano era la caratteristica del lascito di Lahiri Mahasaya), era «buono solo per bambini di asilo»! Chiuse le narici con le dita e rimase in quella posizione per un certo tempo. Intendeva in tal modo alludere al fatto che egli aveva padroneggiato lo stato di assenza di respiro; sembrava volesse indicare che il pubblico non era in grado né di capire né di praticare il Kriya. Dentro di me pensavo a chissà quante delusioni lo avevano portato a quella singolare dimostrazione. Forse aveva incontrato solo persone che non erano state capaci di adottare la disciplina di una meditazione regolare e quindi non avevano realizzato nulla se non curiosità per chissà quali altri segreti del Kriya. Molti recepirono questo come uno sgradevole commento al fatto che lui ci stava dando delle spiegazioni solo per cortesia ma che il pubblico non era in grado di capire veramente il senso profondo di quanto ci stava illustrando. Le persone lo guardavano senza capire; lo ritenevano bizzarro, originale. Il risultato fu che i principianti non percepirono altro che una distanza incolmabile tra loro e il maestro. Coloro che avevano già una buona conoscenza del Kriya videro confermato il loro sospetto che quello che lui aveva insegnato fino a quel momento fosse una semplice introduzione al Kriya e che non avesse fornito la chiave per ottenere l'esperienza decisiva. È vero che molti si trovavano bene col suo Kriya, ma si trattava di persone che tendenzialmente mai si sarebbero date da fare per organizzargli dei seminari. Per dirla franca, la fedeltà di molti non gli bastò ad evitare il peggiore esito. Il suo sforzo ammirevole, tutte le meravigliose sottigliezze con cui aveva arricchito il nostro Kriya, rendendo questa pratica molto più bella, non fu sufficiente ad impedirgli di incontrare il naufragio di tutta la sua missione, almeno qui in Europa. Coloro che cercarono di fargli capire l’assurdità della situazione e di impedirla, si trovarono davanti ad un muro impossibile da valicare. Usando gli stessi volantini, solo cambiando foto e nome, molte di quelle persone che si erano date da fare per organizzare i suoi seminari, invitarono un altro insegnante dall'India perché sapevano che costui era favorevole a 60

spiegare il Kriya nella sua forma completa. Questo invito era molto strano e fatto forse più per disperazione che per convinzione, in quanto coloro che lo avevano già incontrato in India sapevano che la sua realizzazione spirituale era quasi inesistente. Ci vollero due anni affinché riuscisse a superare problemi del visto e potesse venire in Europa ma quando arrivò si trovò praticamente tutti i discepoli dell'insegnante descritto sopra pronti ad accoglierlo come un messaggero mandato da Dio. Kriya inquinato dal "New Age" Nel frattempo incontrai diversi gruppi che praticavano il Kriya Yoga. Mi tuffai nel territorio desolato dove il Kriya è inquinato dalle tendenze "New Age". Questo periodo mi ritorna in mente quando ascolto le registrazioni di alcuni canti devozionali che acquistai allora. Per qualcuno dei miei amici che mi seguirono in questa escursione, esso divenne il teatro di cocenti delusioni e segnò l’abbandono definitivo del sentiero spirituale. Il cuore, se solo mi fossi fermato un istante ad ascoltarlo, mi avrebbe detto che stavo andando alla deriva perdendo delle acquisizioni fondamentali come lo stato di assenza di respiro, l'ascolto del suono di Om... È molto strano da riconoscere: avevo dimenticato tutto, ero come ipnotizzato. In quell'ambiente incontrai molte persone che – per lo meno questa fu la mia prima impressione – avevano un tratto in comune. Legati ad uno stile di vita orientaleggiante, amavano particolarmente un'atmosfera, un modo di atteggiarsi caratterizzato da specifiche sensazioni che cercavano di coltivare con piccole attenzioni e, soprattutto, innocenti manie. 14 La sensibilità New Age è caratterizzata dalla spiccata percezione di un qualcosa di "planetario" all’opera. Siccome alla sensibilità New Age contribuirono uomini di scienza, non è il caso di soffermarci sull’affermazione, irrilevante, secondo cui tale progresso coincise con l’entrata del sistema solare nel segno dell’Acquario - anche se proprio da questa credenza deriva il termine "Età dell’Acquario o New Age". Ciò che è essenziale è che le persone si accorsero che le scoperte della Fisica, le Medicine Alternative, gli sviluppi della Psicologia del profondo, tutti portavano verso un’unica comprensione: la sostanziale interdipendenza tra universo, corpo, psiche e dimensione spirituale dell’uomo. Le società esoterico-iniziatiche superando, da sempre, le differenze di cultura e di visione religiosa avevano già riconosciuto questa verità, la quale, ora, divenne patrimonio comune. Nel ‘900 il pensiero umano ha fatto un passo in avanti in una direzione senz’altro sana. Ci sono tanti motivi per credere che, in futuro, tale epoca sarà studiata con quello stesso senso di rispetto con cui oggi si studia l’Umanesimo, il Rinascimento, l’Illuminismo. Il pensiero New Age merita profondo rispetto per tante ragioni. Se parlo di "manie" mi riferisco all'uso eccessivo da parte di alcuni di ricorrere a costosi rimedi alternativi per ogni tipo di disturbi reali o immaginari e a ancora più pericolose teorie prese a prestito con molta superficialità da varie correnti esoteriche, piuttosto che a un profondo 14

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Imparai ad associarmi con ognuno - per esempio quelli che mi ospitarono quando frequentai seminari in città distanti - come un esploratore affronta degli animali ignoti, preparandomi a qualsivoglia eccentrica rivelazione. A volte reagivo alle loro stranezze con un po' d’ironia, che sgorgava da me spontanea, intrattenibile. Nel gruppo legato con la prima organizzazione, incontrai persone il cui entusiasmo verso il Kriya era molto tiepido, e sembrava praticassero le poche tecniche che conoscevano come se stessero compiendo un sacrificio per espiare la "colpa" di esistere. In questo nuovo ambiente, conobbi molte persone che, invece, erano persino "troppo entusiaste" del Kriya e delle pratiche meditative orientali, nutrendo troppa fiducia nel loro presunto potere catartico di risolvere i problemi. Molti focalizzavano la loro attenzione solo su aspetti secondari del sentiero mistico e avevano perso di vista la meta. Spesso un vago senso di benessere percepito praticando una certa tecnica per la prima volta era la prova della bontà della tecnica stessa. Non si rendevano conto che, in tal modo, avevano fatto del loro ego la bussola del loro viaggio spirituale. Nella loro stanza di meditazione, colma di poster e cuscini dai mille colori, decorazioni, cristalli e altri oggetti, erano soddisfatti dalla bella atmosfera creata. Non esisteva altra realtà da essere ricercata. Talvolta questo atteggiamento era come preparare la propria casa per un ospite distinto, continuando a pulirla e decorarla, estasiati dalle varie comodità che la loro casa offre – mentre l'ospite, dopo aver suonato varie volte il campanello, sedeva, trascurato, sullo stuoino davanti alla porta… Ricerche su medicine alternative, terapie di gruppo dirette da bizzarri personaggi privi di formazione accademica, erano distrazioni costose da abbinarsi al Kriya. Alcuni avevano la mania pericolosa e potenzialmente distruttiva di cercare senza sosta di esplorare i misteri inerenti al "potenziale umano". Erano capaci di fare qualsiasi sciocchezza per questo fine. Alcuni erano stati convinti ad investire in costosi seminari dove i loro canali energetici sarebbero stati aperti ed essi avrebbero appreso il segreto di come usare l'Energia Universale. Tutto questo veniva a costare parecchio, anche perché i seminari non erano tenuti nelle vicinanze ma all'estero, presso costose residenze. Molti abbandonano il loro atteggiamento genuino e cominciano a perdere il contatto con la realtà. Quando osai scuoterli dalla loro illusione, infastiditi mi dissero progresso nella comprensione, nella espansione della coscienza fuori dai ristretti confini del piccolo ego legato ossessivamente alla conservazione delle sue meschine comodità.

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che non c'era alcuna ragione di essere perplessi riguardo alle loro pratiche senza averle provate: «È il nostro Karma che ci sta dando la migliore opportunità di crescere su tutti i piani.» «Ci si aspetta che noi rispondiamo in modo positivo. Non dobbiamo opporci a questa benefica corrente altrimenti potrebbe rendersi necessario ... morire e rinascere di nuovo solo per vivere quelle esperienze che ora stiamo rifiutando!» «Le tecniche Kriya si praticano con l’energia presente nel corpo - dicevano - quindi se questa è ricaricata dal flusso dell’energia universale, quello che si presenta come un lungo cammino diventa una "passeggiata"». Per quando riguarda il Kriya vero e proprio, ricevemmo diverse iniziazioni da parte di insegnanti per così dire "minori" – ovvero coloro che un tempo erano stati il braccio destro di qualche Guru famoso e poi si erano resi indipendenti per propria scelta o perché erano stati ripudiati da questo. Sebbene sentissi che quella atmosfera mi era estranea, la accettai come un inevitabile inconveniente per riuscire ad ottenere le informazioni che cercavo con tanta passione. Era prescritto di portare dei fiori - qualche insegnante ne chiedeva uno, altri chiesero tre o sei - poi qualche frutto. Qualcuno pretendeva un cocco costringendo le persone ad andare, quasi con disperazione, a cercarlo di negozio in negozio. Infine un'offerta in denaro, qualche volta libera, qualche volta di ammontare predeterminato. Uscivo da quelle "iniziazioni" ripetendomi quanto fossi soddisfatto, proponendomi da allora in poi di abbandonare altre pratiche e dedicarmi con gran serietà solamente a quelle appena ricevute. Rifuggivo dalla consapevolezza che la nuova iniziazione aveva solo aggiunto qualcosa di insignificante rispetto a quello che già conoscevo, che restringermi solo ad esso sarebbe presto divenuto una "gabbia" che prima o poi avrei trovato troppo stretta e da cui mi sarei allontanato. Quelle iniziazioni erano come un vizio. C'era la tendenza ad accumulare tecniche come per prepararsi ad una carestia. Questa abitudine creò delle fratture nella mia personalità. Tanto per fare un esempio, in quasi tutti questi seminari d’iniziazione un impegno solenne di segretezza era la parola d'ordine per essere accettati. Tutti devotamente facevano questa promessa e, appena la riunione era finita, condividevano al cellulare le informazioni ottenute coi loro amici, i quali, in cambio, avrebbero preso parte ad altre iniziazioni e restituito il favore. In linea di massima, dopo diversi rituali, la spiegazione era sempre rapida e superficiale; spesso c'era anche una polemica spietatamente distruttiva nei confronti delle informazioni ricevute da altre fonti. Eravamo pienamente d'accordo che i nostri insegnanti erano, nella pressoché totalità dei casi, persone mediocri, con grandi limiti dal lato umano; ciò sarebbe stato 63

tollerabile in una persona comune, ma molto stridenti in individui che si presentavano come "maestri spirituali." Non fummo capaci di trovarne almeno uno che lasciasse trasparire quell'abilità essenziale in una questione sottile e delicata come il lavoro pedagogico che pensava di svolgere. Dei fatti secondari confermarono la prima impressione di precarietà ed improvvisazione e, in un caso, persino d’instabilità mentale. Sapevano pochissimo del Kriya Yoga ed in modo ancora più superficiale lo insegnavano. Come era possibile che tollerassimo questa situazione? Eravamo soggiogati dal mito che il Kriya va appreso da un insegnante "autorizzato". Ci dicevano che lo erano e questo ci bastava. È strano pensare che questa suggestione profondamente radicata in noi, ricevuta dalla scuola di P.Y. era proprio ciò che sosteneva il nostro atteggiamento deferente e tollerante verso personaggi che stavano realmente abusando delle nostra buona fede. Trovai strano che coloro che organizzavano i seminari davano l'impressione di essere ricercatori onesti e anzi davano la rassicurazione che dalla loro bocca non sarebbe mai uscita alcuna sciocchezza. Rimasi stupito quando uno di loro, non per pura e semplice esibizione, citò a memoria alcune righe di uno scritto di P.Y. - proprio quelle stesse frasi sibilline che erano state un tempo la fonte di tante incertezze. Aveva letto e riletto quei testi moltissime volte tentando di decifrarli, chino su di essi, ci aveva "sofferto" veramente. Sentii che simili ricercatori erano la mia vera "famiglia"; imparai ad ascoltarli con rispetto ed in silenzio quando corressero molte mie interpretazioni fantasiose sul Kriya. Il nostro rapporto era basato su un reale affetto e non c'era mai disapprovazione, acidità o formalità. Furono sempre generosi verso di me e rispettosi della mia personalità. Mai cercarono di impormi qualche loro convincimento, mentre condividevano tutto quello che conoscevano, anche quanto era costato tempo, sforzo e denaro. Altre delusioni dall'India Alcuni nostri amici, di ritorno dall’India, mostravano l'emozione di avere conosciuto una terra straordinaria e, nello stesso tempo la delusione per tutto quanto non erano riusciti a imparare. Capitò spesso che qualcuno avesse incontrato un millantatore il quale li aveva assicurati di conoscere il Kriya e di poter dare loro l'iniziazione. Questo a patto che essi mantenessero la più totale segretezza sul fatto, senza stabilire alcun contatto con altri ricercatori. In tal modo questi si sentiva sicuro che per molto tempo i suoi iniziati non si sarebbero resi conto che in realtà quello che avevano ricevuto non aveva nulla 64

a che fare con il Kriya. Mi accorsi di ciò solo quando riuscii a vincere le resistenze interiori di qualcuno e mi feci dire la tecnica che avevano appreso; si trattava della semplice ripetizione di un Mantra! La cosa che più mi dispiaceva non era tanto la sostanziosa offerta che questi amici avevano fatto a quelle persone (che per un indiano significava una fortuna) ma il fatto che così, pur viaggiando in varie parti dell'India si erano privati della possibilità di apprendere il Kriya da altre fonti, in altri posti. Un fatto di diversa natura accadde ad un amico il quale incontrò un discendente di Lahiri Mahasaya, un nipote diretto, un uomo di grande istruzione accademica e anche di profonda conoscenza del Kriya, ma non ne ricavò assolutamente nulla. Rimasi allibito quando, ritornato dall'India mi annunciò qualcosa di veramente singolare. Mi disse che a Benares, e probabilmente ovunque in India, il Kriya non si praticava più. Mantenni abbastanza controllo da non interromperlo o contestarlo, poi ponendogli delle domande apparentemente marginali, cercai di capire quello che era accaduto. Il mio amico, come era solito fare, aveva aperto la conversazione introducendo argomenti futili come domande sulle abitudini indiane, l'indirizzo di un Ashram dove voleva recarsi, poi, verso la fine dell'intervista quasi ricordando improvvisamente di trovarsi nella casa di Lahiri Mahasaya aveva chiesto se per caso qualcuno dei discendenti di Lahiri Mahasaya praticasse ancora il Kriya. Il suo modo di atteggiarsi deve aver raggelato l’illustre ascoltatore perché la risposta, che nascondeva un amaro sarcasmo, fu negativa; in altre parole: «certo che no, qui nessuno lo pratica più. In India non si pratica più. Sei rimasto solo tu a praticarlo!» Finito il suo racconto l'amico mi guardava con occhi stupiti. Non so ancora se sperava di convincermi o se, più che altro, era immerso nella sua amarezza e frustrazione. Non dissi nulla. Credo che non si rendesse conto di quanto stupidamente si era comportato con quella nobile persona. La batosta gli arrivò un mese dopo, quando venne a sapere che un suo concittadino aveva ricevuto l'iniziazione al Kriya proprio da quella stessa persona da lui intervistata a Benares. Fu molto contrariato, offeso dalla notizia e fece il progetto di ritornare in India e protestare presso quel Kriya Acharya.15 Un altro amico si era fermato per alcuni giorni presso un Ashram dove 15

Purtroppo non ci ritornò più, perché una grave malattia ci portò via quest’amico. Nonostante la diversità abissale del nostro carattere, gli sarò sempre grato per tutto quello che del sentiero spirituale in generale volle condividere con me. 65

sapeva che si poteva ricevere il Kriya Yoga. Il monaco che guidava questo Ashram non era presente, però l'amico ricevette l'iniziazione al Kriya da un suo discepolo. Acquistò un grosso volume dove c'era la descrizione sintetica delle tecniche. Di ritorno dall'India l'amico, visibilmente soddisfatto, mi mostrò questo libro: le tecniche non erano molto diverse da quelle che conoscevo però c'erano tante altri dettagli in più. Non c'era nulla, in ogni caso, che andasse a chiarire i miei dubbi, non un cenno al Kechari Mudra, nulla sul Thokar. Ricordo invece una tecnica molto complicata basata sulla visualizzazione dei Chakra come sono descritti nei testi tantrici. Ogni tecnica era preceduta da un'introduzione teorica con citazioni da libri antichi e accompagnata da un'illustrazione che eliminava ogni possibile dubbio. Alla fine del libro veniva data una routine graduale molto precisa. C'era naturalmente l’affermazione che tutte queste tecniche costituivano il Kriya come spiegato da Babaji, il mitico Guru di Lahiri Mahasaya. Siccome il materiale era molto interessante, mi sarebbe tanto piaciuto illudermi che la mia ricerca fosse finalmente conclusa e che quegli appunti contenessero quanto cercavo! Bastava solo credere che Babaji, per creare il Kriya Yoga, non avesse fatto nient'altro che fare una sintesi del comune tantrismo. Ci voleva inoltre l’audacia di pensare che il Thokar potesse essere considerato null’altro che una banale variante del Jalandhara Bandha! E se non c'erano le istruzioni per il Kechari Mudra, pazienza, ciò voleva dire …. che tale Mudra non era importante! Con un po’ di buona volontà sarei riuscito a far quadrare il cerchio! Il caso volle che ascoltassi la registrazione di una conferenza dell'autore Swami S. S.. Raccontava di aver trovato tali tecniche in alcuni testi tantrici e di averne fatto una selezione accurata per formare un sistema coerente: quello costituiva il suo sistema Kriya! Come poteva spiegarsi allora l'affermazione secondo la quale quegli insegnamenti provenivano da Babaji? Semplice! Come molti altri insegnanti indiani, erano stati i suoi discepoli, non lui, a redigere quel materiale; questi ebbero la bella pensata di renderlo più interessante accennando alla derivazione dal mitico Babaji. L'insegnante, sempre rispecchiando un tipico costume indiano, non aveva mai controllato quegli appunti - rimase, infatti, sconcertato quando seppe di quell’aggiunta. Difese però l'operato dei suoi discepoli affermando che, in fondo … «anche il Kriya di Babaji aveva origini tantriche». Come se non bastasse questa confusione, alcuni anni dopo apparvero in internet dei Forum sul Kriya. Ricordo ce n'era uno, senza moderatore dove si era scatenata una volgarità indicibile e le persone si sentivano libere di insultare grezzamente coloro che avevano opinioni diverse. Naturalmente c'erano - e ci sono ancora - dei Forum molto genuini; quello che 66

mi dà fastidio è che ci sono sempre dei kriyaban che rispondono a domande legittime e ragionevoli con un tono inaccettabile. Con falsa tenerezza, tradendo la forma più bassa di considerazione, continuano a bollare come pericolosa mania il desiderio del ricercatore di approfondire la conoscenza del Kriya. Essi hanno l'audacia di consigliare al disorientato studente di migliorare la profondità delle tecniche già ricevute e di accontentarsi di ciò. Mi chiesi come osassero, non invitati, entrare nella vita di un’altra persona, della quale non sanno nulla, e trattarla da principiante incompetente e superficiale! È davvero tanto difficile confessare: «Non possiedo l'informazione che tu cerchi»?

DEFORMAZIONI L'incontrare diversi gruppi di persone che praticavano il Kriya (sin dai tempi della mia appartenenza ad una organizzazione di Kriya e più tardi in diverse parti del mondo seguendo questo o quel Guru) fu come incontrare la mia più vasta famiglia. In quel periodo ero molto felice: mi innamoravo di un bhajan indiano e lo cantavo entro di me tutto il santo giorno. Per me aveva la consistenza del cibo; anzi avevo proprio l'impressione di mangiare quella musica in quanto dopo alcuni giorni di canto realizzavo di averla esaurita e cercavo un altro canto per tuffarmi in esso come se fosse l'unico degno di essere cantato. Nuotando in questo stato d'animo felice non capivo nulla delle altre persone e mi sembrava che anche se avevano tanti interessi, essi vivono una vita bellissima, facevano lavori bellissimi e io sognavo di vivere sempre come loro. In seguito ebbi diverse occasioni di incontrare e avvicinarmi più intimamente a varie tipologie di ricercatori. [a] Fui colpito dalla tendenza a spendere molto denaro in seminari dove si parlava di metodi di guarigione dei propri conflitti interiori. Frequentai un gruppo Kriya che era sotto l’influenza di un individuo astuto il quale, a seconda delle necessità, assumeva il ruolo di psicoterapeuta, di insegnante spirituale, di medico alternativo e, con il pendolo in mano, pretendeva di diagnosticare tutto, dalle più lievi indisposizioni alle malattie più serie, così come di suggerire rimedi. Innocui metodi come aroma terapia, terapia coi cristalli, terapia coi colori… suscitavano grande entusiasmo, sembrarono intensificare la nostra esperienza del Kriya: funzionarono per un certo tempo, dopo di che vennero abbandonati. Era anche tipico per noi, durante seminari di fine settimana, prender parte a varie forme di psicoterapia alternativa. Tali metodi richiamavano quelli tradizionali, dando grande importanza a riferire in pubblico i propri traumi infantili. Dal punto di vista legale, tali attività dovevano essere camuffate da giochi sociali, attività culturali o religiose. Ricordo vividamente come, seduti sul pavimento, posti in circolo, formavamo gruppi di lavoro e, vincendo delle resistenze interiori, condividevamo, talvolta con acuta sofferenza, esperienze che non avevamo mai detto prima. C’erano anche quelli che cercavano di ritrovare, attraverso la 67

regressione ipnotica le proprie vite passate per far rivivere e quindi comprendere i traumi più profondi… Sembrava - e l'idea non era affatto malvagia - che questo processo di rimozione dei blocchi interiori potesse aiutare l'energia a fluire meglio nel corpo durante il Kriya. Questo processo, a sua volta, divenendo più intenso poteva dare l'aiuto decisivo nelle fasi più delicate del processo di pulizia globale. L'idea di porre in moto questo circolo virtuoso ci affascinava senza limite, purtroppo alcuni andarono molto lontano dal Kriya fino a perderlo del tutto. Alcuni furono irretiti dalla affermazione secondo cui le pratiche meditative classiche - i metodi sobri adottati da sempre dai mistici delle varie religioni - non sono più validi per il nostro tempo. Andavano bene 50 anni fa, ma con la nuova era l’uomo si è evoluto ed è pronto a impiegare mezzi più veloci. Furono sedotto dalla tentazione di applicare mezzi più veloci. Divennero entusiasti di tecniche costose condivise nei fine settimana, le quali in 20 minuti al giorno avrebbero prodotto una rigenerazione del DNA, una espansione di coscienza mai ottenuta con altri mezzi, la liberazione finale ecc. Per un amico in particolare, gli eventi presero una brutta piega. Capiva intuitivamente la differenza tra magia e dimensione mistica, tuttavia, non smetteva di sognare che nel campo esoterico esistessero delle tecniche segrete, conosciute solo a pochi eletti, che costituivano una scorciatoia all'Auto realizzazione. Per un certo tempo egli cercò di "migliorare" le tecniche del Kriya incorporandovi varie tecniche esoteriche, come quelle descritte nei rituali di magia cerimoniale. Era convinto che solamente usando certi rituali, formule e simboli iniziatici, fosse possibile completare il salto evolutivo che portava alla liberazione. Incontrò un auto nominatosi esperto in materie occulte che gli rivelò di conoscere i segreti di un sentiero esoterico quasi scomparso e, in particolare, una tecnica spirituale - molto più evoluta di quelle conosciute oggi - che era praticata secoli o millenni fa da pochi eletti privilegiati. Questo amico entrò in una situazione in cui le stesse basi economiche, essenziali al suo vivere rischiarono di essere spazzate via, annientate fin nelle minuzie. Il pseudo esperto, che dava l'impressione di essere un sognatore ma che non era così ingenuo come sembrava, lo ammaliò facilmente. «Ora che l’umanità non è più quella di un tempo, tali insegnamenti non sono più rivelati ad alcuno» esordì; fece una pausa e infine, con un sospiro, concluse: «Gli attuali ricercatori non saprebbero apprezzarli e, nelle loro mani, diverrebbero pericolosi.» Usava una terminologia affascinante vicina alla Cabala (movimento mistico entro l’Ebraismo) e parlò anche del Cristianesimo originale, dei cui testi sacri (canonici e apocrifi) offriva un’interpretazione non convenzionale. Il mio amico, cercò di circuire l’insegnante per ricevere più informazione. Confidando di esser disposto a qualunque sacrificio purché gli fossero rivelati questi straordinari segreti, cadde nella trappola. Dopo aver simulato una certa perplessità, alla fine il nostro furbo insegnante sembrò capitolare ma … «Solo per te, soltanto perché mi sento guidato a fare un’eccezione» sussurrò. Il mio amico, una povera vittima tremante di emozione, visse il miglior momento della propria vita, convinto che l’incontro con l’esperto fosse stato deciso nelle alte 68

sfere. L’offerta che portò all’iniziazione - unita alla promessa di mantenere l’assoluta segretezza – non poteva che essere cospicua in quanto, attraverso essa, egli doveva dare prova di attribuire un grande valore a tale evento. La donazione sarebbe servita all’insegnante per compiere buone opere .... ovviamente! (Tali insegnanti affermano invariabilmente di trasmettere le offerte ad un certo frate - curiosamente non ad un prete - che si prende cura di un orfanotrofio.) Mentre il mio amico, tutto soddisfatto, si preparava a ricevere tale ineguagliabile dono (il nostro esperto dell'occulto aveva sottolineato con grande enfasi che di dono si trattava e nulla avrebbe potuto ricompensare adeguatamente le benedizioni che tale iniziazione avrebbe comportato nella sua vita) il lestofante decideva pigramente quali chiaviche gli avrebbe esposto, con splendente solennità. L’amico ricevette con indicibile emozione la nuova tecnica e trascorse uno o due giorni di pura esaltazione. In seguito, imprigionato nella sua chimera, sperimentò il riaccendersi della sua passione e la farsa si ripeté. Sentì ancora parlare di altre "rivelazioni" dal valore ineguagliabile. L’illusione in cui viveva era, in effetti, invincibile. Ricevuta la sua droga, continuò la corsa, inesorabile, verso il baratro. Non so se un giorno potrà capire che le tecniche per le quali pagò una fortuna furono prese da alcuni libri comuni e deformate affinché egli non riuscisse a intuirne l’origine. [b] Resterà per sempre una delle esperienze più tristi, tuttavia utili, quella incontrare delle persone che usano lo spiritismo per contattare i Maestri del Kriya. In effetti, ci sono persone che affermano di avere il privilegio ... di comunicare direttamente con i Maestri storici del Kriya. Se lo spiritismo mantenesse le sue promesse, sarebbe la più valida miniera di informazioni - un collegamento diretto con l'aldilà, molto più accurato di qualsiasi altra fonte! In vero, coloro che lo praticano sentono di essere infinitamente più fortunati di qualsiasi altro ricercatore spirituale. Sebbene credano fermamente che un grande cataclisma mondiale sia praticamente alle porte, sono sempre ottimisti, e camminano ad un metro da terra avendo ricevuto l'assicurazione che si salveranno. Molti giunsero allo spiritismo sognando un contatto con un parente o amico deceduto, alcuni furono mossi dalla pura sete di conoscenza occulta. Lo spiritismo classico – caratterizzato da un Medium che sprofonda nello stato di trance e il tavolino che batte i colpi come risposta cifrata alle domande poste dagli astanti – ha ceduto il posto ai metodi moderni dove tutti i partecipanti, ponendo le mani sul bicchiere capovolto che si muove così agevolmente tra le lettere dell’alfabeto, stampate su una comoda tavoletta pieghevole, sono loro stessi dei medium. Molti preferiscono le rivelazioni più accessibili di un Channeler. Questo è una persona che, senza tante complicazioni, lascia che l’entità invocata si esprima attraverso il fiume in piena della sua stessa eloquenza. È curioso vedere come le biografie dei Channeler ricalchino un unico schema. Tutti raccontano come un tempo fossero scettici delle loro facoltà e non volevano cedere alla Volontà suprema che aveva deciso di affidare loro la difficile missione di fare da tramite tra gli spiriti e l’umanità. Una volta accettata la missione, dalla fonte ultraterrena venne l’ispirazione a mescolare il flusso delle varie rivelazioni alla 69

diagnosi d’improbabili malattie, alla prescrizione di costosissimi rimedi alternativi. Ciò di cui fui testimone, con un dolore acuito dalle particolari situazioni che allora si vennero a creare, fu la fragilità mentale della maggior parte di coloro che praticavano lo spiritismo. Mi sbalordirono non solo in base alle loro affermazioni ma anche in base a quanto scorgevo nei loro occhi. Era come se, da dietro la maschera del loro volto, apparisse un'altra personalità, estremamente sicura di sé, ma che in realtà permetteva agli altri di ingannarli e defraudarli nel peggiore dei modi. Quanto è strana l’intera faccenda! A parte la scrittura automatica nella quale chi chiede è la stessa persona che dà la risposta, il medium sa in anticipo le preferenze e le anticipazioni della persona che a lui si rivolge. Perciò tutto diviene come un circuito chiuso: domanda e risposta si riverberano in una spirale senza fine come il fischio di reazione di un microfono posto vicino al relativo altoparlante. Come chiunque può osservare, le comunicazioni sono sempre gradevoli. Ogni adepto, anche di intelligenza limitata, riceve la comunicazione che il Divino gli ha assegnato un'importante missione… Essere coinvolti in questa attività è un modo straordinariamente semplice di distruggere, in breve tempo, anni di genuino sforzo spirituale. Ho dei motivi per ipotizzare che l’infido territorio dello spiritismo sia una delle migliori aree per coltivare spaccature entro la personalità. Conobbi alcuni kriyaban che si ficcarono in situazioni di tale ristrettezza di visione da apparire grottesche. Il loro desiderio originale di trovare la libertà totale nel Kriya Yoga finì nella peggiore di tutte le prigioni. Diedero tutti i loro possessi, e la loro vita, ad una persona che era una autentica canaglia. Come ho detto ci sono alcuni che affermano di comunicare direttamente con i Maestri storici del Kriya. È patetico e persino divertente sentirsi riferire il loro messaggio proveniente dall'aldilà: «In questa epoca, il Kriya è fuori moda ed inutile. Basta la devozione!». [c] Conobbi anche delle persone che dimostravano più attaccamento ad una persona, che al sentiero spirituale stesso. Siamo d'accordo che la conoscenza esoterica è trasmessa molto meglio attraverso una stretta relazione umana. È anche ovvio che scivolare in un acritico culto della personalità, nella deificazione della figura dell'insegnante è la fine della ricerca spirituale. Talvolta, un discepolo è affascinato dall'idea di "trasmissione del potere". Sappiamo che molte fratellanze esoteriche nonché grandi tradizioni mistiche insegnano che la forza dei grandi Maestri del passato, la loro sottile vibrazione è ancora presente nei loro discendenti - non discendenti per consanguineità, ma tramite trasmissione di potere - come una catena ininterrotta. Spiegano che il progresso spirituale non può avvenire se non ricevendo quel "potere". Un piccolo gruppo di persone sono autorizzate ad agire come canali di questa trasmissione. I grandi mezzi finanziari che le organizzazioni dispongono non servono solo a mantenere la bellezza dei loro edifici ma anche a dare lustro e circondare di un’aura divina i loro Ministri e rappresentanti. 16 16

Le persone dimenticano facilmente quanto sia importante procedere senza mai dare ad un'altra persona o istituzione il diritto di abusare di noi. Discutere il tema di sette, dove la dignità dell'individuo è schiacciata, esula dal nostro tema principale. Per un 70

È normale che uno provi un grandissimo rispetto per il canale umano che è ufficialmente investito della missione di trasmettere questa particolare "benedizione". È comprensibile che uno cerchi di conquistarsi un posto nel loro cuore. Il problema è che qualche volta questo raggiungimento diviene più importante della meditazione stessa. L’impatto emotivo di questo condizionamento è forte e si trasforma, col tempo, in pretese irragionevoli: uno vuol essere accettato, amato e cerca ogni occasione per avere dei colloqui privati con quella amata persona. Anche se non ha dubbi sulle tecniche, se li crea, tanto per il gusto di mantenere una corrispondenza inutile e dal forte tono emotivo. Conobbi un kriyaban, degno del massimo rispetto e ammirazione, più anziano di me che aveva intrapreso il sentiero del Kriya molti anni prima. Ci frequentammo nella parte finale della sua vita. Ci furono momenti in cui, conoscendo la solitudine totale in cui viveva, mi si stringeva il cuore nello stare mesi senza vederlo. Per vari motivi ciò fu inevitabile; lo incontravo sempre per brevi e fuggevoli pomeriggi, camminando e parlando tranquillamente. Gioivo della sua compagnia, eppure mi sentivo come se stessi per essere travolto da una ondata di nostalgia che restava trattenuta, sospesa. Fui testimone di un processo inesorabile che lo condusse al punto di vivere della sola irradiazione proveniente dal ricordo di un abbraccio, di uno sguardo, o persino di un semplice cenno di saluto ricevuto da una persona (l'epitome del suo ideale di perfezione) appartenente alla direzione dell’organizzazione Kriya cui si sentiva legato. La sua suprema delizia era l'illusione di aver creato un legame privilegiato con quella persona. Aveva pienamente accettato l’idea che su questo pianeta ci fossero persone speciali come la persona "autorealizzata" che ho menzionato, e persone irrimediabilmente comuni. In una dimensione di totale sincerità, un giorno sfogò tutta la sua tristezza. Considerando quanto superficialmente - così diceva - aveva praticato le tecniche di meditazione, non aveva dubbi che, in questa vita, avrebbe certamente mancato l’"obiettivo". Stava già sognando future incarnazioni in cui avrebbe praticato con maggiore impegno. Espresse quello che, anni prima, non avrebbe nemmeno osato pensare: l’idea di una presunta evoluzione dell’individuo, conseguita attraverso il Kriya era così lenta, da essere praticamente insignificante. (Strano a dirsi, l'idea di una evoluzione automatica determinata da ferree leggi matematiche restava in lui come un riflesso istintivo al punto che avrebbe continuato a ripeterla rivolgendosi a quanti gli chiedevano informazioni sul Kriya.) Le tecniche Kriya erano, per lui, come un rito religioso che andava svolto scrupolosamente per dimostrare la propria lealtà. Sfortunatamente questo assioma ineluttabile sosteneva la trama sulla quale aveva continuato a intrecciare il suo pensiero. Talvolta sentivo che mi stavo perdendo nel suo stato di dolce ricercatore che vuole investire il suo tempo nello studiare questo argomento, ci sono tante fonti dalle quali si può trarre del materiale prezioso. Colpisce indubbiamente il materiale fornito dalle istituzioni che puntano a difendere le persone dalle sette. Scioccanti sono i siti web creati dagli ex-adepti di una setta. 71

rassegnazione ma non potevo accettare che la pratica Kriya lasciasse le persone, dopo decadi, nelle stesse condizioni in cui avevano iniziato la pratica. Il mio amico viveva nella certezza di qualcosa di bello che esisteva nell’aldilà; il suo essere era già proiettato in quella dimensione. Oggi che lui non c’è più, mi chiedo se la diffusione del Kriya qui in Occidente è servita solo a questo, a diffondere la venerazione di certe persone che sono "sfacciatamente" sante, perfette, maestose. Quanto miserabile era stata per lui la credenza che il suo bene supremo dipendesse dallo sguardo permeato d’amore proveniente da quella persona che lui sentiva divina! Aveva fatto l’imperdonabile errore di credere che l'eterna sorgente spirituale nel centro del suo essere, si inaridisse lontano dalle benedizioni di questa persona verso cui aveva diretto la totale aspirazione del suo cuore.

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CAPITOLO I/06

SGUARDO ALLA VERA NATURA DEL KRIYA

Quando giunse il momento di incontrare il tanto atteso insegnante dall’India - quello che, speravo, mi spiegasse il Kriya nella sua forma completa – non ero nello stato d’animo ottimale. Da alcuni indizi, sapevo che stavo per fare i conti con un approccio radicalmente nuovo. Temevo che questo potesse scombussolare la semplice e abbastanza remunerativa routine nella quale mi ero stabilito. La magica dimensione di Omkar, nella quale l’insegnante precedente mi aveva immerso in un modo così appassionato, non poteva essere messa da parte o dimenticata. Non potevo nemmeno pensare di porre altri principi a fondamento del mio sentiero spirituale. Perciò mi avvicinai al nuovo insegnante, bene deciso a rifiutarlo se lui, in qualche modo, sembrasse portarmi lontano da tale realtà. Lo incontrai in un Centro Yoga dove era stato invitato da alcuni discepoli. La sintesi del suo discorso introduttivo era che il Kriya non significava gonfiare mente ed Ego muovendosi verso un’ipotetica mente superiore, ma un viaggio oltre la mente, in un territorio incontaminato. Da certe risposte a domande poste dal pubblico, vidi che conosceva il mio ultimo insegnante ed era consapevole della sua scelta di non insegnare tutte le tecniche del Kriya. Ci fece capire in modo chiaro che la ragione del suo viaggio in occidente era ripristinare gli insegnamenti originali. Questo fu sufficiente a vincere le mie resistenze. Nel seguente seminario d’iniziazione osservai con indulgenza alcuni difetti di comportamento che impressionarono negativamente altre persone. Rivelò, infatti, un temperamento irascibile. Esplodeva quando gli venivano rivolte troppe domande, anche se erano legittime; trovava sempre, al di sotto delle parole, un’intenzione nascosta di contestarlo, una forma velata di opposizione. La spiegazione delle tecniche era ragionevolmente chiara ma in alcune parti sintetica in modo inusuale. Per esempio le istruzioni sul Pranayama formalmente corrette - potevano essere capite solamente da chi già praticava da molto tempo il Kriya. Alla spiegazione di questa tecnica dedicava un tempo veramente modesto. In un'occasione lo cronometrai e vidi che non aveva dedicato più di due minuti alla relativa spiegazione. Continuò così per anni, nonostante le gentili rimostranze dei suoi intimi collaboratori. Dava inoltre dimostrazione del Pranayama facendo un suono esageratamente forte, vibrato. Lui stesso ammetteva che questo suono non era corretto ma continuò ad utilizzarlo allo scopo di essere udito anche dalle persone sedute nelle ultime file, risparmiandosi la fatica di muoversi vicino a loro, come di solito fanno gli insegnanti di Kriya. Purtroppo non si prendeva la pena di chiarire 73

che il suono doveva essere pulito e non vibrato. So che molte persone, pensando che esso fosse il "segreto" che lui ci aveva portato dall'India, tentarono, per mesi, di produrre lo stesso rumore. Di come i nostri rapporti finirono ne parlerò nel prossimo capitilo, anche perché ciò mi fornirà una particolare opportunità di discutere i miti del rapporto Guru-discepolo e della richiesta di segretezza per quanto riguarda le tecniche del Kriya. I sei anni passati con questo maestro furono importanti sia per la particolare routine di Kriya che adottai17 che per la comprensione del Kriya che scaturì dai miei studi. All'inizio della mia pratica di Yoga, non la associai al percorso spirituale. La mia ben radicata passione per il Pranayama era nutrita non solo dal desiderio di «morire a me stesso» (e padroneggiare così lo stato di silenzio mentale) ma dal mio interesse per gli affascinanti scritti di Jung. Avendo studiato Jolande Jacobi La Psicologia Analitica di CG Jung, seguita da Jung, Jaffé (1965) Ricordi, Sogni, Riflessioni, non potevo non sentire il grande desiderio di cominciare il "processo di individuazione". Ma esso richiedeva di aspettare molti anni e guadagnare molto denaro per pagare le mie sedute di analisi! Nel frattempo, dopo avere sperimentato i primi effetti del Pranayama, rimasi sbalordito: l'impressione predominante era che esso stesse operando un processo di pulizia del mio subconscio. Feci la supposizione che il Pranayama potesse guidarmi lungo il sentiero dell'individuazione. Nel mio cuore adolescente sognavo che avrei affrontato gli archetipi dell'Inconscio Collettivo.... avevo fiducia in me stesso, sentivo che potevo fare questo lavoro. Chi possiede una buona conoscenza del pensiero Junghiano troverà questa idea una follia. Ciononostante, essa mi infuse entusiasmo, grande vigilanza, la meticolosità e la volontà indomabile di condurre la mia pratica alla perfezione.

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Mi riferisco alle routine ad incremento progressivo che sono un tratto peculiare del Kriya di Lahiri Mahasaya. Esse sono un mezzo per ottenere una salda trasformazione interiore, sia nella psiche che nell’abilità di raggiungere stati di profonda di introspezione. Ecco in cosa consistono: una volta alla settimana, per un certo numero di settimane (20 - 24 - 36 …), si mette da parte la routine solita e si utilizza una sola tecnica, il cui numero di ripetizioni è gradualmente aumentato fino a raggiungere un determinato numero che la tradizione ha tramandato come ottimale. I principali processi in cui si contempla una routine ad incremento progressivo sono quello del Navi Kriya, del Pranayama mescolato a quello dell'Omkar Pranayama e quello del Thokar. L'argomento è ripreso nella terza parte, capitolo III/01. 74

Entrare in una organizzazione fondata sul Kriya significò essere irretito e confuso da tanti racconti fiabeschi. Ero convinto che trovare il Kriya fosse come un colpo di fortuna, un regalo dal Divino grazie a non so quale merito. Cominciai a considerare le persone che appartenevano al mio stesso sentiero come persone accorte che sapevano come prendersi il meglio dalla vita; di conseguenza guardavo a quelli che lo rifiutavano o, nonostante molto parlare, erano ancora incerti se dovessero fare il passo decisivo di iniziarne la pratica, come degli idioti che non sapevano quello che stavano perdendo. Il mio Kriya Pranayama, praticato per dei mesi con entusiasmo, divenne una tranquilla buona abitudine. La durezza della mia disciplina si ammorbidì nella tenera atmosfera delle "benedizioni del Guru". Il mio desiderio di rimanere fedele ai valori instillati in me dalla mia cultura (un atteggiamento razionale aperto ai valori della creazione artistica) venne gradatamente distorto. Era come se una larga parte del cervello si chiudesse mentre un'altra, che faceva tutto quanto era in suo potere per credere in quello che le conveniva credere, tentasse di usurparne le funzioni. Se nei primi tempi, il mio cervello "spirituale-orientale" non sapeva come reagire alle obiezioni di altre persone e reagiva fuggendo o rispondendo con violenza; in seguito divenne così furbo che imparai a comportarmi normalmente in società (la gente cominciò a considerarmi un uomo che aveva scelto un semplice stile di vita, contrassegnato da elevati principi...) senza dare a vedere come l'imparzialità di giudizio fosse compromessa, praticamente inesistente. È difficile scorgere il lentissimo processo attraverso cui ripresi possesso delle mie facoltà di giudizio. Decisive furono le letture di Sri Aurobindo, Mére e Satprem. Il loro fascino scaturì dal fatto che trattavano i temi della spiritualità Indiana con un linguaggio occidentale che era sia lirico che razionale, al sommo grado di eccellenza. Erano loro alcune osservazioni illuminanti secondo cui la contemplazione della bellezza nella natura e l'emozione che nasce dall'ascolto della musica classica erano considerate un tramite per arrivare all'esperienza spirituale. Loro erano capaci di esprimere in modo euforicamente vivido, le mie più intime convinzioni, quelle che non avevo i mezzi per chiarire così lucidamente nemmeno a me stesso. Nella loro aspirazione per una piena manifestazione del Divino negli atomi della materia inerte, c'era una fragranza che mi eccitava e mi commuoveva. Talvolta, mentre li leggevo, avevo l'impressione di avere la febbre. Una rivoluzione, un'inversione di valori stava accadendo lentamente ma inesorabilmente in me. Affascinato, stavo contemplando il brillante splendore di un nuovo modo di guardare al percorso spirituale: due mondi 75

apparentemente opposti, quello di una raffinata atmosfera paradisiaca, che noi immaginiamo sia goduta dalle anime degli asceti, e quello del pieno godimento della bellezza terrena, così caro agli artisti, potevano unificarsi nella coscienza di ciascun kriyaban attraverso un uso atipico ma geniale del Kriya Pranayama. Esso poteva essere utilizzato non solo per portare l'energia e la consapevolezza nella spina dorsale, ma anche nelle cellule del corpo! I miei primi tentativi di fare ciò furono come scoprire il Kriya per la prima volta. Da quel momento in poi, la meditazione divenne la prosecuzione dell'esperienza dell'arte, la ricerca di una perfetta Bellezza irraggiungibile attraverso mezzi ed abilità umane. L'ingenua concezione della devozione come una emozione febbrile che nasce dai bhajan devozionali, da certe foto, dal profumo di certi incensi... fu superata per sempre. Alcuni anni più tardi, il primo insegnante di Kriya che incontrai fuori dall'organizzazione legò strettamente insieme, nella mia concezione, Bellezza ed esperienza Omkar. Mi portò più vicino all'esperienza dei diversi aspetti (suono, luce e sensazione di movimento) di Omkar: esso divenne l'unico obiettivo della mia concentrazione, un contatto da essere ottenuto durante la pratica del Kriya e conservato con la massima cura durante il giorno. Una semplice idea come questa fu una cascata di luce nella mia vita: vissi per alcuni giorni nella più dolce realtà. La sfera dei miei sentimenti fu toccata in un modo più forte, più coinvolgente che qualsiasi delle mie esperienze passate. Per la prima volta avevo la chiara percezione che stavo seguendo non solo un astratto ideale di perfezione ma anche uno stato di inconcepibile dolcezza che potevo assaggiare ogni giorno, durante la pratica ed in ogni momento quando riposavo, libero dal lavoro. In quel periodo felice della mia vita cercai di rintracciare nella letteratura spirituale qualsivoglia movimento o eminente figura che avesse qualcosa a che fare con quel tema. Il primo nome che mi venne in mente fu quello di San Giovanni della Croce. Egli diede una descrizione splendida del suo incontro con la "musica silenziosa", la "solitudine sonora." Non c'è dubbio che sentì il tipico suono Omkar come quello di acque che scorrono. Mi ispirò a dare più enfasi alla pratica del Japa – Preghiera. Assieme a Santa Teresa di Avila, era convinto che la perfezione nella vita spirituale poteva essere raggiunta solo espandendo al limite la pratica della Orazione Interiore. Intendevano una Preghiera che andasse oltre la supplica, oltre le parole - una "Preghiera del cuore". Lungo i secoli, tantissima incomprensione offuscò questa pratica. Per molti devoti la Preghiera ha – con rare eccezioni – il significato di supplica a Dio per ottenere dei favori personali o benedizioni per l'umanità che soffre. Il concetto di "Orazione interiore" rischiò una quasi totale eclissi. 76

Lo stato di coscienza nato durante quel periodo elevato mi inspirò a giovarmi anche dallo studio delle vite di quei santi che non avevo avuto prima occasione di conoscere. Lessi un libro sul santo Ortodosso Serafino di Sarov e altra letteratura su altri santi Ortodossi. Era facile riconoscere nella spiegazione del significato dello Spirito Santo la stessa Realtà Omkar. Ero stato così orgoglioso della mia pratica Kriya ed ora cominciavo a scoprire di essere meno di un novizio. Le loro pratiche non venivano definite "tecniche", a loro non veniva dato un nome ridondante, non c'era alcuna nota sui loro effetti "straordinari". Erano descritte in un modo molto semplice come un processo universale che avviene naturalmente in qualsivoglia anima che calca sinceramente il percorso spirituale. L'idea della segretezza o era totalmente estranea o era semplicemente l'effetto di un naturale, non istituzionalizzato istinto di decenza e modestia che quelle anime umili avevano. Ma questa riserva scompariva nei loro scritti autobiografici. Molto interessante fu la letteratura relativa all’Esicasmo, un movimento cristiano ortodosso che considera la pace interiore come una necessità d’ogni essere umano. L'essenza di questo movimento si trova nel già citato libro I racconti di un pellegrino russo. Il principale strumento che viene raccomandato è la "Preghiera continua, ininterrotta". La storia è quella di un pellegrino di ritorno dal Santo Sepolcro che si fermò a Monte Athos e raccontò ad un monaco la sua ricerca, durata una vita intera, dell'insegnamento su come fosse possibile «pregare continuamente» - secondo le raccomandazioni di San Paolo. Egli era deciso a percorrere le steppe fino all’infinito pur di trovare una guida spirituale che gli svelasse il segreto di come riuscire a pregare in tal modo. Un giorno il suo ardore fu premiato e un maestro spirituale lo accettò come discepolo chiarendogli, nel corso del tempo, ogni dettaglio della pratica della "Preghiera continua". Molto interessante è il fatto che la pratica esicasta prevede un esercizio di respirazione con una posizione della lingua simile a quella del Kechari Mudra. Dopo questo passo iniziale, c’è un incoraggiamento ad essere saldi nel pregare con la concentrazione sull’ombelico. «...(in questo modo) è possibile scoprire in se stessi un'oscurità senza gioia, senza luce interiore ma, perseverando, si raggiungerà una felicità senza limiti». Una volta superato l'ostacolo dell'ombelico, si apre, infatti, il sentiero che porta al cuore. Indimenticabile è la descrizione del momento in cui la Preghiera entra nel cuore; gli effetti sono straordinariamente simili a quelli del Thokar di Lahiri Mahasaya! Il colpire il Chakra del cuore è ottenuto coll'unire le sillabe della preghiera col pulsare del cuore. La coscienza vi entra e là contempla la "Luce Increata" (ovviamente l'aspetto di luce di Omkar), che è considerato il più alto 77

dei conseguimenti mistici. L'arte della Preghiera è sviluppata in un modo stupefacente nel percorso dei Sufi. Non v'è dubbio che il Thokar sia lo stesso processo che i Sufi chiamano "Dhikr." Interessante è apprendere che Lahiri Mahasaya diede il Mantra islamico Lâ Ilâha Illâ Allâh ai suoi discepoli musulmani da praticarsi durante il Thokar. Non abbiamo i dettagli esatti di tale procedura ma sembra ragionevole che la Preghiera venisse sollevata (con o senza l'aiuto del respiro) da sotto l'ombelico su fino al cervello; dopo aver raggiunto il cervello, venisse spostata dal cervello alla spalla destra, poi alla spalla sinistra e poi colpisse il cuore. Una moderna confraternita Sufi pratica nel modo seguente: "La" è posto nella testa, "ilaha" (con la testa che si piega a destra) nella parte superiore destra del torace "illaal" (con la testa che si piega a sinistra) nella parte superiore sinistra del torace, e "lah" (con la testa che si china in avanti) nel cuore; poi di nuovo "La" nella testa, sollevandola.... Penso che se uno vuole seguire il sentiero dei Sufi usando le tecniche Kriya, non incontrerà alcuna difficoltà. Chiaramente dovrebbe essere dotato di un forte spirito di autodidatta. Per quanto riguarda il numero delle ripetizioni di ciascuna tecnica, può attenersi ai numeri dati nelle scuole di Kriya o può andare oltre esse in una dimensione completamente diversa. Man mano che il canto aumenta di intensità, un'ebbrezza profonda sarà percepita nel cuore: potrà raggiungere numeri di ripetizioni inconcepibili per un kriyaban. Qualsivoglia spiegazione del Dhikr nella letteratura Sufi è assai inspirante. Vengono date istruzioni per evitare le distrazioni, in modo tale che il cuore non sia occupato "né con la famiglia né con i soldi". Si comincia la pratica pronunciando il Mantra ad alta voce - questo è il Dhikr della lingua. Si continua finché un grande assorbimento rende impossibile proseguire in questo modo. «La ruggine sul cuore è arsa, l'oscurità si trasforma in giorno e la candela della mente è resa inutile dal sole della luce divina (Corano)». Il cuore è continuamente impegnato nel Dhikr. Il devoto persevera assiduamente, finché le sillabe sono cancellate dal suo cuore e solo il significato delle parole rimane: un tocco del divino ricordo fa impazzire la mente – esplode la più inebriante delle gioie. Studiai anche Kabir [1398 Benares - 1448/1494 Maghar] i cui insegnamenti e quelli di Lahiri Mahasaya combaciano perfettamente. Tessitore analfabeta, musulmano d’origine, fu un gran mistico, aperto all'influenza vedantica e yogica, cantò il Divino in modo straordinario concependolo al di là 78

d’ogni nome e forma. Le poesie e i detti, a lui attribuiti, sono espressi in un linguaggio particolarmente efficace che rimane inciso per sempre nella memoria del lettore. Nel secolo scorso Rabindranath Tagore, il gran poeta mistico di Calcutta, riscoprì la validità dei suoi insegnamenti e la forza della sua poesia e fece una bellissima traduzione in inglese dei suoi canti. Kabir fu educato a concepire l'Islam e l'Induismo come due vie convergenti verso un’unica meta: fu sempre convinto della possibilità di superare le barriere che dividono queste due grandi religioni. Non sembrò basare il suo insegnamento sull'autorità delle sacre scritture; rifuggiva i rituali religiosi. Insegnò a non rinunciare alla vita e divenire un eremita, a non coltivare alcun approccio estremo alla disciplina spirituale, in quanto indebolisce il corpo e aumenta l'orgoglio. Che Dio debba essere riconosciuto interiormente, nella propria anima - come un fuoco che, se nutrito con continua cura, brucia trasformando in ceneri tutte le resistenze, dogmi, ignoranza - appare molto bene nel suo detto: «un giorno la mia coscienza, come un uccello, volò in cielo ed entrò nel paradiso. Quando arrivai, vidi che non c’era Dio: realizzai infatti che dimorava nel cuore dei Santi». Dall’Induismo Kabir accetta il concetto di reincarnazione e la legge del Karma, dall'Islam prende il monoteismo assoluto e la forza per combattere il concetto di casta e ogni forma d’idolatria. Trovai in lui il senso pieno dell'esperienza yogica; egli afferma che nel nostro corpo c'è un giardino pieno di fiori, i Chakra, e invita a stabilire la coscienza nel Loto dai mille petali dal quale contemplare, la bellezza infinita. Per quanto riguarda il suo concetto di "Shabda", che può essere tradotto come "Parola" (la parola del Maestro) possiamo porlo in relazione con l’insegnamento Omkar. Secondo lui questo Shabda-Om allontana tutti i dubbi, tutte le difficoltà del discepolo, però è vitale mantenerlo continuamente, come una presenza vivente, nella nostra consapevolezza. Om, il richiamo divino presente nel corpo di ognuno, che nasce nel silenzio di un dolce Kriya, è l’ago della bussola. Seguendolo ci viene rivelato il Kutastha. Lo studio di Kabir mi portò direttamente a considerare la meravigliosa figura di Guru Nanak (1469 – 1539). L'insegnamento era lo stesso. Egli disapprovò le pratiche ascetiche ed insegnò invece a rimanere internamente distaccato facendo la vita del capofamiglia. «L'ascetismo non è nei vestiti da asceta, o nel bastone per camminare, né nel visitare luoghi di sepoltura. L'ascetismo non è nelle mere parole; l'ascetismo è rimanere puri in mezzo alle impurità!» Tradizionalmente, la liberazione dalla schiavitù mondana era la meta, perciò la vita del padrone di casa era considerata un impedimento ed un ostacolo. In contrasto, nell'insegnamento di Guru Nanak, il mondo divenne l'arena dello sforzo spirituale. Egli era incantato dalla bellezza della creazione e considerava il panorama della natura come il più bel scenario per l'adorazione del Divino. Scrisse i suoi insegnamenti in Punjabi, la lingua parlata dell'India Settentrionale. La sua noncuranza per il Sanscrito suggerì che il suo messaggio non facesse alcun riferimento alle sacre scritture esistenti. Si sforzò di liberare totalmente i suoi discepoli da tutte le pratiche rituali, modi ortodossi di adorazione e dalla classe sacerdotale. Il suo insegnamento richiedeva un approccio completamente nuovo. Mentre una piena comprensione del Divino è al di là degli esseri umani, descrisse 79

Dio come non completamente inconoscibile. Dio deve essere visto attraverso "l'occhio interiore", cercato nel "cuore": enfatizzò la rivelazione attraverso la meditazione. Nei suoi insegnamenti ci sono cenni alla possibilità di ascoltare un'ineffabile melodia Interiore (Omkar) e di gustare il nettare (Amrit). Si ha l'impressione che lui dava un significato unico al concetto del monoteismo. Studiai anche la base della religione Sikh, fondata sugli insegnamenti di Guru Nanak e nove Guru successivi: la quinta tra le religioni organizzate più grandi del mondo. Quello che apprezzai in particolare era che la chiave caratteristica distintiva di Sikhismo era un concetto non-antropomorfico di Dio, al punto tale che uno poteva interpretare Dio come l'Universo stesso. Ma soffermarmi su questo argomento non rientra nelle mie intenzioni. Mi entusiasmai della fede Radhasoami che è considerata come una derivazione del Sikhismo. Ad essa ci si riferisce anche come Sant Mat (Sentiero dei Santi). Tutto quello che lessi mi fece ricordare gli scritti di P.Y. e della mia prima organizzazione di Kriya! Diedi una occhiata a pagine dove era celebrato il ruolo del Guru - c'era la teoria secondo cui un Guru si assume su di sé parte del karma del discepolo, appare a questi nel momento della morte per presentarlo a Dio... Si spiegava che un discepolo non poteva mai recidere il collegamento sacro col Guru per nessuna circostanza. L'iniziazione a questo percorso doveva essere ricevuta dal Guru o da un degno rappresentante... Si sottolineava la necessità di presenziare al servizio spirituale o "satsang"... Il mio principale interesse fu quello che loro chiamavano Surat Shabda Yoga: l'insegnamento su come ascoltare il suono interiore Omkar -- esattamente lo stesso insegnamento, con le stesse parole che ricevetti dalla mia prima organizzazione di Kriya! Surat vuole dire "anima", Shabda vuole dire "parola." La "parola" è la "Corrente sonora", il "Flusso di Vita udibile" o l'"Essenza dell'Essere Supremo ed Assoluto". Con le stesse parole dell'organizzazione di P.Y., affermavano che questo Shabda era la Parola a cui ci si riferiva nella Bibbia: "All'inizio era la Parola, e la Parola era con Dio, e la Parola era Dio". (Giovanni 1:1) La vibrazione del Suono, la forza dinamica dell'energia creativa che fu emessa dall'Essere Supremo all'alba della manifestazione dell'universo, e che è continuamente emanata, attraverso i secoli, plasmando tutte le cose, animate ed inanimate, può essere ascoltato attraverso il Surat Shabda Yoga. La meditazione sul suono, vuole anche dire percepire la Luce interiore la cui intensità può variare da un bagliore sottile allo splendore di molti milioni di soli. Durante l'iniziazione il Satguru vivente (Sat - vero, Guru - insegnante) attiva questo Shabda che diviene il Satguru interno collocato presso il terzo occhio del discepolo. Attraverso la sua Luce interiore il discepolo viene a "conoscere Dio." La tecnica Om è praticata dai gruppi Radhasoami chiudendo orecchi ed occhi, sia usando la posizione classica di accovacciarsi, appoggiando i gomiti sui ginocchi o usando un sostegno per le braccia. Alcuni abbinano l'ascolto dei suoni interiori col tentativo di assaggiare nettare (Amrit) tenendo la punta della lingua premuta sul palato. Prima di ascoltare il suono e vedere la luce, alcuni gruppi muovono il Prana su e giù nella spina dorsale... 80

Leggevo con brividi di sorpresa quella che era stata la mia vita, le mie più profonde convinzioni. Era lo stesso Kriya Yoga di cui avevo sempre sentito parlare. Potevo affermare che, in tutti i sensi, l'organizzazione e il mio primo insegnate di Kriya mi avevano dato l'iniziazione alla luce e al suono, proprio come fanno i gruppi Radhasoami. A tutti gli effetti ero stato un membro di un gruppo Radhasoami. Quando in qualche particolare (forse non ortodossa) letteratura Radhasoami leggo strane teorie sul ruolo della ghiandola pineale, descrizioni di sei Chakra supplementari nella materia grigia del cervello e altri sei in quella bianca, che potrebbero essere attivati attraverso pratiche di meditazione, vedo chiaramente l'origine di molte modifiche del Kriya. Quanti ricercatori si chiedono quale sia l'origine certe varianti del Kriya! Cercano di trovare tutte le buon ragioni per giustificare il comportamento di questo o di quell'insegnante - di solito un discepolo diretto di Lahiri Mahasaya – che le introdusse creando complicazioni senza fine. Che dire dell'ipotesi che, nei primi anni della loro formazione, quegli insegnanti appartenessero ad un gruppo Radhasoami e, forse anche senza essere completamente consapevole di ciò, aggiunsero al Kriya degli elementi di teoria e pratica che avevano appreso precedentemente? Prendendo per esempio in considerazione la teoria sopra citata di diversi insiemi di Chakra presenti nel nostro cervello, capisco come mai alcuni Kriya Acharya aggiunsero al Quarto Kriya di Lahiri Mahasaya (in cui i Chakra sono sollevati nel Kutastha) altre procedure (che essi chiamano Quinto, Sesto... Kriya) per stimolare questi altri ipotetici centri. Molte tecniche (non del tutto sbagliate o inutili ma sicuramente non essenziali) potrebbero essere inventate usando la dinamica ed i metodi del Kriya (il potere di visualizzazione unito alla consapevolezza del respiro ed all'uso di certi Mantra) per tradurre in pratica una teoria che non era quella di Lahiri Mahasaya. Sebbene il libro Puran Purush (Yogiraj Publication. Calcutta) non sembra rispettare alcun ordine logico nella disposizione degli argomenti e contiene un numero infinito di ripetizioni e frasi retoriche, la sua pubblicazione anni fa fu un vero e proprio evento! Penso che studiarlo possa aiutare molto più di altri libri, a capire la personalità di Lahiri Mahasaya - con ciò, il nucleo del Kriya può essere intuito con la rapidità di una freccia. È basato sui diari di Lahiri Mahasaya. Puran Purush venne alla luce in Bengali (poi in Francese e in Inglese) grazie ad uno dei nipoti di Lahiri Mahasaya, Satya Charan Lahiri [1902 - 1978] che possedeva materialmente quei diari. Con l'aiuto di uno scrittore suo discepolo decise di operare una selezione dei principali pensieri che sarebbero potuti tornare utili per coloro che praticavano il Kriya. In estate lo portavo con me in campagna; tante volte, dopo averne letto una parte, guardavo le montagne distanti e ripetevo dentro di me «finalmente, finalmente...!». Guardavo la fotografia di Lahiri Mahasaya sulla copertina; chissà in quale stato elevato si trovava quando fu scattata tale foto! Osservai sulla sua fronte delle linee orizzontali, le sopracciglia sollevate come nel Shambhavi Mudra, dove la consapevolezza è stabilita in cima alla testa; una leggera tensione del mento sembrava rivelare che stava praticando il Kechari Mudra. Durante quei giorni la 81

sua figura, con quel lieve sorriso pieno di beatitudine, era un sole nel mio cuore; era il simbolo della perfezione cui volevo arrivare. Dalle poche parole che sono ragionevolmente attribuite a lui emergeva la grande importanza che lui dava al Pranayama, al Thokar e allo Yoni Mudra. Colpisce la sua capacità di comunicare concetti astratti quando afferma che tutto il cammino del Kriya è una grande avventura che comincia col Prana dinamico e finisce col Prana statico. Uno sente un palpito di delizia quando incontra delle frasi che hanno una luce in sé: «Kutastha è Dio, Lui è il Brahma supremo». Lessi anche avidamente i commenti alle sacre scritture attribuiti a Lahiri Mahasaya. Egli, infatti, commentò a voce alcuni testi sacri. Le sue interpretazioni furono stampate più tardi dal suo discepolo P. Bhattacharya. Questi libri per molto tempo rimasero poco conosciuti, perché redatti in Bengali. In seguito furono tradotti in Inglese. Molte persone li studiarono con entusiasmo, sperando di trovarvi delle informazioni utili alla comprensione del Kriya, eppure ne rimasero delusi. Esaminandoli, non riusciamo a ricavarne alcunché di utile; non ce la sentiamo di affermare che essi siano adulterati ma riconosciamo obiettivamente che il loro valore, dal punto di vista esegetico, è quasi nullo. Mi sembra quasi impossibile che provengano realmente da lui: non trovo la stessa saggezza pratica e l'enorme realizzazione che egli espresse nei suoi diari. Ci trovo piuttosto una mente con una tendenza quasi maniaca ad interpretare ogni cosa alla luce del Kriya, come se secoli fa gli autori di quei lavori spirituali conoscessero esattamente, una per una tutte le tecniche del Kriya. Secondo me è possibile ipotizzare che, leggendo i versi di quei testi, Lahiri Mahasaya fosse trasportato dalla forza del suo acume, dimenticasse completamente la scrittura di partenza e, rapito, parlato ampiamente e liberamente sulle sottigliezze del Kriya. Molto probabilmente quello che disse in quell'occasione fu preso come un specifico commento a quel testo. Inoltre, è possibile che per pubblicare quelle note difficili da comprendere, l'editore le abbia completate con la propria filosofia.

Verso una definizione di Kriya Alcuni autori sprecano il loro tempo nell'asserire che il Kriya è una scienza. A che pro? Per adescare chi? Possiamo esporre razionalmente i suoi principi e discutere i suoi effetti in un modo analitico, pratico ma non possiamo portare l'interezza di esso sul tavolo di un laboratorio. Affermano che il Kriya aiuta a calmare la mente, il respiro e il cuore e promuove un benessere olistico... tutti questi sono effetti secondari: molte altre discipline, sport, passatempi producono gli stessi risultati. Ci sono libri con pagine e pagine di dimostrazioni pseudo scientifiche di come il Kriya produce uno stato di perfetta concentrazione... Tutto questo blaterare non conduce a nulla. Il Kriya Yoga è un percorso mistico - nulla altro. È un processo di raffinamento, in fasi successive, della nostra sintonia con Omkar. 82

Il pensiero di Lahiri Mahasaya ci regala una impareggiabile ispirazione. Il Kriya Yoga è la fede di Kabir e Guru Nanak: una religione monoteistica dove il Dio "unico" è sostituito da Omkar! Tutti gli altri nomi dati alla Realtà Finale (usati anche da Lahiri Mahasaya nei suoi diari) sono parole del tutto inutili, coperture effimere imposte dalla mente umana. Omkar è la meta finale di Kriya e l'unica essenza che scorre attraverso tutte le sue fasi. Un'interessante esperienza Un giorno, cercai di "ricatturare" la magia di quel periodo lontano in cui raggiunsi per la prima volta lo stato di assenza di respiro. Ripresi le letture di allora: specialmente Mére. Non potevo dire di aver tradito Aurobindo e Mére, ma fino adesso cosa avevo realizzato del loro insegnamento? Praticamente nulla, se non il fatto di essermi liberato da tutti i Guru. Spesso ripetevo come un Mantra la frase di Aurobindo: "Ora i terreni vaghi, ora il silenzio; Un muro nero nudo, e dietro il cielo". Fu dopo esser ritornato sull'Agenda di Mére che lasciai avvenire liberamente, un'esperienza che rivelò una ricchezza insondabile: la battezzai il Kriya delle cellule. Tale nome derivò dal fatto che il mio Pranayama cominciò ad iniettare la consapevolezza nelle cellule del corpo. Queste, secondo Mére, agivano come porte che si aprivano su una dimensione totalmente nuova della coscienza – l'unica libera dai labirinti della mente. Un giorno, mentre praticavo il Kriya all'aperto, sentii un'inesplicabile repulsione ad usare il Kechari Mudra e praticai il Pranayama senza di esso e con gli occhi aperti: non volevo abbandonare la bellezza del paesaggio che mi stava davanti. La natura era per me la sorgente di ispirazione da cui non mi volevo staccare. Durante l’inspirazione, facevo vibrare nella mia coscienza un potente Vaaa: esso partiva dalla zona sessuale, assorbiva l’energia proprio da lì e la portava in testa; espirando, era la vibrazione di Shii che guidava l’energia in giù come una pioggia in tutto il corpo. Gradualmente questo scendere divenne come un ago ipodermico che iniettava la consapevolezza nelle cellule. Venne spontaneo far sì che l’espirazione durasse molto più della inspirazione: il suono del respiro risultava più acuto e pareva più facile guidare l'energia in tutte le cellule. A questo punto ragionai nel modo seguente: perché non dovrebbe questa azione interiore del Pranayama continuare, nello stesso modo, quando ho completato il mio numero programmato di lunghi respiri Pranayama e il respiro è lasciato fluire liberamente? Perché questa mania di 83

fare altre cose, di guidare l'energia in altre parti del corpo fisico o astrale? Qualcosa di confortante accadde, infatti: ci fu una spontanea rotazione dell'energia, che prese il posto del classico Pranayama mentale. Era come un miracolo e mi diede un senso di infinita sicurezza circondata dallo stato cristallino di una mente immobile. Fu come aver attraversato la barriera della materia e vivere allo stesso tempo sia nel corpo che in uno spazio sconfinato. Emersi da quella seduta di Kriya sopraffatto dall'euforia: era come se tutti i problemi a livello psicologico fossero un incubo che si era dissolto per sempre, una illusione dalla quale ero emerso definitivamente. La mia vita, che, fino ad ora, era stata piena di asperità, sembrava distendersi serenamente e senza intoppi verso il futuro. Quando ritornai ai miei doveri quotidiani, la bellezza del vivere, sembrava scaturire da ogni atomo, come il vino da una tazza ricolma e mi empiva il cuore; gioivo nel sentire una insondabile chiarezza della mente. Nei giorni seguenti sperimentai uno strano effetto: sentii come se "non avessi più la pelle". Questo è un modo simbolico per indicare l'impressione di percepire - non solo con la consapevolezza ma anche "con il corpo" - quello che stava avvenendo nella coscienza di un'altra persona (non ciascun pensiero ovviamente, ma il suo stato d'animo) e, strano a dirsi, scambiarlo per mio. Per essere chiaro, riferisco un episodio ricorrente. 18 Avviene che improvvisamente una depressione profonda prende possesso del mio animo (non sono mai stato soggetto a depressione), dura diverse ore e poi scompare; non si tratta di una semplice dissonanza, una disarmonia, ma di un dolore straziante in un momento in cui non c'è giustificazione per tale stato. Immancabilmente mi rendo conto che si è verificata una circostanza significativa: sono stato presentato ad una nuova persona, c'è stata una stretta di mano e abbiamo parlato con sincero coinvolgimento. Sappiamo come la nostra mente sia brava quando si tratta di arrampicarsi sugli specchi; ma quando un simile episodio è osservato con il dovuto distacco e si ripete con matematica precisione nel corso del tempo, allora l’evidenza del fenomeno di sintonia con la coscienza di un’altra persona non può essere negato. Quello che uno è e quello che altri sono si mescola.

La mia ipotesi è che questa forma di Pranayama con la sua dolce pressione sulle cellule del corpo possa spezzare la barriera della mente e Prima di scrivere questo ho esitato a lungo. Il lettore può restare deluso dal fatto che esso può richiamare le manie New Age. È solo dopo avere ascoltato simili effetti ottenuti da altri ricercatori e tenuto conto della mia decisione di aderire alla più totale sincerità, che ho deciso di riferire questa particolare esperienza. 18

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toccare la dimensione psicologica che lega insieme tutti gli esseri umani: il vasto oceano dell'Inconscio Collettivo. Non è un concetto poetico ma un reale ampliamento della sfera della propria consapevolezza. Questo spiega il suo tratto "borderline" e la sostanziale difficoltà nel descriverlo. Credo che le scoperte di Jung siano preziose per la comprensione del percorso mistico – forse più di qualsiasi altro concetto formulato durante il 20° secolo. Sebbene egli sia stato prudente nelle sue affermazioni, la comunità scientifica non gli perdonò di essersi occupato di questioni che non erano considerate parte della psichiatria - l'alchimia, che sembrava un'assurdità, il mondo dei miti, che erano considerati un'immaginazione priva di significato e, più d’ogni altra cosa, il gran valore che lui attribuiva alla dimensione religiosa che considerava qualche cosa d’universale, fondamentalmente sano e non, come altri avrebbero preferito, una patologia. Al giorno d’oggi rimane l’entusiasmo per i suoi scritti, specialmente fra coloro che si occupano di argomenti spirituali o esoterici. Jung introdusse una terminologia che permette di sondare un aspetto del percorso mistico che altrimenti rischierebbe di essere totalmente estraneo non solo alla nostra capacità di espressione ma anche alla nostra comprensione. Nella letteratura esoterica c'è il vasto capitolo dei miracoli e dei Siddhi (poteri), ovvero delle leggi sottili che operano nella vita di un mistico. Coloro che scrivono libri sullo Yoga non sanno resistere alla tentazione di copiare alcune linee dagli Yoga Sutra di Patanjali. Un classico è trovare il ridicolo avvertimento del pericolo che viene dall'abuso del Siddhi. Citando Patanjali (IV:1), raccontano che i Siddhi sono i poteri spirituali (abilità psichiche) che possono avvenire grazie a rigide austerità; spiegano che esse variano da forme relativamente semplici di chiaroveggenza, telepatia, ad essere capaci di levitare, ad essere presente in vari luoghi contemporaneamente, di divenire piccoli come un atomo, di materializzare oggetti e chi più ne ha più ne metta. E quindi raccomandano ai loro lettori di non indulgere mai in questi poteri poiché «sono un grande ostacolo al progresso spirituale». Indulgere: che bel termine! Avete mai visto una persona che pratica alcune forme di Pranayama e poi indulge nella bilocazione? Probabilmente non pensano a quello che scrivono poiché si lasciano sedurre dal sogno di possedere tali poteri ... forse già immaginano tutto il chiasso che ne verrebbe: interviste, prendere parte a vari talk show ecc. Jung pose una base razionale per lo studio di questo soggetto in La sincronicità (1980 Boringhieri). Tanto più consideriamo intelligente, affascinante e stimolante il suo pensiero, tanto più vuote ci appaiono le quattro fesserie che troviamo nei libri di Yoga quando affrontano l'argomento dei Siddhi. Il nostro corpo rimane ancora un mistero. Guidare l'energia e 85

quindi la coscienza in esso ha effetti che noi non possiamo neanche immaginare. Incontro con l'Alchimia Interiore A quel punto della mia ricerca, un amico mi diede una fotocopia di un libro sull'Alchimia Interiore - la filosofia alla base del Taoismo. 19 Quando lessi la descrizione della procedura di base (Orbita microcosmica) di questa antica disciplina, vidi che era molto simile al Kriya Pranayama. Le varie metafore usate per spiegare il suo meccanismo (la zampogna capovolta, il flauto senza fori...) mi riportarono alla mente con sorprendente analogia alcune strane spiegazioni relative al Pranayama e al Kriya in generale, che ricevetti un tempo da una fonte eminente. La descrizione della seconda fase dell'Alchimia Interiore (dopo un certo numero di rotazione dell'Orbita Microcosmica, l'energia accumulata nel cervello era guidata dalla testa in giù nel Dan Tien) esemplificava palesemente il principio del Navi Kriya. Ero disorientato: ciò significava che il Kriya Yoga non esisteva come tradizione indipendente ma era l'Alchimia Interiore insegnata entro un contesto indiano con palese uso sia di tecniche puramente indiane sia di procedure (come il Navi Kriya) che erano indiane solo all'apparenza. Il Kriya Yoga risultava essere una disciplina che può essere descritta attraverso i simboli di due culture diverse ma era decisamente diverso dallo Yoga classico, Hatha Yoga o Kundalini Yoga tantrico. Pensai che non fosse un'idea bizzarra che il mitico Babaji fosse/sia uno degli "immortali" della tradizione taoista. Comunque, la mia attenzione era stata notevolmente stimolata e mi imbarcai in uno studio più accurato. Consapevole che il libro ricevuto valeva la pena di essere studiato con grande attenzione, ne ritagliai vari paragrafi (stavo maneggiando delle fotocopie e non avrei mai fatto qualcosa di simile ad un libro), li misi in ordine secondo un'ideale sequenza logica di esposizione e li incollai su quattro fogli di carta che riassumevano rispettivamente le quattro fasi dell'Alchimia Interiore. Su un foglio diverso sistemai un Glossario rudimentale, limitato alle definizioni essenziali. Acquistai il libro per godermi il fatto di leggere tutto di nuovo, sottolineando i passaggi essenziali. In seguito studiai ogni titolo che potevo trovare sul soggetto (Taoismo incluso). La mia risposta entusiasta derivò dalla intuizione che Kriya Yoga e Alchimia Interiore condividevano un fondamento comune e studiando quest'ultima avrei potuto comprendere più chiaramente il funzionamento di qualche tecnica Kriya. Ebbi lunghi discorsi appassionati con persone che avevano studiato e 19

Lu Kuan Yü. Lo Yoga del Tao. Mediterranee. 86

seguivano quel percorso da decadi. Fu di grande aiuto leggere degli articoli e saggi scritti da Michael Winn. Questo ricercatore studiò il Kundalini Yoga negli anni '70 e poi il Kriya Yoga con un rinomato insegnante. Osservò che mentre attraverso il Kundalini Yoga uno sta semplicemente cercando di salire fino alla corona della testa per sperimentarvi l'estasi divina, nella Alchimia Interiore uno utilizza quello stato per raggiungere il corpo, nutrirlo e trasformarlo. Notò che sebbene il Kriya Yoga abbia molti parallelismi con l'Alchimia Interiore, rimane sostanzialmente un sentiero di "fuoco", un sentiero di "ascesa." Ma ogni movimento energetico verso l'alto deve essere bilanciato da un movimento discendente, fino a quando uno si stabilisce nel quieto punto di non movimento. Nel nostro corpo questo punto è il Dan Tien, la via d'accesso per raggiungere lo stato prenatale di beata assenza di respiro. Michael Winn si dedicò completamente all'Alchimia Interiore e al Qigong (Chi Kung). Secondo lui nessuna tradizione rispetta l'intero mistero della natura umana come l'Alchimia Interiore. Uno che vuole seguire il percorso spirituale potrebbe evitare un'ampia serie di problemi ascoltando la saggezza pratica che essa incarna. Si prese l'impegno vincolante di insegnare solamente ciò che proveniva dalla sua diretta esperienza personale. Secondo lui, gli insegnamenti orali o scritti possono divenire trappole: solamente l'esperienza vivente promuove la vera auto-indagine che conduce alla Auto-realizzazione. Uno dovrebbe prendere in considerazione gli insegnamenti ricevuti dalla tradizione, provarli con molto rispetto e prendere anche il coraggio di risolvere da solo i problemi che potrebbero sorgere. Riferisce che, nei molti anni della sua propria pratica, cercò sempre di muoversi verso la semplicità; ha fiducia che qualcuno prenderà in considerazione le sue versioni migliorate e le migliorerà ulteriormente. Fra le informazioni molto interessanti che trovai nei suoi scritti, fui sorpreso nell'apprendere che il problema fastidioso della segretezza concerneva anche l'Alchimia Interiore. Come vuole la prassi si diceva che la segretezza era intesa per proteggere la purezza del lignaggio e prevenire la corruzione da parte di persone egoiste che potrebbero abusare del potere spirituale ottenuto... L'autore afferma che questi sono pretesti, non sinceri e su cui non si riflette abbastanza. In realtà un taoista gli disse: «Non sappiamo perché gli antichi tenessero la loro conoscenza così segreta. Noi non facciamo altro che imitarli». La nobile posizione definitiva di Michael Winn è che se uno si sente spiritualmente attirato a qualche particolare insegnamento e si sente degno di riceverlo, allora ha il diritto di impararlo senza mettersi prono ai piedi di alcuno. A nessun essere umano dovrebbe essere negata l'opportunità di raggiungere la vera indipendenza spirituale! 87

CAPITOLO I/07

FINE DI UN'EPOCA

Gli studi di cui ho riferito nel capitolo precedente contribuirono a spingermi a fare i conti con i miti di Guru e di segretezza. Ma procediamo per ordine e cominciamo col completare il racconto le vicissitudini col secondo maestro. Quel conflitto mi portò a sognare e poi a realizzare questo libro sul Kriya. Quando il mio secondo insegnante mi chiese di insegnare il Kriya a quelle persone che si dimostravano interessate, fui felice di quella opportunità poiché potevo finalmente spiegare ogni cosa in modo esaustivo. Volevo che nessuno provasse il dolore di vedere una domanda legittima rimanere senza risposta. Dopo alcuni mesi, avevo l’impressione che ogni cosa stesse procedendo nel modo migliore: circa una dozzina di persone avevano ricevuto il Kriya senza alcun problema. Tutt'a un tratto la situazione sembrò precipitare. Questo avvenne quando, alcuni mesi prima della sua visita nel nostro gruppo, onde preparare un bell'evento, gli scrissi una lettera chiedendogli se fosse possibile, al termine del suo seminario di iniziazione al Kriya, controllare la comprensione degli studenti attraverso una pratica di gruppo guidata. Questo naturalmente non era mai avvenuto e, infatti, le persone ritornavano a casa dopo l'iniziazione con vari dubbi. La sua reazione fu inspiegabile: come risposta, mi eliminò immediatamente dall'elenco dei suoi discepoli e comunicò la sua decisione ad uno stretto collaboratore ma non a me. Probabilmente la mia avventura con quest’insegnante sarebbe finita lì - e sarebbe stata la cosa migliore - se quel collaboratore mi avesse informato della situazione. Del tutto inconsapevole dell'accaduto, quando gli diedi il benvenuto al suo arrivo in Europa, lui mi abbracciò come se nulla fosse accaduto. Probabilmente interpretò la mia presenza come una mossa di ritorno sui miei passi. Quando, tempo dopo, venni a sapere quello che era accaduto rimasi frastornato. Per il bene della pace del gruppo decisi di non reagire ma deliberatamente cominciai a controllare il mio atteggiamento e non gli proposi più nulla. Per parlare poi della rottura definitiva dei nostri rapporti è necessario ritornare sulla superficialità con cui spiegava la tecnica del Thokar. Avvenne che da un anno all’altro spiegò una tecnica molto importante in modo visibilmente diverso. Cambiò la procedura dei movimenti di una forma particolare di Thokar. Quando uno tra i presenti chiese chiarimenti sul cambiamento, fece finta di non comprendere, poi sostenne che non aveva cambiato nulla, che probabilmente, in passato, c'era stato un problema di 88

traduzione. Ero io che allora avevo fatto la traduzione. Seppi trattenermi e non protestai: la sua bugia era fin troppo evidente. I miei amici si ricordavano bene i suoi movimenti della testa avendoli visti con i loro occhi ed erano effettivamente diversi. Pur passando settimane con lui non fu possibile trovare cinque minuti per discutere tale dettaglio tecnico. Considerando altri cambiamenti, avevo l'impressione di essere il collaboratore di un archeologo che intenzionalmente altera alcuni reperti per presentarli al pubblico all’interno del suo abituale quadro di riferimento teorico. Vidi che tante cose non andavano per niente bene. Il mio inconscio faceva sentire la sua voce: ancora è vivo nella mia memoria un sogno nel quale nuotavo nel letame. Sentivo che quest’uomo, cui cercavo di soddisfare ogni pur piccolo capriccio, donandomi in ciò totalmente come se stessi compiendo un atto sacro, non amava il Kriya; se ne serviva invece soltanto per condurre qui in occidente un vita molto più bella rispetto alla vita grama in India quale spesso mi descriveva. Collaboravo a programmare i suoi viaggi in modo che egli potesse diffondere il Kriya nel suo modo affrettato e superficiale: dietro alla mia maschera di finta delizia, la mia anima conosceva un’agonia di aridità. C'erano momenti nei quali, pensando ai miei semplici inizi con lo Yoga, il mio cuore distillava una nostalgia indefinita per tale periodo che non aspettava altro che coerenza e integrità da parte mia per sorgere di nuovo e fiorire pienamente. Passò un altro anno. Come risposta alla richiesta di alcuni amici all’estero, andai nel loro gruppo ad insegnare il Kriya Yoga, sempre per conto del mio insegnante. In quel gruppo incontrai uno studente molto serio che conosceva bene i modi del mio insegnante e che partecipava alla iniziazione solo come occasione di ripasso. Mi pose delle domande molto pertinenti e trovò sempre precise risposte. Il problema fu proprio quello: «Da chi hai appreso tutti questi particolari?» mi chiese. Egli sapeva bene che il mio insegnante era un disastro totale da un punto di vista didattico. Percepiva che avevo appreso molti dettagli da altre fonti. Come potevo allora dare l’iniziazione al Kriya usando una conoscenza che non proveniva dal mio insegnante? Poteva comprendere il mio imbarazzo ma era perplesso che, proprio per il fatto che questi mi aveva autorizzato ad insegnare il Kriya, non avessi mai avuto l’occasione di parlargli apertamente di dettagli tecnici! Era logico, anzi per me doveroso, risolvere la questione e il più presto possibile. Conoscendo però il temperamento irascibile del mio insegnante, esitai molto, ma non c'era alternativa. Tramite un amico gli spedii un fax dove menzionavo il problema in oggetto e lo pregavo di predisporre il suo tempo in modo che ne potessimo discutere 89

dopo il suo arrivo nel mio gruppo durante il suo prossimo giro. Lui si trovava in Australia ma al massimo entro una settimana avrei avuto la risposta. Durante uno di quei giorni cruciali, feci una gita presso le montagne vicine per sciare. Durante il viaggio ero assorto nei miei pensieri. Il mio inconscio era pronto al cataclisma, in anticipazione di un evento che intuitivamente sapevo che sarebbe avvenuto. Molto probabilmente il mio insegnante si sarebbe molto arrabbiato e avrebbe dato in escandescenze. Se l’intera situazione mi fosse sfuggita di mano e, come risultato della nostra rottura, non fosse venuto più nel nostro gruppo, coloro che gli volevano bene ne avrebbero sofferto; pochi avrebbero potuto comprendere le ragioni del mio agire. Sarei stato colui che aveva disturbato un situazione non perfetta ma comunque confortevole. Lui piaceva infatti ai miei amici; il fatto che ogni anno visitasse il nostro gruppo era molto stimolante; si preparavano a quelle occasioni con una pratica intensa del Kriya. Ognuno apprezzava la sua concezione di vita che non era molto lontana dal pensiero di Krishnamurti20 Era un bel giorno per sciare. Durante una pausa mi fermai a guardare le montagne lontane che delimitavano, in tutte le direzioni, l'orizzonte. In meno di mezz'ora il sole le avrebbe dipinte di rosa, di più quelle ad oriente, di un rosa che sfumava nel blu quelle ad occidente. Immaginai che l’India fosse là dietro, che l’Himalaya fosse il prolungamento di quelle montagne. Il mio pensiero andò a tutti gli appassionati di Kriya che, come me, trovavano degli ostacoli insuperabili nella comprensione della loro amata disciplina. 21 Per la prima volta osai contemplare un'immagine che indugiava da molto tempo tra i miei pensieri: un libro sul Kriya dove ogni tecnica fosse spiegata nei dettagli. Tante volte mi ero chiesto cosa sarebbe successo se Lahiri Mahasaya o uno dei suoi discepoli lo avesse scritto! La mia immaginazione era arrivata a visualizzare il colore della copertina, a dare uno sguardo alle sue scarse pagine – un libro sobrio ma molto ricco in contenuto. Se questo libro esistesse, avremmo avuto un affidabile manuale di Kriya che avrebbe limitato le tante piccole o grandi varianti inventate da diversi maestri. Forse alcuni commentatori avrebbero tentato di "forzarne" il significato per adattarlo alle loro teorie. Anzi, sono certo che qualche pseudo20

Fino ad oggi ho continuato a leggere alcune opere di Krishnamurti (come La sola rivoluzione) che trasmettono una impareggiabile visione dei tratti distintivi della autentica mente spirituale. 21

Mi riferisco a quei ricercatori che avevano appreso i rudimenti del Primo Kriya e qualcosa dei Kriya superiori da un'organizzazione o da un insegnante itinerante in occidente. Non mi riferisco a coloro che hanno avuto la fortuna di incontrare un vero Maestro. 90

guru avrebbe suggerito che le tecniche incluse erano intese per i principianti, che c’erano tecniche più "evolute", che solamente le persone "autorizzate" potevano comunicare. Alcuni avrebbero abboccato, preso contatto con l'autore, pagato cifre enormi per ricevere tecniche che, o con la fantasia o prendendole da qualche libro esoterico, questi aveva escogitato. Queste son cose che accadono, questa è la natura umana. Ma i veri ricercatori sarebbero sicuramente stati capaci di riconoscere la forza, l'intrinseca evidenza autosufficiente del testo originale senza commento. Il problema consisteva nel fatto che il mio era solo un sogno! Lasciai che i pensieri vagassero su cosa sarebbe successo se io stesso lo avessi scritto. Era difficile, pur tuttavia possibile, sintetizzare la totalità di quello che conoscevo del Kriya in un libro, armonizzare teoria e tecniche in una visione pulita, razionale. Di sicuro l’intenzione non era quella di celebrare me stesso o porre le fondamenta di una nuova scuola di Kriya. Se avessi accennato alle mie esperienze, questo sarebbe stato solamente per essere più chiaro nelle spiegazioni teoriche e tecniche. Non più retoriche affermazioni di legittimazione, non più frasi enigmatiche per far intuire qualche particolare tecnico, creando però più dubbi di prima! Che bello era sognare un libro che provasse la sua validità incarnando il pensiero di Lahiri Mahasaya nel modo più semplice e logico, in un insieme completo, armonioso di tecniche! Il modello avrebbe potuto essere il libro di Theos Bernard Hatha Yoga resoconto di un’esperienza personale [1943]. 22 Di certo, molti insegnanti di Kriya - quelli che vivono per mezzo delle donazioni ricevute durante le iniziazioni e, grazie al vincolo della segretezza, esercitano il loro potere sulle persone - avrebbero considerato il libro una minaccia al loro lavoro. Forse quello che sembrava virtualmente eterno per alcuni - vivere come dei pascià, circondati da persone pronte a soddisfare tutti i loro capricci nella speranza di ricevere le briciole di ipotetici "segreti" avrebbe potuto cambiare, e lo avrebbero temuto come la peggior peste. Essi avrebbero tentato di distruggerne l’affidabilità con una censura impietosa. Già sentivo il loro commenti sprezzanti mentre lo sfogliavano velocemente: «Contiene solo fantasie che nulla hanno a che vedere con l'insegnamento di Babaji e Lahiri Mahasaya. Diffonde un insegnamento falso!» Questo straordinario manuale riesce più che altri a chiarificare gli insegnamenti contenuti nei tre testi fondamentali del tantrismo: Hatha Yoga Pradipika, Gheranda Samhita e Shiva Samhita. Nonostante gli anni trascorsi dalla sua pubblicazione ed i numerosi testi di Hatha Yoga apparsi recentemente, tale libro rimane ancora uno dei migliori. Delle tecniche polverose divennero attuali più che mai, fattibili, chiare davanti agli occhi dell'intuizione. Ecco perché pensai che un lavoro analogo sul Kriya sarebbe stato per molti studenti e ricercatori una vera "manna dal cielo". 22

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Ma un testo simile non poteva essere una minaccia alla attività di nessun onesto insegnante, soprattutto se questi avesse accettato di comunicare le varie parti del Kriya, gradualmente, con la delicatezza e la cura richiese dalla materia, senza tenere alcuna cosa per sé per qualsivoglia motivo, onesto o disonesto. Buoni insegnanti sono e saranno sempre richiesti, in qualsiasi campo, quando si tratta di trasmettere una particolare abilità. Ma come riassicurarli senza collidere con i condizionamenti radicati nella loro stessa "chimica cerebrale"? Altre persone per ragioni diverse potrebbero non gradire il libro, sia perché sono sconcertati dalla sobrietà di una esposizione priva di fronzoli, che urta le loro convinzioni, sia perché la loro affinata sensibilità non riesce a percepire quella vibrazione che dovrebbe caratterizzare la genuinità dell'esperienza dell'autore. Solo quelli che amano il Kriya più dei loro capricci avrebbero provato un immenso sollievo a scoprirlo in un libreria esoterica. Io già vivevo nella loro felicità. Grazie a loro, il libro avrebbe continuato a circolare, e chissà quante volte sarebbe ritornato davanti agli occhi di quegli insegnanti che ne aveva decretato la condanna. Talvolta questi avrebbero dovuto far finta di non vedere che, durante i loro seminari, alcuni se lo stavano passando, sfogliandolo, perdendo con ciò parte della conferenza… Ciascuna parte di questo sogno si sviluppò nello spazio di alcuni secondi, invase la mia coscienza come un torrente in piena, come se ogni parte di esso fosse già stata provata ed accarezzata infinite volte. Ma come avrei potuto trovare il coraggio di violare il dogma delle segretezza per ciò che concerne le tecniche Kriya, sfidando rudemente la sacralità del rapporto Guru-discepolo come l'unico modo per ricevere istruzione in esso? Anche se i Guru conosciuti finora (non mi riferisco a figure storiche che non ho conosciuto personalmente) non avevano nulla di sacro, il Kriya era sacro. Esso doveva essere ricevuto da persone "autorizzate" e non da libri: questo mi era stato ripetuto mille volte. Ero radicalmente convinto che non potevo scriverlo, tuttavia guardandomi attorno e osservando il cielo blu sopra l'orlo dorato delle montagne che stavano assumendo sfumature rosa tutto pareva dirmi che il libro era già scritto in qualche angolo del mio cuore! Col pensiero del libro che premeva entro me, riflettei molto sulla situazione della diffusione del Kriya. Era molto difficile per me porre tutti i punti critici in un ordine logico. Vari condizionamenti, dogmi incisi nel mio cervello, agivano come entità che avevano una vita propria. Ogni volta che cercavo di pensare in logica sequenza si metteva in moto un meccanismo 92

automatico che si prendeva cura di organizzare la mia visione in un tutto ben integrato e coerente: ma questo, per una ragione o per l'altra, mi appariva come una mostruosità. Riflessione sul concetto di Guru È bene ricordare che il grande Lahiri Mahasaya rifiutò di essere adorato come un Dio. Questo è un fatto che alcuni tra i Suoi seguaci sembrano aver dimenticato. Egli disse: «Io non sono il Guru, io non mantengo una barriera tra il vero Guru (il Divino) ed il discepolo». Aggiunse che voleva essere considerato a guisa di «uno specchio». Quando il kriyaban comprende che Lahiri Mahasaya è la personificazione di quello che un giorno lui stesso diventerà, allora quello specchio deve essere «gettato via». Sì, piaccia o non piaccia, dice proprio così: gettato via. Le persone che sono state allevate in un’organizzazione di Kriya non possono capire appieno l'impatto di queste parole; se lo capissero troverebbero una forte contraddizione con tutto quello che è stato loro insegnato. Per capirle ci vuole il coraggio di abbandonare le proprie illusioni, quelle che fanno comodo, nonché un buon cervello. Organizzazioni a parte, molti pensano che il Kriya debba essere ricevuto da un Guru «perché solo il Guru sa quello di cui tu hai veramente bisogno!» Questo può accadere senza alcun ombra di dubbio in qualche rarissimo rapporto, ma di solito un Kriya Acharya da le stesse istruzioni a tutti e preferisce non ascoltare domande molto intime e personali, alle quali risponde: «quella è la tua vita!» oppure «quelle sono faccende che devi risolvere con la tua intuizione». Purtroppo quei kriyaban che potrebbero essere definiti Maestri Kriya onesti e competenti stanno fissi in India e non viaggiano. Mi è stato detto che molti conoscono la condizione critica della diffusione del Kriya in occidente. Loro non apprezzano il fatto che, pur di apprendere qualche briciola di Kriya, noi andiamo ad ascoltare personaggi che loro giudicano ciarlatani. Pensano che siamo irrimediabilmente stupidi, ma invece di venirci incontro e dare ad alcuni dei loro studenti il permesso di correggere la nostra esecuzione del Kriya, accecati dai dogmi, chiusi nelle loro torri d'avorio, agiscono contro il buon senso e chiedono ancor più segretezza ai loro pochi discepoli occidentali. Un amico col quale avevo condiviso ogni cosa del percorso spirituale, che mi aveva accompagnato in tutte le vicissitudini relative ad entrambi gli insegnanti precedenti e sofferto sulla sua pelle per gli stessi motivi, fece una lunga vacanza in India e fece 93

una visita proprio a un insegnante che io stimavo molto, anche se non avevo mai avuto l’occasione di conoscere. L’amico spiegò al Maestro la deplorevole situazione della diffusione del Kriya qui in occidente e in particolare le vicissitudini del nostro gruppo; questi si dimostrò addolorato e disse di essere disposto ad aiutarci. L’amico si fece controllare il Pranayama. Quando ritornò in Italia lo incontrai: era molto felice e mi chiese di praticare il Pranayama davanti a lui. Affermò che riscontrava un errore nella mia pratica. Gli chiesi di cosa si trattasse, la sua risposta mi gelò: disse, infatti, che non poteva dirlo perché aveva promesso solennemente all’insegnante di non rivelare nulla. 23 Precisò che aveva chiesto all’insegnante il permesso di correggere eventuali nostri errori: la risposta era stata negativa anzi il maestro aveva preteso un vero e proprio giuramento di non rivelare nulla. Quest’insegnante - che aveva manifestato l’intenzione di aiutarci - aveva forse paura che, una volta chiarito l’errore, non ci saremmo più recato da lui? Era veramente così meschino e scortese? Non pretendevo certo che il mio amico mi raccontasse per filo e per segno tutte le cose che si erano dette lui e l’insegnante; non potevo e non volevo entrare nell’intimità di quell’esperienza, ma come poteva lasciarci continuare con quello che lui riteneva un errore? Trovai questo fatto allucinante. Reagii molto male, troncai ogni discussione e me ne andai via. L’unico risultato pratico fu la rottura del rapporto con quell’amico.

I "saggi" maestri indiani non hanno "rappresentanti" in occidente ed i loro studenti non hanno il permesso di insegnare nulla. Ora è impensabile che ogni anno una serie innumerevole di voli charter trasportino tutti gli interessati al Kriya - non conta se vecchi o malati - presso un remoto villaggio indiano, come un pellegrinaggio a Lourdes o a Fatima! Sfortunatamente la distanza tra noi e loro è destinata a crescere. Una sera, dopo una lunga passeggiata, spento da un'improvvisa stanchezza, mi trascinai a casa. Logorato dai miei pensieri, il problema del rapporto Guru-discepolo cominciò ad emergere oscuramente, più come una ferita che come una teoria che dispiega i suoi miti. Regolai il lettore CD con la funzione "repeat" sul secondo movimento del Concerto Imperatore di Beethoven... Era mai successo che qualcuno, carico delle benedizioni del Guru ricevute dal frequentare tutte le possibili cerimonie di iniziazione tenute da canali legittimi, avesse mai praticato il Kriya con quella dignità e coraggio con cui Beethoven aveva sfidato il suo destino? Spensi la luce e contemplai il sole che scendeva in lontananza dietro gli alberi 23

Ripensando all’episodio compresi qual era questo particolare errato: non avevo fatto un respiro visibilmente addominale. Son sicuro di questo perché era l’unica cosa che il mio amico fu capace di vedere – non parlammo dei dettagli interiori della pratica. 94

in cima ad una collina. La silhouette di un cipresso eclissava in parte il grosso disco del sole, rosso come il sangue. Quella era la bellezza eterna! Quella era la norma a cui ispirarsi. Mi sedetti un po’ assonnato; una strana immagine afferrò la mia attenzione: quello della "investitura" di Vivekananda da parte del suo Guru Ramakrishna. Avevo letto che un giorno, verso la fine della sua esistenza terrena, Ramakrishna entrò in Samadhi mentre il suo discepolo Vivekananda (Naren) gli era vicino. Quest’ultimo cominciò a sentire una forte corrente, poi perse conoscenza. Quando ritornò in sé, il suo Guru, piangendo, gli sussurrò: «O mio Naren, oggi ti ho dato tutto, ora sono divenuto un povero fachiro, non possiedo nulla; con questo potere farai un immenso bene al mondo». In seguito Ramakrishna spiegò che i poteri che aveva passato a Vivekananda non potevano essere utilizzati dal suo discepolo per accelerare la propria realizzazione spirituale - perché ognuno deve sostenere da solo tale fatica ma lo avrebbero aiutato nella sua missione futura quale insegnante spirituale. Il mio inconscio si manifestò con quest’immagine come per ammonirmi a non cedere alla tentazione di gettare via qualcosa di valido e prezioso. Ora, se affermavo che Ramakrishna era il Guru di Vivekananda era chiaro che mi riferivo ad un fatto autentico e di profondità insondabile. Mi venne spontaneo rileggere l’indimenticabile, straordinario discorso di Dostoevskij sul ruolo dei padri anziani - Starec - nei monasteri Russi (I fratelli Karamazov). «Ma allora che cos'è uno starec? Lo starec è colui che accoglie la vostra anima, la vostra volontà nella propria anima, nella propria volontà. Quando scegliete uno starec, voi rinunciate alla vostra volontà e gliela affidate in completa sottomissione, con assoluta abnegazione. Questo tirocinio, questa terribile scuola di vita viene accettata spontaneamente da colui che offre se stesso, nella speranza, al termine della lunga prova, di sconfiggere il proprio essere e di dominarsi fino al punto di conquistare infine, attraverso una vita di ubbidienza, la libertà assoluta, vale a dire la libertà da se stesso, per evitare il destino di coloro che hanno vissuto tutta una vita senza trovare dentro di sé se stessi.»

Le mie riflessioni arrivarono sino a quel punto e là si fermarono - per mesi. Non ero ancora capace di vedere che il problema non stava nel concetto di Guru – il quale meritava di essere esplorato appieno - ma nel fatto che l'organizzazione mi aveva fatto credere che mi trovavo in una condizione fortunata, che avevo un Guru - mentre infatti ero distante anni luce dall'averne uno. Ero ipnotizzato e non riuscivo a vedere che la storia di Vivekananda e l'estratto di Dostoevskij rappresentavano situazioni che erano intrinsecamente, molto diverse dalla mia. Ci volle tempo prima che la consapevolezza albeggiasse su di me che mentre i 95

grandi esempi di relazione Guru-discepolo erano basati su un vero incontro fisico tra due persone, il mio rapporto era puramente ideale. Non so come avevo anche accettato l'impudente supposizione che il Guru e Dio fossero la stessa Realtà. Un capo del più importante gruppo italiano della mia scuola mi aveva a suo tempo istruito: «Non capisci che P.Y. è la Madre Divina Stessa»? Molti kriyaban, i miei amici più cari davano questa identificazione per gratuita. Un giorno, quando fui capace di smascherare questa alienazione, chiusi gli occhi per vari minuti e tentai di avere un discernimento spassionato, impassibile della situazione. Mi sembrò un'assurdità che vestiva i panni di un incubo sentii un'infinita ribellione. Ebbene, chi è un Guru? Consideriamo l’idea di una rete; ogni individuo è un nodo dal quale partono diversi collegamenti, come quelli fra i neuroni del cervello. Quando il singolo individuo fa una azione - intendo un movimento significativo, come intraprendere il sentiero mistico e farvi buoni progressi – egli muove anche la rete nelle immediate prossimità. Chi pratica seriamente non è mai isolato; egli sarà aiutato dalla risposta positiva di altre persone e sarà rallentato dalla loro indolenza e apatia. A mio avviso il rapporto Guru-discepolo trovava in questo fenomeno la sua base. Un Maestro illuminato è capace di trascinare in avanti l'evoluzione del discepolo, ovvero favorire il suo progresso spirituale, attraverso un contatto reale con la dimensione inconscia dell'altra persona. È capace di immergersi nell'oceano dell'Inconscio Collettivo e rintracciarvi l'esile vibrazione che è l'ego del discepolo ed incrinarlo fino ad un certo punto, infondendolo di luce, di vastità. Di solito i Kriya Acharya autorizzati (coloro che ricevettero l'autorizzazione ufficiale di concedere l'iniziazione al Kriya) non hanno neanche un'oncia di tale potere. Ramakrishna e Vivekananda avevano due personalità diverse ma in profondità erano una sola cosa. Come il lettore sa, Jung affermò che c’è un livello più profondo dell'Inconscio che è «ereditato con la nostra struttura cerebrale» e consiste dei «modi umani tipici di risposta» alle situazioni più intense che possono accadere nella vita: nascita di un bambino, matrimonio, morte di una persona amata, malattia seria, crisi familiare, amore vero, calamità naturali, terremoto, inondazioni, guerra.... Noi esseri umani siamo legati l'un l'altro attraverso questo Inconscio Collettivo. Se per Freud l’Inconscio era una parte della psiche simile ad un deposito pieno di vecchie cose "rimosse" - rifiutate da un atto quasi automatico della volontà - un ammasso che oggi non riusciamo più a richiamare alla coscienza - questo Inconscio Collettivo lega insieme tutti gli 96

esseri umani attraverso gli strati più profondi della coscienza. Chi afferma di aver ricevuto legittimamente il potere di iniziare, farebbe bene a riflettere sul fatto che accettare un discepolo non si risolve nel darsi da fare per spiegargli il Kriya, ma nel accettare lucidamente e coerentemente i futuri grovigli o sofferenze che tale rapporto potrà comportare. Coloro che ebbero la fortuna di essere attratti al percorso spirituale e guidati lungo esso da un vero Guru, non dovrebbe sprecare tutto il loro tempo e sforzo raccontando innumerabili aneddoti, storie miracolose riguardanti la vita del loro Guru, la cui grazia liberò la loro vita dalla insignificanza. È vero che alcune storie possono contribuire a creare fiducia, ispirare e trasmettere utili lezioni, ma esagerando con esse, inutili miti ed aspettative ingiustificate possono essere costruite. È perfettamente comprensibile che anime generose vorrebbero estendere ad altri studenti le benedizioni ricevute. Avviene anche che, possedendo un'umiltà assoluta, esitino nell'impartire un'istruzione spirituale se questa si basa solo sulle proprie esperienze. Ma il seme spirituale che il loro benefattore piantò nel loro essere può rifiorire in altre anime solo passando attraverso il calore della loro imperfetta ma sincera e compassionevole umanità. L'inganno della segretezza Dopo che mi fui liberato da tutti i Guru, fui invitato dalla locale università della terza età a tenere lezioni sulla storia dei percorsi mistici. Dopo avere completato il primo ciclo di lezioni, accettai di ripetere il corso negli anni seguenti che in tutto divennero cinque. Il percorso mistico fu considerato da diversi punti di vista e, durante gli ultimi due anni, ci fu anche un'introduzione pratica ad alcune pratiche elementari come il Japa, il Pranayama preso dallo Yoga classico... Mi dilettai a preparare le lezioni studiando i migliori saggi e manuali che potevo rintracciare. Mi riferisco a libri scritti da studiosi che non appartenevano (o erano così intelligenti da nascondere la loro appartenenza) ad alcuna particolare scuola mistica e manifestavano un atteggiamento distaccato verso l'intera materia. Questo fu un periodo molto sereno della mia vita: ero molto appagato dall'avere il tempo e l'opportunità di occuparmi di tali studi. Apprezzai quei testi che sapevano cogliere l'essenza dei movimenti religiosi, specialmente di quelli fioriti liberamente attorno alle grandi religioni. L'impatto di certe letture, la vivezza di certe testimonianze biografiche, hanno l'effetto di spazzare via le nostre fissazioni nate da forti condizionamenti, lasciati entrare in tutta innocenza nelle nostre vite attraverso la porta della devozione. 97

Tali studi contribuirono a lenire il mio cruccio ricorrente di aver violato la "sacra" regola di mantenere la segretezza sulle tecniche Kriya. Quante volte mi son detto: «Tale regola non è sacra, è umana, è la causa di disastrosi effetti, di strazianti conflitti e sofferenze». Ciononostante continuavo a sentire una stretta dolorosa nel petto accompagnato da un senso generale di disagio ed irrealtà. Tra tutti i miei ragionamenti, questo solo mi aiutò, quasi istantaneamente, a sentirmi sollevato e riconquistare sicurezza: il Kriya è una raccolta di mezzi di introspezione che, pur essendo perfettamente integrati, derivano da tradizioni diverse. Non è possibile, non è corretto dire che essi appartengono ad una organizzazione o ad un maestro: nessuno può avanzare pretese di proprietà esclusiva. A sentire l'organizzazione da cui avevo appreso i primi rudimenti del Kriya, la segretezza serviva «per mantenere gli insegnamenti puri»: l'evento paradossale era che questa organizzazione fu la prima a saltar fuori con notevoli alterazioni nella pratica del Kriya! Forse avrebbe fatto meglio a dire: «per mantener pure le alterazioni!» «Le tecniche sono efficaci solo se sono ottenute da Ministri autorizzati», ripeteva l'organizzazione. Talvolta vidi l'esatto opposto. Colui che era stato iniziato in modo solenne le praticava con l’illusione di essere sottilmente e automaticamente aiutato da un Guru, mentre l’umile autodidatta ci metteva tutta la prudenza e la creatività possibile, essendo sempre nel dubbio che sul libro da cui le aveva apprese o nelle parole dell’amico che gliel’aveva rivelate non fossero contenute tutte le istruzioni necessarie. La richiesta pressante, ossessiva di segretezza con la minaccia di eventuali sciagure che capiterebbero a chi la viola, stona palesemente con tutto quello che leggiamo nelle biografie dei santi; s'addice perfettamente invece con la dimensione esoterico magica di certe società – anzi è indispensabile alla loro esistenza. Le organizzazioni di Kriya hanno bisogno della segretezza per non divenire modeste istituzioni dedicate alla pubblicazione delle opere del Maestro. Il mito della segretezza permette di tenere in vita il mito della divinità del loro Guru (il concetto di Avatar – incarnazione divina). Se non ci fosse la segretezza, il Guru sarebbe di tutti, sarebbe inevitabilmente più "umano", un personaggio di grande rispetto ma non certo un Dio in forma umana. In questa situazione non potrebbero portare avanti quella sottile opera di persuasione per cui alla fine il Guru si identifica con Dio e l’organizzazione diviene la materializzazione della Sua volontà. Solo in quest'ultima ipotesi possono affermare che un kriyaban non può arrivare a Dio se non attraverso quel Guru e quella organizzazione. 98

La fine di un incubo La risposta da parte del mio insegnante arrivò pochi giorni dopo. In tono sprezzante non si indirizzò direttamente a me ma finse di rispondere alla persona che materialmente gli aveva spedito il fax. Scrisse che il mio eccessivo attaccamento alle tecniche non mi avrebbe mai permesso di uscire fuori dai recinti della mia mente - ero come San Tommaso, troppo desideroso di toccare con mano e verificare la bontà dei suoi insegnamenti. Aggiunse che avrebbe soddisfatto la mia richiesta ma solo per gratificare il mio ego. Leggendo il termine "gratificazione" vidi che non aveva capito nulla. Avremmo dovuto parlarci, parlarci tanto tempo prima! Mi chiesi perché non mi aveva mai lasciato esprimermi. Non volevo contestarlo, non volevo distruggerlo, la necessità che mi portò a scrivergli fu per stabilire una volta per sempre cosa avrei dovuto dire e cosa non dire ai kriyaban durante l'iniziazione. Perché mi era sempre sfuggito?24 Decisi di comportarmi limpidamente come se non avessi afferrato il suo tono: volevo proprio vedere cosa avrebbe fatto. Non chiesi scusa e nemmeno risposi in tono risentito. Risposi che un incontro per parlare sulle tecniche Kriya era necessario in quanto io insegnavo il Kriya a nome suo. Aggiunsi che a tale evento avrebbero potuto prendere parte anche le altre tre persone in Europa similmente autorizzate da lui. Gli feci dunque capire che non avrebbe sprecato il suo tempo e fiato solo per me. Non ebbi, né allora né mai più, alcuna risposta. Settimane dopo mi fecero notare che sul suo sito Internet, il piano della sua visita in Italia era stato cambiato e il nome del mio paese non figurava più: la mia seconda lettera aveva compiuto la rottura definitiva. L’incubo era finito! Mi presi una giornata di vacanza e feci una lunga passeggiata; camminai molto, nervosamente, immaginando un ipotetico discorrere con lui. A un certo punto mi ritrovai a piangere di gioia: era troppo bello, ero libero, ero stato sei anni con lui, ed ora era veramente finita! Tale rottura fu percepita con sconcerto dai miei amici. Come un effetto domino, alcuni coordinatori appartenenti ad altri gruppi qui in Europa, che da Un giorno, durante un periodo di tre settimane passate con lui, eravamo soli e lui stava cercando qualcosa in una stanza: trovai il coraggio di rivolgergli una domanda tecnica sul Kriya – era una domanda delicata su un argomento che contrapponeva una scuola di Kriya contro un’altra. Si volse improvvisamente verso di me con gli occhi iniettati di un tale odio che sembrava sul punto di ammazzarmi, mi urlò di praticare come mi piaceva, che tanto non era affare suo. Questo, credo, fu l’unico discorso tecnico che ebbi con lui nel giro di alcuni anni. 24

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tanto tempo mal tolleravano i suoi modi, colsero l’occasione per tagliare definitivamente i legami con lui. Sentivano che il tempo era ormai maturo per arrivare a tale liberazione. Il periodo seguente fu gradevole anche se non così euforico come prevedevo: il senso di tutto il tempo buttato via, di tutte le cose sciocche che erano state portate avanti senza pensare, mi opprimeva. Non avevo la più pallida idea di cosa sarebbe divenuto il nostro gruppo senza un insegnante che fosse venuto a visitarci in futuro. Poche settimane dopo sembrò che la ruota della buona sorte riprendesse a girare; c'era la possibilità di invitare un nuovo insegnante nel nostro gruppo. Poiché si trattava di una persona stimata, accettai la proposta di sostenere le spese per il suo viaggio. Alcuni giorni più tardi quando fui contattato dalla sua segretaria, lei trattò il lato finanziario del viaggio con una scioccante rozzezza, aggiungendo delle condizioni inaccettabili. Ero veramente nauseato della intera situazione; ne avevo abbastanza di comportarmi come un accondiscendente discepolo che tutto accetta onde ricevere una briciola in più di informazione sul Kriya. Declinai l'offerta. La prima stesura del libro Gli anni che seguirono alla rottura dei rapporti col mio secondo e ultimo insegnante furono del tutto diversi da quelli precedentemente descritti. Avendolo mandato al diavolo, una situazione snervante aveva trovato la parola fine. Non dovevo più andare di qua e di là per organizzare i seminari a quel losco individuo. Non dovevo più indossare una maschera di ipocrisia mentre rispondevo a quanti mi chiedevano informazioni su di lui. Mi sentivo libero dentro. Vissi finalmente un periodo tranquillo nel quale sperimentai la calma e il senso di appagamento che viene a coloro che dedicano tutti i propri sforzi ad un unico scopo. Nel mio caso era il Kriya: praticarlo intensamente e scrivere su di esso. Sapevo, senza dubbio, che la mia indole non mi avrebbe permesso di impigrirmi, che i prossimi mesi dovevano segnare una nuova nascita al percorso del Kriya: dovevo ritrovare l'entusiasmo iniziale. Acquistai un computer e, da prigioniero volontario, ridussi al minimo la vita sociale e intrapresi il lavoro di scrivere il libro. Il senso di questo libro doveva essere solo quello di fornire informazioni sull'aspetto tecnico del Kriya a quelli che, per le loro ragioni personali, le stanno cercando. Un ricercatore avrebbe potuto trovarvi del materiale attraverso il quale poter arricchire la sua ricerca. Il tempo impiegato per completare il libro è stato fin troppo lungo. I miei 100

amici mi prendevano in giro e dicevano che non avrei mai posto la parola fine all’impresa. Una delle ragioni della mia lentezza nello scrivere fu non solo l'inesperienza, ma anche il fatto che praticai molto Kriya, specialmente le routine ad incremento progressivo preferibilmente all'aria aperta. Potei così dedicare una più costante attenzione a quello che, anni prima, era stato affrontato in modo superficiale. Riconosco che in passato, la forza trainante che mi spingeva a completare al più presto possibile il numero di ripetizioni prescritte per ciascun Kriya superiore fu anche l'ansietà di ottenere dal mio insegnante l’iniziazione successiva. Il desiderio ardente di "spremere" qualunque cosa potesse insegnarmi, era nutrito da uno strano timore: come se, per qualche insondabile ragione, non avessi più potuto incontrarlo in futuro. Le routine ad incremento progressivo rivelarono ben presto il loro grande valore euristico. Il nucleo essenziale di ciascuna tecnica, privata di qualunque abbellimento, apparve come qualcosa di fisso, definitivo, inevitabile, qualcosa che non poteva essere altro che così. Se una certa variante di una tecnica Kriya era superflua o inefficace, finiva necessariamente per auto eliminarsi. Le routine ad incremento progressivo applicate a qualsivoglia tecnica, mi aiutarono molto a sviluppare la qualità della discriminazione. Un criterio fondamentale per giudicare essenziale una tecnica era che essa doveva apparire come la più semplice logica realizzazione pratica delle parole di Lahiri Mahasaya. Lasciai perdere alcune varianti ridondanti ed inefficaci; questa fu la fine di un insieme di tecniche, che mi era stato presentato come il Dhyana Kriya: il loro strumento base era il potere, portato all’esasperazione, della visualizzazione. Già eminenti scrittori avevano fatto notare come tali pratiche non potessero avere diritto di cittadinanza nel Kriya di Lahiri; esse non avevano alcuna somiglianza con altre tradizioni mistiche ma presentavano una forte, anzi perfetta analogia con la tradizione esoterica o magica.25 Non avevano nulla a che fare con la percezione Omkar o con lo stato di assenza di respiro. Sperimentai in modo molto evidente la loro inutilità e pericolosità: fu un sollievo ripulire per sempre la mia vita da tale ciarpame. Cercai di estrarre dai miei consistenti fascicoli di appunti, raccolti in tanti anni presso insegnanti diversi, l'essenziale. C'era l’impressione di trovarmi a ricomporre un ampio puzzle, senza avere qualsiasi anteprima di quello che sarebbe apparso alla fine. Non sapevo se il quadro finale prevedesse quattro, sei o più livelli di Kriya. Invero, non ero del tutto sicuro se avessi compreso che cosa fossero questi livelli. Inoltre, nel caso che solo quattro stadi dovessero emergere come palesemente fondamentali, non sapevo se questi 25

Sappiamo che la visualizzazione è l'ingrediente principale - talvolta accompagnato da una affermazione - di una innumerevole serie di metodi New Age. 101

dovessero essere posti in corrispondenza biunivoca col processo di sciogliere i nodi interiori (lingua, ombelico, cuore, coccige). Nella prima stesura, la descrizione dei Kriya Superiori fu data come una catena di tecniche (undici), ciascuna che preparava idealmente la successiva. Dopo vari ripensamenti, decisi di descrivere tutte le tecniche nello schema di quattro Kriya (evitando di utilizzare nomi di fantasia come quinto, sesto Kriya) e di considerare ogni altra valida tecnica Kriya come appartenente ad uno dei quattro livelli. Nella seconda parte del libro condivido tutto quello che conosco sulle tecniche Kriya. Mi restano, in effetti, alcune varianti e diversi dettagli nei blocchi di appunti stenografati, pronti ad essere aggiunti al libro ma solo nel caso in cui ricevessi altre informazioni che andranno ad avvalorarli e, allo stesso tempo, mostrarne l'intrinseco valore alla luce del pensiero di Lahiri Mahasaya. Nella presente fase della mia vita non sono più alla ricerca frenetica di informazioni presso qualsiasi fonte anche se studio attentamente tutto quello che mi capito tra le mani. Rifletto profondamente sulle critiche che ricevo di quando in quando - che non mi lasciano mai indifferente. Però, affermazioni drastiche come: «Il famoso maestro X che è discepolo di Y che era discepolo diretto di Lahiri Mahasaya ha affermato che parte delle tecniche che lei descrive sono una invenzione» mi lasciano calmo e sereno. Questo nasce dal fatto che ho toccato con mano il loro valore: esse sono meravigliose e resteranno nella mia vita! Perché nasce la terza parte del libro. Dopo avere completato e messo in rete le prime due parti del libro, fui in corrispondenza con diverse tipologie di ricercatori. Quasi tutti avevano già sperimentato qualche forma di Kriya. Discutemmo liberamente di tecniche e di routine. Condivisi anche il Kriya con persone che muovevano i primi passi. Non trattiamo qui la ragione del loro interesse. Parlando con loro, quando sentii che potevo fidarmi di loro, accettai di guidare i loro primi passi. Questo avvenne sempre di persona. Alcuni erano particolarmente abili, con una mente intelligente e sana. La responsabilità di scegliere un piano didattico era mia. Per concepirlo, presi come punto di partenza le mie esperienze passate. Mi ero interessato del problema su come insegnare il Kriya quando, per conto del mio secondo maestro concedevo l'iniziazione al Kriya rispettando il protocollo fisso che lui mi aveva intimato di seguire. Dopo avere presentato il 102

tema della non-mente, una sintesi dei temi fondamentali del pensiero di Krishnamurti, che il mio insegnante chiamava impropriamente Swadhyaya, richiamavo gli otto passi di Patanjali. Talvolta la mia coscienza si ribellava all'idea di chiedere - come ero stato richiesto di fare - ai miei studenti maschi di guardare le donne come "madri" e, corrispondentemente, alle donne di guardare i maschi come "padri." Ero consapevole dell'ovvia impossibilità di rispettare questo precetto. (Il mio insegnante dava grande enfasi a ciò - ricordo come il pubblico ascoltava le sue inutili parole con uno sospiro di malcelato fastidio.) Poi passavo alla spiegazione delle tecniche di base. Mentre concludevo consigliando una routine minima sentivo che avevo fatto un lavoro praticamente inutile. Prendevo congedo da quei studenti, ben sapendo che avrebbero praticato per dei giorni, o settimane, poi la maggior parte avrebbe abbandonato tutto per inseguire altri interessi esoterici. Dopo alcuni giorni, accadeva di solito che uno o due tra i più tenaci studenti si inventavano delle domande e mi telefonavano se non altro per avere l'illusione di portare avanti, a distanza, un rapporto con una persona reale. Rispondevo gentilmente ma in modo succinto e li invitavo al prossimo seminario dove il mio insegnante sarebbe presente. Di solito, non "sopravvivevano" a tale incontro. Osservando nel mio insegnante la totale mancanza di umana comprensione, e forse di intelligenza, entravano in una crisi profonda. Dubitavano che il Kriya funzionasse e di aver fatto la giusta scelta nel ricevere iniziazione in esso. Ma ora quel tempo era finito e dovevo riconsiderare tutta la faccenda usando la mia testa. Ora era necessario pormi nei loro panni, chiedendomi, spesso senza risposta, se il marasma e il disagio che trovai in alcuni, era dovuto a motivi caratteriali o fisici. Era palese che molti avevano intrapreso il percorso del Kriya con un atteggiamento non corretto. Seguendo l'alternarsi dei loro stati d'animo e il cambiamento drastico del loro punto di vista, cercai di comprendere il motivo dei loro fallimenti specie quando ero convinto che essi non fossero inevitabili. Alcuni avevano un'idea completamente infantile del Kriya. Erano rigidi nel portare avanti le loro false speranze, immaginando una complicità da parte mia. Alcuni riversavano nel Kriya un impegno straordinario ma, comunque, non ottenevano nulla. Talvolta mi sentivo incline a discutere con loro fino allo sfinimento, dimenticando il tempo. Vidi che erano irremovibili nel praticare il Kriya con delle modalità sbagliate, commettendo palesi errori. (Per esempio, uno trascurava le normali regole della salute, rifiutava, durante la meditazione, di assumere la posizione corretta della spina dorsale, non badava a mantenere l'immobilità nella parte finale della routine.) Era 103

impossibile per correggerli. Si comportano verso me in un modo molto cordiale ma, quando si trattava di difendere le loro scelte, rivelavano un talento dialettico che mi faceva sentire un idiota. Ai loro sofismi avrei preferito cento volte ascoltare un buontempone gridarmi in faccia: «Lascio il Kriya ad idioti come te: mi piace mangiare, bere e godermi la vita!». Le storture mentali di qualcuno riuscirono a portarmi in un stato di alienazione. Ricordo uno che cercava la totale armonia con la vita, allo stesso tempo facendo appello freneticamente ad ogni mezzo per sviluppare il suo nascosto potenziale psichico. Continuò a prestare attenzione alle rivelazioni che provenivano da un channeler guaritore (da cui si recava affinché gli spiriti gli rivelassero le ragioni karmiche di una malattia, come pure gli atteggiamenti da cambiare affinché i suoi problemi fossero distrutti astralmente) ma, allo stesso tempo, frequentava una chiesa dove fingeva una devozione genuina chiedendo una "particolare" benedizione quale blanda forma di esorcismo. Un giorno, dopo avere parlato con lui, annaspando per potermi "ritrovare" di nuovo, sentii il bisogno di camminare nell'aria aperta e praticare il Japa. Il senso di estraniamento sembrava allargarsi fino all'orizzonte e toccare l'orlo del cielo. Ebbi un pensiero luminoso e caldo: anche se tutti i miei amici, tutte le persone che io conosco lasciassero il Kriya, io vi rimarrei saldo comunque, non perché ho fede nell'ottenere un giorno da esso i buoni effetti desiderati, ma perché il Kriya già mi ha dato qualche cosa di incomparabile. Non ho bisogno di una ricarica di motivazione rivolgendomi di nuovo alle vecchie letture di narrativa spirituale: è la radianza della mia memoria che mi salva ogni volta, ogni giorno. Una gioia irrefrenabile si sparse come un brivido attraverso la mia pelle: vidi chiaramente che il Kriya ha il potenziale per disperdere le nubi nella mente di ogni persona. Noi galleggiamo su un oceano di beatitudine ma - questo è il potere della illusione - ci sentiamo separati da esso, come olio sull'acqua; abbiamo solo bisogno di un mutamento di prospettiva per trasformare la nostra vita in un paradiso. Ho già raccontato che tenni delle lezioni sulla storia dei sentieri mistici presso la locale università della terza età. Questo fu ripetuto alcuni anni dopo. Proposi di aggiungere al nostro studio alcune informazioni sui movimenti esoterici più noti. Il mio scopo era paragonarli alle tendenze New Age e mostrare dove, entro esse, era situata la linea di confine tra la ricerca mistica genuina e il coltivare ambizioni magiche. Non era difficile vedere la devastante inconsistenza teorica di molti movimenti esoterici, ampiamente riconosciuti come impegnativi ed elitari. Una vastissima terminologia che colpiva per la grandiosità e che un tempo mi 104

avrebbe entusiasmato, mi riempiva di nausea come se fosse un'oscenità creata da un mostro. Ero sempre più colpito dalla debolezza mentale dei cosiddetti ricercatori di verità al punto di sentire un senso pessimistico di scoraggiamento circa il loro potenziale di dissolvere abbaglianti falsità e ragionamenti ingannevoli. Fui inevitabilmente traghettato nel più interessante campo di studio: la psiche umana, la sua suggestionabilità e vulnerabilità quando si tratta di avvicinarsi al sentiero spirituale. Vidi che l'interesse dei miei studenti su questo tema era quasi nullo. Rimasi stupefatto nel comprendere che la maggior parte di loro venivano alle mie lezioni per ricevere sostegno e nutrimento per le loro illusioni. Nonostante tutte le spiegazioni non avevano ancora compreso in senso pratico che cos'è realmente un percorso mistico e sopratutto quanta gioia e significato esso può arrecare alla propria esistenza. Fu in quell'occasione che presi coscienza profonda dell'atteggiamento improprio nei confronti del Kriya in cui molti ricercatori si incancreniscono. Compresi l'importanza di chiarire a ciascuna persona che sarebbe venuta a me per imparare il Kriya un punto fondamentale: il Kriya non ha niente a che fare con gli studi paranormali, o tentativi infruttiferi di sviluppare i poteri latenti della mente. Se in alcuni contesti la parola mistico evoca una relazione col mistero, col concetto di iniziazione (dal Greco μυστικός [mustikos], un iniziato) a segreti rituali religiosi (anche questo dal Greco μύω, celare) un mistico è uno che cerca sinceramente (adottando qualsivoglia forma di disciplina mentale e fisica) di arrendersi a qualche cosa che sta oltre i territori della mente, irraggiungibile dal puro e semplice potere della volontà e dell'immaginazione, che è la quintessenza del supremo conforto. Sfortunatamente molti coltivano l'illusione che il Kriya sia un insieme di segreti (di efficacia crescente man mano che uno si muove verso i Kriya superiori) da essere sfruttati nel più astuto possibile dei modi – rimanendo virtualmente lo stesso Ego. Praticano molto poco, fingendo di praticare molto. Hanno spesso udito che il Kriya è la «suprema fra tutte le tecniche spirituali, la via aerea alla realizzazione del Divino». Sembra che «...suprema fra tutte le....» entri trionfalmente nel loro cervello ma «...realizzazione del Divino...» viene lasciato fuori. Fantasticano su ciò che non esiste. Sono legati ad una concezione magico-esoterica del Kriya, che è ovviamente una caricatura del Kriya di Lahiri Mahasaya. Questa frenesia può durare per sempre o scomparire improvvisamente per ragioni di agghiacciante banalità, come per esempio incontrare un kriyaban che soffre di una malattia seria. «Come è possibile una tale cosa! Il Kriya non ha valore!» Lo sostituiscono con un'altra pratica - non necessariamente 105

qualcosa di nobile (meditazione buddista, Chi Kung..) ma con qualche cosa che quando senti di cosa si tratta dalle loro labbra, è un miracolo non piegarsi in due dal ridere (comunque non si riesce ad evitare la ridarella per il resto della giornata). Il sentiero spirituale è per coloro che, anche se hanno compiuto tutto quello che l’umana follia può concepire e sprecato anni nell'esaurire le energie vitali, da un certo momento in poi sanno voltare pagina e cercano non più i "poteri", ma la pace e il conforto che che son rivelate dal processo di interiorizzazione. Nonostante questi chiarimenti ripetuti infinite volte rimanevano comunque tante piccole manie e fissazioni che rovinavano tutto. Esse sorgevano e divenivano virulente dopo aver letto alcuni libri, ascoltato le opinioni degli amici, ricevuto apparenti delusioni... Una forte inquietudine nasceva che spingeva a progettare viaggi per contattare questo o quel personaggio, a imbarcarsi impazientemente in vasti studi esoterici, fare volontariato, il che non è negativo affatto ma potrebbe distrarre molto. In seguito a questo spreco di tempo, l'armonia paradisiaca che si era stabilita all'inizio era inacerbita e persa. Ecco un esempio di problemi con cui mi sono confrontato # Un caso difficile, snervante, quasi impossibile è quello di una persona che ha dei conflitti con la religione in cui è stata educata. Durante la nostra infanzia, quasi tutti ricevemmo una formazione spirituale entro una religione strutturata. Grande fu la forza con la quale alcuni miti religiosi furono inculcati nella nostra coscienza. Introdotti attraverso racconti e resi più reali da alcune piacevoli raffigurazioni, quei miti furono investiti da una particolare solidità, specialmente quando evidenziavano una qualche figura ideale mancante nella costellazione familiare. Benché nell’età adolescenziale tali miti venissero messi da parte, nella piena maturità, sentimmo di nuovo il loro fascino – essi incarnavano una parte del nostro passato. Il profumo di quei vecchi racconti è come un incenso di nostalgia, come un balsamo di infantile gioia che si distende sulle ferite, mai rimarginate, della nostra vita. Quando prendiamo parte a riti religiosi, tutta una successione di ricordi legati a care persone scomparse si mette in moto … il cuore vibra, profondi sentimenti sono coinvolti come mai era stato prima. Per qualcuno, i condizionamenti dell’infanzia ottengono una solidità inattaccabile e diventano un insieme di elementi fissi nel proprio modo di pensare. Nell'inconscio si forma una ferrea intenzione: «La dimensione della fede che mi è stata comunicata dai miei genitori distilla per me il profumo del tempo più bello della mia vita. Devo difenderla ad ogni costo». Ora, cerchiamo di comprendere cosa accade quando una persona, che sta vivendo questa esperienza, decide di intraprendere una disciplina come il Kriya. All’inizio si sentirà colpito dalla sua efficacia. Percepirà che la sua vita religiosa si è fortemente 106

ricaricata di entusiasmo ed è divenuta più acuta. Anche se gli sarà difficile accettare che gli "strani" esercizi possano essere considerati in sé e per sé un sentiero mistico autonomo, comincerà a considerarli con molta attenzione e crescente rispetto. Il problema nasce quando uno ritiene corretto riferire della sua pratica a un direttore spirituale. Il rischio di arrendersi a delle suggestioni restrittive e limitate è molto forte. È un peccato che questo evento possa creare un totale naufragio della propria avventura col Kriya. I Ministri di una religione potrebbero non essere stati nemmeno informati circa le pratiche dei mistici della loro stessa religione. Potrebbero non afferrare il significato genuino della pratica meditativa. Il vizio di studiare troppi libri potrebbe aver soffocato la loro istintiva innocenza; ci sono libri che sporcano la coscienza e bruciano l'intelletto. Il continuo sforzo cerebrale di rispondere con risposte intelligenti alle domande esistenziali e alle lamentele altrui – risposte così belle da lasciar stupefatta la stessa persona che le ha pronunciate - logora il senso di proporzione. Ricevendo le confidenze di un kriyaban, un Ministro può pronunciare delle evidenti assurdità: che il desiderio di seguire il sentiero mistico sia una fissazione pericolosa e fuorviante, nata da problemi psicologici irrisolti; che la Preghiera ha un valore solo se è fatta in comunità; che la sola forma di meditazione consiste nello studiare e meditare sulle Sacre Scritture… Essi sono inclini a giudicare le esperienze spirituali come delle allucinazioni isteriche auto prodotte. È triste vedere come la maggior parte delle persone cosiddette religiose siano convinte che i mistici furono uomini scelti da Dio, a cui fu concessa una particolare grazia: «non dovremmo cercare in alcun modo di seguire i loro passi, se non vogliamo divenire mentalmente instabili!» pensano alcuni. L'implicazione emotiva delle loro parole, può vincere le ragioni della saggezza e distruggere l'aspirazione di un ricercatore. Uno potrebbe convincersi che il suo principale dovere sia quello di consolidare la propria formazione dottrinale. Evidentemente non c’è nulla da dire contro lo studio dei dogmi di una religione, purché sia integrato con lo studio delle opere dei grandi mistici. Un studio puramente razionale delle dottrine teologiche può non armonizzarsi alla sensibilità che la nostra persona sta sviluppando. Facilmente entrerà in crisi e sperimenterà sensi di colpa. Sappiamo che la forza con la quale egli potrebbe resistere a tali momenti di crisi è direttamente proporzionale alle autentiche esperienze spirituali che lui ha incontrato nella meditazione - ma non dobbiamo dimenticare che stiamo considerando un principiante. L'angoscia di trovarsi sul sentiero errato, di muoversi verso la dannazione eterna, non placato dalla forza dell'idea contraria, crea un indurimento del suo cuore e la splendida avventura si impaluda. Ho conosciuto delle persone che erano kriyaban da anni (ed erano veramente dogmatici) che si rivoltarono contro il Kriya come se esso fosse una cosa demoniaca. Non fu un bello spettacolo osservare il loro comportamento e ascoltare le loro parole, dove sicuramente mancava equilibrio ed obiettività. Ci si chiedeva se la loro emotività fosse inquinata da superstizione o da agghiacciante disonestà intellettuale. Chissà se è possibile che, durante un giorno di sole, in mezzo alla natura (la quale è, davvero, una grande insegnante - forse più dei libri), davanti ad un panorama che si estende all’infinito, possano provare il desiderio di praticare ancora un processo di 107

meditazione. Chissà se la naturalezza di tale pratica riuscirà a sciogliere la morsa della loro paura e se la splendida avventura potrà incominciare di nuovo!

# Alcuni si sentono indegni: applicano coscienziosamente le tecniche Kriya ma sono convinti che devono portare avanti un lavoro enorme sul piano mentale, psicologico onde poter "crescere" sul piano spirituale. Continuano a rimuginare un solo pensiero: «Cosa posso fare nel regno della mia mente, delle mie abitudini per migliorarmi?» La loro idea di base è che il Divino risieda al di fuori degli esseri umani e che un individuo possa avvicinarsi ad Esso solo dopo aver essersi guadagnato un qualche merito. Sono convinti che lavorando duramente sia possibile distruggere nella loro coscienza le radici dell'iniquità e dell'egoismo. Non hanno fiducia nella pura applicazione di una tecnica a meno che non sia abbinata ad un sforzo faticoso di tormentare e torturare la loro struttura psicologica. Il Kriya è solo un corollario di questo lavoro cardine. Vogliono costruire mattone dopo mattone, faticando fino all'estremo delle forze, come se si trattasse di un complesso edificio, la loro Liberazione. Tale atteggiamento rende, a priori, virtualmente impossibile ogni progresso sul sentiero spirituale. L'esperienza mistica avviene quando uno si rilassa totalmente ed è in pace con sé stesso. Solo allora qualche cosa di tremendamente vasto, oltre la mente, si manifesta improvvisamente e travolge ogni dicotomia di degno o indegno. Ora, se durante le proprie pratiche meditative, il respiro e il pulsare del cuore sembrano scomparire, questi ricercatori, essendo sempre in allerta, invece di rilassarsi bloccano l'esperienza. Ci può essere solamente una via d'uscita: che l'esperienza spirituale possa emergere quando sono troppo stanchi o mezzi addormentati per reagire, e annientare così le loro resistenze. Se questo non avviene, col tempo essi si stancano di tutti i loro sforzi e il Kriya scompare dalla loro vita senza alcun rammarico o ripensamento. Questa scomparsa è percepita come una rinascita e vivono felici da ora in avanti. # Alcuni concepiscono il Kriya come una filosofia che possiede in sé stessa un potere di redenzione. Amano coltivare la pura conoscenza esoterica. Hanno familiarità con alcuni metodi di introspezione spirituale ma, per quanto riguarda la concreta applicazione delle tecniche, portano avanti solo una timorosa e frettolosa sperimentazione. Di solito danno grande enfasi ai principi morali. Difficile è trovare una ragione plausibile che spieghi come mai una ricchezza senza fine attende di manifestarsi dietro lo schermo delle loro rivoluzioni mentali, tuttavia essi non fanno il minimo passo per afferrarla o permettere che la sua radiosità pulisca la cantina polverosa dove preferiscono vivere. Trascorrono tutto il loro tempo a leggere libri spirituali ed in infinite discussioni con qualche amico dai simili interessi. Ci sono buoni libri dai quali potrebbero trarre benefici, ma sembra che essi preferiscano tenerli ad una certa distanza; affermano di averli già letti tutti, ma è una bugia. I libri che loro raccomandano caldamente ci colpiscono per la quantità di informazioni che essi contengono. Leggendoli, entriamo in un stato quasi ipnotico e, forse, non comprendiamo immediatamente che 108

ogni catena di idee non ha alcun sostegno, è il parto dell'immaginazione sfrenata dell'autore. Siamo stupiti nel vedere come, tramite una ubriacatura di parole, l’immaginazione dell'autore si dispiega libera dalla relazione con la realtà e dalle regole della logica. Il tutto ci sembra un puro divertimento - paragonabile a quello di leggere libri gialli. Ci chiediamo come il lettore possa pensare, con tale pattume, di evolversi in qualche modo. Almeno in un caso compresi la ragione di tale comportamento. Penso che fu un complesso di colpa non risolto che fermò del tutto gli sforzi Kriya di un mio amico e lo trasformò in un pigro lettore. Era veramente una brava persona; nella sua gioventù aveva vissuto appassionatamente l'intenzione di fare qualcosa di buono per l’umanità. Manifestava un rispetto sincero verso tutte le persone. Qualche volta era amareggiato nel scoprire che le sue azioni disinteressate si scontravano con l'ignoranza e la grossolanità delle persone. Aspirava ardentemente a seguire il sentiero dell'Illuminazione. Condividemmo la passione per l’esoterismo e per i libri. Leggemmo veramente tanti, troppi libri pattume: invece di provare orrore per tali deformazioni, ci lasciammo avvincere dalle fantasie dei più svariati autori. Era incredibile quale enorme impatto potesse avere su di noi un libro quando il titolo o le quattro righe di presentazione lasciavano intuire che esso contenesse la chiave dei misteri occulti! Assieme condividemmo l’entusiasmo per la scoperta del Kriya. Aspettando di essere iniziato in esso, praticò qualche esercizio di Pranayama. Una o due settimane bastarono per ottenere una esperienza di risveglio spirituale, la cui intensità lo disturbava profondamente: la Realtà Spirituale si manifestò a lui come l'Immutabilità stessa. Usò proprio queste parole, parlando con me. Mentre i giorni passavano, vidi sgomento che egli temeva che la pratica, ponendo davanti ai suoi occhi il lato oscuro della sua personalità, potesse mettere in pericolo la sua stabilità psichica. I suoi ideali religiosi gli impedivano di accettare quello che poteva emergere dalle profondità della sua personalità. Molto ben nascosta, una ferita non risanata lo tratteneva. Sottolineando il valore dei principi etici e nauseandomi con l'insistere che nessuno dovrebbe praticare alcuna tecnica di meditazione senza aver prima raggiunto una perfetta vita morale, si rivolgeva ovviamente a se stesso. «È meglio che non cominci a praticare tecniche del cui effetto non sono sicuro - mi diceva - è meglio che attenda finché non mi sentirò totalmente sicuro di ciò che sto maneggiando». Assunse un atteggiamento talmente prudente che sembrava prematuramente invecchiato – persino il suo modo di camminare sembrava tremolante. Presupponendo che fosse sincero, molte volte tentai di aprire i suoi occhi, rendendolo consapevole che le sue obiezioni erano assurde. In fine dovetti riconoscere il mio fallimento. Non era corretto sprecare il mio tempo costringendolo a costruirsi complicati pretesti per consolidare la sua decisione. Smisi di "tormentarlo" e posi fine ai nostri usuali banchetti di parole. Il dovere verso la mia anima doveva prevalere su quello della cortesia. La forza della reciproca eccitazione nata dai nostri elevati interessi era una specie di proiezione verso un ideale di amicizia dell’anima; ma attraverso essa non sarei 109

arrivato a nulla, piuttosto, in modo pericoloso, mi sarei estraniato dalla mia anima. Dopo anni di separazione ci incontrammo di nuovo, sembrava la quintessenza del saggio. Nei suoi begli occhi lessi la gioia del nostro incontro e un caldo messaggio: «Come vedi, non ho ancora ceduto al modo comune di vivere!» Aveva ancora intatto l'entusiasmo passato, ma forse o la sua mente era opaca oppure non mi permise di entrarci. Continuò a riprodurre, con parole variate, delle vecchie credenze di base – ammirai l'ampliarsi del suo lessico. Osservando il tramonto e parlando quietamente, ero seduto con lui quando, a un certo punto, mi apparve chiaro che lui non faceva altro che difendersi da me. Guidò il discorso in modo così astuto che era impossibile io potessi ricordargli il suo passato e quella grande esperienza. Promise che sarebbe venuto a trovarmi, ma non venne ed è improbabile che venga.

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SECONDA PARTE: CONDIVISIONE DELLE TECNICHE KRIYA CAPITOLO II/01

FORMA BASE DEL PRIMO KRIYA

"DISCLAIMER" Le tecniche qui descritte sono esposte solamente per motivi di studio, per servire come raffronto col lavoro di altri ricercatori. Da questa condivisione spero derivi un feedback intelligente. Osservazioni, critiche, correzioni e aggiunte saranno ben ricevute. Prima di cominciare a porvi tutte le domande più strane possibili e immaginabili, leggete completamente la Parte II e III di questo libro in modo da avere una completa visione della materia. Scoprirete che molte domande trovano risposta man mano che proseguite con la lettura. Tengo a precisare che questo libro non è un manuale di Kriya! Forse in futuro ne scriverò uno e allora affronterò il problema di come dividere l'intero argomento in diverse lezioni cercando, per ciascuna fase d’apprendimento, di fornire tutti i consigli necessari. In ogni caso, certe tecniche non possono essere apprese leggendo un manuale. Ci sono tecniche delicate come per esempio il Maha Mudra, il Pranayama, il Thokar, lo Yoni Mudra che è impensabile apprendere senza l'aiuto di un esperto che controlli la loro esecuzione. Ogni persona è diversa e nessuno può dire a priori quali saranno gli effetti di una determinata tecnica, soprattutto se praticata in dosi consistenti. L'autore non si assume alcuna responsabilità nel caso di risultati negativi, particolarmente nel caso in cui uno decida di praticare le tecniche senza aver cercato la supervisione di un esperto. Coloro che intendono portare avanti questa pratica dovrebbero farlo con il dovuto senso del sacro e la consapevolezza della ricchezza che essa potrà portare nella loro vita. Sebbene ognuno ha il diritto e il dovere di controllare il suo destino, garantirsi il consiglio o la guida di un esperto è indispensabile. N.B. Quando ci si reca da un esperto, è necessario comunicargli l’esistenza di ogni eventuale problema fisico, come ipertensione, problemi ai polmoni, segni di iperventilazione… Se avete particolari problemi fisici, un esperto potrà raccomandarvi una forma delicata di Pranayama e dei Mudra ad esso collegati – e se necessario potrebbe raccomandare di praticarli solo mentalmente.

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Introduzione alla localizzazione dei Chakra I Chakra sono organi sottili astrali entro la spina dorsale; gradini ideali di una scala mistica che conduce una persona, senza alcun pericolo, alla più elevata esperienza estatica. Molti credono di poter applicare automaticamente al Kriya quello che è scritto sui libri di Yoga, ma questo non funziona. Tali testi sono riempiti di inutili, devianti raffigurazioni. Perdendo tempo a visualizzare tutto quel materiale, un kriyaban potrebbe correre il rischio di perdere l’autentico significato delle tecniche del Kriya, o parte delle loro ricchezze. Il Kriya è un processo naturale che porta a dei risultati benefici e non dovrebbe essere distorto dal potere della cosiddetta visualizzazione "creativa", specie se essa si pone in contrasto con la fisiologia del corpo. Il Kriya non si basa sul creare una condizione artificiale nel corpo. Quando certe condizioni particolari si stabiliscono - silenzio mentale, rilassamento del corpo, una intensa aspirazione dell’anima - la Realtà Spirituale si manifesta in modo molto affascinante, assorbendo l'attenzione. Quindi, dei movimenti sottili di energia nel corpo – o un particolare raccogliersi dell'energia in qualche parte del corpo – rivelano l'essenza dei Chakra. Per intraprendere la pratica del Kriya, gli Yogi (useremo il termine kriyaban) visualizzano semplicemente la spina dorsale come un tubo vuoto che si estende dalla sua base al cervello: la Nadi Sushumna. Con ulteriore pratica, la spina dorsale è percepita idealmente come divisa in cinque parti (vedi Figura 1).

Figura 1. I Chakra e altri centri associati di energia nel cervello.

II primo Chakra, Muladhar è localizzato alla base della colonna spinale proprio sopra la regione del coccige; il secondo Chakra, Swadhisthana, si 112

trova presso la prima vertebra lombare all'altezza dell'osso sacro (a metà strada tra il Muladhar e il successivo Chakra Manipura); il terzo Chakra, Manipura, è nella regione lombare all'altezza dell'ombelico. Il quarto Chakra, Anahata, è nella regione dorsale; la sua sede può essere individuata avvicinando le scapole e concentrandosi in mezzo, lì dove i muscoli sono contratti. Il quinto Chakra, Vishuddha, si trova dove il collo si unisce alle spalle, proprio sopra la settima vertebra cervicale. Un kriyaban cerca di sentire i Chakra intuitivamente, anche se in modo vago: col tempo, sarà capace di sperimentarle come cinque sottili stati di coscienza. Delle tradizioni tra loro indipendenti collocano il sesto Chakra, Ajna, dai due petali, in luoghi diversi. Secondo la tradizione Kriya la sua sede è nel centro del cervello. Poiché il Midollo allungato (bulbo alla sommità della spina dorsale, sotto il Pons Varolii, davanti al cervelletto) è molto vicino alla sua sede, spesso si dice che il Midollo allungato è la sede del sesto Chakra. Secondo gli insegnamenti che ci sono stati tramandati nel Kriya, esso va visualizzato come avente la forma del dorso di una tartaruga. Anche un principiante può sperimentarlo focalizzando la concentrazione in quella zona; l'irrequietezza scompare immediatamente mentre nella coscienza si stabilisce uno stato di tranquillità. Il Kutastha, (tra le sopracciglia, anzi leggermente sopra), conosciuto anche come il "terzo occhio" o "occhio spirituale", è un’immagine riflessa del sesto Chakra. Tutte le tecniche Kriya si praticano mantenendo lo sguardo focalizzato in quel punto. Convergervi tutta l'energia è la condizione per entrare nel canale più interno della spina dorsale. Poiché è nella natura umana che l'energia sia dispersa nel corpo e i canali interiori che conducono al Kutastha siano ostruiti, tale condizione è molto difficile da essere realizzata. Purtroppo, alcuni studenti di Kriya nel tentativo di raggiungere tale stato portano nella loro pratica lo stesso atteggiamento avido, impaziente, a volte insensibile, che hanno nella vita - specialmente quando sono imbevuti di Esoterismo e di Pensiero Magico. Sono fuorviati da qualche libro oppure non comprendono che certi stati richiedono tempo prima di essere sperimentati. Esercitando un grande sforzo di visualizzazione, impongono al loro Prana di salire direttamente dal quinto Chakra al Kutastha. Questo porta ad un restringimento di tale passaggio, piuttosto che alla sua apertura. Più si sforzano, più problemi si procurano. Per questa ragione – per raggiungere il Kutastha in modo calmo ed effettivo – è opportuno concentrarsi prima sul centro Bindu che ha un collegamento col Kutastha. Bindu è localizzato nella regione occipitale, dove l’attaccatura dei capelli forma una specie di vortice. (È qui che alcuni Indù, con la testa rasata, mantengono una ciocca di capelli.) Nella fase finale del Kriya, dove il respiro è quasi inesistente, l'energia e la coscienza si stabiliscono nel settimo Chakra, Sahasrara. Questo non è come 113

gli altri Chakra; è infatti una realtà superiore, e non possiamo concentrarci su di esso come sugli altri. Sebbene non sia difficile "entrare in sintonia" con lo stato che quest'ultimo incarna, l'unico modo di raggiungerlo è attraversare la porta del Kutastha. Non è necessario usare un'eccessiva immaginazione per divenire consapevoli dei Chakra, ma uno deve capire che, durante qualsiasi tecnica Kriya, essi sono percepiti del tutto differentemente a seconda che uno si stia focalizzando su di essi partendo dal Muladhar e salendo lungo la spina dorsale (come avviene durante la inspirazione del Pranayama) o cominciando da Ajna e scendendo ( come avviene durante la espirazione del Pranayama). I primi sei Chakra possiedono una natura duale. Quando la consapevolezza sale lungo la spina dorsale, essi sono percepiti come piccole "luci" che illuminano il tubo cavo visualizzato entro la colonna spinale. Quando la consapevolezza scende lungo la spina dorsale, essi sono percepiti come organi che distribuiscono energia nel corpo. In altre parole, durante la discesa della consapevolezza, uno sperimenta l'energia di ciascun Chakra come onde luminose che si dipartono dalla sua sede entro la spina dorsale e si irradiano, ravvivando così quella parte del corpo che si trova davanti a loro. Tecniche di base I momenti ideali per la pratica delle tecniche seguenti sono prima della colazione, mezzodì prima del pranzo, pomeriggio tardi prima della cena, e di notte almeno 2-3 ore dopo aver mangiato. Talabya Kriya ed Om Japa possono essere praticate alcune ore prima delle tecniche specifiche del Kriya. Talabya Kriya Cominciando dalla posizione nella quale la lingua è rilassata e con la punta che tocca il lato interno dell'arcata superiore dei denti, il kriyaban preme il corpo della lingua contro il palato superiore per creare un effetto di ventosa. Avendo così premuto la lingua al tetto del palato, la mascella inferiore è abbassata per allungare il frenulo (il tessuto che unisce la lingua alla base della bocca). L'effetto di stiramento dovrebbe essere percepito distintamente (vedi Figura 2). La lingua che per alcuni istanti è rimasta premuta contro il palato superiore si libera e ritorna a scendere nella sua posizione naturale con uno schiocco. La lingua è poi spinta fuori dalla bocca e puntata verso il mento. All'inizio è opportuno non ripetere questa procedura più di 10 volte al giorno onde non sforzare troppo o produrre uno strappo nel frenulo! In seguito è possibile raggiungere le 50 ripetizioni. L'intera procedura di 50 ripetizioni richiede circa due minuti (110-120 secondi) per essere completata. 114

Molti praticano il Talabya Kriya in modo sbagliato poiché volgono istintivamente indietro la lingua (o la tengono verticale) e questo annulla completamente l'effetto. È molto importante che la punta della lingua, prima di essere premuta contro il palato superiore, tocchi il lato interno dell'arcata superiore dei denti. 26 Kechari Mudra Dopo mesi di pratica regolare del Talabya Kriya, dovrebbe essere possibile inserire la lingua nella cavità della faringe nasale: questo è chiamato Kechari Mudra (vedi Figura 3).

Nei testi di Hatha Yoga ci sono diversi consigli per allungare il frenulo. Uno molto noto è avvolgere un pezzo di tela attorno alla lingua e con l'aiuto delle mani, tirare gentilmente (rilassando e ripetendo diverse volte) la tela sia orizzontalmente che in su, verso la punta del naso. Lahiri Mahasaya era assolutamente contrario al taglio del frenulo per ottenere risultati più veloci e più facili. 26

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Quando il tempo è maturo, l’inserimento della lingua è raggiunto anzitutto con l'aiuto di una o due dita che spingono la lingua vicino alla sua base in modo che la punta tocchi l'ugola. A quel punto, la base della lingua è spinta ulteriormente indietro finché la punta scivola oltre il palato molle. In seguito la punta della lingua può infilarsi nella faringe nasale. Dopo alcune settimane, si può raggiungere la stessa posizione senza aiutarsi con le dita. Allora si possono praticare le tecniche con la lingua mantenuta stabile in quella posizione. 27 Nota Siccome il Talabya Kriya crea un distinto effetto calmante sui pensieri, esso non dovrebbe mai essere messo da parte, neanche quando il Kechari Mudra è realizzato. Non è facile giustificare per quale motivo, agendo sul frenulo, sia possibile riuscire a calmare il processo di formazione di pensieri inutili. Sta di fatto che chiunque può osservare questo effetto. Naturalmente il Kechari Mudra amplificherà enormemente questo processo di introversione.

Maha Mudra Si incomincia piegando la gamba sinistra sotto il corpo in modo tale che il tallone sinistro sia il più possibile vicino al perineo, con la gamba destra estesa in avanti. La posizione ideale (anche se non necessaria) è quando il tallone sinistro esercita una pressione sul perineo. Questa pressione è il modo migliore per stimolare la consapevolezza del Muladhar Chakra nella regione coccigea alla base della spina dorsale. Per mezzo di una profonda inspirazione l’energia è sollevata attraverso il tubo cerebrospinale nel centro della testa (Ajna Chakra). Questa è una sensazione semplice e facile da ottenere, non c’è bisogno di renderla troppo complicata. Trattenendo il respiro, ci si piega in avanti (in maniera molto rilassata) in modo che le mani intrecciate riescano ad afferrare il pollice del piede esteso e serrarsi attorno ad esso. In questa posizione estesa il mento è premuto sul petto in modo naturale. Continuando a trattenere il respiro, si canta mentalmente Om 28 nel Kutastha da 6 a 12 volte. Ancora trattenendo il 27

Nella illustrazione vediamo la differenza tra il Talabya Kriya e il Kechari Mudra. Mentre si pratica il primo, aprendo la bocca davanti ad uno specchio, notiamo che soltanto il frenulo viene in avanti; nel secondo vediamo appena la radice della lingua: è l’ugola che viene in avanti. In attesa del Kechari Mudra si può praticare le tecniche del Kriya con la lingua rivolta indietro. 28

Il Mantra non dovrebbe essere pronunciato: "ommm" ma "ooooong", in altre parole una "o" abbastanza lunga che finisce in una "n" nasale. In questa procedura "Om" è una pura vocale. Quando si pronunciano i Mantra indiani - Om namo bhagavate…, Om namah Shivaya…- la consonante "m" in "Om" è pronunciata, qui invece non si sente 116

respiro, si ritorna alla posizione iniziale e con una lunga espirazione, si visualizza l'energia tiepida che scende alla base della spina dorsale. L’intera procedura è ripetuta nella posizione simmetrica, col tallone della gamba destra vicino al perineo e la gamba sinistra estesa frontalmente. La procedura è ripetuta un’altra volta ancora, tenendo ambo le gambe estese e questo completa un ciclo di Maha Mudra. Questo ciclo di tre movimenti (che richiede circa 60-80 secondi) è ripetuto due volte ancora per un totale di nove estensioni. Punti chiave [1] Alcune scuole insegnano, durante l’inspirazione, ad avvicinare il ginocchio della gamba che sta per essere allungata (o entrambi i ginocchi, prima del terzo movimento) al corpo, cosicché la parte superiore della gamba è il più possibile vicina al petto. Le mani, con le dita intrecciate, sono poste attorno al ginocchio ed esercitano pressione su di esso. Si spiega che questo serve a raddrizzare la schiena e a far sì che il suono interno del Chakra Anahat divenga udibile. [2] Questo Mudra deve riuscire facilmente, uno non deve farsi male! Per quanto riguarda la distensione in avanti, la maggior parte dei kriyaban non è capace di raggiungere tale posizione senza farsi male alla schiena o al ginocchio. Essi non dovrebbero, per alcuna ragione, tenere la gamba diritta, ma piegarla un po’ al ginocchio nel modo più opportuno! Nella posizione estesa, trattenendo il respiro, si mantiene una contrazione muscolare alla base della spina dorsale mentre i muscoli addominali sono leggermente tirati in dentro in modo che l'ombelico è premuto verso il centro lombare. [3] Come abbiamo visto, nella posizione estesa, l’alluce è afferrato con fermezza. Alcune scuole ritengono che questo dettaglio sia particolarmente importante. Esse spiegano che ripetendo questa azione su ciascuna gamba l'equilibrio tra i due canali di Ida e Pingala è rafforzato. Una variante è la seguente: l’unghia dell’alluce è premuta col pollice della mano destra mentre l’indice e il dito medio sono dietro di esso e la mano sinistra tiene a mo’ di coppa la pianta del piede. Quando la procedura è ripetuta con entrambe le gambe estese, le mani allacciate afferrano entrambi i pollici. (Una variante è che i pollici di ciascuna mano premono le unghie rispettive degli alluci mentre indice e medio tengono l’alluce da dietro.) poiché la "o" è molto lunga e, sul finire della pronuncia di detta vocale, la bocca non è chiusa completamente, creando così il suono nasale "ng". 117

[4] Il Maha Mudra contiene tutti i tre Bandha. 29 Applicati simultaneamente con il corpo piegato in avanti, senza usare una eccessiva contrazione, essi aiutano ad essere consapevoli di entrambe le estremità del Sushumna e producono la sensazione di una corrente energetica che si muove in alto nella spina dorsale. Col tempo uno percepirà l'intera Sushumna come un canale raggiante.

Om Japa Questo esercizio dovrebbe eseguito con concentrazione prima di incominciare il Pranayama poiché aiuta a "generare" il Pranayama. Non si dà alcuna attenzione al respiro. Cominciando col Muladhar (primo Chakra), si canta il Mantra "Om" concentrandosi su di esso; poi si fa lo stesso con il secondo Chakra e così via fino al Chakra cervicale Vishuddha, e poi Bindu. Durante questa salita della consapevolezza lungo la spina dorsale, si cerca di fare il proprio meglio per riuscire a toccare intuitivamente il nucleo interno di ciascun Chakra. Poi si canta "Om" nel Midollo allungato, poi nel Chakra cervicale e così via fino al Muladhar. Durante questa discesa della consapevolezza, si cerca di percepire la sottile radiazione di ciascun Chakra. Una salita (Chakra 1, 2, 3, 4, 5 e Bindu) e una discesa (Midollo allungato, 5, 4, 3, 2, 1) costituiscono un ciclo; esso dura circa 30 secondi. Si fanno da sei a dodici di questi cicli. È opportuno, nei primi tre cicli, cantare il Mantra a voce, in tutti gli altri si può continuare a dirlo a voce oppure mentalmente.

Pranayama Il Pranayama è la più importante tecnica del Kriya. È un esercizio di respirazione che agisce direttamente sull'energia (Prana) presente nel corpo. Ogni kriyaban lo pratica in modo diverso ed ogni insegnante ha la sua propria strategia. Stiamo per illustrare diversi dettagli: non è facile spiegare come essi sono integrati in un tutto armonioso. La spiegazione è divisa in due parti. Alla fine del capitolo saranno aggiunti dei commenti. Altre varianti di questa tecnica saranno aggiunte in seguito (vedi capitolo II/3).

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Abbiamo dato la definizione di Bandha nel capitolo I/01 118

Prima parte: Pranayama di base Gli occhi sono chiusi e rilassati ma focalizzati sul Kutastha e la bocca è chiusa. Chi è capace di porre la lingua in Kechari Mudra lo fa adesso. In caso contrario, la punta della lingua è rivolta indietro toccando il palato superiore nel punto dove il palato duro diventa molle. Una profonda inspirazione attraverso il naso che produce un suono sordo nella gola agisce come una "pompa idraulica" per sollevare l'energia dalla base della spina dorsale fino al Midollo Allungato e alla regione occipitale (Bindu). Dopo una breve pausa (2-3 secondi), una profonda espirazione attraverso il naso riporta l’energia alla base della spina dorsale. Qui c'è un'altra breve pausa (2-3 secondi). Questo è un respiro Kriya. Durante il respiro profondo, l'aria che entra è percepita come moderatamente fresca mentre l'aria che esce è percepita come moderatamente tiepida. Nella letteratura è indicato che il Pranayama perfetto avviene con 80 respiri in un'ora - circa 45 secondi per respiro. I kriyaban possono raggiungere questo ritmo solo durante delle lunghe sedute. I principianti dovrebbero raggiungere un ritmo di circa 18-20 secondi per respiro Kriya e completare 12 respiri in un modo naturale, senza fretta che richiederà circa 4 minuti. Punti chiave [1] Durante l’inspirazione, l’addome si espande e il petto si muove solo leggermente a causa della espansione addominale. È sbagliato riempire completamente di aria la cavità toracica. Durante l’espirazione, l’addome rientra ed alla fine della espirazione c'è una chiara percezione dell'ombelico che si muove verso la spina dorsale. [2] In generale, il suono nella gola mentre si inspira è come un tranquillo schhhh… Il suono è simile a quello prodotto da un altoparlante che trasmette un rumore di fondo amplificato e c'è solo un leggero sibilo durante la espirazione. Quando verrà raggiunto il Kechari Mudra, esso (il suono della espirazione) sarà come quello di un flauto, Shiii Shiii. Le scuole che non insegnano il Kechari Mudra sono molto precise sulla natura di questi suoni: dicono di inspirare profondamente facendo un suono di "Oooo" e di espirare facendo un suono di "Iiiii". [3] In questo Pranayama di base, il percorso seguito dall’energia si rivela gradualmente mentre la pratica prosegue. Non serve usare complicate visualizzazioni. La consapevolezza sale dal Muladhar lungo la colonna spinale, avvicinandosi al secondo Chakra, poi similmente al terzo, al quarto e al quinto; poi, seguendo la curva della regione occipitale, raggiunge il Midollo Allungato e il Bindu. Segue una pausa di due secondi, durante i quali 119

l’irradiazione del Kutastha appare come una lieve, indefinita, sensazione di luce che permea il cervello. 30 Un’espirazione profonda, non affrettata, della stessa lunghezza dell’inspirazione permette all’energia di ritornare alla base della spina dorsale. L'energia è visualizzata fluire verso il basso lungo la parte posteriore della colonna spinale. La ragione di questo dettaglio è che, sebbene durante l'intera procedura Kriya il proprio sguardo converge verso il punto tra le sopracciglia, il centro della consapevolezza è localizzato "dietro" la testa. In tal modo, durante l'espirazione, quando uno cerca di percepire non solo il fluire in basso della corrente ma anche la sottile radianza di ciascun Chakra, si accorgerà che questo avviene molto facilmente divenendo consapevole della spina dorsale, una sezione alla volta come se la si stesse guardando da "dietro". [4] Abbiamo accennato al fatto che il sentiero della inspirazione è fresco, mentre quello dell'aria in uscita è tiepido: questo è corretto ma non dovrebbe essere preso troppo tassativamente. Alcuni non sono capaci di sentire queste sensazioni. Alcuni kriyaban assumono un'espressione rassegnata e scoraggiata quando confessano che durante il Pranayama "non sentono niente" ovvero essi sono incapaci di percepire le correnti freddo-calde nella spina dorsale. Sono ossessionati per questo ma è solo un aspetto minore del Pranayama e non la sua essenza. Il Pranayama si evolve col puro meccanismo descritto e funziona anche senza queste sensazioni. [5] Durante i primi respiri del Pranayama (per non essere distratti da tutti i dettagli sopra citati) si evita di cantare Om o un altro Mantra in ciascun Chakra. Avendo già praticato Om Japa, la consapevolezza dei Chakra è già presente - quel tanto che basta. [6] Alcuni sostengono che il Pranayama praticato con la bocca aperta (o semichiusa) sia superiore a quello attraverso il naso poiché porta la corrente nel Sushumna. Altri affermano che solo con la respirazione attraverso il naso è possibile attivare la respirazione Sushumna. In realtà, solo lo stato senza respiro può riuscire a portare e guidare l’energia nel sottile canale della spina dorsale. Praticare il Pranayama con la bocca aperta è solo per principianti. Ciononostante, il Pranayama attraverso la bocca può dare un meraviglioso senso di presenza nella spina dorsale: alcuni cominciano con esso e poi passano al respiro attraverso il naso. Alcuni kriyaban praticano sempre il Pranayama col Kechari Mudra e perciò essi non possono farlo attraverso la bocca in quanto la lingua, essendo oltre l’ugola, blocca il flusso dell'aria nella bocca 30

In questa fase iniziale del Pranayama l'energia non può raggiungere il Kutastha; questo avverrà negli stadi più evoluti. Il Kutastha entra indirettamente in gioco non perché ci sia un atto di visualizzazione ma perché c'è una luce particolare diffusa nella parte frontale del cervello e uno semplicemente è consapevole di quella luminosità. 120

Seconda parte: Pranayama eccellente [a] Dopo 12 - 24 respiri iniziali che avvengono nel modo sopra descritto, lo stesso processo si approfondisce come segue: Om è cantato mentalmente (o più precisamente "posto mentalmente") in ciascuno dei primi cinque Chakra durante l'inspirazione. Durante la pausa, Om è cantato nel Midollo allungato, nel Kutastha e di nuovo nel Midollo. Bindu può essere totalmente dimenticato perché (anche se è difficile da credersi) la consapevolezza rimane sempre in esso. Durante l'espirazione, Om è cantato mentalmente in ciascuno dei Chakra ritornando al Muladhar. Scendendo, ciascun Chakra è "toccato" dolcemente da dietro. La componente "orizzontale" di ciascuno è sperimentata almeno per un istante; gli effetti dell'energia vitale che si irradia verso il corpo fisico è sentita intuitivamente. Quando il Shambhavi Mudra (lo stato di calma in cui le palpebre sono immobili e lo sguardo è perfettamente fisso) si stabilisce in modo naturale, la forza mentale implicata nel Pranayam diminuisce. Il suono del respiro è liscio e senza interruzioni come l'olio versato da una bottiglia. Il flusso di energia è percepito internamente come un sottile filo di seta e il sottile meccanismo della tecnica avviene quasi da solo. Questo non implica che la tecnica sia meno efficace: accade l'esatto contrario: essa raggiunge il suo massimo potere e sembra avere una vita tutta sua. [b] Dopo un minimo di 48 respiri Pranayama 31, il seguente dettaglio tecnico può essere applicato: le sopracciglia sono gentilmente sollevate, le palpebre sono chiuse o chiuse a metà, gli occhi sono volti verso l’alto il più possibile senza però muovere la testa. La leggera tensione che è percepita nei muscoli legati ai globi oculari gradualmente scompare e la posizione può essere mantenuta abbastanza facilmente. Tutto il proprio essere sembra contenuto nella Fontanella (alcuni affermano che questo è il vero Shambhavi Mudra). Procedendo in tal modo, un kriyaban avrà prima o poi l'impressione di attraversare un stato mentale che assomiglia all'addormentarsi, poi riacquistare improvvisamente la piena consapevolezza e scoprire di star nuotando nella luce spirituale. È come quando un aeroplano emerge dalle nubi nel chiaro cielo trasparente. Il Kriya Pranayama in queste due fasi è di solito praticato 24-60 volte. In certe occasioni (una volta alla settimana per esempio, durante una meditazione più lunga) si possono aggiungere più ripetizioni. Queste sono sempre contate di dodici in dodici. Coloro che hanno praticato il Kriya per molti anni possono facilmente praticare 144 ripetizioni durante ciascuna routine. 31

Questo può avvenire solo dopo almeno due anni di pratica Kriya e sotto la guida di un esperto maestro di Kriya. 121

Navi Kriya Con lo stesso metodo descritto nella tecnica Om Japa e senza tentare di controllare il respiro, la consapevolezza sale lungo la spina dorsale. Il Mantra Om (ooong) è posto nei primi cinque Chakra, nel Bindu e nel Kutastha. Poi il mento è abbassato sulla cavità della gola. Le mani sono unite con le dita intrecciate, palme in basso e i polpastrelli dei pollici che si toccano. Om è cantato 75 volte (un calcolo approssimato va benissimo) nell'ombelico sia a voce che mentalmente. I pollici premono leggermente l'ombelico per ciascun Om. Man mano che si procede con la tecnica, si percepisce che una calma energia si raccoglie nella parte medio bassa dell’addome (la corrente pranica che vi risiede è chiamata Samana). Il mento è poi sollevato senza esercitare troppa forza; tuttavia i muscoli della nuca sono contratti. La concentrazione va prima nel Bindu e poi nel terzo Chakra (muovendosi giù in linea retta, fuori dal corpo). Le dita sono intrecciate dietro, questa volta il palmo delle mani è rivolto verso l’alto, e a ciascun canto del Mantra, i pollici praticano una pressione leggera sulle vertebre lombari. Om è cantato – o con la voce, o mentalmente - approssimativamente 25 volte nel terzo Chakra. Il respiro non è in alcun modo coordinato con il canto di Om. La posizione normale del mento è poi ripristinata e Om è cantato mentalmente in ordine inverso dal Kutastha al Muladhar. Questo è un Navi Kriya (dura circa 140-160 secondi). Un kriyaban ripete il Navi Kriya quattro volte. Pranayama mentale Per entrare il più facilmente possibile in una perfetta immobilità fisica e mentale si fanno tre respiri profondi, ciascuno che termina con un’espirazione veloce e completa come un sospiro. La spina dorsale è immaginata come un tubo lungo il quale la consapevolezza sale e scende, fermandosi in ciascun centro spinale. La sillaba Om (ooong) può essere cantata mentalmente in ciascun Chakra. Comunque talvolta è preferibile limitarsi a porre tutta la propria attenzione in ciascun Chakra incominciando col primo, poi dopo circa 10-20 secondi passare al secondo, terso … e così via. I Chakra sono come dei nodi che possono essere sciolti "toccandoli" con la concentrazione; il segreto è di mantenere la consapevolezza in ciascuno di essi fino a percepire una particolare sensazione di dolcezza, come se quel Chakra si stesse "sciogliendo". Completata la salita al Bindu, incomincia la discesa soffermandosi in ciascun Chakra. Oltre alla sensazione di qualcosa che si scioglie, si può anche percepire la sottile irradiazione che si origina da ciascun Chakra e che è rivolta verso il corpo. Questo è solo un fatto di pura 122

consapevolezza, un naturale sentire che conduce alla realizzazione che i Chakra sostengono la vitalità di ciascuna parte del corpo. Talvolta, si percepisce una luce nella parte superiore della testa ed il kriyaban continua a concentrarsi per molto tempo su di essa senza provare alcuna fatica. Il processo di salire e scendere attraverso i Chakra è portato avanti fintanto che è agevole. (Un giro completo dura 2-4 minuti.) Questa è la parte più bella della routine. Un kriyaban non ha la sensazione di star praticando una particolare tecnica, ma gioisce di momenti di dolce rilassamento. Questo è il momento in cui un profondo silenzio mentale si stabilisce nella coscienza e nel corpo. Tranquillità, "Sthir Tattwa" (Prana calmo, statico) è sperimentato nel settimo Chakra. Lahiri Mahasaya chiamò questo stato Paravastha or Kriyar Paravastha – "lo stato che si manifesta dopo la azione del Kriya". Se, per mezzo del puro potere della volontà, tale stato fosse richiamato alla consapevolezza il più possibile, in mezzo alle attività della giornata, i risultati sarebbero straordinari. Yoni Mudra La notte, prima di andare a letto, si incomincia la pratica calmando l’intero sistema psicofisico con una breve routine Kriya (alcuni respiri Pranayama come pure una breve pratica di Navi Kriya). Dopodiché con una profonda inspirazione si solleva l’energia nella parte centrale della testa. Se uno ha raggiunto il Kechari Mudra, preme fermamente la lingua sul punto più alto all’interno della faringe nasale - altrimenti lascia la lingua nella sua normale posizione rilassata. Si chiudono le "aperture" della testa - gli orecchi con i pollici, le palpebre con gli indici, le narici con i medi, le labbra con l’anulare e il mignolo - in modo che tutta l'energia "illumini" il Kutastha. Durante tutta la pratica, i gomiti sono paralleli al suolo e puntano verso l'esterno. Si può usare un sostegno, se necessario in modo che essi non scendano. Durante questa speciale azione di osservare la luce, gli indici non devono premere sugli occhi, nel modo più assoluto - questo è dannoso e, in ogni caso, di nessuna utilità! Se un kriyaban, per qualsiasi motivo, non si trova a proprio agio a causa della pressione esercitata dalle dita sulle palpebre, le tira in giù con gli indici e applica pressione sugli angoli degli occhi – o sulla parte superiore degli zigomi. Trattenendo il respiro e ripetendo mentalmente diverse volte Om (Ooong), si osserva la luce dell’"occhio spirituale" che va raccogliendosi ed aumentando di intensità. La luce si condensa in un anello dorato. Il respiro è trattenuto finché ciò è confortevole, finché la necessità di espirare richiama l'attenzione. La pratica è completata dopo essere scesi con la consapevolezza lungo la 123

spina dorsale. Lo Yoni Mudra si esegue, normalmente, una volta sola. Osservazione importante Inspirare profondamente e poi trattenere il respiro causa un senso di disagio dopo pochi secondi. Ecco un piccolo suggerimento su come diminuire il disagio e rendere possibile l'approfondimento della pratica. Alla fine di una moderata inspirazione (non la tipica del Pranayama, ma una molto breve), si chiudono fermamente tutte le aperture della testa tranne le narici, si lascia uscire una piccola quantità di aria, poi immediatamente si chiudono le narici. Si rilassano i muscoli del torace come se si volesse incominciare una nuova inspirazione: ciò dà la sensazione che il respiro sia divenuto calmo nella zona che va dalla gola al Kutastha. In questa situazione, la concentrazione sul Kutastha e la ripetizione di Om per diverse volte, può essere portata avanti e goduta al meglio. L'istruzione tradizionale è aumentare il numero delle ripetizioni di Om di una al giorno, fino ad un massimo di 200. Naturalmente, il forzare deve sempre essere evitato. Routine completa Una routine completa potrebbe essere: Talabya Kriya ► Om Japa ► Maha Mudra ► Pranayama [12-24] ► Navi Kriya► mental Pranayama ► Yoni Mudra. Yoni Mudra conclude questa routine quando tutto è praticato di notte. Se la seduta è praticata in un'altra occasione, la seduta di meditazione termina col Pranayama mentale e un'altra breve meditazione è aggiunta di notte, proprio prima di dormire e dopo aver calmato i pensieri e rilassato il corpo con alcuni respiri profondi. Si pratica solo lo Yoni Mudra. Poi uno rimane il più a lungo possibile concentrato nel Kutastha. Molti kriyaban riferiscono che è proprio in questo momento che la loro esperienza del suono interiore Omkar è la più bella, chiara, profonda. Ci sono molte varianti a questa routine. Il Navi Kriya prima del Pranayama è ottimo. Yoni Mudra e Maha Mudra possono essere praticati tra il Pranayama e il Pranayama mentale.

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APPENDICE: ULTERIORI INFORMAZIONI Posizione adatta alla meditazione Secondo Patanjali, la posizione dello Yogi [Asana] deve essere stabile e comoda. La maggior parte dei kriyaban si trova a proprio agio praticando il cosiddetto Mezzo-loto. Questa posizione è usata per la meditazione da tempo immemorabile perché fornisce una posizione seduta comoda, molto facile da ottenersi. Il segreto è di mantenere una spina dorsale eretta sedendo sul bordo di uno spesso cuscino in modo tale che le natiche siano leggermente sollevate. Sedete a gambe incrociate mentre le ginocchia stanno sul pavimento. Sollevate il piede sinistro e portatelo verso il corpo in modo che la suola del piede sinistro aderisca comodamente all'interno della coscia destra. Attirate il tallone del piede sinistro il più possibile verso l'inguine. La gamba destra è piegata al ginocchio ed il piede destro è posto sopra la piega della gamba sinistra. Il ginocchio destro è abbassato il più possibile verso il pavimento. La migliore posizione per le mani è con dita intrecciate come si può osservare nella famosa foto di Lahiri Mahasaya. Ciò crea un buon equilibrio di energie dalla mano destra alla sinistra e viceversa. Le spalle sono in posizione naturale, la testa, il collo, il torace e la spina dorsale si trovano in una linea diritta come se fossero una sola cosa. Quando le gambe sono stanche, scambiate i loro ruoli in modo di prolungare la durata della posizione. In certe situazioni delicate - mi riferisco a problemi di salute o a particolari condizioni fisiche - può essere provvidenziale praticare il mezzo loto su una sedia, purché non abbia braccioli e sia abbastanza grande. In questo modo, una gamba alla volta può essere abbassata e l'articolazione del ginocchio rilassata! Di difficoltà media è Siddhasana (Posa Perfetta): la pianta del piede sinistro è posta contro la coscia destra mentre il tallone preme sul Perineo. Il tallone destro è posto contro l'osso pubico. Questa posizione delle gambe, abbinata al Kechari Mudra, chiude il circuito pranico e rende il Pranayama facile e proficuo. Si spiega che questa posizione aiuta a divenire consapevoli dei movimenti del Prana. Nella difficile posizione Padmasana il piede destro è posto sulla coscia sinistra ed il piede sinistro sulla coscia destra con le piante dei piedi rivolte verso l’alto. Si spiega che, accompagnata dal Kechari e dal Shambhavi Mudra, questa posizione crea una condizione energica nel corpo adatta a produrre l'esperienza della luce interna che proviene da ciascun Chakra. Essa 125

aiuta a mantenere il torso eretto quando, con il raggiungimento del profondo Pratyahara, esso tende a piegarsi o a cadere. Sedere in Padmasana (posizione del loto) è incomodo per un principiante, le ginocchia e le caviglie danno un dolore intenso. Personalmente, non consiglio a nessuno di eseguire questa difficile posizione. Ci sono yogi che hanno dovuto farsi togliere la cartilagine dalle ginocchia dopo che per anni avevano imposto alle loro membra la posizione Padmasana. Maha Mudra Il Maha Mudra è una delle tecniche base del Kriya Yoga. È una posizione fisica unita ad un esercizio di respirazione da essere eseguito immediatamente prima di sedersi per la meditazione Kriya. (Alcuni sostengono l'utilità di praticare il Maha Mudra un'ulteriore volta dopo il Kriya per distribuire uniformemente l'energia in tutte le parti del corpo.) Il Prana localizzato nella colonna spinale è sollevato in testa, allora il corpo e la mente sono riempiti di euforia e vitalità. Ciò aiuta ad equilibrare le attività degli emisferi sinistro e destro del cervello e a rendere mente e corpo più stabili nella meditazione. Di solito si raccomanda che per ogni 12 Pranayama, sia eseguito un Maha Mudra. Purtroppo, avendo ascoltato vari kriyaban, posso affermare che è un miracolo trovarne uno che pratica le tre ripetizioni previste. Ci sono persone che s’illudono di praticare correttamente il Kriya senza mai praticare neanche un solo Maha Mudra! È chiaro che, privandosi permanentemente di esso e vivendo una vita sedentaria, la spina dorsale diviene meno elastica. Col passare degli anni le condizioni peggiorano e diviene quasi impossibile mantenere per più di alcuni minuti la posizione corretta di meditazione – ecco perché il Maha Mudra è così importante per un kriyaban. Om Japa Alcuni non comprendono la sottile differenza tra Om Japa e il Pranayama mentale. Praticare Om Japa, prima del Pranayama, serve a stimolare fortemente ciascun Chakra. Ci si ferma in ciascun Chakra per pochi istanti, giusto il tempo di farvi vibrare il Mantra. Nel Pranayama mentale uno assume un atteggiamento più passivo, predisposto più a percepire che a stimolare e, sopra tutto, si sofferma in ciascun Chakra molto più a lungo. Osservazioni sul Kechari Mudra Dopo mesi di pratica regolare del Talabya Kriya, un kriyaban può ritenere 126

che la situazione sia matura per tentare di raggiungere il Kechari Mudra. La verifica decisiva è controllare se la punta della lingua riesce a toccare l'ugola. Nel caso positivo, allora per alcuni minuti al giorno, la base della lingua è spinta verso l'interno usando le dita finché la punta della lingua va oltre l’ugola e tocca il palato duro sopra essa. Un giorno, rimuovendo le dita, la punta della lingua rimarrà come "intrappolata" in quella posizione. Ciò è possibile in quanto il palato molle (la parte da cui pende l'ugola) è elastico e la punta della lingua riesce ad entrare per un centimetro nella faringe nasale creando come un uncino il quale impedisce che essa scivoli fuori e ritorni nell'usuale posizione rilassata. Questo è il momento di svolta. Da allora in poi, sforzandosi ogni giorno di praticare almeno 6-12 Pranayama con la lingua in questa posizione - sebbene con qualche inconveniente come per esempio un aumento della salivazione, inghiottire e conseguente interruzione per ripristinare la posizione - il vero Kechari verrà raggiunto. Dopo circa due settimane di pratica in questo modo e con l'aiuto di un certo sforzo mentale e fisico, la lingua entrerà completamente nel cavo della faringe nasale nel palato superiore. Nella cavità ci sarà ancora spazio sufficiente per inspirare ed espirare attraverso il naso. Il senso d’irritazione e l’aumento della salivazione saranno superati e da allora la pratica del Pranayama col Kechari Mudra sarà facile e confortevole. Dopo alcuni mesi di pratica indefessa, uno può perfezionare ulteriormente questo Mudra. Avviene infatti che, a un certo momento, la lingua arriverà al punto di confluenza del passaggio nasale entro la cavità del palato. Il tessuto soffice sopra i fori nasali è descritto nella letteratura Kriya come un' "ugola sopra l'ugola". Col tempo, la punta della lingua toccherà questa piccola zona e ci rimarrà attaccata facilmente. Pranayama col Kechari Mudra Durante il Pranayama col Kechari Mudra, la espirazione ha un suono molto bello come di un flauto. È come un lieve fischio che nasce nella faringe nasale. Alcune scuole lo chiamano il Shakti Mantra. Lahiri Mahasaya lo descrisse come «simile a quando uno soffia aria attraverso il buco della serratura.» Dice che è come «un rasoio che taglia tutto ciò che è collegato con la mente». Esso ha il potere di eliminare ogni fattore esterno che disturba, pensieri inclusi e appare nel momento massimo del rilassamento. Uno può farsi una idea di come dovrebbe essere questo suono tenendo tra le labbra il bordo di un foglio di carta e soffiando gentilmente. Nota: il più piccolo tratto di ansietà o agitazione ha il risultato di far svanire immediatamente questo suono. Praticare il Pranayama in questo modo e gioire degli effetti che ne 127

conseguono, rappresenta una esperienza incantevole, straordinaria di meditazione. Esso rappresenta uno dei migliori momenti della vita di un kriyaban. La modestia è sempre la benvenuta, ma quando questo risultato è realizzato, un'euforia positiva (come se uno avesse trovato la lampada magica di Aladino) non può essere trattenuta. Nel letteratura Kriya c'è una frase che descrive che se uno ha realizzato un Pranayama perfetto, può ottenere tutto attraverso di esso. Bene, se vogliamo pensare ad un Pranayama ideale, senza difetti, il Pranayama con il Kechari Mudra e il suono del flauto corrisponde al nostro ideale. Navi Kriya La seguente variante del Navi Kriya è molto gradevole. Mentre tutti gli altri dettagli fino all'azione di piegare la testa in avanti rimangono immutati, il Mantra Om è cantato alternativamente tra il Kutastha e l’ombelico. (Om nel Kutastha, Om nell’ombelico, Om nel Kutastha, Om nell’ombelico…) Poi, Om è cantato alternativamente tra il Bindu e il terzo Chakra. Come di norma, 4 cicli di Navi Kriya costituiscono la dose ottimale. Nel capitolo II/3 un'altra, molto importante variante del Navi Kriya è introdotta. A mio avviso, un autentico Navi Kriya dovrebbe includere sia la concentrazione sull'ombelico che sul terzo Chakra: concentrarsi solo sul terzo Chakra non è compatibile con il Kriya di Lahiri Mahasaya. Dirò di più: esso è il risultato della mania di eliminare ogni concentrazione in zone esterne alla spina dorsale o alla testa. Molti praticanti non muovono la loro consapevolezza di un solo centimetro fuori dalla colonna spinale temendo che con ciò la pratica divenga meno "spirituale"! In realtà, la concentrazione sull'ombelico è estremamente importante. L'ombelico è la leva specifica per stimolare la corrente Samana che ha una funzione equilibratrice la quale aiuta a trasformare la natura del respiro. Questa concentrazione è la porta del cosiddetti "Kriya del respiro calmo". Questo chiarimento proviene da Lahiri Mahasaya ed è inutile cercarlo nei libri classici di Yoga come: Hatha Yoga Pradipika, Gheranda Samhita e Shiva Samhita. Ogni tentativo di giustificare il Navi Kriya facendo ricorso a Patanjali è goffo. Negli Yoga Sutra [in qualche edizione è il Sutra III/29 in altre III/30] è scritto: nābhicakre kāyavyūhajñānamḥ che è tradotto: «concentrandosi sull'ombelico, il ricercatore ottiene conoscenza sui diversi organi del corpo e sulla loro disposizione.» Di certo questo non ha nulla a che fare col Kriya Yoga!

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Pranayama mentale Non si deve mai dimenticare di dare la massima importanza alla fase distensiva e confortante del Pranayama mentale. Una routine di Kriya che non termina con il Pranayama mentale è come un complesso musicale che abbia accordato gli strumenti e poi abbandoni il palcoscenico! È la fase che porta tutti ad unificarsi in armonia; le increspature nel lago della mente si placano, la consapevolezza diviene trasparente, e la Realtà Ultima è rivelata. È una calma diffusa; la mente è placata ed in silenzio e guadagna l'energia necessaria per essere più acuta e vigile. È come una spirale, che gradualmente e sistematicamente si prende cura di tutti i livelli dell'essere: è un processo di guarigione. Il suo valore si manifesta durante i momenti difficili della vita quando dobbiamo prendere una importante decisione. Si ha l'impressione che nulla possa interferire e che anche le più grandi difficoltà si dissolvano. Entro la perfetta trasparenza di un ordine interiore, tutti i problemi sono risolti. Yoni Mudra Lahiri Mahasaya teneva lo Yoni Mudra in grande considerazione. Per mezzo di esso si sperimenta il raggiante aspetto di luce di Omkar che rivela il sentiero verso la dimensione spirituale. Il Kutastha - tra le sopracciglia - è il luogo dove l'anima individuale ebbe la sua origine e dove l'Ego deve essere dissolto. L'obiettivo fondamentale di questo Mudra è vedere e conoscere la luce che illumina il mondo creato. Si spiega che unendo la mente a questa luce, si realizza il Sè. Ci sono tre livelli nello Yoni Mudra. Il primo è raggiunto quando ci si fonde con la raggiante Jyoti (luce) tra le sopracciglia. Nel secondo livello, la mente si svuota del mondo esterno. Si sperimenta un punto straordinariamente scuro. La mente si calma e va sempre di più in profondità. L'ultimo livello è quando non c'è né luce né oscurità. Quello che prima sembrava scuro ora si trasforma in Calma Assoluta. Questa è l'ultima tappa dove un kriyaban sperimenta la quiete prenatale. Alcuni insegnanti credono che durante il giorno non si dovrebbe praticare lo Yoni Mudra. In realtà si può benissimo! Comunque, la tecnica è praticata al meglio nella calma profonda della notte, in un rilassamento perfetto e totale. Lo Yoni Mudra genera una tale concentrazione di energia nel Kutastha che cambia in meglio la qualità del sonno che segue. Dopo aver attraversato gli strati del subconscio, la coscienza potrà toccare il cosiddetto stato "supercosciente" 129

CAPITOLO II/02

KRIYA SUPERIORI

La fasi del sentiero Kriya che stiamo per trattare sono di importanza straordinaria: il soggetto non è difficile da comprendere, piuttosto la sua applicazione pratica richiede una estrema delicatezza. I Kriya superiori dovrebbero sempre cooperare a stabilire uno stato base di armonia e calma. Gli effetti positivi di pace, gioia interiore e il fatto di riuscire a calmare il respiro e ascoltare i suoni interiori (che sono una manifestazione della realtà Omkar) dovrebbero aumentare sempre. Nel caso opposto significa che uno non è ancora pronto a procedere a questo stadio della pratica o che non sta seguendo le istruzioni correttamente! È necessaria una certa maturità come anche estendere il proprio impegno spirituale all’intera giornata. È importante sottolineare quanto sia importante liberarsi dai propri atteggiamenti erronei e fare affidamento anche a semplici ma essenziali pratiche come il Japa. Tenere la mente sempre in sintonia con un stato di calma, la quale fiorisce (durante i momenti liberi dal lavoro) in un stato estatico di silenzio mentale, è il modo più sicuro per far tesoro di questi insegnamenti. La pratica dei Kriya superiori avviene sempre dopo il Navi Kriya e il Pranayama, all’interno di una routine come quella descritta nel capitolo precedente. L’unica eccezione a questa regola è quando il kriyaban è un esperto e riesce a creare in pochi istanti una buona condizione d’interiorizzazione e ad entrare in modo dolce nella dimensione dei Kriya superiori con un respiro che rimane calmo mentre il senso di beatitudine continua ad aumentare. Per quanto riguarda le dosi specifiche previste per i Kriya superiori (come ci sono state tramandate dalla tradizione), un kriyaban può deviare da esse, scegliere la quantità di ripetizioni che considera necessaria e ottenere comunque notevoli risultati. Il sentiero del Kriya è un cammino attraverso il quale acquistiamo sempre più libertà e quindi sarà sempre un'esperienza gioiosa: non deve essere vissuto come un’amara costrizione. Secondo Kriya Prima tecnica: Omkar Pranayama In questa tecnica sono potenzialmente contenuti tutti i Kriya superiori. Effettivamente, ogni ulteriore Kriya può essere considerato un'espansione di essa. È un vero gioiello, rappresenta la quintessenza della bellezza: con essa il tempo vola senza accorgersi e quello che potrebbe sembrare essere un compito spossante (108 o 144 ripetizioni per esempio) risulta essere facile 130

come un momento di riposo. All'inizio, essa potrebbe sembrare un po' complicata. Nel processo di perfezionare i diversi dettagli tecnici, la saggezza e buon senso sono richiesti. Ogni dettaglio dovrebbe essere introdotto gradualmente, così che esso non disturbi l'armonia del quadro generale. [1] Inspirazione ed espirazione sono divise in sei + sei parti. Le sillabe del Mantra Sanscrito "Om Namo Bhagavate Vasudevaya" sono cantate nei Chakra 32 facendo una breve pausa in ciascuno. Durante il primo "sorso" della inspirazione, la concentrazione è sul Muladhar, dove la sillaba Om è posta idealmente; durante il secondo "sorso", la concentrazione è sul secondo Chakra, dove la sillaba Na è posta idealmente... e così su, finché Ba è posta nel Bindu e l'inspirazione è completata. Similmente, l'espirazione è divisa in sei parti ben marcate come pulsazioni: durante la prima di queste parti, la sillaba Te è posta nel Midollo; durante il secondo, la sillaba Va è posta nel quinto Chakra.... e così via.... Su... De... Va, finché Ya è detto mentalmente nel Muladhar. Alla fine dell'inspirazione, il respiro è mantenuto per 2-3 secondi. La consapevolezza fa una completa rotazione in senso antiorario lungo la corona della testa, entro il cervello, cominciando dalla regione occipitale e là ritornando. La testa accompagna questo movimento interno con un quasi impercettibile movimento di rotazione (piegandosi leggermente indietro, poi a destra, davanti, a sinistra e in fine indietro). Durante una pausa di due secondi alla fine dell'espirazione, la consapevolezza fa un giro completo, antiorario entro il Muladhar. Il tempo di un respiro con le pause (o-o-o-o-o-o + iii-iii-iii-iii-iii-iii) dipende dall'individuo: di solito è circa 15-20 secondi, ma può essere più lungo. [2] Le mani con le dita intrecciate sono appoggiate sull'addome. Salendo col canto mentale di Om, Na, Mo... uno ha la sensazione di viaggiare nella spina dorsale. Alla fine della pausa in alto, si sente che il centro della sua consapevolezza è posto idealmente "dietro" la testa. Dopo aver pensato Te nel Midollo, si percepisce che le successive sillabe discendenti Va, Su, De, Va, Ya sono poste in ciascun Chakra come da "dietro." Detto con parole più semplici: la consapevolezza sale internamente alla colonna spinale e scende lungo la parte posteriore. [3] Durante l'inspirazione i muscoli alla base della colonna spinale sono contratti leggermente. Questa contrazione è mantenuta fino alla fine dell'inspirazione e durante la seguente breve pausa, poi è rilassata e l'espirazione comincia. 32

Di sicuro il lettore conosce la pronuncia corretta del Mantra, perciò non aggiungo alcun simbolo fonetico. Notiamo che nel Bindu non pensiamo Va ma Ba: questa convenzione si è stabilita attraverso gli anni. 131

I dettagli sopra menzionati sembrano complicati ma questo è solo un modo per mettere in moto il processo; poi l'esperienza si approfondisce da sola e tutte le complicazioni svaniscono. Da un certo momento in poi, tutti i dettagli fisici sono vissuti in un modo molto sottile: Il respiro produce solamente un lieve, debole suono nella gola (o nella faringe nasale se sta praticando con il Kechari Mudra) oppure anche fluisce senza alcun suono; la contrazione dei muscoli alla base della colonna spinale è gradualmente sostituita da una "pressione mentale"; il movimento della testa è solo accennato e poi sparisce quando viene a stabilirsi una perfetta immobilità; la rotazione antioraria della consapevolezza attorno alla corona della testa sembra abbassarsi all'interno e toccare anche il Midollo allungato, avvolgendosi attorno ad esso.

Seconda tecnica: Thokar Thokar significa aggiungere all’Omkar Pranayama dei particolari movimenti della testa. Con il mento abbassato sul petto, un kriyaban pone la sua mente nel Sushumna, inspira sollevando la consapevolezza lungo la colonna spinale, toccando il nucleo di ciascun Chakra con le sillabe del Mantra (la sillaba Om è posta nel primo Chakra, Na nel secondo, Mo nel terzo, Bha nel quarto...) - simultaneamente il mento è sollevato come a seguire il movimento interiore. Durante l’inspirazione, i muscoli alla base della colonna spinale sono contratti. Quando il mento è sollevato, parallelo al suolo, l’inspirazione finisce e la percezione si trova in Bindu. Il respiro è trattenuto, la contrazione dei muscoli è mantenuta. Descriviamo ora come viene fatta una completa rotazione antioraria della testa, seguita da un movimento brusco della testa per mezzo del quale il mento è portato verso il centro del petto. La testa comincia la sua rotazione muovendosi verso la spalla sinistra (l’orecchio sinistro viene avvicinato alla spalla sinistra, la faccia non si gira né a destra né a sinistra, inoltre il movimento non prevede alcun sobbalzo), Te è pensato nel Midollo allungato. La testa s’inchina leggermente indietro e, tracciando un arco, raggiunge la spalla destra (l’orecchio destro si avvicina alla spalla destra), la sillaba Va è pensata nel Chakra cervicale.

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Figura 5. Movimenti della testa nella forma base del Thokar

La rotazione prosegue, la testa viene in avanti e si muove verso sinistra ritornando al punto dove la rotazione era incominciata, quindi l’orecchio sinistro si avvicina alla spalla sinistra (la faccia è sempre rivolta in avanti). Da qui il mento va in giù diagonalmente a colpire il centro del torace mentre simultaneamente Su è pensato nel Chakra del cuore. Per mezzo di quest'ultimo movimento, si percepisce nel Chakra del cuore una specie di colpetto ben preciso. Col tempo, questo aiuterà a vedere il "vero" Bindu che è il punto o la stella entro il terzo occhio. La consapevolezza rimane ferma in tale zona per un secondo o più, tanto quanto basta per percepire un'"irradiazione" che parte da tale Chakra. La mente è quieta nello stato contemplativo. Con questo Kriya dei livelli profondi di percezione del suono interiore di Om si manifesteranno e assorbiranno la consapevolezza. La contrazione alla base della spina dorsale è rilassata; per mezzo di una espirazione molto sottile le rimanenti sillabe sono "poste" nei primi tre Chakra: De nel terzo, Va nel secondo, Ya nel primo Muladhar. Durante ciò la testa è di solito tenuta abbassata. La durata di questo processo è di circa 24 secondi. Per alcune settimane il kriyaban è guidato a ripetere questa tecnica 12 volte al giorno. Poi è istruito ad aumentare gradatamente le ripetizioni. Ciascuna settimana può aggiungere sei ripetizioni. La tradizione orale tramandata da insegnante a discepolo, è di aumentare il numero delle ripetizioni fino a 200 (esse possono essere divise in due o più sedute al giorno). Aumentando il numero delle ripetizioni, i movimenti della testa descritti precedentemente sono solo accennati: il mento non si avvicina molto al petto e il colpo sul quarto Chakra è raggiunto principalmente dal puro potere della concentrazione mentale. Un approccio 133

molto saggio è costituito dallo stabilirsi nella ripetizione quotidiana di 36 ripetizioni senza oltrepassare questo numero. Coloro che si imbarcano in questa avventura, dovrebbero eseguire i movimenti della testa in un modo molto delicato. Un esperto insegnante di Kriya controlla che il colpo fisico non sia forte. Non si dovrebbe permettere che il peso della propria testa spinga il mento verso il petto: in questa condizione, il movimento fisico è decisamente troppo potente e dannoso per la testa e per il collo. Quindi, uno sforzo fisico particolarmente attento è volto ad abbassare il mento, resistendo contemporaneamente alla forza di gravità, concludendo con un leggero sussulto che è percepito intensamente all’interno del quarto Chakra. La presenza di problemi fisici (le vertebre cervicali sono molto sensibili!) può richiedere che egli si fermi per alcuni giorni o che pratichi a giorni alterni. È molto meglio incrementare il numero delle ripetizioni solo dopo molto tempo, piuttosto che fronteggiare la prospettiva di sperimentare dolore in testa e nel collo durante l’intera giornata! Il fiorire dello stato di assenza di respiro dopo il Thokar Spero che richiamare una teoria che è spesso citata nella letteratura sul Kriya non disturbi; non sono sicuro che essa provenga da Lahiri Mahasaya stesso, nondimeno vale la pena almeno di citarla. Ricordiamo, anzitutto, che per Patanjali, Pratyahara è il ritiro dei sensi che avviene quando la consapevolezza è scollegata dalla realtà esterna; Dharana è concentrazione, focalizzare la mente su un oggetto scelto; Dhyana è contemplazione, la persistenza di un'azione di concentrazione come un costante, ininterrotto flusso di consapevolezza che esplora pienamente tutti gli aspetti dell'oggetto scelto; Samadhi è perfetto assorbimento spirituale, contemplazione più profonda nella quale l'oggetto della meditazione diviene inseparabile da colui che medita. Nel Kriya, dove chiacchiere inutili e le parole vuote sono sempre evitate, Pratyahara è identificato con lo stato dove il respiro è molto calmo e anche l'interiorizzazione della consapevolezza è molto marcata; Dharana è il suo esito in cui il respiro è quasi inesistente; Dhyana è associato con lo stato di assenza di respiro; Samadhi con il rallentamento del ritmo cardiaco mentre il corpo appare come morto. Ora, secondo una tradizione, la ripetizione di 12 Pranayama è sufficiente per arrivare allo stato di Pratyahara; la ripetizione di 144 Pranayama è sufficiente per arrivare allo stato di Dharana; la ripetizione di 1728 Pranayama (in una sola seduta!) è sufficiente per arrivare allo stato di Dhyana; la ripetizione di 134

20736 Pranayama (in una sola seduta!) è sufficiente per arrivare allo stato di Samadhi. Si spiega (una teoria davvero attraente - se non è del tutto vera, comunque è ben pensata!) che i Kriya superiori vengono insegnati proprio per evitare di star seduti per tale lungo tempo e raggiungere in meno tempo gli stati di Dhyana e Samadhi. Fermandoci al Secondo Kriya, si spiega che la forte concentrazione ottenuta con Omkar Pranayama e Thokar favorisce lo stato di Dhyana e quindi lo stato di assenza di respiro! Se, dopo aver praticato 12 Pranayama, 12 Omkar Pranayama e 12 Thokar, tale stato non si manifesta spontaneamente, allora un kriyaban, dopo aver fatto dei respiri profondi e cercato un rilassamento assoluto 33 usa il Pranayama mentale per ottenere tale stato. Pazienza e incessante attenzione sono due regole assolute, da rispettare per aver successo. Improvvisamente non sentirà affatto bisogno di respirare e tale stato durerà un tempo molto lungo, più lungo di quanto potrebbe essere accettato dalla scienza. Chi pratica incontrerà probabilmente quella che è la sorpresa più grande della sua vita. Da quel momento si dedicherà al Kriya con più grande intensità e cercherà di vivere con la coscienza sempre vigile e calma. Il Terzo Kriya che ora andiamo a trattare andrebbe praticato solo dopo aver ottenuto questo stato, anzi, dopo averlo goduto per lungo tempo. Terzo Kriya Un kriyaban inspira come nel Secondo Kriya. Trattenendo il respiro al termine dell’inspirazione, ripete diverse volte l’intero insieme dei movimenti della testa. Le sillabe Te, Va, Su, Te, Va, Su, Te, Va, Su... sono poste nei luoghi precedentemente descritti. (Te sempre nel Midollo allungato, Va sempre nel Chakra cervicale e Su sempre nel Chakra del cuore Anahat.) La tecnica si conclude esattamente come la precedente: espirando e ponendo le sillabe De, Va e Ya nei rispettivi Chakra. Per dare un'idea della velocità dei movimenti, l'intero processo, inspirazione ed espirazione incluse, con 12 ripetizioni della rotazione della testa (ciascuna rotazione si conclude con il movimento del mento verso il petto) può durare circa 70-80 secondi. 33

Talvolta è necessario riprendere alcuni respiri Pranayama per esempio 6 o 12 proprio per riguadagnare una profonda calma. È ovvio che solo in tale condizione uno può sperare di raggiungere lo stato di assenza di respiro. 135

Per quanto riguarda l'aumento del numero delle rotazioni della testa, ci sono due schemi che apparentemente sembrano inconciliabili. In realtà, col tempo, un kriyaban può passare da uno schema all'altro quando la stessa sua esperienza lo richiede. Primo schema La tecnica è ripetuta 12 volte: in ciascun respiro abbiamo 3 ripetizioni del movimento della testa (dopo l'inspirazione abbiamo i movimenti relativi a Te, Va, Su, Te, Va, Su, Te, Va, Su poi l'espirazione: questa è una ripetizione della tecnica). Nel corso del tempo, il numero delle rotazioni della testa entro un singolo respiro, è aumentato gradualmente fino ad arrivare a dodici rotazioni. Secondo schema La tecnica è eseguita una volta sola ma l’intero insieme di movimenti è gradualmente aumentato di uno al giorno - sempre trattenendo il respiro! La letteratura sul Kriya riferisce che qualche esperto kriyaban è capace di praticare 200 rotazioni (200 insiemi di movimenti della testa, ciascuno collegato col canto mentale di Te, Va, Su). Evidentemente 200 è il limite massimo, insuperabile! Punto chiave Cercare di fare un gran numero di rotazioni, ad alta velocità con l’ossessione di trattenere il respiro, significa solamente una violenza verso il corpo! Il modo giusto di praticare questo Terzo Kriya è una questione di realizzazione interiore - un istinto che viene col tempo. Aumentando il numero delle rotazioni, i movimenti sono solo accennati e il mento non arriva molto vicino al petto. Ma il dettaglio decisivo è che, continuando ad eseguire i movimenti, una minima quantità di aria è lasciata impercettibilmente uscire attraverso il naso in modo che trattenere il respiro risulti confortevole. Ne viene la sensazione che il respiro sia dissolto. Questa esperienza piacevole abbinata alla percezione di un aumento di energia nel quarto Chakra, portano il kriyaban ad uno stato di lieve euforia. Si ha la sensazione di poter andare avanti indefinitamente senza la necessità di respirare. Coloro che hanno studiato il fenomeno sono dell'idea che il descritto Kumbhaka non sia perfetto. Avanzano l'ipotesi che un'impercettibile espirazione avvenga ogniqualvolta il mento si abbassa sul petto ed un'impercettibile inspirazione si produca quando il mento è sollevato I kriyaban sottolineano il fatto che l'essenza della tecnica sta nel riempire la parte superiore del torace e della testa della più grande quantità possibile di 136

Prana - proprio come una brocca può essere riempita d’acqua fino all'orlo.

Nota Alcune scuole insegnano a fare diverse rotazioni della testa private del colpo sul petto cercando di sentire l'energia che si raccoglie nel Chakra del cuore. Solo dopo l’ultima rotazione, avviene il Thokar finale e l’energia è ivi ancor più intensificata. Quarto Kriya Il Gayatri Mantra è considerato essere il veicolo supremo per ottenere l’illuminazione spirituale. La sua forma più pura è Tat Savitur Varenyam Bhargho Devasya Dhimahi Dhiyo Yonaha Prachodayat. (Oh grande Luce Spirituale che hai creato l'Universo noi meditiamo sulla Tua gloria. Sei l'incarnazione della Conoscenza. Sei Colei che elimina l'Ignoranza. Possa Tu illuminare il nostro Intelletto e risvegliare la nostra Coscienza Intuitiva.) Questo Mantra è introdotto o da una breve o da una lunga invocazione. L’invocazione breve è: Om Bhur, Om Bhuvah, Om Swaha. I termini Bhur, Bhuvah, Swaha sono delle invocazioni per onorare i piani di esistenza (fisico, astrale e causale) e rivolgersi alle divinità che presiedono ad essi. La lunga invocazione è: Om Bhur, Om Bhuvah, Om Swaha, Om Mahah, Om Janah, Om Tapah, Om Satyam. Quest’invocazione è più completa in quanto riconosce che ci sono più livelli di esistenza: i sette Loka. Mahah è il mondo mentale, il piano dell’equilibrio spirituale; Janah è il mondo della pura conoscenza; Tapah è il mondo dell'intuizione; Satyam è il mondo della Verità Assoluta, Finale. Possiamo essere soddisfatti dalla spiegazione secondo la quale questi sono i sette suoni che attivano i nostri Chakra e li mettono in contatto con i sette grandi regni spirituali dell’esistenza. Nella tecnica del Quarto Kriya noi usiamo solamente l’invocazione completa, non tutte le componenti del Gayatri Mantra. La tradizione Kriya che stiamo qui seguendo associa al Manipur Om Mahah e all’Anahat Om Swaha. Il motivo di ciò è da ricercarsi nel fatto che il mondo del pensiero, evocato da Om Mahah s'addice più alla natura del terzo Chakra, mentre il mondo causale delle idee pure, evocato da Om Swaha è in relazione con Anahat Chakra. Per concludere noi associamo un Mantra a ciascun Chakra nel modo seguente: Muladhar - Om Bhur; Swadhistan - Om Bhuvah; Manipur - Om Mahah; Anahat - Om Swaha; Vishuddhi - Om Janah; Medulla - Om Tapah; Bindu - Om Satyam. (Per quanto riguarda la pronuncia dei Mantra sanscriti, ognuno può trovarla in rete.) Vediamo dunque di apprendere come, dopo aver sollevato il Prana nel Kutastha, dopo averlo fissato là, sia possibile sentire i «diversi ritmi dei Chakra».

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Procedura per principianti Dopo la pratica del Terzo Kriya, la coscienza è totalmente situata nella luce che è nata in Anahat Chakra e risplende anche nella regione tra le sopracciglia. Da lì, una parte dell’attenzione scende nel primo Chakra. Per mezzo di una breve inspirazione questo Chakra è sollevato idealmente nel Kutastha per essere qui visto come una "luna" brillante. Il sollevamento avviene in pochi istanti - non è come il lento sollevarsi dell'energia che abbiamo incontrato nella tecnica base del Pranayama. Una concentrazione di Prana è percepita nel Kutastha. Una minima quantità di aria è lasciata impercettibilmente uscire attraverso il naso, senza disturbare l'accentramento dell'energia. Con l'attenzione sia nel Kutastha che nella sede del primo Chakra, il Mantra Om Bhur viene vibrato mentalmente tre volte. Si ha la chiara sensazione che il respiro sia dissolto, perciò durante questo evento non c'è né inspirazione, né espirazione. Qualcosa come un gentile tocco - sia nel Kutastha che nella sede del Chakra è percepito con ciascuna ripetizione del Mantra. Cercando di percepire un ritmo interiore, uno può compiere una lieve oscillazione della testa (non più ampia di due-tre centimetri) da sinistra a destra e viceversa. Fatto questo, uno porta l'attenzione sul Chakra successivo dove la stessa procedura è ripetuta. Usando il Mantra Om Bhuvah, qualcosa avviene sia nel Kutastha che nella sede del secondo Chakra. La stessa procedura è ripetuta per ciascun Chakra. Per il terzo Chakra, Om Mahah è utilizzato; Om Swaha per Anahat; Om Janah per Vishuddhi; Om Tapah per Bindu. A questo punto si cambia l'ordine ma Om Tapah non è cantato di nuovo nel sesto Chakra (Bindu o Ajna); avviene questo: l'energia contenuta nel Midollo allungato è proiettata nella luce dorata dell'occhio spirituale e Om Satyam è ivi cantato, tre volte. Poi è la volta del Chakra cervicale (con Om Janah) di essere sollevato nel Kutastha, poi del quarto Chakra .... e infine del Muladhar con Om Bhur. Questo è un ciclo, se ne fanno 12. L'oscillazione della testa è eseguita facoltativamente durante uno o due cicli, poi il corpo si stabilisce nella perfetta immobilità.

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Quarto Kriya vero e proprio Questa pratica è per coloro che solo capaci di raggiungere lo stato senza respiro e viene scoperta spontaneamente dopo mesi di applicazione del metodo appena descritto. 34 Il miracolo di questa procedura è che in ciascun Chakra un paradiso viene rivelato al kriyaban! L'unico problema è trovare una posizione comoda del corpo che permetta di rimanere per molto tempo immobile e allo stesso tempo con la spina dorsale il più diritta possibile. Tramite una breve inspirazione il primo Chakra è sollevato nel Kutastha. L'elasticità della gabbia toracica è sciolta e ne consegue un'espirazione molto lieve. Tutta l'energia rimane nel Kutastha. Il Mantra Om Bhur è cantato mentalmente nel Kutastha e anche nell'ubicazione fisica del Muladhar Chakra. Lentamente, senza alcuna fretta, questo canto prosegue. Tutta l'abilità del kriyaban è di far apparire lo stato senza respiro. Un esperto sa come indurre questo stato, quale è il miglior atteggiamento mentale da assumere. Quando viene attivato quel particolare riflesso, una sensazione meravigliosa è sperimentata. È come se il sole della perfezione illuminasse la nostra consapevolezza. È un senso di immobilità e leggerezza, come se il corpo fosse fatto di aria. Questo è accompagnato da un'unica calma dei polmoni e del cuore. La propria consapevolezza è situata pienamente in quel Chakra che è percepito come una grande sfera luminosa. Circa trenta sei ripetizioni di quel Mantra sono eseguite. Ad un certo momento la consapevolezza percepisce che è venuto il tempo per spostarsi al prossimo Chakra, dove tutta la procedura è ripetuta, con inspirazione... scomparsa del respiro... e così via. C'è un unico "giro" (dodici pause molto lunghe nei Chakra: 1, 2, 3, 4, 5, Bindu, Medulla, 5, 4, 3, 2, 1). Note # Questa pratica non dovrebbe essere interrotta finché il giro è completato, altrimenti un kriyaban sarà disturbato ad un livello pranico e difficilmente recupererà lo stato senza respiro durante quella sessione. 34

La struttura della tecnica di questo Quarto Kriya è ben nota in India ed è considerata il più sottile tra i metodi per recitare il Gayatri Mantra. Con leggere varianti e ulteriori aggiunte rituali è pubblicata in alcuni libretti. Come fare i conti con la famosa affermazione (paralizzante per alcuni kriyaban, stimolante per altri) secondo cui il grande Sri Yukteswar avrebbe concesso l'iniziazione a questa tecnica a pochissimi discepoli, tanti da contarsi sulle dita di una mano? La differenza è che le istruzioni di Lahiri richiedono lo stato di assenza di respiro e questo, come ognuno può dedurre, è tutta un'altra cosa. 139

# Per quanto riguarda il Mantra, uno è libero di usarne uno qualsiasi. Om, om, om... nel primo Chakra; Na, na, na... nel secondo eccetera, è spesso usato. Alcuni non usano alcun Mantra e preferiscono semplicemente creare una sensazione di toccare mentalmente ogni Chakra varie volte tramite la pura e semplice volontà/intuizione. # Om Satyam può essere ripetuto nel Kutastha più di 36 volte: 108 - 200 volte. # Non c'è nessun motivo di essere contrariato se, essendosi "perso per strada", uno scopre di aver passato tutto il tempo in un Chakra, dimenticando di spostarsi nel prossimo. # Di solito, procedendo, si manifesta anche lo stato di assenza del polso, ma il kriyaban non ne è consapevole eccetto che in un modo indiretto: un aumento di gioia e rigidità in tutto il corpo. Non ci si agita per questo, altrimenti l'esperienza finisce. # Dopo un successo straordinario, ci sono periodi in cui l'esperienza non avviene, e sembra persino impossibile. Uno deve ritornare suoi propri passi e praticare questo Kriya nel modo sopra illustrato (per principianti).

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CAPITOLO II/03

DIVERSE SCUOLE DI KRIYA

Coloro che desiderano solo familiarizzarsi con i concetti elementari del Kriya dovrebbero tralasciare questo capitolo. Esso descrive le varianti delle tecniche Kriya. Nulla si può dire della loro origine. Il mio criterio è di condividere quelli che si sono dimostrati essere dei mezzi efficaci per approfondire la concentrazione nella spina dorsale e nei Chakra o tuffarsi nella realtà Omkar. È possibile che alcuni fra i discepoli di Lahiri Mahasaya abbiano insegnato le tecniche da lui ricevuti mescolati con aggiunte di tantrismo. Alcuni Kriya Acharya (insegnanti) ebbero un rapporto disinvolto con la verità e non chiarirono qual era la parte non alterata del loro insegnamento. Forse non lo rivelarono perché pensavano che le loro tecniche sarebbero state praticate con più grande cura se fossero state prese come Kriya originale. Dividerò le varianti seguenti in tre gruppi; in ciascuno dei quali verrà delineata una routine Kriya completa. Esse mostrano diversi approcci per raggiungere la stessa finale immersione nella realtà Omkar; qualunque sia la scuola Kriya scelta, se uno la segue onestamente, allora Omkar, la vibrazione dell'Intelligenza che sostiene l'universo, afferrerà la sua consapevolezza e la guiderà nelle profondità dell'esperienza mistica, senza alcun pericolo di perdersi. Nel primo gruppo [A] descriviamo a grandi linee l'insegnamento di una particolare scuola di Kriya che può essere definite moderata e cauta. 35 Il centro del suo interesse è come intensificare la sintonia con la dimensione Omkar nell’aspetto di vibrazione di suono, luce e sensazione di movimento. La sensazione oscillatoria non è il ben definito movimento Trivangamurari che è descritto nella sezione [C], ma una forma semplificata di esso. Nel secondo gruppo [B] descriveremo un insieme di tecniche che sono realmente intense. Esse contengono dettagli chiave che forzano l'energia entro la spina dorsale e nel Kutastha. Mentre nella scuola [A] il lavoro di concentrazione nella parte superiore della testa (Sahasrara) è considerato essenziale, in questa scuola, non è nemmeno menzionato. La teoria è che quando la consapevolezza entra nella stella dell'occhio spirituale, allora anche il Sahasrara è raggiunto. Nel terzo gruppo [C] prenderemo in considerazione un insegnamento che si discosta decisamente da tutte le altre scuole: esso è basato – questo è la loro affermazione non confermata - su un insegnamento che Lahiri Mahasaya avrebbe sviluppato nell'ultima parte della Sua vita. L’esperienza di Omkar come suono e luce interiori non sono ricercati intenzionalmente (e nemmeno menzionati da alcuni Acharya appartenenti a tale scuola), mentre la percezione del movimento interiore Trivangamurari prevale su tutti gli altri aspetti.

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Motivi di prudenza mi sconsigliano di indicare il nome del suo principale fautore – voglio evitare polemiche. 141

SEZIONE [A] Piegamenti in avanti ... Mantenendo la posizione del mezzo loto - o sedendo sui talloni - dopo aver ispirato come nel Pranayama, ci si flette in avanti; la testa si avvicina alla regione fra i ginocchi (vedi Figura 4).

Figura 4. Piegamento in avanti, partendo da seduto sui talloni oppure partendo dal mezzo-loto.

Le mani sono usate come più viene naturale; il respiro è trattenuto. La faccia è girata verso il ginocchio sinistro così che è possibile percepire una pressione sulla parte destra della testa; poi la faccia è rivolta verso il ginocchio destro: una pressione è percepita nella parte sinistra della testa. Poi la faccia è rivolta in basso così che è possibile percepire una pressione sulla fronte. Dopo aver completato i tre movimenti, si ritorna nella posizione di partenza con la schiena raddrizzata. Tramite una lunga espirazione, si guida l'energia in giù dal Kutastha al Muladhar. È bene ripetere quest’esercizio almeno tre volte. La tecnica può essere praticata molto più lentamente e senza trattenere il respiro. Dopo aver inspirato, ci si flette in avanti; la testa è posta nella regione fra i ginocchi. Il respiro viene lasciato libero ma l’energia è mantenuta in testa come se il respiro fosse trattenuto – questa abilità si sviluppa con la pratica. La testa è avvicinata al ginocchio destro, la faccia è girata verso sinistra. Qui ci si ferma alcuni secondi (10-30) tentando di percepire non solo una pressione nella parte destra della testa (il che è facile) ma anche un senso di movimento, di oscillazione al suo interno. Poi la testa è condotta vicina al ginocchio sinistro, in posizione simmetrica: la stessa percezione avviene nella parte sinistra della testa. Poi la testa è posta tra i ginocchi: quelle stesse sensazioni sono percepite nella parte frontale della testa. Dopo aver completato i tre movimenti detti, si ritorna nella posizione di partenza con la schiena raddrizzata. Poi, per completare un ciclo di questo esercizio, si guida l'energia in giù dalla testa al Muladhar tramite una lunga espirazione. Ripetendo alcune volte questa posizione, le due parti del cervello vengono, dal punto di vista energetico, equilibrate: ciò crea equilibrio tra le correnti di Ida e di Pingala, il cui stato di disequilibrio costituisce la ragione principale del blocco esistente alla base della spina dorsale. 142

Maha Mudra ... Per quanto riguarda il Maha Mudra vero e proprio, riferiamoci alle istruzioni di base viste nel capitolo precedente. Quando la gamba destra è distesa, la mano destra afferra le dita del piede destro e la mano sinistra afferra il lato interno del piede destro mentre la faccia si gira verso sinistra. Si trattiene il respiro sentendo la "pressione interna" nella parte destra della testa. Si cerca poi la stessa percezione nella posizione simmetrica. Quando entrambe le gambe sono distese, si tenta di sentire la pressione nella parte frontale della testa. Anche questa tecnica può essere praticata molto più lentamente senza trattenere il respiro. Navi Kriya ... La consapevolezza del kriyaban sale lungo la spina dorsale ponendo mentalmente la sillaba Om (ooong) nei sei Chakra. Il mento è avvicinato alla cavità della gola. Una breve inspirazione è seguita da un lunga espirazione, durante la quale si sente che l’energia scende, lungo un sentiero che si trova fuori dal corpo, dalla parte frontale del cervello verso l’ombelico e, attraversandolo orizzontalmente, si muove verso l’interno della regione addominale. 36 Durante questa espirazione, Om è cantato mentalmente, rapidamente, da 10 a 15 volte, accompagnando la discesa dell’energia lungo il percorso, come applicando tante "piccole spinte". La testa ritorna nella sua posizione normale ed è seguita da una breve inspirazione (due secondi al massimo senza concentrarsi su alcun Chakra) che solleva l’energia in testa. La testa si piega sulla spalla sinistra, senza girare la faccia. Una lunga espirazione (assieme al canto di Om, Om, Om…) accompagna il movimento verso il basso dell’energia che parte dalla parte sinistra del cervello e si muove lungo la parte sinistra del corpo (passando oltre oppure attraversando spalla e braccio) fino alla cintura dove si piega e si muove orizzontalmente verso l’interno della regione addominale. La testa ritorna nella sua posizione normale; ancora c'è una breve inspirazione (due secondi al massimo senza concentrarsi su alcun Chakra) per sollevare l’energia in testa. La testa ora si piega indietro. Una lunga espirazione (assieme al canto di Om, Om, Om…) accompagna il movimento verso il basso dell’energia che parte 36

È quella parte del corpo dove la Alchimia Interiore colloca il Dan Tien. Per circoscrivere la sua posizione ci si deve concentrare sull'ombelico, venire approssimativamente quattro centimetri indietro verso la spina dorsale e poi sotto per la stessa estensione: può essere visualizzato come una sfera di circa otto centimetri di diametro. 143

dalla zona occipitale e si muove (esternamente al corpo) giù verso la cintura dove si piega, passa attraverso il terzo Chakra Manipura e si muove verso l’interno della regione addominale. La procedura è ripetuta allo stesso modo a destra, poi avanti, poi a sinistra, ecc. La seduta base di questa particolare forma di Navi Kriya è costituita da 36 discese (quindi 36/4 = 9 rotazioni della testa). Essa si chiude con Om Japa dall'Ajna Chakra al Muladhar. (Il tutto dura da 8 a 10 minuti e sostituisce le 4 ripetizioni della forma base del Navi Kriya.) È del tutto normale che, procedendo con le rotazioni, i movimenti della testa siano meno marcati. Si possono anche avere risultati incoraggianti arrivando gradualmente l'immobilità e completando il numero prescritto da un puro e semplice processo mentale. Procedura preliminare al Pranayama ... Con la lingua rivolta indietro, con la sua punta che tocca il centro del palato, la concentrazione è portata nel centro del cervello. Un kriyaban percepisce una linea ideale che collega le due tempie e un’altra che viene indietro dal Kutastha alla regione occipitale. Oscillando la testa lateralmente (molto dolcemente di pochi millimetri!) e poi avanti e indietro riesce a sentire con facilità il punto d’intersezione tra le due linee. Tale punto è la sede di Ajna Chakra ed è il luogo migliore per concentrarsi onde percepire il sottile aspetto di movimento (oscillazione) di Omkar. La spina dorsale è paragonata ad un pozzo. La consapevolezza (come una secchia si muove in esso) sale e scende attraversando i Chakra. Restando sempre con il centro dell'attenzione in Ajna, una parte di essa è posta nel Muladhar. In esso la sillaba Om viene fatta vibrare tre volte, cercando di sentirvi una sensazione di oscillazione. Questo avviene per tutti gli altri Chakra fino al cervicale, poi Ajna, poi di nuovo cervicale ... giù fino al Muladhar. La procedura è ripetuta da tre a sei volte. È importante percepire la sensazione di oscillazione, almeno per un istante, in ciascun Chakra: quindi la fretta non ha nessun senso. Per il momento la concentrazione nel Sahasrara non interviene. Pranayama ... Con la lingua rivolta indietro o in Kechari Mudra, la spina dorsale è visualizzata come una colonna luminosa che si estende dal Muladhar alla Fontanella. Con l'aiuto di un respiro profondo e lento, senza alcun particolare suono nella gola, si cerca di percepire una sensazione di oscillazione che sale attraverso ciascun Chakra. Differentemente da altre scuole, ci si concentra anche su quanto avviene in ciascun Chakra. Si suggerisce di visualizzare un pendolo 144

che ha il perno in Ajna e si estende al Muladhar - l' oscillazione percepita nel Muladhar ha la sua origine in Ajna. Inspirando (il più lentamente possibile) la coscienza si sposta dal primo al secondo Chakra. Qui, per un istante, si ha la stessa sensazione di oscillazione come se la lunghezza del pendolo cambiasse di conseguenza, mantenendo il perno sempre in Ajna. Poi si muove al terzo Chakra, poi al quarto... Salendo e scendendo in questo modo lungo la spina dorsale, il respiro diviene sempre più sottile, impercettibile. La pratica converge vero una piena rivelazione della Realtà Omkar. Si ascolta il suono interiore mentre la zona della Fontanella è illuminata di una luce crepuscolare. Se un kriyaban ha tempo di praticare più di 12-24 respiri si accorgerà che Ajna e Fontanella diventano un'unica realtà. In altre parole, da un certo punto in poi, il centro della consapevolezza si sposta nel Sahasrara e lì rimane fino alla fine della routine. Tale concentrazione, mantenuta anche dopo che il respiro si è calmato del tutto, quando non esistono più i Chakra, ma vi è solo una soave luce nella coscienza, viene detta (in questa scuola) Paravastha. Secondo Kriya ... In questa scuola, la tecnica del Secondo Kriya è quella dell'Omkar Pranayama arricchito da una semplice forma di Thokar. Inspirazione ed espirazione sono divise in sei + sei parti. Le sillabe del Mantra Sanscrito "Om Namo Bhagavate Vasudevaya" sono cantate nei Chakra facendo una breve pausa in ciascuno. La sillaba Om è fatta vibrare nel Muladhar, la sillaba Na nel secondo Chakra ... e così su, finché Ba è vibrata in Ajna e l'inspirazione è completata. Le sensazioni sono le stesse provate durante la precedente forma di Pranayama: si cerca di percepire una sensazione di oscillazione che sale attraverso ciascun Chakra. Poi il respiro è trattenuto, il mento si piega in avanti, abbassandosi verso la cavità della gola: la luce divina fluisce in giù da sopra la testa (sede della Eterna Tranquillità); una certa pressione interiore tocca la parte frontale del Chakra del cuore. La testa ritorna nella sua posizione normale e poi si piega leggermente verso la spalla sinistra, senza volgere la faccia. Avviene di nuovo la stessa esperienza: è come se il movimento della testa fosse come il movimento del coperchio di una pentola che spostandosi permette alla pentola di essere riempita da un flusso di energia. La luce divina fluisce in giù da sopra la testa, una certa pressione interiore è sentita nella parte sinistra del Chakra del cuore. La testa ritorna nella sua posizione normale e si piega indietro: riaccade la stessa esperienza e la pressione è sentita nella parte dietro del Chakra del cuore. La testa ritorna nella sua posizione normale e si piega leggermente verso la spalla destra, senza volgere la faccia: la pressione è 145

percepita nella parte destra del Chakra del cuore. La testa ritorna nella sua posizione normale, poi il mento si piega in avanti, abbassandosi verso la cavità della gola... la pressione è percepita nella parte frontale del Chakra del cuore. Poi la testa ritorna nella sua posizione normale. Poi la espirazione (percependo la sensazione di oscillazione in ciascun Chakra) guida la consapevolezza attraverso i Chakra nel Muladhar. La sillaba Te è posta nel Midollo, Va nel quinto Chakra.... e così via.... Su... De... Va, finché Ya è cantato mentalmente nel Muladhar. Il tempo impiegato dipende dalla persona; di solito è di 20-25 secondi, ma può essere maggiore. La procedura è ripetuta per lo meno 12 volte. Terzo Kriya ... Il lettore ricorderà come, nel capitolo precedente, descrivendo la forma base del Thokar, siamo passati dalla tecnica del Secondo Kriya a quella del Terzo, introducendo la variante di ripetere i movimenti della testa durante un unico respiro. La stessa cosa avviene qui. L'incremento del numero delle rotazioni avviene secondo analoghi schemi. Valgono le stesse considerazioni sul fatto di trattenere il respiro. Un kriyaban inspira come nel precedente Secondo Kriya. Poi il respiro è parzialmente trattenuto: una minima quantità di aria è lasciata impercettibilmente uscire attraverso il naso in modo che trattenere il respiro risulti confortevole. Ne viene la sensazione che il respiro sia dissolto. I movimenti della testa sono quelli descritti nella tecnica precedente, solo che sono un po' più rapidi e non ci si ferma dopo il primo giro, ma si prosegue. Durante ciascun piegamento della testa si sente una pressione sul Chakra del cuore, davanti a questo, proveniente dalla sinistra, da dietro... Ci sono differenti rotazioni della testa: 3 rotazioni è un buon numero per incominciare. Poi la espirazione come nel Secondo Kriya guida la consapevolezza attraverso i Chakra nel Muladhar. La tecnica è ripetuta 12 volte: in ciascun respiro abbiamo 3 ripetizioni del movimento della testa (giro completo). Nel corso del tempo, il numero delle rotazioni della testa entro un singolo respiro, è aumentato di una rotazione, poi di due ... fino ad arrivare a dodici. Uno può anche ricevere istruzione di praticare la tecnica una volta sola ma aumentare gradatamente il numero dei movimenti di rotazione fino a 200 – sempre trattenendo il respiro! L'istruzione standard è di cominciare con 12 rotazioni e aumentando di una al giorno. Il respiro sembra scomparire e una persona ha la sensazione di poter continuare indefinitamente con le rotazioni. 37 37

Siccome le vertebre cervicali sono qualcosa di molto delicato, siccome non si può stressarle imprudentemente, i movimenti della testa sono solo accennati ma i colpetti interiori sul quarto Chakra sono sempre distintamente percepiti. È importante rileggere 146

Avviene qualcosa di stupefacente che estasia il kriyaban: una gioia mai provata prima e un grande senso di libertà. A un certo punto uno si trova in uno stato di estasi e sente che quello è il momento giusto per cessare i movimenti e godere quello che avviene nello stato immobile. Quarto Kriya ... Dopo la pratica del Secondo o del Terzo Kriya, si percepisce una particolare sensazione di immobilità fisica, così forte che la spina dorsale sembra una barra d'acciaio. In questa situazione ci si concentra solo sulla luce interiore e sulla tranquillità. Questo è lo stato di Dhyana. Avendo tempo a disposizione, questo stato può essere radicalmente approfondito adottato una o entrambe le procedure seguenti. [a] Parte dell'attenzione è posta nel Chakra Muladhar. Grazie a una breve inspirazione, questo Chakra è sollevato idealmente nel centro della testa: Ajna Chakra. Una concentrazione di Prana è ivi percepita. Una minima quantità di aria è lasciata impercettibilmente uscire attraverso il naso, senza disturbare l'accentramento dell'energia. Con l'attenzione sia in Ajna che nella sede del primo Chakra, i movimenti della tecnica del Secondo Kriya sono eseguiti in modo più delicato. Essi sono solo accennati: la procedura è quasi totalmente interiorizzata. C'è solo un lieve movimento della testa in avanti, a sinistra, dietro... e corrispondentemente si sente un tocco di pressione interiore sulla parte frontale del Chakra Muladhar... poi sulla parte sinistra... poi dietro ... poi sulla parte destra e di nuovo sulla parte frontale. Si ha la chiara sensazione che il respiro sia dissolto, perciò durante questo evento non c'è né inspirazione, né espirazione. La stessa procedura è ripetuta per ciascun Chakra! .... secondo, terzo, quarto e quinto. Poi, grazie ad una breve inspirazione, la concentrazione è aumentata in Ajna Chakra. Il respiro è trattenuto, gli stessi movimenti sono compiuti con lo scopo unico di aumentare la concentrazione in questo Chakra. Poi la procedura è ripetuta per il quinto, quarto, terzo, secondo e primo Chakra. L'intero processo può essere ripetuto 6-12 volte.

quanto abbiamo scritto nel capitolo precedente relativamente al problema di trattenere il respiro durante la procedura del Terzo Kriya. 147

[b] Parte dell'attenzione è posta sul Chakra Muladhar. Grazie a una breve inspirazione, questo Chakra è sollevato idealmente nella corona della testa, sopra la zona occipitale, a destra (nella parte "1" della figura 6).

Figura 6. Corona della testa vista dall'alto

Le sillabe del Mantra Sanscrito "Om Namo Bhagavate Vasudevaya" sono utilizzate in questa procedura. Come abbiamo già visto nell'esercizio precedente si dimentica il respiro e si ripete mentalmente la prima sillaba: Om, Om, Om, Om ... (tante volte: il numero ideale è 36) concentrandosi in entrambi i posti – corona della testa e sede fisica del Chakra – contemporaneamente. Mentre la consapevolezza si intensifica sia in alto che in basso, la sensazione di immobilità va mantenuta ad ogni costo. Dopo circa 10-40 secondi, ci si concentra sul secondo Chakra: come il precedente, questo è sollevato in una parte adiacente della corona della testa. L'ellisse della corona, visto dall'alto, può essere idealmente diviso in 12 parti. Incominciando sopra la zona occipitale e muovendosi in senso antiorario lungo la corona, le prime sei parti sono sul lato destro della corona, le rimanenti sei parti sono sul lato sinistro fino a ritornare al punto di partenza. Analogamente a prima, si ripete mentalmente la sillaba relativa Na, Na, Na, Na ... e si approfondisce la esperienza di immobilità. È chiaro come la stessa procedura è ripetuta per gli altri Chakra (3, 4, 5, Ajna, di nuovo Ajna, 5, 4, 3, 2 e 1) ciascuno posto in relazione con una diversa parte della corona della testa (vedi figura 6). Dopo uno o due o tre cicli (un ciclo è la concentrazione sulle dodici stazioni) una beatitudine improvvisa si manifesta e uno non riesce a cantare più nulla. La procedura prosegue nel regno della pura consapevolezza fino all'assorbimento estatico. 148

SEZIONE B Maha Mudra & Navi Kriya [vedi capitolo II/1] Pranayama ... La procedura del Pranayama - senza e poi con il canto di Om nei Chakra - è intensificata nel modo seguente. Al termine della inspirazione, trattenendo il respiro, viene fatta una forte azione di spinta per attrarre l'energia dalla regione addominale e immetterla nel Kutastha. Vediamo di descrivere come questo avviene. Mentre si trattiene il respiro, la consapevolezza presente nella zona occipitale "ruota" a sinistra, scende un po' ed entra nel Midollo allungato, le sopracciglia sono sollevate, uno è consapevole di una luce interiore entro e sopra tale Midollo allungato. A questo punto si pratica un forte Mula Bandha dando una spinta all’energia presente nel corpo iniettandola nel Kutastha. Una particolare sensazione, come un brivido estatico segue. La tensione è poi liberata, la espirazione comincia e l'energia scende al Muladhar. Respiro dopo respiro, il potere creato nel Kutastha accenderà la grande luce dorata dell'occhio spirituale. Il Kechari Mudra – se uno riesce a praticarlo - aiuta il processo: durante la spinta del Mula Bandha la lingua è spinta in avanti e verso l'alto. Secondo Kriya ... La procedura è divisa in due parti. Prima parte col respiro lungo L'inspirazione avviene come nell'Omkar Pranayama (il respiro è diviso in sei parti) ma il processo è intensificato dall'aiuto del movimento della testa che avviene nel modo seguente: Cominciando col mento sul torace, un kriyaban inspira e simultaneamente solleva la sua consapevolezza lungo la colonna spinale; il mento si solleva lentamente come per seguire millimetro dopo millimetro il movimento interno della consapevolezza. Il movimento è caricato della massima possibile intensità mentale: come spremere con una matita un tubetto quasi vuoto di dentifricio per fargli uscire tutto quello che rimane. Si toccano i Chakra con le sillabe (Om è posto mentalmente nel primo Chakra, Na nel secondo, Mo nel terzo, Bha nel quarto, Ga nel quinto e Ba nel Bindu). Durante l'inspirazione, i muscoli alla base della colonna spinale rimangono contratti e le mani (con dita intrecciate) sono poste sopra l'area dell'ombelico come per spingere la regione addominale verso l'alto, creando così una 149

pressione mentale sui primi tre Chakra. Il respiro produce solamente un lieve, debole suono nella gola o avviene senza suono. Quando il mento è su, orizzontale, l'inspirazione finisce e la percezione è ora al Bindu. Il respiro è trattenuto, la contrazione dei muscoli è mantenuta. Senza girare la faccia, la testa si muove verso la spalla sinistra, poi ritorna alla posizione iniziale sollevando in contemporanea il mento tanto quanto possibile; ne consegue una contrazione dei muscoli dietro il collo. (È come la normale rotazione della testa in Omkar Pranayama ma solo metà e con l'aggiunta del movimento verso l'alto del mento. La posizione finale è quella della seconda parte del Navi Kriya, con la testa indietro.) Durante questo movimento, l'energia in Bindu discende a sinistra, curvando ed entrando nel Midollo allungato. Il kriyaban pratica allora intensivamente il Mula Bandha iniettando la sua coscienza come una freccia nel Kutastha insieme alla sillaba Teeee. (È lo stesso processo, intensificato, che abbiamo incontrato nella forma particolare di Pranayama insegnato da questa scuola, solo che ora avviene col mento in alto.) Dalla posizione col mento in su, la faccia si volge a destra e poi a sinistra (in questo caso l'orecchio non si avvicina alla spalla: semplicemente uno gira la testa); durante questo movimento il quinto Chakra cervicale è percepito e la sillaba Va è vibrata mentalmente in esso. Dalla posizione a sinistra, il mento colpisce poi il centro del torace (la testa si trova ora nella stessa posizione di tutte le altre forme di Thokar) e la sillaba Su è vibrata nel Chakra del cuore. I muscoli alla base della colonna spinale sono rilassati ed, espirando, le sillabe rimanenti De, Va e Ya sono poste rispettivamente nel terzo, secondo e primo Chakra. Il kriyaban è guidato a ripetere questa tecnica 6-12 volte. (Come sempre col Thokar, dovrebbe essere sottolineato che in presenza di problemi fisici, è importante eseguire con attenzione solo movimenti delicati.) Seconda parte: col respiro calmo. La pratica si approfondisce dimenticando il respiro e rallentando l'intero processo: il risultato è di gran lunga, più potente. Cominciando col mento sul petto, un kriyaban muove la sua consapevolezza molto, molto lentamente lungo la colonna spinale verso l'alto, sollevando simultaneamente il mento come se accompagnasse e spingesse allo stesso tempo l'energia in su. L'energia è visualizzata come una sostanza nel sottile canale sottile del Sushumna, idealmente spremuta verso l'alto (molto molto lentamente) per mezzo di questo movimento del mento. Si ha la sensazione di viaggiare entro la spina dorsale e proprio di toccare direttamente ciascun Chakra. Il sollevamento dell'energia in testa non deve durare meno di 30 secondi! Il Kechari Mudra dovrebbe essere adottato per ottenere la massima 150

intensità mentale. Come al solito, i Chakra sono toccati dalle sillabe del Mantra. Quando il mento è orizzontale, la percezione è al Bindu. I movimenti seguenti sono come quelli descritti prima, solo un poco più lenti, ma tutto avviene nello stato di Kevala Kumbhaka, vale a dire con il respiro completamente immobile (respirare ora vorrebbe dire distruggere la bellezza del processo). Quello che è importante è non avere fretta, essere totalmente rilassati e lasciare che l'esperienza si intensifichi naturalmente. A questo aggiungiamo un dettaglio: nel momento in cui Su è vibrata nel Chakra del cuore, c'è una breve pausa: il respiro non si muove nelle narici e la mente è rapita nella radiazione di energia sentita nel Chakra del cuore. Il mento sale un poco e il respiro è di nuovo libero ma ignorato. Per concludere un giro, abbassando molto, molto lentamente il mento, la consapevolezza tocca profondamente il terzo, il secondo e il primo Chakra. Una micro pausa è fatta in ciascuno di questi Chakra nel momento in cui la sillaba è posta. Sottolineiamo di nuovo quanto è importante non avere fretta, essere rilassati e lasciare che l'esperienza si intensifichi. Per alcune settimane, il kriyaban è guidato a ripetere questa tecnica 12 volte, poi è guidato ad aumentare gradualmente le ripetizioni per un totale (prima parte+seconda parte) di 200 volte. Terzo Kriya ... La tecnica è la stessa come l'appena spiegato Secondo Kriya. Non appena l'energia è in testa, trattenendo il respiro, si ruota la testa in senso antiorario dodici volte (il tempo è normalmente meno di tre secondi per rotazione). Durante questa rotazione la consapevolezza si intensifica nel Kutastha e nella luce percepita nella parte superiore della testa. Poi tutto avviene come nel precedente Secondo Kriya. L'incremento del numero delle rotazioni della testa avviene secondo gli schemi delineati nelle precedenti descrizioni della procedura del Terzo Kriya. Secondo il primo, la tecnica è ripetuta 12 volte: in ciascun respiro abbiamo varie rotazioni della testa. Non è difficile farne dodici. Col secondo schema, la tecnica è eseguita una volta sola ma si aumentano gradatamente il numero dei movimenti di rotazione fino a 200 – sempre trattenendo il respiro! Il respiro sembra scomparire e una persona ha la sensazione di poter continuare indefinitamente con le rotazioni. È importante tenere a mente quanto abbiamo scritto nel capitolo precedente relativamente al problema di trattenere il respiro durante la procedura del Terzo Kriya.

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Quarto Kriya ... La procedura è divisa in due parti. Prima parte: Thokar su tutti i Chakra e salita del Prana L'inspirazione avviene come nell'Omkar Pranayama (il respiro è diviso in sei parti): cominciando col mento sul torace, un kriyaban inspira e simultaneamente solleva la sua consapevolezza lungo la colonna spinale; il mento si solleva lentamente come per seguire millimetro dopo millimetro il movimento interno della consapevolezza.

Figura 7. Thokar esteso ai Chakra sottostanti

Si toccano i Chakra con le sillabe (Om è posto mentalmente nel primo Chakra, Na nel secondo, Mo nel terzo, Bha nel quarto, Ga nel quinto e Ba nel Bindu). Durante l'inspirazione, i muscoli alla base della colonna spinale rimangono contratti e le mani (con dita intrecciate) sono poste sopra l'area dell'ombelico come per spingere la regione addominale verso l'alto, creando così una pressione mentale sui primi tre Chakra. Il respiro produce solamente un lieve, debole suono nella gola o avviene senza suono. Quando il mento è su, orizzontale, l'inspirazione finisce e la percezione è ora al Bindu. Il respiro è trattenuto, la contrazione dei muscoli è mantenuta. Senza 152

girare la faccia, la testa si muove verso la spalla sinistra, poi ritorna alla posizione iniziale sollevando in contemporanea il mento tanto quanto possibile; ne consegue una contrazione dei muscoli dietro il collo. Durante questo movimento, l'energia in Bindu discende a sinistra, curvando ed entrando nel Midollo allungato. Il kriyaban pratica allora intensivamente il Mula Bandha iniettando la sua coscienza come una freccia nel Kutastha insieme alla sillaba Teeee. Dalla posizione col mento in su, la faccia si volge a destra e poi a sinistra (in questo caso l'orecchio non si avvicina alla spalla: semplicemente uno gira la testa); durante questo movimento il quinto Chakra cervicale è percepito e la sillaba Va è vibrata mentalmente in esso. Dalla posizione a sinistra, il mento colpisce poi il centro del torace e la sillaba Su è vibrata nel Chakra del cuore. Dopo che la sillaba Su è vibrata nel Chakra del cuore, trattenendo il respiro, un altro simile movimento diagonale del mento sul petto è ripetuto e l'energia è diretta mentalmente verso il terzo Chakra, dove la sillaba De è vibrata; un altro simile movimento dirige l'energia verso il secondo Chakra dove la sillaba Va è vibrata; finalmente con un ultimo colpo l'energia è diretta verso il Chakra Muladhar dove la sillaba Ya è vibrata.38 Un'espirazione molto lunga accompagna il movimento dell'energia la quale, come un liquido luminoso, sale su per la spina dorsale fino al Kutastha attraverso esso fuori dal corpo. Durante questa azione, il mento si solleva come a seguire il sollevarsi del Prana. Questa procedura (Thokar sui primi quattro Chakra e sollevamento dell'energia) può essere ripetuta da sei a dodici volte. Talvolta una ripetizione è più che sufficiente. Solo un esperto Acharya può guidare un kriyaban ad aumentare le ripetizioni di questo Kriya. I suoi effetti sono molto difficili da essere assimilati! Seconda parte: concentrazione sui Chakra Il respiro è lasciato fluire liberamente. Un kriyaban concentra la sua attenzione a percepire il potere che si diffonde dal Muladhar Chakra nella spina dorsale e nell'intero corpo. Egli osserva il sollevarsi dell'energia che continua ad avvenire anche se più lentamente. Talvolta è percepita come onde di una marea che si muovono sempre più in su, raggiungendo un Chakra, poi di nuovo tornando indietro e muovendosi dalla base della spina dorsale ad un 38

Alcuni insegnanti di Kriya insegnano a questo punto a sollevare il corpo solo di alcuni millimetri con l'aiuto delle mani e po far sì che le natiche tocchino con un lieve sussulto il pavimento. Questa azione è detta Maha Veda Mudra: Veda significa perforazione, ovviamente del nodo del Muladhar. Se la tecnica è praticata correttamente, ne consegue un brivido estatico. 153

centro più in alto... Chi pratica cerca di sentirla in ciascun Chakra (secondo l'ordine usuale: 1,2,3,4,5, Ajna/Midollo Allungato, Kutastha, 5,4,3,2,1) fermandosi in ciascuno di essi per almeno una dozzina di secondi. Mentre una parte della sua concentrazione rimane sempre nel Kutastha, ciò è ripetuto 12 volte. SEZIONE [C] Ci sono numerosi kriyabans che, con motivazioni diverse, affermano che le seguenti procedure non provengono da Lahiri Mahasaya. Osservano che l'unica frase che può essere attribuita ragionevolmente a lui è: «Per rendere questo corpo Trivangamurari "ovvero affinché esso abbia tre curve", si devono attraversare tre centri, il Muladhar, l'Anahat e il centro di Vishnu alla radice della lingua.» Evidentemente questo non basta per giustificare l'esistenza di una serie di tecniche che si basano sul percepire nel proprio corpo quella forma particolare. Mi è stato detto che alcuni kriyaban ricevettero l'iniziazione da questa scuola ma presto trascurarono le tecniche del Trivangamurari prestando attenzione a quelli che affermavano che quelle tecniche portano la consapevolezza e l'energia fuori dal Sushumna. La verità è che queste tecniche possono regalare una esperienza ineffabile. Esse sono impossibili da essere afferrate intellettualmente, come lo è l'esperienza Omkar. Per quanto mi riguarda, sono senza parole nel considerare la bellezza ed il potere di esse. Per questa ragione (ed anche perché erano e sono praticati da grandi anime) le condivido col lettore. Nulla di positivo o di utile venne da quegli insegnanti che tentarono di dare al movimento Trivangamurari una personificazione. Effettivamente, alcuni affermarono che esso apparve loro nella particolare forma di Krishna o di Shiva. Cercarono di far credere che solamente avendo questa visione raggiunsero la padronanza di queste tecniche. Senza disputare con loro, possiamo pensare che sia corretto dire che la forma del principe Krishna, come dipinta nell'iconografia, ci ricorda la forma Trivangamurari; collo, gambe e schiena di Krishna sono tenute in una posizione particolare che chiaramente delinea queste tre curve, forse implica il taglio dei tre nodi - ma questo è tutto, non c'è altro.

Maha Mudra & Navi Kriya [come quelli di base, vedi capitolo II/1] Pranayama ... Si pratica un minimo di 36 respiri Pranayama nella forma base. 39 Poi, proseguendo il Pranayama, mentre il percorso della inspirazione rimane lo stesso, durante la espirazione il flusso dell'energia comincia a scendere in modo del tutto particolare. La corrente scorre dal Bindu al Midollo allungato muovendosi leggermente a sinistra, entra nel Midollo allungato, lo 39

Alcune scuole affermano, invece, che il minimo numero di Pranayama di base dovrebbe essere 200! 154

attraversa e curva verso il basso, in modo di raggiungendo il quarto Chakra, attraversarlo, curvare verso il basso e arrivare quindi al Muladhar provenendo da sinistra. All'inizio questa percezione non avviene esattamente come è mostrato in figura: l'intera percezione non si discosta così tanto dall'asse centrale.

Figura 8. Movimento Trivangamurari

Ad un certo punto l’intuizione guida il kriyaban a dimenticare completamente il respiro. Egli solleva la sua consapevolezza lungo la spina dorsale più lentamente che non col respiro fino a toccare il Bindu: mezzo minuto è il tempo ideale della salita; lo stesso è richiesto per la discesa. Una pausa di circa un secondo avviene nel Chakra Muladhar. Un giro richiede dunque un minuto, ma se ci si accorge che avviene in minore tempo, diciamo 45/50 secondi, ciò non significa che la procedura è stata fatta in modo errato. Non appena la concentrazione aderisce totalmente a questo movimento, il sentiero è percepito simile a quello mostrato nella Figura 8. È difficile aggiungere ulteriori dettagli a questa spiegazione. Si deve sottolineare che il sentiero energetico non è l'effetto del potere di immaginazione, è una realtà che esiste per conto proprio. I quattro nuovi centri (uno a destra, tre a sinistra) lungo il flusso discendente non devono essere considerati come nuovi Chakra; essi sono soltanto dei piccoli "vortici" di corrente all’interno della corrente principale. Sebbene chi pratica non dovrebbe preoccuparsi di percepire con precisione estrema la loro sede, diciamo, in linea di massima, che quello sul lato destro va visualizzato nella schiena 2/3 centimetri più in su dell’altezza del capezzolo destro, mentre il successivo, sul lato sinistro del corpo, è situato nella schiena 2/3 centimetri più in basso del capezzolo sinistro. Aggiungiamo anche che il flusso Trivangamurari avviene su un piano ideale che contiene la spina 155

dorsale (ovvero non viene in avanti). Il segreto di questa tecnica sta nell’abilità di concentrazione, nell’immobilità e nella capacità di reggere al potere originato dalla procedura. Per due settimane il kriyaban è istruito a ripetere questa tecnica 25 volte. Per altre due a ripeterla 50 volte e così via fino a 200 volte. Completato questo numero, potrà passare alla tecnica del Secondo Kriya. Mentre la tecnica descritta è detta Amantrak (senza Mantra), il Secondo Kriya seguente è detto Samantrak (con Mantra) Secondo Kriya ... Il respiro è calmo e non viene preso in considerazione. La percezione del movimento Trivangamurari è intensificata dal Mantra di dodici sillabe. Mentre la corrente sale, le sillabe Om, Na, Mo, Bha e Ga sono fatte vibrare nei primi cinque Chakra, e la sillaba Ba in Bindu.

Figura 9. Forma particolare del Secondo Kriya

Poi la corrente scende a sinistra curvando finché raggiunge il Midollo allungato: qui la settima sillaba Teeee è fatta vibrare. A questo punto il flusso interno si muove verso il lato destro del corpo raggiungendo il centro dove è fatta vibrare l’ottava sillaba Va. Poi il flusso interno curva e taglia trasversalmente la regione del Chakra del cuore e raggiunge il punto dove è fatta vibrare la nona sillaba Su. Poi è la volta delle sillaba De, Va e Ya che intensificano la percezione degli ultimi due vortici del flusso interiore della corrente e del Muladhar. Ogni sillaba è un moderato Thokar (colpetto) diretto verso la sede di ciascun centro. Siccome la tecnica è eseguita lentamente (mezzo minuto per sollevare la consapevolezza, lo stesso per scendere) c'è tutto il tempo che serve per far sì che questa percezione sia molto accurata. 156

Per due settimane il kriyaban è istruito a ripetere questa tecnica 25 volte. Per altre due a ripeterla 50 volte e così via fino a 200 volte. Dopo di che potrà utilizzare regolarmente questa tecnica nella sua routine, al posto del Pranayama mentale, (con dosi moderate: 24 – 36) oppure passare alla pratica del Terzo Kriya. Terzo Kriya ... Col mento sul petto, il kriyaban solleva molto lentamente la consapevolezza lungo la spina dorsale; il mento si solleva lentamente seguendo il movimento interiore; come sempre i Chakra vengono toccati con le sillabe del Mantra. Anche qui il respiro è libero. Quando il mento è parallelo al suolo, la percezione ha raggiunto il Bindu. I movimenti della testa sono simili a quelli cui ci siamo abituati con la pratica del Thokar discusso nella sezione [B], ma sono molto più lenti. Senza volgere la faccia, la testa si muove molto lentamente verso sinistra, poi ritorna nella posizione di partenza, sollevando il mento il più possibile con leggera contrazione del muscoli della nuca. Durante questo movimento, il flusso Trivangamurari scende dal centro Bindu verso sinistra, curva ed entra nel Midollo allungato dove la settima sillaba Teeee è fatta vibrare. Dalla posizione col mento in su, la faccia si volge lentamente a destra, il mento si abbassa naturalmente finché raggiunge la posizione parallela alla spalla destra, sopra di essa. Durante questo movimento della testa, il flusso interiore Trivangamurari procede lentamente come un ruscello e raggiunge l’ottavo centro. 40 A questo punto il mento, parallelo al terreno e sopra la spalla destra, la tocca per un istante (questo è il primo di cinque colpi) ed è allora che la sillaba Va è fatta vibrare mentalmente nell’ottavo centro. (La spalla pure fa un piccolo movimento verso il mento per rendere il contatto più facile). Subito dopo, la faccia, con un movimento molto lento si volge verso sinistra, accompagnando millimetro dopo millimetro la percezione del flusso interno che attraversa il quarto Chakra. Il secondo colpo avviene in modo simile sul lato sinistro, allorché la sillaba Su è cantata nel nono centro. Rimanendo poi a contatto o quasi con la spalla sinistra, il mento, molto lentamente, sfiorando la parte sinistra della clavicola, si muove verso la posizione iniziale ciò verso il centro del petto. Ma durante tale movimento - proprio quando le sillabe De e Va sono pensate nel decimo e undicesimo centro - due colpetti sono assestati 40

Quindi non c’è alcun dubbio sulla velocità del movimento della testa: il flusso Trivangamurari procede come nel precedente Secondo Kriya e la testa non fa altro che andargli dietro accompagnandolo. 157

sulla clavicola in posizioni intermedie. Quando infine la sillaba Ya è posta nel Muladhar l’ultimo colpo del mento sul petto, in posizione centrale, è assestato. Qui c’è una pausa di circa un secondo. Gli insegnanti di Kriya affermano che un giro dovrebbe durare idealmente un minuto, ma in pratica si vede che dura un po’ di meno: circa 40/50 secondi. Questa procedura è ripetuta 12-36 volte.

Figura 10. Thokar [scuola C]

La supervisione di un esperto aiuta ad evitare problemi - intendo problemi fisici di sforzo eccessivo e di dolore nelle vertebre cervicali e nei muscoli del collo. Movimenti bruschi dovrebbero essere evitati; è possibile usare al loro posto una grande intensità mentale di concentrazione nel momento in cui ciascuna delle ultime cinque sillabe è pensata. Durante le prime settimane conviene praticare non ogni giorno ma ogni due o tre giorni. Nella terza parte del libro tratteremo di come (diversamente dalle forme di Terzo Kriya finora visto) sia possibile aumentare le ripetizioni di questa tecnica.

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Quarto Kriya ... Il kriyaban diviene consapevole del Muladhar Chakra - che è visualizzato come un piccolo disco orizzontale delle dimensioni di una piccola moneta, due o tre centimetri di diametro.41 Il respiro è molto calmo e lasciato fluire liberamente. Con l'aiuto del sopra citato Mantra di 12 sillabe, che è pensato nella sua totalità entro il Chakra stesso, il movimento Trivangamurari in dimensioni ridotte (micro) – la forma è la stessa già sperimentata in più grandi dimensioni - è percepito sulla superficie di questa moneta ideale. (Figura 11)

Figura 11. Trivangamurari micro-movimento entro un Chakra

L'intero Mantra col suo associato micro movimento è ripetuto tre volte. La stessa procedura avviene in ciascuno dei dodici centri (i Chakra + il Midollo allungato + i quattro centri esternamente alla spina dorsale + il Muladhar). Questo è un Quarto Kriya. Di solito se ne praticano dodici.42 La durata è determinata dalla velocità con cui si canta il Mantra. Per molte persone ciascun canto del Mantra e di conseguenza ciascun micro-movimento dura circa 10-12 secondi. Lahiri Mahasaya raccomandava: «Non abbiate fretta!». Il Micro-movimento è la rivelazione della realtà Omkar entro ciascun Chakra. La tecnica che abbiamo appena descritto incarna nel modo più sano il processo di Muladhara Granti Veda; gli insegnanti che portano avanti questa versione del Quarto Kriya sostengono che altre azioni che gli yogi compiono con lo scopo di sciogliere il nodo del Muladhar, producono soltanto una sua chiusura ancora più ermetica che viene avvertita come uno stato molto fastidioso di nervosismo. 41

Tutti i centri sono visualizzati come dei dischi orizzontali: di solito viene spontaneo visualizzarli come se li si stesse guardando dall’alto. Col tempo e con l’esperienza, questa visualizzazione diventa un fatto personale, anche perché allora la nozione di dimensione, di alto e basso viene perduta. 42

Anche una piccola quantità come 3- 4 rotazioni (fatte con grande rilassamento e abbandono) producono una grande gioia e una quasi irresistibile beatitudine. 159

In tutte le scuole di Kriya, il Quarto Kriya è considerato praticabile solo se il Terzo Kriya è stato padroneggiato, almeno fino ad un certo livello. In queste condizioni, in qualsivoglia Chakra un kriyaban si concentri (o in uno dei centri sopra introdotti fuori della spina dorsale) se con calma egli pronuncia mentalmente le sillabe "Om-Na-Mo-Bha-Ga-Ba-Te-Va-Su-De-VaYa", percepirà qualcosa che si muove, oscillando entro il Chakra. Nota È bene allenarsi a percepire il micro-movimento senza l'aiuto del Mantra. La seguente procedura è adatta allo scopo: Un kriyaban solleva il Muladhar Chakra nel Kutastha per mezzo di una breve inspirazione. Quando la presenza dell'energia è chiaramente sentita nel punto tra le sopracciglia, un kriyaban "guarda in basso" il disco del Chakra e vi disegna (come con una penna laser) la forma del micro-movimento per mezzo di una debole oscillazione della colonna vertebrale (non più grande del risultante micro-movimento) avanti, lateralmente, indietro. Ciò è ripetuto tre volte in ciascuno dei 12 centri. Dopo uno o due giri completi, sono introdotte le sillabe, quali "piccole spinte o pulsazioni", la qual cosa fornisce un notevole stimolo e una più dettagliata percezione di tale fenomeno, mentre il corpo ritrova la sua immobilità.

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TERZA PARTE: PIANO DIDATTICO IN SEI FASI CAPITOLO III/01

INIZIO

Questa terza parte consiste in un riassunto di sei possibili fasi di istruzione attraverso cui guidare una persona lungo il sentiero del Kriya. Si possono concepire diversi piani, quello che segue è, a mio avviso, il più efficace. Diamo per scontato che coloro che praticano tengano il sentiero "pulito" (senza deviazioni), lavorano seriamente mettendo cuore e intuizione in questa disciplina. Ci sono sei periodi della vita che dovranno essere accuratamente definiti. Cercando il più possibile di lasciar perdere ogni frase altisonante, e cercando di dare tutta la dovuta attenzione al lato prettamente pratico della questione, descriverò cosa dovrebbe avvenire in ciascuna fase. Mi soffermerò non solo sulle acquisizioni spirituali ma anche sui fattori che indicano che una persona si sta muovendo verso il raggiungimento della maturità emotiva; l'abilità di tenere a bada le emozioni superficiali, di essere capaci di vivere momenti appassionati restando sempre calmi e prendendo decisioni importanti, di seguire sempre la tua strada anche quando i tuoi amici più stretti tentano di convincerti a seguire la loro. Maturità emotiva significa domare il proprio orgoglio, la qual cosa per un kriyaban (convinto come è di possedere la "suprema fra tutte le tecniche spirituali, la strada aerea verso la realizzazione del divino") non è un compito facile. Sebbene alcuni mi suggerirono che questi temi che andrebbero posti nelle prime pagine di questo libro, il fatto è che pochi leggono la prefazione. Alcuni lettori si comportano come animali timorosi in un territorio che non gli è familiare, domandandosi se dare un briciolo di fiducia all'autore. Preferiscono farsi un’idea generale sulle motivazioni (…e manie) dell'autore, soffermandosi su alcune tecniche, tanto per vedere a quale livello di profondità esse sono state trattate. Se si convincono, allora pongono più attenzione a quello che l'autore vuole veramente comunicare.

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PRIMA FASE PIANO DIDATTICO -- Familiarizzarsi gradualmente con le tecniche base del Kriya Per coloro che ritengo non reggeranno alla disciplina del Kriya, ho concepito una routine alternativa basata sul Pranayama dello Yoga classico quella esposta nel capitolo I/01. Va da sé che se un principiante non riesce a praticare regolarmente per almeno 3 a 6 settimane, non si pone neanche il problema di spiegare loro il Kriya. La routine consiste in: Nadi Sodhana (con i tre Bandha dopo la inspirazione durante il trattenimento); Ujjayi con o senza Aswini Mudra43 e un profonda concentrazione nel Kutastha. È un routine molto bella e coloro che ci mettono la dovuta attenzione cominciano a percepire il flusso d’energia che sale e scende lungo la spina dorsale. Il Kriya Pranayama può divenire una tale piacevole scoperta entro una dimensione di semplicità che può diventare infine una "dipendenza". Questa semplice routine regala un senso di benessere così che uno non ha difficoltà a trovare ogni giorno il tempo da dedicare ad essa. Anche se abbandonerà tutte le altre tecniche Kriya, un po' di Pranayama farà sempre parte della sua vita. In tutti gli altri casi – compresi coloro che hanno già appreso e praticato una forma semplificata di Kriya – evito quella particolare frenesia che accompagna una iniziazione tradizionale al Kriya, ove tutta l'istruzione pratica è data in fretta, in una sola lezione! 44 Ho visto che è più naturale e logico insegnare le tecniche Kriya un po' alla volta e far sì che uno sperimenti ciascuna senza alcuna tensione. Anche quando è necessario mostrare ad una persona tutto l'insieme delle 43

Contrarre ripetutamente i muscoli alla base della spina dorsale col ritmo di approssimativamente due contrazioni per secondo. Anche il Kriya Pranayama può essere praticato con l’Aswini Mudra, specialmente nei primi 12-24 respiri Pranayama – durante l'inspirazione, l'espirazione e le pause. Dopo 10-15 minuti, il movimento fisico diminuisce in intensità e la procedura si interiorizza. È allora che la consapevolezza è portata fortemente nella spina dorsale, in un modo più intenso che con qualsiasi altro trucco tecnico. Questo potrebbe tornare utile a coloro che non sono capaci di praticare il Kechari Mudra. 44

Alcuni giorni dopo quasi tutto è dimenticato e la persona entra in crisi. Naturalmente ci sono anche eccezioni: persone particolari e atipiche per cui le cose vanno diversamente. Alcuni ricorderanno sempre le poche parole pronunciate dal loro insegnante, esattamente come sono state pronunciate e con la stessa inflessione di voce con cui il loro insegnante le ricevette dal suo maestro – e dopo intenso lavoro, il loro pieno significato verrà realizzato. 162

tecniche del Primo Kriya per ragioni contingenti, raccomando di non intraprendere subito la pratica completa. (Naturalmente, non consiglio nemmeno di attendere la situazione "perfetta" per cominciare la pratica, altrimenti la decisione rischia di essere spostata indefinitamente!) È mio dovere chiarire i seguenti punti: [a] Alcuni studenti sono interessati a tecniche che favoriscano il rilassamento e la concentrazione e possano essere praticate prima della routine Kriya. Si deve sottolineare che non c'è necessità di praticare tecniche preliminari diverse dal Talabya Kriya e dal cantare Om nei Chakra. Uno dovrebbe essere incoraggiato a sperimentare come sia bello praticare il Talabya Kriya e notare come esso riesca a calmare subito la mente. Un fatto strano è che esso non richiede la concentrazione su nulla, solo una pura azione fisica. Dopo il Talabya, il cantare il Mantra Om a voce alta in ciascun Chakra (come descritto nel capitolo II/01), finché l'addome, il torace e la colonna spinale vibrino, porta un kriyaban ad ottenere un stato che è una vera "benedizione." [b] A coloro che amano provare alcune varianti del Kriya si può consigliare di provare il primo passo della scuola [A] (vedi capitolo II/03) che è una vera delizia, anche se non così forte come la forma base del Primo Kriya. [c] Se dovessi insistere su qualcosa, esso sarebbe il Pranayama mentale. Si nasce al Kriya proprio per mezzo di tale dolce pratica: essa ti proietta in un vero paradiso e la sua bellezza trabocca e inonda la vita. «.... è difficile restare arrabbiati, quando c'è tanta bellezza nel mondo. Talvolta mi sembra di vederla tutta in una volta, ed è troppo, il mio cuore si riempie come un pallone che sta per scoppiare... e poi mi ricordo di rilassarmi, e cesso di tentare di trattenerla, e allora fluisce attraverso di me come pioggia. E non posso che sentire gratitudine per ogni solo momento della mia piccola stupida vita. (American Beauty, film; 1999) » [d] Molti considerano le tecniche talmente "sacre" da guardarle con diffidenza, con un timore reverenziale. Non c'è da meravigliarsi che queste tecniche possano sembrare, a un primo sguardo, complicate o strane. Se uno sente una data procedura come innaturale e quindi difficile, non dovrebbe sforzarsi di applicarla integralmente in quanto potrebbe perdere la magia del processo e potrebbe non ottenere altro che mal di testa. Senza sentire la necessità di chiedere a permesso ad un insegnante, o ascoltare l'opinione di 163

chicchessia, uno capisce la necessità di avvicinarsi all'essenza di una tecnica con intelligenza, pazienza e attenta sperimentazione. Molti kriyaban chiedono con troppa insistenza, a volte ossessione, che tutti i possibili e immaginabili dettagli del Kriya Pranayama siano loro chiariti. Si stancheranno ben presto. Dopo aver riempito di note e diagrammi il proprio blocco di appunti, abbandoneranno tutto. È come se matita e fogli di carta fossero uno scudo per impedire che la genuinità e la bellezza del Kriya Pranayama possano entrare nella loro vita. Non capiscono quanto sia importante rilassarsi e gioire, poi perfezionare. Se non sono capaci di usare il buon senso per adattare le istruzioni ai fatti contingenti della loro vita e necessità, o si sentono obbligati a discutere di dettagli non importanti, o se telefonano un giorno sì e un giorno no con domande che sono principalmente intellettuali, la probabilità di arrivare al fallimento è alta. [e] Molti sono convinti che uno dei prerequisiti per praticare il Kriya sia l'abilità di raggiungere facilmente uno stato di perfetta concentrazione: ma questo è uno dei risultati finali, non il primo passo! È normale che la mente vaghi continuamente in mille opposte direzioni. Se questo avviene, ebbene lasciamolo avvenire! Il successo nel Kriya è di coloro che si affidano alla pura "naturalezza" della procedura e la abbinano alla pazienza e anche alla cura comunque necessaria per fare un lavoro noioso quale spellare patate. Uno non dovrebbe essere troppo esigente con se stesso; ciò porterebbe a sviluppare una tensione eccessiva, di cui sarebbe poi difficile sbarazzarsi. [f] È bello considerare il Pranayama come un'arte raffinata, che si può perfezionare fino a livelli che sfuggono alla nostra comprensione e immaginazione. Uno ama il Pranayama per la perfezione intrinseca che esso racchiude. Comunque, le promesse religiose, esoteriche, occulte che lo accompagnano dovrebbero essere evitate come la peste. Sebbene il proprio temperamento può talvolta essere "inquinato" da pure illusioni prese a prestito dai libri, tuttavia, inseguendo tenacemente la perfezione del Pranayama e raffinando altri dettagli (che discuteremo in seguito), tutti gli ostacoli interni saranno rimossi e l'ultimo guscio di illusione sarà infranto. [g] Comprendiamo che alcune illusioni possono essere il risultato di seri problemi psicologici. Sfortunatamente, coloro che praticano il Pranayama in un stato di depressione, con la negatività di una persona ammalata che si aggrappa ad esso come se fosse un'altra improbabile medicina, sapendo già in cuor suo che ne resteranno delusi, non avranno altro risultato dal Kriya che mal di testa e nausea. Forse le cose andrebbero in modo diverso se uno avesse 164

la mente di un artista, amasse l'esperienza del profondo respiro e fosse capace di dissolvere la presa dell'ego nel suo suono. Nota. Quando tutte le tecniche sono state presentate, non insisto su quanto sia importante realizzare il Kechari o sul valore dello Yoni Mudra - che, per molto tempo, non viene compreso. Effetti iniziali del Primo Kriya Diamo per acquisito che descriviamo quello che avviene a coloro che affrontano il Kriya con un giusto atteggiamento, senza manie e con onestà. Di solito si comincia la pratica del Kriya prestando molta cura a diversi dettagli come le condizioni del fisico, il praticare a stomaco vuoto, l'aggiunta di esercizi di allungamento come semplici Asana... e con quell'acuta concentrazione che solitamente sopravviene quando uno affronta con entusiasmo qualcosa di nuovo in cui crede seriamente. In tal modo, la prima impressione del Kriya è di una disciplina che ci fa sentire bene - fisicamente e psicologicamente. Scopriamo quanto possa divenire bella e godibile la pratica del Pranayama, specialmente se intensificata non solo dalla pratica del Maha Mudra, ma anche da pratiche non insegnate ufficialmente quali il Nadi Sodhana, l'uso di varie ripetizioni del Mula Bandha prima del Pranayama, l'uso dell'Aswini Mudra durante il Pranayama... Ci sono degli effetti di poca importanza per cui uno potrebbe entusiasmarsi: successo nel parlare ad un pubblico, essere serenamente indifferente a perdite finanziarie... Non è facile scorgere in noi i primi timidi segnali di ben più importanti effetti. Il Kriya agisce come un amplificatore del meglio che c'è in un uomo: uno riscopre una quasi dimenticata potenzialità di godimento estetico per tutto ciò che lo circonda, specialmente la natura; un altro sembra scoprire la meraviglia del proprio lavoro e/o sente che il suo cuore è afferrato dalla commozione per quel miracolo che la sua famiglia rappresenta per lui ed è inondato da una sensazione di amore di cui non si riteneva capace. La percezione delle cose muta ed uno scopre tanti begli aspetti della vita, come se avesse occhi per la prima volta. La personalità di un kriyaban è destinata ad essere idealmente raccolta attorno ad un punto centrale e ogni conflitto interno ad essere risanato. Il Kriya aiuta uno a divenire più stabile, capace di tenere a bada le emozioni superficiali, avere un certo controllo sugli stati d'animo e sulla forza 165

dell'istinto. All'inizio del sentiero Yoga, c'è sempre un marcato scollamento tra questo nuovo interesse spirituale e altre ben radicate consuetudini che possono essere sociali, intellettuali o artistiche. Talvolta sembra di avere molte personalità. È un fatto che gli insegnanti di Yoga, per non assumere atteggiamenti censori, fanno finta di non essere consapevoli di ciò. Sanno bene che i principi dello Yoga, come le regole di Patanjali, non trovano facilmente il modo di essere tradotte in pratica. Paradossalmente, è più facile per la maggior parte delle persone liberarsi di dannose abitudini a cause di una nuova moda ecologista piuttosto che spezzare in un attimo una dipendenza. Ulteriore progresso sul sentiero implica non essere influenzato da mode, non importa quanto benefiche possano essere, ma essere capaci di afferrare ed analizzare in profondità il meccanismo per cui alcune abitudini ci rendono schiavi. Comunque, sebbene un kriyaban comincia il suo lungo viaggio per far sì che tutti i suoi conflitti interiori siano equilibrati serenamente, all'inizio i segnali di questo processo sono molto sottili ed instabili. Ci vuole una buona capacità di distacco, per esserne consapevoli. Tutto sarà più percettibile durante i prossimi passi quando ci sarà un lavoro armonioso con ciascun Chakra e i più profondi strati della psiche saranno toccati armoniosamente. La scoperta della realtà Omkar giocherà un ruolo importante: la vita e l'esperienza spirituale diverranno una sola cosa. Gli ostacoli al raggiungimento della maturità emotiva saranno radicalmente spazzati via dall'azione del Thokar. In conclusione, questo primo passo del Kriya non è caratterizzato da una trasformazione interiore completa e stabile, ma da molti segnali incoraggianti e concreti. Una nota La teoria del Kriya spiega come viene sciolto il "nodo dell'ombelico". Per capire cos'è questo nodo, si spiega che il taglio del cordone ombelicale alla nascita crea una divisione di un'unica realtà in due parti: il lato spirituale di una persona, che si manifesta come gioia e calma nei Chakra più elevati e nella testa e il lato materiale nei Chakra più bassi. Questa frattura tra materia e spirito entro ciascun essere umano è la fonte permanente di laceranti conflitti. Grazie al respiro addominale del Pranayama, al Navi Kriya e ad uno sforzo cosciente, il risanamento di questa frattura avviene gradualmente. Sebbene l'azione risanante sia un evento armonioso, ciò che traspare all'esterno può essere interpretato negativamente da altri; ciò è spesso dovuto alla sicurezza che un kriyaban ha appena conquistato e alle sue convinzioni. Molti kriyaban si trovano a pronunciare delle affermazioni che in quel 166

momento sentono essere sincere ma che altri trovano offensive e taglienti. Il risultato è duplice; amici e conoscenti pongono in dubbio la validità delle pratiche Yoga se queste ci fanno perdere quella qualità che si chiama empatia, mentre noi, con grande imbarazzo, ci rendiamo conto che le nostre osservazioni erano totalmente fuori luogo.

SECONDA FASE PIANO DIDATTICO -- Routine ad incremento progressivo [I] Quando ritengo che la prima parte della fase preliminare sia stata completata, senza tanto indugiare e indagare ma fidandomi solo della serietà dello studente, consiglio che questi si concentri sulle tecniche fondamentali Navi Kriya, Pranayama e Thokar e le pratichi in modo intensivo aumentando progressivamente il numero delle loro ripetizioni. Una routine ad incremento progressivo serve ad aver ragione di molti ostacoli interiori; essa pone le migliori fondamenta per gioire del Kriya per tutta la vita. Ecco qui, con le mie stesse parole come spiego come applicarla al Navi Kriya. «Di Sabato, o in qualsiasi giorno libero, lascia perdere la routine tradizionale e, dopo una breve pratica di Talabya Kriya, Maha Mudra e Pranayama, pratica il doppio delle ripetizioni del Navi Kriya, ovvero 8 unità. Completa la seduta col Pranayama mentale, come è tua abitudine. La Domenica, concediti un giorno di riposo dalle pratiche Kriya e concediti invece un tranquillo Japa e, se il tempo atmosferico lo permette, goditi una lunga passeggiata per calmare le regioni profonde della tua psiche. Nei giorni seguenti riprendi la primitiva routine completa. Il prossimo Sabato pratica tre volte la quantità standard del Navi Kriya: 12 unità. Naturalmente questo deve sempre avvenire entro la cornice di una preparazione come Talabya, Maha Mudra... e concludere con qualcosa come il Pranayama mentale. La Domenica riposati col Japa e fai una passeggiata... Dopo una settimana, o due se preferisci, pratica 16 unità di Navi Kriya... e così via ... 20, 24... fino a 80 unità, ovvero venti volte la dose standard. L'aumento di questa delicata tecnica Kriya dovrebbe essere graduale. Se pensi di fare il furbo e fare subito tantissime ripetizioni tutte in un colpo, sappi che è come fare niente, perché i canali interiori si chiudono. I nostri ostacoli interiori non possono essere eliminati in un giorno, non solo perché la nostra costituzione non è abbastanza forte ma perché la nostra forza interiore per dissolverli è inizialmente debole e deve essere aumentata settimana dopo settimana. 167

Inoltre, questo processo dovrebbe integrarsi con una regolare vita attiva. Sta a te rendere il più piacevole possibile la giornata dedicata alla pratica; è consigliabile dividere le lunghe sedute in due o tre parti -- da completarsi prima di andare a dormire. Ciascuna di queste parti può terminare distendendosi su un tappetino in Savasana (la posizione del cadavere) per alcuni minuti. Puoi completare la prima parte della pratica presto al mattino, stando attento a rispettare ogni dettaglio -- e praticare la seconda parte nel pomeriggio. Dopo un pasto leggero ed un piccolo sonnellino, esci se puoi, raggiungi un luogo bello dove ti puoi sedere, prendere un po’ di tempo per contemplare la natura. Poi, perfettamente a tuo agio, puoi completare il numero che ti eri prefisso. Tutto procederà armoniosamente e l'effetto aumenterà quando il giorno cederà al crepuscolo. Se pratichi nella tua stanza, fai in modo di riuscire a fare un tranquilla passeggiata nella sera, quando viene la benedizione di un silenzio carico di beatitudine.» Il primi effetti appariscenti di questo processo sono molti: il primo che colpisce è un aumento della chiarezza mentale – probabilmente dovuto ad una forte azione sul terzo Chakra che governa il processo pensante; il secondo è più profondo, più permanente, e può essere chiamato: "unificazione della personalità". Gli effetti sono percepiti internamente ed osservati chiaramente nella propria vita pratica. Si percepisce un ordine interiore che si stabilisce; ciascuna azione sembra come se fosse circondata da un alone di calma e sembra andare diritta verso lo scopo. Mi ricorda l'atteggiamento di Achab nel Moby Dick di Herman Melville: "Deviarmi? Voi non potete deviarmi,... Il percorso verso il mio scopo fisso è posato con sbarre di ferro, su cui la mia anima è scanalata per correre. Nulla è da ostacolo, nulla forma un angolo alla mia strada di ferro!" Alla fine del processo, uno avrà l’impressione che epoche siano passate ma di avere ottenuto un risultato concreto e permanente. Allo studente spiego che si può scegliere qualsiasi variante del Navi Kriya: la migliore è sicuramente la variante illustrata nel Capitolo II/3 (scuola [A]): essa afferra l'attenzione in una maniera che è impossibile ottenere con la forma base del Navi Kriya. Il suo tranquillo spostare l'energia lungo la circonferenza della testa ha un effetto che non ha paragoni. 45 Per quando riguarda questa variante, siccome una unità consiste di 36 discese 45

Coloro che si preoccupano di scoprire quale sia il miglior modo di concentrarsi nel Sahasrara Chakra rimangono senza parole quando sperimentano la forza di questa tecnica. 168

di energia, precedute e seguite dal cantare Om nei Chakra, il processo comincia con 36 x 2 discese. I prossimi passi sono 36 x 3, 36 x 4 … 36 x 19, 36 x 20. È stato provato sperimentalmente che non serve andare oltre le 36 x 20 ripetizioni. Durante lunghe sedute, dopo la prima mezz'ora, i movimenti della testa si notano appena. In altre parole, il movimento del mento in avanti, indietro, e lateralmente che è inizialmente di circa cinque centimetri si riduce a tre millimetri! Dopo molte ripetizioni di questa variante del Navi Kriya, un fenomeno molto interessante può essere osservato: ad un certo punto la espirazione sembra divenire interna. Nello stesso momento in cui viene formulata la volontà di espirare, si sente come se i polmoni non riuscissero a muoversi. Alcuni istanti dopo la consapevolezza di un qualche cosa di sottile che comincia a scendere nel corpo accompagna una espirazione molto piacevole. La espirazione è un atto mentale, come una pressione interiore che si estende ovunque e che produce un particolare senso di benessere, armonia e libertà. Si ha la sensazione di poter restare così per sempre. L’aria esce ancora dal naso ma colui che pratica giurerebbe che questo non avvenga. Questa può essere considerata la prima timida apparizione del Pranayama col respiro interno. [II] Dopo alcuni mesi (quando il Navi Kriya è completato o, almeno, completato a metà) invito a incominciare un processo analogo per il Pranayama. 36 x 2, 36 x 3….36 x 20 Pranayama è un progetto molto buono; 24 x 2, 24 x 3,…..24 x 24 è più leggero ma comunque valido. Punti da sottolineare. #Quando si praticano più di cento respiri è bene introdurre il Mantra di 12 sillabe, il che significa, più o meno, passare ad un quasi-Omkar Pranayama – intendo una semplice forma di Omkar Pranayama, senza i sottili dettagli descritti nel capitolo II/02. #Durante ciascuna fase del processo, è importante mantenere sempre un filo di respiro, fino al completamento del numero che si è deciso di praticare. In altre parole, il processo non dovrebbe mai diventare puramente mentale. #Dopo un minimo di 48 respiri, lo sguardo interiore del kriyaban è diretto verso la parte superiore della testa. Come abbiamo già spiegato (vedi "Pranayama eccellente" capitolo II/01) con le sopracciglia sollevate, le palpebre chiuse o chiuse a metà, gli occhi sono volti verso l’alto senza però muovere la testa. Si avrà l’impressione che tutto l’essere sia sollevato nella Fontanella. #È importante aver dimestichezza con la nostra inconscia resistenza a cambiare e interpretare le ragioni profonde degli stati d'animo alternanti che appaiono quando pratichiamo intensamente una tecnica Kriya. Uno dovrebbe 169

intuire se è necessario interrompere la pratica per qualche settimana o se una tecnica dovrebbe essere praticata in maniera meno intensa. Dopo una salutare pausa di due-tre settimane.... il "guerriero" è di nuovo sul campo pronto a portare a compimento il lavoro. [III] Poi consiglio una routine ad incremento progressivo basata sulla forma base del Thokar (Secondo Kriya). Questo è possibile poiché alla fine del precedente processo lo studente avrà fatto esperienza dell'Omkar Pranayama. Possiamo aumentare gradualmente le ripetizioni della tecnica cominciando dalla dose di 12 respiri fino ad un massimo il limite che è stato fissato a 200. Uno aumenta di sei alla settimana. A differenza dai processi prima descritti, una volta che una dose è stata raggiunta, essa può essere ripetuta il giorno seguente o a giorni alterni. Tanto per essere chiari: se un giorno un kriyaban raggiunge la tappa delle 42 ripetizioni, allora nei giorni seguenti può praticare di nuovo 42 Thokar -durante la routine standard ad incremento progressivo, il giorno dopo la pratica intensa, non si pensa nemmeno di ripetere tale prodezza; solo dopo un minimo di sei giorni uno la ripete, aggiungendo un ulteriore incremento. Si spiega che la tecnica del Thokar ha una benefica azione diretta sul nodo del cuore - Hridaya Granti. Questo nodo ostacola i nostri sforzi nel Kriya in un modo insidioso ma non chiaramente rilevabile. La definizione tradizionale dei Granti identifica tre nodi: il Brahma Granti presso il Muladhara Chakra; il Vishnu Granti nel Chakra del cuore e il Rudra Granti nel Kutastha. Il Dio Vishnu presiede alla conservazione. Il nodo del cuore crea il desiderio di preservare la conoscenza antica, le tradizioni e istituzioni religiose; esso rafforza la tendenza a prestare fede nel campo spirituale nelle pseudo autorità, specialmente quando i loro insegnamenti sono presentati con ostentazione e nella cornice suggestiva di una cerimonia solenne. Siamo governati da emozioni ed istinti che includono i nostri condizionamenti religiosi, i nostri punti deboli, le nostre paure, dubbi e pessimismo. Restare fedeli al sentiero che abbiamo scelto sembra talvolta una operazione delicata che può improvvisamente guastarsi annientando ogni entusiasmo. Una applicazione intensiva del Thokar rappresenta una gigantesca iniezione di coraggio e di entusiasmo. Essa placa le nostre emozioni e paure e blocca la nostra tendenza ad avere delle reazioni eccessive. Inoltre, favorisce la qualità dell'amore universale -- un sottile desiderio di aiutare l'umanità sofferente -- il che non dovrebbe essere confuso con una sensibilità esangue. Quest'ultima routine ad incremento progressivo, abbinata a quella del Navi Kriya, ci aiuta a scoprire l'ego in attività che appaiono filantropiche. L'ego è una strutture 170

mentale molto complicata: non è possibile distruggerla, ma può essere resa trasparente. Considerazioni generali sulla routine ad incremento progressivo Usualmente i kriyaban praticano ogni giorno lo stesso insieme di tecniche, nello stesso ordine e con lo stesso numero di ripetizioni. Questa routine invariante che richiede sempre lo stesso ammontare di tempo è l’unico schema di pratica raccomandato da molte organizzazioni. Non neghiamo il ruolo fondamentale di una routine fissa: per un principiante questa è la miglior cosa da raccomandarsi. Purtroppo se uno pratica sempre e solo in tal modo, il rischio è perdita di entusiasmo e noia. Questa è un "legge" cui nessuno sfugge. Non c'è alcun dubbio che uno può continuare a praticare anche durante delle fasi apparentemente non produttive e tuttavia ottenere delle esperienze molto belle a coronamento del suo sforzo (ogni kriyaban dovrebbe tenere presente questo). Ciò avviene in particolare durante lo stadio di familiarizzazione con le tecniche, si sperimenta con esse finché si ottiene un risultato. Forse è la classica fortuna del principiante o forse la grande curiosità ed entusiasmo che aiutano l'impresa. Ci sono raggiungimenti che sembrano impossibili come l'ascoltare i suoni interiori, vedere l'occhio spirituale ... eppure avvengono senza alcun dubbio praticando una routine invariante, fissa. MA praticare una routine costante, che non muta mai solo per un periodo di tempo è una cosa mentre praticarla per tutto il resto della propria vita è tutt'altra cosa! Uno yogi scrisse che sperare di ottenere una profonda trasformazione con tale prassi è lo stesso che sperare sia sufficiente colpire un pezzo di metallo una volta il giorno con un martello per far sì che questo emetta, dopo anni, l'energia atomica in esso contenuta. Dopo aver attraversato la fase iniziale i kriyaban raggiungono infine un punto morto ove ogni ulteriore progresso pare impossibile -- questo comporta una profonda crisi. Soffrono sensi di colpa e sviluppano tutte le specie di paranoie. Pochi sanno come venir fuori da questa situazione inaspettata in modo positivo. Istintivamente molti riescono a riaccendere il loro entusiasmo, ma solo parzialmente e per un breve periodo di tempo, con letture, ascoltare registrazioni di discorsi spirituali, prender parte a kirtans ... Rivolgendosi a persone esperte (in qualsiasi organizzazione ci sono persone che esercitano il ruolo del "meditation counselor") per chiedere consiglio, se palesano dei dubbi sulla validità di qualche insegnamento o della routine che 171

stanno seguendo, allora vengono coinvolti profondamente sul discorso della lealtà e della devozione. Talvolta devono ascoltare un discorso ben strano: l'esempio di alcuni kriyaban leali che ebbero il risultato sperato solo al momento della morte! Una alternativa è di avvicinarsi ad un'altra scuola di Kriya ma non è possibile impedire che il problema si ripresenti. Questo è il momento pericoloso dove interesse e passione per il Kriya sono molto prossime a svanire completamente. Ho visto dei risultati incredibili in coloro che hanno completato le routine ad incremento progressivo, risultati che sono inconcepibili a quelli che seguono la pratica tradizionale. I risultati ottenuti comprovano che le routine ad incremento progressivo sono una delle più vantaggiose attività in cui un kriyaban si può imbarcare. Per queste ragioni incoraggio sempre ciascun kriyaban a intraprendere almeno una routine ad incremento progressivo. Capisco ovviamente che incominciare questo processo è un atto di coraggio, un maturo atto di fiducia nel Kriya e in se stessi, una decisione che dovrebbe essere ispirata dalla propria intuizione. Quello che avviene nell'atletica ci fornisce molte spunti di riflessione. Atleti che desiderano raggiungere dei traguardi degni di nota devono in qualche modo aumentare l'intensità e la qualità della loro pratica. Solo alternando allenamento e riposo secondo schemi ben precisi onde spingere al massimo, oltre i livelli consueti, il loro grado di resistenza fisica e mentale, riescono a fornire prestazioni altrimenti irraggiungibili. Non ci si deve offendere dal paragone tra il Kriya e gli sport. Il Kriya non è uno sport ma negli stadi iniziali del Kriya, applicando le sue diverse tecniche psico fisiche, esso possiede tanti punti a comune con l'essenza dell'atletica. Entrambi rifuggono l'impiego della forza bruta, entrambi richiedono di porsi degli obiettivi e di canalizzare diligentemente la propria forza verso il raggiungerli. Entrambi richiedono autoanalisi: analizzare e valutare la propria modo di esecuzione e imparare dall'esperienza ed entrambi richiedono un istruttore. Valore euristico delle routine ad incremento progressivo Mi riferisco al potere che tali routine hanno di rivelare eventuali errori nella nostra comprensione di una tecnica e di fornire uno o più metodi per correggerli. Prendiamo un esempio concreto: supponiamo tu rimanga colpito dalla descrizione della tecnica del Piccolo Circolo (una tecnica simile al Pranayama) trovata in un libro di taoismo. La tua attenzione è attratta da uno 172

o più dettagli che giudichi intrinsecamente e significativamente diversi dalla pratica del tuo Pranayama. Può trattarsi di qualsiasi cosa: per esempio fare un particolare movimento della testa quando l'energia è in alto, come sollevare il mento per guidare l'energia nel Kutastha, deglutire prima di iniziare l'espirazione.... Improvvisamente, mentre leggi la descrizione ti si accende un luce: «Forse questo mi aiuterebbe a risolvere il problema di non essere capace di sentire l'energia quando si suppone che essa raggiunga il Kutastha!» Una parte di te frena l'entusiasmo e suggerisce che certi dettagli possano fungere nient'altro che di ornamento o, peggio ancora, siano una invenzione creata a tavolino: una fetecchia insomma. Dalla perplessità non ne esci con le acrobazie mentali, ma nemmeno col praticare tale dettaglio per alcuni giorni entro una routine orizzontale. Potresti avere degli indizi certo, ma di essi non puoi fidarti e potresti trarre delle informazioni errate. Potrebbe darsi che la tecnica che oggi scarti fidandoti di uno stato d'animo passeggero avrebbe potuto segnare un momento di svolta nella tua vita. È importante potersi basare su una prova più affidabile. Una routine ad incremento progressivo ti darà una risposta molto più articolata e seria. Mentre pratichi, riceverai degli indizi molto importanti, specie quando avrai sperimentato varie tappe del percorso: certi dettagli della tecnica ti diventeranno insopportabili, altri spariranno senza che tu sul momento te ne accorga; altri dettagli che sembravano insignificanti verranno amplificati e valorizzati grandemente. Nei giorni che seguono le lunghe sedute di pratica avrai una comprensione più profonda di tale tecnica percependo intuitivamente la sua essenza. Altri aspetti ti verranno rivelato a distanza di tempo. Forse mesi o anni dopo tale routine ad incremento progressivo potrai fare degli interessanti collegamenti e deduzioni e quindi correggere ulteriormente il tuo punto di vista. Smettiamola di affidarci all'autorità di un Guru itinerante: la nostra vita è troppo preziosa per porla nelle mani di un'altra persona. All'inizio del nostro sentiero, è giusto dare una certa fiducia ad una scuola o ad un Maestro ma in seguito è bene basarci su di una sperimentazione accurata. Non abbiamo altri mezzi per verificare il valore di una tecnica. Quando diverse routine ad incremento progressivo sono state completate, uno ha sviluppato la qualità di autodidatta. Un kriyaban avrà creato una semplice ma perfettamente sostenibile visione del Kriya tanto che non sentirà la necessità di discutere quella routine con altri esperti Kriya. Questo è sempre valido, purché uno sappia porsi le giuste domane. Prima di chiudere lasciatemi dire che un risultato sicuro è quello di imparare a meditare profondamente e ovunque, non essendo mai più disturbato da nulla. Mentre i principianti nel Kriya sono maniacali nel 173

preparare un buon ambiente per la loro meditazione e basta un niente per innervosirli e preoccuparli, chi ha completato le routine ad incremento progressivo è capace di meditare nei luoghi più strani e in situazioni impossibili - come viaggiare in treno o guardando uno spettacolo teatrale o un film che non li interessa. Strano a dirsi, quelle occasioni possono creare per contrasto, una particolare attenzione - diciamo di "soglia" - eliminando radicalmente il pericolo di addormentarsi e portano a risultati insperati.

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CAPITOLO III/02

VISIONE TEORICA DEL KRIYA YOGA

Dopo il completamento delle Routine ad incremento progressivo descritte nel capitolo precedente, anche uno sforzo moderato ma serio nel Kriya regalerà ad una persona delle fondamentali esperienze spirituali che caratterizzeranno il periodo più bello e profondamente soddisfacente della sua vita. Sebbene la potenzialità del percorso spirituale sia interamente contenuta nelle tecniche del Primo Kriya, la saggezza e il buon senso suggeriscono di usare anche le tecniche dei Kriya Superiori che sono straordinariamente efficaci. Esse furono, infatti, concepite per spianare il cammino verso la meta mistica. Un kriyaban deve solo concepire una routine appropriata dove la loro pratica potrà trovare una idonea collocazione. Nei prossimi capitoli riporteremo alcuni esempi di come concepire una simile routine razionale, mentre in questo capitolo proveremo a discutere un utile schema teorico. Creare un routine che funzioni -- che funzioni per noi ovviamente, non stiamo nemmeno tentando di concepire una routine universale -- è più difficile di quanto si possa immaginare. Anche quei kriyaban che sanno arrangiarsi, che sono abituati a sperimentare liberamente, scoprono che un gran numero di scelte non funzionano e sembrano, più che altro, disperdere in nostri sforzi invece di ricompensarli. Eccezion fatta per l'Omkar Pranayama che è sempre una vera delizia e la cui aggiunta non crea alcun problema, riempire la propria routine con troppe tecniche può condurre ad un plateale fallimento. A causa di una lunga serie di meditazioni infruttuose, si rischia di perdere lo spirito iniziale di stupefatto incanto di fronte ad un meraviglioso sentiero come il Kriya che, fino a quel momento, non aveva mai cessato di accordare le più profonde emozioni. Una visione teorica è necessaria per decidere cosa deve essere prudentemente omesso -- per poi essere aggiunto in seguito. È anche importante sviluppare la necessaria sensibilità per "leggere" le nostre esperienze e per riuscire a trovare la traccia di una tecnica nel nostro comportamento, nel nostro stato d'animo durante il giorno -- ma questo viene con anni di pratica. Ora, ci sono diversi modi di porre le basi di una teoria: tutto dipende da come concepiamo la meta del Kriya e da come immaginiamo che questo obiettivo possa essere frazionato in diversi passi. Penso che lo scopo del Kriya sia quello di creare nel nostro corpo e mente la stabile condizione di Prana "statico", la Tranquillità eterna. Lahiri Mahasaya affermò infatti che l'intero percorso del Kriya consiste in una poderosa avventura che comincia con un Prana dinamico e termina con un Prana statico. Tranquillità, Sthir Tattwa, Stabilità, Prana statico sono 175

sinonimi. Il Kriya è naturalmente anche uno sforzo continuo di sintonia con Omkar ma si scopre che questo avviene naturalmente col calmarsi del Prana. Calmare il Prana e sintonia con la realtà Omkar vanno di pari passo. Per concepire i diversi passi useremo la teoria dei nodi (Grantis). Quanto sto per esporre si basa su varie fonti (scritte od orali) non solo nel campo del Kriya ma anche di sentieri mistici come Esicasmo, Taoismo e Sufismo. Tra i libri che trattano specificatamente del Kriya Yoga, sottolineo Kriya Yoga Vigyan, di Swami Nityananda Giri (traduzione Inglese di Dr. Brijesh Kumar. Yoganiketan 1999). Questa è un'opera che apparve in rete anni fa e poi fu tolta. Ho notato che il filo delle stesse idee si trova anche in: Kriya Yoga: Its mystery and performing art, di Swami Sadhananda Giri ( West Bengal: Jujersa Yogashram, 1998). Eccezion fatta per gli Yoga Sutra di Patanjali (una teoria sufficiente a garantire l'ordine corretto di esecuzione delle tecniche del Primo Kriya), non ho mai trovato un'analoga visione teorica così chiara, concisa e che prede dentro tutti gli aspetti del Kriya Yoga. È ineguagliata per ciò che concerne la loro implementazione pratica. Ogni livello del Kriya è visto entro un unico armonioso processo che conduce ad espandere quello Stato di Tranquillità che durante la pratica del Primo Kriya comincia a stabilirsi nella parte superiore della testa. La maggior parte dei libri sul Kriya contiene una retorica tediosa, ripetizioni innumerevoli, il tutto immerso in inutili riferimenti ad astruse teorie filosofiche - ci sono uno o due righe interessanti, mentre il resto è da buttare. Ma nel libro citato ci sono alcune pagine che sono un vero tesoro.

DEFINIZIONE DEI QUATTRO PASSI I quattro livelli del Kriya che mi accingo a discutere sono legati a diverse procedure che hanno come scopo quello di sciogliere dei nodi interiori: [I] Lingua; [II] Cuore; [III] Ombelico; [IV] Muladhar-Kutastha Nell'insieme delle tecniche del Primo Kriya ci sono i mezzi per sciogliere tutti i nodi. Gli effetti delle altre tecniche (Kriya superiori) sono di amplificare il processo di sciogliere il nodo del cuore, dell'ombelico e del Muladhar. Ma dobbiamo sottolineare che ciascuna tecnica implica un movimento dell'energia attraverso tutti i Chakra e i nodi. Nel Kriya non avviene che un nodo sia sciolto perfettamente prima di incominciare a lavorare sul nodo successivo. I nodi interiori non sono come i nodi di una corda. Possiedono una dipendenza reciproca. Sono coinvolti l'uno nell'altro. Uno non è esterno 176

all'altro, né avviene una piena apertura di uno prima che si osservi l'apertura dell'altro. Non possono essere sciolti in pochi mesi. Un nodo è come un calcolo biliare, conficcato in un organo, che un dottore deve rimuovere con la dovuta cura per non distruggere l'organo e uccidere il paziente. Esistono per aiutare l'istinto di auto conservazione, per tenerci radicati alla terra e sono continuamente rafforzati dalla struttura dell'Ego. PRIMO LIVELLO DEL KRIYA: SCIOGLIERE TUTTI I NODI

TECNICHE

BASE

PER

Consideriamo la complessità del primo livello del Kriya. [1] Nodo della lingua Abbiamo visto che il Talabya Kriya crea un tangibile effetto rilassante sul processo del pensiero. Non si sa come mai questa azione di allungamento del frenulo riduca la produzione di pensieri. Attraverso l'effetto di stiramento del Talabya Kriya il nodo della lingua comincia ad essere sciolto. Quando il Kechari Mudra appare, l'effetto è enormemente amplificato. Anche quando la punta della lingua è semplicemente volta indietro a toccare la parte media del palato superiore (nel punto dove il palato duro diventa molle) durante il Pranayama, la corrente passa attraverso la lingua, scende giù nel corpo e nella spina dorsale. Questo fatto, ripetuto giorno dopo giorno, rappresenta il reale taglio del nodo. [2] Nodo del cuore Un modo facile, sano e affidabile per sciogliere questo nodo è Om Japa in qualunque modo esso venga utilizzato durante la routine -- a voce, mentalmente o sottilmente quando il canto è magicamente trasformato in reale ascolto. Quando il suono interiore della campana appare e la concentrazione su di esso è approfondita, il tasso del cuore rallenta e il nodo comincia ad allentare la sua presa. Ma l'evento più straordinario è quando il Pranayama è praticato col Kechari e il respiro che esce produce un bel suono simile a quello del flauto (un debole fischio) Shiii Shiii. Lahiri Mahasaya lo descrisse come «simile a far passare l'aria forzatamente attraverso un buco della serratura». Il suo potere di pulire la mente è come un «rasoio che taglia tutto ciò che ha a che fare con la mente». Alcune scuole definiscono questo suono simile al flauto il Shakti Mantra e affermano che esso possiede tutto il potere di un Bija Mantra. Lavorando incessantemente a spremere tutta la beatitudine e il potere contenuto nel suono del flauto del Pranayama, apparirà una vibrazione tanto forte da sopraffare tutti i suoni fisici: questo è il cosmico suono di Om -- più 177

forte del suono della campana. Esso proietta il kriyaban nella più profonda esperienza della meditazione. [3] Nodo dell'ombelico La tecnica base è il Navi Kriya. Cosa avviene quando una scuola non lo insegna? Altri fatti dovrebbero compensare la sua assenza. Sappiamo che durante l'espirazione del Pranayama, l'addome è tirato in dentro e alla fine della espirazione c'è una chiara percezione dell'ombelico che si muove verso la spina dorsale. Essere consapevoli di questo movimento può bastare in effetti a sostituire il Navi Kriya -- purché pratichiamo il Pranayama per un numero consistente di volte. Altrimenti sarà molto difficile padroneggiare l'Omkar Pranayama e tutte le altre tecniche evolute che costituiscono il suo sviluppo. [4] Nodo del Muladhar/Kutastha Questo nodo crea un disequilibrio tra le due correnti laterali di Ida e Pingala la qualcosa ostacola lo sforzo del kriyaban di vedere e mantenere stabile la visione dell'occhio spirituale. Si presuppone che chiunque pratichi una certa disciplina yogica abbia questo nodo parzialmente aperto, altrimenti la stessa meditazione sarebbe impossibile. Trattenere il respiro nel Maha Mudra e nello Yoni Mudra è considerato il mezzo tipico per sciogliere tale nodo e invitare Kundalini a salire entro la spina dorsale. Di grande valore è aumentare gradualmente il numero delle ripetizioni di Om nello Yoni Mudra di una al giorno fino ad un massimo di 200. Si raccomanda anche che venga eseguito un Maha Mudra per ogni 12 Pranayama. Inoltre un kriyaban impara ad aggiungere Mula Bandha o Aswini Mudra durante il Pranayama. Una pressione verrà creata alla base della spina dorsale, mentre l'attrazione verso il Kutastha sarà favorita da un leggero corrugamento della fronte e dal sollevare le sopracciglia. Più forti e marcate sono inspirazione ed espirazione, più gioia si prova quando questi due "venti" cessano di soffiare -- mi riferisco alle pause alla fine della inspirazione e della espirazione. Una calma divina è sperimentata durante esse e uno intravvede lo Stato di Tranquillità. Il citato Kriya Vigyan dà una bella spiegazione. Spiega infatti che durante l'inspirazione, mente e Prana salgono verso Ajna attraverso la colonna spinale. Poi, quando, come è naturale, l'aria tenderebbe ad uscire attraverso il naso, un atto di volontà la dirige in giù entro la spina dorsale. Prana è sacrificata in Apana. Quando il respiro e la consapevolezza raggiungono il Muladhara, è naturale che l'aria cerchi di entrare attraverso il naso: un atto di volontà la fa salire entro la spina dorsale. Questo è chiamato il 178

sacrificio di Apana in Prana. Si spiega che quando Apana arriva in basso e si espande di approssimativamente 10-12 dita sotto il corpo, essa sente l'attrazione del Prana ed entra nello spazio interno e divora il Prana: a questo punto il respiro è annientato e segue un attimo di estasi. Questo stato è chiamato un Eclissi Solare: l'Apana negativo ha oscurato il positivo brillante Prana. L'opposto avviene in Ajna ed è chiamato l'Eclissi Lunare. SECONDO LIVELLO DEL KRIYA: INCOMINCIARE UN LAVORO SERIO SUL NODO DEL CUORE Molti discutono se sia il Thokar o l'Omkar Pranayama a caratterizzare questo secondo stadio: lo sono entrambi, anche se adesso la loro potenzialità non viene compiutamente esplorata. Cionondimeno con questo livello si possono raggiungere dei risultati molto precisi che conducono alla piena maturità nel sentiero Kriya -- la porta è aperta al raggiungimento della assenza di respiro. Abbiamo visto che Omkar Pranayama comincia con l'introdurre il canto mentale delle sillabe del Mantra: Om Namo Bhagavate Vasudevaya. Più uno si concentra sulla corrente che sale e scende attraversando ciascun Chakra, più il respiro tende a divenire sottile e il suono nella gola a scomparire. Si dice che il Pranayama ha scelto la "strada interiore" --lo stato di assorbimento nei suoni interiori diventa preponderante. Si percepisce il suono interiore di una campana: questo è meraviglioso, confortante. Con pazienza molti ostacoli interiori si dissolvono. Percepiamo in ciascun Chakra, attraverso una particolare micro pausa, lo stesso stato di calma (Prana statico) che abbiamo imparato a sottolineare alla fine della inspirazione e della espirazione durante il Kriya Pranayama. La concentrazione in ciascun Chakra può essere compiuta per mezzo di una lieve contrazione dei muscoli vicino alla sede fisica di ciascun Chakra. Si può gentilmente "bussare" alla sede di ciascun Chakra, con l'aiuto di un Mantra. Si può cercare di percepirvi una specie di oscillazione, o un movimento circolare (solitamente antiorario se visto dall'alto). La ricchezza dell'Omkar Pranayama è intensificata dall'aggiungere i movimenti del Thokar. L'effetto sui gangli della regione cardiaca, che porterà alla assenza di respiro, non è immediatamente riconosciuto. Il Pranayama mentale dopo il Thokar è molto assorbente: il sistema psicofisico è completamente pacificato. Per poter ottenere la vera assenza di respiro, è necessario un estremo 179

impegno. Qui la necessità delle presenza di un esperto è veramente sentita. Dovrebbe essere compito di un insegnante quello di aiutare uno studente a vincere le resistenze interiori (più che non veri e propri ostacoli) e accettare l'idea che lo stato di assenza di respiro è possibile. Diamo per scontato che ci vogliono le migliori condizioni fisiche -- corretta assunzione di cibo, un modo superiore di vivere senza mai perdere il centro interiore. Il motto di Lahiri Mahasaya «Banat, Banat, ban jay!» (facendo, facendo un giorno fatto) deve essere compreso nel modo giusto. Non si può andare avanti testardamente senza usare l'intelligenza. Uno deve scoprire (o essere aiutato a scoprire) il proprio punto di forza, ed elaborare una routine che sia basata sull'espanderlo al massimo -- al parossismo, se necessario. Alcuni ottengono lo stato di assenza di respiro quando un insegnante è capace di convincerli a praticare il Japa durante l'intera giornata, in un modo talmente determinato che sembra che il loro corpo divenga un'unica solida vibrazione. Per altri questo non basta: il segreto è aggiungere, durante ciascun respiro del Pranayama di base (quello del Primo Kriya che continua sempre ad essere praticato) un continuo Aswini Mudra. Anche se lo studente, incontrando una resistenza che diventa sempre più lacerante, protesta e urla che la cosa non funziona, l'insegnante deve essere irremovibile e trovare le giuste parole per incoraggiare lo studente. Un giorno concentrandosi intensamente su ciascun Chakra, si percepisce che esiste una radiazione di fresca energia che sostiene dall'interno ciascuna cellula del corpo -- allora il vento del respiro si placa totalmente. La mente raggiunge un perfetto silenzio e rimane rapita dall'ebrezza di una incomparabile libertà interiore. Lo stato di assenza di respiro si manifesta ed è un'esperienza dolcissima.

TERZO LIVELLO DEL KRIYA: LAVORARE SERIAMENTE SUL NODO DELL'OMBELICO COMPLETANDO IL LAVORO SUL NODO DEL CUORE A tutti gli effetti, questa fase può essere vissuta praticando più intensamente che mai il Navi Kriya e sforzandosi di perfezionare Omkar e Thokar. Nel Navi Kriya ci sono due fasi che si alternano: concentrazione nell'ombelico e nel Manipur e viaggiare in su e in giù lungo la spina dorsale, facendo vibrare Om in ciascun Chakra. Quando una nuova procedura più potente del Navi Kriya viene introdotta in questa fase, essa è di solito composta di due tecniche: [I] Nella prima, il respiro segue un percorso "inverso" -- inverso rispetto a 180

quello che è sperimentato nel Kriya Pranayama vero e proprio -- e vengono aggiunti i tre principali Bandha (Mula, Uddiyana e Jalandhara). Il Prana è attratto in giù ed Apana in su. Le due correnti si uniscono nell'ombelico e destano la corrente Samana. [II] Nella seconda, Samana è guidata pazientemente Chakra dopo Chakra. Questo avviene tramite una nuova procedura che è una profonda forma mentale di Omkar Pranayama. La prima fase attiva la corrente Samana, la seconda la guida lungo la spina dorsale, permeando ciascun Chakra con la sua qualità equilibratrice.46 L'attivazione della corrente Samana è un evento straordinario perché infonde la nostra coscienza con lo stato di Equilibrio, creando quella condizione indefinibile cui alcuni insegnanti di Kriya alludono come lo "stato di assorbimento del Kriya". La natura del respiro è mutata: esso non è più tamasico, legato a Ida e Pingala. Ne viene una profondità di pratica che è inimmaginabile per un principiante. Per questa ragione Samana è definito come una "freccia" che, partendo dal centro della "arco" del corpo, finalmente può arrivare al suo "obiettivo", il Kutastha e rivelare la luce spirituale. Ho udito una suggestiva spiegazione: la corrente Samana ci aiuterebbe a percepire un eco di quella pace di cui godemmo prima della nostra nascita Il terzo livello del Kriya è caratterizzato dal progressivo miglioramento che questo fatto induce nelle tecniche finora praticate. [1] Cosa avviene nell'Omkar Pranayama Durante l'Omkar Pranayama il kriyaban comincia a familiarizzarsi con i due movimenti tipici di Kundalini. In alcune scuole tali movimenti sono insegnati/attivati in due iniziazioni separate. Il primo movimento è paragonato al procedere di una formica. La consapevolezza e l'energia si muovono con grande intensità lungo la corda spinale millimetro dopo millimetro. Il Kechari Mudra aiuta ad esercitare la necessaria "pressione mentale" -- come spremere con una matita un tubo quasi vuoto di pasta dentifricia per farla uscire del tutto. Questo puro flusso di energia attraverso i Chakra viene sperimentato un grande numero di volte, con un preciso piano di incremento, prima di tentare di sperimentare il secondo movimento. Dovrebbe essere superfluo dire che in questo processo 46

Nella tipica letteratura Yoga, la combinazione delle due procedure [I] e [II] viene descritta come processo di "risveglio di Kundalini"; mentre nella Alchimia Interiore il processo è descritto come "unione del cielo e della terra".

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il kriyaban non usa la forza del respiro per muovere tale corrente. Il secondo movimento è paragonato al saltare di una rana o di una scimmia. Esso deve essere sovrapposto al primo (per poter ottenere l'effetto giusto, i due movimenti dovrebbero avvenire simultaneamente, il che richiede una certa abilità) ed è caratterizzato dal fatto che le sillabe del Mantra (Om, Na, Mo...) sono fatte vibrare nella sede di ciascun Chakra. È grazie all'attivazione di Samana e all'uso del Kechari Mudra che uno diventa capace di percepire lo stato vibrazionale, il ritmo e l'ubicazione astrale di ciascun Chakra. Possiamo capire la ragione dell'insistenza di quasi tutti gli insegnanti di Kriya sulla necessità di raggiungere il Kechari Mudra. Grazie ad esso, nella regione dove il respiro entra nella faringe nasale, sotto il Kutastha, si comincia a creare uno spazio. Questo spazio è percepito come un "vuoto", sebbene non sia un vuoto in senso fisico. Si spiega che il "Kechari" (tradotto letteralmente come "lo stato di coloro che volano nel cielo, nell’etere") insegna come volare nello "spazio interiore". Con questa procedura il kriyaban impartisce un colpo psicofisico nella sede di ciascun Chakra e, concentrandosi sulle diverse luci che appaiono nell'occhio spirituale come conseguenza di ciascun colpo, fa esperienza del sentiero lungo il tunnel spinale. [2] Cosa avviene durante la pratica del Thokar Facciamo una piccola digressione. Quando un kriyaban impara la tecnica del Thokar, viene anche a sapere dei dettagli della forma evoluta: ripetere indefinitamente l'azione di colpire e così stimolare il Chakra del cuore. Quasi nessuno riesce a resistere alla tentazione di provare quella procedura. Uno inspira, trattiene il respiro, ruota la testa per approssimativamente 15 - 20 volte rapidamente (non sentendo nulla di ciò che si dovrebbe sentire)... Con un senso di disagio che aumenta, invece di lasciar perdere, ripete il tentativo inutile per circa una dozzina di volte. Esausto contempla un risultato ben misero: niente Samadhi, niente meditazione... niente di niente. La trasformazione operata per mezzo di questa terza fase del Kriya apre una via sana e fattibile verso la padronanza di questa forma evoluta di Thokar. Un kriyaban inspira, solleva il Prana nella parte superiore dei polmoni. L'atto di sigillare i polmoni (trachea) come si fa quando ci si tuffa deve essere evitato. I polmoni sono tenuti come quando si sta per cominciare una nuova inspirazione. In questo stato d'animo rilassato, i cicli dei movimenti della testa (Te Va Su) sono portati avanti senza alcuna fretta, semplificando la dinamica e diminuendo la loro intensità dal punto di vista fisico. Tenendo il 182

torace espanso ed i muscoli addominali e diaframma immobili, si può lasciare che un minimo (quasi impercettibile) di aria esca fuori ogni qualvolta il mento è abbassato verso il torace ed un altrettanto minimo di aria entri ogni qualvolta il mento è portato su. Non si fa dunque l'atto specifico di inspirare ed espirare, si lascia solo che il fenomeno sopra descritto avvenga -- se avviene spontaneamente. La sensazione è quella di non respirare affatto. Si procede fin tanto che l'intuizione suggerisce che ciò è utile. Questa pratica è fatta rigorosamente solamente una volta al giorno -- anzi si pratica a giorni alternativi, se ci sono problemi con le vertebre cervicali. Comunque, il fatto è che un giorno ci si rende conto di star ruotando la testa mentre il respiro è veramente dissolto! Si prova uno stato di ebbrezza. Nessuno può dire a che punto del processo accadrà questo. Il respiro è congelato e dissolto. Dopo questa pratica, si rimane nell'immobilità mentre la spina dorsale diviene come una barra di acciaio. Talvolta durante o dopo l'esecuzione della forma evoluta del Thokar, un particolare stato estatico si manifesta. Una bellezza senza fine che appaga come un'eternità, che fa nascere una devozione finora sconosciuta, si intensifica attorno al quarto Chakra, come se una mano possente spremesse quella regione. Uno si sente come essere inchiodato da una immensa forza. Nasce la sensazione di essere come diviso in mille parti - ciascuna che pare stia per scoppiare di beatitudine. È a causa dell'intensità di questa esperienza, che appare talvolta difficile da sostenere, che l'effetto del Thokar è descritto come "ubriacante". Tu senti di appartenere per l'Eternità a quella dimensione paradisiaca. Ispirato da questa nuova condizione, comparandola con quella dei mistici, comprendi quanto sia difficile vivere, svolgendo le proprie mansioni, senza essere paralizzato da tale beatitudine! Ti chiedi dove possa trovare la forza di praticare il Kriya per anni, uno che non ha mai avuto un assaggio di codesta beatitudine. Allora puoi ringraziare certe diffuse illusioni sul Kriya, certe credenze senza fondamento ma che ti tengono legato a tale pratica finché la reale esperienza avviene. È solo adesso, avendo nel cuore il riverbero di tale evento, che uno impara a meditare senza inquinamenti mentali, senza nutrire l'immaginazione. [3] Cosa avviene entro uno stato di profondo rilassamento L'esperienza di "perdersi" (intendo appisolarsi) durante una intensa pratica di meditazione può riservare una sorpresa stupefacente, specie quando il naturale struggimento devozionale del cuore è forte. Sappiamo che durante certe profonde meditazioni, le proprie condizioni psico-fisiche sono pronte ad entrare naturalmente nello stato estasi in cui 183

cuore e polmoni rallentano le loro funzioni. Ebbene, ogni volta qualcosa frena questo processo: la condizione normale del riflesso nervoso del cuore ci fa percepire la paralizzante beatitudine estatica come una forma di morte e la dissolve. Ebbene, lo stato di quasi sonno ha il potere di calmare i gangli nervosi che regolano cuore e polmoni. Quando il corpo è molto stanco e riposa come anestetizzato ai confini dello stato di sonno, la genuina aspirazione spirituale può vincere la potente ostruzione alla base della spina dorsale ed accade un evento molto particolare: preceduto talvolta da un vento elettrico sulla superficie del corpo, propagantesi dai piedi alla testa, un potere luminoso e gioioso scorre attraverso la spina dorsale ed entra nel cervello. È come avere un vulcano che esplode interiormente, un "razzo" sparato attraverso la spina dorsale! Di solito il punto (Bindu) nel centro del Kutastha emerge gradualmente e si espande in un tunnel. La consapevolezza è attirata attraverso di esso. Viaggiare nel tunnel spinale, è come una esperienza di quasi morte -- NDE, dall'inglese: "near death experience". Anche se molti libri sul Kriya preferiscono evitare di trattare della esperienza di quasi morte, studiarla da un punto di vista medito è molto importante per il kriyaban. La realizzazione del Sè non è un atto acrobatico che avviene nel regno dei propri pensieri: avviene prima nel corpo. Questa esperienza non si può ottenere con i sofismi! Negli ultimi quarant'anni, questo fenomeno affascinante è divenuto alquanto noto, specialmente con lo sviluppo delle tecniche di rianimazione cardiaca. Il libro: La vita oltre la Vita (1975) di Raimond Moody merita letto. Alcune ricerche che hanno seguito la pubblicazione di esso hanno rivelato che migliaia di persone negli U.S.A. hanno affermato di avere avuto esperienze simili. Le descrizioni -- non solo di quell'autore ma anche di altri ricercatori -- confermano la sensazione di essere morti, di galleggiare sopra il proprio corpo e di vedere l'area circostante. L'intera esperienza è vissuta con un senso di infinito amore e di pace. Molti hanno anche avuto la sensazione di muoversi verso l'alto, attraverso un tunnel o un corridoio stretto, mentre la sintesi della loro vita stava trascorrendo di fronte allo specchio della loro coscienza. Seguono alcuni resoconti sull'incontro con parenti deceduti, e con figure spirituali (esseri di luce). Ciascuno interpreta tale incontro a seconda della propria cultura e delle sue aspettative. Poi la sensazione di essere arrivati ad una soglia e di essere rispediti indietro nel proprio corpo -- spesso con profonda riluttanza a ritornarvi -- sembra concludere l'esperienza. È di grande ispirazione incontrare e ascoltare i racconti di coloro che, come risultato di un serio incidente, ebbero una NDE. Questo evento li portò sull'orlo dell'Eternità, offrendogli l'opportunità unica di gettarci uno sguardo. Per loro essa rimase l'esperienza più reale di tutte, paradossalmente la più "viva" della loro esistenza.

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QUARTO LIVELLO DEL KRIYA: LAVORARE SULL'ULTIMO NODO DEL MULADHAR/KUTASTHA Se la natura dell'esperienza sopra descritta sia semplicemente il visitare i regni astrali o consista in una reale unificazione con Dio, è un tema filosofico. Due fatti a mio avviso sono indiscutibili: [a] È un'esperienza che va oltre la coscienza ordinaria. [b] Dopo molte di queste esperienze, uno scopre che il suo Ego non si è trasformato in un "Ego divino". A tutti gli effetti, dopo aver provato tale esperienza i kriyaban riprendono i loro panni puramente umani come uno che, morto in apparenza, abbia visitato l'aldilà e poi sia ritornato tra gli esseri umani. Questo viaggiare nel tunnel spinale rappresenta uno sguardo breve ma indimenticabile alla nostra eterna natura. È una lezione impareggiabile -- ma non è l'esperienza finale. Il lavoro definitivo comincia adesso. Lavorare in modo specifico sul nodo del Muladhar concentrandosi per lungo tempo sulla sua sede nella regione del Coccige è proibito nel Kriya di Lahiri Mahasaya, il quale ha messo in guardia sul soffermarsi troppo nel Muladhar, creando così un effetto tamasico-negativo. La chiave che apre in modo sano quel nodo è un'altra. Essa consiste nel ricreare in ciascun Chakra (o, per meglio dire: estendere a ciascuno di essi) lo stesso stato elevato, anche se con implicazioni diverse, ottenuto nel Chakra del cuore per mezzo della pratica evoluta del Thokar. Il principale effetto dello sciogliere il nodo del cuore consiste col percepire e divenire uno con l'elemento "aria" -- il quarto dei cinque Tattwas. Tattwa è una parola Sanscrita per indicare i cinque elementi: terra, acqua, fuoco, aria ed etere (spazio). Questa è una teoria filosofica che afferma che tutto nell'universo può essere suddiviso in cinque energie principali. Per un kriyaban i Tattwas non sono un tema di inutile speculazione, ma un insieme di stati di coscienza ciascuno legato ad un Chakra diverso. Dei Bija Mantra sono associati a ciascun Tattwa, ma noi non li usiamo nel Kriya (per lo meno in base alle mie informazioni). 47 47

Un Bija Mantra è un "suono seme" che quando è cantato a voce o mentalmente manifesta il suo potenziale. Il primo elemento è Terra che rappresenta un solido fondamento per ogni inizio; il suo Bija Mantra è: "LAM." Il secondo elemento è Acqua, che è la sfera dell'Inconscio, delle emozioni e dell'intuizione; il suo Bija Mantra è: "VAM." Il terzo elemento è Fuoco che governa il dominio della passione, creatività ed entusiasmo; il suo Bija Mantra è: "RAM." Il quarto elemento è Aria che influenza la stabilità emotiva come pure l'immaginazione creativa; il suo Bija Mantra è: "YAM." L'ultimo elemento è Etere, che controlla i mutamenti e la crescita; il suo Bija 185

Fare esperienza del Tattwa dell'aria è uno stato così grande che molti vi rimangono legati per l'intera vita. La letteratura Sufi, dove una celebrazione di Dio e della natura risplende con una forza ed una ampiezza che non hanno paragone, dà un'idea di questo stato. Nell'ultimo stadio del Kriya, dopo aver avuto piena esperienza dei cinque Tattwa, uno alla volta, su e giù per dodici giri completi, uno svela il mistero del Kutastha e spezza così l'ultimo guscio dell'illusione. L'essenza di diverse varianti dell'ultima tecnica Kriya consiste nel focalizzare la mente e il Prana su un unico centro alla volta finché la sua intima essenza è rivelata. Le luci che uno percepisce nel Kutastha sono prodotte dai diversi Tattwa. Questo può avvenire solo entro uno stato calmo dei polmoni e del cuore. La padronanza dello stato di assenza di respiro gioca un ruolo importante nell'ottenere il giusto effetto. Per questa ragione ci sono delle leggende che questo Kriya non fu dato se non a pochi discepoli. Durante l'epoca della propria vita quando uno è occupato con questa procedura, molte esperienze splendide accadranno e gli ultimi ostacoli interni saranno eliminati uno dopo l'altro. Il risultato finale avverrà dopo anni di lavoro serio. Molti ricercatori spirituali indulgono nel pensiero che è proprio la nostra idea di non avere ricevuto l'Illuminazione, che ci impedisce di ottenerla. Questa è una sciocchezza. Ci furono mistici che trovarono l'Illuminazione spontaneamente - noi accettiamo questo fatto senza discutere: esempi come Ramana Maharshi ci lasciano ammutoliti. Ma noi non siamo Ramana Maharshi e non possiamo rimanere l'intera vita bloccati nella fascinazione della sua biografia scritta magistralmente dal suo discepolo A. Osborne. Il Kriya è per coloro che non nutrono il minimo dubbio sul valore del proprio sforzo. L'essenza di questo quarto passo implica una tenace disciplina: il corpo deve entrare in uno stato di profondo rilassamento, il Prana deve manifestare una tale qualità di calma che la nostra aspirazione spirituale riesce a convincere l'anima ad abbandonare il corpo per alcuni istanti, ritirandosi da muscoli e gangli nervosi nella spina dorsale. La liberazione finale è possibile solo quando uno ha molta dimestichezza con tale evento.

Mantra è: "HAM." 186

Nota sul mio piano didattico Attraverso le prime due fasi del mio piano didattico (descritte nel capitolo precedente: familiarizzarsi gradualmente con le tecniche base del Kriya e poi completare le routine ad incremento progressivo) viene una ben precisa trasformazione psico-fisica. Le prossime fasi che descriveremo nel prossimo capitolo sono le seguenti: [III] Aumentare la sensibilità al canale di Sushumna. Ascoltare i suoni interiori. [IV] Raggiungere lo stato di assenza di respiro [V] Imparare l'arte di viaggiare nel tunnel spinale e incominciare il lavoro finale. Il "Kriya delle cellule" che condivido di solito con alcuni kriyaban ben motivati, è un modo interessante di rendere completo il sentiero spirituale. Questa sesta fase sarà discussa nel capitolo III/04.

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CAPITOLO III/03

VERSO LA PIENA ESPERIENZA DEL KRIYA

Riprendo qui la descrizione del mio piano didattico in sei fasi. Dopo una iniziale familiarizzazione con le tecniche base del Kriya -- un periodo tranquillo che produce dei risultati tangibili -- sono state introdotte le Routine ad incremento progressivo. Il potere di tali routine di trasformare un insicuro principiante in un maturo kriyaban è inuguagliabile. Dopo aver completato queste due fasi iniziali, non ci saranno mai più ostacoli insormontabili; basta l'abitudine di praticare una volta al giorno per circa 40/60 minuti per avere risultati formidabili. Nel capitolo precedente, abbiamo presentato una base teorica che può essere molto utile nel disegnare una routine. Dobbiamo solo ricordare che l'ordine teorico degli eventi interiori ovvero dei risultati che ci si può attendere, non sarà lo stesso per ciascuna persona. Quindi le fasi che discuterò in questo capitolo potrebbero verificarsi in ordine diverso. TERZA FASE PIANO DIDATTICO -- aumentare la sensibilità al canale di Sushumna e ascoltare i suoni interiori durante il Pranayama Nel capitolo II/01, abbiamo condiviso uno dei modi (obiettivamente molto dettagliato) attraverso cui il Primo Kriya di Lahiri Mahasaya è presentato ad un discepolo che non ha mai avuto esperienza del Kriya. Possiamo ragionevolmente affermare che coloro che cercano il Kriya autentico non possono aspettarsi un descrizione più ampia di quella da noi presentata. Ma coloro che veramente desiderano padroneggiare il Kriya devono far sì che il Pranayama venga loro dimostrato da un insegnante che possa anche comunicare la sua esperienza. Anche una parola e un gesto da parte di un esperto sono sufficienti a trasferire profonda conoscenza. I kriyaban dovrebbero vedere con i loro occhi cosa riesce ad ottenere un Maestro che ha pazientemente perfezionato il Pranayama. Usando solo tale pratica, un Maestro può dimostrare lo stato senza respiro e, in certe particolari situazioni, quello di Samadhi. Beato chi può incontrare un simile Maestro e, con una costante applicazione, divenire lui stesso un Maestro! Quello che, a questo punto del percorso, io posso fare per uno studente di Kriya, è separare nella sua mente i due tipi di Pranayama, descritti nel Capitolo II/01 (quello senza la coscienza dei Chakra e quello in cui si è coscienti di essi) e guidarlo a perfezionarli separatamente. Cerco di aiutare uno studente a raggiungere una intensa sensibilità al canale di Sushumna. Lo incoraggio a praticare costantemente l'Aswini Mudra (contrarre ripetutamente i muscoli alla base della spina dorsale col ritmo di 188

approssimativamente due contrazioni al secondo) o il Mula Bandha - durante il Pranayama. Inoltre gli insegno a intensificare la coerenza e l'integrazione dei diversi elementi della tecnica, esercitando una forte concentrazione nel punto tra le sopracciglia. Insisto finché impara a percepire un brivido piacevole nella spina dorsale durante ciascuna pratica del Pranayama. Questo dovrebbe essere percepito non solo una volta ma sempre. È consigliabile praticare il Maha Mudra sia prima del Pranayama che dopo di esso. 48 Per quanto concerne lo Yoni Mudra, molti kriyabans non lo amano e molte volte lo trascurano completamente. La ragione è che essa sembra solo un mezzo per "spremere" gli occhi onde estrarre una parvenza di esperienza di luce interiore. Quando fai una tecnica solo perché ti dicono di farla e non riesci a capirne il valore, essa ha una vita corta. Ora, in questa fase del sentiero, consiglio di ripetere lo Yoni Mudra diverse volte, intensificando la sua fase centrale di Kumbhaka per mezzo dell'Aswini Mudra aggiungendo una debole forma di Uddiyana -- sollevare dolcemente il diaframma un po' e tirare in dentro la pancia. Raccomando di concentrarsi sull'intera spina dorsale e non solo sulla regione fra le sopracciglia. Penso che uno deve avere l'impressione non tanto di spremere gli occhi (anzi se non gradisce il Mudra previsto gli insegno semplicemente a coprire gli occhi con i palmi delle mani) ma di esercitare una pressione fisica e mentale sulla spina dorsale da tutte le possibili direzioni. I risultati sono molto buoni: di giorno in giorno si sente aumentare la consapevolezza del Sushumna. A questo punto non è difficile approfondire la pratica del "Pranayama eccellente" descritto nel Capitolo II/01 e dell'Omkar Pranayama descritto nel Capitolo II/02. Il segreto è creare una "pressione mentale" su ciascun Chakra. Consiglio di praticare almeno 48 di questi Pranayama/Omkar Pranayama nel modo più gradevole -- con micro pause in ciascun Chakra o con un più continuo flusso di consapevolezza. La meta di un kriyaban è di percepire internamente la realtà di ciascun Chakra e ascoltare i suoni interiori durante la pratica stessa senza chiudere le orecchie. Il segreto del successo è esercitare una continua volontà di ascoltare 48

Per quel che concerne il Maha Mudra, alcuni insegnanti di Kriya considerano questa la pratica più utile di tutto il Kriya Yoga. Affermano che la meta ideale (da realizzarsi molto molto gradualmente!) è di praticare 144 Maha Mudra ogni giorno in due sessioni di 72 ognuno. Ci sono resoconti di Yogi che hanno realizzato delle esperienze fantastiche attraverso questa sola tecnica. Secondo quanto riferiscono, la percezione del percorso di Sushumna è aumentata enormemente. Se ci sono degli ostacoli fisici e il Maha Mudra non è possibile, consiglio i piegamenti in avanti della scuola [A]. 189

internamente. La routine, qualunque essa sia, è concepita come un unico processo progressivo di sintonia con la realtà Omkar. Il Maha Mudra non dovrebbe essere considerato come separato dal Pranayama il quale a sua volta non è separato dall'Omkar Pranayama. Il suono interiore Omkar abita in noi da sempre: è la base della nostra stessa vita. Ciascun canto mentale della sillaba Om o delle sillabe del Mantra Om Namo Bhagavate Vasudevaya, deve essere impregnato dalla volontà di rintracciare l'eco di tale suono. Il risultato cercato non avviene improvvisamente per l'acutezza di un particolare momento di concentrazione, ma per l'accumularsi degli sforzi espressi nelle sedute precedenti di Kriya. Quindi se oggi non riesco ad ascoltare alcun suono interno, non dovrei pensare che qualcosa è sbagliato. Può succedere che oggi ho fatto un enorme lavoro i cui frutti saranno raccolti nella meditazione di domani. Un segno che uno sta procedendo nella giusta direzione è un senso di lieve pressione, come una pace liquida, sopra o attorno alla testa. Si potrebbe percepire anche un certo ronzio: non serve chiedersi se questo è l'Omkar o no. Probabilmente è solo un segnale che la vera esperienza si sta avvicinando. Pazienza e costanza sono invece richieste. Il suono dell'Om emerge in modo del tutto naturale ed affascina la mente. Di solito, la prima volta che ciò è percepito è durante il Pranayama mentale, poi durante il Pranayama vero e proprio, poi durante la vita normale, quando uno è quieto. A un certo punto, un suono interiore come di una campana, delicata e distante, serra l'anima nella sua stretta di beatitudine. Uno sperimenta un appagamento totale e un senso di sollievo come se il percorso fosse giunto al suo adempimento. La bellezza del suono della campana è inesplicabile; è un dolce suono, lieve come una pioggia di petali, che bussa dolcemente alle porte dell'intuizione. Con esso, nasce la rivelazione che questo suono è la Realtà che sta alla base di ogni Bellezza sperimentata nella vita e che tutte le esperienze d'amore sono come splendidi cristalli che fioriscono attorno a quel filo dorato. Così la "luce" di Omkar attraversa il muro della sfera psicologica e rende vita ed esperienza spirituale indistinguibili. Di giorno, tutto sembra circondato da un manto morbido che riduce tutte le dissonanze. Tutto è come trasfigurato. Questo fa sorgere una fino ad ora mai sperimentata Bhakti (devozione). Questa vibrazione confortante prende il nostro più profondo desiderio nelle sue mani dorate concedendogli pieno soddisfacimento nell'azzurra immobilità senza limiti che si irradia dal centro del nostro cuore. Il suono Omkar non è solo la base di ogni successivo raggiungimento, ma 190

è ciò che ci salva da tutte le angosce della vita. Quando gli eventi della vita sembrano cospirare a farci dimenticare il senso stesso del sentiero spirituale, la splendida realtà a cui un giorno approdammo con un cuore pieno di entusiasmo, chi avrà il potere di riportarci a quei momenti (così belli che non temono confronto con nessun altro periodo della vita) se non l'abbraccio di Omkar? Ci sono molte insidie dove un kriyaban si può bloccare. Chi si da da fare sinceramente per mantenere questa sintonia, saprà sempre uscire fuori da situazioni terribili. Questo suono estatico incarna quel profondo sentimento di speranza che ha riscaldato innumerevoli volte il nostro cuore ed è il vasto sorriso che ci arrecava conforto durante i momenti difficili. Quando il suono Omkar si manifesta, uno non dovrebbe abbandonarlo volontariamente. C'è infatti la tendenza ad interromperlo mentre ci si rilassa e si gode la vita -- come se il continuo riverbero di questa esperienza fosse un impedimento ad essere pienamente socievoli. Quello di cui non ci rendiamo conto è questa apparentemente innocuo e istintivo riflesso potrebbe farci perdere la sintonia con la Realtà Omkar per un tempo molto, molto lungo. Non per alcuni giorni, ma per anni,come se fossimo trasportati in un altro continente e dovessimo non solo ricominciare daccapo ma ritrovare in mezzo ai nostri confusi pensieri le motivazioni e l'entusiasmo per ripartire. L'esperienza di Omkar è persa quando non è compresa. Uno ha bisogno di leggere letteratura ispiratrice, di confrontarsi con le biografie dei santi, sentire la necessità di praticare il Japa durante il giorno. Uno dovrebbe sentire la meta come la più vicina delle cose vicine, seducente come nessun'altra cosa al mondo, deve ardere di entusiasmo per essa. Nota sul Kechari Mudra Durante il completamento delle Routine ad incremento progressivo o durante questa terza fase, alcuni studenti pongono spesso il tema del Kechari Mudra: chi non ci riesce si sente depresso, chi ci riesce non sa come usarlo al meglio. Cerchiamo di ricapitolare le idee Sappiamo tutti che dopo alcuni mesi di Talabya Kriya si può raggiungere il Kechari Mudra con l'aiuto di una o due dita che spingono la lingua vicino alla sua base in modo che la punta tocchi l'ugola e poi vada ulteriormente indietro oltre il palato molle finché la punta possa infilarsi nella faringe nasale. Spieghiamo che, durante i primi giorni del suo impiego, immediatamente dopo aver appreso ad inserire la lingua nella faringe nasale, si prova un senso di "intontimento": le facoltà mentali sembrano ottuse. La persona deve essere avvisata di ciò, anche se dopo due settimane, tutto ritorna alla normalità. 191

Il Kechari Mudra può essere paragonato ad un ponte in un circuito elettrico che scavalca il sistema energetico della mente. Esso devia sia il sentiero che la direzione del Prana facendo sì che la forza vitale venga sottratta dal processo del pensiero. La qualità del silenzio e della trasparenza comincia a divenire la caratteristica della propria coscienza. La mente lavora in modo più sobrio: ciascun pensiero sembra essere più preciso e concreto. Il Kechari ferma il colloquio interiore, donando un riposo essenziale alla nostra mente. Effettivamente, non è poca cosa! A volte, durante la vita quotidiana, dei momenti di pura calma e di silenzio mentale riempiono l’essere! Talvolta, senza fare alcuna pratica yogica aggiuntiva, un'esplosione di gioia interiore, che non ha causa concreta, può apparire nei modi più imprevedibili. Secondo Lahiri Mahasaya: «Ogni sentiero religioso consiste di quattro tappe caratterizzate dallo sciogliere quattro "nodi": lingua, ombelico, cuore e coccige». Questo cosiddetto "nodo della lingua" consiste nel fatto fisiologico che la nostra lingua non riesce normalmente a toccare l'ugola e certi centri nella faringe nasale. Dal punto di vista energetico, siamo tenuti scollegati dalla riserva di energia della regione del Sahasrara. Il Kechari Mudra elimina tale frattura tra il cervello e il corpo e fa sì che l'energia circoli (in un modo chiaramente percettibile) entro il corpo. Altri concetti vengono introdotti: mi sento in dovere di rispettarli anche se mi lasciano perplesso: [a] La letteratura sul Kriya afferma che la lingua può anche essere spinta più in alto in modo che la sua punta tocchi un centro più elevato nella parte superiore della faringe nasale. Estendendo la lingua al massimo limite, è possibile sperimentare una grande forza di attrazione verso il Kutastha assieme alla sensazione di aver raggiunto una posizione fisicamente più in alto. Come qualsiasi atlante d’anatomia può mostrare, la lingua, completamente contenuta nella faringe nasale, non può andare oltre. L’affermazione di Lahiri Mahasaya può essere letta in senso simbolico e riguarda il sollevamento dell’energia. [b] La stessa letteratura afferma anche che uno è capace di percepire, attraverso il Kechari, l'elisir della vita, "Amrita", il "Nettare". È un fluido dal gusto dolce che scende dal cervello nel corpo attraverso la lingua. Per quanto riguarda l'importanza di sorseggiare il nettare, non sono in grado di aggiungere nulla in quanto non ho ancora avuto questa esperienza né, devo ammettere, ho mai cercato di averla. Si spiega che per ottenere questa esperienza, la punta della lingua dovrebbe toccare tre punti specifici: l'ugola, una piccola asperità sul tetto del palato sotto la ghiandola pituitaria e il tessuto molle sopra il setto nasale. La punta della lingua dovrebbe ruotare su questi punti almeno per 20-30 secondi; poi facendo un movimento con labbra e bocca come per centellinare un liquore, si 192

percepirà un certo particolare sapore sulla superficie della lingua. Si può ripetere l’esercizio diverse volte durante il giorno. Si spiega che quando la vera sensazione di nettare si manifesta, uno deve concentrarsi su di essa, tenendo la lingua in contatto con uno dei centri descritti sopra. Secondo me un kriyaban di solito si esalta un po' con queste cose e poi le dimentica bellamente, alla faccia di tutta la letteratura! [c] Sappiamo che in India, il modo in cui uno studente pratica il Kechari Mudra è cruciale per la sua iniziazione ai Kriya superiori. Ciò che è vero in maniera incontrovertibile è che il Kechari Mudra aiuta a creare la giusta pressione su ciascun Chakra durante l'Omkar Pranayama. Abbiamo già spiegato come questo Mudra sia prezioso nel percepire lo stato vibratorio, il ritmo e la sede astrale di ciascun Chakra. Gli Acharya chiedono di vedere l’effettiva esecuzione del Kechari; domandano che si apra la bocca di fronte a loro e controllano che la lingua scompaia nella cavità nasale. A mio avviso, l'iniziazione ai Kriya superiori non dovrebbe essere negata a coloro che sono incapaci di praticare il Kechari Mudra. Non sto dicendo che il Kechari non sia importante. Semplicemente preferisco credere che Lahiri Mahasaya abbia concesso delle Iniziazioni superiori anche a coloro che non riuscivano ad assumere la posizione corretta del Kechari Mudra. La sua attitudine, il suo prendere parte alle sofferenze umane mi indussero a credere in questo. Non riesco a concepire che l'ottenimento del Kechari divida le persone in due categorie nette. Da un lato abbiamo delle persone molto orgogliose illuse nel credersi più evolute di altri, dall'altro lato coloro che si deprimono inutilmente per non aver ottenuto qualcosa che non dipende dal loro sforzo ma dalla loro costituzione fisica. A chi giova dividere i kriyaban in tal modo? Una frase come «Finché uno non è stabilito nel Kechari Mudra, non può raggiungere lo stato di Eterna Tranquillità» è una pura falsità. Se fosse vera, allora molti mistici, la maggior parte dei quali non sentirono mai parlare di Kechari Mudra, non avrebbero mai potuto avere una piena esperienza del Divino. Diciamo quindi, senza alcun timore di essere smentiti, che ci sono tante persone che praticano il Kriya con entusiasmo, con ammirevole dedizione, che gioiscono dei suoi notevoli effetti, senza aver realizzato questo Mudra. [d] Chi riesce a praticare il Kechari Mudra lo trova molto utile nel creare una particolare pressione in ciascun Chakra durante l'Omkar Pranayama. La quarta fase che stiamo per discutere adesso è il vero punto di svolta 193

QUARTA FASE PIANO DIDATTICO -- raggiungere l'assenza di respiro Dal punto di vista tecnico, la condizione basilare per far apparire lo stato di assenza di respiro è creare una particolare calma nella regione del Chakra del cuore. Ciò può essere raggiunto dopo il Navi Kriya con una lunga concentrazione sul Chakra del cuore, ma di solito lo si ottiene per mezzo di un'intensa pratica del Thokar. In effetti, Lahiri Mahasaya spiegò che quando il plesso cardiaco è colpito dalla forte azione del Thokar, il Prana che è collegato alla respirazione è diretto internamente e questo comporta uno stato spontaneo di profondo e lungo assorbimento. Disse anche che: «Il Thokar apre le porte del tempio interiore». Si riferiva all'ottenere la rivelazione di Omkar, uno stato di profonda meditazione, tipico del Kriya. Ma, plausibilmente, si riferisce anche al fatto che uno diviene consapevole del Prana contenuto nel corpo ed è capace di calmarlo ulteriormente. Per comprendere quanto sia decisivo questo ultimo raggiungimento, ricordiamo i due fatti che sono essenziali a raggiungere lo stato di assenza di respiro: il primo è sentire realmente una fresca luce interiore che sostiene la vita dei muscoli e degli organi interni, il secondo è calmare i gangli nervosi connessi alla zona del cuore che regolano il suo pulsare come pure il ritmo del respiro. Per far sì che la calma del respiro diventi assenza di respiro, la procedura del Kriya deve essere raffinata per mezzo di esperimenti che possono durare mesi. In tale momento critico della propria evoluzione, quando la volontà è tutta diretta verso questo raggiungimento, l'intuizione può suggerire l'importanza di praticare il Pranayama più intensamente, rafforzandolo per esempio con l'Aswini Mudra o intensificando la sua coerenza (integrazione dei suoi diversi elementi) attraverso una più acuta concentrazione nel Kutastha. Tutto questo richiede tempo perché il potere scaturito da questa prassi intensiva dovrebbe essere gradualmente assimilato e integrato nella propria personalità. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che qualsiasi routine, non importa quanto sia buona, non sarà mai una garanzia per raggiungere l'assenza di respiro automaticamente. Eliminare ogni atteggiamento improprio è anche qualcosa di essenziale.49 49

La descrizione degli atteggiamenti sbagliati nella prima parte del libro era inteso come materia di riflessione. Devo confessare che quello che ho descritto è un'escursione nella mia vita intima, un viaggio nel mio passato. Molte delle fissazioni riportate, come buchi neri minacciano ancora di prendermi in trappola: ci sono molte occasioni in cui 194

Oltre ad eliminarle, un kriyaban deve anche fare ogni possibile sforzo nel pensare in un modo chiaro e logico quanto è necessario, altrimenti restare nella vibrazione del silenzio mentale. Ogni cosa deve essere messa in ordine, faccende personali incluse e questo ordine deve essere esteso a tutti gli aspetti della propria vita. Un kriyaban deve essere in grado di esprimere uno sforzo al cento per cento e questo non può avvenire se ci sono dei conflitti interiori che minacciano costantemente l'unità della personalità. Il cuore deve essere volto solo in un'unica direzione. Per questo ci vuole tempo, intelligenza, abbinata ad una costante auto osservazione. Un pieno possesso dello stato di assenza di respiro richiede, a mio avviso, due - tre anni di regolare pratica Kriya. Quando il tempo è maturo, questo stato sboccia naturalmente e spontaneamente come un fiore durante il Pranayama mentale. Stabilire l'abitudine del Japa Come ho spiegato diffusamente nel capitolo I/04, prima di iniziare una routine Kriya, onde spremere tutto il suo potere, è essenziale aver raggiunto lo stato di profondo Silenzio Mentale. Questo si può ottenere praticando il Japa. Una nota aggiuntiva sul Japa e sulla corretta scelta di un Mantra si rende necessaria. Un kriyaban non dovrebbe sentirsi costretto a usare il Mantra favorito da Lahiri Mahasaya "Om Namo Bhagavate Vasudevaya". Può scegliere, tra le formule preferite di Preghiera, una (aggiungendo, se necessario, Om o Amen all'inizio o alla fine) che abbia dodici sillabe. Dodici è un numero perfetto in quanto si potrà usarlo anche durante il Kriya, ponendo ciascuna sillaba in un Chakra diverso. Dei bei Mantra di dodici sillabe possono essere ottenuti dai Bhajans o da poesie. Tanto per fare un esempio da un canto del famoso Adi Shankara possiamo gioire di questo bel verso: Chi-da-nan-da-ru-pah-shi-voham-shi-vo-ham (Quella Forma che è pura consapevolezza e beatitudine, io sono quell'Essere supremo, io sono quell'Essere supremo!) Un Mantra dovrebbe esprimere precisamente quello che uno vuole raggiungere. Per esempio l'atteggiamento di resa è espresso da quei Mantra che cominciano con Om Namo... altri Mantra esprimono la realizzazione assoluta non-duale. Ci sono persone che fanno una scelta veramente infelice del Mantra attraverso la quale danno l'impressione di auto punirsi: la loro formula è un'affermazione dei propri limiti, un senso di indegnità o la condanna del proprio devo resistere al loro oscuro potere. 195

comportamento. Dopo breve tempo, la loro pratica si disintegra; talvolta si trovano a ripeterla una o due volte al giorno come un sospiro di avvilimento. Ciò non ha nulla a che fare con quello che stiamo descrivendo qui. Il Mantra scelto dovrebbe avere un tono forte e dolce allo stesso tempo. È importante gioirne. "Tono forte" significa che è incompatibile con un atteggiamento di supplica o di lamento. La preghiera scelta dovrebbe implicare il presentimento di una felicità che, con la stessa ripetizione delle sue sillabe, attireremo a noi. 50 Dopo aver scelto da soli il proprio Mantra, usatelo per alcune settimane onde rendervi conto se il corpo lo accetta o meno. Sperimentare per conto proprio è l'unica cosa che conta. Avviene talvolta che una persona decide di recitare un Mantra, comincia a farlo con entusiasmo e poi, dopo pochi minuti, si trova a recitarne un altro. Da ciò e da altri segni, ci si rende conto che non si è trovato il giusto Mantra e che la ricerca deve proseguire. In certi casi l'uso di due Mantra può essere accettabile. In effetti, ci sono persone le quali, dopo anni di esperimenti, hanno deciso di adottare un Mantra come Sri Ram Jay Ram Jay Jay Ram Om (8 sillabe) che non può essere allungato, salvo mutarlo irrimediabilmente, e lo usano durante il giorno ed un altro con 12 sillabe durante la pratica del Kriya. Il primo passo è prendere la determinazione di completare ogni giorno a voce almeno un Mala (un rosario di 108 grani) del Mantra scelto, poi lasciarlo risuonare automaticamente nella propria mente. Dovrebbe essere ripreso, ogniqualvolta è possibile, a voce alta o mentalmente, durante il giorno. É chiaro che questo richiede tempo ulteriore. È per questo motivo che uno deve essere saggio e scegliere la vita più semplice, adatta al suo temperamento. In questa dimensione, quando ci troviamo a sperimentare qualcosa che ci turba e sconvolge, è fondamentale recuperare l'autocontrollo con il Japa mentale o vocale. In questo modo, pur soffrendo inevitabili tracolli, saremo capaci di attraversare la vita con un sorriso. Durante il Japa, il nostro unico compito è far riecheggiare il suono del Mantra nella nostra testa e, se possibile, 50

Coloro che hanno familiarità ed esperienza con lo Hatha Yoga e con il concetto di Bija Mantra possono crearsi dei bei Mantra. Ad un Mantra preesistente, dopo l'Om iniziale, si può aggiungere qualche "Bija" (seme) Mantra: Aim, Dúm, Gam, Glamu, Glom, Haum, Hoom, Hreem, Hrom, Kleem, Kreem, Shreem, Streem, Vang, … Questi suoni vennero scelti da antichi yogi che sentirono il loro potere e li usarono. Non vennero dati da alcuna divinità, furono una scoperta umana. La letteratura o un esperto possono aiutare a fare una buona scelta. Purtroppo la letteratura tende a esaltare eccessivamente la virtù di tutti i Mantra tradizionali, mentre un esperto tende a consigliare a tutti il suo Mantra preferito. 196

percepire la sua vibrazione che si estende in tutte le parti del corpo. Quello che è richiesto è la volontà adamantina di tagliare in due la mente, di ripulirla dai pensieri inutili in modo di toccare la dimensione del Silenzio Mentale. Quando ciò accade, ci si sente circondati da un guscio protettivo fatto di pace tangibile - questa non è una visualizzazione ma una vera esperienza. Non ci saranno più problemi di aridità, mancanza di motivazione e difficoltà di concentrazione. Il ricordo del Divino rimarrà, anche quando le vicissitudini della vita cercheranno di distruggere la stessa idea della dimensione mistica. Rimarrà quando il nostro Sadhana (sentiero) sembrerà frantumarsi in mille maldestri tentativi, ciascuno fragile e vulnerabile. Routine Kriya L'importanza di abbinare il Japa ad una routine intelligente non sarà mai sottolineata abbastanza. Consideriamo la seguente routine e descriviamo una procedura effettiva: [a] Maha Mudra, Omkar Pranayama col respiro continuo, Omkar Pranayama col respiro frammentato, Thokar, Omkar Pranayama col respiro continuo. [b] Pranayama mentale. Fase [a]: usare il respiro Un kriyaban che ha avuto l'opportunità di usare assiduamente il Mantra scelto, finché c'è la netta percezione di una potente immobilità fisica e pranica, dopo aver praticato il Maha Mudra, si siede con la schiena diritta, pronto a toccare la pienezza e la pace del silenzio. Gli occhi sono chiusi, implicando un'intenzione di distaccarsi dal mondo circostante. Lo stato d'animo è profondamente sereno. È a quel punto che scopre che la routine Kriya si sviluppa in un modo semplice e naturale, come la prosecuzione dell'atto di preghiera. In effetti, lo stesso Mantra utilizzato durante il giorno procede automaticamente. Viene naturale l'idea di fare un lungo respiro e cantare il Mantra durante l'inspirazione e ripeterlo (o completarlo) durante l'espirazione! Con molta calma uno porta l'attenzione su un solo fatto: fondere il canto interno del Mantra con un respiro dal ritmo lento e regolare. Questa pratica elementare è simile al nostro ben noto Omkar Pranayama e può essere portato avanti per 24-36 respiri. 51 51

Uno può prolungare la bellezza di ciò, per un tempo lungo. Si verrà a creare uno stato particolare in cui tutto il proprio essere sembrerà star per scivolare nello stato di sonno, ma la pratica del Japa, aiuterà a stabilirsi nella zona intermedia tra le percezioni della realtà esterna e l'attrazione di godere di qualche fantasia. 197

A questo punto uno introduce l' Omkar Pranayama col respiro frammentato. Questa tecnica è praticata 12 volte come spiegato (vedi capitolo II/02), poi il respiro sembra trasformarsi, divenire sempre più sottile finché sembra sparire... A questo punto uno introduce il Thokar. (Ci sono diverse procedure di Thokar e le abbiamo compiutamente descritte.) È importante, dopo aver completato un numero minimo come 12, riprendere la pratica di Omkar Pranayama col respiro continuo finché tutto il sistema sia profondamente calmato. Fase [b]: dimenticare il respiro Ora entriamo nella fase più impegnativa: durante essa uno dovrebbe essere completamente isolato in modo di non poter essere disturbato. Se, purtroppo, questo dovesse avvenire, ci vorranno non minuti ma ore per ricreare lo stato d'animo pacifico e rilassato che è stato interrotto. Ripetiamo l'intera Preghiera in ciascun Chakra, salendo e scendendo nella spina dorsale, lasciando che il respiro si calmi completamente. Ci concentriamo su un Chakra alla volta. L'ordine è sempre: Chakra 1, 2, 3, 4, 5 e regione occipitale; Midollo allungato, Chakra 5, 4, 3, 2, 1. La meditazione ha molti aspetti, "la nostra meditazione" ora è la semplice azione di incidere nella totalità del nostro essere la pratica devota della Preghiera. Possiamo rimanere in ciascun Chakra il tempo necessario per ripetere una volta, mentalmente, lentamente la Preghiera (si può ripeterla due, tre volte). È come seminare con la massima cura ciascuna delle sue lettere nel terreno di ciascun Chakra. Continuiamo sempre più sottilmente, mentre la coscienza si stabilisce in un vasto spazio che si estende oltre e sopra il Bindu. La nostra intenzione non è di stimolare i Chakra ma semplicemente di abbandonarsi a un irresistibile processo di interiorizzazione. [1] Un senso di conforto e di essere avvolti in un dolce assorbimento è la prima esperienza. Gli occhi, se fossero aperti o chiusi a metà, si chiuderebbero da soli. Se fossero tenuti aperti - per esempio per evitare la sonnolenza - uno non vedrebbe più niente. La vita attorno è momentaneamente estranea. La Preghiera dà il potere di "vedere", "toccare" ciascun pensiero e perciò "fermarlo." [2] Aspetto Omkar di luce e di suono. Questo di solito segue l'esperienza della luce interiore che può apparire nel punto tra le sopracciglia e nella parte superiore del cervello. Essa varia da una diffusa intensità fino alla luce 198

brillante del cosiddetto occhio spirituale. Essa dà l'idea che il proprio essere è costituito da un'intensità di luce dorata. Il proprio stato d'animo diventa gioioso. La realtà dei Chakra è sperimentata intensivamente ma l'esperienza è soggettiva. Si ascolterà, molto probabilmente, il suono di una campana lontana o di acque che scorrono. [3] Totale immobilità del corpo e della mente. Abbiamo la percezione di aver calmato i movimenti interiori del corpo, persino ad un livello molecolare. Certo questa è solo una sensazione – comunque quando uno la prova, lo stato di assenza di respiro aspetta il momento propizio per riversare un'ineguagliabile esperienza di beatitudine divina nel nostro essere. Mentre uno sale e scende entro la spina dorsale, spostando la coscienza da un Chakra all'altro, ci rendiamo conto che una fresca energia sta sostenendo il corpo dall'interno. [4] Assenza di respiro. Una perfetta, totale immobilità viene a stabilirsi e, ad un certo momento, i polmoni non si muovono. Questa condizione dura vari minuti, senza alcun senso di disagio: non c'è il minimo palpito di sorpresa. Il cuore palpita nel dare il benvenuto a tale stato; centelliniamo il miele celestiale di una radiazione di dolcezza che annichilisce ogni desiderio e riempie l'anima di Bellezza ineffabile. Questo evento è godibile al di là delle parole: contiene molto più di quello che uno ha sognato. È uno stato incredibile – paragonato ad esso, il modo comune di vivere è soffocamento. [5] Vera meditazione. A questo punto la pratica della Preghiera (Mantra), come ripetizione mentale di parole comincia a perdersi per strada. Il viaggio spirituale si avvicina alla sua fine. Abbiamo un anticipo della dolce armonia che oltre il nostro essere. Nasce l'esperienza di essere in contatto con una Bontà Senza fine (non conosco un altro modo per descriverla, prendo in prestito un'espressione di S. Teresa di Avila): siamo permeati da un sapore di Eterno. La coscienza è trasportata più lontano di qualunque territorio conosciuto. Questo è un stato che ci regala indifferenza nei confronti della morte e da cui nasce un Bene incommensurabile. L'esperienza è la quintessenza dell'amore, conforto e compimento. Certamente la reazione è: «Non lo perderò, qualunque cosa avvenga!». Dopo questa meditazione, ogni oggetto apparirà come trasfigurato, la realtà fisica rivelerà l'immanente presenza dello Spirito. Pratica evoluta del Japa Per mezzo della Preghiera, i mistici sono stati capaci di raggiungere quella dimensione del vivere che è chiamata Preghiera Continua -- una stupefacente ed ubriacante coabitazione con un celestiale stato di beatitudine. 199

(Abbiamo già citato due libri ispiranti, In cerca di Dio di Swami Ramdas e I racconti di un pellegrino russo (Anonimo), dove questo stato è ampiamente descritto.) La Preghiera va avanti senza sforzo, prende possesso di coloro che la sussurrano. È la Preghiera che "pronuncia" il devoto, non il devoto a pronunciare la Preghiera. Forse pensiamo che sia troppo difficile, tuttavia possiamo raggiungerla specialmente in certe stagioni della nostra vita. In essa troviamo la spinta decisiva per creare le condizioni per realizzare lo stato di assenza di respiro. Una volta che questo è sperimentato, noi non lo dimenticheremo più e noi saremo anche capaci di trovarlo con un più piccolo sforzo. Quello che conta è l'atteggiamento di perdersi completamente nella Preghiera (Mantra), centrando totalmente il suo segreto e attingendo a quel potere che quasi tutti i mistici hanno sottolineato al di là di ogni disquisizione. Se la buona letteratura non riesce a darci questa spinta, allora il giusto atteggiamento si impone gradatamente quando riceveremo un buon calcio negli stinchi da parte della vita stessa. Ci sono momenti in cui tocchiamo con mano quanto la vita sia dura, terribile e crudele. Una genuina dedizione al sentiero mistico nasce dal desiderio intimo di "qualcosa di più" del modo comune di vivere. Apriamo una parentesi. Secondo me, coloro che si sono abituati a come le cose vanno avanti nella vita e in cuor loro lo accettano e si concentrano solo sulla loro fetta di piacere che la vita offre loro, che hanno tanti progetti per il futuro, come andare di qua e di là, visitare questo e quello, faranno bene a dimenticare il Kriya e le illusioni descritte nella relativa letteratura e nei siti web. Che vivano la vita: non c'è bisogno di renderla più complicata con il Kriya. Il desiderio nei confronti dell'esperienza mistica non nasce dai ragionamenti, né può essere artificialmente creato con Satsanga (discorsi su temi spirituali), convocazioni e simili azioni di persuasione. O c'è o non c'è. Se il nostro Mantra rappresenta la massima aspirazione del nostro cuore, allora è pronunciato in modo appassionato. Ripulendo la mente fino a farla divenire uno specchio immacolato, noi creiamo una forza morale che ha il potere di influenzare ciò che ci circonda. Una mente mistica riesce a mantenere il silenzio mentale anche mentre parla ad altre persone: invece di essere coinvolto nelle immagini che sorgono dalle parole, può restare in allerta per restare centrato e non perdere il senso di immutabile calma. Per quanto riguarda la meditazione, se tale spinta è presente, allora uno riversa nella procedura la giusta dose di creatività e sensibilità. Ascolta i suggerimenti dell'intuizione per mezzo della cooperazione della mente 200

subconscia. Non c'è pericolo che la ricerca della perfezione divenga una volontà cieca di colpire il bersaglio. Aver provato la sofferenza è la garanzia che uno sentirà spontaneamente rispetto per la bellezza e l’importanza di ciascun dettaglio. Il Thokar del Kriya è la "Preghiera del cuore" di cui parlano alcune tradizioni mistiche. La radiosità generata da questa procedura diverrà l'oro della propria prima esperienza del Divino. Essa comincia col sentire simultaneamente una forma mite di dolore mescolata alla percezione di una dolce bontà, che non può essere paragonata con alcun piacere della vita. In certe occasioni, coloro che hanno il tempo di rilassarsi dopo la pratica e lasciare che essa lavori nel proprio intimo, saranno trasportati in un paradiso di immagini simboliche. Lo sguardo interiore indugia teneramente su di esse, resti di memorie, trasfigurate dalla gioia nata dalla meditazione. Persino eventi banali delle propria vita appaiono nella distanza del ricordo come momenti di estasi e rivissuti, posseduti pienamente come mai prima, con tale intensità che lacrime di gioia scendono sulle guance. La nostra mente è divorata dalla illusione di adottare dei mezzi più costruttivi, concreti, di "evoluzione". Essa cercherà di diminuire in ogni modo il valore del Japa. Dà l'idea che esso è uno strumento scarsamente produttivo - ma questa è una falsa impressione. Trascurare il Japa significa abbandonare uno strumento formidabile – un errore imperdonabile! Simile a colui che, vicino al focolare, si gode la bellezza dell’inverno ventoso, freddo, che circonda il nido della sua casa, colui che pratica il Japa (Preghiera continua) contempla sia il triste sia il gioioso spettacolo della vita, avendo trovato nel centro del suo cuore l'infinità dei cieli! La Preghiera è una gemma meravigliosa il cui splendore riscalda la propria vita. La sua magia si diffonde in ogni sfaccettatura della vita, sarà come camminare fuori da una stanza scura nell'aria fresca, nella luce del sole.

QUINTA FASE PIANO DIDATTICO -- raggiungere lo stato estatico L'esperienza del Samadhi non è così rara come qualcuno può pensare. Molti che l'hanno provata l'hanno descritta con nomi appropriati come: "Risveglio di Kundalini", "Supercoscienza". Un termine inappropriato è "Coscienza cosmica"... L'esperienza consiste in un aumento di beatitudine che si manifesta in una o in una serie di ondate che salgono lungo la spina dorsale ed entrano nel cervello (o, se nei giorni precedenti uno ha praticato intensivamente la tecnica del Thokar, creano una intensa beatitudine nel Chakra Anahat). Talvolta, la 201

beatitudine diviene così grande che uno sente la necessità di cambiare posizione e rimaner disteso su un fianco per fermarne la ripetizione e riuscire a dormire in pace. Di solito, ma solo dopo anni di Kriya, l'esperienza avviene nella posizione base di meditazione ed anche in quei casi uno scopre che la sua testa si è inchinata. Questo evento è come un tuffo nell'Eternità, bruciare per alcuni secondi di una gioia infinita, riempire il proprio essere dell'euforia che viene dall'intravvedere la propria destinazione finale. Coloro che ebbero, anche per solo alcuni istanti, tale esperienza ricevettero una lezione inestimabile. Anche se essa non rappresenta la liberazione finale, ovvero il raggiungimento della meta definitiva della propria avventura spirituale, il Samadhi è un evento che, se non rifiutato e rimosso, cambia la propria vita e le dona una dimensione spirituale dalla certezza incrollabile. Altrove ho parlato della esperienza di quasi morte (NDE) che è qualcosa di analogo -- anche se uno non ha necessariamente l'esperienza di galleggiare sopra il proprio corpo, di vedere l'area circostante, o di contemplare nello specchio della propria coscienza la sintesi della propria vita. Il Samadhi crea la stessa trasformazione ed infiamma il desiderio di concepire la migliore routine di Kriya che faciliti quella esperienza il cui verificarsi rimane sempre imprevedibile. Alcuni furono così eccitati dall'esperienza che la descrissero in libri o riviste specializzate, come un evento straordinario. Come atto di umiltà e di non supponenza che può venire solamente a quei devoti in cui l'eccitazione giovanile ha ceduto alla saggezza della persona matura, loro attribuirono l'evento ad un individuo immaginario che, a lor dire, rivelò loro ogni intimo dettaglio. Ma l'ego li incoraggiò ad aggiungere così tanti dettagli sia sull'evento che sulle intime reazioni dell'individuo che il lettore non poté non vedere che in realtà essi avevano descritto una esperienza che era accaduta proprio a loro stessi. Tranne il caso in cui la supposta obiettività ottenuta con questo questo trucco offrì l'opportunità di elaborare audaci speculazioni -- ricordo che uno fantasticò che il protagonista del suo racconto fosse il "precursore di una corsa era" -- essi ricevettero dai lettori un'ammirazione non esplicita ma ciononostante incontrastata. Comunque, il punto fondamentale è che, leggendo, si ha l'impressione che essi non abbiano capito l'insegnamento contenuto nell'evento. Lo stato estatico dove uno è totalmente tagliato fuori da questo mondo e rimane come un "cadavere" per dei secondi (o minuti) è alla portata di ogni kriyaban. 202

L'esperienza viene, mentre si è distesi in Savasana. È un fenomeno fisiologico che accade quando si pratica intensamente, con l'atteggiamento corretto. Nelle descrizioni di questo evento, notiamo che di esso è stata esagerata l'importanza quasi che esso fosse un intervento divino: un privilegio che loro affermavano, senza crederci ovviamente, di esserne indegni. Sembrano convinti dell'impossibilità di renderlo parte della loro vita presente ripristinando la stessa routine che lo aveva indotto e, soprattutto, richiamando la stessa ardente aspirazione della loro anima e quel modo di vivere. Come tutti i conseguimenti sostanziali del Kriya, il Samadhi è legato non solo ad una pratica intensa delle tecniche di meditazione ma anche ad uno sforzo costante di mantenere sempre viva e ardente l'aspirazione spirituale. Un'interpretazione formale e senz'anima delle tecniche fa sì che lo stato di Samadhi sia virtualmente impossibile. La fiamma della nostra aspirazione verso una realtà superiore dovrebbe essere continuamente alimentata. Spesso, delle difficoltà come far molta fatica a trovare il tempo per la meditazione e l'essere vittima di una tendenza quasi invincibile alla sonnolenza quando siamo finalmente seduti per la meditazione, può diventare una benedizione mascherata. Se, quando pratichiamo, noi c'addormentiamo, è essenziale riconquistare la calma come se nulla fosse accaduto. Più facciamo questo, più lo stato estatico è vicino. Lo stesso avviene quando siamo spinti oltre ai nostri limiti da problemi seri e dobbiamo fare appello alle nostre risorse per restare coerenti con i nostri ideali. Il significato di principi religiosi come: "Ma cercate anzitutto il regno di Dio, e la sua giustizia; e tutte queste cose vi saranno date in sovrappiù. (Matteo 6:33) ...." è improvvisamente sperimentato con un impatto lacerante. Siamo portati faccia a faccia con le nostre debolezze e finalmente vediamo qual è la giusta scelta, capovolgiamo la scala dei nostri valori e poniamo al primo posto nella nostra vita quello che è veramente prezioso. Questo fatto libera un'onda crescente di fresca energia, disponibile per scopi spirituali e dalla terra desolata della disperazione siamo proiettati nello stato estatico. Ogni persona dovrebbe progettare la loro propria routine; idealmente, due al giorno: la principale da praticarsi a qualsiasi orario conveniente dove uno perfeziona ogni fase del sentiero Kriya ed una speciale, molto semplice ma tuttavia impegnativa, da essere praticata prima di distendersi. Nella routine principale, ogni fase è importante ma due cose devono essere caratterizzate da particolare forza: la concentrazione nel Kutastha e l'aumento di calore nel Chakra del cuore dopo la pratica del Thokar -- non necessariamente lunga ma intensa. Per quel che concerne l'altra routine, è necessario essere molto semplici, ridurre al minimo il Pranayama ed espandere solo una tecnica. Di solito, il Kriya Pranayama di base ha bisogno di un lungo tempo di assimilazione (da 203

tre a sei ore) prima che il corpo possa trovare il perfetto stato di rilassamento che è la condizione necessaria all'evento del Samadhi. Prima di distendersi, tecniche che non comportano un respiro profondo sono da preferirsi. L'ideale è immergersi in qualsivoglia variante di Pranayama mentale dove ti concentri su ciascun Chakra cercando di percepire suono e luce interiore, ovvero entrare in sintonia con la loro vibrazione, la loro essenza. Un passo ulteriore verso il sollevarsi dell'energia nella spina dorsale è "collegare" idealmente ciascun Chakra con il Kutastha. Questo avviene nella tecnica base del Quarto Kriya descritta in Capitolo II/02, e anche in altre procedure più semplici. Ricordo con nostalgia che la mia prima organizzazione dava una tecnica meravigliosa che era un'espansione della tecnica Om. Per ragioni sconosciute loro la chiamarono impropriamente "Secondo Kriya." Nel Gheranda Samhita possiamo trovare un cenno a quella procedura: "... chiudi gli orecchi, occhi .... medita sui sei Chakra uno alla volta." Dubito che si possa trovare un'altra tecnica che così semplicemente ma direttamente ti conduce nello stato di Samadhi. Un piccolo problema è che essa richiede un sostegno per i gomiti, una posizione delle mani che induce intorpidimento in avambracci e dita. 52 Comunque, per quel che riguarda le tecniche Kriya originali, ci inchiniamo alla bellezza del Quarto Kriya. In questa pratica possiamo applicare qualsiasi Mantra o possiamo semplicemente creare la sensazione di sollevare mentalmente ciascun Chakra senza l'aiuto di alcun Mantra, attraverso il puro potere rivelato dalla meditazione. Il cuore della procedura consiste nel ricreare in ogni Chakra (meglio ancora: estendere a ciascuno di essi) lo stesso stato elevato, con la stessa natura estatica anche se con diverse implicazioni, ottenuto nel Chakra del cuore per mezzo del Terzo Kriya. Così uno concentra mente e Prana su un centro alla volta finché la sua intima essenza verrà rivelata. Si ha la chiara sensazione che il respiro sia dissolto. Soffermandosi a lungo, senza fretta, in un Chakra, un senso della vastità pervade la nostra coscienza. È come se un piccolo Samadhi venisse sperimentato in ciascun Chakra. 52

Spesso quando uno scopre che quello non è il Secondo Kriya originale, si sente ingannato e non lo pratica più, anche se riconosce che essa si è dimostrata molto più potente di qualsiasi altra tecnica. Ci sono anche persone coinvolte intimamente con P.Y. e la sua organizzazione che la abbandona preferendo ad essa altre tecniche. Sono convinti che la sua funzione sia limitata a "localizzare" i centri; dimenticano che localizzare i centri vuole dire localizzarli astralmente e questo vuole dire essere capace di viaggiare attraverso di loro, ovvero di ottenere l'esperienza del risveglio di Kundalini.

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Questa procedura, se ripetuta e resa sempre più sottile, conduce inevitabilmente allo stato di assenza di respiro. Di questa tecnica ci possono essere diverse interpretazioni, ma uno deve essere un artista e capire come non ostruire il processo. Come disse Garcia Lorca: "no me pidáis que lo explique. Tengo el fuego en las manos". ["non chiedermi spiegazioni. Tengo il fuoco nelle mie mani."]

Commenti Concentrazione sul Sahasrara Ci si può chiedere: perché evitiamo di concentrarsi intensamente sul Sahasrara? Supponiamo che uno riesca a sperimentare diverse volte lo stato estatico. Coloro cui piace sperimentare, noteranno che se durante la pratica del Kriya, prima di distendersi, la concentrazione si sofferma sul Sahasrara (alcune volte, specialmente in un modo dinamico cercando di sollevarvi l'energia) l'esperienza estatica (se si manifesta) sarà più profonda sia come intensità di gioia che come durata. Darà anche l'impressione che uno deve fare più sforzo per ritornare alla coscienza comune. Si può dedurre che è vantaggioso insistere di più con la concentrazione sul Sahasrara. Il problema non è così semplice, la concentrazione sul Sahasrara non è mai quel grande segreto che uno spera. Ci potrebbero essere delle ripercussioni sgradevoli come i cosiddetti "sintomi di eccessiva Kundalini", che possono includere un seguito di difficoltà emotive. Ho in progetto di discutere questo argomento in una futura appendice a questo libro. Per il momento presente basterà dire che nella prassi del Kriya è molto più sicuro lavorare principalmente con il Kutastha. Questo è un modo saggio per preparare mente e corpo per lo stato di Samadhi. Di certo, dopo anni di pratica Kriya è possibile porre la propria attenzione al Sahasrara per alcuni minuti senza cadere in difficoltà emotive durante la propria vita quotidiana. Utilizzare delle procedure ricavate dallo Hatha yoga Non sono una di quelle persone che pensano che aggiungere qualche cosa al Kriya significhi impoverirlo. Riflettiamo: nel Kriya non siamo mai stati iniziati al Nadi Sodhana, ciononostante esso si è rivelato essere una tecnica fondamentale. Aswini Mudra è un'altra benedizione. Japa è un mondo intero di benedizioni. 205

Nella mia esperienza i tesori autentici sono: [I] Praticare il Kriya Pranayama con diversi Mudra e Bandha come ho già spiegato. [II] Sostituire al Navi Kriya classico la coppia delle seguenti procedure. [a] Kapalabhati Esegui inspirazione ed espirazione rapidamente: l'espirazione dovrebbe avvenire forzatamente e rapidamente contraendo i muscoli addominali la qual cosa crea una spinta indietro. Espirazione ed inspirazione si alternano con uguale lunghezza ed avvengono circa due volte al secondo. L'ombelico si comporta come una pompa, come se l'addome venisse usato a mo' di mantice. L'espirazione è attiva, l'inspirazione passiva. Un'improvvisa contrazione dei muscoli addominali solleva il diaframma ed una quantità di aria esce dai polmoni. Il suono assomiglia un po' al soffiarsi il naso. Non appena l'aria è fatta uscire, i muscoli addominali sono rilassati, il che fa sì che lo stesso volume di aria entri dentro: l'inspirazione avviene automaticamente. Kapalabhati è qui usato in modo mirato: durante ciascuna espulsione si guida il Prana verso l'ombelico. Durante ciascuna espirazione si canta mentalmente Om nell'ombelico. Dopo 15-20 simili brevi espirazioni, c'è una pausa e il respiro riprende il suo ritmo normale per alcuni secondi. Poi ancora 15-20 respiri brevi e così via per circa 100 conteggi di Om. [b] Respiro inverso Concentrati sul Manipura Chakra nella spina dorsale, inspira attraverso il naso e senti che il respiro entra in quel Chakra, riscaldandolo. Poi, trattenendo il respiro, esegui i tre Bandhas: (Mula Bandha, Uddiyana Bandha e Jalandhara Bandha) e mantieni la concentrazione sul Manipur. Canta mentalmente Om 12 volte nel Manipur esercitando su tale centro una forma mentale di pressione. Poi rilassa i Bandha ed espira gentilmente e lentamente sentendo distintamente la calda energia dal Manipur, sollevarsi attraverso la spina dorsale fino in testa e nel Kutastha. [III] Intensificare all'estremo il calore nel Chakra del cuore dopo il Thokar, per mezzo di una particolare forma di Bhastrika. "Bhastrika" è respirazione rapida, fatto solamente col diaframma. Esso termina con una profonda inspirazione, con un lungo trattenimento del respiro, che non causi sconforto, e con una lenta espirazione. Uso una variante particolare di Bhastrika respirando attraverso il naso ma non troppo velocemente in modo di essere ben consapevole di quello che avviene 206

nella spina dorsale. Si respira rapidamente (circa un respiro completo per secondo) attraverso il naso sei volte, concentrandosi dietro il Chakra del cuore sentendo l'energia che oscilla tre centimetri sotto ed altrettanti sopra esso. È come pulire con forza l'area dietro questo Chakra. Si sente un caldo che comincia a scottare nel Chakra Anahat. Dopo aver inspirato profondamente, si trattiene il respiro aumentando il calore, si espira. Col tempo si potrà aumentare la lunghezza e le ripetizioni di questa tecnica.

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CAPITOLO III/04

KRIYA DELLE CELLULE

SESTA FASE PIANO DIDATTICO -- Pranayama col respiro interno Nel capitolo I/06 accennai ad una particolare esperienza del Pranayama che indicai come "Kriya delle cellule". Allora vivevo della bellezza che emanava dall'Agenda di Mére. Mirra Alfassa, discepola e successore spirituale di Sri Aurobindo, vi raccontava la sua scoperta della "Coscienza Cellulare". Immaginai che la mia esperienza, che assomigliava effettivamente ad un respirare col corpo senza servirsi dei polmoni, avesse qualcosa a che fare con la sua. Non avevo la possibilità di verificare se ciò fosse vero, ma l'idea mi inspirava a ripetere l'esperimento, affinando destrezza e intuizione. L'esperienza cominciò durante la pratica del Pranayama quando scelsi di non usare il Kechari Mudra e di praticare con gli occhi aperti. Durante l'espirazione, forse per poter mantenere una piena consapevolezza del corpo, mi venne naturale percepire il flusso dell'energia e della consapevolezza che si muoveva verso il basso permeando tutte le parti del corpo, non già solamente la spina dorsale. L'ispirazione venne anche da una particolare variante del Kriya (il Kriya Yoga di Babaji come insegnatomi da M. Govindan) che avevo appreso mesi prima. Il suono Shii Shii della espirazione mi aiutò a guidare l'energia nelle cellule del corpo come con un microscopico ago ipodermico. Quello che cominciai a sperimentare non poteva essere chiamato semplicemente uno stato gioioso: era un senso di sicurezza e di completo affidamento. L'esperienza cominciò ad assorbirmi e introdurmi in una profondità colorata di azzurro dove percepivo la luminosità dei cieli della mia infanzia. Mi sentivo euforico e decisi, dopo aver completato il numero previsto di respiri Pranayama, di non interrompere tale processo. L'esito fu una illimitata pressione della mia consapevolezza sull'intero corpo. Siccome durante il processo c'era anche una debole ma chiara componente di energia che saliva lungo la spina dorsale, lo descrissi successivamente (nel mio diario) come una "rotazione di energia indipendente dall'atto di respirare." Sentivo che potevo prolungare questo processo all'eternità, senza mai esaurire la sua meraviglia. L'effetto principale fu psicologico: molti problemi legati al vivere e al lavoro sembravano dissolti all'istante. Una parte della mia mente continuava con insistenza ad avvertirmi di non dimenticare un solo particolare di quella esperienza; di prender nota di ogni dettaglio, di cercala di nuovo, ogni giorno della mia vita, essendo questa l'esperienza più reale che avevo mai avuto! Il suono chiaro, confortevole di Om, che cominciai ad ascoltare, fu una valida conferma che stavo seguendo la direzione giusta! 208

Nel corso degli anni elaborai questa esperienza arrivando alla conclusione che ogni sentiero spirituale ha una componente di "ascesa" ed una componente di "discesa". Il nostro Kriya Pranayama può essere utilizzate per fuggire dal corpo nella spina dorsale, verso le rarefatte dimensioni dello spirito astrali o causali (questo è l'aspetto di "ascesa"); può essere anche usato per sondare i misteri del corpo e raggiungere la vibrazione del Divino immanente alla materia (questo è l'aspetto di "discesa"). Sri Aurobindo aveva parlato degli: "abissi di verità e gli oceani di sorriso che stanno dietro le auguste cime di verità". Era forse questa nuova forma di Pranayama un mezzo per esplorare tale dimensione? Sento che la definizione di Pranayama (quella data nel capitolo II/01) potrebbe essere completata includendo il decisivo dettaglio di sentire una calma energia che si diffonde in tutto il corpo, durante l'espirazione. Ciò non sembra illogico: scendendo verso il basso, l'energia tocca un Chakra dopo l'altro e ciascuno irradia energia, immettendo nel corpo più vitalità. Un fresco rifornimento di energia raggiungerà gli organi interni, i muscoli e la pelle. Perché non dare la massima enfasi a questo dettaglio? Lahiri Mahasaya scrisse: «Dopo un Pranayama eccellente, il respiro si è completamente orientato verso l'interno. Dopo un lungo periodo, oggi lo scopo della mia discesa sulla terra si è compiuto»! Cos'è un respiro "completamente orientato verso l'interno"? Sicuramente non è quello provato da un kriyaban principiante. Questa frase mi ricorda una di P.Y.. Descrivendo quello che avviene dopo un certo numero (108) di respiri Kriya fatti correttamente, egli disse: "la corrente si muoverà automaticamente per conto proprio e la gioia provata sarà indescrivibile." Non credo di andar molto lontano dal vero se dico che questa è sicuramente la stessa esperienza universale che nella Alchimia Interiore è detta Orbita Macrocosmica ovvero la "ruota che gira da sola". Una meta alettante, non c'è dubbio. Siamo pronti per essa? Una cosa è certa: se eliminiamo dai nostri sogni e dalle nostre mete ogni raggiungimento difficile o improbabile, la nostra avventura spirituale rischia di cadere a pezzi, soffocata dalla assuefazione alla ben consolidata routine di base. L'ossessione di concepire il Kriya solo come un mezzo per ottenere la trance estatica e di uscire fuori dal corpo, rischia di rendere il cuore duro e resistente e bloccare la sua naturale aspirazione. Non abbiamo né la saggezza di Lahiri Mahasaya, né il Sole interiore di Mére ma possiamo almeno volgere il cuore verso questa nuova dimensione.

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PRATICA Siccome l'esercizio è relativamente difficile, chiediamoci se si può escogitare qualche utile preparazione. Tra poco parleremo del Japa nel corpo, ma, a mio avviso, meditare all'aperto con gli occhi aperti e la volontà adamantina, irremovibile di divenire uno con una montagna, un lago, un albero che stanno davanti a noi, con la ferma intenzione di toccare la loro bellezza, è molto più efficace di qualunque preparazione. È essenziale che la sensibilità sia posta in sintonia ciò che sta attorno. Per quel che riguarda il giusto atteggiamento, è necessario ascoltare l'inconscio e la voce dell'intuizione che nasce dalle stesse pratiche meditative. La cosa più strana è che le migliori esperienze avvengono talvolta in condizioni sfavorevoli alla propria concentrazione, per esempio: praticarla in una sala d'attesa fingendo di leggere una rivista; viaggiare in treno seduti con la spina dorsale diritta, dando l'impressione di esser assorbiti nei propri pensieri... In tali occasioni, la gioia diventa talmente grande che è difficile trattenere le lacrime. È meglio evitare qualsiasi forma di Kechari Mudra: talvolta sembra persino che esso ostacoli i nostri sforzi -- dopo aver padroneggiato la procedura, si possono fare esperimenti, con o senza Kechari. [1] Il suono Shii della espirazione guida l'energia nel corpo Durante i primi respiri, uno dovrebbe continuare ad osservare come l'energia è attirata verso l'alto, guidata nel Chakra del cuore, e poi nella testa dove si fonde con una sostanza luminosa. Poi, durante l'espirazione, questa luminescenza discende, diffondendosi negli gli organi interni e sulla pelle. Mantenendo un ritmo lento, profondo di respirare, si comincia ad aumentare l'intensità del suono nella gola prodotto dall'aria che esce. Facendo vibrare il suono di Shii nella mente durante l'espirazione, si trasforma il respiro in un puro flusso di energia. Dopo ciascuna inspirazione, negli istanti in cui non si respira, si rafforza l'intenzione di trovare (o di aprire) una via interna per raggiungere le cellule del corpo. Neanche la più piccola parte di vitalità si troverà nell'aria che esce dal naso, tutta rimarrà nel corpo. Il suono Shii dovrebbe essere come " il grido che spezza la roccia più dura" -così Sri Aurobindo si riferiva al potere del Bija Mantra, il "sacro suono dei Rishi".

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Proseguendo con il laser della volontà a inietterete consapevolezza nelle cellule del corpo, si scoprirà, e quindi si renderà finalmente libero: il tesoro del cielo nascosto nella caverna segreta come il piccolo dell'uccello, dentro la roccia infinita Rig-Veda, I.130.3 [2] Concentrazione sull'ombelico, allungando la espirazione All'inizio dell'inspirazione, noi espandiamo l'addome spingendo in fuori l'ombelico la qual cosa spinge in giù il diaframma. L'incontrario avviene durante l'espirazione. Ci concentriamo sull'ombelico che si muove verso la spina dorsale. Focalizziamo la nostra attenzione sui muscoli usati nel processo della respirazione. La consapevolezza di essi e, in particolare, dell'ombelico (che è in permanente movimento), produce un effetto molto importante. Più si pone la consapevolezza sui muscoli, più si trascende la coscienza del corpo fisico e si percepisce quello che sta al di là di esso. Dopo un sostanziale numero di respiri (più di 24), mantenendo la consapevolezza costantemente sull'ombelico e sull'accumularsi interiore di energia, una particolare sensazione estatica comincia a diffondersi nella regione addominale e nel petto. Il tempo della inspirazione è limitato a sei secondi; quello della espirazione comincia ad allungarsi indefinitamente. Con il mento leggermente abbassato -- si è attratti dall'ombelico come se questo fosse un magnete e non si è consapevoli di perdere la posizione diritta -- chi pratica impazzirà di gioia. La sensazione piacevole diventa orgasmica e solo un lieve segnale che riguarda il bisogno di ossigeno placa la sua crescita progressiva. Per mezzo di una breve ispirazione, il Prana sale dall'ombelico e si accumula nel cervello. Poi di nuovo una espirazione molto lunga aumenta la pressione interiore su tutta la pelle. L'esperienza è simile ad un Navi Kriya diffuso in tutto il corpo. [3] Espirazione frammentata Ora solo un fragile guscio separa dalla attesa condizione dove ogni sforzo cessa: è possibile attraversarlo per mezzo di una espirazione sottilmente frammentata. La frammentazione del respiro è in se stessa un'esperienza piacevole, specialmente quando le frazioni del respiro tendono a divenire 211

microscopiche. N.B. Solo se ciò è veramente necessario si può... "ingannare" un po' - ma con molta delicatezza. Ingannare vuole dire interrompere, quando necessario, l'espirazione per un istante, concedersi una breve inspirazione onde ottenere un piccolo apporto di ossigeno, poi riprendere l'espirazione e il movimento verso il basso dell'energia. Essere capaci di fare questo senza disturbare la delicatezza del processo è un'arte. [4] Respiro interno Mentre l'espirazione sembra allungarsi senza fine, si scopre che i frammenti del respiro sono praticamente dissolti! Il processo del Pranayama ci sta portando verso qualcosa di incredibilmente nuovo; la percezione è quella di avere attraversato una barriera e quindi raggiunto lo stato di assenza di respiro dove l'aria non entra ed esce più fuori dal naso -- anche se uno non può affermare questo con scientifica certezza. Col respiro totalmente calmo, praticamente non esistente, l'energia sgorga dal Muladhar, sale rapidamente in testa; poi si diffonde lentamente in tutto il corpo. La sensazione fisica ci ricorda una veloce passeggiata nel vento. Uno ha la piacevole sensazione di un'energia fresca che ci rende più leggeri e ci empie di forza. Di solito, dopo alcuni minuti, questa esperienza è arricchita dall'ascoltare un suono forte e continuo di Om. Un'intera vita non è sufficiente ad esplorare tutte le meraviglie contenute in questo Kriya delle cellule. Questo modo tranquillo di mutare il modo di respirare ci fa sentire l'incontenibile bellezza del vivere. È come se noi avessimo lavorato per attrarre il Divino in ciascun angolo della nostra vita e improvvisamente scoprissimo che Esso era sempre là. È come se un pittore impressionista fosse finalmente riuscito a rendere attuale la sua concezione visionaria, trasmettendo l'idea che la sostanza inerte della materia da lui ritratta è fatta di multicolori particelle di luce, come innumerevoli soli che irradiano in una luminosa trasparenza. Il fuoco del cielo è acceso nel petto della terra e i soli immortali ardono. (Sri Aurobindo, Una fatica di Dio.) Il cuore di un kriyaban è posto oltre lo spesso muro della opacità collettiva. La luce divina rivela i cieli di un'altra, più vera, dimensione dell'esistenza. 212

Cosa avviene adesso? Il mistero più difficile con cui fare i conti, è se il respiro interno del Pranayama abbia in qualche modo il potere di influenzare gli eventi della nostra vita pratica. Asserire che il Pranayama ci porta a percepire la realtà in modo diverso è ovvio, ma presumere che faccia accadere quello che non sarebbe altrimenti accaduto (oppure che sarebbe accaduto comunque, ma in modo diverso) è tutta un'altra cosa. Questa idea ha tutto l'aspetto di essere il frutto della nostra immaginazione. Il principio di causa-effetto implica che il mondo ignori quello che stiamo facendo nel nostro ritiro segreto. Come è possibile ritenere plausibile l'ipotesi che qualcosa che è avvenuta in me, possa avere un effetto sul mondo circostante? Cionondimeno quando pratichi questa forma di Pranayama hai l'impressione di fare sempre di più i conti con problemi spinosi -- come se tutto (specie nel campo delle relazioni umane) cospirasse affinché i nodi vengono al pettine. In modo calmo ma con un po' di meraviglia osserverai come molte tra le persone che conosci riemergono nella tua vita dopo lunga assenza e ti pongono delle sfide audaci che richiedono tuoi radicali mutamenti di atteggiamento. Senti il dovere, cui non puoi sfuggire, di fronteggiare delle faccende complicate, irrisolte, che nel passato eri riuscito argutamente ad evitare. Ti senti costretto ad essere completamente sincero, anzitutto con te stesso. Talvolta hai l'impressione che, facendo circolare energia nel corpo ed entrando in ciascuna cellula, tu abbia toccato e disturbato l'ambiente che ti circonda. È una cosa veramente strana. Viene in mente l'immagine di un formicaio: quando una persona lo urta, folle di formiche escono subito per iniziare le operazioni di riparo. Similmente l'ambiente che ti circonda ti appare agitato, talvolta attivo in modo frenetico e in parte aggressivo nei tuoi confronti. Non puoi goderti pacificamente la magia di questo processo perché problemi sorgono continuamente e la tua aumentata sensibilità li prende talvolta come vere e proprie ferite. Anche dopo mesi non riesci a capire se si tratta semplicemente di un'impressione o di un evento reale. Si tratta di eventi normali che avvengono nella vita di ognuno o sono attratti da te a causa della tua pratica? Parlando in generale, si spiega che questo è quello che avviene nell'ultima fase del sentiero mistico, quando pratichi delle tecniche disegnate per sciogliere l'ultimo nodo: quello del Muladhar. Se vuoi concepire una spiegazione razionale di ciò, puoi evocare teorie secondo le quali il nodo del Muladhar esiste in ciascuna cellula del corpo ed è strettamente legato -- forse è una e una sola realtà -- con la dimensione psicologica dell'Inconscio Collettivo. 213

La nostra psiche è fatta di vari livelli o strati. Una parte di essa è condivisa dalle persone, da tutta l'umanità ed è chiamata Inconscio Collettivo. Guidare la luce spirituale nel corpo significa toccarlo direttamente. I contenuti dell'Inconscio Collettivo non hanno mai fatto parte della coscienza, e quando irrompono nella nostra psiche -- in parte infinitesimale, altrimenti sarebbe pazzia -- siamo momentaneamente sgomenti. Durante questa espansione di consapevolezza, i mistici mantengono un eco nella loro memoria dell'estasi provata ma percepiscono simultaneamente la rassegnazione dell'impotenza umana verso le innumerevoli sofferenze della vita. Abbiamo sempre udito che il sentiero spirituale non è un continuo banchetto di gioia: la sua ultima fase è molto critica. Negli scritti di San Giovanni della Croce ci sono delle allusioni alla "notte oscura dell'anima". Le biografie dei santi danno molti esempi di sofferenze che vengono dalla totale identificazione con il dolore e le miserie altrui. Sappiamo che tali santi usano il corpo per assorbire e così aiutare a disperdere le sofferenze mentali e fisiche di altre persone. Si dice usualmente che i santi «bruciano una parte del Karma dei loro discepoli». Purtroppo, al giorno d'oggi questa espressione è stata banalizzata, specialmente dalla letteratura New Age, come se fosse una impresa indolore, un fatto quasi automatico. Le sofferenze di un mistico autentico sono sempre reali e, come qualsivoglia comune essere umano, non cercano scioccamente di attirarle. Una convinzione abbastanza diffusa tra i kriyaban è che noi non siamo diversi dai mistici di qualsiasi religione ma che sia l'equilibrio del sentiero Kriya (lavorare per aprire i nodi dall'alto in basso: lingua, cuore, ombelico, Muladhar) ad evitarci molte sofferenze anche se non riusciremo ad evitare uno duro impatto con l'oscurità della mente umana, sentendo una parte di responsabilità per tutta la crudeltà che essa è stata capace di manifestare. Il nostro corpo rimane tuttavia un mistero. Guidare l'energia e quindi la consapevolezza in esso, ha degli effetti che non riusciamo nemmeno a immaginare. Alcuni kriyaban potrebbero pensare che bisogna essere pazzi per andare a cercarsi i problemi sopra accennati. Discendere nelle cellule può essere affascinante ma ci bastano le gioie che troviamo nel sentiero della ascesa. Questo non funziona. Se noi evitiamo quest'ultima fase del processo, qualcosa costringerà la nostra attenzione verso il corpo. Coloro che non prendono l'impegno di riempirlo di consapevolezza ed energia come parte integrante del sentiero Kriya, potrebbero ricevere diversi strattoni verso il 214

basso -- malattie mentali e fisiche incluse. Quasi tutti i mistici considerano le malattie come una prova o l'espiazione di alcune colpe. Incapaci di capire il suo messaggio, accettano la sofferenza come un fastidio inevitabile. Spesso una malattia è un segnale che il corpo invia per implorare la nostra attenzione e per obbligarci, prestando le necessarie cure, a risvegliare e utilizzare i suoi poteri di auto guarigione, quelli che sono sempre stati presenti ma necessitano della nostra piena consapevolezza per funzionare.

JAPA NEL CORPO: UN PREZIOSO AIUTO DURANTE QUESTA ULTIMA FASE Altrove abbiamo detto del valore di un Mantra. Un Mantra appropriato, ripetuto a voce e poi mentalmente, con totale concentrazione nel corpo (sia concentrandosi sul corpo nella sua interezza o seguendo un piano ordinato di "conquistare" ciascuna parte di esso) è il miglior mezzo per far sì che la nostra esperienza del Kriya delle cellule non evapori in speculazioni mentali. L'Agenda di Mére è uno splendido "giornale di bordo" del tentativo di Mirra di discendere nel corpo cercando di contattare la "coscienza delle cellule", attraversando vari strati di coscienza: pensieri, emozioni, sensazioni. È interessante notare come lei avesse individuato nel Mantra un aiuto inestimabile. Lei amava il Mantra: "Om Namo Bhagavate" che ripeteva camminando avanti e indietro nella sua stanza, ininterrottamente concentrata sul corpo. Lei ricaricava ciascuna sillaba del Mantra con la sua volontà ed aspirazione, potenti come un laser. Quella vibrazione luminosa si aprì facilmente la strada attraverso il corpo finché fece emergere uno strato negativo che è la base di tutte le malattie e degli incidenti apparentemente casuali, l'origine d’ogni senso di disperazione depositato là nel corso di millenni. Per mezzo della sua volontà indomita riuscì ad attraversarlo e raggiungere un territorio inesplorato: « ... perfetto, eterno, oltre il tempo, oltre lo spazio, oltre il movimento ... oltre tutto nel ... non so, in un'estasi, una beatitudine, un qualcosa di ineffabile.» Quel sublime stato era la coscienza stessa del corpo, intendendo che le cellule avevano la loro propria consapevolezza. Mére descrive questa mente cellulare come una mente ostinata -- implacabile nel costruire e nutrire un cancro come pure nel ripetere incessantemente la nuova vibrazione luminosa del Mantra. Molte esperienze che lei raccontò a Satprem ci riportano ai temi trattati qui. La sua Agenda merita letta, non c'è dubbio. 215

Un fatto meno noto è che ci sono mistici che "pensano" la Preghiera nel corpo. Queste Preghiere sono molto brevi, essendo ridotte talvolta da una sola vocale o sillaba. I pochi scritti di tali mistici sono pubblicati quasi esclusivamente da case specializzate nel campo esoterico. Questi libri possono essere trovati rovistando fra testi d’occultismo e di magia. Kerning, Kolb, Lasario, Weinfurter, Peryt Shou, Spiesberger... sono solo alcuni nomi. Questi mistici, sebbene siano nati nell’ambito della cristianità e si siano sentiti in completa sintonia con tale insegnamento, sono stati rilegati in un angolo come esponenti del pensiero esoterico, come se fossero dei maghi che aspiravano a sviluppare dei poteri nascosti. Il lettore che ha la pazienza di fare una ricerca in quel campo e passare oltre varie pagine riempite di teorie e pratiche di poco conto, messe là quasi per confonderlo, troverà infine alcuni paragrafi d’inimitabile fascino. L'essenza del loro insegnamento è che una vibrazione di qualsivoglia suono, se ripetuta con immutabile concentrazione nel corpo, può raggiungerne le sue cellule -«il corpo intero sarà attivato con nuova vita e così sarà fatto rinascere». La tecnica principale consiste nel scegliere una vocale e cominciare a ripeterla e farla vibrare nei piedi e gradualmente sollevarla nelle diverse parti del corpo. Poi ripetere lo stesso processo con un'altra vocale e così via. Possiamo usare in modo simile il nostro Mantra preferito, riempiendo il corpo di consapevolezza. Cominciamo con un preciso sforzo mentale e poi passiamo ad uno stato senza sforzo, senza perderci nelle paludi della tecnicità.

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APPENDICE 1 ALCUNE NOTE INCREMENTO PROGRESSIVO

SULLE

ROUTINE

AD

La pratica delle routine ad incremento progressivo contrassegnò un periodo stupendo della mia vita: qui sono riportate alcune osservazioni relative alla mia esperienza. Navi Kriya Per quel che riguarda la routine ad incremento progressivo del Navi Kriya raggiungere gradualmente le 720 ripetizioni non fu un lavoro estenuante. Varie volte ebbi la possibilità di praticare in campagna e l'esperienza fu eccezionale. L'unico problema incontrato fu che, talvolta, sullo schermo interiore della consapevolezza apparivano molte immagini – ovviamente, esse erano sogni ad occhi aperti. Questo è il motivo per cui fui spinto a praticare talvolta con gli occhi semichiusi. Questo disturbo – in realtà è un processo fisiologico – non poteva essere evitato in alcun modo. Non mi fu d’aiuto il praticare diverse volte il Maha Mudra; mutare la posizione delle gambe, come pure interrompere, per una pausa, la pratica, tutto era inutile. Nel già citato libro I racconti di un pellegrino russo il protagonista descrive come la nube dei suoi pensieri lo circondava ogniqualvolta praticava il suo metodo di preghiera. Egli sperimentava «una gran pesantezza, letargia, noia e un’invincibile sonnolenza». Cercai di restare pienamente consapevole, pur trovandomi in quello stato di diffusa ed irresistibile quiete che precede il sonno. Alcune immagini interiori, invece di dare origine ad una catena incessante di pensieri, si trasfigurarono in una bellezza senza fine, scomparvero come se la loro vera essenza fosse solo beatitudine. Quelle immagini mi permisero a gettare uno sguardo alle indistinte sorgenti da cui si originava il mio presente corso di vita. Il mio cuore era afferrato dalla percezione di qualche cosa di puro, incantevolmente puro. Vidi che un filo interno collegava tutte le mie azioni passate; era chiaro che, ricerca dopo ricerca, una intenzione inflessibile mi guidava sempre verso la meta mistica. Questa pratica rappresentò l'esperienza del mistero della Realtà Spirituale che si mescola con la vita. Di sera, dopo la fine di quelle lunghe sedute di meditazione, lo stato estatico non pareva svanire. Continuava ad esistere senza la necessità della paralizzante, immobile trance del corpo. Camminavo gioendo del calore della sera con la più vera, totale felicità nel mio cuore. Fu forse perché li vissi più in estate che in altre stagioni che li associo con 217

un'estate che non finisce mai e con i suoi lunghi tramonti ove sperimentai il più incontenibile senso di libertà. Pranayama Per quanto riguarda la routine ad incremento progressivo Pranayama, a metà del percorso ebbi, di notte nella prima fase del sonno, delle esperienza molto intense di salita di energia nella spina dorsale accompagnata dalla visione di tre montagne bellissime. Quella centrale, la più alta, era nera e ricordava nella forma la punta di una freccia fatta di ossidiana: fu nella visione di questa che mi trovai rapito. Il mio cuore esultava, ero pazzamente innamorato di quella immagine; quando l'esperienza finì stavo piangendo di gioia. Non più supino, appoggiai la schiena ad un sostegno. Rimasi il più calmo possibile a sentire quella particolare forza e pressione che aumentava e aumentava e mi serrava l’intera zona del torace e mi schiacciava con la sua stretta di beatitudine. Quell’immagine era forte, tremendamente forte davanti a me. Non c’era nulla di più bello, che mi facesse maggiormente vibrare d’amore. Quando praticavo in campagna, verso sera, prossimo al completamento del numero previsto di ripetizioni, improvvise esperienze di silenzio mentale mi ricordava le parole di Krishnamurti. Cominciai ad essere consapevole dell'aria fresca attorno a me, la sentivo avvolgermi come una gradevole carezza sulla pelle. Gli uccelli cantavano tra gli alberi vicini. Praticavo con gli occhi aperti; dal posto che avevo scelto potevo ammirare una bella montagna che occupava quasi tutta la parte sinistra dell’orizzonte. Una sera nubi bianche a cumuli riempivano al cielo ... e venne il silenzio, un silenzio perfetto che il canto degli uccelli non turbava e questo silenzio era dentro di me, era la mia mente... e il Pranayama non era un lavoro, una fatica, un esercizio... avrebbe potuto continuare per l'eternità…. ed era bello, gradevole, naturale. Non capivo come, un tempo, anche un decimo di questo Pranayama mi avrebbe dato nervosismo, non capivo il miracolo di questo Kriya... perché io ero questo Kriya e questo Kriya era la carezza dell'aria attorno a me... ed era il canto degli uccelli, ed era la montagna! Belle giornate davvero! Se ripenso a questi giorni di pratica all'aperto – che nel mio ricordo si fondono nella consistenza dei cieli d’estate - mi viene in mente la frase di Aurobindo: «Abbastanza, abbastanza della mente e delle sue false stelle, accendiamo i soli che mai si spengono!» Forma base del Thokar Per quel che riguarda l'esperienza di aumentare le ripetizioni del Thokar (Secondo Kriya), il periodo in cui mi tuffai in questa pratica fu realmente meraviglioso: che giornate di grazia, di ebbrezza! Mentirei se dicessi che non ne ho una nostalgia infinita. Credo di aver realmente esagerato nell'usare 218

anche troppo questo formidabile strumento. Le diverse varianti di questa procedura furono più o meno uguali nel dare la stessa forte esperienza: mi muovevo intorno sentendo nel cuore un braciere ardente. Percepivo che il centro della mia personalità non era nel cervello ma nel cuore. Questo aumento interno di energia nel Chakra del cuore produsse degli effetti straordinari su tutti i piani. Il Thokar, unito all'autoanalisi e al potere della volontà, porta anche alla superficie vecchie ferite profondamente radicate. Lahiri Mahasaya scrisse che un kriyaban è trasformato profondamente da esso ed impara a vedere «quello che altri non possono o non vogliono davvero vedere». Nel mio caso, rivelò, come fossi profondamente colpito dalla tendenza umana alla superstizione. Notando quante illusioni sono propagate dalle religioni e dalle sette, mi sentii triste per quelle persone che - nell'abisso della loro tragedia – non erano capaci di dar voce al loro profondo grido di dolore rivolgendosi a Dio in un atto di protesta ma continuavano ad implorarLo non in uno spirito di devozione e resa ma con un atteggiamento talmente prostrato di supplica, come se temessero ancor peggiori calamità. Il sentimento di questa devastante realtà fu sperimentato come una stretta dolorosa che mi lacerava il petto. Col passare dei mesi qualcosa si sciolse e ne venne una tale intensità di amore che la stessa esperienza si trasformò in un dolore "pieno di beatitudine". Amantrak [ Scuola C] Nel capitolo II/3, sezione [C] abbiamo introdotto alcune tecniche basate sul movimento Trivangamurari. Ne abbiamo parlato poiché esse hanno un valore inestimabile. Abbiamo fatto notare come prima di intensificare la nostra percezione di questo movimento a tre curve attraverso la procedura del Thokar, sia necessario percepirlo molte volte restando perfettamente immobili. La tradizione vuole che questa percezione venga aumentata gradualmente fino a raggiungere 200 giri, sia senza l'uso del Mantra (Amantrak) che con esso (Samantrak). Ricordo chiaramente che durante i mesi di pratica di Amantrak, stati d’animo opposti si alternavano. Uno dei miei insegnanti, presentando questa tecnica, affermò che il flusso interiore Trivangamurari passa attraverso il Chakra del cuore e pulisce via tanta sporcizia; da qui la causa del suo particolare effetto di estraniamento. L’azione di questa tecnica diminuisce l'agitazione, la frenesia causata dalle emozioni superficiali, nutrite da certe energie che nascono dai Chakra inferiori. Questo conduce ad una totale modifica delle prospettive dalle quali si guarda alla vita. 219

Dopo le prime settimane di Amantrak, quando praticavo circa una cinquantina di giri, sentii che stavo per esplodere! Questo avveniva ogni volta che l'energia, scendendo sul lato sinistro della spina dorsale, raggiungeva il Muladhar. Quando mi svegliavo la mattina, restavo per alcuni minuti nell'aura di sogni molto coinvolgenti, come se avessi vissuto un'avventura profondamente intrigante ed affascinante. In seguito mi ritrovai in uno stato d’animo molto strano: durante il giorno mi sentivo senza entusiasmo, non c'era luogo dove potessi sentirmi a mio agio e non c’era alcuna attività che mi desse soddisfazione. Nel passato, quando camminavo in campagna, ero abituato a percepire una bellezza che sembrava uscir fuori da ogni cosa che mi circondava; ora non sentivo più nulla, ero estraneo a tutto. Per un intero mese passai la maggior parte del tempo a casa, come convalescente. Alla fine, facendo leva sulla forza di volontà, riuscii a completare le dosi previste per questa tecnica. Samantrak [ Scuola C] Intrapresi la pratica di Samantrak all'inizio di Marzo in un giorno che pareva perfetto, quando il cielo libero da nubi e l'aria pungente ma pura m’invitavano a praticare all'aperto, immerso in quella bellezza; proprio quando un marzo straordinario, con un cielo azzurro, e l'aria fresca; l'abitudine ormai ben stabilita di metabolizzare grandi dosi di Trivangamurari mi avevano reso capace di vivere questo processo come un piacevole impegno, senza confrontarmi affatto con alcun problema. Le sillabe del Mantra che ponevo con cura come dei semi in ciascun centro, avevano una radiazione simile al sole che stava riscaldando la natura. Quando cominciarono ad apparire i primi effetti, rilessi le migliori pagine di letteratura riguardante la Preghiera in diversi contesti religiosi. Queste letture furono un nutrimento per la mia anima. Un particolare ricordo è rimasto nel mio cuore. Partecipai ad un pellegrinaggio con un gruppo di persone camminando tutta la notte poiché l'arrivo ad un bel santuario era previsto per la mattina seguente. Camminando, sussurravo a bassa voce le sillabe visualizzando, quanto possibile, i dodici centri. Sapevo perfettamente che questo non era il modo canonico di praticare ma non potevo resistere a ciò. Qualche cosa nel mio cuore, come una tensione di tenerezza, cominciò quasi immediatamente ad essere percepita, poi venne la realizzazione che l'esistenza dei miei compagni di viaggio era immersa nell’amore. Vidi che la realtà dell’amore era la forza più intensa della vita, corrotta solo dall'inquinamento della mente. Pensando all’umanità come ad un tutt’uno, sentii che l’uomo non può, a causa dell’istinto, evitare la condizione d’amare qualcuno - i suoi figli per esempio e di prendersi cura di qualcuno e, di conseguenza, di essere costretto a vivere 220

anche esperienze dolorose. Sentii intensamente, come mai prima, che anche la persona più egoistica è capace di donare la sua vita per i propri figli e può trovare in se stesso la forza per grandi, incredibili azioni. Il calore dei sentimenti sperimentati quella notte rimane ancora nel mio cuore!

Thokar [ Scuola C] Solo dopo lo sforzo impegnativo con Amantrak e Samantrak, che può durare un anno o più, uno comincia la routine ad incremento progressivo del Thokar praticando (rigorosamente non più di un giorno alla settimana) le dosi seguenti: 36x1, 36x2, 36x3,….. 36x35, 36x36. Questa è veramente una avventura enorme. Un minimo di nove mesi sono richiesti per completarlo; ma di solito il tempo richiesto è maggiore. Cominciai e completai questa routine nell’estate che seguì, lavorando all'inizio due giorni per settimana e poi uno solo. Di mattina non ponevo troppo stress sui colpi ma continuavo a concentrarmi solo sul flusso Trivangamurari finché questo sembrava incidersi nella mia carne. Nel pomeriggio, verso la conclusione della pratica, mi veniva spontaneo dire le sillabe del Mantra a voce, sussurrandole. Dopo ciascuna sillaba facevo in modo che ci fosse una breve pausa, isolata e protetta dalla fretta; un istante era sufficiente a percepire una dolce irradiazione che proveniva da ciascun centro. Questo amplificava l’esperienza della gioia – illimitatamente. Un nuovo modo di vivere il percorso spirituale cominciò a stabilirsi nel mio essere. Imparai come risvegliare un intenso rapimento estetico per la bellezza della natura e ad avvalermi di questa tecnica per amplificare tale estasi. L'idea classica di usare il Kriya per andare oltre la mente fu sostituita dall'idea più avvincente di usarlo per bruciare la mente nella fiamma della Bellezza stessa! Una sera, tutto un tratto da un distante villaggio venne il suono di campane e fu come una cascata di luce! La sorpresa fu così inaspettata che il mio cuore sobbalzò di gioia; aprii gli occhi ma lo sguardo non si fissò su nulla in particolare. Fu un miracolo di delizia: l'intensità della beatitudine era quasi impossibile da sostenere! Una parte remota della mia mente continuava a ripetere: «Non so se ad un essere umano sia mai stata accordata tanta gioia!». Il pensiero andò ad alcuni ricercatori, con cui avevo condiviso il Kriya; in quei giorni mi avevano fornito la prova che stavano procedendo in un modo degno di ammirazione. Alcuni anni prima avrei giurato che fosse impossibile praticare il Kriya senza averlo elemosinato e ottenuto da un’organizzazione o da un Guru vivente. Ora avevo la prova del contrario. Avevo dei buoni motivi per sentirmi soddisfatto. 221

Percepii per la prima volta la bontà di tutte le mie scelte. Questa era la mia gioia suprema! Mi sentivo libero, incommensurabilmente libero. Micromovimento [Scuola C] Questo processo è di gran lunga il più impegnativo ed è riservato a coloro che sono in pensione o comunque non lavorano. Durante la prima tappa, il micro-movimento è percepito 36 volte in ciascuno dei dodici centri. Si fa un solo giro completo: 36x12 percezioni del micromovimento in totale. Dopo alcuni giorni si percepiscono 36x2=72 volte (72 volte nel primo Chakra, 72 volte nel secondo…). Dopo alcuni giorni la quantità è 36x3 in ciascun Chakra…. A un certo punto, un’intera giornata non è sufficiente a completare il giro. Ecco perché il lavoro deve essere diviso in due giorni. La mattina del secondo giorno si riprende la tecnica dove, la notte precedente, essa fu interrotta. Dopo questi due giorni di pratica e la tappa successiva, possono trascorrere non solo alcuni giorni ma anche settimane. A un certo punto, una singola tappa può richiedere tre giorni, poi quattro e così via. La finale (36x36) richiederà una settimana o più per essere completata! Completare questo processo è veramente una impresa gigantesca, comunque un kriyaban dovrebbe concedersi la gioia, il privilegio di procedere lentamente. Lasciarsi trascinare dalla fretta non porta a nulla. Uno dovrebbe intenzionalmente aspettare il verificarsi di una peculiare sensazione piacevole dopo il canto di ciascun Mantra. Questa gioia nasce dal Chakra in cui uno ha posto la propria consapevolezza. Durante ciascuna tappa è saggio rispettare il silenzio, evitando occasioni di conversazione. Comunque l’uso del buon senso dovrebbe sempre essere predominante; se qualcuno ci rivolge la parola si può e si deve, ovviamente, rispondere con cortesia. 53 Questa routine ad incremento progressivo è un'ottima preparazione per la cosciente uscita dal corpo al momento della morte (Mahasamadhi). Si spiega che esso esaurisce la necessità di reincarnarsi. Come lo Yoni Mudra caratterizza l'ultimo momento del giorno quando, avendo concluso tutte le attività, un kriyaban sottrae la sua consapevolezza dal corpo e dal mondo fisico - una "piccola morte", per così dire - la procedura intensiva prima descritta è come un Yoni Mudra in più grandi dimensioni, un addio alla vita, un ritorno all'origine. In questo modo uno «muore per sempre»: muore ai propri desideri, alla propria ignoranza. Secondo questa tradizione, il meccanismo della morte viene invitato (al momento opportuno) calmando respiro e cuore ed immergendosi profondamente nella realtà Omkar. Nei mesi che precedono tale momento – l'intuizione guida il kriyaban progredito a intuire quando tale momento si avvicina - uno dovrebbe praticare estensivamente questa tecnica. È raccomandato di percepire il micro movimento nel Kutastha 36x48 per ogni centro. Questo vuole dire percepire un totale di 20736 micro-movimenti. Siccome è possibile completare ciò con ragionevole facilità in un periodo di 24 giorni, si può 53

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Coloro che non hanno altra scelta che lasciar perdere il progetto di godere di questa routine ad incremento progressivo possono, ciononostante, godersi la seguente che è più breve. Nel primo giorno, il micro-movimento è percepito 12 volte in ognuno dei 12 centri; c'è sempre solamente uno giro completo. L'aumento è di 12 in 12, fino all'ultimo numero 12x12x12, che è fattibile in un giorno. Questo vuole dire che il secondo giorno della routine ad incremento progressivo il micromovimento è percepito 12x2 volte nel Muladhar, lo stesso numero nel secondo Chakra e così su, finché il giro è stato completato. Poi 12x3, e così via. Il periodo in cui fui assorbito in questo processo appare alla mia memoria circondato da un’aura di sogno; trovo difficile riferire dettagli specifici ascrivibili ad esso. Fui fortunato che l’età della pensione venne presto nella mia vita. Ricevetti la proposta per un altro lavoro ancora più vincolante del precedente. Avevo aspettato molti anni e desiderato all’apice delle mie forze di affrontare le dosi impossibili della routine ad incremento progressivo del micro movimento; non c'era altra occupazione per me! Ho sempre amato questa tecnica: anche una piccola pratica fu sempre un miracolo di dolcezza. Per affrontare la routine ad incremento progressivo passai molto tempo all’aperto. Portavo con me un sedile fatto da uno strato di plastica ed uno di lana, qualche cosa da bere ed un piccolo rosario di trentasei grani. Mi sedevo, respiravo profondamente e poi procedevo col Mantra e col conseguente micromovimento. Alla fine d’ogni ciclo, spostavo un oggetto, un sassolino da un lato del corpo all'altro per contare il numero complessivo dei cicli di trentasei. Tante volte sperimentai una grande, irresistibile, sonnolenza. Alcune volte proprio non riuscii a resistere alla tentazione di interrompere la pratica e riposarmi per un po’. Naturalmente quest’azione non risolvette il problema poiché la sonnolenza riappariva immediatamente non appena riprendevo la pratica. Non ci fu modo (caffè, molto sonno...) di salvarmi da tale situazione; imparai ad accettare la situazione e il più delle volte mi trovai a praticare con la schiena leggermente presumere che esso sia ripetuto più di una volta. Non è sicure che, nel momento della morte, un kriyaban esegua la tecnica del Thokar. Possiamo presumere ragionevolmente che non sia sempre possibile compiere il movimento fisico del Thokar. Essere consapevoli del Kutastha può essere l'unica cosa possibile: è possibile che uno vi faccia vibrare il suo Mantra preferito e si immerga nell'Infinito. Sperimentare ciò, è la nostra ardente speranza e determinazione. 223

piegata in avanti; anzi dovetti imparare a non raddrizzarla di scatto perché questo interrompeva la condizione di assorbimento e di quiete. Dopo molte ore di pratica, vicino alla fine del giorno, talvolta fui afferrato da tale euforia che sentii l'istinto irresistibile di oscillare il corpo. Fu come una danza da seduto accompagnata da una forma sottile di Thokar. Quando pronunciavo la settima sillaba, il tronco si muoveva leggermente a sinistra, poi pensando la seguente, si muoveva a destra, poi di nuovo a sinistra. Quando pensavo l’ultima sillaba, c'era un piccolo sussulto del tronco accompagnato da una tale profusione di beatitudine! Per quel che riguarda gli effetti, qualcosa avvenne. Molti ceppi psicologici – condizionamenti che sembravano inalterabili – cominciarono a frantumarsi. C'era la tendenza di andare in profondità, inesorabilmente, fino a toccare la verità non inquinata. Il mio pensare divenne compatto, di una solidità che le suggestioni da parte di altre persone non riuscivano a intaccare. Non riuscivo a tollerare la più lieve deformazione della verità. Cercavo di entrare inesorabilmente, di andare in profondità in qualunque problema, fino a trovare la verità. Ma la verità è verità totale: toccai la realtà della vita e annullai la mia maschera diplomatica. Purtroppo la difficoltà di sostenere il comportamento superficiale altrui fu la causa di alcune rotture. La natura odia il vuoto, così altre persone entrarono nella mia vita a tenere viva la fiamma dell'amicizia. Imparai a praticare senza essere disturbato da nulla: in questo modo la tecnica sbarcò nella mia vita e si mescolò con essa. Un giorno mi trovavo in un luogo roccioso vicino ad una spiaggia frequentata da un numero modesto di persone che ci passavano per una passeggiata e, qualche volta, si fermavano nei pressi. Nascosto dietro degli alberi, durante il giorno mi protessi dal sole; al tramonto mi avvicinai alla spiaggia, appoggiai la schiena ad un sasso e rimasi lì fingendo di guardare un oggetto distante. Praticai con gli occhi aperti: il cielo era un cristallo indistruttibile d’infinita trasparenza; le onde cambiavano continuamente il loro colore dal fascino quasi insostenibile. Cercavo di nascondere le mie lacrime dietro le scure lenti dei miei occhiali da sole. Non riesco a descrivere quello che sentivo se non in forma poetica. C’è un canto indiano (nella parte finale del film Mahabharata) le cui parole sono prese dalla Svetasvatara Upanishad: «Conosco questo Grande Spirito, raggiante come il sole, trascendente ogni concezione materiale di oscurità. Solo chi Lo conosce può trascendere i limiti della nascita e della morte. Non c’è altra strada per raggiungere la liberazione che conoscere questo Grande Spirito». Quando ascoltai la bella voce della cantante Indiana ripetere «Non c’è altra strada», il mio cuore si infiammò. Nulla avrà il potere di tenermi lontano da questo stato e da questa pratica fantasticamente bella che mi accompagnerà fino alla fine dei miei giorni. 224

So che alcuni ricercatori negano che questo Kriya sia originale, dicono che fu inventato. Tutti coloro che lo hanno praticato, pensano con il cuore in estasi: «Beato colui che lo ha inventato!» 20736 Omkar Pranayama Un'impresa molto piacevole fu quella di completare 20736 Omkar Pranayama (circa 144 Omkar Pranayama al giorno per 144 giorni). Questa non è una routine ad incremento progressivo ma richiede comunque un impegno notevole. Iniziai ciascuna sessione di pratica con qualche tecnica preliminare Talabya Kriya, Maha Mudra ed Om Japa, trascurando ogni altra tecnica di base. Mi segnai ogni giorno il numero di Pranayama che avevo praticato, poiché in certi giorni non riuscivo a praticare il numero che mi ero previsto. Gli effetti sull'umore furono notevoli e, a mio avviso, completarono in modo splendido l'azione della tecnica Thokar. Ogni difficoltà sembrava risolversi facilmente ed un'armonia paradisiaca regnava incontrastata. L'esperienza Omkar fu arricchita, fondendosi con uno straordinario viaggio nella mia memoria. Accadde infatti che concentrandomi sui Chakra ottenni un effetto particolare: sullo schermo interno della consapevolezza cominciai a percepire molte immagini. L'esperienza mi guidò ad accettare questo come un fatto fisiologico -- credo che chi afferma di essere esente da tale fenomeno è perché non ha abbastanza lucidità di notarlo. I Chakra sono come scrigni contenenti la memoria della propria vita: essi fanno sorgere il pieno splendore di reminiscenze perdute. Varie esperienze passate riemergono. Il canto mentale di Om in ciascun Chakra, riuscì a mantenere la mia consapevolezza sullo stretto confine tra sonno e veglia. L'essenza di avvenimenti passati (il loro intrinseco valore, le lezioni contenute in essi e mai apprezzate appieno o assimilate) fu rivissuto nel quieto piacere della contemplazione mentre il cuore, talvolta, era pervaso da un pianto trattenuto. Fu una rivelazione: la luce dello Spirito pareva brillare in quelli che sembravano banali attimi della mia vita. Per quanto concerne la mia pratica, ho solo un commento da aggiungere. Sviluppai un modo di pratica, diciamo a "elica." Percepii che la circolazione dell'energia attorno alla corona della testa cominciava gradualmente ad avvolgere il Midollo allungato. Quando ciascuna espirazione incominciava e cantavo mentalmente Teeee, ero già nel Midollo allungato ed usavo gli istanti iniziali della mia espirazione per serrare l'"elica." Così intensificavo la concentrazione in tale centro. Questa percezione fu estesa in modo naturale agli altri Chakra e particolarmente al Muladhar. In altre parole, il percorso 225

di discesa non era più lineare ma simile ad un'elica che circondava e accarezzava ciascun Chakra. Devo aver letto da qualche parte che, nel Pranayama, il respiro (o l'energia) attraversa i Chakra come un filo attraversa le perle. Tale immagine è diversa da quello che sperimentai: il filo non perforava le perle, le avvolgeva. Si spiega che questo movimento a "elica" è uno dei tipici movimenti della energia Kundalini e che è la pratica del Thokar, dandogli una spinta, ad aiutarci a percepirlo. Essendo riuscito a convincere alcuni ricercatori a fare un simile sforzo, notai che loro sembravano come "invecchiati", in saggezza e modo di fare, di molti lustri. Inutile dire che tale processo non rimuove il vigore del fisico, ma quello delle emozioni superficiali, con tutti i guai che derivano da queste -- la tendenza ad avere i propri desideri soddisfatti immediatamente e l'eccitazione che porta a decidere subito per quanto riguarda i propri progetti. Questi kriyaban, mentre erano assorti nel praticare Omkar Pranayama intensivamente, sebbene percepissero enormemente i suoi buoni effetti, mi dissero che si sentivano così impreparati nei confronti di esso che progettavano di rifarlo di nuovo, in futuro, con più serietà e precisione. Nota finale sul Kriya delle cellule Colgo l'occasione per aggiungere una osservazione relativa alla mia sperimentazione col Kriya della discesa. Questo è una esperienza sulla quale ci sarà sempre qualcosa di inusuale da osservare, anche se è difficile esprimerla a parole. Cercando un modo per migliorare l'esperienza, scoprii il ruolo del Thokar su tutti i Chakra (vedi capitolo II/3 scuola [B]). Il miglior modo per introdurlo nella routine fu di praticarlo dopo 12-24 respiri Pranayama. Sperimentai diversi ordini per colpire i primi quattro Chakra e diverse quantità di colpi. L'importante era sentire che tutta la zona inferiore della spina dorsale, dal Muladhar al Anahat era stata stimolata fortemente. Dopo questa forte azione era necessario riprendere la forma più semplice possibile di Pranayama e creare uno stato profondamente rilassato. L'azione di tale tecnica fu quella di rendere il tutto più facile e intenso ma ci furono anche degli effetti difficili da assimilare. Il risultato positivo fu che un potere che nasceva dal Muladhar era chiaramente percepito e l'esperienza del libero movimento di energia si originava più facilmente. Il risultato era più intenso. Durante gli ultimi istanti di ciascuna espirazione una "impossibile" sensazione orgasmica era percepita. Era come se il respiro fosse paralizzato all'interno dei polmoni, non poteva uscire e questo creava una sensazione come quella di un debole soffocamento. Ma, strano a dirsi, era così carica di 226

felicità che piangevo di gioia. Era come premere contro il muro di una prigione, la qual cosa sarebbe in se stessa intollerabile, ma l'anticipazione della libertà fuori dal guscio del corpo, creava beatitudine. La discesa dell'energia sembrava finire nell'ombelico, non nel Muladhar. Come avvenne nel passato, fu più facile praticarlo in posti impossibili dove tutta l'attenzione è naturalmente volta all'esterno e si deve fare fatica per portarla all'interno. Ancora, nessun aiuto provenne dal Kechari Mudra probabilmente esso distacca troppo l'attenzione dal mondo esterno e dal corpo fisico. Parliamo ora di un effetto problematico. Esso fu principalmente lo stato d'animo grigiastro che appariva nei giorni successivi alla pratica. Fu difficile sostenere quello stato - era come se la mia stessa anima fosse graffiata. Un pensiero ossessivo prendeva possesso della mia visione della vita: vedevo gli uomini erano come animali recintati in uno spazio ristretto, costretti dai loro istinti a mangiare e a riprodursi; un uomo appariva improvvisamente, afferrava uno di loro a caso e lo decapitava davanti a tutti. Immaginavo che la compagnia, stupefatta da questo triste spettacolo, mormorasse qualche espressione di circostanza: «ora nulla sarà più come prima»... Poi, con l'occhio vitreo, si volgevano di nuovo alle attività solite. Probabilmente tutto nasceva dalla forte pressione mentale che la tecnica esercitava sul Muladhar Chakra. In un commento di Lahiri Mahasaya alle sacre scritture, troviamo: «Dopo aver sperimentato una certa tranquillità nel centro coccige, non fermatevi a lungo. Se lo farete allora avverrà un Samadhi negativo. Così dopo aver sollevato di nuovo la coscienza, cominciate a praticare il Kriya.» Il problema fu leggermente superato rimanendo molto tempo concentrato nel punto tra le sopracciglia. Ora posso capire come mai molti insegnanti raccomandano che il Thokar su tutti i Chakra sia sempre seguito dal processo di sollevare i Chakra nel Kutastha (il processo che è generalmente chiamato Quarto Kriya). Nessun effetto negativo fu mai percepito invece colpendo il Chakra Muladhar usando il Thokar nella forma insegnata dalla scuola [C]. Per questo motivo, lo preferisco.

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APPENDICE INTERIORE

2

LE

QUATTRO

FASI

DELLA

ALCHIMIA

[I] La prima tappa è la base di tutto il processo alchemico, essa consiste nell'attivare l'Orbita Microcosmica. Durante l'inspirazione, la consapevolezza e l'energia (Qi) sono sollevate lungo il canale di Controllo dietro la spina dorsale e lasciate fluire in basso lungo il canale di Funzione durante l'espirazione. Lo scopo di questa azione è "portare Tre a Due, Due ad Uno". Vediamo cosa significa. I tre sono Jing (energia sessuale), Qi (energia dell'amore) e Shen (energia spirituale). Si impara a tramutare Jing in Qi e Qi in Shen. Queste energie sono fuse, mescolate insieme. Esse si originarono da una frattura, una divisione al momento della nascita. Il primo scopo del Pranayama è di creare armonia tra di loro e così esercitare una azione di risanamento permanente sulla personalità. [II] Nella seconda tappa (definita come la "coltivazione dell'embrione spirituale" o dell'"elisir dell'immortalità") l'energia immagazzinata nella testa (quale risultato dell'Orbita Microcosmica), è portato nel Dan Tien, dietro l'ombelico, nel basso addome. Il Dan Tien ha le dimensioni di una palla il cui diametro è approssimativamente otto centimetri. Per individuare la sua posizione uno deve concentrarsi sull'ombelico, venire approssimativamente quattro centimetri indietro e sotto per la stessa estensione. Si spiega che stabilirsi in questa zona, vuole dire nascere alla vita spirituale. Questo evento è designato con espressioni come: "Ritornare al centro"; "L'unione di cielo e terra"; "La nascita del fiore d'oro"; "La creazione della perla lucente." Approfondendo la pratica, la vibrazione che è creata nel Dan Tien ascende spontaneamente nella regione del cuore. Essa illumina lo spazio del cuore (il Dan Tien mediano) e rivela la propria natura fondamentale. Là si manifesta la "vera serenità". La contemplazione della luce che splende nel cuore completa questa seconda fase. (Nel Kriya si aumenta il "calore" nella regione dell'ombelico prima con lo stesso Pranayama stesso; poi si porta questo calore all'interno col Navi Kriya e infine nel cuore col Thokar.) [III] Nella terza tappa, il Prana è aumentato nel canale di spinta. Questo canale si distende come un tubo dal perineo alla Fontanella attraverso il centro del corpo. Lo scopo di aumentare l'energia entro esso, è di preparare la spinta necessaria a mettere in moto l'Orbita Macrocosmica. È difficile capire quali procedure sono prescritte dall'Alchimia Interiore perché nella letteratura relativa, alcuni suggerimenti su questo tema sono abbelliti in modo abnorme per mezzo di molti termini evocativi, metafore che rendono quasi impossibile 228

avere una chiara di quello che significa in pratica. 54 [IV] La quarta tappa, è un grande evento che non può essere indotto da metodi basati sulla visualizzazione. È qualche cosa che avviene quando il tempo è maturo attraverso la piena padronanza della terza tappa. Dopo avere guidato l'energia dal basso al medio Dan Tien (regione del cuore), quando il corpo è caricato con Prana statico, l'energia arriva al Dan Tien superiore (Kutastha: la regione tra le sopracciglia). Aumentando la concentrazione in quel punto l'ostruzione alla base della spina dorsale può essere perfettamente rimossa. Accade un fenomeno spontaneo di circolazione di energia nel corpo (l'Orbita Macrocosmica) che ha enormi implicazioni psicologiche. Una persona entra spontaneamente in uno stato di benessere e percepisce una grande infusione di energia che scende come un liquido dorato fuori e dentro il corpo, in tutte le sue cellule, particolarmente nella pelle. Allo stesso tempo, uno sente che qualcosa sta salendo dietro, più attorno che entro la spina dorsale. Ma da un certo momento in avanti, il movimento ascendente non attira l'attenzione come fa quello discendente. Quest'ultimo si trasforma in una pressione indefinita su tutte le cellule del corpo. Sperimentare come questo evento allarga - in un modo impensato - i confini della coscienza vuole dire essere pienamente entrati nella fase finale del sentiero spirituale.

A dire il vero, nel Kriya la situazione è peggiore in quanto quella che dovrebbe essere la quarta fase ovvero il Pranayama col respiro interno (un Pranayama che avviene come movimento di energia all'interno del corpo, senza essere accompagnato da un qualsivoglia controllo del respiro fisico – in altre parole l'Orbita Macrocosmica) è raramente accennata. Di conseguenza non c'è nemmeno traccia di questa azione di spinta. L'unica procedura che ho appreso, per così dire a cavallo tra Alchimia Interiore e Kriya, che riesce a mettere in moto tale fenomeno è l'uso del respiro frammentato. Tale tecnica si basa su una successione di piccolissime spinte create da una lunga espirazione frammentata. 54

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GLOSSARIO Questo glossario è stato aggiunto per quelli che già conoscono il significato dei termini più comuni usati nel Kriya, ma preferiscono non avere incertezze sul modo in cui essi sono utilizzati nel presente libro. Alchimia interiore [Nei Dan] L’Alchimia Interiore è la tradizione mistica dell’antica Cina. Essa richiama con tale accuratezza le tecniche del Primo Kriya da offrirci tutte le ragioni per credere che essa consista nello stesso processo. Le ipotesi, campate in aria, che le tecniche della Alchimia Interiore siano state, nei tempi antichi, portata dall'India alla Cina, rivela la tendenza a considerare l’India l’unico possibile luogo dove l'uomo intuì - o gli furono rivelati - i segreti del percorso mistico. La considerazione di uno sviluppo indipendente dei due sentieri conduce al concetto molto fecondo dell’universalità degli strumenti mistici. Lahiri Mahasaya espresse la convinzione che se le tecniche del Kriya fossero, per qualche motivo, scomparse dalla tradizione, verrebbero in ogni caso ritrovate dai mistici dal cuore, e quindi dalla visione, pura. Studiare il Kriya alla luce di altre tradizioni mistiche può produrre un insperato approfondimento della loro essenza e incoraggiare il rispetto per ciascuna delle sue tecniche originali – anche se esse non sembrano propriamente indiane o yogiche. La tendenza a ripulire la pratica Kriya da ciò che può richiamare concetti non yogici è pericolosa. Tanto per fare un esempio ci sono degli insegnanti che hanno stravolto il Navi Kriya - o eliminandolo del tutto o cancellando la concentrazione sull’ombelico e riducendo la tecnica ad una pura concentrazione sul terzo Chakra. Lahiri Mahasaya scrisse senza ambiguità sull’azione profonda, insostituibile del sciogliere in nodo dell’ombelico – non del Manipur! D’altra parte, con una analoga attitudine a distruggere la ricchezza di una procedura mistica che non si riesce a comprendere, ci sono insegnanti di Alchimia Interiore che hanno privato la loro disciplina di tutto ciò che riguardava il respiro; essi hanno così sottratto al tesoro della loro arte forse proprio il fattore che dà a questa disciplina il diritto di essere considerata una vera e propria alchimia – ovvero una trasformazione chimica del respiro in una sostanza più raffinata. Per quanto riguarda l’Alchimia Interiore osserviamo che: a…La tecnica dell'orbita micro cosmica assomiglia al Kriya Pranayama. La differenza è che, in essa, l'energia scende nel corpo toccando non i Chakra ma i punti sulla superficie del corpo che sono collegati con i Chakra: pomo d'Adamo, la regione centrale dello sterno, l'ombelico, la regione pubica ed il perineo. Questa differenza svanisce proseguendo con la pratica, poiché il risultato prodotto sull’energia presente nel corpo è esattamente lo stesso. b…La fase successiva della discesa nel Dan Tien assomiglia talmente al nostro Navi Kriya che non servono commenti. c…La procedura di sollevare il Dan Tien inferiore nella regione del cuore (Dan Tien mediano) concentrandosi sulla vibrazione che si è prodotta nel primo, richiama le istruzioni di Lahiri Mahasaya di raggiungere il nodo del cuore entrando prima in sintonia con lo stato di Equilibrio nella regione Samana nell’addome. d…Il sollevamento finale del Dan Tien mediano nel Dan Tien superiore richiama lo Yoni Mudra. e… Il concetto di orbita macro cosmica (che è diversa dall'orbita micro cosmica) 230

ricorda quello del Pranayama col respiro interiorizzato. Apana Apana è una delle cinque forme di energia nel corpo. Associata alla regione dell’addome inferiore, è responsabile di tutte le attività (processo di eliminazione per esempio) che ivi hanno luogo. Il Kriya Pranayama, nella sua fase iniziale, è essenzialmente il movimento del Prana (la particolare energia presente nella parte superiore del tronco – polmoni e cuore) in Apana e dell’Apana nel Prana. Quando inspiriamo, l'energia dall’esterno del corpo è portato all’interno ed incontra Apana nel basso addome; durante l'espirazione l'Apana si muove dalla sua sede su verso l’alto e si mescola col Prana. La continua ripetizione di questo evento genera un aumento di calore nella regione dell'ombelico: ciò calma il respiro e accende la luce dell'Occhio Spirituale. Asana Posizione del corpo adatta alla meditazione. Come disse Patanjali, la posizione assunta dallo Yogi deve essere stabile e comoda. La maggior parte dei kriyaban si trova bene con il cosiddetto Mezzo-loto [vedi]: esso, infatti, evita alcuni problemi fisici. Per il kriyaban medio, Siddhasana [vedi] è considerata superiore a tutte le altre Asana. Se infine prendiamo in considerazione i kriyaban esperti di Hatha-Yoga, che hanno delle articolazioni molto flessibili, la posizione perfetta è indubbiamente Padmasana [vedi]. Assenza di respiro C'è un alone di mistero sulla descrizione di questo stato; le persone pensano che sia impossibile e che ogni affermazione relativa al suo verificarsi è falsa. Ciononostante è possibile, anche se può essere ottenuto soltanto dopo anni di pratica Kriya. Esso non ha nulla a che vedere con il trattenere forzatamente il respiro. Essa non consiste nel banale fatto che il respiro divenga sempre più calmo. È lo stato in cui il respiro è del tutto assente - con la conseguente dissoluzione della mente. Quando si manifesta, un kriyaban non sente il bisogno di inspirare; oppure fa una breve inspirazione e non sente il bisogno di espirare per un tempo molto lungo. (Più a lungo di quanto la medicina giudichi possibile.) Il respiro diviene così calmo che colui che pratica ha la decisa percezione di non star respirando affatto; egli percepisce un'energia fresca nel corpo, che sostiene la sua vita dall’interno, senza bisogno di ossigeno. È uno stato fantastico! Senza alcun sentimento di disagio, questa condizione dura vari minuti. Non c’è il minimo fremito di sorpresa oppure il pensiero: «Finalmente ci sono riuscito!». Ciò non significa che la persona sia inconsapevole: è perfettamente consapevole, ma in un modo calmo, molto distaccato. Uno è trasportato lontano, più lontano di qualsiasi territorio conosciuto ed è consapevole tanto quanto basta per capire che questa è la esperienza chiave della sua vita; un'esaltazione, che nulla nella vita può dare, è sperimentata. Secondo la teoria del Kriya, questo stato è il risultato dell’aver completato il lavoro di tagliare il nodo del cuore. Esso incarna le caratteristiche dell’autentica vita "religiosa". Per ottenerlo è necessario vivere in un modo attivo ma anche introverso. Conservando, durante le attività del giorno, gli effetti che conseguono alla pratica del Kriya, il Prana presente nel corpo perde ogni irrequietezza; una profonda calma pervade ogni parte della costituzione psicofisica; la cessazione del respiro, durante le sessioni di Kriya, comincia ad avvenire.

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Aswini Mudra "Ashwa" significa "cavalla"; "Aswini Mudra" significa "Mudra della cavalla" perché la contrazione anale assomiglia al movimento che questa fa col suo sfintere immediatamente dopo l'evacuazione degli intestini. Ci possono essere definizioni lievemente diverse di tale Mudra e, qualche volta, è confuso col Mula Bandha [vedi]. La definizione di base è di contrarre ripetutamente i muscoli alla base della spina dorsale [sfintere] col ritmo di approssimativamente due contrazioni il secondo. Questo Mudra è un modo diretto per entrare in contatto con l’energia bloccata e stagnante alla base della spina dorsale e spingerla verso l’alto. Quando si apprende la tecnica, lo yogi contrae e rilassa anche i glutei, il perineo o persino l’intera regione pelvica; col tempo, si riesce a contrarre solo i muscoli dello sfintere che stimolano l’energia nella sua precisa sede. Lo scopo di questo Mudra è realizzato non appena lo yogi sente ondate di energia nella parte inferiore della spina dorsale o una forte presenza di energia sulla superficie dell’intero corpo. Questa tecnica non è una parte standard del Kriya, ciononostante alcuni insegnanti la consigliano specificatamente a coloro che non sono capaci di praticare il Kechari Mudra; consigliano di praticarla durante i primi 12-24 respiri del Pranayama, sia durante l'inspirazione che durante la espirazione. In seguito, il movimento fisico diminuisce naturalmente in intensità, mentre la consapevolezza è portata fortemente nella spina dorsale. Se questa tecnica è praticata isolatamente essa produrrà dei buoni risultati ma nulla da paragonarsi a quelli ottenuti quando è praticata insieme al Kriya Pranayama. Bandha Nello Yoga nessuna pratica del Pranayama può dirsi completa senza i Bandha. Esse sono valvole di energia, serrature, non semplici contrazioni dei muscoli che impediscono all'energia di essere dissipata e la dirigono all’interno della spina dorsale. Nel Jalandhara Bandha il collo e la gola sono leggermente contratti, mentre il mento è premuto contro il petto. Nell’Uddiyana Bandha i muscoli addominali sono leggermente contratti per intensificare la percezione dell’energia nella colonna spinale. Nel Mula Bandha i muscoli del perineo - tra l'ano e gli organi genitali – sono leggermente contratti mentre è esercitata una pressione mentale sulla parte bassa della spina dorsale. (Differentemente dall’Aswini Mudra, uno non si limita semplicemente a contrarre i muscoli dello sfintere; nel Mula Bandha il perineo sembra chiudersi verso l'alto mentre il diaframma pelvico è tirato verso l'alto per mezzo del movimento dell'osso pubico.) I tre Bandha, applicati simultaneamente, creano la sensazione di un brivido interno quasi estatico, una corrente energetica che si muove in su lungo la spina dorsale. Nella parte iniziale del percorso Kriya, lo yogi ha solo una comprensione approssimata dei Bandha, in seguito addiverrà ad una loro completa padronanza e potrà utilizzarli, con leggeri adattamenti, in moltissime tecniche Kriya. Bindu Centro spirituale localizzato nella regione della nuca dove l’attaccatura dei capelli forma come un vortice. Fin tanto che l’energia, diffusa in tutto il corpo, non raggiunge il Bindu, una specie di schermo impedisce allo yogi di contemplare l’Occhio Spirituale. Portare tutta la propria forza, là, in quel piccolo spazio, non è un compito facile perché le radici dell'Ego hanno la loro sede in tale centro; esse devono essere affrontate e sradicate.

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Chakra Nel corso dei secoli gli uomini svilupparono degli strumenti che mirano a viaggiare, rimanendo nella perfetta immobilità, con la propria consapevolezza nelle profondità della nostra anima: ad un certo punto scoprirono la realtà dei Chakra. Entrando in sintonia con loro, raggiunsero il livello più sottile che si può toccare risiedendo in un corpo umano, la piena attivazione del Sahasrara Chakra. Durante questo viaggio, accaddero varie esperienze spirituali, descritte nella letteratura specializzata. Oggi, quasi tutti gli studenti di Yoga sono rimasti incantati nell’incontrare la bella immagine della Madre Divina Kali, ovvero Kundalini, che realizza l’unione col suo sposo adorato, il supremo Shiva risiedente nella beatitudine eterna in cima alla testa. Essa è un simbolo dell'avventura suprema che un’anima può sperimentare. La parola Chakra viene dal Sanscrito cakra che significa "ruota" o "cerchio." I Chakra sono le "ruote" della nostra vita spirituale; sono descritti nei testi tantrici come emanazioni dello Spirito, la cui essenza si espanse gradualmente in livelli sempre più grossolani di manifestazione, raggiungendo in fine la dimensione del Chakra di base, il Muladhara, che rappresenta il mondo fisico. L'energia-coscienza, discesa, giace arrotolata e addormentata alla base della spina dorsale ed è chiamata, Kundalini - colei che è arrotolata. L'anima viene dal grembo dell'eterno: Kundalini la risveglia alla piena memoria della sua origine. Nessun autore ha mai "provato" l’esistenza dei Chakra - come nessun uomo ha mai provato l'esistenza dell'anima. Siccome non possiamo portarli sul tavolo di un laboratorio è difficile descriverli. In qualsivoglia libro di Yoga troviamo descrizioni che si appoggiano su una traduzione di due testi indiani, il Sat-Cakra-Nirupana, ed il Padaka-Pancaka, scritti da Sir John Woodroffe, alias Arturo Avalon in un libro intitolato Il potere del Serpente. L’argomento che ivi è descritto sembra essere innaturalmente complicato, quasi impossibile da essere utilizzato. Questi concetti sono stati ulteriormente inquinati dalla teosofia e simile letteratura esoterica. Il libro i Chakra scritto dall’autore controverso C. W. Leadbeater, è in grande parte il risultato dell'elaborazione mentale delle sue proprie esperienze. Per mezzo della pratica del Kriya, possiamo avere esperienza dei Chakra. Localizzato sopra l’ano, proprio alla base della colonna spinale, nella parte più bassa del coccige, incontriamo il Chakra radice Muladhara, un centro che distribuisce energia alle gambe, alla parte più basso del bacino, irradiando in modo particolare le Gonadi (testicoli negli uomini, ovaie nelle donne). Un compito difficile è quello di attribuire degli effetti psicologici alla stimolazione di questo o di quel Chakra. Non voglio ripetere pari pari le solite cose New Age ma solo dare un'idea di quello che un kriyaban potrà provare. Le tecniche Kriya producono precisi effetti (percepiti specialmente nel giorno che segue la pratica) in molti modi: stati d’animo, fantasie, ricordi e desideri che sorgono improvvisamente. Tutto questo è benefico. Vivere in modo molto vivo parti della nostra vita, da molto dimenticate, per mezzo della memoria così stimolata è un processo di pulizia. Questo processo ha in se stesso un meccanismo equilibrante che aiuterà ad evitare di essere sommersi da tempeste di improvvisi umori grigiastri. Ora, con questo in mente, leggiamo che il Muladhar simboleggia la coscienza obiettiva, la consapevolezza dell'universo fisico. È posto in relazione all’istinto, alla sicurezza, alla nostra abilità di radicarci nel mondo fisico, al desiderio di beni materiali ed anche a costruire una buon immagine di Sé. Se questo Chakra è in uno stato armonioso, siamo ben centrati ed abbiamo una forte volontà di vivere. Il secondo Chakra sacrale Swadhisthana è localizzato nella spina dorsale tra le ultime vertebre lombari e l'inizio del sacro. Si dice che la sua area di proiezione energetica è 233

l'area degli organi sessuali - in parte interseca la regione dell'influenza del Muladhara. Poiché è posto in relazione con le emozioni di base, con la vitalità sessuale, creatività, e con la parte più profonda dei regni del subcosciente, uno stimolo profondo a tale centro produrrà dei sogni profondi molto coinvolgenti; la sua azione può essere percepita come un sentimento di star vivendo una favola, la cui natura è dolce, allettante. Il Manipura, Ombelico o Plesso Solare, è posto nella spina dorsale allo stesso livello dell'Ombelico, vicino alla fine delle vertebre dorsali e all'inizio di quelle lombari. Si afferma che influenzi il pancreas e le ghiandole surrenali sopra i reni. Questo legame ha suggerito l'idea che questo Chakra abbia lo stesso ruolo esercitato da tali ghiandole: forti emozioni ed l’energia - proprio come gli effetti dell’adrenalina. Si dice che contribuisca a creare un senso di potere personale, un sicuro sentire del "Io sono". Radicati e a proprio agio nel nostro posto nell'universo, siamo capaci di affermare con determinazione lo scopo della nostra vita. Si afferma che Anahat, il Chakra del cuore, localizzato nella spina dorsale all'altezza della parte media delle vertebre dorsali, influenzi il timo che è parte del sistema immunitario. Tutti sono d’accordo sul fatto che Anahata è collegato con le più alte emozioni, compassione, amore, ed intuizione. Quando una persona si concentra su di esso, sentimenti di tenerezza profonda e di compassione cominceranno a svilupparsi. Un Chakra del cuore sano e completamente aperto significa riuscire a vedere la bellezza interna negli altri nonostante i loro apparenti difetti, amare ognuno, anche gli estranei che incontriamo per strada. C'è un procedere graduale dalle "buone emozioni" dei Chakra più bassi alle emozioni più alte ed ai sentimenti del Chakra del cuore. Quello che riveste un grande interesse, è che l'apertura di questo centro comporta il vedere la vita in una maniera più neutrale e vedere quello che altri non possono vedere. Cessa la predisposizione ad essere influenzati dalle altre persone, dalle chiese e dalle organizzazioni in generale. Si assicura che Vishuddha, Chakra della Gola, precisamente tra le ultime vertebre cervicali e le prime vertebre dorsali, influenzi la Tiroide e la Paratiroide; siccome controlla anche l'attività delle corde vocali, si afferma che esso ha qualche cosa a che vedere con la nostra capacità di esprimere le nostre idee nel mondo. Sembra che possa essere posto in relazione con la capacità di comunicazione e col prendere su di sé la responsabilità personale per le nostre azioni. La persona non biasima più gli altri per i suoi problemi e può portare avanti la sua vita con piena responsabilità. Molti autori affermano che esso risveglia l'inspirazione artistica, l’abilità di sviluppare una superiore percezione estetica. Ajna, Chakra del terzo occhio, localizzato nella parte centrale del cervello, influenza la ghiandola pituitaria [l'ipofisi] ed il cervelletto. L’ipofisi ha un ruolo vitale nell’organismo, nel senso che insieme all’ipotalamo agisce come un sistema di comando di tutte le altre ghiandole endocrine. In Sanscrito, "Ajna" vuol dire "comandare," che significa che esso ha il comando ovvero controlla le nostre vite: per mezzo di una azione controllata, porta alla realtà il frutto dei nostri desideri. Di conseguenza, si afferma che l’Ajna Chakra abbia un ruolo vitale nel risveglio spirituale di una persona. Esso è la sede dell’intuizione. Il Chakra supremo è il Sahasrara, Chakra della Corona, proprio sopra la cima della testa. Si afferma che esso influenzi, o sia legato, con la ghiandola pineale. Esso permette il distacco dall’illusione ed è in relazione alla propria capacità di espansione di coscienza e al grado di sintonia con la Realtà Divina. È una realtà superiore e noi possiamo sperimentarlo solamente nello stato di assenza di respiro. È possibile "entrare in sintonia" con esso utilizzando il Bindu come una via d'accesso. 234

Un kriyaban non ha bisogno di usare il potere della visualizzazione per percepire la realtà dei Chakra. In alcune scuole di Yoga si consiglia di visualizzare il loro colore specifico (rosso, arancio, giallo… come la sequenza dei colori dell’arcobaleno). Possono anche essere visualizzati come dei loti, ciascuno con un particolare numero di petali con una lettera dell'alfabeto Sanscrito su ogni petalo. Nel Kriya, calmando la tempesta del respiro, mentre si lascia che l'energia fluisca attraverso di essi, si canta Om o altri Mantra armoniosi presso la loro ubicazione. Quando la consapevolezza, salendo dal Muladhar al Sahasrara e viceversa, si ferma per almeno mezzo minuto su ciascuno di essi, la percezione di una sensazione dolce e piacevole è quasi immediata. Dei suoni interiori così come dei colori che provengono dalle loro sedi approfondisce il contatto con la dimensione Omkar. Col tempo un kriyaban ottiene l’abilità di distinguere le diverse percentuali di vibrazione di ogni Chakra, la qualcosa ha un valore decisivo per raggiungere la liberazione finale da tutte le sofferenze e limitazioni implicate nel vivere. Poniamoci una domanda: possiamo ricevere risultati negativi dal Kriya per il fatto che uno o più Chakra sono bloccati? La risposta non può essere che negativa. Certo possiamo sperimentare particolari emozioni. Si dice che ogni sentimento d'insicurezza, di essere fuori dal contatto con la realtà quotidiana sia dovuto a blocchi nel Muladhara. Lo stesso è quando desideriamo evitare ogni attività fisica. In simile maniera tutte le oscillazioni di umore originate da blocchi nel Chakra Swadhisthana andranno a scomparire, anche grazie al grande aiuto della chiarezza mentale che viene dal Manipura. Si afferma che i blocchi del Manipura possono dare luogo ad irritazione e manifestazioni di rabbia. Lavorando col Navi Kriya essi andranno a scomparire. Lavorando col Thokar, alcuni problemi presenti in Anahata possono divenire visibili. Può trattarsi di un sentimento di essere indegni, autocommiserazione, temere il rifiuto, aver paura di lasciare che nuove cose si manifestino. I blocchi in Anahata sono il risultato di possibili traumi nell'infanzia e nell'adolescenza. Per quanto riguarda Vishuddha, si afferma che qualsiasi disarmonia presente in tale Chakra sia legata a problemi di comunicazione e all’incapacità di trovare il nostro posto nella società dove far sì che le nostre potenzialità si trasformino in azione concreta. Infine diamo un cenno all'esistenza dei "Chakra Frontali". Insegnamenti riguardanti questi si trovano presso alcuni kriyaban provenienti dalla scuola di Sri Yukteswar. Il perineo è il primo, la regione dei genitali è il secondo, l'ombelico è il terzo, la parte centrale della regione dello sterno è il quarto, il pomo di Adamo è il quinto e il Kutastha può essere considerato come il sesto. Il punto chiave è capire che quando questi punti sono toccati con la concentrazione, l'energia attorno al corrispondente Chakra nella spina dorsale è stimolata. Dan Tien Sebbene pertinente al contesto teorico dell’Alchimia Interiore dell’antica Cina, tenendo ben chiara in mente la sua localizzazione, un kriyaban può approfondire il meccanismo del Pranayama e del Navi Kriya. Secondo la filosofia del taoismo, noi abbiamo tre Dan Tien, uno nel basso addome (Dan Tien inferiore), uno nel cuore (Dan Tien mediano) ed uno nel terzo occhio (Dan Tien superiore). Ebbene, pacificare il Prana in questi precisi luoghi è proprio il nucleo dell’azione del Kriya – da qui il nostro interesse in questo argomento. Il Dan Tien inferiore o "Campo di cinabro" è il luogo dove colui che pratica "raccoglie, fonde insieme e cucina" le sue energia sessuali, dell’amore e quelle spirituali. Per circoscrivere la sua posizione ci si deve concentrare sull'ombelico, venire 235

approssimativamente quattro centimetri indietro verso la spina dorsale e poi sotto per la stessa estensione: può essere visualizzato come una palla di gomma di circa otto centimetri di diametro. Esso contiene la nostra peculiare vibrazione, la "nota" che incarna la nostra volontà di vivere nel corpo fisico. È la forza che ci spiana la strada verso l’esperienza dello stato di assenza di respiro. Dharana Secondo Patanjali, Dharana è la concentrazione su un oggetto fisico o astratto. Nel Kriya, Dharana consiste nel far convergere la nostra attenzione verso la rivelazione dello Spirito: il suono interiore di Omkar, luce o sensazione di movimento. Questo avviene subito dopo aver calmato il respiro. Dhyana Secondo Patanjali, Dhyana scaturisce dal contemplare la natura essenziale dell’oggetto scelto, come un costante, ininterrotto flusso di coscienza. Nel Kriya la consapevolezza, soffermandosi sulla realtà Omkar, è presto persa nello stato di Samadhi. Esicasmo Molti ricercatori occidentali guardano all’oriente per imparare tecniche di meditazione che portino verso delle reali esperienze. Spesso non sanno che una tradizione Cristiana, sistematica e precisa, esiste presso la tradizione Esicasta. Per quanto riguarda il Kriya, nel mondo affascinante dell’Esicasmo possiamo avere l’opportunità di avvicinare anime che ne sanno più di noi sul Pranayama e sul Thokar – anche se non hanno mai sentito parlare di Kriya! Il termine Esicasmo deriva dalla parola greca "hesychia" che significa quiete interna, tranquillità e calma: senza questa condizione, la meditazione non è possibile. È una disciplina che integra la ripetizione continua della Preghiera di Gesù ("Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore". Essa fu già usata dai primi Padri della Chiesa nel quarto e nel quinto secolo) con la pratica dell'ascetismo. C’erano eremiti che dimoravano nel deserto, cercando la pace interiore e l’introspezione spirituale praticando la contemplazione e l'autodisciplina: non avevano dubbi sul fatto che la conoscenza di Dio poteva essere ottenuta solo attraverso la purezza dell’anima e la preghiera, non tramite il semplice studio o i puri piaceri mentali nel campo della filosofia. Più tardi, il loro metodo ascetico cominciò a rivelarsi come un insieme concreto di tecniche psicofisiche: questo è, effettivamente, il nucleo dell’Esicasmo. Fu Simeone, "il nuovo teologo" (1025-1092), che sviluppò la teoria quietistica con tale precisione tanto da poter essere considerato il padre di tale movimento. La pratica, che implicava specifiche posizioni del corpo e precisi schemi di respirazione, era intesa a percepire la Luce Increata di Dio. I monaci di Athos avrebbero potuto continuare tranquillamente a contemplare questa Luce Increata (che loro consideravano essere la meta più alta meta da ottenersi nella vita) se i loro metodi non fossero stati denunciati come superstiziosi e assurdi. L’obiezione era basata principalmente su un energico rifiuto della possibilità che la loro Luce Increata costituisse l’essenza Divina. Verso l'anno 1337, l’Esicasmo attirò l'attenzione di un dotto membro della Chiesa Ortodossa, Barlaam di Seminara, un monaco Calabrese (più tardi divenne l'insegnante greco del Petrarca) che era abate in un monastero di Costantinopoli e che visitò Monte Athos. Là egli incontrò gli esicasti e ascoltò le descrizioni delle loro pratiche. Barlaam, addestrato nella teologia Scolastica Occidentale, fu scandalizzato e cominciò a 236

combatterlo sia a voce che nei suoi scritti. Chiamava gli esicasti "omphalopsychoi" persone che hanno le loro anime nei loro ombelichi (a ragione del molto tempo che passavano indirizzando la loro concentrazione sulla regione ombelicale). Barlaam proponeva un approccio alla conoscenza di Dio più intellettuale di quello che gli esicasti insegnavano: egli asseriva che questa conoscenza poteva essere ottenuta solamente attraverso un lavoro d’indagine portato avanti dalla mente e tradotto in discriminazione tra il vero e il falso. Egli sosteneva che nessuna parte di Dio poteva mai essere vista dagli esseri umani. La pratica degli esicasti fu difesa da San Gregorio Palamas. Egli era ben istruito nella filosofia greca e difese l’Esicasmo nel 1340, in tre sinodi diversi a Costantinopoli, e scrisse anche un numero di lavori in sua difesa. Lui usò una distinzione, già formulata nel quarto secolo nei lavori dei Padri della Cappadocia, tra le energie o opere di Dio e l'essenza di Dio: mentre l'essenza di Dio non può mai essere conosciuta dalle sue creature, le Sue energie od operazioni possono essere conosciute sia in questa che nella prossima vita; esse trasmettono all’esicasta la vera conoscenza spirituale di Dio. Nella teologia Palamita, sono le energie non create di Dio che illuminano l’esicasta a cui è stata concessa un'esperienza della Luce Increata. Nel 1341 la disputa fu stabilita: Barlaam fu condannato e ritornò in Calabria, in seguito divenne vescovo nella Chiesa Cattolica Romana. In seguito, la dottrina esicasta fu stabilita come la dottrina della Chiesa Ortodossa. Fino ad oggi, la Chiesa Cattolica Romana non ha mai accettato pienamente l'Esicasmo: l'essenza di Dio può essere conosciuta, ma solamente nella prossima vita; non ci può essere distinzione tra le energie e l'essenza di Dio. Oggi Monte Athos è il noto centro della pratica dell’Esicasmo. I libri usati dagli esicasti includono la Philokalia, una raccolta di testi sulla preghiera e sull’ascetismo scritti dal quarto al quindicesimo secolo. (Questo è un testo noioso che rappresenta la tendenza della mente, ossessionata dal peccato e dalle tentazioni, di complicare le cose più semplici. Molto più affascinante è "I racconti di un pellegrino russo" [anonimo, Bompiani] che è uno degli esempi della letteratura spirituale russa più diffusamente letti. L'autore che è devoto della Preghiera di Gesù, è stato identificato sulla base di testimoni come il monaco russo Archimandrita Ortodosso Mikhail Kozlov. La ragione principale dell'attrazione che quest’opera suscita è la presentazione della vita di un eremita vagabondo come il modello di condurre la vita a beneficio di coloro che si propongono di condurre una vita spirituale. «Per grazia di Dio sono un cristiano, in azioni un grande peccatore e, per scelta, un vagabondo, di umile nascita, senza casa, che erra da luogo il luogo. I miei beni sono una bisaccia con un po' di pane secco e, nel taschino, una Bibbia. Questo è tutto.» È un libro semplice, edificante, di universale appello spirituale. Nel suo consiglio pratico di non esitare ad incominciare la pratica della Preghiera di Gesù, è veramente incalzante.) Ora consideriamo l’aspetto tecnico della pratica esicasta: l’insegnamento per trovare la quiete interiore e percepire la Luce Increata. La prima caratteristica è limitare le attività esterne e sforzarsi, al meglio, di ignorare i sensi fisici. Essi interpretano l’ingiunzione di Cristo nel Vangelo di Matteo: «quando vuoi pregare, entra in camera tua e chiudi la porta» come il dovere di ritirarsi internamente. Essi affermano che il primo passo è mantenere il corpo immobile per lungo tempo. Poi si occupano di un ascetismo mentale ovvero del rifiuto delle tentazioni. Molta della letteratura dell’Esicasmo si occupa dell'analisi psicologica di tali insidie. Essi osservano i pensieri negativi e li combattono con coraggio. Essi insegnano 237

che il praticante deve essere estremamente cosciente del suo mondo interno e delle parole della Preghiera di Gesù, non lasciando che la mente si distragga in alcun modo. La Preghiera viene detta con il "cuore" - percependo intensamente il significato delle sue parole. Tale pratica prende dentro l’intero essere umano – anima, mente e corpo. (Alcuni turisti a Monte Athos ricevettero un rifiuto quando chiesero informazioni sulla Preghiera di Gesù; questo fu probabilmente causato dal loro atteggiamento superficiale e affrettato.) Ancora più sacro è considerato il metodo che implica il controllo del respiro. Il pronunciare la Preghiera è sincronizzato con il proprio respiro. Nella tradizione esicasta troviamo scritto: «Fate che il ricordo di Gesù sia presente in ciascun respiro, e poi capirete il valore della Hesychia. » San Simeone scrive: «Siediti in un luogo tranquillo e fai quello che ti dico: chiudi la porta, distogli la mente da ogni cosa temporale e caduca. Appoggia la barba sul petto e focalizza lo sguardo assieme al tuo intelletto l’attenzione sul centro della pancia ovvero sull’ombelico. Fai sì che il respiro passi attraverso le narici con una certa resistenza e cerca con l’intelletto il posto del cuore, dove risiedono tutti i poteri dell'anima. Dapprima troverai laggiù un’oscurità ed una densità impenetrabile. In seguito, se perseveri nella concentrazione senza posa, giorno e notte, vi troverai una gioia incessante. La mente, così avvinta, illuminerà il luogo del cuore e là vedrà subito cose tali, quali non aveva mai viste né conosciute. Vedrai lo spazio aperto all'interno del tuo cuore e scoprirai di essere tu stesso luminoso e pieno di discriminazione. » Pseudo-Simeone, "I Tre Metodi di Preghiera," in: La Filocalia (5 vol.; tr. G.E.H. Palmiere, P. Sherrard, e K. Ware; Londra: Faber e Faber, 1995) 4.72-3. Il paragone con la tecnica del Navi Kriya è impressionante. Naturalmente c'è, per quanto riguarda queste pratiche, una grande enfasi sull’umiltà, molta cautela viene suggerita accennando ai disastri che possono capitare a colui che procede con orgoglio, arroganza o presunzione. La parte più segreta è la descrizione di quanto avviene nello spazio entro il cuore. La persona è guidata attraverso l'oscurità e attraverso "una densità impenetrabile" verso le profondità del cuore. Questa discesa è da prendersi alla lettera, non è affatto un’espressione metaforica. Questo è uno stadio evoluto della pratica spirituale e tentare di raggiungerlo prematuramente può causare delle ferite emotive molto serie. L’istruzione è quella di sentire la propria testa che si muove nel torace e lì risiede, poi di "aprire" gli occhi in tale luogo e guardare il mondo dal proprio petto. Il mondo è percepito in un modo totalmente diverso: non come aspro e ostile, ma come delicato, caldo e che risponde alle emozioni dell’amore! Il cuore è riempito della beatitudine più sottile, carica d’amore! In questo stato, il devoto diventa lui stesso "permeato" di luce. L’illuminazione proviene dall’interno, si irradia dallo spazio aperto contenuto entro il cuore. L’esicasta, quando ha ottenuta tale esperienza, ritorna alla vita di tutti i giorni completamente trasformato. Il "dialogo interno" che ostacolava la meditazione è sotto controllo: egli può vivere permanentemente in uno stato che è detto "la sentinella della mente". È lo stato più sano e naturale della mente. La coscienza non è più oppressa dalla produzione spontanea di immagini - questo è l’attributo principale della vera vita religiosa. Tutte queste istruzioni possono aiutare un kriyaban a riconsiderare la tecnica del Japa e del Thokar da una nuova prospettiva. Per trarre alcune conclusioni, comprendiamo che per stabilirci nello stato di continua sintonia con la realtà Omkar, il modo più sicuro è stabilirci nella pratica vigorosa di un Japa fervente. 238

Il Mantra che usiamo nel Kriya dovrebbe essere vissuto come una Preghiera luminosa: in questo modo è possibile innamorarsene. La sua Magia Divina si diffonderà in ogni sfaccettatura della nostra vita, sarà come uscire da una stanza scura nell’aria fresca e nella luce del sole. Non ci saranno più problemi di aridità, mancanza di motivazione e difficoltà di concentrazione. Come quando ci troviamo all’aria fresca noi non ci concentriamo su di essa ma la respiriamo, nello stesso modo il nostro sentiero sarà un’esperienza di pura gioia. Flauto, suono del [durante il Pranayama] Durante il Pranayama, si produce nella gola un leggero sibilo; quando un kriyaban riesce ad assumere la posizione del Kechari Mudra, allora la frequenza del suono della espirazione aumenta. Questo suono è stato paragonato al "flauto di Krishna." Lahiri Mahasaya lo descrive: "come quando qualcuno soffia attraverso il buco della serratura". Questo suono, estremamente godibile, fa sì che la mente cresca in calma e trasparenza e aiuta a prolungare senza sforzo la pratica del Pranayama. Un giorno il suono del flauto si trasforma nel suono di Om. In altre parole, fa sorgere il suono di Om, la cui vibrazione è così forte da coprire il suono stesso del flauto. Durante questo evento, un forte movimento di energia sale lungo la spina dorsale. Granti [vedi Nodo] Guru L'importanza di trovare un Guru (insegnante) che faccia da supervisore all'addestramento spirituale del discepolo è una delle credenze fondamentali di molti sentieri spirituali. Uno dei principali testi indù, la Bhagavad Gita è un dialogo tra Dio nella forma di Krishna ed il principe guerriero Arjuna. Non solo il loro dialogo è un compendio degli ideali dell'Induismo, ma la discussione e il rapporto tra i due è considerato un'espressione dell’ideale rapporto Guru-discepolo. Un Guru è un insegnante, una guida e molto di più. Le sacre scritture dichiarano che il Guru è Dio e Dio è il Guru. C'è un detto che se il devoto fosse presentato al Guru e a Dio, prima dovrebbe inchinarsi al Guru, poiché il Guru è stato lo strumento che lo ha condotto a Dio. Siamo abituati a spiegare il termine "Guru" come un'interazione metaforica tra l'oscurità e la luce: il Guru è visto come colui che disperde l'oscurità: "Gu" vuole dire oscurità e "Ru" colui che la rimuove. Alcuni studiosi non accettano questa etimologia; secondo loro "Gu" sta per "oltre le qualità" e "Ru" per "privo di forma". Per ricevere tutti i benefici dal contatto col Guru uno deve essere umile, sincero, puro in corpo e mente e pronto ad arrendersi alla volontà e alle istruzioni del Guru. I criteri per scegliere un Guru sono complessi: se egli non è sposato dovrebbe mantenersi casto, dovrebbe esibire mancanza di interesse per i soldi, abilità di sedere in meditazione per ore senza alcun movimento o disturbo. Il lignaggio del Guru riceve talvolta una grande importanza. E’ stato iniziato e da chi? C'è una prova che ricevette l’iniziazione dalla persona da cui lui dice di essere stato iniziato? Il potere spirituale di un Guru, trasmesso dai suoi migliori discepoli che continuano il suo lascito è noto come il Guru - Parampara. Si crede comunemente che tale catena di Guru trasmetta l’ingrediente essenziale affinché la Diksha funzioni - dare la conoscenza esoterica al discepolo in modo che questi possa avanzare lungo il percorso verso la auto realizzazione. Talvolta essa è accompagnata dallo Shaktipat, la procedura di risvegliare la conoscenza spirituale che giace sopita all'interno del discepolo. Un riconoscimento formale di questa relazione, che di solito assume la forma di una 239

cerimonia di iniziazione ben strutturata, include il Gurudakshina: il discepolo offre un qualcosa di valore al suo Guru come segno di gratitudine. Questo è quello che dice la letteratura. Ora cerchiamo di fare i conti con i fatti. Durante gli anni 60’ e 70’, come alternativa alle religioni stabilite, alcune persone in Europa e negli Stati Uniti si volsero verso le guide spirituali dell'India, ansiosi di ricevere da loro risposte sul significato della vita. Molte persone si rivolsero a dei Guru perché volevano provare lo sballo senza le droghe che avevano aperto loro l'esistenza di quella dimensione che si trova al di là della realtà percettibile. Molti Guru (provenienti non solo dall'India) viaggiarono principalmente verso gli Stati Uniti dove acquisirono gruppi di giovani seguaci. La parola "Guru" fu accettata in senso più ampio non solo per indicare un insegnante spirituale ma anche qualcuno che conosca molto bene un particolare soggetto. Purtroppo acquistò anche connotazioni molto negative per indicare un ciarlatano - affarista che finge di essere un santo. Le rivelazioni da parte di ex-seguaci giocò un ruolo importante nel riconoscere che alcuni Guru avevano davvero abusato del loro status. All'interno di alcune organizzazioni, il termine Guru assunse un significato molto strano perché fu attribuito ad una persona che i discepoli non avevano conosciuto direttamente. A tali devoti si chiedeva di giurare la loro eterna devozione non solo ad una persona ma anche ad una catena di Maestri, anche se solamente uno di loro doveva essere considerato il Guru-precettore. Essendo stati iniziati in una disciplina spirituale dai canali legittimi (discepoli autorizzati), si affermava che il Guru, anche se non più su questa terra, sarebbe stato una presenza reale nella loro vita. Gli si spiegava che il Guru avrebbe bruciato in qualche modo parte del loro Karma e li avrebbe sempre protetti; egli era uno speciale aiuto scelto da Dio Stesso già prima che loro avessero iniziato a cercare il percorso spirituale. Cercare un diverso percorso spirituale equivaleva ad «un odioso rifiuto della mano Divina, protesa in benedizione». Un ricercatore spirituale che abbia un approccio ben equilibrato tra il razionale e il devoto, ha buone ragioni per rimanere perplesso da tutto questo. Lahiri Mahasaya aveva detto: «Io non sono il Guru, io non mantengo una barriera tra il vero Guru (il Divino) ed il discepolo». Aggiunse che voleva essere considerato come uno "specchio". In altre parole, ciascun kriyaban avrebbe dovuto guardare a Lui non come ad un ideale irraggiungibile, ma come alla personificazione di tutta la saggezza e realizzazione spirituale che, a suo tempo, la pratica del Kriya sarebbe riuscita a far emergere. Ora si pone la domanda: le tecniche Kriya funzionano al di fuori del rapporto Gurudiscepolo? Di sicuro non v’è risposta provata scientificamente. In questo campo possiamo usare sia la fede che la ragione. Molti kriyaban hanno la fiducia di riuscire a trasformare le tecniche, non importa come ricevute, in "oro". Pensano: «Al di là di tutte le aspettative, ragionevoli o improbabili, di trovare un esperto di Kriya a mia disposizione, mi rimbocco le maniche e vado avanti!» Ida [vedi Nadi] Incremento progressivo [routine] Quando pensiamo alla pratica del Kriya, immaginiamo il classico schema costante, immutato che consiste in una pratica giornaliera dello stesso insieme di tecniche, senza cambiare né il loro ordine di pratica, né il numero delle loro ripetizioni. Una routine ad incremento progressivo è una caratteristica particolare del Kriya di Lahiri Mahasaya. Essa consiste, una volta alla settimana, per un certo numero di 240

settimane (20 - 24 - 36 …), nel mettere da parte la routine solita e nell’utilizzare una sola tecnica, il cui numero di ripetizioni è gradualmente aumentato fino a raggiungere un determinato numero che la tradizione ha tramandato come ottimale. Questa è la pratica più remunerativa del Kriya perché conduce a una grande padronanza (impensabile da ottenere con altri schemi) delle tecniche oggetto di tale procedura ed ha un positivo effetto sulla personalità, liberandola da molti ostacoli interiori. Analogo a questa procedura è il progetto di completare un certo numero (solitamente un multiplo di 12, come 1728 o 20736) di ripetizioni di una tecnica particolare, impiegando naturalmente un numero specifico di giorni. Japa [Vedi Preghiera] Kechari Mudra Il Kechari Mudra si ottiene in uno dei due modi seguenti: [a] Mettendo la lingua in contatto con l'ugola nella parte dietro del palato molle. [b] Infilando la lingua nella faringe nasale, toccando, se possibile, il setto nasale. Secondo Lahiri Mahasaya, un kriyaban dovrebbe realizzarlo non tagliando il frenulo della lingua ma per mezzo del Talabya Kriya [vedi]. Kechari si traduce letteralmente come: "lo stato di coloro che volano nel cielo, nell'etere", nello "spazio interiore". Kechari è paragonato al bypassare il sistema energetico della mente. Esso muta il percorso del flusso del Prana facendo sì che la forza vitale sia sottratta dal processo pensante. Invece di permettere ai pensieri di saltare come rane qui e là, fa sì che la mente sia quieta e fa sì che essa si concentri sulla meta della meditazione. Noi non ci rendiamo conto della quantità di energia che dissipiamo quando noi siamo persi nei nostri pensieri, nei nostri piani. Kechari trasforma questo modo pernicioso di consumare tutta la nostra vitalità nel suo opposto. La mente comincia a perdere il suo ruolo dispotico: la "attività interiore" non avviene più per mezzo del processo pensante ma per mezzo dello sviluppo, privo sforzo, dell'intuizione. Abbinato al Kriya è un aiuto sostanziale nel chiarificare le proprie complesse strutture psicologiche. Un tema di dibattito è l'esperienza dell'elisir della vita, "Amrita", il "Nettare." Esso è un fluido dal gusto dolce percepito dal kriyaban con la punta della lingua quando tocca l'ugola oppure la prominenza ossea, nel tetto del palato, sotto l'ipofisi. La tradizione dello Yoga spiega che c'è una Nadi che scorre attraverso il centro della lingua; dell’energia s’irradia attraverso la sua punta e quando tocca quella prominenza ossea, la sua radiazione arriva e stimola l'Ajna Chakra nel centro del cervello. Kevala Kumbhaka [vedi Assenza di respiro] Kriya Yoga Se vogliamo comprendere l'essenza del Kriya Yoga, è necessario mettere da parte alcune definizioni che si trovano nei siti web. "Il Kriya Yoga è la scienza del controllo dell’energia vitale [Prana]." "… una tecnica che stimola i centri astrali cerebrospinali." ".. accelera lo sviluppo spirituale di colui che pratica e aiuta a generare uno stato profondo di tranquillità e di comunione con Dio." "…crea la calma degli stimoli trasmessi dai sensi." Non voglio contestarle, mi limito a sostenere che il Kriya è più ampio di quanto loro lascino presupporre. Ci sono definizioni che non dicono nulla: esse fanno una sintesi fallace dei suoi metodi ed elencano i suoi effetti nello stesso modo in cui uno descriverebbe la pratica dello Hatha o del Raja Yoga. 241

Patanjali usò una volta sola il termine Kriya Yoga: "Il Kriya Yoga è formato da disciplina fisica, controllo della mente, e meditazione su Iswara." [Yoga Sutras II:1] Ciò è indubbiamente corretto, ma seguendo l’evoluzione del suo pensiero siamo condotti fuori strada. Sebbene gli affermi che, ricordando quel Suono, possiamo raggiungere la rimozione di tutti gli ostacoli che bloccano normalmente la nostra evoluzione spirituale, egli non sviluppa questo metodo. È ben lungi dal descrivere la medesima disciplina spirituale insegnata da Lahiri Mahasaya. Il Kriya è un "sentiero mistico" che utilizza i migliori strumenti usati dai mistici di tutte le religioni. Esso consiste nel controllo del respiro [Pranayama], Preghiera [Japa, Mantra] e nel puro sforzo di entrare in sintonia con la Realtà Omkar. Il processo calmante del respiro Pranayama, seguito dalla procedura del Thokar, guida l’energia del corpo nel Chakra del cuore, fermando così, come in una stretta di calma, l’incessante riflesso che da origine al respiro. Quando una calma perfetta è stabilita, quando tutti i movimenti interni ed esterni cessano, il kriyaban percepisce una irradiazione di fresca energia che sostiene ogni cellula dall’interno; allora lo stato di assenza di respiro diventa stabile. Quando il respiro fisico è totalmente trasceso e nel corpo avviene la circolazione di una forma sottile d’energia - si dice che il respiro è "Interiorizzato" - nasce un senso d’infinita sicurezza, solidità e fiducia. La sensazione è quella di avere attraversato una barriera e di essere penetrati in uno spazio smisurato: il Kriya Yoga è un miracolo di bellezza. Kumbhaka Kumbhaka significa trattenere il respiro. È una fase del Pranayama, talmente importante che alcuni insegnanti di Yoga dubitano se un esercizio di respirazione che non includa alcun Kumbhaka possa essere correttamente considerato Pranayama. Si osserva che quando stiamo per fare qualche cosa che richieda la nostra totale attenzione, o per lo meno ne richieda molta, il nostro respiro è automaticamente trattenuto. Questo dimostra come tale fatto sia naturale. L'inspirazione nel Pranayama viene detta Puraka ovvero "l'atto di riempire"; l'espirazione viene detta Rechaka, ovvero "l'atto di vuotare." Il trattenimento del respiro è detto Kumbhaka, ovvero "trattenere." Kumbha è una brocca: proprio come una brocca trattiene l’acqua, così nel Kumbhaka il respiro ed il Prana è trattenuto nel corpo. Nella letteratura di Yoga classico sono quattro tipi di Kumbhaka descritti. I…Si espira, profondamente e si trattiene il respiro per alcuni secondi. Questo è noto come "Bahya Kumbhaka" (Kumbhaka Esterno). II… Il secondo, "Abhyantar Kumbhaka" (Kumbhaka Interiore), è trattenere il respiro dopo un'inspirazione profonda. Di solito questa specie di Kumbhaka è accompagnata dall’esecuzione dei tre Bandha. III…Il terzo tipo è quello praticato durante la respirazione alternata - inspirare profondamente attraverso la narice sinistra, poi trattenere il respiro ed espirare attraverso la destra…. È considerato la forma più facile di Kumbhaka. IV…. Il quarto è il più importante di tutti, la vetta del Pranayama. È detto Kevala Kumbhaka o sospensione automatica del respiro: è lo stato di Assenza di respiro dove non c’è inspirazione o espirazione, il minimo desiderio di respirare. Nel Kriya il principio fondamentale di [I] è presente in alcune varianti del Navi Kriya e in tutti quei processi fatti di una serie di espirazioni molto lunghe e calme che sembrano terminare in un nulla dolcissimo dove il respiro trova la sua quiete. Il Kumbhaka interno [II] lo troviamo in diverse tecniche del Kriya; in particolare nello Yoni Mudra. Il Maha Mudra, con la sua azione di bilanciamento sul lato destro e sul 242

lato sinistro della spina dorsale, incarna - in senso lato – i principi del [III] respiro alternato. Kundalini Il concetto di Kundalini e, in particolare, del suo risveglio, offre una comoda cornice per esprimere quello che avviene nel sentiero spirituale. La maggior parte delle tradizioni spirituali hanno una certa consapevolezza di Kundalini; non tutte sono ugualmente aperte nell’esporre i dettagli pratici di questo processo. Kundalini è un termine Sanscrito per "arrotolata": è concepita come una particolare energia avvolta come un serpente nel Chakra Muladhar. L’immagine di essere arrotolata come una molla rende l'idea di energia potenziale, ancora intatta. Essa dorme nel nostro corpo e sotto gli strati della nostra coscienza, aspettando di essere destata sia attraverso la disciplina spirituale sia attraverso altri mezzi – come particolari esperienze di vita. Si dice che essa salga dal Muladhar attraverso il canale spinale Sushumna, attivando ogni Chakra nel suo procedere; quando arriva al Chakra Sahasrara in cima alla testa, essa concede beatitudine infinita, illuminazione mistica ecc. È solo attraverso ripetuti sollevamenti di Kundalini che lo yogi riesce ad ottenere la realizzazione del Sé. Il suo risveglio non consiste in sensazioni piacevoli come un mite senso dello scorrere di energia nella spina dorsale. Il movimento di Kundalini è come avere una "eruzione vulcanica" interna, un "razzo" sparato attraverso la nostra spina dorsale! La sua natura è benefica; ci sono ragioni evidenti di perplessità nel considerare come autentici i rapporti di risveglio di Kundalini accompagnati da problemi come schemi di respirazione palesemente disturbati, distorsione dei processi di pensiero, insoliti o estremi rafforzamenti delle emozioni… Siamo piuttosto inclini a pensare che una qualche malattia latente, fatta emergere apertamente dalla pratica sconsiderata di violenti esercizi o di droghe sia la causa di quei fenomeni. Fenomeni come l'insonnia, l'ipersensibilità all’ambiente possono in realtà seguire l'esperienza autentica. In un "vero risveglio" la forza di Kundalini eclissa completamente l'ego e la persona si sente, per un certo tempo, disorientata. Ma tutto è assorbito senza problemi. Purtroppo la ricerca della ripetizione dell'episodio può condurre alla pratica disordinata e imprudente di tecniche strampalate, senza mai stabilire un minimo fondamento di silenzio mentale. Ogni libro avverte contro il rischio di un prematuro risveglio di Kundalini e afferma che il corpo deve essere preparato per quell’evento. Quasi tutti gli yogi pensano di essere capaci di sostenere questo risveglio prematuro, e la segnalazione del pericolo li eccita più che mai: il problema è che molti non hanno (o l'hanno perso) un genuino approccio spirituale e ne nutrono uno piuttosto egotistico. Nella cornice teorica del Kriya consideriamo che Kundalini è la stessa energia che esiste dappertutto nel corpo e non in particolare nel Muladhar Chakra. Nel Kriya usiamo raramente il termine "risveglio di Kundalini" e cerchiamo di evitare quanto potrebbe dare l’impressione che tale esperienza abbia una natura aliena: Kundalini è la nostra energia, è lo strato più puro della nostra coscienza. Consideriamo l’armoniosa fusione delle due correnti di Prana ed Apana. Quando c’è una calma ed una immobilità assoluta nel corpo, queste due correnti, divenute una sola, possono aprire la porta del Sushumna. Questo avviene dopo il Pranayama e il Navi Kriya, per mezzo di una ulteriore forte concentrazione nel Kutastha. Concludiamo con un accenno ad una teoria molto affascinante. Essa afferma che Kundalini risiede in ciascuna cellula. Questo particolare punto di vista va di pari passo con la convinzione che il nostro corpo non è semplicemente l'involucro dell'anima - una 243

macchina disegnata per andare qui e là in questo mondo fisico. Entrando in sintonia con la pura energia presente nelle sue cellule, si scopre lo strumento per entrare in contatto con la coscienza dell’umanità intera. Kutastha Kutastha, il "terzo occhio" o "occhio spirituale" è l'organo della visione interiore (la componente astrale unificata dei due occhi fisici), il luogo nel corpo dove si manifesta la Luce spirituale. Concentrandosi tra le sopracciglia, percepiamo anzitutto un buio informe, poi una piccola luce crepuscolare, poi altre luci; infine abbiamo l'esperienza di un anello dorato che circonda una macchia scura con un punto luminoso al suo interno. C’è un collegamento tra il Kutastha ed il Muladhar: quello che scorgiamo nello spazio tra le sopracciglia non è altro che l’apertura della porta spinale, che ha la sua sede nel primo Chakra. Alcuni insegnanti di Kriya affermano che la condizione per entrare nell’ultimo e supremo stadio del Kriya è che la visione dell’occhio spirituale sia costante; altri identificano questo stato con la condizione in cui l’energia è perfettamente calma alla base della spina dorsale. Le due affermazioni sono quindi equivalenti. Maha Mudra Maha Mudra è una particolare posizione di allungamento (stretching) del corpo. L’importanza di questa tecnica diviene chiara non appena si pensi che essa incorpora i tre Bandha principali dello Hatha Yoga. Ci sono davvero mille ed una ragioni per praticare con fermezza il Maha Mudra. C'è un rapporto tra il numero delle sue ripetizioni ed il numero dei respiri: si raccomanda che per ciascuno gruppo di 12 Pranayama, si esegua un Maha Mudra. Mahasamadhi [vedi Secondo Kriya] Mantra [vedi Preghiera] Mezzo-loto Questa asana è stata usata per la meditazione da tempo immemorabile perché fornisce una confortevole posizione a sedere, molto facile da ottenersi. La gamba sinistra è piegata e portata verso il corpo e la pianta del piede sinistro si appoggia sulla parte interna della coscia destra. Il tallone del piede sinistro è tirato il più possibile vicino al corpo. La gamba destra è piegata ed il piede destro è posto sopra la zona della piega della gamba sinistra. Il ginocchio destro è avvicinato il più possibile al pavimento. Le mani riposano sui ginocchi. Il segreto è di mantenere la spina dorsale eretta: questo può essere ottenuto solamente sedendo su un cuscino, abbastanza spesso, con i glutei appoggiati verso la metà anteriore del cuscino. In questo modo le natiche sono leggermente sollevate, mentre i ginocchi sono a livello del pavimento. Quando le gambe si stancano, la posizione è prolungata invertendo le gambe. In certe situazioni, può essere provvidenziale assumere questo Mezzo-loto su una sedia, purché questa non abbia braccioli e sia abbastanza larga. In tal modo si può abbassare una gamba alla vota e rilassare la articolazione del ginocchio! Nota. La pressione di una palla di tennis (o di un asciugamano ripiegato) sul Perineo può dare i vantaggi della posizione Siddhasana. Nada Yoga Secondo l’insegnamento esoterico, l'essenza Divina sostiene questo universo per mezzo della vibrazione Om. Dio non è l'universo ma l'universo è parte di 244

Lui. Qualsiasi cosa esista nel mondo fisico, astrale o causale, animata o inanimata, è fatta e sostenuta dalla vibrazione Divina. Si fa riferimento a questa vibrazione come "Om", "Omkar", "Pranava", "Shabda", "Nada Brahman." Un grande Maestro Sufi disse: "La creazione è la musica di Dio." Il suono gioca un ruolo vitale in tutte le tradizioni mistiche, essendo il ponte tra il mondo fisico e quello astrale, l'inconscio e il conscio, la forma e ciò che è senza forma. Il suono di Om è il suono "non prodotto da colpo" (Anahat) - non prodotto dall’azione di due o più oggetti che si urtano. È, infatti, un suono che non arriva all'orecchio umano dall’esterno ma dall’interno. "Cerca il Suono che mai non cessa, cerca il sole che mai non tramonta." (Rumi). "L'universo emerse per mezzo del Suono Divino; da esso emerse la Luce." (Shamas-iTabriz). "Chi sta suonando un flauto in mezzo al cielo? Il flauto risuona in trikuti (centro tra le sopracciglia) la confluenza di Gange e Jamuna. Il suono emana dal Nord! Le mandriane, sentono il suono del flauto ed eccole, cadute in trance dal Nada." "È una musica senza note che suona nel corpo. Penetra le cose interiori e quelle esteriori e ci guida fuori dall’illusione." (Kabir). "Il Suono è in noi. È invisibile. Dovunque guardo lo trovo." (Guru Nanak). "In principio era il Verbo. E il Verbo era con Dio e il Verbo era Dio." (Vangelo di San Giovanni). "Ed i suoi piedi erano come splendido ottone, incandescente; e la sua voce era come il suono di molte acque" (Rivelazione 1:15). San Giovanni della croce diede una splendida descrizione del suo incontro con i "fiumi risonanti", la "musica silenziosa", la "solitudine sonora". Non c’è dubbio che ascoltò il tipico suono di molte acque tipico della vibrazione di Om. Teresa di Avila nel suo libro "Il castello interiore" scrisse: "Esso ruggisce come molti grandi fiumi e cascate; ci sono flauti ed uno stormo di piccoli uccelli che cinguettano, non negli orecchi ma nella parte superiore della testa, dove si dice che l'anima abbia il suo posto speciale". Il Nada Yoga è il sentiero che porta all’unione col Divino attraverso l’ascolto dei suoni interiori. Surat-Shabda-Yoga è un altro nome per designare questa pratica. È una forma di meditazione estremamente godibile; chiunque può esserne coinvolto anche senza averla pienamente compresa. Le proprie capacità di ascolto miglioreranno e la sensibilità ai suoni aumenterà. Nada Yoga non è semplicemente una ricerca intellettuale ma esperienziale. Essa ha la sua base nel fatto che, una volta acquietata la mente, possiamo sentire i suoni astrali che stanno al di sotto dei suoni esteriori. Il suo primo passo è sedere quietamente e focalizzare l'attenzione sui suoni sottili che provengono dall’interno e non sui suoni udibili che provengono dall’esterno. Si può usare una particolare posizione del corpo - accucciati con i gomiti che appoggiano sulle ginocchia, tanto fare un esempio - per tappare con le dita entrambi gli orecchi. Si raccomanda di ripetere mentalmente, incessantemente, il Mantra favorito. La consapevolezza dei suoni interiori apparirà prima o poi. Ci sono diversi livelli di progresso nell'esperienza dei suoni interiori: si potrà ascoltare un calabrone, un tamburo, il liuto, il flauto, l'arpa, il mormorio del tuono o il ronzio di un trasformatore elettrico. Alcuni di questi suoni non son altro che i suoni del proprio corpo, specialmente il pompare del sangue. Altri suoni sono realmente i "suoni oltre i suoni udibili." È in questo regno più profondo che, continuando a calmare la mente e a volgerla in una concentrazione rilassata, verrà attratta la propria consapevolezza. Dopo alcune settimane di pratica zelante si entrerà in sintonia con un suono più profondo di tutti i citati suoni astrali. Questo è il suono cosmico di Om. La tradizione Yogica collega questo suono interiore con Kundalini stessa. Quando raggiunge il massimo della sua elevazione e frequenza, diviene quieto. Esso rivela la sua natura 245

come un movimento all'interno della perfetta quiete - cosa impossibile da afferrarsi intellettualmente. Questa esperienza è la via più sicura verso la realizzazione del Sè. Sfortunatamente molti cercano freneticamente impossibili surrogati di essa. Nadi Canali sottili attraverso i quali fluisce l'energia in tutto il corpo. I più importanti sono Ida che fluisce verticalmente lungo il lato sinistro della colonna spinale (si dice che sia di natura femminile), e Pingala (di natura maschile) che fluisce parallelamente al canale precedente sul lato destro; Sushumna fluisce nel mezzo e rappresenta l'esperienza situata oltre la dualità. Nadi Sodhana Esercizio di respirazione a narici alternate, non fa parte propriamente del Kriya Yoga. Poiché il suo effetto di calmare e rasserenare la mente (specialmente se l’esercizio è praticato di mattina) non ha paragoni, alcuni kriyaban lo hanno fatto divenire parte della loro routine. Navi Kriya L’essenza di questa tecnica è di dissolvere inspirazione ed espirazione nello stato di equilibrio nell'ombelico, sede della corrente Samana. È abbinata in modi diversi alla pratica del Pranayama. Alcune scuole che non l'insegnano specificamente, offrono dei sostituti di essa – particolarmente notevole è l’istruzione, portata avanti da una istituzione di Kriya, di attirare molto intensamente l’ombelico all’interno (creando un cavo nell’addome come nell’Uddiyana Bandha) durante l’espirazione del Pranayama. Nirvikalpa Samadhi [vedi Paravastha] Nodo La definizione tradizionale dei Granthi individua tre nodi: il Brahma Granthi presso il Muladhara Chakra; il Vishnu Granthi nel Chakra del cuore e il Rudra Granthi nel Kutastha. Questi sono i luoghi dove le Nadi Ida, Pingala e Sushumna si riuniscono. I nodi sono la causa radice di tutti i nostri problemi perché nutrono il mondo sfibrante delle emozioni superficiali e dei pensieri. La definizione di Lahiri Mahasaya dei nodi è diversa da quella tradizionale. Egli scrive: «Ogni percorso religioso, consiste di quattro tappe caratterizzate dallo sciogliere quattro nodi interiori: lingua, ombelico, cuore e Muladhar». Brahma Granthi (localizzato nel Muladhara) è il primo nodo. Esso è in relazione al nostro corpo fisico: mantiene l'ignoranza della nostra infinita natura ed è il primo ostacolo nella ricerca spirituale, poiché ostruisce il percorso di Kundalini quando comincia a muoversi verso i centri più elevati. Il mondo dei nomi e delle forme crea irrequietezza e impedisce alla mente di divenire concentrata in un solo punto. Ambizioni e desideri intrappolano la mente. Finché uno non scioglie questo nodo non può meditare efficacemente. Vishnu Granthi è localizzato nell'area del Chakra del cuore Anahata ed è posto in relazione al corpo astrale ed al mondo delle emozioni. La Divinità Vishnu è il Signore della conservazione. Questo nodo crea il desiderio di preservare l’antica conoscenza, le tradizioni, le istituzioni e gli ordini religiosi. Esso produce "compassione", un acuto desiderio di aiutare l’umanità che soffre. La conoscenza discriminante combinata con lo sforzo nello Yoga può sciogliere il Nodo di Vishnu e può ottenere la liberazione da quei legami tradizionali che sono profondamente radicati nel nostro codice genetico. Rudra Granthi è posto in relazione al corpo causale ed al mondo delle idee, visioni ed intuizioni. Nella zona tra le sopracciglia, le Nadi Ida e Pingala s’incrociano e poi scendono nella narice sinistra e destra, rispettivamente. Ida e Pingala, sono legate al 246

tempo; dopo avere attraversato il nodo di Rudra, la coscienza limitata del tempo si dissolve – lo yogi si stabilisce nel Kutastha, oltre i Tattwa (gli elementi: terra, acqua, fuoco, aria ed etere). Con uno sforzo ulteriore, Kundalini si unisce con l'Atman supremo nel Chakra Sahasrara e lo yogi realizza l'emancipazione perfetta. Secondo la definizione di Lahiri Mahasaya dei Granthi, il primo nodo è quello della lingua. Esso ci separa dal serbatoio di energia che si trova nella regione del Sahasrara. È perforato per mezzo del Kechari Mudra [vedi]. La mente perde il suo ruolo dispotico! La consapevolezza è colmata da incredibili momenti di pura calma e silenzio mentale. Il secondo nodo è quello dell'ombelico. Esso si origina dal trauma del taglio del cordone ombelicale. Il terzo nodo è quello del cuore. La sua definizione si collega perfettamente alla classica. La definizione del quarto nodo è quella dei nodi Muladhar e Kutastha considerati come un’unica realtà. Il motivo è che l'azione delle due correnti laterali non equilibrate di Ida e Pingala crea una potente ostruzione alla base della spina dorsale la quale ostacola grandemente i nostri sforzi di entrare nel canale sottile di Sushumna; ma se l'attraversiamo, percepiamo l'occhio Spirituale nel Kutastha e abbiamo l'esperienza di entrarci dentro. Omkar Omkar è Om, la Realtà Divina che sostiene l’universo, la cui natura è vibrazione con aspetti specifici di suono, luce e movimento interiore. Colui che segue il sentiero mistico incontra infallibilmente questa manifestazione dello Spirito - qualsivoglia possa essere la sua preparazione e le sue convinzioni. Il suono è percepito con diverse varianti: Lahiri Mahasaya lo descrive come «prodotto da molte persone che continuano a colpire il disco di una campana». Esso è continuo «come l’olio che fluisce da un contenitore». Sin dall’inizio del sentiero Kriya, non appena la mente è sufficientemente calma, il dolce suono interiore di Om afferra la consapevolezza del kriyaban e la conduce nelle profondità senza alcun pericolo che si perda. Per quanto riguarda la sensazione di movimento, solo poche scuole rivelano la sua importanza e mistero. Una particolare oscillazione è facilmente percettibile nel Chakra del cuore durante i movimenti della tecnica del Thokar. All’inizio essa sembra essere una conseguenza del movimento della testa, quasi vi fosse proiettata dall’esterno. Concentrarsi su di essa per lunghi periodi di tempo, ha un enorme impatto sulla capacità del kriyaban di sciogliere la sua piccola individualità nel più grande Sé. Realizzare che questo movimento non è originato da alcuna causa, è autonomo, emana dall’Eternità stessa, è un evento dal valore incommensurabile. Questo contrassegna l’ultima parte del sentiero Kriya. Padmasana In questo Asana il piede destro è posto sulla coscia sinistra ed il piede sinistro sulla coscia destra con la pianta rivolta verso l’alto. Il nome vuole dire "posizione nella quale si possono vedere i loti (Chakra)"; si spiega che, accompagnata da Kechari e Shambhavi Mudra, questa posizione crea una condizione energica nel corpo adatta a produrre l'esperienza della luce interna che proviene da ciascun Chakra. Personalmente, non consiglio a nessuno di eseguire questa difficile posizione. Ci sono yogi che hanno dovuto farsi togliere la cartilagine dalle ginocchia dopo che per anni si erano imposti di assumerla. Nel Kriya Yoga, almeno per quelli che vivono in occidente e non vi sono abituati sin l'infanzia, è molto saggio e comodo praticare o il mezzo loto 247

o la posizione Siddhasana. Paravastha Questo concetto è collegato a quello di "Sthir Tattwa (Tranquillità)." Coniato da Lahiri Mahasaya, designa lo stato che si ottiene prolungando l’effetto successivo alla pratica del Kriya. Non è solo gioia e pace ma qualcosa di più profondo, vitale per noi come un processo di risanamento. Sin dai nostri sforzi iniziali volti a padroneggiare le sue tecniche, percepiamo momenti di profonda pace e armonia col resto del mondo che si estendono durante la giornata. Il Paravastha viene dopo anni di disciplina, quando lo stato di assenza di respiro è divenuto familiare: lo stato di tranquillità dura sempre, non va più ricercato con cura. Lampi dello stato di finale di libertà confortano la mente mentre affronta le battaglie della vita. Pingala [vedi Nadi] Prana L'energia presente nel nostro sistema psico fisico. Il Prana è diviso in Prana, Apana, Samana, Udana e Vijana che hanno la loro sede rispettivamente nel torace, nell'addome basso, nella regione della cintura, nella testa e nella parte rimanente del corpo - braccia e gambe. Che il termine che Prana abbia due significati non può creare confusione, se uno considera il contesto nel quale è usato. Nelle fasi iniziali del Pranayama siamo interessati principalmente in Prana, Apana e Samana. Quando usiamo il Shambhavi Mudra e durante il Pranayama mentale contattiamo Udana. Tramite varie tecniche (come il Maha Mudra) e con l'esperienza del Pranayama col Respiro Interiorizzato conosciamo la fresca natura rivitalizzante di Vijana. Pranayama [Kriya Pranayama] Questo termine contiene due radici: la prima è Prana; la seconda può essere sia Ayama (espansione) che Yama (controllo). Così il termine Pranayama può essere inteso sia come "Espansione del Prana" che "Controllo del Prana". Preferirei la prima accezione del termine ma penso che la seconda sia corretta. In altri termini, il Pranayama è il controllo dell'energia nell’intero sistema psicofisico, per mezzo del processo della respirazione, con lo scopo di riceverne un effetto benefico oppure di preparare l'esperienza della meditazione. I comuni esercizi di Pranayama - sebbene non implichino la percezione di una qualche corrente energetica nella spina dorsale - possono produrre straordinarie esperienze di sorgere di energia lungo la spina dorsale. Il che non è poco poiché una simile esperienza può regalare al praticante, finora scettico, il contatto con la realtà spirituale e spingerlo a cercare qualcosa di più profondo. Nel Kriya Pranayama il processo di respirazione è coordinato con la attenzione che si muove in su e in giù nella spina dorsale. Mentre il respiro è lento e profondo, con la lingua o piatta o volta all’indietro, la coscienza accompagna il movimento dell’energia attorno ai sei Chakra. Approfondendo il processo, la corrente fluisce nel canale più profondo nella spina dorsale: Sushumna. Quando attraverso una lunga pratica una sottile forma di energia circola (in modo chiaramente percettibile) entro il corpo mentre il respiro fisico è totalmente placato, il kriyaban ha un’esperienza di impensabile bellezza. Pranayama mentale Nel Pranayama mentale il kriyaban controlla l’energia nel corpo dimenticando il processo di respirazione e focalizzandosi solo sul Prana nei Chakra e nel corpo. La sua consapevolezza si sofferma su entrambe le componenti di 248

ciascun Chakra, interna ed esterna, fin tanto che sente una irradiazione di fresca energia che rivitalizza ciascuna parte del corpo e lo sostiene dall’interno. Questa azione è contrassegnata dalla fine di tutti i movimenti fisici, da una perfetta quiete fisica e mentale. A volte il respiro diviene così calmo che colui che pratica ha la assoluta percezione di non star respirando affatto. Preghiera [Japa, Mantra] La Preghiera è un atto di comunione con la Realtà suprema attraverso il quale il devoto porge la sua riverente supplica, o cerca una guida, o offre le sue lodi o semplicemente esprime i propri pensieri ed emozioni. La sequenza di parole usate nella Preghiera può essere una formula fissa o un'espressione spontanea. Qualunque sia l’appello a Dio, questo atto presuppone fede nella Volontà Divina di interferire nella nostra vita: " Chiedete e vi sarà dato " (Matt. 7:7, 8; 21:22) La Preghiera è un soggetto molto vasto; qui mi limiterò alla Preghiera ripetitiva. In India, la ripetizione del Nome del Divino è detta Japa. Questa parola deriva dalla radice Jap – che significa "pronunciare sottovoce, ripetere interiormente". Japa è una disciplina spirituale che comporta sia la ripetizione caratterizzata da attenzione sia quella automatica. Japa significa anche ripetere qualsivoglia Mantra: questo è un termine più ampio di Preghiera. Un Mantra può essere un nome del Divino ma anche un puro suono senza un preciso significato. Nei tempi antichi gli yogi sentirono il potere inerente a certi suoni e li usarono ampiamente. (Alcuni credono che la ripetizione di un Mantra abbia il misterioso potere di produrre la manifestazione della Divinità, "proprio come il rompere un atomo manifesta le tremende forze latenti in esso".) Il termine Mantra deriva dalle parole "Manas" (mente) e "Tra" (protezione): noi proteggiamo la nostra mente ripetendo continuamente la stessa salutare vibrazione. Di solito un Mantra è ripetuto a voce per un certo numero di volte, poi è sussurrato e poi, per un po’, è ripetuto mentalmente. Quasi sempre, il Japa si fa contando i Mantra per mezzo di una collana di grani nota come Japa Mala. Il numero di tali grani è normalmente 108 o 100. Il Mala è usato in modo che il devoto sia libero di godersi la pratica e non si preoccupi di contare le ripetizioni. Può essere praticato da seduti in posizione di meditazione o compiendo altre attività, preferibilmente camminando. Preliminari al Kriya Yoga Alcune organizzazioni, nel loro sforzo didattico di portare il Kriya Yoga alle persone, scelsero alcune semplici tecniche come preparazione. La prima - detta Hong-So - calma il respiro ed il sistema psico fisico. La seconda riguarda l'ascolto dei suoni interiori (astrali), ed il suono di Om. Nel Kriya di Lahiri Mahasaya le tecniche preliminari sono Talabya Kriya [vedi] e cantare Om nei Chakra. Sahasrara Il settimo Chakra si estende dalla corona della testa su fino alla Fontanella e sopra questa. Non può essere considerato della stessa natura degli altri ma una realtà superiore che può essere sperimentata solamente nello stato senza respiro. Non è perciò facile concentrarsi su di esso così come facciamo con gli altri. Solo dopo una pratica profonda del Pranayama, quando il respiro è molto calmo, la "sintonia" con esso è possibile; una particolare pressione viene percepita sopra la testa. Samadhi Secondo l’Ashtanga (otto passi) Yoga di Patanjali, Samadhi è lo stato di profonda contemplazione nel quale l'oggetto di meditazione diviene inseparabile da colui che medita: esso deriva naturalmente da Dharana e Dhyana. 249

Nella letteratura Kriya non c'è un accordo definitivo sulla sua definizione. Il nostro linguaggio è fortemente impedito: alcune parole magniloquenti rischiano di non volere dire nulla. Cosa significa per esempio unione con Dio? Divenire una sola cosa o risvegliarsi alla realizzazione che noi siamo solamente una parte di Quell’Uno? Le parole ingannano la nostra comprensione e accendono in noi aspettative egoiste. Uno si esalta incontrando parole come: assoluto, eterno, infinito, supremo, celestiale, divino.. Io sarei dell’idea di proporre una definizione sobria di Samadhi, che favorisca una azione di pulizia mentale e inviti ad una riflessione sul significato di sentiero spirituale in generale. Definisco quindi il Samadhi come una esperienza di quasi morte (NDE=near death experience), indipendente da incidenti e beatifica. Le descrizioni del Samadhi e della NDE seguono lo stesso schema: in pratica la natura del fenomeno che avviene nel corpo è quasi la stessa. Questa opinione può deludere coloro che vi fiutano una sfumatura di significato restrittivo e limitante; nondimeno preferisco pensare in questo modo e… scoprire molto più nella reale esperienza del Samadhi che prosperare in retorica. Anche se il Samadhi fosse nulla più che una esperienza di quasi morte, esso avrebbe comunque un valore sommo. In entrambe le esperienze, alla coscienza è concesso di gettare uno sguardo all'Eternità oltre la mente; in seguito (questo avviene allo yogi allenato) quella consapevolezza elevata si mescola, s’integra con la vita quotidiana che ne risulta totalmente trasformata in meglio. A chi si domanda se sia corretto sminuire il valore dello stato estatico del Kriya riducendolo ad un processo di contattare per un certo tempo la dimensione oltre la vita, rispondiamo che questa genuina esperienza non ha paragoni nel promuovere in modo pulito gli ideali di una equilibrata vita spirituale. Shambhavi Mudra Un Mudra nel quale i bulbi oculari e le sopracciglia sono rivolti verso l’alto il più possibile; normalmente le palpebre si rilassano e un osservatore esterno nota il bianco della cornea sotto l’iride. Tutta la forza visiva dei nervi oculari è raccolta in cima alla testa. Lahiri Mahasaya nel suo noto ritratto mostra questo Mudra. Secondo Kriya Sembra che usando la tecnica del Secondo Kriya, Swami Pranabananda, un eminente discepolo di Lahiri Mahasaya abbandonò il suo corpo consapevolmente (questo atto è detto Mahasamadhi - l'uscita consapevole dal corpo, al momento della morte). Non ci fu violenza al corpo; l’impresa riuscì solamente nel momento preciso determinato dal suo Karma. Ora ci si chiede: di quale procedura egli si servì? a… Molti affermano che si trattava del Thokar. È possibile che egli arrestasse il movimento del cuore e perciò poté abbandonare il corpo. Può aver praticato un singolo Thokar e fermato il cuore; questo vuole che pose tanta forza mentale in questo atto da bloccare l'energia che manteneva il suo cuore in movimento. La stessa tecnica del Thokar che lui applicò per anni, fu utilizzata durante questo momento finale della sua vita. b… Alcuni credono che questa suprema azione di calmare il cuore fosse realizzata solamente da un atto mentale di immersione in Kutastha. Dicono che quelli che erano attorno a lui, non notarono movimenti della testa. Similmente quando altri grandi personaggi abbandonarono il loro corpo, non si osservò alcun movimento. c… A mio avviso, non essendo il Mahasamadhi un "accorto trucco esoterico" per padroneggiare il meccanismo di un suicidio indolore, certamente ciascun grande 250

maestro conta su un'abilità già costruita di entrare in Samadhi. Creando una pace totale nel suo essere, il naturale desiderio di riottenere l’unione con la Sorgente Infinita mette in moto un naturale meccanismo di calmare il plesso cardiaco. Siddhasana Il nome Sanscrito significa "Posa Perfetta". In questo Asana, la pianta del piede sinistro è posta contro la coscia destra così che il tallone preme sul Perineo. Il tallone destro è posto contro l'osso pubico. Questa posizione delle gambe, abbinata al Kechari Mudra, chiude il circuito pranico e rende il Pranayama facile e proficuo. Sushumna [vedi Nadi] Talabya Kriya È un esercizio di allungamento dei muscoli della lingua, in particolare del frenulo, volto ad ottenere il Kechari Mudra [vedi]. Questa pratica crea un deciso effetto calmante sui pensieri ed è per questa ragione che non è mai messa da parte, neanche quando si realizza il Kechari Mudra. Thokar Una tecnica Kriya basata sul dirigere il Prana calmo – raccolto in testa per mezzo del Pranayama - verso l'ubicazione di uno (solitamente il 4°) o più Chakra, da un particolare movimento della testa (sobbalzo). Guidando il Prana nel Chakra Anahat, una luce cresce nel Kutastha. Questo favorisce lo stato di assenza di respiro. Aumentando la concentrazione sulla luce spirituale, vengono rivelate le luci di tutti gli altri Chakra. La pratica di Thokar va approfondita negli anni per ottenere l'abilità di entrare nello stato di Samadhi con solo uno colpo. Studiando le pratiche dei Sufi, (vedi gli studi condotti da Gardet e M. M. Anawati, specialmente Gardet in Revue Thomiste (1952-3)), scopriamo che il Thokar è una variante del Dhikr dei Sufi. Dhikr è la pratica della "memoria" del Divino, che è ottenuta ripetendo una particolare breve preghiera durante il giorno e guidandola, durante momenti di isolamento o di pratica devozionale di gruppo, in particolari centri nel corpo attraverso specifici movimenti della testa. È probabile che Lahiri conoscesse questa tecnica fin dalla gioventù; fu il Suo genio che la sviluppò al massimo della perfezione. Trivangamurari [Tribhangamurari] È la più elevata manifestazione della realtà Omkar. Nell'ultima parte della Sua vita, Lahiri Mahasaya disegnò con estrema precisione la forma a tre-curve [Tri-vanga-murari = tre-curva-forma] quale è percepita approfondendo la meditazione dopo del Pranayama. Il movimento Trivangamurari può essere sperimentato sia in grandi che in piccole dimensioni nel proprio corpo fisico. Yama – Niyama Yama è Autocontrollo: non violenza, evitare bugie, evitare di rubare, evitare bramosie e libidini e non attaccamento. Niyama sono le osservanze religiose: pulizia, appagamento, disciplina, studio del Sé e resa al Dio Supremo. Mentre nella maggior parte delle scuole di Kriya, queste regole sono poste quali premesse da essere rispettare onde ricevere l’iniziazione, un ricercatore assennato capisce che vanno invece considerate come le conseguenze di una pratica corretta dello Yoga. Un principiante non può comprendere cosa significa "Studio del Sé". Qualche insegnante ripete, come un pappagallo, la necessità di osservare quelle regole e, dopo avere dato spiegazioni assurde su alcuni dei punti precedenti (in particolare che trucco mentale utilizzare onde … evitare le bramosie della carne..) passa a spiegare le 251

tecniche. Perché pronunciare parole vuote. Ma chi vuol prendere in giro? Il sentiero mistico, quando è seguito onestamente, non può accettare il compromesso della retorica. Quando si fa una affermazione, essa è quella e basta. Yama e Niyama sono un buon tema da studiare, un ideale da tenere in mente ma non una promessa solenne. È solo con la pratica che è possibile capire il loro vero significato e, di conseguenza, vederle fiorire nella propria vita. Yoga Sutra (opera di Patanjali) Gli Yoga Sutra sono un testo che ha molto influito sulla filosofia e pratica dello Yoga: più di cinquanta diverse traduzioni in inglese sono la testimonianza della sua importanza. Anche se non si può esser sicuri del tempo esatto in cui visse il loro autore Patanjali, possiamo collocarlo tra il 200 A.C. e il 200 D.C. Gli Yoga Sutra sono costituiti da una raccolta di 195 aforismi che trattano gli aspetti filosofici della mente e della consapevolezza costituendo una solida base teoretica del Raja Yoga - lo Yoga della auto disciplina e della meditazione. Lo Yoga è descritto come un percorso fatto di otto passi (Ashtanga) che sono Yama, Niyama, Asana, Pranayama, Pratyahara, Dharana, Dhyana e Samadhi. I primi cinque passi costituiscono il fondamento psico fisico per avere una vera esperienza spirituale; gli ultimi tre riguardano il modo di disciplinare la mente fino alla sua dissoluzione nell'esperienza estatica. Essi definiscono anche alcuni concetti esoterici, comuni a tutte le tradizioni del pensiero indiano, come il Karma. Anche se, a volte, Patanjali è chiamato "il padre dello Yoga", il suo lavoro è in realtà un sommario di tradizioni orali di Yoga pre esistenti, un disomogeneo insieme di pratiche che rivelano un indistinto e contraddittorio sfondo teorico. Comunque la sua importanza è fuori discussione: egli chiarì ciò che gli altri avevano insegnato; quanto era troppo astratto, lui lo rese pratico! Era un pensatore geniale, non solo un compilatore di precetti. Si apprezza molto il suo equilibrio tra il teismo e l'ateismo. Non troviamo i minimo suggerimento di adorare idoli, divinità, guru, o libri sacri - allo stesso tempo non troviamo alcuna dottrina atea. Sappiamo che lo "Yoga" oltre ad essere un rigido sistema di pratica della meditazione implica la devozione alla Intelligenza Eterna ovvero il Sé. Patanjali afferma l’importanza di dirigere l’aspirazione del cuore verso Om. Yoni Mudra Il potenziale di questa tecnica include, a tutti gli effetti, la realizzazione finale del sentiero Kriya. Il Kutastha - tra le sopracciglia - è il luogo dove l'anima individuale ebbe la sua origine: l'Ego ingannevole ha bisogno di essere dissolto proprio là. Il nucleo della tecnica consiste nel portare tutta l'energia nel centro del Kutastha ed impedire la sua dispersione chiudendo le aperture della testa – il respiro è acquietato nella regione che va dalla gola al Kutastha. Se uno stato di profondo rilassamento è stabilito nel corpo, tale pratica riesce ad originare uno stato estatico molto intenso che si diffonde in tutto l’essere. Per quanto riguarda la realizzazione pratica, ci sono lievi differenze fra le scuole: alcune danno una più grande importanza alla visione della Luce e meno al dissolvimento del respiro e della mente. Tra le prime, ci sono quelle che insegnano, mantenendo più o meno la stessa posizione delle dita, a concentrarsi su ciascun Chakra e a percepire i loro diversi colori. Una soddisfacente osservazione, trovata nella letteratura tradizionale sullo Yoga, è che questa tecnica deriva il suo nome "Yoni", che significa "utero", dal fatto che come il bambino nell'utero, colui che pratica non ha contatto col mondo esterno, e perciò, la coscienza non è esteriorizzata.

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