La_vita_con_UG

April 3, 2018 | Author: Pierluigi Piazza | Category: Rajneesh, Knowledge, Books, Yoga, Meditation
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Aneddoti della mia esperienza accanto ad Uppaluri Gopala Krishnamurti...

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Introduzione Questo è uno testo che contiene aneddoti sulla vita con U.G. E' stato scritto da me principalmente dopo l'apertura di questo gruppo. Ringrazio anzi i primi partecipanti per lo stimolo che mi diedero nel ricordare e quindi nello scrivere. In testa allo scritto ho voluto mettere, sintetizzata in una decina di pagine, il sunto della mia ricerca “spirituale” che mi ha condotto a U.G. Capisco che 40 e più anni di ricerca sintetizzati in una decina di pagine possono indicare una povertà di contenuti, ma io credo di avere conservato e documentato qui, gli snodi cruciali del mio percorso che di pietra miliare in pietra miliare mi hanno condotto a U.G. In epilogo poi ho messo, condensato in un paio di pagine, il sunto su dove questa ricerca mi abbia alla fine portato. Non mi sembrava coerente infatti parlare di una ricerca tanto sentita senza accennare almeno a grandi linee dove questa ricerca mi ha condotto. Ero titubante se dare allo scritto questa forma e se pubblicarlo intero come un piccolo libro. Poi mi sono ricordato di un altro libro che incontrai circa all'età di 25 anni e che cambiò la mia vita. La storia del mio rapporto con quel libro e la sua importanza, (raccontata in questo scritto stesso), è più o meno questa: - Tra i libri che avevo preso, ce n'era uno di Ramana Maharishi. Era un libro della Ubaldini, di quelli con la copertina verde-azzurra, scritto da Arthur Osborne. Ricordo molto bene, come fosse ora, il momento in cui lo avevo iniziato, nella cucina della casa dove ero nato, con mia madre attorno che attendeva alle mansioni domestiche. Ricordo che dopo circa una ventina di pagine stavo per abbandonare la lettura perché non trovavo stimoli. (Non era inusuale per me abbandonare la lettura di un libro se quello che leggevo non entrava in risonanza con il mio io più profondo), ma all'improvviso incappai in un dialogo tra il Maharishi ed un suo devoto. Quel dialogo mi conquistò. -

Oggi vedo un filo ininterrotto tra quel libro, il mio incontro con U.G e ciò che ho compreso fino ad oggi. Una comprensione che anche se piccola ha per me un valore inestimabile ed è per questo che pubblico, seppur con riluttanza, questo scritto per intero. Sarebbe già un successo se, anche solo una persona, leggendomi, trovasse la stessa ispirazione che trovai io.

La ricerca. Premessa Nei primi anni della mia frequentazione con U.G tenni un diario di quella esperienza pubblicato nel sito ufficiale di U.G dal titolo: “- Il fiore raro - U.G. Come l'ho conosciuto io”. Quel diario cominciava con queste parole: - Nell'estate del 1992 mi sono recato in Svizzera nella ridente valle del Saanenland e più precisamente nella cittadina di Gstaad. Questo viaggio era il naturale proseguimento di una ricerca iniziata più di venti anni fa che mi aveva condotto ad esplorare la parte più accessibile a noi della cultura indiana e

più

particolarmente

dell'Advaita

Vedanta

(Non

dualità

o

monismo

metafisico)........ Qui di seguito c'è descritta, molto in sintesi, appunto quella ricerca che iniziava con me e con la mia formazione................

Da dove partivo? Essendo nato in una famiglia fortemente cattolica da bambino non potevo che assoggettarmi ed incanalarmi in quel percorso ed essendo di carattere puntiglioso mi impegnavo molto ed ero molto scrupoloso nel mettere in pratica gli insegnamenti della chiesa e dei preti. Basti dire che fino a tutto il periodo del servizio militare non avevo mai perso una messa domenicale. Inoltre per carattere e per formazione sono sempre stato uno che amava scavare dentro e fuori di me e che si faceva molte domande. Questa attitudine alla speculazione se da una parte mi ha aiutato nella vita permettendomi di fare una discreta carriera lavorativa, dall'altra è sempre stata un peso non indifferente da portare. Tante volte ho invidiato le persone che si lasciano vivere e che non si fanno domande. Ma non è colpa mia se io sono così, come non è merito loro se loro sono come sono........ (O viceversa). La rottura con le idee tradizionali con le quali ero cresciuto avvenne quando tornai da militare, avevo una forte crisi giovanile dovuta probabilmente al mio carattere chiuso e vedevo che la religione, invece di aiutarmi a vivere una vita più libera, mi legava e mi impacciava mettendomi davanti traguardi improponibili. Il più significativo di questi traguardi, per un ragazzo giovane quale ero a quei tempi, era la continenza sessuale, una richiesta che io avevo preso alla lettera. Ad un certo punto però mi resi conto che non solo non ce l'avrei mai fatta a contenermi, ma che quello che mi veniva chiesto non era nè giusto, nè naturale. Mi si potrà dire che ero un terribile ingenuo, ma io ero così,

se credevo ad una cosa ci credevo fino in fondo, senza compromessi. Aderire ad una religione per seguire i dettami a metà non era nelle mie corde. Quando realizzai che quella non era la mia strada, di botto decisi che era finita, cessai ogni impegno religioso e per qualche mese assunsi un atteggiamento ateo, anarchico e blasfemo, era una vera reazione alle costrizioni che mi erano state imposte e che mi ero imposte fino ad allora. Inutile dire che, visto il mio background, neanche quelle posizioni potevano andarmi bene, ne tanto meno soddisfarmi, così lentamente cercai di ritrovare una spiritualità più consona a me accostandomi alle discipline orientali ed in particolare allo yoga, percorso che trovai subito più agevole e più consono alle mie aspirazioni ed al mio modo di essere. Parallelamente iniziai anche a curiosare fra i libri che parlavano di induismo e delle filosofie a lui legate trovando una vera e propria fonte di ispirazione ed un grande sollievo. Un mondo nuovo si apriva davanti a me la cui profondità mi risultava del tutto inaspettata. In questo campo la ricerca era più facile, soprattutto se fatta da un occidentale. Non c'era infatti una verità conosciuta da alcuni e rivelata ad altri ma c'era la ricerca, che non aveva più percorsi preordinati, e diventava quindi una scoperta intimamente mia, libera e persino divertente. Mi iscrissi ad un corso di yoga, e pagai quella che ai tempi era un piccola fortuna per un corso di meditazione trascendentale tenuto da un allievo di Maharishi Mahesh Yogi, il guru dei Beatles. Nel contempo iniziai a leggere libri quali, Siddarta, la Baghavad Ghita, i Sutra buddisti, il libro tibetano dei morti e via dicendo. Avevo letto anche “autobiografia di uno yogi” di Paramansa Yogananda, ma l'avevo trovato un po' troppo fantasioso ed incline al paranormale, per i miei gusti. In qualche modo sentivo di avere preso la strada giusta ma le risposte che cercavo erano di là da venire. Tra i libri che avevo preso, ce n'era uno di Ramana Maharishi. Era un libro della Ubaldini di quelli con la copertina verde-azzurro scritto da Arthur Osborne. Ricordo molto bene, come fosse ora, il momento in cui lo avevo iniziato, nella cucina della casa dove ero nato, con mia madre attorno che attendeva alle mansioni domestiche. Ricordo che dopo circa una ventina di pagine stavo per abbandonare la lettura perché non trovavo stimoli. Non era inusuale per me abbandonare la lettura di un libro se quello che leggevo non entrava in risonanza con il mio io più profondo, ma all'improvviso incappai in un dialogo tra il Maharishi ed un suo devoto. Quel dialogo mi conquistò. La vita di ciascuno di noi segue percorsi misteriosi, una pagina in meno ed oggi forse non sarei qui a raccontare questa storia. Divorai il libro e mi innamorai di Ramana che mi piaceva per la sua arguzia, per la coerenza dell'insegnamento, per la sua figura fulgida ed equilibrata, ma soprattutto mi piaceva perché mi diceva che per avere le mie risposte non dovevo chiedere a Dio o ad entità esterne, ma dovevo cercarle dentro me stesso. Un terreno di ricerca molto più vicino, molto più agevole e molto più sicuro che non dei testi sacri mutuati da un Dio esterno a noi. Ramana era anche la conferma che la mia intuizione iniziale che mi aveva spinto verso quel corpus di discipline orientali era per me la via giusta. I libri che avevo letto poggiavano su

testimonianze che erano esistite e che esistevano ancora e tutto questo era edificante. Ma il valore vero dell'insegnamento di Ramana fu di avere dato un indirizzo preciso alla mia ricerca. Ero ben lungi dall'aver trovato le risposte ma era diventato chiaro almeno dove cercarle. L'impellenza era trovare quel “sè” immortale che ciascuno di noi ha dentro. Tutto il resto, preghiere, devozioni, ascetismi, persino lo yoga, diventavano ininfluenti. E' bene qui fare un passo avanti e piantare un paletto. Tra quella domanda e la sua risposta c'è un abisso che nessuno di noi può colmare perché la domanda è posta da un'entità che si muove nella dimensione spazio temporale mentre la risposta appartiene ad una dimensione diversa è per così dire eterna, oltre lo spazio ed il tempo. Va da se che la comprensione di quella risposta ovvia l'entità che formula la domanda. Ho provato mille volte a cercare di spiegare meglio questo concetto che afferro intellettualmente ma temo non sia realmente possibile. Risolto il “dove” mi rimaneva il “come”. Qual'era il metodo e quale la tecnica migliore per ottenere quella conoscenza. Ramana dava molte indicazioni che si potevano riassumere in un unico insegnamento: - Per ogni evento della vita, per ogni emozione, paura o desiderio era necessario distogliere la mente e focalizzarla sul soggetto che provava la sensazione ed investigare quel soggetto – Era il “gnỗthi seautón" (conosci te stesso), che Socrate aveva insegnato 2400 anni prima. Può sembrare banale, ma se ci pensiamo bene ciascuno di noi parla di un sacco di cose, chiede un sacco di cose, ma non ha una chiara conoscenza di come esso sia, e come funzioni nella vita. Quello che avevo recepito quindi era importante ma applicare la tecnica di Ramana sull'autoindagine era tutt'altro che automatico. Come? Come conoscere e penetrare il mistero di quell'io? Ramana mi aveva dato tanto ma non era ancora sufficiente a sciogliere il viluppo di domande ed io sentivo il bisogno di una guida più incisiva. In particolare avevo rilevato dai testi della grande tradizione indiana che un maestro, un vero maestro illuminato, poteva essere fondamentale in quel tipo di ricerca. Certo non vedevo ancora come quella ricerca, lungi dall'essere nobile e spirituale, fosse infine molto egoistica così legata com'era al conseguimento di una “illuminazione” personale ma questo è un qualche cosa che si capirà meglio in seguito. Primo viaggio in India. Con questa nuova certezza all'età di circa 30 anni, raccolsi le mie energie e sfidai le mie paure dell'ignoto, recandomi in India con la mia insegnante di yoga per un viaggio di poco più di un mese. L'intenzione dichiarata era di vedere quella terra così misteriosa e densa di fascino e nel contempo approfondire lo yoga in qualche ashram. L'intenzione segreta, forse di entrambi, era di incontrare un maestro come Ramana Maharishi. Le cose non andarono esattamente secondo i piani, però facemmo qualche esperienza reale con lo yoga. Avevamo un opuscolo con i centri dove insegnavano yoga ed appurato che a Rishikesh, una grazioso paese nel nord dell'India, se ne trovavano diversi ci

dirigemmo li. Ne visitammo un po', qualcuno anche di fama rinomata come l'ashram di Vivekananda, lo stesso nel quale U.G aveva fatto yoga da giovane, ma non ci convinse la persona con cui parlammo. Una maestra occidentale supponente che criticò il fatto che avessimo solo un mese a nostra dispozione. Per cui scartammo i più grandi, ( a Rishikesh, c'era anche l'ashram del già citato Maharishi Mahesh Yogi) e trovammo finalmente qualche cosa che ci convinceva presso un giovane monaco vestito semplicemente con un sacco di iuta. Facemmo con lui qualche lezione in un cortile di un'abitazione le nel paese, poi iniziammo ad incalzarlo con le nostre domande, dicendo che oltre le hasana, (cioè le posizioni fisiche), dello yoga volevamo conoscere anche la filosofia. Il poveretto disse che lui non poteva fare nulla per noi, (onore alla sua umiltà), però ci diede l'indirizzo del suo maestro ad Agra, sempre nel nord dell'India. Ci disse: - lui è un grande maestro, è una persona che “ha potere” - Sicuramente vi potrà aiutare”. Così ci spostammo ad Agra e cercammo l'ashram di Shri Chandramohan Ji, un maestro che, venimmo a sapere dopo, era molto considerato, anche se era più sulla via della devozione, (Bakthi), che su quella della conoscenza (Jnana). In effetti quel maestro, anche ad un riscontro oggettivo, aveva qualche cosa di non comune, una sorta di energia forte. In sua presenza sentii un'onda emotiva, un genere di energia che, se è vicina a me mi smuove e mi scuote fisicamente, meglio non saprei definirlo. Questa sorta di messaggio era percepito prima dal mio corpo che dalla mia mente. Fu un'esperienza molto intensa anche se breve. Mi trovai immerso nella vita dell'ashram, indiano tra gli indiani, mangiavo con loro in un refettorio comune un improponibile riso più carico di spezie che di riso, facevo meditazione in un cortile con la gente dell'ashram alla presenza del maestro. Facevamo qualche ora di yoga con un discepolo investito dei compiti dell'insegnamento. Mi sembrava di essere in un film. Purtroppo però le condizioni di vita nell'ashram, che non era attrezzato per gli occidentali, ci risultarono proibitive; non era solo il dormire per terra in una stanzetta infestata dalle zanzare o il mangiare cibi a cui non eravamo assuefatti a scoraggiarci, ma ci furono anche questioni legate all'igiene che noi, occidentali, privi delle difese immunitarie dei nativi, non potevamo ignorare. Questo ci impedì di approfondire l'esperienza. Rimanemmo solo due giorni ed al momento del congedo il maestro, che avevamo finora visto solo in incontri collettivi per la meditazione, ci convocò in presenza di molte persone dell'ashram, e ci chiese lo scopo della nostra presenza lì. Dopo avergli risposto che eravamo venuti per il nostro “progresso spirituale” lui ci diede delle istruzioni verbali che, per il poco di inglese che capivo a quei tempi, non trovai molto dissimili da quelle che avevo ricevuto in gioventù. In particolare ci mostrò la figura di un santo o una divinità, (probabilmente il fondatore del lignaggio a cui lui apparteneva), e ci raccomandò di rivolgere spesso la mente a lui. Mi pare che ci disse anche che se eravamo in difficoltà avremmo potuto invocare le persone dell'ashram e loro sarebbero venute in nostro soccorso ma di questo particolare ho un ricordo vago. Poi, fatto più interessante, ci “diede” una specie di iniziazione facendoci ingerire e spalmare sul viso un pugno di terra dell'ashram. Questo fu tutto. L'india era finita. Tornato a casa. Non rigettai quell'esperienza e

cercai di uniformarmi in qualche modo alle poche istruzioni che avevo ricevuto, ma evidentemente l'esperienza era stata poco profonda forse per la sua brevità, così ben presto tornai all'insegnamento di Ramana. Gli scavi dentro me stesso avrei dovuto portarli avanti da solo anche se a volte quel primo maestro e quell'esperienza in India mi tornavano in mente. Intermezzo Lentamente poi arrivarono i tempi del fidanzamento, del matrimonio, del lavoro e della vita coniugale. Oberato dagli impegni quotidiani, piano, piano mi staccai un po' dalla ricerca, cessai lo yoga che avevo fatto ininterrottamente per sei anni e fui assorbito dai problemi della vita di ogni giorno. Ramana rimaneva il mio solo legame con quelle forme di pensiero che mi erano consone e che spesso mi avevano aiutato nei momenti difficili. Purtroppo avevo cercato altri libri in linea con gli insegnamenti dell'Advaita Vedanta, (il Monismo Metafisico corrente nella quale si poteva inserire l'insegnamento di Ramana), ma non ne avevo trovato alcuno che mi soddisfacesse. Trovai forse qualche trattato in materia, che mi sembrò molto intellettuale, ma non riusci a trovare nulla che veicolasse la vitalità e la freschezza che avevo sentito leggendo Ramana. Era come se il “link” sotterraneo delle letture, che all'inizio di questa ricerca mi aveva messo nelle condizioni di passare da libro a libro, trovando sempre quello più significativo per me, si fosse interrotto ed io ero lasciato solo senza più una via da seguire. Forse per me era l'ora di dedicarmi alle cose del mondo e la ricerca era sospesa, almeno per il momento. Il tempo per riprendere il cammino interrotto si presentò molti anni dopo quando un amico con cui condividevo l'amore per Ramana Maharishi mi parlò di Nisargadatta Maharaj e del suo libro. A detta di questo mio amico quel libro era un proseguimento dell'insegnamento di Ramana. Lo comprai e ne fui subito catturato. Era ciò che avevo cercato, era l'insegnamento di Ramana ampliato e approfondito all'ennesima potenza. Iniziai a leggerlo uno o due dialoghi per sera ed una volta finito lo ricominciavo chiarificando sempre di più quello che veniva espresso. Per lungo tempo, quel nuovo libro mi ricollegò e mi mantenne in contatto con quegli insegnamenti così in sintonia con il mio sentire, ma la ricerca piano, piano, stava risvegliandosi e cresceva in me il desiderio di trovare un maestro che fosse ancora vivente, (Nisargadatta era morto da poco). Nel libro di Nisargadatta si parlava incidentalmente di un certo Douglas Harding che pareva avesse dato ad un visitatore di Nisargadatta i mezzi per cogliere la risposta alla domanda: “chi sono io?”, una domanda basilare nella ricerca del Sè. Si parlava anche di un non meglio precisato “amico svizzero” del traduttore di Nisargadatta, che mostrava i segni di una probabile realizzazione. Ed io mi dicevo: “fortunati quelli che li hanno incontrati”. E una parte dentro di me premeva: “devo riuscire anche io ad incontrare qualche persona così”.

A parte quell'exploit in India fatto molto anni prima, la mia ricerca era sempre stata fatta per lo più attraverso i libri, forse anche perché ero molto diffidente. Sapevo benissimo la genia dei furbi e degli sfruttatori che si cela in questo mercato dello spirito e per affidarmi ad un maestro avrei dovuto sentire da parte sua una pulizia intellettuale ed un disinteresse che purtroppo non sentivo in tanti che si dichiaravano tali. I maestri auto eletti ed auto dichiarati non mi hanno mai sedotto. La maggior parte sono dei manipolatori più o meno occulti infatuati da loro stessi ed esaltati dall'avere toccato qualche piccola esperienza “spirituale”. Sapevo che un vero maestro non avrebbe mai sbandierato la sua illuminazione e la sua “maestritudine” ma anzi avrebbe cercato di nasconderle. Leggevo di tanti supposti maestri, ma capivo che, al meglio, avrei sprecato il mio tempo ed al peggio avrei potuto finire in qualche setta tipo reverendo Jhones, quello del Tempio del popolo la cui storia si concluse con un suicido di massa. Ero molto esigente, il mio maestro, se mai ne avessi trovato uno, doveva essere lindo, luminoso e scoppiettante e prima di incontrarlo dovevo essere sedotto dalla cristallina trasparenza del suo insegnamento e delle sue parole, in maniera da potermi fidare di lui. Leggevo quindi Nisargadatta ma nel contempo cominciavo a sentire la voglia di uscire dalle letture per trovare una guida in carne ed ossa. Secondo viaggio in India. Da quel desiderio nacque l'idea di un altro viaggio in India, patria riconosciuta della “conoscenza” e della “saggezza”. Era dicembre 1991 ed avevo solo due settimane di ferie. Mia moglie ed io stabilimmo il percorso che avremmo fatto una volta arrivati là. Purtroppo non avevo nessun nome in India che equivalesse a Ramana o a Nisargadatta, pertanto le mete del nostro viaggio erano il Ramanashram, (il luogo dove aveva vissuto ed insegnato Ramana), e Puttaparti dove speravamo di vedere Sai Baba un altro grande nome contemporaneo dell'induismo. Sai Baba non rientrava pienamente nei canoni della mia ricerca. C'erano degli aspetti che non mi convincevano, ma avevo visto diversi servizi in televisione su di lui e l'idea di vederlo dal vivo mi incuriosiva parecchio. In fondo eravamo nella sua terra ed a pochi km da lui e quindi perché no? Qui un plauso devo farlo a Teresa, mia moglie, perché per lei la ricerca interiore non è mai stata pressante come per me, nonostante questo ha accettato di buon grado di vivere attivamente queste esperienze, affrontando le difficoltà logistiche della vita in un paese ai tempi ancora povero e soprattutto le difficoltà della vita negli ashram. Dormire su una panca di legno senza nessun materasso non è il massimo che ci si aspetta da una vacanza, ma, onore a lei, lo ha fatto. La visita al Ramanashram fu dolcissima. Tanto avevo letto di quei luoghi, tanto avevo immaginato che camminare là era il naturale coronamento di un sogno. L'ashram era pieno di buone vibrazioni ma io non sentii, come alcuni dicevano, la presenza di Bhagwan (Ramana), come se fosse ancora in vita. Entrai nella piccola sala dove riceveva, mi sedetti cercando di meditare, o almeno di concentrami in me stesso ma

non sentii nulla. Forse ero troppo pieno di aspettative. Anche presso di lui espressi mentalmente la preghiera di aiutarmi a trovare un maestro vivente come lui. Comunque dal punto di vista vitale fu più interessante l'esperienza con Sai Baba, a Puttaparthi. Rimanemmo là 2 giorni e 2 notti e partecipammo a quattro Darshan, che significa, beneficiare della vista e della vicinanza del maestro. Due volte al giorno, mattino e sera, infatti era possibile, ma non richiesto, ne tanto meno obbligatorio, andare a questi “incontri” che si svolgevano in un grande cortile a semicerchio dove Sai Baba camminava lungo tutto il percorso, passando davanti alla gente. Siccome l'afflusso di seguaci e curiosi era molto alto le file a semicerchio potevano essere anche una decina, va da se che quelli in decima fila sarebbero stati molto svantaggiati data la lontananza dal maestro. Per evitare litigi o confusioni la distribuzione dei posti era assegnata dalla sorte per cui non restava che sperare nella propria buon stella. Eravamo divisi uomini e donne e ciascuno occupava una metà del semicerchio attorno al cortile. Sai Baba passeggiava, fermandosi ogni tanto presso qualcuno per sentire o per dire qualche cosa o per invitarlo per un colloquio privato. Nel giro che svolgeva con estrema lentezza era accompagnato da qualche discepolo che reggeva una cesta con delle caramelle a cui spesso lui attingeva a piene mani gettandole nelle file dei presenti seduti all'indiana sul duro pavimento. Come s'è detto le persone erano tantissime per cui prendere una caramella di Sai Baba sembrava già una grazia. Durante i primi tre incontri non godetti di una particolare buona sorte e mi ritrovai in quarta o quinta fila, o anche peggio. Troppo lontano per avere un impatto significativo con lui. L'ultimo incontro, mentre già recriminavo dentro di me che non poteva lasciarci andare via senza un segno, visto che avevamo fatto 10.000 km per vederlo, la fortuna fu più clemente. Intimamente ero combattuto; desideravo e temevo nello stesso tempo di finire in prima fila e magari essere invitato per un incontro privato. Un incontro privato con un Avatar, (emanazione divina) e poi cosa gli avrei detto col mio non esistente inglese? La sorte che mi assegnò la seconda fila, sembrò rispondere al mio sentire più intimo. Sarei stato abbastanza vicino in modo da vederlo bene e nello stesso tempo il rischio di essere convocato per un colloquio privato era inesistente, se non nullo. Sai Baba iniziò il suo giro e quando fu vicino a me mi passò a distanza di un metro, forse un metro e mezzo. Nel massimo punto di vicinanza sentì la stessa onda emotiva che avevo sentito col primo maestro indiano. Particolare non secondario sicuramente mi guardò e quello sguardo stabilì una sorta di contatto. Ero seduto in mezzo ad indiani adoranti che, con le mani giunte alzate ripetevano, “hom Ram, hom Sai” in maniera quasi ossessiva. Anch'io, per imitazione, alzai le mani giunte ma invece di parlare o pregare formulai in maniera molto forte e sentita il seguente pensiero: “io non riuscirò mai ad adorarti come fanno questi indiani. Questo amore e questa fiducia incondizionati sono fuori dalla mia natura. Io ho bisogno di un maestro come Nisargadatta, che sia informale, che mi parli, che io possa interrogare e che possa condividere con me il vivere quotidiano. Se tu sei chi dici di essere aiutami a trovare un maestro così”.

Questo fu il mio pensiero che scemò lentamente con l'allontanarsi di Sai Baba. Mentre aspettavo la fine del giro mi accorsi che una delle caramelle lanciate da Sai Baba era caduta vicino a me ed io, felice, la presi. Lasciato il cortile mi ricongiunsi con Teresa e le chiesi com'era andata. Lei rispose che era stata sfortunata con la fila però aggiunse con soddisfazione: “ho preso una caramella”. “Anche io” le dissi ridendo ed aggiunsi, sempre ridendo: “abbiamo fatto 10.000 km per due caramelle”. La cosa certamente non è nulla in se ma nel contesto può avere un suo senso. Sia come sia, dopo avere visitato altri templi ed altre località amene dell'India anche quel viaggio finì ed io venni risucchiato dalla mia routine quotidiana ma l'esperienza dell'India mi aveva caricato e mi sentivo pronto ad ulteriori passi. La scoperta di U.G. Fu ad un incontro che Giovanni Turchi, (fondatore della casa editrice Aequilibrium ed ai tempi, caposcuola della fondazione Jiddu Krishnamurti in Italia), tenne a Milano su Jiddu Krishnamurti, (un altro famoso maestro indiano), che venni a sapere di questo maestro che rispondeva al nome di Uppaluri Gopala Krishnamurti meglio conosciuto come U.G. A dispetto del nome che li accomunava questi due maestri non avevano relazioni di parentela. Andai a quell'incontro più per curiosità che altro perché Jiddu, non mi aveva mai conquistato, forse più per una difficoltà mia a seguire il suo modo di insegnare che non per altri motivi. Quel poco che avevo letto dei suoi discorsi mi esasperava. Mi sembrava sempre che fosse sul punto di dire qualche cosa e non chiudeva mai un discorso e quello cozzava con la mia mente strettamente dialettica e analitica. Comunque l'atmosfera di quegli incontri era quella della ricerca e quindi vi partecipai volentieri. Alla fine dell'incontro, in uno scambio di idee che ebbi con Giovanni, lui mi parlò di U.G del quale aveva appena stampato e distribuito il libro “La mente è un mito”. A detta di Giovanni, U.G era più radicale ancora di Nisargadatta. Comprai il libro che conteneva i dialoghi che U.G aveva avuto con visitatori o amici. La sua dialettica mi piacque anche se lui era estremamente negativo. Negava l'esistenza dell'illuminazione, negava la validità dei maestri spirituali e degli stessi percorsi spirituali, insomma ne aveva un po' per tutti. Però sentivo del vero nelle sue parole e sentivo integrità nell'uomo e siccome Giovanni aveva detto che era possibile incontrarlo in estate in Svizzera volli sapere di più. Giovanni fu generico e non mi diede molte informazioni, così chiesi a Francesca una signora, sempre dell'ambiente di Jiddu Krishnamurti, che collaborava con Giovanni e che aveva conosciuto anche lei U.G in Svizzera. Francesca fu molto più disponibile e più prodiga di informazioni. Ci descrisse i campi da tennis nel centro di Gstaad sopra ai quali c'era lo chalet dove U.G riceveva. Arrivò a farci una piantina disegnata nella quale c'era il riquadro dei campi da tennis ed a lato dei campi, la stradina che portava allo chalet. Non restava che aspettare l'estate. Con la nostra “mappa del tesoro” Teresa, che continuava ad assecondare la mia ricerca, ed io salimmo a Gstaad che è di per se una favola e non ricordo se subito il primo giorno o forse il secondo, eravamo sotto lo chalet davanti a

quella piccola salita che conduceva alla dimora di U.G. La “caccia al tesoro” era quasi finita ma rimaneva da sfondare l'ultima barriera quella delle difficoltà personali, della timidezza, delle paure fomentate anche dal libro in cui si capiva che U.G riceveva sì la gente ma in un certo senso diceva anche che era meglio se andavano via. Ora se c'è una cosa che non mi si addice proprio è l'invadenza e la faccia tosta. Combattuto tra la voglia di fare l'ultimo passo da solo e la possibilità di aspettare il gruppo di Giovanni che sarebbe arrivato di lì a poco per seguire gli incontri della fondazione Krishnamurti e farmi quindi presentare da qualcuno che lo conosceva già, spinto anche e soprattutto da Teresa, con timidezza e riluttanza, salii il pendio facendo quei venti metri di strada che forse proprio rappresentano le difficoltà dell'ascesa. L'aver deciso così si rivelò un bene; se avessi aspettato il gruppo di Giovanni probabilmente le cose non sarebbero andate come sono andate. Qui la fortuna mi aiutò molto. Il tempo era bello e U.G stava tenendo l'incontro con chi lo visitava, sul prato davanti allo chalet per cui, senza bisogno di bussare ad un altra porta, ci ritrovammo in un contesto nel quale stava succedendo proprio quello che cercavo. C'era una persona, per me un maestro, che parlava in modo informale ai convenuti ma quello che diceva non erano chiacchiere da bar. Era la trasmissione della sapienza più ancestrale della storia dell'uomo. Era ciò che avevo cercato con tanta determinazione. Avevamo rotto il ghiaccio e la fortuna ci assistette per l'intera settimana perché gli incontri avvennero sempre all'aperto. Quello fu l'inizio della nostra frequentazione con U.G che si protrasse fino alla sua scomparsa avvenuta nel 2007. La mia carica di ricercatore tuttavia non era esaurita, U.G mi piaceva moltissimo ma il suo negare tutto mi scoraggiava un po', inoltre, stando a quello che aveva detto lui stesso sembrava addirittura che non sarebbe tornato a Gstaad per cui avrei anche potuto non vederlo più, mentre io in qualche modo sentivo ancora pressante il bisogno di una guida. Nel corso dell'inverno successivo, grazie ad una serie fortuita di eventi, riuscii a prendere contatto con Douglas Harding, il secondo maestro citato nel libro di Nisargadatta. Douglas fu gentilissimo, ci invitò a pranzo nel suo chalet nei dintorni di Londra ed avemmo modo di parlare un bel po' con lui nonostante il mio pessimo inglese. Avevo conosciuto i due maestri citati nel libro “Io sono Quello” di Nisargadatta ed avevo conosciuto due maestri che insegnavano in modo informale, che erano accessibili a livello personale e soprattutto non pontificavano e non legavano il cercatore a loro o ad una loro setta o organizzazione. Era la risposta alla mia preghiera fatta a Sai Baba o al desiderio che avevo espresso leggendo il libro di Nisargadatta e la preghiera che avevo espresso nell'ashram di Ramana Maharishi, o era l'insieme delle tre cose, oppure è stata semplice coincidenza? Non lo sapremo mai! Nisargadatta forse aveva la risposta a questa domanda quando disse: - Nell'universo c'è un potere che opera per l'illuminazione e la liberazione. Noi lo chiamiamo Sadashiva, colui che dimora nei nostri cuori, e li unisce – Se è così io sono finito in balia di quel potere.

Comunque dopo un altro periodo di ricerca durante il quale incontrai Thich Nhat Hanh a Milano, visitai Mother Meera in Germania, ed una paio di maestri o presunti tali italiani, capii che era ora di smettere quel “guru shopping”. Per la verità fu Douglas stesso a darmi la dritta circa un anno dopo in occasione di una mia seconda visita a casa sua. Mentre gli confessavo che andavo anche da U.G krishnamurti, lui mi disse che non era serio andare da diversi maestri, convenni dentro di me che aveva ragione e scelsi U.G il quale era ritornato a Gstaad anche quell'anno. Di Douglas comunque posso dire solo bene. Durante le tre volte che l'ho incontrato mi ha aiutato nella comprensione e non poco. U.G per quanto mi riguarda è stato l'ultimo maestro. Quando lo conobbi nel 1992 era da poco morta Valentine e la sua vita, per quanto ho potuto capire, si stava modificando.

La vita con U.G.

Descrivere U.G non è semplice, soprattutto per il suo carattere e la sua estrosità. Descrivere il suo (non) insegnamento è ancora meno semplice che descrivere lui, anche se ora ho le coordinate per comprenderlo meglio. E' sicuramente possibile invece descrivere la vita vicino a lui e la mia esperienza con lui. Sperando che questo, al netto della mia interpretazione personale, dei miei limiti di percezione e delle mie capacità narrative, possa dare una discreta panoramica a chi, avendo letto i libri contenenti le conversazioni di U.G, ha sviluppato curiosità in lui ed in questi ambiti. Quelli esposti qui di seguito sono quindi descrizioni, o piccoli aneddoti e stralci di ricordi presi dai miei 15 anni di frequentazione ed enunciati in ordine sparso. Gli amici di U.G. Gli amici ed i frequentatori di U.G avevano le più disparate caratteristiche. C'era di tutto. Dai professionisti affermati a chi viveva della sussistenza sociale. C'erano persone famose, come Frédérick Leboyer, Denise Desjardins, Mahesh Bahatt, Vijay Anand, e gente comune, come me e tanti altri. Almeno un paio avevano fatto l'esperienza dei campi di concentramento. C'erano padri e madri di famiglia, scapoli, conviventi, amanti, omosessuali, insomma tutta la panoramica di questa vasta umanità. I suoi amici di più vecchia data, soprattutto quelli occidentali, provenivano per lo più,

dall'ambiente di Jiddu Krishnamurti, (da qui in avanti J.K), soprattutto quelli italiani. Questo è facile da comprendere se si pensa che J.K teneva ogni estate a Saanen, grazioso paesino ad un paio di km da Gstaad, i suoi incontri estivi. Ai tempi nei quali era ancora vivo la gente che assisteva ai suoi incontri era molta e fra questi emersero i primi frequentatori di U.G; lui era infatti, conosciuto nell'ambiente in quanto per molti anni era stato a stretto contatto con J.K. Alcuni di quelli che lo incontrarono “divorziarono” da J.K, ma ci fu anche chi, seguiva entrambi senza nessun problema. In questo fu particolare il capo-scuola del gruppo italiano, Bruno Ortolani, di cui U.G diceva spesso: “al mattino va da lui ed al pomeriggio viene da me e non è ancora stanco”. Ortolani portava con se, spesso gli altri italiani che erano li per J.K, tra i quali c'era anche lo scomparso, Giovanni Turchi, quello che ha fondato la casa editrice Aequilibrium con cui ha pubblicato anche diversi libri di U.G e da ultimo, assieme alla sua compagna Lucia, lo ha ospitato a Vallecrosia luogo nel quale U.G è morto. Io non conobbi Ortolani. Morì, mi sembra, l'anno esatto che io iniziai ad andare da U.G il quale infatti, quando seppe che venivo da Milano, mi chiese se avevo notizie di questo suo amico, che però ai tempi io neppure sapevo che esistesse. Nel 1992, quando iniziò la mia frequentazione anche J.K era già morto da un pezzo, (è morto nel 1986), ed a Saanen era rimasta la fondazione Krishnamurti. A quanto ne so nella fondazione si demonizzava U.G scoraggiando la gente ad andare da lui, in quanto diceva cose contro J.K. Dalla fondazione provenivano anche persone che erano state ostili verso U.G. E' il caso di Michelle, un artista francese che conoscemmo a Gstaad quando per una settimana fece da autista a U.G. Ricordo che lo trovammo un pomeriggio a Saanen e ci fermammo a chiacchierare. Lui fu prezioso perché U.G ci aveva invitato per la cena e noi, che non avevamo idea di cosa portargli, chiedemmo consiglio a lui. Ricordo anche che nel corso della chiacchierata ci disse che U.G era un “bastardo”. Io presi quell'affermazione come una battuta di in amico che abusa un po' della sua confidenza, ma qualcuno, o forse U.G stesso, poi ci disse che Michelle, nei tempi passati, soleva fermarsi ai piedi della piccola salita che c'era per andare al Sumbean chalet invitando le persone che salivano a non andarci. Quell'affermazione: “è un bastardo” quindi poteva essere ancora sentita da parte di Michelle, mentre U.G evidentemente non gli portava nessun rancore perché non solo lo teneva con se, ma gli aveva noleggiato persino la macchina. Molti frequentatori della fondazione Krishnamurti, per loro stessa ammissione, venivano più per curiosità che per altro. Dicevano che U.G era “stimolante”. Era talmente stereotipata tra loro quell'affermazione che era difficile non trovare in essa un imprinting comune. Magari l'input di qualche personaggio carismatico della fondazione stessa. Così come era stereotipato in loro l'avversione ai maestri che probabilmente veniva dal pensiero stesso di J.K. Amici provenienti da altre scuole, invece non avevano nessuna difficoltà ad accettare la loro “devozione” ed il loro amore verso U.G ed a considerarlo il loro maestro, anche se, su questa seconda affermazione, U.G non sarebbe stato d'accordo in quanto ripeteva continuamente di non essere un maestro e di non avere nulla da insegnare. Le

sue parole in merito si possono riassumere in questi concetti: “Qui, [presso di me], non c'è niente da dare e niente da prendere. Io non sono diverso da quello che siete voi. L'illuminazione non esiste! E voi qui sprecate il vostro tempo”. Non ricordo se lo stesso anno che iniziai io, oppure l'anno dopo, iniziarono ad arrivare seguaci di Osho, soprattutto dalla Germania. Là c'era, e c'è ancora, un gruppo proveniente dalla prima linea di Osho che è ben strutturato e ben funzionante. Tra l'altro la voce si diffuse nel loro ambiente col passa parola, e ben presto arrivarono altri seguaci di Osho anche da altre parti soprattutto dell'Europa. Questi erano i due gruppi, o filoni, più strutturati anche se certamente c'era chi, come me, veniva da altre “scuole”, da altri maestri. Per diversi anni rimase, come qualche cosa di non detto, l'abitudine per noi nuovi di salire al pomeriggio, nell'incontro delle 4, mentre i suoi vecchi amici avevano l'accesso a lui ad ogni ora. Qualcuno di noi, con sforzo e tenacia, tanto fece che riuscì a guadagnarsi la sua fiducia con maggiore celerità ma furono casi rari. Il gruppo dei, diciamo “visitatori” delle 4 fu integrato, ad un certo punto, per volere di U.G. Forse sentiva che diventava vecchio, Valentine, la sua compagna, era già scomparsa da un pezzo ed in un certo senso queste persone che aveva attorno, diventarono per lui come una famiglia. Bisogna comunque precisare che U.G era sempre imprevedibile e spessissimo cambiava le sue abitudini. Tra chi lo seguiva c'era poi chi stava pressoché costantemente con lui, e chi aveva impegni di lavoro o di altro e cercava di destreggiarsi per poter rimanere il più spesso ed il più a lungo possibile con lui. Quello che era certo era che la gente pigliava treni, aerei, navi, o si sobbarcava ore di macchina in viaggi massacranti, per poter rimanere accanto a lui. Questo dopo la sua scomparsa è cessato a riprova di quanto forte fosse la sua opera catalizzatrice. L'attitudine che ciascuno aveva verso U.G era diversa. A parte coloro che venivano per dichiarata curiosità, c'era anche chi confessava di venire più per la compagnia che c'era attorno a U.G che non per U.G stesso, anche se questi non stabilivano mai relazioni durevoli con lui. Tra coloro che vedevano in lui una persona speciale poi c'è stato anche chi lo ha abbandonato, dopo poco o dopo tanto tempo. La seconda volta che ero da Douglas Harding ho trovato una copia che prima andava da U.G. Il lui della coppia, mi disse che in U.G aveva trovato una forte attrazione ma non c'era insegnamento e per quello, si era rivolto alla scuola di Douglas. Uno dei nostri amici olandesi, pur riconoscendo la bellezza e la grandezza di U.G e pur seguendolo da anni, ad un certo punto, lo aveva abbandonato per rivolgersi ad un altro maestro Olandese. Alcuni tra i suoi più fedeli e vicini, una volta morto U.G, sono andati da altri maestri. Non che sia sbagliato, intendiamoci. U.G poi l'ha sempre detto: “quello che vi ha portato qui vi condurrà sicuramente da qualche altra parte”. In altre parole la ricerca, che non è finita, vi spingerà a cercare altri maestri. Per alcuni è successo proprio così.

Personalmente credo di avergli voluto bene e di essergli stato devoto, pur con tutti i limiti della mia personalità e della situazione contingente, che mi lasciava poco tempo e poche forze per dedicarmi alla ricerca e di conseguenza a lui. Da quando non c'è più non ho sentito nessuna esigenza di trovare un altro maestro. Ho sempre ritenuto e ritengo ancora che nessuno avrebbe potuto darmi più di quello che mi ha dato lui e se qualche cosa non ho colto o non ho visto la responsabilità è mia e della mia immaturità e non certo di chi insegnava. Alcuni avevano una devozione per lui, superiore alla mia. E questi non erano solo gli amici indiani, che ci sarebbe anche stato, visto che la devozione verso il maestro è parte della loro cultura, ma anche molti occidentali. Qualcuno arrivava persino a casi di imitazione che a me sembravano esagerati. Ad esempio lui usava bere una tazza di acqua calda dopo il pranzo per i suoi problemi di cardio-spasmo e ci fu un periodo nel quale era facile vedere nella stanza diverse persone con la tazza bianca che centellinavano acqua calda. La vita attorno a lui. U.G aveva come peculiarità personale, o aveva sviluppato col tempo, incredibili doti di intrattenimento. Il suo parlare non era un pontificare. Se c'erano delle domande rispondeva a quelle, ma poi mescolava il racconto con aneddoti della sua vita che potevano andare dalle esperienze della sua infanzia, quale quelle con Ramana o Shivananda, agli incontri con celebrità quali Bertrand Russel o Carl Gustav Jung, o la sua frequentazione con Jiddu Krishnamurti, o altri aneddoti tutti pregnanti e raccontati con una perizia tale da fare invidia ad un narratore di professione. Dire che aveva un'eloquenza affascinante è solo un modo approssimativo per descrivere l'incredibile capacità che aveva di avvincerci nelle narrazioni, senza mai nulla di ossessivo, o di malato, perché come caricava un discorso e lo rendeva interessante allo stesso modo scivolava su argomenti più frivoli alleggerendo l'atmosfera nell'uditorio. Io chiamavo quei dialoghi: “trasmissione di sapienza”, perché quella saletta piena di gente tranquilla attorno ad un maestro, era veramente una scena che si sarebbe detta fuori dal tempo. C'è comunque da dire che in ogni momento uno poteva assentarsi. Poteva assentarsi sia fisicamente uscendo dalla sala magari per fumarsi una sigaretta, come facevo spesso io, oppure per andare a bere un caffè a Gstaad. Oppure poteva assentarsi rimanendo nella stanza ma girando la sua attenzione da U.G ad un libro, o al computer, o addirittura poteva appisolarsi. E' anche vero che se uno usciva dalla stanza veniva subito preso dalla voglia di tornare dentro ad ascoltare ed a stare accanto a U.G Come qualcuno di noi si “dis-connetteva” e si appisolava, così anche U.G in questi momenti di silenzio poteva fare i suoi “sonnellini da gatto”, cat naps, come li chiamava lui. Nessuno ne era turbato. Se invece c'era qualcuno che aveva abilità di intrattenimento, lui cedeva volentieri il palcoscenico ed il microfono a quella persona. In pratica era grato che qualcuno l'aiutava ad intrattenere i suoi amici.

I Giri in macchina. I giri in macchina erano spesso dei veri e propri “tour de force” di ore. Al meglio si andava magari in qualche città della Svizzera, come Ginevra, Berna, Lucerna, tutti posti bellissimi da visitare, oppure si andava semplicemente in giro fermandosi magari in un bar per una sosta. Al peggio capitavano giri più lunghi che impegnavano tutta la giornata. Ricordo una volta che eravamo andati a Gstaad per 4 giorni ed il giorno dopo il nostro arrivo U.G volle andare a Baveno e tornare a Gstaad la sera stessa. Io gli dissi che sarei rimasto volentieri lì, visto che venivo proprio da Baveno, ma lui fu irremovibile: “devi venire anche tu”. Se si era in una città ci metteva sempre dentro il passaggio per qualche grande centro commerciale. In macchina per lo più era silenzioso e molto spesso dormiva. Una volta Mario mi raccontò che lo aveva accompagnato per un viaggio durato tutto il giorno. Verso metà mattina, dopo ore che erano in macchina in silenzio, Mario fece un commento sulla bellezza delle montagne in quel luogo e U.G di rimando lo gelò con queste parole: “vuoi proprio avere una conversazione ora?”. U.G decideva su che macchina andare e chi doveva esserci con lui. Se non lo avesse fatto ci sarebbe stata una guerra per accaparrarsi il posto sulla macchina dove c'era lui. Pare infatti che il piacere di essergli vicino fosse comunque irrinunciabile. Spesso decideva anche la formazione delle altre macchine, per poi lamentarsi che avremmo dovuto pensarci noi. Come U.G decidesse se rimanere in casa oppure andare in giro io mi sono fatto l'idea che lui sentiva le nostre esigenze, le nostre richieste inespresse e rispondeva a quelle. Voglio restare coi miei amici. La prima volta che indirizzò a me questa frase, ci rimasi malissimo anzi peggio ancora. Era abbastanza all'inizio della mia frequentazione ed era una giornata nella quale U.G ci aveva detto che non avrebbe ricevuto quel giorno e che anche l'incontro del pomeriggio non ci sarebbe stato. Ad un certo punto, all'ora solita, noi vedemmo salire una ragazza che era il primo anno che veniva, in compagnia di un paio di altri amici e così prendemmo l'iniziativa e salimmo anche noi. Quando entrammo la sua sala era strapiena e U.G mi disse: “oggi non voglio vedere gente, voglio stare coi miei amici”. Le cose non mi tornavano, la ragazza che avevo visto salire ed altri presenti non erano i suoi amici di vecchia data, ma erano frequentatori come noi ed erano tutti comodamente seduti in qualche angolo della stanza. Feci finta di non capire e mi sedetti anche io e U.G lasciò perdere, però ci rimasi così male. Ma come pensai tra me e me: “la ragazza che era il primo anno che veniva era tua amica ed io ero – gente -”. Poi molti anni dopo, quando ormai avevo rotto il ghiaccio e lo avevo ospitato anche nel nostro appartamento a Baveno mi successe ancora una cosa del genere, ma ormai avevo capito. Quell'anno mi aveva invitato lui offrendomi per una settimana l'ospitalità in un

appartamentino che aveva affittato proprio per i suoi amici. Ricordo che erano due monolocali, in uno c'ero io e nell'altro Krim un suo amico americano che lo conosceva da più di trent'anni. Una mattina arrivai alla porta dello chalet dove faceva gli incontri e lo trovai che usciva assieme al nutrito gruppo degli amici per andare a fare un giro da qualche parte, forse mi disse dove ma non ricordo. Ricordo che mi disse: “vado a fare un giro con i miei amici, oggi non ho voglia di vedere gente”. Una ragazza del gruppo cercò di intervenire in mio favore ma U.G fu irremovibile. “ok” gli dissi, “ci vedremo questa sera”. Era una favolosa giornata estiva in alta montagna. Trovai Krim e gli dissi che U.G era andato a fare un giro con i “suoi amici”. Krim si mise a ridere e mi disse: “noi che facciamo?” In breve decidemmo di andare a fare un giro in un alpeggio non lontano da Gstaad. Trovammo anche Pascal, il nostro amico francese, anche lui orfanello di U.G e lo invitammo a venire con noi. Ne uscì un giro piacevolissimo di cui conservo ancora il ricordo oggi. L'ultima volta invece che sentì U.G dire di non disturbarlo perché voleva rimanere coi suoi amici fu a Baveno ma questa volta noi eravamo tra i suoi amici. Era arrivato da poco, ed eravamo in pochi con lui, forse 5 o 6 persone. Arrivarono molte chiamate dai suoi amici più stretti, dall'India, dall'America, dall'Australia ed a tutti U.G rispose: “non disturbatemi che sono coi miei amici”. Insomma, non solo questo, ma anche questo era U.G. I Ristoranti. I ristoranti nei quali si andava quando si era con U.G erano solitamente belli, anche se ho sempre avuto il sospetto che fossero scelti più per il piacere delle persone che erano con lui che non per lui stesso. Lui non aveva problemi ad andare nei 5 stelle, piuttosto che nelle peggiori bettole di paese. Una volta eravamo in giro sul lago di Como all'altezza di Cernobbio e qualcuno propose di fermarsi a Villa d'Este a bere qualche cosa. Villa d'Este, per chi non lo sa, è quella dove si tengono i meeting internazionali e nazionali con tutte le personalità governative ed è quindi un ambiente esclusivo al Top. Eravamo una decina ed entrammo nel parco della villa lasciando le macchine al parcheggio. Ci sedemmo in una terrazza sul lago abbastanza gradevole e all'arrivo del cameriere chiedemmo, per prima cosa, se avessero della panna, cibo che piaceva molto a U.G. Alla risposta desolata del cameriere che dichiarava che purtroppo erano sprovvisti, ci alzammo e ce ne andammo, senza nessun imbarazzo. Da lì finimmo in un piccolo albergo nel centro di Cernobbio e U.G rimase molto contento del posto al punto che successivamente volle tornarci con altri amici. Un'altra volta eravamo a Milano vicino alla Rinascente e all'ora di pranzo sorse il problema su dove mangiare e non trovando altro finimmo al Ciao che c'è vicino alla galleria del Duomo. Io ero in pensiero per cosa avrebbe potuto mangiare, ma lui non volle niente, tranne forse un bicchiere d'acqua. Mentre noi mangiavamo il nostro pezzo di pizza o non so che altro, lui prese un po' di pane lo intinse nel bicchiere e mangiò pane bagnato. Se uno lo avesse visto in quel momento ed in quel fare, certamente lo

avrebbe scambiato per un barbone, tant'è che due signore imbellettate, sedute vicino a noi si alzarono e se ne andarono scandalizzate. Personalmente sono uno che ha un suo standard riguardo ai ristoranti, mi piacciono quelli semplici, curati e puliti, ed ovviamente dove il mangiare sia gradevole. Non amo quelli troppo altolocati dove la coreografia soffoca il gusto, e non amo quelli tipo mensa, dove non solo la coreografia ma anche il cibo è trascurato. Se vado, e mi capita spesso, scelgo secondo quello standard. Tra Villa d'Este e quel self service di Milano c'era un abisso, eppure U.G poteva stare con la stessa disarmante semplicità e con lo stesso distacco in entrambi i posti. Ma anche in quello c'erano mille insegnamenti. Primo di non curarsi troppo del cibo. Secondo che si può saltare un pasto senza risentirne. Terzo che veramente in fondo lui era come un animale, non nel senso deteriore del termine, ma nel senso che era allineato alla natura libero delle panie che fasciano le nostre vite. Ultimo ma non meno importante che se volevo ciò che lui aveva, chiamala illuminazione o chiamala calamità non fa molta differenza, avrei realmente perso non solo la passione per un buon pranzo, ma assieme a quella avrei perso tutte le passioni. Era li da vedere chiaro, bello, aperto, stampato davanti ai miei occhi. “Te lo garantisco, Piazza, finirai in miseria”. A volte poi, nei ristoranti, succedeva una cosa particolare. Benché U.G fosse l'emblema della normalità e non amasse le stranezze poteva succedere che qualche albergatore attento notasse qualche cosa di insolito in quel gruppo attorno a quel signore più anziano e che alla fine del pasto ci chiedesse chi eravamo e chi era quel signore. Questo ancora di più se si pensa che quando eravamo al ristorante qualcuno di noi spiegava di portare una tazza di acqua calda che solitamente arrivava in una teiera, e chiedeva rassicurazione che i cibi vegetariani non contenessero grassi animali o uova. L'acqua calda dopo pranzo e cena, pare gli fosse stata suggerita da qualche suo amico medico per arginare le difficoltà di ingestione dovute la cardiospasmo di cui U.G soffriva, mentre il cibo era conforme all'alimentazione di un indiano vegetariano. Ricordo due casi precisi nei quali il proprietario, anzi in entrambi i casi era una proprietaria, vollero sapere di più su di noi. La prima volta successe mentre U.G era nostro ospite. C'era infatti a Bracchio, sopra a Mergozzo, a pochi km da Baveno, un ristorante vegetariano che era anche sede di incontri e seminari sullo Yoga, sullo Shiatsu etc. Teresa ed io lo conoscevamo ed avevamo già provato a condurci U.G quando era qui ma senza successo, perché quando nominavamo yoga lui cambiava discorso, tanta era la sua determinazione a negare cose in qualche modo legate alla spiritualità. Una volta poi, non ricordo come e perché, accettò. Dopo il pasto, eravamo già in macchina e stavamo per partire quando sentii la proprietaria che era uscita nel piazzale chiedere a voce forte: “Chi è il signor Piazza?”. Avevo fatto la prenotazione a mio nome quindi era naturale che nel gruppo cercasse me. Sporgendomi dal finestrino risposi: “sono io”. E lei di rimando: “mi dica, la prego, chi è quella persona”, riferendosi chiaramente a U.G. Le altre macchine erano già in movimento, quella di U.G davanti a tutti stava già uscendo dal parcheggio, non

avevo il tempo e forse neppure la voglia di spiegare. Le dissi: “E' U.G Krishnamurti”. Lei si mise le mani sul viso e con aria sorpresa disse: “noooo il Krishnamurti”. Non so se lo avesse preso per Jiddu, o se le sue conoscenze in materia fossero così profonde da conoscerlo, (c'era già il sito web su U.G ed un “addetto ai lavori” avrebbe facilmente potuto conoscerlo). Poi disse qualche altra cosa del tipo: “ritornate vi prego” al che io risposi che non dipendeva da me. Quindi Giovanni che guidava la macchina su cui ero, per non perdere il gruppo iniziò a muoversi ed io salutai la signora e la conversazione fini lì, senza ulteriori sviluppi. Non sono poi più tornato con o senza U.G in quel posto. Un altra volta eravamo sulla riviera ligure, in un ristorante anche di un certo lusso. Evidentemente la proprietaria notò qualche cosa di insolito in noi ed alla fine del pranzo, dopo aver pagato mentre uscivamo disse qualche cosa a noi del tipo che lei era interessata ai maestri indiani e non so cosa altro. Questo senza che nessuno di noi le avesse parlato ne detto niente su chi eravamo e su chi fosse U.G. Evidentemente lo aveva intuito da sola. Poi disse qualche cosa a U.G che per tutta risposta fece tradurre che il pranzo era stato ottimo, aggiungendo in italiano “splendìdo e meraviglioso”, (splendìdo con l'accento sulla i, buffo da sentire), e si avviò verso l'uscita senza cerimonie e senza dare altra confidenza alla proprietaria. Toccò a Mario, che si era fermato, inventarsi qualche storia per dare le risposte che soddisfacessero la signora. Anche alla pizzeria di Stresa, quella dove io e Teresa andavamo spessissimo durante i nostri week-end a Baveno, e di conseguenza ci andammo spesso anche quando veniva U.G, la signora ci chiese chi fosse quel signore anziano. Ma lo fece con molta discrezione accontentandosi delle spiegazioni che le diedi dicendole che era un filosofo indiano, nostro amico. La pizzeria di Stresa fu quella dove a U.G si ruppe la dentiera. Lo ricordo bene perché ero seduto davanti a lui. Non entrerò nei particolari anche se vi assicuro che una scena che per altri, e in contesti diversi sarebbe stata scabrosa ed imbarazzante, con U.G non lo fu affatto, tanta era la naturalezza e la grazia con la quale affrontava le cose della vita. Pensai che l'avrebbe fatta rifare ed invece quando andai a Gstaad, l'estate successiva, lo trovai con un po' di rincrescimento, ancora senza denti ed anzi da quella volta rimase senza fino alla fine. Chi ha visto qualche filmato degli ultimi tempi lo avrà sicuramente notato. Bramino. In ogni appartamento dove rimaneva U.G aveva delle stoviglie e delle posate che erano solo sue. Le comprava espressamente lui nei suoi giri ai centri commerciali. Non usava infatti i nostri piatti e le nostre posate. Marisa che lo frequentava da molto tempo ed aveva con lui grande confidenza una volta lo attaccò su questo. Gli disse: “Perché vuoi avere delle stoviglie tue? Perché non puoi usare quelle che usiamo tutti noi? ” La

risposta assertiva di U.G fu: “I am a bramin”, (sono un bramino ed è usanza dei bramini non avere niente in comune con l'altra gente che non sia bramina) . Il set di posate e le stoviglie che aveva preso per Baveno mi è rimasto come suo ricordo, assieme ad altri piccoli oggetti che invece furono donati direttamente da lui a me ma soprattutto a mia moglie. Con chi lo frequentava era prodigo di doni che spesso erano i regali che gli portavano e che lui non teneva per se ma a sua volta regalava ad altri; mentre altre volte erano piccole cose comprate da lui apposta per regalarle a qualcuno. A Stresa, più di una volta, ci fece andare in un negozio che aveva delle graziose caffettiere per comprarne qualcuna da regalare a qualche coppia sua amica. Teresa ha un foulard ed un ombrellino tascabile che furono suoi doni. Come si faccia, a fare combaciare questo suo aspetto fatto di doni e di carinerie con l'altro aspetto burbero di quando ci diceva: “cosa venite qui a fare? Qui non c'è niente da dare e niente da prendere. Andate via, da me non otterrete nulla....” e tutta l'altra litania che spesso ci sentivamo dire, è un'impresa che ognuno deve fare da se. Comunque le persone che ricevevano i regali, così come quelle che ricevevano l'invito ad andarsene, erano le stesse. Anche l'algoritmo che determinava le persone a cui faceva regali era imperscrutabile. A volte persone appena arrivate ricevevano doni a profusione laddove magari tu che lo seguivi da anni non avevi mai avuto niente. Io credo che lui rispondesse al carattere delle persone, cioè se una persona era intimamente generosa e prodiga nei confronti degli altri si sarebbe vista fare molti regali da U.G, mentre se non aveva questa predisposizione d'animo o se questa predisposizione era sommessa, a sua volta U.G non avrebbe sentito l'impulso di fare regali. C'era una grande reciprocità in lui e come uno specchio vuoto e terso lui ci rimandava quello che avevamo dentro e come lo faceva nelle cose materiali lo stesso succedeva per l'attitudine. Chi era aperto, trovava apertura, chi era buono trovava in risposta bontà, chi andava con amore trovava amore, chi era insolente riceveva insolenza. Comunque, se poteva sembrare parziale su questi piccoli doni era invece attento sulle grandi cose. Una volta ci invitò a Gstaad per una settimana ma quella volta non riuscii ad avere ferie per cui dovetti declinare. Un amico recente, venuto a sapere che c'era questo appartamento libero per una settimana si fece avanti, per approfittarne. Ma U.G disse a Mario che si interessava all'affitto e dell'assegnazione degli appartamenti: “andiamo Mario.... da quanti anni conosciamo il Piazza mentre l'altra persona la conosciamo da poco. Non è il caso di ospitarla in quell'appartamento......” Soldi, soldi. Ci fu anche una volta che successe una cosa insolita, una scena inedita anche da parte di U.G. Eravamo in un bar ad Argegno sul lago di Como. Vedendo l'insolito gruppo già il barista mi aveva chiesto se io ero per caso il famoso signor xxxxxx. Qualcuno del quale neppure conoscevo il nome. Io risposi, indicando U.G, che se c'era qualcuno di

famoso tra noi era quel signor anziano. Il barista comunque saputo che io non ero il signor xxxxxx non fu più interessato e la cosa finì lì. Alla fine del rinfresco, dopo avere gustato torte e bevande, stavamo alzandoci quando U.G si avvicinò ad una mamma che teneva in braccio un bambino piccolo. Avrà avuto si è no un paio d'anni. U.G estrasse 50 euro dalla tasca e li porse al bimbo, che li prese e dopo averli guardati un po' li diede alla mamma che rossa ed imbarazzata non sapeva cosa fare. Mentre U.G faceva i suoi apprezzamenti sui bambini piccoli che già riconoscono il valore dei soldi etc. etc. Renu in qualche modo spiegava alla madre che la persona che aveva dato i soldi al bambino era un grande maestro e che era una grande benedizione il fatto che glieli avesse dati. U.G intanto aveva estratto di tasca un altro biglietto da 50 euro e aveva dato anche questo al bambino. La banconota fece la stessa fine della prima, passò dal bambino alla madre che sempre più confusa e forse senza capire se i soldi sarebbero rimasti a lei biascicò qualche parola di ringraziamento. Il gruppo intanto stava muovendosi ed anche U.G si allontanò sempre facendo commenti sul bambino che già conosceva i soldi etc etc. Noi eravamo stupiti, per quanto uno potesse ancora stupirsi con U.G. Non era sua abitudine regalare soldi ad estranei anche se spesso ai ristoranti dava mance faraoniche. Ai tempi non cercai spiegazioni razionali a quel fatto. Non se ne discusse neppure tra di noi e forse ciascuno elaborò la sua spiegazione. Oggi mi dico che probabilmente la madre era così disperata da avere avuto bisogno di quei 100 euro, oppure probabilmente U.G voleva insegnare a qualcuno di noi, forse troppo attaccato al denaro, che i soldi sono tutto e niente nello stesso tempo, che vanno e vengono e che non bisogna essere schiavi dei soldi. O forse le due cose assieme. Quello che so oggi è che se U.G faceva qualche cosa significava che andava fatta perché impersonale com'era le sue azioni erano intonate ai fatti e non alle opinioni. Gli open di tennis a Gstaad. Ho due aneddoti legati al torneo di tennis che si tiene ogni estate a Gstaad. Un torneo abbastanza importante inserito nel giro dell'ATP, (Associazione Tennisti Professionisti), mondiale. Il primo riguarda una volta che Teresa ed io venimmo via dall'incontro con U.G un po' prima perché avevamo preso i biglietti della finale e volevamo vedere la partita. U.G ci chiese dove andavamo e saputo che andavamo a vedere il “match” di tennis disse: “ c'è un diverso tipo di match qui, (presso di me)”, smentendo con questo l'usuale sua asserzione che era inutile andare da lui. Il secondo è sicuramente solo una coincidenza ma il fatto mi colpì. C'era a Gstaad quell'anno un amico di Madras di U.G. Un uomo dalla pelle molto scura, come scuri sono spesso gli abitanti dell'India del Sud. Qualcuno ci disse che era un industriale ed uno degli uomini più ricchi di Madras. Non si vedeva mai agli incontri del pomeriggio ma lo vedevamo salire durante il giorno. Ai tempi noi seguivamo il tennis ed anche il torneo e sapevamo gli incontri in programma. Quella sera avrebbe giocato il francese Cedric

Pioline, testa di serie numero 3 del campionato, contro tale Ramesh Krishnan, un indiano sconosciuto che si collocava attorno al 400esimo posto nella classifica mondiale e che partecipava giusto con una wild card. Un incontro senza storia avremmo detto tutti. U.G quella sera ci disse che il suo amico ci teneva tanto che vincesse l'indiano al che io dissi, (o forse feci tradurre da qualcuno), che sarebbe stata dura visto che i contendenti erano, uno il numero 3 del torneo, mentre l'indiano era di molto indietro. Bhe per una coincidenza incredibile, contro tutte le previsioni, vinse l'indiano. Passò solo quel turno e poi fu eliminato ma vinse ed io trovai la cosa degna di nota. A noi che eravamo nella zona dei campi a curiosare, toccò la polvere alzata da una sgommata di un Pioline che incazzatissimo lasciava con la sua fuori serie, l'area dei campi da tennis ma questo è un dettaglio ininfluente. La competizione. C'era, tra noi che seguivamo U.G, una notevole e forse comprensibile, competizione per rimanergli il più vicino possibile e per avere un posto speciale accanto a lui. Io che non amo la competizione e mi sono sempre chiamato fuori da questo gioco, probabilmente ero in una posizione privilegiata per rilevare questo aspetto. E' anche vero che U.G non si sarebbe fatto monopolizzare più di tanto, come non era possibile strumentalizzarlo più di tanto, ed è sempre riuscito a mantenere la cosa nei limiti del gradevole. Uno dei momenti nei quali c'era la coda per accompagnarlo era alla sera alla fine degli incontri. Infatti spesso U.G pigliava per se stesso un appartamento piccolo e teneva gli incontri nell'appartamento di qualcuno che fosse più grande e più agevole per contenere le persone che andavano a trovarlo. Una cosa simile succedeva a volte a Gstaad, (lì U.G cambiò diversi appartamenti dopo che lo chalet Sunbeam non fu più disponibile), ed a Baveno, dove il nostro appartamento, dove U.G dormiva, distava circa un mezzo km dal luogo degli incontri. Finito l'incontro c'era quindi la gara su chi sarebbe andato ad accompagnare U.G. A Baveno era casa mia e quindi avrei avuto il diritto e la precedenza di accompagnarlo ma, come dicevo, mi tiravo indietro preferendo lasciare ad altri il privilegio. Una mattina invece ero andato io a prenderlo e mentre scendevamo con la mia macchina, io mi fermai ad una curva piuttosto stretta perché, nel senso inverso, stava sopraggiungendo un altra macchina. Come l'altra macchina sbucò dalla curva U.G, che era solitamente silente e che raramente, ma molto raramente, poneva domande, mi chiese: “come facevi a sapere che stava arrivando una macchina?”. Siccome ai tempi, avevo perso il timore reverenziale dell'inizio, fui tentato di scherzare, millantando poteri psichici e dicendo stupidaggini del tipo che qualche cosa dentro di me sapeva che arrivava un'altra macchina, ma fui sincero e gli dissi che c'era uno specchio in alto nel quale si vedeva se dall'altra parte proveniva qualcuno. Lui non fece nessun commento alla mia risposta ma mi aveva colpito la sua reazione attenta e vigile davanti a qualche cosa che poteva violare le comuni leggi della percezione.

Psichico. La sua capacità di leggere il pensiero per mè è fuori discussione. Ma credo che chiunque gli sia stato vicino per un poco ve lo possa confermare. Stavo giusto cercando materiale per stimolare i miei ricordi quando nei resoconti dei suoi viaggi con U.G, espressamente nel viaggio ad Hong Kong, ho trovato queste parole di Julie Tayer:

“U.G. Conosce assolutamente ogni pensiero ed emozione che mi passa nella

mente. Sono sicura di quello. E' sconcertante, inquietante e infine liberatorio liberatorio nel senso che una volta che vedo non ho nessun posto dove nasconderli smetto di provarci.”

Io questa sua peculiarità l'ho sperimentata soprattutto nella risposta a mie richieste interiori pensate intensamente e mai espresse verbalmente. La prima volta in assoluto che mi successe fu il primo anno, la prima settimana di frequentazione. Una sera ero in hotel ed ero molto giù di morale perché pensavo alla mia scarsa autostima ed alla mia sfiducia cronica in me stesso e pensavo che quello non mi avrebbe certo aiutato nella mia ricerca. Il giorno dopo, all'incontro, senza essere sollecitato da nessuna domanda U.G parlò di autostima. Ai tempi la mia conoscenza dell'inglese era abbastanza nulla, e nessuno mi traduceva ma capii abbastanza per realizzare che il suo era un attacco senza quartiere, come speso sapeva fare, contro gli psichiatri e gli psicologi che glorificavano l'autostima. Realizzai che quello era un soccorso al mio sconforto ed alla mia domanda inespressa, ma era la prima volta e poteva essere stato anche un caso. Siccome lui aveva usato espressamente la parola auto-stima chiesi poi a chi conosceva bene l'inglese quale fosse la traduzione esatta del termine e tutti mi dissero che era “self confidence” o al massimo “self-estime”. Questo rendeva il fatto ancora meno papabile per essere una coincidenza perché U.G nel parlare aveva proprio detto autostima in italiano. Anni più tardi, quando il mio inglese cominciava a funzionare ed io cominciavo ad interagire con lui, nel corso di un incontro gli feci la stessa domanda, forse inconsciamente sperando nella stessa risposta, ma questa volta la sua risposta fu: “Certo. E' la chiave del successo nella vita”. Chi c'era a rispondere lì? Da dove veniva e per quale motivo veniva quell'aiuto desiderato ma non sollecitato? Leggete questo sue parole e ditemi se non si incastrano perfettamente a quanto mi è successo a Gstaad: - Le mie parole non sono altro che la risposta al vostro dolore che voi esprimete con le vostre domande le vostre discussioni e considerazioni. Se tirate una palla contro un muro questa rimbalza; qui avviene la stessa cosa. Le mie parole sono il diretto risultato delle vostre domande. Qui non c'è niente di mio non c'è un programma palese o nascosto da rispettare, non c'è niente da vendere, non c'è un

interesse personale, non c'è nulla da dimostrare. Un fatto analogo mi, anzi ci, successe l'anno successivo quando ci ripresentammo a Gstaad, per passare due settimane di ferie e venimmo presi da tutti i dubbi del mondo, nel salire al suo chalet. L'anno precedente, cioè il primo, era stato paradossalmente, più facile; la fortuna ci aveva aiutato e gli incontri erano sempre stati tenuti sul prato fuori, questo dava un tocco di informalità che ci aveva molto facilitato. Ma le cose si presentavano diversamente ora. Forse perché c'era ancora poca gente e salendo a quello chalet si aveva l'impressione di andare a casa di amici più che andare da un maestro. Venendo via dall'incontro la prima sera sia io che Teresa dubitavamo di come saremmo riusciti ad andare per due settimane da lui visto che a livello personale non avevamo sviluppato nessun tipo di rapporto. La vedevamo veramente dura e fu così che quella sera, mentre mangiavamo in un ristornate ed elucubravamo sui nostri dubbi, lui ci si presentò davanti chiedendo il nostro aiuto per un piccola questione. In pratica aveva ricevuto una telefonata, diretta ad un suo amico e ritenendola per lui molto importante, voleva rintracciarlo. “Altrimenti non vi avrei disturbato”. Disse. “Disturbato?”. Quel breve giro in macchina che facemmo alla ricerca dell'amico e quella chiacchierata che avemmo era quanto ci serviva per sentirci un po' più in confidenza, per sfrondare i nostri dubbi e metterci nelle condizioni di salire da lui per le due settimane successive. Il sesto anno, come ho scritto nel mio diario, “Il fiore raro”, ebbi una crisi molto forte sul mio rapporto con lui, perché dopo anni non ero riuscito ad avere la confidenza che agognavo. Ancora una volta espressi il mio disappunto in una animata conversazione con mia moglie ed ancora una volta, trovai la sua risposta pronta e sollecita. Questo è il mio diario riguardo a quel sesto anno dove, come si vedrà, U.G rispose ampiamente alla mia richiesta inespressa. Mentre da un lato mi sento annoiato della routine e non vedo più quasi nessun fascino nel salire a quello chalet, dall'altro soffro in modo struggente per la mia incapacità di avere un accesso più libero e spontaneo verso U.G. Molti degli altri suoi amici salgono ad ogni orario, stanno con lui come e quando vogliono. Noi siamo ancora confinati agli incontri delle quattro del pomeriggio. Amici arrivati dopo hanno saputo accattivarsi l'accesso a U.G. molto più in fretta e molto più facilmente. Ne parlo con Teresa e su questo litighiamo ferocemente. Lei non sente il mio bisogno ed il mio conflitto interiore. "Facciamo anche noi come gli altri", mi dice. "Loro non si pongono tanti problemi e salgono da lui". "È fuori dalla mia natura", ribatto. “Mi sembrerebbe di essere invadente”. Discutiamo animatamente, mentre contemplo questo mio lato caratteriale. Teresa incalza, "Impariamo a fare come gli altri".

"No!", rispondo risoluto, "non in questo caso. Se anche qui la logica deve essere chi più sa prendere più ha, allora non ho capito nulla. Questa è la logica della vita, questa è la logica dell'ambiente dove lavoro. E' la logica del business. O.K. ne prendo atto, ma non accetto questo da U.G. Se le cose stanno così sono venuto nel posto sbagliato. Se anche con lui prevale questa logica allora, tanto vale che me ne stia a casa o in qualsiasi altro posto del mondo. Allora U.G. non è assolutamente nulla". Nello scambio animato che ho con Teresa, dico cose che sento profondamente dentro di me. Le dico e le penso, con grande intensità d'animo e come già successo questo mio pensiero molto profondo, molto sentito, provocherà alla fine una risposta, come andremo a vedere. La risposta non è immediata. Gli incontri successivi si trascinano più o meno stancamente come era avvenuto sino a quel punto. Però la risposta c'è, inavvertita, lieve, sapiente, così tanto sapiente che mi accorgerò solo a distanza di più di un anno che tutto quanto è avvenuto in quei giorni e nei giorni a venire era la risposta alla mia preghiera silenziosa, al mio lacerante grido di aiuto. Non so cosa potrebbe pensare U.G. se sentisse queste parole. ma le parole che ho da dire sono queste, ed io le voglio dire, tutte e fino in fondo. Si avvicina la fine delle nostre due settimane a Gstaad, e U.G. con la sua consueta semplicità, ci butta lì una frase simile alla seguente: "Voi che siete vicini perché non tornate a trovarmi ad Agosto? ". La domanda sembra vaga, ed altrettanto la mia risposta, che è stata del tipo: "può darsi!, devo chiedere al mio capo in ufficio se mi da i giorni". "Tu sei il capo", incalza U.G. con enfasi. Bisogna conoscere il personaggio per capire appieno l'impatto di un suo invito diretto. Gli amici stessi si stupiscono e si complimentano con noi. Un invito di U.G. Dell'uomo che dice continuamente: "Andate via cosa venite qui a fare?".

Mentre si lascia nel vago la cosa, una parte di me si rasserena come se conoscesse gli eventi futuri. Nel mese che ci separa dal nostro ritorno a Gstaad, Teresa ed io iniziamo a parlare di un possibile viaggio in America. La mano del destino guida con maestria l'accadimento

degli eventi. La suocera sta bene, la stagione è buona. I giorni di ferie a settembre sono già programmati. Perché non l'America? Io non l'ho mai vista e Teresa ha sempre espresso il desiderio di tornarci. Per ferragosto torniamo a Gstaad a spendere tre giorni, come U.G. ci aveva suggerito. Tre cose significative accadono in questi tre giorni. Abbiamo accesso a U.G anche al mattino. U.G. mi da un biglietto che contiene la lista di tre case editrici Italiane con una raccomandazione di un amico, un editore francese, a cui sottoporre la traduzione del libro “The courage to stand alone”. Confermiamo il nostro viaggio in America. Abbiamo in mente l'itinerario esatto, che si compone di New York e Palm Springs. Entrambi questi posti sono le mete di U.G. quando lascerà la Svizzera. Però siamo ancora incerti sulle date, e sulle modalità del viaggio. Io visto il gioco di fusi orari e di ore di volo opterei per una soluzione come segue: "tre giorni a New York, una settimana a Palm Springs, ritorno a New York, con permanenza di qualche altro giorno in modo da ammortizzare ore di volo e Jet Lag". Teresa ha un'altra ipotesi che non ricordo. Quando U.G. sente che non abbiamo ancora deciso sulle date con il suo caratteristico senso pratico, taglia corto e dice: " una settimana a New York, ed una settimana a

Palm Springs".

Non vedo ancora che tutto quanto sta accadendo è una risposta ai miei pensieri di Gstaad. E mi ci vorrà ancora molto a capirlo. A Palm Springs arriviamo in una mattina rovente di fine estate, io mia moglie e quella terribile Hyundai con il cambio automatico che ho noleggiato all'aeroporto di Los Angeles. Mi fermo a inizio città e chiamo il numero di telefono che ho con me. Non ho altro che quel numero, ed ho vagamente idea di quali amici possano essere lì. Dopo qualche tentativo di spiegarci la strada, Robert, (quello che avevo conosciuto a Gstaad), viene a recuperarci con Lisa lì dove siamo. Raggiungiamo la casa dove U.G. risiede. È una piccola casa americana che gli ha messo a disposizione il dottor Lyn, ed è vicino alla casa di Lisa. U.G. ci fa accomodare, ci saluta, e ci fa mettere a nostro agio. Dopo quattro chiacchiere di benvenuto andiamo tutti assieme a cercarci una sistemazione. Troviamo velocemente l'albergo, che è un po' sotto ai nostri standards, ma non importa; quello che importa è che tutto quello che sta succedendo proprio lì ed in quell'attimo preciso ha il fascino

immenso della realtà. La settimana a Palm Springs, scorre veloce. Incantevole cittadina nel deserto californiano, ci culla con il suo senso di dolcezza e con il suo calore in senso meteorologico e non. Dividiamo il tempo tra il desiderio di visitare i posti nuovi e quello di rimanere con U.G. e con tutti i nostri amici vecchi e nuovi. Ora abbiamo accesso anche al mattino, e U.G. non fa mistero di svelare il suo lato umano. Dopo una settimana, con l'animo colmo di belle cose torniamo alla fine in Italia. Gli eventi della nostra vita seguono il loro corso. Il 22 febbraio, giorno del mio compleanno chiamo, U.G. in India, faccio quattro chiacchiere veloci, senza spessore, così tanto per sentire la sua voce. Verso fine Febbraio scambio delle mails con Moorty per mettere in linea la pubblicazione e nell'ultima gli dico: "Se sai che U.G. è in Europa fammelo sapere". Ed appesa ad una mail, mandata quasi per caso, si celano altri brani del futuro. So che Moorty, è uno di quelli che lo seguono con più costanza e che sanno sempre dove si trova. La sua risposta, stranamente non è immediata. (Ho provato a mandargli una mail, alle 21 ora italiano, ed alle 23, nel ricontrollare la posta prima di scollegarmi da internet, trovare una sua risposta). Ma......dopo pochissimi giorni Teresa riceve a casa la telefonata di Mario che gli dice che è con U.G. a Friburgo, e la prega di farmi chiamare a sera quando torno dall'ufficio. Detto, fatto!. a sera parlo con U.G. Lui mi espone il giro che intende fare in Europa, e con il mio inglese stentato registro che per il fine settimana sarà ad Amsterdam per qualche giorno. Una parte del mio cervello lavora in proprio. Non so come, ne perché, ma mi faccio dare il numero di Henk in Amsterdam dove U.G. sarà ospite. Come e perché mi diventa chiaro subito dopo, nello svolgersi degli eventi che sembrano pilotati da una forza superiore. Mi sono fatto dare il numero perché devo chiamare Henk, perché voglio e devo andare là. Perché devo incontrare U.G., perché con lui non prevale la logica della vita, non vincono i furbi i più aggressivi e prepotenti, perché lui ristabilisce l'ordine, lui ha il vero potere, lui sta rispondendo alla mia preghiera. Per farla breve il giorno dopo Teresa ed io siamo su un aereo per Amsterdam. Tutto era già scritto, la parte del mio cervello che lavora in proprio lo sapeva molto bene. Divertente vedere anche come noi due che usiamo preparare i nostri viaggi all'estero con molto anticipo, ed in mezzo a molti dubbi, ci siamo ritrovati in questo caso a muoverci con estrema velocità e sicurezza. Veramente tutto sembrava seguire un

percorso già tracciato. Non vi è stato nello svolgersi degli eventi l'ombra di un ostacolo o di una difficoltà. Persino il mio inglese, sempre stentato, in Olanda sembra funzionare a meraviglia. È tutto bello quasi un sogno, come se fossimo catapultati in una avventura un po' diversa, in una dimensione nuova. Anche la mia fuga dall'ufficio, chiedendo di corsa i giorni di ferie è una piccola rivincita contro il grigiore e contro l'odiosa standardizzazione che una vita da dipendente mi ha appiccicato addosso. La dolcezza e la bellezza di Amsterdam, che vedevo per la prima volta, ci fanno compagnia in questo nostro soggiorno, anche se ancora una volta l'attrazione principale è lui. La permanenza è fissata per quattro giorni ed in questi quattro giorni stiamo molto con lui e con gli amici. C'è un momento nel quale poi faccio qualche domanda a U.G incalzandolo: "U.G. quello che mi intriga è di capire cosa guida i tuoi spostamenti da luogo a luogo". "Sfuggo da voi", risponde lui evadendo la domanda. "Non ci credo", gli dico, "se fosse così potresti ritirarti in una grotta". "La gente che mi circonda è la mia sola realtà ", risponde lui contraddicendo la sua prima risposta. "Ho l'impressione che tu nasconda qualcosa", concludo. U.G. si rivolge a Henk: "Dice che nascondo qualcosa!", gli dice con un tono tra domanda e affermazione. "Certo", risponde Henk, "è risaputo". Come sempre quando siamo con lui la questione muore lì, e si scivola su altri argomenti. Non siamo ad una scuola di profonda filosofia, siamo ad una scuola di profonda realtà. Anche questo soggiorno si avvia verso il termine, parlando dei suoi prossimi spostamenti U.G parla di Parigi, e poi forse Italia a fare una visita agli amici di Roma, oppure Inghilterra. Ne approfitto per riproporgli per l'ennesima volta l'invito a Baveno nel nostro appartamento al lago. Lui rimane nel vago. "Devo ancora decidere", dice. L'ultimo giorno siamo alla stretta di mani. Tutte le mani degli amici presenti, tranne la sua dato che tendenzialmente non da la mano. Lo saluto, lui mi fissa con il suo sguardo incredibile e indicando Teresa dice: " Per il bene di lei verrò in

Italia", poi forse dubbioso che io possa mal interpretare il suo inglese e pensare che abbia capito per il mio bene e che quindi mi monti la testa aggiunge con molta enfasi: "per il suo bene, non per il tuo".

Glisso, mentre un'onda di benessere mi attraversa il cuore. Rispondo con una battuta che ora non ricordo, e ci avviamo verso l'uscita. Sarà solo in strada, dopo qualche decina di minuti, che capirò che con quell'ultima frase U.G. ha risposta alla mia domanda del giorno prima. "Quello che mi muove di posto in posto è il vostro bene". Non l'ha detto chiaro, non poteva. Chi lo salverebbe da richieste senza fine se dicesse chiara una cosa del genere. Quindi riassumendo: "tutti questi accadimenti sono una risposta alla mia preghiera di Gstaad"? Non io ho vinto la mia riservatezza, ma lui con la sua intelligenza ha pilotato le cose in modo che gli eventi mi portassero ad ottenere quella comunanza con lui che tanto avevo bramato quel giorno a Gstaad, e che a causa del mio carattere non avevo saputo prendere. Quindi basta tutto questo per colmare la mia preghiera di Gstaad? E no che non basta! Dopo Parigi e qualche contatto telefonico U.G. viene in Italia nostro ospite a Baveno. È mercoledì pomeriggio, (della settimana dopo Amsterdam), Teresa mi telefona in ufficio eccitata. "Ha telefonato Nataraj", dice, "arrivano oggi a Stresa alle 18, l'appuntamento è davanti all'hotel Primavera", (che per U.G. ha qualche significato recondito). Ancora

una

volta

mi

sento

profondamente

vivo

e

profondamente

immerso

nell'avventura e nella realtà. Mollo l'ufficio e chiedo ferie per il giorno dopo, senza dare spiegazioni. Corro a casa a recuperare Teresa, e ci avviamo all'appuntamento. È proprio Teresa, a dipingere la suggestione della nostra corsa verso Stresa, in un soleggiato pomeriggio d'inizio primavera con queste parole: “Vedo la nostra macchina e la loro che si stanno correndo incontro sui nastri d'asfalto, per incontrarsi come in un abbraccio”, dice. Ed è difficile dipingere la palpabilità della gioia che riempie l'abitacolo della macchina in quei momenti. Poco prima delle 18 siamo davanti

all'Hotel. Arriveranno alle 18,30. "Siamo in ritardo", dice U.G.", “Mezz'ora di ritardo su una distanza così lunga mi sembra ragionevole” rispondo". Sono partiti alla mattina da Parigi, e l'ultima conferma l'avevamo avuta alle 16 da Lucerna. All'inizio fa' un po' di resistenza sull'offerta di fermarsi ospite nel nostro monolocale. Suggerisce che magari è meglio che lui vada in albergo. Secondo me vuole capire se e quanto è realmente ben accetto. Io insisto affinché dia un'occhiata all'appartamento poi se non gli piace possiamo cercare un albergo. Seguiamo il mio suggerimento, e alla fine si lascia convincere. Con lui c'è Nataraj e Yashoda, poi arriverà anche Trisha la ragazza di Yashoda. Io e Teresa ci esiliamo in albergo, gli altri amici in campeggio, mentre lui rimane nel nostro monolocale.

È veramente difficile mettere sulla carta tutte le sfumature, tutte le delicatezze, tutta la genialità di cui è capace. Se ad Amsterdam erano stati quattro giorni belli, ancor di più lo sono questi in Italia. Il giorno dopo andiamo tutti a Milano, lui naturalmente vuole andare alla Rinascente, mentre i due amici tedeschi visitano il Duomo. (Trisha non è ancora arrivata). Alla sera noi rimaniamo a Milano in quanto il giorno dopo io devo lavorare. Siamo straniti entrambi, Teresa ed io quella sera. Io ho un mal di testa come non avevo mai avuto e Teresa sembra stordita. Effetti collaterali della vicinanza a U.G. La mattina dopo carico di un dinamismo mai conosciuto prima, chiudo tutte le mie pendenze lavorative e chiedo ferie per il pomeriggio. Penso tra me e me: "Ora che è qui a mia disposizione sono così pazzo da lasciarmelo sfuggire?". Arriviamo al lago presto, ma lui arriverà alla sera alle sette, più o meno l'ora in cui avevamo detto che arrivavamo noi. Quando sa che l'aspettavamo dalle 16 mi chiede scusa. "Sono io che non ti ho avvertito", rispondo, "la colpa è mia". Ci aspetta il week end di comunanza con lui. Si mangia da lui. Nataraj cucina ed a turno si asciugano i piatti. Si va in giro con lui. Molte ore di macchina, poche fermate, qualche piccolo centro commerciale. Non finirò mai di dirlo: "è sorprendente come con lui tutto sembri seguire un ordine prestabilito. Gli ostacoli si appianano. Gli eventi anche i più insignificanti si colorano di vivo, di reale”. Sembra di vivere in un sogno colorato, eppure le cose che si fanno sono le cose ordinarie di tutti i giorni. C'è un altro momento in cui mi attraversa una sensazione che voglio riferire. È una sensazione che riconosco, non mi è nuova, mi era già successa nell'infanzia. È solo una sensazione e vale quello che vale, però l'ho provata quindi la riferisco. Si tratta di una gioia intensa che mi ghermisce mentre siamo tutti e cinque li attorno a U.G. parlando e scherzando. È una gioia pura, un momento di serenità, in cui percepisco che è bello stare assieme. È bello condividere momenti con amici, senza ansia, senza sottintesi, senza secondi fini, senza aspettative. La gioia dell'essere assieme in se e per se. Ricordi ancestrali che appartenevano alla purezza del bambino. In contrasto con i rapporti degli adulti in cui anche nei casi più puri non manca mai un tacita aspettativa di ricevere qualche cosa in cambio. Non fosse altro che un grazie per la nostra gentilezza. Con U.G. queste cose sono bandite. Domenica sera l'arrivederci. Lo salutiamo e salutiamo i tre amici tedeschi che lo hanno accompagnato li. Al lago aveva anche ventilato l'ipotesi di andare a Roma. Marisa, Paolo, Salvatore ed altri l'aspettano, però l'ho sentito recentemente a Londra e mi ha

detto

che

per

quest'anno

ha

chiuso

con

l'Italia

e

che

non

verrà.

Pazienza

l'incontreremo a Gstaad.

E' per me, indubbio che U.G abbia risposto a mie preghiere inespresse come diventò indubbio e persino normale, ad un certo punto della frequentazione realizzare che lui conoscesse i nostri pensieri. Potevano esserci anche casi dove uno se ne stava seduto comodamente ad ascoltarlo e lui partiva a rispondere ad una domanda che aveva in mente senza averla espressa. A me successe più di una volta di avere l'impressione che lui stesse rispondendo specificatamente a me ed alle mie domande interiori, ma come a me successe anche a molti altri. Oppure ricordo il caso di un amico che se ne stava in silenzio da ore ed al quale U.G si rivolse all'improvviso dicendo: “mi piace come lavora la tua mente”. Oppure quando in mezzo alla gente diceva: “I pensieri della gente sono gli stessi ovunque, pensano sempre in piccolo ai propri interessi ed ai propri soldi”. Ci sono poi aneddoti nei quali U.G mi dimostrò di conoscere particolari della mia vita che non avevo mai espresso ne a lui ne ad altri ma sono troppo personali ed intimi e non mi sento di condividerli, almeno per ora. Tutto questo potrebbe essere al limite del paranormale, tanto è che U.G non amava parlarne e ricordo specificamente una volta che Denise Desjardins, gli chiese di parlarci della “sfera di pensiero” ma lui gentilmente declinò e suggerì di parlare d'altro. Questa capacità di conoscere i pensieri altrui è comprensibile se ascoltiamo queste sue parole prese da: “L'unico dialogo pubblico di U.G dopo quella che lui chiama calamità”: “Posso dirvi che il pensiero è materia; che è una vibrazione, e che tutti noi funzioniamo in questa sfera di pensiero. Ognuno di noi cattura i pensieri da questa sfera, perché l'organismo umano è un campo elettro magnetico e questo campo elettro magnetico è il prodotto della cultura”. I pensieri che aleggiavano nella stanza dove ci trovavamo erano quindi comuni a tutti noi. Ciascuno di noi era focalizzato su pensieri che chiamava suoi, mentre U.G, privo com'era di un ego e quindi dalla pretesa di avere pensieri suoi, non poteva altro che sentire questi pensieri comuni. Il dubbio che ebbi ad un certo punto fu se lui fosse sempre in grado di abbinare il pensiero alla persona che, diciamo, l'aveva catturato, per usare la sua espressione. Evidentemente si, se penso alle risposte che ho avuto a fronte di domande mie inespresse. Evidentemente no, se penso ad altri casi nei quali magari fui accusato di nutrire pensieri che a tutti gli effetti non nutrivo. Non mi sovviene ora il caso specifico ma in un paio di casi ricordo che mi rimproverò ed io lo guardai come per dire: “ma cosa stai dicendo?” o come per giustificarmi e dire: “ma non sono io che ho pensato quella cosa o che nutro quel pensiero!”. Si potrebbe infine obbiettare che doveva essere imbarazzante stare con una persona che conosceva i tuoi pensieri, e se penso ad alcuni dei pensieri che mi giravano a volte

per la mente mi stupisco io stesso dal fatto che non fossi imbarazzato. Forse ritenevo che come io convivevo coi miei pensieri così poteva fare anche lui. Ora so che non è neppure così perché i nostri pensieri, come lo cose del mondo sfioravano solo il suo Essere e lui poteva rimanere incontaminato pur in mezzo a quella bolgia. L'attacco ai maestri. Gli attacchi ai maestri, assieme alla sua attitudine a negare quello che possiamo, per sintesi chiamare, “il mondo dello spirito”, è probabilmente la cosa più difficile da accettare per coloro che vengono o sono venuti in contatto con U.G e col suo pensiero. Da una parte abbiamo la negazione dell'esistenza di ciò che viene comunemente chiamata illuminazione o auto-realizzione, dall'altra l'attacco senza quartiere ad ogni icona del pensiero umano soprattutto quello religioso. Questo ha reso U.G un maestro indigesto per molti, tranne forse una nicchia di conoscitori più avanzati del monismo metafisico, (Advaita Vedanta), dove i concetti di non-dualità arrivano a sovrapporsi a ciò che U.G diceva. Non è questo ne il momento, ne il luogo per addentrarci in una disamina filosofica che di per se, chiederebbe pagine, pagine di analisi qui mi limiterò a raccontare i fatti, cercando di separali, per quanto possibile dalle mie opinioni personali e dalla mia interpretazione. Gli attacchi di U.G, per quanto ho potuto constatare, erano su due livelli. Il primo, un livello generico che riguardava i grandi fondatori delle religioni, quali Buddha o Cristo, e proseguivano fino ad includere maestri e pensatori moderni quali il Gandhi, o il Dalai Lama o altri. Questo era un attacco non alle persona in se, ma al modello che essi avevano costituito per tutti noi. Perché, secondo U.G, quel modello ci avrebbe impedito di trovare ed esprimere la nostra unicità. Lui diceva: “La natura è impegnata a creare un individui unici mentre la cultura ha inventato un unico stampo al quale tutti dovrebbero uniformarsi”. Il suo era un attacco che raggiungeva a volte una veemenza verbale straordinaria. In quei momenti realmente U.G sembrava un gigante che scuotesse con forza l'albero della “cultura” umana facendo traballare i rami e le radici. Addirittura, a volte, si aveva l'impressione che con una spinta in più quell'albero sarebbe crollato, ma la spinta in più, che pur pareva essere nelle sua mani, per qualche motivo, U.G non la dava. La veemenza che dimostrava in questi suoi attacchi era tutt'altro che destabilizzante per chi l'ascoltava. Era come se lui stesse mettendo a posto le cose, ed uno, invece di sentirsi intimidito, o addirittura spaventato da tanta forza, si sentiva sollevato, come se qualcun altro stesse facendo per lui il lavoro sporco di ripulire la coscienza da ciò che vi era di impuro, di spurio. Nella saletta dove eravamo sopraggiungeva allora un silenzio tombale, nessuno più osava aprire bocca e ciascuno di noi era costretto a guardare negli occhi il pasticcio nel quale eravamo precipitati. Avremmo anche potuto chiamare il tutto uno psico dramma terapeutico perché alla fine invece di stare male ci sentivamo più leggeri. Questo almeno succedeva a me. Chi non riusciva a staccarsi dai suoi investimenti nella cultura e nel pensiero umani, probabilmente se ne sarebbe

andato o non sarebbe più tornato. Ma U.G dava anche l'impressione di sapere quando dire certe cose e quando no. Di questi attacchi ne ho sentiti parecchi, soprattutto all'inizio della mia frequentazione, poi col tempo, col passare degli anni, si è, per così dire, ammorbidito e ha cambiato un po' questo aspetto. Il motivo per il quale è avvenuto questo cambio non saprei dire, anche se ho una mezza idea. L'altro livello dove U.G colpiva i nostri attaccamenti era quello riservato ai maestri contemporanei. Poteva essere Jiddu Krishnamurti, piuttosto che Sai Baba, piuttosto che Osho, o Ramana e chi più ne ha più ne metta. E di solito avvenivano quando nell'uditorio c'era uno o più persone che avevano investimenti in un particolare maestro. Diversamente dagli altri attacchi, quelli contro i fondatori delle religioni, per intenderci, questi potevano avvenire più col dileggio che con la veemenza. Gli aforismi potevano essere del tipo che Sai Baba materializzava orologi Svizzeri e quando il governo mise una tassa sulle importazione si mise a materializzare orologi indiani. Ramana Maharishi, secondo U.G, mangiava come un maiale. Jiddu Krishnamurti, che aveva un affare sentimentale con la moglie del suo migliore amico, ed insegnava ai ragazzi che invece di fare sesso con una donna sarebbe stato meglio andare in giro mano nella mano, aveva delle eiaculazioni precoci solo sfiorando la mano di una donna, ed altre amenità simili tese a distruggere l'immagine idilliaca che uno aveva dentro di quel particolare maestro. Una volta salimmo con un nostro amico francese che veniva da U,G ma che contemporaneamente soleva andare anche da una santa indiana che anche U.G conosceva. In qualche modo questo nostro amico andò sul discorso cercando forse l'approvazione di U.G. Non ricordo esattamente il dialogo e mi pare che U.G non disse nulla contro quella santa ma fu durissimo col nostro amico, dicendo alla fine: “lo vedi, non sei pronto ha lasciare i tuoi attaccamenti”. Come dice il famoso aforisma Zen: ”se incontri un Buddha uccidilo”, questo era quello che, anche se non espressamente, ci richiedeva U.G. Di lasciare tutti gli attaccamenti, tutti i maestri, tutte le ambizioni spirituali, di dimettere tutto, lui incluso, per riuscire infine a reggerci sulle nostre gambe. A stare in piedi da soli. Quegli attacchi personali di U.G erano molto duri. Mi hanno raccontato di uno scontro avvenuto tra una psichiatra e lui nel quale U.G dovette esercitare tutta la sua autorità per dimostrare alla persona che dialogava con lui la vacuità del suo punto di vista. In questo caso l'icona non era una persona ma una professione. Se la psichiatra è la persona che penso io, (chi me lo ha raccontato non ha precisato), forse posso immaginare l'accadimento. La signora aveva investimenti nella sua professione, non solo investimenti materiali ovviamente che quelli ci stanno, parlo di investimenti morali. Evidentemente lei credeva che la psichiatria fornisse le chiavi per risolvere i

problemi umani. U.G con tutta la sua autorità e la sua forza demolì questo suo credo e lei capì e si aprì ad una visone più ampia, perché divenne poi una sua grande frequentatrice, ben vista da U.G. Una volta mi trovai anche io sotto uno di questi attacchi. Dopo qualche scambio dei soliti U.G si fece serio e si rivolse a me all'improvvisò. Lui mi incalzò chiedendomi ripetutamente e con fermezza: “cosa vuoi?” Mi stava chiedendo di guardare in fondo al mio cuore. Improvvisamente vidi come un vuoto davanti a me, come un “buco nero”, (non trovo espressione migliore), nel quale se fossi entrato non sapevo se avrei potuto tornare. Probabilmente era lì, quello che avevo sempre cercato era lì, mi si offriva l'occasione di ghermirlo. Ma come molti altri non ero pronto, tutti i mie attaccamenti emersero dal back-ground e fecero resistenza. Mi feci piccolo, piccolo e dissi: “U.G non voglio niente. Voglio solo starti vicino”. Lui insistette ancora un po', poi viste le mie resistenze lasciò perdere. Questo fatto non è nuovo in questi ambienti. Nel libro “Io sono Quello” di Nisargadatta c'è questo aneddoto: - “............La stessa scena si verificò dallo swami Ramdas, [un altro maestro indiano morto nel 1963]. Alcuni seguaci gli si raccolsero intorno e presero a domandargli sulla liberazione. Ramdas ascoltava sorridendo, poi all'improvviso si fece serio e disse: "Potete averla, qui, subito, la libertà perpetua e assoluta. Chi la vuole, si faccia avanti". Nessuno si mosse. Ripeté l'offerta tre volte, senza esito. Allora annunciò: "L'offerta è ritirata". Solo per avere intravvisto la profondità di quell'abisso a volte mi chiedo se tutti noi che facciamo questa ricerca sappiamo realmente ciò che stiamo cercando? Mi chiedo se i tanti, ma davvero tanti auto-proclamati maestri, lo abbiano davvero attraversato questo abisso o se, come tanti, parlino con sicurezza di cose che nemmeno conoscono. Dice U.G: “Questo stato naturale è la fine di te stesso per come sei solito conoscerti e sperimentarti”. Inconsciamente quindi cerchiamo la nostra fine, la nostra sparizione. Una fine che è persino al di là della morte fisica come esprime Nisargadatta in questo passaggio: “Si può morire centinaia di morti fisiche senza uno stacco nell'irrequietezza mentale. O si può conservare il corpo e morire nella mente. La morte della mente è la nascita della sapienza.” Volgiamo davvero questo? E soprattutto ne siamo coscienti? Per finire questo racconto sui maestri ho un aneddoto che dovrebbe mostrare che U.G in fondo non aveva assolutamente nulla contro nessuno, tanto meno i maestri. E come avrebbe potuto poi lui avere qualche cosa contro qualcuno visto che, per come funzionava, se guardava un altra persona lui diventava l'altro? L'aneddoto è su Ramana ed è questo: - Fu quando passò da Milano ed andammo a trovarlo in albergo. In quell'occasione gli portai i libri artigianali che avevo stampato e

rilegato; uno era il diario, il “Fiore Raro” e l'altro la traduzione de “Il coraggio di essere se stessi”. Avevo il tutto in una cartelletta che conteneva anche delle mie stampe tra le quali c'era un foglio con una bella foto a colori di Ramana Maharishi. Lui apprezzò molto i libri, disse che li avrebbe mandati a Chandrasekhar in India. E poi mi chiese di mostrargli la foto che avevo nella cartelletta. Temevo in una sua reazione invece guardò la foto per circa un minuto con grande tenerezza e poi me la restituì. Non disse nulla e, ne io ne nessuno dei presenti chiedemmo nulla, ma sicuramente il tempo e l'attenzione con la quale guardò la foto e soprattutto il suo sguardo, parlavano tutt'altro che di astio o di avversione. Infinite ore su quella seggiola Da quello che ho raccontato fin'ora può sembrare che essere con U.G fosse come essere in paradiso. Bhe non erano sempre rose e fiori e spesso c'erano anche le spine. In fondo l'alternanza di gioia e dolore fa parte della vita e come agiva nella vita quotidiana così era inevitabile che agisse anche con U.G. Poi non era sempre facile interagire con lui. Un po' perché, come dice Douglas Rosestone, il suo carattere era, per certi versi, spigoloso ed un po' perché per altri versi era spigoloso il mio carattere, come lo è del resto quello di qualsiasi altra persona. Douglas, che lo frequentava da prima della “calamità” alla domanda di Mhaesh Bhatt se avesse notato cambiamenti in U.G dopo la “calamity” rispose: “la sua personalità non è cambiata. Era la stessa persona difficile che è sempre stata, ma in lui non cera più tensione”. Una volta, a Gstaad, U.G aveva preso il ritmo di tenerci dalla mattina fino alla sera tardi, anche fino alle 10 di sera. Questo probabilmente era dovuto al fatto che in quei giorni non ci fosse gente che desiderava particolarmente andare a fare giri in macchina, per cui lui se ne stava in casa, tranquillo a parlare. Diceva che la cosa non lo stancava ma anzi gli dava energia. Per me, pur con tutti gli intervalli e le pause che mi prendevo, e pur considerando il suo fascino, rimanere fermo su una sedia per più di 12 ore era arduo. C'è anche da dire che facevo un lavoro sedentario e quando ero in ferie avrei voluto muovermi un poco. A volte quindi, nonostante tutto mi risultava faticoso rimanere in quella saletta. Ricordo una volta in particolare che l'incontro non finiva mai. Tutti sembravano estasiati ma io friggevo sulla sedia. Quando alla fine si alzò per congedarci gli dissi ridendo: “U.G quando dici che possiamo andare, quella è la moksha (la liberazione)?”. Non colse la mia battuta ed io non ripetei. Un'altra volta, sempre dello stesso anno, Teresa ed io ci alzammo prima. Proprio eravamo stanchi e non ce la facevamo più. Due amici olandesi, guardarono sorpresi le nostre manovre e ci dissero: “Ah! ma voi potete andare via quando volete?”. La voglia di alzarsi ed andare non mi sopraggiungeva solo per incontri lunghi, come in quel caso, per altro particolare. Spesso su quella sedia davanti a lui era come essere

su una graticola rovente, e non parlo solo per me perché so che succedeva anche ad altri. Forse era perché ci trovavamo davanti alle nostre pretese, alle nostre richieste e lui se da un lato le faceva emergere dall'altro le bloccava obbligandoci così a guardarci dentro. Un'altra reazione non usuale che ebbi diverse volte stando vicino a lui, in quella saletta, era la voglia di ridere. Mi succedeva a volte di venire preso da un'irrefrenabile voglia di ridere senza un motivo esterno, senza che ci fossero state battute da parte di U.G, ne da parte di nessuno dei presenti e senza che nessuna barzelletta divertente mi si presentasse alla mente. Mi veniva questa voglia ed avevo il mio bel da fare a controllarmi per non scoppiare in una risata fragorosa. Non che la cosa costituisse problema. Ho visto gente ridere, ma anche gente piangere in sua presenza, senza un apparente motivo e senza che nessuno ci facesse caso. Erano energie che si liberavano e U.G non interferiva. Il sonno che coglieva a volte me, (ma anche altri), era la più naturale di queste reazioni, favorita dal grande rilassamento che subentrava in presenza di U.G ed anche in quel caso era consentito. Ancora con la Macchina. Anche con la macchina c'erano momenti che non erano proprio rose e fiori. Mi piace e mi rilassa guidare in posti tranquilli, ma odio il traffico ed in particolare le grandi città. Sono entrato in macchina in Parigi ed in Los Angeles e mi sono perso, per cui quando debbo andare in una grande città per visitarla o per altri impegni, preferisco arrivarci coi mezzi pubblici. Fu il Natale del 2003, U.G era venuto a Baveno e noi alla vigilia eravamo andati per stare con lui e con gli amici. L'avevo avvisato che io il Natale, per una tradizione familiare consolidata, l'avrei passato coi miei. Avrebbe potuto chiedermi di restare con lui e con gli amici, mettendomi in un grande conflitto interiore per la scelta ma non lo fece. Sapeva fino a dove poteva tendere la corda e sapeva anche rispettare l'intimo sentire degli altri. Alla vigilia andammo a Baveno per spendere un giorno con loro. Cosa si fa, cosa non si fa, decidemmo di andare a Milano a prendere i “Leonidas”, i cioccolatini bianchi che erano i preferiti di U.G. L'unico negozio della Leonidas a Milano era in centro. Dopo un pranzo frugale partimmo tutti quanti. Mi sembra che eravamo tre macchine. Milano la conosco abbastanza bene, ma come dicevo, preferisco evitare il traffico soprattutto in momenti di punta. Figuriamoci il traffico della vigilia di Natale. Come se non bastasse fui investito del ruolo di guida del gruppo, in quanto conoscitore della città. Con riluttanza mi tuffai nel traffico pre-natalizio fino a raggiungere quel piccolo negozio che era situato in un budello di una vietta che si affacciava sulla via Torino. Il traffico era indecente e facemmo anche qualche manovra azzardata infrangendo il codice della strada, ma alla fine riuscimmo ad uscire dal quel caos. Sbrigammo qualche

altra commissione in città, legata a necessità di qualcun altro degli amici presenti e quindi ci apprestammo al ritorno. Era ormai sera e noi dicemmo: “Bhe U.G noi siamo già qui a Milano per cui andiamo a casa”. La sua risposta fu: “No, no dovete venire a Baveno”. Tornammo a Baveno facemmo un cena veloce e poi ci congedò tutti. Tornando a casa Teresa ed io ci chiedemmo che necessità c'era stata di farci salire a Baveno? Il giorno di Natale, era ormai pomeriggio, ci eravamo alzati da un bel po' da tavola e stavo per congedarmi dai miei quando mi arrivò la telefonata da U.G, (o da uno degli amici, ora non ricordo esattamente), che ci avvisava che loro erano a Como e che avrebbero avuto piacere ad incontrarci. Como è vicino al mio paese di origine ed al luogo dove ero in quel momento, per cui, considerato che stavo già lasciando i miei familiari colsi con gioia l'invito di U.G. Ci incontrammo a Como dove bevemmo qualche cosa in un bar e poi ci lasciammo dandoci appuntamento al giorno dopo. Quella volta non insistette affinché andassimo a Baveno, ma mi colpì che avesse voluto incontrarci proprio il giorno di Natale. Ci fù anche un'altra volta che le mie doti di autista furono messe a dura prova. Successe a Lugano, dove tipicamente la polizia è tutt'altro che tollerante. U.G era su una macchina di un amico ed io seguivo con la mia macchina. Le infrazioni che facemmo a Lugano avrebbero potuto costarci la patente se qualche vigile o qualche addetto del traffico ci avesse visto, fortunatamente non successe niente tranne un bel po di tensione da parte mia. Perché U.G facesse questo non lo so. Una volta l'avevo sentito dire che la sua missione era di portare le persone fino ai loro limiti estremi e se l'obbiettivo era quello con i miei limiti di autista era riuscito in pieno. Poi ci fù quella volta che U.G ci intercettò mentre giravamo a piedi per Gstaad e ci invitò a salire sulla macchina su cui c'erano lui e l'amico indiano che gli faceva da autista. Durante il giro venimmo a sapere che U.G voleva che questo sua amico, senza esperienza di guida a destra, (in India, la guida è a sinistra), prendesse confidenza con questo tipo di guida. Quello era il suo primo test. Devo dire che questa persona era un buon autista e fù impeccabile su quelle strade di montagna dove vi erano anche tornanti. Ad un certo punto però, trovandosi dietro ad un pulman, decise di superarlo proprio in un tornante. Superare un pulman su strade di montagna è azzardato, superarlo in un tornante è ancora più azzardato, ma se il tornante è nel verso giusto ci può essere abbastanza visuale e, tagliando la curva, la manovra può non essere così rischiosa. Il problema era che il tornante non era nel verso giusto. Durante la manovra la macchina su cui eravamo si trovò stretta tra la montagna ed il pulman, senza visuale davanti, con la curva che sembrava chiudersi invece di aprirsi. Se dall'altra parte fosse sopraggiunta una macchina non so come sarebbe finita. Per fortuna la manovra fu veloce, nessuna macchina sopravvenne dal senso inverso e tutto andò bene. U.G non fecce nessuna gesto e nessun commento, così pure l'autista che però doveva essersi reso conto di avere sbagliato. Io mi tenni il mio batticuore e Teresa pure e solo a fine

giro, rimasti soli, commentammo quel pericolo scampato. Baveno Baveno negli anni divenne una sorta di Gstaad invernale per U.G o almeno io amavo vederla così. All'inizio, quando lo ospitavamo nel nostro appartamento, no perché il giro delle persone era abbastanza contenuto. Lui sentiva quanto noi, e soprattutto Teresa, avessimo cura di quel piccolo monolocale per cui era attento a trattarlo con la medesima cura, cosa che richiedeva anche a chi era con lui. Inoltre non aveva ancora individuato un luogo dove i suoi amici avrebbero potuto alloggiare in modo confortevole e senza spendere troppo. La cosa si risolse quando la copia di amici veneziani trovò il “residence dei fiori” che divenne il luogo dove pigliavano alloggio tutti gli amici che gravitavano attorno a U.G. Per la verità probabilmente i costi delle stanze di quel residence non erano così favorevoli ma Mario, che si occupava della logistica, fece balenare ai gestori la possibilità di avere molte stanze occupate nei mesi invernali, per cui riuscì ad avere prezzi più bassi della media. U.G invece rimase nel nostro appartamento finché non ebbe un problema con la gamba. Era un problema che aveva già avuto e che in maniera più grave avrebbe avuto successivamente a Vallecrosia quando poi morì. Di cosa si trattasse esattamente pare non lo sappia nessuno. Lui non ha mai voluto essere visitato da un medico ne tanto meno fare esami quali lastre, tac, o gli altri test che servono a diagnosticare cosa ha il nostro corpo. Era piuttosto critico con la scienza medica e diceva che il nostro corpo, durante le migliaia di anni di evoluzione, aveva acquisito le conoscenze per affrontare qualsiasi situazione. Quando non riusciva più a gestirla se ne andava con grazia e con garbo. Comunque quello che gli succedeva era che gli cedeva una gamba, forse per via del muscolo e lui non riusciva più a camminare. Tutte le volte che gli era successo aveva sempre recuperato, mentre a Vallecrosia non ci fù recupero e quando lui capì che non avrebbe più camminato scelse di morire. Quando successe quell'incidente a Baveno la gente attorno a lui ci pregò e lo pregò, di spostarsi anche lui al residence. Noi fummo subito d'accordo perché in quel posto vicino ai suoi amici sarebbe stato più sicuro. Il nostro appartamento era in un condominio che oltre essere in una zona periferica, d'inverno era anche disabitato. Lui fece un po' di resistenza dicendo che noi ci saremmo rimasti male, ma alla fine acconsentì. Il residence, che è molto grande, aveva molti mini appartamenti con cucina e delle suite più grandi. In particolare due, l'Azalea e la Camelia diventarono i luoghi dove U.G si trattenne di più. Quelli sono i luoghi dove alcuni partecipanti a questo gruppo, lo hanno incontrato e dove appunto si ricreò quel turbinio di persone che andava e veniva solo per stargli vicino. Per sette anni U.G passò del tempo qui, soprattutto durante i mesi invernali, spesso venendo più di una volta all'anno. Bellissime quelle telefonate improvvise che sconvolgevano la mia routine e mi portavano a fuggire dall'ufficio per stare un po' con

lui e questo gruppo di amici. Ho anche un altro aneddoto di Baveno. Si era ai primi tempi, U.G risiedeva ancora da noi e nel piccolo monolocale non avevamo telefono. Ora una delle esigenze che lui aveva era di poter dare un numero di telefono ai suoi amici in modo che se qualcuno avesse avuto bisogno di lui avrebbe potuto rintracciarlo. Così io gli diedi il mio cellulare. Quella volta arrivarono un sacco di chiamate dagli Stati Uniti, dall'India, dall'Australia, dalla Germania, dalla Francia. Ricordo che era il 2001, l'anno delle torri gemelle, ed io pensai: “se controllano il traffico telefonico finisce che mi mettono sotto controllo il telefono”, talmente intenso ed internazionale, fu lo scambio che intercorse in quei brevi giorni. Intanto Giovanni aveva iniziato a parlare dell'appartamento che stavano sistemando a Vallecrosia proprio per poter ospitare U.G. L'appartamento venne pronto verso il 2006 ed a quel punto U.G disse: “basta! con Baveno ho chiuso!” e da allora non tornò più. Io ci rimasi anche un po' male perché se da un lato capivo le sue esigenze e quelle del gruppo che lo seguiva, dall'altro lato pensavo tra me e me che nei suoi giri avrebbe facilmente potuto fermarsi un paio di giorni a Baveno e poi andare a Vallecrosia. Ma tutto era già scritto. Di lì a non molto lui sarebbe morto e solo Dio sa se lui lo sapeva in anticipo oppure no. A sant'Ambrogio di quell'anno, (2006), andammo a Gstaad per 4 giorni. U.G ci aveva invitato espressamente ed aveva riservato per noi la stanza nello stesso appartamento nel quale lui teneva gli incontri. Privilegio solitamente riservato a suoi amici più vicini. Furono 4 giorni di incanto e di una dolcezza infinita. Alla mattina sentivamo il suo vociare quando entrava e dopo poco lo raggiungevamo per fare colazione. Dato che era presto si era ancora in pochi e c'era un'intimità speciale in quella stanza. Credo che con quel gesto lui abbia voluto ringraziarci dell'ospitalità che gli avevamo offerto noi e nello stesso tempo abbia voluto chiudere in bellezza la relazione che ci aveva legato per anni. Infatti lo andammo a trovare ancora a Vallecrosia ma in un certo senso lo trovai molto distante, impenetrabile, inaccessibile. Come se avesse voluto dire: “Con voi ho chiuso. Ho fatto quello che dovevo ed ora non avete più bisogno di me”. O forse, con la sagacia che lo caratterizzava, con quel distacco preventivo aveva voluto preparaci al distacco finale che di lì a poco sarebbe arrivato. Il dolore che provai alla sua morte, fu intenso, come per la perdita di un familiare che ci è caro, ma non fu particolarmente duro da metabolizzare. Vi era anzi, in quel dolore, qualche cosa di dolce, legato forse alla naturalezza con la quale si era lasciato andare tra le braccia della morte. Portargli qualcuno. Un altra cosa che mi riuscì sempre difficile fu portargli qualche amico o amica. Ai tempi curavo una rubrica sul sito di “riflessioni.it” ed in quella rubrica avevo pubblicato anche dei miei scritti su U.G. Sapendo poi che quel sito era molto conosciuto non avevo messo nessuna email proprio perché prevedevo che mi avrebbero

cercato in molti interessati a U.G ed io avrei fatto fatica a gestire la cosa. Nonostante questo vi furono, nel corso degli anni, diverse persone che riuscirono a contattarmi per avere maggiori informazioni ed anche un accesso a lui. Il problema mio era che U.G non era affatto chiaro sul fatto se gli facesse piacere ricevere altre persone interessate a lui. A volte diceva: “mi devono telefonare personalmente, devono giocare le loro carte, provare la loro fortuna”. Poi magari telefonava qualcuno che gli diceva che aveva avuto il numero da me e lui dopo la telefonata mi faceva una girata e mi diceva arrabbiato: “perché hai dato il numero a quella persona?”. Ed io tra me e me: “ma cribbio..... dillo chiaro se non vuoi che diamo il tuo numero”. Visto che non era chiaro ed a rischio di altre girate io andavo avanti a dare, a chi me lo chiedeva, il numero di U.G, spiegando loro che era l'unico sistema per avere accesso a lui. Qualcuno mi avrà odiato per questa mia poca disponibilità ad una mediazione più diretta, ma realmente ero tra l'incudine ed il martello. Solo in due casi, riuscii a portare con me delle persone che lo volevano incontrare. Erano due amiche. Forse erano casi nei quali lui sentiva che ci tenevo molto per cui apriva uno spiraglio e si ammorbidiva un po'. Per le due persone che gli condussi comunque non mi disse niente, anzi addirittura per una delle due, la sera dopo, mi chiese, se non era più interessata e se non sarebbe tornata. Tra me e me pensai: “ U.G quando è venuta ci hai tenuto qui mezz'ora durante la quale hai parlato poco o niente, ed hai fatto fare il suo show al Louis, come vuoi che sia interessata?” Un'altra amica, che non gli avevo portato io, ma che venne a Gstaad sull'onda delle fondazione di Jiddu Krishnamurti, invece dovette piacergli molto. Ricordo uno scambio che intercorse tra lei e U.G sul prato dello chalet Sunbeam. Lei era seduta sull'erba e U.G su una sedia normale. Si parlava dello stato naturale e se fosse possibile raggiungerlo tramite qualche sforzo o qualche disciplina. U.G naturalmente negava ogni possibilità dicendo che era un cambio fisico che succedeva random. La nostra amica, a mo di battuta, disse qualche cosa del tipo: “magari è possibile con una operazione chirurgica” e U.G sorridendo aggiunse: “magari.....”. Quando se ne fu andata U.G, che aveva visto che la conoscevamo, ci chiese qualche cosa di lei e poi disse: “E' una persona molto intelligente”. Una volta poi U.G conobbe la madre di mia moglie. Fu una cosa buffa. Lui sapeva che il nostro rapporto con lei non era facile ne da parte mia ne da parte di mia moglie. Quel giorno venne a casa nostra a prenderci con due amici e mentre lui entrava dalla porticina del garage mia suocera usciva. Così si trovarono faccia a faccia. Teresa spiegò alla madre che questi erano i nostri amici “americani”. Si diedero la mano e si scambiarono un paio di battute. U.G le parlò in inglese e mia suocera gli rispose in italiano. Poi lei salì su un piccolo terrazzo che c'era sul davanti della casa e si mise a leggere un libro e noi entrammo in casa a bere un caffè. Facemmo il nostro giro e quando tornammo alla sera lei era ancora fuori a leggere il suo libro. Al che U.G, quando fu solo con Teresa, le chiese: “ma stà tutto il giorno a leggere?” Diverso tempo dopo declinando una sua offerta su qualche cosa che non ricordo dicemmo: “finché c'è sua madre non saremo liberi per fare queste cose” e lui di

rimando: “allora dovrete aspettare un bel po' perché ho sentito un grande energia ed una grande vitalità quando le ho stretto la mano la mano”. La predizione ovviamente si avverò. Il Libro mai fatto. Ci fu un momento, nel quale fui in contatto con una casa editrice che si disse interessata a fare un libro su U.G. Addirittura ad un certo punto si parlò anche di un cofanetto con libro e DVD allegato. L'unica condizione che mi avevano posto era che l'opera fosse libera da copyrigth in quanto U.G era un “soggetto” poco famoso e quindi non dava garanzie di rientro. Sapevo che c'erano delle buone riprese in America confezionate come DVD e orientai la mia scelta verso quelle, ma mi persi nella ricerca di chi fosse il possessore del copyrigth. Analoga fine fece l'intervista di Roma, che avevo editato proprio per quello scopo. A quel punto lasciai perdere l'idea del cofanetto e mi focalizzai sui libri. Quelli con i dialoghi di U.G, come sappiamo, non hanno copyrigth ma sfortunatamente erano già stati pubblicati tutti, vuoi dall'Aequilibrium, o dall'Alaya, o da altre case. Mi focalizzai allora sulla biografia che aveva scritto Mahesh e scambiai qualche mail con lui, ma anche in questo caso la cosa si arenò per lo stesso problema. Così la prima volta che incontrai U.G ne parlai con lui sperando che spingesse qualche amico comune ad aiutarmi. La sua risposta fù: “credi che mi interessi un libro su di me?” A quel punto lasciai perdere. Forse nella sua lungimiranza lui ha voluto solo proteggere me e l'editore da un flop perché probabilmente il libro non avrebbe venduto molte copie anche se, devo dire che Giovanni Turchi, del libro “la mente è un mito”, fece una ristampa, cosa che indica che c'era richiesta ed interesse. O forse voleva proteggermi dal compiacimento che avrei avuto se avessi contribuito a pubblicare un libro su di lui. O forse, più semplicemente in quel momento la cosa non gli interessava più perché sapeva che la fine era prossima. La mano pesante. U.G era solitamente gentile con le persone ma c'erano anche casi e persone che trattava con estrema durezza. Stralcio questo breve pezzetto dal libro di Shanta Kelker: “Il saggio e la donna di casa”. Il giorno successivo, essendomi documentata sul sistema più corretto per cucinare il Rasam, (una zuppa indiana), tornai nella cucina di U.G. Ma cucinare il rasam per U.G non è un gioco da ragazzi. Non è permesso usare gli ingredienti più comuni come la

polvere di rasam o il tamarindo. Il solo vegetale ammesso nella sua cucina era il pomodoro. Quando fui pronta corsi su per le scale, con la ciotola in mano e gli offrì un assaggio della mia creazione.

“perché mai hai usato tanto pomodoro e le foglie di curry? Ora sarò costretto a

filtrare la zuppa prima che la possa anche solo bere. Ad ogni modo Narsamma, (la cameriera), è felice e danza di gioia da quando le ho detto che la tua zuppa è orribile. Vedi che non è una perdita completa”.

Ero livida, ero pronta ad andarmene. Non potevo fidarmi di me stessa, avrei potuto

prendere l'oggetto più pesante che ci fosse stato a disposizione ed avrei potuto tirarglielo addosso. Immaginate di dover prendere insulti solo per aver voluto fare qualche servizio. Era troppo.

Gli chiesi se gioiva a fare felice una persona al prezzo dell'infelicità di un altra. La sua

risposta fu irripetibile. Disse: “è così con tutti. Se ti senti così urtata perché non mi

piace il tuo rasam”, continuò, “allora tu ed il tuo prezioso rasam potete andarvene. Non voglio persone attorno a me che si arrabbiano e si offendono per delle banalità così idiote”.

Leggendo questo brano si percepisce U.G quasi come un sadico che ci prendeva gusto ad umiliare le persone. La maggior parte di noi non ebbe mai un trattamento neppure lontanamente simile a questo, anche se qualche “lavata di testa” credo sia toccata a tutti. Vi erano però delle persone che vuoi per peculiarità del loro carattere, vuoi per la loro intimità con lui, vuoi perché U.G riteneva che ne avessero bisogno, erano soggette ad attacchi di eguale durezza di quello narrato. E questo non dipendeva dal grado di comunanza che si aveva con lui. Posso capire che una cosa del genere non sia mai successa con me perché nonostante la mia lunga frequentazione io non ho mai avuto intimità psichica con lui, ma c'erano persone che lo seguivano quasi costantemente con cui fu sempre gentile. Persone che gli erano molto amiche e con le quali aveva confidenza che trattò sempre con garbo. Mentre altri, come s'è visto nel caso specifico, erano martellati. Avrai le tue risposte. Una volta eravamo a Baveno. U.G era ancora nel nostro appartamento e ricordo che nell'intimità della sera io stavo facendo qualche domanda. Ad un certo punto U.G mi disse serio: “vieni a trovarmi questa notte alle 3 ed avrai le risposte a tutte le tue domande”. Poi, vedendo la mia titubanza, incalzò: “ti garantisco, vieni alle 3 e ti risponderò a tutto”. Più in piccolo ma mi sembrava la frase che Nisargadatta aveva rivolto a Ganesan, nipote di Ramana Maharishi. “Rimani con me per una settimana”, gli aveva detto Nisargadatta, “e ti garantisco che te ne andrai nello stato di tuo zio”. Ganesan non andò perché pensò che Nisargadatta scherzasse. Neppure io andai. Fui molto combattuto. Mi vidi nel cuore della notte, impastato dal sonno, cercare di tenere una conversazione con U.G. E comunque a frenarmi non fu ne il sonno, ne l'idea che U.G mi avesse preso in giro facendomi quell'offerta. A frenarmi fu la convinzione che U.G non avrebbe potuto dirmi niente di più di quello che già sapevo e questo non perché io ritenga di sapere molto, ma perché mi tornarono alla mente le sue parole: “le

vostre domande nascono dalle risposte che voi avete già”. La bellezza. U.G era per lo più negativo verso le nostre emozioni. Riguardo alla bellezza diceva che era una nostra idea, una nostra invenzione e questo, per una persona che ha smesso di identificarsi con il suo piccolo io separato, è anche comprensibile a livello mentale. Tali persone non vedono la bellezza come la vediamo noi, ma davanti ad una panorama affascinante diventano essi stessi “la bellezza”. Di fronte al nostro entusiasmo il suo atteggiamento poteva sembrare cinico. Ricordo una volta che prendemmo il traghetto che da Laveno va a Verbania. Era una giornata splendida di quelle che ti aprono alla vita e noi, una volta imbarcata l'auto, la lasciammo subito per salire sul ponte a godere dello spettacolo e della brezza estiva, mentre U.G rimase per tutto il tempo della traversata nella macchina, sulla macchina, in coperta, guardando solo le pareti della stiva del battello. Tuttavia aveva anche la conoscenza e la sensibilità verso questo aspetto e poteva anche dimostrarlo come fece un'altra volta. Lui era nel nostro appartamento a Baveno ed avevamo appuntamento lì con altri amici per andare a fare qualche giro. Era un'alba magnifica sul lago, col cielo terso tratteggiato di venature rosso fuoco. Avevamo appena finito la colazione e stavamo uscendo dal monolocale quando U.G, uscendo sul terrazzo disse: “guardate che bellezza..... WOW”. Bisognerebbe aver ascoltato la pienezza e l'intensità di quell'esclamazione, di quel “WOW” per comprendere appieno quanto profonda essa fosse e quanto U.G, se si calava al nostro livello, sapeva godere più e meglio di noi delle nostre emozioni. I parenti poveri. Il mostro e le cavallette. Per la mia caratteristica di rimanere in ombra e certamente non per come ci ha sempre trattai U.G, Teresa ed io ci siamo sempre sentiti un po “i parenti poveri” del gruppo. Ma la partecipazione che abbiamo sempre dato al gruppo era commisurata a quello che sentivamo e che potevamo in quel momento. A quei tempi non avremmo potuto dare e fare di più, anche perché diversamente da altri la nostra disponibilità temporale aveva dei limiti. Io avevo il lavoro che non mi lasciava grandi spazi e Teresa aveva sua madre da gestire e curare. Quando questi limiti sono caduti sia per me che per Teresa U.G non c'era più. U.G nella nostra ironia era “il monster”, (il mostro), non nel senso deteriore del termine ma nel senso di una persona con qualità fuori del normale. Un mostro di bravura, un mostro di sagacia. Ed era un mostro forse anche perché sapeva dimostrare il suo volto più terribile. Mi sembra che fu Marisa ad iniziare a chiamarlo così. Fu una volta che lei saliva allo chalet mentre noi scendevamo, giocando sulle parole “master” e “monster”, ci chiese: “c'è il mostro?” Sempre nella nostra ironia, noi che lo seguivamo, eravamo “le cavallette”. Infatti sia io

che Teresa percepivamo le persone che lo attorniavano come un'orda di cavallette fameliche pronte a spogliare un campo di grano. Ovviamente tra quelle ci mettevamo anche noi stessi, ben coscienti che quello che ci spingeva là, prima di essere un moto generoso del nostro cuore, era un moto di avidità. La ricerca di quello stato che nel nostro immaginario non poteva che rappresentare la crescita di quell'io che, a parole, dicevamo di voler abbattere. Quante volte ho sentito U.G dire: “non vedo altro che avidità attorno a me”. I centri commerciali. Risaputa, da chi lo conosce un poco, era la passione, se così si può chiamare, di U.G per i centri commerciali. Macy's a New York, Harrods a Londra, La Rinascente a Milano, erano alcune delle sue mete fisse quando era in quelle città. Io venni in contatto con questa sua peculiarità, quando andammo a Palm Spring ed iniziammo a passare con lui la giornata intera. Girare i centri commerciali con lui mi è servito a riconciliarmi con lo shopping. Non che io sia diventato patito dei centri commerciali e dello shopping intendiamoci, ma se mi capita di andare mi ci perdo volentieri a curiosare. Alla Rinascente ci siamo stati un numero considerevole di volte. Credo che non sia mai venuto a Baveno senza includere, durante la sua permanenza, un giro a Milano ed alla Rinascente. Lui era contentissimo di comprare con lo sconto a cui io avevo diritto come dipendente del gruppo e lo raccontava a tutti. Una volta che eravamo lì a fare shopping U.G ebbe un crollo fisico, forse dovuto al caldo. Stava camminando quando ebbe uno svenimento ed accasciandosi contro una parete si lasciò scivolare a terra. Teresa che era con lui in quel momento rimase impressionata, non tanto per lo svenimento, quanto per la leggerezza e la grazia con la quale lui era scivolato a terra. “Sembrava un foulard che staccatosi dal supporto, ondeggia, scivolando verso terra”, disse. Una commessa ed una signora che erano vicine a lui, si allarmarono. La commessa voleva chiamare un medico, ma U.G si era già ripreso e se ne stava già andando, come se nulla fosse successo. Lui non disse niente di quel fatto. Minimizzava tutto ed amava la sua indipendenza. Se non ci fosse stata Teresa probabilmente non lo avremmo saputo. In queste visite solitamente comperava qualche capo di abbigliamento per lui, qualche stoviglia se ne aveva bisogno, e magari qualche piccola cosa da regalare a qualche amico o amica. Ma poteva succedere spesso che se ne uscisse a mani vuote. Una peculiarità che avevo notato era che nell'acquisto di indumenti spesso tastava a lungo la stoffa prima di decidere. Cosa sentisse o che dialogo intercorresse tra lui e la stoffa, in quegli attimi, non posso neppure pensare di immaginarlo. Piazza Il nome è un qualche cosa che inconsciamente amiamo e con il quale ci identifichiamo. Io, che ho un doppio nome formato da Piero e da Luigi, ho sempre sofferto il fatto di non avere un identificativo preciso. Infatti nella mia vita sono sempre stato chiamato

in modi diversi. Da piccolo per i miei familiari e per gli amici ero Gigi. Una contrazione di Pierluigi. Più grande sono diventato il Pier. Dagli scout ero il Luigi, al lavoro ero il Piero. Io dico che ci sono delle cose karmiche che non te le scrolli di dosso ed avere un nome impreciso, per me è un fatto di Karma. Con U.G non poteva essere diverso. Il nome Pierluigi era troppo lungo soprattutto per gli americani che usano spesso acronimi. U.G ci provò un paio di volte ad indirizzarsi a me col mio nome ma gli veniva Pierluighi. Io capito, il problema, mi presentavo come Piero e suggerivo di chiamarmi così, ma quel nome non attecchì ed alla fine si instaurò l'abitudine di chiamarmi col cognome, cioè Piazza. Il nome Piazza è soggetto a storpiature la più banale delle quali è “pizza” oppure c'è la traduzione in inglese che è “square”. Personalmente, se qualcuno mi storpiava il nome era l'ultimo dei miei problemi, ma U.G non amava che qualcuno venisse dileggiato e se c'era chi, in un eccesso di amicizia, mi chiamava “pizza” o mister Square, in sua presenza, poteva stare certo di prendersi una girata. Una volta eravamo in giro a Locarno con altri amici e U.G mi chiamò e disse: “ guarda là!”. Io non capii cosa indicava e chiesi precisazioni e lui di rimando: “guarda su quel palazzo, c'è il tuo nome Pierluighi”. Era una pubblicità di un ristorante che annunciava: “da Pierluigi cucina italiana”. Mi fece piacere. Era un po' come se lui mi avesse detto: “io ti chiamo Piazza ma lo so che ti chiami Pierluigi”. Fu forse proprio in quel momento che realizzai l'importanza del nome. Le persone che venivano da U.G usavano spesso farsi chiamare col nome indiano che gli era stato dato da qualche maestro, o in qualche ashram, o in qualche consesso che avesse questa usanza per altro conforme alla tradizione. Questo era una costante tra le persone che provenivano da Poona e da Rajneesh. L'osservazione standard di U.G in questi casi era: “solo i criminali ed i preti cambiano nome. I preti lo cambiano più spesso dei criminali”. Inutile dire che alcuni a seguito di questa affermazione tornarono al loro nome originale, mentre altri mantennero l'abitudine di farsi chiamare col nome indiano. Nei seguaci di Rajneesh, ancora più in quelli di Jiddu Krishnamurti, ho visto una grande capacità di stare con U.G mantenendo l'amore per il loro maestro precedente. Nonostante le battute che U.G riservò sempre anche a Rajneesh. Realista Suscitando un po' di risentimento da parte di Teresa, ho sempre sostenuto che l'aver incontrato U.G sia stata la “cosa” migliore che mi sia capitata nella vita e che il solo averlo incontrato poteva bastare a giustificare le fatiche di questa esistenza. Nei momenti duri dell'anno, soprattutto all'inizio quando lo vedevo solo per 15 giorni d'estate, l'idea che tanto c'era lui e che l'avrei rivisto, bastava a darmi forza. Mi sovveniva la sua immagine, i suoi gesti, e le sue parole, come se fosse stato presente e per un attimo era come essere con lui. Credo che parte di questo suo grande fascino fosse dovuta al suo realismo, a quella sua stretta adesione al momento presente, a quel suo essere tutto intero in ciò che stava facendo. Queste peculiarità gli conferivano una integrità ed una forza a cui era difficile essere indifferenti. Ho detto

che era come una sorta di Re Mida che rendeva reale tutto ciò che avvicinava. Una volta avevamo appuntamento alla stazione di Gstaad per salutare Pascal, il nostro amico francese che partiva giusto quel pomeriggio. Avevamo lasciato il “meeting” con U.G e la stanza dell'appartamento dove stava parlando ad una decina di amici ed avevamo raggiunto la stazione per accomiatarci da questo nostro amico che era un po' triste, non solo per la fine della vacanza, ma anche e soprattutto perché U.G non lo aveva neppure salutato. Eravamo tutti e tre sulla banchina dei treni quando all'improvviso arrivò U.G. Quel giorno era vestito di bianco, (lo notai solo in quel momento), un bianco che in quella scena sembrava quasi luminoso. Si avvicinò a noi ed a Pascal e gli disse: “non avevo capito che andavi via oggi”, poi scambiò qualche parola con lui, gli augurò buon viaggio e si congedò. Quella visita improvvisa ed inaspettata rallegrò non solo il nostro amico ma anche noi che avevamo gustato quel U.G. eterico ed inedito. Una volta arrivato il treno e salutato Pascal tornammo all'incontro e trovammo U.G sulla stessa poltrona, nella stessa posizione, con gli amici disposti con lui a semicerchio esattamente nello stesso modo nel quale li avevamo lasciati. Poteva succedere che dalla saletta nella quale ci trovavamo fosse proprio U.G che si assentava per poco. Solitamente lo faceva per andare in banca o in posta ed in questi casi c'era sempre la competizione a chi lo avrebbe accompagnato. Tra quelli che rimanevano ad aspettarlo in casa poi c'era un grande rimescolamento. Poteva esserci chi a sua volta usciva per fare qualche commissione a Gstaad, chi si spostava all'interno della saletta, chi ne approfittava per andare nel suo appartamento e così via. Fu strano quindi notare U.G da solo e rientrando trovare le persone con la stessa configurazione di quando li avevamo lasciati, anche se non avrei saputo dire se ciascuno fosse esattamente nello stesso posto. Confesso che per un attimo pensai alla bilocazione. Ma queste cose non esistono dai. Siamo seri. Il Tao. U.G ha sempre rifiutato ogni definizione per se stesso e per le sue parole. Un suo aforisma comune era: “preferisco essere assimilato a criminali e delinquenti che alle persone religiose”. Ma ci fu una volta che sul prato dello chalet Sunbeam, mentre appunto negava ogni similitudine con il pensiero religioso comune, persino con l'advaita vedanta, fece qualche concessione al taoismo. Era appena tornato dalla Cina e disse: “non c'è nessuna relazione tra quello che io dico con nessun credo, con nessuna religione, con nessuna forma di pensiero”. Poi aggiunse: “forse il Tao..... non lo so! Le persone con cui parlavo in Cina mi dicevano che quello che dico è conforme al Taoismo”. Tre macchine tre autisti. Una volta eravamo a Lucerna per uno dei soliti giri ed eravamo con tre macchine. Una la guidava Larry Morris che, da quanto capivo, un po' come me, non aveva molta passione per la guida. Lasciammo le macchine in una sorta di parcheggio sotterraneo e

facemmo il nostro giro in quella città veramente suggestiva. Al ritorno i 3 autisti si indirizzarono verso il parcheggio sotterraneo a prendere le macchine, mentre gli altri aspettavano fuori, all'aperto. Intuendo le difficoltà di Larry, o forse proiettandogli addosso le mie paure, gli proposi la mia compagnia, ma l'autista di una delle due macchine, un ragazzo tedesco, disse che non dovevo andare anche io. “Tre macchine, tre autisti” disse. Sembrava quasi che andando avrei fatto qualche cosa di illegale. Cercai di spiegargli che andavo per fare compagnia a Larry ma la sua determinazione, e la sua convinzione erano così forti che alla fine lasciai perdere. Tornati a casa e seduti nell'appartamento, U.G partì a fare una sparata delle sue, rivolgendosi in particolare a questo amico e criticando l'estrema radicalità della “mentalità tedesca”, (German mind come diceva lui in inglese). Ovviamente ne io ne nessuno gli avevamo parlato di quanto era successo sulla via del parcheggio. Ignorati. Una delle cose che si imparavano subito con U.G era ad accettare di stare con lui rimanendo ignorati per ore o anche per giorni. I primi tempi, dopo un saluto all'arrivo ed alla partenza, non avevo nessuna interazione con lui. Ma i primi tempi erano anche comprensibili perché non padroneggiando l'inglese ero io stesso a non cercare interazione. Il fatto era che non succedeva solo i primi tempi e neppure succedeva solo con me, ma U.G era così con tutti. Non intendeva assolutamente nutrire il nostro ego. Spesso se qualcuno si assentava dalla sala chiedeva: “dov'è tizio? Dov'è Caio?”. Poi quando Tizio o Caio tornavano, magari perché qualcuno li aveva avvisati che U.G li cercava, lui li lasciava sulla sedia senza degnarli di uno sguardo o di una parola, per ore, per giorni o per settimane. Noi che andavamo da lui spesso speravamo in un aiuto per le cose dolorose e difficili che trovavamo nella vita. Lui ha sempre detto che non lo colpivano le pene psicologiche della gente. Al massimo poteva essere sensibile verso le pene fisiche. Un vero maestro non si cura della nostra, (non esistente), personalità, anche se per noi quella personalità è tutto. Nisargdatta lo ha espresso bene in questo passaggio del libro: “Io sono quello”. - Non mi preoccupo dei desideri e delle paure della gente. L'uomo scambia il suo nome e la sua

forma per se stesso, io non scambio nulla per me stesso. Se mi credessi un corpo noto per il nome che ha, non saprei rispondere alle tue domande. Se ti prendessi per un corpo e basta, non trarresti vantaggio dalle mie risposte. Nessun vero maestro perde tempo con delle opinioni. Vede e mostra le cose come sono. Se prendi la gente per ciò che pensa di essere, non farai che farle del male, come incessantemente gli uomini si fanno del male l'un l'altro. Ma se li vedi come sono in realtà, ciò farà loro un bene enorme. -

Erano esentati, temporaneamente, da questo trattamento coloro che, di volta in volta, gli facevano da spalla nelle discussioni. Forse noi non abbiamo idea di cosa significhi parlare per ore soprattutto se si pensa che U.G, in accordo con altri grandi maestri, asseriva che il suo parlare era una risposta alle nostre domande, come una palla che

lanciata contro un muro torna indietro. Non c'era nulla di personale in lui e se non ci fossero state quelle domande lui non avrebbe potuto dire niente. Più di una volta l'ho sentito dire nei suoi lunghi dialoghi: ”voi dovreste aiutarmi”. Questa affermazione si può ascoltare anche nei nastri di Amsterdam quelli che hanno originato il libro “The courage to stand alone”. Li, ad un certo punto U.G si rivolge all'uditorio dicendo: “Non sono venuto qui a tenere un discorso, voi dovreste aiutarmi”. Una volta, in mezzo ad una gruppo nel quale probabilmente non trovava stimoli, si rivolse a me. “Ho bisogno del tuo aiuto”, disse, ma ero all'inizio e non compresi il senso nel quale lo aveva detto, ed inoltre avevo in mente il suo insegnamento dove diceva che le domande erano inutili, quindi non mi venne in mente niente da chiedergli e non seppi aiutarlo. Pasta all'arrabbiata. Ci fu un periodo nel quale mi capitò di andare a Gstaad da solo. Erano i primi tempi che U.G aveva smesso l'abitudine di fare l'incontro del pomeriggio ed era caduta la barriera tra gli amici vecchi e nuovi. Lui ogni tanto si arrabbiava e diceva: “non voglio la puzza ed il fetore di un ashram attorno a me” ma poi tenendoci lì inevitabilmente il clima dell'ashram un po' si creava. In particolare ricordo che quando arrivava l'ora del pranzo durante quella settimana, vedendo il nutrito gruppo degli amici e pensando a chi doveva cucinare, a me sembrava di creare un inutile disturbo. Quindi, non appena tutti si alzavano io mi volatilizzavo e scendevo al ristorante vicino alla stazione a farmi un piatto di pasta all'arrabbiata. Così per un giorno, due giorni, poi il terzo giorno, quando tornai dal mio pasto, U.G mi chiese il perché del mio comportamento. Io spiegai che c'era già tanta gente e mi sembrava di creare inutili difficoltà. La sua risposta fu: “andandotene via crei difficoltà”. Da quel giorno rimasi anche io a mangiare con gli altri. La fine. Durante il suo ultimo soggiorno a Vallecrosia U.G ebbe un cedimento alla gamba sinistra. Una cosa simile gli era gcome gli era già successo a Gstaad, in Germania ed anche a Baveno. Ma in tutti quei casi il suo corpo aveva ricoverato il problema e lui era tornato a camminare. Questa volta a Vallecrosia il problema non si risolveva e lui, quando si rese conto che non avrebbe più camminato, smise di nutrirsi e lentamente si lasciò morire. I filmati degli ultimi tempi lo mostrano che parla alle persone sempre seduto o steso sul divano, la voce sempre più flebile. Era ovvio che non nutrendosi più le forze lo stessero piano piano abbandonando, nonostante questo la villa di Lucia e Giovanni dove lui era ospite rimase, finché ebbe la forza di parlare, il centro vitale della cerchia dei suoi amici. Vennero per dargli l'ultimo saluto da tutte le parti del mondo alcuni invitati da U.G stesso. Una delle prime persone che U.G chiese di vedere fu l'amica greca, quella di cui U.G aveva detto: - noi non dobbiamo curarci di persone così........ Il 14 marzo, otto giorni prima della fine è particolare perché è il giorno che U.G ha

mandato via definitivamente tutte le persone che erano venute a trovarlo ed ha, di fatto, chiuso la sua, diciamo, vita pubblica. Resosi conto che ormai non aveva più le forze neppure per parlare alla gente che gli stava attorno, saggiamente decise di chiudere il sipario di uno “show” che andava avanti da quarant'anni e con la fermezza che lo ha sempre contraddistinto invitò tutti i convenuti ad andarsene. Tra loro c'erano anche sua figlia Bulbul ed i suoi grandi amici Chandrasekar e Suguna, persone che per lui erano come di famiglia, oltre a persone a lui molto vicine quali Louis o Larry e Susan Morris, o Bob Carr suo amico da prima della calamity. All'inizio voleva tenere vicino a se solo Mahesh, poi resosi conto che il compito per un uomo solo sarebbe stato troppo gravoso, acconsentì che restassero anche Larry Morris e Susan che gli rimasero vicini per i rimanenti otto giorni, cioè fino alla fine. Io che ero informato dagli amici, quasi quotidianamente sull'andamento vissi di riflesso quel momento che per coloro che erano là fu abbastanza importante e doloroso, anche se tutti convennero che era stata la scelta più giusta e più logica. Di quegli ultimi tempi c'è un qualche cosa che è difficile raccontare. Chi ha visto i filmati di Vallecrosia, probabilmente avrà visto un vecchio, ancora arzillo ma progressivamente stremato da una fine che si avvicina. Il suo parlare una volta così enfatico e carismatico si è fatto traballante. In alcuni momenti biascica quasi le parole, gli manca il fiato, le forze. Che tristezza se pensiamo a lui nei tempi in cui “ruggiva”, nei tempi nei quali, con la sua enfasi, zittiva la platea, quando il suo discorso era cosi pregnante e grave che faceva scendere nella stanza un silenzio tombale. Eppure in una maniera strana ed incomprensibile, (almeno a me), vicino a lui in quei momenti si sentiva ancora maggiormente la sua forza o la sua vitalità. Era come se quella carica di energia, di fascino, di amore che in qualche modo prima controllava e distribuiva dosandola ora fluisse da lui in maniera libera ed impetuosa investendo in modo indiscriminata tutti coloro che gli stavano vicino. Forse è questo che ha fatto parlare Mahesh di “giorni gloriosi” riferendosi agli ultimi tempi con lui, o che ha fatto dire a me che in quella stanza invece di un moribondo contornato da trenta persone ho visto trenta moribondi sostenuti da una “fiamma guizzante” che era lui. O ancora che ha fatto dire al nostro amico venuto a salutarlo: “E' incredibile quello che succede in quella stanza...... Non ci sono parole per raccontarlo”. Questo di seguito è il suo ultimo giorno di vita terrena preso dal libro “A teste of life” di Mahesh Bhatt: 22 Marzo 2007, Vallecrosia. (dal libro “a taste of life” di Mahesh Bhatt). I movimenti di U.G stanno diventando sempre meno evidenti e frequenti. Io ho la sensazione che egli stia semplicemente scivolando tra le braccia della morte. Susan è entrata

alle 3.50 di notte. Lo sta facendo, con grande precisione,

dagli ultimi 7 giorni. Ancora prima di sedersi mi chiede come sta? Gli dico le mie impressioni e ci sediamo nella stanza congelata dal silenzio. Ed ora, sospira

Susan emettendo un suono che riverbera in tutta la stanza. Ed è l'espressione più eloquente del nostro sentire nei giorni passati. Sono le 5 ora, il profumo del caffè che Susan mi ha portato in una tazza è divino. Io sorseggio quel caffè mentre guardo il mio miglior amico morire. Fuori il sole è alto ma è ancora molto freddo. Alle 8,15 Susan urla: “Oh mio dio Mahesh guarda le formiche”. Mi giro. Migliaia di formiche stanno marciando in fila lungo il tappeto bianco, sopra al bianco sofà, su fino al volto di pietra di U.G dove si sono distribuite annerendo il lato sinistro della sua faccia completamente. Come ci siamo avvicinati abbiamo notato l'intensificarsi della loro attività in contrasto con l'intensa calma di U.G. Larry ho urlato realizzando che ci serviva ulteriore aiuto. E' stato un esercizio di calma il lavoro per liberare il viso di U.G dalle formiche che lui chiama sempre sue amiche. Susuan ha usato uno spray repellente ecologico che aveva comprato il giorno precedente senza sapere che sarebbe servito così presto. Dopo grandi sforzi, abbiamo liberato U.G dalle formiche. Dopo di che Susan ha usato la sua abilità di dottore per cambiare le lenzuola di U.G tornando alla normalità. Perché le formiche sono andate dritte da U.G mentre noi vigilavamo? è la domanda non chiesta che nel cuore di tutti noi. Larry ha una spiegazione. “Esse vengono quando tu sei immobile. Giravano anche attorno a me quando meditavo qui in questa stanza”. “Finché l'uomo non comprende che egli non è più importante delle zanzare e delle formiche è condannato”. La venuta delle formiche ha evidenziato per me le parole profetiche di U.G. Mi ha mostrato che tutti gli dei saranno distrutti e la vita prevarrà. Lo shock dell'incidente della mattina ci ha scossi tutti. Cammino nel grazioso giardino della villa cercando di recuperare il mio equilibrio. Una chiamata dal Pakistan mi da un assaggio del mondo reale. Il paese stà attraversando turbolenze politiche. Il presidente Pervez Musharraf se ne stà andando. A metà giornata sono inquieto. Cammino verso il frigider nell'angolo e lo apro. C'è giusto una scatola d'oro contente i cioccolatini Leonidas. La prendo ed avidamente apro la scatola. Ci sono ancora 4 cioccolatini all'interno. Ne offro a Susan e Larry; ne prendono uno ciascuno. Mi giro verso U.G che giace in fronte a me. Mentalmente gli auguro una buona morte mentre metto in bocca il cioccolatino.

Alle 2,33 decidiamo di fare quattro passi lasciando a U.G la possibilità di “andarsene” mentre nessuno è presente. Larry, Susan ed io siamo arrivati alla conclusione che U.G non se ne andrà finché ci sarà qualcuno di noi nella stanza. E' Susan che ha esperienza con la malattia e la morte che ci ha istillato questa idea. Subito Larry e Susan sono nel giardino e mi chiamano affinché li raggiunga. Ogni cosa è congelata. Mentre vado verso la porta guardo il mio maestro che è ancora vivo e sta respirando. Mi chino e tocco i suoi piedi. Sono rivestiti da una bianca polvere asciutta come cenere. Lo guardo con affetto e gli dico: - U.G io esco così tu puoi andartene. Nel caso che al mio ritorno tu non ci sia più ti voglio ringraziare per tutto quello che hai fatto per me Qualche cosa in quel silenzio esplosivo mi fece capire che le mie parole lo avevano raggiunto. Mi chinai ancora, baciai i suoi piedi e mi accinsi ad uscire ma non potevo. Ero io. U.G poteva abbandonare le situazioni senza voltarsi indietro, ma io non potevo. Così tornai indietro e lo guardai con intensità cercando di fissare l'attimo nella memoria. L'avrei tenuto con me per sempre traendo aiuto da quel momento. Uscii sentendomi strano come se stessi andando via ma in qualche modo fossi ancora con lui. Il mio cellulare suonò, era un sms da mio nipote Vishesh che diceva: - ti prego di ringraziare U.G da parte mia. Non ho le parole per esprimere l'importanza di averlo incontrato nella mia vita. Susan, Larry ed io girammo per le strade deserte di Vallecrosia. Entrammo in un centro commerciale cercando di capire se qualcuno di noi voleva comprare qualche cosa e realizzando subito che era solo una scusa per rimanere lontani dalla villa. Quindi entrammo in un bar per prendere un cappuccino. La televisione stava trasmettendo una Soap opera italiana. Il bar era deserto. La proprietaria fu contenta di guadagnare qualche cosa in questa ora non usuale. Susan si sentì in colpa per avere abbandonato U.G. Io le dissi che stavamo facendo la cosa giusta; avevamo scelto di farlo. Ben presto capimmo che a dispetto di tutti i nostri tentativi di stare lontano qualche cosa ci guidava lì. Attraversammo il cancello cercando di fare il possibile per non entrare nell'appartamento. Mina, (la gatta) apparve da qualche parte e strisciò il suo corpo di seta contro le mie gambe. Mi chinai e le chiesi: - è ancora dentro il mio amico o se n'è andato? Larry, che stava facendo l'impossibile per stare lontano, decise di entrare per

vedere com'era la situazione. Per qualche momento non si sentì nulla poi lo udimmo dire: - ha smesso di respirare Ci provammo a non precipitarci nella stanza facendo finta che tutto era normale e sotto il nostro controllo. Lo trovai esattamente nel modo nel quale l'avevo lasciato. I suoi occhi erano ancora aperti. - E' andato – dissi, - il mio vecchio amico ci ha lasciati – Ero l'unico che egli voleva vedere nell'ultimo momento e così è stato. Pregammo Susan di sentirgli il polso. Lei lo fece. Poi girandosi verso di noi mentre gli teneva ancora la mano, disse, con uno sguardo che non scorderò mai: - Si è andato Siccome nel libro si parla dell'episodio delle formiche includo qui di seguito due aneddoti che riguardano proprio lo strano rapporto che U.G aveva con le formiche. Evidentemente quando parlava in loro nome dicendo di non scacciarle che avevano maggiori diritti di noi, o quando diceva che gli esseri umani non hanno maggiori diritti delle formiche o delle zanzare a ancora quando diceva che le formiche erano sua amiche U.G, non scherzava. Come tutte le cose che ha detto il suo non era un parlare accademico o teorico ma era frutto del suo sentire più intimo. Dal mio diario: ….........Un altro piccolo particolare mi colpisce durante un incontro fatto fuori, sul prato. U.G. è seduto a ridosso del marciapiede dello chalet, ed esattamente sotto la sua sedia vi è un formicaio. Le formiche si muovono con grande operosità girando attorno ai suoi piedi nudi. Io noto che U.G. è terribilmente vicino con i piedi all'ammasso di formiche, ma non mi sento di avvisarlo, la signora svedese invece lo nota e l'avvisa con un pò di allarmismo. U.G. guarda sotto la sedia e dice, scherzando: "Oh! non importa io e le formiche non ci disturbiamo".

Quindi,

noncurante,

torna

alla

discussione.

Se avete mai trattato con le formiche, per esempio a casa vostra, avrete notato cosa succede quando sono ammassate e per qualche motivo voi le disturbate, avrete visto in quanto poco tempo le formiche si disperdono fino a sparire completamente. Non così per U.G., nel corso dell'incontro lui muove i piedi fino a toccare il cumulo di formiche più vicine al nucleo del formicaio, queste si muovono un poco, come se fossero state spostate da un leggero vento, poi tornano a lavorare indisturbate. Analogamente, muovendo i piedi, ogni tanto va ad appoggiarli su un gruppo di formiche che si stanno muovendo

o che sono ferme, le vedo sparire sotto il piede di U.G., che magari resta immobile per un pò, poi lo ritrae strisciandolo; tolto il piede le formiche tornano a muoversi come se nulla fosse successo. Se lì ci fossi stato io assicuro che, quando avessi ritratto il piede, ci sarebbe stata marmellata di formiche. Altre, poche per la verità, gli salgono sui piedi e per un pezzo della gamba per poi ridiscendere. U.G. non fa mostra di accorgersene......... Le formiche a Baveno. Forse il secondo anno che U.G veniva a Baveno andammo su per scaldare l'appartamento in attesa che arrivasse. Quando aprimmo la porta del piccolo monolocale trovammo l'appartamento invaso dalle formiche. Non era la fila tipica delle formiche che solitamente transita lungo il muro verso qualche fonte di cibo, (tipicamente verso la dispensa). La fila tipica mi è successa sia qui che a casa dei miei, ma questa cosa era diversa, era un invasione. File di formiche ovunque, persino sulle mura, sul pavimento, fino alla camera da letto, fino nel letto. Mai vista una cosa del genere. Ci volle il nostro bel da fare per riportare la situazione alla normalità e ciò nonostante qualcuna girava ancora per casa e U.G ne trovò qualcuna persino nel letto. Davanti alle nostre scuse U.G ci ripetè che le formiche non lo disturbavano che erano sue amiche. Dove è sepolto? Il corpo di U.G è stato cremato e le sue ceneri sono state sparse nel mare adriatico. Questo rappresenta l'adempimento delle sue volontà che aveva chiesto che una volta morto le sue ceneri venissero messe in un posto che nessuno conosceva affinché nessuno avrebbe potuto farne un culto. L'idea di spanderle nel mare in questo senso non è sbagliata perché la vastità del mare non permette nessuna localizzazione e così facendo chi ha preso questa decisione ha tenuto fede alla richiesta di U.G.

Epilogo Visto che il libro si apre e parla di una ricerca mi è sembrato il minimo, a fine scritto, dare un compendio sul dove questa ricerca, dopo tutte le vicissitudini attraversate ed i maestri incontrati, mia ha portato. Se mi guardo ora, a 67 anni di età cosa vedo? Cosa mi ha dato, o mi ha tolto tutto questo sforzo, tutto questo cercare? Cosa mi ha dato o mi ha tolto U.G, cioè il maestro che ho frequentato più a lungo? E' una domanda lecita che probabilmente, chi mi ha seguito fino a qui si sarà fatta. Comincio con il premettere che, per quanto mi riguarda, la ricerca non è ancora finita nel senso che se esiste un qualche cosa come l'illuminazione io non l'ho ancora colta. C'è stato un tempo nel quale, sull'onda di certo new age, andavo ripetendomi che in fondo “sono come sono” e che l'accettazione e la pace conseguente era, se non quello stato di illuminazione tanto agognato, quanto meno un sintomo di risveglio. Coltivavo l'idea di essere arrivato e di poter assumere il ruolo del maestro. Poi fortunatamente U.G mi ha riportato coi piedi per terra e questo è già un regalo incommensurabile. Quello che insegnava U.G, (e che insegnano questi maestri in genere), è veramente duro e triste per il nostro “io”. Noi siamo più o meno abituati a considerare la spiritualità, una strada di perfezionamento di noi stessi, ma ciò che si scopre lungo questa strada è che non c'è miglioramento possibile per l'”io” e l'unica possibilità di riscatto consiste nell'eliminare proprio questo io che cerca. Questo paradosso è forse proprio la chiave dell'incomunicabilità di tutti i concetti legati alla ricerca. Sono due dimensioni diverse, due realtà parallele. Una quella del quotidiano, fatta dei nostri valori, delle nostre paure, dei nostri desideri, dei nostri odii, dei nostri amori, in altre parole fatta di quello che pensiamo di essere e l'altra misteriosa, eterna, silenziosa, fatta da ciò che siamo veramente. E' accettabile una cosa simile per ciascuno di noi? Secondo me non è accettabile perché nessuno di noi è pronto a sacrificare “se stesso” su nessun altare. Perdere tutto il male e la miseria che c'è nelle nostre vite, certo non è solo accettabile ma anche desiderabile, ma perdere anche gli affetti, le passioni, i valori, le speranze e tutto ciò di cui siamo fatti è improponibile. U.G facendo leva su un mio tasto sensibile me lo disse più di una volta: - se vai avanti a seguirmi perderai anche lei – riferendosi a Teresa C'è chi questo percorso lo propone con garbo e chi, come U.G, usa modi “ruvidi” o forse solo apparentemente ruvidi. Sentirsi dire parole come: - voi siete la miseria che si siede, la miseria che cammina, la miseria che parla, la miseria che vive – non è esattamente quello che avremmo voluto ascoltare ed ancor peggio poi, è rendersi conto, in fondo al proprio cuore, che queste parole sono vere. Però, per me, passato il supplizio del bardo, qualche cosa è rimasto quanto meno in termini di pulizia intellettuale. Ora vedo molto bene e molto chiaramente il perimetro di questo mio “io” miserabile. Nello stesso tempo ora so che queste cose che vedo non sono io. C'è un aforisma vedantino che illustra molto bene questo punto. Dice più o

meno: - se lo vedi non puoi essere tu. Tu sei l'entità che vede mai ciò che è visto – Questa conoscenza, questa presa di coscienza del mio stato è ancora intellettuale ed in rapporto alla ricerca ed al conseguimento dell'illuminazione non è niente. E' vero ho capito ciò che non sono, ma non vedo ancora cosa rimane se tolgo me stesso dalla scena. In altre parole cosa riempirà il mio essere quando “io” non ci sarò più? Certo a livello teorico posso rispondere rimarrà la - vita nella sua intierezza - oppure un altra parola altisonante: - rimarrà solo l'amore - ma è chiaro, almeno per me è chiaro, che parlo per sentito dire. U.G ripeteva spesso: - non potrai sapere cosa rimarrà quando la conoscenza, (che hai che forma il tuo “io” attuale), se ne sarò andata, perché tu non ci sarai più. Anche Nisargadatta diceva: - puoi conoscere solo quello che non sei. Ciò che sei puoi solo esserlo – Eppure in U.G, nel quale si vedeva molto bene che paure e desideri erano assenti, c'era qualche cosa che dava l'idea di un centro cosciente che funzionava molto bene in questa vita, e che mostrava di essere integrato e felice. Io una vaga idea di cosa rimane quando l'idea che ho di me stesso se ne sarà andata ce l'ho. E' come una reminiscenza ancestrale della mia infanzia..... dei tempi dell'innocenza e dell'integrazione ma non posso, ne voglio comunicarla. Primo perché non so se questa reminiscenza sia esatta o sia ancora solo un pensiero e secondo, davvero non ci sono le parole per descriverla. Ecco io oggi sono in questo punto che varierà, forse si o forse no. Ci ho guadagnato? Si certamente direi di si, almeno da alcuni punti di vista. Essersi liberati da tante false idee non è poco. Non tornerei per nulla al mondo a quando barcollavo nel buio senza nessuna indicazione certa.

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