MECCANICA E MACCHINE
G. Cornetti
MECCANICA E MACCHINE Per Istituti Tecnici Industriali
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1ª edizione: Marzo 2000 Ristampa: 10 9 8 7 6
2009 2008 2007 2006 2005
© eDIZIONI SIGNUM SCUOLA Via Sansovino, 243/22 - 10151 Torino Telefono 011/451.36.11 Internet: www.signumscuola.it e-mail:
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A questo volume è allegato il diagramma di Mollier del vapor d’acqua.
In copertina: Analisi fotoelastica della distribuzione delle sollecitazioni nella biella di un motore presso il Centro Ricerche Iveco di Arbon in Svizzera.
PREFAZIONE
Il corso presenta i concetti di base della meccanica e delle macchine rispettando i limiti di un corso annuale. Il capitolo introduttivo, dedicato ai principi della meccanica e delle macchine ed alle unità di misura, è seguito da undici capitoli di meccanica e dieci capitoli di macchine. La meccanica inizia con il secondo capitolo su forze e momenti, seguono cinque capitoli di statica e si conclude con cinque capitoli dedicati allo studio dei movimenti dei corpi, delle forze, che accompagnano oppure causano questi movimenti, e delle applicazioni agli organi delle macchine. Le macchine a fluido iniziano con il capitolo tredici, dedicato alle fonti di energia e alle emissioni; seguono due capitoli di idraulica e macchine idrauliche e quindi sei capitoli dedicati alle scienze termiche, termodinamica e trasmissione del calore, e alle macchine termiche. Il corso termina con il capitolo ventidue che esamina la conversione di energia di sistemi diversi nelle trasformazioni non cicliche, come avviene ad esempio nelle pile a combustibile, e nelle trasformazioni cicliche, tipiche del motore termico. Per rendere più efficace la funzione didattica del testo, l’approfondimento dei principi fisici e la loro applicazione allo studio della meccanica e delle macchine sono stati affrontati attraverso: • Il largo uso degli esempi (oltre 120) posti immediatamente a valle della presentazione della teoria. L’esempio è spesso seguito da commenti intesi a chiarire la procedura seguita e a integrare la trattazione fatta nel testo. Alla fine di ogni capitolo, sono riportati degli esercizi piuttosto semplici (circa 350) con a fianco il risultato. • La conclusione di ogni capitolo con un sommario, sintesi dei concetti fondamentali e delle formule principali. • L’uso sistematico dell’unità di misura che, posta accanto al numero, rende immediatamente riconoscibile le dimensioni della grandezza trattata. • L’impiego dei colori per – evidenziare le equazioni più importanti del singolo capitolo (arancio) oppure a livello generale (giallo); – isolare i diversi termini del bilancio energetico; – facilitare la comprensione dei disegni di meccanica e del funzionamento delle macchine. • Un’appendice con: – richiami delle nozioni di base di matematica e di trigonometria; – i principali casi di travi inflesse; – le proprietà e le trasformazioni dei gas perfetti. • Otto tabelle, le prime cinque all’interno della copertina e le ultime tre a fine volume, dalle quali è possibile ricavare: – i fattori di conversione e i prefissi delle unità di misura; – le costanti che più ricorrono nella meccanica e nelle macchine;
VI
PREFAZIONE
– – – –
le principali formule trigonometriche; le coordinate del baricentro, l’area di una superficie e la lunghezza di una linea; i momenti di inerzia delle superfici; la massa e i momenti di inerzia di massa dei solidi.
L’Autore desidera ringraziare coloro che hanno rivisto con pazienza l’opera: il dr. Pietro Cornetti e il prof. Fabrizio Pirri del Politecnico di Torino rispettivamente per la statica e la cinematica/dinamica. Un particolare ringraziamento va al prof. Livio Leonessa dalla cui lunga esperienza didattica è nata una collaborazione che ha portato alla stesura di parti di meccanica che sono state evidenziate nel testo.
SIMBOLI
Simbolo
Grandezza
Unità
A a
Area di una sezione Accelerazione
m2 m/s2
C Cx cp cv
Corsa dello stantuffo Coefficiente di resistenza aerodinamica Capacità termica massica a pressione costante Capacità termica massica a volume costante
mm – kJ/(kg⋅K) kJ/(kg⋅K)
Ds
Diametro specifico
–
E
Modulo di elasticità o modulo di Young
MPa
f F
Frequenza: numero di cicli al secondo Forza
Hz = 1/s N
G g
Modulo di elasticità tangenziale Accelerazione di gravità
MPa m/s2
Hi h
Potere calorifico inferiore Entalpia massica
MJ/kg kJ/kg
I, I Ixx, Iyy, Izz iV
Momenti di inerzia geometrici Momenti di inerzia di massa rispetto a x, y, z Cilindrata totale di un motore con i cilindri
m4 kg⋅m2 dm3
JO
Momento di inerzia geometrico polare rispetto al punto O
m4
k
Rigidezza di una molla
kN/m
L, l ⋅ L
Lavoro, lavoro massico Lavoro nell’unità di tempo (Potenza meccanica)
kJ, kJ/kg kW
M Mt m m⋅
Momento, momento flettente Momento torcente Massa Portata in massa
N⋅m N⋅m kg kg/s
N n
Carico assiale normale alla sezione Coefficiente o fattore di sicurezza Frequenza di rotazione (o frequenza rotazionale)
kN – s− 1
P p
Potenza Pressione
kW Pa
VIII
SIMBOLI
Simbolo
Grandezza
Unità
Q, q ⋅ Q qb
Calore, calore massico Calore scambiato nell’unità di tempo (Potenza termica) Consumo specifico di combustibile
kJ, kJ/kg kW g/MJ
R
Costante del gas nell’equazione di stato Numero di Reynolds Reazione vincolare Resistenza
kJ/(kg⋅K) – N kN
s S
Entropia massica Momento statico
kJ/(kg⋅K) m3
T
t
Forza di taglio tangente alla sezione Periodo Temperatura Tempo
N s K, °C s
U u
Coefficiente globale di scambio Energia interna massica
W/(m2⋅K) kJ/kg
V, v ⋅ V v
Volume, volume massico Portata in volume Velocità
m3, m3/kg m3/s m/s
w
Carico per unità di lunghezza (o carico lineico)
kN/m
Z
Modulo di resistenza a flessione o modulo della sezione
m3
Simbolo (lettere greche)
Grandezza
Unità
Angolo Rapporto di pressione Rapporto delle capacità termiche Accelerazione angolare Rendimento Coefficiente di attrito Viscosità dinamica Rapporto di Poisson Viscosità cinematica Massa volumica Rapporto di compressione Raggio di inerzia Sforzo normale Sforzo tangenziale o sforzo di taglio Rapporto totale di trasmissione Angolo di attrito Velocità angolare Velocità specifica
rad, ° – cp/cv rad/s2 – – (N⋅s)/m2 – mm2/s kg/m3 – m MPa MPa – rad, ° rad/s –
α β γ ε η µ
(alfa) (beta) (gamma) (epsilon) (eta) (mi)
n (ni)
ρ (ro)
σ (sigma) τ (tau) ϕ (fi minuscolo) ω (omega) ωs
SOMMARIO
Prefazione Simboli
V VII
PRINCIPI DELLA MECCANICA E DELLE MACCHINE 1. MECCANICA E MACCHINE 1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 1.6 1.7 1.8 1.9 1.10 1.11 1.12
1.13 1.14 1.15 1.16 1.17 1.18 1.19 1.20 1.21
Che cosa tratta la meccanica Fondamenti della meccanica elementare Fondamenti delle scienze termiche Dimensioni Unità di misura Sistemi di unità di misura Unità fondamentali e unità derivate Lunghezza, area e volume Massa Tempo Temperatura Angolo Esempio 1.1 - Conversione di gradi decimali e radianti Esempio 1.2 - Conversione di gradi sessagesimali Velocità Accelerazione Forza Esempio 1.3 - Misura della massa al polo nord e all’equatore Lavoro, energia e coppia Potenza Pressione Grandezze specifiche Simbologia Esempio 1.4 - Conversione di unità di misura Sommario
ESERCIZI PROPOSTI
3 4 5 6 8 8 8 10 10 10 11 12 12 13 13 13 14 14 16 16 17 17 18 19 20 21
X
SOMMARIO
MECCANICA 2. FORZE E MOMENTI 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 2.6 2.7
2.8 2.9
2.10
Forze Scalari e vettori Composizione di forze nel piano Esempio 2.1 - Composizione grafica e analitica di due forze Scomposizione di forze Esempio 2.2 - Scomposizione di una forza secondo due direzioni Teorema delle proiezioni Esempio 2.3 - Risultante di quattro forze Momento di una forza Esempio 2.4 - Momento di una forza rispetto a un punto Teorema di Varignon Esempio 2.5 - Calcolo del momento attraverso le componenti Esempio 2.6 - Posizione della risultante di forze parallele Esempio 2.7 - Momento risultante di un sistema di forze piano Coppia di forze Coppia di trasporto e sistemi equivalenti Esempio 2.8 - Sostituzione di una coppia e di una forza con una unica forza equivalente Esempio 2.9 - Sistemi equivalenti di forze Sommario
ESERCIZI PROPOSTI
25 26 27 30 31 32 33 34 36 38 39 40 41 43 44 45 47 49 51 52
3. L’EQUILIBRIO STATICO 3.1 3.2 3.3 3.4 3.5 3.6
3.7
Equilibrio di un corpo rigido Esempio 3.1 - Equilibrio di sistemi di forze Diagramma di corpo libero Vincoli Forze esterne: carichi e reazioni Strutture labili, isostatiche e iperstatiche Determinazione delle reazioni vincolari Esempio 3.2 - Trave appoggiata soggetta a forze parallele Esempio 3.3 - Trave appoggiata soggetta a una forza inclinata Esempio 3.4 - Carico concentrato e carico distribuito Esempio 3.5 - Trave soggetta a carichi a sbalzo Esempio 3.6 - Telaio ad A con carico orizzontale Esempio 3.7 - Carico concentrato applicato ad una gru Esempio 3.8 - Trave incastrata Esempio 3.9 - Assi inclinati Sommario
ESERCIZI PROPOSTI
57 59 60 61 62 64 65 65 67 69 70 71 72 74 74 75 76
SOMMARIO
4. BARICENTRI, MOMENTI STATICI E MOMENTI DI INERZIA 4.1
4.2
4.3
4.4
4.5
Baricentro e momenti statici Esempio 4.1 - Baricentro di un sistema di masse Esempio 4.2 - Baricentro di una sezione a C Teoremi di Pappo-Guldino Esempio 4.3 - Baricentro di un triangolo rettangolo Esempio 4.4 - Baricentri di semicerchio e semicirconferenza Momenti e raggi di inerzia Esempio 4.5 - Momento di inerzia polare di un rettangolo Esempio 4.6 - Raggio di inerzia di un rettangolo Teorema di trasposizione Esempio 4.7 - Momento di inerzia baricentrico di un triangolo Esempio 4.8 - Momento di inerzia di una sezione a C Esempio 4.9 - Momenti di inerzia di una sezione a doppia T Sommario
ESERCIZI PROPOSTI
82 85 86 87 89 90 90 93 93 94 95 95 97 100 101
5. SFORZI E DEFORMAZIONI 5.1 5.2 5.3 5.4 5.5 5.6 5.7 5.8 5.9 5.10 5.10.1 5.10.2 5.10.3 5.10.4 5.11
Resistenza di un materiale Tensione e deformazione normali Esempio 5.1 - Tensione normale Prova di trazione ed elasticità Esempio 5.2 - Allungamento di una barra con sezioni diverse Rapporto di Poisson Esempio 5.3 - Contrazione laterale di una barra Tensione e deformazione tangenziali Esempio 5.4 - Sforzi in un gancio Sforzi termici Esempio 5.5 - Sforzo termico in un distanziale Creep e fatica Fattore di sicurezza, progetto e verifica Esempio 5.6 - Dimensionamento di un’asta Concentrazione degli sforzi Esempio 5.7 - Dimensionamento di una barra scanalata Proprietà dei materiali Metalli e loro leghe Polimeri e plastiche Fibre Materiali compositi Sommario
ESERCIZI PROPOSTI
106 108 108 109 112 113 114 114 116 116 117 118 120 122 122 124 124 124 125 126 126 126 127
XI
XII
SOMMARIO
6. SOLLECITAZIONI SEMPLICI 6.1 6.2
6.3
6.4
6.5
6.6
Sovrapposizione degli effetti e sollecitazioni Forza normale (trazione o compressione) Esempio 6.1 - Dimensionamento di un tirante Esempio 6.2 - Barra composita con fili di ottone e acciaio Flessione Esempio 6.3 - Dimensionamento di una trave a flessione Esempio 6.4 - Flessione di una trave a sezione rettangolare Taglio Esempio 6.5 - Trave con sezione a doppia T Esempio 6.6 - Saldatura Torsione Esempio 6.7 - Confronto tra albero pieno e albero cavo Esempio 6.8 - Dimensionamento di un albero cavo Sommario
ESERCIZI PROPOSTI
130 131 133 133 134 136 137 138 140 140 141 144 145 146 147
7. TRAVI INFLESSE 7.1
Azioni interne nelle travi inflesse Esempio 7.1 - Trave soggetta a un carico inclinato Esempio 7.2 - Trave appoggiata soggetta a carichi combinati Esempio 7.3 - Mensola soggetta a un carico concentrato inclinato
ESERCIZI PROPOSTI
150 153 156 158 160
8. CINEMATICA 8.1 Moto traslazionale 8.1.1 Spostamento, velocità e accelerazione Esempio 8.1 - Velocità media Esempio 8.2 - Accelerazione di un aeroplano al decollo 8.1.2 Equazioni del moto rettilineo ad accelerazione costante 8.1.3 Analisi grafica Esempio 8.3 - Treno tra due stazioni Esempio 8.4 - Tempo in un moto ad accelerazione costante Esempio 8.5 - Accelerazione di gravità Esempio 8.6 - Moto relativo 8.2 Moto rotazionale Esempio 8.7 - Moto della ruota di un’automobile 8.3 Moto circolare: relazioni tra quantità lineari e angolari Esempio 8.8 - Moto della pala di un elicottero 8.4 Sommario
167 167 169 170 172 173 175 175 176 178 180 182 183 187 187
ESERCIZI PROPOSTI
188
SOMMARIO
9. DINAMICA 9.1 Dinamica del moto traslazionale 9.1.1 Principi della dinamica Esempio 9.1 - Distanza percorsa da un carrello Esempio 9.2 - Puleggia con masse Esempio 9.3 - Piano inclinato Esempio 9.4 - Decelerazione di un veicolo Esempio 9.5 - Collisione di due vagoni ferroviari Esempio 9.6 - Forza su una paletta di una turbina idraulica 9.1.2 Lavoro, energia e potenza Esempio 9.7 - Lavoro su un piano inclinato Esempio 9.8 - Energia per frenare una vettura 9.2 Dinamica del moto rotazionale Esempio 9.9 - Rotazione di un cilindro cavo Esempio 9.10 - Coppia per frenare un volano Esempio 9.11 - Tamburo di montacarichi Esempio 9.12 - Funzione del volano Esempio 9.13 - Rotazione di due masse 9.3 Forza centrifuga Esempio 9.14 - Angolo di sopraelevazione di una curva 9.4 Sommario
191 191 194 194 195 196 198 199 199 202 203 203 207 207 208 208 210 211 213 214
ESERCIZI PROPOSTI
215
10. VIBRAZIONI 10.1 10.2 10.3 10.4 10.5 10.6
Moto periodico Moto armonico semplice Esempio 10.1 - Manovellismo con elevato rapporto biella/manovella Molla - massa Esempio 10.2 - Blocco oscillante Pendolo semplice Esempio 10.3 - Pendolo semplice Risonanza Esempio 10.4 - Risonanza da sporgenze trasversali su una strada Sommario
ESERCIZI PROPOSTI
218 219 221 222 224 224 225 226 228 228 229
11. RESISTENZE PASSIVE 11.1 11.2 11.3 11.4 11.5
Attrito radente Esempio 11.1 - Massima velocità di una vettura in curva Attrito volvente Resistenza del mezzo Forza motrice Esempio 11.2 - Forza motrice massima Sommario
ESERCIZI PROPOSTI
231 234 235 235 236 237 237 238
XIII
XIV
SOMMARIO
12. TRASMISSIONE MECCANICA DELLA POTENZA 12.1 12.2 12.3
12.4 12.5 12.6
Rendimenti Ruote di frizione Esempio 12.1 - Frizione Ruote dentate Esempio 12.2 - Geometria di una ruota dentata Esempio 12.3 - Dimensionamento di una coppia di ruote dentate Cinghie Esempio 12.4 - Cinghie piatte Biella - manovella Esempio 12.5 - Momento motore sulla manovella Sommario
ESERCIZI PROPOSTI
241 243 243 245 248 248 249 251 251 253 253 254
MACCHINE A FLUIDO 13. ENERGIA, AMBIENTE E MACCHINE A FLUIDO 13.1 13.2 13.3 13.4 13.5 13.5.1 13.5.2 13.5.3 13.5.4 13.5.5 13.6
Sviluppo sostenibile Fonti di energia Risparmio energetico Inquinanti Classificazione delle macchine a fluido Macchine motrici, operatrici e trasformatrici Macchine idrauliche e termiche Macchine volumetriche e dinamiche Motori a combustione esterna e a combustione interna Suddivisione delle macchine a fluido Sommario
259 261 264 267 269 269 270 270 271 272 273
14. IDRAULICA 14.1 14.2 14.3 14.4 14.5 14.6 14.7 14.8
Fluidi 275 Pressione 276 Esempio 14.1 - Carico idraulico 280 Moto dei fluidi 281 Esempio 14.2 - Transizione da regime laminare a regime turbolento 283 Conservazione della massa 284 Esempio 14.3 - Relazione tra portata, diametro e velocità in un sistema di tubi 285 Conservazione dell’energia 286 Esempio 14.4 - Velocità e pressione in un condotto 290 Movimento dei liquidi ideali e reali nei condotti 291 Esempio 14.5 - Perdita di carico complessiva 295 Teorema di Torricelli 296 Sommario 298
ESERCIZI PROPOSTI
299
SOMMARIO
15. MACCHINE IDRAULICHE 15.1 15.1.1 15.1.2 15.1.3
15.2 15.3 15.4 15.4.1
15.4.2 15.5 15.5.1 15.5.2 15.5.3 15.6 15.7 15.8
Pompe dinamiche Classificazione Prevalenza manometrica e potenza della turbopompa Coefficienti adimensionali Esempio 15.1 - Caratteristiche al variare di velocità e diametro Esempio 15.2 - Scelta di una turbopompa Ventilatori Esempio 15.3 - Prevalenza del ventilatore Pompe volumetriche Accoppiamento macchina operatrice e sistema Punto di funzionamento Esempio 15.4 - Due pompe uguali poste in parallelo e in serie Esempio 15.5 - Punto di funzionamento di un ventilatore Cavitazione Esempio 15.6 - Pompa che aspira da un bacino Turbine idrauliche Classificazione Caduta utile e potenza Velocità e diametro specifici Esempio 15.7 - Confronto tra due soluzioni di turbine Macchine reversibili Turbine eoliche Esempio 15.8 - Aerogeneratore a due pale Sommario
ESERCIZI PROPOSTI
301 301 306 308 313 314 316 317 318 319 319 322 323 325 328 329 329 333 336 338 340 343 344 345 346
16. TERMODINAMICA 16.1 16.2 16.3 16.3.1 16.3.2 16.4 16.4.1 16.4.2
16.5 16.5.1 16.5.2 16.5.3
Sistema termodinamico e trasformazioni Calore Esempio 16.1 - Vaporizzazione dell’acqua Primo principio della termodinamica La conservazione dell’energia in un sistema chiuso Esempio 16.2 - Corsa di compressione La conservazione dell’energia in un sistema aperto Secondo principio della termodinamica L’entropia I diagrammi termodinamici (applicazione ai vapori) Esempio 16.3 - Proprietà del vapore dal diagramma di Mollier Esempio 16.4 - Bilancio energetico in una turbina Esempio 16.5 - Lavoro e potenza in una turbina Gas Equazione di stato del gas perfetto Grandezze termodinamiche del gas perfetto Trasformazioni del gas perfetto
349 350 350 351 351 352 352 354 354 354 356 357 358 359 359 359 360
XV
XVI
SOMMARIO
16.5.3.1 Sistema chiuso 16.5.3.2 Sistema aperto Esempio 16.6 - Trasformazione isotermica del gas perfetto Esempio 16.7 - Trasformazione adiabatica del gas perfetto Esempio 16.8 - Trasformazione politropica del gas perfetto 16.6 Cicli termodinamici 16.6.1 Il ciclo di Carnot 16.6.2 Le macchine termiche 16.6.3 Rendimento del ciclo Esempio 16.9 - Coefficienti di prestazione 16.7 Rendimenti interni della macchina Esempio 16.10 - Lavoro e temperatura di mandata in un compressore 16.8 Sommario
360 360 361 361 362 363 363 364 366 368 369 370 371
ESERCIZI PROPOSTI
372
17. TRASMISSIONE DEL CALORE 17.1 17.2 17.2.1 17.2.2 17.3
17.4
I tre modi di trasmissione del calore Classificazione degli scambiatori di calore Classificazione basata sull’applicazione Classificazione basata sulla configurazione dei flussi Progetto dello scambiatore di calore Esempio 17.1 - Scambiatore in controcorrente Esempio 17.2 - Scambiatore a correnti incrociate Sommario
ESERCIZI PROPOSTI
374 375 376 377 378 382 383 384 384
18. IMPIANTO MOTORE A VAPORE 18.1 18.2
18.3 18.4
Impianto motore a vapore e ciclo Rankine Rendimenti dell’impianto a vapore Esempio 18.1 - Rendimento di un ciclo con surriscaldamento Esempio 18.2 - Rendimenti dell’impianto a vapore Cogenerazione Sommario
ESERCIZI PROPOSTI
385 389 391 392 393 395 395
19. COMPRESSORI DI GAS 19.1 19.2 19.3
Macchine operatrici a gas Lavoro richiesto nella compressione Esempio 19.1 - Lavoro ideale di compressione per trasformazioni diverse Compressori ideali multistadio interrefrigerati Esempio 19.2 - Lavoro ideale richiesto da un compressore interrefrigerato
397 400 401 402 404
SOMMARIO
19.4 19.5 19.6
Potenza e rendimenti Esempio 19.3 - Potenza effettiva assorbita da un compressore Curve caratteristiche Sommario
ESERCIZI PROPOSTI
405 406 406 408 409
20. IMPIANTO MOTORE CON TURBINA A GAS 20.1 20.2 20.3 20.4 20.5
Impianto motore con turbina a gas Ciclo Brayton Esempio 20.1 - Ciclo Brayton ideale Potenza e rendimenti Esempio 20.2 - Rendimenti di un impianto con turbina a gas Cicli combinati Sommario
ESERCIZI PROPOSTI
410 417 420 421 422 423 423 424
21. MOTORI ALTERNATIVI A COMBUSTIONE INTERNA 21.1 Motori alternativi a combustione interna 21.1.1 Descrizione 21.1.2 Grandezze caratteristiche di un motore alternativo a combustione interna Esempio 21.1 - Corsa e velocità media del pistone Esempio 21.2 - Spazio morto e alesaggio 21.1.3 Motori a quattro tempi 21.1.4 Motori a due tempi 21.2 Ciclo indicato Esempio 21.3 - Ciclo Otto Esempio 21.4 - Ciclo Diesel 21.3 Rendimenti e consumo specifico di combustibile 21.4 Potenza 21.5 Pressione media effettiva e momento motore 21.6 Accoppiamento motore - veicolo Esempio 21.5 - Prestazioni di un motore ad accensione comandata Esempio 21.6 - Prestazioni di un motore Diesel aspirato Esempio 21.7 - Dosatura di un motore Diesel sovralimentato Esempio 21.8 - Utilizzazione del veicolo 21.7 Sommario
425 425 428 429 429 430 431 432 435 435 436 437 438 439 442 444 446 447 451
ESERCIZI PROPOSTI
452
22. CONFRONTO DEI SISTEMI ENERGETICI 22.1 22.2 22.3
Conversione dell’energia Conversione dell’energia - Trasformazioni non cicliche Conversione dell’energia - Trasformazioni cicliche
454 454 455
XVII
XVIII
SOMMARIO
22.4 22.5 22.6
Rendimenti degli impianti termici Il recupero dell’energia termica nel motore Diesel Sommario
457 460 462
APPENDICE A.1 A.1.1 A.1.2 A.1.3 A.1.4 A.2 A.2.1 A.2.2 A.3 A.3.1 A.3.2 A.3.3 A.3.4 A.4 A.5 A.6
Algebra Proporzioni Risoluzione di equazioni Sistemi di equazioni Equazioni di secondo grado Esponenti e logaritmi Esponenti Logaritmi Geometria e trigonometria Angoli Triangoli Triangolo rettangolo Triangolo qualunque Travi inflesse Proprietà di alcuni gas perfetti Trasformazioni del gas perfetto
465 465 465 466 466 467 467 468 469 469 470 470 473 174 477 477
Indice Analitico
481
Bibliografia
489
TABELLE DI COPERTINA Tabella I Tabella II Tabella III Tabella IV Tabella V
Fattori di conversione delle unità di misura Prefissi delle unità di misura SI Grandezze importanti Formule di base del triangolo rettangolo Formule di base del triangolo qualunque
Prima di copertina Terza di copertina Terza di copertina Terza di copertina Terza di copertina
ALTRE TABELLE Tabella VI Tabella VII Tabella VIII
Coordinate del baricentro, area della superficie o lunghezza della linea Momenti di inerzia di superfici Massa e momenti di inerzia di massa di solidi
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PRINCIPI DELLA MECCANICA E DELLE MACCHINE
Capitolo 1
1. 1
MECCANICA E MACCHINE
CHE COSA TRATTA LA MECCANICA La meccanica è la scienza che descrive le condizioni di quiete oppure di moto di corpi soggetti all’azione di forze. Essa viene suddivisa in tre parti: – meccanica dei corpi rigidi, – meccanica dei corpi deformabili, – meccanica dei fluidi. La meccanica dei corpi rigidi, che affronta con i metodi propri della matematica i principi fisici generali che caratterizzano la quiete oppure il moto del corpo rigido, viene chiamata meccanica razionale ed è suddivisa in due branche principali: la statica, che studia l’equilibrio dei corpi, e la dinamica, che studia i movimenti dei corpi e le forze che accompagnano oppure causano questi movimenti. Per renderne più agevole lo studio, la trattazione della dinamica viene preceduta da un’altra branca della meccanica razionale, chiamata cinematica, basata solo su considerazioni di spazio e di tempo. Una volta definiti i principi fisici generali, lo studio della meccanica del corpo rigido può venire applicato in modo specifico alle macchine ed allora prende il nome di meccanica delle macchine. Nella trattazione della meccanica dei corpi rigidi si fa l’ipotesi che i corpi siano perfettamente rigidi. Tuttavia, le strutture e le macchine non sono mai assolutamente rigide: esse quindi si deformano sotto l’azione dei carichi. Ma queste deformazioni sono di solito piccole e non influenzano in modo apprezzabile le condizioni di equilibrio oppure di moto della struttura considerata. Le deformazioni diventano invece importanti quando viene considerata la resistenza a rottura della struttura e vengono allora studiate nell’ambito della resistenza dei materiali, scienza che fa parte della meccanica dei corpi deformabili. La meccanica dei fluidi prende in considerazione lo studio dei fluidi incomprimibili, come l’acqua, oppure dei fluidi comprimibili, come un gas o un vapore. Lo studio della meccanica dei fluidi richiede, a sua volta, la conoscenza di tre discipline legate, in modo particolare, all’energia termica: – la termodinamica: scienza che abbraccia lo studio delle trasformazioni dell’energia e la relazione tra le varie proprietà di una sostanza, conseguenza oppure causa di queste stesse trasformazioni; – la fluidodinamica: scienza che tratta il trasporto di energia e la resistenza al movimento, associata con lo scorrimento dei fluidi; – la trasmissione del calore: scienza che descrive la trasmissione di una specifica forma di energia, risultante dall’esistenza di una differenza di temperatura. Nell’applicazione della meccanica dei fluidi alle macchine si fa distinzione tra le macchine che trattano fluidi incomprimibili, chiamate macchine idrauliche, e quelle che trattano fluidi comprimibili, chiamate macchine termiche, in quanto la compressione e l’espansione di un gas sono accompagnate da variazione di temperatura.
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CAPITOLO 1. – MECCANICA E MACCHINE
1. 2
FONDAMENTI DELLA MECCANICA ELEMENTARE Benché lo studio della meccanica risalga fino ad Aristotele (384-322 a.C.) e ad Archimede (287-212 a.C.), è solo dopo le osservazioni di Galileo (1564-1642), premesse per ricavare le leggi del moto di un corpo indipendentemente dalla sua natura, che Newton (1642-1727)1.1, con le definizioni di massa e di forza, riesce a formulare i principi fondamentali della meccanica. Da allora1.2 questi principi caratterizzano la meccanica elementare o meccanica newtoniana1.1 che ancora oggi, sia pure con i limiti enunciati da Einstein nella teoria della relatività (1905)1.3, rimane la base per le applicazioni della tecnica. I quattro concetti fondamentali della meccanica, frutto dell’intuizione e dell’esperienza dell’uomo, sono quelli di spazio, tempo, massa e forza: – Il concetto di spazio è associato alla posizione del punto P; questa posizione può essere definita da tre lunghezze, le coordinate di P, misurate a partire da un dato punto di riferimento, l’origine, lungo tre direzioni prefissate1.4. – Per definire un evento non basta individuare la posizione del punto P nello spazio; occorre anche assegnare il tempo in cui quel dato evento si verifica. – Per caratterizzare e confrontare i corpi viene usato il concetto di massa; sulla base di alcuni esperimenti fondamentali, si può, ad esempio, affermare che due corpi di ugual massa vengono attratti dalla terra nello stesso modo oppure che essi offrono la stessa resistenza ad una variazione del moto di traslazione. – La forza è legata all’azione di un corpo su un altro corpo; essa può venire esercitata da un contatto effettivo oppure a distanza come nel caso della forza di gravità o di forze magnetiche. Una forza è caratterizzata dal suo punto di applicazione, dalla sua intensità (è la grandezza della forza) e dalla sua direzione: un ente così definito costituisce un vettore. Mentre i concetti di spazio, tempo e massa sono, nella meccanica newtoniana, concetti indipendenti l’uno dall’altro1.3, il concetto di forza dipende dai primi tre: uno dei principi fondamentali della meccanica newtoniana stabilisce che la forza risultante che agisce su un corpo è legata alla massa del corpo e al modo in cui la sua velocità varia con il tempo. I quattro concetti di spazio, tempo, massa e forza consentono di studiare le condizioni di equilibrio oppure di movimento delle particelle o dei corpi rigidi. Per particella si intende una quantità molto piccola di materia, talmente piccola da poter essere considerata coincidente con un punto dello spazio. Per corpo rigido si intende invece la combinazione di un gran numero di particelle che occupano posizioni fisse le une rispetto alle altre. La meccanica delle particelle è il presupposto indispensabile per affrontare lo studio più complesso della meccanica dei corpi rigidi; i risultati ottenuti nello studio delle particelle possono venire inoltre direttamente applicati a molti problemi che si incontrano nelle applicazioni.
1.1 - Pronunciare Newton e meccanica newtoniana rispettivamente “niuton” e meccanica “niutoniana”. 1.2 - I principi di Newton sono stati successivamente esposti in forma modificata da d’Alembert (1717-1783), Lagrange (1736-1813) e Hamilton (1805-1865). 1.3 - Nella meccanica newtoniana, lo spazio, il tempo e la massa sono concetti
assoluti nel senso che ciascuno è indipendente dall’altro; in particolare per Newton “il tempo assoluto, vero e matematico, di per sé e per sua natura, scorre in modo regolare senza rapporti con alcunché di esterno”. Ma ciò non è più vero nella meccanica relativistica di Einstein (1879-1955), dove il tempo di un evento dipende dalla sua posizione e dove la massa di un corpo varia con la sua velocità. La teoria della relatività si basa su due fatti: il principio di relatività
e la costanza della velocità della luce (299.792,5 km/s). Il principio di relatività, formulato per la prima volta da Galileo, è stato aggiornato da Einstein: esso afferma che tutte le leggi della fisica sono le stesse in tutti i sistemi non sottoposti ad accelerazioni. 1.4 - Nel piano sono sufficienti due sole coordinate per definire la posizione del punto P.
1.3. – FONDAMENTI DELLE SCIENZE TERMICHE
I sei principi su cui si basa la meccanica elementare sono ricavati dall’esperienza1.5: – La legge del parallelogramma per la somma delle forze, scoperta da Leonardo da Vinci (1452-1519): due forze che agiscono su una particella possono venire sostituite da una sola forza, la loro risultante, ottenuta tracciando la diagonale del parallelogramma avente lati uguali alle forze date. – Il postulato di trasmissibilità: la condizione di equilibrio oppure di movimento di un corpo rigido rimarrà inalterato se una forza che agisce in un dato punto di un corpo rigido viene sostituita da una forza della stessa intensità e con la stessa direzione, ma applicata in un punto diverso, purché le due forze abbiano la stessa retta d’azione. – I tre principi della dinamica o leggi di Newton1.6: • Primo principio: Se la forza risultante che agisce su una particella è nulla, la particella rimarrà in quiete se originariamente era in quiete oppure si sposterà con velocità costante lungo una linea retta se originariamente era in movimento. • Secondo principio: Se la forza risultante che agisce su una particella non è nulla, la particella si sposterà con una accelerazione proporzionale all’intensità della risultante e nella direzione di questa forza risultante1.7. • Terzo principio: le forze di azione e reazione tra corpi a contatto hanno la stessa intensità, la stessa retta d’azione e verso opposto. – La legge di gravità di Newton: due particelle si attraggono tra loro con due forze uguali ed opposte; la grandezza della forza di attrazione risulta direttamente proporzionale al prodotto delle masse delle due particelle e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza.
1. 3
FONDAMENTI DELLE SCIENZE TERMICHE La termodinamica riguarda lo studio dell’energia associata con una data quantità di materia (sistema termodinamico) oppure con un volume chiaramente delimitato nello spazio (volume di controllo). La base della termodinamica è sempre l’osservazione sperimentale, riassunta in alcuni principi. Il primo principio stabilisce la conservazione dell’energia: la somma algebrica di calore e di lavoro, le due forme dell’energia che attraversano il contorno del sistema termodinamico, deve essere uguale al cambiamento netto di energia immagazzinata, o posseduta, all’interno del sistema. Per poter valutare l’energia immagazzinata, occorre allora conoscere il comportamento di quella data sostanza e le relazioni che intercorrono tra determinate proprietà della sostanza. Alcuni cambiamenti delle proprietà procedono soltanto secondo un dato verso: il verso naturale della trasformazione è fornito dal secondo principio della termodinamica. Se un oggetto viene lasciato scivolare con velocità uniforme lungo un piano inclinato, la diminuzione nell’energia potenziale (l’energia legata alla quota che l’oggetto ha nel campo gravita-
1.5 - I principi della meccanica elementare vengono chiamati in modo diverso nelle varie letterature tecniche. Così quella che è la regola (o anche il metodo) del parallelogramma per la letteratura italiana, diviene la legge del parallelogramma nella letteratura di lingua inglese; il principio di trasmissibilità per la letteratura di lingua inglese diviene un postulato per la letteratura italiana, intendendosi per postulato una verità fondamentale che viene ammessa senza dimostrazione; le tre leggi fondamentali di Newton per la letteratura di lingua inglese divengono i tre principi della
dinamica nella letteratura italiana. A parte la differenza di denominazione (principio, legge o postulato), si vuole qui sottolineare che in generale questi principi vengono proposti sulla base dell’evidenza sperimentale in quanto non possono essere provati oppure derivati matematicamente. Alcuni potrebbero essere derivati, ma allora occorrerebbe far ricorso a concetti che verranno introdotti più avanti nel corso. Ad esempio, il postulato di trasmissibilità, che viene introdotto nei primi capitoli della statica, potrebbe essere derivato dallo studio della dinamica dei corpi rigidi, ma
questo studio richiede l’introduzione di tutte le tre leggi di Newton e di altri concetti ancora. 1.6 - Galileo ha scoperto le prime due leggi della dinamica, ma Newton ne ha dato la formulazione definitiva. Queste leggi vengono perciò ricordate nella letteratura internazionale come leggi di Newton. 1.7 - Il secondo principio di Newton verrà ripreso nella definizione del newton, che è l’unità di misura delle forze.
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CAPITOLO 1. – MECCANICA E MACCHINE
zionale terrestre) è dissipata dall’attrito tra l’oggetto e il piano. Anche nell’ipotesi che l’energia dovuta all’attrito venga in qualche modo immagazzinata nell’oggetto oppure nel piano, non vi è alcuna possibilità di reimpiegare quell’energia per far ritornare l’oggetto al livello che inizialmente possedeva sul piano inclinato. Esiste perciò un verso naturale per questo tipo di trasformazione e il secondo principio afferma che il verso opposto è impossibile. In modo più significativo, il secondo principio afferma che il lavoro può venire completamente e continuamente convertito in calore, ma che la trasformazione opposta è impossibile. Ogni volta che in un sistema si vuole realizzare la conversione continua di calore in lavoro, soltanto una parte del calore fornito al sistema può essere convertita in lavoro; la parte rimanente viene rigettata: esiste perciò un limite teorico, indipendente dalle proprietà della sostanza oppure dal tipo di trasformazione o di macchina impiegata, alla frazione di calore fornito che può essere convertito in lavoro. Il secondo principio misura anche lo scostamento di una trasformazione reale da quella ideale, definita quale trasformazione reversibile, permettendo così di confrontare tra loro le varie trasformazioni reali e di scegliere quella che raggiunge il rendimento più elevato. Una volta individuata la sorgente di energia, questa va utilmente impiegata trasportandola da una posizione ad un’altra, come avviene, ad esempio, per l’acqua calda oppure l’aria calda che, fornita da una caldaia che in un sotteraneo brucia del gasolio, viene fatta circolare con una determinata spesa di energia (l’energia elettrica che aziona la pompa oppure il ventilatore) fino ai diversi piani di un edificio. Occorre allora individuare le forze che si oppongono al moto del fluido e poterne calcolare intensità e direzione in modo da poter progettare la struttura del circuito che convoglia il fluido e rendere minima l’energia richiesta per poter trasportare il fluido tra i diversi livelli dell’edificio. La fluidodinamica studia il tipo di flusso (laminare o turbolento) con cui si muove il fluido, le sue proprietà di trasporto (viscosità, conduttività, ecc.) e quelle proprietà del fluido che sono indipendenti dal movimento ma che lo distinguono dagli altri fluidi (come densità, tensione di vapore, velocità del suono, ecc.). Se un pacchetto di piselli surgelati viene posto in un recipiente contenente dell’acqua, la temperatura del pacchetto sale mentre quella dell’acqua diminuisce progressivamente finché le due temperature, quella dei piselli e quella dell’acqua, divengono uguali. La trasmissione del calore è il trasferimento di energia che avviene come conseguenza della sola differenza di temperatura, così come avviene tra due sostanze inizialmente a temperature diverse, e non viene svolto alcun lavoro sulle o dalle sostanze. La trasmissione del calore può avvenire secondo tre diversi modi: conduzione, convezione ed irraggiamento. La legge di Fourier consente di calcolare la conduzione, trasferimento di energia che avviene attraverso una sostanza, rappresentata da un solido o da un fluido, provocato da un gradiente (variazione lungo una data direzione) di temperatura all’interno della sostanza. La cosiddetta legge di Newton consente di calcolare la convezione, trasferimento di energia tra il fluido e la superficie di un solido, nella direzione perpendicolare all’interfaccia superficie-fluido, in funzione dell’area superficiale del corpo e della differenza di temperatura. L’irraggiamento è il trasferimento di energia per mezzo di onde elettromagnetiche; tutti i corpi che si trovano ad una temperatura maggiore dello zero assoluto irradiano energia. L’energia può venire trasferita per irraggiamento tra un gas ed una superficie solida oppure tra due o più superfici. L’irraggiamento emesso da una superficie ideale, chiamato il corpo nero, è, per la legge di Stefan-Boltzmann, funzione della quarta potenza della temperatura della superficie.
1. 4
DIMENSIONI Qualsiasi situazione fisica, sia che coinvolga un oggetto singolo oppure un sistema completo, può essere descritta facendo riferimento a un certo numero di proprietà riconoscibili che l’oggetto oppure il sistema possiede. Per esempio un oggetto che si muove dovrebbe essere descritto in termini di massa, lunghezza, area oppure volume, velocità e accelerazione. Anche altre proprietà di tale oggetto potrebbero essere interessanti, come la sua temperatura oppure la densità
1.4. – DIMENSIONI
e la viscosità del mezzo in cui esso di muove. Tutte le proprietà misurabili utilizzate per descrivere lo stato fisico di un corpo o di un sistema sono le sue dimensioni. La notazione usualmente adottata per indicare una dimensione è racchiudere il nome oppure il simbolo della grandezza interessata all’interno di parentesi quadre: così [lunghezza] indica la dimensione lunghezza e non una particolare lunghezza con un valore numerico definito, ad esempio 1 metro. Una equazione che traduce una determinata situazione fisica per essere vera deve avere i due membri, a destra e a sinistra del segno di uguale, uguali sia numericamente che dimensionalmente. In altre parole, l’equazione 2+4=6 è corretta in termini numerici, ma potrebbe non essere più vera dal punto di vista fisico qualora scrivessimo che 2 dromedari + 4 treni = 6 giorni L’equazione è ancora valida se scriviamo che 2 metri + 4 metri = 6 metri in quanto abbiamo confrontato delle lunghezze con delle altre lunghezze. Possiamo concludere che un’equazione che descrive una determinata situazione fisica è vera se tutti i suoi termini sono della stessa specie e hanno le stesse dimensioni. In tal caso l’equazione si dice dimensionalmente omogenea ed è valida solo in relazione a queste dimensioni. L’analisi dimensionale dei fenomeni fisici coinvolti nel funzionamento delle macchine a fluido è appunto il metodo che ci consentirà di definire le relazioni fondamentali utili per descrivere il comportamento della singola macchina. Sarebbe possibile attribuire a ogni grandezza fisica una dimensione indipendente; è molto più comodo tuttavia, in modo da facilitare la comprensione delle relazioni che intercorrono tra le varie grandezze, scegliere alcune dimensioni fondamentali ed esprimere le altre dimensioni, dette dimensioni derivate, in funzione delle prime. Qualora si scelga come dimensione fondamentale la lunghezza, l’area e il volume vanno considerati come dimensioni derivate. La superficie di un rettangolo avente i lati di lunghezza a e di lunghezza b è espressa infatti da Area del rettangolo = Lunghezza a × Lunghezza b e quindi, trattandosi di dimensioni omogenee, si può scrivere [Area] = [Lunghezza] × [Lunghezza] = [Lunghezza2]
1-1
dove le dimensioni dell’area sono rappresentate dal quadrato della lunghezza. Analogamente per il volume di un recipiente con spigoli di lughezza a, b, c si può scrivere Volume recipiente = Lunghezza a × Lunghezza b × Lunghezza c e quindi [Volume] = [Lunghezza] × [Lunghezza] × [Lunghezza] = [Lunghezza3]
1-2
dove le dimensioni del volume, dimensione derivata dalla lunghezza, sono rappresentate dal cubo della lunghezza. Qualora vengano prese come dimensioni fondamentali la lunghezza e il tempo, allora la velocità (spazio percorso nell’unità di tempo) è data da [Velocità] = [Lunghezza]/[Tempo] = [Lunghezza ⋅ Tempo–1]
1-3
ricordando che 1/Tempo = Tempo– 1. L’esponente negativo indica infatti che la grandezza è al denominatore; esempio: 1/Tempo2 = Tempo– 2. Abbiamo infine delle grandezze senza dimensioni, dette adimensionali; esse sono quindi dei puri numeri. Se consideriamo ad esempio la deformazione di una trave, rapporto tra l’allunga-
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CAPITOLO 1. – MECCANICA E MACCHINE
mento ∆L (è la variazione di lunghezza rispetto alla lunghezza originale) e la lunghezza originale L, abbiamo: Allungamento ∆L Deformazione = = Lunghezza originale L Trattandosi del rapporto tra due lunghezze, la dimensione della deformazione è data da [Deformazione] =
[Lunghezza] = [Lunghezza +1 × Lunghezza – 1 ] = [Lunghezza 0 ] = [1] 1-4 [Lunghezza]
in quanto, essendo la base [Lunghezza] comune, si sommano gli esponenti + 1 e – 1; il risultato di questa somma è zero, e un qualsiasi numero elevato a zero dà come risultato 1. Tutte le volte che incontreremo una grandezza con esponente zero, avremo una quantità senza dimensioni.
1. 5
UNITÀ DI MISURA La descrizione della situazione fisica di un oggetto oppure di un sistema non è completa se non si conosce il valore di ciascuna dimensione. Non è sufficiente sapere, ad esempio, che un oggetto ha le dimensioni di una lunghezza; occorre anche conoscere quanto vale questa lunghezza. Per far questo abbiamo bisogno delle unità di misura. Una lunghezza deve venire valutata in una unità universalmente accettata: il metro. È così che possiamo, ad esempio, dire che quel tale oggetto è lungo 7 metri. Analogamente occorre accordarsi su altre unità per poter misurare le altre dimensioni. Qual è la distinzione tra unità e dimensioni? Le dimensioni sono proprietà che possono essere misurate mentre le unità sono quei criteri concordati a livello della comunità per poter descrivere quantitativamente le dimensioni e assegnare a queste dei valori numerici.
1. 6
SISTEMI DI UNITÀ DI MISURA Nel corso della storia l’accordo sulle unità di misura si è andato progressivamente allargando dalla comunità locale a comunità sempre più vaste, sia per dimensioni che per interessi, fino ad abbracciare tutti i paesi. Il Sistema Internazionale (abbreviato SI in tutte le lingue) rappresenta il tentativo più recente di fornire un sistema unico, comprensivo di tutte le unità di misura, che possa essere utilizzato a livello mondiale. Creato nel 1960 a seguito della revisione del sistema metrico, il nuovo sistema SI ha sostituito tutti gli altri sistemi fino a ora impiegati, come il sistema Giorgi (cgs: centimetro, grammo e secondo; MKS: metro, kilogrammo e secondo), il sistema tecnico e i sistemi inglesi. Nel seguito verranno riportate le principali grandezze fisiche e le relative unità di misura nel sistema SI. Verranno anche riportati i fattori di conversione per passare dai vecchi al nuovo sistema, in modo da poter affrontare tutti quei problemi per cui i dati, forniti sotto forma di tabelle e/o diagrammi, sono ancora, per una lunga consuetudine derivante da decenni di applicazioni, espressi nei vecchi sistemi.
1. 7
UNITÀ FONDAMENTALI ED UNITÀ DERIVATE Parallelamente a quanto viene fatto per le dimensioni, in modo da facilitare la comprensione delle relazioni che intercorrono tra le varie grandezze fisiche, vengono scelte delle unità di misura fondamentali o primitive in funzione delle quali vengono a loro volta espresse tutte le altre unità, dette unità di misura derivate. Ad esempio, una volta scelta la lunghezza come
1.7. – UNITÀ FONDAMENTALI ED UNITÀ DERIVATE
dimensione fondamentale e parallelamente definito il metro come unità di misura della lunghezza, converrà esprimere l’area del rettangolo come prodotto di due lunghezze e quindi prodotto dei valori in metri delle lunghezze dei due lati, piuttosto che ricorrere alla definizione di una nuova dimensione e della relativa unità di misura valida solo per l’area. Nel sistema SI ci sono sette unità di misura fondamentali (Tabella 1.1): – metro (simbolo: m) come unità di misura della lunghezza – kilogrammo (simbolo: kg) come unità di misura della massa – secondo (simbolo: s) come unità di tempo – kelvin (simbolo: K) come unità di temperatura – mole (simbolo: mol) come unità di quantità di sostanza – ampere (simbolo: A) come unità di corrente elettrica – candela (simbolo: cd) come unità di intensità luminosa. Di queste, solo le prime cinque verranno utilizzate in questo corso dedicato alla meccanica e alle macchine a fluido. Tabella 1.1 Grandezze fondamentali del sistema SI Grandezza fondamentale Lunghezza Massa Tempo Temperatura Quantità di sostanza Intensità di corrente elettrica Intensità luminosa
Nome dell’unità
Simbolo dell’unità
metro kilogrammo secondo kelvin mole ampere candela
m kg s K mol A cd
La definizione delle unità di misura fondamentali è riportata nella Tabella 1.2. Tutte le altre unità di misura sono derivate da quelle fondamentali. Molto spesso è conveniente utilizzare dei multipli delle unità SI: la tabella, con i fattori di moltiplicazione di ciascun prefisso e il relativo simbolo, è riportata nella terza pagina di copertina (in fondo al volume). Tabella 1.2 Definizione delle unità di misura fondamentali Il metro è la lunghezza del tragitto compiuto dalla luce nel vuoto in un intervallo di tempo pari a 1/299.792.458 di secondo. Il kilogrammo è la massa pari a quella del campione internazionale in platino-iridio conservato nel museo di Sèvres. Il secondo è la durata di 9.192.631.770 periodi della radiazione corrispondente alla transizione tra i due livelli iperfini dello stato fondamentale dell’atomo di cesio 133. Il kelvin è la frazione 1/273,16 della temperatura termodinamica del punto triplo dell’acqua. La mole è la quantità di sostanza di un sistema che contiene tante entità elementari quanti sono gli atomi in 0,012 kilogrammi di carbonio 12. Le entità elementari possono essere atomi, molecole, ioni, elettroni, altre particelle oppure raggruppamenti specificati di tali particelle. L’ampere è l’intensità di una corrente elettrica costante che, circolando in due conduttori paralleli rettilinei di lunghezza infinita e di sezione trascurabile posti alla distanza di un metro l’uno dall’altro nel vuoto, produce tra questi due conduttori una forza uguale a 2 × 10– 7 newton su ogni metro di lunghezza. La candela è pari a 1/60 dell’intensità luminosa, emessa in direzione normale, da una superficie pari a 1 cm2 di corpo nero alla temperatura di fusione del platino.
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CAPITOLO 1. – MECCANICA E MACCHINE
1. 8
LUNGHEZZA, AREA, VOLUME L’unità di lunghezza è il metro [m]. I suoi derivati sono il metro quadrato [m2] per le superfici e il metro cubo [m3] per i volumi. Esempi di prefissi applicati al metro sono (Tabella II di copertina) il kilometro [1 km = 1000 m], il millimetro [1 mm = 0,001 m], ecc. Nel convertire superfici e volumi, occorre tener presente che i valori di questi sono in relazione rispettivamente con il quadrato e con il cubo di una lunghezza; avremo così: 1 km2 = (1000 m)2 = 1000 m × 1000 m = 1.000.000 m2 = 106 m2 oppure, operando sugli esponenti (è la via che verrà seguita in questo corso): 1 km2 = (1000 m)2 = (103 m)2 = (103)2 m2 = 103 × 2 m2 = 106 m2 1 mm2 = (0,001 m)2 = (10– 3 m)2 = (10– 3)2 m2 = 10– (3 × 2) m2 = 10– 6 m2 1 km3 = (1000 m)3 = (103)3 m3 = 103 × 3 m3 = 109 m3 1 mm3 = (0,001 m)3 = (10– 3 m)3 = (10– 3)3 m3 = 10– (3 × 3) m3 = 10 – 9 m3
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MASSA A causa di un incidente storico, è il kilogrammo [kg] (Figura 1.1) a fungere da unità di massa, e non il grammo [g], come ci si sarebbe potuti aspettare. Poiché aggiungere un prefisso a un prefisso potrebbe causare confusione, i multipli e i sottomultipli dell’unità sono formati con la parola grammo. Così avremo, ad esempio, 1 milligrammo [mg], pari a un milionesimo di kg, e 1 megagrammo [Mg], pari a 1000 kg, cioè a 1 tonnellata.
Fig. 1.1 - Il campione internazionale del kilogrammo conservato nel museo di Sèvres (insieme con altre sei copie).
1. 10
TEMPO Il secondo [s] è l’unità di tempo del sistema SI. Esso sostituisce tutte le unità fin qui usualmente impiegate, come minuti [min], ore [h] e giorni. Diamo qui di seguito alcuni esempi di applicazione: – 1 ks [kilosecondo] equivale a circa un quarto d’ora (15 min × 60 s/min = 900 s = 0,9 ks ≈ 1 ks); – in un giorno vi sono circa 100 ks (1 giorno × 24 h/giorno × 3600 s/h = 86.400 s = 86,4 ks ≈ ≈ 100 ks);
1.11. – TEMPERATURA
– l’età del ferro inizia circa 100 Gs [gigasecondi] fa (preso come riferimento l’anno 2000 e ricordando che ogni quattro anni c’è un giorno in più, il tempo che ci separa dal 1500 avanti Cristo, inizio dell’età del ferro, può essere calcolato così: (1500 + 2000) anni × 365,25 giorni/anno × × 24 h/giorno × 3600 s/h = 110 × 109 s ≈ 100 Gs). Si sottolinea che il simbolo del secondo è “s” e non “sec” e che, come tutte le altre unità di misura, non deve mai essere seguito dal punto (è un errore scrivere “s.”).
1. 11
TEMPERATURA Il kelvin (tutte le unità di misura iniziano con la lettera minuscola, anche quando devono il loro nome a persone) è l’unità di misura della temperatura e il suo simbolo è K (non deve essere preceduto dal segno di grado °: è sbagliato scrivere °K). Il kelvin può essere messo in relazione con i gradi Celsius o centigradi (simbolo: °C) tenendo presente che 273,16 K (0 °C) è il punto di congelamento dell’acqua e che 373,16 K (100 °C) è il suo punto di ebollizione. Abitualmente la costante viene posta a 273,15 oppure, più semplicemente, arrotondata a 273. La temperatura T è perciò data in kelvin da
[K] platino 2000
T [K] = T [°C] + 273,15 ≈ T [°C] + 273
1-5
oppure in gradi centigradi da
1800 acciaio
T [°C] = T [K] – 273,15 ≈ T [K] – 273
1600 ghisa 1400
rame
sale 1000 alluminio
mentre la temperatura di 1500 K, espressa in gradi centigradi, diviene per la 1-5′ 1500 K – 273,15 = 1226,85 °C ≈ 1227 °C
800 zinco 600 stagno 400 paraffina ghiaccio (0 °C) ammoniaca aria 0
Ad esempio, la temperatura di 40 °C, espressa in kelvin, diviene per la 1-5 40 °C + 273,15 = 313,15 K ≈ 313 K
1200
200
1-5′
– 273,15 °C
Fig. 1.2 - Punti di fusione di varie sostanze in kelvin.
L’uso dei gradi centigradi al posto dei kelvin è l’unica deroga che qualche volta ci permetteremo all’impiego del sistema SI. Nel dimensionare gli elementi della macchina avremo spesso a che fare con delle differenze di temperatura ∆T; una variazione di temperatura ha lo stesso valore in ambedue le scale, in quanto queste differiscono tra loro per una costante (273,15); perciò, ad esempio, è ∆T = 400 °C – 350 °C = 50 °C ∆T = 673 K – 623 K = 50 K A scopo orientativo, sono riportati, nella Figura 1.2 i punti di fusione di varie sostanze in funzione della temperatura in kelvin.
11
12
CAPITOLO 1. – MECCANICA E MACCHINE
1. 12
ANGOLO L’unità angolare è il radiante (simbolo: [rad]). 1 rad è l’angolo sotteso da un arco di circonferenza uguale al raggio (Figura 1.3). Il radiante viene considerato una grandezza supplementare1.8 in quanto completa il sistema SI pur non potendo a rigore rientrare nel gruppo delle grandezze fondamentali. È una grandezza adimensionale, cioè un puro numero determinato dal rapporto tra due lunghezze (lunghezza dell’arco di cerchio e lunghezza del raggio del cerchio): [Angolo] =
1-6
L’ultimo termine tra parentesi quadre è la lunghezza elevata a zero (non si confonda l’esponente zero 0 con il segno indicante grado °). Di solito il simbolo rad non viene scritto vicino alla grandezza a meno che ciò sia necessario per evitare confusione. Per quanto il grado non sia una unità coerente, i 360° dell’angolo giro possono an cora essere accettati, fermo restando che le ulteriori suddivisioni in minuti d’angolo [′] e secondi d’angolo [″] (nel seguito individuati come gradi sessagesimali ) vengano sostituite da suddivisioni decimali: i gradi sessadecimali (nel seguito indicati come gradi decimali o semplicemente come gradi ).
π rad 3 rad 2 rad R 1 rad R
Fig. 1.3 - Definizione di radiante.
1.8 - Vi sono due grandezze supplementari nel sistema SI: il radiante, unità di
[Lunghezza] = [Lunghezza0] [Lunghezza]
misura dell’angolo piano, e lo steradiante (simbolo: [sr]), unità di misura
dell’angolo solido.
Esempio 1.1 Conversione di gradi decimali e radianti Convertire: a) l’angolo 0,0572° in mrad (milliradianti); b) l’angolo di 1 rad in gradi.
SOLUZIONE a) Dalla definizione sappiamo che un angolo piatto (180°) equivale a π rad (Figura 1.3). Per passare da y gradi a z radianti facciamo allora la proporzione:
π [rad] z [rad] 3,14 [rad] = ⇒ z [rad] = y° = 0,0175 [rad/1°] y° 180° y° 180°
1-7
z = 0,0175 rad/1° × 0,0572° = 0,001 rad = 1 mrad
䉳
b) Per passare dall’angolo espresso in radianti al corrispondente angolo in gradi occorre invece dividere per 0,0175 rad/l°. Dalla 1-7 abbiamo infatti: z [rad] z [rad] = 0,0175 [rad/1°] y° ⇒ y° = 1-7′ 0,0175 [rad/1°] y=
1 rad = 57,2° 0,0175 rad/1°
䉳
1.14. – ACCELERAZIONE
Esempio 1.2 Conversione di gradi sessagesimali Convertire: a) l’angolo di 14° 25′ 36″ in gradi decimali; b) l’angolo di 22° 30′ in gradi decimali e quindi in radianti.
SOLUZIONE a) Per passare dai gradi sessagesimali ai gradi decimali occorre tenere presente che 1 minuto d’angolo [′] corrisponde a 1/60 di grado, mentre 1 secondo d’angolo [″] corrisponde a 1/(60 × 60) = 1/3600 di grado. Abbiamo allora: 14° 25′/60 = 0,416667 36″/3600 = 0,01 14,426667°
+ + + = 14,43°
䉳
b) Applichiamo prima la procedura precedente per passare da gradi sessagesimali a gradi decimali: 22° 30′/60 = 0,5 00″/3600 = 0,00 22,50°
+ + + 䉳
Applichiamo poi la relazione 1-7: 䉳
0,0175 rad/1° × 22,5° = 0,39 rad
1. 13
VELOCITÀ La velocità è una unità derivata; nel caso di moto lineare (movimento cioè di un punto lungo una linea) essa è determinata dal rapporto tra la distanza percorsa e il tempo. Dimensionalmente si era già visto: [Velocità] =
[Spostamento] = [Lunghezza ⋅ Tempo – 1 ] [Tempo]
(1-3)
L’unità di misura è rappresentata da metro/secondo ([m/s] oppure [ms– 1]).
1. 14
ACCELERAZIONE A sua volta l’accelerazione è data dal rapporto tra velocità e tempo. Dimensionalmente è: [Accelerazione] =
[Velocità] [Lunghezza ⋅ Tempo – 1 ] = = [Lunghezza ⋅ Tempo – 2 ] [Tempo] [Tempo]
1-8
L’unità di misura è il metro/secondo al quadrato [m/s2]. L’accelerazione di gravità (usualmente indicata con la lettera g) varia da punto a punto della superficie terrestre; nei calcoli considereremo un valore medio pari a 9,81 m/s2.
13
14
CAPITOLO 1. – MECCANICA E MACCHINE
1. 15
FORZA La seconda legge di Newton ci dice che il prodotto della massa m per l’accelerazione a è uguale alla forza F: F = ma 1-9 Dimensionalmente si ha (1-8): [Forza] = [Massa] × [Accelerazione] = [Massa ⋅ Lunghezza ⋅ Tempo– 2]
1-9′
Parallelamente viene definito, come unità di misura della forza, il newton1.1: esso rappresenta la forza necessaria per imprimere alla massa di 1 kg l’accelerazione di 1 m/s2. Si tratta quindi di un’unità derivata, espressa da kg⋅m⋅s– 2 oppure da kg⋅m/s2 Il simbolo del newton è N. La distinzione tra l’unità di misura della massa e l’unità di misura della forza è una delle principali differenze tra il sistema SI e il vecchio sistema tecnico. Nel sistema tecnico l’unità di forza, il kilogrammo peso [kp], era definito come la forza generata dalla massa unitaria nel campo gravitazionale terrestre. In questo modo i valori della forza e della massa rimanevano numericamente gli stessi e ambedue venivano riferiti al peso. Ma l’accelerazione di gravità non è la stessa in tutti i punti della Terra; si pensi poi a luoghi al di fuori del campo gravitazionale terrestre come, ad esempio, un satellite in orbita, oppure la Luna. Si è preferito allora eliminare una possibile confusione ponendo una netta distinzione tra unità di massa e unità di forza. La conversione dell’unità fondamentale di forza del sistema tecnico, il kilogrammo peso [kp], nel newton viene fatta prendendo un valore medio dell’accelerazione di gravità pari a 9,80665 m/s2, arrotondato a 9,81 m/s2. La Tabella II di copertina riporta i fattori di conversione delle principali grandezze del sistema tecnico nel sistema SI. Si può dunque vedere che 1 kp (kilogrammo peso) = 9,81 N (newton)
1-10
Se nella seconda legge di Newton 1-9, si pone al posto dell’accelerazione generica a l’accelerazione di gravità g = 9,81 m/s2, la forza così ottenuta si chiama forza peso P o, più semplicemente, peso del corpo di massa m; il peso di un corpo è allora dato dal prodotto della sua massa per l’accelerazione di gravità: P = mg
1-10′
Quanto grande è la forza di un newton? Si può pensare a Newton e al suo albero da cui sarebbe caduta la mela che gli avrebbe ispirato l’idea della legge che porta il suo nome: una piccola mela, con massa all’incirca uguale a 100 grammi (m ≈ 100 g = 0,1 kg), esercita la forza peso di 1 newton come risulta applicando la 1-10′: Pmela = mmela g = 0,1 kg × 9,81 m/s2 = 0,981 N ≈ 1 N
Esempio 1.3 Misura della massa al polo nord e all’equatore Un paese N, situato al polo nord, spedisce una certa quantità di oro al paese E, che si trova all’equatore. Questa quantità viene determinata per mezzo di una scala azionata dalla deformazione di una molla. Anche il sistema di misura viene inviato al paese E, dove viene ripetuta la misura, riscontrando però che nel frattempo la quantità di oro è diminuita (Figura 1.4-a). Perché avviene questo fenomeno?
1.15. – FORZA
100 kg
99,5 kg
kg
kg
ORO
ORO
paese N
paese E
Fig. 1.4-a - L’indicazione data dalla deformazione della molla dello strumento è una misura della forza di gravità e non della massa.
SOLUZIONE Questo esempio illustra la distinzione tra il numero che traduce la massa e il numero che traduce la forza partendo dal fatto che l’accelerazione di gravità (al livello del mare) è diversa tra le regioni polari (9,83 m/s2) e le regioni equatoriali (9,78 m/s2). La scala dello strumento, che è basata sulla deformazione di una molla, misura infatti la forza di gravità e non la massa. L’accelerazione di gravità è più bassa all’equatore e quindi l’ago dello strumento indica un valore inferiore.
COMMENTI Se al contrario la scala viene interpretata come unità di forza, noi potremmo determinare la massa applicando la legge di Newton 1-9 (Figura 1.4-b): letta in questo modo (m = F/a,), la massa risulta uguale nei due paesi. La scala che permette di ottenere lo stesso valore delle masse in due luoghi diversi si basa sul confronto diretto delle masse: è questo il tipo di misura da sempre impiegato nel campo dei metalli preziosi (Figura 1.4-c). Il sistema, descritto nella Figura 1.4-b, può essere convenientemente impiegato per la misura della massa. Si applica cioè una forza nota F all’oggetto di massa m, si misura la sua accelerazione a e si calcola m = F/a (1-9). Nella pratica questo viene fatto attaccando l’oggetto a un sistema costituito da una molla, disturbandolo (lo si allontana cioè dalla sua posizione di equilibrio) e calcolando la massa in base al tempo di risposta dell’oscillazione libera.
(m = F/a) 983 N
978 N
N
N 983 kg⋅m/s2 978 kg⋅m/s2 = 100 kg = 2 9,83 m/s 9,78 m/s2
ORO
ORO
paese N
paese E
Fig. 1.4-b - La massa viene misurata in modo corretto come rapporto tra la forza F in newton misurata nei due paesi e la rispettiva accelerazione di gravità a.
15
16
CAPITOLO 1. – MECCANICA E MACCHINE
0
ORO
100 kg
Fig. 1.4-c - Il confronto tra le masse è il metodo corretto per la misura di una massa in qualsiasi paese.
1. 16
LAVORO, ENERGIA, COPPIA Il lavoro è il prodotto di una forza per uno spostamento; quindi dimensionalmente è (1-9′ ):
[Lavoro] = [Forza] × [Spostamento] = [Massa ⋅ Lunghezza ⋅ Tempo– 2] × [Lunghezza] = [Massa ⋅ Lunghezza2 ⋅ Tempo– 2] 1-11 e in unità SI si esprime in N⋅m. In onore dello scienziato inglese James Prescott Joule, si è dato a questa unità il nome di joule (si pronuncia “giul”, e non “giaul”); il suo simbolo è J. Il joule è anche l’unità di energia. Il lavoro può essere il risultato del prodotto di una coppia per una rotazione rappresentata da un angolo, numero puro (cioè senza dimensioni) espresso in radianti: [Lavoro] = [Coppia] × [Angolo]
1-12
Si preferisce esprimere la coppia in N⋅m e il lavoro o l’energia in J in modo da evidenziare la differenza fisica tra queste grandezze. L’uso del joule permette di eliminare numerose unità e, in primo luogo, quelle del sistema tecnico che potevano far pensare a una diversità sostanzialmente erronea tra calore e lavoro. Calore equivale a lavoro, come si vedrà nella termodinamica, e va quindi espresso in joule come qualsiasi altra forma di energia. Le vecchie unità del sistema tecnico che misuravano il calore (piccola caloria [cal] e grande caloria [kcal]) equivalgono rispettivamente a 4,186 J e a 4,186 kJ (Tabella I di copertina).
1. 17
POTENZA La potenza è definita come il lavoro nell’unità di tempo. Dimensionalmente è (1-11):
[Potenza] =
[Lavoro] [Massa ⋅ Lunghezza 2 ⋅ Tempo – 2 ] = = [Massa ⋅ Lunghezza 2 ⋅ Tempo – 3 ] [Tempo] [Tempo]
1-13
e in unità SI si esprime in J/s. A questa unità è stato dato il nome di watt (simbolo: W), in onore dello scienziato inglese che introdusse il termine cavallo-vapore. Il watt (spesso viene utilizzato il suo multiplo, il kW) sostituisce non solo le unità di misura tradizionali della potenza del tipo
1.19. – GRANDEZZE SPECIFICHE
appunto del cavallo-vapore1.9, ma anche – data l’equivalenza tra calore e lavoro – le unità solitamente usate per esprimere la potenza termica (cioè il calore trasmesso nell’unità di tempo) come, ad esempio, la kilocaloria al secondo [kcal/s]. Alcune volte l’energia viene ricavata dal valore della potenza moltiplicata per il tempo, poiché – come si è detto più sopra – la potenza è il lavoro fatto nell’unità di tempo. Troviamo così, ad esempio, il kilowattora (kW⋅h) che equivale a 3,6 MJ oppure a 3,6 ⋅ 103 kJ (Tabella I di copertina). Si tenga sempre ben presente che energia e potenza sono due grandezze diverse: l’energia [J] è la misura di quanto lavoro viene effettuato, la potenza [W] misura con quanta rapidità il lavoro viene svolto. Una cosa è la quantità di energia elettrica che paghiamo ogni mese all’ente che rifornisce la nostra casa, altra cosa è la quantità di energia elettrica erogata nell’unità di tempo, e cioè la potenza che ci permette di far funzionare contemporaneamente lavastoviglie, lavabiancheria e scaldabagno elettrico.
1. 18
PRESSIONE La pressione p è definita come l’azione di una forza F su una superficie di area A: p=
F A
1-14
Dimensionalmente si ha (1-9′ e 1-1): [Pressione] =
[Forza ] [ Massa ⋅ Lunghezza ⋅ Tempo− 2 ] = = [ Massa ⋅ Lunghezza − 1 ⋅ Tempo − 2 ] [Area] [Lunghezza − 2 ]
1-14′
Nel sistema SI la pressione si esprime in N/m2 oppure N⋅m– 2, unità che prende il nome di pascal (simbolo: Pa), in onore dello scienziato francese. Il pascal, introdotto nel 1971, è l’ultimo nome di una lunga lista di unità di pressione tra cui ricordiamo – tra le tante – l’atmosfera [atm], il bar, il torr (o mm di mercurio: simbolo chimico Hg) e il mm di colonna d’acqua (simbolo chimico dell’acqua: H2O). I fattori di conversione tra le unità utilizzate in passato e il pascal sono riportati nella Tabella I di copertina. 1 Pa rappresenta una pressione relativamente bassa. I micropascal (1 µPa = 10– 6 Pa) e i millipascal (1 mPa = 10– 3 Pa = 0,001 Pa) sono prevalentemente utilizzati in acustica e nelle tecniche del vuoto, mentre i gigapascal (1 GPa = 109 Pa) vengono utilizzati nel valutare la resistenza dei materiali. Nelle macchine a fluido conviene far ricorso ai kPa (1 kPa = 103 Pa = 1000 Pa) oppure ai MPa (1 MPa = 106 Pa = 1.000.000 Pa). La pressione atmosferica vale 101.325 Pa = 101,325 kPa e di solito viene arrotondata a 101,32 kPa (Tabella III di copertina). 1 bar è esattamente uguale a 100 kPa oppure a 0,1 MPa.
1. 19
GRANDEZZE SPECIFICHE Lo studio della meccanica e delle macchine può richiedere l’uso anche di grandezze diverse da quelle che sono state fino a ora presentate; le loro dimensioni e le relative unità di misura verranno illustrate con il procedere del corso. La Tabella I di copertina riassume i fattori di con-
1.9 - Si presti attenzione al fatto che il cavallo-vapore in unità inglesi [HP] è
diverso dal cavallo-vapore “internazionale” [CV] (Tabella I di copertina).
17
18
CAPITOLO 1. – MECCANICA E MACCHINE
versione necessari per passare da unità di misura espresse nei vecchi sistemi al sistema SI, e viceversa. Esistono poi delle grandezze riferite ad altre grandezze come, per esempio, massa, peso, volume, area, ecc.: in passato, esse venivano genericamente indicate con il nome di grandezze specifiche; adesso si preferisce precisare di volta in volta a quale grandezza si fa riferimento. Così non diremo più energia specifica ma preciseremo se si tratta di energia per unità di massa (o energia massica), per unità di peso (o pesica), per unità di volume (o volumica) e per unità di area (o areica). In particolare al posto di volume specifico utilizzeremo il termine di volume massico [m3/kg] e, al posto dell’abituale densità, verrà utilizzato il termine di massa volumica [kg/m3], che appunto indicherà la massa per unità di volume. Il termine densità indicherà invece il rapporto adimensionale tra la massa volumica di un corpo e quella di un corpo di riferimento (solitamente l’acqua). La capacità di un fluido di scambiare calore sotto una data variazione di temperatura prende il nome di capacità termica del fluido; quando la capacità termica viene riferita all’unità di massa, viene indicata come capacità termica massica e sostituisce la vecchia denominazione di calore specifico. Dimensionalmente, dato che il calore equivale al lavoro, la capacità termica massica è rappresentata da [Capacità termica massica] =
[Lavoro] [Massa] × [Temperatura]
1-15
mentre in unità SI la capacità termica massica è espressa da J/(kg⋅K) oppure, utilizzando un multiplo del joule, da kJ/(kg⋅K). Conserveremo il termine “specifico” per quelle grandezze, come il consumo specifico di combustibile, per le quali la precisazione del riferimento porterebbe a inutili forzature. Il consumo specifico di combustibile è il rapporto tra la portata di combustibile [kg/s] che alimenta la macchina e la potenza ottenuta [W]; la sua unità di misura è quindi espressa da (kg /s)/W = kg /(W⋅s) = kg /J in quanto il prodotto della potenza di 1 W per il tempo di 1 s dà il lavoro di 1 J. È opportuno esprimere il consumo specifico in g/MJ in modo da evitare di ottenere numeri troppo piccoli. Come esempio possiamo citare il consumo specifico minimo di gasolio raggiungibile con un motore Diesel di 0,01 m3 (10 litri) di cilindrata, che risulta pari a 55 g/MJ (198 g /(kW⋅h)).
1. 20
SIMBOLOGIA Dei due segni (“× ” oppure “ ⋅ ”) che possono essere utilizzati per indicare la moltiplicazione tra unità di misura, si preferisce utilizzare il punto “ ⋅ ”; il “per” (× ), caratteristico del prodotto, viene invece impiegato per indicare la moltiplicazione tra numeri. Per esempio: grandezza unità simbolo
coppia newton × metro N⋅m
La divisione tra unità di misura viene indicata con la barretta “/ ” oppure, meno abitualmente, con la linea di frazione “— ”, di solito riservata alle operazioni tra numeri. Una generica grandezza G frazionaria può essere scritta 1/G oppure G – 1, facendo cioè ricorso agli esponenti negativi. Per esempio:
1.20. – SIMBOLOGIA
grandezza unità
accelerazione metro diviso secondo elevato al quadrato
simbolo
m/s2, m⋅s– 2,
m s2
Quando si adotta la barretta per segnalare la divisione, è essenziale separare chiaramente i prodotti presenti al numeratore da quelli al denominatore facendo uso delle parentesi. Le unità di misura della capacità termica massica vanno, ad esempio, rappresentate con kJ/(kg⋅K) e non con kJ/kg⋅K perché quest’ultima espressione può far pensare al lettore meno esperto che si tratti di kJ/kg moltiplicati (e non divisi) per K.
Esempio 1.4 Conversione di unità di misura Convertire in: a) kilojoule [kJ], il lavoro L = 15 kp⋅m b) kilogrammi peso per metro [kp⋅m], il lavoro L = 15 J c) kilowatt [kW], la potenza P = 250 CV d) grammi al cavallo ora [g/(CV⋅h)] e grammi al kilowattora [g/(kW⋅h)], il consumo di combustibile csf = 55 g/MJ e) radianti [rad], l’angolo α = 45° f) kilocalorie riferite a ora, metro e grado centigrado [kcal/(h⋅m⋅°C)], la conduttività dell’argento k = 429 W/(m⋅K).
SOLUZIONE Per rispondere alle domande dell’Esempio, utilizziamo la Tabella I di copertina. a) b) c) d)
L = 15 kp⋅m × 9,81 J/(kp⋅m) = 147,1 J = 0,1471 kJ L=
15 J = 1,53 kp⋅m 9,81 J/(kp⋅m)
P = 250 CV × 0,735 kW/CV = 183,75 kW c sf =
c sf =
55 g/MJ = 145,8 g/(CV⋅h) g/MJ 0,3776 g/(CV⋅h) 55 g/MJ = 198 g/(kW⋅h) g/MJ 0,2778 g/(kW⋅h)
䉳 䉳 䉳 䉳
䉳
Si poteva anche passare direttamente dal consumo di combustibile in g/(CV⋅h) al consumo in g/(kW⋅h) convertendo i CV in kW. c sf =
145,8 g/(CV⋅h) = 198 g/(kW⋅h) 0,735 kW/CV
19
20
CAPITOLO 1. – MECCANICA E MACCHINE
e) f)
1. 21
α = 45° × 0,0175 rad/1° = 0,78 rad k =
429 W/(m⋅K) = 369 kcal/(h⋅m⋅°C) W/(m⋅K) 1,163 kcal/(h⋅m⋅°C)
䉳 䉳
SOMMARIO La meccanica, che è la scienza che descrive le condizioni di quiete oppure di moto di corpi soggetti all’azione di forze, si rivolge ai corpi rigidi, ai corpi deformabili e ai fluidi. La meccanica dei corpi rigidi, quando affronta con metodi matematici i principi fisici generali, viene chiamata meccanica razionale, mentre, quando viene applicata alle macchine, prende il nome di meccanica delle macchine. Qualora il corpo non possa più essere considerato rigido, come avviene vicino a rottura, occorre passare alla meccanica dei corpi deformabili e in particolare alla resistenza dei materiali. La meccanica dei fluidi si occupa infine dello studio dei fluidi incomprimibili impiegati nelle macchine idrauliche e di quello dei fluidi comprimibili utilizzati nelle macchine termiche. I concetti fondamentali della meccanica elementare sono quelli di spazio, tempo, massa e forza; questi quattro concetti consentono di studiare le condizioni di equilibrio (statica) oppure di movimento (dinamica) delle particelle o dei corpi rigidi. Mentre i primi tre concetti sono, nella meccanica newtoniana, indipendenti l’uno dall’altro, il concetto di forza dipende dallo spazio, dal tempo e dalla massa. Lo studio della meccanica dei fluidi richiede la conoscenza di tre discipline legate, in modo particolare, all’energia termica: – la termodinamica: scienza che abbraccia lo studio delle trasformazioni dell’energia e la relazione tra le varie proprietà di una sostanza, conseguenza oppure causa di queste stesse trasformazioni; – la fluidodinamica: scienza che tratta il trasporto di energia e la resistenza al movimento, associata con lo scorrimento dei fluidi; – la trasmissione del calore: scienza che descrive la trasmissione di una specifica forma di energia, risultante dall’esistenza di una differenza di temperatura. Per descrivere lo stato fisico di un corpo o di un sistema facciamo uso delle dimensioni. A queste sono associate delle unità di misura che, per legge, vanno espresse nel Sistema Internazionale (SI). Un’equazione che descrive una determinata situazione fisica è vera se tutti i suoi termini sono della stessa specie e hanno le stesse dimensioni, se cioè è dimensionalmente omogenea. Mentre non ha senso scrivere 10 aeroplani – 6 aquile = 4 mesi è corretto scrivere l’equazione 10 kg – 6 kg = 4 kg Quando poi incontriamo l’equazione 10 kg – 6 ?? = 4 kg noi sappiamo che l’unità di misura del secondo termine posto a sinistra del segno di uguale, non può che essere il kg in quanto, accanto agli altri termini, c’è appunto il kg.
1.21. – SOMMARIO
Le grandezze fondamentali e le corrispondenti unità di misura più frequentemente utilizzate nello studio della meccanica e delle macchine sono: lunghezza massa tempo temperatura
metro [m] kilogrammo [kg] secondo [s] kelvin [K]
Molto spesso è conveniente utilizzare dei multipli oppure dei sottomultipli delle unità SI; se consideriamo, ad esempio, il metro (unità di misura della lunghezza), abbiamo: 1 km = 1 m × 1000 = 1000 m = 103 m 1 mm = 1 m/1000 = 0,001 m = 10– 3 m 1 µm = 1 m/1.000.000 = 0,000001 m = 10– 6 m L’unità di misura dell’angolo piano è il radiante [rad]: si tratta di una grandezza senza dimensioni in quanto si ottiene come rapporto di due lunghezze (lunghezza dell’arco di cerchio e lunghezza del raggio del cerchio). Al posto della misura in radianti, l’angolo può essere misurato in gradi decimali, facendo riferimento all’angolo giro pari a 360°.
Esercizi proposti 1.1
Con il contributo del prof. L. Leonessa
Esprimere in cm2 ed in mm2 l’area di 4,26 m2. 4,26 m2 = 4,26 × 104 cm2 = 4,26 × 106 mm2
1.2
Esprimere in dm3 ed in m3 il volume di 1600 cm3.
1.8
Convertire le seguenti misure:
18,9 rad/s in giri/min
18,9 rad/s = 180 giri/min
1 giro/giorno in rad/s 1 giro/giorno = 72,7 × 10– 6 rad/s
1600 cm3 = 1,6 dm3 = 1,6 10– 3 m3 1.3 Esprimere in kg/m3 la massa volumica di una benzina pari a 0,835 kg/dm3. 0,835 kg/dm3 = 835 kg/m3 1.4 Quanti gigasecondi fa, rispetto al 1990, è iniziata l’età del bronzo, che viene datata nel 3000 avanti Cristo? 157 Gs 1.5
1.9 Convertire in unità SI la velocità di un’automobile pari a 140 km/h. 140 km/h = 38,9 m/s 1.10 Qual è la velocità, in km/h, di un aereo che vola a 416 m/s? 416 m/s = 1498 km/h 1.11 Assumendo un’accelerazione di gravità pari a 9,81 m/s2, calcolare il peso P di una massa di 800 kg. P = 7848 N
Esprimere in rad l’angolo di 87°. 87° = 1,52 rad
1.6 Trasformare prima in gradi decimali e poi in rad l’angolo di 95° 15′ 30″.
1.12 Qual è il valore della pressione atmosferica standard p0 al livello del mare? p0 = 101,32 kPa
95° 15′ 30″ = 95,26° = 1,667 rad 1.13 1.7
460 kPa = 0,46 MN/m2
Convertire le seguenti misure:
1,5 giri in radianti 60° in radianti 120 giri/minuto in rad/s
Esprimere in MN/m2 la pressione di 460 kPa.
1,5 giri = 9,4248 rad 60° = 1,05 rad
1.14 Trasformare in giri al minuto e rad/s la velocità di rotazione di una turbina pari a 500 giri/s.
120 giri/min = 12,56 rad/s
500 giri/s = 30.000 giri/min = 52,3 rad/s
21
22
CAPITOLO 1. – MECCANICA E MACCHINE
1.15
Convertire in °C la temperatura di 170 K. 170 K = – 103 °C
1.18 Convertire in unità SI la conduttività termica di un acciaio inossidabile AISI 304 (Paragrafo 5.10.1) pari a 12,8 kcal/(h⋅m⋅°C). 12,8 kcal/(h·m·°C) = 14,9 W/(m·K)
1.16
Convertire in K la temperatura di 250 °C. 250 °C = 523 K
1.19 Calcolare l’accorciamento percentuale ε di un campione che misurava inizialmente 25 cm, e misura, dopo esser stato sottoposto a compressione, 24,6 cm. ε = 1,6%
1.17 Convertire in unità SI il potere calorifico inferiore (Paragrafo 13.1) di un gasolio pari a 10.330 kcal/kg. 10.330 kcal = 43,2 MJ/kg
1.20 Una barra lunga 14 cm viene sottoposta a trazione allungandosi dello 0,7%. Calcolare la lunghezza finale l. l = 14,098 cm
MECCANICA
FORZE E MOMENTI
Capitolo 2
2. 1 a
FORZE
Scala delle forze: lunghezza AB = 1 kN A B
10
A
Una forza rappresenta l’azione di un corpo su un altro corpo. Per descrivere una forza applicata ad un corpo occorre conoscere tre elementi (Figura 2.1): • punto di applicazione,
a C
kN
B
• intensità,
30°
• direzione orientata. x
a
b 10
kN
30°
A
x
c
ne
tta
Re
io ’az
di
F
d
aF
rz Fo
Punto d’applicazione di F
Fig. 2.1 - 䡵 a) Forza con punto di applicazione in A, di intensità pari a 10 kN (segmento AC ) e direzione individuata dalla retta d’azione a inclinata di un angolo di 30° rispetto all’asse orizzontale x e dal verso ascendente. 䡵 b) Forza di verso opposto (discendente) rispetto alla forza rappresentata in Figura 2.1-a. 䡵 c) Retta d’azione di una forza.
Il punto di applicazione è il punto del corpo a cui è applicata la forza (il punto A della figura). L’intensità (oppure il modulo o la grandezza) di una forza è il numero espresso in newton [N] che misura il valore della forza: facendo uso di una scala appropriata delle forze con il segmento AB uguale a 1 kN, la lunghezza del segmento AC rappresenta l’intensità della forza. La direzione orientata di una forza è definita dalla retta di azione e dal verso della forza: la retta di azione è la retta lungo la quale agisce la forza (ad esempio la retta inclinata di 30° sull’asse x della figura), mentre il verso corrisponde all’orientamento indicato dalla freccia (nella Figura 2.1-a il verso della forza risulta ascendente, da sinistra verso destra). L’evidenza sperimentale mostra che le due forze P e Q, applicate nel punto A, possono venire riassunte dall’unica forza R, che esercita lo stesso effetto su A (Figura 2.2-c): la forza R, che viene indicata come la risultante delle due forze P e Q, si ottiene (Figura 2.2-b) tracciando la diagonale passante per A del parallelogramma, che ha per lati P e Q. È questa la legge (o regola) del parallelogramma con la quale si effettua la somma di due forze.
26
CAPITOLO 2. – FORZE E MOMENTI
a
A
b
P
P
R
A
Q
A
Q
c R
Fig. 2.2 - 䡵 a) Due forze P e Q applicate nel punto A. 䡵 b) La diagonale del parallelogramma che ha per lati P e Q dà la forza risultante R, somma delle due forze P e Q. 䡵 c) La forza risultante R sul punto A ha lo stesso effetto delle due forze originali P e Q.
2. 2
SCALARI E VETTORI Le forze, per quanto detto sopra, vengono sommate seguendo la legge del parallelogramma e non secondo i criteri appresi nell’algebra ordinaria. Ad esempio, la somma di due forze, tra loro perpendicolari, di 3 kN e 4 kN dà come risultato (Figura 2.3-a) una forza di 5 kN e non di 7 kN; la loro somma sarebbe invece risultata ancora uguale a 7 kN solo nel caso illustrato nella Figura 2.3-b: due forze con la stessa retta di azione e uguale verso. Non solo le forze, ma anche altre quantità fisiche, come, ad esempio, i momenti, le velocità e le accelerazioni, sono definite solo quando siano note intensità e direzione orientata; ognuna di queste quantità va quindi sommata con la legge del parallelogramma. Si definiscono vettori2.1 le quantità fisiche che possiedono intensità (sempre positiva) e direzione orientata e che vengono sommati tra loro con la legge del parallelogramma. Per definire altre quantità fisiche chiamate scalari, più semplici perché fanno a meno della direzione propria dei vettori, è invece sufficiente un numero preceduto da un segno e seguito dala
Scala delle forze: lunghezza AB = 1 kN A B
b
Scala delle forze: lunghezza AB = 1 kN A B
5 kN 3 kN
4 kN 7 kN A A
4 kN
3 kN
Fig. 2.3 - 䡵 a) Somma di due forze, che formano tra loro un angolo di 90°, secondo la legge del parallelogramma; l’angolo retto fa sì che il parallelogramma sia un rettangolo. 䡵 b) Somma di due forze situate sulla stessa retta d’azione e concordi; in questo caso il parallelogramma si appiattisce fino a diventare un segmento di retta.
2.1 - Di seguito vengono riportate le definizioni di alcuni tipi di vettori trattati nel corso: – Vettore applicato: un vettore con un punto di applicazione ben definito come nel caso di una forza che si esercita nel punto A di un corpo generico; il vettore applicato non può
essere spostato senza modificare le condizioni del problema. – Vettore libero: è un vettore che esprime quantità fisiche, come le coppie, che possono essere rappresentate da vettori che si muovono liberamente nello spazio. – Cursore: è il vettore che esprime
quantità fisiche come le forze agenti su un corpo rigido che possono venir fatte scorrere liberamente lungo la loro retta d’azione. – Vettore nullo: l’intensità del vettore è uguale a zero. – Versore (vettore unitario): vettore con intensità uguale a 1.
2.3. – COMPOSIZIONE DI FORZE NEL PIANO
l’unità di misura della quantità fisica considerata. Così l’ascissa x di un punto P, che individua una lunghezza, sarà rappresentata, secondo una data “scala”, da un determinato numero misurato in metri, numero preceduto dal segno + o dal segno – a seconda che si trovi sul semiasse positivo o negativo rispetto all’origine dell’asse: ad esempio, + 5 m oppure – 5 m. Un altro esempio di scalare è la temperatura di + 100 °C. Lo scalare è dunque individuato dall’unità di misura e da un numero reale, positivo o negativo, che ne dà la misura nell’unità considerata. Scalare diviene il numero che rappresenta l’intensità di un vettore, nel momento in cui, sulla base di una convenzione, lo si fa precedere da un segno + o dal segno –, che ne indica il verso rispetto ad un riferimento assegnato. Le operazioni sugli scalari seguono le normali regole dell’algebra ordinaria.
A
B
B′
B″
P
P
P
A′
A″
Fig. 2.4 - Rappresentazione grafica di vettori: i tre vettori, che hanno la stessa intensità e la stessa direzione con lo stesso verso, sono uguali indipendentemente dal fatto che abbiano o non abbiano lo stesso punto di applicazione; vengono perciò indicati con la stessa lettera P.
2. 3
Il vettore viene indicato con una lettera scritta in grassetto, ad esempio P, mentre la lettera in corsivo (P) ne indica l’intensità2.2. Il vettore forza F viene espresso dal numero accompagnato dall’unità di misura (newton), che definisce l’intensità F del vettore, seguito dalla direzione orientata; ad esempio: • F = 100 N ↑ (forza di 100 newton orientata nel verso positivo dell’asse y), • F = 20 kN ← (forza di 20 kilonewton orientata nel verso negativo dell’asse x), • F = 800 N 6 30° (forza di 800 newton inclinata di 30° sul semiasse x positivo). Nelle illustrazioni, il vettore è rappresentato da un segmento orientato (ad esempio il segmento AB di Figura 2.4 ), la cui lunghezza, letta in una scala opportuna, fornisce l’intensità del vettore stesso. Tutti i segmenti orientati AB, A′B′ e A″B″ ecc. equipollenti, aventi cioè la stessa lunghezza, la stessa direzione e lo stesso verso, rappresentano lo stesso vettore.
COMPOSIZIONE DI FORZE NEL PIANO L’insieme di due o più forze, agenti contemporaneamente su un corpo, costituisce un sistema di forze; in un sistema piano di forze, le rette d’azione di tutte le forze giacciono sul medesimo piano e le forze si dicono complanari (Figura 2.5-a). La somma dei due vettori P e Q, che rappresentano due forze non parallele, viene ottenuta (Paragrafo 2.1) portando i due vettori nello stesso punto A e costruendo un parallelogramma avente per lati P e Q (Figura 2.6-a): la diagonale, che passa per A, rappresenta la somma dei due vettori e viene rappresentata dal vettore risultante (o risultante) R = P + Q. I due vettori possono essere paralleli, come le due forze F1 ed F2 rappresentate nella Figura 2.6-b; in questo caso i due vettori vengono combinati aggiungendo dapprima le due forze F e – F uguali ed opposte e con la stessa retta d’azione, che prese insieme non producono alcun effetto sul corpo2.3, e quindi si procede alla somma delle due risultanti R1 = F1 + F ed R2 = F2 + (– F) ottenendo R = R1 + R2 = [F1 + F] + [F2 + (– F)] = F1 + F2.
2.2 - In questo corso, i vettori verranno indicati con la lettera scritta in grassetto quando vi sia la necessità di evitare confusioni tra operazioni su vettori e operazioni su scalari. 2.3 - Un corpo soggetto a più forze è in equilibrio se tutte le forze che agiscono
su di esso si bilanciano in modo tale che il loro effetto complessivo f inale è quello di lasciare invariati la posizione del corpo (se esso era originariamente in quiete) oppure lo stato di moto a velocità costante secondo una linea retta (se il corpo era originariamente in moto). Considerando, per semplicità, un corpo sog-
getto all’azione di due forze, si può affermare che il corpo sarà in equilibrio se le due forze hanno la stessa intensità, la stessa retta d’azione e verso opposto dando luogo così a una risultante uguale a zero (Figura 2.5-b).
27
28
CAPITOLO 2. – FORZE E MOMENTI
a
b
Punto per il quale passano le rette d’azione delle due forze
B
P A
Q
S C
Forza di 10 N
Forza di 10 N
Corpo
Fig. 2.5 - 䡵 a) Forze complanari che costituiscono un sistema piano di forze. 䡵 b) Due forze in equilibrio.
Il metodo del triangolo rappresenta una procedura alternativa a quella del parallelogramma per il calcolo della risultante di 2 vettori anche se non ne consente la determinazione del punto di applicazione: si consideri la Figura 2.7, dove la somma dei due vettori P e Q è stata ottenuta con il parallelogramma. Essendo il lato del parallelogramma opposto a Q (Figura 2.6-a) uguale in intensità, direzione e verso a Q, si può considerare soltanto la metà superiore del parallelogramma (Figura 2.7-a) di modo che la somma dei due vettori può essere ottenuta disponendo la coda di Q sulla punta di P e R=P+Q congiungendo poi la coda di P con la punta di Q. Se fosse stata presa la metà inferiore del parallelogramma (Figura P 2.7-b), si sarebbe ottenuto lo stesso risultato.
a
A
La sottrazione tra due vettori (si voglia, ad esempio, sottrarre al vettore P il vettore Q) viene ottenuta sommando a P il vettore Q cambiato di segno o con la regola del parallelogramma, analogamente a quanto fatto nella Figura 2.6-b a proposito della somma F2 + (– F), oppure con il metodo del triangolo (Figura 2.8): P – Q = P + (– Q).
Q
b –F
F F2 R2 R1
Si consideri ora la somma di tre o più vettori. La somma di tre vettori, ad esempio i vettori P, Q ed S, si ottiene, per definizione, sommando con il metodo del parallelogramma i primi due vettori P e Q e quindi aggiungendo al risultato di questa somma, sempre con il metodo del parallelogramma,
F1
R1
Q
a P
R2
A
P+Q
Q
R Q+P
b P
Fig. 2.6 - 䡵 a) Facendo uso della legge del parallelogramma vengono sommati i due vettori P e Q, che rappresentano due forze non parallele. 䡵 b) Somma, con la legge del parallelogramma, di due vettori F1 ed F2, che rappresentano due forze parallele.
A
P
Q
Fig. 2.7 - Somma di due vettori P e Q con il metodo del triangolo. 䡵 a) Metà superiore del parallelogramma. 䡵 b) Metà inferiore del parallelogramma.
2.3. – COMPOSIZIONE DI FORZE NEL PIANO
a
–Q
b
P
Q
P
P–Q
P
S
P+Q A
Q A P+Q+S
Fig. 2.8 - Sottrazione di due vettori con il metodo del triangolo. 䡵 a) I due vettori P e Q. 䡵 b) Somma di P e – Q con il metodo del triangolo.
Fig. 2.9 - Applicazione ripetuta del metodo del triangolo alla somma di tre vettori.
il terzo vettore S: P + Q + S = (P + Q) + S. Si potrebbe anche utilizzare il metodo del triangolo che, per applicazioni ripetute, risulta più conveniente di quello del parallelogramma anche se, come già detto, non consente di determinare il punto d’applicazione. Così la somma dei tre vettori P, Q ed S si ottiene (Figura 2.9) sommando dapprima P e Q e quindi aggiungendo a ( P + Q) il terzo vettore S. Si Q potrebbe tuttavia omettere la determinazione del vettore somma (P + Q) e congiungere direttamente (Figura 2.10-a), dopo aver disposto i vettori l’uno di seguito all’altro in modo che la punta S del vettore che precede tocchi la coda del successivo, la coda del primo vettore con la punta dell’ultimo (metodo del poligono) 2.4; quando i vettori sono rappresentati da forze il procedimento P+Q+S grafico illustrato prende il nome di poligono delle forze. Nel caso in cui le rette d’azione2.5 delle forze convergono in un unico
a
P
Q
b
a
P
b
S
F1
F1
F2
P P+Q+S
F3 R
R A S
F2
Fig. 2.10 - 䡵 a) Metodo del poligono applicato alla somma di tre o più vettori. 䡵 b) L’ordine, in cui vengono disposti i vettori nel poligono, non influenza il risultato della somma.
2.4 - È indifferente l’ordine nel quale, facendo la somma, vengono disposti i vettori nel poligono: cambiando infatti la successione dei vettori, la somma dà sempre lo stesso risultato (proprietà commutativa). Ciò poteva essere osservato anche nel parallelogramma e nel triangolo; ad esempio il parallelogram-
A
F3
Q
Fig. 2.11 - 䡵 a) Tre forze complanari, rappresentate dai vettori F1, F2 ed F3 le cui rette d’azione passano per il punto A. 䡵 b) Procedimento del poligono delle forze applicato alle tre forze concorrenti; è indifferente l’ordine in cui vengono disposti i vettori F1, F2 ed F3.
ma della Figura 2.7, costruito su P e Q, non dipende dall’ordine in cui vengono scelti P e Q. 2.5 - Una forza può essere fatta scorrere lungo la propria retta d’azione per il postulato di trasmissibilità che stabilisce che le condizioni di equilibrio op-
pure di moto del corpo rigido rimangono invariate se la forza F, che agisce in un dato punto del corpo, viene sostituita con la forza equivalente F′, che ha la stessa intensità e la stessa direzione ma che agisce in un punto diverso, purché le due forze abbiano la stessa retta d’azione.
29
30
CAPITOLO 2. – FORZE E MOMENTI
punto (forze concorrenti), come ad esempio il punto A per le tre forze della Figura 2.11-a, allora la risultante R, determinata col poligono delle forze (Figura 2.11-b), ha A come punto di applicazione.
Esempio 2. 1 Composizione grafica e analitica di due forze Due forze F1 e F2 (Figura 2.12-a) sono applicate al bullone A; la loro intensità vale rispettivamente F1 = 42 N e F2 = 60 N. L’angolo tra le due forze vale α + γ = 25°, mentre l’angolo tra la forza F1 e l’orizzontale vale δ = 20°. Determinare la risultante R delle due forze mediante:
F2 = 60 N
α + γ = 25° F1 = 42 N δ = 20°
A
a) il procedimento grafico: metodi del parallelogramma e del triangolo; b) il procedimento analitico con la trigonometria richiamata in Appendice (pagine 470-473).
Fig. 2.12-a - Bullone A con applicate le due forze di intensità F1 = 42 N e F2 = 60 N.
SOLUZIONE a) Fissata la scala delle forze, si traccia, seguendo il metodo illustrato nella Figura 2.6-a, un parallelogramma avente per lati le forze F1 ed F2: la lunghezza dei lati rappresenta, secondo la scala adottata, l’intensità delle forze, mentre la direzione delle forze è espressa dagli angoli assegnati (Figura 2.12-b). Si legge, sulla scala delle forze, la lunghezza R della diagonale del parallelogramma, mentre la direzione della risultante viene rilevata leggendo sul disegno l’angolo α , al quale va aggiunto l’angolo assegnato δ = 20° in modo da fare riferimento all’orizzontale con il metodo del triangolo (Figura 2.12-c); alla punta della forza F1 si collega la coda della forza F2 e si misura intensità e direzione della risultante R. R = 100 N
α + δ = 15° + 20° = 35°
R = 100 N 6 35°
䉳
b) Al metodo grafico si contrappone il metodo analitico (vedere l’Appendice A.3), basato cioè sul calcolo dell’intensità con il teorema del coseno e della direzione con il teorema dei seni (Figura 2.12-d): A.3-13:
R 2 = F12 + F22 − 2 F1 F2 cos β
R=
⇒
c
b
F12 + F22 − 2 F1 F2 cos β
C
d
γ ≈ 10°
R F2
R
γ = 10°
R
F2
F2 = 60 N
γ = 10°
γ ≈ 10° α = 15°
α ≈ 15°
α + γ = 25°
α = 15° A
F1
A
F1
Scala delle forze: 1 mm = 2 N
Fig. 2.12 - 䡵 b) Soluzione grafica basata sul metodo del parallelogramma. 䡵 c) Soluzione grafica basata sul metodo del triangolo. 䡵 d) Soluzione analitica con la trigonometria.
A
B F1 = 42 N
δ = 20°
β = 155°
2.4. – SCOMPOSIZIONE DI FORZE
Paragrafo A.3.2:
cos β = cos [π – (α + γ )] = – cos (α + γ )
Tabella A.3.1: R=
F12 + F22 + 2 F1 F2 cos (α + γ ) = A.3-14:
β = π – (α + γ )
α+β+γ=π
(42 N )2 + (60 N)2 + 2 × 42 N × 60 N × cos 25° = 99,658 N ≈ 100 N
F1 F2 R = = sen γ sen α sen β
Tabella A.3.1:
F2 R = sen α sen β
⇒
sen α = sen β
F2 R
sen β = sen [π – (α + γ )] = sen (α + γ ) sen α = sen (α + γ )
F2 60 N = sen 25° = 0,254 R 99, 658 N
α = arcsen 0,254 = 14,71° ≈ 15°
2. 4
⇒
䉳
⇒
䉳
α + δ = 15° + 20° = 35°
SCOMPOSIZIONE DI FORZE La forza F, che agisce in un punto A, può venire sostituita (scomposizione) con due o più forze (componenti) che, insieme, hanno lo stesso effetto. Anche volendo scomporre la forza F in due sole componenti 2.6, rimane illimitato il numero delle coppie di componenti in cui la stessa forza F può venire risolta nelle due componenti F1 ed F2 (Figura 2.13). Qualora si voglia risolvere la forza F nelle due componenti F1 ed F2 passanti per il suo punto di applicazione A, due sono i casi di particolare interesse nelle applicazioni: 1. è nota una sola delle due componenti (F1). – La seconda componente (F2 ) si ottiene mediante il metodo del triangolo, congiungendo la punta di F1 alla punta di F (Figura 2.14-a); una volta determinata F2, si applicano ad A ambedue le componenti F1 ed F2. F2 F2
F2 F
F
A
A
F
A
F1 F1
F1
Fig. 2.13 - Tre esempi, tra il numero illimitato di modi in cui la stessa forza F può venire scomposta nelle due componenti F1 ed F2.
2.6 - Nella scomposizione dell’unica forza F secondo tre componenti, definite dalle rispettive rette d’azione, si possono presentare i seguenti casi: a) le tre rette si incontrano tutte in un punto che non appartiene alla retta
d’azione di F: il problema è impossibile; b) le tre rette e la retta d’azione di F si incontrano tutte nello stesso punto: il problema è indeterminato; c) le tre rette e la retta d’azione di F si incontrano due a due formando in
questo modo un quadrilatero: il problema è possibile e determinato. Per maggiori dettagli in proposito si rimanda a Scienza delle costruzioni, Volume primo, Paragrafo 38, di Odone Belluzzi, editore Zanichelli.
31
32
CAPITOLO 2. – FORZE E MOMENTI
a
F2
F1
b F2
F
F
A A
F2
F1
Fig. 2.14 - 䡵 a) Scomposizione della forza F in due componenti quando è nota una delle componenti (ad esempio F1). 䡵 b) Scomposizione della forza F in due componenti quando sono note le rette d’azione delle componenti F1 ed F2.
2. sono note le rette d’azione di ciascuna componente. – Tirando per la punta di F (regola del parallelogramma illustrata nella Figura 2.14-b) le parallele alle due rette d’azione assegnate, si ottengono intensità e verso di F1 ed F2.
Esempio 2. 2 Scomposizione di una forza secondo due direzioni Risolvere (Figura 2.15-a) la forza F = 10 N 30° 0 nelle due componenti F1 (↑ ) ed F2 (45° 9) applicando: a) il procedimento grafico; b) il procedimento analitico.
a
Scala delle forze: 2 mm = 1 N
b
Retta d’azione di F1
F
F1
30°
F 30°
45°
45° F2 Retta d’azione di F2
c
d
F2 sen 45° F2
F2
β = 45°
F2 cos 45°
F1
γ = 105° F
F1
α = 30°
F
F cos 30°
F sen 30°
Fig. 2.15 - 䡵 a) Dati dell’Esempio: la forza F, di intensità F = 10 N, e le rette d’azione delle due forze F1 ed F2 in cui si vuole scomporre la forza F; le tre forze si trovano tutte nel piano del disegno. 䡵 b) Scomposizione grafica secondo i criteri rappresentati nella Figura 2.14-b. 䡵 c) Scomposizione analitica seguendo i criteri della trigonometria. 䡵 d) Metodo delle proiezioni applicato alla scomposizione della forza F, la cui intensità è F = 10 N.
2.5. – TEOREMA DELLE PROIEZIONI
SOLUZIONE a) Seguendo i criteri illustrati nella Figura 2.14-b, si tracciano (Figura 2.15-b) le parallele, a partire dalla punta della forza, alle rette d’azione di F1 ed F2, fino ad intercettare i segmenti la cui lunghezza, letta sulla scala delle forze, fornisce l’intensità delle due forze in cui è stata scomposta F: F1 = 13,7 N
䉳
F2 = 7,1 N
b) È un procedimento analogo a quello seguito nell’Esempio 2.1 per la composizione delle forze. Applicando il teorema dei seni (pag. 474) al triangolo della Figura 2.15-c, si calcola l’intensità delle due forze F1 ed F2, in cui è stata risolta la forza F: F1 F2 F = = sen γ sen α sen β
A.3-14: Figura A.3.3:
α+β+γ=π F1 =
F2 =
⇒
β = π – (α + γ )
⇒
β = 180° – (30° + 105°) = 45°
10 N × sen 105° F sen γ = = 13,66 N sen β sen 45°
䉳
10 N × sen 30° F sen α = = 7,07 N sen β sen 45°
䉳
COMMENTI Il procedimento analitico poteva anche essere impostato considerando (Figura 2.15-d) le proiezioni orizzontali e verticali delle forze secondo un metodo che verrà ripreso nel paragrafo che segue: 1. La proiezione orizzontale di F2 deve essere uguale alla proiezione orizzontale di F (A.3-3 a pag. 470): F2 sen 45° = F sen 30° = 10 N × sen 30°
⇒
F2 =
10 N × 0,5 = 7,07 N 0,707
2. F1 è la somma della proiezione verticale di F e di F2 (A.3-4 a pag. 471): F1 = F cos 30° + F2 cos 45° = 10 N × 0,866 + 7,07 N × 0,707 = 8,66 N + 4,99 N = 13,65 N
2. 5
TEOREMA DELLE PROIEZIONI La risultante R della somma di più forze, ad esempio F1, F2 ed F3 che agiscono in un punto O, si esprime con l’equazione vettoriale R = F1 + F2 + F3; la soluzione di questa equazione richiede di tenere presenti quelle regole di calcolo vettoriale che si rifanno sostanzialmente alla legge del parallelogramma. Ma, ciascuna forza di questa equazione, sia il vettore R sia i tre vettori F1, F2 ed F3, può venire risolta nelle sue componenti rettangolari, ottenute proiettando la forza lungo gli assi x e y (Figura 2.16): il numero, che misura quella data componente, sarà preceduto dal segno +, oppure dal segno –, a seconda che essa sia orientata, oppure non sia orientata, nel verso positivo dell’asse considerato. All’equazione vettoriale, citata sopra, si possono così sostituire le due equazioni scalari Rx = F1x + F2x + F3x ed Ry = F1y + F2y + F3y, una per ciascun asse x e y, che danno le componenti scalari Rx ed Ry, della risultante R come somma algebrica delle corrispondenti componenti scalari Fx ed Fy (teorema delle proiezioni); Rx ed Ry possono venire espresse, più sinteticamente, come sommatoria (indicata con il simbolo Σ) di tutte le componenti rettangolari delle forze rispettivamente lungo l’asse x e l’asse y: Rx =
∑F
x
Ry =
∑F
y
2-1
33
34
CAPITOLO 2. – FORZE E MOMENTI
a
c
b
Scala delle forze: 1 cm = 1 kN
y
F1x = + 1,4 kN
y F1y
F1
F F sen α F3
α O
F1y = + 2,9 kN
F3x = – 1,4 kN F3y
F3y = + 0,9 kN O
x
F cos α
F3x F2
O
F1x F2x
F2y
x F2y = – 1,4 kN
F2x = + 0,9 kN
d
e
y
y
f
R Ry
Ry
F1
R
R y = + 2,4 kN
F2
α
Rx x
O
O
F2x
Rx
O
R x = + 0,9 kN
F1x
F1x
Rx
x
Fig. 2.16 - Somma delle forze attraverso la somma delle componenti rettangolari lungo gli assi x e y. 䡵 a) Componenti rettangolari della generica forza F lungo gli assi x e y (Tabella IV di copertina); l’angolo α viene misurato in senso antiorario a partire dal semiasse x positivo. 䡵 b) Tre forze F1, F2 ed F3 applicate al punto O. 䡵 c) Componenti rettangolari delle tre forze F1, F2 ed F3 lungo x e y. 䡵 d) Componenti rettangolari Rx ed Ry della risultante lungo x e y. 䡵 e) Determinazione della risultante R con la legge del parallelogramma. 䡵 f) La dimostrazione geometrica della somma delle componenti rettangolari, applicata al caso semplificato di due sole forze, si basa sull’uguaglianza dei triangoli rosa. Per semplicità, la dimostrazione considera le sole componenti delle forze e della risultante lungo l’asse x.
Esempio 2. 3 Risultante di quattro forze Determinare, attraverso il calcolo dell’intensità R e direzione (angolo α rispetto al semiasse x positivo), la risultante R di quattro forze F1, F2, F3 ed F4, applicate al gancio della Figura 2.17-a.
SOLUZIONE La risultante R delle quattro forze applicate al gancio avrà come componenti scalari Rx e Ry la somma delle componenti scalari delle forze rispettivamente lungo gli assi x e y (2-1): Rx = ΣFx = F1x + F2 x + F3 x + F4 x
Ry = ΣFy = F1y + F2 y + F3 y + F4 y
Nella tabella sono riportate le componenti delle forze calcolate con (A.3-4 ed A.3-3) Fx = F cos α e Fy = F sen α . L’angolo α , per convenzione, si misura in senso antiorario a partire dal semiasse x positivo (Figura 2.17-b).
2.5. – TEOREMA DELLE PROIEZIONI
y
a
y
b F2 20°
F2y
F1
F2
F2x
30°
A
F1x
α 2 = 110°
x
F4
F1y
α 1 = 30°
A 15°
F1
F4y
α 3 = 270° F4 x
x
F4
α 4 = 345° F3 ≡ F3y
F3
c
d y
F2 cos 20° F2
F2y
F1y
F1
F1 sen 30°
y
F1 cos 30°
F2x F2 sen 20° A
Ry F1x
R y = + 28,5 N Rx
x
F4x F4 cos 15°
F4y F4 sen 15°
– F3
R x = + 398,3 N
α 3 = 4,1°
x
F4
F3y
Fig. 2.17 - 䡵 a) Forze F1 = 300 N, F2 = 160 N, F3 = 220 N ed F4 = 200 N applicate al gancio A. 䡵 b) Angoli (misurati in senso antiorario) che le forze assegnate formano con il semiasse x positivo. 䡵 c) Risoluzione di ciascuna forza nelle componenti rettangolari. 䡵 d) Risultante delle quattro forze.
La Tabella A.3.1 a pag. 472 dà: cos 110° = cos (90° + 20°) = – sen 20° = – 0,342
sen 110° = sen (90° + 20°) = + cos 20° = + 0,94
cos 345° = cos (270° + 75°) = + sen 75° = + 0,966
sen 345° = sen (270° + 75°) = – cos 75° = – 0,259
Forza
Intensità [N]
F1 F2 F3 F4
300 160 220 200
Componente secondo x [N] F1x = 300 × cos 30° = + 259,8 F2x = 160 × cos 110° = – 54,7 0 F4x = 200 × cos 345° = + 193,2 Rx = + 398,3
Componente secondo y [N] F1y = 300 × sen 30° = F2y = 160 × sen 110° = F3y ≡ F3 = F4y = 200 × sen 345° =
+ 150 + 150,3 – 220 – 51,8
Ry = + 28,5
Tenendo presente che la componente della forza è positiva se orientata nel senso positivo dell’asse considerato (verso destra per x e verso l’alto per y) e in caso contrario è negativa, le componenti di F2 ed F4
35
36
CAPITOLO 2. – FORZE E MOMENTI
potevano essere anche calcolate (Figura 2.17-c) facendo uso degli angoli assegnati inizialmente (Figura 2.17-a): F2x = – 160 N × sen 20° = – 54,7 N
F2y = + 160 N × cos 20° = + 150,3 N
F4x = + 200 N × cos 15° = + 193,2 N
F4y = – 200 N × sen 15° = – 51,8 N
Seguendo le convenzioni di segno, le componenti vettoriali delle forze e della risultante lungo gli assi si esprimono con: F1y = 150,0 N ↑ F1x = 259,8 N → F2x = 54,7 N ← F2y = 150,3 N ↑ F3x = 0 F3y = 220,0 N ↓ F4x = 193,2 N → F4y = 51,8 N ↓ R x = 398,3 N → R y = 28,5 N ↑ L’intensità R della risultante (A.3-2): Rx2 + Ry2 =
R=
(398,3 N)2 + (28,5 N)2 = 158.643 N 2 + 812 N 2 = 159.455 N 2 = 399.3 N
e la direzione (Figura 2.17-d) individuata dall’angolo α (A.3-5 a pag. 471): tan α =
Ry Rx
=
28,5 N = 0,07155 398,3 N
⇒
α = arctan 0,07155 = 4,1°
permettono di definire il vettore risultante R: R = 399,3 N 6 4,1°
2. 6
䉳
MOMENTO DI UNA FORZA
O
F
r
β
α α
A
b B
Fig. 2.18 - Forza F applicata ad un pezzo meccanico che genera un momento MO rispetto al punto O.
Una forza F viene applicata nel punto A della barretta OA (Figura 2.18); la posizione di A è definita dal vettore posizione r che congiunge il punto fisso di riferimento O con A; sulla figura è inoltre rappresentata la distanza b, perpendicolare tracciata dal punto O alla retta d’azione di F. Il momento della forza F rispetto al punto O è il vettore M O, rappresentato con un segmento orientato che termina con una doppia freccia, avente come: • punto di applicazione: il punto O; • intensità MO: il prodotto dell’intensità F della forza per la distanza b (braccio) tra il punto O (polo) e la retta d’azione della forza;
• direzione: la perpendicolare al piano definito dal punto O e dalla retta d’azione della forza; • verso: quello descritto nelle Figure 2.19 e 2.20. Il momento misura la tendenza della forza F a far ruotare un corpo attorno ad un asse fisso diretto lungo M O, tendenza che risulta tanto maggiore quanto più elevate sono l’intensità F e la distanza b da questo asse: MO = Fb
2-2
Essendo la forza espressa in newton [N] e la distanza in metri [m], il momento di una forza sarà espresso in newton-metro [N⋅m]. Il verso della direzione del momento M O è definito dal senso di rotazione che porta (Figura 2.19) il vettore r in linea con il vettore F: tale rotazione deve essere vista come antioraria da un osservatore che ha la testa al livello della punta di M O. Un altro modo di definire il verso del momento è basato sulla regola della mano destra (Figura 2.20):
2.6. – MOMENTO DI UNA FORZA
MO MO
F
β r
O
α
F
A
b B
O
Fig. 2.19 - Rappresentazione generale del momento MO della forza F rispetto al punto O.
r
α
Fig. 2.20 - Regola del pollice della mano destra per stabilire il verso del momento.
chiudendo la mano destra in modo tale che le dita siano piegate facendo una curva nel senso della rotazione che F dovrebbe impartire al corpo rigido attorno alla retta d’azione di M O, il pollice indicherà il verso del momento M O. Nel caso in cui la forza F avesse verso opposto a quello indicato nella Figura 2.19, allora la rotazione e il verso del vettore momento sarebbero opposti a quelli indicati in figura; analogo risultato si sarebbe ottenuto applicando la regola della mano destra, con il pollice rivolto, nel caso di rotazione oraria, verso il basso. Nelle strutture piane (bidimensionali) è possibile trascurare una dimensione (la profondità) rispetto alle altre due dimensioni (lunghezza e larghezza): queste strutture possono perciò essere rappresentate su un foglio, come la piastra della Figura 2.21 soggetta alla forza F, contenuta nel piano. Il momento di F rispetto a un punto O, scelto sul piano della figura, è rappresentato dal vettore M O perpendicolare al foglio e di intensità Fb. Nel caso della Figura 2.21-a il vettore M O esce dal foglio, mentre nel caso della Figura 2.21-b entra nel foglio; guardando la figura, si osserva che nel primo caso la forza F dà luogo ad una rotazione antioraria (fi), mentre nel secondo caso la rotazione è oraria (fl). Nei problemi piani si può allora rappresentare sem-
a
MO F
b MO
b O
b O
F
Fig. 2.21 - Rappresentazione convenzionale semplificata del momento nel caso di una forza che agisce su una piastra, tipica struttura bidimensionale. 䡵 a) Il vettore momento MO, di direzione perpendicolare al foglio, ha verso uscente dal foglio. All’intensità del momento viene associato il segno positivo (+) quando la forza genera una rotazione di verso antiorario: MO = + Fb. 䡵 b) Il vettore momento MO, di direzione perpendicolare al foglio, ha verso entrante nel foglio. All’intensità del momento viene associato il segno negativo (–) quando la forza genera una rotazione di verso orario: MO = – Fb.
37
38
CAPITOLO 2. – FORZE E MOMENTI
F||
A
α
Parallela ad
plicemente il momento facendo riferimento al senso di rotazione di F rispetto ad O: ad esempio, M O = 300 N⋅m fl indicherà un momento di 300 newton-metro orario con il vettore momento entrante nel foglio. Nel caso in cui si debba operare su più momenti (Paragrafo successivo) occorre stabilire una convenzione di segno che associa all’intensità M O il segno positivo (+ Fb) in presenza di rotazione antioraria (fi) oppure negativo (– Fb) nel caso di rotazione oraria (fl): si ottengono così degli scalari che possono essere sommati algebricamente tra loro.
a
F⊥
F B b a
O
Retta a
Fig. 2.22 - Determinazione del momento assiale Ma della forza F rispetto alla retta di direzione a (a ne indica il verso). Si costruisce un piano perpendicolare ad a: sia O la sua intersezione con l’asse a e A la sua intersezione con la retta d’azione di F. Si scompone la forza F nelle due componenti F|| ed F⊥ rispettivamente parallela e perpendicolare ad a. Al contrario di F||, la componente normale F⊥ tende a mettere in rotazione il corpo attorno all’asse a.
Il momento di una forza F rispetto ad un asse, di solito asse di rotazione di un corpo rigido, si ottiene considerando (Figura 2.22) la componente F⊥ della forza F perpendicolare all’asse, che tende a generare una rotazione del corpo tanto maggiore quanto più grande è F e quanto maggiore è la sua distanza b dall’asse a. Essendo F⊥ = F cos α, con α angolo tra la forza F e la sua componente normale F⊥, il momento assiale Ma della forza F rispetto all’asse è dato da Ma = F⊥b = Fb cos α.
Esempio 2. 4 Momento di una forza rispetto a un punto All’estremità di una leva, lunga r = 600 mm e inclinata dell’angolo β = 60° rispetto all’orizzontale, è applicata una forza verticale di intensità Fv = 1 kN (Figura 2.23-a). Determinare: a) il momento M O della forza verticale Fv rispetto al punto O; b) l’intensità Fo di una forza orizzontale Fo che, applicata nel punto A, generi, rispetto ad O, lo stesso momento di quello prodotto dalla forza verticale Fv; c) l’intensità della più piccola forza che, applicata in A, dia luogo allo stesso momento rispetto ad O.
SOLUZIONE a) Si calcola prima (A.3-4) il braccio b = r cos β e poi (2-2) l’intensità MO del momento generato dalla forza Fv = 1 kN = 1000 N rispetto al punto O (Figura 2.23-b). Il vettore momento M O, di direzione perpendicolare al piano della figura, ha verso entrante nel foglio poiché la forza tende a imprimere una rotazione di senso orario: b = r cos β = 0,6 m × cos 60° = 0,6 m × 0,5 = 0,3 m MO = Fvb = 1000 N × 0,3 m = 300 N⋅m
⇒
M O = 300 N⋅m fl
䉳
b) La forza orizzontale Fo ha, rispetto ad O, un braccio bo (Figura 2.23-c) dato da (A.3-3): b = r sen β = 0,6 m × sen 60° = 0,6 m × 0,866 = 0,52 m Si impone che il momento della forza orizzontale Fo rispetto ad O conservi la stessa intensità (300 N⋅m) di quella ottenuta con la forza verticale Fv (Figura 2.23-c): M O = Fob = 300 N⋅m
⇒
Fo =
300 N⋅m = 576,9 0,52 m
⇒
Fo = 576,9 N →
䉳
2.7. – TEOREMA DI VARIGNON
a
b
A
60
60
0m
0m
m
m
A
Fv
r=
r=
Fv = 1 kN
β = 60°
β = 60° MO
O
90°
d
FO
00 =6
F
≡r
A
b⊥
β = 60° MO
b = r sen β
r=
60
0m
m
A
b = r cos β
mm
c
O
MO
O
O
Fig. 2.23 - Leva trattata nell’Esempio 2.4. 䡵 a) Dimensioni e condizioni di carico della leva. 䡵 b) Calcolo del momento rispetto ad O della forza verticale Fv. 䡵 c) Calcolo del momento rispetto ad O della forza orizzontale Fo. 䡵 d) Determinazione della forza più piccola F.
c) Dovendo rimanere costante il valore del momento MO , la forza F raggiunge il valore minimo quando il braccio è massimo e cioè quando coincide con la lunghezza della leva (b⊥ ≡ r = 600 mm), mentre la forza risulta perpendicolare ad r (Figura 2.23-d ): F⊥ b⊥ = 300 N⋅m
2. 7
⇒
300 N⋅m = 500 N 0,6 m
F⊥ =
⇒
F = 500 N 8 30°
䉳
TEOREMA DI VARIGNON Si immagini che nel punto A della cassa della Figura 2.24 siano applicate le forze F1 ed F2, aventi i bracci b1 e b2 rispetto al punto O; la risultante R di queste due forze ha invece il braccio b rispetto ad O; per il teorema di Varignon2.7, il momento della risultante rispetto ad O (MO = Rb) è uguale alla somma dei momenti delle due forze rispetto al punto O (M1O = F1b1 ed M2O = F2b2 ): MO = Rb = F1b1 + F2 b2. Considerando un sistema di n forze complanari, si può scrivere, in forma sintetica, che il momento della risultante Rb rispetto ad O è uguale alla sommatoria (simbolo Σ) del prodotto della generica forza Fi per il proprio braccio bi rispetto ad O: Rb =
2.7 - Il teorema di Varignon, dal matematico francese Pierre Varignon (16541722), afferma che il momento rispetto ad un dato punto O della risultante di più forze concorrenti nello spazio è uguale alla somma dei momenti delle varie forze rispetto allo stesso punto O.
∑ Fb
i i
Nel caso di forze complanari, esso si può ancora applicare ad ogni passo della composizione delle forze (le prime due forze tra loro, quindi la loro risultante con la terza e così via) e quindi il teorema di Vari gnon vale anche per i sistemi di forze complanari.
2-3
Nel caso invece della coppia di forze (Paragrafo 2.8), non si può più applicare in quanto, non esistendo la risultante di una coppia (R = 0 e mancanza della retta d’azione), non si può conoscere la distanza b di R e il prodotto Rb risulta indeterminato.
39
CAPITOLO 2. – FORZE E MOMENTI
F2
a
F2
b
R
R
A
A
F1
F1 b b1 b2
O
O
Fig. 2.24 - 䡵 a) Cassa da imballaggio sollecitata dalle forze F1 ed F2, di risultante R. 䡵 b) Braccio dei momenti delle forze F1 ed F2 e della risultante R rispetto al punto O.
Esempio 2. 5 Calcolo del momento attraverso le componenti Determinare il momento MO della forza F rispetto al punto O risolvendola in componenti tali da facilitare il calcolo del momento relativamente alle condizioni di carico presentate: a) nella staffa di Figura 2.25-a; b) nella leva di Figura 2.26-a.
a
y
b
Fy
F A
α = 60°
115 mm
F F
α = 60°
A
A bx = 0,115 m
O
α = 60° 30° r = 0,23 m O 30°
Fx
bx = 0,115 m
O
y
c
x by = 0,2 m
200 mm
x by = 0,2 m
MO
MO
Fig. 2.25 - Staffa trattata nella prima domanda dell’Esempio 2.5. 䡵 a) Forza F di intensità pari a 1000 N applicata all’estremità A della staffa. 䡵 b) Calcolo del momento dopo aver risolto la forza nelle sue componenti rettangolari dirette secondo gli assi x e y. 䡵 c) Verifica del teorema di Varignon.
a
b β = 20° A
F|| A
F
1m
γ = 40°
α = 70° γ = 40° F⊥
b 50°
O
F
⊥
=
1m
40
MO O
Fig. 2.26 - Leva trattata nella seconda domanda dell’Esempio 2.5. 䡵 a) Forza F di intensità pari a 120 N applicata all’estremità A della leva. 䡵 b) Risoluzione della forza F nelle due componenti, l’una diretta secondo l’asse della leva (F||) e l’altra perpendicolare all’asse (F⊥).
2.7. – TEOREMA DI VARIGNON
SOLUZIONE a) Si risolve la forza F nelle sue due componenti rettangolari Fx ed Fy (Figura 2-25): Fx = + F cos α = + 1000 N × cos 60° = + 1000 N × 0,5 = + 500 N
⇒
Fy = + F sen α = + 1000 N × sen 60° = + 1000 N × 0,866 = + 866 N
Fx = 500 N →
⇒
Fy = 866 N ↑
La forza F è la risultante di Fx ed Fy e il problema può essere trattato con il teorema di Varignon (equazione 2-3). Le forze Fx ed Fy danno luogo ad una rotazione oraria rispetto ad O e quindi i loro momenti sono negativi (convenzione di Figura 2.21): MO = – Fxbx – Fyby = – (500 N × 0,115 m) – (866 N × 0,2 m) = – 230 N⋅m Il momento M O di F rispetto ad O è un vettore di direzione perpendicolare al piano della figura e con verso entrante nel foglio in quanto, essendo negativo lo scalare che rappresenta il momento (– 230 N⋅m), la rotazione ha senso orario: M O = 230 N⋅m fl
䉳
b) La forza F viene risolta in una componente parallela F|| e in una componente perpendicolare F⊥ alla leva (Figura 2.26-b). Mentre il momento di F|| rispetto ad O è uguale a zero in quanto la sua retta d’azione passa per O, la componente normale F⊥ ha un braccio pari alla lunghezza della leva (b⊥ = 1 m). A.3-4:
F⊥ = F cos 70° = 120 N × 0,342 = 41 N
F⊥ = 41 N 8 40°
⇒
MO = – F⊥b⊥ = – (120 N × 1 m) = – 120 N⋅m
M O = 120 N⋅m fl
⇒
䉳
COMMENTI Nella Figura 2.25-c la forza F è perpendicolare ad r, distanza di A dal polo O; r è perciò il braccio b della forza: A.3-2: 2-2:
r =
(0,115 m)2 + (0,2 m)2 =
0,0132 m 2 + 0,04 m 2 =
0,0532 m 2 = 0,23 m
MO = – Fb = – (1000 N × 0,23 m) = – 230 N⋅m
Questo valore, momento di F rispetto ad O, coincide con quanto era stato trovato nella risposta alla prima domanda dell’esempio, facendo il momento delle due componenti Fx ed Fy rispetto ad O. In tal modo si è verificato il teorema di Varignon che afferma che il momento della risultante (la forza F) rispetto al punto O è uguale alla somma dei momenti delle due componenti Fx ed Fy rispetto allo stesso punto O.
Esempio 2. 6 Posizione della risultante di forze parallele Utilizzare il teorema di Varignon per determinare la posizione b del vettore risultante R di: a) forze complanari parallele concordi (Figura 2.27-a); b) forze complanari parallele discordi (Figura 2.27-b).
SOLUZIONE a) Assunte come forze positive quelle orientate nel verso positivo dell’asse y [¶], la somma algebrica delle quattro forze parallele concordi dà un valore negativo (– 6 kN); anche il vettore risultante R è perciò orientato verso il basso (verso negativo dell’asse y): R = – 1 kN – 1,5 kN – 2 kN – 1,5 kN = – 6 kN
⇒
R = 6 kN ↓
41
CAPITOLO 2. – FORZE E MOMENTI
a
F5 = 100 N
F4 = 200 N
b 2 = 2,5 m
F3 = 150 N
F2 = 100 N
F1 = 200 N
F3 = 2 kN
F4 = 1,5 kN
b2 = 1 m
F2 = 1,5 kN
b
F1 = 1 kN
42
R
b 3 = 2,5 m
b 3 = 3,5 m
b=?m
b=?m
b 4 = 4,5 m
b 4 = 5,5 m O
O
b5 = 7 m
R
Fig. 2.27 - 䡵 a) Forze complanari parallele concordi F1 = 1 kN ↓, F2 = 1,5 kN ↓, F3 = 2 kN ↓ e F4 = 1,5 kN ↓. 䡵 b) Forze complanari parallele discordi F1 = 200 N ↓, F2 = 100 N ↑, F3 = 150 N ↓, F4 = 200 N ↓ e F5 = 100 N ↑.
Il punto O, rispetto al quale vanno calcolati i momenti, viene scelto arbitrariamente sulla retta d’azione della forza F1 (Figura 2.27-a): essendo così nullo il braccio (b1 = 0), il momento di F1 risulta uguale a zero (F1b1 = 0). Si ignora la posizione della risultante; si fa allora l’ipotesi che la retta d’azione della risultante R si trovi alla distanza b da O: è questa l’incognita del problema. Nell’applicare il teorema di Varignon (2-3) si ricorda che (convenzione di Figura 2.21) i momenti vanno assunti positivi se di verso antiorario [ £]: − Rb = ΣFi bi = 0 − F2b2 − F3b3 − F4b4 b=
⇒
Rb = F2b2 + F3b3 + F4b4
⇒
1,5 kN × 1 m + 2 kN × 2,5 m + 1,5 kN × 4,5 m 13,25 kN⋅m F2b2 + F3b3 + F4b4 = = = 2,2 m 䉳 6 kN 6 kN R Il valore positivo di b indica che la posizione ipotizzata inizialmente per la risultante, a destra di O, è corretta; un valore negativo di b avrebbe invece indicato che occorreva spostare la retta d’azione della risultante dalla parte opposta di O, rispetto a quanto era stato ipotizzato inizialmente, in modo da ristabilire una rotazione corretta del momento generato dalla risultante. Se, ad esempio, si fosse ipotizzata la risultante passare alla sinistra di O, il momento della risultante sarebbe risultato + Rb, perché di senso antiorario, e il calcolo avrebbe fornito b = – 2,2 m evidenziando che la retta d’azione della risultante deve invece passare a destra di O in modo da generare un momento orario.
b) Sulla Figura 2.27-b è mostrata la disposizione delle forze parallele discordi, cioè non tutte orientate nello stesso modo. ¶ R = – 200 N + 100 N – 150 N – 200 N + 100 N = – 350 N £ − Rb = ΣFi bi = 0 + F2b2 − F3b3 − F4b4 + F5b5 b=
⇒
⇒
R = 350 N ↓
Rb = – F2b2 + F3b3 + F4b4 – F5b5
⇒
− F2b2 + F3b3 + F4b4 − F5b5 − 100 N × 2,5 m + 150 N × 3,5 m + 200 N × 5,5 m − 100 N × 7 m = = 1,93 m 䉳 350 N R
2.7. – TEOREMA DI VARIGNON
Esempio 2. 7 Momento risultante di un sistema di forze piano a
La trave della Figura 2.28-a è caricata con le forze F1, F2, F3 ed F4 di intensità F1 = 650 N, F2 = 500 N, F3 = 1700 N ed F4 = 250 N. Determinare il momento risultante M RA delle forze rispetto al punto A.
y
F4 = 250 N F4 = 250 N
b4I = 2,85 m
F3 = 1,7 kN
8
b4II = 4,35 m
x
SOLUZIONE
15
A
Il momento risultante MR rispetto ad un dato punto di un sistema piano di forze ha 12 3 come direzione la direzione comune di tutti 5 F2 = 500 N i momenti componenti, che è quella della F1 = 650 N perpendicolare al piano delle forze, e come 1,2 m 2,4 m 3m 1,8 m valore la somma algebrica dei momenti di tutte le forze rispetto allo stesso punto. Per rendere più semplice la ricerca del mob F3 α = 28,1° mento generato da tutte le forze che agi3 F3 y scono sulla trave della Figura 2.28-a rispetto al punto A, conviene applicare il F1x F3x F2x A teorema di Varignon (2-3) risolvendo le forze inclinate (F1, F2 ed F3) nelle due comα 2 = 53,1° α 1 = 67,4° F2y ponenti rettangolari, orientata l’una (Fx ) F2 F1 y secondo l’asse x che è l’asse della trave F1 principale, e l’altra (Fy ) secondo l’asse y. Tutte le componenti dirette secondo l’asse x non producono momento in quanto, pasFig. 2.28 - Ricerca dei momenti generati dai carichi applicati alla trave sando per il punto A, hanno braccio nullo; dell’Esempio 2.7. le componenti delle forze lungo y hanno 䡵 a) Condizioni di carico della trave. invece per braccio la distanza tra il punto di 䡵 b) Risoluzione di ciascuna forza inclinata nelle due componenti rettangoapplicazione della forza relativa e il punto lari Fx ed Fy. A, braccio che può quindi essere letto immediatamente sul disegno. Per poter scomporre ciascuna forza nella componente Fy (è infatti inutile ricavare l’altra componente Fx che non dà contributo al momento) si utilizzano le pendenze indicate dai triangolini posti sotto ciascuna forza seguendo le formule A.3-7 che (Figura A.3.5-b dell’Appendice) danno il cateto verticale a (cioè Fy ) in funzione del valore dell’ipotenusa b (cioè F) e dei numeri m (quota verticale) ed n (quota orizzontale) posti accanto alla retta d’azione di ciascuna forza. 4
F2 y = 4
F3 y = 8
650 N 2
5 + 12
500 N 2
3 +4
=4
15 + 8
650 N
500 N
13
=4
500 N
=8
1700 N 289
=4
5
=8
1700 N 17
= 12
2
2
25
2
650 N
= 12
169
2
1700 N 2
= 12 2
2
650 N = 12 × 50 N = 600 N 13
500 N = 4 × 100 N = 400 N 5
=8
1700 N = 8 × 100 N = 800 N 17 £
F1y = 12
Si applica la convenzione di segno dei momenti: positivo se senso di rotazione antiorario [ ] oppure negativo se orario [æ].
43
44
CAPITOLO 2. – FORZE E MOMENTI
– F1yb1 – F2yb2 + F3yb3 + F4b4I – F4b4II
= = = = =
– (600 N × – (400 N × + (800 N × + (250 N × – (250 N ×
1,2 m) = – 720 N⋅m 2,4 m) = – 960 N⋅m 6,6 m) = + 5280 N⋅m 2,85 m) = + 712,5 N⋅m 4,35 m) = – 1087,5 N⋅m + 3225,0 N⋅m
M AR = + 3225 N⋅m
⇒
M RA = 3225 N⋅m fi
䉳
I valori delle componenti Fy potevano anche essere calcolati applicando l’espressione A.3-3 del seno dopo aver ricavato gli angoli (Figura 2.28-b) con la definizione A.3-5 di tangente.
COMMENTI Come verrà spiegato nel paragrafo successivo, le due forze F4 aventi rette d’azione parallele e verso opposto danno origine ad una coppia. La caratteristica principale delle coppie è che il loro momento, dato dal prodotto di una delle due forze per la loro distanza {– [250 N × 1,5 m] = – 375 N⋅m} è lo stesso rispetto a qualsiasi punto. Questo valore è infatti uguale al momento delle due forze rispetto al punto A: + F4b4I – F4b4II = + 712,5 N⋅m – 1087,5 N⋅m = – 375 N⋅m.
2. 8
COPPIA DI FORZE Due forze F e – F, aventi stessa intensità, rette d’azione parallele e versi opposti, formano una coppia (Figura 2.29-a). La risultante della coppia è nulla poiché la somma delle due forze lungo qualsiasi direzione è uguale a zero; al contrario, la somma dei momenti delle due forze rispetto ad un punto determinato non è nulla: l’intensità del momento M rispetto al punto O (Figura 2.29-b) è data da: M = + F (b + d) – Fd = Fb 2-4
a M
–F
F
b
–F
c
b M O O′
d′ + b d′
d+b d b
–F
F M
F
Fig. 2.29 - 䡵 a) Coppia di forze. 䡵 b) L’intensità del momento di una coppia di forze non dipende dal punto rispetto al quale viene calcolato. 䡵 c) Le dita piegate della mano destra accompagnano l’effetto di rotazione di F e di – F nel loro piano, mentre il pollice indica il verso dell’asse di rotazione della coppia.
2.9. – COPPIA DI TRASPORTO E SISTEMI EQUIVALENTI
Se, al posto della distanza d che figura in questa formula, si fosse considerata la nuova distanza d′ relativa ad un diverso punto O′ rispetto al quale calcolare il momento, si sarebbe ottenuto ancora Fb: il momento di una coppia è lo stesso rispetto a qualsiasi punto. La coppia di forze risulta così un vettore libero2.1 (può cioè essere applicato a qualsiasi punto) di direzione perpendicolare al piano definito dalle rette d’azione delle due forze (Figura 2.29-a) e di verso definito dalla regola della mano destra (Figura 2.29-c). Dalla definizione di momento di una coppia si ricava che due coppie, una costituita dalle forze F1 e – F1 e l’altra dalle forze F2 e – F2 (Figura 2.30-a) avranno momenti uguali M se hanno uguale intensità (F1b1 = F2b2) e se le due coppie giacciono in piani paralleli (oppure nello stesso piano) e hanno lo stesso verso. Diremo equivalenti le tre coppie della Figura 2.30-b oppure quelle della Figura 2.30-c, che hanno tutte:
–F1
b1
–F2
– la stessa intensità pari a 120 N⋅m; – forze le cui rette d’azione, giacendo nello stesso piano o in piani paralleli, determinano una stessa direzione del momento (in questo caso quella dell’asse y); – lo stesso senso di rotazione antiorario che determina l’orientamento della direzione del momento nel verso dell’asse y positiva.
F1
F2
b2
Di conseguenza, una coppia può venire: – trasformata in un’altra di uguale intensità; – può venire trasportata dal suo piano in altri piani paralleli; – può essere fatta traslare oppure ruotare nel suo piano.
Fig. 2.30-a - Due coppie aventi lo stesso momento M sono equivalenti.
y
b
y
M
y
M
M 300 N
300 N
x
300 N x
x
0,4 m 200 N 0,6 m
300 N 200 N z
z
z
c
120 N
30 N
1m
5 m
4m
0,4 m
24 N
24 N 120 N
30 N
Fig. 2.30 - 䡵 b) Esempio di coppie aventi lo stesso momento M: intensità pari a 120 N⋅m, direzione perpendicolare al piano definito dagli assi x e z, verso nel senso dell’asse y positiva. 䡵 c) Esempio di coppie costituite da forze le cui rette d’azione giacciono sul piano della pagina; ciascuna delle tre coppie vale 120 N⋅m antiorario.
2. 9
COPPIA DI TRASPORTO E SISTEMI EQUIVALENTI Una forza F (Figura 2.31-a) agisce su un corpo rigido nel punto A distante b da un punto O; si vuole far agire la forza nel punto O. La forza F può essere fatta scorrere lungo la sua retta d’azione2.5; ma la forza non può venire spostata dalla retta d’azione originale fino al punto O senza
45
46
CAPITOLO 2. – FORZE E MOMENTI
a
c
b
MO O
O –F
=
b A
F
b
O
F
=
F
A
F
A
Fig. 2.31 - Sistema forza-coppia. 䡵 a) Forza che agisce nel punto A del corpo rigido; il piano rappresentato in prospettiva può essere quello della pagina del libro. 䡵 b) Nel punto O vengono applicate le due forze F e – F. 䡵 c) Nel punto O sono adesso applicati i vettori forza F e coppia M O equivalenti alla forza F applicata originariamente in A; essendo i due vettori tra loro perpendicolari, la forza F giace nel piano del foglio, mentre la coppia, di senso antiorario e di intensità pari a Fb, è un vettore che esce dal foglio.
modificare in modo sostanziale la sua azione sul corpo rigido. È tuttavia possibile applicare, nel punto O, due forze, l’una uguale a F e l’altra uguale a – F, senza modificare2.3 l’azione della forza originale sul corpo rigido (Figura 2.31-b). Risultato di questa trasformazione è che adesso nel punto O è applicata una forza F, mentre le altre due forze formano una coppia di momento MO = Fb. Ne segue che una forza qualsiasi F, che agisce su un corpo rigido, può essere spostata fino ad un punto O arbitrario, purché venga aggiunta una coppia, detta coppia di trasporto, di momento uguale al momento di F rispetto ad O. La coppia tende ad impartire al corpo rigido quello stesso movimento di rotazione rispetto ad O che la forza F tendeva a produrre prima di venire trasferita dal punto A al punto O. La coppia è rappresentata dal vettore coppia M O perpendicolare al piano che contiene b ed F. Essendo M O un vettore libero può venire applicato in qualsiasi punto; di solito si preferisce tuttavia applicare il vettore coppia nel punto O insieme con la forza F: la combinazione così ottenuta (Figura 2.31-c) costituisce un sistema forza-coppia. Anche un sistema di più forze agenti su un corpo rigido può essere ridotto a un sistema forzacoppia riferito a un punto O qualsiasi; trattandosi di più forze, occorre (Figura 2.32) calcolare la forza risultante R, sommando le componenti rettangolari della forze lungo l’asse x (ΣFx ) e le componenti rettangolari lungo l’asse y (ΣFy ), e il momento risultante della coppia M OR, sommando i momenti di tutte le forze rispetto ad O (ΣMO). Il nuovo sistema equivalente forza-coppia caratterizza completamente l’effetto di tutte le forze agenti sul corpo rigido. Due sistemi S1 ed S2 di forze, appartenenti al piano x-y, sono perciò equivalenti quando possono venire ridotti allo stesso sistema forza-coppia riferito ad O: ciò si esprime scrivendo che la somma delle componenti rettangolari delle forze lungo x e y e dei momenti rispetto ad O 2.8 è uguale per i due sistemi S1 ed S2:
[∑ F ] = [∑ F ] x
1
2.8 - Per provare che i due sistemi S1 ed S2 di forze sono equivalenti, l’equazione che esprime l’uguaglianza dei momenti
x
2
[∑ F ] = [∑ F ] y
1
y
2
viene scritta rispetto al punto O. Tuttavia, se i due sistemi 1 e 2 sono equivalenti,
[∑ M ] = [∑ M ] O
1
O
2-5 2
l’uguaglianza dei momenti vale rispetto a qualsiasi altro punto.
2.9. – COPPIA DI TRASPORTO E SISTEMI EQUIVALENTI
a
y
b
y F2y
y
F2 O
x
Ry
z A2 F1y
F1
F2x x
O A3
F1x
A1
F3y
R
=
M OR O
Rx
x
F3x
F3
Fig. 2.32 - Riduzione di un sistema di tre forze complanari ad una forza R e ad una coppia risultante MOR riferite al punto O. 䡵 a) Sistema di tre forze risolte nelle rispettive componenti secondo gli assi x e y. R 䡵 b) Riduzione del sistema di tre forze a risultante R e coppia risultante M O riferite al punto O.
È possibile passare da un sistema S1 di vettori ad un sistema equivalente S2 applicando ai vettori di S1 la traslazione lungo la propria retta d’azione 2.5 e la regola del parallelogramma. La somma delle componenti delle forze secondo x e y misura la tendenza del sistema ad impartire al corpo rigido un movimento di traslazione nelle direzioni rispettivamente di x e di y; analogamente, la somma dei momenti delle componenti Fx ed Fy rispetto ad O misura la tendenza del sistema ad impartire al corpo rigido un movimento di rotazione rispetto all’asse z, passante per O e perpendicolare al piano x-y. Due sistemi di forze complanari equivalenti tendono perciò ad impartire al corpo rigido: a) la stessa traslazione nella direzione dell’asse x; b) la stessa traslazione nella direzione dell’asse y; c) la stessa rotazione attorno al punto O, origine degli assi.
Esempio 2. 8 Sostituzione di una coppia e di una forza con un’unica forza equivalente La leva della Figura 2.33-a è soggetta alla coppia costituita da due forze di intensità pari a 240 N, applicate ad un disco di diametro 120 mm con centro O, e alla forza F = 430 N ↓ applicata in A. Questa coppia e questa forza vanno sostituite da un’unica forza, sempre di intensità pari a 430 N. Determinare la distanza, tra O e il nuovo punto di applicazione B, dell’unica forza equivalente al sistema assegnato.
r=
28 0
mm
A
F 240 N α = 60°
SOLUZIONE
O
Sono assegnate la forza F = 430 N ↓ e la coppia M = 28,8 N⋅m fl di momento (2-4) M = – Fb = – [240 N × 0,12 m] = – 28,8 N⋅m, essendo b pari al diametro del disco di 120 mm. Il problema si può risolvere nei due modi che seguono:
Fig. 2.33-a - Forze applicate alla leva.
a) Si porta F dal punto A fino al punto O; si calcola il momento complessivo dato dalla somma del momento della coppia di trasporto e del momento della coppia assegnata; infine si determina a quale distanza da O occorre spostare la forza F lungo la leva in modo da annullare il momento complessivo (Figura 2.33-b).
240 N
47
48
CAPITOLO 2. – FORZE E MOMENTI
b
B
A
F
=
= – 28,8 N⋅m
– 28,8 N⋅m
F
= – 89 N⋅m
α = 60° O
O
O
O – 60,2 N⋅m
b = 140 mm F
c
F
– 28,8 N⋅m
A
B A
A
F
=
F
F
=
– 28,8 N⋅m
α = 60° O
O
O
b = 140 mm
Fig. 2.33 - 䡵 b) I diversi passaggi necessari per risolvere l’Esempio con il primo metodo. 䡵 c) I diversi passaggi necessari per risolvere l’Esempio con il secondo metodo.
Si calcola il momento (fl) della coppia di trasporto affinché si possa applicare la forza F nel punto O: A.3-4: 2-2:
b = r cos β = 280 mm × cos 60° = 280 mm × 0,5 = 140 mm = 0,14 m MO = – Fb = – (430 N × 0,14 m) = – 60,2 N⋅m
La somma di questa coppia e della coppia assegnata dà una coppia risultante di momento complessivo M pari a: M = – 60,2 N⋅m – 28,8 N⋅m = – 89 N⋅m Nel punto O esiste adesso un sistema forza-coppia rappresentato da F = 430 N ↓ e da M = 89 N⋅m fl. Quest’ultima coppia può essere eliminata portando la forza F dal punto O ad un nuovo punto di applicazione B distante una lunghezza OB tale da generare un momento Fb in grado di eliminare il momento della coppia: − 89 N ⋅m = − Fb = − (430 N × OB cos 60°) = − (430 N × OB × 0,5) OB =
89 N ⋅m 89 N ⋅m = = 0,414 m = 414 mm 430 N × 0,5 215 N
⇒ 䉳
b) Si porta M in A, dove è applicata F, concentrando così in A la forza e la coppia; si sposta poi la forza dal punto A lungo la leva fino ad un nuovo punto in cui il momento della forza rispetto ad A diviene uguale al momento da eliminare (Figura 2.33-c). Rimanendo invariato rispetto a qualsiasi punto il momento di una coppia, la coppia M = 28,8 N⋅m fl può venire spostata dal punto O al punto A, dove è applicata F. Adesso, nel punto A è presente un sistema forza-coppia dato da F = 430 N ↓ e da M = 28,8 N⋅m fl . Questa coppia può essere eliminata
2.9. – COPPIA DI TRASPORTO E SISTEMI EQUIVALENTI
portando la forza F dal punto A ad un nuovo punto di applicazione B distante una lunghezza AB tale da generare un momento Fb in grado di eliminare il momento della coppia: − 28,8 N ⋅m = − Fb = − (430 N × AB cos 60°) = − (430 N × AB × 0,5) AB =
⇒
28,8 N ⋅m 28,8 N ⋅m = = 0,134 m = 134 mm 430 N × 0,5 215 N
䉳
Per ottenere la lunghezza complessiva OB occorre aggiungere alla lunghezza r = 280 mm, tra O ed A, la lunghezza AB = 134 mm appena trovata (OB = 280 mm + 134 mm = 414 mm), riottenendo così il valore ricavato con il primo metodo.
Esempio 2. 9 Sistemi equivalenti di forze Tra le varie condizioni di carico applicate alla trave della Figura 2.34, determinare quali casi possono essere considerati appartenere a sistemi di forze equivalenti.
a
c
b
300 N 3m
200 N
300 N
500 N
d
200 N 400 N⋅m
B
A 400 N⋅m
400 N⋅m
400 N⋅m 200 N 300 N
e
800 N
g
f
800 N
h 300 N
300 N 200 N
200 N
400 N⋅m
400 N⋅m
1000 N⋅m
400 N⋅m
500 N⋅m
1000 N⋅m
300 N
200 N⋅m
300 N
Fig. 2.34 - Condizioni di carico diverse di una trave lunga 3 m (Esempio 2.9); i sistemi di forze considerati sono soltanto quelli rappresentati dai carichi, prescindendo da qualsiasi considerazione sull’equilibrio della trave.
SOLUZIONE Essendo le forze tutte verticali (dirette secondo y), non si considera ΣFx = 0, prima equazione delle 2-5, in quanto risulta identicamente verificata per tutti i sistemi. Dal momento che l’uguaglianza dei momenti, terza equazione delle 2-5, è vera rispetto a un qualsiasi punto del piano x-y (vedere i Commenti dell’Esempio), i momenti vengono calcolati rispetto al punto A, estremo di sinistra della trave. Sistema S1 (Figura 2.34-a): ¶ ΣFy = – 300 N – 200 N = – 500 N £ ΣMA = – 400 N⋅m – (200 N × 3 m) = – 1000 N⋅m Sistema S2 (Figura 2.34-b) ¶ ΣFy = + 200 N + 300 N = + 500 N £ ΣMA = – 400 N⋅m + (300 N × 3 m) = + 500 N⋅m
49
50
CAPITOLO 2. – FORZE E MOMENTI
Sistema S3 (Figura 2.34-c) ¶ ΣFy = – 200 N – 300 N = – 500 N £ ΣMA = + 400 N⋅m – (300 N × 3 m) = – 500 N⋅m Sistema S4 (Figura 2.34-d) ¶ ΣFy = – 500 N = – 500 N £ ΣMA = + 400 N⋅m – (500 N × 3 m) = – 1100 N⋅m Sistema S5 (Figura 2.34-e) ¶ ΣFy = + 300 N – 800 N = – 500 N £ ΣMA = + 400 N⋅m + 1000 N⋅m – (800 N × 3 m) = – 1000 N⋅m Sistema S6 (Figura 2.34-f) ¶ ΣFy = – 300 N – 200 N = – 500 N £ ΣMA = + 400 N⋅m – (200 N × 3 m) = – 200 N⋅m Sistema S7 (Figura 2.34-g) ¶ ΣFy = – 800 N + 300 N = – 500 N £ ΣMA = – 1000 N⋅m – 400 N⋅m + (300 N × 3 m) = – 500 N⋅m Sistema S8 (Figura 2.34-h) ¶ ΣFy = – 200 N – 300 N = – 500 N £ ΣMA = + 500 N⋅m + 200 N⋅m – (300 N × 3 m) = – 200 N⋅m Risultano allora sistemi di forze equivalenti: S1 e S5 (Figure 2.34-a e 2.34-e),
ΣFy = – 500 N
ΣMA = – 1000 N⋅m
䉳
S3 e S7 (Figure 2.34-c e 2.34-g),
ΣFy = – 500 N
ΣMA = – 500 N⋅m
䉳
S6 e S8 (Figure 2.34-f e 2.34-h),
ΣFy = – 500 N
ΣMA = – 200 N⋅m
䉳
COMMENTI Se due sistemi di forze sono equivalenti, la seconda equazione delle 2-5 che impone l’uguaglianza dei momenti risulta verificata anche se il momento delle forze viene calcolato rispetto ad un altro punto2.8. Si prenda, ad esempio, l’estremo destro B della trave al posto di A: Sistema S1 (Figura 2.34-a) £ ΣMB = – 400 N⋅m + (300 N × 3 m) = + 500 N⋅m Sistema S5 (Figura 2.34-e) £ ΣMB = + 400 N⋅m + 1000 N⋅m – (300 N × 3 m) = + 500 N⋅m Sistema S3 (Figura 2.34-c) £ ΣMB = + 400 N⋅m + (200 N × 3 m) = + 1000 N⋅m Sistema S7 (Figura 2.34-g) £ ΣMB = – 1000 N⋅m – 400 N⋅m + (800 N × 3 m) = + 1000 N⋅m Sistema S6 (Figura 2.34-f) £ ΣMB = + 400 N⋅m + (300 N × 3 m) = + 1300 N⋅m Sistema S8 (Figura 2.34-h) £ ΣMB = + 500 N⋅m + 200 N⋅m + (200 N × 3 m) = + 1300 N⋅m
2.10. – SOMMARIO
2. 10
SOMMARIO Una forza rappresenta l’azione di un corpo su un altro corpo. Le forze sono dei vettori definiti da punto di applicazione, intensità e direzione orientata (es.: F = 5 kN ↑); la loro somma si basa sulla legge del parallelogramma. Gli scalari invece sono definiti da un numero preceduto da un segno e seguito dall’unità di misura della quantità fisica considerata (es.: T = + 100 °C); la somma degli scalari si effettua con le normali regole dell’algebra ordinaria. La forza F, che agisce in un punto A, può venire sostituita (scomposizione) con due o più forze (componenti) che, insieme, hanno lo stesso effetto. La risultante della somma di più forze, ad esempio 3, si esprime con l’equazione vettoriale R = F1 + F2 + F3. All’equazione vettoriale si possono sostituire (teorema delle proiezioni) le due equazioni scalari Rx = ΣFx ed Ry = ΣFy, una per ciascun asse x e y, che danno le componenti rettangolari Rx ed Ry della risultante R come somma algebrica delle corrispondenti componenti rettangolari Fx ed Fy delle forze. Il momento della forza F rispetto al punto O è il vettore MO avente come: • punto di applicazione: il punto O; • intensità MO: il prodotto dell’intensità F della forza per la distanza b (braccio) tra il punto O (polo) e la retta d’azione della forza; • direzione: la perpendicolare al piano definito dal punto O e dalla retta d’azione della forza; • verso: quello stabilito dalla regola della mano destra. Nelle strutture piane il momento di F rispetto a un punto O, scelto sul piano della figura, è rappresentato dal vettore MO perpendicolare al foglio e di intensità Fb. Il momento viene rappresentato facendo riferimento al senso di rotazione di F rispetto ad O: ad esempio, MO = 300 N⋅m fl indicherà un momento di 300 newton-metro orario con il vettore momento entrante nel foglio. Volendo sommare algebricamente i momenti come scalari, si segue una convenzione di segno che associa all’intensità MO il segno positivo (+ Fb) in presenza di rotazione antioraria (fi) oppure il segno negativo (– Fb) nel caso di rotazione oraria (fl). Per n forze complanari, il momento della risultante rispetto ad O è uguale alla somma dei momenti delle forze rispetto al punto O: Rb = ΣFi bi con b braccio della risultante R e bi braccio della generica forza Fi (teorema di Varignon). Due forze F e – F, aventi stessa intensità, rette d’azione parallele e versi opposti, formano una coppia, vettore libero di momento M = Fb uguale rispetto a qualsiasi punto, di direzione perpendicolare al piano definito dalle rette d’azione delle due forze e di verso definito dalla regola della mano destra. Una forza qualsiasi F, che agisce su un corpo rigido, può essere spostata fino ad un punto O arbitrario, purché venga aggiunta la coppia di trasporto, di momento uguale al momento di F rispetto ad O: la combinazione della forza più la coppia di trasporto costituisce un sistema forzacoppia. Anche un sistema di più forze, agenti su un corpo rigido, può essere ridotto a un sistema forza-coppia riferito a un punto O; il nuovo sistema equivalente forza-coppia caratterizza completamente l’effetto delle forze agenti sul corpo rigido. Due sistemi di forze complanari sono equivalenti quando tendono ad impartire al corpo rigido: a) la stessa traslazione nella direzione dell’asse x; b) la stessa traslazione nella direzione dell’asse y; c) la stessa rotazione attorno al punto O, origine degli assi.
51
52
CAPITOLO 2. – FORZE E MOMENTI
Esercizi proposti
Con il contributo del prof. L. Leonessa
2.1 Rappresentare graficamente, nella scala 1 mm = 50 N, le forze: F1 = 2800 N 6 45°; F2 = 3400 N 20° 7; F3 = 1600 N 60° 9; F4 = 2200 N 8 40°.
a
1000 N
F2 4
2.2 Interpretare, nella scala 1 mm = 20 N, l’intensità e la direzione delle forze Fa, Fb ed Fc, rappresentate dai lati di un triangolo rettangolo (Figura 2.35) che misurano rispettivamente: a = 4,5 cm, b = 7,5 cm, c = 6 cm.
A
3
900 N
F1
Fa = 900 N 6 53,13°; Fb = 1500 N ←; Fc = 1200 N 36,87° 7 Scala delle forze: 1 cm = 400 N
b Scala delle forze: 1 mm = 20 N
F2
R
γ a = 4,5 cm
4
γ = 25°
c = 6 cm
β = 127° 3 α = 28° α +γ F1
c
b = 7,5 cm Fig. 2.35 - Forze dell’Esercizio 2.2.
Scala delle forze: 1 cm = 400 N F1
R
F2 R
2.3 Sulla cassa da imballaggio della Figura 2.36-a, due cavi esercitano la forza F1 = 900 N → e la forza F2 = 1 kN 6 53° (l’inclinazione di F2 è anche espressa mediante la verticale 4 e l’orizzontale 3). Determinare graficamente, mediante i metodi del parallelogramma (Figura 2.36-b) e del triangolo (Figura 2.36-c), la risultante R, specificando gli angoli (Figura 2.36-b) α (tra R ed F1), β (opposto a R) e γ (tra R ed F2).
F2
F1
Fig. 2.36 - Cassa dell’Esercizio 2.3. 䡵 a) Cassa da imballaggio trascinata mediante due cavi. 䡵 b) Legge del parallelogramma.
R = 1,7 kN 6 28°; α = 28°; β = 127°; γ = 25° 2.4 Determinare graficamente ed analiticamente la risultante R di due forze F1 = 800 N 6 30° ed F2 = 500 N 6 75° e l’angolo α tra R ed F1.
䡵 c) Metodo del triangolo; i due triangoli costruiti ponendo indif-
ferentemente prima una oppure l’altra delle due forze confermano la proprietà commutativa della somma dei vettori.
2.5 Nello stesso punto di una staffa sono applicate le forze F1 = 30 kN 25° 7 ed F2 = 20 kN 50° 9. Determinare graficamente ed analiticamente la risultante R nonché l’angolo α tra F1 ed R.
2.6 Un cilindro, pesante F = 290 N, è appoggiato (Figura 2.37 ) su una guida a V. Calcolare l’intensità della forza di destra e della forza di sinistra che il cilindro scambia con le pareti della guida. Il cilindro è sostenuto dalle forze generate dal contatto con le pareti della guida e perpendicolari a queste. Si scompone quindi la forza peso col metodo del triangolo nella forza di destra che forma l’angolo di 45° con la verticale e nella forza di sinistra che forma l’angolo di 30° con la verticale. L’angolo opposto ad F misura 180° – 45° – 30° = 105°. Si applica quindi il teorema dei seni (A.3-14).
R = 40,1 kN 3,8° 9; α = 28,8°
forza di destra = 150 N; forza di sinistra = 212 N
R = 1206,5 N 6 47°; α = 17°
ESERCIZI PROPOSTI
(Figura 2.39-d ) fino a trovarne il valore minimo F1 min (Figura 2.39-e).
β = 105°; F1 = 25,9 kN; F2 = 36,6 kN; β ′ = 90°; α ′ = 60°; F1 min = 25,0 kN 45° 30°
a A 2
Fig. 2.37 - Cilindro sulla guida a V dell’Esercizio 2.6.
γ = 30°
B
α = 45°
2.7 La sfera della Figura 2.38 è in equilibrio. Nota la forza FB = 500 ↓, calcolare le forze FA ed FC.
1
FA = 866 N →; FC = 1000 N 30° 7
C
c
b Scala delle forze: 1 cm = 20 kN
FA
F2 30°
γ = 30°
FC
F = 50 kN γ = 30°
F = 50 kN
α = 45°
β = 105° F2
α = 45° F1
F1 FB
e
d
Fig. 2.38 - Sfera in equilibrio dell’Esercizio 2.7.
1 1 1 F = 50 kN
2.8 Determinare la forza F della quale si conoscono le componenti rettangolari Fx = 700 N → ed Fy = 1500 N ↑.
β′
2
F = 50 kN γ = 30°
α ′ = 60°
F2
F1 min
F = 1655 N 6 65° 2.9 Calcolare le componenti rettangolari Fx ed Fy della forza F = 10 kN 60° 7, che forma l’angolo α = 120° antiorario con l’asse x positivo. Fx = 5 kN ←; Fy = 8,66 kN ↑
β ′ = 90°
2
1
1
1
Fig. 2.39 - Chiatta trainata da rimorchiatori (Esercizio 2.10). 䡵 a) Presentazione del problema fisico. 䡵 b) Legge del parallelogramma applicata alla determinazione
delle due componenti F1 ed F2.
2.10 Una chiatta è trainata da due rimorchiatori (Figura 2.39-a). La forza risultante R, che viene esercitata mediante i cavi di traino, ha intensità R = 50 kN ed è diretta secondo l’asse della chiatta. Sapendo che gli angoli formati dai due cavi con l’asse della chiatta valgono rispettivamente α = 45° e γ = 30°, determinare graficamente (Figura 2.39-b) l’intensità delle due tensioni F1 ed F2 alle quali sono assoggettati i due cavi dei rimorchiatori. Verificare poi con il calcolo (Figura 2.39-c) l’angolo β opposto alla risultante delle due forze F1 ed F2 nonché la loro intensità. Mantenendo fisso l’angolo γ = 30°, valutare infine il nuovo valore β ′ (e quindi α ′) che tale angolo deve assumere affinché la tensione nel cavo 1 sia minima (F1 min); per questo si provino a tracciare, con il metodo del triangolo, varie posizioni della tensione F1
䡵 c) Metodo del triangolo. 䡵 d) Il disegno mostra la direzione 2-2 assegnata alla tensione F2
e varie direzioni della linea 1-1, associata alla tensione F1; tra le diverse possibili direzioni di F1 , la lunghezza minima (F1 min) si raggiunge quando F1 è perpendicolare ad F2 (cioè β ′ = 90°). 䡵 e) Triangolo con le due tensioni F1 ed F2 perpendicolari tra loro
( β ′ = 90°), secondo la ricerca fatta nella Figura 2.37-d ; sono indicati il minimo di F1 (F1 min) e i corrispondenti valori degli angoli α ′ e β ′.
2.11 Un’automobile in avaria viene trainata con due cavi (Figura 2.40). Si conosce la tensione F2 (intensità F2 = 3 kN ed angolo γ = 30° con l’orizzontale) esercitata lungo il secondo cavo; sono inoltre conosciute la retta d’azione della forza risultante di traino F (diretta lungo l’asse dell’automobile) e la direzione dell’altra forza F1
53
54
CAPITOLO 2. – FORZE E MOMENTI
(angolo α = 20° con l’orizzontale) che viene impiegata per trainare l’automobile. Determinare graficamente ed analiticamente le intensità della forza di traino F e della tensione F1 nel primo cavo. F = 6,7 kN; F1 = 4,4 kN
b
y F1 = 40 kN F 1y α 2 = 225° F1 x
x
α 4 = 330° F4 y F4 = 80 kN
F2 y
γ = 30°
A
F
F4 x
O
F2 x α 3 = 270°
F2
α 1 = 120°
F2 = 100 kN
α = 20° F1
F3 y ≡ F3 = 150 kN
Fig. 2.40 - Esercizio 2.11.
2.12 La piastra nodale di testa della Figura 2.41-a è soggetta a quattro forze concorrenti F1 = 40 kN 60° 7, F2 = 100 kN 45° 9, F3 = 150 kN ↓ ed F4 = 80 kN 8 30°. Dopo aver calcolato le componenti rettangolari Fx ed Fy di ciascuna forza (Figura 2.41-b), determinare, mediante il teorema delle proiezioni, prima le componenti Rx ed Ry e poi la risultante R. Esprimere la direzione di R sia come angolo α ′ di verso antiorario rispetto all’asse x positivo, sia come angolo α ″ rispetto all’asse y negativo (Figura 2.41-c). F1x = 20 kN ←; F2x = 70,7 kN ←; F3x = 0; F4x = 69,3 kN →; F1y = 34,6 kN ↑; F2y = 70,7 kN ↓; F3y = 150 kN ↓; F4y = 40 kN ↓; Rx = 21,4 kN ←; Ry = 226,1 kN ↓; R = 227,1 kN 84,6° 9; α ′ = 264,6°; α ″ = 5,4°
y
c α ′ = 264,6°
R x = – 21,4 kN Rx O x R y = – 226,1 kN
α = 84,6° R
Ry
α ′′ = 5,4° Fig. 2.41 - Esercizio 2.12. 䡵 b) Componenti rettangolari delle forze lungo gli assi. 䡵 c) Risultante del sistema di forze concorrenti.
2.13 Determinare il momento M della coppia di forze di intensità pari a 100 N, generata da un uomo per smontare una ruota con una chiave a tubo (Figura 2.42).
a
M = 40 N⋅m fi F3 = 150 kN
y
F1 = 40 kN
100 N y
F2 = 100 kN 400 mm
30°
F4 = 80 kN
x 30° 45° O
30° O
100 N
x
Fig. 2.41 - Esercizio 2.12. 䡵 a) Piastra nodale di testa con le forze applicate.
Fig. 2.42 - Esercizio 2.13.
z
ESERCIZI PROPOSTI
2.14 Per sbloccare il bullone centrale della puleggia (Figura 2.43) è richiesto un momento di 46 N⋅m. Determinare l’intensità F della forza da applicare alla chiave.
Fx
A
25°
Fy
F
F = 173,6 N bx
65° B
O
by Fig. 2.45 - Esercizio 2.16.
b = 265 mm 300 mm
2.17 Un sistema di forze parallele concordi F1 = 4 kN ↓, F2 = 6 kN ↓ ed F3 = 2 kN ↓ è applicato alla trave della Figura 2.46. Determinare la risultante R e la sua posizione xR rispetto all’estremo A della trave.
F
R = 12 kN ↓; xR = 1,83 m Fig. 2.43 - Chiave dell’Esercizio 2.14.
F
F3 = 2 kN
A A
α
2m xR
3m
Fig. 2.46 - Esercizio 2.17.
B
110 mm Fig. 2.44 - Esercizio 2.15.
2.16 La forza F = 100 N 8 25° è applicata nel punto A all’asta di controllo AB, lunga 230 mm (Figura 2.45). Dopo aver scomposto la forza nelle componenti rettangolari Fx ed Fy e aver calcolato i loro bracci bx e by rispetto al punto B, determinare il momento MB della forza F rispetto a B. Fx = 90,6 N →; Fy = 42,3 N ↓; bx = 0,208 m; by = 0,097 m; MB = 14,7 N⋅m fl
2.18 Un sistema di forze parallele discordi F1 = 12 kN →, F2 = 8 kN →, F3 = 14 kN ←, è applicato alla trave verticale della Figura 2.47. Determinare la risultante R e la sua posizione yR rispetto all’estremo A della trave. R = 6 kN →; yR = 7,67 m
R
yR
225 mm
B
A
F1
3m
AB = 250 mm; F = 400 N 8 26°
F2 = 6 kN F1 = 4 kN
F2 2m
2.15 Sul pedale della Figura 2.44 si vuole applicare, mediante una forza, il momento di 100 N⋅m fl. Dopo aver calcolato la distanza AB, determinare in direzione e in intensità la più piccola forza F che va esercitata sul pedale per ottenere il momento citato sopra.
R
B Fig. 2.47 - Esercizio 2.18.
F3
55
a
CAPITOLO 2. – FORZE E MOMENTI
2.19 La forza FA di 300 N agisce nel punto A della staffa della Figura 2.48, fissata alla parete con le due viti applicate nei punti B e C. Si chiede di sostituire FA con il sistema forza-coppia FA-MB applicato nel punto B, dove MB è il momento della coppia di trasporto, e successivamente di trovare due forze orizzontali FB ed FC applicate rispettivamente in B e in C, equivalenti alla coppia MB.
2-3 del teorema di Varignon, poiché il braccio b della risultante è, di volta in volta, b = 0. FBx = 1,25 kN →; FBy = 2,17 kN ↑; a) 150 N⋅m fi; b) 500 N⋅m fi; c) 50 N⋅m fl 300 mm
FA
FB
60°
A M
B
200 mm
FA = 300 N ↓; MB = 60 N⋅m fi; FB = 500 N ←; FC = 500 N →
C
FC
FA 200 mm
A B
Fig. 2.49 - Angolare trattato nell’Esercizio 2.20.
2.21 La mensola (è il nome di una trave incastrata) della Figura 2.50 è soggetta ad un sistema di carichi, tra i quali è stato indicato (punto C) il carico mobile di 12 kN che dista della lunghezza variabile x dall’estremo di sinistra A. Determinare la risultante dei carichi R e la posizione b della sua retta d’azione rispetto ad A; questa posizione verrà espressa in funzione della ascissa variabile x. R = 20 kN ↓; b = 0,25 m + 0,6x
a
120 mm 80 mm
56
C
Fig. 2.48 - Esercizio 2.19.
2.20 All’angolare della Figura 2.49 sono applicate le tre forze FA = 1 kN ↓, FB = 2,5 kN 6 60° ed FC = 4 kN ← e la coppia di momento M incognito. Dopo aver risolto la forza FB nelle due componenti FBx ed FBy , determinare il momento imponendo, di volta in volta, che la retta d’azione della risultante del sistema di forze passi per il punto A (caso a) oppure per il punto B (caso b) oppure infine per il punto C (caso c). Risolvere l’Esercizio, ponendo sempre zero nel primo membro dell’equazione
5 kN
1m
2m
B
A 3 kN
D
C
x
12 kN
Fig. 2.50 - Esercizio 2.21.
L’EQUILIBRIO STATICO
Capitolo 3
3. 1
EQUILIBRIO DI UN CORPO RIGIDO Un sistema di più forze F, che agisce sul corpo rigido, può venir ridotto (Paragrafo 2.9) a un sistema equivalente forza-coppia costituito dalla forza risultante R, applicata in un punto O scelto in modo arbitrario, e dalla coppia risultante M OR; R è espressa dalle somme delle componenti rettangolari delle forze lungo gli assi x ed y, mentre M OR è espresso dalla somma dei momenti di tutte le forze rispetto ad O. Il corpo rigido è in equilibrio quando la somma delle forze (risultante) e la somma dei momenti delle forze rispetto ad O (momento risultante) sono ambedue uguali a zero. Nel caso di un corpo rigido bidimensionale (o piano), soggetto a forze e momenti che agiscono nel suo piano, le condizioni di equilibrio si scrivono:
∑F
x
C
=0
y
=0
∑M
O
=0
3-1
Con le prime due equazioni di equilibrio alla traslazione le sommatorie delle componenti delle forze Fx ed Fy, lungo gli assi x e y, vengono poste uguali a zero e quindi le forze non sono in grado di generare alcun moto di traslazione rispettivamente lungo x e lungo y; con la terza equazione di equilibrio alla rotazione la sommatoria dei momenti MO delle componenti Fx ed Fy, rispetto al punto O arbitrario, è posta uguale a zero e non vi è quindi la possibilità di generare una rotazione attorno a un punto. Il sistema di forze esterne non potrà impartire al corpo rigido il movimento elementare composto appunto, nel piano, da due traslazioni secondo i due assi x e y e da una rotazione attorno all’asse z y perpendicolare al piano x-y: il corpo considerato, inizialmente in quiete, continuerà a rimax nere in quiete.
L/2 PV HA
∑F
PH
A
B
D VA
RB L/2
L/2 L
Fig. 3.1 - Sistema di forze PH e PV note e HA, VA e R B incognite, applicate ad un corpo rigido rappresentato da una trave di lunghezza L.
Per garantire l’equilibrio del sistema di forze, le tre equazioni vanno verificate tutte insieme; esse possono essere risolte per non più di tre incognite. Nello scrivere queste equazioni si raccomanda di specificare sempre, accanto ad ogni equazione, la relativa convenzione di segno delle forze e dei momenti. Come esempio, si applichino le equazioni di equilibrio al sistema di forze applicate ad un corpo rigido, rappresentato dalla trave della Figura 3.1, in cui le forze incognite sono HA, VA e R B (in verde), mentre le forze note sono PH e PV (in blu).
58
CAPITOLO 3. – L’EQUILIBRIO STATICO
Si scrive che deve essere uguale a zero: – la somma dei momenti rispetto all’estremo A della trave; – la somma delle forze lungo l’asse x; – la somma delle forze lungo l’asse y. £ ΣMA = 0
§ ΣFx = 0 ¶ ΣFy = 0
⇒
+ RB L − PV ( L/2) = 0
⇒
⇒
HA − PH = 0
VA − PV + RB = 0
⇒
⇒
RB = PV /2 HA = PH
⇒
VA = PV − RB = PV − PV /2 = PV /2
Si potrebbero scrivere delle equazioni addizionali imponendo che la somma dei momenti delle forze rispetto a punti diversi da A sia uguale a zero: ad esempio, ΣMB = 0. Tale equazione non aggiungerebbe, tuttavia, alcuna nuova informazione in quanto è già stato stabilito che il sistema delle forze della Figura 3.1 è in equilibrio. L’equazione addizionale non è indipendente dalle equazioni precedenti; può rivelarsi utile per controllare la soluzione: £ ΣM B = 0
⇒
− VA L + PV ( L/2) = 0
⇒
− ( PV /2) L + PV ( L/ 2 ) = 0
⇒
0=0
Mentre alle tre equazioni di equilibrio non si possono aggiungere altre equazioni, ciascuna di esse può venire sostituita con una nuova equazione. Un sistema di equazioni alternativo è:
∑F
x
∑M
=0
A
=0
∑M
B
=0
3-2
dove la linea AB va scelta in una direzione diversa da quella dell’asse y (Figura 3.1). Le tre equazioni 3-2 sono sufficienti per l’equilibrio della trave: le prime due equazioni, imponendo l’annullarsi della somma sia delle forze orizzontali che dei momenti di tutte le forze rispetto ad A, indicano che le forze devono ridursi ad un’unica forza verticale passante per A, mentre la terza equazione, imponendo che il momento di questa unica forza verticale sia uguale a zero rispetto ad un punto B che non sta sulla sua retta d’azione (rappresentata appunto dall’asse y), stabilisce che anche quest’ultima forza deve essere nulla, facendo così risultare il corpo rigido in equilibrio. Un terzo possibile sistema di equazioni consiste in:
∑M
A
=0
∑M
B
=0
∑M
C
=0
3-3
dove i punti A, B e C non devono stare sulla stessa retta (Figura 3.1). La prima equazione impone che le forze si riducano ad un’unica forza passante per A; la seconda equazione impone che questa forza passi per B; infine la terza equazione impone il suo passaggio per C. Non appartenendo questi tre punti alla stessa retta, la forza è nulla e la trave risulta in equilibrio. Scrivendo il sistema delle tre equazioni 3-3 per la trave della Figura 3.1, si ottiene: £ ΣMA = 0
⇒
+ R B L − PV ( L/2 ) = 0
⇒
R B = PV /2
£ ΣMB = 0
⇒
− VA L + PV ( L/2) = 0
⇒
VA = PV /2
£ ΣM C = 0 ⇒ + HA ( L/2) − PH ( L/2) − PV ( L/2) + RB L = 0 ⇒ HA = PH ( L/2) − PV ( L/2) + ( PV /2) L = PH ( L/2) Se, al contrario, fossero stati scelti tre punti allineati, come, ad esempio, il punto D che, essendo situato in mezzeria, appartiene all’asse della trave analogamente ai punti A e B, la terza equazione sarebbe stata: £ ΣM D = 0 ⇒ − VA ( L/2) + R B( L/2) = 0 ⇒ VA = R B una inutile ripetizione delle prime due, senza fornire informazioni sulla incognita HA che invece occorreva ricavare. Da ultimo, si suggerisce di fare attenzione a scegliere, dove possibile, delle equazioni di equilibrio contenenti soltanto un’incognita in modo da eliminare la necessità di dover poi risolvere un sistema di equazioni.
3.1. – EQUILIBRIO DI UN CORPO RIGIDO
Esempio 3. 1 Equilibrio di sistemi di forze Verificare l’equilibrio dei seguenti sistemi di forze (Figura 3.2): 1. F1 = 3,2 kN ←, F2 = 8,5 kN 6 30°, F3 = 4,5 kN 30° 9 e F4 = 5,0 kN 45° 7; 2. F1 = 3,2 kN ←, F2 = 8,5 kN 6 30°, F3 = 4,5 kN 30° 9, F4 = 5,0 kN 45° 7 e F5 = 6,4 kN 8 60°; 3. F1 = 3,2 kN ←, F2 = 8,5 kN 6 30°, F3 = 4,5 kN 30° 9, F4 = 5,0 kN 45° 7, F5 = 6,4 kN 8 60°, F6 = 8,6 kN ↓ e F7 = 8,6 kN ↑. y
m 0,6
F7 0,5
0,4
F1 F2
0,3
F3
F6
0,2 F4 0,1 x
0 F5
O
m 0
0,1
0,2
0,3
0,4
0,5
0,6
0,7
0,8
Fig. 3.2 - Sistemi di forze complanari trattati nell’Esempio 3.1.
SOLUZIONE Si applicano le equazioni 3-1 dopo aver ricavato le componenti di ciascuna forza lungo gli assi x e y. Il momento delle componenti delle forze viene preso rispetto al punto O, origine degli assi; ma poteva essere preso qualsiasi altro punto. La Tabella 3.1 riporta i calcoli eseguiti nel rispetto delle convenzioni di segno relative a forze e momenti: §, ¶, £. Volendo, ad esempio, valutare componenti e momento della forza F3 = 4,5 kN 30° 9, si ha: F3x = – F3cos 30° = – (4,5 kN × 0,866) = – 3,9 kN F3y = – F3 sen 30° = – (4,5 kN × 0,5) = – 2,25 kN M3O = + (F3xb3x) – (F3yb3y) = + (3,9 kN × 0,3 m) – (2,25 kN × 0,5 m) = + 0,045 kN⋅m 1. 2. 3.
ΣFx = – 3,2 kN ΣFx = 0
ΣFy = + 5,5 kN ΣFy = 0
ΣFx = 0
Solo il terzo sistema di forze è in equilibrio.
Σ MO = + 1,825 kN⋅m
ΣMO = – 1,29 kN⋅m
ΣFy = 0
ΣMO = 0
䉳 䉳 䉳
59
60
CAPITOLO 3. – L’EQUILIBRIO STATICO
Tabella 3.1 Calcoli relativi ai sistemi di forze esaminati nell’Esempio 3.1 Forze F1 F2 F3 F4 Σ F5 Σ F6 F7 Σ
3. 2
3,2 kN ← 8,5 kN 6 30° 4,5 kN 30° 9 5,0 kN 45° 7
= 6,4 kN 8 60° = 8,6 kN ↓ = 8,6 kN ↑
bx O [m]
Fy [kN]
by O [m]
MO [kN⋅m]
– 3,2 + 7,4 – 3,9 – 3,5 – 3,2 + 3,2 0 0 0 0
0,35 0,10 0,30 0
0 + 4,25 – 2,25 + 3,5 + 5,5 – 5,5 0 – 8,6 + 8,6 0
— 0 0,50 0,40
+ 1,12 – 0,74 + 0,045 + 1,4 + 1,825 – 3,115 – 1,29
0,20 — —
0,45 0,60 0,75
+ 1,29 0
DIAGRAMMA DI CORPO LIBERO
a
A
b α
= = = =
Fx [kN]
A
Nel risolvere un problema riguardante l’equilibrio del corpo rigido è essenziale considerare tutte le forze che agiscono sul corpo, come pure è importante escludere qualsiasi forza che non sia direttamente applicata al corpo; si rischia infatti di stravolgere le condizioni di equilibrio qualora si tralasci anche una sola delle forze agenti sul corpo oppure se ne aggiunga un’altra che non agisce su quello stesso corpo. Il diagramma di corpo libero mostra la struttura completamente isolata, dopo averla staccata dal terreno e separata da ogni altro corpo, soggetta a tutte quelle forze esterne (e a quei momenti) che il terreno e i corpi che sono stati separati esercitano sulla struttura. Sul diagramma di corpo libero vanno chiaramente segnalate intensità e direzione delle forze esterne (e delle coppie) note; particolare cura va messa nell’indicare il verso della forza esercitata sul corpo libero. Sulla base di ipotesi, vanno rappresentati anche direzione e cavo verso delle forze esterne incognite: queste consistono solitamente nelle reazioni che il terreno B braccio o gli altri corpi oppongono al possibile movimento del corpo libero, costringendolo così a rimanere nella posizione assegnata; queste reaP zioni vengono esercitate nei punti in cui la struttura è supportata o collegata agli altri corpi. Il diagramma di corpo libero dovrebbe infine B includere anche quelle dimensioni che sono necessarie per il calcolo dei momenti delle forze applicate, mentre qualsiasi altro dettaglio andrebbe omesso. P
Fig. 3.3 - Braccio di una gru soggetta al carico P. 䡵 a) Schematizzazione del problema fisico. 䡵 b) Diagramma di corpo libero.
Si consideri, ad esempio, il braccio della gru (Figura 3.3) sottoposto al carico P e soggetto ai vincoli presenti nel punto A (estremo a sinistra del braccio della gru) e nel punto B (estremo a destra). Il diagramma di corpo libero (Figura 3.3-b) presenta lo schema del braccio della gru
3.3. – VINCOLI
isolato, soggetto alle forze esterne rappresentate dal carico P noto e dalle reazioni incognite necessarie per mantenere il braccio immobile nella posizione originale. Queste reazioni consistono in: – A reazione della cerniera sul braccio della gru, incognita in intensità e direzione; – B trazione che il cavo esercita sul braccio della gru, nota come direzione (è quella del cavo) ma incognita come intensità.
3. 3
VINCOLI Per struttura si intende una costruzione destinata a sopportare un determinato sistema di forze esterne. Con trave3.1 si intende una struttura (Figura 3.4) formata da un solido la cui lunghezza è notevolmente superiore alle dimensioni della sezione perpendicolare (o sezione trasversale) all’asse geometrico. Se l’asse geometrico è contenuto in un piano la trave viene detta piana. La trave piana si dice rettilinea quando il suo asse geometrico è una retta. Il corpo rigido, libero di muoversi, ha tre possibilità di movimento: le due traslazioni generate dalle componenti delle forze secondo i due assi x e y, e la rotazione attorno all’asse z normale al piano x-y e passante per l’origine O degli assi x e y. Queste tre possibilità di movimento costituiscono i tre gradi di libertà del corpo rigido nel piano. Volendosi realizzare l’equilibrio del corpo rigido, occorre sopprimere i tre gradi di libertà del corpo rigido introducendo dei vincoli che lo colleghino alle altri parti della struttura oppure al terreno in modo tale che il corpo non abbia più alcuna possibilità di movimento. I vincoli che si incontrano nella pratica possono ricon-
a
Asse geometrico
Sezione trasversale
b
Asse geometrico
Sezione trasversale
Fig. 3.4 - 䡵 a) Trave piana 䡵 b) Trave piana rettilinea.
3.1 - Condizione necessaria affinché un solido possa definirsi una trave è che l’asse della trave abbia una lunghezza
superiore a 10 volte quella della maggiore dimensione trasversale e che il più piccolo valore del raggio di curvatura
superi di 10 volte la maggiore dimensione trasversale (Figura 3.4-a).
61
62
CAPITOLO 3. – L’EQUILIBRIO STATICO
Tabella 3.2 I vincoli più comuni nel piano: carrello, cerniera e incastro Denominazione
Schema del vincolo
N° gradi di libertà eliminati
Possibilità di movimento
Raffigurazione del vincolo
SI
Carrello (appoggio semplice)
SI
1
NO SI
Cerniera fissa
NO
2
NO NO
Incastro
3
NO NO
dursi ad alcuni tipi fondamentali che vengono classificati in funzione del numero di gradi di libertà che riescono a sopprimere (Tabella 3.2): – Vincoli semplici, perché sopprimono un solo grado di libertà del corpo considerato, rappresentati dal carrello o appoggio semplice che blocca la sola traslazione nella direzione perpendicolare al piano di scorrimento, mentre consente la traslazione lungo il piano di scorrimento e la rotazione3.2; – Vincoli doppi, perché sopprimono due gradi di libertà del corpo, rappresentati dalla cerniera, che sopprime solo le due traslazioni, mentre consente la rotazione relativa attorno all’asse passante per la cerniera e perpendicolare al piano; – Vincoli tripli, perché sopprimono tutti e tre i gradi di libertà del corpo, rappresentati dall’incastro che blocca ogni possibilità di movimento nel piano e cioè le due traslazioni e la rotazione.
3. 4
FORZE ESTERNE: CARICHI E REAZIONI Le forze esterne applicate alla struttura si possono suddividere nei carichi (o forze attive) – assegnati all’inizio del progetto – e nelle reazioni dei vincoli (o forze reattive) – incognite – che nascono per impedire gli spostamenti dei punti vincolati, che si muoverebbero sotto l’effetto dei carichi. Le reazioni vincolari incognite sono perciò funzione dei carichi assegnati e si determinano, nel caso piano, attraverso le 3 equazioni di equilibrio 3-1. I carichi possono essere originati dal contatto con altri corpi, dalla forza peso relativa alla trave stessa (prodotto della massa della trave per l’accelerazione di gravità), da azioni naturali come
3.2 - Il carrello va inteso come un vincolo bilaterale poiché, lungo una determinata direzione, contrasta lo sposta-
mento in ambedue i sensi. Ad esempio, il carrello della Tabella 3.2 è un vincolo che si oppone allo spostamento verti-
cale del corpo sia verso il basso che verso l’alto.
3.4. – FORZE ESTERNE: CARICHI E REAZIONI
il vento, la neve, ecc. I carichi sono concentrati quando agiscono in un punto isolato della superficie della trave, sono invece distribuiti (oppure ripartiti o diffusi) quando agiscono su una porzione di trave. La Figura 3.5 mostra un esempio di carico distribuito in modo uniforme su un tratto di trave lungo l. L’intensità del carico w [N/m] rappresenta il valore del carico [N] riferito al tratto l della trave [m]; il carico complessivo W è dato perciò dal prodotto dell’intensità del carico w moltiplicato per il tratto di trave lungo l:
W [N] w [ N/m]
A
B
l/2 l L
W = wl Fig. 3.5 - Carico distribuito di intensità w [N/m] applicato in modo uniforme lungo un tratto l della trave.
3-4
Nel calcolo delle reazioni è possibile sostituire al carico uniformemente distribuito w un carico concentrato equivalente al carico totale W, applicato, per motivi di simmetria, a metà di l (cioè a l/2)3.3.
Sono in equilibrio quelle strutture nelle quali ogni elemento, attraverso le reazioni esercitate dai vincoli, risulta bloccato nei riguardi di qualunque moto rigido. Le reazioni suscitate dal vincolo corrispondono agli spostamenti che vengono bloccati dal vincolo stesso. Così (Figura 3.6): – il carrello o appoggio, vincolo semplice che blocca la traslazione perpendicolare al piano di scorrimento, esercita la forza di reazione R perpendicolare al piano di scorrimento passante per il punto di applicazione del vincolo; – la cerniera, vincolo doppio che blocca sia la componente orizzontale che la componente verticale dello spostamento, esercita la reazione orizzontale H e la reazione verticale V; – l’incastro, vincolo triplo che blocca le due traslazioni e la rotazione, reagisce con la forza verticale V, la forza orizzontale H e la coppia di incastro avente il momento M.
a
b R
V
R
c
R
V
H
H M
Fig. 3.6 - Reazioni dei diversi vincoli nel caso piano. 䡵 a) Carrello o appoggio semplice: reagisce con una forza R di cui si conosce la retta d’azione. 䡵 b) Cerniera: reagisce con una forza R di cui non si conosce la direzione; la reazione R ha la componente orizzontale H e la componente verticale V. 䡵 c) Incastro: reagisce con la forza R, di cui non si conosce la direzione, e la coppia di momento M; la reazione R ha la componente orizzontale H e la componente verticale V.
3.3 - La sostituzione del carico distribuito w [N/m] con un carico concentrato
W [N] è lecita soltanto nei calcoli delle reazioni dei vincoli nelle strutture iso-
statiche; non è invece accettabile nel calcolo delle azioni interne (Paragrafo 5.1).
63
64
CAPITOLO 3. – L’EQUILIBRIO STATICO
3. 5
STRUTTURE LABILI, ISOSTATICHE E IPERSTATICHE
a F
b F
Le reazioni vincolari incognite, funzione dei carichi assegnati, si determinano attraverso le 3 equazioni di equilibrio 3-1. Avendo a disposizione 3 equazioni di equilibrio, si possono presentare, nel caso della trave della Figura 3.7, i casi seguenti: a) il numero di incognite introdotte dalle reazioni dei vincoli è minore del numero di equazioni di equilibrio – Il sistema delle equazioni 3-1 è impossibile3.4 in quanto 3 sono i gradi di libertà del corpo rigido, nel caso piano; la struttura, che è dunque caratterizzata da una prevalenza dei gradi di libertà (che sono 3) sui gradi di vincolo (che sono meno di 3), si dice labile ed ha la possibilità di compiere quei movimenti concessi dai gradi di libertà residui che non sono stati sottratti dai vincoli; b) le incognite introdotte dalle reazioni dei vincoli sono 3 come le equazioni di equilibrio – Il sistema di equazioni è possibile e non ammette che una sola soluzione in quanto i 3 vincoli sono in numero strettamente sufficiente per bloccare ogni spostamento della struttura relativo ai 3 gradi di libertà dell’elemento. La struttura risulta staticamente determinata e si dice isostatica3.5;
c F
c) il numero di incognite introdotte dalle reazioni dei vincoli eccede il numero di equazioni – Il sistema è indeterminato in quanto, essendo i vincoli (più di 3) in eccesso (sovrabbondanti) rispetto ai 3 gradi di libertà della struttura, esistono infinite soluzioni equilibrate. La struttura si dice iperstatica3.6. Fig. 3.7 - I diversi tipi di strutture nel caso delle travi piane. 䡵 a) Struttura labile: 3 gradi di libertà della trave ma solo 2 gradi di vincolo dovuti alla cerniera. La trave è libera di ruotare. 䡵 b) Struttura isostatica: 3 gradi di libertà e 3 gradi di vincolo dovuti all’incastro. 䡵 c) Struttura iperstatica: 3 gradi di libertà della trave e 6 gradi di vincolo dovuti ai due incastri.
3.4 - Se i carichi assegnati soddisfano determinate condizioni in modo che complessivamente si possano scrivere tante equazioni quanti sono i gradi di libertà, allora anche un sistema con un numero di reazioni vincolari inferiori a tre diventa possibile. Considerata, ad esempio, la trave su due appoggi della Figura 3.8, accanto alle due equazioni contenenti le reazioni dei due appoggi RA ed RB, occorre aggiungere una equazione tra le forze F1 ed F2 (F1 cos α = F2) in modo tale da annullare la componente orizzontale dei carichi, non contrastata dalla reazione dei vincoli, e garantire
F1
RA
RB
α
F2
F1cosα
A
B
Fig. 3.8 - Trave su due appoggi in equilibrio apparentemente labile.
così l’equilibrio del sistema. 3.5 - In modo generale si dice che un sistema è isostatico quando il numero delle incognite, rappresentate dai gradi di vincolo, è uguale al numero dei gradi di libertà, che vengono coperti dalle equazioni di equilibrio. Naturalmente i vincoli devono essere ben disposti in modo da bloccare effettivamente ogni elemento costituente la struttura nei riguardi di ogni possibile moto rigido. 3.6 - Le strutture iperstatiche sono staticamente indeterminate dal momento
che, essendo il numero delle incognite superiore a quello delle equazioni di equilibrio della struttura piana, la determinazione delle reazioni vincolari non può più avvenire con le equazioni della statica 3-1. In realtà l’indeterminazione del sistema è solo apparente. Trattandosi infatti di sistemi materiali che si deformano sotto l’azione delle forze, lo studio delle deformazioni (Capitolo 5) permette di scrivere quelle equazioni supplementari, basate sulle proprietà del materiale, che, aggiunte alle equazioni della statica, sono in grado di rimuovere l’indeterminazione.
3.6. – DETERMINAZIONE DELLE REAZIONI VINCOLARI
Nel caso di una struttura composta, formata da più corpi semplici collegati tra loro mediante appoggi e/o cerniere, la valutazione del tipo di struttura (labile, isostatica o iperstatica) avviene atFig. 3.9 - Esempio di struttura composta: due travi vincolate con cerniera, appoggio traverso il confronto del numero e incastro; la struttura è isostatica in quanto i sei gradi di libertà vengono saturati dai complessivo dei gradi di libertà sei vincoli. della struttura con il numero complessivo dei gradi di vincolo: il numero complessivo dei gradi di libertà è uguale al numero degli elementi della struttura moltiplicati per 3 (ogni elemento ha infatti 3 gradi di libertà), mentre il numero complessivo dei gradi di vincolo è rappresentato dalla somma dei vincoli di tutta la struttura. Ad esempio, nel caso della struttura di Figura 3.9, composta da due travi vincolate esternamente con un incastro e un carrello e connesse tramite una cerniera si ha: 2 travi × 3 1 cerniera × 2
3. 6
gradi di libertà = 6 gradi di libertà complessivi trave
vincoli vincolo vincoli + 1 carrello × 1 + 1 incastro × 3 = 6 vincoli complessivi cerniera carrello incastro
DETERMINAZIONE DELLE REAZIONI VINCOLARI Le equazioni della statica 3-1, oppure le equazioni alternative 3-2 e 3-3, consentono di determinare le reazioni vincolari. In accordo con le prime due equazioni di equilibrio, si suggerisce di scomporre le forze esterne, carichi e reazioni, secondo la direzione degli assi, tra loro perpendicolari, x e y. Quando non appare immediatamente evidente il verso della reazione incognita, sia questa rappresentata da una forza oppure da una coppia, non va fatto alcun tentativo per indovinare il verso della forza (oppure il senso di rotazione della coppia). Il verso della forza incognita (oppure il senso di rotazione della coppia incognita) viene assunto in modo arbitrario all’inizio dell’esercizio; il segno positivo (+) davanti al numero, che rappresenta alla fine dell’esercizio il valore della forza (oppure della coppia) di reazione, significa che l’assunzione iniziale era corretta, mentre il segno negativo (–) indica che l’ipotesi di partenza non era corretta e che quindi occorre rovesciare quel verso della forza di reazione (oppure quel senso di rotazione della coppia di reazione), che era stato assunto inizialmente. Una volta trovati i valori delle reazioni incognite, conviene sempre effettuare un controllo dei risultati ottenuti: si verifica, ad esempio, che il momento delle forze esterne calcolato rispetto ad un punto diverso dal punto O (equazioni 3-1) risulti uguale a zero, dovendo essere uguale a zero in un sistema equilibrato la somma dei momenti di tutte le forze esterne rispetto ad un qualsiasi punto.
Esempio 3. 2 Trave appoggiata soggetta a forze parallele La trave della Figura 3.10-a, vincolata con carrello in A e cerniera in B, è lunga L = 7 m ed è soggetta ad un sistema di forze parallele rappresentate da F1 = 7,5 kN ↓, F2 = 5 kN ↑, F3 = 10 kN ↓ ed F4 = 5 kN ↓, che distano dall’estremo di sinistra A rispettivamente b1 = 1 m, b2 = 2,5 m, b3 = 4 m e b4 = 5 m. Determinare le reazioni R1 ed R2, rispettivamente del carrello e della cerniera.
65
66
CAPITOLO 3. – L’EQUILIBRIO STATICO
1 m
a
1,5 m
1,5 m
1m
F2
F1
F3
2m
F4
A
B
L=7m
b F1
F2
F3
F4 H2 = 0
R1
R2 = V2 1 m
1,5 m
1,5 m
1m
2m
L=7m
Fig. 3.10 - Trave appoggiata soggetta ad un sistema di forze parallele trattata nell’Esempio 3.2. 䡵 a) Condizioni di carico e di vincolo. 䡵 b) Diagramma di corpo libero.
SOLUZIONE Si traccia il diagramma di corpo libero (Figura 3.10-b), si fissa in modo arbitrario il verso delle due reazioni e si applicano le equazioni di equilibrio 3-1. § ΣFx = 0
⇒
+ H2 = 0
⇒
H2 = 0
䉳
Essendo nulla la componente orizzontale H2 della reazione della cerniera, la sua reazione si riduce alla sola componente verticale V2 e quindi risulta R2 = V2. Invece di scrivere la seconda equazione di equilibrio alla traslazione secondo y, si scriva adesso l’equilibrio alla rotazione prendendo i momenti delle forze rispetto ad A; in tal modo la reazione R1, che passa per A, non compare e nell’equazione rimane la sola incognita R2. Se invece si fosse scritta subito l’equazione di equilibrio alla traslazione secondo y, si sarebbe ottenuta un’equazione con due incognite (R1 ed R2) da risolversi simultaneamente alla terza equazione dell’equilibrio dei momenti. £ Σ MA = 0 ⇒ – (7,5 kN × 1 m) + (5 kN × 2,5 m) – (10 kN × 4 m) – (5 kN × 5 m) + (R2 × 7 m) = 0 ⇒ R2 =
7,5 kN⋅m − 12,5 kN⋅m + 40 kN⋅m + 25 kN⋅m = + 8,57 kN R 2 = 8,57 kN ↑ 7m ¶ Σ Fy = 0 ⇒ R1 – 7,5 kN + 5 kN – 10 kN – 5 kN + R2 = 0 ⇒
R1 = 7,5 kN – 5kN + 10 kN + 5 kN – 8,57 kN
⇒
R1 = + 8,93 kN
R1 = 8,93 kN ↑
䉳
䉳
Il verso delle due reazioni R1 ed R2, ipotizzato all’inizio, è quello corretto perché il risultato è positivo: rispettivamente + 8,93 kN e + 8,57 kN. Controllo – Il calcolo viene verificato, prendendo i momenti delle forze esterne rispetto a B (estremo destro della trave), diverso dal punto A già utilizzato per il calcolo delle reazioni: £ Σ MB = 0
⇒
– (8,93 kN × 7 m) + (7,5 kN × 6 m) – (5 kN × 4,5 m) + (10 kN × 3 m) + (5 kN × 2 m) = 0
⇒
0=0
3.6. – DETERMINAZIONE DELLE REAZIONI VINCOLARI
COMMENTI In questo Esempio ambedue le reazioni sono verticali perché: – in A, la trave è supportata da un carrello e quindi la reazione non può avere una componente orizzontale; – in B, dove la trave è vincolata con una cerniera, la componente orizzontale H2 della reazione è uguale a zero poiché nessuna delle altre forze esterne ha una componente orizzontale. Si sarebbe potuto osservare subito che, sotto un sistema di carichi paralleli, la reazione in B doveva essere verticale e disegnare così una trave semplicemente appoggiata, vincolata cioè con due appoggi semplici anziché con un appoggio semplice e cerniera. Occorre tuttavia verificare sempre, nel caso di una trave vincolata con carrello e cerniera, che non vi siano componenti orizzontali da bilanciare. Si è visto inoltre che la reazione orizzontale della cerniera H2 è nulla dopo aver scritto l’equazione ΣFx = 0; se si fosse posto subito H2 = 0, si sarebbe potuto dimenticare di aver già fatto implicitamente uso di questa equazione e non sarebbe così rimasta traccia del numero complessivo delle equazioni che si hanno a disposizione per risolvere l’Esempio, equazioni che rimangono soltanto 3 compresa la prima ΣFx = 0 anche se questa non viene materialmente scritta.
Esempio 3. 3 Trave appoggiata soggetta a una forza inclinata Una trave, lunga L = 8 m con cerniera all’estremo sinistro A e carrello nell’estremo destro B, è soggetta al carico P = 520 N 8 78° applicato alla distanza a = 6 m da A (Figura 3.11-a). Determinare le reazioni della cerniera RA e del carrello R B.
SOLUZIONE a) Si traccia il diagramma di corpo libero (Figura 3.11-b), si assumono in modo arbitrario i versi delle due componenti orizzontale HA e verticale VA della reazione RA della cerniera e della reazione R B del carrello, si calcolano le componenti orizzontale PH e verticale PV (negativa perché orientata nel verso negativo di y) del carico P e si applicano le equazioni di equilibrio 3-1, scrivendo prima ΣFx = 0, quindi ΣMA = 0 e finalmente ΣFy = 0 in modo da avere sempre una sola incognita in ogni equazione: A.3-4:
PH = + P cos α = + 520 N × cos 78° = + 108,1 N
A.3-3:
PV = – P sen α = – 520 N × sen 78° = – 508,6 N
§ Σ Fx = 0
+ 108,1 N – HA = 0
⇒
£ ΣMA = 0 RB = ¶ ΣFy = 0
PV = 508,6 N ↓
HA = + 108,1 N
– (PV × 6 m) + (RB × 8 m) = 0
⇒
508,6 N × 6 m = + 381,45 N 8m VA + R B – 508,6 N = 0
⇒
⇒
PH = 108,1 N →
VA = + 127,15 N
⇒
HA = 108,1 N ←
䉳
⇒ 䉳
R B = 381,45 N ↑ VA + 381,45 N – 508,6 N = 0
VA = 127,15 N ↑
⇒ 䉳
Le tre reazioni HA, VA ed R B risultano orientate in accordo con il verso assunto inizialmente poiché sono misurate da numeri positivi. Note le componenti HA = 108,1 N e VA = 127,15 N, si calcola la reazione della cerniera RA e la sua inclinazione β (Figura 3.11-b): A.3-2: A.3-5:
RA = tan β =
H A2 + VA2 =
(108,1 N) 2 + (127,15 N) 2 = 166,9 N
VA 127,15 N = = 1,176 HA 108, 1 N
⇒
β = arctg 1,176 = 49,6°
RA = 166,9 N 49,6° 7
䉳
67
68
CAPITOLO 3. – L’EQUILIBRIO STATICO
Controllo – Si verifichino i risultati ottenuti, prendendo i momenti delle forze esterne rispetto all’estremo di destra della trave B diverso da A già considerato:
a
£ ΣMB = 0 ⇒ – (127,15 N × 8 m) + (508,6 N × 2 m) = 0 ⇒ 0=0
P
α = 78° A
B
COMMENTI Sotto condizioni di carico piuttosto semplici, come è il caso dell’Esempio, si può effettuare il calcolo grafico delle reazioni vincolari. Fissata la scala delle forze, si traccia la retta d’azione b nota della reazione R B del carrello (è la verticale passante per B) che incontra nel punto O la retta d’azione del carico P (Figura 3.11-c). Per questo punto deve anche passare la retta d’azione incognita della reazione RA della cerniera: le tre forze esterne (P, RA ed R B), passando tutte per lo stesso punto O, diventano così forze concorrenti (Paragrafo 2.3); in tal caso la chiusura del poligono delle forze (è il triangolo della Figura 3.11-d) è condizione necessaria e sufficiente per l’equilibrio. Sono infatti verificate le due condizioni di:
b=2m
a=6m L=8m
b PH = Pcos α
HA
B
A VA β
RA
α RB PV = Psen α
a=6m
P
• equilibrio alla traslazione: il poligono delle forze è chiuso (la punta dell’ultima forza coincide con la coda della prima forza del sistema) e quindi il vettore risultante R delle forze esterne è nullo (R = 0);
b=2m
L=8m
• equilibrio alla rotazione: preso O come polo, i momenti delle tre forze risultano nulli poiché le loro rette d’azione passano tutte per O e quindi il momento risultante è nullo (M OR = 0).
c P
Si scompone infine P secondo le direzioni a e b individuate sopra e si ottengono (Figura 3.11-d) in intensità (RA = 170 N, RB = 380 N) e verso le reazioni cercate.
d α = 78°
A
B
RA
RB
RB
P
RA
O
Fig. 3.11 - Carico inclinato applicato ad una trave vincolata con cerniera e carrello (Esempio 3.3). 䡵 a) Condizioni di carico e di vincolo. 䡵 b) Diagramma di corpo libero. 䡵 c) Costruzione grafica per la ricerca delle reazioni. 䡵 d) Triangolo delle forze.
3.6. – DETERMINAZIONE DELLE REAZIONI VINCOLARI
Esempio 3. 4 Carico concentrato e carico distribuito Determinare le reazioni dei vincoli nella trave appoggiata della Figura 3.12-a soggetta ad un carico distribuito di intensità w = 2 kN/m e ad un carico concentrato P = 6 kN ↓.
a
w = 2 kN/m
P = 6 kN
A
B
l=6m
2m
2m
L = 10 m
b
y W = 12 kN
x
P = 6 kN HA
3m
VA
8m
2m
RB
Fig. 3.12 - Trave appoggiata trattata nell’Esempio 3.4. 䡵 a) Condizioni di carico e di vincolo. 䡵 b) Diagramma di corpo libero.
SOLUZIONE Nel diagramma di corpo libero della Figura 3.12-b sono indicati i versi delle due reazioni e i carichi concentrati P e W; quest’ultimo vale (3-4) W = wl = 2 kN/m × 6 m = 12 kN e viene applicato, per simmetria, alla distanza l/2 = 6 m/2 = 3 m dalla cerniera A. Con le equazioni di equilibrio 3-1 si trova: § ΣFx = 0
⇒
+ HA = 0
⇒
䉳
HA = 0
Si scrive subito la terza equazione dell’equilibrio alla rotazione, prendendo i momenti delle forze rispetto ad A in modo che compaia la sola incognita RB: £ Σ MA = 0 RB = ¶ ΣFy = 0
⇒
⇒
– (12 kN × 3 m) – (6 kN × 8 m) + (RB × 10 m) = 0
36 kN ⋅m + 48 kN ⋅m = + 8,4 kN 10 m
VA – 12 kN – 6 kN + RB = 0
VA = 12 kN + 6 kN – 8,4 kN
⇒
⇒
⇒ 䉳
R B = 8,4 kN ↑
VA – 12 kN – 6 kN + 8,4 kN = 0
VA = + 9,6 kN
VA = + 9,6 kN ↑
⇒ 䉳
Controllo – I risultati ottenuti si verificano prendendo i momenti delle forze esterne rispetto all’estremo di destra della trave B, diverso da A già utilizzato: £ ΣMB = 0
⇒
– (9,6 kN × 10 m) + (12 kN × 7 m) + (6 kN × 2 m) = 0
⇒
0=0
69
70
CAPITOLO 3. – L’EQUILIBRIO STATICO
Esempio 3. 5 Trave soggetta a carichi a sbalzo a F1 = 15 kN
F2 = 6 kN F3 = 6 kN
A
Una trave vincolata con carrello e cerniera (Figura 3.13-a) è soggetta ai tre carichi concentrati F1 = 15 kN ↓, F2 = 6 kN ↓ ed F3 = 6 kN ↓; gli ultimi due carichi sono applicati nel tratto a sbalzo della trave. Determinare le reazioni R A ed R B del carrello e della cerniera.
B
3m
6m
2m
2m
L= 13 m
b 15 kN
6 kN
6 kN
RB
RA 3m
6m
2m
2m
L= 13 m
Fig. 3.13 - Trave trattata nell’Esempio 3.5. 䡵 a) Essendo tutti i carichi verticali, la trave potrebbe venire vincolata con due appoggi semplici (o carrelli) al posto del carrello e della cerniera, richiesta quando occorre equilibrare anche carichi orizzontali. 䡵 b) Diagramma di corpo libero.
SOLUZIONE Si usano le equazioni 3-2 con l’equilibrio alla rotazione scritto rispetto ai punti A e B; la prima equazione di equilibrio delle forze orizzontali è già verificata in quanto non vi sono carichi (e quindi reazioni) orizzontali. £ ΣMA = 0
– (15 kN × 3 m) + (RB × 9 m) – (6 kN × 11 m) – (6 kN × 13 m) = 0
⇒ RB =
£ ΣMB = 0
⇒ RA =
45 kN⋅m + 66 kN⋅m + 78 kN⋅m = + 21 kN 9m
⇒ 䉳
R B = 21 kN ↑
– (RA × 9 m) + (15 kN × 6 m) – (6 kN × 2 m) – (6 kN × 4 m) = 0 + 90 kN⋅m – 12 kN⋅m – 24 kN⋅m = + 6 kN 9m
R A = 6 kN ↑
⇒ 䉳
Controllo – La verifica dei risultati viene fatta con l’equilibrio alla traslazione verticale ΣFy = 0, equazione che non figurava nel sistema di equazioni 3-2 utilizzato per risolvere l’Esempio: ¶ ΣFy = 0
⇒
RA – 15 kN + R B – 6 kN – 6 kN = 0
+ 6 kN – 15 kN + 21 kN – 6 kN – 6 kN = 0
⇒
⇒
0=0
3.6. – DETERMINAZIONE DELLE REAZIONI VINCOLARI
Esempio 3. 6 Telaio ad A con carico orizzontale Il telaio della Figura 3.14-a è soggetto al carico orizzontale Q = 375 N →. Determinare la reazione R A della cerniera, sulla base delle due componenti HA e VA, e la reazione R C del carrello.
a
Q = 375 kN
b
B
y
c
Q = 375 kN B
x
HA 4m
4m
β = 45° VA A
6 0°
C
A HA
RC
3m VA
1,5 m
RA
C R C H = 0,866 R C
R C V = 0,5 R C
60°
α = 30°
1,5 m
Fig. 3.14 - Telaio, fatto ad A, trattato nell’Esempio 3.6. 䡵 a) Condizioni di carico e di vincolo. 䡵 b) Diagramma di corpo libero. 䡵 c) Verso corretto della reazione verticale VA della cerniera A.
SOLUZIONE Si traccia il diagramma di corpo libero (Figura 3.14-b) in cui sono evidenziati i versi arbitrariamente assegnati alle due componenti orizzontale HA e verticale VA della reazione della cerniera R A, della quale non si conosce la direzione, e la reazione RC del carrello, perpendicolare al piano di appoggio. La reazione R C viene scomposta nelle due componenti orizzontale R CH (negativa perché orientata nel verso negativo dell’asse x) e verticale R CV (positiva perché orientata nel verso positivo di y). Si applicano le equazioni di equilibrio 3-1, scrivendo prima ΣMA = 0, quindi ΣFx = 0 e finalmente ΣFy = 0 in modo da avere, di volta in volta, una sola incognita in ciascuna equazione. A.3-4:
R CH = – R C cos α = – R C cos 30° = – 0,866 R C
A.3-3:
RCV = + R C sen α = + R C sen 30° = + 0,5 R C
£ ΣMA = 0
+ (RCV × 3 m) – (Q × 4 m) = 0
⇒
RC =
⇒
1 (375 N × 4 m) = + 1000 N 0,5 3m
+ (0,5 R C × 3 m) – (375 N × 4 m) = 0 R C = 1000 N 30° 7
R CH = – 0,866⋅RC = – 0,866 × (1000 N) = – 866 N R CV = + 0,5⋅RC = + 0,5 × (1000 N) = + 500 N § ΣFx = 0
⇒
¶ ΣFy = 0
⇒
VA + R CV = 0
R CH = 866 N ← R CV = 500 N ↑
HA + 375 N – 866 N = 0
HA = 866 N – 375 N = + 491 N ⇒
䉳
⇒ 䉳
HA = 491 N →
VA + 500 N = 0
⇒
VA = – 500 N
Mentre le reazioni HA ed R C , che sono risultate positive, conservano il verso assunto inizialmente, il segno meno davanti al numero che misura il valore della reazione verticale della cerniera, indica che (Paragrafo 3.6) occorre rovesciare il verso di VA (Figura 3.14-c): VA = 500 N ↓
䉳
71
72
CAPITOLO 3. – L’EQUILIBRIO STATICO
A.3-2:
RA =
A.3-5:
tan β =
H A2 + VA2 =
( 491 N) 2 + ( 500 N) 2 = 700,77 N ≈ 700 N
VA 500 N = = 1, 018 HA 491 N
⇒
β = arctg 1,018 = 45,5° ≈ 45°
R A = 700 N 8 45°
䉳
Controllo – La verifica dei risultati ottenuti può essere effettuata, prendendo i momenti delle forze esterne, carico e reazioni, rispetto al punto C: £ ΣMC = 0
⇒
+ (VA × 3 m) – (Q × 4 m) = + (500 N × 3 m) – (375 N × 4 m) = 0
⇒
0=0
COMMENTI Guardando la Figura 3.14-a, si intuisce che il carico Q tende a strappare la cerniera A e a comprimere il carrello C, e che quindi la reazione R A della cerniera e, più in particolare, la reazione verticale VA devono essere orientate verso il basso (Figura 3.14-c) e non verso l’alto.
Esempio 3. 7 Carico concentrato applicato ad una gru Una gru fissa (Figura 3.15-a), avente una massa di 1020 kg, è vincolata in A con una cerniera e in B con un carrello; essa viene utilizzata per sollevare una cassa avente una massa di 2549 kg. Moltiplicando le masse della gru e della cassa per l’accelerazione di gravità 9,81 m/s2 si ottengono (1-10′ ) la forza peso P1 = 1020 kg × 9,81 m/s 2 = 10 kN ↓ e la forza peso P2 = 2549 kg × 9,81 m/s 2 = 25 kN ↓: queste forze rappresentano due carichi concentrati, applicati il primo nel punto G, baricentro della gru (Capitolo 4), e il secondo nel punto C. Determinare la reazione R A della cerniera, sulla base delle due componenti orizzontale HA e verticale VA, e la reazione R B del carrello.
SOLUZIONE Si traccia il diagramma di corpo libero (Figura 3.15-b) in cui sono evidenziate le due componenti orizzontale HA e verticale VA della reazione della cerniera R A, della quale non è nota la direzione, e la reazione R C del carrello, orizzontale perché perpendicolare alla parete; come verso delle reazioni, si assume quello coincidente con il verso positivo degli assi x e y. Le equazioni di equilibrio sono le 3-1; si scrive prima ΣMA = 0, quindi ΣFx = 0 e finalmente ΣFy = 0 in modo da avere, di volta in volta, una sola incognita in ciascuna equazione: £ ΣMA = 0
⇒
+ (RB × 1,5 m) – (P1 × 2 m) – (P2 × 6 m) = 0
R B × 1,5 m = 10 kN × 2 m + 25 kN × 6 m RB = § ΣFx = 0
20 kN⋅m + 150 kN⋅m = + 113,3 kN 1,5 m HA + R B = 0
⇒
⇒
⇒
⇒
R B = 113,3 kN →
HA + 113,3 kN = 0
⇒
䉳
HA = – 113,3 kN
Il risultato negativo di questa reazione indica che il verso di HA è opposto a quello che è stato ipotizzato all’inizio (Figura 3.15-c): HA = 113,3 kN ← 䉳 ¶ ΣFy = 0 A.3-2: A.3-5:
⇒ RA =
tan α =
VA – 10 kN – 25 kN = 0 H A2 + VA2 =
VA = + 35 kN
⇒
VA = 35 kN ↑
䉳
(113,3 kN) 2 + ( 35 kN) 2 = 118,6 kN
35 kN VA = = 0,3089 113,3 kN HA
⇒
α = arctg 0,3089 = 17,2°
R A = 118,6 kN 17,2° 7
䉳
3.6. – DETERMINAZIONE DELLE REAZIONI VINCOLARI
C
a
A
G 2549 k g
1,5 m
B
2m
4m
C
y
b
x
VA
P2 = 25 kN
HA A
G
P1 = 10 kN RB B
2m
4m
C
c
RA = 118,6 kN
α = 17,2°
VA = 35 kN A
P2 = 25 kN G
HA = 113,3 kN P1 = 10 kN R B = 113,3 kN B
2m
4m
Fig. 3.15 - Gru trattata nell’Esempio 3.7. 䡵 a) Condizioni di carico e di vincolo. libero. 䡵 c) Valore delle reazioni con indicato il verso corretto.
䡵
b) Diagramma di corpo
Controllo – Il momento di tutte le forze esterne rispetto ad un qualsiasi punto deve essere uguale a zero; preso, ad esempio il punto B, si ha (Figura 3.15-c): £ ΣMB = 0
⇒
+ (HA × 1,5 m) – (P1 × 2 m) – (P2 × 6 m) = 0
113,3 kN × 1,5 m – 10 kN × 2 m – 25 kN × 6 m = 0 170 kN⋅m – 20 kN⋅m – 150 kN⋅m = 0
⇒
0=0
⇒
⇒
73
74
CAPITOLO 3. – L’EQUILIBRIO STATICO
Esempio 3. 8 Trave incastrata La trave a mensola, incastrata in A, di lunghezza L = 4,5 m della Figura 3.16-a è soggetta al carico di intensità w = 4 kN/m distribuito uniformemente sulla lunghezza l = 2 m, al carico concentrato P = 6 kN 6 30° e alla coppia di momento M L = 2,1 kN⋅m fl. Determinare le reazioni HA e VA ed il momento di incastro M i .
a = 3,3 m
a
P
w = 4 kN/m
α = 30° A
B l=2m
ML L = 4,5 m
SOLUZIONE b
Si traccia il diagramma di corpo libero (Figura 3.16-b) in cui vengono evidenziate le reazioni dell’incastro composte (Figura 3.16-c) dalla forza orizzontale HA, dalla forza verticale VA e dalla coppia di momento M i: si fa l’ipotesi che le due reazioni HA e VA siano orientate nel verso positivo degli assi, mentre il senso di rotazione di M i sia antiorario. Sono anche riportati i carichi applicati alla mensola:
y x HA
l/2 = 1 m W PV
A
PH B
VA Mi
a = 3,3 m L = 4,5 m
ML
Fig. 3.16 - Trave incastrata trattata nell’Esempio 3.8. 䡵 a) Condizioni di carico. 䡵 b) Diagramma di corpo libero.
A.3-4:
– coppia di momento M L = 2,1 kN⋅m fl, – carico concentrato verticale (3-4) W = wl = 4 kN/m × 2 m = 8 kN applicato alla distanza l /2 = 2 m/2 = 1 m dall’incastro A, – componente orizzontale PH e componente verticale PV del carico concentrato P = 6 kN 6 30°; queste componenti, ambedue negative perché orientate nel verso negativo degli assi x e y, valgono:
PH = – P cos α = – 6 kN × cos 30° = – 5,196 kN ≈ – 5,2 kN PV = – P sen α = – 6 kN × sen 30° = – 3 kN
A.3-3:
§ ΣFx = 0
HA – 5,2 kN = 0
⇒
¶ ΣFy = 0
⇒
£ ΣMA = 0
⇒
⇒
VA – 8 kN – 3 kN = 0
PH = 5,2 kN ←
PV = 3 kN ↓
HA = + 5,2 kN ⇒
+ M i − W (l /2) − PV a − ML = 0
VA = + 11 kN ⇒
M i = 8 kN × 1 m + 3 kN × 3,3 m + 2,1 kN⋅m = + 20 kN⋅m
HA = 5,2 kN → VA = 11 kN ↑
䉳 䉳
M i = W (l /2) + PV a + ML ⇒
M i = 20 kN⋅m fi
䉳
Le reazioni HA e VA come pure il momento di incastro Mi sono risultati positivi; essi conservano perciò il verso e il senso di rotazione che erano stati assunti all’inizio. Controllo – I risultati ottenuti vengono verificati prendendo il momento delle forze esterne (carichi più reazioni) rispetto al punto B: £ ΣM B = 0
⇒
+ M i − VA L + W ( L − l /2) + PV ( L − a) − ML = 0
+ 20 kN⋅m – 11 kN × 4,5 m + 8 kN × 3,5 m + 3 kN × 1,2 m – 2,1 kN⋅m = 0
⇒ ⇒
0=0
Esempio 3. 9 Assi inclinati Un carrello di una miniera (Figura 3.17-a) del peso P = 30 kN ↓, applicato nel punto G in mezzo ai due assi A e B, viene fatto scorrere, mediante un cavo su un binario, inclinato dell’angolo α = 30° rispetto alla verticale. Determinare la forza T, che agisce lungo il cavo, e le reazioni R A ed R B di ciascun paio di ruote del carrello.
3.7. – SOMMARIO
SOLUZIONE
a 600
Per comodità, si fissa (Figura 3.17-b) un sistema di assi x e y, diretti rispettivamente secondo il binario e secondo la normale al binario. Nel diagramma di corpo libero sono evidenziate le reazioni dei vincoli con il verso scelto: la tensione T, diretta lungo il cavo, e le reazioni R A ed R B , perpendicolari al terreno. Si risolve la forza peso P (applicata in G al carrello) nelle due componenti Px e Py ; si applicano le equazioni di equilibrio 3-2, avendo l’avvertenza di scrivere prima le due equazioni dei momenti in modo da avere sempre una sola incognita in ogni equazione.
mm
α = 30° G 650 mm
A.3-4: Px = + P cos α = + 30 kN × cos 30° = + 25,98 kN ≈ + 26 kN
650 mm
Px = 26 kN 1
P = 30 kN
A.3-3:
Py = – P sen α = – 30 kN × sen 30° = – 15 kN Py = 15 kN 4
b
£ ΣMA = 0
T
– (15 kN × 0,65 m) – (26 kN × 0,15 m) +
⇒
+ R B × (0,65 m + 0,65 m) = 0
y 600
mm
x
RB =
9,75 kN⋅m + 3,9 kN⋅m = + 10,5 kN 1,3 m
⇒
R B = 10,5 kN 2
䉳
A
£ ΣMB = 0
G
RA
Py
650 mm
B
RB
RA =
Px
650 mm
– [RA × (0,65 m + 0,65 m)] +
9,75 kN⋅m – 3,9 kN⋅m = + 4,5 kN 1,3 m
⇒
R A = 4,5 kN 2 䉳
150 mm
™ ΣFx = 0
⇒
P = 30 kN
– T + 26 kN = 0
⇒
T = + 26 kN
T = 26 kN 3
Fig. 3.17 - Carrello trattato nell’Esempio 3.9. 䡵 a) Condizioni di carico e di vincolo. 䡵 b) Diagramma di corpo libero.
䉳
Controllo – La verifica viene fatta scrivendo l’equazione ΣFy = 0 che non è stata utilizzata sopra: † ΣFy = 0
3. 7
⇒
+ (15 kN × 0,65 m) – (26 kN × 0,15 m) = 0
α = 30°
⇒
+ 4,5 kN – 15 kN + 10,5 kN = 0
⇒
0=0
SOMMARIO Il corpo rigido è in equilibrio quando la somma delle forze e la somma dei momenti delle forze rispetto ad O del sistema sono ambedue uguali a zero. Nel caso di un corpo rigido bidimensionale (o piano) si hanno due equazioni di equilibrio alla traslazione e una alla rotazione:
∑F
x
=0
∑F
y
=0
∑M
O
=0
Con il diagramma di corpo libero si rappresenta la struttura completamente isolata, dopo averla staccata dal terreno e separata da ogni altro corpo, soggetta a tutte quelle forze esterne (carichi e reazioni) che il terreno e i corpi che sono stati separati esercitano sulla struttura. Una struttura tipica è la trave piana ad asse rettilineo, il cui asse è contenuto nel piano della figura. Il corpo rigido, libero di muoversi, ha tre possibilità di movimento: le due traslazioni generate dalle componenti delle forze secondo i due assi x e y, e la rotazione attorno all’asse z normale
75
76
CAPITOLO 3. – L’EQUILIBRIO STATICO
al piano x-y e passante per l’origine O degli assi x e y. Queste tre possibilità di movimento costituiscono i tre gradi di libertà del corpo rigido nel piano. Volendosi realizzare l’equilibrio del corpo rigido, occorre sopprimere i tre gradi di libertà del corpo rigido introducendo dei vincoli che lo colleghino alle altri parti della struttura oppure al terreno in modo tale che il corpo non abbia più alcuna possibilità di movimento. I vincoli più usati sono il carrello, la cerniera e l’incastro che sopprimono rispettivamente uno, due e tre gradi di libertà. Sono in equilibrio quelle strutture nelle quali ogni elemento, attraverso le reazioni esercitate dai vincoli, risulta bloccato nei riguardi di qualunque moto rigido. Le reazioni suscitate dal vincolo si determinano attraverso le tre equazioni di equilibrio. Si possono presentare tre casi: a) le incognite introdotte dalle reazioni dei vincoli sono meno di 3. Il problema è impossibile in quanto tre sono i gradi di libertà del corpo rigido e la struttura si dice labile; b) le incognite introdotte dalle reazioni dei vincoli sono tre. La struttura, che risulta staticamente determinata, è isostatica; c) le incognite introdotte dalle reazioni dei vincoli sono più di tre. Essendo i vincoli sovrabbondanti rispetto ai tre gradi di libertà della struttura, esistono infinite soluzioni equilibrate e la struttura si dice iperstatica.
Esercizi proposti
Con il contributo del prof. L. Leonessa
3.1 Determinare le reazioni RA ed RB della trave semplicemente appoggiata della Figura 3.18 soggetta ad un sistema di forze parallele concordi.
1,5 m w
RA = 7,75 kN ↑; RB = 4,25 kN ↑
A
B
6 kN 4m
4 kN
1m
2 kN Fig. 3.19 - Trave con carico distribuito dell’Esercizio 3.2.
A
B 8 kN
1 m
2m
3m
2m
6 kN
6 kN 4 kN
2 kN
Fig. 3.18 - Trave trattata nell’Esercizio 3.1. A
3.2 Calcolare le reazioni RA ed RB della trave della Figura 3.19 soggetta al carico distribuito di intensità w = 1,4 kN/m.
1,5 m
1,5 m
B
2m
1,5 m
1 m
2m
Fig. 3.20 - Trave trattata nell’Esercizio 3.3.
RA = 0,13 kN ↓; RB = 2,23 kN ↑
3.3 Determinare le reazioni RA ed RB della trave semplicemente appoggiata della Figura 3.20 soggetta ad un sistema di forze parallele discordi. RA = 0,67 kN ↑; RB = 13,33 kN ↑
3.4 Determinare la reazione RA del carrello A, le reazioni RC ed MC dell’incastro C e l’intensità RB della reazione che le due travi della struttura composta di Figura 3.21, soggetta al carico P = 40 kN ↓, si scambiano attraverso la cerniera B. RA = 20 kN ↑; RC = 20 kN ↑; MC = 60 kN⋅m fl; RB = 20 kN
ESERCIZI PROPOSTI
a
F1
C
P = 40 kN B
C
1,5 m
A
F2
5m
3m
1m
RB RA
VA B
HA A
b
F3
F4
P = 40 kN A
B RA
1,5 m RB
1,5 m
1,5 m
Fig. 3.23 - Struttura con cerniera e carrello dell’Esercizio 3.6.
RB
C RC FC
MC
A
C
α = 18°
B
Fig. 3.21 - Trave trattata nell’Esercizio 3.4. 䡵 a) Condizioni di carico e di vincolo. 䡵 b) Diagramma di corpo libero della struttura smembrata in due
travi.
4m
2m
Fig. 3.24 - Trave dell’Esercizio 3.7.
3.5 Determinare le reazioni RA ed RB della trave semplicemente appoggiata della Figura 3.22 soggetta alle due forze parallele concordi P1 = 1 kN ↓ e P2 = 4 kN ↓, delle quali una è a sbalzo. RA = 2,5 kN ↓; RB = 7,5 kN ↑
3.8 Determinare la reazione del carrello RA e la reazione della cerniera RB (sulla base delle componenti HB e VB) della gru, mostrata nella Figura 3.25, soggetta alle forze P1 = 2 kN ↓, P2 = 2 kN ↓ e P3 = 1 kN ↓. RA = 6 kN ←; HB = 6 kN →; VB = 5 kN ↑; RB = 7,81 kN 6 39,8°
RB 1m
1m
1m
1m
1m
1m
A
A RA
P1 = 1 kN
B
P2 = 4 kN 2m
2m
3m
1,5 m
Fig. 3.22 - Trave semplicemente appoggiata dell’Esercizio 3.5. B
3.6 Determinare la reazione RA della cerniera, sulla base delle componenti HA e VA, e la reazione del carrello R B della trave della Figura 3.23 soggetta alle forze F1 = 1,5 kN →, F2 = 1 kN →, F3 = 1 kN ↓ ed F4 = 2 kN ↓. HA = 2,5 kN ←; VA = 0,28 kN ↑; RA = 2,52 kN 6,4° 7; RB = 2,72 kN ↑ 3.7 Trovare le reazioni RA ed RB della trave della Figura 3.24 e caricata dalla forza FC = 20 kN 18° 7. RA = 19,13 kN 8 6,15°; RB = 4,12 kN ↓
A
RA
P1 1,5 m
P3
RB
VB
P2
B
HB
Fig. 3.25 - Gru con cerniera e carrello trattata nell’Esercizio 3.8.
77
78
CAPITOLO 3. – L’EQUILIBRIO STATICO
3.9 Calcolare le reazioni RA ed RB della trave della Figura 3.26 con cerniera e carrello caricata con una forza verticale di 300 N e con una coppia di 50 N⋅m.
3,6 m
a A
RA = 250 N ↑; RB = 50 N ↑
2,4 kN
2,7 m C B
300 N
D
2,7 m 0,6 m
0,5 m
E A
F
B 50 N⋅ m
4,8 m
2m 3,6 m
b Fig. 3.26 - Trave con cerniera e carrello dell’Esercizio 3.9.
y
A 2,4 kN
2,7 m
3.10 Calcolare le reazioni RA e RB della trave semplicemente appoggiata della Figura 3.27 soggetta ad un carico concentrato verticale di 20 kN e ad un carico uniformemente distribuito su un tratto a sbalzo lungo 5 m avente un’intensità pari a 4 kN/m.
x
C B
D
2,7 m HE
RA = 35 kN ↑; RB = 5 kN ↑
E VE
F RF 4,8 m
20 kN
c
1,2 m
2,4 m
4 kN/m
VB
2,4 kN
VC
D A
HB B
B
C
HC
VA HA
A 5m
5m
5m
A HA
VA
2,7 m Fig. 3.27 - Trave con carico distribuito a sbalzo dell’Esercizio 3.10.
2,4 m
VB HB B
3.11 Risolvere la struttura isostatica composta vincolata con cerniera in E e carrello in F della Figura 3.28, calcolando dapprima le reazioni RF, VE ed HE e quindi le forze VC e VB (membro BCD), HB, HA e VA (membro ABE) e infine HC (ancora membro BCD) che si trasmettono attraverso i vincoli interni. Da ultimo, si effettui il controllo dei risultati verificando, attraverso il momento rispetto a C, che il membro ACF è in equilibrio.
C HC VC
2,7 m
E VE = 0,6 kN
F R F = 1,8 kN
Fig. 3.28 - Struttura rigida trattata nell’Esercizio 3.11. 䡵 a) Condizioni di carico e di vincolo. 䡵 b) Diagramma di corpo libero della struttura nel suo insieme.
RF = 1,8 kN ↑; VE = 0,6 kN ↑; HE = 0; VC = + 3,6 kN; VB = + 1,2 kN; HB = HA = 0; VA = + 1,8 kN; HC = 0
䡵 c) Diagramma di corpo libero di ciascuno dei tre elementi della struttura.
ESERCIZI PROPOSTI
3.12 Ciascuna trave della struttura isostatica a tre travi della Figura 3.29 è lunga L = 4 m. La trave superiore è soggetta ai carichi P1 = 24 kN ↓ e P2 = 48 kN ↓. La struttura è vincolata con tre cerniere in A, B e D ed un carrello in E. Determinare le reazioni dei vincoli esterni nonché le forze che si trasmettono attraverso gli appoggi interni F e G. Risolvere dapprima la trave superiore AC, la reazione presente in F diventa, cambiata di segno, carico applicato alla trave intermedia GB; analogamente la reazione del
P2 = 48 kN
a L 2
P1 = 24 kN L 4
carrello G della trave intermedia, cambiata di segno, diventerà il carico applicato sulla trave inferiore DE; alla fine, ricomporre la struttura verificando, attraverso il diagramma di corpo libero complessivo, che si annullino le forze presenti in F e G. HA = HB = HD = 0; VA = 8 kN ↓; VB = 20 kN ↑; VD = 45 kN ↑; RE = 15 kN ↑; VF = 80 kN ↑; VG = 60 kN ↑
e
48 kN
24 kN
C
A L 4
8 kN
80 kN
C
A F
F
B G E
D
80 kN B
L 4
3 L 4 L=4m
L 4
G
P2 = 48 kN
b L 2
HA A
60 kN E
D
L 2
15 kN
45 kN 3 L 4
VA
c
P1 = 24 kN
30 kN
60 kN
L 4
VF
C
VF
3 L 4
f
48 kN
24 kN
B
G
C
A HB
VB
VG
F
8 kN
B G D
d D
L 4
VG
3 L 4
45 kN
E
30 kN
15 kN
E HD VD
RE
Fig. 3.29 - 䡵 a) Struttura a più elementi dell’Esercizio 3.12; i rulli F e G sono gli appoggi interni (cioè i carrelli) che permettono di trasferire i carichi al resto della struttura. 䡵 b) Diagramma di corpo libero della trave superiore. 䡵 c) Diagramma di corpo libero della trave centrale. 䡵 d) Diagramma di corpo libero della trave inferiore. 䡵 e) Intensità delle forze esterne ed interne; sono stati isolati i due appoggi interni F e G su cui agiscono le forze uguali ed opposte provenienti dalle travi confinanti. 䡵 f) Controllo dei risultati con la struttura soggetta alle forze esterne (carichi e reazioni vincolari).
79
80
CAPITOLO 3. – L’EQUILIBRIO STATICO
3.13 La trave della Figura 3.30 è lunga L = 8 m ed è soggetta ai carichi concentrati P1 = 2134 N ↓, P2 = 2000 N ↓ e P3 = 1000 N 60° 9 ed alle coppie di estremità di momento M1 = 2000 N⋅m fi ed M2 = 2536 N⋅m fl. Dopo aver calcolato le componenti orizzontale P3H e verticale P3V di P3, determinare le reazioni della cerniera HA e VA e la reazione RB del carrello.
250 N
P3H = 500 N ←; P3V = 866 N ↓; HA = 500 N →; VA = 2500 N ↑; RB = 2500 N ↑ 60 N P2
P1
a
P3 60°
A
B
M1
M2 2m
3m L=8m
a
700 mm
Fig. 3.32 - Carriola dell’Esercizio 3.15 con applicate le due forze di 60 N e 250 N.
P3 60°
A
HA
a
2m
a = 150 mm P2
P1
b
1m
B
M1
M2 VA
RB
Fig. 3.30 - Trave con cerniera e carrello trattata nell’Esercizio 3.13.
3.14 Determinare le reazioni della cerniera HA e VA e la reazione del carrello RB di una trave (Figura 3.31) lunga L = 5 m a cui è applicata la coppia di momento M = 50 kN⋅m fl. HA = 0; VA = 10 kN ↓; RB = 10 kN ↑
A
3.16 Nel gioco dell’altalena, una trave è labile intorno ad una sola cerniera. Dalla parte sinistra dell’altalena, ed alla distanza di 1,2 m dalla cerniera, è seduta una bambina del peso di 240 N. Calcolare la distanza d dalla cerniera alla quale potrà sedere, dalla parte destra, una seconda bambina pesante 180 N. d = 1,6 m 3.17 Ad una trave sostenuta dai due cavi passanti per A e per B (Figura 3.33) sono applicati due carichi verticali: uno noto pari a 7,5 kN e l’altro P incognito. Determinare l’intervallo di valori che può assumere P in modo che il cavo passante per B non diventi lasco (RB ⭐ 0) oppure non superi la forza di 12 kN (RB ⭓ 12 kN), che costituisce il valore massimo sopportabile dal cavo.
B
1,25 kN < P < 10,25 kN
HA M 1,8 m RB
VA L
Fig. 3.31 - Trave soggetta ad una coppia distante 1,8 m da A; osservare come il risultato dell’Esercizio 3.14 dia una reazione VA di verso opposto a quanto assunto sul disegno in modo da generare, insieme ad RB, una rotazione antioraria che equilibra la coppia.
7,5 kN
P
A
3.15 Quale forza deve esercitare con ciascuna mano una donna per trasportare con la carriola della Figura 3.32 un sacco di fertilizzante? 42 N ↑
0,5 m
B 2,25 m
0,75 m
Fig. 3.33 - Valutazione dell’intervallo di valori che rende sicura l’applicazione di un dato carico (Esercizio 3.17 ).
ESERCIZI PROPOSTI
3.18 La trave della Figura 3.34 è lunga L = 3 m ed è soggetta ad un carico distribuito di intensità w = 30 kN/m, ad un carico concentrato P = 40 kN ↓ e a due coppie di estremità di momento M1 = 34 kN⋅m fi ed M2 = 39,8 kN⋅m fl. Determinare le reazioni della cerniera HA e VA e la reazione del carrello RB. HA = 0; VA = 59,1 kN ↑; RB = 70,9 kN ↑
12 kN/m 250 kN⋅m A
B L=6m
Fig. 3.35 - Mensola trattata nell’Esercizio 3.19.
P w M1
A
B
M2
3.20 Calcolare le reazioni orizzontale e verticale HA e VA e il momento di incastro MA della mensola, lunga L = 4 m, soggetta al carico concentrato P = 40 N ↓ applicato alla distanza di 3 m dall’incastro. HA = 0; VA = 40 kN ↑; MA = 120 kN⋅m fi
1,8 m
1,2 m L=3m P 3m
Fig. 3.34 - Trave con cerniera e carrello dell’Esercizio 3.18.
3.19 La mensola della Figura 3.35 è soggetta ad un carico uniformemente distribuito di intensità pari a 12 kN/m su tutta la sua lunghezza L = 6 m e ad una coppia antioraria all’estremo libero di momento pari a 250 kN⋅m. Dopo aver sostituito al carico distribuito il carico totale W applicato a metà trave, calcolare le reazioni orizzontale e verticale HA e VA e il momento di incastro MA. W = 72 kN ↓; HA = 0; VA = 72 kN ↑; MA = 34 kN⋅m fl
HA
A
B L
Mi VA
Fig. 3.36 - Mensola con carico concentrato trattata nell’Esercizio 3.20.
81
BARICENTRO, MOMENTI STATICI E MOMENTI DI INERZIA
Capitolo 4
4. 1
BARICENTRO E MOMENTI STATICI
∆P1
L’azione esercitata dalla gravità su un corpo rigido (Figura 4.1) dovrebbe venire rappresentata da un gran numero di piccole forze peso ∆P1, ∆P2, ∆P3 , …, ∆Pn, dirette verso il centro della terra e quindi, praticamente, parallele tra loro; tutte queste piccole forze ∆Pi possono venire sostituite da un’unica forza peso equivalente P, avente:
∆P2 G
∆P3
∆P4 ∆P5
∆Pn
• per direzione la loro stessa direzione, • come intensità la somma delle forze elementari (P = Σ∆Pi ),
P
• come punto di applicazione il baricentro di coordinate x e y (Figura 4.2). Fig. 4.1 - La forza peso P di un corpo è la risultante delle forze peso elementari ∆Pi che agiscono sulle masse dei singoli elementi in cui si può immaginare scomposto il corpo solido; il baricentro G è il punto di applicazione di questa risultante.
Tutti i corpi, e quindi anche le lastre (Figura 4.2) e i fili (Figura 4.3), hanno un baricentro. Essendo in un dato luogo costante l’accelerazione di gravità g, la forza peso P risulta proporzionale alla massa m (1-10′: P = mg); il peso di ciascun elemento di un corpo, ad esempio la lastra della
z
z y
y
P
∆Pi ∆Ai
xi x– y–
O
G
yi
s
s
O x
x
Fig. 4.2-a - Le coordinate x e y del baricentro G di una lastra (disegno di sinistra) si ottengono scrivendo che, per il teorema di Varignon (2-3), i momenti di P rispetto agli assi y e x sono uguali alla somma dei corrispondenti momenti delle forze peso elementari ∆Pi rispetto agli stessi assi:
∑ (∆P ⋅x ) ⇒ x = ∑ P ∑ (∆P ⋅ y ) = ∑ ( ∆P ⋅ y ) ⇒ y = ( ∆Pi ⋅ xi )
∑M :
P ⋅ x = ∆P1 ⋅ x1 + ∆P2 ⋅ x2 + ∆P3 ⋅ x3 + … + ∆Pn ⋅ xn =
i
i
∑M :
P ⋅ y = ∆P1 ⋅ y1 + ∆P2 ⋅ y2 + ∆P3 ⋅ y3 + … + ∆Pn ⋅ yn
i
i
y
x
i
P
i
4.1. – BARICENTRO E MOMENTI STATICI
A
B A G
B
Fig. 4.2-b - Determinazione sperimentale del baricentro. Il corpo viene sospeso al punto A generico: si raggiungerà l’equilibrio quando i momenti delle particelle costituenti il corpo generano un momento orario che bilancia esattamente quelle che provocano un momento antiorario; quando ciò avviene il baricentro giace lungo la verticale passante per A. Se il corpo viene sospeso ad un altro punto B, in condizioni di equilibrio il baricentro si troverà lungo la verticale passante per B. L’intersezione delle linee passanti per A e per B individua la posizione del baricentro G.
Figura 4.2-a, può allora venire considerato in funzione della massa dell’elemento stesso che origina quella data forza peso. Come prima la risultante di tutti i vettori che esprimevano le forze peso elementari aveva come punto di applicazione il baricentro del corpo, adesso la risultante di tutti i vettori funzioni delle masse elementari avrà ancora lo stesso punto di applicazione che rappresenta però il centro delle masse (o centro di massa) che, con la loro distribuzione continua, tutte insieme costituiscono la lastra. Il centro di massa coincide perciò con il baricentro del corpo e, per semplicità, si userà ancora nel seguito il termine di baricentro anche per indicare il centro di un sistema di masse4.1.
La massa m [kg] è il prodotto della massa volumica ρ [kg/m3] per il volume V [m3] del corpo, volume che a sua volta si ottiene moltiplicando l’area A [m2] per lo spessore s [m]: m = ρ ⋅V = ρ (A⋅s) = ρ sA. Si consideri ancora la lastra della Figura 4.2-a; si assume che questa lastra sia omogenea: abbia cioè in ciascuno dei suoi punti la medesima costituzione ed una struttura uniforme in modo tale che siano costanti la massa volumica ρ e lo spessore s. Essendo costanti la massa volumica ρ e lo spessore s, la massa di ciascun elemento della lastra risulta proporzionale a ciascuna area elementare: ciascun elemento della piastra non viene più considerato per la forza peso originata dalla massa dell’elemento ma per la sua area. Come prima la risultante di tutti i vettori che esprimevano le forze peso elementari aveva come punto di applicazione il baricentro di un corpo
z
z y
y
P G O
∆Pi
xi
x–
yi
y–
O x
x
Fig. 4.3 - Baricentro di un filo; le coordinate del baricentro si calcolano dividendo il filo in tanti elementi (tronchetti elementari): nel disegno di destra è stato indicato il generico tratto di filo di coordinate xi ed yi, sul quale si esercita la forza ∆Pi.
4.1 - Il termine centro di massa (in inglese center of mass) fa riferimento al centro relativo alla distribuzione della massa in un corpo, mentre il termine baricentro (in inglese center of gravity o centro di gravità) indica il punto di applicazione della risultante
delle forze esercitate dalla gravità su quel corpo. Nel caso in cui il campo gravitazionale sia uniforme e parallelo, il baricentro è indipendente dall’orientamento del corpo ed ha la stessa posizione del centro di massa. Passando poi ad una figura geometrica, sia questa
una linea oppure una superficie oppure un volume, in italiano si fa ancora uso del termine baricentro, mentre in inglese si preferisce usare la parola centroid (che si potrebbe tradurre in italiano come “centroide”) anziché center of gravity.
83
84
CAPITOLO 4. – BARICENTRO, MOMENTI STATICI E MOMENTI DI INERZIA
rigido (la lastra), adesso la risultante di tutti i vettori funzioni delle aree elementari avrà ancora lo stesso punto di applicazione che rappresenta però il baricentro di un’area: al posto del peso P oppure della massa m del corpo rigido si considera la figura geometrica di area A. Questo ragionamento può essere esteso anche alla linea L, schematizzazione del filo omogeneo di sezione trasversale uniforme rappresentato nella Figura 4.34.2. Se un’area A (oppure una linea L) possiede un’asse di simmetria, il suo baricentro G si trova su quell’asse (Figura 4.4). Se poi una superficie (oppure una linea) possiede due assi di simmetria, il suo baricentro G coincide con il punto di intersezione dei due assi di simmetria (Figura 4.5). Questa proprietà consente di individuare immediatamente il baricentro di super-
a P
B′
P′ B y
b
–x
a
b
x G
∆A′
∆A
G
G A x
O
Fig. 4.4 - Determinazione del baricentro di una superficie simmetrica di area A. 䡵 a) Superficie simmetrica rispetto all’asse BB′. 䡵 b) Superficie simmetrica rispetto all’asse y.
fici come cerchi, ellissi, quadrati, rettangoli, triangoli equilateri nonché il baricentro di linee come la circonferenza di un cerchio, il perimetro di un quadrato, ecc. Se una superficie è simmetrica rispetto ad un centro O (Figura 4.6) il baricentro G della superficie coincide con il centro di simmetria O (O ≡ G)4.3.
y x A
∆A y
O≡G
x
–y ∆A′ –x
Fig. 4.6 - Figura di area A simmetrica rispetto ad un centro O.
4.2 - Le coordinate x e y del baricentro, l’area della superficie oppure la lunghezza della linea delle figure geometriche, che si incontrano più fre quentemente nelle applicazioni, sono riportate nella Tabella VI a pag. 492.
Fig. 4.5 - Il baricentro G di figure geometriche aventi due assi di simmetria cade nell’intersezione dei due assi di simmetria. 䡵 a) Triangolo equilatero. 䡵 b) Sezione ad I.
Al concetto di baricentro di una figura geometrica, sia questa una linea o una superficie oppure un volume, è associato il concetto di momento statico o momento primo di quella figura geometrica rispetto ad un asse. Preso infatti l’asse x, il momento statico Sx è la sommatoria dei prodotti delle varie aree elementari ∆Ai, in cui si può immaginare scomposta una data superficie ( Figura 4.7 ), per le rispettive
4.3 - Una figura che possiede un centro di simmetria non necessariamente possiede un asse di simmetria (Figura 4.6), mentre una figura che possiede due assi di simmetria non necessariamente possiede un centro di simmetria (Figura
4.5-a). Tuttavia se una figura possiede due assi di simmetria perpendicolari l’uno all’altro, il punto di intersezione di questi assi sarà un centro di simmetria (Figura 4.5-b).
4.1. – BARICENTRO E MOMENTI STATICI
distanze yi dall’asse x: Sx = Σ (∆Ai⋅yi), termine che figura al numeratore della formula che dà la coordinata del baricentro x (didascalia di Figura 4.2), qualora si sostituisca al peso l’area. Le coordinate del baricentro di una figura geometrica di area A sono allora date da:
x =
∆A1 ⋅ x1 + ∆A2 ⋅ x2 + … + ∆An ⋅ xn = ∆A1 + ∆A2 + … + ∆An
∑ (∆A ⋅x ) = S i
i
A
y
A 4-1
y =
∆A1 ⋅ y1 + ∆A2 ⋅ y2 + … + ∆An ⋅ yn = ∆A1 + ∆A2 + … + ∆An
y ∆A2 ∆A1
∆A3 y2
y1 y4
y3 y5
x
y6
∆A5
∆A6
∆A4
Fig. 4.7 - Il momento statico Sx della superficie di area A rispetto all’asse x è la somma dei prodotti delle diverse aree elementari ∆A1, ∆A2, ∆A3, …, ∆A6 … per le rispettive distanze y1, y2, y3 , …, y6 … dall’asse x; esso può perciò assumere valori positivi oppure negativi a seconda che prevalgano i prodotti ∆Ai⋅yi positivi oppure i prodotti ∆Ai⋅yi negativi.
∑ (∆A ⋅ y ) = S i
i
A
x
A
Qualora siano note le coordinate del baricentro di un’area, le equazioni 4-1 possono essere invertite per il calcolo dei momenti statici di tale area rispetto ad un asse qualsiasi. Essendo il prodotto di un’area [mm2] per una lunghezza [mm], il momento statico si misura in mm3. Il momento statico può risultare sia positivo che negativo in funzione del valore positivo oppure negativo che la distanza dell’area considerata assume rispetto all’asse di riferimento (Figura 4.7).
Esempio 4.1 Baricentro di un sistema di masse Determinare le coordinate x ed y del baricentro G del sistema di masse costituito da una sfera di massa m1 = 10 kg e da due barre uniformi di massa m2 = 6 kg ed m3 = 4 kg (Figura 4.8 ). y x– = – 1,55 m
2m 3m
G2
m2 = 6 kg 2m
m3 = 4 kg
G1
m1 = 10 kg 1m
x –y = – 0,2 m
G G3 1,5 m
1,5 m
1m
Fig. 4.8 - Sistema di masse trattato nell’Esempio 4.1.
SOLUZIONE Prima si scrivono le equazioni 4-1 in funzione delle masse elementari ∆mi al posto delle aree elementari ∆Ai; si sostituiscono poi alle masse elementari ∆mi, le masse m1, m2 ed m3 concentrate nei rispettivi bari-
85
CAPITOLO 4. – BARICENTRO, MOMENTI STATICI E MOMENTI DI INERZIA
centri di coordinate x1 y1 , x2 y2 e x3 y3 . Si fissi l’origine degli assi x ed y nel centro della sfera. Il centro della sfera è anche il suo baricentro G1 poiché la sfera è una figura simmetrica rispetto ad un centro. Essendo le barre uniformi, i baricentri G2 e G3 delle due barre cadono nel mezzo di ciascuna barra.
x =
Corpo i
Massa mi [kg]
1 2 3
10 6 4
Coordinate del baricentro x [m] y [m] 0 – 2,5 –4
0 0 –1
m1 ⋅ x1 + m2 ⋅ x2 + m3 ⋅ x3 10 kg × 0 + 6 kg × ( − 2, 5 m) + 4 kg × ( − 4 m) = = − 1, 55 m m1 + m2 + m3 10 kg + 6 kg + 4 kg y =
䉳
10 kg × 0 + 6 kg × 0 + 4 kg × ( − 1 m) m1 ⋅ y1 + m2 ⋅ y2 + m3 ⋅ y3 = = − 0, 2 m 10 kg + 6 kg + 4 kg m1 + m2 + m3
䉳
COMMENTI I corpi dell’Esempio vanno considerati nello spazio in quanto sia la sfera che le due barre hanno anche una dimensione lungo il terzo asse z. Essendo tuttavia tali corpi simmetrici rispetto all’asse z, la terza coordinata z del baricentro G del sistema di masse sarà nulla per simmetria.
Esempio 4.2 Baricentro di una sezione a C Determinare le coordinate x ed y del baricentro della trave con sezione traversale a C illustrata nella Figura 4.9-a.
a
c
b
y
y
y
175 mm
200 mm 150 mm
G1 50 mm
600 mm
86
G3 Gp
Gv
50 mm G2 50 mm x 350 mm
x
25 mm 200 mm 150 mm
Fig. 4.9 - Trave con sezione trasversale a C trattata nell’Esempio 4.2. 䡵 a) Dati dell’Esempio. 䡵 b) Posizione dei baricentri dei tre rettangoli che compongono la sezione a C. 䡵 c) Soluzione alternativa come differenza tra un rettangolo pieno di area Ap e un rettangolo vuoto di area Av.
x
4.2. – TEOREMI DI PAPPO-GULDINO
SOLUZIONE Essendo la figura simmetrica rispetto ad un asse parallelo ad x e passante a metà dell’altezza del rettangolo di sinistra (Figura 4.9-a), l’ordinata del baricentro G vale: 䉳
y = 300 m
L’ascissa x si determina con la prima delle 4-1: x = ( S y / A). Il momento statico Sy , rispetto all’asse y, si calcola con il metodo delle parti composte. Con questo metodo, al posto delle aree elementari ∆A1, ∆A2, …, ∆A n che figurano nelle 4-1, si considerano le aree A1, A2 , …, An (la cui somma dà l’area A totale della superficie composta) concentrate nel proprio baricentro di coordinate x1 y1 , x2 y2 , … , x n y n . Nel caso dell’Esempio la sezione a C si può considerare composta da tre rettangoli aventi i baricentri G1, G2 e G3 (Figure 4.9-a e 4.9-b): – Rettangolo 1: – Rettangolo 2: – Rettangolo 3:
Base = 350 mm – 50 mm = 300 mm Base = 350 mm – 50 mm = 300 mm Base = 50 mm
Parte Rettangolo 1 Rettangolo 2 Rettangolo 3 SOMMATORIA ∑
Altezza = 50 mm Altezza = 50 mm Altezza = 600 mm
Ai [mm2 ]
xi [mm]
Ai ⋅ xi [mm 3 ]
+ 15.000 + 15.000 + 30.000
+ 200 + 200 + 25
+ 3.000.000 + 3.000.000 + 750.000
60.000
S y = Σ ( Ai ⋅ xi ) = + 6.750.000 mm 3
+ 6.750.000
⇒
x =
Sy A
=
+ 6.750.000 mm 3 = + 112,5 mm 60.000 mm 2
䉳
COMMENTI L’area della sezione composta può essere anche ottenuta come (Figura 4.9-c) differenza tra due rettangoli, uno pieno di area Ap ed uno vuoto di area Av (quest’ultima area va quindi considerata negativa), di dimensioni: • Pieno: Base = 350 mm • Vuoto: Base = 350 mm – 50 mm = 300 mm Parte Rettangolo pieno Rettangolo vuoto SOMMATORIA ∑
4. 2
Altezza = 600 mm Altezza = 600 mm – 2 × 50 mm = 500 mm
Ai [mm2]
xi [mm]
Ai ⋅ xi [mm 3 ]
+ 210.000 – 150.000
+ 175 + 200
+ 36.750.000 – 30.000.000
60.000
+ 6.750.000
TEOREMI DI PAPPO-GULDINO Il calcolo dell’area di una superficie di rotazione (Figura 4.10-a) oppure il volume di un corpo di rotazione (Figura 4.10-b) è direttamente legato alla determinazione del baricentro della linea e dell’area usata per generare quella superficie o quel corpo di rotazione; è così possibile calcolare: – nota l’ordinata y del baricentro, una superficie o un volume di rotazione oppure – noti la superficie o il volume di rotazione, l’ordinata y del baricentro.
87
88
CAPITOLO 4. – BARICENTRO, MOMENTI STATICI E MOMENTI DI INERZIA
B
B
A
Sfera
C
A
Cono
C
A
Toro
C
Fig. 4.10-a - Una superficie di rotazione è la superficie che può essere generata facendo ruotare una linea piana, detta linea generatrice, attorno ad un asse fisso: – superficie della sfera per rotazione della semicirconferenza ABC attorno al diametro AC; – superficie laterale del cono per rotazione del segmento di retta AB attorno all’asse AC; – superficie di un anello per rotazione di una circonferenza attorno ad un asse che non la interseca.
Sfera
Cono
Toro
Fig. 4.10-b - Un solido di rotazione è il volume che può essere generato facendo ruotare un’area piana, detta superficie generatrice, attorno ad un asse fisso: – volume della sfera per rotazione del semicerchio; – volume del cono per rotazione del triangolo rettangolo; – volume di un anello per rotazione di un cerchio.
Per il primo teorema di Pappo-Guldino4.4, l’area A di una superficie di rotazione è uguale al prodotto della lunghezza L della linea generatrice per la lunghezza 2π y della circonferenza descritta dal suo baricentro (Figura 4-11-a): A = L⋅2π y = 2π y L
y
4-2
y
Superficie di rotazione A
–y
L –y
x x
z
2π –y
Fig. 4-11-a - Primo teorema di Pappo-Guldino.
4.4 - I due teoremi sono attribuiti a Pappo di Alessandria, studioso greco di geometria che visse nel terzo secolo avanti Cristo. Il matematico svizzero
Paolo Guldino (1577-1643) ne rivendicò la paternità, anche se apparentemente gli erano noti i lavori di Pappo. Le dimostrazioni dei due teoremi di Pappo-
Guldino sono immediate facendo uso degli integrali; per semplicità, in questo corso vengono omesse.
4.2. – TEOREMI DI PAPPO-GULDINO
Per il secondo teorema di Pappo-Guldino, il volume V di un solido di rotazione è uguale al prodotto dell’area A della superficie generatrice per la lunghezza 2π y della circonferenza descritta dal suo baricentro (Figura 4.11-b): V = A⋅2π y = 2π y A
y
4-3
y
Volume V del solido di rotazione
x
–y A x
z
–y
2π –y
Fig. 4-11-b - Secondo teorema di Pappo-Guldino.
Esempio 4.3 Baricentro di un triangolo rettangolo Calcolare le coordinate del baricentro del triangolo rettangolo di base b e di altezza h, mostrato nella Figura 4.12.
a
b
y
y
G
h
G
h
y = h/3 x
x b
x = b/3 b
Fig. 4.12 - Determinazione delle coordinate del baricentro di un triangolo rettangolo. 䡵 a) Rotazione attorno all’asse x. 䡵 b) Rotazione attorno all’asse y.
SOLUZIONE Facendo ruotare il triangolo rettangolo (Figura 4.12-a) attorno all’asse x si genera un cono il cui volume V è uguale ad 1/3 dell’area del cerchio di base π h2 per l’altezza del cono b: V = (πh2⋅b)/3. Per il secondo teorema di Pappo-Guldino (4-3) questo volume V è pari al prodotto dell’area del triangolo A = (1/2)bh per la lunghezza della circonferenza descritta dal baricentro:
V = 2π yA
⇒
V y = = 2π A
π h 2b 2 3 = 1 πh b = h bh 3 πbh 3 2π 2
䉳
89
90
CAPITOLO 4. – BARICENTRO, MOMENTI STATICI E MOMENTI DI INERZIA
Facendo ruotare adesso il triangolo rettangolo (Figura 4.12-b) attorno all’asse y si genera un cono il cui volume V è uguale ad 1/3 dell’area del cerchio di base π b 2 per l’altezza del cono h. Adesso si pone 2π x come lunghezza della circonferenza descritta dal baricentro poiché la rotazione avviene attorno all’asse y:
V = 2π xA
π b2h V 1 πb 2 h b x = = 3 = = 2πA bh 3 πbh 3 2π 2
⇒
䉳
COMMENTI È questo un modo non comune per determinare il baricentro di un triangolo in quanto si è voluto mostrare l’applicazione del teorema di Pappo-Guldino. Più semplicemente il baricentro di un triangolo è il punto di incontro delle tre mediane. Queste infatti dividono il triangolo in aree uguali.
Esempio 4.4 Baricentri di semicerchio e semicirconferenza Determinare l’ordinata y del baricentro di:
a
A=
a) un semicerchio; b) una semicirconferenza.
π r2 2
b
L = πr
G
G
y–
r
r x
y– x
Fig. 4.13 - Determinazione del baricentro di solidi o superfici generati per rotazione. 䡵 a) Semicerchio. 䡵 b) Semicironferenza.
SOLUZIONE a) Facendo ruotare attorno all’asse x (Figura 4.13-a) il semicerchio di area A = (πr2)/2, si genera la sfera di volume V = (4/3)πr3. Per il secondo teorema di Pappo-Guldino (4-3) questo volume V è pari al prodotto dell’area A per la lunghezza della circonferenza descritta dal suo baricentro:
V = 2π yA
⇒
4π r 3 V 4r 3 y = = = 2π A π r2 3π 2π 2
䉳
b) Facendo ruotare attorno all’asse x (Figura 4.13-b) la semicirconferenza di lunghezza L = π r si genera la sfera avente un’area superficiale A = 4π r 2. Per il primo teorema di Pappo-Guldino (4-2), l’area A è pari al prodotto di L per la lunghezza della circonferenza descritta dal suo baricentro: A = 2π yL
4. 3
⇒
y =
A 4π r 2 2r = = 2π L 2π ⋅π r π
䉳
MOMENTI E RAGGI DI INERZIA Il momento di inerzia di una superficie rispetto ad un asse è la somma dei prodotti delle aree elementari per il quadrato della distanza da quell’asse; ad esempio il momento di inerzia assiale rispetto a x vale Ix = Σ (∆Ai⋅y i2 ) con ∆Ai area elementare e yi distanza dall’asse x (Figura 4.14-a). In realtà, essendo la superficie un sistema continuo, il momento di inerzia va espresso
4.3. – MOMENTI E RAGGI DI INERZIA
y
a
b
y
A
A
xi ri
x
∆Ai yi
r
O
x
dA y
O
x
Fig. 4.14 - Momenti di inerzia di una superficie di area A rispetto agli assi coordinati x ed y e rispetto al polo O. L’asse z (non rappresentato nella figura) è l’asse passante per l’origine O e perpendicolare al piano x-y. 䡵 a) La superficie di area A si considera composta da tanti elementi discreti di area ∆Ai. 䡵 b) La superficie di area A viene trattata come un insieme continuo a cui appartiene l’area infinitesima dA.
integrando l’area infinitesima dA sull’intera area A della superficie (Figura 4.14-b); si ottengono così nel piano x-y i due momenti di inerzia assiali, Ix rispetto ad x ed Iy rispetto ad y, e il momento di inerzia polare JO rispetto al polo O:
y
a
A O
b
A
x
Ix =
∫ y dA 2
Iy =
∫ x dA 2
JO =
y
ρx x
O
y
ρy
O
x A
d
2
4-4
Essendo per il teorema di Pitagora x2 + y2 = r 2, il momento polare risulta uguale alla somma dei due momenti assiali: JO = Ix + I y
c
∫ r dA
4-5
relazione questa che consente il calcolo del momento polare JO rispetto al punto O quando siano noti i due momenti assiali Ix ed Iy rispetto ai due assi perpendicolari x ed y passanti per quello stesso punto O, origine degli assi coordinati4.5. Il momento di inerzia è anche detto momento quadratico in quanto è dato da un’area moltiplicata per il quadrato di una distanza; di conseguenza il momento di inerzia di una superficie4.6 risulta sempre una quantità positiva. Essendo il prodotto di un’area [mm2] per il quadrato di una lunghezza [mm2], il momento di inerzia si misura in mm4. Si consideri la superficie di area A (Figura 4.15-a) che ha i momenti di inerzia assiali Ix ed Iy e polare JO. Si immagini di concentrare tutta l’area A in una sottilissima strisciolina sempre
y A
ρO O
x
4.5 - Le formule che esprimono i momenti di inerzia delle superfici di uso più comune sono riportate nella Tabella VII a pag. 493. Fig. 4.15 - Definizione del raggio di inerzia di una superficie. 䡵 a) Superficie di area totale A. 䡵 b) Raggio di inerzia ρx rispetto all’asse x. 䡵 c) Raggio di inerzia ρy rispetto all’asse y. 䡵 d) Raggio di inerzia ρO rispetto al polo O.
4.6 - Per ogni superficie esistono due assi, perpendicolari l’uno all’altro passanti per un punto O, rispetto ai quali i momenti di inerzia risultano uno massimo (Imax) e l’altro minimo (Imin): questi assi
sono gli assi principali della superficie rispetto ad O, mentre i momenti sono chiamati i momenti principali di inerzia della superficie rispetto ad O. Quando il punto O coincide con il baricentro G della superficie, i due assi principali della superficie passanti per il suo baricentro vengono individuati quali assi principali baricentrici della superficie.
91
92
CAPITOLO 4. – BARICENTRO, MOMENTI STATICI E MOMENTI DI INERZIA
di area A posta ad una distanza ρx dall’asse x (Figura 4.15-b). Il momento di inerzia della strisciolina rispetto ad x sarà lo stesso di quello dell’area originale se ρ x2 A = I x . La distanza ρx è nota come raggio di inerzia della superficie rispetto all’asse x. Si può scrivere una relazione analoga nel confronto dell’asse y immaginando che tutta l’area A venga adesso concentrata in una sottilissima strisciolina parallela all’asse y così come mostrato nella Figura 4.15-c. Se infine si immagina di concentrare tutta l’area in un anello sottilissimo di raggio ρO (Figura 4.15-d ), si può esprimere il momento polare di inerzia come ρO2 A = J O . Il raggio di inerzia è perciò una misura della distribuzione dell’area rispetto all’asse o al polo considerato:
ρx =
I x /A
ρy =
I y /A
ρO =
JO / A
4-6
Anche al raggio di inerzia si può applicare un’equazione analoga alla 4-5:
ρO2 = ρ x2 + ρ 2y
4-7
Si consideri una piccola massa ∆m montata su un’asticella di massa trascurabile che può ruotare liberamente attorno all’asse AA′ (Figura 4.16). Se viene applicata una coppia al sistema, l’asta e la massa, che inizialmente erano in quiete, cominceranno a ruotare attorno ad AA′. Il tempo richiesto dal sistema per raggiungere una data velocità di rotazione è proporzionale alla massa ∆m e al quadrato della sua distanza r dall’asse. Il prodotto ∆m⋅r 2 rappresenta perciò una misura dell’inerzia del sistema dove per inerzia si intende la resistenza offerta dal sistema allorché lo si vuole porre in movimento. Per questo motivo il prodotto ∆m⋅r 2 viene chiamato il moA′ A′ A′ c b mento di inerzia della massa ∆m rispetto all’asse AA′. Se si indica con dm l’elemento infinitesimo di r1 massa del corpo continuo, il momento di inerzia di massa del m ∆m1 corpo è espresso dall’integrale:
a
∆m
r
ρ
∆m2 r2
I =
r3 ∆m3
A
A
A
Fig. 4.16 - L’inerzia rappresenta la resistenza offerta dalla piccola massa ∆m ad essere posta in rotazione. Il momento di inerzia rappresenta la reazione del corpo di massa m alla rotazione rispetto all’asse AA′ sia che il corpo mantenga la sua forma originale (b) sia che venga concentrato (c). 䡵 a) Una piccola massa ∆m libera di ruotare attorno ad un asse. 䡵 b) Un corpo di massa m composto da più masse elementari posto in rotazione attorno ad un asse. 䡵 c) Definizione del raggio di inerzia di massa.
4.7 - Nella Tabella VIII a pag. 494 sono riportati la massa, in funzione del volume e della massa volumica ρ, e i
momenti di inerzia di massa dei corpi rigidi di uso più comune; i simboli Ixx, Iyy ed Izz indicano i momenti di inerzia del
∫ r dm 2
4-8
ed ha le dimensioni di una massa [kg] per il quadrato di una lunghezza [mm2] 4.7. In analogia con le 4-6, il raggio di inerzia di massa
ρ = I /m rappresenta la distanza alla quale dovrebbe essere concentrata l’intera massa del corpo in modo che il suo momento di inerzia rispetto all’asse AA′ rimanga invariato (Figura 4.16-c).
corpo rigido calcolati rispetto agli assi x, y e z.
4.3. – MOMENTI E RAGGI DI INERZIA
Esempio 4.5 Momento di inerzia polare di un rettangolo Sulla base dell’espressione dei momenti di inerzia Ix 0 ed Iy 0 rispetto agli assi ortogonali baricentrici x0 ed y0 , calcolare il momento polare di inerzia baricentrico JG del rettangolo della Figura 4.17 di cui si conosce la base b = 15 mm e l’altezza h = 25 mm.
y0
G
h
x0
b
Fig. 4.17 - Rettangolo trattato nell’Esempio 4.5.
SOLUZIONE Si applica la 4-5 alle espressioni dei due momenti di inerzia assiali baricentrici Ix0 ed Iy0 del rettangolo che si leggono sulla Tabella VII a pag. 493; si verifica l’espressione del momento di inerzia polare baricentrico JG (il polo G è l’origine degli assi x0 ed y0) con quella che si legge sempre sulla Tabella VII: I x0 = JG =
bh 3 12
I y0 =
b 3h 12
⇒
J G = I x0 + I y0 =
bh 3 b 3h bh(b 2 + h 2 ) + = 12 12 12
bh (b 2 + h 2 ) 15 mm × 25 mm × [(15 mm)2 + (25 mm)2 ] = = 26.562, 5 mm 4 12 12
䉳
COMMENTI Nel caso particolare del quadrato, del cerchio oppure della corona circolare, i –momenti di inerzia Ix0 ed Iy0 rispetto agli assi ortogonali baricentrici x0 ed y0 risultano uguali Ix0 = Iy0 = I e il momento polare JG – – – diviene: JG = Ix0 + Iy0 = I + I = 2I . Ad esempio, per un quadrato di lato a (b = h = a) si ha (Tabella VII a pag. 493): I x0 =
bh 3 aa 3 a4 = = 12 12 12
I y0 =
b 3h a 3a a4 = = 12 12 12
I x0 = I y0 = I =
a4 12
⇒
JG = 2I = 2
a4 a4 = 12 6
Esempio 4.6 Raggio di inerzia di un rettangolo Assegnato il momento di inerzia Ix rispetto alla base del rettangolo, calcolare il raggio di inerzia ρx del rettangolo della Figura 4.18 di cui si conosce l’altezza h = 27 mm. h G y–
x
b
Fig. 4.18 Rettangolo trattato nell’Esempio 4.6.
93
94
CAPITOLO 4. – BARICENTRO, MOMENTI STATICI E MOMENTI DI INERZIA
SOLUZIONE Ricavata dalla Tabella VII a pag. 493 l’espressione del momento di inerzia Ix rispetto alla base del rettangolo, si applica la 4-6: 䉳
COMMENTI Il raggio di inerzia ρx = 0,577h del rettangolo valutato rispetto ad x (Figura 4.18), non va confuso con l’ordinata del baricentro del rettangolo. Il raggio di inerzia ρx è infatti legato al momento quadratico, mentre l’ordinata del baricentro G è collegata al momento statico Sx della superficie.
4. 4
TEOREMA DI TRASPOSIZIONE Presi due assi paralleli qualsiasi di cui uno x0 passante per il baricentro (Figura 4.19), il teorema di trasposizione afferma4.8 che il momento di inerzia I dell’area A rispetto al primo asse è uguale al momento di inerzia dell’area rispetto all’asse baricentrico più il “termine di trasporto” A⋅d 2, prodotto dell’area A per il quadrato della distanza d tra i due assi x ed x04.9: 4-9 Si sottolineano due punti: 1. Gli assi tra i quali avviene la trasposizione del momento di inerzia devono essere paralleli. G
x0
d
x
Fig. 4.19 - Significato del teorema di trasposizione applicato ad assi paralleli orizzontali.
4.8 - Il teorema di trasposizione può essere anche espresso in funzione del raggio di inerzia, ponendo ρ2A al posto di I e ρ 2 A al posto di I ( ρ è il raggio di inerzia baricentrico): ρ 2 = ρ 2 + d 2 . Se JO è il momento polare di inerzia di un’area rispetto al punto O e J G è il momento polare di inerzia dell’area
2. Uno dei due assi deve passare per il baricentro della superficie. Se si desidera operare la trasposizione tra due assi paralleli, ad esempio x′ ed x″, nessuno dei quali passa per il baricentro, è necessario passare dapprima dall’asse x′ all’asse parallelo baricentrico x0 e successivamente dall’asse baricentrico x0 al secondo asse x″.
stessa rispetto al suo baricentro G, il teorema di trasposizione si scrive: J O = J G + Ad 2 e ρO2 = ρG2 + d 2 (con d distanza tra O e G). 4.9 - In questo testo si è usata la convenzione, seguita a livello internazionale soprattutto dagli autori di lingua
inglese, di tracciare una lineetta sopra un dato simbolo per indicare che la quantità fisica rappresentata da quel simbolo è riferita al baricentro. Così con x , y , I , J e ρ si intendono rispettivamente le coordinate del baricentro, i momenti di inerzia assiali e polari baricentrici e il raggio di inerzia baricentrico.
4.4. – TEOREMA DI TRASPOSIZIONE
Esempio 4.7 Momento di inerzia baricentrico di un triangolo Noto il momento di inerzia Ix′ rispetto ad un asse passante per la base, calcolare il momento di inerzia baricentrico I x0 e il momento di inerzia Ix″ rispetto all’asse parallelo x″ passante per il vertice del triangolo (Figura 4.20) di base b = 26 mm ed altezza h = 30 mm.
x″ d ′′ =
d′ =
2 h 3
h
1 h 3
G
x0 x
b
Fig. 4.20 - Triangolo trattato nell’Esempio 4.7.
SOLUZIONE Si legge sulla Tabella VII a pag. 493 l’espressione del momento di inerzia del triangolo rispetto ad un asse passante per la base che dista d ′ = h/3 dal baricentro G e si risolve rispetto al momento di inerzia baricentrico il teorema di trasposizione (4-9): 2
I x′ = I x0 + Ad ′ 2 Ix = 0
⇒
I x0 = I x′ − Ad ′ 2 =
3bh 3 − 2bh 3 bh 3 bh h bh 3 bh 3 bh 3 − − = = = 12 2 3 12 18 36 36
26 mm × (30 mm)3 26 mm × 27.000 mm 3 702.000 mm 4 bh 3 = = = = 19.500 mm 4 36 36 36 36
䉳
Applicando ancora la 4-9, si trova il momento di inerzia rispetto all’asse orizzontale x″ che dista d ″ = (2/3)h dal baricentro G: 2
I x′′ = I x0 + Ad ′′ 2 =
I x′′ =
9bh 3 bh 3 bh 2h bh 3 2bh 3 bh 3 + 8bh 3 bh 3 + = + = = = 36 2 3 36 9 36 36 4
26 mm × (30 mm)3 26 mm × 27.000 mm 3 702.000 mm 4 bh 3 = = = = 175.500 mm 4 4 4 4 4
䉳
COMMENTI 2
La presenza del termine di trasporto Ad nella relazione 4-9 fa sì che il momento di inerzia I baricentrico sia inferiore a quello calcolato rispetto a qualsiasi altro asse parallelo all’asse baricentrico: il prodotto Ad 2 viene infatti aggiunto nel passare da un asse baricentrico ad un altro asse parallelo; viene invece sottratto quando si trasporta il momento di inerzia all’asse baricentrico. Dal valore minimo del momento di inerzia tra tutti gli assi paralleli, che si raggiunge sull’asse baricentrico, si passa a valori via via più elevati mano a mano che aumenta la distanza dal baricentro.
Esempio 4.8 Momento di inerzia di una sezione a C Determinare il momento di inerzia della sezione a C della Figura 4.21-a rispetto all’asse x0 baricentrico considerando la sezione a C composta come: a) somma di tre rettangoli; b) differenza di un rettangolo pieno ed un rettangolo vuoto.
95
CAPITOLO 4. – BARICENTRO, MOMENTI STATICI E MOMENTI DI INERZIA
a
b
90 mm
c
1
12 mm
154 mm
96
1
3 x0
G
2
x0
x0
2 12 mm O
x 78 mm
Fig. 4.21 - Sezione a C trattata nell’Esempio 4.8. 䡵 a) Dimensioni della sezione composta; sono indicati i due assi paralleli: l’asse orizzontale x e l’asse x0 passante per il baricentro G della sezione composta rispetto al quale va determinato il momento di inerzia. 䡵 b) Momento di inerzia della sezione composta ottenuto considerando l’area complessiva come somma di tre rettangoli. 䡵 c) Momento di inerzia della sezione composta ottenuto considerando l’area complessiva come differenza di un rettangolo pieno e di un rettangolo vuoto.
SOLUZIONE a) Il momento di inerzia di un’area composta A rispetto ad un dato asse è dato dalla somma dei momenti di inerzia delle sue aree componenti A1, A2, A3, ecc. rispetto allo stesso asse. Il teorema di trasposizione (4-9) fornisce per ciascuna parte i il momento di inerzia Ii rispetto all’asse desiderato: I i = I i + Ai d i2 . Il momento di inerzia I dell’intera sezione composta si ottiene facendo la somma (Σ) dei momenti di inerzia Ii di ciascuna parte i: I = ΣI i = Σ( I i + Ai d i2 ) = ΣI i + ΣAi d i2 Si considera la sezione a C composta dalle tre parti indicate nella Figura 6.39-b: – Parte 1: rettangolo 1 con base b = 78 mm ed altezza h = 12 mm; – Parte 2: rettangolo 2 con base b = 78 mm ed altezza h = 12 mm; – Parte 3: rettangolo 3 con base b = 12 mm ed altezza h = 154 mm. I rettangoli 1 e 2 sono uguali, mentre la distanza d3 tra il baricentro del rettangolo 3 e l’asse x0 è uguale a zero perché il baricentro del rettangolo 3 giace su quest’asse. A1 = A2 = b1h1 = 78 mm × 12 mm = 936 mm 2 I1 = I 2 =
d1 = d 2 = (154 mm)/2 − (12 mm)/2 = 71 mm
78 mm × (12 mm)3 b1h13 = = 11.232 mm 4 12 12
A3 = b3h3 = 12 mm × 154 mm = 1848 mm 2
I3 =
12 mm × (154 mm)3 b3h33 = = 3.652.264 mm 4 12 12
I dati vengono disposti in una tabella che, per ciascuna parte i, riporta: – l’area Ai, – il momento di inerzia I i dell’area Ai rispetto all’asse passante per il proprio baricentro, – la distanza di dall’asse baricentrico di Ai all’asse rispetto al quale viene calcolato il momento di inerzia dell’intera area composta A, – il prodotto Ai d i2 .
4.4. – TEOREMA DI TRASPOSIZIONE
Ix0 = 13.111.480 mm4
Dalla tabella:
Parte Rettangolo 1 Rettangolo 2 Rettangolo 3
䉳
Ai [mm2]
di [mm]
Ai d i2 [mm4]
Ii [mm4]
936 936 1.848
71 71 0
4.718.376 4.718.376 0
11.232 11.232 3.652.264
9.436.752
3.674.728
SOMME
I = Σ I i + Σ Ai d i2 [mm4]
13.111.480
b) L’area complessiva (Figura 4.21-c) viene ottenuta come differenza del rettangolo pieno 1 ( parte positiva) e del rettangolo vuoto 2 (parte negativa). Il momento di inerzia dell’area negativa 2 viene perciò trattato come una quantità negativa. Essendo d1 = d2 = 0 in quanto i baricentri dei due rettangoli si trovano sull’asse x0 , il prodotto Ai d i2 risulta nullo. A1 = b1h1 = 154 mm × 90 mm = 13.860 mm 2
I1 =
A2 = b2 h2 = 78 mm × 130 mm = 10.140 mm 2
I2 =
Parte Rettangolo 1 Rettangolo 2
b1h13
=
90 mm × (154 mm)3 = 27.391.980 mm 4 12
=
78 mm × (130 mm)3 = 14.280.500 mm 4 12
12 b2 h 32 12
Ai [mm2]
di [mm]
Ai d i2 [mm4]
Ii [mm4]
13.860 10.140
0 0
0 0
27.391.980 – 14.280.500
0
13.111.480
SOMME
I = Σ I i + Σ Ai d i2 [mm4]
13.111.480
COMMENTI 1. Il contributo al momento di inerzia complessivo I dei due rettangoli estremi della sezione composta (prima domanda) è molto alto (9.436.752 mm4/13.111.480 mm4 = 0,72 = 72%) perché, nonostante il – basso momento di inerzia baricentrico Ii di ciascun rettangolo (11.232 mm4), il termine di trasporto Ai di2 relativo a ciascun rettangolo, essendo funzione del quadrato della distanza di , è molto grande (4.718.376 mm4). 2. Il momento di inerzia di un rettangolo è molto più sensibile all’altezza h che alla base b perché h nella formula è elevata al cubo. Così il rettangolo 3 della prima domanda, avente per base b = 12 mm e per altezza h = 154 mm, ha un momento di inerzia baricentrico pari a 3.652.264 mm4, mentre se si fosse considerato un rettangolo con le dimensioni scambiate (b = 154 mm e h = 12 mm) il momento di inerzia sarebbe stato 160 volte più piccolo (22.176 mm4 ).
Esempio 4.9 Momenti di inerzia di una sezione a doppia T La sezione trasversale di una trave ad ali larghe e parallele è alta h = 360 mm, larga b = 300 mm ed ha come spessore dell’anima a = 12,5 mm e delle ali e = 22,5 mm (Figura 4.22-a). Trascurando il raccordo delle ali con l’anima, determinare: a) il momento di inerzia rispetto all’asse baricentrico x0;
97
98
CAPITOLO 4. – BARICENTRO, MOMENTI STATICI E MOMENTI DI INERZIA
b) il momento di inerzia rispetto all’asse baricentrico y0; c) i raggi di inerzia baricentrici rispetto agli assi; d) il momento di inerzia e il raggio di inerzia polari rispetto al baricentro G. y0
a
b e
h
l
h = altezza l = altezza dell’anima b = base a = spessore dell’anima e = spessore delle ali x0 = asse baricentrico orizzontale y0 = asse baricentrico verticale
x0
G a
b
Fig. 4.22 - 䡵 a) Sezione a doppia T trattata nell’Esempio 4.9. 䡵 b) Calcolo del momento di inerzia di una sezione a doppia T ottenuta come differenza di un rettangolo pieno e di due rettangoli vuoti.
SOLUZIONE a) Il momento di inerzia della sezione composta viene calcolato rispetto all’asse x0. Si considera la sezione a doppia T composta da tre rettangoli: le due ali aventi ciascuna la base b = 30 cm e l’altezza e = 2,25 cm e l’anima avente base a = 1,25 cm ed altezza l = h – 2e = 31,5 cm. Si applica quindi il metodo illustrato nell’Esempio 4.8 che richiede di calcolare per ciascun rettangolo i (con i = 1, 2 ,3): – l’area Ai = bihi , – la distanza di tra il baricentro di ciascun rettangolo e l’asse rispetto al quale va calcolato il momento di inerzia della sezione composta, – il momento di inerzia I i = (bi h 3i )/12 (Tabella VII a pag. 493) rispetto ad un asse x passante per il baricentro di ciascun rettangolo. In queste formule i simboli bi ed hi indicano la base e l’altezza di ciascun rettangolo; essi verranno sostituiti dai simboli usati nella Figura 4.22-a. La distanza d3x0 tra il baricentro dell’anima e l’asse x0 è uguale a zero perché questo baricentro si trova sull’asse x0. A1 = A2 = be = 30 cm × 2,25 cm = 67,5 cm 2 I1x = I 2 x =
d1x0 = d 2 x0 = (36 cm)/2 − (2, 25 cm)/2 = 16, 9 cm
30 cm × (2, 25 cm)3 be 3 = = 28, 5 cm 4 12 12
A3 = al = 1, 25 cm × 31,5 cm = 39,4 cm 2
I 3x =
al 3 1,25 cm × (31,5 cm)3 = = 3.255,8 cm 4 12 12
Ix0 = 41.870 cm4
Dalla tabella:
Parte 1. Ala superiore 2. Ala inferiore 3. Anima
䉳
Ai
dix0
Ai d ix20
I ix
I x0 = Σ I ix + Σ Ai d ix20
[cm2 ]
[cm]
[cm4 ]
[cm4 ]
[cm4 ]
67,5 67,5 39,4
16,9 16,9 0
19.278,7 19.278,7 0
28,5 28,5 3.255,8
38.557,4
3.312,8
SOMME
41.870,2
4.4. – TEOREMA DI TRASPOSIZIONE
b) Si calcola il momento di inerzia della sezione composta rispetto ad y0. Si considerano sempre tre rettangoli (le due ali e l’anima) nei quali, a causa del nuovo asse di riferimento (y0 e non più x0 ), quella che prima era la base diviene adesso l’altezza, mentre l’altezza di prima è adesso la base. Inoltre il baricentro di tutti e tre i rettangoli cade sull’asse y0 e quindi d1y0 = d2y0 = d3 = 0. A1 = A2 = eb = 2,25 cm × 30 cm = 67,5 cm 2
I1y = I 2 y =
A3 = la = 31,5 cm × 1,25 cm = 39,4 cm 2
I 3y =
2,25 cm × (30 cm)3 eb 3 = = 5062,5 cm 4 12 12
31,5 cm × (1,25 cm)3 la 3 = = 5,1 cm 4 12 12
Iy0 = 10.130 cm4
Dalla tabella: Ai
diy0
Ai d iy2 0
I iy
I y0 = Σ I iy + Σ Ai d iy2 0
[cm2]
[cm]
[cm4]
[cm4]
[cm4]
67,5 67,5 39,4
0 0 0
0 0 0
5.062,5 5.062,5 5,1
0
10.130,1
Parte 1. Ala superiore 2. Ala inferiore 3. Anima
䉳
SOMME
10.130,1
c) Noti i momenti di inerzia assiali baricentrici e l’area totale della sezione composta A = 67,5 cm2 + + 67,5 cm2 + 39,4 cm2 = 174,4 cm2, si possono calcolare i raggi di inerzia baricentrici (4-6):
ρ x0 =
I x0 A
=
41.870 cm 4 = 15,5 cm 174, 4 cm 2
ρ y0 =
I y0 A
=
10.130 cm 4 = 7,6 cm 174,4 cm 2
䉳
d) Il momento di inerzia polare JG rispetto al baricentro G della sezione a doppia T si calcola con la 4-5: JG = Ix0 + Iy0 = 41.870 cm4 + 10.130 cm4 = 52.000 cm4
䉳
mentre il raggio di inerzia polare baricentrico vale (4-6):
ρG =
JG = A
52.000 cm 4 = 17,3 cm 174,4 cm 2
䉳
COMMENTI 1. Le ali contribuiscono per il 92% (38.557 cm4/41.870 cm4 = 0,92) al momento di inerzia della sezione composta rispetto a x0 a causa del valore elevato del termine di trasporto Ai d i2 . 2. Il contributo dell’anima al momento di inerzia della sezione composta rispetto a y0 è insignificante (5 cm4/10.130 cm4 = 0,0005 = 0,05%) in quanto l’area dell’anima è molto vicina a y0. 3. Invece di considerare la sezione composta dalla somma di tre rettangoli (le due ali più l’anima), si poteva (Figura 4.22-b) considerare la sezione differenza tra un rettangolo pieno (area positiva) e due vuoti (aree negative): i momenti di inerzia delle due aree negative vanno sottratti al momento di inerzia dell’area positiva.
99
100
CAPITOLO 4. – BARICENTRO, MOMENTI STATICI E MOMENTI DI INERZIA
4. 5
SOMMARIO Il baricentro è il punto in cui è applicata la risultante delle forze peso elementari esercitate dalla gravità su un corpo rigido. Il baricentro è anche il centro di un sistema di masse, di un volume, di una superficie oppure di una linea. Se un’area possiede un’asse di simmetria, il suo baricentro si trova su quell’asse; se l’area possiede due assi di simmetria, il suo baricentro coincide con il punto di intersezione dei due assi di simmetria. Al concetto di baricentro di una figura geometrica è associato il concetto di momento statico di quella figura geometrica rispetto ad un asse, dove per momento statico si intende la sommatoria dei prodotti delle varie aree elementari, in cui si può immaginare scomposta una data superficie, per le rispettive distanze da un asse di riferimento. Essendo il prodotto di un’area [mm2] per una lunghezza [mm], il momento statico si misura in mm3. Il momento statico può risultare sia positivo che negativo in funzione del valore positivo oppure negativo che la distanza dell’area considerata assume rispetto all’asse di riferimento. Il calcolo dell’area di una superficie di rotazione oppure il volume di un corpo di rotazione è direttamente legato alla determinazione del baricentro della linea e dell’area usata per generare quella superficie o quel corpo di rotazione; è così possibile calcolare con i due teoremi di Pappo-Guldino: – nota l’ordinata y del baricentro, una superficie o un volume di rotazione oppure – noti la superficie o il volume di rotazione, l’ordinata y del baricentro. Il momento di inerzia di una superficie rispetto ad un asse oppure rispetto ad un polo è la somma dei prodotti delle aree elementari per il quadrato della distanza da quell’asse oppure da quel polo; essendo il prodotto di un’area [mm2] per il quadrato di una lunghezza [mm2], il momento di inerzia è sempre positivo e si misura in mm4. Il raggio di inerzia, misura della distribuzione dell’area rispetto all’asse o al polo considerato, è dato dalla radice quadrata del momento di inerzia diviso per l’area. Analogamente a quanto fatto per una superficie, si definisce il momento di inerzia di massa che ha le dimensioni di una massa [kg] per il quadrato di una lunghezza [mm2]. Il raggio di inerzia di massa rappresenta la distanza alla quale dovrebbe essere concentrata l’intera massa del corpo in modo che il suo momento di inerzia rispetto all’asse di riferimento rimanga invariato. Presi due assi paralleli qualsiasi di cui uno x0 passante per il baricentro, il teorema di trasposizione afferma che il momento di inerzia I dell’area A rispetto al primo asse è uguale al momento di inerzia I dell’area rispetto all’asse baricentrico più il “termine di trasporto” Ad 2, prodotto dell’area A per il quadrato della distanza d tra i due assi x ed x0.
ESERCIZI PROPOSTI
Esercizi proposti
Con il contributo del prof. L. Leonessa
4.1 Determinare l’area complessiva A, i momenti statici Sx ed Sy rispetto agli assi x ed y e le coordinate x– ed y– del baricentro della trave con sezione trasversale a T illustrata nella Figura 4.23. A = 2400 mm2; Sx = 120.000 mm3; Sy = 0; x– = 0; y– = 50 mm
baricentro della sezione ad L ottenuta per differenza (Figura 4.25) tra il rettangolo pieno che abbraccia tutta le sezione e il rettangolo vuoto situato all’interno della sezione ad L. A = 15.300 mm2; Sx = 1.444.500 mm3; Sy = 2.686.500 mm3; x– = 175,6 mm; y– = 94,4 mm 30 mm
y
60 mm
300 mm
20 mm
y
30 mm
60 mm
x 20 mm x
240 mm
Fig. 4.23 - Trave con sezione trasversale a T trattata nell’Esercizio 4.1.
Fig. 4.25 - Sezione ad L trattata nell’Esercizio 4.3.
4.2 Determinare l’area totale A, i momenti statici Sx ed Sy rispetto agli assi x ed y e le coordinate x– ed y– del baricentro della sezione composta della Figura 4.24. A = 14 m2; Sx = 21 m3; Sy = 34 m3; x– = 2,43 m; y– = 1,50 m y
4.4 Determinare l’area totale A, i momenti statici Sx ed Sy rispetto agli assi x ed y e le coordinate x– ed y– del baricentro della sezione (Figura 4.26) ottenuta per differenza tra un rettangolo pieno che abbraccia tutta le sezione composta e le due aree costituite da un triangolo vuoto e da un rettangolo vuoto. A = 3088 mm2; Sx = 147.872 mm3; Sy = 142.834 mm3; x– = 46,2 mm; y– = 47,9 mm
2m
y
G1
2m
–y = 2 m 1
G3 1m
–y = 0,5 m 2
O
G2
2m
–y = 1 m 3
–x = 1 m 1
x
–x = 3 m 2 –x = 5 m 3
32 mm
4m
48 mm
2m
Fig. 4.24 - Superficie composta trattata nell’Esercizio 4.2. 42 mm
4.3 Determinare l’area totale A, i momenti statici Sx ed Sy rispetto agli assi x ed y e le coordinate x– ed y– del
26 mm
Fig. 4.26 - Sezione composta trattata nell’Esercizio 4.4.
x
101
CAPITOLO 4. – BARICENTRO, MOMENTI STATICI E MOMENTI DI INERZIA
4.5 Determinare l’area complessiva A, i momenti statici Sx ed Sy rispetto agli assi x ed y e le coordinate x– ed y– del baricentro della figura composta ottenuta per differenza tra un rettangolo pieno e un triangolo vuoto (Figura 4.27). 2
4.7 Determinare l’ascissa x– del baricentro del sistema di masse presentato nella Figura 4.29. x– = 0,7 m
4 kg
2 kg
3 kg
8 kg
5 kg
3
A = 3300 mm ; Sx = 138.000 mm ; – Sy = 108.000 mm3; x– = 32,7 mm; y = 41,8 mm 0,2 m
y
0,3 m
0,4 m
0,3 m
Fig. 4.29 - Sistema di masse trattato nell’Esercizio 4.7. 60 mm
40 mm
4.8 È assegnato (Figura 4.30) un albero omogeneo in acciaio composto da due tratti lunghi L1 = 2000 mm ed L2 = 1500 mm aventi i raggi r1 = 20 mm ed r2 = 25 mm. Dopo aver calcolato i volumi V1 e V2 dei due tratti (V = πr 2L) e le ascisse x–1 ed x–2 dei rispettivi baricentri, determinare l’ascissa x– del baricentro dell’albero. Essendo la massa volumica ρ costante poiché l’albero è omogeneo, i volumi risultano proporzionali alle masse (m = ρV ) e quindi i volumi V1 e V2 possono essere sostituiti alle masse m1 e m2 nell’equazione 4-1.
30 mm
102
V1 = 2.513.274 mm3; V2 = 2.945.243 mm3; – x 1 = 1000 mm; x–2 = 2750 mm; x– = 1944 mm x y
Fig. 4.27 - Figura composta trattata nell’Esercizio 4.5.
D2 = 50 mm
D1 = 40 mm
4.6 Determinare l’area complessiva A, i momenti statici Sx ed Sy rispetto agli assi x ed y e le coordinate x– ed y– del baricentro della sezione (Figura 4.28) ottenuta per differenza tra un rettangolo pieno che abbraccia tutta le sezione composta e il semicerchio vuoto di raggio pari a 50 mm. L’ordinata y–2 del baricentro del semicerchio va calcolata con la formula citata nella Tabella VI a pag. 492. A = 88,7 mm2; y–2 = 58,8 mm; Sx = 2809 mm3; S = 0; x– = 0; y– = 31,7 mm y
y
x L1 = 2000 mm
L2 = 1500 mm
Fig. 4.30 - Albero con due sezioni di diametro D1 e D2 (Esercizio 4.8).
4.9 Una trave appoggiata lunga L = 7 m è soggetta al carico di intensità w [kN/m] distribuito secondo il diagramma della Figura 4.31. Determinare il carico totale W, l’ascissa x– del punto di applicazione di W (l’origine è posta all’estremità di sinistra della trave) e le reazioni dei due appoggi RA ed RB. W = 12 kN; x– = 3 m; RA = 9,6 kN ↑; RB = 2,4 kN ↑ w = 2 kN/m
50 mm 80 mm B
A
80 mm
80 mm
Fig. 4.28 - Superficie trattata nell’Esercizio 4.6.
x
2m
3m
2m
Fig. 4.31 - Trave appoggiata dell’Esercizio 4.9 soggetta ad un carico distribuito.
ESERCIZI PROPOSTI
4.10 Una mensola è soggetta al carico di intensità w [kN/m] distribuito secondo il diagramma della Figura 4.32. Determinare il carico totale W, l’ascissa x– del punto di applicazione di W (l’origine è posta in A) e la reazione verticale VA e il momento di incastro M i della mensola. Nel calcolo dell’area del diagramma di carico occorre tener presente che le due aree (quella del rettangolo e quella del triangolo) avranno segni opposti in quanto le ordinate del diagramma rettangolare sono orientate verso il basso mentre le ordinate del diagramma triangolare sono orientate verso l’alto.
r
y
R x
W = 4,6 kN ↓; x– = 0,33 m; VA = 4,6 kN ↑; Mi = 1,5 kN⋅m fi Fig. 4.34 - Rotazione di una circonferenza (Esercizio 4.12).
4 kN/m
A
B
4.13 Facendo uso del secondo teorema di PappoGuldino, in cui si pone 2π x– come lunghezza della circonferenza descritta dal baricentro in quanto la rotazione della corona circolare avviene attorno all’asse y (Figura 4.35), calcolare il volume V di un toro cavo. V = 2π 2R (Re2 − Ri2 )
3 kN/m 1,6 m
1,2 m y
Fig. 4.32 - Carico distribuito applicato alla mensola trattata nell’Esercizio 4.10.
Ri
4.11 Facendo uso del primo teorema di PappoGuldino, calcolare la superficie laterale A del cono circolare retto generato dalla rotazione intorno ad x del segmento lungo L (Figura 4.33). A = π r r 2 + h2
Fig. 4.35 - Volume del toro cavo trattato nell’Esercizio 4.13.
4.14 Noto il volume del cono V = (Abaseh)/3, ricavare, servendosi dei teoremi di Pappo-Guldino, le coordinate del baricentro della sezione triangolare retta che ha generato il cono per rotazione (Figura 4.36).
y L G
R x
Rc
r
x– = b/3; y– = h/3
r y = 2 h
x
a
y
Fig. 4.33 - Rotazione di un segmento dell’Esercizio 4.11.
4.12 Facendo uso del primo teorema di PappoGuldino, calcolare la superficie laterale A di un toro generata dalla rotazione intorno ad x della circonferenza della Figura 4.34. A = 2π 2Rr
G y =
h
h 3 x
b
103
104
CAPITOLO 4. – BARICENTRO, MOMENTI STATICI E MOMENTI DI INERZIA
b
4.16 Facendo uso del teorema di trasposizione determinare il momento di inerzia It di un’area circolare rispetto alla tangente t alla circonferenza della Figura 4.38 di raggio r = 12 mm. It = 81.430 mm4
y
h
G
x x =
G
b 3
r d=r
b
t
Fig. 4.36 - Volume di rotazione di un cono (Esercizio 4.14). 䡵 a) Rotazione attorno all’asse x.
Fig. 4.38 - Calcolo del momento di inerzia rispetto ad una tangente alla circonferenza (Esercizio 4.16 ).
䡵 b) Rotazione attorno all’asse y.
4.15 La diga illustrata in Figura 4.37 abbraccia un arco di 90°. Dopo aver calcolato le aree A R e A T del rettangolo e del triangolo, i rispettivi baricentri x–R, x–T e quello x–G della sezione composta, determinare, con il secondo teorema di Pappo-Guldino, il volume V di calcestruzzo necessario alla costruzione della diga. AR = 48 m2; A T = 96 m2; x–R = 98,5 m; – x = 93 m; x– = 94,8 m; V = 21.443 m3 T
4.17 Calcolare il momento di inerzia Ix rispetto all’asse x di una sezione composta ottenuto come somma dei momenti di inerzia I1x, I2x e I3x dei tre rettangoli della Figura 4.39; indicare le distanze d1, d2 e d3 dei baricentri che vengono utilizzate nel teorema di trasposizione. d1 = 70 cm; d2 = d3 = 30 cm; I1x = 5.920.000 cm4; I2x = I3x = 1.440.000 cm4; Ix = 8.800.000 cm4
G
a
b 60 cm
y
–x R
bR = 3 m
T
60 cm
80 cm
1
–x G –x
2
3
h = 16 m AT
x
AR x
4
b T = 12 m
x
x
20 cm Fig. 4.39 - Sezione composta dell’Esercizio 4.17.
3
䡵 a) Dimensioni della sezione.
R = 100 m
䡵 b) Sezione decomposta nei rettangoli 1, 2 e 3.
b=3m
R
=
10
0
m
4.18 Calcolare i momenti di inerzia Ix0 ed Iy0, rispetto agli assi baricentrici x0 ed y0 di una sezione a Z, ottenuti come somma dei momenti di inerzia rispettivamente I1x0, I2x0 e I3x0 e I1y0, I2y0 e I3y0 dei tre rettangoli della Figura 4.40; indicare le distanze d1x0, d2x0 e d3x0 nonché d1y0, d2y0 e d3y0 dei baricentri da utilizzare nel teorema di trasposizione.
Fig. 4.37 - Diga dell’Esercizio 4.15.
d1x0 = d3x0 = 70 mm; d2x0 = 0; d1y0 = d3y0 = 50 mm; d2y0 = 0; I1x0 = I3x0 = 7.893.333 mm4; I2x0 = 6.826.667 mm4; Ix0 = 22.613.334 mm4 = 2261 cm4; I1y0 = I3y0 = 4.853.333 mm4; I2y0 = 106.667 mm4; Iy0 = 9.813.333 mm4 = 981 cm4
ESERCIZI PROPOSTI
a
100 mm 50 20 mm
140 mm
y0 25
x0 20 mm
400
20 mm 100 mm
b
z
50
100
G
z
1 y0 x0 2
50 3 100 150
Fig. 4.40 - Sezione a Z trattata nell’Esercizio 4.18. 䡵 a) Dimensioni della sezione. 䡵 b) Sezione decomposta nei tre rettangoli 1, 2 e 3.
4.19 Determinare il momento Izz e il raggio di inerzia ρz del volano in acciaio di massa volumica ρ = 7850 kg/m3 rispetto all’asse z (Figura 4.41). Facendo riferimento alle formule del cilindro cavo citate nella Tabella VIII a pag. 494, calcolare nell’ordine: massa m1 e momento di inerzia I1zz della corona interna, massa m2 e momento di inerzia I2zz della corona intermedia e infine massa m3 e momento di inerzia I3zz della corona esterna. La somma di questi tre momenti baricentrici dà il momento di inerzia del volano.
Fig. 4.41 - Volano d’acciaio dell’Esercizio 4.19: le dimensioni sono in millimetri.
4.20 Determinare la massa m, il momento di inerzia baricentrico Izz e il momento di inerzia Iz ′z ′ rispetto all’asse parallelo z ′ dell’anello della Figura 4.42 in acciaio (massa volumica ρ = 7850 kg/m3) utilizzando le formule della Tabella VIII a pag. 494. I raggi interno ed esterno dell’anello valgono rispettivamente ri = 100 mm ed re = 200 mm, mentre l’altezza è l = 150 mm. m = 110,98 kg; Izz = 2,77 kg⋅m2; Iz ′z ′ = 3,88 kg⋅m2
z′
z′ rc
m1 = 6,94 kg; I1zz = 10.844 kg⋅mm2; m2 = 12,33 kg; I2zz = 154.125 kg⋅mm2; m3 = 43,16 kg; I3zz = 1.348.750 kg⋅mm2; Izz = 1.513.719 kg⋅mm2 = 1,51 kg⋅m2; ρz = 155,7 mm
z
ri
z
l Fig. 4.42 - Momento di inerzia di un cilindro cavo rispetto ad un asse non baricentrico (Esercizio 4.20).
105
Capitolo 5
5. 1
SFORZI E DEFORMAZIONI
RESISTENZA DI UN MATERIALE La verifica di resistenza di un elemento di macchina consiste nel verificare che i diversi carichi applicati non assumano valori tali da produrre il cedimento dell’elemento. Il modo più completo per eseguire la verifica di resistenza è quello di sottoporre l’elemento di macchina ad una prova di carico e valutarne il comportamento; le condizioni di questa prova dovranno essere tali da riprodurre perfettamente il funzionamento dell’elemento della macchina non solo come valore dei carichi e del tipo di vincoli, ma anche come tempo e velocità con cui i carichi vengono applicati, come temperatura a cui il pezzo viene fatto lavorare, ecc. Tale metodo, di natura sperimentale, richiede una prova per ogni elemento di macchina, ogni condizione di carico, ecc. con conseguenze inaccettabili nei costi e nei tempi che intercorrono tra la progettazione e la produzione. Si ricorre allora, nel progetto delle macchine, ad un procedimento teorico che, partendo sempre da prove sperimentali realizzate in condizioni di carico standard, permette di effettuare con il calcolo la verifica di resistenza dell’elemento facendo a meno della lunga e costosa indagine sperimentale. Alla base del metodo teorico c’è l’ipotesi fondamentale che il cedimento sia dovuto non allo stato complessivo dei carichi, ma allo stato locale di sollecitazione dell’elemento di macchina; il progetto dell’elemento è basato cioè sulla stima, la più accurata possibile, della natura e del valore degli sforzi a cui verranno assoggettati i materiali impiegati e sulla conoscenza, la più estesa possibile, della loro capacità di resistenza in modo da verificare che le sollecitazioni del materiale in esame non raggiungano valori tali da provocarne il cedimento. Ma in che cosa consiste lo stato di sollecitazione in un elemento di macchina e quali sono i fattori che occorre conoscere per poterlo definire? Un corpo materiale5.1 è costituito da piccole particelle tra cui si esercitano delle forze (Figura 5.1); queste forze interne si oppongono alla modifica nella forma del corpo che le forze esterne, cioè carichi (incluso il peso del corpo) e reazioni vincolari, cercano di produrre. Sotto l’azione delle forze esterne le particelle del corpo si muovono; il corpo allora si deforma dando luogo a forze interne che crescono fino a quando non si raggiunge l’equilibrio con le forze esterne5.2: si dice che il corpo si trova in uno stato di
5.1 - Nell’ambito di questa trattazione ci limiteremo allo studio dei corpi omogenei ed isotropi. Si definisce omogeneo un materiale che in ciascuno dei suoi punti possiede la medesima costituzione e una struttura uniforme. Un materiale non omogeneo (o disomogeneo), come ad esempio la ghisa di qualità modesta, avrà perciò una struttura che varia da punto a punto in funzione dei suoi costituenti e a causa della presenza di porosità derivanti dalla fusione
oppure di impurezze. Si definisce isotropo un materiale che esibisce proprietà meccaniche uniformi secondo tutte le direzioni attorno a un punto qualsiasi. Per converso quando un materiale non esibisce questo comportamento uniforme viene detto non isotropo (o anisotropo). 5.2 - Le forze interne rappresentano le reazioni molecolari che il solido oppone alla deformazione: esse nascono a
seguito delle deformazioni che il solido subisce, deformazioni che, a loro volta, sono il risultato delle applicazioni delle forze esterne; è solo perciò attraverso la deformazione che le forze esterne applicate al corpo danno origine alle forze interne. Al crescere delle forze esterne, il solido si deforma progressivamente f ino al momento in cui le forze interne generate raggiungono valori tali da equilibrare le forze esterne.
5.1. – RESISTENZA DI UN MATERIALE
a
c
b F
F G
F G
A A
A
F
F Fig. 5.1 - 䡵 a) Trave incastrata, a sezione quadrata costante di area A, sollecitata dal solo carico assiale F (si fa l’ipotesi che il peso sia trascurabile); questa forza tende ad allungare le fibre del materiale di cui è composta la trave. 䡵 b) Al posto dell’incastro si può sostituire la reazione del vincolo, uguale al carico F, e isolare la trave come corpo libero. Quindi la trave viene divisa in due parti distinte con un piano perpendicolare all’asse della trave stessa. 䡵 c) L’intero corpo è in equilibrio e quindi anche qualsiasi parte di esso dovrà essere in equilibrio; in particolare nelle due sezioni affacciate, originate dal taglio della trave, agiranno le forze interne necessarie per equilibrare le forze esterne (carico F e reazione dell’incastro F ) applicate all’estremità di ciascun tronco. Le forze interne generano lo sforzo σ.
sollecitazione. La misura dell’intensità delle forze interne presenti nel materiale generate dall’applicazione delle forze esterne è lo sforzo, definito come la forza esterna F rapportata all’area A sulla quale agisce: sforzo =
F forza = area A
5-1
Sforzo è il termine generale per indicare una forza [N] diviso l’area [m2]; si misura perciò in pascal [Pa = N/m2] come la pressione; volendo evitare di avere a che fare con numeri troppo grandi, abitualmente si fa uso del megapascal [MPa = N/mm2 = 106 Pa]. Nei casi specifici useremo spesso il termine equivalente e più intuitivo di tensione5.3. Si parla di tensione normale σ quando la linea di azione della forza esterna F è perpendicolare all’area A su cui agisce (Figura 5.2); la tensione tangenziale τ è invece tangente all’area in quanto la forza F è applicata sullo stesso piano dell’area A interessata dallo sforzo (Figura 5.12). Lo stato di sollecitazione di un elemento di macchina è determinato quando sono note, in ogni punto del materiale e per ogni giacitura nell’intorno del punto, la tensione normale σ e la tensione tangenziale τ.
5.3 - Molti Autori (ad esempio, Bruno Finzi in Meccanica razionale/Statica e Giovanni Jacazio in Progettazione delle strutture meccaniche) usano il termine “sforzo”, laddove altri autori (si veda Alberto Carpinteri in Scienza delle costruzioni) e le stesse norme parlano di
tensione. Si è allora fatto uso di tensione nei casi specifici (tensione normale, tensione ammissibile, ecc.) mentre si parla di sforzo come termine generale per indicare la forza rapportata alla superficie. Inoltre, per non generare una confusione sulle dimen-
sioni, si sono indicate col nome di forza normale N e di forza tagliante T, in quanto forze misurate in newton, quelle azioni interne (trattate nel Capitolo 6) che altri autori designano con il nome di sforzi.
107
108
CAPITOLO 5. – SFORZI E DEFORMAZIONI
5. 2
TENSIONE E DEFORMAZIONE NORMALI Allorché (Figura 5.2) si assoggetta una barra al carico F normale alla superficie A e quindi alla tensione normale σ, la sua lunghezza l varia di δ l; la deformazione normale (o dilatazione) ε viene definita da: Deformazione = δ l/l
F
ε = F
δl
variazione di lunghezza δl = lunghezza originaria l
5-2
La deformazione ε è un puro numero5.4, non ha cioè dimensioni essendo il rapporto tra le due lunghezze δ l ed l; spesso viene espressa come percentuale della lunghezza originaria (Esempio 5.2). Gli sforzi e le deformazioni di trazione (Figura 5.2), che producono un aumento della lunghezza, vengono considerati positivi; gli sforzi e le deformazioni di compressione, che danno luogo ad un accorciamento del materiale, vengono considerati negativi.
l
Fig. 5.2 - Deformazione normale ε di una barra sotto l’azione della tensione normale σ, rapporto tra forza F ed area A perpendicolare alla retta d’azione della forza.
Esempio 5. 1 Tensione normale Calcolare il valore dello sforzo nei seguenti casi: – trave di sezione trasversale normale all’asse A = 119 mm2 a cui è applicata la forza F = 5000 N; – filo di acciaio del diametro D = 5 mm a cui è applicato un carico assiale F = 3000 N; – tubo, di diametro esterno D = 50 mm e interno d = 45 mm, soggetto al carico assiale di trazione F = 37,3 kN.
SOLUZIONE Lo sforzo (equazione 5-1) è rappresentato dalla tensione normale σ, perché agisce su una sezione perpendicolare all’asse del corpo:
σ =
σ =
σ =
F 5000 N = = 42 MPa A 119 mm 2
F F 3000 N = = = 153 MPa π × (5 mm)2 A (π D 2 ) /4 4
37.300 N F F = = = 100 MPa A [π ( D 2 − d 2 )]/4 π × [(50 mm )2 − (45 mm )2 ] 4
5.4 - Trattandosi di una quantità senza dimensioni, si dovrebbe parlare di
deformazione unitaria o relativa; per semplicità, si preferisce abbreviare in
deformazione.
䉳
䉳
䉳
5.3. – PROVA DI TRAZIONE ED ELASTICITÀ
5. 3
PROVA DI TRAZIONE ED ELASTICITÀ Lo sforzo, che esiste nell’elemento di una macchina, acquista un significato nel momento in cui viene confrontato con la resistenza del materiale. Una prova tipica per accertare la resistenza del materiale è la prova di trazione5.5. In questa prova, un campione del materiale in esame, detto provino o provetta, avente una sezione circolare uniforme A, viene sollecitato con un carico di trazione F diretto secondo l’asse del provino; il carico viene gradualmente aumentato fino a realizzare la rottura del provino. La misura con estensimetri (Figura 5.3) della variazione δl di una determinata lunghezza l del provino, scelta come lunghezza di misura, durante l’applicazione della forza F permette di ottenere il diagramma caratteristico della Figura 5.4 avente in ordinate la tensione normale σ = F/A [MPa] e in ascisse la deformazione ε = δ l/l.
a
Fili connettori
b
Filo molto sottile Materiale sollecitato
Cemento legante
Base di carta
Fig. 5.3 - 䡵 a) Per la misura delle deformazioni del materiale vengono utilizzati degli estensimetri elettrici. Si tratta di un filo molto sottile che viene incollato al materiale sollecitato. Allorché viene applicato il carico, il materiale subisce degli allungamenti oppure delle contrazioni e parallelamente il filo molto sottile si allunga oppure si contrae. Queste variazioni di lunghezza alterano la resistenza elettrica del filo ed è perciò possibile, attraverso un’adeguata taratura del circuito elettrico di misura, risalire alla deformazione avvenuta nel materiale. 䡵 b) Anche la resistenza elettrica di un film metallico sottilissimo (foglia) può venire utilizzato come estensimetro; la figura mostra un tipico estensimetro a foglia costituito da un solo elemento: la parte centrale, costituita da tanti filetti orizzontali paralleli, è la parte sensibile dell’estensimetro, mentre i due rettangoli alle estremità raccolgono e trasferiscono all’esterno il segnale elettrico dovuto alla variazione di resistenza elettrica dei filetti centrali; l’ingrossamento alle due estremità della superficie del film permette di ottenere, analogamente ai fili connettori della Figura 5.3-a, una resistenza elettrica molto più bassa e quindi trascurabile rispetto a quella della parte sensibile dell’estensimetro.
Il diagramma mostra una parte iniziale lineare OP dove la tensione è proporzionale alla deformazione; qui il materiale si comporta elasticamente poiché, come avviene per una molla, allorché il carico viene rimosso il materiale riassume completamente le dimensioni che aveva prima dell’applicazione del carico. La legge di Hooke (pronuncia “uc”) stabilisce che, nel campo elastico, esiste una proporzionalità tra tensione σ e deformazione ε: il rapporto σ/ε è così
5.5 - Le proprietà a trazione di un materiale vengono utilizzate come base nel progetto degli elementi della struttura molto più frequentemente di quelle ottenute attraverso le altre prove meccaniche sui materiali, anche perché i dati della
prova di trazione sono più facilmente disponibili di qualsiasi altro dato relativo alle proprietà dei materiali. Molto spesso il progettista è costretto a basare i suoi calcoli sulle proprietà di trazione, anche quando la struttura viene sollecitata con
carichi ciclici, oppure di taglio, oppure d’urto, perché informazioni più adeguate sul comportamento del materiale in quelle determinate condizioni di carico non sono disponibili.
109
CAPITOLO 5. – SFORZI E DEFORMAZIONI
uguale ad una costante, indicata con E, che prende il nome di modulo di elasticità o modulo di Young (pronuncia “iang”): tensione normale σ = = costante = E deformazione normale ε
⇒
σ = Eε
5-3
Il modulo di elasticità E, come rapporto tra σ [Pa] ed ε [-], ha le dimensioni di uno sforzo [Pa]; essendo ε sempre molto piccolo (in molte applicazioni non supera 0,003), E risulta molto grande e viene di solito espresso in gigapascal [GPa = kN/mm2 = 109 Pa]; ad esempio, per gli acciai, il suo valore oscilla tra 200 e 207 GPa. Noto il modulo di elasticità del materiale, la misura delle deformazioni5.2 consente di risalire agli sforzi presenti nell’elemento di macchina sotto esame. Elastico F
Parzialmente plastico Provino U
Sforzo σ
σu σs σF
SS E P
F
SI
Sezione trasversale circolare A
Lunghezza di riferimento (o di misura) l
F O
εs
εu
εF
Deformazione ε
Fig. 5.4 - Curva dello sforzo σ in funzione della deformazione ε in una prova tipica di trazione per un materiale duttile (acciaio a basso tenore di carbonio). Questo stesso diagramma potrebbe essere tracciato riportando il carico applicato F [N] in funzione dell’allungamento δ l [µm] del provino. Il punto P individua il limite di proporzionalità, E il limite elastico, SS il limite di snervamento superiore, SI il limite di snervamento inferiore, U il punto in cui si raggiunge la sollecitazione massima, F il punto in cui avviene la frattura del provino.
ico
Limite di snervamento σS corrispondente a ε = 0,2%
Linea
di sca r
Sforzo σ
110
0
0,2% Deformazione permanente
Deformazione ε
Fig. 5.5 - Determinazione del punto di snervamento sulla curva sforzi/deformazioni di un materiale duttile sulla base di una deformazione permanente pari a 0,2%. Si traccia una linea parallela al tratto lineare del diagramma sforzi-deformazioni e passante per una deformazione ε = 0,2%. Il limite di snervamento σS dello 0,2% è il valore dello sforzo che corrisponde alla deformazione permanente dello 0,2%. La pendenza della retta passante per l’origine rappresenta, per la 5-3, il modulo di elasticità E.
Dal punto P in avanti il diagramma della Figura 5.4 inizia a deviare dalla linea retta; è per questo motivo che il punto P prende nome di limite di proporzionalità. Per un breve tratto, oltre a P e fino al punto E, il diagramma non segue più una linea retta, ma il materiale manifesta ancora un comportamento elastico nel senso che se il carico viene rimosso la deformazione ritorna a zero, nel provino cioè non rimane alcuna deformazione permanente; il punto E viene perciò chiamato limite elastico. Al di là del punto E, quando il carico viene rimosso, nel provino rimane sempre una deformazione permanente: si dice che la deformazione è plastica. Proseguendo lungo il diagramma, in campo plastico, si arriva a un momento in cui avviene lo snervamento del materiale: la deformazione comincia a crescere molto rapidamente senza che si verifichi un corrispondente elevato aumento dello sforzo; il
5.3. – PROVA DI TRAZIONE ED ELASTICITÀ
momento in cui si ha lo snervamento è definito cioè dal più basso valore di sollecitazione σs al di là del quale l’allungamento aumenta senza aumento dello sforzo. Sul diagramma si possono distinguere i due punti molto vicini SS (limite di snervamento superiore) ed SI (limite di snervamento inferiore). Ma per molti materiali, come ad esempio i materiali non ferrosi, questi due punti coincidono in un unico punto di snervamento. Per altri materiali è addirittura impossibile individuare sulla curva anche questo unico punto; si assume allora come limite di snervamento la tensione σs a cui corrisponde un dato valore della deformazione permanente (di solito lo 0,2%, ε = 0,002), così come mostrato nella Figura 5.5.
Forma del provino in prossimità del punto di rottura
Diametro originale del provino
Fig. 5.6 - Contrazione tipica di un provino di acciaio dolce vicino al punto di rottura in una prova di trazione.
Proseguendo nell’applicazione del carico (Figura 5.4), si arriva al punto U, dove si raggiunge il valore massimo σu dello sforzo detto resistenza a trazione: è la sollecitazione massima (o ultima) raggiunta dal provino in una prova di trazione semplice data dal carico nel punto U diviso la sezione originaria della barra. Quando il materiale si trova tra SI e U, si dice che è nello stato elasto-plastico; se infatti il carico viene rimosso parte della sezione rimane elastica e quindi contribuisce a recuperare la forma originaria, mentre la parte restante rimane deformata in modo permanente. Dopo U, la sezione del provino inizia rapidamente a ridursi in corrispondenza di un tratto centrale del provino relativamente corto (Figura 5.6) finché si arriva alla frattura del provino nel punto F (Figura 5.4), mentre nel frattempo il carico si riduce. A partire dal punto di snervamento S fino alla rottura F, il diagramma sforzi/deformazioni (Figura 5.4 ) risulta piuttosto piatto e interessa un intervallo di deformazioni ben superiore al tratto coperto in campo elastico. La capacità di un materiale a sottostare a notevoli deformazioni plastiche prima della frattura è un indice di una proprietà del materiale che prende il nome di duttilità; i materiali che manifestano un’elevata duttilità vengono detti duttili. L’allungamento (percentuale) a rottura5.6 che confronta la lunghezza finale del provino, ottenuta accostandone i due pezzi dopo la frattura, con la lunghezza iniziale:
Sforzo σ
allungamento % =
Deformazione ε
Fig. 5.7 - Diagramma tipico sforzi/ deformazioni per un materiale fragile.
5.6 - Analogamente all’allungamento percentuale, dalla prova di trazione si può ottenere un’altra quantità, utile per
lunghezza finale – lunghezza iniziale × 100 lunghezza iniziale
è una misura indicativa della duttilità del materiale: maggiore è il valore dell’allungamento percentuale e più il materiale è duttile. I materiali invece che hanno bassa duttilità, come la ghisa, vengono chiamati fragili: questi materiali manifestano un allungamento del provino in prossimità della frattura molto più contenuto cosicché la regione parzialmente plastica del diagramma sforzi/deformazioni risulta estremamente ridotta (Figura 5.7 ); i materiali fragili mantengono cioè un comportamento elastico fin quasi alla frattura. Anche l’aspetto della frattura (Figura 5.8 ) evidenzia la notevole deformazione che avviene nei materiali duttili in contrapposizione alla deformazione trascurabile di un materiale fragile. I diagrammi sforzi/deformazioni di alcuni metalli e di fili incruditi sono riportati nelle Figure 5.9-a e 5.9-b; per i valori del limite di snervamento, della resistenza a trazione e di altre proprietà dei materiali, che si possono ricavare dalla prova di trazione, si rimanda ai manuali.
individuare la duttilità del materiale, chiamata riduzione percentuale del l’area che confronta la misura dell’area
trasversale iniziale del provino con quella dell’area trasversale più piccola che si riscontra al momento della frattura.
111
CAPITOLO 5. – SFORZI E DEFORMAZIONI
a
c
b
Fig. 5.8 - Fratture “a cono-coppa” duttili per (a) l’acciaio A572 e per (b) la lega di alluminio 6061-T6. Rottura fragile (c) per la ghisa.
a
b
Acciaio Nichel-Cromo
Acciaio dolce
1500 600 Acciaio semidolce con trattamento termico
1200
900
Acciaio rullato a freddo Acciaio semidolce ricotto
600
Sforzo σ [MPa]
450 Sforzo σ [MPa]
112
Rame
300 Alluminio
Bronzo duro Acciaio dolce 150
300
Ottone dolce
10
20 30 40 Deformazione [%]
50
0
2 4 Deformazione [%]
6
Fig. 5.9 - 䡵 a) Comportamento in prove di trazione per metalli diversi. 䡵 b) Comportamento in prove di trazione per fili incruditi (osservare la riduzione notevole delle deformazioni rispetto ai materiali della Figura 5.9-a).
Esempio 5. 2 Allungamento di una barra con sezioni diverse Una barra di acciaio (modulo di elasticità E = 207 GPa) è composta da tre diverse sezioni circolari aventi le dimensioni indicate nella Figura 5.10; la barra è soggetta ad un carico assiale di trazione F = 22 kN. Determinare: a) gli sforzi che agiscono su ciascuna sezione normale all’asse; b) l’allungamento totale δ l della barra.
5.4. – RAPPORTO DI POISSON
SOLUZIONE d2 = 30 mm d1 = 20 mm F = 22 kN
d3 = 15 mm
a) Gli sforzi, che agiscono sulle sezioni perpendicolari all’asse della barra, sono tensioni normali σ e si calcolano con la 5-1 che assume la forma σ = F/A = F/(πd 2/4) con F = 22.000 N:
F = 22 kN
d1 = 20 mm d2 = 30 mm l1 = 250 mm
l3 = 400 mm
d3 = 15 mm
l2 = 100 mm
A1 = 314 mm2
⇒ σ1 = 70,1 MPa
䉳
⇒
2
⇒ σ2 = 31,1 MPa
䉳
2
⇒ σ3 = 124,3 MPa 䉳
⇒
A2 = 707 mm A3 = 177 mm
b) L’allungamento totale δ l della barra è la somma degli allungamenti δ l1, δ l2 e δ l3 dei tre tratti a sezione diversa di cui è composta la barra. L’allungamento di ciascun tratto si calcola combinando insieme l’espressione 5-2 della deformazione con il legame 5-3 tra tensioni e deformazioni normali dato dalla legge di Hooke:
Fig. 5.10 - Barra sottoposta ad un carico assiale di trazione dell’Esempio 5.2.
σ 1 = Eε1 = E
⇒
δl1 l1
⇒
δl2 =
σ 2 l2 31,1 MPa × 100 m = = 15,0 µ m 207.000 MPa E
䉳
σ 3l3 124,3 MPa × 400 m = = 240,2 µ m 207.000 MPa E
䉳
δl3 =
δl1 =
σ 1l1 70,1 MPa × 250 mm = = 84,7 µ m E 207.000 MPa
δl = δl1 + δl2 + δl3 = 84, 7 µ m + 15,0 µ m + 240,2 µ m = 339 µ m
䉳
䉳
COMMENTI L’allungamento δ l è sempre estremamente contenuto e viene quindi espresso in µ m = 10– 3 mm = 10– 6 m; altrettanto modesta è la deformazione ε = δ l/l (5-2), di solito espressa in percentuale:
5. 4
ε1 =
δl1 0,0000847 m = = 0,000339 = 0,0339% l1 0,25 m
ε2 =
δl2 0,000015 m = = 0,00015 = 0,015% l2 0,100 m
ε3 =
δl3 0,00002402 m = = 0,00006 = 0,006% l3 0,400 m
RAPPORTO DI POISSON Entro i limiti di applicazione della legge di Hooke, un materiale, quando sottoposto a carico assiale, subisce, in aggiunta alla deformazione assiale lungo la direzione del carico, una deformazione laterale nelle direzioni perpendicolari alla prima (Figura 5.11 ). Queste due deformazioni sono legate l’una all’altra dalla relazione: v=
( − deformazione laterale) deformazione assiale
5-4
dove v, rapporto di Poisson (pronuncia “puasón”), è una quantità senza dimensioni essendo il rapporto tra due deformazioni, anch’esse senza dimensioni. Il segno meno al numeratore del-
113
114
CAPITOLO 5. – SFORZI E DEFORMAZIONI
Forma finale
a
Forma finale
b
F
F F
F
Forma iniziale
Forma iniziale
Fig. 5.11 - 䡵 a) Effetto di Poisson: contrazione laterale di un solido soggetto a una forza assiale di trazione. 䡵 b) Effetto di Poisson: espansione laterale di un solido soggetto a una forza assiale di compressione.
l’equazione 5-4 sta ad indicare che la deformazione assiale dà luogo ad una deformazione laterale di segno opposto: uno sforzo assiale di trazione induce una contrazione laterale. Per molti materiali usati nelle costruzioni, il valore di v è compreso tra 0,25 e 0,33; in particolare nel caso dei materiali metallici il rapporto di Poisson vale circa 0,3. Essendo la deformazione assiale data da ε = σ /E (5-3), la deformazione laterale per la 5-4 risulta: deformazione laterale = – vε = – v
σ E
5-5
Esempio 5. 3 Contrazione laterale di una barra Calcolare la variazione laterale del diametro d = 25 mm di una barra di acciaio (modulo di elasticità E = 206 GPa e rapporto di Poisson v = 0,29) soggetta ad un carico assiale che dà luogo alla tensione normale σ = 240 MPa.
SOLUZIONE La deformazione laterale δd/d della barra, funzione della deformazione assiale ε, si calcola con la 5-5: δd σ 240 MPa = −v = − 0,29 = − 0,0000338 d E 206.000 MPa e quindi il diametro d della barra subisce una contrazione δd (il numero risulta infatti negativo) pari a: δd = – 0,0000338 × d = – 0,0000338 × 25 mm = – 8,44 × 10– 3 mm
5. 5
䉳
TENSIONE E DEFORMAZIONE TANGENZIALI Area A su cui è applicata la forza Angolo γ
x
F l
F
Fig. 5.12-a - Deformazione tangenziale o scorrimento angolare γ di un cubo soggetto a forze di taglio F. Sull’area A agisce la tensione tangenziale τ.
La Figura 5.12-a mostra come un materiale può venire assoggettato al taglio: le due forze vengono applicate in modo tale da far scorrere uno strato del materiale sopra lo strato adiacente; questo sistema potrebbe venire realizzato dal blocchetto di gomma del freno di una bicicletta nel momento in cui viene frenata la ruota. Lo sforzo τ, diretto secondo la tangente al piano della sezione, viene chiamato tensione tangenziale o di taglio; quest’ultimo nome è legato alla disposizione caratteristica delle due forze uguali ed opposte della Figura 5.12-b,
5.5. – TENSIONE E DEFORMAZIONE TANGENZIALI
F
F
F F
Fig. 5.12-b - Schematizzazione dell’applicazione delle forze di taglio F e della tensione di taglio τ risultante. Al contrario della tensione normale σ sempre perpendicolare all’area interessata, la tensione di taglio τ è tangente all’area sulla quale agisce.
che tendono a tagliare il materiale con una tensione di taglio τ uguale al rapporto tra la forza di taglio F e l’area A interessata dallo sforzo. La tensione di taglio genera una deformazione tangenziale o scorrimento angolare γ che, come rapporto tra due lunghezze (dalla Figura 5.12-a risulta tan γ = x/l e quindi, per angoli piccoli, γ ≈ x/l ), è un puro numero e si misura in radianti. In campo elastico (legge di Hooke) la deformazione tangenziale γ risulta proporzionale allo sforzo tangenziale τ che l’ha generata:
tensione tangenziale τ = = costante = G deformazione tangenziale γ
⇒
τ = Gγ
5-6
attraverso la costante di proporzionalità G 5.7, proprietà caratteristica del materiale chiamata modulo di elasticità tangenziale; essendo γ un puro numero, G ha le dimensioni di uno sforzo [Pa]. Nel caso degli acciai il modulo di elasticità tangenziale G si aggira attorno a 80 GPa; per le ghise è circa 30 GPa, mentre per leghe di alluminio, titanio e per gli ottoni vale rispettivamente 27, 48 e 40 GPa. Fino ad ora si sono considerate condizioni di taglio semplice in cui (Figura 5.13-a) la tensione tangenziale τ, generata dalle forze di taglio F, interessa un solo piano e viene quindi calcolato applicando la 5-1 all’area coinvolta A. Esistono tuttavia casi in cui, come per la chiodatura a doppio coprigiunto della Figura 5.13-b, ciascun chiodo viene sollecitato al taglio sulle due facce, e cioè ad un taglio doppio; in tal caso l’area trasversale A del chiodo che resiste alle forze applicate è doppia e quindi la tensione di taglio vale τ = F/2A anziché F/A, come avviene per il taglio semplice.
a
b F F
F
F
Cedimento della chiodatura sotto taglio semplice
Cedimento della chiodatura sotto taglio doppio
Fig. 5.13 - 䡵 a) Giunzioni chiodate: chiodatura a sovrapposizione semplice sollecitata al taglio semplice. 䡵 b) Giunzioni chiodate: chiodatura a doppio coprigiunto sollecitata al taglio doppio.
5.7 - Le tre costanti E (modulo di elasticità normale), G (modulo di elasticità tangenziale) e v (rapporto di Poisson)
introdotte rispettivamente dalle equazioni 5-3, 5-6 e 5-5 (o 5 -4) sono le costanti elastiche.
Esse sono legate tra loro dalla relazione: E = 2G (1 + v).
115
116
CAPITOLO 5. – SFORZI E DEFORMAZIONI
Esempio 5. 4 Sforzi in un gancio Il gancio di acciaio della Figura 5.14 è progettato per trasmettere una forza di trazione F = 56 kN. Sapendo che il perno ha diametro d = 16 mm, determinare: a) la tensione di taglio τ nel perno; b) la tensione normale σ sulla piastra; c) la tensione normale σ sui due rami della forcella.
Perno 28 kN 56 kN
7 mm
50 mm
56 kN
56 kN 7 mm
7 mm 7 mm
28 kN Sollecitazione di taglio sul perno
Fig. 5.14 - Gancio trattato nell’Esempio 5.4; a sinistra è illustrata la sollecitazione di taglio doppio applicata al perno.
SOLUZIONE a) Il perno è soggetto ad una tensione di taglio τ sulle due facce e cioè ad un doppio taglio (Figura 5.14); perciò l’area che resiste al carico applicato è due volte l’area A della sezione del perno (5-1): F 2F 2 × 56.000 N = = = 139,3 MPa 䉳 πd2 πd2 π × (16 mm)2 2 4 b) La forza F applicata perpendicolarmente alla sezione rettangolare A della piastra genera la tensione normale σ (5-1): F 56.000 N σ = = = 160 MPa 䉳 A 50 mm × 7 mm
τ =
F = 2A
c) Ciascuno dei due rami della forcella sopporta un carico pari alla metà della forza F (F/2 = 28.000 N), che genera la tensione normale σ (5-1):
σ =
5. 6
F/2 28.000 N = = 80 MPa A 50 mm × 7 mm
䉳
SFORZI TERMICI Allorché la temperatura di un elemento di una struttura meccanica viene aumentata oppure diminuita, il materiale si allunga oppure si accorcia. Se non si interviene in alcun modo per impedire la variazione di lunghezza, questo processo si realizza senza che nascano sforzi nella struttura. Al contrario, se le variazioni nelle dimensioni del pezzo vengono contrastate dai vincoli, allora, all’interno del materiale, si generano degli sforzi termici, che sono di compressione nel caso di un allungamento del pezzo e di trazione nel caso di un suo accorciamento.
5.6. – SFORZI TERMICI
Si consideri una barra di un materiale di lunghezza originaria l sottoposto ad un aumento di temperatura ∆T. Se la barra è libera di espandersi, si verifica un allungamento ∆l dato da5.8: ∆l = lα ∆T
5-7
dove α [K– 1] è il coefficiente di dilatazione termica lineare del materiale. Ma se questo allungamento viene completamente impedito nasce nella barra una deformazione ε di compressione:
ε=
∆l = α∆T l
5-8
che, a sua volta, per la 5-3, genera uno sforzo pari a:
σ = Eε = Eα ∆T
5.8 - La 5-7 si ricava dalla definizione tradizionale del coefficiente di dilatazione termica lineare α = ∆l/(l∆T ), quale variazione ∆ di dimensione lineare
l rapportato alla lunghezza originaria l e alla variazione di temperatura ∆T. Le dimensioni di α sono quindi [K – 1 ] oppure [°C – 1], in quanto trattandosi di
5-8 ′
una differenza di temperatura è indifferente usare i gradi centigradi oppure i kelvin; esempio: ∆T = 363 K – 313 K = = 50 K = 90 °C – 40 °C = 50 °C.
Esempio 5. 5 Sforzo termico in un distanziale Un distanziale in ottone OT95 (modulo di elasticità E = 117 GPa, coefficiente di dilatazione termica lineare α = 18 × 10– 6 K– 1) ha, alla temperatura di 20 °C, una lunghezza l = 250 mm e un diametro d = 28 mm. Il distanziale viene portato alla temperatura di 100 °C, mentre la dilatazione viene completamente impedita. Calcolare: a) la tensione normale σ ; b) la forza F generata dalla dilatazione termica.
SOLUZIONE a) Nota la variazione di temperatura ∆T = 100 °C – 20 °C = 80 °C = 80 K5.8, si determina la deformazione unitaria ε con la 5-8: ε = α∆T = 18 × 10– 6 K– 1 × 80 K = 0,00144 䉳 e poi con la 5-3 (oppure, saltando il passaggio precedente, con la 5-8′ ) lo sforzo di compressione σ generato dalla dilatazione impedita del distanziale:
σ = Eε = 117.000 MPa × 0,00144 = 168,5 MPa b) Si risolve la 5-1 rispetto alla forza F sul distanziale: F = σA = σ
πd2 π (28 × 10 − 3 m)2 = 168,5 × 10 6 Pa = 103,7 kN 4 4
䉳
COMMENTI L’allungamento ∆l del distanziale, qualora non si impedisse la dilatazione, sarebbe pari a (5-7): ∆1 = lα∆T = 250 mm × 18 × 10– 6 K– 1 × 80 K = 360 µm Si tratta di un allungamento imponente (360 µm) che giustifica i valori estremamente elevati della tensione σ (168,5 MPa) e della forza F (103,7 kN) di compressione che nascono nel momento in cui si impe-
117
CAPITOLO 5. – SFORZI E DEFORMAZIONI
disce questo allungamento. Se, ad esempio, si considerasse anche una differenza di temperatura di solo 1 °C, si avrebbe sempre un allungamento non trascurabile di 4,5 µm; per ottenere infatti questo stesso allungamento δl = 4,5 µm, facendo ricorso ad una forza e non ad una variazione di temperatura, sarebbe necessaria una tensione di trazione σ (5-3 e 5-2):
σ = Eε = E
δl 0,0045 mm = 117.000 MPa = 2,1 MPa l 250 mm
e un carico di trazione F non certo trascurabile (5-1): F = σA = 2,1 × 106 Pa × 6,157 × 10– 4 m2 = 1,3 kN Negli organi delle macchine, anche non termiche, il funzionamento dà luogo ad aumenti di temperatura spesso importanti di 10, 20, 40 °C ed oltre dovute a quelle dissipazioni di energia che vengono espresse dal concetto di rendimento. In un cambio di velocità, ad esempio, l’energia meccanica entrante è superiore a quella che viene restituita: la differenza di energia tra ingresso e uscita viene dissipata negli attriti dei vari organi (cuscinetti, ingranaggi, ecc.) e viene scambiata sotto forma di calore con aumenti locali della temperatura. Gli aumenti di temperatura sono non solo diversi per i vari organi (gli alberi del cambio di velocità lavorano ad una temperatura più alta del carter che ha la possibilità di essere raffreddato dall’aria ambiente), ma danno origine anche ad effetti diversi in quanto i materiali differenti con cui vengono realizzate le diverse parti della macchina hanno coefficienti di dilatazione α tra loro diversi. Nel progetto degli organi della macchina occorre quindi fare attenzione ad adottare un disegno e dei materiali che consentano di minimizzare gli effetti delle variazioni di temperatura.
5. 7
CREEP E FATICA Esistono delle condizioni di carico per cui il cedimento del materiale può avvenire per valori dello sforzo molto inferiori a quanto si Frattura Sforzo o temperatura elevati verifica nella prova di trazione (Paragrafo 5.3); queste condizioni sono rappresentate dal creep Sforzo o (pronuncia “crip”) e dalla fatica. Il creep (scortemperatura bassi rimento plastico a caldo) è l’aumento graduale della deformazione plastica in un materiale con il tempo sotto carico costante. Alcuni materiali sono soggetti a questo fenomeno particolarmente a temperature elevate: anche sotto Creep Creep Creep primario secondario terziario un carico costante le deformazioni dovute al creep possono aumentare continuamente fino alla frattura. Questa forma di frattura è di parTempo ticolare interesse nel caso di organi di macFig. 5.15 - Curva tipica di creep. chine sollecitati ad alta temperatura, come, ad esempio, palette delle turbine termiche, componenti di reattori nucleari, motori a razzo. La Figura 5.15 presenta la forma tipica del diagramma della deformazione in funzione del tempo o curva di creep per due condizioni di bassa ed alta temperatura. In ciascun caso la curva mostra le seguenti caratteristiche principali: Frattura
Deformazione
118
Deformazione iniziale
a) una deformazione iniziale, dovuta all’applicazione del carico. In molti casi si tratta di una deformazione elastica; b) una regione di creep primario, durante la quale la velocità di creep (pendenza del grafico) diminuisce; c) una regione di creep secondario, quando la velocità di creep è sensibilmente costante (il grafico è una linea retta); d) una regione di creep terziario, durante la quale la velocità di creep accelera fino alla frattura.
5.7. – CREEP E FATICA
Cicli Compressione (–)
Sforzo
Trazione (+)
a
1 4
1 2
3 4
1
Sforzo (+ σ )
b Ampiezza σ a dell’oscillazione dello sforzo Intervallo σ r dello sforzo
σ max σm σ min
Sforzo medio
Tempo (t)
Fig. 5.16 - I tipi più diffusi di sollecitazione a fatica. 䡵 a) Fatica alternata (simmetrica): la sollecitazione è espressa da uno sforzo variabile tra due valori uguali, ma di segno opposto. 䡵 b) Fatica pulsatoria ondulata: le alternanze oscillano fra un valore massimo ed uno minimo entrambi dello stesso segno (in questo caso positivo).
Il materiale sensibile agli effetti del creep dovrà allora essere soggetto nella sua vita soltanto a sforzi che non facciano uscire quel determinato elemento di macchina dalla regione secondaria. La fatica è il cedimento del materiale sotto sforzi non più statici ma dinamici. La fatica interessa in modo particolare quegli elementi meccanici, come componenti di motori, palette di tura
Limite a fatica ( f)
Ampiezza dell’oscillazione dello sforzo ( a)
Ampiezza dell’oscillazione dello sforzo ( a)
b
Resistenza a fatica (
N
) N
Numero di cicli a rottura (N )
Numero di cicli a rottura (N )
Fig. 5.17 - Diagrammi tipici di resistenza a fatica (curva di Wöhler) con 1’ampiezza di oscillazione della sollecitazione σa in funzione del numero di cicli N che determina la frattura del provino (N può arrivare fino ad oltre 100 milioni di cicli). 䡵 a) Curva per cui esiste il limite di fatica σf (potrebbe essere quella di un acciaio dolce). 䡵 b) Curva per cui non esiste il limite di fatica (potrebbe essere una lega leggera); in tal caso viene preso il valore dell’ampiezza dell’oscillazione dello sforzo (è la resistenza a fatica σN) al di sotto della quale il provino è in grado di raggiungere una vita a fatica di N cicli.
119
120
CAPITOLO 5. – SFORZI E DEFORMAZIONI
bine, sospensioni dei veicoli, ecc., che durante la loro vita sono soggetti a fluttuazioni cicliche del carico (Figura 5.16 ). Il comportamento dei materiali a fatica viene di solito descritto dalla curva di Wöhler (Figura 5.17), un diagramma avente in ordinate l’ampiezza dell’oscillazione della sollecitazione σa (Figura 5.16) e in ascisse il corrispondente numero di cicli N che porta alla frattura del provino. L’aspetto fondamentale della curva di Wöhler (Figura 5.17-a) è il valore asintotico dello sforzo σf , chiamato limite di fatica, al di sotto del quale non si verifica il cedimento del provino per fatica qualunque sia il numero di cicli N (ad esempio, superiore a 100 milioni): il pezzo viene progettato in modo che gli sforzi non superino il limite di fatica ed il pezzo può così raggiungere una vita infinita. Ciò, tuttavia, implica molto spesso un sovradimensionamento del pezzo sia in termini di massa che di qualità del materiale anche in quei casi in cui lo sforzo supera solo occasionalmente il limite di fatica, come può avvenire per le strutture aeronautiche; la situazione viene ulteriormente complicata dal fatto che molti materiali non mostrano un limite di fatica (Figura 5.17-b). Il pezzo viene allora progettato per rispettare un valore dello sforzo, chiamato resistenza a fatica σN , al di sotto della quale il pezzo è in grado di raggiungere una vita finita di N cicli accettando che sul lavoro gli sforzi superino occasionalmente σN .
5. 8
FATTORE DI SICUREZZA, PROGETTO E VERIFICA Vi è sempre il rischio che lo sforzo, al quale, durante il lavoro, è soggetto un membro di una struttura meccanica, possa eccedere la resistenza del materiale con cui quel membro è stato realizzato. Lo scopo del fattore (o coefficiente o grado) di sicurezza n è proprio quello di rendere minimo questo rischio; esso è definito dal rapporto tra un valore caratteristico della resistenza del materiale e la tensione ammissibile che è il valore dello sforzo che, in un determinato membro di una struttura meccanica, non deve essere superato durante il lavoro per evitare danni alla struttura: n=
resistenza del materiale tensione ammissibile
5-9
Il valore caratteristico della resistenza del materiale è rappresentato da: – il limite di snervamento σs per i materiali duttili, come gli acciai, di cui si vuole limitare l’eccessiva deformazione, causata dalla deformazione plastica al di là del punto di snervamento; – la resistenza a trazione o a compressione σu5.9, nel caso dei materiali fragili per i quali il cedimento coincide con la rottura; – il limite di fatica σf oppure la resistenza a fatica σN5.10, nel caso in cui il pezzo sia sottoposto a carichi dinamici. Un valore del fattore di sicurezza pari a 3 significa, ad esempio, che nel progetto si è previsto che la tensione ammissibile dovrà essere inferiore di 3 volte alla resistenza del materiale con cui è realizzato il membro della struttura oppure che quel dato membro della struttura è in grado di sopportare fino a 3 volte il valore dello sforzo a cui il membro sarà soggetto nelle normali con-
5.9 - Nei materiali fragili la resistenza a compressione σuc è normalmente maggiore della resistenza a trazione σut. 5.10 - Allorché, come accade per molti
materiali, non siano conosciuti né il limite di fatica σf né la resistenza a fatica σN , si adotta un valore ridotto della resistenza a trazione σu, di solito riportato nei manuali. Ad esempio, per gli acciai
da costruzione il limite di fatica σf risulta (0,4 ÷ 0,6) σu per la flessione alternata, (0,3 ÷ 0,45) σu per la trazionecompressione assiale alternata e (0,23 ÷ 0,35) σu per la torsione alternata.
5.8. – FATTORE DI SICUREZZA, PROGETTO E VERIFICA
dizioni di lavoro. Il fattore di sicurezza tiene conto di diverse fonti di incertezza relative al progetto della struttura meccanica: a) Natura del carico – Anche se il progetto viene basato su carichi considerati statici, variazioni nelle condizioni del servizio oppure disattenzioni da parte degli operatori possono portare a condizioni di carico dinamico oppure d’urto che comportano un aumento significativo nel livello degli sforzi massimi. b) Natura degli sforzi – I metodi di fabbricazione e di assemblaggio del componente possono incidere significativamente sulla sua vita in opera; si pensi agli sforzi residui introdotti dal processo di lavorazione e trattamento oppure agli sforzi indotti dal montaggio (ad esempio con saldature oppure provocando deformazioni oltre il limite elastico), come pure ai possibili danneggiamenti subiti durante la manipolazione e il trasporto. Agli sforzi vanno collegate le proprietà meccaniche del materiale usato che non sono mai perfettamente conosciute. I valori elastici standard riportati nei manuali si riferiscono infatti a materiali ideali5.1 con uguale resistenza in tutte le direzioni. Questo comportamento si riscontra raramente nella realtà e gli effetti di discontinuità interne, inclusioni ed altri difetti possono indebolire in modo significativo il materiale. c) Tipo di servizio – Il componente della struttura può trovarsi a lavorare in condizioni anche molto diverse da quelle previste in sede di progetto. Ad esempio la variabilità delle condizioni ambientali, ed in particolare la presenza di fenomeni di corrosione, può far insorgere degli effetti non previsti dal progetto. Occorre allora introdurre un fattore di rischio che tenga conto, tra l’altro, della possibilità che una rottura possa provocare danni a persone. I valori del fattore di sicurezza variano perciò in funzione del tipo di industria e dell’area di applicazione a cui quel dato componente è destinato. La Tabella 5.1 mostra, per alcuni casi scelti come esempio, il fattore di sicurezza complessivo ottenuto moltiplicando i valori specifici relativi ai diversi aspetti elencati sopra. I valori tipici del fattore di sicurezza n oscillano da 2,5 (casi di carico statico e rischio modesto) fino a 10 (carichi d’urto e applicazioni ad altissimo rischio). Tabella 5.1 Come i diversi aspetti del progetto della struttura meccanica possono influenzare il fattore di sicurezza n Applicazione Acciaio per costruzioni Recipienti in pressione
(a) Natura del carico
(b) Natura dello sforzo
(c) Tipo di servizio
Fattore di sicurezza (a × b × c)
1,2 1
1 1
2 3
2,4 3
Allorché si vuole procedere al progetto di un elemento di una struttura meccanica, si fissa il valore del fattore di sicurezza n e si legge sulle tabelle dei manuali il valore caratteristico della resistenza del materiale; si ricava quindi (5-9) la tensione ammissibile, valore dello sforzo da non superarsi se si vuole evitare il cedimento: tensione ammissibile =
resistenza del materiale n
5-10
e infine si risolve, rispetto alle dimensioni dell’elemento meccanico (area A), l’equazione 5-1, in cui al posto dello sforzo si considera la tensione ammissibile. Nel calcolo di verifica vengono invece assegnate le dimensioni dell’elemento e si vuole verificare che lo sforzo, calcolato con la 5-1, risulti inferiore alla tensione ammissibile, data dalla 5-10.
121
122
CAPITOLO 5. – SFORZI E DEFORMAZIONI
Esempio 5. 6 Dimensionamento di un’asta Un’asta di sezione rettangolare, realizzata con un acciaio da bonifica 42 Cr Mo 4 avente un limite di snervamento σs = 900 MPa, è sollecitata a trazione da una forza F = 50 kN. Nell’ipotesi di adottare un fattore di sicurezza n = 5 e sapendo che la larghezza b è uguale a 6 volte lo spessore c, determinare le dimensioni della sezione A dell’asta.
SOLUZIONE Il valore caratteristico della resistenza del materiale da introdurre nell’equazione 5-10, che dà la tensione ammissibile σamm, è il limite di snervamento σs, poiché il materiale è un acciaio (materiale duttile):
σ amm =
900 MPa σs = = 180 MPa n 5
Una volta determinata la tensione ammissibile σamm, si calcola con la 5-1, che ora si scrive σamm = F/A, la sezione A; questa, essendo l’asta di sezione rettangolare, vale A = bc = 6cc = 6c2, poiché la larghezza b è uguale a 6 volte lo spessore c (b = 6c):
σ amm =
c=
F A
⇒
6c 2 =
50.000 N = 6,8 mm 6 × 180 × 166 Pa
F
⇒
σ amm
c2 =
F 6σ amm
b = 6c = 6 × 6,8 mm = 40,8 mm
䉳
COMMENTI 1. Per esercizio si rifacciano i calcoli con un diverso valore del fattore di sicurezza, ad esempio n = 2,5. In tal caso le dimensioni della sezione trasversale dell’asta risulterebbero: c = 4,8 mm e b = 28,8 mm. Come si vede le dimensioni e quindi la massa dell’asta vengono notevolmente modificate al variare del valore del fattore di sicurezza, parametro che è tra i più importanti nel progetto di una struttura meccanica e che quindi va scelto con particolare attenzione. Il fattore di sicurezza non deve essere cioè troppo basso perché in tal caso si rischia il cedimento della struttura, ma neanche troppo alto perché, a parte gli sprechi di materiale, masse eccessive rendono praticamente irrealizzabile la struttura: è tipico il caso dei motori alternativi a combustione interna dove masse eccessive del manovellismo sono fonte di forze di inerzia non più dominabili. 2. Si voglia adesso verificare, per il materiale avente σamm = 180 MPa, la resistenza di un’asta di area A = bc = 44 mm × 7,1 mm = 312,5 mm 2. La sollecitazione σ nell’elemento, data da (5-1) σ = F/A = 50.000 N / 312,5 mm2 = 160 MPa, risulta inferiore a σamm ed il pezzo è quindi verificato. Se al contrario l’asta da verificare avesse avuto una sezione più piccola, ad esempio A = 250 mm2, la sollecitazione σ sarebbe risultata σ = 200 MPa, valore maggiore dello sforzo σamm = 180 MPa che si ammette per la sicurezza dell’elemento in quelle date condizioni di lavoro; l’elemento di macchina in quest’ultimo caso potrebbe arrivare al cedimento.
5. 9
CONCENTRAZIONE DEGLI SFORZI Un carico concentrato (Figura 5.18) determina la presenza nelle immediate vicinanze del punto di applicazione di sforzi particolarmente elevati che diventano uniformi con un valore pari a quello dello sforzo medio, o sforzo nominale σnom, solo a partire da una distanza pari alla lar-
5.9. – CONCENTRAZIONE DEGLI SFORZI
a
b
F
c
F
d
F
F
b/2 b b/4 σnom = F/A σnom σmax = 2,575 σnom
b
σmax = 1,387 σnom
σnom σmax = 1,027 σnom
F
Fig. 5.18 - Distribuzione degli sforzi in prossimità del carico concentrato F applicato ad una colonna corta ottenuta facendo uso dei metodi della teoria della elasticità. 䡵 a) Colonna sollecitata a compressione dalle forze F applicate alle due estremità. 䡵 b) Distribuzione degli sforzi ad una distanza pari ad un quarto della larghezza b della colonna. 䡵 c) Distribuzione degli sforzi ad una distanza pari a metà della larghezza b della colonna. 䡵 d) Distribuzione degli sforzi ad una distanza uguale alla larghezza b della colonna.
ghezza b della colonna 5.11 (Figura 5.18-d). Allo stesso modo (Figura 5.19) la presenza di brusche variazioni della sezione resistente, fori, intagli, scanalature, ecc. determina un aumento, anche notevole, degli sforzi locali. Questi sforzi massimi dipendono soltanto dalle proporzioni geometriche dell’elemento e vengono messi in relazione con lo sforzo nominale, dato dall’equazione 5-1, mediante σnom il fattore teorico di concentrazione degli sforzi Kt : Kt = σmax
σnom
Fig. 5.19 - In corrispondenza della sezione con il foro la distribuzione degli sforzi non è più uniforme: σmax è la tensione normale massima, mentre σnom è la tensione normale nominale.
5.11 - Per un materiale puramente elastico lo sforzo massimo σmax diviene teoricamente infinito nel punto in cui è concentrato il carico, poiché la forza finita F agisce su un’area che vale zero (è l’area del punto). Tuttavia, nelle situazioni reali, non è possibile imbattersi in un carico veramente concentrato e virtualmente
sforzo massimo sforzo nominale
5-11
rapporto tra lo sforzo massimo raggiunto a causa della presenza della discontinuità e lo sforzo nominale relativo ad una distribuzione uniforme del carico sulla sezione lontana in cui non è presente l’indebolimento provocato dalla discontinuità (Figura 5.19 ). Lo sforzo massimo va confrontato con la tensione ammissibile (equazione 5-10) in quanto superando localmente lo sforzo massimo si verifica il cedimento della struttura. Nel dimensionamento, il valore dello sforzo massimo viene uguagliato alla tensione ammissibile in modo da ricavare la dimensione incognita del membro della struttura che si vuole progettare.
tutti i materiali esibiscono qualche comportamento plastico; ne segue che è impossibile raggiungere uno sforzo infinito. Il principio di Saint Venant, enunciato dal grande scienziato francese nel 1855, afferma che il modo di applicazione del carico è importante, ai fini della distribuzione degli sforzi, solo nelle vicinanze
della regione dove il carico è applicato. Perciò, nella determinazione degli sforzi in una trave, verranno considerate quelle sezioni, che distano dal carico concentrato di una distanza maggiore della larghezza della trave stessa in quanto su queste sezioni è possibile assumere una distribuzione uniforme degli sforzi.
123
124
CAPITOLO 5. – SFORZI E DEFORMAZIONI
Esempio 5. 7 Dimensionamento di una barra scanalata F = 300 kN
Una barra circolare, realizzata in acciaio inossidabile AISI 403 indurito e temprato avente un limite di snervamento σs = 585 MPa, è sollecitata a trazione pura da una forza F = 300 kN. La barra reca una scanalatura (Figura 5.20) alla quale corrisponde un fattore di concentrazione degli sforzi Kt = 1,6. Nell’ipotesi di adottare un fattore di sicurezza n = 3, determinare il diametro D della barra.
F = 300 kN D
d
Fig. 5.20 - Barra sollecitata a trazione dell’Esempio 5.6.
SOLUZIONE La tensione ammissibile σamm è, per la 5-10, data da:
σ amm =
585 MPa σs = = 195 MPa n 3
Lo sforzo nominale è la tensione normale σ riferita alla sezione di diametro D in cui non è presente la scanalatura; lo sforzo massimo è invece la tensione normale massima σmax che si raggiunge nella sezione indebolita di diametro d in cui è presente la scanalatura e coincide, per il dimensionamento, con la tensione ammissibile σamm (σmax = σamm). Con la 5-11 si ricava la tensione normale nominale (σnom = σ): Kt =
σ sforzo massimo = max sforzo nominale σ nom
⇒
σ =
σ amm 195 MPa = = 121,9 MPa 1,6 Kt
e quindi, con la 5-1, la sezione A della barra di diametro D:
σ =
F A A=
5. 10
⇒
πD 2 4
A=
⇒
F 300.000 N = = 0,002461 m 2 = 2461 mm 2 121,9 × 10 6 Pa σ D=
4A = π
4 × 2461 mm 2 = 56 mm π
䉳
PROPRIETÀ DEI MATERIALI 5. 10. 1 Metalli e loro leghe I metalli utilizzati nelle macchine possono essere divisi in due gruppi sulla base del loro contenuto di ferro: quelli costituiti prevalentemente da ferro vengono chiamati metalli ferrosi, mentre tutti gli altri sono detti non ferrosi. I metalli leggeri comprendono alluminio, magnesio e titanio; i metalli refrattari, caratterizzati da una elevata resistenza al calore, comprendono tungsteno e molibdeno. Le leghe vengono ottenute aggiungendo quantità, che possono essere anche estremamente modeste, di elementi diversi al metallo di base che, in tal modo, acquista proprietà significativamente differenti da quelle dei singoli costituenti. Le leghe più usate sono quelle a base di ferro con piccole quantità di carbonio, di solito inferiore al 4% in massa, in modo da produrre acciaio oppure ghisa. L’acciaio contiene meno del 1,5% di carbonio; i comuni acciai al carbonio, composti quasi interamente di ferro e carbonio, si suddividono in acciai dolci o basso tenore di carbonio (carbonio inferiore a 0,25%), acciai a medio (carbonio da 0,25 a 0,6%) e acciai ad alto tenore di carbonio (carbonio da 0,6 a 0,9%). Prende il nome di acciaio legato quell’acciaio
5.10. – PROPRIETÀ DEI MATERIALI
a cui, oltre al carbonio, vengono aggiunti altri elementi; l’elemento predominante aggiunto determina il nome dell’acciaio: ad esempio, l’acciaio al silicio usato per fare le molle. Le ghise hanno un più alto contenuto di carbonio (maggiore del 2,11%) insieme ad altri elementi quali silicio, magnesio, zolfo e fosforo. La ghisa più comune è la ghisa grigia, molto fragile, facilmente lavorabile di macchina, che conduce bene il calore; l’aggiunta di piccole quantità di magnesio alla ghisa allo stato liquido porta alla ghisa sferoidale, materiale resistente, tenace e duttile. Tra i metalli non ferrosi e le loro leghe occorre citare in primo luogo l’alluminio, metallo a basso punto di fusione di elevata conducibilità elettrica e termica e con buona resistenza alla corrosione; dopo l’acciaio, è il materiale più usato a causa dell’elevato rapporto tra resistenza e massa. Il rame, in lega con lo zinco (fino al 40%) e a piccole quantità di altri elementi come lo stagno dà luogo all’ottone; quando invece il rame viene legato, non allo zinco, ma ad altri elementi come stagno, fosforo, silicio o alluminio si ha il bronzo, di cui alcuni tipi, come il bronzo fosforoso (bronzo a base di stagno con aggiunto fosforo) oppure il bronzo-manganese sono particolarmente resistenti alla corrosione provocata dall’acqua salata. Altre leghe non ferrose sono quelle basate su nichel (dure e resistenti), magnesio (il metallo più leggero) e titanio (leggere e particolarmente resistenti anche ad alta temperatura).
5. 10. 2 Polimeri e plastiche Un polimero è una sostanza costituita principalmente da atomi di carbonio e creata legando tra loro piccole molecole, dette monomeri, in modo da formare molecole grandi o macromolecole. In funzione del tipo di legame tra i monomeri, il polimero risultante può essere cristallino oppure amorfo o una combinazione di questi due stati. Esempi esistenti in natura sono il diamante (polimero cristallino), la gomma e la cellulosa (ambedue polimeri amorfi). Plastica indica di solito il polimero sintetico (è il polimero che viene ottenuto artificialmente, cioè per sintesi, chiamato anche resina) a cui sono state aggiunte sostanze diverse, chiamate additivi. Le plastiche, a meno che non vengano rinforzate con altri materiali, sono poco adatte a sopportare i carichi soprattutto a causa delle modeste proprietà elastiche e della bassa resistenza a trazione o a compressione. Tuttavia la bassa densità delle plastiche permette di ottenere un rapporto ancora moderatamente favorevole tra la sia pure modesta resistenza e la loro densità consentendone la diffusione nelle più diverse applicazioni. I valori del modulo di elasticità, della resistenza alla trazione e della percentuale di allungamento a frattura delle plastiche sono grandemente influenzate dalle condizioni di temperatura e dalla velocità e dalla durata di applicazione del carico. Si possono distinguere tre categorie di plastiche: a) Termoplastiche – Sono di solito derivate dall’etilene (è l’idrocarburo C2H4 con due atomi di carbonio e quattro atomi di idrogeno); una volta formate, possono essere rammollite e colate negli stampi scaldandole. Sono in genere duttili, con alti allungamenti sotto carico, buona resistenza all’urto ma molto sensibili al calore. Il nailon (in inglese “nylon”) è un esempio di termoplastica, tenace, resistente agli urti e alla corrosione e con buone proprietà autolubrificanti. b) Plastiche termoindurenti – Sono formate da polimeri amorfi che vengono fatti diventare cristallini quando scaldati ad una data temperatura che è funzione del tipo di polimero. Sono fragili, ma piuttosto resistenti. Vengono danneggiate se scaldate o sottoposte a pressione. Esempi di plastiche termoindurenti sono le resine epossidiche. c) Elastomeri – Vengono così chiamate le gomme naturali e sintetiche e tutte quelle materie plastiche che hanno proprietà simili alle gomme. L’elastomero, quando sottoposto ad un carico di trazione alla temperatura ambiente, si allunga moltissimo con corrispondente riduzione della sezione trasversale; proprio a causa della sensibile riduzione dell’area trasversale, all’aumentare del carico, questi materiali non seguono la legge di Hooke.
125
126
CAPITOLO 5. – SFORZI E DEFORMAZIONI
5. 10. 3 Fibre Le fibre inorganiche, principalmente vetro, carbonio e acciaio, rappresentano lo sviluppo del concetto di fibra organica utilizzata nei tessuti. La differenza tra la proprietà del materiale e la fibra è, ad esempio, messa in evidenza dalle fibre di vetro: il vetro ordinario ha una resistenza a trazione generalmente inferiore a 170 MPa, ma in forma di fibre può arrivare fino a 3000 MPa. Le fibre di carbonio hanno un modulo di elasticità molto alto pari a 410 GPa ed una resistenza a trazione fino a 2000 MPa.
5. 10. 4 Materiali compositi Le fibre vengono utilizzate per rinforzare le plastiche ed altri materiali in modo da migliorarne alcune proprietà come, ad esempio, il rapporto tra resistenza e massa oppure la capacità da parte di un materiale debole di sopportare un carico di trazione. Questo rinforzo può essere fatto sotto forma di nervature (fibre molto lunghe disposte come un tessuto) oppure con una matassa continua di fibre molto sottili ma più spesso le fibre vengono sminuzzate in piccoli pezzi di filato sotto forma di feltro. Il rinforzo delle materie plastiche, mediante fibre di vetro, di carbonio oppure di acciaio agglomerate nella plastica, dà luogo a materiali particolarmente leggeri, detti materiali compositi, in cui la plastica protegge le fibre da sfregamento e da attacchi chimici, mentre le fibre sopportano i carichi di trazione. Le proprietà del materiale composito dipendono non solo da quelle delle fibre e della plastica che le ospita, ma anche dalla lunghezza e dalla massa delle fibre contenute oltre che dal tipo di legame tra fibra e plastica. I valori risultanti del modulo di elasticità e della resistenza a trazione del materiale rinforzato sono di solito più bassi di quelli delle fibre impiegate nel rinforzo. Una tipica termoplastica, come il poliestere, ha, quando non ancora rinforzato, bassi valori del modulo elastico (E = 500 MPa) e della resistenza a trazione (σu < 70 MPa) e un elevato allungamento (dal 60 al 110%); quando il poliestere viene rinforzato, a seconda delle fibre, il modulo elastico aumenta fino a tre volte e la resistenza fino a 10 volte, mentre si verifica una perdita di duttilità e di resistenza all’urto. Significative applicazioni dei materiali compositi sono rappresentate da pale per le eliche di turboelica oppure per i rotori delle turbine eoliche.
5. 11
SOMMARIO Le forze interne si oppongono alla modifica nella forma del corpo, che le forze esterne rappresentate dai carichi (incluso il peso del corpo) e dalle reazioni vincolari cercano di produrre, generando degli sforzi, rapporto tra la forza esterna F e l’area A interessata. Lo sforzo si misura in pascal [Pa = N/m2] o più abitualmente in megapascal [MPa = N/mm2 = 106 Pa]. Nei casi specifici useremo spesso il termine equivalente e più intuitivo di tensione; si ha così la tensione normale σ quando l’area A interessata dallo sforzo forma un angolo retto con la linea di azione della forza esterna F, mentre la tensione tangenziale o di taglio τ è tangente all’area in quanto la forza F è applicata sullo stesso piano dell’area A interessata dallo sforzo. Alle due tensioni σ e τ corrispondono delle deformazioni del corpo espresse da puri numeri (cioè senza dimensioni): deformazione normale (o dilatazione) ε, rapporto tra la variazione di lunghezza δl e la lunghezza originaria l, e la deformazione tangenziale (o scorrimento angolare) γ. Nel campo elastico, le tensioni sono proporzionali alle deformazioni attraverso i moduli di elasticità normale E e tangenziale G: σ = Eε , τ = Gγ ; esiste, inoltre, il rapporto di Poisson v tra deformazione laterale e deformazione assiale. Il fattore di sicurezza n è il rapporto tra un valore caratteristico della resistenza del materiale e la tensione ammissibile che è il valore dello sforzo che, in un determinato membro di una strut-
5.11. – SOMMARIO
tura meccanica, non deve essere superato durante il lavoro per evitare danni alla struttura. Il valore caratteristico della resistenza del materiale è rappresentato da: – il limite di snervamento σs per i materiali duttili, come gli acciai, di cui si vuole limitare l’eccessiva deformazione, causata dalla deformazione plastica al di là del punto di snervamento; – la resistenza a trazione o a compressione σu, nel caso dei materiali fragili per i quali il cedimento coincide con la rottura; – il limite di fatica σf oppure la resistenza a fatica σN, nel caso in cui il pezzo sia sottoposto a carichi dinamici. Nel progetto di un elemento di una struttura meccanica, si fissa il valore del fattore di sicurezza n e si legge sulle tabelle dei manuali il valore caratteristico della resistenza del materiale; si ricava quindi la tensione ammissibile (rapporto tra resistenza del materiale ed n); si risolve infine l’equazione sforzo = F/A, in cui al posto dello sforzo si considera la tensione ammissibile, rispetto alle dimensioni dell’elemento meccanico. Nel calcolo di verifica vengono invece assegnate le dimensioni dell’elemento e si vuole verificare che lo sforzo risulti inferiore alla tensione ammissibile.
Esercizi proposti 5.1 Trovare l’allungamento ε di una barra di acciaio lunga 3 m che, sottoposta a trazione, si allunga di 1,8 mm.
ε = 0,0006
5.2 Calcolare il tipo e il valore dello sforzo esercitato da un carico di trazione pari a 1 kN sulla sezione trasversale di 50 mm2 di una barra. sforzo = σ = 20 MPa
5.3 Sapendo che il modulo di elasticità E di un acciaio è pari a 206 GPa, determinare la deformazione ε prodotta da uno sforzo di 310 MPa. ε = 0,0015
5.4 Calcolare il tipo e il valore dello sforzo esercitato da un carico di trazione pari a 59 kN sulla sezione trasversale di un tubo avente un diametro esterno di 40 mm e un diametro interno di 35 mm. sforzo = σ = 200 MPa
5.5 Calcolare la tensione σ sulla sezione trasversale (6,0 mm × 25 mm) di una barra di acciaio lunga 5 m sollecitata da un carico di 22,5 kN. Sapendo che il materiale della barra è acciaio con modulo di elasticità E = 206 GPa, determinare la deformazione ε e l’allungamento complessivo δ.
σ = 150 MPa; ε = 0,000728; δ = 3,64 mm
5.6 Calcolare la deformazione ε di un provino, avente una lunghezza di misura pari a 50 mm, che sottoposto ad una prova di trazione aumenta la sua lunghezza di 25 µm. ε = 0,0005 = 0,05% 5.7 Una barra di alluminio lunga 300 mm e con un diametro di 50 mm, quando sottoposta ad una forza di trazione di 100 kN, subisce un allungamento di 0,219 mm, mentre il diametro subisce una contrazione di 0,01215 mm. Calcolare il rapporto di Poisson ν e il modulo di elasticità E.
ν = 0,33; E = 70 GPa 5.8 Calcolare la deformazione ε corrispondente ad una tensione normale di 9,5 MPa su una barra in lega di alluminio (avional 24 ricotto) avente un modulo di elasticità pari a 73 GPa. ε = 0,00013 = 0,013% 5.9 Una barra di diametro pari a 30 mm, quando sottoposta ad un carico assiale di trazione pari a 101,4 kN, manifesta una deformazione lungo l’asse dello 0,2%, mentre il diametro subisce una contrazione di 0,002 mm. Calcolare i valori delle costanti elastiche E, G e ν. E = 71,7 GPa; G = 26,95 GPa; ν = 0,33 5.10 Calcolare il tipo e il valore dello sforzo in una barra di ottone di sezione circolare con diametro 27,6 mm a cui è applicato un carico di taglio pari a 30 kN. sforzo = τ = 50 MPa
127
128
CAPITOLO 5. – SFORZI E DEFORMAZIONI
5.11 Un’asta in acciaio (E = 200 GPa, α = 11,7 × 10– 6 K– 1) lunga l = 5 m di una struttura viene posta tra due pareti ciascuna delle quali consente una dilatazione di 0,4 mm. Determinare lo sforzo di compressione σ che viene generato, qualora si verifichi un aumento di temperatura ∆T = 50 °C. A differenza dell’Esempio 5.5 dove la dilatazione del distanziale era completamente impedita, in questo caso le pareti laterali, in mezzo alle quali si trova l’asta di acciaio, sono in grado di impedirne solo parzialmente la dilatazione. Occorre allora tener conto che la dilatazione libera dell’asta ∆l = lα∆T viene contrastata solo per la parte ∆Ip = ∆l – ∆L dove ∆L è la dilazione consentita ai due estremi dell’asta dalla permeabilità delle due pareti; nel nostro caso ∆L vale 2 × 0,4 mm = 0,8 mm in quanto, trattandosi di due pareti, occorre moltiplicare per le 2 la dilatazione di 0,4 mm consentita da una sola parete. σ = 85 MPa
5.12 Calcolare lo sforzo sulla sezione trasversale (30 mm × 50 mm) normale all’asse di una barra di acciaio a cui è applicata una forza di 19,5 kN.
5.17 Un’asta di una struttura in lega di alluminio 2024-T3 (E = 73 GPa, α = 23 × 10– 6 K– 1) è lunga 170 mm e ha un diametro di 9,5 mm alla temperatura di 20 °C. Calcolare l’allungamento ∆I quando la temperatura dell’asta viene portata a 75 °C. Determinare poi, nel caso di dilatazione completamente impedita, lo sforzo σ e il carico F nell’asta. ∆l = 0,215 mm; σ = 92,3 MPa; F = 6,5 kN 5.18 Calcolare la tensione di taglio in un gancio, supportato da un blocchetto a base rettangolare di area pari a 200 mm2 incollato ad una parete verticale, che sostiene un carico complessivo (incluso il peso del gancio) di 200 N. τ = 1 MPa 5.19 Quale valore deve avere il diametro interno d di una barra cilindrica avente un diametro esterno di 25 mm soggetta ad un carico assiale di 100 kN in modo da rispettare una tensione ammissibile di 240 MPa. d = 9,7 mm
sforzo = σ = 13 MPa
5.13 Determinare il massimo diametro d del foro in una lastra in lega di alluminio (τamm = 120 MPa) dello spessore di 15 mm sapendo che la forza di punzonatura va limitata a 80 kN. d = 14 mm
5.14 Calcolare il modulo di elasticità E del materiale di una barra lunga 200 mm che, sotto l’azione di un carico assiale di 100 kN, subisce un allungamento di 0,000196 mm. E = 208 GPa
5.15 Ad una barra di acciaio a sezione circolare è applicato un carico di taglio uguale a 31,5 kN. Determinare il diametro D della sezione necessario per non eccedere una tensione di taglio pari a 100 MPa. D = 20,0 mm
5.16 Determinare il carico massimo F che può essere applicato ad un perno (diametro 11 mm) di un gancio del tipo di quello mostrato nella Figura 5.14, sapendo che la tensione di taglio ammissibile è pari a 200 MPa. Il perno è sollecitato a taglio doppio e quindi l’area interessata dal taglio è il doppio della sezione trasversale del perno. F = 38 kN
5.20 Calcolare la dilatazione ε e la contrazione laterale di una barra in lega di ferro per alta temperatura (A 286 con coefficiente di Poisson ν = 0,31) lunga 100 mm e larga 11 mm, sapendo che sotto carico la barra si allunga di 0,012 mm.
ε = 0,00012 = 0,012%; contrazione laterale = 0,0004 mm 5.21 Una barra di acciaio da bonifica al nichelcromo 35 Ni Cr 9 (E = 200 GPa, α = 11,7 × 10–6 K–1) è lunga 685 mm ed ha una sezione circolare costante di diametro pari a 11 mm. La barra, che ha i due estremi fissi, viene riscaldata in modo tale che la temperatura del primo estremo è pari a 15 °C mentre quella del secondo estremo è pari a 75 °C con una distribuzione lineare della temperatura dal primo verso il secondo estremo; la variazione di temperatura ∆T da considerare è allora un valor medio rappresentato dalla semisomma delle temperature ai due estremi: ∆T = (15 °C + 85 °C)/2 = 50 °C. Calcolare lo sforzo di compressione σ e il carico F sulla barra; determinare infine l’allungamento ∆I nel caso in cui la barra fosse libera di muoversi ai due estremi.
σ = 117 MPa; F = 11,1 kN; ∆l = 0,4 mm 5.22 Determinare il massimo carico F sopportabile da una barra di acciaio avente una sezione trasversale pari a 34 mm × 15 mm qualora la tensione ammissibile sia pari a 400 MPa. F = 204 kN
ESERCIZI PROPOSTI
5.23 Un’asta di sezione circolare, realizzata con un acciaio avente un limite di snervamento σs = 360 MPa, è sollecitata a trazione pura da una forza di 113,15 kN. Nell’ipotesi di adottare un fattore di sicurezza pari a 4, calcolare la sollecitazione ammissibile σamm, l’area A della sezione trasversale e il diametro d dell’asta. σamm = 90 MPa; A = 1257 mm2; d = 40 mm 5.24 Una barra a sezione circolare, realizzata in acciaio avente un limite di snervamento σs = 300 MPa, è soggetta ad un carico di trazione assiale di 200 kN. Sapendo che occorre assumere un fattore di sicurezza n = 4 e che il fattore di concentrazione degli sforzi Kt è uguale a 1, calcolare la tensione ammissibile σamm, l’area A della sezione della barra e il suo diametro D.
σamm = 75 MPa; A = 0,002667 m2; D = 58,3 mm ≈ 60 mm 5.25 Calcolare lo sforzo σ provocato in una barra di acciaio strutturale (modulo di elasticità E = 207 GPa,
α = 11,7 × 10−6 K −1) limitata da due supporti rigidi a causa di un aumento di temperatura di 9 °C. σ = 21,8 MPa 5.26 Una barra circolare, realizzata in acciaio inossidabile AISI 301 lavorato a freddo (limite di snervamento σs = 965 MPa), è sollecitata da un carico di trazione assiale pari a 438,6 kN. La barra è indebolita da una scanalatura alla quale corrisponde un fattore di concentrazione degli sforzi K O = 1,8. Il fattore di sicurezza è pari a 2,4. Calcolare la tensione ammissibile σamm, lo sforzo nominale σ, la sezione della barra A e il suo diametro D.
σamm = 402,1 MPa; σ = 223,4 MPa; A = 1963 mm2; D = 50 mm 5.27 Determinare il minimo diametro d di un bullone in acciaio strutturale (limite di snervamento σs = 300 MPa) che deve resistere a un carico di 700 kN, sapendo che per quella data applicazione si richiede un fattore di sicurezza pari a 3. d = 94,4 mm
129
SOLLECITAZIONI SEMPLICI
Capitolo 6
6. 1
SOVRAPPOSIZIONE DEGLI EFFETTI E SOLLECITAZIONI Il principio di sovrapposizione degli effetti afferma che lo sforzo oppure la deformazione risultante in un sistema soggetto a più forze è rappresentato dalla somma algebrica degli effetti delle forze stesse qualora le singole forze vengano applicate separatamente. Se si considera, ad esempio, la mensola della Figura 6.1, la somma algebrica delle singole frecce prodotte da ciascun carico preso singolarmente dà luogo alla freccia totale prodotta dalla applicazione contemporanea dei due carichi. Ma la sovrapposizione degli effetti può, a rigore, essere applicata solo se ciascun effetto è legato in modo lineare alla forza che lo produce. Si è visto infatti che, quando il materiale rimane elastico (Paragrafo 5.3), la relazione tra forze e deformazioni è di tipo lineare, nel senso che (Figura 6.2), raddoppiando il carico (da F a 2F ), raddoppia anche la deformazione (da ∆1 a ∆2 ); ciò non avviene per un sistema non-lineare, per cui non esiste una proporzionalità diretta tra carico (che passa da F a 2F ) e deformazione (che aumenta da ∆′1 a ∆′2 ). Oltre alla condizione che il materiale abbia un comportamento elastico lineare, occorre anche verificare, per poter applicare il principio di sovrapposizione, che le deformazioni siano modeste: nel caso, ad esempio, della Figura 6.1, una flessione molto ampia della trave produrrebbe una deviazione inaccettabile delle linee di azione dei carichi relativamente all’asse della trave. In virtù del principio di sovrapposizione degli effetti è lecito considerare separatamente i sistemi di carico che danno luogo agli sforzi presenti all’interno dell’elemento meccanico, solitamente assimilato ad una trave6.1; si possono così considerare quattro sollecitazioni, dette semF2
F2
F1
F1
f
α
f1
=
f1
+
f2
f2
Fig. 6.1 - Trave incastrata soggetta ai due carichi F1 ed F2; l’inflessione della trave (spostamento dell’asse della trave rispetto all’orizzontale) è di entità estremamente modesta anche se è stata grandemente esagerata per renderla visibile.
6.1 - Una trave è un solido lungo in confronto alla sua sezione retta, che è la sezione trasversale perpendicolare all’asse longitudinale. La forma della sezione retta può essere qualsiasi e le sue dimensioni possono variare lungo la trave, ma lentamente e in modo continuo. La curva descritta dai baricentri G
di tutte le sezioni rette è una linea chiamata asse geometrico della trave; l’asse geometrico può essere un segmento di retta oppure una linea curva continua. Condizione necessaria affinché questo solido possa definirsi una trave è che l’asse geometrico abbia una lunghezza superiore a 10 volte quella della mag-
giore dimensione trasversale e che il più piccolo valore del raggio di curvatura superi di 10 volte la maggiore dimensione trasversale. Si definisce piana una trave il cui asse geometrico è tutto contenuto in un piano che contiene anche uno degli assi principali di inerzia della sezione retta (si veda anche il Paragrafo 3.3).
6.2. – FORZA NORMALE (TRAZIONE O COMPRESSIONE)
plici (o pure) in quanto ciascuna sollecitazione si presenta isolata dalle altre, di forza normale, flessione, taglio e torsione. Preso un tratto infinitesimo di trave, si calcolano le tensioni che risultano dalle sollecitazioni semplici6.2; queste tensioni, opportunamente combinate, vanno poi confrontate con la tensione ammissibile del materiale in modo da procedere al progetto oppure alla verifica dell’elemento seguendo il metodo illustrato nel Paragrafo 5.8.
Materiale elastico lineare
Forze
2F
Sistema non-lineare F
6. 2
FORZA NORMALE (TRAZIONE O COMPRESSIONE)
∆′1 0 ∆1 ∆2
Si verifica una sollecitazione di forza normale quando la trave ad asse geometrico rettilineo è soggetta sulle basi estreme alle due forze uguali ed opposte N dirette secondo l’asse della trave; se le due forze tendono ad allungare la trave la sollecitazione è di trazione (Figura 6.3), mentre se le due forze tendono ad accorciare la trave la sollecitazione è di compressione. Il calcolo degli sforzi viene fatto tenendo presente le considerazioni introdotte nei primi tre paragrafi del Capitolo 5. Il carico assiale
∆′2 Deformazioni
Fig. 6.2 - Confronto di due diverse relazioni tra forze F e deformazioni ∆ per sistemi lineari e sistemi nonlineari.
a b A
N
A
N
N G
G
N
A
N G
Asse della trave A
c
∑ (σ ⋅δ A) = N
N
N
σ
dx
σ =
N A
Fig. 6.3 - Trave caricata assialmente dalla forza di trazione N applicata alla sezione retta. 䡵 a) Sezione perpendicolare (o normale) A all’asse della trave. 䡵 b) Tronco di trave a sinistra e tronco di trave a destra della sezione trasversale A; N a sinistra (in verde) indica la reazione vincolare. 䡵 c) Tratto infinitesimo di trave con distribuzione dello sforzo normale σ. La sommatoria delle forze elementari σ ⋅δA è pari a N.
6.2 - Si parla di sollecitazioni composte (o combinate) quando le forze applicate sono tali da determinare la presenza
simultanea di più sollecitazioni semplici, variamente combinate tra loro. Per il calcolo degli sforzi risultanti dalle solleci-
tazioni composte si rimanda ai manuali specializzati.
131
132
CAPITOLO 6. – SOLLECITAZIONI SEMPLICI
F
a
b
F
F
F
Fig. 6.4 - 䡵 a) Trave soggetta al carico assiale di compressione F; la trave corta è sollecitata a compressione semplice, mentre la trave snella ha problemi di stabilità: in quest’ultimo caso la trave va progettata al carico di punta consultando i manuali. 䡵 b) Ingobbamento di un tubo sottile pressurizzato sollecitato a compressione.
N deve essere equilibrato dalla sommatoria delle tensioni normali σ per ciascuna area elementare δA, in cui si può immaginare suddivisa una sezione perpendicolare all’asse della trave; essendo costante, σ può essere portato fuori dalla sommatoria, mentre la sommatoria delle aree elementari dà l’area complessiva A della sezione; è così possibile ricavare il valore della tensione normale σ: N =
∑ (σ ⋅δA) = σ ∑ δA = σA
⇒
σ =
Ν Α
6-1
Sostituendo il valore di N dato dalla 6-1, nella espressione della legge di Hooke (5-3) si ottiene l’allungamento nella trazione (o l’accorciamento se compressione) δl di una trave lunga l definito dalla 5-2: δl = εl =
Nl σ l = EA E
6-2
Nel progetto o nella verifica di una trave a compressione occorre limitarsi a quelle travi che hanno un rapporto tra la lunghezza l e la dimensione minore della sezione trasversale della trave inferiore a 10 (trave tozza). Nel caso in cui tale rapporto sia superiore a 10 (trave snella in Figura 6.4-a), si può verificare infatti un fenomeno di instabilità tale per cui l’eventuale inflessione generata dal carico non viene sufficientemente contrastata dalle reazioni elastiche: si determina prima l’incurvamento e quindi il cedimento (si dice per carico di punta) molto prima che venga raggiunto il limite di snervamento a compressione del materiale. Fenomeni di instabilità della struttura sono particolarmente frequenti nelle situazioni dove sono presenti sforzi di compressione: un tubo con la parete sottile si deforma come un fazzoletto di carta quando viene sottoposto a un carico assiale di compressione (Figura 6.4-b). Questi fenomeni di incurvamento oppure di ingobbamento, che si osservano negli elementi sollecitati, possono manifestarsi improvvisamente; è per questo motivo che i cedimenti dovuti ad instabilità strutturale sono spesso spettacolari e sempre pericolosi.
6.2. – FORZA NORMALE (TRAZIONE O COMPRESSIONE)
Esempio 6. 1 Dimensionamento di un tirante Un tirante a sezione circolare in acciaio strutturale Fe 42, avente un limite di snervamento σs = 240 MPa e un modulo di elasticità E = 207 GPa, è lungo l = 3 m ed è caricato da una forza assiale N = 100 kN. Si chiede di: a) determinare il diametro D del tirante, assumendo un fattore di sicurezza n = 3; b) calcolarne l’allungamento δl.
SOLUZIONE a) La determinazione del diametro D viene fatta uguagliando la tensione normale σ (6-1) alla tensione ammissibile σamm (5-10), in cui figura come valore caratteristico della resistenza del materiale il limite di snervamento σs:
σ =
N σ = σ amm = s A n D=
⇒
A=
4nN = πσ s
nN σs
πD 2 nN = 4 σs
⇒
⇒
D2 =
4nN πσ s
⇒
4 × 3 × 100.000 N = 40 mm π × 240 N/mm 2
䉳
b) L’allungamento del tirante δl si ricava con la 6-2: δl =
Nl = EA
4 Nl 4 × 100 × 103 N × 3 m Nl = = = 115 , mm πD2 π ED 2 π × 207 × 109 Pa × (0,04 m)2 E 4
䉳
Esempio 6. 2 Barra composita con fili di ottone e acciaio Una barra composita, formata da 4 fili di ottone, aventi ciascuno un diametro do = 2,5 mm, e un filo di acciaio, avente un diametro da = 1,5 mm, è soggetta ad un carico assiale di trazione N = 1000 N. Sapendo che il modulo elastico dell’ottone è Eo = 103 GPa e quello dell’acciaio è Ea = 200 GPa, si chiede di: a) calcolare i carichi No ed Na sostenuti rispettivamente dai fili di ottone e da quello di acciaio; b) verificare la resistenza della barra composita, sapendo che le tensioni ammissibili dei fili di ottone e acciaio valgono σamm,o = 45 MPa e σamm,a = 110 MPa.
SOLUZIONE a) La barra composita è una barra in cui due o più membri sono rigidamente collegati tra loro in modo tale da sostenere insieme lo stesso carico totale e subire lo stesso allungamento oppure accorciamento. Sotto le ipotesi che: • ciascun membro si allunga o si contrae della stessa quantità δl, • la quota di carico sostenuta dal membro i è il prodotto della tensione σi per l’area Ai, • il carico totale N è la somma dei carichi Ni sostenuti dai singoli membri; si trova che il carico sopportato da ciascun membro i è dato da6.3: Ni =
Ei Ai
∑E A i
N
6-3
i
i
6.3 - Ciascun membro della barra in materiale composito, subisce lo stesso allungamento o lo stesso accorciamento. Considerando, ad esempio, una barra composita sollecitata a trazione e costituita da due materiali 1 e 2 aventi am-
bedue la lunghezza originaria l, i due materiali subiranno lo stesso allun gamento δl e quindi uguale deformazione ε 1 = ε 2 = δl/l; risultando allora ε 1 = σ 1/E1 = (N1/A1)/E1 = ε 2 = σ 2/E2 = = (N2/A2)/E2, si può ricavare il carico
totale N = N 1 + N 2 in funzione delle sezioni trasversali A1 ed A2 e dei moduli di elasticità E1 ed E2 dei due materiali e quindi i carichi N1 ed N2 sostenuti dai singoli membri (equazione 6-3).
133
134
CAPITOLO 6. – SOLLECITAZIONI SEMPLICI
No =
4 {Fili} Eo Ao N = 4 {Fili} Eo Ao + E a Aa
4 Eo
π d o2 4
2 o
πd πd 4 Eo + Ea 4 4
2 a
N =
Eoπ d o2
π d a2 E oπ d + E a 4
103.000 MPa × π × (2,5 mm)2
=
103.000 MPa × π × (2,5 mm)2 + 200.000 MPa
N =
2 o
π × (1,5 mm)2 4
1000 N = 850 N
䉳
Si può ottenere il carico Na sostenuto dal filo di acciaio applicando ancora la 6-3 oppure, più semplicemente, per differenza del carico sull’ottone No dal carico totale N: Na = N – No = 1000 N – 850 N = 150 N
䉳
b) La barra composita risulta verificata se le tensioni (6-1) presenti nei 4 fili di ottone σo e nel filo di acciaio σa sono inferiori alle rispettive tensioni ammissibili: No
σo =
4 {Fili}
σa =
6. 3
πd 4
2 o
=
850 N = 43,3 MPa < σ amm,o = 45 MPa π × (2,5 mm)2
Na 4 × 150 N = = 85 MPa < σ amm, a = 110 MPa 2 π da π × (1,5 mm)2 4
䉳
䉳
FLESSIONE
Una trave ad asse geometrico rettilineo e di sezione costante Figura 6.5) è sollecitata a flessione semplice quando, per tutta la Mf lunghezza, è soggetta ad un momento costante, quale può essere ottenuto applicando alle due estremità due coppie uguali e contrarie di momento Mf , che agiscono in un piano, detto piano di solz lecitazione, contenente l’asse geometrico della trave6.4. Flettendo Mf tra le dita un blocchetto di gomma a sezione trasversale rettangolare (Figura 6.6), sulla faccia inferiore (convessa) della gomma le fibre risultano allungate, mentre sulla faccia superiore (concava) le x fibre risultano accorciate. Uno strato neutro, caratterizzato da fibre, Fig. 6.5 - Flessione della trave originata dalle che non sono né allungate né accorciate, è l’elemento di separadue coppie uguali e contrarie di momento Mf zione tra le due regioni; l’intersezione dello strato neutro con la applicate alle due sezioni estreme. sezione trasversale costituisce l’asse neutro. La trave si flette con una deformazione che, a causa della costanza del valore del momento flettente Mf , si mantiene costante in ogni tratto: l’asse della trave diviene una curva (la linea elastica) che risulta essere un arco di cerchio di raggio ρ e centro O. Le fibre parallele all’asse della trave si incurvano anch’esse secondo archi circolari: sul lato convesso della trave le fibre risultano tese con tensione normale σ di trazione e quindi positiva, mentre sul lato concavo le fibre risultano compresse con tensione normale σ di compressione e quindi negativa; le y
6.4 - La trattazione è quella della flessione retta che si verifica quando il piano di sollecitazione contiene, oltre all’asse geometrico della trave, anche
uno degli assi di simmetria della sezione; per la dimostrazione delle formule si rimanda ai trattati sulla resistenza dei materiali. Quando il piano di
sollecitazione non contiene un asse di simmetria della sezione, si parla di flessione deviata.
6.3. – FLESSIONE
a
b y
O Fibre compresse δΦ
Piano di simmetria e piano di flessione
ρ Asse neutro
Mf Strato neutro Strato neutro z
Mf Asse neutro della sezione
Asse neutro della trave
Fibre tese
x
Fig. 6.6 - Sotto l’azione delle due coppie uguali e contrarie di momento Mf l’asse della trave si trasforma in una curva (la linea elastica) rappresentata dall’arco circolare di raggio ρ e centro O. 䡵 a) Tratto di trave non ancora deformato. 䡵 b) Tratto di trave deformato dalla flessione.
fibre cioè non possono essere o tutte tese o tutte compresse poiché, complessivamente, la trave non risulta né tesa né compressa dal momento Mf applicato. Si dimostra che, quale che sia la forma della sezione, l’asse neutro passa sempre per il suo baricentro. La tensione normale σ, che è perpendicolare alla sezione ed è quindi diretta secondo l’asse della trave, aumenta con l’aumentare del momento flettente Mf applicato alla trave, risulta tanto maggiore quanto maggiore è la distanza y delle fibre dall’asse neutro (Figura 6.7) ed è inversamente proporzionale al momento di inerzia I (della sezione trasversale calcolato rispetto all’asse neutro) in quanto, minore è il momento di inerzia, maggiore è la flessibilità della trave e più grande risulta σ:
σ =
Mf y I
6-4
La Figura 6.7 mostra tipiche distribuzioni delle tensioni normali σ in travi aventi sezione trasversale diversa; a differenza della tensione normale generata dalla forza normale, nella flessione le tensioni normali sono variabili da punto a punto e cambiano segno attraversando l’asse neutro: il materiale vicino all’asse neutro è soggetto a tensioni σ relativamente basse, mentre nella fibra più distante dall’asse neutro si raggiunge la tensione massima σmax. Per ottenere la massima resistenza alla flessione è perciò opportuno impiegare sezioni trasversali aventi il materiale disposto il più possibile lontano dall’asse neutro, come le sezioni a doppia T oppure a T, in modo da massimizzare I. a
b
Mf
σmax δA
y
Mf
δA
Fibre compresse
+y
Asse neutro z
ymax z
G
Fibre tese
Fig. 6.7 - Distribuzione delle tensioni normali σ in una trave inflessa con due diverse sezioni trasversali: 䡵 a) Sezione rettangolare. 䡵 b) Sezione trapezia.
135
136
CAPITOLO 6. – SOLLECITAZIONI SEMPLICI
Il raggio di curvatura ρ di una trave, a cui è applicato il momento Mf , viene misurato rispetto all’asse neutro (Figura 6.6 ):
ρ=
EI Mf
6-5
Il raggio di curvatura è una misura diretta del grado di flessibilità della trave: maggiore è il valore di ρ, più piccola risulta l’inflessione e più grande è la sua rigidezza; per uno stesso valore del momento flettente Mf applicato alla trave, l’inflessione è tanto minore quanto maggiore sono il momento di inerzia I e il modulo elastico E. Il loro prodotto EI viene perciò chiamato rigidezza flessionale della trave. La rigidezza di travi aventi sezioni diverse e/o costituite da materiali differenti può allora essere facilmente ottenuta confrontando i valori di EI. Tenendo presente che l’angolo Φ, di cui ruotano tra loro le due sezioni estreme della trave (Figura 6.6-b), moltiplicato per il raggio di curvatura ρ dà la lunghezza di tutta la trave l (Φ ⋅ρ = l ), si può ricavare dalla 6-5 l’espressione di Φ in radianti: Ml l l = = f EI/M f EI ρ
Φ =
6-6
Come ricordato nel Paragrafo 6.1, la verifica di resistenza a flessione richiede che la tensione massima σmax, calcolata (6-4) per la fibra (tesa o compressa) che si trova alla distanza ymax più lontana dall’asse neutro sia inferiore alla tensione ammissibile. La formula 6-4 si può semplificare considerando il modulo di resistenza a flessione o modulo della sezione Z = I/ymax (citato nella Tabella VII a pag. 493 insieme ai momenti di inerzia):
σ max =
Mf Z
6-7
Esempio 6. 3 Dimensionamento di una trave a flessione Sapendo che il limite di snervamento del materiale vale σs = 300 MPa (è quello di un acciaio con valore uguale sia a trazione che a compressione) e che l’applicazione richiede un fattore di sicurezza n = 3, dimensionare la sezione trasversale di una trave soggetta al momento flettente Mf = 84 kN⋅m per tre diverse forme: a) circolare di diametro d; b) rettangolare di base b e di altezza h con rapporto b/h = 0,6; c) a doppia T avente come dimensioni i seguenti rapporti: d/t = 45, h/t = 42 e b/t = 21 con d altezza della sezione, h altezza dell’anima, b larghezza delle ali e t larghezza dell’anima.
SOLUZIONE Uguagliando la tensione massima σmax data dalla 6-7 (σmax ha lo stesso valore assoluto sia per le fibre tese che per quelle compresse perché la sezione è simmetrica) alla tensione ammissibile σamm data dalla 5-10, si ricava il modulo di resistenza a flessione Z, che viene utilizzato per dimensionare la sezione leggendone l’espressione sulla Tabella VII a pag. 493:
σ max =
Mf Z
= σ amm
⇒
Z =
Mf
σ amm
=
Mf
σ s /n
=
84 × 106 N⋅mm = 840.000 mm 3 300 MPa /3
䉳
6.3. – FLESSIONE
a) Nota l’espressione di Z per un cerchio, si ricavano diametro d ed area A: Z ≈ 0,1d 3
Z d = 0,1
⇒
A=
1/3
840.000 mm 3 = 0,1
0, 33
䉳
= 203 mm
πd2 π × (203 mm)2 = = 32.365 mm 2 4 4
䉳
b) Con riferimento al rapporto assegnato tra base b e altezza h della sezione rettangolare, si ricava il valore b = 0,6h da inserire nell’espressione di Z: Z =
0,6h 3 bh 2 = 6 6
⇒
6 × 840.000 mm 3 h= 0,6
0, 33
䉳
= 203 mm
b = 0,6h = 0,6 × 203 mm = 122 mm
䉳
A = bh = 122 mm × 203 mm = 24.766 mm2
䉳
c) Le quote sono quelle indicate per la sezione a doppia T della Tabella VII a pag. 493. Si risolve rispetto alla larghezza dell’anima t l’espressione di Z e quindi si ricavano le dimensioni della sezione facendo uso dei rapporti assegnati d/t = 45, h/t = 42 e b/t = 21: Z =
bd 3 − h 3 (b − t ) 21t (45t )3 − (42t )3 (21t − t ) = = 840.000 mm 3 6d 6 × 45t t = 8 mm
d = 360 mm
h = 336 mm
⇒
b = 168 mm
A = bd – h (b – t) = 168 × 360 mm2 – 336 × (168 – 8) mm2 = 6720 mm2
䉳 䉳
Il profilo a doppia T, che ha una sezione notevolmente inferiore a quella del cerchio ed anche a quella del rettangolo, dà luogo ad una trave più leggera e quindi è quello più vantaggioso dal punto di vista economico.
Esempio 6. 4 Flessione di una trave a sezione rettangolare Una trave in acciaio, lunga l = 5050 mm e avente la sezione trasversale rettangolare di larghezza b = 24 mm e di altezza h = 100 mm, è sollecitata a flessione da due coppie uguali ed opposte di momento Mf = 10 kN⋅m. Assegnati modulo elastico E = 206 GPa, limite di snervamento σs = 810 MPa (uguale in valore assoluto sia a trazione che a compressione) e fattore di sicurezza n = 3, si chiede di: a) calcolare il raggio di curvatura ρ dell’asse neutro e l’angolo Φ di cui ruotano tra loro le due sezioni estreme della trave; b) verificare la resistenza della trave.
SOLUZIONE a) Ricavati il momento di inerzia I (è quello baricentrico indicato con Ix0 nelle formule della Tabella VII a pag. 493): 24 mm × (100 mm)3 bh 3 I = = = 2 × 10 6 mm 4 12 12 e la rigidezza flessionale EI: EI = 206 × 103 N/mm2 × 2 × 106 mm4 = 4,12 × 1011 N⋅mm2
137
138
CAPITOLO 6. – SOLLECITAZIONI SEMPLICI
si calcolano il raggio di curvatura ρ della trave inflessa e l’angolo Φ rispettivamente con la 6-5 e la 6-6 (l’angolo Φ viene convertito dai radianti ai gradi utilizzando le formule della Tabella I di copertina): 4,12 × 1011 N⋅mm 2 EI 䉳 ρ = = = 41.200 mm = 41,2 m 10 × 106 N⋅mm Mf
Φ =
Mf l
=
EI
10 × 106 N⋅mm × 5050 mm = 0,12257 rad = 7° 4,12 × 1011 N⋅mm 2
䉳
b) Le massime tensioni σmax di trazione e di compressione si raggiungono sulle fibre estreme che si trovano alla distanza y max = y = 100 mm/2 = 50 mm dall’asse neutro; queste tensioni sono uguali in valore assoluto, poiché la distanza y dall’asse neutro che passa per il baricentro è uguale per le fibre tese e per quelle compresse, e si calcolano con la 6-4 in cui si pone y = ymax:
σ max, trazione =
Mf I
( + y max ) =
10 × 10 6 N⋅mm ( + 50 mm) = + 250 MPa 2 × 10 6 mm 4
σmax, compressione = – 250 MPa
䉳 䉳
La trave risulta verificata poiché, in valore assoluto, la tensione massima è inferiore alla tensione ammissibile σamm (5-10):
σ max = 250 MPa < σ amm =
6. 4
σs 810 MPa = = 270 MPa n 3
䉳
TAGLIO y T S0 S G
Mf0
G
z T
x
l
Fig. 6.8 - Trave soggetta al taglio semplice nella sezione trasversale S; la forza tagliante T è diretta secondo l’asse y, che è asse di simmetria della sezione.
La sezione trasversale S di una trave è sollecitata al taglio semplice quando la risultante di tutte le forze esterne, che precedono la sezione, dà luogo alla sola forza tagliante T che giace nel piano della sezione e passa per il suo baricentro (Figura 6.8). Questa forza è inseparabilmente legata alla variazione del momento flettente Mf nelle sezioni vicine; l’equilibrio del tronco di trave viene assicurato dalla presenza, nella sezione S0 alla base del tronco, da una forza uguale ed opposta a T e da una coppia flettente Mf0 = Tl necessaria per impedire la rotazione attorno all’asse z. Situazioni tipiche di sollecitazione di taglio sono state esaminate nel Paragrafo 5.5.
Si considerino due travi appoggiate l’una sull’altra (Figura 6.9-a); si applichi un carico verticale e si faccia l’ipotesi che l’attrito tra le superfici a contatto delle due travi sia trascurabile; ciascuna trave si infletterà, l’una indipendentemente dall’altra, e di conseguenza la superficie sottostante della trave superiore scorrerà relativamente alla superficie sovrastante della trave inferiore (Figura 6.9-b). Se le due travi vengono unite strettamente tra loro con chiodature oppure con una colla in modo da formare una sola trave, dovrà nascere dentro questa unica trave un sistema di forze interne, e quindi di sforzi, tali da contrastare lo scorrimento delle fibre centrali provocate dalla flessione (Figura 6.9-c). Dal momento che le tensioni normali σ generate dalla flessione sono uguali a zero al centro della sezione rettangolare della trave (cioè sull’asse neutro), lo scorrimento può essere solo impedito da tensioni tangenziali τ orizzontali; si può dimostrare che alle τ orizzontali corrispondono delle tensioni verticali τ complemen-
6.4. – TAGLIO
tari di uguale valore (Figura 6.9-d). Non possono invece essere presenti delle τ orizzontali sulla superficie inferiore o superiore della trave, perché qui non agiscono i carichi; quindi per un elementino, che si trovi agli estremi della sezione, saranno uguali a zero anche le τ verticali. La forza tagliante T genera perciò una tensione di taglio τ che raggiunge il valore massimo in corrispondenza dell’asse baricentrico orizzontale mentre si annulla alle estremità della sezione; l’andamento della tensione di taglio τ è quindi opposto a quello della tensione normale σ generata dalla flessione, che si annulla sull’asse neutro e raggiunge il valore massimo nei punti più distanti da esso. Il massimo sforzo di taglio τmax, raggiunto sull’asse baricentrico, si esprime come prodotto di λ, fattore senza dimensioni funzione della forma della sezione, per il valor medio τmedio = T/A: T 6-8 A Nel caso di un chiodo si può ipotizzare una distribuzione uniforme della tensioni di taglio sulla sezione per cui è possibile assumere come tensione massima di taglio il valore medio T/A (cioè λ = 1). Tuttavia, di solito il valore del fattore λ è maggiore di 1: vale 1,5 per una sezione rettangolare (Figura 6.9-d) e 1,33 per una sezione circolare. La distribuzione di τ sulla sezione a doppia T, è ancora parabolica, come per la sezione rettangolare, con una forte discontinuità tra gli sforzi nelle ali, decisamente bassi, e quelli nell’anima, notevolmente elevati; si trascurano allora le tensioni di taglio delle ali e si approssima τmax considerando la tensione di taglio riferita all’area della sola anima. Dal momento che l’anima lavora bene al taglio mentre le ali lavorano bene a flessione (Paragrafo 6.3), il profilato a doppia T si presta ad essere utilizzato in quelle strutture metalliche dove sono contemporaneamente presenti le sollecitazioni di flessione e di taglio.
τ max = λ
a
b
Scorrimento relativo tra le due travi
F
Tensioni di taglio nelle fibre centrali
c F
B
A
RA
d
τ medio =
RB
RB
T A
τ max = 1, 5 τ max
RA
τ
T A
τ x
τ
T T
Fig. 6.9 - 䡵 a) Due travi (non collegate tra loro) sostenute da appoggi semplici prima dell’applicazione del carico. 䡵 b) Scorrimento relativo tra i piani adiacenti delle due travi sollecitate a flessione. 䡵 c) Allorché le due travi vengono unite strettamente tra loro con chiodature, nelle fibre centrali della trave unica nasce una tensione di taglio τ per contrastare lo scorrimento relativo della trave sollecitata a flessione. 䡵 d) Distribuzione delle tensioni di taglio sulla sezione rettangolare della trave.
139
140
CAPITOLO 6. – SOLLECITAZIONI SEMPLICI
La τmax va confrontata con la tensione tangenziale ammissibile τamm; il valore caratteristico della resistenza del materiale da considerarsi nella formula 5-10 che dà la tensione ammissibile è, per i materiali duttili, il limite di snervamento a sforzo tangenziale τs che può venire espresso in funzione del limite di snervamento a trazione σs (τs = 0,577σs). Un altro valore caratteristico della resistenza del materiale allo sforzo tangenziale è la resistenza al taglio τu i cui valori tipici sono: • 360 MPa per l’acciaio dolce; • 150 MPa per l’ottone e la ghisa; • 680 MPa per l’acciaio da utensili temprato.
Esempio 6. 5 Trave con sezione a doppia T Verificare la resistenza al taglio di una trave in acciaio dolce costituita da un profilato a doppia T, la cui anima è alta h = 275 mm e larga t = 12,5 mm (le quote sono quelle indicate nella Tabella VII a pag. 493), sapendo che al centro della sezione viene applicato il carico di taglio T = 440 kN e che il fattore di sicurezza vale n = 4.
SOLUZIONE Nella trave a doppia T, la tensione massima τmax di taglio viene approssimata (Paragrafo 6.4) con la τ riferita alla sola area A = ht dell’anima:
τ max ≈ τ anima =
T 220.000 N = = 64 MPa ht 275 mm × 12,5 mm
La verifica di resistenza richiede che la tensione τmax sia inferiore alla tensione tangenziale ammissibile τamm (5-10) che (fine del Paragrafo 6.4) viene espressa in funzione della resistenza al taglio τu = 360 MPa per l’acciaio dolce: τ 360 MPa τ max = 64 MPa < τ amm = u = = 90 MPa 䉳 n 4
Esempio 6. 6 Saldatura Saldatura
2 1
l
Saldatura
F
a
Fig. 6.10 - Saldatura trattata nell’Esempio 6.6.
Un ferro piatto da carpenteria ��� viene saldato su una struttura ��� con due cordoni di saldatura ad angolo aventi lo spessore a = 5 mm (Figura 6.10). Calcolare la lunghezza l da dare alla saldatura in modo che il collegamento tra il ferro e la struttura sia in grado di sopportare la forza F = 30 kN, nell’ipotesi che la tensione ammissibile al taglio valga τamm = 180 MPa.
6.5. – TORSIONE
SOLUZIONE Sotto l’azione della forza F i due cordoni di saldatura sono sollecitati al taglio lungo la sezione minima della saldatura corrispondente allo spessore a (Figura 6.10). La sezione resistente, relativa ad un cordone di saldatura, vale l (lunghezza della saldatura) moltiplicato lo spessore a; la sezione complessiva A, relativa ai due cordoni, sarà perciò data da 2al. La tensione di taglio τ = T/A (con T = F = 30 kN) va uguagliata alla tensione ammissibile τamm = 180 MPa in modo da ottenere l:
τ =
F = τ amm = 2al
⇒
l =
30.000 N F = = 17 mm 2aτ amm 2 × 5 mm × 180 MPa
䉳
COMMENTI Lo sforzo di taglio ammissibile τamm in una saldatura può venire espresso, a seconda delle norme, in funzione del limite di snervamento σs (τamm = 0,65σs) oppure della resistenza di trazione σu (τamm = 0,3σu). A queste norme occorre rifarsi anche per ottenere, a fronte dei diversi tipi di saldature, i coefficienti correttivi del fattore di sicurezza, funzioni principalmente dello spessore a del cordone di saldatura e della posizione della saldatura rispetto alla forza F applicata.
6. 5
TORSIONE
Nella torsione semplice (Figura 6.11) la trave6.5 è soggetta sulle basi estreme a due coppie uguali ed opposte che imprimono il z momento torcente Mt. Allorché viene applicato un momento torcente ad un albero circolare (Figura 6.12), una sezione qualsiasi perpendicolare all’asse dely R l’albero si conserva piana e perpendicolare all’asse geometrico l G della barra senza manifestare alcun ingobbamento. Sotto l’aMt x zione del momento torcente, il raggio R = O1D, sulla faccia di destra del tratto di un albero, Fig. 6.11 - Albero (trave di forma cilindrica a sezione circolare) soggetto a due copruota da D a D′ con angolo di pie uguali ed opposte di momento torcente Mt, applicate alle facce estreme. torsione ⍜ (Figura 6.13). L’angolo ⍜ , sulla faccia di destra, sottende l’angolo γ, che visualizza lo spostamento, rispetto alla faccia di sinistra, della generatrice CD in CD′. L’angolo γ, di cui viene deformato l’albero, è la deformazione tangenziale (o scorrimento angolare) generata dalla torsione (già introdotta nel Paragrafo 5.5). La deformazione tangenziale γ è perciò r legata all’angolo di torsione ⍜ dalla relazione lγ = r⍜: γ = ⍜ aumenta proporzionalmente al genel Mt
6.5 - La torsione può essere affrontata con un procedimento elementare rigoroso solo nel caso delle travi cilindriche aventi come sezione retta un cerchio pieno oppure cavo.
141
142
CAPITOLO 6. – SOLLECITAZIONI SEMPLICI
a
b
Fig. 6.12 - Albero circolare prima (a) e dopo (b) l’applicazione del momento torcente; le sezioni piane perpendicolari all’asse geometrico dell’albero, che sono dei cerchi, si deformano conservandosi però piane e perpendicolari all’asse: le sezioni circolari rimangono circolari.
O 3C = R O3E = r
Mt
l C
E r
O3
γ B
O2
B′
R
γ max
O1 D
U Mt
D′
Fig. 6.13 - Deformazione del tronco lungo l di un albero a seguito dell’applicazione del momento torcente Mt. La deformazione tangenziale γ varia linearmente dall’asse centrale raggiungendo il valore massimo γmax sulla periferia. L’angolo di torsione ⍜ è tanto maggiore quanto maggiore è la distanza l tra le due facce estreme; se, ad esempio, venisse considerata una faccia intermedia, l’angolo di cui ruota il raggio O2B, per portarsi in O2B′ risulterebbe inferiore a ⍜ per la minore distanza della faccia intermedia dalla faccia di sinistra.
rico raggio r della sezione circolare arrivando al valore massimo γmax quando il raggio diviene uguale a R. Essendo τ proporzionale allo scorrimento angolare γ (5-6), le tensioni tangenziali τ generate dalla torsione (Figura 6.14) sono perpendicolari al raggio r e crescono linearmente con questo da un valore nullo, nel centro del cerchio O, fino al massimo τmax, sulla periferia del cerchio (Figura 6.14-a); nel caso della sezione circolare cava (Figura 6.14-b) le τ passano dal valore minimo τmin al bordo interno della corona circolare fino al massimo τmax sulla periferia. La distribuzione delle tensioni tangenziali, generate dalla torsione, crescente dal centro alla periferia, dove raggiunge il massimo, è analoga a quella delle tensioni normali, generate dalla flessione, che passava dal valore zero sull’asse neutro al massimo nella fibra più distante dall’asse
6.5. – TORSIONE
a
b
τ max r τ max R
R
τ max
τ min
R O Ri
O r
Fig. 6.14 - Distribuzione delle tensioni tangenziali τ originate dalla torsione. 䡵 a) Variazione delle τ lungo una sezione circolare piena: dal valore nullo al centro O fino al valore massimo sulla periferia. 䡵 b) Variazione delle τ in una sezione circolare cava.
neutro; alla simmetria assiale della flessione, si sostituisce così la simmetria polare (il polo è il centro del cerchio) della torsione. Si possono allora, per analogia, dedurre dalla flessione le formule da applicare alla torsione, avendo cura di operare le seguenti sostituzioni: • • • • •
le tensioni tangenziali τ [MPa] alle tensioni normali σ; il momento di inerzia polare J [mm4] al momento di inerzia assiale I; il raggio generico r [mm] alla distanza dall’asse neutro y; il momento torcente Mt [N⋅m] al momento flettente Mf ; il modulo di elasticità tangenziale G [GPa], introdotto nel Paragrafo 5.5, al modulo di elasticità normale E; • l’angolo di torsione ⍜ [rad] all’angolo Φ, di cui ruotano tra loro le due sezioni estreme della trave nella flessione; • la rigidezza tangenziale GJ [kN⋅m2] alla rigidezza flessionale EI.
Si possono così ricavare le espressioni della tensione tangenziale (o di taglio) τ e dell’angolo di torsione ⍜:
τ =
Mtr J
6-9
U =
M tl GJ
6-10
Nella Tabella VII a pag. 493 sono riportate le espressioni per il calcolo dei momenti di inerzia polare J del cerchio e della corona circolare, che sono le sezioni interessate dalla torsione6.5. Per procedere al dimensionamento di un albero occorre individuare in primo luogo la sezione in cui si raggiunge il massimo valore del momento torcente Mtmax (questa procedura verrà spiegata in dettaglio per le azioni interne di taglio e momento flettente sulle travi inflesse trattate nel Capitolo 7). Se alle facce estreme dell’albero della Figura 6.15 vengono applicate due coppie uguali ed opposte (ad esempio, la prima dovuta al carico e la seconda generata dalla reazione vincolare) il momento Mt è costante su tutta la lunghezza dell’albero. Qualora invece siano applicate più coppie il valore del momento torcente interno Mt risulta costante solo lungo il tratto di albero compreso tra due coppie consecutive; nel caso della Figura 6.15, il momento torcente interno risulta pari a 20 N⋅m nel tratto tra A e B (esempio: sezione S1) e a 30 N⋅m nel tratto tra B e C (esempio: sezione S2 ). Il momento torcente massimo si raggiunge su qualsiasi sezione (ad esempio la S2) del tratto B-C. Si calcola infine, con la 6-9, la tensione massima di taglio τmax, che si raggiunge quando il raggio r della generica circonferenza situata tra il baricentro dell’albero e la periferia diventa uguale al raggio R della circonferenza periferica; la τmax va confrontata con i valori di τamm riportati alla fine del Paragrafo precedente.
143
144
CAPITOLO 6. – SOLLECITAZIONI SEMPLICI
a
30 N⋅m
b
30 N⋅m
x
10 N⋅m
x
10 N⋅m C
C 20 N⋅m
S2
B
B Momento torcente interno Mt = 20 N⋅m
S1
S2
S1
A
Fig. 6.15 - Determinazione del momento torcente Mt in un albero. 䡵 a) I momenti torcenti esterni sono equilibrati in quanto il momento in C (30 N⋅m antiorario) è bilanciato dai momenti in A (20 N⋅m orario) e in B (10 N⋅m orario). L’intero corpo risulta perciò in equilibrio. 䡵 b) Isolando come corpo libero quella parte dell’albero che confina con la sezione S1, perpendicolare all’asse dell’albero, e applicando l’equazione dell’equilibrio tra momenti esterni e momento interno (ΣMt = 0), si ottiene il momento torcente interno Mt = 20 N⋅m. Considerazioni analoghe portano alla conclusione che il momento torcente interno presente nel tratto di albero tra B e C, vale Mt = 30 N⋅m.
Esempio 6. 7 Confronto tra albero pieno e albero cavo Un albero in acciaio, lungo l = 1370 mm e con diametro esterno D = 100 mm, è soggetto al momento torcente Mt = 10 kN⋅m. Si chiede di: a) calcolare le tensioni tangenziali massime τmax e minime τmin per un albero pieno e per un albero cavo (in quest’ultimo caso il diametro interno vale Di = 60 mm); b) determinare le riduzioni percentuali di momento torcente e di massa nell’ipotesi che l’albero cavo debba rispettare la stessa tensione di taglio τmax dell’albero pieno.
SOLUZIONE a) Dopo aver ricavato i momenti polari di inerzia J per le due sezioni (piena e cava) leggendone le espressioni sulla Tabella VII a pag. 493 (è quello baricentrico JG ), si calcola (6-9) la tensione tangenziale massima τmax, tensione che si raggiunge alla periferia estrema della sezione dove il generico raggio r assume il valore R = D/2 = 100 mm/2 = 50 mm: J piena =
Jcava =
πD 4 π × (100 mm) 4 = = 9,8 × 10 6 mm 4 32 32
π π ( D 4 − Di4 ) = [(100 mm) 4 − (60 mm) 4 ] = 8,5 × 106 mm 4 32 32
τ max, piena =
Mt R 10 × 106 N⋅mm × 50 mm = = 51,0 MPa J piena 9,8 × 106 mm 4
䉳
τ max, cava =
M t R 10 × 106 N⋅mm × 50 mm = 58,8 MPa = Jcava 8,5 × 106 mm 4
䉳
6.5. – TORSIONE
La tensione tangenziale minima si raggiunge in corrispondenza del valore minimo del raggio; per la sezione piena τmin è nullo in quanto il raggio nel centro del cerchio è uguale a zero, mentre per la sezione cava si calcola per r = Di /2 = 30 mm:
τ min, cava =
M t Di /2 10 × 106 N ⋅mm × 30 mm = = 35,3 MPa Jcava 8,5 × 106 mm 4
䉳
b) Se la sezione cava deve rispettare la stessa tensione τmax = 51,0 MPa dell’albero pieno, il momento torcente Mt,cavo corrispondente vale (6-9):
τ max =
M t, cavo R J
⇒
M t, cavo =
51 MPa × 8,5 × 106 mm 4 τ max J = = 8,67 kN⋅m R 50 mm
con una riduzione percentuale del momento: M t − M t, cavo 10 kN⋅m − 8,67 kN⋅m 100 = 100 = 13,3% Mt 10 kN⋅m
䉳
e una riduzione percentuale della massa (la massa è uguale al prodotto dell’area della sezione interessata per la lunghezza l dell’albero e per la massa volumica dell’acciaio ρ) data da:
π D2 π ( D 2 − Di2 ) lρ − lρ Di2 (60 mm)2 4 4 100 = 100 = 100 = 36% π D2 D2 (100 mm)2 lρ 4
COMMENTI Esiste un deciso vantaggio nel passare dall’albero pieno a quello cavo: a fronte di una riduzione del 13% del momento torcente sopportabile risulta infatti ben il 36% di riduzione della massa: la sezione resistente è in tal modo concentrata prevalentemente in periferia dove maggiori sono le τ (Figura 6.14 ). Il caso limite è rappresentato dai tubi con spessore di parete sottile per i quali tutto il materiale viene concentrato in periferia e lavora approssimativamente allo stesso livello di sforzo. È per tale motivo che i tubi in parete sottile sono più efficaci nel trasmettere la coppia torcente degli alberi pieni; tuttavia, lo spessore di parete non deve essere troppo sottile e la lunghezza del tubo non deve essere eccessivamente lunga allo scopo di evitare fenomeni di instabilità elastica a torsione analoghi di quelli a compressione (Paragrafo 6.2).
Esempio 6. 8 Dimensionamento di un albero cavo Un albero cavo in acciaio (modulo di elasticità tangenziale G = 80 GPa), lungo l = 4000 mm con il diametro interno Di = 0,75D (D è il diametro esterno), deve trasmettere la potenza P = 75,4 kW alla velocità angolare ω = 25,13 s– 1. Sapendo che il momento torcente è Mt = P/ω (verrà trattato nel Paragrafo 9.2), si proceda al dimensionamento dell’albero in modo da rispettare due vincoli: a) τmax ⭐ τamm = 70 MPa; b) angolo di torsione ⍜ ⭐ 3,6°.
145
146
CAPITOLO 6. – SOLLECITAZIONI SEMPLICI
SOLUZIONE a) Il momento torcente Mt dell’albero vale Mt = P/ω = 75.400 W / 25,13 s– 1 = 3000 N⋅m. Il valore del diametro esterno D, necessario per dimensionare la sezione, si ricava uguagliando la tensione massima τmax (6-9 in cui si pone r = D/2) alla tensione ammissibile τamm, dopo aver ricavato l’espressione del momento di inerzia polare J della sezione (JG della corona circolare della Tabella VII a pag. 493) in funzione di D: J =
τ max
π π π ( D 4 − Di4 ) = [ D 4 − (0,75) 4 ( D ) 4 ] = [1 − (0,75) 4 ]D 4 = 0,067 D 4 32 32 32
M t D/2 = = τ amm 0,067 D 4
⇒
7,46 M t D= τ amm
D = 68 mm
(1/3)
7,46 × 3 × 106 N⋅mm = 70 MPa
0, 33
= 68 mm 䉳
Di = 0,75D = 51 mm
b) Si pone la condizione limite ⍜ = 3,6° × 0,0175 rad/1° = 0,063 rad (Tabella I di copertina) nella equazione 6-10 per soddisfare il vincolo dell’angolo di torsione assegnato:
U =
M tl = 0,063 G (0,067 D 4 )
3 × 106 N⋅mm × 4000 mm D= 80.000 MPa × 0,067 × 0,063
⇒
(1/4 )
= 77 mm
Di = 0,75D = 58 mm
D = 77 mm
䉳
L’albero va perciò dimensionato rispettando il vincolo dell’angolo di torsione perché più severo.
COMMENTI È necessario determinare l’angolo di torsione ⍜ per i seguenti motivi: – l’albero va dimensionato non solo perché sia sufficientemente resistente ma anche in modo che non si deformi eccessivamente; – nell’analisi delle vibrazioni torsionali delle macchine è richiesta la conoscenza dell’entità delle rotazioni angolari degli alberi; – l’angolo di torsione dell’elemento meccanico è necessario per trattare problemi torsionali staticamente indeterminati.
6. 6
SOMMARIO Il principio di sovrapposizione degli effetti consente di isolare i sistemi di carico che danno luogo alle quattro sollecitazioni semplici: forza normale, flessione, taglio e torsione. Le tensioni che risultano dalle sollecitazioni semplici, opportunamente combinate, vanno confrontate con la tensione ammissibile del materiale in modo da procedere al progetto oppure alla verifica dell’elemento. Le sollecitazioni di forza normale provocata dalla forza assiale N normale alla sezione e di flessione provocata dal momento flettente Mf , generano delle tensioni normali σ espresse da:
σ=
N A
σ max =
> M f ymax I
>
6.6. – SOMMARIO
con A area della sezione trasversale della trave, I momento di inerzia della sezione rispetto all’asse baricentrico (coincidente con l’asse neutro) ed ymax distanza delle fibre più lontane dall’asse neutro. Le sollecitazioni di taglio provocate dalla forza tagliante T e di torsione provocata dal momento torcente Mt danno origine a tensioni tangenziali o di taglio τ espresse da:
τ max = λ
T A
>
Mt R > J con λ fattore di taglio funzione della forma della sezione di area A, R raggio della sezione circolare e J momento di inerzia polare rispetto al centro del cerchio.
τ max =
La distribuzione delle σ dovute alla forza normale N è uniforme; la distribuzione delle σ dovute alla flessione e delle τ dovute alla torsione è lineare raggiungendo il valore massimo in corrispondenza delle fibre più lontane rispettivamente dall’asse neutro e dal centro del cerchio; le τ generate dalla forza tagliante raggiungono il valor massimo a livello baricentrico, mentre si annullano sulle fibre estreme.
Esercizi proposti 6.1 Un tirante, in acciaio avente modulo di elasticità E = 200 GPa e rapporto di Poisson ν = 0,28, è lungo l = 4 m e ha una sezione circolare di diametro d = 24 mm. Il tirante è soggetto al carico assiale N = 30 kN. Determinare la tensione σ sulle sezioni rette, l’allungamento δl del tirante, la variazione laterale δd del diametro.
σ = 66,3 MPa; δl = 1,32 mm; δd = – 0,0022 mm (negativa perché è una contrazione)
6.2 Calcolare la tensione σ presente in un’asta di un freno sollecitato da un carico dinamico di trazione pari a 4,8 kN, sapendo che il tirante ha la sezione circolare di diametro d = 18 mm ed è realizzato in acciaio C 20 avente un limite di fatica σf = 240 MPa. Calcolare la tensione ammissibile σamm, per un fattore di sicurezza n = 4, e l’ulteriore riduzione della σamm alla tensione nominale σnom, dovuta al fattore teorico di concentrazione degli sforzi Kt = 2,5 per la presenza di un foro sulle due estremità del tirante. Effettuare infine la verifica di resistenza.
σ = 18,9 MPa; σamm = 60 MPa; σnom = 24 MPa; σ = 18,9 MPa < σnom = 24 MPa
6.3 Calcolare l’allungamento δl e la deformazione ε di una barra a sezione circolare di diametro 18 mm e lunga 700 mm sottoposta ad un carico assiale di 4,8 kN. Il materiale della barra è acciaio avente un modulo di elasticità pari a 200 GPa. δl = 0,066 mm; ε = 0,0094%
6.4 Un tirante, avente una sezione quadrata di lato 15 mm, è soggetto ad un carico statico di trazione 22,5 kN. L’acciaio del tirante ha un limite di snervamento 306 MPa. Verificare il tirante tenendo conto di un fattore di sicurezza pari a 1,7 e, a causa di un raccordo presente sulle due estremità del tirante, di un fattore teorico di concentrazione degli sforzi Kt = 1,5.
σ = 100 MPa; σamm = 180 MPa; σnom = 120 MPa; σ = 100 MPa < σnom = 120 MPa
6.5 Assumendo un fattore di sicurezza n = 2, dimensionare il diametro d di un tirante, a sezione circolare in acciaio avente un limite di snervamento σs = 320 MPa, caricato da una forza assiale di 114 kN. Calcolarne poi l’allungamento δl sapendo che il tirante è lungo 2 m, mentre l’acciaio ha un modulo di elasticità E = 207 GPa. d = 30 mm; δl = 1,56 mm
147
CAPITOLO 6. – SOLLECITAZIONI SEMPLICI
sopportabile da ciascuna sezione in corrispondenza di σmax = 76 MPa. A y I Z Mfmax
[mm2 ] [mm] [mm4 ] [mm3 ] [kN⋅m]
Cerchio 8742 52,75 6,1 × 106 0,11 × 106 8,6
d = 105,5 mm
Ac = 5026 mm2; Aa = 648 mm2; Nc = 87,4 kN; Na = 112,6 MPa; σc = 17,4 MPa < 21 MPa; σa = 173,8 MPa < 200 MPa
6.8 La sezione trasversale di una trave a doppia T ha le seguenti misure (i simboli che indicano le quote sono quelli citati nella Tabella VII a pag. 493): altezza della sezione d = 300 mm, altezza dell’anima h = 260 mm, larghezza delle ali b = 200 mm e spessore dell’anima t = 20 mm. Dopo aver calcolato il valore del modulo di resistenza a flessione Z, determinare la tensione massima a flessione σmax sapendo che sulla sezione è presente il momento Mf = 65,6 kN⋅m. Z = 0,00126 mm3; σmax = 51,8 MPa (per la simmetria della sezione, le σmax a trazione e a compressione sono uguali in valore assoluto)
6.9 Una trave può essere realizzata con una sezione trasversale a forma di cerchio oppure di rettangolo oppure di T semplice oppure infine di doppia T (Figura 6.16). Si chiede di calcolare l’area A di queste diverse sezioni e di verificare che il suo valore sia sempre pari a circa 8750 mm2. Dopo aver calcolato la posizione y dell’asse neutro rispetto alla fibra più sollecitata, il momento di inerzia I e il modulo di resistenza Z, determinare il massimo valore del momento flettente Mfmax
h = 200 mm s
t = s = 25 mm
b = 150 mm
Z = 32.000 mm3; σmax = 37,5 MPa
s = 19 mm h = 362 mm
(per la simmetria della sezione, le σmax a trazione e a compressione sono uguali in valore assoluto)
b = 50 mm
b = 150 mm
d = 225 mm
6.7 Calcolare il modulo di resistenza Z e determinare la tensione massima a flessione σ max di una trave a sezione rettangolare (base 120 mm, altezza 40 mm) soggetta al momento Mf = 1,2 kN⋅m.
Rettangolo T semplice Doppia T 8750 8750 8741 87,5 152,5 200,0 22,3 × 106 44,1 × 106 240,2 × 106 0,25 × 106 0,29 × 106 12 , × 106 19,1 216 , 90,1
h = 175 mm
6.6 Una colonna, sottoposta ad un carico di compressione pari a 200 kN, è composta da un tubo di acciaio di diametro interno d = 80 mm riempito con calcestruzzo; il diametro esterno del tubo è pari a 85 mm. Sono assegnati il modulo elastico dell’acciaio Ea = 200 GPa e il modulo elastico del calcestruzzo Ec = 20 GPa. Si considerano inoltre trascurabili gli sforzi generati dall’interferenza tra acciaio e calcestruzzo. Dopo aver calcolato le aree delle sezioni resistenti rispettivamente del calcestruzzo Ac e dell’acciaio Aa, determinare la forza Nc sostenuta dal calcestruzzo e quella Na sostenuta dall’acciaio. Verificare quindi che le tensioni σc e σa presenti nel calcestruzzo e nell’acciaio siano inferiori alle rispettive tensioni ammissibili σamm,c = 21 MPa e σamm,a = 200 MPa.
d = 400 mm
148
t = 8,4 mm
b = 150 mm Fig. 6.16 - Dimensioni delle sezioni trattate nell’Esercizio 6.9.
6.10 Calcolare il diametro d della sezione circolare di una trave in acciaio (σamm = 100 MPa) soggetta al momento Mf = 1,2 kN⋅m. d = 50 mm
6.11 Una saldatura composta da due cordoni dello spessore di 4 mm è sollecitata da una forza di 120 kN (Figura 6.10). Sapendo che la tensione di taglio ammissibile è pari a 125 MPa, calcolare la lunghezza l della saldatura. l = 120 mm
6.12 A due piastre sovrapposte sono applicati quattro chiodi aventi ciascuno il diametro di 25 mm. Sapendo che la tensione ammissibile è τamm = 76,4 MPa, calcolare il massimo carico F a cui è possibile sottoporre le piastre. F = 150 kN
ESERCIZI PROPOSTI
6.13 Sapendo che la massima tensione ammissibile di un punzone è τamm = 450 MPa e che la resistenza al taglio di un foglio di lamiera in acciaio dolce è τu = 350 MPa, determinare lo spessore massimo t della lamiera nel caso si voglia ricavare un foro di 15,6 mm di diametro.
6.17 Determinare l’angolo di torsione ⍜ di un albero pieno, in acciaio (G = 80 GPa) di 100 mm di diametro e lungo 1300 mm, al quale viene applicato un momento torcente di 3 kN⋅m. ⍜ = 0,005 rad = 0,28°
t = 5 mm 6.14 Un tubo di diametro esterno pari a 20 mm e diametro interno pari a 16 mm è soggetto ad un momento torcente di 40 N⋅m. Calcolare le tensioni di taglio massimo τmax e minimo τmin.
τmax = 43,1 MPa; τmin = 34,5 MPa 6.15 Confrontare la rigidezza torsionale GJ di due alberi: uno pieno in acciaio (G = 80 GPa) con diametro di 50 mm e l’altro cavo in lega di alluminio (G = 27 GPa) con diametro esterno di 75 mm e diametro interno di 50 mm. GJ dell’albero pieno = 49 kN⋅m2; GJ dell’albero cavo = 67 kN⋅m2 6.16 Calcolare il diametro D di un albero pieno che deve trasmettere la potenza di 150 kW alla velocità angolare ω = 52,36 s– 1. Il momento torcente Mt si calcola con il procedimento illustrato nell’Esempio 6.8. Mt = 2865 N⋅m; D = 79 mm
6.18 Calcolare la massima tensione di taglio τmax di un albero circolare pieno, avente un diametro di 10 mm, al quale viene applicato un momento torcente pari a 30 N⋅m.
τmax = 153 MPa 6.19 Sapendo che la tensione di taglio ammissibile è pari a 55 MPa, calcolare il diametro D di un albero pieno che deve trasmettere la potenza di 7,5 kW alla velocità angolare ω = 188,5 s– 1. D = 15,4 mm 6.20 La coppia applicata ad un albero in acciaio lungo 400 mm è pari a 33 N⋅m. Sapendo che il diametro dell’albero è uguale a 25 mm e che il modulo tangenziale vale 80 GPa, calcolare il momento di inerzia polare J, l’angolo di torsione ⍜ e la tensione massima di taglio τmax. J = 38.350 mm4; ⍜ = 0,0043 rad = 0,25°; τmax = 172 MPa
149
TRAVI INFLESSE
Capitolo 7
7. 1
AZIONI INTERNE NELLE TRAVI INFLESSE
a F2
F1
A
B
b RA
F2
F1
RB
A
B
c F1
F2
T
RA
M
G A
RB
M
N
N
Si divida (Figura 7.1) una trave ad asse rettilineo vincolata con carrello e cerniera in due parti; attraverso la sezione si trasmettono delle azioni interne (forza normale N, forza tagliante T e momento flettente M) che vengono chiamate caratteristiche della sollecitazione. Le azioni interne, in corrispondenza di una generica sezione, vengono calcolate, una volta determinate le reazioni vincolari, come quei valori che sono necessari per ripristinare l’equilibrio esistente originariamente nella trave non suddivisa in ciascuno dei due tronchi ottenuti dividendo la trave con la sezione. Per l’equilibrio del tronco di sinistra della trave (Figura 7.1-c) occorre considerare insieme alle forze esterne (il carico F1 e la reazione RA) anche le azioni interne agenti sulla sezione trasversale: queste rappresentano l’azione della porzione di destra della trave sulla porzione di sinistra. Le azioni interne (N, T ed M) devono essere tali da equilibrare le forze esterne F1 ed RA; in particolare, una volta fissate le convenzioni di segno (Figura 7.2), dovrà essere:
G B
T
Fig. 7.1 - 䡵 a) Trave piana soggetta ai carichi inclinati F1 ed F2 vincolata con carrello e cerniera. 䡵 b) La trave viene isolata come corpo libero su cui agiscono le forze esterne: carichi (F1 ed F2) e reazioni (RA ed RB). 䡵 c) Azioni interne sulla sezione (forza normale N, forza tagliante T e momento flettente M) della trave divisa in due tronchi; queste azioni sono richieste per ripristinare l’equilibrio della trave originale indivisa: se infatti l’intera struttura è in equilibrio, dovrà essere altrettanto in equilibrio ciascun tronco. Il verso delle azioni interne presenti su una faccia della sezione è opposto a quello delle azioni interne presenti sull’altra faccia.
– la forza normale N uguale ed opposta alle componenti delle forze esterne secondo la direzione di N (è l’asse orizzontale della trave); – la forza tagliante T uguale ed opposta alle componenti delle forze esterne secondo la direzione di T (è la perpendicolare all’asse della trave); – il momento flettente M uguale e con senso di rotazione opposto ai momenti delle forze esterne rispetto al baricentro G della sezione con cui si è divisa la trave.
7.1. – AZIONI INTERNE NELLE TRAVI INFLESSE
a
N+
N+
N–
N– negativo
positivo
y
b
Elemento isolato a sinistra
T+
T+
T+
x Tronco di trave
Elemento isolato a destra
T+
T+ Sezione arbitraria
Fig. 7.2 - Convenzioni di segno delle azioni interne. 䡵 a) Forza normale N – La retta d’azione di N è sempre diretta secondo il baricentro della sezione trasversale della trave. La forza normale N deve soddisfare l’equazione di equilibrio ΣFx = 0. La forza normale è positiva nel caso in cui sia una forza di trazione, mentre è negativa se di compressione. 䡵 b) Forza tagliante T – Sulla sezione generica sono presenti la forza di taglio T perpendicolare all’asse della trave e il momento flettente M. Per mantenere un elemento isolato della trave in equilibrio, T deve soddisfare l’equazione ΣFy = 0; la forza di taglio è perciò uguale alla somma algebrica di tutte le componenti verticali delle forze esterne che agiscono sull’elemento isolato della trave, ma ha verso opposto. Definizione di taglio positivo: una forza tagliante T diretta verso il basso sulla sezione di un elemento di trave isolato a sinistra, oppure una forza tagliante T diretta verso l’alto che agisce sulla stessa sezione di un elemento di trave isolato a destra, corrisponde ad un taglio positivo T +; nella Figura è anche rappresentata una forza di taglio positiva T + su un tronco estratto dalla trave oppure tra due sezioni affacciate.
Le azioni interne possono essere anche calcolate sulla base delle forze esterne (F2 ed RB) che si trovano nel tronco situato a destra della sezione; in tal caso occorre tener presente che il verso delle azioni interne si inverte (Figura 7.1-c) rispetto a quanto avveniva per il tronco di sinistra. Per poter dimensionare o verificare la trave occorre individuare la sezione in cui le azioni interne (N, T ed M) raggiungono i valori più elevati: le tensioni σ oppure τ vanno infatti calcolate ponendo nelle formule del Capitolo 6 il momento flettente massimo oppure la forza tagliante massima. Ciò si ottiene tracciando dei diagrammi7.1 che mostrano la variazione delle azioni interne lungo la trave; questi diagrammi si ottengono sezionando progressivamente la trave a par-
7.1 - Nel tracciare il diagramma dei momenti flettenti, si sono riportati i momenti positivi al di sopra dell’asse della trave e quelli negativi al di sotto dell’asse; in altre parole, se si considera come zero l’asse della trave, i momenti positivi, sul diagramma, sono diretti verso l’alto. Questa convenzione, che rispecchia l’usuale orientamento degli assi cartesiani così come avviene per la rappre-
sentazione grafica del taglio e della forza normale, è comune a quasi tutte le letterature ed in particolare a quella inglese (si veda il terzo capitolo di Mechanics of Materials di E.J. Hearn, Pergamon Press, 1985) ed americana (si veda il terzo capitolo di Strength of Materials di S. Timoshenko, R.E. Krieger Publishing Company, 1976). Si tenga tuttavia presente che, nella letteratura italiana, viene
abitualmente adottata, per il solo momento flettente, una rappresentazione contraria a quella proposta dalle altre letterature, con i momenti positivi diretti verso il basso in modo che il diagramma del momento flettente abbia un andamento simile alla deformata assunta dalla trave sotto l’azione dei carichi.
151
152
CAPITOLO 7. – TRAVI INFLESSE
c M+
M+ Fibre compresse
Elemento isolato a sinistra
M+ Fibre tese
T
M+
M–
M+ Elemento isolato a destra
Fibre tese
M–
T Fibre compresse
Fig. 7.2 - segue 䡵 c) Momento flettente M – Il momento resistente interno deve essere uguale ed opposto al momento delle forze esterne per soddisfare la terza equazione di equilibrio ΣM = 0. L’intensità del momento flettente si ricava sommando i momenti causati da tutte le forze moltplicati per i rispettivi bracci. In modo da escludere i momenti dovuti alla forza tagliante T e alla forza normale N, conviene far coincidere il punto di intersezione di queste due forze interne con il punto rispetto al quale vengono sommati i momenti: questo punto si trova sull’asse baricentrico della sezione trasversale della trave. Un momento flettente M + che tende le fibre all’intradosso (parte inferiore della trave) e comprime le fibre all’estradosso (parte superiore della trave) è positivo; nel caso contrario è negativo (M −). Con un momento positivo si verifica un insellamento della trave, mentre un momento negativo tende ad inarcarla.
tire da un estremo. Facendo uso dei diagrammi del taglio e del momento flettente riportati per le situazioni più comuni di travi inflesse nell’Appendice A.4, si applicherà, nei casi in cui siano presenti più condizioni di carico, il principio di sovrapposizione degli effetti (Paragrafo 6.1), considerando le azioni interne generate nella trave da ciascun carico preso singolarmente: la somma di queste azioni interne è uguale all’azione interna presente nella trave quando viene sottoposta a tutti i carichi contemporaneamente. I carichi possono essere concentrati, agiscono cioè in un punto isolato della superficie della trave, oppure diffusi (o ripartiti o distribuiti) se agiscono lungo un dato tratto di trave; quando il carico è distribuito in modo uniforme, il carico totale W risulta il prodotto del carico riferito all’unità di lunghezza w [N/m] per la lunghezza l [m] del tratto di trave interessato: W = wl. Se nel calcolo delle reazioni vincolari è lecito sostituire al sistema di carico la sua risultante, questa operazione è ancora possibile nella determinazione delle azioni interne purché si considerino solo i carichi presenti a sinistra (oppure a destra) della sezione rispetto a cui vengono calcolate le azioni interne. Si può dimostrare che la forza tagliante T è legata al carico diffuso w ed al momento flettente M dalle due equazioni differenziali: dT =w dx
dM =T dx
7-1
La prima equazione afferma che, tra due sezioni della trave, la forza di taglio T cambia di una quantità pari alla forza verticale compresa tra queste sezioni; se perciò tra le sezioni non è pre-
7.1. – AZIONI INTERNE NELLE TRAVI INFLESSE
sente alcuna forza, allora la forza di taglio rimane costante. Dal momento che le condizioni di massimo oppure di minimo del momento flettente si raggiungono quando si annulla la derivata prima (dM/dx = 0), la seconda equazione (dM/dx = T) afferma che, dove la forza di taglio si annulla, il momento flettente è massimo oppure minimo. La pendenza del diagramma del momento flettente è rappresentata da dM/dx, che è uguale alla forza di taglio (dM/dx = T ); ne segue che, dove la forza di taglio T è uguale a zero, la pendenza del diagramma del momento flettente vale zero e il momento flettente M risulta costante. Inoltre, proprio perché T rappresenta la pendenza del diagramma del momento flettente, dove la forza di taglio è positiva la pendenza del diagramma del momento flettente è positiva, mentre dove la forza di taglio è negativa la pendenza del diagramma del momento flettente è negativa.
Esempio 7.1 Trave soggetta ad un carico inclinato La trave della Figura 7.3, vincolata con la cerniera A e l’appoggio B, è soggetta al carico centrale F = 50 kN 6 53°. Determinare: a) le reazioni dei vincoli HA, VA e RB; b) il diagramma della forza normale N; c) il diagramma della forza tagliante T; d) il diagramma del momento flettente M.
SOLUZIONE a) Dopo aver calcolato (Figura 2.16-a) le componenti verticale FV ed orizzontale FH del carico F = 50 kN 9 53°: FV = – F sen α = – 50 kN × sen 53° = – 40 kN
⇒
FV = 40 kN ↓
FH = – F cos α = – 50 kN × cos 53° = – 30 kN
⇒
FH = 30 kN ←
si determinano le reazioni HA e VA della cerniera A e la reazione verticale RB dell’appoggio B con le equazioni di equilibrio della statica (3-1): § ΣFx = 0 £ ΣMA = 0
⇒
¶ ΣFy = 0
⇒
HA – FH = 0
⇒
HA = FH = + 30 kN
+ (RB × 10 m) – (FV × 5 m) = 0 ⇒
VA + RB – FV = 0
⇒
⇒
⇒
RB = + 20 kN
VA = + 20 kN
HA = 30 kN → ⇒
RB = 20 kN ↑ 䉳
VA = 20 kN ↑
⇒
䉳
䉳
Essendo il carico applicato in mezzeria, le due reazioni verticali risultano essere, per simmetria, uguali tra loro e pari quindi alla metà del carico, così come trovato con il calcolo. b) Si scrive l’equilibrio delle forze orizzontali nel tronco di trave AC considerando la forza normale N orientata verso destra sulla faccia della sezione C (Figura 7.3-k). § ΣFx = 0
⇒
HA + NC = 0
⇒
NC = − HA = − 30 kN
⇒
NC = – 30 kN
La forza normale NC sulla sezione C risulta negativa e tende quindi a comprimere il tronco AC per l’equilibrio (Figura 7.3-c). Al di là del punto D di applicazione del carico, in un qualsiasi tronco di trave (Figura 7.3-d), N è nulla in quanto sono assenti forze con direzione orizzontale (la reazione orizzontale del carrello B infatti non esiste). c) È la situazione della trave appoggiata con un carico verticale (nel caso dell’Esempio è il carico FV = 40 kN ↓ in D) concentrato in mezzeria presentata nella Figura A.4-5 dell’Appendice. Per determinare il diagramma della forza tagliante T (Figura 7.3-i) si immagini di far scorrere una sezione lungo
153
154
CAPITOLO 7. – TRAVI INFLESSE
g
a
FV = 40 kN
HA = 30 kN
α = 53° D
A
M = 40 kN
5m
F = 50 kN
FH = 30 kN A
B
C
D
VA = 20 kN 5m
b
8m
5m
FV = 40 kN
F = 50 kN
HA = 30 kN
h
FH = 30 kN A
D− D+
C
E T = 20 kN
0
@
B
E
VA = 20 kN
− 30 kN RB = 20 kN
2m 8m
c
M = 40 kN⋅m HA = 30 kN T = 20 kN
M = 40 kN⋅m T = 20 kN
d
! 0
N = 30 kN VA = 20 kN
+ 20 kN
i
@
2m
2m
− 20 kN
RB = 20 kN
e
T = 20 kN
HA = 30 kN
M = 100 kN⋅m N = 30 kN + 10 kN·m
j VA = 20 kN
5− m
!
+ 4 kN·m
+ 4 kN·m
0
f
FV = 40 kN
M = 100 kN⋅m
M
k
HA = 30 kN
N
N=0 FH = 30 kN VA = 20 kN
5+ m
T = 20 kN
Fig. 7.3 - Trave con cerniera A ed appoggio semplice B, soggetta ad un carico concentrato inclinato (Esempio 7.1) applicato nella mezzeria D della trave. 䡵 a) Trave e carichi. 䡵 b) Diagramma di corpo libero. 䡵 c) Tronco di trave, tra la cerniera e la sezione C, in equilibrio sotto i carichi e le azioni interne. 䡵 d) Tronco di trave, tra la sezione E e l’appoggio B, in equilibrio sotto i carichi e le azioni interne. 䡵 e) Particolare della determinazione delle azioni interne in un tratto di trave interrotto immediatamente prima (5– m) del punto di applicazione del carico F (sezione D–).
T
f) Particolare della determinazione delle azioni interne in un tratto di trave interrotto immediatamente dopo (5+ m) il punto di applicazione del carico F (sezione D+). 䡵 g) Tratto di trave tra la cerniera A e la sezione E in equilibrio sotto le forze esterne (carichi e reazioni vincolari) e le azioni interne. 䡵 h) Diagramma dell’azione assiale N. 䡵 i) Diagramma della forza di taglio T. 䡵 j) Diagramma del momento flettente M 7.1. 䡵 k) Nello scrivere l’equilibrio del tronco di trave, i versi delle azioni interne N, T ed M sulla faccia della sezione sono quelli presentati nella Figura 7.1-c. 䡵
7.1. – AZIONI INTERNE NELLE TRAVI INFLESSE
la trave iniziando da A e di considerare il contributo delle forze che si trovano nel tronco di trave situato a sinistra di questa sezione. Presa la sezione in C (Figura 7.3-c), per l’equilibrio si ottiene un taglio che per le convenzioni di segno della Figura 7.2-b è positivo: ¶ ΣFy = 0
VA – TC = 0
⇒
⇒
TC = VA = 20 kN
⇒
TC = + 20 kN
–
Fino alla sezione D , immediatamente prima del punto di applicazione del carico F, il taglio rimane costante in quanto non compaiono nuove forze (Figura 7.3-e); ma, quando si arriva in D+ (Figura 7.3-f ), a sinistra della sezione oltre alla reazione VA = 20 kN ↑ si trova adesso anche il carico FV = 40 kN ↓. Si scrive l’equilibrio delle forze verticali nel tronco di trave AD+ considerando la forza tagliante TD+ orientata verso il basso (Figura 7.3-k). ¶ ΣFy = 0
⇒
VA – FV – TD+ = 0
⇒
TD+ = VA – FV = 20 kN – 40 kN = – 20 kN
⇒
TD+ = – 20 kN
La forza tagliante risulta negativa ed è quindi orientata verso l’alto per l’equilibrio del tronco AD+ (Figura 7.3-f ). Passando attraverso la sezione E, che non modifica il diagramma in quanto non intervengono nuove forze, si arriva infine sull’appoggio B, dove l’intervento della reazione RB = 20 kN ↑ riporta a zero il diagramma del taglio. d) Si faccia sempre scorrere la sezione immaginaria lungo la trave a partire dalla cerniera A verso l’appoggio B e si considerino i momenti rispetto al baricentro della sezione considerata originati dalle forze che si trovano nel tronco di sinistra. Considerata la sezione C (Figura 7.3-c), per l’equilibrio si ottiene, per le convenzioni di segno della Figura 7.2-c, il momento flettente MC (Figura 7.3-j) positivo: £ ΣMC = 0
⇒
– (VA × 2 m) + MC = 0
⇒
MC = VA × 2 m = 20 kN × 2 m = 40 kN⋅m
⇒
MC = + 40 kN⋅m
Il momento flettente della sezione C può essere anche calcolato considerando il tronco di trave CB a destra della sezione: £ ΣMC = 0 ⇒ + (RB × 8 m) – (FV × 3 m) – MC = 0 ⇒ MC = RB × 8 m – FV × 3 m = 20 kN × 8 m – 40 kN × 3 m = + 40 kN⋅m ⇒ MC = + 40 kN⋅m Facendo scorrere la sezione immaginaria oltre C, il momento flettente continua ad aumentare fino in D dove raggiunge il valore massimo MD = 20 kN × 5 m = + 100 kN⋅m; dopodiché, per l’intervento del carico FV = 40 kN ↓, il momento inizia a diminuire: in E, il momento generato dalle forze presenti nel tronco EB (Figura 7.3-d) risulta positivo: £ ΣME = 0
⇒
+ RB × 2 m – ME = 0
⇒
ME = RB × 2 m = 20 kN × 2 m = 40 kN⋅m
⇒
ME = + 40 kN⋅m
Il momento flettente continua a ridursi, finché si annulla sull’appoggio B.
COMMENTI 1. Le Figure 7.3-c e 7.3-d, riferite a due tronchetti di estremità della trave, mostrano in quale modo vengono calcolate le azioni interne forza normale N, forza tagliante T e momento flettente M. Il metodo di calcolo è basato su questa domanda: quali sono le azioni interne necessarie affinché il tronco di trave considerato, su cui agiscono le forze esterne rappresentate dai carichi (FV ed FH ) e dalle reazioni vincolari (HA, VA e RB), rimanga in equilibrio? 2. A causa della discontinuità provocata dal carico concentrato, i valori delle azioni interne cambiano sostanzialmente qualora si consideri un tronco di trave delimitato da una sezione posta immediatamente prima del punto di applicazione del carico (Figura 7.3-e) oppure immediatamente dopo (Figura 7.3-f ): la forza normale N passa da – 30 kN a 0 kN, mentre la forza di taglio T passa da + 20 kN a – 20 kN. 3. La forza tagliante è uniforme in quelle porzioni della trave (come AD e DB) nelle quali non sono applicate delle forze, mentre cambia bruscamente nella mezzeria della trave (punto D) dove è applicata una forza, così come previsto dalla prima equazione 7-1. 4. Il diagramma del momento flettente M ha andamento lineare al variare della lunghezza della trave in quanto è espresso dal prodotto di una forza per la distanza dal baricentro della sezione in esame. Il momento flettente raggiunge il suo valore massimo sulla sezione D, laddove la forza di taglio, cambiando di segno, determina una cuspide nel diagramma di M (7-1).
155
156
CAPITOLO 7. – TRAVI INFLESSE
Esempio 7.2 Trave appoggiata soggetta a carichi combinati RB
RA
a
w = 30 kN/m y x
B
A L = 12 m
Una trave lunga L = 3a = 12 m è soggetta ai due carichi concentrati F = 60 kN ↓ applicati alla distanza a = 4 m dalle due estremità e al carico distribuito w = 30 kN/m ↓. Determinare le reazioni R′ e R″ dei due appoggi, il diagramma della forza di taglio T e quello del momento flettente M mediante il principio di sovrapposizione che consente di considerare: a) la trave appoggiata con il solo carico distribuito w; b) la trave caricata con i due carichi concentrati F;
b
RB = 180 kN
RA = 180 kN
c) la somma delle due situazioni precedenti.
w = 30 kN/m
SOLUZIONE B
A 2m
2m
2m
2m
2m
2m
L = 12 m
w
T =
wL − wx 2
c
M =
wx (L − x) 2
A wL 2
x
£ ΣMA = 0 L
RB = + 180 kN ¶ ΣFy = 0
! 0
@ − 180 kN
e
+ 480 kN⋅m + 300 kN⋅m
⇒
+ (RB × 12 m) – (W × 6 m) = 0
+ 180 kN
d
a) Il carico totale applicato alla trave della Figura 7.4 è W = wL = 30 kN/m × 12 m = 360 kN. La trave, oltre che piana, è ad asse rettilineo ed è soggetta ad un carico perpendicolare al suo asse; le reazioni dei due appoggi sono ambedue verticali poiché un’eventuale reazione orizzontale non sarebbe equilibrata da nessun altro carico (ΣFx = 0). Nell’applicare l’equilibrio dei momenti (3-1) al calcolo delle reazioni vincolari, il carico W si considera applicato in mezzeria:
+ 540 kN⋅m
+ 480 kN⋅m + 300 kN⋅m
! 0
Fig. 7.4 - 䡵 a) Trave dell’Esempio 7.2 con carico uniformemente distribuito. 䡵 b) La trave viene isolata come corpo libero, soggetta alle forze esterne: carichi più reazioni vincolari. 䡵 c) Elemento di trave isolato a sinistra di una generica sezione distante x dall’appoggio A. 䡵 d) Diagramma della forza di taglio T lungo la trave. 䡵 e) Diagramma del momento flettente M lungo la trave7.1.
⇒
RA = + 180 kN
⇒
⇒
RA + RB – W = 0 ⇒
䉳
RB = 180 kN ↑ ⇒
RA = 180 kN ↑
䉳
Più semplicemente, si potevano calcolare le reazioni RA ed RB, tenendo presente che, a causa della simmetria del carico, ciascuna reazione sopporta metà del carico totale W = wL per cui si ha: wL 2 Nel calcolo delle azioni interne si considera (Figura 7.4-c) l’elemento di trave a sinistra di una generica sezione distante x dall’appoggio A. Scrivendo l’equilibrio alla traslazione e alla rotazione dell’elemento di trave si ottengono le espressioni del taglio e del momento flettente riportate anche in Appendice (equazioni A.4-7): RA = RB =
¶ ΣFy = 0
⇒
RA − wx − T = 0
T = RA − wx =
wL − wx 2
⇒ 䉳
7.1. – AZIONI INTERNE NELLE TRAVI INFLESSE
£ ΣM = 0
y
a
M = RA x −
a=4m
a/2
a/2
a=4m
L = 3a = 12 m
b
R2 = 60 kN
TC = MC =
M = Fx R1 T=F F a
a/2
wx wx wx wx (L − x) x = L− x = 2 2 2 2
䉳
30 kN/m × 12 m wL − wxC = − 30 kN/m × 4 m = +60 kN 2 2 30 kN/m × 4 m wxC ( L − xC ) = (12 m − 4 m ) = + 480 kN ⋅m 2 2
Il diagramma del momento è parabolico, poiché nell’espressione del momento figura una lunghezza al quadrato (x⋅x = x 2). La forza di taglio decresce uniformemente tra i due appoggi, passando per zero in mezzeria (Figura 7.4-d); qui si raggiunge il massimo valore del momento flettente (Figura 7.4-e) così come previsto dalle equazioni 7-1.
x
c
⇒
Sostituendo alla coordinata x via via le diverse lunghezze della trave, si ottengono i valori del taglio T e del momento flettente M nelle diverse sezioni; ad esempio, in C si ha:
B
A
R1 = 60 kN
x − ( RA x ) + wx + M = 0 2
F = 60 kN
F = 60 kN
x
⇒
M = Fa
b) Nel caso dei due carichi uguali concentrati F (Figura 7.5), le due reazioni, a causa della simmetria, fanno equilibrio ai due carichi con i valori R1 = R2 = F = 60 kN ↑. Considerati due elementi di trave: il primo lungo x (Figura 7.5-b) e il secondo lungo 3a/2 pari cioè a metà della lunghezza della trave (Figura 7.5-c), taglio e momento valgono (equazioni A.4-9 dell’Appendice):
R1
d +F
¶ ΣFy = 0
⇒
R1 – T = 0
£ ΣM = 0
⇒
− (R1x) + M = 0
⇒
! 0
@
T = R1 = F = 60 kN >
䉳
M = R1x = Fx >
䉳
⇒
−F
¶ ΣFy = 0
⇒
R1 – F – T = 0
e !
⇒
T = R1 – F = F – F = 0 >
䉳
+ Fa
£ ΣM = 0 Fig. 7.5 - 䡵 a) Trave con due carichi concentrati. 䡵 b) Elemento di trave isolato a sinistra di una generica sezione distante x dall’appoggio A; sull’elemento non è applicato alcun carico. 䡵 c) Metà trave a sinistra della sezione di mezzeria; sull’elemento è applicato il carico F distante a dall’appoggio ed a dalla mezzeria. 䡵 d) Diagramma della forza di taglio T [kN] lungo la trave. 䡵 e) Diagramma del momento flettente M [kN⋅m] lungo la trave7.1; dove il taglio è uguale a zero, il momento è costante così come previsto dalle equazioni 7-1.
⇒
M = F
a a − R1 × a + + F + M = 0 2 2 3 1 3a a − F = Fa − = Fa 2 2 2 2
⇒
䉳
> c) Sommando gli effetti della condizione di carico distribuito (Figura 7.4 ) a quelli prodotti dalla condizione di carico concentrato (Figura 7.5), si ottengono le reazioni R′ ed R″ degli appoggi e i diagrammi della forza di taglio T e del momento flettente M (Figura 7.6) relativi alla situazione di carico combinato. R′ = RA + R1 = 180 kN + 60 kN = 240 kN ⇒
R′ = 240 kN ↑
R″ = RB + R2 = 180 kN + 60 kN = 240 kN ⇒
R″ = 240 kN ↑
157
158
CAPITOLO 7. – TRAVI INFLESSE
a
y F = 60 kN R′
F = 60 kN R″
w = 30 kN/m
A
B x
a L = 3a
a
b
T [ kN ] + 240 + 180 + 120
a
!
0 − 120 − 180 − 240
c
x
@
M [ kN ⋅ m] + 780 + 720
!
+ 420
0
2
4
6
8
10
12
xm
Fig. 7.6 - 䡵 a) Trave su due appoggi soggetta alla combinazione di due carichi concentrati ed un carico distribuito; composizione delle due condizioni di carico illustrate nelle Figure 7.4 e 7.5. 䡵 b) Diagramma della forza tagliante T. 䡵 c) Diagramma del momento flettente M 7.1.
Esempio 7.3 Mensola soggetta a un carico concentrato inclinato Una trave incastrata è lunga L = 5 m e, all’estremità destra, è soggetta al carico F = 141,42 kN 8 45°. Si chiede di: a) determinare le reazioni dell’incastro HA, VA ed Mi; b) tracciare i diagrammi della forza normale N, della forza di taglio T e del momento flettente M.
SOLUZIONE a) Dopo aver calcolato (Figura 2.16-a) le componenti verticale FV ed orizzontale FH del carico F = 141,42 kN 8 45°: FV = – F sen α = – 141,42 kN × sen 45° = – 100 kN
⇒
FV = 100 kN ↓
FH = + F cos α = + 141,42 kN × cos 45° = + 100 kN
⇒
FH = 100 kN →
si determinano le reazioni HA, VA ed Mi dell’incastro A con le equazioni di equilibrio 3-1:
7.1. – AZIONI INTERNE NELLE TRAVI INFLESSE
§ ΣFx = 0 ¶ ΣFy = 0 £ ΣMA = 0
– HA + FH = 0
⇒
+ VA – FV = 0
⇒
+ Mi – (FV L) = 0
⇒
⇒
⇒
⇒
HA = FH = 100 kN
⇒
HA = 100 kN ←
䉳
VA = FV = 100 kN
⇒
VA = 100 kN ↑
䉳
Mi = FV L = 100 kN × 5 m = 500 kN⋅m
⇒
Mi = 500 kN⋅m fi 䉳
b) Le azioni interne si ottengono scrivendo l’equilibrio del tronco di trave lungo x; si assume che sulla faccia della sezione le azioni interne N, T ed M siano orientate come mostrato nella Figura 7.7-g. La forza normale N e la forza tagliante T non variano al variare di x e sono tutte e due positive secondo le convenzioni di segno della Figura 7.2. La somma dei momenti rispetto a C dà invece un momento
a
F = 141,42 kN
α = 45°
A
L=5m
b
FV = 100 kN
F = 141,42 kN Mi = 50 kN⋅m
HA = 100 kN FH = 100 kN VA = 100 kN
c
MA = FV L
T
M N
HA = FH x VA = FV
d
+ 100 kN
! 0
e
+ 100 kN
! 0
f
0
@ − 500 kN⋅ m
g
M N
T
Fig. 7.7 - Trave incastrata dell’Esempio 7.3 soggetta ad un carico concentrato inclinato. 䡵 a) Carico inclinato dell’angolo di 45°. 䡵 b) Componenti orizzontale FH e verticale FV del carico più le reazioni dell’incastro. 䡵 c) Elemento isolato di trave distante x dall’incastro. 䡵 d) Diagramma della forza normale N. 䡵 e) Diagramma della forza di taglio T. 䡵 f ) Diagramma del momento flettente M. Il verso di rotazione di M indicato sulla figura corrisponde ad un momento negativo secondo le convenzioni di segno della Figura 7.2-c 7.1. 䡵 g) Nello scrivere l’equilibrio del tronco di trave lungo x, i versi delle azioni interne sulla sezione sono quelli presentati nella Figura 7.1-c.
159
160
CAPITOLO 7. – TRAVI INFLESSE
flettente che varia linearmente con x ed è negativo (si veda il senso di rotazione nel tronco in equilibrio della Figura 7.7-c) poiché fa inarcare la trave. § ΣFx = 0
⇒
– HA + N = 0
⇒
N = HA = FH = 100 kN
¶ ΣFy = 0
⇒
+ VA – T = 0
⇒
T = VA = FV = 100 kN
£ ΣMC = 0
⇒
– (VAx) + Mi + M = 0
⇒
7.2 Una trave, incernierata in A e sostenuta in B da un cavo inclinato di 30° sull’orizzontale, è soggetta nell’estremo C al carico m = 2,04 Mg che dà luogo alla forza F = 20 kN ↓. Determinare le reazioni VA ed HA della cerniera, le componenti VB ed HB della reazione RB della cerniera e il valore del momento flettente MB in B (Figura 7.8). Una volta calcolate le reazioni verticali VA e VB applicando Σ F y = 0 e Σ M A = 0, si determina HB = VB/tan 30° e quindi si ricava HA applicando ΣFx = 0. L’esercizio poteva essere risolto anche graficamente: per l’equilibrio alla rotazione le forze RA, RB ed F devono passare tutte per lo stesso punto D (Figura 7.8-b) rendendo così nullo il momento; sommando i tre vettori RA, RB ed F, il triangolo delle forze risulta chiuso (Figura 7.8-c) in quanto il punto di partenza di RA coincide con il punto di arrivo di F e quindi la risultante è nulla. VA = 10 kN ↓; HA = 52 kN →; VB = 30 kN ↑; HB = 52 kN ←; MB = – 40 kN⋅m 7.3 Una trave con incastro a sinistra, come quella della Figura A.4-1 dell’Appendice, è lunga L = 4 m ed è soggetta al carico concentrato F = 200 kN ↓ applicato all’estremità libera. Calcolare i valori della forza di taglio T e del momento flettente M lungo la trave.
Incastro 0 1 2 3 Estremo libero 4
+ 200 + 200 + 200 + 200 + 200
T = + 100 kN
䉳 䉳
Con il contributo del prof. L. Leonessa
7.1 Verificare i valori delle reazioni e gli andamenti dei diagrammi del taglio e del momento flettente delle travi inflesse citate nell’Appendice A.4; considerare i seguenti valori: carico concentrato F = 100 kN ↓, carico distribuito w = 20 kN/m ↓, lunghezza della trave l = 4 m.
Forza di taglio T [kN]
⇒
N = + 100 kN
M = − Mi + VAx = − 500 kN⋅m + 100 kN × x 䉳
Esercizi proposti
Lunghezza [m]
⇒
Momento flettente M [kN⋅m] – 800 – 600 – 400 – 200 0
a
cavo 30° A
B
C m = 2,04 Mg
cerniera
4m
b
2m
RB A
VB
HB
HA
VA
C B
RA
c F
D F = 20 kN
RB RA
Fig. 7.8 - Trave dell’Esercizio 7.2. 䡵 a) Disposizione della trave con la massa applicata in C. 䡵 b) Trave isolata come corpo libero con carico e reazioni. La reazione RB in B ha la direzione del cavo in quanto il cavo resiste solo a sforzo normale; nel calcolo della reazioni, RB viene scomposta nella componente verticale VB e nella componente orizzontale HB. 䡵 c) Risoluzione grafica con il triangolo delle forze.
7.4 Una trave con incastro a sinistra in A, come quella della Figura A.4-3 dell’Appendice, è lunga L = 4 m ed è soggetta alla coppia di momento MB = 400 kN⋅m fi applicata all’estremità libera B. Calcolare i valori della forza di taglio T e del momento flettente M lungo la trave.
ESERCIZI PROPOSTI
Lunghezza [m]
Forza di taglio T [kN]
Incastro 0 1 2 3 Estremo libero 4
0 0 0 0 0
Momento flettente M [kN⋅m] + 400 + 400 + 400 + 400 + 400
7.5 Una trave con incastro a sinistra, come quella della Figura A.4-4 dell’Appendice, è lunga L = 4 m ed è soggetta al carico uniforme w = 30 kN/m ↓ presente lungo tutta la trave. Calcolare i valori della forza di taglio T e del momento flettente M lungo la trave. Lunghezza [m]
Forza di taglio T [kN]
Incastro 0 1 2 3 Estremo libero 4
+ 120 + 90 + 60 + 30 0
Momento flettente M [kN⋅m] – 240 – 135 – 60 – 15 0
a
F = 200 kN w = 30 kN/m
B
A
M B = 400 kN⋅m
L=4m
b
T
! x
c M
! 0
x
@ 7.6 La trave incastrata della Figura 7.9 è lunga L = 4 m ed è soggetta ai seguenti carichi combinati: carico concentrato F = 200 kN ↓ all’estremità libera (Esercizio 7.3), momento MB = 400 kN⋅m fi all’estremità libera (Esercizio 7.4) e carico uniforme w = 30 kN/m ↓ presente lungo tutta la trave (Esercizio 7.5). Calcolare i valori della forza di taglio T e del momento flettente M lungo la trave applicando il principio di sovrapposizione degli effetti. Lunghezza [m]
Forza di taglio T [kN]
Incastro 0 1 2 3 Estremo libero 4
+ 320 + 290 + 260 + 230 + 200
Momento flettente M [kN⋅m] – 640 – 335 – 60 + 185 + 400
7.7 Una trave appoggiata lunga 6 m, è soggetta ai due carichi concentrati FD = 20 kN ↓ ed FE = 60 kN ↓ e alla coppia MC = 30 kN⋅m fl. Sdoppiando le condizioni di carico combinato nei due casi di soli carichi concentrati e di sola coppia, determinare, mediante il principio di sovrapposizione, le reazioni RA ed RB, la forza di taglio TF e il momento flettente MF in mezzeria, il diagramma della forza di taglio T e quello del momento flettente M (Figura 7.10). RA = 18,3 kN ↑; RB = 61,7 kN ↑; TF = – 1,7 kN; MF = + 34,9 kN⋅m
Fig. 7.9 - Trave con incastro a sinistra dell’Esercizio 7.6 soggetta ai carichi combinati F = 200 kN ↓, MB = 400 kN⋅m fi, w = 30 kN/m ↓. 䡵 a) Mensola con carichi. 䡵 b) Diagramma della forza di taglio T. 䡵 c) Diagramma del momento flettente M.
7.8 Una trave appoggiata, lunga l = 4 m, sopporta un carico uniformemente distribuito di intensità w = 10 kN/m. Determinare il carico totale W, le reazioni R1 e R2 dei due appoggi, tracciare i diagrammi della forza di taglio T e del momento flettente M, calcolare il momento flettente massimo Mmax con la relativa posizione xmax e i valori del momento Mx per x = 1,5 m ed MB in B (Figura 7.11). W = 40 kN ↓; R1 = 20 kN ↑; R2 = 20 kN ↑; Mmax = + 20 kN⋅m; xmax = 2 m; Mx = + 18,75 kN⋅m; MB = 0 7.9 Una trave in acciaio avente σamm = 150 MPa di sezione circolare piena e peso proprio trascurabile, lunga l = 3 m, è incastrata a destra ed è soggetta al carico concentrato F = 10 kN ↓ sull’estremo sinistro non vincolato. Determinare la reazione R1 e il momento di incastro M1, tracciare i diagrammi della forza di taglio T e del momento flettente M, calcolare i valori massimo della forza
161
162
CAPITOLO 7. – TRAVI INFLESSE
a
FE = 60 kN
l=4m
FD = 20 kN A
w = 10 kN/m
D
F
C
E
B
A
B
MC = 30 kN⋅m (cerniera di sinistra) 2m
1m
1m
(appoggio di destra) 1m 1m
6m
y
W
FE = 60 kN
b
A
B
R1
R2
FD = 20 kN
x
T R′A = 23,3 kN R′B = 56,7 kN
! c
R′′A = 5 kN
x
@
MC = 30 kN⋅m
M
R′′B = 5 kN
Mx
d
Mmax
!
T′ (carichi concentrati) + 23,3 kN – 5 kN
x = 1,5 m
!
xmax
x
T′′ (coppia)
@
TF = − 1,7 kN
Fig. 7.11 - Trave appoggiata dell’Esercizio 7.8. – 56,7 kN
e
+ 46,7 kN·m
!
+ 56,7 kN·m M′ (carichi concentrati) MF = + 34,9 kN·m – 20 kN·m
y
R1 F
M′′ (coppia) + 10 kN·m
B
A
x
l=3m Fig. 7.10 - Trave appoggiata dell’Esercizio 7.7. 䡵 a) Condizioni di carico combinato.
T
䡵 b) Situazione dei soli carichi concentrati. 䡵 c) Situazione della sola coppia.
x
@
䡵 d) Diagramma della forza di taglio T: è l’area rosa che si ottiene
dal diagramma della forza di taglio relativo ai carichi concentrati spostando il livello orizzontale di riferimento (linea continua) verso l’alto di 5 kN (linea a tratti, corrispondente al diagramma del taglio dovuto alla coppia). 䡵 e) Diagramma del momento flettente M: è l’area che si ottiene sovrapponendo al diagramma del momento flettente relativo ai carichi concentrati (linea continua) il diagramma del momento dovuto alla coppia (linea a tratti) invertito in modo che l’area negativa possa venire sottratta; i valori finali vanno perciò valutati rispetto alla linea tratteggiata.
M
@
x
Fig. 7.12 - Mensola dell’Esercizio 7.9 con incastro a destra.
ESERCIZI PROPOSTI
di taglio Tmax e del momento flettente Mmax e dimensionare il diametro d della trave alla tensione normale indotta dal momento flettente (Figura 7.12). R1 = 10 kN ↑; M1 = 30 kN⋅m fl; Tmax = – 10 kN; Mmax = – 30 kN⋅m; d = 130 mm
7.11 Una trave, lunga 12 m, è soggetta ai carichi concentrati F1 = 10 kN ↓, F2 = 20 kN ↑, F3 = 20 kN ↓, F4 = 30 kN ↓. Determinare le reazioni R1 e R2 dei due appoggi e il diagramma delle azioni interne: forza di taglio T e momento flettente M (Figura 7.14). R1 = 10 kN ↑; R2 = 30 kN ↑
7.10 Una trave è soggetta ad un insieme di carichi combinati rappresentati dai carichi uniformemente distribuiti pari a w1 = 10 kN/m ↓ lungo il tratto AB = 2 m e w2 = 20 kN/m ↓ lungo il tratto CE = 3 m, e dai carichi concentrati FB = 20 kN ↓, FC = 20 kN ↓, FD = 10 kN ↓, FF = 40 kN ↓. Calcolare le reazioni degli appoggi R1 (in A) ed R2 (in E); tracciare poi i diagrammi della forza di taglio T e del momento flettente M, riportando i valori più significativi (Figura 7.13).
F4 = 30 kN
a F3 = 20 kN F1 = 10 kN 2m
A
B
4m
C
R1 = 42,5 kN ↑; R2 = 127,5 kN ↑
2m
D
E
F
F2 = 20 kN
4m
12 m
FF FB
FC
w1 A
F3 = 20 kN
FD
w2 B
F4 = 30 kN
b
2m
C
D
E
F1 = 10 kN
4m
2m
F A
B
C
D
E
F
F2 = 20 kN 2m
2m
3m
R1
1m
R 1 = 10 kN
2m R2
l = 10 m
R 2 = 30 kN 4m 12 m
c
T [kN]
+ 40
+ 42,5
!
T [ kN ]
+ 22,5 + 2,5
+ 10
− 17,5
+ 20
!
!
@
@ − 30
− 57,5 − 67,5 M [kN⋅m]
− 87,5
d M [ kN ⋅m ]
+ 60
+ 72,5 + 65 + 20
+ 45
!
! − 2,5
@ Fig. 7.14 - Trave semplicemente appoggiata con più carichi concentrati dell’Esercizio 7.11.
− 80
䡵 a) Trave con carichi vincolata con due carrelli. 䡵 b) Schema di corpo libero. 䡵 c) Diagramma della forza tagliante T [kN].
Fig. 7.13 - Trave appoggiata dell’Esercizio 7.10.
䡵 d) Diagramma del momento flettente M [kN⋅m].
163
164
CAPITOLO 7. – TRAVI INFLESSE
a
R1 = 3 kN ↓; R2 = 3 kN ↑; TAC = – 3 kN; Mmax = – 12 kN⋅m
FC = 12 kN
A
C
3m
B
7.14 La trave di Figura 7.15 sopporta un carico concentrato FC = 12 kN ↓. Dopo aver trovato le reazioni RA ed RB, valutare l’andamento del taglio T e del momento M lungo la trave e tracciare i relativi diagrammi.
D
2m
2m
RA = 4,8 kN ↑; RB = 7,2 kN ↑; TAC = + 4,8 kN; TCB = – 7,2 kN; MC = + 14,4 kN⋅m
FC
b
7.15 La trave di Figura 7.16 sopporta un carico concentrato FD = 6 kN ↓ posto all’estremità dello sbalzo. Dopo aver trovato le reazioni RA ed RB, valutare l’andamento del taglio T e del momento M lungo la trave e tracciare i relativi diagrammi.
RA
RA = 2,4 kN ↓; RB = 8,4 kN ↑; TAB = – 2,4 kN; TBD = + 6 kN; MB = – 12 kN⋅m
RB
c T
a
! @
d
FD = 6 kN
x
M
A
B
D
5m
! x
2m FD
b
Fig. 7.15 - Trave con appoggi e sbalzo dell’Esercizio 7.14. 䡵 a) Trave e carico applicato. 䡵 b) Diagramma di corpo libero. 䡵 c) Diagramma della forza di taglio T.
RA
䡵 d) Diagramma del momento flettente M.
RB
c 7.12 Calcolare le reazioni R1 ed R2 di una trave come quella della Figura A.4.6 dell’Appendice, lunga 5 m e sollecitata da una forza F = 8 kN ↑ applicata in un punto che dista 2 m dal vincolo di sinistra. Valutare l’andamento del taglio T e del momento M e tracciare i relativi diagrammi.
T
! @ M
R1 = 4,8 kN ↓; R2 = 3,2 kN ↓; TAB = – 4,8 kN; TBC = + 3,2 kN; MB = – 9,6 kN⋅m 7.13 Una trave, lunga 6 m, è appoggiata agli estremi, ed è sollecitata da una coppia di momento M = 18 kN⋅m fl applicata in un punto C che dista 4 m dal vincolo di sinistra. Utilizzando lo schema e le equazioni della Figura A.4.8 in Appendice, calcolare le reazioni R1 ed R2, tracciare i diagrammi del taglio T e del momento M, indicandone l’intensità massima Mmax.
x
d
@
Fig. 7.16 - Trave con appoggi e sbalzo dell’Esercizio 7.15. 䡵 a) Trave e carico applicato. 䡵 b) Diagramma di corpo libero. 䡵 c) Diagramma della forza tagliante T. 䡵 d) Diagramma del momento flettente M.
x
165
ESERCIZI PROPOSTI
7.16 La trave di Figura 7.17 sopporta un carico FC = 12 kN concentrato in C ed un carico FD = 6 kN ↓ posto all’estremità dello sbalzo. Dopo aver trovato le reazioni RA ed RB, valutare l’andamento del taglio T e del momento M lungo la trave e tracciare i relativi diagrammi. L’Esercizio proposto è la combinazione dei due Esercizi precedenti: sia le reazioni che i diagrammi si possono ottenere sommando algebricamente le corrispondenti intensità.
posto all’estremità dello sbalzo. Utilizzando i dati acquisiti nel precedente Esercizio 7.16, determinare la posizione del punto E in cui il momento flettente si annulla. CE = 0,75 m 7.18 La trave della Figura 7.18 è soggetta al carico FD = 15 kN ↑. Dopo aver calcolato le reazioni RA ed RB, valutare l’andamento del taglio T e del momento M lungo la trave.
RA = 2,4 kN ↑; RB = 15,6 kN ↑; TAC = + 2,4 kN; TCB = – 9,6 kN; TBD = + 6 kN; MC = + 7,2 kN⋅m; MB = – 12 kN⋅m
a
RA = 5,45 kN ↑; RB = 20,45 kN ↓; TAB = + 5,45 kN; TBD = – 15 kN; MB = + 24 kN⋅m
FC = 12 kN FD = 6 kN
a FD = 15 kN
A
C
B
D C
3m
A
B
D
2m
2m
2m
FC
4,4 m
1,6 m
b FD
b FD
RA RA
c
RB RB
T
c !
!
x
@
d
T
!
M
x
@
d
! C
E
@
x
M
!
Fig. 7.17 - Trave con appoggi e sbalzo dell’Esercizio 7.16. 䡵 a) Trave e carico applicato.
x
䡵 b) Diagramma di corpo libero. 䡵 c) Diagramma del taglio T. 䡵 d) Diagramma del momento M.
Fig. 7.18 - Trave con appoggi e due sbalzi dell’Esercizio 7.18. 䡵 a) Trave e carico applicato. 䡵 b) Diagramma di corpo libero. 䡵 c) Diagramma della forza tagliante T.
7.17 La trave di Figura 7.17 sopporta un carico FC = 12 kN concentrato in C ed un carico FD = 6 kN ↓
䡵 d) Diagramma del momento flettente M.
166
CAPITOLO 7. – TRAVI INFLESSE
7.19 La trave della Figura 7.19 è soggetta al momento MC = 16 kN⋅m fi applicato alla sua estremità sinistra. Dopo aver calcolato le reazioni RA ed RB, valutare l’andamento del taglio T e del momento M lungo la trave. RA = 3,63 kN ↑; RB = 3,63 kN ↓; TAB = + 3,63 kN; MA = MC = – 16 kN⋅m
le reazioni che i diagrammi si possono ottenere sommando algebricamente le corrispondenti intensità. RA = 9,08 kN ↑; RB = 24,08 kN ↓; TCA = 0; TAB = + 9,08 kN; TBD = – 15 kN; MA = MC = – 16 kN⋅m; MB = + 24 kN⋅m
a FD
MC C
A
B
D
a MC 2m C
A
B
4,4 m
1,6 m
D
b 2m
4,4 m
FD
MC
1,6 m
b MC RA RB
c
RB
RA
c T
T
!
! x
x
d M
@
d x
M
@ ! Fig. 7.19 - Trave con appoggi e due sbalzi dell’Esercizio 7.19. 䡵 a) Trave e carico applicato.
x
䡵 b) Diagramma di corpo libero. 䡵 c) Diagramma forza tagliente T.
@
䡵 d) Diagramma del momento flettente M.
Fig. 7.20 - Trave con appoggi e due sbalzi dell’Esercizio 7.20.
7.20 La trave della Figura 7.20 è soggetta al carico FD = 15 kN ↑ ed al momento MC = 16 kN⋅m fi. Dopo aver calcolato le reazioni RA ed RB, valutare l’andamento del taglio T e del momento M lungo la trave. L’Esercizio proposto è la combinazione dei due esercizi precedenti: sia
䡵 a) Trave e carico applicato. 䡵 b) Diagramma di corpo libero. 䡵 c) Diagramma della forza tagliente T. 䡵 d) Diagramma del momento flettente M.
Capitolo 8
8. 1
CINEMATICA
MOTO TRASLAZIONALE 8. 1. 1 Spostamento, velocità e accelerazione La cinematica descrive il movimento dei corpi, associando al concetto di spazio il concetto di tempo, senza tener conto delle forze che sono la causa del moto oppure vengono generate come risultato di questo stesso moto. Nella cinematica del punto, il movimento di un corpo, anche grande come un’automobile, viene esaminato trascurando le sue dimensioni, così come è possibile fare per l’automobile che risulta piccolo rispetto all’autostrada che sta percorrendo: tutto il corpo viene ridotto ad una particella, cioè ad un punto di materia concentrata nel suo baricentro. Al trascorrere del tempo t in secondi [s], il corpo nel suo movimento occupa posizioni successive descrivendo una traiettoria (Fi gu ra 8.1). Quando il corpo descrive una traiettoria rettilinea, il moto si dice traslazionale (o rettilineo), in quanto compie una trasla-
y
P3 (t3)
P2 (t2)
P1 (t1) x
z
Fig. 8.1-a - La fotografia al rallentatore visualizza la traiettoria di una palla che rimbalza sul terreno.
Fig. 8.1-b - La traiettoria è la linea che unisce le successive posizioni occupate dalla particella. La figura mostra un esempio di traiettoria curvilinea con le successive posizioni P1, P2 e P3 occupate negli istanti corrispondenti t1, t2 e t3.
CAPITOLO 8. – CINEMATICA
zione, ad esempio, secondo l’asse x8.1. Nel passare da una posizione a quella successiva il corpo compie uno spostamento in metri [m] (Figura 8.2). t
t0
Origine
x0
Spostamento = ∆x P0
x P
Fig. 8.2-a - Moto di un’automobile lungo un rettilineo. Al tempo t = t0 + ∆t, il corpo, che nell’istante t0 occupava la posizione iniziale P0 di coordinata x0, si è mosso fino alla posizione finale P e la sua coordinata è diventata x = x0 + ∆x. Lo spostamento del corpo, nel moto traslazionale, è la variazione ∆x nella coordinata della posizione durante l’intervallo di tempo ∆t.
La velocità (istantanea) v del corpo è la rapidità con cui lo spostamento [m] cambia con il tempo [s]; essa è una quantità vettoriale e si misura in metri al secondo [m/s]. La velocità media vm del corpo, che nel suo moto lungo una retta è passato dalla posizione di ascissa x0 (occupata al tempo t0) alla posizione x (tempo t), è il rapporto tra lo spostamento ∆x = x – x0 e il corrispondente intervallo di tempo ∆t = t – t0: Spostamento
168
Velocità media =
Spostamento Tempo trascorso
⇒
vm =
∆x x − x0 = ∆t t − t0
8-1
Si consideri, ad esempio, un automobilista che percorre una strada con molte curve lunga 50 km = 50.000 m in 3570 s; la velocità media in m/s oppure in km/h risulta: 50.000 m = 14 m/s 3750 s m m (1 km/1000 m) 3600 km km 14 = 14 = 14 = 14 × 3,6 = 50,5 km/h s s (1 h/3600 s) 1000 h h vm =
Fig. 8.2-b - Anche nel moto cur vilineo, ad esempio la traiettoria in curva di un’automobile da corsa, si definisce lo spostamento s come la distanza più corta tra la posizione iniziale e la posizione finale.
8.1 - Posizione, spostamento, velocità ed accelerazione sono dei vettori. Queste quantità hanno, nel moto rettilineo, direzioni fisse e note in quanto la traiettoria è rappresentata da una retta; occorre
Essendo un valore medio, non si può sapere quanto rapidamente l’automobile si muova in ciascun istante: potrebbe infatti aver raggiunto punte istantanee di 22 m/s (79 km/h) accanto a valori piuttosto bassi di 9 m/s (32 km/h). Facendo tendere a valori via via più piccoli sia l’intervallo di tempo sia il corrispondente spostamento dell’automobile, ad esempio fino
allora precisare soltanto il loro verso e la loro intensità, facendo uso di una quantità scalare, numero algebrico costituito dalla intensità del vettore accompagnata dal segno più oppure meno. Un valore
negativo dell’accelerazione a indica che la velocità v diminuisce; qualche volta si usa il termine decelerazione per indicare a quando il corpo si muove più lentamente.
8.1. – MOTO TRASLAZIONALE
a 0,00001 s e 0,0002 m, si può ricavare il valore della velocità media (0,0002 m / 0,00001 s = 20 m/s) in quel dato intervallo prossimo ad un punto P del percorso dell’automobile; la velocità media si avvicina alla velocità istantanea nel punto P fino a coincidere con essa all’istante considerato, allorché l’intervallo di tempo diventa al limite infinitamente piccolo (e cioè infinitesimo). Il valore della velocità (istantanea) interpreta così la diversa rapidità con cui i due termini del rapporto, spostamento ed intervallo di tempo divengono infinitesimi8.2. L’accelerazione (istantanea) a è la rapidità con cui cambia la velocità [m/s] con il tempo [s]8.2; è un vettore e si misura in metri al secondo quadrato [m/s 2]. Se il corpo passa dalla velocità v0 (quando il tempo vale t0) alla velocità v (in corrispondenza del tempo t), l’accelerazione media am è data dal rapporto tra la variazione di velocità ∆v e il corrispondente intervallo di tempo ∆t: am =
8.2 - La velocità media vm, rapporto tra spostamento ∆x e intervallo di tempo ∆t (8-1), si avvicina sempre di più alla velocità istantanea v allorché sia l’intervallo di tempo ∆t che lo spostamento corrispondente ∆x vengono via via fatti divenire sempre più piccoli. A rigore, la velocità istantanea v all’istante t è il valore limite del rapporto ∆x/∆t nel momento in cui ∆t diviene talmente pic-
∆v v − v0 = ∆t t − t0
colo da svanire (∆t → 0); questo rapporto è, per definizione (dall’analisi matematica), uguale alla derivata della distanza x rispetto al tempo t (dx/dt): v = lim
∆t → 0
∆x dx = ∆t dt
Analogamente, l’accelerazione a all’istante t è il valore limite del rapporto
8-2
∆v/∆t nel momento in cui ∆t diviene talmente piccolo da svanire (∆t → 0); questo rapporto, che, per definizione, è uguale alla derivata della velocità v rispetto al tempo t (dv/dt ), misura la rapidità con cui cambia la velocità v: a = lim
∆t → 0
∆v dv = dt ∆t
Esempio 8.1 Velocità media Di un’automobile sportiva vengono valutate le prestazioni in un circuito di prova su un rettilineo lungo 1000 m (Figura 8.3 ). Determinare: a) la velocità media vm nel caso in cui il tratto del circuito venga percorso verso destra nel tempo t = 10,41 s; b) il tempo impiegato t per percorrere lo stesso tratto, sapendo che la velocità media è risultata vm = – 95,6 m/s.
SOLUZIONE a) Si fissa il senso positivo (§) dell’asse x, che individua il rettilineo lungo il quale corre l’automobile, in modo da attribuire il segno allo spostamento (∆x = + 1000 m). All’inizio del moto, sia il tempo t0 che il tratto percorso x0 sono uguali a zero e la velocità media diviene (8-1): vm =
x − x0 x−0 x + 1000 m = = = = + 96,06 m/s ≈ + 345,8 km/h t − t0 t−0 t 10,41 s
䉳
b) Il segno meno davanti al numero che esprime la velocità media indica che il tratto viene adesso percorso nel senso negativo (verso sinistra); la più bassa velocità (95,6 m/s invece di 96,06 m/s) è dovuta al vento che, questa volta, ostacola il moto. vm =
x t
⇒
t =
x − 1000 m = = 10,46 s − 95,6 m/s vm
䉳
169
170
CAPITOLO 8. – CINEMATICA
a
t0 = 0
t = 10,41 s
Inizio
Fine
Origine
∆x = + 1000 m x
b
t = ?,?? s
t0 = 0
Fine
Inizio
Origine
∆x = − 1000 m
Fig. 8.3 - Moto di un’automobile lungo un rettilineo. 䡵 a) Moto nel senso positivo (verso destra). 䡵 b) Moto nel senso negativo (verso sinistra).
Esempio 8.2 Accelerazione di un aeroplano al decollo Un aeroplano partendo dalla velocità iniziale v0 = 0 al tempo t0 = 0, raggiunge, al momento del decollo (tf = 32 s), la velocità finale vf = + 80 m/s (+ 288 km/h), positiva perché l’aeroplano si sposta nel verso positivo dell’asse e cioè verso destra (Figura 8.4). Determinare: a) l’accelerazione media am; b) le velocità raggiunte dall’aeroplano negli istanti t1 = 1 s, t2 = 2 s e t3 = 3 s.
SOLUZIONE a) Con la 8-2 si calcola l’accelerazione media: am =
v f − v0 t f − t0
=
+ 80 m/s − 0 = + 2,5 m/s 2 32 s − 0
b) Si risolve la 8-2 rispetto alla velocità: v − v0 am = ⇒ v − v0 = am (t − t0 ) ( t − t0 )
⇒
v − 0 = a m (t − 0)
v1 = am⋅t1 = + 2,5 m/s2 × 1 s = + 2,5 m/s = + 9 km/h
䉳
⇒
v = am⋅t 䉳
8.1. – MOTO TRASLAZIONALE
t0
t
am v0
v
Fig. 8.4-a - Un’accelerazione media pari a + 2,5 m/s 2 vuol dire che la velocità dell’aeroplano aumenta di 2,5 m/s (9 km/h) ad ogni secondo.
v2 = am⋅t2 = + 2,5 m/s2 × 2 s = + 5 m/s = + 18 km/h
䉳
2
v3 = am⋅t3 = + 2,5 m/s × 3 s = + 7,5 m/s = + 27 km/h
䉳
Per verifica, si può calcolare, al tempo finale tf , il valore assegnato della velocità vf prima del decollo: vf = am⋅tf = + 2,5 m/s2 × 32 s = 80 m/s = 288 km/h
am = 2,5 m/s2 t0 = 0 v0 = 0
t1 = 1 s v1 = + 2,5 m/s
t2 = 2 s v2 = + 5 m/s
t3 = 3 s v3 = + 7,5 m/s
Fig. 8.4-b - Velocità raggiunte dall’aeroplano negli istanti t1, t2 e t3.
171
172
CAPITOLO 8. – CINEMATICA
8. 1. 2 Equazioni del moto rettilineo ad accelerazione costante Il caso più comune di moto rettilineo ad accelerazione costante8.3 è rappresentato da un corpo che cade liberamente senza incontrare resistenza nell’aria che attraversa. Essendo costante l’accelerazione, il valore istantaneo a coincide con il valor medio am espresso dall’equazione 8-2; si pone, inoltre, il tempo iniziale t0 uguale a zero in modo che t individui un qualsiasi istante successivo. v − v0 v − v0 v − v0 8-3 a = am = = = ⇒ v = v0 + at t − t0 t−0 t Presi x0 posizione iniziale ed x, posizione del corpo al tempo t, la distanza x in funzione della velocità media vm risulta (8-1): vm =
∆x x − x0 x − x0 = = ∆t t−0 t
x − x0 = vmt
⇒
⇒
x = x0 + vmt
Sostituendo in questa equazione a vm l’espressione della velocità media8.4 vm = (v0 + v)/2 valida per un moto ad accelerazione costante (Figura 8.5), si ottiene: x
= x0 +
v0 + v t = 2
x0 +
1 ( v0 + v) t 2
8-4
La distanza coperta x può venire espressa in funzione dell’accelerazione a e del tempo t: x = x0 +
1 1 1 1 [ v0 + v]t = x0 + [ v0 + ( v0 + at )]t = x0 + [2 v0 + at ]t = x0 + v0 t + at 2 2 2 2 2
8-5
Se invece si introduce il tempo trascorso t ricavato dalla 8-3: v − v0 a nella 8-4, si ottiene un’equazione che non contiene il tempo t: v = v0 + at
v + x = x0 + 0 2
v v − v0 v2 − v02 = x0 + 2a a
⇒
x − x0 =
⇒
t =
v2 − v02 2a
⇒
v2 = v02 + 2 a ( x − x0 )
8-6
Ciascuna delle equazioni citate sopra va scelta sulla base dei dati assegnati in modo da ricavare le incognite del problema. Così, se, ad esempio, sono assegnate la velocità v e l’accelerazione a e si vuole ricavare lo spostamento ∆x = x – x0, occorrerà applicare l’equazione 8-6, in cui manca il tempo t. Il moto rettilineo uniforme è un caso particolare del moto ad accelerazione costante in cui il valore dell’accelerazione viene posto uguale a zero; in queste condizioni il corpo si muove con velocità costante. Se nell’equazione 8-5 si pone a = 0 ed anche v = v0, dal momento che la velo-
8.3 - Nel caso del moto rettilineo, si parla di moto ad accelerazione costante oppure di moto uniformemente accelerato anziché di moto uniformemente vario, che era il termine usato in passato per indicare un moto ad accelerazione costante. Nel caso del moto circolare, si parla di moto non uniforme oppure di moto uniformemente accelerato per indicare un moto circolare in cui l’accelerazione tangenziale è costante. 8.4 - L’area sotto il diagramma velocità-tempo rappresenta lo spostamento (Paragrafo 8.1.3). La velocità media, rapporto tra lo spostamento e il tempo trascorso poteva essere ricavata da (Figura 8.5): vm =
Area ABCD + Area BCE v ∆t + (1/ 2)( v − v0 )∆t v +v = 0 = 0 ∆t ∆t 2
8.1. – MOTO TRASLAZIONALE
v
cità è costante, si ottiene la distanza coperta x, a partire dalla posizione iniziale x0:
E
x = x0 + vt
v0 + v 2
v0
oppure
x = vt
>
8-7
Essendo la velocità una costante, lo spostamento ∆x = x – x0 (oppure la distanza x nel caso in cui sia nullo x0) è direttamente proporzionale al tempo t (Appendice A.1.1).
Velocità
vm =
C
B
8. 1. 3 Analisi grafica
D
A t0
t Tempo
In un diagramma posizione-tempo8.5 come quello della Figura 8.6, le successive posizioni x in funzione del tempo t di un corpo che si Fig. 8.5 - Diagramma velocità-tempo per un moto ad accelerazione a costante che muove con velocità costante sono rappresentate, secondo la 8-7, da ha velocità iniziale v0 diversa da zero. una linea retta (relazione detta appunto lineare), la cui pendenza Essendo a costante, ∆v è, per la 8-2, pro∆x/∆t dà, per la 8-1, la velocità media. Allorché la velocità non è più porzionale a ∆t (∆v = a⋅∆t); il diagramma costante ma varia, e quindi il corpo accelera, il diagramma posizionedella velocità è perciò una retta con un 8.4 tempo non è rappresentato da una retta ma da una curva come quella valor medio dato da vm = (v0 + v)/2 . della Figura 8.7. La velocità in un dato istante può essere calcolata misurando la pendenza della curva in quell’istante, pendenza definita dalla tangente alla curva nel punto; in pratica ciò equivale ad eseguire la derivata della funzione che lega la posizione x al tempo t 8.2. Nel diagramma velocità-tempo delle Figure 8.8-a e 8.8-b, lo spostamento ∆x = vm⋅∆t (8-1) è rappresentato dall’area del rettangolo di base ∆t e di altezza vm. Quando la velocità non è costante ma variabile come nel caso della Figura 8.8-c, si può ricavare lo spostamento rappre-
∆x x − x1 +8 m = 2 = = + 4 m/s ∆t t 2 − t1 2s
Posizione x [m]
+ 16 + 12 x2 ∆x = +8m
+8 + 4 x1 0
0
1
3
∆t = 5,0 s
40,0
0
t2 2
∆x = + 26 m
60,0
20,0
∆t = 2 s t1
Tangente
80,0 Posizione x [m]
Pendenza = v =
0
5,0
4
10,0
15,0
20,0
25,0
Tempo t [s]
Tempo t [s]
Fig. 8.6 - Diagramma posizione-tempo x-t per un corpo che si muove, secondo una traiettoria rettilinea, con velocità costante. Avendo posto x0 = 0 all’istante t = 0, la posizione x del corpo coincide con lo spostamento ∆x valutato a partire dall’origine. La velocità è pari a + 4 m/s; essendo costante, la velocità media vm coincide con la velocità istantanea v.
8.5 - Si chiama equazione oraria del moto la relazione che descrive la posizione x in funzione del tempo t: x = f(t).
Fig. 8.7 - Diagramma posizione-tempo x-t per un corpo che si muove, secondo una traiettoria rettilinea, con velocità variabile; la curva è stata tracciata con la 8-5, assumendo a = + 0,26 m/s2, v0 = 0 e x0 = 0. Per determinare la pendenza della tangente in t = 20 s, si costruisce un triangolo usando un intervallo di tempo arbitrario ∆t = 5,0 s; in corrispondenza a questo ∆t si legge sulla figura ∆x = + 26 m. La pendenza della tangente ∆x/∆t = + 26 m/5.0 s = + 5,2 m/s è la velocità istantanea v. Come verifica, si ricavi v con la 8-3 facendo uso dei valori di accelerazione, velocità iniziale e tempo citati: v = v 0 + at = 0 + + 0,26 m/s2 × 20,0 s = + 5,2 m/s.
L’allievo può diagrammare, per esercizio, l’equazione x = 2t in cui la posizione x varia in modo lineare con il
tempo t e l’equazione x = 2t + t 2 in cui invece x varia con il quadrato di t.
173
CAPITOLO 8. – CINEMATICA
sentato dall’area sotto la curva, suddividendo questa area in tante piccole striscie rettangolari aventi per base l’intervallo di tempo ∆t e per altezza la velocità vm (media tra i valori finale ed iniziale nell’intervallo) riportata a metà di ∆t. La somma dei singoli spostamenti dà lo spostamento totale: ∆ x 1 + ∆ x 2 + ∆ x 3 + … = v m1 ⋅ ∆ t 1 + + vm 2⋅∆t2 + vm3⋅∆t3 + … Prendendo degli intervalli sempre più piccoli, il calcolo diviene via via più accurato; in pratica ciò equivale ad approssimare l’operazione di integrazione con cui si fanno tendere a zero gli intervalli ∆t.
v va ∆xa = ∆t⋅va t
∆t Tempo
v Velocità
b
vb
∆xb = ∆t⋅vb 0
La pendenza della curva nel diagramma velocità-tempo dà, per la 8-2, l’accelerazione istantanea, corrispondente ad am = ∆v/∆t per ∆v e ∆t molto piccoli. Nel caso di accelerazione nulla, la velocità è costante e quindi la retta, che la rappresenta, è orizzontale, cioè ha pendenza uguale a zero (Figura 8.9-a). Se invece l’accelerazione è costante (Figura 8.9-b), la pendenza della linea della velocità in funzione del tempo si conserva inalterata; la Figura 8.9-c mostra un esempio di determinazione grafica dell’accelerazione. Quando infine la velocità è variabile (Figura 8.9-d), l’accelerazione istantanea a, analogamente a quanto avviene per la velocità sulla curva posizione-tempo, si ottiene tirando la tangente alla curva velocità-tempo nel punto voluto8.2.
t
∆t Tempo
c
v vm
0 ∆t1
t
∆t3 ∆t2
∆x
∆t/2 ∆t
Tempo
Fig. 8.8 - Diagrammi della velocità v in funzione del tempo t nel moto rettilineo; l’area del rettangolo, quando la velocità è costante, oppure l’area sotto la curva, quando la velocità è variabile, dà lo spostamento ∆x. 䡵 a) Velocità elevata va costante. 䡵 b) Velocità bassa vb costante. 䡵 c) Velocità variabile.
a Velocità v
Pendenza =
∆v =0 ∆t
b
Pendenza = Velocità v
0
∆v = costante ∆t
∆v ∆t
0
c
0
Tempo t
d
Velocità v [m/s]
+ 36 ∆v = + 12 m/s
+ 24 ∆t = 2 s + 12
Pendenza =
∆v ∆t
0 1
2 3 Tempo t [s]
∆v , non costante ∆t Tangente
v0 = + 5 m/s 0
Tempo t
Velocità v
Velocità
a
Velocità
174
4
5
0
Tempo t
Fig. 8.9 - Diagramma velocità-tempo: l’accelerazione a è la pendenza della curva della velocità v in funzione del tempo t. 䡵 a) Accelerazione uguale a zero. 䡵 b) Accelerazione costante positiva in quanto la velocità aumenta in modo costante al crescere del tempo; è una situazione analoga a quella della Figura 8.5. 䡵 c) Esempio di determinazione dell’accelerazione dalla pendenza della linea: Pendenza = a = ∆v/∆t = (+ 12 m/s )/2 s = + 6 m/s2. L’equazione della velocità è v = 5 + 6t con v0 = + 5 m/s per t = 0. 䡵 d) Accelerazione variabile.
8.1. – MOTO TRASLAZIONALE
Esempio 8.3 Treno tra due stazioni B
Velocità [m/s]
30
La Figura 8.10 mostra il diagramma velocità–tempo di un treno che si muove tra due stazioni. Determinare:
C
a) lo spostamento complessivo; 20
b) le accelerazioni.
10
A
E
F
SOLUZIONE
D
0 100
200
300
400
500
600
a) L’area sotto il diagramma della Figura 8.10, somma delle aree del triangolo ABE, del rettangolo BCFE e del triangolo CDF, rappresenta (Paragrafo 8.1.3) lo spostamento ∆x, distanza coperta dal treno tra le due stazioni:
Tempo [s]
Fig. 8.10 - Diagramma velocità-tempo di un treno che si muove tra le due stazioni dell’Esempio 8.3.
∆x =
30 m/s × 200 s 30 m/s × 100 s + (30 m/s × 300 s) + = 13.500 m 2 2
䉳
b) La pendenza del diagramma velocità-tempo dà (Paragrafo 8.1.3) l’accelerazione a; sulla Figura 8.10 l’accelerazione media è positiva all’inizio (AB), nulla nel tratto centrale (BC ) e negativa alla fine (CD), poiché in quest’ultimo tratto la velocità finale in D è inferiore a quella iniziale in C (8-2): am
= AB
+ 30 m/s = + 0,3 m/s 2 100 s
am
= BC
0 =0 300 s
am
= CD
− 30 m/s = − 0,15 m/s2 200 s
䉳
Esempio 8.4 Tempo in un moto ad accelerazione costante Un’automobile attraversa con la velocità iniziale v0 = + 12 m/s una prima striscia bianca tracciata su un rettilineo che dista x0 = + 50 m dal punto di partenza. Prosegue con l’accelerazione costante a = + 2 m/s2 fino ad attraversare una seconda striscia, che dista x = + 270 m dal punto di partenza. Calcolare il tempo t impiegato dall’automobile per passare dalla prima alla seconda striscia.
SOLUZIONE Si sostituiscono nella 8-5 i valori di accelerazione, velocità e spostamento x – x0 = + 270 m – 50 m = + 220 m e si risolve (A.1-2 a pag. 466) l’equazione di secondo grado rispetto al tempo t: x = x0 + v0t +
1 2 at 2
⇒
1 2 at + v0t + x0 − x = 0 2
1 (2 m/s 2 )⋅t 2 + (12 m/s)⋅t − 220 m = 0 2 t =
⇒
⇒
1 2 at + v0t − ( x − x0 ) = 0 2
1⋅t 2 + 12⋅t − 220 = 0
− ( + 12) ± 12 2 − 4 × ( + 1) × ( − 220) − 12 ± 144 + 880 1024 = = −6 ± = − 6 ± 16 s 2 × ( + 1) 2 2
Si ottengono due valori del tempo: 10 s e – 22 s; scartando il tempo negativo che non ha significato dal punto di vista fisico, si ricava il tempo necessario per passare dalla prima alla seconda striscia: t = 10 s
䉳
175
CAPITOLO 8. – CINEMATICA
Esempio 8.5 Accelerazione di gravità Nel vuoto, dove manca la resistenza dell’aria, tutti i corpi nella stessa posizione rispetto alla terra cadono verticalmente con un’accelerazione costante; si tratta dell’accelerazione di gravità, orientata verso il basso in direzione del centro della terra e di intensità media g = 9,81 m/s2. Immaginando di lasciare cadere (Figura 8.11) una pietra dalla sommità di una torre alta 128 m e che la resistenza dell’aria si possa trascurare, si chiedono: a) le distanze verticali y percorse nei primi due secondi della caduta della pietra; b) le velocità v nei primi due secondi; c) la velocità finale vf e il tempo tf impiegato dalla pietra per toccare il suolo.
SOLUZIONE a) Il moto avviene lungo l’asse verticale y, che nelle equazioni del moto del Paragrafo 8.12, prende il posto dell’asse orizzontale x. È un moto con accelerazione costante a = − g = − 9,81 m/s2; l’accelerazione di gravità è negativa in quanto, essendo diretta verso il basso, ha senso opposto al verso positivo dell’asse y. Al tempo t = 0, posizione e velocità iniziali sono nulle: y0 = 0 e v0 = 0. Con la 8-5, si ricavano, agli istanti t1 = 1 s e t2 = 2 s, le posizioni y1 ed y2, anch’esse negative essendo orientate in senso opposto al verso positivo di y:
y = y0 + v0t −
1 2 1 1 gt = 0 + 0⋅t − gt 2 = − gt 2 2 2 2
⇒
y = −
1 2 1 gt = − (9,81 m/s 2 )t 2 = ( − 4,9 m/s 2 ) t 2 2 2
y1 = ( − 4,9 m/s 2 )⋅t12 = ( − 4,9 m/s 2 ) × (1 s)2 = ( − 4,9 m/s 2 ) × (1 s 2 ) = − 4,9 m
䉳
y2 = ( − 4,9 m/s 2 )⋅t22 = ( − 4,9 m/s 2 ) × (2 s)2 = ( − 4,9 m/s 2 ) × (4 s 2 ) = − 19,6 m
䉳
a
b
+y v0 = 0
Ο
y
v
0s
0m
0 m/s
1s
4,9 m
9,8 m/s
2s
19,6 m
19,6 m/s
3s
44,1 m
29,4 m/s
4s
78,4 m
39,2 m/s
−y t=3s v
h = – 128 m
176
Fig. 8.11 - Caduta di una pietra dall’alto di una torre. 䡵 a) Dati dell’Esempio. 䡵 b) Spostamenti y e velocità v della pietra che cade nei primi quattro secondi.
8.1. – MOTO TRASLAZIONALE
b) Le velocità v1 e v2 della pietra agli istanti t1 = 1 s e t2 = 2 s dalla caduta si ricavano con la 8-3 dove si pone a = − g: v = v0 − gt = 0 − gt = − gt ⇒ v = − gt ⇒ v = (– 9,81 m/s2)⋅t v1 = (– 9,81 m/s2)⋅t1 = (– 9,81 m/s2) × (1 s) = – 9,81 m/s 2
䉳
2
v2 = (– 9,81 m/s )⋅t2 = (– 9,81 m/s ) × (2 s) = – 19,62 m/s
䉳
c) Nella risposta precedente (b), si è visto che la velocità di caduta v della pietra all’istante t è rappresentata da v = − gt. Nella risposta alla prima domanda (a), si era invece ottenuta la posizione y rag 1 giunta dalla pietra all’istante t: y = − gt 2. Si ricavi il tempo t da questa equazione: 2 t2 = −
2 y g
t =
⇒
−
2 y g
e lo si sostituisca nella espressione della velocità di caduta: v = − gt = − g −
2 2 y = − − g 2 y = − − 2 gy g g
Allorché la pietra tocca il suolo ha raggiunto la posizione finale yf = − h: l’ordinata h è negativa perché (Figura 8.11-a) il verso positivo dell’asse y è orientato verso l’alto8.6; l’espressione sotto radice è perciò positiva: − 2gyf = 2gh . Il segno meno, davanti alla radice, indica che anche la velocità di caduta è negativa: è infatti diretta verso il basso. La velocità finale vf , velocità raggiunta dalla pietra corrispondente alla quota h = 128 m, vale: v f = − 2 gh = − 2 × 9,81 m/s 2 × 128 m = − 2511 m 2 /s 2 = − 50,1 m/s
䉳
A prescindere dal segno della velocità, questa formula che dà la velocità v di un corpo che cade sotto l’azione della gravità è nota come formula di Torricelli: v=
2gh
8-8
Allo stesso risultato si poteva pervenire facendo uso dell’equazione 8-6 che, nel caso del moto considerato, diviene: v2f = v20 − 2g (y − y0) = 0 + 2gh. Questa equazione presenta il vantaggio di non avere il tempo t; purtroppo contiene il quadrato della velocità v2f e quindi è in grado di fornire il modulo |vf | della velocità finale della pietra, modulo a cui solo successivamente si può attribuire un segno sulla base del segno negativo della velocità evidenziato dalla risposta alla seconda domanda (b): v = − gt. vf =
2 gh =
2 × 9,81 m/s 2 × 128 m =
2511 m 2 /s 2 = 50,1 m/s
⇒
v f = − 50,1 m/s
Sostituendo infine la velocità vf = − 50,1 m/s nell’equazione v = − gt, si ottiene il tempo tf impiegato dalla pietra per toccare il suolo: t = −
8.6 - Si potrebbe assumere, come fanno alcuni autori, un’accelerazione avente lo stesso verso dell’accelerazione di gravità (a = g) nel moto discendente e
v g
⇒
tf = −
( − 50,1 m/s) = 5,1 s 9,81 m/s 2
avente verso opposto (a = − g) nel moto ascendente: l’asse y risulta cioè orientato verso il basso nel moto discendente e verso l’alto quando il moto è ascendente.
Tale approccio viene tuttavia sconsigliato perché non coerente con la convenzione abituale: verso positivo dell’asse y orientato verso l’alto.
䉳
177
178
CAPITOLO 8. – CINEMATICA
COMMENTI Le velocità v sono proporzionali ai tempi t (v = − gt), mentre le posizioni y variano con il quadrato dei 1 tempi t: y = − gt 2. Se, ad esempio, il tempo viene triplicato, la velocità viene anch’essa triplicata, 2 mentre la posizione viene aumentata di ben 9 volte (Figura 8.11-b). Dopo appena 2 s, per l’elevato valore dell’accelerazione di gravità (9,81 m/s2), la velocità della pietra arriva a 19,6 m/s (70,6 km/h); ad esempio, l’accelerazione di un’automobile si aggira attorno a valori più bassi: 2 m/s2. La formula di Torricelli v = 2gh indica che la velocità di caduta nel vuoto v dipende solo dall’accelerazione di gravità g e dall’altezza di caduta h, mentre non dipende né dalla forma né dalla massa m del corpo, caratteristiche che non figurano nella formula. Ne segue che tutti i corpi, lasciati cadere nel vuoto dalla stessa altezza h, raggiungono il suolo con la stessa velocità di caduta v e nello stesso tempo t, a causa della proporzionalità tra velocità v e tempi t (v = − gt con − g costante di proporzionalità).
Esempio 8.6 Moto relativo La portaerei B si muove con la velocità VB = 8 m/s ↑ (direzione Nord) relativa ad un osservatore fisso con la terra. Con il radar, la portaerei determina la velocità dell’aeroplano A, che risulta avvicinarsi con la velocità VA/B = 160 m/s 6 45° (direzione Nord-Est) relativa alla portaerei. Calcolare intensità e direzione della velocità VA dell’aeroplano relativa ad un osservatore fisso con la terra.
SOLUZIONE Rispetto ad un osservatore fermo, una persona, che cammina su un tappeto mobile, si muove con una velocità insolitamente elevata in quanto alla velocità propria del camminare occorre sommare quella con cui scorre il tappeto. Allo stesso modo se un treno B si muove con la velocità assoluta VB rispetto al riferimento fisso, rappresentato ad esempio da un punto sul terreno, il passeggero A cammina sul treno con la velocità relativa (al treno) VA/B, ma, per il riferimento fisso, si muove con la velocità assoluta VA (Figura 8.12-a): VA = VB + VA/B
8-9
Così, nell’esempio, il vettore velocità VA dell’aeroplano A rispetto al riferimento fisso, rappresentato dal punto O origine degli assi x e y, è la somma dei vettori VB e VA/B (Figura 8.12-b); l’intensità vA e la direzione α si ottengono considerando le componenti lungo x e y (Figura 2.16-a e Tabella IV di copertina): vA/B = vA/B cos 45° = 160 m/s × 0,707 = + 113,1 m/s
vA/B
x
vB
vA
vA =
x
y
= vA/B sen 45° = 160 m/s × 0,707 = + 113,1 m/s
=0
vB
= 0 + 113,1 m/s = 113,1 m/s
vA
x
y
y
(113,1 m/s)2 + (1211 , m/s)2 = 165,7 m/s
= + 8 m/s
= + 8 m/s + 113,1 m/s = 1211 , m/s
1211 , m/s α = arctan = 47° 113,1 m/s
䉳
8.1. – MOTO TRASLAZIONALE
vA / B = + 2 m/s
B
vB = + 18 m/s
A
a
VA /B
VB
Osservatore fisso sul terreno vA = + 20 m/s
b
N O
E S
VA / B VB
B A
O VB
VA
VA / By
α = 47°
VA /Bx
Fig. 8.12 - Moto relativo. 䡵 a) Per il riferimento fisso, rappresentato da un osservatore fermo sul terreno, la velocità VA del passeggero A, che cammina su un treno in corsa, è pari alla somma della velocità del passeggero relativa al treno VA/B e della velocità VB del treno B: vA = + 2 m/s + + 18 m/s = + 20 m/s. 䡵 b) Posizione dell’aeroplano A rispetto alla portaerei B dell’Esempio 8.6; l’osservatore fisso con la terra si trova nel punto O.
179
180
CAPITOLO 8. – CINEMATICA
8. 2
MOTO ROTAZIONALE Come nel moto traslazionale si è esaminata la variazione dello spostamento del corpo lungo una retta, ad esempio le direzioni x oppure y, in funzione del tempo, così nel moto rotazionale8.7 il movimento viene descritto mediante una variazione dell’angolo. Ponendo in rotazione la ruota di una bicicletta attorno al suo asse fisso passante per O (Figura 8.13-a), l’angolo α esprime la posizione angolare di un punto sulla ruota di raggio r rispetto ad una linea di riferimento, assunta come origine per la misura degli angoli. Allorché la ruota si muove, il raggio r passa (Figura 8.13-b) dal suo orientamento iniziale in corrispondenza dell’angolo α 0 all’orientamento finale in corrispondenza dell’angolo α: l’angolo al centro del settore spazzato dal raggio è lo spostamento angolare ∆α = α – α 08.8 che, per convenzione, viene assunto positivo quando, come nel caso della figura, risulta di senso antiorario. Lo spostamento angolare si misura in radianti [rad], numero senza dimensioni rapporto tra la lunghezza dell’arco s e la lunghezza del raggio r 8.9:
α [rad] =
s Lunghezza dell’arco = r Raggio
8-10
r
s
α O
Fig. 8.13-a - Ruota posteriore di una bicicletta posta in rotazione attorno all’asse fisso passante per il centro O.
8.7 - Il moto rotazionale riveste una particolare importanza nel caso del corpo rigido, quel corpo cioè che, messo in rotazione, ruota senza alcuna deformazione cosicché ciascuna parte dell’oggetto continua a mantenere le stesse distanze rispetto a tutte le altre parti. 8.8 - Lo spostamento angolare ∆α = α – α0 coincide con α allorché, al
tempo t = 0, si ponga uguale a zero l’angolo iniziale α0. 8.9 - Il radiante (Paragrafo 1.12) è una grandezza supplementare del sistema SI in quanto completa questo sistema pur non rientrando nel gruppo delle grandezze fondamentali. Il radiante è una grandezza senza dimensioni, cioè un puro numero in quanto è determinato dal
rapporto tra due lunghezze (lunghezza dell’arco di cerchio s e lunghezza del raggio r). Si passa dalla misura dell’angolo in radianti a quella tradizionale espressa in gradi con un fattore di conversione (Tabella I di copertina) basato sul fatto che un angolo di π radianti equivale a un angolo di 180° (π rad = 180°); un giro completo viene perciò espresso o da 2π radianti oppure da 360°.
8.2. – MOTO ROTAZIONALE
La velocità angolare istantanea ω [rad/s] esprime la rapidità con la quale, in un dato istante, gli angoli vengono percorsi dal raggio r che ruota; in accordo con la convenzione di segno adottata per lo spostamento angolare, la velocità angolare risulta positiva quando la rotazione è antioraria, mentre è negativa quando la rotazione è oraria. La velocità angolare media ωm è il rapporto tra lo spostamento angolare e il tempo trascorso durante il quale è avvenuto quello spostamento: Velocità angolare media =
Spostamento angolare Tempo trascorso
Se n è il numero di giri al secondo [giri/s], allora la velocità angolare ω, sapendo che un giro corrisponde a 2π radianti8.8, vale: giri rad ω = n × 2π = 2π n [rad/s] = 2π n s giro
y
α r O
s ∆α
α0
x Linea di riferimento
z Asse di rotazione
Fig. 8.13-b - Lo spostamento angolare ∆α definito come differenza tra l’angolo α corrispondente all’orientamento finale del raggio r e l’angolo α0 corrispondente all’orientamento iniziale del raggio r. Per convenzione, lo spostamento angolare è positivo quando è in senso antiorario e negativo quando è orario.
8-11
L’accelerazione angolare ε [rad/s2] è la rapidità con cui cambia nel tempo la velocità angolare; ad esempio, un’accelerazione angolare di 5 rad/s2 significa che la velocità angolare dell’oggetto che ruota cambia di 5 radianti al secondo durante ciascun secondo di accelerazione. La descrizione del moto rotazionale richiede la conoscenza dei valori delle quantità cinematiche angolari: spostamento angolare ∆α = α – α 0, velocità angolare finale ω, velocità angolare iniziale ω 0, accelerazione angolare ε e tempo trascorso t. Poiché queste quantità corrispondono alle quantità cinematiche lineari (Tabella 8.1), si possono scrivere, per un moto ad accelerazione angolare costante, delle relazioni analoghe a quelle del moto traslazionale mediante le sostituzioni: α → x, ω → v, ε → a, così come riportato nella Tabella 8.2. Al pari della velocità e dell’accelerazione lineari, le quantità angolari sono dei vettori, aventi cioè oltre all’intensità, oggetto delle equazioni precedenti, una direzione che è perpendi-
Tabella 8.1 Corrispondenza tra quantità lineari della cinematica traslazionale e quantità angolari della cinematica rotazionale Quantità Spostamento Velocità iniziale Velocità finale Accelerazione Tempo
Moto traslazionale
Moto rotazionale
∆x = x – x0 v0 v a t
∆α = α – α0 ω0 ω ε t
181
182
CAPITOLO 8. – CINEMATICA
Tabella 8.2 Principali equazioni del moto traslazionale e del moto rotazionale Moto traslazionale
Moto rotazionale
vm =
∆x x − x0 = ∆t t − t0
8-1
ω m=
∆α α − α0 = ∆t t − t0
8-1′
a m=
∆v v − v0 = ∆t t − t0
8-2
ε m=
∆ω ω − ω0 = ∆t t − t0
8-2′
v2 = v02 + 2a ( x − x0 )
8-6
ω 2 = ω 02 + 2ε (α − α 0 )
8-6′
v = v0 + at
8-3
ω = ω 0 + εt
8-3′
1 ( v0 + v)t 2
8-4
α = α0 +
1 2 at 2
8-5
α = α 0 + ω 0t +
x = x0 +
x = x0 + v0t +
1 (ω 0 + ω )t 2 1 2 εt 2
8-4′
8-5′
colare al piano dove avviene il moto; il verso della velocità angolare ω viene definito mediante la regola della mano destra (Figura 8.14), mentre il verso dell’accelerazione ε è quello stesso di ∆ω, vettore che esprime il cambiamento della velocità angolare.
ω Mano destra
Mano destra
ω
Fig. 8.14 - Il vettore velocità angolare ω di un corpo che ruota è diretto lungo il suo asse di rotazione. Regola della mano destra: abbracciando l’oggetto che ruota con le quattro dita dirette secondo il senso di rotazione, il pollice steso indica il verso del vettore: verso l’alto per rotazione antioraria e verso il basso per rotazione oraria.
Esempio 8.7 Moto della ruota di un’automobile La ruota di un’automobile rallenta, con accelerazione angolare costante, passando dalla velocità iniziale ω 0 = 80 rad/s, in corrispondenza del tempo t0 = 0, alla velocità finale ω = 40 rad/s, in un tempo t = 4 s (Figura 8.15-a). Determinare: a) l’accelerazione angolare ε della ruota; b) lo spostamento angolare ∆α e il numero di giri N compiuto dalla ruota; c) la distanza s coperta dalla vettura, sapendo che il raggio di rotolamento della ruota vale r = 0,30 m.
8.3. – MOTO CIRCOLARE
a
t0 = 0 0 = 80 rad/s
t=4s = 40 rad/s
Distanza coperta B
b
A
s r A
B d=s
Fig. 8.15 - 䡵 a) Moto rotazionale della ruota dell’automobile descritta nell’Esempio 8.7. 䡵 b) Se il pneumatico rotola e non slitta, la distanza d coperta è uguale alla lunghezza dell’arco circolare s misurata lungo la sua periferia.
SOLUZIONE a) Essendo il moto con accelerazione costante, l’accelerazione angolare media εm della ruota coincide con l’accelerazione istantanea ε (8-2′ ):
ε = εm =
40 rad/s − 80 rad/s ω − ω0 = = − 10 rad/s 2 t − t0 4s−0
䉳
b) Lo spostamento angolare della ruota ∆α = α – α0 vale (8-5′ ):
α = α 0 + ω 0t +
1 2 εt 2
⇒
∆α = α − α 0 = ω 0t +
1 2 εt 2
( − 10 rad/s 2 ) × (4 s)2 = 240 rad 䉳 2 Sapendo che un angolo di 2π radianti corrisponde ad un giro, il numero di giri N compiuto dalla ruota è dato da: 240 rad N = = 38, 197 giri ≈ 38 giri 䉳 2π rad/giro ∆α = 80 rad/s × 4 s +
c) La distanza s coperta dall’automobile (Figura 8.15-b) è la lunghezza dell’arco, prodotto (8-10) del raggio di rotolamento r = 0,30 m per lo spostamento angolare di 240 rad, calcolato sopra:
α =
8. 3
s r
⇒
s = rα = 0,30 m × 240 rad = 72 m
䉳
MOTO CIRCOLARE: RELAZIONI TRA QUANTITÀ LINEARI E ANGOLARI Nel moto circolare uniforme il corpo, nella sua traiettoria, descrive una circonferenza di raggio r con una velocità costante v tangente in ogni istante alla circonferenza (Figura 8.16-a). Questa velocità tangenziale (o periferica), pur mantenendo la stessa intensità, ha perciò dire-
183
184
CAPITOLO 8. – CINEMATICA
a
b
O r
α P
C
V al tempo t
c
V ac
r C
Fig. 8-16 - 䡵 a) Il movimento di un modellino di aeroplano che vola con una velocità costante (in intensità ma non in direzione) costituisce un esempio di moto circolare uniforme. 䡵 b) Per un corpo che si muove di moto circolare uniforme il vettore velocità V risulta sempre tangente alla circonferenza descritta cambiando così direzione in ogni istante del moto. 䡵 c) Nel moto circolare uniforme, proprio a causa della variazione della direzione della velocità v, nasce un’accelerazione centripeta ac. La presenza dell’accelerazione centripeta è perciò il principale elemento che distingue il moto circolare uniforme dal moto rettilineo uniforme.
zioni sempre diverse, dovendo in ogni punto mantenersi tangente alla circonferenza (Figura 8.16-b). Tale variazione di direzione, che fa sì che nell’intervallo di tempo ∆t il vettore velocità cambi di ∆V, determina, per la 8-2, il sorgere di una accelerazione normale o centripeta ac, perché diretta verso il centro della cerchio8.10 (Figura 8.16-c), la cui intensità è data da (Figura 8.17): ac =
v2 r
8-12
L’intensità v della velocità tangenziale aumenta con l’aumentare della distanza della particella dal centro della circonferenza; se infatti si considera la fila di pattinatori della Figura 8.18-a, si osserva che, tanto più ciascun pattinatore si trova distante dal pattinatore fisso che fa da perno, tanto maggiore risulta v in modo da mantenere in linea i diversi pattinatori. Perciò, assunta una data velocità angolare ω della semiretta imperniata sul pattinatore fisso (è il raggio ruotante della figura disegnata dai pattinatori), la velocità tangenziale v risulta direttamente proporzionale al raggio r, mentre nel tempo t il pattinatore si è spostato dell’angolo α (Figura 8.18-b). Si può calcolare la distanza s coperta dal pattinatore lungo l’arco circolare mediante la 8-10 (s = rα), purché l’angolo α sia misurato in radianti. Dividendo ambedue i membri di questa equazione per
8.10 - La velocità angolare ω che figura nell’espressione della velocità tangenziale v = rω oppure in quella della accelerazione centripeta ac = rω 2 va espressa
soltanto in radianti al secondo [rad/s] e non in altre unità in quanto è stata derivata dalla def inizione di radiante: s = rα . Analogamente, nell’espressione
dell’accelerazione tangenziale a = rε , possono essere utilizzati soltanto i radianti per la misura dell’accelerazione angolare ε [rad/s2].
8.3. – MOTO CIRCOLARE
VP
a
VP
b
P
VQ
c
P Q ∆
r
VP VQ
r
O
r
O
O
e
V
d
ac VP
r
∆s ∆V ∆ VQ
– VP
∆V
O
Fig. 8.17 - Moto circolare uniforme con determinazione dell’accelerazione centripeta. Calcolo dell’accelerazione centripeta. – Per la definizione di radiante (8-10) l’angolo ∆α tra VP e VQ è il rapporto tra la lunghezza ∆s v∆ t = . dell’arco ∆s e il raggio r; ma la lunghezza dell’arco è il prodotto della velocità v per l’intervallo di tempo ∆t: ∆α = r r Al divenire sempre più piccolo di ∆α, l’intensità del vettore ∆V, indicata con ∆V , approssima la lunghezza dell’arco ∆s ∆V ≈ ∆s
(
ottenuto facendo ruotare un vettore di intensità VP dell’angolo ∆α; l’angolo ∆α può allora essere espresso dal rapporto ∆α ≈ Essendo costante l’intensità v della velocità ∆α ≈
∆V v
⇒
(V
P
)
)
∆V VP
.
= VQ = v perché il moto è uniforme, si può scrivere:
∆V ≈ v∆α
L’intensità ∆a m dell’accelerazione media vale (8-2): ∆ a m =
∆V ∆t
=
v∆α ∆t
v∆ t v2 , si ottiene la 8-12: ac = . r r Direzione dell’accelerazione centripeta. – La velocità, pur mantenendo la stessa intensità, ha direzioni sempre diverse, dovendo in ogni punto mantenersi tangente alla circonferenza. Tale variazione di direzione fa sì che nell’intervallo di tempo ∆t la velocità cambi di ∆V = VP – VQ . Dopo aver traslato i due vettori VP e VQ in un’origine comune, si osserva che, al diminuire di ∆t, i punti P e Q si accostano determinando la progressiva riduzione di ∆α. Quest’angolo può divenire talmente piccolo da far risultare paralleli e quindi uguali i due vettori Vp ≈ VQ ≈ V; di conseguenza la loro differenza ∆V diviene perpendicolare ad ambedue i vettori. Al limite per ∆t che tende a zero, ∆V risulta perpendicolare a V; quindi l’accelerazione istantanea ac, che ha la stessa direzione e lo stesso verso di ∆V, risulta diretta radialmente verso il centro del cerchio. 䡵 a) Il vettore velocità istantanea VP nel punto P di una particella che si muove lungo una traiettoria circolare. 䡵 b) In un tempo successivo il vettore velocità istantanea si è spostato nel punto Q dando luogo alla velocità VQ . 䡵 c) I due vettori VP e VQ vengono traslati nella stessa origine per poterli confrontare. 䡵 d) Se ∆α diviene sempre più piccolo fino a tendere a zero, il vettore differenza ∆V = VP – VQ diviene perpendicolare sia a VP che a VQ ; esso inoltre approssima la lunghezza dell’arco ∆ s = v ⋅∆α . 䡵 e) La particella ha la velocità istantanea V tangente alla circonferenza e una accelerazione centripeta ac diretta verso il centro O del cerchio di raggio r. Sostituendo in questa equazione il valore di ∆α ricavato nella prima equazione: ∆α =
il tempo t e tenendo presente che ∆s/∆t (8-1) è la velocità tangenziale v [m/s], mentre ∆α/∆t (8-1′) è la velocità angolare del raggio ruotante [rad/s], si vede che la velocità tangenziale v, per una data velocità angolare ω = 2π n (8-11), è direttamente proporzionale al raggio r (oppure al diametro d = 2r): s = r ⋅α
⇒
(∆s/∆t) = r⋅(∆α /∆t)
⇒
v = ωr
oppure
v = 2π rn = π dn
8-13
185
186
CAPITOLO 8. – CINEMATICA
a
b V
s Pattinatore fisso o perno
α
Pattinatore fisso o perno
r
Fig. 8.18 - 䡵 a) Figura eseguita da pattinatori che ruotano attorno a uno di loro fisso, perno della rotazione. La velocità tangenziale V di ciascun pattinatore è rappresentata da un vettore tangente al relativo arco descritto dal pattinatore. 䡵 b) Nel tempo t, la linea dei pattinatori ruota dell’angolo α ; un pattinatore che si trova alla distanza r dal pattinatore fisso, che fa da perno, percorre la distanza s su un arco di cerchio.
L’accelerazione centripeta ac (8-12) può essere riscritta in funzione della velocità angolare ω 8.9 mediante la 8-13: ( rω ) 2 r 2ω 2 v2 ac = 8-12′ = = = ω 2r r r r Nel moto circolare uniformemente accelerato il corpo percorre una traiettoria circolare con accelerazione tangenziale costante diversa da zero, come conseguenza di un cambiamento della velocità tangenziale che fa sì che il moto circolare non sia più uniforme8.3. L’accelerazione tangenziale (o periferica) a [m/s2] è legata all’accelerazione angolare ε [rad/s2]8.9 del raggio ruotante r [m] da una formula analoga a quella della velocità tangenziale v (8-13): a = εr
8-14
con le intensità a, ε ed r non accompagnate da alcun segno algebrico (+ oppure –). Nel moto circolare uniformemente accelerato la velocità tangenziale v cambia non solo in direzione, come avveniva già prima per il moto circolare uniforme, ma anche come intensità e quindi la particella (Figura 8.19) viene assoggettata simultaneamente a due componenti di accelerazione: l’accelerazione centripeta ac, presente prima, e l’accelerazione tangenziale a, presente adesso come risultato della variazione dell’intensità di V. a
b ac + a
a
β ac r
ac r
Fig. 8.19 - Modellino di aeroplano che vola trattenuto da un filo. 䡵 a) Esempio di moto circolare uniforme nel caso in cui l’intensità v della velocità tangenziale sia costante. 䡵 b) Esempio di moto circolare uniformemente accelerato nel caso in cui l’intensità v della velocità tangenziale cambi generando un’accelerazione tangenziale a che si aggiunge all’accelerazione centripeta ac.
8.4. – SOMMARIO
Esempio 8.8 Moto della pala di un elicottero La pala di un elicottero, che all’inizio del moto (t0 = 0) è ferma, raggiunge, con un’accelerazione angolare costante, una velocità di rotazione finale n = 420 giri/min nel tempo t = 5 s. Determinare:
2 1
3m
a) velocità angolare finale ω e accelerazione angolare ε
6,7 m
b) velocità v e accelerazione a tangenziali nei due punti della pala posti a 3,0 m e 6,7 m dall’asse di rotazione (Figura 8.20).
SOLUZIONE
Fig. 8.20 - Pala dell’elicottero dell’Esempio 8.8 con i punti ��� e ��� rispetto ai quali viene calcolata la velocità e l’accelerazione tangenziali.
a) Si converte la velocità di rotazione n da giri/min a giri/s (Tabella I di copertina), si calcola con la 8-11 la velocità angolare finale ω e con la 8-2′ l’accelerazione angolare ε che, essendo il moto angolare ad accelerazione costante, coincide con l’accelerazione media. n=
420 giri/min = 7 giri/s 60 s/min
䉳
ω = 2πn = 2 × π × 7 giri/s = 43,98 rad/s ≈ 44 rad/s
ε = εm =
44 rad/s − 0 ω − ω0 = = 8,8 rad/s 2 t − t0 5s−0
䉳
b) Le velocità e le accelerazioni tangenziali nei due punti della pala si calcolano rispettivamente con la 8-13 e con la 8-14: Punto 1: Punto 2:
v = ω r = 44 rad/s × 3,0 m = 132 m/s v = ω r = 44 rad/s × 6,7 m = 295 m/s
a = ε r = 8,8 rad/s2 × 3,0 m = 26,4 m/s2 2
2
a = ε r = 8,8 rad/s × 6,7 m = 59,0 m/s
䉳 䉳
COMMENTI Al contrario di quanto avviene per le quantità angolari ω ed ε che descrivendo il movimento dell’intero corpo hanno un unico valore, le quantità tangenziali v ed a descrivono soltanto il movimento di un singolo punto del corpo e quindi i due punti diversi della pala, situati a due distanze r diverse, danno luogo a valori diversi della velocità tangenziale v e dell’accelerazione tangenziale a.
8. 4
SOMMARIO La cinematica descrive il movimento dei corpi senza tener conto delle forze che sono la causa del moto oppure vengono generate come risultato di questo stesso moto. Nella cinematica del punto materiale o particella, il movimento di un corpo viene esaminato trascurando le sue dimensioni. Al trascorrere del tempo t, il corpo nel suo movimento occupa posizioni successive descrivendo una traiettoria; nel caso di traiettoria rettilinea, il moto si dice traslazionale o rettilineo. Nel passare da una posizione a quella successiva il corpo compie lo spostamento ∆x [m].
187
CAPITOLO 8. – CINEMATICA
La velocità v è la rapidità con cui lo spostamento cambia con il tempo; essa è una quantità vettoriale e si misura in metri al secondo [m/s]. L’accelerazione a è la rapidità con cui cambia la velocità con il tempo; anche l’accelerazione è un vettore e si misura in metri al secondo quadrato [m/s2]. In un diagramma posizione-tempo, le successive posizioni x in funzione del tempo t di un corpo che si muove con velocità costante sono rappresentate da una linea retta, la cui pendenza ∆x/∆t dà la velocità media. Allorché la velocità non è più costante ma varia, il diagramma posizione-tempo è rappresentato da una curva; la velocità istantanea è la tangente alla curva nel punto. Nel diagramma velocità-tempo, lo spostamento è rappresentato dall’area sotto la curva, mentre la tangente alla curva nel punto voluto dà l’accelerazione istantanea. Nel moto rotazionale il movimento viene descritto mediante una variazione dell’angolo. Lo spostamento angolare ∆α si misura in radianti [rad], numero senza dimensioni rapporto tra la lunghezza dell’arco s e la lunghezza del raggio r: α = s/r. La velocità angolare istantanea ω [rad/s] esprime la rapidità con la quale, in un dato istante, gli angoli vengono percorsi dal raggio r che ruota; la velocità angolare risulta positiva quando la rotazione è antioraria, mentre è negativa quando la rotazione è oraria. Se n è il numero di giri al secondo [giri/s], allora la velocità angolare ω, sapendo che un giro corrisponde a 2π radianti, vale ω = 2π n. L’accelerazione angolare istantanea ε [rad/s2] è la rapidità con cui cambia nel tempo la velocità angolare. Nella descrizione del moto rotazionale si possono scrivere delle relazioni analoghe a quelle del moto traslazionale sostituendo le quantità angolari a quelle lineari: α → x, ω → v, ε → a. Nel moto circolare uniforme la particella, che rappresenta il corpo, descrive, nella sua traiettoria, una circonferenza di raggio r con una velocità costante v tangente in ogni istante alla circonferenza. Avendo questa velocità tangenziale (o periferica) direzioni sempre diverse, nasce una accelerazione normale o centripeta di intensità ac = v2/r. La velocità tangenziale v è direttamente proporzionale al raggio r (oppure al diametro d = 2r): v = ω r oppure v = 2π rn = π dn. Nel moto circolare uniformemente accelerato la particella percorre una traiettoria circolare con accelerazione tangenziale costante diversa da zero, come conseguenza di un cambiamento della velocità tangenziale che fa sì che il moto circolare non sia più uniforme. L’accelerazione tangenziale a [m/s2] è legata all’accelerazione angolare ε [rad/s2] del raggio ruotante r [m] da una formula analoga a quella della velocità tangenziale v: a = ε r.
Esercizi proposti
Con il contributo del prof. L. Leonessa
8.1 Determinare il valore istantaneo v e quello medio vm della velocità nonché l’accelerazione a di un ciclista che percorre i tratti 1 (andata), 2 (fermata per la merenda) e 3 (ritorno) secondo il diagramma della Figura 8.21. v1 = vm1 = + 10 m/s = + 36 km/h; v2 = vm2 = 0; v3 = vm3 = – 5 m/s = – 18 km/h; a1 = a2 = a3 = 0
8.2 Il grafico della posizione x di un punto, in funzione del tempo, è una linea retta. Al tempo t1 = 4 s, la posizione x1 vale 40 m; al tempo t2 = 12 s, la posizione x2 vale 112 m. Scrivere l’equazione
Velocità positiva
Velocità negativa
Velocità nulla
2
6000
∆t = 400 s Posizione x [m]
188
3
1
4000
∆t = 400 s ∆x = – 2000 m
∆x = + 2000 m 2000 ∆t = 200 s 0 0
200
400
600
800
1000
1200
1400
1600
1800
Tempo t [s]
Fig. 8.21 - Diagramma posizione-tempo relativo al tragitto del ciclista descritto nell’Esercizio 8.1.
ESERCIZI PROPOSTI
del moto del punto in funzione del tempo. Si tratta di un moto uniforme: si imposti un sistema con le equazioni 85 negli istanti t1 e t2; la soluzione fornirà i valori dello spostamento iniziale x0 e della velocità iniziale v0. x0 = 4 m; v0 = 9 m/s; x = 4 m + (9 m/s)t 8.3 Una motocicletta attraversa con velocità v0 = +4 m/s una prima striscia bianca tracciata su un rettilineo che dista x0 = + 4 m dal punto di partenza. Prosegue con l’accelerazione costante a = + 0,4 m/s2 fino ad attraversare una seconda striscia, che dista x = + 40 m dal punto di partenza. Determinare il tempo t impiegato dalla motocicletta per passare dalla prima alla seconda striscia. t = 6,7 s 8.4 Un aeroplano sulla pista dell’aeroporto, partendo da fermo, raggiunge, al momento del decollo, la velocità finale di 80 m/s in 32 s. Determinare l’accelerazione media am e le velocità v1, v2 e v3 raggiunte dall’aeroplano dopo 1 s, 2 s e 3 s dalla partenza. am = 2,5 m/s2; v1 = 2,5 m/s; v2 = 5 m/s; v3 = 7,5 m/s 8.5 Determinare la velocità finale v e la distanza x coperta da un’automobile, avente una velocità iniziale di 17 m/s, che si muove per 4 s con un’accelerazione costante di 3 m/s2. v = 29 m/s; x = 92 m 8.6 Nell’ipotesi di trascurare la resistenza dell’aria, determinare il tempo t e l’intensità vf della velocità raggiunta da un oggetto che viene lasciato cadere da un’altezza di 30 m. t = 2,5 s; vf = 24 m/s 8.7 Un oggetto viene lanciato verticalmente verso l’alto con una velocità iniziale di 15 m/s. Calcolare la massima altezza h raggiunta ed il tempo t impiegato a raggiungerla. h = 11,47 m; t = 1,53 s 8.8 Un piano a rulli liberi, inclinato di 18° sull’orizzontale, viene utilizzato per far scendere le merci imballate dal magazzino al piano di carico. Trascurando ogni forma di attrito, calcolare la velocità v raggiunta da un cassone dopo che questo avrà percorso 1,6 m di rampa. v = 11 m/s 8.9 Un razzo parte da fermo e sale verticalmente mentre un radar rileva la sua traiettoria: nell’intervallo di tempo 0 ÷ 5 s, il moto obbedisce alla legge y = 16t 2 m.
Determinare lo spostamento y e l’accelerazione a durante i primi 4 s. La posizione è funzione quadratica del tempo; si tratta perciò di un moto uniformemente accelerato con velocità iniziale nulla e posizione iniziale nell’origine. y = 256 m; a = 32 m/s2 8.10 Un entomologo sostiene che una pulce, per saltare, acquista una velocità di 1,3 m/s con una rincorsa pari alla lunghezza del suo corpo ≅ 1 mm. Di quale accelerazione a è capace? a = 845 m/s2 8.11 Un automobilista, che sta percorrendo una strada alla velocità v0 = 30 m/s (108 km/h), blocca i freni della sua automobile esercitando l’accelerazione a = – 6,0 m/s2 per evitare di investire un cane che sta attraversando la strada ad una distanza di 80 m. Calcolare lo spazio di frenatura, che è la distanza percorsa nel periodo di tempo che va dall’istante in cui il guidatore inizia ad azionare il comando del freno a quello in cui il veicolo si arresta. Considerata l’equazione 8-6, lo spazio di frenatura corrisponde allo spostamento x – x0, dove x0 è la posizione iniziale dell’automobile, mentre la velocità finale è nulla (v = 0). x – x0 = 75 m 8.12 La velocità di un ghepardo è stimata in 25 m/s, quella di un’antilope in 16 m/s. Gli animali procedono lungo la stessa traiettoria rettilinea, partono allo stesso istante, raggiungono entrambi la propria velocità massima in 5 s; il ghepardo raggiunge la sua preda in 18 s: quale vantaggio x0V (x0V = x0Antilope – x0Ghepardo) aveva l’antilope quando è iniziata la caccia? Entrambi i moti si svolgono in due fasi; nei 5 s della prima fase, i moti sono uniformemente accelerati; le formule 8-2 e 8-5 consentono di determinare le accelerazioni aA e aG dei due animali ed i rispettivi spostamenti x1A e x1G. Nei 13 s della seconda fase i due moti sono uniformi: essi sono caratterizzati da una posizione iniziale che per l’antilope comprende sia il vantaggio iniziale x0V che lo spostamento x1A effettuato nella prima fase: x0A = x0V + x1A mentre il ghepardo inizia il moto dalla posizione x1G. Le posizioni finali coincidono con la fine dell’inseguimento. aA = 3,2 m/s2; aG = 5 m/s2; x1A = 40 m; x1G = 62,5 m; x0V = 139,5 m 8.13 Un fiume scorre parallelamente alla riva con velocità vF/R di 1 m/s, mentre nel fiume nuota un delfino (Figura 8.22) con velocità, rispetto al fiume, vD/F di 3 m/s ed in direzione inclinata di 25° rispetto alla direzione della corrente. Qual è la velocità VD/R del delfino rispetto alla riva? Assunto un sistema d’assi con gli assi x ed y rispettivamente parallelo e normale alla riva, si trovano le
189
190
CAPITOLO 8. – CINEMATICA
componenti ortogonali vD/F e vD/F della velocità del x y delfino rispetto al fiume, quindi si applica la 8-9. vD/F
x
= 2,72 m/s; vD/F
= 1,27 m/s; y
vD/R = 3,93 m/s 8 18,85°
8.18 Un atleta accelera il disco che sta lanciando da una velocità iniziale nulla fino ad una velocità angolare finale di + 15.0 rad/s (rotazione antioraria evidenziata nella Figura 8.23-a) nel tempo di 0,267 s, descrivendo una circonferenza di raggio r = 0,8 m. Determinare l’accelerazione normale (o centripeta) ac, l’accelerazione tangenziale a, l’accelerazione totale a + ac e la direzione β con l’orizzontale (Figura 8.23-b). ac = 180 m/s2; a = 44,9 m/s2; a + ac = 185,5 m/s2; β = 14°
VF/R = 1 m/s
x
a
25°
y VD/F = 3 m/s
b
a + ac
β Fig. 8.22 - Delfino nel fiume dell’Esercizio 8.13.
a ac
Fig. 8.23 - Lancio del disco dell’Esercizio 8.18.
8.14 Assegnati l’angolo di 2° e il raggio di 4,2 m, calcolare la lunghezza s dell’arco. Ricordarsi di convertire prima l’angolo da gradi a radianti.
䡵 a) Rotazione compiuta dall’atleta. 䡵 b) Accelerazione normale o centripeta ac , accelerazione tan-
genziale a e accelerazione totale a + ac.
2° = 0,035 rad; s = 0,147 m 8.15 Un esploratore sta seduto in un punto situato a 78° di latitudine Sud. Dopo aver calcolato la velocità angolare terrestre ω, determinare la velocità v e l’accelerazione ac conseguenti al movimento della terra (raggio terrestre: R = 6377 km).
ω = 72,7 × 10– 6 rad/s; v = 96,43 m/s; ac = 0,007 m/s2 8.16 Un ciclista, frenando, determina l’arresto completo in 2 giri della ruota della sua bicicletta da una velocità angolare iniziale ω0 = 0,21 rad/s. Dopo aver convertito i giri in radianti, determinare l’accelerazione angolare ε della ruota, nell’ipotesi che questa sia costante, con l’equazione 8-6′ scritta ponendo l’angolo iniziale α0 uguale a zero. 2 giri = 4π rad; ε = – 1,75 × 10– 3 rad/s2 8.17 Il compressore di un turboreattore passa da una velocità angolare iniziale ω0 = + 110 rad/s, nelle condizioni di funzionamento al minimo, alla velocità angolare ω = + 348 rad/s nel tempo di 14 s per preparare l’aereo al decollo (il segno positivo della velocità angolare indica una rotazione antioraria). Determinare l’accelerazione angolare ε nell’ipotesi che questa sia costante. ε = 17 rad/s2
8.19 Calcolare l’intensità ac (veicolo) dell’accelerazione normale (o centripeta) di un veicolo che segue, alla velocità costante di 30 m/s (108 km/h), un percorso circolare di raggio 120 m. Sapendo che il raggio della ruota del veicolo è 0,3 m, calcolare l’intensità ωruota della velocità angolare e l’ intensità ac (ruota) dell’accelerazione normale (o centripeta) di un punto del bordo della ruota rispetto al suo centro nell’ipotesi che il bordo abbia la stessa velocità dell’automobile (non vi è cioè nessun scorrimento della ruota rispetto al terreno). ac (veicolo) = 7,5 m/s2; ωruota = 100 rad/s; ac (ruota) = 3000 m/s2
8.20 Ad una centrifuga da laboratorio viene richiesta una accelerazione centripeta pari a 1000g (pari cioè a 1000 volte l’accelerazione di gravità). Calcolare la frequenza di rotazione n di esercizio in giri/min e l’accelerazione angolare ε costante sapendo che il diametro della centrifuga è di 0,64 m e che la velocità di esercizio deve essere raggiunta in 1 minuto. n = 16.500 giri/min; ε = 2,92 rad/s2
Capitolo 9
9. 1
DINAMICA
DINAMICA DEL MOTO TRASLAZIONALE 9. 1. 1 Principi della dinamica La dinamica studia il moto dei corpi considerando le forze che lo producono in una relazione di causa, la forza, ed effetto, il moto, collegando ai concetti di spazio e di tempo, propri della cinematica, i concetti di forza e di massa. I principi della dinamica furono scoperti da Galileo che, nel diciassettesimo secolo, mise in relazione l’accelerazione con le forze che agiscono sul corpo. Newton sviluppò le idee di Galileo ed enunciò questi principi sotto forma di tre leggi: Prima legge (o legge di inerzia): Un corpo permane nel suo stato di quiete, se originariamente era in quiete, oppure di moto rettilineo uniforme, se originariamente era in movimento, fino a che non venga costretto a cambiare questo stato da una forza esterna9.1. Seconda legge: Forza ed accelerazione di un corpo sono proporzionali e il coefficiente di proporzionalità è la massa. Terza legge (o legge di azione e reazione): se un corpo esercita una forza su un secondo corpo, allora il secondo corpo esercita una forza uguale ed opposta sul primo; ad ogni azione corrisponde cioè una reazione uguale ed opposta. La seconda legge di Newton è la legge fondamentale della dinamica. Definita la quantità di moto (lineare) [kg(m/s)] come prodotto della massa m [kg] per la velocità V [m/s]: Quantità di moto = m V
9-1
la seconda legge, nella sua formulazione originale, afferma che la forza esterna applicata ad una particella è uguale alla variazione ∆ della quantità di moto mV nel tempo ∆t; ma, se la massa è costante come avviene nella meccanica elementare, la forza F è uguale al prodotto della massa m per la variazione ∆V della velocità nel tempo ∆t, e cioè all’accelerazione a9.2: F=
9.1 - La prima legge di Newton costituisce un caso particolare della seconda legge in quanto, se la forza applicata al corpo è nulla, anche l’accelerazione è uguale a zero. 9.2 - L’accelerazione come variazione
∆ ∆V ( mV) = m ∆t ∆t
⇒
della velocità rispetto al tempo era stata introdotta con la 8-2. Così come per velocità ed accelerazione (nota 8.2), al posto del simbolo ∆ che indica la variazione di una data quantità fisica, la seconda legge di Newton va espressa, a rigore, facendo uso della derivata rispetto
F = ma
9-2
al tempo della quantità di moto oppure, se la massa è costante, della velocità: d F= (m V) dt dV e per m = costante F = m = ma dt
192
CAPITOLO 9. – DINAMICA
FA (esterna)
In realtà il corpo va considerato un sistema di particelle (Figura 9.1-a) su cui agiscono più forze esterne ΣF e l’equazione 9-2 andrebbe scritta nella forma: ΣF = ma (Figura 9.1-b); F va perciò interpretata come la forza risultante, somma di tutte le forze esterne ΣF che agiscono sul corpo; si conclude che la somma di tutte le forze esterne è uguale al prodotto della massa totale m del corpo per l’accelerazione a del baricentro G (Figura 9.1-b) o anche che il corpo si sposta con una accelerazione (o una variazione nel tempo della quantità di moto) proporzionale all’intensità della forza risultante e nella direzione di questa. La quantità di moto mv, è un vettore avente direzione e verso della velocità. Anche forza F
FB (esterna)
mA
mB FA (interna)
FB (interna)
F (totale) = FA (esterna) + FB (esterna)
y mA
mB
mD
mC
∑ Fy ay
G mB
∑ Fz
mA
Fig. 9.1-a - Un corpo concepito come un sistema formato da due sole particelle di massa mA ed mB che interagiscono tra loro. La forza che agisce su ciascuna particella è la somma di una forza esterna e di una forza interna. Le forze interne tra le due particelle sono, per la legge di azione e reazione, uguali ed opposte tra loro; la somma delle forze interne è perciò uguale a zero. La forza risultante che agisce sul sistema è allora rappresentata dalla somma delle forze esterne.
G
∑ Fx x ax
az z
Fig. 9.1-b - Corpo concepito come un sistema formato da diverse particelle. La somma di tutte le forze esterne ΣF è uguale al prodotto della massa totale m del corpo per l’accelerazione a del baricentro G: ΣF = ma.
Fig. 9.1-c - La legge fondamentale della dinamica ΣF = ma è un equazione vettoriale; va quindi risolta nelle componenti scalari, secondo gli assi, di forza ed accelerazione: ΣFx = max, ΣFy = may e ΣFz = maz.
ed accelerazione a sono delle quantità vettoriali; l’equazione 9-2 va perciò risolta nelle componenti secondo gli assi di forza ed accelerazione (Figura 9.1-c). La 9-2 permette (Paragrafo 1.15) di definire l’unità di misura della forza, il newton [N = kg(m/s2)] come prodotto della massa [kg] per l’accelerazione [m/s2]. Se come accelerazione viene presa l’accelerazione di gravità g, allora la forza esercitata sul corpo di massa m è la forza peso o, più semplicemente, il peso del corpo mg (1-10′ ). La massa, coefficiente di proporzionalità tra forza ed accelerazione, misura l’inerzia posseduta dal corpo nel contrastare ogni cambiamento dallo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme: maggiore è la massa di un corpo, maggiore è la sua inerzia e più grande risulta la forza necessaria per accelerare quel corpo e per impartire ad esso una data quantità di moto. È possibile
a
Accelerazione a ma
F m
Accelerazione a
b
ma
Fm
Fr
m Velocità
Fig. 9.2 - 䡵 a) La forza di inerzia – ma fa equilibrio, istante per istante durante il moto, alla forza totale F che agisce sul corpo: la forza di inerzia è una forza fittizia, una forza cioè che non esiste ma alla quale si ricorre per trattare la legge fondamentale della dinamica con i metodi della statica. 䡵 b) Diagramma di corpo libero del sistema di forze che agisce sul corpo: la forza motrice Fm contrastata dalla forza resistente Fr e dalla forza di inerzia – ma.
9.1. – DINAMICA DEL MOTO TRASLAZIONALE
affrontare con il metodo sviluppato per la statica nel Capitolo 3 la soluzione dell’equazione 9-2 (principio di d’Alembert), se si pensa il corpo “in equilibrio” sotto l’azione di F, forza totale somma delle forze esterne, e di una forza uguale ed opposta di intensità ma: – ma è la forza di inerzia che equilibra F (Figura 9.2-a). Il sistema di forze esterne può essere, per semplicità, immaginato composto da due forze: la forza motrice Fm e la forza resistente Fr. Mentre la forza di inerzia va interpretata come un ostacolo a cambiare lo stato di moto esistente oppure come una riluttanza del corpo ad essere accelerato, la forza resistente, dovuta ad esempio agli attriti, è diretta nel verso opposto alla velocità e tende a rallentare il moto del corpo rappresentando la resistenza ad un moto con velocità costante; la forza motrice rappresenta così lo sforzo richiesto per superare la resistenza e produrre l’accelerazione (Figura 9.2-b): F + (– ma) = 0
⇒
Fm – Fr + (– ma) = 0
9-3
Se nella 9-2 si pone F = 0, la quantità di moto lineare mv non varia nel tempo: in assenza di forze esterne la quantità di moto si conserva costante (principio di conservazione della quantità di moto lineare). Si considerino, ad esempio, due corpi che si urtano (Figura 9.3): se l’urto è istantaneo, la quantità di moto iniziale, cioè quella posseduta dai due corpi prima dell’urto, è uguale alla quantità di moto finale, dopo l’urto: mAvA + mBvB = mAv′A + mBv′B vA
a
vB
A
b
9-4
Prima dell’urto
B
A
B R
A R
Durante l’urto B
v′A
c A
v′B B
Dopo l’urto
Fig. 9.3 - 䡵 a) I due corpi A e B di massa mA ed mB e velocità iniziali vA e vB si muovono lungo la stessa traiettoria coincidente con la retta che congiunge i loro baricentri. 䡵 b) Durante l’urto, ciascun corpo esercita sull’altro una forza di intensità R parallela alla retta sulla quale i corpi si spostano e diretta verso i loro baricentri; questa condizione, chiamata urto centrale, significa che i due corpi, dopo l’urto, continuano a muoversi lungo la stessa retta. 䡵 c) Dopo l’urto centrale, i due corpi A e B continuano a muoversi lungo la stessa retta con le velocità finali v′A e v′B.
L’impulso [N⋅s] è il prodotto della forza F [N] per l’intervallo di tempo ∆t [s] durante il quale essa agisce; l’impulso è una quantità vettoriale. Moltiplicando ambo i membri della 9-2 espressa in funzione della quantità di moto per l’intervallo ∆t e tenendo conto delle velocità iniziale v0 e finale v, si ottiene: Impulso = F∆t = m∆v = mv – mv0
9-5
con F intensità media della forza durante l’intervallo di tempo ∆t; la variazione della quantità di moto non viene infatti influenzata dalle eventuali variazioni istantanee della forza all’interno
193
194
CAPITOLO 9. – DINAMICA
Forza
F
∆t
Tempo
Fig. 9.4 - Valor medio e valore istantaneo della forza durante la collisione di due corpi. L’impulso è rappresentato dall’area rosa sotto la curva a campana del valore istantaneo della forza nell’intervallo di tempo ∆t. Ma questa area rosa è uguale all’area rettangolare tratteggiata alta F (intensità media della forza) e lunga ∆t (intervallo di tempo). L’impulso si ottiene allora sostituendo al valore istantaneo della forza il valore medio.
dell’intervallo di tempo assegnato (Figura 9.4). L’impulso F∆t viene misurato dalla variazione della quantità di moto che esso produce (legge fondamentale della dinamica impulsiva).
Esempio 9.1 Distanza percorsa da un carrello Un minatore spinge un carrello di massa m = 1600 kg su un piano orizzontale, applicando una forza di intensità costante F = 500 N anch’essa orizzontale. Nell’ipotesi che il carrello abbia velocità v nulla nell’istante iniziale (per t0, x0 = v0 = 0), si calcoli il suo spostamento x dopo 9 s.
SOLUZIONE L’accelerazione si calcola con la seconda legge di Newton (9-2). Quindi con la 8-5, dove si pone x0 = v0 = 0, si determina lo spostamento x. F = ma x = x0 + v0 t +
⇒
a=
500 N F = = 0,31 m/s 2 m 1600 kg
1 2 1 1 at = at 2 = 0,31 m/s 2 × (9 s)2 = 12,66 m 2 2 2
䉳
Esempio 9.2 Puleggia con masse Due corpi di massa m1 = 2 kg ed m2 = 5 kg, appesi agli estremi di un filo avvolto attorno ad una puleggia (Figura 9.5-a), vengono rilasciati dalla quiete. Trascurando gli attriti e l’inerzia alla rotazione della puleggia, calcolare l’accelerazione a del moto e la tensione T nel filo.
SOLUZIONE La forza F2 che agisce sulla massa m2 (Figura 9.5-b) è, per la seconda legge di Newton (9-2), la risultante della tensione T fornita dal filo e della forza peso m2g ed imprime ad m2 l’accelerazione a diretta verso il basso in quanto la massa m2 = 5 kg è maggiore di m1 = 2 kg. Preso positivo il verso dell’accelerazione, dal diagramma di corpo libero relativo alla massa m2 (Figura 9.5-b) si ha: F2 = m2g – T = m2a. Sulla massa m1 agisce la forza F1, risultante di T e di m1g; essendo le due masse collegate da un filo, l’accelerazione a di m1 è quella stessa a cui è soggetta m2 ed è diretta verso l’alto poiché la massa m1 è più leggera della
9.1. – DINAMICA DEL MOTO TRASLAZIONALE
a
b
T
T
a m1 T
m2
T
a
m1g
m2 g m1g
m2g
Fig. 9.5 - 䡵 a) Essendo la massa m2 maggiore della massa m1 (m2 = 5 kg > m1 = 2 kg), la rotazione della puleggia avviene in senso orario. 䡵 b) Con il diagramma di corpo libero vengono evidenziate tutte le forze che agiscono su quel dato corpo; nel caso dell’Esempio si hanno due corpi: sul corpo di massa m1 agiscono la tensione T fornita dal filo diretta verso l’alto e la forza peso m1g diretta verso il basso, mentre sul corpo di massa m2 agiscono ancora la tensione T fornita dal filo e la forza peso m2g. Il movimento verso il basso di m2 viene assunto come verso positivo; mentre la massa m2 scende, la massa m1 sale e quindi il moto di m1 è positivo verso l’alto.
massa m2 (Figura 9.5-b): F1 = T – m1g = m1a. Risolvendo il sistema formato da queste due equazioni (Paragrafo A.1.3), si ottengono accelerazione a delle masse e tensione T nel filo: T − m1 g = m1a m2 g − T = m2 a
⇒
⇒
m1 g + m1a = m2 g − m2 a
⇒
m2 − m1 5 kg − 2 kg g = 9,81 m/s 2 = 4,2 m/s 2 m2 + m1 5 kg + 2 kg
䉳
2m1m2 2 × 2 kg × 5 kg 9,81 m/s2 = 28,03 N g = 2 kg + 5 kg m1 + m2
䉳
a= T =
T = m1 g + m1a T = m2 g − m2 a
Esempio 9.3 Piano inclinato Una cassa di massa m1 = 4 kg scivola senza attrito su un piano inclinato di α = 30° sull’orizzontale trascinata da una seconda massa m2 = 5 kg mediante un filo che scorre su una puleggia (Figura 9.6-a). Trascurando l’inerzia e gli attriti del filo e della puleggia, calcolare l’accelerazione a del sistema e la tensione T nel filo.
SOLUZIONE Si risolve la forza di gravità m1g che agisce sulla massa m1 (Figura 9.6-b) nelle due componenti parallela m1g senα e perpendicolare m1g cos α alla superficie del piano inclinato. Dal momento che la componente perpendicolare è equilibrata dalla forza normale N del piano che sostiene la massa: N – m1g cos α = 0,
195
196
CAPITOLO 9. – DINAMICA
a
b
N a T
N m1
m1g sen m1
m1g cos
m2 m1g
α
m1g
m2g
α
c T m2
a
m2 g
Fig. 9.6 - 䡵 a) Piano inclinato trattato nell’Esempio 9.3. 䡵 b) Diagramma di corpo libero per la massa m1. 䡵 c) Diagramma di corpo libero per la massa m2 .
le forze che determinano il movimento di m1 si riducono alla componente della forza di gravità parallela al piano e alla tensione T dovuta al filo. Per la seconda legge di Newton (9-2), la risultante F1 di queste due forze imprime ad m1 l’accelerazione a diretta verso la sommità del piano inclinato; assunto come positivo il verso dell’accelerazione, si ha: F1 = T – m1g sen α = m1a. Sulla massa m2 (Figura 9.6-c) agisce la forza F2, risultante di T e di m2g; essendo le due masse collegate da un filo, l’accelerazione a di m1 è quella stessa a cui è soggetta m2 ed è diretta verso il basso: F2 = m 2g – T = m 2a. Sommando membro a membro le equazioni del sistema (Paragrafo A.1.3), si elimina T ottenendo così l’accelerazione a delle masse; quindi, sostituendo l’accelerazione nella seconda equazione del sistema, si ricava la tensione T nel filo: T − m 1 g senα = m 1a m2 g − T = m2 a a=
m2 − m 1 senα m 1 + m2
g =
⇒
m2 g − m 1 g senα = (m 1 + m2 ) a
⇒
5 kg − 4 kg × sen30° 9,81 m/s 2 = 3,27 m/s 2 4 kg + 5 kg
T = m2 g − m2 a = m2 ( g − a) = 5 kg × (9,81 m/s2 − 3,27 m/s2 ) = 32,7 N
䉳 䉳
Esempio 9.4 Decelerazione di un veicolo Un’automobile di massa m = 1000 kg sta scendendo lungo una strada inclinata di α = 20° (Figura 9.7-a) allorché vengono applicati i freni per produrre una decelerazione di intensità a = 3 m/s2. Determinare l’intensità della forza frenante Ff e delle reazioni R1 ed R2 sulle ruote anteriori e posteriori applicando: a) la legge fondamentale della dinamica; b) il principio di d’Alembert.
9.1. – DINAMICA DEL MOTO TRASLAZIONALE
a
b a
a
Ff
1,2
2,7
2,7
2
sen
α mg
ma A
1,2
m R
m
mg
0,9 m
R1
α mg 0,9 m
mg co
R1
G
sen
s
mg
s
G
mg co
Ff
m R
m
2
= 20°
= 20°
Fig. 9.7 - 䡵 a) Diagramma di corpo libero applicando la legge fondamentale della dinamica. 䡵 b) Nell’applicare il principio di d’Alembert occorre aggiungere nel diagramma di corpo libero della Figura 9.7-a la forza di inerzia – ma, che agisce in G: dato il segno negativo, la forza di inerzia ha verso rivolto in avanti, poiché la decelerazione a è orientata all’indietro, ed ha intensità ma = 1000 kg × 3 m/s2 = 3000 N. A differenza delle altre forze, la forza di inerzia non è una forza reale ma una forza fittizia che viene introdotta per risolvere il problema con i principi della statica; essa viene quindi disegnata a strisce per evidenziarne la differenza dalle forze reali Ff , R1, R2 ed mg.
SOLUZIONE a) Si risolve la forza di gravità mg che agisce sulla massa m (Figura 9.7-a) nella componente parallela mg sen α e nella componente perpendicolare mg cos α al piano stradale. La risultante (9-2) della forza frenante Ff e della componente della forza peso mg sen α = 1000 kg × 9,81 m/s2 × sen 20° = 3355 N, nella direzione del moto, è uguale a ma = 1000 kg × 3 m/s2 = 3000 N; preso come positivo il verso della decelerazione a, si ha: Ff – mg sen α = ma
Ff = ma + mg sen α = 3000 N + 3355 N = 6355 N
⇒
䉳
Nella direzione perpendicolare alla strada, per l’equilibrio la somma delle forze è uguale a zero: ΣF = 0. Inoltre, passando la forza risultante che agisce sul corpo per il suo baricentro G, il momento risultante di tutte le forze rispetto al baricentro deve essere nullo: ΣMG = 0. † ΣF = 0
⇒
R1 + R2 − mg cos α = 0 £ ΣMG = 0
⇒
⇒
R1 + R2 = 1000 kg × 9,81 m/s 2 × cos 20° = 9218 N
+ (R2 × 1,2 m) − (R1 × 1,5 m) − (Ff × 0,9 m) = 0
Queste due equazioni costituiscono un sistema (Paragrafo A.1.3): R1 + R2 = 9218 1,2 R2 − 1,5R1 = 0,9 F f Nella prima equazione si esprime R1 in funzione di R2 e lo si sostituisce nella seconda equazione: R1 = 9218 – R2 1,2R2 – 1,5(9218 – R2 ) = 0,9 × 6355
⇒
2,7R2 − 13.827 = 5719
⇒
R1 = 9218 – R2 = 9218 – 7239 = 1979 N
R2 =
19.546 = 7239 N 䉳 2,7 䉳
197
198
CAPITOLO 9. – DINAMICA
b) Con il principio di d’Alembert (9-3) la soluzione dell’Esempio viene riportata a un problema di equilibrio statico. Nella direzione del moto, parallela alla strada, sono presenti la forza frenante Ff , la componente della forza di gravità mg sen α che trascina verso valle la vettura e la forza di inerzia che si oppone al cambiamento del moto e cioè alla decelerazione a imposta dai freni della vettura (Figura 9.7-b): Ff − mg sen α − ma = 0
⇒
Ff = mg sen α + ma = 3355 N + 3000 N = 6355 N
䉳
Mentre prima l’equazione di equilibrio dei momenti andava scritta rispetto al baricentro G, quando si ricorre al principio di d’Alembert questa equazione può essere scritta rispetto ad ogni punto conveniente perché la soluzione viene formalmente ricondotta ad un problema di statica. Come punto rispetto al quale calcolare i momenti, viene allora scelto il punto A di contatto tra la ruota anteriore e la strada in modo da avere la sola incognita R1 nell’equazione dei momenti. £ ΣMA
⇒
+ (mg cos α × 1,2 m) − (mg sen α × 0,9 m) − (ma × 0,9 m) − ( R1 × 2,7 m) = 0 R1 =
(9218 N × 1,2 m) − (3355 N × 0,9 m) − (3000 N × 0,9 m) = 1979 N 2,7 m
⇒ 䉳
Scrivendo l’equilibrio delle forze in direzione perpendicolare al piano inclinato della strada, si ricava infine la reazione R2: † ΣF = 0
⇒
R1 + R2 − mg cos α = 0
⇒
R2 = 9218 N − 1979 N = 7239 N
䉳
Esempio 9.5 Collisione di due vagoni ferroviari Un vagone ferroviario di massa mA = 28 Mg procede per inerzia con velocità vA = 4 m/s su un binario lungo il quale si muove nello stesso verso con velocità vB = 1,8 m/s un secondo vagone di massa mB = 20 Mg. Dopo che il primo vagone ha urtato il secondo, i due procedono uniti, avendo il sistema degli ammortizzatori dissipato l’energia restituita dalle molle dei respingenti. Determinare la velocità v ′ dopo l’urto. vA = 4 m/s
vB = 1,8 m/s
mA = 28 Mg
mB = 20 Mg v′
Fig. 9.8 - Collisione di due vagoni ferroviari che dopo l’urto procedono uniti con la stessa velocità v′.
Con il contributo del prof. L. Leonessa
9.1. – DINAMICA DEL MOTO TRASLAZIONALE
SOLUZIONE Detta v′ la velocità comune dei due vagoni dopo l’urto, per la 9-4 si ha: mA vA + mB vB = (mA + mB ) v′
⇒
v′ =
mA vA + mB vB 28.000 kg × 4 m/s + 20.000 kg × 1,8 m/s = = 3,08 m/s 䉳 mA + mB 28.000 kg + 20.000 kg
COMMENTI Nell’urto si conserva la quantità di moto del sistema: essa rimane cioè inalterata prima e dopo l’urto (Paragrafo 9.1.1). Il caso descritto nell’Esempio è quello dell’urto anelastico in cui l’energia accumulata nella deformazione elastica dei molloni dei respingenti non viene restituita alle masse, ma dissipata. Nell’urto perfettamente elastico viene invece rispettata anche la conservazione dell’energia.
Esempio 9.6 Forza su una paletta di una turbina idraulica Un getto d’acqua esce con velocità v = 122 m/s da un ugello del diametro D = 218 mm investendo frontalmente la pala di una turbina idraulica (Figura 15.26-c). Calcolare l’intensità media F della forza esercitata dal getto sulla pala. Si prenda, come massa volumica dell’acqua, ρ = 1000 kg/m3.
SOLUZIONE Nell’intervallo di tempo ∆t durante il quale il getto agisce sulla pala, dall’ugello esce il volume d’acqua Ax [m3] prodotto della sezione trasversale del getto A per la lunghezza del getto x = v∆t [m] dato a sua volta dalla velocità v [m/s] moltiplicata per l’intervallo di tempo ∆t [s]. La massa m [kg] del getto d’acqua che colpisce la pala nel tempo ∆t è uguale al prodotto della massa volumica dell’acqua ρ [kg/m3] per il volume del getto Ax [m3]: m = ρAx = ρAv∆t. Dalla 9-5 che esprime l’impulso F ∆t = m∆v, si risale alla intensità media della forza F durante l’intervallo di tempo ∆t : F = (m∆v)∆t, dove ∆v, differenza tra velocità finale ed iniziale, è pari alla velocità v del getto. La sezione trasversale del getto è: A = πD2/4. F =
πD 2 2 1000 kg/m 3 × π × (0,218 m)2 × (122 m/s)2 m∆v ( ρAv∆t ) v = = ρAv2 = ρ v = = 555 kN 4 4 ∆t ∆t
䉳
9. 1. 2 Lavoro, energia e potenza Se si esercita una forza costante F su un corpo spostandolo di una distanza x parallela a F, il lavoro L compiuto dalla forza è il prodotto dell’intensità della forza [N] per la distanza [m] lungo la quale la forza agisce allorché il corpo si muove (Figura 9.9-a); il lavoro è una quantità scalare e si misura (Paragrafo 1.16) in joule [J = N⋅m]. Nel caso più generale, in cui la forza applicata al corpo non sia diretta secondo la direzione del moto, occorre risolvere la forza nelle due componenti parallela e perpendicolare allo spostamento del corpo e considerare la componente della forza parallela allo spostamento in quanto solo questa contribuisce al lavoro (Figura 9.9-b): Lavoro = Forza × Spostamento
L = Fxx = (F cos α) x = Fx cos α
9-6
199
200
CAPITOLO 9. – DINAMICA
a
b
F
Fx = F cos
α F
x
x
Fig. 9.9 - 䡵 a) Una forza F che agisce in una direzione parallela allo spostamento x di un corpo compie il lavoro L = Fx. Se, ad esempio, è F = 800 N e x = 3,9 m, il lavoro vale L = 800 N × 3,9 m = 3,1 kJ. 䡵 b) Una forza F, che forma l’angolo α con l’asse x, compie il lavoro L = F x cos α prodotto della componente di F nella direzione dello spostamento x del corpo. Se, ad esempio, è F = 800 N, x = 3,9 m e α = 30°, il lavoro vale L = 800 N × 3,9 m × 0,866 = 2,7 kJ.
Energia è la capacità di un corpo di produrre lavoro; esistono forme molto diverse di energia: chimica, nucleare, elettrica, solare, sonora, ecc. L’energia meccanica, che è una quantità scalare e si misura in joule come il lavoro9.3, si può presentare sotto forma di energia cinetica, energia derivante dalla velocità del corpo, ed energia potenziale, che è l’energia posseduta dal corpo in virtù della sua posizione. Si consideri un corpo di massa m, inizialmente in quiete, a cui venga applicata la forza esterna costante F; per accelerare il corpo fino alla velocità v lungo la distanza x si richiede (9-2) la forza F = ma, dove, per la 8-6 in cui si pongono uguali a zero posizione iniziale x0 e velocità iniziale v0, l’accelerazione vale a = v2/(2x). Il lavoro (9-6) compiuto dalla forza costante F nello spostare il corpo lungo la distanza x si trasforma in energia cinetica: v2 1 Lavoro = Fx = [ma] x = m x = m v2 2 2x
k Molla in equilibrio
k
x Fest
Fig. 9.10-a - La molla spostata dalla posizione originale di equilibrio subisce l’allungamento x proporzionale alla forza esterna applicata Fest, espresso dalla equazione Fest = kx (legge di Hooke) con k [N/m] rigidezza della molla. La forza Fest applicata alla molla è, a differenza della forza peso, una forza variabile perché varia in funzione dell’allungamento x.
⇒
Energia cinetica =
9-7
L’energia cinetica è indipendente dalla variazione della forza durante l’accelerazione dalla quiete fino alla velocità v e, al contrario di quanto avviene per la quantità di moto, non occorre, nel calcolo, tener conto della direzione della velocità. Se il corpo ha una velocità iniziale v0 diversa da zero, allora il lavoro compiuto sul corpo dalla forza applicata, per farlo accelerare fino alla velocità finale v, viene misurato dalla variazione di energia cinetica: 1 1 Lavoro = Energia cinetica finale – Energia cinetica iniziale = mv2 − mv02 2 2 Per energia potenziale di solito si intende l’energia posseduta da un corpo a causa della sua altezza h al di sopra di un determinato livello di riferimento, cioè l’energia potenziale dovuta alla gravità. Ma, ci possono essere altre forme di energia immagazzinata a causa della posizione: una molla che viene allungata, per esempio, possiede un’energia potenziale poiché, quando viene rilasciata in modo da tornare alla lunghezza originale, è in grado di produrre lavoro (Figura 9.10). Il lavoro compiuto nel sollevare un carico di massa m fino all’altezza h è dato dal prodotto della forza peso mg per h: Energia potenziale = mgh
9.3 - L’energia cinetica, prodotto della massa [kg] per il quadrato della velocità v 2 [m 2/s 2], si misura in joule:
1 mv2 2
kg (m2/s2) = kg (m/s2) m = N⋅m = J, così come avviene per l’energia potenziale
9-8
mgh prodotto della forza peso mg [N] per la lunghezza h [m].
9.1. – DINAMICA DEL MOTO TRASLAZIONALE
Fest = kx
Fig. 9.10-b - Essendo Fest una forza variabile, per calcolare il lavoro si suddivide l’ascissa x in tanti allungamenti elementari ∆x; nel punto di mezzo di ciascun ∆x si concentra il valor medio F della forza nell’intervallo ∆x, seguendo lo stesso procedimento della Figura 8.8. L’area di ciascun rettangolino, prodotto dell’allungamento elementare per il valor medio della forza, è uguale al lavoro elementare; esempio: F3∆x3 = ∆L 3 . Il lavoro totale L è la somma delle aree di tutti i rettangolini; facendo diventare sempre più piccoli i ∆x, aumenta il numero dei rettangolini fino al punto in cui la loro area totale si avvicina a quella del triangolo di base x e di altezza Fest = kx:
Forza media
F7 ∆L5 F5
∆L4 ∆L3
F3
∆L2
L=
F1 ∆x1
∆x5 …
∆x3 ∆x2
1 1 1 xFest = x(kx ) = kx 2 2 2 2
>
9-8′
Trattandosi di lavoro ottenuto mediante la deformazione della molla, l’energia immagazzinata viene chiamata energia potenziale elastica o, più semplicemente, energia di deformazione.
∆x4 Allungamento
L’energia potenziale9.3 è una quantità relativa poiché la posizione originale di riferimento può essere scelta arbitrariamente; di solito vengono quindi considerate le variazioni dell’energia potenziale. Il lavoro compiuto contro la gravità per aumentare l’energia potenziale di un corpo può venire recuperato lasciando ricadere il corpo nella sua posizione originale. In questo modo l’energia potenziale viene convertita in energia cinetica in virtù del lavoro compiuto dal corpo che cade sotto l’azione della gravità (Figura 9.11). Ciò significa che la somma dell’energia cinetica e dell’energia potenziale è costante: Energia cinetica + Energia potenziale = costante
9-9
Se l’energia cinetica aumenta, l’energia potenziale dovuta alla forza di gravità mgh deve diminuire e viceversa in quanto mgh rappresenta un serbatoio di energia cinetica “potenziale”; è proprio per questo motivo che mgh viene chiamata energia potenziale. Se in corrispondenza di una
mgh
1 mv12 2
Fig. 9.11 - Un corpo viene sollevato fino all’altezza h da terra, acquistando così l’energia potenziale mgh. La fune si rompe e il corpo cade aumentando progressivamente la sua velocità a causa dell’accelerazione di gravità g. All’altezza h1 il corpo raggiunge la velocità v1, a cui corrisponde l’energia 1 mv 12 . La velocità v2, corrispondente all’altezza h2, vale (8-6): cinetica 2 v22 = v12 + 2 g (h1 − h2 ); l’energia cinetica in h2 è perciò:
h 1 mv22 2
h1
h2
1 1 1 m v22 = m v12 + mg (h1 − h2 ) = m v12 + mgh1 − mgh2 2 2 2 1 1 m v22 + mgh2 = m v12 + mgh1 2 2
⇒ 9-9′
Questa equazione dimostra che in h2 l’energia meccanica totale, somma dell’energia cinetica e dell’energia potenziale, è uguale all’energia meccanica totale in h1.
201
202
CAPITOLO 9. – DINAMICA
data forza F esiste un’energia potenziale, la forza si dice conservativa 9.4; quando le forze che producono lavoro sono conservative, allora l’energia totale, somma dell’energia cinetica e dell’energia potenziale, si conserva, rimane cioè costante come stabilito dalla 9-9. La forza peso esercitata dalla gravità è appunto una forza conservativa; così pure è conservativa la forza elastica di una molla. Tipiche forze non conservative sono invece quelle dovute agli attriti; l’attrito è una forza dissipativa il cui lavoro è perso dal punto di vista meccanico, anche se riappare come calore (Capitolo 16). La potenza P è il rapporto tra il lavoro [J] compiuto da una forza e il tempo [s] impiegato a svolgere quel dato lavoro; si misura in watt [W = J/s] (Paragrafo 1.17) o, più spesso, in un suo multiplo il kilowatt [kW]. Essendo il lavoro risultato della forza per lo spostamento, la potenza può venire espressa anche come prodotto della forza F [N] per la velocità v [m/s]: Potenza =
Lavoro Forza × Spostamento = = Forza × Velocità Tempo Tempo
⇒
P =
L = Fv t
9-10
Esempio 9.7 Lavoro su un piano inclinato Un treno, di massa complessiva m = 380 Mg, procede su un piano di pendenza 1/60 con accelerazione a = 0,1 m/s2. Il convoglio incontra una resistenza specifica al moto Fr = 0,055 kN/Mg. Calcolare il lavoro speso L per percorrere la distanza s = 800 m nella direzione parallela al piano inclinato.
Fm
a m
Fr
s ma
α α
mg
mg cos
SOLUZIONE
mg sen = mg (1/60)
Fig. 9.12 - Diagramma di corpo libero relativo all’Esempio 9.7. La pendenza del piano vale tan α = 1/60, rapporto tra 1 (cateto opposto ad α ) e 60 (cateto adiacente); essendo α un angolo piccolo [ α = arctan (1/60) = arctan 0,0166 ≈ 1°], sen α ≈ tan α per la A.3-10 e quindi è anche sen α = 1/60. Nel disegno l’angolo α è stato volutamente aumentato per evidenziare la disposizione delle forze.
Fm = 0,055 kN/Mg × 380 Mg + 380 Mg × 9,81 m/s2
1
60
La forza resistente al moto è data dal prodotto della resistenza specifica al moto Fr per la massa del treno m. L’intensità Fm della forza motrice si ricava dalla 9-3 (principio di d’Alembert), dove, accanto alla forza resistente, occorre introdurre mg sen α = mg (1/60), componente della forza peso non equilibrata dal terreno (Figura 9.12): Fm − Fr m − mg sen α − ma = 0
⇒
Fm = Fr m + mg sen α + ma
+ 380 Mg × 0,1 m/s2 = 20,9 kN + 62,1 kN + 38,0 kN = 121 kN
Per la 9-6, il lavoro vale: L = Fms = 121 kN × 800 m = 96,8 MJ
9.4 - Il lavoro compiuto su un corpo da una forza conservativa dipende soltanto dalla posizione iniziale e finale del corpo; non dipende cioè dal percorso
seguito; se si muove un corpo soggetto ad una forza conservativa da una posizione ad un’altra e quindi si ritorna al punto di partenza, il lavoro totale è
uguale a zero. Al contrario, il lavoro compiuto su un corpo in presenza di una forza di attrito dipende dal percorso seguito.
䉳
9.2. – DINAMICA DEL MOTO ROTAZIONALE
Esempio 9.8 Energia per frenare una vettura Una vettura di massa m = 1200 kg scende con velocità v = 20 m/s (72 km/h) lungo una strada collinare, incontrando la resistenza al moto Fr = 250 N. Calcolare, utilizzando le equazioni dell’energia, la forza frenante Ff richiesta per arrestare la vettura nello spazio s = 100 m, sapendo che nel frattempo la quota è diminuita di h = 10 m.
SOLUZIONE Il lavoro (9-6) dissipato nella discesa dalla forza frenante Ff e dalla forza resistente Fr dovrà compensare sia l’energia cinetica (9-7), inizialmente posseduta, sia quella potenziale (9-8), acquistata nella discesa. Ff s + Fr s =
v2 1 m v2 + mgh = m + gh 2 2
⇒
v2 Ff s = m + gh − Fr s 2
⇒
v2 (20 m/s)2 + gh − Fr s 1200 kg + 9,81 m/s2 × 10 m − 250 N × 100 m m 2 2 Ff = = = 3,3 kN 100 m s
9. 2
DINAMICA DEL MOTO ROTAZIONALE
M a m
«
F O
䉳
r
Una particella di massa m, posta all’estremità di un braccio lungo r, è libera di ruotare attorno al punto fisso O (Figura 9.13). Per iniziare la rotazione, o per accelerare la massa, viene applicata la forza F perpendicolare al raggio r. Se è l’accelerazione angolare nell’istante considerato ed a è l’accelerazione lineare della massa tangente al cerchio descritto dalla massa m, la forza richiesta è F = ma = mε r (9-1 e 8-14) . Moltiplicando l’intensità F [N] della forza per il braccio r [m], si ottiene l’intensità M [N⋅m] del momento corrispondente alla coppia F⋅r: M = F⋅r = (mεr) r = [mr 2]ε = Iε 9-2′
dove il termine tra parentesi quadre rappresenta il momento di inerzia I della massa m distante r da O (Paragrafo 4.3). L’equazione 9-2′ rimane valida se, al posto della particella, si considera il corpo Fig. 9.13 - Una particella di massa m è libera di ruotare attorno al punto fisso O; rigido, combinazione di un gran numero di particelle che occupano in questo punto non esiste attrito. posizioni fisse le une rispetto alle altre. La 9-2′ è la legge fondamentale della dinamica rotazionale: momento9.5 ed accelerazione angolare del corpo rigido sono proporzionali e il coefficiente di proporzionalità è il momento di inerzia di massa; se, ad esempio, si applica ad un solido in grado di ruotare attorno ad un asse la coppia di momento M, questo inizierà a ruotare con accelerazione angolare ε tanto maggiore quanto minore è il momento di inerzia I rispetto a quell’asse. Il momento di inerzia di massa I [kg⋅m2] (oppure in kg⋅mm2) e il raggio di inerzia di massa ρ = I/m sono stati definiti alla fine del Paragrafo 4.3; nella Tabella VIII a pag. 494 sono citati i valori di I e ρ per i corpi rigidi di uso più comune. 9.5 - Come per il moto traslazionale (9-2), M va inteso come il momento risultante ΣM di tutte le forze che agiscono sul corpo.
203
204
CAPITOLO 9. – DINAMICA
La quantità di moto angolare di un corpo è il momento della quantità di moto lineare rispetto ad un asse di rotazione. Per una particella di massa m che si muove seguendo un percorso circolare di raggio r con la velocità lineare v, la quantità di moto lineare vale mv e così il momento è il prodotto di mv per r (mv⋅r); tenendo presente il legame 8-13 tra velocità tangenziale e velocità angolare (v = ωr), e che mr 2 è il momento di inerzia della massa considerata, si ha: Quantità di moto angolare = mv⋅r = m (ω r)r = mr 2ω = Iω
V
r
Quantità di moto angolare
Fig. 9.14 - Un disco di raggio r ruota con la velocità tangenziale V attorno ad un asse. Facendo uso della regola della mano destra, si trovano direzione e verso della quantità di moto angolare: piegando le dita nel senso di rotazione del disco, il pollice è orientato secondo la quantità di moto angolare.
M = Fr =
9-1′
Questa equazione rimane valida per il corpo rigido, avente un momento di inerzia I [kg⋅m 2] rispetto all’asse di rotazione. La quantità di moto angolare di un corpo è un vettore (Figura 9.14) ed, essendo il prodotto del momento di inerzia di massa I [kg⋅m2] e della velocità angolare ω [rad/s], si misura in [kg⋅m2/s] oppure in [N⋅m⋅s]. Come la forza era proporzionale alla variazione nel tempo della quantità di moto (9-2), così la coppia di momento M = Fr risulta proporzionale (9-1′ ) alla variazione ∆ della quantità di moto angolare nel tempo ∆t:
∆ ∆ ∆ [( mv)r ] = ( mr 2ω ) = ( Iω ) ∆t ∆t ∆t
9-2″
Al pari della quantità di moto lineare, la quantità di moto angolare totale di un sistema rimane costante a meno che un momento esterno venga applicato a quel sistema (conservazione della quantità di moto angolare); se infatti nella 9-2″ si pone M = 0, non si può verificare alcuna variazione nel tempo di Iω e quindi il valore iniziale della quantità di moto angolare coincide con il valore finale: Iω = Iω iniziale
finale
Nell’ambito della dinamica impulsiva esiste un’espressione analoga alla 9-3 per cui l’impulso angolare (o momento dell’impulso) M∆t uguaglia la variazione della quantità di moto angolare Iω – Iω0. Anche l’impulso angolare, come la quantità di moto angolare, si misura in [kg⋅m2/s] oppure in [N⋅m⋅s]; si preferisce tuttavia far uso di [N⋅m⋅s] in quanto esprime più chiaramente il prodotto di un momento [N⋅m] per un tempo [s]. Confrontando le formule 9-2 (F = ma) e 9-2′ (M = I), si nota che il momento di inerzia I svolge nel moto rotazionale lo stesso ruolo della massa m nel moto traslazionale. Per analogia con la forza di inerzia, si può immaginare il momento M equilibrato da una coppia di inerzia – I, che ruota in senso opposto a quello dell’accelerazione angolare (Figura 9.15). La ruota di bicicletta che, anche se sostenuta dal cuscinetto, richiede un certo sforzo per essere messa in rotazione con le mani offre un’indicazione della coppia di inerzia. Con “l’equilibrio” tra M e – I, la dinamica rotazionale può venire trattata con i metodi della statica (principio di d’Alembert); nel caso più generale il corpo è soggetto a una coppia motrice di momento Mm e ad una coppia resistente di momento Mr come per il rotore della Figura 9.15-b: M + (– I) = 0
⇒
Mm – Mr + (– I) = 0
9-3′
9.2. – DINAMICA DEL MOTO ROTAZIONALE
a
c
I«
ot
o
M
ot
o
M
M
ot
b o
«
I«
Mm
Mr
«
Mm
« I«
Mr
M
Fig. 9.15 - Principio di d’Alembert nella dinamica rotazionale; si osservi come la coppia di inerzia – I si opponga al cambiamento del moto e come la coppia resistente Mr dovuto agli attriti abbia verso opposto al moto. 䡵 a) Rotore che ruota attorno al proprio asse in equilibrio sotto l’azione del momento risultante M e della coppia di inerzia – I; la coppia di inerzia è una coppia fittizia a cui si ricorre per trattare la dinamica rotazionale con i metodi della statica. 䡵 b) Sul rotore agiscono la coppia motrice Mm e la coppia resistente Mr generata dall’attrito sul cuscinetto dell’albero; la coppia motrice deve equilibrare sia la coppia di inerzia che la coppia resistente: Mm = I + Mr 䡵 c) Si vuole fermare la rotazione del rotore applicando la coppia frenante Mm; è sempre presente la coppia resistente Mr generata dall’attrito sul cuscinetto mentre l’accelerazione angolare è adesso una decelerazione e il suo verso si oppone a quello del moto. La somma dei due momenti Mm + Mr equilibra il momento della coppia di inerzia: Mm + Mr = I. Se viene a mancare la coppia frenante, l’arresto del rotore è determinato dall’equilibrio tra coppia resistente e coppia di inerzia: Mr = I.
r M = Fr
A
α
F r O
Fig. 9.16 - Lavoro compiuto da una coppia.
Si consideri (Figura 9.16) l’asta OA di lunghezza r, che ruota attorno ad un asse perpendicolare al piano del foglio passante per O, sotto l’azione della forza costante F applicata tangenzialmente in A: il momento della coppia rispetto ad O vale M = Fr. Se l’asta ruota dell’angolo α [rad], la forza F [N] si sposta della distanza rα [m] lungo l’arco (8-10). Il lavoro L [J] compiuto dalla forza (9-6) e quindi dalla coppia è dato dal prodotto del momento M [N⋅m] per lo spostamento angolare α [rad] subito dal corpo: L = F⋅r α = (Fr) α = Mα
9-6′
Un albero di momento di inerzia I viene portato dalla quiete (ω0 = 0) alla velocità angolare ω; avendo indicato con α [rad] lo spostamento angolare corrispondente, l’accelerazione angolare media vale (8-6′) ε = ω2/(2α). Si calcola allora con la 9-2′ (M = Iε) il momento richiesto per accelerare l’albero e quindi con la 9-6′ il lavoro L [J] compiuto dalla coppia di momento M [N⋅m] nel ruotare l’albero dell’angolo α [rad]. M = Iε = I
ω2 2α
⇒
ω2 1 2 L = Mα = I α = Iω 2 2α
> 9-7′
È questa l’energia cinetica di rotazione di un albero, e più in generale di un corpo rigido, avente velocità angolare pari a ω. In modo analogo si può dimostrare che il lavoro compiuto nell’accelerare il corpo dalla velocità iniziale ω0 alla velocità finale ω è uguale alla variazione dell’energia cinetica di rotazione: 1 2 1 2 Lavoro = Mα = Energia cinetica finale – Energia cinetica iniziale = Iω − Iω 0 2 2 La Figura 9.17-a mostra un disco di momento di inerzia I = (mr 2)/2 alla sommità di un piano inclinato; essendo l’asse del disco parallelo al bordo superiore del piano inclinato e la forza di attrito sufficientemente elevata, quando viene rilasciato il disco rotola senza strisciare sul
205
206
CAPITOLO 9. – DINAMICA
a
b r
h
ω
v r
P
Fig. 9.17 - 䡵 a) Un disco di massa m e raggio r che rotola, senza scivolare, su un piano inclinato. L’energia potenziale che aveva in alto si è trasformata in energia cinetica di traslazione e rotazione quando il disco è arrivato in basso. Il momento di inerzia del disco rispetto al suo asse di rotazione vale I = (mr 2)/2 (Tabella VIII a pag. 494). 䡵 b) Se il disco rotola con velocità lineare v, allora il movimento istantaneo del baricentro rispetto al punto di contatto P è una rotazione con velocità angolare ω = v/r. Spostandosi il baricentro lungo una retta, un punto sul bordo ruota rispetto al baricentro con lo stesso valore di ω: le due velocità lineare e angolare del disco all’arrivo sono perciò legate da v = ω r.
piano inclinato. L’energia potenziale del disco alla sommità del piano inclinato è mgh, con h distanza tra le due posizioni del baricentro del disco in alto e in basso. All’arrivo, l’energia potenziale iniziale si è completamente trasformata nell’energia cinetica totale, somma dell’energia cinetica di traslazione del baricentro (9-7) e dell’energia cinetica di rotazione attorno al baricentro (9-7′), verificando così il principio di conservazione dell’energia. Dal momento che il disco rotola senza scivolare, vi è un legame diretto tra moto di traslazione e moto di rotazione (Figura 9.17-b); si può allora esprimere la velocità angolare finale ω in funzione della velocità lineare finale v: ω = v/r. mgh =
1 1 1 1 mr 2 v 2 3 mv 2 + Iω 2 = mv 2 + = mv 2 2 2 2 2 2 2 r 4
⇒
v =2
gh 3
9-9″
La potenza P [W] è il lavoro Mα [J] compiuto da una coppia nel tempo t [s]; ma α /t è uguale, per la 8-1′ dove si pone α 0 = ω0 = 0, alla velocità angolare ω. La potenza può anche essere espressa in funzione della velocità di rotazione n [giri/s] mediante la 8-11 (ω = 2π n): P=
Mα α =M = Mω t t
oppure
P = 2π nM
9-10′
Tabella 9.1 Corrispondenza tra quantità lineari della dinamica traslazionale e quantità angolari della dinamica rotazionale Moto traslazionale Spostamento lineare* Massa Forza Velocità lineare iniziale Velocità lineare finale Accelerazione lineare Quantità di moto lineare Impulso lineare*** Tempo
Moto rotazionale x m F v0 v a mv Ft t
[m] [kg] [N] [m/s] [m/s] [m/s2] [kg(m/s)] [N⋅s] [s]
Spostamento angolare* Momento di inerzia di massa Momento Velocità angolare iniziale Velocità angolare finale Accelerazione angolare Quantità di moto angolare** Impulso angolare*** Tempo
α I M ω0 ω ε Iω Mt t
[rad] [kg⋅mm2] [N⋅m] [rad/s] [rad/s] [rad/s2] [kg⋅mm2/s] [N⋅m⋅s] [s]
* Le posizioni iniziali x0 ed α0 sono poste uguali a zero. ** Quantità di moto angolare oppure momento della quantità di moto. *** Per semplicità si è indicato con t, anziché con ∆t, l’intervallo di tempo e si è omessa l’indicazione di valor medio di forza e momento.
9.2. – DINAMICA DEL MOTO ROTAZIONALE
Nella dinamica rotazionale si possono scrivere delle relazioni analoghe a quelle della dinamica traslazionale mediante le sostituzioni (Tabella 9.1): α → x, I → m, M → F, ω → v, ε → a, Iω → mv, ottenendo le formule elencate nella Tabella 9.2. Tabella 9.2 Formule importanti della dinamica traslazionale e della dinamica rotazionale Moto traslazionale
Moto rotazionale
Legge fondamentale della dinamica Dinamica impulsiva Lavoro Potenza
F = ma Ft = mv – mv0 Fxx Fv
9-2 9-5 9-6 9-10
M = I Mt = Iω – Iω 0 Mα Mω
9-2′ 9-5′ 9-6′ 9-10′
Energia cinetica
1 mv2 2
9-7
1 2 Iω 2
9-7′
Esempio 9.9 Rotazione di un cilindro cavo Un cilindro cavo di acciaio di diametro esterno de = 400 mm, diametro interno di = 200 mm e lunghezza l = 800 mm, viene messo in rotazione attorno al suo asse. Calcolare l’intensità M della coppia necessaria ad imprimergli l’accelerazione angolare ε = 0,5 rad/s2.
SOLUZIONE Noti massa volumica dell’acciaio ρ = 7850 kg/m3 (Tabella III di copertina), massa m e momento d’inerzia di massa I del cilindro cavo (Tabella VIII a pag. 494), si ricava il momento M con la 9-2′. m=
πl 2 π × 0,8 m (d e − d i2 ) ρ = [(0,4 m )2 − (0,2 m )2 ] 7850 kg/m 3 = 591,6 kg 4 4 m 591,6 kg I = (d e2 + d i2 ) = [(0,4 m )2 + (0,2 m )2 ] = 14,8 kg⋅m 2 8 8 M = Iε = 14,8 kg⋅m2 × 0,5 rad/s2 = 7,4 N⋅m
䉳
Esempio 9.10 Coppia per frenare un volano Un volano di massa m = 300 kg, comprensiva di quella dell’albero sul quale è calettato, ruota con frequenza n = 16 giri/s; il suo raggio di inerzia è ρ = 900 mm e la coppia dovuta all’attrito dei perni sui cuscinetti ha un momento resistente Mr = 80 N⋅m. Calcolare l’intensità Mf della coppia frenante richiesta per fermare il volano nel tempo t = 10 s.
SOLUZIONE Noti momento d’inerzia I del volano in funzione del suo raggio d’inerzia ρ (Paragrafi 4.3 e 9.2), velocità angolare ω (8-11) e accelerazione angolare ε (8-2′), si calcola la coppia frenante Mf sapendo che, per il principio di d’Alembert (9-3′), durante la fase di frenata la coppia frenante Mf insieme alla coppia resistente dovuta all’attrito Mr deve equilibrare la coppia d’inerzia Iε (Figura 9.15-c). I = mρ2 = 300 kg × (0,9 m)2 = 243 kg⋅m2
Mf + Mr = Iε
⇒
ω = 2π n = 2 × π × 16 giri/s = 100 rad/s ω 100 rad/s ε= = = 10 rad/s2 10 s t Mf = Iε − Mr = 243 kg⋅m2 × 10 rad/s2 − 80 N⋅m = 2,35 kN⋅m
䉳
207
CAPITOLO 9. – DINAMICA
Esempio 9.11 Tamburo di montacarichi Il tamburo di un montacarichi, di diametro d = 1000 mm e di massa mt = 680 kg, deve sollevare un carico di massa m = 1200 kg con l’accelerazione a = 1 m/s2. Determinare l’intensità del momento motore Mm e la velocità angolare ω del tamburo dopo il tempo t = 3 s dall’avvìo.
Mm ε r M oto
208
Mr
Iε
SOLUZIONE Fm
Il momento di inerzia di massa I del tamburo del montacarichi può essere assimilato ad un cilindro pieno e vale (Tabella VIII a pag. 494): I =
Fm
a
680 kg × (1 m )2 mt d 2 = = 85 kg⋅m 2 8 8
ma
L’accelerazione a del carico è anche l’accelerazione tangenziale del tamburo di raggio r = d/2 = 500 mm (8-14): a 1 m/s 2 a = εr ⇒ ε = = = 2 rad/s 2 0,5 m r
mg
Sul carico agiscono la forza peso mg e la forza d’inerzia ma di braccio r rispetto all’asse di rotazione del tamburo; esse danno luogo alla coppia resistente Mr = (mg + ma) r. Scrivendo con il principio di d’Alembert (9-3′) l’equilibrio dei momenti relativi alle coppie evidenziate nella Figura 9.18, si ricava la coppia richiesta al tamburo per sollevare il carico; quindi con la 8-3′ si ottiene la velocità angolare.
m
Fig. 9.18 - Sollevamento di un carico nell’Esempio 9.11.
Mm − Mr − Iε = 0
⇒
Mm = Iε + (mg + ma) r = Iε + mr (g + a)
⇒
Mm = 85 kg⋅m2 × 2 rad/s2 + 1200 kg × 0,5 m × (9,81 + 1) m/s 2 = 6,6 kN⋅m
䉳
2
䉳
ω = ε t = 2 rad/s × 3 s = 6 rad/s
Esempio 9.12 Funzione del volano Una punzonatrice, di cui la Figura 9.19-a mostra una configurazione tipica, opera secondo il ciclo di lavoro descritto nella Figura 9.19-b: in ciascun ciclo di punzonatura l’albero della macchina fornisce il lavoro L = 270 J durante una rotazione di 30° (π/6 rad) arrivando ad un picco di coppia Mpicco = 774 N⋅m, mentre nessun lavoro viene esercitato durante i 330° (2π − π/6 rad) che rimangono per terminare il ciclo. Sapendo che la velocità angolare media del volano vale ωmedio = 20 rad/s e che la macFig. 9.19 - 䡵 a) Esempio di punzonatrice con accanto la sezione di un tipico volano china richiede un coefficiente di flutin ghisa. I volani possono essere realizzati anche in acciaio o, più recentemente, con tuazione della velocità Cs = 0,10, cali materiali compositi citati nel Paragrafo 5.10.4. colare: a) il momento di inerzia I del volano, nell’ipotesi che si possa trascurare l’inerzia delle altre parti rotanti; b) la potenza P richiesta al motore elettrico in assenza e in presenza del volano.
9.2. – DINAMICA DEL MOTO ROTAZIONALE
SOLUZIONE Un volano è costituito generalmente da una corona o da un disco pieno dotato di un elevato momento di inerzia I (Figura 9.19-a). La funzione del volano è di immagazzinare energia in modo da smorzare le variazioni nella velocità dell’albero di una data macchina generate da variazioni cicliche delle potenze o delle coppie impegnate. Usando la sua energia cinetica (1/2) Iω 2 (9-7′ ) immagazzinata alla velocità angolare ω, il volano assorbe le variazioni di coppia durante un ciclo della macchina attutendo le fluttuazioni di velocità della macchina. Il coefficiente di fluttuazione della velocità Cs , definito da: Cs =
ω max − ω min ω medio
9-11
con ωmin, ωmax e ωmedio = (ωmin + ωmax )/2 rispettivamente velocità angolare minima, massima e media del volano, viene fissato in funzione della variazione della velocità di rotazione che può essere tollerata per una determinata macchina: ⭐ 0,003 per una velocità molto uniforme, 0,003 ÷ 0,012 per una velocità moderatamente uniforme, 0,012 ÷ 0,05 quando si può accettare qualche variazione, ecc. Espressa 1 2 1 2 − ω min la massima variazione di energia cinetica ∆E = Iω max in funzione del coefficiente di flut2 2 tuazione C : s
∆E =
1 1 ω 2 2 I ω max − ω min = I (ω max − ω min ) (ω max + ω min ) medio 2 2 ω medio
(
)
= ICsω 2medio
9-11′
Coppia di carico [N⋅m]
è possibile ricavare il momento di inerzia I del volano.
Un ciclo della macchina
800 774 600 400 200 43 0 0 30°
180°
360° 390°
Angolo di rotazione dell’albero
Fig. 9.19-b - Ciclo di lavoro (punzonatrice dell’Esempio 9.12), che viene ripetuto dopo 360° (2π rad). La linea orizzontale tratteggiata indica il valor medio della coppia Mmedio = 43 N⋅m, mentre l’area rosa della prima curva è l’energia ∆E = 247 J fornita dal volano nei 30° (π/6 rad) in cui va effettuata la punzonatura. Durante i rimanenti 330° (2π − π/6) del ciclo, il motore elettrico provvede a rifornire di nuovo il volano con l’energia 43 N⋅m × (2π − π/6) rad = 247 J, espressa dall’area celeste. La velocità angolare del volano raggiunge il suo valore massimo e quello minimo nel punto in cui la curva interseca la linea Mmedio = 43 N⋅m.
a) Il momento medio Mmedio richiesto per compiere il lavoro L = 270 J, nei 360° (2π rad) in cui si compie un ciclo della macchina, si ricava con la 9-6′: Mmedio = L/(2π) = 270 J/(2 × π rad) = 43 N⋅m. Il motore elettrico fornisce appunto questa coppia costante durante il ciclo. Il volano dovrà essere in grado di fornire l’energia immagazzinata nei 30° (π/6 rad) in cui va effettuata la punzonatura: l’energia è evidenziata dall’area rosa della curva della Figura 9.19-b al di sopra della linea del momento medio di 43 N⋅m; la restante energia di 43 N⋅m × π/6 rad = = 22,5 J ≈ 23 J, visualizzata dal rettangolo bianco alla base della curva, verrà fornita dal motore elettrico. La massima variazione di energia vale allora ∆E = 270 J – 23 J = 247 J e quindi, per la 9-11′, si ha: 2 ∆E = IC sω medio
I =
⇒
∆E 247 J = = 6,2 kg⋅m 2 䉳 2 C sω medio 0,1 × (20 rad/s)2
b) Nell’ipotesi che la velocità angolare sia quella media durante il picco di coppia Mpicco = 774 N⋅m (Figura 9.19-b), si ricava (9-10′ ) la potenza di picco P richiesta in assenza del volano; in presenza del volano, la potenza viene calcolata facendo riferimento al valor medio della coppia Mmedio = 43 N⋅m.
P = Mpiccoωmedio = 774 N⋅m × 20 rad/s = 15.480 W ≅ 15,5 kW P = Mmedioωmedio = 43 N⋅m × 20 rad/s = 860 W ≅ 0,9 kW
>
䉳
>
䉳
209
210
CAPITOLO 9. – DINAMICA
Esempio 9.13 Rotazione di due masse Due masse, ciascuna del valore m = 3 kg, sono poste alle due estremità di un’asta di massa trascurabile e messe in rotazione con frequenza n1 = 360 giri/min attorno ad un asse passante per la mezzeria dell’asta e normale ad essa (Figura 9.20). Le due masse, inizialmente alla distanza r1 = 1,0 m dall’asse di rotazione, vengono fatte avvicinare lungo l’asta fino alla distanza r2 = 0,5 m. Calcolare la nuova frequenza di rotazione n2 e la variazione di energia cinetica ∆Ec.
r1 = 1 ,0
m
r2 = 0 ,5 m
Fig. 9.20 - Le due masse rotanti dell’Esempio 9.13.
SOLUZIONE Nell’ipotesi che ciascuna massa si possa ritenere concentrata all’estremità del raggio r, il momento d’inerzia di massa per le due masse vale I = 2mr2 (Paragrafi 4.3 e 9.2): I1 = 2mr12 = 2 × 3 kg × (1,0 m )2 = 6,0 kg⋅m 2
I 2 = 2mr22 = 2 × 3 kg × (0,5 m )2 = 1,5 kg⋅m 2
Si divide per 60 la frequenza di rotazione n, assegnata come giri/min, in modo da poterla esprimere in giri/s (Tabella I di copertina) e, mediante la 8-11, si ricava la velocità angolare iniziale:
ω 1 = 2π
n1 2 × π × 360 giri/min = = 37,7 rad/s 60 60 s/min
Dal momento che non vi è alcun momento esterno che agisce sull’asse attorno al quale ruotano le due masse, la quantità di moto angolare si conserva (Paragrafo 9.2); uguagliando allora la quantità di moto angolare finale a quella iniziale, si ricava la frequenza di rotazione finale n2. Iω
finale
= Iω
ω 2 = 2π n2
⇒ iniziale
⇒
n2 =
I 2ω 2 = I1ω 1
⇒
ω2 = ω1
ω 2 150,7 rad/s = = 24 giri/s 2π 2 × π rad
I1 6,0 kg⋅m 2 = 37,7 rad/s = 150,7 rad/s I2 1,5 kg⋅m 2
⇒
⇒
n 2 = 24 giri/s × 60 s/min = 1440 giri/min
䉳
Nel calcolare la variazione di energia cinetica con la 9-7′, si osserva un guadagno di 12,8 kJ derivante dal lavoro fatto nel far scorrere le masse verso l’interno contro la forza di inerzia radiale dovuta alla rotazione. ∆Ec =
1 1 1 1 I 2ω 22 − I1ω 12 = 1,5 kg⋅m 2 × (150,7 rad/s)2 − 6,0 kg⋅m 2 × (37,7 rad/s)2 = 12,8 kJ 2 2 2 2
䉳
9.3. – FORZA CENTRIFUGA
9. 3
FORZA CENTRIFUGA Se un corpo di massa m percorre una traiettoria circolare di raggio r con velocità v costante è soggetto ad una accelerazione centripeta di intensità ac = v2/r (8-12) in quanto la velocità cambia continuamente direzione; oppure, se il corpo ruota con la velocità angolare costante ω attorno ad un asse, un punto del corpo di raggio r è soggetto ad ac = ω2r (8-12′). Per la seconda legge di Newton (9-2), il corpo risulta sottoposto a una forza, chiamata forza centripeta Fc, orientata come l’accelerazione centripeta ac (Paragrafo 8.4) e quindi diretta verso il centro del cerchio, di intensità: Fc = mac = m
v2 = mω 2 r r
9-12
Ad esempio (Figura 9.21-a), il corpo A fatto ruotare secondo un cerchio orizzontale di centro O all’estremità di un filo è mantenuto nella sua traiettoria circolare dalla tensione nel filo che agisce radialmente verso l’interno: è questa la forza centripeta di intensità Fc che fa sì che il moto del corpo sia circolare; se si taglia il filo, la forza centripeta scompare e il corpo si muove secondo una retta tangente alla traiettoria circolare (Figura 9.21-b). Secondo il principio di d’Alembert, nel corpo A, la forza centripeta Fc è in equilibrio con una forza di inerzia uguale ed opposta di intensità mω 2r (Figura 9.21-c). Si consideri adesso la tensione del filo in O richiesta perché il moto segua una traiettoria circolare; questa è uguale ed opposta alla forza centripeta in A e perciò è diretta radialmente verso l’esterno: è la forza centrifuga risultato dell’azione di A sopra il punto O dovuto alla rotazione di A.
a
c
b
ac A
ω
O
A
A
Forza di inerzia
ω Tensione nel filo Fc O
O
Forza centripeta
Forza centrifuga
Fig. 9.21 - Corpo A che ruota con la velocità angolare costante ω descrivendo una traiettoria circolare attorno al centro O. 䡵 a) Il corpo A viene mantenuto nella sua traiettoria circolare attorno al centro O dalla tensione nel filo espressione della forza centripeta Fc che agisce radialmente verso l’interno; ac è l’accelerazione centripeta. 䡵 b) Se si taglia il filo, che congiunge il corpo A al centro O del cerchio, la forza centripeta scompare e il corpo non viene lanciato radialmente verso l’esterno ma viene proiettato nella direzione tangente alla traiettoria circolare. 䡵 c) Forza centripeta e forza di inerzia (principio di d’Alembert); è indicata anche la forza centrifuga.
Così su una vettura che effettua una curva (Figura 9.22), il guidatore avverte una spinta sul suo corpo che lo spinge lungo la curva; ma, per il principio di azione e reazione (terza legge di Newton), il suo corpo spinge contro la vettura nella direzione opposta verso l’esterno. Questa spinta contraria del corpo sulla vettura è la forza centrifuga. Naturalmente, quando si considerano le forze che agiscono sul corpo del guidatore, occorre considerare soltanto la forza centripeta. La forza di inerzia, che, secondo il principio di d’Alembert, fa equilibrio alla forza cen-
211
212
CAPITOLO 9. – DINAMICA
Forza centripeta sulla vettura
Tendenza della vettura a muoversi in linea retta
47
1 r=
Fig. 9.22 - Per poter effettuare la curva a velocità costante, evitando di andare diritta, la vettura deve essere soggetta alla forza centripeta generata dall’attrito tra le ruote e la strada.
m
Fig. 9.23-a - Stazione spaziale di cui si vuole calcolare la velocità angolare in modo da simulare il 60% della gravità terrestre.
Direzione normale
Direzione tangenziale
Fc
Fig. 9.23-b - Persone che lavorano nell’anello esterno della stazione.
tripeta ed è quindi diretta radialmente verso l’esterno, è una forza fittizia. La forza centrifuga è invece una forza reale; nella vettura in curva, la forza centrifuga è la forza diretta radialmente verso l’esterno esercitata dalle ruote della vettura sulla strada. In quanto tale, essa non può venire inclusa nel sistema di forze rappresentate nel diagramma di corpo libero (Figura 9.23), il cui scopo è quello di mostrare soltanto le forze che agiscono sul corpo in questione, e non le forze esercitate da esso sugli altri corpi.
Fig. 9.23-c - Diagramma di corpo libero di una persona che si trova sul pavimento dell’anello esterno di una stazione spaziale. L’anello descrive una traiettoria circolare di raggio r = 147 m rispetto al centro della stazione. Fc è la forza centripeta esercitata sulla persona dal pavimento; la persona esercita una forza uguale ed opposta sul pavimento (forza centrifuga): è questo il suo peso effettivo. Volendo, ad esempio, simulare il 60% della gravità terrestre, la velocità angolare ω risulta (9-11): 0,6 (mg ) = mω 2 r
ω =
0,6 g = r
⇒
0,6 × 9,81 m/s2 = 0,2 rad/s 147 m
9.3. – FORZA CENTRIFUGA
Esempio 9.14 Angolo di sopraelevazione di una curva Il progetto di una pista prevede una curva di raggio r = 975 m. Calcolare con: a) la seconda legge di Newton, b) il principio di d’Alembert; l’angolo α di sopraelevazione della curva affinché alla velocità v = 240 km/h = 66,7 m/s non si verifichi lo slittamento laterale della vettura che sta percorrendo la curva (Figura 9.24).
(mv2)/r le Norma
le Norma
Rcos
ante
c
b
Risult
a
R
α
α
mg
Rsen (mv )/r 2
(mv2)/r
Fr
Fr R′
R′
R
R
mg
mg
α
mg mg
Fig. 9.24 - Vettura in curva dell’Esempio 9.14. 䡵 a) Vettura che affronta una curva in piano. Il peso mg della vettura è equilibrato dalla somma delle forze normali R. L’accelerazione centripeta viene assicurata dalle forze di attrito Fr tra le ruote e la strada. 䡵 b) L’Esempio viene risolto con la legge fondamentale della dinamica: nella curva sopraelevata la reazione totale R = ΣR′ della strada sulla vettura viene scomposta in una componente verticale e in una componente orizzontale diretta verso il centro della curva. Per ciascun angolo α di inclinazione della curva esiste una data velocità della vettura in corrispondenza della quale la forza normale soddisfa la forza centripeta richiesta. 䡵 c) L’Esempio viene risolto con il principio di d’Alembert: la reazione totale R = ΣR′ della strada sulla vettura deve far equilibrio al peso mg e alla forza di inerzia (mv2)/r. Trovata la risultante di queste due forze con la regola del parallelogramma, la reazione R è diretta nel verso opposto alla risultante; l’inclinazione α della curva si ricava dal triangolo delle tre forze.
SOLUZIONE a) Se la curva è sopraelevata dell’angolo α , la forza normale R ha la componente Rsenα diretta verso il centro della traiettoria circolare (Figura 9.24-b). Per una particolare velocità della vettura, questa componente provvede la forza esattamente necessaria perché la vettura percorra la curva senza slittare di lato anche in mancanza di attrito tra pneumatici e strada; in altre parole la vettura non slitterà anche se la strada fosse ricoperta di ghiaccio. In corrispondenza di questa velocità di non slittamento, tutte le forze tra strada e vettura sono perpendicolari (normali) alla superficie della strada: la strada esercita la forza normale R sulla vettura. La componente verticale Rcosα deve essere uguale ed opposta alla forza di gravità mg, mentre la componente orizzontale Rsenα fornisce la forza centripeta (mv2)/r diretta verso il centro del cerchio che fa curvare la vettura. R cos α = mg
m v2 R sen α (m v2 )/r v2 ⇒ = ⇒ tan α = r R cos α mg gr 2 2 v (66,7 m/s) α = arctan = = 24,9° ≅ 25° gr 9,81 m/s2 × 975 m
R sen α =
⇒ 䉳
213
214
CAPITOLO 9. – DINAMICA
b) Con il principio di d’Alembert si considera, nell’equilibrio delle forze, la forza di inerzia (mv2)/r diretta verso l’esterno della curva (Figura 9.24-c): tan α =
9. 4
(m v2 )/r v2 = mg gr
⇒
α = arctan
v2 (66,7 m/s)2 = = 24,9° ≅ 25° gr 9,81 m/s2 × 975 m
䉳
SOMMARIO La dinamica si basa sulle tre leggi di Newton: • Prima legge (o legge di inerzia): un corpo permane nel suo stato di quiete, se originariamente era in quiete, oppure di moto rettilineo uniforme, se originariamente era in movimento, fino a che non venga costretto a cambiare questo stato da una forza esterna. • Seconda legge: forza ed accelerazione di un corpo sono proporzionali e il coefficiente di proporzionalità è la massa. • Terza legge (o legge di azione e reazione): se un corpo esercita una forza su un secondo corpo, allora il secondo corpo esercita una forza uguale ed opposta sul primo; ad ogni azione corrisponde cioè una reazione uguale ed opposta. La seconda legge F = ma è la legge fondamentale della dinamica; F è la somma di tutte le forze esterne che agiscono sul corpo, mentre m è la massa del corpo ed a è l’accelerazione del baricentro. Se come accelerazione viene presa l’accelerazione di gravità g, allora la forza esercitata sul corpo di massa m è la forza peso o, più semplicemente, il peso del corpo mg. La legge fondamentale della dinamica può anche essere scritta nella forma F + (– ma) = 0; in tal caso (principio di d’Alembert), il problema dinamico può essere trattato con i metodi sviluppati nella statica in quanto il corpo può essere immaginato in equilibrio sotto l’azione di F e della forza di inerzia – ma. In assenza di forze esterne, la quantità di moto lineare mV [kg(m/s)], prodotto della massa m per la velocità V, si conserva costante (principio di conservazione della quantità di moto). Questo principio viene particolarmente utilizzato nell’urto dei corpi. L’impulso Ft [N⋅s], prodotto della forza F [N] per l’intervallo di tempo t [s] durante il quale essa agisce, viene misurato dalla variazione della quantità di moto che esso produce (legge fondamentale della dinamica impulsiva). Il lavoro L [J = N⋅m] compiuto da una forza è il prodotto dell’intensità della forza [N] per la distanza [m] lungo la quale la forza agisce allorché il corpo si muove. Energia è la capacità di un corpo di produrre lavoro; l’energia meccanica, che è una quantità scalare e si misura in joule come il lavoro, si può presentare sotto forma di energia cinetica (mv2)/2, energia derivante dalla velocità v del corpo di massa m, ed energia potenziale mgh, che è l’energia posseduta dal corpo in virtù della sua altezza h rispetto ad un livello di riferimento. La somma delle due energie, cinetica e potenziale, è costante. La potenza P [W] è il rapporto tra il lavoro [J] compiuto da una forza e il tempo [s] impiegato a svolgere quel dato lavoro; può venire espressa anche come prodotto della forza F per la velocità v: P = Fv. Per la dinamica rotazionale valgono delle relazioni analoghe a quelle della dinamica traslazionale, tenendo presente le seguenti sostituzioni: spostamento angolare α → x, momento di inerzia di massa I → m, coppia di momento M → F, velocità angolare ω → v, accelerazione angolare ε → a e quantità di moto angolare Iω → m v.
ESERCIZI PROPOSTI
Esercizi proposti
Con il contributo del prof. L. Leonessa
9.1 Un aeroplano (Figura 9.25-a) di massa pari a 220 mg si appresta a decollare. La spinta complessiva delle sue quattro turbine è T = 600 kN. Dopo aver tracciato il diagramma di corpo libero (Figura 9.25-b) e trascurando le forze orizzontali esercitate sulle ruote, calcolare l’accelerazione a dell’aeroplano e le reazioni RA ed RB sul carrello nei punti A e B, applicando la seconda legge di Newton.
y
2m
G ma
a = 2,7 m/s2; RA = 1,8 MN; RB = 355 kN
RA
B
9.4 Un martello di 4 kg colpisce con la velocità di 8,0 m/s un chiodo fermandosi nel tempo di 0,1 s. Deter– minare l’impulso del martello e la forza F esercitata sul chiodo. – Impulso = 32 N⋅s; F = 320 N
Fig. 9.25-a - Aeroplano degli Esercizi 9.1 e 9.2.
y
2m
G
3m x
T
RB
mg 5m
22 m
Fig. 9.25-c - Diagramma di corpo libero relativo all’Esercizio 9.2. Il principio di D’Alembert consente di riferire le condizioni di equilibrio ad un punto qualsiasi, per esempio al punto A di contatto tra il carrello principale ed il terreno. Ciò comporta una semplificazione del calcolo.
T
RA
RB
mg 5m
A
3m x
T A
22 m
Fig. 9.25-b - Diagramma di corpo libero relativo all’Esercizio 9.1. Quando si applica la seconda legge di Newton, le condizioni di equilibrio vanno riferite al baricentro G.
9.2 Si risolva l’Esercizio 9.1 (Figura 9.25-a) con il principio di D’Alembert. L’equilibrio dei momenti può essere scritto rispetto al punto A dove il carrello principale tocca terra (Figura 9.25-c). 9.3 Un razzo pesante 800 kN è mosso da una spinta verticale di 1080 kN. Mentre attraversa gli strati bassi dell’atmosfera, l’accelerometro a bordo indica una accelerazione di 3,4 m/s2. Determinare l’intensità R della resistenza opposta dall’atmosfera. R = 2,7 kN
9.5 Due carrelli, con massa di 200 kg ciascuno, sono collegati tra loro per mezzo di una fune, e si muovono su di un piano orizzontale trainati da una forza di 1,8 kN applicata al carrello che sta davanti. Trascurando ogni attrito, determinare l’accelerazione a del complesso e la trazione T sul cavo di collegamento. a = 4,5 m/s2; T = 900 N 9.6 Due veicoli commerciali le cui masse sono 4000 kg e 6000 kg si scontrano frontalmente. Le rispettive velocità prima dell’urto erano 5 m/s e − 2,6 m/s. Calcolare la velocità v ′ dei due veicoli che dopo l’urto procedono uniti. v ′ = 0,44 m/s 9.7 Una vettura di massa pari a 1600 kg e velocità di + 8 m/s si scontra frontalmente con una vettura di massa pari a 800 kg e velocità di – 10 m/s. Calcolare la velocità v′ delle due vetture che dopo l’urto procedono unite e la variazione di velocità (velocità finale – velocità iniziale) della vettura più piccola ∆vpiccola e della vettura più grossa ∆vgrossa. Determinare infine il valore assoluto del rapporto tra l’accelerazione della vettura più piccola apiccola e l’accelerazione della vettura più grossa agrossa. Essendo il tempo in cui avviene la collisione uguale per le due vet-
215
216
CAPITOLO 9. – DINAMICA
ture, il rapporto tra le accelerazioni è uguale al rapporto tra le variazioni delle velocità. v ′ = + 2 m/s; ∆ vpiccola = + 12 m/s; ∆vgrossa = – 6 m/s; apicccola /agrossa = 2
9.8 Un’imbarcazione è mossa da un idrogetto che imprime all’acqua un incremento di velocità ∆ v = 12 m/s. ˙ d’acqua necessaria ad assicurare Calcolare la portata m la spinta di 2200 N. ˙ = 183kg/s m
9.9 Uno statoreattore9.6 vola alla velocità di 280 m/s ad una quota in cui la massa volumica dell’aria è ρ = 0,9 kg/m3. La velocità di efflusso dei gas, riferiti al motore, è di 600 m/s. Calcolare l’area frontale A della presa d’aria affinché la spinta sia di 13 kN. A = 0,16 m2
9.10 Una barra orizzontale porta due masse uguali poste da bande opposte dal suo centro a distanza r1 = 1 m (Figura 9.26). La barra ruota attorno ad un asse verticale y passante per il suo centro alla frequenza di 6 Hz. Se, durante la rotazione, le masse si allontanano dal centro fino alla distanza r2 = 1,25 m dallo stesso, quale sarà la nuova frequenza n2 di rotazione? Quale la perdita ∆Ec di energia cinetica nell’ipotesi che le masse siano di 3 kg ciascuna? Ignorare la massa e l’inerzia della barra.
9.11 Un razzo di massa pari a 450 kg dispone di una spinta costante di 12 kN; la rampa di lancio (Figura 9.27) sviluppa una lunghezza complessiva l = 10 m ed un dislivello h = 2 m. Trascurando ogni tipo di resistenza e le variazioni di massa dovute al consumo del propellente, determinare la velocità v del razzo al momento del distacco dalla rampa. v = 22,2 m/s
2m
Fig. 9.27 - Razzo sulla rampa di lancio dell’Esercizio 9.11.
9.12 La massa di 160 kg di un demolitore è appesa ad un cavo lungo 5 m; se la posizione 1 (Figura 9.28) è quella di velocità nulla, quale sarà la velocità v della massa nella posizione 2? v = 2,97 m/s
1 2
= 65° = 95°
1
2
1
n2 = 3,8 Hz; ∆Ec = 1,5 kJ
2
y Fig. 9.28 - Massa di un demolitore dell’Esercizio 9.12.
r2 r2
Fig. 9.26 - Barra con due masse dell’Esercizio 9.10.
9.6 - Lo statoreattore, o autoreattore, è un motore a reazione privo di compressore e di turbina. La compressione, che richiede una elevata velocità del mezzo rispetto all’aria, avviene in un condotto divergente;
9.13 Per il lancio di un fuoco d’artificio della massa di 5 kg, viene usato un mortaio a molla (Figura 9.29). La molla, che a riposo misura 75 cm, ha una rigidezza di 21 N/mm e viene compressa fino alla lunghezza di 15 cm. Trascurando ogni tipo di resistenza e l’inerzia della molla stessa, calcolare con quale velocità v il fuoco d’artificio abbandonerà il mortaio. v = 38,85 m/s
fa seguito la camera di combustione che fornisce l’energia termica e quindi lo scarico in un condotto convergente-divergente dove avviene l’espansione dei prodotti della combustione. Lo statoreattore si pre-
senta quindi come un condotto nel quale, ad eccezione della pompa di alimentazione combustibile, non vi sono parti in movimento.
ESERCIZI PROPOSTI
9.16 Di un albero si conosce il momento d’inerzia pari a 20 kg⋅m2; esso compie tre giri per passare da 1800 a 1960 giri/min; la coppia resistente è di 96 N⋅m. Calcolare la variazione ∆Ec di energia cinetica e la coppia M necessaria a provocarla. ∆Ec = 66,2 kJ; M = 3,6 kN⋅m
75 cm
15 cm 75°
Fig. 9.29 - Mortaio a molla; Esercizio 9.13.
9.14 Il cannone “Berta” usato dalla Germania nella prima guerra mondiale aveva una canna lunga 37,5 m, e poteva sparare un proiettile di 120 kg di massa con una velocità, all’uscita della canna, di 1550 m/s. Determinare la potenza P trasferita al proiettile al momento dello sparo. P = 5958 MW
9.15 Una massa ha un momento d’inerzia di 55 kg⋅m2 rispetto all’albero sul quale è calettata. Calcolare la coppia M necessaria per portare l’albero, da fermo, alla rotazione con frequenza di 8 Hz in 10 giri, tenendo conto di una coppia resistente di 260 N⋅m. M = 1,4 kN⋅m
9.17 Un rullo cilindrico, parcheggiato sul ciglio di un fosso, scavalca accidentalmente i ceppi che lo bloccano e rotola sulla sottostante scarpata. Con quale velocità v raggiungerà il fondo del fosso che si trova ad un dislivello h = 4 m al disotto del ciglio? Trascurare le perdite per urti ed attriti. v = 7,2 m/s 9.18 Un aeroplano vola orizzontalmente alla velocità di 250 m/s con una spinta complessiva dei reattori di 19 kN. Calcolare la potenza P corrispondente. P = 4,75 MW 9.19 La paletta di una turbina ha una massa di 200 g ed è posta alla distanza di 48 cm dall’asse di rotazione. Calcolare la forza centrifuga Fc mentre la turbina ruota con la frequenza di 1500 giri/min. Fc = 2,4 kN 9.20 Una vettura di massa pari a 1800 kg percorre una curva piana di raggio 68 m alla velocità di 18 m/s. Calcolare la spinta laterale F esercitata dalla strada sulle ruote. F = 8,6 kN
217
Capitolo 10
10. 1
VIBRAZIONI
MOTO PERIODICO
Fig. 10.1 - Manovellismo di un motore alternativo a combustione interna (Capitoli 12 e 21).
Vibrazione10.1 è il moto oscillatorio o periodico del corpo attorno ad una posizione di equilibrio, dove per moto periodico si intende qualsiasi moto che riproduce se stesso regolarmente ad uguali intervalli di tempo. Ad esempio, nel manovellismo dei motori alternativi (Figura 10.1 ) la manovella che ruota con velocità angolare uniforme fa muovere lo stantuffo tra due posizioni limiti, i punti morti, con un moto che si ripete ad uguali intervalli di tempo; non essendo costanti né la velocità né l’accelerazione dello stantuffo, non si possono usare le formule del moto ad accelerazione costante esaminate nel Capitolo 8, e occorre quindi sviluppare metodi che consentano la trattazione dei moti periodici. La Figura 10.2 illustra i principali parametri del moto periodico: • il periodo T [s]: tempo che passa tra una ripetizione del moto e quella successiva; • la frequenza f: numero delle oscillazioni complete compiute nel tempo e quindi uguale al reciproco del periodo; la frequenza si misura in hertz [Hz = 1/s = s– 1], con 1 Hz uguale a 1 oscillazione al secondo: f =
1 T
10-1
• l’ampiezza A: spostamento massimo della oscillazione completa dalla posizione iniziale di quiete; può assumere valori positivi e negativi. Il moto alternativo periodico dello stantuffo di un motore è complesso; tuttavia, si avvicina molto ad un moto periodico importante e meno complesso: il moto armonico semplice. È questo un moto in cui l’accelerazione del corpo nella sua traiettoria è sempre diretta verso un punto fisso ed è proporzionale al suo spostamento da quel punto10.2. Nel Paragrafo che segue verrà presentato il moto armonico semplice derivandolo dal moto circolare ed applicandolo (Esempio 10.1) al moto di uno stantuffo avente una biella lunga rispetto alla manovella; negli altri paragrafi verranno esaminati il caso di una massa oscillante posta in fondo ad una molla e quello del pendolo semplice. 10.1 - Anche se questo capitolo è dedicato alle vibrazioni meccaniche, i concetti esposti si possono ugualmente applicare ai sistemi elettrici, fluidi, ecc.
10.2 - Nel moto armonico semplice, data la proporzionalità tra forza ed accelerazione (F = ma), anche la forza interna di richiamo del sistema vibrante è sem-
pre diretta verso un punto fisso ed è proporzionale allo spostamento da quel punto.
10.2. – MOTO ARMONICO SEMPLICE
Spostamento + Ampiezza A Tempo
0
–
Periodo T
Fig. 10.2 - Diagramma dello spostamento (dalla posizione iniziale di quiete) in funzione del tempo per un moto periodico con evidenziati il periodo e l’ampiezza dell’oscillazione completa.
10. 2
MOTO ARMONICO SEMPLICE Si immagini di proiettare il moto circolare di un punto P, che percorre con velocità angolare uniforme ω una circonferenza, su uno sfondo orizzontale mobile (Figura 10.3-a): al ruotare di P, la sua proiezione X si sposta alternativamente avanti e indietro con moto periodico (Figura 10.3-b). Preso il tempo iniziale (t0 = 0) in corrispondenza alla posizione estrema a destra quando P è sovrapposto a X, si ricavano l’angolo α, di cui è ruotato nel tempo t il raggio r, lo spostamento x e la velocità v del punto X (Figura 10.3-c), ed infine l’accelerazione a di X (Figura 10.3-d); velocità ed accelerazione sono negative in quanto dirette verso il centro O del cerchio e cioè nel verso opposto all’aumento dello spostamento:
α = ωt
x = A cos ω t
v = − ω ( A2 − x 2 )
a = − ω2x
10-2
La distanza massima r a cui arriva X nel suo movimento da una parte e dall’altra del punto fisso O lungo l’asse x (Figura 10.4-a) è l’ampiezza A del moto; la distanza totale 2r è la corsa. Il periodo T del moto armonico semplice è il tempo necessario perché X completi un’oscillazione da B ad A e poi indietro da A a B, passando così per un dato punto due volte lungo la stessa direzione. Questo è anche il tempo necessario perché il braccio rotante OP, che genera il moto armonico, descriva un angolo di 2π rad alla velocità di ω rad/s; il periodo vale perciò T = (2π)/ω. Il periodo può anche essere espresso in funzione del rapporto tra spostamento ed accelerazione con T = 2π x/a , poiché la velocità angolare per la 10-2 è ω = a /x . Da queste formule si può ricavare la frequenza f del moto armonico semplice che, per la 10-1, è il reciproco del periodo. T =
2π ω
= 2π
a x
f =
1 ω = 2π 2π
x a
>
10-3
La velocità di X (Figura 10.4-b) è nulla in A (α = 180°) e in B (α = 0°) dove x è uguale all’ampiezza A (x = A); in questi punti infatti la velocità di P è verticale e non dà componenti lungo AB. Quando P è in C (α = 90°) oppure in D (α = 270°), l’ampiezza A è nulla (x = 0) poiché X coincide con O, punto di mezzo del suo percorso; la velocità di X coincide con quella di P e la velocità raggiunge il suo valore massimo ω r. L’accelerazione di X (Figura 10.4-c) raggiunge il suo massimo valore ω 2r in A e in B, poiché in questi due punti è rappresentata dall’accelerazione centripeta di P. In C e in D invece l’accelerazione di P è verticale e quindi, non avendo componenti lungo AB, è nulla. Si conclude che (Tabella 10.1) quando l’accelerazione di X è zero, la velocità raggiunge il massimo, mentre quando la velocità di X è zero, l’accelerazione è massima.
219
CAPITOLO 10. – VIBRAZIONI
a
y
Sfondo
co
b
n sta
te P r ≡A
y = t x X
O
x Posizione per t0 = 0
ω O
P
Luce
Luce
c
d
y
n st a
y
r
te
α
vy = r cos
co
co
220
P
vx = – r sen A r≡
st a
nte ax = –
r cos
r cos
P
α
ay = –
r
2
y
α O
2
2
r sen
α X
x
O
x = r cos
X
x
x = A cos t
Fig. 10.3 - Generazione del moto armonico semplice per proiezione del moto circolare uniforme del punto P sul diametro del cerchio rappresentato dall’asse x. 䡵 a) La proiezione del moto circolare uniforme della sferetta P su un rotolo mobile di carta per registrazione genera un moto armonico semplice. 䡵 b) Il moto descritto dalla proiezione della sferetta P sullo sfondo parallelo all’asse x dipende dell’angolo α , funzione del moto di P lungo la circonferenza. Preso il tempo iniziale t0 = 0 quando P coincide con X, l’angolo, di cui è ruotato nel tempo t il raggio r, è (8-1′ ) α = ω t. 䡵 c) Il punto P descrive la traiettoria circolare con la velocità tangenziale costante ω r (8-13). Lo spostamento x di X è x = r cos α = r cos ω t, essendo α = ω t; ma il raggio r del cerchio coincide con l’ampiezza A del moto (r ≡ A) e quindi lo spostamento vale x = A cos ω t. La velocità v di X è la componente orizzontale della velocità di P: vx = − ω r sen α = − ω r sen ω t = − ω (r 2 − x 2 ), essendo sen α =
(r 2 − x 2 ) con sen α = y/r ed y = r
2 2 r 2 − x 2 per il teorema di Pitagora. Risulta infine vx = − ω ( A − x ) ,
essendo r ≡ A. 䡵 d) L’accelerazione centripeta di P è ω 2 r (8-12′ ) ed è diretta radialmente verso il centro del cerchio. L’accelerazione a di X è la componente orizzontale dell’accelerazione di P: ax = – ω 2r cos α = – ω 2x, essendo x = r cos α . L’accelerazione di X è perciò proporzionale alla sua distanza x dal punto fisso O ed è sempre diretta verso O. Verificando queste due condizioni, il moto è un moto armonico semplice.
10.2. – MOTO ARMONICO SEMPLICE
a
C Spostamento x
ω P
T
A T
2T
Ampiezza A≡r Tempo t
A
α
O
B X
–A D
π t = ω
t =
π 2ω
t=0
b
C
r Velocità v
ω r X≡O
O T –
2T
r
2
Tempo t
X≡A
X≡B
r
D v= r
v=0
c
C Accelerazione a
ω 2
r
r
2
2
X≡O T –
2T
r
O
B X≡B
X≡A
Tempo t
r
2
D a=0
a=
r
2
Fig. 10.4 - Andamento di spostamento, velocità ed accelerazione in funzione del tempo t nel moto armonico semplice. 䡵 a) Diagramma dello spostamento x con la posizione di P lungo la circonferenza. L’intervallo di tempo tra due massimi successivi è il periodo T. Quando P è in B, è α = 0 e t = 0. Dopo il tempo t = (π /2)/ω = π /(2ω) = T/4, quando è α = 90°, P è arrivato a metà corsa, e dopo il tempo t = π /ω = T/2, quando è α = 180°, P raggiunge la posizione estrema A. 䡵 b) Diagramma della velocità v lungo l’asse x con i valori nei punti caratteristici del moto. 䡵 c) Diagramma dell’accelerazione a lungo l’asse x con i valori nei punti caratteristici del moto.
Tabella 10.1 Valori minimi e massimi (max) di velocità, accelerazione, energia cinetica ed energia potenziale nel moto armonico semplice x=0 x=A
Velocità max zero
Accelerazione zero max
Energia cinetica max zero
Energia potenziale zero max
Esempio 10.1 Manovellismo con elevato rapporto biella/manovella Un pistone viene azionato da un sistema biella/manovella di lunghezza r = 70 mm ed l = 420 mm. Alla velocità di rotazione n = 360 giri/min, calcolare (Figura 10.5): a) le intensità di velocità v e accelerazione a del pistone quando l’angolo della manovella vale α = 60°; b) la massima accelerazione amax del pistone e il corrispondente valore di x.
221
222
CAPITOLO 10. – VIBRAZIONI
ω
P l
r = 60°
PMS
A
PMI
X
O B
v a
Fig. 10.5 – Nel manovellismo dell’Esempio 10.1, il pistone si muove di moto rettilineo alternato tra i punti PMS (punto morto superiore) e PMI (punto morto inferiore)12.4. Quando la biella è abbastanza lunga nei confronti della manovella (l/r ⭓ 6), il moto del pistone può essere assimilato al moto armonico del punto X, proiezione di P sul diametro AB. L’ampiezza A viene a coincidere con il raggio di manovella r.
SOLUZIONE a) L’ampiezza A del moto armonico semplice coincide con la lunghezza r della manovella; la velocità angolare ω della manovella si ricava dalla 8-11, mentre velocità v e accelerazione a del pistone sono date dalla 10-2. 2π 2π ω= n= 360 giri/min = 37,7 rad/s 60 60 x = OX = r cos α = 0,070 m × cos 60° = 0,035 m v = −ω
A2 − x 2 = 37,7 rad/s × (0,07 m )2 − (0,035 m )2 = 2,28 m/s
䉳
a = − ω 2 x = (37,7 rad/s)2 × 0,035 m = 49,7 m/s2
䉳
b) L’accelerazione raggiunge il valore massimo amax quando è massimo il valore di x (10-2), cioè per x = ± r, il che si verifica in corrispondenza dei punti morti inferiore e superiore (Figura 10.5). amax = − ω 2 r = (37,7 rad/s)2 × 0,070 m = 99,5 m/s2
10. 3
䉳
MOLLA-MASSA Una massa sospesa ad una molla verticale può essere fatta oscillare tirando giù la massa, allungando così la molla, e quindi lasciandola andare. La forza di richiamo F, che agisce sulla molla, è funzione dell’allungamento e della contrazione della molla. Se la molla segue la legge di Hooke (Figura 10.6), la forza risulta proporzionale allo spostamento x della molla dalla posizione di riposo (Figura 10.7): F = – kx 10-4 dove k [N/m] è la costante di elasticità o rigidezza della molla e il segno meno indica che la forza di richiamo è sempre orientata nel verso opposto allo spostamento della molla10.3. Il movimento della massa attaccata alla molla è un moto armonico semplice; la frequenza (Figura 10.8) ed il periodo (10-1) risultano: f =
10.3 - Nella Figura 9.10 era stato presentato il calcolo dell’energia potenziale elastica o energia di deformazione di una
1 2π
k m
T = 2π
molla. In questo calcolo si era considerata la sola relazione numerica senza riguardo al verso e quindi al segno della forza con
m k
10-5
lo spostamento (Fest = kx), mentre qui viene precisato F = – kx, essendo la forza F opposta allo spostamento x.
10.3. – MOLLA-MASSA
a
a
c
b
x=0 m x
b x Forza di richiamo
m
x Forza di gravità
F = – kx
Fig. 10.7 - Massa m, su una superficie senza attrito, attaccata ad una molla di costante di elasticità o rigidezza k. 䡵 a) Molla in posizione di riposo: spostamento x = 0. 䡵 b) Quando la massa viene spostata della lunghezza x, la molla esercita la forza di richiamo F = – kx, negativa perché la forza F è diretta nel verso opposto all’allungamento x.
Fig. 10.6 - L’allungamento di una molla è proporzionale alla forza applicata (legge di Hooke). 䡵 a) Non è applicato il carico e la molla è in posizione di riposo. 䡵 b) Allungamento della molla pari a x sotto il carico di 1 N. 䡵 c) Allungamento della molla pari a 2x sotto il carico di 2 N.
Il moto della massa attaccata alla molla è descritto dalle curve della Figura 10.4 con un’oscillazione periodica, di tipo sinusoidale, che, in assenza di smorzamento, dovrebbe continuare indefinitamente nel tempo: un tale sistema viene chiamato un oscillatore armonico semplice. Se si trascura la forza dissipativa legata agli attriti interni della molla, l’energia totale, somma delle energie cinetica (9-7) e potenziale (9-8′ ), è, per la 9-9, costante e si scrive: Energia totale =
1 1 m v2 + k x 2 2 2
10-6
m A
dove i valori istantanei della velocità v e dello spostamento x sono quelli dati dalla 10-2. L’andamento dell’energia meccanica del moto armonico semplice è illustrato nella Figura 10.9, con i minimi e i massimi mostrati nella Tabella 10.1.
pi za ez A m A za ez
pi A
x = 0 è la posizione di riposo
Cinetica
Potenziale Totale
Fig. 10.8 - Immaginando di proiettare lo spostamento x della massa attaccata alla molla su un rotolo scorrevole di carta in modo da registrarne la variazione in funzione del tempo, viene visualizzato un moto armonico semplice. La forza in un moto armonico semplice vale F = ma = – mω 2x (con l’accelerazione a ricavata dalla 10-2); la forza di richiamo della molla è allora F = – kx = − mω 2x; risolvendo rispetto ad ω , si ricava la frequenza f (10-3):
ω 2 = k /m ⇒ ω =
k /m ⇒ f = ω /(2π ) = (1/ 2π ) k /m .
Energia
0
0,5
1
Tempo
Fig. 10.9 - Energie cinetica, potenziale e totale di un sistema oscillante molla-massa: si verifica una trasformazione continua dell’energia potenziale in energia cinetica che a sua volta si converte in energia potenziale e così via.
223
224
CAPITOLO 10. – VIBRAZIONI
Esempio 10.2 Blocco oscillante Una massa m = 2,8 kg, pilotata da una molla di costante k = 27 N/m, oscilla con ampiezza A = 16 cm. Determinare: a) periodo T e frequenza f di una oscillazione completa; b) la massima velocità v raggiunta dalla massa.
SOLUZIONE a) Periodo T e frequenza f sono dati dalla 10-5; noto il periodo, la frequenza può essere più semplicemente ricavata dalla sua definizione 10-1, come reciproco del periodo. Non intervenendo alcuna forza esterna, periodo e frequenza sono quelli naturali del sistema oscillante (Paragrafo 10.5). T = 2π
m = 2π k
2,8 kg = 2,0 s 27 N/m
f =
1 1 = = 0,5 Hz 2,0 s T
䉳
b) L’intensità della velocità della massa raggiunge il suo valore massimo v = ω A quando nella 10-2 lo spostamento x si annulla; la velocità angolare ω si ricava con la 10-3 dal periodo: T = (2π)/ω ⇒ ω = (2π)/T. 2π 2π v = ωA = A= (0,16 m ) = 0,5 m/s 䉳 T 2,0 s
10. 4
PENDOLO SEMPLICE Un pendolo semplice consiste in una massa m sospesa ad un supporto rigido per mezzo di un filo di lunghezza l; se la massa viene tirata da un lato e quindi rilasciata, la forza di gravità mg genera un’oscillazione da una parte e dall’altra del punto di riposo. Allorché la massa del pendolo viene spostata da un lato rispetto alla verticale di un angolo α (Figura 10.10), la componente perpendicolare al filo della forza di gravità genera la forza F = − mg sen α , preceduta dal segno meno perché questa è una forza di richiamo che tende appunto a ridurre l’angolo α . Lo spostamento s, lunghezza dell’arco lungo il quale il pendolo oscilla, vale s = lα ; ma se l’angolo α è sufficientemente piccolo10.4, sen α può essere approssimato dall’angolo α [rad]: sen α ≈ α. La forza di richiamo F risulta allora proporzionale all’angolo α e quindi, essendo s = lα, allo spostamento s: F = − mg senα = − mgα = −
mg s l
>
Questa equazione è formalmente identica a quella di una molla (10-4) fatta eccezione per la costante di elasticità della molla k che figura al posto di mg/l; si ricava allora il periodo T (oppure la frequenza f ) sostituendo k nella 10-5 con mg/l:
T = 2π
m = 2π k
10.4 - Per angoli piccoli, inferiori a 10° (0,175 rad), è possibile confondere il seno, così come la tangente, con l’an-
m = 2π mg/l
l g
f =
1 2π
golo (relazione A.3-10 dell’Appendice). Se, ad esempio, si prende un angolo α di 0,07 rad (pari a 4°), i valori di seno e tan-
g l
> 10-7
gente coincidono praticamente con α : sen (0,07) = 0,069942 ≈ tan (0,07) = = 0,070114 ≈ α = 0,07.
10.4. – PENDOLO SEMPLICE
Q l
Q
α l
O
m
s mg sen
α
mg cos
mg
Fig. 10.10 - Un pendolo semplice, sospeso al perno Q, ha la massa m che oscilla avanti e indietro passando ogni volta per O. Se l’angolo α è piccolo, l’oscillazione può essere considerata quella di un moto armonico semplice.
Il periodo del pendolo è indipendente dalla massa del pendolo e dall’ampiezza dell’angolo, purché quest’ultimo sia piccolo; nella formula del periodo T non figurano infatti né la massa m né l’angolo α . La costanza del periodo del pendolo – tutte le piccole oscillazioni, anche di ampiezza diversa, si compiono nello stesso periodo di tempo (oscillazioni isocrone) – fu scoperta da Galileo nel sedicesimo secolo.
Esempio 10.3 Pendolo semplice Il pendolo semplice della Figura 10.11 ha compiuto 80 piccole oscillazioni (α = 4°) in 200 s. Calcolare:
Q
a) la lunghezza l del pendolo; b) velocità vmax ed accelerazione amax massime lineari della massa del pendolo;
α l
c) la massima velocità angolare del pendolo; A O
amax
vmax
Fig. 10.11 - Pendolo trattato nell’Esempio 10.3.
d) la velocità lineare v della massa del pendolo per uno spostamento lungo l’arco pari a metà dell’ampiezza.
225
226
CAPITOLO 10. – VIBRAZIONI
SOLUZIONE a) Il periodo T del pendolo è misurato dal tempo impiegato a compiere 80 oscillazioni; noto il periodo, con la 10-7, si risale alla lunghezza l del pendolo. tempo totale 200 s = = 2,5 s numero oscillazioni 80
T=
T = 2π
l g
l =
⇒
(2,5 s)2 × 9,81 m/s 2 T 2g = = 1,55 m 4π 2 4 × π2
䉳
b) Dopo aver convertito in radianti l’angolo α (Paragrafo 1.12), si calcolano prima la velocità angolare ω (10-3) e l’ampiezza A dell’oscillazione (8-10); in quest’ultima equazione il raggio r corrisponde alla lunghezza l del pendolo. Quindi, con la 10-2, si calcolano velocità e accelerazione della massa del pendolo: la velocità è massima nel punto intermedio O (x = 0); l’accelerazione è massima nelle due posizioni estreme quando lo spostamento x lungo l’arco è massimo in corrispondenza dell’ampiezza dell’arco OA .
α = 4°
α =
π = 0,07 rad 180
OA s = r l
vmax = − ω
⇒
ω=
2π 2π = = 2,51 rad/s T 2,5 s
A = OA = lα = 1,55 m × 0,07 rad = 0,1085 m
A2 − x 2 = ω A = 2,51 rad/s × 0,1085 m = 0,272 m/s
amax = − ω 2 A = (2,51 rad/s)2 × 0,1085 m = 0,684 m/s2
䉳 䉳
c) La velocità angolare del pendolo è la velocità lineare della massa del pendolo divisa per la lunghezza l del pendolo (8-13); il valore massimo viene perciò raggiunto in corrispondenza della velocità massima vmax. v 0,272 m/s Velocità angolare massima = max = = 0,175 rad/s 䉳 l 1,55 m d) Per uno spostamento lungo l’arco pari a metà dell’ampiezza, cioè a 2° dalla posizione intermedia O, la velocità lineare massima vmax della massa del pendolo è data dalla 10-2: x=
A 0,1085 m = = 0,054 m 2 2
vmax = − ω A2 − x 2 = 2,51 rad/s × (0,1085 m)2 − (0,054 m )2 = 0,236 m/s
10. 5
䉳
RISONANZA Il termine vibrazioni naturali (o libere) viene usato per descrivere le vibrazioni di un corpo quando esso oscilla sotto l’azione della propria forza di richiamo, sia questa di origine elastica oppure dovuta alla gravità, senza l’intervento di alcuna forza esterna. Le equazioni utilizzate fino ad ora per il pendolo semplice e il sistema molla-massa si riferiscono appunto a vibrazioni libere per cui si è calcolata la frequenza naturale di vibrazione. Il termine vibrazioni forzate viene invece utilizzato allorché viene applicato al sistema oscillante una forza esterna periodica oppure intermittente. Se si vuole ottenere un’ampiezza notevole delle oscillazioni di un’altalena, occorre spingere il bambino, che vi è seduto, in modo regolare e ripetitivo facendo sì che la fre-
10.5. – RISONANZA
quenza delle spinte sia pari alla frequenza naturale dell’altalena. È questo un esempio di vibrazioni forzate in cui la forza esterna applicata ha una frequenza vicina a quella della frequenza naturale del sistema. Risonanza è appunto la condizione per cui coincidendo la frequenza della forza esterna applicata con la frequenza naturale (o frequenza critica) del sistema si verifica un’ampiezza delle oscillazioni estremamente elevata, tendente ad infinito nel caso teorico di assenza completa di smorzamento (Figura 10.12). Queste vibrazioni vengono tuttavia smorzate dagli attriti sempre presenti nei sistemi reali; in molte applicazioni lo smorzamento delle vibrazioni viene ottenuto facendo ricorso ad apparecchiature specifiche (Figura 10.13).
A Ampiezza relativa
4 3 B 2 C
1 0
1 2 3 4 Frequenza della forza esterna applicata
5
Fig. 10.12 - Ampiezza delle vibrazioni in funzione della frequenza della forza esterna applicata espressa come multiplo della frequenza naturale del sistema: 1 è la frequenza naturale del sistema. La curva A è la curva teorica di risonanza in assenza completa di smorzamento, mentre le curve B e C corrispondono a due condizioni di smorzamento: più debole per B e più elevato per C.
b
a Olio Ammortizzatore
Foro
Molla a balestra
Pistone
Fig. 10.13 - Schema semplificato di un ammortizzatore di una vettura. Il pistone è situato in un serbatoio pieno d’olio; allorché il pistone si muove reagendo ad una gobba della strada, l’olio che passa attraverso i fori genera delle forze viscose che smorzano le oscillazioni.
227
228
CAPITOLO 10. – VIBRAZIONI
Esempio 10.4 Risonanza da sporgenze trasversali su una strada Una pista di collaudo presenta delle ondulazioni trasversali disposte ogni 2 m. A quale velocità v si manifesteranno gli effetti della risonanza in un carrello le cui sospensioni elastiche presentano una deformazione statica x = 150 mm?
2m
Fig. 10.14 - Risonanza sulle molle di un carrello dell’Esempio 10.4.
SOLUZIONE La frequenza fforzante = v/(2 m) con cui il carrello incontra le ondulazioni, data dal rapporto tra la velocità v e la distanza di 2 m tra due on du lazioni successive, rappresenta la frequenza forzante generata dalla forza esterna periodica. La risonanza si verifica quando tale frequenza uguaglia la frequenza naturale (o critica) f naturale = (1/2π ) k /m , espressa dalla 10-5. A carrello fermo, la deformazione elastica x delle molle della sospensione sotto il peso del carrello mg vale, per la 10-4, F = mg = − kx, essendo m la massa del carrello, g l’accelerazione di gravità e k la costante elastica delle molle. La costante elastica risulta perciò in valore assoluto k = (mg)/x. Si sostituisce questa espressione di k nella formula della frequenza naturale e si impongono le condizioni di risonanza uguagliando le due frequenze: forzante e naturale; risolvendo, si ottiene la velocità v a cui si manifesta la risonanza del sistema. 9,81 m/s2 1 k 1 (mg )/x 1 f naturale = = = = 1,29 Hz 0,15 m 2π m 2π m 2×π f forzante = f naturale
10. 6
⇒
v = 1,29 Hz 2m
⇒
v = 1,29 Hz × 2 m = 2,58 m/s
䉳
SOMMARIO I parametri principali di un moto periodico sono: • il periodo T [s]: tempo che passa tra una ripetizione del moto e quella successiva; • la frequenza f = 1/T: numero delle oscillazioni complete compiute nel tempo; si misura in hertz [Hz = 1/s = s– 1]. • l’ampiezza A: spostamento massimo della oscillazione completa dalla posizione iniziale di quiete. Proiettando il moto circolare di un punto P, che percorre con velocità angolare uniforme ω una circonferenza, sul diametro del cerchio, si ottiene il moto armonico semplice del punto X. La distanza massima r a cui arriva X nel suo movimento da una parte e dall’altra del punto fisso O lungo l’asse x è l’ampiezza A del moto; la distanza totale 2r è la corsa. L’angolo α , di cui ruota il raggio del cerchio nel tempo t, lo spostamento x, la velocità v e l’accelerazione a nel moto
ESERCIZI PROPOSTI
armonico semplice valgono: α = ω t, x = A cos ω t, v = − ω ( A2 − x 2 ), a = – ω 2x. Il periodo T del moto armonico semplice è il tempo necessario perché X completi un’oscillazione T = (2π)/ω , mentre la frequenza vale f = ω /(2π). Nel sistema massa-molla, la forza di richiamo F risulta proporzionale allo spostamento x della molla dalla posizione di riposo: F = – kx, dove k [N/m] è la costante di elasticità o rigidezza della molla. Il movimento della massa attaccata alla molla è un moto armonico semplice di frequenza f = (1/ 2π ) k /m e periodo T = 2π m /k . Un pendolo semplice consiste in una massa m sospesa ad un supporto rigido per mezzo di un filo di lunghezza l; nel caso di angoli piccoli il periodo T è costante e vale T = 2π l /g . Le vibrazioni naturali (o libere) sono le vibrazioni di un corpo che oscilla sotto l’azione della propria forza di richiamo, senza l’intervento di alcuna forza esterna. Le vibrazioni forzate sono quelle generate allorché viene applicato al sistema oscillante una forza esterna periodica oppure intermittente. Risonanza è la condizione per cui coincidendo la frequenza della forza esterna applicata con la frequenza naturale (o frequenza critica) del sistema si verifica un’ampiezza delle oscillazioni estremamente elevata, a meno che queste non vengano smorzate.
Esercizi proposti
Con il contributo del prof. L. Leonessa
10.1 Determinare il periodo T e l’intensità v della velocità di un moto armonico di un punto che presenta un’accelerazione di 10 m/s2 in corrispondenza della posizione x = 70 mm. L’ampiezza del moto è 100 mm.
10.6 Una piattaforma la cui massa è di 5 kg, poggia su quattro molle, di rigidità uguale e pari a 25 kN/m. Calcolare la frequenza f di oscillazione del sistema piattaforma-molle. f = 22,5 Hz
v = 0,85 m/s; T = 0,53 s 10.2 Calcolare l’ampiezza A, il periodo T e la frequenza f di un moto armonico conoscendo le velocità v1 = 4 m/s e v2 = 2,8 m/s in corrispondenza delle posizioni x1 = 0,4 m e x2 = 0,64 m.
10.7 Una massa di 12 kg è appesa all’estremità di un cavetto metallico che, sotto l’azione del peso della massa, si allunga di 1,6 mm. Se tale massa viene sostituita con un’altra di 16 kg, quale sarà la nuova frequenza f di oscillazione? f = 10,79 Hz
A = 0,81 m; T = 1,1 s; f = 0,91 Hz 10.3 La frequenza di un moto armonico è di 20 Hz; la sua velocità, nella posizione x = 28 mm, è v = 0,4 vmax. Calcolare l’ampiezza A del moto e l’accelerazione massima amax. A = 0,03 m; amax = 482,4 m/s2 10.4 Calcolare il periodo T e scrivere l’equazione degli spostamenti in funzione del tempo t, del moto oscillatorio di una massa di 8 kg che si muove su un piano orizzontale, eccitata da una molla di rigidità k = 100 N/m, sapendo che l’ampiezza del moto è 0,16 m.
10.8 Una massa di 8 kg, scorrevole senza attrito su un piano inclinato di 24°, è trattenuta (Figura 10.15) da una molla di rigidità pari a 360 N/m. Determinare la frequenza f di oscillazione libera. f = 1,07 Hz
k
T = 1,78 s; x = 0,16 m × cos (3,53 rad/s) t 10.5 Una molla disposta verticalmente si allunga di 13 mm per effetto di un carico appeso alla sua estremità inferiore. Calcolare la frequenza f con cui oscilla il sistema quando il carico viene tirato verso il basso e poi rilasciato. f = 4,37 Hz
m
= 24°
Fig. 10.15 - Massa su un piano inclinato dell’Esercizio 10.8.
229
230
CAPITOLO 10. – VIBRAZIONI
10.9 Un accelerometro, costituito da una massa e da una molla, viene installato all’interno di un missile in modo che l’unico grado di libertà della massa sia allineato con l’asse longitudinale del missile. La frequenza di oscillazione dell’accelerometro è 36 Hz; calcolare la deflessione x della molla quando il missile è soggetto alla accelerazione di 10g (dieci volte l’accelerazione di gravità). x = 1,92 mm 10.10 La valvola di un impianto di circolazione ha incorporata una massa di 5 kg trattenuta in posizione intermedia da una molla. Il movimento della parte mobile della valvola richiede che salita e discesa avvengano con legge armonica di periodo T = 0,16 s e che l’escursione massima sia di 14 mm pari al doppio dell’ampiezza A. Calcolare la rigidità k e la massima forza Fmax esercitata dalla molla. k = 7,71 kN/m; Fmax = 53,97 N 10.11 Un pendolo è costituito da una massa appesa ad un filo lungo 0,4 m e privo di massa propria. Determinare il periodo T delle sue piccole oscillazioni. T = 1,27 s 10.12 Quale lunghezza l deve avere l’asta di un pendolo semplice affinché il suo periodo sia di 1 s? l = 248,49 mm 10.13 Un orologio a pendolo “spacca il secondo” (ha cioè una frequenza f = 1 Hz) a Palermo dove l’accelerazione di gravità rilevata è gPA = 9,804 m/s2. Quale
dovrà essere la correzione ∆l da apportare alla lunghezza dell’asta se, conservando la frequenza di 1 Hz, si vuole trasferire l’orologio a Belluno dove l’accelerazione di gravità risulta gBL = 9,806 m/s2? ∆l = + 0,05 mm 10.14 Un densimetro è costituito da un cilindro graduato immerso nel liquido di cui si vuole conoscere la massa volumica, zavorrato nella sua parte inferiore in modo da mantenere sempre la posizione verticale. Il densimetro dell’esercizio ha una massa di 125 g ed un diametro di 16 mm; esso galleggia ed è fermo in un liquido la cui massa volumica è di 960 kg/m3 quando viene leggermente premuto verso il basso di una generica quota z e quindi rilasciato. Scrivere l’equazione della spinta F in funzione della quota z e della sezione A del densimetro. Stabilire l’analogia tra la spinta del liquido e la reazione della molla in modo da poter ricavare la costante k della molla. Determinare infine la frequenza f del moto oscillatorio originato dall’affondamento del densimetro. F = – ρgAz = – kz; k = 1,894 N/m; f = 0,62 Hz 10.15 Una prova di coraggio in uso presso alcune tribù primitive dell’Oceania consiste nel lanciarsi nel vuoto legati alle caviglie per mezzo di liane. Tale prova, ripresa in senso sportivo, consiste nel lanciarsi, legati per le caviglie con una fune di nylon. Calcolare il periodo T dell’oscillazione che si instaura al momento dello strappo, nota la lunghezza iniziale di 25 m della fune e l’ulteriore allungamento elastico di 15 m dovuto allo strappo. T = 3,36 s
Capitolo 11
11. 1
RESISTENZE PASSIVE
ATTRITO RADENTE
a
b
Fig. 11.1 - 䡵 a) L’invenzione della ruota ha segnato una svolta fondamentale nell’evoluzione del progresso tecnologico. Il faraone Tutankhamen sul carro a caccia di leoni. 䡵 b) L’attrito è sempre stato un ostacolo agli spostamenti. Antico Egitto: monumento trainato su slitta.
Con il contributo del prof. L. Leonessa
232
CAPITOLO 11. – RESISTENZE PASSIVE
Fig. 11.1-c - La tecnologia moderna offre numerosi esempi di cuscinetti a rotolamento: turboreattore Pratt & Witney JT9D-734.
N
Fr
T
Si consideri un oggetto, per esempio un telefono (Figura 11.2-a), posto su un piano orizzontale; si cerchi di spostarlo esercitando una leggera forza di trazione T attraverso il suo cavo. Il corpo non si muove in quanto la forza T è contrastata dalla forza di attrito Fr , che nasce sulla superficie di contatto tra l’oggetto ed il piano d’appoggio. Aumentando l’intensità della forza T, anche Fr aumenta fino ad un valore, definito forza di attrito limite, raggiunto il quale l’oggetto comincia a strisciare. Successivamente, a contrastare lo spostamento del corpo, ormai in movimento, interviene una forza di attrito cinetico, di intensità inferiore a quella dell’attrito limite.
Nell’attrito radente tra due superfici a contatto, secche (cioè non unte) e pulite, si osservano i seguenti fatti sperimentali: Fig. 11.2-a - Il peso del telefono mg è equilibrato dalla reazione N • Se si applica una forza per far scivolare un normale (cioè perpendicolare) al piano orizzontale. Allorché si corpo su un altro, la forza di attrito che si applica la forza T per spostare il telefono, nasce la forza di attrito genera è tangente alle superfici a contatto ed è Fr tangente al piano orizzontale. esattamente sufficiente ad equilibrare la forza applicata. • Vi è un limite al di là del quale la forza di attrito non può più aumentare. Quando questo limite viene raggiunto, il corpo è sul punto di iniziare a strisciare, mentre la forza di attrito corrispondente viene chiamata forza di attrito limite. • La forza di attrito limite è proporzionale alla forza normale che tiene premute insieme le due superfici ed è indipendente dall’area di contatto. mg
11.1. – ATTRITO RADENTE
Fr
b R
N R
ϕ ϕ
Moto Fr
N
c
T
ersi uov
Sul
m o di
t
pun
mg sen mg sen
Fr
N
α
mg
α mg cos mg mg cos
α
Fig. 11.2 - 䡵 b) Aumentando l’intensità della forza T, il corpo arriva sul punto di muoversi. A questa situazione corrisponde il coefficiente di attrito limite µ, costante di proporzionalità tra forza di attrito Fr e reazione normale N: Fr = µN. Il coefficiente di attrito limite µ è uguale alla tangente dell’angolo di attrito ϕ rapporto tra la F forza di attrito Fr e la reazione normale N: µ = tan ϕ = r . La reazione totale R fa equilibrio alle due forze: N Fr ed N. R agisce secondo l’angolo ϕ rispetto ad N solo nel caso di attrito limite; se R si trova all’interno dell’angolo di attrito ϕ, la forza di attrito è inferiore al valore limite e il corpo non può iniziare a scivolare. 䡵 c)
È la rappresentazione delle forze che agiscono sul corpo che si trova su un piano inclinato quando il corpo è sul punto di muoversi, la forza di attrito raggiunge cioè il suo valore limite. Si ha: N = mg cos α e T = Fr + mg sen α, mentre è ancora Fr = µN, dove µ è il coefficiente di attrito limite.
• Il rapporto tra la forza di attrito limite Fr e la reazione normale N è una costante, il coefficiente di attrito limite µ, che dipende soltanto dalla natura delle due superfici a contatto: Forza d’attrito limite F = r =µ Reazione normale N
⇒
Fr = µN
11-1
233
CAPITOLO 11. – RESISTENZE PASSIVE
Essendo la reazione normale e la forza d’attrito sempre perpendicolari tra loro, il coefficiente di attrito limite µ è anche la tangente dell’angolo d’attrito ϕ (Figura 11.2-b):
µ = tan ϕ
11-2
Una volta superata la forza di attrito limite, il corpo striscia incontrando la forza di attrito cinetico orientata in senso opposto al moto. Questa forza di attrito è ancora rappresentata da una equazione analoga alla 11-1: Fr = µcN, dove µc è il coefficiente di attrito cinetico. Esso è approssimativamente indipendente dalla velocità di strisciamento ed è inferiore al coefficiente di attrito limite µ. La dissipazione di energia provocata dall’attrito secco può essere drasticamente ridotta evitando il contatto diretto delle superfici. Interponendo infatti tra due superfici un sottile strato (film) di liquido, si viene a sostituire al contatto tra due superfici asciutte lo scorrimento all’interno del film di liquido. Anche senza arrivare ad una lubrificazione spinta quale può essere realizzata con lubrificanti specifici tra due superfici metalliche, si constata una sostanziale riduzione del coefficiente di attrito al passare da superfici secche a superfici bagnate e quindi a superfici unte. Come esempio si riportano i seguenti valori indicativi dei coefficienti di attrito: Coefficiente di attrito Limite µ Cinetico µc
Natura dei corpi a contatto
Stato delle superfici
Metallo/metallo
Secche Bagnate Unte
0,50 0,30 0,15
0,15 0,10 0,05
Gomma/metallo
Secche
0,80
0,50
Esempio 11.1 Massima velocità di una vettura in curva Una vettura percorre una curva di raggio r = 975 m, sopraelevata di 25°. Il coefficiente di attrito limite tra pneumatici e strada vale µ = 0,7. Calcolare la massima velocità v della vettura affinché non si verifichi slittamento.
c
b
r ma
le
a
No
(mv2/r)
su
lta
nt
e
(mv2/r)
Ri
234
(mv2)/r
25°+
25°+
mg
R
ϕ
25°
25° mg
Fig. 11.3 - Vettura in curva dell’Esempio 11.1.
mg
25°+
R
11.3. – RESISTENZA DEL MEZZO
SOLUZIONE La situazione è analoga a quella dell’Esempio 9.14, a cui si aggiunge la presenza dell’attrito che fa sì che la reazione totale R della strada sulla vettura agisca secondo un angolo ϕ rispetto alla normale, dove tan ϕ = µ = 0,7 (11-2). Con tan ϕ = 0,7, l’angolo vale ϕ = arctan 0,7 = 35°. La reazione R è in equilibrio con la forza di inerzia (mv2)/r (principio di d’Alembert del Paragrafo 9.1.1) e il peso mg della vettura (Figura 11.3). Le tre forze passano tutte per un punto (il baricentro della vettura) e quindi l’equilibrio si trova con il triangolo delle forze; trovata infatti la risultante di (mv2)/r ed mg con la regola del parallelogramma, la reazione è diretta nel verso opposto alla risultante. Nel triangolo delle forze la tangente dell’angolo (25° + ϕ) è uguale (Tabella IV di copertina) al rapporto tra il cateto opposto all’angolo (mv2)/r e il cateto adiacente mg. v2 (m v2 )/r tan (25° + ϕ ) = tan (25° + 35°) = ⇒ tan 60° = ⇒ mg gr v=
11. 2
(tan 60°) gr = 1,73 × 9,81 m/s2 × 975 m = 128,6 m/s
䉳
ATTRITO VOLVENTE Un cilindro perfettamente rigido che rotola senza strisciare su un piano altrettanto rigido, non incontra nessuna resistenza di attrito radente. Poiché tuttavia non esistono corpi perfettamente rigidi, la reazione normale tra le superfici a contatto determina la deformazione delle stesse, e l’avanzamento del cilindro comporta la spesa di un progressivo lavoro di deformazione funzione della resistenza al rotolamento Fr . Per i movimenti delle macchine, a parità di reazioni normali, l’attrito volvente presenta valori di resistenza all’avanzamento molto più bassi di quelli offerti dall’attrito radente. I movimenti vengono realizzati con l’interposizione di cuscinetti a sfere o rulli; essi richiedono una modesta lubrificazione, destinata perlopiù a proteggere il materiale dalla corrosione ed a facilitare occasionali slittamenti dell’elemento rotolante sulla propria sede (ralla) quando il carico diventa importante. Tenuto conto della concomitante azione del lavoro di deformazione e della resistenza in ambiente viscoso offerta dalla presenza del lubrificante, la resistenza al rotolamento può considerarsi in prima approssimazione ancora proporzionale alla reazione normale N, ma con valori del coefficiente d’attrito volvente o di rotolamento µr decisamente ridotti rispetto a quelli dell’attrito radente; mediamente si ha: • 0,001 ruota su rotaia; • 0,006 ÷ 0,009 pneumatico su buona superficie asfaltata; • 0,15 pneumatico su fondo naturale non buono. Nel campo del trasporto su ruota o su rotaia, si usa abitualmente la resistenza specifica al moto µspec [N/Mg], parametro che consente di valutare con immediatezza la resistenza in newton incontrata nel moto per ogni tonnellata [Mg] di massa del veicolo (o del convoglio nel caso di treni):
µ spec =
11. 3
Resistenza al moto F [N] = r massa m [Mg]
11-1′
RESISTENZA DEL MEZZO Un corpo che si muove in un fluido incontra una resistenza del mezzo all’avanzamento Fa legata a: • la forma del corpo (è la cosiddetta forma aerodinamica degli aerei e delle macchine veloci); • la rugosità superficiale del corpo (una superficie liscia offre minore resistenza di una superficie scabra);
235
CAPITOLO 11. – RESISTENZE PASSIVE
• la massa volumica ρ del fluido; • l’area d’ingombro frontale A, cioè la proiezione della sagoma del corpo su un piano perpendicolare alla direzione della velocità; • il quadrato della velocità relativa v tra fluido e corpo. L’espressione della resistenza all’avanzamento del mezzo Fa [N] è data da: Fa =
1 C x ρAv2 2
11-3
con (1/2) ρ v 2 termine cinetico e Cx coefficiente di resistenza aerodinamica o di forma. Il coefficiente di resistenza è un puro numero, cioè non ha dimensioni e dipende prevalentemente dalla forma; in campo automobilistico si ha mediamente: 0,27 ÷ 0,4 per le autovetture; 0,45 ÷ 0,85 per gli autocarri; 0,35 ÷ 0,6 per gli autobus. L’incidenza dei parametri ambientali, per esempio la circostanza di muoversi in aria calda piuttosto che fredda, o in acqua o in olio, l’ordine di grandezza della velocità o delle dimensioni del corpo, determinano la variazione del coefficiente di resistenza Cx secondo un altro numero puro: è il numero di Reynolds che verrà più ampiamente illustrato nel Capitolo 14.
11. 4
FORZA MOTRICE Nel suo movimento un veicolo deve vincere delle forze resistenti [N] che ne ostacolano la marcia (Figura 11.4). Le cause principali che concorrono a generare tali forze sono legate a: • resistenza al rotolamento, dovuta alla deformazione dei11.1 pneumatici: Fr = µ rN = µ rmgcos α ; ovvero, utilizzando la resistenza specifica al moto (11-1′ ): Fr = µspec m; • resistenza dell’aria (11-3): Fa = (1/2) Cx ρAv 2; • pendenza del percorso nel caso di strada non piana; la forza che si oppone all’avanzamento è la componente della forza peso in direzione del moto: Fp = mgsen α. La resistenza totale da vincere è la somma delle singole componenti; essa dovrà essere bilanciata dalla forza motrice Fm:
Fa
Fp = mg s en
Fm = Ftot = Fr + Fa + Fp
1/2 F
11-4
r
1/2 F
os
α
r
mg
mg c
236
Fig. 11.4 - Forze resistenti e forza motrice.
11.1 - Le regole grammaticali impongono l’uso degli articoli “lo” e “gli” davanti alle parole che iniziano con “pn”; tali
La forza motrice viene esercitata dal pneumatico sulla strada; essa è una forza di attrito radente statico e come tale non può superare la forza motrice massima che, in funzione del peso della vettura (11-1), garantisce l’aderenza delle ruote al terreno. Se dal motore dovesse arrivare alle ruote una forza motrice maggiore di quella massima così definita, le ruote slitterebbero invece di trainare la vettura. La stessa forza motrice massima può essere valu-
regole sono sempre più frequentemente sopraffatte dall’uso degli articoli “il” e “i”, uso favorito anche da una più scorre-
vole pronuncia fonetica (vedi anche: Gabrielli, Dizionario della lingua italiana, edizioni Signorelli 1993, pag. 2250).
11.5. – SOMMARIO
tata solo in via approssimativa, poiché la forza peso che la condiziona si distribuisce sulle quattro ruote in modo variabile durante la marcia, per effetto di accelerazioni e decelerazioni, sia laterali che longitudinali.
Esempio 11.2 Forza motrice massima Una vettura a quattro ruote motrici di massa m = 1000 kg presenta un coefficiente di attrito limite µ = 0,65 tra la strada e le ruote; la resistenza specifica al rotolamento dei pneumatici è µspec = 160 N/Mg e la resistenza aerodinamica è Fa = 120 N. Calcolare la forza motrice massima possibile Fmax e la corrispondente accelerazione a quando procede su una strada in salita inclinata di 10°.
SOLUZIONE La forza motrice massima è funzione del coefficiente di attrito limite µ e della componente della forza peso normale al piano stradale secondo la 11-1 (Figura 11.4). Fmax = µ mgcos α = 0,65 × 1000 kg × 9,81 m/s2 × cos 10° = 6280 N
䉳
È nota la resistenza Fa all’aria; quella al rotolamento Fr si ricava dalla resistenza specifica al moto (11-1′); quella dovuta alla pendenza Fp è la componente della forza peso in direzione del moto. La forza resistente totale Ftot si ricava dalla 11-4. Fr = µspecm = 1000 kg × 0,16 N/kg = 160 N Fp = mgsen α = 1000 kg × 9,81 m/s2 × sen 10° = 1703 N Ftot = Fr + Fa + Fp = 160 N + 120 N + 1703 N = 1983 N La massima forza motrice possibile supera la forza resistente totale; l’accelerazione corrispondente si calcola con la 9-2: Fmax − Ftot = ma
11. 5
⇒
a=
Fmax − Ftot 6280 N − 1983 N = = 4,3 m/s 2 m 1000 kg
䉳
SOMMARIO La forza d’attrito ha direzione e verso tali da opporsi al moto relativo tra due corpi; essa dipende dalla natura fisica e dallo stato superficiale dei corpi a contatto nonché dalla reazione normale; essa non dipende invece dall’estensione delle superfici a contatto. Il parametro che riassume le condizioni fisiche e lo stato superficiale dei corpi che si toccano viene definito coefficiente d’attrito µ; esso può essere espresso come tangente di un angolo ϕ detto angolo d’attrito. Un corpo che rotola su un altro corpo senza strisciare incontra una resistenza d’attrito volvente, funzione di un coefficiente d’attrito e della reazione normale. La forza d’attrito volvente, a parità di altre condizioni, è notevolmente inferiore a quella di attrito radente. Un corpo che si muove in un fluido incontra una resistenza al moto che dipende dalla sua forma, dalla superficie frontale d’ingombro, dalla densità del fluido e dal quadrato della velocità relativa al fluido. Il coefficiente Cx, che tiene conto della forma e dello stato superficiale del corpo è a sua volta controllato da un altro puro numero, il numero di Reynolds.
237
238
CAPITOLO 11. – RESISTENZE PASSIVE
Esercizi proposti 11.1 Il frigorifero di Figura 11.5 ha una massa di 70 kg; il coefficiente di attrito limite con il pavimento è µ = 0,28. Calcolare l’intensità della forza F necessaria a spostarlo e stabilire se tale forza, applicata all’altezza h = 1,5 m, ne può determinare il ribaltamento; la base del frigorifero è 2b = 0,7 m. F = 192,28 N; sì, questa forza ribalta il frigorifero
11.3 Un corpo di massa 1400 kg giace su un piano inclinato di 60° sull’orizzontale (Figura 11.7-a). Noto il coefficiente di attrito limite µ = 0,5, calcolare la forza Ta parallela al piano da applicare al corpo per non farlo slittare. La forza applicata Ta e la forza di attrito Fra si oppongono alla discesa e fanno equilibrio alla componente del peso mgx; poiché il corpo deve restare fermo, il coefficiente da applicare è quello d’attrito limite. Ta = 8460 N
F
Fra mgy
y
h
mgx
A
mg
Tb
x
Ta
x
Frb mgy
y mgx
mg
B b
b
Fig. 11.5 - Frigorifero dell’Esercizio 11.1. Fig. 11.7 - Attrito sul piano inclinato degli Esercizi 11.3, 11.4 e 11.5.
11.2 Un corpo di massa 15 kg è appoggiato su un piano inclinato di 22° (Figura 11.6); il coefficiente d’attrito limite tra il corpo ed il piano è µ = 0,2. Stabilire se la forza d’attrito limite Fr è in grado di opporsi alla componente mgx della forza peso impedendo al corpo di scivolare sul piano. Se invece il corpo scivola, quale ulteriore forza N occorre applicare normalmente al piano affinché non vi sia slittamento? Fr = 27,29 N; mgx = 55,12 N; Fr < mgx: il corpo scivola; N = 139,2 N
N
y
x mgx Fr
11.4 Un corpo di massa 1400 kg giace su un piano inclinato di 60° sull’orizzontale (Figura 11.7- b). Noto il coefficiente di attrito cinetico µc = 0,42, calcolare la forza Tb parallela al piano necessaria a trascinarlo in salita con velocità costante. Poiché il corpo si muove, il coefficiente da applicare è quello di attrito cinetico. La forza Frb si oppone alla salita assieme alla componente mgx della forza peso. Tb = 14.778 N 11.5 Per trascinare un corpo di massa pari a 500 kg su un piano orizzontale è richiesta una forza di 850 N. Calcolare la forza Ta richiesta per trascinarlo in salita su un piano inclinato di 35° (Figura 11.7-b) nonché la forza frenante Tb da applicare perché scivoli in basso con velocità costante (Figura 11.7-a). Ta = 3508 N; Tb = 2118 N
mgy = 22°
mg
Fig. 11.6 - Attrito sul piano inclinato dell’Esercizio 11.2.
11.6 Una scatola è appoggiata su un piano inclinato di 30°. Determinare il minimo valore del coefficiente di attrito limite µ affinché non vi sia slittamento.
µ = 0,554
ESERCIZI PROPOSTI
11.7 Il coefficiente di attrito limite tra i due cassoni di uguale peso (Figura 11.8) e tra il cassone inferiore ed il piano è µ = 0,32. Determinare il massimo valore dell’angolo α per il quale non vi sia slittamento del cassone inferiore. α = 43,83°
11.11 Valutare il coefficiente d’attrito volvente µr che compete ai rulli di un cuscinetto che, disposti lungo una circonferenza del diametro di 80 mm, generano, sotto un carico di 4000 N, una coppia d’attrito di 0,256 N⋅m.
µr = 0,0016 11.12 Valutare la resistenza specifica al moto µspec di un autobus sapendo che il coefficiente d’attrito volvente tra pneumatici ed asfalto è µr = 0,008.
µspec = 78,48 N/Mg
mgx mg mgy
Fr sup mgx mg
Fr inf
mgy
α
Fig. 11.8 - Attrito sul piano inclinato dell’Esercizio 11.7.
11.8 Un corpo viene trascinato in salita su un piano inclinato di 22° con una forza di 220 N parallela al piano. Quando la forza viene ridotta a 80 N, il corpo scivola verso il basso con velocità costante; determinare i valori della massa m e del coefficiente µc di attrito cinetico. m = 40,82 kg; µc = 0,189 11.9 Una vettura di massa pari a 1100 kg viaggia alla velocità di 35 m/s su una strada orizzontale; tra l’asfalto ed i pneumatici sussistono i coefficienti di attrito limite µ = 0,54 e cinetico µc = 0,48. Determinare lo spostamento xa percorso nella fase di frenata nel caso che la stessa avvenga senza slittamento; determinare quale sarebbe invece lo spostamento xb nel caso che le ruote restino bloccate. Le forze frenanti vengono determinate in base ai coefficienti di attrito limite quando non vi è slittamento, cinetico quando vi è slittamento. xa = 11,56 m; xb = 13 m 11.10 Un convoglio ferroviario è formato da una motrice di massa pari a 28 Mg che traina 22 vagoni aventi ciascuno 12 Mg di massa. Calcolare la forza resistente di attrito volvente Fr tot di tutto il convoglio sapendo che il coefficiente d’attrito volvente tra ruota e rotaia è µr = 0,0012. Fr tot = 3437 N
11.13 Una sfera di massa 15 kg e diametro 32 cm, lasciata cadere da un elicottero, aumenta la sua velocità fino a quando, uguagliandosi la forza di gravità con la resistenza aerodinamica, essa procede con velocità costante. Calcolare tale velocità v, noti il coefficiente di resistenza C x = 0,26 e la massa volumica dell’aria ρ = 1,29 kg/m3. v = 104,73 m/s 11.14 Un paracadutista di massa pari a 80 kg, prima di far aprire il paracadute, vuole ridurre al minimo la velocità di caduta libera, offrendo alla resistenza dell’aria la massima superficie frontale A = 0,96 m 2 ottenuta lasciando gonfiare la giacca a vento ed assumendo l’atteggiamento cui corrisponde il peggior coefficiente di resistenza Cx = 0,92. Calcolare la velocità v raggiunta in caduta libera ad una quota in corrispondenza della quale la massa volumica dell’aria è ρ = 1,22 kg/m3. v = 38,17 m/s 11.15 Calcolare la potenza P richiesta ad un convoglio ferroviario che procede su una salita inclinata di 0,4° sull’orizzontale mentre viaggia alla velocità di 30 m/s. Dati dell’esercizio: massa del convoglio m = 450 Mg, resistenza specifica al moto µspec = 16 N/Mg, coefficiente di resistenza Cx = 0,48, superficie frontale A = 16 m2, massa volumica dell’aria ρ = 1,29 kg/m3. Calcolare preliminarmente le forze che concorrono a determinare la potenza e cioé: la componente Fp della forza peso, la resistenza Fr che il convoglio incontra sui binari, la resistenza aerodinamica Fa. Fp = 30,8 kN; Fr = 7,2 kN; Fa = 4,46 kN; P = 1274 kW 11.16 Il coefficiente di attrito limite tra la barra ed il pavimento è µ = 0,3; non vi è attrito tra la barra e la parete verticale (Figura 11.9 ); determinare il massimo valore di α per il quale non si avrà slittamento. α = 30,96°
239
240
CAPITOLO 11. – RESISTENZE PASSIVE
11.19 Una locomotiva diesel ha la massa di 40.000 kg; il coefficiente di attrito limite tra ruote e binario è 0,12. La locomotiva traina un convoglio di massa pari a 340.000 kg. Il coefficiente di attrito volvente è 0,005. Calcolare il massimo sforzo di trazione F che può essere esercitato dalla locomotiva e la corrispondente accelerazione iniziale a del convoglio.
A
α
l
F = 47,1 kN; a = 0,075 m/s2
B Fig. 11.9 - Barra appoggiata dell’Esercizio 11.16.
11.20 Noto il coefficiente di attrito limite µ = 0,7 tra la strada e le ruote del veicolo della Figura 11.10, determinare le massime accelerazioni: aanteriori quando sono motrici le ruote anteriori, aposteriori quando sono motrici le ruote posteriori, aquattroruote quando le ruote sono tutte motrici.
11.17 Un corpo di 4 kg di massa, giace su un piano orizzontale. Il coefficiente di attrito cinetico tra il corpo ed il piano è 0,45. Dopo aver calcolato la forza Fr di attrito cinetico, determinare l’accelerazione a che il corpo acquista sotto la spinta di una forza orizzontale di 80 N.
aanteriori = 2,77 m/s2; aposteriori = 2,32 m/s2; aquattroruote = 6,87 m/s2
Fr = 17,66 N; a = 15,59 m/s2 11.18 Un convoglio ferroviario di massa pari a 480.000 kg viene trainato da due locomotive su una salita inclinata di 0,7°. Esso aumenta la sua velocità da 5 m/s a 15 m/s in 100 s; il coefficiente di attrito volvente è µr = 0,0052; se una delle locomotive esercita una trazione di 55 kN, determinare la trazione Fseconda esercitata dalla seconda locomotiva. Fseconda = 75.000 N
G 0,65 m
1,2 m
1,8 m
Fig. 11.10 - Veicolo dell’Esercizio 11.20.
Capitolo 12
12. 1
TRASMISSIONE MECCANICA DELLA POTENZA RENDIMENTI Tutte le macchine convertono energia da una forma ad un’altra; questo processo di conversione è inevitabilmente accompagnato dalla presenza di perdite; il rendimento è il parametro che indica quanto piccole sono queste perdite oppure quanto buona è una macchina nel convertire energia. Il rendimento di una macchina viene definito come rapporto tra il lavoro che esce dalla macchina e il lavoro che viene immesso nella macchina in quel dato tempo. Essendo la potenza uguale al lavoro compiuto nell’unità di tempo, il rendimento può essere espresso non solo come rapporto di lavori ma anche come rapporto tra potenza uscente e potenza entrante nella macchina: Rendimento =
Potenza uscente Lavoro uscente in un dato tempo = Lavoro immesso Potenza immessa
12-1
Così in un motore ad accensione comandata si immette una potenza generata dalla combustione della benzina con l’aria aspirata dal motore ed esce una potenza che viene utilizzata per far muovere l’automobile, mentre in una pompa il motore elettrico immette una data potenza che, assorbita dalla pompa, esce sotto forma di potenza idraulica utilizzata per mandare l’acqua ad un serbatoio; in entrambi i casi la presenza delle perdite, inevitabili nella conversione dell’energia, fa sì che il rendimento sia sempre inferiore ad uno. Le macchine sono tuttavia complesse, consistendo di numerosi elementi che presiedono alla conversione dell’energia; è quindi opportuno distinguere le varie sorgenti di perdite, definendo i rendimenti corrispondenti, in modo da poter intervenire – prima in sede di progetto e successivamente nelle prove – fornendo quelle indicazioni che consentono di migliorare la macchina. Il rendimento complessivo della macchina è uguale al prodotto dei rendimenti dei vari elementi che compongono la macchina; le stesse considerazioni possono essere applicate ad un impianto (si vedano i Capitoli sulle macchine idrauliche e sugli impianti termici). Il rendimento meccanico ηm di una macchina è il rapporto tra il lavoro utile Lu [J] fatto dalla macchina e il lavoro Li [J] generato all’interno della macchina in un dato tempo. Ad esempio, nel caso di un motore ad accensione comandata, il rendimento meccanico è il rapporto tra il lavoro prodotto dall’albero del motore e il lavoro interno (per un motore, si veda il Paragrafo 21.3, si preferisce parlare di lavoro indicato) generato dalla pressione del gas esercitata durante la combustione sul pistone; la differenza tra lavoro interno Li e lavoro utile Lu è dovuta al lavoro Lattrito perso negli attriti fra gli accoppiamenti presenti negli organi (pistone-canna cilindro, biella-manovella, ecc.) che trasmettono il lavoro raccolto dal pistone all’albero del motore: Lu = Li – Lattrito. Il rendimento meccanico, espresso come rapporto di lavori oppure come rapporto tra potenza utile Pu [kW] e potenza interna Pi [kW], risulta allora: ηm = Lu /Li = Pu /Pi . Si può valuCon il contributo del prof. L. Leonessa
242
CAPITOLO 12. – TRASMISSIONE MECCANICA DELLA POTENZA
a
Due teste fuse in ghisa Iniettore
Alternatore collegato all’albero motore con trasmissione a cinghia
Gruppo turbocompressore Basamento in ghisa, con canne cilindri nitrurate ad alto tenore di fosforo, sfilabili a secco
Bielle stampate in acciao ad alta resistenza
Stantuffi in lega leggera di alluminio, tre anelli con galleria anulare di raffreddamento, alimentata attraverso ugelli nel basamento
Albero distribuzione Albero motore stampato in acciaio ad alta resistenza e indurito con tempra a induzione Pompa acqua comandata ad ingranaggi Pompa olio ad ingranaggi comandata dall’albero motore Volano smorzatore al silicone Ventola di raffreddamento con comando tramite giunto viscostatico
b
Gruppo ausiliario pompa combustibile
Ingranaggi del gruppo ausiliario
Albero portaelica
Ingranaggi del gruppo riduttore
Fig. 12.1 - Una parte del lavoro interno viene speso per azionare gli organi ausiliari, un’altra parte viene dissipata in attriti meccanici. 䡵 a) Motore Iveco 8460.41. 䡵 b) Turboelica Garret TPE 331 - Il lavoro interno della turbina è in parte dissipato dagli attriti del gruppo riduttore, in parte è speso per alimentare il gruppo ausiliario della pompa combustibile. Il lavoro utile è disponibile alla flangia dell’albero portaelica.
12.2. – RUOTE DI FRIZIONE
tare il rendimento meccanico dell’intera macchina nel suo complesso, ad esempio un motore o un cambio di velocità, come pure i rendimenti dei vari elementi che compongono la macchina; in tal caso il rendimento meccanico complessivo ηm è uguale al prodotto dei rendimenti meccanici di ciascuno dei singoli elementi ηm1, ηm2, ηm3, ecc.: ηm = ηm1ηm2ηm3... Nelle macchine più complesse (Figura 12.1) e soprattutto negli impianti occorre spendere ancora del lavoro per l’azionamento degli ausiliari necessari per il funzionamento dell’intera macchina o dell’impianto: si pensi alle diverse pompe di alimento, di estrazione della condensa, ecc. presenti in un impianto motore a vapore (Capitolo 18) oppure alle pompe dell’acqua e dell’olio o alla ventola di raffreddamento necessarie al funzionamento del motore a combustione interna (Capitolo 21) che, anche se comandate direttamente dal motore, sottraggono lavoro utile. In tal caso si parla di rendimento organico ηo, rendimento che tiene conto anche del lavoro speso negli accessori Laccessori. Definito il lavoro passivo Lv = Lattrito + Laccessori, lavoro utile e rendimento organico, espresso sia in funzione del lavoro che della potenza, risultano: Lu = Li – Lv
ηo =
Lu L − Lv = i Li Li
oppure
ηo =
Pu Pi
12-1′
Nella maggior parte dei casi gli organi mobili delle macchine sono dotati di moto rotatorio, e la potenza viene trasmessa da un albero ad un altro, ciascun albero porta calettati gli organi della trasmissione che possono essere rigidi (ruote di frizione, ruote dentate) o flessibili (cinghie, catene, cavi). Fattore comune a tutte le trasmissioni tra organi dotati di moto rotatorio è il rapporto di trasmissione τ, tra la velocità angolare ωm della ruota motrice (o conduttrice) e quella ωc della ruota condotta, oppure, per la costanza dei rispettivi fattori di conversione, tra le corrispondenti velocità di rotazione n.
τ =
12. 2
ωm n = m ωc nc
12-2
RUOTE DI FRIZIONE Le ruote di frizione sono ruote caratterizzate da superfici con elevato coefficiente d’attrito; è infatti la forza d’attrito F a garantire il trascinamento della ruota condotta; tale forza richiede l’applicazione di una adeguata reazione normale N tra le superfici a contatto, tanto maggiore quanto minore è il coefficiente d’attrito µ (Figura 12.2). L’aumento progressivo della reazione normale, consentendo uno slittamento iniziale, rende l’avviamento del moto dolce e senza strappi fino al raggiungimento delle condizioni di regime. Il rendimento della coppia di ruote non è particolarmente elevato poiché le consistenti reazioni normali richieste, scaricandosi sui cuscinetti, comportano perdite per attrito non trascurabili. In assenza di slittamento, le velocità periferiche delle ruote, nei loro punti di contatto, sono uguali; ne deriva che il rapporto di trasmissione τ è uguale al reciproco del rapporto dei rispettivi raggi r o diametri d (8-13 e 12-2): v = ωmrm = ωcrc
⇒
τ =
ωm r d = c = c ωc rm dm
12-2′
Esempio 12.1 Frizione Un innesto a frizione è costituito (Figura 12.2-c) da un anello piatto trascinato dall’albero motore e premuto sulle due facce dagli elementi piani collegati all’albero condotto. Sono assegnati: il coefficiente d’attrito tra le superfici di frizione µ = 0,42, la pressione ammissibile sulla superficie del disco pamm = 0,02 N/mm2, la potenza da trasmettere P = 60 kW alla velocità angolare ω = 300 rad/s. Calcolare la reazione normale N che dovrà essere generata dalla molla ed i raggi interno ri ed esterno re del disco centrale ad anello.
243
244
CAPITOLO 12. – TRASMISSIONE MECCANICA DELLA POTENZA
a
b N
n
F
Linea di contatto n′
Linea di contatto N
c
d A
B
C
Fig. 12.2 - Vari tipi di ruote di frizione. 䡵 a) Ruote cilindriche. Gli assi sono paralleli, le velocità angolari sono discordi. La forza periferica F è funzione della reazione normale N (11-1): F = µ N. 䡵 b) Le ruote coniche consentono la trasmissione del moto tra assi concorrenti. 䡵 c) Sezione trasversale di una frizione monodisco: A = cassa frizione (conduttore), B = disco frizione (condotto), C = spingidisco. 䡵 d) Negli innesti a frizione centrifughi, la reazione normale tra le superfici è fornita dalla stessa forza centrifuga delle masse in rotazione.
12.3. – RUOTE DENTATE
SOLUZIONE Il momento da trasmettere è dato dalla 9-10′. P = Mω
M =
⇒
60.000 W P = = 200 N ⋅m 300 rad/s ω
Fissato arbitrariamente un raggio medio di 14 cm, si ricava con la 2-2 la forza F′ che ha generato il momento. M 200 N ⋅m M = F ′r ⇒ F ′r = = = 1430 N r 0,14 m Poiché entrambe le facce del disco sono impegnate, ciascuna faccia dovrà dare origine ad una forza periferica F = F ′/2 = 715 N che, nella ipotesi che la pressione sia uniformemente distribuita, richiederà una reazione normale N data dalla 11-2. 715 N F 䉳 F = µN ⇒ N = = = 1702 N 0,42 µ Il disco può sopportare una pressione pamm = 0,02 N/mm2, pari al rapporto tra la forza normale N e la superficie anulare di contatto A (1-14); i raggi interno ri ed esterno re si ottengono dalla definizione di raggio medio r, semisomma dei raggi interno ed esterno: pamm =
N A
⇒
A= r =
N
=
pamm
1 (re + ri ) 2
A = π (re2 − ri2 ) = π (re − ri )(re + ri ) = 2π (re − ri ) r re + ri = 2r = 28 cm re − ri = 9,67 cm
12. 3
⇒
1702 N = 85.100 mm 2 = 851 cm 2 0,02 N/mm 2 ⇒ ⇒
re + ri = 2r re − ri =
re = 18,84 cm
A 851 cm 2 = = 9,67 cm 2π r 2 × 3,14 × 14 cm ri = 9,16 cm
䉳
RUOTE DENTATE In un ingranaggio, una ruota trasmette all’altra il moto attraverso denti che vengono via via a contatto. Con le ruote dentate (Figura 12.3) la trasmissione avviene per spinta dei denti della ruota motrice su quelli della ruota condotta. Il profilo dei denti va disegnato in modo tale da assicurare un moto uniforme e l’assenza di perdite di potenza dovute all’attrito. In genere i fianchi dei denti sono tracciati secondo un profilo ad evolvente di cerchio (Figura 12.4-a); la retta d’azione della forza che si scambiano i denti è inclinata dell’angolo di pressione ⍜, in genere pari a 20°. Solo la componente della forza tangente alle circonferenze primitive, circonferenze convenzionali corrispondenti a quelle di ruote senza denti (analogamente alle ruote di frizione) che rotolano senza strisciare, contribuisce alla trasmissione della spinta rotatoria, mentre la componente radiale si scarica sui supporti dell’albero. Oltre che dal cerchio primitivo di diametro d, la geometria della ruota dentata è caratterizzata (Figura 12.4-b) dal cerchio di troncatura esterna (o di testa), dal cerchio di troncatura interna (o di piede) e dal passo p, distanza tra due punti corrispondenti misurata sulla circonferenza primitiva. Una ruota dentata viene definita indicandone il numero di denti z ed i parametri fondamentali del profilo: angolo di pressione ⍜ e modulo m. Il modulo [mm] è un parametro unificato di proporzionamento delle dentature, definito come rapporto tra diametro primitivo d e numero dei denti z: m=
d z
⇒
d = mz
12-3
245
246
CAPITOLO 12. – TRASMISSIONE MECCANICA DELLA POTENZA
a
b
2
1 3
d
z1 n3 z1 = n1 z3
c z2
z3
n3 = n4
z4
n5 z4 = n4 z5
z5 n5 z1 z4 = = n1 z3 z5
Fig. 12.3 - Diversi tipi di ruote dentate (dal secondo volume di Disegno tecnico industriale di Emilio Chirone e Stefano Tornincasa, edizioni Il Capitello, 1997). 䡵 a) 1 - ruote cilindriche con dentature diritte; 2 - ruote cilindriche con dentature elicoidali; 3 - ruote coniche. 䡵 b) Ruote cilindriche esterne a denti diritti ingrananti tra loro. In genere la ruota minore viene chiamata pignone o rocchetto. 䡵 c) Pignone accoppiato con una corona a dentatura interna. 䡵 d) Ruotismo o ingranaggio (è un insieme di più ruote ingrananti tra loro) con numero di giri n di ciascun albero e numero di denti z di ciascuna ruota. Nel primo gruppo la ruota intermedia 2 (ruota oziosa) inverte il verso di rotazione della terza ruota rendendolo concorde con la prima. Il rapporto tra il numero di giri dell’ultimo e del primo albero è uguale al prodotto dei rapporti dei due gruppi.
12.3. – RUOTE DENTATE
a Base
Θ
Primitiva
r
Θ
T Linea d’azione T
ha
Primitiva hd
h
Base
Addendum ha
Dedendum hd
o
nc
Passo p
Spessore del dente s
Vano v Circonfere
Gioco g = ha – hd Raccordo
sta
Co
Circon fere primi nza tiva
a Fi
e
Altezza h
ncatura) es terna
nza de l gioc o
Circonfere nza (di
ed
Circonferenza (di tro
Pi
La
Te s
ta
rg h
ez
za
de
ld
en
te b
b
tronca tura) inter na
Fig. 12.4 - 䡵 a) Elementi geometrici nella trasmissione del moto: la retta passante per il punto di contatto fra le circonferenze primitive di raggio r ed inclinata dell’angolo di pressione Θ è normale al profilo dei denti ma anche tangente in T alle circonferenze di base su cui viene costruita l’evolvente che definisce il profilo dei denti (dal secondo volume di Disegno tecnico industriale di Emilio Chirone e Stefano Tornincasa, edizioni Il Capitello, 1997; per la costruzione dell’evolvente si rimanda al primo volume della stessa opera). La distanza tra i centri delle due ruote è l’interasse I. 䡵 b) Parametri per il proporzionamento della ruota dentata di modulo m e numero di denti z: • addendum ha = m • lunghezza assiale = (8 ÷ 12)m • passo p = π m • spessore e vano s = v = π m/2 • diametro primitivo d = mz • dedendum hd = 1,25m • altezza del dente h = ha + hd = 2,25m • gioco g = hd − ha = 0,25m. • diametro esterno dest = d + 2m = (z + 2)m • larghezza della ruota b = λ m • diametro interno dint = d − 2,5m
Due ruote, per poter ingranare tra loro, devono avere lo stesso passo e quindi lo stesso modulo. Anche il passo è una funzione del modulo: p = lunghezza circonferenza primitiva = π d = π mz = π m numero denti z z
12-4
Visto frontalmente, il dente presenta dei fianchi curvi che hanno la caratteristica di garantire trasmissioni continue e rapporti di trasmissione costanti: • trasmissione continua significa che i denti, quando vengono a contatto tra loro, scivolano uno sull’altro senza urti e senza abbandonare la presa prima che altre coppie di denti siano subentrate nell’ingranamento;
247
248
CAPITOLO 12. – TRASMISSIONE MECCANICA DELLA POTENZA
• rapporto di trasmissione costante significa che, a velocità angolare costante ωm del pignone, corrisponde una velocità angolare costante ωc anche per la ruota. Dalla combinazione della 12-2′ e della 12-3 risulta che il rapporto di trasmissione τ per le ruote dentate è anche funzione del numero di denti z di ciascuna ruota:
τ =
ωm d mz c z = c = = c ωc dm mz m zm
12-2″
Il progetto delle ruote dentate consiste nell’assegnare un numero di denti adeguato a soddisfare i rapporti di trasmissione richiesti e moduli che consentano ai denti di sostenere gli sforzi ai quali sono soggetti. Le verifiche richieste per il dente sono a rottura per flessione ed all’usura superficiale. Nel caso di verifica a rottura il dente viene trattato come una trave incastrata ad un estremo e caricata all’altro estremo dalla forza periferica applicata12.1. Presi Mt [N⋅mm] momento torcente, z numero dei denti, il fattore λ che determina la larghezza b della ruota (b = λm) e σamm [N/mm2] tensione ammissibile del materiale, il modulo m [mm] risulta12.2:
m = 2,22 3
12.1 - L’ingranamento impegna contemporaneamente più di due coppie di denti in punti diversi dalle loro estremità; l’ipotesi di calcolo che applica tutta la
Mt zσ amm λ
forza periferica all’estremità di un solo dente è quindi molto più severa di quanto avviene effettivamente.
12-5
12.2 - Momento torcente Mt e numero di denti z devono riferirsi alla stessa ruota. Per la dimostrazione della formula 12-5 si rimanda ai testi specializzati.
Esempio 12.2 Geometria di una ruota dentata Occorre confezionare i contenitori per una partita di ruote dentate. Indicare le dimensioni interne, lato dest (uguale al diametro esterno della ruota) ed altezza b, della scatola quadrata destinata a contenere una ruota con 22 denti di modulo m = 4 mm e larghezza b pari a 10 moduli. Si calcoli anche il passo p che servirà per il collaudo delle ruote.
SOLUZIONE Si calcola il diametro esterno dest secondo il proporzionamento indicato nella didascalia della Figura 12.4-b. Il passo p si calcola con la 12-4. dest = (z + 2) m = (22 + 2) × 4 mm = 96 mm
䉳
b = λ m = 10 × 4 mm = 40 mm
䉳
p = π m = 3,14 × 4 mm = 12,566 mm
䉳
Esempio 12.3 Dimensionamento di una coppia di ruote dentate Proporzionare una coppia di ruote dentate a denti diritti, in ghisa, atta a trasmettere la potenza P = 56 kW alla velocità angolare ω = 224 rad/s del pignone e con rapporto di trasmissione τ = 2,5. Vengono assegnati la tensione ammissibile σamm = 40 N/mm2, il numero dei denti del pignone zm = 18 e il fattore λ = 10.
12.4. – CINGHIE
SOLUZIONE Dalla potenza P si ricava il momento torcente Mt del pignone con la 9-10′ ed il modulo m con la 12-5. P = M tω
m = 2,22 3
⇒
Mt =
56.000 W P = = 250 N ⋅m = 250.000 N ⋅mm 224 rad/s ω
250.000 N ⋅mm Mt = 2,22 3 = 7,24 mm zσ amm λ 18 × 40 N/mm 2 × 10
⇒
m = 7,5 mm
䉳
Il modulo risultante m dal calcolo è stato arrotondato alla dimensione unificata immediatamente superiore. Il numero dei denti zc della ruota condotta si ricava dal rapporto di trasmissione τ (12-2″); i diametri primitivi dm e dc si ottengono dalla 12-3; la larghezza b di entrambe le ruote si legge nella didascalia della Figura 12.4-b. z τ = c ⇒ zc = τ z m = 2,5 × 18 = 45 䉳 zm dm = mzm = 7,5 mm × 18 = 135 mm
dc = mzc = 7,5 mm × 45 = 337,5 mm
b = λ m = 10 × 7,5 mm = 75 mm
12. 4
䉳 䉳
CINGHIE Alberi distanti tra loro possono essere collegati con l’interposizione di organi flessibili detti cinghie; le ruote che ospitano le cinghie sono dette pulegge. L’esempio più semplice è rappresentato dalle cinghie piatte (Figura 12.5-a), costituite da una maglia in fibra naturale o sintetica di elevata aderenza, affogata in una resina che la protegge dall’usura e dagli aggressivi chimici presenti in alcuni ambienti. Per evitare lo slittamento, alla cinghia viene applicata una tensione iniziale che genera una pressione tra cinghia e puleggia; la pressione dà luogo alla forza d’attrito che si trasmette dalla puleggia motrice alla cinghia e dalla cinghia alla puleggia condotta. Durante il funzionamento la puleggia conduttrice (Figura 12.5-a) sovraccarica la tensione nel tratto inferiore della cinghia al valore T e la scarica nel tratto superiore al valore t secondo la relazione: T = te µα
12-6
con e = 2,718 base dei logaritmi naturali, µ coefficiente d’attrito tra cinghia e puleggia ed α [rad] angolo di avvolgimento che sottende la parte di cinghia a contatto della puleggia. Essendo α più piccolo per la ruota di diametro minore, è quest’ultima che limita la forza periferica trasmissibile. Con i valori correnti dei coefficienti d’attrito e per un angolo di avvolgimento α = (4/5)π risulta e µα ≅ 2 e quindi T = 2t. La forza periferica F, che viene trasmessa alla puleggia condotta, è la differenza tra le due tensioni: F = T – t = 2t – t = t. Per mettere in tensione le cinghie occorre applicare ad uno dei due cuscinetti una forza Q pari a T + t = 3t = 3F, ma per prevenire slittamenti dovuti a variazioni del carico si preferisce porre Q = 4F. Nelle cinghie a sezione trapezia (Figura 12.5-b) il contatto tra cinghia e puleggia avviene tra le facce oblique della cinghia e le pareti anch’esse oblique della gola ricavata nella puleggia; la reazione normale R viene equilibrata dalle due componenti N = R/(2 sen β); per i valori correnti di β ≅ 20°, la forza periferica risulta sensibilmente maggiore di quella ottenibile da una cinghia piatta sottoposta alla stessa tensione.
249
CAPITOLO 12. – TRASMISSIONE MECCANICA DELLA POTENZA
a
Puleggia condotta Puleggia conduttrice (o motrice)
Tratto condotto t
Q
nm
m
c
D
F d
250
nc
T Tratto conduttore I
c
b 2β R R/2 N
β
N=
R 2senβ
β
Fig. 12.5 - Trasmissione per cinghie. 䡵 a) Cinghie piatte con indicate le dimensioni caratteristiche della puleggia conduttrice (o motrice) e della puleggia condotta. 䡵 b) Cinghie trapezoidali: la puleggia fa equilibrio con due spinte N, normali alle pareti laterali della gola, alla componente radiale R delle tensioni sulla cinghia. 䡵 c) Cinghie dentate.
Il rapporto di trasmissione τ per le cinghie assume la consueta forma della 12-2; si tratta però di un rapporto approssimato perché la cinghia, passando dal ramo più teso a quello meno teso e viceversa, subisce variazioni nella propria lunghezza, e tali variazioni avvengono proprio nella zona di contatto con la puleggia e di conseguenza la cinghia viaggerà con un piccolo ritardo rispetto alla puleggia motrice mentre la puleggia condotta accuserà analogo ritardo rispetto alla cinghia. Per rapporti di trasmissione esatti si fa uso di cinghie dentate (Figura 12.5-c) che, causa i denti, non possono scorrere. Il progetto di una trasmissione per cinghie consiste nella determinazione della lunghezza L della cinghia12.3, in funzione dei diametri D e d delle pulegge (Figura 12.5-a) e dell’interasse I, e nel calcolo della larghezza b della cinghia nel caso delle cinghie piatte, o nella scelta della sezione
12.3 - Le cinghie vengono poste in commercio già chiuse ad anello e con lunghezze standard.
12.5. – BIELLA-MANOVELLA
nel caso delle cinghie trapezoidali e dentate. La formula per il calcolo della lunghezza L della cinghia è suggerita dalle norme UNI (tutte le grandezze sono espresse in mm): ( D − d )2 4I
L = 2 I + 1,57 ( D + d ) +
12-7
Il calcolo della larghezza b o della scelta della sezione segue invece una procedura riportata sui manuali specializzati, forniti dalle stesse ditte produttrici, ai quali si rimanda.
Esempio 12.4 Cinghie piatte Si vuole trasmettere la potenza P = 6 kW tra due pulegge (Figura 12.5-a) di diametri d = 80 mm e D = 125 mm; la puleggia minore, motrice, ruota con velocità angolare ω = 200 rad/s; l’interasse I tra le pulegge è di 380 mm. Calcolare la lunghezza L della cinghia e la trazione Q da applicare ad uno dei due cuscinetti per garantire una trasmissione senza slittamenti.
SOLUZIONE La lunghezza L della cinghia si calcola con la 12-7. L = 2 I + 1,57 ( D + d ) + L = 2 × 380 mm + 1,57 (125 mm + 80 mm ) +
( D + d )2 4I
(125 mm − 80 mm )2 = 1083 mm 4 × 380 mm
Uno dei due cuscinetti deve consentire la possibilità di registrazione; si adatta quindi l’interasse alla lunghezza commerciale della cinghia (1080 mm da catalogo). La registrazione consente di mettere in tensione la cinghia applicando al cuscinetto la forza Q = 4F (Paragrafo 12.4). La forza periferica F si ricava dal momento motore (2-2) che a sua volta si ottiene con la 9-10′. 6000 W P P = Mω ⇒ M = = = 30 N ⋅m 200 rad/s ω M = Fr
⇒
F =
30 N ⋅m M = = 75 N 0,4 m r
Q = 4F = 4 × 75 N = 300 N
12. 5
䉳
BIELLA-MANOVELLA La catena cinematica biella-manovella (Figura 12.6) consiste di una biella AB, di lunghezza l, incernierata in B ad una manovella BC di lunghezza r; essa consente la trasformazione del moto alternativo (o alterno) del piede di biella A nel moto rotatorio della manovella e quindi dell’albero; il punto B è detto bottone di manovella. Quando l ⭓ 6r (vedere Esempio 10.1), il moto del piede di biella può confondersi col moto del punto H, proiezione di B sulla linea dei punti morti12.4, e quindi si riduce ad un moto armonico semplice la cui accelerazione si approssima
12.4 - Le posizioni estreme vengono definite punti morti ed indicate con i simboli PMS (punto morto superiore)
e PMI (punto morto inferiore). La direzione che contiene i punti morti contiene anche il punto C e viene definita
linea dei punti morti (Figura 12.6).
251
252
CAPITOLO 12. – TRASMISSIONE MECCANICA DELLA POTENZA
B l r
β
A
H
Linea dei punti morti
α
PMI
PMS
C x = r cos
corsa = 2r l+r
Fig. 12.6 - Il meccanismo biella-manovella trasforma il moto alternativo del pistone nel moto rotatorio della manovella.
con la 10-3: a = − ω2x = − ω2r cos α 12.5. La presenza dell’accelerazione provoca la forza d’inerzia (Paragrafo 9.1.1) Fi = – ma; la massa che interessa questa espressione è costituita dalla somma delle masse alterne: pistone, fasce elastiche, spinotto, testa croce quando esiste e fusto della biella conteggiato per un terzo. Sul piede di biella A (Figura 12.7-a) agisce la forza F, somma della forza di inerzia alterna Fi e della forza di pressione Fp proveniente dal pistone; essa si scompone (Figura 12.7-b) in F1, lungo la biella ed F2, in direzione normale alla linea dei punti morti. Attraverso la biella, F2 arriva
a
b
T F1
β
ma A a
B
β
Fp
α N
F1
Moto
β
A F2
F
α C
Fig. 12.7 - Il momento motore è generato dalla componente tangenziale T. 䡵 a) Forze che agiscono sul piede di biella A: forza Fp generata dalla pressione dei gas sul pistone e forza d’inerzia Fi = − ma. 䡵 b) La forza F, somma di Fp ed Fi, si scompone in F1 lungo la biella ed F2 normale ad F; F1, attraverso la biella, giunge in B, e qui si scompone nelle componenti N, lungo il raggio di manovella, e T, tangente alla traiettoria di B.
12.5 - Una espressione più completa dell’accelerazione del piede di biella, anche se non esatta ma di approssimazione più
che sufficiente nella grande maggioranza delle applicazioni, è:
r a = ω 2r cos α + cos 2α l
12-8
12.6. – SOMMARIO
al bottone di manovella, e qui si scompone nuovamente in N lungo la manovella e T, forza tangenziale che darà origine al momento motore secondo la 2-2. F1 =
F cos β
⇒
T = F1 sen (α + β) = F
sen (α + β ) cos β
12-9
Esempio 12.5 Momento motore sulla manovella Un pistone viene azionato da un sistema biella-manovella di lunghezze rispettivamente r = 75 mm ed l = 450 mm. La massa complessiva soggetta all’accelerazione del moto alterno è di 2,4 kg. La manovella si trova nella posizione α = 60°; la velocità angolare della manovella è ω = 37,7 rad/s; la forza Fp, generata dalla pressione agente sul pistone, ha un’intensità di 840 N ed è diretta verso il punto C. Nell’Esempio 10.1 il piede di biella, che si considerava soggetto ad un moto armonico semplice, forniva un’accelerazione approssimata aappr = 53,3 m/s2. Confrontare tale valore con quello ricavabile dalla espressione più completa12.5 e calcolare il momento motore MC nelle condizioni citate.
SOLUZIONE L’accelerazione a si ricava dalla 12-8 12.5. r 0,075 m a = ω 2 r cos α + cos 2α = (37,7 rad/s)2 × 0,075 m × cos 60° + cos 120° = 44,415 m/s 2 䉳 l 0,45 m Il confronto tra l’accelerazione approssimata aappr e quella più completa a indica un errore percentuale non trascurabile. aappr − a 53,3 m/s 2 − 44,415 m/s 2 䉳 errore percentuale = × 100 = × 100 = 16,7% aappr 53,3 m/s2 È nota la forza generata dalla pressione sul pistone: Fp = 840 N; a questa si aggiunge la forza d’inerzia Fi delle masse dotate di moto alterno ottenendo la forza F che agisce sul piede di biella. L’angolo β si ricava applicando il teorema dei seni (Tabella V di copertina) al triangolo ABC. La componente tangenziale T si ricava dalla 12-9, ed il momento motore MC dalla 2-2. Fi = – ma = – 2,4 kg × 53,3 m/s2 = – 128 N l r = sen α sen β
⇒
F = Fp + Fi = 840 N – 128 N = 712 N r 75 mm sen β = sen α = sen 60° = 0,144 ⇒ l 450 mm T = F
sen (α + β ) sen (60° + 8,3°) = 712 N = 669 N cos β cos 8,3°
MC = T⋅ r = 669 N × 0,075 m = 50,2 N⋅m
12. 6
β = arcsen 0,144 = 8,3°
䉳
SOMMARIO Il rendimento ηm di una trasmissione è il rapporto tra la potenza uscente Pu dalla trasmissione e la potenza immessa Pi ; poiché una parte della potenza immessa viene dissipata in strisciamenti ed urti tra gli organi a contatto, è sempre Pu < Pi ed ηm < 1. Le ruote di frizione sono cilindri o coni che rotolano uno sull’altro senza strisciare. La trasmissione avviene per attrito radente; è richiesta una forza che tenga premuta una ruota contro l’altra e l’impiego di materiali che presentino una buona resistenza alla compressione.
253
254
CAPITOLO 12. – TRASMISSIONE MECCANICA DELLA POTENZA
Le ruote dentate presentano dei rilievi, i denti, che sporgono da una superficie cilindrica o conica, (superficie primitiva) di una quantità, addendum, e rientrano di un’altra quantità, dedendum. Il modulo è il rapporto tra il diametro della superficie primitiva ed il numero di denti; è una lunghezza espressa in millimetri ed ha valori unificati. Tutte le misure delle ruote dentate sono date in funzione del modulo. La trasmissione con cinghie consente il collegamento tra alberi distanti tra loro; sono costituite da fibre naturali o sintetiche affogate in resine sintetiche che le proteggono dall’usura e ne caratterizzano il coefficiente d’attrito. Poiché il trascinamento tra cinghia e puleggia avviene per attrito, occorre montare la cinghia con una tensione preventiva. Vengono commercializzate cinghie piatte, cinghie a sezione trapezia e cinghie dentate. Le cinghie a sezione trapezia sono le più diffuse, specialmente in campo motoristico, poiché sono leggere, robuste, affidabili, e richiedono una ridotta tensione di montaggio. Le cinghie dentate forniscono rapporti di trasmissione esatti, poiché la presenza dei denti non consente slittamenti; negli altri tipi di cinghia si verifica sempre un lievissimo scorrimento tra cinghia e puleggia. Il meccanismo biella-manovella trasforma il moto alternativo di un pistone nel moto rotatorio di una manovella con l’interposizione tra i due di una biella. La conoscenza delle accelerazioni delle parti in movimento è necessaria per poter valutare le forze di inerzia. In prima approssimazione, il moto del pistone può essere assimilato al moto armonico semplice della proiezione del bottone di manovella sulla linea dei punti morti.
Esercizi proposti 12.1 Calcolare la potenza P da assegnare ad un motore per ascensore la cui massa a pieno carico è di 1800 kg e la cui velocità di esercizio è di 2 m/s; il rendimento dell’impianto è 0,72. P = 49 kW 12.2 La slitta di una piallatrice è mossa da tre viti con passo di 6 mm; la massa della slitta è di 220 kg ed il coefficiente di attrito tra slitta e guide è 0,12. Trovare la potenza Pi da immettere nel movimento (escludendo quella richiesta per vincere le forze d’inerzia) sapendo che le viti ruotano alla frequenza di 16 giri/s e che il loro rendimento è 0,7. Pi = 35,5 W 12.3 Un’idrovora deve smaltire una portata d’acqua di 240 litri al minuto con un dislivello di 30 m. Il rendimento complessivo dell’impianto è 0,32. Calcolare la potenza Pi da immettere nel motore. Pi = 3,7 kW 12.4 Una turbina idraulica eroga la potenza di 80 kW alla frequenza di 1450 giri/min. Interrotto il flusso dell’acqua, il rotore passa dalla velocità di esercizio alla frequenza di 800 giri/min in 15 s; si conosce il momento d’inerzia del rotore I = 44 kg⋅m2. Calcolare il rendimento meccanico η della turbina. η = 0,62 12.5 La combustione di 1 kg di benzina libera un’energia termica di 44 MJ. Il motore che viene alimentato da
questa benzina, ne consuma in un’ora 4,9 kg fornendo una potenza meccanica di 15 kW. Calcolare il rendimento complessivo η del motore. η = 0,25 12.6 Un elicottero di massa pari a 15.000 kg, procede con una velocità verticale di salita costante di 5 m/s incontrando una resistenza aerodinamica di 8 kN. Assunto un rendimento delle pale di 0,7, determinare l’intensità F della spinta richiesta al rotore e la potenza P all’albero. F = 155 kN; P = 1,1 MW 12.7 Si vuole trasmettere la potenza di 4 kW mediante una coppia di ruote di frizione cilindriche che realizzino il rapporto di trasmissione 2,2. L’interasse imposto è di 140 mm; la velocità angolare della ruota motrice è di 160 rad/s. Assunto un coefficiente di attrito limite tra le superfici primitive µ = 0,15, calcolare la reazione normale N ed i raggi r1 ed r2 delle due ruote. N = 3810 N; r1 = 43,75 mm; r2 = 96,25 mm 12.8 Una coppia di ruote di frizione ha le seguenti dimensioni: raggi delle ruote: 43,75 mm e 96,25 mm; raggi degli alberi: 10 mm e 12 mm. La ruota motrice immette la potenza di 4 kW alla velocità angolare di 160 rad/s; la reazione normale tra le due ruote è di 3810 N. Assunti i coefficienti di attrito volvente per le ruote µv = 0,013 e radente cinetico per i perni µc = 0,05, calcolare la potenza P uscente dalla ruota condotta ed il
ESERCIZI PROPOSTI
rendimento complessivo η. Occorre determinare preventivamente la potenza Pv dissipata per attrito volvente sulle superfici di rotolamento in funzione della reazione normale N scambiata tra le stesse, poi la potenza Pc dissipata per attrito radente cinetico tra perni e cuscinetti; i cuscinetti sopportano sia la reazione normale N che la forza periferica di trascinamento T. T = 571 N; Pv = 347 W; Pc = 476 W; P = 3,2 kW; η = 0,79
12.12 Calcolare il modulo m, il numero di denti z2 della ruota condotta, i diametri primitivi d1 del pignone e d2 della ruota, di una coppia di ruote dentate a denti diritti che permetta di raggiungere una potenza uscente di 16 kW quando il pignone ruota con velocità angolare di 180 rad/s. Calcolare anche il passo p e l’interasse I. Assumere rapporto di trasmissione τ = 1,43, σamm = 60 N/mm2, λ = 10, numero denti del pignone z1 = 21 e rendimento meccanico della coppia η = 0,97. m = 4,5 mm; z2 = 30; d1 = 94,5 mm; d2 = 135 mm; p = 14,137 mm; I = 114,75 mm
12.9 Con una coppia di ruote dentate cilindriche a denti diritti, di modulo 4,5 mm, si vuole realizzare una trasmissione con rapporto pari a 3,4. La ruota motrice deve avere un numero di denti z1 ⭓ 17, mentre l’interasse non può superare i 220 mm. Assegnare i numeri di denti z1 e z2 alle due ruote e calcolare i diametri primitivi d e D e l’interasse I. z1 = 20; z2 = 68; d = 90 mm; D = 306 mm; I = 198 mm
12.10 Una coppia di ruote dentate, di modulo m = 5 mm, con z1 = 21 e z2 = 33 denti, va confezionata per l’immagazzinamento e la spedizione, in una scatola rettangolare (Figura 12.8). Quali devono essere le dimensioni b ed h della scatola affinché la sua superficie sia minima? b = 175 mm; h = 276,63 mm
12.13 Un pignone è caratterizzato da un numero di denti z = 21, un modulo m = 4,5 mm ed un angolo di pressione ⍜ = 20°. Calcolare la forza F scambiata tra i denti lungo la linea di azione (Figura 12.4-a) per trasmettere al momento Mt = 91,7 N⋅m. Si scompone (Figura 12.9) la forza F nelle due componenti tangenziale Ft, secondo la tangente alla primitiva nel punto di contatto dei profili e radiale Fr, secondo la congiungente i centri delle due ruote dentate. Mentre la componente radiale non presenta interesse (tende al allontanare le ruote durante la trasmissione del moto), la componente tangenziale Ft presiede alla trasmissione del momento Mt . Da Mt = Ft d /2, con il diametro d espresso in funzione del modulo m e del numero di denti z, si ricava prima Ft e quindi Ft essendo Ft = F cos ⍜. Ft = 1940 N; F = 2065 N
U
Ft Primitiva
h
I
ione
d’az
F Fr
x
r
r+m
a line
R+m
R
b = D + 2m Fig. 12.8 - Scatola dell’Esercizio 12.10 con indicate l’interasse I delle due ruote e le altre dimensioni caratteristiche.
12.11 Calcolare la potenza P che può essere trasmessa da una ruota dentata costituita da 20 denti di modulo 4,5 mm quando ruota alla velocità angolare di 360 rad/s, avendo assunto per il materiale una tensione ammissibile σamm = 54 N/mm2 e per la larghezza il fattore λ = 12. P = 33,6 kW
Fig. 12.9 - Componenti tangenziale Ft e radiale Fr della forza F scambiata tra i denti dell’Esercizio 12.13.
12.14 Calcolare la lunghezza L di una cinghia che collega due pulegge di diametri pari a 224 mm e 355 mm, aventi un interasse di 580 mm. L = 2076 mm 12.15 In una trasmissione per cinghie (Figura 12.10) le pulegge hanno i raggi r = 60 mm ed R = 100 mm; è richiesto un interasse I = 180 mm. Determinare il rapporto di trasmissione τ, l’angolo αm di avvolgimento sulla puleggia minore e la lunghezza L della cinghia.
τ = 1,67; αm = 154°; L = 871 mm
255
CAPITOLO 12. – TRASMISSIONE MECCANICA DELLA POTENZA
m
β
β I
R r
12.17 In una trasmissione per cinghie (Figura 12.11) una puleggia di diametro d = 80 mm trascina una cinghia i cui rami trasmettono alla puleggia le tensioni T0 = 105 N e T1 = 175 N. Calcolare il lavoro L prodotto dalla trasmissione in 400 giri della puleggia. L = 7,0 kJ
12.18 Il progetto di una trasmissione per cinghie prevede pulegge di diametri 224 mm e 355 mm ed interasse I = 580 mm. Per queste misure, il calcolo prevede una cinghia di lunghezza L = 2076 mm (vedi Esercizio 12.14), non reperibile in commercio in quanto non unificata. Si adotta pertanto la cinghia di lunghezza unificata L1 = 2080 mm. Calcolare il nuovo valore I1 da assegnare all’interasse. Si suggerisce di scrivere due volte la 12-7 assegnandole una volta i valori originari L ed I, una seconda volta i valori corretti L1 ed I1; si ottiene per sottrazione la differenza L1 – L in cui si può trascurare la dif(D – d)2 ferenza dei termini il cui ordine di grandezza 4I risulta trascurabile nei confronti degli altri valori. I1 = 582 mm
Fig. 12.10 - Trasmissione per cinghie dell’Esercizio 12.15.
12.16 In una trasmissione per cinghie (Figura 12.11) una cinghia aderisce ad una puleggia con un angolo di avvolgimento α = 160°. Calcolare la tensione T1 dalla parte più tesa quando dalla parte opposta si applica la tensione T0 = 105 N, noto il coefficiente di attrito tra cinghia e puleggia µ = 0,18. T1 = 174 N
12.19 Un biellismo (Figura 12.6-b) è costituito da una biella di lunghezza pari a 160 mm ed una manovella di raggio 44 mm. Calcolare la corsa c, il massimo valore dell’angolo βmax, la posizione s del piede di biella riferita al punto morto superiore negli istanti t1 = 2 s, t2 = 15 s e t 3 = 32 s, nota la velocità angolare della manovella ω = 215 rad/s. c = 88 mm; βmax = 15,38°; s1 = 85,47 mm; s2 = 56,81 mm; s3 = 0,22 mm
T0
d
256
T1
12.20 In una motrice alternativa il vapore espande a pressione costante di 320 kPa entro un cilindro di sezione pari a 0,032 m2. Le masse che partecipano al moto del piede di biella hanno un valore complessivo di 28 kg. La biella è lunga 2 m, la corsa vale 0,7 m, mentre la velocità angolare della manovella è pari a 24 rad/s. Calcolare i valori del momento motore M in corrispondenza degli angoli di manovella α1 = 15°, α2 = 75° ed α3 = 140°.
Fig. 12.11 - Trasmissione per cinghie degli Esercizi 12.16 e 12.17.
M1 = 0,42 kN⋅m; M2 = 3,4 kN⋅m; M3 = 2,8 kN⋅m
MACCHINE A FLUIDO
Capitolo 13
13. 1
ENERGIA, AMBIENTE E MACCHINE A FLUIDO SVILUPPO SOSTENIBILE Lo sviluppo sostenibile è quello sviluppo che consente di soddisfare le necessità della generazione presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le loro necessità13.1. Lo sviluppo sostenibile richiede di rendere minimo: – il consumo delle risorse naturali; – il livello di inquinamento dell’aria, delle acque e del suolo. Risorse naturali sono le fonti di energia primaria dalle quali si ottiene direttamente, oppure mediante ulteriori trasformazioni, quell’energia che è alla base dello sviluppo. Le fonti energetiche si classificano in fonti: – non rinnovabili, come il petrolio greggio, il carbone, il gas naturale, l’uranio impiegato quale combustibile nucleare: queste fonti, che sono purtroppo le più utilizzate, sono limitate in natura e sono quindi destinate ad esaurirsi più o meno rapidamente a seconda dell’intensità del loro sfruttamento; – rinnovabili, come l’energia dell’acqua (idraulica), del vento (eolica) e del sole (solare): sono fonti non limitate dalle risorse finite della Terra la cui utilizzazione è condizionata soltanto dall’efficienza con cui vengono captate. Se si tiene presente che la risorsa energetica più vicina ad estinguersi, perché maggiormente utilizzata, è il petrolio greggio da cui vengono ottenuti combustibili come benzina e gasolio, vengono individuate come energie alternative tutte quelle energie che consentono di sostituire il petrolio come, ad esempio, il gas naturale, gas che si estrae dal sottosuolo costituito quasi completamente, spesso in concentrazioni maggiori del 90%, da metano. Le diverse fonti vengono confrontate tra loro valutandone l’energia, che (Paragrafo 1.16) viene misurata in joule [J] e multipli relativi. Nel caso dei combustibili fossili (Tabella 13.1), come il petrolio greggio, il gas naturale ed il carbone, l’energia è data dal prodotto della massa del combustibile [kg] per una quantità, chiamata potere calorifico [MJ/kg], che rappresenta il contenuto di energia (megajoule [MJ] = 106 J) riferito all’unità di massa [kg] di quel dato combustibile. Nel caso del combustibile nucleare, l’energia è quella che risulta dalla fissione di 1 g di uranio U-235 con il rilascio di un’energia termica pari a 86.500 MJ. L’energia solare è fortemente variabile in funzione della latitudine, della stagione e dello stato del cielo; l’energia della radiazione solare che incide in un giorno su un m2 di superficie terrestre oscilla da 5 MJ/(m2⋅giorno) in gennaio a 22 MJ/(m2⋅giorno) in giugno.
13.1 - La frase è la traduzione del Rapporto Brundtland, Commissione mondiale su ambiente e sviluppo, 1987:
“Sustainable development is the development that meets the needs of the present generation without compromising
the ability of future generations to meet their own needs”.
260
CAPITOLO 13. – ENERGIA, AMBIENTE E MACCHINE A FLUIDO
Quando l’energia viene valutata nell’unità di tempo, si ottiene una potenza termica, misurata (Paragrafo 1.17) in watt [W] e multipli relativi. Così la radiazione raccolta su un m2 di superficie di un collettore solare può arrivare in condizioni di esposizione ed incidenza estremamente favorevoli a 900 W/m2. Tabella 13.1 Trasformazione di unità di uso corrente nel campo dei combustibili fossili in misure di energia e di potenza* 1 barile di petrolio = 0,159 m3 = 136 kg 1 miliardo di barili di petrolio = 109 × 136 kg = 0,136 × 1012 kg Energia equivalente ad 1 miliardo di barili di petrolio = 0,136 × 1012 kg × 42 MJ/kg = = 5,712 × 1012 MJ = 5,712 × 1012 × 106 J = 5,712 × 1018 J = 5,712 EJ (exajoule) 1 TEP = Energia equivalente ad 1 tonnellata di petrolio = 1000 kg × 42 MJ/kg = 42.000 MJ = = 42 GJ (gigajoule) 1 milione di TEP = 106 × 42 GJ = 106 × 42 × 109 J = 42 × 1015 J = 42 PJ (petajoule) 1 barile/giorno = 136 kg/86.400 s = 1,574 × 10– 3 kg/s 1 milione di barili/giorno = 106 × 1,574 × 10– 3 kg/s = 1,574 × 103 kg/s Potenza termica equivalente ad 1 milione di barili al giorno = = 1,574 × 103 kg/s × 41,868 MJ/kg = 65.900 MJ/s = 65,9 GW (gigawatt) 1 trilione di m3 di gas naturale = 1000 miliardi m3 = 1000 × 109 m3 = 1012 m3 Energia equivalente ad un trilione di m3 di gas naturale = 1012 m3 × 0,83 kg/m3 × 47,7 MJ/kg = = 39,59 × 1012 MJ/kg = 39,59 × 1012 × 106 J/kg = 39,59 × 1018 J/kg = 39,59 EJ (exajoule) 1 miliardo di tonnellate di carbone = 1000 milioni di tonnellate di carbone = = 103 × 106 × 1000 kg = 1012 kg Energia equivalente ad un miliardo di tonnellate di carbone = 1012 kg × 33 MJ/kg = = 33 × 1012 MJ/kg = 33 × 1012 × 106 J/kg = 33 × 1018 J/kg = 33 EJ (exajoule) * Poteri calorifici medi dei combustibili fossili assunti nel calcolo:
– 33 MJ/kg per il carbone; – 42 MJ/kg per il petrolio; – 47,7 MJ/kg, insieme ad una massa volumica di 0,83 kg/m3, per il gas naturale.
Il risparmio energetico (Paragrafo 13.3), indispensabile per ridurre il consumo delle risorse naturali, rappresenta una strada obbligata sia perché la maggior parte di queste risorse è limitata sia perché il loro sfruttamento, in tempi brevi, può determinare gravi squilibri sull’ambiente. L’inquinamento dell’aria, che condiziona pesantemente l’inquinamento delle acque e del suolo, deriva, in larga misura, dalle sostanze utilizzate nelle macchine a fluido. Queste sostanze sono rappresentate sia dai combustibili fossili o nucleari che, opportunamente trasformati, forniscono l’energia necessaria al funzionamento della macchina sia da fluidi, come i refrigeranti degli impianti di condizionamento, sia da materiali utilizzati nella costruzione della macchina, quali l’asbesto usato per lungo tempo come isolante. L’esame dei criteri che consentono di rendere minimi consumo dell’energia e livello di inquinamento è quanto verrà esposto lungo tutta la trattazione delle macchine a fluido13.2.
13.2 - Solo al termine del corso la conoscenza, nel frattempo maturata, del fun-
zionamento di ciascuna macchina a fluido renderà possibile il confronto tra
i diversi sistemi energetici.
13.2. – FONTI DI ENERGIA
13. 2
FONTI DI ENERGIA La sintesi dei consumi di energia (Tabella 13.2) mette in rilievo come attualmente circa il 93% dell’energia utilizzata nel mondo proviene da risorse non rinnovabili: gas naturale, petrolio greggio, carbone e combustibile nucleare; le fonti rinnovabili, idriche, eoliche e solari, rappresentano perciò una quota estremamente modesta. Tabella 13.2 Destinazione percentuale ai settori di utilizzazione dell’energia prodotta, a livello mondiale, dalle diverse fonti: gas naturale, petrolio greggio, carbone, combustibile nucleare e idraulica (in questo termine comprendiamo tutte le fonti rinnovabili come le energie idraulica, eolica, solare, ecc.) a) b) c) d) e)
Residenziale/commerciale Industriale Trasporti Energia elettrica Usi diversi
Totale
Gas
Petrolio
Carbone Nucleare Idraulica
Totale
9,7 5,0 0,1 2,5 2,7
6,9 7,4 18,0 3,2 3,5
2,0 6,0 – 18,2 3,3
– – – 4,5 –
– – – 7,0 –
18,6 18,4 18,1 35,4 9,5
20,0
39,0
29,5
4,5
7,0
100,0
a) Il settore residenziale/commerciale comprende case, appartamenti, teatri, alberghi, scuole, negozi, costruzioni per uffici e fabbricati simili. b) Il settore industriale comprende soprattutto la generazione di vapore per processi e il riscaldamento diretto del processo. c) Il settore trasporti include i trasporti su strada, in ferrovia, per mare e il trasporto aereo. d) La trasformazione di energia, necessaria per la generazione di energia elettrica, viene utilizzata da tutti gli altri settori e in particolare da quello industriale. e) Gli usi diversi stanno a significare ogni impiego di gas, petrolio e carbone in modo diverso da quello usuale come combustibile. Citiamo, come esempi, l’uso del carbone nei processi di produzione del ferro, l’uso del gas naturale nella produzione di prodotti chimici, fertilizzanti e materiali di sintesi, nonché l’uso del petrolio greggio come materiale base nella petrolchimica.
La distribuzione dei consumi di energia nelle varie nazioni è notevolmente disuguale; essa risulta infatti concentrata nei paesi a elevato livello di industrializzazione e in particolare negli Stati Uniti d’America, dove il 5% della popolazione mondiale assorbe un quarto dell’energia utilizzata su tutta la Terra. La Figura 13.1 mostra il consumo e i relativi interscambi di energia primaria nel 1994. Il progressivo aumento del fabbisogno di energia porta a due ordini di problemi: – la ricerca di espandere il più possibile le fonti di energia rinnovabile e in particolare modo di poter attingere, a fronte dello sviluppo tecnologico, all’energia solare con costi più contenuti di quelli attuali; – la ricerca di sempre nuovi giacimenti delle risorse non rinnovabili e contemporaneamente lo sviluppo di conoscenze e tecnologie che permettano di raggiungere rendimenti più elevati nel processo di trasformazione dell’energia posseduta da queste fonti. La fonte di energia più utilizzata nei paesi maggiormente industrializzati è (Tabella 13.2) il petrolio in quanto è stata fino ad ora la fonte economicamente più conveniente e, essendo liquido, più facilmente trasportabile. Questa fonte è tuttavia prossima ad estinguersi: in 43 anni sulla base delle risorse già accertate (Tabella 13.3) e circa 60 ÷ 70 anni se si fa riferimento alle risorse stimate, cioè a quelle risorse che si prevede di poter scoprire nei prossimi anni; presenta inoltre l’inconveniente di provenire per la maggior parte (65%) da una sola area politica (medio-oriente), e come tale è esposta a crisi, come è già avvenuto in passato, che rendendone difficile l’approvvigionamento, potrebbero determinare il collasso dell’economia quando questa è basata su una sola fonte energetica.
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CAPITOLO 13. – ENERGIA, AMBIENTE E MACCHINE A FLUIDO
CONSUMO DI ENERGIA PRIMARIA Zone geografiche
Consumo
[%]
Stati Uniti – Canada C.S.I. – Europa Orientale Europa Occidentale Cina Asia Sud-Orientale Estremo Oriente America Latina Medio Oriente Africa Australasia
2360 1270 1430 750 695 480 306 300 225 110
29,8 16 18 9,5 8,8 6 3,9 3,8 2,8 1,4
TOTALE TERRA
7925
100
Fig. 13.1 - L’energia sulla Terra nel 1994 espressa in milioni di TEP (Tonnellate Equivalenti di Petrolio): 1 × 106 TEP = TEP = 42 × 1015 J = 42 × 109 MJ (vedere le equivalenze della Tabella 13.1).
13.3. – FONTI DI ENERGIA
PRODUZIONE DI ENERGIA PRIMARIA
Petrolio
Gas naturale Carbone
Nucleare
Idraulica
SCAMBI INTERNAZIONALI DI Petrolio greggio Gas Carbone
Mediante gasdotti Gas naturale liquefatto
263
264
CAPITOLO 13. – ENERGIA, AMBIENTE E MACCHINE A FLUIDO
Il gas naturale, soprattutto perché caratterizzato da una migliore distribuzione geopolitica essendo presente in molti altri paesi e non solo in medio-oriente (Figura 13.1), rappresenta veramente una fonte energetica alternativa al petrolio con il solo inconveniente che, essendo un gas, ha bisogno di una rete di metanodotti molto diffusa per poter venire utilizzato anche in luoghi piuttosto distanti dai giacimenti da cui viene estratto. Il gas naturale è estremamente interessante dal punto di vista ambientale per l’assenza di zolfo, di idrocarburi aromatici e per la scarsa reattività del metano, il suo costituente principale: esso, al contrario della benzina e del gasolio, non dà luogo a quei prodotti della combustione che tanto contribuiscono all’inquinamento dell’aria come l’ozono, le aldeidi, l’1,3-butadiene, ecc. (si veda il Paragrafo 13.4). È per questi motivi che si prevede un sostanziale aumento dell’impiego del gas naturale nei prossimi anni, parallelamente alla riduzione dell’uso del petrolio. Il carbone rappresenta la risorsa maggiormente disponibile con risorse accertate di 235 anni (Tabella 13.3) e risorse stimate pari a circa 400 ÷ 500 anni. Attualmente il carbone viene impiegato soprattutto nei grandi impianti termoelettrici; tale tipo di impiego è imposto da motivi ambientali in quanto il carbone, al pari dell’olio combustibile che rappresenta la frazione più pesante che si ricava dalla distillazione del petrolio greggio, contiene zolfo e dà luogo ad inquinanti che possono essere efficacemente controllati solo in impianti di grosse dimensioni dove è possibile installare depuratori adeguati. Il carbone potrebbe venire utilizzato nella produzione di benzina e gasolio sintetici, indispensabili nei trasporti, in modo da sostituire quelle riserve di petrolio che si stanno esaurendo. La quarta sorgente di energia non rinnovabile è il combustibile nucleare, rappresentato dall’ossido di uranio (U3O8): non è possibile fare una stima degli anni di disponibilità di questa risorsa, poiché non è chiaro il programma di sviluppo delle centrali nucleari. Inizialmente era stato ipotizzato uno sviluppo molto più intenso del programma nucleare; negli Stati Uniti, ad esempio, era stata prevista la realizzazione, entro il 2000, di 1000 unità nucleari, successivamente le previsioni erano state portate a 170 unità e poi questo programma è stato congelato. Problemi di sicurezza del reattore, alcuni reali (si ricordano gli incidenti in USA, Inghilterra, in Unione Sovietica di Chernobyl nel 1986 e in Giappone nel 1999) e altri immaginari, la mancanza di un programma generale per la collocazione dei rifiuti radioattivi e infine il timore della popolazione hanno influito pesantemente nel ridimensionamento del programma nucleare. Tabella 13.3 Riserve mondiali accertate di combustibili in tonnellate [Mg] ed energia termica corrispondente in megajoule [MJ] e in tonnellate di petrolio equivalente [TEP]; gli anni che rimangono all’esaurimento di ciascuna fonte sono stati calcolati sulla base dei consumi energetici attuali Riserve [10 Mg] [1012 m3] 9
Petrolio greggio Gas naturale Carbone
13. 3
137,3 117,0 1043,9
– 141,0 –
Energia [10 MJ] [109 TEP] 15
5,77 5,58 34,45
137,3 132,8 820,2
Esaurimento [anni] 43,0 66,4 235,0
RISPARMIO ENERGETICO Nella Comunità Economica Europea (C.E.E.), l’energia, fornita dalle diverse fonti illustrate nella Figura 13.2, si ripartisce nei tre settori principali: industria, attività domestiche, trasporti (Figura 13.3). Il trasporto assorbe circa il 30% del totale. Dall’inizio degli anni ’70 l’assorbimento di energia da parte del trasporto si è almeno raddoppiato, nonostante il considerevole miglioramento nel consumo di combustibile dei mezzi utilizzati.
13.3. – RISPARMIO ENERGETICO
45%
18%
22%
14%
1%
Ripartizione % 100 80 60 40 20 0
Petrolio
Gas
Carbone
Nucleare
1980
Altro
1985
Settore domestico
Fig. 13.2 - Ripartizione delle fonti di energia nella Comunità Economica Europea (C.E.E.).
Settore industriale
1990 Settore trasporti
Fig. 13.3 - Ripartizione del consumo di energia nella (C.E.E.) relativamente ai tre principali settori: domestico, industriale e trasporti.
La maggior parte dell’energia viene ottenuta mediante la combustione di combustibili fossili che, reagendo con l’ossigeno dell’aria, danno luogo a diossido di carbonio (CO2) e vapor d’acqua (H2O). Il diossido di carbonio è un gas che contribuisce all’effetto serra (Figura 13.4), fenomeno naturale per il quale alcuni gas riescono a intrappolare nell’atmosfera le radiazioni infrarosse emesse dalla Terra. È l’effetto serra che mantiene la temperatura del globo sufficientemente alta da consentire la vita sulla Terra. La natura stessa è in grado, entro certi limiti, di equilibrare le emissioni naturali di CO2. L’opera dell’uomo ha aumentato la presenza di questi gas, portandola a un livello che può diventare critico per i cicli naturali. Il risultato è un potenziale riscaldamento globale del clima della Terra.
Una parte della radiazione solare è riflessa dalla Terra e dall’atmosfera
SOLE
La radiazione solare attraversa l’atmosfera limpida
ATMOSFERA
La maggior parte della radiazione è assorbita dalla superficie terrestre e la riscalda
TERRA
Una parte della radiazione infrarossa è assorbita e riemessa dai gas che contribuiscono all’effetto serra. Il risultato di ciò è il riscaldamento della superficie e della parte bassa dell’atmosfera La superficie terrestre emette radiazione infrarossa
Fig. 13.4 - Modello semplificato dell’effetto serra.
Il diagramma di Figura 13.5 mostra come nella C.E.E. i vari settori di attività siano responsabili della produzione di CO2. Complessivamente il trasporto è responsabile per il 25% delle emissioni totali di CO2. La metà delle emissioni dovute al trasporto avviene nel traffico urbano.
265
266
CAPITOLO 13. – ENERGIA, AMBIENTE E MACCHINE A FLUIDO
19,7%
25,5%
31,3%
19,6%
3,9%
Generaz. di potenza Trasporti Attività domestiche Industria Energia
Fig. 13.5 - Ripartizione delle emissioni di CO2 nei diversi settori di attività della Comunità Economica Europea.
L’obbiettivo della C.E.E. era di stabilizzare per l’anno 2000 le emissioni di CO2 al livello del 1990, mentre in realtà si è verificato un aumento del 25%. Per limitare la generazione di diossido di carbonio è indispensabile, come si è visto, limitare il consumo di combustibile fossile. La riduzione del consumo di combustibile si ottiene aumentando l’efficienza del sistema che converte l’energia termica, originariamente contenuta nel combustibile, nell’energia elettrica di un alternatore oppure nel lavoro meccanico disponibile all’asse di un motore a combustione interna. Requisito fondamentale, al quale deve sottostare il progetto di ciascuna macchina, è il risparmio energetico con essa realizzabile in modo da limitare il consumo di quella data fonte di energia e, di conseguenza, le emissioni di CO2. Quanto sopra non vale solo per il motore di un’automobile, del quale si vuole ovviamente limitare il consumo di benzina, ma anche per una pompa che, venendo trascinata da un motore elettrico, ha bisogno dell’energia fornita dalla centrale termoelettrica; anzi, le considerazioni di risparmio energetico vanno viste in un contesto globale: una migliore efficienza infatti di conversione dell’energia idraulica in energia elettrica determina, su scala nazionale, una minore richiesta dell’energia elettrica prodotta da impianti termici.
a
b MJ/(Gg⋅km)
MJ/(Gg⋅km)
Carro leggero
28,8
Autotreno leggero
166 133
Autobus ibridi
4,4
Treno
10
104
Treno interurbano
11,9 4,7 0
77
Autobus diesel
5,9
Autotreno pesante
199
Autobus a CNG
9
Autotreno medio
Filobus 2 assi
20
30
energia ricavata da combustibile fossile
78 31 0
100
200
energia idroelettrica
Fig. 13.6 - Confronto del consumo energetico (1 MJ = 106 J) tra diversi sistemi di trasporto (1 Gg = 109 g = = 103 × 106 g = 103 × Mg = 1000 tonnellate). 䡵 a) Trasporto merci. 䡵 b) Trasporto persone.
13.4. – INQUINANTI
È pertanto opportuno confrontare tra loro i diversi sistemi in modo da operare delle scelte incisive in termini di risparmio energetico, così come mostra la Figura 13.6 relativa al consumo di energia in megajoule [MJ] riferita al prodotto delle migliaia di tonnellate (gigagrammi [Gg]) per i kilometri [km] trasportati.
13. 4
INQUINANTI La combustione, reazione dell’ossigeno dell’aria con il combustibile, è il processo che consente di ricavare l’energia utilizzata da molti tipi di macchine a fluido. Nella combustione dei combustibili fossili si formano cinque classi di inquinanti primari (Scheda 13.1): – Ossidi di azoto NOx (NO ed NO2): sia l’ossido di azoto NO che il diossido NO2 reagiscono con altri composti dando luogo ad inquinanti, mentre il diossido di azoto è anche tossico. – Monossido di carbonio CO tossico. – Composti organici volatili: idrocarburi incombusti (HC) e prodotti di parziale ossidazione come ad esempio le aldeidi, irritanti e di odore sgradevole; il benzolo e alcuni idrocarburi aromatici policiclici, sono mutageni. – Particolato: aggregati di particelle costituite da un nucleo carbonioso e da una frazione organica solubile potenzialmente mutagena più un residuo di acqua e solfati. – Ossidi di zolfo SOx (SO2 ed SO3): tossici. Prodotto principale della combustione, più o meno completa, del combustibile fossile è il diossido di carbonio CO2 che di per sé è un gas inerte e non tossico, ma che, per il suo contributo all’effetto serra (Figura 13.4), va limitato aumentando il rendimento della macchina e riducendo così il consumo di combustibile, a cui il CO2 è proporzionale. Una macchina è tanto più efficiente, e cioè l’energia termica posseduta dal combustibile viene convertita con tanta maggiore efficienza in lavoro meccanico, quanto più elevate sono le temperature con cui si realizza la combustione; ma temperature elevate significano anche alti NOx e quindi, purtroppo, i due termini NOx e CO2 (o il consumo di combustibile) sono in conflitto tra loro. Gli inquinanti primari, immessi dalle varie sorgenti: trasporti, industria, impianti termoelettrici, riscaldamento domestico, ecc., possono, in determinate condizioni, reagire nell’atmosfera dando luogo agli inquinanti secondari che vengono rilevati nell’ambiente (Figura 13.7). Gli inquinanti secondari sono principalmente rappresentati da: – precipitazioni acide, costituite da solfati e nitrati, originate dall’ossidazione di NOx e SOx;
Effetti
Piombo Particolato organico Ossidi di zolfo Ossidi d’azoto Ozono Idrocarburi Monossido di carbonio Metano Diossido di carbonio Protossido d’azoto Cloro-Fluoro-Carburi
Ambito locale (10 km)
Ambito regionale ( > 100 km)
Ambito globale (> 1000 km)
salute, smog fotochimico
ossidanti, piogge acide
cambiamenti climatici (potenziale riscaldamento terrestre)
7 11 3 21 1 290 1500-7300
Fig. 13.7 - Effetti delle emissioni dovute alle attività umane (riferite al diossido di carbonio posto uguale a 1).
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CAPITOLO 13. – ENERGIA, AMBIENTE E MACCHINE A FLUIDO
SCHEDA 13.1
INQUINANTI PRIMARI 䡵
Monossido di carbonio (CO): gas incolore e inodoro. Cause: Incompleta combustione. Effetti su: – Salute: Formazione di carbossiemoglobina, riduce la capacità del sangue di portare in circolo l’ossigeno. Letale in concentrazioni elevate (> 0,3%); in piccole concentrazioni aggrava situazioni patologiche come l’angina pectoris. – Ambiente: • può contribuire alla formazione di ozono; • collegato alla formazione di acidi nell’atmosfera; • contribuisce all’effetto serra.
䡵
Composti Organici Volatili: complessi di composti organici gassosi costituiti da idrocarburi incombusti (HC) e da prodotti parzialmente ossidati come le aldeidi. Cause: Incompleta combustione. Effetti su: – Salute: • in genere non tossici con qualche eccezione; • cancerogeni: benzene, 1,3-butadiene; • irritanti: aldeidi. – Ambiente: • formazione di smog fotochimico.
䡵
Ossidi di azoto (NOx): due gas monossido NO e diossido di azoto NO2. Cause: Alte temperature (e quindi combustione molto efficiente) e presenza di ossigeno. Effetti su: – Salute: • livelli di picco (≈ 300 ÷ 400 ppb [parti per bilione o per miliardo]) influenzano le persone affette da asma e aumentano la probabilità di attacchi di asma. L’esposizione prolungata in casa aumenta la probabilità di infezioni respiratorie nei bambini. Non sono stati dimostrati effetti sulla salute per esposizione all’aperto. – Ambiente: • formazione di ozono; • precipitazioni acide; • effetto serra.
䡵
Particolato: particelle con dimensioni < 10 µm, solide o liquide alla temperatura di 52 °C, costituite da un nucleo carbonioso su cui adsorbono composti organici altobollenti, solfati ed acqua. Cause: Insufficiente ossidazione del combustibile iniettato in camera di combustione. Effetti su: – Salute: Potenzialmente mutageno o per i composti organici oppure per il nucleo carbonioso della particella. – Ambiente: Relazione complessa con l’effetto serra: il particolato carbonioso peggiora l’effetto serra, mentre le particelle a base di solfati lo riducono.
䡵
Ossidi di zolfo SOx: diossido SO2 e triossido di zolfo SO3. Cause: Combustione dello zolfo contenuto nel combustibile. Effetti su: – Salute: • Sistema respiratorio. – Ambiente: • Precipitazioni acide con danni all’ecosistema ed agli edifici.
䡵
Diossido di carbonio (CO2): gas inerte Cause: Combustione del combustibile fossile. Effetti sull’ambiente: Effetto serra.
13.5. – CLASSIFICAZIONE DELLE MACCHINE A FLUIDO
– smog fotochimico, che ha per prodotto principale l’ozono atmosferico O3 (cioè l’ozono “cattivo”, causa di disturbi alla respirazione, e non quello “buono” che manca nel cosiddetto buco dell’ozono), originato da reazioni di NOx ed HC, in presenza di una intensa radiazione solare. La limitazione degli inquinanti primari viene stabilita in funzione della qualità dell’aria, e cioè del livello di soglia di quel determinato inquinante primario, come il CO, oppure secondario, come l’ozono, al di là del quale si manifestano dei rischi per la salute delle persone. Vi sono poi degli inquinanti che non derivano dal processo di combustione come, ad esempio: – l’asbesto (amianto): pericoloso per gli organi della respirazione a causa delle microfibre che penetrando negli alveoli polmonari provocano una reazione dell’organismo che può determinare l’insorgere di tumori; – i CloroFluoroCarburi (CFC): oltre a contribuire (per circa il 20%) all’effetto serra, danneggiano il sottile strato di ozono “buono”, che, sopra la stratosfera, protegge la Terra dai raggi ultravioletti provenienti dal Sole. L’asbesto, essendo usato tra l’altro nei materiali di attrito impiegati per il rivestimento di freni e frizioni, si poteva disperdere nell’atmosfera, in microscopiche concentrazioni, per effetto dell’usura di tali materiali. I CFC venivano invece impiegati come solventi per la pulizia dei circuiti elettronici e come fluidi frigoriferi negli impianti di climatizzazione. Ambedue queste sostanze sono state sostituite da materiali non inquinanti.
13. 5
CLASSIFICAZIONE DELLE MACCHINE A FLUIDO Una macchina a fluido è un insieme di elementi fissi e mobili il cui scopo è quello di trasformare l’energia meccanica in energia contenuta nel fluido, oppure, viceversa, l’energia contenuta nel fluido in energia meccanica. Questa distinzione, basata sulla “direzione” dell’energia trasmessa, costituisce la base per un primo raggruppamento delle macchine in due categorie principali: macchine motrici e macchine operatrici.
13. 5. 1 Macchine motrici, operatrici e trasformatrici Tutte le macchine in cui l’energia contenuta nel fluido viene trasformata nell’energia meccanica fornita da un albero rotante oppure da una parte in movimento della macchina si dicono macchine motrici; esempi possono essere le turbine e i motori alternativi. La seconda categoria – le macchine operatrici – comprende quelle macchine in cui l’energia meccanica viene trasferita al fluido in modo da aumentare l’energia di quest’ultimo in termini di velocità, pressione e/o temperatura; appartengono a questa seconda categoria le pompe e i compressori. Così nella prima categoria il lavoro viene eseguito dal fluido e l’energia è sottratta a questo, mentre nelle macchine della seconda categoria il lavoro viene esercitato sul fluido e l’energia viene aggiunta a quella originariamente presente in esso. Esiste poi una terza categoria di macchine, che potremmo definire macchine trasformatrici, la cui funzione è quella di utilizzare particolari proprietà del fluido nel trasferimento dell’energia. In un giunto idraulico, ad esempio, l’energia meccanica viene prima trasformata in energia idraulica e quindi ritrasformata, nell’altra metà dell’accoppiamento, in energia meccanica: in questo modo è possibile trasmettere, grazie alle particolari proprietà dell’olio presente nell’accoppiamento, una coppia il più possibile dolce e graduale. Le macchine trasformatrici riuniscono le due funzioni precedentemente illustrate delle macchine: quella motrice e quella operatrice.
269
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CAPITOLO 13. – ENERGIA, AMBIENTE E MACCHINE A FLUIDO
13. 5. 2 Macchine idrauliche e termiche Un’ulteriore classificazione delle macchine si basa sul tipo di fluido trattato, che può essere incomprimibile, come l’acqua, oppure comprimibile, come un gas oppure un vapore. Nel primo caso parliamo di macchine idrauliche, nel secondo ci riferiamo alle macchine termiche, in quanto la compressione e l’espansione di un gas sono accompagnate da variazione di temperatura. Non deve sorprendere che alcune macchine – è il caso dei ventilatori – vengano classificate come macchine idrauliche anche se trattano un gas. In questo caso infatti l’incremento di pressione subito dal fluido è piuttosto modesto e tale per cui il fluido può ancora essere trattato come incomprimibile. In altre parole, è la legge fisica cui si attiene il fluido che evolve nella macchina a determinarne l’appartenenza all’uno oppure all’altro tipo di macchina.
13. 5. 3 Macchine volumetriche e dinamiche Con riferimento al modo di lavorare del fluido, distinguiamo le macchine – indipendentemente dal fatto che esse siano motrici, operatrici oppure trasformatrici – in macchine volumetriche e in macchine dinamiche. Nelle macchine volumetriche il fluido è aspirato ovvero forzato in uno spazio finito delimitato da parti meccaniche (il volume), dove viene trattenuto per mezzo di adatte guarnizioni. Successivamente il fluido o viene spinto fuori oppure abbandona spontaneamente il volume in cui era stato racchiuso e il ciclo viene ripetuto. Nelle macchine volumetriche quindi la portata del fluido è intermittente oppure fluttuante in modo più o meno marcato, e la velocità con cui si attua il ricambio del fluido è governata dalle dimensioni del volume in cui esso viene trattenuto e dalla frequenza con cui questo volume viene riempito e svuotato. Si tratta cioè di macchine a regime periodico, in cui il trasferimento di energia è dovuto alla pressione statica che si esercita sulle parti mobili della macchina. Nelle macchine dinamiche o a flusso continuo, al contrario, è presente un flusso continuo di fluido tra ingresso e uscita della macchina, senza che questo possa mai venire intercettato in uno spazio e in modo intermittente come avviene nel caso del le macchine volumetriche. Generalmente le macchine dinamiche hanno una parte rotante chiamata girante che ruota continuamente e liberamente nel fluido: facendo scorrere un flusso ininterrotto di fluido attraverso di essa, si attua un trasferimento continuo di energia tra fluido e girante. Questo trasferimento di energia è reso possibile dall’applicazione agli organi mobili della macchina di forze dinamiche che sono generate dalla velocità del fluido in movimento relativamente agli organi mobili. Parleremo così di turbomacchine per significare appunto che questo scambio di energia tra fluido e macchina è reso possibile da organi che ruotano. Fra le varie macchine dinamiche ce ne sono alcune per le quali non si richiede la presenza di organi che si muovano di moto rotatorio: in esse il trasferimento di energia avviene sempre in virtù di forze tipicamente fluidodinamiche che si esercitano sul fluido in moto relativo rispetto alla macchina. Al limite potrebbero anche mancare del tutto gli organi mobili, come ad esempio nel caso di un motore a razzo oppure di una pompa a eiettore. Come applicazioni esiste una parziale sovrapposizione tra le macchine volumetriche e le turbomacchine; il gas infatti può venire compresso sia in un compressore alternativo sia in un turbocompressore, e l’acqua può essere aspirata sia per mezzo di una pompa alternativa sia con una turbopompa. La scelta tra macchina volumetrica e turbomacchina è principalmente legata alla portata in volume del fluido: alle basse portate la macchina volumetrica presenta rendimenti più elevati, mentre al crescere della portata la turbomacchina presenta rendimenti via via migliori e allo stesso tempo diminuiscono i costi di costruzione riferiti all’unità di potenza installata.
13.5. – CLASSIFICAZIONE DELLE MACCHINE A FLUIDO
13. 5. 4 Motori a combustione esterna e a combustione interna Le varie macchine motrici possono essere ulteriormente suddivise a seconda che la combustione avvenga esternamente al fluido motore (motori a combustione esterna) oppure internamente al fluido motore (motori a combustione interna). Come esempio di motore a combustione esterna si può citare un impianto termoelettrico funzionante con turbina a vapore: in questo caso il fluido motore, cioè il vapore caldo e compresso che verrà fatto espandere in turbina, viene generato in una particolare sezione dell’impianto, la caldaia, utilizzando il calore sviluppato dalla reazione chimica di un combustibile. Occorre quindi provvedere un sistema efficace di scambio tra la sorgente esterna di calore e il fluido che lavora nel sistema. Al contrario, in un impianto motore con turbina a gas, la combustione avviene iniettando il combustibile nell’aria: il fluido, che viene poi fatto espandere in turbina, è costituito dai gas caldi generati dalla combustione del combustibile con l’aria; la generazione di calore è quindi interna al fluido motore. Esiste poi il caso in cui nella stessa macchina si svolgano in un primo tempo tutte le operazioni che rendono possibile la formazione del fluido di lavoro caldo e ad alta pressione, e successivamente la sua utilizzazione: si tratta del motore alternativo a combustione interna, in cui i vari processi che prima (per esempio nel turboelica) avvenivano in parti diverse dell’impianto motore, avvengono adesso nello stesso organo (il cilindro) della macchina, ma in tempi diversi.
SCHEDA 13.2
SUDDIVISIONE DELLE MACCHINE IDRAULICHE
Macchine dinamiche
Macchine operatrici (energia aggiunta al fluido: il lavoro viene effettuato sul fluido)
Macchine motrici (energia sottratta al fluido: il lavoro è effettuato dal fluido)
Turbopompe, Ventilatori
Turbine
senza cassa – elica marina
con cassa ad azione – assiale – ruote a vento – a flusso misto – Pelton – centrifugo
a reazione – flusso assiale (Kaplan) – flusso misto (Francis) Motori
Pompe alternative – ad azionamento Macchine diretto volumetriche – ad albero a gomito – a stantuffi rotanti
rotative – a vite – a ingranaggi – a palette – a lobi
– a stantuffi – a paletta – a ingranaggi
271
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CAPITOLO 13. – ENERGIA, AMBIENTE E MACCHINE A FLUIDO
SCHEDA 13.3
SUDDIVISIONE DELLE MACCHINE TERMICHE
Macchine dinamiche
Macchine operatrici (energia aggiunta al fluido: il lavoro viene effettuato sul fluido)
Macchine motrici (energia sottratta al fluido: il lavoro è effettuato dal fluido)
Turbocompressori
Turboespansori a gas e a vapore
senza cassa – elica aerea
con cassa ad azione a reazione – assiale – semplici – flusso assiale – a flusso misto – a salti di – flusso misto – centrifugo velocità – flusso radiale – a salti di pressione Eiettori d’aria a vapore Propulsori a getto e a razzo Compressori Motori
alternativi – ad Macchine azionamento volumetriche diretto – ad albero a gomito
rotativi – a vite – a ingranaggi – a palette – a lobi
– a combustione interna a due o quattro tempi – ad accensione comandata – ad accensione per compressione – alternativi a vapore a semplice e doppio effetto
13. 5. 5 Suddivisione delle macchine a fluido I criteri che abbiamo esaminato costituiscono la base per una suddivisione delle macchine a fluido in macchine idrauliche (Scheda 13.2) e macchine termiche (Scheda 13.3), con un’ulteriore precisazione ottenuta attraverso una classificazione verticale tra macchine motrici e macchine operatrici e una classificazione orizzontale tra macchine dinamiche e macchine volumetriche. Non vengono citate, per semplicità, le macchine trasformatrici, che sono di tipo volumetrico quando impiegate negli impianti idrostatici, e di tipo dinamico se utilizzate in idrodinamica. Se consideriamo, ad esempio, le macchine idrauliche (Scheda 13.2), le pompe – che sono macchine operatrici in quanto fanno aumentare l’energia del fluido – possono essere sia dinamiche (cioè turbopompe) sia volumetriche. Nelle macchine idrauliche motrici abbiamo analogamente delle turbomacchine, le turbine, e delle macchine volumetriche, come i motori a stantuffi impiegati in idrostatica. Nelle turbomacchine si distingue poi se la girante sia, oppure non sia, racchiusa in un involucro, chiamato cassa. La corrente fluida che esce da una girante priva di cassa (ad esempio una ruota a vento oppure l’elica di un aereo o di una nave), non essendo contrastata dalla schiera di pale fisse presenti nella cassa, è animata da un movimento rotatorio che è fonte di una sensibile perdita di energia. Oltre alle singole macchine, in questo corso vengono trattati anche gli impianti, che possiamo definire come sistemi composti da più di una macchina. Analogamente a quanto abbiamo fatto con le macchine, possiamo distinguere due categorie di impianti a fluido:
13.6. – SOMMARIO
1) impianto motore che ha la funzione di sviluppare un lavoro; 2) impianto operatore che assorbe lavoro per generare un effetto desiderato. Gli impianti motori, a loro volta, si suddividono, sulla base del fluido di lavoro, in – impianti motori idraulici esemplificati dal sistema bacino, condotta forzata e turbina, predisposto per lo sfruttamento dell’energia messa a disposizione dell’acqua; – impianti motori termici come gli impianti con turbina a gas oppure a vapore; – impianti motori eolici in cui viene sfruttata l’energia del vento. Tra gli impianti operatori citiamo l’impianto frigorigeno e la pompa di calore. Ambedue questi impianti assorbono lavoro per modificare, in modo opposto, la temperatura di un determinato ambiente: per ridurla nel caso del frigorigeno e per aumentarla nel caso della pompa di calore.
13. 6
SOMMARIO Gli obbiettivi principali che vengono seguiti nel progetto di una macchina a fluido sono quelli di renderne minimi il consumo dell’energia e il livello di inquinamento, presupposti essenziali dello sviluppo sostenibile di ogni economia. La maggior parte dell’energia viene ottenuta mediante la combustione di combustibili fossili che, reagendo con l’ossigeno dell’aria, danno luogo a diossido di carbonio (CO2) e vapor d’acqua (H2O). Il diossido di carbonio è un gas che contribuisce all’effetto serra, fenomeno naturale per il quale alcuni gas riescono a intrappolare nell’atmosfera le radiazioni infrarosse emesse dalla Terra; il risultato è un potenziale riscaldamento globale del clima. Nella combustione dei combustibili fossili si formano cinque classi di inquinanti primari: – ossidi di azoto NOx (NO ed NO2); – monossido di carbonio CO; – composti organici volatili; – particolato; – ossidi di zolfo SOx (SO2 ed SO3). Gli inquinanti primari possono reagire nell’atmosfera dando luogo agli inquinanti secondari principalmente rappresentati da: – precipitazioni acide, costituite da solfati e nitrati, originate dall’ossidazione di NOx e SOx; – smog fotochimico, che ha per prodotto principale l’ozono atmosferico O3, originato da reazioni di NOx ed HC in presenza di una intensa radiazione solare. Una macchina è tanto più efficiente, e cioè l’energia termica posseduta dal combustibile viene convertita con tanta maggiore efficienza in lavoro meccanico, quanto più elevate sono le temperature con cui si realizza la combustione; ma temperature elevate significano anche alti NOx e quindi, purtroppo, i due termini NOx e CO2 (o il consumo di combustibile) sono tra loro contrastanti. Le macchine a fluido possono essere classificate sulla base: – della direzione di trasferimento dell’energia tra fluido e macchina in: • macchine motrici, quando si utilizza l’energia del fluido per produrre energia meccanica, • macchine operatrici, quando la macchina assorbe energia per immetterla nel fluido;
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CAPITOLO 13. – ENERGIA, AMBIENTE E MACCHINE A FLUIDO
– del tipo di fluido trattato in: • macchine idrauliche, nel caso di un fluido incomprimibile come l’acqua, • macchine termiche, nel caso di un fluido comprimibile come un gas o un vapore; – del modo di lavorare del fluido in: • macchine volumetriche, quando il fluido racchiuso periodicamente in un volume, scambia energia attraverso la pressione statica che si esercita con le pareti mobili della macchina, • macchine dinamiche, quando un flusso continuo di fluido determina forze dinamiche generate dalla velocità del fluido che si muove relativamente agli organi mobili della macchina. Gli impianti a fluido sono un insieme di più macchine e possono essere classificati in: – impianti motori, quando sviluppano un lavoro; – impianti operatori, quando assorbono lavoro per generare un effetto desiderato.
IDRAULICA
Capitolo 14
14. 1
FLUIDI La meccanica dei fluidi14.1 ha per oggetto lo studio del fluido, un corpo che non ha forma propria e che può assumere la forma del recipiente che lo contiene. I fluidi si distinguono in liquidi e in gas (Figura 14.1). I liquidi, pur non avendo forma propria, sono sensibilmente dotati di volume proprio, mentre i gas non hanno neppure volume proprio. Al contrario dei solidi, i fluidi non possono offrire una resistenza permanente a forze che tendono a deformarli: i diversi strati di fluido iniziano a scorrere uno sull’altro continuando a deformarsi fino a tanto che la forza rimane applicata. La deformazione è causata dallo sforzo di taglio τ, rapporto tra la forza F che agisce tangenzialmente alla superficie e l’area A della superficie stessa. Per converso, se il fluido si muove deformandosi, in seno al fluido nascono degli sforzi di taglio, che dipendono dalla velocità con cui il fluido si deforma e che si annullano allorché la velocità di deformazione si annulla. Possiamo così definire un fluido come una sostanza che si deforma in modo continuo sotto l’azione di sforzi di taglio, per quanto piccoli questi possano essere. a
b Deformazione statica
Pelo libero
Solido
Liquido
Gas
Fig. 14.1 - 䡵 a) Un solido in quiete può resistere agli sforzi di taglio che nascono a seguito di una deformazione (linea tratteggiata) causata dal proprio peso. 䡵 b) Un liquido oppure un gas in quiete, al contrario di un solido, richiede delle pareti che lo sostengano, in modo da eliminare gli sforzi di taglio.
Per la legge di Newton (Figura 14.2), lo sforzo di taglio τ = F/A [Pa] è proporzionale alla variazione della velocità ∆v [m/s] del fluido ed inversamente proporzionale alla distanza h [m] tra i
14.1 - La meccanica dei fluidi (Paragrafo 1.1) può essere suddivisa in: • statica dei fluidi, rivolta allo studio dei fluidi in quiete;
• dinamica che considera il moto dei fluidi associato alle forze, cause o risultato di questo movimento. Quando l’attenzione è prevalentemente
rivolta ad un liquido, come l’acqua, si preferisce parlare di idrostatica e di idrodinamica.
276
CAPITOLO 14. – IDRAULICA
due strati di fluido considerati attraverso una costante µ [Pa⋅s] che prende il nome di viscosità dinamica: τ = µ (∆v/h). La viscosità è funzione del fluido considerato; alla temperatura di 20 °C, per l’aria µ vale 1,8 × 10– 5 Pa⋅s, mentre per l’acqua è 100 volte più grande: 1,0 × 10– 3 Pa⋅s. Si definisce fluido reale un fluido per cui occorre tener presente la viscosità nei calcoli; fluido ideale è invece il fluido che ha un coefficiente di viscosità nullo. Un fluido in quiete si comporta nel modo ideale perché sono assenti quelle variazioni di velocità che danno origine alla viscosità; ma anche quando non esistono forti variazioni di velocità tra strato e strato di fluido è possibile considerare il fluido ideale in quanto il risultato del prodotto di µ per la variazione di velocità ∆v è sufficientemente piccolo da poterlo ritenere trascurabile e sono quindi trascurabili gli sforzi di taglio τ che nascono in seno al fluido. Altre volte esistono invece delle forti variazioni di velocità da punto a punto (gradienti), come avviene per un fluido che scorrendo in un canale passa da una velocità molto bassa, al limite nulla, in prossimità della parete alla velocità massima in mezzo al canale; in questo caso gli effetti della viscosità non si possono più trascurare. La massa volumica ρ = m/V [kg/m3] di un fluido è la massa m [kg] di fluido contenuto nell’unità di volume V [m3]; il suo reciproco v = V/m [m3/kg] è il volume massico. Il rapporto tra la viscov
A
F
h
Fig. 14.2 - Deformazione di un fluido, posto tra due piatti distanti h, sotto l’azione di sforzi di taglio τ = F/A generati dalla forza tangenziale F.
sità dinamica µ [Pa⋅s = (N/m2) × s = (N⋅s)/m2 = (kg⋅m⋅s– 2⋅s)/m2 = (kg⋅s– 1)/m = kg/(m⋅s)] e la massa volumica ρ [kg/m3], è la viscosità cinematica = µ/ρ [m2/s], detta così perché nelle dimensioni non compare più la massa. Quando la variazione della massa volumica, al variare della pressione, è così piccola da potersi ritenere trascurabile, allora il fluido può essere trattato come incomprimibile, caso usuale dei liquidi. Al contrario, i gas possono essere compressi con estrema facilità e, fatta eccezione per variazioni di pressione e quindi di massa volumica molto modeste, saranno considerati comprimibili.
14. 2
PRESSIONE Si è visto (Paragrafo 14.1) che in un fluido in quiete non vi possono essere forze tangenziali: tutte le forze nel fluido devono perciò essere perpendicolari alle superfici sulle quali esse agiscono; in particolare, le forze esercitate tra il fluido e il contorno solido sono perpendicolari al contorno (Figura 14.3). Il rapporto tra la forza F [N] e la superficie A [m2] è la pressione p, misurata in pascal [Pa = N/m2]: p=
F A
14-1
In un fluido in quiete la pressione è la stessa in tutte le direzioni (principio di Pascal): al contrario del solido, dove una forza viene trasmessa essenzialmente in una sola direzione (se si preme il blocco della Figura 14.4-a la forza si trasmette solo sulla faccia opposta), una forza
14.2. – PRESSIONE
a
c
b Fluido
Solido
F
Fluido F1 F2
Solido F
A
A
Fluido
R1
Fn
R2
R
R
Piano immaginario
Rn
Fig. 14.3 - Forze in un fluido in quiete (ad esempio acqua); la forza F (Figura 14.3-a), a cui corrisponde per la terza legge di Newton la reazione uguale ed opposta R esercitata dal fluido, è perpendicolare alla superficie del recipiente. Ciò è vero anche per una superficie curva (Figura 14.3-b), con più forze F1, F2, … Fn perpendicolari ai vari segmenti, in cui si può pensare di suddividere la parete, oppure per un piano immaginario (Figura 14.3-c), tracciato all’interno del fluido.
esercitata su un liquido contenuto in un recipiente (Figura 14.4-b) viene trasmessa ugualmente al suo interno, in tutte le direzioni, sotto forma di pressione. Un liquido contenuto in un circuito idraulico di forma qualsiasi (Figura 14.5), trasmetterà perciò la pressione nello stesso modo, prescindendo da come quest’ultima viene generata. L’intervento di una forza, cioè, dà ori-
a kg
Pistone mobile
b
Solido
kg
Pistone mobile
Liquido
Fig. 14.4 - 䡵 a) Forza trasmessa in un solido. b) Forza applicata ad un liquido contenuto in un recipiente.
䡵
kg
Fig. 14.5 - L’applicazione di una forza comunque generata, determina in un liquido una pressione che si trasmette ugualmente in tutte le direzioni al suo interno.
277
278
CAPITOLO 14. – IDRAULICA
gine a una pressione, sia che la forza venga determinata dall’applicazione di una massa, sia dalla spinta di una mano, sia infine dall’azione di un torchio.
p1 z1
Area A z2
All’interno di un fluido si isoli un cilindretto di fluido di massa volumica ρ, compreso tra le profondità z1 e z2 (Figura 14.6 ). Essendo il fluido in quiete, il cilindro di fluido deve trovarsi in equilibrio e quindi la somma delle forze verticali deve essere nulla; queste forze sono dovute alle pressioni (14-1) p1A (orientata verso il basso) e p2A (orientata verso l’alto) e al peso del fluido contenuto nel cilindro (1-10′) mg = ρVg = ρ A(z2 – z1)g: p1A – p2A + ρ A(z2 – z1)g = 0
p2
Fig. 14.6 - Variazione della pressione con la profondità. Nel fluido in quiete, il cilindro di fluido risulta in equilibrio sotto l’azione delle forze verticali dovute alla pressione e al peso del fluido; sono invece nulle le forze verticali, determinate dal fluido circostante che insistono sul mantello del cilindro perché, essendo il fluido in quiete, sono assenti gli sforzi di taglio.
⇒
p2 = p1 + ρg (z2 – z1)
La pressione p2 nel punto 2 è data dalla somma della pressione p1, presente al livello 1, più il termine ρg (z2 – z1) che è tanto maggiore quanto maggiore è la profondità z2 del punto 2 rispetto al punto 1. Qualora la profondità venga misurata a partire dalla faccia superiore del cilindro, allora z1 risulta uguale a zero; se inoltre la pressione p1 è nulla, l’equazione precedente dà la pressione (che adesso indichiamo con p al posto di p2 ) in funzione della profondità (indicata con z al posto di z2 ): p = ρgz
14-2
La pressione, ad esempio, che si raggiunge a 40 m sotto la superficie del mare (ρ = 1025 kg/m3) vale: p = ρgz = 1025 kg/m3 × 9,81 m/s2 × 40 m = 402.210 Pa = 0,4 MPa La formula 14-2 stabilisce anche che la pressione p esercitata da un fluido dipende solo dall’altezza z della colonna di fluido che sovrasta il punto considerato (Figura 14.7 ) e dalla sua massa volumica ρ.
z
Area A
Area A
Area A
Area A
Fig. 14.7 - Il paradosso idrostatico: i quattro recipienti, tutti con la stessa area di base A e riempiti fino all’altezza z dallo stesso liquido di massa volumica ρ, hanno sul fondo uguale pressione p e uguale forza F = pA = ρgzA anche se il peso del liquido contenuto in ciascun recipiente è diverso.
In un fluido in quiete la pressione in due punti situati allo stesso livello è la stessa (Figura 14.8-a). La superficie libera del contenitore si trova alla pressione atmosferica e forma un piano orizzontale. I punti A, B, C e D sono a uguale profondità, in un piano orizzontale, e sono collegati dallo stesso fluido, l’acqua; su tutti i punti agisce quindi la stessa pressione. Anche i punti A′, B′ e C′, che si trovano sul fondo del contenitore, sopportano la stessa pressione, che è più alta
14.2. – PRESSIONE
Pressione atmosferica
Acqua
A
B
C
D
A′
B′
C′
D′
Mercurio
Fig. 14.8-a - Distribuzione della pressione in un liquido in quiete.
di quella che agisce nei punti A, B, C e D in quanto la profondità di A′, B′ e C′ è maggiore. Il punto D′, tuttavia, anche se si trova alla stessa profondità di A′, B′ e C′, sopporta una pressione diversa, poiché si trova sotto un fluido diverso – il mercurio – e non è quindi collegato a questi ultimi punti da un percorso di acqua.
Pressione atmosferica
h
M
Fig. 14.8-b - La pressione assoluta nel punto M, che si trova alla profondità h, è data dalla pressione atmosferica (che agisce sul pelo libero del liquido contenuto nel recipiente) più la pressione relativa uguale a ρgh (14-2).
La pressione misurata partendo da un livello di pressione uguale a zero si chiama pressione assoluta, mentre quella misurata al di sopra della pressione atmosferica prende il nome di pressione relativa; la pressione assoluta è perciò data dalla somma della pressione atmosferica e da quella relativa (Figura 14.8-b):
pressione assoluta = pressione relativa + pressione atmosferica
14-3
Risolvendo rispetto ad h la formula che dà la pressione (p = ρgh), si ottiene l’espressione dell’altezza verticale o carico h = p/ρg. Ad esempio, alla pressione atmosferica patm pari a 101,32 kPa (cioè 101.320 Pa) corrisponde un’altezza hH O della colonna d’acqua (simbolo chimico H2O) di massa volumica ρH O = 1000 kg/m3: 2
2
hH O = 2
101.320 Pa = 10, 33 m d’acqua 1000 kg/m 3 × 9, 81 m/s 2
e un’altezza hHg della colonna di mercurio (simbolo chimico Hg) di massa volumica ρHg = 13.600 kg/m3: h Hg =
101.320 Pa = 0, 76 m = 760 mm di mercurio 13.600 kg/m 3 × 9, 81 m/s 2
La relazione h = p/(ρ g) tra pressione e altezza (carico) viene utilizzata per la misura della pressione con manometri. Il manometro più semplice è il tubo di pressione o piezometro (Figura 14.9-a) consistente in un tubo verticale aperto all’estremità superiore e inserito nel recipiente contenente il liquido in pressione. L’altezza, raggiunta dalla colonna di liquido all’interno del piezometro dipende dalla pressione presente nel recipiente. Se la parte superiore del tubo è in comunicazione con l’atmosfera, la pressione misurata è la pressione relativa.
279
280
CAPITOLO 14. – IDRAULICA
Il manometro a U a tubo aperto (Figure 14.9-b e 14.9-c) può venire utilizzato per misurare la pressione sia di liquidi che di gas. Il ramo del tubo a U che si trova dal lato dell’atmosfera viene riempito con un liquido di misura della pressione (liquido manometrico) non miscibile con h1 h2 il fluido di cui si intende misurare la pressione, e contraddistinto da una massa volumica ρman più elevata di quella del fluido ρ. Siano B il punto che individua il livello della superficie di separazione tra A liquido manometrico e fluido, di cui si vuole misurare la pressione (ramo a siniB stra), e C il punto che si trova allo stesso livello di B, ma sul ramo di destra. Essendo i due punti B e C allo stesso liFig. 14.9-a - Tubo piezometrico installato in un condotto: la pressione in A vello, risulta (Figura 14.9-b) pB = pC con è quella dovuta alla colonna liquida di altezza h1 e vale pA = ρgh1, mentre la p pressione in B vale pB = ρgh2. B = p + ρgh1 (pressione p in A più la pressione dovuta alla profondità h1) e pC = patm + ρman gh man (pressione atmosferica più la pressione dovuta all’altezza hman del liquido manometrico). Tenendo presente che è patm = 0, in quanto si considera la pressione relativa, e che il termine ρgh1 è notevolmente inferiore a ρman ghman essendo ρman Ⰷ ρ, la pressione p che si vuole misurare è data da: patm
patm
p + ρgh1 = ρman ghman
⇒
p = ρman ghman – ρgh1
⇒
p = ρman ghman
patm patm D
A
hman
A
B
h1 B
h1 hman
D
C
C
Fig. 14.9-b - Manometro a U a tubo aperto.
Fig. 14.9-c - Manometro a U con hman negativo.
Esempio 14.1 Carico idraulico Un cilindro contiene un liquido alla pressione relativa di 400 kPa. Si chiede di a) esprimere questa pressione in termini di altezza (carico) di una colonna di acqua (ρH O = 1000 kg/m3) e di una colonna di mercurio (densità 13,6); 2
b) calcolare, assumendo una pressione atmosferica pari a 101,3 kPa, la pressione assoluta esistente nel cilindro.
14.3. – MOTO DEI FLUIDI
SOLUZIONE Applicando le considerazioni svolte alla fine del Paragrafo 14.2 otteniamo l’altezza della colonna di acqua hH O: 400.000 Pa = 40,77 m di colonna d’acqua hH O = 1000 kg/m 3 × 9, 81 m/s 2 2
2
La massa volumica del mercurio è data dal prodotto della sua densità per la massa volumica dell’acqua (Paragrafo 1.19): ρHg = 13,6 × 1000 kg/m3 = 13.600 kg/m3 e quindi si calcola l’altezza della colonna di mercurio hHg: h Hg =
400.000 Pa = 3,0 m di colonna di mercurio 13.600 kg/m 3 × 9,81 m/s2
La pressione assoluta vale (14-3): passoluta = prelativa + patmosferica = 400 kPa + 101,3 kPa = 501,3 kPa
14. 3
䉳
MOTO DEI FLUIDI Il movimento di un fluido può variare da punto a punto e da istante a istante. Il moto si dice uniforme se la velocità, in un dato istante, si mantiene identica in intensità e direzione in ciascun punto del fluido. Se, al contrario, la velocità in un determinato istante varia da punto a punto, il moto viene definito non uniforme. Il moto si dice stazionario quando tutte le condizioni in ciascun punto della corrente rimangono costanti rispetto al tempo, pur potendo variare in punti diversi: quando cioè le principali grandezze che caratterizzano il moto del fluido (velocità, pressione e sezione trasversale del flusso) possono variare da punto a punto ma non cambiano con il tempo. Se, al contrario, in un dato punto, le condizioni di moto cambiano al variare del tempo, allora il moto si dice non stazionario. Il moto stazionario (o non stazionario) e il moto uniforme (o non uniforme) possono esistere indipendentemente l’uno dall’altro; sono quindi possibili quattro combinazioni. Così un liquido che si muove con portata costante, in un condotto lungo e diritto di sezione costante, dà luogo a un moto stazionario uniforme (la velocità del liquido infatti in ogni punto del condotto e in ogni istante è la stessa); il moto di un liquido con una portata costante in un condotto conico è un moto stazionario non uniforme (essendo la portata costante, la velocità del liquido si mantiene la stessa ad ogni istante in un determinato punto, ma varia da punto a punto nel procedere lungo il condotto in quanto varia il diametro della sezione). Al variare della portata del liquido i due casi precedenti diventano rispettivamente esempi di moto non stazionario uniforme (nel condotto a sezione costante la velocità varia da istante a istante in quanto cambia la portata, ma non da punto a punto lungo l’asse del condotto, in quanto la sezione rimane costante) e di moto non stazionario e non uniforme (è il condotto conico in cui la velocità del liquido varia, da istante a istante, per la variazione della portata e, da punto a punto lungo l’asse, in quanto varia la sezione del condotto). Nel funzionamento delle macchine possiamo distinguere un periodo iniziale transitorio, solitamente molto breve, caratterizzato da una sensibile variazione delle grandezze, in funzione del tempo, seguito da un periodo a regime, in cui le principali grandezze che individuano il moto del fluidi si sono stabilizzate: si sono così raggiunte le condizioni di moto stazionario. Nel caso di moto non uniforme, si verificano, da punto a punto, delle variazioni del campo di moto, in modo tale che velocità, pressioni e altri fattori variano rispetto alle tre coordinate spaziali. Ma la maggior parte dei problemi pratici può essere trattata come se la variazione delle
281
282
CAPITOLO 14. – IDRAULICA
principali grandezze caratterizzanti il moto del fluido avvenisse secondo una sola direzione (corrente unidimensionale). In pratica ciò equivale a considerare tutte le proprietà del fluido – pressione, velocità e quota – uniformi su una data sezione trasversale. Nella trattazione delle macchine a fluido verrà considerato il solo caso di moto stazionario, perché questo caratterizza il funzionamento abituale della macchina, al di fuori del breve transitorio iniziale, e di flusso unidimensionale, perché rappresentativo di quanto avviene nel condotto della macchina.
Colore
Filamento di colore
Rubinetto
Acqua Uscita Serbatoio
Fig. 14.10-a - Esperimento di Reynolds (1883).
Iniettando del colore all’ingresso di un tubo di vetro trasparente nel quale fluisce dell’acqua proveniente da un serbatoio (Figura 14.10-a) si trova che, per basse velocità dell’acqua, le particelle d’acqua si muovono per linee parallele. Questo tipo di moto viene chiamato laminare o per linee di flusso oppure viscoso in quanto (Figura 14.10-b): – il fluido sembra venir laminato in strati molto sottili che scorrono l’uno sull’altro; oppure – le particelle del fluido si muovono in modo ordinato lungo linee di flusso; oppure – il moto è caratteristico di un fluido viscoso o è un moto in cui la viscosità giuoca un ruolo fondamentale. Aprendo via via il rubinetto (Figura 14.10-a), in modo da far aumentare progressivamente la velocità dell’acqua, si raggiunge una condizione per cui il filo di colore dapprima inizia a oscillare, e successivamente, per velocità dell’acqua ancora maggiori, si rompe e il colore si diffonde nel volume: il liquido tende a colorarsi tutto, mostrando così che le particelle del fluido non si muovono più in modo ordinato, ma occupano posizioni diverse, le une rispetto alle altre, nelle successive sezioni trasversali (Figura 14.10-c). Definiamo questo tipo di moto turbolento: esso è caratterizzato da piccole ma continue fluttuazioni nella intensità e nella direzione della velocità del fluido, accompagnate da corrispondenti fluttuazioni della pressione.
b
Fig. 14.10 - 䡵 b) Schema di moto laminare. 䡵 c) Schema di moto turbolento.
c
14.3. – MOTO DEI FLUIDI
Il numero di Reynolds R è un numero puro che ci dice quando siamo in presenza di moto laminare e quando di moto turbolento14.2. Esso è funzione della massa volumica ρ, della velocità v, della viscosità dinamica µ del fluido (oppure della viscosità cinematica = µ/ρ) e di una lunghezza caratteristica L del sistema fisico considerato (potrebbe essere il diametro del canale in cui scorre il fluido): R=
ρLv Lv = v µ
14-4
Da esperienze effettuate facendo scorrere liquidi diversi in tubi diritti di vario diametro, è stato calcolato il numero di Reynolds, assumendo come lunghezza caratteristica il diametro del tubo e, come velocità, la velocità media del liquido. Si è visto che per valori del numero di Reynolds al di sotto di 2100 il moto è laminare, tra 2100 e 4000 vi è una zona di transizione tra i due regimi, mentre al di sopra di 4000 il moto è turbolento. Questi valori del numero di Reynolds si applicano soltanto al moto dei fluidi in condotti, ma altri valori di R possono essere ricavati per altri tipi di flusso, come, ad esempio, quello lungo la paletta di un compressore. Definiamo come numero di Reynolds critico Rc quel valore del numero di Reynolds in corrispondenza del quale si verifica la transizione da regime laminare a regime turbolento. A Rc corrisponde, per una data lunghezza caratteristica, una velocità del fluido vc (chiamata velocità critica), al di sotto della quale il moto è ancora laminare.
14.2 - Allorché viene disturbato il movimento di una particella di fluido in una corrente, la sua inerzia tenderà a portarla nella nuova direzione, ma le forze viscose, dovute al fluido circostante, tenderanno a incanalarla secondo il movimento del resto della corrente. Nel moto laminare gli sforzi viscosi di taglio sono sufficienti per eliminare gli effetti di qualsiasi deviazione, ma in un flusso turbolento questi risultano inadeguati. Il criterio per decidere se siamo in presenza di flusso laminare oppure di flusso turbolento è dato quindi dal rapporto tra forze di inerzia e forze viscose che agiscono sulle particelle di fluido: questo rapporto è appunto il numero di Reynolds. Si veda il Paragrafo 5.4 di Macchine Idrauliche dello stesso Autore.
Esempio 14.2 Transizione da regime laminare a regime turbolento Dell’acqua (v = 1,01 × 10– 6 m2/s) alla pressione atmosferica e alla temperatura di 20 °C scorre in un tubo cilindrico di 30 mm di diametro. Determinare: a) la velocità critica a cui può iniziare la transizione da regime laminare a regime turbolento; b) la velocità critica nel caso in cui nel tubo venisse fatta passare dell’aria ( = 1,51 × 10– 5 m2/s).
SOLUZIONE a) Risolvendo rispetto alla velocità v l’equazione 14-4, si ha: Lv Rv ⇒ v= v L Se in questa espressione sostituiamo al valore generico del numero di Reynolds R, il valore critico Rc, che possiamo assumere pari a 2100, limite superiore delle condizioni per cui il moto è sicuramente ancora laminare, otteniamo la velocità critica vc. Come lunghezza caratteristica L, si considera il diaR=
283
284
CAPITOLO 14. – IDRAULICA
metro del tubo, poiché è questa la dimensione piu significativa al fine di individuare il passaggio dalI’uno all’altro regime del flusso che avviene nel tubo. vc =
Rc v 2100 × 1, 01 × 10 − 6 m 2 /s = = 0, 07 m/s L 0, 03 m
b) Qualora nel tubo passasse dell’aria, avremmo come velocità critica: vc =
2100 × 1, 51 × 10 − 5 m 2 /s = 1, 06 m/s 0, 03 m
COMMENTI 1. Ricordarsi sempre di convertire le unità di misura prima di iniziare i calcoli in modo da avere grandezze omogenee: il diametro del tubo deve figurare in metri e non in millimetri in quanto la viscosità cinematica è espressa in m2/s. 2. La velocità critica dell’aria è circa 15 volte maggiore di quella dell’acqua; il rapporto è uguale a quello delle rispettive viscosità cinematiche.
14. 4
CONSERVAZIONE DELLA MASSA Nell’ipotesi di corrente unidimensionale, è possibile trascurare la variazione della velocità del fluido in prossimità delle pareti (Figure 14.11-a e 14.11-b), assumendo una velocità v pari al valor medio quale si avrebbe nel caso di un fluido ideale (Figura 14.11-c). Nell’ipotesi di moto stazionario, la massa di fluido che si trova tra le due sezioni di ingresso 1 e di uscita 2 di un condotto (Figura 14.11-d ) rimane costante: non si hanno cioè né accumuli né fughe di fluido, ma la quantità di fluido che entra è uguale alla quantità di fluido che esce. Sotto queste due ipotesi, si può scrivere l’equazione di continuità che afferma che la portata in massa m˙ [kg/s], massa di fluido [kg] che passa nell’unità di tempo [s] attraverso la sezione trasversale del condotto, si conserva: = = 14-5 m˙ = ρ1 A1v1 ρ2 A2v2 ρAv Portata in massa del fluido che entra nella sezione 1 [kg/s]
Portata in massa del fluido che esce dalla sezione 2 [kg/s]
Portata in massa del fluido in una generica sezione tra 1 e 2 [kg/s]
La portata in massa di fluido m˙ che attraversa la generica sezione (massa volumica ρ, area trasversale A e velocità v) deve essere uguale alla portata di fluido che entra nella sezione 1, di area trasversale A1 con velocità v1 diretta normalmente a questa sezione e con massa volumica ρ1; la portata m˙ deve poi essere uguale alla portata di fluido che esce dalla sezione 2, di area trasversale A2 con velocità v2 diretta normalmente ad A2 e con massa volumica ρ2. Nel caso di un liquido, il fluido si considera incomprimibile ( ρ1 = ρ2 = ρ = costante), e l’equazione di continuità afferma la conservazione della portata in volume V˙ [m3/s]: V˙ =
A1v1 Portata in volume del fluido che entra nella sezione 1 [m3/s]
=
A2v2 Portata in volume del fluido che esce dalla sezione 2 [m3/s]
=
Av Portata in volume del fluido in una generica sezione tra 1 e 2 [m3/s]
14-6
14.4. – CONSERVAZIONE DELLA MASSA
a
c
b
d
sezione trasversale del condotto v
2
v2
A2
v
1 A1
v1
A1
Fig. 14.11 - 䡵 a) Profilo di velocità addolcito nelle condizioni di moto laminare passando dal valore zero alla parete al valor massimo nel centro del condotto. 䡵 b) Nelle condizioni di moto turbolento il profilo di velocità risulta ripido in prossimità della parete, a causa del forte rimescolamento tra gli strati di fluido, e piatto nel centro del condotto. 䡵 c) Profilo di velocità in un condotto nel caso di fluido ideale: l’assenza della viscosità fa sì che il profilo della velocità non vari lungo la sezione. 䡵 d) Condotto a cui viene applicato il principio di conservazione della massa.
Esempio 14.3 Relazione tra portata, diametro e velocità in un sistema di tubi Dell’acqua scorre nel sistema di tubi della Figura 14-12. I primi due tratti a e b sono in serie, mentre la parte finale è costituita da due tratti di tubo c e d in parallelo. Sono assegnati i seguenti dati per i tratti a: diametro Da = 60 mm = 0,06 m; b: diametro Db = 80 mm = 0,08 m; velocità vb= 2 m/s; c: velocità vc = 2 m/s d: diametro Dd = 40 mm = 0,04 m; portata in volume V˙d = V˙c /2 Si chiede di determinare per i tratti a: portata in volume V˙ e velocità v ; a
a
b: portata in volume V˙b ; c: portata in volume V˙c e diametro Dc ; d: portata in volume V˙d e velocità vd.
Da = 60 mm V˙a = ? va = ?
Db = 80 mm vb = 2 ms V˙b = ?
vc = 2 ms V˙c = ? Dc = ? c
a
b d
Fig. 14.12 - Relazioni tra portata in volume, diametro e velocità per i vari tratti delle tubazioni illustrate nell’Esempio 14.3.
Dd = 40 mm V˙d = V˙c /2 V˙ = ? d
vd = ?
285
286
CAPITOLO 14. – IDRAULICA
SOLUZIONE Le ipotesi di questo Esempio sono: moto stazionario, corrente unidimensionale, fluido incomprimibile (si tratta di acqua). Sotto queste condizioni è lecito applicare l’equazione 14-6. Nei primi due tratti in serie a e b la portata in volume è uguale (V˙a = V˙b ) . Quindi per il tratto b dove abbiamo una sola incognita – la portata V˙b – possiamo scrivere: Vb = Ab vb =
π Db2 π × (0,08 m)2 vb = 2 m/s = 0,01 m 3 /s 4 4 V˙ = V˙ = 0, 01 m 3 /s a
b
䉳 䉳
La velocità va si ricava risolvendo rispetto alla velocità l’equazione 14-6: va =
V˙a V˙a 4V˙a 4 × 0,01 m 3 /s = = = = 3,54 m/s Aa π Da2 / 4 π Da2 π × (0,06 m)2
䉳
Consideriamo adesso la portata che esce dal tubo b per immettersi nei due tubi in parallelo c e d. Per la continuità del flusso, la portata in b deve essere data dalla somma delle due portate in c e in d: V˙b = V˙c + V˙d D’altra parte uno dei dati dell’Esempio e il rapporto tra le due portate in c e in d: V˙ = (1/2) V˙ d
c
1 3 V˙b = V˙c + V˙c = V˙c = 1,5 V˙c 2 2
⇒
V˙ V˙c = b 1,5
0, 01 m 3 /s = 0, 00667 m 3 /s V˙c = 1, 5
䉳
V˙d = (1/2) V˙c = 0, 0033 m 3 /s
䉳
Sempre dall’equazione 14-6, risolta prima rispetto al diametro Dc e poi rispetto alla velocità vd, si ottengono: 4V˙ π Dc2 4V˙c vc V˙c = ⇒ Dc2 = ⇒ Dc = c 4 π vc π vc Dc =
4 × 0,00667 m 3 /s = 0,065 m = 65 mm π × 2 m/s
π Dd2 vd V˙d = 4 vd =
14. 5
⇒
vd =
䉳
4V˙d π Dd2
4 × 0,0033 m 3 /s = 2,65 m/s π × (0,004 m )2
䉳
CONSERVAZIONE DELL’ENERGIA Allo stesso modo di quanto avviene per un corpo solido, l’elemento fluido di massa m che si muove lungo il condotto della Figura 14.13 possiede un’energia potenziale (originata dal fatto di trovarsi a una determinata quota z valutata rispetto a un piano di riferimento) e un’energia cinetica (determinata dalla sua velocità v). L’elemento di fluido di massa m [kg], che si trova soggetto all’azione dell’accelerazione di gravità g [m/s2], dà origine a una forza: è la forza peso mg [N]; questa forza moltiplicata per lo spostamento z [m], che potrebbe subire l’elemento qualora
14.5. – CONSERVAZIONE DELL’ENERGIA
fosse portato dalla quota attuale al livello di riferimento, dà origine a un’energia [N⋅m = J], che prende il nome di energia potenziale, in quanto è energia posseduta dall’elemento di fluido in potenza; diviene cioè attuale soltanto quando si realizza la variazione di quota z: Energia potenziale = mgz Il semiprodotto della massa m dell’elemento fluido per il quadrato della sua velocità v è l’energia cinetica, anch’essa espressa in Joule ([kg] × [m2/s2] = [kg⋅m/s2] × [m] = [N⋅m] = J):
Energia cinetica =
v
P P′
O z
O′ mg
Livello di riferimento
Fig. 14.13 - Energia di un fluido in moto; z è la distanza del baricentro dell’elemento di fluido considerato rispetto al livello di riferimento.
1 mv2 2
L’elemento di fluido che si sposta compie anche un lavoro in virtù della sua pressione poiché, sulla sezione trasversale OP di area A (Figura 14.13), la pressione p dà luogo alla forza F = pA che, muovendosi il fluido da OP ad O′P′ di una lunghezza pari al rapporto tra il volume V (lunghezza3) e l’area A (lunghezza2), genera il lavoro pA⋅(V/A) = pV; essendo il volume di fluido V dato dal rapporto tra massa m e massa volumica ρ (V = m/ρ), il lavoro assume l’espressione p(m/ρ). Il prodotto della forza dovuta alla pressione per lo spostamento è il lavoro del flusso, chiamato di solito energia di pressione, effettuato dalla pressione per spingere la massa di fluido attraverso la sezione: Energia di pressione = m
p ρ
L’energia di pressione viene espressa in Joule al pari delle altre due energie potenziale e cinetica considerate prima: N/m 2 [Pa] Energia di pressione = [ kg] = [ kg ] = [ N × m] = [J ] kg/m 3 kg/m 3
[
]
[ [
] ]
Il concetto di energia di pressione non è di facile comprensione. Nella meccanica dei corpi solidi, un corpo è libero di cambiare la sua velocità, nel senso che la sua energia potenziale può essere liberamente convertita in energia cinetica allorché la quota diminuisce. Non così in una corrente di fluido, dove la velocità deve soddisfare l’equazione di continuità della portata, funzione della sezione trasversale della corrente. Se, ad esempio, un fluido incomprimibile come l’acqua scorre in un tubo a sezione costante inclinato, per la 14-6 la sua velocità non può cambiare. Perciò l’energia potenziale che, al diminuire della quota, non riesce a convertirsi in energia cinetica, appare sotto forma di aumento di pressione. Facciamo l’ipotesi che, nel moto del fluido incomprimibile, non vi siano perdite di energia dovute agli attriti. Allora, per il principio di conservazione dell’energia, la somma delle tre forme di energia introdotte sopra deve essere costante: m
p ρ
Energia di pressione [J]
+
m
v2 2
Energia cinetica [J]
+
mgz Energia potenziale [J]
=
costante Energia totale [J]
14-7
287
288
CAPITOLO 14. – IDRAULICA
Più spesso si considera un’energia riferita all’unità di massa oppure all’unità di peso: si indica con e l’energia totale per unità di massa e con H l’energia totale per unità di peso; si passa da e ad H moltiplicando quest’ultima per l’accelerazione di gravità g: e = gH. Dividendo la 14-7 per la massa di fluido m, si ottiene l’espressione del principio di conservazione dell’energia riferita all’unità di massa: p ρ
+
Energia di pressione per unità di massa [J/kg]
v2 2
+
Energia cinetica per unità di massa [J/kg]
gz
=
Energia potenziale per unità di massa [J/kg]
e
14-8
Energia totale per unità di massa [J/kg]
oppure, dividendo per la forza peso mg, si ottiene l’espressione della conservazione dell’energia riferita all’unità di peso: p gρ Energia di pressione per unità di peso [J/N = m]
+
v2 2g
+
Energia cinetica per unità di peso [J/N = m]
z
=
Energia potenziale per unità di peso [J/N = m]
H
14-9
Energia totale per unità di peso [J/N = m]
Ciascun membro di questa equazione, detta equazione di Bernoulli, ha le dimensioni di una lunghezza in quanto, essendo il lavoro dato dal prodotto di una forza per una lunghezza (1-11), dividendo un lavoro [J] per una forza [N] si ottiene una lunghezza; ciascun membro rappresenta perciò l’altezza o carico della colonna di fluido espressa in metri: carico di pressione o carico piezometrico p/(gρ), carico cinetico v2/(2g) e carico geodetico z, mentre la somma z + p/(gρ) viene indicata con il nome di quota piezometrica ed H è il carico totale del fluido o anche carico idraulico totale. L’equazione di Bernoulli afferma che, nel moto stazionario di un liquido senza attrito, la somma delle tre forme di energia rimane costante, anche se la distribuzione tra queste può variare da punto a punto lungo il condotto. Scritta, ad esempio, tra le sezioni 1 e 2 del condotto schematizzato nella Figura 14.14, l’equazione di Bernoulli diviene: v2 p + +z gρ 2 g
= 1
Carico totale del liquido che entra nella sezione 1, H1 [m]
v2 p + +z gρ 2 g
14-10 2
Carico totale del liquido che esce dalla sezione 2, H2 [m]
che, dopo aver precisato i valori di pressione, velocità e quota assunti sulla sezione considerata (la massa volumica rimane invariata in quanto, trattandosi di un liquido, ρ è costante), assume la forma: v2 v2 p1 p + 1 + z1 = 2 + 2 + z 2 ρg 2 g ρg 2 g
14-11
14.5. – CONSERVAZIONE DELL’ENERGIA
oppure può venire espressa in funzione delle differenze di pressione, velocità e quota: p2 − p1 gρ
+
Differenza delle altezze piezometriche [m]
1 v1 Lavoro scambiato tra fluido e macchina 2
v2
z1
z2
Livello di riferimento
Fig. 14.14 - Variazioni di energia di un fluido che scorre in un condotto.
p2 − p1 gρ
Differenza delle altezze piezometriche [m]
+
v22 − v12 2g Differenza delle altezze cinetiche [m]
+
v22 − v12 2g
(z2 – z 1)
+
Differenza delle altezze cinetiche [m]
=0
14-12
Dislivello geodetico [m]
L’equazione 14-11 è stata scritta nell’ipotesi che tra le sezioni 1 e 2 non venga fornita energia al fluido né gliene venga sottratta. Si potrebbe fornire energia al fluido introducendo tra 1 e 2 una pompa; parimenti potrebbe essere sottratta energia come lavoro perso per superare gli attriti che si oppongono al moto dei fluido reale, oppure come lavoro effettuato dal fluido in una turbina. L’equazione di Bernoulli può essere così generalizzata, in modo da tener conto del lavoro per unità di peso o carico equivalente hi, trasmesso dagli organi mobili di una macchina all’unità di peso del fluido che l’attraversa, e dell’energia meccanica per unità di peso hw, persa sia per le dissipazioni provocate dall’attrito in seno al fluido sia per le dissipazioni tra fluido e pareti collegate al movimento del fluido reale nel condotto (perdita di carico per resistenze passive): (z 2 – z 1)
Dislivello geodetico [m]
+
hi Carico equivalente al lavoro scambiato tra macchina e fluido [m]
hw
+
=0
14-13
Perdita di carico dovuta alle dissipazioni di energia [m]
Il carico equivalente hi scambiato all’interno della macchina con il fluido sarà negativo quando fatto da una macchina operatrice come una pompa (viene immesso nel fluido dalla macchina) e positivo quando fatto da una macchina motrice come una turbina (il carico viene fornito dal fluido alla macchina). L’equazione di Bernoulli generalizzata può venire riferita all’unità di massa anziché all’unità di peso del fluido moltiplicando tutti i termini della 14-13 per l’accelerazione di gravità g: p2 − p1 v22 − v12 + + g ( z 2 − z1 ) + li + lw = 0 ρ 2
14-14
In questa equazione li rappresenta il lavoro interno scambiato dagli organi mobili della macchina con l’unità di massa del fluido che l’attraversa (negativo nel caso di una pompa e positivo nel
289
290
CAPITOLO 14. – IDRAULICA
caso di una turbina), mentre lw è il lavoro perso, riferito all’unità di massa del fluido, a causa delle dissipazioni di energia meccanica, provocate dall’attrito in seno al fluido e tra fluido e pareti. Il ricorrere, nel progetto di una macchina, all’energia per unità di massa anziché all’energia per unità di peso, è spesso essenziale, in quanto l’energia per unità di massa è indipendente dall’accelerazione di gravità. Le pompe, per esempio, sviluppano lo stesso lavoro per unità di massa del fluido senza relazione con la forza di gravità. Così il lavoro massico li, fornito dalla pompa al liquido, sarà lo stesso sulla Terra o sulla Luna, oppure infine su un laboratorio spaziale.
Esempio 14.4 Velocità e pressione in un condotto
Pompa
3
b
2m
2
a
4m 1
Livello di riferimento
Una pompa per irrigazione (Figura 14.15) fornisce all’acqua (massa volumica ρ = 1000kg/m3) un’energia per unita di peso pari a 25 J/N, cioè un carico hp di 25 m di colonna d’acqua. La pompa aspira l’acqua da un bacino, che si trova 4 m più in basso della pompa, e la invia a un ugello di diametro pari a 40 mm, situato 2 m al di sopra della pompa. Il diametro del tubo nel tratto a, tra bacino e pompa, e nel tratto b, tra pompa e ugello, è pari a 120 mm. Nell’ipotesi di poter trascurare l’energia persa per unita di peso nei vari tratti dell’impianto, determinare: a) la velocità del getto d’acqua che esce dall’ugello (punto 3 della figura);
Fig. 14.15 - Dati sulla pompa per irrigazione dell’Esempio 14.4.
b) la pressione esistente nel tubo di aspirazione all’ingresso della pompa (punto 1 in figura).
SOLUZIONE a) Conviene applicare l’equazione di Bernoulli generalizzata 14-13, in quanto i dati principali, come ad esempio il carico equivalente generato dalla pompa, sono forniti in metri. Conviene inoltre fare riferimento alle sezioni 1 e 3, che si trovano rispettivamente sul pelo libero del bacino, in prossimità della sezione di ingresso del tubo che porta alla pompa, e sulla sezione di uscita dall’ugello (Figura 14.15). Si è scelto il punto 1 in quanto qui sono noti: – la pressione p1: p1 = 0 in quanto, essendo situato in corrispondenza del pelo libero dell’acqua nel bacino, si trova alla pressione atmosferica – la velocità v1: v1 = 0, in quanto la superficie del bacino è grande rispetto all’area del tubo di aspirazione e quindi, per l’equazione di continuità, la velocità è certamente trascurabile rispetto a quella dell’acqua all’interno del tubo14.3; – la quota z1: z1 = 0, in quanto il livello di riferimento è quello del pelo libero del bacino. Si e poi scelto il punto 3 perché è qui che occorre calcolare la velocità del getto d’acqua che esce dall’ugello. Nel punto 3: – la pressione è di nuovo quella atmosferica: p3 = 0; – la quota è z3 = 4 m + 2 m = 6 m. Nell’applicare l’equazione 14-13, occorre infine tener presente che – il carico fornito dalla pompa è hi = – hP; – hw = 0, in quanto non si tiene conto delle perdite di carico. p1 p v2 v2 + 1 + z1 + hP = 3 + 3 + z 3 gρ 2 g gρ 2 g v32 (0 + 0 + 0) m + 25 m = 0 m + + 6 m 2 2 × 9,81 m/s
14.6. – MOVIMENTO DEI LIQUIDI IDEALI E REALI NEI CONDOTTI
v32 = 19 m 2 × 9,81 m/s 2 v3 =
⇒
v23 = 2 × 9,81 m/s 2 × 19 m
⇒
䉳
(2 × 9,81 m/s 2 × 19 m) = 19,3 m/s
b) Per determinare la pressione di aspirazione in 2, Si applica nuovamente l’equazione 14-13 tra le sezioni 1 e 2, tenendo presente che, in questo tratto di condotto (tratto a), oltre a mancare il termine relativo alle perdite di carico, che vengono trascurate, non c’e la pompa e quindi risulta hp = 0. Siamo cioè ritornati all’equazione di Bernoulli scritta nella forma 14-11. p1 p v2 v2 + 1 + z1 = 2 + 2 + z 2 gρ 2 g gρ 2 g p v2 (0 + 0 + 0 ) m = 2 + 2 + 4 m gρ 2 g Non solo la pressione p2 è incognita, ma anche la velocità dell’acqua v2. Determiniamo allora quest’ultima con l’equazione di continuità 14.6, applicata tra le sezioni 2 e 3; in quest’ultima sezione infatti abbiamo appena ricavato la velocità v3 = 19,3 m/s. A2 v2 = A3 v3
⇒
π D22 π D32 v2 = v3 4 4
2
⇒
2
D 0,04 m v2 = 3 v3 = 19,3 m/s = 2,14 m/s D2 0,12 m v2 p2 (2,14 m/s)2 = − 2 + 4 m = − − 4 m = − 0,23 m − 4 m = − 4, 23 m gρ 2 × 9,81 m/s 2 2g
⇒
p2 = 1000 kg/m3 × 9,81 m/s2 × (– 4,23 m) = – 41.496 Pa = – 41,496 kPa ≈ – 41,5 kPa
14. 6
䉳
MOVIMENTO DEI LIQUIDI IDEALI E REALI NEI CONDOTTI Quando un liquido ideale scorre in un condotto, nell’equazione 14-13 è nullo il termine che esprime la dissipazione legata alle resistenze passive (hw = 0); se poi è nullo lo scambio di lavoro con l’esterno (non vi sono né pompe né turbine) allora è anche nullo il carico scambiato tra macchina e liquido (hi = 0). L’equazione 14-13 si riduce allora alla 14-9 che, associata all’equazione di continuità 14-6, permette di descrivere gli andamenti della velocità v e della quota piezometrica z + p/(gρ) in un condotto; per far questo occorre isolare nella 14-9 i due termini della quota piezometrica e del carico cinetico: V˙ = A v
⇒
v=
V˙ A
p v2 z + = H + gρ 2 g
(14-6) (14-9)
Data la costanza della portata, la 14-6 permette di affermare che, essendo inversamente proporzionale all’area A della sezione, la velocità v (prima riga della Tabella 14.1): – aumenta in un condotto convergente; – diminuisce in un condotto divergente; – rimane costante in un condotto a sezione costante.
291
292
CAPITOLO 14. – IDRAULICA
Tabella 14.1 Andamenti di velocità v, quota piezometrica z + p/(gρ) e carico totale H al variare della sezione di un condotto in assenza di lavoro scambiato e di resistenze passive Condotto
convergente
a sezione costante
divergente
v z + p/(gρ) H
aumenta diminuisce costante
costante costante costante
diminuisce aumenta costante
Ma quando la velocità v aumenta, come avviene nel condotto convergente, la quota piezometrica z + p/gρ) (seconda riga della Tabella) deve, per la 14-9, diminuire, dal momento che H mantiene un valore costante (terza riga della Tabella). Allo stesso modo, se v diminuisce, la quota piezometrica aumenta. In conclusione, sulla base delle due equazioni 14-6 e 14-9, possiamo affermare che la quota piezometrica z + p/(gρ) – aumenta in un condotto divergente; – diminuisce in un condotto convergente; – non cambia in un condotto in cui la sezione rimane costante.
Linea del carico totale v12 2g
v22 2g
v32 2g Linea
p1 gρ
p2 gρ
piezo
metri
ca
p3 gρ
H 3 2 1
z1
z2
z3 Livello di riferimento
Fig. 14.16 - Rappresentazione grafica dell’equazione di Bernoulli nel caso del moto stazionario di un liquido in assenza di scambio di lavoro e di resistenze passive.
Nel caso del condotto della Figura 14.16, la linea del carico totale H è una retta orizzontale perché nel moto stazionario di un liquido essa, in assenza di perdite e di scambio di lavoro, rimane costante; questa linea scenderebbe se ci fossero delle perdite. La linea piezometrica, che unisce le varie quote piezometriche z + p/( gρ) scende progressivamente: essa, è data infatti dalla differenza tra il carico totale H costante e il carico cinetico v2/(2g), carico cinetico che aumenta, in quanto la velocità della corrente diventa via via più elevata a mano a mano che diminuisce la sezione del condotto. Sempre nella Figura 14.16 sono stati evidenziati il tubo di ristagno (sezioni 1 e 3) per la misura del carico totale e il tubo piezometrico o piezometro (sezione 2) per la misura del carico piezometrico. Il tubo di ristagno, avendo la sezione di imbocco piegata ad angolo retto, costringe la corrente ad annullare la propria velocità nell’entrare nel tubo (con appunto il ristagno del flusso) e quindi l’altezza della colonna di liquido rappresenta il carico totale H.
Nel moto del liquido reale – cioè di un liquido di cui non è possibile trascurare la viscosità – nascono, a causa dei gradienti di velocità presenti in seno al liquido nell’immediata prossimità della parete del condotto (Figure 14.11-a e 14.11-b), degli sforzi di taglio che devono essere vinti se si vuole mantenere il liquido in moto. La linea del carico totale non è più orizzontale, come avveniva per il liquido ideale, ma scende gradualmente (Figura 14.17 ) a causa di una perdita di carico distribuita o continua yc , collegata appunto alla resistenza di attrito presente lungo le pareti del condotto. In aggiunta alla perdita di energia provocata dall’attrito, vi possono essere anche perdite di energia allorché l’interruzione della sezione uniforme del condotto, a causa di
14.6. – MOVIMENTO DEI LIQUIDI IDEALI E REALI NEI CONDOTTI
Linea del
valvole, giunzioni, gomiti, ecc., provochi discontinuità nella corrente. Definiamo questo secondo tipo di perdita di carico come perdita di carico accidentale oppure localizzata yl, in quanto connessa alla presenza, in una determinata sezione del condotto, di elementi che causano una separazione locale della corrente. In questo caso non avremo più, come nel caso visto in precedenza della perdita di carico continua, un abbassamento graduale della linea del carico totale, bensì una discesa brusca in corrispondenza della regione del condotto in cui si verifica la perdita localizzata (Figura 14.18).
yc
carico tota
le
2
D 1
l
Fig. 14.17 - Perdita di carico continua in un tubo cilindrico.
yl Linea del
Flusso stabile
Flusso instabile 1
2
3
carico tota
le
Flusso stabile 4
Fig. 14.18 - Resistenze localizzate; in alto è tracciata la linea del carico totale: questa scende gradualmente a causa della perdita di carico continua determinata dall’attrito (tratto 1-2 e tratto 2-4), ma in corrispondenza dell’ostruzione (sezione 2) subisce una variazione brusca, pari al valore yl dovuto alla perdita di carico localizzata.
Sia le perdite di carico continue yc che quelle localizzate yl sono funzione del carico cinetico v2/(2g) della corrente: yc = k a
v2 2g
yl = k
14-15
v2 2g
14-16
attraverso dei coefficienti di resistenza che si ricavano sperimentalmente: – il coefficiente di resistenza di attrito ka funzione a sua volta di lunghezza l e diametro del condotto D mediante il fattore di attrito λ: ka = λ
l D
14-17
– il coefficiente di resistenza localizzata k (Tabelle 14.2 e 14.3) presente nelle zone di separazione della corrente (Figura 14.19).
293
294
CAPITOLO 14. – IDRAULICA
Tabella 14.2 Valori rappresentativi del coefficiente di resistenza localizzata k per varie geometrie di variazione della sezione trasversale del condotto Ingresso a spigolo vivo
v
Tubo che si prolunga all’interno
k = 0,5
Restringimento brusco
Riduzione graduale
v
D
v
k = 1,0
Allargamento brusco
d
v
k = 0,05
D/d 1,5 2,0 2,5 3,0 3,5 4,0 k 0,28 0,36 0,40 0,42 0,44 0,45
d
k = 0,05 D
v
Ingresso arrotondato
v
d
D
2 2
k = [(1 – (d/D) ] Allargamento graduale k = k′ [1 – (d/D)2 ] 2
l d v
D
(D – d)/2l 0,05 0,10 0,20 0,30 0,40 0,50 0,80 k′ 0,14 0,20 0,47 0,76 0,95 1,05 1,10
Perdita di uscita (a spigoli vivi, prolungato, arrotondato), k = 1,0.
La somma di tutte le perdite, provocate dall’attrito e dalla separazione della corrente, costituisce il carico Y in metri di colonna del fluido considerato, ad esempio l’acqua, perso complessivamente a causa della dissipazione di energia per unità di peso incontrata dal liquido reale nel suo moto lungo il condotto: Y = yc + yl
14-18
Tabella 14.3 Valori rappresentativi del coefficiente di resistenza localizzata k per valvole, curve e collegamenti vari nelle tubazioni k Valvola a globo, tutta aperta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Valvola ad angolo, tutta aperta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Valvola a saracinesca: tutta aperta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . aperta a 3/4 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . aperta a metà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . aperta a 1/4 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Valvola di ritegno a cerniera, tutta aperta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Valvola in linea a sfera, tutta aperta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Valvola a farfalla da 150 mm in su, tutta aperta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Gomito standard a 90° . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Gomito standard a 45° . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Gomito a raggio ampio a 90° . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Gomito con filettatura maschio e femmina a 90° . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Gomito con filettatura maschio e femmina a 45° . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Giunzione a T standard: flusso nella direzione principale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . flusso attraverso la diramazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
9 4 0,26 0,7 3,2 18 2,7 3 0,4 0,6 0,32 0,4 1 0,52 0,4 1,2
14.6. – MOVIMENTO DEI LIQUIDI IDEALI E REALI NEI CONDOTTI
Regioni di separazione della corrente
R
Per poter effettuare il bilancio energetico, la perdita di carico complessiva Y del condotto va introdotta nell’equazione 14-13 al posto della generica altezza hw , che esprime la perdita di carico dovuta alle dissipazioni di energia. Alla perdita di carico Y è associata la caduta di pressione ∆p nel condotto (14-2): ∆p = ρ gY
D
Fig. 14.19-a - Andamento della corrente in una curva del condotto.
14-19
mentre la potenza P [W = J/s = (N⋅m)/s], richiesta per mantenere in moto il liquido (oppure il gas) nel condotto in modo da vincere la perdita di carico Y, è data dal prodotto della portata del liquido V˙ [m3/s] per la caduta di pressione ∆p [Pa = N/m2]: P = V˙∆p
k = 1,0
k = 0,5 D
14-20
k→0 D
D
R
Fig. 14.19-b - Perdita di ingresso in un tubo.
Esempio 14.5 Perdita di carico complessiva In un tubo di acciaio commerciale, di diametro D = 50 mm e lungo l = 30 m, scorre dell’acqua. Il fattore di attrito del tubo è λ = 0,02. La portata d’acqua nel tubo è V˙ = 0, 012 m 3 /s. Il tubo collega due serbatoi: occorre quindi considerare una resistenza di ingresso a spigolo vivo e una resistenza di uscita. Nel tubo sono inoltre presenti due gomiti a 90° e una valvola a saracinesca completamente aperta. Calcolare la perdita di carico complessiva Y, la caduta di pressione ∆p generata da Y e la potenza P necessaria per vincere questa caduta di pressione.
SOLUZIONE La perdita di carico totale Y è (14-18) uguale alla perdita di carico continua yc più la somma (Σ) delle varie perdite di carico localizzate yl espresse rispettivamente dalle equazioni 14-15 e 14-16: Y = yc + Σ yl = k a
v2 v2 v2 + Σk = (k a + Σ k ) 2g 2g 2g
Assegnato il fattore di attrito λ = 0,02, il coefficiente di resistenza di attrito vale (14-17): ka = λ
l 30 m = 0,02 = 12,0 D 0,05 m
295
296
CAPITOLO 14. – IDRAULICA
Il coefficiente di resistenza localizzata k relativo alle diverse perdite si ricava dalle Tabelle 14.2 e 14.3: = 0,5 k1 k2 = 2k = 2 × 0,6 = 1,2 k3 = 0,26 k4 = 1,0 Σk
per 1 imbocco a spigolo vivo per 2 gomiti a 90 per 1 valvola a saracinesca per 1 uscita
= 2,96 totale
Dall’equazione di continuità si ricava la velocità v dell’acqua (14-6): v=
Y = (k a + Σk )
4V˙ 4 × 0,012 m 3 /s V˙ V˙ = = = = 6,11 m/s 2 2 π (0,05 m )2 A π D /4 π D
(6,11 m/s)2 v2 = (12,0 + 2,96) = 28,4 m di colonna d’acqua 2g 2 × 9,81 m/s2
䉳
La caduta di pressione ∆p nel condotto vale (14-19): ∆p = ρ gY = 1000
kg × 9,81 m/s 2 × 28,4 m d’acqua = 278,6 kPa m3
䉳
La potenza richiesta vale (14-20): P = V˙∆p = 0,012 m 3 /s × 278,6 kPa = 3,34 kW
14. 7
䉳
TEOREMA DI TORRICELLI Il serbatoio della Figura 14.20 è riempito con un liquido di massa volumica ρ fino ad un’altezza h al di sopra del centro di un orifizio circolare. Si fanno le seguenti ipotesi: 1. Sia la superficie libera del liquido nel serbatoio (punto A) sia il getto liquido all’uscita nel punto O appena fuori dell’orifizio sono esposti alla pressione atmosferica (pA = pO); 2. Il livello h del pelo libero nel serbatoio rimane costante; 3. L’area della superficie del liquido nel serbatoio è grande in confronto con quella dell’orifizio (ciò vuol dire che la velocità del liquido in A è trascurabile14.3); 4. Non vi sono perdite di energia. Prendendo come livello di riferimento la quota che passa per il centro dell’orifizio, scriviamo l’equazione 14-11 tra le sezioni A e O v2 v2 pA p + A + z A = O + O + zO gρ 2 g gρ 2 g
14.3 - Se scriviamo l’equazione di continuità 14-6 tra la sezione 1 di area A1 molto grande (è la superficie del bacino) e la generica sezione A (all’interno del
tubo) si ha: A1v1 = Av ⇒ v1 =
A v ⇒ v1 ≈ 0 A1
in quanto il rapporto A/A1 è molto piccolo (A 1 , area della superf icie del bacino, è molto grande rispetto ad A).
14.7. – TEOREMA DI TORRICELLI
Ma, per le ipotesi fatte, abbiamo: vA = 0
pA = pO
zA – zO = h
e allora, risolvendo rispetto alla velocità vO nell’orifizio, si ottiene: vO =
2gh
14-21
equazione che è conosciuta come teorema di Torricelli. È interessante osservare che la velocità di efflusso vO è identica alla velocità raggiunta da un corpo in caduta libera. ⋅ La portata teorica VO attraverso l’orifizio può essere calcolata con la 14-6 moltiplicando l’area AO della sezione dell’orifizio per la velocità del getto vO: V˙O = AO vO = AO 2 gh
14-22
In pratica la portata reale V˙ si può discostare anche notevolmente da quella teorica V˙O , data dall’equazione 14-22; occorre perciò introdurre una correzione attraverso un coefficiente di efflusso o coefficiente di portata Ce, in modo tale che risulti: V˙ = CeV˙O = Ce AO 2 gh
14-23
Il coefficiente di efflusso è definito come Ce =
Portata effettivamente misurata V˙ = Portata teorica V˙O
A
v02 2g
h
zA O
vO zO
Fig. 14.20 - Principio di Torricelli: velocità di efflusso da un serbatoio.
14-24
297
298
CAPITOLO 14. – IDRAULICA
14. 8
SOMMARIO In questo corso la trattazione del moto dei fluidi viene fatta supponendo il moto stazionario e unidimensionale. Il moto è stazionario quando tutte le condizioni in ciascun punto della corrente rimangono costanti rispetto al tempo. Il moto è unidimensionale quando la variazione delle principali grandezze caratterizzanti il moto del fluido avviene secondo una sola direzione; in particolare, in ciascuna sezione di un condotto, vengono assunte delle proprietà medie del fluido considerato, in modo che queste proprietà abbiano uguale valore in tutti i punti della sezione. Nel moto di un fluido possono esistere due correnti essenzialmente diverse, caratterizzate da valori diversi del numero di Reynolds R: R=
ρLv µ
con ρ, v e µ rispettivamente massa volumica, velocità e viscosità del fluido, mentre L è una lunghezza caratteristica del sistema fisico considerato. Per bassi valori del numero di Reynolds, il moto è laminare, con le particelle di fluido che si muovono per linee parallele, mentre per alti valori del numero di Reynolds il moto è turbolento, con continue fluttuazioni nella intensità e nella direzione della velocità del fluido. Il moto dei fluidi incomprimibili viene descritto dalle seguenti equazioni: A. Equazione di stato ρ = costante La massa volumica del liquido ρ rimane costante. B. Equazione di continuità
V˙ = A1 v1 = A 2 v2 = Av
La portata in volume di liquido V˙ è data dal prodotto dell’area della sezione di passaggio A per la velocità del liquido v; essa si mantiene costante, passando dalla sezione 1 alla sezione 2. C. Equazione dell’energia o di Bernoulli v2 p + +z = H gρ 2 g Ciascun membro dell’equazione viene indicato con il nome di altezza (è infatti l’altezza di una colonna di fluido espressa in metri) oppure, più spesso, di carico e precisamente carico di pressione o carico piezometrico p/(gρ), carico cinetico v 2/(2g) e carico geodetico z. A sua volta, H prende il nome di carico totale del fluido o anche carico idraulico totale. Un’applicazione dell’equazione di Bernoulli è costituita dalla descrizione della velocità vO di efflusso di un liquido da un orifizio in funzione dell’altezza h del liquido: vO =
2gh
equazione conosciuta come teorema di Torricelli.
ESERCIZI PROPOSTI
Esercizi proposti 14.1 Dell’acqua, alla temperatura di 20 °C, è posta tra due piatti, di cui uno e fisso e l’altro si muove con velocità di 3 m/s (Figura 3.2). La distanza tra i due piatti è pari a 3 cm. Determinare lo sforzo di taglio τ. τ = 0,1 Pa 14.2 Assegnata la massa volumica dell’aria di 1,2 kg/m3, calcolarne il volume massico v. v = 0,83 m3/kg 14.3 Calcolare la pressione p generata dalla massa di 51 kg applicata a uno stantuffo di area pari a 500 cm2, sapendo che lo stantuffo è in equilibrio. p = 10 kPa 14.4 Qual è la pressione p presente nel mare alla profondita di 1000 m, se la massa volumica dell’acqua è pari a 1025 kg/m3? p = 10 MPa 14.5 Calcolare la pressione p presente a una profondita di 10,2 m nel caso in cui il liquido sia acqua di massa volumica pari a 1000 kg/m3, oppure olio di massa volumica pari a 0,85 kg/dm3. pH2O = 100 kPa; polio = 85kPa 14.6 Quale deve essere la profondità h di benzina con massa volumica pari a 735 kg/m3 che dà luogo alla pressione di 0,11 MPa? Quale sarebbe la profondita di acqua necessaria per dar luogo alla stessa pressione? hbenzina = 15,25 m; hH2O = 11,2 m 14.7 Calcolare la pressione relativa p e la pressione assoluta pa esistente nell’acqua, di massa volumica pari a 1000 kg/m3, a una profondità di 8 m al di sotto del pelo libero, nell’ipotesi che la pressione atmosferica sia 101,32 kPa. p = 78,5 kPa; pa = 179,8 kPa 14.8 Qual è la pressione p data da un’altezza di colonna di fluido di 500 mm, nei casi in cui il fluido sia benzina (ρ = 720 kg/m3), oppure olio (ρ = 860 kg/m3), oppure acqua (ρ = 1000 kg/m3), oppure infine mercurio (ρ = 13.600 kg/m3)? pbenzina = 3,05 kPa; polio = 4,2 kPa; pH2O = 4,9 kPa; pHg = 66,7 kPa 14.9 Determinare la massima pressione relativa d’acqua p misurabile con un tubo piezometrico alto tre metri. p = 29,43 kPa
14.10 Un manometro ad U viene utilizzato per misurare la pressione relativa di un gasolio avente massa volumica 835 kg/m3. Il liquido manometrico è mercurio con massa volumica pari a 13.600 kg/m3. Determinare la pressione relativa p considerando prima anche l’altezza h1 del gasolio e poi l’altezza hman del solo mercurio nei due casi di: a) h1 = 0,4 m e hman = 0,8 m (Figura 14.9-b); b) h1 = 0,1 m e hman = – 0,15 m (Figura 14.9-c). Il segno negativo del caso b) indica che la pressione relativa è inferiore a quella atmosferica. a) p = 103,5 kPa ≈ 106,7 kPa; b) p = – 20,8 kPa ≈ – 20,0 kPa 14.11 Qual e la pressione p indicata da un manometro a U applicato ad un recipiente pieno d’acqua con ρH O = 1000 kg/m3 (Figura 14.9-b), se sul ramo di sinistra il mercurio (ρHg = 13.600 kg/m3) si abbassa di h1 = 25 cm, mentre sul ramo di destra il dislivello manometrico vale h2 = 45 cm? p = 57,6 kPa 2
14.12 Una portata di 3 kg/s di olio, avente massa volumica 0,93 kg/dm3 e viscosità 0,26 Pa⋅s scorre in un condotto di diametro pari a 80 mm. Calcolare la velocità v dell’olio nel condotto e il numero di Reynolds R. v = 0,64 m/s; R = 183 14.13 Calcolare il numero di Reynolds Rc, che corrisponde al raggiungimento della velocità critica di 0,31 m/s da parte di aria che scorre in un condotto di 100 mm di diametro. Calcolare poi la velocità critica vc che avrebbe l’acqua se fosse immessa in questo condotto. Le viscosità cinematiche dell’aria e dell’acqua valgono rispettivamente 1,51 × 10 – 5 m2/s e 1,01 × 10– 6 m2/s. Rc = 2053; vc = 0,02 m/s 14.14 Una portata di 5 dm3/s di olio, avente massa volumica relativa di 0,93 e viscosità dinamica di 0,26 kg/(m⋅s), passa in un tubo di 50 mm di diametro. Calcolare velocità v, numero di Reynolds R e indicare il tipo di moto. v = 2,5 m/s; R = 547; laminare 14.15 Una portata pari a 2,5 kg/s di alcol etilico, avente massa volumica relativa di 0,789 e viscosità dinamica di 0,0012 kg/(m⋅s), scorre in un condotto di 70 mm di diametro. Calcolare velocità v, numero di Reynolds R e indicare il tipo di moto. v = 0,82 m/s; R = 37.700; turbolento
299
300
CAPITOLO 14. – IDRAULICA
14.16 Dell’acqua scorre in un primo tubo a, di 1,1 m di diametro, con velocità pari a 2,6 m/s; passa poi in un secondo tubo b, posto in serie, con diametro pari a 1,3 m. Calcolare la portata V˙ e la velocità vb dell’acqua nel secondo tubo. V˙ = 2,471 m3 /s; vb = 186 , m/s
14.19 In un tubo di 50 mm di diametro scorre dell’acqua (massa volumica pari a 1000 kg/m3) con una velocità costante pari a 2,4 m/s. Calcolare la pressione p in una sezione, che si trova a una quota di 2 m, sapendo che in un ‘altra sezione, situata a 10 m, la pressione è pari a 275 kPa. p = 353 kPa
14.17 Una portata d’acqua pari a 3,6 m3/s viene convogliata a due tubi c e d disposti in parallelo (si veda la Figura 14.12). Il tubo c, con 0,9 m di diametro, smaltisce una portata pari a 1,2 m3/s, mentre nel tubo d la velocità vale 2,4 m/s. Calcolare la velocità vc nel tubo c e il diametro Dd del tubo d. vc = 2,22 m/s; Dd = 1,13 m
14.20 Un tubo, in cui scorre una portata d’acqua (massa volumica 1000 kg/m3) pari a 0,1 m3/s, ha nella sezione superiore di 1,4 m di diametro, posta a un livello di 4 m, una pressione pari a 80 kPa. Nella sezione inferiore, posta al livello di riferimento preso uguale a zero, il diametro è pari a 0,5 m. Calcolare velocità v2 nella sezione superiore, velocità v1 e pressione p1 nella sezione inferiore.
14.18 Calcolare il carico totale H di una corrente d’acqua (massa volumica 1000 kg/m3), che scorre in un condotto, alla quota di 5 m, con velocità di 10 m/s e pressione di 40 kPa. H = 14,17 J/N = 14,17 m
14.21 Calcolare la portata V˙ di un liquido che esce da un orifizio di 20 mm di diametro sotto un battente di 6 m, sapendo che il coefficiente di efflusso è pari a 0,64.
v2 = 0,06 m/s; v1 = 0,51 m/s; p1 = 119 kPa
V˙ = 2,15 dm3 /s
MACCHINE IDRAULICHE
Capitolo 15
15. 1
POMPE DINAMICHE 15. 1. 1 Classificazione Le pompe dinamiche sono macchine operatrici idrauliche: aggiungono energia a un fluido considerato incomprimibile nelle normali condizioni d’uso (acqua, olio, ecc.); anche l’aria, in condizioni di modesti incrementi di pressione, può essere considerata incomprimibile: è quanto avviene nei ventilatori. Le pompe dinamiche fanno aumentare la quantità di moto del fluido trattato per mezzo di pale (Figura 15.1), come nel caso delle turbopompe, oppure per mezzo di meccanismi speciali. Il fluido aumenta la propria quantità di moto nel muoversi attraverso passaggi aperti e successivamente trasforma la velocità elevata in un aumento di pressione passando attraverso un diffusore. Al secondo tipo di pompe dinamiche, basate sempre sulla forza indotta dalla variazione della quantità di moto ma caratterizzate dall’assenza di organi mobili (che sono invece presenti nelle turbopompe), appartiene l’eiettore idraulico o pompa a getto. In questo tipo di macchina il fluido, uscendo ad alta velocità da un ugello, aspira un altro fluido, trascinandolo con sé alla mandata (Figura 15.2). Gli elementi essenziali di una pompa centrifuga (Figura 15.1) sono il rotore, consistente nell’albero e nella girante, e lo statore, consistente nella cassa a spirale, nelle tenute e nei cuscinetti. Il liquido, che si trova a una determinata pressione (atmosferica o diversa), entra assialmente nel centro (occhio) della cassa e viene costretto a percorrere una serie di condotti mobili generati dalle pale della girante e infine scaricato radialmente, a pressioni e velocità più elevate, attraverso l’intera periferia della girante nella cassa.
Cassa
ω ω
Girante Voluta
Fig. 15.1-a - Schema di pompa centrifuga a voluta.
Nella cassa il liquido viene raccolto, decelerato e quindi scaricato attraverso la bocca di mandata. Nella cassa, la maggior parte dell’energia cinetica viene convertita in energia di pressione per mezzo di una voluta a spirale, camera a sezione crescente nel verso del moto del fluido (Figure 15.1-a e 15.1-b), oppure per mezzo di una corona di condotti fissi di diffusione, delimitati da pale, che circondano la periferia della girante (Figura 15.1-c). Le pompe con cassa a voluta vengono chiamate pompe a voluta (si può dire che siamo in presenza di un diffusore non palettato); quelle con condotti di diffusione vengono
302
CAPITOLO 15. – MACCHINE IDRAULICHE
451 452 454 458 461
Corpo del premistoppa Premitreccia Anello del premistoppa, diviso Anello di tenuta, diviso Baderna
502.1 Anello di tenuta 502.2 Anello di tenuta 524 Bussola di protezione albero 102 Corpo a spirale
165 183 210
Coperchio della camera di raffreddamento con premistoppa raffreddato Piede di appoggio Albero
230 321 330 332 360
Girante Cuscinetto a sfere a gole profonde Supporto dei cuscinetti Supporto a sedia Coperchio del cuscinetto
Fig. 15.1-b - Pompe centrifughe per basse pressioni (KSB, modelli ETA ed ETANORM).
Mandata
Cassa Girante
Diffusore
Voluta
Ugello
Fig. 15.2 - Schema di eiettore idraulico.
Fig. 15.1-c - Schema di pompa a diffusore. I condotti di diffusione sono tridimensionali e non possono facilmente essere rappresentati in un disegno.
denominate a diffusore. Si fa ricorso a quest’ultima soluzione, non molto comune, nel caso di pompe piuttosto grandi, dove i condotti fissi del diffusore sono necessari per motivi strutturali oltre che per mantenere, in presenza di aumenti di pressione piuttosto sostenuti, un rendimento elevato della pompa.
Nelle pompe a ingresso singolo (o a singola aspirazione), il fluido entra da un solo lato della cassa e della girante (Figura 15.1 e Figura 15.3-a). Nelle pompe a doppio ingresso (o a doppia aspirazione), vengono utilizzati ambedue i lati per l’entrata del fluido e la girante è solitamente di spessore doppio e dotata di un piatto centrale (Figura 15.3-d): questo tipo di soluzione si presenta in forma di due giranti piazzate, schiena a schiena, l’una acanto all’altra e ha come risultato il raddoppio della portata ottenuto a parità di aumento di pressione. Le pompe a doppio ingresso hanno il vantaggio della simmetria che idealmente dovrebbe eliminare la spinta all’estremità. Inoltre esse forniscono una maggiore area di ingresso con velocità all’aspirazione inferiori a quelle che potrebbero essere raggiunte con una pompa a ingresso singolo avente una girante di pari diametro.
15.1. – POMPE DINAMICHE
a
Fig. 15.3 - Diversi tipi di giranti per turbopompe (KSB). 䡵 a) Girante radiale. 䡵 b) Girante semiassiale chiusa. 䡵 c) Girante semiassiale aperta. 䡵 d) Girante semiassiale chiusa, a doppio ingresso. 䡵 e) Girante assiale.
b
c
d
e
Una disposizione di più giranti in parallelo, come in Figura 15.4, permette di aumentare la portata, a parità di aumento di pressione. Flusso
Flusso
Fig. 15.4 - Giranti a flusso radiale montate in parallelo; giranti a ingresso singolo (a sinistra) e giranti a doppio ingresso (a destra).
Le pompe a un solo ingresso possono essere disposte in serie, sullo stesso albero, in modo che il fluido, che esce da una girante, sia indirizzato, attraverso una serie di condotti fissi, all’ingresso della girante successiva (Figura 15.5-a). Quando vengono utilizzate due o più giranti che operano in serie, parliamo di pompe pluristadio, per contrapposizione alla soluzione a un solo stadio o monostadio, in cui l’aumento di pressione viene raggiunto attraverso l’azione di una sola girante.
Flusso
Fig. 15.5-a - Schema di giranti a flusso radiale montate in serie (a più stadi).
Nelle pompe pluristadio (Figura 15.5), ogni girante costituisce uno stadio: l’effetto è quello di un aumento della pressione, mentre la portata rimane la stessa. In teoria, l’aumento di pressione, prodotto da una pompa pluristadio, è uguale all’aumento di pressione prodotto dallo stadio singolo moltiplicato per il numero degli stadi; tuttavia a causa delle perdite nei condotti fissi
303
304
CAPITOLO 15. – MACCHINE IDRAULICHE
1) 2) 3) 4) 5)
Girante del primo stadio a doppio ingresso. Cassa cilindrica. Voluta doppia per l’equilibrio radiale. Giranti opposte per l’equilibrio assiale. Giranti sfalsate in senso radiale per evitare pulsazioni.
6) Premitreccia. 7) Bussola centrale. 8) Anello di tenuta della cassa e anello di usura della girante. 9) Le parti interne sono divise in senso assiale per facilitare la manutenzione. 4
1
2
3
8
5
10) Diaframmi tra gli stadi accompagnano il fluido nell’occhio della girante. 11) Scatola premitreccia. 12) Cuscinetti.
10 11
6
12
9
7
Fig. 15.5-b - Pompa centrifuga multistadio con dettaglio della disposizione delle giranti (tre da una parte e tre dall’altra) per l’equilibrio permanente delle forze assiali (Worthington tipo UXH).
situati tra gli stadi, l’aumento di pressione complessivo risulta leggermente inferiore a quello teorico. Dal punto di vista meccanico la girante si classifica come chiusa (le pale sono racchiuse da due telai situati rispettivamente sul mozzo e sulla corona: Figure 15.3-b, 15.3-d e 15.3-a, oppure aperta se manca dei due telai (Figure 15.3-c e 15.6-b), oppure infine semiaperta o semichiusa quando si è in presenza di una soluzione intermedia. La posizione dell’asse di rotazione della girante determina poi se si tratta di unità orizzontali (Figura 15.5-b) o verticali (Figura 15.5-c). Qualora si voglia aumentare la portata di liquido senza variare il diametro della girante, occorre accrescere le dimensioni della girante nella direzione parallela all’albero. Ciò richiede a sua volta un aumento nel diametro dell’occhio della pompa per far passare la maggiore portata e una modifica corrispondente nei condotti di ingresso: la pompa centrifuga si trasforma allora in una pompa a flusso misto o semiassiale, con ingresso assiale e uscita prevalentemente radiale (Figure 15.3-b, 15.3-c, 15.3-d e 15.7). L’ulteriore aumento della portata del liquido trattato deve essere realizzato con la pompa a flusso assiale o pompa a elica (Figura 15.3-e), il cui flusso è diretto parallelamente all’asse della girante.
15.1. – POMPE DINAMICHE
Fig. 15.5-d - Rotore di una pompa a quattro stadi in lavorazione in officina con prevalenza hu = 757,5 m, portata V˙ = 10, 9 m 3 /s, potenza assorbita Pa = 121,5 MW (De Pretto-Escher Wyss).
Fig. 15.5-c - Pompe centrifughe multistadio sommerse (KSB).
a
b
Fig. 15.6 - 䡵 a) Girante chiusa. 䡵 b) Girante aperta semiassiale (Mitsubishi); i disegni sulla superficie della girante sono prodotti da una vernice speciale applicata, prima della prova, per visualizzare le linee di flusso dell’acqua a contatto con la superficie durante il funzionamento della pompa.
Fig. 15.7 - Pompa semiassiale, a pale regolabili, impiegata nel raffreddamento di condensatori con prevalenza hu = 22 m, portata ⋅ V = 15,16 m3/s, velocità n = 3,93 giri/s (236 giri/min) e potenza assorbita Pa = 3,87 MW (Riva Calzoni).
305
306
CAPITOLO 15. – MACCHINE IDRAULICHE
15. 1. 2 Prevalenza manometrica e potenza della turbopompa Esaminiamo il caso di una pompa (schema della Figura 15.8-a) che aspiri acqua dal serbatoio inferiore, in cui il pelo libero del liquido si trovi al livello v (a valle), e la mandi al serbatoio superiore, in cui il pelo libero si trovi al livello m (a monte). I numeri 1 e 2 individuano le sezioni di ingresso (bocca di aspirazione) e di uscita (bocca di mandata) della pompa. La Figura 15.8-b riporta l’andamento della quota piezometrica z + p/( g ρ), dell’altezza cinetica v 2/(2g) e del carico totale H in presenza delle perdite: a sinistra della pompa, l’altezza piezometrica è negativa p/( gρ ), in quanto il valore della pressione, a causa dell’aspirazione, è inferiore a zero; a destra della pompa lungo la tubazione di mandata, la linea dei carichi totali non rimane costante, ma va diminuendo, a causa della presenza delle perdite.
m
zp
2
za z1 z2 hg
1
v
zm
zv
Fig. 15.8-a - Impianto di pompaggio funzionante in aspirazione; significato dei simboli: • v = pelo libero del liquido nel serbatoio a valle, • m = pelo libero del liquido nel serbatoio a monte, • 1 = sezione di ingresso della pompa (bocca di aspirazione), • 2 = sezione di uscita della pompa (bocca di mandata), • za = altezza di aspirazione: altezza del baricentro della pompa rispetto al livello v, • zp = altezza di mandata: altezza del livello m rispetto al baricentro della pompa, • hg = prevalenza geodetica: hg = zm – zv = za + zp.
hu = H2 – H1 =
Si definisce prevalenza manometrica hu [m di colonna di fluido] la variazione di carico che può essere misurata con un manometro posto tra la bocca di mandata e la bocca di aspirazione della pompa. La prevalenza manometrica hu è perciò data dalla differenza tra il carico totale H2, alla bocca di mandata, e il carico totale H1, alla bocca di aspirazione della pompa: nella Figura 15.8-b la prevalenza manometrica è il segmento che si aggiunge al carico totale H1, in modo da portare la linea dei carichi totali al livello H2. Ricordando l’espressione del carico totale H (14-9) in funzione del carico di pressione p/( gρ ), del carico cinetico v 2/(2g) e del carico geodetico z, si ha:
p2 − p1 v22 − v12 + + ( z 2 − z1 ) 2g gρ
15-1
La potenza ideale P [W = J/s] della pompa, cioè quella che si avrebbe in assenza di perdite, si ottiene moltiplicando la portata in massa m˙ [kg/s] (prodotto della portata in volume V˙ [m3/s] per la massa volumica del fluido ρ [kg/m3]) per il lavoro massico interno li [J/kg] che le pale della girante immettono nel fluido; il lavoro massico li [J/kg = N⋅m/kg = (kg⋅m/s2)⋅m/kg = m2/s2] è a sua volta dato dal prodotto dell’accelerazione di gravità g [(m/s2)] per la prevalenza manometrica hu [m]. Per passare dalla potenza ideale alla potenza effettivamente assorbita dalla pompa occorre introdurre il rendimento del processo di conversione dell’energia rappresentato dal rendimento totale della pompa ηP; questo tiene conto delle perdite: 1) che si verificano nel trasmettere al fluido il lavoro proveniente dalle pale della turbopompa (rendimento idraulico);
15.1. – POMPE DINAMICHE
v22 2g Linea d
el caric
Linea p
o totale
iezome
1 z1
v
H
m
p2 gρ
hu
H2
trica
2
p1
Ψ =
gh n D2
>
Λ=
P ρ n3 D 5
>
1
2
ηP
0,9
ηP Pompa A Pompa B
Ψ 7 6
0,8 0,7 0,6
Ψ
5
0,8 Λ
4 3
0,6
Λ
2
0,4
1
0,2 0
0,05
0,1
0,15
0 0,2 Φ
Fig. 15.10 - Le turbopompe A e B, pur avendo diametri diversi della girante (rispettivamente 810 mm e 960 mm), appartengono alla stessa famiglia e quindi presentano gli stessi valori dei coefficienti adimensionali: le modeste differenze tra le due pompe (curva continua e curva tratteggiata) sono dovute agli errori che si commettono nel rilievo delle caratteristiche delle pompe. Per maggiori dettagli si consulti il Capitolo 8 del corso di Macchine idrauliche dello stesso Autore.
15.1 - I coefficienti adimensionali sono del tutto generali; vengono cioè utilizzati per tutte le turbomacchine siano esse idrauliche o termiche, operatrici oppure motrici. È per questo motivo che non
15-4
Al posto delle curve caratteristiche che davano prevalenza hu, rendimento ηP e potenza Pa in funzione della ⋅ portata V, abbiamo adesso delle altre curve caratteristiche, questa volta senza dimensioni, che legano tra loro i coefficienti adimensionali, che abbiamo appena introdotto e che rappresentano tutte le pompe appartenenti alla stessa famiglia. Se ad esempio conside⋅ riamo la relazione tra prevalenza hu e portata V, esi⋅ stono tante curve tra loro diverse hu = f (V ) quante sono le pompe della famiglia; qualora invece si consideri la relazione tra coefficiente di pressione Ψ e coefficiente di portata Φ, allora esiste un’unica curva Ψ = f (Φ ) che rappresenta tutte le pompe della stessa famiglia (Figura 15.10). Le prestazioni della pompa A possono venire utilizzate per predire le prestazioni della pompa fluidodinamicamente simile (omologa) B; per questo è opportuno evidenziare quali fattori (e ⋅ in che modo) condizionano i rapporti di portata V, prevalenza h e potenza P nel passare dalla pompa A alla pompa B. Se infatti per pompe della stessa famiglia, e in particolare per la pompa A e la pompa B, si
abbiamo ulteriormente precisato le diverse grandezze; così, ad esempio, il carico h può rappresentare la caduta utile sfruttata in una turbina oppure la prevalenza manometrica generata da una
pompa. La derivazione dei coefficienti adimensionali è riportata nel Capitolo 7 del corso di Macchine Idrauliche dello stesso Autore.
309
310
CAPITOLO 15. – MACCHINE IDRAULICHE
deve avere l’uguaglianza dei rendimenti (ηA = ηB) e dei coefficienti di portata (ΦA = ΦB ), di pressione (ΨA = ΨB ) e di potenza (ΛA = ΛB), possiamo ricavare, dalle espressioni citate sopra, le seguenti relazioni:
ΦA = ΦB
⇒
ΨA = ΨB
⇒
ΛA = ΛB
⇒
3 V˙B n D = B B nA DA V˙A
ghB = ghA
2
h B nB DB = hA nA DA 3
2
PB ρ n D = B B B PA ρ A nA DA
15-5 5
Queste relazioni ci consentono di prevedere l’effetto della variazione o del fluido (ρ), o della velocità (n) oppure infine delle dimensioni (D) di turbomacchine appartenenti alla stessa famiglia su portata V˙, prevalenza manometrica hu e potenza assorbita Pa. Si parla di leggi di affinità quando la valutazione viene fatta non più tra le due diverse pompe A e B appartenenti alla medesima famiglia ma all’interno della stessa pompa per condizioni di funzionamento diverse; come illustra l’Esempio 15.1, le leggi di affinità descrivono la variazione, a parità di fluido ( ρA = ρB), dei rapporti di portata, prevalenza e potenza (15-5) allorché: – viene mantenuto costante il diametro (DA = DB) al variare della velocità (nA ≠ nB) oppure – viene mantenuta costante la velocità (nA = nB ) al variare del diametro (DA ≠ DB). È pratica normale, da parte dei costruttori di turbomacchine, quella di confrontare le prestazioni di macchine appartenenti a famiglie diverse attraverso la rappresentazione grafica delle relative caratteristiche adimensionali. Per questo confronto sono necessari almeno due dei coefficienti adimensionali che abbiamo citato precedentemente; di solito si utilizzano il coefficiente di pressione Ψ e il coefficiente di portata Φ, funzioni ambedue della velocità n e del diametro D. In modo da potersi svincolare dalla presenza contemporanea di velocità e diametro, da tempo si preferisce far uso di altri due coefficienti adimensionali, la velocità specifica e il diametro specifico, derivati15.1 da Ψ e Φ in modo tale che l’uno sia indipendente dal diametro e l’altro sia indipendente dalla velocità. La velocità specifica ωs15.2 identifica la capacità della turbopompa a trattare portate V˙ più o meno grandi di fluido, relativamente a un determinato valore del lavoro massico gh sviluppato, in funzione della velocità angolare ω = 2πn, ma indipendentemente dal diametro D della girante:
ωs = ω
V˙ V˙ = 2π n 0 ,75 ( gh) ( gh) 0,75
15-6
dove il carico generico h è, nel caso di una turbopompa, rappresentato dalla prevalenza manometrica hu.
15.2 - La velocità specifica va valutata tramite la velocità angolare ω [rad/s] e non la velocità di rotazione n [giri/s], in quanto il radiante e non il giro è l’unità che deve essere impiegata per valutare l’angolo (Paragrafo 1.9). Qualora si volesse esprimere questo coeff iciente
come numero di giri caratteristico ns e non come velocità specifica ωs, basterebbe applicare l’abituale relazione tra velocità angolare ω e numero di giri n, ottenendo: ωs = 2πns ⇒ ns = ωs /(2π). In passato, soprattutto per le turbine idrauliche, veniva utilizzato il numero
di giri caratteristico nq, riferito alla velocità di rotazione misurata in giri/min; si passa dal numero di giri caratteristico alla velocità specifica con la relazione ωs = 0,0189 nq.
15.1. – POMPE DINAMICHE
Nel caso di pompe a più stadi (pluristadio) il valore del lavoro ghu, da utilizzare per calcolare la velocità specifica, è il lavoro riferito al singolo stadio. Per le pompe a doppio ingresso il calcolo della velocità specifica fa riferimento a metà della portata totale (V˙ / 2 ), sulla base del fatto che una girante a doppio ingresso equivale a due giranti a un solo ingresso disposte in parallelo (Figura 15.4 ). Il diametro specifico Ds è un coefficiente adimensionale che identifica la capacità di una turbopompa di scambiare più o meno lavoro gh con il fluido, in corrispondenza di una determinata portata V˙, in funzione del suo diametro D ma indipendentemente dalla velocità angolare ω della pompa: Ds = D
( gh) 0,25 V˙
15-7
Si sottolinea che il diametro specifico è un puro numero [m/m]: esso è cioè un coefficiente senza dimensioni come tutti gli altri coefficienti che abbiamo citato precedentemente. A ogni coppia di valori della velocità specifica ωs e del diametro specifico Ds corrisponde un determinato valore del rendimento della turbopompa: la Figura 15.11 mostra appunto un diagramma per turbopompe Ds–ωs (sviluppato da Balje), con evidenziate le zone di funzionamento tipiche delle pompe radiali, delle pompe a flusso misto e di quelle assiali. In molti casi l’obbiettivo principale per la scelta della turbopompa è quello di trovare la configurazione che offre il massimo rendimento. In tal caso è possibile una rappresentazione sem-
Ds 100 80 60 40 Linea a Ds ottimizzato 20
Ra dia
10 8
li
Flus
so m isto
6 4
Assiali
η=0
,9
2 0,8 0,7 0,6 1 0,8 0,6 0,4 0,04
0,06
0,1 0,08
0,2
0,4
0,6 0,8 1
2
4
6
8 10
20
40 ω s
Fig. 15.11 - Diagramma di Balje Ds–ωs per pompe a un solo stadio con curve di isorendimento idraulico; la linea a tratti si riferisce all’Esempio 15.2.
311
312
CAPITOLO 15. – MACCHINE IDRAULICHE
plificata tracciando il rendimento massimo in funzione della velocità specifica, così come mostrato nella Figura 15.12. Si fa cioè l’ipotesi che la macchina venga progettata in corrispondenza del valore ottimo del diametro specifico. Tale metodo si applica quando, pur essendo noti i parametri principali di progetto (prevalenza hu, portata V˙ e velocità di rotazione n, funzione del motore elettrico che fornisce la potenza alla turbopompa), manca tuttavia qualsiasi informazione sul tipo di macchina (a flusso radiale, a flusso misto oppure infine a flusso assiale), che risulta più adatto a soddisfare le prestazioni richieste. In questo caso la scelta della turbomacchina avviene per mezzo della velocità specifica valutata in corrispondenza delle condizioni di massimo rendimento, che abbiamo indicato con il nome di punto di progetto.
ηP 100 [%] 95 90 85 80 75 70
Pompe centrifughe
A flusso misto
65
A flusso assiale
60 0,2
0,3
0,4
0,6
0,8
1
2
3
4
5
6 ωs
Fig. 15.12 - Rendimento totale ηP in funzione di ωs per turbopompe.
La Figura 15.12 mostra anche profili di giranti per alcuni valori della velocità specifica. L’intervallo in cui cadono le pompe radiali è stato ulteriormente suddiviso in base a tre tipi di giranti; si passa progressivamente da un profilo piuttosto assottigliato, in corrispondenza della velocità specifica più bassa (ωs ≈ 0,2), alla girante radiale più larga (ωs ≈ 0,9). La linea tratteggiata superiore, inviluppo dei massimi dei rendimenti dei tre tipi di giranti radiale, a flusso misto e assiale, indica i valori probabili del rendimento nelle zone di confine. Le curve della Figura 15.12 non necessariamente rappresentano valori massimi assoluti del rendimento; tanto meno ci si può aspettare che qualsiasi pompa debba raggiungere un valore di rendimento tanto elevato, in quanto rendimenti di questo tipo sono relativi a pompe di grandi dimensioni, il cui progetto e la cui realizzazione sono stati condotti con cura particolare. Quando la velocità specifica ωs scende al di sotto di 0,2 (Figura 15.11), il rendimento della girante radiale diviene inferiore a 0,6. Si deve allora preferire una macchina multistadio (Figura 15.5), con un numero di stadi i determinato in modo tale da ottenere una velocità specifica ωs che cada nella zona di massimo rendimento per il tipo di girante adottato. Se, ad esempio, si vuole progettare una pompa centrifuga per una portata V˙ = 0,02 m 3 /s con una prevalenza
15.1. – POMPE DINAMICHE
hu = 100 m e una velocità di rotazione n = 24,167 giri/s (1450 giri/min), la velocità specifica calcolata con la 15-6
ω s = 2πn
0,02 m 3 /s V˙ , = 2 × π × 24 167 giri/s = 0,12 ( ghu ) 0,75 (9,81 m/s 2 × 100 m)0,75
risulta inferiore al limite di 0,2. Fissato un valore di ωs = 0,4, a cui corrisponde (Figura 15.11) un rendimento di 0,85, abbiamo che adesso ciascuno stadio i della pompa multistadio è in grado di sviluppare la prevalenza hu /i con la velocità specifica ωs V˙ V˙ 0,75 i = 0,4 = 2 π n ( ghu /i ) 0,75 ( ghu ) 0,75 mentre l’intera pompa fornisce tutta la prevalenza hu con la velocità specifica ωs,pompa:
ω s = 2πn
ω s , pompa = 2 π n
V˙ = 0,12 ( ghu ) 0,75
Dividendo, membro a membro, le due espressioni, otteniamo:
ωs ω s , pompa
= i 0,75 =
0,4 = 3,3 0,12
⇒
i = 3,31/ 0,75 = 4,91 ≈ 5
e la prevalenza per stadio vale ∆hu = hu /i = (100 m)/5 = 20 m di colonna d’acqua.
Esempio 15.1 Caratteristiche al variare di velocità e diametro Una pompa centrifuga, progettata per una velocità n = 30 giri/s (1800 giri/min) e una prevalenza hu = 60 m, manda una portata V˙ = 190 dm 3 /s, assorbendo una potenza Pa = 130 kW. Determinare i nuovi valori di portata V˙ , prevalenza h e potenza P, quando: a) la velocità passa da nA = 30 giri/s a nB = 20 giri/s (1200 giri/min), mentre il diametro della girante viene mantenuto fisso (D = 300 mm); b) il diametro della girante passa da DA = 300 mm a DB = 250 mm, mentre la velocità viene mantenuta costante (n = 30 giri/s). In questo caso si fa l’ipotesi che contemporaneamente vengano modificate le altre dimensioni caratteristiche della pompa, ad esempio la cassa, in modo tale che i rapporti tra dimensioni simili si conservino inalterati.
SOLUZIONE a) La valutazione viene fatta non tra due diverse pompe A e B appartenenti alla medesima famiglia, ma all’interno della stessa pompa al variare delle condizioni di operazione (la velocità n). Applichiamo allora le leggi di affinità espresse dalle equazioni 15-5, indicando con il pedice B la nuova condizione relativa alla nuova velocità nB, mentre il pedice A rimane a indicare la condizione iniziale in cui si trova la pompa. Le equazioni citate possono essere semplificate, in quanto il diametro della girante D rimane costante; occorre inoltre tener presente che, essendo il fluido trattato lo stesso (è sempre acqua), la massa volumica ρ non varia. 3 V˙B nB DB = nA DA V˙A
hB hA
2
n D = B B nA DA
⇒ 2
⇒
V˙B n = B ˙ n VA A hB hA
⇒
n = B nA
n 20 giri/s V˙B = V˙A B = 190 dm 3 /s = 126,7 dm 3 /s nA 30 giri/s
2
2
⇒
䉳
2
n 20 giri/s h B = hA B = 60 m = 26,7 m nA 30 giri/s
䉳
313
314
CAPITOLO 15. – MACCHINE IDRAULICHE
3 5 PB ρ n D = B B B PA ρ A nA DA
⇒
n 3 PB = B PA nA
3
3
n 20 giri/s PB = PA B = 130 kW = 38,5 kW nA 30 giri/s
⇒
䉳
b) In questo caso è il diametro della girante che varia passando dal valore originale DA al nuovo valore DB; la velocità n scompare nelle equazioni 15-5, in quanto rimane costante. 3 V˙B n D = B B nA DA V˙A
⇒
n 2 D 2 hB = B B hA nA DA 3 5 PB ρ B nB DB = PA ρ A nA DA
D 3 V˙B = B DA V˙A ⇒
⇒
⇒
D 2 hB = B hA DA 5 PB DB = PA DA
D 3 250 mm 3 3 V˙B = V˙A B = 190 dm 3 /s = 109,9 dm /s DA 300 mm ⇒
⇒
D 2 250 mm 2 h B = hA B = 60 m = 41,6 m DA 300 mm D 5 250 mm 5 PB = PA B = 130 kW = 52,2 kW DA 300 mm
䉳
䉳
䉳
COMMENTI Molti costruttori suggeriscono di adottare giranti diverse sulla stessa cassa oppure di tornire, anche pesantemente, la girante per adeguare la pompa a nuove prestazioni; allo stesso tempo si pretende di calcolare le prestazioni nella nuova configurazione, applicando le leggi di affinità. È evidente che così facendo si viola la similitudine geometrica che impone che il rapporto tra dimensioni simili sia uguale nelle due macchine; così, ad esempio, se si cambia la girante, occorre modificare anche la cassa in modo tale che il rapporto tra diametro della girante e dimensioni caratteristiche della cassa si conservi inalterato nel passare alla nuova pompa. In caso contrario, non si può parlare più di macchine appartenenti alla stessa famiglia.
Esempio 15.2 Scelta di una turbopompa Si prenda come riferimento una pompa centrifuga che ha una velocità di rotazione n = 11,8 giri/s (710 giri/min) e un diametro D = 960 mm e che, nel punto di progetto – dove il rendimento ηP è massimo e vale 0,88 – ha i seguenti dati: V˙ = 1, 25 m 3 /s, hu = 66 m, Pa = 950 kW, Φ = 0,12, Ψ = 5, Λ = 0,7. Si vuole utilizzare una pompa della stessa famiglia per mandare una portata d’acqua V˙ = 5, 22 m 3 /s con una prevalenza manometrica h u = 7,5 m. Si chiede di: a) calcolare velocità specifica ωs e diametro specifico Ds della pompa centrifuga di riferimento; b) calcolare diametro della girante D, velocità di rotazione n e potenza assorbita Pa della nuova pompa nelle condizioni di massimo rendimento; c) studiare, nel caso che la soluzione precedente non sia adeguata, un’altra soluzione tale da soddisfare le richieste di portata e di prevalenza della nuova pompa.
SOLUZIONE a) La velocità specifica ωs della pompa di riferimento viene calcolata con l’equazione 15-6. Il diametro specifico Ds si ottiene con l’equazione 15-7:
ω s = 2π n
1,25 m 3 /s V˙ = 2 × π × 1 1,8 giri/s = 0,65 ( gh)0,75 (9,81 m/s 2 × 66 m)0,75
Ds = D
( gh)0,25 (9,81 m/s 2 × 66 m)0,25 = 0,96 m = 4,3 1,25 m 3 /s V˙
䉳 䉳
15.1. – POMPE DINAMICHE
b) La velocità di rotazione n e il diametro della girante D della nuova pompa si deducono dai valori della velocità specifica ωs e del diametro specifico Ds della pompa di riferimento. Abbiamo detto infatti che la nuova pompa dovrebbe appartenere alla stessa famiglia della pompa di riferimento ed è calcolata per le condizioni di massimo rendimento. Poniamo quindi nelle espressioni della velocità specifica e del diametro specifico ωs = 0,65 e Ds = 4,3 mentre i valori della portata V˙ e della prevalenza h u sono quelli della nuova pompa.
ω s = 2π n
n=
V˙ ( gh)0,75
⇒
n=
ω s ( gh)0,75 2π V˙
0,65 (9,81 m/s 2 × 7,5 m)0,75 = 1,14 giri/s 2×π 5,22 m 3 /s
Ds = D
D = 4,3
( gh)0,25 V˙
⇒
D = Ds
䉳
V˙ ( gh)0,25
5,22 m 3 /s = 3,354 m (9,81 m/s 2 × 7,5 m)0,25
䉳
La potenza assorbita si ricava dalla definizione del coefficiente di potenza prendendo per Λ il valore di 0,7 ottenuto per la pompa di riferimento:
Λ =
Pa ρn 3 D 5
⇒
Pa = Λgn 3 D 5 = 0,7 × 1000 kg/m 3 × (11 , giri/s)3 × (3,354 m )5 = 395.449 W = 395,4 kW
䉳
La nuova pompa dovrebbe quindi avere una velocità di rotazione pari a 1,14 giri/s (68,4 giri/min) e un diametro di 3354 mm. È una soluzione, anche se matematicamente corretta, piuttosto grottesca: abbiamo infatti una girante enorme di quasi 3,5 metri di diametro che ruota a una velocità talmente bassa da poter essere seguita con l’occhio nelle sue evoluzioni. c) A causa dell’elevata portata e della bassa prevalenza la nuova pompa rientra nel campo delle pompe assiali. Leggiamo allora sul diagramma di Balje della Figura 15.11 (linea a tratti) un valore della velocità specifica e del diametro specifico tali da poter mantenere un buon rendimento anche per una pompa assiale: scegliamo ωs = 4 e Ds = 2 nella regione con rendimento compreso tra 0,8 e 0,9. Ricaviamo prima n dall’espressione 15-6 di ωs e poi D dall’espressione 15-7 di Ds: n=
ω s ( gh)0,75 4 (9,81 m/s2 × 7,5 m)0,75 = = 7 giri/s 2π 2×π 5,22 m 3 /s V˙
D = Ds
5,22 m 3 /s V˙ = 2 = 1,56 m ( gh)0,25 (9,81 m/s2 × 7,5 m)0,25
䉳
La potenza assorbita si ottiene con la 15-2, dove, come rendimento totale della pompa ηP , prendiamo 0,82. Pa =
5,22 m 3 /s × 1000 kg/m 3 × 9,81 m/s 2 × 7,5 m V˙ρghu = = 468.368 W = 468,4 kW ηP 0,82
䉳
COMMENTI 1. La pompa di riferimento ha una velocità specifica ωs = 0,65 e un diametro specifico Ds = 4,3. Andando a leggere in corrispondenza di questi due numeri il diagramma della Figura 15-11, si vede che la regione individuata è quella delle pompe centrifughe con un redimento compreso tra 0,85 e 0,9. 2. Accontentandosi di un valore più basso del rendimento (0,8), si poteva, in corrispondenza della stessa velocità specifica ωs = 4, scegliere per la nuova pompa (Figura 15.11) un valore del diametro
315
316
CAPITOLO 15. – MACCHINE IDRAULICHE
specifico più basso (Ds ≈ 1,6 al posto di 2). Il diametro della girante sarebbe così risultato inferiore (D = 1,25 m invece di 1,56 m), con notevoli semplificazioni costruttive. Si presti attenzione al fatto che le scale delle ordinate e delle ascisse della Figura 15-11 sono logaritmiche.
15. 2
VENTILATORI I ventilatori sono macchine che hanno la funzione di accelerare un gas (di solito l’aria) e di superare eventuali perdite di carico del condotto mediante un incremento di pressione che, essendo estremamente modesto, rende trascurabile la variazione di massa volumica ρ del gas; il gas può perciò essere ancora considerato incomprimibile come avviene per un liquido. Applicazioni tipiche sono rappresentate da ventilatori prementi (per l’aria) e aspiranti (per i fumi) nei generatori di vapore degli impianti termoelettrici e da quelli usati per il riscaldamento e per il raffreddamento negli impianti di condizionamento dell’aria. Gli elementi essenziali dei ventilatori, qui
1 2
4 5
3
4
1 2
3
4
1 2
Fig. 15.13 - Configurazioni diverse di ventilatore a flusso assiale (Voith): 1. mozzo della girante; 2. pale; 3. cuscinetti; 4. alloggiamento dei cuscinetti; 5. motore elettrico alloggiato nel mozzo.
15.2. – VENTILATORI
considerati, sono quelli comuni a tutte le turbomacchine e precisamente (Figura 15.13): un rotore, consistente nell’albero e nella girante, per produrre il flusso di gas e una parte fissa, lo statore, consistente nella cassa a spirale, nelle tenute e nei cuscinetti, in modo da guidare il flusso verso la girante e poi facilitarne l’uscita. La potenza assorbita dal ventilatore viene espressa con una formula analoga a quella impiegata per le turbopompe (15-2): V˙ρghu 15-8 Pa = ηV dove ηV è il rendimento totale del ventilatore, mentre la portata in volume V˙ , la massa volumica ρ e la prevalenza manometrica hu sono riferite al fluido trattato dal ventilatore. In particolare h u [m di colonna di fluido] è ancora espressa dalla 15-1, dove però si può adesso trascurare la variazione di quota ∆z = z2 – z1, che dà un contributo estremamente modesto rispetto alla variazione di pressione ∆p poiché la massa volumica di un gas è circa 1000 volte inferiore a quella di un liquido: hu =
p2 − p1 v22 − v12 + ρg 2g
15-9
Il termine contenente la variazione di pressione viene chiamato prevalenza statica hstat , mentre quello relativo alla variazione di energia cinetica è la prevalenza dinamica hdinam; in questo termine, di solito la velocità iniziale v1 viene posta uguale a zero perché trascurabile.
Esempio 15.3 Prevalenza del ventilatore La camera di combustione di un generatore di vapore deve essere alimentata con una portata d’aria V˙1 = 3,5 m 3 /s sotto un salto di pressione ∆p = 125 mm di colonna d’acqua. L’aria, che ha massa volumica 1,225 kg/m3 (alla pressione atmosferica p1 = 101,3 kPa e alla temperatura di 15 °C), entra nella bocca di aspirazione di un ventilatore, che ha rendimento ηV = 0,85, con velocità praticamente trascurabile (v1 ≈ 0 m/s) ed esce dalla bocca di mandata con v2 = 30 m/s. Determinare: a) prevalenza statica hstat , prevalenza dinamica hdinam e prevalenza complessiva hu misurate in metri di colonna di fluido; b) potenza Pa assorbita dal ventilatore.
SOLUZIONE a) È assegnata una prevalenza statica hstat = 125 mm = 0,125 m di colonna d’acqua. Per convertirla in metri di colonna di fluido, occorre moltiplicare per il rapporto tra le masse volumiche ρH O /ρaria. Infatti si può scrivere: 2
∆p = ρH O ghH O 2
2
h stat, aria = h H O 2
ρH O 2
ρ aria
e
∆p = ρaria gharia
ρH O ghH O = ρaria gharia
⇒
2
2
3
= 0,125 m di H 2O
1000 kg/m = 102 m di colonna d’aria 1,225 kg/m 3
䉳
La prevalenza dinamica hdinam è data da: hdinam =
(30 m/s)2 − (0 m/s)2 v22 − v12 = = 46 m di colonna d’aria 2g 2 × 9,81 m/s 2
La prevalenza complessiva è allora: hu = hstat + hdinam = 102 m + 46 m = 148 m di colonna d’aria b) La potenza assorbita dal ventilatore si ricava con la 15-8 3,5 m 3 /s × 1,225 kg/m 3 × 9,81 m/s 2 × 148 m V˙ ρ gh Pa = aria aria aria = = 7323 W = 7,3 kW. ηV 0,85
䉳
䉳
317
318
CAPITOLO 15. – MACCHINE IDRAULICHE
15. 3
POMPE VOLUMETRICHE Vi sono essenzialmente due tipi di pompe volumetriche caratterizzate dalla forma dell’elemento mobile e dal suo movimento: le pompe alternative a stantuffo quando l’elemento mobile che determina la formazione della cavità è uno stantuffo che scorre, con moto alterno, all’interno di un cilindro (Figura 15.14) e le pompe rotative, contraddistinte da elementi dotati di moto rotatorio (Figura 15.15).
a
Collettore di mandata
Testata di compressione
Albero a gomiti
Valvola a sfera (mandata)
Stantuffo pompante Valvola a sfera (aspirazione)
Stantuffo a guida Biella
Collettore di aspirazione
b
Fig. 15.14 - Schema di funzionamento di una pompa volumetrica alternativa (Soavi): 䡵 a) Fase di aspirazione: durante la corsa verso destra, lo stantuffo determina una depressione all’interno del cilindro, che fa aprire la valvola automatica (in basso) collegata con il condotto di aspirazione e che richiama il liquido nella cavità, cavità il cui volume aumenta progressivamente mano a mano che lo stantuffo si ritira; 䡵 b) Fase di mandata: durante la corsa dello stantuffo verso sinistra, l’aumento della pressione provoca dapprima la chiusura della valvola di aspirazione, intercettando così il liquido all’interno della cavità; l’ulteriore corsa verso sinistra dello stantuffo determina dapprima l’aumento della pressione del liquido, a causa della diminuzione della cavità in cui è stato intercettato il liquido, e successivamente l’apertura della valvola automatica di mandata (in alto), con trasferimento del liquido alla tubazione di mandata.
15.4. – ACCOPPIAMENTO MACCHINA OPERATRICE E SISTEMA
M
L
ωp
ωp
M1 A
M2
C
Fig. 15.15-a - Pompa a lobi con indicati: alloggiamento (C ) dei lobi (L), alberi di trasmissione del moto (M1 e M2), collegamenti con il condotto di aspirazione (A) e di mandata (M), velocità angolare della pompa ωP .
Fig. 15.15-b - Pompa a vite (Mannesmann Rexroth).
Le pompe a stantuffo sono costituite da uno stantuffo (o pistone), che, scorrendo all’interno di un cilindro di diametro D (detto alesaggio), alternativamente aspira e comprime il liquido. Il volume della camera è variabile in funzione della corsa C dello stantuffo. La valvola di aspirazione si apre nella fase in cui lo stantuffo si sposta verso destra: quando il volume della camera aumenta, si crea una depressione che fa aprire la valvola e richiama il liquido proveniente dal condotto di aspirazione. La valvola di mandata si apre nella fase in cui lo stantuffo si sposta verso sinistra: quando il volume della camera diminuisce, sale la pressione nel liquido, determinando la chiusura della valvola di aspirazione e l’apertura della valvola di mandata che viene tarata perché si apra a una determinata pressione. In questo caso le valvole sono automatiche perché si aprono e si chiudono in funzione della pressione che esiste nel liquido. Altre volte le valvole sono comandate, sono cioè azionate direttamente da parti mobili che assorbono potenza dal motore primo che trascina la pompa, in tal caso la regolazione della pressione di mandata è ottenuta variando la legge di apertura delle valvole. Nei casi in cui vengano richieste alte pressioni (fino a 130 MPa) e/o il trattamento di acque non limpide, lo stantuffo è tuffante, è cioè massiccio e totalmente immerso nel liquido; le tenute sono realizzate sulla parte fissa con il notevole vantaggio che possono essere successivamente registrate, anche a macchina in moto, per riprendere i giochi provocati dalle usure.
La potenza assorbita dalla pompa a stantuffo Pa è ancora espressa dalla 15-2 oppure, meglio, da:
Pa =
V˙∆p ηP
15-10
in quanto l’aumento di pressione ∆p estremamente elevato che viene ottenuto con queste pompe fa passare in secondo piano gli altri termini, legati alle variazioni di quota e velocità, presenti ⋅ nella prevalenza manometrica hu (15-1). A pari potenza assorbita, la portata V mandata dalla pompa varia in modo inversamente proporzionale all’aumento di pressione: V˙ ~ Pa /∆p. Perciò, qualora si voglia aumentare la portata, per una data potenza fornita dal motore elettrico che aziona la pompa, occorre rinunciare a parte dell’aumento della pressione disponibile con quel dato modello di pompa. Viceversa, qualora si vogliano raggiungere pressioni molto elevate, occorre per una data potenza disponibile, lavorare con portate molto basse.
15. 4
ACCOPPIAMENTO MACCHINA OPERATRICE E SISTEMA 15. 4. 1 Punto di funzionamento Si consideri un sistema di tubazioni che collega due bacini di un impianto del tipo di quello illustrato nella Figura 15.8-b; si voglia spostare l’acqua con una pompa avente la prevalenza manometrica hu. Per far ciò è necessario vincere la prevalenza del sistema hs in cui è inserita la
319
CAPITOLO 15. – MACCHINE IDRAULICHE
pompa, rappresentata dal dislivello tra i due bacini ∆z = zm – zv , detta componente staCaratteristica del sistema tica di hs, e dalle perdite di carico dell’impianto che, aumentando con il quadrato della velocità dell’acqua ⋅ v (14-15 e 14-16) e quindi della portata V (14-6), rappresenComponente dinamica f (V˙ 2) tano la componente dinamica di hs. L’inPunto di funzionamento tersezione tra la curva caratteristica della pompa hu e la curva caratteristica del sistema hs in funzione della portata V˙ (Figura Componente statica 15.16) individua il punto di funzionamento Caratteristica z m – zv della pompa (hu = hs ), dove la pompa nel suo funzionamento si stabilisce automaticamente in quanto questo punto appartiene sia alla Portata V˙ pompa che al sistema. La ricerca del miglior accoppiamento tra pompa e sistema consiFig. 15.16 - Caratteristiche di una turbopompa (centrifuga) e del sistema. ste appunto nello scegliere la pompa adatta a operare in unione con un dato sistema, in modo tale da mandare la portata richiesta nelle condizioni, le più vicine possibili, a quelle di massimo rendimento. Prevalenza h
Quando la pompa presente nel sistema idraulico è una turbopompa, la variazione della posizione del punto di funzionamento può essere ottenuta attraverso: – la variazione della velocità di rotazione n: nella Figura 15.17-a si vede che nel passare da un valore basso della velocità di rotazione (0,8 n) a un valore alto (1,2 n) la caratteristica della pompa si sposta e di conseguenza si modifica anche il punto di funzionamento15.3; – il cambiamento del diametro della girante D, secondo quanto illustrato nella Figura 15.17-b15.3;
a
b V˙ ~ n D = Costante hs ~ n 2
V˙ ~ D 3 n = Costante hs ~ D 2
Caratteristica del sistema
Caratteristica del sistema
n
A3 A2
0,8 n
Prevalenza h
1,2 n Prevalenza h
320
B3 B2 1,1 D
B1
A1
D
0,9 D Portata V˙
Portata V˙
Fig. 15.17 - 䡵 a) Spostamento del punto di funzionamento da A1 ad A3 sulla curva hs del sistema a seguito dell’aumento della velocità di rotazione di una turbopompa da 0,8 n a 1,2 n, mantenendo invariato il diametro D della girante. 䡵 b) Spostamento del punto di funzionamento da B1 a B3 sulla curva caratteristica hs del sistema a seguito dell’aumento del diametro D della girante da 0,9 D a 1,1 D, mantenendo invariata la velocità di rotazione n della turbopompa.
15.3 - Il procedimento che consente di valutare l’effetto della variazione della
velocità di rotazione n, a parità di diametro della girante D, oppure del dia-
metro, a parità di velocità di rotazione, è stato illustrato nell’Esempio 15.1.
15.4. – ACCOPPIAMENTO MACCHINA OPERATRICE E SISTEMA
– la variazione della curva caratteristica del sistema facendo aumentare o diminuire le resistenze dell’impianto (Figura 15.18) attraverso, ad esempio, l’apertura o la chiusura di una saracinesca oppure infine il cambiamento del diametro delle tubazioni, in occasione di lavori di modifica o a seguito di incrostazioni.
Prevalenza h
C3 C2 C1
La variazione del punto di funzionamento può essere ottenuta anche in esercizio, quando siano cambiate le esigenze del servizio che la pompa deve prestare (è il problema della regolazione). ˙ Portata V Il metodo più semplice sarebbe quello di far variare la velocità di rotazione n (Figura Fig. 15.18 - Spostamento del punto di funzionamento da C1 a C3 sulla 15.17 ). Ciò è possibile soltanto quando la curva caratterista hu = f (V˙ ) della pompa a seguito dell’aumento dello strozzamento sulla saracinesca di mandata. pompa è comandata da un motore elettrico a corrente continua (soluzione non molto frequente) oppure da un motore a combustione interna (zone isolate in cui non esiste un collegamento con la rete elettrica di distribuzione). Di solito però la pompa è azionata da un motore elettrico con velocità non regolabile (motori elettrici in corrente alternata trifase). Il metodo di regolazione più seguito è quello di far variare la caratteristica del sistema (Figura 15.18); tale metodo mentre non presenta inconvenienti per le pompe centrifughe, deve essere applicato con cautela alle pompe assiali, in cui, per la diversa caratteristica del sistema, si corre il rischio di assorbire una potenza maggiore e quindi di sovraccaricare il motore elettrico. Curva caratteristica hu = f (V˙ ) della pompa
Alcune volte può essere necessario utilizzare più pompe collegate in parallelo oppure in serie (Figura 15.19). Le pompe operano in parallelo quando ciascuna pompa elabora parte della portata in quanto sia gli ingressi che le uscite delle pompe sono collegati. In questo modo la portata totale elaborata dal sistema è uguale alla somma delle portate che passano attraverso a ognuna delle pompe sotto una data prevalenza, che è la stessa per ciascuna delle pompe. Per
˙ V/2 ˙ V/2
Caratteristica pompe singole ˙ V/2
V˙
V˙
Caratteristica pompe in serie
Prevalenza h
Prevalenza h
V˙
˙ V/2
V˙
V˙
Caratteristica pompe singole h2 = h1 Caratteristica del sistema
Caratteristica in parallelo
Caratteristica del sistema
h1
Portata V˙
Fig. 15.19-a - Operazione in parallelo di due turbopompe uguali.
Portata V˙
Fig. 15.19-b - Operazione in serie di due turbopompe uguali.
321
322
CAPITOLO 15. – MACCHINE IDRAULICHE
motivi economici è opportuno scegliere pompe dello stesso tipo e della stessa grandezza (Figura 15.19-a). Le pompe operano in serie quando l’ingresso della seconda pompa è collegato all’uscita della prima pompa in modo tale che la stessa portata passa attraverso le due pompe. In questo modo le prevalenze, generate dalle due pompe, vengono sommate l’una all’altra in corrispondenza di una data portata (Figura 15.19-b).
Esempio 15.4 Due pompe uguali poste in parallelo e in serie Si vuole pompare acqua da un bacino a un altro, situato ∆z = 2 m più in alto, attraverso una tubazione in cui le perdite di carico complessive sono rappresentate dalla funzione 200 V˙ 2, dove V˙ è la portata misurata in m3/s. Si ha a disposizione una pompa assiale, la cui caratteristica è descritta nella tabella che segue: V˙
[m3/s]
0,0
0,02
0,04
0,06
0,08
0,10
0,12
0,14
0,16
0,18
hu
[m]
5,6
4,75
4,2
4,3
4,3
3,75
3,25
2,3
1,25
0,0
Determinare la portata V˙ nel punto di funzionamento per i seguenti casi: a) pompa singola; b) due pompe (ciascuna uguale a quella assegnata) poste in parallelo; c) due pompe (ciascuna uguale a quella assegnata) poste in serie.
SOLUZIONE ⋅ a) Calcoliamo, alle diverse portate V˙, i corrispondenti valori hs = 2 + 200 V 2 della resistenza del sistema: V˙ [m3/s]
0,0
0,02
0,04
0,06
0,08
0,10
0,12
0,14
0,16
0,18
[m]
2,0
2,08
2,32
2,72
3,28
4,0
4,9
5,9
7,1
8,5
hs
Tracciamo quindi Figura 15.20 la caratteristica della pompa singola e quella del sistema; l’intersezione delle due curve permette di ricavare il punto di funzionamento. In corrispondenza leggiamo la portata nel caso di utilizzo della pompa da sola:
V˙singola = 0,1 m 3 /s
䉳
b) Quando le due pompe sono poste in parallelo, la prevalenza della pompa rimane la stessa, mentre la portata della pompa singola viene moltiplicata per due, in quanto le due pompe sono uguali. La caratteristica delle due pompe poste in parallelo è allora data da: V˙ [m3/s]
0,0
0,04
0,08
0,12
0,16
0,20
0,24
0,28
0,32
0,36
[m]
5,6
4,75
4,2
4,3
4,3
3,75
3,25
2,3
1,25
0,0
hu
L’intersezione (Figura 15.20) di questa caratteristica con la curva del sistema, che avevamo già calcolato, avviene a una portata V˙parallelo = 0,11 m 3 /s
䉳
15.4. – ACCOPPIAMENTO MACCHINA OPERATRICE E SISTEMA
10
Nuova caratteristica Caratteristica del sistema hs
Prevalenza h [m]
8
6
Pompe in serie 2hu
4 Pompe in parallelo 2V· 2
Pompa singola hu 0
0,1
0,2 Portata V˙ [m 3 /s]
0,3
0,4
Fig. 15.20 - Caratteristiche della pompa assiale relative alle diverse configurazioni trattate nell’Esempio. La curva a tratti rappresenta una nuova caratteristica del sistema citata nei commenti dell’Esempio 15.4.
c) Se le due pompe sono in serie, la portata rimane invariata, mentre la prevalenza viene moltiplicata per due, poiché le due pompe sono uguali. La caratteristica delle due pompe poste in serie è data da: V˙ [m3/s]
0,0
0,02
0,04
0,06
0,08
0,10
0,12
0,14
0,16
0,18
[m]
11,2
9,5
8,4
8,6
8,6
7,5
6,5
4,6
2,5
0,0
hu
L’intersezione (Figura 15.20) di questa caratteristica con la curva del sistema avviene a una portata V˙serie = 0,13 m 3 /s
䉳
COMMENTI Se la caratteristica della tubazione partisse da ∆z = 5,6 m, anziché dal valore 2 assegnato, né la pompa singola né le due pompe in parallelo sarebbero in grado di spostare la portata d’acqua richiesta dal bacino inferiore a quello superiore. In questo caso infatti la caratteristica del sistema hs = 5,6 + 200 V˙ 2 (curva a tratti di Figura 15.20), sarebbe tutta al di sopra delle due caratteristiche citate. Soltanto con le due pompe collegate in serie si potrebbe trasferire l’acqua tra i due bacini.
Esempio 15.5 Punto di funzionamento di un ventilatore Nella tabella che segue sono riportate le curve caratteristiche in termini di portata V˙, prevalenza h u e rendimento ηV di un ventilatore centrifugo. Si chiede di: a) tracciare i dati su un diagramma; b) calcolare e tracciare la curva della potenza assorbita Pa ; c) determinare il punto di funzionamento e il corrispondente valore della potenza assorbita, qualora la resistenza del sistema sia di 100 mm di colonna d’acqua alla portata di 40 m3/s.
323
324
CAPITOLO 15. – MACCHINE IDRAULICHE
V˙
[m3/s]
0
hu
[mm di H2O]
85 0
ηV
10
20
30
40
50
60
70
92,5
95
90
80
65
47,5
25
0,46
0,66
0,7
0,67
0,6
0,48
0,32
SOLUZIONE a) Nel diagramma di Figura 15.21 sono rappresentate le curve che corrispondono ai dati assegnati. b) La potenza assorbita dal ventilatore si ricava con la 15-8, nella quale si è posta, tra parentesi rotonde, la parte relativa alla pressione, che viene calcolata facendo riferimento alla prevalenza assegnata misurata in mm di colonna d’acqua ρH O ghH O. 2
2
Pa =
V˙aria ( ρH O gh H O ) 2
2
ηV
Come esempio calcoliamo la potenza assorbita alla portata di 10 m3/s. Pa =
10 m 3 /s (1000 kg/m 3 × 9,81 m/s 2 × 0,0925 m) = 19,7 kW 0,46
䉳
∆p [kPa] 1 hu
h [mm H2O]
Punto di funzionamento
90 0,8
80
ηV ηV
70
0,7 Pa [kW]
0,6
Pa
60
0,6
60
0,5
50
40
0,4
40
30
0,3
30
20
0,2
20
10
0,1
10
50 hs 0,4
0,2
0
0 0
10
20
30
40
50
60
70
0 80
0
Fig. 15.21 - Prestazioni del ventilatore e caratteristica del sistema relativi all’Esempio 15.5. A differenza di quanto avviene per l’impianto in cui è inserita la pompa, qui la caratteristica del sistema hs parte da zero poiché per un ventilatore il contributo della variazione di quota ∆z = z2 – z1 è trascurabile, così come spiegato nel Paragrafo 15.2.
15.4. – ACCOPPIAMENTO MACCHINA OPERATRICE E SISTEMA
I dati completi, riassunti nella tabella sottostante, vengono quindi tracciati nella Figura 15.21. V˙
[m3/s]
0
10
20
30
40
50
Pa
[kW]
0
19,7
28,2
37,8
46,8
53,1
60
70
58,2
53,6
c) È assegnata la resistenza del sistema pari a 100 mm di colonna d’acqua nel punto con portata di 40 m3/s di aria. Dal momento che la caratteristica di un ventilatore è una parabola passante per l’origine (Figura 15.21) possiamo determinare l’equazione della parabola che rappresenta la caratteristica hs del sistema in cui è inserito il ventilatore. hs = KV˙ 2 K =
⇒
100 mm di H 2O = K (40 m 3 /s)2
⇒
100 mm di H 2O mm di colonna d’acqua = 0,0625 (40 m 3 /s)2 (m 3 /s)2 hs = 0,0625 V˙ 2
L’intersezione della parabola, data da questa equazione, con la curva hu = f (V˙ ) determina il punto di funzionamento (Figura 15.21). Il punto di funzionamento è allora caratterizzato da: V˙ = 36,7 m 3 /s
hu = 84,2 mm d’acqua
ηV = 0,69
e la potenza risulta: Pa =
36,7 m 3 /s × 1000 kg/m 3 × 9,81 m/s 2 × 0,0842 m = 43,9 kW 0,69
䉳
mentre sul diagramma si legge una potenza Pa ≈ 44 kW.
15. 4. 2 Cavitazione L’altezza di aspirazione di una pompa è limitata dalla impossibilità fisica di raggiungere pressioni assolute negative, e cioè al di sotto di zero, alla bocca di aspirazione; non è infatti possibile raggiungere pressioni assolute negative in quanto si può al massimo arrivare ad estrarre tutte le particelle del fluido dal recipiente (pressione assoluta uguale a zero), realizzando il vuoto perfetto. Nel caso di una pompa per acqua, al pelo libero del bacino posto a valle, esiste la pressione atmosferica (10,33 m di colonna d’acqua secondo quanto calcolato nel Paragrafo 14.2); l’altezza di aspirazione za, evidenziata nella Figura 15.8-a, deve perciò essere inferiore a 10,33 m. Ma il valore di 10,33 m è un valore teorico. In realtà la presenza delle perdite di carico Ya , relative al condotto di aspirazione, fa sì che, all’altezza di 10,33 m, vada sottratto Ya: la pompa deve cioè trovarsi a un’altezza, rispetto al pelo libero del serbatoio sottostante, inferiore alla quota teorica di 10,33 m. Si può evitare tale problema ponendo la pompa al di sotto del serbatoio da cui aspira il liquido (Figura 15.22) oppure, laddove il costo dell’impianto sotto battente sia rilevante, con pompe sommerse (Figura 15.5-c). Nel caso dell’impianto funzionante in aspirazione (Figura 15.8-a), allorché la pressione assoluta diviene uguale o inferiore al valore della tensione di vapore del liquido a quella data temperatura, si formano delle piccole bolle di vapore accompagnate da ebollizione. Dal momento che normalmente i liquidi trasportano dell’aria disciolta, l’abbassarsi della pressione fino a un valore prossimo a quello della tensione di vapore porta dapprima a liberare l’aria disciolta nel liquido e successivamente alla vaporizzazione del liquido stesso. Le bolle di vapore, insieme all’aria, vengono poi trascinate dalla corrente; se le bolle arrivano in zone a pressione più elevata della tensione di vapore, allora si verifica il collasso delle bolle: è il fenomeno della cavitazione. In tempi molto brevi si formano le bolle, aumentano di dimensione e infine collassano, producendo onde
325
326
CAPITOLO 15. – MACCHINE IDRAULICHE
di pressione di alta intensità seguite dalla formazione di nuove bolle. Tra un ciclo e il ciclo successivo trascorrono soltanto pochi millisecondi: le particelle di liquido colpiscono con estrema violenza le pareti della macchina, dando luogo ad aumenti locali di pressione e di temperatura enormi (fino a 400 MPa e 800 °C) accompagnati da sollecitazioni meccaniche talmente alte da provocare prima l’erosione e quindi la rottura del materiale (Figura 15.23).
m
hg zp zm
Un parametro quasi universalmente utilizzato per definire la tendenza alla cavitazione di una pompa è rappresentato dall’altezza netta positiva di aspirazione NPSH (dall’ingle se Net Po si tive Suction Head) che misura, in metri, l’altezza che occorre rispettare per impedire l’insorgere della cavitazione nel liquido. In tutto l’impianto è infatti il lato in aspirazione della pompa all’ingresso della zona palettata quello in cui (Figura 15.23) si raggiunge la massima depressione: è qui che nasce la cavitazione. Il parametro NPSHdisp rappresenta l’energia disponibile alla flangia di aspirazione della pompa, rilevata dalla differenza della pressione assoluta alla flangia di aspirazione della pompa (riferita ad una data portata) e la pressione assoluta del vapore del liquido trattato alla temperatura di esercizio; per il teorema di Bernoulli15.4, esso si esprime con:
v
zv
za
z1
z2
Fig. 15.22 - Schema di sistemazione di pompa sotto battente in modo da evitare inconvenienti provocati dal rilascio di bolle di vapore dal liquido.
NPSH disp =
a
p serb − pvap − z a − Ya ρg
15-11
b
Fig. 15.23 - Elementi di macchina danneggiati dalla cavitazione (Voith): 䡵 a) girante di turbina Francis; 䡵 b) distributore di una pompa-turbina. Sul dorso delle pale rotoriche la velocità del liquido aumenta e corrispondentemente la pressione – per il teorema di Bernoulli – diminuisce, causando la formazione di bolle che, portandosi poi in zone a più alta pressione, collassano provocando l’erosione della superficie con cui vengono a contatto.
15.4 - Per una trattazione più approfondita della cavitazione si rimanda ai Paragrafi 10.4 e 13.11 del testo di Macchine idrauliche dello stesso Autore.
15.4. – ACCOPPIAMENTO MACCHINA OPERATRICE E SISTEMA
Linea c
arichi to tali Linea pie zometric a
Ya 2 ving
ping
ρg
p serb ρg
NPSH
2g
pvap
ρg
za patm
pserb Linea di riferimento
Fig. 15.24 - Elementi del circuito idraulico che intervengono nella definizione dell’altezza netta positiva di aspirazione NPSHdisp.
dove (Figura 15.24):
Altezza della colonna d’acqua equivalente alla tensione di vapore [m]
10
8
6
4
2
0
20
40
60
80
100
pserb è la pressione assoluta che agisce sul pelo libero del serbatoio da cui aspira la pompa; pvap è la pressione assoluta del vapore (tensione di vapore) del liquido trattato dalla pompa ed esprime il contributo del liquido a formare, alle diverse temperature, il vapore che dà luogo alla cavitazione (Figura 15.25); ρ è la massa volumica del fluido, valutata nelle condizioni di temperatura in cui lavora la pompa; za è l’altezza di aspirazione della pompa; Ya è la perdita di carico complessiva (continua più locale) nel tratto in aspirazione della pompa.
Temperatura [°C]
Il parametro NPSHrich, richiesto dalla pompa, equivale invece alla caduta di pressione tra la flangia di Fig. 15.25 - Variazione della tensione di vapore dell’acqua in funzione della temperatura. aspirazione della pompa e il punto di minor pressione nella zona di ingresso della palettatura, più l’altezza cinetica relativa alla velocità del liquido alla bocca aspirante della pompa. Per un regolare funzionamento della pompa occorre che la pressione del liquido nel punto di massima depressione all’ingresso della zona palettata sia superiore a quella della tensione di vapore; ciò equivale a scrivere NPSHdisp ⭓ NPSHrich. Nel caso in cui sul pelo libero del liquido contenuto nel serbatoio sia presente la pressione atmosferica patm, allora la pressione nel serbatoio pserb viene sostituita, nella 15-11, da patm: NPSH disp =
patm − pvap − z a − Ya ρg
15-12
327
328
CAPITOLO 15. – MACCHINE IDRAULICHE
che, per l’acqua, può essere approssimata da:
NPSH disp = 10 [m] −
pvap − z a − Ya ρg
15-12′
dove 10 m rappresenta l’altezza della colonna d’acqua patm /( ρ g) corrispondente alla pressione atmosferica.
Esempio 15.6 Pompa che aspira da un bacino Una turbopompa aspira acqua da un serbatoio soggetto alla pressione assoluta di 101,32 kPs (è la pressione atmosferica); alla portata trattata dalla pompa il costruttore fornisce un valore NPSHrich = 12 m. Se la perdita di carico Ya tra serbatoio e ingresso pompa vale 2 m, si chiede a quale altezza deve essere sistemato l’ingresso della pompa per evitare la cavitazione nel caso in cui venga alimentata con acqua alla temperatura di: a) 15 °C con pressione assoluta di vapore pvap = 1,7 kPa e con massa volumica ρ = 1000 kg/m3; b) 90 °C con pressione assoluta di vapore pvap = 70 kPa e con massa volumica ρ = 965 kg/m3.
SOLUZIONE a) Se vogliamo evitare la cavitazione, la bocca di aspirazione della pompa si deve trovare a un’altezza za tale per cui l’altezza NPSHdisp disponibile (15-12) risulti maggiore o al limite uguale dell’altezza NPSHrich di 12 m richiesta dalla pompa. NPSH rich <
patm − pvap
ρg
− z a − Ya
Risolvendo allora rispetto all’altezza geodetica di aspirazione za, otteniamo z a < − NPSH rich +
patm − pvap
ρg
− Ya
Sostituiamo nell’equazione 15-12 il NPSHrich richiesto e i valori assegnati di pressione atmosferica patm, pressione di vapore pvap, massa volumica ρ e perdita di carico nel condotto di aspirazione Ya: z a < − 12 m +
101.320 Pa − 1700 Pa −2m 1000 kg/m 3 × 9,81 m/s 2
za ⭐ – 12 m + 10,16 m – 2 m za ⭐ – 3,84 m
䉳
La quota za risulta negativa; ciò significa che la pompa va posta almeno 3,84 m sotto al livello della superficie del serbatoio (funzionamento sotto battente, come nella Figura 15.22) se si vuole evitare la cavitazione. Il carico di 3,84 m rappresenta cioè il valore limite per l’insorgere della cavitazione; carichi maggiori, ad esempio un battente di 5 m, andranno ancora meglio, mentre carichi inferiori, ad esempio 3 m, porterebbero alla cavitazione accompagnata dagli inevitabili danni alla girante. Con la formula approssimata 15-12′, dove poniamo (Figura 15.25) patm /( ρ g) = 0,15 m di colonna d’acqua, corrispondente alla tensione di vapore alla temperatura di 15 °C, avremmo invece: NPSH rich < 10 [m] −
pvap
ρg
− z a − Ya
⇒
z a < − NPSH rich + 10 [m] −
pvap
ρg
− Ya
za ⭐ – 12 m + 10 m – 0,15 m – 2 m za ⭐ – 4,15 m
䉳
15.5. – TURBINE IDRAULICHE
b) Sostituiamo adesso, nell’equazione esplicitata rispetto a za , i valori relativi a una temperatura dell’acqua pari a 90 °C: 101.320 Pa − 70.000 Pa z a < − 12 m + −2m 965 kg/m 3 × 9,81 m/s2 za ⭐ – 12 m + 3,3 m – 2 m za ⭐ – 10,69 m
䉳
in questo secondo caso, con l’acqua a temperatura molto alta, la pompa deve avere l’aspirazione posta 10,69 m al di sotto della superficie del serbatoio per evitare la cavitazione. Il caso esaminato è particolarmente severo in quanto si è considerata una portata elevata e quindi il valore di NPSHrich è alto (il parametro NPSHrich aumenta infatti all’aumentare della portata). Il metodo approssimato della formula 15-12′ dà za ⭐ – 12 m + 10 m – 7,2 m – 2 m con 7,2 m altezza corrispondente alla tensione di vapore che si ricava dalla Figura 15.25 per la temperatura di 90 °C: 䉳 za ⭐ – 11,2 m
15. 5
TURBINE IDRAULICHE 15. 5. 1 Classificazione Una turbina idraulica è una macchina che estrae energia da un fluido in possesso di un carico idraulico sufficientemente elevato. Tale carico (o caduta) è generato dal dislivello esistente tra la quota a cui opera la turbina e la quota a cui viene prelevato il fluido che deve lavorare nella turbina. La differenza di livello può essere molto elevata (ad esempio più di 500 m nel caso di un bacino di alta montagna che alimenti con una condotta forzata una turbina posta sul fondo
Installazione ad asse orizzontale
Installazione ad asse verticale
Fig. 15.26-a - Turbina Pelton a un solo ugello per microcentrali idroelettriche (Riva Calzoni).
329
330
CAPITOLO 15. – MACCHINE IDRAULICHE
della valle), come può essere piuttosto modesta (ad esempio 40 m o meno nel caso di turbine che utilizzino dislivelli creati artificialmente in un fiume mediante sbarramenti oppure nel caso limite di turbine che sfruttino, per mezzo di dighe che isolano un braccio di mare, il dislivello provocato dalle maree). Elementi essenziali di una turbina sono il distributore e la girante. Il distributore, ricavato nella parte fissa (statore), è costituito da condotti in cui l’acqua, proveniente dall’impianto motore a monte, assume una velocità prestabilita adatta per entrare nella girante. Qualora i condotti fissi del distributore siano costruiti in forma di uno o più ugelli in modo da generare uno o più getti di acqua che colpiscono la girante, abbiamo il distributore a getto caratteristico della turbina Pelton (Figura 15.26-a). Se invece i condotti fissi del distributore Fig. 15.26-b - Girante ad asse sono generati da pale di adatto profilo ( pale direttrici) abbiamo la turbina verticale per turbina Pelton Francis (Figura 15.27-a), in cui il distributore consiste in una camera a spirale da 117 MW (Franco Tosi). (Figura 15.27-b). La girante (o rotore) è la parte mobile della turbina: è praticamente una ruota sulla cui periferia sono riportate delle pale che, percorse dall’acqua inviata dal distributore, permettono di trasformare l’energia posseduta dall’acqua in energia meccanica resa disponibile all’albero della girante. Le pale della girante, portate da un disco (Figura 15.26-b) oppure collegate direttamente al mozzo dell’albero (Figura 15.27-b), generano condotti che assumono forma diversa a seconda del tipo di turbina. In base al modo in cui viene convertito il carico idraulico disponibile, risultato della variazione di quota piezometrica z + p/( ρ g), distinguiamo due tipi di turbine: ad azione e a reazione. Nelle turbine ad azione, la variazione di quota piezometrica viene trasformata completamente in energia cinetica all’interno del distributore; nelle turbine a reazione la variazione di quota piezometrica viene trasformata solo in parte in energia cinetica nel distributore, mentre la parte rimanente viene utilizzata nella girante. Nelle turbine ad azione (la Pelton, esemplificata dalla Figura 15.26, è in pratica l’unico tipo che si sia affermato nelle applicazioni) il getto d’acqua che esce dagli ugelli del distributore e che investe solo parte (ammissione parziale 15.5 ) della periferia della
Cerchio dei getti D
d
d
C A
E B d d
β1
β2
Fig. 15.26-c - Schema di una turbina Pelton e dimensioni principali della pala riferite al diametro d del getto: β2 = 10° ÷ 20° angolo della pala in uscita A = (0,9 ÷ 1,2) d C = (0,8 ÷ 0,9) d B = (2,8 ÷ 3,5) d E = (1,2 ÷ 1,3) d N = 15 + D/(2d) numero delle pale.
15.5 - La turbina si dice ad ammissione parzializzata – in contrapposizione all’ammissione totale – quando il fluido
inviato dal distributore non copre tutta la periferia della girante: è questo il caso tipico del distributore a ugelli della
Pelton, che investe solo alcune zone della girante.
15.5. – TURBINE IDRAULICHE
Installazione ad asse orizzontale Installazione ad asse verticale
Fig. 15.27-a - Turbina Francis per microcentrali idroelettriche (Riva Calzoni).
Fig. 15.27-b - Allestimento di una turbina Francis: si osservano la cassa a spirale con ingresso obliquo da sotto e la girante in centro (Voith).
girante colpisce le pale, trasformando l’energia cinetica in lavoro, che viene raccolto all’albero. Le pale non sono riempite completamente dal liquido: il getto che scorre sulle pale è essenzialmente a pressione costante (è la pressione atmosferica dell’aria che circonda il getto) e la sua velocità relativa viene solo leggermente modificata a causa degli attriti. Le turbine Pelton sono perciò chiamate a getto libero: infatti, nel tratto compreso tra uscita dal distributore e ingresso nella girante, il getto non viene guidato da un condotto e si muove in un ambiente a pressione atmosferica. Nelle turbine a reazione (Figura 15.27) quando il liquido – che ha trasformato solo parte della energia totale disponibile in energia cinetica all’interno del distributore – entra nella girante lungo l’intera periferia (ammissione totale 15.6 ) è dotato oltre che di energia cinetica anche (a differenza delle turbine ad azione) di energia di pressione. L’energia di pressione viene poi convertita in energia cinetica nei condotti della girante, che questa volta sono riempiti completamente dal liquido, e quindi la velocità relativa non si mantiene costante ma aumenta nel passare lungo la girante. La variazione di energia di pressione, attraverso la girante, è espressa dalla caduta di pressione che si può misurare tra ingresso e uscita dalla girante. Nelle turbine a reazione la girante viene, in genere, seguita da un condotto divergente (il diffusore) che ha lo scopo di trasformare, almeno parzialmente, l’elevata energia cinetica, posseduta dal liquido all’uscita dalla girante, in aumento della quota piezometrica. Analogamente a quanto abbiamo visto nelle turbopompe (Figura 15.3 ), distinguiamo, nel progetto delle turbine a reazione, i tipi a flusso radiale, a flusso misto e a flusso assiale (Figura 15.28). Le turbine a reazione, a differenza delle turbine ad azione, sono macchine adatte a trattare dislivelli geodetici ∆z non elevati e portate V˙ molto alte (Tabella 15.1). Il rendimento realizzato con le prime turbine a reazione era molto basso in quanto, mancando i condotti fissi del distributore, il liquido non era guidato opportunamente verso i condotti mobili della girante. La prima turbina centripeta (il flusso entra sulla periferia della girante e viene scaricato al centro: è il contrario di una pompa centrifuga) ad alto rendimento fu costruita nel 1849 da James B. Francis e da allora tutte le macchine radiali oppure a flusso misto sono chiamate turbine Francis. Per salti molto bassi (Tabella 15.1), una turbina, analogamente a quanto visto per le pompe, può essere
15.6 - Le turbine a reazione possono solo funzionare ad ammissione totale. Nel caso di ammissione parziale, infatti, i condotti del rotore, non alimentati dal
fluido, metterebbero in corto circuito la regione a monte e la regione a valle della girante, con la conseguenza di ridurre (fino ad annullarla) la differenza di pres-
sione esistente tra monte e valle della girante nel funzionamento a reazione.
331
332
CAPITOLO 15. – MACCHINE IDRAULICHE
a ωs = 0,5 Ds = 4,1
b
k = 0,7
D
b
ωs = 1,8
c
Ds = 2,0
ωs = 3,7 Ds = 1,5
b
k = 0,8
b
k = 2,0
D
D
Fig. 15.28 - Dimensioni relative di differenti tipi di giranti di turbine a reazione soggette alla stessa caduta utile e in grado di sviluppare uguale potenza; sono citati, per ogni girante, velocità specifica ωs , diametro specifico Ds e rapporto velocità periferica k: 䡵 a) Francis a flusso radiale (ωs = 0,5, Ds = 4,1, k = 0,7); 䡵 b) Francis a flusso misto (ωs = 1,8, Ds = 2,0, k = 0,8); 䡵 c) Turbina a flusso assiale o turbina a elica (ωs = 3,7, Ds = 1,5, k = 2,0).
Tabella 15.1 Intervallo di dislivelli geodetici ∆z [m] e portate V˙ [m 3 /s] in funzione dei diversi tipi di turbine idrauliche Tipo di turbina – Pelton – Francis – Elica e Kaplan
Dislivello geodetico ∆z
Portate V˙
150 ÷ 1800 10 ÷ 500 2 ÷ 40
0,5 ÷ 20 2 ÷ 150 8 ÷ 400
Installazione ad asse orizzontale
Installazione ad asse verticale
Installazione ad asse inclinato
Fig. 15.29-a - Microcentrali idroelettriche con turbina a elica (Riva calzoni).
15.5. – TURBINE IDRAULICHE
Fig. 15.29-b - Girante di turbina Kaplan da 30 MW; il diametro è pari a 7,040 m (Franco Tosi).
disegnata in modo più compatto con un flusso completamente assiale, ed è chiamata turbina ad elica. L’elica può essere a pale fisse (Figura 15.29-a) oppure regolabili, e allora viene chiamata Kaplan (Figura 15.29-b); quest’ultima è più complessa come meccanica, ma ha il notevole vantaggio di poter conservare rendimenti ancora elevati, quando viene utilizzata a carichi inferiori al massimo carico per cui è stata progettata la turbina.
15. 5. 2 Caduta utile e potenza Le grandezze principali utilizzate per la definizione del funzionamento di una turbina sono grandezze legate al fluido, come: – portata in volume V˙ [m 3 /s]; – caduta netta o utile hu [m] data dal salto che può effettivamente utilizzare la turbina: al dislivello geodetico ∆z = zm – zv esistente tra i due m bacini situati a monte e a valle (Figura 15.30) e che prende il nome di caduta disponibile, va sottratta la perdita di carico Y, relativa alla condotta in cui è inserita la turbina. Altre grandezze invece, analogamente a quanto è già stato presentato per le turbopompe (Paragrafo ∆z zm 15.1.2), sono più direttamente legate alle caratteristiche meccaniche della turbina: v – potenza utile Pu [W], che è la potenza che viene raccolta all’albero zv della turbina; – velocità di rotazione dell’albero della macchina n [ giri/s] oppure velocità angolare ω = 2πn [rad/s]; – rendimento totale della turbina ηT : è un numero puro che tiene conto Fig. 15.30 - Schema di installazione del fatto che non tutta la potenza idraulica, fornita dal liquido, viene di una turbina idraulica. convertita in potenza meccanica disponibile all’albero della turbina;
333
334
CAPITOLO 15. – MACCHINE IDRAULICHE
– una o più dimensioni caratteristiche [m]: solitamente viene preso come riferimento il diametro massimo della girante D [m]; – la coppia M, data dal rapporto tra potenza e velocità angolare (M = P/ω). La potenza utile della turbina Pu è espressa da: Pu = ηT V˙ρghu
15-13
dove ηT , rendimento totale della turbina, è compreso tra 0,85 e 0,94 ed è dato dal prodotto dei tre rendimenti idraulico ηy, volumetrico ηv e organico ηo. Il rendimento idraulico (ηy ≈ 0,88 ÷ 0,96) ci dice che non tutta l’energia corrispondente alla caduta utile viene trasformata in lavoro a causa delle resistenze passive incontrate dal liquido nell’attraversamento della turbina e delle eventuali perdite per energia cinetica non recuperate allo scarico. Il rendimento volumetrico ηv esprime la perdita legata a quella frazione di liquido che, sfuggendo attraverso i giochi, non agisce sulle pale fornendo lavoro; questo rendimento è sempre molto alto e normalmente viene considerato uguale a uno. Il rendimento organico (ηo ≈ 0,96 ÷ 0,99) tiene conto della potenza che viene persa per attrito e nell’azionare gli ausiliari; anche il rendimento organico viene considerato uguale a uno, a meno che non si tratti di turbine di piccola potenza, nelle quali le perdite di origine meccanica possono rappresentare una frazione significativa della potenza utile generata dalla turbina. In base ai valori dei rendimenti che abbiamo appena elencato e che sono rappresentativi delle turbine idrauliche realizzate più recentemente, si può affermare che la maggior parte delle perdite in una turbina sono di origine idraulica. È quindi al rendimento idraulico che occorre rivolgere la maggiore attenzione nel progetto della turbina. Allorché venga esaminato il sistema comprendente l’impianto idraulico e la turbina, occorre moltiplicare il rendimento totale della turbina ηT per il rendimento della condotta ηcond, che permette di risalire al rendimento globale ηg dell’impianto idraulico in cui è inserita la turbina. Le turbine idrauliche sono macchine che lavorano usualmente a velocità di rotazione n costante funzione della frequenza f del generatore elettrico sincrono accoppiato alla turbina. Nel caso di frequenza f = 50 Hz, la velocità di rotazione n è data da: n=
2f 100 = Np Np
>
n=
6000 Np
>
15-14
dove Np è il numero dei poli (Tabella 15.2). Le turbine idrauliche sfruttano inoltre una caduta utile hu che viene determinata dalla configurazione dell’impianto: questa caduta deve perciò essere considerata costante. Mantenendo costanti la velocità di rotazione e la caduta utile hu, si fa variare, attraverso la regolazione dell’apertura del distributore, la portata V˙ che passa nella turbina. La prima cosa che occorre conoscere è perciò l’andamento della potenza utile Pu e del rendimento totale della turbina ηT al variare della portata V˙, in corrispondenza del valore di progetto della velocità di rotazione e per il valore assegnato della caduta ⋅ utile: questi diagrammi prendono il nome di curve di parzializzazione, in quanto la portata V viene fatta variare, ⋅ assu˙ ˙ mendo tutta la sequenza di valori parziali V /Vmax dal valore zero fino al valore massimo Vmax che corrisponde al distributore completamente aperto (Figura 15.31-a). La Figura 15.31-a mette in
Tabella 15.2 Velocità di sincronismo n in corrispondenza di una frequenza f = 50 Hz per generatori elettrici sincroni aventi Np poli Np n [giri/s] n [giri/min]
2
4
6
8
10
50 25 16,67 12,5 3000 1500 1000 750
10 600
12
14
16
20
8,33 7,14 6,25 500 428,6 375
5 300
24
32
40
4,16 3,125 250 187,5
2,5 150
48
64
80
2,08 1,56 1,25 125 93,7 75
15.5. – TURBINE IDRAULICHE
rilievo che, a causa della potenza persa per attrito e per azionare gli ausiliari, potenza utile e rendimento totale si annullano per un valore della portata molto basso, ma ancora diverso da zero; in queste condizioni infatti tutta la potenza che si genera all’interno della macchina viene spesa per bilanciare la potenza persa. Si osserva poi che il valore massimo del rendimento si raggiunge per un valore della portata pari a circa 80% della portata massima V˙ /V˙max = 0,8 in modo da permettere un ampio campo di regolazione della turbina con rendimenti ancora elevati, anche se questo viene ottenuto a prezzo di una modesta perdita del rendimento in corrispondenza della portata massima.
a
b η T massimo
ηT
Pu . V
ηT Pu
M 0
0,8
1
V˙ ˙ Vmax
0
nf
n
Fig. 15.31 - 䡵 a) Curve di parzializzazione di una turbina idraulica. 䡵 b) Curve di potenza utile Pu , portata V˙, coppia M e rendimento ηT al variare della velocità di rotazione n di una turbina idraulica; nf è la velocità di fuga.
La potenza massima (valore di Pu che corrisponde a V˙max ) è la potenza massima garantita dal costruttore ed è diversa dalla potenza normale, che è la potenza che la macchina sviluppa in corrispondenza del massimo rendimento. Quando invece la turbina viene alimentata ad apertura costante del distributore, si ottengono le curve caratteristiche della Figura 15.31-b, che indicano l’andamento di potenza utile Pu, portata V˙ e rendimento hT in funzione della velocità di rotazione n. Il valore della velocità di rotazione n f , in corrispondenza del quale si annullano potenza e rendimento, prende il nome di velocità di fuga, e individua la condizione di funzionamento per cui tutta la potenza generata all’interno della macchina viene assorbita da attriti e dagli ausiliari. Analogamente alle pompe, abbiamo ⋅ infine il diagramma colliV˙ nare che, riportando sul piano V–n (portata e velocità di rotazione) le linee di isorendimento (cioè a uguale rendimento) 0,9 V˙0 sotto l’assegnato valore di caduta utile hu, permette di indivi0,8 duare in modo completo il funzionamento della turbina (Figura 15.32). Si osserva che a mano a mano che si sale dalla periferia 0,7 alla sommità della collina, il rendimento aumenta, per arrivare 0,6 al valor massimo ηTmax nel centro della regione individuata dalla curva di isolivello più piccola e dai valori V˙0 e n0. 0,7 Quanto più ci allontaniamo da V˙0 e n0, tanto più il rendimento n0 n diminuisce, in quanto aumentano le perdite idrauliche provocate dal progressivo allontanarsi della velocità dalla direzione, calFig. 15.32 - Diagramma collinare di una turbina colata in sede di progetto, che rende minima la resistenza inconidraulica. trata dal fluido nel percorrere la pala.
335
336
CAPITOLO 15. – MACCHINE IDRAULICHE
15. 5. 3 Velocità e diametro specifici Analogamente a quanto fatto per le turbopompe (Paragrafo 15.1.3), i risultati delle misure ottenute su una prima turbina vengono estesi alle altre turbine mediante i coefficienti adimensionali. La velocità specifica ωs, espressa in funzione della velocità angolare ω = 2π n, è data da:
ωs = ω
V˙ V˙ = 2 πn ( gh) 0,75 ( gh)0,75
15-15
La velocità specifica identifica la capacità della turbina di sviluppare un determinato lavoro gh (qui h indica la caduta utile), relativamente alle portate più o meno grandi di fluido V˙ che l’attraversano, in funzione della velocità di rotazione n, ma indipendentemente dal diametro D della girante. È tradizione nel campo delle turbine idrauliche utilizzare anche un’altra espressione della velocità specifica che fa riferimento alla potenza utile Pu , essendo questa la grandezza di maggiore interesse per il progettista. In tal caso, sostituendo alla portata V˙ la potenza utile (indicata semplicemente con P e legata alla prima dalla relazione 15-13) si ottiene, a meno del rendimento:
ωs = ω
P
= 2 πn
ρ ( gh)1.25
P
15-15′
ρ ( gh)1,25
relazione in tutto equivalente alla 15-15, con l’inconveniente però di introdurre in più la massa volumica ρ del fluido trattato. Il diametro specifico Ds è definito dalla relazione: Ds = D
( gh) 0,25 V˙
15-16
ed esprime la capacità di una turbina a sviluppare più o meno lavoro gh, in corrispondenza di una determinata portata V˙ , in funzione del suo diametro D, ma indipendentemente dalla velocità di rotazione n. Considerati insieme, questi due coefficienti individuano il piano ω s – Ds (Figura 15.33) su cui sono riportate le linee a ugual rendimento idraulico caratteristiche dei diversi tipi di turbine idrauliche ad azione (Pelton) e a reazione (radiali e assiali). A ogni coppia di valori ω s e Ds corrisponde un determinato valore del rendimento idraulico conseguibile con il tipo di turbina che risulta il più adatto per soddisfare i vincoli posti dalla caduta utile hu e dalla portata V˙ trattate dalla turbina. Questo diagramma (di Balje) consente perciò di prevedere il rendimento idraulico, che potrà essere ottenuto con il tipo di turbina scelto. Sul diagramma di Balje sono riportati anche i valori del rapporto di velocità periferica k 15.7, coefficiente adimensionale usato per lunga tradizione nel dimensionamento delle turbine e definito come rapporto tra la velocità periferica u = π n D, all’ingresso nella girante di diametro D, e la velocità ideale 2gh che si otterrebbe dalla completa trasformazione del lavoro gh in energia cinetica: k =
u 2 gh
=
π nD
15-17
2 gh
15.7 - Il rapporto di velocità periferica k è un’altra forma del coefficiente di pressione ψ citato nelle 15-4.
15.5. – TURBINE IDRAULICHE
Ds 100 80
0,4
4
k=1
60
10
Pelton con 1 o 2 getti
η y = 0,7
40 0,8 20
0,1
0,9
Francis
10 8
Pelton con 3 o 6 getti
6
Linea a Ds ottimizzato
η 0,8
y
=0
,9
η y = 0,9
4
Assiali 2
0,85
1 0,01
0,02
0,04 0,06
0,1
0,2
0,4
0,6 0,8 1
2
4
6
8 10 ω s
Fig. 15.33 - Diagramma di Balje: curve di isorendimento idraulico per lo stadio ηy singolo di turbine idrauliche nel piano che reca in ordinate il diametro specifico Ds e in ascisse la velocità specifica ωs; le linee a tratti e a punti si riferiscono all’Esempio 15.7. La regione regione delle turbine Pelton è compresa tra 0,03 ÷ 0,35, tra 0,25 ÷ 2,5 per le Francis e tra 1,7 ÷ 10 per le turbine assiali (Tabella 15.3).
Assegnato un valore a k e note velocità di rotazione n e caduta utile hu, è possibile ricavare il diametro D della girante. Il rapporto di velocità periferica rappresenta perciò un coefficiente adimensionale alternativo all’altro coefficiente adimensionale Ds , con l’inconveniente che, mentre nell’espressione del diametro specifico non figura la velocità di rotazione n, nell’espressione del rapporto di velocità periferica k abbiamo anche quest’ultima. Anche per le turbine idrauliche, come per le turbopompe, quando si vuole determinare il tipo di turbina che permette di raggiungere il massimo rendimento si ricorre a un diagramma (Figura 15.34), che riporta in ordinate il rendimento della turbina ηT e in ascisse la velocità specifica ωs; è questo un modo semplificato per rappresentare le informazioni contenute nel piano ωs – Ds: è cioè sottointeso che la turbina venga progettata per il valore ottimo del diametro specifico che consente di rendere massimo il rendimento. Sulle ascisse della Figura 15.34 e così pure nella Tabella 15.3 sono indicati gli intervalli ottimi di velocità specifica ωs per i diversi tipi di turbine idrauliche Pelton, Francis e assiali. 0,96 Rendimento totale η T
0,94 0,92 0,90 0,88 0,86 0,84
Turbine Francis
0,82 0,80
Turbine Kaplan
Turbine Pelton 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
3,5
4
4,5
5 ωs
Fig. 15.34 - Curve di massimo rendimento totale della turbina ηT per i diversi tipi di turbine in funzione della velocità specifica ωs.
337
338
CAPITOLO 15. – MACCHINE IDRAULICHE
Tabella 15.3 Velocità specifiche ωs caratteristiche dei vari tipi di turbine idrauliche Tipo di turbina
Velocità specifica ωs Valore centrale
Limite inferiore Pelton a un getto Pelton a tre getti Francis lenta Francis normale Francis veloce Kaplan a otto pale Kaplan a sei pale Kaplan a cinque pale Kaplan a quattro pale A elica
0,03
Limite superiore
0,07 0,1 0,6 1,1 1,6 2,5 3,2 3,8 4,3
0,25
1,7
4,6
0,35
2,5
6 10
Esempio 15.7 Confronto tra due soluzioni di turbine È a disposizione una portata d’acqua V˙ = 5,7 m 3 /s sotto una caduta utile hu = 370 m. Nell’ipotesi di scegliere una velocità di rotazione n tale da poter accoppiare la turbina a un generatore elettrico sincrono, si chiede di valutare le caratteristiche principali (velocità di rotazione n, diametro della girante D e potenza utile Pu ) raggiungibili nelle condizioni di massimo rendimento ηT con a) una turbina Pelton (con rapporto di velocità periferica k = 0,46) oppure b) una turbina Francis (con rapporto di velocità periferica k = 0,75). Si chiede inoltre di c) confrontare le due soluzioni.
SOLUZIONE a) La portata, come vedremo meglio nel seguito, è molto alta; ci orientiamo allora su una Pelton a tre ugelli, che, secondo la Tabella 15.3, ha un valore centrale di velocità specifica pari a 0,1. Questo è anche il valore che (Figura 15.34) permette di raggiungere il massimo del rendimento (ηT ≈ 0,88). Una volta fissato il valore della velocità specifica, ricaviamo la velocità di rotazione n dalla 15.15:
ω s = 2π n n=
V˙ ( gh)0,75
⇒
0,1 (9,81 m/s 2 × 370 m)0,75
n=
ω s ( gh)0,75 2π V˙
= 3,12 giri/s (187 giri/min)
䉳
2 × π 5,7 m 3 /s La turbina potrebbe così essere accoppiata a un generatore sincrono con velocità di rotazione n = 3,125 giri/s a 32 poli e frequenza f = 50 Hz (Tabella 15.2). Sul diagramma della Figura 15.33 (linea a tratti), in corrispondenza della velocità specifica ωs = 0,1, leggiamo, all’interno dell’isola di massimo rendimento idraulico per le turbine Pelton (a tre getti), un valore del diametro specifico Ds = 13. Dall’espressione del diametro specifico otteniamo il valore del diametro D della Pelton (15-16): Ds = D
D=
( gh)0,25 V˙
⇒
D=
Ds V˙ ( gh)0,25
13 5,7 m 3 /s = 3,998 m (9,81 m/s2 × 370 m)0,25
䉳
15.5. – TURBINE IDRAULICHE
Il diametro poteva anche essere calcolato dal rapporto di velocità periferica k = 0,46: u1
k =
=
2 gh D=
π nD
⇒
D=
2 gh
k 2 gh πn
0,46 2 × 9,81 m/s2 × 370 m = 3,998 m π × 3,12 giri/s
La potenza utile Pu è data dalla 15-13: Pu = ηT V˙ρghu = 0,88 × 5,7 m 3 /s × 1000 kg/m 3 × 9,81 m/s2 × 370 m = 18.206.575 W = 18,2 MW 䉳 b) Dalla Figura 15.34 e dalla Tabella 15.3, la velocità specifica che permette di raggiungere il rendimento più elevato (ηT ≈ 0,94) per una turbina Francis lenta è ωs = 0,6. Una volta fissato il valore della velocità specifica, ricaviamo la velocità di rotazione n seguendo il procedimento della domanda precedente: 0,6 (9,81 m/s 2 × 370 m)0,75
n=
= 18,7 giri/s
2 × π 5,7 m 3 /s Questo valore della velocità di rotazione è piuttosto distante da quello che bisognerebbe avere per accoppiare la turbina Francis a un generatore sincrono con velocità di rotazione n = 16,67 giri/s (1000 giri/min) con 6 poli e frequenza f = 50 Hz (Tabella 15.1). Scegliamo allora una velocità specifica ωs prossima a 0,6, ma tale da dare, come velocità di rotazione, n = 16,67 giri/s.
ω s = 2π n
5,7 m 3 /s V˙ , = 2 × π × 16 67 = 0,535 ≈ 0,55 ( gh)0,75 (9,81 m/s2 × 370 m)0,75
䉳
Entriamo nel diagramma di Figura 15.33 (linea a punti) con ωs = 0,55 e, nell’isola di massimo rendimento idraulico per le turbine a reazione, leggiamo un valore del diametro specifico Ds = 4. Dall’espressione del diametro specifico otteniamo il valore del diametro D della Francis: D=
4 5,7 m 3 /s = 1,23 m (9,81 m/s 2 × 370 m)0,25
Il diametro poteva anche essere calcolato dal rapporto di velocità periferica k = 0,75: D=
0,75 2 × 9,81 m/s2 × 370 m = 1,22 m π × 16,67 giri/s
La potenza utile Pu è data dalla 15.13: Pu = ηT V˙ρghu = 0,94 × 5,7 m 3 /s × 1000 kg/m 3 × 9,81 m/s2 × 370 m = 19.447.932 W = 19,4 MW 䉳 c) La turbina Francis ha una velocità di rotazione un po’ più alta di quelle usuali delle turbine a reazione (n = 16,67 giri/s) e deve sopportare all’interno della cassa una pressione p (14-2) p = ρghu = 1000 kg/m 3 × 9,81 m/s2 × 370 m = 3,63 MPa
Tuttavia un diametro della girante D = 1,23 m è molto interessante, se confrontato a quello della Pelton che arriva a 4 m. La Francis inoltre ha un rendimento più elevato della Pelton e quindi la potenza utile è maggiore (Pu = 19,4 MW invece di 18,2 MW). Va poi tenuto presente che attualmente le turbine Francis arrivano a trattare cadute fino a 600 m.
339
340
CAPITOLO 15. – MACCHINE IDRAULICHE
COMMENTI Qualora si volesse insistere su una soluzione basata su una turbina Pelton, occorre ridurre il diametro D e aumentare la velocità di rotazione n, seguendo due strade: 1. Si aumenta la velocità specifica ω s , accettando la corrispondente perdita di rendimento (Figura 15.34). Posto, ad esempio, ωs = 0,2 (η ≈ 0,84), otteniamo una velocità di rotazione n′ n′ =
0,2 (9,81 m/s 2 × 370 m)0,75
= 6,24 giri/s (374 giri/min)
2 × π 5,7 m 3 /s e un diametro D′ D′ =
0,46 2 × 9,81 × 370 m = 1,999 m π × 6,24 giri/s
2. Passare a una turbina Pelton a due ruote affiancate con il generatore elettrico in mezzo, ciascuna in ˙ . In tal caso per ciascuna ruota abbiamo: grado di trattare con tre getti la portata V/2
ω s = 2π n ′′
V˙ 1/2 V˙/2 = 2 π n ′′ ( gh)0,75 ( gh)0,75
⇒
n ′′ =
ω ( gh)0,75 ω ( gh)0,75 = 1,41 s 2 s 2π V˙ 2π V˙
Ma il termine tra parentesi quadre non è altro che la velocità di rotazione n che avevamo già calcolata all’inizio e che valeva 3,12 giri/s; quindi la nuova velocità di rotazione n″ vale: n″ = 1,41 n = 1,41 × 3,12 giri/s = 4,4 giri/s (264 giri/min) mentre il nuovo diametro D″ è dato da: D ′′ =
0,46 2 × 9,81 × 370 m = 2,835 m π × 4,4 giri/s
In ogni caso, o per il rendimento piuttosto basso della prima alternativa o per il diametro ancora elevato (D ″ = 2,835 m) della Pelton a due ruote, conviene adottare la soluzione Francis.
15. 6
MACCHINE REVERSIBILI Con gli impianti di accumulazione o di pompaggio eccedenze di energia di basso valore, fornite da impianti idrici oppure termici, vengono impiegate per pompare acqua ad un serbatoio elevato, dove l’energia potenziale così accumulata può essere utilizzata nei momenti di punta. Per far ciò si ricorre alle macchine reversibili (Figura 15.35), costituite da un’unica turbomacchina in grado di funzionare sia come pompa che come turbina (è per questo motivo che vengono chiamate anche pompe-turbine), al posto dei gruppi separati di pompe e di turbine idrauliche di disegno convenzionale usate per questo scopo in passato. Una turbomacchina reversibile a un solo stadio con palettatura Francis (Figura 15.35-a) può venire utilizzata per cadute fino a 600 m. In particolare le pale distributrici sono progettate per permettere il flusso in ambedue le direzioni. Infatti, quando l’acqua entra alla periferia del rotore e si dirige verso il centro, la macchina lavora come una turbina. Quando invece l’acqua entra al centro e il flusso è diretto verso la periferia, la macchina lavora come una pompa. Naturalmente la direzione di rotazione è l’opposto nei due casi. La reversibile è collegata a una macchina elettrica che può lavorare sia come motore sia come generatore a seconda del senso di rotazione. Per cadute utili al di sotto dei 200 m, viene anche utilizzata la palettatura semiassiale Deriaz (Figura 15.35-b), adatta a sopportare variazioni elevate di carico e di portata mediante la modifica del calettamento delle pale della girante (Figura 15.35-c) ottenuta con servomotori posti nel mozzo. Le reversibili sono molto spesso a più stadi (Figura 15.36), soluzione usuale
15.6. – MACCHINE REVERSIBILI
Fig. 15.35-a - Schema di turbomacchina reversibile (Voith).
Fig. 15.35-b - Girante semiassiale Deriaz per turbomacchina reversibile (Mitsubishi).
Fig. 15.35-c - Reversibile (Mitsubishi) con le seguenti caratteristiche nel funzionamento come turbina e come pompa:
Turbina
Pompa
Carico hu [m] 136,2 ÷ 79,7 137,6 ÷ 80,5 Potenza massima [MW] Pu = 87,3 Pa = 99,4 Portata massima V˙ [m3/s] 80 66,3 Velocità n [giri/s] 4,616 4,616 Velocità specifica ωs [–] 1,2 ÷ 1,7 1,1 ÷ 1,6
341
342
CAPITOLO 15. – MACCHINE IDRAULICHE
Fig. 15.36 - Turbomacchina reversibile di Edolo (Lombardia) realizzata da Hydroart con le seguenti caratteristiche nel funzionamento come turbina e come pompa:
Turbina Carico hu Potenza Portata V˙ Velocità n
[m] [MW] [m3/s] [giri/s]
1256 127 11,9
1224 122 11,7 4,616
a
a) diffusore/convogliatore; b) sezione verticale del gruppo; 䡵 c) fotografia della turbomacchina. 䡵 䡵
c
b
Pompa 1169 112 11,4
1290 134 9,2
1231 139 9,1 4,616
1211 141 10,3
15.7. – TURBINE EOLICHE
per le turbopompe, ma non per le turbine idrauliche; in tal caso sono in grado di trattare carichi hu anche piuttosto elevati. La girante di una reversibile è essenzialmente la girante di una pompa modificata in modo da fornire prestazioni ottime nel momento in cui è necessario generare potenza. Non si possono impiegare le giranti delle turbine convenzionali in quanto, a causa delle loro pale corte, non sono adatte a soddisfare le più severe richieste delle pompe in termini di cavitazione.
15. 7
TURBINE EOLICHE
Fig. 15.37 - Aerogeneratore ad una sola pala (Riva Calzoni, tipo M7): Tipo: ad asse orizzontale, sottovento Rotore: monopala con passo variabile Mozzo: di tipo oscillante Regolatore: idromeccanico Moltiplicatore: ad alberi paralleli, rapporto 1:5 Generatore: sincrono con raddrizzatore potenza 5,2 kW Sostegno: tubolare d’acciaio Diametro rotore: 6,5 m Altezza mozzo: 12 m Velocità vento: – di avviamento: 4 m/s – di progetto: 10 m/s – di taglio: 20 m/s Potenza di progetto: 5,2 kW.
La trasformazione dell’energia eolica in energia elettrica avviene attraverso una macchina, l’aerogeneratore, costituita da un rotore, che per mezzo di un certo numero di pale fissate su di un mozzo, sottrae al vento parte della sua energia cinetica e la trasforma in energia meccanica, e da un generatore elettrico, che trasforma l’energia meccanica in energia elettrica, riversandola sulla rete in modo da integrare l’energia prodotta dalle fonti tradizionali, solitamente basate sui combustibili fossili. Sulla base della disposizione del rotore rispetto alla direzione del vento, possiamo classificare le macchine eoliche in due categorie: ad asse orizzontale e ad asse verticale. Quelle più diffuse sono ad asse orizzontale, quali le turbine eoliche ad elica con una sola pala (Figura 15.37) oppure con due (Figura 15.38) o tre pale che trovano il loro equivalente nelle turbine idrauliche ad elica. Nelle caratteristiche occorre precisare, oltre alla velocità del vento per cui è stata progettata la macchina, la velocità minima del vento detta di avviamento (alla quale l’aerogeneratore inizia ad erogare energia elettrica) e quella di taglio (la velocità cioè alla quale l’aerogeneratore viene staccato dalla rete provocando l’intervento delle protezioni contro la sovravelocità). La potenza ideale di una turbina eolica è, a meno del rendimento, quella data dalla 15-13 ( Pideale = V˙ρgh) dove la portata in volume è pari al prodotto dell’area A spazzata dal rotore di diametro D per la velocità del vento v [V˙ = Av = (π D 2 /4 ) v], la massa volumica è quella dell’aria (ρ = 1,225 kg/m3), e la caduta utile della turbina idraulica diviene il carico h generato dall’energia cinetica della massa d’aria che attraversa il rotore [h = v 2/(2g)]: π v2 Pideale = V˙ρgh = D 2 v 1,225 g = 0,48 D 2 v3 4 2g
Se si considera il caso di un rotore a due pale progettato in modo molto accurato si passa dalla potenza ideale Pideale alla potenza utile Pu effettivamente generata all’asse del rotore, moltiplicando per un coefficiente pari a 0,375: Pu = 0,18 D 2 v3
>
15-18
343
344
CAPITOLO 15. – MACCHINE IDRAULICHE
a
b
Fig. 15.38 - 䡵 a) Aerogeneratore a due pale ENEL-FIAT con sostegno a profilo alare nella parte superiore: Tipo: ad asse orizzontale, sottovento Rotore: bipala con passo variabile con messa in bandiera Mozzo: di tipo oscillante Regolatore: idromeccanico con comando a distanza per l’avviamento e l’arresto Moltiplicatore: di tipo coassiale, a due stadi, rapporto 1:16,5 Generatore: asincrono trifase, quattro poli, 55 kW, 400 V, 50 Hz
Sostegno: tubolare d’acciaio Massa totale: ≈ 2200 kg (escluso sostegno) Diametro rotore: 13,5 m Altezza mozzo: 18,5 m Velocità vento: – di avviamento: ≈ 5 m/s – di progetto: 11,7 m/s – di taglio: 30 m/s Potenza di progetto: 50 kW. 䡵 b) Schema costruttivo.
Nella espressione della potenza Pu compare il diametro del rotore D elevato al quadrato e la velocità del vento v elevata al cubo; ne segue che se il diametro D raddoppia (a pari valore della velocità v) la potenza aumenta di quattro volte (22 = 4), mentre se raddoppia la velocità v (a pari valore del diametro D) la potenza aumenta di otto volte (23 = 8). Nel progetto della turbina eolica possono ancora essere utilizzati la velocità specifica ωs (15-15) e il diametro specifico Ds (15-16) in cui introduciamo il carico h = v 2/(2g) e la portata d’aria V˙ = A v , espressi, per semplicità, in funzione della velocità del vento indisturbata a monte del rotore. Come per le turbine idrauliche (15-17), si utilizza anche per le turbine eoliche il coefficiente di velocità periferica k, rapporto tra la velocità periferica del rotore u e la velocità del vento v.
Esempio 15.8 Aerogeneratore a due pale Si vuole realizzare un aerogeneratore in grado di sfruttare una velocità del vento v = 11,7 m/s. Si decide di adottare un rotore a due pale. Determinare: a) il diametro del rotore, sapendo che la velocità di rotazione è n = 1,65 giri/s; b) la potenza utile erogata Pu sapendo che il coefficiente di velocità periferica è k = 6; c) la potenza elettrica disponibile ai morsetti del generatore, nell’ipotesi di assumere un prodotto del rendimento della trasmissione meccanica ηm ed un rendimento del generatore ηe pari a 0,80.
15.8. – SOMMARIO
SOLUZIONE a) Dalla definizione del coefficiente di velocità periferica k, rapporto tra la velocità periferica del rotore u e la velocità del vento v, è possibile risalire al diametro D del rotore: k =
π Dn u = v v
⇒
π Dn = k v
D=
⇒
6 × 11,7 m/s kv = = 13,5 m π n π × 1,65 giri/s
䉳
b) La potenza utile Pu disponibile all’asse del rotore vale (15-18): Pu = 0,18 D2v3 = 0,18 (13,5 m)2 (11,7 m/s)3 = 52,5 kW
䉳
c) La potenza elettrica disponibile ai morsetti del generatore elettrico è data dal prodotto della potenza utile Pu per i due rendimenti della trasmissione ηm e del generatore elettrico ηe: Pe = ηmηe Pu = 0,80 × 52,5 kW = 42 kW
15. 8
䉳
SOMMARIO Il prodotto della portata in volume V˙ [m 3 /s] di liquido che circola nel condotto in cui è inserita la pompa, della massa volumica ρ [kg/m3], dell’accelerazione di gravità g [m/s2] e della prevalenza manometrica hu [m] dà la potenza ideale P [m3/s × kg/m3 × m/s2 × m = (kg⋅m/s2)⋅m/s = = N⋅m/s = J/s = W]; il prodotto va poi diviso per il rendimento totale della pompa ηP, in modo da ottenere la potenza Pa effettivamente assorbita: Pa =
V˙ρghu ηP
Questa relazione ci dice che, se vogliamo immettere la potenza V˙ρghu nel fluido, occorre assorbire una potenza più elevata Pa , a causa delle diverse perdite conglobate nel rendimento ηP. Il momento assorbito dalla pompa Ma [N⋅m] è dato dal rapporto tra potenza assorbita Pa [W = N⋅m/s] e velocità angolare ω [1/s]: Ma =
Pa ω
con ω = 2π n, funzione della velocità di rotazione n [giri/s]. I diagrammi che riportano la prevalenza manometrica hu , il rendimento della pompa ηP e la potenza assorbita Pa in funzione della portata V˙, a velocità di rotazione n costante, prendono il nome di curve caratteristiche o, più semplicemente, di caratteristiche. Il prodotto di ηT , (rendimento totale della turbina pari a 0,85 ÷ 0,94), V˙ [m 3 /s] (portata d’acqua in volume), ρ [kg/m3] (massa volumica dell’acqua), g [m/s2] (accelerazione di gravità) e hu [m] (caduta utile dell’impianto) dà la potenza utile Pu della turbina [m3/s × kg/m3 × m/s2 × m = = (kg⋅m/s2)⋅m/s = (N⋅m)/s = J/s = W]: Pu = ηT V˙ρghu Le turbine idrauliche sono macchine che lavorano usualmente a velocità di rotazione n costante, funzione della frequenza f del generatore elettrico sincrono accoppiato alla turbina; esse sfruttano una caduta utile hu costante determinata dalla configurazione dell’impianto. Le curve di parzializzazione riportano perciò l’andamento della potenza utile Pu e del rendimento totale della turbina ηT al variare della portata V˙ in corrispondenza del valore di progetto della velocità di rotazione n e per il valore assegnato della caduta utile hu .
345
346
CAPITOLO 15. – MACCHINE IDRAULICHE
Quando invece la turbina viene alimentata a portata costante V˙ (cioè ad apertura costante del distributore), si ottengono le curve caratteristiche, che esprimono l’andamento di potenza utile Pu, portata V˙ e rendimento ηT in funzione della velocità di rotazione n. La scelta di prima approssimazione di una turbopompa oppure di una turbina viene realizzata mediante dei coefficienti adimensionali; particolarmente utili sono la velocità specifica e il diametro specifico. La velocità specifica identifica la capacità della turbomacchina di trattare portate V˙ [m 3 /s] più o meno grandi di fluido, relativamente a un determinato valore del lavoro massico gh [9,81 m/s2 × m] sviluppato, in funzione della velocità di rotazione n [giri/s], ma indipendentemente dal diametro D[m] della girante:
ω s = 2π n
V˙ ( gh) 0,75
>
Il diametro specifico è un coefficiente senza dimensioni che identifica la capacità di una turbomacchina di scambiare più o meno lavoro gh con il fluido, in corrispondenza di una determinata portata V˙, in funzione del suo diametro D ma indipendentemente dalla velocità angolare ω della turbomacchina. Ds = D
( gh) 0,25 V˙
>
A ogni coppia di valori della velocità specifica ωs e del diametro specifico Ds corrisponde un determinato valore del rendimento della turbomacchina (diagramma di Balje).
Esercizi proposti 15.1 Calcolare la potenza assorbita Pa da una pompa che, con un rendimento totale di 0,83, imprime una prevalenza manometrica di 56,43 m a una portata d’acqua di 0,04 m3/s. Pa = 26,68 kW
15.5 Calcolare la coppia Ma di una pompa che assorbe la potenza di 18,39 kW alla velocità di rotazione n = 48,33 giri/s. Ma = 60,5 N⋅m
15.2 Calcolare la potenza assorbita Pa da una pompa per acqua che manda una portata di 0,1 m3/s con un rendimento totale di 0,8 e una prevalenza manometrica uguale a 15 m. Pa = 18,39 kW
15.6 In una pompa centrifuga, che ruota alla velocità di 24 giri/s e manda una portata d’acqua di 160 dm3/s con una prevalenza di 60 m assorbendo la potenza di 110 kW, la velocità viene ridotta fino a 16 giri/s. Calcolare portata V˙ , prevalenza hu e potenza assorbita Pa alla nuova velocità. V˙ = 106,7 dm3 /s;
15.3 Calcolare la potenza assorbita Pa da una pompa che, con un rendimento totale di 0,7, imprime una prevalenza manometrica di 90 m a una portata pari a 25 dm3/s di un liquido, avente una massa volumica di 1,4 kg/dm3. Pa = 44,145 kW
15.4 Calcolare il rendimento totale ηP di una pompa per acqua sapendo che la potenza assorbita è pari a 500 kW, mentre portata e prevalenza manometrica sono pari rispettivamente a 500 dm3/s e 80 m. ηP = 0,78
hu = 26,7 m; Pa = 32,6 kW
15.7 Calcolare la velocità specifica ωs di un modello di pompa centrifuga di cui, nelle prove di laboratorio, vengono misurati 48,33 giri/s di velocità, 75 m di prevalenza e 0,05 m3/s di portata. Calcolare poi la velocità n di una pompa simile, che, lavorando in un punto corrispondente della sua caratteristica, manda una portata di 0,4 m3/s di acqua con prevalenza manometrica pari a 120 m.
ωs = 0,48; n = 24,27 giri/s
347
ESERCIZI PROPOSTI
15.8 Calcolare la velocità specifica ωs, diametro specifico Ds, rendimento η e tipo di pompa, qualora, avendo a disposizione una girante di 400 mm di diametro, si debba trattare una portata di 0,16 m3/s, con una prevalenza manometrica di 60 m e una velocità di rotazione di 24 giri/s.
Tracciare la curva del sistema e determinare il valore della portata V˙ nel punto di funzionamento. V˙ [dm3 /s] hS
[m]
0
4
8
12
16 20
23
10 12,4 19,6 31,6 48,4 70 89,3 V˙ = 10 dm3/s
ωs = 0,5; Ds = 4,9; η = 0,85; pompa centrifuga
15.9 Calcolare la velocità specifica ωs, diametro specifico Ds, rendimento η e tipo di pompa, qualora, avendo a disposizione una girante di 2400 mm di diametro, si debba trattare una portata di 10,2 m3/s, con una prevalenza manometrica di 4 m e una velocità di rotazione di 4,7 giri/s. ωs = 6; Ds = 1,9; η = 0,8; pompa a elica
15.14 Anziché una pompa, per compiere la stessa operazione descritta nell’Esercizio 15.13, si utilizzano due turbopompe uguali, ciascuna delle quali ha la stessa caratteristica citata nell’Esercizio 15.13. Qualora le due pompe vengano poste in parallelo e poi in serie, tracciare le rispettive caratteristiche e determinare, nel punto di funzionamento, le portate V˙parallelo e V˙serie . Per la soluzione in parallelo si ha: V˙ [dm3 /s] 0 8 16 24 32
15.10 Calcolare la velocità specifica ωs corrispondente alle condizioni di lavoro di una pompa (Figura 15.7 ), che tratta una portata di 15,16 m3/s, con una prevalenza manometrica di 22 m e una velocità di rotazione di 3,93 giri/s. Individuare il tipo di pompa più adatto e determinare il diametro D corrispondente alle condizioni di massimo rendimento η.
ωs = 1,7; pompa a flusso misto; D = 2,5; η = 0,9
15.11 Una pompa centrifuga di un motore a razzo manda la portata di 40 kg/s di ossigeno liquido, avente un volume massico di 0,000876 m3/kg. Calcolare la portata in volume V˙ . Sapendo che la pompa fa aumentare la pressione dell’ossigeno da 99,43 kPa a 3,5 MPa con un rendimento totale di 0,82, calcolare la potenza assorbita Pa.
hu
[m]
30
29
27
[m]
60
58
54
46
24 18 10 0 ˙ 3 Vparallelo = 11 dm /s
Per la soluzione in serie si ha: V˙ [dm3 /s] 0 4 8 12 hu
40
16
20
23
48 36 20 0 ˙ 3 Vserie = 14,5 dm /s
15.15 Da un serbatoio, in cui regna la pressione atmosferica (101,32 kPa), viene aspirata dell’acqua a 15 °C da una pompa che ha un valore di NPSH richiesto pari a 4 m. Sapendo che le perdite di carico nel condotto di aspirazione sono pari a 1,85 m, calcolare l’altezza di aspirazione za. za ⭐ 4 m
V˙ = 0,035 m3 /s; Pa = 145,1 kW
15.12 Calcolare la potenza assorbita Pa da una pompa a stantuffo che tratta una portata d’acqua di 12 dm3/s con un aumento di pressione di 6 MPa e un rendimento totale di 0,88. Pa = 81,8 kW
15.13 Si vuole pompare acqua da un serbatoio a un altro situato 10 m più in alto attraverso una tubazione in cui le perdite di carico complessivo sono rappresentate dalla funzione 0,15 V˙ 2, dove V˙ è la portata misurata in dm3/s. La caratteristica della turbopompa è la seguente: V˙ [dm3 /s] hu
[m]
0
4
8
12
16
20
23
30
29
27
24
18
10
0
15.16 Da un serbatoio, al cui interno esiste una pressione di 150 kPa, viene aspirata dell’acqua a 15 °C da una pompa che ha valore di NPSH richiesto pari a 4 m. Sapendo che le perdite di carico nel condotto di aspirazione sono pari a 1,85 m calcolare l’altezza di aspirazione za. za ⭐ 9,3 m
15.17 Da un serbatoio, al cui interno esiste la pressione atmosferica (101,32 kPa), viene aspirato un liquido, di massa volumica 1500 kg/m3 e tensione di vapore 0,38 kPa, da una pompa che ha valore di NPSH richiesto pari a 3,5 m. Sapendo che le perdite di carico nel condotto di aspirazione sono pari a 1,5 m, calcolare l’altezza di aspirazione za. za ⭐ 1,9 m
348
CAPITOLO 15. – MACCHINE IDRAULICHE
15.18 Da un serbatoio, al cui interno esiste una pressione di 150 kPa, viene aspirato un liquido, di massa volumica 1500 kg/m3 e tensione di vapore 0,38 kPa, da una pompa che ha valore di NPSH richiesto pari a 3,5 m. Sapendo che le perdite di carico nel condotto di aspirazione sono pari a 1,5 m, calcolare l’altezza di aspirazione za. za ⭐ 5,2 m 15.19 Calcolare la potenza Pu sviluppata da una turbina, che, sotto la caduta di 310 m, tratta una portata d’acqua di 7 m3/s con un rendimento di 0,94. Pu = 20 MW 15.20 Calcolare la velocità specifica ωs, diametro specifico Ds, tipo e rendimento η di una turbina che, sotto la caduta di 310 m, tratta una portata d‘acqua di 7 m3/s con un diametro di 1425 mm ruotando alla velocità di 12,5 giri/s.
ωs = 0,51; Ds = 4; tipo di turbina = Francis; η > 0,9 15.21 Calcolare la velocità specifica ωs di una turbina che, sotto la caduta di 310 m, sviluppa la potenza di 20 MW alla velocità di rotazione di 12,5 giri/s.
ωs = 0,49
15.22 Calcolare velocità specifica ωs, diametro specifico Ds, nelle condizioni di massimo rendimento, tipo di turbina e diametro D di una turbina che, sotto la caduta di 6 m, tratta una portata d‘acqua di 16,5 m3/s ruotando alla velocità di 5 giri/s.
ωs = 6; Ds = 1,1; tipo di turbina = a elica; D = 1613 mm
15.23 Di una turbina, che ruota alla velocità di 12,5 giri/s sotto la caduta di 200 m, è assegnato il coefficiente di velocità periferica, che vale 0,75. Calcolare il diametro D. D = 1200 mm
15.24 Si vuole realizzare un aerogeneratore in grado di sfruttare una velocità del vento di 13,3 m/s con un rotore a due pale che ruota alla velocità di rotazione di 0,423 giri/s. Fissato il valore del rapporto di velocità periferica k, determinare il diametro del rotore D, la potenza utile erogata Pu dalla turbina eolica e la potenza elettrica Pe disponibile ai morsetti del generatore, nell’ipotesi di assumere un rendimento complessivo della trasmissione meccanica e del generatore elettrico di 0,80. k = 6; D = 60 m; Pu = 1,52 MW; Pe = 1,22 MW
TERMODINAMICA
Capitolo 16
16. 1
SISTEMA TERMODINAMICO E TRASFORMAZIONI Un sistema termodinamico è la porzione di materia dell’universo scelta per un’analisi termodinamica. Il sistema è separato dagli altri corpi, esterni al sistema, per mezzo di un contorno chiaramente definito. Il sistema si dice chiuso se il suo contorno non viene attraversato da materia (Figura 16.1-a); aperto in caso contrario (Figura 16.1-b).
Calore Q
a
b
Calore Q Lavoro L Massa m
Q+ Sistema
Sistema Lavoro L L+
Contorno del sistema
Contorno del sistema Ambiente esterno
Ambiente esterno
Fig. 16.1 - 䡵 a) Sistema termodinamico chiuso: scambio di calore Q e di lavoro L attraverso il contorno che separa dall’esterno il sistema sotto esame. Il calore entrante e il lavoro uscente sono assunti positivi; il calore uscente e il lavoro entrante sono invece negativi. 䡵 b) Sistema termodinamico aperto: scambio di calore Q, di lavoro L e di massa m attraverso il contorno.
Lo stato di un sistema termodinamico è specificato dal valore delle sue proprietà e più precisamente dalle sue variabili di stato: pressione p, massa volumica ρ (oppure il suo reciproco che è il volume massico v) e temperatura T. L’espressione “il sistema si trova in un certo stato” significa che le variabili di stato assumono determinati valori che individuano quel dato stato. Un sistema termodinamico è in uno stato di equilibrio quando non può evolvere spontaneamente da uno stato ad un altro. Se si sottopone il sistema a una serie continua di cambiamenti attraverso una successione di stati di equilibrio, allora lo stato del sistema cambia con continuità e conseguentemente si modificano i valori delle proprietà di stato: il sistema subisce una trasformazione (o processo) reversibile. Reversibile vuol dire che il sistema passa da uno stato iniziale 1 allo stato finale 2 e può essere poi riportato, per mezzo della trasformazione inversa, da 2 a 1 attraverso la stessa successione di stati percorsi in senso inverso. Dal momento che le proprietà di stato assumono valori definiti in un dato stato termodinamico, la variazione di valore di una proprietà di stato dipende solo dalla differenza tra il valore che questa proprietà raggiunge alla fine 2 della trasformazione (ad esempio p2 per la pressione) e il valore che essa aveva all’inizio 1 ( p1), mentre non dipende dal particolare percorso seguito dalla trasformazione per passare dallo stato 1 allo stato 2.
350
CAPITOLO 16. – TERMODINAMICA
Quando il passaggio dallo stato 1 allo stato 2 non avviene più per successivi stati di equilibrio, quando cioè la trasformazione avviene bruscamente con disuniformità all’interno del sistema che fanno sì che le proprietà assumano valori diversi in punti diversi del sistema oppure si è in presenza di attriti che introducono delle dissipazioni di energia, allora la trasformazione è irreversibile. Il secondo principio della termodinamica misura lo scostamento della trasformazione reale (irreversibile) da quella ideale (reversibile), permettendo così di confrontare tra loro le varie trasformazioni reali e di scegliere quella che raggiunge il rendimento più elevato.
16. 2
CALORE Il calore Q è energia che il sistema scambia con l’esterno attraverso il contorno (Figura 16.1-a). Non è quindi posseduto dal sistema, ma è energia che viene identificata come calore solo nel momento in cui attraversa il contorno del sistema; non si può perciò immagazzinare il calore, ma occorre invece convertirlo in qualche altra forma di energia dopo che ha attraversato il sistema. Non essendo energia immagazzinata o posseduta dal sistema, il calore non è una proprietà del sistema; ne segue che lo scambio di calore a, oppure da, un sistema richiede una variazione dello stato del sistema e che la quantità di calore scambiata è funzione del percorso che il sistema segue durante la trasformazione. Per evidenziare il fatto che lo scambio di calore è funzione del tipo di percorso effettuato, si usa il simbolo 1Q2 , calore scambiato durante la trasformazione per passare dallo stato iniziale 1 allo stato finale 2. La differenza di temperatura è l’elemento essenziale che determina il trasferimento di calore. In base all’esperienza, ripresa dal secondo principio della termodinamica, il calore viene scambiato dal corpo a temperatura più alta verso quello a temperatura più bassa. L’unità di misura del calore è il joule [J], mentre la temperatura si misura in kelvin [K] oppure in gradi centigradi [ºC] con lo zero della scala kelvin posto a – 273,15 ºC (Paragrafi 1.16 e 1.11). Il trasferimento di calore può risultare in una variazione di temperatura del corpo con aumento dell’energia degli atomi o delle molecole. Si tiene conto di ciò attraverso la capacità termica massica c del materiale [J/(kg⋅K)] (Paragrafo 1.19), che è la quantità di calore trasferita alla oppure dalla massa m [kg] del materiale allorché la temperatura aumenta da T1 a T2: Q2 = mc(T2 – T1)
16-1
1
In altre circostanze, il trasferimento di calore al corpo non dà origine ad alcuna variazione di temperatura ma in un cambiamento di fase16.1, ad esempio da liquido a vapore. L’energia immagazzinata dal corpo in tale situazione viene utilizzata per cambiare i legami tra gli atomi oppure tra le molecole. Il calore che non dà luogo ad un aumento di temperatura viene chiamato calore latente qL [J/kg]; il trasferimento di calore necessario per portare la massa m [kg] del materiale da uno stato f allo stato g si esprime con: f
16.1 - Una fase è definita come quella regione in un materiale che mantiene in ogni sua parte la stessa composizione chimica e la stessa struttura. L’acqua allo stato liquido è un esempio di un sistema
Q g = mqL
con una sola fase avente dovunque la stessa composizione chimica e la stessa struttura, cioè la stessa disposizione degli atomi. L’acqua allo stato liquido e il ghiaccio hanno strutture diverse e così
16-1′ quando il ghiaccio si scioglie vi è un cambiamento di fase. L’acqua con pezzetti di ghiaccio contenuta in un bicchiere è un esempio di un sistema a due fasi.
Esempio 16.1 Vaporizzazione dell’acqua Calcolare il calore totale Qtot necessario per portare una massa m di 3 kg di acqua (H2O) da 20 ºC allo stato di vapore a 100 ºC, sapendo che la capacità termica massica dell’acqua cH O vale 4,18 kJ/(kg⋅K) e che il calore latente di vaporizzazione qL a 100 ºC è 2257 kJ/kg. 2
16.3. – PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
SOLUZIONE Occorre prima trasferire al liquido il calore Qliq necessario per innalzare la temperatura dell’acqua da 20 ºC fino a 100 ºC (16-1) e poi somministrare il calore Qvap necessario per il cambiamento di fase (16-1′) in modo da far passare l’acqua da liquido a vapore. Qliq = mcH O(T2 – T1) = 3 kg × 4,18 kJ/(kg⋅K) × 80 K = 1003,2 kJ 2
Qvap = mqL = 3 kg × 2257 kJ/kg = 6771 kJ 䉳
Qtot = Qliq + Qvap = 1003,2 kJ + 6771 kJ = 7774,2 kJ
COMMENTI Nella 16-1 è presente una differenza di temperatura; è perciò possibile usare indifferentemente i kelvin oppure i gradi centigradi: 100 ºC – 20 ºC = 373,15 K – 293,15 K = 80 K.
16. 3
PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA 16. 3. 1 La conservazione dell’energia in un sistema chiuso Il primo principio è l’applicazione del principio di conservazione dell’energia a un sistema termodinamico. Il principio di conservazione dell’energia stabilisce che la somma algebrica di tutte le energie che attraversano il contorno del sistema e quindi di calore e lavoro, che sono gli unici meccanismi attraverso cui possono avvenire questi trasferimenti di energia, deve essere uguale alla variazione di energia del sistema. L’energia del sistema è rappresentata dalla sola energia interna u poiché per un sistema chiuso in quiete non vi è variazione né di energia cinetica né di energia potenziale. Considerando le energie – di solito misurate in kilojoule [kJ] – per unità di massa [kg], la conservazione dell’energia per un sistema chiuso (Figura 16.1-a) si scrive: q – 1l2
1 2
Energia che entra nel sistema [kJ/kg]
=
–
u2 Energia interna nello stato finale [kJ/kg]
u1
16-2
Energia interna nello stato iniziale [kJ/kg]
Il lavoro massico è stato indicato con 1l2 poiché, come il calore massico 1q2, dipende dal percorso seguito nella trasformazione; la variazione di energia interna, che è invece una proprietà del sistema, viene definita solo dalla differenza tra i valori finale u2 e iniziale u1 raggiunti nella trasformazione. Per convenzione, si assume positivo il calore entrante e negativo il calore uscente dal sistema; il contrario avviene per il lavoro che è positivo quando esce dal sistema e negativo se entra (Figura 16.1-a). Il lavoro elementare in un sistema chiuso, ad esempio quello svolto dall’espansione del gas sullo stantuffo della Figura 16.2, è dato dal prodotto della forza pA [kN] (pressione p [kN/m2] per A [m2], area dello stantuffo) per lo spostamento elementare dx = dV/A [m] (volume V [m3] diviso l’area A [m2]). Il lavoro massico 1l 2, nella trasformazione da 1 a 2, è l’integrale del lavoro elementare, rapportato alla massa m del gas, pA⋅(dV/A)/m = pdV/m = pdv con v volume massico [m3/kg]: 2 1 l2 =
∫ pdv 1
16-3
351
352
CAPITOLO 16. – TERMODINAMICA
a
b Contorno del sistema
p
Stantuffo 1
p=
Lavoro (+)
pA
f (V
)
p V1
2 dV
V2
V
Spostamento dx
Fig. 16.2 - 䡵 a) Spostamento dello stantuffo provocato dall’espansione di un gas di massa m = 1 kg in un sistema termodinamico chiuso. 䡵 b) Espansione nel piano pressione-volume (p – V): l’area gialla sottesa alla curva p = f (V ), che individua il cammino fatto durante la trasformazione reversibile, rappresenta il lavoro svolto dal sistema. Essendo la massa unitaria, si può scrivere, al posto del volume V, il volume massico v in modo da ottenere, con l’area, la misura del lavoro massico 1l 2.
In una trasformazione a pressione costante 1l 2 vale p(v2 – v1); nella 16-2, che adesso diviene 1q2 = (u2 + pv2 ) – (u1 + pv1), compare un’altra funzione di stato chiamata entalpia h [kJ/kg]: h = u + pv
16-4
e il principio di conservazione dell’energia 16-2 si scrive: q = h2 – h1
1 2
>
16-5
Esempio 16.2 Corsa di compressione Il lavoro 1 l2 svolto sul gas, durante la corsa di compressione di un motore alternativo a combustione interna, è pari a 70 kJ/kg e il calore 1q2, che lascia il cilindro del motore, vale 40 kJ/kg. Calcolare la variazione di energia interna u2 – u1.
SOLUZIONE Si applica l’equazione di conservazione dell’energia 16-2, tenendo presente che, per le convenzioni assunte, il lavoro è negativo perché entrante nel sistema (viene fatto dallo stantuffo sul gas) e il calore è negativo perché uscente dal sistema (il calore generato dall’aumento di temperatura del gas, prodotto dalla compressione, viene trasmesso all’esterno attraverso le pareti del cilindro):
u2 – u1 = 1q2 – 1l 2 = – 40 kJ/kg – (– 70 kJ/kg) = + 30 kJ/kg
䉳
16. 3. 2 La conservazione dell’energia in un sistema aperto Sotto le ipotesi di moto stazionario e flusso unidimensionale (Paragrafo 14.3), al sistema aperto della Figura 16.3 si applica l’equazione di conservazione della massa, scritta tra le sezioni di ingresso 1 e di uscita 2 nella forma generale 14-5 valida per i fluidi comprimibili come gas e vapori (Paragrafo 14.1). Al posto della sola energia interna u considerata nel sistema chiuso, nel caso del sistema aperto occorre tener conto anche delle energie di pressione pv, cinetica v2/2 e potenziale gz (Paragrafo 14.5) riferite all’unità di massa; di conseguenza l’energia del sistema
16.3. – PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
q
h1 ρ 1 1 v1 z1
Livello di riferimento 2 v2
z2
h2 ρ 2
li
Fig. 16.3 - Schematizzazione del sistema aperto; lungo il contorno del sistema (linea a tratti verde) l’energia viene scambiata come calore q e lavoro interno alla macchina li (rappresentato da un albero rotante), mentre attraverso le sezioni di entrata A1 e di uscita A2 circola il fluido comprimibile con entalpie h1 ed h 2, masse volumiche ρ1 e ρ2, velocità v1 e v2 .
risulta u + pv + v 2 /2 + gz = h + v 2/2 + gz, avendo convertito u + pv nell’entalpia h (16-4). Il bilancio dell’energia per il sistema aperto tra la sezione di ingresso 1 e la sezione di uscita 2 è espresso dall’equazione: q
+
calore massico aggiunto al sistema [kJ/kg]
h1 +
v12 + gz1 2
energia del fluido che entra nel sistema per unità di massa [kJ/kg]
=
h2 +
v22 + gz 2 2
+
energia del fluido che lascia il sistema per unità di massa [kJ/kg]
li
16-6
lavoro massico fatto dal fluido nel sistema [kJ/kg]
dove si può trascurare, essendo il fluido comprimibile, il contributo dell’energia potenziale gz. 1 Area proporzionale al lavoro
Pressione p
dp
2
∫
li = − vdp − lw
16-7
1
2 v 0
Trascurando i contributi dell’energia potenziale poiché il fluido è comprimibile e dell’energia cinetica rilevante solo nel caso dei ventilatori, il lavoro massico interno alla macchina li nel sistema aperto, ad esempio quello descritto nella Figura 16.4, si esprime con16.2:
dove lw indica il lavoro massico fatto dalle resistenze passive interne al sistema che, nel fluido reale e quindi viscoso (Paragrafo 14.1), porta ad un aumento del lavoro tipico della trasformazione irreversibile.
Volume massico v
Fig. 16.4 - Lavoro interno alla macchina raccolto durante l’espansione del gas tra la sezione di ingresso 1 e la sezione di uscita 2 di uno stadio di una turbina.
16.2 - Per la derivazione delle equazioni citate nel Capitolo e gli eventuali approfondimenti si rimanda al
testo Macchine termiche dello stesso Autore.
353
354
CAPITOLO 16. – TERMODINAMICA
Dall’energia fino ad ora considerata, si passa alla potenza P [kW = kJ/s] moltiplicando l’energia massica [kJ/kg] per la portata in massa m⋅ [kg/s] del fluido di lavoro che attraversa il ˙ , relativa alla quantità di calore scambiata nelsistema. Avremo così una potenza termica Q˙ = mq ⋅ l’unità di tempo attraverso il contorno del sistema, oppure una potenza meccanica L = m⋅ li , che rappresenta il lavoro scambiato nell’unità di tempo dagli organi mobili della macchina con il fluido che attraversa il sistema.
16. 4
SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA 16. 4. 1 L’entropia Il primo principio della termodinamica fornisce un bilancio energetico; sostanzialmente garantisce l’impossibilità di produrre energia meccanica senza la simultanea diminuzione di un’altra energia, come il calore, suscettibile di trasformazione. Ogni processo può tuttavia essere ripercorso in senso inverso senza violare il primo principio. Tale possibilità è negata dal secondo principio che afferma che alcuni processi non possono avvenire. Di fatto l’esperienza dice che, mentre alcuni processi avvengono in modo naturale, altri processi possono avvenire soltanto sotto l’azione di forze esterne: un gas, ad esempio, si può espandere liberamente, ma in natura non è possibile osservare una “compressione libera”. Il secondo principio della termodinamica fornisce una guida per determinare la direzione naturale dei processi; tale guida è rappresentata da una funzione di stato, l’entropia, che misura la preferenza della natura per alcune trasformazioni. La variazione di entropia massica s1 – s2 [kJ/(kg⋅K)], tra lo stato iniziale 1 e lo stato finale 2 della trasformazione, si esprime con: 2
s2 − s1 >
∫
1
δq T
16-8
dove δ q [kJ/kg] è il calore elementare scambiato alla temperatura T [K], mentre il segno di maggiore si riferisce alla trasformazione reale (irreversibile) e il segno uguale a quella ideale (reversibile).
16. 4. 2 I diagrammi termodinamici (applicazione ai vapori) e
on azi orm ile f s Tra ersib rev
T
2
2
q
1 2
= reversibile
∫
Td s
1
1 dA = Tds T
ds
s
Fig. 16.5 - La somma delle aree infinitesime dA = Tds, con l’operazione di integrazione, misura il calore 2
q =
1 2
∫ Tds scambiato durante la trasformazione re1
versibile tracciata sul piano temperatura-entropia T–s.
Si è visto che, nel diagramma pressione-volume massico p–v, l’area sottesa alla trasformazione rappresenta il lavoro massico 1l2 scambiato (Figure 16.2 e 16.4). Il diagramma entropico, avente in ascisse l’entropia massica s e in ordinate la temperatura assoluta T, consente invece di risalire (16-8) al calore massico scambiato 1q2, misurato dall’area sottesa alla trasformazione reversibile (Figura 16.5). I diagrammi più utilizzati sono quelli in cui l’entalpia massica h è una delle due coordinate. Il diagramma di Mollier o diagramma entalpico, è una rappresentazione del processo sul piano h-s (ordinate: entalpia massica h; ascisse: entropia massica s); pur essendo simile al diagramma entropico, il diagramma di Mollier non esprime più il calore scambiato attraverso la lettura dell’area sottesa alla trasformazione. Nel caso degli impianti frigorigeni viene comunemente utilizzato il diagramma pressione-entalpia massica p–h.
16.4. – SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
I diagrammi termodinamici vengono impiegati per descrivere l’evoluzione del fluido di lavoro all’interno del sistema termodinamico. Di particolare interesse sono i diagrammi delle fasi liquido e vapore di una sostanza, ad esempio l’acqua 16.3. Aumentando la temperatura ad una pressione costante (ad esempio 0,1 MPa) della regione del liquido compresso (stati 1 e 2 della Figura 16.6), l’acqua inizia a trasformarsi da liquido a vapore: nello stato 3 il liquido viene detto liquido saturo perché l’ulteriore somministrazione di calore (stato 4) determina la trasformazione di parte del liquido in vapore. Durante il passaggio di stato la pressione (di saturazione) e la temperatura (di saturazione) rimangono costanti: 0,1 MPa e 99,63 ºC. Alla fine (stato 5) tutta l’acqua si è trasformata in vapore saturo cosiddetto perché la rimozione di una sia pur piccola quantità di calore dal vapore determinerebbe l’inizio della condensazione. Se si continua a somministrare calore, la temperatura del vapore inizia a salire: il vapore si dice surriscaldato (stato 6) poiché si trova a una temperatura maggiore della temperatura di saturazione (99,63 ºC) a quella data pressione (0,1 MPa). Nel diagramma entropico si osserva la curva limite fatta a campana, all’interno della quale avviene il progressivo passaggio da liquido a vapore: in corrispondenza del lato di sinistra (curva limite inferiore) inizia il processo di vaporizzazione, mentre a destra, sulla curva limite superiore, si completa il processo di vaporizzazione. All’interno della curva limite, la miscela liquido-vapore si trova in condizioni di equilibrio; all’aumentare
1 Liquido
2 Liquido
3 Liquido saturo
4 Liquido + vapore
5 Vapore saturo
6 Vapore surriscaldato
Fig. 16.6-a - Cambiamento di fase per l’acqua da liquido a vapore.
T [°C] Punto critico
MP a
ore ite
3
3′
100
6
re
Liquido saturo
Cu
200
erio
rva
sup
lim
ite
Liquido + vapore
Vapore surriscaldato
lim
inf
eri
rva
300
Cu
Liquido compresso
0,1
Isoterma critica
p=
400
4
5
2
Vapore saturo
1 0 0
1
2
3
4
5
6
7
8 9 s [kJ/(kg⋅K)]
Fig. 16.6-b - Diagramma entropico per le fasi liquido e vapore dell’acqua.
16.3 - I diagrammi consentono di visualizzare rapidamente il processo termodinamico a cui viene assoggettato il
vapore. Per una descrizione accurata delle proprietà termodinamiche del va-
pore occorre ricorrere alle tabelle di dati memorizzate nei calcolatori.
355
CAPITOLO 16. – TERMODINAMICA
della temperatura, l’area si va progressivamente restringendo fino ad arrivare al punto critico (per l’acqua si verifica con pcritica = 22,080 MPa e Tcritica = 374,136 ºC), al di là del quale svanisce la distinzione tra la fase liquido e la fase vapore. La miscela liquido-vapore viene caratterizzata con il titolo x, rapporto tra la massa di vapore saturo e la massa totale di liquido e vapore saturi: x=
massa di vapore saturo massa di vapore saturo + massa di liquido saturo
16-9
Lo scheletro del diagramma di Mollier per l’acqua è illustrato nella Figura 16.7; sono tracciate le trasformazioni con valore costante di pressione p (isobara in azzurro), temperatura T (isoterma in rosso), volume massico v (isocora in verde) e titolo x (in nero). Il diagramma completo dell’acqua è allegato al testo.
h [hJ/kg]
3000
14
400 °C
210 °C 120 °C
Punto critico
m3 /k g
3
0m
Pa 0k 20
2M
M
Pa
Pa
Isobara
0,9
0,0 1
4000
/kg
m3 /kg
Isocora
40
356
Isoterma
a kP 10 Curva limite
Vapore saturo
2000 Isotitolo
Liquido saturo
1000
3
4
5
6
7
8 9 s [kJ/(kg⋅K)]
Fig. 16.7 - Scheletro del diagramma di Mollier per l’acqua.
Esempio 16.3 Proprietà del vapore dal diagramma di Mollier Utilizzando il diagramma di Mollier allegato al testo, determinare per 1 kg di vapor d’acqua: a) temperatura Tg, volume massico vg, entalpia massica hg ed entropia massica sg nelle condizioni di vapore saturo a 0,1 MPa; b) volume massico v, entalpia massica h ed entropia massica s nelle condizioni di 0,1 MPa e 200 °C; c) la quantità di calore q, che deve essere fornita al vapore saturo, per portarlo a 200 °C lungo l’isobara con p = 0,1 MPa.
SOLUZIONE a) Sono le condizioni di vapore saturo (titolo x = 1) alla pressione di 0,1 MPa. Sul diagramma di Mollier, il punto è individuato dalla intersezione della linea nera ascendente (pressione p = 0,1 MPa) con la curva nera del vapore saturo o curva limite superiore (luogo dei punti per i quali il titolo x è uguale a 1). La temperatura si legge sulla curva nera con andamento prossimo ad un orizzontale pas-
16.4. – SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
sante per questo punto, mentre il volume massico è un valore intermedio tra due curve verdi ascendenti con 1,6 e 1,8 m3/kg. Sulle ordinate e sulle ascisse si leggono rispettivamente entalpia ed entropia. Tg = 100 °C; vg = 1,7 m3/kg; hg = 2675 kJ/kg; sg = 7,35 kJ/(kg⋅K)
䉳
b) A 0,1 MPa e 200 °C, il vapore è surriscaldato; sul diagramma di Mollier si osserva infatti che il punto, intersezione della isobara nera ascendente (a 0,1 MPa) con l’isoterma nera quasi orizzontale (a 200 °C), si trova nella regione situata al di sopra della curva limite superiore. Il volume massico ha un valore leggermente superiore alla curva verde ascendente con 2,0 m3/kg. Entalpia ed entropia si leggono sugli assi. v = 2,2 m3/kg; h = 2875 kJ/kg; s = 7,83 kJ/(kg⋅K) 䉳 c) Trattandosi di una trasformazione a pressione costante, il calore da fornire al vapore è (16-5) la differenza delle entalpie del vapore surriscaldato hsurr (indicata con h nella risposta precedente) e del vapore saturo hg: q = hsurr – hg = 2875 kJ/kg – 2675 kJ/kg = 200 kJ/kg 䉳
Eempio 16.4 Bilancio energetico in una turbina Una turbina (Figura 16.8), che elabora una portata di vapore m˙ = 2 kg/s, cede all’esterno nell’unità di tempo la quantità di calore Q˙ = 11 kW. Le condizioni del vapore, all’ingresso 1 e all’uscita 2 della turbina, sono riassunte nella tabella che segue (in questa tabella la quota z viene misurata rispetto ad un piano di riferimento).
Contorno del sistema 1
L˙ i
Pressione Temperatura Titolo Velocità Quota p [MPa] T [K] x [–] v [m/s] z [m]
⋅ Q = 11 kW
1) Ingresso
2
2) Uscita Fig. 16.8 - Schema della turbina, descritta nell’Esempio 16.4, con evidenziato il contorno del sistema.
3,0
400
—
60
5
0,125
106
1
180
2
Determinare la potenza meccanica L˙i sviluppata dalla turbina.
SOLUZIONE Scrivendo l’equazione 16-6 del bilancio dell’energia per il sistema aperto tra la sezione di ingresso 1 e la sezione di uscita 2 della turbina, si ricava il lavoro massico interno li [kJ/kg]; moltiplicando quest’ultimo per la portata in massa di vapore m⋅ [kg/s], si ottiene (Paragrafo 16.3.2) la potenza meccanica sviluppata L˙i [kJ/s = kW]. I valori delle grandezze sono noti dalla tabella, fatta eccezione per le entalpie in ingresso e in uscita che si leggono sul diagramma di Mollier in corrispondenza dei valori assegnati di pressione e temperatura: h1 = 3230 kJ/kg ed h2 = 2685 kJ/kg. Il calore massico q [kJ/kg], che figura nel bilancio dell’energia, si ottiene dividendo il calore nell’unità di tempo Q˙ [kJ/s] ceduto all’esterno (e quindi negativo) per la portata in massa di vapore m˙ [kg/s]. v12 v2 + gz1 = h2 + 2 + gz2 + li 2 2 1 li = (h1 − h 2 ) + ( v12 − v22 ) + g ( z1 − z2 ) + q 2 q + h1 +
h1 – h2 = 3230 kJ/kg – 2685 kJ/kg = 545 kJ/kg
357
358
CAPITOLO 16. – TERMODINAMICA
1 2 (60 m/s)2 − (180 m/s)2 ( v1 − v22 ) = = − 14.000 m 2 /s 2 = − 14,4 kJ/kg 2 2 g (z1 – z2 ) = 9,81 m/s2 (5 m – 2 m) = 29,43 m2/s2 = 0,029 kJ/kg q=
Q˙ − 11 kW = = − 5,5 kJ/kg ˙ m 2 kg/s
li = 545 kJ/kg – 14,4 kJ/kg + 0,029 kJ/kg – 5,5 kJ/kg = 525,1 kJ/kg ˙ i = 2 kg/s × 525,1 kJ/kg = 1050,2 kW L˙ i = ml
䉳
COMMENTI Se si confrontano tra loro i vari termini del bilancio energetico, si vede che il termine di gran lunga prevalente è la differenza di entalpia h1 – h2 = 545 kJ/kg, mentre l’apporto di energia potenziale g (z 1 – z 2) = 0,029 kJ/kg è del tutto trascurabile. Il vantaggio di aver determinato, a uno a uno, i vari termini, che compongono il bilancio del sistema aperto, è proprio quello di evidenziarne il peso e quindi offrire un criterio per poterli o meno trascurare nei calcoli semplificati. Nel calcolo delle turbine, a parte lo scambio termico con l’esterno di solito molto modesto (per la rapidità del processo) e quindi trascurabile, viene sempre trascurata la variazione di energia potenziale, mentre la variazione di energia cinetica può essere trascurata soltanto per velocità basse, inferiori a 30 m/s.
Esempio 16.5 Lavoro e potenza in una turbina Una portata m˙ = 10 kg/s di vapore entra in una turbina con entalpia h1 = 3161,7 kJ/kg ed esce con entalpia h2 = 2310,1 kJ/kg. Determinare: a) lavoro massico li; b) potenza meccanica L˙i .
SOLUZIONE a) La turbina termica (a gas oppure a vapore) è una macchina che trasforma in lavoro meccanico l’energia posseduta dal fluido. Di solito si assume che (si veda anche l’Esempio 16.4 e il Paragrafo 16.7): 1. la variazione di energia potenziale sia trascurabile; 2. la trasformazione avvenga in modo sufficientemente rapido da poter trascurare lo scambio termico con l’esterno (q = 0); 3. l’energia cinetica all’ingresso e all’uscita sia trascurabile. Sotto queste ipotesi, nell’equazione del bilancio energetico 16-6, il lavoro massico li risulta uguale alla variazione di entalpia: li = h1 – h2 = 3161,7 kJ/kg – 2310,1 kJ/kg = 851,6 kJ/kg
䉳
b) Secondo quanto esposto alla fine del Paragrafo 16.3.2, la potenza meccanica è data da: ˙ i = 10 kg/s × 851,6 kJ/kg = 8516 kW = 8,5 MW L˙i = ml
䉳
16.5. – GAS
16. 5
GAS 16. 5. 1 Equazione di stato del gas perfetto L’esperienza mostra che, per ogni fluido, esiste un legame finito ben determinato, l’equazione di stato, tra le variabili di stato: pressione p, massa volumica ρ (oppure volume massico v) e temperatura T. Nel caso di un liquido (Paragrafi 14.1 e 14.4), questo legame si esprime dicendo che il fluido è incomprimibile (ρ = costante); nel caso della miscela liquido-vapore che si trova all’interno della curva limite (16.4.2), il legame stabilisce che ad un determinato valore della pressione corrisponda un dato valore di temperatura ed infatti, durante il passaggio di stato, la trasformazione avviene a pressione e temperatura costanti (isotermobarica). Nel caso di un gas perfetto, gas per il quale è possibile trascurare le forze che si esercitano tra le molecole come avviene in condizioni di bassa massa volumica quando le molecole sono ampiamente separate le une dalle altre, l’equazione di stato è espressa da: pv = RT
16-10
con R [kJ/(kg⋅K)] costante caratteristica del gas in esame il cui valore è riportato nella Tabella A.5 dell’Appendice. Nessun gas reale ubbidisce esattamente a questa equazione; tuttavia essa si può ritenere sufficientemente approssimata per le normali applicazioni. Nell’equazione di stato, al posto del volume massico v, si può scrivere la massa volumica ρ = 1/v (p/ρ = RT) oppure il rapporto volume/massa del gas V/m = v ( pV = mRT).
16. 5. 2 Grandezze termodinamiche del gas perfetto Per i fluidi, come ad esempio i vapori, le relazioni tra le variabili di stato che, a loro volta condizionano le proprietà di stato, come l’energia interna e l’entalpia, variano a seconda della regione considerata; i valori delle proprietà di stato vanno perciò ricavati dai diagrammi oppure dalle tabelle. Al contrario, nel caso del gas perfetto, è possibile calcolare le proprietà di stato ricorrendo all’equazione di stato e ad altre semplici relazioni che verranno presentate in questo paragrafo e in quello successivo. Per il gas perfetto, l’energia interna e così pure l’entalpia (per la 16-4 e la 16-10) risultano funzioni della sola temperatura e non di due variabili tra loro indipendenti (ad esempio, temperatura e volume massico) come avviene in generale. Dall’equazione generale 16-1 si ricava la capacità termica massica [kJ/(kg⋅K)], proprietà di stato che assume un valore costante per ciascun gas perfetto (Tabella A.5 dell’Appendice). In particolare, si parla di capacità termica massica a volume costante cv , funzione della variazione di energia interna u2 – u1 rappresentando questa il calore scambiato a volume costante nella 16-2, e di capacità termica massica a pressione costante cp, funzione della variazione di entalpia h2 − h1 essendo questa il calore scambiato a pressione costante (16-5): u2 – u1 = cv (T2 – T1)
16-11
h2 – h1 = cp (T2 – T1)
16-11′
Essendo le capacità termiche legate alla costante del gas R dalla relazione16.2: cp – cv = R
16-12
è possibile esprimere ciascuna capacità termica in funzione della costante del gas R e del loro rapporto γ : c R γR 16-12′ γ = p cv = cp = cv γ −1 γ −1
359
CAPITOLO 16. – TERMODINAMICA
16. 5. 3 Traformazioni del gas perfetto 16.5.3.1 Sistema chiuso Nel sistema chiuso le equazioni che caratterizzano le trasformazioni a temperatura costante (isoterma), a pressione costante (isobara) e a volume costante (isocora) si ottengono dall’equazione di stato del gas perfetto 16.10 ponendo costante rispettivamente la temperatura T, la pressione p e il volume massico v. Le equazioni del primo (Paragrafo 16.3.1) e del secondo principio della termodinamica (Paragrafo 16.4.1) consentono di ricavare le espressioni del lavoro e del calore scambiati nonché quelle delle variazioni di energia interna, entalpia ed entropia16.2. Queste espressioni sono elencate nelle tabelle dell’Appendice A.6. La trasformazione reversibile del gas perfetto in cui non viene scambiato calore con l’esterno (adiabatica) è anche isoentropica, cioè a variazione nulla di entropia per la 16-8, ed è caratterizzata dall’equazione: 16-13 pv γ = costante = p1v1γ = p2 v2γ Di particolare interesse, in quanto molto spesso le trasformazioni dei gas seguono questa legge, è la politropica, trasformazione nella quale avviene uno scambio di calore tale da poter essere rappresentato dall’equazione: pv n = costante = p1v1n = p2 v2n
16-14
p
n=0
n=∞
n=γ
n=∞
con n, esponente della politropica, costante. Assegnando un valore opportuno a questo esponente, è possibile comprendere tutte le trasformazioni del gas perfetto fino ad ora esaminate (Figura 16.9): isoterma (n = 1), isobara (n = 0), isocora (n = ∞) e adiabatica reversibile o isoentropica (n = γ ). n=1 n=γ
360
T
n=0
v
n=1
s
Fig. 16.9 - Assegnando opportuni valori all’esponente della politropica si ottengono tutte le trasformazioni del gas perfetto: isoterma (n = 1), isobara (n = 0), isocora (n = ∞) e isoentropica (n = γ ).
16.5.3.2 Sistema aperto Tenendo conto delle equazioni introdotte con la conservazione dell’energia nel sistema aperto (Paragrafo 16.3.2), è possibile ricavare le espressioni del lavoro e del calore scambiati e le espressioni della variazione di energia interna, entalpia ed entropia per le trasformazioni isoentropica e politropica. Anche queste espressioni sono elencate nelle tabelle dell’Appendice A.6. Una trasformazione che interessa gli impianti frigorigeni è la laminazione, processo per cui, a causa della presenza di una valvola solo parzialmente aperta oppure di una strozzatura creata da un capillare, avviene una caduta di pressione nel gas, che si muove in un condotto, in un
16.5. – GAS
tempo talmente breve e in uno spazio talmente ridotto da non consentire alcun scambio di calore. Il processo è perciò adiabatico; inoltre non vi è scambio di lavoro (le pareti del condotto sono fisse), la variazione di energia cinetica è trascurabile e così pure quella di energia potenziale (il fluido è un vapore). Sotto queste condizioni l’equazione 16-6 del bilancio energetico del sistema aperto si riduce ad affermare che l’entalpia finale è uguale a quella iniziale (h1 = h2 ). La trasformazione è perciò isoentalpica; è però irreversibile a causa delle forti dissipazioni generate nel moto del fluido attraverso la strozzatura.
Esempio 16.6 Trasformazione isotermica del gas perfetto Una massa di aria m = 2 kg è contenuta in un cilindro di volume V1 = 1,8 m3 alla temperatura T1 = 298 K. L’aria viene compressa lentamente da uno stantuffo fino a un volume V2 = 0,7 m3. La trasformazione può essere considerata un’isoterma (T1 = T2 = T ), in quanto, trattandosi di una compressione lenta, esiste un tempo sufficiente perché la temperatura del gas uguagli la temperatura della parete del cilindro attraverso l’energia scambiata sotto forma di calore. Calcolare il calore scambiato 1Q2 durante la trasformazione.
SOLUZIONE In una trasformazione isotermica (formula A-6 dell’Appendice A.6) il calore scambiato per unità di massa 1q2 è uguale al lavoro 1l2 ed è dato da: q = RT ln
1 2
V /m V 0,7 m 3 v2 = RT ln 2 = RT ln 2 = 0,287 kJ/(kg⋅K) × 298 K × ln = − 80,78 kJ/kg V1/m V1 1,8 m 3 v1
dove R = 0,287 kJ/(kg⋅K) è la costante dell’aria ricavata dalla Tabella A.5. Il calore complessivo scambiato 1Q2 vale: 䉳 1Q2 = m1q2 = 2 kg × (– 80,78 kJ/kg) = – 161,56 kJ Il segno negativo indica che il calore esce dal sistema, viene cioè ceduto dal gas alle pareti del cilindro.
Esempio 16.7 Trasformazione adiabatica del gas perfetto Due kg di argon sono contenuti in un cilindro chiuso da uno stantuffo alla pressione p1 = 700 kPa e alla temperatura T1 = 400 K. L’argon viene fatto espandere fino alla pressione p2 = 100 kPa in una trasformazione adiabatica reversibile. Calcolare il lavoro fatto dall’argon durante l’espansione.
SOLUZIONE Il lavoro per unità di massa si calcola con la formula A-45 dell’Appendice A.6: l =
1 2
R(T1 − T2 ) γ −1
Nella Tabella A.5 si leggono la costante dell’argon R = 0,208 kJ/(kg⋅K) e il rapporto tra le capacità massiche γ = 1,667. La temperatura finale T2 si ricava con la A-39 dell’Appendice A.6: (γ − 1)/γ
(1, 667 − 1) /1, 667
p 100 kPA T2 = T1 2 = 400 K = 184 K p1 700 kPA 0,208 kJ/(kg⋅K)(400 K − 184 K) = 67,4 kJ/kg 1 l2 = 1,667 − 1 Il lavoro 1L2 fatto da tutta la massa di gas vale: L = m1l2 = 2 kg × 67,4 kJ/kg = 134,8 kJ
1 2
䉳
361
362
CAPITOLO 16. – TERMODINAMICA
Esempio 16.8 Trasformazione politropica del gas perfetto Nel cilindro di un motore Diesel viene compressa dell’aria dalla pressione p1 = 0,1 MPa e dalla temperatura T1 = 300 K fino alla pressione p2 = 4,42 MPa. La trasformazione può essere approssimata con una politropica avente per esponente n = 1,35. Si chiede di: a) determinare la temperatura T2 alla fine della compressione; b) calcolare il lavoro scambiato 1l2; c) calcolare il calore scambiato 1q2; d) tracciare, in modo qualitativo, il diagramma sul piano pressione-volume e temperatura-entropia.
SOLUZIONE a) La temperatura si determina con la A-55 dell’Appendice A.6: p T2 = 2 T1 p1
( n − 1) /n
⇒
4,42 MPa T2 = 300 K 0,1 MPa
p T2 = T1 2 p1
( n − 1) /n
(1, 35 − 1) /1, 35
䉳
= 800,3 K
b) Il lavoro scambiato 1l2 è dato dalla A-58 (Appendice A.6) con la costante dell’aria R = 0,287 kJ/(kg⋅K) che si legge sulla Tabella A.5 dell’Appendice: l =
1 2
R(T1 − T2 ) 0,287 kJ/(kg⋅K) (300 K − 800,3 K) = = − 410,25 kJ/kg n −1 1,35 − 1
䉳
Il lavoro è negativo in quanto viene fatto dallo stantuffo sull’aria, entra cioè nel sistema (convenzione del Paragrafo 16.3.1). c) Il calore scambiato 1q2 si determina con la A-63 in cui figura la variazione di energia interna e una frazione che rappresenta il lavoro 1l2, già calcolato nella risposta precedente. La variazione di energia interna si calcola con la 16-11, in cui si pone la capacità termica massica dell’aria cv = 0,7165 kJ/(kg⋅K) letta nella Tabella A.5. u2 – u1 = cv (T2 – T1) = 0,7165 kJ/(kg⋅K) [800,3 – 300] K = 358,46 kJ/kg q = (u2 – u1) + 1l2 = 358,46 kJ/kg – 410,25 kJ/kg = – 51,79 kJ/kg
1 2
䉳
d) Nella Figura 16.10 è rappresentato l’andamento della trasformazione nei piani p–v e T–s.
T [K]
p [MPa] 2
800,3
4,42
2
1 300
1 0,1
q = – 51,79 kJ/kg
1 2
s [kJ/(kg⋅K)]
l = 410,25 kJ/kg
1 2
v [m3/kg]
Fig. 16.10 - Compressione politropica dell’Esempio 16.8 sul piano pressione-volume e temperatura-entropia.
16.6. – CICLI TERMODINAMICI
16. 6
CICLI TERMODINAMICI 16. 6. 1 Il ciclo di Carnot Il sistema termodinamico esegue un ciclo quando viene assoggettato ad una serie di trasformazioni tali da farlo ritornare nelle stesse condizioni che aveva all’inizio. La variazione delle proprietà di stato del sistema quali, ad esempio, pressione, volume massico, temperatura, energia interna, entalpia ed entropia è nulla: coincidendo infatti il punto iniziale con il punto finale della trasformazione ed essendo le proprietà citate funzione solo dello stato del sistema, i valori iniziale e finale delle proprietà devono essere uguali. Un ciclo viene quindi rappresentato in un piano, avente per coordinate determinate proprietà dello stato del sistema, ad esempio pressione p e volume massico v oppure temperatura T ed entropia massica s, da una linea chiusa (Figura 16.11).
a
b
p p1
TS
TS
p2 p4
T
1 1
2
2 4 TI
p3
TI
4
3
3
1′ 4′
2′ 3′
v
1′
2′
s
Fig. 16.11 - 䡵 a) Ciclo di Carnot nel piano p–v. 䡵 b) Ciclo di Carnot nel piano T–s.
Il ciclo di Carnot è costituito da due trasformazioni isoterme (1 ⇒ 2 e 3 ⇒ 4) e da due trasformazioni adiabatiche (2 ⇒ 3 e 4 ⇒ 1). Iniziamo considerando il ciclo percorso in senso orario. Si ricorda che l’area sottesa ad una trasformazione reversibile esprime nel piano p– v il lavoro massico che, per la 16-3, è positivo in una trasformazione in cui il volume massico v aumenta, mentre l’area sottesa ad una trasformazione reversibile esprime nel piano T– s il calore massico scambiato che, per la 16-8, è positivo quando l’entropia s aumenta. I lavori scambiati durante le singole trasformazioni sono rappresentati da (Figura 16.11-a): l ⇒ area 122′1′ il lavoro è positivo poiché il volume massico aumenta nel passare da 1 a 2;
1 2
l ⇒ area 233′2′ il lavoro è ancora positivo;
2 3
l ⇒ area 344′3′ il lavoro diviene negativo poiché il volume massico diminuisce nel passare da 3 a 4;
3 4
l ⇒ area 411′4′ il lavoro rimane negativo.
4 1
Il lavoro del ciclo è espresso dal lavoro positivo scambiato lungo il cammino da 1 a 3 passando per 2 (area 1233′1′ ) a cui va sottratto il lavoro negativo scambiato lungo il cammino da 3 a 1 passando per 4 (area 3411′3′). Il lavoro complessivo, rappresentato dall’area interna al ciclo, risulta positivo.
363
364
CAPITOLO 16. – TERMODINAMICA
I calori scambiati durante le singole trasformazioni sono rappresentati da (Figura 16.11-b): q ⇒ area 122′1′ il calore è positivo poiché l’entropia massica aumenta nel passare da 1 a 2;
1 2
q ⇒ area nulla
trattandosi di una adiabatica reversibile (isoentropica) il calore scambiato è uguale a zero;
2 3
q ⇒ area 341′2′ il calore è negativo poiché l’entropia massica diminuisce nel passare da 3 a 4;
3 4
q ⇒ area nulla
il calore scambiato è uguale a zero come lungo la trasformazione 2 ⇒ 3.
4 1
Il calore scambiato dall’unità di massa del fluido è rappresentato dall’area a tratti interna al ciclo, area che rimane allorché al calore positivo 1q2 si toglie la parte negativa 3q4. Nel ciclo di Carnot, percorso in senso orario, il lavoro complessivo scambiato è positivo; per la convenzione di segno del Paragrafo 16.3.1, ciò significa che il sistema fornisce lavoro all’esterno. Allo stesso tempo anche il calore scambiato è positivo; per la medesima convenzione, ciò vuol dire che il calore entra dall’esterno nel sistema. Un generico ciclo termodinamico percorso in senso orario prende il nome di ciclo diretto oppure di ciclo motore in quanto al sistema viene fornita una data quantità di calore per produrre lavoro. Il ciclo inverso è invece un ciclo percorso in senso antiorario (Figura 16.12); l’area del ciclo inverso nel piano p–v rappresenta questa volta un lavoro negativo, fatto cioè dall’esterno sull’unità di massa del fluido durante il ciclo, mentre nel piano T–s rappresenta una quantità di calore negativa: il calore viene cioè trasmesso dal sistema all’esterno. In un ciclo inverso viene fornito del lavoro al sistema per sottrarre calore all’esterno; un ciclo inverso tipico è il ciclo frigorigeno.
a
b
p p1
TS
TS
p2 p4
T
1 1
2
2 4 TI
p3
TI
4
3
3
1′ 4′
2′ 3′
v
1′
2′
s
Fig. 16.12 - 䡵 a) Ciclo di Carnot inverso nel piano p–v. 䡵 b) Ciclo di Carnot inverso nel piano T–s.
16. 6. 2 Le macchine termiche Un motore termico è un sistema costituito da uno o più componenti che, operando in modo continuo secondo un ciclo termodinamico, trasforma in lavoro parte del calore trasferito al fluido di lavoro. Un motore termico (Figura 16.13) riceve il calore qS da una regione ad alta temperatura TS, la sorgente superiore, trasforma in lavoro l soltanto una parte dell’energia fornita e cede infine la parte di calore qI, che rimane, a una regione a bassa temperatura TI , la sorgente inferiore.
16.6. – CICLI TERMODINAMICI
qS Sorgente superiore TS
Caldaia
qS Motore termico
l
l Pompa
qI Sorgente inferiore TI
Turbina
Condensatore qI
Fig. 16.13 - Schema del motore termico.
Fig. 16.14 - Schema di un impianto a vapore per la generazione di potenza.
La Figura 16.14 mostra un impianto semplificato per la generazione di potenza: • la pompa porta il liquido fino alla pressione richiesta dalla caldaia; • una sorgente ad alta temperatura, la caldaia, fornisce il calore qS necessario per generare il vapore; • il lavoro l viene prodotto facendo espandere il vapore nella turbina termica; • il calore qI viene ceduto alla sorgente inferiore, facendo condensare il vapore per mezzo dell’acqua di raffreddamento che circola in un condensatore, in modo da chiudere il ciclo.
Sorgente superiore TS qS Pompa di calore
l
qI Sorgente inferiore TI
Se si cambia il verso delle frecce che indicano il flusso dell’energia nel motore termico, si ottiene una macchina che, invece di produrre, assorbe lavoro. Questa macchina, che effettua un ciclo inverso, prelevando il calore qI dalla sorgente inferiore e cedendo il calore qS alla sorgente superiore (Figura 16.15) viene chiamata pompa di calore perché il lavoro meccanico l immesso nel sistema viene utilizzato per trasferire energia, sotto forma di calore, da una regione a bassa temperatura a una regione ad alta temperatura, in modo analogo a quanto avviene per una pompa che sposta l’acqua da una zona, situata a una quota bassa, a un’altra zona che si trova a una quota più elevata.
Fig. 16.15 - Schema di una pompa di calore.
La Figura 16.16 mostra una pompa di calore nei suoi elementi di base: • 1 ⇒ 2: il vapore saturo a bassa pressione di un fluido frigorifero, come ammoniaca oppure HFC 134a (tetrafluoroetano), entra nel compressore dove subisce una compressione isoentropica; • 2 ⇒ 3: all’ambiente, che si trova alla temperatura superiore TS , da riscaldare (la casetta del disegno) viene ceduto il calore qS generato nel cambiamento di fase (condensazione a pressione costante) che avviene attraverso uno scambiatore di calore, il condensatore, da cui il fluido di lavoro esce come liquido saturo;
365
366
CAPITOLO 16. – TERMODINAMICA
a
Ambiente interno caldo
b l qS
qS
qI
2 Compressore
3
c
Condensatore
Valvola di espansione
l
Evaporatore
p 1
4 3
qI
2
Ambiente esterno freddo 4
1
h
Fig. 16.16 - La pompa di calore. 䡵 a) Il trasferimento di energia. cesso nel piano pressione-entalpia.
䡵 b)
Componenti dell’impianto.
䡵 c)
Rappresentazione del pro-
• 3 ⇒ 4: attraverso la valvola di espansione si realizza un processo di laminazione isoentalpica, con il quale il fluido passa dalla pressione più alta alla pressione più bassa diminuendo contemporaneamente la temperatura; • 4 ⇒ 1: dall’ambiente, che si trova alla temperatura inferiore TI (l’ambiente esterno freddo del disegno), si sottrae il calore qI in un altro cambiamento di fase (evaporazione a pressione costante) che avviene attraverso uno scambiatore di calore, l’evaporatore, in modo da chiudere il ciclo.
16. 6. 3 Rendimento del ciclo Il rendimento η del ciclo di un motore termico è il rapporto tra il lavoro l ottenuto nel ciclo e la quantità di calore qS fornita al fluido dalla sorgente superiore: η =
energia voluta l = energia spesa qS
16-15
Il calore scambiato nel ciclo è la differenza tra il calore entrante qS e il calore uscente qI . Se si applica ad un ciclo l’equazione 16-2 di conservazione dell’energia, la variazione di energia interna, proprietà di stato, è nulla; il calore scambiato risulta allora uguale al lavoro scambiato. Sostituendo, nella 16-15, al lavoro la differenza tra calore entrante e uscente, si ottiene un’altra espressione del rendimento del ciclo: l = qS − qI
⇒
η =
qS − qI q =1– I qS qS
16-15′
Nel caso di un ciclo inverso, si parla di coefficiente di prestazione della pompa di calore (o coefficiente di effetto utile) βP , rapporto tra la quantità di calore qS , che viene trasmessa per riscaldare la regione ad alta temperatura, e il lavoro speso l; applicando ancora la relazione l = qS – qI , si ottiene:
16.6. – CICLI TERMODINAMICI
βP =
q qS energia voluta 1 = S = = energia spesa 1 – (qI /qS ) l qS − qI
16-16
Gli impianti per la generazione del freddo (frigorigeni) possono essere considerati una classe speciale di pompe di calore in cui il calore qS reso disponibile dal processo di condensazione viene smaltito nell’ambiente esterno caldo, mentre il calore qI viene estratto mediante il processo di evaporazione dall’interno dell’impianto frigorigeno che si trova alla temperatura TI, inferiore alla temperatura ambiente. Essendo questa volta l’effetto desiderato rappresentato dal calore qI sottratto alla sorgente inferiore, l’impianto ottimo raggiunge il massimo coefficiente di prestazione del ciclo frigorigeno βF sottraendo la quantità di calore qI (e quindi raffreddando un determinato ambiente) con la minima richiesta di lavoro l: βF =
a
b
Sorgente di calore q Macchina che nega l’enunciato di Kelvin-Planck
q qI energia voluta 1 = I = = energia spesa (qS /qI) – 1 l qS − qI
Dei molti enunciati del secondo principio della termodinamica, tutti tra loro equivalenti, due riguardano in particolare le macchine termiche (Figura 16.17):
Sorgente superiore TS qS = qI
l
Macchina che nega l’enunciato di Clausius
16-17
1. Enunciato di Kelvin-Planck: è impossibile realizzare un ciclo con produzione di lavoro utilizzando una sola sorgente di calore.
l=0
2. Enunciato di Clausius: è impossibile realizzare un ciclo che trasferisca calore da una sorgente, a una determinata temperatura, a una sorgente a temperatura più alta senza apporto di energia.
qI Sorgente inferiore TI
Fig. 16.17 - 䡵 a) Schema di macchina che nega l’enunciato di Kelvin-Planck. 䡵 b) Schema di macchina che nega l’enunciato di Clausius.
Si è visto sopra che le macchine termiche richiedono rispettivamente: 1. Una sorgente a bassa temperatura, a cui trasferire il calore proveniente dalla sorgente ad alta temperatura, qualora, attraverso un ciclo diretto, si voglia produrre lavoro (Figura 16.13). 2. Un’immissione di lavoro dall’esterno nel sistema qualora si voglia pompare calore dalla sorgente con temperatura bassa a quella con temperatura alta, secondo il ciclo inverso della Figura 16.15. Si può così spiegare come mai viene posto un limite superiore al rendimento dei motori termici; il rendimento della trasformazione del calore in lavoro non può arrivare ad 1 a causa della necessità di disporre della sorgente fredda inferiore, la qual cosa implica la presenza del termine sottrattivo qI /qS nell’espressione 16-15′ del rendimento. Per quantificare il limite del rendimento, occorre ritornare al ciclo di Carnot il cui rendimento è dato da16.2:
η =1−
TI TS
16-18
Il rendimento del ciclo di Carnot non dipende dalle caratteristiche del fluido di lavoro ed è funzione soltanto delle due temperature superiore TS e inferiore TI. Il rendimento del ciclo aumenta
367
368
CAPITOLO 16. – TERMODINAMICA
rapidamente all’aumentare della temperatura superiore TS , come si vede mantenendo, ad esempio, fissa la temperatura inferiore ad un valore prossimo a quella ambiente TI = 300 K: TS [K]
500
1000
1500
2000
2500
η
0,4
0,7
0,8
0,85
0,88
Tra tutti i cicli possibili, realizzabili tra le stesse temperature estreme TS e TI, il ciclo di Carnot è quello che presenta il rendimento maggiore; il valore del rendimento del ciclo di Carnot, comunque sempre inferiore ad 1, rappresenta il limite a cui debbono tendere, senza mai poterlo raggiungere, i motori termici. Il ciclo di Carnot, che essendo un ciclo reversibile può essere percorso in senso inverso, fornisce le seguenti espressioni del coefficiente di prestazione della pompa di calore βP e dell’impianto frigorigeno βF : TS TI βP = βF = 16-19 TS − TI TS − TI Il coefficiente di prestazione dipende solo dalle temperature estreme del ciclo e rappresenta il limite a cui tendono, senza poterlo raggiungere, una pompa di calore e un impianto frigorigeno che operano tra le stesse temperature estreme.
Esempio 16.9 Coefficienti di prestazione L’impianto di condizionamento di una casa, alimentato con una potenza meccanica L˙ = 3 kW, è in grado di trasferire alla sorgente superiore il calore nell’unità di tempo Q˙ S = 12 kW. Determinare: a) il coefficiente di prestazione βP, quando, durante l’inverno, la casa va riscaldata con la potenza termica Q˙ S , fornita dall’impianto che funziona come pompa di calore; b) il coefficiente di prestazione βF , quando, nella stagione estiva, la casa va raffreddata, cedendo all’esterno la potenza termica Q˙ S con l’impianto che funziona come refrigeratore.
SOLUZIONE a) Essendo assegnate delle potenze, il coefficiente di prestazione va calcolato come rapporto tra potenza termica e potenza meccanica anziché dei corrispondenti lavori (16-16): Q˙ 12 kW =4 䉳 βP = S = ˙L 3 kW b) Il lavoro qS scambiato nel ciclo è la differenza tra il calore entrante qS e il calore uscente qI (16-15′ ): l = qS – qI . Si esprima questo bilancio in termini di potenze: L˙ = Q˙ S − Q˙ I
⇒
Q˙ I = Q˙ S − L˙ = 12 kW − 3 kW = 9 kW
e si applichi la 16-17 per calcolare il coefficiente di prestazione dell’impianto frigorigeno: Q˙ 9 kW =3 βF = I = 3 kW L˙
䉳
COMMENTI È regola generale, come si ricava da questo Esempio, che il coefficiente di prestazione della pompa di calore è uguale al coefficiente di prestazione del corrispondente impianto frigorigeno aumentato di 1.
16.7. – RENDIMENTI INTERNI DELLA MACCHINA
16. 7
RENDIMENTI INTERNI DELLA MACCHINA Nell’espansione del gas in una turbina, il processo è sempre piuttosto rapido e il gas non fa a tempo a scambiare calore con l’esterno; la trasformazione può quindi essere considerata adiabatica. Se l’espansione avviene in modo reversibile, allora la trasformazione è anche isoentropica (Paragrafo 16.5.3): sul diagramma entropico (Figura 16.18-a) infatti l’area sottesa alla trasformazione 1 ⇒ 2s, che è un segmento verticale, è uguale a zero e l’entropia finale s2s coincide con l’entropia iniziale s1. Se invece, come accade per il processo reale, l’espansione è ancora adiabatica, ma avviene in modo irreversibile (linea 1 ⇒ 2) allora, per la 16-8, la variazione di entropia risulta maggiore di zero e l’entropia finale s2 è maggiore dell’entropia iniziale s1. Irreversibilità tipiche delle trasformazioni reali sono le perdite generate dagli attriti presenti all’interno del sistema, evidenziate dal lavoro delle resistenze passive che, nell’equazione 16-7, è stato indicato con lw. a
b
T
T1
p1
T [K] 2
T2
1
T2s
p2
p2 = 1000 kPA
2s p1 = 100 kPA
T2 T2s
2 2s
s1
T1 = 300 K
s2
s
1
s1 s2
s [kJ/(kg⋅K)]
Fig. 16.18 - 䡵 a) Espansione in una turbina a gas sul diagramma entropico temperatura-entropia. 䡵 b) Compressione in un compressore sul diagramma entropico temperatura-entropia.
Si tiene conto di tutte le perdite presenti nella macchina che attua quella particolare trasformazione (nel caso esaminato è l’espansione che avviene nella turbina) attraverso il rendimento interno della macchina o rendimento della trasformazione, indice del grado di perfezione con cui avviene la trasformazione. Questo rendimento è dato dal rapporto tra il lavoro interno li , che il fluido compie sugli organi mobili della macchina, ed il lavoro ideale corrispondente a una trasformazione priva di perdite, che si svolga tra le stesse pressioni estreme dell’espansione reale, partendo dalle stesse condizioni iniziali del fluido di lavoro. Il secondo principio della termodinamica afferma che la trasformazione ideale, a cui fare riferimento per confrontare le prestazioni effettive della macchina, è quella che avviene in modo reversibile. In una turbina la trasformazione è anche adiabatica; la trasformazione ideale di riferimento è quindi una trasformazione isoentropica. Si definisce allora rendimento interno della turbina termica o rendimento isoentropico ηt il rapporto tra il lavoro li effettivo prodotto dalla turbina, in un processo adiabatico reale e quindi irreversibile, e il lavoro ideale ls, che potrebbe essere realizzato in una espansione isoentropica da una turbina che operi tra lo stesso stato iniziale e la stessa pressione di scarico della turbina. Per la 16-6, equazione del bilancio energetico nel sistema aperto, quando la variazione di energia cinetica è trascurabile e il processo è adiabatico, il lavoro risulta uguale alla variazione di entalpia; il rendimento della turbina può così essere espresso in funzione della variazione di entalpia:
ηt =
h1 − h 2 li = h1 − h 2 s ls
16-20
369
370
CAPITOLO 16. – TERMODINAMICA
Nel caso del compressore (Figura 16.18-b) si definisce un rendimento isoentropico di compressione adiabatica ηc come rapporto tra il lavoro ls , riferito a una trasformazione isoentropica (linea 1 ⇒ 2s), e il lavoro li assorbito, nel caso di una trasformazione adiabatica che si svolga tra lo stesso stato iniziale 1 e la stessa pressione di mandata p2 (linea 1 ⇒ 2):
ηc =
ls li
16-21
Dal momento che il lavoro richiesto per produrre un dato aumento di pressione in una compressione adiabatica reale è più grande di quello richiesto in una compressione isoentropica, il rendimento di compressione è sempre inferiore a 1. I compressori assiali e centrifughi, impiegati negli impianti di turbine a gas e nei motori a getto, hanno rendimenti isoentropici compresi tra 0,75 e 0,85. Il fatto che impianti di turbine a gas di potenza modesta e quindi con compressori piccoli siano diventati recentemente una realtà è dovuto allo sviluppo di conoscenze che hanno permesso di raggiungere rendimenti interni particolarmente elevati anche con i turbocompressori.
Esempio 16.10 Lavoro e temperatura di mandata in un compressore Un compressore, che opera adiabaticamente con un rendimento ηc = 0,85, aspira aria avente pressione p1 = 100 kPa, temperatura T1 = 300 K e velocità trascurabile. L’aria viene inviata alla mandata con velocità trascurabile e pressione p2 = 1000 kPa. Nell’ipotesi di considerare l’aria un gas perfetto con γ = 1,4 e cp = 1,0035 kJ/(kg⋅K), determinare: a) il lavoro interno li = 1l 2 assorbito dal compressore; b) la temperatura effettiva alla mandata.
SOLUZIONE a) Il lavoro interno li , dall’inizio 1 alla fine 2 della compressione (Figura 16.18-b), è funzione, per la 16-21, del lavoro isoentropico di compressione ls e del rendimento di compressione ηc: ηc = ls /li ⇒ li = ls/ηc. Il rendimento di compressione è un dato dell’Esempio; occorre quindi determinare ls. Trascurando la variazione di energia potenziale (fluido comprimibile), la variazione di energia cinetica (velocità molto basse) e lo scambio termico con l’esterno (processo molto rapido e quindi q = 0), il lavoro di compressione, per l’equazione di bilancio energetico 16-6, si esprime, analogamente a quanto avviene per una turbina, con la variazione di entalpia. Il lavoro di compressione isoentropico è perciò uguale alla variazione di entalpia tra l’inizio 1 e la fine 2s della compressione isoentropica. Ma, per la 16-11′, la variazione di entalpia di un gas perfetto è funzione del prodotto della capacità termica massica a pressione costante, che è assegnata, per la differenza delle temperature.
ls = h1 – h2s = cp(T1 – T2 ) s
La temperatura T2s si calcola con la formula A-39 dell’Appendice A.6. p T2 s = T1 2 p1
(γ − 1) /γ
1000 kPa = 300 K 100 kPa
(1, 4 − 1) /1, 4
= 579 K
ls = cp (T1 – T2s) = 1,0035 kJ/(kg⋅K) (300 K – 579 K) = – 280 kJ/kg li =
ls − 280 kJ/kg = = − 329,4 kJ/kg ηc 0,85
䉳
16.8. – SOMMARIO
b) Applicando un’espressione simile a quella del lavoro isoentropico, si ricava il lavoro reale del compressore li e da qui la temperatura T2 raggiunta effettivamente dall’aria all’uscita del compressore. li = h1 − h2 = c p (T1 − T2 )
T2 = 300 K −
T2 = T1 −
⇒
− 329,4 kJ/kg = 628 K 1,0035 kJ/(kg⋅K)
li cp 䉳
COMMENTI Il lavoro interno assorbito dal compressore (– 329,4 kJ/kg) risulta negativo in quanto è lavoro assorbito dal compressore; è cioè un lavoro che entra nel sistema.
16. 8
SOMMARIO L’applicazione del principio di conservazione dell’energia ad un sistema termodinamico chiuso stabilisce che, nel passare dallo stato iniziale 1 allo stato finale 2 della trasformazione, la somma algebrica di calore 1q2 [kJ/kg] e lavoro 1l2 [kJ/kg] è uguale alla variazione di energia interna del sistema u2 – u1: 1q2 – 1l2 = u2 – u1 Il lavoro massico è espresso dall’integrale del prodotto della pressione per la variazione di 2
volume massico: 1 l2 =
∫ pdv. Introdotta l’entalpia h = u + pv, proprietà dello stato del sistema 1
come l’energia interna, il principio di conservazione dell’energia, nel caso di una trasformazione a pressione costante del sistema chiuso, si scrive: q = h2 – h1
1 2
Al sistema termodinamico aperto, che tiene conto anche degli scambi di massa m oltre che di calore q e di lavoro interno alla macchina li , si applicano l’equazione di continuità della portata e il bilancio dell’energia tra la sezione di ingresso 1 e di uscita 2 del sistema: q + h1 +
v12 v2 + gz1 = h2 + 2 + gz 2 + li 2 2 2
∫
Nel sistema aperto il lavoro si esprime con li = − vdp − lw dove lw indica il lavoro fatto dalle 1 resistenze passive interne al sistema. Il bilancio energetico, ripreso dal primo principio della termodinamica, garantisce l’impossibilità di produrre energia meccanica senza la simultanea diminuzione di un’altra energia, come il calore, suscettibile di trasformazione. Ogni processo può tuttavia essere ripercorso in senso inverso senza violare il primo principio. Tale possibilità è negata dal secondo principio che afferma che alcuni processi non possono avvenire. La guida offerta dal secondo principio per determinare la direzione naturale dei processi è rappresentata da una funzione di stato, l’entropia 2 δq [kJ/(kg⋅K)], la cui variazione si esprime con s2 − s1 > , dove δq [kJ/kg] è il calore ele1 T mentare scambiato alla temperatura T [K], mentre il segno di maggiore si riferisce alla trasformazione reale (irreversibile) e il segno uguale a quella ideale (reversibile).
∫
Nel diagramma pressione-volume p–v, l’area sottesa alla trasformazione rappresenta il lavoro 1l2, mentre nel diagramma temperatura-entropia T–s l’area sottesa è il calore 1q2. I diagrammi termodinamici più utilizzati sono quelli in cui l’entalpia h è una delle due coordinate.
371
372
CAPITOLO 16. – TERMODINAMICA
L’equazione di stato del gas perfetto è espressa da pv = RT, con R [kJ/(kg⋅K)] costante caratteristica del gas; al posto del volume massico v, si può scrivere la massa volumica ρ = 1/v (p/ρ = RT) oppure il rapporto volume / massa del gas V/m = v (pV = mRT). Per un gas perfetto, l’energia interna e così pure l’entalpia risultano funzioni della sola temperatura. La capacità termica massica [kJ/(kg⋅K)] assume un valore costante per ciascun gas perfetto. Il rendimento η del ciclo di un motore termico è il rapporto tra il lavoro l ottenuto nel ciclo e la quantità di calore qS fornita al fluido dalla sorgente superiore: η =
energia voluta l = q energia spesa S
Oppure, tenendo presente che il lavoro nel ciclo è la differenza tra il calore entrante qS e il calore uscente qI , il rendimento si esprime con: l = qS – qI
⇒
η=
qS – qI q =1– I qS qS
Tra tutti i cicli possibili, realizzabili tra le stesse temperature superiore TS e inferiore TI , il ciclo di Carnot, costituito da due isoterme e da due adiabatiche, è quello che presenta il rendimento maggiore; il valore del rendimento del ciclo di Carnot, comunque sempre inferiore ad 1, rappresenta il limite a cui debbono tendere, senza mai poterlo raggiungere, i motori termici: η=1–
TI TS
Si tiene conto di tutte le perdite presenti nella macchina, ad esempio una turbina, che attua una data trasformazione attraverso il rendimento interno della macchina o rendimento della trasformazione (indicato con η t nel caso della turbina), indice del grado di perfezione con cui avviene la trasformazione. Questo rendimento è dato dal rapporto tra il lavoro interno li , che il fluido compie sugli organi mobili della macchina, ed il lavoro ideale (isoentropico) ls corrispondente a una trasformazione priva di perdite, che si svolga tra le stesse pressioni estreme dell’espansione reale, partendo dalle stesse condizioni iniziali del fluido di lavoro.
Esercizi proposti 16.1 Calcolare il calore scambiato 1Q2 durante una trasformazione di un sistema termodinamico chiuso in cui viene scambiata una quantità di lavoro pari a 40 kJ con una variazione di energia interna ∆U = U2 – U1 pari a 660 kJ. Sapendo che l’energia interna iniziale vale U1 = 200 kJ, calcolare l’energia interna finale U2. Q2 = 700 kJ; U2 = 860 kJ
1
16.2 Calcolare la massa m d’aria contenuta in un cilindro di 1 m3 alla pressione di 4 MPa e alla temperatura di 600 K. Sapendo che l’aria viene fatta espandere in modo reversibile in condizioni isoterme fino alla pressione di 0,1 MPa, calcolare calore massico 1q2, lavoro massico 1l2, quantità di calore 1Q2 e lavoro 1L 2 scambiati nella trasformazione. m = 23,2 kg; 1q2 = 1 l2 = 635,2 kJ/kg; 1Q2 = 1 L2 = 14,74 MJ
16.3 Le condizioni iniziali dell’aria, contenuta in un cilindro, sono caratterizzate dalla pressione di 100 kPa, dalla temperatura di 500 K e dal volume di 10 m3. Calcolare le condizioni finali di temperatura T2 e pressione p2, qualora il volume dell’aria venga ridotto fino a 1,5 m3 seguendo una trasformazione isobarica oppure isotermica oppure politropica di esponente n = 1,33 oppure infine adiabatica. isobara: T2 = 75 K, p2 = 100 kPa; isoterma: T2 = 500 K, p2 = 666,7 kPa; politropica: T2 = 935,1 K, p2 = 1264,8 kPa; adiabatica: T2 = 1067,9 K, p2 = 1426,9 kPa 16.4 L’aria contenuta in un cilindro di 0,5 m3 alla pressione di 173 kPa e alla temperatura di 300 K viene compressa da uno stantuffo, secondo una politropica di esponente n = 1,3, fino a raggiungere la pressione finale di 600 kPa.
ESERCIZI PROPOSTI
Calcolare la massa d’aria m contenuta nel cilindro, il volume finale V2, il rapporto tra i volumi iniziale e finale V1/V2, il lavoro scambiato 1L 2, la temperatura finale T2, l’energia interna massica iniziale u1 e finale u2, il calore scambiato 1Q2. m = 1 kg; V2 = 0,192 m3; V1/V2 = 2,6; 1L2 = – 95,3 kJ; T2 = 400 K; u1 = 214,09 kJ/kg; u2 = 286,19 kJ/kg; 1Q2 = – 23,6 kJ 16.5 Leggere, sul diagramma di Mollier, titolo x, ed entalpia h1 di 0,5 kg d’acqua alla pressione di 140 kPa e con un volume massico di 1,0 m3/kg. Leggere il nuovo valore di entalpia h2, che si raggiunge in un riscaldamento a pressione costante fino alla temperatura di 170 °C. Determinare infine la quantità di calore q somministrata all’unità di massa e il calore complessivo Q. x = 0,8; h1 = 2240 kJ/kg; h2 = 2820 kJ/kg; q = 580 kJ/kg; Q = 290 kJ 16.6 Calcolare il rendimento η di un motore termico, sapendo che il lavoro ottenuto è 400 kJ/kg e il calore fornito dalla sorgente superiore è pari a 1000 kJ/kg. η = 0,4
16.10 Calcolare il coefficiente di prestazione βF di un ciclo frigorigeno che opera tra le temperature estreme di: a) – 5 °C e + 35 °C; b) – 20 °C e + 35 °C. a) βF = 6,7; b) βF = 4,6 16.11 Una grande centrale termoelettrica sviluppa una potenza meccanica di 1000 MW con un rendimento ⋅ del ciclo di 0,4. Calcolare la potenza termica Q s da fornire all’impianto e la potenza termica Q˙ l che va ceduta all’ambiente. Q˙ s = 2500 MW; Q˙ l = 1500 MW 16.12 Una portata d’acqua di 75,6 kg/s entra con l’entalpia di 688 kJ/kg in un generatore di vapore ed esce con l’entalpia di 2765 kJ/kg. Calcolare la potenza termica Q˙ fornita dal generatore. Q˙ = 157 MW 16.13 Servendosi del diagramma di Mollier, determinare entalpia iniziale h1, entropia iniziale s1, e salto entalpico ideale ∆hs effettuato in una turbina dal vapore che entra con 4 MPa di pressione e 480 °C di temperatura per espandersi adiabaticamente fino alla pressione di 10 kPa. Sapendo che il rendimento isoentropico dell’espansione è pari a 0,85, determinare, alla fine dell’espansione reale, entalpia h2, titolo del vapore x2 e lavoro effettivo in turbina 1l 2.
16.7 Calcolare il lavoro l ottenuto in un ciclo motore, sapendo che il calore fornito al fluido dalla sorgente superiore è 1000 kJ/kg e il calore ceduto dal fluido alla sorgente inferiore è pari a 600 kJ/kg. l = 600 kJ/kg 16.8 Calcolare il rendimento η di un motore, che segue un ciclo di Carnot tra la temperatura superiore di 2160 °C e la temperatura inferiore di 700 °C. η = 0,6 16.9 Calcolare il rendimento η di una centrale nucleare, in cui si produce una potenza meccanica di 40,9 MW introducendo una potenza termica di 157 MW. η = 0,26
h1 = 3398 kJ/kg; s1 = 7,02 kJ/(kg⋅K); ∆hs = 1173 kJ/kg; h2 = 2401 kJ/kg; x2 = 0,923; 1l2 = 997 kJ/kg 16.14 Una turbina è alimentata con vapore avente pressione 1,5 MPa e temperatura 350 °C. Il vapore lascia la turbina alla pressione di 10 kPa. Il lavoro raccolto dalla girante è pari a 744,5 kJ/kg. Utilizzando il diagramma di Mollier, determinare, all’inizio dell’espansione, entalpia h1 ed entropia s1, e, alla fine dell’espansione, entalpia ideale h2, salto entalpico ideale ∆hs , titolo ideale x2s , rendimento dell’espansione ht, entalpia effettiva h2 e titolo effettivo x2. s
h1 = 3147 kJ/kg; s1 = 7,10 kJ/kg(kg⋅K); h2s = 2250 kJ/kg; ∆hs = 897 kJ/kg; x2s = 0,86; η t = 0,83; h2 = 2402,5 kJ/kg; x2 = 0,925
373
TRASMISSIONE DEL CALORE
Capitolo 17
17. 1
I TRE MODI DI TRASMISSIONE DEL CALORE Se accostiamo corpi aventi temperatura diversa, la temperatura del corpo più caldo diminuisce mentre la temperatura di quello più freddo aumenta. Consideriamo, ad esempio, una lattina di birra che, tolta dal frigorifero, viene posta sul tavolo, a contatto quindi con l’aria più calda della stanza. La temperatura della birra inizia ad aumentare e continuerà a farlo fino a quando non diventerà uguale alla temperatura dell’aria circostante. La temperatura della lattina, appena tolta dal frigorifero, è più bassa di quella che raggiunge dopo due ore: toccandola possiamo renderci conto di questa variazione; non siamo invece in grado di avvertire una diminuzione della temperatura dell’aria circostante a causa della notevole massa di aria contenuta nella stanza. La progressiva riduzione della differenza di temperatura deve essere ricondotta a uno scambio di energia tra la lattina e l’ambiente, scambio che continua finché esiste la differenza di temperatura. I fenomeni fisici e i parametri che governano sia la velocità con cui viene scambiata energia sia la sua quantità totale sono piuttosto complessi. Quando il trasferimento di energia avviene solo a causa di una differenza di temperatura e non viene fatto alcun lavoro dalla oppure sulla sostanza, allora il trasferimento di energia viene studiato in una scienza che prende il nome di trasmissione del calore. Lo scopo di questa scienza è appunto quello di individuare i fattori che condizionano l’energia scambiata nell’unità di tempo tra solidi e fluidi, oppure in una combinazione di questi, in modo da poter prevedere la distribuzione delle temperature e la velocità di trasferimento dell’energia nei sistemi termodinamici. Questo trasferimento di energia viene espresso come quantità di calore Q trasmessa nell’unità di tempo t; è un flusso di calore e prende il nome di flusso termico. Il flusso termico si indica con Q˙ = Q / t e si misura in W dal momento che 1 J/s equivale a 1 W; Q˙ è perciò una potenza termica. Molto spesso è utile considerare il calore scambiato nell’unità di tempo e per unità di area A normale alla direzione secondo cui viene trasmesso il calore. È questa una grandezza riferita a un’area (e quindi chiamata areica); viene perciò chiamata flusso termico areico e indicata con Φ = Q˙ / A [W/m 2 ].
a Conduzione T1
T1 > T2
c Irraggiamento
b Convezione T2
Φ
T ′ Temperatura del fluido in moto
Superficie alla temperatura T1
T1 > T ′
Φ1
Φ Φ2 T1 Temperatura della superficie
Superficie alla temperatura T2
Figura 17.1 - I tre modi di trasmissione del calore.
17.2. – CLASSIFICAZIONE DEGLI SCAMBIATORI DI CALORE
La trasmissione del calore è in sostanza energia che viene trasmessa in conseguenza di una differenza (o gradiente) di temperatura ∆T. Come si realizza questo trasferimento di energia? Vi sono tre modi (Figura 17.1): a) conduzione: quando il trasferimento di calore, prodotto dal gradiente di temperatura, avviene in un solido oppure in un fluido in quiete; b) convezione: si tratta invece del trasferimento di calore che avviene tra una superficie e un fluido in movimento dotati di temperature diverse; c) irraggiamento: tutte le superfici che si trovano a una data temperatura emettono energia sotto forma di onde elettromagnetiche; perciò, in assenza di un mezzo situato tra di esse, il calore tra le due superfici a diversa temperatura viene trasmesso per solo irraggiamento.
17. 2
CLASSIFICAZIONE DEGLI SCAMBIATORI DI CALORE Uno scambiatore di calore è tipicamente una macchina in cui l’energia viene trasferita da un fluido ad un altro attraverso una superficie solida (Figura 17.2). I meccanismi, che governano questo trasferimento di energia, sono soprattutto quelli di convezione e di conduzione. Gli scambiatori di calore possono essere classificati sia in funzione del tipo di applicazione sia sulla base della configurazione relativa, che assumono tra loro la corrente del fluido più freddo e la corrente del fluido più caldo. Evaporatore dell’impianto di condizionamento
Seconda vaschetta di espansione del radiatore
Valvola di laminazione Vaschetta di espansione
Radiatore di raffreddamento motore
Filtro deidratatore
Interrefrigeratore aria/aria
Scambiatore dell’olio lubrificante raffreddato dall’acqua di raffreddamento motore
Condensatore dell’impianto di condizionamento Compressore dell’impianto di condizionamento
Ventilatore viscostatico
Fig. 17.2 - Scambiatori Behr impiegati nei diversi circuiti di un autocarro: condizionamento della cabina (verde) con evaporatore e condensatore, raffreddamento dell’aria di alimentazione del motore Diesel con interrefrigeratore (grigio chiaro con tubo celeste), raffreddamento dell’acqua del motore con radiatore (marrone), raffreddamento dell’olio del motore con scambiatore (giallo).
375
376
CAPITOLO 17. – TRASMISSIONE DEL CALORE
17. 2. 1 Classificazione basata sull’applicazione Senza cambiamento di fase. Esistono Diaframmi trasversali sostanzialmente due tipi di scambiatori in cui i fluidi, che scorrono all’interno dell’unità, non sono soggetti a un passaggio di stato. Nello scambiatore a fascio tubiero (Figura 17.3-a), utilizzato prevalentemente per liquidi, uno dei due fluidi scorre all’interno dei tubi mentre l’altro ne lambisce la superficie esterna descrivendo un Uscita Uscita percorso, determinato dalla posizione di mantello tubi diaframmi trasversali i quali, oltre a geneFig. 17.3-a - Schema dello scambiatore di calore a fascio tubiero. rare turbolenza, promuovono una componente della velocità di questo fluido diretta normalmente ai tubi (flusso incrociato). Lo scambiatore compatto (Figura 17.3-b) viene invece principalmente impiegato quando occorre trasferire calore tra due gas oppure tra un liquido e un gas. Questi scambiatori hanno una superficie di scambio, per unità di volume, molto ampia, che viene raggiunta con pacchi di lamierini oppure alette poste attorno ai tubi.
Ingresso tubi
Ingresso mantello
Flusso del gas
Flusso del gas
Flusso nei tubi
Flusso nei tubi
Fig. 17.3-b - Schema dello scambiatore compatto e particolare di tubi alettati in modo da aumentare la superficie di scambio.
2ª fase
1ª fase
Gas freddi
Materiale di immagazzinamento
Gas caldi Calore da immagazzinare
Calore ricuperato
Fig. 17.4 - Rigeneratori a letti fissi impiegati in siderurgia: il flusso dei gas viene cambiato tra il periodo di immagazzinamento del calore e il periodo di ricupero del calore.
Con cambiamento di fase. Molte applicazioni sono rivolte a ottenere il passaggio di stato di uno dei due fluidi. Lo scambiatore, di disegno molto spesso derivato dallo scambiatore a fascio tubiero, prende il nome di evaporatore quando si forma vapore e di condensatore quando invece si voglia condensare una corrente di vapore. Come esempio di questi processi, possiamo citare la caldaia, alimentata con aria e combustibile fossile, la cui combustione genera dei gas caldi che trasferiscono l’energia termica necessaria per il passaggio dell’acqua allo stato di vapore. Rigeneratore. È lo scambiatore in cui le correnti dei due fluidi scambiano calore usando periodicamente lo stesso passaggio in modo tale che, in un dato istante, soltanto uno dei due fluidi sia a contatto con lo scambiatore (Figura 17.4 ). Nel progetto del rigeneratore occorre dedicare un’attenzione particolare alla capacità di immagazzinare calore, raggiunta con una notevole massa di materiale; questi scambiatori possono raggiungere perciò dimensioni notevoli.
17.2. – CLASSIFICAZIONE DEGLI SCAMBIATORI DI CALORE
17. 2. 2 Classificazione basata sulla configurazione dei flussi Equicorrente. I due fluidi scorrono, uno parallelo all’altro, nella stessa direzione (Figura 17.5-a); si tratta di unità non molto diffuse in quanto di efficienza piuttosto bassa. Controcorrente. I due fluidi scorrono l’uno parallelamente all’altro, ma in direzione opposta (Figura 17.5-b); è la configurazione di scambiatore caratterizzata dall’efficienza più elevata. A correnti incrociate. I due flussi formano tra loro un angolo retto (Figura 17.5-c); per quanto questi scambiatori non siano così efficienti come quelli in controcorrente, queste unità vengono impiegate per la facilità con cui il fluido può essere convogliato allo scambiatore. Esemplificazioni tipiche di questa soluzione sono i radiatori degli autoveicoli e gli interrefrigeratori usati nei motori alternativi a combustione interna sovralimentati. Controcorrente a flusso incrociato. È un compromesso (Figura 17.5-d) tra uno scambiatore di costruzione più semplice e un’alta efficienza che approssima quella dello scambiatore in controcorrente all’aumentare dei passaggi (il numero delle volte in cui la corrente viene ripiegata). Fascio tubiero a più passaggi. Sono scambiatori utilizzati in molte applicazioni per la semplicità di costruzione (Figura 17.5-e).
a
b
c
d
e1
e2
Ingresso mantello
Ingresso mantello Uscita tubi Uscita tubi
Ingresso tubi
Ingresso tubi
Uscita mantello
Fig. 17.5 - Tipi diversi di scambiatori di calore: Uscita mantello a) equicorrente; b) controcorrente; c) a correnti incrociate; d) controcorrente a flusso incrociato; e) fascio tubiero a più passaggi: e1. un passaggio nel mantello e due passaggi nel tubo; e2. due passaggi nel mantello e quattro passaggi nel tubo.
377
378
CAPITOLO 17. – TRASMISSIONE DEL CALORE
17. 3
PROGETTO DELLO SCAMBIATORE DI CALORE Nel calcolo di progetto oppure di previsione delle prestazioni di uno scambiatore di calore è essenziale arrivare a espressioni che mettono in relazione la quantità di calore trasmesso nell’unità di tempo Q˙ con le temperature di ingresso e di uscita dei due fluidi e l’area A della superficie totale richiesta per quel dato scambio termico. Due di queste espressioni possono essere facilmente ottenute applicando l’equazione del bilancio energetico di sistemi aperti al fluido caldo (pedice c) e al fluido freddo (pedice f ), caratterizzati rispettivamente dalle portate in massa m˙ c e m˙ f . Nell’ipotesi che siano trascurabili il calore trasmesso tra scambiatore e ambiente esterno, le variazioni di energia cinetica e le variazioni di energia potenziale, l’equazione del bilancio energetico 16-6, scritta in termini di flusso termico Q˙ , diviene: Q˙ = m˙ ( h u − hi )
m⋅ c Tci m⋅ f
Q˙
Tcu
Q˙
Tf i
Tf u
Fig. 17.6 - Bilancio energetico complessivo tra fluido caldo e fluido freddo di uno scambiatore.
17-1
dove hu e hi rappresentano rispettivamente le entalpie in uscita (pedice u) e in ingresso (pedice i ) del fluido. Se esprimiamo l’entalpia in funzione della temperatura (per un gas perfetto è h = cpT ), otteniamo una prima equazione, che afferma che il flusso Q˙ (Figura 17.6 ) entra nel fluido freddo, facendone aumen tare la tempera tura dal valore in ingresso Tfi al valore in uscita Tfu17.1:
Q˙ = m˙ f c pf (Tfu − Tf i )
17-2
Ma la sottrazione del flusso termico Q˙ fa diminuire la temperatura del fluido caldo dal valore in ingresso Tci al valore in uscita Tcu e quindi per il fluido caldo l’equazione 17-1 diviene: Q˙ = m˙ c c pc (Tci − Tcu )
17-3
Note le temperature di ingresso dei due fluidi e specificate, oppure facilmente determinabili in base alle equazioni di bilancio 17-2 e 17-3, le temperature in uscita, si procede al dimensionamento dell’area A della superficie di scambio con una equazione che mette in relazione il calore trasmesso nell’unità di tempo Q˙ tra i due fluidi (caldo e freddo) con l’area A e la differenza media di temperatura ∆Tm dei due fluidi. Q˙ = UA∆Tm
17-4
Il legame tra il flusso termico Q˙ [W] (a sinistra nell’equazione 17-4) e il prodotto (a destra nell’equazione) dell’area A [m2] per la differenza di temperatura ∆Tm [K] è espresso dal coefficiente
˙ p [J/(K ⋅s)] è de17.1 - La grandezza mc finita la capacità termica del fluido per unità di tempo e viene indicata con il
simbolo C˙ . Abbiamo perciò un valore relativo al fluido freddo C˙ f = m˙ f c p f e un valore
relativo al fluido caldo C˙ c = m˙ c c pc .
17.3. – PROGETTO DELLO SCAMBIATORE DI CALORE
Tabella 17.1 Valori rappresentativi del coefficiente globale di scambio U U [W/(m2⋅K)]
Combinazione di fluidi Acqua/acqua Acqua/olio Gas/gas Condensatore di vapore (acqua nei tubi) Condensatore di ammoniaca (acqua nei tubi) Condensatore di alcool (acqua nei tubi) Vapore/olio combustibile denso Scambiatore di calore a tubi alettati (acqua nei tubi, aria in corrente incrociata)
Tci
T
Tcu ∆T1
∆T
∆T2 Tfu
Tf i 0
1
2
Lunghezza di scambio
Fig. 17.7 - Distribuzione di temperatura per uno scambiatore di calore in equicorrente.
850 ÷ 1700 110 ÷ 350 10 ÷ 40 1000 ÷ 6000 1000 ÷ 6000 250 ÷ 700 56 ÷ 170 25 ÷ 50
globale di scambio U [W/(m 2⋅K)], coefficiente che va determinato empiricamente. La Tabella 17.1 riporta dei valori indicativi di U per diverse condizioni di scambio termico che si possono incontrare nelle applicazioni. Nell’equazione 17-4 si è considerato un valore medio appropriato ∆Tm della differenza di temperatura tra i due fluidi dal momento che la differenza di temperatura ∆T varia con la posizione nello scambiatore di calore. Se consideriamo infatti lo scambiatore in equicorrente (flussi che scorrono nello stesso verso) della Figura 17.7, tra i due fluidi esiste una differenza di temperatura iniziale ∆T1, una differenza di temperatura finale ∆T2 ed una differenza di temperatura ∆T in una posizione generica.
L’espressione generale della differenza media di temperatura, detta differenza di temperatura media logaritmica (al denominatore figura infatti il logaritmo naturale, il logaritmo cioè in base e), si ottiene facendo riferimento alla sezione iniziale 1 e alla sezione finale 2 dello scambiatore ed è data da: ∆Tm =
∆T1 − ∆T2 ∆T ln 1 ∆T2
17-5
con ∆T1 = Tc1 – Tf 1: differenza di temperatura iniziale; ∆T2 = Tc2 – Tf 2: differenza di temperatura finale. La valutazione della differenza media logaritmica di temperatura ∆Tm dipende dal flusso relativo dei due fluidi che scambiano calore. Abbiamo visto che, sulla base dei flussi, gli scambiatori possono essere classificati in tre tipi principali: equicorrente, controcorrente e a correnti incrociate. Ricordiamo che abbiamo indicato rispettivamente con 1 la sezione iniziale e con 2 la sezione finale dello scambiatore, mentre con i pedici i ed u rispettivamente le sezioni di ingresso e di uscita del fluido caldo (pedice c) e del fluido freddo (pedice f ). Tenendo presente il senso di scorrimento all’interno dello scambiatore dei due fluidi otteniamo, nelle due disposizioni di base equicorrente e controcorrente, le differenze di temperatura evidenziate rispettivamente nella Figura 17.8-a e nella Figura 17.8-b. Nel caso dello scambiatore a correnti incrociate (Figura 17.8 c) occorre introdurre un fattore di correzione Fincr
379
380
CAPITOLO 17. – TRASMISSIONE DEL CALORE
Tcu
a Tf u
∆T1 = Tc1 − T f 1 = Tci − Tf i
Tci
T
∆T1
∆T2 = Tc 2 − T f 2 = Tcu − Tf u
Tc u ∆T2 Tf u
∆Tm =
(Tci − Tf i ) − (Tcu − Tf u )
Tf i
Tf i
2 1 Lunghezza di scambio
Tci
Tcu
b
17-6
Tci − Tf i ln Tcu − Tf u
Tc i
Tf i
T
∆T1 = Tc1 − T f 1 = Tci − Tf u
∆T1
∆T2 = Tc 2 − T f 2 = Tcu − Tf i
Tc u
∆Tm =
∆T2
Tf u
(Tci − T f u ) − (Tcu − Tf i )
Tf i
Tf u
17-7
Tci − T f u ln Tcu − Tf i
2 1 Lunghezza di scambio
Tci
Tcu
c
Tc i
∆T1 = Tc1 − Tf 1 = Tci − Tf u
T ∆T1 Tf i
Tf u
∆T2 = Tc 2 − Tf 2 = Tcu − Tf i
Tc u ∆T2
Tf u
∆Tm =
(Tci − Tf u ) − (Tcu − Tf i ) Tci − Tf u ln Tcu − Tf i
Tf i
Fincr
17-7′
2 1 Lunghezza di scambio
Tci
Fig. 17.8 - Differenza di temperatura media logaritmica ∆Tm tra fluido più caldo c e fluido più freddo f per i tipi principali di scambiatori di calore. a) Scambiatore in equicorrente. b) Scambiatore in controcorrente. c) Scambiatore a correnti incrociate con Fincr calcolato in base alla Figura 17.9.
Tc i Fincr 1,0 0,9
Tf i
Tf u
0,8 Tc u
0,7
R = 4,0 3,0
2,0 1,5
1,0 0,8 0,6
0,4
0,2 P =
0,6 0,5
0
0,1 0,2
0,3
0,4
0,5 0,6 0,7 0,8
0,9
1,0
R=
Tf u − Tf i Tci − Tf i Tci − Tcu Tf u − Tf i
P
Fig. 17.9 - Fattore di correzione Fincr per lo scambiatore di calore a flusso incrociato di Figura 17.8-c.
17-8
17-8′
17.3. – PROGETTO DELLO SCAMBIATORE DI CALORE
a
T Tc ∆T2
∆T1 = Tc 1 − Tf 1 = Tc − Tf i
Tf u
∆T1
∆T2 = Tc 2 − T f 2 = Tc − Tf u ∆Tm =
Tf i
Tf u − Tf i Tc − Tf i ln Tc − Tf u
17-9
2
1 Lunghezza di scambio
b
T Tci
∆T1 = Tc1 − Tf 1 = Tci − Tf ∆T2 = Tc 2 − T f 2 = Tcu − Tf
∆T1
∆Tm =
Tc u ∆T2 Tf
Tci − Tcu Tci − Tf ln Tcu − Tf
17-10
2
1 Lunghezza di scambio
Fig. 17.10 - Distribuzione di temperatura per uno scambiatore di calore in cui uno dei due fluidi subisce un passaggio di stato. a) Vapore condensante. b) Liquido evaporante.
(si veda la Figura 17.9), per tener conto del fatto che questo tipo di flusso si avvicina, ma non è uguale a quello a correnti incrociate. Vi sono dei casi particolari in cui la temperatura di uno dei due fluidi, che circolano nello scambiatore, non varia tra le sezioni di ingresso e di uscita; ciò avviene in presenza di un passaggio di stato – o di condensazione (Figura 17.10-a), in cui la temperatura del vapore caldo che condensa rimane costante (Tci = Tcu = Tc = cost), – o di vaporizzazione (Figura 17.10-b), in cui la temperatura del liquido freddo che evapora rimane costante (Tfi = Tfu = Tf = cost). In queste condizioni l’espressione della temperatura media ∆Tm si semplifica e assume i valori illustrati nella Figura 17.10 17.2.
17.2 - Quando la differenza di temperatura tra ingresso e uscita del fluido è modesta la media logaritmica può essere convenientemente approssimata dalla differenza media aritmetica di temperatura; si semplificano i calcoli e l’errore che si commette è molto piccolo. La differenza media aritmetica ∆T ′m è data da:
∆Tm′ =
Tci + Tcu Tf i + Tf u − 2 2
17-11
Qualora uno dei due fluidi subisca un passaggio di stato, allora la relazione precedente si semplifica ulteriormente e diviene nel caso di vaporizzazione del fluido freddo (Tfi = Tfu = Tf = costante):
∆Tm′ =
Tci + Tcu − Tf 2
17-12
e nel caso di condensazione del fluido caldo (Tci = Tcu = Tc = costante): ∆Tm′ = Tc −
Tf i + Tf u 2
17-13
381
CAPITOLO 17. – TRASMISSIONE DEL CALORE
Esempio 17.1 Scambiatore in controcorrente Uno scambiatore in controcorrente a tubi concentrici (Figura 17.11) viene impiegato per raffreddare l’olio lubrificante di un impianto motore a turbina a gas. La portata dell’acqua di raffreddamento, che scorre nel tubo interno di diametro Di = 15 mm, è m⋅ f = 0,1 kg/s, mentre la portata dell’olio, che circola nel tubo esterno di diametro De = 30 mm, è m˙ c = 0,05 kg/s. Olio e acqua di raffreddamento entrano rispettivamente alle temperature Tci = 110 °C e Tf i = 30 °C. Nell’ipotesi di assumere un coefficiente globale di scambio U = 40 W/(m2⋅K), si chiede la lunghezza del tubo necessaria affinché l’olio esca dallo scambiatore con una temperatura Tcu = 70 °C. Si considerino dei valori della capacità termica massica per l’olio lubrificante cpc = 2,13 kJ/(kg⋅K) e per l’acqua cp f = 4,18 kJ/(kg⋅K).
T T = 110 °C ci Olio Tc u = 70 °C m⋅ f = 0,1 kg/s Tf u = 40 °C
Acqua Tf i = 30 °C
De = 30 mm
U = 40 W/(m2⋅K)
m⋅ c = 0,05 kg/s
Di = 15 mm
382
L
Lunghezza di scambio
Figura 17.11 - Schema dello scambiatore in controcorrente e profilo di temperatura relativi all’Esempio 17.1.
SOLUZIONE L’equazione 17-4 ci permette di calcolare l’area di scambio A e quindi la lunghezza del tubo L legata all’area dalla relazione A = πDiL: Q˙ Q˙ = UA∆Tm = Uπ Di L∆Tm ⇒ L= Uπ Di ∆Tm In questa espressione U e Di sono noti perché assegnati; rimangono da determinare Q˙ , attraverso il bilancio del flusso di calore scambiato attraverso la parete (con le equazioni 17-3 per il fluido caldo e 17-2 per il fluido freddo), e la differenza media di temperatura con la 17-7. Per il fluido caldo si ha: Q˙ = m˙ c = (T − T ) = 0,05 kg/s × 2130 J/(kg⋅K) (110 °C − 70 °C) = 4260 W c
pc
ci
cu
mentre per il fluido freddo è: Q˙ = m˙ f c pf = (Tf u − Tf i ) Tf u = ∆Tm =
(Tci − Tf u ) − (Tcu − Tf i ) Tci − Tf u ln Tcu − Tf i L=
=
⇒
Tf u =
Q˙ + Tf i m˙ f c pf
4260 W + 30 °C = 40,2 °C 0,1 kg/s × 4180 J/(kg⋅K)
(110 − 40,2) °C − (70 − 30) °C 69,8 °C − 40 °C = = 53,5 °C = 53,5 K 69,8 °C 110 °C − 40,2 °C ln ln 40 °C 70 °C − 30 °C
4260 W Q˙ = = 42,2 m 40 W/(m 2 ⋅K) × π × 0,015 m × 53,5 K Uπ Di ∆Tm
䉳
COMMENTI Trattandosi di una differenza di temperatura, ∆Tm può essere espresso indifferentemente in gradi centigradi oppure in kelvin.
17.3. – PROGETTO DELLO SCAMBIATORE DI CALORE
Esempio 17.2 Scambiatore a correnti incrociate I gas di scarico di un motore Diesel lento a due tempi vengono fatti passare all’interno di una serie di tubi paralleli lambiti, in direzione normale ai tubi, da acqua pressurizzata. Lo scambiatore e perciò a correnti incrociate (Figura 17.12) con temperatura dei gas di scarico all’ingresso Tci = 400 °C e in uscita Tcu = 120 °C. Il calore viene ceduto ad acqua pressurizzata che, con portata m⋅ f = 1,2 kg/s passa da Tf i = 30 °C a Tfu = 140 °C. La capacità termica massica dell’acqua è cpf = 4,187 kJ/(kg⋅K) e il coefficiente globale di scambio è U = 110 W/(m2⋅K). Determinare l’area A della superficie di scambio.
Tci T Tc i = 4000 °C
Tf i
Tf u cp f = 4,187 kJ/(kg⋅K) Tc u = 120 °C Tf u = 40 °C m⋅ f = 1,2 kg/s
Tf i = 30 °C
Lunghezza di scambio
Tcu U = 110 W/(m ⋅K) 2
Figura 17.12 - Schema dello scambiatore a flusso incrociato e profilo delle temperature relative all’Esempio 17.2.
SOLUZIONE L’area di scambio A si calcola con la 17.4: Q˙ = UA∆Tm
A=
⇒
Q˙ U∆Tm
In questa espressione conosciamo soltanto il coefficiente globale di scambio U, che è uno dei dati dell’Esempio. Calcoliamo Q˙ con la 17-2, relativa al fluido freddo, dal momento che, in questo caso, abbiamo tutti gli ingredienti dell’equazione: Q˙ = m˙ f c pf (Tf u − Tf i ) = 1,2 kg/s × 4187 J/(kg⋅K) (140 °C − 30 °C) = 553.000 W La differenza media di temperatura ∆Tm si calcola con la 17-31, in cui figura il fattore correttivo Fincr , che tiene conto del fatto che lo scambiatore è a correnti incrociate. Il valore di Fincr si ricava dalla Figura 17.9, in cui entriamo calcolando i valori di P e R: P =
Tf u − Tf i Tci − Tf i
=
140 °C − 30 °C = 0,3 400 °C − 30 °C
R=
Tci − Tcu 400 °C − 120 °C = = 2,5 Tf u − Tf i 140 °C − 30 °C
Fincr = 0,88 ∆Tm =
(Tci − Tf u ) − (Tcu − Tf i ) Tci − Tf u ln Tcu − Tf i
A=
Fincr =
(400 − 140) °C − (120 − 30) °C 0,88 = 141 K 400 °C − 140 °C ln 120 °C − 30 °C
Q˙ 553.000 W = = 35,65 m 2 U∆Tm 110 W/(m 2 ⋅K) × 141 K
䉳
383
384
CAPITOLO 17. – TRASMISSIONE DEL CALORE
17. 4
SOMMARIO La trasmissione del calore studia il trasferimento di energia che avviene in conseguenza di una differenza di temperatura ∆T tra i corpi. La quantità di calore Q, trasmessa nell’unità di tempo t, è un flusso termico, si indica con Q˙ = Q /t e si misura in W dal momento che 1 J/s equivale ⋅ a 1 W; Q è perciò una potenza termica. Il dimensionamento dell’area A della superficie di uno scambiatore di calore viene fatto con l’equazione: Q˙ = UA∆Tm
⇒
A=
Q˙ U∆Tm
che lega il flusso termico Q˙ [W] alla superficie di scambio A [m2] e alla differenza media di temperatura ∆Tm [K], attraverso il coefficiente globale di scambio U[W/(m2⋅K)]. L’espressione generale della differenza media di temperatura, detta differenza di temperatura media logaritmica, si ottiene facendo riferimento alla sezione iniziale 1 e alla sezione finale 2 dello scambiatore: ∆Tm =
∆T1 − ∆T2 ∆T ln 1 ∆T2
con ∆T1 = Tc1 – Tf 1: differenza di temperatura iniziale; ∆T2 = Tc2 – Tf 2: differenza di temperatura finale.
Esercizi proposti 17.1 Calcolare la differenza di temperatura media logaritmica ∆Tm di uno scambiatore in controcorrente in cui il fluido caldo (olio) entra alla temperatura di 100 °C ed esce alla temperatura di 60 °C, mentre il fluido freddo (acqua) entra a una temperatura di 15 °C ed esce alla temperatura di 40 °C. ∆Tm = 52,1 °C 17.2 In uno scambiatore di calore a fascio tubiero in controcorrente il fluido caldo entra alla temperatura di 160 °C ed esce alla temperatura di 95 °C, mentre il fluido freddo entra a una temperatura di 20 °C ed esce ad una temperatura di 80 °C. Sapendo che l’area dello scambiatore è pari a 15 m2 e che il coefficiente globale di scambio vale 240 W/(m2⋅K), calcolare la differenza di temperatura media logaritmica ∆Tm e il flusso termico Q˙ . ∆Tm = 77,5 ° C; Q˙ = 279 kW 17.3 Calcolare la superficie di scambio A di uno scambiatore di cui sono assegnati il flusso termico (560 kW), il
coefficiente globale di scambio (100 W/(m2⋅K)) e la differenza media di temperatura (140 K). A = 40 m2 17.4 In uno scambiatore di calore a fascio tubiero ˙ c = 10,45 kg/s di etanolo che passa una una portata m deve essere raffreddato dalla temperatura Tci = 60 °C fino ˙ f = 6 kg/s alla temperatura Tcu = 35 °C con una portata m di acqua molto fredda con temperatura Tf i = 6 °C. Si conoscono la capacità termica massica dell’etanolo cpc = 2,4 kJ/(kg⋅K), la capacità termica massica dell’acqua cpf = 4,18 kJ/(kg⋅K), il diametro esterno del tubo (D = 0,25 mm) che viene utilizzato per realizzare il fascio tubiero dello scambiatore e il coefficiente globale di scambio, riferito alla superficie esterna del tubo, U = 550 W/(m2⋅K). Determinare la lunghezza del tubo nel caso di scambiatore equicorrente (L1), controcorrente (L2), a flussi incrociati (L3 ). L1 = 756 m; L2 = 500 m; L3 = 556 m
Capitolo 18
18. 1
IMPIANTO MOTORE A VAPORE
IMPIANTO MOTORE A VAPORE E CICLO RANKINE Un impianto motore a vapore consiste in un insieme di macchine che trasformano in lavoro meccanico l’energia termica posseduta da un fluido che si trova allo stato di vapore. Il fluido può già essere disponibile come vapore: è il caso del vapore naturale proveniente dal sottosuolo; oppure viene portato allo stato di vapore, utilizzando l’energia termica derivante dalla combustione dei combustibili fossili o quella prodotta dalla reazione di fissione dei combustibili nucleari. Negli ultimi due casi il calore viene ceduto dalla sorgente, a temperatura superiore, al fluido di lavoro attraverso una superficie: così, ad esempio, il fluido di lavoro può scorrere all’interno di tubi che vengono lambiti esternamente dal gas caldo (è la sorgente ad alta temperatura) prodotto dalla combustione di olio combustibile; si tratta cioè di un impianto a combustione esterna. Il fluido che descrive il ciclo rimane perciò sempre lo stesso (ciclo chiuso): con l’ambiente non vi è cioè scambio di massa, ma solo di energia18.1. Il ciclo Rankine rappresenta il ciclo più semplice che si può effettuare sull’acqua per convertire in lavoro parte del calore sviluppato dal generatore di vapore. Il ciclo Rankine ideale (fluido ideale in una macchina ideale) è costituito dalle seguenti fasi (Figura 18.1): 1 ⇒ 2s compressione secondo un trasformazione adiabatica reversibile (e quindi isoentropica) dell’acqua di alimento fino alla pressione esistente nel generatore di vapore; 2s ⇒ 2′ inizio del riscaldamento, a pressione costante, dell’acqua fino alla temperatura di saturazione corrispondente alla pressione esistente nel generatore (stato di liquido saturo); 2′ ⇒ 3 vaporizzazione, sempre a pressione costante, dell’acqua fino allo stato di vapore saturo (titolo x = 1), come indicato in figura, oppure oltre nella regione del vapore surriscaldato; 3 ⇒ 4s espansione adiabatica reversibile (e quindi isoentropica) del vapore in turbina in modo da produrre lavoro; 4s ⇒ 1 sottrazione di calore, a pressione costante, nel condensatore con la condensazione del vapore scaricato dalla turbina fino a far ritornare l’acqua nello stato iniziale del ciclo.
18.1 - La definizione di ciclo chiuso si contrappone a quella di ciclo aperto, quando l’impianto riceve dall’ambiente una parte del fluido che compirà il ciclo e la restituisce in condizioni diverse da quelle iniziali; si veda, ad esempio, il ciclo tipico dell’impianto motore con turbina a gas in cui l’aria iniziale, aspirata dall’ambiente, viene restituita come gas combusto. Possiamo tuttavia ritenere che, in que-
st’ultimo caso, il ciclo si chiuda attraverso l’atmosfera con un’ipotetica trasformazione che riporta allo stato iniziale il fluido espulso in modo tale che, anche i cicli aperti, si possano trattare come chiusi dal punto di vista termodinamico. Dal punto di vista del fluido, la differenza principale tra un impianto motore a vapore e l’impianto motore con turbina a gas consiste nel fatto che, nell’impianto a
vapore, il fluido motore subisce dei cambiamenti di fase liquido-vapore durante la descrizione del ciclo termodinamico; cambiamento tipico è il passaggio da liquido a vapore, che avviene all’interno del generatore di vapore al momento della somministrazione di calore, oppure il passaggio da vapore a liquido, che avviene al momento della sottrazione di calore all’interno del condensatore.
386
CAPITOLO 18. – IMPIANTO MOTORE A VAPORE
a
b
3 Turbina
T
Generatore di vapore
2′
4s 2
3
2s 4s
1
Condensatore
Pompa 1
A
c
B
s
h 3 lt s = h3 − h4 s 4s qS = h3 − h2s 2′
qI = h4 s − h1
2s 1
lps = h2s − h1 s
Fig. 18.1 - Ciclo Rankine. 䡵 a) Schema di impianto a vapore nei suoi elementi essenziali. 䡵 b) Rappresentazione del ciclo nel piano entropico T–s. 䡵 c) Rappresentazione del ciclo sul diagramma di Mollier h– s.
Se si trascurano le variazioni di energia cinetica e potenziale, il calore scambiato (Capitolo 16) e il lavoro possono essere rappresentati dalle diverse aree sul piano temperatura ed entropia. Il calore qs trasferito nella caldaia al fluido di lavoro è rappresentato dall’area A-2s-2′-3-B-A, mentre il calore qI ceduto dal fluido di lavoro è rappresentato dall’area A-1-4s-B-A. Per il primo principio della termodinamica il lavoro scambiato nel ciclo è dato dalla differenza tra il calore entrante qS e il calore uscente qI (16-15′) e viene perciò rappresentato geometricamente dalla differenza tra queste due aree: l = qS – qI = area 1-2s-2′-3-4s-1 Il rendimento del ciclo Rankine viene allora espresso come rapporto di aree da (16-15):
η=
l area 1-2 s-2 ′-3-4 s-1 = qS area A-2 s-2 ′-3-B- A
Il riscaldamento del fluido, che avviene lungo l’isobara (2s ⇒ 3), è fatto a spese del calore qS , uguale alla corrispondente variazione di entalpia tra 3 e 2s (16-6) poiché nel generatore di vapore si possono ritenere uguali a zero: – le variazioni di energia potenziale; – le variazioni di energia cinetica essendo molto bassa la velocità del fluido sia in ingresso che in uscita;
18.1. – IMPIANTO MOTORE A VAPORE E CICLO RANKINE
– il lavoro scambiato con l’esterno in quanto non esiste alcun organo mobile che possa scambiare lavoro con l’ambiente (le pareti della caldaia sono infatti fisse). Se si tiene presente che il lavoro di compressione di un liquido, per definizione incomprimibile, è molto piccolo, si può trascurare la variazione di entalpia nella compressione da 1 a 2s e considerare coincidenti questi due punti (1 ≡ 2s). Si ha perciò qS = h3 – h2s ≅ h3 – h1. Il calore del fluido viene ceduto nel condensatore lungo l’isobara 4s ⇒ 1 (che è anche isoterma); analogamente a quanto avviene per il generatore di vapore, il calore qI sottratto dal condensatore è per la 16-6 uguale alla variazione di entalpia: qI = h4s – h1. Il lavoro massico è allora dato da: l = qS – qI ≈ h3 – h1 – (h4s – h1) ≈ h3 – h4s ed il rendimento del ciclo ideale da: η =
h − h4 s l l = ≈ 3 qS h3 − h2 s h 3 − h1
18-1
Il lavoro del ciclo può essere ottenuto, oltre che dalla differenza tra i calori scambiati con le due sorgenti superiore e inferiore, anche come differenza tra il lavoro ideale prodotto dalla turbina lts e il lavoro ideale assorbito dalla pompa lps (Figura 18.1-c); trascurando quest’ultimo perché molto piccolo, si ha: l = lts – lps = h 3 – h4s – (h 2s – h1) ≈ h3 – h4s – 0 ≈ h3 – h4s
a
b
T
3
2′
h 3
2 4
1
lt = h3 − h4 4 s qS = h3 − h2
c
p
qI = h4 − h1
2′ 2
2′
3 2 1
lp = h2 − h1 s
1
4
h
Fig. 18.2 - Ciclo Rankine con il fluido di lavoro portato fino allo stato di vapore saturo (cioè titolo x = 1) nei piani: 䡵 a) temperatura T ed entropia s (diagramma entropico); 䡵 b) entalpia h ed entropia s (diagramma di Mollier); 䡵 c) pressione p ed entalpia h.
387
388
CAPITOLO 18. – IMPIANTO MOTORE A VAPORE
a
b
h 3
lt = h3 − h4
3′
4 T
qS = h3 − h2 3 2′
qI = h4 − h1 2′
3′
2 2 1
4
1
lp = h2 − h1 s
s
Fig. 18.3 - Ciclo Rankine con il fluido di lavoro portato fino allo stato di vapore surriscaldato nei piani: 䡵 a) temperatura T ed entropia s (diagramma entropico); 䡵 b) entalpia h ed entropia s (diagramma di Mollier). Nella letteratura italiana questo ciclo (con il vapore portato fino allo stato di vapore surriscaldato) viene talvolta chiamato ciclo Hirn, riservando il nome di ciclo Rankine al ciclo con il vapore che si ferma allo stato di vapore saturo, come avviene nella Figura 18.2.
Nel caso reale le trasformazioni di compressione del liquido nella pompa e di espansione del vapore nella turbina avvengono ancora senza scambio di calore con l’esterno (il processo è cioè adiabatico) ma, proprio perché reali, irreversibili. Si tiene conto di ciò attraverso il rendimento interno della turbina (16-20) ηt = lt /lts , rapporto tra il lavoro reale di espansione lt e quello ideale lts, e il rendimento interno della pompa ηp = lp /lps, analogo a quello del compressore (16-21) altra macchina operatrice. Al posto dei segmenti verticali 1 ⇒ 2s, relativo alla compressione ideale operata dalla pompa, e 3 ⇒ 4s, relativo all’espansione ideale in turbina, compaiono adesso sul diagramma entropico (Figura 18.2-a) e sul diagramma di Mollier (Figura 18.2-b) dei segmenti inclinati 1 ⇒ 2 e 3 ⇒ 4 che rappresentano le rispettive trasformazioni reali subite dal fluido. Su questa figura è anche rappresentata (Figura 18.2-c) la trasformazione nel piano pressione p ed entalpia h in modo da evidenziare l’aumento di pressione subito dall’acqua nel passare attraverso la pompa. In generale il vapore viene portato, sempre lungo una trasformazione a pressione costante, fino allo stato di vapore surriscaldato come nella Figura 18.3. Il lavoro l del ciclo per le trasformazioni reali 1 ⇒ 2 ⇒ 3 ⇒ 4, nell’ipotesi di considerare coincidenti il punto 1 con il punto 2 (1 ≡ 2), è dato da: l = lt – lp = (h3 – h4) – (h 2 – h1) = (h3 – h4) – 0 ≅ h3 – h4
18-2
con il rendimento η del ciclo reale espresso da:
η=
h − h4 l − lp l = t ≅ 3 qS h3 − h2 h 3 − h1
18-1′
18.2. – RENDIMENTI DELL’IMPIANTO A VAPORE
18. 2
RENDIMENTI DELL’IMPIANTO A VAPORE Il lavoro utile lu è (12-1′ ) il lavoro disponibile all’albero motore e viene calcolato come differenza tra il lavoro l, complessivamente fornito dal fluido motore lungo il ciclo (18-2), e i lavori spesi per gli attriti fra gli accoppiamenti degli organi di trasmissione (lattrito) e per azionare gli accessori non comandati direttamente dalla turbina (laccessori): lu = l – lattrito – laccessori
18-3
La potenza utile è data dal prodotto della portata in massa del fluido di lavoro m˙ lungo il ciclo e il lavoro utile per unità di massa lu (Paragrafo 16.3.2): ˙ u Pu = ml
18-4
Il rendimento utile ηu è il rapporto tra il lavoro utile lu [kJ/kg] e il calore qS [kJ/kg] ricevuto dal fluido nel generatore di vapore. Il rendimento organico ηo, che tiene conto del lavoro perso negli attriti e speso per gli ausiliari18.2, è dato dal rapporto tra il lavoro utile lu [kJ/kg] e il lavoro l [kJ/kg] fornito dal fluido motore lungo il ciclo. Il rendimento del generatore ηb è il rapporto ˙ S [kW] ricevuta dal fluido nel generatore ( m˙ [kg/s] è la portata tra la potenza termica Q˙ S = mq in massa di fluido lungo il ciclo) e la potenza termica messa a disposizione dalla combustione del combustibile Q˙ b = m˙ b H i [kW] con m⋅ b [kg/s] portata in massa di combustibile e Hi [kJ/kg] potere calorifico inferiore del combustibile18.3.
ηu =
lu qS
ηo =
lu l
ηb =
˙ S Q˙ S mq = ˙ m˙ b Hi Qb
18-5
Il rendimento globale dell’impianto ηg, prodotto dei due rendimenti ηu ed ηo oppure dei tre ren˙ u [kW] dimenti η, ηo ed ηb (essendo ηu = ηηo), esprime il rapporto tra la potenza utile Pu = ml prodotta dall’impianto a vapore e la potenza termica Q˙ b = m˙ b H i [kW] fornita bruciando il combustibile: ˙ u P ml 18-6 ηg = ηuηb = ηηoηb = ˙u = ˙ mb H i Qb Tra i vari rendimenti che compongono il rendimento globale, il rendimento del ciclo η è quello che assume i valori più modesti, proprio perché, a differenza degli altri rendimenti (e prescindendo dalle perdite legate ai rendimenti interni della pompa e della turbina), esso riguarda la conversione del calore in lavoro. Per un grosso impianto termoelettrico, ad esempio, si ha: – – – –
rendimento del ciclo η = 0,43; rendimento organico ηo = 0,98; rendimento del generatore ηb = 0,94; rendimento globale ηg = ηηoηb = 0,40.
18.2 - Gli ausiliari comprendono le pompe di estrazione della condensa e di alimento in modo da trascurare nel calcolo del rendimento del ciclo η il lavoro di compressione del liquido. 18.3 - Il potere calorifico [MJ/kg] è la
quantità di calore [MJ] sviluppata nel corso della combustione completa dell’unità di massa [kg] del combustibile (Paragrafo 13.1). Il potere calorifico superiore è quello che si misura quando l’acqua, presente al termine della combustione, si trova allo stato liquido. Il
potere calorifico inferiore è quello che si misura quando, alla fine del processo di combustione, l’acqua si trova allo stato di vapore; è perciò più basso (si dice appunto inferiore) del primo in quanto manca il calore necessario per far condensare l’acqua.
389
390
CAPITOLO 18. – IMPIANTO MOTORE A VAPORE
3
a
c AP
BP h
4
5
3
6 2
4
5
6 1
b
T
3
5
4 2 1 s 2 1
6
s
Fig. 18.4 - Ciclo con surriscaldamenti ripetuti: 䡵 a) schema dell’impianto (AP indica lo stadio ad alta pressione, mentre BP indica lo stadio a bassa pressione); 䡵 b) rappresentazione nel piano T– s. 䡵 c) rappresentazione nel piano h – s.
I valori dei rendimenti organico e del generatore sono, come si vede, sensibilmente più elevati del rendimento del ciclo; sono inoltre già piuttosto elevati in assoluto e un ulteriore ipotetico miglioramento avrebbe un’influenza percentualmente modesta sul rendimento globale. Al contrario il rendimento del ciclo raggiunge il valore di 0,43, citato sopra, solo se si introducono accorgimenti particolari in quanto il rendimento del ciclo base (Figura 18.1) si aggira attorno a valori piuttosto bassi, ad esempio 0,2. I mezzi che possono venire utilizzati per aumentare il rendimento η del ciclo sono: – abbassamento della pressione di condensazione; – aumento della temperatura finale di surriscaldamento; – aumento della pressione di vaporizzazione; – surriscaldamenti ripetuti (Figura 18.4); – la rigenerazione (Figura 18.5), con cui viene trasferito calore dal vapore, che si espande, all’acqua che deve venire riscaldata approssimando un ciclo di Carnot che (Paragrafo 16.6.3) è quello che presenta il rendimento maggiore tra tutti i cicli possibili effettuati tra le stesse temperature estreme T2 e T1.
18.2. – RENDIMENTI DELL’IMPIANTO A VAPORE
a
b
T
3 Turbina Generatore di vapore
2
T2
4
3
Condensatore
2
T1
1
1′ 4
4′
Pompa
1 A
B
C
D
s
Fig. 18.5 - Ciclo rigenerativo ideale: 䡵 a) schema dell’impianto; 䡵 b) rappresentazione del ciclo nel piano T–s. Il calore equivalente all’area C-4-3-D-C viene spillato dal vapore che si sta espandendo nella turbina per preriscaldare l’acqua (area A-1-2-B-A) da T1 a T2 .
Esempio 18.1 Rendimento di un ciclo con surriscaldamento In un ciclo a vapore surriscaldato (Figura 18.3) la pressione iniziale vale p1 = 4 kPa e i valori di pressione e temperatura nello stato 3 (ammissione in turbina) valgono rispettivamente p3 = 4,5 MPa e T3 = 600 °C. Sono assegnati la portata di vapore nel ciclo m˙ = 800 kg/s, il rendimento della turbina η t = 0,9 e il rendimento organico ηo = 0,97, comprensivo anche del lavoro assorbito dalla pompa. Determinare: a) il rendimento del ciclo η; b) la potenza utile Pu .
SOLUZIONE a) Il rendimento del ciclo η è dato dalla 18-1′:
η≅
h3 − h 4 h 3 − h1
Occorre quindi determinare i valori di entalpia negli stati 1, 3 e 4. Nello stato 1 la condizione è quella di liquido saturo alla pressione p1 = 4 kPa = 0,004 MPa. In corrispondenza di questa pressione, sul diagramma di Mollier18.4 allegato al testo, si legge una temperatura di saturazione T1 di circa 30 °C. L’entalpia h1 del liquido si ricava (Esempio 16.1) sapendo che la capacità termica massica dell’acqua cH2O vale 4,18 kJ/(kg⋅K); trattandosi di una differenza di temperatura (rispetto alla temperatura di 0 °C che è anche la temperatura di riferimento del diagramma di Mollier) può essere espressa indifferentemente in gradi centigradi o in kelvin: h1 ≅ cH2O (T1 – 0) = 4,18 kJ/(kg⋅K) × 30 K = 125 kJ/kg 18.4 - Dal diagramma di Mollier è possibile ricavare la velocità v [m/s], con cui esce il vapore dagli ugelli di uno stadio della turbina a vapore, facendo uso della formula di Torricelli (8-8 e 14-21) che viene applicata al salto entalpico del vapore ∆h [kJ/kg] moltiplicato per 1000 in modo da ottenere la radice quadrata di J/kg [J/kg = N⋅m/kg = (kg⋅ms– 2)⋅m/kg = m2/s2], unità omogenea con la velocità misurata in m/s: v=
2∆h =
2 ( ∆h [ kJ/kg] × 1000 [J/kJ] =
2000 [J/kJ]
∆h [kJ/kg] = 44,72 [J/kJ]
∆h [kJ/kg]
391
392
CAPITOLO 18. – IMPIANTO MOTORE A VAPORE
Nello stato 3, condizioni di vapore surriscaldato, individuato dal punto avente p3 = 4,5 MPa e T3 = 600 °C, leggiamo l’entalpia h3 = 3670 kJ/kg e l’entropia s3 = 7,31 kJ/(kg⋅K). Dello stato 4, conosciamo la pressione p4 = 4 kPa = 0,004 MPa uguale alla pressione p1. Per determinare l’entalpia h4 , occorre prima individuare le condizioni dello stato 4s relativo all’espansione isoentropica. Scendendo, sul diagramma di Mollier, dal punto 3 lungo la verticale ad entropia costante s3 = 7,31 kJ/(kg⋅K) fino ad incontrare l’isobara p4 = 0,004 MPa, leggiamo l’entalpia h4 s = 2200 kJ/kg e il titolo x4 s = 0,855. Il lavoro lt s relativo all’espansione isoentropica in turbina è: lts = h3 – h4 s = 3670 kJ/kg – 2200 kJ/kg = 1470 kJ/kg Sulla base della definizione di rendimento interno (16-20), si ottiene il lavoro effettivo in turbina: l ηt = t ⇒ lt = ηt lts = 0,9 × 1470 kJ/kg = 1323 kJ/kg lts Ma il lavoro effettivo è uguale alla variazione di entalpia nell’espansione reale: lt = h3 – h4
h4 = h3 – lt = 3670 kJ/kg – 1323 kJ/kg = 2347 kJ/kg
⇒
L’intersezione dell’orizzontale h4 = 2347 kJ/kg con l’isobara p4 = 0,004 MPa individua il punto 4, relativo allo scarico della turbina; si tratta di una miscela liquido-vapore con un titolo x4 = 0,91. La tabella che segue riassume le principali proprietà del fluido di lavoro nei diversi stati. Stato
Pressione [MPa]
Temperatura [°C]
Entalpia [kJ/kg]
Condizione del fluido
1 3 4s 4
0,004 4,5 0,004 0,004
30 600 30 30
125 3670 2200 2347
Liquido saturo Vapore surriscaldato Liquido-vapore (x = 0,855) Liquido-vapore (x = 0,91)
Il rendimento del ciclo vale allora: h – h4 3670 kJ/kg – 2347 kJ/kg η≅ 3 = = 0,37 3670 kJ/kg – 125 kJ/kg h3 – h1
䉳
˙ u (18-4), occorre calcolare il lavoro utile lu passando attraverso b) Per calcolare la potenza utile Pu = ml il lavoro del ciclo l (18-2), praticamente coincidente con il lavoro lt della turbina calcolato sopra essendo trascurabile il lavoro della pompa, e l’espressione dei rendimenti (18-5): l = lt = h3 – h4 = 3670 kJ/kg – 2347 kJ/kg = 1323 kJ/kg ηo =
lu l
⇒
lu = ηo l = 0,97 × 1323 kJ/kg = 1283 kJ/kg
Pu = 800 kg/s × 1283 kJ/kg = 1026,4 MW
䉳
Esempio 18.2 Rendimenti dell’impianto a vapore Nella caldaia di un impianto a vapore viene bruciata una portata m˙ b = 2,5 kg/s di olio combustibile avente un potere calorifico Hi = 42 MJ/kg. Il lavoro massico complessivo fornito dal fluido è l = 1200 kJ/kg. L’acqua di raffreddamento ha una portata V˙H2O = 1,45 m3/s e, nel far condensare il vapore, subisce un aumento di temperatura ∆T = 10 K. Sono assegnati il rendimento organico ηo = 0,97 e il rendimento della caldaia ηb = 0,88. Determinare: a) il calore Q˙ S fornito nell’unità di tempo dal generatore all’acqua; b) il calore Q˙ sottratto nell’unità di tempo dall’acqua di raffreddamento; I
18.3. – COGENERAZIONE
c) il rendimento η del ciclo, il rendimento utile ηu e il rendimento globale ηg dell’impianto; d) la portata del fluido di lavoro m˙ .
SOLUZIONE a) Il calore fornito nell’unità di tempo dal generatore (è una potenza termica) si ricava dalla definizione del rendimento del generatore ηb (18-5).
ηb =
Q˙ S m˙ b Hi
⇒
Q˙ S = ηb m˙ b Hi
Q˙ S = 0,88 × 2,5 kg/s × 42 MJ/kg = 92,4 MW
䉳
b) Il calore sottratto nell’unità di tempo Q˙ I dall’acqua di raffreddamento è dato (Esempio 16.1) dal prodotto della portata in massa di acqua di raffreddamento m˙ H2O per la sua capacità termica massica cH2O = 4,18 kJ/(kg⋅K) e per il suo aumento di temperatura ∆T = 10 K. Al posto della portata in massa, che non è nota, sostituiamo il prodotto della massa volumica ρH2O = 1000 kg/m3 per la portata in volume V˙H2O = 1,45 m3/s, che è invece assegnata. Q˙ I = m˙ H O cH O ∆T = ρV˙H O cH O ∆T = 1000 kg/m 3 × 1,45 m 3 /s × 4,18 kJ/(kg⋅K ) × 10 K = 60,61 MW 䉳 2
2
2
2
c) Il rendimento può essere espresso sia in termini di lavoro (o calore) per unità di massa sia in termini di potenza meccanica L˙ , fornita dal ciclo, e di potenza termica Q˙ , trasmessa dalla sorgente superiore.
η=
l L˙ = qS Q˙ S
Ma, per la 16-15′, la potenza meccanica L˙ è data dalla differenza tra Q˙ S e Q˙ I . L˙ = m˙ (qS − q I ) = Q˙ S − Q˙ I = 92,4 MW − 60,61 MW = 31,79 MW
η=
31,79 MW = 0,344 92,4 MW
Per le definizioni di rendimento utile e di rendimento globale (18-5 e 18-6) si ha poi: ηu = ηηo = 0,344 × 0,97 = 0,33
䉳
ηg = ηuηb = 0,33 × 0,88 = 0,293
䉳
d) Noto il lavoro massico complessivo l, fornito dal fluido, si ricava la portata di vapore (18-4): ˙ L˙ = ml
18. 3
⇒
m˙ =
L˙ 31,79 MW = = 26,49 kg/s l 1,2 MJ/kg
䉳
COGENERAZIONE Gli impianti di cogenerazione (o a recupero) sono impianti destinati alla produzione di energia termica, sotto forma di vapore o di acqua compressa, da utilizzare nelle lavorazioni industriali o in centri di riscaldamento di grosse aree urbane, con produzione congiunta (di qui il termine di cogenerazione) di energia elettrica quale risultato del lavoro prodotto dalla turbina. In molte industrie (chimiche, tessili oppure alimentari) che richiedono elevate quantità di vapore o in centri di riscaldamento conviene produrre vapore a temperature e pressioni più elevate, di quelle che sarebbero necessarie per l’utilizzazione termica, in modo da sfruttarne il lavoro di
393
394
CAPITOLO 18. – IMPIANTO MOTORE A VAPORE
Generatore elettrico Generatore di vapore
Turbina
Pompa
Riduttore di pressione Rigeneratore aperto
Utilizzazione termica
Pompa del condensato
Fig. 18.6 - Cogenerazione con turbina a contropressione.
espansione in una turbina e ottenere così la produzione di energia elettrica che viene impiegata a coprire il fabbisogno dello stabilimento o dell’area urbana. Il caso più semplice di cogenerazione è quando tutto il vapore prodotto viene fatto espandere nella turbina fino a raggiungere le condizioni richieste dall’utilizzazione termica. È proprio questa utilizzazione che assume la funzione di condensatore dell’impianto: la condensa, ove possibile, viene poi inviata nuovamente al generatore. Questo tipo di impianto viene detto a recupero totale o anche a contropressione, dal momento che la pressione di scarico della turbina, imposta dalle esigenze dell’utilizzazione termica, è, in genere, superiore o, al limite, uguale alla pressione atmosferica (Figura 18.6). Nel caso in cui non vi sia equilibrio tra potenza termica e meccanica e non è perciò possibile soddisfare l’utenza con un impianto a recupero totale, viene impiegato l’impianto a recupero parziale (Figura 18.7): si tratta di un impianto nel quale la portata di vapore, necessaria per l’utilizzazione termica, viene estratta dalla turbina (turbina a estrazione), mentre la portata di vapore, che rimane, continua a espandersi e si scarica in un condensatore (è il solito impianto a condensazione). Anche qui, ove possibile, la condensa proveniente dall’utilizzazione termica viene di nuovo mandata nel generatore di vapore.
Generatore di vapore
Turbina
Condensatore Utilizzazione termica Scambiatore di calore
Pompa
Fig. 18.7 - Cogenerazione con turbina a estrazione.
ESERCIZI PROPOSTI
18. 4
SOMMARIO Il ciclo Rankine è il ciclo dell’impianto motore a vapore; esso rappresenta il ciclo più semplice che si può effettuare sull’acqua per convertire in lavoro parte del calore immesso dal generatore di vapore. Il ciclo Rankine è costituito dalla compressione dell’acqua di alimento con una pompa fino alla pressione esistente nel generatore di vapore (1 ⇒ 2), dal riscaldamento a pressione costante dell’acqua fino allo stato di vapore surriscaldato (1 ⇒ 3), dall’espansione in turbina (3 ⇒ 4) e infine dalla condensazione del vapore (4 ⇒ 1). Il rendimento η del ciclo Rankine, rapporto tra il lavoro raccolto l e il calore introdotto qS , è espresso da: h −h l η=
≅
qS
3
4
h 3 − h1
Il rendimento globale dell’impianto ηg, prodotto del rendimento del ciclo, del rendimento ˙ u prodotta organico e del rendimento del generatore, è il rapporto tra la potenza utile Pu = ml dall’impianto a vapore e la potenza termica Q˙ b = m˙ b H i fornita nella combustione del combustibile: P ηg = u Q˙ b Tra i vari rendimenti che compongono il rendimento globale, il rendimento del ciclo η è quello che assume i valori più modesti, proprio perché, a differenza degli altri rendimenti, riguarda la conversione del calore in lavoro. I mezzi che possono venire utilizzati per aumentare il rendimento del ciclo sono: – – – – –
abbassamento della pressione di condensazione; aumento della temperatura finale di surriscaldamento; aumento della pressione di vaporizzazione; surriscaldamenti ripetuti; rigenerazione.
Esercizi proposti 18.1 Vapore, che descrive un ciclo Rankine ideale, entra con una portata di 10 kg/s in turbina con pressione p3 = 10 MPa e temperatura T3 = 500 °C; viene poi scaricato alla pressione p4 = 10 kPa. Successivamente il vapore viene fatto condensare fino allo stato 1 di liquido saturo e dopo viene portato dalla pompa allo stato 2s di ingresso nel generatore. Determinare entalpia h3 ed entropia s3 all’ingresso della turbina, entalpia h1 e volume massico v1 nello stato di liquido saturo, lavoro della pompa lp s , entalpia h2s all’uscita dalla pompa, entalpia h4s e titolo x4s allo scarico della turbina, lavoro della turbina lt s , lavoro l e potenza meccanica L˙ del ciclo, calore massico qS fornito dal generatore e calore massico qI ceduto nel condensatore e rendimento del ciclo η.
18.2 Vapore entra in una turbina, che ha un rendimento di 0,8, con pressione p3 = 10 MPa e temperatura T3 = 500 °C; viene poi scaricato alla pressione p4 = 10 kPa. Successivamente il vapore viene fatto condensare fino allo stato 1 di liquido saturo e dopo viene portato da una pompa, che ha un rendimento di 0,8, allo stato 2 di ingresso nel generatore.
h3 = 3373,7 kJ/kg; h2s = 201,9 kJ/kg; L˙ = 12,74 MW; s3 = 6,6 kJ/kg; h4s = 2090 kJ/kg; qs = 3171,8 kJ/kg; h1 = 191,8 kJ/kg; x4s = 0,793 ql = 1898,2 kJ/kg; v1 = 0,00101 m3/kg; lts = 1283,7 kJ/kg; η = 0,40 lps = 10,1 kJ/kg; l = 1273,6 kJ/kg;
h3 = 3373,7 kJ/kg; lp = 12,6 kJ/kg; x4 = 0,9; s3 = 6,6 kJ/kg; h2 = 204,4 kJ/kg; l = 1014,4 kJ/kg; lt = 1027 kJ/kg; qs = 3169,3 kJ/kg; h1 = 191,8 kJ/kg; v1 = 0,00101 m3/kg; h4 = 2346,7 kJ/kg; ql = 2154,9 kJ/kg; η = 0,32
Determinare entalpia h3 ed entropia s3 all’ingresso della turbina, entalpia h1 e volume massico v1 nello stato di liquido saturo, lavoro della pompa lp , entalpia h2 all’uscita dalla pompa, lavoro della turbina lt , entalpia h4 e titolo x4 allo scarico della turbina, lavoro l del ciclo, calore massico qs fornito dal generatore, calore massico ql ceduto nel condensatore e rendimento del ciclo η.
395
396
CAPITOLO 18. – IMPIANTO MOTORE A VAPORE
18.3 Il lavoro di un ciclo Rankine è pari a 1014,4 kJ/kg, mentre il calore fornito dal generatore è pari a 3169,3 kJ/kg. Calcolare il lavoro utile lu , sapendo che il rendimento organico vale 0,98, il rendimento utile ηu e la potenza utile Pu corrispondente a una portata di vapore di 10 kg/s. lu = 994,1 kJ/kg; ηu = 0,31; Pu = 9,94 MW ˙ di fluido motore in un 18.4 Calcolare la portata m impianto a vapore, sapendo che il lavoro utile raccolto è pari a 1250 kJ/kg mentre la potenza utile è pari a 150 MW ˙ = 120 kg/s m 18.5 Un generatore di vapore viene alimentato con una portata di 4 kg/s di olio combustibile avente un potere calorifico inferiore pari a 41 MJ/kg. La potenza termica sottratta dal condensatore è pari a 88,6 MW, mentre il lavoro massico complessivo fornito dal vapore è pari a 1180 kJ/kg. Sapendo che il rendimento del generatore è pari a 0,9 e che il rendimento organico è pari a 0,97, calcolare la potenza termica Q˙ s fornita dal generatore, la ⋅ potenza meccanica L del ciclo, la portata del fluido di ⋅ lavoro m , i rendimenti del ciclo η, utile ηu e globale dell’impianto ηg. ˙ = 50 kg/s; ηu = 0,39; Q˙ s = 147,6 MW; m ˙L = 59 MW; η = 0,40; ηg = 0,35 18.6 In un ciclo di Rankine ideale determinare entalpia h3 ed entropia s3 all’ingresso del vapore in turbina, entalpia allo scarico h4s, entalpia del liquido saturo h1 alla fine della condensazione, rendimento η e titolo allo scarico x4s al variare della pressione p3 di ingresso in turbina (1 MPa, 3 MPa e 6 MPa), mentre rimangono fisse temperature T3 di ingresso (350 °C) e pressione di scarico p4 (10 kPa). p3 = 1 MPa ⇒ h3 = 3157,7 kJ/kg; s3 = 7,30 kJ/(kg⋅K); h4s = 2320 kJ/kg; h1 = 191,8 kJ/kg; η = 0,28; x4s = 0,887; p3 = 3 MPa ⇒ h3 = 3115,3 kJ/kg; s3 = 6,74 kJ/(kg⋅K); h4s = 2140 kJ/kg; h1 = 191,8 kJ/kg; η = 0,33; x4s = 0,813;
p3 = 6 MPa ⇒ h3 = 3043,0 kJ/kg; s3 = 6,33 kJ/(kg⋅K); h4s = 2005 kJ/kg; h1 = 191,8 kJ/kg; η = 0,36; x4s = 0,76 18.7 In un ciclo Rankine ideale il vapore entra in turbina con pressione di 17,5 MPa e temperatura di 550 °C; viene poi scaricato alla pressione di 10 kPa. Determinare entalpia h3 ed entropia s3 all’ingresso della turbina, entalpia allo scarico h4s, entalpia del liquido saturo alla fine della condensazione h1, rendimento η e titolo allo scarico x4s. h3 = 3421,4 kJ/kg; s3 = 6,42 kJ/(kg⋅K); h4s = 2030 kJ/kg; h1 = 191,8 kJ/kg; η = 0,43; x4s = 0,77 18.8 In un ciclo Rankine ideale determinare entalpia h3 ed entropia s3 all’ingresso del vapore in turbina, entalpia allo scarico h4s , entalpia del liquido saturo h1, rendimento η e titolo allo scarico x4s al variare della temperatura T3 di ingresso in turbina (300 °C, 400 °C e 600 °C), mentre rimangono fisse pressione di ingresso p3 (3 MPa) e pressione di scarico p4 (7,5 kPA). T3 = 300 °C ⇒ h3 = 2993,5 kJ/kg; s3 = 6,54 kJ/(kg⋅K); h4s = 2035 kJ/kg; h1 = 168,8 kJ/kg; η = 0,34; x4s = 0,778; T3 = 400 °C ⇒ h3 = 3230,9 kJ/kg; s3 = 6,92 kJ/(kg⋅K); h4s = 2160 kJ/kg; h1 = 168,8 kJ/kg; η = 0,35; x4s = 0,828; T3 = 600 °C ⇒ h3 = 3682,3 kJ/kg; s3 = 7,51 kJ/(kg⋅K); h4s = 2340 kJ/kg; h1 = 168,8 kJ/kg; η = 0,38; x4s = 0,902
Capitolo 19
19. 1
COMPRESSORI DI GAS
MACCHINE OPERATRICI A GAS Definiamo macchine operatrici a gas quelle macchine che comunicano energia al fluido determinandone una variazione del livello di velocità o di pressione, distinguendo tra macchine che: – generano prevalentemente una corrente, un vento del gas considerato (ventilatori trattati nel Paragrafo 15.2, pneumofore, soffianti); – restituiscono il gas a una pressione maggiore di quella a cui lo ricevono, chiamate compressori oppure aspiratori, a seconda che l’obiettivo sia quello di restituire il fluido a una pressione maggiore di quella atmosferica oppure sia quello di ridurre la pressione nell’ambiente di aspirazione a un valore inferiore alla pressione atmosferica. Dal punto di vista costruttivo tra i due tipi di macchine, ventilatori e compressori, non esiste una distinzione netta in quanto, per mantenere in moto il gas, occorre generare una differenza di pressione. Esiste al contrario una distinzione basata proprio sull’entità della compressione esercitata dalla macchina. Quando infatti la compressione determina una variazione modesta del volume massico (o della massa volumica) del gas, allora diventano trascurabili i fenomeni termici, come flussi di calore e variazioni di temperatura, che accompagnano la compressione e la macchina operatrice a gas può essere trattata con le stesse equazioni dei fluidi incomprimibili, che abbiamo utilizzato nello studio delle macchine idrauliche. Quando invece la compressione diviene elevata, occorre utilizzare le equazioni dei fluidi comprimibili necessarie per lo studio delle macchine termiche. Definito come rapporto di compressione β il rapporto tra la pressione p2 a valle della macchina (o pressione di mandata) e la pressione p1 a monte della macchina (o pressione di aspirazione),
β =
p2 p1
19-1
si assume abitualmente come limite un valore del rapporto di compressione pari a 1,2 ÷ 1,3; al di sotto di questo rapporto si possono ritenere trascurabili le variazioni di massa volumica e la macchina operatrice a gas può essere trattata seguendo i criteri delle macchine idrauliche, mentre al di sopra la macchina operatrice va trattata con i criteri delle macchine termiche. Sulla base del modo di comunicare energia al fluido, le macchine operatrici a gas vengono classificate in macchine – dinamiche, a cui appartengono ventilatori e turbocompressori; – volumetriche sia a stantuffo che a capsulismi.
398
CAPITOLO 19. – COMPRESSORI DI GAS
Fig. 19.1-a - Palettatura del rotore di un compressore assiale (Franco Tosi).
Nella macchina dinamica o a flusso continuo l’energia viene comunicata al fluido dalle palette della girante che, muovendosi ad alta velocità, determinano un aumento della quantità di moto del gas; all’uscita della parte mobile, la corrente di gas viene rallentata, nei condotti fissi di forma divergente, in modo da trasformare la diminuzione della velocità in aumento della pressione di mandata del compressore (Figura 19.1): analogamente alle turbopompe, i turbocompressori possono essere assiali oppure centrifughi. Nella macchina volumetrica invece l’energia viene comunicata al fluido attraverso la pressione statica applicata alle pareti mobili che, muovendosi, determinano il volume in cui viene a trovarsi il fluido (Figura 19.2).
Esiste una parziale sovrapposizione nelle applicazioni tra le macchine volumetriche e le turbomacchine. Se si vuole, ad esempio, aumentare la pressione di un gas, è possibile utilizzare sia un compressore a stantuffo che un turbocompressore; si constata tuttavia che, all’aumentare della portata in volume del fluido trattato, i vantaggi del turbocompressore, in termini di semplicità costruttiva e di rendimento, prevalgono sul compressore alternativo. L’impiego della turbomacchina si impone così per tutte quelle applicazioni che richiedono portate elevate e rapporti di compressione β non estremamente alti.
Fig. 19.1-b - Compressore centrifugo in più stadi per medie e basse pressioni con cassa aperta orizzontalmente (Nuovo Pignone).
19.1. – MACCHINE OPERATRICI A GAS
Valvole
a
Pistone di bassa pressione, più grande, è di lega leggera in modo che il suo peso è uguale a quello del pistone di alta pressione in ghisa Passaggi d’aria Refrigerante Separatore di condensa
Vista frontale
䊳
Raffreddamento ad acqua dei cilindri e delle testate
Pistone di alta pressione, più piccolo
Flange
Boccole della testa a croce
Indicatore di livello dell’olio Il compressore è messo a vuoto all’avviamento dalla valvola automatica di by-pass Valvole a cuscino d’aria Tenute metalliche Anelli raschiaolio metallici
Vista laterale
Incastellatura stagna Boccole flottanti in bronzo sugli spinotti della testa a croce Bielle Boccole flottanti in alluminio dell’albero a gomiti Lubrificatore dei cilindri Pompa ad ingranaggi dell’olio
Carter Motore elettrico
b
Albero a gomiti e relativi contrappesi
Fig. 19.2 - 䡵 a) Compressore alternativo a due cilindri disposti a “L” a doppio effetto in due stadi (Ingersoll-Rand tipo XLE). 䡵 b) Particolare di compressore a vite (Ingersoll-Rand).
399
CAPITOLO 19. – COMPRESSORI DI GAS
19. 2
LAVORO RICHIESTO NELLA COMPRESSIONE Il lavoro interno li di compressione di un gas, quando avviene in modo sufficientemente rapido da poter trascurare lo scambio termico con l’esterno e la variazione di energia cinetica, è pari alla differenza tra l’entalpia entrante h1 e l’entalpia uscente h2 (16-6), differenza di entalpia che, nel caso del gas perfetto, si può esprimere mediante il prodotto della capacità massica a pressione costante per la differenza di temperatura (16-11′ ). Il numero che rappresenta il lavoro assorbito dal compressore risulterebbe negativo in quanto è lavoro fatto dall’esterno sul sistema (entra cioè nel fluido); volendo ottenere invece un numero positivo, si cambia il segno alla differenza di entalpia e di temperatura e si scrive: l i = h 2 – h 1 = c p(T 2 – T 1)
19-2
Il lavoro interno di compressione può anche esprimersi con l’altra equazione dei fluidi comprimibili (16-7), dove si cambia sempre il segno del lavoro in modo da ottenere un numero positivo: 2
li =
∫ vdp + l
19-3
w
1
Terremo conto più avanti delle resistenze passive attraverso il rendimento; per ora, considerando il caso ideale di assenza di resistenze passive (lw = 0), questa equazione si riduce a: 2
lideale =
∫ vdp 1
equivalente all’area della figura che, nel diagramma p–v, è compresa tra l’asse delle pressioni p, le due isobare p1 e p2 e la linea di compressione (Figura 19.3). Possiamo infatti applicare al sistema aperto i criteri che avevamo seguito per spiegare il significato del lavoro sul piano p–v per un sistema chiuso (Paragrafo 16.3); occorre solo scambiare 2
gli assi p e v dal momento che per il sistema chiuso il lavoro era espresso da l =
∫ pdv. 1
p
p2
2 pv = cost pressione p
400
pv n = cost
dp
pv = cost p1
1
v v
volume massico v
Fig. 19.3 - Confronto tra diversi percorsi di compressione.
19.2. – LAVORO RICHIESTO NELLA COMPRESSIONE
Il lavoro assorbito dal compressore è influenzato dal modo in cui il volume massico varia con la pressione in quanto leggi differenti di variazione di v in funzione di p determineranno risultati diversi nel calcolo dell’integrale 19-3; le diverse trasformazioni (Paragrafo 16.5.3) che può seguire il gas perfetto nella compressione daranno perciò origine ad espressioni diverse del lavoro (Scheda 19.1).
SCHEDA 19.1
LAVORO DI COMPRESSIONE IN FUNZIONE DEL TIPO DI TRASFORMAZIONE Il segno del lavoro è stato cambiato in modo da poterlo rappresentare con un numero positivo; β è il rapporto (19-1) tra la pressione di mandata p2 e la pressione di aspirazione p1, mentre T1 è la temperatura iniziale di compressione. Per le dimostrazioni si rimanda al Capitolo 30 di Macchine Termiche dello stesso Autore. 䡵
Compressione isoentropica (trasformazione adiabatica reversibile in cui non solo sono assenti le resistenze passive ma è anche nullo il calore ceduto all’esterno): γ ls = RT1 ( β (γ − 1)/γ − 1) 19-4 γ −1
䡵
Compressione isotermica, relativa al caso in cui il raffreddamento del gas sia talmente efficace da mantenerlo costantemente alla temperatura iniziale T1: lisoterma = RT1 ln β
19-5
䡵
Compressione politropica con esponente n compreso tra 1 (compressione isotermica) e γ (compressione isoentropica): n l politrop = RT1 ( β ( n − 1) /n − 1) 19-6 n −1
䡵
Compressione isocora (a volume costante), trasformazione applicabile ad un fluido incomprimibile, come un liquido, oppure ad un gas fino a β inferiore a 1,2 ÷ 1,3 quando non si avverte ancora l’effetto della comprimibilità del fluido: lisocora = v1 (p2 – p1) = RT1 (β – 1)
19-7
Esempio 19.1 Lavoro ideale di compressione per trasformazioni diverse Un compressore aspira aria, alla temperatura T1 = 20 °C e alla pressione assoluta p1 = 100 kPa, e la scarica alla pressione assoluta p2 = 800 kPa. Determinare il lavoro massico ideale richiesto dal compressore nel caso di trasformazione: a) isoentropica; b) isotermica; c) politropica con esponente n = 1,31 e la relativa temperatura di fine compressione.
401
402
CAPITOLO 19. – COMPRESSORI DI GAS
SOLUZIONE a) Determiniamo in primo luogo il rapporto di compressione con la 19-1. 800 kPa =8 100 kPa Per calcolare il lavoro richiesto nella compressione isoentropica (19-4) occorre conoscere (Tabella A.5) il rapporto γ = 1,4 tra le capacità termiche e la costante dell’aria R = 0,287 kJ/(kg⋅K).
β =
ls =
γ 1,4 0,287 kJ/(kg⋅K) × 293,15 K [8(1, 4 − 1)/1, 4 − 1] = RT1 ( β (γ − 1) /γ − 1) = γ −1 1,4 − 1 = 3,5 × 0,287 kJ/(kg⋅K) × 293,15[80, 286 − 1] = 239,26 kJ/kg
䉳
b) Nel caso di compressione isotermica si applica la 19-5. lisoterma = RT1 ln β = 0,287 kJ/(kg⋅K) × 293,15 K ln 8 = 174,95 kJ/kg
䉳
c) Nel caso di compressione politropica con esponente n = 1,31 (19-6) si ha: l politrop =
1,31 n 0,287 kJ/(kg⋅K) × 293,15 K [8(1,31 − 1)/1,31 − 1] = RT1 ( β ( n − 1) /n − 1) = 1,31 − 1 n −1 = 4,22 × 0,287 kJ/(kg⋅K) × 293,15[80, 237 − 1] = 226,14 kJ/kg
䉳
La temperatura T2 del gas scaricato nella compressione politropica si calcola con la A-55 dell’Appendice A.6. p T2 = 2 T1 p1
( n − 1) /n
= 80, 237 = 1,64
⇒
T2 = 1,64 × 293,15 K = 480,8 K = 207,65 °C
䉳
COMMENTI Il lavoro minimo è richiesto dalla compressione isotermica (174,95 kJ/kg), mentre quello richiesto dalla compressione politropica (226,14 kJ/kg) è sensibilmente più alto ma ancora inferiore a quello richiesto dalla isoentropica (239,26 kJ/kg).
19. 3
COMPRESSORI IDEALI MULTISTADIO INTERREFRIGERATI Anche se la riduzione del lavoro richiesto, a seguito del raffreddamento durante la compressione, sia di estremo interesse, nella pratica risulta difficile smaltire, in modo continuo, elevate quantità di calore durante il processo di compressione in modo da avvicinarsi il più possibile alla curva di compressione isotermica. La soluzione è allora quella di ricorrere alla compressione del gas in più stadi, intercalando un refrigeratore fra stadio e stadio. La Figura 19.4-a mostra i componenti di un compressore in due stadi. Il gas viene compresso dalla pressione p1 fino alla pressione p2, viene quindi refrigerato mantenendone la pressione costante ed entra poi nel secondo stadio dove viene compresso fino alla pressione di scarico p3. Si assume che la compressione in ogni stadio segua una legge politropica di ugual esponente n in ogni stadio. L’effetto prodotto dalla interrefrigerazione sul lavoro è illustrato nella Figura 19.4-b: il raffreddamento del gas, a pressione costante, lungo il tratto 2′ ⇒ 2 riduce il lavoro di compressione del secondo stadio tra 2 e 3. Se si fosse utilizzato un solo stadio di compressione, il gas sarebbe stato scaricato nello stato 2*. Perciò la riduzione del lavoro totale di compressione realizzata utilizzando la compressione in due stadi è rappresentata dall’area colorata del dia-
19.3. – COMPRESSORI IDEALI MULTISTADIO INTERREFRIGERATI
gramma. La temperatura più bassa a cui si può tentare di raffreddare l’aria è quella con cui l’aria entra nel compressore T1; si dice che l’interrefrigerazione attuata è completa quando la temperatura di uscita dall’interrefrigeratore T2 viene riportata al valore che il gas aveva inizialmente (T2 = T1).
3 Compressore secondo stadio
2
Interrefrigeratore p 3
p3
2*
2′
p2
2′ 2
Compressore primo stadio
p1
1
1
v
Fig. 19.4-a - Illustrazione del concetto di compressione in più stadi con interrefrigerazione: compressione in due stadi con interrefrigerazione.
Fig. 19.4-b - Rappresentazione del processo sul piano p– v.
Si può dimostrare che in generale, per un compressore avente N stadi di compressione, esiste un rapporto ottimo βottimo di compressione uguale per tutti gli stadi che, nel caso di interrefrigerazione completa, consente di rendere minimo il lavoro di compressione complessivo. Tale rapporto è dato da:
βottimo
p p p p = 2 = 3 = 4 = … = finale p1 p2 p3 p1
1/N
19-8′
dove pfinale è il valore di pressione a cui viene scaricato il gas dall’ultimo stadio e p1 è, al solito, la pressione iniziale del gas all’ingresso del primo stadio. Essendosi attuata la interrefrigerazione completa, la temperatura di ingresso in tutti gli stadi è sempre uguale alla temperatura iniziale T1. La 19-8 ci dice inoltre che il rapporto di compressione β è lo stesso per tutti gli stadi; allora il lavoro di compressione, dato dalla 19-6 che contiene come variabili T1 e β, è uguale in tutti gli stadi. Così, ad esempio, nel caso della compressione in due stadi della Figura 19.4-a con interrefrigerazione attuata alla pressione p2, abbiamo:
βottimo =
p p2 p = 3 = finale p1 p2 p1
1/2
=
p3 p1
19-8
Il volume massico v del gas che entra in uno stadio è più basso di quello elaborato nello stadio precedente; se, ad esempio, consideriamo una compressione in due stadi interrefrigerata, il volume massico v2 del gas che, dopo il raffreddamento completo fino alla temperatura iniziale T1, entra nel secondo stadio è legato al volume massico v1 del gas che entra nel primo stadio da
403
404
CAPITOLO 19. – COMPRESSORI DI GAS
v2 = v1/βottimo, relazione che si ottiene dall’equazione di stato dei gas (16-10) e che si può applicare a ognuno degli stadi di una compressione interrefrigerata. La riduzione del volume massico del gas, che avviene tra uno stadio e l’altro, si ripercuote sul dimensionamento dello stadio del compressore; nella Figura 19.2-a possiamo, ad esempio, osservare che il diametro del cilindro (in alto) del primo stadio è maggiore di quello del cilindro (in basso a sinistra) del secondo stadio in cui il gas viene mandato dopo essere stato raffreddato nell’interrefrigeratore posto tra i due cilindri.
Esempio 19.2 Lavoro ideale richiesto da un compressore interrefrigerato Un compressore a due stadi con interrefrigeratore aspira aria alla pressione assoluta p1 = 100 kPa e alla temperatura T1 = 20 °C e la scarica alla pressione assoluta p3 = 800 kPa. Viene attuata l’interrefrigerazione completa e quindi l’aria viene riportata dall’interrefrigeratore alla temperatura iniziale (T2 = T1). La compressione in ambedue gli stadi avviene secondo una politropica con esponente n = 1,31. Determinare: a) pressione p2 ottima a cui occorre refrigerare l’aria; b) lavoro massico lstadio ideale richiesto da ogni stadio e lavoro complessivo lcompless richiesto dalla compressione; c) temperatura all’uscita di ciascuno stadio; d) calore qinterrefr sottratto nell’interrefrigeratore.
SOLUZIONE a) Il rapporto ottimo di compressione βottimo si calcola con la 19-8′.
β ottimo =
p2 p = 3 = p1 p2
p3 = p1
800 kPa = 100 kPa
8 = 2,83
La pressione p2 a cui conviene arrestare la compressione nel primo stadio per iniziare la refrigerazione è allora p2 = βottimo p1 = 2,83 × 100 kPa = 283 kPa 䉳 b) Il lavoro richiesto dai due stadi è uguale dal momento che, nella 19-6, figurano sia la temperatura iniziale T1 che il rapporto di compressione β e questi sono uguali nei due stadi. Il lavoro di compressione politropica in ciascuno stadio vale allora l stadio =
1,31 n 0,287 kJ/(kg⋅K) × 293,15 K [2,83(1,31 − 1)/1,31 − 1] = RT1 ( β ( n − 1) /n − 1) = 1,31 − 1 n −1 = 4,22 × 0,287 kJ/(kg⋅K) × 293,15 K (2,830,237 − 1) = 99,27 kJ/kg
䉳
Il lavoro complessivo è dato dalla somma dei lavori richiesti dai due stadi lcompless = l I,stadio + l II,stadio = 99,27 kJ/kg + 99,27 kJ/kg = 198,5 kJ/kg
䉳
c) La temperatura all’uscita di ciascuno stadio si calcola con la A-55 avente come esponente n = 1,31. p T2′ = 2 T1 p1
( n − 1) /n
= 2,830, 237 = 1,28
⇒
T2′ = 1,28 × 293,15 K = 375,2 K = 102 °C
䉳
All’uscita del secondo stadio la temperatura T3 risulta uguale alla temperatura calcolata per il primo stadio T2′ in quanto nell’espressione precedente figurano solo la temperatura iniziale T1 e il rapporto di compressione β, parametri che rimangono immutati anche nel secondo stadio.
19.4. – POTENZA E RENDIMENTI
d) Il calore viene sottratto nell’interrefrigeratore a pressione costante; è dato perciò dalla differenza di entalpia (16-6), uguale a sua volta al prodotto della capacità termica a pressione costante dell’aria per la differenza di temperatura. qinterrefr = h2′ – h2 = cp(T2′ − T2) = 1,0035 kJ/(kg⋅K) (375,2 K − 293,15 K) = 82,34 kJ/kg
䉳
COMMENTI 1. Confrontiamo i dati ottenuti in questo Esempio con quelli dell’Esempio 19.1 (domanda c). Il lavoro complessivo richiesto per la compressione interrefrigerata (198,5 kJ/kg) è sempre maggiore di quello richiesto per la compressione isotermica (174,95 kJ/kg), ma risulta decisamente inferiore al lavoro di compressione senza interrefrigerazione (226,14 kJ/kg). La temperatura di fine compressione senza interrefrigerazione (480,8 K = 207,65 °C) risulta molto più elevata di quella raggiunta in ciascuno stadio in presenza di interrefrigerazione (375,2 K = 102 °C). Una temperatura tanto elevata testimonia che la interrefrigerazione del compressore, più che un vantaggio, rappresenta una necessità per il corretto impiego della macchina. 2. Abbiamo considerato per semplicità due soli stadi con refrigerazione intermedia. Questa stessa procedura è applicabile a più stadi. Si tenga presente che in questo caso la quantità di calore da sottrarre nei vari refrigeratori e le temperature massime di ogni stadio sono uguali, così come il lavoro di compressione.
19. 4
POTENZA E RENDIMENTI La potenza ideale Pideale è data dal prodotto della portata in massa di gas m˙ mandata, quella cioè che viene valutata allo scarico del compressore, per il lavoro massico ideale ls , espresso dalla 19-4. γ ˙ s = mRT ˙ 1 19-9 Pideale = ml ( β (γ − 1) /γ − 1) γ −1 Molto spesso è assegnata la portata in volume V˙1 , valutata nelle condizioni iniziali di pressione p1 e di temperatura T1. Si preferisce allora (16-10) sostituire a RT il prodotto pv ed esprimere ˙ 1 [( kg/s) ⋅ ( m 3 /kg )]. la potenza in funzione di V˙1 [ m 3 /s] = mv Pideale = m˙ p1v1
γ ( β (γ γ −1
− 1) /γ
− 1) = V˙1 p1
γ ( β (γ γ −1
− 1) /γ
− 1)
19-9′
Il rapporto poi tra la potenza ideale e rendimento del compressore ηC dà la potenza Pa assorbita al giunto del compressore. Pa =
Pideale ηC
19-10
Il rendimento del compressore ηC è il prodotto del rendimento interno (16-21), compreso tra 0,70 e 0,85, e del rendimento organico (0,95 ÷ 0,99) che tiene conto delle perdite per attriti meccanici e di quelle necessarie al comando degli accessori. Occorrerebbe considerare anche il rendimento volumetrico che, oltre a indicare nel caso delle macchine volumetriche l’incompletezza del riempimento della macchina reale rispetto alla corrispondente ideale, valuta l’incidenza delle fughe di fluido attraverso i giuochi tra parti fisse e parti mobili o tra le diverse parti mobili. Ma il rendimento volumetrico viene posto solitamente uguale a 1 nel caso di turbocompressori, mentre viene conteggiato a parte, nel suo aspetto legato al riempimento, per il dimensionamento della cilindrata dei compressori volumetrici.
405
CAPITOLO 19. – COMPRESSORI DI GAS
Esempio 19.3 Potenza effettiva assorbita da un compressore Nello stadio di un compressore centrifugo, avente un rendimento ηC = 0,84, viene trattata una portata di aria V˙1 = 0,5 m 3 /s dalla pressione p1 = 0,1 MPa alla pressione p2 = 0,14 MPa. Calcolare la potenza Pa assorbita dallo stadio.
SOLUZIONE Dopo aver calcolato il rapporto di compressione β (19-1)
β =
0,14 MPa p2 = = 1,4 0,1 MPa p1
ricaviamo l’espressione della potenza assorbita Pa (19-9′ e 19-10), tenendo presente che per l’aria (Tabella A.5) è γ = 1,4. Pa =
19. 5
V˙1 p1 γ ( β (γ ηC γ − 1
− 1) /γ
− 1) =
0,5 m 3 /s × 100 kPa 1,4 (1,4(1, 4 − 1) /1,4 − 1) = 21,04 kW 0,84 1,4 − 1
䉳
CURVE CARATTERISTICHE Analogamente al ventilatore (Figura 15.21), il compressore ha una propria curva caratteristica che va confrontata con la caratteristica del sistema, il condotto o il circuito cioè in cui è inserito il compressore. Di solito la curva caratteristica base di un compressore (Figura 19.5) porta in ordinate il rapporto di compressione β e in ascisse una portata resa adimensionale, in base a determinati criteri (Paragrafo 15.1.3), in modo da poter considerare insieme tutti i compressori appartenenti alla stessa famiglia.
Instabile
Stabile Rapporto di compressione β
406
Caratteristica del compressore
β
β βc – βs < 0
βc – βs > 0
Caratteristica del sistema
Punto di funzionamento
Portata adimensionale
Portata
Portata
Caratteristica del compressore ( c) Caratteristica del sistema ( s)
Fig. 19.5 - Curve caratteristiche del compressore e del sistema con determinazione del punto di funzionamento.
Il compressore funziona in quel punto della sua curva caratteristica per cui fornisce una portata corrispondente alla resistenza opposta dal sistema (punto di funzionamento). Il punto di funzionamento del compressore è stabile quando la caratteristica del compressore ha pendenza inferiore alla pendenza della caratteristica del sistema: in questo caso infatti, al diminuire della portata, la pressione fornita dal compressore è più grande di quella necessaria e la velocità del gas può aumentare, ripristinando la portata di normale funzionamento. Le Figure 19.6-a e 19.6-b mostrano le prestazioni di una famiglia di compressori radiali e di una di compressori assiali con le curve di isorendimento per diversi valori della velocità di rotazione
19.5. – CURVE CARATTERISTICHE
a
b P = punto di progetto n0 = velocità di progetto
P = punto di progetto n0 = velocità di progetto
β 3,5
β 8 Linea di pompaggio
7 0,88 η = 0,9
0,7 5
3 6
0,85 0,80
P
P
2,5
= 0,7 0,6 0 5
5
η
60
0,
2
1,1
0,75
Linea di pompaggio
0,70
4
5 0,5 1
3
1,5
1 1,05 2
n = 0,8 n0
n = 0,8 n0
0,9 0,95
1
1 Portata adimensionale
Portata adimensionale
Fig. 19.6 - Prestazioni di compressori con curve di isorendimento per diversi valori della velocità di rotazione riferita alla velocità di progetto: 䡵 a) compressore radiale; 䡵 b) compressore assiale.
Temperatura ingresso compressore = 293 K Pressione ingresso compressore = 98.000 Pa Velocità compressore = 1400 giri/s
2,6
20
2,4 Punto di funzionamento
a pi
p
Co
0,6
0,4
ppo
rto
pre
12
a
ssi
nz
1,8
one
ento
dim
Ren
10
1,6
1,4
0,2
1,2
0,0
1,0 0,00
0,05
0,10
0,15
1,8 1,6 1,4 1,2
di c
om
Po te
Rapporto di compressione
Rendimento
0,8
Ra
2,0
1,0
14
Potenza [kW]
2,2
2,0 16
0,20
0,25
0,30
Portata in massa [kg/s]
Fig. 19.6-c - Caratteristiche di un compressore radiale.
0,35
1,0
Coppia [N⋅m]
2,2
18
407
CAPITOLO 19. – COMPRESSORI DI GAS
6,5
Pr
2,0
ev ale
Temperatura aria in aspirazione = 288 K Pressione aria in aspirazione = 98.000 Pa Velocità di rotazione = 58 giri/s
nz
6,0
a
1,5
Punto di funzionamento
1,0
0,8 0,6
o
5,0
nt ime
d
Ren
0,5
0,4
Rendimento
5,5
∆ p [kPa]
1,0 za Poten
Potenza assorbita [kW]
408
0,2 4,5
0
0
0
1
2 3 Portata aria [kg/s]
4
5
Fig. 19.6-d - Caratteristiche di un ventilatore assiale.
riferita a quella di progetto. Sulla sinistra del diagramma è indicata la linea limite di pompaggio; qualora si scenda al di sotto dei valori di portata corrispondenti a questa linea (per i normali compressori radiali è circa i1 60%, mentre per quelli assiali senza pale orientabili varia dal 60 all’85% della portata di progetto) il funzionamento del compressore diventa instabile. Nell’accoppiare la macchina operatrice (sia questa una pompa, un compressore oppure un ventilatore) al motore elettrico occorre fare attenzione all’andamento della curva caratteristica della potenza. Se infatti la scelta della potenza del motore elettrico fosse soltanto basata sulla potenza di usuale funzionamento della macchina (quella cioè di massimo rendimento), si correrebbe il rischio, a differenza della macchina radiale che presenta una caratteristica ascendente (Figura 19.6-c), di bruciare il motore elettrico nel caso della macchina assiale (Figura 19.6-d), che, all’avviamento, assorbe una potenza tre volte maggiore di quella a regime.
19. 6
SOMMARIO Il lavoro interno di un compressore, nel caso ideale di assenza di resistenze passive (lw = 0) è dato da li = h2 – h1. Nel caso di un gas perfetto le variazioni di entalpia sono espresse semplicemente dal prodotto della differenza di temperatura T2 – T1 per la capacità termica cp e quindi il lavoro diviene li = cp(T2 – T1). Nel caso in cui sia nullo il calore q ceduto all’esterno, abbiamo il lavoro ideale di compressione isoentropica, lavoro che aumenta al crescere del rapporto di compressione β = p2/p1 e della temperatura iniziale T1. ls =
γ RT1 ( β (γ γ −1
− 1)/γ
− 1)
Nel caso in cui sia possibile raffreddare il gas durante tutta la compressione mantenendolo costantemente alla temperatura iniziale T1, abbiamo la compressione isotermica, compressione che permette di ottenere il lavoro ideale più basso in assoluto lisoterma = RT1 ln β.
ESERCIZI PROPOSTI
Nella pratica risulta difficile smaltire, in modo continuo, elevate quantità di calore durante il processo di compressione. Si ricorre allora alla compressione del gas in più stadi, intercalando un refrigeratore fra stadio e stadio, che, nel caso di interrefrigerazione completa, riporta sistematicamente la temperatura di uscita dall’interrefrigeratore T2 al valore T1 che il gas aveva inizialmente (T2 = T1). In tal caso, esiste un rapporto ottimo βottimo di compressione, uguale per tutti gli stadi, che consente di rendere minimo il lavoro di compressione complessivo. Il prodotto della portata in massa di gas m˙ [kg/s] mandata dal compressore per il lavoro ideale ls [kJ/kg] dà la potenza ideale [kW]. La potenza assorbita Pa si ottiene dividendo la potenza ideale per il rendimento complessivo del compressore ηC , prodotto dei rendimenti interno e organico.
Esercizi proposti 19.1 Un compressore aspira aria alla pressione assoluta di 100 kPa e alla temperatura di 300 K per portarla fino alla pressione di 600 kPa. Determinare il rapporto di compressione β e il lavoro massico ideale del compressore nel caso di trasformazione isoentropica (ls), isotermica (lisoterma) e politropica con esponente n = 1,31 (lpolitrop).
β = 6; ls = 201,7 kJ/kg; lisoterma = 154,3 kJ/kg; lpolitrop = 192,1 kJ/kg 19.2 Calcolare la temperatura T2 di fine compressione secondo una politropica di esponente n = 1,31 quando il rapporto di compressione è pari a 6 e la temperatura iniziale è uguale a 300 K. T2 = 458,7 K = 185,6 °C 19.3 Calcolare il rapporto ottimo di compressione βottimo del singolo stadio di un compressore alternativo in tre stadi che lavora tra le pressioni di 0,1 MPa e 6,4 MPa.
βottimo = 4 19.4 Un piccolo compressore centrifugo, avente un rendimento complessivo pari a 0,8, manda una portata d’aria di 0,02 m3/s nel condotto di scarico di un motore ad accensione comandata per ossidare gli inquinanti. La pressione iniziale è pari a 100 kPa e la pressione finale è pari a 140 kPa. Calcolare la potenza Pa assorbita dal compressore. Pa = 0,88 kW 19.5 Un compressore a due stadi con interrefrigeratore aspira aria alla pressione assoluta di 100 kPa e alla temperatura di 25 °C per portarla fino alla pressione assoluta di 1369 kPa. Viene attuata l’interrefrigerazione com-
pleta e quindi l’aria, prima di entrare nel secondo stadio, viene riportata dall’interrefrigeratore alla temperatura iniziale. La compressione in ambedue gli stadi avviene secondo una politropica con esponente n = 1,3. Determinare la pressione p2 ottima a cui occorre refrigerare l’aria, il lavoro massico lstadio ideale richiesto da ogni stadio e il lavoro complessivo lcompless richiesto dalla compressione, la temperatura T2′ all’uscita di ciascuno stadio e il calore qinterrefr sottratto nell’interrefrigeratore. p2 = 370 kPa; lstadio = 130,7 kJ/kg; lcompless = 261,4 kJ/kg T2′ = 403 K; qinterrefr = 105 kJ/kg 19.6 Un compressore a due stadi con interrefrigeratore viene alimentato con una portata d’aria di 0,06 kg/s alla pressione assoluta di 100 kPa e alla temperatura di 25 °C. La pressione finale risulta di 1369 kPa. Viene attuata l’interrefrigerazione completa e quindi l’aria, prima di entrare nel secondo stadio, viene riportata dall’interrefrigeratore alla temperatura iniziale. Nell’ipotesi di compressione isoentropica, calcolare il lavoro massico lstadio ideale richiesto da ogni stadio, il lavoro complessivo lcompless , la temperatura T2′ all’uscita di ciascuno stadio e il calore qinterrefr sottratto nell’interrefrigeratore. Assunto infine un rendimento del compressore di 0,88, calcolare la potenza assorbita Pa , dal compressore e la potenza termica Q˙ che occorre sottrarre con l’interrefrigeratore. l stadio = 135,9 kJ/kg; l compless = 2718 , kJ/kg; T2′ = 432 K; qinterrefr = 134,3 kJ/kg; Pa = 19 kW; Q˙ = 8 kW
409
Capitolo 20
20. 1
IMPIANTO MOTORE CON TURBINA A GAS
IMPIANTO MOTORE CON TURBINA A GAS In senso stretto il termine turbina a gas indica la macchina motrice termica a flusso continuo, in cui, invece di un vapore come avviene nel caso della turbina a vapore, viene fatto espandere un gas. In senso ampio il termine turbina a gas individua l’intero impianto motore con turbina a gas per la produzione di energia meccanica comprendente nei suoi elementi essenziali (Figura 20.1), oltre alla turbina, anche il compressore e il combustore, dove viene riscaldato il gas compresso prima della sua espansione nella turbina. Nel seguito, quando ci sarà la possibilità di confondere la macchina motrice termica con l’impianto motore completo, utilizzeremo il termine turboespansore per indicare la turbina in senso stretto, come macchina motrice inserita in un impianto motore. Camino
Camera di combustione Bruciatore
Alternatore
Filtro presa aria
Compressore
Turbina
Trasformatore
Fig. 20.1 - Centrale elettrica a turbina a gas di Camerata Picena (Enel): schema dell’impianto.
Nell’impianto estremamente semplificato schematizzato nella Figura 20.1, l’aria ambiente, a bassa pressione e bassa temperatura, entra nel compressore, da cui esce con pressione e temperatura più alte; passa quindi nel combustore dove la combustione, che era stata innescata all’avviamento dell’impianto dalle candele di accensione e viene successivamente mantenuta dall’iniezione continua del combustibile, fa aumentare la temperatura del gas in un processo a pressione costante; il gas ad alta temperatura e ad alta pressione entra infine nella turbina dove, espandendosi, produce lavoro, che, una volta depurato della parte utilizzata per azionare il compressore e gli ausiliari e per vincere le resistenze passive, costituisce il lavoro utile dell’impianto.
20.1 – IMPIANTO MOTORE CON TURBINA A GAS
a
b
Fig. 20.2 - 䡵 a) Impianti motore con turbina a gas: turbina a gas da 5 MW (Nuovo Pignone tipo MS1002). 䡵 b) Motore con turbina a gas da 550 kW per carri armati (Garrett tipo GT601).
Le turbine a gas (Figure 20.2, 20.3 e 20.4) coprono un campo di potenze estremamente esteso (da 5 kW a 250 MW) con una massa dell’impianto che parallelamente passa da pochi chilogrammi alle centinaia di tonnellate. Il compressore di una turbina a gas è un turbocompressore a causa delle elevate portate di gas richieste; ne sono stati costruiti esemplari per portate fino a 400 m3/s. Fino a potenze di 0,4 ÷ 0,5 MW, si preferisce utilizzare un compressore centrifugo, a uno o più stadi (2 ÷ 3), che, rispetto al compressore assiale, è più compatto, più semplice anche come progettazione e garantisce un funzionamento più stabile, al variare delle condizioni operative. Al crescere della potenza richiesta alla macchina, diventa preponderante un criterio di scelta che premia il rendimento al posto della semplicità costruttiva e quindi dei costi; si passa allora al compressore assiale contraddistinto da un numero elevato di stadi (10 ÷ 13), in quanto il rapporto di compressione realizzabile dal singolo stadio è più basso di quello del compressore centrifugo.
411
412
CAPITOLO 20. – IMPIANTO MOTORE CON TURBINA A GAS
Fig. 20.2-c - Fotografia dell’insieme durante il montaggio in officina, fotografia dell’albero palettato e schema della turbina a gas da 140 MW; velocità di rotazione: 50 giri/s; rendimento: 0,33; portata dei gas di scarico: 506 kg/s; temperatura dei gas di scarico: 525 °C (Brown-Boveri tipo GT 13E).
Il turboespansore è di solito una turbina assiale. Uno dei limiti della turbina assiale è la caduta del valor ottimo del rendimento quando ci si allontana dalle condizioni di progetto. Negli impianti di potenza modesta può anche essere utilizzata una turbina radiale centripeta. La turbina radiale centripeta è simile a un compressore centrifugo, ma con il flusso diretto dalla peri-
20.1 – IMPIANTO MOTORE CON TURBINA A GAS
a
Iniezione del combustibile Combustore Turbina in tre stadi Compressore del secondo stadio Compressore del primo stadio Albero di potenza principale Riduttore
b
c
Fig. 20.3 - Turbina a gas per applicazioni industriali e marine (Garrett tipo IM831-800). 䡵 a) Spaccato della turbina. 䡵 b) Descrizione del circuito del fluido di lavoro. 䡵 c) Albero palettato.
feria verso il centro (centripeto) anziché dal centro verso la periferia (centrifugo) e con i condotti del distributore al posto dei condotti del diffusore (propri del compressore). Il grande vantaggio della turbina centripeta è la possibilità di mantenere rendimenti elevati anche quando è ridotta a dimensioni estremamente modeste e in condizioni di funzionamento lontane da quelle di progetto; da qui il suo impiego privilegiato nel campo della trazione stradale e ferroviaria. È inoltre più robusta e meno costosa, sia come sviluppo che come produzione, della turbina assiale. Poiché il rendimento dell’impianto motore è tanto più alto quanto maggiore è la temperatura del gas all’ingresso del turboespansore, il raggiungimento di alte temperature costituisce un incentivo notevole. Si impiegano allora leghe, a base di nickel e cobalto, per far sì che le palette del distributore e della girante possano resistere all’alta temperatura. Esistono anche esempi di materiali ceramici particolarmente resistenti alle alte temperature.
413
414
CAPITOLO 20. – IMPIANTO MOTORE CON TURBINA A GAS
Alta velocità Bassa pressione
Palettatura fissa del diffusore
Aria
Aria Rotazione
Girante
ASSIALE
Bassa velocità Alta pressione
Diffusore
CENTRIFUGO
Fig. 20.3-d - Compressore: flusso dell’aria e due diverse configurazioni assiale e centrifugo.
Il combustore deve portare i gas a una temperatura controllata e uniforme e allo stesso tempo deve ridurre al minimo le perdite di pressione. Oltre al raggiungimento di un elevato rendimento di combustione e alla corretta miscelazione dei gas, i maggiori problemi sono legati alla stabilizzazione della fiamma, all’eliminazione delle pulsazioni e del rumore e al controllo delle emissioni gassose, rappresentate soprattutto dagli ossidi di azoto. I combustori sono usualmente realizzati in metallo raffreddato lungo le pareti da un sottile strato dell’aria entrante, ma possono venire utilizzati anche materiali ceramici. L’iniezione del combustibile può avvenire lungo l’asse del tubo di fiamma (combustore tubolare) oppure, nel caso in cui si desideri ridurre al minimo l’ingombro, alla periferia (combustore anulare). Non appena possibile, nell’impianto a turbina a gas viene recuperata l’energia dal calore dei gas di scarico per aumentare il rendimento; è questa la pratica della rigenerazione. Il recuperatore, quando a pareti fisse, oppure il rigeneratore, quando viene realizzato con elementi rotanti, è, nella sua forma più semplice, uno scambiatore di calore che utilizza i gas di combustione scaricati dalla turbina per aumentare il contenuto termico dell’aria che esce dal compressore prima della sua introduzione nel combustore. Questo scambiatore ha l’inconveniente di aumentare la massa, il volume e il costo dell’impianto con turbina a gas. Le grandi dimensioni dei recuperatori (possono superare come ingombro quelle del gruppo compressore-combustore-turbina), sono dovute alla necessità di ridurre al minimo la caduta di pressione lato gas, in quanto ogni riduzione di pressione deve essere compensata da un aumento del rapporto di compressione del compressore, se non si vuole poi dover sfruttare una minore espansione in turbina. Le loro dimensioni notevoli li rendono inadatti per la propulsione aeronautica. L’alta temperatura del gas
20.1 – IMPIANTO MOTORE CON TURBINA A GAS
Aria mandata dal compressore
TUBOLARE
ANULARE
Fig. 20.3-e - Camera di combustione: miscelazione di aria con il combustibile e due diverse configurazioni tubolare e anulare.
Statore
Rotazione
Girante
Turbina assiale
ASSIALE
CENTRIPETO
Fig. 20.3-f - Turbina: flusso dei gas e due diverse configurazioni assiale e radiale centripeto.
415
416
CAPITOLO 20. – IMPIANTO MOTORE CON TURBINA A GAS
250 °C
250 °C
500 °C 550 °C 40 °C
550 °C
300 °C Scarico
40 °C 900 °C
900 °C
Recuperatore Ingresso del compressore
Turbina
Ingresso del compressore
Turbina
Fig. 20.3-g - Impianto senza e con rigenerazione.
Recuperatore
Rigeneratore Uscita turbina
Mandata compressore
Mandata compressore
Azionamento dell’elemento rotante
Al combustore
Al combustore Scarico Scarico Uscita turbina
Fig. 20.3-h - I due diversi sistemi per attuare la rigenerazione: recuperatore (fisso) e rigeneratore (rotante).
v0
F
w
(≈ 600 °C) impone l’uso di acciai legati o di ceramici. I rigeneratori (gli scambiatori cioè che hanno elementi rotanti) permettono di ridurre l’ingombro e quindi offrono elevate prestazioni e masse più basse; ma questa soluzione è soggetta a fughe di gas attraverso la parte rotante con riduzione della portata in turbina.
Gli interrefrigeratori degli stadi del compressore sono anch’essi soggetti a Fig. 20.4-a - Schema di turboreattori a doppio flusso. Delle due turbine, una di limitazioni sulla massima caduta di bassa pressione e l’altra di alta pressione, una comanda il compressore che, con pressione tollerabile e per di più rapporti di compressione che possono arrivare fino al valore di 25, manda l’aria compressa in camera di combustione, mentre l’altra comanda una ventola che richiedono l’alimentazione del fluido invia un secondo flusso d’aria allo scarico dove si unisce al primo flusso di gas di raffreddamento. La turbina a gas combusti provenienti dalla turbina. richiede poi dei filtri all’aspirazione per proteggere le turbine a gas industriali o marine da polveri, fumi e sali che possono provocare erosioni o corrosioni oppure infine formare depositi su compressore e turbina, riducendone il rendimento. È infine richiesto un dispositivo di avviamento, costituito da un motore elettrico oppure da un motore Diesel, che assorbe dal 5 al 10% della potenza nominale.
20.2 – CICLO BRAYTON
Collegamento di bassa pressione
Sezione di comando della ventola
di alta pressione
Turbina di bassa pressione in tre stadi
Turbina di alta pressione a stadio singolo
Ventola Riduttore per a stadio singolo l’azionamento della ventola
Compressore di bassa pressione in quattro stadi
Combustore anulare a flusso rovesciato
Compressore di alta pressione a stadio singolo
Prese di moto per ausiliari
Fig. 20.4-b - Turboreattore a doppio flusso (Garrett tipo TFE731). Più di un terzo delle turbine a gas esistenti vengono utilizzate nella propulsione a getto degli aeroplani; in questo caso il lavoro prodotto dal sistema compressore-combustore-turbina è sotto forma di una corrente di gas di scarico ad alta energia.
20. 2
CICLO BRAYTON Possiamo distinguere gli impianti motore in turbina a gas a ciclo semplice aperto e in turbina a gas a ciclo semplice chiuso. Nella turbina a gas a ciclo semplice aperto (Figura 20.5-a) il compressore viene alimentato prelevando aria dall’ambiente esterno, mentre lo scarico dei gas avviene direttamente nell’atmosfera; in questo caso la turbina a gas è una macchina a combustione interna in cui il fluido di lavoro può essere soltanto aria, che aspirata all’inizio dall’ambiente, diviene poi gas combusto dopo aver reagito con il combustibile all’interno del combustore. a
qS
Compressore
1
2
qS
b
Combustore 3 Turbina
4 Prodotti di combustione
Fig. 20.5 - Turbina a gas funzionante secondo il ciclo Brayton: 䡵 a) a ciclo aperto; 䡵 b) a ciclo chiuso.
Scambiatore Compressore
1
3 Turbina
2
Scambiatore
qI
4
417
418
CAPITOLO 20. – IMPIANTO MOTORE CON TURBINA A GAS
Nella turbina a gas a ciclo semplice chiuso (Figura 20.5-b) il circuito del fluido di lavoro è separato dall’atmosfera: uno scambiatore di calore, al posto del combustore, trasferisce il calore dalla sorgente alla temperatura superiore al fluido di lavoro mentre un altro scambiatore, al posto dello scarico diretto dei gas combusti nell’atmosfera, provvede a trasferire il calore del fluido di lavoro alla sorgente a temperatura inferiore. La turbina a gas a ciclo chiuso può perciò operare con fluidi di lavoro qualsiasi diversi dall’aria, ad esempio elio, e con pressioni minime al di sotto di quella atmosferica. Il ciclo della turbina a gas semplice prende il nome di ciclo di Brayton. Le trasformazioni del ciclo ideale sono considerate stazionarie e reversibili; si fa inoltre l’ipotesi che le variazioni di energia cinetica e potenziale siano trascurabili. Il ciclo Brayton ideale è composto da (Figura 20.6): 1 ⇒ 2s 2s ⇒ 3 3 ⇒ 4s 4s ⇒ 1
compressione adiabatica reversibile (e quindi isoentropica) nel compressore; somministrazione di calore a pressione costante; espansione adiabatica reversibile (e quindi isoentropica) nella turbina; sottrazione di calore a pressione costante. p
T
2s
h
3
3
2s
1
4s
1
4s v
s
Fig. 20.6 - Ciclo ideale della turbina a gas nei piani p–v e T–s 20.1, al posto delle sezioni 2 e 4 di Figura 20.5, si sono indicati i punti 2s e 4s per sottolineare i punti di arrivo di trasformazioni isoentropiche.
Il rendimento η del ciclo Brayton si ricava dalla espressione generale del rendimento 16-15, come rapporto tra il lavoro l eseguito nel ciclo e la quantità di calore qS fornita al fluido dalla sorgente superiore tra le temperature T2 e T3:
η=
l qS
20-1
Il lavoro l è il risultato della differenza tra il lavoro di espansione lt nella turbina e il lavoro di compressione lc nel compressore: l = lt – lc. Nel caso del ciclo ideale della Figura 20.6, i lavori di espansione e compressione sono ideali e quindi isoentropici; inoltre il gas che evolve nel ciclo si considera un gas perfetto: • il lavoro isoentropico lts della turbina si esprime con le formule dell’espansione isoentropica in un sistema aperto, e cioè come differenza di entalpia (A-69) o di temperatura (A-70) lts = h3 – h4s = cp (T3 – T4s) oppure con la A-72; • il lavoro isoentropico lcs del compressore si esprime ancora (19-2) come differenza di entalpia o di temperatura lcs = h2s – h1 = cp (T2s – T1) oppure con la 19-4.
20.1 - I diagrammi entropici T–s presentati in questo Capitolo sono anche diagrammi di Mollier h–s, poiché, trat-
tandosi di gas perfetti, l’entalpia h è funzione della sola temperatura T attraverso la capacità termica massica a pressione
costante c p. Sull’asse delle ordinate compare perciò anche l’entalpia h accanto alla temperatura T.
20.2 – CICLO BRAYTON
La quantità di calore qS viene somministrata al gas perfetto in una trasformazione a pressione costante; essa è perciò uguale alla variazione di entalpia oppure si può esprimere in funzione della variazione di temperatura: qS = h3 – h2s = cp (T3 – T2s ). Se il rapporto β tra le pressioni del ciclo è dato da:
β =
p2 s p = 3 p1 p4 s
20-2
si può dimostrare20.2 che il rendimento η del ciclo Brayton nel caso ideale è funzione del solo rapporto di pressione β:
η =1−
T
h 3
4 2 2s 4s
1
β
( γ − 1)/γ
20-3
Il ciclo reale dell’impianto con turbina a gas (Figura 20.7) differisce dal ciclo ideale principalmente a causa delle irreversibilità, presenti nel compressore e nella turbina, e a causa della caduta di pressione del gas nei condotti e nel combustore (oppure nello scambiatore di calore di una turbina a ciclo chiuso). Mediante i rendimenti interni del compressore (16-21) e della turbina (16-20) si ricavano, dai lavori isoentropici, i lavori interni di compressore lc e turbina lt e quindi si determina il rendimento con la 20-1.
Il rendimento del ciclo Brayton ideale aumenta al crescere del rapporto di pressione; ad esempio, con un rapporto di pressione β = 6, il rendimento del ciclo ideale raggiunge 0,40, mentre quello del ciclo reale, sia pure con rendimenti s interni molto buoni del compressore (0,85) e della turbina Fig. 20.7 - Ciclo reale della turbina a gas nel piano (0,90), arriva a 0,29; all’aumentare del rapporto di pressione entropico T–s. La distanza tra le linee blu visualizza tuttavia il rendimento interno del compressore scende e la caduta di pressione. quindi il valore di β più utilizzato è compreso tra 4 e 6. Il rendimento del ciclo reale può venire aumentato in modo significativo con la rigenerazione, processo con cui mediante uno scambiatore si trasferisce parte del calore dei gas combusti ad alta temperatura uscenti dalla turbina all’aria che esce dal compressore riducendo in modo sensibile la quantità di combustibile che deve essere iniettata nel combustore per raggiungere una determinata temperatura. Negli impianti di potenza molto elevata, destinati alla generazione di elettricità, viene spesso impiegata la pratica dell’interrefrigerazione e del riscaldamento ripetuto. La Figura 20.8 mostra un sistema con uno stadio di interrefrigerazione e un riscaldamento ripetuto. L’interrefrigerazione permette di ridurre il lavoro richiesto dal compressore (Paragrafo 19.3); il minimo lavoro di compressione viene raggiunto quando il numero di stadi di refrigerazione è talmente elevato da far sì che la compressione sia isotermica. Analogamente, il riscaldamento ripetuto tra gli stadi della turbina fa aumentare il lavoro massico per un dato rapporto di pressione e per una data temperatura di ammissione in turbina. Il lavoro massico prodotto nel ciclo viene perciò aumentato dall’interrefrigerazione e/o dal riscaldamento ripetuto. Tuttavia il rendimento del ciclo Brayton con interrefrigerazione e riscaldamento ripetuto è più basso di quello del ciclo Brayton semplice in quanto più energia viene scambiata sotto forma di calore. 1
20.2 - Le dimostrazioni non riportate si trovano nel capitolo 33 di Macchine termiche dello stesso Autore.
419
420
CAPITOLO 20. – IMPIANTO MOTORE CON TURBINA A GAS
Rigeneratore
a
b
10
9 T 5 Combustore Ricombustore 4 6
7
6
8
7
9
5
8
Compressore 4
2 10
Compressore 1
2
3
Turbina
Turbina
1
3
s
Refrigeratore
Fig. 20.8 - Turbina a gas a ciclo aperto con interrefrigerazione, riscaldamento ripetuto e rigenerazione: 䡵 a) schema dell’impianto; 䡵 b) rappresentazione del ciclo ideale nel piano T–s.
Interrefrigerazione e riscaldamento ripetuto contribuiscono ad aumentare il potenziale di energia utilizzabile per la rigenerazione, facendo aumentare la temperatura del gas combusto scaricato dalla turbina e allo stesso tempo riducendo la temperatura dell’aria che esce dal compressore. Di norma interrefrigerazione e riscaldamento ripetuto sono perciò impiegati con la rigenerazione secondo lo schema illustrato dalla Figura 20.8.
Esempio 20.1 Ciclo Brayton ideale Nel ciclo Brayton ideale della Figura 20.6, l’aria entra nel compressore alla pressione atmosferica p1 ≈ 0,1 MPa e alla temperatura T1 = 300 K. Il rapporto tra le pressioni del ciclo è β = p2s /p1 = 6, mentre la temperatura massima è T3 = 1200 K. Determinare: a) pressione p e temperatura T nei vari punti del ciclo; b) lavori del compressore lcs e della turbina lts ; c) rendimento del ciclo η.
SOLUZIONE a) Riportiamo di seguito le pressioni e le temperature nei vari punti del ciclo: p1 = 0,1 MPa
1)
䉳
T1 = 300 K
2s) Per la 20-2 si ha: p2 s ⇒ p2 s = β p1 = 6 × 0,1 MPa = 0,6 MPa 䉳 p1 Dal punto 1 al punto 2s si passa con una trasformazione isoentropica definita da s1 = s2s (è l’applicazione del secondo principio della termodinamica): si applica la A-39.
β =
T2 s = β (γ T1
− 1) /γ
⇒
T2 s = T1β (γ
−1) /γ
T2s = 300 K × 6(1,4 – 1)/1,4 = 300 K × 60,286 = 500,8 K
䉳
20.3 – POTENZA E RENDIMENTI
3)
p3 = p2 s = 0,6 MPa
4s)
䉳
T3 = 1200 K
䉳
p4 s = p1 = 0,1 MPa
Applicando ancora la A-39 alla espansione isoentropica 3 ⇒ 4s, si ha: T3 = β (γ T4 s
− 1) /γ
T4 s =
⇒
T4 s =
T3 β (γ − 1) /γ
1200 K = 718,8 K 60, 286
䉳
b) Il lavoro richiesto dal compressore si ottiene dalla 19-2 dove usiamo una capacità termica massica a pressione costante dell’aria cp = 1,0035 kJ/(kg⋅K) (Tabella A.5). 䉳
lcs = cp (T2s – T1 ) = 1,0035 kJ/(kg⋅K) (500,8 K – 300 K) = 201,5 kJ/kg Il lavoro prodotto dalla turbina è (A-70):
䉳
lts = cp (T3 – T4s ) = 1,0035 kJ/(kg⋅K) (1200 K – 718,8 K) = 482,9 kJ/kg c) Il rendimento può essere ricavato con la 20-3:
η = 1−
1
β (γ
− 1) /γ
= 1−
1 = 0,40 60,286
䉳
oppure con la 20-1:
η=
20. 3
482,9 kJ/kg − 201,5 kJ/kg 281,4 kJ/kg l lt − lc = = = = 0,40 qS c p (T3 − T2 s ) 1,0035 kJ/(kg⋅K) (1200 K − 500,8 K ) 701,6 kJ/kg
䉳
POTENZA E RENDIMENTI Moltiplicando la differenza tra i lavori interni di turbina lt e compressore lc per il rendimento organico ηo dell’impianto si ottiene il lavoro utile lu [kJ/kg] disponibile all’albero della macchina: lu = ηo (lt – lc). Il rendimento globale ηg dell’impianto, tanto più alto quanto più elevata è la temperatura di ammissione in turbina, è dato dal rapporto tra la potenza utile Pu [kW] disponibile all’asse della macchina, prodotto della portata di aria m˙ [kg/s] per il lavoro utile lu [kJ/kg], e la potenza termica messa a disposizione dalla combustione del combustibile Q˙ b = m˙ b H i [kW] con m˙ b [kg/s] portata in massa di combustibile e Hi [kJ/kg] potere calorifico inferiore del combustibile18.3: Pu ηg = 20-4 m˙ b H i Il consumo specifico di combustibile qb è il rapporto tra la portata di combustibile m˙ b e la potenza utile Pu ; tenendo conto della 20-4, si ha: qb =
m˙ b 1 = Pu ηg H i
20-5
La dosatura α, rapporto tra la portata di aria m˙ e quella di combustibile m˙ b , è data da20.2:
α =
m˙ ηH = b i −1 ˙ mb qb
20-6
dove ηb è il rendimento del combustore già definito per il generatore degli impianti a vapore (18-5).
421
422
CAPITOLO 20. – IMPIANTO MOTORE CON TURBINA A GAS
Esempio 20.2 Rendimenti di un impianto con turbina a gas Di una turbina a gas occorre determinare: a) potenza utile Pu con assegnata – portata in massa di aria trattata m˙ = 56 kg/s – lavoro utile lu = 178,7 kJ/kg; b) dosatura α e consumo specifico di combustibile qb con assegnati – potere calorifico dell’olio combustibile Hi = 41 MJ/kg – rendimento del combustore ηb = 0,86; c) rendimento globale ηg; d) portata di aria che entra nel compressore V˙1 con assegnate – pressione di aspirazione p1 = 100 kPa – temperatura di aspirazione T1 = 300 K – costante dell’aria R = 0,287 kJ/(kg⋅K).
SOLUZIONE a) La potenza utile è data da: ˙ u = 56 kg/s × 178,7 kJ/kg = 10 MW Pu = ml
䉳
b) La dosatura del combustibile α è (20-6) 0,86 × 41.000 kJ/kg kg aria ηb H i −1 = − 1 = 51,9 qs 666,6 kJ/kg kg combustibile
α =
䉳
Il consumo specifico del combustibile qb è per la 20-5 qb =
m˙ b Pu
dove la portata di combustibile m˙ b si determina come rapporto tra la portata di aria m˙ e la dosatura α:
α =
m˙ m˙ b
⇒
m˙ = α
m˙ b =
qb =
56 kg/s di aria = 1,08 kg/s kg di aria 51,9 kg di combustibile
1,08 kg/s = 0,108 kg/MJ 10 MW
䉳
c) Il rendimento globale può essere ricavato con:
ηg =
Pu 10 MW = = 0,226 m˙ b H i 1,08 kg/s × 41 MJ/kg
䉳
oppure come reciproco del consumo di combustibile (20-4) qb =
1 ηg H i
⇒
ηg =
1 1 = = 0,226 qb H i 0,108 kg/MJ × 41 MJ/kg
d) La conoscenza della portata di aria V˙1 che entra nel compressore è un dato essenziale per il dimensionamento. Si calcola dividendo ambo i membri dell’equazione di stato dei gas 16-10 per il tempo in modo da far figurare delle portate in volume V˙1 e in massa m˙ dell’aria trattata dal compressore. V1 ˙ 1 ⇒ = RT1 ⇒ p1V1 = mRT1 ⇒ p1V˙1 = mRT m ˙ 1 56 kg/s × 0,287 kJ/(kg⋅K) × 300 K mRT = = 48,2 m 3 /s V˙1 = 100 kPa p1 p1
䉳
20.5 – SOMMARIO
20. 4
CICLI COMBINATI L’energia posseduta dai gas ad alta temperatura che sono scaricati dalla turbina viene utilizzata per generare vapore, recuperando così energia altrimenti dispersa nell’atmosfera da parte della turbina a gas. La Figura 20.9 mostra un impianto a ciclo combinato nelle sue linee essenziali: il generatore di vapore a recupero utilizza, come fonte termica, i gas combusti della turbina a gas. Molto spesso questi gas, che hanno un elevato contenuto di ossigeno a causa dell’alto eccesso di aria con cui funziona la turbina a gas, vengono in parte utilizzati come comburente caldo per bruciare in caldaia dell’altro combustibile. Con i cicli combinati si possono raggiungere rendimenti molto elevati (0,49). Combustore Compressore
2
3
Turbina a gas Generatore elettrico A 4
1
Turbina a vapore Generatore elettrico B Condensatore
5 D
C
Fig. 20.9 - Schema di impianto a ciclo combinato composto da turbina a gas, generatore di vapore e turbina a vapore.
20. 5
SOMMARIO Il rendimento η del ciclo Brayton ideale, riferito ad un gas avente il rapporto tra le capacità termiche γ, aumenta con il crescere del rapporto β tra le pressioni estreme del ciclo:
η =1−
1
β
( γ − 1)/γ
Il rendimento globale ηg non è più funzione del solo rapporto di pressione β, come nel caso ideale, ma anche di altri fattori, tra cui, in primo luogo, la temperatura di ammissione in turbina T3, che influenza in modo determinante il lavoro di espansione lt s e quindi anche il lavoro utile. È per questo motivo che una particolare cura viene rivolta al progetto di turbine a gas in materiali resistenti all’alta temperatura oppure a soluzioni che consentano di raffreddare le parti più esposte in modo da poter aumentare il più possibile la temperatura T3. Il consumo specifico del combustibile qb [g/MJ] può essere ottenuto come rapporto tra portata di combustibile m˙ b [g/s] e potenza utile Pu [MW] ( qb = m˙ b /Pu ) oppure come reciproco del prodotto del rendimento globale ηg per il potere calorifico inferiore Hi [MJ/g] (qb = 1/(ηgHi )). La dosatura α è il rapporto tra la portata di aria m˙ [kg/s] e quella di combustibile m˙ b [kg/s] (α = m˙ /m˙ b ) ed è data da: ηH α = b i −1 qS
423
424
CAPITOLO 20. – IMPIANTO MOTORE CON TURBINA A GAS
con ηb rendimento del combustore, Hi [kJ/kg] potere calorifico inferiore del combustibile e qS [kJ/kg] calore somministrato tra i punti 2 e 3 del ciclo. Un mezzo per aumentare in modo sensibile il rendimento del ciclo Brayton è rappresentato dalla rigenerazione che, attraverso uno scambiatore, permette di recuperare il calore dei gas combusti scaricati alla temperatura T4, riversandolo nell’aria che esce alla temperatura T2 dal compressore; si realizza così un aumento della temperatura dell’aria, aumento che consente di ridurre la quantità di combustibile iniettato nel combustore per raggiungere la stessa temperatura T3. Il ciclo combinato, che permette di arrivare fino a un rendimento pari a 0,49, e costituito dalla combinazione di due cicli: il ciclo dell’impianto con turbina a gas (ciclo Brayton) e il ciclo dell’impianto a vapore (ciclo Rankine). Nel ciclo combinato l’energia posseduta dai gas ad alta temperatura, che sono scaricati dalla turbina, viene utilizzata per generare vapore, recuperando così energia altrimenti dispersa nell’atmosfera da parte della turbina a gas: il generatore di vapore a recupero utilizza come fonte termica i gas combusti della turbina a gas. Questi gas, che hanno un elevato contenuto di ossigeno a causa dell’alto eccesso di aria con cui funziona la turbina a gas, possono venire in parte utilizzati come comburente caldo per bruciare in caldaia dell’altro combustibile.
Esercizi proposti 20.1 In un ciclo Brayton ideale l’aria entra nel compressore alla pressione di 0,1 MPa e alla temperatura di 288 K. La pressione all’uscita del compressore è pari a 0,5 MPa e la temperatura massima del ciclo è pari a 1170 K. Calcolare rapporto di pressione β, pressione p e temperatura T nei vari punti del ciclo (seguire la numerazione di Figura 20.6), lavori del compressore lc s e della turbina lt s , lavoro nel ciclo l, rendimento del ciclo η.
β = 5; p1 = p4s = 0,1 MPa; p3 = p2s = 0,5 MPa; T1 = 288 K; T2s = 456 K; T3 = 1170 K;
T4s = 738 K; lc s = 168,6 kJ/kg; lt s = 433,5 kJ/kg; l = 264,9 kJ/kg; η = 0,37
20.2 Calcolare il rendimento η di un ciclo Brayton chiuso (Figura 20.5-b) avente un rapporto di pressione β pari a 4 nel caso in cui venga utilizzato come fluido di lavoro aria (γ = 1,4J oppure elio (γ = 1,667) oppure infine propano (γ = 1,126).
ηaria = 0,33; ηelio = 0,42; ηpropano = 0,14
20.3 In un ciclo Brayton ideale chiuso (Figura 20.5-b) viene utilizzato come fluido di lavoro elio avente cp = 5,1926 kJ/(kg⋅K) e γ = 1,667 (Tabella A.5 ). L’elio entra nel compressore alla pressione di 0,1 MPa e alla temperatura di 288 K. Il rapporto di pressione è pari a 5. La temperatura massima del ciclo è pari a 1170 K.
Calcolare γ /(γ – 1), pressione p e temperatura T nei vari punti del ciclo (seguire la numerazione di Figura 20.6 ), lavori del compressore lc s e della turbina lt s , lavoro nel ciclo l, rendimento del ciclo η.
γ /(γ – 1) = 0,40; p1 = p4s = 0,1 MPa; p3 = p2s = 0,5 MPa; T1 = 288 K; T2s = 548 K; T3 = 1170 K;
T4s = 615 K; lc s = 1350 kJ/kg; lt s = 2882 kJ/kg; l = 1532 kJ/kg; η = 0,47
20.4 Di un combustore si conoscono rendimento (0,96), potere calorifico inferiore del combustibile (43,5 MJ/kg) e calore fornito (470 kJ/kg). Calcolare la dosatura α. α = 88 kg aria / kg combustibile
20.5 Calcolare il rendimento globale ηg di un impianto con turbina a gas sapendo che la potenza utile di 12 MW viene ottenuta con una portata di 0,9 kg/s di combustibile avente un potere calorifico inferiore di 42 MJ/kg.
ηg = 0,32
20.6 ll lavoro utile sviluppato da un impianto di turbina a gas è pari a 125 kJ/kg. Calcolare la portata di aria ˙ necessaria per sviluppare la potenza utile di 30 MW. m ˙ b sapendo che Calcolare poi la portata di combustibile m la dosatura α vale 89 kg di aria / kg di combustibile. ˙ = 240 kg/s; m ˙ b = 2,7 kg/s m
Capitolo 21
21. 1
MOTORI ALTERNATIVI A COMBUSTIONE INTERNA MOTORI ALTERNATIVI A COMBUSTIONE INTERNA 21. 1. 1 Descrizione I motori alternativi a combustione interna sono macchine termiche che forniscono lavoro all’albero attraverso la combustione discontinua del combustibile in una camera di lavoro il cui volume viene fatto variare per mezzo del moto di uno stantuffo (o pistone) (Figura 21.1). Il pistone scorre all’interno di un cilindro chiuso superiormente da una testata; l’energia liberata dalla combustione del fluido motore, consistente in aria a cui viene aggiunto il combustibile, viene ceduta al pistone, il cui moto alterno viene poi convertito, attraverso un meccanismo biellamanovella, nel moto rotatorio dell’albero motore, che è l’organo da cui viene prelevato il lavoro prodotto. La combustione avviene all’interno del fluido motore e quindi il fluido, una volta combusto, deve venire rinnovato attraverso un apparato di distribuzione capace di ricambiare periodicamente il fluido motore.
1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) 9) 10) 11) 12) 13) 14) 15) 16) 17) 18) 19)
Termostato acqua Punteria Valvola di scarico Valvola d’aspirazione Iniettore Testa cilindri Pistone con camera di combustione toroidale Basamento motore Biella Volano motore Valvola regolazione pressione olio Pompa olio Coppa olio Albero motore, contrappesato Ingranaggio conduttore, sull’albero motore Ingranaggio di invio comando pompa a iniezione Ingranaggio comando albero distribuzione Pompa acqua Ventilatore
Fig. 21.1-a - Sezione longitudinale di un motore ad accensione per compressione a quattro cilindri.
426
CAPITOLO 21. – MOTORI ALTERNATIVI A COMBUSTIONE INTERNA
1) Scarico eccesso combustibile iniettori e alimentazione termoavviatore 2) Tubazione combustibile dalla pompa iniezione all’iniettore 3) Bilanciere 4) Albero porta bilancieri 5) Collettore di scarico 6) Filtro olio 7) Asta livello olio 8) Albero distribuzione 9) Tubazione sfiato vapore olio 10) Pompa olio 11) Corona dentata per innesto motore d’avviamento 12) Albero motore 13) Motore d’avviamento 14) Pompa alimentazione combustibile 15) Pompa iniezione combustibile 16) Filtro combustibile 17) Collettore d’aspirazione 18) Diffusore con farfalla d’accelerazione 19) Serbatoio del termoavviatore
Fig. 21.1-b - Sezione trasversale di un motore ad accensione per compressione a quattro cilindri.
A differenza delle macchine a combustione esterna e delle macchine a combustione interna a flusso continuo, come l’impianto di turbina a gas, la combustione, nei motori alternativi a combustione interna (abbreviazione: motori a c.i.), avviene all’interno della stessa macchina che fornisce lavoro: il cilindro in cui scorre il pistone. Questo fatto porta da una parte a semplificazioni dovute all’assenza di scambiatori di calore con il vantaggio di minori fonti di perdite; dall’altra parte esistono delle limitazioni nella scelta dei combustibili che non possono essere solidi e devono avere requisiti tali da realizzare la combustione nei modi e nei tempi voluti, così come esistono delle complicazioni legate alla necessità di rinnovo del fluido motore. La combustione tuttavia nei motori alternativi può avvenire a temperature molto alte proprio perché di breve durata e perché il materiale delle pareti del cilindro è stato precedentemente “raffreddato” dal nuovo fluido entrato; questo fa sì che quelle che potrebbero sembrare esigenze estremamente severe rappresentino al contrario le condizioni indispensabili perché questo tipo di motore possa raggiungere rendimenti molto alti, i più elevati nel campo delle macchine termiche. Fatto tanto più rilevante se si pensa che questi rendimenti possono essere raggiunti anche con macchine aventi potenze modeste.
Spinotto
Asta Pattino Testa a croce
Biella Manovella
Biella Manovella
Fig. 21.2 - Schema di motore a c.i. con manovellismo.
Gli organi che convertono il moto rettilineo alterno del pistone nel moto rotatorio dell’albero motore sono solitamente una biella e una manovella, ma talvolta, soprattutto nel caso di motori di grandi dimensioni, fra il pistone e la biella viene interposta un’asta e una testa a croce (Figura 21.2). Per i motori che presentano un solo albero motore le disposizioni più adottate sono (Figura 21.3): a) in linea: tutti i cilindri giacciono su uno stesso piano;
21.1. – MOTORI ALTERNATIVI A COMBUSTIONE INTERNA
a
b
b) a V semplice o multipla: i cilindri giacciono su 2 o più piani che si intersecano formando un determinato angolo.
La struttura del motore alternativo è fondamentalmente costituita da: – cilindro: formato da una canna, alettata all’esterno Fig. 21.3 - Disposizione dei cilindri: (quando raffreddata ad aria) oppure non alettata e circondata da un involucro che lascia il posto a 䡵 a) in linea; 䡵 b) a V semplice o multipla. un’intercapedine per il liquido refrigerante; – testata: chiude in alto il cilindro; – incastellatura: collega il cilindro con il basamento; – basamento: su cui si scaricano le forze di inerzia del manovellismo e le forze generate dalla pressione dei gas; – pistone: delimita la parete della camera variabile che riceve il lavoro dal fluido per trasmetterlo all’albero a gomiti; – manovellismo: trasmette il lavoro all’albero a gomiti ed è costituito da spinotto, biella e manovella; – coppa dell’olio: chiude inferiormente il carter e raccoglie l’olio di lubrificazione della canna del cilindro. Affinché il motore funzioni correttamente è necessaria tutta una serie di apparati e dei rispettivi organi che provvedano a soddisfare le diverse esigenze del motore stesso: – distribuzione: ha il compito di rinnovare all’istante voluto il fluido motore; – alimentazione: provvede a fornire combustibile al motore nel momento, nella quantità e nel modo richiesti; – accensione: apparato utilizzato in quei motori dove la combustione del fluido va innescata artificialmente; – lubrificazione: si incarica di portare il lubrificante nei punti e nella quantità stabilita, a filtrarlo dalle impurità ed eventualmente a refrigerarlo; – refrigerazione: ha il compito di provvedere al raffreddamento delle parti fisse e mobili della camera a volume variabile; – avviamento: deve trascinare il motore a una velocità di rotazione sufficiente affinché esso possa sostenersi autonomamente e in modo regolare. I motori alternativi a combustione interna possono essere suddivisi in due grandi categorie a seconda di come viene risolto il problema del ricambio del fluido motore. La prima è rappresentata dai motori a quattro tempi, la seconda dai motori a due tempi. Il ciclo utile di un motore a quattro tempi richiede due giri dell’albero motore, mentre per il ciclo utile del motore a due tempi occorre un solo giro dell’albero motore; un tempo equivale ad una corsa del pistone tra i due punti morti21.1. Un’altra suddivisione dei motori è basata su come viene innescata la combustione allorché il pistone è prossimo alla testa del cilindro. Si parla di motori ad accensione comandata quando l’accensione della carica aria-combustibile avviene grazie ad una scintilla che, all’istante voluto, viene fatta scoccare fra due elettrodi. Si parla, invece, di motori ad accensione per compressione se la temperatura e le pressioni raggiunte in camera di combustione sono tali da innescare la reazione di ossidazione del combustibile. Solitamente i motori ad accensione comandata aspirano all’interno del cilindro aria e combustibile già miscelati fra loro, mentre nei motori ad accensione per compressione il combustibile viene iniettato nel cilindro pochi istanti prima che avvenga la combustione. Un’altra differenza sostanziale sta nella soluzione adottata per la regolazione del motore. Infatti, mentre nei motori ad accensione per compressione il lavoro fornito viene fatto variare agendo sulla quantità di combustibile iniettato, nei motori ad accensione comandata, dove il rapporto fra aria e combustibile deve rimanere costante per consentire la propagazione della fiamma all’interno della miscela, esiste, nel condotto di aspirazione, una valvola (valvola a farfalla) a chiusura graduale che parzializza la miscela dando luogo a un minor riempimento dei cilindri e quindi a un minor lavoro.
427
CAPITOLO 21. – MOTORI ALTERNATIVI A COMBUSTIONE INTERNA
21. 1. 2 Grandezze caratteristiche di un motore alternativo a c.i. Di seguito sono riportati gli elementi caratteristici del motore alternativo (Figura 21.4): – Punto Morto Superiore (PMS): punto in cui il pistone si trova più vicino alla testa del cilindro e Punto Morto Inferiore (PMI): punto in cui il pistone si trova più lontano dalla testata che chiude superiormente il cilindro21.1. – Alesaggio (D): diametro interno del cilindro in cui scorre il pistone. – Corsa (C ): distanza percorsa dal pistone fra le posizioni di PMS e di PMI. Questa distanza è uguale al doppio del raggio r della manovella (Figura 21.4): C = 2r
Vm
C
PMS
21-1
– Cilindrata unitaria oppure, semplicemente, cilindrata (V): volume generato dal pistone durante la corsa. Data la particolare forma della camera, dentro la quale scorre il pistone la cilindrata unitaria è espressa da:
D
V=
V PMI PMS
r
π D2 C 4
21-2
– Cilindrata totale (iV ): utilizzata per motori aventi un numero i di cilindri, è data dalla cilindrata unitaria moltiplicata per il numero di cilindri del motore. Nel caso di motore monocilindrico (motore avente un solo cilindro) la cilindrata unitaria coincide naturalmente con quella totale.
C = 2r
428
PMI
Fig. 21.4 - Schema di motore alternativo a combustione interna con indicate le varie grandezze caratteristiche.
– Volume di spazio morto (Vm): volume compreso fra la testa e il pistone quando questo si trova al PMS.
– Rapporto volumetrico di compressione (ρ): rapporto fra il volume della camera quando il pistone si trova al PMI (V + Vm) e il volume della camera quando il pistone si trova al PMS (Vm). ρ=
V V + Vm = 1+ Vm Vm
21-3
– Velocità di rotazione dell’albero motore: si tratta di una velocità angolare e può essere misurata in giri al secondo (n) oppure in radianti al secondo (ω). Il passaggio da una misura all’altra viene effettuato tramite la formula 8-11: ω = 2π n. – Velocità media del pistone (vm): media delle velocità del pistone durante un giro completo dell’albero motore. Tale media può essere espressa in funzione di n, sapendo che a ogni giro dell’albero motore il pistone percorre un spazio che corrisponde a due volte la corsa, oppure in funzione di ω = 2π n: vm = 2 cn =
ωC π
21-4
21.1 - Si parla di punti morti perché la velocità del pistone si annulla in corrispondenza del PMS e del PMI.
21.1. – MOTORI ALTERNATIVI A COMBUSTIONE INTERNA
Esempio 21.1 Corsa e velocità media del pistone Un motore per automobile a quattro cilindri, avente cilindrata totale iV = 0,999 dm3, ruota alla velocità n = 50 giri/s (3000 giri/min). Calcolare la corsa C e la velocità media vm del pistone, sapendo che il rapporto corsa/alesaggio C/D è di 0,93.
SOLUZIONE I dati fondamentali da cui partire per eseguire i calcoli sono: i = 4, iV = 0,999 dm3, n = 50 giri/s, C/D = 0,93. Prima di tutto occorre conoscere la cilindrata unitaria V data da: 0,999 dm3 iV V= = = 0,24975 dm3 = 0,24975 × 10– 3 m3 4 i Conoscendo il rapporto corsa/alesaggio C/D, possiamo, nella formula 21-2, sostituire l’alesaggio esprimendolo in funzione della corsa: D = C/0,93. A questo punto l’unica grandezza incognita che compare nella formula è la corsa C; dobbiamo allora esplicitare la 21-2 in funzione di C, ottenendo: V=
π (C/0,93)2 C 4
⇒
C3 =
4V (0,93)2 π
C3 = 4 × 0,24975 × 10– 3 m3 × 0 932 = 2,75 × 10– 4 m3 π C = (C 3)1/3 = (2,75 × 10–4 m3)1/3 = 0,065 m = 65 mm
䉳
La velocità media del pistone vm si determina con la 21-4: vm = 2nC = 2 × 50 giri/s × 0,065 m = 6,5 m/s
䉳
COMMENTI La velocità media del pistone è una velocità lineare e pertanto va misurata in metri al secondo. Tale velocità è importante perché tanto più è alta tanto più elevate sono le sollecitazioni generate dalle forze di inerzia.
Esempio 21.2 Spazio morto e alesaggio Un motore a sei cilindri per veicoli industriali ha un rapporto volumetrico di compressione ρ = 16 e cilindrata totale iV = 9,5 dm3. Calcolare il volume dello spazio morto Vm e l’alesaggio D sapendo che il raggio di manovella dell’albero motore è r = 70 mm.
SOLUZIONE La cilindrata unitaria risulta: iV 9,5 dm3 V= = = 1,583 dm3 = 0,001583 m3 i 6 Risolvendo rispetto al volume di spazio morto l’espressione 21-3, abbiamo: V V 1,583 dm3 = = 0,105 dm3 ρ=1+ ⇒ Vm = Vm ρ–1 16 – 1 Per calcolare l’alesaggio D, occorre prima ricavare la corsa C con la 21-1 C = 2r = 2 × 70 mm = 140 mm = 0,140 m e poi esplicitare la 21-2 rispetto all’alesaggio D.
䉳
429
CAPITOLO 21. – MOTORI ALTERNATIVI A COMBUSTIONE INTERNA
V=
π D2 C 4 D=
4V 4 × 0,001583 m3 = = 0,0144 m2 πC π × 0,14 m
D2 =
⇒ D2 =
0,0144 m 2 = 0,12 m = 120 mm
䉳
21. 1. 3 Motori a quattro tempi Nella testata dei motori a quattro tempi vengono alloggiate almeno due valvole che permettono il ricambio dei gas presenti all’interno del cilindro. Da una valvola (valvola di scarico) fuoriescono i gas combusti, mentre dall’altra (valvola di aspirazione) entra la carica fresca. Il ciclo di lavoro21.2 che caratterizza il funzionamento del motore a quattro tempi (Figura 21.5) è composto da: S
A
S
A
S
A
S
Espulsione
A
Scarico spontaneo
S
Espansione
A
Combustione
S
Compressione
A Aspirazione
430
Fig. 21.5-a - Fasi del ciclo di un motore a quattro tempi: A = valvola di aspirazione, S = valvola di scarico.
– I Fase (Aspirazione): il pistone scendendo genera un volume che viene riempito dalla carica fresca, entrata nel cilindro attraverso la valvola di aspirazione A; – II Fase (Compressione): il pistone risalendo, a valvole chiuse, comprime la carica entro la camera di combustione; – III Fase (Combustione): o spontaneamente, grazie alle elevate pressioni e temperature raggiunte, o artificialmente, mediante una scintilla che scocca fra due elettrodi, poco prima del punto morto superiore (PMS) i gas incominciano a bruciare. La combustione termina quando il pistone sta già scendendo; – IV Fase (Espansione): i gas combusti fanno scendere verso il basso il pistone; – V Fase (Scarico spontaneo): la valvola di scarico si apre con un certo anticipo rispetto alla fine della corsa di espansione, per permettere ai gas che sono in pressione di fuoriuscire dal cilindro; – VI Fase (Espulsione): salendo nuovamente il pistone espelle i gas combusti che ancora erano rimasti all’interno del cilindro. Il motore a quattro tempi ha il vantaggio del basso consumo di combustibile in quanto le singole operazioni sono accuratamente scandite dalle valvole. Per contro la potenza prodotta è sol21.2 - Nel motore alternativo il fluido non compie un ciclo termodinamico, non ritorna cioè, dopo una serie di trasformazioni, nelle condizioni iniziali,
ma percorre un’evoluzione aperta. Possiamo tuttavia parlare ancora di ciclo di lavoro, ma esclusivamente per il motore, il quale segue effettivamente un’evolu-
zione chiusa dal momento che, al termine di ogni periodo, ritorna nelle condizioni iniziali.
21.1. – MOTORI ALTERNATIVI A COMBUSTIONE INTERNA
tanto metà di quella che corrisponde alla capacità del motore dal momento che un ciclo di lavoro richiede due rotazioni dell’albero motore (schema di Figura 21.5-b). Inoltre parte della potenza meccanica viene assorbita nelle due corse in cui non viene effettuato lavoro e dall’apparato della distribuzione.
γ β2 PMS Aspirazione Compressione Combustione Espansione
Come si osserva sul diagramma, per un certo periodo si ha la sovrapposizione dei tempi di apertura delle due valvole: è l’angolo di incrocio somma degli angoli α 1 e β2. Sempre nella figura si è anche indicato l’anticipo γ, rispetto al punto morto superiore, con cui occorre accendere la miscela, con una scintilla nei motori ad accensione comandata oppure iniettare il gasolio nei motori ad accensione per compressione, per tener conto del fatto che il processo reale di combustione non è istantaneo.
Scarico e espulsione PMI
β1
α2
Fig. 21.5-b - Diagramma della distribuzione di un motore a quattro tempi; per tener conto dei ritardi nel moto del fluido, sia all’ingresso nel cilindro sia allo scarico l’apertura e la chiusura delle valvole viene anticipata e posticipata secondo i seguenti angoli: α 1 anticipo all’apertura della valvola di aspirazione α 2 ritardo alla chiusura della valvola di aspirazione β1 anticipo all’apertura della valvola di scarico β2 ritardo alla chiusura della valvola di scarico.
21. 1. 4 Motori a due tempi Al fine di garantire il ricambio dei gas presenti all’interno del cilindro, i motori a due tempi presentano dei fori lungo il cilindro, detti luci, che possiamo distinguere in Figura 21.6: una luce di alimentazione A, una luce di carica C dalla quale entra la carica fresca e una luce di scarico S dalla quale fuoriescono i gas combusti. Di seguito viene descritto il ciclo di lavoro di un motore a due tempi, ciclo che si svolge in un giro dell’albero motore: – I Fase (Lavaggio): il pistone è prossimo al punto morto inferiore (PMI) e le luci di alimentazione A e di scarico S sono aperte. La carica di aria fresca mandata da una pompa, detta pompa di lavaggio, spinge innanzi a sé i gas combusti e lava l’interno del cilindro; – II Fase (Carica): il pistone inizia la sua risalita, viene chiusa la luce di scarico, mentre la pompa di lavaggio immette altra carica fresca attraverso la luce di carica C;
A
S
C A
S
C A
S
C A
Fig. 21.6-a - Fasi del ciclo di lavoro di un motore a due tempi.
S
Scarico spontaneo
C
Espansione
A
S Carica
Lavaggio
C
Combustione
– III Fase (Compressione): tutte le luci sono chiuse e il pistone risale verso l’alto comprimendo i gas presenti all’interno del cilindro;
Compressione
α1
C A
S
431
432
CAPITOLO 21. – MOTORI ALTERNATIVI A COMBUSTIONE INTERNA
– IV Fase (Combustione): la combustione inizia leggermente prima del PMS e si protrae anche per un tratto della corsa di discesa del pistone; – V Fase (Espansione): i gas combusti, mentre le luci sono ancora chiuse, espandendosi fanno scendere il pistone;
PMS
Lavaggio Carica Compressione Combustione Espansione Scarico spontaneo
PMI
Fig. 21.6-b - Diagramma della distribuzione in un motore e due tempi.
21. 2
– VI Fase (Scarico spontaneo): prima che il pistone raggiunga il punto morto inferiore (PMI) si apre la luce di scarico, e i gas combusti in virtù della loro pressione, superiore a quella dell’ambiente esterno, fuoriescono dal cilindro. Rispetto al motore a quattro tempi, il motore a due tempi presenta i vantaggi di un disegno più semplice, della assenza di valvole e del relativo apparato di distribuzione, della maggiore potenza per unità di cilindrata, del più basso rapporto massa/potenza e di bassi costi di produzione. Per contro il motore a due tempi ha un consumo di combustibile più elevato a causa delle perdite legate al lavaggio e alla carica, un più alto carico termico dovuto all’assenza delle due corse, tipiche del motore a quattro tempi, in cui non viene effettuato lavoro, un rumore più elevato e presenza di fumi di olio lubrificante solo parzialmente bruciato.
CICLO INDICATO La schematizzazione più semplice del motore alternativo a combustione interna viene fatta idealizzando sia il comportamento del fluido che quello della macchina mediante un ciclo ideale o teorico, privo cioè di perdite e percorso da un’aria che si comporta come un gas perfetto. Il ciclo Otto, ciclo termodinamico ideale che approssima il comportamento del motore ad accensione comandata, è composto (Figura 21.7) dalle seguenti trasformazioni reversibili: 1 ⇒ 2 adiabatica, ciò senza scambio di calore con l’esterno, in corrispondenza della corsa di compressione dell’aria contenuta nel cilindro; 2 ⇒ 3 isocora (a volume costante) durante la quale l’aria assorbe istantaneamente (al PMS) il calore q23 dalla sorgente esterna; 3 ⇒ 4 espansione adiabatica dell’aria; 4 ⇒ 1 isocora con cessione istantanea (al PMI) del calore dell’aria q41 all’ambiente esterno.
3
p
T
3 q
2 3
q
2 3
2
l
4
2 4q1
1
1 0
v
0
q
q
4 q
4 1
s
Fig. 21.7 - Diagramma nel piano p–v e nel piano T–s del ciclo Otto. L’area racchiusa dal ciclo rappresenta (Paragrafi 16.4.2 e 16.6.1) nel piano p–v il lavoro scambiato l e nel piano T–s il calore scambiato q.
21.2. – CICLO INDICATO
Il rendimento del ciclo Otto21.3:
ηOtto
1 =1− ρ
γ −1
21-5
è tanto migliore quanto più alto è il valore del rapporto di compressione ρ = v1/v2. Il ciclo Diesel, ciclo termodinamico ideale che approssima il comportamento del motore ad accensione per compressione, è composto (Figura 21.8) dalle seguenti trasformazioni reversibili: 1 ⇒ 2 compressione adiabatica dell’aria contenuta nel cilindro; 2 ⇒ 3 isobara (a pressione costante) durante la quale viene fornito all’aria il calore q23 3 ⇒ 4 espansione adiabatica dell’aria; 4 ⇒ 1 isocora con cessione istantanea (al PMI) del calore dell’aria q41 all’ambiente esterno. q
p
T
2 3
2
3 3
q
2 3
l 2 4 4q1
1
1 v
0
q
4 q
4 1
0
s
Fig. 21.8 - Diagramma nel piano p–v e nel piano T–s del ciclo Diesel.
Il rendimento del ciclo Diesel21.3:
ηDiesel
1 =1− ρ
γ −1
τ ′γ − 1 γ (τ ′ − 1)
21-6
è funzione non solo del rapporto di compressione ρ ma anche del rapporto di temperatura τ ′ = T3/T2 nella combustione a pressione costante. Volendo andare oltre alla schematizzazione estremamente semplificata del ciclo ideale, si può supporre ancora la macchina ideale ma percorsa questa volta da un fluido reale (con proprietà fisiche e composizione variabile al contrario di quanto avveniva con l’aria «perfetta» di prima), ottenendo il ciclo limite, visto appunto come il limite superiore delle prestazioni ottenibili dal motore perfezionando sempre più la macchina. Infine, si lascia cadere anche l’ipotesi di idealità della macchina per considerare un fluido reale che evolve in un cilindro reale caratterizzato cioè dalle sue tipiche perdite energetiche. Questo ciclo prende il nome di ciclo indicato proprio perché le trasformazioni, che lo caratterizzano, vengono rilevate da appositi strumenti indicatori (si tratta di trasduttori di pressione affacciati sulle pareti della camera di combustione e fasati opportunamente con l’albero motore per avere un diagramma del ciclo sul piano p–V), come è mostrato dai diagrammi della Figura 21.9, che riportano, in ascisse, il volume V del cilindro variabile con la posizione del pistone e,
21.3 - Per questa ed altre relazioni di questo Capitolo di cui non si e riportata
la dimostrazione, si rimanda al Capitolo 36 del corso sulle Macchine termiche
dello stesso Autore.
433
CAPITOLO 21. – MOTORI ALTERNATIVI A COMBUSTIONE INTERNA
Pressione
3
Inizio combustione
3 2
2
4 1
PMS Volume
4
5 p atm
PMI
1 180° PMI
270°
V
5
360° 450° 540° PMS PMI Angolo di manovella
Aspirazione
90° 450°
Compressione
0° 360°
Combustione
540° 180°
Espansione
630° 270 Pressione
434
5
6
1 PMS Volume
Scarico e espulsione
6
5 patm
PMI
540° PMI
630°
0° 90° 180° PMS PMI Angolo di manovella
Fig. 21.9 - Diagrammi che danno luogo al ciclo indicato (pressione in funzione del volume del cilindro sulla sinistra della figura) ottenuti dal rilievo della pressione in funzione dell’angolo di manovella (a destra sulla figura) su un motore ad accensione comandata a quattro tempi aspirato.
in ordinate, la pressione p del gas contenuto nel cilindro. Si tratta di un motore a quattro tempi ad accensione comandata aspirato con le fasi di: – aspirazione
(6 ⇒ 1)
– espansione
(3 ⇒ 4)
– compressione
(1 ⇒ 2)
– scarico
(4 ⇒ 5)
– combustione
(2 ⇒ 3)
– espulsione
(5 ⇒ 6).
L’area maggiore verde 1 ⇒ 2 ⇒ 3 ⇒ 4 ⇒ 5 (compressione-combustione-espansione) rappresenta il ciclo motore durante il quale il lavoro viene raccolto dal pistone; l’area minore viola 5 ⇒ 6 ⇒ 1 (espulsione-aspirazione) rappresenta il ciclo di sostituzione del fluido durante il quale viene speso lavoro dal pistone per immettere e per espellere il fluido dal cilindro.
3
p
3
p
2 patm 6 Vm
2 4 1 5 V
Ciclo indicato di motore a quattro tempi
4 1 6 5
patm Vm
V
Ciclo indicato di motore a due tempi
Fig. 21.10 - Diagrammi del ciclo indicato di motori aspirati a quattro e a due tempi. L’area racchiusa dal ciclo rappresenta, nel piano p–V, un lavoro.
21.2. – CICLO INDICATO
Si consideri adesso un diagramma del ciclo indicato, come quello della Figura 21.10, avente, sulle ordinate, la pressione p, e, sulle ascisse, il volume V. Il lavoro indicato per ciclo e per unità di massa del fluido lind ceduto dal fluido di lavoro al pistone è uguale all’area racchiusa dal ciclo indicato e si calcola integrando, su tutto il ciclo, il lavoro elementare pdv: Lind =
∫ pdv
21-7
ciclo
Quest’area risulterà positiva (lavoro uscente dal sistema fluido = raccolto dal pistone) se il ciclo è percorso in senso orario (ciclo motore: area verde della Figura 21.9), negativa (lavoro speso dal pistone = entrante nel sistema fluido) se il ciclo è percorso in senso antiorario (ciclo di sostituzione del fluido, area viola della Figura 21.9).
Esempio 21.3 Ciclo Otto Il rapporto di compressione di un ciclo Otto è ρ = 8, mentre il calore fornito all’aria è qS = l800 kJ/kg. Determinare: a) rendimento del ciclo ideale ηOtto ; b) lavoro massico ideale lideale nel ciclo.
SOLUZIONE a) Calcoliamo il rendimento con l’espressione 21-5: 1 ηOtto = 1 − ρ
γ −1
1 = 1− 8
1, 4 − 1
= 1 − 0,1250, 4 = 0,565 = 56,5%
b) Il lavoro compiuto durante il ciclo lideale si ottiene dalla definizione di rendimento (16-15). lideale ⇒ lideale = ηideale qS = 0,565 × 1800 kJ/kg = 1017 kJ/kg ηideale = qS
䉳
䉳
Esempio 21.4 Ciclo Diesel Il rapporto di compressione di un ciclo Diesel è ρ = 16, mentre il calore fornito all’aria dalla sorgente è qS = 1800 kJ/kg. Determinare: a) rendimento del ciclo ηDiesel assumendo un rapporto di temperatura a pressione costante τ ′ = 3,05; b) lavoro massico ideale lideale compiuto durante il ciclo.
SOLUZIONE a) Il rendimento del ciclo è dato dalla 21-6. 1 ηDiesel = 1 − ρ
γ −1
1 τ ′γ − 1 = 1− γ (τ ′ − 1) 16
1, 4 − 1
3,051, 4 − 1 = 0,567 = 56,7% 1,4 (3,05 − 1)
䉳
b) Il lavoro compiuto durante il ciclo lideale si ottiene dalla definizione di rendimento (16-15).
ηideale =
lideale qS
⇒
lideale = ηideale qS = 0,567 × 1800 kJ/kg = 1021 kJ/kg
䉳
435
436
CAPITOLO 21. – MOTORI ALTERNATIVI A COMBUSTIONE INTERNA
21. 3
RENDIMENTI E CONSUMO SPECIFICO DI COMBUSTIBILE Chiamato qS il calore massico introdotto nel ciclo, il rendimento indicato ηind è dato da (16-15): ηind = lind qS. Il lavoro indicato lind del ciclo indicato non è ancora il lavoro utile lu disponibile all’albero motore; il lavoro utile differisce dal lavoro indicato per la presenza del lavoro passivo lv, lavoro che tiene conto del lavoro perduto per attriti meccanici e del lavoro speso per il comando degli accessori. Il lavoro utile lu è cioè dato dalla differenza tra il lavoro indicato lind e il lavoro passivo lv: lu = lind – lv. Di questa differenza si tiene conto attraverso il rendimento organico, rapporto tra il lavoro utile lu e il lavoro indicato lind: ηo = lu /lind. Il rendimento utile ηu viene definito come rapporto tra il lavoro utile lu e il calore fornito dal combustibile qS; è perciò uguale al prodotto del rendimento indicato per il rendimento organico: ηu = ηindηo. Il bilancio tra lavoro ottenuto lu e calore introdotto qS, che dà luogo al rendimento, può anche essere espresso in termini di potenze. Si può allora scrivere, come espressione del rendimento utile ηu il rapporto tra la potenza utile Pu e la potenza termica Q˙ S introdotta. Ma la potenza termica Q˙ S è data a sua volta dal prodotto della portata di combustibile m˙ b , che alimenta il motore, per il potere calorifico inferiore Hi del combustibile Q˙ S = m˙ b H i ; e il rendimento utile diviene:
ηu =
Pu Pu = ˙ m˙ b H i QS
21-8
Definendo come consumo specifico di combustibile qb la portata di combustibile m˙ b necessaria per produrre la potenza utile Pu: qb =
m˙ b Pu
21-9
la relazione 21-8 tra rendimento utile e consumo specifico di combustibile diviene:
ηu =
1 qb H i
21-10
Il consumo specifico di combustibile qb ha le dimensioni di una portata di combustibile [kg/s] divisa per una potenza [W] erogata dal motore oppure, ricordando che la potenza [W] è il lavoro [J] nell’unità di tempo [s], di una massa [kg] diviso un lavoro [J], in quanto è: qb = (kg/s)/W = (kg/s)/(J/s) = kg/J. Il consumo dovrebbe perciò venire misurato in kg/J; ma il numero risultante è molto piccolo e allora è opportuno esprimere qb in g/MJ. Tuttavia nelle applicazioni il consumo specifico di combustibile viene ancora espresso in (g/h)/kW e cioè g/(kW⋅h); il fattore di conversione per passare da g/(kW⋅h) al consumo espresso in g/MJ o viceversa è riportato nella Tabella I di copertina. La relazione 21-9 viene utilizzata per determinare il rendimento hu sulla base del consumo di combustibile qb misurato21.4.
21-4 - A seconda che si consideri il diverso potere calorifico inferiore (Tabella A.10) di un olio combustibile (Hi = 42 MJ/kg), di un gasolio (Hi = 43,3 MJ/kg) oppure infine di una benzina (Hi = 44 MJ/kg), il rendimento utile espresso in funzione del consumo specifico di combustibile in
[g/MJ] oppure in [g/(kW⋅h)] diviene: K [g/MJ] ηu = 1 qb [g/MJ] con Kl (olio combustibile) = 23,8 g/MJ Kl (gasolio) = 23,1 g/MJ Kl (benzina) = 22,7 g/MJ
ηu =
K2 [g/(kW⋅h)] qb [g/(kW⋅h)]
con K2 (olio combustibile) = 85,7 g/(kW⋅h) K2 (gasolio) = 83,1 g/(kW⋅h) K2 (benzina) = 81,8 g/(kW⋅h)
21.4. – POTENZA
Nel caso delle macchine volumetriche e in particolare nei motori alternativi a combustione interna, si preferisce evidenziare quella parte del rendimento volumetrico collegata all’impossibilità di riempire completamente il cilindro con l’aria aspirata dall’ambiente. Il coefficiente di riempimento λv è dato dal rapporto fra la massa di fluido ma che a ogni ciclo alimenta il motore e la massa di una porzione di fluido che occupi, alle condizioni di pressione e temperatura esistenti nel condotto di aspirazione, un volume corrispondente alla cilindrata iV del motore:
λv =
ma ρiV
21-11
dove ρ rappresenta la massa volumica del fluido motore riferita alla pressione e alla temperatura presenti nel condotto di aspirazione, subito prima dell’ingresso nei cilindri. Se si moltiplica il denominatore per il numero di cicli che si svolgono nell’unità di tempo si ottiene la portata d’aria m˙ a che alimenta il motore. Nel caso di un motore a quattro tempi occorrono due giri dell’albero a gomito per completare un ciclo; la cilindrata iV va perciò moltiplicata per metà della velocità di rotazione (n/2) proprio per tener conto che vi è un ciclo ogni due giri. m˙ a = λv ρiV
n 2
>
21-12
Nel caso di un motore a due tempi il processo viene invece completato in un giro dell’albero motore e l’espressione della portata diviene: m˙ a = λv ρiVn
21. 4
>
21-13
POTENZA La potenza utile Pu si ricava dalla 21-9: Pu = ηu m˙ b H i . Moltiplicando sopra e sotto il secondo membro di questa relazione per la portata d’aria otteniamo: Pu = ηu m˙ b
m˙ a Hi H i = ηu m˙ a m˙ a m˙ a /m˙ b
Tenendo conto prima del rapporto α tra la portata d’aria m˙ a e quella di combustibile m˙ b (rapporto di miscela o dosatura) m˙ α = a 21-14 m˙ b e poi dell’espressione della portata d’aria m˙ a (21-12 e 21-13), si ottiene la potenza utile Pu rispettivamente per un motore a quattro tempi e a due tempi: Pu = ηu λv ρ
Hi n iV α 2
>
Pu = ηu λv ρ
Hi iVn α
>
21-15
Questa espressione della potenza utile e la relazione fondamentale che informa i criteri di progetto dei motori volumetrici in generale e di quelli alternativi in particolare. Qualora, al posto del rendimento utile ηu, si metta il rendimento indicato ηind (si prescinde cioè dal rendimento organico ηo), si ottiene, al posto della potenza utile Pu la potenza indicata Pind.
437
438
CAPITOLO 21. – MOTORI ALTERNATIVI A COMBUSTIONE INTERNA
21. 5
PRESSIONE MEDIA EFFETTIVA E MOMENTO MOTORE La potenza è il lavoro compiuto nell’unità di tempo. Possiamo allora scrivere, al posto della 21-15, che la potenza utile Pu è data dal prodotto del lavoro utile Lu al ciclo (reso cioè in ogni ciclo da quel determinato cilindro) per il numero di cilindri i (in modo da ottenere la potenza di tutto il motore) e per n/2 [giri/s] (termine che dà i cicli compiuti in un secondo dal motore a quattro tempi): Pu = Lui (n/2). Definita come pressione media effettiva pme il lavoro utile per ciclo e per unità di cilindrata: pme = Lu /V, sostituendo ad Lu il prodotto pmeV, si ottiene:
Pu = pmeiV
n 2
>
Pu = pmeiVn
>
21-16
Confrontando la 21-16 con la 21-15, la pressione media effettiva risulta espressa da: pme = ηu λ v ρ
Hi α
21-17
Questa relazione contiene tutti i fattori principali su cui si basa lo studio dei motori termici volumetrici ed è indicativa del carico termomeccanico del motore. Se, al posto del rendimento utile ηu, consideriamo il rendimento indicato ηind, allora otteniamo la pressione media indicata pmi. Sia la pressione media effettiva pme che la pressione media indicata pmi hanno le dimensioni di una pressione; si esprimono quindi in pascal o nei relativi multipli (solitamente in MPa). Se consideriamo, ad esempio, la 21-17, possiamo scrivere: pme = [–] [–] [kg/m3]
p
0
[J/kg] = [J/m3] = [N⋅m/m3] = [N/m2] = [Pa] [–]
dove [–] indica un numero senza dimensioni: è il caso del rendimento ηu, del coefficiente di riempimento λv e della dosatura α. Il nome di pressione media non deve tuttavia trarre in inganno: essa non è il valore medio nel tempo della pressione rilevata all’interno del cilindro; in un diagramma p–V, la pmi va interpretata come l’altezza di un rettangolo avente per base la cilindrata V in modo da ottenere un’area che per la 21-17 dà il lavoro indicato Lind = pmiV (Figura 21.11): la pressione media indicata risulta cioè l’ordinata media del ciclo indicato ed in tal senso viene giustificato il suo nome in quanto le ordinate del ciclo indicato sono delle pressioni. Come avveniva per il rapporto tra lavoro utile lu e lavoro indicato Lind Lind lind, la pressione media effettiva pme differisce dalla pressione media pmi = V indicata pmi per il rendimento organico ηo: ηo = pme /pmi. V La pressione media effettiva è proporzionale al momento utile o V coppia motrice Mu in quanto la potenza è uguale al prodotto del momento Mu per la velocità angolare ω (9-10′):
Fig. 21.11 - Interpretazione della pressione media indicata.
Pu = Muω
21-18
La velocità angolare ω è legata alla velocità di rotazione n dalla 8-11 (ω = 2π n); possiamo allora scrivere: Mu = Pu /(2π n). Dalla 21-16 otteniamo infine il momento Mu in funzione della pressione media effettiva: M u = pme
iV 4π
>
M u = pme
iV 2π
>
21-19
21.6. – ACCOPPIAMENTO MOTORE-VEICOLO
Ricordando che il lavoro utile lu è la differenza tra il lavoro indicato li e il lavoro passivo lv (lu = li – lv), possiamo esprimere la pressione media effettiva come differenza tra pressione media indicata pmi e pressione media di attrito o pressione di trascinamento pv , relativa al lavoro perduto per attriti meccanici e a quello speso per il comando degli accessori. pme = pmi – pv
21-20
Oppure, ricordando la definizione di rendimento organico ηo = lu /lind , esprimiamo il rendimento organico ηo con p p –p p ηo = me = mi v = 1 – v 21-20′ pmi pmi pmi La pressione media di attrito pv può essere calcolata con la seguente relazione empirica: 1 3 pv = 0,06 1 + + + 0,03 pme + 0,015 vm i D
21-20″
dove pv e pme sono espresse in MPa, i è il numero dei cilindri, D è l’alesaggio in mm e vm è la velocità media del pistone in m/s. Per poter confrontare la potenza, e quindi la pressione media effettiva pme del motore misurata in condizioni di pressione e temperatura diverse da quelle standard (pressione atmosferica: 101,32 kPa, temperatura: 288 K) si applica un fattore di correzione µ, che può essere stimato con il calcolo e che è stato verificato sperimentalmente. Il rapporto potenza utile Pu (o pressione media effettiva pme) misurata e potenza utile di riferimento Pu,0 (o pressione media effettiva pme,0) riferita alle condizioni standard, è uguale al fattore di correzione µ dato a sua volta da: p Pu p = me = µ = p0 Pu ,0 pme ,0
T0 T
21-21
dove p0 e T0 sono pressione e temperatura di riferimento; p e T sono pressione e temperatura a cui opera il motore di cui viene misurata la potenza.
21. 6
ACCOPPIAMENTO MOTORE-VEICOLO La descrizione completa del funzionamento del motore è rappresentata dal piano quotato dei consumi, che riporta, in un piano che ha in ordinate la pressione media effettiva pme e in ascisse la velocità di rotazione n, le curve di ugual consumo specifico di combustibile (Figura 21.12). Dall’esame del piano quotato del consumo specifico di combustibile, risulta che esistono, in funzione delle esigenze dell’utilizzatore (maggiori potenze o minori consumi), delle zone privilegiate del diagramma pme –n. Il progetto del cambio di velocità, manuale o automatico, viene fatto tenendo presenti queste esigenze. La resistenza totale Rt incontrata da un veicolo in moto uniforme è data dalla somma delle tre forze resistenti (resistenza al rotolamento, resistenza aerodinamica e resistenza su pendenza) considerate nel Paragrafo 11.4. Conoscendo la velocità v del veicolo, possiamo calcolare la potenza resistente totale Pr [W = N⋅m/s] moltiplicando la forza totale resistente Rt21.5 [N] per la velocità v [m/s] (9-10): Pr = Rt v.
21.5 - Per rendere più intuitiva la trattazione del Paragrafo 21.6 e dell’Esempio
relativo 21.8, si sono indicate le varie forze resistenti con R al posto dell’usuale
simbolo F, usato in particolare nel Capitolo 11 dedicato alle resistenze passive.
439
Consumo di combustibile qb [g/MJ] ([g/(kW⋅h)])
0,9 68 (245) 70 (252) 75 (270)
0,7
80 (288) 0,5 90 (324) 100 (360)
0,3
120 (432)
0,2
Pressione media effettiva pme [MPa]
CAPITOLO 21. – MOTORI ALTERNATIVI A COMBUSTIONE INTERNA
0,1 150 (540)
30
40 50 60 70 Velocità di rotazione n
1800
2400 3000
3600 4200
80 4800
[giri/s] [giri/min]
Fig. 21.12 - Superficie con curve di ugual consumo di combustibile di un motore ad accensione comandata (motore Fiat Fire 1000). Ciascun numero sul piano quotato indica il consumo specifico di combustibile in g/MJ, mentre il numero vicino, tra parentesi, indica il consumo specifico in g/(kW⋅h); ad esempio i numeri 68 (245), in alto sulla figura, stanno per 68 g/MJ (245 g/(kW⋅h): è il minimo consumo del motore. Invece del consumo specifico di benzina, potremmo, riportare21.4 il rendimento utile ηu; al posto del consumo specifico di benzina qb = 68 g/MJ avremmo, ad esempio, ηu = 22,7 g/MJ/68 g/MJ = 0,33.
Velocità veicolo [km/h] 36
72
4000
108
I marc
en Pend
0% za 3 20%
ia
3000
144 5000
15% II
10%
ma rci
2000
a
10
20
2000
ma
Rr Ra +
0
3000
5% III
1000
4000
rcia
Resistenza di trazione [N]
0
Rt = Rp + Ra+ Rr
5000
Forza motrice [N]
440
1000
Rr 30
40
Velocità veicolo [m/s]
Fig. 21.13 - Resistenza totale di trazione Rt e forza motrice in funzione della velocità v del veicolo; come resistenza di trazione si sono riportate in basso la curva della resistenza al rotolamento Rr (circa costante al variare della velocità), successivamente la somma della resistenza al rotolamento Rr e della resistenza aerodinamica Ra (che varia con il quadrato della velocità) e infine la somma delle tre resistenze comprendenti valori diversi di pendenza (con Rp resistenza su pendenza). La forza motrice è data per tre diverse condizioni corrispondenti a tre diversi valori del rapporto al cambio (I, II e III marcia).
Per vincere la potenza resistente Pr , che si oppone al moto del veicolo, il motore deve fornire alle ruote del veicolo una potenza motrice Pm almeno uguale a Pr . La potenza motrice Pm non è però quella generata dal motore; tra albero motore e ruote abbiamo infatti gli organi di trasmissione (cambio, differenziale, ecc.), che assorbono una parte della potenza utile Pu disponibile all’albero motore. Per valutare tale perdita si introduce il rendimento meccanico della trasmissione ηmtr dato dal rapporto fra la potenza motrice alle ruote Pm e la potenza utile Pu generata dal motore (12-1): Potenza entrante nelle ruote P = m 21-22 ηmtr = Potenza erogata dal motore Pu Attraverso il rendimento meccanico della trasmissione, che assume valori compresi tra 0,9 e 0,94, possiamo risalire dalla potenza motrice alla potenza utile del motore necessaria al veicolo. In realtà, nelle normali condizioni di esercizio del veicolo, solo parte della potenza motrice viene spesa per vincere attriti di rotolamento, resistenza dell’aria ed eventuali pendenze della strada; la parte rimanente, spesso considerevole, della potenza costituisce una riserva per far fronte alle richieste di accelerazione del guidatore. La Figura 21.13 illustra l’andamento di resistenza di trazione e forza motrice (corrispondente alla
21.6. – ACCOPPIAMENTO MOTORE-VEICOLO
potenza motrice) al variare della velocità del veicolo v. Per la forza motrice sono riportate le curve corrispondenti a tre diversi valori del rapporto al cambio, che tiene conto del rapporto tra velocità di rotazione del motore n e velocità di rotazione delle ruote nr: in terza marcia il veicolo raggiunge una velocità massima di circa 32 m/s su strada piana e circa 25 m/s con una pendenza del 5%, in seconda il veicolo raggiunge velocità rispettivamente di 19 e di 13 m/s su pendenze del 10 e del 20%. Inoltre, su strada piana, il veicolo ha a disposizione ancora 1000 N per accelerare in terza alla velocità di 10 m/s, mentre per accelerare in seconda nelle stesse condizioni sono ancora disponibili circa 2300 N. Nota la potenza motrice Pm necessaria al veicolo per spostarsi su un dato percorso, possiamo ricavare, dalla 21-22, la potenza utile Pu che il motore deve erogare all’albero: Pu =
Pm ηmtr
21-22′
Noto inoltre il raggio di rotolamento r della ruota, si calcola prima il numero di giri alle ruote nr come rapporto tra la velocità v del veicolo e la circonferenza della ruota 2π r: nr =
v velocità del veicolo = 2π r circonferenza di rotolamento
21-23
e poi, noto il rapporto di trasmissione totale τtot (rapporto al cambio e rapporto al ponte) tra velocità di rotazione del motore n e velocità di rotazione della ruota nr, si passa dalla velocità di rotazione della ruota nr alla velocità di rotazione del motore n con (12-2): n = τtot nr
21-24
Velocità veicolo v [km/h] 0
45
0
12,5
90
135
180
37,5
50
Velocità veicolo v [m/s] 1
25 100%
pme [MPa]
102% 105% 110% 115%
0,5
Punto di funzionamento
125% ne azio lizz i t u di 175% rva
Curva is
opotenz
a
Cu
0
0
25
50
75
100
Velocità di rotazione motore n [giri/s] 0
1500 3000 4500 Velocità di rotazione motore n [giri/min]
6000
Fig. 21.14 - Discussione di un piano quotato del consumo specifico di combustibile. Sono riportate le curve di utilizzazione e di isopotenza; l’intersezione delle due curve dà luogo al punto di funzionamento. Il consumo specifico di combustibile viene dato in percentuale rispetto al valore minimo. Assegnato un determinato rapporto di trasmissione, risulta individuata, sulle ascisse, oltre alla velocità di rotazione n, anche la velocità di avanzamento del veicolo v.
441
442
CAPITOLO 21. – MOTORI ALTERNATIVI A COMBUSTIONE INTERNA
Abbiamo adesso potenza utile Pu e velocità di rotazione del motore n; abbiamo perciò tutte le informazioni che ci consentono di entrare (Figura 21.14) nel piano quotato del consumo specifico di combustibile (ordinate: pressione media effettiva pme, ascisse: velocità di rotazione del motore n). Su questo piano possiamo riportare infatti, oltre alle curve di isoconsumo, le curve di isopotenza. Sono queste ultime delle curve a forma di iperbole in quanto se, per un dato motore, teniamo fissa la potenza Pu , la pressione media effettiva pme e la velocità n risultano inversamente proporzionali secondo la relazione 21-16. Allo stesso tempo questa relazione ci permette di ricavare la pressione media effettiva pme, note potenza utile Pu e velocità di rotazione del motore n; per un motore a quattro tempi, ad esempio, si avrebbe: pme =
Pu 2 iVn
21-25
Per trovare il punto di funzionamento del motore all’interno del piano quotato basterà dunque conoscere il regime di rotazione del motore n, corrispondente a quella data velocità v del veicolo, e salire nel piano fino a intersecare la curva di isopotenza, determinando di conseguenza anche la pme e il consumo specifico di combustibile qb. L’insieme dei punti di funzionamento, corrispondenti alle diverse velocità del veicolo, descrive la curva di utilizzazione. Dal consumo specifico di combustibile qb (21-9) possiamo risalire alla portata di combustibile m˙ b [kg/s] data dal prodotto del consumo specifico di combustibile qb [(kg/s)/W] = [kg/(W⋅s)] per la potenza erogata Pu [W]. Oltre alla portata di combustibile, interessa spesso conoscere l’economia di combustibile Eb, che ci indica la distanza che il veicolo riesce a percorrere facendo affidamento su una determinata quantità (in volume) di combustibile. Eb si ottiene dividendo la velocità del veicolo v [m/s] per la portata di combustibile m˙ b [kg/s] e moltiplicando poi per la massa volumica del combustibile ρb [kg/m3], in modo da far riferimento al volume e non alla massa del combustibile. v vρ b 21-26 Eb = ρb = m˙ b m˙ b Di solito l’economia di combustibile Eb viene espressa in chilometri percorsi per litro di combustibile [km/dm3]; se velocità del veicolo v, massa volumica ρb e portata di combustibile m˙ b sono espresse rispettivamente in [m/s], [kg/dm3] e [kg/s], allora il numero ottenuto con la 21-26 va diviso per 1000 per passare da [m/dm3] a [km/dm3].
Esempio 21.5 Prestazioni di un motore ad accensione comandata Un motore a quattro tempi ad accensione comandata per impiego automobilistico (quattro cilindri di alesaggio D = 70 mm e corsa C = 64,9 mm e con cilindrata totale iV = 1 dm3) ha, alla velocità di rotazione n = 58,33 giri/s (3500 giri/min), i seguenti valori del consumo specifico di combustibile: qb = 68 g/MJ (245 g/(kW⋅h)) alla pressione media effettiva pme = 0,8 MPa e qb = 87 g/MJ (313 g/(kW⋅h)) alla pme = 0,4 MPa (piano quotato di Figura 21.12). Sono inoltre assegnati: – potere calorifico inferiore della benzina Hi = 44 MJ/kg; – massa volumica dell’aria che alimenta il motore ρ = l,2 kg/m3; – dosatura della miscela aria-combustibile α = 15. Determinare in entrambi i casi: a) rendimenti utile ηu, organico ηo e indicato ηind ; b) potenza Pu e coppia Mu del motore in corrispondenza del valore assegnato di pme; c) coefficiente di riempimento λv.
21.6. – ACCOPPIAMENTO MOTORE-VEICOLO
SOLUZIONE a) Il rendimento utile ηu si ottiene dall’espressione 21-10.
ηu =
1 qb H i
Alla pme di 0,8 MPa, dove il consumo qb è pari a 68 g/MJ = 68 × 10– 6 kg/kJ, abbiamo: ηu =
1 = 0,334 = 33,4% 68 × 10– 6 kg/kJ × 44.000 kJ/kg
䉳
mentre con una pme di 0,4 MPa abbiamo: ηu =
1 = 0,261 = 26,1% 87 × 10– 6 kg/kJ × 44.000 kJ/kg
䉳
Vediamo perciò che, al diminuire della pressione media effettiva, peggiorano rendimento utile e consumo specifico di combustibile. Il rendimento organico ηo e il rendimento indicato ηind sono legati al rendimento utile ηu; occorre quindi ricavare uno dei due rendimenti, ad esempio il rendimento organico, per ottenere l’altro. η ⇒ ηind = u ηu = ηindηo ηo L’espressione del rendimento organico ηo è data dalla 21-20′, riadattata tenendo presente la 21-20. ηo =
pme pme = pmi pme + pv
In questa espressione è nota pme, mentre la pressione media di attrito pv si ricava con la formula empirica 21-20″ 1 3 pv = 0,06 1 + + + 0,03 pme + 0,015 vm i D dove la velocità media del pistone vm, per la 21-4, vale: vm = 2nC = 2 × 58,33 giri/s × 0,0649 m = 7,57 m/s Con pme = 0,8 MPa si ha: 1 3 pv = 0,06 1 + + + 0,03 × 0,8 MPa + 0,015 × 7,57 m/s = 0,233 MPa 4 70 mm mentre con pme = 0,4 MPa pv = 0,06 1 +
1 3 + 0,03 × 0,4 MPa + 0,015 × 7,57 m/s = 0,21 MPa + 4 70 mm
Nei due casi (pme = 0,8 MPa e pme = 0,4 MPa ) si ha: ηo =
pme 0,8 MPa = = 0,78 pme + pv 0,8 MPa + 0,23 MPa
ηo =
0,4 MPa = 0,65 0,4 MPa + 0,21 MPa
䉳
Il rendimento organico migliora perciò all’aumentare del carico, ovvero al crescere della pressione media effettiva e indicata. Il rendimento indicato nei due casi vale: ηind =
ηu 0,334 = = 0,43 0,78 ηo
ηind =
0,261 = 0,40 0,65
䉳
443
444
CAPITOLO 21. – MOTORI ALTERNATIVI A COMBUSTIONE INTERNA
b) Essendo nota pme, la potenza utile Pu si ottiene con la 21-16: n Pu = pmeiV 2 e per i due casi (pme = 0,8 MPa = 800 kPa e pme = 0,4 MPa = 400 kPa) vale rispettivamente: 58,33 giri/s = 23,3 kW 2 58,33 giri/s Pu = 400 kPa × 0,001 m3 = 11,65 kW 2 Pu = 800 kPa × 0,001 m3
䉳 䉳
Dimezzandosi la pressione media effettiva pme (da 0,8 a 0,4 MPa) si dimezza anche la potenza utile Pu (da 23,3 a 11,65 kW), in quanto il confronto è fatto a pari velocità di rotazione n (21-16). La coppia Mu è direttamente proporzionale alla pressione media effettiva pme, per la relazione 21-19: iV Mu = pme 4π e perciò nel primo caso (pme = 0,8 MPa) ha un valore doppio di quello che ha nel secondo caso (pme = 0,4 MPa): 0,001 m3 0,001 m3 = 63,66 N⋅m Mu = 0,4 × 106 Pa = 31,83 N⋅m 䉳 Mu = 0,8 × 106 Pa 4×π 4×π c) Il coefficiente di riempimento λv si ottiene dall’espressione della pressione media effettiva 21-17: α pme H ⇒ λv = pme = ηuλvρ i ηuρHi α e vale nei due casi pme = 0,8 MPa e pme = 0,4 MPa: λv =
15 × 0,8 × 106 Pa = 0,68 0,334 × 1,2 kg/m3 × 44.000 × 103 J/kg
䉳
λv =
15 × 0,4 × 106 Pa = 0,43 0,261 × 1,2 kg/m3 × 44.000 × 103 J/kg
䉳
COMMENTI Trattandosi di un motore ad accensione comandata, la riduzione di pme, viene realizzata parzializzando l’alimentazione e quindi riducendo il coefficiente di riempimento λv.
Esempio 21.6 Prestazioni di un motore Diesel aspirato Un motore a quattro tempi ad accensione per compressione ad aspirazione naturale per veicolo industriale (sei cilindri in linea di alesaggio D = 100 mm e corsa C = 128 mm e con cilindrata totale iV = 6,0 dm3) ha, alla velocità di rotazione n = 25 giri/s (1500 giri/min), i seguenti valori del consumo specifico di combustibile: qb = 58 g/MJ (209 g/(kW⋅h)) alla pressione media effettiva pme = 0,8 MPa e qb = 61 g/MJ (220 g/(kW⋅h)) alla pme = 0,4 MPa. Sono inoltre assegnati: – potere calorifico inferiore Hi del gasolio = 43,3 MJ/kg; – massa volumica dell’aria che alimenta il motore ρ = 1,2 kg/m3; – coefficiente di riempimento λv = 0,9. Determinare in entrambi i casi: a) rendimenti utile ηu, organico ηo e indicato ηind ; b) potenza Pu e coppia Mu del motore in corrispondenza del valore assegnato di pme; c) dosatura α.
21.6. – ACCOPPIAMENTO MOTORE-VEICOLO
SOLUZIONE a) Seguiamo la procedura adottata nell’Esempio 21.5.
ηu =
1 qb H i
Alla pme di 0,8 MPa, dove il consumo specifico è qb = 58 g/MJ = 58 × 10– 6 kg/kJ, abbiamo: 1 = 0,398 = 39,8% 58 × 10 kg/kJ × 43.300 kJ/kg
ηu =
–6
䉳
mentre alla pme di 0,4 MPa, con qb = 61 g/MJ, abbiamo: ηu =
1 = 0,38 = 38% 61 × 10– 6 kg/kJ × 43.300 kJ/kg
䉳
Se confrontiamo questi valori con quelli dell’Esempio 21.5, possiamo dire che, rispetto ai motori ad accensione comandata, i motori ad accensione per compressione, e in particolare quelli a iniezione diretta (caso di questo Esempio), presentano: – rendimento utile ηu migliore; – minore variazione di ηu al variare della pme. Calcoliamo la velocità media del pistone vm che dobbiamo introdurre nella formula empirica 21-20″ per il calcolo della pressione media di attrito. vm = 2nC = 2 × 25 giri/s × 0,1 m = 5 m/s Con pme = 0,8 MPa e con pme = 0,4 MPa si ha rispettivamente: 1 3 pv = 0,06 1 + + + 0,03 × 0,8 MPa + 0,015 × 5 m/s = 0,2 MPa 6 100 mm 1 3 pv = 0,06 1 + + + 0,03 × 0,4 MPa + 0,015 × 5 m/s = 0,18 MPa 6 100 mm Nei due casi pme = 0,8 MPa e pme = 0,4 MPa il rendimento organico ηo vale: ηo =
pme 0,8 MPa = = 0,8 pme + pv 0,8 MPa + 0,20 MPa
䉳
0,4 MPa = 0,65 0,4 MPa + 0,18 MPa
䉳
ηo =
Corrispondentemente il rendimento indicato ηind vale: ηind =
ηu 0,398 = = 0,497 0,8 ηo
ηind =
ηu 0,38 = = 0,56 0,68 ηo
䉳
Dai risultati ottenuti si può notare come, in un motore ad accensione per compressione, il rendimento indicato ηind aumenti leggermente al diminuire del carico, al contrario di quanto avviene per il rendimento utile ηu. Ciò è dovuto al fatto che, dato che a carichi più bassi la quantità di combustibile iniettato è minore, l’iniezione avviene maggiormente nell’intorno del punto morto superiore PMS, riducendo lo scarto fra ciclo indicato e ideale. b) Essendo nota la pme, la potenza utile Pu si ottiene con la 21-16 Pu = pmeiV
n 2
445
446
CAPITOLO 21. – MOTORI ALTERNATIVI A COMBUSTIONE INTERNA
e per i due casi (pme = 0,8 MPa = 800 kPa e pme = 0,4 MPa = 400 kPa) vale rispettivamente: Pu = 800 kPa × 0,006 m3
25 giri/s = 60 kW 2
Pu = 400 kPa × 0,006 m3
25 giri/s = 30 kW 䉳 2
Dalla relazione 21-19 otteniamo la coppia motrice Mu. Questa è proporzionale alla pressione media effettiva e risulta perciò nel primo caso (pme = 0,8 MPa) doppia di quella del secondo caso (pme = 0,4 MPa). iV Mu = pme 4π Mu = 0,8 × 10– 6 Pa
0,006 m3 = 382 N⋅m 4×π
Mu = 0,4 × 10– 6 Pa
0,006 m3 = 191 N⋅m 4×π
䉳
c) Per ricavare la dosatura α facciamo uso dell’espressione 21-17: pme = ηuλvρ
Hi α
⇒
α = ηuλvρ
Hi pme
Il valore del coefficiente di riempimento λv può essere assunto pari a 0,9 per tutte due le condizioni di pme assegnate in quanto, nei motori ad accensione per compressione, la regolazione del carico (cioè della pme) si esegue solamente agendo sulla quantità di combustibile introdotto e λv perciò non varia se la velocità del motore rimane la stessa. La dosatura α nei due casi è: α = 0,398 × 0,9 × 1,2 kg/m3
43.300 × 103 J/kg = 23,3 kg aria/kg combustibile 0,8 × 106 Pa
䉳
α = 0,38 × 0,9 × 1,2 kg/m3
43.300 × 103 J/kg = 44,4 kg aria/kg combustibile 0,4 × 106 Pa
䉳
COMMENTI Il rapporto aria combustibile α aumenta al diminuire della pme perché, trattandosi di un motore ad accensione per compressione, la diminuzione del carico avviene riducendo la quantità di combustibile introdotto e quindi agendo sulla dosatura α.
Esempio 21.7 Dosatura di un motore diesel sovralimentato Un motore a quattro tempi ad accensione per compressione sovralimentato e interrefrigerato per veicolo industriale di cilindrata totale iV = 9,5 dm3 ha i seguenti valori del consumo specifico di combustibile: qb = 55 g/MJ (198 g/(kW⋅h)) alla pressione media effettiva pme = 1,6 MPa e qb = 58 g/MJ (208,8 g/(kW⋅h)) alla pme = 0,8 MPa. Sono inoltre assegnati: – massa volumica dell’aria che alimenta il motore ρ = 1,2 kg/m3; – coefficiente di riempimento λv = 0,9; – correzione della potenza per tener conto di sovralimentazione e interrefrigerazione µ = 2,1 (per pme = 1,6 MPa) e µ = 1,4 (per pme = 0,8 MPa). Determinare, in corrispondenza dei due valori della pressione media effettiva, la dosatura α.
SOLUZIONE La pressione media effettiva è data dalla 21-17 che va moltiplicata per il fattore µ (21-21) in modo da tener conto che il motore è sovralimentato e interrefrigerato. H pme = ηuλvρ i µ α
21.6. – ACCOPPIAMENTO MOTORE-VEICOLO
Sostituendo in questa equazione l’espressione del rendimento utile ηu dato dalla 21-10:
ηu =
1 qb H i
possiamo ricavare la dosatura α in funzione della pressione media effettiva pme e del consumo specifico di combustibile qb. 1 H λ ρµ λ ρµ pme = λ ρµ i = v ⇒ α= v qbHi v qbα qbpme α In corrispondenza delle due coppie di valori di pme e di qb, la dosatura α vale: pme = 1,6 MPa = 1,6 × 106 Pa α=
0,9 × 1,2 kg/m3 × 2,1 = 25,77 kg aria/kg combustibile 58 × 10– 9 kg/J × 1,6 × 106 Pa
pme = 0,8 MPa = 0,8 × 106 Pa α=
qb = 55 g/MJ = 55 × 10– 9 kg/J 䉳
qb = 58 g/MJ = 58 × 10– 9 kg/J
0,9 × 1,2 kg/m3 × 1,4 = 32,59 kg aria/kg combustibile 58 × 10– 9 kg/J × 0,8 × 106 Pa
䉳
Esempio 21.8 Utilizzazione del veicolo Di un veicolo per trasporto pesante, che viaggia su strada piana, sono assegnati: – – – – – – – –
massa velocità area della superficie frontale coefficiente di resistenza aerodinamica coefficiente di resistenza di rotolamento raggio di rotolamento delle ruote rapporto totale di trasmissione (rapporto cambio × rapporto ponte) rendimento meccanico della trasmissione
m = 40 × 103 kg v = 22,2 m/s A = 8,1 m2 Cx = 0,65 µr = 0,0061 r = 0,522 m τ = 2,8 o 3,1 o 3,7 ηmt r = 0,93
Il veicolo viene allestito con due diverse motorizzazioni basate su motori a quattro tempi ad accensione per compressione (Figura 21.15): • Motore N. 1 – potenza massima – velocità di massima potenza – cilindrata totale
Pmax = 234 kW n = 33,3giri/s iV = 13,8 dm3
• Motore N. 2 – potenza massima – velocità di massima potenza – cilindrata totale
Pmax = 234 kW n = 36,7 giri/s iV = 9,5 dm3
I motori sono alimentati con un gasolio di massa volumica ρb = 0,835 kg/dm3; la massa volumica dell’aria ambiente è ρa = 1,19 kg/m3. Determinare: a) potenza utile Pu che deve essere erogata dal motore; b) consumo specifico qb, portata m˙ b ed economia di combustibile Eb; c) pendenza massima superabile dal veicolo.
447
448
CAPITOLO 21. – MOTORI ALTERNATIVI A COMBUSTIONE INTERNA
SOLUZIONE a) Si vuole calcolare la potenza utile Pu richiesta al motore quando il veicolo si muove, su strada piana, a una velocità costante v = 22,2 m/s (80 km/h). Determiniamo in primo luogo la resistenza totale R t 21.5, incontrata dal veicolo, somma, per la 11-4, della resistenza al rotolamento R r (Paragrafo 11.2) e della resistenza aerodinamica Ra (11.3); manca invece la resistenza su pendenza Rp perché il veicolo si muove su strada piana. R r = µ r mg = 0,0061 × 40 × 103 kg × 9,81 m/s2 = 2394 N ≈ 2400 N Ra =
1 1 C ρ Av2 = 0,65 × 1,19 kg/m3 × 8,1 m2 (22,2 m/s)2 = 1544 N 2 x 2 R t = Rr + Ra = 2400 N + 1544 N = 3944 N
La potenza resistente Pr è data dalla 9-10: Pr = R t v = 3944 N × 22,2 m/s = 87.500 W = 87,5 kW La potenza motrice Pm necessaria per far avanzare il veicolo e uguale alla potenza resistente Pr . La potenza utile, che deve essere erogata dal motore, è per la 21-22′: Pu =
Pm 87,5 kW = = 94,1 kW 0,93 ηmtr
䉳
b) Si deve determinare il consumo di combustibile corrispondente ai diversi rapporti totali di trasmissione τtot assegnati (2,8 oppure 3,1 oppure 3,7). Per questo occorre entrare nel piano quotato, conoscendo il valore dell’ascissa (è la velocità di rotazione del motore n) e il valore dell’ordinata (è la pressione media effettiva pme ). La velocità di rotazione del motore n viene calcolata partendo dalla velocità di rotazione della ruota nr, che, per la 21-23, è: nr =
v 22,2 m/s = = 6,8 giri/s (408 giri/min) 2π r 2 × π × 0,522 m
mentre, per la 21-24, la velocità di rotazione del motore n, in funzione dei diversi rapporti di trasmissione, vale: n [giri/s]
τ tot
nr [giri/s]
19 21 25
2,8 3,1 3,7
6,8 6,8 6,8
La pressione media effettiva pme può essere calcolata graficamente, mediante la curva di isopotenza Pu = 94,1 kW (riportata sui piani quotati dei due motori) o utilizzando la formula 21-25: pme =
Pu2 iVn
con i seguenti risultati: pme [MPa]
n [giri/s]
iV [dm3]
Pu [kW]
0,72 0,65 0,54
19 21 25
13,8 13,8 13,8
94,1 94,1 94,1
Motore N. 1
1,04 0,94 0,79
19 21 25
9,5 9,5 9,5
94,1 94,1 94,1
Motore N. 2
21.6. – ACCOPPIAMENTO MOTORE-VEICOLO
Motore N. 2
Velocità di rotazione motore n [giri/min]
Velocità di rotazione motore n [giri/s]
1200
1800
2400
10 1,8 Pressione media effettiva pme [MPa]
Pressione media effettiva pme [MPa]
600 1,8
Motore N. 1
56 (202) 1,0 60 (216)
60,6 g/MJ 59,3 g/MJ 63,9 g/MJ 94,1 kW
80 (288) 0,2 10
20
30
20
40
56 (202) 57,6 g/MJ 57,8 g/MJ
1,0
58,2 g/MJ 60(216)
Velocità di rotazione motore n [giri/s]
94,1 kW
80 (288)
0,2 600
40
30
1200
1800
2400
Velocità di rotazione motore n [giri/min]
Fig. 21.15 - Piani quotati del consumo di combustibile di due motori a quattro tempi ad accensione per compressione: N. 1 motore da 13,8 dm3 di cilindrata totale; N. 2 - motore Iveco 8460.41 di 9,5 dm3 di cilindrata totale. Sulle curve verdi di isoconsumo i numeri indicano il consumo specifico in g/MJ (tra parentesi g/(kW⋅h)).
Determiniamo la portata di combustibile m˙ b e l’economia di combustibile Eb con la 21-26. Ad esempio, in corrispondenza di pme = 0,72 MPa e n = 19 giri/s, il consumo del motore N. 1 risulta qb = 59,3 g/MJ e la portata di combustibile vale: m˙ b = qbPu = 59,3 g/MJ × 94,1 kW = 59,3 × 10– 9 kg/J × 94,1 × 103 J/s = 0,00558 kg/s = 5,58 g/s Eb =
22,2 m/s × 0,835 kg/dm3 vρ b = = 3322 m/dm3 = 3,32 km/dm3 0,00558 kg/s m˙ b
I risultati completi sono: n [giri/s] 19 21 25
pme [MPa] 0,72 0,65 0,54
Pu [kW] 94,1 94.1 94,1
[g/MJ] 59,3 60,6 63,9
19 21 25
1,04 0,94 0,79
94,1 94,1 94,1
57,6 57,8 58,2
qb [g/(kW⋅h] 213,5 218,1 230,0 207,4 208,1 209,5
m˙ b [g/s] 5,58 5,70 6,01
Eb [km/dm3] 3,32 3,25 3,08
5,42 5,44 5,48
3,42 3,41 3,38
Motore N. 1
Motore N. 2
c) La pendenza massima superabile viene calcolata in base alla riserva di potenza che rimane al motore dopo aver soddisfatto la potenza spesa per superare resistenza di rotolamento e resistenza dell’aria. Definiamo la pressione media effettiva esuberante pme,es, come la differenza fra la pressione media effettiva massima pme,max, e quella di lavoro pme che abbiamo appena calcolato. pme,es = pme,max – pme Leggiamo, in corrispondenza delle velocità del motore interessate n, sui piani quotati la pme,max e sottraiamo a questa la pme in modo da ottenere la pme,es.
449
450
CAPITOLO 21. – MOTORI ALTERNATIVI A COMBUSTIONE INTERNA
n [giri/s]
pme,max [MPa]
pme [MPa]
pme,es [MPa]
19 21 25
1,42 1,41 1,36
0,72 0,65 0,54
0,70 0,76 0,82
Motore N. 1
19 21 25
1,70 1,71 1,72
1,04 0,94 0,79
0,66 0,77 0,93
Motore N. 2
Tenendo conto del rendimento meccanico della trasmissione ηmt r , si calcola la potenza motrice esuberante alle ruote Pm,es, corrispondente alla pressione media effettiva esuberante pme,es, con la 21-16: n Pm,es = ηmt r pme,esiV 2 Ad esempio, basandoci sui dati della prima riga della tabella, abbiamo: 19 giri/s = 85,3 kW Pm,es = 0,93 × 700.000 Pa × 0,0138 m3 2 La potenza esuberante Pm,es può essere utilizzata per vincere una resistenza su pendenza Rp alla velocità del veicolo v = 22,2 m/s data da: Pm,es Rp = v e quindi calcoliamo la pendenza superabile: Rp pendenza = Rp = mg (pendenza) ⇒ mg ottenendo: Pm,es 85.300 W Rp = = = 3842 N 22,2 m/s v pendenza =
Rp 3842 N = = 0,0098 = 0,98% 9,81 m/s2 × 40 × 103 kg mg
Di seguito è riportata la tabella completa con le diverse pendenze superabili a seconda dei motori e dei rapporti totali di trasmissione τtot installati. τ n pme pme,es Pm,es Rp Pendenza % Eb τ n pme pme,es Pm,es Rp Pendenza % Eb
– giri/s MPa MPa kW N – km/dm3 – giri/s MPa MPa kW N – km/dm3
2,8 19 0,72 0,70 85,3 3842 0,98 3,32 2,8 19 1,04 0,66 55,4 2495 0,63 3,42*
3,1 21 0,65 0,76 102,4 4612 1,17 3,25 3,1 20 0,94 0,77 71,4 3216 0,82 3,41
3,7 25 0,54 0,82 131,5 5923 1,51 3,08 3,7 25 0,79 0,93 102,7 4616 1,18 3,38
Motore N. 1
Motore N. 2
* È la soluzione migliore, come economia di combustibile, anche se, per questo veicolo, sarebbe opportuno avere una potenza massima di 300 kW (con prestazioni migliori) anziché di 234 kW. Una pendenza accettabile è tra 1 e 2%.
21.7. – SOMMARIO
COMMENTI La risposta all’ultima domanda considera la pendenza massima superabile alla velocità assegnata e cambio in presa diretta (1:1). È ovvio che la pendenza massima superabile dal veicolo, ferme restando le formule impiegate ma variandone solo i parametri, dovrà essere calcolata nelle condizioni di coppia massima e del rapporto al cambio più ridotto (rapporto della prima marcia), come illustrato nella Figura 21.13. I motori sovralimentati (sono quelli utilizzati per l’Esempio) consentono di ridurre la cilindrata, a parità di potenza con l’equivalente motore aspirato. Ciò consente di lavorare, a pari n, con pme più elevate e quindi in regioni del piano quotato con consumo specifico di combustibile più basso. Perciò anche da questo punto di vista i motori sovralimentati sono avvantaggiati rispetto ai motori aspirati.
21. 7
SOMMARIO Il rendimento ηind del ciclo indicato è dato dal rapporto tra il lavoro per unità di massa lind e il calore massico qS introdotto nel ciclo ηind = lind /qS . Il lavoro utile lu disponibile all’albero motore è dato dalla dif-
ferenza tra il lavoro indicato lind ricavato dal ciclo e il lavoro passivo lv, lavoro che tiene conto del lavoro perduto per attriti meccanici e del lavoro speso per il comando degli accessori lu = lind – lv.
Il rendimento organico è il rapporto tra il lavoro utile lu e il lavoro indicato lind (ηo = lu /lind), mentre il rendimento utile ηu è il rapporto tra il lavoro utile lu e il calore fornito dal combustibile qS (ηu = lu /qS). Il rendimento ηu può anche essere espresso in termini di potenze come rapporto tra ⋅ la potenza utile Pu e la potenza termica Q S data dal prodotto della portata di combustibile m⋅ b per il potere calorifico inferiore Hi del combustibile: ηu = Pu /m˙ b H i . Dividendo la portata di combustibile m⋅ b per la potenza utile Pu, si ottiene il consumo specifico di combustibile qb = m⋅ b /Pu. A sua volta il consumo specifico qb è legato al rendimento utile ηu da una relazione che tiene conto del potere calorifico inferiore Hi del combustibile ηu = 1/qb Hi. La portata d’aria m˙ a , che alimenta il motore, è data dal prodotto del coefficiente di riempimento λv, della massa volumica ρ del fluido motore, della cilindrata iV e della velocità di rotazione n, che va divisa per 2 nel caso del motore a quattro tempi, dove, a differenza del motore a due tempi, sono necessari due giri dell’albero a gomito per completare un ciclo. m˙ a = λv ρiV
n 2
>
m˙ a = λv ρiVn
>
Sempre tenendo conto della differenza tra motore a quattro e a due tempi, si ricava la potenza utile Pu , data dal prodotto del rendimento utile ηu, del coefficiente di riempimento λv, della massa volumica ρ dell’aria, del rapporto tra potere calorifico del combustibile Hi e dosatura α = m˙ a /m˙ b , della cilindrata iV e della velocità di rotazione n. Pu = ηu λv ρ
Hi n iV α 2
>
Pu = ηu λv ρ
Hi iVn α
>
La pressione media effettiva pme, parametro indicativo del carico termomeccanico del motore, viene definita come lavoro utile Lu per ciclo e per unità di cilindrata V ed è data dal prodotto del rendimento ηu, del coefficiente di riempimento λv , della massa volumica dell’aria ρ e del rapporto tra potere calorifico Hi e dosatura α . pme = ηu λ v ρ
Hi α
451
452
CAPITOLO 21. – MOTORI ALTERNATIVI A COMBUSTIONE INTERNA
In funzione della pressione media effettiva pme si possono esprimere sia la potenza Pu Pu = pmeiV
n 2
>
Pu = pmeiVn
>
che la coppia Mu sviluppata dal motore M u = pme
iV 4π
>
M u = pme
iV 2π
>
Esercizi proposti 21.1 Un motore per automobile a quattro cilindri, avente cilindrata totale pari a 1,995 dm3, ruota alla velocità di 90 giri/s. Calcolare cilindrata unitaria V, corsa C e velocità media vm, del pistone, sapendo che il rapporto corsa/alesaggio C/D è di 1,05. V = 0,4987 dm3; C = 89 mm; vm = 16 m/s 21.2 Di un motore a sei cilindri per veicoli industriali sono assegnati corsa (136 mm), cilindrata totale (10 dm3) e rapporto di compressione (16). Calcolare raggio di manovella r dell’albero motore, cilindrata unitaria V, volume dello spazio morto Vm e alesaggio D. r = 68 mm; V = 1,667 dm3; Vm = 0,111 dm3; D = 125 mm 21.3 Calcolare il rendimento ideale ηOtto di un ciclo di un motore ad accensione comandata che ha un rapporto di compressione pari a 10. ηOtto = 0,6 21.4 Calcolare il rendimento ideale ηDiesel di un ciclo Diesel avente un rapporto volumetrico di compressione pari a 18 e un rapporto di temperatura a pressione costante τ ′ pari a 2,8. ηDiesel = 0,6 = 60% 21.5 Di un motore ad accensione comandata vengono misurate la portata in volume di benzina (5,4 cm3/s) e la potenza al freno (45 kW). La massa volumica della benzina è pari a 0,741 kg/dm3 e il suo potere calorifico inferiore è uguale a 44 MJ/kg. Calcolare portata in massa ˙ b , consumo specifico di combustibile qb, potenza term ⋅ mica introdotta Q S e rendimento utile ηu. ˙ b = 4 g/s; m qb = 88,9 g/MJ = 320 g/(kW⋅h); Q˙ S = 176 kW; ηu = 0,255 = 25,5%
21.6 Calcolare la potenza indicata Pind di un motore ad accensione comandata, noti potenza utile (45 kW) e rendimento organico (0,8). Pind = 56 kW 21.7 Di un motore a due tempi ad accensione per compressione sono noti: velocità di rotazione (1,659 giri/s), velocità media del pistone (7,3 m/s), rapporto corsa/alesaggio (3,665), pressione media effettiva (1,7 MPa) e numero di cilindri (8). Calcolare corsa C, alesaggio D, cilindrata unitaria V e potenza Pu. C = 2200 mm; D = 600 mm; V = 622 dm3; Pu = 14 MW ˙ a di un motore a 21.8 Calcolare la portata d’aria m quattro tempi di cui sono assegnati coefficiente di riempimento (0,9), cilindrata totale (2 dm3) e velocità di rotazione (60 giri/s) La massa volumica dell’aria aspirata è pari a 1,2 kg/m3. ˙ a = 0,065 kg/s m 21.9 Sono assegnati rendimento utile (0,30), coefficiente di riempimento (0,88), cilindrata (1,8 dm3), dosatura (15,5 kg aria/kg combustibile) e velocità di rotazione (70 giri/s) di un motore a quattro tempi ad accensione comandata. Si conoscono inoltre massa volumica dell’aria (1,2 kg/m3) e potere calorifico inferiore della benzina (44 MJ/kg). Calcolare la potenza utile Pu . Pu = 56,7 kW 21.10 Sono assegnati rendimento utile (0,28), coefficiente di riempimento (0,85), cilindrata (1,0 dm3), dosatura (15,5 kg aria/kg combustibile) e velocità di rotazione (83,3 giri/s) di un motore a quattro tempi ad accensione comandata. Si conoscono inoltre massa volumica dell’aria (1,2 kg/m3) e potere calorifico inferiore della benzina (44 MJ/kg). Calcolare la potenza utile Pu. Pu = 33,8 kW
ESERCIZI PROPOSTI
21.11 Noti potenza utile (33,8 kW), cilindrata (1 dm3) e velocità di rotazione (83,3 giri/s) di un motore a quattro tempi ad accensione comandata, calcolare pressione media effettiva pme e coppia motrice Mu. pme = 0,81 MPa; Mu = 64,5 N⋅m
e la potenza Pu nelle condizioni di coppia massima (Mu,max = 265 N⋅m e n = 23,3 giri/s). Mu = 207 N⋅m; Pu = 38,8 kW
21.12 Calcolare la coppia Mu erogata da un motore a due tempi di cui si conoscono pressione media effettiva (1,7 MPa) e cilindrata (5000 dm3). Mu = 1,35 MN⋅m
21.14 Un motore Diesel ad iniezione diretta a quattro tempi sviluppa la potenza utile di 300 kW con un consumo specifico di combustibile pari a 56 g/MJ. Sapendo che il gasolio ha il potere calorifico inferiore di 43,3 MJ/kg, calcolare la potenza termica Q˙ S resa disponibile dal combustibile e il rendimento del motore ηu.
21.13 Calcolare la coppia Mu di un motore nelle condizioni di massima potenza (Pu,max = 65 kW e n = 50 giri/s)
Q˙ S = 727,5 kW; ηu = 0,41
453
CONFRONTO DEI SISTEMI ENERGETICI
Capitolo 22
22. 1
CONVERSIONE DELL’ENERGIA I quattro rettangoli della Figura 22.1 individuano forme diverse di energia, mentre le frecce indicano la conversione di energia da una forma ad un’altra. In ciascun caso l’energia viene conservata così come stabilito dal primo principio della termodinamica; la conversione, tuttavia, non può mai essere completa: l’energia termica, ad esempio, non può mai venire completamente convertita in energia meccanica in modo continuo. Come esempi delle diverse forme di energia immagazzinata (I) si possono citare: • l’energia chimica contenuta nei combustibili che viene rilasciata durante la combustione; • l’energia nucleare che viene rilasciata durante la fissione; • l’energia associata con la velocità del vento; • l’energia dell’acqua dietro la diga di un impianto idroelettrico. L’energia termica (T) rappresenta sia l’energia che può venire immagazzinata in una regione, ad esempio ad alta temperatura, sia l’energia che viene trasferita come calore da, oppure a, una data regione.
Immagazzinata (I)
Per energia meccanica (M) si intende il lavoro fornito dall’albero di un motore o di una turbina oppure richiesto da una pompa.
Termica (T)
Meccanica (M)
Elettrica (E)
L’energia elettrica (E) infine rappresenta l’energia elettrica fornita da un generatore o da una batteria oppure richiesta da un motore elettrico. Il pregio dell’energia elettrica è, tra l’altro, legato alla sua possibilità di essere trasportata in grande quantità su lunghe distanze.
Fig. 22.1 - Il triangolo dell’energia.
22. 2
CONVERSIONE DELL’ENERGIA – TRASFORMAZIONI NON CICLICHE Gli impianti per la generazione di energia elettrica basati sulle turbine eoliche sono degli esempi di conversione della energia nelle trasformazioni non cicliche: con un aerogeneratore si passa dall’energia immagazzinata (I) all’energia meccanica (M) e quindi a quella elettrica (E) seguendo il percorso I ⇒ M ⇒ E. Altri esempi sono le turbine idrauliche; in quest’ultimo caso è possibile la conversione inversa (E ⇒ M ⇒ I) facendo uso delle macchine reversibili che utilizzano l’energia elettrica (E) per pompare (M) l’acqua che viene immagazzinata (I ) in
22.3. – CONVERSIONE DELL’ENERGIA – TRASFORMAZIONI CICLICHE
un bacino, ad esempio, durante la notte in modo da far fronte alle punte di richiesta di energia elettrica durante il giorno. Le pile a secco di una radio convertono l’energia chimica immagazzinata (I) direttamente in energia elettrica (E), ma non sono ricaricabili e quindi, una volta scariche devono essere gettate via. Al contrario gli accumulatori, come le batterie delle automobili, sono invece ricaricabili, sono cioè capaci di convertire l’energia chimica in energia elettrica (I ⇒ E) e viceversa (E ⇒ I). Altro esempio di conversione diretta I ⇒ E è rappresentato dalla pila a combustibile (Scheda 22.1); in essa l’idrogeno, reagendo con l’ossigeno dell’aria, produce energia elettrica ed acqua: è la reazione inversa a quella con cui l’idrogeno viene prodotto. L’elettricità, prodotta con una resa energetica superiore al 70% e senza alcuna emissione di sostanze nocive, potrebbe venire utilizzata per la propulsione dei veicoli mediante i normali motori elettrici. La tecnologia delle pile a combustibile (ne esistono di diversi tipi), sviluppate all’origine per impieghi aerospaziali, sarà applicata ai veicoli una volta risolti i complessi problemi legati alla produzione, al trasporto ed infine allo stoccaggio a bordo dell’idrogeno22.1.
22. 3
CONVERSIONE DELL’ENERGIA – TRASFORMAZIONI CICLICHE Il motore termico, effettua la conversione dell’energia nelle trasformazioni cicliche: il motore termico infatti trasforma parte dell’energia termica ricevuta (T) in lavoro meccanico (M) descrivendo un ciclo termodinamico. Sulla base del primo principio della termodinamica, il rendimento del motore termico, rapporto per la 16-15 tra lavoro prodotto ed energia termica fornita, risulta piuttosto basso: ad esempio, nel caso di un impianto motore a vapore dedicato alla generazione di elettricità, può aggirarsi attorno al 33%. Che ne è della parte che rimane, cioè i1 67%, che non viene convertita in lavoro? Per una macchina che effettua un ciclo la risposta viene data dal secondo principio della termodinamica che pone come limite il rendimento del ciclo di Carnot (16-18). Quindi un motore termico non può convertire in lavoro tutta l’energia termica che gli è stata fornita; più in particolare, il secondo principio afferma che non tutta l’energia termica è di uguale utilità nel produrre lavoro. Consideriamo, ad esempio, una sorgente di calore alla temperatura TS = 2000 K, che scambia energia, sotto forma di calore (qS = 1000 kJ/kg) con un motore termico, il quale a sua volta cede calore alla sorgente inferiore che si trova alla temperatura ambiente TI = 300 K (Figura 22.3). La massima frazione di calore, che un motore può convertire in lavoro, è data dal rendimento ηmax dell’equazione 16-18: T 300 K ηmax = 1 − I = 1 − = 0,85 TS 2000 K e il lavoro massimo lmax è, per l’equazione 16-15, dato da: lmax = ηmaxqS = 0,85 × 1000 kJ/kg = 850 kJ/kg
22.1 - I costi energetici di produzione dell’idrogeno, che dovrebbe venir prodotto a partire da fonti che non facciano uso di combustibili fossili (energia nucleare, idroelettrica, ecc.) in modo da evitare le emissioni tipiche degli impianti termici, sono molto alti. La rete di distribuzione, che tenga conto di un gas avente limiti di infiammabilità estremamente ampi, è tutta da costruire. Un pro-
blema ancora del tutto insoluto è quello di immagazzinare l’idrogeno a bordo di un veicolo, improponibile con le tecnologie attuali poiché: • in forma gassosa, il peso e il volume dei serbatoi prenderebbero il peso e il posto del carico utile del veicolo; • in forma liquida (ad una temperatura inferiore a – 253 °C), costringerebbe il ricorso a tecnologie aerospaziali con
la trasformazione di ogni stazione di servizio in una base di lancio di satelliti. Può essere sistemato a bordo del veicolo un combustibile diverso dall’idrogeno. In tal caso è richiesta la presenza sul veicolo di un impianto chimico che trasformi il combustibile in idrogeno. Uno dei combustibili che risulta più adatto a questo scopo è l’alcool metilico o metanolo.
455
456
CAPITOLO 22. – CONFRONTO DEI SISTEMI ENERGETICI
SCHEDA 22.1
LA PILA A COMBUSTIBILE Nel recipiente, schematizzato nella Figura 22.2, vi è una soluzione di idrossido di potassio (KOH con ioni potassio K+ e ioni idrossili OH–). In due compartimenti separati, al fine di evitarne la reazione esplosiva, si procede all’alimentazione continua, funzione del loro consumo, di idrogeno H2 a sinistra e di ossigeno O2 a destra. Sull’elettrodo positivo il comburente O2 viene ridotto: O2 + 2H2O + 4e– → 4OH–
22-1
All’elettrodo negativo, il combustibile H2 viene ossidato mediante gli ioni OH– provenienti dall’idrossido di potassio: 2H2 + 4OH– → 4H2O + 4e– 22-2 I quattro elettroni (4e–), prodotti a sinistra dalla reazione 22-2, raggiungono il circuito esterno e rientrano, a destra, dove riducono l’ossigeno con la reazione 22-1. Dal compartimento di destra, essi ritornano, attraverso la regione delimitata dai due elettrodi porosi, nel compartimento di sinistra legati ai quattro ioni (4OH–), chiudendo in tal modo il circuito. Il bilancio globale delle due reazioni precedenti è espresso dalla reazione di sintesi dell’acqua: 2H2 + O2 → 2H2O 22-3 Trattandosi di reazioni piuttosto lente, è necessario far uso nella pila a combustibile di catalizzatori costosi (nichel, platino, ecc.).
CIRCUITO ESTERNO e–
e–
combustibile
comburente
H2
O2
+
K
H2
OH – O2
H2O H2 e H2O
OH –
H2O elettrodi porosi
Fig. 22.2 - Schema del funzionamento della pila a combustibile.
O2
22.4. – RENDIMENTI DEGLI IMPIANTI TERMICI
Sorgente superiore TS = 2000 K
Sorgente superiore TS = 750 K
qS = 1000 kJ/kg Motore termico
lmax = qdisp = 850 kJ/kg
qinutil = 150 kJ/kg Sorgente inferiore TI = 300 K
qS = 1000 kJ/kg Motore termico
lmax = qdisp = 600 kJ/kg
qinutil = 400 kJ/kg Sorgente inferiore TI = 300 K
Fig. 22.3 - L’energia disponibile è in ambedue i casi qS = 1000 kJ/kg, ma l’energia inutilizzabile risulta nel primo caso (sorgente alla temperatura elevata TS = 2000 K) qinutil = 150 kJ/kg, mentre nel secondo caso (sorgente alla temperatura bassa TS = 750 K) risulta qinutil = 400 kJ/kg.
Se adesso consideriamo una sorgente, alla temperatura TS = 750 K, che scambia sempre la quantità di calore qS = 1000 kJ/kg con un motore che cede, a sua volta, calore alla temperatura TI ancora uguale a 300 K, abbiamo: 300 K ηmax = 1 − = 0,6 750 K lmax = 0,6 × 1000 kJ/kg = 600 kJ/kg Perciò la stessa quantità di calore, qS = 1000 kJ/kg, fornita da una sorgente a 2000 K è più utile nella produzione di lavoro di una sorgente a 750 K: nel primo caso otteniamo 850 kJ/kg e nel secondo caso 600 kJ/kg. Teniamo conto di questo dicendo che l’energia fornita dalla sorgente, con temperatura TS maggiore, è di alta qualità o di alto livello, mentre quella fornita dalla sorgente, con temperatura TS minore, è di bassa qualità o di basso livello. Possiamo anche parlare di una degradazione progressiva dell’energia termica, man mano che questa viene trasferita, in modo irreversibile, verso regioni a più bassa temperatura. In conclusione, l’utilità di una data quantità di energia termica nel produrre lavoro dipende non solo dalla quantità di energia a disposizione, ma anche dalla temperatura della sorgente dalla quale essa viene fornita. Si riconosce così che tutta l’energia non ha la stessa qualità o grado e che la degradazione dell’energia termica è un processo naturale nel momento in cui l’energia termica viene trasferita a regioni a più bassa temperatura. Bisognerebbe allora evitare di consumare il combustibile fossile in grado di produrre alte temperature e quindi energia di alto grado per produrre poi energie utilizzate a basse temperature e quindi di basso grado. Significativo è l’esempio dell’impianto termoelettrico citato sopra in cui l’energia inutilizzata è pari al 67%, cioè più del doppio del lavoro prodotto (33%) ed oltretutto viene dispersa come calore nell’acqua e nell’aria di raffreddamento con gravi danni all’ambiente; questa enorme quantità di energia termica andrebbe recuperata sia per motivi di risparmio energetico sia per motivi di salvaguardia ecologica.
22. 4
RENDIMENTI DEGLI IMPIANTI TERMICI A partire dalla motrice alternativa a vapore (Figura 22.4), i rendimenti globali raggiungibili con i principali impianti termici sono decisamente migliorati (Tabella 22.1). I motori alternativi a combustione interna, e in particolare i motori ad accensione per compressione, presentano i rendimenti più alti in assoluto tra tutte le macchine termiche; ciò è tanto più rilevante se si pensa che motori di potenza relativamente modesta (da 0,3 a 0,5 MW) impiegati sui veicoli pesanti
457
458
CAPITOLO 22. – CONFRONTO DEI SISTEMI ENERGETICI
Fig. 22.4 - La motrice alternativa a vapore, cuore della prima era industriale, ha dominato, con rendimenti globali attorno a 0,16, la generazione di potenza negli impianti fissi e nei trasporti (ferrovie e navi) per più di un secolo fino all’avvento della turbina a vapore e del motore a combustione interna.
Tabella 22. 1 Rendimento globale raggiungibile con motori termici confrontati con il rendimento del ciclo di Carnot – Motori ad accensione comandata • a iniezione indiretta di benzina • a iniezione diretta di benzina • a iniezione indiretta di gas naturale
0,34 0,38 0,37
– Motori ad accensione per compressione sovralimentati e interrefrigerati • a iniezione indiretta • a iniezione diretta • a iniezione diretta turbocomposito • a iniezione diretta turbocomposito e con recupero di energia
0,37 0,45 0,49 0,55
– Impianti di turbina a gas per applicazioni stazionarie
0,34
– Impianti a ciclo combinato (turbina a gas + turbina a vapore)
0,49
– Impianti con turbina a vapore
0,40
– Ciclo di Carnot con temperature estreme TS = 1950 K e TI = 300 K (16-18)
0,85
stradali, che devono poter funzionare in condizioni variabili di carico e velocità di rotazione e allo stesso tempo devono soddisfare limiti molto severi di emissioni, vengono confrontati con impianti motori a vapore di potenza estremamente elevata (200 MW) sui quali, proprio per le dimensioni, sono consentiti risparmi notevoli per l’accentramento degli ausiliari e dei sistemi di abbattimento degli inquinanti.
22.4. – RENDIMENTI DEGLI IMPIANTI TERMICI
Per renderci conto dei motivi che portano a rendimenti così diversi, confrontiamo l’impianto motore a turbina a gas con l’impianto motore a vapore. Il vantaggio fondamentale dell’impianto a vapore è rappresentato dal fatto che il fluido di lavoro si trova inizialmente in fase liquida e solo successivamente passa allo stato di vapore. Il lavoro richiesto per comprimere il liquido è molto piccolo rispetto al lavoro prodotto dall’espansione del vapore. Possono perciò essere tollerati rendimenti anche modesti nel processo di compressione del liquido fatto dalla pompa e nel processo di espansione del vapore che avviene in turbina. Al contrario, quando si vuole impiegare un fluido di lavoro che rimane in fase gassosa lungo tutto il ciclo, il processo di compressione del gas richiede una parte notevole del lavoro di espansione prodotto dalla turbina. Il basso rapporto tra lavoro di compressione del liquido e lavoro ottenuto in turbina è stato il motivo determinante nell’affermazione iniziale dell’impianto a vapore, come unica tecnologia in grado di produrre potenze elevate. Confrontiamo adesso l’impianto motore con turbina a gas con il motore alternativo a combustione interna. In quest’ultimo sistema l’intervallo di temperatura, entro cui avviene il ciclo, è così ampio che il gas a bassa temperatura da comprimere è molto più denso del gas ad alta temperatura che viene fatto espandere e quindi il rapporto tra lavoro richiesto dalla compressione e lavoro prodotto dall’espansione è ancora basso. Inoltre nei motori alternativi a combustione interna è possibile raggiungere temperature estremamente elevate (fino a 2700 K), proprio perché il moto alternativo fa sì che le parti del motore affacciate alla camera di combustione vengano esposte a temperature tanto alte per tempi brevissimi; la struttura poi del motore alternativo è tale da intervenire con un raffreddamento efficace anche nelle parti più esposte. Al contrario, nella turbina a gas occorre limitare in modo drastico le temperature di ingresso in turbina in funzione delle caratteristiche di resistenza del materiale che costituisce la palettatura della turbina; esistono inoltre delle difficoltà di refrigerazione delle parti più esposte proprio a causa del moto rotante del sistema. Queste temperature massime, che nelle turbine a gas normali vengono solitamente limitate a 1300 ÷ 1350 K mentre nelle turbine per impieghi militari, con sistemi di raffreddamento estremamente efficienti, possono arrivare fino a 1500 ÷ 1600 K, sono ottenute lavorando con eccessi di aria elevati, cioè con una quantità di aria che, essendo maggiore di quanto richiesto dalla combustione completa (stechiometrica), è in grado di diluire i prodotti di combustione abbassandone la temperatura. In conseguenza delle più basse temperature massime, il sistema turbina a gas opera su un fluido che si trova a una massa volumica, durante la compressione, non molto diversa da quella che ha durante l’espansione. Ciò, a differenza del motore alternativo, porta a un valore elevato del rapporto tra il lavoro del compressore e quello della turbina e quindi solo con elevati rendimenti interni del compressore e della turbina è possibile ottenere un lavoro risultante sufficiente a garantire un rendimento globale ancora accettabile dell’impianto motore con turbina a gas. A causa di problemi di fluidodinamica, è più difficile progettare un compressore efficiente che una turbina efficiente; fino al 1940 non si disponeva infatti di turbocompressori con rendimenti interni sufficientemente elevati da far sì che il lavoro risultante di tutto l’impianto (lavoro della turbina meno quello del compressore e degli ausiliari) fosse maggiore di zero. Da allora molti passi sono stati fatti nella tecnologia dei turbocompressori e attualmente, per alcuni impieghi, gli impianti con turbina a gas sono competitivi con gli impianti a vapore e i motori alternativi a combustione interna. I rendimenti globali raggiungibili con i tre sistemi che abbiamo confrontato sono dell’ordine di: 0,40 per grossi impianti termoelettrici; questo valore del rendimento non può essere ulteriormente migliorato in quanto è limitato dal fatto che il fluido (cioè il vapore) lavora a temperature massime del ciclo piuttosto basse (≈ 900 K) e quindi il rendimento, per il secondo principio della termodinamica, non può essere molto alto. Ad ogni modo un rendimento globale di 0,40 rappresenta un valore molto buono che viene ottenuto perché questa è stata la prima tecnologia a svilupparsi e perché si lavora su impianti molto grandi; 0,55 in grossi motori Diesel che funzionano a regime fisso; questo valore è giustificato dalle altissime temperature del ciclo che possono essere tollerate dai materiali in quanto vengono raggiunte solo per brevissimi istanti nel ciclo;
459
460
CAPITOLO 22. – CONFRONTO DEI SISTEMI ENERGETICI
0,34 per impianti con turbina a gas; tale rendimento potrà essere migliorato nella misura in cui venga aumentata la temperatura massima del ciclo, cioè quella del gas all’ingresso in turbina, e i rendimenti interni del compressore e della turbina; 0,49 è il rendimento conseguibile qualora venga accoppiato, in un ciclo combinato, il ciclo della turbina a gas con il ciclo a vapore: l’energia termica ancora presente nei gas di scarico della turbina viene utilizzata come fonte di calore per l’acqua che viene fatta evaporare ed effettua un ciclo a vapore. Se da una parte la turbina a gas presenta dei problemi di rendimento globale, dall’altra parte presenta numerosi vantaggi non indifferenti nelle applicazioni. Innanzitutto si tratta di un impianto molto semplice. Rispetto all’impianto a vapore non abbiamo la caldaia in quanto vengono utilizzati direttamente i gas prodotti dalla combustione; il condensatore è pure soppresso perché i gas combusti vengono solitamente scaricati nell’atmosfera e sostituiti con aria fresca. Rispetto al motore alternativo, la turbina a gas è di costruzione più compatta e molto più leggera; ciò è reso possibile dalle parti in moto rotatorio e dalle minori pressioni massime di combustione. L’inquinamento inoltre, a causa del funzionamento con notevoli eccessi di aria (miscele molto povere) e con basse temperature massime di combustione, è tendenzialmente minore. Gli impianti con turbina a gas offrono il vantaggio di una messa in marcia sufficientemente rapida per raggiungere il massimo carico; un impianto motore a vapore richiede fino a 24 ore di tempo per raggiungere la massima potenza con partenza a freddo, in gran parte a causa del tempo richiesto per la regimazione termica della caldaia. Molti impianti impiegano sistemi a vapore per soddisfare le richieste medie dell’utenza e turbine a gas da 25 a 50 MW per soddisfare i valori di punta.
22. 5
IL RECUPERO DELL’ENERGIA TERMICA NEL MOTORE DIESEL Il rendimento così elevato che è possibile (Tabella 22.1) raggiungere sul motore ad accensione per compressione, o motore a ciclo Diesel, è dovuto in primo luogo alle caratteristiche della combustione. In secondo luogo occorre tener conto di tutti quei sistemi messi in opera per recuperare l’energia termica. Abbiamo già parlato della sovralimentazione con turbina a gas di scarico che costituisce la forma base di recupero di parte dell’energia contenuta nei gas di scarico. La temperatura massima dei gas di scarico del motore Diesel (in particolare di quello a iniezione diretta) è notevolmente più bassa (≈ 650 °C) di quella del motore ad accensione comandata (≈ 850 °C). Pur tuttavia la sovralimentazione è applicata principalmente al motore ad accensione per compressione in quanto qui non esiste il pericolo, tipico del motore ad accensione comandata, della detonazione allorché si aumenta la pressione di mandata dell’aria che alimenta il motore. Sempre per i motori ad accensione per compressione, ma limitatamente alle versioni con potenze più elevate, si può impiegare un’ulteriore forma di recupero di parte dell’energia dei gas di scarico attraverso una seconda turbina (detta di potenza) che riversa la sua potenza non sul compressore ma sull’albero motore. Una forma più completa di recupero dell’energia è quella di inviare l’acqua utilizzata per il raffreddamento in una caldaia dove, sfruttando l’energia contenuta nei gas di scarico, viene generato vapore a bassa pressione. Nei grandi motori marini lenti a due tempi ad accensione per compressione (velocità di rotazione n < 7 giri/s) il beneficio derivante dall’aumento del rendimento utile può giustificare l’installazione di sistemi ancor più completi di recupero dell’energia. Vengono, ad esempio, impiegati sistemi di interrefrigerazione dell’aria compressa mandata al motore in tre stadi aventi le seguenti funzioni:
22.5. – IL RECUPERO DELL’ENERGIA TERMICA NEL MOTORE DIESEL
– il primo stadio produce acqua calda pressurizzata per il riscaldamento degli impianti e delle linee di combustibile; – il secondo stadio fornisce l’acqua di alimentazione alla caldaia che, utilizzando il calore dei gas di scarico, genera vapore a bassa pressione, fatto espandere poi in una turbina a vapore per produrre l’elettricità necessaria agli impianti di bordo; – nel terzo stadio viene semplicemente fatta circolare acqua di mare in modo da raggiungere la temperatura voluta dell’aria che alimenta il motore. In questo modo viene realizzato un ciclo combinato (ciclo Diesel del motore ad accensione per compressione + ciclo a vapore che utilizza parte dell’energia spesa nell’interrefrigerazione e parte dell’energia dei gas di scarico), analogo a quello illustrato per gli impianti con turbina a gas, ma con rendimenti ancora maggiori (Tabella 22.1): il rendimento del motore ad accensione per compressione passa da 0,51 (soluzione base) a 0,53 (soluzione turbocomposita) e quindi a 0,55 (ciclo combinato) contro 0,49 del ciclo combinato dell’impianto con turbina a gas. Sempre sul recupero dell’energia termica allo scarico è basato il sistema modulare ad energia totale (dall’inglese “Total Energy Module”): il modulo base è costituito da un motore alternativo ( Diesel oppure ad accensione comandata) di cui si cerca di utilizzare l’energia totale come somma dell’energia elettrica generata all’albero e dell’energia termica recuperata dai gas di scarico con uno scambiatore; l’insieme di più moduli, unitamente ad altre forme di risparmio energetico rese possibili dal sistema in cui sono inseriti i moduli, costituisce un aggregato che viene principalmente utilizzato per la produzione di energia elettrica e termica centralizzata. L’energia elettrica eccedente le richieste del sistema viene rimessa in rete.
1
2 14 3 13 4 12 5 11
10
9
8
7
Fig. 22.5 - Sistema “Total Energy Module”. 1 Motore termico 6 Scambiatore acqua/acqua 2 Serbatoio dell’acqua 7 Generatore elettrico 3 Scambiatore gas/acqua 8 Gas di scarico 4 Scambiatore olio/acqua 9 Collegamento alla rete elettrica 5 Contenitore dell’olio 10 Uscita acqua calda
6
11 12 13 14
Ingresso acqua fredda Isolamento termico e acustico Ingresso aria Alimentazione del combustibile (in questo caso gas naturale)
461
462
CAPITOLO 22. – CONFRONTO DEI SISTEMI ENERGETICI
22. 6
SOMMARIO Esempi di conversioni non cicliche sono la generazione di energia elettrica con le turbine eoliche o con le turbine idrauliche sfruttando rispettivamente l’energia del vento o dell’acqua di un bacino; con le macchine reversibili è possibile compiere questa operazione in senso inverso pompando acqua al bacino in modo da poter riutilizzare l’energia immagazzinata nelle ore di punta. Un altro esempio di conversione non ciclica, particolarmente interessante sia per l’elevato rendimento (> 70%) sia per l’assenza di inquinamento, è rappresentato dalla pila a combustibile con cui, partendo dall’idrogeno come combustibile, si produce energia elettrica che viene poi utilizzata per la propulsione del veicolo con i normali motori elettrici. Per una macchina, quale il motore termico, che nel convertire l’energia termica in lavoro meccanico effettua un ciclo termodinamico, il limite superiore al rendimento è quello del ciclo di Carnot. Risulta così che l’utilità di una data quantità di energia termica per generare lavoro dipende anche dalla temperatura della sorgente dalla quale essa viene fornita: l’energia ad alta temperatura è di alto grado, mentre quella a bassa temperatura è di basso grado. I motori alternativi a combustione interna, e in particolare i motori Diesel, presentano i rendimenti più alti in assoluto tra tutte le macchine termiche; ciò è tanto più rilevante se si pensa che motori di potenza relativamente modesta (da 0,3 a 0,5 MW) per il trasporto stradale pesante vengono confrontati con impianti motori a vapore di potenza estremamente elevata (200 MW) sui quali, proprio per le dimensioni, sono consentiti risparmi notevoli per l’accentramento degli ausiliari e dei sistemi di abbattimento degli inquinanti.
APPENDICE
A.1 A.1.1 A.1.2 A.1.3 A.1.4
Algebra Proporzioni Risoluzione di equazioni Sistemi di equazioni Equazioni di secondo grado
A.2 A.2.1 A.2.2
Esponenti e logaritmi Esponenti Logaritmi
A.3 A.3.1 A.3.2 A.3.3 A.3.4
Geometria e trigonometria Angoli Triangoli Triangolo rettangolo Triangolo qualunque
A.4
Travi inflesse
A.5
Proprietà di alcuni gas perfetti
A.6
Trasformazioni del gas perfetto
APPENDICE
A. 1
ALGEBRA A. 1. 1 Proporzioni Due variabili x ed y sono direttamente proporzionali (in simboli x ∼ y oppure x ∝ y) quando raddoppiando una (ad esempio la x) anche l’altra (la y) raddoppia; allo stesso modo, se la x viene dimezzata, anche la y si riduce a metà del valore che aveva inizialmente. Dal momento che le due variabili proporzionali x ed y sempre aumentano oppure diminuiscono dello stesso fattore, allora il rapporto tra x ed y deve avere un valore costante k (es.: 2, 3, ecc.), cioè x/y = k, dove k è una costante indipendente dai valori di x e di y. La proporzionalità x ∼ y può allora venire espressa dall’equazione x = ky (es.: x = 2y, x = 3y, ecc.), dove la costante k prende il nome di costante di proporzionalità. Quando la variabile x aumenta di un dato fattore mentre l’altra variabile y diminuisce contemporaneamente dello stesso fattore, si dice che le due variabili x ed y sono inversamente proporzionali e si scrive: x ∼ 1/y oppure x ∝ 1/y (es.: x = 2/y). Questo tipo di proporzionalità si esprime allora con l’equazione xy = k (es.: xy = 2), dove k è una costante di proporzionalità indipendente da x e da y.
A. 1. 2 Risoluzione di equazioni Per la sua risoluzione l’equazione deve essere manipolata; queste manipolazioni devono avvenire in modo tale che qualsiasi modifica apportata ad un suo membro (la parte che si trova da un lato dell’uguale) venga anche introdotta nell’altro membro (la parte dell’equazione che si trova dall’altro lato del segno di uguale): qualsiasi cosa si faccia nel primo membro dell’equazione, deve essere fatta anche nel secondo membro. Si consideri, ad esempio, l’equazione a = b + cx, da risolversi rispetto alla grandezza incognita x poiché si assume che le grandezze a, b e c siano conosciute. Si sottrae dapprima da ambo i membri b: a = b + cx ⇒ a − b = b − b + cx ⇒ a − b = cx Si dividono ambedue i membri per c, ottenendo così il valore dell’incognita x: a − b cx a−b a−b a − b = cx ⇒ = ⇒ = x ⇒ x= c c c c Conviene adesso verificare che queste operazioni siano state eseguite in modo corretto sostituendo il valore di x ottenuto nell’equazione originaria: a−b a = b + cx ⇒ a = b + c ⇒ a = b + (a − b) ⇒ a = a c
466
APPENDICE
Il risultato della sostituzione a = a significa che le operazioni sono avvenute in modo corretto. Quanto fatto sopra equivale a portare la grandezza nota b, con il segno cambiato, nel primo membro e quindi dividere ambedue i membri per c in modo che tutti i termini noti risultino nel primo membro, mentre l’incognita x rimanga isolata nel secondo membro: a = b + cx
a − b = cx
⇒
⇒
x=
a−b c
A. 1. 3 Sistemi di equazioni Quando una sola equazione contiene più di una incognita, sono necessarie delle altre equazioni per poter trovare il valore di tutte le incognite. Così non è possibile ottenere i valori delle due incognite x ed y dalla risoluzione dell’unica equazione 3x – y = 3. Tuttavia se contemporaneamente le due incognite devono verificare anche l’equazione 2x + 3y = 13, allora la risoluzione del sistema formato dalle due equazioni: 3 x − y = 3 2 x + 3 y = 13 consente di ricavare i valori delle due incognite x ed y. Esistono diversi modi per risolvere i sistemi di equazioni; un modo è quello di risolvere una delle equazioni rispetto ad una delle incognite, ad esempio rispetto ad x, la prima equazione: 3x − y = 3 ⇒ 3x − y + y = 3 + y ⇒ 3x = 3 + y ⇒ 3x 3 + y = 3 3
x=
⇒
3+ y 3
e sostituire l’espressione di x così ottenuta nella seconda equazione: 2 x + 3 y = 13
⇒
3 + 2 3
6 + 2 y 3 + 3 y = 3 × 13 3 6 − 6 + 11y = 39 − 6
⇒
y + 3 y = 13 ⇒
⇒
6 + 2y + 3 y = 13 3
6 + 2 y + 9 y = 39
11 y = 33
⇒
11y 33 = 11 11
⇒
⇒
6 + 11 y = 39 ⇒
⇒
y =3
Il valore di y viene quindi sostituito nell’espressione di x, ottenuta dalla risoluzione della prima equazione, ricavando così anche il valore di x: x=
3+ y 3
⇒
x=
3+3 6 = =2 3 3
A. 1. 4 Equazioni di secondo grado Un’equazione di secondo grado ha la forma generale: a x2 + b x + c = 0
A.1-1
dove a, b e c sono delle costanti indipendenti dalla variabile x. Le soluzioni, o radici, dell’equazione sono i due valori di x: x1 =
−b +
b 2 − 4 ac 2a
x2 =
−b −
b 2 − 4 ac 2a
A.1-2
A.2. – ESPONENTI E LOGARITMI
che differiscono tra loro per il segno + oppure – che precede la quantità sotto radice quadrata, detta discriminante perché il fatto di essere b2 – 4ac positivo, nullo o negativo differenzia tra loro, cioè discrimina, le soluzioni dell’equazione. Come esempio di applicazione delle formule citate si consideri l’equazione x 2 – 2x – 24 = 0: per la A.1-1 le costanti di questa equazione sono a = + 1, b = – 2 e c = – 24, mentre le radici, secondo la A.1-2, valgono: x1 =
− b + b 2 − 4 ac − ( − 2 ) + ( − 2 )2 − [4 × 1 × ( − 24 )] + 2 + 4 + 96 + 2 + 100 + 2 + 10 12 = = = = = =6 2a 2 ×1 2 2 2 2
x2 =
− b + b 2 − 4 ac − ( − 2 ) − ( − 2 )2 − [4 × 1 × ( − 24 )] + 2 − 100 + 2 − 10 − 8 = −4 = = = = 2 2a 2 ×1 2 2
A. 2
ESPONENTI E LOGARITMI A. 2. 1 Esponenti Il modulo di elasticità dell’acciaio vale 210.000 MPa; utilizzando la notazione scientifica che fa riferimento alle potenze di 10, può essere scritto come 210 × 103 MPa equivalente a 210 × 1000 MPa essendo 1000 = 10 × 10 × 10 = 103 come mostrato dalla Tabella A.2.1. Tabella A.2.1 Potenze di 10 10 − 3 =
1 1 = = 0,001 10 × 10 × 10 1000
100 = 1 101 = 10
102 = 10 × 10 = 100
10 − 2 =
1 1 = = 0,01 10 × 10 100
10 − 1 =
1 = 0,1 10
103 = 10 × 10 × 10 = 1000
I numeri scritti con la notazione scientifica possono essere moltiplicati oppure divisi secondo le usuali regole dell’algebra applicate agli esponenti: 1 = 10 − n 10n
10n × 10m = 10n + m
10n = 10n − m 10m
A.2-1
Le regole sulle operazioni relative alle potenze di 10 sono quelle stesse che si applicano nel caso più generale in cui si abbia l’espressione y n (oppure z m, ecc.), dove y è la base ed n è l’esponente (o potenza): 0
y =1 n
z zn = n y y y1 = y
y
−n
1 1 = n = y y ym = y m− n yn
y ny m = y n + m
n
[con y ≠ 0]
[con y ≠ 0]
y nz n = (yz)n
(y n)m = y nm
A.2-2
A.2-2′ A.2-3
467
468
APPENDICE
Ad esempio, il volume V di un cartellone pubblicitario spesso 1,72 × 10– 1 mm, lungo 8,64 × 102 mm ed alto 2,8 × 103 mm risulta: = spessore × lunghezza × altezza = = 1, 72 × 10 − 1 mm × 8, 64 × 102 mm × 2, 8 × 103 mm = = 1, 72 × 8, 64 × 2, 8 × 10 − 1 × 102 × 103 mm × mm × mm = = 41, 61 × 10 − 1 + 2 + 3 mm1 + 1 + 1 = 41, 61 × 104 mm 3 Questo volume può essere espresso anche in m3; tenendo presente che 1 mm = 10– 3 m (Tabella II di copertina), risulta: V = 41,61 × 104 mm3 = 41,61 × 104 (10– 3 m)3 = 41,61 × 104 × 10– 9 m3 = 41,61 10– 5 m3 Le radici, come ad esempio una radice quadrata oppure cubica oppure una radice alla quarta, possono venire rappresentate da esponenti frazionari oppure dal numero decimale uguale a quella data frazione: y = y1/2 = y 0, 5
3
y = y1/3 ≈ y 0, 33
4
y = y1/4 = y 0, 25
Nel caso generale si scrive: n
y = y1/n
A.2-4
con ulteriori esemplificazioni ricavate dalle formule A.2-3 citate sopra: n
y m = ( y m )1/n = y m /n m n
y =
m
n
yz = ( yz )1/n
y (1/n ) = [ y (1/n ) ](1/m) = y (1/mn )
A.2-5 A.2-5′
A. 2. 2 Logaritmi I logaritmi sono collegati agli esponenti. È infatti possibile esprimere un qualsiasi numero y in un altro numero b innalzato all’esponente x (y = b x ) dove l’esponente x è chiamato logaritmo del numero y mentre b è la base (x = log b y); in altre parole il logaritmo del numero y rispetto alla base b rappresenta l’esponente x da dare alla base b per ottenere y. Le due espressioni citate sono perciò equivalenti: x = log b y equivalente a y = b x A.2-6 Quando la base b è uguale a 10 il logaritmo è noto come logaritmo decimale e si indica con il simbolo “log”: z = log y oppure y = 10 z A.2-7 Quando la base b è uguale ad e = 2,718…, il logaritmo prende nome di logaritmo naturale e si scrive “ln”: x = ln y oppure y = ex A.2-8 Assegnato ad esempio y = 19,5, queste formule danno: z = log y = log (19, 5) = 1, 29
oppure
y = 10 z = 101,29 = 19, 498 ≈ 19, 5
x = ln y = ln (19, 5) = 2, 97
oppure
y = e x = e 2,97 = 19, 4919 ≈ 19, 5
Prendendo il logaritmo naturale di ambedue i membri dell’equazione y = e x, si ottiene, per la A.2-8, lny = ln(e x ) = x. Se, per esempio, occorre calcolare x nell’equazione 4,96 = e x , si trova x = ln4,96 = 1,60. Nelle operazioni sui due numeri x ed y sono molto utili le regole seguenti: ln(xy) = ln x + ln y ln (x/y) = lnx – ln y ln (x n) = nln x
A.2-9
A.3. – GEOMETRIA E TRIGONOMETRIA
Queste relazioni, anche se espresse in funzione dei logaritmi naturali (cioè in base e), sono valide qualsiasi sia la base del logaritmo e quindi anche per i logaritmi in base 10.
A. 3
GEOMETRIA E TRIGONOMETRIA A. 3. 1 Angoli L’angolo si misura (Paragrafo 1.12) in radianti [rad] oppure in gradi decimali [°]. Si passa dai gradi ai radianti moltiplicando i gradi per 0,0175 (Tabella I di copertina); l’angolo di 180° corrisponde a π (180 × 0,0175 = 3,15 ≈ 3,14). Un angolo è (Figura A.3.1): – acuto se è minore di 90° (π /2 rad); – ottuso se è maggiore di 90° (π /2 rad) ma minore di 180° (π rad); – concavo se è maggiore di 180° (π rad) ma minore di 360° (2π rad); – retto se è uguale a 90° (π /2 rad); – piatto se è uguale a 180° (π rad), cioè una retta. Due angoli sono: – complementari quando la loro somma è uguale a 90° (π /2 rad); – supplementari quando la loro somma è uguale a 180° (π rad); – adiacenti quando hanno un vertice comune ed un lato (quello interno); angoli adiacenti sono supplementari soltanto se i loro lati esterni formano una retta; – opposti al vertice quando il vertice è comune e i lati sono costituiti da due rette che si intersecano (Figura A.3.2-a).
a
c
b
α
α
α α < 90°
α > 90°
䡵
a) Acuto.
䡵
b) Ottuso.
䡵
α = 180°
c) Concavo.
䡵
d) Retto.
䡵
e) Piatto.
Due angoli sono uguali quando: – sono angoli opposti al vertice (Figura A.3.2-a);
α
α 90°
– i loro lati sono paralleli (Figura A.3.2-b); – i loro lati sono mutuamente perpendicolari (Figura A.3.2-c).
α α α
90°
α
Fig. A.3.2 - Angoli uguali. 䡵 a) Angoli opposti al vertice. paralleli. 䡵 c) Angoli con lati mutuamente perpendicolari.
α α = 90°
c
b
e
α 180° < α < 360°
Fig. A.3.1 - Diversi tipi di angoli.
a
d
䡵
b) Angoli con lati
469
470
APPENDICE
A. 3. 2 Triangoli b
γ
Un triangolo (Figura A.3.3) è un poligono chiuso da tre lati con tre angoli la cui somma è uguale a 180° (π rad). Un triangolo è:
a
– rettangolo quando ha un angolo di 90° (π/2 rad);
β
α
– isoscele quando due lati sono uguali;
c
Fig. A.3.3 - La somma degli angoli di un triangolo è uguale a 180° (π rad): α + β + γ = 180°.
b1 1
α
– equilatero quando i tre lati sono uguali; ciascun angolo vale 60° (π /3). Due triangoli sono simili quando due angoli di un triangolo sono uguali ai due angoli dell’altro triangolo. I lati corrispondenti di triangoli simili (Figura A.3.4) sono tra loro proporzionali:
a1
β
a1 b c = 1 = 1 a2 b2 c2
c1 b2
A.3-1
a2 2
α
β
c2
Fig. A.3.4 - Triangoli simili.
A. 3. 3 Triangolo rettangolo Nel triangolo rettangolo (Figura A.3.5-a) il lato più lungo, opposto all’angolo di 90°, prende il nome di ipotenusa, mentre gli altri due lati si chiamano cateti. Il teorema di Pitagora stabilisce che il quadrato costruito sull’ipotenusa è uguale alla somma dei quadrati costruiti sui due cateti: b2 = a 2 + c2 > A.3-2
C
γ b
= 90° (ipotenusa) (cateto verticale opposto ad α ) (cateto orizzontale adiacente ad α )
β
α A
a
β b a c
c
B
Fig. A.3.5-a - Triangolo rettangolo a cui si riferiscono i simboli utilizzati per il teorema di Pitagora e le formule di seno, coseno e tangente.
Le principali funzioni trigonometriche sono seno, coseno e tangente: senα =
Lunghezza del cateto opposto ad α a = Lunghezza dell’ipotenusa b
A.3-3
A.3. – GEOMETRIA E TRIGONOMETRIA
cosα =
Lunghezza del cateto adiacente ad α c = Lunghezza dell’ipotenusa b
A.3-4
tanα =
Lunghezza del cateto opposto ad α a = Lunghezza del cateto adiacente ad α c
A.3-5
Alcune volte è conveniente fare uso della cotangente: 1 tanα
cotα =
A.3-6
Quando è assegnata la lunghezza dell’ipotenusa b, e la sua inclinazione espressa mediante i numeri m ed n assegnati rispettivamente al cateto a e al cateto c, il problema di trovare le lunghezze effettive dei due cateti si risolve con la proporzione (Figura A.3.5-b): b
=
m2 + n2 b
a=m 2
n +m
a c = m n
A.3-6 b
c=n 2
A.3-7
2
n + m2
Sia, ad esempio, assegnata l’ipotenusa b = 500 (potrebbe trattarsi della forza di 500 N); l’inclinazione dell’ipotenusa viene specificata attribuendo m = 4 al cateto a e n = 3 al cateto c. Applicando le formule ricavate sopra, le lunghezze dei due cateti risultano: b
a=m 2
=4
n +m
2
b
c=n 2
n +m
3 +4 500 2
3 +4
500
=4
2
=3 2
500 2
=4
25 =3
2
500 25
=3
500 = 4 × 100 = 400 5
500 = 3 × 100 = 300 5
C
γ b m 2 + n2
n
α A
c
a m
β B
Fig. A.3.5-b - Assegnata la lunghezza dell’ipotenusa b, si ricavano le lunghezze dei cateti a e c, individuati rispettivamente dai numeri m ed n mediante una proporzione di triangoli simili.
Le funzioni trigonometriche possono essere rappresentate in un cerchio di raggio unitario (Figura A.3.6) nel quale l’angolo α positivo viene misurato nel senso antiorario a partire dal semiasse x positivo; in questo cerchio viene inscritto un triangolo rettangolo avente un’ipotenusa di lunghezza unitaria. Tutte e tre le funzioni (seno, coseno e tangente) sono positive per angoli 0° ⭐ α ⭐ 90°; per angoli 90° < α ⭐ 180° solo il seno risulta positivo. Per riassumere il segno di ciascuna funzione trigonometrica viene utilizzato il concetto di quadrante (Figura A.3.6): gli angoli fino a 90° appartengono al quadrante I, quelli tra 90° e 180° sono nel quadrante II e così via.
471
APPENDICE
+y
+y
Quadrante II sen + cos – tan –
Quadrante I sen + cos + tan +
150°
1
arc
sen
tan
α
–x
+x
–x
+x
1
cos
r=
472
1
– 68°
+ 292°
cot sen – cos – tan – Quadrante III
–y
–y
sen – cos + tan – Quadrante IV
Fig. A.3.6 - Funzioni trigonometriche (seno, coseno, tangente e cotangente) corrispondono alle lunghezze dei vari segmenti in un triangolo rettangolo, con ipotenusa di lunghezza 1, inscritto nel cerchio di raggio uguale ad 1. Gli angoli sono misurati a partire dal semiasse x positivo: sono indicati gli angoli di + 150° e + 292°, ambedue positivi perché misurati in senso antiorario; all’angolo di + 292° corrisponde l’angolo negativo di – 68° (360° – 292°) perché misurato in senso orario.
Le curve di seno, coseno e tangente (Figura A.3.7) sono simmetriche rispetto ad un asse orizzontale; parti di queste curve sono simmetriche rispetto ad un asse verticale. I valori di seno e coseno si ripetono ogni 360° (2π rad), mentre i loro valori assoluti si ripetono ogni 180° (π rad); la tangente si ripete ogni 180°, e in valore assoluto ogni 90°. La Tabella A.3.1 riassume le relazioni tra le funzioni trigonometriche al variare dell’angolo α.
tan cos −
π 2
+1 π 2
0
sen π
3π 2 2π
θ
–1
Fig. A.3.7 - Periodicità delle funzioni trigonometriche seno, coseno e tangente.
Tabella A.3.1 Relazioni tra le funzioni trigonometriche al variare dell’angolo f (α) sen cos tan
° rad
–α –α
90° – α π/2 – α
90° + α π/2 + α
180° – α π–α
180° + α π+α
– sen α + cos α – tan α
+ cos α + sen α + cot α
+ cos α – sen α – cot α
+ sen α – cos α – tan α
– sen α – cos α + tan α
Come esemplificazione della Tabella A.3.1 si citano le seguenti operazioni che si possono eseguire con un calcolatore da tasca, avendo cura di impostare preventivamente gradi decimali oppure radianti nella misura dell’angolo (Tabella A.3.2).
A.3. – GEOMETRIA E TRIGONOMETRIA
Calcolatore
Tabella A.3.2
sen (– 30°) = – 0,5 sen (30°) = 0,5 tan (0,785 rad) = 0,999 cos (150°) = – 0,866 sen (225°) = – 0,707 cos (1,983 rad) = – 0,40
sen (– 30°) = – sen (30°) = – 0,5 sen (30°) = + cos (90° – 30°) = cos (60°) = 0,5 tan (0,785 rad) = + cot (π/2 – 0,785) rad = + cot (1,57 − 0,785) rad = 1/[tan (0,785 rad)] = 1,0 cos (150°) = – cos (180° – 150°) = – cos (30°) = – 0,866 sen (225°) = – sen (180° + 45°) = – sen (45°) = – 0,707 cos (1,983 rad) = − cos (π − 1,983) rad = – cos (π – 1,983) rad = – cos (1,157 rad) = – 0,40
Di seguito si riportano due tra le più importanti identità trigonometriche; per le altre si rimanda ai manuali: senα = tanα A.3-8 cosα sen2α + cos2α = 1
A.3-9
Quando l’angolo α è molto piccolo, la lunghezza dell’ipotenusa e del cateto adiacente è essenzialmente la stessa e quindi si possono fare le seguenti approssimazioni valide nel caso di seno e tangente per α < 10° (0,175 rad) e nel caso del coseno per α < 5° (0,0873 rad): senα ≈ tan α ≈ α cosα ≈ 1
α < 0 ,175 rad
α < 0 ,0873 rad
>
A.3-10
>
A.3-11
Se, ad esempio, si prende un angolo molto piccolo come α = 0,07 rad (pari a 4°), i valori di seno e tangente coincidono praticamente con α, mentre il coseno è prossimo ad 1: sen (0,07) = 0,069942 ≈ tan (0,07) = 0,070114 ≈ α = 0,07
cos (0,07) = 0,997551 ≈ 1
Nota la funzione trigonometrica, si può ricavare l’angolo mediante la funzione inversa, designata aggiungendo il prefisso “arc” alla funzione stessa come α = arcsen x che significa appunto arco il cui seno è x A.3.1: α = arcsen x α = arccos y α = arctan z A.3-12 così come risulta dagli esempi seguenti: α = arcsen x = arcsen (0,5) = 30° α = arccos y = arccos (0,415) = 65,48° α = arctan z = arctan (0,217) = 12,24°
A. 3. 4 Triangolo qualunque I teoremi del cosenoA.3.2 e dei seni si applicano ad un triangolo qualunque (Figura A.3.8) e non soltanto al triangolo rettangolo: a 2 = b 2 + c 2 − 2 bc cos α b 2 = a 2 + c 2 − 2 ac cos β
>
A.3-13
c 2 = a 2 + b 2 − 2 ab cos γ A.3.1 - I valori delle funzioni inverse di seno e tangente sono compresi nell’intervallo – π /2 ⭐ α ⭐ + π/2, mentre i valori della funzione inversa del coseno
lo sono in 0 ⭐ α ⭐ π. A.3.2 - Se si pone β = 90° nella formula del coseno, questa si riduce al teo-
rema di Pitagora in quanto è cos 90° = 0; infatti con β = 90° il triangolo qualunque della Figura A.3.8 diviene il triangolo rettangolo della Figura A.3.5-a.
473
474
APPENDICE
a b c = = senα sen β senγ
>
A.3-14
C
γ a
b
α A
β B
c
Fig. A.3.8 - Triangolo qualunque cui si riferiscono i simboli utilizzati per il teorema del coseno e per quello dei seni.
A. 4
A. 4-1
TRAVI INFLESSE - Diagramma delle azioni interne (forza di taglio T e momento flettente M A.4.1) e reazioni vincolari Incastro - carico di estremità
A. 4-2
Incastro - carico in un punto generico della trave y
y
l a
F
l A
F
b
B
A
C
x M1
x M1
R1
R1
T
T
!
! x
x
M
M
R1 = F T = +F
@
x
@
M1 = Fl
M = F (x − l)
M max = − Fl
x
R1 = F M1 = Fa TAB = + F
TBC = 0
MAB = F ( x − a )
M BC = 0
M max = − Fa
A.4.1 - Al contrario di quanto avviene nella letteratura italiana, si sono tracciati i momenti positivi al di sopra dell’asse della trave e quelli negativi al di sotto dell’asse; la spiegazione è data nella nota 7.1 del Capitolo 7.
A.4. – TRAVI INFLESSE
A. 4-3
Incastro - coppia di estremità
A. 4-4
Incastro - carico distribuito (w [kN/m] è il carico per unità di lunghezza)
y
y l
M1
l
MB
A
w
x
B
x
A M1
R1
R1
T
T
! x
x
M
M x
@
! x R1 = 0 T =0
A. 4-5
R1 = wl
M1 = M B
M = M max = + M B
T = w (l − x )
Trave appoggiata - carico nel mezzo della trave y
A. 4-6
M =−
w (l − x ) 2 2
y F
a
B
A
C R1
R1
x
C
B
R1
! x
@
@ M
! x
R1 = R 2 =
TBC = −
x
M
!
F 2
x
T
!
TAB = +
wl 2 2
b
R1
T
M max = −
l
F
A
wl 2 2
Trave appoggiata - carico in un punto generico della trave
l l/2
M1 = −
F 2
MAB =
Fx 2
x
F 2
M BC =
R1 =
F Fl (l − x ) M max = + 2 4
TAB = +
Fb Fa TBC = − l l
MAB =
Fb l Fbx l
R2
Fa l
M BC =
Fa Fab (l − x ) M max = + l l
475
476
APPENDICE
A. 4-7
Trave appoggiata - carico uniformemente distribuito (w [kN/m] è il carico per unità di lunghezza) y
A. 4-8
Trave appoggiata - coppia applicata in un punto generico tra i due appoggi y
l
l b
a
w A
B
C
x R1
R1
R2
x
R2 MB
T
T
!
!
x
x
@
M
M
!
!
x
@ x
R1 = R2 =
T =
wl − wx 2
A. 4-9
wl 2
R1 = R2 =
wx (l − x ) 2
M =−
M max = +
wl 2 8
Trave appoggiata - due carichi uguali y
T =+
A. 4-10
A
MAB =
MB x l
MB (x − l) l
M BC =
Trave appoggiata - carico a sbalzo y
l a
MB l
MB l
F
F
B
C
a
l
R1
a
x
x
A
R1
R1
C
B
D
F
R2
T
T
!
!
x
@
x
@
M
M x
!
@ x R1 =
R1 = R2 = F TAB = + F
TBC = 0
M BC = M max = + Fa
TCD = − F
MAB = Fx ,
M CD = F (l − x )
Fa TBC = + F l = − Fa
TAB = − M max
Fa l
R2 =
MAB = −
F (l + a ) l Fax l
MAB = F ( x − l − a )
A.6. – TRASFORMAZIONI DEL GAS PERFETTO
A. 5
PROPRIETÀ DI ALCUNI GAS PERFETTI
Tabella A.5.1 Proprietà di alcuni gas perfetti La capacità termica massica a pressione costante cp , la capacità termica massica a volume costante cv , e il loro rapporto γ sono dati alla temperatura di 300 K. Per completare la descrizione delle proprietà dei gas, si è riportata anche la massa molecolare: massa del gas in kg riferita alla kmole, unità di misura della quantità di sostanza (Tabella 1.1). Gas
Formula chimica
Massa molecolare [kg/kmole]
R [kJ/(kg⋅K)]
cp [kJ/(kg⋅K)]
cv [kJ/(kg⋅K)]
γ
Aria Argon Butano Anidride carbonica Monossido di carbonio Etano Etilene Elio Idrogeno Metano Neon Azoto Ottano Ossigeno Propano Vapor d’acqua
– Ar C4H10 CO2 CO C2H6 C2H4 He H2 CH4 Ne N2 C8H18 O2 C3H8 H2O
28,97 39,948 58,124 44,01 28,01 30,07 28,054 4,003 2,016 16,04 20,183 28,013 114,23 31,999 44,097 18,015
0,287 00 0,208 13 0,143 04 0,188 92 0,296 83 0,276 50 0,296 37 2,077 03 4,124 18 0,518 35 0,411 95 0,296 80 0,072 79 0,259 83 0,188 55 0,461 52
1,0035 0,5203 1,7164 0,8418 1,0413 1,7662 1,5482 5,1926 14,2091 2,2537 1,0299 1,0416 1,7113 0,9216 1,6794 1,8723
0,7165 0,3122 1,5734 0,6529 0,7445 1,4897 1,2518 3,1156 10,0849 1,7354 0,6179 0,7448 1,6385 0,6618 1,4909 1,4108
1,400 1,667 1,091 1,289 1,400 1,186 1,237 1,667 1,409 1,299 1,667 1,400 1,044 1,393 1,126 1,327
A. 6 TRASFORMAZIONI DEL GAS PERFETTO Le equazioni che seguono possono essere espresse in altro modo mediante l’equazione di stato del gas perfetto pv = RT oppure con le formule che danno le capacità termiche in funzione della costante del gas: cv = R/(γ – 1) e cp = γ R/(γ – 1). Così RT può sostituire pv, dovunque appaia; ad esempio, nelle due formule A-46 ed A-47, che danno il lavoro in una trasformazione isoentropica del sistema chiuso, al posto di RT1 si può mettere p1v1. Tabella A.6.1 Temperatura costante (isoterma)/Sistema chiuso A-1
h2 − h1 = 0
v p2 = p1 1 v2
A-2
s2 − s1 =
p v2 = v1 1 p2
A-3
v = R ln 2 v1
A-10
A-4 A-5
p = R ln 1 p2
A-11
T = T1 = T2
l = 1q2 =
1 2
= T ( s2 − s1 ) v = RT ln 2 v1
A-6
p = RT ln 1 p2
A-7
q T
1 2
A-8 A-9
477
478
APPENDICE
Tabella A.6.2 Pressione costante (isobara)/Sistema chiuso p = p1 = p2
A-12
v T2 = T1 2 v1
A-13
T v2 = v1 2 T1
A-14
l = p (v2 − v1 )
1 2
= R (T2 − T1 ) q = h2 − h1
1 2
A-18
= cv (T2 − T1 ) + p (v2 − v1 )
A-19
γ p (v2 − v1 ) γ −1
A-21
p (v2 − v1 ) γ −1
A-22
T s2 − s1 = c p ln 2 T1
A-23
v = c p ln 2 v1
A-24
=
A-15 A-16 A-17
= c p (T2 − T1 )
=
u2 − u1 = cv (T2 − T1 )
A-20
Tabella A.6.3 Volume costante (isocora)/Sistema chiuso A-25
v = v1 = v2
h 2 − h1 = c p (T2 − T1 )
A-32
T p2 = p1 2 T1
A-26
p T2 = T1 2 p1
A-27
T s 2 − s 1 = cv ln 2 T1
A-34
A-28 A-29
p = cv ln 2 p1
A-35
l = 0
1 2
q = u2 − u1
1 2
= cv (T2 − T1 )
A-30
v ( p2 − p1 ) γ −1
A-31
=
=
γ v ( p2 − p1 ) γ −1
A-33
Tabella A.6.4 Isoentropica/Sistema chiuso (Adiabatica reversibile) v p2 = p1 1 v2 T = p1 2 T1 v T2 = T1 1 v2 p = T1 2 p1
γ
A-36 γ γ −1
A-37
γ −1
l = − ( u 2 − u1 ) = u1 − u 2
1 2
= cv ( T2 − T1 )
A-43
=
p1v1 − p 2 v 2 γ −1
A-44
=
R ( T1 − T2 ) γ −1
A-45
A-38 γ −1 γ
A-39
1
p γ v2 = v1 1 p2
A-40 1
T γ −1 = v1 1 T2
A-41
A-42
γ −1 v RT1 1− 1 γ − 1 v2 γ −1 p RT1 = 1 − 2 γ γ − 1 p1 1 q2 = 0
=
h 2 − h1 = cp ( T2 − T1 )
γ ( p 2 v 2 − p1v1 ) γ −1 s2 − s1 = 0 =
A-46
A-47 A-48 A-49 A-50 A-51
A.6. – TRASFORMAZIONI DEL GAS PERFETTO
Tabella A.6.5 Politropica/Sistema chiuso n
v p 2 = p1 1 v2
A-52
T = p1 2 T1 v T2 = T1 1 v2
T = v1 1 T2
A-53
n −1
p = T1 2 p1 p v 2 = v1 1 p2
n n −1
A-54 n −1 n
A-55
p2 v2 − p1v1 n −1 h 2 − h1 = c p (T2 − T1 ) =
n ( p2 v2 − p1v1 ) n −1 c (n − γ ) T2 s2 − s1 = v ln n − 1 T1 =
1 n
A-56
1 n −1
A-62 A-63 A-64 A-65 A-66 A-67 A-68
A-57
R ( T1 − T2 ) n−1 p v − p2 v2 = 11 n−1 n −1 v RT1 1− 1 = n−1 v2 n −1 p2 n RT1 = 1 − n − 1 p1
l =
1 2
cv (n − γ ) (T2 − T1 ) n −1 R (T1 − T2 ) = (u2 − u1 ) + n −1 u2 − u1 = cv (T2 − T1 ) q =
1 2
A-58 A-59 A-60
A-61
Tabella A.6.6 Isoentropica/Sistema aperto (p2, v2 e T2 sono gli stessi dell’isoentropica per il sistema chiuso) A-69
li = h 1 − h 2
A-70
= c p (T1 − T2 ) =
γ γ ( p1v1 − p2 v2 ) = R (T1 − T2 ) A-71 γ −1 γ −1
p γ γ− 1 γ = RT1 1 − 2 γ −1 p1
q= 0 u2 − u1 = cv (T2 − T1 ) s2 − s1 = 0
A-73 A-74 A-75
A-72
Tabella A.6.7 Politropica/Sistema aperto (p2, v2 e T2 sono gli stessi della politropica per il sistema chiuso) A-76
li = h 1 − h 2
A-77
= c p (T1 − T2 ) p n = RT1 1 − 2 n −1 p1
n −1 n
A-78 n n ( p1v1 − p2 v2 ) = = R (T1 − T2 ) A-79 n −1 n −1
cv (n − γ ) (T2 − T1 ) n −1 u2 − u1 = cv (T2 − T1 ) q=
s2 − s1 =
cv (n − γ ) T2 ln n − 1 T1
A-80 A-81 A-82
479
480
APPENDICE
Tabella A.6.8 Laminazione/Sistema aperto A-83 A-84
q= 0 u2 − u1 = 0
A-88 A-89
h 2 − h1 = 0
A-90
T2 = T1
A-85 A-86
li = 0
A-87
p1v1 = p2 v2 p2 < p1 v2 > v1
p s2 − s1 = ln 1 p2
A-91
v = ln 2 v1
A-92
INDICE ANALITICO
INDICE ANALITICO
A Accelerazione — definizione 8.1.1 — di gravità Esempio 8.5 — moto rettilineo ad accelerazione costante 8.1.2 — unità di misura 1.14, 8.1.1 Accensione — motori ad accensione comandata 21.1.1, 21.2 — motori ad accensione per compressione 21.1.1, 21.2 Accoppiamento — macchina operatrice – sistema idraulico 15.4 punto di funzionamento 15.4.1 — motore-veicolo (e curva di utilizzazione) 21.6 Acqua (diagramma del vapor d’acqua) Allegato Adiabatica (vedere Trasformazione) Aerogeneratore 15.7 Affinità (leggi di) 15.1.3 Algebra A.1 Alternative(i) — combustibili alternativi 13.2 — compressori alternativi 19.1 — motori alternativi a combustione interna 21.1 — pompe alternative 15.3 Altezza netta positiva di aspirazione (NPSH) 15.4.2 Ammissione (parzializzata e totale) 15.5.1 Angolo(i) — misura 1.12 — operazioni A.3.1 Anidride carbonica (vedere Diossido di carbonio) Anidride solforosa o diossido di zolfo [SO2] (vedere Emissioni) Area — della superficie Tabella VI — unità di misura 1.8 Aria Tabella A.5.1 Assiali (vedere Turbomacchine) Attrito — coefficiente di resistenza d’attrito 11.1 — fattore di attrito 14.6 — radente 11.1 — volvente 11.2 Azione(i) — azioni interne nelle travi inflesse 7.1 — turbine ad azione (Pelton) 15.5.1
B Balje (diagramma di) Baricentro — coordinate — definizione Battente (pompe sotto battente) Bernoulli (equazione di Bernoulli) Biella Bilancio termico Brayton (ciclo Brayton)
15.1.3, 15.5.3 Tabella VI 4.1 15.4.2 14.5 12.5 22.3 20.2
C Caduta — di pressione 14.6 — utile sfruttata da una turbina 15.5.2 Calore 16.2 — modi di trasmissione del calore 1.3, 17.1 — pompa di calore 16.6.2 — scambiatori di calore 17.2 — specifico (o capacità termica massica) 1.19, 16.2, 16.5.2 — trasmissione del calore 17 Capacità termica del fluido per unità di tempo 17.3 Capacità termica massica 16.2 — dell’acqua 16.2 — di un gas a pressione costante 16.5.2 — di un gas a volume costante 16.5.2 Caratteristiche di una turbopompa 15.1.3 Carichi(co) — carichi assoluti e carichi relativi 14.2 — carichi diffusi o distribuiti 3.4 — carichi e reazioni 3.4, 7.1 — carico idraulico 14.5 — cinetico, di pressione, geodetico 14.2 — perdita di carico 14.5 Carnot (ciclo di Carnot) 16.6.1 Cavitazione 15.4.2 Centrifuga (forza centrifuga) 9.3 Centripeta (forza centripeta) 9.3 Centro di massa e centroide (vedere Baricentro) Ciclo(i) — aperto 20.2 — Brayton 20.2 — chiuso 20.2
484
INDICE ANALITICO
— combinati 20.4 — di Carnot 16.6.1 — Diesel 21.2 — diretto o ciclo motore 16.6.1 — frigorigeno 16.6.1 — ideale di motori a combustione interna 21.2 — indicato di motori a combustione interna 21.2 — inverso 16.6.1 — Otto 21.2 — Rankine 18.1 — rendimento del ciclo 16.6.3 — termodinamici 16.6 Cilindrata 15.3, 21.1.2 Cinematica 8 — del moto rotazionale 8.3 — del moto traslazionale 8.1 Cinetica (vedere Energia) Cinghie 12.4 Clausius (enunciato di Clausius) 16.6.3 Clorofluorocarburi (CFC) 13.4 Coefficiente di — di prestazione 16.6.3 — efflusso o di portata 14.7 — globale di scambio 17.3 — portata 15.1.3 — potenza 15.1.3 — pressione (o di carico o di lavoro) 15.1.3 — resistenza localizzata 14.6 — resistenza per attrito 14.6 — riempimento 21.3 — totale di resistenza 14.6 — velocità periferica (vedere Rapporto di) Cogenerazione 18.3 Combustibile(i) — combustibili 13.2 — consumo specifico di combustibile 1.19, 20.3, 21.3 — pile a combustibile 22.2, Scheda 22.1 Compressione — in più stadi 19.3 — lavoro di compressione 19.2, Scheda 19.1 — rapporto di compressione 19.1, 20.2 — rapporto volumetrico di compressione 21.1.2 Compressori 19 — curve caratteristiche di compressori 19.5 — dinamici e volumetrici 19.1 — multistadio interrefrigerati 19.3 — potenza e rendimenti di compressori 19.4 Conduzione 1.3, 17.1 Conservazione — dell’energia 9.1.2, 14.5 — dell’energia in un sistema aperto 16.3.2 — dell’energia in un sistema chiuso 16.3.1 — della massa 14.4 Continuità (equazione di continuità) 14.4 Convezione 1.3, 17.1 Coppia — definizione 2.8 — di trasporto 2.9 — motrice 9.2 — resistente 9.2 — unità di misura 1.16, 2.8
Corpo — deformabile — equilibrio del corpo rigido — libero (diagramma di corpo libero) — rigido Correnti (tipo di correnti) Costante del gas perfetto Creep Curva limite Curve caratteristiche — dei motori a c.i. — dei turbocompressori — dei ventilatori — delle turbine idrauliche — delle turbopompe
1.1 3.1 3.2 1.1, 9.2 14.3 16.5.1 5.7 16.4.2 21.6 19.5 15.2 15.5.3 15.1.3
D Deformazioni 5 — normali 5.2 — tangenziali 5.5 Densità 14.1 Diagramma(i) — collinare 15.5.2 — di Balje 15.1.3 — di Mollier del vapor d’acqua Allegato — diagrammi termodinamici 16.4.2 Diametro specifico 15.1.3 Diesel — ciclo Diesel 21.2 — motori a ciclo Diesel 21.1.1 — recupero dell’energia nel motore Diesel 22.5 Differenza media di temperatura in uno scambiatore 17.3 Dimensioni (e analisi dimensionale) 1.4 Dinamica 9 — del moto rotazionale 9.2 — del moto traslazionale 9.1 — principi della dinamica 9.1.1 Diossido di carbonio (CO2) o anidride carbonica 13.3 Diossido di zolfo (SO2) o anidride solforosa (vedere Emissioni) Dosatura 21.3
E Effetto (coefficiente di effetto) 16.6.3 Efflusso (coefficiente di efflusso) 14.7 Eiettore idraulico 15.1.1 Elica (turbine ad elica) 15.5.1 Emissioni 13.4, Scheda 13.1 Energia — cinetica 9.1.2 — conservazione dell’energia 9.1.2, 14.5, 16.3.1, 16.3.2 — conversione dell’energia 22.1 trasformazioni cicliche 22.3 trasformazioni non cicliche 22.2 — di pressione o lavoro del flusso 14.5 — fonti di energia 13.2 — interna 16.3 — meccanica 9.1.2 — misura 1.16, 9.1.2 — potenziale 9.1.2
INDICE ANALITICO
— recupero dell’energia termica — risparmio di energia Entalpia Entropia Equazione(i) — di equilibrio statico — di secondo grado — di stato del gas perfetto — risoluzione di equazioni — sistemi di equazioni Equilibrio statico (vedere Statica) Equivalenza calore-lavoro Esponente(i)
22.5 13.3 16.3.1 16.4.1 3.1 A.1.4 16.5.1 A.1.2 A.1.3 1.16, 16.3 A.2.1
F Fasi — del ciclo di lavoro nei motori a c.i. a due tempi 21.1.4 nei motori a c.i. a quattro tempi 21.1.3 — di una sostanza pura 16.2 Fatica (resistenza a fatica) 5.7 Fibre (vedere Proprietà dei materiali) Flessione (modulo di resistenza a flessione) 6.3, Tabella VII Fluido — comprimibile 14.1 — definizione 1.1, 14.1 — frigorifero 13.4, 16.6.2 — ideale 14.1 — incomprimibile 14.1 — moto del fluido 14.3 — reale 14.1 Fonti di energia 13.2 Forza — centrifuga 9.3 — centripeta 9.3 — composizione 2.3 — conservativa 9.1.2 — definizione 1.1, 2.1, 9.1.1 — dissipativa 9.1.2 — motrice 9.1.1, 11.4 — resistente 9.1.1 — scomposizione 2.4 — sistema equivalente forza-coppia 2.9 — unità di misura 1.15, 9.1.1 Forze esterne (carichi e reazioni) 3.4, 7.1 Francis (turbina Francis) 15.5.1 Frigorigeno — ciclo 16.6.1 — coefficiente di effetto frigorigeno 16.6.2 — impianto 16.6.2 Funzionamento (punto di funzionamento) 15.4.1
G Gas 16.5 — costante del gas 16.5.1 — equazione di stato del gas perfetto 16.5.1 — grandezze termodinamiche del gas perfetto 16.5.2 — proprietà di alcuni gas perfetti A.5 — trasformazioni del gas perfetto 16.5.3, A.6
sistema aperto 16.5.3.2, A.6 sistema chiuso 16.5.3.1, A.6 Geometria A.3 Gradi centigradi (vedere Temperatura) Grado (di ammissione, parzializzazione, reazione) 15.5.1 Grandezze — importanti Tabella III — specifiche 1.19 Gruppo turbocompressore a gas di scarico (vedere Sovralimentazione)
I Ideale (fluido ideale) 14.1 Idraulica 14 Idrocarburi incombusti (HC) (vedere Emissioni) Impianto(i) 13.5.5 — motore a vapore 18 a energia nucleare 18.1 convenzionali 18.1 geotermoeletrici 18.1 — motore con turbina a gas 20.1 — operatori a ciclo inverso Impulso 9.1.1 Inerzia — coppia di inerzia 9.2 — forza di inerzia 9.1.1 — momenti di inerzia di massa di solidi 4.3, Tabella VIII — momenti di inerzia di superfici 4.3, Tabella VII — raggio di inerzia 4.3, Tabella VII Inquinanti 13.4, Scheda 13.1 Irreversibile (vedere Trasformazione) Isobara (vedere Trasformazione) Isocora (vedere Trasformazione) Isoentalpica (vedere Diagramma di Mollier) Isoentropica (vedere Trasformazione) Isoterma (vedere Trasformazione) Isoterma critica 16.4.2 Isotermobarica (vedere Trasformazione) Isotitolo 16.4.2
J Joule (vedere Lavoro)
K Kaplan (turbina Kaplan) kelvin (vedere Temperatura) Kelvin-Planck (enunciato di Kelvin-Planck)
15.5.1 16.6.3
L Laminare (moto laminare) 14.3 Laminazione 16.5.3.2, 16.6.2, Tabella A.6.8 Lavaggio nei motori a c.i. a due tempi 21.1.4 Lavoro — definizione 9.1.2 — di compressione 19.2, Scheda 19.1 — di spostamento o energia di flusso 14.5 — indicato 21.3
485
486
INDICE ANALITICO
— interno — misura — perso Leggi di affinità e regole di similitudine Limite (curva limite) Linea — a diametro specifico ottimizzato — lunghezza della linea Liquido Liquido-vapore (regione liquido-vapore) Logaritmi Lunghezza
16.7 1.16, 9.1.2 16.3.2 15.1.3 16.4.2 15.1.3 Tabella VI 14.6 16.4.2 A.2.2 1.8
M Macchine — classificazione delle macchine 13.5, Scheda 13.2, Scheda 13.3 — dinamiche 13.5.3 — idrauliche 13.5.2, 15, Scheda 13.2 — motrici 13.5.1 — operatrici 13.5.1 — operatrici a gas 19.1 — rendimenti interni della macchina 16.7 — reversibili 15.6 — suddivisione delle macchine 13.5.5, Scheda 13.2, Scheda 13.3 — termiche 13.5.2, 16.6.2, Scheda 13.3 — trasformatrici 13.5.1 — volumetriche 13.5.3 Manometro 14.2 Manovella 12.5 Massa — conservazione della massa 14.4 — definizione 1.9 — massa e momenti di inerzia di massa di solidi Tabella VIII — volumica 14.1, 16.5.1 Materiali — elasticità 5.3 — proprietà 5.10 fibre 5.10.3 materiali compositi 5.10.4 metalli e loro leghe 5.10.1 polimeri e plastiche 5.10.2 — prove di trazione 5.3 Meccanica 1.1 — dei fluidi 1.1, 14.1 — elementare 1.2 Metalli (vedere Proprietà dei materiali) Misura (vedere Unità di misura) Modulo di resistenza a flessione (vedere Flessione) Molla 10.3 Mollier — diagramma del vapor d’acqua Allegato — spiegazione del diagramma di Mollier 16.4.2 Momento(i) — della quantità di moto (vedere Quantità di moto angolare) — di una forza rispetto a un asse 2.6 — di una forza rispetto a un punto 2.6 — momenti di inerzia (vedere Inerzia)
— statico 4.1 — unità di misura 1.16, 2.6 Monossido di carbonio (CO) (vedere Emissioni) Moto — analisi grafica 8.1.3 — armonico semplice 10.2 — circolare 8.4 — dei fluidi 14.3 — dei liquidi ideali e reali nei condotti 14.6 — laminare e turbolento 14.3 — periodico 10.1 — quantità di moto angolare 9.2 — quantità di moto lineare 9.1.1 — relativo Esempio 8.6 — rettilineo ad accelerazione costante 8.1.2 — rotazionale 8.3, 9.2 — traslazionale 8.1, 9.1 Motori — a combustione esterna 13.5.4 — a combustione interna 13.5.4 — a getto 20.1 — alternativi a combustione interna 21.1 a due tempi 21.1.4 a quattro tempi 21.1.3 ad accensione comandata 21.1.1 ad accensione per compressione (o Diesel) 21.1.1 grandezze caratteristiche 21.1.2 — idraulici 13.5.5
N Newton — le tre leggi di Newton della meccanica — legge di Newton sullo sforzo di taglio in un fluido NPSH (Net Positive Suction Head) Numero di — giri caratteristico — Reynolds
1.1, 9.1 14.1 15.4.2 15.5.3 14.3
O Ossidi di azoto NOx (vedere Emissioni) Otto — ciclo Otto — motori a ciclo Otto
21.2 21.1.1
P Pappo-Guldino (teoremi di Pappo-Guldino) 4.2 Parallelogramma (legge o regola del parallelogramma: vedere Vettore) Parzializzazione 15.5.1 Pascal (principio di Pascal) 14.2 Pelton (turbina Pelton) 15.5.1 Pendolo 10.4 Perdita di carico 14.6 Perfetto (gas perfetto) 16.5, A.6 Piano quotato nei motori a c.i. 21.6 Piezometrica (altezza piezometrica) 14.6 Pile a combustibile 22.2, Scheda 22.1
INDICE ANALITICO
Poisson (rapporto di Poisson) 5.4 Polimeri e plastiche (vedere Proprietà dei materiali) Politropica (vedere Trasformazione) Pompa(e) — accoppiamento pompa e sistema 15.4 — cavitazione di una pompa 15.4.2 — coefficienti adimensionali 15.1.3 — dinamiche 15.1.1 — in parallelo e in serie Esempio 15.4 — pompa di calore 16.6.2 — prevalenza e potenza della turbopompa 15.1.2 — punto di funzionamento di una pompa 15.4.1 — volumetriche 15.3 Pompa-turbina (o turbomacchina reversibile) 15.6 Portata (in volume e in massa) 14.4 Potenza — definizione 1.17, 9.1.2, 9.2 — dei motori alternativi a combustione interna 21.4 — di un compressore 19.4 — di un impianto con turbina a gas 20.3 — di un ventilatore 15.2 — di una turbina idraulica 15.5.2 — di una turbopompa 15.1.2 — unità di misura 1.17, 9.1.2, 9.2 Potere calorifico Tabella 13.1, 18.2, 20.3 Pressione — assoluta 14.2 — atmosferica 14.2 — definizione e misura 1.18, 14.2 — media effettiva 21.5 — media indicata 21.5 — relativa 14.2 Prestazione (coefficiente di prestazione) 16.6.3 Prevalenza — di un ventilatore 15.2 — di una turbopompa 15.1.2 Processo (vedere Trasformazione) Progetto (vedere Sicurezza) 16.6.3 Progetto 5.8 Proiezioni (teorema delle proiezioni) 2.5 Proporzioni A.1.1 Proprietà di stato 16.1 Propulsione a getto 13.5.5 Punto — di funzionamento 15.4.1 — morto (o punti morti) 12.5, 21.1.2
Q Quantità di moto — angolare — lineare
9.2 9.1.1
R Radiali (vedere Turbomacchine) Raggio di inerzia (vedere Inerzia) Rankine (ciclo Rankine) Rapporto — aria/combustibile (vedere Dosatura) — di compressione
18.1
19.1, 21.12
— di funzionamento 15.4.1 — di Poisson 5.4 — di pressione 20.2 — di velocità periferica 15.5.3 — morto (o punti morti) 12.5, 21.1.2 Reale (fluido reale) 14.1 Reazione (turbine a reazione) 15.5.1 Reazioni (vincolari) — calcolo o determinazione 3.6 Recupero dell’energia termica nel motore Diesel 22.5 Refrigerazione 16.6.2 Regole di similitudine 15.1.3 Rendimento(i) — degli impianti termici 22.4 — dei motori alternativi a combustione interna 21.3 — del ciclo termodinamico 16.6.3 — dell’impianto a vapore 18.2 — dell’impianto con turbina a gas 20.3 — indicato 21.3 — interno (di compressione o di espansione) 16.7 — meccanico 12.1 — organico 12.1 — totale (vedere la singola Macchina) — utile (vedere la singola Macchina) — volumetrico 21.3 Resistenza — coefficiente di resistenza 14.6 — dei materiali 5.1 — del mezzo 11.3 Resistenze passive 11 Reversibile (vedere Trasformazione) Reversibili (macchine reversibili) 15.6 Reynolds (numero di Reynolds) 14.3 Rigidezza — flessionale 6.3 — tangenziale 6.5 Risonanza 10.5 Ristagno 14.6 Risultante (vedere Vettori) Ruote — dentate 12.3 — di frizione 12.2
S Scalari Scambiatori di calore — classificazione — progetto Sforzi — concentrazione degli sforzi — termici Sicurezza (fattore di sicurezza) Similitudine (regole di similitudine) Sistema — equivalente forza-coppia — termodinamico Solidi (massa e momenti di inerzia di solidi) Sollecitazioni — combinate
2.2 17.2 17.3 5 5.9 5.6 5.8 15.1.3 2.9 15.1 Tabella VIII 6 6.1
487
488
INDICE ANALITICO
— semplici flessione 6.3 forza normale (trazione o compressione) 6.2 taglio 6.4 torsione 6.5 Sovralimentazione Esempio 21.7 Sovrapposizione degli effetti (principio) 6.1 Spinta Esempio 9.6 Spostamento 8.1.1 Statica 3 Stazionario (vedere Correnti) Strutture labili, isostatiche e iperstatiche 3.5 Superficie — area della superficie Tabella VI — momenti di inerzia di superfici Tabella VII Surriscaldamento 18.2
T Temperatura (definizione) 1.11 Tempo 1.10 Tensione — ammissibile 5.8 — normale 5.2 — tangenziale o di taglio 5.5 Termodinamica 1.3, 16 — ciclo termodinamico 16.6 — diagrammi termodinamici 16.4.2 — primo principio della termodinamica 16.3 — secondo principio della termodinamica 16.4 Torricelli — formula di Torricelli Esempio 8.5 — teorema (o principio) di Torricelli 14.7 Traiettoria 8.1.1 Trasformazione(i) — definizione 16.1 — del gas perfetto 16.5.3, A.6 sistema aperto 16.5.3.2, A.6.2 sistema chiuso 16.5.3.1, A.6.1 — termodinamiche 16.1, 16.4.2, A.6 Trasmissibilità (postulato di trasmissibilità) 1.1, 2.3 Trasmissione(i) — del calore 1.3, 17 — meccanica della potenza 12 — modi di trasmissione del calore 17.1 Trasposizione (teorema di trasposizione) 4.4 Trave(i) — definizione e statica della trave 3.3, 6.1, 7.1 — travi inflesse 7, 7.1, A.4 Triangolo A.3.2 — qualunque A.3.4, Tabella V — rettangolo A.3.3, Tabella IV Trigonometria A.3 Turbine(a) — eoliche 15.6 — idrauliche 15.5 ad azione e a reazione 15.5.1 tipi di turbine idrauliche 15.5.1 velocità e diametri specifici 15.5.3
— impianto con turbina a gas 20.1 — termiche Esempio 16.4, Esempio 16.5 a gas 20.1, 20.2 a vapore 18.1 Turbolento (moto turbolento) 14.3 Turbomacchine 13.5.3 Turboreattore (o turbogetto) 20.1
U Unidimensionale (vedere Correnti) Uniforme (vedere Correnti) Unità — di misura 1.5 — fattori di conversione delle unità di misura Tabella I — fondamentali e unità derivate 1.7 — prefissi delle unità di misura SI Tabella II — sistemi di unità di misura 1.6 Urto 9.1.1 Utilizzazione del veicolo Esempio 21.8
V Valvole 21.1.3 Vapore — impianto motore a vapore 18 — rendimenti dell’impianto a vapore 18.2 Varignon (teorema di Varignon) 2.7 Veicolo (utilizzazione del veicolo) Esempio 21.8 Velocità — angolare 8.3 — definizione ed unità di misura 8.1.1 — ideale 14.7 — specifica 15.1.3 — unità di misura 1.13, 8.1.1 Ventilatori 15.2 — punto di funzionamento di un ventilatore Esempio 15.5 Verifica 5.8 Vettore(i) — applicato 2.2 — definizione 2.2 — legge (o regola) del parallelogramma 2.2, 2.3 — libero 2.2 — risultante di vettori 2.2 — unitario (o cursore) 2.2 Vibrazioni 10 Vincoli 3.3 Viscosità (cinematica, dinamica) 14.1 Volano Esempio 9.12 Volume 1.8 — massico 16.5.1 Volumetriche (macchine volumetriche) 13.5.3
Z Zolfo (vedere Emissioni)
BIBLIOGRAFIA
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490
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TABELLE
Tabella VI
Coordinate del baricentro, area della superficie o lunghezza della linea
Tabella VII
Momenti di inerza di superfici
Tabella VIII
Massa e momenti di inerzia di massa di solidi
492 Tabella VI Coordinate x e y del baricentro, area della superficie o lunghezza della linea y
Area o lunghezza
h 3
bh 2
4r 3π
4r 3π
πr 2 4
0
4r 3π
πr 2 2
3a 8
3h 5
2ah 3
0
3h 5
4ah 3
3a 4
3h 10
ah 3
2r sen α 3α
0
α r2
2r π
2r π
πr 2
0
2r π
πr
r sen α α
0
2α r
x
Forma
h
Area triangolare
G
y b 2
b 2
Area di un quarto di cerchio G
G O
O
SUPERFICI
Area di un semicerchio
x
a
Area di una semiparabola
G
G
Area parabolica
r
y
y
O
O x
G
h a
a y = kx2
Triangolo parabolico
h G
y
O x
r
Settore circolare
α α
O
G
x
Arco di un quarto di circonferenza
G
G
y
LINEE
Arco di semicirconferenza
O O x
r
r
Arco di circonferenza O
α α
x
G
493 Tabella VII Momenti di inerzia di superfici: area A, momento di inerzia assiale I, momento di inerzia polare J, modulo di resistenza a flessione Z, raggio di inerzia ρ e ordinata del baricentro y (con x0 e y0 assi passanti per il baricentro G) y y0 Rettangolo A = bh I y0 =
bh3 bh2 h Z = ρ x 0 = 0, 289h y = 12 6 2 bh3 b 3h bh (b2 + h2 ) Ix = Iy = JG = 3 3 12
I x0 =
b 3h 12
G
h
y
x0 x
b
Triangolo A=
bh 2
I x0 =
bh3 36
Z =
bh2 24
ρ x 0 = 0, 236h
h 3
y =
Ix =
bh3 12
h
G x0
y
x b y0
Cerchio in funzione del diametro d oppure del raggio r A=
πd 4
2
4
πd 64 πr 4 = 4
I x0 = I y0 =
A = πr 2
I x0 = I y0
3
4
πd ≈ 0, 1d 3 32 πr 3 Z = ≈ 0, 785r 2 4
πd 32 πr 4 JG = 2
Z =
JG =
d 4 r = 2
d
d 2
ρ x0 =
y =
ρ x0
y =r
G x0 y
Corona circolare in funzione dei diametri esterno d ed interno di oppure dei raggi esterno r e interno ri
A=
π 2 ( d − di2 ) 4
I x0 = I y0 =
π JG = ( d 4 − di4 ) 32 A = π (r 2 − ri 2 ) JG =
I x0
Z =
π ( d 4 − di4 ) 32 d
d 2 + di2 d ρ x0 = y = 16 2 π 4 π 4 = I y 0 = (r − ri 4 ) Z = (r − ri 4 ) 4 4r 2
π 4 (r − ri 4 ) 2
π ( d 4 − di4 ) 64
r + ri 4
ρ x0 =
2
y0 d
G
di
y =r y
Semicerchio πr 4 Ix = Iy = 8
πr 4 JO = 4
G O
π ab 4
x
r
y0
Ellisse I x0 =
x0
y
3
3
I y0 =
2
πa b 4
JG =
2
π ab (a + b ) 4
b x0
G a
Sezione a T s
Z =
I x0 y
ρ x0 =
I x0 A
x0 y
1 3 [ty + b (d − y )3 − (b − t ) (d − y − s)3 ] 3
h
I x0 =
G t
d
A = bs + ht
b
d 2 t + s2 (b − t ) y =d− 2 (bs + ht )
x
Sezione a doppio T d 2
bd 3 − h3 (b − t ) Z = 6d
d
h
G
ρ x0 =
I x0 A
t
x0
s
I x0
bd 3 − h3 (b − t ) = 12
y =
y
A = bd + h (b − t )
x b
494 Tabella VIII Massa m e momenti di inerzia di massa I di corpi solidi (ρ massa volumica del corpo) Barra π d 2l m= ρ 4
y 2
I xx = I yy =
ml 12
G d
x
l z
Disco circolare sottile in funzione del diametro d oppure del raggio r πd 2 s md 2 md 2 m= ρ I zz = I xx = I yy = 4 8 16 2 mr mr 2 m = π r 2 sρ I zz = I xx = I yy = 2 4 Piastra rettangolare sottile m (b 2 + c 2 ) m = abcρ I zz = 12
I xx =
mb 2 12
I yy =
y s
d G z
x y
mc 2 12
c
b G
a
z x
Prisma rettangolare m = abcρ
I zz
y
m (a 2 + b 2 ) = 12
I xx
m (b 2 + c 2 ) = 12
I yy
m (a 2 + c 2 ) = 12 G
b
x
z
c
Cilindro in funzione del diametro d oppure del raggio r π d 2l md 2 m (3d 2 + 4l 2 ) m= ρ I zz = I xx = I yy = 4 8 48 2 2 mr m (3r + l 2 ) m = π r 2lρ I zz = I xx = I yy = 2 12
a
y
G d x
l/2 z
l/2
Cilindro cavo in funzione dei diametri esterno de ed interno di oppure dei raggi esterno re ed interno ri m=
πl 2 (d e − d i2 ) ρ 4
m = πl (re2 − ri2 ) ρ
m 2 m (d e − d i2 ) I xx = I yy = (3d e2 + 3d i2 + 4l 2 ) 8 48 m m = (re2 − ri2 ) I xx = I yy = (3re2 + 3ri2 + l 2 ) 2 12
y
I zz = I zz
G
de x
l/2 z
l/2
Sfera 4π r 3 m= ρ 3
di
y
I zz = I xx = I yy
2 = mr 2 5
G r = d/2 x
z