Libro Cardiologia SIC

April 12, 2017 | Author: Marco Sparavigna | Category: N/A
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libro cardiologia.doc Capitolo 23. Fisiopatologia dell’Ischemia Miocardica, Filippo Crea, Gaetano A. Lanza Capitolo 24. Sindromi Coronariche Croniche, Mario Marzilli Capitolo 25. Sindromi Coronariche Acute, Raffaele Bugiardini, Carmine Pizzi, Marco Ciccone Capitolo 26. Diagnostica Strumentale

Sezione VII. Cardiomiopatie Presentazione Le ragioni di un libro Indice dei Capitoli e degli Atlanti

Capitolo 27. Definizione e Classificazione, Gianfranco Sinagra, Gastone Sabbadini, Fulvio Camerini Capitolo 28. Cardiomiopatia Ipertrofica Capitolo 29. Cardiomiopatia Dilatativa, Gianfranco Sinagra, Gastone Sabbadini, Andrea Di Lenarda Capitolo 30. Cardiomiopatia Restrittiva, Gianfranco Sinagra, Gastone Sabbadini, Rossana Bussani, Andrea Perkan Capitolo 31. Cardiomiopatia/Displasia Aritmogena del Ventricolo Destro

Sezione I. Approccio al paziente con Malattia Cardiovascolare Capitolo 1. I Sintomi delle Malattie Cardiovascolari, Mario Mariani Capitolo 2. I Segni delle Malattie Cardiovascolari, Mario Mariani

Sezione VIII. Pericarditi, Miocarditi, Endocarditi Capitolo 32. Pericarditi, Antonio Barsotti, Gian Marco Rosa Capitolo 33. Miocarditi, Antonello Ganau, Pier Sergio Saba

Sezione II. Le indagini strumentali

Capitolo 34. Endocardite Infettiva, Sergio Dalla Volta

Capitolo 3. L’Elettrocardiogramma, Giuseppe Oreto, Francesco Luzza, Maria Pia Calabrò Capitolo 4. L’Ecocardiogramma, Maria Penco, Eleonora De Luca, Simona Fratini, Sergio Severino, Pio Caso, Raffaele Calabrò

Sezione IX. Tumori del Cuore Capitolo 35. I Tumori del Cuore, Gaetano Thiene, Cristina Basso, Marialuisa Valente

Capitolo 5. L’Esame Radiologico Capitolo 6. Metodiche Nucleari, Pasquale Perrone Filardi, Massimo Chiariello Capitolo 7. Risonanza Magnetica Nucleare, Sabino Iliceto, Martina Marra Perazzolo, Luisa Cacciavillani Capitolo 8. Tomografia Computerizzata Capitolo 9. Test Cardiopolmonare, Marco Guazzi Capitolo 10. Tecniche di Valutazione del Sistema Nervoso Neurovegetativo, Federico Lombardi Capitolo 11. Cateterismo Cardiaco e Angiocardiografia, Germano Di Sciascio, A. Dambrosio Capitolo 12. Diagnostica Vascolare, Alberto Balbarini, R. Di Stefano

Sezione X. Aritmie Capitolo 36. Definizione e Meccanismi delle Aritmie, Giuseppe Oreto, Marco Cerrito Capitolo 37. Battiti Ectopici, Francesco Luzza, Scipione Carerj, Sebastiano Coglitore Capitolo 38. Tachicardie Parossistiche Sopraventricolari, Rossella Troccoli, Matteo Di Biase Capitolo 39. Fibrillazione e Flutter Atriale, Antonio Montefusco, Lucia Garberoglio, Alessandro Blandino, Antonella Corleto, Fiorenzo Gaita Capitolo 40. Tachicardie Ventricolari, Stefano Favale, Pierangelo Basso, Franceso Capestro, Valentina D’Andria, Annalisa Fiorella

Sezione III. Malattie delle Valvole Cardiache

Capitolo 41. Bradicardie, Francesco Arrigo, Giuseppe Andò

Capitolo 13. Malattia Reumatica, Luigi Meloni, Massimo Ruscazio Capitolo 14. Stenosi Mitralica, Giuseppe Oreto, Francesco Saporito Capitolo 15. Insufficienza Mitralica, Paolo Marino Capitolo 16. Stenosi Aortica, Francesco Pizzuto, Francesco Romeo Capitolo 17. Insufficienza Aortica, Corrado Vassanelli

Sezione XI. Sincope e Arresto Cardiocircolatorio Capitolo 42. Sincope, Luigi Padeletti, Alfonso Lagi Capitolo 43. Morte Cardiaca Improvvisa, Lia Crotti, Peter J. Schwartz Capitolo 44. Trattamento dell’Arresto Cardiocircolatorio

Capitolo 18. Malattie della Tricuspide e della Polmonare

Sezione XII. Ipertensione arteriosa Sezione IV. Scompenso Cardiaco

Capitolo 45. L’ipertensione Arteriosa, Massimo Volpe, Sebastiano Sciarretta

Capitolo 19. Fisiopatologia dello Scompenso Cardiaco, Livio Dei Cas, Marco Metra, Savina Nodari, Tania Bordonali Capitolo 20. Quadri Clinici dello Scompenso Cardiaco Acuto, Francesco Fedele Capitolo 21. Quadri Clinici dello Scompenso Cardiaco Cronico, Livio Dei Cas, Marco Metra, Savina Nodari

Sezione XIII. Arteriosclerosi Capitolo 46. L’Aterosclerosi, Paolo Golino Capitolo 47. La Valutazione del Rischio Coronarico, Salvatore Novo, Gisella Rita Amoroso, Giuseppina Novo

Sezione V. Shock cardiogeno

Capitolo 48. La Funzione dell’Endotelio

Capitolo 22. Lo Shock Cardiogeno, Gian Paolo Trevi, Serena Bergerone, Claudio Chirio, Davide Castagno

Sezione XIV. Cuore Polmonare ed Embolia Polmonare Sezione VI. Cardiopatia Ischemica

Capitolo 49. Il Cuore Polmonare Cronico, Cesare Fiorentini, Piergiuseppe Agostoni, Elisabetta Doria

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libro cardiologia.doc Capitolo 50. L’Embolia Polmonare, Giuseppe Mercuro, Francesco Peliccia Capitolo 51. L’Ipertensione Polmonare Primitiva, Carmine Dario Vizza, Roberto Badagliacca, Roberto Poscia, Francesco Fedele

Sezione XV. Cardiopatie Congenite Capitolo 52. Cardiopatie Congenite Parte I, Raffaele Calabrò, Giuseppe Pacileo, Maria Giovanna Russo, Marianna Carrozza, Carmela Morelli, Alessandra Rea, Giampiero Gaio Capitolo 53. Cardiopatie Congenite Parte II, Raffaele Calabrò, Giuseppe Pacileo, Maria Giovanna Russo, Marianna Carrozza, Carmela Morelli, Alessandra Rea, Giampiero Gaio

Sezione XVI. Malattie delle Arterie e delle vene Capitolo 54. Arteriopatie dei Tronchi Sopraortici, Salvatore Novo, Egle Corrado, Ida Muratori Capitolo 55. Arteriopatie delle Arterie Periferiche, Giuseppe Mercuro, Ettore Manconi Capitolo 56. Aneurismi e Aneurisma Dissecante, Francesco Spinelli, Giovanni De Caridi, Michele La Spada Capitolo 57. Malattie delle Vene, Marco Matteo Ciccone

Sezione XVII. Approccio al trattamento delle Malattie Cardiovascolari: Terapia Medica e Interventistica Capitolo 58. Elementi di Farmacologia Cardiovascolare Capitolo 59. Interventistica Coronarica Capitolo 60. Interventistica Non Coronarica Capitolo 61. InterventisticaElettrofisiologica

Sezione XVIII. Approccio al trattamento delle Malattie Cardiovascolari: Cardiochirurgia Capitolo 62. Circolazione Extracorporea, Claudio Muneretto, Paolo Piccoli, Gianluigi Bisleri Capitolo 63. Interventi sulle Valvole Cardiache, Luigi Chiariello, Carlo Bassano Capitolo 64. Chirurgia della Cardiopatia Ischemica, Luigi Chiariello, Paolo Nardi Capitolo 65. Chirurgia delle Cardiopatie Congenite, Mario Chiavarelli, Gianluca Lucchese Capitolo 66. Trapianto Cardiaco

Sezione XIX. Approccio al trattamento delle Malattie Cardiovascolari: Chirurgia Vascolare Capitolo 67. La Malattia dei Tronchi Sopraortici, Francesco Spinelli, Giovanni De Caridi, Michele La Spada Capitolo 68. Le Arteriopatie Periferiche, Francesco Spinelli, Giovanni De Caridi, Michele La Spada Atlante di Elettrocardiografia, Giuseppe Oreto Atlante di Ecocardiografia, Maria Penco

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libro cardiologia.doc Capitolo 1 I SINTOMI DELLE MALATTIE CARDIOVASCOLARI Mario Mariani

addirittura a riposo. Essa è così strutturata: Classe I: comprende pazienti con una patologia cardiaca i quali non hanno alcuna limitazione della propria attività fisica. L’attività non causa dispnea, né affaticabilità, né dolore anginoso. Classe II: comprende pazienti con patologia cardiaca nei quali è presente una scarsa limitazione dell’attività

DEFINIZIONE

fisica. Questi soggetti stanno bene a riposo, ma possono avere disturbi (dispnea, affaticabilità, palpitazioni o dolore anginoso) per una attività fisica usuale.

Le Malattie dell’Apparato Cardiovascolare rappresentano ormai da molti anni la prima causa di morbilità e

Classe III: comprende pazienti con patologia cardiaca che hanno una marcata limitazione dell’attività fisica.

mortalità nel mondo industrializzato. Nei Paesi dell’Est europeo tale patologia è in continuo aumento con il

Stanno bene a riposo, ma possono presentare i disturbi sopra indicati per un’attività fisica anche inferiore a

miglioramento del tenore di vita, mentre in altri Paesi, come nel Centro Africa, a causa del dilagare delle

quella usuale.

patologie infettive e di una elevatissima mortalità in età giovanile, le malattie cardiovascolari non rivestono, per

Classe IV: comprende pazienti con patologia cardiaca che li rende incapaci di effettuare qualsiasi attività fisica

incidenza, l’importanza raggiunta in Europa, negli USA e nei Paesi più industrializzati dell’Est Asiatico, come il

senza presentare i disturbi sopra indicati, che possono essere presenti anche in condizioni di riposo.

Giappone. Sembra quasi che tali affezioni costituiscano un tragico tributo da pagare al benessere! Giova a tal fine

La forma più grave di dispnea che possa presentarsi nel cardiopatico è l’edema polmonare acuto, che si realizza

ricordare che più elevata è la vita media di un Paese, tanto più è possibile, nello stesso, lo sviluppo delle

quando la pressione all’interno dei capillari polmonari supera il valore della pressione colloido-osmotica. Nel

malattie cardiovascolari. In altre parole laddove la durata media della vita è bassa, altre sono le cause principali

capillare, infatti, agiscono due forze contrapposte: la pressione idrostatica, che tende a far fuoriuscire il liquido

di mortalità, mentre nei Paesi nei quali l’aspettativa di vita è elevata, le malattie dell’apparato cardiovascolare

dal vaso, e quella oncotica, esercitata dalla proteine non diffusibili, che tende a trattenere il liquido all’interno; il

rappresentano la prima causa di morte.

valore di quest’ultima è 25-30 mm Hg. Se la pressione idrostatica nei capillari polmonari supera tale valore, è

Prima di trattare i Sintomi delle malattie cardiovascolari è necessario sottolineare l’importanza determinante

inevitabile una ultrafiltrazione di plasma, associata, per rotture microvascolari, ad alcuni globuli rossi.

dell’anamnesi, che già di per sé può indirizzare verso un approfondimento “mirato” dell’esame clinico, al fine di

Fuoriuscendo dai vasi, il liquido si riversa dapprima nell’interstizio, da dove il sistema linfatico cerca di

giungere ad una precisa diagnosi.

rimuoverlo; successivamente, quando la capacità di drenaggio del sistema linfatico viene superata, il fluido invade gli alveoli polmonari, e mescolandosi all’aria forma una schiuma, talora rosata, che invade le vie aeree

I sintomi più significativi imputabili ad una patologia dell’Apparato Cardiovascolare sono:

ed interferisce gravemente con l’efficienza degli scambi gassosi, tanto da poter portare a morte. All’ascoltazione

1) La Dispnea.

del torace, in questa situazione drammatica, quando dalla fase interstiziale si passa a quella alveolare, si assiste

2) L’Astenia.

alla comparsa di rantoli prima a piccole poi a grosse bolle, che iniziano dalle basi polmonari e giungono

3) Il Dolore toracico.

rapidamente a coprire l’intero distretto respiratorio. Il soggetto è in posizione eretta e mette in funzione tutti i

4) Le Palpitazioni, definite anche Cardiopalmo.

muscoli respiratori accessori nella disperata ricerca di riuscire ad effettuare atti respiratori utili.

5) La Nicturia. L’ASTENIA LA DISPNEA E’ l’espressione di una ridotta portata cardiaca e si manifesta con la difficoltà a compiere le usuali attività Dalla lingua greca (dus= cattivo e pneuma=respiro) è l’espressione di una difficoltà respiratoria che può

motorie (adinamia) o addirittura con un grave senso di spossatezza ancor prima di iniziare una qualunque

insorgere durante uno sforzo fisico (dispnea da sforzo) o addirittura comparire a riposo. Le sue manifestazioni

attività fisica.

più gravi sono l’ortopnea, la dispnea parossistica notturna e l’edema polmonare acuto (vedi più avanti). Quando non imputabile a cause specifiche respiratorie, la dispnea indica il coinvolgimento del circolo polmonare

IL DOLORE TORACICO

da parte di una patologia del cuore sinistro: l’aumento della pressione in atrio sinistro o della pressione diastolica del ventricolo sinistro provoca inevitabilmente un aumento della pressione nei capillari polmonari e nel circolo polmonare a monte degli stessi. Una pressione idrostatica eccessiva nei capillari provoca

Il dolore ischemico presenta caratteristiche peculiari che vanno dalla modalità di insorgenza, al tipo di dolore,

trasudazione di liquido dapprima nell’interstizio polmonare (edema interstiziale) e quindi negli alveoli (edema

alla sede dello stesso, alla sua irradiazione. E’ questo il sintomo più importante nell’angina ed in genere delle

alveolare).

sindromi coronariche acute, compreso l’infarto miocardico. Nei quadri clinici riferibili ad angina pectoris, la presenza di dolore è “condicio sine qua non” per definire il

La Dispnea può insorgere e manifestarsi sia in forma acuta che cronica, per una patologia che può coinvolgere

quadro clinico. Nell’angina da sforzo stabile il dolore insorge durante uno sforzo fisico, è di tipo costrittivo od

l’apparato respiratorio o l’apparato cardiovascolare; la dispnea cardiaca è uno dei sintomi più significativi

oppressivo e nel 75% dei casi è localizzato alla regione retrosternale bassa, con varie possibili irradiazioni, delle

insieme all’astenia, al dolore anginoso e alle palpitazioni, utilizzati per la valutazione clinica di gravità di uno

quali abbastanza comune è quella al lato ulnare del braccio sinistro, e in misura minore, al giugulo. Più

scompenso.

raramente vengono interessati l’emitorace di destra e il braccio destro o l’epigastrio. Il dolore cessa usualmente

Questi sintomi sono alla base della classificazione proposta dalla New York Heart Association (N.Y.H.A.), utile

dopo poco la cessazione dello sforzo e recede rapidamente con l’assunzione di nitroderivati. Nell’infarto

per inquadrare tutti i gradi di scompenso in relazione alla insorgenza della dispnea per sforzi sempre più lievi o

miocardico acuto, il dolore con le caratteristiche sopra descritte persiste in genere ben oltre i pochi minuti e può durare addirittura diverse ore.

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libro cardiologia.doc Il dolore toracico non è soltanto indicativo di ischemia miocardica (angina pectoris, sindromi coronariche acute) ma può essere indicativo di numerose altre patologie cardiovascolari quali la pericardite, la dissezione aortica,

Capitolo 2

l’ipertensione polmonare, l’embolia polmonare, e può anche dipendere da patologie di altri organi e sistemi,

I SEGNI DELLE MALATTIE CARDIOVASCOLARI

come lesioni esofagee o pleuriche oppure interessamento (compressivo, infiltrativo o flogistico) di nervi

Mario Mariani

intercostali.

CONCETTI GENERALI

LE PALPITAZIONI O CARDIOPALMO

Nei pazienti con Malattie dell’apparato cardiovascolare, i segni rilevabili all’esame clinico costituiscono ancora La percezione del proprio battito cardiaco è già un sintomo. La normale azione del cuore, infatti, decorre in

oggi un importante capitolo perché tutte le innovazioni tecnologiche, che hanno apportato un grande progresso

maniera del tutto asintomatica, sia di giorno che di notte, per tutta la vita. Esistono due tipi fondamentali di

nell’inquadramento diagnostico e nella terapia, trovano una loro logica applicazione solo sulla base di una

cardiopalmo: quello tachicardico, in cui il soggetto riferisce un’azione cardiaca rapida e continua, e quello

corretta valutazione dei segni peculiari di ogni forma di cardiopatia.

extrasistolico, caratterizzato dall’avvertire improvvisamente un “tonfo” o “tuffo” oppure la “sensazione del cuore

I principali segni presenti nei pazienti affetti da patologie cardiovascolari sono rilevabili con un accurato esame

che si ferma” (vedi Capitolo 33). Anche se in condizioni di impegno fisico od emozionale è frequente sentire il

obiettivo che trova i suoi capisaldi nei presìdi offerti dalla classica Semeiotica fisica: Ispezione, Palpazione,

proprio battito cardiaco, non vi è dubbio che la perdita di ritmicità è un fenomeno che difficilmente sfugge.

Percussione, Ascoltazione.

Talora tale sintomo viene vissuto in maniera allarmante più del dovuto, come nel caso di extrasistolia isolata o

Tra queste, la Percussione ha perso del tutto la sua utilità, nel campo della Semeiotica Cardiovascolare, grazie

sporadica.

ai progressi tecnologici che hanno reso molto più precisa la determinazione delle dimensioni cardiache. Gli altri

L’aritmia percepita, responsabile del cardiopalmo, può essere di scarso rilievo clinico, o al contrario

tre capisaldi semeiologici (Ispezione, Palpazione ed Ascoltazione, soprattutto quest’ultima) conservano la loro

estremamente importante. E’ pur vero che le aritmie più gravi, quali la fibrillazione ventricolare o l’asistolia,

validità e servono ad indirizzare, verso l’uso corretto delle tecniche diagnostiche strumentali.

possono portare a morte senza alcun sintomo premonitore, ma è innegabile che talora “salve di extrasistoli” o

I segni di una cardiopatia si possono riscontrare all’esame obiettivo dell’apparato cardiovascolare mediante le

brevi episodi di tachicardia, e dall’altra parte episodi parossistici di blocco A-V con transitoria asistolia, possono

seguenti manovre:

risultare sintomatici e quindi diagnosticabili in tempo per essere trattati con pacemaker o defibrillatore,

1) L’osservazione del volto e delle estremità per rilevare la presenza di cianosi.

evitando eventi gravi o fatali.

2) L’osservazione del polso venoso giugulare. 3) L’ispezione delle arterie e la palpazione del polso arterioso. LA SINCOPE

4) L’ispezione e la palpazione della zona precordiale. 5) La palpazione dell’addome per ricercare l’eventuale presenza di epatomegalia o di pulsazioni abnormi.

Può essere definita come: “Perdita improvvisa e transitoria della coscienza e del tono posturale, dovuta ad una

6) La ricerca di eventuali edemi declivi. 7) L’ascoltazione del cuore, volta ad evidenziare anomalie dei toni e/o la comparsa di soffi o sfregamenti.

grave ipossia o ad una anossia cerebrale acuta”. Talora può essere accompagnata da perdita di urine e/o di feci. Un tempo si distingueva la lipotimia come perdita momentanea del tono posturale e talora anche dello stato di CIANOSI

coscienza, preceduta in genere da prodromi descritti come “senso di mancamento, nausea, appannamento della vista, sudorazione, pallore”. Oggi si preferisce parlare di sincope e di presincope. La sincope può riscontrarsi in varie situazioni di patologia cardiaca (vedi Capitolo 41).

Si definisce cianosi il colorito bluastro assunto dalla pelle e dalle mucose visibili quando il contenuto di emoglobina ridotta nel sangue capillare supera i 5 grammi per decilitro.

LA NICTURIA

La cianosi può essere centrale o periferica. La cianosi centrale è per lo più dovuta alla presenza di uno shunt destro-sinistro o a gravi difetti della funzione respiratoria.

E’ uno dei sintomi che accompagna l’insufficienza cardiaca, e consiste in una riduzione della diuresi durante il giorno con aumento della diuresi stessa durante la notte. Il fenomeno può essere dovuto al riassorbimento notturno degli edemi soprattutto declivi, che possono realizzarsi durante la stazione eretta nel paziente con

La cianosi periferica si realizza quando, a causa di una vasocostrizione in alcuni distretti circolatori, si determina una desaturazione locale, con aumento dell’emoglobina ridotta in quelle zone. La cianosi periferica può evidenziarsi, fra l’altro, in presenza di una ridotta portata cardiaca con aumento delle resistenze periferiche.

scompenso cardiaco congestizio, o anche perchè durante il riposo notturno il fabbisogno di sangue da parte dei OSSERVAZIONE DEL POLSO VENOSO

muscoli è minimo, per cui una parte relativamente elevata della portata cardiaca può giungere al rene, il quale aumenta la produzione di urina

Il polso venoso meglio valutabile è quello giugulare con il paziente in posizione seduta, reclinato a 45° (rispetto ai 90° normali per la posizione seduta). Il polso venoso normale presenta tre onde positive e due depressioni. Le onde positive sono denominate onde a, c e v, mentre le depressioni sono denominate x e y. Un’attenta osservazione del polso venoso giugulare, può fornire precise indicazioni circa la funzione delle camere destre del cuore.

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libro cardiologia.doc Un’evidente accentuazione dell’onda a è espressione di un aumento della pressione in atrio destro (Stenosi

Epatomegalia è presente nelle forme di scompenso che coinvolgono il cuore destro primitivamente o

tricuspidale, Anomalia di Ebstein ecc..) o della pressione diastolica ventricolare destra, come si verifica nella

secondariamente a difetti interessanti inizialmente il cuore sinistro (per esempio valvulopatie mitraliche e/o

Miocardiopatia restrittiva (vedi Capitolo 30), o nella Pericardite costrittiva, (vedi Capitolo 32).

aortiche). E’ apprezzabile con le comuni manovre palpatorie l’aumento di volume dell’organo che può sporgere

Un’accentuazione dell’onda v è talora espressione di una insufficienza tricuspidale

per oltre due, tre dita traverse o più dall’arcata costale. In genere l’organo palpato risulta dolente. Alla palpazione dell'addome si possono apprezzare pulsazioni abnormi riferibili alla presenza di aneurismi

ISPEZIONE DELLE ARTERIE E PALPAZIONE DEL POLSO ARTERIOSO.

dell'Aorta addominale

EDEMI DECLIVI

Con l’ispezione si possono evidenziare pulsatilità arteriose anormali (come per esempio l’eccessiva pulsazione delle carotidi, osservabile al collo in presenza di insufficienza aortica o di altre situazioni di circolo ipercinetico). Con l’ascoltazione possono evidenziarsi soffi vascolari. La manovra semeiologica più utilizzata per l’esplorazione

Si sviluppano inizialmente nelle parti molli degli arti inferiori (piedi, zone pretibiali, etc.) nei soggetti che

del polso arterioso è la palpazione, con la quale si possono valutare:

rimangono per ore in stazione eretta o seduta. Nei pazienti costretti a letto gli edemi sono più evidenti nella

a) la frequenza: numero delle sistoli in un minuto;

regione pre-sacrale. Quando si ha un imponente stato anasarcatico, gli edemi sono diffusi e si accompagnano

b) il ritmo: regolarità o irregolarità delle pulsazioni;

anche a versamenti nelle grandi sierose (versamento pleurico, ascite, etc.).

c) l’ampiezza: entità del sollevarsi della parete arteriosa sotto il dito che palpa, carattere che è direttamente correlato alla gittata sistolica;

ASCOLTAZIONE DEL CUORE

d) la tensione: entità della forza che devono esercitare le dita che palpano per sopprimere la pulsazione, espressione anche del livello pressorio; e) la simmetria: uguale ampiezza dei polsi corrispondenti, palpati simultaneamente dai due lati dell’organismo

L’ascoltazione rappresenta la manovra più importante dell’esame obiettivo del cuore, ed è basata sull’analisi dei

(per esempio, i due polsi radiali, i due polsi femorali, etc).

toni e sul riconoscimento di eventuali soffi.

Le variazioni dei caratteri sopradescritti del polso arterioso, possono risultare indicativi di particolari situazioni

I Toni

morbose. Ecco alcuni esempi.

I toni cardiaci normali sono il I e il II; il III tono può essere ascoltato in assenza di patologia nei bambini o in

A – Un polso di ridotta ampiezza (piccolo) e con picco ritardato (tardo) si riscontra nella stenosi aortica (vedi

giovani adulti con parete toracica particolarmente sottile.

Capitolo 16). B – Un polso ampio e celere (con picco precoce) è presente nell’insufficienza aortica (vedi Capitolo 17) o negli

Il I tono è provocato essenzialmente della chiusura delle valvole atrio-ventricolari, mentre il II si deve alla

stati circolatori ipercinetici;.

chiusura delle semilunari aortiche e polmonari (Figura 1).

C- Un polso filiforme (frequenza notevolmente aumentata, tensione e ampiezza nettamente ridotte) è tipico dello shock (vedi Capitolo 22). D – Il polso paradosso è l’esagerazione patologica di una riduzione della pressione durante una inspirazione profonda. Tale riduzione è presente anche in condizioni fisiologiche, ma non supera di solito i 10 mm di mercurio, mentre in presenza di pericardite costrittiva o in situazioni nelle quali esiste una grave riduzione del riempimento ventricolare, si può avere una caduta di oltre 20-30 mm di mercurio.

ISPEZIONE E PALPAZIONE DELLA ZONA PRECORDIALE

L’ispezione e la palpazione possono consentire di localizzare l’itto della punta del cuore, cioè la sede della massima pulsazione visibile o palpabile, che normalmente si trova al quarto spazio intercostale sinistro circa 1 centimetro all’interno della linea emiclaveare. In condizioni patologiche, l’itto della punta può essere dislocato anche in sedi molto diverse dal normale: nell’insufficienza aortica grave, per esempio, può essere spostato in basso e a sinistra fino al sesto spazio intercostale sulla linea ascellare anteriore o anche media.

Il I tono può risultare rinforzato in caso di stenosi mitralica (vedi Capitolo 14) o di stenosi della valvola

Possono essere apprezzabili alla palpazione della zona precordiale fremiti, i quali costituiscono il corrispettivo

tricuspide, mentre è spesso indebolito nell’insufficienza mitralica.

palpatorio dei soffi particolarmente intensi (4/6 o più della scala Levine, vedi più avanti) o (più di rado) degli sfregamenti pericardici in corso di pericardite.

Il II tono è costituito dalle 2 componenti, aortica e polmonare (A2 e P2), che nella maggior parte dei casi sono così ravvicinate da generare un tono unico, anche se la chiusura della valvola aortica precede di poco quella

PALPAZIONE DELL’ADDOME PER RICERCARE L’EVENTUALE PRESENZA DI EPATOMEGALIA

della polmonare (Figura 1).

O DI PULSAZIONI ABNORMI

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libro cardiologia.doc

Figura 3 Figura 1

Sdoppiamento fisso del II tono nel difetto del setto interatriale.

I e II tono cardiaco. A2 = componente aortica del II tono. P2 = componente polmonare del II tono.

A volte, però, anche in condizioni fisiologiche, le due componenti del II tono possono essere ascoltate distinte l’una dall’altra, per cui il II tono si presenta sdoppiato. Tale sdoppiamento, però, e variabile con le fasi del respiro: A2 e P2 appaiono separate solo durante l’inspirazione, mentre nella fase espiratoria sono unite (Figura 2A).

Lo sdoppiamento del II tono può essere fisso (Figura 3) in presenza di un difetto del setto interatriale, che comporta uno shunt sinistro-destro (vedi Capitolo 51). In questa situazione la gittata del ventricolo destro è sempre aumentata: in inspirazione per l’aumentato ritorno venoso dalle vene cave, in espirazione per lo shunt attraverso il setto interatriale. Infine, lo sdoppiamento del II tono può essere “paradosso”: in questo caso si avvertono le due componenti separate in espirazione mentre il tono appare unico durante l’inspirazione (Figura 2B). Questo fenomeno è principalmente causato da un eccessivo ritardo di A2. come accade in caso di blocco di branca sinistra (vedi Capitolo 3) o stenosi aortica grave. In queste situazioni, il II tono è sdoppiato poiché la chiusura della valvola aortica è ritardata per motivi elettrici (blocco di branca) o meccanici, ed è la polmonare a chiudersi prima. Quando, durante l’inspirazione, si verifica un fisiologico ritardo della chiusura della polmonare, legato all’aumentato ritorno venoso, A2 e P2 diventano simultanee, mentre in espirazione non vi è il ritardo di P2, per cui il II tono appare sdoppiato. Il II tono può risultare rinforzato in presenza di un aumento dei valori pressori sistemici nella sua componente aortica (A2) o in presenza di un’ipertensione polmonare, nella sua componente polmonare (P2). In queste condizioni, il livello della pressione che fa chiudere la valvola semilunare è maggior del normale, per cui le vibrazioni che la valvola genera nel chiudersi sono particolarmente ampie. Il III tono (Figura 4) corrisponde alla fase diastolica di riempimento rapido (protodiastole), e può risultare ben evidente in caso di aumentato riempimento ventricolare o in presenza di disfunzione ventricolare, come nello scompenso cardiaco. Normalmente il III tono si ascolta soltanto nei

Figura 2

A: sdoppiamento variabile del II tono legato alle fasi del respiro.

B: Sdoppiamento paradosso del II tono in presenza di blocco di branca sinistra. A2 = componente aortica del II tono. P2 = componente polmonare del II tono Ciò dipende dal fatto che con l’inspirazione aumenta il ritorno venoso per l’incremento della vis a fronte: il ventricolo destro, perciò, riceve più sangue e la sua sistole è leggermente prolungata, tanto da ritardare la chiusura della valvola polmonare; con l’espirazione, invece, questo fenomeno non è più presente, e la chiusura delle due valvole semilunari è presso a poco simultanea.

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libro cardiologia.doc bambini o nei soggetti con parete toracica particolarmente sottile.

Figura 4

Oltre al I e al II tono, vengono rappresentati il III tono (protodiastolico) e il IV tono (presistolico o

telediastolico).

Il IV tono (Figura 4) corrisponde alla sistole atriale (telediastole o presistole), e dipende dalle vibrazioni provocate dal sangue che, spinto dalla contrazione dell’atrio, penetra nel ventricolo. Normalmente questo fenomeno non dà luogo a un tono ascoltabile sia perché le vibrazioni indotte dalla sistole atriale, a bassa frequenza, sono quasi in continuità con quelle, a frequenza ben più alta, del I tono, sia perché la loro ampiezza è molto bassa. Vi sono essenzialmente due condizioni che favorisono l’ascoltazione del IV tono: il blocco A-V di I

Figura 5

grado e la ridotta distensibilità ventricolare. Nel primo caso si allunga l’intervallo P-R (vedi Capitolo 40), per cui

B: il clock è seguito da un soffio mesotelesistolico.

A: click mesosistolico del prolasso mitralico.

la sistole atriale non è seguita da quella ventricolare immediatamente, ma dopo un tempo più lungo del normale, per cui in IV tono è ben separato dal I. Nella seconda circostanza la ridotta distensibilità delle pareti

2) Gli schiocchi d’apertura della mitrale o della tricuspide, che si determinano al momento dell’apertura di una valvola stenotica. Normalmente non si generano vibrazioni udibili all’aprirsi delle valvole A-V, ma quando queste divengono stenotiche la loro apertura provoca un tono aggiunto a tonalità alta, detto appunto schiocco d’apertura (Figura 6).

ventricolari, come avviene nella stenosi aortica o nella cardiopatia ipertensiva, fa sì che aumenti l’ampiezza delle vibrazioni generate dal sangue che l’atrio spinge nel ventricolo. Quando il III o il IV tono si ascoltano in presenza di un aumento della frequenza cardiaca, si può generare un ritmo a tre tempi (ritmo di galoppo). A volte sono contemporaneamente presenti in III e il IV tono; se la frequenza cardiaca è aumentata, si ha il cosiddetto galoppo di sommazione.

I Toni aggiunti A parte i toni descritti, è possibile ascoltare, in particolari condizioni, patologiche, i seguenti toni aggiunti. 1) I click sistolici, che comprendono il click del prolasso mitralico (Figura 5) (vedi Capitolo 15) e i click eiettivi aortico e polmonare, apprezzabili a volte in presenza di stenosi aortica o polmonare.

Figura 6

Quadro ascoltatorio nella stenosi mitralica. Il I tono è di intensità aumentata, e dopo il secondo

tono compare lo schiocco d’apertura della mitrale (SAM) seguito dal soffio diastolico (SD)

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libro cardiologia.doc 5/6 è un soffio fortissimo, accompagnato da fremito, ma che non si ascolta più se si solleva il



fonendoscopio a 1 cm dalla cute I Soffi

6/6 è un soffio fortissimo, accompagnato da fremito, che si continua ad ascoltare anche se si solleva il



fonendoscopio a 1 cm dalla cute

Un soffio è il rumore che si genera quando il flusso del sangue diventa turbolento, e può essere ascoltato col fonendoscopio non solo in corrispondenza del cuore, ma anche sui vasi. In condizioni ideali, il flusso del sangue dovrebbe essere laminare (in base al numero di Reynolds), ma in realtà non lo è quasi mai; la turbolenza marcata del flusso, tale da generare vortici che poi si ascoltano come “soffi” si deve a vari motivi, inclusa la stessa viscosità del sangue. I soffi cardiaci dipendono essenzialmente da: a) un ostacolo anormale al flusso, come per esempio quello rappresentato da una valvola stenotica; b) un flusso non fisiologico, come per esempio quello che si genera nel difetto del setto interventricolare, nel quale vi è un flusso “innaturale” del sangue da un ventricolo all’altro; c) un’aumentata velocità e/o un’aumentata quantità del flusso, come si verifica per esempio nell’insufficienza aortica “pura” dove, in assenza di stenosi valvolare, si può ascoltare sul focolaio aortico un soffio sistolico quando la gittata sistolica ventricolare sinistra è notevolmente aumentata (vedi Capitolo 17).

I soffi sistolici, inoltre, possono essere distinti in eiettivi e da rigurgito. Questa distinzione ha molta importanza da un punto di vista clinico perché mentre i soffi eiettivi possono essere sia organici, determinati cioè da una lesione anatomica (per esempio, una stenosi valvolare aortica), che funzionali, legati a motivi differenti da un’alterazione strutturale (per esempio, un’aumentata velocità del flusso), i soffi da rigurgito sono sempre organici, espressione di un’alterazione anatomica. I soffi eiettivi (Figura 7) iniziano a una certa, anche se breve, distanza dal I tono. Prendiamo come esempio il soffio eiettivo della stenosi aortica: all’inizio della sistole il ventricolo sinistro si contrae e fa chiudere la valvola mitrale, dando origine al I tono; in questa fase, che prende il nome di contrazione isometrica (o isovolumetrica) l’eiezione del sangue dal ventricolo non è ancora iniziata. Solo quando la pressione endoventricolare cresce e supera quella vigente in aorta (circa 80 mm Hg in condizioni normali) la valvola aortica si apre e ha inizio il flusso attraverso la valvola e con esso il soffio, assumendo che la valvola sia stenotica. Questo soffio, perciò, inizierà a una certa distanza dal I tono, non simultaneamente ad esso.

I soffi cardiaci si distinguono in base alla loro cronologia (cioè alla fase del ciclo cardiaco in cui si ascoltano), al timbro, alla intensità, alla sede di ascoltazione e alla irradiazione. Una prima importante distinzione è fra soffi sistolici, diastolici e continui; questi ultimi occupano tutto il ciclo cardiaco, mentre i primi sono limitati a una sola delle due fasi. All’interno delle categorie dei soffi sistolici e diastolici, poi, se ne trovano alcuni che occupano tutta la sistole (soffio olosistolico) o tutta la diastole (soffio olodiastolico) e altri la cui durata è minore, che vengono definiti con i prefissi proto, meso o tele (protosistolici, protodiastolici, etc) secondo che occupino solo la parte iniziale della fase (sistole o diastole) in cui si ascoltano, oppure la parte intermedia o quella finale.

Per quanto riguarda il timbro, i soffi vengono tradizionalmente definiti impiegando termini come dolce, rude, aspro, aspirativo, raspante, e altri fra cui è molto diffuso quello di “rullio” per indicare il soffio diastolico della stenosi mitralica, che viene assimilato a un rullio di tamburi.

La sede di ascoltazione di un soffio cardiaco è il punto del precordio dove il soffio ha la massima intensità. I quattro “classici” focolai dell’ascoltazione sono quello mitralico (alla punta del cuore), tricuspidalico (all’incirca alla base dell’apofisi ensiforme), aortico (sulla margino-sternale destra, al secondo spazio intercostale) e

Figura 7

polmonare (sulla margino-sternale sinistra, al secondo spazio intercostale).

L’irradiazione del soffio è la direzione in cui, partendo dalla sede, è ancora possibile ascoltarlo bene. E’ caratteristica l’irradiazione all’ascella del soffio dell’insufficienza mitralica e l’irradiazione al giugulo del soffio della stenosi aortica.

L’intensità dei soffi viene in genere valutata solo per quelli sistolici, secondo la scala a 6 gradini proposta da Levine, la quale tiene anche conto del fatto che quando un soffio è molto intenso, le vibrazioni generate dalla turbolenza del flusso si possono non solo ascoltare, ma anche palpare come fremiti, appoggiando la mano sul precordio.



1/6 è quel soffio che non si avverte immediatamente, ma solo quando si ascolta il cuore con grande attenzione

• • •

2/6 è un soffio che si ascolta immediatamente, ma è relativamente debole 3/6 è un soffio forte ma non accompagnato da fremito 4/6 è un soffio forte accompagnato da fremito

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Soffio sistolico eiettivo (SS).

libro cardiologia.doc

Figura 9 Figura 8

Soffio sistolico da rigurgito nell’insufficienza mitralica. In B è anche presente il III tono

Osserviamo ora il soffio da rigurgito della insufficienza mitralica (Figura 8). Questo inizia senza alcun ritardo rispetto al I tono, ma contemporaneamente ad esso; infatti appena la valvola mitrale si chiude e si genera il I tono inizia il rigurgito di sangue in atrio sinistro, ben prima che la pressione intraventricolare aumenti al di sopra di quella aortica e la valvola aortica si apra. In definitiva, il soffio sistolico da rigurgito inizia attaccato al I tono, mentre il soffio sistolico eiettivo è staccato dal I tono. I soffi sistolici da eiezione hanno in generale la caratteristica di essere in crescendo-decrescendo, assumendo una morfologia “a diamante” (Figura 7), mentre i soffi da rigurgito hanno un aspetto “a nastro” conservando la stessa intensità per tutta la loro durata. I soffi sistolici da rigurgito sono quelli dell’insufficienza mitralica, dell’insufficienza tricuspidale, del difetto del setto interventricolare; quelli eiettivi possono essere organici, legati alla stenosi aortica (Capitolo 16) o alla stenosi polmonare (Capitolo 18), ma possono anche essere soltanto di natura funzionale, espressione di una stenosi relativa, dovuti non a riduzione dell’ostio valvolare, ma semplicemente ad aumento del flusso con un’area valvolare normale.

A: soffio diastolico in decrescendo dell’insufficienza aortica.

B: al soffio diastolico si associa un soffio sistolico eiettivo.

I soffi continui sono sempre legati ad una anormale connessione fra il circolo arterioso e quello venoso, con shunt artero-venoso che dura per tutto il ciclo cardiaco. Il prototipo del soffio continuo è quello generato dalla pervietà del dotto arterioso di Botallo (Figura 10) (Capitolo 51), che si ascolta in sede sottoclaveare sinistra.

I soffi diastolici sono quasi sempre organici, e comprendono il soffio (rullio) diastolico della stenosi mitralica (Figura 6) (Capitolo 14), quello della stenosi tricuspidalica (Capitolo 18), il soffio dell’insufficienza aortica (Figura 9) (Capitolo 17) e quello dell’insufficienza polmonare (Capitolo 18).

Figura 10

Soffio continuo nella pervietà del dotto arterioso. Il soffio copre tutto il ciclo cardiaco (sistole e

diastole) ed ha il suo acme il corrispondenza del II tono.

Gli Sfregamenti Relativamente simili ai soffi sono gli sfregamenti pericardici, che si ascoltano in alcuni soggetti affetti da pericardite (Capitolo 32). Normalmente i foglietti pericardici viscerale e parietale sono lisci e scorrono l’uno sull’altro senza alcuna frizione, ma in seguito all’infiammazione il movimento dei foglietti, divenuti rugosi, genera gli sfregamenti, che spesso si ascoltano sia in sistole che in diastole.

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libro cardiologia.doc Capitolo 3 L'ELETTROCARDIOGRAMMA Giuseppe Oreto, Francesco Luzza, Maria Pia Calabrò

Non necessariamente sono presenti tutte le onde, poiché anche in condizioni fisiologiche una o più di esse possono non essere evidenti o mancare. Nella Figura 1B per esempio, dopo la P compaiono le onde Q ed R ma non la S. L’onda P corrisponde alla depolarizzazione atriale, mentre le onde Q, R ed S sono l’espressione della

L’attività elettrica del cuore

depolarizzazione ventricolare; l’onda T rappresenta la ripolarizzazione ventricolare. Il significato dell’onda U è meno chiaro, e la sua genesi è ancora discussa. Fra un ciclo cardiaco e l’altro (cioè fra una serie di onde

Le fibrocellule miocardiche sono polarizzate in condizioni di riposo, cioè possiedono una elettronegatività sulla

PQRSTU e la successiva) vi è generalmente una fase più o meno lunga in cui il cuore è elettricamente silente,

faccia interna della membrana cellulare, mentre la faccia esterna è carica positivamente. Per contrarsi, ogni

cioè non vi sono onde. In questo periodo l’elettrocardiogramma registra una linea piatta, detta isoelettrica.

cellula deve prima essere depolarizzata, cioè attivata elettricamente: durante la depolarizzazione s’inverte la

Le onde P, T ed U possono essere positive, cioè rivolte in alto (Figura 1A) o negative, cioè rivolte in basso

polarità della membrana, la cui faccia interna diviene carica positivamente. Completatasi la depolarizzazione, la

(Figura 1B); per quanto riguarda il complesso ventricolare (QRS), invece, un’onda positiva è sempre

cellula ritorna allo stato iniziale: si realizza quindi la ripolarizzazione, al termine della quale la cellula diviene

denominata R, mentre le onde negative si definiscono Q oppure S a seconda che compaiano prima o dopo

nuovamente eccitabile, cioè può andare incontro a una nuova depolarizzazione. I processi elettrici delle

un’onda R.La carta su cui viene registrato il tracciato elettrocardiografico presenta un fine reticolato di linee

fibrocellule miocardiche si realizzano mediante il movimento di ioni (particelle cariche elettricamente) i quali

ortogonali che formano dei quadrati. Esistono linee spesse, che distano l’una dall’altra 5 mm, e linee sottili,

attraversano la membrana passando attraverso specifici canali.

separate da una distanza di 1 mm; le prime formano quadrati con lati di 5 mm, le seconde quadrati con lati di 1 mm. Ogni quadrato “grande” contiene perciò 25 quadrati “piccoli” (Figura 2). Le linee servono come punti di

LE ONDE DELL’ELETTROCARDIOGRAMMA

L’Elettrocardiogramma (ECG) è una registrazione grafica dell’attività elettrica del cuore, ed è formato da diverse onde, le quali si ripetono, normalmente con lo stesso ordine, in ogni ciclo cardiaco, e vengono denominate P, Q, R, S, T ed U (Figura 1).

riferimento per misurare sia l’ampiezza (cioè il voltaggio) delle onde che la loro durata. Sull’asse verticale si misura l’altezza (ampiezza) della deflessione, partendo dall’isoelettrica. Per esempio, nella Figura 3 l’onda P ha un’altezza di 2 mm, l’onda q di 1 mm, l’onda R di 13 mm, l’onda S di 2 mm e la T di 2,5 mm. Poiché in una registrazione elettrocardiografica standard 10 mm corrispondono a 1 mV, potremo affermare che l’onda P ha un’ampiezza di 0,2 mV, la Q di 0,1 mV, la R di 1,3 mV, etc. Mentre la dimensione verticale serve per misurare il voltaggio delle onde, quella orizzontale consente di valutare la durata delle varie deflessioni. Con la velocità tradizionale di scorrimento della carta (25 mm al secondo), un secondo corrisponde a 5 quadrati grandi o, ciò che è lo stesso, a 25 quadrati piccoli. Di conseguenza, ogni quadrato grande equivale a 0,2 secondi (200 millisecondi) e ogni quadrato piccolo a 0,04 secondi (40 millisecondi). Proviamo ora a determinare la durata delle varie onde misurandone la larghezza. Nella Figura 3 l’onda P ha una larghezza di 2 quadrati piccoli, per cui la sua durata sarà 0,08 sec (0,04x2); anche il QRS occupa lo spazio di 2 quadrati piccoli, cioè ha una durata di 0,08 secondi (80 millisecondi). Oltre alla durata delle varie onde, si misurano anche alcuni intervalli, particolarmente il P-Q (o P-R) e il QT. Nella Figura 3 il P-Q (dall’inizio della P all’inizio del QRS) misura circa 0,17 secondi e il QT (dall’inizio del QRS alla fine della T) 0,39 secondi.

Figura 1

Le onde dell’Elettrocardiogramma. A e B sono due diverse derivazioni registrate simultaneamente.

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libro cardiologia.doc normalità dalla patologia, e nell’ambito di quest’ultima distinguere diversi aspetti. Le 12 derivazioni sono: Periferiche (degli arti): Bipolari (Figura 4): I (o D1) - Polo positivo braccio sn, polo negativo braccio dx II (o D2) - Polo negativo braccio dx, polo positivo gamba sn III (o D3) - Polo negativo braccio sn, polo positivo gamba sn Unipolari:aVR - Polo positivo braccio dx aVL - Polo positivo braccio sn aVF - Polo positivo gamba sn

Figura 4

Le tre derivazioni bipolari dagli arti (I, II, III).

Precordiali o toraciche (Figura 5):V1 IV - spazio intercostale dx, sulla marginosternale V2 IV - spazio intercostale sn, sulla marginosternale V3 - A metà strada fra V2 e V4 V4 V - spazio intercostale sn, sull’emiclaveare V5V - spazio intercostale sn, sull’ascellare anteriore

Figura 3

L’onda P, il complesso QRS e l’onda T. Le linee della carta dell’elettrocardiografo consentono di

misurare l’ampiezza (voltaggio) e la durata (secondi) delle diverse onde.

LE DERIVAZIONI DELL’ELETTROCARDIOGRAMMA L’elettrocardiogramma tradizionale comprende 12 derivazioni. Ciascuna di esse descrive lo stesso fenomeno (i processi di depolarizzazione e di ripolarizzazione del cuore) visto, però, da diversi punti di osservazione. La presenza di più derivazioni serve a ricostruire rapidamente l’andamento dei fenomeni elettrici del cuore. Allo stesso modo, se noi vogliamo studiare le caratteristiche architettoniche di un edificio, dobbiamo girarci intorno per analizzarlo da diverse angolazioni: l’edificio è sempre lo stesso, ma cambia la parte che di volta in volta vediamo. Perciò ogni derivazione contiene le stesse onde (P,Q,R,S,T,U) nella stessa sequenza, ma la polarità (positiva o negativa), il voltaggio e la durata delle deflessioni saranno più o meno diversi nelle differenti derivazioni. Tuttavia, se noi riusciamo a mettere insieme le informazioni che le 12 derivazioni ci offrono, apparirà alla nostra mente l’intera sequenza degli eventi elettrici del cuore, e potremo allora discriminare la

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libro cardiologia.doc V6 V - spazio intercostale sn, sull’ascellare media

A parte che per lo studio delle aritmie, l’ECG viene impiegato in clinica per diagnosticare l’ingrandimento degli atri, l’ipertrofia dei ventricoli, i disturbi di conduzione intraventricolare (blocchi di branca e fascicolari), l’ischemia miocardica e le sue diverse manifestazioni, alcune disionie, l’effetto di alcuni farmaci sul cuore. L’ECG è anche molto importante per riconoscere alcune condizioni spesso congenite, a volte su base genetica, che possono condurre ad aritmie anche letali (Preeccitazione, QT lungo o corto, Fenomeno di Brugada), e fornisce anche informazioni utili per il riconoscimento di malattie quali la pericardite, le cardiomiopatie, il cuore polmonare cronico, l’embolia polmonare.

LA DETERMINAZIONE DELL’ASSE DI QRS (ÂQRS)

L’ECG rappresenta sotto forma di onde i vettori prodotti dalla depolarizzazione e dalla ripolarizzazione cardiaca. Il cuore genera, istante per istante, numerose forze elettriche che possono essere espresse da vettori; la somma di tutti i vettori che compaiono in un determinato momento rappresenta il vettore medio istantaneo; sommando tutti i vettori medi istantanei che si succedono durante la depolarizzazione ventricolare si ottiene il vettore medio del QRS o asse del QRS (ÂQRS). La direzione di questo vettore può essere calcolata nei tre piani dello spazio: piano frontale, piano orizzontale o trasverso, piano sagittale; in pratica, però, l’ÂQRS viene determinato solo sul piano frontale, e il calcolo della sua direzione è semplice in base all’analisi delle derivazioni periferiche (derivazioni degli arti). Per questo scopo, possiamo immaginare la genesi dell’ECG assumendo che in ogni piano il cuore sia il centro di una circonferenza, e che da esso si originino le forze, espresse come vettori: le varie onde da cui è formato il tracciato elettrocardiografico non sono altro che le proiezioni dei vettori sui diametri della circonferenza. Analizziamo solo il piano frontale: ogni derivazione corrisponde a un diametro, con un estremo positivo e uno negativo. Per descrivere la posizione dei diversi diametri si usa una schematizzazione geometrica, dove la definizione in gradi identifica l’estremità positiva di ogni derivazione. Il piano frontale presenta le direzioni alto, basso, sinistra e destra (Figura 6). Per convenzione, il punto più a sinistra viene definito 0°, quello più basso +90°, quello più in alto –90° e quello più a destra ±180°; i vettori diretti nella metà inferiore della circonferenza (in basso) vengono espressi con segni positivi (per esempio, +70°), mentre i vettori diretti in alto hanno segno negativo (per esempio, -40°). Figura 5

Posizione dell’elettrodo esplorante nelle derivazioni precordiali.

Le prime 6 derivazioni vengono registrate con elettrodi posti sugli arti e vengono perciò dette periferiche (o derivazioni degli arti), mentre le seconde 6 si ottengono ponendo gli elettrodi sul torace, nella regione precordiale, da cui il nome di derivazioni precordiali. Inoltre, fra le derivazioni periferiche le prime tre sono bipolari e le seconde tre unipolari.

IMPIEGO CLINICO DELL’ELETTROCARDIOGRAMMA

Due sono i campi principali di applicazione dell’ECG: da un lato lo studio del ritmo cardiaco e la diagnosi della aritmie, e dall’altro il riconoscimento di alcune condizioni patologiche del cuore (per esempio, l’infarto miocardico) che alterano in modo caratteristico l’attività elettrica cardiaca. Mentre per le aritmie, però, l’ECG è insostituibile e rappresenta la metodica di riferimento, per molte altre condizioni esistono tecniche più adatte a rivelare il processo patologico, per cui l’ECG passa in secondo piano. Per esempio, l’ipertrofia miocardica viene definita con maggiore accuratezza dall’Ecocardiografia che dall’ECG poiché la prima è in grado di valutare la massa miocardica, mentre il secondo può solo indicare le eventuali anomalie elettriche che l’ipertrofia induce, e quindi rivela questa condizione solo indirettamente.

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Figura 6

La circonferenza rappresenta il piano frontale del cuore. Il punto più a sinistra viene definito 0°,

quello più basso +90°, quello più in alto –90° e quello più a destra +/-180°.

Figura 7 Ciascuna derivazione periferica (del piano frontale) ha una sua linea, corrispondente a un diametro della

Le 6 derivazioni del piano frontale (derivazioni periferiche) corrispondono ai diametri di una

circonferenza. Ogni derivazione ha un polo positivo (evidenziato in rosso) e un polo negativo.

circonferenza, e viene identificata in base al suo polo positivo (Figura 7).

Nel nostro approccio semplificato, tuttavia, utilizzeremo solo una coppia di derivazioni ortogonali: I e aVF. Nell’osservare ogni derivazione, bisogna tenere in considerazione la posizione della linea di derivazione e il diametro perpendicolare ad essa. Esaminando la I derivazione, la cui linea va da 0° (polo positivo) a ±180° (polo negativo), osserviamo che il diametro perpendicolare alla linea di derivazione va da –90° a +90° (Figura 8). La linea della I derivazione può essere divisa in due metà: la parte che va dal centro della circonferenza al polo positivo è l’emilinea positiva e quella che va dal centro al polo negativo l’emilinea negativa.

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Facciamo ora partire dei vettori dal centro della circonferenza (Figura 9): il vettore A proietterà sulla metà positiva della linea della derivazione, il vettore B proietterà sull’emilinea negativa, mentre il vettore C è perpendicolare alla linea e la sua proiezione su di essa sarà un punto. Tradotti in termini di ECG, questi fenomeni significano che il vettore A darà luogo ad una deflessione positiva, cioè rivolta verso l’alto, mentre il vettore B originerà un’onda negativa, diretta in basso, e il vettore C non genererà alcuna onda, visto che la sua proiezione sulla linea è puntiforme, cioè nulla. L’ampiezza dell’onda sarà direttamente proporzionale alla lunghezza della proiezione del vettore sulla linea di derivazione. Se noi suddividiamo la linea in unità arbitrarie, ci rendiamo conto che la proiezione del vettore A misura 5,5 unità e quella del vettore B 3,5 unità. Ciò trova immediato riscontro nel tracciato: l’onda generata dal vettore A è alta 5,5 mm, mentre quella dovuta al vettore B misura 3,5 mm. Esprimendoci più correttamente, diremo che l’ampiezza di A è 0.55 mV (millivolt) e quella di B 0.35 mV. Consideriamo ora il vettore A (Figura 10). Sappiamo che in I derivazione esso dà una deflessione positiva, ma non possiamo, con questa sola informazione, calcolarne la direzione. Si può soltanto affermare, visto che esso proietta sull’emilinea positiva della I derivazione, che è diretto a sinistra, compreso nell’angolo piatto segnato in Figura 8

La linea della I derivazione, che ha il polo positivo a 0° e quello negativo a +/-180°, è divisa in due

verde nella figura.

parti: la metà positiva va dal centro della circonferenza al polo positivo e la metà negativa dal centro al polo negativo.

Figura 10 vettore.

Figura 9

Viene rappresentata la proiezione dei vettori A, B e C sulla linea della I derivazione. A destra

compare l’espressione elettrocardiografica degli stessi vettori.

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Proiezione del vettore A sulla linea della I derivazione, ed espressione elettrocardiografica del

libro cardiologia.doc

Figura 12

Dal paragone fra gli elettrocardiogrammi registrati nelle derivazioni I e aVF si desume che il vettore

A è diretto nell’angolo retto compreso fra 0° e +90° (segnato in verde).

Figura 11

Proiezione del vettore A sulla linea della derivazione aVF, ed espressione elettrocardiografica del

vettore.

L’ÂQRS normale è diretto in basso e a sinistra; per questo motivo in un ECG normale il complesso QRS è positivo sia in I derivazione che in aVF (Figura 13A). La deviazione assiale sinistra, invece è caratterizzata da un ÂQRS diretto nel quadrante superiore sinistro, cioè in alto e a sinistra (Figura 13B); in questa situazione il complesso QRS sarà negativo in aVF (il vettore proietterà sulla metà negativa della linea di derivazione) e

Analizziamo ora aVF (Figura 11), il cui polo positivo è a +90°: il vettore A proietta sulla metà positiva della linea di questa derivazione, il che vuol dire che esso è diretto nell’angolo piatto segnato in verde nella figura (fra 0° e ±180°). In altri termini, aVF ci dice che il vettore A è diretto in basso. Se adesso mettiamo insieme le informazioni provenienti dalle due derivazioni fin qui studiate (Figura 12), ci accorgiamo che è possibile circoscrivere la direzione del vettore nell’angolo retto che va da 0° a +90° (segnato in verde), poiché l’ECG mostra un’onda positiva sia in I derivazione che in aVF: il vettore, perciò, dev’essere diretto in basso e a

positivo in I. Nella deviazione assiale destra, invece, il vettore medio di QRS è diretto verso destra nel quadrante inferiore destro (Figura 14A) o in quello superiore destro (Figura 14B). Ciò che contraddistingue la deviazione assiale destra, comunque, è la negatività del complesso QRS in I derivazione; quando l’ÂQRS è diretto a destra e in basso, il QRS è positivo in aVF (Figura 14A), mentre se è diretto a destra e in alto (cosiddetta deviazione assiale destra estrema, Figura 14B) sia la I derivazione che aVF presentano un complesso ventricolare negativo (Tabella I).

sinistra.

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Figura 13

A: ÂQRS normale, diretto fra 0° e + 90°, il QRS è positivo in I e in aVF. B: ÂQRS deviato a sinistra,

diretto fra -90° e 0°: il QRS è positivo in I e negativo in aVF. Tabella 1

L’INGRANDIMENTO DEGLI ATRI

Ingrandimento atriale sinistro. L’ingrandimento dell’atrio sinistro si esprime con aumento di durata dell’onda P, che raggiunge o supera 0,12 secondi, con la comparsa di onde P bifide in alcune derivazioni (per esempio, I, II o precordiali da V2 a V6) e di un’onda P difasica positivo/negativa in V1, caratterizzata da una componente negativa rallentata (ECG 01, ECG 06, ECG 07, ECG 11). Ingrandimento atriale destro. L’ingrandimento dell’atrio destro viene suggerito da onde P con durata normale, ma alte, con voltaggio

0,25 mV (2,5 mm) e appuntite nelle derivazioni II, III, aVF, e da onde P positive o

prevalentemente positive e appuntite in V1 (ECG 02, ECG 03, ECG 04, ECG 05).

L’IPERTROFIA DEI VENTRICOLI

L’ incremento della massa ventricolare si esprime con numerose alterazioni, di cui le più importanti sono Figura 14

A: ÂQRS deviato a destra, diretto fra 90° e +/-180; il QRS è negativo in I e positivo in aVF. B:

ÂQRS con deviazione assiale destra estrema, diretto fra +/-180 e -90°: il QRS è negativo in I e in aVF.

l’aumentato voltaggio del QRS, le alterazioni della ripolarizzazione (anomalie del tratto ST e dell’onda T) e, per l’ipertrofia ventricolare destra, la deviazione assiale. Ipertrofia ventricolare sinistra. Per diagnosticare l’ipertrofia ventricolare sinistra attraverso l’aumento del voltaggio sono stati proposti molti indici, il più noto dei quali è l’indice di Sokolov, basato sulla somma dall’onda S in V1 più l’onda R in V5 o V6. Quando questa somma raggiunge o supera 35 mm (3,5 mV) si può diagnosticare l’ipertrofia ventricolare. Molto importanti, nell’ipertrofia ventricolare sinistra, sono le alterazioni secondarie di ST-T (Figura 15), caratterizzate da un tratto ST sottoslivellato e da una T negativa asimmetrica nelle derivazioni in cui il QRS è positivo. Casi di ipertrofia ventricolare sinistra si osservano nelle Figure ECG 06, ECG 07, ECG 08.

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libro cardiologia.doc Figura 14

A: ÂQRS deviato a destra, diretto fra 90° e +/-180; il QRS è negativo in I e positivo in aVF. B:

ÂQRS con deviazione assiale destra estrema, diretto fra +/-180 e -90°: il QRS è negativo in I e in aVF.

I DISTURBI DELLA CONDUZIONE INTRAVENTRICOLARE

Il sistema di conduzione intraventricolare è costituito dalle branche e dalle loro diramazioni (il nodo A-V e il fascio di His fanno, invece, parte della giunzione atrio-ventricolare). In condizioni fisiologiche l’impulso nasce nel nodo del seno, attraversa gli atri e giunge al nodo A-V e da qui al fascio di His, da dove raggiunge simultaneamente le due branche e, percorrendo le diramazioni di queste raggiunge la rete di Purkinje, la quale permette la rapida distribuzione dell’impulso a un gran numero di cellule. La funzione del sistema di conduzione intraventricolare è consentire l’attivazione (e di conseguenza la contrazione) simultanea dei due ventricoli, fenomeno di grande importanza da un punto di vista fisiologico. Poiché la branca sinistra si suddivide precocemente in due fascicoli (anteriore e posteriore), da un punto di vista elettrocardiografico, il sistema di conduzione è costituito da 3 fascicoli: la branca destra, il fascicolo anteriore e quello posteriore (Figura 16). Numerosi processi patologici possono alterare la conduzione in una o più sezioni del sistema di conduzione intraventricolare; si distinguono, quindi, i blocchi di branca (blocco di branca destra, blocco di branca sinistra), i blocchi fascicolari (blocco fascicolare anteriore, blocco fascicolare posteriore, definiti anche come emiblocco anteriore ed emiblocco posteriore), i blocchi bifascicolari (blocco di branca destra + blocco fascicolare anteriore, blocco di branca destra + blocco fascicolare posteriore) e quelli trifascicolari, nei quali tutti e tre i fascicoli sono Figura 15

A: QRS normale (Derivazione V5 o V6). B: Ipertrofia ventricolare sinistra, caratterizzata da

compromessi.

aumento di voltaggio dell’onda R, scomparsa dell’onda q e alterazioni secondarie di ST-T.

Ipertrofia ventricolare destra. L’ipertrofia ventricolare destra si esprime all’ECG in primo luogo con una deviazione assiale destra (Figura 14); la deviazione dell’ÂQRS a destra è normale nel neonato e nel bambino piccolo mentre è un fenomeno anormale nell’adulto ed esprime quasi sempre l’ipertrofia del ventricolo destro. Un altro segno è rappresentato dalle onde R alte nelle precordiali destre (V1,V2), con rapporto R/S>1. Casi di ipertrofia ventricolare sinistra si osservano nelle Figure ECG 03, ECG 04, ECG 05.

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libro cardiologia.doc Si riconosce per la presenza di deviazione assiale sinistra (ÂQRS a -30° o più in alto, testimoniato da complessi QRS positivi in I, negativi in aVF e isodifasici o negativi in II derivazione) associata a complessi qR in I e aVL ed a complessi rS in III e aVF (ECG 13).

Blocco fascicolare posteriore (Emiblocco posteriore E’ un disturbo di conduzione estremamente raro quando isolato, ed è caratterizzato da deviazione assiale destra associata a complessi qR in II, III, aVF. Per affermare la presenza di un blocco fascicolare posteriore, è necessario escludere un’ipertrofia ventricolare destra.

Blocco di branca destra + blocco fascicolare anteriore Presenta i caratteri del blocco di branca destra isolato (complessi rSr’, rSR’, rR’ in V1, complessi con onda S larga in I e V6) insieme alla deviazione assiale sinistra, come nel blocco fascicolare anteriore. Elettrocardiogrammi tipici di blocco di branca destra associato a blocco fascicolare anteriore si osservano nelle Figure ECG 14 ed ECG 15.

Blocco di branca destra + blocco fascicolare posteriore Presenta i caratteri del blocco di branca destra isolato (complessi rSr’, rSR’, rR’ in V1, complessi con onda S larga in I e V6) insieme alla deviazione assiale destra, come nel blocco fascicolare posteriore. Un esempio tipico di blocco di branca destra associato a blocco fascicolare posteriore si osserva nell’ ECG 16.

LA CARDIOPATIA ISCHEMICA

L’ischemia miocardica si esprime all’ECG con una serie di anomalie che riguardano principalmente il segmento ST, l’onda T e il complesso QRS. Esiste un considerevole disaccordo riguardo la nomenclatura delle alterazioni ischemiche dell’ECG: i classici trattati di Elettrocardiografia impiegano i termini di “ischemia”, “lesione” e “necrosi” per indicare rispettivamente le modificazioni ischemiche dell’onda T, del tratto ST e del complesso QRS; questi termini, tuttavia, non sono esatti da un punto di vista fisiopatologico: per esempio, l’alterazione di T nota come “ischemia” è in realtà un fenomeno postischemico, cioè si manifesta al cessare dell’ischemia. Conserveremo in questo libro la nomenclatura consacrata dall’uso (ischemia, lesione, necrosi) pur nella Figura 16

Il sistema di conduzione atrio-ventricolare e intraventricolare. NAV = Nodo atrio-ventricolare. HIS

coscienza della sua inesattezza.

= Fascio di His. BD = Branca destra. BS = Branca sinistra, La lesione Nella cardiopatia ischemica, il tratto ST può essere sopraslivellato (lesione subepicardica) o sottoslivellato Blocco di branca destra E’ caratterizzato da complessi con onda r (o R) terminale in V1 (morfologia rSr’, rSR’, rR’) e da complessi con onda S larga in I e V6. La durata del QRS è aumentata e raggiunge o supera 0,12 secondi nel blocco di branca destra completo, mentre è minore nella forma incompleta. Un blocco di branca destra si osserva nell’ ECG 10.

Blocco di branca sinistra In questo blocco il complesso QRS è molto caratteristico nelle derivazioni I e V6, dove è intieramente positivo, con morfologia “a M” o “R con plateau”, il tratto ST è sottoslivellato e la T negativa. Come nel blocco di branca destra, la durata del QRS è aumentata, e raggiunge o supera 0,12 secondi nel blocco di branca sinistra completo, mentre è minore nella forma incompleta. Casi di blocco di branca sinistra si osservano nelle Figure ECG 11 ed ECG 12.

Blocco fascicolare anteriore (Emiblocco anteriore)

(lesione subendocardica); in realtà nessuna di queste due alterazioni è specifica dell’ischemia miocardica, poiché si può riscontrare (specialmente il sottoslivellamento di ST) in molte altre condizioni indipendenti dall’ischemia. Le modificazioni ischemiche del tratto ST, tuttavia, specialmente il sopraslivellamento, possiedono ancora oggi un ruolo diagnostico cruciale in molte situazioni cliniche, nonostante siano disponibili metodiche strumentali ben più sofisticate e costose. La lesione subepicardica si riscontra prevalentemente nell’infarto miocardico acuto e nell’angina di Prinzmetal (vedi ECG 20, ECG 21, ECG 22). Il sopraslivellamento di ST può essere a concavità superiore o a convessità superiore (Figura 17). Solitamente è a concavità superiore nelle fasi inizialissime dell’infarto, quando non si sono ancora verificate alterazioni significative del QRS, e allora il complesso ventricolare somiglia a un potenziale d’azione monofasico (Figura 17a), mentre assume convessità superiore in una fase successiva, se pure acuta, dell’infarto, quando cioè si delineano le onde q e la T inizia a divenire negativa (Figura 17b). Un carattere importante della lesione subepicardica è la sua evolutività: nell’infarto essa si manifesta soprattutto durante la fase iniziale e persiste solo per ore o giorni. Cessata la fase acuta, l’ST ritorna gradualmente verso

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libro cardiologia.doc l’isoelettrica, la T si negativizza e compare in genere un’onda q patologica nelle derivazioni interessate (Figura 18).

La lesione subendocardica (il sottoslivellamento “ischemico” del tratto ST) è a volte difficilmente distinguibile dalle alterazioni secondarie osservabili in presenza di ipertrofia o blocco di branca, e ancora più difficilmente separabile dalle anomalie di ST indotte da farmaci o da quelle alterazioni che vanno sotto il nome di “alterazioni non specifiche della ripolarizzazione”. La situazione migliore per studiare la lesione subendocardica è il test ergometrico, poiché in questa situazione si può paragonare l’ST in condizioni di riposo con quello osservato durante lo sforzo. Quando il test è positivo, cioè indicativo di ischemia miocardica, compare un sottoslivellamento di ST (Figura 19) che ha di solito un andamento dapprima ascendente (schema b), poi rettilineo o piatto (c) e quindi discendente (d); quest’ultimo stadio si accompagna a negativizzazione dell’onda T, o meglio a T bifasica negativo/positiva che può permanere anche quando, con la cessazione dell’esercizio, il tratto ST si normalizza (e). In linea di massima, l’aspetto morfologico più tipico della lesione subendocardica è il sottoslivellamento rettilineo del tratto ST (c); tuttavia non vi sono indicatori che consentano di discriminare con certezza, solo sulla base della morfologia, l’alterazione ischemica da quella non ischemica di ST. Un dato rilevante è offerto dall’evolutività del sottoslivellamento di ST: nel test ergometrico “positivo” l’ECG diviene progressivamente anormale e poi torna alle condizioni basali entro breve tempo. Parimenti, nell'angina pectoris, il sottoslivellamento di ST si riduce al migliorare della sintomatologia, mentre la persistenza dell’alterazione per ore o giorni testimonia un infarto subendocardico. Elettrocardiogrammi caratteristici di lesione subendocardica sono presentati nei casi ECG 18, ECG 19; in particolare l’ ECG 19b mostra la normalizzazione del tratto ST al risolversi dell’angina.

Figura 17

Lesione subepicardica nella fase inizialissima dell’infarto miocardico acuto (a) e dopo alcune ore o

giorni (b). Il sopraslivellamento di ST è a concavità superiore in a e a convessità superiore in b, dove si osserva anche l’onda q e l’onda T negativa.

La necrosi La necrosi è un’alterazione del QRS generalmente conseguente ad un infarto miocardico. Nella maggior parte dei casi, la necrosi si esprime con la comparsa di onde q patologiche o con la scomparsa di onde r, per cui si osservano in alcune derivazioni complessi QS. Si afferma comunemente che le onde q, per essere indicative di necrosi, debbano avere una durata di almeno 0.04 secondi e un voltaggio non inferiore a ¼ della R successiva. Tuttavia, questo è un criterio non sempre utilizzabile: è a volte difficile distinguere un’onda q “di necrosi” da un’onda q “normale”, anche perché l’estensione della zona necrotica è variabile, e in alcuni casi è così piccola da non provocare un disordine elettrico tale da esprimersi con onde q di ampiezza sufficiente. Elettrocardiogrammi dimostrativi di necrosi vengono presentati negli ECG 21, ECG 23, ECG 24.

L’Ischemia In condizioni normali, l’onda T è positiva nelle derivazioni in cui il QRS è positivo, e viceversa. Nell’ischemia subepicardica, invece, le onde T si presentano invertite rispetto a quanto atteso, cioè con una polarità opposta Figura 18

I diversi stadi evolutivi dell’infarto miocardico.

rispetto a quella del QRS, e hanno una morfologia simmetrica, con uguale pendenza delle due branche, ed apice appuntito (Figura 20a). Questi ultimi caratteri della T ischemica la rendono differente dalla T normale, dove la branca prossimale è più lenta di quella distale, e l’apice è arrotondato. Un’altra configurazione caratteristica, anche se meno comune, della T ischemica è quella difasica positivo/negativa, con componente terminale negativa appuntita (Figura 20b).

Figura 19

Comportamento del tratto ST e dell’onda T durante un test ergometrico positivo.

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libro cardiologia.doc termine della depolarizzazione, non è altrettanto immediato riconoscere l’inizio della ripolarizzazione. Alcune cellule ventricolari, infatti, iniziano a ripolarizzarsi mentre altre si stanno ancora depolarizzando, per cui è pressoché impossibile valutare la durata esatta del processo di recupero, e si preferisce esprimere la durata totale della “sistole elettrica”, appunto l’intervallo QT, che va misurato dall’inizio del complesso QRS alla fine dell’onda T. Si tratta di un parametro molto importante, poiché numerose condizioni patologiche, e soprattutto l’effetto di svariati farmaci, si manifestano con variazioni dell’intervallo QT, in genere con l’allungamento di esso, ed eccezionalmente con l’accorciamento. Il QT si modifica notevolmente con il variare della frequenza cardiaca, essendo più breve a frequenze alte e più lungo per frequenze basse. Diviene perciò indispensabile correggere il QT per la frequenza cardiaca, ed è quanto solitamente si fa con la formula di Bazett, in base alla quale il QT corretto (QTc) è uguale al rapporto fra il QT e la radice quadrata dell’intervallo R-R (entrambe le misure vengono espresse in secondi). Da questa formula si evince che il QTc è uguale al QT se la frequenza cardiaca è di 60 al minuto, poiché a questa frequenza l’intervallo RR misura 1 secondo, e la radice quadrata di 1 è 1. Per frequenze maggiori di 60 il QTc è sempre maggiore del QT, mentre per frequenze minori di 60 il QTc è minore del QT.

Il QT lungo L’allungamento del QT (QTc > 0.45 secondi negli uomini, > 0,46 secondi nei bambini di ambo i sessi, > 0.47 Figura 20

Diverse morfologie dell’onda T “ischemica”.

secondi nelle donne) può conseguire ad un’anomalia congenita, cioè ad una malattia dei canali ionici dipendente da un’alterazione cromosomica (vedi Capitolo…), o essere di natura acquisita. Diversi geni sono stati riconosciuti come responsabili della malattia, e differenti forme sono state identificate; le Figure ECG 33 ed

Nell’infarto miocardico, le onde T “ischemiche” non si manifestano nella fase iperacuta, ma solo dopo ore o, a

ECG 34 riportano tracciati elettrocardiografici di pazienti con Sindrome da QT lungo congenito. Il QT lungo

volte, giorni. Si può affermare che la T “ischemica” sia in realtà un fenomeno post-ischemico, che compare cioè

acquisito riconosce una serie di cause; fra queste le disionie (Ipokaliemia, Ipocalcemia), numerosi farmaci,

quando la fase acuta dell’ischemia si è conclusa. Il problema diagnostico, cioè la corrispondenza o meno fra le

particolarmente gli antiaritmici (Sotalolo, Amiodarone, Ibutilide, Chinidina, Disopiramide) diversi antidepressivi

onde T “ischemiche” e la cardiopatia ischemica, si pone quando il quadro ECG dell’ischemia subepicardica

e alcuni farmaci gastrointestinali; anche l’ischemia miocardica e il blocco A-V (ECG 35) rientrano fra le possibili

compare in assenza di infarto miocardico o al di fuori di una situazione clinica che deponga chiaramente per

cause del QT lungo. L’allungamento del QT è temibile perché può provocare aritmie gravi, particolarmente la

cardiopatia ischemica. In un paziente con pregresso infarto è possibile non di rado osservare onde T ischemiche

tachicardia ventricolare a torsione di punte (vedi Capitolo…) e la fibrillazione ventricolare.

anche molti anni dopo l'episodio acuto (ECG 23, ECG 24) ma, in assenza di dati che attestino l’esistenza di una cardiopatia ischemica, il quadro ECG definibile come ischemia subepicardica non è di per sé dimostrativo di una

Il QT corto

vera ischemia, neanche quando è morfologicamente tipico, cioè caratterizzato da onde T invertite simmetriche e

L’accorciamento dell’intervallo QT è molto più raro dell’allungamento. In linea di massima dipende, allo stesso

appuntite.

modo del QT lungo, da malfunzionamento su base genetica dei canali ionici, e può associarsi ad aritmie gravi e a morte improvvisa (vedi Capitolo…). L’accorciamento acquisito del QT è di natura disionica (ipercalcemia) o LE ALTERAZIONI DELL’EQUILIBRIO ELETTROLITICO

farmaco-indotta. L’ ECG 36 riporta un caso di Sindrome da QT corto.

LA PREECCITAZIONE

Le disionie, in particolare le alterazioni riguardanti il potassio e il calcio, influenzano l’ECG. L’iperkaliema (ECG 25, ECG 26) provoca aumentata durata (allargamento) del QRS e comparsa di onde T alte e appuntite, mentre l’ipokaliema (ECG 27) induce sottoslivellamento di ST, appiattimento dell’onda T, comparsa di onda U e

Si definisce con questo termine la condizione in cui una zona miocardica viene attivata prima di quanto sarebbe

allungamento del QT (vedi più avanti).

avvenuto se l’impulso fosse stato condotto solo attraverso le normali vie di conduzione. Responsabile della

Anche l’ipocalcemia può essere responsabile di un allungamento del QT (ECG 28), ma in questa situazione la T

preeccitazione è sempre una via accessoria, cioè un fascio anomalo che connette, a parte rare eccezioni, gli atri

è pressoché normale mentre si allunga l’intervallo fra l’inizio del QRS e l’inizio della T.

ai ventricoli; poiché la velocità di conduzione attraverso il fascio accessorio è maggiore di quella attraverso la via normale (Nodo A-V, Fascio di His, etc.) la zona cui si distribuisce la via anomala viene attivata in anticipo,

L’INTERVALLO QT E I SUOI PROBLEMI

cioè preeccitata. L’ECG di un paziente portatore di una via accessoria (nella maggior parte dei casi definita come “Fascio di Kent”) può presentare i seguenti caratteri: 1) Onda delta, rappresentata da un rallentamento iniziale del complesso QRS; 2) P-R corto; 3) QRS largo; 4) Alterazioni secondarie della ripolarizzazione.

L’intervallo QT esprime la durata globale dell’attività elettrica ventricolare, e comprende sia la fase di depolarizzazione che quella di ripolarizzazione; la misurazione del QT, tuttavia, viene impiegata esclusivamente

L’importanza della preeccitazione dipende dal fatto che la coesistenza di due vie di conduzione atrio-ventricolare (quella nodo-hissiana e il fascio di Kent) rappresenta il presupposto per l’instaurarsi di un circuito di rientro, che

per valutare la ripolarizzazione ventricolare. Ciò dipende dal fatto che mentre è semplice determinare l’inizio e il

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libro cardiologia.doc può dar luogo a una tachicardia parossistica da rientro atrio-ventricolare. La condizione in cui la preeccitazione

voltaggio di tutte le onde dell’ECG (il liquido pericardico è un cattivo conduttore di elettricità) e l’alternanza

si associa a tachicardia parossistica da rientro viene definita “Sindrome di Wolff-Parkinson-White” (vedi

elettrica, caratterizzata da un alternarsi di onde più ampie e meno ampie (ECG 44).

Capitolo…). Le Figure ECG 37 ed ECG 38 presentano casi di preeccitazione ventricolare. LE CARDIOMIOPATIE IL FENOMENO DI BRUGADA Cardiomiopatia Ipertrofica Risale all’ultimo decennio del secolo scorso la descrizione di una nuova Sindrome, caratterizzata da morte

L’ECG è normale solo nel 7-15% dei pazienti affetti, mentre negli altri si può osservare: aumento del voltaggio

improvvisa per fibrillazione ventricolare e da un particolare quadro elettrocardiografico caratterizzato dalla

di QRS (ipertrofia ventricolare sinistra), alterazioni di ST-T, onde q anormali (apparente necrosi), alterazioni

presenza, nelle derivazioni precordiali destre, di un’onda terminale positiva definita come “onda J”, associata a

della conduzione intraventricolare, ingrandimento atriale. Elettrocardiogrammi con quadri caratteristici di

un tratto ST sopraslivellato. L’onda J somiglia in qualche modo all’onda R’ del blocco di branca destra, e per

cardiomiopatia ipertrofica vengono presentati nelle Figure ECG 45 ed ECG 46.

questo motivo era stato in un primo tempo ritenuto che il blocco di branca destra facesse parte del quadro ECG associato alla “Sindrome di Brugada”.

Cardiomiopatia dilatativa

Dopo la descrizione iniziale, sono stati riconosciuti numerosi soggetti nei quali era evidente il “Fenomeno di

In questa forma è molto comune il blocco di branca sinistra, ed è anche possibile osservare ipertrofia

Brugada” cioè il quadro elettrocardiografico caratteristico. E’ ancora oggetto di discussione l’iter diagnostico per

ventricolare sinistra ed ingrandimento atriale sinistro.

identificare, nella coorte di coloro che presentano all’ECG il Fenomeno di Brugada, quelli che sono a rischio di morte improvvisa. Le Figure ECG 39 ed ECG 40 presentano esempi tipici del Fenomeno di Brugada. Si ritiene

Cardiomiopatia restrittiva

che alla base del Fenomeno sia una malattia dei canali ionici, precisamente un malfunzionamento del canale del

Il quadro più comune è rappresentato da ingrandimento atriale (spesso biatriale). I complessi QRS hanno a

sodio; è stata anche riscontrata nel 20% dei soggetti affetti un’alterazione del gene SCN5A, ma le conoscenze

volte basso voltaggio, sono presenti alterazioni di ST-T e spesso aspetti di apparente necrosi (pseudonecrosi).

sulla genetica della Sindrome di Brugada non sono ancora sufficientemente progredite da permettere un

Un caso tipico di questa malattia viene presentato nell’ ECG 47.

inquadramento clinico affidabile. Cardiomiopatia/displasia aritmogena del ventricolo destro L’IPOTERMIA

A parte le aritmie, che sono quasi la regola in questa malattia, è possibile osservare all’ECG anomalie dell’onda P, blocco di branca destra, onde T negative nelle derivazioni precordiali destre (o anche in tutte le precordiali), ed a volte onde epsilon, espressione di attivazione ritardata di alcune zone del ventricolo destro (ECG 48).

In soggetti che siano andati accidentalmente incontro a ipotermia, si riscontra un quadro ECG caratteristico. Con l’abbassarsi della temperatura corporea compaiono diverse alterazioni elettrocardiografiche (bradicardia L’ENFISEMA E IL CUORE POLMONARE CRONICO

sinusale, blocco A-V di I o di II grado, anomalie di ST-T, allungamento del QT, aumento della durata del QRS) ma soprattutto l’onda J, detta anche onda di Osborn, che è il segno patognomonico dell’ipotermia. Si tratta di una piccola deflessione positiva e relativamente larga che segue l’onda R ed è in diretta continuità con questa,

Enfisema

intervenendo fra il QRS e il tratto ST. L’onda J dell’ipotermia è simile a quella osservabile nel fenomeno di

L’aumento del contenuto aereo polmonare, caratteristico dell’enfisema, influenza l’ECG soprattutto perché,

Brugada, ma in quest’ultima condizione l’onda J si osserva solo in V1-V2 o al massimo in V3, mentre

essendo l’aria un cattivo conduttore di elettricità, si realizza una difficoltà nella trasmissione dei potenziali

nell’ipotermia essa è presente in numerose derivazioni. Un caso tipico di ipotermia è presentato nell’ ECG 41.

elettrici cardiaci alla superficie del corpo, con conseguente riduzione dei voltaggi delle onde elettrocardiografiche. L’ECG nel paziente enfisematoso presenta, perciò, complessi ventricolari di basso

LA PERICARDITE

voltaggio, specialmente nelle derivazioni periferiche. Per convenzione, si considera basso il voltaggio dei ventricologrammi quando la somma di tutte le onde del QRS nelle tre derivazioni periferiche bipolari (I, II, III) non supera 15 mm. Un tracciato elettrocardiografico tipico si osserva nell’ ECG 49.

Per quanto il pericardio non sia sede di attività elettrica, e quindi non contribuisca direttamente alla genesi dell’elettrocardiogramma, la pericardite può provocare alterazioni dell’ECG perché l’infiammazione dell’epicardio si accompagna quasi inevitabilmente ad interessamento flogistico degli strati miocardici subepicardici, ed anche perché la presenza del versamento pericardico o dell’ispessimento fibro-calcifico dei foglietti sierosi altera la trasmissione delle forze elettriche cardiache. Nella pericardite acuta l’ECG mostra spesso un sopraslivellamento di ST a concavità superiore nelle derivazioni con QRS prevalentemente positivo, onde T relativamente alte e appuntite, e non di rado un tratto P-R sottoslivellato. Successivamente il punto J ritorna all’isoelettrica, scompare il sottoslivellamento del P-R, la T si riduce di voltaggio e quindi si negativizza, per normalizzarsi poi tardivamente. Esempi di elettrocardiogrammi suggestivi di pericardite acuta si osservano nelle Figure ECG 42 ed ECG 43.

Cuore polmonare cronico Nella maggior parte dei casi, il cuore polmonare cronico consegue ad una broncopneumopatia ostruttiva enfisematica. In tale situazione l’ECG riflette sia i segni dell’enfisema che quelli del cuore polmonare, rappresentati dall’ipertrofia ventricolare destra, associata quasi invariabilmente all’ingrandimento atriale destro. L’anomalia dovuta all’enfisema è fondamentalmente la riduzione dei voltaggi di tutte le onde dell’ECG, mentre il sovraccarico pressorio che grava sul cuore destro si esprime con i segni dell’ipertrofia ventricolare (deviazione di ÂQRS a destra, aumento del voltaggio di R in V1 con rapporto R/S >1) e con quelli dell’ingrandimento atriale destro (onde P appuntite nelle derivazioni inferiori, con voltaggio aumentato, onde P prevalentemente positive e aguzze in V1-V2). L’ ECG 03 è stato registrato in un soggetto con cuore polmonare cronico.

Quando la pericardite si accompagna ad abbondante versamento pericardico, può comparire la riduzione del

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libro cardiologia.doc operatore-dipendente. In ogni caso, il risultato dell’esame ecocardiografico va interpretato alla luce dei dati

L’EMBOLIA POLMONARE

anamnestici e del contesto clinico. Le principali informazioni che si possono ottenere dall’esame ecocardiografico sono: Le embolie polmonari di entità modesta non si associano ad alterazioni emodinamiche di rilievo né, tanto meno, a modificazioni dell’ECG. Solo un’embolia polmonare massiva può dare segno di sé, provocando un inatteso

Studio dell’anatomia cardiaca in fisiologia ed in patologia (dimensioni, spessori, cavità, valvole,



sovraccarico del ventricolo destro (cuore polmonare acuto), che si riflette anche sull’elettrocardiogramma. In

pericardio, aorta, arteria polmonare e suoi rami principali).

questa condizione, l’ECG può mostrare: 1) blocco di branca destra, completo o, più spesso, incompleto, a volte



Studio della funzione degli apparati valvolari e della funzione sistolica e diastolica dei ventricoli

associato a sopraslivellamento di ST e/o T positiva in V1; 2) onde T negative nelle derivazioni precordiali; 3)



Studio della funzione contrattile globale e segmentaria delle pareti ventricolari

S1Q3T3, cioè onda S in I derivazione e onda q associata a T negativa in III. L’ ECG 50A e l’ ECG 50B mostrano un caso di embolia polmonare.

PRINCÍPI DELL’ECOCARDIOGRAFIA IL PACEMAKER

Il suono è una forma di energia che attraversa la materia comprimendo e rarefacendo alternativamente le molecole. E’ rappresentato graficamente da una sinusoide la cui dimensione orizzontale è il tempo, quella

I pazienti nei quali è stato impiantato un pacemaker, presentano un ECG particolare. Per ottenere la

verticale l’intensità o ampiezza. Si caratterizza per la lunghezza d’onda (che rappresenta la distanza tra due fasi

stimolazione miocardica, infatti, il pacemaker emette stimoli i quali hanno una loro espressione

consecutive del ciclo) e per la frequenza (che esprime il numero di compressioni ed espansioni che subiscono le

elettrocardiografica. Lo stimolo (spike) che precede il QRS (in caso di stimolazione ventricolare) o l’onda P (in

particelle nell’unità di tempo). La frequenza del suono è espressa in cicli al secondo o Hertz (Hz) (Figura 1).

caso di stimolazione atriale) è, all’ECG, una deflessione di durata molto breve seguita, in immediata continuità,

L’orecchio umano percepisce suoni tra i 16 e 20.000 Hz; oltre quel limite si parla di ultrasuoni. Le frequenze

da un complesso QRS o da un’onda P. L’ampiezza dello spike dipende dalla distanza fra l’elettrodo positivo e

attualmente utilizzate in cardiologia variano da 1 milione ad oltre 10 milioni di Hertz (MHz), tali da permettere

quello negativo; lo spike è molto ampio nella stimolazione unipolare (il polo negativo è all’estremità distale

l’attraversamento dei tessuti con una velocità costante di 1540 m/sec. La velocità del suono è il prodotto della

dell’elettrocatetere, quello positivo sul generatore, che viene di solito allocato in sede sottoclaveare), mentre è

frequenza per la lunghezza d’onda. Esiste dunque tra queste due componenti un rapporto inverso:

di modesto voltaggio nella stimolazione bipolare (entrambi i poli stanno all’estremità distale

all’aumentare di una diminuisce l’altra.

dell’elettrocatetere). In caso di stimolazione ventricolare, il QRS è molto largo, con aspetto da blocco di branca sinistra, nella stimolazione del ventricolo destro, che è quella più comunemente impiegata. Le Figure ECG 51 ed ECG 52 riportano esempi di elettrocardiogrammi registrati in portatori di pacemaker.

Capitolo 4 L'ECOCARDIOGRAMMA Maria Penco, Eleonora De Luca, Simona Fratini, Sergio Severino, Pio Caso, Raffaele Calabrò INTRODUZIONE

L’ecocardiografia è la metodica che permette di eseguire uno studio anatomico e funzionale del cuore mediante gli ultrasuoni. I primi tentativi di utilizzare gli ultrasuoni in medicina iniziarono appena dopo la seconda Guerra Mondiale e si concretizzarono nel 1953 con la segnalazione, da parte di Hertz ed Hedler, della possibilità di visualizzare strutture cardiache in movimento, in particolare la valvola mitrale. Da allora, i notevoli sviluppi della tecnica, hanno fatto sì che l’ecocardiografia diventasse una metodica diagnostica di grande rilievo per lo

Figura 1

studio morfologico e funzionale dell’apparato cardiovascolare. L’ecocardiografia è la metodica diagnostica che, insieme all’elettrocardiografia, è presente nella stragrande maggioranza, se non nella totalità, dei percorsi clinici di un paziente cardiopatico o a rischio di cardiopatie. Poche metodologie hanno subito un’applicazione così vasta ed una diffusione così capillare nella pratica clinica

CARATTERISTICHE FISICHE DEGLI ULTRASUONI

come la diagnostica con ultrasuoni in generale, e come l’ecocardiografia in ambito cardiologico, in particolare. Ciò è dovuto, da una parte, alla semplicità e sicurezza della metodica e dall’altra alla ricchezza ed immediatezza dei risultati ottenibili. I continui progressi tecnologici, con il miglioramento della qualità delle immagini e la

Gli ultrasuoni possono essere utilizzati nell’imaging diagnostico poiché, come la luce, sono orientabili e,

disponibilità di apparecchi portatili, amplieranno ulteriormente lo spettro di applicazione, e quindi di richiesta,

attraversando i tessuti, subiscono alcune modificazioni: attenuazione, riflessione e rifrazione

della metodica. Per una sua applicazione ottimale e per una corretta interpretazione dei dati ottenuti, servono una tecnica adeguata e solide basi culturali, considerando che uno dei principali limiti dell’Ecocardiografia è il fatto di essere

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libro cardiologia.doc •

Attenuazione: è un fenomeno di riduzione di intensità del raggio ultrasonoro e dipende dall’assorbimento, dalla riflessione e dalla dispersione da parte del tessuto esaminato. Aumenta all’aumentare della frequenza.



Riflessione: una parte del raggio ultrasonoro viene riflesso a livello dell’interfaccia tissutale. L’onda sonora che torna indietro, avvicinandosi alla sorgente, costituisce un’eco e viene utilizzata per visualizzare l’immagine ultrasonora.



Rifrazione: è la deviazione subita dall’onda quando passa da un mezzo ad un altro, cambiando velocità di propagazione.

L’impedenza acustica (Z) è il prodotto della densità del mezzo che gli ultrasuoni attraversano (P) per la velocità (C) dell’ultrasuono, e definisce le caratteristiche acustiche del mezzo stesso. I tessuti molli sono più densi ed hanno maggiore impedenza acustica, perché la velocità di propagazione resta invariata. La superficie di separazione tra due mezzi ad impedenza acustica diversa viene chiamata interfaccia acustica. Ad ogni interfaccia acustica, una parte degli ultrasuoni viene riflessa e una parte viene rifratta nel mezzo adiacente (Figura 2); l’intensità della componente riflessa dipende dalla differenza di impedenza acustica dei mezzi e dall’angolo di incidenza: essa è, cioè, tanto maggiore quanto più la direzione del fascio ultrasonoro è perpendicolare alla superficie. Se la superficie di contatto non è piana ma irregolare, una parte dell’energia non sarà riflessa ma diffratta, cioè dispersa in tutte le direzioni. Il potere di risoluzione è la capacità di distinguere fra loro due strutture distinte poste una dopo l’altra o una accanto all’altra lungo la direzione del fascio ultrasonoro. E’ direttamente proporzionale alla frequenza dell’ultrasuono. Il potere di penetrazione del raggio ultrasonoro è, invece, inversamente proporzionale alla frequenza. Perciò sonde che lavorano con ultrasuoni ad alte frequenze hanno un elevato potere di risoluzione ma una bassa capacità di penetrazione nei tessuti. La diagnostica ecocardiografica utilizza trasduttori che lavorano con frequenze di almeno 2MHz. La qualità delle immagini ottenute migliora con la modalità “harmonic imaging” (seconda armonica), caratterizzata dal fatto che la sonda invia ultrasuoni ad una certa frequenza e li riceve ad una frequenza doppia. Ciò consente una migliore qualità delle immagini.

Figura 3

Schema di un trasduttore.

SISTEMI DI RAPPRESENTAZIONE ECOCARDIOGRAFICA

La ricostruzione dell’immagine ecocardiografica si basa sul calcolo della distanza tra una data struttura anatomica ed il trasduttore. Il trasduttore emette un fascio ultrasonoro che si dirige verso il cuore e procede in linea retta fino a quando non raggiunge un’interfaccia tra strutture con diversa impedenza acustica. A questo punto parte dell’energia viene riflessa, parte viene dispersa, e la parte restante continua il proprio percorso rifratta. Il sangue non genera echi riflessi. L’energia riflessa che torna verso il trasduttore costituisce il fondamento dell’immagine ecocardiografica. Poiché la velocità di propagazione degli ultrasuoni nei tessuti molli è costante nel tempo (circa 1540 m/s), il traduttore è in grado di calcolare la distanza tra esso e la struttura esaminata valutando l’intervallo temporale tra l’invio degli ultrasuoni e la ricezione dell’eco riflesso. Sul monitor, alla distanza corrispondente, viene visualizzato il punto appena esaminato. I moderni ecocardiografi (Figura 4) consentono di eseguire tutte le tecniche ecocardiografiche, da quelle tradizionali a quelle più moderne, e sono dotati di diverse sonde, adatte alle varie metodiche (Figura 5). I sistemi di rappresentazione dell’immagine con l’ecocardiografia transtoracica attualmente in uso sono: Sistema Mono-dimensionale (M-Mode)

• • Figura 2

Sistema Bidimensionale

Riflessione e rifrazione degli ultrasuoni.

IL TRASDUTTORE Gli ultrasuoni vengono prodotti da un trasduttore. Esso è costituito da elettrodi e da un cristallo piezoelettrico la cui struttura ionica, sfruttando le capacità di alcuni materiali (come il quarzo o la ceramica), si deforma se esposta al passaggio di corrente elettrica generando onde sonore. Lo stesso cristallo piezoelettrico poi, per effetto dell’energia meccanica generata da onde sonore riflesse, subisce una deformazione che genera un segnale elettrico rilevato da elettrodi. Ciò significa che il trasduttore riceve e invia contemporaneamente segnali ultrasonori (Figura 3).

ECOCARDIOGRAFIA MONODIMENSIONALE

Il sistema monodimensionale permette di visualizzare le modificazioni dell’impulso ultrasonoro nel tempo (asse orizzontale) e la profondità della struttura che riflette gli ultrasuoni (asse verticale). Ad ogni interfaccia strutturale, gli ultrasuoni vengono riflessi e visualizzati alla distanza corretta sotto forma di punti la cui intensità

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libro cardiologia.doc varia al variare della composizione del tessuto esaminato. Poiché queste strutture sono in movimento, il trasduttore ricostruisce il movimento della struttura nel tempo. Il sistema M-Mode è dotato di un elevato potere di risoluzione temporale, e risulta molto utile per studiare il movimento delle valvole e per ottenere misure di cavità e spessori.

In corrispondenza della valvola mitrale, la struttura cardiaca più vicina al trasduttore è la parete libera del ventricolo destro; seguono poi la cavità ventricolare destra (VD), il setto interventricolare (SIV), la cavità ventricolare sinistra e la parete posteriore del ventricolo sinistro (Figura 6). In questa proiezione è possibile valutare le dimensioni del ventricolo sinistro ed anche lo spessore del setto (ECO 34) e della parete posteriore

Figura 7

Immagine ecocardiografica monodimensionale della valvola mitrale.

Orientando il fascio ultrasonoro verso la valvola mitrale si valuta l’escursione dei lembi valvolari, l’anteriore in corrispondenza del setto interventricolare, e il posteriore in corrispondenza della parete posteriore del ventricolo sinistro (Figura 7) . Il movimento del lembo anteriore mitralico presenta una morfologia a M con un massimo nel punto E (l’apertura protodiastolica della valvola). La distanza dal punto E al setto interventricolare non deve superare, nel soggetto normale, i 3 mm. La mobilità della valvola è rispecchiata dalla rapidità del movimento di chiusura nella protoFigura 6

Ecocardiogramma M-mode che mostra il ventricolo destro, il setto interventricolare, il ventricolo

sinistro e la parete posteriore del ventricolo sinistro.

mesodiastole fino al punto F (pendenza EF). In fase telediastolica i lembi si riaprono, in corrispondenza della contrazione atriale (punto A). La valvola, quindi, si chiude e i lembi coaptano (punto C). Il movimento del lembo posteriore mitralico ha una forma a W, speculare rispetto al lembo anteriore. Lo studio della valvola mitrale è stata una delle prime applicazioni diagnostiche dell’ecocardiografia. Tra le principali anomalie ecocardiografiche descritte sono l’aumento dello spessore, della densità e del numero di echi riflessi in conseguenza dell’ispessimento fibroso e/o calcifico dell’apparato valvolare; e inoltre la scomparsa del caratteristico movimento di apertura a M e W dei lembi, sostituito da un plateau più o meno rettilineo e parallelo ai due lembi (ECO 01).

Orientando il fascio ultrasonoro in senso supero-mediale si visualizza l’atrio sinistro, la valvola aortica, con la cuspide coronarica destra e la non coronarica, la radice dell’aorta ed il tratto prossimale dell’aorta ascendente (Figura 8).

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Figura 8

Immagine ecocardiografica monodimensionale che raffigura la radice aortica, la valvola aortica e

Tabella 1

l’atrio sinistro.

ECOCARDIOGRAFIA BIDIMENSIONALE

Le dimensioni dell’atrio sinistro si misurano in telesistole, quelle della radice aortica in telediastole. Il movimento sistolico di apertura delle cuspidi aortiche si visualizza come un parallelogramma i cui lati superiore e inferiore corrispondono rispettivamente al movimento della cuspide coronarica destra e di quella non coronarica. In caso di stenosi aortica, si nota un ispessimento dei lembi con aumento dell’intensità e del numero degli echi e una riduzione dell’apertura sistolica delle cuspidi (ECO 15). La Tabella I riporta i valori normali dei parametri ecocardiografici M-mode in soggetti adulti.

Il sistema bidimensionale permette di visualizzare l’immagine corrispondente ad una sezione delle cavità cardiache sfruttando la capacità dei trasduttori di ricevere e trasmettere più linee di scansione in modo indipendente. Gran parte delle sonde attualmente in uso è costituita da una serie di cristalli (da 32 a 128), ciascuno dei quali è in grado di ricevere e di trasmettere, allineati in una singola fila, sono attivati secondo una precisa sequenza temporale in modo da provocare la fusione delle onde generate dai singoli elementi e ottenere un unico fascio la cui direzione dipende dalla sequenza di attivazione dei singoli cristalli. L’immagine ottenuta viene convertita in formato digitale: ad ogni punto, in base alla sua intensità, viene assegnato un valore numerico che corrisponde a livelli di grigio per altrettanti elementi di visualizzazione (pixel) allineati lungo assi cartesiani x ed y. L’esame ecocardiografico si realizza con 4 posizioni standard del trasduttore: parasternale, apicale, subxifoidea e soprasternale. Le prime due si realizzano con il paziente in decubito laterale sinistro, le altre con il paziente supino. SEZIONE ASSE LUNGO In genere l’esame inizia dalla proiezione parasternale asse lungo: si posiziona il trasduttore a livello del terzo-quarto spazio intercostale sulla linea margino-sternale di sinistra con la scanalatura di repere rivolta verso la spalla destra del paziente in modo tale che il piano di scansione sia parallelo ad una linea di congiunzione tra la spalla destra con il fianco sinistro. L’immagine è orientata in modo tale che l’aorta sia disposta a destra e l’apice cardiaco a sinistra, ed è ottimale quando si visualizza contemporaneamente l’apertura della valvola mitrale e della valvola aortica (Figura 9,

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libro cardiologia.doc Figura 10, Figura 11, Figura 12). Questa proiezione consente uno studio accurato dell’anatomia e del movimento delle valvole del cuore sinistro, di cui è facile rilevare l’ispessimento e la calcificazione in caso di stenosi mitralica o aortica (ECO 13). Mantenendo il trasduttore nello stesso spazio ed imprimendogli una inclinazione inferomediale e una leggera rotazione in senso orario si ottiene una sezione asse lungo del ventricolo e dell’atrio destro (Figura 13, Figura 14)

Figura 9

Figura 10

Ecocardiogramma bidimensionale in proiezione asse lungo e schema anatomico corrispondente.

Figura 13

Schema raffigurante il piano che taglia il cuore nella proiezione asse lungo dell’atrio e del ventricolo

Schema raffigurante il piano che taglia il cuore nella proiezione asse lungo.

destro.

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libro cardiologia.doc del ventricolo sinistro (Figura 20, Figura 22), e quindi l’apice del ventricolo.

Figura 14

Ecocardiogramma bidimensionale in proiezione asse lungo dell’atrio e del ventricolo destro.

SEZIONE ASSE CORTO Ruotando la testa del trasduttore in senso orario per 90 gradi, in modo tale che il piano di scansione sia ortogonale a quello dell’asse lungo parasternale, si ottiene la proiezione parasternale asse corto a livello dei grossi vasi. In questa posizione la scanalatura di repere è orientata verso la fossa sopraclaveare destra e il piano di scansione è parallelo ad una linea che congiunge la spalla sinistra con il fianco destro del paziente (Figura 15, Figura 16) Da questa posizione si visualizza la valvola aortica al centro con le sue tre cuspidi, l’atrio sinistro e quello destro separati dal setto interatriale, la valvola tricuspide, il tratto di efflusso del ventricolo destro, la valvola polmonare, il tronco dell’arteria polmonare con i suoi due rami, destro e sinistro (Figura 17, Figura 18). Questa proiezione è utile per studiare la valvola aortica, in particolare per determinare se questa ha, come di norma, 3 cuspidi, oppure è bicuspide (ECO 20) o quadricuspide (ECO 21). Alzando la coda del trasduttore, è possibile visualizzare la sezione asse corto a livello della valvola mitrale. Sono ben evidenti i lembi valvolari con il classico aspetto “a bocca di pesce” in diastole e le rispettive commissure. Da questa posizione è possibile calcolare l’area planimetrica della mitrale in caso di stenosi (Figura 19, Figura 20, Figura 21, Figura 22, ECO 05). Un ulteriore movimento verso l’alto della coda della sonda, e si visualizzano i due muscoli papillari

Figura 15

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Schema raffigurante il piano che taglia il cuore nella proiezione asse corto.

libro cardiologia.doc Figura 17

Ecocardiogramma bidimensionale in proiezione asse corto e schema anatomico corrispondente.

SEZIONE APICALE Il trasduttore viene posto in corrispondenza dell’itto della punta, con la scanalatura di repere orientata verso il fianco sinistro del paziente. Il fascio ultrasonoro è diretto superiormente e medialmente verso la scapola destra del paziente. Da questa posizione si visualizzano le quattro camere cardiache (proiezione apicale quattro camere). Alla destra dello schermo si visualizzano le sezioni sinistre, e alla sinistra quelle destre. Il ventricolo destro, di forma triangolare, si riconosce per l’impianto più alto della tricuspide, per la presenza della banda moderatrice all’apice e per il muscolo papillare. Gli atri, separati dal setto interatriale, sono visualizzati in basso; i ventricoli, separati dal setto interventricolare, in alto (Figura 23, Figura 24, Figura 25). Da questa posizione riusciamo a visualizzare il SIV posteriore. Inclinando la coda del trasduttore verso il basso visualizziamo la valvola aortica, il tratto di efflusso del ventricolo sinistro e il setto interventricolare anteriore (proiezione apicale cinque camere (Figura 26).

Figura 19

Ecocardiogramma bidimensionale in asse corto a livello della valvola mitrale.

Figura 23

Figura 20

Ecocardiogramma bidimensionale in proiezione asse corto a livello dei muscoli papillari e schema

anatomico corrispondente.

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Schema raffigurante il piano che taglia il cuore nella proiezione 4 camere apicale.

libro cardiologia.doc

Figura 24

Schema anatomico della proiezione 4 camere apicale. Figura 27

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Schema raffigurante il piano che taglia il cuore nella proiezione 2 camere apicale.

libro cardiologia.doc Figura 28

Ecocardiogramma bidimensionale in proiezione 2 camere apicale e schema anatomico

corrispondente.

ECO 27, ECO 28, ECO 29. L’American Society of Echocardiography ha proposto un modello a sedici segmenti, nel quale il ventricolo sinistro è diviso in 3 regioni in senso longitudinale (basale: dall’anello mitralico all’estremità dei papillari; media: dall’estremità alla base dei papillari; apicale: distalmente all’inserzione dei muscoli papillari). Le regioni

Ruotando la testa del trasduttore di 90 gradi circa si ottiene la sezione due camere apicale da cui è possibile studiare la parete inferiore e quella anteriore del ventricolo sinistro e a volte visualizzare l’auricola sinistra (Figura 27, Figura 28, Figura 29). Con un’ulteriore minima rotazione del trasduttore si ottiene la sezione tre camere apicale in cui si visualizza la parete postero-laterale del ventricolo sinistro, il setto interventricolare anteriore, la valvola aortica (Figura30). L’ecocardiografia bidimensionale dalle sezioni apicali permette di valutare la funzione sistolica globale del ventricolo sinistro attraverso la misurazione della Frazione di Eiezione (FE) espressa dalla formula:

basali e medie sono ulteriormente suddivise in 6 segmenti: anteriore, laterale, posteriore, inferiore, setto inferiore e setto anteriore. L’apice è diviso in 4 segmenti (anteriore, laterale, inferiore e settale). Per una valutazione semiquantitativa l’analisi della cinetica segmentaria può essere integrata attribuendo un punteggio da 1 a 4: 1 = normale o ipercinesia, 2 = ipocinesia, 3 = acinesia, 4 = discinesia. Sommando i singoli punteggi e dividendo per il numero di segmenti analizzati, si ottiene un indice di cinesi globale definito “Wall Motion Score Index” (WMSI) o un punteggio indicizzato della cinetica parietale che combina la stima della gravità del danno con quella della sua estensione spaziale (Figura32, Figura33).

FE(%) = Volume telediastolico –Volume Telesistolico/Volume telediastolico x 100 Sono diverse le metodiche correntemente utilizzate per la stima della FE; il più utilizzato è il metodo di Simpson in base al quale, dopo che l’operatore ha accuratamente delineato il bordo endocardico del ventricolo sinistro , la macchina suddivide automaticamente il ventricolo stesso in un numero noto di cilindri di uguale altezza. Il volume di ogni cilindro è calcolato automaticamente e poi sommato a quello degli altri per ottenere il volume totale che corrisponde al volume totale del ventricolo. Tale stima viene effettuata in sistole ed in diastole in sezione apicale 4 e 2 camere, permettendo di ottenere il valore della FE (Figura31).

Figura 33

Rappresentazione schematica della relazione fra arterie coronarie e segmenti del ventricolo

sinistro. Figura 31

Schema del metodo di Simpson per il calcolo della frazione d’eiezione.

SEZIONE SOTTOCOSTALE O SUBXIFOIDEA Dalle sezioni apicali è possibile, inoltre, valutare la cinetica segmentaria del ventricolo sinistro e, in caso di cardiopatia ischemica, ricercare e documentare alterazioni morfofunzionali causate dall’ischemia, definire la sede e l’estensione del danno ischemico, valutare la funzione cardiaca regionale e globale. L’analisi segmentaria della cinetica ha lo scopo di quantificare l’estensione del danno ischemico e di identificare la coronaria interessata in base al territorio in cui si verifica l’anomalo movimento della parete. Esempi di alterazioni della cinetica ventricolare dovuti a un infarto miocardico vengono presentati nelle immagini ECO 26,

E’ particolarmente utile nei pazienti con elevata impedenza acustica del torace, come obesi e broncopneumopatici. Si ottiene con il paziente in decubito supino posizionando il trasduttore immediatamente al di sotto della linea sottocostale con la scanalatura di repere orientata verso il fianco sinistro del paziente e la testa del trasduttore inclinata lievemente in basso (Figura34). A volte, per ottenere un’immagine ottimale del cuore, è necessario invitare il paziente a fare un respiro profondo e a trattenere l’aria. Da questa posizione si ottiene un’immagine simile a quella apicale, con le sezioni destre al di sotto del fegato,

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libro cardiologia.doc gli atri in basso e i ventricoli in alto ma, poiché il fascio ultrasonoro è maggiormente perpendicolare al setto interventricolare ed interatriale, tale approccio è particolarmente utile per lo studio di queste strutture (Figura35). Ruotando il trasduttore in senso orario e inclinandolo verso l’alto si visualizza l’aorta e i rapporti di essa con la mitrale ed il ventricolo sinistro. Un’ulteriore rotazione in senso orario ed inclinazione verso l’alto, e si ottiene una sezione in asse corto simile a quella ottenibile in parasternale asse corto; angolando opportunamente la sonda si visualizzano il tratto di efflusso del ventricolo destro, l’arteria polmonare, la vena cava inferiore e le vene sovraepatiche. Da questo approccio può essere, inoltre, studiata l’aorta addominale.

Figura 35

Ecocardiogramma bidimensionale in proiezione 4 camere sottocostale e schema anatomico

corrispondente.

SEZIONE SOPRASTERNALE Si ottiene ponendo il trasduttore nella fossetta soprasternale con la scanalatura di repere rivolta verso la testa del paziente o verso la regione sovraclaveare destra (Figura36). Si possono studiare : l’aorta ascendente, l’arco, l’origine dei tronchi brachiocefalici, l’aorta toracica discendente (Figura37) ed il ramo destro dell’arteria polmonare visualizzato in asse corto al di sotto dell’ arco; ancora più in basso c’è l’atrio sinistro. Ruotando il trasduttore in senso orario si visualizza l’aorta in asse corto, il ramo destro della polmonare immediatamente sotto, nel suo asse lungo, e ancora più in basso l’atrio sinistro con le vene polmonari Figura 34

Schema raffigurante il piano che taglia il cuore nella proiezione 4 camere sottocostale.

(Figura38, Figura39). Con una ulteriore rotazione in senso orario può essere visualizzata la vene cava superiore a destra dell’ aorta.

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libro cardiologia.doc

Figura 36

Schema raffigurante il piano che taglia il cuore nella proiezione soprasternale. Figura 37

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Ecocardiogramma bidimensionale in proiezione soprasternale.

libro cardiologia.doc Figura 39

Proiezione soprasternale. E’ visualizzabile l’aorta in asse corto (A), il ramo destro dell’arteria

polmonare (APD) nel suo asse lungo e l’atrio sinistro. Le frecce indicano le vene polmonari.

In sintesi, l’Ecocardiografia bidimensionale consente un approccio approfondito all’anatomia e alla funzione del cuore, permettendo non solo di valutare lo spessore delle pareti cardiache e la loro cinetica, le dimensioni delle cavità, la struttura e il movimento delle valvole, ma anche di riconoscere masse intracardiache (trombi, vegetazioni, tumori), che non di rado sarebbero decorse sconosciute senza l’indagine ultrasonica (ECO 39, ECO 41, ECO 42, ECO 43, ECO 45), come pure di rilevare un versamento pericardico (ECO 46, ECO 47). Nel campo delle Cardiopatie congenite, infine, l’Ecocardiografia bidimensionale, insieme all’Ecocardiografia Doppler, ha segnato un tale progresso nella diagnostica da mettere spesso in secondo piano il Cateterismo cardiaco e l’Angiocardiografia, che avevano rappresentato per decenni il “gold standard” nello studio di queste malattie.

ECOCARDIOGRAFIA DOPPLER

Le misurazioni Doppler della velocità dei flussi ematici nel cuore e nei grossi vasi si basano sull’effetto Doppler, descritto dal fisico austriaco Christian Doppler nel 1942. Il principio Doppler afferma che quando un segnale sonoro (o luminoso) colpisce un oggetto in movimento, la frequenza del segnale si modifica in modo proporzionale alla velocità e alla direzione dell’oggetto in movimento. Quindi, quando un fascio ultrasonoro a frequenza nota viene inviato verso il cuore o i grossi vasi, è riflesso dai globuli rossi. La frequenza degli ultrasuoni riflessi aumenta all’avvicinarsi dei globuli rossi alla sorgente sonora e viceversa si riduce quando le emazie si allontanano. Il cambiamento di frequenza tra suono emesso e suono riflesso dipende dalla frequenza degli ultrasuoni emessi, dalla velocità del bersaglio e dall’angolo tra direzione del fascio e direzione del movimento delle emazie. Se il fascio ultrasonoro è parallelo alla direzione del flusso ematico si ottiene la massima velocità; se il fascio Figura 38

Schema delle strutture visualizzabili dalla proiezione soprasternale.

ultrasonoro è perpendicolare alla direzione del flusso, non si misura alcuna velocità. La visualizzazione dello spettro Doppler è ottenuta attraverso un analizzatore di velocità (Fast Fourier Trasform) con rappresentazione delle velocità dei flussi ematici sull’asse delle Y e del tempo sull’asse delle X. Tutti i flussi in avvicinamento al trasduttore vengono visualizzati in alto, quelli in allontanamento in basso (Figura40). Lo studio dei flussi può essere effettuato mediante tre sistemi: -Doppler ad onda pulsata -Doppler ad onda continua -Color Doppler

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libro cardiologia.doc

Figura 40

Figura 42

Aliasing. Il flusso appare sia sopra (in avvicinamento) che sotto allontanamento la linea di base.

DOPPLER AD ONDA PULSATA Lo stesso cristallo piezoelettrico invia e riceve impulsi (Figura41). L’invio di un nuovo impulso è possibile solo dopo l’analisi di quello precedentemente inviato. La frequenza di emissione degli ultrasuoni è definita PRF (pulse repetition frequency). La massima variazione di frequenza (e dunque la massima velocità) determinabile con il Doppler ad onda pulsata è la metà del PRF ed è chiamata limite di Nyquist. L’esaminatore ha la possibilità di definire il punto esatto dell’analisi Doppler. Tale punto viene chiamato volume campione. La PRF varia inversamente al volume campione: più il volume campione è vicino al trasduttore, più elevate saranno la PRF ed il limite di Nyquist; in altri termini sarà possibile registrare velocità più alte. Quando la velocità dell’onda riflessa è maggiore di quella inviata (quando, cioè, si supera il limite di Nyquist) si Figura 41

ottiene un fenomeno noto come aliasing: lo spettro Doppler si interrompe, e una parte di esso compare sul lato opposto della linea di base, cosicché sembra che il flusso sia contemporaneamente in avvicinamento ed in allontanamento (Figura42). L’impossibilità di analizzare alte velocità rappresenta dunque il principale limite del Doppler pulsato.

IL DOPPLER PIULSATO NELLO STUDIO DELLA FUNZIONE DIASTOLICA VENTRICOLARE SINISTRA La valutazione dei diversi quadri velocimetrici del flusso transmitralico con il Doppler pulsato ha permesso di comprendere che in diverse forme di cardiopatia si realizza, accanto alla disfunzione sistolica o anche in assenza di questa, una disfunzione diastolica ventricolare sinistra. Il pattern flussimetrico normale (Figura43) è caratterizzato da un’onda E, espressione del riempimento rapido protodiastolico, e da un’onda A che corrisponde al flusso transmitralico telediastolico legato alla sistole atriale. La velocità del flusso protodiastolico

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libro cardiologia.doc è maggiore di quella telediastolica, per cui il rapporto E/A è maggiore di 1. Negli stadi precoci di disfunzione, l’alterato rilasciamento del ventricolo sinistro causa, in condizioni di riposo, una riduzione del riempimento diastolico precoce a parità di pressioni di riempimento. Questo effetto si traduce in un iniziale riduzione della velocità dell’onda E, in un prolungamento del tempo di decelerazione dell’onda E ed in un incremento della percentuale di riempimento ventricolare dovuto alla contrazione atriale; il rapporto E/A diviene, perciò, minore di 1 (Figura44). Con il progredire della disfunzione diastolica, la pressione atriale sinistra aumenta, aumentando a sua volta il gradiente pressorio attraverso la valvola mitrale. A questa mutata situazione emodinamica si accompagna un graduale incremento della velocità dell’onda E ed una ridotta durata dell’effettivo rilasciamento ventricolare attivo: ne conseguono un accorciamento del tempo di decelerazione dell’onda E ed un aumento del rapporto E/A. Negli stadi più avanzati della disfunzione, gli ulteriori incrementi delle pressioni di riempimento, determinano più alti rapporti E/A e ad ancor più ridotti tempi di decelerazione dell’onda E (Figura45).

Figura 44

Pattern flussimetrico transmitralico da anomalo rilasciamento (Disfunzione diastolica di 1° grado).

E’ evidente un rapporto E-A inferiore a 1, ed un tempo di decelerazione dell’onda E (DT) = 240 mm/sec

Figura 43

Pattern flussimetrico transmitralico normale

Figura 45

Pattern flussimetrico transmitralico di tipo restrittivo (disfunzione diastolica di 3° grado) E’ evidente

un rapporto E/A maggiore di 2 ed un tempo di decelerazione dell’onda E mitralica (DT) inferiore a 140 mm/sec.

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libro cardiologia.doc il flusso turbolento attraverso valvole stenotiche (ECO 02, ECO 14)

Figura 46

DOPPLER A ONDA CONTINUA Il trasduttore ha due cristalli: uno invia continuamente impulsi e l’altro li riceve sempre (Figura46). Non esiste quindi il limite di Nyquist, e può essere misurata qualsiasi velocità. L’analisi viene effettuata sull’intera linea del fascio ultrasonoro esplorante e non in un punto preciso come nel caso del Doppler pulsato

Figura 47

COLOR DOPPLER Si basa sui principi del Doppler ad onda pulsata e misura le velocità in diversi punti per molteplici linee di scansione su tutto il settore dell’immagine, al fine di creare una rappresentazione dinamica e spazialmente corretta del sangue in movimento nel cuore e nei vasi. Usando speciali filtri, viene analizzata solo la velocità del flusso ematico, che poi viene trasformata, mediante il confronto con linee adiacenti, (autocorrelazione) in segnali colorati (Figura47). I flussi in avvicinamento al trasduttore vengono codificati in rosso, quelli in allontanamento in blu (Figura48, Figura49) e l’aliasing ha in genere un aspetto a mosaico di colore, caratterizzato dalla commistione di pixel con colore e tonalità diverse in rapporto alla velocità e alla turbolenza del flusso (ECO 02, ECO 08). L’Ecocardiogramma Color Doppler è estremamente utile nell’identificare i rigurgiti valvolari (ECO 06, ECO 08, ECO 18, ECO 24, ECO 35) o gli shunt intracardiaci (ECO 30, ECO 50), così come per evidenziare

Figura 48

Sezione asse lungo schematica con flusso in avvicinamento al trasduttore (rosso) e in

allontanamento (blu).

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libro cardiologia.doc dovuto alla perdita di energia causata da tre fenomeni: accelerazione del flusso che attraversa l’orifizio (accelerazione convettiva), intervento delle forze inerziali (accelerazione di flusso), e resistenza al flusso all’interfaccia tra sangue ed orifizio (attrito viscoso). Pertanto il gradiente pressorio a livello di qualunque orifizio può essere calcolato come somma di queste tre variabili (Figura50). Nella maggior parte dei casi è possibile trascurare l’accelerazione di flusso e l’attrito viscoso, per cui il gradiente pressorio può essere calcolato conoscendo la velocità del sangue prossimalmente all’orifizio attraverso la formula: gradiente = 4 x (velocità prossimale )2- (velocità di picco)2.

Se la velocità del sangue prossimalmente alla stenosi è ridotta (75% dello spessore ventricolare) (Figura 5) da quelli subendocardici (late enhancement 2,5 msec/RR. Si ritiene che l’accelerazione iniziale sia dovuta ad un aumento dell’attività simpatica diretta al cuore mediata da una deattivazione barorecettiva legata alla diminuzione di pressione arteriosa post-extrasistolica, mentre la successiva decelerazione riflette un meccanismo di tipo barocettivo: incremento della pressione sistolica ed allungamento della durata degli intervalli RR. Questa metodica è stata utilizzata con successo nel post infarto e in pazienti con differenti tipi di cardiomiopatia, ma necessita che la registrazione sui cui viene effettuata l’analisi presenti un numero adeguato (non inferiore a 20) di battiti prematuri ventricolari.

Figura 2

Calcolo della sensibilità barocettiva durante test alla fenilefrina. Nella parte superiore vengono

Figura 3

Analisi della turbolenza cardiaca (HRT). Nella parte superiore è rappresentata la serie temporale

illustrate le modificazioni battito-battito della pressione arteriosa sistolica e dell’intervallo RR durante

degli intervalli RR che precedono e seguono la pausa compensatoria indotta da un battito prematuro

l’incremento pressorio indotto dal farmaco vasoattivo. Nella parte inferiore è rappresentata la correlazione

ventricolare. Nella parte inferiore viene indicato dove e come si calcolano i due parametri che descrivono tale

pressione/RR che permette di calcolare l’intercetta come misura della sensibilità barocettiva.

metodica: TO e TS.

L’ANALISI DELLA TURBOLENZA CARDIACA (HRT).

CONCLUSIONI

L’HRT è una metodica che si basa sull’analisi delle modificazioni di durata del ciclo cardiaco che seguono la

Lo studio del Sistema Neurovegetativo non è limitato al laboratorio di fisiopatologia, ma ha importanti risvolti

pausa compensatoria indotta da un battito prematuro ventricolare (Figura 3). In un soggetto sano questo

applicativi anche in Clinica. Alterazioni del sistema neurovegetativo con aumento della modulazione simpatica e

fenomeno è caratterizzato da un iniziale accorciamento di durata dell’intervallo RR e quindi da un graduale

riduzione dell’attività vagale caratterizzano condizioni patologiche come la cardiopatia ischemica, l’insufficienza

allungamento che in 5-7 cicli cardiaci riporta la durata dell'intervallo RR ai valori precedenti il battito prematuro

cardiaca, l’ipertensione arteriosa. Tali alterazioni non solo riflettono la severità della patologia sottostante ma

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libro cardiologia.doc sono fattori spesso determinanti per la progressione della malattia e in grado di provocare un’instabilità

del paziente dopo la procedura.

elettrica del miocardio. L’analisi della variabilità della frequenza cardiaca, della sensibilità barocettiva e della

La Figura 1 illustra la tecnica di puntura vasale percutanea. L’arteria e/o la vena periferica vengono punte con

HRT ha permesso di identificare nel post-infarto pazienti ad alto rischio e può quindi guidare le nostre strategie

un ago, previa anestesia locale della cute e sottocute: l’ago ha un calibro tale da consentire l’inserimento

terapeutiche per ridurre la mortalità aritmica.

all’interno dello stesso di una guida metallica flessibile che può essere avanzata nel vaso (Figura 1A, Figura 1B). A questo punto l’ago viene rimosso, e con la punta di un bisturi viene effettuata una piccola incisione di

Capitolo 11 CATETERISMO CARDIACO E ANGIOCARDIOGRAFIA Germano Di Sciascio, A. Dambrosio

cute e sottocute al fine di consentire il passaggio dell’introduttore (Figura 1C). La guida lasciata in situ permette l’inserimento nel vaso periferico di una cannula (detta introduttore), inizialmente dotata di svasatore (Figura 1D, Figura 1E): quest’ultimo viene rimosso assieme alla guida quando l’introduttore è posizionato completamente all’interno del vaso (Figura 1F). Il calibro dell’introduttore è variabile, a seconda della

DEFINIZIONE

procedura che viene eseguita; in genere, è dell’ordine di alcuni millimetri (da 4 a 8 French, considerato che 1 French = 0.3 mm, il calibro varia da 1.2 a 2.5 mm). Terminata la procedura di cateterismo, l’introduttore viene

Il cateterismo cardiaco e l’angiocardiografia forniscono una valutazione dettagliata dell’anatomia e della

rimosso e si ottiene l’emostasi locale mediante compressione manuale o mediante dispositivi meccanici per 15-

fisiologia del cuore e del sistema vascolare. La metodica è stata applicata per la prima volta nell’uomo da

20’: la compressione sarà applicata a monte del sito di inserzione nel caso di puntura arteriosa, a valle nel caso

Werner Forssmann nel 1929, ma è stata ampliata ai fini diagnostici da André Cournard e Dickinson Richards:

di puntura venosa.

questi tre ricercatori nel 1956 hanno ricevuto per la loro scoperta il premio Nobel per la medicina. La coronarografia selettiva è stata introdotta da Mason Sones nel 1963 ed ulteriormente modificata da Melvin Judkins.

Il cateterismo cardiaco consiste nell'inserimento, attraverso un vaso periferico, di un catetere sottile e flessibile che viene poi sospinto fin dentro le cavità cardiache. Si distingue un cateterismo cardiaco destro (o venoso) e sinistro (o arterioso). Il primo viene effettuato introducendo il catetere in una vena periferica (femorale, brachiale, succlavia o giugulare) ed avanzandolo nelle sezioni destre del cuore e nel circolo polmonare. Il cateterismo cardiaco sinistro viene realizzato raggiungendo le cavità sinistre del cuore per via retrograda, dall’arteria femorale, brachiale o radiale. Durante le varie manovre è possibile misurare le pressioni e le tensioni d’ossigeno presenti nei vari distretti, collegando il catetere ad un trasduttore di pressione. Inoltre, mezzo di contrasto iodato può essere iniettato attraverso i cateteri per visualizzare radiograficamente le cavità cardiache ed i vasi (angiocardiografia); infine, può essere studiato il tempo di circolo del sangue, ricavando altri dati utili sulla funzionalità cardiocircolatoria. Attraverso il catetere è possibile anche effettuare biopsie del muscolo cardiaco (biopsia endomiocardica). L’angiocardiografìa delle coronarie o coronarografia consiste nella visualizzazione selettiva dell’albero

Figura 1

Tecnica di Seldinger per la puntura vasale percutanea.

coronarico in corso di cateterismo cardiaco.

Nella procedura di cateterismo cardiaco sinistro, un catetere pre-formato - ovvero, che presenta curvatura TECNICA

predefinita all’estremità distale, al fine di essere agevolmente introdotto nelle cavità cardiache – viene avanzato per via retrograda sotto controllo dei raggi X (fluoroscopia) nell’arteria periferica fino all’aorta ascendente e poi in ventricolo sinistro, attraverso la valvola aortica, ed eventualmente in atrio sinistro, attraversando per via

Il cateterismo cardiaco viene eseguito in una sala sterile attrezzata con un sistema radiografico ad alta

retrograda la valvola mitrale. A tutti i livelli (distretto vascolare e camere cardiache) è possibile misurare

risoluzione, apparecchi poligrafici per il monitoraggio continuo e la registrazione dei parametri fisiologici (traccia

attraverso il catetere i parametri emodinamici, così come effettuare prelievi per determinare le saturazioni

ECG, onda pressoria e pulsossimetria transcutanea), un carrello con farmaci per le emergenze ed un

d’ossigeno. Le forme d’onda pressoria (tensiogrammi) possono essere visualizzate su monitor e stampate su

defibrillatore per il trattamento delle aritmie ventricolari. Inoltre, la sala deve essere dotata di un iniettore per il

carta o memorizzate su di un supporto informatico.

mezzo di contrasto, un sistema per l’acquisizione di film cineangiografico con la possibilità di elaborazione

Nei casi in cui non sia possibile eseguire un cateterismo retrogrado delle camere sinistre del cuore (ad esempio:

digitale delle immagini ed archiviazione successiva.

stenosi aortica serrata, protesi valvolare aortica), si può procedere per via trans-settale dalle sezioni destre. Un

Il paziente deve essere a digiuno e leggermente sedato, ma sveglio. La procedura viene effettuata con

catetere speciale (di Brockenbrough e Braunwald), introdotto per via percutanea dalla vena femorale destra,

metodica percutanea, nella maggior parte dei casi attraverso l’arteria e la vena femorale; l’approccio brachiale

viene passato dall’atrio destro al sinistro dopo aver punto il setto con un ago ricurvo nelle regione della fossa

o radiale viene utilizzato in presenza di vasculopatia periferica che precluda l’accesso dagli arti inferiori o

ovale. Dall’atrio sinistro il catetere viene poi avanzato nel ventricolo sinistro attraverso la valvola mitrale.

l’avanzamento dei cateteri in aorta addominale oppure quando si vuole consentire una deambulazione precoce

Per la procedura di cateterismo cardiaco destro viene generalmente utilizzato il catetere a palloncino flottante di

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libro cardiologia.doc Swan Ganz (Figura 2). Il catetere, sotto controllo fluoroscopico e dopo aver gonfiato il palloncino all’estremità

La coronarografia viene eseguita portando a livello del piano valvolare aortico cateteri con curve preformate

distale, viene avanzato (Figura 3) attraverso la vena periferica nella vena cava (inferiore o superiore, a

all’estremità distale che permettono l’incannulazione selettiva dell’ostio coronario destro e sinistro.

seconda dell’approccio iniziale) e quindi in successione nell’atrio destro, nel ventricolo destro e in uno dei due

Successivamente vengono iniettati pochi millilitri di mezzo di contrasto all’interno della coronaria e viene

rami principali dell’arteria polmonare, fino ad “occludere” transitoriamente un ramo periferico di quest’ultima. In

registrato il riempimento e successivo svuotamento della coronaria. In genere, vengono utilizzate diverse

questa posizione è possibile registrare la pressione di “incuneamento capillare polmonare”, la quale riflette

proiezioni radiografiche (oblique anteriori destre e sinistre, craniali e caudali), ruotando il tubo radiogeno

quasi sempre in maniera accurata la pressione striale sinistra.

attorno al paziente, al fine di visualizzare le coronarie epicardiche principali e le loro ramificazioni lungo tutto il loro decorso.

INDICAZIONI

Il cateterismo cardiaco viene effettuato per determinare la natura e l’estensione di un sospetto problema cardiaco in un paziente nel quale si intenda effettuare un intervento chirurgico o una terapia interventistica percutanea. Tale metodica serve anche per escludere patologie significative in presenza di risposte equivoche ad altri esami non invasivi, quali test da sforzo o ecocardiogramma, oppure quando, in un paziente fortemente sintomatico, l’acquisizione di una diagnosi definitiva sia rilevante ai fini del trattamento. Il cateterismo cardiaco permette di: • misurare direttamente le pressioni intravascolari (circolo arterioso sistemico e polmonare) ed intracavitarie a livello della sezione destra e sinistra del cuore; • visualizzare con mezzo di contrasto radiopaco sia i grossi vasi che le cavità cardiache, in particolare il ventricolo sinistro, al fine di valutare la funzione contrattile globale, e la cinetica regionale del ventricolo e la continenza valvolare aortica e mitralica. La misurazione diretta dei gradienti transvalvolari è fondamentale nella valutazione dei pazienti con valvulopatia: le Figura 5 e Figura 6 illustrano i tracciati pressori registrati in caso di stenosi aortica e stenosi mitralica.

Figura 3

Tecnica del cateterismo cardiaco destro da approccio venoso femorale. La riga in alto illustra (da

sinistra a destra) l’avanzamento del catetere in vena cava superiore. La riga in basso evidenzia l’attraversamento della valvola tricuspide e polmonare in successione. VCS: Vena cava superiore. VCI: Vena cava inferiore. AP: arteria polmonare. APD: ramo destro dell’arteria polmonare. AD: Atrio destro. VD: Ventricolo destro.

Il catetere di Swan Ganz consente il cateterismo destro a letto dell’ammalato anche senza necessità di radioscopia: l’uso di tale indagine si è esteso alle Unità di Terapia Intensiva Coronarica, per il monitoraggio emodinamico di pazienti in condizioni critiche. Il termistore posto alla estremità del catetere consente di misurare la gittata cardiaca mediante metodica diluizionale, fornendo quindi un quadro sufficientemente completo della funzione cardiocircolatoria del paziente. La ventricolografia sinistra viene eseguita di routine in corso di cateterismo cardiaco sinistro. Essa prevede l’introduzione in ventricolo per via retrograda di un catetere particolare, denominato “pig-tail”, in quanto presenta all’estremità distale un ricciolo che ricorda il codino del suino, ed è dotato di diversi fori a questo livello. La specifica conformazione del catetere permette l’agevole introduzione nella camera cardiaca - senza risultare traumatico per le pareti cardiache e quindi evitando di stimolare l’insorgenza di aritmie ventricolari – e

Figura 5

Registrazione della curva pressoria aortica (traccia azzurra - Ao) e ventricolare sinistra (traccia rossa

l’adeguata opacizzazione della stessa mediante iniezione di circa 40-50 ml di mezzo di contrasto radiopaco ad

- VS) con dimostrazione del gradiente sistolico transvalvolare aortico in un paziente con stenosi aortica. Sono

alta velocità ed in pochi secondi (Figura 4). In tal modo è possibile osservare le dimensioni del ventricolo

indicati il gradiente istantaneo di picco (massima differenza di pressione tra ventricolo sinistro ed aorta quando

sinistro, la contrazione ed il rilasciamento delle pareti e l’eventuale presenza di insufficienza della valvola

le pressioni sono registrate nello stesso momento), il gradiente picco-picco (differenza tra la massima pressione

mitrale, evidenziabile come rigurgito sistolico di mezzo di contrasto in atrio sinistro attraverso la valvola.

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libro cardiologia.doc in ventricolo e la massima pressione in aorta) ed il gradiente medio (area verde: integrale della differenza

Esiste una sola controindicazione assoluta all’esecuzione di un cateterismo cardiaco: la presenza di

pressoria tra ventricolo sinistro ed aorta durante la sistole.

apparecchiature e personale non adeguati alla procedura. Le seguenti rappresentano controindicazioni relative: sanguinamento acuto gastrointestinale con anemizzazione, diatesi emorragica incontrollata, anticoagulazione efficace (INR>2), alterazioni dell’equilibrio idroelettrolitico (in particolare l’ipopotassimeia, che predispone alle aritmie), infezioni e febbre, intossicazione da farmaci (ad esempio: digitale, fenotiazina), gravidanza, recente evento cerebrovascolare (< 1 mese), insufficienza renale, scompenso cardiaco instabile, ipertensione arteriosa non controllata, aritmie, paziente non collaborante. Uno studio prospettico di 5 anni condotto nel 1968 riportava un’incidenza cumulativa di complicanze (incluse: perforazione cardiaca, aritmie maggiori, emorragie, ipotensione severa, trombosi vascolare, ictus embolico, infarto miocardico e morte) nei pazienti di tutte le età pari al 3.6%. Successivamente, il miglioramento progressivo delle tecniche, l’esperienza sempre maggiore degli operatori e l’uso di cateteri più flessibili e di mezzi di contrasto meno nefrotossici, ha determinato una riduzione notevole dell’incidenza di complicanze, permettendo un’applicazione sempre più estesa di questa tecnica diagnostica al fine di ottenere una precisa diagnosi anatomo-funzionale cardiovascolare in vista di un’indicazione terapeutica. Le complicanze legate al cateterismo cardiaco si possono distinguere in maggiori e minori. Le prime hanno un’incidenza globale approssimativamente del 0.1-0.2% e sono elencate di seguito, con incidenza media indicata tra parentesi: morte (0.11%), infarto miocardico acuto (0.05%), evento ischemico cerebrale (0.07%), tachicardia o fibrillazione ventricolare o aritmie maligne (0.38%), complicanze vascolari (0.43%), reazioni al mezzo di contrasto (0.37%), complicanze emodinamiche (0.26%), perforazione delle camere cardiache (0.03%). Le complicanze minori si osservano in circa il 4% dei pazienti sottoposti a cateterismo cardiaco; le più comuni sono le lievi reazioni vaso-vagali (ipotensione arteriosa e bradicardia transitorie, secondarie alla puntura vasale ed all’uso di mezzo di contrasto) e gli episodi di angina che durano meno di 10 minuti.

Capitolo 12 DIAGNOSTICA VASCOLARE Alberto Balbarini, R. Di Stefano INTRODUZIONE

La diagnostica vascolare può essere classificata in modi diversi, sulla base di molteplici criteri, fra cui i seguenti: Figura 6

Registrazione della curva pressoria atriale sinistra (traccia azzurra –AS, in genere ottenuta

attraverso la pressione capillare polmonare) e ventricolare sinistra (traccia rossa - VS) con dimostrazione del gradiente diastolico transvalvolare mitralico in un paziente con stenosi mitralica. La pressione in atrio sinistro è superiore a quella in ventricolo sinistro in diastole, determinando un gradiente pressorio (area verde).

Diagnostica invasiva o non invasiva.

• •

Diagnostica di primo livello per lo screening e diagnostica di secondo livello più sofisticata o complessa, per approfondimento o ricerca. Diagnostica per lo studio del flusso a riposo o per lo studio emodinamico.



A monte di ogni scelta sul tipo di esame, devono essere note le informazioni che si possono ottenere, oltre che il rapporto costo/beneficio, in modo da richiedere indagini di secondo livello solo quando ne esista la reale indicazione. L’approccio diagnostico vascolare verrà presentato separatamente per i seguenti distretti : - Distretto Carotideo - Distretto Periferico - Microcircol0

Anche dopo l’introduzione della TC coronarica, la coronarografia continua ad essere l’unica metodica in grado di definire in maniera accurata la gravità e l’estensione della coronaropatia: è pertanto esame essenziale nella valutazione dei pazienti per i quali venga presa in considerazione la rivascolarizzazione, sia essa percutanea (angioplastica coronarica) o chirurgica (mediante intervento di by-pass aorto-coronarico). Le Figura 7 e Figura 8 mostrano rispettivamente un quadro coronarografico privo di lesioni ed uno con stenosi significativa.

DIAGNOSTICA VASCOLARE DEL DISTRETTO CAROTIDEO CONTROINDICAZIONI, RISCHI E COMPLICANZE Le principali metodiche utilizzate nella diagnostica della malattia carotidea sono: Il cateterismo cardiaco è una procedura relativamente sicura, ma trattandosi di una tecnica invasiva, si associa ad un rischio di morbilità e mortalità ben definito.



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L’ ecografia color Doppler

libro cardiologia.doc •

l’ angioTC



l’ angioRNM

La diagnostica invasiva viene attuata solo su casi selezionati, mediante arteriografia. Per il distretto carotideo la metodica diagnostica ottimale dovrebbe fornire dati affidabili sulla sede della placca, sulla composizione istologica (emorragia, fibrosi, contenuto lipidico) e la morfologia (superficie liscia o ulcerata). Nella realtà clinica nessuna metodica è in grado di fornire allo stesso tempo e con la stessa precisione tutte queste informazioni. ECOCOLORDOPPLER E’ la metodica di riferimento che consente, eventualmente in associazione a studio angio TC o angio RNM e a Doppler transcranico, di pianificare interventi chirurgici di correzione di stenosi emodinamiche senza la necessità di ricorrere ad una arteriografia preoperatoria. La metodica eco Doppler si basa sull’utilizzo di un trasduttore posizionato con angolo di 90° a livello cutaneo che agisce sia da trasmittente di emissioni di ultrasuoni che da ricevente degli echi trasmessi originati dalle varie interfacce che vengono elaborati e convertiti in punti luminosi in grado di ricostruire l’immagine anatomica del vaso o le caratteristiche della placca da analizzare. Il colore permette di determinare l’orientamento spaziale del flusso e la relazione spaziale tra quest’ultimo e le strutture anatomiche è visualizzata in tempo reale . Tutti i sistemi color Doppler codificano la direzione del flusso in due colori, rosso e blu: la direzione del flusso in avvicinamento al trasduttore è codificata in rosso, quella in allontanamento in blu. La metodica color, utilissima nella localizzazione spaziale dei flussi e nella determinazione diretta di alcune patologie, non fornisce, però, una stima accurata della velocità. Per la determinazione della velocità è preferibile ricorrere alla modalità B-mode (che codifica le strutture secondo una scala di grigi), utilizzando il Doppler pulsato dove, mediante un cursore, viene selezionato un campione di circa 1-2mm³ all’interno del vaso ed eseguita un’analisi spettrale per la determinazione del flusso. La caratterizzazione ecografica della stenosi carotidea prevede l’analisi combinata del segnale Doppler (velocità di picco sistolica e diastolica in corrispondenza della stenosi) e dell’ imaging bidimensionale: dallo studio del segnale Doppler possiamo avere informazioni sull’entità della stenosi e le sue ripercussioni emodinamiche; l’imaging bidimensionale consente di valutare, in maniera analoga all’angiografia, la percentuale di stenosi lineare o planimetrica determinata dalla placca (Figura 1). Se l’ indagine ecografica è la metodica di prima scelta per discriminare l’ entità della stenosi (percentuale), la localizzazione (carotide comune, interna o esterna) e l’estensione, altri parametri importanti che rendono la placca instabile, ovvero ad elevato rischio di eventi clinici, sono di più difficile acquisizione. I principali parametri che sono risultati correlati all’ instabilità della placca sono : - irregolarità di superficie o ulcerazione - abbondante componente lipidica - emorragia. Questi dati sono oggi acquisibili con tecniche diagnostiche ecografiche più sofisticate, di secondo livello, basate sull’ analisi densitometrica della placca ottenuta con l’ acquisizione della scala dei grigi ( back-scattering ) .

Figura 1

Placca carotidea dell’origine dell’arteria carotide interna destra: rilievo angiografico ed ECD

ANGIO TC La metodica angio TC, in particolare la TC spirale che consente di ottenere immagini tridimensionali ad alta risoluzione, ha una sua particolare sensibilità e specificità nell’ identificare le percentuale di stenosi superiori al 70% per il distretto carotideo extracranico e soprattutto per la diagnosi delle occlusioni. Un’altra peculiarità della angio TC è la capacità di identificare eventuali ulcerazioni della placca con una sensibilità e specificità che supera il 90%. ANGIO RNM La risonanza, analogamente alla TC , trova indicazione nella diagnostica della stenosi carotidee nei casi in cui l’ ecografia risulti dubbia. Rispetto all’ angio TC, offre il vantaggio di non richiedere l’uso di mezzo di contrasto iodato e di avere una sensibilit à nell’ identificare le stenosi superiori al 70 %.

DIAGNOSTICA VASCOLARE DEL DISTRETTO PERIFERICO

La diagnostica vascolare non invasiva nel paziente con sospetta arteriopatia periferica si basa sull’utilizzo degli ultrasuoni, che coprono da soli gran parte della diagnostica vascolare anche in questo distretto. L’ arteriografia mantiene un ruolo fondamentale nei pazienti per i quali, sulla base dei dati eco -Doppler, si ritenga indicato un intervento di rivascolarizzazione chirurgica.

ECOGRAFIA COLOR DOPPLER La diagnostica ecografica è finalizzata a individuare : -dilatazioni aneurismatiche -compressioniestrinseche -alterazioni di parete (stenosi ,occlusioni) comprese le valutazioni sulle caratteristiche della placca, come già detto per il distretto carotideo e con gli stessi limiti già descritti -trombi endoluminali

Anche per il distretto periferico l’ esame ecodoppler ha dei limiti tra cui la difficoltà, determinata da rapporti anatomici, ad esplorare alcuni tratti dell’asse arterioso, come ad esempio il distretto di gamba specialmente nei pazienti diabetici o con stenosi multiple, o la difficoltà legata alla presenza di “coni d’ ombra” che accompagnano placche calcifiche fortemente ecogene rendendo l’ area non esplorabile. Tuttavia per la maggior parte delle placche o stenosi l’ indagine ecocolordoppler costituisce la metodica di prima scelta, fornendo dati analoghi a quelli dell’ arteriografia (Figura 2).

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libro cardiologia.doc Figura 2

Placca carotidea dell’origine dell’arteria carotide interna destra: rilievo angiografico ed ECD

parete arteriosa e una venosa ben distinguibili; le anse capillari sono di colorito roseo, parallele e separate da spazi regolari. In condizioni patologiche si possono avere variazioni di numero, caratteristiche e distribuzione (Figura 4).

ABI (Ankle/brachial index ) o indice di Winsor

In condizioni fisiologiche la pressione sistolica agli arti inferiori è maggiore di quella rilevabile agli arti superiori, con valori che oscillano fra 12±8 mm Hg e 24±9 mm Hg. In presenza di una stenosi che restringa il vaso per almeno il 50% , si ha distalmente un calo pressorio determinato dalla riduzione compensatoria delle resistenze periferiche. Per primo Winsor propose di registrare in contemporanea i valori pressori della caviglia e del braccio, ottenendo un rapporto che in condizioni di normalità è uguale o maggiore di 1 (Figura 3). L’ ABI costituisce il più rapido esame diagnostico per lo screening e il follow up di pazienti con arteriopatia obliterante degli arti inferiori. Il limite fondamentale è dato dalla impossibilità di valutare arterie incomprimibili per sclerosi calcifica della media, quale si ha ad esempio nei pazienti diabetici o con insufficienza renale grave, e le lesioni emodinamicamente non significative a riposo che sono diagnosticabili solo con opportuni tests da sforzo.

Figura 4

Treadmill Test

Capillaroscopia: immagine delle anse capillari allo stadio II di Leriche-Fontaine

Il test viene eseguito per valutare la presenza di stenosi che non sono rilevabili a riposo. L’ esercizio determina, infatti, una dilatazione dei vasi di resistenza ed un aumento di flusso a livello muscolare: in condizioni normali, per la presenza di basse resistenze a livello delle grandi arterie non si verificano fenomeni di furto dalle zone più

Tensione transcutanea di Ossigeno (TCpO2) e di Anidride Carbonica (TCpCO2)

distali dell’ arto, mentre in presenza di un’occlusione o di una stenosi emodinamicamente significativa il flusso muscolare dopo esercizio è ostacolato dalle alte resistenze presenti nel circolo collaterale e dalla dilatazione

Lo studio del plesso cutaneo più profondo sub papillare, destinato alla funzione termoregolatoria,

arteriolare distale alla lesione.

viene eseguito con paziente a riposo, in posizione supina, in ambiente a climatizzazione controllata, sia in

L’ esame prevede la determinazione dell’ABI in condizioni di riposo e immediatamente dopo un periodo di

condizioni basali che dopo stress provocativi.

deambulazione a velocità ed inclinazione costante su un treadmill sino alla comparsa di claudicatio o per un

Nata dall’osservazione che nei neonati è possibile misurare le variazioni dell’ossigenazione in maniera incruenta

tempo definito; la misurazione dell’ ABI viene eseguita fino al recupero dei valori basali. Al termine dello sforzo

tramite sensori applicati sulla cute, la metodica è stata applicata in angiologia grazie alla messa a punto di un

la pressione arteriosa nell’ arto superiore aumenta, nell’ arto inferiore in cui è presente una arteriopatia scende

elettrodo polarografico (elettrodo di Clark) che permette di eseguire misurazioni continue dell’ ossigeno.

per poi tornare ai valori basali. Il test da sforzo ha la sua indicazione quando esiste un sospetto clinico non

Nelle arteriopatie, la TCpO2 valuta in modo non invasivo le conseguenze tissutali delle alterazioni

confermato dai valori di ABI a riposo o per valutare il peso funzionale di una lesione.

macrocircolatorie. In clinica la misurazione ossimetrica viene eseguita con sensore riscaldato a 44C° posizionato sul I spazio intermetatarsale del piede sintomatico. Nel paziente con ischemia critica cronica i valori ossimetrici

DIAGNOSTICA DEL MICROCIRCOLO

, rilevati al piede sintomatico , non superano rispettivamente i 10 e 45 mmHg in posizione supina e declive. Negli ultimi anni si è resa possibile anche la misurazione della concentrazione transcutanea di anidride carbonica , mediante un sensore combinato per O2 e CO2 e questo parametro costituisce un più sensibile

La valutazione della microcircolazione cutanea si basa su metodiche che consentono una valutazione diretta, di

indicatore di acidosi metabolica indotta dal danno ischemico .

tipo morfologico, della rete capillare (capillaroscopia), oppure una valutazione indiretta, di natura metabolica (tensiometria transcutanea di O2 e CO2 ) o funzionale (flussimetria laser-doppler).

Flussimetria Laser Doppler

Queste metodiche rivestono un ruolo nella diagnostica dei pazienti affetti dai gradi più severi di arteriopatia, in particolare quelli con ischemia critica cronica che presentano dolore a riposo, necrosi cutanee e gangrena

La flussimetria laser Doppler è una metodica per lo studio funzionale del microcircolo basata sull’utilizzo dell’ effetto doppler. E’ una tecnica in atto più idonea ai fini di ricerca che clinici.

Capillaroscopia

La capillaroscopia consente uno studio selettivo del circolo nutrizionale che costituisce circa il 10 % del flusso

Capitolo 13 MALATTIA REUMATICA

cutaneo , responsabile delle lesioni trofiche.

Luigi Meloni, Massimo Ruscazio

La capillaroscopia si basa sull’ utilizzo di uno stereomicroscopio collegato ad un sistema di rilevazione dell’ immagine. I distretti normalmente esplorati sono la piega ungueale, la cute e la congiuntiva bulbare.

DEFINIZIONE

In condizioni normali, il capillare studiato a livello della plica ungueale assume un aspetto a “forcina”, con una

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libro cardiologia.doc La malattia reumatica è un processo morboso infiammatorio multifocale, a patogenesi autoimmune, che si

compaiono i noduli di Aschoff, lesioni granulomatose patognomoniche della malattia, riscontrabili anche nelle

manifesta in seguito ad un’infezione faringea da streptococco emolitico del gruppo A. La malattia interessa

valvole cardiache e nel pericardio. La flogosi reumatica dei foglietti pericardici (pericardite) è di tipo

principalmente le articolazioni, il cuore, il sistema nervoso centrale, la cute e il sottocutaneo. Il 50 % circa dei

sierofibrinoso e si risolve, solitamente, senza complicazioni. La componente più significativa del danno cardiaco

pazienti colpiti dalla malattia reumatica sviluppa negli anni un danno cardiaco permanente, responsabile delle

è l’infiammazione delle valvole cardiache (valvulite), responsabile della manifestazione clinica più importante

varie forme di valvulopatia reumatica cronica.

dell’attacco acuto di malattia reumatica, l’insufficienza valvolare. La valvulite reumatica colpisce prevalentemente la valvola mitrale e la valvola aortica, raramente la valvola tricuspide e quasi mai la valvola

EPIDEMIOLOGIA

polmonare. Il tessuto valvolare è interessato da edema ed infiltrazione cellulare. Si possono osservare piccole formazioni verrucose sulla superficie valvolare, in prossimità delle aree di coaptazione dei lembi valvolari. Il processo cicatriziale della valvulite porta lentamente, negli anni, a fibrosi dei lembi e a fusione delle commissure

L’incidenza della malattia reumatica è diminuita drasticamente nei paesi industrializzati grazie soprattutto alle migliorate condizioni socio-economiche e alla disponibilità della penicillina per il trattamento della faringite streptococcica. La malattia è ancora presente in forma endemica nei paesi in via di sviluppo e tra le popolazioni in cui sussistono condizioni ambientali e socio-sanitarie sono precarie (povertà, malnutrizione, eccessivo affollamento, insufficiente prevenzione ed assistenza sanitaria).

e delle corde tendinee, a cui corrispondono sul piano funzionale stenosi o insufficienza valvolare (valvulopatia reumatica). Pertanto, il coinvolgimento del cuore durante la fase attiva della malattia reumatica (cardite reumatica), deve essere distinto dal danno valvolare residuo che fa seguito alla risoluzione dell’episodio acuto (valvulopatia reumatica).

Sebbene possa interessare tutte le fasce di età, la malattia reumatica colpisce principalmente i bambini e gli adolescenti. La prevalenza della valvulopatia reumatica, al contrario, aumenta con l’età e raggiunge un picco tra MANIFESTAZIONI CLINICHE

i 25 e i 34 anni

PATOGENESI

Dal quadro clinico della malattia emergono 5 elementi fondamentali per la diagnosi: la cardite, la poliartrite, la corea, l’eritema marginato e i noduli sottocutanei. Questi elementi possono presentarsi singolarmente o in combinazione tra loro e costituiscono nel loro insieme i cosiddetti criteri maggiori di Jones. Altri reperti,

La faringo-tonsillite da streptococco emolitico del gruppo A, non adeguatamente trattata con antibiotici, è

come la febbre, le artralgie, la positività dei test ematochimici di flogosi acuta, l’allungamento dell’intervallo P-R

l’evento che precipita la malattia reumatica.

all’ECG, sono considerati invece manifestazioni minori della malattia (Tabella I).

Sebbene l’esatto meccanismo che associa l’infezione streptococcica alla flogosi reumatica sia ancora incerto, la

Secondo lo schema proposto da Jones, la presenza di 2 manifestazioni maggiori oppure di una manifestazione

malattia reumatica è comunemente considerata il risultato di una esagerata risposta immunitaria alle

maggiore e 2 minori in un paziente con evidenza di infezione streptococcica recente (positività del tampone

componenti antigeniche dello streptococco. Le similitudini molecolari e immunologiche tra gli antigeni batterici e

faringeo, titolo antistreptolisinico elevato) indica un’alta probabilità di malattia reumatica acuta.

i tessuti dell’organismo (mimetismo antigenico) sarebbero poi responsabili della successiva risposta crociata di

Il periodo di latenza tra la faringite streptococcica e l’inizio dei sintomi varia da 1 a 5 settimane. Nel 75 % dei

tipo autoimmune che scatena l’attacco acuto di malattia reumatica (Figura 1).

casi, la febbre e la poliartrite rappresentano i segni clinici iniziali dell’attacco di malattia reumatica. L’artrite

L’interesse nei confronti della patogenesi autoimmune è riemerso recentemente con la dimostrazione che

interessa prevalentemente le grandi articolazioni degli arti (ginocchia, gomiti, polsi e anche) in modo

diversi antigeni della superficie batterica condividono affinità strutturali con le componenti tessutali degli organi

asimmetrico e migrante, risponde prontamente all’aspirina e si risolve senza reliquati. A differenza dell’artrite

e dei sistemi coinvolti nella malattia reumatica. L’acido ialuronico contenuto nella capsula dello streptococco

reumatoide, sono risparmiate le piccole articolazioni delle mani e dei piedi. Al quadro clinico della poliartrite si

possiede una struttura chimica identica a quella dell’acido ialuronico presente nel tessuto articolare dell’uomo.

sovrappone spesso quello della cardite, e in generale la gravità dei sintomi articolari è inversamente

Un’altra componente della parete cellulare dello streptococco, la N-acetilglucosamina, si ritrova in alte

proporzionale all’interessamento cardiaco: nei pazienti con forme gravi di artrite, le manifestazioni cliniche della

concentrazioni nelle valvole cardiache; gli anticorpi diretti contro la proteina-M della membrana cellulare

cardite tendono ad essere attenuate e viceversa.

batterica interagiscono anche con la miosina cardiaca; altre proteine umane, la vimentina (tessuto sinoviale) e

La cardite, presente nel 50% circa dei pazienti con malattia reumatica acuta, è associata quasi sempre ad un

la cheratina (tessuto cutaneo), mostrano una reattività crociata con la proteina-M streptococcica. Infine,

soffio cardiaco secondario alla valvulite. Il reperto ascoltatorio più frequente è un soffio olosistolico apicale, ad

esistono evidenze a sostegno dell’affinità strutturale tra gli elementi somatici dello streptococco e alcune

alta frequenza, irradiato all’ascella, indicativo di un’insufficienza della valvola mitralica. Il soffio dell’insufficienza

componenti del tessuto nervoso dell’uomo (gangliosidi).

valvolare aortica, se presente, si associa quasi sempre a quello dell’insufficienza mitralica. Quest’ultima

Pertanto, i principali quadri clinici associati alla malattia reumatica sarebbero espressione di un danno

rappresenta pertanto l’elemento clinico più caratteristico della cardite reumatica.

infiammatorio locale, indotto da una abnorme risposta immunologica di tipo crociato.

Le ripercussioni emodinamiche della valvulite sono di entità variabile. Nelle forme più gravi di insufficienza mitralica, compaiono i segni e i sintomi dello scompenso cardiaco. Più spesso, gli effetti acuti della valvulite

ANATOMIA PATOLOGICA

sono poco rilevanti sul piano clinico, e talora può essere difficile, all’ascoltazione cardiaca, cogliere i segni delle lesioni valvolari. In questi casi, l’indagine ecocardiografica, coadiuvata dall’esame color Doppler, può essere

Sul versante istopatologico, la fase acuta della malattia si caratterizza per una reazione essudativa e proliferativa del tessuto connettivo. La cardite reumatica è una vera e propria pancardite perché interessa l’endocardio, il miocardio e il pericardio. Nel miocardio si osserva edema ed infiltrazione cellulare del tessuto interstiziale con frammentazione delle fibre collagene (miocardite). Successivamente, nella fase proliferativa

utile per confermare il sospetto di malattia reumatica. Gli sfregamenti pericardici e il rilievo ecocardiografico di versamento pericardico documentano la presenza della pericardite. L’interessamento flogistico del tessuto miocardico (miocardite) e del pericardio (pericardite) non compare mai isolatamente, ma è sempre associato alle manifestazioni della valvulite. Pertanto, un quadro

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libro cardiologia.doc clinico di pericardite o di miocardite con disfunzione sistolica del ventricolo sinistro difficilmente potrà avere una

recidiva della malattia. L’infezione streptococcica ricorrente, specie se sostenuta da ceppi virulenti, riattiva la

patogenesi reumatica se l’ascoltazione cardiaca e l’ecocardiogramma escludono la presenza di un’insufficienza

risposta autoimmune dell’organismo, favorendo così l’instaurarsi o il peggioramento del danno anatomico

della valvola mitrale o aortica.

valvolare (Figura 1).

La corea, secondaria all’interessamento flogistico del sistema nervoso centrale, è la terza manifestazione clinica della malattia reumatica (15-30 % dei casi). Chiamata anche corea di Sydenham o ballo di San Vito, esordisce

CENNI DI TERAPIA E PREVENZIONE

più tardivamente, quando le altre manifestazioni della malattia sono scomparse o in via di risoluzione, e si caratterizza per la presenza di movimenti irregolari e involontari, senza finalità, che scompaiono con il sonno e con la sedazione. I sintomi neurologici hanno una durata variabile e, in genere, si risolvono spontaneamente. Le manifestazioni cutanee della malattia reumatica sono decisamente più rare (meno del 10% dei casi). I noduli sottocutanei compaiono a distanza di diverse settimane dalla cardite, si localizzano in corrispondenza delle articolazioni principali e delle prominenze ossee, sono indolori, mobili e si risolvono spontaneamente. L’eritema marginato è un rash cutaneo caratterizzato da margini rosati e serpiginosi che circoscrivono aree centrali di aspetto normale. Si osserva prevalentemente sul tronco e sulle porzioni prossimali degli arti, migra da una sede all’altra e non risponde alla terapia antinfiammatoria.

Non esiste un trattamento specifico della malattia reumatica. Gli agenti anti-infiammatori sopprimono rapidamente il dolore articolare e altri segni e sintomi della flogosi acuta, ma non curano la malattia né prevengono la sua successiva evoluzione. Anche la terapia antibiotica con penicillina, obbligatoria nella fase acuta per sradicare l’infezione streptococcica, non modifica il decorso dell’attacco acuto della malattia reumatica né impedisce lo svilupparsi della cardite. L’aspirina ad alte dosi è indicata nella poliartrite acuta, mentre l’impiego dei corticosteroidi è riservato ai casi con cardite grave complicata da insufficienza cardiaca.

PREVENZIONE ESAMI DI LABORATORIO

La prevenzione primaria della malattia reumatica acuta si identifica nella diagnosi precoce e nel trattamento antibiotico della faringo-tonsillite streptococcica. Il trattamento antibiotico se tempestivo e mirato (penicillina)

La diagnosi di malattia reumatica è spesso non facile, non solo per la variabilità del quadro clinico, ma anche

elimina quasi completamente il rischio di malattia reumatica. La prevenzione secondaria è rivolta agli

per la mancanza di un test diagnostico sicuro e definitivo.

individui che hanno già avuto un attacco documentato di malattia reumatica acuta o che soffrono di recidive

Gli indici di flogosi appaiono costantemente alterati nella fase acuta della malattia. La velocità di

dopo un’infezione streptococcica. Il caposaldo è rappresentato dalla profilassi antibiotica continua delle recidive

eritrosedimentazione (VES) e la proteina-C reattiva (PCR) sono marcatori affidabili, ma aspecifici, della risposta

di infezione streptococcica, potenzialmente capaci di innescare nuovi attacchi di malattia reumatica. La

autoimmune e dell’infiammazione associata alla cardite o alla poliartrite.

profilassi antimicrobica continua è necessaria perché il trattamento antibiotico di una nuova infezione

In tutti i casi di sospetta malattia reumatica è indispensabile documentare, ai fini diagnostici, una recente

streptococcica, anche se ottimale, non protegge il paziente con precedenti anamnestici di malattia reumatica

infezione streptococcica (vedi criteri di Jones). I test più utilizzati sono la ricerca di anticorpi diretti contro

dal rischio di una recidiva reumatica.

alcune componenti dello streptococco (streptolisina O, desossoribonucleasi B) e l’esame colturale faringeo

Lo schema terapeutico più efficace è costituito dalla benzilpenicillina somministrata in dose singola per via

(tampone faringeo).

intramuscolare ogni 4 settimane. La durata della profilassi antibiotica deve essere adattata nel singolo paziente

La positività del tampone faringeo deve essere interpretata con cautela perché molti individui normali possono

a seconda del rischio di recidiva. Il rischio di ricorrenze reumatiche diminuisce con l’aumentare dell’età e con

ospitare streptococchi del gruppo A nelle vie aeree superiori. D’altra parte, la negatività dell’esame colturale

l’aumentare del tempo trascorso dall’ultimo attacco. I pazienti che non sviluppano la cardite durante il loro

non permette di escludere in modo assoluto un episodio antecedente di infezione streptococcica. L’aumento del

primo attacco sono meno esposti al rischio di recidive reumatiche, e quando queste si verificano hanno minori

titolo anticorpale antistreptococcico, specie se progressivo, è invece un reperto provvisto di maggiore

probabilità di manifestare una cardite. I pazienti che hanno sviluppato una cardite nel corso dell’attacco acuto

affidabilità nell’evidenziare una recente infezione streptococcica. A tal proposito, giova ricordare che il titolo

sono invece ad alto rischio di recidiva di cardite, con possibilità di ulteriore danno valvolare in occasione di ogni

antistreptolisina O (ASLO) e antidesossiribonucleasi aumenta entro 1 mese dall’inizio dell’infezione

ricorrenza (Figura 1).

streptococcica, raggiunge un plateau per 3-6 mesi, quindi si riduce progressivamente.

Capitolo 14 STENOSI MITRALICA

Oltre alla tachicardia sinusale, l’ECG può mostrare un blocco atrioventricolare di primo grado, secondario all’infiammazione dei tessuti perinodali. Il blocco atrioventricolare, riconoscibile in base all’allungamento

Giuseppe Oreto, Francesco Saporito

dell’intervallo P-R, non è, da solo, diagnostico di cardite reumatica (Tabella I), non influisce sulla prognosi né predice lo sviluppo di sequele valvolari (valvulopatia reumatica).

DEFINIZIONE DECORSO E PROGNOSI La stenosi mitralica è una malattia caratterizzata da alterazioni della valvola mitrale (fusione e retrazione delle corde, ispessimento e adesione dei lembi) con esito in riduzione dell'area valvolare. La malattia si risolve spontaneamente entro 3 mesi dall’esordio acuto. Sebbene siano stati descritti casi isolati

La valvola stenotica rappresenta un ostacolo al passaggio del sangue dall'atrio al ventricolo sinistro, per cui la

di edema polmonare acuto fulminante, la mortalità della fase acuta è bassa e la prognosi dipende

pressione atriale sinistra aumenta, e tale aumento si riflette a monte sul circolo polmonare, ed infine sul

fondamentalmente dalla gravità delle lesioni valvolari che fanno seguito al primo episodio della malattia

ventricolo destro.

reumatica e/o alle recidive. La malattia reumatica tende a recidivare. I pazienti che hanno sofferto di un precedente attacco di malattia

EZIOLOGIA

reumatica e che sviluppano successivamente nuovi episodi di faringite streptococcica sono ad alto rischio di una

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libro cardiologia.doc La malattia reumatica rappresenta la più importante e pressoché l'unica causa di stenosi mitralica. Per quanto, infatti, esistano forme congenite di stenosi mitralica, i casi ad eziologia non reumatica sono talmente rari da risultare trascurabili ai fini pratici. La malattia reumatica consegue ad infezione da streptococco ß-emolitico del gruppo A, agente responsabile di infezioni spesso localizzate nelle tonsille; qualche settimana dopo l’inizio del processo infettivo compaiono, nelle forme tipiche, manifestazioni infiammatorie a carico di numerosi organi, comprendenti le grandi articolazioni, il cuore e il rene. Tali alterazioni non dipendono da localizzazione dello streptococco negli organi bersaglio, ma conseguono ad un processo autoimmunitario del quale il germe è solo l’avviatore. Il cuore viene solitamente interessato in toto, e si manifesta un’endocardite associata spesso a miocardite e pericardite.

ANATOMIA PATOLOGICA Figura 2

Curve pressorie simultanee nell’atrio (in azzurro) e nel ventricolo sinistro (in rosso). In A (condizione

normale) non è presente alcun gradiente pressorio, durante la diastole, fra l’atrio e il ventricolo, mentre in B” Il reperto anatomico prevalente durante la fase acuta dell'endocardite reumatica è rappresentato da piccoli

(Stenosi mitralica) la pressione atriale è aumentata, ed è presente un gradiente atrio-ventricolare (area grigia)

noduli verrucosi osservabili lungo la linea di chiusura dei foglietti, sul versante atriale di essi. Queste formazioni

per tutta la durata della diastole.

infiammatorie scompaiono con la risoluzione del processo carditico, ed occorrono diversi anni prima che si determinino le alterazioni caratteristiche della stenosi mitralica. Al danno valvolare iniziale consegue un'alterazione del flusso transvalvolare, che determina nel tempo ispessimento, fibrosi, saldatura e

L’entità del gradiente transvalvolare dipende da due fattori: l'area mitralica e la velocità del flusso attraverso la

calcificazione dei lembi e dell'apparato sottovalvolare. In altri termini, la lesione reumatica iniziale avvia un

valvola. Quanto minore è la superficie valvolare e quanto maggiore è la velocità del flusso, tanto più elevato

processo automatico di lenta e graduale alterazione della valvola; il trauma provocato dal flusso turbolento

sarà il gradiente. L'area valvolare misura nel normale da 4 a 6 cm2; la riduzione di essa fino a 2,5 cm2 non

rappresenta verosimilmente il principale responsabile delle lesioni evolutive.

comporta alterazioni emodinamiche di rilievo. In rapporto all'entità della riduzione dell'area valvolare, si

La valvola mitrale stenotica presenta corde fuse e retratte, mentre i foglietti sono ispessiti e parzialmente

definisce la stenosi lieve quando l’area è compresa tra 2,5 e 1,5 cm2, moderata se l’area è tra 1,5 e 1 cm2, e

aderenti fra loro; nella maggior parte dei casi coesistono calcificazioni sia dei lembi che delle corde (Figura 1).

severa (serrata) se l'area è minore di 1 cm2.

L'area valvolare, che nel normale misura da 4 a 6 cm2, è più o meno significativamente ridotta sia per

La velocità del flusso attraverso la valvola è in relazione diretta con la portata cardiaca e la frequenza.

l'adesione dei foglietti che per l'obliterazione dei cosiddetti «orifici secondari» (gli spazi compresi fra le corde

Aumentando la portata, infatti, una maggior quantità di sangue deve attraversare l'orificio valvolare nell'unità di

tendinee), conseguente alla fusione delle corde. Nel complesso, la valvola stenotica ha un aspetto a imbuto con

tempo, per cui è richiesta una maggiore velocità di flusso. Anche la tachicardia incrementa la velocità di flusso,

la base rivolta verso l'atrio, che si presenta dilatato e spesso sede di trombi, particolarmente a livello

poiché aumentando la frequenza cardiaca si riduce la durata della diastole, cioè il tempo disponibile per il

dell'auricola. Le vene polmonari sono dilatate e possono coesistere alterazioni ostruttive delle arteriole

passaggio del sangue dall'atrio al ventricolo.*

polmonari, caratterizzate da iperplasia della media e dell'intima. In diversi casi si rileva dilatazione del

Più è breve il periodo diastolico, maggiore deve essere la velocità del flusso per permettere ad una determinata

ventricolo e dell'atrio destro, e segni di stasi venosa sistemica cronica, particolarmente a carico del fegato.

quantità di sangue di attraversare l'ostio valvolare stenotico.

Queste modificazioni conseguono all'ipertensione polmonare, che induce sovraccarico e dilatazione del

L’aumento della pressione atriale sinistra genera un incremento pressorio a monte, cioè in tutte le sezioni del

ventricolo destro, insufficienza tricuspidale, ed infine scompenso congestizio.

circolo polmonare: vene, venule, capillari, arteriole, arterie. L’anello più debole di questa catena è il capillare; quando la pressione s’incrementa oltre 25 mm Hg, viene superata la capacità che le proteine plasmatiche hanno di trattenere i fluidi all’interno del vaso (pressione oncotica), e inizia la trasudazione: il liquido invade dapprima l’interstizio polmonare e successivamente l’alveolo, generando disturbi respiratori che vanno dalla dispnea da

FISIOPATOLOGIA

sforzo fino all’edema polmonare acuto. In molti soggetti con stenosi mitralica lieve o moderata, la pressione nell’arteria polmonare non è di solito molto

Quando l'area valvolare mitralica si riduce, la progressione del sangue dall'atrio al ventricolo sinistro è in qualche modo ostacolata. Per consentire un normale riempimento ventricolare durante la diastole diventa allora necessario un aumento della pressione atriale, così che il sangue riesca a passare dall'atrio al ventricolo nonostante l'impedimento rappresentato dalla valvola stenotica. Nel normale non esiste alcuna differenza significativa fra la pressione diastolica del ventricolo sinistro e quella vigente in atrio sinistro (Figura 2A ). Il flusso diastolico atrioventricolare, infatti, avviene senza un'apprezzabile differenza di pressione fra le due camere perché la valvola mitrale normale non offre alcuna resistenza alla progressione del sangue. Nella stenosi mitralica, invece, si realizza per tutta la fase diastolica un gradiente di pressione fra atrio e ventricolo sinistro, ed è in virtù di questo gradiente che il flusso può essere mantenuto (Figura 2B ).

elevata a riposo, e l'incremento di essa è direttamente correlato all'aumento della pressione capillare: poiché il capillare non sopporta pressioni >25 mm Hg (valori più alti si accompagnano a sintomi evidenti), in arteria polmonare si riscontrerà una pressione non maggiore di 35-40 mm Hg (Figura 3A ). In alcuni pazienti, invece, la pressione in arteria polmonare è nettamente più alta di quanto ci si aspetterebbe in base alla pressione atriale sinistra. Il motivo di ciò è che si realizza un incremento delle resistenze precapillari (arteriolari) polmonari, per cui l'ipertensione arteriosa che ne deriva è molto maggiore di quella richiesta per generare il gradiente transvalvolare mitralico (Figura 3C ): in casi del genere non è impossibile riscontrare in arteria polmonare pressioni elevate fino a 100 mm Hg o più. In una fase precoce della malattia, questa ipertensione polmonare dipende da vasocostrizione delle arteriole polmonari, ed è perciò un fenomeno funzionale, ma successivamente consegue ad alterazioni anatomiche obliterative del letto vascolare polmonare (vasculopatia

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libro cardiologia.doc polmonare).

I più precoci e più evidenti sintomi legati alla stenosi mitralica sono quelli determinati dalla congestione

Lo sviluppo dell'ipertensione polmonare modifica il quadro della stenosi mitralica: un eccessivo carico di

polmonare: dispnea da sforzo, ortopnea, dispnea parossistica notturna, edema polmonare acuto. Tutte queste

pressione grava sul ventricolo destro, che non è assuefatto a lavorare contro elevate resistenze, e per sopperire

manifestazioni dipendono da ipertensione capillare polmonare, con trasudazione di liquido nell’interstizio e negli

al maggior lavoro si ipertrofizza e quindi si dilata. Alla dilatazione ventricolare consegue insufficienza

alveoli. Quando la capacità del sistema linfatico di drenare il trasudato diventa insufficiente, si determina la

tricuspidalica, dilatazione dell'atrio destro e congestione venosa sistemica. In questa situazione, la presenza di

congestione polmonare. La compliance polmonare è allora ridotta, ed il lavoro respiratorio aumenta, cosicché il

un significativo ostacolo al deflusso ventricolare destro (aumento delle resistenze precapillari) riduce la portata

soggetto va incontro a dispnea, particolarmente quando si trova in posizione supina. La trasudazione massiva di

cardiaca, ed impedisce il raggiungimento di una pressione capillare troppo elevata. Di conseguenza il paziente

liquido negli alveoli provocata da un improvviso aumento della pressione capillare è responsabile dell'edema

andrà incontro meno facilmente a dispnea da sforzo ed edema polmonare acuto (fenomeni dipendenti

polmonare; questa manifestazione viene spesso scatenata da incremento della portata e/o della frequenza

dall'ipertensione capillare), mentre prevarranno i segni della ridotta gittata (astenia) e le manifestazioni della

cardiaca (fibrillazione atriale parossistica, malattie febbrili acute, interventi chirurgici, gravidanza, etc.).

stasi venosa sistemica (turgore giugulare, epatomegalia, edemi declivi, ascite).

Un altro sintomo con cui può presentarsi la stenosi mitralica è l'emoftoe, la quale dipende da ipertensione nelle vene bronchiali: le comunicazioni fra sistema venoso polmonare e sistema venoso bronchiale fanno sì che l'aumento pressorio nelle vene polmonari si rifletta anche sulle vene bronchiali, nelle quali possono determinarsi piccole dilatazioni, la cui rottura produce emissione attraverso la bocca di sangue proveniente dalle vie respiratorie. La congestione delle vene bronchiali, con la conseguente iperemia della mucosa bronchiale è anche responsabile dell'iperproduzione di muco, da cui deriva la suscettibilità alla bronchite dei pazienti con stenosi mitralica. Il decorso della malattia è pressoché inevitabilmente caratterizzato dall'insorgenza della fibrillazione atriale. L'aritmia consegue alla dilatazione dell'atrio sinistro ed alle alterazioni strutturali della parete atriale, consistenti in un aumento del connettivo fino alla fibrosi. La disorganizzazione della muscolatura atriale che ne deriva si traduce in disomogeneità dei periodi refrattari: un impulso prematuro in fase vulnerabile può, perciò, scatenare la fibrillazione atriale. L'aritmia può avere inizialmente andamento parossistico, e in questo caso è responsabile di palpitazioni, ma poi diviene cronica. L'insorgenza della fibrillazione atriale è legata alle dimensioni dell'atrio sinistro, e dipende anche dall’età: l'aritmia è più frequente quando l'atrio è dilatato e nei pazienti in cui la malattia data da maggior tempo. Alla fibrillazione atriale è legata un'altra fra le manifestazioni cliniche caratteristiche della stenosi mitralica: l'embolia sistemica, la quale consegue a formazione di trombi parietali in atrio sinistro, specialmente nell’auricola, con successiva immissione di materiale trombotico nel circolo sistemico. L'embolia non è correlata con la gravità della stenosi, potendosi osservare anche nelle forme lievi, e rappresenta a volte la prima manifestazione della malattia. Nel 50-75% dei casi la localizzazione dell'embolo è nelle arterie cerebrali.

SEGNI CLINICI

Figura 3

Regime pressorio nelle varie sezioni dell’apparato cardiocircolatorio in condizioni normali (A), nella

I pazienti con stenosi mitralica rilevante e bassa portata cardiaca possono presentare la cosiddetta «facies

stenosi mitralica (B) e nella stenosi mitralica con vasculopatia polmonare (C). Nello schema B la valvola mitrale

mitralica», caratterizzata da cianosi alle labbra con rossore ai pomelli. L'esame obiettivo del cuore è assai

è fortemente ispessita e aumenta la pressione in atrio sinistro e nel circolo polmonare. Nello schema C

caratteristico nei casi tipici, ed il quadro ascoltatorio comprende 1° tono forte, schiocco d'apertura mitralico,

coesistono alterazioni obliterative del letto vascolare polmonare (ispessimento della parete delle arteriole) che

soffio (rullio) diastolico (Figura 4A); in presenza di ipertensione polmonare non lieve, la componente

induce aumento della pressione arteriosa polmonare.

polmonare del secondo tono può essere aumentata d’intensità. Il soffio diastolico consegue alla turbolenza del flusso transvalvolare, determinata dall’ostacolo che la valvola stenotica rappresenta; si tratta di un soffio a bassa frequenza, che viene denominato “rullio” perché ricorda lontanamente il rullare di un tamburo. Nei soggetti a ritmo sinusale il rullio presenta un rinforzo presistolico che manca nei pazienti in fibrillazione atriale

(* La durata della fase sistolica è pressoché fissa (intorno a 0,3 secondi) e indipendente dalla frequenza cardiaca. Perciò per una

(Figura 4B).Il rinforzo del soffio è dovuto all’aumento del flusso transvalvolare causato in telediastole dalla

frequenza cardiaca di 60 al minuto ciascun ciclo cardiaco dura 1 secondo (0,3 secondi di sistole e 0,7 secondi di diastole): la durata

contrazione dell’atrio; poiché nella fibrillazione atriale l’attività meccanica dell’atrio è praticamente assente, con

complessiva della diastole sarà, perciò, 0,42 secondi. Se la frequenza si raddoppia (120/m’) ciascun ciclo durerà 0,5 secondi (0,3

l’insorgenza dell’aritmia scompare il rinforzo presistolico del soffio della stenosi mitralica. Tuttavia, alcuni o

secondi di sistole e 0,2 di diastole), per cui la durata della diastole sarà 0,24 secondi.)

anche tutti i segni ascoltatori caratteristici della stenosi mitralica possono non essere apprezzabili: il segno ascoltatorio più importante per la diagnosi clinica di stenosi mitralica è lo schiocco d'apertura, che si

SINTOMI

caratterizza per la cronologia protodiastolica, il timbro a tonalità elevata, la sede di ascoltazione alla punta ed al

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libro cardiologia.doc mesocardio.

dettagli e di analizzare anche parti del cuore di difficile approccio con la tecnica transtoracica. Nei pazienti con

Nei pazienti con scompenso del ventricolo destro, infine, si manifestano i caratteristici segni della congestione

stenosi mitralica, l’esplorazione transesofagea può svelare la presenza di trombi in atrio, particolarmente

venosa sistemica, rappresentati da edemi declivi, epatomegalia, ascite, idrotorace, ecc.

nell’auricola, elemento che riveste grande rilevanza clinica perché è associato ad elevato rischio di embolia sistemica. Il cateterismo cardiaco fornisce numerosi dati fisiopatologici, in particolare l’area valvolare, il gradiente transvalvolare (Figura 2), e la pressione polmonare; questi parametri, tuttavia, possono essere ottenuti anche attraverso metodiche non invasive, per cui in molti pazienti, soprattutto giovani, il cateterismo cardiaco non è indispensabile per stabilire l'indicazione all'intervento, e neppure per determinare il tipo di intervento da preferire. Il cateterismo conserva, tuttavia, ancora un ruolo molto importante nei pazienti con stenosi mitralica, per la possibilità di eseguire una valvuloplastica tranacatetere.

Figura 4

Quadro ascoltatorio nella stenosi mitralica. A: Ritmo sinusale. B: Fibrillazione atriale. I: primo tono.

II: secondo tono. A2: componente aortica del secondo tono. P2: componente polmonare del secondo tono. SAM: schiocco d’apertura della mitrale. Rullio: soffio diastolico.

Figura 5

Elettrocardiogramma caratteristico di stenosi mitralica. Le onde P sono bifide in II derivazione e in

V2, mentre in V1 la P è difasica positivo/negativa con componente negativa ampia e rallentata. Il quadro è indicativo di ingrandimento atriale sinistro (Vedi Capitolo…).

CENNI DI TERAPIA

DIAGNOSTICA STRUMENTALE

Nei pazienti con stenosi mitralica l'Elettrocardiogramma mostra i segni dell'ingrandimento atriale sinistro, fra i quali spicca l’onda P bifida, con durata aumentata (( 0.11 sec) (Figura 5);nei soggetti con ipertensione polmonare si può anche riscontrare il quadro elettrocardiografico dell'ipertrofia ventricolare destra. L'esame radiologico fornisce una serie di elementi caratteristici, fra i quali particolarmente importanti sono i segni di ingrandimento dell'atrio e dell'auricola sinistra, e quelli che testimoniano le modificazioni del circolo polmonare. L'Ecocardiografia ha rivoluzionato la diagnostica della stenosi mitralica: l'ecocardiogramma bidimensionale permette non solo un'accurata valutazione dell’anatomia e del movimento valvolare (Figura 6, Figura 7), ma anche lo studio dell'apparato sottovalvolare ed il calcolo dell'area mitralica; l'ecocardiogramma Doppler (Figura 8) fornisce dati emodinamici riguardanti sia il gradiente pressorio attraverso la valvola che l'area valvolare, ed anche informazioni indirette sulla pressione polmonare; l’ecocardiogramma tridimensionale, di recente introduzione, consente una visione quasi «anatomica» della mitrale; l’ecocardiogramma transesofageo, eseguito collocando il transduttore nell’esofago, in immediata prossimità del cuore, senza l’interposizione del tessuto polmonare, che rende difficile il passaggio degli ultrasuoni, consente di studiare la morfologia valvolare nei

Il trattamento dei pazienti con stenosi mitralica può essere farmacologico, interventistico* chirurgico. La terapia farmacologica della stenosi mitralica si basa sui seguenti principi: 1) profilassi delle recidive di reumatismo; 2) prevenzione delle embolie sistemiche; 3) terapia della fibrillazione atriale; 4) mantenimento di una frequenza ventricolare accettabile in presenza di fibrillazione atriale cronica; 5) terapia dei disturbi legati alla congestione venosa polmonare. La profilassi delle recidive di reumatismo prevede la somministrazione prolungata di antibiotici e antinfiammatori. La prevenzione delle tromboembolie sistemiche va effettuata nei pazienti con atrio sinistro dilatato e in tutti quelli con fibrillazione atriale. I farmaci di scelta sono gli anticoagulanti orali dicumarolici. Se insorge la fibrillazione atriale, è opportuno tentare di ripristinare il ritmo sinusale somministrando farmaci antiaritmici, o, in alternativa, con la cardioversione elettrica. Restaurato il ritmo sinusale, si può eventualmente proseguire un trattamento profilattico a lungo termine con farmaci antiaritmici, per evitare finché possibile le recidive dell'aritmia. Se l’insorgenza della fibrillazione non è recentissima, la cardioversione deve essere preceduta da una valutazione dell'atrio sinistro, e in particolare dell’auricola, mediante ecocardiografia

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libro cardiologia.doc transesofagea, perché la presenza di trombosi atriale controindica qualunque manovra volta a convertire la

viene compensato da un corrispondente aumento di volume dell’atrio, l’ipertensione si riflette a monte sul

fibrillazione, per il rischio che, al ripristino del ritmo, si verifichi un’embolia. Se la fibrillazione data da diversi

circolo polmonare ed infine sul ventricolo destro.

giorni o mesi, è necessario un lungo periodo di anticoagulazione (almeno 1 mese) prima di procedere alla ntrollo radioscopico o ecografico.)

cardioversione. Nei pazienti con fibrillazione atriale cronica è spesso necessaria una terapia volta a mantenere una frequenza cardiaca non troppo elevata; per questo scopo viene spesso utilizzata la digitale, oppure i ß-bloccanti o i

EZIOLOGIA

calcioantagonisti. Questi farmaci aumentano il periodo refrattario del nodo A-V, diminuendo la risposta ventricolare alla fibrillazione atriale, cioè il numero di impulsi atriali che raggiungono i ventricoli. In casi particolari, nei quali risulti impossibile ottenere con i farmaci un accettabile controllo della frequenza ventricolare, si può eseguire l’ablazione del nodo A-V associata all’impianto di un pacemaker ventricolare. L’ablazione si ottiene erogando, attraverso un apposito elettrocatetere, energia a radiofrequenza in corrispondenza del nodo: l’energia aumenta la temperatura del tessuto, provocando una lesione irreversibile cui consegue il blocco A-V; l’attivazione dei ventricoli diviene così indipendente da quella degli atri, governata solo dal pacemaker artificiale o da un segnapassi di scappamento posto a valle del blocco. Un particolare intervento di ablazione transcatetere può anche essere eseguito con lo scopo di abolire il substrato che sottende lo scatenamento e il mantenimento della fibrillazione atriale. I sintomi legati a congestione polmonare (dispnea, ortopnea, edema polmonare acuto) vanno trattati con i diuretici e la limitazione dell’apporto dietetico di sodio. I pazienti che presentano questi disturbi, tuttavia, sono quasi sempre in III classe funzionale NYHA, per cui vanno quasi sempre avviati alla terapia chirurgica o alla valvuloplastica percutanea. Questo intervento si esegue inserendo nell’atrio destro attraverso la vena femorale un catetere con palloncino: dopo puntura del setto interatriale, eseguita con apposito ago, il catetere viene spinto per via transettale in atrio sinistro ed attraversa la valvola mitrale, in maniera tale che il palloncino si trovi a cavallo della valvola. Gonfiando quindi ripetutamente il palloncino per brevi periodi si esercita sui lembi della valvola stenotica una pressione sufficiente a separarne i foglietti, fusi in corrispondenza delle commissure,

La degenerazione mixomatosa della valvola (nota anche con il termine di prolasso valvolare mitralico, vedi più avanti) rappresenta la causa più frequente di insufficienza mitralica. Essa provoca incontinenza poiché i lembi valvolari allungati e ridondanti protrudono eccessivamente all’interno dell’atrio sinistro durante la sistole ventricolare, piuttosto che opporsi reciprocamente come fanno normalmente. La malattia coronarica rappresenta un’altra causa importante di insufficienza mitralica, poiché può generare disfunzione temporanea o permanente di un muscolo papillare, interferendo con la chiusura valvolare. L’endocardite infettiva può causare insufficienza mitralica poiché l’infezione può indurre perforazione valvolare o rottura delle corde infette. Anche la malattia reumatica rientra nell’eziopatogenesi dell’insufficienza mitralica, se si accompagna ad eccessivo accorciamento e retrazione delle corde. Infine la cardiomiopatia ipertrofica, malattia caratterizzata da un’abnorme ed asimmetrica ipertrofia ventricolare (vedi Capitolo…), provoca una ostruzione dinamica endoventricolare cui corrisponde imperfetta chiusura valvolare e significativa insufficienza mitralica. Anche la significativa dilatazione ventricolare, comunque generata, può causare insufficienza mitralica funzionale attraverso 2 meccanismi che interferiscono con la chiusura dei lembi valvolari: 1) la separazione spaziale tra i due muscoli papillari è aumentata e 2) l’anulus mitralico è sovradisteso. Altra causa di insufficienza mitralica è la calcificazione dell’anulus, che immobilizza la porzione basale dei lembi valvolari, interferendo con la loro normale escursione e la coaptazione sistolica.

così da ridurre significativamente l’ostacolo al flusso ematico. La stenosi mitralica può essere corretta chirurgicamente sia mediante un intervento conservativo (commissurotomia) che sostituendo la valvola con una protesi. La commissurotomia viene ormai eseguita in ANATOMIA PATOLOGICA

circolazione extracorporea e sotto visione diretta, mentre l’intervento “a cielo coperto”, che si esegue senza arrestare il cuore, è una procedura ormai non più impiegata.

Nel prolasso valvolare mitralico le cuspidi sono iperdistese e le corde allungate. Nelle forme più gravi c’è (*Il trattamento interventistico prevede un intervento, cioè un’azione volta a modificare l’anatomia o la struttura del cuore; l’intervento viene, però, eseguito senza ricorrere alla chirurgia tradizionale, ma agendo sull’organo attraverso cateteri introdotti nel sistema vascolare e guidati fino al cuore sotto co

espansione dei lembi che assumono conformazione cupoliforme (Figura 1). Vista dal lato atriale, la valvola con degenerazione mixomatosa dimostra un variabile interessamento delle cuspidi: nella maggior parte dei casi sono coinvolti uno o più segmenti del lembo posteriore o, meno frequentemente, entrambi i foglietti. L’esame istologico rivela la sostituzione della struttura fibrosa con tessuto mixomatoso, ricco di mucopolisaccaridi acidi e mastociti. La rottura delle corde (Figura 2), nei pazienti affetti da insufficienza mitralica, può essere il risultato

Capitolo 15 INSUFFICIENZA MITRALICA Paolo Marino

dell’eccessivo stress meccanico a cui le stesse sono sottoposte (come nel caso della degenerazione mixomatosa dei lembi) o la conseguenza di un insulto infettivo, come nell’endocardite (Vedi Capitolo 34). In questo caso, si possono anche notare lembi perforati e frastagliati, con frequenti formazioni vegetanti. La calcificazione anulare rappresenta un’altra condizione causa di insufficienza mitralica, con un’incidenza che tende ad aumentare con il

DEFINIZIONE

crescere dell’età del soggetto, ma che raramente si manifesta, macroscopicamente, prima dei 70 anni. La dilatazione anulare è un’altra delle cause di insufficienza mitralica. Tale fenomeno può essere primario o

L’insufficienza mitralica è una malattia caratterizzata da perdita della coordinata azione di una o più delle componenti (anulus, lembi valvolari, corde tendinee, muscoli papillari) dell’apparto valvolare, con esito in imperfetto collabimento dei lembi in sistole. La valvola insufficiente comporta un reflusso di sangue, in sistole, dal ventricolo all’atrio sinistro, capace di causare aumento della pressione atriale dipendente dalla quantità di sangue rigurgitato e dalle caratteristiche fisiche della parete atriale. Se l’aumento della pressione atriale non

secondario a condizioni di sovraccarico volumetrico. Infine, nei pazienti con un grave deficit ventricolare sinistro, il rigurgito mitralico può essere presente indipendentemente dallo sfiancamento valvolare o da alterazioni dell’anulus. In questi casi, la conformazione globosa del ventricolo sposta l’asse di trazione dei muscoli papillari rispetto alle cuspidi (Figura 3); la correzione del deficit ventricolare comporta il recupero della conformazione fisiologica che, a sua volta, ripristinando il normale asse di trazione, risolve il rigurgito

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libro cardiologia.doc

Figura 4

Figura 3

Dilatazione del ventricolo sinistro, che assume una configurazione globosa, a causa della quale l’asse

di trazione dei muscoli papillari si sposta rispetto alle cuspidi, inducendo insufficienza mitralica.

FISIOPATOLOGIA Nell’insufficienza mitralica una frazione della gittata sistolica è eiettata, in via retrograda, nella cavità atriale, la quale è una camera a bassa pressione (Figura 4).

La gittata anterograda in aorta, perciò, risulta minore della gittata ventricolare, costituita dalla somma della gittata anterograda normale più quella, patologica, retrograda. All’insufficienza mitralica consegue un incremento della pressione e del volume atriale sinistro, una riduzione della gittata anterograda in aorta ed un sovraccarico di volume ventricolare poiché in diastole il volume rigurgitato ritorna in ventricolo assieme al sangue refluo proveniente dai polmoni. Per far fronte alla normale domanda ed espellere il volume addizionale, la gittata sistolica ventricolare aumenta grazie al meccanismo di Frank-Starling dove l’aumentato stiramento miofibrillare, causato dall’aumentato volume ventricolare in diastole, determina un aumento del volume eiettato. Ovviamente, la conseguenza emodinamica dell’insufficienza mitralica varia a seconda della severità del rigurgito e dalla sua durata nel tempo. La gravità del rigurgito dipende dalla dimensione dell’orifizio rigurgitante in sistole e dal gradiente di pressione sistolico tra atrio e ventricolo sinistro. La frazione di rigurgito nell’insufficienza mitralica è definita dal rapporto tra il volume rigurgitante e la gittata ventricolare totale, rapporto che dipende, a sua volta, dall’entità delle resistenze periferiche che si oppongono flusso anterogrado e dalla compliance dell’atrio sinistro. Ad esempio, l’ipertensione o la presenza di una coatazione aortica aumenterà la frazione di rigurgito. L’entità dell’incremento della pressione atriale sinistra in risposta al volume rigurgitante dipende dalla compliance atriale sinistra (la compliance è una misura della relazione tra volume e pressione endocavitaria, definibile come variazione di volume per una data variazione in pressione). Nell’insufficienza mitralica acuta (dovuta, ad esempio, all’improvvisa rottura di una corda) la compliance atriale sinistra subisce un’improvvisa riduzione. Questo è dovuto al fatto che l’atrio sinistro è una camera relativamente rigida, e quando si determina improvvisamente il rigurgito l’aumento del volume atriale si realizza solo attraverso un importante incremento della sua pressione endocavitaria (Figura 5). Questo aumento in pressione contribuisce a prevenire l’ulteriore incremento del rigurgito. Va detto però che l’elevata pressione atriale sinistra si trasmette alla circolazione polmonare, provocando rapida congestione fino all’edema.Nell’insufficienza mitralica acuta la curva pressoria atriale sinistra o dei capillari polmonari (stima indiretta della pressione atriale sinistra), mostra un’onda v prominente, la quale riflette l’aumentato riempimento atriale sinistro che si realizza, in modo del tutto anomalo, durante la sistole ventricolare (Figura 5). Nell’insufficienza mitralica cronica il ventricolo accomoda il sovraccarico volumetrico grazie al meccanismo di Starling, come sopra accennato. L’aumento di volume ventricolare genera un aumento compensatorio della gittata sistolica, in modo da far sì che alla fine della sistole il volume ventricolare sinistro si mantenga entro valori normali, almeno fino a che il cuore mantiene il compenso, oltre ad un incremento delle pressioni di riempimento. Lo svuotamento sistolico del cuore sinistro è favorito dal fatto che il cuore stesso può “sfiatare” in una cavità a bassa impedenza, e cioè l’atrio, rispetto alla grande resistenza offerta dall’aorta.Diversamente che nella forma acuta, lo sviluppo graduale dell’insufficienza mitralica cronica consente all’atrio sinistro di andare incontro a modificazioni compensatorie che attenuano l’effetto del rigurgito sul circolo polmonare. La compliance atriale, infatti, aumenta grazie alla proliferazione parietale, e consente all’atrio di accogliere un

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libro cardiologia.doc volume aumentato di sangue senza un corrispettivo aumento di pressione. In questo modo l’effetto sulla pressione polmonare viene ad essere in parte neutralizzato, benché l’atrio rischi di diventare una sorta di serbatoio a bassa pressione dove gran parte del volume eiettato si accumula. In tale processo di cronicizzazione, con l’aumentare del grado di rigurgito, i sintomi lamentati dal paziente passano da quelli dettati dalla congestione polmonare a quelli legati alla bassa portata. La progressiva, cronica dilatazione dell’atrio predispone, inoltre, allo sviluppo della fibrillazione atriale.Nell’insufficienza mitralica cronica anche il ventricolo, così come l’atrio, va incontro ad una graduale dilatazione compensatoria in risposta al sovraccarico di volume. Rispetto all’insufficienza mitralica acuta l’aumentata compliance ventricolare accomoda il sovraccarico volumetrico pur mantenendo delle pressioni relativamente normali. Nel corso degli anni, però il sovraccarico cronico induce un progressivo deterioramento della funzione sistolica, con la comparsa, in fase terminale, di un quadro di insufficienza ventricolare sinistra.

Figura 5

sia la dilatazione atriale e ventricolare che l’ipercinesia delle pareti ventricolari. Il cateterismo cardiaco è utile per identificare una causa ischemica di insufficienza mitralica e per graduarne la severità. La caratteristica alterazione emodinamica è rappresentata dalla presenza, nella curva di pressione atriale, di una onda v, la cui ampiezza dipende dall’entità del rigurgito e dalla compliance dell’atrio (Figura 5).

Curve pressorie simultanee nell'atrio (in azzurro) e nel ventricolo sinistro (in rosso). In A (condizione

normale) l'onda v è modesta, mentre in B, in presenza di insufficienza mitralica acuta, si osserva un'onda c+v molto ampia, che corrisponde ad una pressione atriale di circa 70 mm Hg.

SINTOMI

I pazienti con insufficienza mitralica acuta si presentano generalmente con sintomi di congestione polmonare. I sintomi dell’insufficienza mitralica cronica, invece, sono prevalentemente quelli della bassa portata, particolarmente durante lo sforzo. I soggetti nei quali la funzione contrattile tende a scadere lamentano dispnea fino all’ortopnea ed alla dispnea parossistica notturna. Nell’insufficienza mitralica cronica grave possono comparire anche i sintomi legati all’insufficienza ventricolare destra.

Figura 6

SEGNI CLINICI PROLASSO VALVOLARE MITRALICO Nell’insufficienzamitralica, l’ascoltazione del cuore rivela un soffio olosistolico apicale (soffio da rigurgito, vedi Capitolo 2) che si irradia generalmente all’ascella sinistra, anche se questa regola riconosce molte eccezioni. Oltre al soffio sistolico, la presenza di un III tono è frequente nell’insufficienza mitralica rilevante, così come il poter palpare un itto lateralizzato a causa dell’ingrandimento cardiaco.

Il prolasso valvolare mitralico rappresenta una condizione ereditaria nell’ambito di un disordine autosomico dominante o può verificarsi come manifestazione cardiaca nel contesto di malattie connettivali, più frequentemente riscontrabile nelle donne giovani, specie quelle con habitus longilineo. Esso rappresenta una condizione frequentemente asintomatica, ma che talora può accompagnarsi a precordialgie e cardiopalmo.

DIAGNOSTICA STRUMENTALE

Viene identificato anche con il termine della sindrome del click e del soffio mesotelesistolico. L’apparato valvolare ridondante, messo in tensione dalla sistole ventricolare, è responsabile del click (vedi Capitolo 2),

L’ECG tipicamente dimostra segni di ingrandimento atriale sinistro ed ipertrofia ventricolare sinistra (vedi

mentre l’incontinenza della valvola è causa del soffio che caratteristicamente occupa la mesotelesistole.

Capitolo 3); anche la radiografia del torace può mostrare l’ingrandimento delle camere cardiache sinistre, e a

Tra le indagini strumentali è l’ecocardiografia la diagnostica più importante, e può evidenziare la ridondanza di

volte rivela calcificazioni anulari. L’ecocardiogramma può rivelare la causa strutturale dell’insufficienza mitralica

uno od entrambi i lembi valvolari, che prolassano in atrio sinistro durante la mesotelesistole. A poco serve

e graduarne la severità mediante l’impiego del Color-Doppler (Figura 6, Figura 7), ed anche mettere in luce

invece l’elettrocardiogramma, che risulta, così come la radiografia del torace, sostanzialmente normale, a parte

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libro cardiologia.doc l’eventuale presenza di battiti ectopici e/o, se l’insufficienza mitralica è importante, dei segni di ingrandimento

La stenosi valvolare aortica può essere congenita ed evidenziarsi già alla nascita (vedi Capitolo 51) o acquisita;

atriale e ventricolare sinistro.

anche in quest’ultimo caso la malattia, pur manifestandosi nell’adulto o nell’anziano, dipende a volte da

Il decorso clinico è sostanzialmente benigno, giacché la condizione non richiede trattamento specifico, a parte la

un’anomalia congenita, la valvola aortica bicuspide (Figura 1). La bicuspidia aortica è presente nel 2% della

necessità della profilassi dell’endocardite batterica in caso di prolasso con rigurgito significativo od in presenza

popolazione, e di per sé non comporta un significativo ostacolo all'efflusso ventricolare sinistro. I lembi valvolari

di strutture valvolari e cordali particolarmente ridondanti ed ispessite. Tra le complicanze, oltre alla già citata

anomali, tuttavia, determinano una turbolenza del flusso, che nel tempo può provocare una fibrosi valvolare,

infezione della valvola, va segnalata la possibile rottura di una o più corde, con il generarsi di una insufficienza

con esito in progressivo restringimento dell’ostio. Anche la normale valvola a tre cuspidi può andare incontro a

mitralica acuta, ed il rischio tromboembolico, legato alla deposizione di piastrine sulla superficie valvolare. Da

processi degenerativi, legati soprattutto all’invecchiamento ma anche a processi degenerativi: la stenosi aortica

ultimo va ricordata la possibile presenza di manifestazioni aritmiche, che raramente mostrano carattere di

degenerativa (o senile) è caratterizzata dalla presenza di cuspidi rese ipomobili dal deposito di calcio lungo le

malignità.

commissure (Figura 2). L’eziologia reumatica della stenosi aortica è relativamente rara, ed è più frequente nei casi di un vizio CENNI DI TERAPIA

combinato mitro-aortico. La stenosi aortica reumatica risulta dall’adesione e fusione delle commissure e delle cuspidi, con retrazione e irrigidimento dei bordi liberi e presenza su entrambe le superfici delle cuspidi di noduli calcifici che riducono l’orificio (Figura 3).

La storia naturale dell’insufficienza mitralica è legata alla sua eziopatogenesi, con un decorso molto lento come nel caso dell’eziologia reumatica o molto rapido come nel caso di un improvviso aggravamento di una forma cronica a causa della rottura di una o più corde tendinee. Lo scopo della terapia è quello di ridurre l’entità del rigurgito e di accrescere la portata anterograda, attenuando i sintomi ed i segni di congestione polmonare e quelli legati alla bassa portata. I diuretici ed i vasodilatatori trovano spazio nel trattamento dell’insufficienza mitralica acuta. L’uso dei vasodilatatori, come gli inibitori del sistema renina-angiotensina è limitato, nell’insufficienza mitralica cronica, ai casi caratterizzati da un concomitante incremento dei livelli tensivi in aorta. L’insufficienza mitralica può subdolamente sconfinare in un quadro di scompenso cardiaco legato al cronico, inarrestabile deterioramento della funzione contrattile associato alla persistenza del sovraccarico di volume. La chirurgia cardiaca appare indicata prima che un tale evento possa verificarsi. A più di 30 anni dai primi impianti valvolari, l’esatto timing dell’intervento sostitutivo valvolare mitralico nell’insufficienza mitralica rimane una tra le decisioni cliniche più difficili per il cardiologo clinico. Una strategia interessante è l’atteggiamento chirurgico conservativo, capace cioè di riparare (e non sostituire) la valvola eliminando molti dei problemi propri delle protesi valvolari (vedi Capitolo 62). Nei pazienti così trattati la sopravvivenza postoperatoria appare nettamente migliore rispetto al paziente non operato. In generale l’intervento riparativo appare particolarmente indicato per i pazienti giovani, con malattia degenerativa della valvola, mentre l’intervento sostitutivo trova indicazione principalmente negli anziani, con malattia valvolare estesa e non suscettibile di riparazione.

Capitolo 16 STENOSI AORTICA Francesco Pizzuto, Francesco Romeo Figura 1 DEFINIZIONE

Cause di stenosi aortica in rapporto all’età. L’incidenza di stenosi aortica secondaria a valvola aortica

bicuspide è maggiore al di sotto dei settanta anni, mentre la stenosi aortica su base degenerativa è maggiormente presente al di sopra dei settanta anni (modificata da Braunwald E: A text Book of Cardiovascular

La stenosi della valvola aortica è il restringimento dell'orifizio valvolare conseguente a processi patologici che

Disease, 1997).

colpiscono i lembi, le commissure o l'anello valvolare. La valvola ristretta ostacola lo svuotamento del ventricolo sinistro in sistole, e rende necessario che aumenti la pressione intraventricolare perché si instauri fra il ventricolo sinistro e l’aorta un gradiente pressorio sufficiente a garantire un normale flusso anterogrado. Come conseguenza del sovraccarico di pressione, il ventricolo sinistro va incontro ad ipertrofia.

EZIOLOGIA

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Figura 2

Valvola aortica stenotica, diffusamente calcifica, asportata ad un paziente ultrasettantenne. Si noti

l’estrema calcificazione dei lembi valvolari (per gentile concessione del Prof Pietro Gallo).

Figura 4

Misurazione contemporanea della pressione in ventricolo sinistro ed in aorta ascendente, ottenuta

mediante cateterismo cardiaco. La pressione massima in ventricolo sinistro è di 220 mm Hg, la pressione massima in aorta ascendente è di 138 mm Hg. Il gradiente di picco VS-AO e di 82 mm Hg, il gradiente istantaneo massimo è di 110 mm Hg.

FISIOPATOLOGIA

L’area valvolare aortica normale nell'adulto è compresa tra 1.6 e 2.6 cm2. Quando l’ostio della valvola si riduce a meno di un quarto del normale, il gradiente supera 50 mmHg. Il sovraccarico pressorio che grava sul

Il progressivo restringimento valvolare rappresenta un ostacolo all’eiezione del sangue dal ventricolo sinistro. Per vincere questa resistenza e mantenere un flusso anterogrado normale, la pressione sistolica nel ventricolo sinistro deve sempre superare quella presente in aorta; la differenza pressoria tra ventricolo sinistro ed aorta, definita gradiente pressorio, è proporzionale all’entità dell'ostruzione (Figura 4).

ventricolo sinistro stimola, come meccanismo compensatorio, l’ipertrofia ventricolare, e induce un aumento più o meno marcato dello spessore delle pareti e del setto interventricolare, mentre la cavità ventricolare non si dilata. L’ipertrofia ventricolare che si realizza in seguito al sovraccarico di pressione, come nella stenosi aortica, è concentrica, caratterizzata dalla replicazione dei sarcomeri “in parallelo” all’interno della fibra, per cui questa aumenta il suo spessore ma non diviene più lunga. Al contrario, il sovraccarico di volume quale si realizza, per esempio, nell’insufficienza aortica, induce un’ipertrofia eccentrica, poiché i nuovi sarcomeri si dispongono “in serie” e la fibrocellula si allunga anziché ispessirsi. Nella stenosi aortica, l’ipertrofia concentrica consente al ventricolo sinistro di compiere un maggior lavoro, e anche di mantenere a valori quasi normali lo stress di parete. Secondo la legge di Laplace, lo stress di parete o postcarico (omega) è uguale al prodotto della pressione endocavitaria (P) per il raggio della cavità (r), diviso per il doppio dello spessore della parete (h), secondo la formula: omega=Pr/2h.

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libro cardiologia.doc Nella stenosi aortica, il ventricolo sinistro va incontro ad un aumento dello stress di parete per aumento della

Nei pazienti con stenosi aortica, la radiografia del torace può mostrare un allargamento del margine sinistro

pressione, mentre l’incremento dello spessore parietale riduce lo stress e quindi il postcarico. Il meccanismo di

dell’ombra cardiaca, dovuto all'ipertrofia del ventricolo sinistro, ma anche un ingrandimento del primo arco di

compenso rappresentato dall’ipertrofia, però, comporta degli svantaggi perchè:

destra (dilatazione dell’aorta ascendente) e una congestione degli ili polmonari (soprattutto nelle fasi avanzate della malattia, in presenza di scompenso cardiaco). L'elettrocardiogramma rappresenta il test diagnostico non



l’aumento della massa muscolare determina un aumento del consumo miocardico di O2;

invasivo maggiormente utilizzato per confermare la diagnosi clinica. Il segno elettrocardiografico principale è



l’incremento della pressione endocavitaria ostacola la perfusione miocardica, esercitando un’aumentata

l’ipertrofia ventricolare sinistra, presente nell'80% circa dei pazienti con stenosi aortica severa (Figura 5).

compressione sui vasi coronarici;

L'ecocardiogramma integrato (M-mode, bidimensionale e Doppler) rappresenta il test diagnostico non invasivo

la distensibilità (compliance) del ventricolo sinistro diminuisce, alterando il rilasciamento del ventricolo



più utile e completo per la valutazione dei pazienti con stenosi aortica (Figura 6). Permette, infatti, di

sinistro ed ostacolandone il riempimento diastolico, che diventa pertanto sempre più dipendente dal

quantificare l'entità del vizio aortico, determinando sia il grado di ipertrofia del ventricolo sinistro e la sua

contributo della sistole atriale.

funzione (ecocardiografia M-mode e bidimensionale) che l'entità del gradiente transvalvolare aortico e l'area valvolare (ecocardiografia Doppler).

Lo sforzo può mettere in crisi questi precari meccanismi di compenso in quanto produce:

Il Cateterismo Cardiaco ha rappresentato per molti decenni l’accertamento diagnostico più importante per valutare la stenosi aortica, consentendo la misurazione di tutti i parametri utili per diagnosticare e quantizzare

un aumento del consumo di O2 da parte del miocardio, non controbilanciato da una corrispondente



aumento della perfusione miocardica, con possibile comparsa di angina; un notevole aumento della pressione ventricolare sinistra necessaria per mantenere il flusso richiesto



la valvulopatia, come il gradiente aortico, l'area valvolare e le pressioni polmonari. Tuttavia, l'introduzione dell'ecocardiografia Doppler ha notevolmente ridotto la necessità di ricorrere allo studio invasivo per la valutazione della stenosi aortica, limitando il cateterismo cardiaco ai casi dubbi, oppure quando è possibile

dall’esercizio muscolare, con una accentuata stimolazione dei meccanocettori ventricolari (recettori sensibili

effettuare una terapia non chirurgica della valvulopatia (valvuloplastica aortica o impianto percutaneo di una

alle variazioni dello stiramento) che possono innescare a loro volta una vasodilatazione periferica riflessa,

protesi valvolare).

provocando una sincope. Un aumento del postcarico, con conseguente aumento della pressione ventricolare sinistra sotto sforzo cosicché il ventricolo sinistro, che già in condizioni di riposo lavora a pressioni superiori alla norma, riduce la sua funzione contrattile e non riesce ad espellere il sangue ricevuto in diastole. Si produce così un aumento della pressione in atrio sinistro, che a sua volta determina un aumento della pressione a monte, nel circolo polmonare, con conseguente congestione polmonare fino all’edema polmonare.

QUADRO CLINICO

Sintomi. Il paziente con stenosi aortica è asintomatico per molti anni, nonostante la malattia si aggravi progressivamente. Quando la valvulopatia diviene critica compaiono i sintomi: dispnea (scompenso cardiaco), angina e sincope. Se, da quando insorgono i sintomi, la malattia decorre non trattata, il peggioramento è progressivo e la sopravvivenza media è 2 anni nei pazienti con scompenso, 3 nei soggetti con sincope e 5 anni in quelli con angina. Nella maggior parte dei casi il primo sintomo è la dispnea da sforzo, seguita eventualmente da ulteriori manifestazioni di insufficienza ventricolare sinistra (ortopnea, dispnea parossistica notturna, edema polmonare). L’angina è presente in circa 2/3 dei casi, ed è simile a quella dei pazienti con coronaropatia, venendo scatenata dallo sforzo e scomparendo con il riposo. La sincope insorge tipicamente durante sforzo (per la risposta inappropriata dei barocettori del ventricolo sinistro), ma può anche essere la conseguenza di

Figura 5

Elettrocardiogramma di un paziente con stenosi aortica severa: ipertrofia ventricolare sinistra (onde

R alte nelle precordiali sinistre, sottolivellamento del tratto S-T in I, II, aVL, V5, V6).

aritmie. Segni Fisici. La palpazione della zona precordiale può evidenziare un fremito sistolico, espressione di un flusso aortico particolarmente turbolento, dovuto a un notevole gradiente tra ventricolo sinistro ed aorta. L’ascoltazione rivela un soffio sistolico eiettivo con epicentro al 2° spazio intercostale destro sulla linea marginosternale (focolaio d’ascoltazione aortico) ed irradiazione verso i vasi del collo, cioè nel senso del flusso.

DIAGNOSTICA STRUMENTALE

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libro cardiologia.doc L'insufficienza aortica è una malattia della valvola aortica, la quale diviene incontinente per anomalie dei lembi valvolari, delle strutture di supporto (radice aortica ed annulus) o di entrambi. Si verifica, di conseguenza, un flusso retrogrado (rigurgito) di sangue dall'aorta al ventricolo sinistro durante la diastole.

EZIOLOGIA ED ANATOMIA PATOLOGICA

L'insufficienza aortica può essere provocata da anomalie congenite dei lembi (valvola aortica bicuspide, stenosi subaortica con difetto del setto interventricolare e prolasso di una cuspide), oppure da alterazioni di origine infiammatoria o degenerativa, fra cui quelle determinate dalla malattia reumatica (Figura 1), dall'endocardite infettiva (Figura 2) o dalle malattie del connettivo. I lembi valvolari, inoltre, possono essere danneggiati da traumi chiusi della parete del torace o da lesioni da getto conseguenti a stenosi subaortica dinamica o fissa. Le patologie dell'annulus o della radice aortica comprendono la dilatazione idiopatica della radice aortica, l'ectasia annuloaortica, la sindrome di Marfan, la sindrome di Ehlers-Danlos, l'osteogenesi imperfetta, la dissezione aortica, l'aortite luetica, e varie malattie del connettivo, fra cui la spondilite anchilosante. Una valvola aortica bicuspide si accompagna spesso a dilatazione della radice aortica e a conseguente insufficienza (Tabella I). Una causa non infrequente della malattia è la degenerazione strutturale di una bioprotesi valvolare. L'insufficienza aortica cronica grave, di qualsiasi eziologia, può provocare dilatazione della radice aortica, che esita in progressivo peggioramento del rigurgito valvolare. Le cause più frequenti di insufficienza aortica acuta (più rara, ma a prognosi peggiore) sono l'endocardite infettiva, la dissezione aortica o un trauma chiuso del Figura 6

Registrazione contemporanea del velocitogramma Doppler transaortico (ottenuto con ecocardiografia

torace.

transtoracica) e delle pressioni invasive in ventricolo sinistro (225 mm Hg) ed in aorta ascendente (160 mm Hg), registrate durante cateterismo cardiaco. Il gradiente massimo Doppler-derivato (88 mmHg) coincide con il gradiente istantaneo massimo emodinamico (90 mm Hg), che rappresenta il momento in cui il gradiente sistolico fra il ventricolo sinistro e l'aorta è il più elevato. Il gradiente emodinamico picco ventricolo sinistropicco aorta è più basso perchè il picco di pressione in aorta è più tardivo rispetto al picco di pressione in ventricolo sinistro.

CENNI DI TERAPIA

I pazienti con stenosi aortica asintomatica non necessitano di trattamento; nei sintomatici la terapia è chirurgica e consiste nella sostituzione della valvola aortica con protesi meccanica o biologica (vedi Capitolo 62). La sostituzione valvolare aortica con trattamento percutaneo (tramite cateterismo cardiaco) è ancora in fase iniziale, e benché i risultati ottenuti finora siano incoraggianti, necessita di ulteriori conferme ed al momento attuale viene riservata soltanto a quei pazienti che, pur necessitando della sostituzione valvolare, non possono essere sottoposti all’intervento chirurgico.

Capitolo 17 INSUFFICIENZA AORTICA Corrado Vassanelli DEFINIZIONE

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libro cardiologia.doc Tabella 1

SEGNI CLINICI

L'esame obiettivo nell' insufficienza aortica cronica è caratterizzato dallo stato iperdinamico della malattia. La FISIOPATOLOGIA

pressione arteriosa sistolica è aumentata, per l’incremento della gittata sistolica ventricolare sinistra, mentre la pressione diastolica è ridotta sia per la vasodilatazione periferica, ma soprattutto per il flusso retrogrado verso il ventricolo sinistro; la pressione differenziale, perciò, risulta notevolmente più ampia del normale. Queste

Le conseguenza fisiopatologiche della valvulopatia variano a seconda che il rigurgito si stabilisca

variazioni dipendono grossolanamente dall’entità della insufficienza: si ritiene che, in assenza di scompenso

improvvisamente e sia massivo (insufficienza aortica acuta) o sia inizialmente lieve e progredisca lentamente

cardiaco, questo vizio valvolare sia poco significativo quando la pressione diastolica non è 1 mm con convessità in genere rivolta verso l’alto (onda di lesione subepicardica). L’evoluzione del tracciato ECG può essere sintetizzata nelle seguenti fasi (Figura 1):

Complicanze aritmiche.

• •

Complicanze emodinamiche (compromissione della funzione di pompa; rottura di muscoli papillari, setto, o parete libera del ventricolo sinistro; aneurisma ventricolare).

• •

Fase acuta: tratto ST sopraslivellato, con entità che tende a ridursi progressivamente (schemi a,b,c).

T difasica (positivo/negativa) o negativa (schemi d,e).



Complicanze ischemiche (estensione della necrosi, angina precoce postinfartuale).



Fase subacuta: comparsa di onda Q patologica; persistenza del sopraslivellamento del tratto ST; onda

Fase cronica: normalizzazione del tratto ST; persistenza dell’onda Q patologica (schema f). Le Figure ECG 20, ECG 21, ECG 22 riportano elettrocardiogrammi caratteristici di STEMI. Elettrocardiogramma nel NSTEMI e nell’angina instabile L’alterazione dell’ECG caratteristica in caso di angina instabile o NSTEMI è il sottoslivellamento del tratto ST >1 mm, di tipo orizzontale o discendente (ECG 18, ECG 19). Questa alterazione della ripolarizzazione ventricolare deve essere sempre valutata nel contesto clinico; in particolare, per essere considerata espressione di ischemia miocardica deve essere transitoria e/o associata a dolore toracico. Il sottoslivellamento di ST, infatti, si riscontra spesso in condizioni diverse dall’ischemia miocardica, per esempio nell’ipertrofia ventricolare o nel blocco di branca. Elettrocardiogramma e prognosi Oltre ad avere un ruolo centrale nella diagnosi di SCA e a condizionarne la terapia, l’ECG fornisce importanti informazioni prognostiche. La mortalità dei pazienti con infarto anteriore è maggiore di quella dei pazienti con infarto inferiore; in quest’ultimo gruppo la mortalità aumenta quando l’infarto coinvolge anche il ventricolo destro. In generale, maggiore è il numero di derivazioni con il sotto- o sopraslivellamento del segmento ST, maggiore è il rischio di morte per il paziente. I pazienti con SCA che presentano anche aritmie (per esempio, tachicardia ventricolare sostenuta o blocco

COMPLICANZE ARITMICHE Le complicanze aritmiche sono estremamente comuni durante una SCA ed in particolare durante le prime ore dell’infarto acuto. Extrasistoli ventricolari o sopraventricolari si osservano pressoché nel 100% dei pazienti, ma nella maggior parte dei casi non hanno significato sfavorevole. Alcune aritmie (tachicardia ventricolare sostenuta, fibrillazione ventricolare, blocco atrioventricolare di III grado) mettono a serio rischio la vita del paziente e richiedono un intervento terapeutico immediato. La fibrillazione e il flutter atriale sono frequenti, e possono determinare, se la risposta ventricolare è elevata, una riduzione della gittata cardiaca ed un aumento del consumo miocardico di O2. La tachicardia ventricolare non sostenuta è comune ed in genere ben tollerata, e non richiede necessariamente un trattamento, mentre la tachicardia ventricolare sostenuta (vedi Capitolo 40) può degenerare in fibrillazione ventricolare. In questi casi la lidocaina è abitualmente il farmaco di prima scelta se non vi è compromissione emodinamica, nel qual caso è necessaria la cardioversione elettrica; in alternativa alla lidocaina si può usare l’amiodarone. La fibrillazione ventricolare è l’aritmia più temuta, e porta al decesso il paziente in pochi minuti, se non si interviene immediatamente con la defibrillazione (vedi Capitolo 44). Un blocco atrioventricolare di I grado o di II grado tipo Wenckebach (Mobitz 1) è comune nell’infarto inferiore, ma raramente causa compromissione emodinamica, e può essere trattato, se necessario, con atropina. Il blocco atrioventricolare di II grado tipo Mobitz 2 (vedi Capitolo 41) ed il blocco atrioventricolare di III grado rappresentano indicazioni all’inserimento di un elettrocatetere per eseguire la

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libro cardiologia.doc stimolazione ventricolare con un pace-maker esterno. COMPLICANZE EMODINAMICHE Insufficienza ventricolare sinistra In corso di SCA, numerose condizioni possono indurre un’insufficienza del ventricolo sinistro, che può essere strettamente legata all’estensione dell’area ischemica (un’area ischemica vasta determina un marcato deficit di contrazione), o anche essere la conseguenza di aritmie o della disfunzione valvolare mitralica provocata dall’infarto. Le manifestazioni cliniche dell’insufficienza ventricolare sinistra consistono in dispnea, tachicardia sinusale, comparsa di terzo tono e di rantoli polmonari inizialmente localizzati alle basi. L’esame obiettivo consente di classificare la gravità dell’insufficienza ventricolare utilizzando le classi di Killip: la classe 1 si caratterizza per l’assenza di rumori umidi polmonari, la classe 2 per la presenza di rantoli in meno del 50% dei campi polmonari, nella classe 3 i rantoli si ascoltano in più del 50% dei campi polmonari, e i pazienti in classe 4 presentano il quadro dello shock cardiogeno (vedi Capitolo 22), caratterizzato da ipoperfusione generalizzata: il soggetto ha una pressione sistolica 15-20 mmHg nelle forme più gravi). Gli effetti della costrizione pericardica sono più marcati a carico delle sezioni destre. Il meccanismo di Frank Sktarling non è operante, essendo il volume telediastolico dei ventricoli fisso, mentre le modificazioni della gittata cardiaca dipendono quasi esclusivamente dalle modificazioni della frequenza cardiaca.

Figura 4

Pressione ventricolare sinistra (VS) e ventricolare destra (VD) registrate simultaneamente in corso di

pericardite costrittiva. Si noti l’aspetto a “radice quadrata“ (dip-and-plateau) delle curve pressorie durante la fase diastolica

Quadro clinico La malattia ha un esordio insidioso e può decorrere misconosciuta per molti anni. Il quadro clinico della pericardite costrittiva simula quello di uno scompenso cardiaco congestizio, da deficit del ventricolo destro. I sintomi sono la dispnea da sforzo e l’astenia (da attribuirsi alla riduzione del flusso anterogrado) mentre raramente si verificano dispnea a riposo e ortopnea. L’astenia è il sintomo prevalente. I toni cardiaci sono di intensità normale o ridotta, si può a volte ascoltare un tono aggiunto protodiastolico (pericardial knock), da attribuirsi al brusco impedimento diastolico dell’espansione ventricolare ad opera della costrizione pericardica). Sono presenti segni di ipertensione venosa periferica e di congestione viscerale sistemica: epatosplenomegalia, edemi declivi, ascite, turgore delle giugulari. Può anche essere presente polso paradosso (vedi Capitolo 2).

Diagnosi Non sono presenti alterazioni elettrocardiografiche specifiche, ma di solito i complessi QRS sono di basso voltaggio e le onde P slargate e bifide, a indicare ingrandimento atriale (vedi Capitolo 3), e nel 20-30 % dei casi si può riscontrare una fibrillazione atriale cronica. All’RX del torace l’ombra cardiaca appare di normali dimensioni, ed è frequente il rilievo di calcificazioni pericardiche. All’ecocardiogramma si nota un ingrandimento atriale con dimensioni ventricolari normali, l’ispessimento del pericardio, la dilatazione delle vene epatiche e della vena cava inferiore; l’esame doppler mostra anomalie del riempimento ventricolare. Il cateterismo cardiaco si rende necessario quando i sintomi e i reperti strumentali non permettono una diagnosi certa. La TAC

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libro cardiologia.doc e la risonanza magnetica cardiaca vengono considerate il gold standard per la diagnosi.

antidepressivi triciclici e gli antipsicotici possono indurre miocardite mediante reazioni da ipersensibilità. Tra le malattie autoimmunitarie, anche la celiachia può determinare una miocardite.

Diagnosi differenziale La pericardite costrittiva va distinta, sulla base dei reperti obiettivi e dei dai ecocardiografici, dallo scompenso cardiaco congestizio secondario a valvulopatie acquisite (specie tricuspidali). La diagnosi differenziale con la cardiomiopatia restrittiva (vedi Capitolo 30) è difficile: l’esame emodinamico è dirimente giacché nella cardiomiopatia restrittiva la pressione telediastolica è maggiore nelle sezioni sinistre che in quelle destre, mentre nella pericardite costrittiva tende ad essere uguale in entrambe le camere ventricolari. La diagnosi differenziale con il cuore polmonare cronico, la cirrosi epatica e l’ infarto del ventricolo destro è semplice, e si basa sull’anamnesi, sul quadro clinico ed sui principali esami strumentali.

CENNI DI TERAPIA DELLE PERICARDITI

La terapia delle pericarditi acute e del versamento pericardico dipende dalla loro eziologia: per esempio, nelle forme uremiche il trattamento necessario è quello dialitico, nelle forme tubercolari quello specifico con farmaci chemioterapici. Nelle pericarditi acute virali ed in quelle postpericardiotomiche, l’approccio terapeutico è dato dai FANS che debbono essere somministrati per lungo tempo (almeno 6 mesi) per impedire la comparsa di recidive. Anche la terapia corticosteroidea appare efficace ma aumenta in maniera significativa la frequenza delle recidive entro un anno dalla risoluzione del versamento. Nelle forme lievi con versamento modesto si consiglia l’ utilizzo dei FANS, mentre nelle forme associate a versamento pericardico importante si possono utilizzare anche i cortisonici. Nelle forme postinfartuali sono controindicati i farmaci corticosteroidei, che possono indebolire la formazione della cicatrice infartuale. Il trattamento del tamponamento cardiaco è costituito dalla rimozione del liquido pericardico mediante pericardiocentesi oppure drenaggio chirurgico con creazione della finestra pleuropericardica.

Capitolo 33 MIOCARDITI Antonello Ganau, Pier Sergio Saba DEFINIZIONE

Le miocarditi rappresentano le malattie infiammatorie del tessuto miocardico. Sebbene abbiano frequentemente una evoluzione benigna, recenti dati autoptici le hanno chiamate in causa nella genesi della morte improvvisa dei giovani adulti, poiché in una percentuale compresa tra l’8% e il 12% dei casi l’esame istologico del miocardio di giovani deceduti improvvisamente ha mostrato i caratteristici aspetti infiammatori. In ampi studi prospettici, le miocarditi sono state anche implicate nella genesi della cardiomiopatia dilatativa (vedi Capitolo…) in circa il 10% dei casi

EZIOLOGIA

I potenziali agenti eziologici delle miocarditi sono molto numerosi (Tabella I). La causa più frequente è una infezione virale, spesso da enterovirus ed in particolare da virus Coxsackie del serotipo B. Altri ceppi virali identificati come possibili cause di miocardite sono gli adenovirus, il virus dell’epatite C (HCV) e il virus dell’immunodeficienza acquisita (HIV). Anche alcuni batteri, miceti, protozoi e parassiti possono agire come agenti patogeni. Numerosi farmaci, tra cui gli antibiotici (sulfonamidi, cefaloslosporine, penicilline), i diuretici, la digossina, gli

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PATOGENESI

Gran parte delle conoscenze sulla patogenesi delle miocarditi deriva da modelli animali che hanno identificato tre fasi. Nella prima fase si verifica l’invasione diretta del miocardio da parte di virus cardiotropi o di altri agenti infettivi. Dopo la risoluzione o l’attenuazione della infezione virale può insorgere la seconda fase di attivazione immunologica, nella quale si osserva una espansione clonale di linfociti B, che determina ulteriore miocitolisi, aggravamento della infiammazione locale e produzione di anticorpi circolanti anti-muscolo cardiaco. La terza e ultima fase è conseguenza del danno virale e autoimmunitario, ma può continuare autonomamente dopo l’insulto iniziale. E’ caratterizzata da infiltrazione miocardica da parte di cellule infiammatorie, compresi i macrofagi e le Natural Killer, con la conseguente espressione di citochine pro-infiammatorie come la interleukina-1, la interleukina-2, il tumor necrosis factor (TNF), e l’interferone- . Il TNF, in particolare, attiva le cellule endoteliali, recluta ulteriori cellule infiammatorie, incrementa la produzione di citochine e ha un effetto inotropo negativo diretto.

MANIFESTAZIONI CLINICHE

Le miocarditi si possono presentare con quadri che vanno dalle semplici anomalie elettrocardiografiche asintomatiche allo shock cardiogeno. I pazienti possono lamentare sintomi prodromici attribuibili ad una infezione virale, quali febbre, mialgie, sintomi respiratori o gastroenterici, prima della comparsa di sintomi e segni di insufficienza cardiaca acuta (vedi Capitolo…). La manifestazione clinica più drammatica è la dilatazione cardiaca ad insorgenza acuta, con grave disfunzione sistolica del ventricolo sinistro e rapida insorgenza di scompenso. Talora la miocardite simula una sindrome coronarica acuta. In questi casi si osserva un aumento dei marcatori di necrosi miocardica (CK-MB, Troponina) e modificazioni elettrocardiografiche tipiche dell’ischemia miocardica, quali sopraslivellamento del tratto ST, inversione dell’onda T, comparsa di onde Q patologiche o sottoslivellamento diffuso del tratto ST. L’ecocardiogramma evidenzia spesso anomalie della cinetica ventricolare sinistra, pur in presenza di coronarie indenni da lesioni all’esame coronarografico. Le miocarditi possono inoltre produrre variabili effetti sul sistema di conduzione e sul ritmo cardiaco, e sono in grado di provocare blocchi di branca (vedi Capitolo…), blocco A-V (vedi capitolo…), battiti ectopici (vedi Capitolo…) o tachicardie. La tachicardia ventricolare (vedi Capitolo…) si presenta raramente all’esordio della malattia, ma si osserva frequentemente durante il follow-up a lungo termine di questi pazienti.

VALUTAZIONE DIAGNOSTICA

La diagnosi di miocardite può essere sospettata sulla base dei sintomi, dell’elettrocardiogramma, di valori elevati della proteina C reattiva e dei marker di danno miocardico (troponina o CK-MB) e di aumento delle IgM specifiche per virus a tropismo miocardico, ma la diagnosi di certezza si basa sulla istologia. Elettrocardiogramma I quadri elettrocardiografici più comuni sono caratterizzati da una diffusa inversione dell’onda T, ma può anche comparire sopraslivellamento del tratto ST, soprattutto nelle forme di miocardite con interessamento pericardico ( Figura 1). Tabella 1

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Biopsia endomiocardica La biopsia endomiocardica è tuttora considerata il gold standard per una diagnosi di certezza della miocardite. Il tipico quadro istologico mostra l’interstizio miocardico occupato da edema e infiltrato infiammatorio, ricco di linfociti e macrofagi, e la presenza di quadri di necrosi focale di miociti ( Figura 3) Tuttavia, le classificazioni istopatologiche proposte attualmente forniscono informazioni clinicamente utili soltanto in una minoranza dei casi. Per tale motivo la biopsia endomiocardica è generalmente riservata ai pazienti con una cardiomiopatia rapidamente progressiva e refrattaria alla terapia standard o con una cardiomiopatia di origine sconosciuta associata a progressiva alterazione del sistema di conduzione o aritmie ventricolari minacciose per la vita.

Figura 1

Elettrocardiogramma di un giovane paziente di 25 anni affetto da miocardio-pericardite acuta. Sono

presenti tachicardia e sopralivellamento diffuso del tratto ST

Marcatori di infiammazione e di necrosi. La VES, la proteina C reattiva ed altri marcatori di infiammazione appaiono alterati in caso di miocardite, ma sono del tutto aspecifici e non si sono dimostrati particolarmente utili nella valutazione diagnostica e prognostica dei pazienti con miocardite. I marcatori di necrosi miocardica vengono misurati nei pazienti con sospetta miocardite, anche se la loro sensibilità diagnostica è risultata in genere bassa e variabile. Ecocardiogramma In tutti i pazienti con sospetta miocardite dovrebbe essere eseguito un ecocardiogramma per la ricerca di anomalie della contrattilità ventricolare sinistra. Il reperto iniziale più comune è il riscontro di alterazioni della cinetica parietale del ventricolo sinistro, in assenza di significativa dilatazione della camera. La disfunzione del ventricolo destro è meno frequente. Risonanza magnetica nucleare La metodica più promettente per la diagnosi delle miocarditi è la risonanza magnetica nucleare con contrasto di gadolinio. Tale tecnica è in grado di individuare le aree miocardiche interessate dall’infiltrazione infiammatoria e consente l’effettuazione di biopsie mirate per la conferma della diagnosi ( Figura 2).

Figura 3

Interstizio miocardico con abbondante edema e infiltrato infiammatorio, ricco di linfociti e macrofagi

e con distruzione focale di miociti.

STORIA NATURALE

La storia naturale delle miocarditi è variabile, così come la presentazione clinica. Le miocarditi che simulano un infarto del miocardio evolvono, nella stragrande maggioranza dei casi, verso il completo recupero. I pazienti che esordiscono con scompenso cardiaco possono presentare una moderata disfunzione miocardica (frazione di Figura 2

Risonanza magnetica di un paziente con miocardite acuta. Le frecce indicano edema miocardico nelle

immagini T2-pesate con soppressione del grasso, in proiezione in asse lungo (A) e asse corto (B).

eiezione 40-50%), che gradualmente migliora nel giro di settimane o mesi. In una piccola percentuale di soggetti, tuttavia, la miocardite può avere inizio con una funzione sistolica gravemente depressa (frazione di eiezione del ventricolo sinistro minore del 35%) e in tal caso la metà circa dei pazienti evolve verso lo

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libro cardiologia.doc scompenso cardiaco cronico, il 25% va incontro al trapianto o alla morte, e solo nel rimanente 25% si assiste

l’endotelio sano. Una patologia cardiaca preesistente è abitualmente necessaria per l’impianto dei germi, ma la

ad un progressivamente miglioramento della funzione ventricolare.

frequenza di complicanze endocarditiche nelle singole patologie cardiovascolari è variabile: il rischio è massimo

Il tasso di mortalità delle miocarditi varia dal 20 al 56%, ma raggiunge l’80% a 5 anni nelle forme che alla

nell’insufficienza valvolare aortica o mitralica, seguite dalla persistenza del dotto arterioso e dai difetti del setto

biopsia mostrano un quadro istologico a cellule giganti. La presentazione clinica caratterizzata da sincope,

ventricolare, mentre è minima nella stenosi mitralica o nel prolasso isolato della valvola mitralica. Nei portatori

disturbo della conduzione intraventricolare (blocchi di branca) o frazione di eiezione minore del 40% è gravata

di protesi valvolari, il rischio è più o meno simile per ogni tipo di cardiopatia che ha richiesto l’inserzione della

da un maggior rischio di morte o di evoluzione verso il trapianto.

protesi, specie se meccanica; nei tossicodipendenti che fanno uso di siringhe non sterili con trasferimento della droga a più persone, la sede iniziale è spesso la tricuspide, ma le forme più gravi sono la localizzazione mitralica

TERAPIA

od aortica. I microrganismi penetrano per lo più in seguito a manovre strumentali sulla bocca (estrazioni dentarie) o dopo endoscopia digestiva, cateterismo delle vie urinarie, cateterismo cardiaco, emodialisi, aghi a permanenza nelle

La terapia della miocardite è principalmente di supporto. Solo i pazienti che si presentano con un quadro di

vene, raramente a causa di infezioni cutanee o ustioni.

scompenso cardiaco grave hanno necessità di trattamenti aggressivi, e in essi è indicato l’uso di farmaci inotropi positivi, diuretici, e vasodilatatori. Dopo la stabilizzazione emodinamica iniziale, la terapia dovrebbe ANATOMIA PATOLOGICA

includere un ACE-inibitore e un ß-bloccante e, nei casi di grave disfunzione sistolica (III e IV classe funzionale NYHA), un diuretico. Risultati non ancora univoci suggeriscono l’impiego di farmaci immunosoppressori nelle miocarditi. Al momento

I germi si localizzano nelle strutture sopra ricordate in presenza di endotelio non normale (quello intatto è assai

questo tipo di terapia non è da considerare di scelta nella gestione routinaria di questi pazienti, sebbene dati

resistente all’impianto di microrganismi) dal lato della cavità a minore pressione (per esempio, sulla faccia

incoraggianti siano stati ottenuti in quelli con miocardite a cellule giganti.

atriale dei lembi mitralici). Si depositano inizialmente le piastrine e quindi giungono i batteri, che formano le “colonie”, mescolati a globuli rossi e bianchi, fibrina e materiale di distruzione del tessuto valvolare. A volte i

Capitolo 34 ENDOCARDITE INFETTIVA Sergio Dalla Volta

germi si moltiplicano in modo violento, formando vere e proprie ulcerazioni, ma più spesso la moltiplicazione è lenta. Poiché le vegetazioni (Figura 1) sono costituite da materiale friabile, la loro rottura è frequente, comportando la reimmissione in circolo del materiale che comprende i microrganismi (batteriemia), e provocando nuove

DEFINIZIONE

localizzazione in vari organi e tessuti: cute, mucose, reni, milza, cervello

Questa malattia è stata nota, per molti decenni, con i termini di endocardite lenta o di endocardite batterica

PATOGENESI

subacuta, che definiscono il primo l’andamento abitualmente, ma non necessariamente, torpido ed il secondo l’eziologia batterica della maggior parte dei casi. Si tratta di una forma morbosa che si sviluppa nell’endotelio del cuore già precedentemente leso, per lo più

Le caratteristiche del quadro clinico e gli studi sperimentali hanno dimostrato che le manifestazioni della

sulle valvole cardiache sia native che protesiche, su cui si impiantano dapprima le piastrine, che penetrano

malattia ed i sintomi e segni clinici sono la conseguenza di tre meccanismi attivi simultaneamente: 1) le

attraverso la lesione stessa (endocardite abatterica). In presenza di batteriemia per penetrazione di

conseguenze della infezione; 2) le metastasi trombo-emboliche; 3) le alterazioni immunologiche. Le

microrganismi da varie fonti (cavità orale in particolare), i germi colonizzano sulle piastrine (endocardite

conseguenze dell’infezione sono legate alla tossicità dei microrganismi ed alla intensità della loro propagazione

infettiva) e formano le cosiddette vegetazioni, arricchite poi da eritrociti, leucociti, e cellule infiammatorie. Oltre

ai vari organi; le manifestazioni emboliche, dipendenti dalla friabilità delle vegetazioni, colpiscono in modo

che sulle valvole, le colonie si localizzano nei difetti del setto interventricolare, nel dotto arterioso di Botallo o

particolare alcuni distretti; i fenomeni autoimmuni sono la conseguenza della stimolazione del sistema

sull’endocardio murale; quest’ultima evenienza è possibile solo in caso di applicazione di dispositivi intracardiaci

immunitario da parte dei germi, con formazione di autoanticorpi.

come cateteri o piccoli strumenti per chiudere difetti. Particolari condizioni, come la tossicodipendenza, le diminuite resistenze immunitarie, e l’emodialisi favoriscono

QUADRO CLINICO

la malattia, la cui frequenza è oggi stimabile tra il 2,5 ed il 6,0 per 100.000 persone. I sintomi e i segni della infiammazione sono precoci e numerosi, anche se aspecifici: tra quelli generali la febbre EZIOLOGIA

di tipo continuo, quasi mai con brividi, con valori inferiori a 39°, compare nell’80-90% dei casi, mancando solo negli immunocompromessi o nei grandi anziani. Essa si accompagna ad inappetenza, perdita di peso e

Anche se molti microrganismi, non solo batterici, ma anche fungini, possono essere causa della malattia, non

malessere; meno comuni sono sudorazione e cefalea. L’ascoltazione cardiaca può rivelare la comparsa di nuovi

più di una decina di agenti è responsabile del 90% dei casi.

soffi o la modificazione di soffi preesistenti in oltre l’80% dei casi, ed indica la valvola interessata. La tachicardia

Sulle valvole native o nei difetti intracardiaci, l’85% è costituito da streptococchi, pneumococchi o enterococchi;

è presente nella metà dei casi. La splenomegalia, oggi che la terapia antibiotica è disponibile, è rilevabile in non

nei tossicodipendenti lo stafilococco aureo è presente nel 90% dei casi; tra i funghi prevale la candida.

più del 50% dei casi, essendo un segno non precoce. Nella metà dei casi, sono riscontrabili petecchie nelle

I microrganismi entrano nel torrente ematico da mucose, siti di infezioni focali, meno spesso cute. Essi

congiuntive, nella bocca, nella mucosa del palato, alle estremità; meno frequentemente si osservano i noduli di

aderiscono ai trombi nella quasi totalità dei casi, eccetto lo stafilococco aureo che può colpire direttamente

Osler, noduli teneri, piccoli come capocchie di spillo, ben visibili alle estremità delle dita e di durata da molte

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libro cardiologia.doc ore a pochi giorni. Le conseguenze emboliche della malattia comprendono: le macchie di Janeway, manifestazioni eritematose od emorragiche sulle palme delle mani o le piante dei piedi (7-10% dei malati), l’embolia splenica, l’infarto renale, l’occlusione embolica dell’arteria retinica; più rari gli ascessi embolici cerebrali con sindrome neurologica di focolaio. Tra le manifestazioni da immunocomplessi le più importanti sono le lesioni renali (insufficienza renale da glomerulonefrite con ematuria e iperazotemia), la presenza di anticorpi specifici per il fattore reumatoide o di anticorpi antisarcolemmatici ed antiendocardio. Altre manifestazioni sono l’insufficienza cardiaca da rottura di corde tendinee, l’emorragia cerebrale da rottura di emboli micotici, lo shock settico, l’insufficienza renale, che può riconoscere più meccanismi, compresa la terapia antibiotica in eccesso o con farmaci nefrotossici.

Il laboratorio mostra reperti aspecifici quali gradi variabili di anemia, leucocitosi neutrofila, aumento della velocità di sedimentazione. Di estrema utilità è l’esecuzione di ripetute emoculture, volte all’isolamento del germe responsabile. L’emocultura conferma che si tratti di endocardite infettiva con batteriemia e permette di iniziare una terapia antibiotica mirata. Di solito i germi patogeni abituali danno positività della emocultura, ma in taluni casi, specie nelle forme su protesi valvolari da germi spesso poco patogeni, l’emocultura può non essere positiva inizialmente o esserlo in ritardo.

Dati di notevole importanza offre l’ecocardiografia, per via transtoracica e sopratutto transesofagea: tale esame è oggi obbligatorio in ogni caso sospetto di endocardite infettiva. Esso mostra la presenza delle vegetazioni aderenti alle valvole o alle altre sedi della infezione, sotto forma di ammassi translucidi (ECO 39,ECO 40,ECO 41,ECO 42,ECO 43). L’ecografia transtoracica dà positività in circa il 65% dei casi, per cui è la prima ricerca da eseguire, quella transesofagea dà positività vere in oltre il 90%, per cui è obbligatoria nel sospetto fondato di endocardite se l'ecocardiografia transtoracica è negativa. Il significato prognostico delle vegetazioni è piuttosto controverso, anche se il rischio embolico è particolarmente frequente se le vegetazioni sono voluminose. Durante il decorso, le vegetazioni mostrano, quando la malattia tende alla guarigione, una riduzione, sino alla loro scomparsa nella metà dei casi, mentre restano invariate, anche a lungo termine, negli altri. In presenza di complicanze, ascessi dell'anello valvolare, aneurismi micotici dei seni di Valsalva, fistole, e così via, l'ecocardiografia è di grande valore. Elettrocardiogramma, radiografia del torace, immagini da TAC o RMN non forniscono di solito dati utili alla diagnosi dell’endocardite infettiva.

Tabella 1

Riconoscimento della malattia. Gli aspetti polimorfi della endocardite, specie oggi, visto che la terapia antibiotica ha modificato il quadro clinico, hanno sempre fornito difficoltà non piccole, per cui si è presto ricorsi

Decorso, prognosi. La malattia è stata radicalmente modificata nel suo andamento e nella prognosi

alla ricerca di criteri di certezza. Oggi i criteri della Duke University (Tabella I), che classifica i dati disponibili in

dall’avvento della terapia antibiotica e, in casi particolari, dalla chirurgia cardiaca. In assenza di trattamento,

maggiori e minori, sono seguiti quasi senza eccezioni: due criteri maggiori o uno maggiore e tre minori o, in

l’endocardite infettiva porta alla morte in circa il 90% dei casi; oggi oltre l’80% dei malati può guarire se la

modo meno attendibile, cinque minori, sono considerati necessari per la diagnosi definiva. La difficoltà di

terapia, medica o chirurgica, è ben condotta. Chiaro è che una terapia iniziata tardivamente può portare alla

riconoscimento della malattia, favorita dalla dimenticanza del postulato di Osler “qualsiasi processo febbrile che

compromissione della situazione cardiaca, soprattutto a un aggravamento di lesioni valvolari preesistenti

dura più di 5 giorni in un cardiopatico può essere endocardite infettiva” rende spesso tardivo il riconoscimento, per cui la diagnosi viene raggiunta dopo oltre due mesi, anche per la difficoltà di distinguere la malattia da altre

CENNI DI TERAPIA

patologie infettive e no, tra cui il lupus eritematoso, la brucellosi, la tubercolosi polmonare, le glomerulonefriti, le vasculiti, i tumori.

La terapia antibiotica è basata sulla identificazione del microrganismo responsabile e sulla dimostrazione della sensibilità del germe all’antibiotico. Il trattamento iniziale dovrebbe essere condotto con i dosaggi massimi del farmaco e per via endovenosa, in modo da assicurare una concentrazione costante per tutte le 24 ore. In caso di risposta positiva, la terapia va condotta per 4 settimane, e a partire dalla seconda è possibile il trattamento orale. In caso di endocardite ad emocultura negativa, si può iniziare una terapia empirica a largo spettro, che comprenda un macrolide ed un antibiotico attivo sui gram negativi a dosi elevate e, possibilmente,

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libro cardiologia.doc sostituito dalla terapia più adatta quando l’emocultura ha chiarito il microrganismo responsabile.

La produzione da parte del tumore di interleuchina rende ragione dei cosidetti sintomi costituzionali: febbricola,

La terapia chirurgica ha ben precise indicazioni, e può essere impiegata nelle seguenti condizioni:

astenia, dolori osteo-articolari, malessere. Infine, esistono i mixomi cosiddetti “silenziosi” che non danno segni di sé e rappresentano un reperto



infezioni incontrollate dai farmaci, dopo due settimane, in presenza di germi particolari, quali stafilococco aureo nei tossicodipendenti con grave endocardite o lo pseudomonas o talune infezioni fungine;

occasionale autoptico o, oggi molto più frequentemente, ecocardiografico incidentale. L’evoluzione naturale di questi mixomi silenziosi può essere con gli anni la trasformazione calcifica (“litomixoma”).

• •

mancata risposta alla terapia antibiotica per presenza di grave insufficienza cardiaca;

La diagnosi di mixoma è facilmente e rapidamente eseguibile con l’ecocardiografia transtoracica. Possono

lesione valvolare mitralica aortica o di entrambe le valvole con decorso tempestoso;

simulare un mixoma atriale sinistro i trombi complicanti le valvulopatie reumatiche della mitrale (compreso il

• •

ascessi anulari, batteriemia persistente nonostante una terapia medica massimale, embolie ricorrenti;

cosiddetto “trombo a palla”) e neoplasie maligne, primitive o secondarie, a prevalente crescita endocavitaria.

vegetazioni molto grandi in sede valvolare.

La terapia è costituita dalla resezione chirurgica in circolazione extracorporea. L’asportazione della base di impianto del setto interatriale previene la possibilità di recidive.

Profilassi: poiché la malattia compare spesso dopo manovre mediche comportanti batteriemia (vedi sopra), queste dovrebbero essere precedute e seguite immediatamente da profilassi con antibiotici attivi sui gram positivi o negativi secondo le sede della manovra. La profilassi non risolve definitivamente il problema del rischio, ma ne riduce le probabilità: pertanto essa dovrebbe essere eseguita in tutti i casi in cui la possibilità di una batteriemia è consistente. Per le manovre sull’apparato respiratorio o dentario, l’amoxacillina è abitualmente adeguata, ma può essere sostituita con la vancomicina o la clindamicina in caso di intolleranza: per le manovre comportanti il rischio di germi gran negativi, la gentamicina è il farmaco più largamente impiegato.

Capitolo 35 I TUMORI DEL CUORE Gaetano Thiene, Cristina Basso, Marialuisa Valente I TUMORI DEL CUORE

Anche il cuore, seppur raramente, può essere colpito da tumori, ma la loro malignità è legata più a fattori emodinamici che biologici. Va detto innanzitutto che le neoplasie secondarie (metastasi al cuore) sono molto più frequenti che le neoplasie primitive, con un rapporto di circa 10:1. I tumori maligni che più frequentemente metastatizzano al cuore sono il cancro del polmone, seguito da quello renale, del laringe, della mammella, del fegato e dai linfomi-leucemie. L’interessamento del cuore nel carcinoma polmonare avviene per lo più sotto forma di diffusione pericardica (“carcinosi pericardica”) e la diagnosi può essere fatta con un esame citologico del liquido pericardico.

Figura 1

Per quanto concerne i tumori primitivi del cuore, le forme benigne sono di gran lunga più frequenti (90%) rispetto a quelle maligne (10%). Fra i tumori benigni, primeggia il mixoma: tre su quattro neoplasie benigne del cuore e del pericardio sono costituite da mixomi. Il mixoma è una neoformazione endocardica a crescita endocavitaria, di origine da una cellula indifferenziata che tende a produrre una matrice mixoide e strutture vascolari (“endotelioma mixomatoso”). Sede prediletta è l’atrio sinistro (75%), seguito dall’atrio destro (20%), dal ventricolo destro (3%) ed eccezionalmente dal ventricolo sinistro (1%). È per questa ragione che è conosciuto anche con il nome di mixoma atriale. Colpisce le donne nei due terzi dei casi, per lo più in una fascia d’età fra i 40 e i 70 anni. Rari sono i mixomi in età pediatrica. La presentazione clinica è varia. Prevalgono i sintomi di ostruzione al transito ematico, con dispnea e sincope nei mixomi atriali sinistri (Figura 1) e perfino morte improvvisa in quelle masse che si impegnano e si intrappolano nell’orifizio mitralico. La superficie friabile, specie nelle forme villose, può dar luogo ad embolie, che possono essere il sintomo di esordio (Figura 2) anche in neoplasie di piccole dimensioni. Il peso può variare da una decina a oltre 100 grammi, e le dimensioni essere tali da occupare quasi tutta la cavità atriale.

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Mixoma atriale sinistro a superficie liscia, sessile, esordito con dispnea e sincope.

libro cardiologia.doc

Figura 3

Papilloma dell’endocardio ventricolare sinistro:

Figura 4

Gigantesco fibroma del setto interventricolare, curato con trapianto cardiaco.

a) masserella all’eco, attaccata ad un muscolo papillare della mitrale; b) la neoplasia, dopo resezione chirurgica, delle dimensioni di 15 mm; c) istologia con aspetto arboriforme.

Da segnalare, fra gli altri tumori benigni del cuore, il lipoma del setto interatriale e il tawarioma, ovvero il tumore cistico del nodo atrioventricolare (nodo di Tawara), di derivazione celomatica pericardica, che si può manifestare con blocco atrioventricolare.

Il papilloma endocardico, detto anche fibroelastoma papillare, rappresenta la seconda più frequente

Le neoplasie maligne primitive del cuore (sarcomi) sono rare e si originano sia dalla componente parenchimale

neoplasia cardiaca benigna (Figura 3). Tumore prevalentemente di piccole dimensioni (1-2 cm), è costituito da

che mesenchimale. Sono per lo più a crescita intramurale infiltrante (angiosarcoma, rabdomiosarcoma), ma

papille con asse fibroelastico, per cui a differenza del mixoma non è friabile. Cresce più spesso dall’endocardio

possono anche avere una prevalente crescita endocavitaria e simulare un mixoma (leiomiosarcoma,

delle valvole cardiache, ma anche da quello murale, ed ha una crescita endocavitaria. La sintomatologia è

fibroistiocitoma). Si impone in questi casi l’esame istologico di tutte le masse resecate chirurgicamente, anche

dovuta alla potenzialità emboligena, soprattutto per le stratificazioni trombotiche che si sovrappongono. Se

quelle che mimano un mixoma, perché possono riservare sorprese con aspetti di malignità ed avere pertanto

localizzato nelle cuspidi sigmoidi aortiche, può incunearsi negli osti coronarici e dare morte improvvisa.

una prognosi infausta. Nelle neoplasie a crescita endocavitaria, la diagnosi può essere conseguita senza

La diagnosi è ecocardiografica, ma può non essere visibile se di piccole dimensioni. Se situato nel settore

toracotomia chirurgica, attraverso la biopsia endomiocardica.

sinistro del cuore, l’asportazione chirurgica è d’obbligo per la potenzialità emboligena.

Il controllo istologico delle masse resecate chirurgicamente o prelevate con la biopsia può rivelare una natura

Un tumore cardiaco benigno tipico dell’infanzia è il rabdomioma. Presenta una crescita più frequentemente

diversa da quella neoplastica: trombi (compresa la endocardite fibroplastica parietale di Loeffler della sindrome

intramurale ma anche endocavitaria con sintomatologia ostruttiva neonatale ed è da considerarsi un amartoma,

eosinofila) o infezioni (batteriche, fungine, protozoarie quali le cisti da echinococco).

in quanto costituito da cardiomiociti carichi di glicogeno. Diagnostica è la cosiddetta “spider cell”, ovvero

Capitolo 36 DEFINIZIONE E MECCANISMI DELLE ARITMIE

l’aspetto a ragno del cardiomiocita con accumulo di glicogeno e dispersione a ragnatela dei miofilamenti. Frequente è l’associazione del rabdomioma con la sclerosi tuberosa.

Giuseppe Oreto, Marco Cerrito

Il fibroma è un’altra tipica forma di tumore cardiaco benigno. È classicamente a crescita intramurale e può assumere anche dimensioni gigantesche, che possono impedire la sua enucleazione chirurgica e imporre un

DEFINIZIONE

trapianto (Figura 4). Trattasi di una fibromatosi del cuore in quanto la proliferazione connettivale ingloba i miociti residui. Caratteristiche all’istologia sono le calcificazioni. La sintomatologia può anche essere ostruttiva quando le grosse dimensioni obliterano la cavità. Frequenti le aritmie da circuito di rientro, con rischio di morte

Le Aritmie sono state classicamente definite come alterazioni della formazione e/o della conduzione

improvvisa elettrica.

dell’impulso. Secondo una definizione più recente Aritmia è ogni situazione non classificabile come ritmo cardiaco normale, inteso come ritmo ad origine dal nodo del seno, regolare e con normale frequenza e conduzione

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libro cardiologia.doc CLASSIFICAZIONE MECCANISMI ELETTROGENETICI

Una task force Italiana, incaricata nel 1999 di rivedere la classificazione delle Aritmie, ha affermato l’opportunità di abbandonare definitivamente la vecchia nomenclatura, che divideva la aritmie in ipercinetiche e ipocinetiche. Questi termini non andrebbero più impiegati per due ordini di motivi: da un lato essi utilizzano la

Vi sono meccanismi differenti per le tachicardie e i battiti ectopici da un lato, e le bradicardie dall’altro. Nelle

parola “cinetica”, che di solito esprime il movimento delle pareti del cuore più che il ritmo stesso, per cui

tachicardie e anche nei battiti ectopici prematuri (extrasistoli) gli impulsi nascono quasi sempre al di fuori dal

possono essere fonte di confusione, e dall’altro divergono nettamente da quelli utilizzati oltre i confini d’Italia,

nodo del seno e sono anticipati rispetto al normale ritmo sinusale, per cui il problema fondamentale è l’alterata

rendendo meno semplice la comunicazione fra gli Italiani ed il resto del mondo.

formazione dell’impulso. Nelle bradicardie, invece, il disordine principale riguarda (tranne che nella bradicardia

La classificazione attuale delle Aritmie prevede 3 categorie: Tachicardie, Bradicardie, Battiti ectopici.

sinusale) la conduzione più che la formazione dell’impulso.

Le tachicardie vengono suddivise in sopraventricolari e ventricolari, e ciascuna di queste classi ha diverse forme

Le tachicardie e le extrasistoli condividono i tre seguenti meccanismi aritmogeni: 1) L’aumentato automatismo,

(Tabella I). Le bradicardie comprendono la bradicardia sinusale, il blocco seno-atriale e il blocco atrio-

2) Il rientro, 3) I postpotenziali.

ventricolare. I battiti ectopici possono essere sopraventricolari (atriali e giunzionali) o ventricolari. L’AUTOMATISMO

Esistono nel cuore due popolazioni fondamentali di cellule: quelle segnapassi e quelle di lavoro. Soltanto le prime possiedono la capacità dell’automatismo, cioè sono in grado di iniziare il processo di depolarizzazione, che poi si trasmette alle altre cellule. In altri termini, durante la fase 4 il potenziale di riposo di queste cellule non è costante, a circa -90 mV, ma diviene gradualmente meno negativo fino a raggiungere il potenziale soglia, in corrispondenza del quale scatta la depolarizzazione rapida (fase 0 del potenziale d’azione). In altri termini, mentre le cellule di lavoro si attivano solo quando vengono raggiunte da un impulso esterno, quelle segnapassi (denominate anche cellule pacemaker) vanno incontro a depolarizzazione diastolica spontanea durante la fase 4. La frequenza con cui le cellule segnapassi generano gli impulsi dipende dalla pendenza della fase 4 di depolarizzazione diastolica spontanea. Un segnapassi può incrementare la propria frequenza di scarica con tre diversi meccanismi: l’aumentata pendenza della fase 4, lo spostamento del livello massimo di polarizzazione diastolica verso valori meno negativi, lo spostamento del potenziale soglia verso valori più negativi (Figura 1). In alto (pannello 1) è rappresentata l’aumentata pendenza della fase 4: il potenziale b (tratteggiato) ha una maggiore pendenza rispetto ad a, e di conseguenza la frequenza di formazione degli impulsi aumenta. Nel pannello di mezzo (2) viene presentata la differenza fra una cellula polarizzata a -90 mV (potenziale a, linea continua) e una in cui la polarizzazione è minore, per esempio, -75 mV (potenziale b, linea tratteggiata). La seconda raggiungerà il potenziale soglia più in fretta, poiché è minore il percorso che separa il potenziale iniziale dalla soglia, e avrà una frequenza di scarica maggiore rispetto a quella dell’altra. In basso (3) si può osservare l’effetto dello spostamento della soglia verso valori meno negativi. Se la soglia si sposta da -60 mV (a) a circa -70 mV (b, linea tratteggiata) la cellula raggiungerà più in fretta il potenziale soglia e la sua frequenza di scarica aumenterà.

Tabella 1

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libro cardiologia.doc Il circuito rappresentato nella Figura 2 corrisponde approssimativamente a quello che si realizza nel nodo AV. Nello schema vi è una zona ineccitabile al centro (il disco) e due vie (a e ß) che si riuniscono in alto in una via superiore comune (x) e in basso in una via inferiore comune (y). Un impulso proveniente dalla via superiore comune penetra in entrambe le vie; poiché la via ß ha una elevata velocità di conduzione, l’impulso l’attraversa in un tempo breve e raggiunge la via inferiore comune quando ancora la via a, che ha una bassa velocità di conduzione, è stata percorsa solo in parte. L’impulso che proviene dalla via ß può, quindi, invadere la via a in senso retrogrado e collidere con il fronte d'onda anterogrado che sta percorrendo questa via. In questo caso vi è il circuito, ma il rientro non si realizza per la mancanza degli altri due elementi.

Figura 1

L’automatismo. In ciascuna delle tre sezioni, la situazione “normale” viene espressa dai potenziali

d’azione disegnati con linea continua, mentre l’esaltato automatismo è raffigurato dai potenziali tratteggiati.

Nel cuore vi sono numerosi pacemaker, ciascuno con il proprio automatismo, espresso dalla frequenza di

Figura 2

scarica potenziale; i segnapassi sono soprattutto contenuti nel sistema di conduzione, particolarmente in alcune

? collide con il fronte anterogrado che attraversa la via ?.

Il circuito. Il rientro non si realizza perché l’impulso proveniente dalla via ß e retrocondotto nella via

zone degli atri, nel fascio di His, nelle branche e nelle loro diramazioni, nelle cellule di Purkinje; il nodo del seno è normalmente il segnapassi dominante perché è il più rapido, e il suo impulso, diffondendosi per tutto il cuore, scarica tutte le altre cellule pacemaker prima che il loro impulso “maturi”, cioè raggiunga la soglia. Il ritmo fisiologico è, perciò, sinusale. In condizioni patologiche, altri pacemaker possono prendere il comando perché il loro automatismo, per uno dei meccanismi sopra descritti, diventa maggiore di quello del nodo del seno: ecco generarsi un battito ectopico, se il segnapassi diverso dal nodo del seno riesce a guadagnare il comando del cuore una sola volta, o un ritmo ectopico, nel caso in cui tale segnapassi riesca a depolarizzare il cuore per diversi battiti consecutivi. Vi sono molte condizioni patologiche in cui l’automatismo di un segnapassi ectopico può essere esaltato; fra queste la stimolazione simpatica, l’ischemia, l’acidosi, gli squilibri elettrolitici. Inoltre, anche una cellula che normalmente non ha attività pacemaker, può assumerla in determinate circostanze, per esempio in corso d’infarto miocardico.

IL RIENTRO

Inteso in senso “classico”, il rientro è il fenomeno in cui un impulso generatosi in una camera torna indietro a riattivare la camera da cui proveniva. In realtà lo stesso termine si applica quando un impulso torna a riattivare il tessuto da cui proveniva, indipendentemente dal concetto di “camera”.

Figura 3

Il circuito e il blocco unidirezionale. L’impulso prematuro (fulmine) trova la via ß refrattaria e viene

condotto in senso anterogrado solo dalla via a. La via ß viene retroinvasa, ma l’impulso giunge alla zona critica quando questa non ha ancora recuperato l’eccitabilità e vi si blocca.

Perché il rientro abbia luogo, è necessario che siano contemporaneamente presenti 3 elementi fondamentali: il circuito, il blocco unidirezionale, la conduzione rallentata.

Il blocco unidirezionale viene schematizzato nella Figura 3. Esso si può realizzare perchè le due vie

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libro cardiologia.doc (a e ß), oltre a possedere una diversa velocità di conduzione, hanno anche un differente periodo refrattario, che è più lungo per la via rapida ß. Può sembrare strano che in un tessuto l’elevata velocità di conduzione si associ con un lungo periodo refrattario, mentre un altro tessuto possiede bassa velocità conduttiva e breve periodo refrattario. In realtà la velocità di conduzione dipende dalla pendenza (Vmax) della fase 0 del potenziale d’azione, mentre la refrattarietà dipende dalla durata del potenziale d’azione, soprattutto dalle fasi 2 e 3. E’ quindi comprensibile che una via abbia lungo periodo refrattario ed elevata velocità di conduzione, mentre l’altra ha periodo refrattario breve e bassa velocità di conduzione. Nella Figura 3, un impulso prematuro (fulmine) raggiunge simultaneamente le due vie: la via ß è ancora refrattaria, per cui l’impulso vi si blocca, mentre la via a è già uscita dalla refrattarietà, e riesce a condurre. L’impulso raggiunge attraverso la via a la via inferiore comune (y), e da qui retroinvade la via ß. Giunto all’estremità superiore della via ß, però, incontra ancora tessuto in periodo refrattario a causa della precedente attivazione anterograda, e si blocca. Il rientro, perciò, non avviene, visto che solo due elementi (il circuito e il blocco unidirezionale) sono presenti.

Nei ventricoli, il rientro si realizza in presenza di fibrosi miocardica, soprattutto in seguito a un infarto: l’esistenza di aree inattivabili (fibrotiche) all’interno di zone miocardiche eccitabili consente il formarsi di un circuito, da cui può originare una tachicardia ventricolare.

I POSTPOTENZIALI (ATTIVITÀ TRIGGERATA)

Una forma particolare di automatismo caratterizza l'attività triggerata. Diversamente dall'automatismo propriamente detto, nel quale la cellula segnapassi inizia la depolarizzazione autonomamente e senza l'intervento di un evento esterno scatenante, nell’attività triggerata è necessario un potenziale estraneo (trigger) che provochi la formazione dell'impulso prematuro. Il battito scatenante viene seguito da postpotenziali che, in determinate circostanze, generano un nuovo potenziale d'azione. I post-potenziali sono oscillazioni del potenziale di membrana che seguono un potenziale d'azione o si sovrappongono ad esso. Sono stati descritti due tipi di post-potenziali: precoci e tardivi (Figura 5). I post-potenziali precoci si

La conduzione rallentata, rappresentata nella Figura 4, consente infine il realizzarsi del rientro. Qui, a somiglianza della Figura 3, l’impulso prematuro proveniente dalla via superiore comune si blocca nella via ß e viene condotto dalla via a; raggiunta la via inferiore comune, poi, retroinvade la via ß. Diversamente da quanto accadeva nella Figura 3, però, qui l’impulso viene condotto così lentamente che, al momento in cui esso giunge alla parte prossimale della via ß, questa è già uscita dalla refrattarietà. Questo impulso, perciò, può “rientrare” nella via x, cioè nel tessuto dal quale proveniva, e contemporaneamente ripercorrere in senso anterogrado la via a. Il rientro può essere unico, oppure l’impulso può percorrere ininterrottamente il circuito, dando luogo a una tachicardia da rientro (Figura 4).

manifestano nel corso della ripolarizzazione (fasi 2 e 3 del potenziale d'azione), prima che questa si completi. Essi si osservano solitamente durante bradicardia o ripolarizzazione prolungata, ma possono anche essere indotti dalle catecolamine e da tutta una serie di condizioni quali ipokaliemia, ipocalcemia, acidosi, ipossia, somministrazione di alcuni farmaci. I post-potenziali tardivi, che si osservano quando la ripolarizzazione si è completata (fase 4), sono oscillazioni verso la positività del potenziale di membrana, che fanno seguito ad una temporanea iperpolarizzazione (Figura 5). Quando il post-potenziale tardivo è sufficientemente ampio da raggiungere la soglia, si genera un nuovo potenziale d'azione. La durata della ripolarizzazione influenza l'ampiezza dei postpotenziali tardivi: quanto più prolungata è la ripolarizzazione tanto maggiore è il voltaggio dei post-potenziali tardivi, e di conseguenza tanto più è probabile che si inneschi l'attività triggerata. I farmaci che prolungano il potenziale d'azione, come la chinidina, possono aumentare l'ampiezza dei post-potenziali tardivi e rendere più facile lo sviluppo dell'attività triggerata. Fra le aritmie da post-potenziali vi sono la “Torsione di punte”, una tachicardia ventricolare che si associa in genere a QT lungo, le aritmie da digitale, quelle da disionia e quelle indotte da catecolamine.

Figura 4

Il circuito, il blocco unidirezionale e la conduzione rallentata. Il rientro si completa perché nella via a

l’impulso viene condotto con un rallentamento sufficiente a permettere che la via ß recuperi l’eccitabilità prima di essere raggiunta.

Il rientro si può verificare in qualsiasi sede del cuore, tanto negli atri che nella giunzione A-V e nei ventricoli. Il nodo A-V è la struttura ideale per il realizzarsi del rientro, poiché possiede già in condizioni fisiologiche 2 vie con diversa refrattarietà e velocità di conduzione. Altra situazione in cui si verifica il rientro è la Sindrome di WolffParkinson-White, nella quale il circuito di rientro comprende una via accessoria di conduzione atrio-ventricolare (vedi Capitolo 38). Anche il flutter atriale è un’aritmia da rientro, dovuta a un macrocircuito che, nella maggior parte dei casi, è contenuto nell’atrio destro.

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libro cardiologia.doc Figura 5

A: il potenziale s’azione è seguito da un postpotenziale tardivo. B: il postpotenziale dà origine a un

nuovo potenziale d’azione. C: il potenziale d’azione è seguito da un postpotenziale precoce. D: il postpotenzale precoce genera un nuovo potrnziale d’azione

ELETTROGENESI DELLE BRADICARDIE

Le bradicardie possono conseguire a due meccanismi (vedi Capitolo 41): ridotta frequenza di formazione degli impulsi o alterata conduzione di impulsi che si formano con frequenza normale. L’avviatore primario del cuore è il nodo del seno (il segnapassi dotato di maggiore automatismo), e il sistema di conduzione trasmette il suo impulso a tutte le cellule miocardiche secondo una sequenza prestabilita e costante. Diffondendosi per il miocardio, l’impulso sinusale scarica tutti gli altri potenziali segnapassi più lenti, posti un pò dovunque, prima che essi riescano ad emettere il loro impulso. Se, tuttavia, il nodo del seno diviene deficitario, tanto da emettere impulsi a frequenza troppo bassa, i segnapassi secondari possono intervenire, dando inizio alla depolarizzazione del cuore. Questo meccanismo prende il nome di scappamento, e i complessi atriali e ventricolari così generati vengono detti appunto battiti di scappamento (vedi Capitolo 37).

Figura 1

Altro possibile meccanismo delle bradicardie è la mancata conduzione degli impulsi sinusali. Il problema può

A. Rappresentazione schematica del cuore. L’impulso attiva gli atri, attraversa la giunzione atrioventricolare e si

riguardare la conduzione fra il nodo del seno e l’atrio circostante (blocco seno-atriale) o la trasmissione

diffonde ai ventricoli.

dell’impulso dagli atri ai ventricoli (blocco atrio-ventricolare). Anche in queste circostanze possono intervenire, a

B. Rappresentazione schematica di un elettrocardiogramma; il ritmo è sinusale. Il diagramma a scala

depolarizzare il miocardio che l’impulso sinusale non riesce a raggiungere, i segnapassi di scappamento.

sottostante raffigura gli atri (A), la giunzione atrioventricolare (AV) e i ventricoli (V). I punti rappresentano il

Ritmo sinusale regolare.

momento in cui il nodo senoatriale emette i propri impulsi. In A i numeri esprimono la durata dei cicli P-P

Capitolo 37 BATTITI ECTOPICI

(ipotizzata pari a 100 centesimi di secondo), in AV quella del tempo di conduzione atrioventricolare (20) e, in V, quella dei cicli R-R (100).

Francesco Luzza, Scipione Carerj, Sebastiano Coglitore DEFINIZIONE CRITERI GENERALI

In condizioni normali, il ritmo cardiaco è governato dal nodo senoatriale, che rappresenta il naturale pacemaker del cuore e, a intervalli regolari, emette impulsi elettrici che depolarizzano tutto il miocardio (Figura 1). In particolari condizioni l’attivazione del cuore, o anche di parte di esso, può dipendere da un impulso che origina

Le extrasistoli sono un fenomeno molto frequente nella popolazione generale, e possono manifestarsi sia in

in una sede diversa dal nodo senoatriale; in tali casi l’impulso è definito ectopico e il battito che ne deriva è un

pazienti cardiopatici sia in soggetti clinicamente sani. Spesso non provocano sintomatologia alcuna e il loro

battito ectopico.

riscontro è assolutamente casuale; a volte, tuttavia, sono avvertite dal paziente e rappresentano la più

L’emissione di un impulso ectopico può essere “anticipata” rispetto al momento in cui è atteso il complesso del

frequente causa di cardiopalmo. Nella maggior parte dei casi, il paziente percepisce non il battito anticipato

ritmo di base; in tali casi si generano dei battiti prematuri detti anche extrasistoli. A seconda della sede di

bensì il lungo intervallo che di solito segue il complesso prematuro (pausa postextrasistolica) e lo descrive come

origine, le extrasistoli possono essere distinte in atriali, giunzionali e ventricolari.

una sensazione di “vuoto”, di “battito mancante” o di “cuore che si ferma”. In altre occasioni, invece, è il battito

Un battito ectopico può anche manifestarsi “in ritardo” rispetto al momento in cui era atteso un complesso del

del ritmo di base successivo all’extrasistole ad essere avvertito: la pausa postextrasistolica, infatti, determina

ritmo di base; il fenomeno si può verificare quando viene meno il battito normale, per cui un pacemaker

un prolungamento della diastole, cioè del tempo di riempimento ventricolare, che provoca un incremento della

secondario, solitamente “silente” perchè depolarizzato dalla scarica del segnapassi primario, dà origine a un

gittata sistolica, per cui il battito cardiaco viene sentito dal paziente come un “colpo”, un “tonfo” o un “senso di

impulso che attiva il miocardio. Questi complessi ectopici si manifestano dopo un ciclo più lungo di quello di

calore al volto”.

base e sono definiti battiti di scappamento. Come le extrasistoli, anche i battiti di scappamento possono essere

Alla palpazione del polso, l’extrasistole viene avvertita come un battito anticipato seguito da una pausa o, non

atriali, giunzionali o ventricolari.

di rado, come un “battito mancante”; infatti, se l’extrasistole è molto precoce e la diastole è breve, il ventricolo sinistro si contrae mentre contiene pochissimo sangue e la gittata sistolica è così ridotta da non generare un’onda sfigmica apprezzabile al polso. In presenza di battiti prematuri è necessario analizzare all’ECG alcuni elementi necessari per una diagnosi corretta e una completa valutazione del fenomeno.

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libro cardiologia.doc Sono riconoscibili per la presenza di: Morfologia del complesso prematuro Le extrasistoli presentano generalmente una morfologia differente da quella dei battiti del ritmo di base.



onda P prematura di morfologia differente da quella delle onde P sinusali;

L’attivazione della camera cardiaca in cui ha origine l’extrasistole, infatti, inizia in un punto diverso e procede

• •

pausa postextrasistolica generalmente non compensatoria;

con una sequenza differente rispetto a quanto si verifica in condizioni normali; ciò determina nei complessi

QRS solitamente identico a quelli sinusali.

prematuri un aspetto dell’onda P e/o del QRS differente rispetto a quello dei battiti sinusali. In molti casi, specie in soggetti esenti da cardiopatia, i complessi prematuri sono uguali tra loro (extrasistoli monomorfe); non di rado, però, la loro morfologia è variabile (extrasistoli polimorfe).

Intervallo di accoppiamento tra l’extrasistole e il precedente battito del ritmo di base Questo intervallo, detto copula, è generalmente costante o presenta minime oscillazioni per battiti prematuri che hanno la stessa origine; ciò suggerisce che l’emissione dell’impulso prematuro sia in qualche modo legata alla precedente depolarizzazione dovuta al ritmo di base. Quando la copula è molto breve l’extrasistole è detta precoce, in caso contrario è detta tardiva; se la durata della copula è solo di poco inferiore a quella del ciclo di base, cosicché il complesso prematuro si manifesta appena prima del battito del ritmo di base, l’extrasistole si

Gli impulsi atriali prematuri sono generalmente condotti ai ventricoli in modo analogo a quanto avviene nei complessi di origine sinusale; tuttavia è possibile che, a causa della loro prematurità, trovino parte del sistema di conduzione ancora in stato di refrattarietà e vadano incontro a un rallentamento o blocco della conduzione. Il più delle volte è il nodo A-V a non avere ancora totalmente recuperato la propria eccitabilità e gli impulsi prematuri atriali possono essere condotti ai ventricoli con un intervallo PR prolungato rispetto a quello dei complessi di base o, se molto precoci, possono addirittura bloccarsi nella giunzione atrioventricolare e, in tal caso, la P prematura non è seguita da un QRS (extrasistole atriale non condotta). In altre occasioni, invece, il rallentamento o blocco della conduzione interessa il sistema di Purkinje e le extrasistoli atriali sono condotte con un blocco di branca (extrasistoli atriali condotte con aberranza). (Figura 6) I battiti prematuri atriali sono una delle cause più comuni di irregolarità del ritmo cardiaco, anche se spesso il loro riscontro è casuale; in genere, richiedono un trattamento solo nei casi in cui sono scarsamente tollerati dal paziente o quando costituiscono un potenziale meccanismo di innesco di aritmie maggiori, quali il flutter e/o la fibrillazione atriale.

definisce telediastolica. A volte, battiti prematuri con identica morfologia mostrano una copula notevolmente variabile; in questi casi è molto probabile che l’impulso ectopico origini da un focus la cui attività sia indipendente da quella del ritmo di base e proceda secondo un ritmo proprio. Il fenomeno è definito parasistolia.

Intervallo tra l’extrasistole e il battito seguente del ritmo di base Il ciclo cardiaco successivo a un complesso prematuro è generalmente più lungo di quello del ritmo di base ed è definito pausa postextrasistolica. A seconda della durata, questa può essere compensatoria o non compensatoria. Nel primo caso, frequente soprattutto nelle extrasistoli ventricolari, la somma tra la durata della copula e quella della pausa equivale al doppio del ciclo di base, cosicché l’accorciamento del ciclo cardiaco provocato dall’extrasistole è perfettamente “compensato” dalla pausa successiva. Quando la pausa è non compensatoria la somma della sua durata con quella della copula è inferiore al doppio di un ciclo di base. Il fenomeno è frequente nelle extrasistoli sopraventricolari, ma a volte si può osservare anche dopo un battito prematuro ventricolare.

Modalità di comparsa dei complessi prematuri I battiti ectopici possono manifestarsi sporadicamente o, al contrario, essere relativamente frequenti. Spesso possono presentare un ritmo circadiano (ad esempio, incidenza elevata durante le ore diurne e scomparsa pressoché totale durante il riposo notturno) o comparire in occasione di eventi specifici. A volte, inoltre, possono manifestarsi con una cadenza regolare e dar luogo a sequenze più o meno prolungate di bigeminismo

Figura 2

(alternanza regolare di un complesso del ritmo dominante e di un’extrasistole), trigeminismo (ogni extrasistole

A. Un impulso prematuro origina negli atri, li attiva, depolarizza il nodo senoatriale e si diffonde ai ventricoli.

si manifesta dopo due complessi del ritmo di base), quadrigeminismo (un’extrasistole ogni tre complessi del

B. L’ECG schematico mostra un’extrasistole atriale (freccia). Nel diagramma a scala l’impulso prematuro attiva i

ritmo di base) e così via.

ventricoli e depolarizza il nodo del seno. L’impulso sinusale successivo emerge dopo 110 centesimi di secondo,

Nella maggior parte dei casi, le extrasistoli sono isolate (un solo complesso ectopico si manifesta tra due battiti

(ciclo sinusale più il tempo impiegato dall’impulso ectopico per raggiungere e depolarizzare il nodo senoatriale).

del ritmo dominante) ma, a volte, possono essere ripetitive e presentarsi sotto forma di coppia (due battiti ectopici consecutivi non separati da complessi del ritmo di base) o di tripletta (tre extrasistoli consecutive). La tripletta configura già una tachicardia non sostenuta (sopraventricolare o ventricolare).

EXTRASISTOLI ATRIALI

(Figura 2, Figura 3, Figura 4, Figura 5)

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Extrasistole atriale isolata seguita da pausa non compensatoria.

libro cardiologia.doc

Figura 6

Extrasistole atriale a conduzione aberrante; II derivazione.

Il quarto QRS è anticipato e ha una morfologia differente rispetto ai complessi sinusali; è preceduto da un’onda P prematura (freccia) e, pertanto, la diagnosi corretta è di extrasistole atriale con conduzione intraventricolare aberrante. Figura 3

Extrasistole atriale isolata; registrazione simultanea delle derivazioni V1 e V2.

L’extrasistole atriale è indicata con una freccia; la P prematura è ben visibile in V1, mentre in V2 è scarsamente visibile perchè nascosta nella branca discendente dell’onda T precedente. La pausa postextrasistolica è non compensatoria. EXTRASISTOLI GIUNZIONALI

Questi impulsi prematuri hanno origine nel fascio di His, prima della sua suddivisione nelle branche, e sono considerati sopraventricolari dal momento che la diffusione dell’impulso all’interno dei ventricoli procede in modo analogo a quella degli impulsi sinusali o atriali. (Figura 7) Sono caratterizzate da: QRS prematuro uguale a quelli del ritmo di base;



assenza di rapporti tra il QRS prematuro e la P sinusale. L’onda P, infatti, può precedere il QRS



extrasistolico, ma a una distanza più breve del normale e non compatibile con la conduzione A-V, oppure può Figura 4

Extrasistoli atriali bigemine; II derivazione.

coincidere con il complesso ventricolare o anche manifestarsi immediatamente dopo di esso. In altri casi,

Il quarto e il sesto complesso sono extrasistoli atriali. Le P premature (indicate con frecce) si inscrivono

invece, l’impulso prematuro attiva gli atri prima dell’impulso sinusale e si manifesta un’onda P dovuta alla

sull’apice dell’onda T dei complessi che precedono i QRS prematuri. Le extrasistoli atriali sono separate da un

retroconduzione dell’impulso giunzionale agli atri; in questo caso la P retrocondotta può precedere, seguire o

solo ba ttito sinusale e, pertanto, hanno cadenza bigemina.

anche coincidere con il QRS prematuro.

Figura 5

Extrasistoli atriali ripetitive (tripletta); II derivazione.

Il quarto, quinto e sesto QRS sono una tripletta di extrasistoli atriali. La prima onda P prematura (freccia) deforma l’onda T precedente, la due P premature successive sono meno evidenti perché nascoste nei complessi che le precedono.

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Figura 7

Extrasistole giunzionale isolata.

A. Un impulso prematuro hissiano si diffonde ai ventricoli; in via retrograda, può collidere con l’impulso

Figura 8

sinusale.

A. Un impulso prematuro origina nei ventricoli e li attiva. L’impulso extrasistolico penetra solo parzialmente

Extrasistole ventricolare seguita da pausa compensatoria.

B. Un’extrasistole giunzionale si manifesta dopo la terza P sinusale. Il QRS è dissociato dalla P precedente

nella giunzione atrioventricolare ancora refrattaria. L’impulso sinusale successivo si arresta a sua volta nella

(l’intervallo tra le due onde è più breve del normale e non compatibile con la normale conduzione). Nel

giunzione atrioventricolare.

diagramma a scala, si osserva come l’impulso giunzionale può collidere con quello emesso dal nodo del seno.

B. L’ECG schematico mostra un’extrasistole ventricolare (freccia). Nel diagramma a scala la barra orizzontale nella giunzione AV esprime la durata del periodo refrattario seguente il passaggio dell’impulso ectopico.

EXTRASISTOLI VENTRICOLARI

(Figura 8, Figura 9, Figura 10) La diagnosi si basa sui seguenti elementi:

• •

QRS prematuri, slargati, differenti da quelli del ritmo di base; mancanza di rapporti precisi tra i QRS prematuri e le onde P sinusali o, in alternativa, comparsa di onde P retrocondotte che seguono i QRS extrasistolici;



pausa postextrasistolica generalmente di tipo compensatorio.

Figura 9

Extrasistole ventricolare isolata; derivazione V6.

Il terzo complesso è un’extrasistole ventricolare (freccia); il QRS anticipato, slargato, non è preceduto da La diagnosi delle extrasistoli ventricolari è meno semplice quando il ritmo di base è una fibrillazione atriale e le onde P sono assenti. In questo caso, infatti, l’improvvisa comparsa di QRS larghi, differenti da quelli di base, potrebbe essere l’espressione di una conduzione aberrante degli impulsi sopraventricolari e non di un’origine ventricolare dei QRS. A volte asintomatiche, le extrasistoli ventricolari sono in genere più facilmente causa di cardiopalmo di quelle sopraventricolari soprattutto per la lunga pausa postextrasistolica che le caratterizza. La loro prognosi dipende dal contesto clinico: generalmente è favorevole nei soggetti esenti da cardiopatia, nei quali può non essere necessario alcun trattamento specifico, viceversa può essere sfavorevole in presenza di una cardiopatia, in particolar modo nel corso di eventi ischemici acuti.

un’onda P. Subito dopo il QRS prematuro, è riconoscibile l’onda P sinusale dissociata dal QRS extrasistolico. La pausa è compensatoria.

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Figura 10

Extrasistoli ventricolari monomorfe a cadenza bigemina; II derivazione.

Il terzo e il quinto complesso, prematuri, slargati sono extrasistoli ventricolari bigemine. La prima è telediastolica, dissociata dalla precedente P sinusale; la seconda, viceversa, è più precoce e precede l’onda P che si può riconoscere nel tratto ST del complesso extrasistolico.

I BATTITI DI SCAPPAMENTO

Si manifestano quando un pacemaker secondario, dotato di bassa frequenza di scarica e solitamente

Figura 11

depolarizzato dal segnapassi dominante, riesce a emettere il proprio impulso. Il fenomeno si osserva in caso di

A. Il nodo del seno non scarica al momento atteso e un pacemaker hissiano prende il comando. L’impulso

Scappamento giunzionale.

un improvviso rallentamento del pacemaker dominante (conseguente a patologia intrinseca come nella malattia

giunzionale attiva i ventricoli e, in via retrograda, gli atri.

del nodo del seno, ipertono vagale, effetto di farmaci, etc.) o anche per un disturbo di conduzione dell’impulso

B. I primi due complessi sinusali sono seguiti da una pausa che è interrotta da un battito giunzionale; il QRS di

del ritmo dominante (blocco senoatriale o A-V, vedi Capitolo 41). In alcuni casi anche una pausa

scappamento è seguito da una P retrocondotta (freccia). Nel diagramma sottostante, in A, il cerchio indica il

postextrasistolica particolarmente prolungata può causare l’insorgenza di un complesso di scappamento. I

momento della mancata scarica senoatriale.

battiti di scappamento non necessitano di terapia, ma spesso bisogna trattare la condizione che ne ha determinato la comparsa. Scappamento atriale La diagnosi si basa sulla presenza di un’onda P differente da quella sinusale, che si inscrive al termine di un intervallo più lungo del ciclo di base. Scappamento giunzionale (Figura 11, Figura 12) Può essere riconosciuto per la presenza di QRS identici a quelli del ritmo di base, che si manifestano al termine di intervalli più lunghi di quello sinusale e non sono preceduti da un’onda P. A volte la P sinusale compare prima dello scappamento giunzionale, ma con un intervallo molto breve, incompatibile con la conduzione A-V. Scappamento ventricolare (Figura 13) E’ facilmente riconoscibile per la comparsa di un QRS largo, differente da quelli del ritmo di base, al termine di

Figura 12

un intervallo relativamente lungo, più del ciclo sinusale. Analogamente a quanto accade per lo scappamento

pausa postextrasistolica, un’onda P è seguita da un QRS, identico a quelli sinusali, a una distanza nettamente

giunzionale, la P sinusale può essere riconoscibile ma appare dissociata dal QRS di scappamento, oppure

inferiore alla durata dell’intervallo PR dei battiti sinusali. Ciò indica che P e QRS sono dissociati e che i ventricoli

manca, ed è sostituita da una P retrocondotta.

sono stati attivati da un segnapassi secondario giunzionale.

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Extrasistole ventricolare seguita da uno scappamento giunzionale; derivazione V1. Al termine della

libro cardiologia.doc Fisiopatologia Alla base di questa tachicardia vi è un rientro intranodale dovuto alla dissociazione longitudinale del nodo in una via rapida e una via lenta (Figura 1). Il rientro si può realizzare perché le due vie sono caratterizzate da una diversa velocità di conduzione (nella via rapida la conduzione è più veloce) e un differente periodo refrattario, che è più breve nella via lenta. Durante ritmo sinusale, l’impulso percorre entrambe le vie (Figura 2A). La via rapida verrà attraversata in un tempo più breve e raggiungerà la via inferiore comune quando la via lenta è stata attivata solo in parte. L’impulso che proviene dalla via rapida può, quindi, percorrere la via lenta in senso retrogrado e collidere con il fronte d’onda anterogrado che sta percorrendo questa via (vedi Capitolo 36). L’impulso sinusale, pertanto attiva i ventricoli soltanto attraverso la via rapida, e l’intervallo P-R, espressione del tempo di conduzione atrio-ventricolare, sarà breve. Un impulso prematuro (extrasistole) atriale può incontrare la via rapida nel periodo refrattario e bloccarsi, mentre la via lenta, fuori dal periodo refrattario, è percorribile (Figura 2B). L’impulso che percorre la via lenta raggiunge la via inferiore comune e può invadere in senso retrogrado la via rapida: a causa del lungo tempo che l’impulso ha impiegato a percorrere la via lenta, la via rapida sarà uscita completamente dalla refrattarietà e potrà, essere percorribile in senso retrogrado (Figura 2C). L’impulso può, quindi, raggiungere gli atri e contemporaneamente invadere il fascio di His progredendo verso i ventricoli. Se questo meccanismo si mantiene, si instaura una tachicardia da rientro nodale. L’impulso atriale prematuro che scatena il rientro si associa ad un marcato allungamento dell’intervallo PR Figura 13

Scappamento ventricolare.

(“salto” della conduzione dalla via rapida alla via lenta). La tachicardia da rientro con conduzione anterograda

A. L’impulso sinusale si blocca nella giunzione; un pacemaker secondario ventricolare prende il comando.

lungo la via lenta e retrograda lungo la rapida viene definita di tipo “comune”.

Nell’esempio, l’impulso di scappamento non retroattiva gli atri. B. L’impulso corrispondente alla terza P va incontro a un blocco; la pausa seguente é interrotta da uno scappamento ventricolare. Nel diagramma a scala, in V, un punto indica la scarica del pacemaker secondario; in AV, la barra orizzontale esprime la durata del periodo refrattario seguente il passaggio dell’impulso di scappamento.

Capitolo 38 TACHICARDIE PAROSSISTICHE SOPRAVENTRICOLARI Rossella Troccoli, Matteo Di Biase DEFINIZIONE

Si definisce tachicardia parossistica sopraventricolare (TPS) una sindrome clinica caratterizzata da una tachicardia rapida e regolare, con improvviso inizio ed improvvisa interruzione. La maggior parte delle TPS è dovuta ad un meccanismo di rientro (vedi Capitolo 36), che può realizzarsi nel nodo atrio-ventricolare (tachicardia da rientro nodale) oppure in un circuito che include atri, ventricoli, il normale sistema di conduzione (nodo AV, Fascio di His, Branche ) ed una connessione atrio-ventricolare anomala (tachicardia da rientro atrioventricolare).

TACHICARDIA DA RIENTRO NODALE

La tachicardia da rientro nodale rappresenta i 2/3 circa di tutte le TPS e si riscontra nel 2-3% della popolazione generale. La sua più comune manifestazione avviene nel quarto decennio di vita. Colpisce prevalentemente il sesso femminile (rapporto 2:1).

Figura 1

Rappresentazione schematica della doppia via nodale. VCS: vena cava superiore; Nodo AV: Nodo

atrio-ventricolare; SC: seno coronarico; VCI: vena cava inferiore.

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Figura 3 Figura 2

Tachicardia da rientro nodale. Si può osservare un’onda pseudo r’ in V1 (freccia).

Schema raffigurante il nodo A-V con le due vie, a (via lenta) e ß (via rapida).

A: l’impulso sinusale percorre entrambe le vie raggiungendo la via finale comune. B: Un impulso prematuro (extrasistole) incontra la via rapida nel periodo refrattario e si blocca mentre la via lenta, fuori dal periodo refrattario, è percorribile.

Terapia

C: L’impulso che percorre la via lenta raggiunge la via inferiore comune dirigendosi verso i ventricoli ma invade

L’interruzione della tachicardia da rientro nodale si ottiene stimolando il vago in modo da indurre il blocco

in senso retrogrado la via rapida.

dell’impulso in una parte del circuito. Poiché la persistenza della tachicardia dipende dall’ininterrotto circolare dell’impulso, l’impossibilità del fronte d’onda a proseguire il suo percorso corrisponde al cessare della tachicardia. Le manovre che incrementano il tono vagale come la manovra di Valsalva, il massaggio del seno

Caratteristiche cliniche

carotideo, il conato di vomito, l’immersione del viso in acqua fredda, sono utili e di solito rappresentano il primo

I pazienti con una TPS da rientro nodale possono lamentare cardiopalmo ritmico ad insorgenza improvvisa, non

tentativo per l’interruzione dell’aritmia. Se le manovre vagali sono inefficaci si possono utilizzare farmaci

correlata con eventi particolari, ed interruzione altrettanto brusca. Talora presentano lipotimie o, in presenza di

somministrati per via venosa, fra i quali l’adenosina, il Verapamil e gli antiaritmici della Classe 1C (vedi Capitolo

elevata risposta ventricolare dispnea, angina, sincope. Un sintomo non infrequente è la poliuria pallida, dovuta

58).

ad aumentata increzione di peptide natriuretico atriale durante la tachicardia.

Nel trattamento a lungo termine della tachicardia da rientro nodale l’approccio di scelta è l’ablazione transcatetere (vedi Capitolo 61), ottenuta erogando energia a radiofrequenza sulla via nodale lenta attraverso

Elettrocardiogramma

un catetere ablatore posto in corrispondenza del triangolo di Koch (area compresa tra seno coronarico, tendine

La tachicardia da rientro nodale è caratterizzata da QRS stretti con intervalli R-R costanti, a frequenza in genere

di Todaro e lembo settale della tricuspide).

compresa tra 120 e 200/m’. Nella forma tipica l’onda P è nascosta nel QRS, poiché atri e ventricoli si attivano simultaneamente, o può essere inscritta appena prima o appena dopo il complesso QRS simulando un’onda r’ in

TACHICARDIA DA RIENTRO ATRIO-VENTRICOLARE

V1 o una pseudo-s nelle derivazioni II, III e aVF (Figura 3). La stimolazione atriale, eseguita durante studio elettrofisiologico transesofageo o intracavitario, permette di indurre la tachicardia, caratterizzata dalla contemporanea attivazione degli atri e dei ventricoli.

Le vie anomale di conduzione atrio-ventricolare forniscono il substrato per queste tachicardie reciprocanti, che vengono distinte in ortodromiche e antidromiche.

Fisiopatologia Le vie accessorie sono connessioni atrio-ventricolari anomale congenite, derivanti da una incompleta separazione dell’atrio dal ventricolo primitivo da parte dell’anello fibroso durante lo sviluppo embrionale del cuore. Normalmente la comunicazione elettrica fra atri e ventricoli è affidata solo al sistema di conduzione (nodo A-V, fascio di His, branche), mentre in alcuni soggetti esiste un’altra (a volte più di una) via di conduzione che connette direttamente l’atrio al ventricolo: il fascio di Kent. La presenza di due vie crea un circuito che comprende l’atrio, il nodo A-V, il fascio di His, una branca, un ventricolo e il fascio di Kent (Figura

122 / 197

libro cardiologia.doc 4): è quindi possibile lo scatenarsi di una tachicardia da rientro, definita atrio-ventricolare poiché sia l’atrio che

cardiopatie organiche sottostanti. Tuttavia, in circa il 20% dei bambini con preeccitazione è possibile riscontrare

il ventricolo fanno parte del circuito.

una cardiopatia congenita (anomalia di Ebstein, vedi Capitolo 53). I pazienti in genere lamentano cardiopalmo ritmico o aritmico, talora associato a dispnea o sincope. La tachicardia, spesso correlata allo sforzo, insorge e si risolve improvvisamente.

Elettrocardiogramma A ritmo sinusale l’ECG può presentare i segni della preeccitazione o essere normale. Durante tachicardia ortodromica il QRS è generalmente stretto, gli intervalli RR sono regolari, e l’onda P si localizza nel tratto ST o nell’onda T, con intervallo RP > 70 msec. Durante tachicardia antidromica, invece, il QRS è largo come nelle tachicardie ventricolari, e la morfologia del QRS è simile a quella che si ha durante preeccitazione massima. In circa il 10% dei pazienti con Sindrome di WPW compare una fibrillazione atriale (Figura 5). In questi è possibile che per la rapida conduzione degli impulsi di fibrillazione lungo la via accessoria si raggiunga un’alta frequenza ventricolare, che può degenerare in fibrillazione ventricolare.

Figura 4

Il circuito della tachicardia da rientro A-V ortodromica in presenza di un fascio di Kent sinistro.

Il fascio di Kent è formato da miocardio comune, cioè da fibre rapide Na dipendenti, per cui possiede una velocità di conduzione maggiore rispetto alla via nodo-hissiana, ed è in grado di trasmettere l’impulso sia in senso anterogrado che retrogrado; in diversi casi, tuttavia, la conduzione è solo retrograda. Durante ritmo sinusale, la via accessoria riesce a depolarizzare una parte più o meno grande dei ventricoli prima che questi vengano raggiunti dall’impulso condotto attraverso il normale sistema di conduzione. Si realizza così il quadro della preeccitazione, caratterizzata da intervallo P-R breve, onda delta e QRS largo (vedi Capitolo 3) (ECG 37). Quando a questi caratteri ECG si associa la tachicardia parossistica sopraventricolare da rientro A-V, si delinea la sindrome di Wolff-Parkinson-White (WPW).

Figura 5

Le tachicardie da rientro A-V si distinguono in ortodromiche e antidromiche. Nelle prime la conduzione

condotta ai ventricoli mediante via accessoria, realizzando gradi variabili di preeccitazione (QRS larghi,

anterograda avviene lungo il normale sistema di conduzione e quella retrograda lungo la via accessoria, mentre

intervallo variabile tra i complessi, morfologia dei complessi differente da un battito all’altro).

Fibrillazione atriale associata a pre-eccitazione: l’attività elettrica atriale, rapida e asincrona, è

nelle forme antidromiche la conduzione anterograda avviene lungo la via accessoria e quella retrograda attraverso il normale sistema di conduzione. L’impulso proveniente dall’atrio si diffonde nei ventricoli mediante il normale sistema di conduzione (branche e rete di Purkinje) nelle tachicardie ortodromiche, mentre nelle

Terapia

antidromiche l’impulso raggiunge i ventricoli tramite la via accessoria, e quindi si diffonde attraverso il

Farmaci in grado di bloccare la conduzione atrio-ventricolare, come l’adenosina e i calcio-antagonisti, bloccano

miocardio comune. In quest’ultimo caso la tachicardia sarà a QRS larghi, mentre nelle forme ortodromiche i

o rallentano la conduzione nel nodo A-V, parte del circuito, ed interrompono il rientro, arrestando la tachicardia

complessi saranno stretti (tranne che non vi sia un blocco di branca), in accordo con la normale conduzione

Nel trattamento a lungo termine sono efficaci i farmaci di classe I e III (vedi Capitolo 58). Nei pazienti

intraventricolaredell’impulso.

sintomatici, con TPS mal tollerata, oppure sincope o fibrillazione atriale pre-eccitata l’ablazione transcatetere (vedi Capitolo 61) rappresenta la terapia di scelta. Questo trattamento viene attualmente indicato anche in tutti

Caratteristiche cliniche

i Pazienti paucisintomatici ed in tutti quelli che svolgono particolari attività lavorative (atleti, piloti, ecc.).

La maggior parte dei pazienti con tachicardia sopraventricolare da rientro atrio-ventricolare non presenta

123 / 197

libro cardiologia.doc Capitolo 39 FIBRILLAZIONE E FLUTTER ATRIALE Antonio Montefusco, Lucia Garberoglio, Alessandro Blandino, Antonella Corleto, Fiorenzo Gaita

Diversamente da altre aritmie, la FA non ha un meccanismo elettrogenetico unico, ma più fattori concorrono a determinare la sua genesi e il suo mantenimento. Sono stati identificati, specialmente nelle vene polmonari, segnapassi capaci di emettere impulsi a frequenza molto elevata, ed inoltre si realizzano negli atri multipli circuiti di rientro, che operano indipendente gli uni dagli altri. Nella FA non esiste un unico fronte di attivazione

DEFINIZIONE

che, partendo dal nodo del seno, invada progressivamente in maniera ordinata tutta la massa atriale in un tempo relativamente breve, ma si realizzano multipli fronti d’onda che, disordinatamente e in maniera

La fibrillazione atriale (FA) è un’aritmia nella quale il ritmo cardiaco non è governato dal nodo del seno, ma si

continuamente variabile, attivano ciascuno una regione più o meno limitata dell’atrio. Mentre nel ritmo sinusale

generano negli atri impulsi a frequenza elevata (fino a 600 al minuto), con cicli irregolari; solo alcuni di essi,

la depolarizzazione degli atri occupa solo una piccola parte del ciclo cardiaco (circa 70-90 millisecondi, come

però, sono condotti i ventricoli, mentre un numero più o meno grande di impulsi atriali va incontro a un blocco

espresso dalla durata dell’onda P normale), nella FA l’atrio si attiva ininterrottamente: in ogni momento del ciclo

nel nodo atrio-ventricolare, per cui la frequenza ventricolare è molto minore di quella atriale.

cardiaco, infatti, vi sono aree atriali che si depolarizzano mentre altre zone si stanno ripolarizzando. Ciò spiega la presenza di onde atriali (onde f, vedi più avanti) per tutto il ciclo cardiaco.

EZIOLOGIA

Da un punto di vista meccanico, la FA corrisponde ad una paralisi atriale: le singole fibrocellule si contraggono, ma la loro contrazione non è efficace nel favorire la progressione del sangue perchè non vi è sincronismo nell’attività delle diverse aree atriali, ciascuna delle quali si contrae in un momento diverso. La mancanza della

Le cause della FA possono essere molteplici (Figura 1). In passato la patologia sottostante più frequente era rappresentata da patologie valvolari (soprattutto a carico della valvola mitrale), mentre nell’ultimo ventennio le malattie che più frequentemente determinano un aumento della pressione in atrio sinistro, con conseguente aumento di volume atriale e quindi maggiore predisposizione alla FA, sono l’ipertensione arteriosa e le cardiomiopatie. In circa il 30% dei casi non è identificabile nessuna patologia: in tali casi la FA viene definita come idiopatica o “lone fibrillation”.

spinta atriale non necessariamente compromette il riempimento diastolico ventricolare, soprattutto se la frequenza ventricolare non è elevata e se non vi è disfunzione ventricolare: anche quando il ritmo è sinusale, infatti, la maggior parte del sangue passa dall’atrio al ventricolo durante la proto e mesodiastole, cioè passivamente, e la contrazione dell’atrio interviene solo in telediastole a completare il riempimento ventricolare. Quando, invece, la funzione diastolica del ventricolo sinistro è compromessa (per esempio, per via dell’ipertrofia ventricolare) il ruolo della contrazione atriale diviene preminente nel favorire il riempimento ventricolare, per cui la FA, con la perdita dell’attività meccanica atriale, può provocare una importante riduzione della gittata cardiaca, ed essere causa determinante dello scompenso cardiaco.

EPIDEMIOLOGIA

La fibrillazione atriale è molto frequente nella pratica clinica, e la sua incidenza aumenta con l’età; circa il 5% della popolazione con età maggiore di 65 anni ne è affetto. Pur non rappresentando sempre una condizione clinica di emergenza, la FA è una importante causa di incremento di mortalità per malattie cardiovascolari ed è associata ad un aumento di episodi di stroke ed a peggioramento della qualità di vita.

QUADRO CLINICO

La sintomatologia della FA è legata alla irregolarità del ritmo ed alla frequenza ventricolare media generalmente elevata, ed è rappresentata dalle palpitazioni. In corso di FA vi è la perdita della contrazione atriale con conseguente possibile riduzione della gittata cardiaca e per tale ragione essa può anche manifestarsi con dispnea, affaticabilità, dolore toracico (Figura 2). In circa il 20% dei casi la FA è completamente asintomatica: e questo avviene frequentemente in soggetti con condizioni fisiologiche (ipertono vagale) che rallentino la Figura 1

Cause di fibrillazione atriale. Nella popolazione con età < 50 anni è più frequente la fibrillazione

conduzione atrio-ventricolare.

atriale parossistica isolata o associata a distiroidismo o a patologie dei canali ionici mentre nella popolazione anziana più dell’ 80% delle forme di FA è a carattere persistente/permanente e si associa a cardiopatie strutturali.

ELETTROGENESI E FISIOPATOLOGIA

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libro cardiologia.doc L'ECG mostra l’assenza delle onde P (che sono l’espressione dell’attività elettrica atriale normale) e la presenza delle caratteristiche onde fibrillatorie rapide (onde f), le quali appaiono come irregolari ondulazioni della linea isoelettrica (Figura 3), e sono continue, durando per tutto il ciclo cardiaco. La loro frequenza varia tra 380 e 600 al minuto; l’ampiezza e la morfologia mostrano notevole variabilità da momento a momento. Le onde fibrillatorie possono essere di basso voltaggio e quindi scarsamente visibili (FA ad onde fini, Figura 3A), oppure di voltaggio più elevato (FA ad onde grossolane Figura 3B). Gli intervalli fra i complessi ventricolari (intervalli R-R) sono irregolari, essendo molti stimoli bloccati a livello del nodo atrio-ventricolare che funge da “filtro” nel passaggio degli impulsi elettrici tra atri e ventricoli.

Figura 2

Sintomi più frequenti nei pazienti con fibrillazione atriale.

Con la palpazione del polso radiale è di solito possibile apprezzare la completa irregolarità del ritmo e la variabile ampiezza dell’onda sfigmica. Quest’ultimo fenomeno esprime il rapporto tra gittata sistolica e durata della diastole: durante una diastole lunga il ventricolo ha la possibilità di ricevere una elevata quantità di sangue, per cui la gittata sistolica è abbondante e il polso è ampio; dopo una diastole breve, invece, il ventricolo è relativamente vuoto di sangue quando si contrae, e di conseguenza la gittata sistolica è modesta e il polso piccolo. Quando la diastole diventa brevissima, come in caso di elevata risposta ventricolare, in alcune (o in molte) delle contrazioni il ventricolo contiene così poco sangue da non riuscire provocare l’apertura delle cuspidi aortiche; in questo caso non si genera un’onda sfigmica e al polso il battito è del tutto assente. In questa situazione, la frequenza cardiaca valutata al polso è minore di quella reale (“deficit cuore-polso”): in pazienti con FA, perciò, la frequenza cardiaca va rilevata non solo al polso ma anche mediante ascoltazione cardiaca sul focolaio della punta. La frequenza ventricolare durante FA è influenzata in modo significativo dal tono del sistema nervoso autonomo: può diventare molto rapida quando aumenta il tono simpatico e diminuisce il tono parasimpatico, come accade durante esercizio fisico. Le complicanze della FA possono essere dovute alla sua irregolarità, alla elevata frequenza cardiaca e alla perdita della contrazione atriale. L’irregolarità e l’elevata frequenza cardiaca possono provocare una riduzione della funzione contrattile ventricolare sinistra, che in presenza di altre patologie concomitanti può esitare in scompenso cardiaco. La perdita della contrazione atriale, inoltre, determina un rallentamento del flusso ematico che facilita la formazione di trombi all’interno degli atri, specialmente nelle auricole. I trombi sono generalmente adesi alla parete atriale, ma possono anche staccarsi, specialmente quando, col ripristino del ritmo sinusale, l’atrio riprende a contrarsi. Un trombo formatosi nell’atrio sinistro può quindi, attraverso la circolazione sistemica, embolizzare in qualsiasi distretto periferico: non di rado viene colpito l’encefalo e si manifesta un ictus. La comparsa di scompenso, ma soprattutto le complicanze tromboemboliche, sono la causa dell’aumentata mortalità nei pazienti con FA.

ELETTROCARDIOGRAMMA

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libro cardiologia.doc Sono stati proposti diversi schemi di classificazione clinica della FA, ma nessuno comprende in modo completo tutti gli aspetti dell’aritmia. Dal punto di vista clinico (Figura 4) è utile distinguere un primo episodio documentato indipendentemente dai sintomi e dalla durata. Nel caso in cui il paziente presenti 2 o più episodi, la FA è considerata ricorrente. Se l’aritmia termina spontaneamente, la recidiva di FA viene definita parossistica; mentre se dura più di 7 giorni, la FA viene detta persistente. Nella FA persistente, il ripristino del ritmo sinusale (cardioversione) si ottiene con farmaci o con mezzi elettrici (vedi più avanti). La categoria della FA permanente comprende i soggetti nei quali la cardioversione è fallita o non è stata tentata.

Figura 4

Classificazione clinica della fibrillazione atriale basata sul numero e sulla durata degli episodi.

TRATTAMENTO

Figura 3

L’Elettrocardiogramma della fibrillazione atriale. A: FA ad onde fini. B: FA ad onde grossolane.

Profilassi degli eventi cardioembolici Poiché la FA aumenta significativamente il rischio di eventi tromboembolici, esiste unanime consenso sul fatto che tutti i pazienti con patologia cardiaca valvolare e FA richiedano l’anticoagulazione con dicumarolici. In pazienti con FA non valvolare l’indicazione al trattamento anticoagulante dipende dal rischio tromboembolico (Figura 5) calcolato in base ai fattori di rischio (scompenso cardiaco, ipertensione arteriosa, età > 75 anni, diabete mellito, precedente storia di ictus o TIA). E’ necessario comunque conoscere che la terapia anticoagulante con dicumarolici comporta

CLASSIFICAZIONE

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libro cardiologia.doc un rischio di stroke emorragico pari all’1% per anno.

Controllo del ritmo e controllo della frequenza Nei pazienti con FA, la terapia farmacologica può avere come scopo il mantenimento del ritmo sinusale (controllo del ritmo) o, nella FA permanente, il mantenimento di una frequenza ventricolare media accettabile (controllo della frequenza). La prima strategia viene scelta solitamente in soggetti giovani o molto sintomatici o con deterioramento emodinamico dovuto alla fibrillazione atriale. La seconda è generalmente preferita in pazienti anziani o paucisintomatici. Per il controllo del ritmo i farmaci antiaritmici più utilizzati (vedi Capitolo 58) sono quelli della classe I (chinidina, flecainide, propafenone) e III (sotalolo, amiodarone, dronedarone, azimilide). Tali farmaci hanno una efficacia nel mantenere il ritmo sinusale ad un anno che va dal 45-50% per quelli della classe I al 70-75 % per i farmaci della classe III. Purtroppo l’incidenza di importanti effetti collaterali coinvolge quasi un quarto dei pazienti trattati. In caso di inefficacia e/o di effetti collaterali della terapia farmacologica, la strategia del controllo del ritmo può essere perseguita utilizzando metodiche di ablazione transcatetere o chirurgiche che consistono nell’isolamento elettrico delle vene polmonari e nell’esecuzione di lesioni lineari (Figura 6). Per quanto riguarda il controllo della frequenza, evidenze cliniche hanno dimostrato come, soprattutto nei pazienti anziani, tale strategia possa risultare una valida alternativa terapeutica. Essa può essere raggiunta con l’impiego di tre diversi farmaci: la digossina più utilizzata nei pazienti con scompenso cardiaco, i ß-bloccanti generalmente più efficaci per il loro effetto nel controllo della frequenza sotto sforzo e i Calcio-antagonisti.

Figura 5

Aumento del rischio tromboembolico in base al numero di fattori di rischio in pazienti con FA non

valvolare.

Cardioversione Con tale termine si definisce l’interruzione della FA, con ripristino del ritmo sinusale. Quando la cardioversione non avviene spontaneamente, un episodio di FA persistente può essere interrotto eseguendo una cardioversione elettrica o farmacologica. La cardioversione elettrica (CVE) consiste nella somministrazione di una scarica elettrica per mezzo di due piastre applicate al torace del paziente, cui consegue l’azzeramento del potenziale di azione di tutte le cellule cardiache e quindi l’interruzione dell’aritmia. Numerosi farmaci antiaritmici possono essere utilizzati per eseguire una cardioversione farmacologica; tra questi il propafenone, la flecainide e l’amiodarone sono quelli maggiormente efficaci. Il successo della CV farmacologica dipende dalla durata della FA, raggiungendo l’80% in caso di FA con durata minore di 24 ore, mentre la percentuale di successo è inferiore al 35% in caso di FA persistente. Un rischio della cardioversione, indipendente dal fatto che il ripristino del ritmo sinusale sia spontaneo o indotto elettricamente o con farmaci, è che si verifichi un’embolia arteriosa sistemica. Se, infatti, durante il periodo in

Figura 6

Ricostruzione elettroanatomica dell’atrio sinistro. I pallini rossi demarcano i siti di ablazione eseguiti

con l’intento di isolare le vene polmonari e creare lesioni lineari sul tetto e sull’istmo (linea tra vena polmonare inferiore sinistra e anello mitralico) dell’atrio sinistro.

cui l’aritmia è stata presente si è formato un trombo in atrio sinistro, la ripresa della contrazione atriale favorisce il distacco del trombo, che migra quindi nel circolo sistemico. Per questo motivo si può cardiovertire elettricamente la FA se questa è insorta da meno di 48 ore, mentre se l’episodio di FA ha una durata maggiore, DEFINIZIONE

la cardioversione, sia elettrica che farmacologica, deve essere preceduta da un periodo di anticoagulazione efficace di almeno 4 settimane.

127 / 197

libro cardiologia.doc Il flutter atriale è un’aritmia caratterizzata da un’attivazione atriale regolare e rapida con una frequenza

farmaci di prima scelta per rallentare la frequenza ventricolare, poiché essi aumentano la refrattarietà del nodo

generalmente compresa tra i 240 e i 300/m’. La risposta ventricolare, cioè il numero di impulsi atriali che

A-V e quindi diminuiscono il numero degli impulsi atriali che raggiungono i ventricoli. Per far cessare il flutter

raggiungono i ventricoli, dipende dal nodo atrio-ventricolare, che funge da filtro, impedendo che la frequenza

atriale e ripristinare il ritmo sinusale, viene comunemente impiegata l’ibutilide somministrata per via

ventricolare raggiunga livelli troppo elevati. Generalmente la conduzione atrio-ventricolare avviene con un

endovenosa .

rapporto 2:1 (solo un impulso atriale su due è condotto ai ventricoli) ma talora può presentare rapporti di

Un altro metodo efficace per interromper il flutter è la cardioversione elettrica (vedi il paragrafo “Trattamento”

conduzione diversi (3:1, 4:1, 3:2).

della sezione Fibrillazione atriale). Come per la fibrillazione, anche i pazienti con flutter atriale che dura da più

L’incidenza del flutter atriale nella popolazione generale è stimata in 88 su 100000 abitanti. Molto spesso il

di 48 ore richiedono un opportuno periodo di scoagulazione. Anche la stimolazione elettrica atriale può

flutter atriale si associa a fibrillazione atriale; la maggior parte dei casi si verifica in presenza di una condizione

efficacemente porre fine al flutter; essa si esegue con un elettrocatetere introdotto nell’atrio destro per via

predisponente o di una malattia cardiaca strutturale.

venosa oppure con un elettrodo inserito nell’esofago e posto a stretto contatto con l’atrio sinistro, che si trova in immediata continuità con l’esofago. Gli stimoli elettrici ad elevata frequenza, erogati da un apposito

ELETTROGENESI

stimolatore, possono far cessare il flutter perché rendono refrattaria una parte del circuito di rientro, impedendo l’ulteriore progressione dell’impulso e quindi il perpetuarsi dell’aritmia. E’ possibile curare il flutter atriale radicalmente, rendendo inagibile in modo definitivo il circuito di rientro

Il meccanismo elettrogenetico del flutter atriale è il rientro (vedi Capitolo 36). Si tratta, nelle forme tipiche, di un circuito posto nell’atrio destro, delimitato dall’anello tricuspidalico, dalla crista terminalis e dalla valvola di Eustachio. Il fronte d’onda può percorrere il circuito in direzione antioraria (flutter comune) o oraria (flutter non comune) dando luogo a due quadri diversi da un punto di vista dell’Elettrocardiogramma. La zona critica per l’innesco ed il mantenimento dell’aritmia è rappresentata dall’istmo cavo-tricuspidale, compreso fra l’anulus

mediante un intervento di ablazione transcatetere (vedi Capitolo 61). Nel flutter tipico l’ablazione viene eseguita inserendo un elettrocatetere nel cuore destro ed inducendo, con erogazioni di energia a radiofrequenza, una lesione stabile a livello dell’istmo cavo-tricuspidalico. Quando questo tessuto diventa incapace di condurre l’impulso, l’aritmia non può più essere scatenata per l’impossibilità che l’impulso percorra il circuito, una parte del quale è divenuta ineccitabile in seguito al trattamento.

della tricuspide e l’orificio della vena cava inferiore. Sono possibili altri macrocircuiti di rientro sia nell’atrio destro che in quello sinistro; quando la sede del circuito è diversa da quella classica, il flutter atriale viene

Capitolo 40 TACHICARDIE VENTRICOLARI

definito atipico.

Stefano Favale, Pierangelo Basso, Franceso Capestro, Valentina D’Andria, Annalisa Fiorella QUADRO CLINICO DEFINIZIONE I sintomi del flutter atriale sono simili a quelli della fibrillazione atriale e dipendono in larga misura dalla frequenza ventricolare: il disturbo più comune è la palpitazione, ma possono anche verificarsi vertigini, dispnea, debolezza, e raramente angina o sincope

Si definisce tachicardia ventricolare (TV) una successione di almeno 3 battiti ectopici di origine ventricolare con frequenza =100 al minuto. La TV viene classificata come sostenuta se ha durata >30 secondi o, pur avendo durata inferiore, richiede un immediato intervento terapeutico per l’insorgenza di grave compromissione emodinamica, e non sostenuta se ha durata inferiore a 30 secondi. In base alla morfologia dei complessi

CLASSIFICAZIONE

ventricolari all’elettrocardiogramma, la TV si definisce monomorfa se tutti i QRS sono identici e polimorfa quando sono evidenti variazioni nella configurazione del QRS. Si distinguono, inoltre, le forme seguenti: TV

Il flutter atriale si presenta all’ECG con una serie di onde atriali (onde F) regolari, a frequenza intorno a 300 al

Iterativa (episodi di TV non sostenuta a regressione spontanea, generalmente a frequenza 440 ms avevano un rischio di SIDS 41

Eziopatogenesi e fisiopatologia

volte superiore a quelli con intervallo QT normale. La dimostrazione finale della validità dell’ipotesi per cui un

Se l’ipertensione di tipo secondario riconosce i suoi fattori eziopatogenetici nella malattia primitiva a cui è

certo numero di casi di SIDS può dipendere dalla LQTS è giunta da uno studio molecolare in oltre 200 casi SIDS

associata, alla base dello sviluppo dell’ipertensione arteriosa essenziale vi sono molti fattori causali per lo più

ed un simile numero di controlli. E’ emerso che il 10% delle vittime SIDS ha mutazioni sui geni responsabili per

non identificati. L’ipertensione arteriosa essenziale può essere definita una malattia multifattoriale, dove

la Sindrome del QT Lungo. Questo dato indica che almeno una parte di queste tragedie con devastanti effetti

elementi di tipo genetico ed ambientale agiscono sinergicamente su numerosi processi biochimici e metabolici

familiari può essere evitata, e pone l’attenzione sulla necessità di effettuare screening elettrocardiografici nel

che a loro volta sono alla base del suo sviluppo. Tra i fattori ambientali, i più importanti sono legati allo stile di

primo mese di vita, per individuare il più precocemente possibile pazienti affetti da Sindrome del QT Lungo e

vita e all’alimentazione, e sono la sedentarietà, lo stress psichico, l’abitudine tabagica, una dieta ipersodica ed

potenzialmente a rischio di morte cardiaca improvvisa, sia nel primo anno di vita che più avanti, se non

iperlipidica, ed il frequente ed eccessivo consumo di alcool e caffè. Tra i fattori genetici identificati e più

correttamente diagnosticati e trattati.

probabilmente coinvolti, vanno annoverati invece quelli determinanti una maggiore attività del sistema reninaangiotensina-aldosterone, un aumento costituzionale del tono adrenergico, un aumento della risposta vascolare

Capitolo 45 L'IPERTENSIONE ARTERIOSA Massimo Volpe, Sebastiano Sciarretta

a sostanze vasocostrittrici quali l’endotelina, una ridotta escrezione renale di sodio ed infine una ridotta sintesi endoteliale di sostanza vasodilatanti (prostacicline, EDRF etc…). Fisiologicamente la pressione arteriosa è determinata dal prodotto delle resistenze periferiche per la gittata cardiaca, la quale è a sua volta la risultante del prodotto della frequenza cardiaca per la gittata sistolica.

DEFINIZIONE ED EPIDEMIOLOGIA

Pertanto è proprio sulle resistenze periferiche, la frequenza cardiaca e la gittata sistolica che agiscono i differenti meccanismi fisiologici che regolano la pressione arteriosa. Per esempio, le resistenze periferiche sono

Definizione ed epidemiologia

condizionate dal sistema simpatico, che regola il tono vascolare, così come lo è la frequenza cardiaca, mentre la

Per “Ipertensione arteriosa” si intende una condizione clinica morbosa caratterizzata da un aumento anomalo

gittata sistolica è prevalentemente regolata dalla contrattilità miocardica e dal precarico, a sua volta correlato

stabile, e non legato a normali variazioni fisiologiche, dei livelli di pressione arteriosa. Tale aumento riguarda

alla volemia. In generale, i meccanismi preposti al controllo della pressione arteriosa possono essere distinti in

più frequentemente entrambe le pressioni sistolica e diastolica, ma esistono forme di ipertensione caratterizzate

meccanismi a breve, medio e lungo termine. Tra i meccanismi a breve termine possono essere annoverati i

da aumento solo della pressione sistolica (ipertensione sistolica isolata), condizione più frequente negli anziani,

sistemi baro- e chemo-recettoriali, che modificano in pochi secondi il tono simpatico modulando l’attività

o più raramente solo della diastolica.

cardiaca, il tono arteriolare e i livelli pressori. I meccanismi a medio termine sono invece quelli di tipo umorale

In base alle ultime Linee Guida europee sulla gestione clinica del paziente iperteso, la presenza di ipertensione

mediati principalmente dal sistema renina-angiotensina-aldosterone, dalla vasopressina e dal sistema delle

arteriosa viene definita arbitrariamente da valori di pressione arteriosa > 140 mmHg per quanto riguarda la

chinine. Il rene è invece deputato al controllo a lungo termine della pressione arteriosa, principalmente

pressione sistolica e/o > 90 mmHg per quanto riguarda la pressione diastolica. Sulla base dei livelli pressori

attraverso la regolazione della volemia.

inoltre, la malattia ipertensiva può essere classificata in 3 diversi gradi di severità clinica (grado I: 140-159/90-

Pertanto qualsiasi alterazione patologica dei suddetti determinanti fisiologici della pressione arteriosa e dei suoi

99 mmHg; grado II: 160-179/100-109 mmHg; grado III: > 180/>110 mmHg) che, come è intuibile, possono

meccanismi di regolazione può determinare l’insorgenza di uno stato ipertensivo. In particolare, tra i

avere un diverso impatto sulla storia naturale della malattia.

meccanismi fisiopatologici responsabili dello sviluppo dell’ipertensione arteriosa essenziale quelli maggiormente

L’ipertensione arteriosa viene definita “essenziale” quando non è possibile risalire ad una eziologia chiaramente

implicati sono legati ad un’alterata omeostasi elettrolitica soprattutto del sodio, al rimodellamento vascolare, ad

identificabile alla base del suo sviluppo, e questa rende conto di oltre il 90% dei casi di ipertensione arteriosa.

un’iperattività del sistema renina-angiotensina-aldosterone, ad una ridotta sensibilità insulinica ed in ultimo ad

Di contro, quando l’aumento dei valori pressori è secondario a disordini d’altra natura, l’ipertensione arteriosa

una funzione endoteliale alterata.

viene definita “secondaria”.

Un aumento delle concentrazioni organiche di sodio è sicuramente coinvolto nella genesi della malattia

L’ipertensione arteriosa essenziale è una condizione di enorme rilevanza epidemiologica, pressoché ubiquitaria

ipertensiva, in particolare attraverso un aumento del volume plasmatico ed un aumento delle resistenze

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libro cardiologia.doc periferiche. Tuttavia studi clinici hanno mostrato come solo in una frazione (20-30%) dei soggetti ipertesi una

IMPATTO CLINICO

riduzione dell’introito di sodio determini una significativa riduzione dei valori pressori. Sulla base di tale risposta individuale alla riduzione dell’introito di sodio è stata coniata la definizione di ipertensione arteriosa sodiosensibile.

Impatto clinico

Anche altri elettroliti sono coinvolti nella genesi dell’ipertensione arteriosa tra cui il potassio ed il calcio, le cui

Nella maggioranza dei casi, l’ipertensione arteriosa non determina lo sviluppo né di sintomi o disturbi, né di

concentrazioni sono inversamente associate ai valori pressori. Tuttavia diversi studi che hanno valutato gli

complicanze a breve termine, bensì può decorrere asintomatica per molti anni, determinando progressive e

effetti di un aumento dell’assunzione dietetica di potassio e calcio sulla riduzione della pressione hanno fornito

sempre più gravi alterazioni strutturali e funzionali a carico del sistema cardiovascolare, renale e cerebrale.

finora risultati controversi.

Complicanze anche molto gravi, spesso precedute da alterazioni di tipo pre-clinico, possono palesarsi

L’ipertensione arteriosa è associata nella maggior parte dei casi ad un aumento delle resistenze periferiche, e se

improvvisamente con eventi acuti e drammatici quali l’infarto del miocardio, l’ictus cerebrale e lo scompenso

nelle fasi iniziali del suo sviluppo tale aumento è spesso secondario ad una vasocostrizione arteriolare di origine

cardiaco.

funzionale, dipendente da un aumentato stimolo da parte di sostanze vasoattive quali catecolamine,

La relazione tra ipertensione arteriosa ed aumento dell’incidenza di patologie cardiovascolari fu illustrato in

angiotensina II o endoteline, o ad un’elevazione persistente della portata cardiaca, successivamente un

maniera molto chiara dalle ormai mitiche tabelle elaborate dagli studi condotti da una compagnia assicurativa

rimodellamento vascolare strutturale è implicato nel perpetuarsi di elevati valori pressori. Infatti l’incremento

nordamericana, la Metropolitan Life Insurance Company, che dimostravano come in una popolazione di uomini

della pressione ed il costante insulto meccanico sulle pareti dei vasi stimolano lo sviluppo di un’ipertrofia delle

di quarantacinque anni, valori pressori di 130/90 mmHg rispetto a valori pressori inferiori erano in grado di

cellule muscolari lisce vascolari, con ulteriore riduzione del lume arteriolare, ed il conseguente aumento delle

determinare una riduzione dell’aspettativa di vita di 3 anni, e, se ci si spingeva fino a valori pressori di 140 su

resistenze periferiche, le quali determinano la persistenza od anche il peggioramento dello stato ipertensivo,

95 mmHg l’aspettativa di vita si riduceva di 6 anni. Ancor più, se si consideravano uomini con valori pressori di

anche quando i potenziali fattori causali iniziali vengano a mancare.

150 su 100 mmHg l’aspettativa di vita media si riduceva di 11.5 anni. Una conferma di questi dati ci è stata

Tra i determinanti fisiologici del tono vascolare, ha un ruolo primario il sistema renina-angiotensina-

fornita da diversi studi epidemiologici tra cui quello condotto da Wilhelmsen, nel quale veniva dimostrato come

aldosterone, il quale esercita importanti azioni regolatorie sulla pressione arteriosa anche attraverso la

l’aumento dei valori pressori anche se limitato a 10 mmHg, corrispondesse ad un brusco incremento della

regolazione dell’omeostasi elettrolitica e del riassorbimento di sodio e acqua a livello tubulare; inoltre,

incidenza di coronaropatia, anche nell’ambito del range dei valori pressori normali. La Prospective Studies

attraverso effetti di tipo autocrino e paracrino, in alcuni tessuti l’attività del sistema renina-angiotensina-

Collaboration ha comunque fornito le evidenze più importanti sulla relazione tra ipertensione arteriosa ed

aldosterone regola la crescita e la differenziazione cellulare e favorisce lo sviluppo di fibrosi tissutale, in

aumento del rischio cardiovascolare. Questa analisi ha preso in esame circa 1 milione di pazienti in 61 studi

particolare a livello vascolare. Pertanto, una disregolazione dell’attività del sistema renina-angiotensina-

prospettici osservazionali per 12 anni. A partire da un’età compresa tra 40 e 69 anni, ogni aumento di 20

aldosterone, ad esempio un’attività sproporzionata rispetto all’assunzione di sodio o ai livelli pressori stessi,

mmHg di pressione arteriosa o di 10 mmHg di pressione diastolica è risultato associato ad aumenti di 2 volte di

determina un aumento dei valori pressori e progressive modificazioni strutturali vascolari e cardiache, tali da

mortalità per cardiopatia ischemica e circa 4 volte per ictus. La mortalità vascolare risultava superiore al 50%

giustificare l’intervento farmacologico su questo sistema.

nella decade 80-89 anni, mentre il rischio relativo era maggiore nei soggetti più giovani, con un aumento di

Anche l’insulina svolge delle azione regolatorie importanti sulla pressione arteriosa: legandosi ai recettori

circa 10 volte.

tirosin-kinasici essa determina a livello endoteliale una cascata trasduzionale intracellulare che porta

L’ipertensione arteriosa viene pertanto considerata un classico fattore di rischio per lo sviluppo di malattie

all’aumentata trascrizione genica e successivamente alla sintesi dell’enzima ossido nitrico sintetasi, il quale

cardiovascolari.

catalizza la produzione di ossido nitrico, sostanza con potente azione vasodilatatoria ed anti-infiammatoria.

Il significato ed il valore predittivo dei valori di pressione arteriosa nei confronti delle principali malattie

Quindi nelle condizioni caratterizzate da una ridotta sensibilità insulinica a livello vascolare si assiste ad una

cardiovascolari quali la cardiopatia ischemica e l’ictus cerebrale è stato già identificato da alcuni decenni. E’

riduzione della sintesi di ossido nitrico con conseguente aumento delle resistenze periferiche e dei valori

stato a tal proposito dimostrato che persino nell’ambito di popolazioni non ipertese il progressivo incremento dei

pressori. Inoltre, l’aumento compensatorio delle concentrazioni di insulina negli stati di insulino-resistenza si

valori pressori corrisponde ad una graduale riduzione dell’aspettativa di vita. Se da un lato valori pressori

associa ad un incremento del tono simpatico con un ulteriore aumento del tono vascolare ed una riduzione della

elevati sono associati ad un aumento del rischio cardiovascolare, parallelamente la loro riduzione è in grado di

funzionalitàendoteliale.

prevenire lo sviluppo di una considerevole percentuale di complicanze soprattutto di natura cerebrovascolare.

Quest’ultima è sicuramente un altro importante elemento sottostante allo sviluppo di ipertensione arteriosa.

La relazione tra ipertensione arteriosa e rischio cardiovascolare aumentato non è comunque secondaria solo alla

L’endotelio, infatti, svolge importanti azioni protettive a livello vascolare, attraverso la produzione di sostanze

presenza di elevati valori pressori, bensì è una conseguenza anche di altri fattori di rischio cardiovascolari che

vasodilatanti ad azione autocrina e paracrina quali l’ossido nitrico, le prostacicline e l’endothelium-derived

sono frequentemente presenti nel paziente iperteso, quali la dislipidemia, il diabete mellito, l’obesità ed il fumo.

relaxing factor (EDRF), ed anche attraverso la produzione di sostanze antitrombotiche (vedi Capitolo 48).

La presenza contemporanea di fattori di rischio multipli è stata indagata nel corso dello studio di Framingham

Tuttavia quando questo è sottoposto all’azione dannosa dei diversi fattori di rischio quali fumo e diabete, si

che ha dimostrato come la presenza isolata d'ipertensione arteriosa si osservi solo nel 20% dei pazienti, mentre

realizza a livello vascolare e cellulare un’infiammazione subclinica ed un aumento dello stress ossidativo, i quali

nel 50% dei casi elevati valori pressori si associano a 2 o 3 fattori di rischio concomitanti. Questa frequente

danneggiano le cellule endoteliali e conseguentemente portano allo sviluppo della loro disfunzione. Quando si

associazione tra ipertensione arteriosa ed altre anomalie del profilo metabolico quali il diabete mellito e la

instaura una disfunzione endoteliale vengono meno le suddette funzioni protettive collegate ad un endotelio

dislipidemia suggerisce come queste associazioni non siano casuali ma siano probabilmente legate alla presenza

integro, con conseguente aumento della reattività vascolare, aumentata espressione di molecole d’adesione

di fattori eziopatogenetici comuni alla base dello sviluppo di tali anomalie.

leucocitaria che portano al perpetuarsi dell’infiammazione vascolare, ed in ultimo un’aumentata suscettibilità

Il riscontro di alterazioni del profilo lipidico caratterizza un'ampia percentuale della popolazione ipertesa e

alla evoluzione aterosclerotica e alla formazione di trombosi. Questi processi promuovono in ultima istanza lo

contribuisce in maniera sostanziale allo sviluppo di complicanze cardiovascolari. L'alterazione del profilo lipidico

sviluppo di eventi aterotrombotici (vedi Capitolo 46).

più frequentemente associata alla presenza di ipertensione è certamente l’ipercolesterolemia, presente in oltre il

145 / 197

libro cardiologia.doc 40% dei pazienti con valori pressori francamente elevati e con una prevalenza progressivamente crescente al

iperteso, e la complicanza meno efficacemente influenzata dal trattamento antiipertensivo. Le manifestazioni

crescere della gravità del quadro ipertensivo, supportando un’eventuale correlazione tra tali due fattori di

ischemiche nell’ipertensione arteriosa sono per lo più secondarie alla presenza di placche aterosclerotiche

rischio anche in ambito patogenetico. Dislipidemia ed elevati valori pressori sono inoltre elementi costitutivi

coronariche, ma spesso possono essere caratterizzate da una disfunzione del microcircolo subendocardico che

della cosiddetta sindrome metabolica, condizione clinica frequentemente associata alla presenza di ipertensione

determina una riduzione della riserva coronarica.

arteriosa. Questa sindrome è caratterizzata, da un punto di vista clinico, dalla presenza di più fattori di rischio

La malattia ipertensiva si manifesta anche con lo scompenso cardiaco, di tipo sistolico o diastolico (vedi Capitolo

associati, mentre da un punto di vista fisiopatologico dalla presenza di un’obesità viscerale, particolarmente

19). Il primo si verifica nei pazienti con disfunzione ventricolare sinistra sistolica insorta secondariamente alla

aterogena, da una condizione di insulino-resistenza, ed infine da uno stato infiammatorio cronico subclinico.

presenza di una cardiopatia ischemica o di una cardiopatia ipertensiva evoluta attraverso lo sviluppo di una

Anche il diabete mellito di tipo 2 risulta associato frequentemente all’ipertensione arteriosa con la quale

disfunzione contrattile (evoluzione ipocinetica), il secondo tipo si associa invece ad una normale funzione

condivide la responsabilità di una significativa quota della mortalità e morbilità cardiovascolare, nonché alcuni

contrattile ventricolare e sembra essere secondario alla presenza di una disfunzione diastolica.

importanti tratti fisiopatologici.

In ultimo, altre complicanze cardiache comuni nell’ipertensione arteriosa sono le aritmie, in particolare la

Le conseguenze patologiche dell’ipertensione arteriosa possono essere di tipo preclinico e clinico; le prime sono

fibrillazione atriale. Questa aritmia è considerata secondaria alle modificazioni strutturali dell’atrio sinistro

caratterizzate da modificazioni strutturali e funzionali a carico degli organi bersaglio senza che queste si

conseguenti all’ aumento cronico delle pressioni atriali solitamente secondario alla presenza di una disfunzione

manifestino con sintomi o segni clinici, le seconde consistono invece in alterazioni organiche più gravi che si

diastolica. Complicanze aritmiche più temibili sono invece quelle ventricolari che possono precipitare in una

palesano con dei quadri clinici ben definiti, soprattutto l’infarto del miocardio, lo scompenso cardiaco e l’ictus

morte improvvisa. In questo contesto è verosimile che giochino un ruolo fenomeni di rientro elettrico

cerebri.

ventricolare causati da un progressivo disarrangiamento dell’architettura miocardica, caratterizzato soprattutto

In generale la conseguenza patologica classica della malattia ipertensiva è lo sviluppo di aterosclerosi, che vede

da un aumento della fibrosi interstiziale, frequentemente osservabile nelle alterazioni della geometria

maggiormente coinvolti il cuore con i vasi arteriosi, il rene ed il sistema nervoso centrale.

ventricolare sinistra.

Le principali alterazioni precliniche cardiache associate all’ipertensione sono legate ai processi di rimodellamento

L’ipertensione arteriosa ha effetti patologici importanti anche sui reni, infatti circa il 20% degli ipertesi è affetto

ventricolare sinistro in risposta allo stato ipertensivo e sebbene siano asintomatiche, configurano comunque una

da insufficienza renale cronica. Tuttavia la progressione dall’ipertensione non complicata all’insufficienza renale

condizione clinica fortemente predittiva di eventi cardiovascolari futuri, condizione identificata con il termine di

non è rapida, bensì dura anni, periodo nel quale si verificano progressive alterazioni strutturali a carico dei reni

“cardiopatia ipertensiva”. Tali alterazioni cardiache riconoscono nell’ipertrofia ventricolare sinistra e nella

che, se dapprima non hanno delle ripercussioni funzionali importanti, successivamente determinano una

disfunzionediastolica le manifestazioni principali. La prima è caratterizzata dall’aumento della massa cardiaca

progressiva riduzione del filtrato glomerulare e lo sviluppo di insufficienza renale.

soprattutto in risposta all’aumento dello stress sistolico determinato dalla pressione elevata, e può essere di

Un indice precoce di danno renale preclinico, in particolare negli ipertesi diabetici, è la presenza di

tipo concentrico od eccentrico. Il primo tipo è caratterizzato dall’ispessimento delle pareti ventricolari per la

microalbuminuria, che consiste in un’aumentata escrezione di albumina nelle urine, compresa per definizione

classica apposizione di nuovi sarcomeri “in parallelo”, senza un aumento della cavità ventricolare, il secondo

tra i 30 ed i 300 mg/die, infatti oltre i 300 mg questa si definisce invece macroalbuminuria. Un aumento

tipo è invece caratterizzato dall’aumento del diametro ventricolare consensuale all’aumento degli spessori

dell’escrezione di albumina può semplicemente rappresentare una conseguenza dell’aumento della pressione

parietali, secondariamente all’apposizione, a livello miocardico, di nuovi sarcomeri “in serie”.

idrostatica intraglomerulare, ma può anche derivare da un danno della barriera glomerulare, o da un’alterazione

La prevalenza di ipertrofia ventricolare sinistra, diagnosticata all’ECG (vedi Capitolo 3) è del 3-8% nei pazienti

del riassorbimento tubulare dell’albumina filtrata. Anche la microalbuminuria rappresenta un predittore di

con ipertensione lieve-moderata, mentre all’esame ecocardiografico (vedi Capitolo 4) la massa ventricolare è

rischio indipendente per eventi cardiovascolari maggiori, particolarmente negli ipertesi diabetici, ed è stato

aumentata in ipertesi non selezionati dal 12 al 30%, e dal 20 al 60% nei centri di riferimento.

dimostrato come un rischio aumentato sussiste già per valori di microalbuminuria al di sotto del “cut-off” di

L’ ipertrofia ventricolare sinistra diagnosticata con l’ecocardiogramma è un potente fattore di rischio

normalità.

indipendente per eventi avversi cardiovascolari maggiori, ed aumenti progressivi della massa ventricolare sono

Se non trattata, l’ipertensione arteriosa determina con il tempo una progressione inesorabile del danno renale,

correlati continuativamente con il rischio cardiovascolare sia negli uomini che nelle donne, come dimostrato in

particolarmente quando si associa al diabete, verso una riduzione significativa del filtrato glumerulare con lo

numerosi studi.

sviluppo d’insufficienza renale cronica, che è anche conseguente all’aumento importante delle resistenze

Per disfunzione diastolica del ventricolo sinistro s’intende invece l’incapacità di questa camera cardiaca, durante

vascolari intraparenchimali renali. Questa evoluzione spinge i valori pressori ad aumentare ulteriormente

la diastole, di accogliere il sangue a basse pressioni di riempimento, per cui il ventricolo può raggiungere un

rendendo ancor più grave il quadro clinico e più difficile il trattamento.

volume telediastolico tale da garantire un’adeguata gittata sistolica solo a spese di un’aumentata pressione

Infine, va sottolineato che il danno vascolare tipico dell’ipertensione coinvolge in modo significativo l’encefalo,

diastolica la quale, a sua volta, si riflette in un incremento della pressione in atrio sinistro e nelle vene

in conseguenza dell’accelerato processo di aterosclerosi, nonché attraverso lo stimolo meccanico costituito dagli

polmonari.

elevati valori pressori. Alterazioni relativamente precoci sono osservate a carico del distretto carotideo, e

Dal punto di vista fisiopatologico, la disfunzione diastolica può essere conseguenza di alterazioni funzionali della

possono essere caratterizzate da un lieve ispessimento del complesso intima-media carotideo, o da lesioni

fase attiva del rilasciamento ventricolare in protodiastole, o essere secondaria ad alterazioni della geometria

aterosclerotiche non stenosanti, oppure da placche che determinano stenosi di variabile severità del lume

ventricolare sinistra o dell’architettura miocardica tali da compromettere le fisiologiche proprietà elastiche del

vascolare. Tutte queste alterazioni, anche quando ancora nello stato preclinico, sono associate ad un rischio

ventricolo sinistro coinvolte nel riempimento telediastolico.

aumentato di sviluppare eventi acuti cerebrovascolari, e per tal motivo una loro precoce individuazione

La prevalenza di disfunzione diastolica negli ipertesi anziani è stata stimata intorno al 25%, ed è stato

permette una migliore stratificazione del rischio del paziente iperteso e di conseguenza la scelta corretta della

dimostrato come questa rappresenti un predittore indipendente di eventi cardiovascolari avversi.

strategia terapeutica più efficace.

Le manifestazioni cliniche cardiache più gravi e comuni dell’ipertensione arteriosa sono identificate invece nella

Quando si manifesta clinicamente, la cerebrovasculopatia ipertensiva può essere caratterizzata da un quadro di

cardiopatia ischemica, rappresentando l’infarto del miocardio la più frequente causa di mortalità nel paziente

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libro cardiologia.doc emorragia cerebrale, o più frequentemente dall’ictus ischemico o da un attacco ischemico transitorio (TIA), da

Figura 1

un infarto lacunare, od in ultimo da un’encefalopatia acuta ipertensiva.

secondo le Linee guida ESC/ESH 2007.

Classificazione dell’ipertensione arteriosa in base ai valori pressori e stratificazione del rischio CV

VALUTAZIONE CLINICO-STRUMENTALE E STRATIFICAZIONE DEL RISCHIO Sulla base di tali considerazioni, l’obiettivo principale della valutazione clinico-strumentale del paziente iperteso

CARDIOVASCOLARE

è dunque quello di definirne il profilo di rischio globale, sia attraverso una buona raccolta anamnestica, che Valutazione clinico-strumentale e stratificazione del rischio cardiovascolare

permetta di capire quali altri fattori di rischio sono associati alla presenza di ipertensione, sia attraverso il loro

L'ipertensione arteriosa rappresenta una condizione clinica che comporta un incremento del rischio

riscontro diretto mediante esami ematochimici o strumentali. Attraverso gli esami strumentali possiamo

cardiovascolare, sia di per sé, attraverso i valori pressori elevati, sia perché tipicamente associata alla presenza

valutare soprattutto se sono già presenti segni di danno d’organo causato dallo stato ipertensivo, la cui

di una serie complessa di altri fattori di rischio ed alterazioni morfo-funzionali i quali, presentandosi nello stesso

presenza, come già precedentemente discusso, identifica una condizione a rischio aumentato.

soggetto secondo diverse possibili combinazioni, contribuiscono a definirne il profilo di rischio globale. Pertanto la classificazione dell'ipertensione arteriosa basata sulla sola valutazione dei valori pressori non permette

Anamnesi. Nella raccolta della storia clinica occorre porre particolare attenzione ad individuare tutti



quegli elementi che possono indicare un aumento del rischio cardiovascolare.

un'adeguata rappresentazione del rischio individuale della patologia, che è invece la risultante dell'interazione tra incremento pressorio e profilo di rischio concomitante. Negli ultimi anni è di conseguenza radicalmente mutato l’orientamento clinico nei confronti del paziente

Anzitutto è importante una raccolta di informazioni sui fattori che possono determinare un aumento della

iperteso, con un approccio non più mirato solo alla riduzione dei valori pressori, ma basato innanzitutto sulla

pressione arteriosa del soggetto in esame, quali l’età, il sesso, l’ereditarietà, la razza, il consumo di alcool e di

valutazione del rischio cardiovascolare globale il quale deve successivamente guidare la condotta terapeutica.

caffè e lo stress. Successivamente è fondamentale chiedere informazioni sulla presenza di altri elementi che

Nell'approccio razionale al rischio cardiovascolare nel paziente iperteso, uno degli elementi essenziali è

possono influenzare il profilo di rischio, quali il diabete, la dislipidemia, il fumo di sigaretta, lo stile di vita e la

certamente rappresentato dalla possibilità di quantificare il rischio del paziente attraverso una valutazione

familiarità per malattie cardiovascolari.

integrata del contributo relativo di ciascuno dei fattori di rischio prima elencati (Tabella I). Secondo questa

Durante la raccolta anamnestica si deve porre attenzione inoltre all’eventuale uso di farmaci che possono

logica, in un paziente con un aumento lieve dei valori di pressione arteriosa, la presenza di altri fattori di rischio

determinare un aumento dei valori pressori, quali i FANS, gli spray nasali ed i cortisonici, ed escludere

associati determina una probabilità di sviluppo di complicanze cardiovascolari comparabile o addirittura

l’assunzione di sostanze stupefacenti, in particolare i simpatico-mimetici indiretti come la cocaina e

maggiore rispetto a quella che caratterizza i pazienti con un aumento pressorio più marcato, ma isolato (Figura

l’anfetamina. Bisogna infine indagare se già si sono verificati degli eventi cardiovascolari maggiori, quali l’angina

1).

o l’infarto, o l’ictus, perché in tal caso il rischio cardiovascolare del soggetto è molto elevato (Tabella II).

Esame obiettivo.



Anche se la maggior parte dei pazienti risulta normale all’esame fisico, un’attenta valutazione del paziente iperteso è necessaria al fine di scoprire se vi sono segni che facciano sospettare un’ipertensione secondaria e per valutare l’eventuale presenza di complicanze cardiovascolari (Tabella III).

147 / 197

libro cardiologia.doc Tabella 3

- Eco-Doppler arterioso (vedi Capitolo 12): per lo studio dei distretti arteriosi epiaortico e degli arti inferiori. Particolarmente importante lo studio ecoDoppler delle arterie carotidi, per la quantificazione dello spessore del complesso intima-media carotideo. - Monitoraggio dinamico della pressione arteriosa per 24 ore (ABPM): consiste nella registrazione per 24 h dei valori di pressione arteriosa campionati circa ogni 30 minuti. Può fornire importanti informazioni quando vi sono marcate differenze fra i valori pressori riscontrati in più visite, o quando ci sono discordanze tra i livelli riscontrati dal medico e quelli registrati dal paziente; è inoltre utile per verificare il ritmo circadiano della pressione e l’efficacia della terapia antiipertensiva. - Automisurazione della pressione arteriosa a domicilio dal paziente: consente la raccolta di valori pressori per diversi giorni e offre la possibilità di ottenere la loro media anche su molti mesi, coinvolgendo il paziente nella gestione del suo problema. La Tabella IV propone i valori di riferimento della popolazione normale con le differenti tecniche di misurazione della pressione arteriosa.

Fattori di rischio e condizioni cliniche associate da valutare nella stratificazione del rischio

cardiovascolare, come suggerito dalle Linee Guida ESC/ESH.

Un momento importante nella raccolta dei dati obiettivi durante la visita medica è la misura della pressione arteriosa. Grande attenzione deve essere posta nell'ottenere una misurazione corretta, focalizzandosi in particolare sui seguenti aspetti:

• • • •

il paziente non deve aver fumato o assunto caffeina nei 30 minuti precedenti la misurazione; il paziente deve essere seduto comodamente con il bracciale posto a livello del cuore; la misurazione deve essere effettuata dopo almeno 5 minuti di riposo; si devono misurare le pressioni sistolica e diastolica utilizzando rispettivamente il I e il V tono di Korotkoff; va quindi effettuata la media fra due o più misurazioni, separate da un intervallo di almeno 2 minuti;



devono essere impiegati sfigmomanometri a mercurio (tipo Riva-Rocci) o in alternativa apparecchi aneroidi tarati di recente; i bracciali devono essere di dimensioni appropriate, cioè con un manicotto che circondi il braccio del paziente completamente o almeno per l'80%; nei bambini e negli obesi è opportuno utilizzare bracciali specifici. Nella valutazione del paziente in esame, oltre all’ esame obiettivo generale e cardiovascolare, è importante rilevare il peso e la distribuzione del grasso corporeo, in particolare mediante la misurazione della circonferenza addominale. L'obesità addominale rappresenta, infatti, un riconosciuto fattore di rischio cardiovascolare. Inoltre tra massa corporea e ipertensione arteriosa vi è una correlazione significativa che è indipendente dall'età e dal sesso, e tale relazione è confermata anche quando vengono impiegate le tecniche più raffinate per lo studio del

Tabella 4

grasso corporeo. A tal proposito i normotesi obesi hanno maggiori probabilità di diventare ipertesi e gli ipertesi

Guida ESC/ESH 2007.

Dati anamnestici da raccogliere durante la valutazione del paziente iperteso, secondo le Linee

magri di diventare obesi. Infine, a conferma dell'importanza di questo fattore, è stato dimostrato che diminuzioni del peso corporeo di 12 kg e 3 kg indurrebbero riduzioni pressorie sistolica e diastolica

- Esame del fondo dell'occhio: rileva le alterazioni delle arterie retiniche legate allo stato ipertensivo. Secondo le ultime Linee Guida assume un valore specifico solo in forme gravi di ipertensione, in grado di determinare la comparsa di essudati ed emorragie della retina (III-IV stadio della classificazione della retinopatia secondo Keith e Wegener).

rispettivamente di 21/13 mmHg e di 7/4 mmHg.



Esami ematochimici e strumentali. Anche nelle recenti Linee Guida è stato raccomandato di effettuare IPERTENSIONE ARTERIOSA SECONDARIA

una serie di esami bioumorali e strumentali, allo scopo non solo di definire la presenza di danno d'organo nel paziente, ma anche di identificare altri eventuali fattori di rischio associati. Alcune di queste indagini devono essere orientate da informazioni desunte dall'anamnesi e dall'esame obiettivo. Esame emocromocitometrico: studia la crasi ematica, gli stati anemici, gli stati infettivi, etc… - Creatininemia e clearance della creatinina: studio della funzione renale. Queste analisi permettono di scoprire alterazioni renali che possono concorrere allo sviluppo di ipertensione o esserne una conseguenza. Se la creatininemia inizia a elevarsi quando la funzione renale scende sotto i 50-45 ml/min, il calcolo della clearance invece, fornisce informazioni più precise. - Glicemia basale, colesterolemia totale e le sue frazioni LDL ed HDL, la trigliceridemia e l’uricemia: quando alterati, questi parametri amplificano gli effetti lesivi dell'ipertensione costituendo ulteriori fattori di rischio cardiovascolare. - Potassiemia: in genere è marcatamente alterata (ipopotassiemia) nella sindrome di Conn, nella sindrome di Cushing, nell'ipertensione nefrovascolare e durante l'assunzione non controllata di diuretici. - Esame delle urine: può mostrare una microalbuminuria od una proteinuria franca, oppure la presenza di cilindri, leucociti, emazie, etc. - Elettrocardiogramma (vedi Capitolo 3): può evidenziare un sovraccarico o un'ipertrofia del ventricolo sinistro mediante i criteri di Sokolow- Lyon (SV1+RV5 o V6 = 3,8 mV) o di Cornellvoltaggio (SV3+Ra Vl = 2,8 negli uomini e 2,0 mV nelle donne). Rispetto all'ecocardiogramma è comunque un test molto meno sensibile anche se specifico. - Ecocardiogramma (vedi Capitolo 4): fornisce dati più affidabili su un'eventuale presenza di ipertrofia e sulla geometria e funzionalità del ventricolo sinistro. Consente inoltre di determinare la presenza di una disfunzione diastolica e di classificarla nei suoi 3 pattern di disfunzione a gravità crescente.

Ipertensione arteriosa secondaria L’ipertensione arteriosa secondaria rappresenta circa il 5% dei casi di ipertensione ed è la conseguenza di un disordine primitivo soprattutto di tipo renale od endocrinologico. La ricerca di un'ipertensione secondaria dev'essere attuata con massimo scrupolo, soprattutto nei soggetti giovani, in quanto nella maggior parte dei casi la sua causa può essere rimossa ed in questi casi l’ipertensione può essere curata evitando una terapia per il resto della vita. Per tal motivo, quando vi è il sospetto di un’ipertensione arteriosa secondaria è necessario procedere con la valutazione strumentale del paziente con l’ausilio di esami specifici. Ipertensione nefroparenchimale. Tutte le patologie parenchimali renali che determinino una riduzione



dell’escrezione di acqua e sodio, ed un’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone provocano lo sviluppo di ipertensione. Uno stato ipertensivo si associa infatti a malattie renali acute quali l’insufficienza acuta secondaria a cause renali e post-renali o le sindromi nefritiche, o a disordini di tipo cronico quali il rene policistico e l’insufficienza renale cronica. Cause più rare di ipertensione nefroparenchimale sono i tumori secernenti renina.

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libro cardiologia.doc Nel sospetto di un’ ipertensione nefroparenchimale sono utili gli esami ematochimici per valutare la funzionalità

Coartazione Aortica. La coartazione aortica (vedi Capitolo 52) consiste in una stenosi congenita



dell’aorta generalmente distale all’origine del dotto arterioso che si associa frequentemente ad altre anomalie

renale, l’esame dell’urine, e in alcuni casi l’ecografia renale.

quali la bicuspidia aortica gli aneurismi “a bacca” cerebrali. Questa è una causa rara di ipertensione arteriosa



Ipertensione nefrovascolare. Questa frequente causa di ipertensione secondaria è associata ad una

secondaria soprattutto nei bambini e negli adolescenti. La diagnosi è di solito clinica ed è legata al riscontro

stenosi mono o bilaterale dell’arteria renale dovuta ad un processo aterosclerotico, o, nel caso di soggetti

di un’ipertensione esclusivamente a livello degli arti superiori e di un ipotensione a livello degli arti inferiori,

giovani soprattutto se donne, alla presenza di una displasia fibro-muscolare. La riduzione del flusso renale

alla presenza di un ritardo del polso femorale rispetto a quello radiale, all’ascoltazione di un soffio continuo al

secondaria alla stenosi determinerà un’aumentata e non regolata secrezione di renina e la successiva

dorso, nella regione interscapolare, ed alla presenza di una spiccata pulsatilità delle arterie intercostali. La

formazione di angiotensina II con un aumento della vasocostrizione periferica, aumento del riassorbimento di

diagnosi di conferma invece può essere fatta invece agevolmente mediante un angio-TC del torace ed

acqua e sodio, e incremento rapido dei valori di pressione arteriosa. Ed è proprio uno sviluppo rapido di uno

un’aortografia. La terapia della coartazione aortica può essere percutanea, mediante l’apposizione di stent, o

stato ipertensivo non controllabile con la terapia medica, od insorto in un paziente giovane, che deve

chirurgica.

assolutamente porre il sospetto di un’ipertensione nefrovascolare.

Ipertensione indotta da farmaci. Alcune sostanze e farmaci possono determinare un’ipertensione



arteriosa e queste sono: la liquirizia, gli spray nasali vasocostrittori, i contraccettivi orali, i FANS, i Questa dal punto di vista ematochimico si manifesta con ipopotassiemia, e con un aumento combinato dei livelli

corticosteroidi, la ciclosporina e l’eritropoietina. Fondamentale pertanto è la ricerca anamnestica dell’uso di

di renina ed aldosterone. Esami strumentali molto utili ai fini diagnostici sono l’ecocolor-Doppler dell’arterie

tali sostanze per poter effettuare una diagnosi rapida.

renali nel caso di stenosi prossimali, o alternativamente l’angio-TC e l’angio-RM renali. La metodica “gold standard”, anche se raramente viene impiegata per la prima diagnosi, è l’angiografia delle arterie renali. Nel

TRATTAMENTO

sospetto di un’ipertensione nefrovascolare bisogna prescrivere con estrema cautela ed a bassi dosaggi i farmaci ACE-inibitori, per il rischio di ipotensioni acute o di una riduzione brusca della perfusione renale con lo sviluppo di insufficienza acuta.

Trattamento La finalità principale del trattamento dell’ipertensione arteriosa consiste soprattutto nella prevenzione dello





Iperaldosteronismo primitivo. Le sindromi da eccesso primitivo di mineralcorticoidi sono rappresentate

sviluppo delle sue complicanze cardio- e cerebrovascolari, e tali benefici terapeutici possono essere raggiunti

nel 30% dei casi da un adenoma surrenalico, più frequente nelle donne e nei bambini, e nel 70% dei casi da

non solo mediante la riduzione dei valori pressori, peraltro implicati direttamente nello sviluppo di alcune

un’iperplasia surrenalica. Condizioni più rare sono secondarie al carcinoma surrenalico o

complicanze, ma anche attraverso la correzione dei diversi fattori di rischio frequentemente associati

all’iperaldosteronismo sensibile ai glucocorticoidi. Un iperaldosteronismo va sospettato in presenza di

all’ipertensione. Di conseguenza è molto importante, prima di iniziare un trattamento antiipertensivo, una

un’ipertensione resistente alla terapia, eventualmente associata ad astenia, crampi muscolari, poliuria,

valutazione clinica globale del paziente che miri a definire al meglio il suo profilo di rischio cardiovascolare, sia

polidipsia e palpitazioni. Il dato ematochimico più importante è l’ipopotassiemia associata ad un’aumentata

sulla base dell’entità della malattia ipertensiva, sia sulla base degli altri fattori di rischio associati.

potassiuria, con un pH ematico che risulta aumentato per incremento dei bicarbonati. I livelli di aldosterone

Gli interventi terapeutici antipertensivi possono essere divisi in interventi di tipo non farmacologico, basati sulle

sono aumentati, mentre quelli di renina soppressi, per cui il rapporto aldosterone plasmatico/attività reninica

modifiche dello stile di vita e delle abitudini comportamentali, ed in interventi di tipo farmacologico, basati

plasmatica è generalmente aumentato. Per la diagnosi definitiva di iperaldosteronismo primario ci si può

sull’impiego di diverse classi di farmaci sia da soli che in associazione tra loro. Sulla base delle ultime Linee

avvalere di test dinamici di conferma. Tra questi il più diffuso è quello del ”carico salino”: se i livelli sierici di

Guida emanate dall’ESH/ESC del 2007 sulla gestione clinica dell’ipertensione arteriosa, nei pazienti a rischio

aldosterone non risultano soppressi dopo il test si può fare diagnosi di iperaldosteronismo primitivo. La

cardiovascolare basso-moderato in generale è indicato iniziare solo un trattamento non farmacologico

diagnosi di iperaldosteronismo può essere confermata anche dal test di soppressione al fludrocortisone. In

rivalutando dopo pochi mesi i soggetti, ed associando successivamente un trattamento farmacologico qualora i

presenza di iperaldosteronismo primario la somministrazione per 4 giorni di fludrocortisone non determina la

valori pressori non risultino controllati. Di contro, nei soggetti a rischio elevato è in genere opportuno un

soppressione dei livelli plasmatici di aldosterone.

approccio terapeutico più aggressivo, combinando gli interventi non farmacologici con una terapia farmacologica

Feocromocitoma. Il feocromocitoma è un tumore del tessuto cromaffine della midollare del surrene o

(monoterapia o terapia di associazione) (Figura 2).

del tessuto paragangliare, e si manifesta clinicamente attraverso l’ aumentata increzione di adrenalina e noradrenalina. Il feocromocitoma rappresenta una causa rara di ipertensione arteriosa, ma se non riconosciuta mette seriamente in pericolo la vita del paziente. Uno stato ipertensivo è presente in tutti i soggetti affetti, più frequentemente a crisi o talora cronico. I sintomi più comuni sono l’ansietà, le palpitazioni, la cefalea, l’arrossamento improvviso del viso (flushing) e le sudorazioni profuse. La diagnosi di feocromocitoma può essere fatta mediante il dosaggio delle catecolamine plasmatiche ed urinarie e dei loro metaboliti, più facilmente se i campioni vengono ottenuti durante le crisi ipertensive. I dosaggi dell’acido vanilmandelico e delle metanefrine plasmatiche e urinarie frazionate rappresentano gli esami più attendibili. Nel sospetto diagnostico si può ricorrere anche all’impiego di test farmacologici di inibizione o stimolazione, con clonidina e glucagone rispettivamente, o utilizzare subito metodiche d’”imaging” quali l’ecografia, la TC o la RMN, di solito impiegate per localizzare il tumore.

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libro cardiologia.doc riposo) è in grado, dopo un congruo periodo di tempo, di ridurre i valori pressori sisto-diastolici (circa 6-8 mmHg a seconda dei valori pressori di partenza e del tipo di attività fisica). Tali modificazioni si accompagnano ad un miglioramento del profilo di rischio cardiovascolare in virtù degli effetti emodinamici (vasodilatazione) e metabolici favorevoli (miglioramento dell’ insulino-sensibilità e del profilo lipidico) di un training fisico costante. Interventi antiipertensivi di tipo farmacologico



Il trattamento farmacologico dell’ipertensione arteriosa deve essere intrapreso quando non si ottengono risultati sufficienti con gli interventi non farmacologici, o quando i valori pressori basali ed il rischio cardiovascolare del paziente sono molto elevati. L’obiettivo terapeutico essenziale della terapia farmacologica è il raggiungimento di valori pressori ottimali, e se questo non è possibile con l’impiego di un solo farmaco è consigliabile adottare un’associazione tra due o, se necessario, più molecole. La scelta del tipo di farmaco da prescrivere ad un paziente iperteso non è però basata solo sulla efficacia antiipertensiva, bensì anche sui possibili effetti benefici sulla riduzione del danno d’organo cardiovascolare e renale, su eventuali sue azioni positive sulle alterazioni metaboliche concomitanti, quali il diabete o la dislipidemia, ed in ultimo, deve tener conto della tipologia del paziente (età, sesso, comorbidità), degli effetti collaterali, delle preferenze del paziente, di precedenti esperienze terapeutiche e di aspetti socioeconomici (Tabella V).

Le principali classi di farmaci anti-ipertensivi (vedi Capitolo 58) sono: Figura 2

Strategie di approccio terapeutico raccomandate dalle Linee guida ESC/ESH 2007. Ace-inibitori: sono una classe di farmaci con documentata efficacia antipertensiva, caratterizzata da



effetti benefici sull’apparato cardiovascolare, particolarmente nei pazienti con cardiopatia ischemica, disfunzione ventricolare sinistra e scompenso cardiaco. Sono molto utili per rallentare la progressione del



Interventi di tipo non farmacologico

danno renale, in particolare nei diabetici, ed hanno un profilo metabolico sostanzialmente neutro. Principali effetti collaterali sono la tosse, l’ipotensione da prima dose e raramente l’angio-edema della glottide. Le

Gli interventi non farmacologici possono contribuire a ridurre i valori pressori ed il rischio cardiovascolare

principali controindicazioni sono l’insufficienza renale cronica, la gravidanza e la stenosi bilaterale delle

globale del paziente iperteso, nonché a favorire un ricorso più contenuto alla terapia farmacologica. Sebbene siano spesso di non facile attuazione pratica e non ne siano mai stati documentati in maniera completa gli

arterie renali. Calcio-antagonisti: i calcio-antagonisti possono svolgere i loro effetti prevalentemente sul cuore (non



effetti a lungo termine sulla morbilità e mortalità cardiovascolare e globale, gli interventi non farmacologici non

diidropiridinici, diltiazem o verapamil) od essere principalmente dei vasodilatatori periferici (diidropiridinici);

presentano (al contrario di quelli farmacologici) controindicazioni di impiego.

quest’ultimi in particolare hanno una spiccata azione anti-ipertensiva e si sono dimostrati efficaci nel ridurre

Tre approcci terapeutici si sono dimostrati in grado di esercitare documentati effetti antipertensivi: il calo

gli eventi cardiovascolari. Sono molto utili in prescrizione singola od in associazione con altri farmaci in

ponderale, la dieta iposodica e l’esercizio fisico regolare. Considerata l'evidenza epidemiologica di una relazione diretta tra peso corporeo, distribuzione anatomica del

particolare gli inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone. Bloccanti recettoriali dell’angiotensina II (o sartanici): sono farmaci efficaci e molto ben tollerati anche



grasso corporeo e pressione, non sorprende che una restrizione dell'apporto calorico si sia dimostrata in grado

in quanto caratterizzati da un’azione farmacologia molto selettiva (blocco dei recettori AT-1 dell’angiotensina

di ridurre i valori pressori, essendo l'entità dell'effetto antipertensivo medio pari ad una diminuzione di circa 1,5

II). Questa classe è particolarmente utile nell’ipertensione arteriosa, in particolare nei pazienti con danno

mmHg di pressione arteriosa sistolica e 1,3 mmHg di diastolica per ciascun chilo di peso corporeo perso. Gli effetti antipertensivi di una restrizione alimentare sodica sono stati oggetto di numerose meta-analisi, che

d’organo sia cardiaco che renale, e con presenza di diabete o sindrome metabolica. Diuretici: sono i farmaci antiipertensivi più lungamente sperimentati, e quelli tiazidici sono



complessivamente hanno evidenziato un’azione antipertensiva piuttosto modesta (3-5 mmHg per la sistolica e

particolarmente efficaci nel ridurre l’insorgenza di complicanze cardiovascolari maggiori. Sono inoltre spesso

2-3 per la diastolica). La restrizione sodica inoltre, non deve essere marcata (consumo giornaliero 1, potenziano il rischio in maniera non additiva ma esponenziale. Un fattore di rischio è tale se trial prospettici su popolazioni numerose hanno dimostrato un’associazione di tipo statistico tra presenza del fattore di rischio e incidenza di nuovi casi di malattia, e se esiste la dimostrazione che correggendo il fattore di rischio si riduce prospetticamente l’incidenza di nuovi casi di malattia. I fattori di rischio possono essere distinti in tradizionali ed emergenti. Per questi ultimi non vi è ancora la possibilità di correzione farmacologica e/o la dimostrazione che correggendo il fattore di rischio diminuiscono i nuovi casi di malattia.

insulinica, e sono in grado di ridurre la fibrinolisi attraverso un’inibizione dell’attivatore del plasminogeno. Le lipoproteine HDL, invece, riescono a mobilizzare il colesterolo dagli ateromi trasportandolo al fegato per la metabolizzazione; inoltre, esplicherebbero azioni protettive quali l’inibizione dell’adesione dei monociti all’endotelio, la riduzione della proliferazione delle cellule muscolari lisce, l’induzione della vasodilatazione endotelio-mediata e l’inibizione dell’ossidazione delle LDL. Pertanto, elevati livelli di HDL-C esplicano un’azione protettiva, mentre bassi livelli di HDL-C sono un fattore di rischio. Per qualunque livello di colesterolo totale o LDL il rischio aumenta se contemporaneamente vi sono bassi livelli di HDL-C. Soltanto l’esercizio fisico e il consumo moderato di vino rosso aumentano il livello di HDL-C, mentre l’obesità e il fumo lo riducono.

FATTORI DI RISCHIO TRADIZIONALI Diabete Distinguiamo fattori di rischio non modificabile e modificabile, cioè correggibile con modifiche comportamentali

Il diabete costituisce un importante fattore di rischio, tanto che è stato considerato dalle Linee Guida una

o con trattamenti farmacologici. I non modificabili sono l’età, il genere e la familiarità. Tra i modificabili i più

condizione di “cardiopatia ischemica equivalente”. Nel paziente diabetico coesistono in genere multipli fattori di

importanti sono sicuramente la dislipidemia, l’ipertensione arteriosa, il diabete mellito e il fumo di sigaretta. Vanno menzionati, come fattori di rischio minori, anche: l’inattività fisica, l’alcool, l’obesità, lo stress, la frequenza cardiaca elevata.

rischio, essendo comuni l’obesità viscerale, alterazioni del metabolismo lipidico, con elevazione dei trigliceridi, riduzione di HDL-C e presenza di LDL piccole e dense, aumento dei radicali liberi dannosi per l’endotelio, iperaggregabilità piastrinica e iperfibrinogenemia.

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libro cardiologia.doc Nel paziente con diabete la riserva coronarica è spesso diminuita, e la malattia coronarica è severa e

personalità di “tipo A” e caratterizzata da atteggiamenti caratteriali quali fretta, impazienza, eccessiva

plurivasale, con lesioni prevalentemente distali, tali da rendere difficoltoso sia l’approccio interventistico che

competitività ed ostilità verso l'ambiente sociale, lavorativo e familiare, possa aumentare il rischio coronarico. Il

quello chirurgico. I pazienti diabetici hanno anche un maggiore rischio di sviluppare insufficienza cardiaca a

meccanismo imputabile è verosimilmente un’aumentata reattività cardiovascolare secondaria ad una maggiore

causa della cardiomiopatia diabetica.

liberazione di catecolamine e all’ipercortisolemia. Tuttavia, in tali soggetti il rischio aumenterebbe solamente quando non si realizzino gli obiettivi prefissati.

Ipertensione arteriosa Molti studi epidemiologici hanno dimostrato l’inequivocabile correlazione lineare tra ipertensione arteriosa e

FATTORI DI RISCHIO EMERGENTI

malattie cardiovascolari, in particolare ictus cerebrale e infarto del miocardio. Da un lato l’ipertensione favorisce la disfunzione endoteliale attraverso l’aumento dello shear-stress, dall’altro si associa spesso ad elevati livelli di angiotensina II, che esercita un’azione vasocostrittrice e proinfiammatoria e stimola la proliferazione delle cellule muscolari lisce.

Sindrome Metabolica La sindrome metabolica è costituita da una combinazione di fattori di rischio che, coesistendo, conferiscono un rischio elevato di sviluppare cardiopatia ischemica. Esistono diverse classificazioni della malattia: secondo quella

Fumo di sigaretta Il fumo aumenta il rischio di cardiopatia ischemica, proporzionalmente con il numero di sigarette fumate e gli anni di fumo; sembra che anche il fumo passivo sia un fattore di rischio. La nicotina attiva il sistema simpatico adrenergico con conseguente aumento della frequenza cardiaca, del lavoro cardiaco, della pressione arteriosa e possibile riduzione del flusso coronarico per vasocostrizione. Il monossido di carbonio agisce con un meccanismo tossico diretto sull’endotelio che diventa più permeabile alle lipoproteine, e provoca ipossia relativa secondaria all’aumento della carbossiemoglobina. Il fumo, inoltre, aumenta l’aggregabilità piastrinica e la viscosità ematica. I benefici della cessazione del fumo sono già evidenti dal primo anno, e dopo circa tre-cinque anni, il rischio relativo dell’ex-fumatore diviene simile a quello del non fumatore.

del NECP-ATP III la sindrome è definita dalla coesistenza di almeno tre dei seguenti fattori di rischio: 1) circonferenza vita > 102 cm nell’uomo e di 88 cm nella donna, 2) trigliceridemia =150 mg/dL, HDL-C < 40 mg/dL nell’uomo e < 50 mg/L nella donna, 3) pressione arteriosa = 130/85mmHg, 4) glicemia a digiuno = 100 mg%. La prevalenza della sindrome metabolica aumenta con l’età con maggiore frequenza nel sesso maschile fino a 45 anni di età e successivamente nel sesso femminile. Infiammazione Recenti studi, hanno dimostrato che le lesioni aterosclerotiche sono il frutto di un processo infiammatorio cronico, e che la stessa flogosi contribuisce alla rottura e/o all’erosione della placca predisponendo allo sviluppo di una sindrome coronarica acuta (vedi Capitolo 46). Alcune noxae (LDL ossidate, ipertensione, fumo, diabete, agenti infettivi, etc.) sono in grado di alterare la funzione dell’endotelio inducendo la produzione di citochine proinfiammatorie (IL1, TNFalfa, IL6, sCD40L, etc.) e

Obesità L’obesità, e soprattutto l’accumulo di grasso viscerale, si associano a dislipidemia e resistenza insulinica, con livelli elevati di trigliceridi, bassi di HDL-C e ridotta tolleranza al glucosio; tale cluster di fattori di rischio è comunemente indicato come sindrome metabolica.

rendendolo suscettibile all’infiltrazione di lipidi e cellule infiammatorie. Queste amplificano il processo infiammatorio producendo altre citochine, fattori di crescita e fattori chemiotattici. Più una placca è ricca di lipidi e cellule infiammatorie (in particolare macrofagi in grado di produrre proteasi capaci di lisare il cappuccio fibroso, come le metalloproteinasi) più è incline alla rottura e quindi all’insorgenza di una sindrome coronarica acuta (SCA). In tal senso l’infiammazione costituisce un fattore di rischio. La PCR, una proteina di fase acuta

Inattività fisica I più importanti studi epidemiologici hanno dimostrato che la vita sedentaria e la mancanza di attività fisica regolare costituiscono un fattore di rischio. Viceversa, l’attività fisica svolta con regolarità riduce significativamente il rischio cardiovascolare, sia in prevenzione primaria sia in prevenzione secondaria. Essa determina una riduzione della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa sotto sforzo, e quindi del consumo di ossigeno del miocardio; favorisce, inoltre, l’aumento del colesterolo HDL, la riduzione dei trigliceridi, della glicemia (nel diabete) e dell'obesità, e diminuisce l'aggregabilità piastrinica.

prodotta a livello epatico, è il marker di flogosi più ampiamente studiato anche perchè essa é dosabile nel sangue periferico in maniera semplice e poco dispendiosa. I livelli plasmatici di PCR (ultrasensibile = hsPCR) costituiscono un marker di rischio in pazienti asintomatici con fattori di rischio e un predittore prognostico in pazienti con angina instabile e SCA. La PCR è in grado di attivare il complemento e di indurre l’espressione di tissue factor, quindi di attivare la cascata coagulativa. Esiste anche un’associazione forte fra livelli di fibrinogeno ed eventi cardiovascolari. Il fibrinogeno aumenta la viscosità ematica, incrementa la trombogenicità del sangue ed esalta l’aggregazione piastrinica favorendo la trombosi e, infine, incrementa la formazione di fibrina portando conseguentemente ad un aumento delle

Alcool Recenti studi hanno messo in evidenza un possibile ruolo dell’abuso di alcool come fattore di rischio cardiovascolare. Al contrario, un uso controllato e limitato di vino rosso, sembra favorire l’aumento del colesterolo HDL e svolgere azione antiossidante grazie alla presenza di polifenoli e rosveratrolo.

dimensioni dei trombi e ad una riduzione della loro suscettibilità alla lisi. Iperomocisteinemia L’omocisteina è un composto intermedio del metabolismo della metionina. L’assenza genetica dell’enzima metilentetraidrofolatoreduttasi (MTHFR) che trasforma l’omocisteina in metionina rappresenta una delle cause di iperomocisteinemia e si associa ad aterosclerosi accelerata ed a trombosi arteriosa e venosa. L’omocisteina

Frequenza Cardiaca Negli ultimi anni è stato dimostrato un ruolo dell’incremento della frequenza cardiaca e della riduzione della sua variabilità, anche in soggetti sani, nel predire eventi patologici cardiovascolari.

sembrerebbe indurre il danno vascolare interferendo con la produzione di ossido nitrico da parte dell’endotelio, e con la funzione piastrinica e incrementando la tendenza alla trombosi. Tuttavia, gli studi di intervento finora condotti non sono stati in grado di dimostrare che riducendo le concentrazioni di omocisteina si riducano gli eventi cardiovascolari.

Pattern comportamentale Numerose osservazioni hanno evidenziato che una particolare condizione comportamentale, definita come

Microalbuminuria

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libro cardiologia.doc Il termine microalbuminuria indica l’aumento subclinico dell’escrezione urinaria di albumina, con valori di

Il rischio cardiovascolare è un processo complesso, influenzato da fattori genetici, ambientali, sociali e culturali.

compresi tra 30 e 300 mg/24 h, in assenza di macroproteinuria e di nefropatia conclamata. L’aumento della

Pertanto, al fine di valutarlo in maniera obiettiva si è reso necessario introdurre il concetto di Rischio

permeabilità dei capillari glomerulari favorirebbe il passaggio transmembrana di albumina ma anche di

Cardiovascolare Globale (RCVG) e formulare le carte del rischio. Queste, mediante algoritmi e/o sistemi a

lipoproteine aterogene nella parete vascolare, e sarebbe un indice di disfunzione endoteliale. La

punteggio che valutano una serie di parametri, consentono di stimare il rischio di eventi cardiovascolari nei

microalbuminuria rappresenta un marker di danno vascolare globale utile principalmente nella stratificazione del

successivi 10 anni. La prima carta del rischio è stata quella di Framingham, che si basa sul calcolo del risk score

rischio di pazienti diabetici e ipertesi.

ottenuto dalla somma del punteggio attribuito ai singoli fattori di rischio presenti. La carta europea del rischio utilizza per il calcolo una mappa di mortalità cardiovascolare a codifica di colore e distingue in Europa 2 zone,

Infezioni

una ad alto ed una a basso rischio, di cui fa parte l’Italia. Per stimare il rischio di presentare un evento

Vi sono evidenze che alcuni microrganismi come cytomegalovirus, herpes virus, chlamydia pneumoniae,

cardiovascolare maggiore a 10 anni, l'Istituto Superiore di Sanità ha elaborato una carta italiana (Progetto

helicobacter pylori (in particolare, il ceppo citotossici), possano contribuire all’insorgenza della malattia

Cuore), che distingue 4 categorie di soggetti: uomo diabetico (Figura 1), uomo non diabetico (Figura 2),

aterosclerotica, nonché rendere instabili le placche aterosclerotiche, agendo come noxae sull’endotelio.

donna diabetica (Figura 3), donna non diabetica (Figura 4), in cui il rischio è attribuito in base alla presenza o

L’incremento del titolo anticorpale verso tali patogeni è stato utilizzato come predittore di eventi cardiovascolari

meno, e al valore crescente, di: età, genere, diabete, abitudine al fumo, valori di pressione arteriosa sistolica e

futuri in pazienti con infarto acuto del miocardio. L’ipotesi infettiva dell’aterosclerosi resta tuttavia ancora

colesterolemia. Il RCVG è calcolabile per uomini e donne esenti da precedenti eventi cardiovascolari, di età

controversa e i trial finora condotti con antibiotici non hanno dato alcun risultato significativo nel ridurre gli

compresa fra 40 e 69 anni. Il livello di rischio a 10 anni è distinto in: < 5%; tra 5 e 10%; tra 10 e 15%; tra 15

eventi cardiovascolari

e 20%; tra 20 e 30%; > 30%. La stratificazione del rischio coronarico non costituisce un mero calcolo matematico, ma ha delle ovvie

MARKER STRUMENTALI DI DANNO VASCOLARE PRECLINICO

implicazioni di ordine pratico nella prevenzione di eventi cardiovascolari (Tabella I).

Nella stratificazione del rischio coronarico oltre alla valutazione dei fattori di rischio è utile la ricerca di segni di aterosclerosi preclinica, oggi possibile mediante lo studio ultrasonografico delle arterie carotidi, la misurazione dell’Indice di Pressione Caviglia-Braccio (ABI) e la valutazione non invasiva della funzione endoteliale.

Ispessimento Intima-Media (IMT) e Placca Asintomatica Carotidea Diversi studi epidemiologici hanno dimostrato un’associazione tra l’incremento dello spessore medio-intimale carotideo (IMT) o la presenza di placche aterosclerotiche asintomatiche (PCA) delle carotidi e l’incidenza di malattia cerebro- e cardiovascolare (ictus ed infarto miocardico) nella popolazione generale (vedi Capitolo 54).

Indice di Pressione Caviglia-Braccio (ABI) Normalmente misurando la pressione arteriosa sistolica alla caviglia (tibiale posteriore) o alla tibiale anteriore e rapportandola alla pressione sistolica brachiale il rapporto è > 1. Se tale rapporto è < 0.9 questo significa che il paziente è portatore di aterosclerosi preclinica a livello dell’albero arterioso iliaco-femoro-popliteo (vedi Capitolo 12). Numerosi studi epidemiologici hanno evidenziato che una riduzione dell’ABI è associato ad aterosclerosi in altri distretti (coronarie e carotidi) ed a futuri eventi cerebro- e cardiovascolari.

Disfunzione Endoteliale La disfunzione endoteliale rappresenta il primum movens nella patogenesi dell’aterosclerosi (vedi Capitolo 48). La disfunzione endoteliale può essere dimostrata dalla vasocostrizione conseguente all’iniezione intrarteriosa di acetilcolina, in arteria brachiale o durante angiografia coronarica. Invece, se l’endotelio è integro, tale sostanza

Figura 1

provoca vasodilatazione stimolando la liberazione di Nitrossido (NO) da parte dell’endotelio. Recentemente è stata messa a punto una tecnica non invasiva per lo studio la valutazione della funzione endoteliale attraverso lo studio della dilatazione flusso mediata (FMD) dell’arteria brachiale con tecnica ultrasonografica. Pazienti con scarsa FMD hanno un’alta probabilità di sviluppare eventi cardiovascolari rispetto a quei soggetti con normale FMD. Tale risultato evidenzia, infatti, una carente sintesi di ossido nitrico (NO) da parte dell’NO sintetasi endoteliale, fattore cruciale della disfunzione endoteliale.

RISCHIO CARDIOVASCOLARE GLOBALE E CARTE DEL RISCHIO

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Carta italiana del rischio (uomo diabetico)

libro cardiologia.doc

Figura 2

Carta italiana del rischio (uomo non diabetico) Figura 4

Carta italiana del rischio (donna non diabetica)

Tabella 1

PREVENZIONE PRIMARIA DELLA CARDIOPATIA ISCHEMICA

Per prevenzione primaria s’intende la messa in atto di una strategia d’intervento sulla popolazione mirata a prevenire un evento mai manifestatosi in precedenza. Il fulcro della prevenzione primaria è la correzione dei fattori di rischio ovvero l'abolizione dell'abitudine al fumo, Figura 3

Carta italiana del rischio (donna diabetica)

la dieta alimentare (ridurre l'assunzione di zuccheri semplici, di alcool, di proteine animali, di sale e di colesterolo, prediligendo gli acidi grassi insaturi), il controllo del peso corporeo, l’attività fisica regolare, il trattamento dell’ipertensione, delle dislipidemie e dell’iperglicemia. I pazienti ipertesi ad alto rischio dovrebbero

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libro cardiologia.doc Capitolo 49

mirare a raggiungere una pressione arteriosa < 130/80 mm Hg, mentre valori < 140/90 mm Hg sono

IL CUORE POLMONARE CRONICO

accettabili per l’ipertensione non complicata. Inoltre, se il rischio globale è > 20% va istituito un trattamento farmacologico dell’ipercolesterolemia anche lieve.

Cesare Fiorentini, Piergiuseppe Agostoni, Elisabetta Doria

Nella Tabella II sono riportati i target raccomandabili per il colesterolo-LDL, per categoria di rischio, secondo le DEFINIZIONE

Linee Guida NCEP-ATP III e le indicazioni ad instaurare una terapia. Per quanto riguarda le HDL-C il valore desiderabile dovrebbe essere > 40 mg/dl per gli uomini e > 50 mg/dl per le donne, per i trigliceridi < 150 mg/dl.

Si definisce “cuore polmonare” la dilatazione e/o l’ipertrofia del ventricolo destro per aumento del postcarico

Le modificazioni dello stile di vita prima discusse comportano un aumento del 10-20% dei livelli plasmatici delle

dovuto a malattie dei polmoni, della parete toracica, dei vasi polmonari o dei centri del controllo della

HDL-C ed una riduzione dei trigliceridi. Nelle ipertrigliceridemie elevate > 500 mg/dl, l’intervento farrmacologico

ventilazione. Sono escluse dalla definizione di cuore polmonare le patologie del cuore destro dovute a

è necessario.

cardiopatie congenite o a malattie del cuore sinistro.

Nel paziente diabetico, per il rischio particolarmente elevato è fondamentale l'ottimale controllo glicemico e lo stretto controllo di tutti i concomitanti fattori di rischio.

FISIOLOGIA DEL CIRCOLO POLMONARE

La circolazione polmonare è interposta tra il ritorno venoso sistemico e l’atrio sinistro; oltre a rivestire un ruolo chiave negli scambi dei gas, il circolo polmonare concorre alla regolazione biochimica, termica ed umorale del sangue. In condizioni normali, la forza che guida il sangue attraverso il polmone dipende in ugual misura dal ventricolo destro e dalla respirazione. La funzione di pompa del ventricolo destro, tuttavia, diviene rilevante solo in condizioni patologiche. In alcune procedure cardiochirurgiche (ad esempio l’intervento di Fontan), infatti, si esegue un by-pass del ventricolo destro, mettendo in comunicazione diretta l’atrio destro con l’arteria polmonare, senza che il ritorno venoso al cuore sinistro venga compromesso; ciò dimostra come la circolazione polmonare possa avvenire normalmente anche senza il contributo del ventricolo destro. La caratteristica principale del circolo polmonare è che le pressioni sono basse. Per generare ed aumentare il flusso del sangue occorre superare la pressione di apertura dei vasi, reclutare progressivamente nuovi vasi e dilatare quelli già aperti. La relazione tra la pressione guida (differenza tra pressione arteriosa polmonare media e pressione atriale sinistra) e il flusso, perciò, è curvilinea e non origina dallo zero degli assi cartesiani (Figura Tabella 2

1).

Prevenzione nei pazienti a rischio intermedio, con aterosclerosi preclinica I soggetti con almeno 2 fattori di rischio, i quali secondo il Progetto Cuore hanno un rischio intermedio, in realtà se coesistono segni strumentali di aterosclerosi preclinica (IMT > 1 mm o PCA, o ABI < 0.9 o ridotta FMD) si collocano ad un livello di rischio molto più elevato. Tali soggetti necessitano di una strategia di prevenzione più aggressiva e di misure farmacologiche anche se in tal senso il consenso non è ancora unanime.

PREVENZIONE SECONDARIA DELLA CARDIOPATIA ISCHEMICA

Per prevenzione secondaria si intende l’attuazione di una strategia terapeutica in soggetti che hanno avuto un evento cardiovascolare. Si basa sull’interazione tra modifiche dello stile di vita ed uso ragionato dei farmaci. Numerosi studi clinici hanno dimostrato l'utilità delle statine sia per il controllo dell'assetto lipidico sia per gli effetti di stabilizzazione sulla placca. Nel controllo dei valori pressori vanno considerati di prima scelta gli ACEinibitori, i sartani e i beta-bloccanti; questi ultimi hanno effetto cardioprotettivo, riducono il consumo di ossigeno e la mortalità. Inoltre, un ruolo fondamentale è svolto dai farmaci antitrombotici, in particolare dall’acido acetilsalicilico, che assunto con dosaggio da 75 a 325 mg/die riduce del 33% il rischio di reinfarto e del 25% la mortalità.

Figura 1

Pannello A: curva pressione/ flusso. I punti 1 e 2 sono a uguale resistenza ma a resistenza calcolata

diversa. Pannello B: curva pressione / flusso. I punti 1 e 2 sono su curve pressione / flusso diverse ma ad uguale resistenza calcolata (P = pressione, Q 0 flusso).

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libro cardiologia.doc Figura 2 La resistenza vascolare è la relazione tra pressione e flusso. Nel circolo polmonare si misura la resistenza

Schema di pressione polmonare a catetere incuneato. Occludendo il vaso in A si registra una

pressione equivalente a B; occludendo il vaso in C si registra una pressione equivalente in D.

vascolare arteriolare, con la formula seguente:

FISIOPATOLOGIA DEL CUORE POLMONARE CRONICO e la resistenza vascolare totale, la cui formula è: Il ventricolo destro assume un ruolo molto importante in presenza di malattie del polmone o del circolo polmonare. In un cuore normale, la portata cardiaca comincia a ridursi quando la pressione polmonare sistolica è 30-40 mm Hg. Il ventricolo destro non è in grado di tollerare pressioni di 60-80 mm Hg, ma se il sovraccarico In entrambi i casi si assume una relazione pressione/flusso lineare, assunto del tutto erroneo. Per esempio,

di pressione si instaura gradualmente, il ventricolo si ipertrofizza e si dilata, riuscendo a mantenenere pressioni

nella Figura 1 (pannello A) i punti 1 e 2 sono sulla stessa curva pressione/flusso (curva isoresistenza) ma su

molto più alte, in alcuni casi addirittura superiori a quelle del ventricolo sinistro.

differenti resistenze calcolate, mentre i punti 1 e 2 del pannello B hanno la stessa resistenza calcolata ma sono

Ci può essere ipertensione polmonare in caso di: a) malattie cardiache congenite, b) malattie a carico del cuore

su curve pressione/flusso diverse.

sinistro (atrio, valvola mitrale, ventricolo, valvola aortica), c) malattie respiratorie, e d) malattie che

Per calcolare veramente la resistenza vascolare polmonare, perciò, occorre costruire la relazione misurando

interessano il circolo polmonare. Per definizione solo le condizioni c e d possono essere causa di cuore-

almeno 3 punti identificati da pressione e flusso. Questo può essere fatto modificando la portata cardiaca con

polmonare.

variazioni della postura o con l’esercizio fisico. La pressione polmonare a catetere incuneato o “wedge” si misura occludendo con la punta del catetere un ramo

Vasocostrizione ipossica

periferico dell’ arteria polmonare. Quella che si registra è la pressione del punto più lontano dal catetere in cui

In presenza di ipossia alveolare, i vasi che portano sangue agli alveoli interessati dalla ipossia si costringono. Se

vi è ripresa di flusso (Figura 2). L’occlusione in A legge la pressione in B mentre l’occlusione in C legge la

localizzato, questo è un meccanismo di difesa utile perché riduce la perfusione di alveoli poco efficienti,

pressione in D. In clinica, però, non siamo in grado di percepire la differenza tra la pressione ottenuta

favorendo la perfusione di alveoli normossici. Se il fenomeno è generalizzato, o comunque interessa una grossa

occludendo A o C.

parte del polmone, si sviluppa ipertensione polmonare ipossica. Questa permette di reclutare nuovi vasi

La distribuzione del flusso di sangue nel polmone è funzione del rapporto tra pressione arteriosa polmonare,

polmonari ma, se la portata si mantiene, fa aumentare il lavoro del ventricolo destro. L’ipossia alveolare può

pressione venosa polmonare e pressione alveolare. Le camere del cuore destro sono cavità ad alta compliance,

essere acuta (apnee del sonno), subacuta (ARDS, edema polmonare da alta quota) o cronica (patologia

che possono accettare grandi volumi di sangue con piccole variazioni di pressione. Il sistema va “in crisi” in

polmonare, della parete toracica o del controllo della ventilazione). In presenza di ipossia cronica, le arterie

presenza di ipertensione polmonare, che si definisce presente se la pressione polmonare media è, a riposo e a

polmonari sviluppano uno strato muscolare che aumenta progressivamente, in rapporto alla durata ed all’entità

livello del mare, > 20 mm Hg.

dell’ipossia alveolare. Esistono fattori che aumentano la risposta ipertensiva all’ipossia alveolare, quali l’aumento della PaCO2, l’aumento dell’ematocrito che incrementa la viscosità del sangue, l’aumento o la riduzione importante del volume polmonare ed, infine, la riduzione anatomica o funzionale del letto vascolare polmonare. Bisogna ricordare che la resistenza vascolare polmonare dipende dal volume polmonare: per i vasi alveolari aumenta con l’aumento del volume polmonare, mentre per i vasi extra-alveolari si riduce con l’aumento del volume polmonare. La somma dà la effettiva resistenza vascolare alla capacità funzionale residua (Figura 3).

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libro cardiologia.doc QUADRO CLINICO

Non ci sono sintomi specifici di dilatazione e/o ipertrofia del ventricolo destro, ma il quadro clinico è dominato dalla malattia che causa il sovraccarico ventricolare. In presenza di scompenso del cuore destro si ha un aumento della pressione venosa sistemica, da cui dipendono edemi declivi, turgore giugulare, epatomegalia ed ascite. Le sindromi che possono essere alla base del cuore polmonare cronico sono: a) malattia polmonare ostruttiva, b) malattia polmonare restrittiva, c) malattia polmonare mista (ostruttiva e restrittiva) e d) malattie vascolari polmonari.

Malattia polmonare ostruttiva Il quadro clinico è quello del fumatore, con frequenti episodi di bronchite soprattutto nei mesi invernali. Il paziente riferisce a volte sintomi correlati all’incremento della CO2, quali confusione mentale e disorientamento. I segni più frequenti sono quelli legati all’aumento della pressione venosa (turgore giugulare, epatomegalia, edemi declivi) e quelli dipendenti dall’ipossia, come la cianosi labiale e delle estremità; è quasi sempre presente tachicardia sinusale e non di rado fibrillazione atriale. La radiografia del torace dimostra un cuore ingrandito, salienza del secondo arco di sinistra per dilatazione Figura 3

Relazione tra volume polmonare e resistenza vascolare polmonare totale nei vasi alveolari e nei vasi

extra-alveolari (VR = volume residuo, CFR = capacità funzionale residua, CPT = capacità polmonare totale, RVP = resistenze vascolari polmonari).

dell’arteria polmonare ed aspetto ad albero potato della vascolatura polmonare in periferia. I test di funzione respiratoria dimostrano riduzione di FEV1, FEV1/FVC e capacità vitale, ed aumento consistente del volume residuo. La diffusione alveolo-capillare è ridotta. L’emogasanalisi dimostra ipossiemia e ipercapnia. La somministrazione incongrua di ossigeno può peggiorare il quadro emogasanalitico.

Episodi di ipossia alveolare, come quelli associati alle apnee notturne, possono causare o concorrere a causare cuore polmonare. Un esempio classico di questo è il cuore polmonare della sindrome di Pickwick (obesità, sonnolenza, policitemia) o quello dei “russatori” per alcool, bronchite cronica, obesità. L’ipossia alveolare cronica si sviluppa in corso di ipoventilazione alveolare e si associa ad ipercapnia. Le cause includono enfisema, fibrosi polmonare, patologia polmonare restrittiva e bronchite cronica.

L’ECG (ECG 03) mostra ingrandimento dell’atrio destro e ipertrofia ventricolare destra (vedi Capitolo 3). L’ecocardiogramma rivela l’ipertrofia e la dilatazione del ventricolo destro, ed anche l’ipertensione polmonare, valutata con metodica Doppler (Figura 4). La terapia è la sospensione del fumo, la riduzione del rischio di recidiva delle infezioni delle vie aeree e dei polmoni, la riabilitazione respiratoria, l’uso di broncodilatatori e mucolitici, l’impiego congruo di ossigeno . La terapia farmacologia dell’ipertensione polmonare secondaria non ha successo.

Restringimento meccanico dei vasi Le modificazioni dei volumi polmonari hanno un ruolo importante nella genesi dell’ ipertensione polmonare. In presenza di malattia polmonare ostruttiva, il volume del polmone aumenta. Inoltre si può sviluppare il fenomeno del “air-trapping” per l’insufficiente flusso espiratorio. Se la ventilazione aumenta, questo fenomeno diviene sempre più rilevante con zone di polmone che per l’insufficiente espirazione sono ad alta pressione e comprimono i vasi. In questo caso, per mantenere il flusso deve esserci un ulteriore aumento della pressione vascolare. Anche la riduzione del volume polmonare si associa ad aumento della resistenza vascolare polmonare (Figura 3).

Sovraccarico pressorio attorno al cuore destro Il cuore è circondato in gran parte dal polmone. Nel cuore polmonare la rigidità del polmone è significativamente aumentata, e ciò aumenta il lavoro esterno, quello soprattutto del ventricolo destro, le cui pareti sono sottili e meno potenti di quelle del ventricolo sinistro. Il movimento del cuore in sistole e diastole è a maggiore costo energetico in presenza di polmone rigido.

Aumento della portata cardiaca L’ ipossia alveolare riduce il contenuto arterioso di ossigeno. Questa riduzione è compensata da un aumento dell’emoglobina e dall’aumento della portata cardiaca. Quest’ultima è un ulteriore elemento di sovraccarico per il cuore destro.

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libro cardiologia.doc Capitolo 50 L'EMBOLIA POLMONARE Giuseppe Mercuro, Francesco Peliccia DEFINIZIONE ED EPIDEMIOLOGIA

L’embolia polmonare (EP) è l’occlusione acuta del tronco o di un ramo dell’arteria polmonare, che determina un ostacolo allo svuotamento del ventricolo destro e un’interruzione del flusso ematico nel distretto polmonare a valle dell’occlusione. Il grado di compromissione emodinamica e respiratoria dipende dalla dimensione dell’embolo, che può interessare la biforcazione dell’arteria polmonare (embolo a sella) o un suo ramo (Figura 1). L’incidenza dell’EP è dello 0.5-1‰, con un rapido incremento dopo i 60 anni di età. La mortalità per EP è >15% nei primi 3 mesi dalla diagnosi.

Figura 4

Calcolo del gradiente pressorio fra ventricolo e atrio destro attraverso la velocità del flusso di

rigurgito tricuspidale.

Malattia polmonare restrittiva Le malattie restrittive che portano al cuore polmonare cronico hanno prognosi infausta. Si possono riconoscere due gruppi di malattie restrittive: il primo comprende le alveoliti fribrotizzanti, le pneumoconiosi, le malattie della gabbia toracica e del suo apparato neuro-muscolare. Tutte queste malattie portano ad insufficienza ventilatoria con iperventilazione. Il secondo gruppo di malattie restrittive che portano a cuore polmonare è caratterizzato fin dall’ inizio da ipoventilazione. La terapia delle fasi più avanzate è solo il supporto ventilatorio.

Malattia polmonare mista (ostruttiva e restrittiva) I due quadri possono essere presenti: l’ aspetto clinico più tipico è quello del fumatore obeso.

Malattie vascolari polmonari

Figura 1

L’ostruzione o la distruzione del letto vascolare polmonare può causare ipertensione polmonare che, a sua volta, porta a cuore polmonare. In questo caso la pressione polmonare può essere molto elevata, più che nelle forme ipossiche. EZIOLOGIA

L’ipertensione polmonare può essere post-embolica, di solito successiva a molti episodi embolici più o meno sintomatici e spesso clinicamente non riconosciuti, oppure causata da vasculopatia per ipertensione polmonare primitiva (vedi Capitolo 51) o associata a varie vasculiti.

All’origine di un’EP sta, nella quasi totalità dei casi, la mobilizzazione di un trombo venoso dalla sua sede di

L’incidenza dell’ipertensione polmonare post-embolica è minore di quanto ci si potrebbe aspettare dal numero di

formazione periferica, usualmente le vene degli arti inferiori: il trombo percorre il circolo venoso refluo, l’atrio

embolie ritrovate all’autopsia: ciò dipende verosimilmente dall’estensione del letto vascolare polmonare e dai

ed il ventricolo destro ed embolizza la circolazione arteriosa polmonare. Circa la metà dei pazienti con trombosi

potenti meccanismi trombolitici dell’endotelio polmonare.

venosa profonda (TVP) pelvica o prossimale delle gambe subiscono un’EP, che rimane assai spesso asintomatica. Emboli a partenza dalle vene del polpaccio sono più raramente causa di EP, ma rappresentano la sorgente più probabile di emboli paradossi, che possono raggiungere la circolazione arteriosa sistemica

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libro cardiologia.doc attraverso un forame ovale pervio o un difetto del setto interatriale. L’origine di un trombo dagli arti superiori è possibile a causa dell’utilizzo crescente di cateteri venosi a permanenza per alimentazione parenterale o chemioterapia, nonché di elettrocateteri di pacemaker e defibrillatori cardiaci. Gli stati di ipercoagulabilità che possono causare un’EP, i fattori di rischio e le condizioni cliniche associate che possono favorirla sono gli stessi coinvolti nel determinismo della TVP (v. Capitolo …). Una predisposizione congenita deve essere considerata nei rari casi in cui l’EP colpisce soggetti 99%; (Figura 3). Apparecchi di ultima generazione sono destinati a soppiantare l’angiografia polmonare come gold standard per la diagnosi dell’EP, consentendo

Tabella 3

l’acquisizione in pochi secondi dell’intero torace con una risoluzione inferiore a 1 mm. D’altra parte, la TC fornisce informazioni dettagliate sulle dimensioni e la funzione del ventricolo destro. La scintigrafia polmonare rappresenta oggi un’indagine di seconda scelta in caso di sospetta EP, mentre è riservata a pazienti in gravidanza, oppure con insufficienza renale o allergia al contrasto. La risonanza magnetica (RM) angiografica utilizza un mezzo di contrasto non nefrotossico e pressoché esente da reazioni allergiche. Sensibilità e specificità diagnostiche sono paragonabili a quelle della TC di prima generazione, consentendo l'identificazione di EP segmentarie. La RM è in grado di valutare anche la funzione del ventricolo destro.

Il trattamento dei pazienti con EP può essere farmacologico, interventistico o chirurgico. La scelta tra queste tre strategie dipende sia dalla loro disponibilità sia, soprattutto, dal grado di compromissione clinica e funzionale determinato dall’EP. Supporti terapeutici immediati sono la somministrazione di 02 e la sedazione del dolore toracico con antinfiammatori non-steroidei. In soggetti a basso rischio, con pressione sistemica normale e senza evidenza di disfunzione ventricolare destra, il trattamento è mirato alla prevenzione di ricorrenti EP e/o TVP e si basa sulla sola anticoagulazione. Caposaldo di tale trattamento è l’eparina non frazionata (ENF), la cui somministrazione previene l’ulteriore formazione di trombi e consente alla fibrinolisi endogena di dissolvere il trombo già formato. Una valida alternativa all’ENF è oggi rappresentata dalle eparine a basso peso molecolare,

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libro cardiologia.doc frammenti di eparina con migliore biodisponibilità e più lunga emivita dell’ENF e che, a differenza di questa, non

somministrazione di un anticoagulante orale (AO), warfarin o acenocumarolo, il cui pieno effetto si manifesta in

ipertensione polmonare precapillare, che coinvolge il circolo polmonare a livello arteriolare,



richiedono un monitoraggio della terapia con determinazione del PTT. Insieme all’eparina occorre iniziare la

provocando un aumento della pressione solo nell’arteria polmonare; ipertensione polmonare postcapillare, causata da un aumento delle resistenze a livello venulare o



genere dopo 5 giorni. L’eparina garantisce l’effetto anticoagulante finché l’AO non abbia prodotto valori di INR

delle sezioni cardiache sinistre (come accade in corso di valvulopatie o miocardiopatie); in questa situazione,

superiori a 2 per almeno 2 giorni consecutivi. In seguito, la dose di AO va scelta con l’obiettivo di mantenere

l'aumento della pressione in arteria polmonare è necessario per mantenere un normale gradiente

l’INR tra 2 e 3.

transpolmonare.

In caso di emorragia in atto, di controindicazione all’uso degli anticoagulanti ovvero di EP ricorrente nonostante La distinzione tra queste due condizioni è importante dal punto di vista clinico e terapeutico, poiché:

l’AO. è possibile ricorrere al posizionamento di un filtro nella vena cava inferiore. Pazienti con EP massiva e shock cardiogeno o portatori di vasta trombosi ileo-femorale, sono candidati alla trombolisi, al fine di ridurre la mortalità e prevenire la ricorrenza di EP. Ciò avviene attraverso la dissoluzione

dei trombi emboligeni presenti nella periferia del sistema venoso.

nella maggioranza dei casi l’ipertensione post-capillare è secondaria ad una disfunzione ventricolare



sinistra, ed il trattamento deve riguardare la patologia ventricolare sinistra;

sia del trombo occludente l’arteria polmonare, con rapido miglioramento dello scompenso cardiaco destro, sia

nelle forme precapillari la compromissione cardiaca è prevalente a livello del cuore destro e le cure



sono rivolte alla riduzione delle resistenze arteriolari polmonari.

Quando un’EP massiva determina una grave compromissione delle funzioni cardiorespiratorie, imponendo la ventilazione assistita e il supporto cardiocircolatorio, oppure quando la trombolisi non abbia avuto successo o sia controindicata, è appropriata l’embolectomia, con rimozione meccanica del materiale trombotico dall’arteria

CLASSIFICAZIONE

polmonare. Questa tecnica è stata eseguita per molti anni solo chirurgicamente, a torace aperto, in arresto di circolo o a cuore battente, costituendo un intervento efficace, ma gravato da una significativa mortalità. Si distinguono 5 forme principali di ipertensione polmonare (Tabella I):

Attualmente, è invece possibile l’embolectomia per via percutanea in sala di emodinamica. La procedura non necessita di anestesia generale, richiede solo un accesso venoso, in genere a livello femorale e si esegue con speciali cateteri che frammentano e aspirano il trombo occlusivo.

• •

Ipertensione arteriosa polmonare (precapillare)

In considerazione della difficoltà di diagnosticare l’EP e di contenere il danno clinico che essa produce, è

• •

Ipertensione polmonare secondaria a malattie polmonari (precapillare)



Miscellanea

fondamentale attuare un’efficace prevenzione del tromboembolismo venoso. Occorre diffondere l’opinione che virtualmente tutti i soggetti ospedalizzati sono a rischio di EP e, se del caso, debbono ricevere misure preventive appropriate. Per i pazienti a rischio più elevato la terapia anticoagulante (eparine a basso peso molecolare o AO) ed i presidi meccanici (calze elastiche o compressione pneumatica intermittente) che incrementano il flusso venoso e stimolano la fibrinolisi endogena, rappresentano una profilassi con un rapporto costo/beneficio assai vantaggioso.

Capitolo 51 L'IPERTENSIONE POLMONARE PRIMITIVA Carmine Dario Vizza, Roberto Badagliacca, Roberto Poscia, Francesco Fedele DEFINIZIONE

L’ ipertensione polmonare viene definita come un aumento della pressione polmonare media superiore a 25 mmHg in condizioni di riposo o di 35 mmHg durante attività fisica. Per cuore polmonare cronico (vedi Capitolo 48) si intendono gli adattamenti morfofunzionali del ventricolo destro che si osservano in corso di ipertensione polmonare, caratterizzati da aumento dello spessore della parete libera, dilatazione della cavità e riduzione della funzione sistolica.

Ipertensione venosa polmonare (postcapillare)

Ipertensione polmonare secondaria a malattie tromboemboliche (precapillare)

Ipertensione arteriosa polmonare (IAP) In questo gruppo vengono riunite le forme di ipertensione polmonare che hanno caratteristiche simili a quelle dell’ipertensione polmonare primitiva, che nella più recente classificazione viene definita come ipertensione arteriosa polmonare idiopatica. Oltre alla forma idiopatica e familiare, la IAP può essere associata al consumo di anoressizzanti, a malattie del connettivo (sclerodermia, lupus), all'infezione da HIV, all’ipertensione portopolmonare, alle cardiopatie congenite con iperafflusso polmonare (sindrome di Eisenmenger) (vedi Capitolo 51); rientra in questo gruppo anche l’ipertensione polmonare persistente nel neonato. Tutte queste forme sono caratterizzate da un interessamento quasi esclusivo della componente vascolare del polmone, con ostruzione delle arteriole di piccolo calibro secondaria a proliferazione delle cellule endoteliali e della media ed a fenomeni di trombosi in situ. Ipertensione venosa polmonare E’ una forma di ipertensione polmonare post-capillare, il cui principale meccanismo emodinamico è l’aumento della pressione atriale sinistra (valvuopatie mitraliche) o telediastolica ventricolare sinistra (disfunzione ventricolare secondaria a valvulopatie, cardiopatia ischemica, miocardiopatie etc.. ). In questa situazione la pressione in arteria polmonare aumenta per mantenere il gradiente transpolmonare. Ipertensione polmonare secondaria a patologie parenchimali polmonari E' la forma più frequente di ipertensione polmonare precapillare; interessa prevalentemente pazienti con grave patologia polmonare e insufficienza respiratoria ipossica e ipercapnica (vedi Capitolo 48). Ipertensione polmonare secondaria a tromboembolia cronica Questa forma rappresenta l’esito di uno o più episodi embolici polmonari che non si sono risolti in modo completo. L’albero vascolare polmonare è ostruito da formazioni costituite da tessuto fibroso tenacemente aderente all'intima del vaso. L’incidenza di ipertensione polmonare cronica in pazienti con embolia polmonare è variabile tra lo 0,1 e il 3%. PATOGENESI DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA POLMONARE

CENNI DI FISIOLOGIA E FISIOPATOLOGIA DEL CIRCOLO POLMONARE

Il circolo polmonare è caratterizzato da alto flusso e basse resistenze: è sufficiente una pressione media di soli 12-15 mmHg per far fluire tutta la portata cardiaca (circa 4-5 litri) attraverso i polmoni. Da un punto di vista emodinamico, dobbiamo distinguere due diverse forme di ipertensione:

L’ipertensione arteriosa polmonare idiopatica è una sindrome complessa, multifattoriale, in cui esiste una predisposizione genetica che conferisce una particolare “reattività” vascolare polmonare a stimoli di varia natura. Una delle ipotesi patogenetiche più accreditate è che diversi fattori (virus, tossine, fenomeni autoimmunitari, ecc.), agendo su un terreno predisposto geneticamente, possano causare una lesione

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libro cardiologia.doc endoteliale rompendo l’equilibrio tra fattori vasodilatanti/antimitogeni e fattori vasocostrittori/mitogeni a favore

Doppler, che permette di stimare la pressione sistolica in arteria polmonare attraverso il calcolo della velocità di

di questi ultimi. Si innescherebbe quindi un circolo vizioso caratterizzato da vasocostrizione, proliferazione delle

rigurgito tricuspidale (vedi Capitolo 4) (Figura 3) e di valutare il grado di disfunzione ventricolare destra

cellule muscolari lisce ed endoteliali ed attivazione della cascata coagulativa, il cui esito è la formazione delle

(Figura 4).

lesioni arteriolari che si osservano in questa malattia

Per la diagnosi di ipertensione arteriosa polmonare primitiva è necessario escludere la presenza di: - una pneumopatia significativa (le prove di funzionalità respiratoria permettono di riconoscere una patologia

FISIOPATOLOGIA

parenchimale polmonare, Figura 5). - un’ipertensione polmonare secondaria a tromboembolismo cronico: in questi casi la scintigrafia polmonare evidenzia difetti segmentari della perfusione (Figura 6) o la TC spirale dimostra trombosi nei rami dell’arteria

Nel corso della malattia si assiste ad un progressivo aumento delle resistenze vascolari, e per mantenere la portata cardiaca il ventricolo destro deve generare pressioni sempre più elevate. La progressione verso l’insufficienza cardiaca dipende dalla capacità del ventricolo destro di mantenere una funzione accettabile a fronte di un continuo aumento delle resistenze vascolari polmonari. L’ipertrofia del ventricolo destro è quasi

polmonare (Figura 7). - un’ipertensione venosa polmonare, suggerita dalla presenza di disfunzione ventricolare sinistra (ECO 29). Raggiunta la diagnosi, è necessario eseguire ulteriori indagini che permettano di stabilire se l’ipertensione arteriosa polmonare è idiopatica o associata ad altre patologie (Tabella I).

sempre un meccanismo di compenso non adeguato, per cui si assiste a riduzione della funzione sistolica, dilatazione delle sezioni destre e comparsa di insufficienza tricuspidale e polmonare per dilatazione degli anelli CENNI DI TERAPIA

valvolari. Nel corso della malattia si passa da una fase asintomatica o paucisintomatica (la portata cardiaca è normale a riposo, e riesce parzialmente ad incrementarsi durante esercizio fisico) ad una fase sintomatica, con ridotta

La terapia medica è in primo luogo imperniata sul trattamento dell’insufficienza cardiaca congestizia e prevede

tolleranza allo sforzo (portata cardiaca normale a riposo, incapacità di aumento sotto sforzo), per arrivare alla

l’uso di diuretici (furosemide, spironolattone) e digitale; gli anticoagulanti orali possono essere utili in quanto un

fase terminale in cui la portata cardiaca è ridotta anche a riposo.

rilievo istopatologico frequente è la trombosi in situ. I calcio-antagonisti si impiegano solo nei casi responsivi ad

Insieme alle modificazioni della portata si assiste ad un aumento delle pressioni di riempimento ventricolare

un test acuto di vasodilatazione; sono indicati nella terapia a lungo termine la nifedipina o il diltiazem.

destro, con la comparsa dei segni di congestione sistemica (turgore delle giugulari, epatomegalia e edemi

L'ossigenoterapia è necessaria nei pazienti con ipossiemia a riposo.

declivi). Oltre a fattori meccanici (aumento della pressione atriale destra), contribuiscono alla comparsa degli edemi anche fattori neuro-ormonali, come avviene nel corso dell'insufficienza ventricolare sinistra. L'attivazione

Farmaci specifici per l'ipertensione arteriosa polmonare

del sistema renina-angiotensina-aldosterone e dell'endotelina contribuiscono alla ritenzione idro-salina ed alla

Prostanoidi

formazione di edemi.

Il razionale per l'uso di questo categoria di farmaci consiste nel rilievo di un deficit di produzione di prostaciclina a livello dell'endotelio dei piccoli vasi polmonari, con vasocostrizione, aggregazione piastrinica e proliferazione SINTOMI E SEGNI

degli elementi mio-intimali. I prostanoidi attualmente disponibili sono: l’epoprostenolo (somministrato per via infusionale continua), l’iloprost (per via inalatoria) e il treprostinil (per via sottocutanea). Tali farmaci hanno dimostrato efficacia nel migliorare la tolleranza allo sforzo e la la sopravvivenza a lungo termine dei pazienti con

I sintomi della ipertensione arteriosa polmonare sono aspecifici e sono riconducibili alla incapacità di aumentare

ipertensione arteriosa polmonare idiopatica.

la portata cardiaca durante attività fisica e all’aumento del lavoro respiratorio. Comprendono, in ordine di frequenza, la dispnea (inizialmente da sforzo, nelle forme più gravi a riposo), l’astenia, il dolore precordiale, la

Antagonisti recettoriali dell'endotelina

lipotimia/sincope. Questo quadro sintomatologico si può associare a segni obiettivi di ingrandimento

L’endotelina, mediatore autocrino e paracrino della proliferazione endoteliale e delle cellule muscolari lisce, ha

ventricolare destro, con insufficienza della tricuspide (soffio olostolico sulla margino-sternale sinistra al IV

certamente un ruolo nella patogenesi dell'ipertensione arteriosa polmonare. Il bosentan (antagonista dei

spazio intercostale) o suggestivi di ipertensione polmonare (aumento di intensità del II tono sul focolaio della

recettori ETA ed ETB dell’endotelina), il sitaxentan e l’ambrisentan (antagonisti selettivi del recettore ETA)

polmonare). Nei casi più avanzati si osserva un quadro di insufficienza ventricolare destra (edemi declivi,

possono essere somministrati per via orale e si sono dimostrati efficaci sia nell’ipertensione arteriosa polmonare

turgore delle giugulari, epatomegalia, cianosi).

idiopatica, che nelle forme secondaria a connettiviti. Sildenafil

DIAGNOSI

Il farmaco agisce bloccando la fosfodiesterasi 5 (particolarmente rappresentata a livello del circolo polmonare) con conseguente aumento del GMPc intracellulare che, in acuto, causa vasodilatazione e in cronico esercita un

La diagnosi di ipertensione polmonare è difficile perchè i sintomi sono aspecifici e compaiono solo negli stati avanzati della malattia. Nei soggetti con aumentata probabilità di sviluppare ipertensione arteriosa polmonare (pazienti con malattie del connettivo, con cardiopatie congenite operati e non, con infezione da HIV) il peggioramento della dispnea o dell’astenia, la comparsa di episodi lipotimici/sincopali da sforzo, l’ipertrofia ventricolare destra all’ECG (Figura 1) o la dilatazione dell’arteria polmonare destra alla radiografia del torace (Figura 2) possono far nascere il sospetto di un’ipertensione polmonare. Questo deve essere confermato dall’ecocardiogramma bidimensionale e

effetto antiproliferativo sulle cellule muscolari lisce. Il farmaco è efficace nel migliorare l’emodinamica e la tolleranza allo sforzo nei pazienti con IAP. Terapie chirugiche In caso di fallimento della terapia medica, l'unica alternativa è quella del trapianto di polmone. Nei casi con insufficienza congestizia refrattaria alla terapia medica che non possono essere messi in lista per il trapianto è possibile un intervento palliativo di settostomia atriale con catetere a palloncino durante cateterismo cardiaco (una procedura simile a quella che si esegue nella trasposizione dei grossi vasi, vedi Capitolo 53). Si crea così

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libro cardiologia.doc un difetto interatriale con shunt destro-sinistro (la pressione in questi pazienti è maggiore nell’atrio destro che

centrale) o per rallentamento del circolo periferico ed aumentata estrazione di ossigeno dal sangue capillare

nel sinistro) che consente una decompressione delle sezioni destre ed un aumento del riempimento ventricolare

(cianosi periferica). Per rilevare la cianosi nel neonato è opportuno osservare soprattutto la punta del naso, le

sinistro, a scapito della comparsa di cianosi. I risultati clinici della settostomia sono buoni, con riduzione

labbra, la mucosa orale e la lingua. Lo scompenso cardiaco è una condizione determinata dall’incapacità

dell’ascite e dell’epatomegalia e miglioramento della portata cardiaca sistemica.

dell’apparato cardiovascolare a mantenere una portata cardiaca adeguata a soddisfare le esigenze metaboliche dell’organismo. In età pediatrica il sintomo più comune di scompenso cardiaco è la difficoltà ad alimentarsi e di

Capitolo 52 CARDIOPATIE CONGENITE PARTE I

conseguenza il ritardo della crescita. I segni clinici che possono presentarsi in un bambino in condizione di scompenso sono soprattutto pallore, sudorazione eccessiva, polipnea (> 60/minuto), dispnea, rientramenti

Raffaele Calabrò, Giuseppe Pacileo, Maria Giovanna Russo, Marianna Carrozza, Carmela Morelli,

intercostali, rantoli, tachicardia ed epatomegalia. Spesso si ascoltano il III e il IV tono (vedi Capitolo 2).

Alessandra Rea, Giampiero Gaio CLASSIFICAZIONE DEFINIZIONE E FISIOPATOLOGIA DELLE CARDIOPATIE CONGENITE

Le cardiopatie congenite rappresentano le più frequenti malformazioni riscontrate alla nascita, con un’incidenza

Le principali cardiopatie congenite possono essere suddivise, in base ai diversi modelli fisiopatologici, in cinque

che varia dal 2.5 al 12% nelle diverse aree geografiche. Sulla base del quadro fisiopatologico, le cardiopatie

gruppi. Per ogni singolo gruppo, sono elencate di seguito in parentesi, le cardiopatie più frequenti, che saranno

congenite possono essere classificate in cinque gruppi principali.

trattate in questo capitolo ed in quello successivo.

1) Nelle cardiopatie con iperafflusso polmonare si realizza un passaggio di sangue dal cuore sinistro al cuore destro a causa di una comunicazione anomala tra la circolazione sistemica e quella polmonare (shunt sistemico-

Pervietà del dotto di Botallo)

polmonare). Tale shunt sinistro-destro comporta un iperafflusso polmonare, cioè un aumento della portata ematica polmonare, che risulta maggiore di quella sistemica. L’aumentato ritorno venoso polmonare che ne

Cardiopatie congenite con ostruzione all’efflusso ventricolare destro (Stenosi polmonare, Tetralogia di



Fallot)

consegue determina un sovraccarico di volume delle cavità cardiache destre o sinistre a seconda che la sede dello shunt sia localizzata al di sopra (shunt pre-tricuspidalico) o al di sotto (shunt post-tricuspidalico) della

Cardiopatie congenite semplici con shunt sinistro-destro (Difetto interatriale, Difetto interventricolare,



Cardiopatie congenite con ostruzione all’efflusso ventricolare sinistro (Stenosi aortica, Coartazione



aortica)

valvola tricuspide. 2) Nelle cardiopatie con ipoafflusso polmonare è presente una riduzione del flusso ematico polmonare, generalmente secondaria ad un ostacolo all’efflusso del sangue dal ventricolo destro. Ne consegue ridotta ossigenazione del sangue arterioso e cianosi.

Cardiopatie congenite con circolazione in parallelo (Trasposizione dei grossi vasi)

• •

Cardiopatie congenite complesse (Canale atrioventricolare, Atresia della tricuspide, Cuore univentricolare, Truncus arterioso, Trasposizione corretta dei grossi vasi, Malattia di Ebstein).

3) Nelle cardiopatie con circolazioni in parallelo il sangue venoso sistemico non ossigenato proveniente dalle vene cave ritorna direttamente nel circolo arterioso sistemico, mentre il sangue venoso polmonare ossigenato

DIFETTO INTERATRIALE

viene nuovamente inviato nella circolazione polmonare (Figura 1). Tale condizione si determina nella trasposizione delle grandi arterie (cardiopatia congenita in cui l’aorta origina dal ventricolo destro e l’arteria polmonare dal ventricolo sinistro), ed è incompatibile con la vita, a meno che non esista una comunicazione anatomica tra le due circolazioni (per esempio, difetto interatriale o dotto arterioso). Il neonato con questo tipo di patologia presenta cianosi alla nascita e più tardivamente scompenso. 4) Le cardiopatie dotto-dipendenti sono caratterizzate da una severa ostruzione o atresia dell’efflusso ventricolare destro o sinistro, per cui il flusso sistemico o quello polmonare dipende totalmente dalla pervietà del dotto di Botallo. Queste cardiopatie portano a cianosi o scompenso cardiaco precoce. 5) Le cardiopatie con ostruzione all’efflusso ventricolare sono caratterizzate da una stenosi lungo l’efflusso ventricolare destro o sinistro, tale da determinare un sovraccarico di pressione del ventricolo. A differenza di quelle “dotto-dipendenti”, in tali cardiopatie la gravità dell’ostruzione non è tale da condizionare una dipendenza del circolo polmonare o sistemico della pervietà del dotto di Botallo, per cui la sintomatologia clinica, caratterizzata da cianosi o scompenso cardiaco, può comparire anche più tardivamente.

Il difetto interatriale isolato rappresenta circa il 10% di tutte le cardiopatie congenite; dal punto di vista anatomopatologico, il setto interatriale presenta una soluzione di continuo che può avere sede e dimensione variabili. Si distinguono quattro tipi di difetto interatriale (Figura 2): - ostium secundum, localizzato nella parte centrale del setto a livello della regione della fossa ovale. - ostium primum, localizzato nella parte bassa del setto, appena al di sopra delle valvole atrioventricolari. - seno venoso. - seno coronarico. La presenza di una comunicazione tra le due cavità atriali determina, a causa della maggiore pressione vigente nell’atrio sinistro, uno shunt sinistro-destro la cui entità varia in rapporto alle dimensioni del difetto e alla differenza di pressione tra i due atri. Questa cardiopatia è caratterizzata da iperafflusso polmonare (portata polmonare superiore a quella sistemica) e da sovraccarico di volume dell'atrio e del ventricolo destro. Segni clinici. La maggior parte dei pazienti con difetto interatriale di moderata ampiezza è asintomatica fino alla quarta-quinta decade di vita. I reperti ascoltatori dovuti all'iperafflusso polmonare sono rappresentati da un

SEGNI CLINICI

soffio sistolico eiettivo localizzato al II-III spazio intercostale lungo la margino-sternale sinistra e da uno sdoppiamento ampio e “fisso” del II tono (Vedi Capitolo II).

La cianosi e lo scompenso cardiaco sono i principali segni clinici di una cardiopatia congenita. La cianosi è una

L'elettrocardiogramma mostra di solito i segni di un ingrandimento atriale e ventricolare destro, con aspetto

colorazione bluastra della cute e delle mucose dovuta alla presenza di almeno 5 grammi di emoglobina ridotta

tipo blocco di branca destra (ECG 9 , ECG 10).

per decilitro di sangue. Tale condizione si può verificare per desaturazione del sangue arterioso (cianosi

L'esame radiografico mostra un ingrandimento delle sezioni destre del cuore, dilatazione dell'arteria polmonare ed iperafflusso polmonare (Figura 3).

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libro cardiologia.doc L'ecocardiogramma transtoracico permette di diagnosticare con precisione tipo, sede e dimensioni del difetto.

può sviluppare con gli anni una vasculopatia polmonare irreversibile.

(Figura 4). L'ecocardiogramma transesofageo mostra il difetto e lo shunt con grande evidenza (ECO 50).

Segni clinici. Le manifestazioni cliniche del dotto arterioso pervio dipendono dall'entità dello shunt e dalla

Cenni di terapia. La terapia del difetto interatriale è di tipo chirurgico o interventistico. Nei pazienti adulti e nei

capacità del paziente di compensare al sovraccarico di volume delle sezioni sinistre. Un dotto arterioso medio-

bambini con peso maggiore di 20 kg, il DIA tipo ostium secundum può essere chiuso per via percutanea

ampio nel neonato può manifestarsi sotto forma di sindrome da distress respiratorio oppure di scompenso

mediante impianto di protesi a doppio ombrello (Figura 5).

cardiaco con tachicardia, tachipnea, rientramenti intercostali e rantoli polmonari. Nel casi di dotti arteriosi di

Prognosi e follow-up. La quasi totalità dei pazienti raggiunge in assenza di sintomi la prima e la seconda

piccole dimensioni, invece, i reperti obiettivi sono limitati alla presenza di un soffio continuo in sede

decade. Dopo la terza decade vita, si rileva spesso la comparsa di aritmie sopraventricolari (episodi di

sottoclaveare sinistra (vedi Capitolo 2), con aumento di intensità della componente polmonare del II tono.

fibrillazione atriale parossistica, con evoluzione successiva in fibrillazione cronica). Nel DIA ampio può comparire

Diagnostica strumentale. I reperti elettrocardiografici non sono significativi in caso di shunt lieve, mentre in

in età avanzata l'ipertensione polmonare, con riduzione dello shunt sinistro-destro e, nelle fasi più avanzate,

presenza di un ampio dotto arterioso pervio si rilevano i segni dell’ipertrofia ventricolare sinistra o

comparsa di shunt destro-sinistro e quindi cianosi.

biventricolare. La radiografia del torace mostra cardiomegalia e aumentata vascolarizzazione polmonare quando lo shunt è moderato o severo.

DIFETTO INTERVENTRICOLARE

L’ecocardiogramma conferma la diagnosi, rilevando la presenza del dotto arterioso e la dilatazione delle sezioni sinistre negli shunt significativi. (Figura 10). Cenni di terapia. Nel neonato prematuro, la chiusura del dotto arterioso può essere favorita dalla

Fisiopatologia ed anatomia patologica. Consiste in una soluzione di continuo del setto interventricolare, la cui sede e dimensione sono estremamente variabili. I difetti interventricolari vengono classificati in (Figura 6):

somministrazione di farmaci anti-prostaglandinici (anti-infiammatori non steroidei, dei quali il più usato è l'ibuprofene). Nel caso di dotti ampi che determinino scompenso cardiaco o ipertensione polmonare in un neonato, il trattamento chirurgico rimane l'unica opzione terapeutica. Nel caso, invece, di dotti di moderata



Difetti perimembranosi, localizzati nella porzione membranosa del setto interventricolare.



Difetti muscolari, localizzati esclusivamente nel setto muscolare. Quadro clinico. Nei difetti di ampiezza moderata, i sintomi sono generalmente assenti nei primi giorni o settimane di vita, ma successivamente la riduzione delle resistenze vascolari polmonari provoca un aumento dell’iperafflusso polmonare con conseguente comparsa di difficoltà nell'alimentazione, scarso accrescimento ponderale o anche segni conclamati di scompenso cardiaco. All'ascoltazione è presente in questi casi un soffio olosistolico con massima intensità al bordo sternale sinistro basso. Nei difetti ampi, invece, la sintomatologia compare precocemente, e si realizza il quadro dello scompenso cardiaco, caratterizzato da tachipnea, sudorazione eccessiva, epatomegalia, scarso incremento ponderale e ritardo di crescita. Diagnostica strumentale. L’elettrocardiogramma è normale nei difetti piccoli, mentre si possono rilevare segni di ipertrofia biventricolare nei difetti moderati e ampi (Figura 7). La radiografia del torace mostra cardiomegalia ed eventuali segni di iperafflusso. L’ecocardiogramma-colorDoppler rappresenta la metodica diagnostica di prima scelta, utile per individuare la sede del difetto e le eventuali anomalie associate (Figura 8, Figura 9). Il cateterismo cardiaco viene impiegato come metodica diagnostica solo nel sospetto di ipertensione polmonare, o anche per stimare l’entità dello shunt in caso di dati clinici incerti o per escludere malformazioni associate se i reperti ecocardiografici sono dubbi. Cenni di terapia. Ai pazienti con sintomi clinici di marcato iperafflusso polmonare si somministrano farmaci ACEinibitori e diuretici. L'intervento chirurgico va effettuato precocemente (primi mesi di vita) nei casi di difetto interventricolare ampio con scompenso cardiaco refrattario al trattamento farmacologico. Nei DIV piccoli, per i quali non vi è indicazione alla correzione chirurgica, è consigliabile una profilassi antibiotica in caso di manovre invasive, per ridurre il rischio di endocardite infettiva. Prognosi e follow-up. La storia naturale del difetto interventricolare è caratterizzata da un ampio spettro di possibilità, che variano dalla chiusura spontanea allo scompenso cardiaco congestizio. Nei pazienti adulti con ampi difetti interventricolari si sviluppa spesso una grave ipertensione polmonare, per cui lo shunt s’inverte, divenendo destro-sinistro, e compaiono cianosi, policitemia e ippocratismo digitale (sindrome di Eisenmenger).

ampiezza è possibile procedere, dopo il periodo neonatale (a partire dai 5 kg di peso), alla chiusura percutanea mediante spirali metalliche o protesi in nitinol (Figura 11). Questa metodica è divenuta l'opzione terapeutica di scelta data la sua elevata efficacia ed il basso rischio che comporta. Prognosi e follow-up. La diagnosi di dotto arterioso pervio costituisce di per se stessa l'indicazione al trattamento per evitare l'insorgenza dello scompenso cardiaco (in caso di dotti arteriosi di grandi dimensioni) e ridurre il rischio di endocardite batterica (in caso di dotti arteriosi di piccole dimensioni). La chiusura chirurgica o in sala di emodinamica è gravata da una bassa mortalità e morbilità.

STENOSI POLMONARE VALVOLARE

Fisiopatologia ed anatomia patologica. La valvola polmonare stenotica è caratterizzata da un aspetto cupoliforme, con ispessimento e scarsa mobilità delle cuspidi, che si presentano fuse tra loro e/o displasiche. La conseguenza funzionale della stenosi polmonare valvolare è l'ostruzione all'efflusso ematico dal ventricolo destro, con conseguente sovraccarico pressorio del ventricolo, che va incontro ad ipertrofia e talora si presenta ipocontrattile. Segni clinici. Nel neonato con stenosi polmonare critica dotto-dipendente le manifestazioni cliniche iniziano dopo la nascita, al momento della chiusura del dotto arterioso, e consistono in cianosi ed acidosi metabolica. Viceversa, la maggior parte dei pazienti con stenosi polmonare valvolare lieve-moderata è asintomatica e la diagnosi viene effettuata nel corso di una visita clinica routinaria. Il reperto clinico diagnostico della stenosi

PERVIETÀ DEL DOTTO ARTERIOSO

polmonare valvolare è costituito dal soffio sistolico eiettivo a livello del focolaio polmonare (II spazio intercostale sinistro, sull’emiclaveare).

Fisiopatologia ed anatomia patologica. Durante la vita fetale il dotto arterioso, che connette l’arteria polmonare

Diagnostica strumentale. La radiografia del torace mostra un aumento del II arco di sinistra, espressione

sinistra all’aorta, presenta dimensioni uguali a quelle dell'aorta ascendente, e convoglia il flusso ventricolare

dell'ectasia post-stenotica del tronco dell'arteria polmonare e, nel caso di stenosi severa, un’iperdiafania dei

destro verso l'aorta discendente. Dopo la nascita esso tende rapidamente a chiudersi grazie alla contrazione

campi polmonari, dovuta all’ipoafflusso.

della componente muscolare, stimolata dall'aumento della tensione di ossigeno arteriosa secondaria all'inizio

L'elettrocardiogramma mostra un’ipertrofia ventricolare destra proporzionale all'entità della stenosi.

della respirazione. La chiusura è ritardata o assente nel neonato prematuro, nel quale l'incidenza di pervietà

L'ecocardiografia è estremamente utile per valutare le caratteristiche morfologiche della valvola polmonare, il

duttale è superiore a quella del nato a termine. La presenza di uno shunt duttale tra il circolo sistemico e quello

grado di stenosi e le conseguenze fisiopatologiche dell'ostruzione (ipertrofia ventricolare destra) (Figura 12).

polmonare condiziona un aumento del ritorno venoso polmonare e provoca un sovraccarico diastolico delle

Cenni di terapia. Il trattamento chirurgico è stato ormai sostituito quasi completamente dalla valvuloplastica

sezioni sinistre responsabile, alla fine, di una disfunzione ventricolare sinistra. In caso di ampio shunt duttale si

polmonare percutanea eseguita con catetere a palloncino in corso di cateterismo cardiaco. Questa tecnica è

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libro cardiologia.doc altamente sicura ed efficace, potendo essere impiegata in tutte le fasce di età ed in pazienti con qualsiasi tipo di

Prognosi e follow-up. La tetralogia di Fallot non trattata presenta una prognosi infausta in quanto l'ostruzione

stenosi valvolare (Figura 13).

all'efflusso ventricolare destro tende progressivamente ad aumentare nel tempo. Il trattamento chirurgico

Prognosi e follow-up. Senza trattamento, la stenosi valvolare polmonare severa può determinare disfunzione

migliora sensibilmente la prognosi sebbene comporti, in una certa percentuale di pazienti, la comparsa nel

ventricolare destra con scompenso cardiaco. Dopo trattamento interventistico, raramente l'ostruzione valvolare

lungo termine di alcune sequele post-chirurgiche quali la disfunzione ventricolare destra da rigurgito polmonare

polmonare si ripresenta, e soltanto il 5% dei pazienti necessita di una nuova procedura di dilatazione nel corso

residuo e le aritmie ventricolari.

della vita. STENOSI AORTICA TETRALOGIA DI FALLOT L’ostruzione all’efflusso ventricolare sinistro si può localizzare a tre livelli: a) valvolare, b) sottovalvolare Fisiopatologia ed anatomia patologica. La tetralogia di Fallot è caratterizzata dalla deviazione anteriore del setto

(dovuta alla presenza di una membrana o cercine fibromuscolare che ostacola l'efflusso del sangue dal

infundibolare. Da ciò deriva il complesso malformativo costituito da: 1) difetto interventricolare, 2)

ventricolo sinistro), c) sopravalvolare, caratterizzata da un restringimento del lume dell'aorta poco dopo la sua

cavalcamento aortico sul setto interventricolare, 3) ostruzione all' efflusso ventricolare destro a livello

origine. La forma valvolare è la più frequente, con prevalenza nel sesso maschile (4:1).

sottovalvolare, e 4) ipertrofia ventricolare destra. (Figura 14). Il quadro fisiopatologico è principalmente

Fisiopatologia ed anatomia patologica. Nella forma critica del neonato, caratterizzata dalla dotto-dipendenza

determinato dall’entità dell'ostruzione all'efflusso polmonare, che condiziona la quantità del flusso polmonare e

della circolazione sistemica, il ventricolo sinistro è di solito molto ipertrofico, con una cavità ridotta rispetto al

quindi il grado di desaturazione arteriosa di ossigeno. Il difetto interventricolare è sempre ampio, cosicché la

normale o, talora, dilatato ed ipocontrattile. Nelle forme meno gravi la malattia ha comunque un andamento

pressione nei due ventricoli è uguale.

progressivo, caratterizzato da ipertrofia ventricolare sinistra, aumentata richiesta di ossigeno da parte del

Segni clinici. La caratteristica clinica principale della tetralogia di Fallot moderata o severa è costituita dalla

miocardio ed ischemia subendocardica.

cianosi, la cui comparsa è legata all'ipoafflusso polmonare, tanto che nelle forme con grave ostruzione

Segni clinici. I segni tipici della malattia sono il soffio sistolico eiettivo aortico ed i polsi di ampiezza ridotta. Nei

polmonare essa si evidenzia alla nascita ed il flusso polmonare risulta dipendente dalla pervietà del dotto

pazienti con funzione di pompa depressa il soffio sistolico può essere assente o poco evidente ed i polsi

arterioso. Talvolta l'ostruzione all'efflusso ventricolare destro è anche di tipo dinamico, legata ad uno spasmo

periferici possono non essere palpabili. Nei casi più gravi, la malattia esordisce con scompenso cardiaco dopo la

dell’infundibolo che provoca la comparsa di crisi di cianosi. Il reperto ascoltatorio tipico della tetralogia di Fallot

chiusura del dotto di Botallo (dotto dipendenza della circolazione sistemica).

è costituito dal soffio eiettivo localizzato sul focolaio polmonare ed accompagnato da una riduzione di intensità o

Diagnostica strumentale. Nelle forme meno gravi la diagnosi è legata al riscontro occasionale di un soffio

dalla scomparsa della componente polmonare del II tono.

cardiaco o alla comparsa di sintomi quali palpitazioni, vertigini, sincope o angina. I reperti radiografici tipici

Diagnostica strumentale. L'elettrocardiogramma rivela un quadro di ipertrofia ventricolare destra. Nelle forme

sono la dilatazione dell’ombra cardiaca (Figura 18) e la dilatazione post-stenotica dell’aorta ascendente.

severe, la radiografia del torace mostra un sollevamento della punta del cuore (“cuore a zoccolo”) con riduzione

All’ECG si osserva prevalentemente ipertrofia ventricolare sinistra. La diagnosi definitiva è possibile mediante

del flusso vascolare polmonare ed assenza del II arco di sinistra, corrispondente all’arteria polmonare.

l’ecocardiografia color Doppler che permette di stabilire la morfologia ed il numero delle cuspidi aortiche

L'ecocardiogramma chiarisce con precisione il quadro anatomico (Figura 15), rivelando il grado di deviazione

(Figura 19, Figura 20, ECO 20, ECO 21), e di differenziare la stenosi valvolare da quella sopra o

antero-superiore del setto infundibulare, della stenosi valvolare polmonare e/o sopravalvolare, e permettendo

sottovalvolare.

di valutare l’eventuale ipoplasia dell’anulus e dei rami polmonari.

La stenosi aortica sopravalvolare è determinata da un restringimento dell'aorta al di sopra dell'anello valvolare

Il cateterismo cardiaco e l’angiografia consentono di accertare la sede dell’ostruzione all'efflusso ventricolare

e del piano coronarico. Fra i tre livelli di ostacolo all'efflusso ventricolare sinistro, la sede sopravalvolare della

destro e le dimensioni delle arterie polmonari (Figura 16).

stenosi è la meno comune; spesso questa forma si associa alla Sindrome di Williams, caratterizzata da ritardo

Cenni di terapia. Nelle forme con dotto-dipendenza del circolo polmonare e severa cianosi perinatale si rende

mentale, facies elfica, stenosi dei rami polmonari, stenosi delle arterie renali, ipercalcemia. Si può trattare di

necessario l'uso delle prostaglandine per mantenere pervio il dotto arterioso. La terapia medica delle crisi

un'ostruzione a membrana (Figura 21), ad imbuto/clessidra o diffusa per un lungo tratto di aorta ascendente.

asfittiche è finalizzata all'aumento dell'ossigenazione periferica (ossigeno-terapia in maschera), alla risoluzione

La stenosi sottoaortica consiste in una ostruzione fissa del tratto di efflusso del ventricolo sinistro, al di sotto

dello spasmo infundibolare mediante la sedazione del paziente e la somministrazione di beta-bloccanti ed infine

della valvola aortica. In oltre il 20% dei pazienti, la valvola è anomala (stenosi valvolare, piccolo anello aortico,

all'aumento della pressione arteriosa media (compressione degli arti inferiori in posizione genu-pettorale o

valvola bicuspide); la membrana sottovalvolare è occasionalmente adesa a una delle cuspidi valvolari della

somministrazione di farmaci ipertensivanti) in modo da aumentare il flusso ematico attraverso l'infundibolo

valvola aortica e mitrale: questo può interferire con la funzione della valvola, producendo un'insufficienza di

polmonare spastico.

medio grado (Figura 22).

Il trattamento palliativo, atto a creare una fonte aggiuntiva di flusso polmonare, può essere chirurgico o, in casi

Cenni di terapia. La terapia del neonato con stenosi aortica critica prevede la somministrazione di inotropi,

selezionati, percutaneo (effettuato in sala di emodinamica). Lo shunt sistemico-polmonare chirurgico

prostaglandine e bicarbonati per stabilizzare il paziente. Per risolvere la stenosi valvolare, la valvuloplastica con

(interposizione di un tubicino di gore-tex tra l’arteria succlavia ed il ramo polmonare omolaterale), si esegue

palloncino rappresenta oggi un’alternativa alla valvulotomia chirurgica. Le forme sottovalvolari e quelle

nelle prime settimane di vita nei pazienti con cianosi severa ed elevato rischio per una correzione radicale. Il

sopravalvolari, invece, richiedono sempre un intervento chirurgico per rimuovere l'ostruzione sottovalvolare o

trattamento percutaneo consiste nell’impianto di uno stent all’interno del dotto arterioso, per mantenere pervia

per allargare l'aorta a livello sopravalvolare.

l’unica fonte di flusso polmonare “naturale” (Figura 17). L'intervento chirurgico correttivo si esegue tra i 3 e i 12 mesi ed è costituito dalla chiusura del difetto

COARTAZIONE AORTICA

interventricolare e la risoluzione dell'ostruzione all'efflusso ventricolare destro (vedi Capitolo 65).

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libro cardiologia.doc La coartazione aortica consiste in un restringimento dell’istmo, la porzione dell’aorta localizzata tra l’origine

riapertura del dotto arterioso. Se non è presente un vero difetto interatriale, esso può essere creato

della succlavia sinistra e il dotto di Botallo. Tale condizione determina un sovraccarico di pressione del

artificialmente mediante l'atrioseptectomia con catetere a palloncino secondo Rashkind, procedura che consiste

ventricolo sinistro, cui consegue ipertrofia del miocardio. La coartazione dell’aorta è più frequente nei maschi; il

nel far passare dall’atrio destro al sinistro un catetere a palloncino introdotto per via venosa percutanea (vena

15-25% dei pazienti con Sindrome di Turner ne è affetto.

ombelicale o femorale); dopo il gonfiaggio del palloncino in atrio sinistro, il catetere viene bruscamente ritirato

Fisiopatologia ed anatomia patologica. Spesso alla coartazione si associano bicuspidia aortica, pervietà del dotto

in atrio destro, lacerando così il setto interatriale e creando un difetto settale iatrogeno. La pervietà del dotto

arterioso, difetto interventricolare, stenosi mitralica. L’elevata pressione nel circolo arterioso prossimale alla

arterioso, invece, viene mantenuta mediante l'infusione di prostaglandine.

coartazione e la bassa pressione arteriosa vigente nel territorio al di sotto dell’istmo favoriscono lo sviluppo di

Segni clinici. La principale manifestazione clinica che indirizza verso la diagnosi di trasposizione delle grandi

circoli collaterali atti ad aumentare il flusso ematico alla metà inferiore del corpo. Tali circoli si stabiliscono

arterie è la cianosi che si evidenzia alla nascita e si aggrava successivamente a seguito della progressiva

anteriormente fra le arterie mammarie interne (rami delle succlavie) e le arterie epigastriche della parete

chiusura del dotto arterioso. In assenza di malformazioni associate, i reperti clinici sono poco caratteristici, non

addominale, e posteriormente fra le arterie parascapolari e le intercostali. Proprio la dilatazione delle arterie

rilevandosi né soffi né segni di scompenso cardiaco mentre in presenza di ampie sedi di "mixing" ematico la

intercostali è responsabile delle alterazioni a carico delle coste che si osservano all’esame radiologico in alcuni

cianosi è lieve ed il quadro clinico può essere dominato dallo scompenso cardiaco secondario all'iperafflusso

casi.

polmonare.

Segni clinici. Nei casi più gravi, l’esordio è caratterizzato da scompenso cardiaco dopo la chiusura del dotto

Diagnostica strumentale. Alla radiografia del torace l'ombra cardiaca è di normale volumetria, con aspetto

arterioso (dotto dipendenza della circolazione sistemica). Le forme meno gravi possono decorrere a lungo

ovalare ed assottigliamento del profilo mediastinico alto a seguito dell'anomala disposizione dei grandi vasi. Il

asintomatiche: i bambini più grandi e gli adulti con patologia meno importante si rivolgono in genere al medico

quadro elettrocardiografico non mostra alcun reperto anomalo alla nascita, mentre dopo il periodo perinatale si

per la comparsa di ipertensione arteriosa o per il riscontro di soffi cardiaci o per l’assenza dei polsi arteriosi agli

osserva una mancata regressione della fisiologica ipertrofia ventricolare destra neonatale.

arti inferiori. Il reperto obiettivo più frequente è un soffio sistolico eiettivo sulla parete toracica anteriore e

L'ecocardiogramma (Figura 2, Figura 3) consente di porre la diagnosi, evidenziando l'anomala connessione tra

posteriore.

le camere ventricolari ed i grandi vasi, e di identificare le eventuali malformazioni cardiache associate (difetto

Diagnostica strumentale. La radiografia del torace può documentare la dilatazione dell’aorta ascendente. Le

interventricolare, stenosi polmonare).

incisure costali dovute all’erosione ossea da parte delle arterie intercostali dilatate diventano evidenti tra i 4 e i

Il cateterismo cardiaco non è ormai più necessario per la diagnosi, ma viene talvolta utilizzato per eseguire

12 anni di età (Figura 23A). Inoltre l’indentatura aortica pre-stenotica e la dilatazione post-stenotica (Segno

l'atrioseptectomia con catetere a palloncino secondo Rashkind in caso di scarso "mixing" intercircolatorio.

del 3, Figura 23B) sono reperti patognomonici.

Cenni di terapia. La terapia medica consiste nel riequilibrio metabolico del neonato mediante la correzione di

L’ECG è spesso aspecifico, ma non di rado mostra ipertrofia ventricolare sinistra.

eventuali squilibri idro-elettrolitici e il miglioramento del "mixing" ematico mediante la somministrazione di

L’ecocardiogramma permette di valutare con esattezza la morfologia dell’arco aortico, la sede della coartazione

prostaglandina E e l'atrioseptectomia secondo Rashkind.

e la sua gravità attraverso la stima del gradiente pressorio. Nelle forma dell’adulto possono essere di ausilio

Il trattamento chirurgico della trasposizione delle grandi arterie (vedi Capitolo 65) ha lo scopo di riportare in

altre tecniche di imaging quali la TC e la RM cardiaca (Figura 24A).

serie la circolazione sistemica e polmonare, ristabilendo una normale connessione ventricolo-arteriosa (aorta

Cenni di terapia. La terapia della coartazione aortica del neonato è chirurgica (vedi Capitolo 65). Per i bambini

dal ventricolo sinistro e arteria polmonare dal ventricolo destro). Prognosi e follow-up. La storia naturale della

con peso superiore ai 20 kg, e per i pazienti adulti affetti da coartazione dell’aorta o recoartazione post-

trasposizione delle grandi arterie non sottoposta a trattamento chirurgico è infausta, con una mortalità che si

chirugica è proponibile la dilatazione della coartazione con catetere a palloncino (angioplastica) o con

avvicina al 100% alla fine del I anno di vita. L'intervento chirurgico, invece, ha modificato sensibilmente la

l’applicazione di stent endovascolari (supporti metallici di sostegno posizionati all’interno dell’arteria per

prognosi di questi pazienti, garantendo loro il raggiungimento dell'età adulta con una pressoché normale qualità

mantenerla dilatata) (Figura 24B, Figura 24C).

della vita.

TRASPOSIZIONE DELLE GRANDI ARTERIE

Fisiopatologia ed anatomia patologica. La trasposizione delle grandi arterie è una cardiopatia congenita

CANALE ATRIO-VENTRICOLARE

Il canale atrio-ventricolare rappresenta un difetto della giunzione atrio-ventricolare, e comprende un ampio

caratterizzata da un’anomala connessione tra le camere ventricolari ed i grandi vasi che da esse traggono

spettro di lesioni che vanno da un difetto interatriale tipo ostium primum associato ad una fissurazione (“cleft”,

origine, per cui l'aorta origina dal ventricolo destro e l'arteria polmonare dal ventricolo sinistro. In circa il 50%

ECO 12) della valvola mitrale (canale atrio-ventricolare parziale) fino ad una condizione in cui il difetto

dei casi sono presenti anche altre malformazioni cardiache. In questa malattia il sangue desaturato proveniente

interatriale è molto ampio, la valvola atrio-ventricolare è unica, e coesiste un difetto interventricolare (canale

dalle vene sistemiche viene inviato nuovamente in periferia, mentre il sangue ossigenato proveniente dalle vene

atrio-ventricolare completo). Frequente è l’associazione con la sindrome di Down (25-36%).

polmonari giunge nuovamente nel circolo polmonare (Figura 1). Le circolazioni sistemica e polmonare

Canale atrio-ventricolare parziale

vengono, quindi, a trovarsi in parallelo e non in serie come in un soggetto normale, e l'unica possibilità di

Fisiopatologia. Se non vi è insufficienza mitralica, la fisiopatologia è simile a quella di un difetto interatriale

sopravvivenza dipende dalla presenza di comunicazioni tra le due circolazioni. L'entità di tale scambio

ampio, con importante shunt sinistro-destro ed iperafflusso polmonare; se, viceversa, è presente una

intercircolatorio (“mixing”) dipende dal numero, dalle dimensioni e dalla posizione delle comunicazioni

insufficienza mitralica, il sovraccarico del circolo polmonare sarà più imponente e precoce, in quanto, oltre allo

anatomiche presenti. Nei primi giorni di vita, la chiusura del forame ovale e del dotto arterioso tendono a

shunt interatriale vi sarà anche un passaggio di sangue dal ventricolo sinistro direttamente in atrio destro (per

separare completamente la circolazione sistemica da quella polmonare, determinando così cianosi ed

la presenza del difetto interatriale ostium primum).

ipossiemia: la sopravvivenza di questi neonati è legata alla persistenza di una comunicazione interatriale ed alla

Segni clinici. Il quadro clinico è variabile in base alla gravità dell’insufficienza mitralica, per cui si va da bambini

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libro cardiologia.doc che possono scompensarsi fin dal primo anno di vita, a pazienti che rimangono asintomatici fino all’età adulta.

ventricolari, onda P gigante nelle derivazioni precordiali destre, blocco di branca destra, allungamento

All’ascoltazione si rileva un soffio sistolico eiettivo sul focolaio polmonare e un soffio sistolico da rigurgito

dell’intervallo PR.

puntale.

La radiografia del torace evidenzia una cardiomegalia. I campi polmonari sono poco irrorati, il peduncolo

Diagnostica strumentale. All’ECG vi sono segni di ipertrofia ventricolare destra o biventricolare. La radiografia

vascolare è ristretto e l’ombra cardiaca assume una conformazione a fiasca simile a quella dei versamenti

del torace mostra cardiomegalia e segni di iperafflusso polmonare. L’Ecocardiogramma evidenzia lo shunt

pericardici.

interatriale nella porzione più bassa del setto interatriale ed il cleft mitralico con insufficienza valvolare al color-

L’Ecocardiogramma rivela la dislocazione apicale del lembo settale della tricuspide, talora con aspetto

Doppler (Figura 4). Il cateterismo cardiaco è utile non tanto per la diagnosi ma per rilevare le pressioni e le

ridondante, “a vela”, del lembo anteriore (Figura 5, ECO 25).

resistenze polmonari.

E’ possibile quantificare il grado e la gravità della malattia analizzando la morfologia dei lembi tricuspidalici, le

Cenni di terapia. Il trattamento di questa malattia è esclusivamente chirurgico.

dimensioni degli atri e della porzione atrializzata del ventricolo destro, gli indici di funzione ventricolare destra,

Canale atrio-ventricolare completo

ancora la presenza ed il grado di eventuali difetti associati.

le modificazioni del setto interventricolare, lo stato funzionale del ventricolo sinistro e della valvola mitrale ed

Il quadro clinico è in relazione all’ampiezza dello shunt sinistro-destro interatriale ed interventricolare, alla

Tali dati sono utili sia ai fini prognostici che per indirizzare una corretta strategia terapeutica. In particolare,

gravità dell’insufficienza della valvola atrio-ventricolare comune ed alla eventuale ipoplasia di uno dei due

l’entità della deformazione e della displasia dei lembi, unitamente al grado di atrializzazione ventricolare destro

ventricoli.

rappresentano importanti caratteristiche che condizionano le opzioni chirurgiche.

I pazienti sono sintomatici fin dai primi mesi di vita, e presentano scompenso cardiaco, deficit di accrescimento

Cenni di terapia. Il trattamento è farmacologico in caso di scompenso (digitale, diuretici e vasodilatatori); la

ponderale ed infezioni respiratorie recidivanti. All’ ascoltazione si rilevano un soffio olosistolico al mesocardio e

correzione dell’anomalia è di tipo chirurgico, con plastica della valvola o con sostituzione della stessa. E’

un soffio sistolico puntale.

consigliabile posticipare quanto più possibile l’intervento, in quanto esso è gravato da una elevata mortalità

Diagnostica strumentale. L’ECG mostra ipertrofia ventricolare destra o biventricolare e deviazione assiale

operatoria nei primi anni di vita.

sinistra. La radiografia del torace evidenzia cardiomegalia e segni di iperafflusso polmonare.

CUORE UNIVENTRICOLARE

All’Ecocardiogramma si osserva che le valvole atrio-ventricolari destra e sinistra stanno sullo stesso piano, a differenza che nel cuore normale, nel quale la valvola atrio-ventricolare destra è dislocata verso l’apice, e si trova più in basso rispetto alla sinistra. L’ecocardiogramma permette di valutare e quantizzare gli shunt interatriale ed interventricolare, l’insufficienza della valvola atrio-ventricolare, la pressione polmonare e l’eventuale associazione con stenosi sottoaortica. Il cateterismo cardiaco risulta utile per rilevare l’entità dello shunt, le pressioni e le resistenze polmonari. Cenni di terapia. Il trattamento di questa patologia è farmacologico in caso di scompenso, ma la correzione è esclusivamente chirurgica. L’intervento è indicato tra i sei e i dodici mesi (più precocemente nei casi in cui il canale atrio-ventricolare si associ a sindrome di Down).

In questa cardiopatia congenita è presente un’unica camera ventricolare, in genere di morfologia sinistra, che riceve entrambe le valvole atrio-ventricolari e rifornisce il circolo sistemico e polmonare; l’altro ventricolo è ipoplasico (camera rudimentale collegata al ventricolo principale tramite un difetto interventricolare che generalmente prende il nome di forame bulbo-ventricolare) e non può essere utilizzato per la correzione chirurgica. I grandi vasi escono, comunque, da entrambe le camere ventricolari: tale connessione influenza il quadro fisiopatologico. Fisiopatologia ed anatomia patologica. In caso di normale connessione ventricolo-arteriosa (ventricolo sinistro principale che dà origine all’aorta e ventricolo destro rudimentale che dà origine all’arteria polmonare), il quadro fisiopatologico e clinico dipende dall’entità del flusso polmonare. Se vi è stenosi polmonare severa e ipoafflusso

ANOMALIA DI EBSTEIN

polmonare (Figura 6) è presente cianosi, ed i reperti clinico-strumentali sono quelli tipici delle cardiopatie cianogene. In assenza di stenosi polmonare, invece, il quadro fisiopatologico è dominato dall’iperafflusso, ed i

E’ una malattia caratterizzata da dislocazione apicale della valvola tricuspide, con origine della cuspide settale, e

segni clinico-strumentali sono quelli dello scompenso cardiaco congestizio.

spesso anche di quella posteriore, dalla parete del ventricolo destro invece che dall’anulus fibroso.

Segni clinici. Il reperto tipico è la cianosi, la cui gravità dipende non dal mescolamento del sangue sistemico e

Fisiopatologia ed anatomia patologica. L’anomala inserzione della valvola divide il ventricolo destro in due parti:

polmonare, ma dal flusso polmonare, cioè dalla presenza e dal grado della stenosi polmonare. Diagnostica

la porzione di entrata, funzionalmente integrata con l’atrio (sezione atrializzata), e la vera parte funzionante del

strumentale. Il quadro radiografico evidenzia un’ombra cardiaca di volume normale o aumentato ed un flusso

ventricolo destro. L’atrializzazione, la dilatazione del ventricolo destro e la sottigliezza delle pareti

polmonare di grado variabile a seconda dell’entità della stenosi polmonare. L’ecocardiografia è fondamentale

compromettono notevolmente lo svuotamento ventricolare, provocando diminuzione del flusso ematico

per la diagnosi della malattia e l’individuazione di eventuali lesioni associate (Figura 7).

polmonare.

Il cateterismo cardiaco è indicato, in casi selezionati, per la esatta valutazione delle malformazioni associate e

Segni clinici. Nei casi più gravi la sintomatologia può comparire precocemente, anche in epoca neonatale,

delle resistenze polmonari.

caratterizzata da cianosi, dispnea e difficoltà di alimentazione. Nei casi lievi i sintomi sono scarsi e i pazienti

Cenni di terapia. Dopo una iniziale palliazione volta alla regolazione del flusso polmonare, il trattamento

possono condurre una vita abbastanza normale, con una sopravvivenza piuttosto lunga. Frequenti sono le crisi

chirurgico definitivo viene attuato secondo il principio di Fontan, che consiste nel "saltare" il ventricolo di destra,

di tachicardia parossistica sopraventricolare, di flutter e fibrillazione atriale.

abboccando direttamente le vene cave all'albero polmonare (vedi Capitolo 65).

All’ascoltazione si rileva uno sdoppiamento del I tono per ritardo di chiusura della valvola tricuspide e un soffio

Capitolo 54

sistolico se è presente insufficienza tricuspidale.

ARTERIOPATIE DEI TRONCHI SOPRAORTICI

Diagnostica strumentale. L’ECG mostra una deviazione assiale destra, basso voltaggio dei complessi

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libro cardiologia.doc Salvatore Novo, Egle Corrado, Ida Muratori

FISIOPATOLOGIA DELL’OSTRUZIONE DEI TRONCHI SOPRAORTICI

INTRODUZIONE La carotide, per le caratteristiche anatomiche che possiede, è una sede preferenziale per la formazione di L’aterosclerosi può colpire indifferentemente la circolazione coronarica, cerebrale e periferica degli arti, esitando

placche aterosclerotiche; infatti, in corrispondenza della biforcazione in carotide interna ed esterna il flusso

frequentemente in episodi ischemici gravi e a volte invalidanti. Spesso essa è presente contemporaneamente in

ematico non è più laminare ma turbolento, e si generano dei vortici. Questi, associati all’ipertensione arteriosa,

più distretti arteriosi dello stesso individuo, a dimostrazione del suo carattere di malattia sistemica. Prenderemo

al fumo di sigarette, al diabete ed all’ipercolesterolemia, sono i maggiori fattori di rischio per la genesi

in considerazione le alterazioni vascolari a carico delle arterie carotidi, delle vertebrali e delle succlavie, dopo un

dell’aterosclerosi carotidea. La formazione di una placca ateromasica produce un ostacolo al passaggio del

breve ricordo di anatomia.

sangue che ha, quindi, difficoltà a raggiungere i distretti di irrorazione periferica.

L’origine delle arterie carotidi comuni è differente; infatti, a destra la carotide comune deriva dal tronco

In genere, le ostruzioni carotidee monolaterali, con carotide controlaterale pervia, sono asintomatiche perché le

anonimo, che subito dopo l’origine si biforca in arteria carotide destra e arteria succlavia destra, mentre a

numerose anastomosi esistenti tra carotide interna, carotide esterna e arteria vertebrale riescono ad assicurare

sinistra la carotide comune e la succlavia prendono origine separatamente dall’arco dell’aorta. Dalle arterie

un adeguato apporto ematico al Sistema Nervoso Centrale. Si ricorre ad intervento chirurgico di rimozione della

carotidi comuni nascono la carotide esterna e la carotide interna, la quale, all’interno della teca cranica, dà

placca solo in caso di ostruzioni che determinino una sintomaticità clinica evidente (vedi Capitolo 67).

origine alle arterie cerebrale anteriore, cerebrale media e comunicante anteriore. Le due arterie vertebrali,

Le conseguenze dell'ostruzione delle carotidi possono essere varie: in genere, l'ostruzione si instaura in un

invece, nascono dalle rispettive succlavie e confluiscono nel tronco basilare, che successivamente si biforca

tempo lungo, il che permette alle altre arterie di modulare il flusso cerebrale; a volte, tuttavia, può verificarsi

nelle due arterie cerebrali posteriori e nelle comunicanti posteriori. Questo insieme di vasi costituisce il

improvvisamente un evento trombotico, e dalla sede aterosclerotica possono liberarsi emboli che determinano

cosiddetto poligono del Willis (Figura 1).

eventi ictali. La patologia delle arterie carotidi comprende forme asintomatiche costituite dall’ispessimento intima-media e dalla placca carotidea asintomatica, e forme sintomatiche che danno origine all’attacco ischemico cerebrale transitorio, comunemente denominato TIA (transient ischemic attack) e all’ictus cerebrale ischemico.

ESAME OBIETTIVO DEI TRONCHI SOPRAORTICI E CENNI DI DIAGNOSTICA STRUMENTALE

La diagnostica delle ostruzioni dei tronchi sovraortici, si avvale di manovre semeiologiche e di indagini strumentali. Dapprima si osservano la sede e l’ampiezza dei polsi carotidei, quindi si procede alla palpazione delle arterie, da eseguire con delicatezza, al davanti del muscolo sternocleidomastoide e in corrispondenza della metà del collo, per evitare il seno carotideo situato al di sotto dell’angolo mandibolare. L’ascoltazione permette di rilevare eventuali soffi, spesso segno di stenosi emodinamiche del vaso. L’esame obiettivo si completa con la misurazione della pressione arteriosa bilateralmente; in caso di stenosi della succlavia, infatti, oltre a rilevare un eventuale soffio o un’iposfigmia, sarà presente una differenza dei valori pressori fra arto destro e sinistro.

USO DEGLI ULTRASUONI

L'Ecocolordoppler è l’esame di scelta per la diagnosi e lo screening delle malattie vascolari (vedi Capitolo 12). E’ una metodica non invasiva, affidabile, documenta bene anche le più piccole lesioni di parete e consente la valutazione quantitativa delle stenosi (Figura 2). Questo esame, assolutamente non invasivo, richiede una buona apparecchiatura e la conoscenza dell'anatomia dei vasi.

Figura 1

Anatomia del circolo cerebrale.

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libro cardiologia.doc Attacco ischemico transitorio

Il termine TIA (transient ischemic attack) definisce un'ischemia transitoria i cui sintomi si risolvono entro 24 ore. I sintomi sono gli stessi dell'ictus, possono durare da pochi secondi a qualche ora e si manifestano con perdita transitoria della vista, disturbi della parola, incapacità di identificare le persone o i luoghi in cui ci si trova, temporanea sospensione della funzione di un nervo motorio (paralisi momentanea del braccio o della gamba, asimmetria della rima labiale, etc.), vertigini, nausea, barcollamento, sonnolenza. I sintomi regrediscono completamente, ma costituiscono un importantissimo campanello d'allarme: i TIA, infatti, preannunciano un probabile futuro ictus, e un loro adeguato trattamento può evitare l'insorgenza di quest'ultimo. L’ischemia non compensata provoca entro pochi minuti un danno irreversibile che può regredire in parte perché i neuroni della zona periferica alla lesione presentano solo un’alterazione funzionale e pertanto reversibile. Poiché la maggior parte dei TIA dura meno di un'ora, spesso la diagnosi è solo anamnestica, al contrario dell'ictus dove nella maggior parte dei casi è disponibile anche il rilievo obiettivo.

Ictus Figura 2

Valutazione Ecodoppler dei treschi sopraortici

Dopo le malattie cardiovascolari ed i tumori, l’ictus è la causa più comune di morte nei paesi industrializzati; esso rappresenta un’emergenza medica (“attacco cerebrale”) e deve essere prontamente diagnosticato e

Le placche di piccola - media entità, se non lipidiche o fibrolipidiche, non devono far temere eventi ischemici, ma vanno monitorate nel tempo; le placche “ulcerate”, invece, anche se di piccola entità, possono essere molto pericolose. Le lesioni carotidee con stenosi superiore al 70-75% determinano importante aumento della turbolenza ed accelerazione del flusso ematico; tali condizioni possono facilitare il distacco di una porzione di placca o la formazione di un coagulo a valle della lesione; il risultato è comunque l'obliterazione di una arteria medio-distale e la sofferenza del territorio cerebrale a cui viene a mancare l'apporto in ossigeno. I pazienti con stenosi carotidea sintomatica sono maggiormente a rischio di ictus ischemico rispetto a quelli con stenosi carotidea asintomatica di pari grado. Per quanto riguarda la stenosi carotidea sintomatica, lo studio NASCET riporta, per pazienti con stenosi tra il 70 e 99%, un’incidenza annuale di ictus del 13% entro il primo anno e del 35% a cinque anni, mentre lo studio Asymptomatic Carotid Endarterectomy Trial (ACAS) riporta, per pazienti con stenosi carotidea asintomatica tra il 60 e 99%, un’incidenza annuale di ictus solo del 2%.

trattato in ospedale per l’elevato rischio di disabilità e di morte che comporta. La definizione di ictus comprende, sulla base dei dati morfologici, l'ictus ischemico, l'ictus emorragico, e alcuni casi di emorragia subaracnoidea. L’Ictus ischemico è caratterizzato dall’occlusione di un vaso a causa di una trombosi o di un’embolia o, meno frequentemente, da un’improvvisa e grave riduzione della pressione di perfusione. Le cause più comuni sono: vasculopatia aterosclerotica, che interessa le arterie di maggior calibro, comunemente le carotidi, le vertebrali e le arterie che originano dal circolo del Willis, all’interno delle quali si forma un trombo; occlusione delle piccole arterie (TIA o ictus lacunare); cardioembolia o embolia cardiogena, fenomeno frequente in presenza di fibrillazione atriale, protesi valvolare meccanica, stenosi mitralica con fibrillazione atriale, trombo in atrio e/o auricola sinistri, sick sinus syndrome, infarto miocardico acuto recente, trombo ventricolare sinistro, mixoma atriale, endocardite infettiva, cardiomiopatia dilatativa, acinesia di parete del ventricolo sinistro. L’iter diagnostico volto a inquadrare il paziente con ictus comprende l’esecuzione della TAC cerebrale senza contrasto per la diagnosi differenziale fra ictus ischemico ed emorragico e altre patologie non cerebrovascolari.

PATOLOGIA DEI TRONCHI SOVRAORTICI: QUADRI CLINICI

L’ecocolordoppler permette di identificare l’occlusione o la stenosi di un vaso, la presenza di collaterali, o la ricanalizzazione. Le terapie acute dell'ictus (farmaci antiaggreganti come l'aspirina, farmaci trombolitici come

L’insufficienza cerebrovascolare può derivare da: 1) Ischemia dovuta a lesioni aterosclerotiche stenotiche-

rTPA) hanno visto progressi significativi durante gli ultimi anni; sono utili, comunque, a un modesto numero di

occlusive a carico dei tronchi sovraortici, favorita da transitoria ipotensione sistemica; 2) Embolia a partenza da

pazienti, in quanto la fibrinolisi si applica soltanto in unità specializzate (Stroke Unit), presenti solo in una

lesioni ulcerate (placche) o da aneurismi dei tronchi sovraortici, oppure di origine cardiaca; 3) Emoderivazioni

piccola parte degli ospedali italiani. Mentre le possibilità di intervento acuto una volta che si è manifestato l'ictus

brachiocefaliche (furto della succlavia) da lesioni stenotiche del segmento prevertebrale delle succlavie e del

sono limitate, le possibilità di prevenzione (oppure la prevenzione di un secondo ictus una volta che sia

tronco anonimo.

avvenuto il primo) sono notevoli e devono essere sfruttate.

Gli episodi di insufficienza cerebrovascolare sono classificati, in base alla durata dei sintomi neurologici in: 1) TIA (attacco ischemico transitorio) con durata < 24 ore; 2) RIA attacco ischemico transitorio non

Ispessimento intima-media e placca carotidea asintomatica

completamente regredito con deficit modesti; 3) Ictus ischemico o emorragico. La lesione più spesso responsabile è una placca ateromasica localizzata all’origine della carotide interna, in

Negli ultimi anni, numerosi studi hanno documentato l’utilità di valutare lo spessore medio-intimale (IMT)

grado di mettere in circolo frammenti che raggiungono i vasi intracranici, occludendoli. Se la placca si ulcera, si

carotideo per l’individuazione e il monitoraggio della malattia aterosclerotica della parete arteriosa. La

può formare un trombo piastrinico che può provocare l’occlusione acuta della carotide o microembolie.

misurazione ultrasonografia dell’IMT è stata dapprima studiata in modelli animali e successivamente nell’uomo.

L’embolia può avere anche origine cardiaca, ad esempio in corso di fibrillazione atriale.

Uno dei più importanti studi di validazione è stato realizzato dal gruppo italiano Pignoli-Paoletti, i quali dimostrarono come la distanza tra le due linee ecogene rilevate nell’immagine ultrasonografia correlasse con la

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libro cardiologia.doc somma delle tuniche intima e media misurate con tecniche anatomo-patologiche in arterie con e senza



Turbe dell’equilibrio o della marcia in assenza di vertigine

aterosclerosi (Figura 3). Dopo l’iniziale studio di Pignoli, misurazioni dell’IMT carotideo sono state realizzate in

• •

Drop attacks

molti studi clinico-epidemiologici, permettendo di raccogliere numerose informazioni per quanto riguarda

Diplopia, disfagia, disartria, vertigine associate tra loro o ad uno dei sintomi precedenti

l’associazione tra IMT e rischio cardiovascolare. Tali studi hanno portato a considerare l’IMT carotideo come un indicatore di aterosclerosi generalizzata e indotto l’American Heart Association ad affermare che “nella valutazione del rischio cardiovascolare, la misurazione dell’ispessimento medio intimale carotideo può fornire informazioni aggiuntive rispetto ai fattori di rischio cardiovascolare”.

Per la diagnosi di TIA “posteriore” è necessaria l’associazione di almeno tre sintomi. Per precisare la natura e la topografia della lesione, va associata alla diagnosi clinica la valutazione strumentale, che comprende l’ecocolordoppler, la TAC o la RMN cerebrale, il Doppler transcranico e, in casi selezionati, l’Angiografia. Sindrome da furto della succlavia L’arteria succlavia è destinata a portare il sangue all’arto superiore e alla parte posteriore dell’encefalo. La succlavia destra nasce dall’arteria anonima, la sinistra direttamente dall’arco dell’aorta. La Sindrome da furto della succlavia è una particolare situazione emodinamica in cui si viene a trovare il circolo epiaortico nel caso, non raro, in cui l’arteria succlavia presenti una stenosi prevertebrale, la cui causa è generalmente l’aterosclerosi (Figura 4).

Figura 3

Correlazione anatomo-ecografica tra la distanza tra le due linee ecogene rilevate all’immagine

ultrasonografica e la somma delle tuniche intima e media misurate con tecniche anatomo-patologiche. (Pignoli P, Circulation, 1986).

Patologia delle arterie vertebrali

Figura 4

Le arterie vertebrali originano dalla succlavia, e passando dal forame ovale delle vertebre cervicali si uniscono a

Il “furto” viene consentito dalle particolarità anatomiche della circolazione cerebrale, cioè dall’esistenza del poligono di Willis, al quale confluiscono l’arteria basilare e le due carotidi interne; questi vasi si riuniscono a formare, insieme alle arterie comunicanti, un unico circolo che permette, nel caso uno degli affluenti si occluda o sia gravemente stenotico, di far giungere il sangue anche a quella parte dell’encefalo di cui è tributaria l’arteria interessata (carotide interna o vertebrale). La stenosi della succlavia localizzata tra la sua origine e quella della vertebrale comporta la caduta pressoria non solo nella stessa succlavia, ma anche nella vertebrale. Dato che il torrente ematico scorre per gradienti di pressione, il flusso nell’arteria basilare si inverte, dirigendosi verso la vertebrale a bassa pressione e da qui alla succlavia nel tratto oltre la stenosi. La succlavia, perciò, “ruba” il sangue alla vertebrale omolaterale e al poligono di Willis. Il debito della succlavia derubata è pagato del circolo anteriore (carotidi interne) e in maggior misura dalla vertebrale controlaterale. La sintomatologia viene scatenata da un impegno muscolare dell’arto interessato dalla stenosi, che comporta il furto di un volume maggiore di sangue per sopperire all’impegno della succlavia, il cui compito è rifornire i muscoli del braccio. La sintomatologia dipenderà dal territorio prevalentemente derubato (anteriore nel caso di compenso carotido-vertebrale, posteriore nel caso di compenso vertebro-vertebrale). Ad ogni sforzo prolungato dell’arto omolaterale alla stenosi, si potranno manifestare TIA, vertigini, lipotimia, disturbi del visus. La sindrome andrà sospettata tutte le volte che ci si trovi di fronte ad una stenosi della succlavia (con differenza pressoria significativa tra le due omerali), specie se il paziente riferisce una sintomatologia tipica. Può confermare la diagnosi il test di iperemia reattiva mediante ecocolor doppler. Con la sonda posizionata sulla vertebrale si pratica (tramite un manicotto pressorio) l’ischemizzazione del braccio a minor pressione, per tre minuti. Al rilascio (sgonfiaggio rapido del manicotto) si otterranno modificazioni dell’onda velocimetrica relativa alla vertebrale, consistenti in inversione di flusso e/o incremento della velocità, a seconda del tipo di furto. Nel furto permanente la direzione del flusso è costantemente invertita, per cui l’iperemia al braccio produce un incremento della velocità di fuga del sangue dalla vertebrale derubata. Nel furto intermittente il flusso è diretto alla basilare in sistole ed alla succlavia in diastole. L’iperemia succlaveare comporterà la stabilizzazione della direzione di fuga dalla vertebrale. Nel furto latente la direzione di flusso è fisiologica di base, ma si inverte totalmente con il test dell’iperemia.

livello del solco bulbo pontino a formare l’arteria basilare, grosso vaso che ha come terminali le arterie cerebrali posteriori. Il tronco basilare, che è la principale fonte di perfusione della fossa cranica posteriore, è l’unico esempio nel corpo umano di due arterie che si uniscono per formarne una sola. Questo spiega come l’ostruzione o l’agenesia (mancanza di sviluppo) di una delle arterie vertebrali possa risultare completamente asintomatica. L’ischemia del territorio vertebro-basilare (insufficienza vertebro-basilare - IVB) riconosce le seguenti etiologie: - ipotensione arteriosa (IVB emodinamica) - embolica a partenza cardiaca - emodinamica ed embolica associate. Nel 13% dei casi la causa dell’IVB è indeterminata.

Quadro clinico

I Sintomi per diagnosticare un TIA posteriore secondario a IVB emodinamica comprendono:

• • • •

Turbe motorie mono o bilaterali Turbe sensitive al viso e/o agli arti Perdita visus bilaterale Emianopsia laterale omonima

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Normale enodimanica epiaortica (a sinistra) e Sindrome da furto della succlavia (a destra).

libro cardiologia.doc CENNI DI TERAPIA NELL’ATEROSCLEROSI DEI TRONCHI SOPRAORTICI

Le terapie mediche, volte a ridurre la probabilità di TIA ed ictus e di morte nei pazienti con danno carotideo, includono quelle che modificano i fattori di rischio e quelle che inibiscono la trombosi. I farmaci antiipertensivi, ipolipemizzanti e antiaggreganti riducono il rischio di TIA e ictus cerebrale ischemico. Anche gli ACE-inibitori diminuiscono la probabilità di ictus nelle popolazioni ad alto rischio. L’efficacia e sicurezza dell’aspirina a basso dosaggio nella prevenzione primaria cardiovascolare nelle donne, é stata indagata nel Women’s Health Study, il quale ha mostrato una riduzione del 17% del rischio di ictus nei soggetti trattati rispetto al gruppo placebo. In pazienti con precedente ictus o attacco ischemico transitorio, l'aspirina riduce il rischio di ulteriori eventi cardiovascolari del 23% . La rivascolarizzazione della carotide è indicata nei pazienti con stenosi carotidea asintomatica significativa (> 70%) e nei pazienti con sintomi rilevanti di ischemia cerebrovascolare o ictus non debilitante e stenosi > 60% (vedi Capitolo 67). Oltre che con la classica endarterectomia, la rivascolarizzazione può essere oggi effettuata anche con l’angioplastica che, dopo l’introduzione dei filtri, ha visto progressivamente diminuire il tasso di complicanze cerebrali, e quindi si pone come una metodica altamente competitiva rispetto all’endoarterectomia (vedi Capitoli 60 e 67).

Capitolo 55 ARTERIOPATIE DELLE ARTERIE PERIFERICHE Giuseppe Mercuro, Ettore Manconi

Figura 1

Prevalenza delle Arteriopatie obliteranti degli arti inferiori in base all’età e al sesso. Da: Criqui MH, et

al. Circulation 1985;71:510

DEFINIZIONE ED EPIDEMIOLOGIA EZIOLOGIA E CLASSIFICAZIONE Le arteriopatie obliteranti degli arti inferiori (AOAI) comprendono un gruppo di malattie caratterizzate da un restringimento o un’occlusione dell’albero arterioso distrettuale, con riduzione dell’apporto ematico alle estremità. L’aterosclerosi è la causa di gran lunga più frequente delle AOAI, con una incidenza annuale di nuovi casi del 6‰. Vi è una sottostima dei casi di AOAI per una mancata diagnosi dei soggetti paucisintomatici, con circa 200 casi di AOAI non riconosciuta né trattata per ogni 100 casi di malattia clinica con claudicazione intermittente. L’incidenza massima della malattia è collocata tra la V e la VII decade di vita; si stima che il 1217% della popolazione di età >50 anni ne sia affetta (Figura 1). Il sesso maschile è più colpito, con una frequenza tripla rispetto al sesso femminile durante la VI decade di vita; nelle decadi successive la differenza dipendente dal genere si attenua sensibilmente. In accordo con il concetto di pluridistrettualità della malattia aterosclerotica, le AOAI si associano con sensibile frequenza alla vasculopatia coronarica e cerebrale. La mortalità a 5 anni è pari al 32% dei casi con AOAI sintomatica.

La AOAI sono causate nel 90% dei casi dall’aterosclerosi; pertanto, l’epidemiologia e le manifestazioni cliniche della malattia sono associate con i fattori di rischio classici (fumo, ipercolesterolemia, diabete, ipertensione, storia familiare e menopausa) e nuovi (es. iperfibrinogenemia, iperomocisteinemia). Il fumo e l’ipercolesterolemia sono particolarmente rilevanti nelle forme ad esordio precoce, mentre l’iperfibrinogenemia è l’indicatore di rischio più frequente in quelle che si manifestano in età più avanzata. Altre AOAI hanno eziologia degenerativa, infiammatoria (arteriti), trombotica e displastica. La più comune fra le arteriti è la tromboangioite obliterante (morbo di Burger), un processo occlusivo e trombotico, per lo più osservato in individui giovani e fumatori, che colpisce arterie di diverso calibro e vene superficiali. Frequenza minore hanno altre arteriti, fra le quali l’arterite a cellule giganti di Takayasu, la panarterite nodosa, la malattia di Kawasaki, le arteriti in corso di malattie sistemiche del connettivo. Tra le AOAI displastiche, la più frequente è la displasia fibromuscolare, che interessa prevalentemente le arterie iliache e le renali. Le AOAI trombotiche sono causate da anormalità coagulative primarie o secondarie, quali a volte si manifestano in presenza di neoplasie o di stati infiammatori.

FISIOPATOLOGIA

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libro cardiologia.doc La stenosi o l’occlusione dell’arteria causano una riduzione del flusso ematico ai tessuti, definito ischemia. A

tallone) o estese, come le gangrene, nelle due varianti umida e secca, talvolta complicate da sovrapposizioni

livello cellulare si produce un adattamento al ridotto apporto di 02 e di nutrienti; in particolare, la cellula

batteriche (gangrena gassosa).

muscolare scheletrica muta il proprio metabolismo da aerobio a parzialmente anaerobio, con produzione finale di acido lattico. Nel distretto vascolare si produce una modificazione dell’architettura dei vasi, con rarefazione

DIAGNOSI

dei capillari nutritizi, che divengono allungati e con percorso tortuoso, per favorire una migliore estrazione dell’02. L’ischemia può essere acuta o cronica, in base alle modalità d’insorgenza; relativa o assoluta, a seconda che l’apporto ematico distrettuale sia adeguato in condizione di riposo e insufficiente durante attività muscolare, o insufficiente anche a riposo. Quando l’ischemia relativa progredisce verso la forma assoluta, si configura il quadro dell’ischemia critica, termine che si riferisce non più solo all’impotenza funzionale dell’arto, ma a un rischio per la sua stessa conservazione anatomica

È relativamente semplice nel 2°, 3° e 4° stadio; è essenzialmente strumentale nel 1° stadio. L’AOAI iniziale andrebbe sospettata e ricercata nei soggetti con fattori di rischio cardiovascolare come fumo, ipercolesterolemia, diabete mellito e ipertensione, soprattutto se associati tra loro. La peculiarità dei sintomi e segni che accompagnano il 2° stadio rende sufficientemente agevole la diagnosi. D’altra parte, per quanto la claudicazione intermittente sia un sintomo estremamente caratteristico, essa può essere presente, anche se in modo meno costante e tipico, in altre condizioni cliniche, quali la compressione di radici nervose per ernia

PRESENTAZIONE CLINICA

discale o l’artrosi anca/ginocchio/caviglia. Peraltro, nelle patologie non ischemiche il dolore non presenta la ripetibilità tipica delle AOAI, ma è più incostante. Inoltre, può essere presente già a riposo e si esaurisce non

La sintomatologia e l’inquadramento clinico, sempre correlati al grado di deficit emodinamico, sono

con l’interruzione della marcia, ma assumendo determinate posizioni. L’ipotesi clinica formulata con anamnesi

tradizionalmente definiti dalla classificazione di Fontaine-Leriche.

ed esame obiettivo deve essere confermata con alcuni semplici test strumentali. Il più impiegato è l’indice

Nel 1° stadio (preclinico) della malattia le lesioni arteriose possono essere più o meno diffuse, ma comunque

con uno sfigmomanometro e quella alla caviglia con una cuffia pneumatica ed un apparecchio Doppler CW (vedi

non tali da provocare una significativa ischemia distrettuale. La sintomatologia è assente o aspecifica, con

Capitolo 12). Nei soggetti sani, la pressione alla caviglia risulta di 10-15 mm Hg più elevata di quella brachiale,

parestesie e una maggior suscettibilità delle estremità al freddo.

determinando un indice pressorio >1. Questo semplice rilievo, oltre che confermare la presenza dell’AOAI e di

pressorio caviglia/braccio (indice di Winsor). Esso si calcola misurando la pressione arteriosa sistolica brachiale

determinarne lo stadio di evoluzione, consente di apprezzare l’efficacia della terapia nel tempo. Un indice di 0.9 Nel 2° stadio, quello con cui più frequentemente esordiscono le forme a decorso cronico, sono presenti lesioni

possiede una sensibilità del 79% ed una specificità del 96% nel riconoscere una stenosi =50%.

arteriose emodinamicamene significative, cioè idonee a provocare un’ischemia relativa. Il sintomo peculiare di

Un test da sforzo al treadmill può essere utilizzato per differenziare la claudicazione ischemica da altre sindromi,

questo stadio è la claudicazione intermittente, legata alla produzione muscolare di acido lattico durante

quantificare l’autonomia funzionale del paziente e prescrivere un programma di riabilitazione fisica

l’esercizio fisico (in genere la deambulazione) con comparsa di rigidità e dolore muscolare crampiforme, che

individualizzato.

costringono all’interruzione della marcia. La sede del dolore è strettamente connessa con il livello della lesione

L’ecocolordoppler (vedi Capitolo 12) è la tecnica di imaging di elezione per lo studio accurato delle AOAI. Essa è

arteriosa. Al cessare dell’esercizio segue, in pochi minuti, la scomparsa spontanea del dolore. Caratteristica

in grado di precisare, con elevata sensibilità (97%) e specificità (86%) la sede, unica o multipla, di occlusione o

della claudicazione intermittente è la ripetibilità nel tempo dell’episodio descritto, con l’insorgenza del dolore per

stenosi arteriosa. L’ecografia bidimensionale consente una dettagliata analisi morfologica della parete arteriosa,

un livello fisso di esercizio fisico (soglia ischemica) e la sua scomparsa dopo un tempo di recupero costante. Il

differenziando la forma aterosclerotica da quella arteritica e identificando le lesioni aterosclerotiche a maggior

2° stadio dell’AOAI aterosclerotica viene suddiviso in due sottolivelli, sulla base dell’autonomia di marcia: 2°

rischio tromboembolico. Il color-Doppler consente di stabilire con grande precisione il grado della stenosi e

stadio A se essa è >200 metri; 2° stadio B quando l’autonomia è 90% a lungo termine; e) rischio minimo di ripetere una nuova rivascolarizzazione a distanza (0.5%/anno).

PERSISTENZA DEL DOTTO ARTERIOSO

L’efficacia a lungo termine della chirurgia si basa essenzialmente su due razionali che la terapia medica o le metodiche di angioplastica percutanea non hanno: 1) totale e più completa rivascolarizzazione: il bypass coronarico consente il trattamento di qualsiasi tipo di lesione coronarica, anche la più complessa o l’ostruzione completa, e non solo della lesione responsabile della sintomatologia, ma anche di tutte le altre presenti (rivascolarizzazione completa); 2) pervietà a lungo termine degli innesti, in particolare di quelli arteriosi (arteria mammaria), che favorisce la stabilità del risultato a distanza.

Capitolo 65

Nei pazienti a termine il dotto può essere chiuso con una bassa incidenza di complicanze (meno dello 0,5%). La chiusura può essere effettuata tradizionalmente mediante legatura, divisione o applicazione di clip metallica. Attualmente l'occlusione endoluminale (cardiologia interventistica) o la legatura in toracoscopia prevalgono sulla chirurgia tradizionale. Nel prematuro è indicato il trattamento farmacologico con indometacina o ibuprofene, farmaci inibitori della ciclossigenasi. La chiusura chirurgica è indicata in caso di inefficacia dei farmaci o ricorrenza della pervietà del dotto arterioso dopo una prima fase di chiusura.

CHIRURGIA DELLE CARDIOPATIE CONGENITE COARTAZIONE AORTICA

Mario Chiavarelli, Gianluca Lucchese DIFETTI DEL SETTO INTERATRIALE

Le tecniche impiegate per ricostruire o sostituire l’aorta nel suo tratto coartato sono molteplici e vanno considerate in base all’età del paziente e al tipo di coartazione.

Il difetto interatriale necessita di terapia chirurgica solo in presenza di sovraccarico ventricolare destro. Di solito un difetto interatriale della fossa ovale ha indicazione alla chiusura se il rapporto tra flusso polmonare e flusso sistemico (Qp/Qs) è superiore a 2 oppure superiore a 1,5 nei difetti interatriali complicati. Non c’è vantaggio in termini di risultati ad aspettare un’età superiore a 1-2 anni, anche se in molti casi la diagnosi è successiva. L’età avanzata non costituisce controindicazione. La terapia chirurgica consiste nella chiusura del difetto o per sutura diretta o mediante “patch” (toppa) di pericardio o tessuto artificiale. L'approccio chirurgico mininvasivo ha trovato un crescente interesse per ragioni estetiche. La chiusura di difetto interatriale con device (ombrellini), posizionati in corso di cateterismo cardiaco (cardiologia interventistica) ha un’applicazione crescente nei casi non complicati. Tra tutti i difetti interatriali, si deve porre particolare attenzione a quelli tipo cavale e seno coronarico per la frequente associazione ad altre malformazioni cardiache fra cui ritorno venoso polmonare anomalo

Flap di succlavia. L'utilizzo della succlavia come lembo (flap) per la ricostruzione dell'aorta implica l’interruzione della succlavia sinistra e può essere eseguito se l'arteria è di dimensioni e decorso adeguati. Nei pazienti di età inferiore ad un anno il sacrificio dell'arteria succlavia è compensato dallo sviluppo di un circolo collaterale che assicura un’adeguata perfusione dell'arto superiore sinistro. Resezione del tratto coartato ed anastomosi termino-terminale. È quasi sempre possibile ed applicabile e ha il vantaggio di rimuovere il tessuto duttale. Ha indicazione anche nel trattamento dell’ipoplasia tubulare. Aortoplastica con patch. Incisione della parete aortica e allargamento dell’arteria mediante sutura di patch ai margini dell’aortotomia. Questa metodologia è impiegata nel bambino quando la coartazione è presente per un lungo tratto di aorta o nel neonato quando l'intervento è eseguito in emergenza. Il vantaggio di questa tecnica è la semplice eseguibilità, anche se sono possibili recidive e formazione di aneurisma. Aortoplastica con condotto. L'interposizione di un condotto artificiale a sostituzione del tratto aortico coartato è una tecnica oggi quasi abbandonata in età pediatrica, ma ancora impiegata nell'adulto.

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libro cardiologia.doc TETRALOGIA DI FALLOT

comprese tra il 50 ed il 69%, il tasso di ictus a 5 anni si riduce dal 22 al 17%. Si può concludere che nei pazienti sintomatici, l’indicazione all’intervento chirurgico è certa per stenosi superiori al 70%, mentre nel caso di stenosi comprese tra il 50 ed il 69% vanno operati solo i pazienti a più alto rischio, e per stenosi

La presenza di questa malformazione costituisce indicazione all’intervento chirurgico. La correzione a 2 stadi

inferiori al 50% la chirurgia è una scelta inappropriata.

(palliazione con shunt sistemico-polmonare, seguita da riparazione), effettuata in passato in tutti i casi, ha oggi

A volte anche le stenosi asintomatiche vanno sottoposte a trattamento chirurgico: il trial ACAS (Asymptomatic

indicazione limitata a bambini molto piccoli o situazioni particolari. La riparazione primaria può essere eseguita

Carotid Aterosclerosis Study) ha messo in luce una riduzione del rischio di ictus a 5 anni dall’11% al 5% per

anche in età neonatale ma è lo standard dopo i 6 mesi; l’età ottimale è i due anni di vita.

stenosi superiori al 60%, e lo studio ACSRS (Asymptomatic Carotid Stenosis and Risk of Stroke) ha individuato

La chiusura del difetto interventricolare avviene per via transatriale destra; da questo accesso vengono rimosse

tre categorie di pazienti a rischio con stenosi superiori all’80%, concludendo che per i soggetti con rischio

le bande muscolari ostruttive del ventricolo destro. Se questo non è sufficiente ad eliminare l’ostacolo,

inferiore all’1% non vi è indicazione chirurgica, per quelli con rischio superiore al 4% l’indicazione è possibile

l’infundibolo viene ampliato con un patch, che può essere esteso attraverso la valvola polmonare (correzione

solo se il rischio chirurgico è contenuto, mentre per i pazienti con rischio superiore al 7% l’indicazione chirurgica

con patch transanulare).

è assoluta.

L’insufficienza della valvola polmonare è molto frequente dopo riparazione, ma viene ben tollerata per molti anni e solo occasionalmente richiede l’inserzione di una protesi valvolare.

L’indicazione all’intervento chirurgico rimane valida anche in caso di stenosi generate da alterazioni del decorso anatomico delle arterie carotidi (kinking o coiling) che determinino un’accelerazione del flusso tale da creare

TRASPOSIZIONE DELLE GRANDI ARTERIE

conseguenze emodinamiche al circolo cerebrale. In presenza di accertata patologia ostruttiva o emboligena carotidea in un paziente con deficit neurologico lieve

Nella trasposizione con setto interventricolare integro si inizia infusione di prostaglandina E1 alla nascita, per mantenere il dotto aperto e favorire il mixing, e si corregge l’acidosi metabolica. In casi di mixing non soddisfacente si procede alla settostomia atriale con pallone. Nella prima settimana e non più tardi di 30 giorni

o moderato, con coscienza conservata, ed in particolar modo in caso di occlusione carotidea controlaterale, si propende oggi per l’intervento chirurgico allo scopo di ripristinare la pervietà carotidea (in caso di occlusione) o di eliminare la fonte emboligena (in caso di stenosi significativa o di placca “soft”).

si esegue lo switch arterioso, ristabilendo la normale connessione tra ventricoli e grandi arterie e reimpiantando INDICAZIONI ALLA TERAPIA ENDOVASCOLARE

le coronarie (correzione anatomica). Se il bambino viene proposto per correzione chirurgica dopo le prime settimane di vita, il ventricolo sinistro è ormai abituato a pompare nel circolo polmonare a basse resistenze e non è in grado di sostenere la circolazione sistemica. In questi casi si opta per una correzione fisiologica con

Una nuova svolta nel trattamento delle lesioni extra-craniche si è avuta di recente con l’introduzione della

reorientamento dei flussi a livello atriale (intervento di Mustard o di Senning) in modo da ridirezionare il sangue

metodica endovascolare (vedi Capitolo 59) che, anche se non ha cambiato le indicazioni al trattamento, ha

venoso sistemico verso la mitrale e quello polmonare verso la tricuspide, ristabilendo le circolazioni in serie.

sostituito in alcuni casi la tecnica chirurgica tradizionale. Anche in questo caso studi prospettici quali il NAPTAR (North American Percutaneous Transluminal Angioplasty

Capitolo 67

Register) e il CREST (Carotid Revascularization Endarterectomy versus Stent Trial) hanno permesso di definire

LA MALATTIA DEI TRONCHI SOPRAORTICI

meglio il ruolo di questa metodica, dimostrando che i suoi risultati in termini di morbilità e mortalità sono

Francesco Spinelli, Giovanni De Caridi, Michele La Spada

incoraggianti soprattutto in casi selezionati, quali i pazienti ad alto rischio chirurgico, nelle restenosi successive ad endoarteriectomia, nei colli ostili, nelle stenosi in soggetti irradiati, nelle lesioni distali della carotide interna.

INDICAZIONI ALLA TERAPIA CHIRURGICA L’ANESTESIA NELLA CHIRURGIA DEI TRONCHI SOPRAORTICI

La conoscenza della patologia aterosclerotica, principale causa della malattia nel sistema cerebro-vascolare extra-cranico, e dei suoi effetti sull’emodinamica arteriosa, ha permesso già negli anni ’50 la nascita della chirurgia carotidea.

La tecnica anestesiologica praticata è in relazione al tipo di intervento che si intende eseguire: è possibile

Il notevole sviluppo che questa chirurgia ha avuto negli anni successivi ha posto l’esigenza di individuare gruppi

un’anestesia locale in caso di tecnica endovascolare percutanea, oppure un’anestesia locoregionale o generale

e sottogruppi di pazienti, sia sintomatici che asintomatici, che potessero beneficiare del trattamento chirurgico

in caso di intervento chirurgico tradizionale.

rispetto a quello medico nella prevenzione dell’ictus, a condizione che le complicanze operatorie fossero inferiori

Nel primo caso si ha il vantaggio di mantenere la coscienza del paziente conservata, condizione utile durante le

alla morbilità e mortalità della popolazione non operata. L’obiettivo dei trial intrapresi è stato quello di valutare

fasi di interruzione della circolazione, ma con lo svantaggio di un mancato confort per il paziente e di riflesso

l’efficacia dell’endo-arteriectomia carotidea nella prevenzione dell’ictus e quindi di fornire indicazioni chirurgiche

per il chirurgo. Tale situazione si annulla con l’anestesia generale, che però non permette al chirurgo di

standardizzate. I più importanti studi multicentrici randomizzati condotti in pazienti sintomatici sono stati il

verificare la coscienza del paziente al momento dell’interruzione della circolazione; si cerca di ovviare a ciò

NASCET (North American Symptomatic Carotid Endarterectomy Trial) e l’ECST (European Carotid Surgery

tramite metodiche che predicono la necessità di utilizzare un cortocircuito temporaneo, detto “shunt”, per

Trial), che hanno valutato gli effetti emodinamici di una stenosi carotidea sul flusso a valle e il rischio

mantenere la circolazione pervia durante l’intervento.

emboligeno delle lesioni. I risultati hanno permesso di stabilire che per stenosi uguali o superiori al 70%, responsabili di TIA o ictus lieve nei sei mesi precedenti, e con rischio chirurgico inferiore al 6%, la terapia

TECNICHE DI CHIRURGIA VASCOLARE

chirurgica è superiore rispetto a quella medica perché diminuisce il rischio di ictus a 2 anni dal 26% al 9%, con una riduzione ancor più vantaggiosa in presenza di placca ulcerata. Per contro, nei pazienti con stenosi

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libro cardiologia.doc La tecnica chirurgica maggiormente praticata consiste nella endoarteriectomia carotidea (Figura 1, Figura 2),

Una ulteriore variante tecnica, utilizzata principalmente in caso di lesioni aterosclerotiche particolarmente

Questa metodica consiste nel preparare accuratamente un tratto di arteria carotide comune e la sua

estese sulla carotide interna, consiste nell’eseguire un by-pass a partenza dalla carotide comune sino alla

biforcazione e, dopo aver interrotto la circolazione, nell’eseguire una rimozione della placca dall’intero tratto

carotide interna a valle della lesione, con sezione e legatura di quest’ultima.

interessato dalla patologia aterosclerotica mediante uno scollamento a partenza dagli strati esterni della tonaca

La tecnica endovascolare (Figura 3, Figura 4) si effettua attraverso un accesso percutaneo e consiste

media dell’arteria A questa fase segue la chiusura dell’arteriotomia, che si effettua mediante l’applicazione di un

nell’eseguire un’angioplastica e l’applicazione di uno “stent”, con l’eventuale ausilio di meccanismi di protezione,

“patch” di allargamento in materiale sintetico o biologico nel caso in cui la carotide interna appaia di calibro

volti ad evitare l’embolizzazione della placca, posizionati prima di espandere lo stent (vedi Capitolo 59).

ridotto.

Figura 1

Intervento di tromboendoarteriectomia (TEA) carotidea.

Figura 3

Illustrazione schematica di impianto di stent carotideo.

sezionata per poter eseguire la rimozione della placca mediante una spatola e infine nel ricostruire la continuità

Figura 4

Immagini angiografiche di stenosi preocclusiva dell’arteria carotidea interna (A), posizionamento di

del vaso.

filtro e di stent (B), controllo dopo impianto di stent (C).

Figura 2

Particolare chirurgico della biforcazione carotidea dopo intervento di tromboendoarteriectomia (A) e

delle placche aterosclerotiche asportate (B).

Una variante dell’endoarteriectomia standard è l’endoarteriectomia per eversione, che consiste nel sezionare la carotide interna, generalmente all’origine dalla biforcazione, evertere poi su se stessa la carotide interna

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libro cardiologia.doc Il trattamento dell’ischemia cronica è basato su un’ampia varietà di by-pass e di tecniche di disostruzione, cui recentemente si è aggiunta l’opzione della terapia endovascolare. La scelta fra queste diverse metodiche è

Capitolo 68

influenzata da numerosi fattori quali la topografia delle lesioni (sopra- o sotto-inguinali), la loro natura

LE ARTERIOPATIE PERIFERICHE

(obliterante o emboligena) e il tipo di compromissione del vaso (stenosi od occlusione). Per la tecnica

Francesco Spinelli, Giovanni De Caridi, Michele La Spada

convenzionale bisogna tener conto dell'afflusso, comunemente indicato con il termine inglese “inflow”, a livello del sito dell’anastomosi prossimale del by-pass, dell’efflusso (“outflow” o “run-off”) delle arterie riceventi, e

DEFINIZIONE DI INSUFFICIENZA ARTERIOSA

della disponibilità di materiale protesico. Per quanto riguarda la strategia endovascolare, invece, la scelta è influenzata dalla sede e dalla lunghezza della lesione, dal tipo e dalla morfologia dell’ostacolo al flusso e dalla

L’insufficienza arteriosa cronica è caratterizzata da un’alterazione della perfusione con progressiva

condizione del run-off.

compromissione della vascolarizzazione distale.

La notevole diffusione e il ruolo sempre più importante assunto dalla terapia endovascolare ha stravolto

La classificazione dell’ischemia critica secondo Leriche-Fontaine (vedi Capitolo 55) definisce la severità

l’approccio al trattamento dell’ischemia critica. La rapida evoluzione dei materiali endovascolari ha allargato

funzionale dell’arteriopatia periferica ma non delinea chiaramente il livello di gravità della malattia e il rischio

notevolmente le potenzialità della metodica, e numerosi studi hanno suggerito che il primo approccio

evolutivo legato alle lesioni aterosclerotiche. Proprio tale parziale corrispondenza tra stadio clinico e lesioni

all’ischemia critica sia la terapia endovascolare, la quale permette di affrontare in maniera poco invasiva sia le

arteriose sottostanti ha condizionato per molto tempo l’iter decisionale. In passato, infatti, un’arteriopatia al

occlusioni che le stenosi e le placche ateromatose friabili.

secondo stadio era prevalentemente appannaggio della terapia medica, e solo la comparsa di dolore a riposo o

Per quanto riguarda il trattamento chirurgico tradizionale, le opzioni sono il by-pass, la

di turbe trofiche conducevano alla terapia chirurgica.

tromboendoarteriectomia e la profundoplastica. Il by-pass consiste nel superamento dell’ostruzione tramite un

Questo concetto va oggi rivisto in considerazione di due fattori. Il primo è la migliore conoscenza della storia

ponte che viene impiantato prossimalmente alla lesione, su un segmento di arteria sana, ed ha il punto di arrivo

naturale della malattia, che può comportare la distruzione irreversibile del letto a valle, il secondo è il ruolo

su un tratto di arteria sana distale alla lesione.

sempre più importante assunto dalla terapia endovascolare, che offre un’alternativa poco invasiva, anche se

Il by-pass femoro-popliteo sopra-articolare è indicato se i vasi distali sono integri, mentre in presenza di

talvolta meno efficace, alla terapia chirurgica tradizionale.

occlusione completa della poplitea sottoarticolare si rende necessario un by-pass distale (destinato ai vasi del terzo inferiore di gamba o del piede) quando vi è almeno un vaso di gamba pervio. Le opzioni chirurgiche

INDICAZIONI ALLA TERAPIA CHIRURGICA

prevedono: by-pass in vena autologa e in particolar modo in vena grande safena nelle due varianti “invertita” e “in situ”, lasciata cioè nella sua sede naturale (Figura 1), oppure by-pass in protesi sintetica, o ancora by-pass compositi combinando in varia maniera materiale venoso e protesico.

L’ischemia funzionale al I stadio non rappresenta un’indicazione chirurgica, ma rivela un rischio vascolare multifocale e dunque la necessità di un’indagine multi-sistemica del rischio aterosclerotico e di un successivo piano di sorveglianza. L’ischemia funzionale al II stadio rappresenta un’indicazione relativa all’intervento chirurgico, e ciò dipende dalla conoscenza della storia naturale della claudicatio intermittens, che a 5 anni prevede una stabilizzazione o un miglioramento nel 50% dei casi, una progressione della sintomatologia nel 15% dei casi, il ricorso a un intervento chirurgico nel 25% dei pazienti e un’amputazione maggiore in meno del 4%. Elementi quali il grado di claudicatio, l’età, le condizioni generali, lo stile di vita e la presenza o meno di circolo collaterale condizionano le indicazioni terapeutiche. Nel caso di una claudicatio lieve o moderata da ostruzione sotto-inguinale, soprattutto in pazienti anziani, è consigliabile il solo controllo dei fattori di rischio per frenare e stabilizzare l’evoluzione della malattia e una terapia farmacologica anti-trombotica e vasoattiva. Per contro, la presenza di una claudicatio severa causata da un deficit arterioso sopra- o sotto-inguinale può avvalersi, oltre che della terapia farmacologica, anche della rivascolarizzazione chirurgica o endovascolare. L’ischemia critica (stadi III e IV) costituisce un’indicazione assoluta a un intervento terapeutico invasivo in tutti i casi in cui non vi sia un’adeguata risposta alla terapia farmacologica, sempre che esistano le condizioni tecniche

Figura 1

per una ragionevole probabilità di successo. Nell’ambito del IV stadio, una considerazione a parte meritano i

dell’anastomosi distale sull’arteria pedidia (B).

Foto intraoperatoria di by-pass femoro-pedidio in Vena Grande Safena in situ (A) e particolare

pazienti portatori di lesioni gangrenose estese all’avampiede e al tallone ma che non hanno ancora una compromissione irrimediabilmente delle funzioni di appoggio del piede. Queste situazioni necessitano un intervento terapeutico rapido ed efficace, mentre l’indicazione alla terapia medica è limitata ai soli pazienti in

La vena autologa costituisce il materiale migliore per il basso rischio di infezione e per la presenza, sulla

cui tale situazione sia espressione di danno arterioso-capillare.

superficie di flusso, di uno strato endoteliale vitale che, insieme alla componente elastica, riduce sensibilmente la trombogenicità, soprattutto in prossimità delle sedi anastomotiche. Tra le vene autologhe si distingue per

TECNICHE CHIRURGICHE

lunghezza, diametro e posizione anatomica la vena grande safena (VGS), che decorre lungo tutto l’arto inferiore e può consentire di eseguire un by-pass fino alle arterie pedidia e plantare. Se la VGS non è presente per

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libro cardiologia.doc pregressi interventi chirurgici (by-pass aorto-coronarici, stripping per varici) o non ha un calibro adeguato viene utilizzata la vena piccola safena o, se anche questa è inadeguata o assente, le vene dell’arto superiore. Nel by-pass in vena grande safena invertita, è necessario lo scollamento del segmento venoso scelto per il pontaggio e la sua inversione al momento di confezionare le anastomosi prossimale e distale. In caso di by-pass in vena grande safena in situ, si rende necessaria la preparazione completa del segmento venoso ma si esegue uno scollamento solo del tratto iniziale e di quello distale per permettere il confezionamento dell’anastomosi prossimale e, dopo aver devalvulato la vena con appositi strumenti (valvulotomi o stripper), anche di quella distale. A pontaggio eseguito, si dovrà effettuare un’attenta legatura dei rami collaterali della vena grande safena sotto visione diretta, angiografica, angioscopica o con l’ausilio di uno strumento Doppler, dato che se i collaterali della vena “arterializzata” rimanessero pervi si realizzerebbe un “furto” di sangue dal distretto arterioso a quello venoso . I materiali protesici, indispensabili nei casi in cui non vi sia materiale autologo adeguato, possono essere biologici e di materiale sintetico, principalmente polimerico. Tra i primi annoveriamo le protesi omologhe arteriose e venose, segmenti vasali, freschi o conservati, prelevati da cadaveri. Il problema principale di queste protesi è rappresentato dal basso tasso di pervietà a distanza e dalla frequente degenerazione aneurismatica. Sono anche disponibili protesi eterologhe, vasi di animali modificati in laboratorio, come ad esempio l’arteria carotide bovina fissata con glutaraldeide. Queste non presentano una significativa perdita di stabilità strutturale

Figura 2

Immagini angiografiche di occlusione dell’arteria femorale superficiale (A), dilatazione con pallone

(B), risultato post-angioplastica (C).

e mostrano risultati di pervietà buoni nel distretto sopra-popliteo ma insufficienti a livello sotto-popliteo . Le protesi di materiale sintetico (Dacron, Teflon, ePTFE) offrono numerosi vantaggi quali l’impermeabilità e la biocompatibilità, ma presentano il limite della quasi totale assenza di “compliance”, cioè di quella capacità di COMPLICANZE

ritorno elastico durante la fase diastolica che i vasi possiedono. Questa differenza di “compliance” tra protesi e arterie comporta problemi emodinamici che inducono l’iperplasia peri-anastomotica, responsabile della bassa pervietà a distanza dei by-pass femoro-tibiali in protesi sintetiche. Per migliorare l’esito a lungo termine di

Nella valutazione delle complicanze che possono insorgere a seguito di un intervento chirurgico vascolare a

questi interventi sono stati escogitati numerosi espedienti tecnici, che prevedono l’uso di un collare venoso o di

carico degli arti inferiori bisogna tener conto di un duplice aspetto: l’intervallo temporale di insorgenza e la

un patch venoso interposto nel punto d’anastomosi tra protesi artificiale e arteria nativa.

relazione fra la complicanza e la procedura eseguita.

I risultati della chirurgia tradizionale riportano pervietà a 6 anni dei by-pass femoro-poplitei sopra-articolari in

Per quanto riguarda l’aspetto temporale si distingue un periodo postoperatorio precoce (entro 30 giorni) e uno

materiale venoso pressochè sovrapponibili a quelli eseguiti in PTFE (76% vs 68%). Per i by-pass femoro-poplitei

tardivo (dopo 30 giorni).

sotto-articolari, la pervietà a distanza è del 67% per quelli eseguiti in vena e del 39% per quelli in PTFE. Per le

Riguardo al secondo aspetto le complicanze possono essere distinte in specifiche e non specifiche. Le prime

rivascolarizzazionifemoro-distali la pervietà è maggiore per i by-pass in vena safena in situ rispetto a quelli

sono ulteriormente suddivise in vascolari locali (stenosi, trombosi e infezione del by-pass o emorragia) e non-

eseguiti utilizzando le vene del braccio o le protesi in PTFE.

vascolari locali.

La tecnica endovascolare consiste nell’eseguire, attraverso un accesso percutaneo in anestesia locale,

La metodica endovascolare ha ridotto la percentuale di queste complicanze, ma ne ha aggiunte altre, tra cui

un’angioplastica con eventuale applicazione di stent. Nel caso di lesioni stenotiche, si esegue una procedura

quelle nel sito di puntura (ematoma, pseudo-aneurisma, fistola artero-venosa, trombosi), e quelle nella sede di

transluminale, mentre nel caso di ostruzione un’alternativa a questa metodica è quella sottointimale. Per

dilatazione, di cui la più importante è la dissezione vasale con formazione di un flap intimale, che può essere

eseguire la tecnica transluminale si oltrepassa la stenosi con una guida metallica flessibile, sulla quale si

trattato con una nuova dilatazione e l’impianto di uno stent.

inserisce nel vaso un catetere che reca all’estremità distale un palloncino gonfiabile; questo viene portato in

Una trattazione a parte merita l’ischemia acuta, che può assumere un aspetto drammatico se non si è creato

corrispondenza della stenosi ed espanso, provocando il rimodellamento o la rottura della placca aterosclerotica

nel corso del tempo un circolo collaterale. Le cause sono rappresentate nella maggior parte dei casi da embolia

e lo stiramento della media e dell’avventizia (Figura 2). Nell’approccio sottointimale, invece, la guida viene

cardiogena (per esempio in corso di fibrillazione atriale o di trombosi all’interno delle camere del cuore sinistro),

fatta avanzare non nel lume, ma all’interno della parete, sotto l’intima, e dopo aver superato l’occlusione viene

o da emboli a partenza da aneurismi dell’aorta o di arterie dell’arto colpito da ischemia. Nei restanti casi

fatta rientrare nel lume arterioso vero, dilatando il tratto occluso mediante un catetere a palloncino.

l’ischemia acuta dipende da traumi vascolari. Il trattamento si basa sulla terapia medica anticoagulante (per evitare la progressione del trombo), trombolitica (per sciogliere il trombo) o su quella chirurgica, che prevede la rimozione dell’embolo tramite un catetere a palloncino o il by-pass.

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