Libro de Stefani-simonato

April 20, 2017 | Author: pcarlotta87 | Category: N/A
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Alchiede Simonato Stefano De Stefani

UROLOGIA per la Scuola di Medicina

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UROLOGIA per la Scuola di Medicina

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Alla forza delle idee Alchiede Simonato

A mia moglie Silvana e ai miei 4 splendidi figli Rebecca, Carla, Maria Chiara e Riccardo Stefano De Stefani

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EDITORS Alchiede Simonato Professore Associato di Urologia Dipartimento di Scienze Chirurgiche e Diagnostico Integrate Clinica Urologica “L:Giuliani” Università degli Studi di Genova

Stefano De Stefani Professore Associato di Urologia Cattedra di Urologia Policlinico di Modena Università di Modena & Reggio Emilia

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AUTORI Riccardo Banchero Dirigente di Primo Livello Clinica Urologica “L:Giuliani” IRCCS Azienda Ospedaliera Universitaria San Martino-IST Università degli Studi di Genova Alessandro Bertaccini Ricercatore di Urologia Dipartimento di scienze chirurgiche specialistiche e anestesiologiche, Clinica Urologica Alma Mater Studiorum Università di Bologna Maurizio Coppini Professore a Contratto Clinica Dermatologica Università di Modena e Reggio Emilia

Carlo Corbu Professore Associato di Urologia Clinica Urologica Università degli Studi di Sassari

Andrea Gregori Dirigente di Primo Livello Unità Operativa di Urologia Azienda ospedaliera - Polo Universitario "Luigi Sacco" - Milano

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Fabio Manferrari Ricercatore di Urologia Dipartimento di scienze chirurgiche specialistiche e anestesiologiche, Clinica Urologica Alma Mater Studiorum Università di Bologna Salvatore Micali Ricercatore di Urologia Cattedra di Urologia Università di Modena & Reggio Emilia, Policlinico di Modena Andrea Lissiani Dirigente di Primo Livello Clinica Urologica Azienda Ospedaliero-Universitaria “Ospedali Riuniti”, Trieste Riccardo Pizzorno Dirigente di Primo Livello Clinica Urologica “L:Giuliani” IRCCS Azienda Ospedaliera Universitaria San Martino-IST Università degli Studi di Genova Salvatore Siracusano Professore Associato di Urologia Clinica Urologica Università degli Studi di Trieste

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Paolo Traverso Ricercatore di Urologia Dipartimento di Scienze Chirurgiche e Diagnostico Integrate Clinica Urologica “L:Giuliani” Università degli Studi di Genova Carlo Trombetta Professore Associato di Urologia Clinica Urologica Università degli Studi di Trieste

Virginia Varca Dirigente di Primo Livello Unità Operativa di Urologia Azienda ospedaliera - Polo Universitario "Luigi Sacco" - Milano

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CONTRIBUTI Carlo Ambruosi Dirigente di Primo Livello, Struttura Complessa di Urologia Azienda Ospedaliera S. Croce e Carle -Cuneo Marco Ennas Dipartimento di Scienze Chirurgiche e Diagnostico Integrate Clinica Urologica “L:Giuliani” - Università degli Studi di Genova Marco Esposito Dipartimento di Scienze Chirurgiche e Diagnostico Integrate Clinica Urologica “L:Giuliani” - Università degli Studi di Genova Gianmarco Isgrò Specializzando, Cattedra di Urologia - Policlinico di Modena, Università di Modena & Reggio Emilia Giovanni Liguori Dirigente di Primo Livello, Clinica Urologica Azienda Ospedaliera “Ospedali Riuniti” - Trieste Renata Napoli Specializzanda, Clinica Urologica Azienda Ospedaliera “Ospedali Riuniti” - Trieste Matteo Orlandini Dirigente di Primo Livello, Unità Operativa di Urologia Istituto Clinico Sant'Ambrogio Milano Nicola Pavan Specializzando, Clinica Urologica Azienda Ospedaliera “Ospedali Riuniti” - Trieste

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Michele Rizzo Specializzando, Clinica Urologica Azienda Ospedaliera “Ospedali Riuniti” - Trieste Andrea Romagnoli Dirigente di Primo Livello - Clinica Urologica “L:Giuliani” IRCCS Azienda Ospedaliera Universitaria San Martino-IST Università degli Studi di Genova Laura Toffoli Specializzanda, Clinica Urologica Azienda Ospedaliera “Ospedali Riuniti” - Trieste Francesco Visalli Specializzando, Clinica Urologica Azienda Ospedaliera “Ospedali Riuniti” - Trieste

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PRESENTAZIONE Prof Giorgio Carmignani Devo confessare che non ho mai amato i compendi, i manuali e le dispense, preferendo sempre rivolgermi, nella mia carriera di studente prima e di docente poi a ponderosi trattati, italiani o stranieri, in modo da poter attingere alla maggiore quantità di informazioni possibile. In altre parole, leggere molto per poter poi ritenere quanto mi occorreva, sia per superare gli esami, sia per la mia preparazione professionale. Una filosofia diversa da coloro che studiano su manuali sintetici per cercare, leggendoli e rileggendoli, di apprendere quasi a memoria quanto vi è scritto. Un atteggiamento, a mio parere, noioso e poco utile. Oltre tutto di opere con queste caratteristiche ne esistono moltissime e nessuna di loro si distingue per originalità, né ha avuto grande fortuna. Tuttavia, questa volta debbo ricredermi: il manuale di Simonato e De Stefani, entrambi miei Allievi carissimi, Docenti affermati e ben noti, cui auguro una carriera futura ancora più brillante e ricca di soddisfazioni è riuscito a coniugare una chiarezza espositiva ed una sintesi lodevole con una quantità di informazioni degna di un trattato vero proprio. Il testo è inoltre corredato da illustrazioni molto chiare, tutte scelte con la massima cura, al fine di poter meglio spiegare i concetti esposti nel testo. Non vi è nulla di ridondante, ma non manca veramente nulla. Auguro a quest’opera, redatta con impegno e direi con amore, la fortuna ed il successo che merita. Prof. Giorgio Carmignani

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Prof. Giampaolo Bianchi Molte volte gli studenti di Medicina ci chiedono un testo che li aiuti a superare la prova d’esame. Indicarne uno non è cosa facile in quanto, prima di tutto non sono stati fatti moltissimi, almeno in lingua italiana, ma ciò che possiamo consigliare ai nostri studenti è un piccolo compendio che affronti l'argomento urologico senza tuttavia entrare nei dettagli della specialità. Questa è la grande difficoltà dell'impresa e ci spiega perché i libri a riguardo siano veramente pochi. Se sono molto succinti, possono essere tacciati di superficialità, se troppo approfonditi richiedono un grandissimo impegno e il coinvolgimento di molti collaboratori. E poi, quale studente si metterebbe a prepararsi sul Campbell? Quello che si è cercato di fare non è una panacea universale, la pietra filosofale catalizzatrice dell'urologia italiana. Il libretto "urologia" è stato unicamente concepito per fornire alcuni concetti basilari la cui conoscenza è utile per superare l’esame della scuola di medicina e contemporaneamente stimolare, negli interessati, quella curiosità indispensabile a chi voglia migliorare quotidianamente le proprie conoscenze e diventare uno specialista in urologia affrontando poi l’esame di ammissione alla scuola di specialità. In questo modo lo studente può, oltre che migliorare le proprie conoscenze, anche rendersi conto della complessità e vastità della materia. Il prof. Alchiede Simonato e il prof. Stefano De Stefani ci hanno provato. Non sappiamo se sono riusciti nel loro intento, sappiamo però che si sono impegnati molto a questo scopo. Per questo motivo porgo a loro tutto il mio apprezzamento e un grazie di cuore. Prof. Giampaolo Bianchi

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INTRODUZIONE Identificare un libro di testo per studenti di medicina o per medici che abbiano intenzione di affrontare il test per l'ammissione alla Scuola di Specializzazione in Urologia non una cosa semplice. La maggior parte dei libri che si trovano in commercio sono, infatti, troppo complessi e richiedono nozioni che non sono comunemente nel bagaglio culturale di uno studente di medicina o di un medico che voglia in futuro diventare un Urologo. Data l'estrema complessità della materia, molti Docenti si rifiutano, in parte giustificatamente, di utilizzare il proprio tempo e le proprie personali conoscenze nell'approfondimento di nozioni che essi reputano eccessivamente semplici e la cui acquisizione dovrebbe far parte delle conoscenze di qualsiasi laureato in medicina d proprio nell'incertezza dell'attribuzione delle varie competenze che, alla fine, l'insegnamento dei concetti elementari di una disciplina è trascurato e il discente non riesce a trovare un testo di riferimento per l'acquisizione di queste informazioni. E' in questa luce che va valutato questo semplice “compendio”, dedicato a chi l'urologia non l’ha mai “masticata” e vorrebbe diventare padrone di alcuni concetti fondamentali che lo aiutino a leggere un libro “dedicato” allo specialista urologo. Non so se siamo riusciti, ma vi possiamo assicurare che l’abbiamo veramente messa tutta per accendere un po’ d’interesse del lettore per la nostra disciplina. Alchiede Simonato Stefano De Stefani

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INDICE CAPITOLO 1 pag. ELEMENTI DI ANATOMIA Stefano De Stefani, Alchiede Simonato, Andrea Lissiani

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CAPITOLO 2 pag. CENNI DI EMBRIOLOGIA E MALFORMAZIONI DELL’APPARATO URINARIO Alchiede Simonato, Stefano De Stefani

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CAPITOLO 3 pag. SEMEIOTICA UROLOGICA ESSENZIALE Alchiede Simonato, Marco Ennas, Andrea Lissiani

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CAPITOLO 4 pag. 105 DIAGNOSTICA DI LABORATORIO E STRUMENTALE Alchiede Simonato, Marco Ennas, Andrea Gregori CAPITOLO 5 pag. 117 BIOMARCATORI COME TEST DIAGNOSTICI NON INVASIVI DEI TUMORI UROLOGICI Alessandro Bertaccini CAPITOLO 6 pag. 133 MANOVRE DIGNOSTICHE E TERAPEUTICHE Alchiede Simonato, Riccardo Banchero, Marco Esposito, Andrea Romagnoli, Paolo Vota, Andrea Nordio, Carlo Corbu, Salvatore Siracusano CAPITOLO 7

SINDROMI UROLOGICHE Alchiede Simonato, Virginia Varca 14

pag.

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CAPITOLO 8 IDRONEFROSI Alchiede Simonato Riccardo Banchero

pag.

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CAPITOLO 9 FIBROSI RETROPERITONEALE Alchiede Simonato, Carlo Corbu

pag.

189

CAPITOLO 10 NEFROPTOSI O RENE MOBILE Alchiede Simonato, Carlo Corbu

pag.

191

CAPITOLO 11 INFEZIONI URINARIE Riccardo Pizzorno, Alchiede Simonato

pag.

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CAPITOLO 12 PATOLOGIE DERMATOLOGICHE A LOCALIZZAZIONE GENITALIE Maurizio Coppini

pag.

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CAPITOLO 13 UROLITIASI Paolo Traverso

pag.

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CAPITOLO 14 IPERPLASIA PROSTATICA BENIGNA Alchiede Simonato, Virginia Varca

pag.

253

CAPITOLO 15 pag. INCONTINENZA URINARIA Salvatore Siracusano, Francesco Visalli, Laura Toffoli

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CAPITOLO 16 pag. VESCICA NEUROLOGICA Salvatrore Siracusano, Francesco Visalli, Laura Toffoli

283

CAPITOLO 17 I SURRENI Alchiede Simonato, Matteo Orlandini

pag.

293

CAPITOLO 18 I TUMORI DEL RENE Alchiede Simonato, Stefano De Stefani

pag.

303

CAPITOLO 19 pag. I TUMORI DELLA VESCICA Salvatore Siracusano,Francesco Visalli, Laura Toffoli

323

CAPITOLO 20 pag. 333 I TUMORI DELLA PELVI RENALE E DELL’URETERE Salvatore Siracusano, Francesco Visalli, Laura Toffoli CAPITOLO 21 pag. I TUMORI DELLA PROSTATA Alchiede Simonato, Stefano De Stefani, Carlo Ambruosi

339

CAPITOLO 22 I TUMORI DEL TESTICOLO Alchiede Simonato, Virginia Varca

pag.

353

CAPITOLO 23 I TUMORI DEL PENE Alchiede Simonato

pag.

371

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CAPITOLO 24 PATOLOGIA DELL’URETRA Alchiede Simonato, Virginia Varca

pag.

377

CAPITOLO 25 DISUNZIONE ERETTILE Giovanni Liguori, Michele Rizzo

pag.

383

CAPITOLO 26 pag. MALATTIE DEL FUNICOLO SPERMATICO Carlo Trombetta; Michele Rizzo; Nicola Pavan

393

CAPITOLO 27 INFERTILITA’ Michele Rizzo, Carlo Trombetta

pag.

407

CAPITOLO 28 TRAUMI GENITOURINARI Fabio Manferrari

pag.

427

APPENDICE 1 LA LAPAROSCOPIA IN UROLOGIA Andrea Gregori

pag.

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APPENDICE 2 LA ROBOTICA IN UROLOGIA Salvatore Micali

pag.

449

APPENDICE 3 pag. APPROFONDIMENTO SULLA CALCOLOSI URINARIA Paolo Traverso

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CAPITOLO 1

ELEMENTI DI ANATOMIA Stefano De Stefani, Alchiede Simonato, Andrea Lissiani

1.1 RENE I reni, organi pari e simmetrici, sono localizzati in sede retroperitoneale, sopra il muscolo psoas, con il maggior asse diretto in senso obliquo dall'alto verso il basso. La presenza del fegato a destra determina l'abbassamento del rene destro rispetto al controlaterale. Riguardo alla colonna vertebrale il rene destro è localizzato fra la Iª e la IVª vertebra lombare mentre il rene sinistro, leggermente più lungo del destro e posto più in alto, va dalla XIIª alla IVª lombare. La lunghezza media del rene nell'adulto è di circa 12-14 cm, mentre nel bambino, sopra i due anni, la lunghezza del rene normale è eguale alla distanza che va dal margine superiore della Iª vertebra lombare al margine inferiore del corpo della IVª vertebra lombare. Sempre da un punto di vista d’immagine radiologica, la lunghezza del rene normale dell'adulto può essere valutata moltiplicando 3 - 4,5 volte la lunghezza della seconda vertebra lombare. Il peso del rene nell'adulto è di circa 150 g. I reni sono avvolti e mantenuti in sede dal grasso perirenale (grasso di Gerota) che è delimitato dalla fascia perirenale, co18

stituita a sua volta dall'unione dei due foglietti di Toldt e di Zuckerkandl. Il peduncolo vascolare, il tono dei muscoli della parete addominale e i visceri in essa contenuti, contribuiscono a mantenere in sede i reni. Generalmente, con i movimenti del respiro, i reni si muovono di circa 4 - 5 cm dall'alto verso il basso. Molto importante, soprattutto dal punto di vista chirurgico, è lo studio dei rapporti che i reni hanno con gli altri organi intraperitoneali. Il rene destro è in contatto, in alto con il surrene omolaterale e il fegato; sulla faccia anteriore, superiormente con il fegato, medialmente con la IIª porzione del duodeno, inferiormente con l'angolo destro del colon. Il rene sinistro confina, in alto e medialmente con il surrene e con la milza lateralmente; sulla faccia anteriore con lo stomaco e la flessura sinistra del colon e medialmente con la IVª porzione del duodeno. Posteriormente i reni sono appoggiati sul muscolo psoas e sono anatomicamente divisi solo dal grasso perirenale. Il decorso del nervo genitofemorale sopra il muscolo psoas spiega, tra l'altro, perché nella colica renale il dolore abbia una tipica irradiazione alla faccia mediale della coscia e alla radice dello scroto. La vascolarizzazione del rene è altresì molto importante non solo perché il peduncolo vascolare costituisce un fermo punto di ancoraggio alla dislocazione dell'organo verso il basso ma anche per19

ché la vascolarizzazione del rene è di tipo "terminale". Ciò significa che ogni distretto è irrorato da un determinato ramo arterioso e non esistono collaterali o reti vascolari anastomotiche in grado di supplire l'ischemizzazione di un determinato distretto. L'arteria renale, che deriva dall'aorta sotto il tripode celiaco, si divide in un'arteria anteriore e una posteriore o retropielica. L'anteriore da origine a una arteria polare superiore, una arteria polare inferiore e una arteria media che irrora la faccia anteriore del rene compresa fra i due poli. L'arteria posteriore è provvista di un solo ramo mediale che irrora unicamente la faccia posteriore. Dal punto di vista funzionale il rene è perciò diviso in cinque distretti: due apicali, uno posteriore, due anteriori mediani, uno superiore e l'altro inferiore. Le vene renali sboccano nella vena cava inferiore e sono situate anteriormente ai rami arteriosi. Nella vena renale sinistra sbocca, inferiormente, la vena gonadica mentre, nel margine superiore la vena surrenalica inferiore. La vena renale sinistra è localizzata sopra dell’aorta e l'arteria renale destra passa posteriormente alla cava e alla vena renale destra. Questi punti di repere sono fondamentali nella chirurgia vascolare del rene, in particolare nelle vie di accesso trans peritoneali che prevedono un approccio diretto al peduncolo vascolare come prima manovra chirurgica. Lo scollamento della IV porzione del duodeno consentirà una buona visione di entrambe i peduncoli vascolari dei reni. All'interno del parenchima renale le arterie si suddividono ulteriormente in arterie interlobari che ascendono lungo le colonne del Bertin fra le piramidi renali e quindi si arcuano lungo la base delle piramidi (arterie arcuate). Di qui le arterie proseguono in senso ascendente come arterie interlobulari dalle quali originano dei rami di calibro più piccolo (afferenti) che formano le arterie glomerulari. Le radici nervose del rene derivano dal plesso renale e accompagnano i rami vascolari all'interno del parenchima renale. I linfatici drenano nei linfonodi lombari. 20

Se si seziona il rene lungo una linea longitudinale, l'organo è costituito da una corticale esterna, da una midollare che si trova al centro e dai calici. La corticale si prolunga all'interno della midollare mediante formazioni cilindriche chiamate colonne di Bertin che giacciono fra altre formazioni di aspetto conico - piramidale con la base orientata verso l'esterno dell'organo, chiamate piramidi (di Malpighi) e che costituiscono la midollare. Queste ultime sono formate dai tubuli renali collettori (di Bellini) che sboccano all'interno dei calici minori. L'estremità apicale delle piramidi è detta papilla renale e fornice è quella porzione del calice minore che avvolge l'estremità della papilla. I calici minori sono da 8 a 12 e si uniscono fra loro per formare 2 o 3 calici maggiori. Questi ultimi si riuniscono per formare la pelvi renale. La pelvi è localizzata posteriormente al peduncolo vascolare. Per tale motivo gli approcci chirurgici alla pelvi devono avvenire sempre attraverso la faccia posteriore. La pelvi renale può essere interamente all'interno del parenchima (pelvi intrarenale) o parzialmente intrarenale ed extrarenale. Posteriormente la pelvi è in contatto con il bordo laterale del muscolo psoas e con il quadrato dei lombi; la pelvi del rene sinistro è situata a livello della Iª o della IIª vertebra lombare mentre quella del rene destro giace un poco più in basso.

1.2 URETERE L'uretere è un dotto cilindrico, della lunghezza di 30 cm. circa che origina a livello della pelvi renale e termina nella regione dorso caudale della vescica a livello del trigono. Secondo il decorso è diviso in un uretere lombare che va dal bacinetto fino al margine superiore dell'ala iliaca, un uretere iliaco che dal margine superiore dell'ala iliaca si estende fino all'incrocio con i vasi iliaci comuni, un uretere pelvico che rappresenta l'ultima porzione dell'uretere fino al suo ingresso nella parete vescicale. 21

La porzione di uretere pelvico che si trova all'interno della parete vescicale è definita uretere intramurale e va dallo iato ureterale (punto in cui l'uretere incontra e penetra la parete vescicale) fino al meato o ostio ureterale. Il rilievo cordoniforme che si trova all'interno della vescica fra i due meati ureterali, sollevandone la mucosa è conosciuta come barra interureterica e rappresenta la base del trigono vescicale, importantissimo punto di riferimento nella cistoscopia. L'uretere giace, per la maggior parte del suo decorso, in sede retroperitoneale, medialmente al muscolo psoas. Arrivato a livello della pelvi, esso passa posteriormente al legamento ombelicale e al deferente che incrocia dall'esterno verso l'interno a livello delle vescicole seminali. Il legamento ombelicale, che rappresenta l'arteria ombelicale obliterata, è il punto di repere fondamentale per l'identificazione dell'uretere pelvico. Lungo il proprio decorso, l’uretere presenta un calibro molto variabile secondo le zone considerate. Si parla comunemente di fuso ureterale, riferendosi in tal modo all'aspetto che l'uretere assume durante la progressione dell'urina dall'alto verso il basso. Più che di forma si tratta quindi di un aspetto morfofunzionale, ben documentabile tra l'altro in fase urografica. Il fuso principale va dalla giunzione con la pelvi renale fino ai vasi iliaci. A livello del giunto pieloureterale il calibro dell'uretere è di circa 2 mm, per arrivare a 10 a livello dell'uretere lombare. A livello dei vasi iliaci l'uretere subisce un successivo restringimento arrivando al calibro di 4 mm. circa, per poi riallargarsi nella porzione pelvica fino a 6 mm e restringersi nuovamente a livello dello hiatus dove raggiunge i 3 mm. Il punto più ristretto è comunque rappresentato dall'uretere intramurale e dal meato ureterale (2 mm). Pur tenendo in considerazione il fatto che l'uretere rappresenta un tubo elastico il cui calibro è perciò soggetto a notevoli variazioni, si capisce come mai i calcoli ureterali si soffermino sempre in determinate posizioni. L'uretere intramurale, ad esempio rappresenta una tipica sede in cui si arrestano i calcoli nel loro de22

corso. Un brevissimo cenno alla vascolarizzazione dell'uretere per ricordare come la vascolarizzazione dell'uretere a livello del giunto sia assicurata dai vasi renali, quella dell'uretere iliaco dall'aorta e dai vasi iliaci e quella dell'uretere pelvico dai vasi vescicali, rami dell'arteria ipogastrica. La vascolarizzazione dell'uretere alto giunge all'uretere dal lato esterno mentre quella dell'uretere medio e basso dalla sua faccia mediale. Ciò è ovviamente fondamentale in tutta la chirurgia dell'uretere, soprattutto nelle malformazioni congenite, ove tali rapporti vascolari con l'uretere sono normalmente esaltati.

1.3 VESCICA La vescica è un serbatoio della capacità di circa 500 ml, predisposta in modo da contenere ed espellere le urine. Topograficamente è localizzata profondamente nella pelvi, dietro alla sinfisi pubica, al davanti del retto nel maschio e della vagina e dell'utero nella donna. La base della vescica è composta dal trigono, ossia da quella porzione del pavimento vescicale a forma di triangolo la cui base è rappresentata dai due meati ureterali sottesi dalla barra interureterica (barra di Mercier) e l'apice è costituito dal collo vescicale. Questa porzione della vescica è molto importante perché rappresenta la base, "fissa", non movibile, perché solidamente ancorata al pavimento pelvico. Il collo vescicale è, infatti, fissato alle strutture pelviche dalla prostata, dalla riflessione viscerale della fascia pelvica, dalle robuste connessioni areolari con l'uretra e il retto, dai legamenti veri (pubovescicale, uraco e ombelicale) e da pseudo legamenti 23

(ureteri, vasi sanguigni, riflessione peritoneale) La vescica è un organo extraperitoneale, divisa dalla parete posteriore dell'addome dallo spazio di Retzius o spazio prevescicale. I due legamenti ombelicali, limiti laterali della fascia ombelicoprevescicale, costituiscono i margini laterali dello spazio prevescicale. Nel maschio la faccia posteriore della vescica è in contatto con le vescicole seminali e le ampolle deferenziali che giacciono in stretta prossimità del punto in cui gli ureteri entrano nella parete vescicale. Complessivamente la vescica può essere divisa nelle seguenti parti: un collo vescicale, un trigono, una base o fondo, due pareti laterali, una parete anteriore e una cupola. La parete vescicale è costituita da uno strato mucoso interno rivestito da epitelio transizionale, da una lamina propria, da uno strato muscolare che è costituito da fasci muscolari a disposizione longitudinale esternamente, da fasci a sistemazione circolare in posizione intermedia e da fasci a distribuzione longitudinale internamente. Esternamente la sierosa divide l'organo dalle altre strutture contenute nello scavo pelvico. La vascolarizzazione della vescica è data dalle arterie vescicali superiori e inferiori che derivano dall'arteria ipogastrica. Le vene si congiungono sulla faccia superiore e laterale della vescica e vanno a sboccare nel plesso venoso di Santorini e, quindi, nella vena ipogastrica. I linfatici convergono nei linfonodi iliaci esterni, nei linfonodi ipogastrici e in quelli presacrali.

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1.4 PROSTATA La prostata è un organo ghiandolare e fibromuscolare che, circondando la porzione prossimale dell’uretra, posta sotto il collo vescicale e al davanti del retto da cui è separata dalla fascia di Denonvilliers. L’organo ha la forma di una castagna con la base rivolta verso la vescica e l’apice verso il diaframma uro-genitale Nell’adulto il peso della ghiandola è di 20-25 grammi, il diametro Longitudinale di 30 mm, il trasverso di 40 mm e l’anteroposteriore di 25 mm.

La porzione inferiore e posteriore della prostata prende rapporti con l’ampolla rettale essendo diretta obliquamente in basso e in avanti, l’esplorazione rettale ne potrà apprezzare quindi la porzione posteriore con l’interposizione della parete intestinale e dell’aponeurosi di Denonvilliers. La vascolarizzazione arteriosa e venosa della ghiandola è molto abbondante, la prima è particolarmente sviluppata nel distretto periuretrale, la seconda è raccolta in tortuosi plessi che circondano l’organo ghiandolare 25

La prostata infine contrae delicati rapporti prossimalmente con lo sfintere uretrale liscio, da cui è rivestita la sua faccia superiore, e distalmente con lo sfintere striato con cui è in continuità tramite il suo apice. La prostata è una ghiandola di tipo apocrino tubulare composto, i cui dotti si aprono nell’uretra prostatica nel cui lume, a livello della parete posteriore, in corrispondenza di una rilevatezza definitiva veru montanum, sboccano dopo aver attraversato il parenchima ghiandolare, anche i dotti eiaculatori. La ghiandola prostatica entra quindi in intimo rapporto con il complesso vescico-uretrale e con il apparato riproduttivo e va considerata tra gli organi sessuali secondari. Dal punto di vista organizzativo la prostata ricorda un grappolo d’uva (elemento ghiandolare) immerso in una gelatina organizzata da tralci fibrosi (stroma). Recentemente da parte di McNeal la ghiandola è stata suddivisa in tre diverse zone che sembrano avere importanza dal punto di vista morfologico, funzionale e patologico: Nella prostata sono distinte: 1) zona periferica: essa contiene il 75% del tessuto ghiandolare complessivo della prostata. Macroscopicamente, tale zona ha una forma detta “a poppa di barca” e costituisce la parte posteriore della prostata, in corrispondenza della base, mentre anteriormente si estende fino all’apice, dove circonda completamente l’uretra. La maggior parte dei carcinomi prostatici trae origine in questa sede. 2) zona centrale: costituisce il 20-25% del tessuto ghiandolare normale; ha la forma di un cono e circonda i dotti eiaculatori durante il loro decorso dalle vescicole seminali al veru montanum. 3) zona transizionale: circonda in modo parziale lo sfintere preprostatico e l’uretra prossimale È separata dalla zona centrale e dalla porzione periferica da tessuto di tipo fibrotico. 4) zona anteriore (stroma fibromuscolare anteriore): è posta al 26

davanti dell’uretra ed costituita dalle fibre muscolari che scendono dal collo vescicale e salgono dallo sfintere striato dell’uretra Questa zona raggiunge il massimo spessore a livello del veru montanum per poi assottigliarsi in prossimità dell’apice della prostata 5) zona preprostatica: è la più ridotta, situata a monte del veru montanum, composta prevalentemente da tessuto muscolare liscio che circonda il tratto prossimale dell’uretra e la cui contrazione, nell’eiaculazione, impedisce il reflusso dello sperma in vescica. Detta zona contiene una minima quantità di tessuto ghiandolare, situato tra la componente muscolare e la parete uretrale. 1.4.1 Fasce pelviche La struttura fasciale pelvica si divide in Fascia Parietale e Fascia Viscerale. La Fascia Parietale si suddivide in Fascia Endopelvica che ricopre la superficie anteriore della prostata, Fascia Parietale che ricopre il muscolo elevatore dell'ano lateralmente e Arco tendineo della fascia pelvica. La Fascia Viscerale contiene il tessuto connettivo-adiposo con l'apporto neuro vascolare situato sotto la fascia parietale. Essa ricopre ed è aderente alla superficie di vescica, prostata, vescicole seminali e retto. Il suo spessore varia secondo le strutture vasculonervose presenti al suo interno. Conseguentemente essa non rispecchia esattamente la sua definizione anatomica di “fascia”: struttura sottile che può essere afferrata e identificata durante la dissezione e separata nell'insieme dai tessuti adiacenti, con funzione di ricoprire o avvolgere, costituita di tessuto connettivo mesenchimale (muscolare e fibroso). In realtà dunque, tale zona di tessuto adiposo chiamata fascia viscerale non appare convincente come struttura fasciale, per27

ché non è separabile nell'insieme dalle strutture adiacenti, organi pelvici quali vescica e prostata, senza entrare all'interno dello stroma fibromuscolare. In tal senso ci si può riferire a tale fascia come un involucro fibro-adiposo contenente l'apporto neuro vascolare agli organi pelvici e ai corpi cavernosi. 1.4.2 Fascia Parietale L'arco tendineo della fascia pelvica è un ispessimento delle componenti parietale e viscerale della Fascia Pelvica, dai Legamenti Pubovescicali (o Puboprostatici) fino alla spine ischiatiche. Quando la fascia endopelvica o la fascia parietale dell'elevatore dell'ano sono incise lateralmente all'arco tendineo della fascia pelvica, il muscolo elevatore dell'ano visualizzato a “nudo” lateralmente. 1.4.3 Fascia Viscerale Sotto la fascia parietale, a contatto con la superficie prostatica si trova la fascia viscerale prostatica. Essa, composta di più strati, contiene tessuto adiposo, tessuto muscolare liscio e collagene. Le strutture neuro-vascolari, presenti al suo interno, sono spesso visibili. Essa può essere suddivisa in tre porzioni: anteriore, laterale e posteriore, nota come Fascia di Denonvilliers. Quest'ultima si continua cranialmente dalla superficie posteriore della prostata a ricoprire la superficie posteriore delle Vescicole Seminali. Tale fascia è stata proposta con il nome di “Prostatoseminal vesicular fascia” (PSVF) con l'intento di meglio definirla da un punto di vista anatomico. Essa non coincide con la Fascia Rettale Propria dalla quale può essere separata mediante un clivaggio prerettale. Tale piano residua dalla fusione dei due foglietti peritoneali, fu28

si a formare il cul de sac del Douglas, prima della nascita. A livello delle vescicole seminali è proposta una distinzione di due foglietti, uno anteriore e l'altro posteriore. Anatomia dei fasci neuro vascolari I fasci Neuro - vascolari (NVB) sono racchiusi all’interno della porzione postero laterale della PSVF (o Fascia Periprostatica), medialmente alla fascia dell’elevatore dell’ano (Figura 2) In sezione trasversa i NVB sono limitati da un triangolo di fascia come illustrato da Kouramas e coll. AFMS: Stroma fibromuscolare anteriore di McNeal EPF: Fascia endopelvica RW: Parete rettale PRS: Spazio prerettale PSVF: Prostatoseminal vesicular fascia (Denonvilliers’ Fascia.) NVB: Fascio Neurovascolare Tuttavia Eichelberg e coll. hanno pubblicato i risultati di uno studio sulla distribuzione delle fibre nervose intorno alla prostata. Da loro lavoro emerge che la maggior concentrazione (45.9% - 65.6%) delle fibre dei fasci neuro-vascolari è localizzata a livello della porzione postero-laterale della prostata (ore 4/5 o 8/9). Ciò nonostante una quota espressiva di fibre nervose (21.5% 28.5%) è distribuita anteriormente linea mediana. Gli autori stabiliscono che 1/4 - 1/5 delle fibre nervose possono trovarsi sulla circonferenza ventrale della capsula prostatica e per preservare tali fibre è necessario eseguire un incisione molto anteriore, sulla superficie prostatica, della fascia parietale e viscerale. 1.4.4 Anatomia - chirurgica della Nerve-Sparing 29

La dissezione prostatica, in rapporto all’esecuzione della tecnica nerve-sparing, è definita come extrafasciale, interfasciale o intrafasciale. Sulla base dei concetti anatomici descritti, Villers e coll. hanno proposto una differente terminologia per cui la dissezione è definita: • xtrafasciale, quando il piano di dissezione si sviluppa all’esterno della fascia viscerale prostatica (PSVF) e le strutture neurovascolari contenute al suo interno sono rimosse contestualmente alla prostata; • Intrafasciale in cui il piano di dissezione si sviluppa all’interno della fascia viscerale prostatica e quindi una parte o tutte le strutture contenute al suo interno sono preservate. La dissezione Intrafasciale viene a sua volta suddivisa in: Interfasciale quando una parte del tessuto fibro-adiposo della fascia viscerale residua adeso alla superficie prostatica. Endofasciale (o Intrafasciale secondo altra terminologia) quando il tessuto fibro-adiposo della PSVF è preservato e non è presente sulla superficie prostatica una volta rimossa la ghiandola. 1.4.5 Funzioni della prostata La prostata, con le vescicole seminali, rappresenta l'organo sessuale secondario più importante nel maschio. Nei mammiferi queste ghiandole esocrine secernono numerosi prodotti il cui ruolo fisiologico resta tuttavia poco noto. La secrezione prostato-vescicolare costituisce quantitativamente e qualitativamente la principale porzione del plasma seminale. Molti autori discutono il ruolo delle secrezioni prostatovescicolari nel determinare la fertilità dell'eiaculato, infatti, in alcuni animali la fecondazione può avvenire mettendo semplicemente a contatto lo spermatozoo con l'ovocita. Oltre ad un ruolo nella produzione dell'eiaculato, per la prostata e per le sue secrezioni è supposta un'importante funzione di barriera nei confronti di agenti patogeni infettanti. 30

Benché gli organi sessuali secondari, prostata e vescicole seminali, non siano indispensabili per la vita e la fertilità, il loro secreto serve a portare, a nutrire e ad aumentare le possibilità di sopravvivenza degli spermatozoi. Il volume dell'eiaculato umano è in media 3 ml, in esso si riconoscono due parti separabili con la centrifugazione: gli spermatozoi, che occupano un volume pari all'1% e il plasma seminale prodotto dalla secrezione di organi sessuali secondari come epididimo, deferente, vescicole seminali prostata, ghiandole di Cowper e ghiandole di Littrè. Rispetto ad altri fluidi umani, il plasma seminale dimostra concentrazioni straordinariamente elevate di potassio, acido citrico, zinco, fruttosio, fosforicolina, spermina, aminoacidi liberi, prostaglandine ed enzimi come la fosfatasi acida, la diaminoossidasi, la beta glucoronidasi, la lattico deidrogenasi e l'amilasi. Da quanto si è detto, almeno quantitativamente, la prostata partecipa con un ruolo secondario rispetto alle vescicole seminali al prodotto eiaculato. A prova di ciò si consideri che, a seguito di un intervento di adenomectomia prostatica, il volume dell'eiaculato non diminuisce a causa della resezione di parte del tessuto ghiandolare. L'effetto comunque più grande è il fenomeno dell'eiaculazione retrograda dovuta alla resezione del collo vescicale e del suo sfintere liscio che durante l'eiaculazione rappresenta, per così dire, la culatta della camera di scoppio dalla cui integrità l'eiaculato ricava lo stimolo per proiettarsi all'esterno. Non vi è dubbio che la ghiandola prostatica sia sotto stretta influenza ormonale, ma non esistono prove convincenti che essa si comporti come una ghiandola esocrina. Molto si discute sul tipo di ormoni e sul ruolo da essi svolto nei processi di morfogenesi ed evoluzione della ghiandola. Vi è un generale accordo nel ritenere androgeni ed estrogeni i principali o, per lo meno, gli ormoni più conosciuti che in31

fluenzano la ghiandola prostatica. Per gli altri ormoni di natura steroidea, come ad esempio la prolattina, è supposta ma non dimostrata un'influenza sulla ghiandola.  Androgeni: nel maschio normale il testosterone circolante è per il 95% di origine testicolare e rappresenta l'androgeno principale prodotto dalle cellule del Leydig stimolate dall'ormone gonadotropo ipofisario. La maggior parte del testosterone circolante è legato alle proteine sieriche come le albumine e specifiche come la Sex Hormone Binding Globulin (SHBG), prodotta a livello epatico e capace di legare sia il testosterone sia gli estrogeni. Solo il 3% del testosterone, non legato alle proteine circolanti, è disponibile per il metabolismo periferico.  Estrogeni: circa il 75-90% degli estrogeni plasmatici nel giovane adulto derivano dalla conversione periferica di androstenedione e testosterone in estrone ed estradiolo attraverso una reazione di aromatizzazione. Una piccola quota di estrogeni è prodotta sotto stimolo della gonadotropina ipofisaria FSH dalle cellule del Sertoli a livello testicolare. La sede periferica di aromatizzazione degli androgeni ed estrogeni non è ben nota ma sembra essere il tessuto adiposo. Secondo alcuni autori dopo i 50 anni raddoppia il livello plasmatico di estradiolo e tuttavia la quota libera e metabolicamente disponibile non varia per l'aumentare della SHBG, si osserverebbe inoltre una riduzione della produzione di testosterone con un aumento del rapporto estradiolo libero/testosterone libero. A livello prostatico è meglio conosciuto il metabolismo androgeno di quanto non sia il metabolismo estrogeno. Il testosterone penetra nella cellula prostatica per diffusione passiva e il 90% è irreversibilmente metabolizzato da una 5-alfa-reduttasi a deiidrossitestosterone che rappresenta la forma attiva dell'ormone e si lega a un recettore proteico citoplasmatico. Gli estrogeni sarebbero in grado di interferire con il metabolismo androgeno sistemico aumen32

tando la produzione epatica di SHBG e alternando la porzione di androgeno libero circolante.

1.5 URETRA L'uretra nell'uomo, lunga circa 23 cm, si estende dal meato uretrale esterno al meato interno nella vescica urinaria e si divide in uretra prostatica, membranosa e peniena. L'uretra peniena è interamente contenuta nel corpo spongioso; al suo interno, localizzate nella porzione anteriore e laterale, si trovano le ghiandole di Littré. La parte più prossimale dell'uretra peniena è anche il segmento più largo e presenta un’espansione fusiforme che prende il nome di bulbo dell'uretra ed è circondato dai fasci del muscolo bulbocavernoso. Nell'uretra bulbare sboccano le ghiandole di Cowper. L'uretra membranosa e l'uretra prostatica costituiscono quella porzione di uretra localizzate profondamente nella pelvi oltre il diaframma urogenitale e il cui accesso chirurgico è più complesso. Il punto di unione fra l'uretra bulbare e l'uretra membranosa è quello in cui più frequentemente avvengono i processi infiammatori e le stenosi che a questi fanno seguito. L'uretra membranosa rappresenta invece il punto più soggetto alle lesioni traumatiche dell'uretra. A livello dell'uretra prostatica si trova il veru montanum, ossia quella rilevatezza della mucosa uretrale (cresta uretrale) costituita dall'otricolo prostatico, e dalle piccole aperture laterali che rappresentano gli sbocchi dei dotti eiaculatori. Questo punto di repere anatomico è molto importante per il chirurgo poiché 33

rappresenta il luogo, ove si trova lo sfintere urinario esterno (volontario). Tale sfintere costituisce una delle due strutture deputate al controllo della continenza (l'altra è costituita dal collo vescicale) La sua accidentale lesione in corso di resezione prostatica o d’intervento chirurgico a cielo aperto può quindi essere causa d’incontinenza. L'uretra femminile è lunga 4 cm. circa ed è localizzata dietro la sinfisi pubica e al davanti della vagina. Anch'essa è fornita di numerose ghiandole che sboccano in prossimità del suo meato esterno. Le più voluminose sono rappresentate dalle ghiandole di Skene. L'uretra femminile, corrispondente, dal punto di vista embriologico, all'uretra prostatica sovramontanale nell'uomo, rappresenta, per la vescica, l'intero meccanismo sfinteriale. L'uretra femminile è molto più facilmente distensibile rispetto all'uretra maschile per cui il cateterismo ne è in genere molto più facile e agevole.

1.6 BORSA SCROTALE Partendo dall'esterno è costituita dalla cute, dal dartos, dal muscolo cremastere e dal testicolo. Intorno al testicolo esistono due tonache con una diversa origine embrionale. La tonaca vaginale comune che deriva dalla fascia trasversalis ed è in sostanza indissolubile dalla borsa scrotale e la tonaca vaginale propria che deriva dall'estroflessione del peritoneo durante la discesa del testicolo dalla cavità addominale alla borsa scrotale, avvolge il testicolo completamente, dividendosi in due strutture, la porzione viscerale, a stretto contatto con l'albuginea del testicolo stesso e la porzione parietale che si estroflette a livello dell'epididimo venendosi a confondere con la tonaca vaginale comune.

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Tra il foglietto parietale e quello viscerale della tonaca vaginale propria si viene a formare quella raccolta di liquido conosciuta come idrocele. Il cremastere deriva dal muscolo obliquo interno. La sua importanza risiede nel fatto che in seguito alla stimolazione tattile o termica il muscolo si contrae tirando verso l'alto la gonade che si avvicina alla parete addominale aumentando in tal modo la sua temperatura. Questo fenomeno è conosciuto come riflesso cremasterico ed è importante nella valutazione dell'integrità dei nervi spinali da L1 a L2. Fino a poco tempo fa era considerato come test di base nello screening dell'impotenza per la valutazione dell'integrità del sistema nervoso periferico. Il riflesso cremasterico non è invece da confondere con il riflesso dartoico, dovuto alla contrazione involontaria del dartos che è un muscolo pellicciaio e contiene quindi fibrocellule muscolari lisce, non è un muscolo volontario e si contrae a causa del freddo, rilasciandosi invece al calore (riflesso del calore e dell'orripilazione). Anche la sua funzione è di ridurre il volume della borsa scrotale aumentando perciò il calore della gonade. Sempre all'interno della borsa scrotale è contenuto il tratto inferiore del funicolo spermatico composto dai vasi spermatici e dal deferente. La borsa scrotale è divisa in due metà dal rafe scrotale che in realtà è ben visibile sulla cute scrotale mentre all'interno le due cavità non sono divise.

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1.7 TESTICOLI I testicoli sono due organi pari, di forma ovoidale, appiattiti in senso latero-mediale e delle dimensioni di 4 x 3 x 2 cm. Essi pesano dai 12 ai 14 g. La loro funzione è quella della produzione di spermatozoi e degli ormoni androgeni. Il margine posteriore delle gonadi è in rapporto con l'epididimo, l'arteria spermatica, il plesso pampiniforme, i vasi linfatici e i rami nervosi che penetrano nella gonade a livello dell'ilo (antro di Highmoro). Le arterie testicolari sono fondamentalmente due. L'arteria spermatica interna o arteria testicolare che deriva direttamente dall'aorta e rappresenta l'arteria funzionale del testicolo e l'arteria deferenziale o vesciculo-deferenziale che rappresenta un ramo viscerale della vescicale inferiore, a sua volta derivante dall'arteria ipogastrica. Alcuni identificano anche un’arteria spermatica esterna, che è in realtà un ramo dell'arteria epigastrica inferiore (diramazione dell'iliaca esterna) e non ha nessun rapporto funzionale con la gonade. Esso è un ramo cutaneo che provvede alla vascolarizzazione della borsa scrotale. Le vene che drenano il sangue refluo della gonade sono costituite dalle cosiddette vene del plesso pampiniforme, convergono verso l'ilo del testicolo e sboccano a sinistra a livello della vena renale sinistra, mentre a destra sboccano direttamente nella cava. Questa disposizione anatomica è molto importante per capire come il varicocele congenito si manifesti costantemente a sinistra. I testicoli sono delimitati da una membrana di tessuto connettivo fibroso conosciuta come tonaca albuginea. Da questa partono dei setti che percorrono radialmente il testicolo dividendolo in 250 – 300 lobuli o logge. I setti confluiscono verso il margine posteriore, dove convergono a formare l'ilo dell'organo detto mediastino. Ciascun lobulo contiene da uno a tre tubuli seminiferi contorti le cui estremità, in corrispondenza dell'apice del 36

lobulo, si uniscono a formare 20 – 30 tubuli retti. Questi penetrano nel mediastino formando una rete di tubuli anastomizzati fra loro, la cosiddetta rete testis. Dalla rete testis partono da 12 a 15 condottini efferenti che perforano l'albuginea e passano nella testa dell'epididimo. Da qui gli spermatozoi passano nel canale dell'epididimo che si trova nel corpo e nella coda dell'epididimo per risalire poi a livello del canale del dotto deferente. I tubuli seminiferi hanno una lunghezza di 70-80 cm. la cui parete è costituita da un epitelio pluristratificato detto epitelio germinativo le cui cellule corrispondono ai vari stadi di sviluppo delle cellule germinali. Le cellule non germinali sono costituite dalle cellule del Sertoli che hanno funzioni di sostegno e nutrimento delle cellule germinali. Le cellule di Sertoli sono unite fra loro da una membrana impermeabile che impedisce un contatto diretto fra il sangue e le cellule germinali che potrebbero generare una reazione autoimmune contro gli spermatozoi. I tubuli seminiferi sono immersi in un tessuto connettivo lasso con vasi sanguigni e gruppi sparsi di cellule interstiziali conosciute come cellule di Leydig che sono quelle che, all'interno della gonade, producono il testosterone sotto stimolazione dell'ormone luteinizzante LH. L'ormone FSH stimola invece le cellule di Sertoli. FSH e testosterone contribuiscono ad aumentare la produzione di spermatozoi. All'interno dei tubuli seminiferi avvengono i processi della spermatogenesi e della spermiogenesi. L'intero ciclo richiede 70 giorni, è differente nelle varie parti della gonade e, alla fine, porta la cellula germinale a 37

possedere un corredo genetico di tipo aneuploide. All'interno dell'epididimo ha luogo l'accumulo e la capacitazione (facilitazione della maturazione) degli spermatozoi, la modificazione della composizione del liquido seminale attraverso processi di secrezione e assorbimento e l'eliminazione degli spermatozoi danneggiati. Il tubulo del deferente ha una lunghezza di circa 6 metri. Esso è costituito da un epitelio cilindrico pseudostratificato con stereociglia che svolgono la funzione di far progredire gli spermatozoi all'interno del deferente. All'esterno esiste uno strato di tessuto connettivo con un piano di cellule muscolari lisce che svolgono anch'esse la funzione di far progredire gli spermatozoi all'interno del deferente. Le fibre hanno una distribuzione esterna a decorso longitudinale, un’intermedia circolare e un’interna longitudinale. A livello del polo superiore del testicolo fortemente adesa alla tonaca vaginale è presente l'idatide del Morgagni, un residuo embrionale del dotto di Wolff, che non ha alcun significato funzionale. Anche il deferente deriva dal dotto mesonefrico di Wolff come anche la coda e il corpo dell'epididimo. Per tale motivo sono frequenti le anomalie congenite in cui si ha la dissociazione tra testa e corpo dell'epididimo o l'agenesia del testicolo e della testa dell'epididimo, entrambe di derivazione dalla cresta neuralis. Il deferente ha una lunghezza di 35-40 cm., uno spessore variabile dai 2 ai 5 cm., un colore bianco grigiastro e si divide in tre parti: un tratto scrotale, contenuto all'interno della borsa scrotale, un tratto inguinale e un tratto addomino-pelvico (in cui entra nell'anello inguinale interno, passa lateralmente ai vasi epigastrici inferiori). A questo punto incrocia l'arteria ombelicale obliterata dall'esterno verso, l’interno e si dirige profondamente nella pelvi, dove modifica il calibro e diventa ampolla deferenziale e, tramite il dotto eiaculatore, sbocca all'interno dell'uretra prostatica a livello del veru montanum. Anteriormente al dotto eiaculatore sbocca un'altra struttura ghiandolare la ghiandola bulbouretrale o ghiandola di Cowper. Posterior38

mente il dotto delle vescichette seminali unisce il dotto deferenziale con le vescichette seminali che si trovano posteriormente alla prostata e hanno la funzione di accumulare il liquido seminale. All'interno delle vescichette seminali esiste un'alta percentuale di fruttosio, necessaria alla nutrizione degli spermatozoi durante il loro stazionamento nelle vescichette seminali. Queste sono separate dal retto mediante la fascia di Denonvilliers.

1.8 PENE Il pene è costituito dalle seguenti strutture anatomiche. Procedendo dall'esterno verso l'interno abbiamo: la cute. Essa ricopre interamente l'asta dalla base fino all'apice e arrivata in prossimità del solco balano-prepuziale, si ripiega su se stessa a formare il prepuzio. E' quest'ultima una struttura anatomica molto interessante per l'utilizzazione che gli urologi ne hanno sempre fatto nella ricostruzione dell'uretra o nella plastica di sostituzione dei corpi cavernosi. Pur essendo molto elastica e compiacente alla maggior parte delle tecniche di chirurgia plastica e ricostruttiva, non bisogna dimenticare la vascolarizzazione di questa porzione di cute, soprattutto nella sua porzione distale. Un’erronea valutazione o la mancata acquisizione di certi principi può avere conseguenze spesso gravi con estese necrosi cutanee che compromettono quasi sempre l'esito dell'intervento ricostruttivo . Di sotto la cute esiste un tessuto connettivo lasso che permette lo scorrimento della cute sulla cosiddetta fascia penis o fascia di Buck, una strut39

tura fibro-connettivale che avvolge completamente l'asta e le sue strutture. Tra la cute e la fascia troviamo la vena superficiale del pene, ben visibile dall'esterno con varie configurazioni anatomiche, che drena i tessuti cutanei superficiali andando a sfociare generalmente a sinistra, nella vena grande safena. Sotto la fascia penis troviamo il fascio nerveo-vascolare del pene, costituito dalle due arterie dorsali destra e sinistra del pene dal nervo e dalla vena dorsale profonda del pene che, a differenza della precedente sbocca all'interno del plesso di Santorini e da lì nella vena ipogastrica. Essa raccoglie, lungo l'asta, una discreta quantità di vene emissarie del corpo cavernoso conosciute come vene di Kohlrausch. L'importanza della loro localizzazione in questa sede sta nel fatto che, essendo questa membrana elastica, quando il pene è in erezione, sia la vena dorsale profonda, sia queste vene emissarie sono compresse tra la fascia e l'albuginea del corpo cavernoso, causando un notevole rallentamento di tipo meccanico “passivo” al deflusso del sangue dal corpo cavernoso al plesso di Santorini. L'albuginea è una membrana fibrosa che circonda completamente il corpo cavernoso del pene e il tessuto areolare che si trova al suo interno. Dalla sua superficie si dipartono dei setti che dividono il corpo cavernoso stesso in numerosi setti. Un setto mediano divide longitudinalmente il pene per tutta la sua lunghezza. La fascia penis, oltre ad avvolgere l'albuginea, delimita esternamente anche il corpo spongioso dell'uretra peniena. Quest'ultima, arrivata in prossimità dell'apice dei corpi cavernosi, si espande bruscamente formando una specie di cappuccio conico che riveste l'apice dei corpi cavernosi così da costituire quella struttura anatomica conosciuta come glande. A differenza del corpo cavernoso del pene, il glande, come l'uretra è costituito da tessuto spongioso elastico con spazi trabecolari più ampi che non partecipano, se non in minima parte (fase di inturgidimento), ai meccanismi erettili. In tal modo l'uretra, durante l'erezione, rimane pervia per permettere l'eiaculazione. Le arterie che vasco40

larizzano il pene sono sostanzialmente 3 e rappresentano i rami terminali dell'arteria pudenda interna, a sua volta ramo parietale, terminale dell'arteria ipogastrica. Esse sono le due arterie dorsali del pene, che si anastomizzano a corona una volta giunte nella porzione distale dell'asta, l'arteria bulbo-uretrale che funzionalmente appartiene più all'uretra che al pene e le due arterie cavernose che rappresentano le vere e proprie arterie funzionali del pene anche se esistono notevoli controversie circa la reale presenza di anastomosi fra le arterie dorsali e le arterie cavernose. Il controllo nervoso dell'erezione vede impegnati sia il sistema vegetativo (orto-e para-simpatico), che il sistema somatico. L'innervazione parasimpatica origina dai nervi erigendi, contigui ai vasi ipogastrici, i quali terminano nel plesso pelvico. Da tale plesso si sviluppano i nervi cavernosi, che, decorrendo postero-lateralmente rispetto alla prostata, raggiungono i corpi cavernosi. L'innervazione ortosimpatica deriva dalla porzione toracolombare del midollo spinale. Le fibre, decorrendo in sede retroperitoneale, raggiungono il plesso sacrale maggiore, sotto la biforcazione aortica. Da qui, attraverso i nervi ipogastrici, raggiungono i corpi cavernosi del pene. L'innervazione somatica è legata al nervo dorsale del pene, ramo terminale del nervo pudendo. Questo nervo fornisce al pene sia fibre sensitive, che motorie, dirette ai muscoli ischio-cavernosi e bulbo-cavernoso. I corpi cavernosi del pene sono completamente separati dal glande che appartiene al corpo spongioso dell'uretra. La vascolarizzazione della cute prepuziale è fornita dalle 4 arterie pudende esterne superiore, inferiore, destra e si41

nistra che originano sempre dall'arteria iliaca esterna. Più anarchica la vascolarizzazione venosa che drena comunque nella vena grande safena di sin. In un 20% dei casi sbocca nella vena safena di destra.

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CAPITOLO 2

CENNI DI EMBRIOLOGIA E MALFORMAZIONI DELL’APPARATO URINARIO Alchiede Simonato, Stefano de Stefani 2.1 MBRIOLOGIA URINARIO

D LL’APPARATO

G NITO-

Nel corso della vita endouterina si possono osservare tre strutture diverse che andranno a formare, alla fine, il rene. Molto precocemente si organizza il pronefro, in sede toracica, dotato di alcune paia di tubuli e di un dotto in cui sboccano i tubuli stessi. Nell'embrione di 4 settimane si osserva l'involuzione del pronefro, mentre si forma, caudalmente a esso, sempre dalla massa cellulare mesodermica intermedia, il mesonefro, anch’esso costituito da strutture tubulari che vanno a sboccare nel dotto preesistente che è conosciuto col nome di dotto del mesonefro o di Wolff. Mentre il mesonefro e il suo dotto andranno a costituire strutture di pertinenza dell'apparato genitale, dall'estremità caudale del dotto si sviluppa un diverticolo che andrà progressivamente incontro ad allungamento e a formazione di un lume al suo in44

terno, che rappresenta la gemma ureterale. I condotti paramesonefrici o di Müller si formano per un’invaginazione lineare dell’epitelio celomatico della cresta mesonefrica. La terminazione caudale di questa struttura è a fondo cieco e allungandosi acquisisce un lume. Il canale di Müller decorre lateralmente al canale del mesonefro (Wolff). Nella sua parte distale si dirige davanti e medialmente a esso unendosi alla fine al controlaterale formando così il tubercolo di Müller. A questo punto lo sviluppo successivo è molto diverso nei due sessi. Nel maschio le strutture Mülleriane vanno progressivamente incontro a involuzione mentre quelle Wolffiane si pongono in rapporto con la cresta genitale, formatasi medialmente alle strutture mesonefriche; il dotto di Wolff andrà quindi a costituire il deferente, le strutture tubulari mesonefriche formeranno l'epididimo, mentre dalla cresta genitale si formerà il testicolo il quale, attratto dal proprio legamento inguinale (futuro gubernaculum testis), migrerà in seguito nella 45

borsa scrotale. Residui craniali del dotto di Wolff danno luogo all'appendice dell'epididimo, analoghi del dotto di Müller danno luogo all'appendice del testicolo (idatide peduncolata e sessile di Morgagni). L'estremità caudale dei due dotti di Müller, fusi sulla linea mediana, andrà a formare l'otricolo prostatico. Nella femmina invece, vanno in atrofia le strutture Wolffiane (di cui rimarranno vestigio il dotto di Gartner, l'epoophoron e il paraoophoron), mentre i dotti del Müller vanno a formare nella porzione prossimale le tube e in quella distale, dopo fusione sulla linea mediana, l'utero e i 4/5 superiori della vagina. L'equivalente del gubernaculum è rappresentato dal legamento rotondo dell'utero. Ritornando a considerare l'organogenesi urinaria, verso l’ottava – nona settimana di vita endouterina la già citata gemma ureterale, crescendo verso l'alto, si pone in rapporto con una cuffia di mesenchima, inducendola a differenziarsi nel metanefro, che rappresenta il vero e proprio precursore di quello che sarà, a termine, il rene definitivo. La gemma ureterale si allunga progressivamente e va incontro a un processo di multiple suddivisioni dicotomiche che daranno luogo alla via escretrice intrarenale; le strutture di divisione più periferiche (tubuli collettori), si fondono con l'abbozzo glomerulare, tubulare prossimale e distale, originato dall'abbozzo metanefrogeno. La vascolarizzazione del metanefro è fornita da arterie che si trovano in una posizione caudale rispetto a quella che diventerà la biforcazione aortica; a mano a mano che il blastema va incontro all'apparente risalita verso la posizione definitiva, le arterie che inizialmente lo irroravano vanno incontro a involuzione e scompaiono mentre se ne formano delle altre, provenienti dall'aorta addominale, fino a raggiungere la disposizione definitiva. Si è parlato di apparente risalita del rene; in realtà avviene un allungamento della porzione caudale dell'embrione e per questo i segmenti distali al rene, come pure l'uretere pri46

mitivo, vanno incontro a un accrescimento longitudinale. Basso apparato urinario La porzione caudale dell'intestino primitivo è costituita dalla cloaca, di pertinenza entodermica, chiusa verso il basso dalla membrana cloacale, di cui si riconosce un foglietto interno, entodermico e uno esterno, ectodermico. Nella cloaca si inserisce la porzione terminale del dotto mesonefrico e dell'uretere primitivo. La cloaca è collegata inoltre all'allantoide. Essa è quindi suddivisa da un sepimento mesodermico (setto uro-rettale), che si accresce dall'alto verso il basso, in una porzione anteriore, seno urogenitale, e una posteriore, rettale. Il seno uro-genitale darà luogo alla vescica, all'uretra posteriore e alla prostata nel maschio, in pratica a tutta l'uretra nella femmina, mentre l'allantoide involverà a formare l'uraco o legamento vescico-ombelicale mediano (i legamenti vescicoombelicali laterali si formeranno dall'obliterazione delle arterie ombelicali). Di particolare importanza l'organizzazione delle strutture mesenchimali che andranno a formare la muscolatura detrusoriale e porteranno alla separazione degli sbocchi dei dotti mesonefrici da quelli ureterali. Le strutture trigonali si sviluppano per ultime e sono costituite da una parte entodermica posta profondamente, e da una mesodermica, continuazione della stoffa muscolare dell'uretere, superficiale alla precedente. In corrispondenza dell'estremità anteriore della cloaca, nel frattempo, è andato progressivamente accrescendosi un tubercolo mesodermico, detto tubercolo genitale, dal quale si formeranno, nella femmina il clitoride, e nel maschio il pene. Sulla faccia ventrale di questo, si forma una doccia, delimitata dalle due pliche uretrali, che progressivamente saldandosi sulla linea mediana, originerà l'uretra anteriore. Posteriormente a questo processo, ai lati del seno uro-genitale, si rilevano due pliche ectodermiche, dette pliche genitali che formeranno le grandi labbra nella femmina, mentre nel maschio, fuse sulla linea mediana, daranno origine alla borsa scrotale. 47

2.2 PATOLOGIA MALFORMATIVA 2.2.1 Agenesia Renale L'agenesia renale bilaterale rappresenta un’anomalia abbastanza rara. I soggetti colpiti da questa anomalia non sopravvivono. Non sembrano esservi fattori predisponenti. La diagnosi prenatale viene in genere sospettata per la presenza di un oligoidraimnios all'esame ecografico del feto. A questa anomalia si associano frequentemente una ipoplasia polmonare e tipiche deformità del profilo facciale (faccia di Potter). L'agenesia renale monolaterale è una anomalia meno rara dovuta al mancato sviluppo della gemma ureterale (che deriva dal dotto di Wolff) o al fatto che, nonostante si sia sviluppata normalmente, non riesce a raggiungere il metanefro, non inducendo in tal modo la formazione del rene L’arteria renale assente e nel 50% dei casi anche l'uretere omolaterale è assente o atresico o, talora, è normalmente presente ma termina a fondo cieco. L'agenesia monolaterale è del tutto asintomatica e generalmente rappresenta un reperto casuale in corso di una ecografia addominale, eseguita per altri propositi diagnostici. Talora la diagnosi può essere fatta, sempre accidentalmente, in corso di una cistoscopia poiché in questi soggetti non è presente la "barra interureterica" e, naturalmente, il meato ureterale omolaterale. In qualche caso il meato ureterale può esserci ma non essere visto perché situato in sede ectopica (uretra, vescicole seminali, vagina). Qualora ci si trovi di fronte ad un dubbio diagnostico, l'angiografia digitale o la tomografia assiale computerizzata, possono risolvere definitivamente il quesito. Talora i soggetti affetti da questa anomalia presentano alterazioni a carico della via semi48

nale che vanno comunque escluse mediante opportuni accertamenti (agenesia vesciculo-deferenziale omolaterale, cisti delle vescicole etc.) 2.2.2 Ipoplasia Renale Per ipoplasia s’intende la presenza di un rene piccolo, generalmente attribuita a ipoplasia dell'arteria renale omolaterale, può essere suddivisa in una forma organoide (rene nano con corticale e midollare riconoscibile spesso con un abbozzo di sistema collettore) e in una forma segmentaria (con coesistenza di lobuli renali normali e aplasici). Quando l'ipoplasia è molto severa, si parla di aplasia. Tale situazione può verificarsi in soggetti assolutamente normali in cui il rene ipoplasico è associato alla presenza, nello stesso individuo, di un rene controlaterale in ipertrofia compensatoria. In questi casi la massa totale renale rimane invariata e, di pari passo, il funzionamento. I reni in cui l'ipoplasia rappresenta invece una vera e propria patologia malformativa, sono generalmente displastici all'esame istologico e spesso in questi reni coesistono aree amartomatose o displasiche. L'ipoplasia non deve essere naturalmente confusa con l'atrofia acquisita del parenchima renale, dovuta a fenomeni infiammatori avvenuti durante la vita fetale o immediatamente dopo la nascita. Il reflusso vescico-ureterale è una delle cause più frequenti di danno precoce del rene. Il rene nano può talora porre problemi di diagnosi differenziale nei confronti del rene grinzo glomerulonefritico e di quello pielonefritico. Mentre in quest'ultimo caso in genere la distinzione può essere abbastanza evidente per la presenza di lesioni caliceali in corrispondenza delle cicatrici parenchimali, cosicché si realizza un raggrinzamento generalmente disarmonico, molto più difficile è la differenziazione nei confronti del raggrinza49

mento armonico post-glomerulonefritico. In questi casi a favore della patogenesi congenita può stare un numero di calici inferiore alla norma, una posizione del rene più mediale rispetto al normale, la presenza di una malrotazione. Le stenosi dell'arteria renale portano in alcuni casi ad atrofia del parenchima. Tuttavia nella maggior parte dei casi la distinzione tra atrofia e ipoplasia riveste più che altro un significato semantico perché una diagnosi certa e definitiva è spesso impossibile. 2.2.3 Displasia e Rene Multicistico Il rene multicistico è una malformazione caratterizzata dalla presenza di numerose cisti, conglomerate all'interno del parenchima renale di cui alterano il profilo e la struttura. L'uretere è generalmente atresico o manca del tutto. E' bene rilevare che questa malformazione, al contrario del rene policistico, con cui generalmente è confuso, è unilaterale e non è ereditaria. L'origine dell’alterazione sembra dovuta a una mancata fusione fra il nefrone e l'apparato collettore. Istologicamente la struttura del parenchima è totalmente sovvertita e sono presenti solo alcuni glomeruli e tubuli allo stato embrionale. La diagnosi è generalmente fatta in modo casuale per la presenza di una massa al fianco. L'ecografia addominale è in grado di confermare la diagnosi nella maggior parte dei casi. L'urografia perfusionale non è in genere di alcun aiuto; infatti, il rene multicistico, non è funzionante tranne che in pochi casi in cui è visibile una tenue opacizzazione del parenchima dopo alcune ore dall'infusione del mdc. Si è osservato che nei casi in cui il rene multicistico sia aumentato di volume, il rene controlaterale è normale, nei casi in cui il rene multicistico sia piccolo, il controlaterale può essere colpito da anomalie. Una delle più frequenti è rappresentata dalla stenosi del giunto pieloureterale. 50

La displasia renale è un’alterazione che, come ricordato in precedenza trova una difficile diagnosi differenziale con l'atrofia postinfiammatoria. Istologicamente il parenchima presenta una disorganizzazione strutturale con presenza di cisti glomerulari e tubulari e un aspetto globale di tipo fetale. Talora sono presenti delle isole metaplastiche di cartilagine. L'origine è dovuta a un’ostruzione avvenuta durante la vita fetale. 2.2.4 Rene Policistico dell'adulto Questa anomalia è ereditaria secondo un carattere autosomico dominante ed è bilaterale nel 95% dei casi. Esiste una forma del bambino di tipo autosomico recessivo che porta in brevissimo tempo a un’insufficienza renale, e una forma dell'adulto che è autosomica dominante e i cui sintomi si manifestano solo dopo il quarantesimo anno di età. Questa malattia si associa generalmente alla presenza di cisti nel fegato, nella milza, nel pancreas. I reni sono aumentati di volume e completamente occupati da formazioni cistiche. Anche in questo caso, come nel rene multicistico, sembra che l'anomalia sia dovuta alla mancata fusione tra i tubuli collettori ed i glomeruli. I pochi tubuli collettori terminanti a fondo cieco che si connettono con il glomerulo si riempiono di urina e vengono a formare le cisti. Queste diventano progressivamente sempre più grandi e comprimono il restante parenchima che va incontro ad atrofia compressiva. In breve il rene cessa perciò completamente di funzionare. I sintomi possono essere completamente assenti o comparire quando ormai l'insufficienza renale è conclamata. Talora il paziente può riferire episodi di ematuria macroscopica o colica renale quando un coagulo si impegna all'interno della via escretrice. Qualche volta è presente un dolore sordo al fianco o una sensazione di peso. Nel 60-70% dei pazienti è presente ipertensione e segni di anemia dovuti alla carenza di fattore emopoie51

tico. Se sopravviene un’infezione del parenchima e l’anomalia si manifesta con i quadri tipici della pielonefrite. L'esame obiettivo rivela la presenza di due masse in regione lombare che, in genere, è molto facile percepire alla palpazione bimanuale della regione lombare. Ricordiamo come la presenza di un rene policistico o multicistico nel feto possa essere una delle cause di distocia nel parto. La diagnosi sarà eseguita mediante l'ausilio delle comuni metodiche radiologiche. Fra queste l'ecografia addominale è uno degli esami non invasivi più accurati e risolutivi. Qualora esistano dubbi diagnostici (idronefrosi, tumori renali) l'esecuzione di una TAC potrà stabilire definitivamente la diagnosi. Un breve cenno a questo proposito va fatto su due anomalie congenite che pongono talora il clinico di fronte al dubbio della diagnosi differenziale. Si tratta della malattia di von Hippel-Lindau in cui entrambe i reni presentano numerose cisti che possono facilmente essere interpretate come reni policistici. Tuttavia la diagnosi differenziale sarà eseguita per la presenza di altre anomalie nello stesso paziente: cisti angiomatose cerebellari, angiomatosi retinica, cisti o neoplasie del pancreas. Va inoltre rilevato come i soggetti affetti da questa anomalia, vadano incontro a neoplasia renale in un'altissima percentuale dei casi (>70%). Un'altra anomalia che può porre problemi nella diagnosi differenziale col rene policistico è rappresentata dalla sclerosi tuberosa di Bourneville. Essa è caratterizzata da: ritardo mentale, attacchi convulsivi, adenomi sebacei. e tumori amartomatosi localizzati alla cute, al cervello, alla retina, all'osso, al fegato e al cuore. La tipica lesione renale è rappresentata da angiomiolipomi localizzati a entrambe i reni. Il quadro urografico può facilmente indurre in errore l'urologo che dovrà utilizzare indagini complementari quali l'ecografia e la TAC per una diagnosi differenziale.

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2.2.5 Cisti Semplici Le cisti semplici sono alterazioni molto frequenti del parenchima renale. Possono essere uniche o multiple, localizzate a un solo rene o diffuse a entrambe gli organi, a struttura semplice o multiloculata. La loro origine non è chiaramente definita. Sperimentalmente sono riproducibili nell'animale provocando un’ostruzione tubulare o un’ischemia focale. Ciò sarebbe compatibile con la loro origine acquisita anche nell'uomo e spiegherebbe tra l'altro come mai sono più frequenti nelle persone anziane. Generalmente le cisti renali non provocano alcuna sintomatologia e non necessitano perciò di alcun trattamento. Vi sono tuttavia alcuni casi in cui esse vanno valutate con grande attenzione. Si tratta, infatti, di quei casi in cui l'aspetto ecografico della cisti si presenta irregolare per la presenza di lobulazioni all'interno (cisti multiloculate) o di sangue e detriti che producono alterazioni della normale anecogenicità intracistica (spot iperecogeni). In questi casi l'atteggiamento astensionistico non è giustificato perché nel 30% dei casi, in queste cisti complesse possono essere presenti neoplasie della parete. L'esplorazione chirurgica e/o laparoscopica dirimerà definitivamente i dubbi diagnostici. Vi sono casi, abbastanza rari, in cui la cisti è sintomatica. Si tratta in genere di cisti localizzate in zone del rene ove possono provocare compressione e ostruzione della via escretrice. Le cisti mesorenali provocano, ad esempio, compressione dei calici mentre quelle localizzate al polo inferiore del rene possono ostruire l'uretere. In questi casi, che rileviamo, sono molto rari, l'urografia perfusionale o l'ecografia dimostreranno la presenza di dilatazione della via escretrice. In alcuni casi le cisti possono raggiungere delle dimensioni notevoli e superare i 10 cm. di diametro. In questi casi il paziente si sottopone alla visita del medico per la presenza di una massa deformante il fianco. All'interno di queste cisti "giganti" si possono accumulare fino ad alcuni litri di liquido trasparente, di 53

colore giallo-citrino. Anche in queste condizioni è indicato un provvedimento terapeutico risolutivo. Talora le cisti possono infettarsi e manifestarsi in modo acuto con febbre e dolore richiedendo perciò un intervento d'urgenza. La diagnosi radiologica delle cisti renali, come in precedenza accennato, è eseguita con l'ecografia renale nella maggior parte dei casi. Nelle cisti complesse la TAC può essere dirimente nella diagnostica differenziale con le neoplasie renali. L'utilizzazione di mezzo di contrasto (TAC con contrasto o Urografia perfusionale) esclude in genere la comunicazione della cisti con la via escretrice. Infatti, le cisti non comunicano normalmente con la via escretrice e questa caratteristica, serve a differenziarle dalle dilatazioni dei calici dovute ad idronefrosi. Nei casi in cui il dubbio diagnostico non sia risolto, si può eseguire una puntura percutanea ecoguidata della cisti. Il liquido aspirato può venir sottoposto ad esame citologico per escludere la presenza di lesioni neoplastiche. Ricordiamo comunque come la maggior parte delle cisti renali semplici non richieda alcun provvedimento terapeutico tranne periodici controlli ecografici per valutare la variazione nelle dimensioni di una grossa cisti renale. Poniamo l’accento inoltre come la semplice aspirazione con ago della cisti rivesta quasi unicamente un significato diagnostico poiché il 90% delle cisti in cui si aspiri il liquido contenuto, anche in modo completo, tende a riformarsi in breve spazio di tempo. Si può allora ricorrere all'iniezione di sostanze sclerosanti all'interno della cisti per ridurre la percentuale di recidive. In molti casi tuttavia solamente la recentazione chirurgica della parete potrà risolvere definitivamente il caso. Di recente, grazie all'introduzione della laparo54

scopia operativa, si può trattare definitivamente l'alterazione con una metodica minimamente invasiva. 2.2.6 Rene a Ferro di Cavallo Il rene a ferro di cavallo rappresenta un’anomalia non molto frequente caratterizzata dalla presenza di due reni fusi fra loro. La forma più comune è rappresentata dalla fusione dei due poli inferiori del rene ma esistono pure ectopie crociate in cui entrambe i reni si trovano dalla stessa parte e sono uniti fra loro in vari modi. Generalmente ogni rene è provvisto del proprio apparato escretore indipendente mentre sono costanti le anomalie vascolari con la presenza di vasi aberranti. Fondamentale ricordare la presenza in un'alta percentuale di soggetti (70%) di altre anomalie concomitanti sia all'apparato genitourinario che extraurologiche. In genere questa malformazione (dovuta alla fusione dei due metanefri) avviene abbastanza precocemente nella vita fetale per cui i reni raramente riescono a migrare verso l'alto e rimangono localizzati in sede pelvica. Inoltre, come tutti i reni malformati, non riescono a completare la normale rotazione dall'avanti verso la colonna vertebrale e dall'alto verso il basso, per cui la pelvi renale rimane localizzata sulla faccia anteriore dei due reni ed è orientata esattamente all'opposto di quanto avvenga per un rene normale. Questo quadro è molto importante perché costituisce uno dei fondamenti diagnostici di questa anomalia nell'immagine urografica. Nel rene a ferro di cavallo l'uretere passa generalmente sopra l’istmo ossia quella porzione di parenchima che unisce il polo inferiore dei due reni. Per questo motivo, in qualche caso, può crearsi un meccanismo di com55

pressione dell'uretere con successiva dilatazione della via escretrice a monte. Talora la compressione può essere causata dalla presenza di un vaso anomalo. Associata a questa patologia può esservi la presenza di un reflusso vescico-ureterale. Nei casi in cui non esista compressione della via escretrice, la presenza di un rene a ferro di cavallo rappresenta un reperto del tutto casuale, non associato cioè ad alcuna sintomatologia. Il quadro urografico è, come accennato in precedenza, caratteristico e fa porre diagnosi nella maggior parte dei casi. 2.2.7 Ectopia Renale Semplice Per rene ectopico s’intende la localizzazione congenita di un rene in una sede diversa rispetto a quella occupata nell'individuo normale. Il rene, durante il suo sviluppo nel feto, non è asceso normalmente fino alla regione lombare ma si è fermato a livello della cresta iliaca o addirittura nella pelvi. In talune rarissime occasioni può addirittura trovarsi nel torace. La vascolarizzazione può essere anomala e originare dai vasi della regione. Le complicazioni più frequenti sono rappresentate dall'ostruzione e dall'infezione. Talora la diagnosi è assolutamente incidentale. 2.2.8 Ectopia Renale Crociata Senza Fusione Il rene è sempre in sede ectopica ma si è anche localizzato dal lato opposto a quello che dovrebbe occupare. Il quadro urografico dimostra la presenza del rene in sede controlaterale ma non è generalmente in grado di differenziare questa anomalia dall'ectopia crociata con fusione. La diagnosi differenziale richiede l'utilizzo di metodiche più complesse quali la TAC e l'angiografia digitale. Anche in questo caso le complicanze sono dovute a ostruzione e infezioni. Bisogna non confondere l'ectopia con la ptosi renale, condizione in cui il rene si trova 56

dislocato rispetto alla naturale sede lombare, potendo, in alcuni casi giungere fino alla fossa iliaca omolaterale. Tuttavia quest'ultima alterazione, a differenza della precedente è acquisita e dipende dal fatto che il rene, normalmente asceso durante la vita fetale fino alla regione lombare, ridiscende poi lentamente verso il basso. Il fenomeno accade più frequentemente nelle donne ed è dovuto a una riduzione nella componente grassosa del Gerota. Il rene discende verso il basso per gravità fino a localizzarsi nella fossa iliaca omolaterale. Nel 90% dei casi l'alterazione è asintomatica. Nei rarissimi casi in cui la discesa del rene provoca inginocchiamenti dell'uretere e ostruzione, si può avere una sintomatologia dolorosa a tipo colica. In questi casi, sempre qualora sia possibile dimostrarlo chiaramente, è concepibile eseguire un intervento di nefropessi, ossia di fissaggio del rene nella loggia renale. 2.2.9 Anomalie di Rotazione Come esposto in precedenza, durante la vita fetale il rene subisce una progressiva rotazione dall'esterno verso l'interno, per cui alla nascita l'ilo renale si trova rivolto verso la colonna vertebrale. In caso di anomalie congenite nello sviluppo dell'organo, questa rotazione non avviene per cui la pelvi renale si trova rivolta anteriormente. Da ciò deriva che, in generale, la pelvi dei reni malruotati, a differenza di quanto potrebbe sembrare deduttivamente, ha un più facile approccio chirurgico. 2.2.10 Rene a Spugna Midollare (Malattia di Cacchi e Ricci) Si tratta di un’anomalia congenita che è trasmessa secondo un carattere autosomico recessivo. E' caratterizzata dalla presenza di tubuli collettori distali enormemente dilatati e in molti casi interessati da dilatazione cistica. In questi, a causa della stasi urinaria, precipitano sovente formazioni calcolotiche. Altra 57

complicanza abbastanza frequente, dovuta alla stasi di urina, è rappresentata dall'infezione. La malattia si manifesta in genere bilateralmente ma può anche essere localizzata a un solo rene. Caratteristica, dal punto di vista urografico, è la presenza di calcificazioni multiple localizzate all'interno dei calici dilatati. Generalmente i pazienti affetti da rene a spugna sono totalmente asintomatici ma la presenza di un’acidosi tubulare e l'iperparatiroidismo associato possono provocare un’eccessiva precipitazione di calcio nel rene con formazioni di calcoli che si vanno a impegnare nella via escretrice originando la tipica sintomatologia della colica renale. Non esiste una terapia specifica per quest’anomalia, al di fuori, ovviamente, del trattamento delle complicanze e di una valutazione metabolica che consenta di prevenire o perlomeno ridurre al minimo la formazione di calcoli.

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2.2.11 Anomalie Vascolari Le anomalie vascolari più importanti sono dovute alla presenza di vasi aberranti che possono avere varia insorgenza. Abbiamo già osservato la presenza di una vascolarizzazione anomala nel rene ectopico. Anche nel rene che si trova in posizione normale, si possono avere delle anomalie vascolari. Degne di essere accennate sono: la presenza di arterie polari, a insorgenza direttamente dall'aorta che irrorano generalmente il polo inferiore del rene e sono oltremodo importanti nella chirurgia del rene. Infatti, esse sono presenti nel 20% circa della popolazione e vanno sempre considerate perché la loro accidentale lesione provoca l'ischemizzazione e la successiva necrosi del polo inferiore del rene (vascolarizzazione terminale). Questi vasi anomali sono inoltre responsabili insieme con altri fattori, come vedremo in seguito, della sindrome del giunto pieloureterale. Ricordiamo inoltre la cosiddetta sindrome di Fraley, in cui un vaso arterioso intrarenale provoca la compressione e dilatazione di un calice renale. 2.2.12 Atresia Ureterale Il mancato sviluppo della gemma ureterale può condurre ad una assenza completa dell'uretere oppure, nei casi in cui la gemma si sia regolarmente formata, ma non sia venuta a contatto con il metanefro, ad un’agenesia renale o alla formazione di un rene multicistico. Come già ricordato, se l'alterazione avviene bilateralmente, questa è incompatibile con la sopravvivenza. 2.2.13 Duplicazione Ureterale E' una delle anomalie congenite più frequenti dell'apparato urinario. La sua presenza viene in genere diagnosticata del tutto occasionalmente in corso di un’urografia eseguita per altre ra59

gioni. La duplicità può essere incompleta o completa. Nel primo caso gli ureteri si riuniscono prima di raggiungere la vescica in cui hanno uno sbocco in comune. Talora la duplicità riguarda esclusivamente la pelvi renale. In qualche caso a livello della giunzione fra i due ureteri esiste un restringimento funzionale dovuto all’incoordinazione dell'onda peristaltica. Questo può provocare idronefrosi e sofferenza dell'emidistretto renale superiore. Nella duplicità completa, gli ureteri si sono sviluppati da due gemme ureterali indipendenti che vanno ad incontrare il blastema metanefrico inducendo quindi la formazione di due parenchimi renali indipendenti. Il rene sarà in realtà unico ma provvisto di due emuntori completamente separati e indipendenti. Per la legge di Weigert-Meyer l'emidistretto superiore sarà drenato dall'uretere con lo sbocco più caudale mentre quello inferiore avrà lo sbocco in vescica localizzato in sede più craniale. Perciò l'ostio dell'uretere superiore potrà essere ectopico mentre l'uretere inferiore potrà essere reflussivo. Vale la pena ricordare come nel maschio le sedi di ectopia ureterale sono sempre sovrasfinteriche (al di sopra dello sfintere striato dell'uretra) mentre nelle donne l'uretere può sboccare oltre lo sfintere o, addirittura, al di 60

fuori dell'apparato urinario. Conseguentemente i disturbi nella donna saranno prevalentemente caratterizzati da sgocciolamento ed incontinenza completa. Generalmente la porzione di parenchima renale drenato dall'uretere ectopico non è funzionante o ha una fortissima riduzione dello spessore a causa di sopravvenuti fenomeni infiammatori o delle elevate pressioni. Tale situazione richiede l'attuazione di una nefrectomia parziale nella maggior parte dei casi. Qualora il parenchima risulti ancora funzionante, può essere presa in considerazione una chirurgia conservativa che prevede la riunione chirurgica della via escretrice alta. 2.2.14 Ureterocele L'ureterocele è una dilatazione sacciforme dell'ultima porzione dell'uretere. Secondo la localizzazione dello sbocco esso può essere ortotopico (intravescicale) o ectopico. L'ureterocele ortotopico è in genere singolo, e può sboccare in vescica sia normalmente sia modificando completamente la parete vescicale, dislocando l'orifizio ureterale controlaterale e addirittura interferendo con il normale svuotamento vescicale. Spesso è presente anche un’idronefrosi con assottigliamento del parenchima renale. L'ureterocele ectopico, più frequente rispetto al precedente (4 volte) è associato a duplicità ureterale. L'emidistretto superiore, quello appunto drenato dall'ureterocele ectopico, è generalmente idronefrotico e displastico. Questo parenchima displastico va asportato con l'uretere perché non funzionante e maggiormente esposto a rischio di neoplasia. La sintomatologia di questi pazienti varia secondo l’entità della malformazione e lo sbocco dell'uretere. Talora il primo sintomo può essere rappresentato da difficoltà nello svuotamento vescicale o incontinenza. In qualche caso, nella donna, l'ureterocele può fuoriuscire addirittura dall'uretra. Ricordiamo, infatti, che quest’anomalia è molto più frequente nel sesso femminile e che 61

nel 10% dei casi può essere bilaterale. La diagnosi viene in genere posta mediante l'urografia perfusionale. Nei casi di duplicità ureterale è d'obbligo l'esecuzione di una cistografia retrograda per escludere la presenza di reflusso nell'uretere omolaterale. La cistografia sarà inoltre utile nell'identificare le alterazioni nella morfologia e nello svuotamento vescicale. 2.2.15 Ectopia del Meato Ureterale Generalmente l'ectopia ureterale avviene in associazione con l'ureterocele e la duplicazione ureterale. Tuttavia l'ectopia dell'uretere può manifestarsi anche come singola alterazione. Questa anomalia è causata dal ritardo o dall’assoluta mancanza di separazione della gemma ureterale dal dotto mesonefrico durante lo sviluppo fetale. La porzione di parenchima renale drenata dall'uretere ectopico è generalmente displastica. Nell’uomo lo sbocco ureterale è costantemente sovrasfinterico e può avvenire in qualsiasi punto a livello dell'uretra sopramontanale, delle vescicole seminali o addirittura del deferente. Talora un’epididimite può essere la prima manifestazione dell'anomalia. Nelle donne lo sbocco ureterale può localizzarsi di là dallo sfintere, nell'uretra, nella vagina o in sede perineale. I sintomi potranno essere quindi correlati a un’incontinenza totale. Spesso sono presenti anche delle anomalie a carico dell'apparato genitale. Talora, alla presenza di reflusso, si potranno avere infezioni dell'apparato urinario. L'urografia perfusionale, la cistografia retrograda e l'ecografia addominale saranno in grado di porre diagnosi, anche se nell'ectopia singola generalmente tutto il rene si presenta displastico e non funzionante per cui la diagnosi contrastografica è spesso difficile o addirittura impossibile. Nel maschio la diagnosi può essere fatta mediante cistoscopia che permette di vedere lo sbocco dell'uretere ectopico. In qualche caso il trigono vescicale è asimmetrico poiché man62

ca la porzione dove è presente l'uretere ectopico. In questi casi potrà essere presente una massa al fianco rappresentata dal parenchima renale atrofico e dilatato. Nella donna lo sbocco ureterale ectopico potrà essere evidenziato da una cistoscopia all'interno dell'uretra o mediante vaginoscopia in sede vaginale. L'ureterografia retrograda sarà in grado di evidenziare il decorso dell'uretere. Il trattamento chirurgico è correlato all'entità del danno parenchimale e va dalla nefrectomia al reimpianto dell'uretere ectopico. 2.2.16 Anomalie di Posizione dell'uretere Queste comprendono l'uretere retrocavale, circumcavale o postcavale. Questa rara anomalia è dovuta a un’alterazione embriologica nello sviluppo dei vasi addominali. La persistenza della vena subcardinale destra, forza l'uretere destro a passare dietro alla vena cava. Esistono due varietà anatomiche dell'uretere retrocavale. Nel primo tipo l'uretere superiore e la pelvi renale giacciono su un piano orizzontale nel momento in cui passano dietro la cava. In questo caso non vi è ostruzione e non è richiesta alcuna terapia. Nel secondo tipo l'uretere scende normalmente fino a livello della terza vertebra lombare, dove si piega indietro e verso l'alto a mo' di J rovesciata per passare dietro e intorno alla vena cava. In questo caso è generalmente presente un’ostruzione. La diagnosi è eseguita generalmente mediante un’urografia perfusionale o un’ureterografia retrograda associata a una cavografia. Adesso la RMN ha permesso di porre diagnosi anche nei casi più difficili. Talora accanto a queste anomalie se ne presentano altre. Un’altra anomalia di posizione dell'uretere può essere rappresentata dall'uretere retroiliaco. Il trattamento chirurgico consiste nella sezione dell'uretere che è reanastomizzato al davanti dei vasi. In qualche caso l'intervento può presentare qualche difficoltà perché l'uretere si presenta atresi63

co e fibrotico per un lungo tratto e la sua ricostruzione può essere complessa. 2.2.17 Sindrome del Giunto Pieloureterale Difetto congenito intrinseco o estrinseco a livello della giunzione pieloureterale che determina dilatazione pielo-caliceale. ’ presente già alla nascita, anche se i sintomi possono manifestarsi in seguito (anche nell’età adulta) Il sesso maschile colpito con maggiore frequenza da tale malformazione. Nel 10% dei casi è bilaterale. Da non confondere con la malattia del giunto pieloureterale che è solamente una malattia funzionale (difetto della propagazione dell’onda peristaltica) della giunzione pieloureterale senza ostacoli o stenosi documentabili. Cause: 1) anomalie ultrastrutturali del giunto: anomalo orientamento e rarefazione delle fibre muscolari che sono inframmezzate da molte fibre collagene In alcuni casi si osserva un’aplasia o ipoplasia muscolare oppure nessun’alterazione specifica In questo caso il giunto non presenta una vera e propria stenosi (è sempre cateterizzabile!), probabilmente avviene un difetto nella dinamica dell’apertura del giunto pieloureterale che è preposto alla progressione del bolo urinoso verso l’uretere. Verosimilmente tali modificazioni strutturali provocherebbero la scomparsa dell’attività di “pacemaker” della contrazione miogena pieloureterale che sembra collocarsi nel giunto. Le alterazioni di cui sopra costituiscono la causa principale di patologia giuntale ed definita come “malattia del giunto” e spesso si sommano alle altre cause di giuntopatia che descriviamo di seguito. 2) vasi anomali (30-40%): arterie renali anomale polari inferiori incrociano il giunto provocandone un’angolazione, si associano comunemente anche anomalie ultrastrutturali 3) valvole e speroni (2-3%): sovrabbondanza di mucosa rispet64

to alla muscolare sottostante che provoca un’ostruzione del giunto. 4) stenosi e atresia: restringimento anulare circoscritto (rare) 5) impianto ureterale anomalo 6) briglie e membrane avventiziali: residui embrionali che angolano il giunto fissando l’uretere alla pelvi o al polo renale inferiore. Fisiopatologia e Anatomia Patologica L’aumento pressorio entro la via urinaria dilatata si trasmette a livello del tubulo renale provocando uno squilibrio del gradiente pressorio tra i capillari glomerulari e la capsula di Bowman con una riduzione fino a un blocco completo del meccanismo dell’ultrafiltrazione Inizialmente il rene sopperisce a tale condizione con una dilatazione dell’arteriola efferente grazie all’immissione in circolo di prostaglandina PGI2. Già dopo 24 ore avviene una notevole riduzione complessiva del flusso ematico renale per diversi fattori: 1) innesco del meccanismo ormonale renina-angiotensina; 2) azione vasocostrittrice adrenergica; 3) compressione estrinseca sui vasi intrarenali per imbibizione dell’interstizio; 4) comparsa in circolo del trombossano A-2, potente vasocostrittore. Se si arresta la filtrazione glomerulare si interrompe necessariamente la funzione tubulare: a tale livello avviene un aumentato riassorbimento di sodio e di acqua e una permeabilità alla creatinina e al saccarosio . La pressione endotubulare ritorna normale già dopo 4-5 ore da che si è verificata l’ostruzione La filtrazione glomerulare cessa completamente alla presenza di un’ostruzione ureterale completa della durata di 6-8 settimane. In caso di ostruzione completa bilaterale o monolaterale in paziente monorene, qualora la causa ostruente sia rimossa per tempo (ad esempio mettendo un catetere ureterale o una nefro65

stomia) si osserverà nelle prime ore una poliuria post-ostruttiva con perdita di sodio, (per sofferenza della branca ascendente dell’ansa di Henle e forse per la produzione di una sostanza natriuretica accumulatasi durante il periodo ostruttivo), bicarbonati, calcio, magnesio e fosfati. La stasi urinaria prolungata provoca anche alterazioni del metabolismo renale con un decremento complessivo del consumo energetico cellulare indispensabile a consentire il trasporto attivo di soluti del neurone. Le cellule renali riducono il consumo di ossigeno con un aumento della glicolisi anaerobica e presentano alterazione di molte attività enzimatiche. L’ostruzione prolungata provoca una ridotta responsività delle cellule tubolari agli ormoni aldosterone (perdita di potassio) e vasopressina (perdita d’acqua) e al contrario un’aumentata sensibilità all’angiotensina II. Avviene anche una modificazione nella produzione di ormoni intrarenali (renina ed eritropoietina). Sono molto importanti le alterazioni che avvengono a carico della via urinaria. Nell’ostruzione acuta completa non vi sono alterazioni rilevanti della via escretrice a causa del precoce arresto al deflusso urinario che è individuato e trattato rapidamente. Nella più frequente ostruzione cronica incompleta o completa la via escretrice reagisce inizialmente all’ostacolo con un aumento dell’ampiezza e della frequenza della peristalsi incrementando la pressione intraluminale (fase di compenso). In una fase intermedia, se persiste l’ostruzione, la peristalsi si riduce, mentre la pressione endoluminale rimane elevata perché si mantiene il tono della parete muscolare della via escretrice (per ipertrofia delle fibre muscolari che sono inframmezzate da tessuto elastico). Se la situazione ostruttiva non è risolta nella fase successiva, avviene una riduzione dell’attività peristaltica e della pressione endoluminale con conseguente dilatazione di 66

tutta la via urinaria a monte dell’ostacolo (fasi di scompenso). Il quadro conclamato di ureteroidronefrosi cronica si caratterizza dai seguenti aspetti morfo-radiologici e anatomo-patologici:  I calici renali perdono il loro tipico aspetto a coppa e diventano a bacchetta di tamburo.  L’uretere si dilata e si allunga anche notevolmente formando angolature e sifoni (kinking).  Il tessuto muscolare della parete ureterale è sostituito con connettivo fibroso ed elastico spesso infiltrato da cellule infiammatorie (infezione associata a ostruzione).  Nelle forme inveterate il rene va in contro a un’atrofia post-ostruttiva con fibrosi tubulo-glomerulare a causa del danno tissutale da ischemia protratta. Si riduce il parenchima renale e i calici enormemente dilatati si corticalizzano. Il rene è irreversibilmente una sacca inerte di liquido. 2.2.18 Reflusso vescico-ureterale e megauretere non refluente non ostruttivo Nel reflusso l’incompetenza della giunzione vescico-ureterale (congenita o acquisita) permette la trasmissione diretta della pressione idrostatica endovescicale verso l’alta via urinaria che è particolarmente elevata soprattutto nella fase minzionale. L’urina che refluisce deve essere nuovamente portata verso la vescica dall’uretere, che pertanto sottoposto a un lavoro supplementare. Tale situazione provoca un progressivo sfiancamento delle pareti ureterali tanto maggiore quanto da più tempo persiste il reflusso. Il reflusso vescico-ureterale oltre a provocare idroureteronefrosi espone l’alta via urinaria a infezioni ascendenti con il rischio di pielonefriti ricorrenti, calcolosi urinaria secondaria fino alla possibile compromissione della funzionalità renale. 67

Nel megauretere non refluente non ostruttivo congenito, esiste una miopatia grave della muscolatura ureterale con atonia e atrofia delle miocellule che appaiono degenerate e dissociate da fibre collagene con infiltrati infiammatori. Nel diabete insipido l’uretere normale sottoposto a un superlavoro per l’iperdiuresi che ne provoca lo sfiancamento con conseguente dilatazione. Sintomatologia Ostruzione ureterale Si differenzia principalmente in base al modo con cui avviene l’ostruzione Un’ostruzione acuta se monolaterale provoca il quadro clinico della colica renale (vedi capitolo relativo) senza che vi sia una compromissione della funzionalità renale. Se l’ostruzione acuta e completa, avviene bilateralmente o in un rene unico oltre alla sintomatologia dolorosa della colica renale avviene un quadro d’insufficienza renale acuta con oligoanuria. L’ostruzione cronica monolaterale può essere asintomatica oppure oligosintomatica, di solito è presente un dolore gravativo al fianco più raramente una colica renale. Nell’età infantile oltre a possibili sintomi aspecifici quali inappetenza, torpore e deficit di accrescimento è possibile individuare palpatoriamente la comparsa di una tumefazione al fianco. Nell’adulto la diagnosi può essere casuale in corso di accertamenti condotti anche per altri motivi (es. ecotomografia addominale). L’ostruzione cronica bilaterale evolve più o meno velocemente verso un quadro d’insufficienza renale. Possibili complicazioni dell’ostruzione ureterale cronica sono la calcolosi renoureterale, l'ematuria e l’infezione urinaria che possono evolvere fino a un quadro d’idropionefrosi con sepsi. Reflusso vescico-ureterale e megauretere non refluente non ostruttivo 68

Il reflusso vescico-ureterale determina pressoché costantemente la presenza d’infezioni urinarie ricorrenti. I sintomi dell’infezione si manifestano in maniera differente secondo l’età del paziente. Nel neonato si potranno avere sintomi aspecifici quali vomito, diarrea, ileo paralitico, febbre, perdita di peso e talora meningismo e ittero. Nel bambino più grande alla febbre si associano minzione dolorosa, pollachiuria, dolori lombari, anoressia. Nell’adulto alla febbre con brivido ricorrente tipicamente urinaria (pielonefrite da reflusso) si associa comunemente una sintomatologia irritativa vescicale (urgenza, pollachiuria, stranguria) con dolore lombare ascendente durante la minzione dal lato dell’uretere refluente Talora si possono osservare anche forme paucisintomatiche, in cui si rilevano soltanto sintomi irritativi vescicali, o asintomatiche in cui è presente soltanto piuria o batteriuria riscontrata occasionalmente. Se il reflusso persiste nel tempo, si può arrivare a un danno renale irreversibile sia per gli esiti della pielonefrite che per il danno parenchimale da distensione con possibile insufficienza renale. Il megauretere non presenta dei sintomi specifici L’infezione urinaria può essere presenta (dalla semplice leucocitaria occasionale alla pielonefrite). Il dolore può essere variamente riferito con delle caratteristiche aspecifiche come dolore gravativo o colico al fianco o alla fossa iliaca. Ematuria macroscopica soprattutto se si associa infezione o calcolosi secondaria e insufficienza renale. Diagnosi Esame clinico: La valutazione dei sintomi ci può dare delle indicazioni precise soprattutto se verifica una colica renale classica. Tuttavia molto spesso, soprattutto nei casi in cui la dilatazione dell’alta via urinaria s’instaura cronicamente, la sintomatologia più sfumata (vedi sopra) L’esame obiettivo nella colica renale ci consente di individuare alla palpazione 69

dell’addome una dolorabilità dei punti ureterali e la positività della manovra di Giordano. Un rene molto dilatato può essere palpabile e ballottabile soprattutto nei pazienti magri o in età pediatrica. Esami di laboratorio: gli esami ematochimici ci informano sulla funzionalità renale (azotemia, creatininemia, clearance creatinina) e su eventuale anemizzazione o leucocitosi (una leucocitosi neutrofila presente in caso di infezione dell’ alta via urinaria) . L’esame delle urine può evidenziare una microematuria, una cristalluria o una batteriuria. L’urinocultura associata ad antibiogramma consente di individuare il microrganismo responsabile dell’infezione per impostare una terapia antibiotica mirata. Esami radiologici: Radiografia dell’addome senza mdc: ci può fornire indicazioni sulla possibile presenza d’immagini calcifiche correlabili con dilatazione dell’alta via urinaria (es.: calcoli radiopachi, calcificazioni aneurismatiche ecc). Ecotomografia: è il primo esame da eseguire in tutte le situazioni in cui presente o sospetta una dilatazione dell’alta via urinaria. Non è invasivo, è ripetibile, non espone i pazienti a radiazioni ionizzanti Con l’ecografia la dilatazione delle cavità renali appare come una zona anecogena rispetto al parenchima circostante. Ci permette di valutare lo spessore del parenchima renale ed eventuali patologie responsabili della dilatazione (calcoli ureterali, tumori retroperitoneali, linfadenopatie, aneurismi dell’aorta, patologie ginecologiche, ureterocele ecc). Con l’ecografia riusciamo a esplorare agevolmente il rene, il primo tratto dell’uretere lombare, la vescica e l’uretere iuxavescicale. Le restanti porzioni dell’uretere sono di più difficile valutazione. Urografia endovenosa: consiste nell’esecuzione di radiogrammi dell’addome dopo somministrazione endovena di mdc ioda70

to. Consente di avere una visione su di un piano frontale dei reni e delle vie urinarie opacizzate dal mdc dopo la sua filtrazione dal rene. Con questo esame è possibile individuare con precisione il livello esatto della sede di ostruzione e l’entità della dilatazione uretero-pielocaliceale. In presenza della compromissione della capacità di filtrazione del rene il mdc non è filtrato e si ha un quadro radiologico di “rene funzionalmente escluso” ovvero non in grado di opacizzare la via escretrice. Pertanto l’urografia endovenosa un esame che ha importanza si da un punto di vista morfologico che funzionale. TC e RMN: esami che prevedono la somministrazione di mdc endovena e consentono la valutazione su un piano trasversale e frontale della cavità addominale. Utili soprattutto nel caso in cui si sospetti che la dilatazione della via urinaria possa dipendere da una patologia extraurologica (masse retroperitoneali, fibrosi retroperitoneale) o quando è necessario avere una valutazione più accurata dello spessore parenchimale renale o della morfologia del sistema pielocaliceale. Cistografia: retrograda e minzionale è utile soprattutto nella valutazione del reflusso vescico-ureterale permettendo di distinguere tra reflusso passivo (che avviene già durante la fase d’infusione di mdc in vescica) e reflusso attivo (che avviene soltanto durante la fase minzionale). Naturalmente la prima di tali due situazioni è correlata a un quadro clinico di gravità maggiore. Pielografia retrograda: esame invasivo che si esegue in corso di cistoscopia. Comporta il cateterismo del meato ureterale e successiva iniezione retrograda di mezzo di contrasto. Tale procedura consente di studiare una via escretrice ostruita quando gli altri esami radiologici contrastografici non chiariscono la causa dell’ostruzione. Tale manovra può rappresentare la fase preliminare al cateterismo ureterale finalizzato a drenare un sistema uretero-pielocaliceale ostruito. Il rischio principale di tale manovra è di in71

fettare l’alta via urinaria. Pielografia anterograda: consiste nella puntura percutanea eco o radioguidata di un sistema pielocaliceale dilatato iniettando per del mezzo di contrasto che ne consente dell’opacizzazione. Le indicazioni sono fondamentalmente le stesse della pielografia retrograda e si esegue quando questo esame non è fattibile (es.: meato ureterale non visibile) oppure quando non è in grado di chiarire la diagnosi. I rischi di tale procedura sono l’infezione e il possibile sanguinamento Scintigrafia: Renale: somministrazione endovenosa di radioisotopo marcato che è captato ed eliminato dai reni consentendo di registrare una curva che quantifica la funzionalità renale complessiva e di ogni singolo rene. Vescicale: somministrazione endovescicale tramite cateterismo di un radioisotopo marcato dissolto in soluzione salina sterile e successiva misurazione della radioattività ureterale e renale. Metodica utilizzata in tà pediatrica con l’intento di sottoporre a minore irraggiamento il piccolo paziente in cui si sospetta un reflusso vescico-ureterale. Questo esame è sicuramente meno sensibile rispetto alla cistografia tradizionale. Esami endoscopici: Cistoscopia: consente di esplorare l’uretra e la vescica individuando situazioni patologiche che possono essere responsabili di dilatazioni dell’alta via urinaria quali ad esempio neoplasie vescicali o prostatiche che infiltrano l’uretere, la presenza di ureterocele o un meato ureterale che lateralizzato e beante in presenza di reflusso. Ureterorenoscopia diagnostica e operativa: permette la visione endoscopica dell’uretere e del sistema pielocaliceale. Questo esame invasivo è indicato soprattutto in caso di lesioni ostruttive dell’uretere non chiarite con le metodiche radiologiche oppure quando presente un’ostruzione che può essere trattata endoscopicamente (calcolo ureterale ostruente, piccole neopla72

sie ureterali). Nei casi di lesioni ureterali di dubbia natura per via transureteroscopica è possibile eseguire un prelievo bioptico. Tale procedura è effettuata in anestesia generale. Esami urodinamici: Possono essere utili nella valutazione di quel gruppo di pazienti in cui la dilatazione dell’alta via escretrice secondaria a un’ostruzione funzionale dell’uretra o a un’iperreflessia vescicale (queste situazioni si riscontrano solitamente in pazienti neurologici con lesioni del SNC) Terapia Ostruzione bilaterale o in monorene acuta completa: tale situazione necessità di una derivazione urinaria estemporanea per controllare l’insufficienza renale acuta ingravescente In questi casi si esegue un cateterismo ureterale e se tale manovra non è possibile, si posiziona una nefrostomia percutanea. La patologia responsabile dell’ostruzione sarà trattata (se trattabile) in un secondo tempo. Ostruzione bilaterale o in monorene cronica incompleta: si può verificare un quadro d’insufficienza renale cronica. Bisogna diagnosticare la patologia responsabile dell’ostruzione che deve essere trattata chirurgicamente quando possibile. In caso d’ostruzione cronica ingravescente non trattabile chirurgicamente (patologia neoplastica avanzata) talvolta non resta altro da fare che mettere uno stent ureterale o una nefrostomia da sostituire periodicamente. Ostruzione monolaterale acuta o cronica completa o incompleta: in caso di colica renale si esegue terapia analgesica e antispastica, se febbre o segni d’infezione terapia antibiotica. Il cateterismo ureterale o la nefrostomia in urgenza si esegue di solito alla presenza di urine infette quanto lo stato settico che non risponde alla terapia antibiotica. Anche in questi casi terminata l’emergenza, si deve individuare e possibilmente trattare la causa responsabile dell’ostruzione. Dilatazione mono o bilaterale correlata a ostruzione o reflusso 73

secondario a malformazioni:  Sindrome del giunto pieloureterale: il trattamento è comunemente chirurgico (pieloplastica) soprattutto nelle forme diagnosticate in età infantile per impedire il progressivo deterioramento della funzionalità renale.  Ureterocele e megauratere: hanno bisogno di un trattamento chirurgico.  Reflusso vescico-ureterale congenito: nelle forme più lievi in cui gli episodi d’infezione ascendente sono scarsi o assenti, può essere monitorato nel tempo, nelle forme gravi è necessario sempre un intervento chirurgico di reimpianto ureterale. 2.2.19 Megauretere Ostruttivo Si tratta di un’anomalia più diffusa nel sesso maschile che in quello femminile. Spesso l'alterazione è bilaterale. Esiste una predominanza per il coinvolgimento dell'uretere sinistro. Nel 10-15% dei casi il rene controlaterale può essere assente o displasico. L'alterazione è dovuta a una patologia della giunzione uretero-vescicale, dove è in genere presente una stenosi di tipo funzionale dovuta alla mancanza della propagazione dell'onda peristaltica a questa porzione di uretere. Ne risulta una dilatazione a monte di vario grado. Nella maggior parte dei casi la dilatazione è localizzata al terzo distale dell'uretere ma può interessarlo per tutta la sua lunghezza. In questo caso è spesso presente una dilatazione della pelvi 74

e dei calici in genere non correlata all'entità dell'ureteronefrosi. Nell'adulto l'alterazione è in genere di modica entità e localizzata alla porzione terminale dell'uretere; in assenza d’infezione non è indicata alcuna terapia. Nel bambino è presente infezione e talora la stasi urinaria può provocare la formazione di calcoli. In queste condizioni è invece indicato l'intervento chirurgico ricostruttivo che si basa sul modellaggio dell'uretere che è ridotto di calibro mediante recentazione o plissettatura. Grande attenzione deve essere fatta alla vascolarizzazione dell'uretere malformato perché in questi casi non è presente la ricca rete anastomotica che si trova generalmente nell'uretere normale. L'asportazione del tessuto in esubero deve quindi essere eseguita rispettando scrupolosamente la distribuzione vascolare presa in considerazione in precedenza in occasione della descrizione anatomica dell'uretere. 2.2.20 Reflusso Vescico-Ureterale Il reflusso vescico-ureterale è una condizione patologica dovuta al reflusso di urina dalla vescica verso la via escretrice superiore. Normalmente, nell'uomo, l'urina progredisce dall'alto verso il basso non per fenomeni gravitazionali ma perché esiste una peristalsi attiva della muscolare ureterale (a disposizione elicoidale) che spinge l'urina verso il basso attraverso la formazione di fusi di contrazione. Arrivata nei pressi della giunzione uretero-vescicale, l'urina entra nella vescica, non potendo refluire all'indietro perché "bloccata" da una specie di meccanismo valvolare. In realtà non si tratta di una vera e propria valvola ma di una conformazione anatomica dell'uretere intravescicale che agisce da meccanismo valvolare. L'uretere intramurale, ossia quella porzione dell'uretere terminale compresa fra lo iato e l'ostio ureterale e che giace interamente all'interno della parete vescicale, ha un decorso obliquo. Per questo motivo, quando la vescica si riempie di urina, la sua 75

pressione interna aumenta e comprime progressivamente e proporzionalmente questa porzione di uretere. Più alta la pressione intravescicale e maggiore la compressione sull'uretere intramurale che agisce quindi con un meccanismo passivo di valvola antireflusso. Accanto a questo meccanismo esiste un meccanismo attivo, costituito dalla cosiddetta guaina di Waldeyer. Le fibre muscolari della parete ureterale, in corrispondenza dell'uretere intramurale diventano longitudinali e si vanno ad anastomizzare con quelle del trigono vescicale e con quelle provenienti dall'uretere controlaterale. La loro presenza è testimoniata dalla barra interureterica ossia da quella rilevatezza nella mucosa vescicale compresa fra i due osti ureterali e che costituisce un importantissimo punto di orientamento nella cistoscopia. La contrazione attiva della guaina di Waldeyer stende ulteriormente l'uretere impedendogli quindi di raccorciarsi con le contrazioni vescicali. Ne risulta un meccanismo valvolare ancora più efficiente. La causa più frequente del reflusso vescico-ureterale nel bambino è quindi dovuta a un’insufficiente lunghezza dell'uretere intramurale. Su questo principio si basano inoltre tutte le tecniche chirurgiche atte a correggere il reflusso. Esse si propongono di ricreare un sufficiente decorso dell'uretere all'interno della parete vescicale mediante l'esecuzione di un "tunnel" artificiale. La più frequente complicazione del reflusso vescico-ureterale è data dalle infezioni. Le pielonefriti da reflusso rappresentano un’inevitabile e temibile complicanza del reflusso e possono essere causa d’insufficienza renale. La sintomatologia del reflusso dipende sia dall'entità della malformazione sia dall'età del paziente. Ovviamente nel piccolo bambino la sintomatologia è silente e spesso l'unico dato a disposizione del pediatra è rappresentato da una difficoltà nella crescita o da febbri di origine apparentemente inspiegabile spesso accompagnata da nausea e dolori addominali. Talora le pielonefriti sono totalmente asintomatiche e la prima manife76

stazione è caratterizzata da piuria e batteriuria. I germi responsabili sono i comuni batteri responsabili delle infezioni urinarie, ossia le enterobatteriacee (E.Coli, Klebsiella, Proteus). A lungo andare queste infezioni ripetute possono provocare insufficienza renale ed ipertensione. L'esame delle urine e l'urinocoltura sono indispensabili nella diagnosi. Questi esami sono tutt'altro che facili da eseguire nel bambino per l'obiettiva difficoltà di raccogliere le urine in modo sterile. Spesso germi di contaminazione possono indurre in errore il medico. S’impone perciò un’analisi accurata, attraverso meticolosi e pazienti prelievi. Un episodio singolo d’infezione urinaria non depone in genere per una malattia congenita dell'apparato urinario e, in assenza di altri sintomi, va semplicemente monitorato con uno stretto controllo del paziente. Qualora però gli episodi si ripetano con una certa frequenza, si deve senza dubbio ricorrere a ulteriori accertamenti per escludere cause organiche dell'infezione urinaria. L'ecografia renale ha sostituito molte altre metodiche più invasive e dannose per la salute. Con essa si può stabilire se i reni presentano lesioni causate da reflusso o altre patologie congenite o acquisite dell'apparato urinario. Qualora sussistano dubbi potrà essere eseguita una cistografia retrograda. Quest'ultima può essere eseguita anche mediante tracciante marcato e valutata mediante una normale scintigrafia: questa tecnica espone il bambino a una minor quantità di radiazioni. Nella cistografia si evidenzierà il reflusso di urina e, soprattutto, il suo grado. Essa è eseguita mediante cateterismo uretrale e instillazione di mezzo di contrasto per via retrograda attraverso il catetere vescicale. L'infusione di contrasto avviene per caduta, ponendo la sacca col contrasto a circa 1 metro dal piano orizzontale su cui sta il paziente. Sono distinti diversi gradi di reflusso secondo l’immagine radiologica. Nel reflusso di I° grado solo la porzione terminale (1/3 distale) mostra reflusso. L'uretere è poco dilatato. Nel reflusso di II° grado tutto l'uretere presenta reflusso. 77

In alcuni casi il contrasto raggiunge la pelvi e i calici che non sono mai dilatati. Nel reflusso di III° grado esiste anche una modesta dilatazione, mentre in quello di IV° grado la dilatazione è molto importante ed il parenchima renale può essere ridotto di spessore. Può esistere un reflusso passivo, che si osserva appunto durante il riempimento passivo della vescica ed è in genere più grave ed un reflusso attivo che si manifesta solo quando il paziente urina attivamente. In genere tale reflusso si manifesta non appena, a vescica piena, si toglie il catetere vescicale ed il bambino comincia spontaneamente ad urinare. Tale classificazione è molto importante perché i reflussi di primo e secondo grado non richiedono in genere alcun trattamento chirurgico. Infatti, la giunzione uretero-vescicale, come altre strutture del bambino, tende a crescere e maturare e in molti casi quest’accrescimento basta a guarire il reflusso. Nei casi in cui sia presente infezione, basterà una terapia medica antibatterica e un accurato follow-up del paziente. Nei reflussi di III° e IV° grado generalmente si renderà necessario l'intervento. Un'altra metodica per verificare l'entità del reflusso, soprattutto nei casi di dubbio diagnostico o nell'incertezza del provvedimento terapeutico più congruo è l'esecuzione di una cistoscopia. La visione diretta del meato uretrale ci permetterà di distinguere diverse forme anatomiche. Dal normale meato a forma di cono, si passerà a quello a forma di stadio oppure a ferro di cavallo o, ancora a buca da golf. Esiste in genere una certa corrispondenza fra questi quadri e la gravità del reflusso che sarà appunto meno grave nei primi due quadri e più conclamato negli ultimi due. 2.2.21 Estrofia Vescicale Rappresenta una anomalia abbastanza rara, spesso associata ad altre anomalie congenite. E' caratterizzata dalla mancanza di 78

sviluppo della porzione ventrale del seno urogenitale. La parete addominale, nella sua porzione inferiore, appare occupata da un piastrone mucoso costituito dalla faccia interna del trigono e della parete posteriore della vescica estroflessa. Gli osti ureterali sboccano in questa formazione e continuano a emettere urina, inumidendo la mucosa e irritando la cute tutt'intorno. Le branche pubiche della sinfisi sono separate fra loro da un intervallo di alcuni centimetri. Ciò fa si che le ossa del bacino assumano una conformazione aperta verso l'esterno con conseguente rotazione dei femori e, nel caso di deambulazione, una tipica andatura anserina. Inoltre i muscoli retti, inserendosi con il loro margine inferiore alla sinfisi, son essi stessi diastasati sulla linea mediana, permettendo la formazione di ernie congenite della parete. Generalmente, accanto alla malformazione vescicale, nel maschio è presente un’evidente malformazione a carico del pene che si presenta epispadico. La chirurgia, in vero molto complessa, per la correzione di questa malformazione, si suggerisce in un primo tempo la ricostruzione della vescica e, secondariamente, la ricostruzione del pene. La vescica, esposta agli agenti esterni, andrà in contro a importanti modificazioni, evolvendo verso la fibrosi, la retrazione cicatriziale e la degenerazione neoplastica. Gli ureteri, refluenti, porteranno a sicure infezioni dell'alta via escretrice con l'insorgenza di pielonefriti acute che condurranno in breve all'insufficienza renale. Ovviamente uno dei problemi più complessi di questi pazienti è la necessità di ricreare un meccanismo per la continenza. Nei casi più difficili ciò potrà essere ri79

solto mediante il posizionamento di sfinteri artificiali o il confezionamento di neovesciche continenti.

2.3 ANOMALIE FEMMINILE 

CONGENITE

D LL’UR TRA

Stenosi dell’uretra distale (spasmo dello sfintere urinario esterno).  Fusione labiale Alcune bambine hanno le piccole labbra fuse che ostacolano il deflusso dell’urina e presentano problemi d’infezioni ricorrenti. Un’applicazione di estrogeni topici dovrebbe favorire in 2-4 settimane la separazione spontanea delle labbra.

80

2.4 ANOMALI CONG NIT D LL’UR TRA MASCHIL 2.4.1 Valvole Uretrali Posteriori Le valvole uretrali posteriori sono la più comune causa congenita di lesioni uretrali ostruttive nel bambino, si riscontrano solo nel maschio e a livello della porzione distale dell’uretra prostatica. Le valvole uretrali sono rappresentate da dei foglietti mucosi che si presentano come sottili membrane e possono causare vari gradi di ostruzione. Segni e sintomi: I bambini affetti da questa patologia manifestano sintomi urinari ostruttivi di vario grado. Solitamente hanno un mitto indebolito, intermittente o bifido. Frequentemente sono presenti infezioni delle vie urinarie che possono andare fino alla sepsi. Un’ostruzione severa può causare distensione vescicale che si traduce talvolta in una voluminosa massa ipogastrica. Se si associa un’idronefrosi severa quest’alterazione, può portare allo sviluppo di una massa palpabile al fianco. Nella maggior parte dei pazienti l’unico sintomo di rilievo la difficoltà a urinare e l’esame obiettivo sostanzialmente negativo Diagnostica: frequentemente questi pazienti presentano iperazotemia e scarsa capacità renale di concentrare le urine, valutabile con la creatininemia, la clearance della creatinina e l’uremia L’urinocoltura generalmente positiva e se presente, un’infezione cronica può essere associata un’anemia. Dal punto di vista radiologico l’ecografia può essere l’esame di primo livello per studiare i pazienti con iperazotemia. Rivelerà la presenza di idroureteronefrosi e la distensione vescicale. Può 81

inoltre evidenziare l'idronefrosi fetale, tipica patologia associata alla presenza di delle valvole uretrali posteriori, già alla 28esima settimana di gestazione L’esame più completo la cistouretrografia minzionale L’iniziale cateterizzazione permette la valutazione del residuo post-minzionale e il prelievo di urine sterili per l’urinocoltura La cistografia dimostrerà una vescica da sforzo con diverticoli e trabecolature. In qualche caso è presente un reflusso vescico-ureterale. La fase minzionale porrà in evidenza un’uretra posteriore allungata e dilatata Più invasivi sono l’uretroscopia e la cistoscopia che, nel bambino, questi esami vanno eseguiti in anestesia generale. Possono essere documentati i seguenti quadri clinici: la vescica a celle e colonne, la presenza di un diverticolo vescicale, un trigono o un collo vescicale ipertrofici. La conferma diagnostica deriva dalla visualizzazione delle valvole a livello dell’uretra prostatica; la compressione vescicale manuale dimostra se queste valvole causano un’ostruzione Trattamento: consiste nella distruzione delle valvole per via transuretrale. In alcuni casi già la semplice cateterizzazione o la cistoscopia distruggono le valvole. In caso di stenosi grave il trattamento può essere più complesso. La presenza di urosepsi richiede l’adeguata antibiotico terapia con cateterizzazione per drenare le urine e correggere l'equilibrio elettrolitico. Nei casi più gravi la distruzione delle valvole può non essere sufficiente per la presenza di un’atonia uretrale, un’ostruzione della giunzione uretero-vescicale a causa de trigono ipertrofico o la coesistenza di entrambe le patologie. In questo caso potrebbe essere necessario confezionare una derivazione urinaria temporanea per stabilizzare la funzionalità renale. In seguito si provvede alla distruzione delle valvole e alla ricostruzione della continuità urinaria. Ovviamente il periodo di diversione urinaria deve essere il più breve possibile per evitare che la vescica si coarti in maniera irreversibile a causa di una diversione sopravesicale troppo prolungata. 82

2.4.2 Valvole Uretrali Anteriori Questa è un’anomalia congenita, molto rara che si presenta con sintomi ostruttivi, incontinenza post-minzionale e infezioni. Si noterà la presenza di dilatazione o diverticolo in stretta prossimità della valvola L’uretroscopia e la cistouretrografia dimostreranno la presenza della valvola e un trattamento endoscopico contestuale permetterà di distruggere la valvola. 2.4.3 Stenosi Uretrali Stenosi uretrali congenite sono rare e generalmente si riscontrano nella fossa navicolare e nell’uretra membranosa ossia nel punto dove l'uretra distale, di provenienza dal tubercolo genitale, va a incontrare l'uretra peniena di origine mesenchimale. Interessano solo la mucosa non coinvolgendo il corpo spongioso, e appaiono radiologicamente come degli anelli senza compromissione o retrazione del corpo spongioso. Quelle più severe causano danni vescicali con idroureteronefrosi e sintomi ostruttivi. Sono trattate prima endoscopicamente con dilatazioni o uretrotomie interne. Per stabilizzare la stenosi potrebbe essere necessario ripetere quest’operazione ma se la stenosi ricorre più volte può essere necessario ricorrere a una uretroplastica “open” 2.4.4 Megalouretra E' un’alterazione piuttosto rara, rappresentata dalla mancanza di tessuto spongioso dell'uretra. Come descritto in precedenza, nel maschio, il tessuto spongioso avvolge tutta l'uretra pendula. In quest’anomalia il tessuto spongioso manca per cui l'uretra, sprovvista dell'impalcatura di mantenimento, si gonfia e allunga in modo spropositato (uretra scafoide) conferendo alla con83

formazione esterna del pene e della cute di rivestimento un aspetto caratteristico e facilmente diagnosticabile. Tra le altre anomalie rare ricordiamo la duplicità uretrale, le fistole congenite uretro-rettali e vescico-rettali, tipiche delle alterazioni miste dello sviluppo dell'apparato urinario basso e colon-rettale. Un breve cenno va fatto poi alle formazioni valvolari della fossa navicolare, ossia quella dilatazione sacciforme dell'uretra che si trova a circa 2 m dal meato uretrale esterno. In tale sede, punto d’incontro del seno urogenitale e del cordone epiteliale di origine ectodermica, si formano delle membrane, generalmente non ostruenti ma che in qualche caso interferiscono con il flusso dell'urina e debbono perciò essere incise o rimosse. 2.4.5 Ipospadia Per ipospadia s’intende un’anomalia nello sviluppo dei genitali esterni del maschio in cui il meato uretrale sbocca sulla faccia ventrale del pene, prossimalmente cioè alla sua normale localizzazione anatomica rappresentata dall'apice glandulare. Secondo la posizione del meato distingueremo perciò delle ipospadie distali in cui il meato uretrale si trova nel terzo distale dell'asta, delle ipospadie prossimali in cui il meato giace nel terzo medio dell'asta o a livello ancora più prossimale fino allo scroto e al perineo. Nelle forme più gravi, che sono percentualmente anche le meno frequenti, l'anomalia si associa quasi sempre alla presenza di un incurvamento ventrale (procurvatum) dell'asta. Tale incurvamento è dovuto al fatto che la porzione di uretra che non si è sviluppata normalmente si trasforma in una placca fibrosa (chordee) che è situata medialmente, sulla superficie ventrale dell'albuginea dei corpi cavernosi, ed è perciò causa di retrazione verso il basso del pene.

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La correzione dell'incurvamento rimane perciò uno dei punti fondamentali di questa chirurgia poiché dopo aver eseguito il raddrizzamento e l'asportazione del tessuto fibroso (cavernolisi), il difetto uretrale è molto più accentuato e di conseguenza l'ipospadia si rivela molto più grave di quanto valutato in un primo tempo. Ovviamente, più grave la forma d’ipospadia e più grave sarà anche il grado d’incurvamento. Nelle forme scrotali o perineali il pene è così curvo e ridotto di dimensioni che in alcuni casi è difficile eseguire una determinazione di sesso. A complicare ulteriormente il quadro di ambiguità dei genitali esterni di questi pazienti, spesso si associa la presenza di uno scroto bipartito da un setto mediano e la ritenzione testicolare bilaterale. In questi casi può essere indispensabile una valutazione del sesso cromosomico. Uno dei maggiori problemi per l'urologo nel trattamento delle ipospadie è costituito dalla ricostruzione dell'uretra. Le tecniche sino ad oggi adottate sono state moltissime (se ne contano più di 300) In genere il principio fondamentale nella ricostruzione della neouretra è basato sulla utilizzazione di un lembo cutaneo vascolarizzato che viene prelevato dalla cute prepuziale o peniena. ed opportunamente modellato per la ricostruzione di una struttura tubulare come l'uretra (tubulizzazione del lembo). Ogni tecnica riconosce determinati vantaggi ed è gravata da una percentuale di complicazioni che sono in genere rappre85

sentate dalle fistole uretro-cutanee e dalle stenosi. In genere le ipospadie più distali, ossia quelle più semplici dal punto di vista ricostruttivo, hanno un'altissima percentuale di successo che si avvicina al 98% nei migliori Centri Le ipospadie scrotali o perineali richiedono procedure più complesse e sono gravate da percentuali di complicazioni superiori al 30%. La tendenza attuale dell'urologo è di eseguire l'intervento in età precoce (entro i tre anni) e possibilmente in tempo unico. Tutto ciò anche per ridurre le implicazioni psicologiche che un intervento sulla sfera genitale può avere per il paziente in età più avanzata. Va inoltre ricordato come la mancata correzione del chordee, soprattutto nei casi più gravi, possa portare ad arresto dello sviluppo dei corpi cavernosi con sicura compromissione della capacità riproduttiva del paziente e l'insorgenza di problemi sessuali. La diffusione delle tecniche microchirurgiche e l'utilizzazione di materiali di sutura e strumenti sempre più delicati e atraumatici, hanno permesso di ottenere ottimi risultati anche in questi piccolissimi pazienti. 2.4.6 Epispadia Ne abbiamo già accennato a proposito dell'estrofia vescicale. Infatti, l'estrofia vescicale rappresenta la massima espressione fenotipica di quest’anomalia. A differenza dell'ipospadia, l'epispadia è abbastanza rara e le forme più gravi sono più frequenti delle forme meno gravi. In questi casi il meato uretrale è localizzato sulla faccia dorsale dell'asta e l'incurvamento è perciò dorsale (recurvatum). Si distinguono epispadie glandulari, peniene e sottosinfisarie secondo la localizzazione del meato. Tutte le forme, tranne la prima, sono asso86

ciate a vari gradi d’incontinenza. Nel maschio il pene è appiattito e aperto sulla linea mediana; i corpi cavernosi sono in genere molto distanziati fra loro. Nella femmina, dove l'anomalia è più frequente, è sempre presente incontinenza, il clitoride è bifido e le grandi labbra sono separate sulla linea mediana. 2.4.7 Incurvamenti Congeniti del Pene Un cenno a parte va fatto ai cosiddetti incurvamenti senza ipospadia che sono dati da uretre troppo brevi anche se normali da un punto di vista anatomico e topografico. In questi casi è ben dimostrabile, durante l'intervento, la mancanza del corpo spongioso e di rivestimento nella porzione più distale dell'uretra. La terapia, come per la precedente alterazione, consiste nella correzione dell'incurvamento e nella ricostruzione dell'uretra. Esistono altre forme d’incurvamento congenito del pene, non correlate allo stato dell'uretra. Si tratta delle anomalie di crescita dei corpi cavernosi che, essendo soggetti ad uno sviluppo embriologico fra loro indipendente, possono andare incontro a delle evidenti disproporzioni. Le più comuni provocano in genere solo modeste deviazioni dell'asse longitudinale del pene che non hanno alcuna rilevanza né dal punto di vista estetico che funzionale. Deviazioni maggiori possono influire con la dinamica dell'atto sessuale e vanno invece corrette chirurgicamente. L'intervento consiste nell'asportare, dal lato opposto all'incurvamento, una piccola losanga di tessuto la cui estensione deve essere proporzionale al grado d’incurvamento da correggere. Suturando in seguito i margini dell'incisione fra loro, si otterrà il raddrizzamento del pene (Nesbitt). Qualora l'incurvamento sia molto grave, sarà opportuno ricorrere a incisioni multiple piuttosto che a una singola grande incisione. Infatti, con questa metodica si riducono le possibilità di errore nella misurazione, si ottiene un raddrizzamento più graduale e preciso e diminuiscono le percentuali di complicanze postoperatorie (deficit eret87

tile, ipoestesie glandulari, raccorciamenti del pene). Ricordiamo inoltre come questi incurvamenti appena descritti non vadano confusi con gli incurvamenti del pene di origine acquisita quali quelli provocati da induratio penis plastica che riconoscono una eziologia autoimmunitaria e richiedono perciò un trattamento completamente differente.

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CAPITOLO 3

SEMEIOTICA UROLOGICA ESSENZIALE Alchiede Simonato, Marco Ennas, Andrea Lissiani

3.1 ESAME OBIETTIVO DEL RENE Innanzitutto bisogna considerare che il rene è un organo profondo e quindi difficilmente accessibile all'esame obiettivo per l'interposizione posteriore della muscolatura parietale dell'addome e della massa comune sacrolombare e per quella anteriore dei visceri endoperitoneali. Per questo motivo un rene normale in pratica non dà adito ad alcun reperto e soltanto in casi di patologia conclamata l'esame obiettivo potrà essere significativo. L’esame obiettivo del rene comprende l’ispezione, la palpazione, la percussione e l’ascoltazione Ispezione: Il paziente è seduto sul lettino e l'esaminatore si pone alle sue spalle; successivamente il paziente giace supino e l'esaminatore si pone ai piedi del letto o alla sua destra. I distretti da sottoporre a ispezione corrispondono, sulla parete anteriore dell'addome, all'ipocondrio e al fianco, su quella posteriore a un'area delimitata medialmente dal rachide, superiormente dalla XII costa, inferiormente dall'ala iliaca, lateralmente da una linea virtuale, tesa dall'apice della XII costa, verticalmente, alla cresta iliaca. Tale zona è denominata regione lombare. In realtà le citate aree non corrispondono esattamente alla proiezione cutanea del rene; soprattutto posteriormente il rene si trova al di sotto della XII costa soltanto per i 2/3 inferiori a destra e per 1/2 a sinistra. Il rene normale non dà alcun reperto ispettivo. All'ispezione, infatti, sono evidenziabili soltanto 90

grossolane tumefazioni renali, quali idronefrosi giganti, enormi cisti o grosse neoplasie. In un individuo adulto di media corporatura possono rendersi evidenti all'ispezione solo tumefazioni di diametro superiore a 12-15 cm.. Nel bambino invece per la maggior cedevolezza delle pareti addominali, in caso di grosse idronefrosi o tumori di Wilms è possibile il riscontro ispettivo di tumefazioni che tendono a evidenziarsi anteriormente sull’addome Un'altra patologia d’interesse urologico che può dare reperti ispettivi indicativi è la peri-paranefrite; in questi casi può essere presente un'iperemia e un edema delle parti molli della regione lombare; l'edema si può riconoscere per i segni che sono impressi sulla cute da parte delle pieghe degli indumenti indossati dal paziente. In casi estremi può essere presente una tumefazione o addirittura un orifizio fistoloso gemente materiale purulento. Il paziente caratteristicamente assume delle posizioni antalgiche, vale a dire a letto si sistema sul fianco controlaterale e presenta l'arto inferiore omolaterale flesso ed extraruotato per detendere il muscolo psoas; per lo stesso motivo in ortostatismo è assunta una posizione con scoliosi a concavità omolaterale. Palpazione: il paziente è fatto giacere supino sul lettino e l'esaminatore si pone alla sua destra quando vuole esaminare il rene destro, e a sinistra per il sinistro. La manovra si attua bimanualmente (palpazione sec. Guyon). La mano omolaterale al rene da esaminare è posta sulla parete anteriore dell'addome in corrispondenza dell'ipocondrio, perpendicolare al margine costale. L'altra mano palpa la parete posteriore in corrispondenza della regione lombare. S’invita il paziente a respirare profondamen91

te e particolarmente durante l'inspirio è possibile apprezzare eventuali tumefazioni a carico del rene. Facendo con la mano posta anteriormente una certa compressione, se la tumefazione eventualmente riscontrata è di pertinenza renale, la mano posta posteriormente percepirà la sensazione di “contatto lombare”, cioè di avvicinamento a essa della tumefazione stessa. Al contrario, sempre nel caso che l'eventuale tumefazione sia renale, sarà possibile compiere la manovra del “ballottamento” imprimendo brusche scosse con la mano posteriore e apprezzandole dal versante anteriore con l'altra mano. Bisogna tuttavia ricordare che tutte le tumefazioni interposte tra parete anteriore e posteriore dell'addome possono dare un ballottamento positivo. Un utile criterio diagnostico differenziale su base fisica per attribuire l'appartenenza di eventuali tumefazioni al rene rispetto agli organi ipocondriaci quello rappresentato dalla “fissabilità espiratoria” Il fegato a destra e la milza a sinistra sono fissati saldamente al diaframma da legamenti, mentre il rene è per così dire soltanto appoggiato al diaframma stesso. Ciò fa sì che un'eventuale tumefazione renale fissata tra le due mani all'acme dell'inspirio non risalga durante l'espirio mentre una tumefazione epatica o splenica segue il diaframma durante l'espirio e quindi sfugge all'esaminatore. Una tumefazione pancreatica è immobile. La palpazione del rene può essere eseguita anche con altre modalità, tuttavia per un buon esame obiettivo è necessario ben poco più di quanto è stato finora descritto; è comunque opportuno, a scopo descrittivo, ricordare queste altre modalità: - palpazione sec. Glenard: si pone il pollice della mano controlaterale nell'ipocondrio da esaminare e le altre quattro dita in regione lombare. Tale manovra, utile soprattutto nei bambini e nei soggetti magri, consente la valutazione simultanea dei due lati. - palpazione crociata sec. Petit: l'esaminatore si pone dal lato opposto al rene da esaminare e passa l'avambraccio omolaterale 92

sotto il dorso del paziente ponendo la mano in regione lombare; la mano controlaterale palpa anteriormente. - palpazione sec. Sorrentino: si esegue come la manovra di Guyon, però a paziente in ortostatismo e può essere utile per valutare una ptosi renale; Una manovra può essere inoltre adatta nella diagnosi di rene mobile: si fissa bimanualmente il rene nella sua normale sede anatomica in posizione supina, s’invita il paziente a mettersi in piedi e sospendendo tale operazione il paziente avvertirà un improvviso dolore dovuto alla brusca discesa del rene fuori dalla sua sede anatomica. Importante inoltre la ricerca dei punti di dolorabilità elettiva anteriori e posteriori. Fra i primi ricordiamo il punto sottocostale anteriore (A); pielico o ureterale superiore (di Bazin) (B), posto all'incrocio della linea ombelicale trasversa col margine laterale del muscolo retto dell'addome; il punto pieloureterale medio all'incrocio della bisiliaca con il margine laterale (o poco all'interno di questo) del muscolo retto dell'addome (c); il punto ureterale sovrapubico, due dita trasverse sopra il tubercolo pubico (D); il punto ureterale inferiore, rilevabile in corso di esplorazione rettale nel maschio o vaginale nella femmina. Nel maschio il dito esploratore è rivolto lateralmente verso l'alto e l'esterno; nella femmina si esegue l'esplorazione profonda del fornice laterale. I punti di dolorabilità posteriori sono rappresentati dal punto costovertebrale posto nell'angolo tra rachide e inserzione della XII costa, e dal punto costo-lombare, situato nell'angolo tra apice della XII costa e margine laterale del muscolo quadrato dei 93

lombi. Percussione: nel caso del rene la percussione si riassume nella manovra del Giordano, consistente nel colpire con il margine ulnare della mano la regione lombare del paziente allo scopo di rilevarne la dolorabilità. La manovra può essere positiva in soggetti neurolabili o eretistici, situazione che è generalmente svelata dalla falsa positività bilaterale della manovra. Ascoltazione: consiste nell'ascoltazione dell'arteria renale il cui focolaio è situato a due dita trasverse cranialmente dall'ombelico. In questa sede, in caso di stenosi emodinamicamente significativa dell'arteria renale è talvolta possibile apprezzare un soffio sincrono con il polso.

3.2 ESAME OBIETTIVO DELLA VESCICA L’esame obiettivo deve comprendere l’ispezione, la palpazione e la percussione. Prima di iniziare l'esame obiettivo bisogna invitare il paziente a mingere e, se possibile, osservare la minzione, per valutarne i caratteri. Se la minzione è normale, il paziente vuota completamente la vescica. Il paziente va quindi fatto sdraiare su un lettino in posizione supina. Ispezione: la vescica normalmente vuota non è apprezzabile. In caso di alterato svuotamento vescicale, in un soggetto dalla parete non troppo spessa per adipe o ipertrofia muscolare, la presenza di un globo vescicale può essere manifestata da una salienza ipogastrica mediana, grossolanamente rotondeggiante.

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Palpazione: devono essere chiariti eventuali sospetti derivanti dall'ispezione. La palpazione si può fare con una mano sola a paziente supino, oppure ponendo il malato in posizione litotomica con palpazione bimanuale. La posizione litotomica (detta anche ginecologica) consiste nel decubito supino con gambe flesse sulle cosce che sono completamente abdotte e flesse sul bacino; mentre la mano sinistra palpa a piatto l'ipogastrio, il secondo dito della mano destra esegue un’esplorazione rettale nel maschio o una vaginale nella femmina. Una vescica piena è apprezzata come una tumefazione ipogastrica mediana, a superficie liscia, a margini rotondeggianti che si seguono per i 3/4 del suo profilo, ma non nella sua porzione inferiore, nascosta dietro al pube. Tale tumefazione non è mobile con gli atti del respiro e, secondo il grado di riempimento, può presentare una consistenza fluttuante, teso-elastica o francamente tesa. La palpazione bimanuale offre informazioni più precise di quella a una sola mano. A vescica vuota, in un soggetto non obeso, l'esaminatore ha l'impressione di arrivare fin quasi a toccare con il dito esploratore l'estremità delle dita dell'altra mano che palpa l'ipogastrio. Di conseguenza la palpazione bimanuale è particolarmente utile in caso di neoplasie vescicali infiltranti, che sono apprezzate come un'area circoscritta o diffusa, a limiti per lo più indistinti, di consistenza duro-fibrosa. Talvolta, in caso di grossolani calcoli vescicali, questi possono anche essere palpati. Percussione: è effettuata in posizione supina e completa l'esa95

me obiettivo. La vescica piena di urina dà un suono ottuso che contrasta con quello timpanico delle anse ileali. Nell'individuo normale, dopo la minzione, non si dovrebbe rilevare alcuna ottusità ipogastrica. In caso contrario si deve pensare alla presenza di un globo vescicale conseguenza di una ritenzione urinaria e quindi bisognerà eseguire una percussione radiata per delimitarlo lateralmente. L'area di ottusità presenterà un margine rotondeggiante a convessità superiore, in posizione mediana. Ciò consente una grossolana differenziazione nei confronti dell'ascite, in cui è presente un'ottusità declive a menisco concavo superiormente, mobile con i cambiamenti di decubito, mentre l'ottusità vescicale è fissa; inoltre una grossa cisti ovarica si configura come un’ottusità in posizione laterale a convessità supero-mediale. La percussione può essere inficiata dalle seguenti cause: obesità, versamento ascitico, edema della parete, notevole ipertrofia della muscolatura addominale.

3.3 ESAME OBIETTIVO DEL PENE Ispezione: bisogna innanzitutto osservare attentamente lo stato dei tegumenti, del prepuzio e del glande dopo aver tentato di retrarre il prepuzio. Si può osservare in tal modo una situazione di fimosi o apprezzare sul glande e sul prepuzio lesioni ulcerative luetiche o neoplastiche, lesioni vegetanti come i condilomi acuminati, neoplasie, oppure banali fenomeni flogistici (balanopostiti). È bene osservare la posizione e le dimensioni del meato uretrale esterno. In certe malformazioni il meato può essere posto anziché alla sommità del glande, sulla faccia ventrale del pene (ipospadia) o su quella dorsale (epispadia). Palpazione: si possono ricercare e trovare aree di fibrosi dei corpi cavernosi tipiche della malattia di La Peyronie, che si apprezzano come placche fibrose, localizzate generalmente in sede dorsale, dorso-laterale. Queste aree sono ben delimitate late96

ralmente e lievemente dolenti alla palpazione. In corso di erezione possono essere evidenziati e osservati gli incurvamenti del pene che possono essere congeniti o acquisiti. Nei casi di frattura dei corpi cavernosi il pene presenterà un ematoma bluviolaceo e assumerà una forma caratteristica a collo di cigno e potrà essere accompagnato, anche se raramente da uretrorragia. Con la palpazione possono essere anche apprezzate ed evidenziate alcune lesioni dell’uretra peniena e penoscrotale La spremitura dell’uretra anteriore normalmente non produce la fuoriuscita di nessun materiale mentre in corso di processi flogistici e infettivi questa manovra causa la fuoriuscita di materiale purulento utile per un esame colturale. Anche la presenza di diverticoli uretrali può causare la fuoriuscita di materiale purulento o urinoso soprattutto in pazienti precedentemente sottoposti ad uretroplastica. La palpazione inoltre può evidenziare la presenza di calcoli uretrali che si apprezzano sulla regione ventrale del pene come formazioni dure a superficie liscia o irregolare, apparentemente mobili sui piani profondi, ma difficilmente dislocabili.

3.4 ESAME OBIETTIVO DELLO SCROTO Si compone di ispezione, palpazione, transilluminazione. Ispezione: è effettuata all’inizio a paziente in piedi, con busto leggermente flesso in avanti e arti inferiori lievemente divaricati. Normalmente un emiscroto (generalmente il sinistro) scende più in basso del controlaterale, per cui, a stretto rigore, non è possibile parlare di perfetta simmetria tra i due emiscroti. Tuttavia, osservando la posizione del rafe che normalmente si trova sulla linea mediana, è possibile avere un’esatta percezione se uno dei due emiscroti è aumentato o ridotto di volume rispetto al controlaterale. Le cause di riduzione di volume di un emiscroto sono rappresentate dall'atrofia testicolare o dall'as97

senza del testicolo dalla emiborsa (criptorchidismo, anorchidia, o per gli esiti di un’orchiectomia). Cause di aumento di dimensioni di un emiscroto possono essere tumefazioni di varia natura del didimo o dell'epididimo (idrocele, epididimite, neoplasie, varicocele, ernia inguinoscrotale, ecc.). Aumenti di volume bilaterali si possono osservare per ernie inguinali bilaterali, elefantiasi, anasarca, idrocele bilaterale, ecc. Un utile criterio diagnostico differenziale tra ernia e idrocele è dato dall'osservazione delle modificazioni di volume dello scroto passando dall'orto-in clinostatismo e viceversa. Se si osserva una riduzione della tumefazione scrotale dalla posizione ortostatica a quella clinostatica probabilmente questa era sostenuta da un’ernia inguinoscrotale o da idrocele comunicante Al ritorno in ortostatismo la diagnosi differenziale tra ernia inguinoscrotale e idrocele comunicante, (posto che per ipotesi le due alterazioni non coesistano), è basata sul fatto che mentre l'ernia inguinoscrotale si riempie bruscamente dall'alto verso il basso, in caso di idrocele comunicante l'emiscroto si riempie gradualmente di liquido il cui livello sale dal basso verso l'alto. Nel caso di idrocele essenziale non avvengono modificazioni legate alla postura. È necessario inoltre considerare lo stato dei tegumenti che normalmente presentano cute bruniccia con peli, ricca di ghiandole sebacee, sollevata in pliche. Si possono osservare cisti sebacee uniche o multiple o spianamento delle pliche in caso di voluminose patologie. In casi molto rari si possono osservare orifizi fistolosi o lesioni neoplastiche della cute. Palpazione: è praticata con tecnica bimanuale a paziente supino. Innanzitutto bisogna fare il pinzettamento della vaginale tra l'indice e il pollice della mano destra. La tunica vaginale si apprezza serrando progressivamente e delicatamente i due polpastrelli, ad un certo punto la si sentirà sfuggire, mentre tra le due dita rimarranno cute e dartos. La possibilità di pinzettare la vaginale consente di affermare l’assenza di un idrocele oppure 98

d’infiltrazioni flogistiche o neoplastiche della vaginale stessa. Se invece è presente un idrocele, questo si renderà evidente sotto forma di una raccolta liquida endoscrotale di consistenza fluttuante, nelle fasi iniziali, o teso elastica o francamente tesa nelle fasi evolute, in cui non sarà più possibile apprezzare i contenuti scrotali. Per l'esame dei contenuti scrotali, prima di tutto è indispensabile individuare il solco didimo-epididimario, ciò che si fa pinzettando l'epididimo e riconoscendone prima la testa, quindi la coda e il corpo. Ciò consente di distinguere accuratamente tra didimo ed epididimo, di valutare le loro dimensioni, limiti, forma e consistenza e di attribuire all'uno o all'altro eventuali tumefazioni riscontrate all'interno dello scroto. La diagnosi topografica consente anche un primo orientamento verso la diagnosi di natura perché le tumefazioni del testicolo vanno considerate fino a prova contraria di natura neoplastica, essendo quelle di altra natura (post-traumatica o flogistica, specialmente luetica) assai rare; una neoplasia del testicolo si presenta come una tumefazione inizialmente circoscritta, di consistenza dura, di forma grossolanamente rotondeggiante, a limiti sfumati, non dolente né dolorabile; nelle fasi avanzate il tumore può accrescersi fino a superare l'albuginea e ad annullare il reperto palpatorio del solco didimo-epididimario, mentre può essere presente un idrocele secondario con versamento siero-emorragico. Al contrario eventuali tumefazioni a carico dell'epididimo orientano verso la patogenesi flogistica ed esistono anche delle corrispondenze tra la sede e l'etiologia: ad es. una tumefazione di tutto l'epididimo fa pensare a un'infezione aspecifica, quella della sola testa o della testa e coda a un'infezione Tbc, quella della sola coda a una lesione gonococcica o talora Tbc. Prescindendo dal testicolo e dall'epididimo si possono riscontrare altre tumefazioni come cisti in rapporto più o meno lasso con la testa o la coda dell'epididimo, rotondeggianti, teso-elastiche, a superficie liscia, a margini netti, spesso intensamente dolorabi99

li, di grandezza non superiore a quella di un chicco d'uva. Tra le altre cause di tumefazione, una flogosi deferenziale apprezzabile a livello di ansa nelle porzioni inferiori dello scroto o a livello dell'ultima parte del funicolo in prossimità della radice dello scroto. Inoltre va ricordato il varicocele, condizione di dilatazione e allungamento delle vene del plesso pampiniforme, che danno la caratteristica sensazione palpatoria di interiora di pollo o di sacchetto di vermi, caratteristica che è accentuata dal ponzamento e dal passaggio in posizione ortostatica. Transilluminazione: va eseguita nel sospetto di un idrocele. Essa consiste nel porre, in ambiente oscurato, una sorgente di luce fredda posteriormente allo scroto e nell'osservare dalla parete anteriore il passaggio o meno dei raggi luminosi. In caso di idrocele essenziale, a contenuto trasudatizio la transilluminazione è positiva. In caso di idrocele secondario, la transilluminazione è tanto meno possibile quanto maggiore è l'entità dell'essudazione corpuscolata e l'opalescenza del liquido endoscrotale. Si ha franca assenza di transilluminazione in caso di ematocele, di pachivaginalite emorragica o di ernia inguinoscrotale.

3.5 ESAME OBIETTIVO DELLA PROSTATA Si compie mediante l'esplorazione rettale ma deve essere sempre preceduto dalla valutazione della vescica e dei genitali esterni. L’esplorazione rettale può essere praticata ponendo il paziente in posizione litotomica, oppure genu-pettorale, oppure in decubito laterale con arti inferiori semiflessi, oppure ancora in piedi con busto a squadra appoggiando i gomiti al piano del letto. Nell'individuo normale la prostata si apprezza come una formazione della grandezza e della forma approssimativamente di una castagna con apice in basso e base verso l'alto. La prostata 100

è localizzata, a livello della parete anteriore dell'ampolla rettale, in posizione mediana a circa 4 cm. al di sopra dello sfintere anale. Normalmente la sua superficie è liscia, di consistenza parenchimatosa, con due margini laterali ben apprezzabili e un solco mediano; la mucosa rettale è liscia e scorrevole sopra la prostata. In caso di prostatite acuta la ghiandola si presenta aumentata di volume, intensamente dolorabile, di consistenza pastosa per l'edema; in caso di ascessualizzazione compare il caratteristico reperto della fluttuazione. Nelle prostatiti croniche si apprezza una prostata di forma conservata, di volume rimpicciolito, a superficie finemente irregolare, di consistenza fibrosa, modicamente dolorabile, talora con piccole aree dure dovute a calcificazioni. Riguardo a fenomeni di fibrosi periprostatica la parete del retto può perdere la sua scorrevolezza. Nell'adenomatosi prostatica si osserva un aumento di volume della ghiandola, a superficie liscia, a limiti distinti, con solco mediano conservato, di consistenza tipicamente adenomatosa, (simile alla duro-elastica), non dolorabile, con mucosa rettale soprastante indenne. Nel cancro in fase intracapsulare è possibile apprezzare una tumefazione circoscritta di consistenza duro-lignea in una prostata peraltro normale oppure adenomatosa; inizialmente la mucosa del retto può mantenersi scorrevole. Nel carcinoma in fase invasiva si apprezza una tumefazione diffusa della ghiandola, di consistenza duro-lignea, a superficie bernoccoluta, a limiti sfumati, con scomparsa del solco mediano, fissa ai tessuti circostanti e alla mucosa rettale. Nelle fasi molto avanzate, quando la neoplasia ha infiltrato tutto il piccolo bacino, si definisce un quadro di pelvi congelata. Alla presenza di un’infiltrazione delle vescichette seminali il reperto semeiologico è stato paragonato a una testa di toro. Talvolta, durante e subito dopo l'esplorazione rettale, soprattutto nelle forme flogistiche acute e croniche, si può osservare la fuoriuscita di secreto prostatico dal meato uretrale esterno.

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CAPITOLO 4

DIAGNOSTICA DI LABORATORIO E STRUMENTALE Alchiede Simonato, Marco Ennas, Andrea Gregori

4.1 ESAME DELLE URINE ’ inteso come l’esame chimico-fisico delle urine (macroscopico e microscopico) seguito dall’esame del sedimento urinario Devono essere raccolti 10 ml del mitto intermedio delle prime urine del mattino, al fine di ottenere il campione con il minor rischio possibile di contaminazione da parte di batteri commensali dell’uretra anteriore La minzione deve essere iniziata dopo la detersione dei genitali esterni con una soluzione antisettica; nei maschi non circoncisi il prepuzio deve essere retratto sino a scoprire il glande e le donne devono divaricare le grandi e le piccole labbra. Dopodiché si può procedere con la minzione, dapprima nel WC per eliminare il primo mitto, e a seguire in un contenitore sterile evitando attentamente di contaminare lo stesso mettendolo a contatto con i tegumenti. Per i neonati e gli infanti, il prelievo del campione può essere fatto apponendo dei sacchetti di plastica sterili dedicati dotati di colletto adesivo, sui genitali esterni del bambino. Il campione deve essere portato entro un’ora al laboratorio, per evitare che possa alterarsi. Qualora ciò non fosse possibile, deve essere conservato per il minor tempo possibile alla temperatura di 5°C. L’esame del campione consta delle seguenti fasi: L’esame macroscopico, durante il quale si valutano, in primis il colore, che normalmente è giallo paglierino, ma che può es103

sere alterato da diverse sostanze o da determinate condizioni cliniche (es. urine rosse in caso di ematuria, blu per somministrazione di indaco carminio o marroni in caso di porfiria, presenza di urobilinogeno o assunzione di metronidazolo). In seconda istanza si valuta la limpidezza del campione: la presenza di urine torbide può essere associata a fosfaturia, iperossaluria, iperuricosuria o a piuria (in questo caso la valutazione dell’odore può permettere di distinguere le urine infette che sono caratterizzate da un odore pungente). L’esame chimico-fisico delle urine in cui si eseguono la misurazione di pH (intervallo di normalità 5,5-6,5) e peso specifico (intervallo di normalità 1,008-1,020), e la valutazione della presenza di emoglobinuria/mioglobinuria, proteinuria, glicosuria, e per finire di nitriti, bilirubina diretta/urobilinogeno, chetoni. La valutazione chimico-fisica può essere eseguita prontamente con strumenti semplici e non costosi come le cartine colorimetriche (dipstick). Queste sono delle strisce di plastica rivestite da una decina di piccoli panni impregnati di differenti reagenti chimici che interagiscono con le sostanze assenti nelle urine normali (es. sangue, proteine, glucosio, chetoni e leucociti); queste cartine devono essere immerse nel campione di urine fresche non centrifugate per un breve periodo e asciugate sui bordi del contenitore delle urine. Alla presenza di sostanze anomale si assiste a un viraggio del colore dei panni delle strisce, che viene quindi interpretato tramite un apposito codice fornito insieme al kit delle cartine. L’analisi del sedimento urinario l’esame microscopico del sedimento urinario che si esegue sulla parte che si deposita in fondo alla provetta dopo la centrifugazione. Permette di evidenziare la presenza di leucociti (globuli bianchi), eritrociti (globuli rossi), cellule epiteliali, cristalli, cilindri, batteri, miceti e parassiti. Leucociti La presenza di globuli bianchi nelle urine, se superano il valore di riferimento, sono un indice aspecifico 104

d’infezione alle vie urinarie e renali. Eritrociti I globuli rossi normalmente devono essere assenti nell’urina o in quantità modeste: la presenza detta ematuria Cellule epiteliali La presenza di poche cellule epiteliali nelle urine è rappresentata dal normale ricambio cellulare dell’epitelio che riveste le vie urinarie Cristalli Sono spesso presenti nelle urine anche in assenza di quadri patologici. I più comuni cristalli a pH basico sono: i fosfati amorfi (precipitazioni fini), il fosfato di calcio (di forma prismatica), i fosfati tripli, il carbonato di calcio (di forma sferica). I più comuni a pH acido sono: i cristalli di acido urico, gli urati amorfi, l’ossalato di calcio Tra i cristalli rilevabili in corso di stati patologici vi sono: la leucina (di colore giallastro e aspetto oleoso), la cistina (lamine incolori), la tiroxina (aghi di colore giallastro), i cristalli di sulfadiazina. Cilindri Sono agglomerati di proteine o cellule che si formano nei tubuli renali. Normalmente non presenti, la loro presenza indica una sofferenza renale. La loro composizione è indice di diverse disfunzioni renali. Batteri e miceti In condizioni normali l’urina sterile La presenza di batteri (associata a leucociti) può indicare un’infezione delle alte o basse vie urinarie. I miceti si riscontrano spesso in soggetti immunodepressi, diabetici o sottoposti a terapia antibiotica. Il più comune è la Candida. Quando sono presenti batteri o funghi, associati a leucociti, l’esame sarà integrato da urinocoltura.

4.2 URINOCOLTURA Si tratta dell’esame microbiologico delle urine svolto al fine di identificare eventuali patogeni causa d’infezione delle vie urinarie. Il prelievo del campione da esaminare deve essere effettuato con le modalità descritte nel sottocapitolo “ESAME 105

DELLE URINE”. Esso è poi posto in coltura nel terreno di crescita per ottenere una valutazione quantitativa della carica batterica. La diagnosi d’infezione è posta per una conta batterica di 105 cfu (colony forming unit)/ml Nell’interpretazione di questo dato si pongono due problemi: il primo è la presenza del 20% di diagnosi in eccesso legato alla contaminazione del campione durante il prelievo o la sua manipolazione; il secondo è la presenza, nel 20-40% di UTI (urinary tract infections) sintomatica nella donna, di conte batteriche comprese tra 102 e 104 cfu/ml di urina Possono essere di aiuto nell’analisi la presenza di sintomi irritativi urinari e il riscontro all’esame urine di ematuria, leucocituria o piuria. Qualora si ottenga un risultato positivo, è possibile eseguire l’antibiogramma, che saggia la resistenza/sensibilità del patogeno in esame rispetto a un determinato spettro di antibiotici.

4.3 ESAME CITOLOGICO URINARIO SU 3 CAMPIONI Tale esame è indicato per la ricerca di cellule tumorali derivanti da neoplasie dell’urotelio Esso consiste in una valutazione microscopica della caratteristiche citologiche delle cellule epiteliali esfoliate dal rivestimento delle vie urinarie e raccolte in tre campioni di urina. Il prelievo deve essere fatto scartando le prime urine del mattino, e dalla seconda minzione deve essere raccolto il mitto intermedio. Tale prelievo deve essere fatto ogni mattina per 3 giorni consecutivi e le urine vanno conservate in contenitori sterili contenenti alcol etilico al 50%. Dopo colorazione tramite la tecnica di Papanicolau, il patologo esegue la lettura del vetrino raffrontando le cellule raccolte con le cellule uroteliali normali, stabilendo il grado di sdifferenziazione delle cellule prelevate. Tipicamente le cellule neoplastiche presentano grandi nuclei di morfologia irregolare; purtrop106

po le cellule provenienti da tumori ben differenziati non esfoliano abbondantemente e inoltre presentano caratteristiche fenotipiche simili a quelle delle cellule dell’epitelio sano Per tale motivo questo esame è più sensibile nei confronti di tumori ad alto grado o nei carcinomi in situ (ma anche nei tumori alto grado questa tecnica presenta un tasso di falsi negativi del 20%). Inoltre alcune condizioni patologiche transitorie come traumi, infezioni delle vie urinarie, chemioterapia e radioterapia possono determinare una falsa positività a questo test (112%).

4.4 TAMPONE URETRALE Il termine si riferisce alla raccolta di materiale cellulare (ed eventualmente essudativo) dalla porzione terminale dell’uretra maschile e femminile, tramite un batuffolo di cotone montato all’estremità di una bacchetta, su cui eseguire un esame microbiologico per lo studio di uretriti e malattie sessualmente trasmissibili. La procedura deve essere eseguita prima che il paziente inizia una terapia antibiotica empirica e prima che emetta le urine del mattino (la minzione va ritardata di almeno 6 ore), al fine di evitare falsi negativi. Il batuffolo di cotone va inserito all’interno dell’uretra per 2-3 cm nell’uomo (si deve superare la fossa navicolare) e per 1 cm nella donna, e devono essere raccolti prelievi multipli Durante i prelievi l’uretra deve essere compressa al fine di drenare verso l’esterno eventuali secrezioni Il I tampone è utilizzato per la ricerca della Chlamydia trachomatis, responsabile del 30-40% delle uretriti non gonococciche (130 casi/100000 abitanti nel 2002 negli Stati Uniti); è eseguito su un terreno di coltura dedicato. Il II tampone è strisciato su vetrino, che è poi preparato con la colorazione di Gram, per la ricerca della Neisseria gonorrhoeae 107

(diplococco Gram - intracellulare); di solito tale batterio è identificato all’interno dei granulociti neutrofili Nei casi dubbi o negativi si può eseguire l’esame colturale in agar cioccolato o si può fare la ricerca del DNA batterico con opportuni test. Il III tampone si preleva per ricercarvi comuni agenti infettivi delle basse vie urinarie (es. Enterobacteriaceae) tramite esame colturale. Sul IV tampone si ricerca il Mycoplasma genitalium, il quale è il secondo per frequenza tra gli agenti infettivi responsabili di uretriti non gonococciche. Il V tampone è raccolto sul glande e nel solco balanoprepuziale nell’uomo e in vagina nella donna Su tale prelievo si esegue uno studio a fresco, in microscopia ottica, alla ricerca di Ife da Candida vaginalis. Nell’uomo può essere l’occasione per effettuare un brush test per lo screening del papillomavirus (HPV): il materiale viene raccolto da asta peniena, solco balano-prepuziale e scroto tramite una spazzolina apposita. Il campione è quindi sottoposto a PCR per amplificare il DNA virale, che, nel caso di positività, è poi sottoposto a genotipizzazione per identificare il sierotipo prevalente coinvolto nell’infezione Nella donna tale metodica può essere eseguita in corso di pap-test. La positività di un tampone uretrale guida il counseling diagnostico e terapeutico per il paziente, ma deve essere coinvolto in tale percorso anche il partner, che può essere infetto e pertanto contribuire al reiterarsi della patologia all’interno della coppia

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4.5 TEST DI MEARES AND STAMEY Questa procedura venne proposta nel 1968 da Meares e Stamey per determinare l’eventuale presenza di infezioni a carico delle vie urinarie inferiori e distinguerne la localizzazione a livello uretrale, vescicale o prostatico, nei pazienti affetti daSindrome da Prostatite Cronica ed è indirizzato alla ricerca dei batteri responsabili di malattie veneree (es. Neisseria gonorrhoeae) o di germi abitualmente responsabili di infezione delle basse vie urinarie o delle ghiandole annesse (Enterobatteri, bacilli Gramnegativi non fermentanti, cocchi Gram-positivi, bacilli Grampositivi). Tale esame rappresenta il gold standard diagnostico nella valutazione dei pazienti affetti da prostatite, sebbene sia un’indagine costosa e laboriosa Si tratta di un test frazionato delle basse vie urinarie che consta della raccolta di tre campioni di urine e di un tampone uretrale del soggetto studiato, in condizioni basali e dopo stimolazione, all’interno di quattro contenitori sterili. Il I° prelievo di urina si ottiene raccogliendo 10 ml di urine dal mitto iniziale. Da questo si possono isolaremicroorganismi presenti nell’uretra, possibili agenti causali di uretriti Il II° prelievo di urina è ottenuto da una raccolta del mitto intermedio. Permette di isolare eventuali germi presenti in vescica edi effettuare la diagnosi differenziale tra prostatite e cistite o di determinare la concomitanza delle due condizioni. La raccolta del secreto prostatico avviene dopo il prelievo del secondo campione di urine previo massaggio prostatico. Il medico effettua un’esplorazione digito-rettale ed esercita una leggera pressione sulla prostata per circa un minuto. Durante la manovra dovrebbero fuoriuscire alcune gocce di liquido prostatico che andrebbero raccolte direttamente nel contenitore sterile o in alternativa tramite tampone uretrale. 109

Il III° prelievo di urina è raccolto al termine del massaggio prostatico subito dopo il tampone uretrale. Le urine, determinando un lavaggio dell’uretra, raccolgono ulteriore materiale di provenienza prostatica. I tre campioni di urina vengono centrifugati per 5 minuti ed il sedimento viene esaminato al microscopio ottico alla ricerca di leucociti, corpi ovali, eritrociti, batteri od ife. Sul preparato a fresco del secreto prostatico viene eseguita la medesima analisi edin contemporanea i prelievi vengono sottoposti ad esame colturale. La presenza di sola leucocituria nel terzo prelievo di urine e nel secreto prostatico è suggestivo di prostatite cronica non batterica, mentre la presenza negli stessi campioni di una concentrazione di microbi di 10 volte superiore al primo ed al secondo prelievo consente di effettuare la diagnosi di prostatite cronica batterica.

4.6 SPERMIOGRAMMA Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (2000) il 30% circa delle cause di inferitilità di coppia riguarda esclusivamente la componente maschile L’esame di approccio a questa problematica lo spermiogramma, che consiste nell’analisi fisica, macroscopica e microscopica, del liquido seminale. La raccolta del campione deve essere effettuata, tramite masturbazione, dopo un periodo di “astinenza” dai rapporti sessuali di minimo 4 giorni e non superiore ai 7 giorni, (tempi 110

maggiori o minori potrebbero alterare i risultati dell’esame rendendolo poco attendibile); essa deve essere completa, poiché è necessario esaminare la totalità del liquido seminale. Per i pazienti che escludano la masturbazione esistono preservativi dedicati (i normali condoms in lattice spesso contengono spermicidi) e il coito interrotto deve essere sconsigliato perché può portare alla contaminazione del campione da parte dei batteri e delle secrezioni vaginali acide. L’analisi del campione deve avvenire entro un’ora dalla raccolta. L’esame macroscopico valuta il volume (normale tra i 2 e i 6 ml), l’aspetto (colore e capacità di coagulare) e la viscosità del seme. L’esame microscopico valuta il pH (normale tra 7.2 e 8.0), la conta degli spermatozoi, la loro concentrazione, la motilità, la morfologia e la presenza di leucociti. I parametri di maggiore interesse sono la conta totale, la concentrazione, la morfologia e la motilità degli spermatozoi, che vanno interpretati col complemento degli altri dati. 1) Conta Totale degli Spermatozoi e Concentrazione: si considerano come valori normali un numero di spermatozoi superiore a 40 milioni per eiaculato e una concentrazione superiore a 20 milioni/ml. Le alterazioni del numero degli spermatozoi sono principalmente l’oligospermia (ridotto numero di spermatozoi) e l’ azoospermia (assenza di spermatozoi nell’eiaculato) .2) Motilità: gli spermatozoi possono avanzare in linea retta rapidamente (motilità di tipo 4), possono avanzare in linea retta lentamente (motilità tipo 3), possono muoversi in modo ondulatorio (motilità di tipo 2), possono muoversi in loco (motilità tipo 1) o possono essere immobili. La velocità viene valutata generalmente a 60 e 120 minuti dall’eiaculazione Si considerano come valori normali a un’ora dalla raccolta una percentuale di spermatozoi con motilità del tipo 4 maggiore del 25%, e una percentuale con somma delle motilità tipo 3 e 4 111

maggiore del 50%. Una diminuzione della motilità degli spermatozoi è definita astenospermia. L’associazione con un deficit numerico è chiamata oligoastenospermia. 3) Morfologia: essa è variabile. La forma più comune, ovvero quella con testa ovoidale ed una lunga coda, deve essere presente in almeno il 60% degli spermatozoi. 4) Caratteristiche qualitative: il liquido seminale una volta eiaculato tende a diventare molto denso, quasi un gel (fase della coagulazione). Successivamente, dopo circa 30 minuti - 1 ora, ritorna totalmente allo stato liquido. Alterazioni di questa dinamica possono avere più cause e sono suggestivi di fatti flogistici e/o infettivi (es. prostatiti, epididimiti, etc) La normalità dell’analisi non completa garante di fertilità, così come anomalie nella stessa non sono indice di sterilità (salvo le azoospermie ed i casi particolarmente severi), ma di una teorica diminuzione della potenziale fertile. Nel caso di risultati dubbi bene ripetere l’esame, dato che la produzione dello sperma è influenzata da numerosi fattori non sempre facilmente identificabili anamnesticamente. Infine, è bene ricordare che il bilancio di infertilità deve essere necessariamente condotto sulla coppia e non sull’individuo, maschio o femmina, dal momento che spesso le cause dell’infertilità sono da attribuirsi ad entrambi i partner

4.7 SCINTIGRAFIA RENALE Questo tipo di diagnostica, che utilizza isotopi radioattivi, riguarda la valutazione degli aspetti funzionali del rene. A seconda dei radio-farmaci utilizzati si possono valutare aspetti differenti della funzionalità renale. La scintigrafia renale statica, che utilizza il 99mTc112

dimercaptosuccinato (99mTc-DMSA), è sfruttata principalmente per lo studio del parenchima funzionale residuo nelle nefropatie, per l’individuazione di parenchima alterato e/o di aree infartuali nella corticale. Può dare informazioni sulle aree interessate dalla patologia, in corso di pielonefrite e nel follow up di malattia. Il radio-farmaco viene somministrato via endovena e nel circolo si lega alle proteine plasmatiche (albumina e α1globuline); viene quindi sottoposto a filtrazione glomerulare ed è riassorbito a livello dei tubuli distali per essere accumulato a livello della corteccia renale con un’emivita di 6 ore La scintigrafia renale sequenziale utilizza farmaci a rapida eliminazione come il 99mTc-dietilentriaminopentaacetato (99mTc-DTPA) o il 99mTc-etilendiamotetraacetato (99mTcEDTA) e può essere usata per identificare patologie congenite come la malattia del giunto pieloureterale o la presenza di reflesso vescico-ureterale. Essenzialmente valuta la funzione escretrice del rene. Dopo somministrazione endovenosa, i farmaci subiscono uno scarso legame con le proteine plasmatiche (5-10%) e la quota libera è completamente filtrata nel glomerulo ed escreta con le urine. Le immagini sono acquisite in sequenza continua per circa 30 minuti, evidenziando progressivamente una fase di perfusione, una di accumulo del radio farmaco nel parenchima e una finale in cui si ha l’escrezione del farmaco lungo le vie urinarie. Somministrando farmaci specifici come il captopril o la furosemide si possono compiere valutazioni comparative tra la funzionalità dei due reni e lo studio dell’ipertensione nefrovascolare. L’esecuzione dell’esame con la 99mTcBenzoilmercaptoacetiltriglicina (99mTc-MAG3) è indicata nello studio della pervietà dell’anastomosi vascolare, della perfusione renale e dell’escrezione urinaria nei reni trapiantati

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CAPITOLO 5

BIOMARCATORI COME TEST DIAGNOSTICI NON INVASIVI DEI TUMORI UROLOGICI Alessandro Bertaccini

5.1 NEOPLASIA PROSTATICA Il Cancro Prostatico (PCa) è in questo periodo considerato uno tra i principali problemi di carattere medico che affliggono la popolazione di sesso maschile. In Europa il tumore prostatico si attesta al primo posto tra le neoplasie solide con un tasso d’incidenza di 214 casi ogni 100000 individui maschi, superando come numerosità persino le neoplasie polmonari e colorettali. Inoltre i più recenti dati epidemiologici indicano l’adenocarcinoma prostatico come seconda causa di morte di natura tumorale nei maschi. Il tumore prostatico nella sua forma iniziale o localmente avanzata è raramente sintomatico e la presenza di sintomi manifesti è associata soprattutto alla malattia metastaticamente disseminata. La diagnosi definitiva di tumore prostatico è posta solo attraverso il ritrovamento istopatologico di adenocarcinoma prostatico nei campioni di tessuto derivanti da biopsia prostatica o da TURP (Resezione Trans-Uretrale Prostatica). Mentre la diagnosi di Adenocarcinoma in seguito a TURP è esclusivamente incidentale, l’indicazione per una biopsia prostatica è generalmente posta sulla base di sospetti derivanti da alterazioni del PSA, dall’esplorazione rettale (ER) e infine da re115

perti ecografici trans-rettali anomali. 5.1.1 PSA L’antigene prostatico specifico (PSA) una glicoproteina di 273 aminoacidi e appartiene alla famiglia delle callicreine (hK3). Il PSA ha la funzione di rendere più fluido il liquido seminale attraverso la lisi del coagulo seminale favorendo la motilità e la fecondazione degli spermatozoi. Nella pratica clinica il PSA è un marker organo-specifico della prostata in quanto è prodotto dalle cellule epiteliali luminali prostatiche e non dalle cellule di adenocarcinoma prostatico. Il PSA circolante nel siero si trova in basse concentrazioni (ng/mL) e in due differenti forme: una libera ed una legata a proteine circolanti La maggior parte dell’antigene prostaticospecifico è complessata o legata covalentemente alle antiproteasi (in particolare all’antichimotripsina) e alle macroglobuline (in particolare all’alfa2-Macroglobulina). Mentre il legame del PSA all’antichimotripsina inattiva completamente l’attività proteasica dell’antigene prostatico specifico ma allo stesso tempo rende il complesso rilevabile mediante specifici saggi, il legame all’alfa2-Macroglobulina preserva l’azione proteolitica del PSA ma impedisce il dosaggio di tale complesso. Valori elevati di PSA sierico in soggetti con adenocarcinoma prostatico sono probabilmente il risultato di alterazioni nell’architettura istologica della ghiandola La perdita della funzione di barriera da parte dello strato basale e della stessa membrana basale è con buona probabilità la causa della maggiore fuoriuscita del PSA dalla ghiandola. Tuttavia questo fenomeno si osserva non solo nel carcinoma prostatico, ma anche in altre patologie della prostata (prostatiti acute e croniche, BPH e ritenzioni urinarie) ed in seguito a manipolazioni della ghiandola (DRE o biopsia).

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L’espressione del PSA fortemente influenzata dall’attività androgenica. L’antigene prostatico può essere dosato dalla pubertà in poi come conseguenza dell’incremento dell’ormone luteinizzante e del testosterone. La finasteride, un inibitore della 5alfa reduttasi, impiegato nella terapia della BPH, ha mostrato diminuire i livelli di PSA del 50% dopo sei mesi di trattamento. I pazienti che iniziano una terapia con un inibitore della 5-alfa reduttasi dovrebbero eseguire un dosaggio basale del PSA seguito da controlli seriati, poiché un mancato dimezzamento o un eventuale rialzo possono indicare un sospetto di cancro prostatico che necessita di essere clinicamente indagato. Il limite superiore del valore di PSA inizialmente ritenuto includere il 95% della popolazione sana è stato fissato a 4 ng/mL ed è stato utilizzato, per vario tempo, come cut-off di screening per un sospetto di tumore prostatico. I più recenti dati presenti in letteratura dimostrano che utilizzando la soglia “classica” di 4 ng/mL si rischia di non identificare una parte considerevole di carcinomi prostatici, molti dei quali ad alto grado e quindi 117

più aggressivi. Un valore di cut-off non è ulteriormente ritenuto affidabile e ora il singolo valore di PSA è unicamente correlato alla probabilità di sviluppare un tumore prostatico.

5.1.2 Rapporto PSA free/PSA totale (%PSA free) Benché la quota maggiore di PSA sierico circolante sia complessato a proteine, che provvedono ad inattivare la sua proprietà serino-proteasica, una quantità compresa tra il 5 e 35% di PSA sierico si trova in forma libera. Nonostante sia dimostrato che le cellule neoplastiche di adenocarcinoma prostatico non producano più PSA di quelle sane, il PSA prodotto dalle cellule tumorali sembra sfuggire a dei particolari processi proteolitici inattivanti. Per tale motivo gli individui affetti da carcinoma prostatico possiedono una maggiore frazione di PSA complessato e una minore percentuale di PSA libero (PSA free) rispetto agli individui sani. Il rapporto PSA free/PSA totale è stato ampiamente ed esaustivamente investigato in campo urologico ed è adesso impiegato per discriminare rialzi patologici del PSA rispetto a quelli derivanti da patologie benigne come l’ipertrofia prostatica benigna (Benign Prostatic Hyperplasia, BPH). Una percentuale di PSA free inferiore al 25% ha dimostrato di poter essere di ulteriore 118

aiuto nella stratificazione del rischio nei pazienti con un PSA totale compreso tra i 4 e 10 ng/mL, mentre per valori di PSA superiori ai 10 ng/mL o infiori a 4 ng/mL l’uso del PSA free mostra avere delle limitazioni. 5.1.3 Cinetica del PSA: PSA Velocity e PSA Doubling Time Temporanee variazioni del PSA in un breve lasso di tempo possono essere osservate sia in presenza che in assenza di cancro prostatico e sono dovute principalmente a variazioni fisiologiche. Il tasso di variazione dei valori di PSA, corretti per il tempo trascorso tra le varie misurazioni, può essere associato al rischio di tumore prostatico, in particolare la PSA velocity (PSAV) permette di valutare l’incremento annuo di PSA Un valore di PSA Velocity superiore a 0,75 ng/mL/anno permette sia di identificare pazienti a rischio di tumore prostatico con valori di PSA apparentemente non patologici e/o con Esplorazione Rettale (ER) non sospetta, sia di evitare biopsie prostatiche inconcludenti a pazienti con singole misurazioni di PSA considerate sospette. Un altro parametro cinetico, denominato PSA Doubling Time (PSADT), permette di quantificare il tempo necessario affinché un valore di PSA basale raddoppi. Pur non avendo la capacità di identificare i pazienti affetti da tumore prostatico, numerosi studi dimostrano una correlazione tra il PSADT e l’aggressività biologica di malattia. Infatti, è per tale motivo che il PSADT è utilizzato nei protocolli di sorveglianza attiva per decidere quando sottoporre un paziente a trattamento.

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Nonostante la PSA Velocity dimostri di avere la più alta affidabilità in campo diagnostico non vi sono ancora accordi e/o standard internazionali né circa il numero di misurazioni da includere nel calcolo di tale parametro, né sulla precisa formula matematica da utilizzare. Recenti studi sembrano dimostrare che il calcolo della PSA Velocity basato sulla pendenza della retta di regressione lineare del maggior numero di misurazioni di PSA disponibili sul tempo, possiede la maggiore performance diagnostica. Infine vi è la crescente necessità di strumenti che possano aiutare lo specialista urologo durante la pratica clinica nel calcolo di tale parametro cinetico. Per far fronte a tale necessità, oltre ai calcolatori disponibili on-line, stato introdotto nell’Apple 120

iTunes Store® una App (PSA Kinetics) che permette un rapido calcolo della PSAV, con il metodo della pendenza della retta di regressione lineare, e del PSADT utilizzabile anche dai pazienti stessi. 5.1.4 PSA e follow-up nei trattamenti radicali Il PSA, pur mostrando una limitata affidabilità nella diagnosi del carcinoma prostatico, assume un ruolo cardine e imprescindibile nel follow-up dopo interventi a scopo curativo, che siano essi chirurgici o radioterapici. Tuttavia il livello di PSA per il quale si definisce un fallimento dell’intervento radicale differisce profondamente tra la prostatectomia radicale e il trattamento radioterapico. Nei pazienti sottoposti a prostatectomia radicale due valori consecutivi di PSA superiori a 0,2 ng/mL sono ritenuti a livello internazionale indicatori di possibile recidiva di malattia. Infatti, è previsto che il PSA si azzeri entro 6 settimane dall’esecuzione dell’intervento chirurgico e una persistenza di valori elevati indica del tessuto rimanente PSA-secernente. Solitamente tali tessuti residui sono rappresentati o da micrometastasi o da margini chirurgici positivi o da tessuto “benigno” In seguito a trattamento radiante radicale, un rialzo superiore di 2 ng/mL rispetto il nadir di PSA, che è rappresentato dal più basso valore di PSA post-radioterapia, è attualmente considerato come il cut-off per l’identificazione di recidiva di malattia L’intervallo di tempo necessario per il raggiungimento del Nadir del PSA può essere anche molto lungo, infatti, possono essere necessari fino a 2-3 anni perché si raggiunga il valore più basso di PSA. Importante inoltre l’utilizzo della cinetica del PSA (in particolare il PSA DT – vedi paragrafo precedente) nei protocolli di sorveglianza attiva (pazienti con neoplasia prostatica che ven121

gono trattati radicalmente solo in caso di possibili segnali di incremento di aggressività di malattia). 5.1.5. proPSA Il PSA inizialmente è costituito da una sequenza di 17 aminoacidi che in seguito viene clivata fino ad ottenere una forma inattiva di PSA (iPSA). Tale precursore inattivo contiene un peptide pro-leader di 7 amminoacidi, chiamato [-7]pro-PSA, che, una volta rilasciato nel lume, è scisso dalla Callicreina Umana 2 (hK2) formando così la forma attiva del PSA di 33kD A causa del sovvertimento dell’architettura istologica dovuto alle cellule tumorali prostatiche, alcune forme di PSA inattivo attraversano la membrana basale entrando nel siero circolante con la rimozione incompleta della catena leader di 7amminoacidi. Ciò ha portato ad ipotizzare che il rapporto tra [2]proPSA, una isoforma parzialmente clivata del precursore del PSA, e PSA totale possa essere utilizzato come marcatore diagnostico per il carcinoma prostatico. Dal punto di vista clinico, ci sono studi che dimostrano il positivo impatto diagnostico del [-2]pro-PSA nell’individuare precocemente il tumore prostatico in soggetti con livelli di PSA sierico tra 2,5 e 4 ng/mL e tra 4 e 10 ng/mL potenzialmente evitando biopsie pertanto non necessarie. Nonostante i primi risultati siano incoraggianti, il [-2]proPSA necessita di ulteriori indagini cliniche per stabilire la sua ottimale applicazione. 5.1.6 PCA3 Urinario Il DD3 o PCA3 è un gene prostatico-specifico presente sul braccio lungo del cromosoma 9 (9q21-22). Gli studi condotti sul DD3 hanno rivelato che esso possa funzionare come un RNA non codificante poiché sono state identificate forme di 122

RNA derivate da splicing alternativo contenenti un alto numero di codoni di stop e mancanti di un “open reading frame” L’espressione del gene PCA3 è tessuto-specifica ed in particolare è prostata-specifica; infatti, la proteina PCA3 è stata riscontrata nel 95% dei campioni provenienti da adenocarcinomi prostatici e dalle eventuali metastasi associate. Nel 2002 è stato sviluppato un saggio real-time quantitativo basato sulla trascrizione inversa-PCR (QRT-PCR) per l’analisi della proteina DD3 e l’impiego di tale metodica ha consentito di dimostrare che nei tessuti prostatici cancerosi si osserva una up-regolazione di questa proteina di circa 66 volte rispetto al tessuto normale. Successivamente la proteina DD3 è stata rilevata in campioni contenenti fino al 10% di tessuto tumorale prostatico, indicando pertanto che l’analisi del PCA3 poteva essere capace di identificare il tumore della prostata all’interno di un gran numero di cellule normali. Sulla base di queste scoperte è stato messo a punto un test per identificare la proteina DD3 nei campioni di urine di individui sottoposti anche a esplorazione prostatica e biopsia. Successivamente sono stati realizzati dei saggi di RT-PCR per testare i campioni di urina raccolti dopo una profonda esplorazione digito-rettale prostatica in modo da favorire lo sfaldamento di un maggior numero di cellule prostatiche, aumentando di conseguenza l’efficacia diagnostica di tale test Il dosaggio del PCA3 urinario è in seguito normalizzato con il dosaggio del PSA urinario attraverso il loro rapporto, ottenendo così un valore chiamato PCA3 score. Il PCA3 Score mostra la sua maggiore performance diagnostica, e trova indicazione clinica attuale, nei pazienti con una precedente biopsia negativa e persistenza di dati clinici sospetti (ad es. valori alterati di PSA).

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5.2 NEOPLASIA VESCICALE Il carcinoma vescicale è al nono posto tra le diagnosi più diffuse di neoplasia a livello mondiale ed è allo stesso tempo il tumore urogenitale più comune considerando entrambi i sessi. Approssimativamente il 75-85% dei pazienti affetti da tumore vescicale, al momento della diagnosi si presentano con una malattia confinata alla mucosa (stadio Ta o CIS) o alla sottomucosa (Stadio T1a). Allo stesso tempo il 30% di pazienti presentano un carcinoma della vescica infiltrante la parete muscolare dei quali, a loro volta, un terzo possiedono metastasi sistemiche che rimangono non diagnosticate fino al momento del trattamento del tumore primario. Il sintomo più frequente associato ai tumori vescicali, e più in generale di qualsiasi neoplasia del tratto uroteliale, l’ematuria non accompagnata da dolore. Inoltre alcuni pazienti possono lamentare urgenza e/o frequenza minzionale, sintomi disurici e dolore pelvico. Il dolore pelvico e tutti i sintomi correlati con 124

l’ostruzione dei tratti urinari sono solitamente reperti dei tumori uroteliali in fase localmente già avanzata. 5.2.1 Esame Citologico Urinario La citologia urinaria consiste nell’esame microscopico, previa colorazione e preparazione, delle cellule di sfaldamento rinvenute in campioni seriati d’urina o dal liquido di lavaggio durante un esame cistoscopico. Al contrario dei biomarcatori, l’esame citologico urinario non un test di laboratorio, ma è strettamente dipendente dall’interpretazione da parte del patologo delle caratteristiche morfologiche delle cellule rinvenute. L’aspetto principale dell’esame citologico urinario la sua alta specificità, ed un citologico urinario positivo anche a fronte di una cistoscopia negativa e/o un esame radiologico negativo suggerisce la presenza di un tumore uroteliale nell’ampia maggioranza dei casi. L’esame citologico urinario dovrebbe essere effettuato su campioni freschi di urina previa una adeguata fissazione del campione. Il campionamento delle urine del mattino non è adatto a tale esame, poiché può spesso essere presente “citolisi” Il citologico ha una maggiore accuratezza per le neoplasie uroteliali maggiormente sdifferenziate (in genere le più aggressive). 5.2.2 Markers tumorali per il carcinoma vescicale Fino ad ora sono stati fatti vari tentativi al fine di sviluppare dei marcatori specifici per i tumori uroteliali che permettessero di colmare le lacune o addirittura rimpiazzare l’esame citologico urinario. La maggior parte dei biomarcatori in commercio hanno dimostrato una alta sensibilità ma una bassa specificità portando a numerosi casi di falsi-positivi. Il fattore principale che limita un ampio impiego nella pratica clinica de biomarcatori per i tumori uroteliali è la mancanza di sufficienti dati prospet125

tici che confermino il loro impatto sia diagnostico che prognostico. II test NMP22 BladderCheck è uno dei più diffusi ed è basato sulla quantificazione della proteina 22 della matrice nucleare (Nuclear Matrix Protein 22) che fa parte degli apparati mitotici rilasciati dai nuclei delle cellule uroteliali in seguito ad apoptosi. Tale proteina appare elevata nei campioni di urina di pazienti affetti da tumori uroteliali tuttavia è allo stesso tempo rilasciata da cellule danneggiate o necrotiche. Infatti condizioni benigne come calcolosi, infezioni, infiammazioni o ematuria possono alterare i risultati di tale test. UroVysion FISH è un test basato su un campione citologico urinario che usa la metodica FISH per identificare attraverso specifiche sonde molecolari dei particolari foci cromosomici. In dettaglio sono utilizzate sonde molecolari che rivelano l’aneuploidia dei cromosomi 3,7 e 17 associate ad un sonda per il locus cromosomico 9p21. UroVysion Test possiede la più alta specificità dei biomarcatori disponibili per i tumori uroteliali. Inoltre è in grado di rilevare le alterazioni genotipiche prima che vi siano espressioni fenotipiche di malignità, portando così ad una “anticipazione di malattia" Infatti, i casi considerati falsi positivi, sviluppano spesso un tumore uroteliale in un periodo che varia dai 3 ai 15 mesi L’UroVysion Test potrebbe essere inserito anche nei protocolli di sorveglianza poiché permette di discernere i pazienti a rischio di recidiva ed inoltre può avere un ruolo diagnostico nei casi di esami citologici urinari dubbi.

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5.3 TUMORI DEL TESTICOLO I tumori del testicolo generalmente affliggono gli individui giovani nella loro terza o quarta decade di vita. Si presentano normalmente come una massa unilaterale, indolente, dello scroto. Tuttavia, approssimativamente nel 20% dei casi, il primo sintomo di esordio può essere un dolore scrotale e fino al 27% di pazienti affetti da tumore testicolare possono presentare dolore locale. Fattore di rischio è considerato il criptorchidismo ed il testicolo ritenuto. Occasionalmente, test eseguiti in seguito ad un trauma allo scroto possono rivelare una massa testicolare. Mentre la ginecomastia si presenta nel 7% dei casi ed è soprattutto più comune nei tumori non-seminomatosi, nell’11% dei casi vi possono essere di dolori al dorso e al fianco. In circa il 10% dei casi, una neoplasia testicolare può mimare una orchi-epididimite e può portare ad una dilatazione dei tempi di diagnosi. 127

5.3.1 Ecografia Un’ecografia scrotale deve essere effettuata in tutti i casi dubbi, al fine di escludere un tumore testicolare. Attualmente ha il compito di confermare una massa testicolare e di esplorare il testicolo contro-laterale L’ecografia scrotale con o senza mezzo di contrasto possiede una sensibilità e specificità molto vicina al 100% nel rilevare i tumori testicolari ed inoltre permette di asserire se una lesione è intra o extra-testicolare quindi viene effettuato anche quando si è in presenza di una chiara neoplasia testicolare.

Essendo un test non invasivo e poco costoso, è eseguito nei pazienti giovani che presentano una massa testicolare e masse viscerali e/o retroperitoneali, o che possiedono dei marker specifici elevati. 5.3.2 I Biomarcatori del tumore testicolare: hCG, AFP, LDH Il cancro del testicolo è una delle poche neoplasie che ha dei biomarcatori specifici. Tali biomarcatori svolgono un ruolo essenziale sia nella diagnosi, sia nella prognosi, che nel follow-up post-orchiectomia associata o meno a chemioterapia. 128

Al momento della diagnosi, alti livelli d’Alfa-Feto Proteina (AFP) sono riscontrati in circa il 50-70% di tumori non seminomatosi a stadio precoce e in circa il 60-80% di tumori non seminomatosi a stadio avanzato. I carcinomi embrionari e i tumori del sacco vitellino producono AFP L’AFP non rilevabile in caso di seminomi e coriocarcinomi. Nel caso di pazienti affetti da un seminoma, ma con livelli elevati di AFP, bisogna considerare la presenza di una componente non seminomatosa. L’emivita dell’AFP di circa 5-7 giorni, quindi in caso di guarigione dopo orchiectomia o dopo chemioterapia i valori di tali biomarcatori devono pressoché normalizzarsi in un tempo corrispondente a circa 4 volte il valore della sua emivita (20-28 giorni). Elevati livelli di gonadotropina corionica umana (hCG)sono riscontrati nel 20-40% di tumori non seminomatosi del testicolo a stadio precoce e nel 40-60% di tumori non seminomatosi a stadio avanzato. Inoltre il coriocarcinoma, il carcinoma embrionario e circa il 15% dei Seminomi producono hCG. Tuttavia livelli di hCG superiori a 5000 UI/L sono solitamente associati a tumori non seminomatosi L’emivita della hCG di 2436 ore. Riassumendo, circa il 90% di pazienti affetti da tumori non seminomatosi del testicolo presenteranno un rialzo dei livelli di AFP, di hCG o di entrambe, mentre fino al 30% dei tumori seminomatosi possono sviluppare un rialzo di hCG durante la progressione di malattia. Alti livelli di lattico deidrogenasi (LDH) sono rinvenuti approssimativamente nel 20% dei tumori a cellule germinali a stadio precoce e nel 60% dei tumori a cellule germinali a stadio avanzato. L’LDH non è un biomarcatore specifico dei tumori testicolari, viene principalmente utilizzato in campo prognostico in seguito ad una diagnosi di cancro del testicolo.

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CAPITOLO 6

MANOVRE DIGNOSTICHE E TERAPEUTICHE Alchiede Simonato, Riccardo Banchero, Marco Esposito, Andrea Romagnoli, Paolo Vota, Andrea Nordio, Carlo Corbu, Salvatore Siracusano

6.1 CATETERISMO VESCICALE ’ una manovra invasiva che consiste nel posizionamento di un’apposita sonda (catetere) in vescica per via transuretrale a scopo diagnostico o terapeutico. Il cateterismo diagnostico è effettuato in situazioni in cui si vuole verificare la presenza di un residuo post minzionale o è necessario monitorare accuratamente la diuresi (es. pazienti in scompenso cardiaco acuto o in stato di shock). Per cateterismo terapeutico s’intende il drenaggio della vescica in caso di ritenzione acuta completa di urine secondaria ad ostruzione acuta a valle della vescica. Si parla di cateterismo evacuativo quando si effettua un drenaggio estemporaneo della vescica per consentirne lo svuotamento, in tale situazione il catetere è lasciato in sede solo per il tempo necessario a svuotare la vescica e quindi rimosso. Se il cateterismo evacuativo deve essere protratto cronicamente per problematiche disfunzionali (spesso d’origine neurogena) che impediscono il fisiologico svuotamento della vescica, si parla di cateterismo intermittente. 6.1.1 I cateteri vescicali si differenziano per quattro parametri: Il calibro Il materiale e la consistenza 130

Il numero delle vie e il sistema di fissazione in vescica Le caratteristiche della punta Calibro L’unità di misura per definire le dimensioni del diametro dei cateteri è stabilita dalla scala Charrière o French ( 1 Charrière/French = 0.33 mm). Pertanto un catetere di 18 Ch/Fr ha un diametro di circa 6 mm. Materiale e Consistenza I cateteri si possono differenziale in: Rigidi: di materiale sintetico, di uso limitato (ad esempio per dilatare delle stenosi uretrali). Semirigidi: generalmente in gomma o in plastica, si utilizzano di solito nei cateterismi difficili ove non sia possibile posizionare un catetere morbido. Tali cateteri consentono un più agevole superamento di ostacoli uretrali (stenosi dell’ uretra o del collo vescicale) ma hanno maggiori possibilità rispetto ai cateteri morbidi di creare dei traumatismi del lume uretrale creando le così dette “false strade” Morbidi: in gomma, lattice, silicone, silastic, sono sempre da preferirsi perché meno traumatici per l’uretra ed in modo particolare quando sia richiesto un cateterismo protratto nel tempo. Prelubrificati: generalmente in PVC rivestiti da un film idrofilico che a contatto con l’ acqua rende il catetere scivoloso. Tali presidi si utilizzano principalmente nei pazienti che praticano il cateterismo ad intermittenza. Numero delle Vie e Sistema di Fissazione in Vescica Cateteri a una via: hanno un unico lume per il deflusso urinario, non presentano un sistema di fissazione in vescica (cateteri non autostatici), sono da utilizzare in caso di cateterismo provvisorio o estemporaneo. Nel caso debbano essere lasciati in sede per qualche tempo devono essere fissati ai genitali esterni (di solito al pene) utilizzando del cerotto (cateteri rigidi, semi131

rigidi e prelubrificati da cateterismo intermittente). Cateteri a due vie: hanno al loro interno due canali, uno per il deflusso urinario e l’altro collegato esternamente con una valvola che consente di gonfiare (iniettando 8-10 cc di soluzione fisiologica) un palloncino posto subito di sotto la punta stabilizzandoli (cateteri autostatici). Cateteri a tre vie: oltre ad un canale per il deflusso urinario e ad uno per il palloncino ne hanno un terzo che consente l’irrigazione continua della vescica. Questi cateteri si usano in caso d’ematuria grave o dopo alcuni interventi urologici alla prostata o alla vescica L’irrigazione continua impedisce la formazione di coaguli che potrebbero tamponare la vescica. Spesso sono dotati di palloncini autostatici che possono essere gonfiati ad elevati volumi (es: 80-120 cc). Caratteristiche della Punta un catetere riceve la sua denominazione dalle caratteristiche dell’estremità prossimale che può essere conformata diversamente. La differente forma della punta consente scegliere di un catetere in base alla situazione clinica d’ogni singolo paziente Possiamo distinguere i seguenti tipi di cateteri (di uso più frequente) in base alle caratteristiche morfologiche della loro punta: C. di Nelaton: punta arrotondata e retta con 1 o 2 fori di drenaggio contrapposti. A volte prelubrificato se utilizzato per il 132

cateterismo intermittente. C. di Mercier: generalmente semirigido, punta arrotondata che presenta un’angolatura (30°-45°) per favorire il superamento dell’uretra membranosa e dell’uretra prostatica Presenta 1-2 fori di drenaggio. Utile nei cateterismi difficili nel maschio (da ostacoli dell’uretra posteriore). C. di Couvelaire: generalmente semirigido, indicato nell’uomo e nella donna in caso di emorragia vescicale per rimuovere i coaguli dalla vescica. Presenta una punta rettilinea con un’ampia apertura centrale a “becco di flauto” e due fori laterali. C. conico-olivare: semirigido, di una punta rettilinea con estremità arrotondata (oliva). Si utilizza principalmente come dilatatore uretrale in caso di pazienti che presentano stenosi del meato esterno o dell’uretra anteriore. C di Tiemann: semirigido, ha una punta angolata (30°) e l’estremità conico-olivare. ’ indicato per superare nel maschio le stenosi dell’uretra bulbo-membranosa e per superare l’uretra prostatica nei casi di carcinoma prostatico in stadio avanzato. C. di Foley: morbido, sempre autostatico, a punta rettilinea con due fori contrapposti. Si adatta bene all’uretra e non 133

crea eccessivo disagio al paziente: utile nei cateterismi prolungati. C. di Dufour: semirigido, morbido, in alcuni casi prelubrificato. ’ un catetere a tre vie con punta curva (30°) a becco di flauto e due fori laterali contrapposti. Si posiziona al termine di alcuni interventi di chirurgia urologica prostatica e vescicale e in caso di ematuria severa perché consente l’irrigazione continua della vescica che ostacola la formazione di coaguli. C. di Pezzer e Malecot: ormai praticamente in disuso, presentano un sistema autostatico diverso dal palloncino (alette laterali). Per essere introdotti devono essere collocati su di un mandrino metallico. 6.1.2 Cateterismo vescicale nella donna Paziente in decubito dorsale con gambe flesse e divaricate. ’ importante iniziare disinfettando le grandi labbra in senso antero-posteriore con una garza sterile imbevuta di soluzione antisettica (es: amuchina 2%). Si divaricano le grandi e le piccole labbra fino ad identificare il meato uretrale esterno che a sua volta deve essere deterso con un’altra garza sterile imbevuta di soluzione antisettica Completata la disinfezione è buona norma, indossando guanti sterili, porre sulla superficie perineale un telo sterile opportunamente tagliato in modo tale da rendere visibili soltanto gli orifizi vaginale e uretrale . Si impugna il catetere vescicale con la mano dominante e dopo averne lubrificato abbondantemente la punta si introduce attraverso il meato uretrale esterno per 4-5 cm. Il deflusso d’urina indica che il catetere correttamente collocato; se questo è autostatico, si gonfia il palloncino con una siringa contenente 7-10 cc. Salvo casi particolari il cateterismo nella donna è una manovra di semplice esecuzione e poco dolorosa. In alcuni casi per variabilità anatomiche o per disfunzioni peri134

neali (es: prolassi pelvici) può accadere che il meato uretrale esterno non sia visibile in quanto posto all’interno del vestibolo vaginale In tali circostanze sufficiente guidare “alla cieca” il catetere collocandolo sul polpastrello del dito indice e facendolo scivolare sulla volta del vestibolo vaginale fino ad incontrare il meato esterno retroposto. 6.1.3 Cateterismo vescicale nell’uomo Paziente in decubito dorsale con gambe flesse e divaricate. Accurata disinfezione con soluzione antisettica su garza sterile dei genitali esterni ed in particolare del glande e del meato uretrale esterno. Si colloca un telo sterile sulle cosce che ricopra lo scroto e su di esso viene appoggiato il pene . Dopo avere indossato guanti sterili si colloca un telino forato facendo fuoriuscire dal buco il pene Poiché in certi casi il cateterismo nell’uomo può essere doloroso è buona norma la preventiva introduzione di gel lubrificante-anestetico nell’uretra Collocandosi alla destra( se destrimani) del paziente si afferra con la mano sinistra il pene che deve essere tenuto verticalmente, esercitando una leggera trazione al fine di annullare la curvatura pubica dell’ uretra peniena Con l’altra mano il catetere, abbondantemente lubrificato, viene introdotto lentamente nel meato uretrale esterno e spinto senza mai forzare. Quando la punta del catetere raggiunge l’uretra bulbo-membranosa, si percepisce una certa resistenza per la presenza della curvatura perineale dell’uretra Abbassando e trazionando il pene si riduce la curvatura perineale facilitando la progressione del catetere La fuoriuscita d’urina indica che la punta del catetere ha superato il collo vescicale. Se il catetere è provvisto di palloncino, occorre assicurarsi che quest’ ultimo sia in vescica prima di gonfiarlo. Una volta gonfiato si tira delicatamente verso l’esterno il catetere fino a quando si apprezza il contatto tra palloncino e collo vescicale. 135

Nel caso non riesca un cateterismo semplice con catetere morbido e autostatico si deve ripetere la manovra utilizzando con molta prudenza cateteri semirigidi ed eventualmente con una curva. Se il catetere che si riesce a collocare non è autostatico deve essere fissato esternamente (generalmente al pene per mezzo di cerotti) 6.1.4 Manutenzione di un catetere vescicale Nel paziente allettato il catetere raccordato ad un’apposita sacca in plastica, che consente la raccolta dell’ urina fuoriuscita, dotata di un rubinetto per lo svuotamento. I pazienti sottoposti a cateterismo a permanenza devono sostituire il catetere vescicale ad intervalli regolari (ogni 15-30 giorni secondo il materiale con cui è costituito il catetere) ’ preferibile mantenere il catetere chiuso, con apposito tappo o con il dispositivo di occlusione della via di deflusso della sacca di raccolta. Questa manovra consente alla vescica di svolgere la sua funzione di serbatoio impedendo la formazione di lesioni da decubito delle pareti della vescica vuota sulla punta del catetere. In tal modo la minzione sarà effettuata ad intervalli regolari o quando si presenta la sensazione soggettiva di vescica piena. Il catetere vescicale costituisce comunque una possibile via di propagazione di germi verso le vie urinarie che può provocare infezioni ascendenti uretriti, cistiti, prostatiti e pielonefriti ’ indispensabile, oltre che una rigorosa asepsi al momento del posizionamento del catetere, prestare attenzione ai pazienti che necessitano di un cateterismo prolungato. Devono essere adottate tutte le misure possibile atte a ridurre il rischio d’infezione: profilassi antibatterica; non effettuare, se possibile, oppure eseguire, se necessario, lavaggi vescicali solo al momento della sostituzione del catetere quando è ancora sterile; prediligere un sistema di raccolta dell’ urina a circuito chiuso.

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6.1.5 Complicanze del cateterismo vescicale Oltre alle possibili infezioni urinarie di cui abbiamo già parlato le complicanze principali del cateterismo vescicali sono le seguenti: Falsa strada uretrale. Si verifica quando, in presenza di un ostacolo uretrale, si forza la progressione del catetere creando una perforazione della mucosa uretrale con uretrorragia. Tale situazione si verifica con maggiore frequenza quando si utilizzano cateteri rigidi o semirigidi. Dislocazione del catetere in uretra con ritenzione urinaria e possibile lesione uretrale con uretrorragia causata dal palloncino gonfio in uretra. Tale situazione generalmente è provocata dalla trazione accidentale esercitata sul catetere da parte del paziente. Ematuria ex vacuo. Situazione clinica che si può verificare dopo lo svuotamento della vescica mediante cateterismo in un paziente con ritenzione urinaria. Tale evenienza dipende di solito dallo svuotamento troppo rapido della vescica. Per evitare tale complicanza è sufficiente svuotare lentamente la vescica dopo il cateterismo. Ostruzione del catetere vescicale, generalmente da coaguli. Si risolve tale problema praticando dei lavaggi del oppure sostituendo il catetere. 6.1.6 Controindicazioni al cateterismo vescicale. Le controindicazioni assolute al cateterismo vescicale sono sostanzialmente due:  la rottura traumatica dell’ uretra che si associa generalmente ad una frattura delle branche ischiopubiche con formazione di un ematoma pelvico sottovescicale.  l’uretrite, con ritenzione urinaria. In tali circostanze il drenaggio della vescica dovrà essere eseguito effettuando un cateterismo sovrapubico.

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6.2 CATETERISMO SOVRAPUBICO ’ indicato nel caso sia necessario cateterizzare la vescica lasciando l’uretra a riposo oppure vi sia un ostacolo uretrale non superabile. Pertanto nella maggior parte dei casi è effettuato in presenza di controindicazioni o impossibilità al cateterismo vescicale. Oltre ad evitare i rischi di traumatismo uretrale il cateterismo sovrapubico ha meno possibilità di diffondere infezioni ascendenti. Esistono vari kit per il cateterismo sovrapubico di cui i più diffusi sono i seguenti: Catetere di piccolo calibro (8-12 Ch) autostatico con mandrino a punta tagliente. In tal caso si esegue una puntura diretta della vescica con estrazione del mandrino e liberazione del catetere che è fissato gonfiando il palloncino. Catetere con punta a ricciolo (mono J). ’ introdotto in vescica con la tecnica di Seldinger. Si fissa alla cute con un punto di sutura. Catetere poliforato. Previa introduzione di un mandrino con camicia sono fissati alla cute con un punto di sutura oppure con un’apposita placca in plastica. Tecnica Il paziente si sistema in decubito supino ’ indispensabile verificare che la vescica sia piena. Se si hanno dei dubbi in proposito (es: paziente obeso) è preferibile avvalersi di un riscontro ecografico. Previa rasatura della regione sovrapubica si prepara un campo sterile. Si fa l’anestesia locale (es: Xilocaina al 2%) nella sede della puntura. La puntura con il dispositivo deve essere fatta perpendicolarmente sulla linea mediana (tra i muscoli retti) a circa 2 cm sopra il margine superiore della sinfisi pubica previa esecuzione 138

di una piccola incisione, con bisturi, sulla cute. Nel momento in cui si osserva fuoriuscita d’urina si deve arrestare la progressione del mandrino tagliente e si deve far procedere il tubo di drenaggio. Manutenzione di un catetere sovrapubico Ogni catetere sovrapubico, indipendentemente dal tipo, dovrà essere collegato ad un sacchetto per la raccolta dell’urina. Alcuni kit sono dotati di un raccordo tra sacchetto e catetere in cui è presente un rubinetto che può regolare il deflusso urinario. ’ opportuno medicare accuratamente il tramite cutaneo del catetere e collocare attorno ad esso una garza tagliata, come medicazione, da rinnovare periodicamente. Complicanze del cateterismo sovrapubico Complicanze infettive: poco frequenti se la tecnica è corretta. In rari casi si può verificare un flemmone nello spazio di Retzius dovuto alla fuoriuscita d’urina in sede sottoperitoneale. Ematuria: soprattutto alla presenza di grossolano terzo lobo prostatico che può essere accidentalmente lesionato nel momento della puntura vescicale. Perforazione intestinale: evenienza rara, ma possibile, soprattutto in caso di pazienti obesi portatori di voluminose ernie inguinali o laparoceli oppure plurioperati con aderenze tra intestino e vescica Controindicazioni al cateterismo sovrapubico ’ una modalità di drenaggio urinario spesso difficilmente accettata a domicilio per periodi prolungati. La presenza d’ematuria costituisce una controindicazione in quanto il catetere sovrapubico, di piccolo diametro, sarebbe rapidamente ostruito dai coaguli. La presenza di cicatrici chirurgiche sott’ombelicali deve richiamare alla prudenza nell’eseguire tale manovra perché possibili aderenze tra intestino e vescica (rischio di perforazione intestinale).

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6.3 CATETERISMO URETERALE ’ una procedura endoscopica che consiste nell’introdurre all’interno dell’uretere un apposito catetere attraverso una cistoscopia. I cateteri ureterali hanno un calibro da 4-12 Fr ma salvo casi particolari si utilizzano quelli con un calibro da 6 a 8 Fr. I cateteri ureterali si distinguono in due sottogruppi: 1) Autostatici (endoprotesi ureterali): sono dei cateteri particolari di materiale biocompatibile che una volta posizionati formano un ricciolo prossimale (nelle vie escretrici intrarenali) ed un ricciolo distale ( in vescica). In tal modo si stabilizzano all’interno delle vie urinarie e possono essere mantenuti in sede anche per lunghi periodi. Hanno una lunghezza variabile che permette all’operatore di scegliere lo stent più idoneo sull’ altezza del paziente. La lunghezza dell’uretere può variare di qualche cm da soggetto a soggetto: in un paziente di 190 cm lo stent idoneo deve misurare 28-30 cm mentre, in uno di 160 cm, è sufficiente una lunghezza di 24-26 cm. Scegliere correttamente la lunghezza dello stent è importante per evitare che l’estremità distale dello stent troppo lunga possa aumentare la sintomatologia irritativa vescicale. Pertanto uno stent ureterale s’identifica in base al materiale che lo costituisce (es:silicone, poliuretano ecc) e alle sue caratteristiche dimensionali che sono indicate da due numeri di cui il primo in Ch o Fr esprime il calibro ed il secondo in cm la lunghezza (es: 6/26-7/28 ecc). 2) Non autostatici: possono essere utilizzati ogni qualvolta non sia richiesto un cateterismo prolungato nel tempo. Una volta collocati nella via escretrice fuoriescono all’esterno 140

dell’ uretra e se si devono lasciare in sede per qualche tempo (ore o giorni) devono essere fissati con cerotto a lato di un catetere uretrale posizionato al termine della manovra. Hanno un’estremità prossimale che può essere rettilinea, curva o a ricciolo come gli stent (mono J) per consentirne una maggiore stabilità. I cateteri ureterali di comune utilizzo nelle manovre endourologiche hanno l’estremità prossimale aperta in modo da consentire il passaggio coassiale all’interno del loro lume di fili guida che rendono più sicuro il loro posizionamento. Indicazioni Cateterismo diagnostico: in questo caso la finalità è diagnostica e pertanto non è quasi mai necessario, al termine della procedura, lasciare il catetere in sede. Si può fare:  Iniezione retrograda di mezzo di contrasto per eseguire una ureteropielografia retrograda.  Raccolta selettiva d’urina attraverso cateterismo ureterale per eseguire gli esami citologici o colturali. Cateterismo terapeutico: le indicazioni sono sostanzialmente le stesse al posizionamento di una nefrostomia percutanea (ostruzione ureterale, fistole urinose). La maneggevolezza degli stent né fa preferire l’utilizzo tuttavia vi sono dei casi in cui, almeno inizialmente, è meglio un cateterismo non autostatico:  Valutazione funzionale del rene attraverso la misura selettiva delle urine eliminate.  Drenaggio di pionefrosi. Il pus è drenato meglio da cateteri ureterali di grosso calibro.  Cateterismo di breve durata (24-48 ore). Dopo manovre operative endoscopiche (ureteroscopia) per prevenire l’ostruzione ureterale da edema. 6.3.1 Tecnica Il cateterismo ureterale è effettuato in sala operatoria su un letto radiotrasparente e richiede il supporto di un amplificatore di brillanza ’ opportuna una profilassi antibiotica. 141

La manovra richiede una cistoscopia Nell’ uomo, se si utilizza un cistoscopio rigido, e se si prevede che la manovra possa non essere breve è consigliabile un’anestesia generale o una sedazione profonda. I cateterismi ureterali semplici, eseguiti con cistoscopio flessibile, nei pazienti collaboranti possono essere effettuati anche senza anestesia. Le fasi del cateterismo ureterale sono le seguenti: Cistoscopia rigida o flessibile: si esplora la vescica e di identifica il meato ureterale che deve essere incannulato. Introduzione di un catetere ureterale attraverso il canale operativo del cistoscopio. Cateterismo del meato ureterale: identificato il meato ureterale si in cannula con la punta del catetere che fuoriesce dal canale operativo del cistoscopio. Se il catetere progredisce facilmente all’ interno dell’ uretere si introduce per 2-3 cm, in caso contrario è preferibile introdurre coassialmente un filo guida metallico per facilitarne la progressione.

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Pielografia retrograda: iniezione retrograda di mezzo di contrasto e controllo fluoroscopico per valutare la morfologia dell’ uretere incannulato (presenza di ostacoli endoluminali, angolature, stenosi o sifoni).

Introduzione di filo guida metallico: il filo guida introdotto coassialmente al catetere ureterale si spinge sotto controllo fluoroscopico fino alle vie escretrici intrarenali. In caso di ostacoli dell’ uretere il filo guida ne agevola il superamento. Introduzione del catetere ureterale: coassiale al filo guida s’introduce il catetere ureterale. In caso di cateterismo non autostatico è sufficiente controllare con il fluoroscopio la progressione del catetere sul filo guida. Quando si è verificato il corretto posizionamento dell’ estremità prossimale del catetere all’ interno del sistema pielocaliceale si rimuove il filo guida e dopo avere posto un catetere vescicale si fissa a quest’ ultimo la parte esterna del catetere ureterale con cerotto. Un controllo pielografico retrogrado al termine della procedura darà conferma del corretto posizionamento. Se si deve mettere uno stent questo s’introduce sempre coassialmente al filo guida fino a che si riesce a controllare manualmente l’estremità distale, quando quest’ ultima non più controllabile si introduce coassialmente uno spingitore. Questo accessorio ha la funzione di consentire la progressione dello stent esercitando una spinta coassiale sul filo guida all’ estremità prossimale dello stent. 143

Quando il controllo fluoroscopico rivela il corretto posizionamento dell’estremità prossimale nel sistema pielocaliceale si estrae il filo guida osservando la corretta collocazione del ricciolo superiore L’estremità vescicale dello stent liberata estraendo completamente il filo guida e la formazione del ricciolo endovescicale è visualizzata direttamente con il cistoscopio. Dopo questa manovra è opportuno lasciare un catetere vescicale per 24 ore allo scopo di evitare il reflusso vescico-ureterale provocato dallo stent che si manifesta principalmente nelle prime ore. Quando lo stent dovrà essere rimosso o sostituito sarà sufficiente effettuare una cistoscopia ed afferrare con una pinza il ricciolo endovescicale dello stent che sarà portato all’ esterno dell’ uretra retraendo il cistoscopio. Complicanze Intraoperatorie Sono limitate. Può verificarsi un’impossibilità a reperire il meato o a superare un ostacolo ureterale per questo è necessario sospendere la manovra L’eventuale perforazione ureterale una complicanza comunemente risolvibile senza altre manovre invasive o nella peggiore dell’e ipotesi ricorrendo ad un’ureteroscopia che consente con maggiore facilità il recupero del corretto tragitto endoureterale. Complicanze Post operatorie precoci Ematuria legata al traumatismo del catetere sulla via urinaria alta ’ frequente dolore lombare da reflusso pieloureterale per incompetenza del meato ureterale provocata dal ricciolo distale dello stent che spesso può determinare sintomi irritativi vescicali (frequenza, urgenza, stranguria). Complicanze Tardive Riguardano principalmente i pazienti portatori di stent ureterale: Incrostazioni calcifiche dello stent che ne ostacolano la rimozione. Dislocazione dello stent verso il basso (deve essere rimosso con una cistoscopia) oppure verso l’alto (in tal caso necessa144

rio un’ureteroscopia con cui si afferra e si retrae verso la vescica l’estremità distale dello stent) Ostruzione dello stent da compressione ab estrinseco dell’ uretere da parte di tessuto neoplastico o fibrotico. In questi casi è preferibile mettere una nefrostomia percutanea nell’attesa, se possibile, di risolvere chirurgicamente la situazione ostruttiva. Infezione urinaria con febbre di solito ben controllabile con terapia antibiotica ad ampio spettro. Rottura dello stent, eventualità rara che si verifica solitamente quando questo è tenuto in sede oltre il limite previsto per quello specifico materiale di cui è composto. 6.4 L’UR T ROSCOPIA L’ureteroscopia (URS) una tecnica endoscopica descritta per la prima volta da Young nel 1912 e divenuta di frequente utilizzo in Urologia dalla fine degli anni ’60 Il largo utilizzo di tale metodica è legato alla possibilità di eseguire numerose manovre diagnostiche e terapeutiche a carico dell’alta via escretrice (ureteri e cavità renali), con caratteristiche di mini-invasività. L’ureterorenoscopio un endoscopio, cio uno strumento che viene introdotto nel corpo attraverso una via di accesso fisiologicamente presente (uretra in questo caso), e permette, grazie ad un sistema ottico, una luce fredda e una telecamera, di visualizzare e indagare l'interno del corpo (vescica, uretere, cavità renali). Questi strumenti, di calibro ridotto, possono essere semirigidi o flessibili. Indicazioni Le principali indicazioni all’ureteroscopia possono essere suddivise in tre gruppi:

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Manovre diagnostiche  Studio delle alterazioni individuate a carico dell’uretere in corso di esami contrastografici (difetti di riempimento, ostruzioni).  Diagnosi differenziale tra litiasi radiotrasparente e neoformazioni della via escretrice.  Ricerca di lesioni neoplastiche in caso di ematuria macroscopica monolaterale o in presenza di positività della citologia urinaria selettiva.  Follow-up dopo interventi conservativi per neoplasia dell’alta via escretrice. Trattamento della patologia litiasica  Litiasi ureterale: rimozione e/o frantumazione di calcoli ureterali.  Rimozione di eventuali frammenti litiasici impilati nell’uretere dopo ESWL.  Trattamento della litiasi associata ad ostruzione o a sospetto di carcinoma ureterale. Altre procedure terapeutiche  Posizionamento di catetere ureterale per superare un’ostruzione (stenosi, calcolo, neoplasia, ostruzione da compressione) o per consentire la guarigione di una fistola.  Rimozione di corpi estranei.  Ablazione di piccole neoformazioni della via escretrice.  Dilatazione o incisione di stenosi. Complicanze L’ureteroscopia una manovra mini-invasiva ma non è scevra da complicanze. Le complicanze per quanto rare, possono essere gravi. La corretta selezione del paziente, l’utilizzo di uno strumentario appropriato in ambiente adeguato, la meticolosità e la prudenza dell’operatore sono fondamentali per minimizzare l’incidenza di eventi avversi 146

Le complicanze più frequenti in corso o in seguito ad ureterorenoscopia sono:  Infezione della via escretrice (sino alla pielonefrite ed alla sepsi urinaria).  Lesione della parete ureterale (possibile causa di urinoma, ascesso o fistola ureterale).  Avulsione dell’uretere  Formazione di stenosi (complicanza tardiva). Note di tecnica Vedi appendice

6.5 NEFROSTOMIA PERCUTANEA ’ una manovra endourologica che ha lo scopo di mettere un catetere attraverso la cute all’interno delle vie escretrice intrarenale quando un cateterismo ureterale non è possibile oppure non è indicato. Indicazioni principali:  Insufficienza renale acuta secondaria ad un’ostruzione ureterale bilaterale o monolaterale in paziente monorene. Quando un cateterismo retrogrado non riesce o non è indicato (es: tumore vescicale o prostatico infiltranti il trigono vescicale).  Detendere della via urinaria in caso di ostruzione ureterale.  Derivare temporaneamente le urine in presenza di fistole (ad es: fistole ureterali o vescicali successive ad intervento chirurgico o a traumi).  Idronefrosi infetta (idropionefrosi) con rischio di sepsi.  Atto preliminare ad alcuni interventi endourologici (es: nefrolitotrissia percutanea). Breve descrizione della tecnica La manovra può essere fatta in anestesia locale eventualmente 147

associata ad una blanda sedazione. è opportuna una profilassi antibiotica. Il paziente deve essere sistemato in posizione prona o sul fianco ma in casi particolari, quando il paziente non riesce assumere queste posizioni è comunque possibile eseguire la manovra anche in posizione supina ovviamente con maggiori difficoltà. 6.5.1 Puntura nefrostomica sotto guida fluoroscopica Prevede l’utilizzo di un’apparecchiatura radiologica dotata di un sistema di rotazione (arco a “C” o similari) che consente delle proiezioni frontali e laterali. In questo modo è più agevole controllare la corretta progressione dell’ago. Con tale metodica è più sicura la puntura della via escretrice opacizzata mentre richiede una maggiore esperienza la puntura iniziale con ago sottile quando la via escretrice non è visibile. Si utilizza preliminarmente un ago di Chiba (21 Gauge) . Il luogo di entrata è sotto la punta della dodicesima costa, l’ago deve progredire guidato radiologicamente in alto e medialmente cercando di orientare il suo tragitto verso la loggia renale. Quando si pensa di avere raggiunto la via estretrice intrarenale si retrae lentamente l’ago aspirando con una siringa. La fuoriuscita di urina ci conferma la corretta posizione della punta dell’ago nella via urinaria. In questa posizione è possibile iniettare del mezzo di contrasto che consente di opacizzare la via escretrice per rendere più facile la successiva puntura con ago di calibro maggiore in grado di far progredire una guida Il calibro sottile dell’ago di Chiba permette, se necessario, anche più tentativi minimizzando i rischi di complicanze. 148

Individuata la via escretrice si utilizza un ago mandarinato (1920 Gauge) che è orientato verso il calice inferiore opacizzato dalla precedente iniezione di mezzo di contrasto cercando raggiungerlo attraverso il parenchima renale. Quando si è sicuri della correttezza della puntura si estrae i mandrino e si utilizza la tecnica di Seldinger per collocare il catetere nefrostomico con i seguenti passaggi: - Introduzione di filo guida metallico attraverso la cannula del mandrino controllandone con la fluoroscopia la sua corretta progressione all’ interno delle vie escretrici intrarenali o meglio ancora nell’ uretere - Dilatazione del tramite attraverso appositi dilatatori fasciali di calibro crescente che consentono di raggiungere un diametro sufficiente all’introduzione del catetere nefrostomico che sarà lasciato in sede. 6.5.2 Puntura nefrostomica ecoguidata Utilizzando una tecnica di puntura esclusivamente ecografia nessun passaggio eseguito “alla cieca” in quanto l’ecografia permette di vedere i calici renali soprattutto se dilatati. Ecograficamente quindi si può omettere la puntura della via escretrice con ago sottile facendo direttamente la puntura ecoguidata con ago mandrinato completando la procedura con la tecnica di Seldinger (come illustrato prima). Tuttavia la fase di controllo della progressione del filo guida e della dilatazione sono di più difficile controllo in quanto l’ecografia a volte non riesce ad evidenziare con chiarezza la progressione della guida all’interno della via escretrice. Per certo la tecnica ecografia associata alla fluoroscopia è la più sicura in quanto complementari: puntura iniziale sotto guida ecografica, dilatazione del tramite e corretto posizionamento del catetere nefrostomico sotto controllo fluoroscopico.

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Cateteri nefrostomici I più utilizzati hanno la punta a ricciolo (“pig-tail” o monoJ) Se l’urina non infetta e non c’ ematuria è sufficiente un calibro contenuto (8-10 Fr) altrimenti è preferibile una nefrostomia di calibro maggiore (12-14 Fr). Nel caso in cui il catetere nefrostomico deve essere lasciato per lungo tempo in sede (es: pazienti con compressione neoplastica degli ureteri non operabili) è da sostituire ogni tre mesi. La nefrostomia è assicurata alla cute del paziente con un punto di sutura o con dei cerotti. Il tramite cutaneo è protetto da una medicazione che deve essere sostituita periodicamente. Complicanze e controindicazioni: ’ una procedura che presenta complessivamente delle complicazioni nello 0.25% dei casi che si dividono in maggiori e minori e una mortalità dello 0.03%. Complicanze maggiori Puntura accidentale di organi adiacenti (milza,fegato colon). Pneumotorace. Ematuria grave o ematoma perirenale. Sepsi con shock settico (se urine infette). Complicanze minori Dislocazione del catetere. Occlusione del catetere. Infezione urinaria lieve. Infiammazione nel sito del tramite cutaneo. Ematoma perirenale sottocapsulare. Nei pazienti con grave deficit coagulativo congenito o acquisito (es: in terapia con farmaci antiaggreganti o anticoagulanti) tale procedura presenta un alto rischio emorragico. Pertanto in tali circostanze bisogna agire con estrema prudenza ed eventualmente procrastinare l’intervento fino a quando il deficit coagulativo non è risolto. In questi casi, se il paziente presenta un’insufficienza renale acuta ingravescente, è preferibile sia 150

sottoposto a dialisi.

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6.6 BIOPSIA PROSTATICA ECOGUIDATA Adesso la biopsia prostatica eco-guidata è considerata la metodica standard per la diagnosi del carcinoma della prostata. La tecnica adotta l’ecotomografica prostatica trans-rettale come guida ai prelievi di tessuto, poiché essa determina un’elevata accuratezza nel campionamento della ghiandola prostatica. I prelievi di tessuto sono raccolti mediante ago da biopsie da 18 G (1,02 mm). Prima di eseguire la procedura il paziente deve essere adeguatamente preparato. Ogni terapia antiaggregante o anticoagulante orale andrebbe sospesa con 7-10 giorni d’anticipo e sostituita con eparine a basso peso molecolare. Ai pazienti è richiesto di praticare un clistere al domicilio per diminuire il contenuto di feci dell’ampolla rettale al fine di ottenere una migliore finestra acustica per l’ecografia Tra i 30 e i 60 minuti prima della biopsia deve essere somministrato un fluorochinolone per bocca (e la terapia deve continuare per 2-3 giorni). Il paziente è quindi posizionato in decubito laterale per eseguire una biopsia con prelievi trans-rettali o in posizione ginecologica per eseguire dei prelievi trans-perineali. Schema dei prelievi Per permettere un’adeguata e omogenea campionatura della ghiandola si utilizza lo schema del doppio sestante (12 prelievi). Esso prevede come sede del campionamento la porzione periferica della ghiandola, ossia la zona di più frequente insorgenza del carcinoma prostatico. La campionatura è eseguita secondo lo schema riportato in figura ed è 152

eseguito sia a destra sia a sinistra. In ogni caso, il numero di frustoli raccolti non è mai vincolato ma può variare da un minimo di 12 a un massimo di 20 campioni (biopsia di saturazione) ’ dimostrato che la probabilità di diagnosticare un carcinoma prostatico aumenta con il numero di prelievi effettuati. Normalmente è una metodica che può essere eseguita in regime ambulatoriale in anestesia locale. In casi selezionati ove sia necessario eseguire un numero elevato di prelievi, come nel caso della ripetizione dell’esame dopo una o più pregresse biopsie negative, può essere praticata in sala operatoria in anestesia generale. L’accesso alla prostata può essere duplice, trans-rettale o transperineale: 1. Trans-rettale: introduzione di una sonda ecografia trans-rettale munita di un canale aggiuntivo per l’ago da biopsia ed accesso alla prostata attraverso la parete anteriore del retto. 2. Trans-perineale: accesso alla ghiandola attraverso il perineo anteriore, tra ano e testicoli. La metodica transperineale dovrebbe permettere di campionare meglio la porzione periferica della prostata, sede abituale di insorgenza dell’adenocarcinoma prostatico. Comunque non esistono studi randomizzati che confermino tale teoria e pertanto la scelta di una tecnica o l’altra lasciata alla preferenza del singolo operatore. I frustoli bioptici vengono fissati e conservati in formalina per le successive analisi anatomopatologiche indicando precisa153

mente la sede del prelievo. L’anatomopatologo descrive l’estensione e le caratteristiche istologiche della neoplasia se presente. Le indicazioni vengono poste dallo specialista valutando complessivamente i seguenti parametri: 1. Valori alterati di PSA totale, rapporto libero/totale o di PSA velocity; 2. Esplorazione rettale sospetta per carcinoma prostatico; 3. Ecotomografia prostatica trans-rettale sospetta per carcinoma prostatico. Complicanze:  Uretrorragia: può essere causata da una incidentale lesione dell’uretra prostatica con l’ago da biopsia; ematuria: può essere causata da una lesione del trigono vescicale;  Ritenzione urinaria completa: per l’edema prostatico conseguente alla ripetuta penetrazione dell’ago nel parenchima della ghiandola;  Infezioni secondarie al passaggio di patogeni dai tessuti adiacenti alla prostata stessa Nel caso dell’accesso trans-rettale i patogeni possono essere portati dal retto alla prostata Nel caso dell’accesso trans-perineale dalla cute del perineo. Una volta raggiunto il circolo ematico intraprostatico possono diffondersi a quello sistemico determinando uno stato settico. Biopsia prostatica trans uretrale ’ utilizzata per la ricerca di sospette neoplasie della zona transizionale (per esempio dopo ripetute biopsie prostatiche trans perineali o trans rettali della zona periferica negative, associate a PSA persistentemente elevato). Attualmente le neoplasie della zona transizionale sono stimate essere meno del 5%. Questo tipo di biopsia, che è eseguita in corso d’endoscopia transuretrale, consiste in prelievi di tessuto prostatico tramite ansa diatermica e vi si ricorre solo in casi molto particolari. 154

6.7 TEST URODINAMICI Definizione I test di diagnostica urodinamica permettono una descrizione oggettiva delle patologie funzionali a carico delle basse vie urinarie durante i due principali momenti del ciclo minzionale, ovvero le fasi di riempimento e di svuotamento vescicale. Classificazione Le metodiche diagnostiche che permettono un’adeguata valutazione urodinamica delle disfunzioni delle basse vie urinarie sono l’uroflussometria, la cistomanometria, l’elettromiografia perineale, lo studio del profilo pressorio uretrale e la videourodinamica. 6.7.1 Uroflussometria Misurazione del volume urinario eliminato attraverso l’uretra nell’unità di tempo (mL/secondo). Rappresenta il test urodinamico di più semplice esecuzione e di più largo utilizzo. L’uroflussometria si serve di una serie di parametri che consentano una corretta valutazione dello svuotamento vescicale. Normalmente il test descrive una gaussiana (Fig.1) il cui apice, raggiunto in un tempo di 3-5 secondi, corrisponde al flusso massimo Al termine della minzione, con l’ausilio di una sonda ecografica, è rilevato il residuo post-minzionale (RPM) il quale è significativo per valori pari o superiori al 20% del volume urinario espulso. Il periodo di latenza che intercorre tra il momento in cui il soggetto si accinge a mingere e l’inizio della minzione si definisce Delay Time (in genere inferiore a 10 secondi).

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Il flusso massimo negli uomini è considerato normale per valori superiori a 15mL/s mentre quando sono inferiori a 10 mL/s è molto plausibile un quadro di ostruzione cervico-uretrale. Nelle donne, dove le resistenze uretrali sono inferiori, valore limite corrisponde a 20 mL/s.

L’evidenza di un flusso basso o d’aspetto irregolare può denunciare precocemente la presenza di un’ipo/contrattilità vescicale o di un’ostruzione cervico-uretrale. La presenza di un flusso a plateau è molto sospetto per un’ostruzione costrittiva (stenosi uretrale) mentre nell’ostruzione da compressione (da IPB), oltreché evidenziare valori di flusso massimo ridotti, la curva del flusso risulta irregolare con la parte finale che si riduce lentamente. ’ però giusto far notare come l’uroflussometria sia uno strumento diagnostico molto utile ma con dei limiti e per tale ragione, ove sia richiesto, ha bisogno d’ulteriori approfondimenti diagnostici (ad es. esame urodinamico invasivo).

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6.7.2 Cistomanometria Registrazione delle variazioni pressorie endovescicali in funzione del volume di replezione vescicale. Durante le fasi di riempimento (cistometria di riempimento). Durante la fase di

svuotamento (studio pressione-flusso). L’esame si esegue mediante il posizionamento di un piccolo catetere vescicale a due vie (una collegata al trasduttore di pressione, l’altra alla sorgente del liquido infuso a velocità costante) e di una sonda rettale (per la registrazione della pressione addominale). Durante la cistometria di riempimento è possibile osservare l’attività del detrusore e il suo comportamento sulle variazioni pressorie endovescicali mediante la rilevazione dei seguenti parametri:  Sensibilità vescicale (o propriocettiva): condizione soggettiva determinata dalla distensione di tensocettori parietali che il paziente esprime con la sensazione di progressivo riempimento vescicale. È aumentata (sensazione precoce dello stimolo minzionale, in genere associata a sintomatologia urinaria da urgenza) in condizioni di iperattività detrusoriale oppure associata a dissinergia vescico-sfinterica nelle lesioni sovrasacrali o ancora ridotta o assente (stimolo minzionale ritardato o 157

nullo) in soggetti con un quadro di vescica neurologica con lesione sacrale.  Capacità vescicale cistometrica massima: volume di riempimento oltre il quale è impossibile differire ulteriormente lo stimolo minzionale. In condizioni di normalità corrisponde a valori di circa 500mL. È ridotta in soggetti affetti da iperattività detrusoriale o da patologie che riducono la compliance vescicale (cistite interstiziale, cistite attinica, vescica da sforzo).  Compliance vescicale: corrisponde al grado di distensibilità vescicale, ovvero la capacità intrinseca di accogliere grandi volumi di liquido con minime variazioni pressorie e che si esprime con il rapporto ΔV/ΔP (mL/cmH2O). La misurazione è eseguita in corrispondenza della capacità vescicale cistometrica massima (500 mL) e, verificandosi normalmente minimi incrementi pressori (10 cmH2O), generalmente si attesta su valori di 50 mL/cmH2O. Valori di compliance inferiori a 15-20 mL/cmH2O, dovuti ad elevati incrementi pressori per minime variazioni di volume, sono considerati patologici e possono essere espressione di patologie a carico della parete o dell’innervazione vescicale Nel primo caso avviene per una riduzione della componente elastica parietale a discapito di quella fibrosa (cistite interstiziale, cistite attinica) o di quella muscolare (vescica da sforzo); nel secondo caso invece si determina in conseguenza di neuropatie più verosimilmente periferiche (a carico di plesso sacrale ed intramurale). Inoltre è molto importante sottolineare che condizioni di ΔP>40 cmH2O possono essere responsabili di grave compromissione dell’alta via escretrice, generando fenomeni di reflusso vescico-ureterale.  Attività detrusoriali involontarie: in condizioni di normalità, durante la fase di riempimento non si assiste ad 158

alcuna contrazione detrusoriale involontaria di tipo fasico (stabilità detrusoriale). La registrazione di tale attività, spontaneamente o dopo manovre provocative (colpo di tosse, manovra del ponzamento), corrisponde alla presenza di iperattività detrusoriale che a sua volta è distinta in neurogena e/o idiopatica a seconda che sia stata accertata o no la presenza di una neuropatia concomitante ’ bene distinguere la condizione di iperattività da quelle che determinano una ridotta compliance vescicale: infatti, nel primo caso si assiste ad aumenti pressori endovescicali fasici mentre nel secondo caso a variazioni pressorie di tipo progressivo.Invece la perdita d’urina successiva ad una di queste contrazioni involontarie è definita come fuga urinaria. Al contrario l’ipoattività detrusoriale (contrattilità detrusoriale) descrive un tracciato, dove non si registrano variazioni pressorie (oppure molto ridotte) anche per volumi di riempimento elevati ’ una condizione urodinamica tipica d’alcune patologie neurologiche che coinvolgono i segmenti midollari sacrali.  Funzione uretrale: in maniera indiretta, è possibile determinare una condizione d’insufficienza sfinterica responsabile di un quadro d’incontinenza da sforzo. Dopo manovre provocative, come ad esempio la manovra del ponzamento ovvero il Valsalva Leak Point Pressure (VLPP), si assiste alla perdita involontaria d’urina in assenza di aumento della pressione detrusoriale. 6.7.3 Studio pressione-flusso Permette di valutare il corretto coordinamento tra detrusore, sfintere uretrale e pareti uretrali durante la fase minzionale. In condizioni di normalità, all’inizio dell’atto minzionale avviene un aumento dell’attività detrusoriale ed il contemporaneo rilasciamento dell’apparato sfintero-uretrale (sinergismo vescico159

uretrale). Al termine del ciclo minzionale si determina invece il processo inverso. Questa procedura consente di distinguere un quadro d’ostruzione cervico-uretrale, il cui tracciato esprime un basso flusso con elevate pressioni detrusoriali, da quello di ipocontrattilità detrusoriale, alla presenza di un basso flusso con ridotti livelli pressori.

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Elettromiografia (EMG) perineale: è la registrazione dell’attività bioelettrica della muscolatura striata (in particolare il muscolo sfintere striato dell’uretra) del pavimento pelvico durante il ciclo minzionale mediante l’applicazione di elettrodi di superficie o ad ago. La metodica permette di valutare l’integrità del cosiddetto fenomeno di sinergia vescicosfinterica, ovvero quel fine sistema di coordinazione motoria che è alla base di tutto il ciclo minzionale. Infatti, in condizioni di normalità, durante la fase di riempimento si assiste ad un progressivo incremento dell’attività bioelettrica della muscolatura striata secondo un meccanismo di reclutamento delle singole unità motorie al fine di garantire uno stato ottimale di continenza (riflesso di guardia) Al contrario, durante l’intera fase di svuotamento si verifica la completa assenza di attività da parte delle strutture muscolari striate e contemporaneamente la contrazione del detrusore vescicale. L’alterazione di questo meccanismo è definita come dissinergia vescico-sfinterica e clinicamente si manifesta con iperattività detrusoriale associata a mancato rilasciamento del muscolo sfintere striato uretrale. Questa condizione si può verificare in quei soggetti affetti da lesioni del SNC sovrasacrali sottopontine. 6.7.4 Profilo pressorio uretrale (PPU ’ la registrazione della pressione endoluminale lungo tutta la superficie uretrale mediante il posizionamento di un catetere in vescica, collegato a un trasduttore di pressione, che viene retratto lungo tutta la superficie uretrale e contemporaneamente all’infusione di liquido Il grafico risultante determinato dalla resistenza che il fluido stesso ha incontrato lungo il lume uretrale e normalmente ha un aspetto di curva gaussiana (Fig.4), dove il punto di massima resistenza corrisponde al tratto membranoso. In un soggetto normale l’uretra, grazie alle proprietà intrinse161

che delle sue pareti, partecipa al meccanismo di continenza garantendo un gradiente pressorio uretro-vescicale sempre positivo, eccetto che durante la fase di svuotamento, onde evitare la fuga di urina. In termini semplici, le pareti uretrali, restando strettamente collabite, offrono una resistenza superiore alla spinta determinata dalla somma della pressione detrusoriale e di quella addominale. Il PPU può essere statico o dinamico. Nel primo caso la rilevazione viene eseguita durante la fase di riempimento ad un volume vescicale di circa 200 mL mentre nel secondo caso si svolge in condizioni dinamiche come ad esempio durante colpi di tosse o manovra del ponzamento. In entrambi i casi è importante determinare tre parametri: la pressione uretrale massima che corrisponde al punto di massima resistenza (e come sottolineato in precedenza, in genere si registra a livello del segmento membranoso), la pressione di chiusura uretrale massima, espressione della differenza tra pressione uretrale massima e pressione endovescicale e la lunghezza funzionale che è il segmento uretrale dove la pressione endoluminale è superiore rispetto alla corrispettiva endovescicale (Fig.5).

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6.7.5 Videourodinamica ’ un test urodinamico completo (uroflussometria, cistomanometria, MG perineale, PPU) eseguito mediante l’infusione di liquido contrastografico e con un amplificatore di brillanza allo scopo di associare in tempo reale i dati funzionali con quelli morfologici In particolar modo molto utile nell’identificare e quantificare la presenza di un reflusso vescico-ureterale e/o differenziare le varie forme di dissinergia vescico-sfinterica in pazienti con vescica neurologica.

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CAPITOLO 7

SINDROMI UROLOGICHE Alchiede Simonato, Virginia Varca

7.1 DISTURBI MINZIONALI Definizione: la minzione è l'insieme degli atti fisiologici, volontari e involontari, che determina l'espulsione dell'urina raccolta nella vescica, attraverso l'uretra. La presenza di anomalie anatomiche o funzionali a carico delle basse vie urinarie determina la comparsa di disturbi della minzione che caratterizza numerose affezioni d’interesse urologico. Classificazione: i disturbi minzionali possono essere irritativi e ostruttivi. Disturbi irritativi:  aumento della frequenza minzionale nelle 24 ore (pollachiuria);  minzione notturna (nicturia);  bisogno impellente di urinare (urgenza minzionale);  minzione lenta e dolorosa (stranguria);  tenesmo vescicale (contrazione dolorosa, involontaria, dello sfintere urinario associata al continuo bisogno di urinare). Disturbi ostruttivi:  esitazione o attesa minzionale;  riduzione del getto urinario;  sgocciolamento terminale e post-minzionale;  minzione in due tempi;  minzione prolungata. 165

Eziopatogenesi I disturbi irritativi conseguono generalmente ad alterazioni della fase di riempimento vescicale che possono essere secondarie a diverse cause e le più frequenti sono:  Infiammatorie: in seguito ad infezioni urinarie (cistite batterica), radioterapia pelvica (come per la cistite attinica, chemioterapia endovescicale (cistite chimica), cistiti interstiziali, corpi estranei o calcoli endovescicali.  Neurologiche, quali instabilità e/o iperattività del detrusore secondarie a patologie del Sistema Nervoso sia Centrale (SNC) che Periferico (SNP).  Ostruttive cervico-uretrali: quali ipertrofia prostatica benigna, stenosi dell’uretra malattia, del collo vescicale.  Neoplastiche vescicali: soprattutto per il carcinoma in situ. I disturbi ostruttivi conseguono generalmente ad alterazioni della fase di svuotamento vescicale, che possono essere di natura:  Ostruttiva cervico-uretrale, quali ipertrofia prostatica benigna, stenosi dell’uretra, malattia del collo vescicale.  Neurologica (areflessia o ipocontrattilità del detrusore conseguente a patologie del SNC e del SNP). Nel dettaglio i principali disturbi urinari sono: 1. Disuria: indica difficoltà alla minzione, caratterizzata da senso di fastidio o dolore (stranguria), generalmente determinata da un processo infiammatorio a carico della vescica, della prostata o dell’uretra In genere il paziente riferisce “bruciore minzionale” lungo l’uretra nella donna o all’apice del pene nel maschio; in caso di flogosi vescicale marcata è riferito dolore sovrapubico al termine della minzione. La disuria è spesso associata a sensazione di spasmo vescicale definita tenesmo vescicale. 2. Pollachiuria: indica un aumento della frequenza delle min166

zioni non in rapporto alla quantità d’urina e va distinta dalla poliuria, che invece indica un aumento della produzione giornaliera d’urina. Un semplice metodo per valutare obiettivamente questo disturbo è chiedere al paziente di compilare un diario giornaliero su cui annotare la quantità e la frequenza della minzione (diario minzionale). La pollachiuria consegue ad una riduzione della capacità funzionale vescicale (che normalmente è di circa 400 ml); ciò può dipendere da un aumento del residuo post-minzionale, come si verifica in caso d’ostruzione cervicouretrale (es. IPB. Rimanendo in vescica una quota costante d’urina che non riesce ad essere espulsa, la vescica stessa si riempirà più rapidamente). La capacità vescicale si riduce rapidamente anche in caso di flogosi vescicale a causa dell’edema infiammatorio che riduce la distensibilità e la compliance vescicale, o di fibrosi vescicale, conseguente a cistite postattinica, cistite intestiziale e TBC urinaria. Nei casi più gravi, il desiderio di urinare è costante, con emissione di poche gocce d’urina. Una riduzione della compliance vescicale e della capacità funzionale, come pure un aumento della sensibilità vescicale, caratterizzano molti quadri di vescica neurologica, conseguente ad alterazione del SNC e SNP. 3. Nicturia: le cause sono le stesse della pollachiuria diurna con cui solitamente si associa. Può comparire anche in assenza di patologie urologiche, come accade in seguito ad abbondante assunzione serale di liquidi, caffè, alcolici, nei soggetti che assumono diuretici o nei pazienti affetti da diabete mellito o insufficienza cardiaca congestizia. 4. Urgenza minzionale (minzione imperiosa): indica un desiderio minzionale violento ed improvviso associato a sensazione d’imminente fuoriuscita d’urina; in certi casi si verifica una perdita involontaria d’urina (incontinenza da urgenza). Consegue ad iperattività ed irritabilità vescicale conseguente a flogosi vescicale, ostruzione cervico-uretrale e a disturbi su base neurologica. 167

5. Ritardo minzionale (esitazione): si tratta di uno dei sintomi più precoci in caso d’ostruzione cervico-uretrale; questi pazienti notano che il getto urinario parte con un certo ritardo nonostante lo stimolo minzionale A causa dell’ostruzione, il detrusore impiega più tempo prima di raggiungere una pressione tale da superare quella cervico-uretrale. 6. Ipovalidità del mitto: è uno dei sintomi più caratteristici dei pazienti con ostruzione cervico-uretrale (es. IPB) nei quali il mitto urinario appare progressivamente più debole e ridotto di calibro. 7. Gocciolamento terminale: indica un’incontrollabile perdita di alcune gocce d’urina al termine della minzione nei pazienti con patologia ostruttiva cervico-uretrale; il flusso urinario può perdurare alcuni secondi al termine della minzione a causa di una progressiva riduzione della forza di contrazione del detrusore.

7.2 RITENZIONE URINARIA Definizione: per ritenzione urinaria s’intende solitamente l’impossibilità allo svuotamento completo della vescica Classificazione e quadro clinico Essa può manifestarsi secondo due diverse modalità: acuta e cronica. La forma acuta si può evidenziare come primo sintomo urologico o come evento più eclatante di sintomatologia vaga in un soggetto che non ha mai accusato disturbi particolari. Si presenta in modo doloroso, in poche ore, con assoluta impossibilità alla minzione. Gradualmente il paziente riferisce un dolore sovrapubico ingravescente dovuto alla progressiva distensione vescicale (globo vescicale). Si accompagnano disturbi quali irrequietudine, malessere generale, sudorazione profusa. Questo tipo di ritenzione si manifesta con una certa frequenza in varie 168

condizioni patologiche:  ostruzione prostatica  sclerosi del collo vescicale  stenosi uretrali  medicamenti (alfa agonisti, ansiolitici)  calcoli in migrazione uretrale  coaguli La causa scatenante di quest’affezione acuta in pazienti in equilibrio funzionale instabile può essere determinata da un errore dietetico (eccessiva ingestione di alimenti o di liquidi specialmente alcolici) oppure legata ad attività che comportano una congestione ematica degli organi pelvici quali un prolungato stazionamento in posizione seduta, una lunga gita in bicicletta, ecc… La forma cronica si manifesta molto più subdolamente e generalmente quando si ha un progressivo residuo d’urina in vescica dopo la minzione (residuo post-minzionale, RPM). Si sviluppa in modo graduale e progressivo dopo disturbi minzionali durati mesi o anni. Sono caratterizzati da aumento della frequenza minzionale specie notturna, con frequenti fenomeni irritativi oltre che ostruttivi ’ pressoché assente la sintomatologia dolorosa acuta che contraddistingue la forma acuta e si può arrivare fino alla presenza d’incontinenza da rigurgito o iscuria paradossa. Questa ultima si verifica a causa di un graduale distendersi della vescica per un progressivo aumento del residuo post-minzionale, la vescica ad un certo punto non è più in grado di distendersi e l'urina contenuta raggiunge un livello di pressione tale da fuoriuscire involontariamente a goccia a goccia con una sorta di svuotamento da traboccamento. La forma cronica riconosce le stesse cause ostruttive a decorso però cronico e subdolo In questo caso l’ostacolo progressivo con la conseguente distensione vescicale può a poco a poco determinare una distensione delle vie urinarie alte, con dilatazione uretero-renale (idroureteronefrosi) che può comportare 169

un’alterazione della funzione renale per compressione e assottigliamento del parenchima. Diagnosi: la diagnosi di ritenzione urinaria acuta è abbastanza semplice e si basa sull’anamnesi (diagnosi differenziale con l’anuria) e sull’esame obiettivo (presenza di globo vescicale). Può essere eventualmente completata con un’ecografia addominale che testimonia la distensione vescicale. Leggermente più difficile è porre diagnosi di ritenzione urinaria cronica, specialmente in soggetti debilitati, anziani o obesi. Si basa sull’anamnesi che documenterà disturbi che si sono protratti nel tempo, sull’esame obiettivo e con la valutazione del residuo post minzionale. Stabilire la causa della ritenzione urinaria è sempre importante per impostare anche l’adeguata terapia L’indagine di primo livello rimane l’ecografia che sia pelvica, per la valutazione della vescica, che prostatica transrettale che ci permette la valutazione dei diametri e del volume prostatico, la presenza di un terzo lobo ostruente ecc. (vedi capitolo su diagnostica strumentale) Un’indagine di secondo livello l’uretrocistoscopia con cistoscopia flessibile che ci permette di esplorare l’uretra prostatica che nell’ipertrofia prostatica risulterà tipicamente allungata e con i lobi prostatici combacianti e ostruenti. Questa indagine ci permette inoltre di esplorare la vescica e di ricercare eventuali stenosi uretrali. Infine l’uroflussometria e l’esame urodinamico (vedi capitolo specifico) ci darà informazioni importanti riguardo l’aspetto funzionale dei meccanismi di svuotamento vescicale. Terapia: la terapia immediata comporta la disostruzione meccanica e lo svuotamento vescicale tramite un cateterismo uretrale quando possibile. Se questo non è facilmente realizzabile si deve ricorrere ad un posizionamento di catetere “sotto vista” utilizzando l’uretrocistoscopio per sondare l’uretra oppure il posizionamento di una epicistostomia (un catetere sovrapubico). Per ridurre il rischio di reazioni vagali o di un’ematuria ex vacuo, specie nelle forme acute, lo svuotamento vescicale non 170

deve essere eseguito rapidamente ma in maniera frazionata.

7.3 ANURIA Definizione: si definisce anuria una produzione d’urina in vescica inferiore a 100 ml durante le 24 ore. Si definisce invece oliguria la produzione giornaliera di meno di 500 ml d’urina. Si tenga presente che fisiologicamente nelle 24 ore si producono 900-1800 ml d’urina a seconda anche delle abitudini di vita. Nella pratica urologica si definisce anuria l’assenza d’urina in vescica. Eziologia: 1. pre-renale: generalmente di origine funzionale da diminuzione o assenza della filtrazione glomerulare. Ciò può essere conseguente ad ostruzione dei vasi renali (trombosi delle vene renali, embolia delle arterie renali) o per alterazione della circolazione generale con diminuita perfusione renale (shock, ipossia…) 2. renale: causata da lesioni nefrologiche come nefropatie su base metabolica, infettiva ecc e da cause generali come ischemia parenchimale, avvelenamento, intossicazioni, ustioni estese, emolisi massiva ecc. 3. post-renale: dipende da un ostacolo al deflusso dell’urina dai reni come una calcolosi ureterale, una fibrosi retroperitoneale, TBC (con stenosi ureterali su base infiammatoria) o una compressione bilaterale estrinseca (masse neoplastiche, lesione iatrogena). Ovviamente questa condizione si verifica più frequentemente nei pazienti monorene, anche se non si può escludere nei pazienti con entrambe le unità renali (per esempio calcolosi ureterale bilaterale). Classificazione: 1. anuria secretoria: comprende l’anuria causata da una 171

mancata produzione di urina, quindi quella pre-renale e renale. 2. anuria escretoria: consegue ad un’ostacolata progressione d’urina in vescica, corrisponde quindi all’anuria post-renale. Diagnosi: Laddove si sospetti un quadro d’anuria è opportuno escludere una ritenzione d’urina (assenza di globo vescicale all’esame obiettivo ed assenza di urina in vescica all’ecografia sovrapubica). A questo punto dovrà essere ricercata la causa dell’anuria L’ecografia renale rappresenta l’indagine di prima istanza: infatti, in caso d’anuria ostruttiva si evidenzia un’idronefrosi di grado variabile L’assenza d’idronefrosi depone per un’anuria secretoria Posta diagnosi d’anuria escretoria dovranno esserne chiarite le cause e la sede. Lo studio delle vie urinarie potrebbe essere fatto con una urografia oppure con una TC addome con mezzo di contrasto. Questa indagine radiologica non è proponibile a pazienti con insufficienza renale acuta o cronica, come solitamente accade in caso d’anuria. Sarà dunque possibile fare una ureteropielografia ascendente o discendente (vedi capitolo “manovre urologiche ambulatoriali”) che può essere d’aiuto anche in caso d’esclusione funzionale renale. Terapia: L’anuria escretoria di pertinenza urologica ed impone un trattamento immediato. Se possibile è sempre indicato rimuovere la causa ostruente, come nel caso di una calcolosi ureterale. Se invece non è possibile occorrerà derivare le urine o per via retrograda mediante il posizionamento di un cateterino ureterale o per via percutanea mediante il posizionamento di una nefrostomia sotto controllo ecografico e/o fluoroscopico (vedi capitolo “manovre urologiche ambulatoriali”) L’intervento tempestivo permette di risolvere la stasi ed evitare un progressivo scadimento della funzionalità renale.

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7.4 EMATURIA Definizione: con il termine ematuria si indica la presenza di sangue nelle urine. Si definisce microematuria la presenza di globuli rossi nelle urine; essa non risulta evidente ad occhio nudo ed è scoperta solo in corso di un esame completo delle urine. In caso d’ematuria macroscopicamente evidente si parla di macroematuria. All’esame del sedimento urinario non si dovrebbe rilevare la presenza di globuli rossi; tuttavia in alcuni casi si può riscontrare una lieve microematuria considerata “fisiologica” (1-2 globuli rossi per campo ad alto potere d’ingrandimento). In caso di microematuria caratterizzata da 3 o più globuli rossi per campo ad alto potere d’ingrandimento, specie se ricorrente, o in seguito ad un episodio di macroematuria, anche isolato, il paziente deve essere sottoposto ad un’attenta valutazione L’ematuria rappresenta la prima manifestazione clinica nel 70% circa delle neoplasie genito-urinarie (rispettivamente nel 37% dei tumori renali, nel 67% dei tumori delle alte vie escretrici e nell’84% dei tumori vescicali) Per tale motivo la comparsa d’ematuria, specie se asintomatica, andrebbe considerata di natura neoplastica fino a prova contraria. Eziologia Le cause dell'ematuria sono:  malattie mediche come anemia a cellule falciformi, alcaptonuria (malattia ereditaria dovuta alla carenza dell’enzima omogentisinico-ossidasi, che bloccando la demolizione degli aminoacidi fenilalanina e tirosina determina l’accumulo di pigmenti detti alcaptoni I segni caratteristici sono: aspetto bruno-azzurro della pelle, evidente sulla punta del naso, alle orecchie, alle sclere degli occhi; artropatie diffuse. Il riconoscimento dell’alcaptonuria facilitato dalla presenza degli alcaptoni nelle urine, che si presentano di colore brunastro, 173

“a lavatura di carne”, e diventano nere se esposte alla luce (tipico il riscontro nei pannolini dei lattanti), glomerulonefriti, vasculiti, amiloidosi, nefropatia diabetica, cistiti, uretriti e infezioni sistemiche.  farmaci che inducono sanguinamento come anticoagulanti, aspirina, anti infiammatori non steroidei, antibiotici (nefropatia interstiziale), ciclofosfamide (cistite emorragica), analgesici (necrosi papillare).  alcuni cibi con meccanismi vari d’intolleranza possono causare micro emorragie a livello vescicale.  in individui predisposti sforzi fisici intensi e ripetuti sono causa d’ematuria (micro/macroematuria da marcia).  assunzione d’alimenti come mirtilli o barbabietole che possono rendere le urine di colore rossastro. Cause urologiche, tra le più frequenti:  litiasi renale, ureterale o vescicale  tumori maligni o benigni del rene, vescica, vie urinarie, prostata  ipertrofia prostatica benigna, prostatite  TBC renale  traumi  lesioni iatrogene in corso d’esami endoscopici dell'apparato urinario (uretero-reno-scopie, cistoscopie) o in corso di biopsie (biopsia della prostata). Secondo l’età d’insorgenza, si possono distinguere differenti cause più probabili d’ematuria: nei neonati: pur essendo un'evenienza non comune, quando compare è dovuta alla predisposizione a tale età al sanguinamento, ad infezioni del tratto urinario e/o problemi renali per malformazioni alla nascita. Alcuni esempi possono essere la malattia policistica renale nella sua forma infantile (vedi malformazioni dell’alto apparato urinario) e la Sindrome di Alport Quest’ultima una sindrome nefritica ereditaria con ematuria ricorrente associata a sordità neurosensoriale. La patogenesi è 174

riconducibile ad un difetto di sintesi di una catena del collageno IV, che costituisce un importante componente strutturale delle membrane basali di rene, orecchio interno e occhio. nei bambini e nei giovani fino a 20 anni: a questa età l'ematuria si presenta raramente, quando è presente si tratta il più delle volte di una microematuria e la causa più comune è una glomerulonefrite. In questa fascia di età l’eziologia più come una nefropatia da IgA o da un’infezione Streptococcica Raramente può essere presente anche un tumore delle vie urinarie, come il tumore di Wilms. Tra 20 e 40 anni: in questo periodo della vita le cause più frequenti che possono determinare ematuria sia macroscopica che microscopica sono le infezioni del tratto urinario. Sono spesso accompagnate da sintomi come dolore e bruciore durante la minzione. Altre cause possibili anche se relativamente più rare sono i tumori e i calcoli delle vie urinarie. tra 40 e 60 anni: sia negli uomini sia nelle donne la causa più comune e frequente d’ematuria è il tumore uroteliale, seguito poi dalla calcolosi e dalle infiammazioni. L'altra causa d’ematuria, presente nell'uomo, in questo periodo della vita, sono le malattie alla prostata sia benigne sia maligne. oltre i 60 anni: nell'uomo la causa più frequente è l’ipertrofia prostatica benigna seguita dal tumore alla prostata. Sia nell'uomo sia nella donna la seconda causa d’ematuria è il tumore vescicale e le infezioni del tratto urinario.

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Classificazione L’ematuria può essere classificata in due modi:  ematuria sintomatica. L’episodio d’ematuria può essere associata a sintomi disurici (la causa più frequente è infiammatoria), da ritenzione urinaria o colica renale (una neoplasia dell’uretere può dare ematuria, ostruzione e conseguente colica renale quando un coagulo ostruisce il deflusso di urina). Dal punto di vista anmnestico generalmente compare prima l’ematuria e poi il dolore colico. La neoplasia di per sé da invece idronefrosi asintomatica perché l’ostruzione non avviene in modo acuto.  ematuria asintomatica: se non associata ad altri sintomi l’ematuria più sospetta per essere d’origine neoplastica. Oppure si può valutare la possibile provenienza dell’ematuria:  Iniziale: provenienza prostatica o uretrale.  Terminale: provenienza prevalentemente vescicale, soprattutto se si ha il cosiddetto “rinforzo terminale”, cio un aumento dell’intensità dell’ematuria al termine della minzione per lo “spremitura” delle pareti vescicali.  Totale: provenienza dalle alte vie urinarie, reni e vescica. Diagnosi: La valutazione del paziente con ematuria inizia con l’anamnesi e l’esame obiettivo All’anamnesi dovranno essere stabilite le caratteristiche qualitative e quantitative dell’ematuria che possono indirizzare verso la sede e la causa del sanguinamento Come abbiamo detto un’ematuria iniziale, è in genere d’origine prostatica o uretrale anteriore; se terminale, è di probabile natura trigonale o vescicale, mentre se è totale suggerisce una patologia vescicale, ureterale o renale. Può associarsi all’eliminazione di coaguli ematici che risultano lunghi e sottili, “a spaghetto” se provenienti dalle alte vie urinarie, o 176

tozzi se d’origine vescicale o prostatica. È importante rilevare la presenza di sintomi associati (sintomatologia irritativa, colica renale), ricordando che un’ematuria neoplastica generalmente asintomatica Dall’anamnesi dovranno emergere eventuali patologie associate (pregresse patologie neoplastiche, litiasi urinaria, diabete mellito) o l’assunzione di farmaci Nei pazienti più giovani è importante indagare su pregressi traumi o su un’intensa attività fisica All’esame obiettivo si possono rilevare masse addominali o pelviche, segni clinici riferibili a nefropatia (ipertensione arteriosa), alterazioni della morfologia e del volume prostatico o una patologia uretrale. Gli esami di laboratorio includono l’analisi delle urine e l’urinocoltura Un’ematuria associata a proteinuria e cilindri ematici renali suggerisce una malattia glomerulare. Se è presente una microematuria e si vuole indagare l’origine dei globuli rossi è possibile studiare il sedimento urinario con il microscopio a contrasto di fase: la presenza nel sedimento urinario di globuli rossi con particolari alterazioni morfologiche è indicativa di un’ematuria d’origine glomerulare e quindi nefrologica, la presenza invece di globuli rossi normoconformati è indicativa di un’ematuria d’origine non glomerulare e quindi causata da strutture al di sotto del rene e di probabile competenza chirurgica. Le indagini successive comprendono:  l’esame citologico delle urine (3 campioni) soprattutto utile per la diagnosi dei tumori uroteliali.  la diagnostica per immagini: l’indagine diagnostica di primo livello oggi rappresentata dall’ecografia Questa tecnica rapida, semplice e non invasiva, deve essere fatta a vescica piena per poter valutare le pareti vescicali e la presenza di sospette lesioni produttive endovescicali, di calcoli o di un terzo lobo prostatico ostruente, nonché la presenza di coaguli endovescicali. L’ecografia deve essere estesa anche ai reni e per quan177

to possibile, agli ureteri. Ci consente di riconoscere la presenza di masse renali (solide o cistiche) o l’eventuale presenza d’idroureteronefrosi. Tuttavia essa mostra una scarsa sensibilità nel valutare il tratto ureterale e non offre informazioni di carattere funzionale, per cui il gold standard diagnostico è tuttora rappresentato dall’urografia o da una TC con mezzo di contrasto e pose urografiche. Questo esame offre una panoramica completa delle vie urinarie e consente di individuare lesioni sia proliferative che di altra natura (litiasi, uropatia ostruttiva, necrosi papillare, rene policistico) a qualsiasi livello del tratto urinario.  l’uretrocistoscopia con cistoscopia flessibile: permette infine di valutare tutta l’uretra, i lobi prostatici e la vescica ’ una manovra mini-invasiva e rappresenta un’indagine fondamentale per la valutazione della mucosa vescicale (vedi “indagini strumentali”). La diagnosi differenziale deve essere fatta con emorragie di altre sedi anatomiche come rottura del frenulo, conditomi dell’uretra e dei genitali esterni, mestruazioni, patologie ginecologiche, ecc… Va distinta dall’uretrorragia che una fuoriuscita di sangue dal meato ureterale esterno indipendentemente dalla minzione.

7.5 COLICA RENALE Definizione: La colica renale è un complesso di sintomi conseguente ad un’improvvisa distensione e spasmo della muscolatura della via escretrice, secondaria ad ostruzione acuta, parziale o completa, delle alte vie urinarie ’ un dolore crampiforme al fianco irradiato alla faccia mediale della coscia ed all’emiscroto omolaterale nell’uomo ed al grande labbro nella donna. Spesso è associato a disturbi neurovegetativi quali nau178

sea e vomito. Nel 70-95% dei casi, la colica consegue all’impegno di un calcolo lungo il decorso dell’alta via escretrice. Le sedi in cui avviene più frequentemente l’arresto del calcolo corrispondono ai siti anatomici di minor diametro: la giunzione pieloureterale, il punto di passaggio tra uretere lombare e pelvico (dove l’uretere incrocia anteriormente i vasi iliaci) e la giunzione uretero-vescicale. In altri casi, la colica renale è conseguente ad un coagulo ematico (specie nei pazienti con ematuria dalle alte vie escretrici). Una compressione ureterale ab estrinseco (es. masse retroperitoneali, fibrosi retroperitoneale) si realizza generalmente in maniera lenta e progressiva e non provoca quindi un quadro acuto di colica. Quadro clinico: In genere, la colica renale insorge bruscamente, specie di notte, ed è caratterizzata da dolore acuto di tipo spastico, con parossismi, perciò il paziente si presenta agitato e alla disperata ricerca di una posizione antalgica. Il dolore è riferito alla regione lombare e s’irradia all’addome lungo il decorso dell’uretere fino alla regione inguino-scrotale, con iperestesia del testicolo omolaterale o delle grandi labbra e alla faccia antero-mediale della coscia. Questa tipica distribuzione del dolore consegue alla presenza di connessioni a livello midollare tra le fibre afferenti dal rene e dall’uretere e le fibre sensitive provenienti dalle aree cutanee innervate dai nervi ileo-ipogastrico, ileo-inguinale e genitofemorale. Durante la colica sono generalmente presenti disturbi generali quali sudorazione, tachicardia ed ipotensione conseguenti al dolore e all’agitazione Altri sintomi associati possono essere nausea, vomito o ileo paralitico su base riflessa. Se invece il calcolo raggiunge la giunzione uretero-vescicale o passa in vescica compaiono disturbi disurici su base irritativa quali pollachiuria, stranguria e urgenza minzionale. È quasi sempre pre179

sente microematuria, mentre nel 30-40% dei casi si ha macroematuria, che in genere accompagna o segue immediatamente la colica renale. Diagnosi: Anche in questo caso l’anamnesi e l’esame obiettivo sono molto importanti nell’orientare la diagnosi La prima potrebbe rivelare una storia familiare o personale di litiasi. Sarà riferita l’insorgenza brusca del dolore che sarà appunto di tipo colico L’obiettività anch’essa caratteristica con un paziente irrequieto, che fatica a trovare una posizione antalgica, un dolore alla palpazione profonda al fianco e con i punti pieloureterali positivi (vedi Semeiotica urologica di base:semeiotica fisica). Per quanto riguarda invece la diagnostica per immagini, l’indagine di primo livello rappresentata dall’ecografia addominale. Indagine rapida, non invasiva, relativamente economica e sicura anche in caso di gravidanza. Si possono rilevare la presenza di idronefrosi, calcoli di qualsiasi natura (immagine iperecogena con caratteristico cono d’ombra) e valutare anche gli altri organi intraaddominali possibili sedi d’altre patologie responsabili di dolore lombare acuto. Purtroppo la sensibilità dell’ecografia nel valutare i calcoli ureterali estremamente variabile (10-93%), in quanto risultano difficilmente esplorabili i tratti ureterali iliaco e pelvico. Inoltre è sicuramente una metodica operatore-dipendete, quindi sarà tanto più accurata, quanto più l’operatore esperto Un’altra indagine di primo livello è rappresentata dalla radiografia diretta dell’addome, che rivela solo i calcoli radio-opachi che costituiscono però circa il 90% dei calcoli. Tuttavia, tale esame non consente di porre diagnosi differenziale con fleboliti dello scavo pelvico, non visualizza i calcoli radio-trasparenti e non identifica la presenza di idronefrosi Pertanto l’ecografia e l’Rx-diretta dell’addome possono essere considerate due indagini complementari che assieme raggiungono una sensibilità ed una specificità diagnostica rispettivamente dell’89-100% e del 94-100%. In urgenza 180

questi esami ci possono permettere di fare diagnosi e di impostare l’adeguata terapia. In alcuni casi dubbi sarà comunque necessario ricorre ad un TC senza mezzo di contrasto che permette di visualizzare i reni e gli ureteri per tutto il loro decorso. Possiamo in questo modo valutare sia il grado dell’eventuale idroureteronefrosi, che la presenza e il livello dell’ostacolo. Inoltre potremo valutare le dimensioni del calcolo in maniera molto precisa, impostando in questo modo la migliore strategia terapeutica. Superato il momento acuto della colica renale si possono fare indagini più approfondite, come l’urografia o la TC con pose urografiche, che permettono di valutare l’eventuale presenza anche di altri calcoli o d’anomalie anatomiche che possono facilitare l’insorgenza degli stessi La diagnosi differenziale deve tenere conto di molte patologie addominali che si possono presentare con un quadro simile:  Cause gastrointestinali: colica biliare, appendicite acuta, diverticolite del sigma, pancreatite, colon irritabile.  Cause ginecologiche: torsione ovarica, gravidanza extrauterina.  Cause retroperitoneali: ascesi o ematomi retroperitoneali  Cause vascolari: aneurisma aorta addominale.  Cause diaframmatiche: ascesso subfrenico o perirenale.  Cause radicolitiche: mielopatia degenerativa, spondilosi, herpes zoster. In questo caso saranno fondamentali l’anamnesi e l’esame obiettivo con la semeiotica caratteristica delle varie patologie.

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CAPITOLO 8

IDRONEFROSI Alchiede Simonato Riccardo Banchero

Definizione Un’anomala dilatazione dell’alta via urinaria si definisce in modo diverso secondo la sede in cui si manifesta. Per calicectasia s’intende la dilatazione di uno o più calici, per idronefrosi la dilatazione di tutti i calici e della pelvi renale con sofferenza del parenchima renale, con il termine di ureteroidronefrosi la dilatazione di tutto l’uretere oltre che del complesso pielocaliceale. Eziopatogenesi Il meccanismo patogenetico generale della dilatazione dell’alta via urinaria può essere ricondotto a tre situazioni : Ostruzione ureterale (intrinseca o estrinseca ) Reflusso vescico-ureterale Megauretere non refluente non ostruttivo Ostruzione ureterale Un’ostruzione dell’alta via urinaria può essere congenita o acquisita, completa o incompleta, acuta o cronica, monolaterale o bilaterale. Lesioni intrinseche all’uretere acquisite ( calcoli, coaguli, stenosi iatrogene o post-flogistiche, neoplasie uroteliali)  Vascolari arteriose (aneurisma aorta addominale, aneurisma arteria iliaca)  Vascolari venose (trombosi della vena ovarica, uretere retrocavale).  Patologie benigne dell’apparato uro-genitale femminile (utero gravido, masse benigne uterine o ovariche, en183

dometriosi, prolasso uterino).  Patologie benigne dell’apparato gastrointestinale (morbo di Crohn, diverticolite, ascesso appendicolare).  Patologie retroperitoneali (fibrosi retroperitoneale idiopatica o secondaria, ematoma).  Tumori retroperitoneali primitivi (linfomi, liposarcomi, neuroblastomi ecc).  Tumori retroperitoneali secondari (tumori uterini, ovarici, della vescica, della prostata, del sigma-retto, del pancreas, del testicolo).  Linfocele pelvico post chirurgico  Danno ureterale iatrogeno in corso d’intervento chirurgico (chirurgia ginecologica, generale, vascolare).  Ipertono detrusoriale con ostruzione dell’uretere intramurale (Vescica neurologica, ipertrofia prostatica in fase d’ipertonia detrusoriale).  Patologie congenite intrinseche od estrinseche ostruttive (Sindrome del giunto pieloureterale, megauretere ostruttivo, ureterocele, meato ureterale ectopico stenotico). Reflusso vescico-ureterale  Reflusso vescico-ureterale congenito (anomalia congenita del meato ureterale, megauretere refluente, meato ureterale ectopico refluente)  Reflusso vescico-ureterale acquisito (sfiancamento del meato ureterale per ostruzione infravescicale: stenosi o valvole uretrali, ipertrofia prostatica, vescica neurologica con dissinergia detrusore sfintere). Megauretere non refluente non ostruttivo  Megauretere da atonia congenita della muscolatura ureterale.  Megauretere da iperafflusso (diabete insipido). Le lesioni intrinseche dell’uretere acquisite spesso sono responsabili di una ostruzione acuta (calcoli e coaguli) o cronica 184

(stenosi e neoplasie). Nel primo caso dei corpi mobili occludono l’uretere bloccandosi in un punto di esso, mentre nel secondo caso si verifica un’occlusione della parete ureterale in seguito ad una lesione produttiva endoluminale (tumore uroteliale) o per un restringimento da fibrosi di un segmento della parete ureterale (stenosi post infiammatorie, successive a manovre endoscopiche ecc). Le lesioni estrinseche dell’uretere acquisite sono molteplici e collegate al fatto che l’uretere nel suo decorso retroperitoneale si trova in rapporto di contiguità con molte strutture (vasi, linfonodi, grasso. organi pelvici femminili ecc) le quali possono coinvolgere l’uretere in corso di loro patologie L’uretere può andare incontro a:  Compressione diretta (trombosi della vena ovarica, uretere retrocavale, utero gravido sull’uretere destro, fibromi o cisti ovariche, prolasso uterino grave, masse neoplastiche retroperitoneali primitive o secondarie, linfocele).  Fibrosi periureterale che coinvolge l’uretere in una ganga sclerotica (aneurisma dell’aorta addominale, endometriosi, patologie benigne dell’apparato gastrointestinale, fibrosi retroperitoneali idiopatica di Ormond o secondaria: post attinica, da sarcoidosi, da porpora di Shonlein-Henoch che comporta emorragie retroperitoneli ricorrenti, da TBC, successiva a ematomi o urinomi ecc).  Infiltrazione ureterale da parte di tumori retroperitoneali primitivi o secondarie  Legatura accidentale dell’uretere in corso di interventi chirurgici. Le patologie congenite intrinseche o estrinseche dell’uretere ostruttive sono da trattare separatamente. In tutti i casi, la loro origine malformativa e quindi sono di pertinenza dell’età pediatrica e giovanile, anche se in qualche caso possono essere 185

misconosciute e riscontrate nell’età adulta Rientrano in tale raggruppamento la sindrome del giunto pieloureterale, il megauretere ostruttivo, e l’ureterocele).

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CAPITOLO 9

FIBROSI RETROPERITONEALE Alchiede Simonato, Carlo Corbu Sono molte le possibili cause di fibrosi retroperitoneale. Neoplasie maligne come M.Hodgkin, carcinoma della Mammella, carcinoma del Colon devono in tale evenienza sempre essere sospettate ed escluse. Anche alcuni farmaci possono causare Fibrosi retroperitoneale, come per esempio la Metisergide, un derivato della Ergotamina con funzioni antiserotoniniche, (un tempo utilizzata nel trattamento dell’ micrania) Più raramente invece la causa può dipendere da una malattia infiammatoria cronica dell’intestino o da un Aneurisma dell’Aorta addominale. Nei rimanenti casi la causa è idiopatica ed allora si parla di malattia d’Ormond. I sintomi non sono specifici (es. dolore lombare basso, anoressia, perdita di peso e nei casi severi IRC con uremia). Generalmente la diagnosi è posta per mezzo di un’indagine urografica o con una TC con MdC che si evidenzia una deviazione mediale degli ureteri con dilatazione prossimale delle vie urinarie. Generalmente è coinvolto un lungo tratto dell’uretere TC e RMN consentono inoltre lo studio del retroperitoneo. A volte, specie nelle forme iniziali segmentarie, l'uretere non appare dilatato. Tuttavia osservando la progressione del mezzo di contrasto all'interno dell'uretere è ben evidente la scomparsa dei “fusi” ossia delle onde peristaltiche che favoriscono la progressione dell'urina dal rene fino alla vescica. Qualora vi sia una ridotta funzionalità renale o utile conoscere la lunghezza del segmento ureterale coinvolto si può ricorrere ad un’urografia retrograda L’indagine ecografica utile non solo per fare diagnosi, ma anche per il controllo della risposta 187

alla terapia. Per ciò che riguarda la terapia, se l’idronefrosi modesta si può inizialmente tentare con un ciclo di corticosteroidi. Tuttavia se la risposta ai corticosteroidi è scarsa o la dilatazione delle vie urinarie a monte è marcata, il trattamento è chirurgico. Questo consiste nel liberare l’uretere dalla placca fibrosa e postarlo nel peritoneo avvolto nell’omento Può essere utile fare una biopsia del tessuto fibroso per escludere una patologia maligna.

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CAPITOLO 10

NEFROPTOSI O RENE MOBILE Alchiede Simonato, Carlo Corbu Si definisce così un’abnorme situazione di mobilità a carico di un rene che, primitivamente normoposto, abbandona la sua normale sede anatomica per disporsi in una situazione più bassa. Ciò differenzia la nefroptosi dall'ectopia renale, in cui il rene è posto congenitamente in una sede diversa da quella che gli spetterebbe. Il rene ectopico è inoltre dotato di un peduncolo vascolare anomalo e di un uretere di lunghezza proporzionata alla distanza che s’interpone tra esso e la vescica. Nel caso del rene ptosico la vascolarizzazione è assolutamente tipica e, in caso di discesa del rene, l'uretere risulta ridondante e s’inginocchia. La nefroptosi incide quasi esclusivamente nel sesso femminile, per lo più in età media ed in quelle successive, in pazienti di costituzione longilinea astenica, pluripare; essa interessa quasi esclusivamente il rene destro. Patogenesi Bisogna innanzitutto considerare una predisposizione individuale alla lassità connettivo-legamentosa, generalmente accentuata dalla pluriparità, dalla senescenza, da malattie debilitanti oppure da dimagramenti rilevanti in tempi relativamente brevi. Un effetto favorente può essere rappresentato dalla pratica d’attività che comportano brusche e ripetute scosse del busto in senso cranio-caudale (come l'equitazione) oppure cadute sul sacro o sui talloni (per cause accidentali, attività ginniche ecc.). La predilezione per il rene destro si spiega con la sede anatomicamente più bassa, con la competizione spaziale con le strutture inferiori del fegato e con il fatto che a destra il foglietto an189

teriore della fascia perirenale è rinforzato in misura minore che non a sinistra per la posizione più bassa della flessura epatica del colon rispetto a quella splenica, con formazione di coalescenze fasciali per un'estensione minore dal lato destro. Deve essere sempre tenuto presente che nella maggior parte dei casi la mobilità eccessiva del rene non rappresenta necessariamente una condizione morbosa. Esistono numerosissime pazienti in cui questa condizione è riscontrata occasionalmente in corso d’accertamenti radiologici effettuati per altre cause. La nefroptosi può costituire causa d’alterata funzione renale soltanto quando è in grado di causare un'ostruzione intermittente, su base posturale, dell'uretere oppure del peduncolo vascolare, soprattutto della vena renale. In effetti, il rene nella sua abnorme discesa modifica la propria posizione venendo a disporsi con la convessità verso l'avanti e verso il basso, praticamente compiendo un arco di cerchio che ha per raggio il peduncolo vascolare. L'uretere viene ad inginocchiarsi in quanto la sua porzione prossimale è trascinata dal rene nella discesa, mentre la sua porzione lombare media, sostenuta dal legamento ureterale (prosecuzione verso il basso della fascia perirenale), mantiene la sua normale posizione retroperitoneale. La nefroptosi può quindi rendersi responsabile d’alterato drenaggio delle urine con conseguenti fenomeni di stasi urinaria, oppure d’ostacolo al ritorno venoso, con conseguente stasi venosa dell'organo. In casi rarissimi la distorsione del peduncolo vascolare può causare un'alterazione del flusso arterioso con ipoperfusione. Il dolore nella ptosi renale può riconoscere quindi le seguenti cause: dilatazione della via escretrice intrarenale; ingorgo venoso e distensione della capsula; stiramento di rami nervosi decorrenti nelle strutture fasciali che accompagnano il rene nella sua discesa; (rarissimamente ischemie transitorie). Non sarà tuttavia mai sottolineato abbastanza che in moltissimi casi la nefroptosi non causa alcuna sintomatologia, ne alcun effetto 190

dannoso nei confronti del rene ’ molto frequente che in individui con sintomatologia dolorosa dorso-lombare si riscontri una ptosi renale, che rappresenta soltanto un reperto concomitante, mentre la causa dei dolori può essere rappresentata da una spondiloartrosi, da un’irritazione sciatica, da riflessi dolorosi a partenza da una patologia ginecologica, da una patologia pancreatica o biliare misconosciute ecc. L'attribuzione della responsabilità dei sintomi alla ptosi renale in quanto tale deve quindi essere preceduta dalla assoluta esclusione di tutte le patologie citate. Anatomia patologica Essendo una patologia squisitamente posturale e quindi presente ad intermittenza la nefroptosi non presenta un substrato organico evidente. Sull’entità della discesa la nefroptosi è classificata in 3 gradi: I° grado, quando la palpazione dell'addome permette di apprezzare il polo inferiore del rene; II° grado, quando si apprezza tutto il rene, che risulta notevolmente spostabile dalle mani dell'esaminatore. III° grado, quando si apprezza tutto il rene, che risulta notevolmente spostabile dalle mani dell’esaminatore Deve essere segnalato che il surrene non segue il rene nella sua discesa. Per quanto riguarda la posizione assunta dal rene ptosico, si rimanda a quanto detto più sopra. Sintomatologia II sintomo caratteristico è rappresentato da una lombalgia gravativa destra, fissa o talora irradiata al fianco o alla fossa iliaca omolaterale. Questo sintomo compare caratteristicamente in ortostatismo, accentuandosi con il protrarsi nel tempo di detta posizione e con l'esecuzione di lavori pesanti. Per questo motivo le pazienti riferiscono che i disturbi si intensificano nelle ore serali, dopo una giornata di attività. Sono pressoché assenti di mattino, dopo alcune ore passate in clinostatismo, che ha con191

sentito il ritorno del rene nella sua sede, con regressione d’eventuali fenomeni di stasi urinaria e/o venosa. In certi casi, per inginocchiamenti molto marcati dell'uretere si possono verificare episodi a tipo colica renale con vomito. Diagnosi L'anamnesi deve essere accuratissima per riconoscere con assoluta certezza la natura squisitamente posturale della sintomatologia dolorosa. Devono essere accuratamente escluse tutte le altre cause possibili di dolori addominali, lombari o rachidei. L'esame obiettivo consiste essenzialmente nella palpazione del rene dapprima in clino e successivamente in ortostatismo. Secondo l’entità della ptosi, il rene si apprezza come una formazione parenchimatosa, liscia, di forma caratteristica, a livello dell'ipocondrio, del fianco, o addirittura della fossa iliaca. La palpazione causa una certa dolorabilità. E’ bene riporre il rene nella sua sede e quindi, mantenendovelo, invitare il paziente ad alzarsi; sospendendo la fissazione il rene bruscamente si mobilizza comparendo nelle regioni più basse, ove è palpabile, mentre il paziente avverte l'improvvisa comparsa del dolore tipico. Tra gli esami di laboratorio è importante l'esame urine che potrebbe dimostrare microematuria e proteinuria, quali espressioni della congestione venosa del rene. Utile il dosaggio della LDH urinaria a riposo e sotto sforzo. Un incremento in quest'ultimo caso depone per una sofferenza tubulare (enzima intracellulare) innescata dallo sforzo stesso, che accentua il danno causato dall’abnorme mobilità renale. L'esame più importante è rappresentato dalla nefroscintigrafia dinamica eseguita in clino- e successivamente in ortostatismo. Se non compare una significativa differenza tra le due curve, soprattutto per quel che riguarda la 3" fase (escretoria), si può a buon diritto escludere che eventuali disturbi lamentati dalla paziente siano dovuti alla ptosi. L'urografia, anch'essa eseguita dapprima in clinostatismo e poi in ortostatismo è più utile a documentare la nefroptosi che non a dimostrarne il reale effetto 192

patogeno. Terapia Nei casi in cui una valutazione molto accurata dimostra la reale responsabilità del rene nel quadro sintomatologico riferito dalla paziente, la terapia è chirurgica ed è rappresentata dalla nefropessi, di cui esistono varie tecniche.

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CAPITOLO 11

INFEZIONI URINARE Riccardo Pizzorno, Alchiede Simonato

Definizione La presenza significativa di batteri nell’urina può configurare due situazioni morbose: la batteriuria asintomatica che non è associata a sintomi e spesso è misconosciuta dallo stesso soggetto e l’infezione urinaria associata ad un corteo sintomatologico. S’intende convenzionalmente batteriuria significativa la presenza > 100.000 colonie /ml. In caso di quadri sintomatologici spiccati e/o di presenza di germi molto patogeni possono essere considerate come significative anche conte inferiori. Epidemiologia L’epidemiologia delle infezioni urinarie (le sole che spingono il paziente dal medico) è differenziata nei sessi e nelle diverse fasce d’età. Nella prima infanzia sono maggiormente interessati i soggetti di sesso maschile 2.7% versus 0.7% nelle femmine con una differenza fra i soggetti non circoncisi (1.12%) verso i circoncisi (0.11%) nei primi 6 mesi di vita. Nei primi 5 anni le femmine arrivano al 4.5% ed i maschi scendono al 0.5%; tale situazione si mantiene sino ai 15 anni Nell’adolescenza la percentuale si mantiene costante nei soggetti maschi e sale nelle femmine sino al 20% Nell’età adulta queste situazioni prevalgono nei soggetti di sesso femminile anche in funzione dell’attività sessuale e di taluni metodi anticoncezionali Oltre i 65 anni l’incidenza prevale in entrambi i sessi. Patogenesi Sono riconosciute quattro vie d’accesso dei batteri nelle vie urinarie 195

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Ascendente: questo spiegherebbe la maggiore facilità d’infezione urinaria nella donna anche in funzione dell’anatomia femminile (vicinanza fra uretra, vagina e retto; brevità dell'uretra ). Anche le pielonefriti possono riconoscere una causa ascendente nei soggetti con reflusso vescico-ureterale (in alcune casistiche sino al 20% il I grado). 2. Ematogena: la diffusione dei microrganismi per via ematica è ritenuta possibile solo nei soggetti in qualche modo immunocompromessi; i germi più facilmente diffusibili attraverso questa via sono Staphylococcus aureus, Candida e Mycobacterium tuberculosis. 3. Via linfatica: è possibile la trasmissione dei germi attraverso i linfatici d’origine intestinale. Questa via di diffusione ha un modesto supporto scientifico. 4. Diffusione diretta: attraverso tramiti fistolosi di infezioni provenienti da altri organi od apparati. Fattori predisponenti le infezioni Un buon deflusso urinario privo d’ostacoli e/o rallentamenti è sicuramente sfavorevole allo sviluppo di una infezione urinaria. Le urine normali in funzione del pH, composizione chimica, e flusso meccanico scoraggiano i microrganismi impedendo l’aderenza degli stessi alle mucose delle vie urinarie. Quindi tutte le situazioni in cui il deflusso urinario risulti difficile per cause meccaniche o neurogene (ritenzione urinaria, stasi, ostacoli al deflusso d’urina, reflussi, corpi estranei) possono favorire la colonizzazione dei microrganismi. Un’azione favorente la possono avere le variazioni della composizione chimica dell’urina come avviene nel diabete Le difese immunitarie impediscono l’adesività batterica grazie a opsonizzazione e fagocitosi; la depressione dei linfociti T e B in modo non del tutto chiaro non si traduce in maggior numero e/o virulenza delle infezioni. ’ stata ipotizzata una predisposizione genetica a contrarre le 196

infezioni urinarie, in particolare per quanto riguarda le infezioni ricorrenti nelle donne in età fertile. Un altro fattore di protezione è rappresentato dalla normale flora batterica saprofita presente nella vagina (lattobacilli nelle donne) che riduce la possibilità di localizzazione di germi patogeni e quindi la loro migrazione nelle sedi normalmente sterili. Nell'uomo Il secreto prostatico contenente zinco esercita di per se un’azione antimicrobica L’invecchiamento agisce riducendo i fattori di protezione (ad es. dismicrobismi saprofiti in postmenopausa) ed aumentando le anomalie anatomiche e funzionali (prolassi nelle donne ed iperplasia prostatica benigna nei maschi); il risultato finale è una maggior facilità ed incidenza d’infezioni nella terza età. Caratteristiche dei microrganismi Taluni microrganismi possono avere determinate caratteristiche come i pili di taluni ceppi di E. Coli che ne aumentano l’adesività alle cellule uroteliali oltre alla possibile produzione di emolisina che favorisce il superamento delle barriere. Questi due fattori aumentano la patogenicità. Riportiamo di seguito una tabella dei germi isolati nel nostro istituto sui pazienti ricoverati. Diagnosi La diagnosi si ottiene con esame urine ed urinocoltura. Le modalità di prelievo sono assai importanti allo scopo di evitare le possibili contaminazioni da parte della flora saprofita uretrale; la puntura sovrapubica dovrebbe evitare questa situazione, anche se, di fatto, è utilizzata solo nei bambini. Esame delle urine ed urinocoltura ’ un esame relativamente semplice e di facile esecuzione che può fornire utili informazioni quali la presenza di nitriti (indicativa di batteri ureasi produttori); oltre alla possibilità di identificare microscopicamente la presenza di batteri.

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Localizzazione della sede dell’infezione La localizzazione dell’infezione può avvenire grazie a prelievi selettivi nelle sedi di presunta infezione (ad esempio prelievo di urina durante il cateterismo uretero-pielico per via retrograda eseguito a scopo diagnostico). Per le prostatiti si fa il tampone uretrale preceduto o meno da massaggio prostatico. La terapia delle infezioni dovrebbe sempre essere orientata dall’antibiogramma tuttavia il quadro sintomatologico costringe spesso il medico ad iniziare il trattamento con una terapia empirica (criterio ex iuvantibus).

11.1 INFEZIONI RENALI Pielonefrite: si presenta con brivido febbre e dolore all’angolo costo-vertebrale, può essere accompagnata da sintomatologia del basso apparato urinario. Può evolvere in setticemia; tanto che il 20-30% delle setticemie riconoscono una causa urologica. L’esame delle urine può rivelare leucocitosi; può risultare aumentata la VES ed il dosaggio della proteina C reattiva agli esami ematologici. La diagnostica per immagini si avvale di ECO, TC e Scintigrafia. La TC evidenzia le zone in cui la flogosi determina riduzione di vascolarizzazione (focali, diffuse) anche la scintigrafia può evidenziare deficit perfusionali L’ CO essenzialmente utile per evidenziare un’eventuale idronefrosi da ostacolato deflusso urinoso. Nei casi più conclamati può essere evidente un vero e proprio ascesso renale o ascessi multipli identificabili anche al solo esame ecografico. In tutti i casi sarà comunque utile associare una TC per escludere la presenza di patologie associate (litiasi,ostruzione del giunto pieloureterale) o per valutare, prima del trattamento, l'entità del processo morboso. 198

La terapia antibiotica, mirata o empirica, è basata su chemioterapia antibiotica parenterale di provata efficacia e ad ampio spettro. Deve durare 7-10 giorni e proseguita per via orale per 10–14 gg. Tutti i soggetti vanno di solito idratati adeguatamente. Il cateterismo ureterale o il posizionamento di una nefrostomia percutanea possono essere presi in considerazione nei casi in cui vi sia un ostacolo al deflusso urinario (calcolosi, stenosi etc.). Pielonefrite enfisematosa: ’ caratterizzata un infezione necrotizzante con gas nel parenchima renale e/o nei tessuti perirenali; tale situazione è di più frequente riscontro nei soggetti diabetici scompensati ma si può riscontrare anche nei soggetti normali, ostruiti. La sintomatologia è simile alla pielonefrite con possibile presenza di pneumaturia. Diagnostica per immagini con Rx addome o TC L’ CO in questi casi risulta meno sensibile. La terapia comprende l'infusione di liquidi ed antibioticoterapia; particolare attenzione deve essere posta al controllo della glicemia e/o all’esclusione d’ostacoli lungo la via escretrice.Valori elevati di creatinemia, riduzione della conta piastrinica, edema perirenale con gas saccato all'interno della via escretrice risultano fattori prognostici sfavorevoli. Il drenaggio percutaneo delle sacche gassose può aiutare la terapia medica. In taluni casi si rende necessaria la nefrectomia per evitare la morte del paziente. Pielonefrite cronica: Si tratta del risultato di ripetute infezioni urinarie che hanno determinato un danno renale irreversibile, fino all'atrofia renale o comunque un danno funzionale che provoca insufficienza renale. Il danno provocato al rene dalla pielonefrite inversamente proporzionale all’età della persona; le infezioni sono assai pericolose per il rene dei bambini mentre lo sono assai meno per le persone adulte. Il quadro clinico può essere pauci o del tutto asintomatico e quindi la diagnosi può avvenire in modo accidentale in corso di un iter 199

diagnostico per insufficienza renale, ipertensione, difficoltà visive, cefalea, affaticabilità e poliuria L’esame delle urine può essere caratterizzato dalla presenza di leucociti e proteine. La diagnostica per immagini può evidenziare un rene piccolo ed atrofico; la funzionalità può essere valutata con la scintigrafia. La terapia della pielonefrite cronica è difficile poiché si tratta di lesioni che, per definizione, non sono reversibili. Risulta più efficace la terapia che mira alla rimozione delle cause dell'infezione urinaria quali l'ostruzione della via escretrice o la presenza di reflussi vescico-ureterali. Talvolta può essere necessaria una terapia antibiotica a lungo termine per prevenire il danno da infezione urinaria. In alcuni casi può rendersi necessaria la nefrectomia. Ascesso renale: causato da una severa infezione con conseguente liquefazione del tessuto renale; in quest’area si forma l’ascesso Qualora la rottura avvenga nel tessuto perinefrico si manifesta l'estensione del processo patologico oltre la fascia di Gerota e la formazione del cosiddetto ascesso paranefrico. Questi ascessi si generano da una diffusione ematogena di germi di provenienza o cutanea (stafilococchi) o da altri distretti (E. coli, Proteus). Talune condizioni patologiche come il diabete, l’immunodepressione o la dialisi possono facilitare la diffusione dell’infezione Gli ascessi originati dalla corticale sono più facilmente ematogeni, quelli originati dalla midollare sono più frequentemente secondari a problemi della via escretrice (calcolosi, reflusso, ecc). Il quadro clinico è caratterizzato da febbre dolore al fianco o addominale, brivido e disuria L’esame delle urine può evidenziare la presenza, nel sedimento, di leucociti. L'urinocoltura può risultare negativa nel 50% dei casi soprattutto nei pazienti sottoposti a trattamento antibiotico non mirato, in cui nella richiesta dell'urinocoltura non è indicato il contemporaneo trattamento del paziente con terapia antibiotica (tipo di antibiotico e dosaggio). 200

La diagnostica per immagini evidenzia un’area ipo-anecogena (ipodensa) che tende a mescolarsi col tessuto adiposo. Talvolta si può evidenziare un addensamento della capsula adiposa perirenale, talora un assottigliamento del tessuto adiposo oppure una scomparsa dei piani anatomici nei tessuti molli perirenali. In questa situazione risulta di scarsa utilità l’urografia. La terapia è in prima istanza medica con antibiotici ad ampio spettro eventualmente in associazione. In taluni casi può essere presa in considerazione la possibilità di puntura percutanea ecoguidata del rene con drenaggio delle urine ed aspirazione di liquido da esaminare in coltura. Nelle situazioni resistenti alla terapia medica viene praticato il drenaggio chirurgico TC o ECO guidato. La presenza di un calcolo o di un’ostruzione del tratto urinario richiede un trattamento specifico. Le pielonefriti associate ad altre patologie richiedono sempre un trattamento antibiotico misto. Pielonefrite xantogranulomatosa. ’ un’infiammazione batterica cronica con necrosi e sovvertimento strutturale del rene quasi sempre associata ad una ostruzione. Si tratta di un processo solitamente unilaterale caratterizzato dalle tipiche cellule (istiociti schiumosi lipidici). La sintomatologia è caratterizzata da dolore al fianco, brivido, febbre e persistente batteriuria. Talvolta, nei soggetti magri, il rene può essere palpato all'esame obbiettivo. L’esame delle urine evidenzia leucociti e proteine. Gli esami ematici evidenziano anemizzazione e disfunzione epatica in circa il 50% dei casi. La diagnostica radiologica si basa sulla TC con reperti di aree disomogenee renali (densità liquida e/o calici dilatati) e il mezzo di contrasto può evidenziare zone di ridotta perfusione. Vi possono essere anche zone calcifiche; il processo flogistico si può estendere al grasso perirenale ed al retroperitoneo. Si osserva spesso urolitiasi contestuale. La diagnostica US è ritenuta di supporto per questa patologia. Vi può essere un problema di diagnostica differenziale con le neoplasie renali. 201

La terapia può essere chirurgica con ablazione delle zone interessate o drenaggio percutaneo delle stesse previo trattamento dell’urolitiasi Pionefrosi: Infezione batterica di rene ostruito con suppurazione e potenziale danno parenchimale renale; tale situazione potenzialmente pericolosa richiede rapida diagnosi e terapia L’esordio clinico caratterizzato da dolore al fianco, febbre, brivido; la sintomatologia al basso apparato urinario di solito manca. La diagnostica per immagini si giova dell’ CO; è evidenziato contenuto corpuscolato all’interno della via escretrice. La terapia si basa su chemio-antibiotico-terapia se possibile ad ampio spettro e drenaggio della via escretrice

11.2 INFEZIONI VESCICALI Cistite acuta. Infezione sintomatica del basso apparato urinario solitamente da ascesa di materiale settico-fecale. Caratterizzata da pollachiuria, stranguria, tenesmo vescicale, dolore sovrapubico L’esame delle urine evidenzia leucocituria, microematuria (talvolta ematuria macroscopica). L’urinocoltura identifica i germi responsabili. La terapia può essere mirata o empirica. Cistiti recidivanti: Sono situazioni prolungate causate da reinfezione o persistenza della stessa infezione. Nei casi di reinfezione può avere senso la terapia preventiva (antibiotico profilassi) ma nei casi di persistenza sarebbe indicata l'identificazione e la successiva rimozione della causa della reinfezione. La diagnostica per immagini deve tendere ad identificare eventuali problematiche come elevato residuo postminzionale, diverticoli, calcoli o fistole che possono determinare la persistenza dell’infezione La terapia delle forme semplici è simile a quella della forma acuta con eventuali terapie prolungate, anche se la terapia 202

prolungata può esporre al rischio di selezione di ceppi resistenti. Nei casi complessi si consiglia di rimuovere chirurgicamente la causa (calcolo etc.). Malacoplachia: Infiammazione cronica della vescica o d’altri segmenti dell’apparato urinario caratterizzata da lamine o placche costituite da istiociti ed inclusi laminari. Interessa entrambi i sessi, risulta associata ad una storia d’infezioni urinarie e di patologie croniche o d’immunodepressione. La localizzazione vescicale delle placche è di comune riscontro durante esami endoscopici ( cistoscopia), soprattutto nelle donne ed è spesso associata a sintomatologia irritativa. Se risulta interessata l’alta via escretrice vi può essere ostruzione con dolore e/o massa lombare con febbre. Nei casi estremi si può giungere all’insufficienza renale La diagnostica per immagini si basa sull’evidenza di masse endovescicali con o meno ostruzione della via escretrice. Le masse renali possono porre problemi di diagnosi differenziale con le neoplasie e la certezza talvolta è raggiunta solo con l’esame istologico La terapia nelle forme vescicali può essere solo antibiotica; nei casi con ostruzione della via escretrice si pone l’indicazione anche all’escissione chirurgica Nei casi d’interessamento renale bilaterale la prognosi può risultare infausta sia per la funzione renale sia per la sopravvivenza.

11.3 INFEZIONI PROSTATICHE La prostatite batterica è una patologia diagnosticata clinicamente con evidenza d’infiammazione e infezione localizzati alla prostata. Secondo la durata dei sintomi, la prostatite batterica è descritta come acuta o cronica (quando i sintomi persistono per almeno 3 mesi). Si raccomanda di utilizzare la classificazione proposta dal National Institute of Diabetes and Digestive and 203

Kidney Diseases (NIDDK) dei National Institutes of Health (NIH), in cui la prostatite batterica confermata o sospetta si distingue dalla sindrome dolorosa pelvica cronica (CPPS). Il motivo di ciò sta nel fatto che molto spesso la diagnosi di prostatite è abusata da molti urologi e ciò può generare gran confusione. L’infezione della ghiandola prostatica può avvenire tramite colonizzazione batterica della stessa o per ascesa uretrale di germi o per reflusso intraparenchimale d’urina infetta. Istologicamente si osserva infiltrazione leucocitaria della ghiandola con edema della stessa; nelle situazioni cronicizzate vi può essere necrosi ed ascessualizzazione. Classificazione del National Institute of Diabetes and Digestive and Kidney Diseases (NIDDK) I. Prostatite batterica acuta II. Prostatite batterica cronica III. Prostatite cronica\Sindrome del dolore pelvico cronico A: Infiammatoria(globuli bianchi nel liquido spermatico, e nelle urine dopo massaggio prostatico) B: Non infiammatoria IV. Prostatite infiammatoria asintomatica (diagnosi istologica)

La sintomatologia acuta è caratterizzata da febbre, artralgie, mialgie, dolore rettale, perineale e/o scrotale associati a sintomatologia urinaria (disuria, pollachiuria, urgenza menzionale) All’esplorazione rettale la prostata appare aumentata di volume, edematosa, dolorabile L’esame delle urine evidenzia leucocituria e talvolta ematuria. Si può osservare leucocitosi ed innalzamento del PSA. Il massaggio prostatico evidenzia un secreto con leucociti e macrofagi. La diagnostica per immagini è utilizzata per valutare ecograficamente l’eventuale residuo PM. Prostatite acuta: La prostatite acuta batterica può rappresentare 204

una grave infezione ’ normalmente richiesta la somministrazione parenterale d’alte dosi d’antibiotico, che può includere una penicillina ad ampio spettro, un antibiotico di terza generazione come le cefalosporine, o un fluorochinolone. Tutti questi agenti possono essere combinati con un aminoglicoside per la terapia iniziale. Il trattamento è necessario finché non ci sarà defervescenza e la normalizzazione dei parametri di infezione. Nei casi meno gravi, un fluorochinolone può essere somministrato per via orale per 10 giorni. Nei casi di ritenzione acuta d’urina secondari a prostatite acuta si preferisce l’epicistostomia sovra pubica per il drenaggio temporaneo di urina onde evitare il passaggio attraverso l’uretra del catetere vescicale che potrebbe aumentare la quantità di batteri liberati dalla prostata oltre ad essere una manovra particolarmente dolorosa per il paziente. Prostatite cronica: Si tratta di una forma più insidiosa della prostatite acuta in quanto non è facilmente diagnosticabile e poco sensibile alla terapia. Si verifica per la persistenza dell'agente patogeno o a causa di una reinfezione.La sintomatologia è caratterizzata da disuria, urgenza menzionale, pollachiuria diurna e notturna, dolore sacro-coccigeo e perineale; in qualche caso una sintomatologia urinaria vera e propria può mancare L’esplorazione rettale può essere negativa o evidenziare, all'interno della prostata, di aree di consistenza ridotta, noduli duri o calcoli L’esame delle urine può evidenziare leucociti e l’urinocoltura dimostrare la presenza di una batteriuria. Gli esami ematici possono essere negativi o dimostrare solamente la presenza di una leucocitosi. La certezza diagnostica si ottiene solo identificando i microrganismi nelle urine dopo massaggio prostatico. I microrganismi sono solitamente i medesimi responsabili della maggioranza delle infezioni delle vie urinarie. La terapia si basa su farmaci attivi sui microrganismi responsabili ( se identificati tramite urinocoltura, 205

spermiocoltura o prelievo d’urina dopo massaggio prostatico) e che penetrano il tessuto prostatico (fenomeno dello "ion trapping”) la durata della terapia variabile fra 3-6 settimane e può giungere sino a 4 mesi. Prostatite granulomatosa: Si tratta di una forma inusuale di prostatite con malacoplachia o una localizzazione prostatica di malattia granulomatosa sistemica. Sono distinte due forme: eosinofila e non-eosinofila (secondo la risposta dei tessuti periprostatici alla diffusione di liquido prostatico). La sintomatologia è caratterizzata da disuria, urgenza menzionale, pollachiuria diurna e notturna, dolore sacro-coccigeo e perineale; altrimenti la sintomatologia può mancare. Vi può essere leucocitosi ed innalzamento del PSA. Oltre ai germi usuali in questo genere di infezioni si possono reperire clamidiae e micoplasmi L’ TG transrettale trova indicazione solo per confermare ascesso prostatico. La terapia è sostanzialmente simile a quella della prostatite cronica. Ascesso prostatico: Si tratto solitamente di una complicanza della prostatite non adeguatamente trattata; il catetere vescicale a permanenza e/o il diabete sono considerati fattori di rischio aggiuntivi. Il quadro sintomatologico è simile a quello della prostatite, la terapia antibiotica inizialmente sembra efficace, gli effetti si riducono con il tempo. La diagnosi è clinica con l’ R (area di consistenza ridotta); vi può essere un conferma ecografica e TC. La terapia antibiotica è integrata con il drenaggio dell’ascesso trans-rettale; in talune situazioni si esegue una resezione prostatica allo scopo di drenare l’ascesso Un caso di paziente particolarmente difficile (cirrotico scompensato) è stato trattato con cateterismo vescicale che è esitato in drenaggio dell’ascesso Flogosi batteriche dell’uretra suddivisibili in gonococciche (Neisseria gonorrhoeae) e non gonococciche (Chlamydia trachomatis, Ureaplasma urealyticum, Trichomonas vaginalis, and herpes simplex virus). 206

Uretriti: Da un punto di vista eziologico si distinguono uretriti gonococciche (secondarie ad infezioni da N.Gonorrhoeae) e uretriti non specifiche. In Europa le uretriti non specifiche sono molto più frequenti che quelle gonococciche. Gli agenti patogeni più comuni sono rappresentati da: C. trachomatis, Mycoplasma genitalium e Trichomonas vaginalis. Il quadro sintomatologico è caratterizzato da disuria associata o meno ad altri sintomi irritativi e/o ostruttivi; non mancano i casi totalmente asintomatici (sino al 40 %). La diagnosi è fatta con l’isolamento dei microrganismi responsabili attraverso i tamponi uretrali: nel 30% dei casi è riportata un’associazione di microrganismi (neisseria-clamydia). Le complicanze delle uretriti nei soggetti di sesso maschile sono l’epididimite, l’infezione gonococcica disseminata, la S. di Reiter. Nei soggetti di sesso femminile vi può essere “pelvic inflammatory disease”, gravidanza extrauterina, infertilità In caso di gravidanza si può verificare polmonite e oftalmia a carico dei neonati. L’uretrografia risulta indicata solo nei casi di sindrome ostruttiva. La terapia antibiotica è costituita da beta lattamici o chinolonici per le uretriti gonococciche e le tetracicline o i macrolidi per le uretriti non gonococcciche. La terapia dovrebbe essere somministrata alla coppia per evitare il rischio di reinfezione. La cervicite mucopurulenta nella donna è equivalente all’uretrite dell’uomo ed caratterizzata da essudato purulento o mucopurulento nel canale endocervicale. Vi può essere presenza di secreto vaginale o sanguinamento anomalo ad esempio durante i rapporti; la cervicite può anche essere asintomatica. La terapia è simile a quella che è effettuata nell'uretrite maschile.

11.4 INFEZIONI DELLE VIE SEMINALI Epididimite e/o orchite: Infiammazione dell’epididimo e/o del 207

testicolo, di solito proveniente dall’apparato urinario o a trasmissione sessuale. Nelle forme secondarie ad infezioni delle vie urinarie i germi sono i soliti delle UTI, mentre in quelle a trasmissione sessuale spesso si riscontrano gli stessi germi delle uretriti. La sintomatologia è caratterizzata da dolore scrotale irradiato al fianco o all’inguine; vi aumento di volume dello scroto, e presenza di liquido all’interno della tunica vaginale interna (idrocele reattivo). Vi possono essere sintomi d’uretrite, prostatite, cistite; lo stato flogistico può rendere difficile differenziare, durante l'esame obbiettivo, le varie strutture dello scroto. Dal punto di vista laboratoristico vi è batteriuria, leucocituria, presenza di secreto uretrale. L’emocromo può rivelare leucocitosi. La diagnostica differenziale si pone fra flogosi e torsione del testicolo; nel primo caso vi è un aumento del flusso vascolare all'esame ecocolordoppler del testicolo. In qualche caso può essere indicata l'esecuzione di una scintigrafia testicolare. Nei soggetti pre-puberi è indicato inoltre uno studio morfologico dell’apparato urinario per escludere malformazioni che possano dare un reflusso d’urina nel dotto spermatico. La terapia si basa su antibiotici ( fluorochinolonici e cefalosporine), antinfiammatori e riposo. Nei casi complicati da ascesso si pone l’indicazione a drenaggio chirurgico che in alcuni casi può condurre anche all'orchiectomia. Nei casi cronicizzati si può porre l’indicazione ad epididimectomia associata o meno all’orchiectomia. In determinati casi (paziente allettato, con gravi compromissioni neurologiche, o che per ragioni anagrafiche non desidera preservare la fertilità) opportuno eseguire una vasectomia bilaterale allo scopo di prevenire altre diffusioni di batteri alla gonade controlaterale o alla stessa gonade durante il trattamento antibiotico.

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11.5 SITUAZIONI PARTICOLARI Gravidanza: Durante la gravidanza si verificano alterazioni dell’apparato urinario sia a causa della stasi urinaria dovuta all'aumento volumetrico dell’utero che per le alterazioni ormonali; si osserva infatti una dilatazione ureterale nel II e III trimestre di gravidanza. Questo fenomeno è attribuito sia all’azione atonizzante del progesterone che alla compressione da parte dell’utero aumentato di volume. Si ritiene che le gravide abbiano una prevalenza di batteriuria del 4-6 % rispetto alla popolazione femminile normale. Risulta tuttavia aumentato il rischio di pielonefrite nelle persone affette da batteriuria (30 % versus 1-2 % della restante popolazione). Il trattamento della batteriuria riduce la prevalenza di pielonefriti nelle donne gravide. Il 60-70% delle pielonefriti si verifica nel II–III trimestre di gravidanza mentre il 10-20% avviene nel periodo prenatale. Le gravide che manifestano pielonefriti possono presentare parti prematuri ed un aumento della mortalità perinatale; non è stato osservato un significativo aumento delle malformazioni fetali nei casi adeguatamente trattati. Da queste considerazioni emerge chiaramente l’indicazione all’esecuzione di urinocolture in gravidanza; in caso positività si porrà l’indicazione ad antibiotico terapia con farmaci ben tollerati (beta-lattamici, fosfomicina); al termine della terapia e' inoltre importante controllare la situazione per accertare l’avvenuta completa eradicazione dell’infezione Infezioni da HIV: Le persone affette da infezione HIV sono maggiormente esposte al rischio di infezioni delle vie urinarie rispetto ai soggetti normali. Questo a causa delle terapie antiretrovirali che riducono le difese immunitarie ma anche in funzione della quota di linfociti CD4 presenti. Anche le prostatiti sono più frequenti nei pazienti HIV rispetto agli individui “sani” (3-14% versus 1–2 %); in questi pazienti 209

risulta anche aumentato il rischio di ascesso prostatico. Le uretriti e le epididimiti sono anch’esse maggiormente rappresentate nei soggetti affetti da retrovirosi; i microrganismi responsabili sono, oltre a quelli normalmente reperiti, (E. coli), anche quelli responsabili delle uretriti (gonococciche e non gonococciche). In questo gruppo di pazienti è stato riscontrato un incremento d’infezioni di microrganismi quali i M.Tuberculosis. La terapia è simile a quella della popolazione normale (2-3 farmaci in associazione per 6-9 mesi)

11.6 INFEZIONI SESSUALMENTE TRASMISSIBILI 11.6.1 Sifilide (Lue) La sifilide è una malattia sessualmente trasmessa, causata dall’ infezione da T. Pallidum. È di diagnosi assai difficile per la complessità e variabilità del quadro sintomatologico tanto da essere stata chiamata “il grande impostore” ed “il grande imitatore” Si tratta di una malattia sistemica suddivisa in tre stadi: primaria secondaria o terziaria L’infezione primaria si caratterizza da un’ulcera di solito dura nella sede d’infezione che compare sulla cute da 3 a 90 giorni dopo l'esposizione iniziale (in media 21 giorni), nel punto di contatto. Questa generalmente, nel 40% dei casi, si presenta come una singola, compatta, indolore, non pruriginosa ulcerazione della pelle con una base pulita e bordi taglienti tra i 0,3 e 3,0 cm. La lesione, tuttavia, può assumere praticamente qualsiasi forma. Nella forma classica, essa evolve da una macula ad una papula verso un'ulcera. La fase secondaria è nota per i molti modi diversi in cui può manifestarsi; nella maggior parte dei casi, i sintomi coinvolgono la pelle, le mucose e i linfonodi. Possono verificarsi eruzioni cutanee simmetriche di colore rosso-rosa, tipicamente sul tronco e agli arti. L'eruzione può diventare 210

maculopapulare o pustolosa. Nelle mucose può presentarsi con lesioni piatte, larghe, di colore biancastro, simili a verruche note come latum condilomi. Tutte queste lesioni ospitano i batteri infettivi. Altre manifestazioni cliniche possono includere febbre, mal di gola, malessere generale, astenia, perdita di capelli e mal di testa. Rare manifestazioni comprendono anche epatite, disfunzioni renali, artrite, periostite, neurite ottica, uveite e cheratite interstiziale, Senza trattamento, un terzo delle persone infette sviluppano la malattia terziaria. La sifilide terziaria si può verificare da tre a 15 anni dopo l'infezione iniziale e può essere divisa in tre forme diverse: la sifilide gommosa (15% dei pazienti), la neurosifilide tardiva (6,5%), e la sifilide cardiovascolare (10%).Le persone affette da sifilide terziaria non sono contagiose. La sifilide gommosa si verifica di solito da 1 a 46 anni dopo l'infezione iniziale, con una media di 15 anni. Questo stadio è caratterizzato dalla formazione di granulomi gommosi cronici di variabili dimensioni. Essi, in genere, colpiscono la cute, le ossa e il fegato, ma possono presentarsi ovunque. La neurosifilide è un'infezione che coinvolge il sistema nervoso centrale. La neurosifilide precoce può presentasi velocemente ed asintomatica, in forma di meningite sifilitica, oppure in ritardo, come la sifilide meningovascolare, la quale comporta paresi, perdita d’equilibrio e dolori agli arti inferiori. La neurosifilide tardiva si verifica in genere da 4 a 25 anni dopo l'infezione iniziale, nelle forme di gomma luetica, tabe dorsale, paralisi progressiva, sclerosi combinata luetica, oppure nella forma congenita. La sifilide cardiovascolare si verifica di solito 10-30 anni dopo l'infezione iniziale. La complicanza più comune è l'aortite sifilitica che può portare a formazione di aneurismi dell'aorta. Terapia : penicillina od in alternativa doxiciclina (100 mg X2/die per 14 gg) o tetraciclina 500 mg 4 volte al gg per lo stesso periodo.

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11.6.2 Cancroide È un’affezione ulcerativa spesso associata a adenopatia inguinale (bubbone) L’agente causale l'Haemophilus Ducrey bacillo gram-negativo facoltativo; risulta spesso associata ad altre infezioni sessualmente trasmesse (sifilide, HIV). La diagnosi si basa sull’identificazione dell’agente eziologico; essendo difficilmente seguibili i test colturali una persona affetta da ulcera genitale dolorosa a cui sia stata esclusa la lue e l’herpes simplex può essere sospettata di questa patologia. La combinazione, presente solo in 1/3 dei casi, di ulcera dolorosa ed adenopatia inguinale molle suggerisce la diagnosi di cancroide. La combinazione di ulcera genitale dolorosa ed adenopatia inguinale suppurata viene considerata patognomonica. La terapia basata sull’uso di farmaci ad azione antivirale. 11.6.3 Linfogranuloma venereo Si tratta dell’infezione da parte dei sierotipi L1-L2-L3 della C. tracomatis. Si tratta di una rara causa di ulcera genitale. L’esordio tipico caratterizzato da una linfoadenopatia tenera inguinale e/o femorale nei maschi eterosessuali. Nelle donne e negli omosessuali possono presentare infiammazione dei linfatici perirettali e perianali, fistole, proctocolite. Le ulcere tendono ad autolimitarsi e migliorano con la terapia medica. La diagnostica è sierologia con esclusione delle altre causa di ulcere genitali. La terapia è basata su doxiciclina od in alternativa eritrocita o azitromicina; la terapia deve essere prolungata per 3 settimane L’adenopatia inguinale (bubboni) richiede l’aspirazione o l’incisione allo scopo di prevenire le ulcere. 11.6.4 Granuloma inguinale ’ causato dal Calymmatobacterium granulomatis un bacillo 212

intracellulare gram-negativo. Diffuso in particolari aeree geografiche. Clinicamente si presenta con una dolente, progressiva ulcera genitale; si tratta di una lesione riccamente vascolarizzata con un aspetto a “carne rossa” I pazienti presentano adenopatia inguinale. Il microrganismo causativo non può essere fatto crescere in coltura e la diagnosi è fatta con l’osservazione dei corpi di Donovan nei tessuti biopsiati e centrifugati. La terapia basata sull’associazione trimetoprimsulfametossazolo, doxicilcina, ciproxacina o eritromicina. 11.6.5. Condilomi acuminati L’infezioni da papillomavirus da luogo alla condilomatosi dei genitali. Sono responsabili delle infezioni genitali solo 20 degli 80 genotipi di HPV conosciuti; molte infezioni sono asintomatiche, sub-cliniche o sconosciute. I tipi 6 ed 11 sono raramente responsabili dello sviluppo del carcinoma squamoso dei genitali. Maggiormente pericolosi sono i tipi 16, 18, 31, 33 associati alla displasia cervicale ed al carcinoma squamoso o ad altre patologie (ca in situ, papulomatosi bowenoide, eritroplasia di Queyrat, malattia di Bowen). Sono possibili le infezioni da plurimi agenti patogeni. La diagnosi è prevalentemente clinica. La biopsia è indicata solo in caso di non risposta alla terapia di I linea, nei casi dubbi o nei casi lesione, fissa, ulcerata od indurita. Il trattamento mira a rimuovere le lesioni sintomatiche, è possibile la regressione spontanea. La terapia si basa sulla podofillina (un antimicotico) distrugge i condilomi; in alcuni casi possono essere avvertiti dolore od infiammazione locale dopo il trattamento. La crioterapia richiede un training adeguato e non soddisfa sempre le aspettative. Si osserva spesso dolore nella sede del trattamento e determina la necrosi del condiloma Altre sostanze utilizzate per l’ablazione dei condilomi sono la podofillina a l’acido tricloracetico La chirurgia offre il vantaggio di risolvere problema in una sola seduta; sono utilizzate ectomie, curettage, 213

diatermocoagulazione, fotocoagulazione. La chirurgia trova l’indicazione principale nei casi di lesioni voluminose, su una superficie estesa o nei casi resistenti. Vi può essere dolore posttrattamento. Le infezioni sub-cliniche sono diagnosticate indirettamente (endoscopie, citologie, biopsie).

11.7 FLEMMONE RUINOSO Si tratta di una infezione dei tessuti molli pelvici con febbre e sintomatologia irritativi locali come dolori al basso ventre, sangue nell'urina, talvolta forte stimolo ad urinare associato a disuria (difficoltà ad urinare) o addirittura a ritenzione completa d'urina. Si tratta di una patologia secondaria ad una fistola urinosa bassa con interessamento dei tessuti molli pelvici. Nel casi di rottura extra-peritoneale i sintomi sono spesso mascherati da quelli relativi alla frattura del bacino. Se la fistola urinosa non viene prontamente diagnosticata e adeguatamente trattata, si può formare un flemmone urinoso, cioè una grave infezione del bacino con febbre, brividi che è gravata da un'elevata percentuale di mortalità. I sintomi della rottura intra-peritoneale sono di regola più accentuati, con peritonite, ileo paralitico (arresto del transito intestinale) e vomito. La terapia prevede sia l’uso d’antibatterici che di manovre chirurgiche ( “messa a secco” e riparazione della fistola) con adeguate tecniche di drenaggio e ricostruzione.

11.7 FASCITE FOURNIER)

NECROTIZZANTE

(GANGRENA

DI

Si tratta di una fascite necrotizzante che interessa la cute ed il sottocute dei genitali e del perineo di persone di solito affette da altre gravi patologie (diabete, alcoolismo, abuso di droghe, 214

immunodeficienza); la mortalità può giungere sino al 22-66% dei casi L’origine può essere una banale strumentazione (cistoscopia, cateterismo vescicale difficile, rettoscopia), una lesione anale o a volte una banale lesione cutanea da grattamento possono originare l’infezione dei germi aerobi; tale infezione si estende localmente a livello sottocutaneo assumendo le caratteristiche di un’infezione rapidamente progressiva con ischemia e morte dei tessuti (la patologia concomitante assume un ruolo rilevante nella facilità di progressione della situazione). Una volta che i germi si sono impiantati si verificano complesse interazioni con le cellule immunitarie, i mediatori chimici dell’infiammazione e le esotossine batteriche; il risultato finale è la trombosi dei vasi cutanei, sottocutanei e delle strutture sottostanti con conseguente ischemia dei tessuti; il decremento tissutale di O2 unito alla crescita batterica aerobica peggiora l’ipossia tissutale; il risultato finale è la crescita degli anaerobi e la conseguente gangrena. La terapia si basa su chemioantibioticoterapia, lisi chirurgica dei tessuti necrotici; un ausilio terapeutico che si è rivelato assai utile è l’ossigenoterapia iperbarica (HBO) che nelle nostre mani si rivelata utile nel ridurre la morbilità e la mortalità piuttosto alta di questa situazione patologica. Questa terapia si basa su alti livelli tissutali di O2 che liberano radicali liberi (perossidi e superperossidi) direttamente tossici sugli anaerobi incapaci di metabolizzarli Un’ulteriore effetto terapeutico rappresentato dalla stimolazione dei fibroblasti e dell’attività neoangiogenetica, oltre ad un’azione favorente la cicatrizzazione.

11.8 TUBERCOLOSI GENITO-URINARIA La tubercolosi (TBC) genito-urinaria provocata dall’infezione 215

di bacilli acido-alcool resistenti di uno o più organi dell’apparato genito-urinario. Sono solitamente colpiti i soggetti fra i 20 ed i 40 aa (60%) e più spesso di sesso di sesso maschile. L’infezione si ritiene d’origine ematogena dopo infezione polmonare; il sito primario può non essere evidente. Gli organi primariamente colpiti sono il rene e la prostata con possibilità di diffusione ascendente o discendente. Rene ed uretere Nelle situazioni in cui il bacillo d’alcool-acido (BK) resistente invade la corticale renale questo viene distrutto dalle difese tissutali. Questa situazione risulta evidente nei casi di persone morte per infezione TBC; nelle quali si osserva solo le cicatrici a livello renale. Nelle situazioni in cui è ospitato a livello renale un batterio sufficientemente virulento e non è neutralizzato si instaura l’infezione clinica L’infezione tubercolare a livello progredisce lentamente e può impiegare sino a 15-20 aa a distruggere il rene nei pazienti con buone resistenze immunitarie. La situazione può evolvere praticamente asintomatica con fino a quando non si estende alla via escretrice e si scarica il pus attraverso la via escretrice; si manifesta quindi con sintomatologia cistitica. Sono tipiche le localizzazioni ureterali sia dell’estremità superiore che di quella inferiore dello stesso con possibilità di stenosi ed idronefrosi. La progressione della malattia determina la degenerazione caseosa del rene e deposizione calcifica a scopo riparativo. Vescica La sintomatologia a livello vescicale della malattia esordisce con sintomi irritativi; la vescica è invasa da materiale settico. I tubercoli che originano dagli sbocchi ureterali crescono ed infine si ulcerano con possibile sanguinamento. La vescica appare fibrosa e contratta (il tipico reperto urodinamico è caratterizzato da una vescica piccola ed a bassa compliance). Le conseguenze tardive sono l’idronefrosi da ostacolo ureterale o il re216

flusso Qualora anche l’altro rene sia interessato si tratta di una infezione ematogena. Prostata e vescichette seminali L’infezione di questi organi può avvenire per via discendente con il flusso urinario oppure direttamente per via ematogena (in questo caso l’infezione si propaga per via ascendente alla vescica e per via discendente alle vescichette seminali). Non si osserva dolore locale. Epididimi e testicoli L’infezione della prostata e delle vescichette seminali si estende agli epididimi ed ai testicoli; trattandosi di un processo lento tende a non essere doloroso L’ascesso dell’epididimo può fistolizzarsi alla cute oppure dentro il testicolo. Patologia L’aspetto macroscopico del rene con infezione tubercolare moderatamente avanzata è sostanzialmente normale; mentre si osserva una flogosi perirenale. Questa situazione si manifesta con noduli gialli, localizzati e morbidi tubercoli; le sezioni della zona coinvolta contengono materiale caseoso. La distruzione del parenchima è evidente; nel tessuto normale possono essere individuati. La parete della via escretrice appare ispessita e possono comparire ulcerazioni nelle regioni caliciali nelle quali avviene il drenaggio dell’ascesso La stenosi ureterale completa determina l’esclusione del rene; in questi casi le urine in vescica possono essere normali ed i sintomi assenti. Questi foci appaiono chiusi nei glomeruli; si tratta di istiociti con nucleo vescicolare fuse con le cellule confinanti formando un reticolo epitelioide. Alla periferia del reticolo vi sono cellule giganti polinucleate. Questa lesione identificabile macroscopicamente è la base delle lesioni tubercolari. Può guarire con fibrosi o colliquazione e giunge alla superficie come ulcerazione o lesione ulcerocavernosa. I tubercoli possono giungere alla colliquazione centrale ed alla degenerazione caseosa creando 217

gli ascessi tubercolari che attraverso le fistole possono drenarsi nella via escretrice. Il processo evolve verso una distruzione parenchimale la cui velocità di progressione dipende dalla virulenza dei germi e dalle resistenze dell’ospite La tubercolosi è l’insieme di caseificazione, cavernizzazione e cicatrizzazione con fibrosi. Il materiale caseoso appare amorfo alla microscopia, il tessuto circostante appare fibrotico con infiltrazione infiltrati di piccole cellule rotonde, infiltrati plasmacellulari. Sono evidenziabili inoltre batteri acido-alcool resistenti; queste alterazioni sono presenti nella pelvi e nell’uretere: Le calcificazioni sono presenti sia nel rene che nell’uretere (questa situazione po’ essere presente anche nella bilharziosi). La calcolosi secondaria è presente nel 10% dei casi. Nei casi molto avanzati il parenchima è sostituito da materiale caseoso o tessuto fibrotico; l’ascesso perinefrico raro Vescica Nelle fasi precoci la mucosa può essere infiammata, ma non si tratta di un’alterazione specifica. I tubercoli tardivi possono essere individuati facilmente mediante endoscopia grazie all’alone d’iperemia. Nei casi di fibrosi murale e contrattura vescicale vi può essere reflusso VU. Microscopicamente i noduli sono tubercoli tipici, in questa fase la vescica è irritabile. La fibrosi cicatriziale interessa tutta la parete vescicale. Prostata e vescichette seminali Macroscopicamente la superficie esterna dell’organo può evidenziare noduli ed aree d’indurimento fibrotico. Le aree necrotiche sono comuni, in rari casi la cicatrizzazione evolve in calcificazione. Calcificazioni massive sono indicative di infezione tubercolare. Funicolo spermatico, epididimo e testicolo Il funicolo spermatico è spesso coinvolto; il rigonfiamento fusiforme è la manifestazione della malattia che nei casi cronici è 218

descritta come corona di rosario L’epididimo aumentato di volume e fisso. Di solito è separato dal testicolo, ma talvolta può essere adeso ad esso. Microscopicamente si osservano le alterazioni tipiche della TBC; vi può essere marcata degenerazione tubulare. Il testicolo di solito non è coinvolto se non nei casi di ascesso epididimo-testicolare. 11.8.1 TBC apparato genitale femminile. L’infezione è portata dal flusso sanguigno rari sono i casi di contagio secondario a rapporti sessuali con maschi infetti. L’associazione fra infezione genitale ed urinaria femminile va dal 1 al 10%. Sono interessate solitamente le tube uterine, vi possono essere masse annessiali (di solito bilaterali), cervicite od endoarterite; le lesioni granulomatose della vulva o del canale vaginale sono rare. Clinica La TBC genitourinaria deve essere sospettata alla presenza delle seguenti situazioni: 1) cistite cronica resistente alle terapie. 2) giuria in assenza di batteri evidenziabili al blu di metilene. 3) ematuria macroscopica o microscopica. 4) epididimo aumentato di volume o consistenza con deferente indurito o a corona di rosario. 5) perdita di tono del seno scrotale. 6) indurimento o nodulazione della prostata con granulazione di una o entrambe le vescichette seminali. La presenza di malattia tubercolare in altra sede deve indurre al sospetto di TBC genitourinaria con segni o sintomi di tale patologia. La diagnosi è basata sulla dimostrazione di bacilli alcool acido resistenti nelle urine. La localizzazione e data dal reperto di noduli palpabili negli epididimi, deferenti e vescichette seminali. Alterazioni renali e dell’alta via escretrice all’urografia Interessamento vescicale alla cistoscopia L’entità del danno data dalla perdita di funzione e dalla presenza dei bacilli in uno od entrambi i reni. I sintomi non sono sempre caratteristici della malattia anche 219

nelle fasi avanzate. Si osserva sintomatologia irritativa vescicale (cistite), vago malessere generalizzato, febbricola persistente, sudorazione notturna. Nei casi in cui mancano i sintomi irritativi vescicali l’esame delle urine consente la diagnosi L’infezione tubercolare presente in altro distretto corporeo nella metà delle persone con TBC genitourinaria. Rene ed uretere In seguito alla lenta progressione della malattia essa può decorrere asintomatica. Vi può essere un legero dolore al fianco. Il passaggio di coaguli, calcolosi secondaria o masse di detriti può provocare colica. Raramente si presenta come un dolore addominale diffuso. Vescica I sintomi precoci della tubercolosi urinaria si manifestano a livello vescicale con stranguria, urgenza e pollachiuria notturna. L’ematuria può essere d’origine vescicale o renale; nelle fasi avanzate la sintomatologia vescicale può essere pesante. Nei casi complicati da ulcerazione i sintomi possono essere presenti anche a vescica vuota. 11.8.2 TBC genitale Questa situazione è di fatto asintomatica e si manifesta solo con l’epididimite TBC; che a sua volta si manifesta con aumento di volume e di consistenza dell’epididimo poco o nulla dolente. Gli ascessi si possono drenare spontaneamente attraverso la cute scrotale. Un drenaggio cronico deve essere considerato TBC sino a prova contraria. In rari casi vi può essere un esordio acuto che mima un’epididimite aspecifica Segni Possono essere reperiti segni di TBC extra-urinaria (polmoni, linfonodi, tonsille, intestino). Rene: il rene non appare aumentato ne di volume ne di consistenza. Genitali esterni: si può osservare aumento di volume e consi220

stenza dell’epididimo Il deferente può essere ispessito o granulare. Un drenaggio cronico dalla cute dello scroto è patognomica di TBC Nelle situazioni avanzate l’epididimo non può essere differenziato dal testicolo quando il didimo è direttamente interessato dall’ascesso epididimario ’ frequente l’associazione fra epididimite TBC ed idrocele L’idrocele idiopatico deve essere investigato per escludere patologie sottostanti (epididimite, neoplasia testicolare). Prostata e vescichette: questi organi possono risultare normali alla palpazione. La prostata tubercolare presenta aree di consistenza aumentata e/o nodulari. Le vescichette interessate sono di solito indurite, aumentate di volume e fisse. Nei casi in cui l’epididimite presente si manifestano alterazioni alla vescichetta seminale omolaterale. Esami di laboratorio Il laboratorio svolge il ruolo più importante nella diagnosi della TBC genitourinaria. Piuria persistente in assenza di microrganismi agli esami colturali o alle colorazioni con blu di metilene deve essere considerata TBC sino a prova contraria. Acido-sensibili macchie ottenute dal sedimento concentrato di 24 ore sono positive in almeno il 60% dei casi; tuttavia deve essere supportato da colture positive. Circa il 15% dei pazienti affetti da TBC presenta un’infezione piogenica secondaria; la definizione “piuria sterile” pertanto oscura Nei casi di piuria resistente alle comuni terapie la TBC deve essere esclusa da accertamenti batteriologici e radiologici. La colturale dei bacilli alla prima minzione del mattino è positiva in un’alta percentuale di casi d’infezione tubercolare. Nei casi positivi possono essere eseguiti gli antibiogrammi. Di fronte a sospetti fondati d’infezione TBC colture negative devono essere ripetute L’emocromo può risultare normale; la VES è di solito aumentata. I Bacilli TBC possono essere dimostrati nelle secrezioni di una 221

prostata infetta. La funzione renale è normale salvo che non vi sia danno bilaterale; nei casi di interessamento monolaterale vi un’ipertrofia compensatoria del rene normale Questo può anche infettato dai bacilli tubercolari o diventare idronefrotico per fibrosi della parete vescicale (stenosi anastomosi ureterovescicale) o reflusso vescico-ureterale. Nei casi di sospetto clinico il test alla tubercolina deve essere eseguito. Il test positivo, specie negli adulti è diagnostico; tuttavia il test negativo in paziente sano escluderebbe la diagnosi di TBC. Diagnostica per immagini Nei casi di Rx torace positivo per TBC spinge il curante a sospettare l’infezione genito-urinaria alla presenza di segni e sintomi urinari L’Rx addome può evidenziare allargamento dell’ombra renale o scomparsa del margine fra rene e muscolo psoas in seguito all’ascesso perirenale Calcificazioni renali puntiformi possono essere secondarie alla tubercolosi. Calcoli renali possono essere osservati nel 10% dei casi. Possono essere raramente osservate calcificazioni ureterali. L’urografia può essere diagnostica nelle situazioni modestamente avanzate Le alterazioni tipiche sono: 1) l’aspetto tarmato dei calici infetti ed ulcerati, 2) obliterazione di uno o più calici, 3) dilatazione dei calici dovuta ad ostruzione ureterale secondaria a fibrosi, 4) cavità asessuali in comunicazione con i calici, 5) singola o multiple stenosi ureterali con dilatazione secondaria con accorciamento e talvolta stiramento dell’uretere, 6) cessazione della funzione di un rene secondaria a completa ostruzione ureterale e distruzione renale. Se l’urografia dimostra TBC massiva in un rene non vi necessità di pielografia retrograda (UPR) da quella parte. Infatti vi è un rischio teorico di disseminazione ematica o linfatica dall’aumento delle pressione intrapelvica L’UPR può essere eseguita dal lato non sospetto per verificarne l’effettiva normalità. Questo è dimostrato se le urine di questo lato sono prive di 222

pus e bacilli tubercolari. Valutazioni strumentali Un approfondito studio cistoscopico è indicato anche se il microrganismo patogeno è stato identificato nelle urine e l’urografia V ha evidenziato le tipiche lesioni Questo studio evidenzia l’estensione della malattia La cistoscopia può evidenziare i tipici tubercoli o le ulcere TBC. La biopsia può essere eseguita se necessario. La cistografia può evidenziare reflusso VU. Un campione pulito d’urina può essere ottenuto inoltre per altri studi. Diagnostica differenziale Una cistite cronica od una pielonefrite cronica può mimare una TBC; infatti, il 15-20% dei casi di TBC sono secondariamente interessati da microrganismi piogenici Se l’infezione non specifica non risponde ad adeguata terapia una ricerca di bacilli TBC deve essere eseguita. Sono patognomonici il dolore al punto epididimario della TBC, la dimostrazione cistoscopia di tubercoli e ulcerazioni della parete vescicale L’urografia conclude la diagnosi. L’epididimite acuta o cronica non specifica possono essere confuse con la TBC, siccome l’inizio della TBC può essere occasionalmente veramente doloroso ’ raro osservare aumenti di consistenza palpabili nelle epididimite. La presenza dei bacilli TBC nella coltura urinaria è diagnostica. Talvolta la diagnosi è fatta dal patologo mediante la microscopia sull’epididimo rimosso chirurgicamente. La cistite amicrobica ha solitamente un esordio acuto ed è talvolta preceduto dalla fuoriuscita di materiale purulento dall’uretra ’ osservata piuria sterile tuttavia i bacilli sono assenti. La cistoscopia può rivelare le ulcerazioni ma esse sono acute e superficiali. Tuttavia l’urografia evidenzia modesta idroureteronefrosi non vi sono le ulcerazioni dei calici tipiche della TBC urinaria. La cistite interstiziale è caratterizzata da pollachiuria notturna e 223

dolore sovrapubico con il riempimento vescicale. Le urine sono libere da pus e bacilli TBC. Multipli piccoli calcoli o nefrocalcinosi possono suggerire i tipi di calcificazioni visti nel rene tubercolare; in questa situazione il calcio è nel parenchima tuttavia calcificazioni secondarie possono essere presenti. La papillite necrotizzante può interessare tutti i calici di un rene o di entrambi, raramente un solo calice, evidenzia lesioni caliciali (comprese le calcificazioni); questa situazione può mimare la TBC. Gli studi batteriologici non dimostrano i bacilli TBC. Il rene a spugna può evidenziare piccole calcificazioni nella parte distale dei calici; i calici possono essere stirati ma non vi sono altri segni di TBC. Nelle coccidiomicosi vi può interessamento renale od epididimario che simula la TBC. Un’altra patologia che può simulare la TBC è la bilharziosi che si può manifestare con cistite ed anche ematuria. Le contrazioni vescicali sono presenti in entrambe le patologie. La schistostomiasi può essere sospettata nelle zone endemiche; le tipiche uova sono presenti nelle urine. I reperti cistoscopici ed urografici definiscono la diagnosi. Complicanze Rene L’ascesso perinefrico può presentarsi come una massa al fianco Un RX addome a vuoto evidenzia l’obliterazione del margine fra rene e muscolo psoas. ECO e CT possono essere d’aiuto Calcolosi renale si può sviluppare se un’infezione secondaria non specifica presente L’insufficienza renale l’ultimo stadio nei casi d’interessamento bilaterale. Uretere Lesioni con stenosi sono le tipiche lesioni dell’uretere TBC ed interessano frequentemente la porzione iuxtavescicale dell’uretere Questo può causare progressiva idronefrosi; nei 224

casi d’ostruzione completa vi può essere cessazione completa della funzione renale. Vescica Nei casi interessamento massivo la parete vescicale può essere fibrotica e contratta. Stenosi e/o reflusso può causare atrofia con idronefrosi della via escretrice a monte. Genitali Nei casi d’ostruzione bilaterale della via seminale vi può essere sterilità L’ascesso dell’epididimo si può rompere nel testicolo o all’esterno attraverso la parete scrotale con apertura del tubulo spermatogenico. Trattamento La TBC deve essere trattata come una malattia generalizzata anche se dimostrata nel solo apparato genito-urinario. La terapia medica è indicata anche se è possibile la guarigione spontanea di un focus primario L’ectomia chirurgica dell’organo infetto è possibile solo in aggiunta alla terapia sistemica. TBC renale ’ indicata l’associazione di 3 farmaci fra isoniazide (200-300 mg/die), rifampicina (600 mg/die), etambutolo (25 m/kg/die), streptomicina (1 gr/die per 30 gg), pirazina 1.5-2 gr/die. Il protocollo più usato comprende isoniazide, rifampicina ed etambutolo. Esistono altri farmaci che vengono usati solo nelle forme resistenti: aminosalicylic acid (PAS), capreomycin, cycloserine, ethionamide, pyrazinamide, viomycin. Pyrazinamide può causare danni epatici. TBC vescicale La TBC vescicale è secondaria a quella renale o prostatica e risponde alla stessa terapia. Le ulcerazioni possono richiedere diatermocoagulazione. Possono rivelarsi utili l’instillazioni al 0.2% di monoxychlorosene (Clorpactin). Nei casi di vescica contratta può essere necessario l’enterocistoplastica d’ampliamento con ileo, ileo-ceco, sigma. 225

Epididimo Non si tratta di una lesione isolata essendo coinvolti i reni e/o la prostata; l’esordio in questa sede raro La terapia e quella medica solita; nei casi con ascesso o fistola si pone l’indicazione ad epididimectomia. Postata e vaschette seminali Raramente l’urologo rimuove la prostata e le vescichette interessate dalla malattia; di solito s’indica la terapia medica. I controlli evolutivi sono fatti con ricerca dei bacilli nel liquido seminale. Indicazioni generali

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CAPITOLO 12

PATOLOGIE DERMATOLOGICHE A LOCALIZZAZIONE GENITALE Maurizio Coppini

Le patologie a localizzazione genitale sono numerose e interessano, in modo interdisciplinare, differenti specialisti, dal dermatologo all’urologo, il ginecologo, lo specialista in malattie infettive e certamente, per la parte diagnostica anche il microbiologo clinico. In realtà non tutte le patologie a sede genitale sono a trasmissione sessuale ma, come vedremo, possono anche assumere aspetti di tipo infiammatorio, allergico, fino all’ insorgenza di vere e proprie neoplasie . Le MALATTIE BATTERICHE che più frequentemente possono dare localizzazioni in sede genitale sono a trasmissione sessuale; sifilide, ulcera venerea, linfogranuloma venereo, molto comuni fino agli anni 50, sono ancora presenti nel nostro paese, in particolare la sifilide , ma la loro incidenza è diminuita negli ultimi anni.

12.1 SIFILIDE Infezione causata dal Treponema pallidum, è caratterizzata da lesioni della cute e delle mucose e talvolta di altri organi. Il sifiloma rappresenta la tipica fase primaria della malattia e si localizza nelle sedi di contatto sessuale con il partner infetto. Il sifiloma è particolarmente ricco di treponemi e compare normalmente dopo circa 3 settimane dal contagio (min 7-10 giorni, max 30-40 giorni ). Più comunemente unico, talvolta, ma non 227

frequentemente, possono insorgere anche sifilomi multipli; in pochi giorni si associa una linfoadenite satellite, i linfonodi sono duri, mobili, indolenti alla palpazione, multipli, delle dimensioni di una nocciola o poco più. Il sifiloma si presenta come una papula rotondeggiante di colorito roseo, lievemente infiltrata che lentamente ingrandisce fino a raggiungere le dimensioni di 1 cm, apparendo come un nodulo di colorito talvolta rosso scuro, indolente, di consistenza papiracea Le sedi più comuni nell’uomo sono il prepuzio, il solco balano-prepuziale, il frenulo e il glande,il meato uretrale esterno, la cute dell’asta e dello scroto Nella donna sono comunemente interessate la zona vulvare , le grandi e piccole labbra e il clitoride. Il sifiloma va incontro a regressione spontanea, anche se non trattato, in 20-40 giorni, per evolvere verso la fase secondaria della malattia. La diagnosi si basa sulla ricerca diretta del Treponema pallidum nelle secrezioni del sifiloma, mediante quello che è definito esame a fresco, mediante l’utilizzo di un microscopio a campo oscuro, con condensatore paraboloide. Ma appare determinante la diagnosi sierologica per la quale si utilizzano la VDRL ( Venereal Disease Research Laboratory ) e il TPHA ( Treponema pallidum hemagglutination test ). In caso di dissociazione tra i due test si esegue FTA/ABS ( fluorescent treponemal antibody absorptiont ) o si ricorre alle più recenti tecniche di immunofluorescenza ( 19S IgM FTA/ABS ) o di emoagglutinazione (19S IgM TPHA ) o immunoenzimatico ( 19S IgM ELISA-TP ). La terapia della sifilide primaria si basa su una unica somministrazione di penicillina G benzatina e nei pazienti allergici alla penicillina, sull’ utilizzo di tetraciclica cloridrato, oppure di doxiciclina e in caso di intolleranza alle tetracicline sull’ uso di eritromicina.

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12.2 ULCERA VENEREA ’ una malattia a trasmissione sessuale provocata da Haemophilus ducrey, batterio Gram-negativo che ha una incubazione variabile dai 3-4 giorni fino ad un massimo di 2 settimane .Nell’uomo le sedi più colpite sono il glande, il frenulo, il prepuzio e il solco balano-prepuziale,l’ano; nella donna le piccole labbra, il clitoride, la cervice e l’ano Possono insorgere anche lesioni in sede extragenitale. ’ definita anche ulcera molle dal momento che è spesso associata ad una componente infiammatoria, dolente alla palpazione, a forma irregolare , ricoperta da tessuto necrotico, con bordi molli , talvolta sanguinante. Le sue dimensioni possono variare da pochi millimetri fino ad oltre 2 cm; in circa il 50% dei casi si associa ad una linfadenopatia regionale ad andamento suppurativo. Le ulcere possono essere anche multiple. La diagnosi si basa sulla ricerca ed identificazione di Haemophilus sul materiale prelevato dall’ulcera o dal linfonodo e successiva colorazione di Gram; utili anche le colture su terreni agar-sangue. La terapia più indicata utilizza i seguenti antibiotici: azitromicina ceftriaxone, ciprofloxacina oppure eritromicina.

12.3 LINFOGRANULOMA VENEREO Malattia a trasmissione sessuale di raro riscontro in Europa, particolarmente frequente nei paesi tropicali e subtropicali, ha una incubazione variabile dai tre giorni fino a tre-quattro settimane L’agente eziologico è Chlamydia trachomatis ( sierotipi L1, L2, L3 ). Nella sua forma acuta si presenta come una piccola erosione di 4-5 mm, non dolente alla palpazione, non infiltrata. Le sedi più interessate nell’uomo sono il glande, il solco 229

balano-prepuziale, il prepuzio, talvolta l’uretra; nella donna la vagina e le piccole labbra. Nei maschi omosessuali può insorgere una proctite acuta. La diagnosi si basa sull’isolamento di Chlamydia su colture cellulari, sulla ricerca diretta o anche sull’utilizzo di test di fissazione del complemento o microimmunofluorescenza. La terapia utilizza prevalentemente doxiciclina o eritromicina.

Le MALATTIE VIRALI che danno più comunemente localizzazioni in sede genitale sono i molluschi contagiosi, i condilomi e l’Herpes simplex ano-genitale.

12.4 MOLLUSCO CONTAGIOSO Si tratta di una patologia che pur colpendo prevalentemente i bambini tra i 3 e i 10 anni che si possono infettare per contatto diretto o mediante oggetti contaminati ( uso di piscine ), può anche essere trasmessa attraverso rapporti sessuali. In questi casi dopo un’incubazione di circa quattro settimane, ma tale periodo si può estendere fino a 4-5 mesi, compaiono in sede genitale delle piccole papule più frequentemente multiple, ombelicate, di colorito lucido; la diagnosi è clinica. La terapia utilizza la crioterapia con azoto liquido o il curettage delle lesioni.

12.5 CONDILOMI Causati dal papilloma virus ( HPV ) e abitualmente dai tipi 6, 11, 16, 18 e 31, si trasmettono comunemente tramite rapporti sessuali non protetti. Possono insorgere dopo varie settimane o anche mesi dal contagio e si localizzano nell’uomo prevalentemente a livello del glande, prepuzio, solco balano-prepuziale, 230

ano. Nella donna si osservano con maggiore frequenza in sede vulvare nella parete posteriore del vestibolo vaginale. Si presentano normalmente come piccole papule di 1-5 mm, a superficie granulosa, talvolta con terminazioni filiformi. Possono accrescersi a formare vegetazioni peduncolate, a cavolfiore, a superficie mammellonata ( soprattutto se in sede anale o perianale ).La diagnosi è più comunemente clinica. La terapia chirurgica dei condilomi si basa sulla crioterapia, la diatermocoagulazione e la laser terapia Quella farmacologica utilizza l’applicazione locale di imiquimod in crema al 5%; si tratta di una imidazochinolina che è in grado di determinare una risposta immunitaria locale e di conseguenza la produzione di particolari citochine. Può, però essere responsabile, nella sede d’applicazione, di una dermatite irritativa talvolta di rilevante intensità.

12.6 HERPES SIMPLEX ANO-GENITALE Infezione virale più comunemente causata dall’Herpes virus 2, si manifesta in sede genitale in circa 1-2 settimane dal contagio Le vescicole, talvolta dolorose insorgono nell’uomo a livello del glande, prepuzio, scroto oppure intorno all’ano Nella donna compaiono sulla vagina, la cervice uterina, ma anche nell’uretra La clinica non rende normalmente necessari altri approfondimenti di tipo diagnostico. Per quanto concerne la terapia, sebbene non esista una cura sempre definitiva contro l’Herpes genitale, alcuni antivirali per somministrazione orale si sono dimostrati efficaci nell’alleviare i sintomi e diminuire il rischio d’episodi futuri. Gli antivirali più usati sono l’aciclovir, il famciclovir e il valaciclovir.

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Tra le patologie infiammatorie che si localizzano con frequenza a livello delle mucose genitali maschili, vi sono certamente le BALANOPOSTITI che possono assumere aspetti molto differenti sia da un punto di vista eziologico, che clinico .

12.7 BALANOPOSTITI Con il termine di balanopostite è indicato un quadro infiammatorio tipico delle mucose genitali maschili, localizzato a livello del glande ( balanite ), del prepuzio ( postite ) o in entrambe le sedi ( balanopostite ). Nelle balanopostiti è spesso interessato il solco balano-prepuziale, area maggiormente esposta a macerazione e sovrinfezione. Tra le cause più comuni ricordiamo quelle: Di natura irritativa ( es: balanopostite traumatica o da sfregamento, balanopostite seborroica, ecc). Di natura allergica ( es: balanopostite eczematosa da contatto, da allergia al lattice del profilattico, a cosmetici, medicinali) In questi casi il sintomo prevalente è il bruciore e il prurito. Di natura degenerativa ( es: balanopostite xerotica obliterans, balanopostite pseudoepiteliomatosa cheratosica, balanopostite gangrenosa, eritroplasia di Queyrat, carcinoma squamo cellulare del glande ecc ). Di natura endocrinologica ( es: balanopostite diabetica ). Di natura infettiva ( es: balanopostite da candida, da dermatofiti, erpetica, batterica). Di natura immunologica ( es: balanopostite psoriasica, balanopostite plasmacellulare di Zoom, balanopostite aftosica, da lichen sclerosus, balanopostite circinata ). La diagnosi è prevalentemente clinica anche se in alcuni casi si 232

rende indispensabile una biopsia per esame istologico per una migliore definizione diagnostica. La terapia delle balanopostiti è ovviamente legata alla diagnosi e alla identificazione del fattore eziologico; può pertanto essere di tipo medico o anche chirurgico nelle forme di tipo degenerativo. Vi sono alcune DERMATITI ECZEMATOSE che possono dare localizzazione in sede genitale; si tratta di patologie infiammatorie della cute e delle mucose; tra queste le dermatiti irritative da contatto e le dermatiti allergiche da contatto. Tra le reazioni avverse, localizzate ai genitali e causate esclusivamente da farmaci, appare significativo ricordare l’ RIT MA FISSO

12.8 DERMATITE IRRITATIVA DA CONTATTO ( DIC ) Una scarsa igiene, un ristagno di smegma o, al contrario, un abuso di detergenti può causare un quadro irritativo cutaneo e/o mucoso ovverosia una dermatite irritativa da contatto delle mucose genitali. Frequentemente vengono utilizzati saponi e detergenti “aggressivi “ oppure medicamenti topici “irritanti “ al fine di prevenire o trattare una eruzione cutanea o nell’illusione di prevenire una eventuale malattia a trasmissione sessuale: Molte soluzioni , se irritanti, possono provocare a livello delle mucose genitali maschili o femminili l’insorgenza di eritema, edema e nei casi più severi bolle ed erosioni. Il trattamento è ovviamente rappresentato dalla sospensione dell’uso dei detergenti irritanti e dall’utilizzo d’impacchi lenitivi ( soluzione fisiologica, acqua borica ) e/o di cortisonici topici.

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12.9 DERMATITE ALLERGICA DA CONTATTO ( DAC ) A livello delle mucose genitali maschili e femminili la DAC si manifesta con la comparsa di vescicolazione , eritema e frequentemente edema . Il lattice dei condoms è frequentemente causa di DAC insieme a gel lubrificanti, spermicidi e numerose altre sostanze sensibilizzanti. Anche medicamenti ad uso locale ( quali neomicina, mercurio, lanolina ed essenze profumate presenti in deodoranti, profumi, detergenti o i loro additivi ) possono essere spesso causa di DAC in sede balano prepuziale e vulvare. Da un punto di vista diagnostico, oltre all’anamnesi, acquista importanza l’esecuzione delle prove epicutanee ( patch test ) che possono fornire indicazioni sull’eziologia e sui rimedi possibili. La terapia si basa sull’utilizzo di cortisonici topici e/o sistemici.

12.10 ERITEMA FISSO ’ indotto da medicamenti, sia per quanto concerne l’uso improprio di determinati farmaci, sia per quanto concerne le “ reazioni da farmaco “ propriamente dette L’eritema fisso insorge dopo poche ore ( massimo 24-48 ore ) dall’assunzione del farmaco responsabile e si localizza con maggiore frequenza a livello dei genitali esterni anche se altre sedi extra genitali possono essere interessate ’ caratterizzato da eritema, edema e talvolta dalla comparsa di lesioni bollose; le chiazze sono di colorito rosso-violaceo e si associano a bruciore urente. Regrediscono spontaneamente lasciando esiti pigmentari dopo duetre settimane dalla sospensione del farmaco responsabile. I farmaci che più comunemente sono responsabili di questa reazione avversa in sede genitale sono ASA, pirazolonici, paracetamolo, penicillina, sulfonamidi, tetracicline. 234

A livello delle mucose genitali possono infine manifestarsi anche delle vere e proprie displasie epiteliali che chiamano in causa nell’ approccio diagnostico e in particolare terapeutico non solo il dermatologo , ma per la parte chirurgica, anche l’ urologo.- Tra queste va ricordata l’ RITROPLASIA DI QUEYRAT.

12.11 ERITROPLASIA DI QUEYRAT ’ considerata la malattia di Bowen del glande e del prepuzio; ovverosia una forma di carcinoma spinocellulare intraepidermico ( in situ ). Si presenta come una chiazza rossa, ben circoscritta, talvolta lievemente protuberante e dalla superficie lucida e desquamante, asintomatica. Circa il 50% dei pazienti ha linfonodi inguinali palpabili, ma nella metà dei casi si tratta di linfonodi “ reattivi “ non di localizzazioni metastatiche ’ importante ricordare che il carcinoma del pene è più frequente tra gli uomini non circoncisi e tra quelli con storie ripetute di malattie a trasmissione sessuale. La biopsia e l’esame istologico sono normalmente indispensabili per chiarire la diagnosi . La terapia migliore, qualora la lesione non sia di grandi dimensioni, resta l’escissione chirurgica, ma anche la diatermocoagulazione e la laser terapia CO 2- pulsata.. In altri casi particolarmente estesi può essere utile l’applicazione locale di imiquimod o di 5-fluorouracile.

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CAPITOLO 13

UROLITIASI Paolo Traverso De Historiae Lithotomiae CRONOLOGIA 400 a.C. 30 d.C. 129 X sec. 1520 XVII sec. 1719 1806 1824 1877 1877 1912 1945 1953 1955 1959 1964 1970 1977 1979 1980 1988

AUTORI IPPOCRATE sentenzia: “Non praticherai il taglio della pietra ” CELSO descrive la litotomia perineale GALENO approfondisce le conoscenze anatomiche per il trattamento litotomico ABU AL-QUASIM KHALAF esegue la prima litotomia endoscopica “cieca” nella donna ROMANIS e SANTO litotomia perineale modificata FRERE JAQUES esegue circa 5000 litotomie itineranti DOUGLAS esegue la prima litotomia sovrapubica BOZZINI pioniere del concetto di endoscopia CIVIALE sviluppa la litotrissia “cieca” BIG LOW migliora la litotrissia e sviluppa la litolapassi “cieca” NITZE realizza un sistema ottico per visualizzare le vie urinarie con una fonte di luce interna YOUNG esegue “accidentalmente” la prima ureteroscopia DOURMASHKIN esegue la prima dilatazione ureterale MULVANEY pioniere degli ultrasuoni GOODWIN esegue l’ accesso percutaneo al rene GOLDBERG realizza la litotrissia elettroidraulica MARSHALL produce un prototipo di ureteroscopio BUSH eTAKAGI promuovono l’ureteroscopia flessibile KURTH documenta la prima litotrissia con ultrasuoni BUSH realizza la primaframmentazione elettroidraulicadi un calcolo renale con ureterorenoscopio Prima litotrissia con onde d’urto extracorporea (ESWL) su un paziente La litotrissia LASER è una realtà documentata

La calcolosi urinaria è una patologia determinata dalla precipitazione nelle cavità escretrici urinarie di costituenti poco solubili dell'urina con formazione di aggregati cristallini di dimensioni e composizione chimica variabili. 237

Rappresenta una patologia alquanto frequente nel mondo occidentale: circa il 2-3% della popolazione sviluppa infatti nel corso della vita almeno un episodio di calcolosi e l'incidenza di nuovi casi/anno si aggira attorno allo 0.10.2%. In Italia si stima che la calcolosi urinaria primitiva o recidiva colpisca circa 250.000 persone all'anno, in 40.000 delle quali sono richiesti uno o più trattamenti per la completa clearance. Recentemente è stata rilevata una tendenza all'aumento della prevalenza della calcolosi delle vie urinarie superiori soprattutto nei Paesi industrializzati, probabilmente per una più elevata assunzione di proteine con la dieta. Il picco d’incidenza per tale patologia si colloca tra la terza e la quinta decade di vita con predilezione per il sesso maschile (con rapporto 2-3:1), fatta eccezione per i calcoli di struvite, appannaggio principalmente del sesso femminile. La percentuale di recidive è stimata tra il 50% e il 70% dei casi. Essa si localizza prevalentemente (97% dei casi) a livello del rene e dell’uretere mentre solamente nel 3% dei casi interessata primitivamente la vescica. I calcoli urinari possono essere distinti in base alla loro composizione chimica e al tipo di struttura cristallina nei seguenti sottotipi:

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13.1 TIPOLOGIA DI COMPOSIZIONE Ossalato di calcio puro

33%

Ossalato e fosfato di calcio

34%

Fosfato di calcio puro

6%

Triplofosfato di calcio-ammonio e magnesio

15%

Acido urico

8%

Cistina

3%

Altro

11%

13.2 CAUSE E FATTORI DI RISCHIO Si ha la formazione di calcoli renali (nefrolitiasi) quando la concentrazione urinaria di un soluto supera la sua capacità di rimanere in soluzione. Quindi i calcoli si formano quando vi è un eccesso di uno ione nelle urine o quando le condizioni fisico chimiche dell'urina (ad esempio il pH) interferisce con la solubilità della sostanza stessa causandone la precipitazione e la deposizione sotto forma di calcoli.
E' nota da lungo tempo una predisposizione familiare ed ereditaria alla formazione di calcoli. Molti dei problemi congeniti metabolici come la gotta, la cistinuria e l'iperossaluria, rappresentano buoni esempi di malattia ereditaria caratterizzata da eccessiva produzione delle sostanze che formano calcoli. 
Nella tabella seguente vengono riassunte in generale cause e fattori di rischio:

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Esordio di malattia in giovane età (prima dei 25 aa) Calcoli contenenti brushite (idrossifosfato ci calcio) Forte familiarità per formazione di calcoli Malattie associate alla formazione di calcoli: ◦ Iperparatiroidismo ◦ Acidosi tubulare renale ◦ Cistinuria ◦ Iperossaluria primaria ◦ Bypass digiuno-ileale ◦ Malattia di Crohn ◦ Sindromi da malassorbimento ◦ Resezione intestinale ◦ Sarcoidosi ◦ Ipertiroidismo Anomalie associate alla formazione di calcoli: ◦ Ectasia dei tubuli (rene a spugna midollare) ◦ Ostruzione del Giunto Pielo-Ureterale ◦ Diverticolo caliceale, cisti caliceale ◦ Stenosi ureterale ◦ Reflusso vescico-ureterale ◦ Rene a ferro di cavallo ◦ Ureterocele

I fattori responsabili della formazione e crescita di un calcolo urinario quindi sembrano essere molteplici. In particolare rivestono un ruolo fondamentale l'eccessiva concentrazione di soluti litogeni nell'urina (sovrasaturazione urinaria) che provoca la formazione di particelle elementari (cristalli) e la carenza di sostanze inibenti la cristallizzazione e l'aggregazione dei cristalli stessi. Altri possibili fattori che concorrono nella formazione dei calcoli sono rappresentati dalla stasi urinaria, determinata da un ostacolo totale o parziale al deflusso delle urine nelle vie escretrici e dalla presenza di un'infezione urinaria. 240

13.2.1 Ipercalciuria ’ l'escrezione di calcio urinario in quantità maggiore di 200mg in una raccolta di urina nelle 24 ore, o oltre i 4mg/kg nelle 24 ore. L'ipercalciuria è l'anormalità metabolica più comune in pazienti con calcoli renali calcarei ed ha cause diverse.
Un assorbimento eccessivo di calcio da parte dell'intestino è causa di una quantità troppo elevata di calcio in circolo che viene filtrato a livello renale, ma una maggiore escrezione di calcio nelle urine può essere causata anche da un problema nell'assorbimento a livello dei tubuli renali. Anche l'iperparatiroidismo può essere un fattore di rischio per questo tipo di calcoli. Vediamo schematicamente le possibili cause d’ipercalcemia correlate a ipercalciuria: Eccessiva secrezione di paratormone  Iperparatiroidismo primario  Dopo trapianto renale  Terapia con litio Neoplasie maligne  Sindromi paraneoplastiche ◦ Ca squamoso del polmone ◦ Ca renale (pancreas, fegato, ovaio, utero, vescica)  Infiltrazione ossea ◦ Metastasi da ca polmone, mammella ◦ Mieloma multiplo, linfoma, leucemia Eccessiva attività della vitamina D  Eccesso di vitamina D  Ipercalcemia idiopatica dell’infanzia  Malattia granulomatosa ◦ Sarcoidosi, tubercolosi, silicosi, lebbra Eccessivo apporto di calcio Aumentato turn-over osseo  Tireotossicosi 241

 Osteoporosi progressiva del bambino  Morbo di Paget Altre cause  Insufficienza surrenalica, terapia con diuretici tiazidici, periostite diffusa, ipotiroidismo, AIDS, feocromocitoma, intossicazione da vit.A 13.2.2 Iperuricosuria L'acido urico è il prodotto terminale del metabolismo delle purine ed è derivato sia da fonti esterne (dieta) che prodotto dal normale metabolismo cellulare. L'acidosi metabolica cronica può causare un aumento dell'escrezione di sali di acido urico e formazione di calcoli renali, ma generalmente la causa di calcoli renali di acido urico è un basso pH delle urine. 
 Cause di aumentata escrezione di acido urico possono essere: Associata a iperuricemia  Gotta  Glicogenosi  Sindrome di Lesch-Nyhan  Altri difetti enzimatici  Malattie mieloproliferative Associata a iperuricosuria  Eccessivo apporto dietetico  Difetto del riassorbimento tubulare  Farmaci uricosurici Disidratazione  Patologie gastrointestinali  Perdite cutanee 13.2.3 Iperossaluria ’ la condizione per cui si ha escrezione urinaria di ossalato superiore a 45mg/giorno, e le cause possono essere un aumento 242

di assorbimento intestinale causato da malattie all'ileo (come ad esempio il morbo di Crohn), o altre cause, fra cui la scomparsa dall'intestino di Oxalobacter formigenes, un batterio che lisa l'ossalato prodotto o introdotto nella dieta, da cibi come spinaci, cioccolata, cibi a base di soia, e altri. 13.2.4 Ipocitraturia Il citrato escreto con le urine orma un complesso solubile col calcio che inibisce la formazione di cristalli. Una ridotta escrezione di citrato è fonte di rischio per la formazione di calcoli. Bisogna ad esempio considerare l’acidosi tubulare renale distale in caso di: Ipocitraturia, ipopotassiemia, pH urinario alto 13.2.5 Cistinuria La cistinuria è una malattia ereditaria. Per un difetto metabolico si verifica un deficit di trasporto di quattro aminoacidi dibasici (arginina, lisina, ornitina e cistina) che comporta un notevole incremento di escrezione urinaria dei quattro aminoacidi. Si formano così precipitati di cristalli di cistina senza soluzione di continuità. Clinicamente la cistinuria è caratterizzata, oltre che da una calcolosi renale recidivante, anche da pielonefrite cronica e da ipertensione arteriosa. 13.2.6 Infezioni Le infezioni urinarie possono essere responsabili di calcoli formati da struvite: un insieme di magnesio, ammonio e fosforo. Questi calcoli sono prodotti da alcuni batteri (detti ureolitici) principalmente del gruppo Proteus, che producono un enzima, l'ureasi, che scinde l'urea (un costituente dell'urina) in ammoniaca e bicarbonato. Questa reazione rende molto alcalina l'urina, favorendo la precipitazione dei cristalli di struvite.

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13.3 SINTOMATOLOGIA Il quadro clinico della calcolosi urinaria, nella maggior parte dei casi completamente asintomatica, può essere caratterizzato da dolore di tipo colico, improvviso, molto intenso, localizzato in regione lombare e spesso irradiato lungo il decorso dell'uretere, fino alla vescica e ai genitali omolaterali, da ematuria microscopica e meno frequentemente macroscopica (20-30%). Frequentemente si associa una sintomatologia generale caratterizzata da nausea, vomito, tachicardia e febbre modesta. Nel caso in cui la calcolosi sia associata ad un'infezione delle vie urinarie possono essere presenti febbre elevata associate a brivido scuotente e disturbi minzionali, quali aumento della frequenza minzionale e minzione dolorosa. Questi ultimi possono essere presenti isolati anche in caso di calcoli localizzati nel tratto terminale dell'uretere.

 I disturbi minzionali quali disuria stranguria ed ematuria, compresa la ritenzione urinaria (completa o incompleta), costituiscono i sintomi predominanti di presentazione della litiasi vescicale.

13.4 DIAGNOSI Di seguito sono elencati I punti fondamentali dell’approccio diagnostico al Paziente con sospetta litiasi urinaria. 13.4.1 Anamnesi ’ utile intervistare il paziente sui seguenti aspetti:  Storia di pregressa calcolosi  Anamnesi familiare di calcolosi o di malattie renali ereditarie (acidosi tubulare, cistinuria)  Iperuricemia 244

  

Uso di farmaci Abitudini alimentari Malattia infiammatoria intestinale

13.4.2 Esame obiettivo: In fase acuta (colica): il Paziente è agitato, non trova conforto in alcuna posizione, a differenza del dolore legato a risentimento peritoneale.  Addome trattabile, Blumberg negativo, il dolorabile si localizza al fianco interessato con positività dei punti ureterali  Manovra di Giordano positiva 13.4.3 Esami di laboratorio Urine  Esame delle Urine e del Sedimento eventuale Urinocoltura  Dosaggio Urinario di Citrati Ossalati Calcio e fosforo Ematochimici  Creatininemia Azotemia Uricemia  Ionogramma completo  Paratormonemia  Test da carico di Calcio - Test di Brand (sospetta Cistinuria) 13.4.4 Ecografia addominale E’ in grado di identificare possibili dilatazioni (idroureteronefrosi) del rene e delle vie urinarie o la presenza stessa dei calcoli nelle cavità renali. ’ l'esame più utilizzato, ma la sua sensibilità può essere ridotta: i calcoli 245

ureterali sono raramente visualizzabili e l'identificazione del livello e della causa di un eventuale ostruzione poco affidabili. L’ecografia

risulta più affidabile a livello del tratto intramurale e prevescicale dell’uretere e della vescica 13.4.5 Radiografia diretta dell’addome Identifica i calcoli radiopachi (il 90%) che possono però essere mascherati da feci, aria intestinale o strutture ossee (sensibilità 45-50%, specificità 70 %). Calcoli di acido urico, cistina o fosfato-magnesio-ammonio possono essere difficili o impossibili da visualizzare in quanto radiotrasparenti. La radiografia diretta dell’addome permette anche di studiare le formazioni litiasiche nella sequenza fotografica temporale nel caso di Follow-up dei trattamenti di Litotrissia Extracorporea (ESWL) o di delle procedure sequenziali di trattamento endoscopico operative (Ureteroscopia e Litotrissia Percutanea). 13.4.6 TC Addominale spirale senza mdc ’ oggi riconosciuta quale tecnica maggiormente accurata per il rilevamento dei calcoli ureterali, con una sensibilità del 95-100%. Recentemente alcuni studi hanno riportato che la TC a basso dosaggio (LDCT), rispetto a quella standard, mantiene un'elevata accuratezza diagnostica per la valutazione dei dolori ai fianchi. La sostituzione della RX diretta c on la LDCT ridurrebbe la necessità di altri TC o ecografie, e inoltre la LDCT consente di ridurre del 50 percento la dose media di radiazioni per paziente, senza al246

cun lato negativo per gli esiti del paziente in termini di necessità di ricovero o procedure chirurgiche. Altri esami indicati in casi selezionati sono: la Rx Urografia con MDC e la Risonanza Magnetica Nucleare.

13.5 TERAPIA 13.5.1 Terapia Medica La terapia medica della nefrolitiasi si propone di prevenire le recidive, di impedire l’accrescimento di calcoli già presenti o di ottenere la dissoluzione completa o parziale del calcolo. Questi obiettivi sono raggiunti attraverso la terapia idropinica, dietetica e farmacologica mediante la riduzione della saturazione urinaria dei sali litogeni e con l’incremento della concentrazione urinaria degli inibitori della formazione, dell’accrescimento e dell’aggregazione dei cristalli . Il trattamento della calcolosi reno-ureterale in atto, fino a pochi anni or sono essenzialmente chirurgico, ha di recente subito uno straordinario cambiamento con l’ampia introduzione nella pratica clinica del trattamento extracorporeo a onde d’urto La terapia medica si pone come logico e necessario complemento alla terapia extracorporea o chirurgica per un più completo trattamento della calcolosi renale al fine di un’efficace prevenzione secondaria. L’etiologia della urolitiasi diversa a seconda della natura del calcolo, per cui la definizione della sua composizione chimica e lo studio del paziente per l’identificazione dei fattori di rischio litogeno, sono la necessaria premessa ad una concreta terapia idropinica, dietetica e, se necessario, farmacologica . Il primo provvedimento terapeutico, valido per tutti i tipi di nefrolitiasi, è la terapia idropinica. Questa consiste nell’introduzione di un’elevata quantità di liquidi, distribuiti 247

uniformemente in tutta la giornata, per ottenere una diuresi giornaliera superiore a 2 litri, valore oltre il quale l’efficacia della terapia idropinica diventa significativa. La terapia medica specifica relativa ai vari tipi di aggregati litiasici è approfondita nella sezione in appendice. Sollievo del Dolore Il sollievo del dolore solitamente costituisce lo step terapeutico più urgente in un paziente con colica renale acuta. Tra gli analgesici si utilizzano i FANS per sfruttare le proprietà antiinfammatorie ed i morfinosimili per le proprietà miorilassanti sulla muscolatura liscia dell’uretere

13.5.2 Terapia Chirurgica Premessa I calcoli che sono espulsi spontaneamente, rimossi chirurgicamente, o espulsi sotto forma di frammenti a seguito di litotrissia, dovrebbero essere soggetti ad analisi al fine di determinarne la composizione. Le metodiche di analisi scelte sono la cristallografia a raggi X e la spettroscopia a infrarossi. Almeno un calcolo di ogni paziente dovrebbe essere analizzato. La ripetizione dell’analisi indicata nel caso in cui si ritenga che cambiamenti nella composizione delle urine dovuti a trattamento farmacologico, abitudini alimentari, ambiente o malattie abbiano influenzato la composizione del calcolo. Indicazioni alla rimozione del calcolo Le dimensioni, la sede e la forma del calcolo alla prima presentazione sono fattori che influenzano la decisione di rimuovere un calcolo. Deve essere inoltre valutata la probabilità di espulsione spontanea che deve essere prospettata in più dell’80% dei calcoli < 4 mm di diametro. Per i calcoli con diametro > 7 mm 248

le chance di espulsione spontanea sono veramente basse. Il tasso globale di espulsione dei calcoli ureterali è:   

uretere prossimale 25% uretere medio 45% uretere distale 70%

La rimozione del calcolo è indicata per calcoli superiori a 6-7 mm di diametro. Alcuni studi hanno dimostrato che i calcoli asintomatici nel rene alla fine danno problemi clinici. ’ stato inoltre osservato che calcoli piccoli (< 6-7mm) in un calice possono causare considerevole dolore . Questi calcoli dovrebbero essere rimossi con una tecnica la meno invasiva possibile. Un colletto caliciale stretto può richiedere dilatazione. Legenda delle metodiche di trattamento della calcolosi urinaria ESWL Extracorporeal Shock Wave Lithotripsy PNL

Litotrissia Percutanea

URS

Ureterorenoscopia

ELT

Elelttrolitotrissia (trattamento dei calcoli vescicali)

Chirurgia a cielo aperto Con il progresso tecnologico della ESWL e della endourologia (PNL e URS) si è assistito ad una netta diminuzione delle indicazioni alla chirurgia tradizionale per il trattamento della calcolosi urinaria. In centri di riferimento attualmente tale indicazione si attesta intorno all’1/5% dei casi Vi ad ogni modo un consenso generale sul ricorso alla chirurgia in casi selezionati, in genere caratterizzati da una particolare difficoltà di interven249

to che richiede una elevata specializzazione ed esperienza, soprattutto nelle fasi ricostruttive. Una indicazione alla chirurgia più essere valida nel caso di calcoli ostruenti localizzati nei calici, con probabile e preventivabile scarsa efficacia di PNL ed ESWL.

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CAPITOLO 14

IPERPLASIA PROSTATICA BENIGNA Alchiede Simonato, Virginia Varca Consiste nell’iperplasia della componente parenchimale e stromale della ghiandola prostatica, il che spiega anche la denominazione di Adenoma prostatico. L’IPB si sviluppa a livello della zona centrale in contatto con l’uretra prostatica e a livello della zona transizionale Intorno all’età di 35 aa, l’iperplasia prostatica si sviluppa sotto forma di microscopici noduli iperplastici che con il passare degli anni aumentano di volume e numero causando la compressione e la distorsione dell’uretra prostatica che determina l’ostruzione urinaria Nonostante l’iperplasia prostatica benigna (IPB) sia uno delle patologie più comuni dell’uomo anziano, poco si sa sulla sua eziologia e fisiopatologia, infatti, la compressione determinata dalla massa prostatica iperplastica, spiegherebbe solo in parte la sintomatologia tipica dalla quale è caratterizzata. Ora è chiaro che una parte significativa della sintomatologia è legata all’ostruzione e alla disfunzione del detrusore vescicale indotta dall’età

14.1 EPIDEMIOLOGIA La prostata va incontro a una crescita significativa nel corso dello sviluppo fetale, della pubertà e, in molti uomini, nel corso della tarda età media. Alla fine della pubertà raggiunge approssimativamente 26 gr di peso e tale si mantiene a meno che non si sviluppi un IPB All’inizio della quarta decade solo l’8% dei pazienti ha un IPB istopatologica, al contrario nella fascia di 251

età tra i 50 e 60 anni e quella di età superiore agli 80 anni, dove tale evidenza raggiunge rispettivamente il 50 e il 90 %. Uno studio sulle lesioni dell’IPB rimosse mediante enucleazione al Johns Hopkins Hospital (Berry e Coll., 1984) dimostra che la crescita dell’IPB inizia più probabilmente prima che il paziente compia i 30 anni di età. Inoltre, è stato dimostrato che la crescita prostatica è molto lenta negli anziani e che la progressione dei sintomi in tale gruppo di pazienti, potrebbe essere dovuta a fattori non prostatici, come una disfunzione del detrusore vescicale. Fattori di rischio  L’età avanzata e un normale stato ormonale con presenza di androgeni costituiscono i maggiori fattori di rischi per l’IPB; la malattia non si osserva infatti negli uomini di 20 anni e in quelli castrati prima della pubertà;  Ad eccezione di una bassa prevalenza degli uomini giapponesi, non sono evidenti delle chiare differenze razziali nella prevalenza dell’IPB da un punto di vista istopatologico e delle dimensioni prostatiche;  Studi epidemiologici non hanno riscontrato alcuna associazione, oppure hanno riscontrato una debole associazione, tra fumo e IPB trattata chirurgicamente;  L’obesità può dare origine a un aumento delle dimensioni prostatiche, ma la prevalenza del trattamento per IPB è identica o più bassa rispetto a quella degli uomini con massa corporea normale; In conclusione gli studi epidemiologici non sono stati in grado di rilevare chiari fattori di rischio diversi dall’età, che influenzino la prevalenza dell’IPB. Comunque gli studi genetici sulla popolazione, dimostrano un aumento del rischio legato alla familiarità.

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14.2 EZIOLOGIA Non è ancora chiara, anche se molte ipotesi sono state proposte. Un’ipotesi che l’IPB sia il risultato di una reinduzione della capacità del mesenchima del seno urogenitale di proliferare e formare tessuto prostatico. Una seconda teoria ipotizza che l’IPB avvenga come il risultato di cambiamenti nel substrato ormonale Nell’adulto i livelli sierici di testosterone si riducono, mentre il livello relativo degli estrogeni aumenta. Ciò è correlato sia a una diminuzione assoluta dei livelli di testosterone che a un aumento della conversione del testosterone sierico nel tessuto adiposo periferico in estrogeno. Si sa anche che l’estrogeno gioca un ruolo importante nell’indurre la proliferazione del tessuto stromale, il quale è il più rappresentato quantitativamente nell’IPB e indurrebbe a sua volta l’iperplasia epiteliale

14.3 QUADRO CLINICO I sintomi dell’IPB possono essere classificati come di natura ostruttiva e di natura irritativa. Tra i sintomi ostruttivi, una diminuzione della forza e del calibro del mitto, dovuta a compressione uretrale, è uno dei più precoci e costanti reperti dell’IPB L’esitazione a iniziare la minzione accade perché il detrusore ha bisogno di un periodo di tempo più lungo per generare l’iniziale aumento di pressione per vincere la resistenza uretrale L’intermittenza accade perché il detrusore incapace a sostenere l’aumentata pressione fino al termine della minzione. I gocciolamenti terminali e l’incompleto svuotamento occorrono per la stessa ragione, ma potrebbero essere anche dovuti a tessuto prostatico ostruttivo a livello del collo vescicale che causi un effetto di valvola a pal253

la. Tra i sintomi di natura irritativa, la pollachiuria e la nicturia, avvengono per diverse ragioni Per prima cosa, l’incompleto svuotamento vescicale determina un minore intervallo tra le due minzioni. Come secondo motivo, la presenza di una prostata aumentata di dimensioni, stimola la vescica a scattare verso una risposta minzionale più frequentemente che negli individui normali, specialmente se la prostata cresciuta all’interno della vescica e ne compromette il volume. Altri fattori coinvolti includono l’aumento di eccitabilità di un detrusore ipertrofico a minimi cambiamenti di volume L’aumentata frequenza minzionale notturna (nicturia), si genererà perché le normali inibizioni corticali sono minori ed anche perché il normale tono uretrale e sfinterico durante il sonno sono ridotti. L’urgenza minzionale e la disuria sono legati all’incapacità allo svuotamento nonostante l’aumentata pressione detrusoriale, dovuta all’inadeguato rilassamento sfinterico e infine alla presenza d’infezioni e calcolosi urinaria (risultato di una prolungata stasi di urine all’interno della vescica) L’incontinenza non un sintomo comune dell’IPB, sebbene con l’avanzare della malattia, un progressivo aumento del residuo post-minzionale determini una debolezza dello sfintere, che tende ad aprirsi con conseguente fuga di urine in piccola quantità. La stasi cronica di urina in vescica determina una progressiva dilatazione dell’uretere e della pelvi, la quale infine conduce al danno funzionale renale, che potrebbe essere aumentato da un’infezione ascendente con pielonefrite. Una ritenzione acuta di urina nei pazienti con IPB, può verificarsi sia per un aumento delle dimensioni della ghiandola, sia indipendentemente da questa. In questo caso fattori scatenanti possono essere: Bassa temperatura ambientale, consumo alcolico, farmaci anticolinergici, alfa-adrenergici, psicotropi e il trascurare il primo stimolo a urinare. 254

Un’ostruzione di vecchia data può determinare un reflusso vescico-ureterale cronico con dilatazione delle vie urinarie a monte, fino all’instaurarsi di una insufficienza renale, e possono così evidenziarsi i sintomi dell’uremia. Nelle fasi tardive dell’IPB, un elevato residuo post-minzionale e il reflusso vescico-ureterale cronico, predispongono all’insorgenza di cistiti e pielonefriti, con la sintomatologia a queste correlata.

14.4 DIAGNOSI L’insieme dei sintomi comunemente definito prostatismo, non specifico dell’IPB Nell’individuo anziano tale corteo sintomatologico può essere legato a una serie di patologie del basso tratto urinario. Tuttavia le cause non prostatiche dei sintomi, nella maggior parte dei casi, possono essere escluse sulla base dell’anamnesi, dell’esame obiettivo e dell’esame delle urine Eventuali altri test diagnostici supplementari si rendono necessari nei pazienti con diagnosi iniziale poco chiara dopo la prima valutazione. L’anamnesi dovrebbe essere focalizzata sul tratto urinario, tendente a rilevare pregressi atti chirurgici, malattie del sistema nervoso ( M. di Parkinson, ictus, etc.) eventuali terapie assunte dal paziente, come farmaci in grado di ridurre la contrattilità detrusoriale (anticolinergici) o aumentare la resistenza allo svuotamento (simpatico mimetici). L’esame obiettivo deve sempre comprendere un’accurata esplorazione digito rettale della prostata e un esame neurologico mirato. Tali esami vanno eseguiti per escludere la presenza di malattie neoplastiche della prostata o del retto per valutare il tono dello sfintere anale e per escludere qualsiasi problema neurologico in grado di provocare la sintomatologia riferita dal paziente L’esplorazione rettale stabilisce inoltre le dimensioni 255

approssimative della ghiandola prostatica, parametro fondamentale per scegliere l’eventuale approccio chirurgico più appropriato. Tuttavia le dimensioni prostatiche non dovrebbero essere considerate nella decisione riguardo alla necessità di un trattamento attivo, perché le dimensioni della ghiandola non sono sempre correlate alla severità della sintomatologia e al grado di ostruzione. L’esame dell’addome può rivelare un rene palpabile o un rigonfiamento al fianco qualora vi sia idronefrosi; una vescica distesa può essere rilevata alla palpazione (globo vescicale) e alla percussione. ’ sempre buona norma eseguire un accurato esame dei genitali esterni tendente a escludere eventuali stenosi del meato uretrale esterno o masse uretrali palpabili. L’esame delle urine sia mediante stick sia analizzando il sedimento, permette di escludere infezioni delle vie urinarie o ematuria. Tuttavia non è sufficientemente provato che l’esame delle urine costituisca un’efficace procedura di screening per uomini asintomatici e resta ancora da provare la sua efficacia per la diagnosi e intervento precoce in pazienti con IPB L’esame citologico delle urine dovrebbe essere preso in considerazione nei pazienti con grave sintomatologia irritativa, soprattutto se sono (o sono stati) fumatori. La valutazione della creatininemia dovrebbe essere eseguita in tutti i pazienti con prostatismo per escludere un’insufficienza renale causata da emopatia ostruttiva. Importante rilevare che l’IPB può coesistere con il cancro della prostata nello stesso paziente; per tale motivo il dosaggio del PSA associato ad esplorazione rettale, aumentano la percentuale di diagnosi di carcinoma prostatico più della sola esplorazione rettale. Il 28% dei pazienti con IPB accertata istologicamente ha un livello sierico di PSA superiore a 4,0 ng/ml. Da tener presente nella valutazione del paziente con IPB trattato con soppressione androgenica (es. Finasteride o Dutasteride) che i 256

valori del PSA sierico vengono approssimativamente ridotti del 40 - 50% dopo 3 - 6 mesi di terapia. La valutazione dei sintomi rappresenta un momento fondamentale nell’inquadramento del paziente con IPB A tale proposito l’IPSS (Indice Sintomatologico dell’AUA) rappresenta uno strumento importante per consentire la valutazione della gravità dei sintomi in paziente con prostatismo. Quando si usa l’IPSS i sintomi vengono classificati come lievi (da 0 a 7), moderati ( da 8 a 19) o gravi (da 20 a 35) L’IPSS tuttavia non può essere utilizzato per porre diagnosi di IPB, bensì rappresenta lo strumento ideale per misurare la gravità dei sintomi alla prima visita, valutare la risposta alla terapia e scoprire la progressione dei sintomi nei pazienti sottoposti a vigile attesa. L’uroflussometria che consente di misurare il tempo di minzione e il flusso urinario in ml/secondo, permette una valutazione del grado di ostruzione oggettiva e indipendente dalla descrizione dei sintomi fatta dal paziente ed è di guida per valutare i risultati della terapia. Diagnostica per immagini Il ruolo della diagnostica per immagini nell’IPB è di: Determinare il volume della ghiandola prostatica; Determinare il grado di disfunzione vescicale e la quantità di urine residue nella vescica dopo la minzione; Escludere altre patologie.  Uro-TC Tale esame permette, in presenza di ematuria di escludere deficit di riempimento a livello vescicale, ureterale e pielocaliceale, offre informazioni anche sugli organi vicini  Pielografia retrograda ’ una tecnica molto precisa nell’individuare difetti di riempimento nella pelvi renale e nell’uretere  Ecografia. ’ un’indagine fondamentale nella valutazione dell’IPB, a causa del basso costo, della mancanza di effetti collaterali e della sua versatilità. 257

Un’ecografia completa delle vie urinarie può consentire l’individuazione di masse renali clinicamente silenti (incidentalomi), differenziando quelle solide da quelle cistiche, inoltre permette di individuare agevolmente un’eventuale dilatazione delle alte vie urinarie. Nella valutazione delle basse vie urinarie nell’IPB, l’ecografia è utile per valutare la vescica, il volume della stessa, della prostata, il suo aggetto endovescicale e la quantità di residuo postminzionale L’ecografia anche utile per scoprire la presenza di calcoli vescicali, di diverticoli, di tumori vescicali di dimensioni tali da renderne apprezzabile l’aggetto endovescicale Fondamentale è la tecnica nel determinare le dimensioni della ghiandola prostatica; tale parametro, qualora si dia l’indicazione a un approccio di tipo chirurgico, è dirimente nella scelta della tecnica da utilizzare, infatti per dimensioni inferiori ai 60 cc trova indicazione un approccio endoscopico transureterale, viceversa per dimensioni superiori si predilige quello open per via trans-vescicale. La valutazione ecografica dei diametri prostatici, può avvenire con accesso sovrapubico o trans-rettale, secondo l’esperienza del nostro Istituto della maggior parte dei centri, l’ecografia prostatica trans-rettale (TRUS), risulta più accurata nella valutazione dei diametri prostatici. Per valutare il volume prostatico bisogna misurare ecograficamente i tre diametri: anteroposteriore, coronale e sagittale; il volume è determinato utilizzando la seguente formula: Volume = 0.52 x D1 x D2 x D3, dove D risultano essere i diametri nelle tre dimensioni. Infine la TRUS consente di scoprire all’incirca i 2/3 dei carcinomi prostatici di dimensioni maggiori a 5 mm che si presentano nella porzione periferica della ghiandola. 14.5 TERAPIA Poiché la storia naturale dell’IPB non invariabilmente progressiva, la necessità dell’intervento terapeutico nel singolo pa258

ziente dipende dalla gravità dei sintomi e dall’eventuale presenza di complicanze. L’approccio terapeutico può essere di tipo farmacologico o chirurgico. Indicazioni assolute all’intervento chirurgico sono:  Sintomi ostruttivi severi;  Ripetuti episodi di Ritenzione acuta di urina dovuta all’ IPB;  Segni di dilatazione delle alte vie urinarie ed insufficienza renale.  Diverticoli vescicali Le indicazioni relative sono:  Sintomi ostruttivi moderati ma resistenti alla terapia medica;  Infezioni ricorrenti del tratto urinario;  Ematuria. Tuttavia in molti casi si preferisce anticipare la terapia chirurgica con la finalità di ridurre la sintomatologia, migliorare la qualità della vita ed evitare le sequele legate a una prolungata ostruzione. 14.5.1 Trattamento farmacologico La presenza di recettori alfa-adrenergici presenti nella muscolatura liscia prostatica e abbondanti nella porzione adenomatosa e nella capsula prostatica, rende ragione dell’utilizzo di farmaci alfa-bloccanti per diminuire l’ostruzione prostatica Tali farmaci (Tamsulosina, Alfluzosina, Terazosina etc.) determinano un blocco di tali recettori adrenergici, che è in grado di ridurre la pressione uretrale, migliorare il flusso urinario, ridurre la quantità di urina residua in vescica dopo la minzione, producendo infine un miglioramento della sintomatologia. Effetti collaterali degli alfa-bloccanti comprendono quelli correlati alla loro azione antiipertensiva (vertigini e ipotensione), tachicardia, palpitazioni, debolezza, affaticabilità, congestione 259

nasale ed eiaculazione retrograda in conseguenza del rilasciamento del collo vescicale. Un secondo approccio farmacologico all’IPB consiste nella terapia ormonale. Tra i farmaci utilizzati ricordiamo quegli agenti che bloccano selettivamente gli androgeni a livello delle cellule prostatiche. I seguenti farmaci sono definiti antiandrogeni:  Inibitori delle 5-alfa-riduttasi: determinano il blocco di tale enzima, il quale media la conversione del testosterone a diidrotestosterone (DHT). Tali farmaci (Finasteride e Dutasteride) provocano una riduzione delle dimensioni prostatiche, miglioramento del flusso urinario e miglioramento dei sintomi soggettivi. Questi sono generalmente ben tollerati e gli effetti collaterali sono minimi (es. mal di testa).  Antiandrogeni: Flutamide e Bicalutamide prevengono il legame degli androgeni ai recettori nucleari e determinano il miglioramento oggettivo del flusso urinario e miglioramento soggettivo dei sintomi.  Gn-Rn analoghi: tali agenti, tramite il blocco ipofisario della secrezione di LH, determinano una castrazione medica, ma sono gravati da importanti effetti collaterali quali perdita della libido, impotenza e ginecomastia.  Ciproterone acetato e Megestrolo acetato: questi antiandrogeni bloccano sia l’ormone luteinizzante che la captazione nucleare degli androgeni e determinano il miglioramento del flusso urinario e della sintomatologia. Tra gli svantaggi vi è la perdita della libido e impotenza da diminuzione dei livelli di testosterone. 14.5.2 Trattamento chirurgico Il trattamento chirurgico dell’IPB può avvenire con numerose tecniche:  Resezione endoscopica transuretrale (TURP): consiste nella rimozione della porzione adenomatosa ostru260

ente della prostata per via transuretrale utilizzando un resettore. Esistono numerosi tipi di resettore, i quali utilizzano tutti un sistema luminoso a fibre ottiche ed una lente. Le complicanze a breve termine della TURP sono correlate alle dimensioni dell’adenoma, ai tempi chirurgici, alla tecnica utilizzata e consistono nella ritenzione acuta postoperatoria, emorragia postoperatoria, formazione di coaguli e conseguente ostruzione, infezioni delle vie urinarie e TUR syndrome Quest’ultima una complicanza causata dall’assorbimento d’ingenti quantità di liquido da irrigazione utilizzato durante la resezione attraverso i seni venosi e può determinare edema cerebrale e convulsioni. Tra le complicanze tardive ricordiamo l’impotenza, l’incontinenza e la formazione di stenosi del collo vescicole.  Adenomectomia prostatica transvescicale (APTV): è una tecnica a cielo aperto per via sovrapubica e consiste nell’enucleazione dell’adenoma prostatico attraverso una cistotomia bassa e un’incisione della capsula prostatica Indicazioni all’APTV sono rappresentate da prostate di dimensioni superiori a 60 cc o dalla necessità di rimuovere contestualmente grossi calcoli vescicali (cistolitotomia) o asportare un diverticolo. Le complicazioni postoperatorie sono simili a quelle della TURP con l’aggiunta del rischio tromboembolico, d’infezione della ferita chirurgica e il disagio di una convalescenza più prolungata a causa dell’incisione sovrapubica Altre tecniche sono: Incisione transuretrale della prostata (TUIP), Dilatazione transuretrale della prostata per mezzo di palloncino, Ipertermia a microonde e posizionamento di Stents prostatici.

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DIVERTICOLI VESCICALI I diverticoli vescicali sono erniazioni della mucosa vescicale, attraverso zone di minore resistenza della parete muscolare vescicale. Inizialmente si pensava che fossero causati solamente dall'ostruzione vescicale. Poi si riconobbe che il diverticolo vescicale era anche un'anomalia congenita che occorre anche in vesciche con parete normale come nei bambini. Questi possono talvolta coinvolgere dall'esterno l'uretere determinandone l'ostruzione o si possono proiettare dentro il lume ostruendo il collo vescicale e l'uretra; tuttavia generalmente prolassano verso l'esterno della vescica potendo determinare un reflusso vescico-ureterale transitorio permanente. Il reflusso associato a piccoli diverticoli si risolve con una percentuale simile a quella del reflusso primario e può essere trattata allo stesso modo. Al contrario invece, il reflusso associato a grandi diverticoli paraureterali, si risolve meno facilmente e di solito richiede una correzione chirurgica. Importante rilevare che in corso di cistoscopia è sempre necessario eseguire un’accurata indagine anche all’interno della sacca diverticolare, perché l’insorgenza di una neoformazione al suo interno, non un’evenienza rara ma molto pericolosa per il rischio di non porre una diagnosi corretta. In corso di tale indagine è tuttavia fondamentale tenere conto della particolare fragilità della parete del diverticolo, in modo tale da evitare lesioni iatrogene.

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CAPITOLO 15

INCONTINENZA URINARIA Salvatore Siracusano, Francesco Visalli, Laura Toffoli

15.1 DEFINIZIONE Secondo la Società Internazionale della Continenza (ICS) l’incontinenza urinaria s’identifica con quella condizione in cui avviene l’emissione involontaria di urina “per uretram” in luoghi e tempi inappropriati. Dal punto di vista clinico, possiamo pertanto distinguere cinque forme distinte:  dribbling incontinence: possibile espressione di una situazione di ritenzione cronica d’urina con iscuria paradossa, di una perdita completa della funzione di serbatoio della vescica per cause funzionali od organiche  incontinenza urinaria da sforzo (IUS): insorge in occasione di un incremento della pressione addominale come accade ad esempio con i colpi di tosse o con gli starnuti. Affligge più frequentemente le donne pluripare in presenza o in assenza di prolasso genitale. Nei soggetti di sesso maschile in genere è secondaria a disfunzioni di natura iatrogena (post-chirurgia pelvica) e comunque secondaria a un’incompetenza sfinterica 264



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incontinenza urinaria da urgenza (urge incontinence): caratterizzata da episodi di perdita di urina associati a urgenza minzionale, cioè il desiderio impellente di mingere. Essa può essere ulteriormente suddivisa in motoria e sensitiva. Nel primo caso si associa a iperattività detrusoriale. Nel secondo caso invece, è scatenata da un incremento della stimolazione nervosa afferente che scatena il desiderio impellente di urinare mista: coesistono contemporaneamente sia aspetti della IUS sia dell’incontinenza da urgenza funzionale: è tipica dei pazienti geriatrici ed è scatenata sia da fattori extra-urologici (ad es. neoplasie non di origine urologica) e/o urologici (infezioni urinarie)

15.2 EPIDEMIOLOGIA ED EZIOPATOGENESI N LL’INCONTIN NZA URINARIA F MMINIL L’incontinenza urinaria un problema sanitario significativo che ha un notevole impatto economico e sociale per gli individui e la società. Questa patologia è maggiormente prevalente nel sesso femminile, in particolare è stato stimato che una donna possa essere incontinente in una percentuale compresa tra il 5% e il 72%. Inoltre è dimostrato come sia un disturbo strettamente correlato con l’età: affligge il 20-30% delle donne giovani, il 30-40% delle donne adulte ed infine il 30-50% delle donne anziane. Se si considera la tipologia d’incontinenza urinaria è possibile vedere come nei soggetti giovani prevalga la IUS mentre nelle donne anziane si verifichi più frequentemente quella mista. Complessivamente nel 49% dei casi si assiste a un quadro d’incontinenza urinaria da sforzo, nel 26% a incontinenza mista e nel restante 22% a incontinenza da urgenza. L’incontinenza urinaria femminile, oltre all’età, favorita da 265

alcune condizioni favorenti come ad esempio l’obesità, la gravidanza e la menopausa, tutte condizioni che determinano modificazioni a carico della normale statica pelvica e delle normali strutture anatomiche coinvolte nel processo di continenza. La conoscenza dell’eziopatogenesi dell’incontinenza urinaria presuppone una comprensione dei meccanismi anatomofunzionali responsabili della continenza. I fattori che contribuiscono a fare la funzione di serbatoio sono molteplici e si possono distinguere in due gruppi principali: vescicali e uretrali. Nel primo raggruppamento menzioniamo l’integrità del serbatoio vescicale. Infatti, la presenza di soluzioni di continuo (a es. fistole vescico-cutanee, vescico-vaginali) tra il lume vescicale e l’esterno determina la comparsa di perdita involontaria di urina (falsa incontinenza). Da non sottovalutare inoltre altri due elementi quali la capacità e la compliance vescicale. Entrambe sono il risultato del fenomeno di accomodazione detrusoriale e di conseguenza una loro alterazione determina una riduzione della funzione di riempimento. Infine è importante considerare la stabilità del detrusore. Si definisce stabile quando non si verificano contrazioni involontarie durante la fase di riempimento vescicale. In condizioni patologiche si può osservare una condizione di instabilità, ovvero contrazione vescicale involontaria non associata a patologia neurologica, ed una condizione di iperreflessia ovvero contrazione vescicale involontaria associata a patologia neurologica. Entrambe le precedenti condizioni costituiscono tuttavia un assunto clinico evidenziabile solo con l’esame urodinamico I fattori uretrali sono rappresentati in primo luogo dal collo vescicale e dall’uretra prossimale i quali sono responsabili della continenza passiva ed attiva grazie alla tensione contrapposta di fibre muscolari lisce, fibre del trigono e fibre detrusoriali. In condizioni di riposo la corretta chiusura del collo è inoltre agevolata dal supporto esterno dei legamenti pubo-uretrali e della fionda muscolare pubo-coccigea. In secondo luogo i fattori ure266

trali si possono distinguere in intrinseci ed estrinseci. I primi sono il complesso muscolare liscio e striato con il tessuto connettivo elastico e collagene dell’uretra posteriore. Essi sono in grado di sostenere ed assicurare la continenza sia in condizione di riposo sia in quella sotto sforzo grazie all’azione neuromodulatrice del sistema nervoso che consente una tensione costante del collo vescicale e dell’uretra posteriore. I secondi invece, sono dati dalla muscolatura striata che costituisce il pavimento pelvico e sono responsabili della continenza attiva, in altre parole quella che determina l’arresto volontario del flusso durante la minzione. In ultimo, accanto a questi fattori, consideriamo un ulteriore fattore che è rappresentato dalla sofficità uretrale. Questa proprietà intrinseca dell’uretra conferirebbe la presenza di una pressione endoluminale sufficiente per determinare il corretto collabimento della mucosa uretrale stessa che è fondamentale per garantire un’adeguata continenza e sembrerebbe che tale caratteristica dipenda dall’intensa vascolarizzazione di cui è dotata la sottomucosa uretrale la quale a sua volta è estrogeno-dipendente. Accanto a quanto sopra indicato, recentemente è stata proposta la teoria uretro-centrica, secondo la quale l’incontinenza urinaria da sforzo secondaria alla presenza di un’incompetenza uretrale che determinerebbe un’incontinenza di grado variabile Questa corrente di pensiero si contrappone ai sostenitori della teoria pelvico centrica (De Lancey, Papa Petros), la quale sostiene la centralità degli elementi di supporto uretrale (muscolatura del pavimento pelvico, legamenti, fasce) a loro volta responsabili dell’ipermobilità uretrale 15.3 EPIDEMIOLOGIA ED EZIOPATOGENESI N LL’INCONTIN NZA URINARIA MASCHIL Nell’uomo l’incontinenza urinaria ha una prevalenza di molto inferiore rispetto alla donna (rapporto M:F 1:2) e si attesta intorno al 1-39% di tutti gli individui di sesso maschile. In parti267

colare, gli uomini incontinenti nella fascia d’età compresa tra i 70 e gli 80 anni sarebbero circa la metà rispetto alle donne. La forma più frequente di incontinenza urinaria è quella da urgenza (40-80%), seguita da quella mista (10-30%) e soltanto in ultimo dalla IUS (10%). L’incidenza dell’incontinenza urinaria maschile tende ad aumentare con l’età, come accade nel sesso femminile. Nell’uomo questa patologia si può manifestare in pazienti affetti da ipertrofia prostatica benigna (in un quadro di LUTS), da patologie neurologiche responsabili di un progressivo deterioramento cognitivo e dei sistemi di controllo minzionale. Particolare rilievo ha assunto l’incontinenza urinaria in pazienti sottoposti a intervento chirurgico di prostatectomia radicale. Questo tipo di chirurgia è responsabile di IUS in una percentuale variabile, con una prevalenza compresa tra il 2 e il 60% ed in particolare si potranno definire incontinenti i pazienti nei quali dopo 1 anno dall’intervento persiste il sintomo incontinenza. Alcuni aspetti fisiopatologici sono comuni sia nell’incontinenza urinaria maschile sia in quella femminile Nell’uomo però, si devono aggiungere alcuni fattori che nella donna non sono presenti Molto spesso l’iperattività detrusoriale si associa a sintomatologia ostruttiva, come accade nei pazienti affetti da ipertrofia prostatica benigna. La IUS maschile è invece secondaria per lo più ad alterazioni anatomo-funzionali secondarie a chirurgia o radioterapia post prostatectomia radicale. In condizioni di normalità la continenza nell’uomo garantita dall’integrità di due distinte unità funzionali: lo sfintere uretrale prossimale (PUS) e quello distale (DUS). Il PUS si estende dal collo vescicale sino al veru montanum, la cui innervazione proviene dalle fibre parasimpatiche e ortosimpatiche contenute nel nervo pelvico Il DUS, invece, costituito dall’uretra prostatomembranosa, dal muscolo sfintere striato esterno e dalle strutture muscolo-connettivali della pelvi. Lo sfintere striato esterno 268

contribuisce al meccanismo di continenza grazie all’integrazione tra fibre muscolari striate e fibre muscolari lisce, a loro volta strettamente connesse con la muscolatura striata del pavimento pelvico (muscolo retto-uretrale). L’innervazione del complesso DUS di pertinenza autonomica e allo stesso tempo somatica grazie ad un ramo efferente del nervo pudendo. Nei pazienti sottoposti a intervento chirurgico di prostatectomia radicale il complesso DUS può venire significativamente danneggiato determinando in tal modo la comparsa di incontinenza urinaria di entità variabile.

15.4 ANATOMIA PATOLOGICA La corretta conoscenza delle strutture anatomo-funzionali responsabili del meccanismo della continenza permette di comprendere in modo altrettanto chiaro le cause responsabili dell’incontinenza urinaria Dal punto di vista anatomo-funzionale, il sistema a capo del meccanismo della continenza e della minzione è costituito da quattro unità anatomiche distinte che andiamo qui di sotto a elencare:  detrusore: costituito da fasci di fibre muscolari lisce variamente intersecati tra loro Dato l’intimo legame tra ciascuna cellula muscolare, il muscolo detrusoriale agisce come un sincizio funzionale e questa caratteristica permette al viscere di mantenere una tensione di parete molto bassa durante la fase di riempimento mentre consente una completa evacuazione durante la fase di svuotamento  sistema muscolare uretero-trigonale: è uno strato molto spesso le cui fibre muscolari sono orientate prevalentemente in senso trasversale. Lateralmente al trigono i fasci muscolari decorrono obliquamente in avanti, circon269





dando il meato uretrale interno, per poi fondersi con la componente muscolare liscia dell’uretra (sfintere liscio dell’uretra). Pertanto è evidente come questa struttura è assolutamente indipendente rispetto al detrusore vescicale sfintere liscio dell’uretra: costituito da fibre muscolari lisce orientate a spirale il cui rilasciamento consente l’apertura del meato uretrale interno al momento della minzione sfintere striato dell’uretra: costituito da fibre muscolari striate provenienti dal pavimento pelvico. Si divide in due strati: quello più superficiale contrae aderenze con la componente striata del diaframma pelvico mentre quello profondo decorre nello spessore della parete uretrale e concorre alla formazione del muscolo trasverso del perineo Quest’ultimo, a sua volta, insieme al muscolo elevatore dell’ano responsabile dell’interruzione volontaria della minzione.

15.5 SINTOMATOLOGIA E DIAGNOSI Per una spiegazione più semplice, distingueremo una sintomatologia da incontinenza urinaria da sforzo, da urgenza e infine mista. La prima si manifesta in occasione di un aumento della pressione endoaddominale, mentre la seconda quando si associa all’urgenza che nel caso specifico può essere associata a incontinenza. In una percentuale minore dei casi si può avere l’associazione delle due condizioni configurando il quadro di un’incontinenza mista L’approccio diagnostico di un paziente incontinente consiste di due momenti principali. Il primo ha il compito di obiettivare con l’esame fisico la presenza di eventuali alterazioni macroscopicamente evidenti della statica pelvica. Il secondo si serve 270

degli strumenti diagnostici, quali l’esame urodinamico, per descrivere e confermare la diagnosi d’incontinenza urinaria stessa. Il primo momento prevede il colloquio con il paziente per la raccolta dei dati anamnestici più rilevanti, la valutazione dell’urinocoltura, la compilazione di un questionario di autovalutazione dei sintomi, la compilazione di un diario minzionale. L’esame obiettivo uro-genitale (che sarà diverso per uomini e donne) e neuro-urologico del piano perineale (nel sospetto di vescica neurologica), il test del pannolino (pad-test), lo stress test in orto- e clinostatismo (valutazione della perdita urinaria sotto i colpi di tosse) In particolare, nell’uomo l’esame obiettivo serve per escludere la presenza d’infezioni urinarie e cause di ostruzione del basso tratto urinario (ad es. IPB) che possono determinare un’incontinenza da overflow. Nella donna, invece, si eseguono un’attenta valutazione della statica pelvica alla ricerca di eventuali prolassi genitali (adottando la classificazione di Baden-Walker) e una serie di prove quali il Q-tip test (ricerca di un’eventuale ipermobilità uretrale), il PC test (che valuta la forza di contrazione dei muscoli pubo-coccigei). Il secondo momento, invece, consiste della valutazione urodinamica mediante l’esecuzione di un’uroflussometria con valutazione ecografica del residuo post-minzionale, della cistomanometria e del profilo pressorio uretrale statico e dinamico. In caso di IUS la valutazione urodinamica ha anche il compito di confermare tale diagnosi e il tipo d’incontinenza allo scopo di programmare il piano terapeutico chirurgico più appropriato.

15.5.1 Esame obiettivo Uro-Ginecologico L’ispezione dei genitali va eseguita ponendo la paziente il più possibile a suo agio, esaminando delicatamente i diversi organi e le loro parti, valutando lo stato delle mucose, la presenza di 271

flogosi o infezione, la dolorabilità, la sensibilità. Innanzitutto è essenziale valutare il trofismo della mucosa vulvare e vaginale, soprattutto nelle pazienti in menopausa. La mucosa può essere assottigliata, arrossata, facilmente sanguinante o francamente escoriata. Vi possono essere aree di lichen o di sfregamento cronico per prurito, ragadi o cicatrici; queste ultime meritano particolare attenzione, perché possono rappresentare gli esiti di estese lacerazioni del perineo, della parete vaginale e della muscolatura del pavimento pelvico. Ovviamente va registrata la presenza di qualunque neoformazione della cute, delle mucose o delle pareti (per es. cisti delle ghiandole del Bartolino, verruche, nei o melanomi, epiteliomi, cisti vaginali) ’ utile che l’esplorazione vaginale sia condotta lubrificando leggermente il dito esploratore per evitare sfregamento e dolore L’esame del meato uretrale può evidenziare la presenza di caruncole, di ectropion della mucosa o di una secrezione patologica; in particolare, una leggera pressione sul terzo esterno della parete vaginale anteriore ai lati dell’uretra può svelare la presenza di una flogosi delle ghiandole di Skene. L’esame dei genitali interni seguirà poi tutte le indicazioni consuete della pratica ginecologica: rilevazione della forma, del volume, della mobilità e della dolorabilità dell’utero, degli annessi e degli organi pelvici, esame speculare della cervice uterina, valutazione delle secrezioni. Già divaricando l’introito vulvare ci si può rendere conto se esiste un prolasso delle pareti vaginali e/o dell’utero, ma certamente tale manovra assume pieno significato clinico facendo compiere alla paziente delle spinte addominali (manovra di Valsalva) o dei colpi di tosse ’ molto importante che tale prolasso venga attentamente studiato e classificato, in quanto questo esame guiderà gli approfondimenti diagnostici successivi e gli indirizzi terapeutici. Mentre la classificazione tradizionale prevedeva una distinzione sommaria del prolasso delle singole pareti vaginali in quat272

tro gradi, di cui il secondo corrispondeva al piano dell’imene, attualmente si richiede di dividere il canale vaginale in cinque segmenti:  Due anteriori, corrispondenti alle porzioni uretrale e vescicale;  Due fondi, corrispondenti alla cervice uterina o cupola vaginale (dopo isterectomia) e al fornice vaginale posteriore;  Uno posteriore, corrispondente alla porzione uretrale Questa suddivisione fornisce la base per ogni esame obiettivo preciso del supporto vaginale e, quindi, uretrale, vescicale, cervico-uterino e rettale, qualunque sia il criterio classificativo che si voglia poi seguire. Le due pareti vaginali vanno esaminate singolarmente allontanando l’altra parete con uno speculum mono-valva (tipo Sim) o con la valva di uno speculum monouso diviso.

15.5.2 Classificazione secondo Baden-Walker Per ogni segmento vaginale la classificazione prevede cinque diversi gradi, come riportato nella seguente tabella.

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Classificazione sec. Baden-Walker Grado 0 Grado 1 Grado 2 Grado 3 Grado 4

Normale posizione per ciascun segmento Descensus a metà strada verso l’imene Descensus all’imene Descensus a metà strada dopo l’imene Il massimo descensus possibile

Nei casi dubbi la paziente va rivalutata in ortostatismo, registrando il risultato peggiore. Per le lacerazioni perineali, il grado 2 comprende lacerazioni che raggiungono lo sfintere anale, il grado 4 la mucosa rettale, mentre 1 e 3 rappresentano le posizioni intermedie. È così compilata la griglia di valutazione del descensus della paziente. ’ necessario rammentare sempre che, nella raccolta dei dati soggettivi e obiettivi, si distinguono:  Sintomi: ciò che la paziente lamenta (per es. perdita di urina in seguito a sforzo);  Segni: ciò che il medico riscontra (per es. fuga di urina dal meato urinario);  Condizione: l’elemento eziopatogenetico (per es l’ipermobilità della giunzione uretrovescicale) I criteri di obiettivazione si prefiggono di visualizzare 274

l’estrinsecarsi del fenomeno nelle diverse circostanze Il più semplice, ma non per questo da sottovalutare, rimane la visione diretta della fuga di urina dal meato uretrale esterno contemporaneamente al colpo di tosse (è molto importante sottolineare l’assoluta necessità che i fenomeni siano contemporanei); vanno definiti la posizione della paziente (in clino o in ortostatismo), il grado di riempimento vescicale – al primo desiderio minzionale (FD), a 200mL, al massimo riempimento (VSD) – e l’entità dei colpi di tosse Altrettanto diversi sono i criteri soggettivi, che si basano sull’anamnesi (cio sulle dichiarazioni della paziente riguardo alle circostanze in cui avviene la fuga d’urina) Tra questi il più importante, anche per l’autorevolezza della fonte, è quello di Ingelmann-Sundberg, che si basa esclusivamente sulle circostanze in cui si verifica la fuga di urina:  Classe I: solo con tosse o starnuto;  Classe II: anche camminando o salendo le scale;  Classe III: anche con sforzi minimi Più sofisticati sono i criteri che si prefiggono di quantificare l’entità della perdita d’urina Anche qui abbastanza semplice basarsi sul numero di pannolini, grandi o piccoli, che la paziente cambia nelle 24 ore per mantenersi ragionevolmente asciutta, ma in questo caso il dato è estremamente fallace perché non tiene conto delle manovre che ciascuna donna affetta da incontinenza urinaria compie, spesso involontariamente, per ridurre il disagio Ci si riferisce, per esempio, all’aumento della frequenza minzionale allo scopo di ridurre il riempimento vescicale, al mantenersi abbastanza vicino alla toilette, all’evitare gli sforzi fisici che notoriamente provocano l’incontinenza Test di questo tipo, più sofisticati, vengono denominati test del pannolino o pad test e vanno eseguiti con metodiche molto precise, pesando i pannolini per un’esatta quantificazione della perdita; la loro durata è variabile, a seconda delle diverse versioni, da 1 a 48 ore. I più utilizzati sono il 1 hour pad test, che 275

la paziente esegue a domicilio durante una giornata di normale attività.

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La metodica per il 1 hour pad test è la seguente:  Bere 500mL di acqua in circa 15 minuti;  Camminare per 30 minuti, salendo almeno due piani di scale;  Compiere una serie di esercizi: ◦ 10 colpi di tosse ◦ Sollevare 10 volte un oggetto da terra ◦ Eseguire 5 ripiegamenti ◦ Saltellare sul posto per un minuto ◦ Tenere le mani per un minuto sotto l’acqua corrente Pesando il pannolino alla fine dell’ora si ottiene il grado di incontinenza:

Grado 0 Grado 1 Grado 2 Grado 3

PAD Test Peso 0 – 2 grammi Peso 2 – 10 grammi Peso 10 – 50 grammi Peso > 50 grammi

La valutazione funzionale del pavimento pelvico comporta essenzialmente il controllo della capacità contrattile dei fasci dell’elevatore dell’ano e delle variazioni di posizione dei visceri pelvici sotto contrazione, al fine di verificare l’integrità delle connessioni muscolo-fasciali delle pareti vaginali. La contrattilità dell’elevatore è valutata mediante il test pubo-coccigeo o PC test. Si tratta di una valutazione soggettiva da parte dell’operatore che, una volta verificato che il paziente sia in grado di comprendere e attuare al meglio il comando impartito (a volte questo richiede vari tentativi infruttuosi), introduce in vagina due dita e, premendo leggermente sui fasci dell’elevatore, chiede alla paziente di contrarli il più forte e il più a lungo possibile.

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Si distinguono i seguenti gradi di contrattilità crescente:  0: contrazione assente o inversione del comando (spinta invece di contrazione);  1: contrazione debole, appena percepita;  2: contrazione valida, efficace;  3: contrazione molto forte, che si oppone alla resistenza effettuata dall’esaminatore La durata della contrazione si valuta mediante l’endurance 1, ovvero i secondi di contrazione sostenuta allo stesso livello rilevato in precedenza (massimo livello 10 secondi) L’ endurance 2, invece, valuta l’affaticabilità, cio la capacità di ripetere per n volte (massimo 10) una contrazione volontaria massimale. La valutazione funzionale va completata con l’esame neurologico che, per essere valido, deve comprendere almeno le seguenti valutazioni:  Sensibilità dei genitali esterni, della sella e degli arti inferiori;  Tono e contrattilità dello sfintere anale;  Riflesso anale: contrazione dello sfintere alla stimolazione cutanea perianale;  Riflesso bulbo-cavernoso: contrazione del muscolo omonimo alla stimolazione clitoridea Estremamente importante, e purtroppo spesso dimenticata, è la valutazione della sessualità della paziente, almeno con semplici domande sulla frequenza dei rapporti, sulle eventuali difficoltà o presenza di dolore e sulla qualità degli stessi rapporti dopo interventi chirurgici o terapia riabilitativa L’indagine va poi completata da un esame della profondità e dell’ampiezza vaginale, del trofismo e dell’umidificazione della vagina, nonché della ricerca di eventuali punti di dolorabilità.

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15.6 TERAPIA L’approccio terapeutico per l’incontinenza urinaria sia nell’uomo sia nella donna prevede un trattamento riabilitativo, un trattamento farmacologico ed un trattamento chirurgico. Il trattamento farmacologico della IUS femminile può beneficiare dell’utilizzo degli estrogeni utilizzati a livello topico mentre per l’incontinenza da urgenza, sia nell’uomo e nella donna, si impiega un farmaco ad azione anticolinergica (eccetto che nei pazienti affetti da glaucoma). La riabilitazione, invece, si serve del biofeedback (questo soltanto nelle donne) e della stimolazione elettrica della muscolatura del pavimento perineale per permettere una rieducazione funzionale del piano perineale e per determinare un rinforzo del tono muscolare e della qualità delle contrazioni riflesse e volontarie delle medesime strutture. La chirurgia è prevalentemente destinata ai pazienti con incontinenza urinaria da sforzo. Meno di frequente è applicata nei casi di iperattività detrusoriale, se non in caso di fallimento della terapia farmacologica In caso di IUS femminile, è possibile eseguire interventi mirati in grado di ripristinare la continenza mediante il posizionamento di sling uretrali (TOT; TVT) e mediante il recupero fasciale con la riparazione anatomica di uno dei quadranti vaginali nel caso di alterazione della statica pelvica. Nei casi particolari di deficit sfinterico previsto l’impiego di un apposito sfintere urinario artificiale. Infine in caso di IUS maschile le possibilità chirurgiche sono rappresentate dall’iniezione endoscopica di materiale eterologo a livello del collo vescicale, dal posizionamento di sling uretrali o dall’installazione dello sfintere urinario artificiale che costituisce l’attuale gold standard

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CAPITOLO 16

VESCICA NEUROLOGICA Salvatore Siracusano, Francesco Visalli, Laura Toffoli

16.1 DEFINIZIONE Con il termine di vescica neurologica s’intende quel complesso di sintomi delle basse vie urinarie conseguenti all’alterazione del fisiologico meccanismo di riempimento e svuotamento vescicale in presenza di una neuropatia conclamata.

16.2 CENNI DI EPIDEMIOLOGIA E ASPETTI FISIOLOGIA DELLA CONTINENZA

DI

La comparsa di una vescica neurologica è strettamente correlata all’incidenza della patologia neurologica stessa In alcuni casi le patologie neurologiche possono elettivamente esordire con una sintomatologia urinaria e comunque non è infrequente che solamente durante il loro decorso evolutivo si possa assistere alla comparsa di disfunzioni del meccanismo di continenza. I pazienti affetti da m. di Parkinson possono presentare una disfunzione delle basse vie urinarie in una percentuale di casi compresa tra il 38% e il 70%, percentuale leggermente ridotta in quelli affetti da sclerosi multipla, nella quale l’incidenza del 30-50%, mentre le lesioni cerebro-vascolari generalmente determinano deficit motori in circa il 30-50% dei casi a cui si associa anche incontinenza urinaria da urgenza. Infine in un’altra condizione sicuramente frequente, come il diabete, si determina nel 50% dei casi una neuropatia periferica che nel 75-100% dei pazienti si associa a disturbi della fase di riempi281

mento e di svuotamento. Il meccanismo della continenza si fonda su tre principali entità anatomo-funzionali: detrusore, sfintere liscio e sfintere striato dell’uretra.

La loro attività sinergica garantisce il corretto espletamento delle fasi di riempimento, di svuotamento vescicale e di arresto della minzione. In particolare, durante la fase di riempimento, la distensione delle pareti vescicali determina la stimolazione del nervo pelvico che per via afferente che a sua volta attiva il nucleo di Onuf a livello sacrale attraverso il quale questo si realizza un arco riflesso che per via efferente (attraverso le fibre motorie del n. pudendo) determina la contrazione del muscolo sfintere striato esterno dell’uretra (riflesso guardiano) garantendo la cosiddetta continenza passiva alla quale contribuirebbero anche l’inibizione del neurone post-gangliare parasimpatico del n pelvico con l’azione inibitoria nei confronti del detrusore e quella tonica a livello del collo vescicale. Questa condizione, potrà perpetuare fintanto che la compliance vescicale non si sia esaurita poiché non appena la pressione intravescicale inizierà ad incrementarsi il soggetto dovrà optare o per continuare la fase di riempimento (continenza attiva) previa con282

trazione volontaria degli elevatori dell’ano oppure optare per la fase la fase di svuotamento In quest’ultimo caso si attuerebbe un rilasciamento della muscolatura striata del piano perineale con la cessazione inibitoria del parasimpatico e di quella inibitoria dell’ortosimpatico Tale condizione si traduce in uno svuotamento vescicale caratterizzato da una contrazione del detrusore isometrica prima ed isotonica dopo, che grazie ad amplificazione del segnale determinerebbero il completo svuotamento del serbatoio e la conclusione del ciclo minzionale che si caratterizza per la presenza di una fase di riempimento, svuotamento e riempimento.

I tre momenti del ciclo minzionale sono regolati da una serie d’interconnessioni nervose descritte come circuiti di Bradley che per la loro specifica lesione sono responsabili delle diverse tipologie di vescica neurologica.  circuito 1: si caratterizza per la presenza di connessioni tra la corteccia frontale ed il midollo allungato, passando per i gangli della base, responsabili del controllo volontario della minzione. In patologie come il m. di Parkinson o l’ictus cerebri, dove si assiste ad una lesione di queste strutture nervose, si determina la comparsa di incontinenza urinaria da alterato controllo sul detrusore.  circuito 2: vie di collegamento tra afferenze vescicali e centri pontini della minzione (sede terminale del prece283

dente circuito) che ha lo scopo di potenziare l’azione corticale sul controllo della minzione. In particolare, agevola il completamento della fase di svuotamento in maniera coordinata. Infatti, in caso di lesioni a questo livello, si verifica un quadro di iperattività detrusoriale.  circuito 3: connessioni tra vie afferenti parasimpatiche del n. pelvico e vie efferenti del n. pudendo, tramite il nucleo di Onuf. La loro integrità permette il corretto coordinamento delle strutture muscolari vescico-uretrali (sinergismo vescico-sfinterico).  circuito 4: connessioni cortico-midollari discendenti responsabili del controllo motorio dello sfintere striato uretrale. In questo contesto la notevole eterogeneità e la complessità clinica della patologia, non possibile individuare un’univoca classificazione della medesima. In tal senso i pazienti affetti da vescica neurologica sono classificati secondo principi neurourologici, che cioè correlano la sede della lesione con il quadro clinico associato, o secondo principi funzionali, che prendono in considerazione solo la disfunzione vescico-sfinterica, o secondo principi topografici, ovvero soltanto in relazione alla sede della lesione neurologica Quest’ultima classificazione quella normalmente presa in considerazione in ambito clinico. Essa si fonda sulla presenza di lesioni cerebrali, midollari sacrali e neuropatie periferiche:

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Classificazione topografica della vescica neurologica Lesioni Cerebrali Provocano la mancanza d’inibizione a carico del centro pontino: iperattività detrusoriale neurogena con sinergia vescico-sfinterica Lesioni Midollari Perdita delle connessioni tra centro pontino e centro sacrale: iperattività detruSovrasacrali soriale con perdita parziale/completa della sensibilità e con dissinergia vescica-sfintere striato. In caso di lesione del segmento D10-L1, si avrà anche dissinergia con lo sfintere liscio Lesioni Midollari Si determina acontrattilità detrusoriale associata o meno a ipotonia dello sfinteSacrali re striato Interruzione dell’arco spinale riflesso Neuropatie Pericon clinica condizionata dalla via nerferiche vosa (vie somatiche, parasimpatiche o simpatiche) interessata

16.3 SINTOMATOLOGIA I pazienti affetti da vescica neurologica presentano una sintomatologia urinaria che è il risultato di alterazioni a carico del detrusore, delle strutture uretrali o di entrambe, a loro volta espressione della sede di lesione del sistema nervoso centrale e/o periferico. Quindi possiamo descrivere quattro potenziali quadri clinico-patologici:  Iperattività detrusoriale con competenza uretrale  Iperattività detrusoriale con incompetenza uretrale  Ipo/acontrattilità detrusoriale con competenza uretrale 285



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Ipo/acontrattilità detrusoriale con incompetenza uretrale

Qui di seguito abbiamo elencato le principali patologie neurologiche ed il quadro clinico ad esse associato:  Ictus cerebri: nelle prime fasi si assiste al cosiddetto “shock cerebrale” con ritenzione urinaria (per acontrattilità detrusoriale). Al termine di questo breve periodo, i pazienti riferiranno incontinenza urinaria associata a urgenza minzionale (iperattività detrusoriale con sinergia vescico-sfinterica.)  M. di Parkinson: pollachiuria diurna e notturna associata a urgenza minzionale e a episodi d’incontinenza urinaria. Talora si può verificare un quadro di tipo ostruttivo con tenesmo vescicale e mitto ipovalido (mancato rilasciamento dello sfintere striato o pseudodissinergia.)  patologie cerebellari: a seconda della struttura coinvolta si può verificare incontinenza urinaria associata ad urgenza minzionale oppure ritenzione urinaria (con o senza sinergia vescico-sfinterica)  sclerosi multipla: il quadro clinico è mutevole (anche nello stesso paziente, nel corso degli anni), in base all’evoluzione delle placche responsabili del danno neurologico. Generalmente si assiste a incontinenza urinaria associata a urgenza minzionale (iperattività detrusoriale con sinergia vescico-sfinterica); in una piccola percentuale di casi si può verificare una sintomatologia urinaria di tipo ostruttivo per dissinergia vescicosfinterica o ancor più raramente ritenzione urinaria per acontrattilità detrusoriale.  lesioni midollari sovra sacrali: in presenza di una lesione che interrompa le vie nervose di collegamento tra nuclei pontini della minzione e centro sacrale si determina un quadro di iperattività detrusoriale associata a dissinergia vescico-sfinterica. Se la lesione fosse inferiore ai metameri D10-L1, si assiste alla dissinergia con 287

il solo sfintere striato poiché i gangli simpatici responsabili del controllo dello sfintere liscio sarebbero ancora integri. Il mancato coordinamento vescico-uretrale si esprime con l’associazione di episodi d’incontinenza con ritenzione urinaria, in una situazione di tipo ostruttivo. Invece in caso di lesioni superiori al metamero D6, avviene il fenomeno descritto come “disreflessia autonomica”: lo stimolo di svuotamento e/o riempimento vescicale può scatenare un meccanismo riflesso che si esplica con sintomi quali ipertensione arteriosa grave, cefalea, pilo erezione, sudorazione.  lesioni midollari sacrali: i pazienti affetti da lesioni del midollo spinale sacrale sono soggetti che cronicamente vanno incontro a ritenzione urinaria associata ad incontinenza urinaria da “overflow”.  mielomeningocele: è la forma più severa di spina bifida, condizione congenita caratterizzata da un difetto di chiusura del tubo neurale. Generalmente la vescica è contrattile ed è associata a insufficienza sfinterica. Clinicamente i pazienti saranno ritenzionisti con incontinenza urinaria da “overflow”.  diabete mellito: la neuropatia diabetica provoca una riduzione della sensibilità propriocettiva vescicale. I pazienti diabetici presenteranno così un quadro di tipo ostruttivo sino ad uno stato di ritenzione cronica.

16.4 DIAGNOSI La valutazione diagnostica di un paziente con vescica neurologica si basa essenzialmente sull’esame obiettivo neurourologico e sull’esecuzione dell’esame urodinamico invasivo Nel primo caso si esegue uno studio accurato dei riflessi cutanei e viscerali espressione dell’integrità dei metameri spinali 288

responsabili del controllo del meccanismo della minzione. Tra i riflessi cutanei menzioniamo:  riflesso addominale inferiore: controllato dalle radici spinali D10-D12. Determina la contrazione dei muscoli addominali in corrispondenza della sede di stimolazione cutanea  riflesso cremasterico: L1. La stimolazione della regione mediale dell’inguine provoca il sollevamento del testicolo omolaterale.  riflesso plantare: S1-S2. Flessione plantare delle dita del piede.  riflesso anale: S3-S4. Contrazione dello sfintere anale dopo stimolazione della cute anale. Tra i riflessi viscerali invece:  riflesso bulbo-cavernoso: S3-S4.  riflesso della tosse: D6-D12 Allo scopo di approfondire l’aspetto neurologico, il clinico ha anche a disposizione lo studio dei potenziali evocati sacrali che consentono la valutazione dell’integrità dell’arco riflesso sacrale. Lo studio urodinamico dei pazienti con vescica neurologica si serve principalmente dello studio pressione/flusso associato all’elettromiografia perineale, al profilo pressorio uretrale e alla videourodinamica In particolare quest’ultimo strumento diagnostico consente di eseguire una valutazione morfologica e allo stesso tempo funzionale del basso tratto urinario. I dati ottenuti conferiscono al clinico la possibilità di valutare l’integrità del sinergismo vescico-sfinterico e la competenza delle strutture uretrali. Particolare rilevanza essi assumono nel definire quelle condizioni clinico - patologiche in cui ci sia un quadro ostruttivo, secondario ad una dissinergia vescicosfinterica, con progressiva compromissione dell’alta via escretrice.

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16.5 TERAPIA Data l’eterogeneità dei quadri clinici nei pazienti affetti da vescica neurologica, l’approccio terapeutico non può prescindere da un’attenta e corretta valutazione diagnostica della patologia stessa. In linea generale, la terapia è finalizzata al recupero dello svolgimento della fase di riempimento e di svuotamento vescicale che può avere luogo mediante l’impiego di farmaci correttivi dell’iperattività detrusoriale e dell’ipertonia uretrale. Ma anche di presidi mini-invasivi, quali l’autocateterismo, che associati alla terapia farmacologica con anticolinergici, consente lo svuotamento vescicale nell’ambito di lesioni sovrasacrali L’impiego attuale della terapia chirurgica aperta, infine, stato di molto ridimensionato nel corso degli ultimi anni. Esso si basa, infatti, sull’utilizzo della neuromodulazione sacrale e, solo in casi eccezionali, dell’utilizzazione dell’intestino, per l’ampliamento vescicale o della sfinterotomia nel caso di una dissinergia vescico-sfinterica.

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CAPITOLO 17

I SURRENI Alchiede Simonato, Matteo Orlandini

17.1 EMBRIOLOGIA Le ghiandole surrenali sono costituite da due parti, una corticale e una midollare, racchiuse in una stessa capsula ma funzionalmente distinte e dalla diversa provenienza embriologica. La componente corticale origina dal mesoderma celomatico adiacente alla cresta urogenitale, la midollare si sviluppa insieme al sistema nervoso simpatico dalla cresta neurale. Questo spiega la localizzazione non infrequente di tessuto ectopico adrenocorticale, sempre privo però della componente midollare, nelle vicinanze dei reni, nella pelvi, lungo il decorso dei vasi gonadici e fino al sacco scrotale, poiché le gonadi nel loro tragitto embriologico di discesa verso il basso possono trascinare con sé nuclei di tessuto adrenocorticale. Le cellule cromaffini extra-surrenaliche, invece, regrediscono per la maggior parte durante lo sviluppo fetale, mentre alcune si riuniscono a formare l’organo di Zuckerkandl, situato generalmente alla sinistra della biforcazione aortica.

17.2 ANATOMIA Le ghiandole surrenali sono organi retroperitoneali, bilaterali e localizzati in corrispondenza della faccia supero-mediale del polo superiore dei reni, insieme ai quali sono racchiusi all'interno della fascia perirenale (o di Gerota). Il peso di ogni surrene è circa 4-5 gr. ed e' costituito da una porzione corticale più 291

esterna di colore giallo ed una midollare, più interna, che appare di colorito rosso-bruno. Il surrene destro, di forma vagamente triangolare contrae rapporti con la vena cava, il pilastro destro del diaframma e il fegato. Il surrene sinistro, di forma più arrotondata giace tra rene, aorta, coda del pancreas e milza Ogni surrene riceve l’apporto di 3 arterie surrenaliche che originano superiormente dall’arteria frenica inferiore, medialmente dall’aorta ed inferiormente dall’arteria renale La vena surrenalica destra drena direttamente nella vena cava inferiore, mentre la vena surrenalica sinistra sfocia nella vena renale omolaterale. Ciò è molto importante dal punto di vista anatomo-chirurgico. Il circolo linfatico afferisce ai linfonodi para-aortici e renali.

17.3 CENNI SULLA FISIOLOGIA DEGLI ORMONI DI DERIVAZIONE SURRENALICA. I surreni producono due famiglie di ormoni, gli ormoni steroidei che prendono origine dalla corticale e le catecolamine sintetizzate a livello della midollare. Gli ormoni steroidei corticosurrenalici, derivanti tutti da un precursore comune (anello ciclopentanoperidrofenantrenico colesterolo), sono: i glicocorticoidi, regolati dall’asse ipotalamo-ipofisi-surrene prodotti e regolati principalmente dalla zona fascicolata della corticale, i mineralcorticoidi, regolati dall’asse renina-angiotensina-aldosterone e prodotti nella zona glomerulosa, e gli steroidi sessuali sintetizzati a livello della zona reticolare. Sindromi da iperproduzione di ormoni surrenalici: Iperaldosteronismo, Ipercortisolismo (M. di Cushing), Sindromi adrenogenitali, Forme miste, S. da feocromocitoma. L’eccessiva produzione di aldosterone causa una sindrome caratterizzata da ipertensione, ipokaliemia, nocturia, e poliuria. 292

L’iperaldosteronismo può essere primitivo, quando è causato da un adenoma secernente aldosterone, da un’iperplasia bilaterale della zona glomerulosa della corticale surrenale o più raramente da un carcinoma surrenale funzionante, o secondario a un’iperstimolazione del sistema renina-angiotensina come avviene nelle stenosi dell’arteria renale, nello scompenso cardiaco congestizio o nella gravidanza. I pazienti con iperaldosteronismo presentano ipertensione, caratteristicamente senza edemi, astenia, debolezza muscolare dovuti all’ipokaliemia, poliuria e polidipsia La definizione di Sindrome di Cushing si riferisce ai segni e sintomi derivati dall’ipercortisolismo, indipendentemente dalla causa dello stesso. La malattia di Cushing, invece, si manifesta quando l’ipersecrezione cortisolica causata dalla presenza di un adenoma ipofisario secernente ACTH. La sindrome di Cushing ha un'incidenza di 10 casi per milione e nella maggior parte dei casi causata dall’assunzione di corticosteroidi sintetici L’ipercortisolismo endogeno causato nel 80% dei casi da aumentata produzione di ACTH, che può avere provenienza da adenoma ipofisario o ectopica, o per aumentato stimolo ipotalamico, in tutti questi casi si ha un’iperplasia bilaterale delle ghiandole surrenaliche. Il restante 20% dei casi è dovuto alla produzione di cortisolo da parte di lesioni surrenaliche, siano essi adenomi, carcinomi o iperplasia corticale. Il quadro clinico della sindrome di Cushing comprende manifestazioni generali: obesità centrale, debolezza muscolare prossimale, ipertensione, cefalea; alterazioni psichiatriche, manifestazioni cutanee: strie rubre, ecchimosi spontanee, iperpigmentazione, acne, irsutismo, infezioni funginee; e disordini endocrini o metabolici: Alcalosi ipokaliemica, osteopenia, ritardo dell’età ossea, disordini mestruali, calo della libido, impotenza, intolleranza al glucosio fino al diabete mellito, calcolosi renale, poliuria, leucocitosi.

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Il percorso diagnostico nel sospetto di sindrome di Cushing si avvale prima di tutto del dosaggio del cortisolo libero urinario delle 24 ore e per conferma del test di soppressione con desametasone a basse dosi. Una volta confermata la diagnosi si deve procedere a stabilire l’origine e la causa della sindrome Il dosaggio dell’ACTH basale tramite immunoradiometria permette di distinguere i casi ACTH-dipendenti (con ACTH elevato, di origine ipofisaria o ectopica) da quelli ACTH indipendenti (di origine surrenalica). Nei casi con ACTH elevato è utilizzato il test di soppressione con desametasone ad alte dosi per determinare se l’iperproduzione sia di origine ipofisaria o ectopica Alla presenza di adenoma ipofisario secernente ACTH, infatti, si ha in genere una soppressione almeno parziale dell’ipercortisolismo a seguito del test, cosa che non avviene in caso di localizzazioni surrenaliche o lesioni ectopiche a produzione di ACTH.

17.4 MALATTIE UROLOGICO

DEL

SURRENE

DI

INTERESSE

17.4.1 Lesioni della corticale: Adenoma, Carcinoma, Iperplasia (primaria o secondaria) Il tipo più comune di lesione della corticale surrenalica è l’adenoma Gli adenomi secernenti cortisolo sono più comuni nelle donne nella quarta-sesta decade, di norma ben capsulati e di peso inferiore ai 30 gr. La corticale surrenalica controlaterale e adiacente a una massa secernente cortisolo (sia esso adenoma o carcinoma) si presenta atrofica, con diminuzione dello spessore delle zone reticolare e fascicolata ma con ispessimento della zona glomerulare che viene a costituire gran parte della corteccia.

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Gli adenomi secernenti aldosterone sono spesso di dimensioni inferiori ai 2 cm, capsulati, solitari e più frequentemente localizzati nel surrene di sinistra. Insorgono maggiormente nelle donne nella quarta-quinta decade. La terapia dell’adenoma surrenalico consiste nell’asportazione chirurgica. Attualmente la surrenectomia videolaparoscopica costituisce l’approccio standard per il trattamento degli adenomi surrenalici. Questa metodica infatti garantisce minor stress chirurgico subito dai pazienti, minor dolore post-operatorio, minor periodo di ospedalizzazione ed un più rapido recupero se paragonata alla chirurgia tradizionale. L’iperplasia macronodulare presente nel 60% dei casi di S di Cushing ed è principalmente secondaria ad aumento di ACTH circolante sia ipofisario che ectopico. Nelle rare forme con ACTH normale si sospetta la presenza di autoanticorpi contro i recettori per l’ACTH Il carcinoma corticosurrenalico è una neoplasia abbastanza rara, corrispondendo allo 0.05-0.2% di tutti i tumori, con due picchi d’incidenza < 5 e 40-50 anni, e di più frequente insorgenza nel sesso femminile. Nella maggior parte dei pazienti cui è diagnosticato un carcinoma corticosurrenalico, la malattia si presenta già al III, IV stadio (massa voluminosa con invasione locale, metastasi linfonodale e/o a distanza), mostrando nel 60-70% dei casi sindromi da iperproduzione di ormoni surrenalici. I carcinomi non funzionanti si presentano con dolore addominale, aumento della circonferenza addominale, perdita di peso, debolezza anoressia, nausea, e nel 50% dei casi è riscontrabile una massa addominale palpabile. La diagnosi di carcinoma corticosurrenalico dovrebbe essere sospettata nei casi di pazienti con sindrome di Cushing rapidamente progressiva, o soggetti che presentino quadro misto cushingoide e virilizzante.

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Alla TC masse surrenaliche superiori ai 6 cm di diametro sono più probabilmente di natura carcinomatosa, alla RM nelle sequenze T2 pesate, appaiono brillanti. Le metastasi da carcinoma corticosurrenalico insorgono più frequentemente al polmone, ai linfonodi, al fegato e alle ossa. Vanno ricercate con la TC toraco-addominale e la scintigrafia ossea. La terapia è essenzialmente chirurgica, dopo resezione completa della neoplasia negli stadi I e II, dove la massa seppur di grandi dimensioni rimane confinata al surrene, la sopravvivenza media è di 24 mesi, negli stadi III, che presentano invasione locale o linfonodale, la sopravvivenza libera da malattia dopo resezione in blocco è 12 mesi e la sopravvivenza globale a 5 anni il 22%. La terapia adiuvante con mitotane dopo resezione completa è l’unica che sembra avere efficacia, tuttavia, visti i numerosi effetti collaterali gravi del farmaco citotossico, è riservata a pazienti con recidiva, metastasi o con massa non resecabile.

17.4.2 Lesioni della midollare: Feocromocitoma, Neuroblastoma, Ganglioneuroma I feocromocitomi sono tumori secernenti catecolamine che originano dalle cellule cromaffini della midollare surrenalica. I feocromocitomi extrasurrenalici sono i cosiddetti paragangliomi e insorgono nei gangli del sistema nervoso simpatico del collo, mediastino, addome, pelvi e più frequentemente nell’organo della Zukerkandl Sono tumori rari, 2-8 casi/milione, con un picco d’incidenza nella quarta-quinta decade, e colpiscono maschi e femmine in ugual misura. Si associano spesso a pazienti con MEN 2A e 2B, neurofibromatosi di Von Recklinghausen e malattia di Von Hippel-Lindau. 296

Il comportamento del feocromocitoma può essere descritto nella regola del dieci: 10% dei casi è bilaterale, nel 10% è extrasurrenalico, nel 10% è familiare, 10% è maligno e nel 10% colpisce i bambini. Il feocromocitoma nel 90% insorge nella midollare surrenalica e più frequentemente nel surrene destro. I feocromocitomi extrasurrenalici secernono generalmente norepinefrina per la mancanza dell’enzima feniletanolamina-N-metiltransferasi. I segni e sintomi che presentano i pazienti con feocromocitoma sono quelli derivati dall’eccesso di catecolamine La manifestazione più importante l’ipertensione arteriosa, che può oscillare dall’ipertensione lieve alla crisi ipertensiva drammatica. Altri sintomi comprendono palpitazioni, ansia, cefalea, flushing e riduzione della motilità intestinale. Complicanze cardiovascolari non sono infrequenti e includono infarto del miocardio, aritmie ed ictus. La diagnosi di feocromocitoma si avvale della dimostrazione dell’incremento dell’escrezione urinaria delle catecolamine e dei loro metaboliti. La quasi totalità dei pazienti presenta infatti livelli elevati di catecolamine, metanefrine e ac. Vanilmandelico nelle urine delle 24 ore. Il 98% dei feocromocitomi è localizzato in addome, il 2% nel torace e l’1% nel collo La TC e la RMN (soprattutto nelle sequenze T2 pesate) sono le metodiche di scelta per la localizzazione dei tumori di dimensioni superiori ad 1 cm. La diagnosi di feocromocitoma maligno può essere posta solamente dimostrando l’invasione delle strutture adiacenti o la presenza di metastasi linfonodale o a distanza. Le sedi di localizzazione a distanza sono le ossa, il fegato, i linfonodi, il polmone, il sistema nervoso centrale e meno comunemente pleura, omento, rene e pancreas. Si può presentare recidiva di malattia da 5-10 fino a 20 anni dopo l’ asportazione della lesione primitiva.

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La terapia è essenzialmente chirurgica, prevede l’asportazione della massa, delle metastasi e il contestuale controllo dell’ipertensione La radioterapia può giovare a ridurre il dolore da metastasi ossee e la chemioterapia con ciclofosfamide, vincristina e decarbazina può essere efficace. La sopravvivenza globale va dal 36% al 60%.

17.4.3 Altre lesioni: Cisti, Mielolipoma, Metastasi Il surrene è sito frequente di metastasi di neoplasie quali il tumore della mammella, del polmone, del rene, il melanoma e il linfoma. La biopsia con ago sottile sotto guida TC della lesione può essere d’aiuto, ma deve essere eseguita solo dopo che le analisi abbiano escluso un feocromocitoma (rischio di tempesta surrenalica). I mielolipomi sono masse benigne costituite da tessuto adiposo ed elementi del midollo osseo, possono raggiungere grandi dimensioni ed anno un tipico aspetto radiologico. Le cisti del surrene sono chiaramente identificabili con la TC, e in occasione di traumi o terapie anticoagulanti possono presentare emorragie al loro interno.

17.4.4 Lesioni non funzionanti: Incidentalomi La frequenza del riscontro di masse surrenaliche incidentali aumenta di pari passo con l’aumento nella pratica clinica dell’utilizzo di metodiche d’imaging addominale quali TC, RMN ed ecografia. Le lesioni più comuni corrispondono ad adenomi surrenalici non funzionanti, questi ammontano al 36%-94% degli incidentalomi surrenalici. Meno frequenti sono gli adenomi secernenti cortisolo e gli aldosteronomi. Alla pre298

senza di massa surrenalica incidentale andrebbe sempre escluso, tramite le adeguate indagini biochimiche, che si tratti di feocromocitoma, pur essendo solo il 3%-9% degli incidentalomi, infatti, non vanno sottovalutate le conseguenze potenzialmente letali di un’eventuale crisi ipertensiva in un paziente con questo genere di lesione non diagnosticata. I carcinomi corticosurrenalici non funzionanti incidentali sono poco frequenti (circa l’1%) ma spesso presentano notevoli dimensioni al momento della diagnosi. La probabilità che una lesione incidentale sia un carcinoma corticosurrenalico primitivo, infatti, aumenta con l’aumentare della dimensione della massa riscontrata. Le metastasi surrenaliche sono rare in pazienti senza neoplasia maligna in anamnesi, ma sono molto frequenti nei pazienti con un tumore noto. Gli adenomi surrenalici restano comunque la più comune massa surrenalica anche nei pazienti con una neoplasia nota che eseguono una TC addominale per la ricerca di eventuali localizzazioni secondarie del tumore.

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CAPITOLO 18

TUMORI DEL RENE Alchiede Simonato, Stefano De Stefani

Le neoplasie renali possono essere distinte in due grandi categorie: quelle primitive del rene e quelle che metastatizzano al rene. Sebbene l'incidenza dei tumori metastatici al rene possa essere di gran lunga maggiore di quella dei tumori primitivi renali, le lesioni secondarie sono di solito clinicamente asintomatiche. Ci occuperemo principalmente alle manifestazioni cliniche delle lesioni primitive del parenchima.

I tumori maligni del rene si originano dal parenchima renale, dalle pelvi renali e dalla capsula renale. I carcinomi a cellule 301

renali (ipernefroma, tumore di Grawitz) costituiscono approssimativamente 1'85% di tutti i tumori maligni primitivi del rene; i carcinomi a cellule transazionali della pelvi renale e i carcinomi a cellule squamose costituiscono circa il 10%; il rimanente 5% include il sarcoma renale ed il nefroblastoma (tumore di Wilms). Sebbene la maggior parte dei tumori renali primitivi siano maligni, bisogna ricordare alcuni tipi di tumori benigni.

18.1 TUMORI RENALI BENIGNI 18.1.1 Adenoma La classificazione dell'adenoma renale come lesione benigna o come adenocarcinoma maligno allo stato iniziale è controversa. Queste lesioni sono spesso riscontrate incidentalmente in sede di autopsia, aventi l'aspetto di lesioni corticali ben circoscritte di solito di diametro inferiore ai 3 cm. È stato documentato che esse sono presenti in percentuali che vanno dal 7 al 27% di tutti i reni esaminati. Nel 1938, basandosi su uno studio effettuato su 30.000 casi di autopsie, Bell ha documentato che se il diametro dei cosiddetti adenomi era minore di 3 cm., era raro riscontrare lesioni metastatiche ma se i tumori renali superavano i 3 cm. di diametro le metastasi erano frequenti. Egli non affermò che «gli adenomi più piccoli di 3 cm. erano benigni e che quelli superiori ai 3 cm. erano maligni», tale concetto errato si è poi perpetuato per molti anni con il nome di «legge di Bell». Si riscontrano similarità tra adenoma e adenocarcinoma nella distribuzione dell'età e del sesso, ed esiste una maggiore incidenza di entrambe le lesioni tra i fumatori. Sebbene i cosiddetti adenomi siano raramente associati a metastasi, non esistono caratteristiche istologiche, istochimiche ultrastrutturali o immunologiche che li distinguano chiaramente da adenocarcinomi renali ben differenziati allo stato iniziale. Nel passato, le 302

lesioni di considerevole grandezza sono state riportate come adenomi benigni, ma la maggior parte dei dati a disposizione suggeriscono che il cosiddetto adenoma renale possa rappresentare uno stadio strutturale iniziale dello sviluppo di un adenocarcinoma renale ben differenziato. In pratica bisogna trattare queste lesioni allo stesso modo del carcinoma allo stadio iniziale. 18.1.2 Oncocitoma Gli oncocitomi sono il 3,7% di tutti i tumori renali, il 94% monolaterale; il 6% bilaterali, nel 68% dei casi sono incidentali Origina dalle cellule epiteliali dei tubuli contorti distali (cellule eosinofile, in nidi o tubuli, con citoplasma ampio granulare). Ben circoscritto, rosso brunastro, frequente un’area fibrosa cicatriziale centrale, rari fenomeni di necrosi, emorragia, degenerazione cistica. L’oncocitoma può originare, oltre che a livello renale, anche in altri organi, come tiroide, pancreas, adenoipofisi, ghiandole lacrimali. L'insieme delle manifestazioni cliniche con cui si presenta può essere abbastanza simile a quello del carcinoma a cellule renali, solo il 30% è sintomatico, cosicché la maggior parte dei pazienti con questa diagnosi sono stati sottoposti a nefrectomia radicale. Questi tumori vengono riscontrati in uomini e donne di mezza età ed hanno la stessa eguale incidenza sia sul rene destro che quello sinistro. Ha un comportamento non univoco, tuttavia i pazienti con questi tumori ben differenziati hanno un'ottima prognosi, le percentuali di effettiva sopravvivenza a 5 e l0 anni sono rispettivamente dell'85 e del 70%. 303

Dal punto di vista radiologico possono, anche se con difficoltà, essere identificati per la loro forma e aspetto che alla Tc ricorda una ruota di carro per la presenza nella lesione di una cicatrice centrale stellata ipovascolarizzata. Questa immagine evocativa era prima riconosciuta all’urografia 18.1.3 Sindrome di Birt-Hogg-Dubé Malattia autosomica dominante caratterizzata dal gene BHD (proteina follicolina del braccio corto del cromosoma 17p). Sindrome caratterizzata da manifestazioni cutanee (fibrofolliculomi, tricodiscomi) cisti polmonari e tumori renali bilaterali e multifocali (spesso oncocitomi). 18.1.4 Amartoma L'angiomiolipoma renale (amartoma) è, un tumore benigno del rene, generalmente raro ma comune nei pazienti affetti da sclerosi tuberosa. Rappresenta il 2-6,4% di tutti i tumori renali. Può presentarsi sotto due forme: isolato o associato alla sclerosi tuberosa. Di solito è un tumore costituito da tessuto adiposo maturo, tessuto muscolare liscio e da un agglomerato di vasi responsabili delle caratteristiche radiografiche tipiche. Queste caratteristiche sono dovute alla distribuzione del grasso nella lesione tessa All’ecografia la lesione si presenta iperecogena (dovuta proprio alla presenza di tessuto adiposo) mentre alla TC si evidenzia come ipodensità (immagine nera) della le304

sione o di parte di essa dimostrando una distribuzione intralesionale del grasso atipica per una lesione maligna. Istologicamente questo tumore può apparire all'occhio inesperto come un liposarcoma, ma con tale tipo di lesione non sono stati chiaramente dimostrati né la variante sarcomatosa né lo sviluppo di metastasi a distanza. Nei pazienti senza sclerosi tuberosa, l'angiomiolipoma è caratteristicamente più comune nelle donne che negli uomini, produce sintomi tra la terza e la quinta decade di vita, è tipicamente unilaterale e, per ragioni non note, coinvolge la parte destra nell'80% dei casi. I sintomi sono di solito dovuti a un’emorragia intra e peri-tumorale, che produce dolore, tumefazione lombare in espansione e occasionai mente shock. 18.1.5 Sclerosi tuberosa o Sindrome di Bourneville Quasi la metà dei casi di angiomiolipoma renale riportati sono stati associati alla sclerosi tuberosa, Il complesso della sclerosi tuberosa è un disordine ereditario autosomico dominante, determinato da almeno due loci genici CST1 e CST2 cromosoma 9-16, caratterizzato dal coinvolgimento clinico di più organi, con una spiccata variabilità di espressione tra le diverse famiglie affette e tra i diversi soggetti di una stessa famiglia, anche se gemelli identici. La malattia è caratterizzata da lesioni della corteccia cerebrale che produce epilessia e ritardo mentale. Nell'80% dei pazienti con sclerosi tuberosa si riscontra un adenoma sebaceo con distribuzione a «farfalla» sulla faccia, ma possono essere interessati anche altri organi, inclusi gli occhi, le ossa, i polmoni ed il cuore. L'amartoma del rene si riscontra nell'80% dei pazienti con sclerosi tuberosa e le lesioni sono spesso bilaterali e multiple. Le lesioni possono essere così classificate:  Lesioni neurologiche: ◦ tuberi della corteccia cerebrale 305

◦ astrocitoma a cellule giganti ◦ noduli gliali subependimali ◦ amartomi retinici  Lesioni dermatologiche: ◦ angiofibromi del volto ◦ placche fibrose nella fronte ◦ fibromi ungueali ◦ chiazze cutanee zigrinate.  Lesioni di tipo viscerale: ◦ angiomiolipomi multipli a sede renale ◦ rabdomiomi multipli cardiaci ◦ cisti renali multiple e bilaterali con un angiomiolipoma ◦ linfoangioleiomiomatosi polmonare con un angiomiolipoma renale. La scoperta di una lesione renale in un paziente affetto da sclerosi tuberosa non comporta automaticamente l'angiomiolipoma. Il carcinoma a cellule renali si è verificato nel 26% dei tumori associati alla sclerosi tuberosa ed è possibile l'incidenza bilaterale. Si tende a preferire il trattamento conservativo. Nei pazienti senza segni evidenti di sclerosi tuberosa, la differenziazione radiografica tra l'amartoma e il carcinoma a cellule renali può essere difficile ma in molti casi la diagnosi radiologica è possibile. Nel dubbio devono essere considerati e trattati come carcinomi renali, altrimenti il trattamento è condizionato solo dalle dimensioni. Si ritiene di dover intervenire su lesioni sopra i 4 cm perché il rischio di rottura e di emorragia spontanea è aumentato sulle lesioni più grandi. 18.1.6 Lipoma I lipomi intrarenali non sono comuni, ma raramente sono talmente estesi da risultare di interesse chirurgico. Di solito sono riscontrati in donne di mezza età, non c’ differenza di lato e 306

non presentano bilateralità o associazione a sclerosi tuberosa. Non esiste alcun caso documentato di trasformazione maligna di questi tumori benigni. 18.1.7 Emangioma Gli emangiomi sono tumori congeniti benigni che si originano dall'endotelio dei vasi sanguigni e linfatici. Il fegato è il più comunemente coinvolto, e i reni si attestano al secondo posto tra gli organi interni che ospitano questi tumori vascolari. Gli emangiomi sono di solito unilaterali, ma nel 12% dei pazienti possono risultare bilaterali. Queste lesioni di solito si originano all'interno della midollare del rene e sono spesso adiacenti all'epitelio del sistema pielocaliceale. L'ematuria intermittente è il sintomo clinico comune, associato a dolore e all'espulsione di coaguli. L'emangioma dovrebbe essere considerato nella diagnosi differenziale di pazienti di sotto ai 40 anni con ematuria accertata e nei quali possa essere esclusa la possibilità di un tumore o di calcolosi L’arteriografia renale selettiva dovrebbe localizzare la lesione. Il trattamento dipende dalla gravità dei sintomi e dell'abilità del medico nell'escludere lesioni maligne, quale il carcinoma a cellule renali. In pazienti anziani il trattamento elettivo è la nefrectomia radicale ogni qual volta risulti difficile la differenziazione radiologica dell’emangioma benigno dal carcinoma a cellule renali od ogni qual volta si presenti una emorragia profusa. Nei pazienti più giovani con questo tipo di lesione si dovrebbe tentare prima con un’arteriografia per embolizzare la sede di sanguinamento poi con una chirurgia conservativa (eminefrectomia). 18.1.8 Emangiopericitoma L'emangiopericitoma (tumore juxtaglomerulare, reninoma) è un raro tumore primitivo originante dai periciti dei capillari nella regione dell'apparato juxtaglomerulare. Sebbene si origini 307

più facilmente in altre parti del corpo, quali il retroperitoneo e la pelvi, per la prima volta è stata documentata un’origine renale da Black e Heinemann nel 1977. Robertson e coll, hanno documentato l'associazione dell'ipertensione con l'emangiopericitoma renale e Conn e coll. hanno riscontrato secrezione di renina da parte del tumore. Un marcato aumento della renina e un’ineguaglianza della sua determinazione nelle vene renali possono suggerire la diagnosi di questo tumore benigno solitario. In tali casi, la resezione parziale, può essere appropriata, ma la maggior parte dei casi sono stati trattati con la nefrectomia.

18.2 TUMORI RENALI MALIGNI 18.2.1 Carcinoma A Cellule Renali (tumore di Grawitz) Epidemiologia Il carcinoma renale (RCC) rappresenta il 2-3% di tutti i tumori. La più alta incidenza si verifica nei paesi occidentali. Nel corso degli ultimi due decenni c'è stato un incremento annuo di circa il 2% sia a livello mondiale sia in Europa. Nel 2006, è stato stimato che ci sono stati 63.300 nuovi casi di RCC e 26.400 decessi per RCC nell'Unione europea. RCC è la più comune lesione solida all'interno del rene e rappresenta circa il 90% di tutte le neoplasie renali. Esso comprende diversi tipi di RCC con specifiche caratteristiche istopatologiche e genetiche. Vi è una predominanza 1,5:1 degli uomini sulle donne, con un picco di incidenza che si verifica tra i 60 ed i 70 anni di età. Fattori eziologici includono lo di stile di 308

vita come il fumo, l'obesità e l'ipertensione, inoltre avere un parente di primo grado con RCC è associato a un aumentato rischio di RCC. A causa del maggiore utilizzo dell'ecografia dell’addome ( CO) e della tomografia assiale computerizzata (TAC) come tecniche di screening o follow-up in moltissime patologie addominali, il numero di RCC diagnosticati incidentalmente è aumentato notevolmente negli ultimi 20 anni. I tumori diagnosticati in questo modo sono spesso più piccoli e di stadio e grado meno elevato. Sintomi Molte masse renali sono asintomatiche e non palpabili fino alle ultime fasi della malattia. Ora, oltre il 50% di RCC sono rilevati incidentalmente durante l'esecuzione delle comuni tecniche di imaging. La classica triade di dolore al fianco, ematuria macroscopica, massa addominale palpabile e' piuttosto infrequente come prima manifestazione del tumore del rene (6-10%). Le sindromi paraneoplastiche sono presenti in circa il 30% dei pazienti con RCC sintomatici; tali sindromi possono spiegarsi con abnormi attività endocrine sostenute dal parenchima neoplastico; si può avere cosi poliglobulia per esaltata produzione di fattore renale eritropoietico, ipercalcemia per eccessiva produzione di vit. D ed ipertensione arteriosa per eccessiva produzione di renina. Alcuni pazienti sintomatici si presentano con sintomi legati alla malattia metastatica, come il dolore osseo o la tosse persistente. Il sintomo fondamentale è caratterizzato dall'ematuria che è tipicamente irregolare (capricciosa) monosintomatica (che rappresenta l'unico disturbo lamentato dal paziente) e totale, con emissione di coaguli allungati. L'ematuria è totale perché provenendo dai reni il sangue può miscelarsi con l'urina in maniera del tutto omogenea. I coaguli presentano forma allungata perché riproducono lo stampo dell'uretere. Talora è possibile la presenza di sintomatologia dolorosa a tipo di lombalgia gravativa continua, per di309

stensione o infiltrazione della capsula fibrosa propria del rene, o a tipo colica renale in seguito all'impegno di un coagulo nella via escretrice. Può essere presente un grave deperimento organico con calo ponderale, astenia, anoressia, pallore, frequentemente associata a febbricola serotina. Talora è possibile riscontrare la presenza di una tumefazione retroperitoneale palpabile; oppure nel maschio, si può notare la presenza di un varicocele destro secondario a stasi nel territorio della vena cava inferiore e dei suoi affluenti. Diagnosi L'esame obiettivo può essere di notevole utilità purché sia eseguito in pazienti non obesi; l'ispezione generalmente non offre reperti di rilievo salvo che la neoplasia non sia talmente avanzata da deformare il profilo dell'addome. La palpazione, che deve essere bimanuale, permette di rilevare una tumefazione mobile con gli atti del respiro, di consistenza dura, a margini e superficie irregolari, che offre la sensazione del contatto lombare ed è "ballottabile" (manovra del ballottamento). Tra gli esami di laboratorio va ricordato l'esame delle urine, utile per dimostrare la presenza di microematuria, mentre la citologia esfoliativa è raramente significativa, a meno che il tumore non coinvolga le vie escretrici. Gli esami strumentali consistono nella ecografia addominale, che dimostra l'esistenza e le dimensioni della neoplasia, la sua natura solida, (in contrapposizione alla natura liquida delle cisti) eventualmente con aree liquide (necrosiemorragie pseudocisti) al suo interno; tale indagine può consentire anche lo studio di eventuali tumefazioni linfonodali e la 310

pervietà o meno della vena renale e della cava. L'urografia, che tuttavia ha perso rilevanza nella diagnostica di primo livello di RCC permette di valutare una tumefazione che generalmente deforma il profilo renale, talora con aree calcifiche nel suo contesto, con caratteristica amputazione e esclusione funzionale di gruppi caliciali piuttosto che la loro semplice dislocazione (che invece è tipica delle forme cistiche). La più importante metodica di imaging preoperatorio è la TC, che consente informazioni sulle dimensioni e sulla sede della neoplasia, sulla sua struttura, sui suoi rapporti con le formazioni circostanti, sulla invasione venosa o linfatica, sulla presenza di eventuali metastasi epatiche. La maggior parte dei tumori renali sono diagnosticati con l'ecografia addominale o TAC eseguiti per vari motivi L’imaging può essere utilizzato per classificare le masse renali in neoformazioni solide o cistiche. Schematicamente la TC addominale permette diagnosi di RCC e fornisce informazioni su:  la funzione e la morfologia del rene controlaterale;  estensione del tumore primario con la diffusione extrarenale;  coinvolgimento venoso;  ingrossamento dei linfonodi locoregionali;  condizione delle ghiandole surrenali e il fegato;  sulla vascolarizzazione del rene Per le masse renali solide, il criterio più importante per differenziare le lesioni maligne è la presenza di enhancement del 311

mezzo di contrasto. Un cambiamento di 20 o maggiore di unità Hounsfield (HU) dopo somministrazione di mezzo di contrasto è una forte evidenza di RCC. La classificazione Bosniak è altrettanto basata sulle immagini TC e divide le cisti renali in cinque categorie correlando l’aspetto TC a un’indicazione clinica e chirurgica. La risonanza magnetica è indicata in pazienti con allergia al contrasto per via endovenosa e in gravidanza senza insufficienza renale. Nei pazienti con segni d’insufficienza renale, una scintigrafia renale deve essere considerata allo scopo di ottimizzare la decisione di trattamento, ad esempio la necessità di preservare funzione renale. Fattori istologici correlati con la prognosi comprendono grado Fuhrman, istotipo di RCC, caratteristiche sarcomatoidi, invasione microvascolare, necrosi tumorale e invasione della via escretrice. Il grado nucleare secondo Fuhrman è il sistema di classificazione istologica dell’ RCC più frequentemente accettati. Anche se gravate da discrepanze intra ed inter osservatore, il grado di Fuhrman è un fattore prognostico indipendente dell’aggressività di RCC in cui si distinguono quattro gradi. Secondo la classificazione WHO, esistono tre principali sottotipi istologici di RCC:  convenzionale (a cellule chiare) (80-90%)  papillare (10-15%)  cromofobo (4-5%). Vi è una tendenza verso una migliore prognosi per i pazienti con RCC cromofobo rispetto sia alla variante papillare che rispetto alla variante convenzionale (a cellule chiare). Tra RCC papillari sono stati identificati due sottogruppi con prognosi diversa:  Tipo 1 sono tumori di basso grado, con un citoplasma cromofili e una prognosi favorevole.

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Tipo 2 sono per lo più tumori ad alto grado con un citoplasma eosinofilo e una grande propensione per lo sviluppo di metastasi e recidive locali. Il sistema di classificazione TNM è generalmente raccomandato per l'uso clinico e scientifico. CLASSIFICAZIONE TNM DEL CARCINOMA RENALE Tumore TNM, 2002 primitivo (T) T1 T1a T1b T2 T3 T3a T3b T3c T4

Tumore fino a 7 cm, confinato al rene  Tumore ≤ 4 cm, confinato al rene  Tumore > 4 cm ≤ 7 cm, confinato al rene Tumore > 7 cm, confinato al rene Tumore esteso all’asse venoso, al surrene o al grasso perirenale ma non oltre la fascia di Gerota  Infiltrazione del grasso perirenale o del seno renale o del surrene  Trombosi della vena renale o della vena cava inferiore sottodiaframmatica  Trombosi della vena cava sopradiaframmatica o infiltrazione della parete della vena cava Il tumore invade e supera la fascia di Gerota

Linfonodi (N) Nx N0 N1 N2

I linfonodi regionali non sono stati valutati Assenza di metastasi linfonodali Metastasi ad un singolo linfonodo regionale Metastasi a più di un linfonodo regionale

Metastasi a distanza (M) Mx M0 M1

Le metastasi a distanza non sono state valutate Metastasi a distanza assenti Metastasi a distanza presenti

Diffusione Questa può verificarsi per continuità, verso il parenchima circostante. La propagazione per contiguità è diversa nei due lati: a destra. può essere interessato il fegato, il duodeno, la flessura epatica del colon, il surrene; a sinistra la milza, la coda del pancreas, la flessura splenica del colon, il surrene. La diffusione linfatica avviene verso i linfonodi dell'ilo renale, para aortici 313

( a sinistra) , para cavali ( a destra) , intercavoaortici ( maggiormente a sinistra). Essa può verificarsi per embolizzazione, cioè per passaggio di cellule neoplastiche nel sistema linfatico, oppure per permeazione, vale a dire per infiltrazione della parete di un vaso linfatico da parte del tumore. Quando i linfatici sono intasati si possono verificare variabili turbe della dinamica della linfa, come ad es. la diffusione retrograda che spiega la possibile diffusione ai linfonodi pelvici oppure l'apertura di anastomosi linfo-venose che possono dare precocemente metastasi ematogene o meglio linfo-ematogene. Quando le cellule invadono il dotto toracico è possibile che si verifichino delle inversioni di flusso che spiegano le metastasi ai linfonodi mediastinici e sopraclaveari (segno di Troisier). La via ematogena è molto importante e spesso presente nelle forme più avanzate: si osserva la formazione di trombi neoplastici nel lume della vena renale e della cava fino all'atrio destro., talora con infiltrazione della parete venosa; a sinistra è possibile l'invasione della vena gonadica e per inversione di flusso, metastasi alle gonadi. Per via ematica le metastasi interessano primitivamente i polmoni e poi encefalo, fegato, ossa, rene controlaterale. Terapia La terapia di RCC ha visto molte miglioramenti e progressi, sia per l’introduzione di tecnologie più avanzate, sia per la maggiore conoscenza della storia naturale dei RCC dal punto di vista oncologico ed anche per la recente importante osservazione della maggiore frequenza di morte per cause cardio-vascolari nei pazienti monorene chirurgico. Tutto questo ha enormemente espanso l’indicazione al trattamento chirurgico nephron sparing. Chirurgia Nephron –sparing (NS) per il RCC localizzato ha dei risultati simili a quelli raggiungibili con la chirurgia radicale. Tuttavia, in alcuni pazienti con RCC 314

localizzato, la NS non è tecnicamente applicabile a causa della dimensione o della posizione del tumore (generalmente i RCC situati in zona preilare e mesorenale o completamente intraparenchimali sono più difficili da trattare con NS). In queste situazioni, la terapia gold standard rimane la nefrectomia radicale, che comprende la asportazione completa del tumore primario eseguita sia open che per via laparoscopica. La surrenalectomia consensuale non è indicata nei seguenti casi:  Stadiazione pre-operatoria tumorale (TC, MRI) mostra una ghiandola surrenale normale  L’esplorazione intra-operatoria non fornisce alcuna indicazione di un nodulo sospetto all'interno della ghiandola surrenale  Malattia metastatica  Non vi è alcuna evidenza d’invasione diretta della ghiandola surrenalica da parte di un tumore localizzato al polo superiore Dissezione linfonodale. Un’asportazione estesa e radicale dei linfonodi primari del rene non sembra migliorare la sopravvivenza a lungo termine dopo nefrectomia. Pertanto, ai fini della stadiazione, la dissezione dei linfonodi può essere limitata alla regione ilare. In pazienti con ingrossamento dei linfonodi rilevato alla TC, la resezione dei linfonodi colpiti dovrebbero essere effettuata per ottenere informazioni adeguate sulla stadiazione del tumore. RCC con trombosi venosa rappresenta uno stadio della malattia più avanzato rispetto alla sola presenza di metastasi linfonodali. Indicazioni standard per NS sono divisi nelle seguenti categorie:  assoluta - rene unico anatomico o funzionale;  relativa - rene controlaterale funzionante ma presenza di condizione morbosa che potrebbe compromettere la funzione renale in futuro; 315



elettiva - RCC localizzato unilaterale con un rene sano controlaterale. Indicazioni relative includono forme ereditarie di RCC, che comportano un rischio elevato di sviluppare un tumore nel rene controlaterale. Per le indicazioni elettive, la NS, nei casi di tumori di diametro limitato (T1a) fornisce una recurrence free survival e tassi di sopravvivenza simili a quelli osservati dopo l'intervento chirurgico radicale . Per RCC di maggiori dimensioni (T1b), la NS ha dimostrato la fattibilità e la sicurezza oncologica della chirurgia radicale ma solo in pazienti accuratamente selezionati. Dalla sua introduzione la nefrectomia laparoscopica per carcinoma renale è diventata una procedura chirurgica consolidata in tutto il mondo. La nefrectomia radicale laparoscopica rappresenta lo standard di cura per pazienti con tumori T2 e con piccole masse renali non trattabili conservativamente. Dati a lungo termine risultati indicano che la nefrectomia radicale laparoscopica ha tassi di sopravvivenza libera da malattia rispetto equivalenti a quelli della nefrectomia radicale open. Nefrectomia parziale laparoscopica: in mani esperte e pazienti selezionati, la nefrectomia parziale laparoscopica è un'alternativa alla NS open. L'indicazione ottimale per l'esecuzione di una NS laparoscopica è un tumore relativamente piccolo (meglio T1a che T1b) ed esofitico. La chirurgia NS laparoscopica ha una maggiore percentuale di complicanze rispetto alla chirurgia aperta. Tuttavia, i risultati oncologici disponibili con periodo di follow-up a 5 anni sembra essere simile a quello risultato raggiunto con la chirurgia a cielo aperto NS. Recentemente si è iniziato a eseguire interventi NS anche mediante l’ausilio del sistema robotico DaVinci®; i risultati preliminari, pur se non recepiti interamente dalle linee guida nazionali, europee ed americane hanno mostrato una curva di apprendimento ed un tempo di ischemia minore rispetto alla chirurgia NS laparoscopica e con 316

risultati oncologici a breve termine sovrapponibili. Inoltre i criteri di resecabilità di RCC con l’ausilio del sistema DaVinci® sono molto meno stretti che con la laparoscopia e sovrapponibili in pratica alla NS open. Sorveglianza. In pazienti con piccole masse renali (≤ 1 cm), che sono sottoposti a sorveglianza attiva, non sembra esserci correlazione tra progressione locale del tumore e un aumentato rischio di malattia metastatica. Risultati oncologici a breve e medio termine indicano che si tratta di una strategia adeguata per monitorare inizialmente piccoli RCC. Nefrectomia in pazienti con RCC metastatico. Per la maggior parte dei pazienti con malattia metastatica, la nefrectomia è palliativa e si rendono necessari altri trattamenti sistemici. La nefrectomia nei pazienti con malattia metastatica è indicata per i pazienti che sono candidabili sia per un intervento chirurgico e hanno una buona performance status. Al momento, sono disponibili solo dati limitati sul significato della nefrectomia citoriduttiva in combinazione con agenti targeting ( inibitori della neoangiogenesi).

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18.2.2 Malattia di Von Hippel Lindau (VHL) La malattia di Von Hippel Lindau è un disordine familiare caratterizzato dallo sviluppo di cisti e tumori multipli colpisce un individuo ogni 36000 con un picco di penetranza intorno ai 70 anni. È una malattia con una mutazione genetica trasmessa per via autosomica dominante a carico del gene oncosopressore VHL (braccio corto del cromosoma 3p). Presenta cisti e lesioni neoplastiche localizzate in vari organi che possono essere distinte in lesioni del sistema nervoso e viscerali: sistema nervoso (l’emangioblastoma del sistema nervoso centrale, emangioblastomi cranio-spinali), visceri (tumori e cisti renali e pancreatiche, feocromocitoma, angiomi retinici, cistoadenomi dell’epididimo). Il 35-45% dei pazienti sviluppano un carcinoma a cellule chiare del rene verso i 40 anni. 18.2.3 Carcinoma renale papillare ereditario Malattia autosomica dominante (mutazione del proto-oncogene c-MET , braccio lungo del cromosoma 7) caratterizzata da tumori renali papillari aggressivi senza localizzazioni extrarenali. Si manifesta verso i 60 anni con lesioni renali molto numerose localizzate al rene.

18.3 NEFROBLASTOMA O TUMORE DI WILMS È la neoplasia maligna del parenchima renale non maturo. Si presenta in età pediatrica frequentemente nel primo anno di vita e nella maggior parte dei casi prima dei 5 anni; talora può essere presente già alla nascita. Rappresenta il 10% dei tumori maligni che colpiscono i bambini. Si presenta in 1 su 13.000 nati vivi. Può essere bilaterale. Essa deriva da cellule embrionali di pertinenza del blastema metanefrogeno, e può presentare dal 318

punto di vista istologico aspetti assai variabili, talora con prevalenza di strutture epiteliali talora con prevalenza di aspetti mesenchimali (più maligna), talaltra infine con commistione di reperti. Dal punto di vista architettonico si possono rinvenire strutture simili a rudimentali tubuli o glomeruli, e talvolta componenti muscolari, cartilaginei o ossei. E infine possibile rinvenire cellule simil-sarcomatose, rotondeggianti o stellate. Macroscopicamente si presenta come tumefazione unica o multipla, di aspetto eterogeneo con zone carnose bianco-rosate, zone necrotico-emorragiche bluastre o pseudocistiche; può essere presente una pseudocapsula. Il tumore di Wilms può diffondere per continuità, per contiguità, per via linfatica e per via ematica. Anche in questo caso è possibile osservare invasione della vena renale e della cava inferiore. Le metastasi ematogene (polmoni, fegato, ecc.) sono caratteristicamente precoci. Sintomatologia Molto più che non nelle neoplasie del parenchima renale adulto, nel nefroblastoma è evidente la tumefazione, che nel bambino, per lo scarso sviluppo della loggia renale, tende a estrinsecarsi verso la parete anteriore dell'addome. Per lo stesso motivo sono assai frequenti disturbi addominali (dolori da compressione), e disturbi digestivi (anoressia, turbe della canalizzazione, scadimento fisico). Nelle fasi evolute può essere presente ematuria capricciosa e totale. Diagnosi Si basa sull'anamnesi, ma soprattutto sull’evidente obiettività addominale e retroperitoneale. La diagnosi radiologica è affidata a ecografia, urografia e TC. Terapia Fino a non molti anni fa considerato a prognosi estremamente infausta, il tumore di Wilms consente oggi notevoli remissioni o addirittura la guarigione grazie alla terapia associata radiochemiochirurgica, con chemioterapia riduttiva pre-operatoria e di complemento post-operatoria; il trattamento chirurgico è 319

frequentemente di tipo conservativo perché spesso si osservano localizzazioni bilaterali sincrone o metacrone.

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CAPITOLO 19

TUMORI DELLA VESCICA Salvatore Siracusano, Francesco Visalli, Laura Toffoli

19.1 EPIDEMIOLOGIA ED EZIOPATOGENESI Il tumore della vescica è uno tra i più frequenti tumori del tratto genito-urinario, al secondo posto dopo quello della prostata. Ogni anno vengono diagnosticati più di 330.000 nuovi casi con una mortalità pari a 130.000 pazienti per anno. I tumori della vescica presentano un’incidenza più elevata nei maschi rispetto alle donne con un rapporto di 4:1 L’età media alla diagnosi di circa 65 anni ed il rischio di insorgenza di cancro della vescica per gli individui con più di 70 anni è 2-3 volte più alto rispetto ai soggetti con età compresa tra i 55 e i 69 anni. I tassi d’incidenza e di mortalità sono maggiori con il progredire dell’età Il tumore della vescica rappresenta la quinta causa di morte per neoplasia negli uomini di età superiore ai 75 anni. In uropa l’incidenza più elevata di tale patologia è stata riscontrata nel nord Italia, Spagna e Svizzera con tassi superiori a 100.000 individui per anno, intermedia in Gran Bretagna, Germania, Francia e bassa in diverse aree dell’ uropa settentrionale ed orientale. I tassi di mortalità più elevati sono stati registrati in Danimarca, Polonia e i più bassi attorno a 4 per 100.000 uomini in Finlandia, Svezia e Irlanda. Il 70% dei tumori inizialmente diagnosticati è costituito istologicamente da neoplasie non muscolo invasive, il restante 30% invece comprende neoplasie infiltranti muscolo-invasive. L’eziopatogenesi del tumore della vescica multifattoriale perché intervengono sia fattori esogeni sia endogeni. Tra i fattori esogeni il tabacco rappresenta uno dei più importanti fattori di 321

rischio essendo il responsabile del 50-65% di nuovi casi di tumore negli uomini e del 20-30% di casi femminili L’incidenza di cancro della vescica è direttamente correlata alla durata dell’abitudine al fumo e al numero di sigarette fumate ogni giorno. Un altro importante fattore di rischio l’esposizione occupazionale ad amine aromatiche e gruppi a rischio sono quindi i lavoratori nelle industrie di stampa, di produzione di ferro, alluminio e i colorifici. Alcuni studi hanno dimostrato che una dieta povera di verdura e frutta e ad alto contenuto di grassi aumenta il rischio d’insorgenza di tale malattia. I familiari di primo grado di pazienti affetti da tumore della vescica hanno un rischio doppio di sviluppare a loro volta un cancro della vescica.

19.2 ANATOMIA PATOLOGICA Il 90% dei tumori della vescica sono carcinomi a cellule transazionali derivanti dall’epitelio uroteliale, il 68% sono carcinomi a cellule squamose e il 2% adenocarcinomi. Il 70-75 % dei tumori della vescica si presentano come lesioni papillari non muscolo invasive (Ta, Tis, T1). Il restante 30% dei tumori vescicali esordisce come muscolo-invasivo (T2T3-T4) e si ritiene che tali tumori possano derivare da forme di carcinoma in situ. Il cancro della vescica è classificato secondo la classificazione TNM (Tumor, Node, Mestastasis classification) e il grading WHO.

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19.3 STADIAZIONE Tumore primitivo (T) Tx T0 Ta Tis T1 T2 T2a T2b T3 T3a T3b T4 T4a T4b

TNM, 2009 Tumore primitivo non valutabile Assenza di tumore primitivo Carcinoma papillare non invasivo Carcinoma in situ Tumore che invade il tessuto connettivo subepiteliale Tumore che invade la muscolare  Tumore che invade la tonaca muscolare superficiale  Tumore che invade la tonaca muscolare profonda Tumore che invade il tessuto adiposo perivescicale  Invasione microscopica del tessuto adiposo perivescicale  Invasione macroscopica del tessuto adiposo perivescicale Il tumore che invade organi vicini  Tumore che invade prostata, utero o vagina  Tumore che invade parete pelvica o addiminale

Linfonodi (N) Nx N0 N1 N2 N3

I linfonodi regionali non sono stati valutati Assenza di metastasi linfonodali Metastasi ad un singolo linfonodo regionale Metastasi a più di un linfonodo regionale Metastasi a linfonodi a distanza

Metastasi a distanza (M) Mx M0 M1

Le metastasi a distanza non sono state valutate Metastasi a distanza assenti Metastasi a distanza presenti

WHO grading 2004  Papilloma uroteliale  Neoplasia uroteliale papillare a bassa potenzialità maligna  Carcinoma uroteliale papillare a basso grado  Carcinoma uroteliale papillare ad alto grado

323

19.4 SINTOMATOLOGIA L'ematuria rappresenta spesso l’unico sintomo di esordio delle neoplasie uroteliali della vescica ed è presente nell' 80% dei casi. L'ematuria macroscopica solitamente si manifesta nel caso della fase terminale della minzione L'entità dell’ematuria variabile e può presentarsi in modo monosintomatico o associata a disuria, pollachiuria, stranguria e ritenzione urinaria. Nelle neoplasie a sede trigonale con coinvolgimento degli osti ureterali, raramente si possono manifestare quadri di colica renale mentre nelle ostruzioni a più lento esordio vi possono essere dolori gravativi a livello lombare. Un quadro particolare è fornito dai carcinomi in situ, neoplasie diffuse superficiali e con alto grado di differenziazione, che spesso esordiscono esclusivamente con sintomatologia irritativa simil-cistitica (disuria, stranguria, pollachiuria). Esistono infine con minor frequenza sintomi legati al grado di progressione della malattia, ovvero infiltrazione degli organi vicini (prostata, retto e vagina) o provocati da localizzazioni a distanza, linfonodali, polmonari, ossee ed epatiche.

19.5 DIAGNOSI Dopo aver effettuato una corretta raccolta anamnestica, gli esami diagnostici procedono dai meno invasivi ai più invasivi. L’esame obiettivo prevede un’accurata visita addominale e pelvica comprendente l'esplorazione retto-vaginale che fornisce informazioni su eventuali interessamenti secondari agli organi vicini causati da neoplasie localmente avanzate. Si procede poi con l’esame urine e la citologia urinaria che viene eseguita su 3 campioni urinari successivi giornalieri. La sensibilità di tale esame rimane ridotta per le neoplasie di basso grado, neoplasie 324

poco esfolianti e con caratteristiche cellulari troppo simili alle cellule normali ed è elevata invece (oltre il 90%) per le neoplasie in situ o di alto grado. Il sospetto di una neoformazione vescicale è solitamente indagato con l’esecuzione di un’ecografia sovrapubica la cui sensibilità appare compresa tra l’80 ed il 95% nei casi in cui la neoformazione non si localizzi a carico della parete anteriore. A fronte di un motivato sospetto clinico (macroematuria monosintomatica e/o citologia positiva) ed ecografia negativa o d’incerta interpretazione, solitamente, un ulteriore approfondimento diagnostico è rappresentato dall’uretrocistoscopia flessibile eseguita in ambito ambulatoriale. La visione diretta fornisce informazioni sulle caratteristiche macroscopiche della neoformazione (solida, papillare con esile o larga base di impianto), le dimensioni, il numero la sede, in particolare l'eventuale coinvolgimento dei meati ureterali. Inoltre essa identifica aree sospette iperemiche vellutate quali possibili sedi di carcinoma in situ e quindi si possono eseguire biopsie su aree sospette. Qualora la neoformazione venga visualizzata mediante altre indagini la cistoscopia flessibile viene omessa e il paziente può essere sottoposto a resezione endoscopica della vescica che viene eseguita con intento curativo e per la diagnosi istologica. Casi abbastanza rari di neoplasie soprattutto piatte possono sfuggire alla citologia, all’ecografia e all’endoscopia tradizionale e pertanto l’endoscopia a fluorescenza può offrire una possibilità diagnostica mediante una colorazione di questo tipo di lesioni. La TC e la RMN invece sono utilizzate per lo staging della malattia qualora questa risulti infiltrante all’esame istologico In questo caso sia per la Tc sia per la RMN è indispensabile l'uso del mezzo di contrasto endovenoso, che permette di mostrare la vivace impregnazione della neoplasia legata alla notevole neoangiogenesi caratteristica delle forme uroteliali. Con l'uso del mezzo di contrasto si possono quindi rilevare neoplasie anche di dimensioni veramente piccole, a patto che si eseguano sulla vescica scansioni molto preco325

ci, cio tipiche della fase arteriosa (circa 60 secondi dall’ iniezione).

19.6 TERAPIA SUPERFICIALI

DELLE

NEOPLASIE

VESCICALI

19.6.1 Resezione endoscopica transuretrale della vescica (TURV) La resezione endoscopica delle neoformazioni vescicali rappresenta il gold standard per la diagnosi ed il trattamento di forme non muscolo-invasive fornendo una valutazione istologica del tumore, definendo il grado e lo stadio della lesione. L'intervento di TURV consiste nell'asportazione della porzione esofitica della neoformazione evitando di coagulare estesamente la base d'impianto, della quale si dovranno prelevare ulteriori campioni tissutali in cui sia rappresentata la tonaca muscolare sottostante. La porzione esofitica e la base d'impianto devono essere inviate separatamente in modo che il patologo possa determinare la presenza o meno d’invasione muscolare. È consigliabile inviare anche 3 – 4 campioni dei margini della lesione sottoposta a resezione endoscopica. Il prelievo di campioni di mucosa apparentemente sana (mapping vescicale) è oggi eseguito solo se si ritiene probabile il riscontro di carcinoma in situ. Quando indicato, il mapping va fatto con pinze a freddo. I prelievi dell'uretra prostatica superficiali e profondi, eseguiti con resettore su ambedue i lobi laterali della prostata, sono opportuni in presenza di carcinoma in situ vescicale e/o di neoplasie papillari multifocali ad alto rischio. 19.6.2 Chemioterapia endovescicale La terapia medica delle neoplasie superficiali è un trattamento topico, ottenuto con l'instillazione endovescicale di un antiblastico la cui finalità è il prolungamento del tempo libero da ma326

lattia e dalla riduzione della progressione della stessa. L’instillazione endocavitaria viene eseguita con i seguenti farmaci: mitomicina C, doxorubicina, epirubicina e più recentemente con gemcitabina. La chemioterapia endocavitaria può essere eseguita come adiuvante entro poche ore dalla TUR nei pazienti con neoplasia a basso rischio, riducendo così la recidiva nel 39% dei casi, mentre nelle neoplasie a medio rischio (con elevata recidività ma basso rischio di progressione) è indicata un’instillazione endovescicale settimanale per 6-8 settimane seguita da controlli citologici e cistoscopici ogni 3 mesi. 19.6.3 Immunoterapia endovescicale Un particolare tipo di terapia endocavitaria l’immunoterapia con instillazione endovescicale del Bacillo di Calmette Guèrin (BCG), tale farmaco è molto efficace nel trattamento dei tumori a rischio intermedio, Tis e T1 G3 (classe ad alto rischio) poiché riduce significativamente le recidive e il rischio di progressione L’esatto meccanismo di azione del BCG non stato identificato ’ noto che, dopo instillazione endovescicale, il BCG aderisce all’urotelio e stimola una risposta immunitaria locale e sistemica: i bacilli penetrano nelle cellule uroteliali esponendo delle glicoproteine di superficie che servono da antigeni per la risposta immunitaria Non comunque chiaro se l’effetto antitumorale sia dovuto a una risposta umorale specifica verso l’antigene tumorale, a una risposta cellulo-mediata oppure al rilascio locale di citochine. Il trattamento ottimale con BCG prevede un’instillazione alla settimana per 6 settimane (ciclo di attacco o induzione) seguito da un ciclo di mantenimento con periodiche instillazioni per 3 settimane consecutive a 3-6-12-1824-30 e 36 mesi (ciclo di mantenimento o consolidamento). Pazienti sottoposti a trattamento di mantenimento presentano una riduzione delle recidive rispetto a coloro che non hanno ricevuto il ciclo di mantenimento con tassi di recidiva rispettivamente del 69% e dell’84% 327

19.7 TERAPIA DELLE MUSCOLO-INVASIVE

NEOPLASIE

VESCICALI

La cistectomia radicale è il trattamento gold standard del tumore muscolo-invasivo della vescica ed è inoltre indicata nelle neoplasie vescicali superficiali ad alto rischio di progressione, non responsiva all’immunoprofilassi intravescicale con BCG (Tis, Ta-T1/G3), e in caso di altra neoplasia pelvica infiltrante la vescica. La procedura chirurgica standard si esegue a cielo aperto Nell’uomo comprende l’asportazione di vescica, prostata, vescicole seminali, deferenti e linfonodi pelvici. Nella donna si asportano vescica, utero, annessi, parete anteriore della vagina e linfonodi pelvici. Dopo cistectomia radicale circa il 30% dei pazienti può sviluppare recidive locali o a distanza entro i primi 5 anni. La scelta del tipo di derivazione urinaria si basa non soltanto sulla prognosi della malattia e sulle condizioni del paziente, ma anche sulla formazione professionale del chirurgo e sul grado di accettazione della proposta di derivazione da parte del paziente. 19.7.1 Il condotto ileale Tale intervento consiste nell’anastomizzare i due ureteri a un tratto d’ileo che è poi abboccato alla cute. Il condotto ileale è una soluzione sicuramente efficace, anche se pone problemi estetici e può determinare problemi stomali nel 20% dei pazienti, nonché dilatazione delle cavità escretrici renali nel 30% dei casi. 19.7.2 Ureterocutaneostomia Gli ureteri sono abboccati alla cute e l’urina è raccolta in appositi raccoglitori posti ai lati della parete addominale. Tale pro328

cedura è eseguita in casi particolari quali pazienti anziani, debilitati o affetti da patologie croniche infiammatorie intestinali. 19.7.3 Neovescica ortotopica La neovescica ortotopica è la derivazione urinaria di prima scelta in corso di cistectomia radicale. Essa consiste nella creazione di un serbatoio con intestino opportunamente detubularizzato e riconfigurato per l’anastomosi gli ureteri e distalmente con l’uretra Questa derivazione consente quindi la minzione per uretram alla quale il paziente dovrà adeguarsi previa riabilitazione funzionale. 19.7.4 Serbatoio eterotopico continente ’ una procedura diventata popolare alla fine degli anni ’80 e che prevede l’impiego dell’autocateterismo L’intervento chirurgico prevede un’ampia varietà di soluzioni quali l’utilizzo dei segmenti ileali, ileo-cecali o colon-sigma. I pazienti che sono sottoposti a una derivazione urinaria continente devono essere in grado di eseguire l’autocateterismo 19.8 Radioterapia La radioterapia raramente è utilizzata quale soluzione di prima scelta. In particolare essa può essere impiegata come unico trattamento (approccio unimodale) sia in combinazione con la chirurgia (approccio bimodale), sia in associazione alla chirurgia e chemioterapia (approccio trimodale). 19.9 Chemioterapia sistemica La chemioterapia sistemica può essere utilizzata nella forma neoadiuvante, ovvero prima di un trattamento chirurgico radicale o radioterapico o nella forma adiuvante ovvero dopo chirurgia o radioterapia radicale. Ora l’impiego più utilizzato è quello nella forma adiuvante.

329

CAPITOLO 20

TUMORI DELLA PELVI RENALE E DELL’URETERE Salvatore Siracusano, Francesco Visalli, Laura Toffoli 20.1 EPIDEMIOLOGIA ED EZIOPATOGENESI I tumori della pelvi renale rappresentano circa il 10% di tutte le neoplasie renali e circa il 5% di tutti i tumori uroteliali. I tumori ureterali sono più rari e si presentano con una frequenza pari a ¼ di quella dei tumori della pelvi e il sesso maschile presenta un’incidenza doppia rispetto al sesso femminile Generalmente i tumori dell’alta via escretrice hanno un picco d’incidenza nella quinta, sesta e settima decade di vita con un’età media di comparsa intorno ai 65 anni. Il rischio relativo di sviluppare un tumore dell’alta via escretrice in pazienti prima operati per urotelioma vescicale è del 60% nei primi due anni, del 40% tra i due e i cinque anni, del 50% tra i cinque e dieci anni e del 30% dopo i 10 anni dall’intervento sistono molti fattori in grado di contribuire allo sviluppo dei tumori uroteliali dell’alta via escretrice. I fattori di rischio esogeni sono il fumo di sigaretta, l’uso di analgesici, l’esposizione a carcinogeni occupazionali e il contatto con amine aromatiche in ambito lavorativo. Il fumo di sigaretta è il fattore di rischio più fortemente associato allo sviluppo di tumori a cellule transizionali delle alte vie urinarie. Nei fumatori di sigarette è infatti riscontrata un’incidenza tre volte superiore di sviluppo di tumori uroteliali rispetto ai non fumatori con un rischio correlato al numero di sigarette/die. L’esposizione occupazionale ad amine aromatiche e ai loro derivati rappresenta un fattore eziologico comune sia per il cancro della vescica che per i tumori delle alte vie urinarie L’uso ec330

cessivo di analgesici appartenenti alla classe dei FANS determina delle alterazioni dell’epitelio della via escretrice quali necrosi, metaplasia fino alla neoplasia mentre l’esposizione a lungo termine agli analgesici induce una nefropatia che si associa ad un’incidenza del 70% di carcinoma a cellule transizionali delle alte vie urinarie L’infezione batterica cronica associata a calcolosi urinaria e ostruzione predispone invece allo sviluppo di carcinomi a cellule squamose e meno frequentemente ad adenocarcinomi uroteliali. Dati molecolari e citogenetici, infine, hanno documentato come alterazioni geniche siano implicate nello sviluppo dei tumori uroteliali. Le alterazioni ora ritenute più importanti sono correlate al cromosoma 17p (perdita di uno o più geni oncosopressori p53), al cromosoma 13q (RB), al cromosoma 9 (mutazioni p18,p16,p21,p32-33). Le alterazioni del cromosoma 9 vengono per lo più rilevate nei tumori di basso grado, mentre quelle del cromosoma 17p (p53) nei tumori di alto grado. A tale riguardo la sindrome di Linch II (mutazione dei geni MSH2 e MLH1), caratterizzata dalla precoce insorgenza di tumori colici prossimali senza poliposi, di numerosi tumori colici sincroni e metacroni e di tumori extracolici può includere anche un rischio elevato di sviluppare un carcinoma a cellule transizionali delle alte vie urinarie. Un particolare aspetto rappresentato dalla “nefropatia dei Balcani” caratterizzata da nefropatia interstiziale degenerativa associata ad una particolare incidenza di tumori dell’alta via escretrice ma non della vescica. In questa sindrome si ipotizza la presenza di fattori genetici ed ambientali che interagiscono tra loro. 20.2 ANATOMIA PATOLOGICA Le neoplasie primitive dell’alta via escretrice interessano la pelvi renale e l’uretere rispettivamente nel 8% e 4% dei casi L’uretere pelvico interessato nel 70% dei casi, la porzione iliaca nel 25% e quella lombare nel 5% dei casi. Il carcinoma a 331

cellule transizionali rappresenta più del 90% di tutti i tumori uroteliali delle vie urinarie e ha delle caratteristiche anatomopatologiche sovrapponibili a quelle del carcinoma a cellule transizionali della vescica. Un quadro istologico particolare è rappresentato dal carcinoma in situ, spesso di per sé espressione di forme neoplastiche particolarmente aggressive, che nella maggior parte dei casi è associato a delezioni e/o mutazioni del gene p53. I tumori non a cellule transizionali sono di raro riscontro e sono rappresentati da: carcinoma a cellule squamose (0.7-7%), dall’adenocarcinoma (>1% dei casi) e dalle forme sarcomatose ( 5cm

Metastasi a distanza (M) Mx M0 M1

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Le metastasi a distanza non sono state valutate Metastasi a distanza assenti Metastasi a distanza presenti

WHO grading 2004 Papilloma uroteliale Neoplasia uroteliale papillare a bassa potenzialità maligna Carcinoma uroteliale papillare a basso grado Carcinoma uroteliale papillare ad alto grado

20.4 SINTOMATOLOGIA Il più frequente sintomo di esordio dei tumori uroteliali delle alte vie urinarie l’ematuria macro o microscopica che si verifica in più del 75% dei pazienti. Il dolore lombare si riscontra nel 30% dei pazienti e di solito è sordo a causa della graduale ostruzione e distensione del sistema collettore mentre il dolore acuto, tipo colica, si verifica solo al passaggio di coaguli ematici, che ostruiscono improvvisamente il sistema collettore. In circa il 5% dei casi la neoplasia rappresenta un riscontro occasionale, in pazienti asintomatici, in corso di indagini ecografiche dell’addome eseguite per altre indicazioni

20.5 DIAGNOSI Il paziente con macroematuria viene valutato in prima istanza mediante l’esecuzione di un’ ecografia renovescicale, la sua sensibilità risulta però scarsa rispetto alla Tc. I tumori a localizzazione ureterale sono raramente rilevati all’ecografia a causa della sua non completa esplorabilità. Sulla base della clinica e dell’eventuale rilievo ecografico i successivi step sono rappresentati dalla citologia urinaria, dalla cistoureteronefroscopia e dalla pielografia retrograda e dall’ Uro-TC L’Uro-TC rappresenta il gold standard per la valutazione del cancro delle alte vie urinarie con una sensibilità del 96% e una specificità del 333

99% per lesioni polipodi del diametro compreso tra 5 e 10 mm, la sensibilità scende all’89% per lesioni polipoidi inferiori a 5mm e del 40% per lesioni polipodi inferiori a 3mm.

20.6 TERAPIA La nefroureterectomia con escissione a pastiglia dell’ostio ureterale è la terapia gold standard per il trattamento dei tumori delle alte vie urinarie L’intervento di nefroureterectomia comporta nelle forme invasive la linfoadenectomia contestuale mentre le tecniche chirurgiche consigliate oltre a quella a cielo aperto è la nefroureterectomia laparoscopica i cui risultati appaiono sovrapponibili per quanto riguarda la radicalità oncologica.

334

335

CAPITOLO 21

TUMORI DELLA PROSTATA Alchiede Simonato, Stefano De Stefani, Carlo Ambruosi

21.1 EPIDEMIOLOGIA Il cancro della prostata (CaP) è il più frequente tumore nel maschio ed è la seconda causa di morte per tumore nei maschi Americani La sua prevalenza aumenta con l’età passando da 1/10000 nei maschi al di sotto dei 40 anni, arrivando a 1/8 nella fascia di età compresa tra 60e 79 anni. Studi autoptici hanno evidenziato un’incidenza (forme definite latenti) del 70-80% dopo gli 80 anni. L’incidenza della malattia più alta negli Afro-americani rispetto ai bianchi mentre è significamene più bassa nelle popolazioni asiatiche (50 volte minore). Nei gruppi asiatici immigrati negli USA l’incidenza aumenta progressivamente nei successivi salti generazionali. Questa variazione dipende dalla combinazione di fattori genetici (l’incidenza aumenta nei pazienti in cui il padre e/o il fratello hanno sviluppato la malattia, il gene responsabile del CaP nelle forme familiari sembra risiedere nel cromosoma 1) e ambientali (un ruolo importante sembra essere svolto dalla dieta, infatti una dieta ricca di grassi animali pare aumentare l’incidenza della malattia). Quasi tutti i tumori maligni della prostata (95%) sono adenocarcinomi originanti dalle cellule acinari o più raramente duttali.

336

21.2 EZIOPATOGENESI. Analogamente a quanto si verifica per la maggior parte dei tumori essa è notevolmente oscura. Il testosterone e il suo metabolita diidrotestosterone stimolano lo sviluppo delle cellule tumorali. Il cancro della prostata si propaga per continuità, per contiguità, per via linfatica, perineurale e per via ematica. La propagazione per continuità avviene nel contesto della ghiandola stessa. Quella per contiguità si verifica a carico degli organi vicini e cioè vescica, vescichette seminali, retto, uretra e pareti dell'escavazione pelvica. La disseminazione linfatica interessa quali linfonodi regionali quelli iliaci interni, esterni, otturatori e presacrali;. La disseminazione per via perineurale si verifica lungo le guaine dei nervi dello scavo pelvico. La disseminazione per via ematogena interessa prevalentemente lo scheletro, i polmoni e il fegato. E di particolare importanza il fatto che le metastasi ossee da carcinoma prostatico sono spesso osteoaddensanti e colpiscono per lo più la colonna, il bacino e le porzioni prossimali dei femori.

21.3 ANATOMIA PATOLOGICA Oltre il 95% dei tumori maligni della prostata sono adenocarcinomi, il restante 5% sono prevalentemente carcinomi a cellule transizionali; più rare sono le forme neuroendocrine, carcinomi o sarcomi. Per semplicità faremo riferimento unicamente 337

all’adenocarcinoma della prostata; esso origina nel 60-70% dei casi dalla zona periferica, nel 10-20% dalla zona transizionale e nel 5-10% dalla zona centrale. Tralasciando i dettagli anatomopatologici del CaP i punti salienti cito-istologici sono:  nucleo ipercromatico;  nucleoli prominenti;  l’architettura della ghiandola rappresentata dalla discontinuità della membrana basale (questo l’aspetto più importante che permette al patologo di fare diagnosi). Un discorso a parte merita la neoplasia prostatica intraepiteliale (PIN), secondo alcuni autori essa è il precursore del CaP, secondo altri invece il suo riscontro in corso di agobiopsia prostatica si associa ad una più o meno alta probabilità di presenza di CaP nelle zone prostatiche limitrofe. Da un punto di vista prettamente isto-citologico ha caratteristiche simili al CaP ad eccezione dell’interruzione della membrana basale (nel PIN la membrana basale è sempre presente ed integra). Schematicamente possiamo classificare il PIN in alto grado (HGPIN) e basso grado (LGPIN). Questa classificazione ha una notevole rilevanza clinica, infatti il riscontro di HGPIN in corso di agobiopsia prostatica si associa alla presenza di CaP nel 50-80% dei casi, mentre il LGPIN è associato alla presenza del CaP in circa il 20% dei casi.

21.4 GRADING ISTOLOGICO E STADIAZIONE Il sistema di Gleason è considerato il sistema di riferimento internazionale. Si basa sulla valutazione delle caratteristiche architetturali della neoplasia. Sono riconosciuti cinque diversi pattern:

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Gleason 1: Tumore composto da noduli di ghiandole ben delimitati, strettamente ravvicinate, uniformi, singole e separate l'una dall'altra. Gleason 2: Tumore ancora abbastanza circoscritto, ma con eventuale minima estensione delle ghiandole neoplastiche alla periferia del nodulo tumorale, nel tessuto prostatico non neoplastico Gleason 3: Tumore che infiltra il tessuto prostatico nontumorale; le ghiandole presentano notevole variabilità di forma e dimensione. Gleason 4:Ghiandole tumorali con contorni mal definiti e fuse fra loro; possono essere presenti ghiandole cribriformi con bordi irregolari. Gleason 5: Tumore che non presenta differenziazione ghiandolare, ma è composto da cordoni solidi o da singole cellule. Il pattern primario o predominate e quello secondario sono valutati separatamente e poi combinati nello score di Gleason. Il suo range è da 2 (1 + 1) a 10 (5 + 5). Considerando il Gleason score si possono suddividere i CaP in:  CaP ben differenziati, quelli con Gleason score 2-4;  CaP mediamente differenziati, quelli con Gleason score 5-6  CaP scarsamente differenziati quelli con Gleason score 8-10. I CaP con Gleason score 7 che hanno Gleason primario 4 rientrano nelle forme scarsamente differenziate e tendono ad avere prognosi peggiore mentre quelli con Gleason primario 3 appartengono alle forme mediamente differenziate. Recentemente alcuni autori hanno dato una significativa importanza, da un punto di vista prognostico, anche alla valutazione del Gleason terziario. È importante sottolineare che il Gleason valutato in corso di biopsia prostatica non sempre corrisponde a quello riscontrato all’esame istologico sul pezzo operatorio, spesso il Gleason bi339

optico è sottostimato. 21.5 STADIAZIONE Stadiazione Clinica (cT) (UICC, 2002) TX T0 T1 T1a T1b T1c T2 T2a T2b T2c T3 T3a T3b T4

Il tumore primitivo non può essere definito Non segni del tumore primitivo Tumore clinicamente non apprezzabile, non palpabile né visibile con la diagnostica per immagini  Tumore scoperto casualmente nel 5% o meno del tessuto asportato  Tumore scoperto casualmente in più del 5% del tessuto asportato  Tumore diagnosticato mediante agobiopsia (ad esempio, a causa del PSA elevato) Tumore limitato alla prostata*  Tumore che interessa la metà o meno di un lobo  Tumore che interessa più della metà di un lobo ma non entrambi i lobi  Tumore che interessa entrambi i lobi Tumore che si estende attraverso la capsula prostatica**  Estensione extraprostatica (mono- o bilaterale)  Tumore che invade la/e vescichetta/e seminale/i Tumore fisso che invade strutture adiacenti oltre alle vescichette seminali: collo della vescica, sfintere esterno, retto, muscoli elevatori e/o parete pelvica.

* un tumore scoperto in uno o entrambi i lobi mediante agobiopsia, ma non palpabile o visibile mediante la diagnostica per immagini, è classificato come T1c. ** l’invasione dell’apice prostatico o della capsula prostatica (ma non oltre) non è classificata come T3 ma come T2.

Stadiazione Patologica (pT) pT0 pT2* pT2a pT2b pT2c pT3 pT3a pT3b pT4

Assenza di tumore Tumore limitato alla prostata  Tumore monolaterale, che interessa la metà o meno di un lobo  Tumore monolaterale, che interessa più della metà di un lobo ma non entrambi i lobi  Tumore che interessa entrambi i lobi Estensione extraprostatica  Estensione extraprostatica**  Infiltrazione della(e) vescichetta(e) seminale(i) Invasione della vescica o del retto

* non esiste classificazione patologica T1. ** la positività dei margini deve essere indicata dal suffisso R1 (malattia residua)

Linfonodi regionali (N) 340

pNX pN0 pN1

I linfonodi regionali non sono stati prelevati Non metastasi nei linfonodi regionali Metastasi in linfonodo(i) regionale(i)

MX M0 M1 M1a M1b M1c

La presenza di metastasi a distanza non può essere accertata Non metastasi a distanza Metastasi a distanza Metastasi in linfonodo(i) extraregionale(i) Metastasi ossee Metastasi in altre sedi con o senza metastasi ossee

Metastasi a distanza (M)*

21.6 SINTOMATOLOGIA Il cancro della prostata è una malattia a lenta evoluzione e resta a lungo asintomatico. La sintomatologia compare quando la neoplasia è già divenuta extracapsulare e quindi non è più suscettibile di terapia chirurgica radicale. Essa è riferibile a compressione, ma più frequentemente a infiltrazione dell'uretra prostatica e del collo vescicale; si spiega così la presenza di disuria, di pollachiuria, talora di ematuria, o più raramente di emospermia. Per infiltrazioni estese si può avere una ritenzione urinaria ingravescente fino alla ritenzione totale e, per interessamento di uno o di entrambi i meati ureterali, ureteroidronefrosi. In alcuni casi è possibile che il sintomo di esordio sia rappresentato dai dolori ossei, espressione di metastasi. In caso d’infiltrazione del piano perineale si riscontrano dolori gravativi perineali, o talora dolori urenti o costrittivi nella stessa sede con tipica irradiazione lungo l'uretra fino al glande. In realtà con l’avvento del PSA, che ha permesso la diagnosi precoce della malattia, questa sintomatologia d’esordio estremamente rara. 21.7 DIAGNOSI. 341

Si basa sull'anamnesi, sull'esame obiettivo, sui reperti laboratoristici, radiologici ecografici, e sulla biopsia. L'anamnesi può essere silente, come nei casi in cui il riscontro della neoplasia è un fatto occasionale (ad es. esplorazione rettale eseguita per altri motivi); nei casi più avanzati il malato può riferire disturbi minzionali e/o dolori ossei. In alcuni casi è presente una familiarità. L'esame obiettivo consiste nell'esplorazione rettale, che può fornire reperti assai diversi a seconda dello stadio di malattia. Spesso è assolutamente negativa. Nei casi non particolarmente avanzati è possibile apprezzare una tumefazione circoscritta, della grandezza di un grano di pepe, fino a quella di una nocciola, a superficie irregolare, di consistenza duro-lignea, a limiti non sempre ben definiti, non dolente, con mucosa rettale soprastante inizialmente ancora scorrevole. Nelle fasi iniziali il solco mediano e i solchi laterali possono essere ancora risparmiati. Nelle fasi più avanzate la neoplasia può diffondersi all'intero ambito prostatico e oltre per cui si palpa una tumefazione duro-lignea, a superficie bernoccoluta, non sono apprezzabili il solco mediano ed i solchi laterali e la mucosa rettale diviene fissa. È possibile talora apprezzare l'infiltrazione delle vescichette seminali indurite, che assieme alla prostata danno luogo al reperto semeiologico definito a testa di toro. Nelle fasi avanzatissime, quando si è verificata l'infiltrazione di retto, vescica, pareti pelviche e tessuto cellulare lasso pelvisottoperitoneale, si parla di pelvi congelata (tutte le strutture menzionate sono fisse, fuse fra loro e presentano una consistenza durolignea). L’esame laboratoristico che ha cambiato radicalmente la storia naturale del CaP il dosaggio ematico dell’antigene prostatico specifico (PSA) che come dice il nome è un marcatore organo specifico. E' bene sottolineare che non si tratta di un marker tumorale. L’unità di misura con il quale viene valutato ng/ml 342

Il PSA è una serin-proteasi callicreino-simile prodotta principalmente dal tessuto prostatico. In realtà, si è dimostrato che il PSA viene prodotto anche da altri distretti corporei nei quali sembra sia soggetto a regolazione ormonale. Tuttavia, solo il PSA prodotto dalla prostata raggiunge livelli ematici quantitativamente significativi e come tali di rilevanza clinica. Il PSA circola nel sangue sia libero che legato a inibitori enzimatici quali l'antichimotripsina e l'alfa-2-macroglobulina. I metodi immunometrici comunemente disponibili riconoscono il PSA libero ed il PSA legato all'antichimotripsina, mentre non riescono a misurare il PSA legato all'alfa-2macroglobulina. La percentuale di PSA libero rispetto al PSA totale è maggiore nei pazienti con ipertrofia prostatica che nei pazienti con cancro della prostata. Aumenti del PSA, fino a 10-20 volte rispetto ai valori normali nelle forme acute, sono riscontrabili anche nelle prostatiti, meno spiccati nelle forme croniche, con variabili rapporti fra PSA libero e PSA totale. Il PSA può essere falsamente elevato in presenza di prostatite acuta, di ritenzione urinaria e calcolosi vescicale. Per quanto riguarda le metodiche diagnostiche, la biopsia prostatica può causare incrementi anche rilevanti (fino a 50 volte) del PSA. Dopo la biopsia i valori di PSA tornano ai livelli pre-biopsia lentamente (anche 30-60 giorni). È pertanto raccomandabile eseguire sempre una determinazione basale di PSA prima della biopsia L'effetto dell'esplorazione rettale e dell’eiaculazione entro le 24 ore dal dosaggio del PSA sembra limitato. Tuttavia, quando si vogliono valutare le variazioni del PSA indotte da un eventuale trattamento, sia nel caso del cancro sia dell'ipertrofia prostatica benigna, è necessario conoscere il valore basale dell'antigene. In questo caso, ogni variazione quantitativa del PSA indotta ad esempio dall'esplorazione rettale può compromettere una corretta valutazione delle variazioni successive dell'antigene. Quindi, quando è possibile, è raccomandabile eseguire il prelievo per il PSA prima della esplorazione rettale. 343

Per quanto riguarda altre manovre, l'uso del catetere a dimora può causare un incremento del valore ematico del PSA, mentre l'effetto dell'ecografia transrettale è stato valutato solo aneddoticamente e non è possibile per ora stabilirne l'esatta influenza sui valori plasmatici dell'antigene. Dal punto di vista operativo, va comunque considerata buona norma, ove possibile, eseguire il dosaggio del PSA prima di ogni manovra diagnostica. Il PSA è falsamente ridotto dalla finasteride (inibitore della 5alfa-reduttasi) che è un farmaco spesso usato nel trattamento della iperplasia prostatica benigna. Essa determina un dimezzamento del PSA, pertanto questo è da tenere conto nella valutazione globale del paziente. Il valore soglia del PSA al di sotto del quale il valore è considerato “normale” 4 ng/ml Tuttavia, un dilemma diagnostico critico è rappresentato dalla sovrapposizione fra soggetti con cancro confinato all'organo e soggetti con ipertrofia prostatica che presentano spesso valori di PSA fra 4 e 10 ng/ml. Inoltre, è sempre più consistente il problema di porre diagnosi di carcinoma in pazienti con PSA inferiore a 4.0 ng/ml in quanto il 2530% dei pazienti con neoplasia confinata alla ghiandola presentano un PSA compreso fra 2.5 e 4.0 ng/ml. Oggi il valore di 4.0 ng/ml deve essere considerato un livello soglia positivo/negativo convenzionale, caratterizzato da un basso valore predittivo sia negativo che positivo, non più adeguato come criterio decisionale. Per aumentare l'efficienza diagnostica del marcatore sono state proposte diverse alternative: PSA density, valore di PSA aggiustato all’età, rapporto del PSA libero/PSA totale e il PSA velocity. Il PSA density esprime il rapporto fra il PSA e le dimensioni misurate ecograficamente della ghiandola, e si basa sul fatto che la quantità di PSA prodotto per grammo di tessuto è molto maggiore nel cancro che non nell'ipertrofia. La PSA density

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aumenterebbe in effetti l'accuratezza diagnostica del PSA nei pazienti in cui il valore del marcatore è fra 4 e 10 ng/ml. Gli Intervalli di riferimento di PSA totale aggiustati per fascia d'età sono i seguenti: Decade 40-49 50-59 60-69 70-79 Casi valutati

PSA ng/ml (95%ile della decade) 2.3 2.5 3.5 3.5 3.5 5.0 5.4 4.5 6.0 6.3 6.5 1000 728 549

Tuttavia è noto che il PSA aumenta significativamente con l'età anche nei soggetti senza patologia, inoltre gli intervalli di riferimento sono ottenuti in studi diversi e anche se mostrano uno stesso andamento, non sono sovrapponibili. Il razionale del rapporto PSA libero/PSA totale è dovuto al fatto che i pazienti con neoplasia prostatica hanno una quota di PSA libero circolante ridotta rispetto ai pazienti con ipertrofia prostatica benigna. Il rapporto PSA libero/totale va utilizzato solo nei casi di valori di PSA totale compresi fra 2.5 e 20.0 ng/ml. La scelta del valore soglia del PSA libero/totale dipende dal quesito diagnostico. A scopo schematico si può dire che un rapporto inferiore al 10% esprime, con ogni probabilità, una patologia maligna, mentre un rapporto superiore al 20% è associato, quasi sempre, ad una patologia benigna della prostata. Il PSA velocità indica il tasso d'incremento di PSA nel tempo. La variazione quantitativa su base annuale tra prelievi seriati di uno stesso paziente è più significativa del valore assoluto del PSA nella diagnosi differenziale tra cancro ed ipertrofia. Nel cancro della prostata, l'incremento del PSA è generalmente maggiore a 0,75 ng/ml per anno con incrementi annui del 20% rispetto ai valori iniziali. Per adottare questo criterio, sono necessarie ripetute determinazioni del PSA, preferibilmente ad in345

tervalli trimestrali, per un periodo minimo di un anno, ma preferibilmente per diversi anni. Ognuno di questi sistemi contribuisce a fornire un più alto livello diagnostico del PSA, al momento attuale i più utilizzati sono il rapporto del PSA libero/PSA totale e il PSA velocity associati agli aggiustamenti del PSA all’età del paziente L'indagine ecografica essere eseguita per via transrettale può evidenziare l'esistenza di nodularità ipoecogene oppure aree disomogenee a livello della zona periferica, tuttavia non tutti CaP sono ipoecogeni (il 20-30% è isoecogeno) inoltre, la disomogeneità dell’ecostruttura della prostata in pazienti con pregressi episodi di prostatiti, rende difficoltosa l’individuazione del CaP. Questi problemi hanno ridimensionato il ruolo diagnostico dell’ecografia prostatica transrettale Questa metodica più utile nel valutare l'integrità o meno della fascia di Denonvilliers, e l’eventuale l’infiltrazione delle vescicole seminali La scintigrafia ossea total body consente, con somministrazione di modeste quantità di tecnezio99, di studiare tutto lo scheletro; la presenza di metastasi viene evidenziata dalla presenza di aree di abnorme accumulo di tracciante. La TC e RMN assiale pelvica con MDC può essere utilizzata per la valutazione preoperatoria dei linfonodi pelvici, tuttavia gli elevati costi e la bassa sensibilità ne limitano l’utilizzo nei cT3, nei pazienti con PSA >20 ng/ml e nei pazienti con Gleason bioptico 4 e 5. La RMN con bobina endorettale, a causa degli alti costi, ha un ruolo limitato alla valutazione preoperatoria nei casi sospetta infiltrazione delle vescicole seminali. La biopsia rappresenta l'indagine più importante poiché è l'unica che consente la diagnosi anatomopatologica di certezza, senza la quale sarebbe scorretta qualunque scelta terapeutica. L'agobiopsia della prostata può essere effettuata per via perineale (percutanea) oppure per via transrettale entrambe ecoguida-

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te con sonda transrettale. Il numero di prelievi bioptici dovrebbero essere non inferiori a dodici.

21.8 TERAPIA È possibile scegliere da un ampio ventaglio di soluzioni a seconda, dell’età biologica del paziente e dalla presenza di comorbilità. Questa può essere una semplice vigile attesa oppure medica, chirurgica, radiante. Nei tumori in stadio T1 e T2 (in pazienti con aspettativa di vita globale > di 10 anni) è possibile praticare la terapia radicale che è chirurgica, o secondo alcuni Autori può essere eseguita mediante radioterapia. Il trattamento chirurgico radicale consiste nella prostatovesciculectomia preceduta dalla linfoadenectomia regionale in alcuni casi. Si tratta cioè di asportare in blocco la prostata, le vescichette seminali e il tratto intrapelvico dei deferenti con successiva anastomosi della base vescicale all'uretra membranosa. Nelle fasi più avanzate il trattamento può essere solo palliativo e cioè rivolto a rallentare l'evoluzione della malattia e di sue eventuali metastasi ed a risolvere fenomeni di ostruzione cervico-uretrale. A quest'ultimo scopo può essere indicata la resezione endoscopica transuretrale, che talora succede di dover ripetere varie volte nel corso degli anni. La terapia medica del carcinoma della prostata è basata su numerosi presidi. Il razionale della terapia medica consiste nel fatto che il tumore della prostata è (nelle fasi iniziali è spesso per lungo tempo) ormonosensibile al testosterone, per cui la privazione androgenica (blocco androgenico) bloccherebbe la sua crescita. Il blocco androgenico può essere ottenuto con l’utilizzo di antiandrogeni periferici di cui il più comunemente impiegato è il Ciproterone acetato. Con l’avvento in terapia degli analoghi LHRH (cioè releasing factor ipotalamico dell'LH) che agiscono da su347

peragonisti competitivi dell'LHRH naturale (esaurendo in tal modo l'increzione ipofisaria di LH e conseguentemente la produzione di testosterone da parte delle cellule del Leydig) è possibile associarli agli antiandrogeni periferici determinando un blocco androgenico totale (castrazione chimica). La terapia medica, in prima battuta, è riservata alle forme metastatiche. È utilizzata anche come adiuvante nei casi N+.

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CAPITOLO 22

I TUMORI DEL TESTICOLO Alchiede Simonato, Virginia Varca

22.1 INCIDENZA Il tumore del testicolo è una malattia rara e costituisce circa l’1% di tutte le neoplasie maligne del maschio. Il 95% dei tumori del testicolo deriva dall’epitelio germinale dei tubuli seminiferi. Sono riconosciuti diversi istotipi che si possono presentare in forma pura o combinata. Il seminoma costituisce la frazione più numerosa con picco tra i 30-39 anni mentre è rarissimo prima dei 16. Il carcinoma embrionale, raro fino ai 18 anni, raggiunge la massima frequenza fra i 20-29 anni. Il tumore del seno endodermico (o tumore del sacco vitellino) si manifesta in forma pura quasi esclusivamente nell’infanzia Il coriocarcinoma puro si presenta in genere tra i 30-40 anni. Le neoplasie costituite da più di un istotipo sono classificate tra i non-seminomi.

22.2 EZIOLOGIA L’eziologia dei tumori testicolari non del tutto chiara; l’ipotesi più accreditata è che cloni cellulari neoplastici siano presenti all'interno della gonade probabilmente ancor prima della nascita. A questo fa riferimento la documentata correlazione fra l’insorgenza di tumori germinali e alti livelli di estrogeni durante la settima settimana di gravidanza. 350

Il criptorchidismo e le diverse forme di ritenzione testicolare, l’ernia inguinale infantile, l’atrofia testicolare e l’infertilità potrebbero essere espressione della medesima anomalia provocata dagli stessi disordini ormonali responsabili dell’insorgenza di tumori testicolari (ipogonadismo ipogonadotropo). L’orchidopessi, eseguita precocemente, sembra ridurre il rischio di neoplasia ma soprattutto rende più facile l’esplorazione clinica del testicolo Notevoli progressi sono stati fatti sia in fase diagnostica sia terapeutica; il miglioramento della diagnosi è stato conseguito grazie al perfezionamento delle tecniche di “imaging” e all’introduzione di marcatori sierici altamente specifici (AFP e HCG). Attualmente il 90% dei pazienti affetti da questa malattia può conseguire una guarigione definitiva.

22.3 ISTOPATOLOGIA La maggior parte dei tumori del testicolo (circa 95%) prende origine dalle cellule germinali (TGT). Dagli elementi non germinali derivano invece i tumori dello stroma gonadico specializzato e quelli mesenchimali (TNGT). La World Health Organization (WHO 1998) distingue vari tipi istologici Tumori a cellule germinali (95%) Seminoma  Tipico  Anaplastico  Con sincizio trofoblasto Carcinoma embrionale Tumore del sacco vitellino (o ca embrionale infantile) Coriocarcinoma Teratoma (con o senza trasformazione maligna)  Maturo  Immaturo 351

Tumori non germinali (5%) Tumori dello stroma specializzato  Tumore a cellule di Leydig  Tumore a cellule di Sertoli  Tumore a cellule della granulosa Tumori dello stroma non specializzato  Fibroma, lipoma  Sarcoma  Linfoma

22.4 TUMORI GERMINALI Fra i “tumori germinali”, i seminomi, che rappresentano il 40% di tutti i tumori germinali, sono quelli che più facilmente si presentano in forma pura (85%); la “forma anaplastica” un vecchio termine utilizzato quando vengono evidenziate tre o più mitosi per campo ad alto ingrandimento ma non ha importanza clinica né prognostica. In un 15-20% dei casi è possibile rilevare un aumento della beta HCG anche in pazienti affetti da seminoma puro. In questi casi va ovviamente esclusa, dal punto di vista istologico, di un coriocarcinoma. I seminomi associati alla presenza di livelli patologici di AFP devono essere considerati e trattati come non-seminomi. Per poter impostare correttamente la terapia è fondamentale che il testicolo asportato venga esaminato in modo accurato per stabilire con certezza se si tratta di una forma tumorale pura o mista. Il carcinoma embrionale (20% di tutte le neoplasie del testicolo) si presenta frequentemente con aree di necrosi e di emorragia. Dal punto di vista microscopico, il suo aspetto è molto variabile e ciò è dovuto alla sua capacità di differenziarsi nelle altre varianti patologiche. Il carcinoma embrionale è bilaterale nel 2-3% dei casi sia in forma sincrona sia metacrona. Per quanto riguarda i “teratomi”, le forme mature sono benigne nei bambini e a prognosi incerta nell’adulto (possono dare me352

tastasi e portare a morte i pazienti quando la malattia progredisce e non è più resecabile). Il teratoma maturo non resecato può andare incontro a trasformazione maligna. Il “coriocarcinoma” puro rappresenta meno dell’1% dei carcinomi del testicolo. La neoplasia primitiva è talora di piccole dimensioni, mentre la necrosi emorragica costituisce un aspetto costante della neoplasia, può andare incontro a fenomeni di autoregressione o burned out. I tumori germinali possono essere bilaterali fino al 5% dei casi, ma nei Paesi dell’ uropa mediterranea la bilateralità interessa non più del 2% dei pazienti. Il precursore di queste neoplasie il carcinoma “in situ” (CIS) che evolve verso la forma invasiva nel 50% dei casi nell’arco di 5 anni Questi tumori prendono origine dall’epitelio dei tubuli seminiferi e, una volta superata la membrana basale, si estendono al parenchima testicolare. La tonaca albuginea impedisce la diffusione per continuità all’epididimo e al funicolo spermatico; l’interessamento di queste strutture che si osserva nel 10-15% dei casi, avviene per disseminazione linfatica o ematogena e risulta associato a un aumento del rischio di metastatizzazione a distanza. La via linfatica è seguita dai seminomi nella quasi totalità dei casi e dai non-seminomi in circa il 50% dei casi. I linfonodi retroperitoneali sono i primi a essere colpiti.

22.5 SEGNI E SINTOMI

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Generalmente i TGT si manifestano come una tumefazione testicolare generalmente non dolente accompagnata però da senso di peso. Nel 20% dei casi è presente dolore acuto in genere provocato da emorragia intratumorale che tende successivamente a risolversi. Con l’introduzione dell’ecografia è sempre più frequente il riscontro occasionale e si possono evidenziare anche lesioni di pochi millimetri e determinare se la massa intrascrotale sia intra o extratesticolare Un’ecografia testicolare va eseguita sempre nel caso di un giovane che presenti masse retroperitoneali o intratoraciche senza noduli palpabili ai testicoli. Circa il 10% dei pazienti presenta sintomi dovuti a metastasi: masse laterocervicali, disturbi respiratori, gastrointestinali, dolori lombari. Nel 5% dei casi si può osservare ginecomastia bilaterale, in presenza di coriocarcinoma e di tumore a partenza dalle cellule di Sertoli. Con la palpazione bimanuale, confrontando il testicolo sano, è possibile apprezzare una tumefazione o una modificazione nella forma del testicolo malato. Può essere presente un idrocele che rende difficile apprezzare con sicurezza una massa testicolare. La guarigione dei pazienti affetti di TGT è correlata all’estensione della malattia al momento della presentazione. Un ritardo diagnostico può non influenzare la prognosi nei seminomi puri, ma nei non-seminomi può trasformare una prognosi da favorevole a infausta.

22.6 MARCATORI TUMORALI SIERICI I tumori germinali del testicolo producono proteine specifiche e facilmente misurabili nel siero mediante metodi radioimmuno354

logici o immunoistochimici. Queste proteine, impiegate come marcatori, svolgono un ruolo importante nella diagnosi e nella stadiazione della malattia, nella classificazione, nel monitoraggio della risposta terapeutica e nel follow-up. 22.6.1 Alfa-fetoproteina (AFP) ’ una glicoproteina del peso molecolare di 70.000 dalton prodotta dalle cellule del seno endodermico; ha un’emivita di 4-6 giorni ed è presente nel siero fino al primo anno di vita, con livelli che arrivano sino a 40ng/mL. Può essere elevata anche in altre neoplasie, come l’epatocarcinoma, i tumori polmonari e pancreatici nonché in patologie benigne del fegato; è presente nei vari tipi di tumori non-seminomi (valori normali 50,000

< 1,000 1,000-10,000 > 10,000

*N indica il limite superiore di normalità dell’analisi LDH

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Per la definizione dei linfonodi retroperitoneali si utilizza la classificazione del Royal Marsden di Londra che risulta di più facile impiego rispetto al TNM. Molto importante è la classificazione patologica dei linfonodi retroperitoneali dopo linfoadenectomia retroperitoneale (RPLND); bisogna specificare le stazioni linfonodali interessate, il numero e la dimensione dei linfonodi patologici, il superamento della capsula linfonodale, l’infiltrazione del grasso retroperitoneale, l’invasione vascolare retroperitoneale e la rottura intraoperatoria dei linfonodi metastatici. Sono state pubblicate varie classificazioni prognostiche nella malattia al primo stadio clinico. Per il seminoma puro la dimensione del tumore primitivo ( 30cm/s ed un indice di resistività >0,8 sono generalmente considerati normali. Per standardizzare quest’esame utile eseguirlo dopo iniezione intracavernosa di prostaglandine. La sola iniezione di prostaglandine da informazioni limitate sullo stato dei vasi del pene, in condizioni normali il paziente ottiene un’erezione rigida della durata minima di 30 minuti dopo 10 minuti dall’iniezione; tale esame dimostra solo la possibilità di trattare la DE del paziente con prostaglandine ma non il grado di funzionalità e di danno dei vasi del pene. Monitoraggio delle erezioni notturne con Rigiscan: La valutazione delle erezioni notturne andrebbe eseguita almeno per due notti di seguito. In caso di funzionalità conservata 383

dei tessuti erettili si registrerà almeno una singola erezione con il 60% di rigidità e della durata di almeno 10 minuti sulla punta del pene. 25.2.4 Valutazione psico-sessuologica: Vista l’alta percentuale di D legata a problemi psichici o psichiatrici l’andrologo dovrebbe avvalersi di psichiatri/psicoterapeuti che si occupino di DE Una valutazione specialistica andrebbe riservata anche a tutti quei casi di pazienti giovani con problemi organici senza buone prospettive di miglioramento. 25.2.5 Cavernosometria e cavernosografia: Si tratta di 2 esami più complessi dei precedenti. Non entrano a far parte della metodologia diagnostica di routine. Tali esami permettono la visualizzazione dell’albero venoso pelvico e soprattutto nei casi di fuga venosa il distretto vascolare interessato. Cavernosometria e cavernosografia sono esami indicati solo nei casi in cui ci si orienti per una soluzione chirurgica di tipo vascolare.

25.3 TERAPIA Una volta determinata l’eziopatogenesi della D il medico deve puntare laddove ciò sia possibile a trattare le cause della malattia e non solo i sintomi. Secondo le linee guida E.A.U. (European Association of Urology) la DE può esser trattata con efficacia ma non curata ad eccezione dei casi in cui essa sia dovuta a problemi psicogeni, ormonali o nei pazienti giovani con disfunzione erettile post traumatica per cause vascolari. Ove la causa della DE non sia correggibile il medico può ricorrere a diverse strategie terapeutiche ma in tutti i casi la prima azione del medico dovrebbe es384

ser mirata a migliorare lo stile di vita del paziente puntando a rimuovere gli importanti fattori di rischio della DE che sono: il fumo, la sedentarietà, il diabete e l’ipercolesterolemia Questo oltre a migliorare la funzionalità erettile dei pazienti gioverà alla loro salute in generale. A un miglioramento dello stile di vita è possibile associare trattamenti non farmacologici e chirurgici. 25.3.1 Trattamenti di I livello Terapia ormonale: Nei pazienti con disturbi ormonali è sempre consigliata una valutazione endocrinologica. La terapia con testosterone va sempre intrapresa con prudenza ed è indicata dove coesistano sintomi clinici (calo del desiderio, rarefazione dei peli, instabilità dell’umore) associati ad un basso livello ematico di Testosterone. Ciò perché con l’avanzare dell’età si osserva una progressiva riduzione della produzione di androgeni; quindi in caso di semplice riscontro occasionale di ipotestosteronemia senza una concomitante sintomatologia clinica la terapia correttiva con testosterone non è indicata. Il testosterone è somministrato sotto forma di gel da spalmare nelle spalle e l’applicazione quotidiana ne ripristina in breve tempo il normale livello ematico. Va ricordato inoltre che la somministrazione di testosterone è controindicata nei pazienti con pregressa storia di neoplasia prostatica o ipertrofia prostatica benigna sintomatica e che nei pazienti trattati andrebbero sempre monitorizzati: emocromo (per eventuali policitemie), PSA e funzionalità epatica. Trattamenti farmacologici: Gli inibitori delle fosfodiesterasi di tipo 5 (FDE5) sono di gran lunga i farmaci più utilizzati per il trattamento delle DE. Questi farmaci riducono il catabolismo del GMPc da parte delle fosfodiestersi tipo 5 a livello della muscolatura liscia peniena provocandone il rilassamento ed incrementando così l’afflusso arterioso. Le tre molecole esistenti in commercio sono: Sildenafil 385

(Viagra), Tadalafil (Cialis) e Verdenafil (Levitra) L’effetto di queste tre molecole è simile con la differenza che il Tadalafil ha un’emivita maggiore, circa 36 ore L’azione di questi farmaci dipende dal rilascio di ossido nitrico (NO) mediato dal sistema parasimpatico. La liberazione di NO è scatenata dallo stimolo sessuale e pertanto gli inibitori delle PDE5 sono inefficaci in assenza di questo stimolo. Generalmente sono farmaci ben tollerati, i loro effetti collaterali che sono di lieve entità e sono: cefalee, rossore al viso, vampate di calore, dolori muscolari, ipersensibilità visiva. Gli inibitori della PDE5 sono controindicati nei pazienti che fanno uso di nitrati e nei pazienti affetti da retinite pigmentosa. Esistono poi farmaci che a differenza degli inibitori delle PDE5 svolgono la loro azione a livello centrale, il più utilizzato di questi l’apomorfina L'apomorfina è un derivato della morfina, ma la diversa struttura chimica le conferisce un meccanismo d'azione molto simile a quello della dopamina, una sostanza che, a livello del sistema nervoso centrale, stimola la risposta sessuale. L'apomorfina, così, agendo similmente alla dopamina, favorisce una serie di reazioni fisiologiche che conducono all'erezione L’efficacia dell’apomorfina certamente inferiore a quella degli inibitori delle PDE5, ma grazie alla via di somministrazione (sub-linguale), l’ottima tollerabilità e la rapidità d’assorbimento indicata nei pazienti giovani con D lieve. Trattamenti non farmacologici Counselling psicosessuologico. Nei pazienti con DE psicogena il trattamento psicosessuologico rappresenta la prima linea terapeutica. Tale trattamento è molto utile anche nei paziente giovani o nei casi in cui la DE non sia correggibile e comporti una grave compromissione della qualità di vita. Vacuum devices: I vacuum devices, sono dispositivi cilindrici che creano una 386

pressione negativa intorno al pene per cui c'è un richiamo di sangue nel tessuto erettile e sono utilizzati in genere in pazienti che hanno problemi meno gravi. 25.3.2 Trattamenti di secondo livello Iniezione di sostanze intracavernose Prima dell'ingresso in commercio degli inibitori delle PDE5 l'iniezione di sostanze vasoattive all'interno dei corpi cavernosi rappresentava la prima linea terapeutica contro la DE L'utilizzo di prostaglandine iniettate con ago sottile da insulina nei corpi cavernosi è in grado di provocare l'erezione indipendentemente dallo stimolo sessuale; pertanto questi farmaci sono indicati nei pazienti che non rispondono ai farmaci orali (perché hanno subito lesioni alle strutture nervose come ad esempio dopo interventi di chirurgia pelvica) o che non possono assumerli perché controindicati (pazienti che assumono nitrati). L'utilizzo di questi farmaci è anche indica nei cicli di fisioterapia riabilitativa. Tali farmaci essendo potenti vasodilatatori possono in una piccola percentuale di casi generare erezioni prolungate ed episodi di priapismo. Pertanto dopo la somministrazione il medico deve sempre invitare il paziente a recarsi in P.S. laddove l'erezione si prolunghi per oltre 3-4 ore. 25.3.3 Trattamenti di terzo livello Trattamenti Chirurgici Il Trattamento chirurgico è indicato nei casi di pazienti giovani con DE su base arteriosa post traumatica. In questi casi interventi chirurgici di rivascolarizzazione (by-pass arteriosi che ripristinano l'afflusso di sangue al pene) hanno una percentuale di successo che si aggira tra il 60% ed il 70% L’indicazione alla chirurgia per i casi di deficit del meccanismo veno-occlusivo è ora decaduto visti i scarsi risultati a lungo termine. Gli impianti protesici: L'impianto protesico ha sempre rappresentato l'ultima soluzio387

ne per il paziente affetto da DE ma al tempo stesso l'unica soluzione efficace al 100%. Sono candidati all'intervento d’impianto protesico penieno quei pazienti non responders alla terapia farmacologica e che desiderano una soluzione definitiva al problema. Esistono 2 principali categorie di protesi peniene: non idrauliche ed idrauliche. Le protesi non idrauliche si differenziano a loro volta in malleabili e soffici. Le prime sono le più diffuse consistono in una coppia di cilindri che conferiscono al pene una rigidità costante che non si modifica in seguito allo stimolo sessuale. Mentre le protesi soffici di consistenza e rigidità inferiore alle malleabili conferiscono al pene una posizione più naturale a riposo e permettono di conservare una quota di erezione naturale dopo stimolazione sessuale. Le protesi idrauliche si distinguono a loro volta in due modelli principali, bi e tricomponenti. Sono dispositivi tecnologicamente più avanzati delle protesi non idrauliche. Tutti questi tipi di protesi sono composti da cilindri gonfiabili che vengono inseriti nei corpi cavernosi, da una micropompa che viene alloggiata nella borsa scrotale e da un serbatoio di acqua sterile che viene alloggiato nello spazio preperitoneale in sede sovrapubica (Nelle protesi bicomponente il serbatoio e la micropompa formano un corpo unico che viene alloggiato nello scroto). Le protesi idrauliche tricomponente sono in genere le preferite dai pazienti che in una buona percentuale dei casi si ritengono soddisfatti del risultato. Il grosso punto a sfavore del trattamento protesico è rappresentato dal costo elevato delle protesi peniene e dalla possibile insorgenza di complicanze che sono malfunzionamenti meccanici delle protesi e infezioni (in tutto circa il 10% dei casi) che portano alla necessità di rimuovere la protesi. Chirurgia dell'induratio penis plastica associata a disfunzione erettile L'induratio penis plastica (IPP) o malattia di la Peyronie, dal 388

nome del chirurgo francese che la scoprì, è una patologia del pene ad etiologia non ancora ben nota caratterizzata da una fibrosi circoscritta della tunica albuginea, la guaina scarsamente vascolarizzata che riveste i corpi cavernosi del pene. Tale area di fibrosi definita placca determina una limitazione all’elasticità del pene determinando durante l'erezione un incurvamento verso il versante malato. Le placche si trovano generalmente sulla regione dorsale del pene e questo ha fatto ipotizzare che l'I.P.P. Sia dovuta alla flogosi dell'albuginea dovuta a microtraumatismi ripetuti che danno origine a fenomeni di infiammazione locale e nel tempo alla formazione della placca fibrotica. L'I.P.P. Colpisce generalmente soggetti di mezza età lo sviluppo della patologia prevede una fase acuta ed una di stabilizzazione. Durante la fase iniziale compare il dolore di solito in erezione associato alla curvatura del pene. Questa situazione porta alla difficoltà della penetrazione e la sensazione di dolore per entrambi i partner tale situazione può progredire fino all'impotenza. La terapia dell’IPP si basa sull’assunzione di farmaci antiinfiammatori come la vitamina E durante la fase acuta della patologia. Una volta raggiunta la fase di stabilizzazione, qualora il paziente cominciasse a sviluppare dolore in erezione e impotenza il trattamento previsto è chirurgico e consiste nella correzione dell’incurvamento con o senza rimozione della placca (corporoplastica sec. Nesbit/Yachia) o l’impianto di protesi peniena con protesi tricomponente.

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25.4 DISFUNZIONE ERETTILE E PROSTATECTOMIA RADICALE La prostatectomia radicale è il trattamento di scelta nei pazienti con tumore alla prostata localizzato e con prospettiva di vita superiori ai 10 anni. Questa procedura espone tuttavia gli operati a un elevato rischio di sviluppare DE per il danno ai nervi erigendi provocato durante l’intervento Per ridurre tale rischio è stata introdotta la tecnica chirurgica nerve sparing, nonostante questo la percentuale di incidenza di DE negli operati prostatectomia radicale rimane tra il 25 ed il 75 % dei casi.

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CAPITOLO 26

MALATTIE DEL FUNICOLO SPERMATICO Carlo Trombetta; Michele Rizzo; Nicola Pavan

26.1 VARICOCELE 26.1.1 Definizione Il varicocele è una patologia varicosa che interessa il sistema vascolare del testicolo, caratterizzata da dilatazione e incontinenza delle vene spermatiche (o testicolari) che hanno il compito di drenare il sangue dal testicolo. 26.1.2 Epidemiologia Il varicocele è una patologia molto frequente, il 15-20% della popolazione maschile ne è affetto e tale percentuale è maggiore negli uomini con problemi di fertilità. 26.1.3 Classificazione e patogenesi In relazione alla patogenesi il varicocele può essere:  primitivo: si osserva sempre a carico dell'emiscroto di sinistra ed è dovuto alla particolare disposizione anatomica della vena gonadica di questo lato; infatti, mentre a destra la vena gonadica sbocca direttamente nella cava inferiore ad angolo acuto e risente del regime pressorio che a questo livello costituisce una sorta di vis a fronte, a sinistra essa si getta ad angolo retto nella vena renale (che riceve anche l'apporto della surrenalica inferiore omolaterale); tutto questo comporta un drenaggio lievemente meno efficace delle strutture venose di sinistra; anche l'assenza di valvole lungo il decorso delle vene gonadiche favorisce il reflusso. Se si considera, ol391



tre a questi fattori predisponenti di natura anatomica, che molti individui presentano una meiopragia delle pareti venose, in un quadro più o meno generalizzato di lassità delle strutture connettivali ed elastiche, è facile intuire la frequenza della patologia nella popolazione maschile, in particolare negli individui di età compresa fra i 15 e i 35 anni; secondario: legato a fattori di stasi venosa a carico della vena cava inferiore o della vena renale sinistra secondari a processi espansivi (neoplastici) a carico del retroperitoneo o aggettanti nel lume venoso (trombosi venosa da neoplasie renali) o comunque a compressioni estrinseche (fibrosi retroperitoneale). Il varicocele secondario può essere destro, sinistro o bilaterale, a differenza di quello primitivo, che è sempre a carico del lato sinistro.

Esiste inoltre una classificazione clinica del varicocele (classificazione secondo Dubin) che distingue la patologia in 3 gradi:  I grado: Varicocele palpabile solo sotto manovra di Valsalva;  II grado: Varicocele palpabile anche in assenza di manovra di Valsalva;  III grado: Varicocele evidente alla semplice ispezione; 26.1.4 Fisiopatologia Mentre nel varicocele secondario si verificano fenomeni di sola stasi venosa, in quello primitivo questi sono per lo più associati a condizioni di reflusso dalla vena gonadica quindi prevalentemente nella porzione anteriore del plesso pampiniforme, e talora anche dal sistema venoso epigastrico inferiore, che drena la porzione posteriore del plesso. La possibilità che si verifichi un reflusso da entrambi i sistemi spiega la non rara persistenza o recidiva del varicocele, che talora si ottiene dopo legatura della sola vena gonadica di sinistra. La stasi venosa, specie se 392

associata a reflusso, condiziona una situazione d’iperemia passiva con aumento della temperatura scrotale, non solo a carico dell'emiscroto tributario, ma anche del controlaterale; si verifica inoltre un accumulo di cataboliti acidi. Tutto ciò causa una sofferenza del tessuto seminifero che com’è noto, è particolarmente suscettibile agli aumenti di temperatura. Ciò può compromettere la spermatogenesi generando un’oligoastenozoospermia, cioè nell'esame del liquido seminale si reperteranno spermatozoi in numero ridotto e scarsamente vitali, con conseguenze nocive sulla fertilità del paziente. Alcuni Autori ipotizzano che a determinare questa condizione concorra anche il reflusso attraverso la vena gonadica fino al testicolo, di steroidi sessuali surrenalici provenienti dalla vena surrenalica. 26.1.5 Anatomia patologica Oltre alle ovvie alterazioni varicose delle vene del plesso pampiniforme che saranno illustrate a proposito della semeiotica, vi è da considerare che nelle forme inveterate si osserva, dal punto di vista macroscopico, l'ipotrofia del testicolo omolaterale che si presenta notevolmente ed uniformemente ridotto di volume e di consistenza. Dal punto di vista istologico si repertano alterazioni regressive di variabile entità dei tubuli seminiferi, consistenti in difetti di maturazione della linea seminale. 26.1.6 Sintomatologia Il varicocele primitivo da raramente sintomi, talora il paziente si presenta all'osservazione dell'Urologo soltanto per problemi d’infertilità. Altre volte il paziente si presenta al medico riferendo la presenza di una tumefazione dell'emiscroto sinistro oppure riferendo un senso di peso in tale sede, accentuato dalla stazione eretta, dallo sforzo fisico, dal ponzamento. È particolarmente importante ricordare che il varicocele primitivo si sviluppa lentamente in individui di età giovane, mentre quello se393

condario può manifestarsi a tutte le età; tuttavia un varicocele a insorgenza brusca in età adulta o anziana è quasi certamente secondario e richiede grande attenzione da parte del curante. 26.1.7 Diagnosi All'esame obiettivo si osserva un aumento di volume dell'emiscroto, che scende notevolmente più in basso del controlaterale, mentre palpatoriamente le vene del plesso pampiniforme ricordano la sensazione di palpare delle interiora di pollo oppure un sacchetto di vermi. Nelle forme di vecchia data il testicolo può esser andato incontro ad atrofia e presentarsi di ridotte dimensioni e consistenza. L'esame obiettivo consente inoltre la diagnosi differenziale tra forma primitiva e quella secondaria. Nel varicocele primitivo ponendo il paziente in clinostatismo e quindi annullando l'alterazione emodinamica che ne è all'origine si può apprezzare una riduzione del volume del plesso pampiniforme. Il varicocele secondario invece non è minimamente influenzato dalle variazioni posturali. È da ricordare infine che il varicocele destro è di solito secondario. L’ecografia rappresenta il gold standard della diagnostica per immagini delle patologie scrotali e nel caso del varicocele permette di evidenziare la presenza di ectasie a carico dei vasi del plesso pampiniforme. L'indagine Doppler inoltre consente di documentare reflusso venoso che può essere presente sia a riposo, sia con la manovra di Valsalva. Tale reflusso può interessare la vena gonadica e/o l'epigastrica inferiore.

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Nel caso di forme secondarie certe o presunte sono indicate naturalmente ecografia e TC dell’addome Nei pazienti in cui si fa diagnosi di varicocele è sempre indicata l’esecuzione di 2 spermiogrammi per l’effetto potenzialmente nocivo della patologia sulla fertilità. 26.1.8 Terapia È sostanzialmente chirurgica o angiografica. La correzione angiografica (sclerotizzazione retrograda) consiste nel eseguire una flebografia delle vene spermatiche, la loro cateterizzazione superselettiva con cateteri vascolari e nell’inoculazione di sostanze sclerosanti che ne favoriscano la chiusura. Questa tecnica mininvasiva è sicuramente di efficacia pari o superiore alle tecniche chirurgiche tradizionali nel trattamento del varicocele e nella prevenzione delle possibili recidive. Gli altri approcci possibili sono la sclerotizzazione anterograda in cui le vene del plesso pampiniforme sono isolate chirurgicamente, incannulate e chiuse con l’iniezione di sostanza sclerosante e la legatura chirurgica o microchirurgica delle vene del 395

plesso. Per quel che riguarda le forme secondarie la terapia consiste nella eliminazione della causa.

26.2 IDROCELE 26.2.1 Definizione L’idrocele consiste in un aumento della quantità di liquido contenuto tra i due foglietti della tunica vaginale (la sacca sierosa che circonda il testicolo). Normalmente tale liquido è di colore giallo citrino, inodore, limpido ed è prodotto in piccole quantità dallo strato viscerale della tunica vaginale per favorire lo scorrimento del testicolo. 26.2.2 Epidemiologia ed eziopatogenesi L’idrocele la più frequente causa di aumento del volume testicolare. Può esser mono o più raramente bilaterale. In base all’età d’insorgenza l’idrocele è distinto in comunicante e non comunicante:  L’Idrocele comunicante tipico dell’età infantile o puberale è dovuto alla pervietà del processo vaginale che mette la tonaca sierosa del testicolo in comunicazione con la cavità peritoneale. Spesso è riconoscibile la presenza di anse intestinali all’interno della tunica vaginale La maggior parte degli idroceli dell’età infantile si risolve spontaneamente entro il primo anno di età.  L’Idrocele non comunicante, più frequente, è tipico dell'adulto. tiologicamente l’idrocele può esser suddiviso in: essenziale o reattivo.  L’idrocele essenziale a lenta crescita il tipo più comune L’eziopatogenesi sconosciuta e colpisce uomini 396

sopra i 40 anni di età. In questa forma d’idrocele il liquido si raccoglie attorno al testicolo in modo graduale.  L’idrocele reattivo, a insorgenza ed evoluzione rapida, è invece secondario a traumi locali, neoplasie testicolari, mesotelioma della tunica vaginale, epididimite, orchite acute e radioterapia. 26.2.3 Anatomia patologica Nell’idrocele la tonaca vaginale comune si presenta ispessita e percorsa da vasi dilatati ma il rivestimento è integro e la sierosa conserva il suo aspetto lucente. 26.2.4 Clinica Il sintomo principale l’aumento volumetrico non doloroso di un emiscroto. Nei pazienti con idrocele il testicolo è dolente e dolorabile alla palpazione solo nel caso sia dovuto a un orchiepididimite (idrocele reattivo) L’idrocele comunicante dell’età infantile subisce variazioni volumetriche nel passaggio dal clino all’ortostatismo 26.2.5 Diagnosi A livello anamnestico sarà importante chiedere al paziente se l’aumento volumetrico stato improvviso o graduale e se ricorda pregresse orchiepididimiti o altre infezioni urogenitali. All’ispezione sarà evidente un emiscroto di volume aumentato e alla palpazione lo scroto avrà consistenza teso elastica o cistica e il testicolo sarà difficilmente palpabile. La presenza di dolore o dolorabilità dovrà sempre far sospettare la presenza di un processo infiammatorio dell’epididimo o del didimo. Con la transilluminazione si può verificare facilmente se il fluido è chiaro ed escludere altre condizioni patologiche che sono classicamente legate a un aumentato del volume testicolare come la presenza di un’ernia inguinale. 397

L’esame strumentale d’elezione nella patologia scrotale l’ecografia Nel caso dell’idrocele l’ecografia ci permette di confermare la presenza di una raccolta fluida intorno al didimo, di valutare didimo ed epididimo e di escludere la presenza di neoplasie testicolari Con l’utilizzo dell’eco Color-Doppler è inoltre possibile riconoscere processi infiammatori acuti a carico del testicolo.

26.2.6 Terapia L’idrocele secondario si risolve trattandone la causa liminata la causa infatti l’idrocele secondario viene normalmente riassorbito; se ciò non accade nel giro di qualche mese è indicato ricorrere al trattamento chirurgico. Nei casi d’idrocele secondario alla presenza di un'ernia inguinale il trattamento consiste nell’ernioplastica e nella chiusura del dotto peritoneo-vaginale. Il trattamento di questa patologia consiste nell'asportazione dell'idrocele (idrocelectomia) e nell’eversione della tonaca vaginale propria per evitare il rischio di recidive. Un trattamento alternativo l’aspirazione del fluido per mezzo di un ago sottile. Tale procedura è però ad alto rischio d’infezione e di recidiva; questo approccio terapeutico è giustificato solo nei casi in cui le condizioni generali del paziente precludano il normale trattamento chirurgico e deve esser associato all’iniezione di medicinali sclerosanti che favoriscano la chiusura del dotto peritoneo vaginale.

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26.3 SPERMATOCELE 26.3.1 Definizione Per spermatocele (cisti spermatica) s’intende una dilatazione cistica dei tubuli efferenti che dipartendosi dalla rete testis confluiscono a formare l'epididimo. Le dimensioni possono variare da pochi mm a diversi cm. 26.3.2 Epidemiologia ed eziopatogenesi Etiologicamente lo spermatocele può esser primitivo o secondario. Lo spermatocele primitivo è dovuto alla parziale ostruzione acquisita o congenita dei dotti epididimari efferenti; ciò comporta un accumulo di sperma fino alla formazione di una cavità cistica Secondo un’altra ipotesi più recente sarebbe la presenza di un diverticolo nel tubulo efferente che aumentando gradualmente di dimensioni con l’avanzare della spermatogenesi porterebbe alla formazione di una cisti. Lo spermatocele secondario meno frequente può esser dovuto a traumi o epididimiti. 26.3.3 Anatomia patologica Il contenuto della cavità cistica è costituito da sperma e l’elemento microscopico caratteristico sono gli spermatozoi 26.3.4 Clinica Nella maggior parte dei casi lo spermatocele è asintomatico e la sua diagnosi accidentale. Nei casi di maggiori dimensioni il paziente si presenterà al medico lamentando senso di peso e fastidio a un emiscroto.

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26.3.5 Diagnosi Se lo spermatocele è di grandi dimensioni all’esame obiettivo si osserva un aumento di volume dell’emiscroto interessato del tutto indistinguibile da un idrocele. L’ecografia scrotale permette di distinguer l’idrocele dallo spermatocele. Nello spermatocele il liquido è corpuscolato mentre nell’idrocele si presenta transonico All’esplorazione chirurgica inoltre il contenuto sarà lattescente. 26.3.6 Terapia La terapia dello spermatocele è chirurgica e consiste nella spermatocelectomia o nella sua sclerotizzazione L’aspirazione percutanea è sconsigliata per l’alto tasso d’infezioni e di recidive. Il trattamento dello spermatocele è indicato solo nei casi di cisti di grandi dimensioni e in cui il paziente lamenti disturbi.

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26.4 TORSIONE DEL FUNICOLO 26.4.1 Definizione La torsione del testicolo (funicolo) si configura come una vera e propria urgenza urologica perché se la diagnosi e il trattamento non sono effettuate rapidamente si rischia la necrosi irreversibile dell’organo 26.4.2 Eziologia ed epidemiologia Approssimativamente oltre il 60% delle torsioni testicolari coinvolge soggetti di età comprese tra i 12 ed i 18 anni. L’incidenza delle torsioni quindi decresce con l’aumentare dell’età, anche se questo fenomeno può avvenire in qualunque periodo della vita anche in epoca prenatale e neonatale. 26.4.3 Patogenesi I mezzi di fissità del testicolo all’interno dello scroto sono rappresentati dal gubernaculum testis e dal mesorchio, quest’ultimo formato dall'unione della vaginale esterna con la vaginale propria e fissa il testicolo alla superficie posteriore del dartos. Nei pazienti in cui vi è una lassità di tali strutture il testicolo risulta esser eccessivamente mobile è può andare incontro a rotazione sul proprio asse vascolare; ciò può avvenire in seguito a contrazione del muscolo cremastere, come dopo salti o sollevamento di pesi o altri sforzi, ma talora persino nel sonno Quando questo fenomeno si verifica la rotazione delle strutture contenute nel funicolo genera in un primo tempo il blocco venoso seguito dalla formazione di edema scrotale e successivamente la scomparsa del flusso arterioso. Il danno ischemico che la torsione produce al parenchima dell’organo diventa spesso irreversibile dopo 6 ore. Per questa ragione il tempismo nella diagnosi e nella terapia sono fondamentali.

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26.4.4 Classificazione Si distinguono i seguenti tipi di torsione:  Torsione del funicolo propriamente detta, essa può essere extravaginale, nei bambini molto piccoli, prima che si sia completata l'obliterazione del dotto peritoneo-vaginale, oppure intravaginale. 

Torsione delle idatidi ◦ appendice del testicolo o Idatide del Morgagni ◦ appendice dell’epididimo ◦ appendice del funicolo o paradidimo o Organo di Giraldes ◦ vasi aberranti di Haller Non infrequenti, con conseguenze funzionali assolutamente trascurabili, ma con una sintomatologia dolorosa acuta non distinguibile da quella delle due forme precedenti per cui la diagnosi differenziale è possibile solo al tavolo operatorio. Le torsioni possono inoltre essere classificate in base all'entità della rotazione in incomplete (meno di 360°) e complete (uno o più giri). È da ricordare che più frequentemente quelle a carico del lato sinistro avvengono in senso orario, quelle del lato destro in senso antiorario. La torsione è un quadro eminentemente acuto, tuttavia talora può verificarsi detorsione spontanea con risoluzione della sintomatologia dolorosa e delle turbe emodinamiche che ne sono all'origine; in questi casi è frequente il ripetersi dei fenomeni di 402

torsione, ciò che a lungo andare causa sclerosi ed ipotrofia del parenchima testicolare. 26.4.5 Diagnosi Il paziente con torsione del funicolo riferisce di solito la comparsa improvvisa di un dolore scrotale (scroto acuto) seguito da aumento di volume e arrossamento dell’emiscroto omolaterale Il dolore si può propagare lungo il canale inguinale e nel basso addome e si può associare a nausea e vomito. All’esame obiettivo il testicolo di solito è retratto in alto rispetto al controlaterale inoltre è difficilmente mobilizzabile per l’eccessivo dolore Questo quadro può andare in diagnosi differenziale con l’orchiepididimite acuta Molto importante quindi sarà escludere la presenza di febbre o altri segni che possano confondere le due condizioni, nella tabella qui sotto è riportato lo schema della diagnosi differenziale di queste due patologie. Anche in questa patologia scrotale l’esame coColorDoppler può aiutare a porre diagnosi All’indagine Color Doppler dei pazienti con torsione del testicolo non saranno evidenti flussi vascolari all’interno di didimo ed epididimo; tali flussi saranno altresì ben rappresentati nei quadri di orchiepididimiti ETA’ DOLORE POSIZIONE PALPAZIONE ECO-DOPPLER

EPIDIDIMITE

TORSIONE

Adulta Ingravescente e scarsamente tollerabile alla palpazione Normale Distinzione componenti testicolari Presenza di numerosi flussi vascolari al segnale Doppler

Puberale Acuto ed intenso all’inizio, più tollerato alla palpazione Retratto Componenti testicolari non distinguibili Assenza di flussi vascolari al Color-Doppler

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26.4.6 Terapia Il trattamento consiste in una detorsione che può essere esterna manuale (solo raramente possibile) oppure chirurgica. La detorsione permette di ripristinare i normali flussi vascolari all’interno dello scroto e quindi interrompere il danno ischemico a cui il testicolo è stato sottoposto. Dopo la detorsione il testicolo deve sempre esse fissato al dartos per evitare delle recidive. L’elevato rischio di necrosi irreversibile del testicolo pone l’indicazione all’esplorativa chirurgica anche nei casi di dubbia diagnosi. Qualora il testicolo sia stato definitivamente compromesso l’intervento termina con l’orchiectomia e l’eventuale posizionamento di una protesi testicolare.

26.5 EDEMA SCROTALE L’edema scrotale consiste nell’imbibizione del connettivo sottocutaneo scrotale dovuto a un’eccessiva fuoriuscita di liquido dai capillari. Può essere associato a edemi di altri distretti corporei come nel caso dell’edema cardiogeno e nefrogeno Se localizzato solamente ai tessuti scrotali si definisce linfedema scrotale, ed è causato da stasi linfatica a livello dei linfonodi iliaci esterni ed interni (chirurgia radicale della prostata e della vescica associata a linfoadenectomia iliaca interna ed esterna, metastasi linfonodali, ematomi o linfoceli compressivi, trombosi venosa profonda pelvica e più raramente linfomi).

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CAPITOLO 27

INFERTILITA’ Michele Rizzo, Carlo Trombetta

27.1 DEFINIZIONE: Con il termine infertilità s’intende l’incapacità di una coppia di concepire dopo rapporti regolari, non protetti per almeno 12 mesi (la scelta del tempo di 12 mesi si basa sull’evidenza che la maggior parte delle coppie, circa l’85% riesce ad ottenere una gravidanza naturale in questo periodo). In passato si riteneva che la mancanza del concepimento dipendesse sopratutto della donna, oggi si sa che l’infertilità può esser maschile e femminile o coinvolgere entrambi i partner (mista). L’infertilità maschile si suddivide in primaria e secondaria; quella primaria riguarda gli uomini che non hanno mai ingravidato una donna, quella secondaria riguarda invece uomini che hanno già fecondato una o più volte in precedenza ma che allo stato attuale non riescono più a fecondare. L’infertilità maschile può avere molteplici cause e secondo una classificazione eziologica può esser divisa in pre-testicolare, testicolare e post testicolare L’azoospermia (assenza di spermatozoi nel liquido seminale) può anche esser definita come secretoria (pre-testicolare/testicolare) e ostruttiva (post testicolare).

27.2 FISIOLOGIA La fertilità dipende dalla produzione di spermatozoi da parte 405

delle gonadi maschili regolata da meccanismi ormonali, dalla funzionalità erettile e dall’eiaculazione. Le cause d’infertilità maschile sono molte e possono esser dovute ad alterazioni di ognuno di questi meccanismi. La spermatogenesi richiede circa 70 giorni e questo è il tempo necessario per la verifica del successo di interventi volti a favorire la produzione di spermatozoi o danni che possono comprometterla. Ormoni come l’FSH ed il testosterone sono essenziali per la normale spermatogenesi Nei casi in cui l’FSH elevato probabile che ci sia una ridotta produzione di spermatozoi, ciò può esser dovuto a diverse cause: insufficienza testicolare, anomalie genetiche, esposizione a sostanze tossiche (radiazioni e chemioterapici) Nei casi in cui l’FSH si attesta a valori di circa il doppio della norma le probabilità di ritrovare spermatozoi nel liquido seminale sono molto basse. Il testosterone è un altro ormone che contribuendo alla libido e alla funzionalità erettile gioca un ruolo cruciale tra i fattori che influenzano la fertilità maschile. Ovviamente al fine di ottenere un concepimento i rapporti dovrebbero cadere nei 2/3 giorni che precedono l’ovulazione della partner femminile; questo perché gli spermatozoi sono in grado di sopravvivere oltre 48 ore nell’ambiente uterino ’ importante ricordare che spesso l’ansia associata alla ricerca del concepimento produce seri problemi di disfunzionalità erettile nei partner maschili.

27.3 EPIDEMIOLOGIA ED EZIOLOGIA Nei partner maschili di circa il 50% delle coppie infertili sono riscontrate anomalie nel liquido seminale; le principali di queste sono alterazioni del numero (oligozoospermia), della motilità (astenozoospermia) e della forma (teratozoospermia). L’infertilità maschile spesso un evento multifattoriale, queste 406

sono le cause più comuni:  Anomalie urogenitali congenite o acquisite;  Infezioni genitourinarie;  Ipertermia scrotale (varicocele);  Anomalie endocrine;  Anomalie genetiche;  Anomalie immunologiche; Nel 30-40% dei casi d’infertilità maschile non è riscontrabile nessuno di questi fattori e si perla pertanto d’infertilità idiopatica.

27.4 INFERTILITÀ PRE-TESTICOLARE L’infertilità pre-testicolare è spesso dovuta ad alterazioni ormonali. Si parla pertanto d’ipogonadismo ipogonadotropo o insufficienza testicolare secondaria ed è secondaria a problemi ipotalamici ed ipofisari. In questi casi sono riscontrabili alterazioni dei livelli sierici di gonadotropine e testosterone. 27.4.1 Patologie ipotalamiche Sono diverse le patologie ipotalamiche che influenzano la fertilità. Tra queste: Ipogonadismo Ipogonadotropo Isolato Questa patologia è caratterizzata da bassi livelli ematici di LH, FSH e testosterone. Come accade nella sindrome di Kallmann (SK) bassi livelli delle gonadotropine possono coesistere con normali livelli degli altri ormoni ipofisari. La SK è una malattia genetica congenita caratterizzata dalla presenza di ipogonadismo ipogonadotropo (da deficit del Gonadotropin Releasing Hormone GnRH) associato ad anosmia (per ipoplasia o aplasia dei bulbi olfattivi). La patologia è conseguenza della mancata migrazione durante lo sviluppo encefalico dei neuroni produt407

tori di GnRH dall’area olfattiva all’ipotalamo I principali segni clinici sono l'assenza della pubertà spontanea e la perdita parziale o completa del senso dell'olfatto (anosmia) in entrambi i sessi. La sindrome di Kallmann è una patologia rara (1/50000 persone). Nella maggior parte dei casi è sporadica mentre nelle forme familiari sono state descritte tre modi di trasmissione: recessiva legata all'X, autosomica dominante (con penetranza incompleta) ed autosomica recessiva. Deficit Isolato del FSH Questa è una patologia rara dovuta a un’insufficiente produzione di FSH da parte dell’adenoipofisi I pazienti affetti possono avere livelli di LH e testosterone nella norma come possono esser nella norma volume testicolare e grado di virilizzazione. Clinicamente i livelli di FSH sono bassi e non rispondono alla stimolazione con GnRH. Questi pazienti presentano gravi diminuzioni del numero di spermatozoi fino alla completa azoospermia. Sindrome dell’Eunuco Fertile (deficit isolato del LH) In questi pazienti si assiste a un’alterazione isolata dei livelli ematici di LH con livelli di FSH nella norma. Alla pubertà questi ragazzi presentano un accrescimento dei testicoli regolare, poiché la maggior parte del volume testicolare è rappresentata dai tubuli seminiferi sensibili all'FSH. La spermatogenesi possibile, tuttavia l'assenza dell’ormone LH determina l'atrofia delle cellule di Leydig e di conseguenza il deficit della produzione di testosterone. Questi pazienti perciò non sviluppano i normali caratteri sessuali secondari e continuano a crescere raggiungendo delle proporzioni eunucoidi per la mancata saldatura epifisaria.

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Sindrome di Prader-Willi La sindrome di Prader-Willi è causato da una disfunzione ipotalamica. Oltre ai segni clinici presenti nella sindrome di Kallmann i soggetti affetti dalla sindrome di Prader-Willi presentano: obesità. Ritardo mentale, criptorchidismo, e diabete mellito. La patologia è dovuta a una delezione a carico del cromosoma numero 15. 27.4.2 Patologie Ipofisarie Il funzionamento dell’ipofisi può esser alterato da interventi chirurgici, neoplasie, radiazioni o malattie infettive. Iperprolattinemia Questa patologia può esser classificata come un’altra forma di Ipogonadismo ipogonadotropo dovuto a un’aumentata produzione di prolattina. Nella maggior parte dei casi la causa è un adenoma secernente prolattina (prolattinoma). Elevati livelli di prolattina si associano spesso alla diminuzione dei livelli di FSH, LH e testosterone. I sintomi associati sono la perdita della libido, l’impotenza, la comparsa di galattorrea e la ginecomastia. Nei casi di iperprolattinemia vanno sempre ricercate alterazioni a carico di tutti gli altri ormoni ipofisari. Alterazioni ormonali endogene ed eterogene:  Estrogeni: L’eccesso di steroidi androgeni o estrogeni è una possibile causa pre-testicolare d’infertilità maschile. Nei pazienti cirrotici l’aumento dell’attività enzimatica delle aromatasi provoca l’aumento della produzione di estrogeni endogeni. Similmente nell’obeso il tessuto adiposo genera un aumento dell’attività dell’aromatasi periferica incrementando la conversione di testosterone in estrogeni. 409

Altre cause meno comuni dell’aumento della produzione di estrogeni nell’uomo sono: neoplasie adrenocorticali e tumori delle cellule del Sertoli.  Abuso di steroidi ed ormoni anabolizzanti Queste sostanze diminuiscono la produzione ipofisaria di LH e FSH, di conseguenza la produzione testicolare di testosterone e la diminuzione della spermatogenesi; questo meccanismo può provocare un’oligoazoospermia. La presenza di bassi livelli di LH e FSH in pazienti ben virilizzati è la chiave della diagnosi. Nella maggior parte dei casi questa è una condizione reversibile.  Iper e ipotiroidismo Alterazioni sieriche dei livelli degli ormoni tiroidei interferiscono con la spermatogenesi sia a livello ipofisario sia a livello testicolare. Iper ed ipotiroidismo sono una rara causa (0,5%) di infertilità maschile.

27.5 INFERTILITÀ TESTICOLARE Le cause testicolari d’ipofertilità (insufficienza testicolare primaria) sono per lo più irreversibili. Nei casi in cui si riescano a rinvenire spermatozoi tuttavia è possibile ricorre alle tecniche di procreazione medicalmente assistite (PMA) 27.5.1 Anomalie genetiche Circa il 7% degli uomini affetti da oligozoospermia e il 13% degli azoospermici presentano anomalie strutturali (delezioni) a carico del braccio lungo del cromosoma Y (Yq). Per questa ragione andrebbe sempre raccomandata l’analisi del cariotipo ai soggetti con difetti della spermatogenesi candidati a trattamenti di procreazione assistita. Una delle più frequenti anomalie a carico dei cromosomi ses410

suali è la sindrome di Klinefelter. Circa l'80% di questi pazienti ha un cariotipo 47,XXY, mentre nel rimanente 20% si includono aneuploidie più alte (47,XXXY), mosaici 47,XXY/46,XY e anomalie strutturali del cromosoma X. Clinicamente in questi pazienti viene a mancare lo sviluppo durante la pubertà dei caratteri sessuali secondari. La grandezza dei didimi è spesso inferiore ai 2cm, ed istologicamente si assiste alla sclerosi ed alla ialinizzazione dei tubuli seminifere con patrimonio di cellule di Leyding conservato. Dal punto di vista endocrinologico si assisterà a un decremento della testosteronemia associata ad alti livelli di LH ed FSH. 27.5.2 Anomalie anatomiche Nel criptorchidismo il testicolo può trovarsi all’interno del canale inguinale o esser intra addominale. Quando il didimo si trova nella cavità addominale ma al di fuori dalla comune via di migrazione embrionaria si parla di testicolo ectopico. Criptorchidismo e testicolo ectopico sono condizioni da correggere entro i 16 mesi di vita se si vuole conservare la capacità del testicolo di produrre spermatozoi, quando si attende oltre questo limite il parenchima testicolare non sarà più in gradi di produrre spermatozoi. In tutti i casi rimane indicato fissare il testicolo criptorchide all’interno dello scroto perche questa condizione si associa a un’aumentata incidenza di neoplasie testicolari e la posizione del testicolo nel sacco scrotale ne facilita la diagnosi. 27.5.3 Gonadotossine Chemioterapie, radioterapie, l’assunzione di sostanze d’abuso e l’esposizione a polveri di metalli pesanti possono compromettere temporaneamente o permanentemente la spermatogenesi. Un’anamnesi accurata permette di metter in luce l’esposizione a queste sostanze.

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27.5.4 Varicocele Il varicocele è considerato la più frequente causa d’infertilità correggibile chirurgicamente. Circa il 35% degli uomini con infertilità primaria e oltre il 75% di quelli con infertilità secondaria ne sono affetti. Il varicocele consiste nella dilatazione delle vene spermatiche. La stasi di sangue venoso nelle vene del plesso pampiniforme aumentando la temperatura scrotale, favorendo il ristagno dei prodotti tossici del catabolismo cellulare nel testicolo e rendendo l’ambiente scrotale più ipossico interferisce con i normali processi di spermatogenesi. Maggiore è il grado di varicocele e il tempo di esposizione alla patologia (età del soggetto) maggiori sono le possibili alterazioni della fertilità cui questi pazienti possono andare incontro. Per queste ragioni si consiglia la correzione del varicocele ai pazienti con problemi di fertilità e più in generale a tutti quelli che ne sono affetti a scopo di prevenire i progressivi danni alla spermatogenesi provocati dalla lunga esposizione alla patologia. 27.5.5 Altre cause d’infertilità testicolare La parotite si associa a orchi-epididimite nel 20-30% degli uomini che contraggono l’infezione dopo la pubertà; in alcuni casi le lesioni testicolari sono irreversibili. Altre cause infettive di danno testicolare sono: gonorrea, chlamydia, brucellosi, sifilide e tifo. Eventi traumatici anche iatrogni possono danneggiare la produzione testicolare di spermatozoi. Nella torsione del testicolo l’afflusso arterioso dell’organo è compromesso e se non corretta entro sei ore porta irreversibilmente alla necrosi dell’organo

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27.5.6 Autoanticorpi antispermatozooi (A.S.A.) Gli spermatozoi sono cellule “estranee” all’organismo perché diversamente da tutte le altre cellule hanno un corredo genetico aploide formato da 23 cromosomi. In condizioni normali la membrana basale dei tubuli seminali impedisce il contatto tra le cellule immunocompetenti e gli spermatozoi (barriera ematotesticolare). Questa barriera può esser danneggiata da eventi traumatici infezioni o ostruzioni a qualsiasi livello delle vie genitali maschili (un’alta prevalenza di anticorpi antispermatozooi è presente nei soggetti che si sottopongono ad interventi di ricanalizzazione dopo legatura dei deferenti). Recenti studi hanno dimostrato tuttavia che gli anticorpi antispermatozoi possono ridurre la fertilità maschile ma, non influenzando il concepimento, non sono mai causa assoluta di infertilità. 27.5.7 Cause idiopatiche L’infertilità idiopatica una delle forme più frequenti d’infertilità maschile. Per infertilità idiopatica s’intende un’alterazione della fertilità maschile caratterizzata da modificazioni di motilità e/o morfologia e/o concentrazione in assenza di altre anomalie (es. Volume, viscosità). E cliniche rilevate con l’esame obbiettivo ed i comuni esami strumentali e laboratoristici (Profili ormonali, ecodoppler scrotale esami del cariotipo).

27.6 INFERTILITÀ POST-TESTICOLARE L’azoospermia ostruttiva rappresenta circa il 15% delle azoospermie. I canali attraverso i quali lo sperma deve passare sono: gli epididimi, i vasi deferenti, le ampolle deferenziali, i dotti eiaculatori, l’uretra L’ostruzione può essere presente dalla nascita (congenita) oppure causata da infezioni, interventi chirur413

gici e traumi L’ostruzione delle vie seminali generalmente associata a un normale volume dell’eiaculato (perché il contributo testicolare ed epididimario al contenuto del liquido seminale è minimo) e a un quadro ormonale (FSH, LH, testosterone) nei limiti della norma. A volte la causa dell’ostruzione genetica: infatti, le mutazioni geniche associate allo sviluppo della fibrosi cistica sono state riscontrate in una larga percentuale di uomini con assenza congenita dei vasi deferenti. Pertanto nei casi di pazienti con agenesia dei deferenti sempre indicata un’analisi genetica Le cause acquisite sono molte, la più comune è la vasectomia; infiammazioni, infezioni, cisti a livello delle vie seminali sono altre cause frequenti da tenere in considerazione. 27.6.1 Eiaculazione retrograda L'eiaculazione retrograda rappresenta un disturbo in cui l'eiaculato è immesso nella vescica anziché fuoriuscire dall'uretra peniena. La mancata chiusura degli sfinteri vescicali al momento dell’eiaculazione provoca il passaggio dello sperma in vescica. Questa condizione può esser dovuta a patologie come il diabete mellito (per sua componente neuropatica) e la sclerosi multipla che compromettono il normale funzionamento dello sfintere vescicale interno. Le cause possono esser inoltre iatrogene come dopo interventi chirurgici (adenomectomia prostatica transvescicale, Resezione Prostatica Trans-Uretrale TURP) o farmacologiche.

27.7 DIAGNOSI Davanti ad un paziente con problemi d’infertilità la diagnosi deve basarsi su un’accurata anamnesi, un completo esame obiettivo ed eventuali esami strumentali e laboratoristici. L’obiettivo del medico è identificare le cause correggibili 414

d’infertilità e l’identificazione di altre patologie associate 27.7.1 Anamnesi L’anamnesi deve essere accurata e mirata a metter in luce tutti i fattori che possono alterare la fertilità come: storia di criptorchidismo, anomalie dello sviluppo dell’apparato urogenitale, traumi della regione inguino-scrotale, infezioni uro-genitali, lo stile di vita, l’attività lavorativa, l’abuso di sostanze stupefacenti, altre patologie sistemiche d’organo e di rilievo nonché frequenze modalità dei rapporti sessuali ’ sempre opportuno raccogliere qualche informazione anche sulla componente femminile della coppia. (età della partner regolarità dei cicli sessuali, precedenti gravidanze e/o aborti) ’ sempre opportuno raccogliere qualche informazione anche sulla componente femminile della coppia. (età della partner regolarità dei cicli sessuali, precedenti gravidanze e/o aborti) Ricordare inoltre le terapie farmacologiche croniche che possono influenzare la fertilità: Ipogonadismo ipogonadotropo

Iperprolattinemia

Ipocinesi nemaspermica

Androgeni Ciproterone Medrossiprogesterone acetato Interventi ipofisari Terapia radiante del capo

Amitriptilina Anfetamine Antidepressivi

Atropina Antidepressivi Antibiotici

Butirrofenoni Estrogeni Imipramina Metadone Metildopa Metoclopramide Morfina Pimozide Fenotiazide Reserpina Sulpiride Tioxantina

Clorpromazina Diazepam Anestetici locali Metoclopramide Fentolamina Propanolo Cadmio Rame Argento

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27.7.2 Esame obiettivo L’esame obiettivo rappresenta un altro punto fondamentale del percorso diagnostico del paziente infertile. Innanzi tutto bisogna valutare la presenza dei segni di una normale virilizzazione. Il riscontro di un quadro di ginecomastia potrebbe esser dovuto a un prolattinoma ipofisario All’esame obiettivo del pene possibile l’osservazione di ipospadia o placche di induratio penis plastica. Con la palpazione dei testicoli se ne deve valutare il volume (il volume normale è circa 25ml; per quest’operazione il medico può servirsi dell’orchidometro); l’atrofia testicolare si associa spesso ad una diminuzione della produzione testicolare La palpazione dell’epididimo può indicare la presenza di noduli possibili esiti d’infezioni e siti di ostruzione della via spermatica. L’agenesia dei deferenti potrebbe esser associata a mutazioni per il gene della fibrosi cistica e permetterne la diagnosi. Con la palpazione scrotale è possibile evidenziare la presenza di varicoceli Infine l’esplorazione rettale indicata per l’identificazione di cisti e infezioni prostatiche e delle vescicole seminali. Sulla base dei risultati di queste prime indagini, si passerà o meno ad una valutazione laboratoristico-strumentale più approfondita. 27.7.3 Spermiogramma Nella valutazione dell’infertile vanno effettuati almeno 2 spermiogrammi distanziati di 2,5 mesi. Lo sperma può infatti andare incontro ad ampie oscillazioni di tipo spontaneo o indotte da fattori deleteri sulla spermatogenesi, e ciò vale anche per campioni seminali di alcuni pazienti che risultano talora azoospermici e talora no. Gli spermiogrammi devono essere effettuati in laboratori qualificati, secondo i parametri descritti dal W.H.O. (1992). 416

Con il termine di azoospermia s’intende l'assenza di spermatozoi a un’osservazione microscopica a 400 ingrandimenti e dopo centrifugazione. La presenza di rari spermatozoi in un campione che ne era apparentemente privo a un’analisi "a fresco" configura una situazione di "criptozoospermia". Con tale termine si definiscono tutte le condizioni caratterizzate da < 500.000/ml. La presenza di spermatozoi nel citocentrifugato è molto importante in quanto ne consente spesso un impiego diretto per la ICSI (è ancora in fase sperimentale il riconoscimento dei soli spermatidi su citocentrifugato e quindi il loro impiego per ICSI). Gli altri parametri seminologici che sono utili nelle criptoazoospermie sono:  Volume seminale (v n: ≥1 5 ml): volume seminale molto ridotto si riscontra di norma nelle agenesie dei dotti deferenti (laddove coesista anche agenesia del tratto ampullo-vescicolare) e nelle ostruzioni complete dei dotti eiaculatori (post-flogistiche o cistiche). Un volume seminale ridotto si riscontra anche in soggetti affetti da ipogonadismo ipogonadotropo nei quali è presente ipotrofia delle ghiandole seminali accessorie.  pH (v.n. compreso tra 7.2 e 7.8): pH acido si riscontra nella ostruzione dei dotti eiaculatori e nella agenesia del tratto deferento-ampullo-vescicolare.  Fruttosio (v n ≥13 micromoli/eiaculato): è presente nel secreto vescicolare.  Studio delle "round cells" su striscio colorato. La totale assenza di cellule germinali immature configura un quadro di azoocitospermia che deve far sospettare una ostruzione completa delle vie seminali o una aplasia germinale assoluta. La presenza di rare o numerose cellule germinali immature, in assenza di spermatozoi, configura un quadro di arresto maturativo completo delle cellule germinali (azoospermia secretoria). La pre417





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senza di rare o numerose cellule germinali immature, in presenza di rari spermatozoi, configura un quadro di arresto maturativo parziale delle cellule germinali (criptozoospermia secretoria). La presenza di >1.000.000/ml leucociti nel plasma seminale deve far sospettare infezioni batteriche epididimo-prostato-vescicolari o infezioni virali. Test con immunobead indiretto (su siero o su plasma seminale) ’ un test per determinare la presenza di anticorpi antispermatozoo nel plasma seminale o nel siero. Questi ultimi quando presenti in soggetti con ostruzioni della via seminale rappresentano un elemento prognostico negativo sull’esito d’interventi di ricanalizzazione. Ricerca degli spermatozoi nelle urine dopo eiaculazione: deve essere fatta abitualmente quando il volume seminale risulti estremamente ridotto (una o più gocce). La presenza di spermatozoi in numero superiore a quello riscontrabile nell’eiaculato (se vi è criptozoospermia) o la presenza di spermatozoi in soggetti già considerati azoospermici, configura un quadro di eiaculazione retrograda parziale o totale, rispettivamente. L'eiaculazione retrograda completa e l'aneiaculazione (pur esulando dal concetto di azoospermia sensu strictu) sono abbastanza rare e si presentano spesso in pazienti affetti da neuropatie sistemiche (diabetica, sclerosi multipla, ecc.) o locali (esiti di paraplegia e tetraplegia posttraumatica; di linfoadenectomia retroperitoneale, di chirurgia aorto-iliaca, di chirurgia del retto, ecc.) in grado di alterare i meccanismi della emissione seminale e della eiaculazione. Tali disfunzioni sono tuttavia osservabili anche in soggetti apparentemente sani.

27.7.4 Esami ormonali L’Infertilità maschile dovuta ad endocrinopatie è rara. In caso di azoospermia, disfunzione erettile o altri segni o sintomi di ipotestosteronemia o altre patologie correlate. Un’iniziale valutazione ormonale prevede il dosaggio dei livelli ematici di testosterone libero e totale e dell’FSH Questi esami nella maggior parte dei casi sono in grado di dimostrare la salute dell’asse testicolo-ipofisario. In caso d’ipogonadismo (sospetto basato sul riscontro di azoospermia/oligospermia) il dosaggio del FSH e del testosterone possono aiutare a determinare se l’ipogonadismo sia primario o secondario. Elevati livelli di FSH associati a bassi livelli ematici di testosterone sono caratteristici dell’ipogonadismo primario Bassi livelli di entrambi gli ormoni correlano con la diagnosi d’ipogonadismo secondario. Se la testosteronemia è bassa andranno dosati anche LH (l’ormone luteinizzante) e prolattina Normali livelli di Testosterone, LH, ed elevati livelli di FSH sono caratteristici dell’insufficienza testicolare In questi soggetti indicato determinare il cariotipo ed eseguire la ricerca di microdelezioni del cromosoma Y. 27.7.5 Esami genetici Il numero di geni che influenzano la fertilità maschile è sempre maggiore. Microdelezioni del cromosoma Y vengono riscontrate nel 6% degli uomini affetti da oligozoospermia e nel 15% dei soggetti affetti da azoospermia. I pazienti a rischio di patologie genetiche sono caratteristicamente soggetti con testicoli ipotrofici, elevati livelli di FSH e pazienti azoospermici (come ad esempio nella sindrome di Klinefelter). L’agenesia dei deferenti si associa nell’80% dei casi a mutazioni per la fibrosi cistica. 419

27.7.6 Ricerca di anticorpi anti spermatozoi (A.S.A.) Grazie alla barriera emato-testicolare il testicolo è un santuario immunologico. Quando questa barriera viene a mancare avviene il contatto tra gli antigeni degli spermatozoi e le cellule immuno competenti del sangue, di conseguenza la produzione di anticorpi anti-spermatozoi. Nei casi in cui lo spermiogramma rivela agglomerati di spermatozoi, astenozoospermia isolata e l’anamnesi fosse positiva per traumi, torsioni testicolari è indicata la ricerca di spermatozoi. 27.7.7 Eco-color-doppler L'ecografia scrotale è un mezzo diagnostico di routine nella valutazione del maschio infertile in quanto utile nello studio dell’anatomia del testicolo (dimensioni) e delle possibili alterazioni patologiche(epididimiti, orchiti, varicocele, cisti dell'epididimo, testicoli ritenuti e tumori testicolari) e paratesticolari. La maggior parte delle lesioni intratesticolari sono maligne, mentre le lesioni extratesticolari sono dovute in maggior parte ad infiammazione, traumi o tumori benigni. L'ecografia prostatica transrettale è una metodica importante nella valutazione delle ostruzioni delle vie seminali, dilatazione o cisti dei dotti eiaculatori oltre che a evidenziare la presenza o l'assenza delle vescicole seminali. Tale esame permette anche lo studio radiologico di eventuali ostruzioni tramite l'aspirazione del liquido vescicolare e la vescicolografia con mezzo di contrasto. 27.7.8 Biopsia testicolare La biopsia testicolare è una tecnica minimamente invasiva che può esser realizzata in pochi minuti senza nessun disturbo per il paziente. La biopsia del testicolo è indicata in pazienti azoospermici, con testicoli di normale volume e consistenza, dotto deferente palpabile e normali livelli di ormone follicolo420

stimolante (FSH). In casi di azoospermia è possibile eseguire una biopsia del testicolo con il metodo FNA (Fine Needle Aspiration; biopsie con ago sottile) o TESE (Testicular Sperm Extraction), sotto analgesia locale e sedazione. Nel materiale raccolto si ricerca la presenza di spermatozoi immaturi o maturi che possono essere usati per la fecondazione degli ovuli mediante tecniche di PMA.

27.8 TERAPIA L’obiettivo del trattamento dell’infertilità maschile quello di raggiungere le migliori condizioni possibili per la spermatogenesi. A tale scopo è importante il trattamento d’infezioni a carico dell’apparato genito-urinario e di altre patologie che compromettono la spermatogenesi come il varicocele. Molti studi clinici dimostrano come integratori alimentari a base di sostanze antiossidanti come la carnitina siano efficaci nel miglioramento dei parametri seminali e nell’incremento del numero di gravidanze ottenute. La terapia ormonale (in particolare FSH) può esser di particolare importanza nei casi di ridotta spermatogenesi. ’ compito del medico spiegare al paziente che i risultati di questi trattamenti richiedono 3 mesi per esser tangibili allo spermiogramma (Il tempo necessario alla maturazione dei gameti maschili è infatti di 70 giorni). Quando nonostante il miglioramento della qualità del liquido seminale la coppia non riesce a raggiungere la gravidanza entro un tempo ragionevole, non ci sono reali prospettive di miglioramento della fertilità maschile, l’età della coppia (in particolare della partner femminile) è avanzata è possibile ricorrere alle tecniche di procreazione medicalmente assistite (PMA). 27.8.1 Tecniche di riproduzione medicalmente assistita 421

Va innanzitutto ricordato che lo scopo di tutte le tecnologie riproduttive è quello di avvicinare e di favorire il contatto fra i gameti (ovocita e spermatozoo) di cui si sia precedentemente verificata la presenza e la funzionalità. In tutti i casi le tecniche di PMA richiedono la raccolta di spermatozoi dal partner maschile. Questa manovra è appannaggio dello specialista di chirurgia andrologica che può servirsi di diverse tecniche chirurgiche e microchirurgiche per estrarre spermatozoi dalle via seminali:  MESA (Microsurgical Epididimal Sperm Aspiration): aspirazione degli spermatozoi dall’epididimo, dopo incisione microchirurgica.  ESE (Epididimal Sperm Extraction): asportazione chirurgica della la testa dell’epididimo  PESA: (Testicular Sperm Extraction):puntura della testa dell’epididimo con butterfly 21G  TESA: (Testicular Sperm Aspiration): prevede la puntura del parenchima testicolare.  TESE: (Testicular Sperm Extraction): biopsie testicolari chirurgiche multiple. ◦ Microdissection Tese: incisione, di 3 o 4 cm di lunghezza del testicolo sotto controllo microscopico ◦ Stereomicroscopic Tese: con l’aiuto del microscopio si identificano quei tubuli che contengono spermatozoi. Le tecniche di procreazione medicalmente assistita sono fondamentalmente di due tipi: le inseminazioni e la fecondazione in vitro.  L’inseminazione è una tecnica mediante la quale gli spermatozoi sono introdotti meccanicamente nelle vie genitali femminili; i tipi di inseminazione più in uso sono l’inseminazione artificiale (IA) mediante la quale gli 422

spermatozoi vengono depositati nel collo dell’utero, l’inseminazione intrauterina (IUI) e quella intraperitoneale (IPI) che prevedono l’immissione degli spermatozoi rispettivamente nell’utero e nella cavità peritoneale Quando l’inseminazione realizzata con lo sperma del congiunto si parlerà di IAC mentre nella IAD si utilizza quello di un donatore.  La metodologia della fecondazione in vitro e trasferimento di embrioni (FIVET) prevede una stimolazione ovarica mediante trattamento ormonale allo scopo di far maturare contemporaneamente più ovociti (nell’intento di aumentare l’efficacia complessiva della FIV T), la raccolta per aspirazione dal follicolo degli ovociti (operazione che viene compiuta in ambulatorio e sotto anestesia leggera), l’inseminazione degli ovociti con gli spermatozoi (25000- 100000 spermatozoi per ovocita), l’incubazione a 37° della soluzione nutritiva contenente ovociti e spermatozoi per controllare se è avvenuta la fusione tra i due gameti e se le prime divisioni cellulari dello zigote11 sono regolari e, infine, dopo circa due giorni, il trasferimento nell’utero della futura madre di uno o più embrioni che, di solito, a quel momento, hanno raggiunto lo stadio a 8 cellule. Dal 1992 è stata introdotta con successo una tecnica che modifica in modo più radicale il processo di fecondazione poiché comporta una fecondazione in vitro mediante l’introduzione per microiniezione di spermatozoi direttamente nel citoplasma degli ovociti. La rapida diffusione dell’iniezione intracitoplasmatica di un singolo spermatozoo (ICSI) è dovuta anche al fatto che essa permette di utilizzare per la microiniezione gli spermatidi (precursori dei gameti maschili, prima del completamento della maturazione) al posto degli spermatozoi, dando così agli uomini sterili la possibilità di procreare senza dover ricorrere a un 423

donatore di sperma. 27.8.2 Terapia dell’azoospermia ostruttiva Le ostruzioni distali sono rappresentate dalla ostruzione dei dotti eiaculatori e più raramente delle sole vescicole seminali. Possono essere parziali o complete, congenite o secondarie a infezioni prostatiche o delle vescicole seminali e rappresentano una rara causa d’infertilità. La maggior parte delle azoospermie ostruttive può esser corretta con tecniche microchirurgiche permettendo così al paziente di concepire in modo naturale. La tubulovasostomia, la vasovasostomia (Figura 1) e l’epidimovasostomia (figura 2) rappresentano le tecniche microchirurgiche più frequentemente utilizzate per la risoluzione delle ostruzione delle vie seminali prossimali.

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CAPITOLO 28

TRAUMI GENITOURINARI Fabio Manferrari I traumi dell’apparato genitourinario non sono frequenti e ciò dipende dalla posizione anatomica degli organi e dalla loro mobilità intrinseca Quando si verifica un trauma dell’apparato urogenitale è associato ad un trauma addominale toracico o pelvico. Negli USA i traumi in generale sono la prima causa di morte fra 1 e 44 anni e nel 10% dei casi interessato l’apparato urinario. Poiché la causa del trauma spesso influenza la strategia terapeutica, un’anamnesi accurata diventa fondamentale per stabilire la dinamica del trauma e stabilire le procedure diagnostico terapeutiche. Complessivamente il rene è interessato nel 67% dei casi, l’uretere 1%, la vescica 22%, uretra 3%, genitali esterni 7%.

28.1 TRAUMI DEL RENE Il rene l’organo più colpito nell’ambito dei traumi dell’apparato uro genitale con un rapporto maschio femmina 3:1. Negli anni il miglioramento delle capacità diagnostiche ci ha permesso di ridurre la necessità di interventi chirurgici esplorativi mentre sono aumentati gli interventi chirurgici conservativi. Classifichiamo i traumi renali in base alle modalità con cui si sono verificati: CHIUSI (traumi diretti non penetranti), AP RTI (da agenti penetranti direttamente nell’organo

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28.1.1 Classificazione La classificazione ci permette di standardizzare i differenti gruppi di pazienti, selezionare le terapie appropriate e valutarne i risultati. 1 2 3 4

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Contusione renale, ematoma subcapsulare, non lacerazioni parenchima Ematoma Perirenale e Lacerazione corticale 1cm senza stravaso urina Lacerazione interessante corticale e midollare ed il sistema collettore o lesioni vascolari arteriose e venose di vara entità con ematoma e/o trombosi venosa Lacerazione con rottura del rene o avulsione del peduncolo renale

28.1.2 Diagnosi L’anamnesi accurata sulle modalità con cui si verificato l’evento deve essere raccolta o dal paziente o dai testimoni ’ importante conoscere la preesistenza di patologie urologiche pregresse (malfomazioni,litiasi,precedenti interventi urologici). La stabilità emodinamica è il primo obiettivo da raggiungere nel paziente che ha subito un trauma. L’esame obiettivo permette di definire come l’evento ha causato il danno renale, e se siamo in presenza di un trauma aperto (ferite cutanee) o chiuso. I sintomi più frequenti sono: ematuria, dolore fianco, dolore costale, dolore addominale. Gli esami di laboratorio più indicativi sono l’esame urine, l’ematocrito, e la creatinina. Gli esami strumentali più importanti sono l’ecografia addominale e TC addome con mezzo di contrasto. L’ecografia addominale indagine economica e di rapida esecu426

zione, permette di evidenziare la presenza di raccolte addominali, lesioni degli organi addominali, tuttavia può essere di difficile esecuzione in un paziente addolorato che spesso riporta anche lesioni cutanee, infine è una indagine operatore dipendente. Pertanto la TC addome con MDC aggi rappresenta il gold standard nello studio del paziente con trauma renale. La TC è più specifica e sensibile dell’ecografia, dell’urografia e dell’angiografia. Inoltre è particolarmente utile nei pazienti con preesistenti anomalie dell’apparato urinario ssa permette di valutare nella fase arteriosa la sede del danno renale, la presenza di contusioni, segmenti renali devascolarizzati.Inoltre visualizza l’intero retroperitoneo con la presenza di ematomi nonché danni agli organi addominali e pelvici. La TC vede in dettaglio entrambi i reni ed una mancata visualizzazione del rene dopo infusione del MDC è espressione di danno del peduncolo renale. Le lesioni della vena renale restano tuttavia difficili da individuare anche se si può ipotizzare sulla base di segni indiretti come la presenza di un ematoma mediale con dislocamento del peduncolo. Infine nella fase tardiva dell’esame dove si verifica l’eliminazione del MDC attraverso la via escretrice possibile valutare la presenza di spandimenti indice di rottura del sistema pielo-caliciale o ureterale. Recentemente è stata proposta anche la Risonanza Magnetica come indagine da utilizzare nello studio del paziente con trauma renale, tuttavia deve essere riservata solo a quei pazienti allergici al mezzo di contrasto iodato. L’Angiografia selettiva un esame invasivo che richiede tempo e ora è riservata a indagine diagnostica di seconda scelta, quando TC non disponibile oppure nel paziente emodinamicamente stabile candidato a un trattamento di embolizzazione arteriosa

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Schema riassuntivo 1. Il paziente con trauma renale emodinamicamente instabile deve essere valutato con eco addome e Tc con MDC 2. L’angiografia, esame di seconda scelta può essere usata per individuare selettivamente un vaso sanguinante e contemporaneamente procedere alla sua embolizzazione 28.1.3 Terapia L’obiettivo principale della terapia del paziente con trauma renale è minimizzare la morbilità e preservare la funzione renale. La necessità di un intervento chirurgico esplorativo deve essere valutato accuratamente valutando il tipo di lesione, la necessità di trasfusioni ematiche (e quindi il grado di anemizzazione) d infine la funzione renale complessiva. Tuttavia la decisione finale sulla necessità di un approccio chirurgico è condizionata dalla necessità o meno di valutare concomitanti lesioni di organi addominali. Anemizzazione acuta e instabilità emodinamica rimangono indicazione assoluta all’intervento chirurgico esplorativo. Spesso l’anemia acuta si associa a voluminosi ematomi perirenale, Gli stravasi di mezzo di contrasto sono espressione di rottura delle vie escretrici, possono essere trattati con tecniche mini invasive e non sempre richiedono un intervento chirurgico. Tuttavia un intervento esplorativo può essere necessario quando il quadro radiologico non è chiaro oppure sono presenti anomalie dell’apparato urinario o presente un tumore renale diagnosticato incidentalmente. Nel complesso la necessità d’intervento chirurgico nei traumi addominali chiusi meno del 10% L’obiettivo di controllare l’emorragia e salvare il rene. In alcuni casi può essere necessario nelle fasi d’isolamento del rene clampare il peduncolo renale per avere una migliore visualizzazione del campo operatorio 428

e procedere all’esecuzione di una chirurgia ricostruttiva. Infatti la nefrectomia si rende necessaria solo nel 13% dei casi soprattutto in pazienti che hanno lesioni di altri organi addominali causati da ferite penetranti. La mortalità non è diretta conseguenza delle sole lesioni renali ma dipende dalla complessità delle lesioni interessanti più organi addominali e toracici. In presenza di ferite da arma da fuoco la chirurgia ricostruttiva può essere difficoltosa e spesso è necessaria la nefrectomia. La renoraffia (sutura del parenchima) è la più comune tecnica di ricostruzione impiegata. La nefrectomia parziale (asportazione di parte del parenchima) si esegue quando siamo alla presenza di parti di tessuto renale compromesso non più recuperabile. Alle tecniche descritte deve essere associata la sutura della via escretrice nei casi sia interrotta o lacerata. La recente introduzione di emostatici topici riassorbibili possono essere di aiuto per integrare le suture chirurgiche. Le lesioni vascolari arteriose e venose sono rare e sono spesso associate a una morbilità e mortalità elevata L’angiografia con l’embolizzazione vascolare può essere un’opzione terapeutica in casi selezionati. Il trattamento conservativo è il trattamento di scelta nella maggioranza dei casi, è associato ad un basso tasso di nefrectomie che si verifica solo nell1% dei casi. Tutte le lesioni renali grado 1 e 2 sono trattate in modo conservativo, mentre nel grado 3 quando è presente solo una lesione della via escretrice si può optare per il trattamento conservativo che ha un esito positivo nel 90% dei casi. Pazienti con lesioni grado 4 e 5 vengono normalmente sottoposti ad intervento chirurgico. I sanguinamenti persistenti sono la principale indicazione alla chirurgia ma il confine fra chirurgia e osservazione si assottiglia nei pazienti dove è presente stabilità emodinamica e modesta anemizzazione, in questi casi si valuta caso per caso.

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Schema riassuntivo 1. Trauma contusivo in paziente emodinamicamente stabile: trattamento conservativo 2. Indicazione a trattamento chirurgico  Instabilità emodinamica  Lesioni organi adiacenti rene  Ematoma perirenale voluminoso  Riscontro incidentale di patologie renali preesistenti (tumori) Obiettivo primario è il controllo dell’emorragia seguito dalla ricostruzione renale quando parenchima renale sufficiente 28.1.4 Follow-Up Il paziente con trauma renale anche se trattato in modo conservativo può essere esposto ad alcuni rischi e complicanze e il rischio aumenta con la gravità della lesione di base. La ripetizione di una TC addome dopo 2-4 giorni dal trama minimizza il rischio di complicanze non diagnosticate. Tuttavia la TC non è sempre dirimente nel follow-up dei pazienti con febbre, anemizzazione progressiva o dolore al fianco. La scintigrafia renale è utile alla dimissione di questi pazienti per quantizzare la capacita funzionale del rene. Dopo 3 mesi la TC permette di valutare le complicanze tardive, alterazioni vascolari o funzionali. 28.1.5 Complicanze  Complicanze precoci si manifestano nel primo mese e so rappresenti da sanguinamenti, infezioni con ascessi renali o pararenali, fistola urinosa, ipertensione, urinoma.  Complicanze tardive includono sanguinamenti, idronefrosi, litiasi, pielonefrite, ipertensione, fistola artero-venosa, pseudoaneurismi 430

Il sanguinamento retroperitoneale può insorgere entro alcune settimane dopo il trauma, l’intervento chirurgico può avere conseguenze devastanti e allora può essere indicata una arteriografia con embolizzazione selettiva del vaso sanguinante. L’ascesso perirenale facilmente trattato con terapia conservativa e drenaggio percutaneo anche se qualche volta è necessaria una revisione chirurgica. Il trattamento percutaneo della complicanza implica un più basso rischio di dovere eseguire una nefrectomia, L’ipertensione un evento raro (5%) ed più frequente nel giovane Spesso si associata nelle fasi precoci a ematoma compressivo retroperitoneale e nelle fasi tardive a trombosi delle aa renali o trombosi di aa segmentarie. Il trattamento dell’ipertensione può essere medico o chirurgico con resezione di parenchima renale ischemico, rivascolarizzazione vascolare, nefrectomia. Lo stravaso urinario è spesso controllato agevolmente con derivazione urinaria interna con stent ureterale o nefrostomia. Le fistole artero-venose sono trattate agevolmente con arteriografia ed embolizzazione selettiva, solo raramente è necessario un intervento chirurgico. Infine i pseudoaneurismi possono essere trattati con embolizzazione ma più frequentemente sono trattati con stent vascolari. Schema riassuntivo 1. La valutazione delle complicanze dopo trauma renale richiede valutazione radiologica 2. Il trattamento medico e l’impiego di tecniche mini invasive rappresenta la prima scelta terapeutica delle complicanze 3. Il primo obiettivo del chirurgo deve essere il salvataggio del rene

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28.2 TRAUMI URETERALI L’uretere il condotto che trasporta l’urina dal rene alla vescica, è piccolo, mobile, dotato di peristalsi e decorre nello spazio retroperitoneale. Qualunque trauma esteso al fianco, torace e pelvi mette l’uretere a rischio Tuttavia trovandosi anatomicamente in una sede protetta il trauma dell’uretere raro e si verifica nell’1% dei casi di tutti i traumi dell’apparato urinario 28.2.1 Eziologia L’eziologia dei traumi dell’uretere nel 75% dei casi iatrogena, si verifica in corso di interventi chirurgici prevalentemente ginecologici, nel 18% è causato da traumi contusivi e nel 7% da ferite penetranti aperte. 28.2.2 Diagnosi Non esiste una sintomatologia specifica ma deve essere sospettata una lesione ureterale nei casi di traumi penetranti dell’addome o d’incidenti con forti decelerazioni. Certe volte non è possibile evidenziare le lesioni che si manifestano indirettamente in un secondo tempo con idronefrosi, fistola urinosa, sepsi. La lesione ureterale deve essere documentata con lo stravaso di mezzo di contrasto in corso di TC o pielografia retrograda. 28.2.3 Classificazione delle lesioni ureterali: Ematoma ureterale 1 Lacerazione ureterale 50% della circonferenza 3 Completa lacerazione e devascolarizzazione < 2 cm 4 Completa lacerazione e devascolarizzazione > 2 cm 5

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28.2.4 Trattamento Il trattamento delle lesioni 1 e2 sono trattate con stenting ureterale o nefrostomia, ciò permette di derivare le urine e mettere a riposo la zona traumatica. Lo stent può essere posizionato per via anterograda e retrograda e deve essere lasciato in sede per almeno 3 settimane. Il paziente deve essere sottoposto a follow-up a 3 e 6 mesi con Uro-TC per monitorare la avvenuta guarigione o se si è formata una stenosi ureterale. In quest’ultimo caso si dovrà pianificare un ulteriore trattamento Le lesioni di tipo 2 e 3 si riscontrano immediatamente durante la esplorazione chirurgica dopo il trauma oppure nel corso di interventi chirurgici non urologici prevalentemente ginecologici. Una volta individuata la lesione si procede alla sutura della lesione ureterale su stent, avendo cura della tenuta della sutura e posizionando drenaggio adiacente alla lesione. Nelle lesioni ureterali 3-4-5 dove la continuità ureterale è interrotta e spesso si associa anche a perdita di sostanza, qualunque procedura di ricostruzione verrà scelta non può prescindere da alcuni principi fondamentali devono essere considerati: sbrigliamento ureterale fino al tessuto sano e vascolarizzato, posizionamento di stent ureterale, se necessario utilizzo di struttura di supporto come omento o peritoneo. Le opzioni terapeutiche delle lesioni complete dipendono dalla sede dove è presente la lesione. Le lesioni del tratto prossimale sono trattate con ureterocalicostomia, uretero-uretero anastomosi, ureteropieloanastomosi Le lesioni dell’uretere lombare sono trattate con uretero-uretero anastomosi, le lesioni dell’uretere distale sono trattate con reimpianto uretero-vescicale Qualora l’uretere abbia una lesione estesa si sostituisce l’uretere con ansa ileale

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28.3 TRAUMI VESCICALI La vescica è interessata nel 2% dei traumi addominali e nel 1435% dei casi si verifica una rottura della vescica, gli incidenti stradali ne sono la causa più frequente. La rottura della vescica da trauma è associata spesso con fratture del bacino tanto che il 30% dei pazienti con frattura bacino riporta lesioni vescicali. La vescica può subire lesioni in corso d’interventi chirurgici per altre patologie. Le lesioni vescicali iatrogene sono frequenti in corso d’interventi di chirurgia addominale soprattutto interventi di chirurgia ginecologica vaginale o interventi ginecologici laparoscopici. 28.3.1 Classificazione Traumi vescicali Ematoma, contusione vescicale 1 Lacerazione incompleta Lacerazione extraperitoneale < 2 cm 2 Lacerazione extraperitoneale > 2 cm 3 Lacerazione intraperitoneale < 2 cm Lacerazione intraperitoneale > 2 cm 4 Lacerazione intraperitoneale o extraperitoneale con 5 lacerazione della parete vescicale che si estende al trigono o al collo vescicale 28.3.2 Sintomatologia La macroematuria (82%), dolore sovrapubico (62%) e ritenzione urinaria sono spesso associati a una rottura vescicale di qualsiasi tipo. Lo stravaso urinario e/o ematico potrà produrre un ematoma addomino-pelvico fino all’addome acuto tipico delle lacerazioni con spandimenti intraperitoneali. 28.3.3 Diagnosi Non esiste una correlazione fra il grado di ematuria e l’entità 434

della lesione vescicale, la cistografia l’indagine più accurata per studiare e identificare le lesioni vescicali, la diffusione del MDC nello spazio perivescicale o nel peritoneo permetterà di classificare la tipologia della lesione. Fra le altre indagini utili la Tc riveste un ruolo importante soprattutto per identificare le lesioni associate delle struttura adiacenti. La cistoscopia è utile soprattutto per identificare i traumi iatrogeni soprattutto dopo chirurgia ginecologica o dell’incontinenza 28.3.4 Terapia Nelle lesioni di tipo 1 o 2 senza significativi spandimenti di MDC, il cateterismo vescicale è la procedura terapeutica più importante perché permette di monitorare l’ematuria e mette a riposo la vescica, il cateterismo si prolunga fino alla avvenuta guarigione documentata con scomparsa della ematuria. Nel caso di lacerazioni vescicali importanti necessario l’intervento chirurgico con esplorazione della cavità addominale, sutura delle lesioni vescicali e drenaggio degli spazi perivescicali, in alternativa all’approccio chirurgico da segnalare la possibilità di una riparazione laparoscopica, che è fattibile quando le lesioni sono ben identificate e non molto estese. Le complicanze più frequenti delle lesioni vescicali sono quelle precoci e sono di tipo emorragico (con possibile formazione di coaguli che tamponano la vescica e ostruiscono il catetere) e di tipo infettivo (ascessi pelvici, osteite del pube, setticemia).

28.4 TRAUMI URETRALI L’uretra maschile divisa in due parti dal diaframma urogenitale, l’uretra posteriore consiste nell’uretra prostatica e membranosa mentre quella anteriore in uretra bulbare e peniena .Nella donna è presente solo la uretra posteriore ed è raramente interessata in caso di traumi e fratture del bacino ( di 20 mm o multipli complessi vengono trattati con la PNL  Calcoli renali sintomatici inferiori ai 7 mm possono essere trattati con la URS flessibile e Lasertrissia  Calcoli ureterali vengono trattati con la URS e litotrissia (Elettroidraulica, Laser)  Calcoli vescicali ELT o rimozione a cielo aperto se di grandi dimensiono o associati a intervento di Adenomectomia a cielo aperto.

RIMOZIONE DEI CALCOLI RENALI ESWL (EXTRACORPOREAL SHOCK WAVE LITHOTRIPSY) PER LA RIMOZIONE DEI CALCOLI Dagli anni ’90, la litotrissia extracorporea a “onde d’urto” ha rivoluzionato il trattamento della calcolosi urinaria rappresentando la prima scelta in tutti i calcoli renali di dimensioni inferiori ai 2 cm e in gran parte dei calcoli ureterali non complicati. Questa tecnica non comporta alcuna manovra invasiva sul paziente, il quale deve solo sdraiarsi sulla macchina appoggiando il fianco su un cuscino pieno d’acqua all’interno Le onde d’urto generate dal litotritore passano attraverso il corpo umano veicolando tutta l’e energia sul calcolo, frantuman468

dolo. La durata del trattamento è piuttosto breve (in genere non oltre i 45-60 minuti). 
Questa terapia non comporta alcuna anestesia; il paziente può qualche volta avvertire una sensazione di temporaneo fastidio nel punto di applicazione delle onde Vent’anni dopo la diffusione mondiale della tecnologia ESWL, lo sviluppo dei litotritori così come le diverse indicazioni e i principi di trattamento, hanno cambiato la tipologia ed il tasso delle complicanze. I moderni litotritori sono più piccoli e, nella maggioranza dei casi, fanno parte di un tavolo uroradiologico che permette l’applicazione non solo del trattamento ESWL, ma anche delle procedure diagnostiche e sussidiarie associate al trattamento ESWL. Attualmente le controindicazioni all’ SWL si sono ridotte alla gravidanza, severe malformazioni scheletriche, obesità severa e aneurisma dell’aorta o dell’arteria renale Inoltre, l’ SWL non dovrebbe essere effettuata in pz con alterazioni non correggibili della coagulazione o infezioni urinarie non controllabili. Il pacemaker NON è una controindicazione. L’esperienza ha chiaramente mostrato che il tasso di successo dell’ SWL direttamente correlato con il volume del calcolo e che un aumento nelle dimensioni del calcolo è associato con un aumento nel tasso di ri-trattamento. Questo ha portato alla conclusione che calcoli più grandi sono trattati meglio con un approccio percutaneo. Oltre alle dimensioni, molto importanti sono la posizione intrarenale e la composizione chimica del cal469

colo.

ESWL PER LA RIMOZIONE DEI CALCOLI RENALI DI GRANDI DIMENSIONI L’ SWL per il trattamento di calcoli renali di grosse dimensioni spesso causa problemi. Complicanze frequenti sono dolore, idronefrosi, febbre e occlusione con urosepsi per la difficoltà di passaggio di frammenti di calcoli soprattutto in caso di insufficiente frammentazione . Usando uno stent doppio-J, le complicanze infettive e ostruttive dopo ESWL per calcoli renali grandi si sono ridotte. Il posizionamento di uno stent è richiesto per calcoli > 20mm . I frammenti posso passare più agevolmente attorno allo stent mentre le urine fluiscono dentro e soprattutto attorno ad esso. Questo generalmente previene le ostruzioni con perdita delle contrazioni ureterali. A volte gli stent non sono efficienti nel drenare urine purulente o materiale mucoide con un rischio di pielonefrite ostruttiva. In caso di febbre che persiste da alcuni giorni è necessaria una nefrostomia percutanea anche se al controllo ecografico non si rileva dilatazione.

RIMOZIONE PERCUTANEA DEI CALCOLI RENALI In linea di massima, la maggior parte dei calcoli renali può essere rimossa mediante un accesso percutaneo. Ad ogni modo, qualora sia possibile fare un trattamento SWL, l’indicazione 470

alla PNL (litotrissia percutanea) dovrebbe essere limitata ai casi in cui il risultato finale dei trattamenti ESWL sia previsto inferiore rispetto alla PNL stessa. Sebbene la PNL si possa considerare una tecnica mininvasiva, costituisce comunque una procedura chirurgica, per l’attuazione della quale è necessario valutare attentamente la situazione anatomica del paziente al fine di limitare le possibili complicanze. L’accesso viene pianificato sulla base di una documentazione per immagini costituita da una Urografia o da una TC con pose urografiche e ricostruzione. Tali indagini permetteranno anche di valutare una scarsa risposta alla ESWL (calcoli di cistina, ossalato di calcio, calciomonoidrato o bruscite) o se i frammenti abbiano difficoltà a progredire (calcoli voluminosi, presenza di diverticoli caliciali). Un’Ecografia pre-operatoria permetterà di definire il miglior accesso secondo l’orientamento del calcolo e del rene stesso, di valutare gli organi limitrofi (milza, fegato, colon, pleura e polmoni) e la loro eventuale interposizione lungo la via di accesso per cutanea. La puntura può essere agevolata dal posizionamento di una cateterino ureterale a palloncino con l’obiettivo di “contrastare” il sistema pielo-caliciale. Oltre ad impedire la progressione distale 471

dei frammenti litiasici durante la procedura. La puntura viene coadiuvata da un controllo fluroscopico (ev. biplanare). L’ecografia può aiutare a evidenziare gli organi limitrofi e in casi selezionati si può ricorrere, a causa di anomalie anatomiche, a un accesso percutaneo TC-guidato. L’accesso standard quello che raggiunge un calice dorsale attraverso il polo renale inferiore. Rappresenta l’accesso meno traumatico attraversa la papilla renale, dove non si incontrano vasi rilevanti. Tale accesso è particolarmente sicuro anche per il fatto di utilizzare il calice come canale guida verso la pelvi renale. La dilatazione del tramite può essere effettuata con il set di Amplatz, con dilatatori coassiali metallici o con dilatatore a palloncino; la scelta è legata alla esperienza dell’operatore, alla disponibilità strumentale ed ai costi. I Nefroscopi hanno un calibro di 24-30 F, sono disponibili anche i cosiddetti ‘mini-perc’ da 12-20 F . Il calibro ridotto di questi ultimi permette una dilatazione minore del tramite di accesso con relativo traumatismo, d’altro canto in caso di litiasi importante volumetricamente i tempi della procedura potrebbero dilatarsi notevolmente Per tali considerazioni la ‘mini-perc’ indicata in litiasi < 20 mm La ‘mini-perc’ trova il suo miglior campo di applicazione nel trattamento percutaneo della litiasi infantile . I calcoli possono essere rimossi direttamente o in seguito a frammentazione mediante sonde (Laser, Ultrasuoni, lettroidraulica, Idropneumatica) ’ opportuno mantenere una progressiva aspirazione, ad es. con Evacuatore di Ellik (foto), dei frammenti per una pulizia del campo. Al termine della procedura si predilige il posizionamento di un catetere nefrostomico autostatico a palloncino con l’obiettivo di ottenere un affidabile tamponamento del 472

tramite ed un sicuro drenaggio della pelvi renale. In alcuni casi selezionati la procedura può concludersi senza il posizionamento di un sistema di drenaggio percutaneo .

COMPLICANZE Le complicanze maggiori interessano gli organi limitrofi. Nei casi peculiari può essere di aiuto eseguire la puntura sotto guida ecografica. Il sanguinamento è controllato da un accesso anatomico come sopra descritto. Qualora si riscontrino sepsi o TUR Sindrome, queste sono indice di una mediocre procedura eseguita in regimi di alte pressioni di irrigazione. Si possono evitare tali eventi anche utilizzando una camicia di Amplatz e una pompa d’infusione controllata. Qualora si verifichi un sanguinamento veramente importante nel corso della manovra è necessario sospendere la procedura, posizionare un drenaggio nefrostomico e riprogrammare la PNL. In genere un sanguinamento venoso cessa dopo alcune ore dalla chiusura del tramite nefrostomico. Un’arteriografia selettiva con eventuale embolizzazione può essere risolutiva in casi di sanguinamento arterioso. Come per la chirurgia a cielo aperto la PNL presenta differenti gradi di difficoltà: anomalie anatomiche che limitano l’accesso, dilatazione e strumentazione difficoltosa, calcoli posti in diverticoli o interamente occupanti il calice di accesso. In questi casi è necessario che la PNL sia eseguita da un operatore con accertata esperienza specifica.

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RIMOZIONE DEI CALCOLI URETERALI L’UR T ROSCOPIA (URS) PER LA RIMOZIONE DI CALCOLI URETERALI Durante le ultime due decadi, l’URS ha drasticamente cambiato la metodologia di trattamento dei calcoli ureterali. Oggigiorno, l’URS ampiamente utilizzata in molti centri urologici in tutto il mondo. Inoltre, una tecnica invasiva comparabile all’ SWL, e il trattamento di scelta per i calcoli ureterali con diametro di 10 mm o più è controverso. I nuovi ureteroscopi (Semi rigidi e flessibili) corredati alla litotrissia hanno recentemente iniziato a essere utilizzati nella routine.

Tecnica standard endoscopica La tecnica endoscopica di base si è standardizzata da molti anni. La profilassi antibiotica deve essere eseguita prima della procedura per rendere sterili le urine. Un piano preoperatorio del tratto urinario si ottiene con la conferma della localizzazione del calcolo. La sala operatoria deve essere equipaggiata con un fluoroscopio. Sotto anestesia spinale o sedazione venosa, il paziente è posto 474

in posizione litotomica. La procedura inizia con il cistoscopio rigido o flessibile. Un filo guida deve essere introdotto sotto controllo endoscopico o fluoroscopico, e assicurato ai telini. La dilatazione intramurale ureterale non è indicata di routine, ma dipende dalla dimensione dell’ureteroscopio e soprattutto dal diametro luminale dell’uretere L’accesso retrogrado sulla parte alta del tratto urinario è ottenuto di solito sotto guida video con ureteroscopio rigido (9.5-11 F), o ureteroscopio semirigido (6.0-8.5 F). Un ureteroscopio flessibile può progredire lungo una guida di sicurezza da 0.035 Inch a punta morbida oppure lungo una guaina di accompagnamento da 10-13 F. La litotrissia endoscopica basata sull’uso di differenti strumenti che portano alla rottura di calcoli o alla frammentazione degli stessi in polvere o frammenti di meno di 2 mm di diametro. I calcoli possono essere rotti dalla litotrissia a ultrasuoni, elettroidraulica, laser e balistica (o pneumatica) ’ consigliabile estrarre i piccoli calcoli e frammenti inferiori a 5 mm di diametro con un basket o una pinza. Il lavaggio è agevolato da una siringa o un’unità di controllo di flusso che aiuta a mantenere una buona visibilità. Può succedere che la strumentazione operativa, nel caso di grossi frammenti o litiasi, faccia risalire nella pelvi renale o nei calici gli stessi o addirittura possa perforare la parete ureterale; la guida di sicurezza può prevenire il rischio di false strade e perforazioni. Il posizionamento di stent alla fine della procedura è opzionale ed ancora in fase di discussione ( Dipende dall’’insulto’ causato alla mucosa ureterale dal calcolo e dall’ureteroscopio La dilatazione intramurale dell’uretere e l’uso del laser richiedono il posizionamento di uno stent mono o doppio J sotto guida fluoroscopica. Lo stent normalmente rimane posizionato per 1 settimana. Il tempo operatorio si aggira generalmente tra i 10 475

e i 60 minuti, ma potrebbe sostanzialmente cambiare e allungarsi in corso di URS flessibile . Se il calcolo è incarcerato, il miglior approccio consiste nel posizionare uno stent alcuni giorni prima di eseguire l’URS I pazienti devono essere poi controllati con una radiografia addominale, ultrasonografia o TC dopo 2-12 settimane.

Ureteroscopi Gli ureteroscopi disponibili sono Semi rigidi e sottili. La miniaturizzazione ha evitato la dilatazione dell’uretere intramurale (con le associate complicazioni) in più del 50% dei casi. Il piccolo diametro (6.0-7.5 F) consente una più facile progressione dell’ureteroscopio nell’uretere prossimale L’uso dell’ureteroscopio flessibile (7-7.5 F) è stato accuratamente testato ’ adatto per l’accesso alla parte superiore del sistema collettore del rene, senza la dilatazione dell’uretere intramurale in più del 75% dei casi. Nel tratto distale dell’uretere, l’ureteroscopio flessibile non raccomandato per la possibilità che si avvolga in vescica. Il recente sviluppo di ureteroscopi semi-flessibili con un aumento della massima curvatura porterebbe maggiori vantaggi nella chirurgia ureteroscopica.

Metodiche di litotrissia La laser-litotrissia è un metodo affidabile per il trattamento dei calcoli ureterali, soprattutto per i calcoli più duri ’ l’unica metodica applicabile con ureteroscopio flessibile. Il laser a olmio Ho:Yag (365 micrometri) rappresenta la scelta migliore per la litiasi ureterale, essendo di norma necessaria una minima flessibilità per spingersi fino al calcolo. Il laser con fibre da 200 micrometri molto costoso ma l’unico che con la sua 476

flessibilità riesce a essere utilizzato per raggiungere e frammentare i calcoli intrarenali. Il laser Nd:Yag ha una bassa efficacia rispetto a quello ad olmio è non è utilizzabile per i calcoli molto duri o i calcoli di cistina, ma è una alternativa sufficientemente valida per la maggior parte dei restanti calcoli. Quest’ultimo inoltre offre un buon rapporto costo beneficio. L’energia ideale e la frequenza devono essere impostate più basse di 1 J e 5-10 Hz rispettivamente. Se utilizzato con cura, il laser non danneggia la mucosa ureterale. Il tempo operatorio per la laser litotrissia se si aggira tra i 7 minuti e i 45 minuti è considerato accettabile . La laser litotrissia a laser pulsato mostra risultati simili a quelli ottenuti usando il laser ad olmio. La litotrissia con laser a olmio sembra migliore nei risultati a tre mesi rispetto alla litotrissia elettro-idraulica (97% rispetto al 87%) per i calcoli dell’uretere distale . Inoltre, per i calcoli ureterali inferiori a 15 mm di diametro, la laser litotrissia richiede un lungo tempo operatorio rispetto alla tecnica elettro-idraulica ma visto l’elevato rischio di danno tissutale, la metodica elettro-idraulica non deve essere utilizzata come procedura standard. La litotrissia balistica (pneumatica o elettro-pneumatica) utilizza una sonda di 2.4 F in un ureteroscopio semi rigido che permette una eccellente frammentazione (90-96%). Un basso costo, la semplicità e una buona sicurezza sono i maggiori vantaggi nell’utilizzo di questo tipo di metodica Il rapporto costo beneficio è tre volte quello della laser litotrissia. Bisogna ad ogni modo considerare che la migrazione dei calcoli verso le pelvi renali dall’uretere medio o prossimale possono costituire un limite della litotrissia balistica.

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Complicanze Complicanze acute significative sono riportate in una percentuale del 11% e 9% rispettivamente a carico dell’uretere prossimale e distale . Le complicanze a lungo termine si attestano intorno all’1% e sono costituite dalle stenosi ureterali. C’ una relazione tra la percentuale di complicanze, la strumentazione utilizzata e/o l’esperienza dell’urologo La complicanza acuta maggiore rimane l’avulsione ureterale. Il trapianto autologo o l’uretero-ileoplastica sono il metodo di scelta nei casi di avulsione . La perforazione ureterale nel sito del calcolo è il rischio primario per questa struttura. Nella maggior parte dei casi le perforazioni avvenute durante la procedura sono trattate con 2 settimane di stenting. Conclusioni I miglioramenti nella progettazione di ureteroscopi, accessori e tecniche URS hanno portato a un significativo aumento della percentuale di successo nella rimozione di calcoli ureterali e una diminuzione della morbilità. Ciò significa che, in mani esperte, le nuove generazioni di ureteroscopi possono essere utilizzate per il trattamento sia dei calcoli prossimali che dei calcoli distali, particolarmente quando il loro diametro è inferiore a 10 mm Pertanto, sia l’ SWL che l’URS possono essere considerati alternativamente trattamenti accettabili per i calcoli localizzati in queste sedi. Consigli per il trattamento dei calcoli ureterali (qualsiasi dimensione) In caso di fallimento con tecniche miniinvasive, bisogna ese478

guire un intervento chirurgico per la rimozione dei calcoli. La chirurgia video endoscopica retroperitoneale è un alternativa poco invasiva rispetto alla chirurgia a cielo aperto. Questa tecnica deve essere anche applicata quando vi sono controindicazioni per l’ SWL e l’URS, in pazienti con calcoli prossimali a una stenosi ureterale. No vi è accordo se l’ SWL o l’URS sia il trattamento migliore per la rimozione di calcoli ureterali, particolarmente per i calcoli situati nell’uretere prossimale Ci sono vantaggi e svantaggi per entrambe le procedure, ma usualmente l’ SWL non ha bisogno dell’anestesia e ha minore morbilità. Sebbene retrattamenti siano necessari in una quota sostanziale di pazienti trattati con ESWL, secondo la nostra opinione devono essere considerate equivalenti nel trattamento nella rimozione di calcoli. ’ degno di nota che solo i calcoli di acido urico, non quelli composti da urati di ammonio o urati di sodio, possono essere dissolti con trattamenti farmacologici orali. Per i calcoli con bassa radiodensità, la localizzazione può essere facilitata dal posizionamento di cateteri ureterali o stent uretrali a doppio J. In casi selezionati con calcoli infetti, calcoli di acido urico, calcoli di cistina e pure calcoli di fosfato di calcio, l’irrigazione percutanea con farmaci litolitici può essere utilizzata per incrementare la percentuale di rimozione dei frammenti litiasici.

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RACCOMANDAZIONI GENERALI NELLA RIMOZIONE DEI CALCOLI

E

PRECAUZIONI

Infezioni I test per batteriuria devono essere effettuati in tutti i pazienti in cui è prevista la rimozione di calcoli. Lo screening con Sticks potrebbero essere sufficienti nei casi non complicati. Negli altri, l’urinocoltura necessaria Nei casi con infezioni e ostruzioni clinicamente significative, numerosi giorni di drenaggio con uno stent o nefrotomie per- cutanee possono precedere l’intervento per la rimozione del calcolo Sanguinamenti Disturbi coagulativi e trattamenti anticoagulanti devono essere tenuti in considerazione. Questi pazienti devono essere valutati con un Collega internista per le misure terapeutiche più appropriate da adottare durante le procedure di rimozione dei calcoli. Nei pazienti con disordini coagulativi, i trattamenti seguenti sono controindicati: ESWL, nefrolitotomia per- cutanea con o senza litotrissia, URS e chirurgia a cielo aperto. Gravidanza Nelle donne in corso di gravidanza ESWL, PCN e URS sono controindicate In mani esperte, l’URS ha maggior successo nel rimuovere calcoli ureterali durante la gravidanza, ma è necessario enfatizzare che il rischio di complicanze di queste procedure potrebbero essere difficili da gestire. In queste pazienti, il trattamento preferibile è il drenaggio: mediante stent doppio J, catetere ureterale o nefrostomia percutanea.

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Pacemaker Anche se la regola è che i pazienti con un pacemaker possono essere trattati con l’ SWL, si raccomanda di consultare il cardiologo prima di sottoporli a trattamento Calcoli duri I calcoli composti da Bruscite o ossalati di calcio monoidrato sono caratterizzati da una notevole durezza. Questo può venire a favore della rimozione percutanea dei calcoli, particolarmente di quelli più grossi. La possibilità di un trattamento litolitico dei calcoli di Bruscite degno di nota visto l’alta percentuale di ricorrenza con questi tipi di calcoli. I calcoli di cistina sono di due tipi: quelli che rispondono bene all’ SWL e quelli che rispondono poco. Per la maggior parte dei calcoli resistenti all’ SWL, la PCN la migliore alternativa per poterli rimuovere, evitando in tal modo troppe onde sul tessuto renale. Calcoli radiotrasparenti Le concrezioni di acido urico possono essere localizzate con gli ultrasuoni, o con la somministrazione endovenosa o retrograda di contrasto. Solo i calcoli di acido urico, non di urato di sodio o urato d’ammonio, possono essere dissolti con il trattamento chemiolitico orale. Steinstrasse La steinstrasse, o impilamento di frammenti nell’uretere, un accumulo di formazioni litiasiche (in genere esito di frammentazione) che non progrediscono in un ragionevole periodo di 481

tempo ed interferiscono con il passaggio dell’urina. La frequenza di questa complicanza è diminuita con il posizionamento di stent a doppio J prima dell’ SWL nei calcoli renali di grosse dimensioni. In tutti i pazienti con segni d’infezioni, è necessaria l’assunzione antibiotici e provvedere ad un adeguato drenaggio nel più breve tempo possibile. Il posizionamento di un catetere ureterale rende possibile il passaggio dei frammenti. Per gli accumuli distali l’URS potrebbe essere utile per rimuovere i frammenti di calcoli risultanti dalla litotrissia.

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