Lasch, Ch. - La Cultura Del Narcisismo.doc

January 27, 2017 | Author: V. P-Ch. | Category: N/A
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BOMPIANI

Christopher Lasch

LA CULTURA DEL NARCISISMO

L'individuo in fuga dal sociale in un'età di disillusioni collettive Nuova postfazione dell'autore

Progetto grafico di ALBERTO SAVOIA Tilolo originale THE CULTURE OF NARCISSISM Traduzione di MARINA BOCCONCELLI ISBN 88-452-1943-7 ©1979 by W. W. Norton & Company, Inc. ©1981 Gruppo Ediloriale Fabbri, Bompiani, Sonzogno, Etas S.p.A. Via Mecenate 91 - Milano l edizione "Saggi Tascabili" ottobre 1992

a Kate

...perche essa a saggia, se io so giudicar di lei, e beIla, se questi miei occhi son verilieri, e sincera, quale si a dimostrata; e percia saggia, beI-la e sincera com'e, avra sempre ii suo posto neI mio costante cuore. SHAKESPEARE, Il mercante di Venezia

. 7 INTRODUZIONE

Da quando, poco più di venticinque anni fa, Henry Luce proclamava l'avvento del "secolo americano", la fiducia in se stessi degli americani ha subito un profondo riflusso. Chi sognava qualche anno fa di dominare il mondo ora dispera. di governare la ciltà di New York. La sconfilta in Vietnam, la stagnazione economica e il prossimo esaurimento delle risorse naturali hanno determinato un clima di pessimismo che dalle classi dirigenti si comunica al resto della società, con una parallela perdita di fiducia della gente nei suoi rappresentanti. La stessa crisi di fiducia colpisce altri paesi capilalistici. In Europa, la forza crescente dei partili comunisti, il risorgere di movimenti fascisti e l'ondata di terrorismo testimoniano tutti - e in modi diversi - la fragililà di regimi e il logoramento di tradizioni apparentemente salde. Anche il Canada, antico baluardo di solida lealtà borghese, deve ora affrontare, nel movimento separatista del Quebec, una minaccia alla sua stessa esistenza come stato nazionale. Le dimensioni internazionali del malessere attuale fan sì che non lo si possa attribuire a un cedimento solo americano. La società borghese sembra aver esaurilo dovunque il suo patrimonio di idee costruttive, perdendo sia la capacità sia la volontà di affrontare le difficoltà che minacciano di sopraffarla. La crisi politica del capitalismo riflette la crisi generale della cultura occidentale, che si manifesta in una diffusa sensazione di incapacità a comprendere il corso della storia o a gestirlo secondo una linea razionale. Il liberalismo, teoria politica della borghesia in ascesa, da tempo non

è più in grado di spiegare il mondo dello stato assistenziale e delle multinazionali; e nessuna teoria ha preso il

8 suo posto. Il fallimento politico del liberalismo coincide col suo fallimento intellettuale: le discipline scientifiche che ha promosso, forti in passato di una fiducia illuministica nella conoscenza, non forniscono più spiegazioni soddisfacenti dei fenomeni che si pretende di chiarire. La teoria economica neoclassica non riesce a spiegare la coesistenza di disoccupazione e inflazione; la sociologia non tenta nemmeno di delineare una teoria generale della società moderna; la psicologia accademica non raccoglie la sfida di Freud per una analisi in profondilà delta vita quotidiana. Le scienze naturali, dopo aver promesso soluzioni risolutive, ora si affrettano a dichiarare che la scienza non offre rimedi miracolosi per i problemi sociali. . Nell'ambilo delle scienze umanistiche, lo smarrimento è tale da portare a una generale ammissione dell'incapacità degli studi umanistici a dare un contributo all'interpretazione del mondo moderno. I filosofi non spiegano più quale sia la natura delle cose, ne pretendono di dirci come si debba vivere. Gli studiosi che si occupano di letteratura considerano il testo non come una rappresentazione della realtà, ma come l’immagine riflessa dello stato d'animo dell'artista. Gli storici cedono a un "senso di irrilevanza della storia", come dice David Donaldson, e all'immagine di "grigiore della nuova era che ci attende". 1 Dato che la cultura liberale si è sempre ampiamente basata sullo studio della storia, il crollo di questa cultura trova un riscontro particolarmente illuminante nel crollo del senso storico, che avvolgeva in passato in un'aura di dignità morale, patriottismo e ottimismo politico le testimonianze sui fatti della nazione. Gli storici rilenevano, in tempi precedenti, che gli uomini traessero insegnamenti dai loro errori del passato, ma ora che il futuro si presenta difficile e incerto, il passato appare "irrilevante" persino a coloro che dedicano la vita a esplorarlo. “E’ finila l'epoca dell'abbondanza," scrive Donaldson. "La ‘lezione' che il passato americano insegna non è

semplicemente irrilevante, ma addiriltura pericolosa... Forse la mia vera funzione sarebbe di liberate [gli studenti] dal fascino della storia, di fargli capire l’irrilevanza del passato, ... di ricordargli quanto poco gli esseri umani controllino il proprio destino." Quest aè dunq ue l'opin ion delle elile, una vision e del futur o senza spera nza, ora ampi amen te condi visa da color o che gover nano la socie tà, guida no l'opin ion

pubbl ica e contr ollan o il saper e scien tifico da cui la socie tà dipen de. Se d'altr a parte chied iamo all'uo mo della strad a quali siano le sue aspet tative , il 9 senso di una diffusa mancanza di speranza trova ampia conferma. Ma c'e un altro aspetto della questione che qualifica questa impressione e suggerisce che la civiltà occidentale può ancora produrre le risorse morali necessarie a superare la crisi attuale. E vero che la sfiducia diffusa nei confronti di coloro che sono al potere ha reso la

società sempre più ingovernabile, come ripetutamente lamenta la classe al governo, senza peraltro riconoscere le sue responsabililà nel determinare questa siluazione; ma questa stessa sfiducia può porre le basi di una nuova capacità di autogoverno, così da superare il. bisogno stesso che da origine all'esistenza di una classe dirigente separata. Ciò che gli osservatori politici interpretano come indifferenza dell'elettorato può rappresentare, al contrario, un salutare scetticismo nei confronti di un sistema politico in cui la menzogna e la frode sono diventate una prassi abiluale ed endemica. La sfiducia negli esperti può contribuile a diminuire la dipendenza dagli esperti che ha paralizzato la capacità di iniziativa personale. La burocrazia moderna ha indebolilo le antiche tradizioni di attività locale, la cui rinascita ed espansione offrono l'unica speranza che dalle rovine del capitalismo possa emergere una società tollerabile. Davanti all'inadeguatezza delle soluzioni proposte dall'alto, la gente a costretta a inventare soluzioni dal basso. La crisi di legiltimazione delle burocrazie statali ha contagiato anche le burocrazie delle grandi imprese -- i veri centri di potere della società contemporanea. Nelle piccole ciltà e negli affollati quartieri urbani, perfino nelle zone residenziali suburbane, uomini e donne hanno avviato modesti esperimenti di cooperazione, intesi a difendere i loro diritti contro l'ingerenza delle multinazionali e dello stato. La "fuga dalla politica", come viene definila dall'elile dirigenziale e politica, può invece essere un segno che rivela la crescente riluttanza delle persone a partecipare al sistema politico nelle vesti di consumatori di spettacoli prefabbricati. Può non denotare affatto, in altre parole, un riliro dalla politica, ma annunciare le fasi iniziali di una rivolta politica generale. Si potrebbe scrivere molto sui segni rivelatori di un nuovo tipo di vita negli Stati Unili. Questo libro, tuttavia, descrive un modo di vita che sta tramontando - La cultura dell'individualismo ai suoi limili estremi, fino alla guerra di tutti contro tutti, alla ricerca della felicilà nel vicolo cieco di una preoccupazione narcisistica per il se. Le strategie di sopravvivenza narcisistica si propongono oggi come emancipazione

dalle condizioni repres-

10 sive del passato, fomentando in questo modo una "rivoluzione culturale" che riproduce i tratti peggiori della pericolante civiltà che afferma di criticare. II radicalismo in campo culturale e talmente in yoga e così deleterio per l'appoggio inconsapevole che offre allo status quo, che qualsiasi movimento di critica della società contemporanea che non voglia limilarsi a sfiorare il problema deve comprendere nella sua critica una grossa fetta di quello che comunemente viene etichettato come radicalismo. Sono i fatti a rendere ormai inadeguate le critiche di tipo libertario alla società moderna - come a gia avvenuto per molta parte della critica marxista precedente. Sono ancora molti i "radicali" che continuano a dirigere la loro indignata protesta contro la famiglia autorilaria, la morale sessuale repressiva, la censura in campo letterario, l’etica del lavoro e altre istiluzioni fondamentali dell'ordine borghese che in realtà sono state indebolile o abbattute dallo stesso capitalismo avanzato. Costoro non si rendono conto the la "personalità autorilaria" non rappresenta più il prototipo dell'uomo economico. L'uomo economico è stato a sua volta sostituito dall'uomo psicologico dei giorni nostri - il prodotto finale dell'individualismo borghese. Il nuovo narcisista è perseguilato dall'ansia e non dalla colpa. Non cerca di imporre agli altri le proprie certezze, ma vuole trovare un senso alla sua vita. Libero dalle superstizioni del passato, mette in dubbio persino la realtà della sua stessa esistenza. Superficialmente rilassato e tollerante, non condivide più i principi di integrilà razziale o etnica, ma perdendo in questo modo la sicurezza che gli derivava dalla solidarietà di gruppo vede in ciascuno un rivale con cui competere per i privilegi di uno stato paternalistico. Nei confronti del sesso a permissivo piuttosto che purilano, anche se l’emancipazione dai vecchi tabù non gli da nessuna serenilà sessuale. Aggressivamente competilivo nella sua richiesta di approvazione e riconoscimenti, non ama la concorrenza perchè la associa inconsciamente a desideri distruttivi incontrollati. Per questo rifiuta le ideologie competilive fiorile in una prima fase dello sviluppo capilalistico e guarda con diffidenza persino la loro limilata manifestazione negli sport e nelle

competizioni sportive. Esalta i pregi della collaborazione e del lavoro di gruppo, ma nutre contemporaneamente profondi impulsi antisociali. Loda il rispetto delle norme e dei regolamenti nella segreta convinzione che non si applichino nei suoi confronti. Acquisilive nel senso che i suoi desideri non conoscono limili, egli non accumula in previsione del futuro, come

il faceva l'individualista acquisilivo dell'economia politica ottocentesca, ma esige una gratificazione immediata e vive in uno stato di inquietudine e di insoddisfazione perenne. Il narcisista non ha interesse per il futuro, in parte perchè il passato lo interessa pochissimo. Incontra grosse difficoltà a interiorizzare le esperienze felici o a crearsi un patrimonio di ricordi cari a cui attingere negli ultimi anni della sua vita, che anche nelle migliori condizioni portano tristezza e dolore. In una società narcisistica -- una società che mette in crescente risalto e incoraggia le caratteristiche narcisistiche --- la svalutazione culturale del passato non riflette soltanto la miseria delle ideologie prevalenti, che hanno perso il controllo della realtà e abbandonato il tentativo di dominarla, ma anche la miseria della vita interiore del narcisista. Una società che ha fatto della "nostalgia " un prodotto commerciale del mercato culturale, rifiuta immediatamente l'idea che in passato la vita fosse, per certi aspetti rilevanti, migliore di quella d'oggi. Avendo banalizzato il passato identificandolo con modelli di consumo superati, con mode e atteggiamenti antiquati, la gente oggi guarda con insofferenza chi si richiama al passato per discutere seriamente sulla siluazione attuale, o tenta di usarlo come metro di giudizio del presente. Il paradigma critico contemporaneo vede automaticamente in ogni riferimento al passato una espressione di nostalgia. Come ha osservato Albert Parr, questo atteggiamento "esclude ogni possibililà di accumulazione di conoscenza e di valori maturati attraverso l’esperienza personale, in quanto tali esperienze si collocano inevitabilmente nel passato, nei limili quindi della nostalgia"! Affrontare la complessilà dei nostri legami col 'passato bollandoli come "nostalgia" significa sostituire degli slogan al tentativo di critica sociale obiettiva cui questo atteggiamento si richiama. La derisione snobistica con cui viene automaticamente accolta ogni affettuosa rivisilazione del passato a un tentativo di sfruttare i pregiudizi di una società falsamente progressista per il mantenimento dello status quo. Ma ora noi sappiamo - grazie ai lavori di Cristopher Hill, di E.P. Thompson e di altri storici - che, nel passato, molti movimenti radicali hanno tratto

forza e sostegno dal mito, o dal ricordo di una età dell'oro siluata in un passato ancora più lontano. La scoperta di questa realtà storica rinforza l’intuizione psicoanalitica secondo cui un patrimonio di ricordi costiluisce una risorsa psicologica indispensabile nella maturilà e coloro che non possono ricor-

12 rere al ricordo di affettuosi legami passati soffrono terribilmente per questa mancanza. La convinzione che per certi aspetti il passato fosse un periodo più felice non si basa affatto su una illusione romantica; e non porta necessariamente a una visione reazionaria e astorica che paralizza la volontà politica. Il mio modo di vedere il passato è esattamente agli antipodi di quello di David Donaldson. Lungi dal considerarlo un inutile intralcio, penso che sia un prezioso patrimonio politico e psicologico dal quale. attingere le energie (non necessariamente sotto forma di "lezioni") necessarie per affrontare il futuro. La nostra indifferenza culturale nei confronti del passato - che si trasforma rapidamente in ostililà attiva e in rifiuto - è la dimostrazione più significativa del fallimento della nostra cultura. L'atteggiamento prevalente, in apparenza tanto spavaldo e progressista, deriva da un impoverimento narcisistico della psiche e dall'incapacità a stabilire i nostri bisogni sulla base dell'esperienza della soddisfazione e dell'appagamento. Invece di farci guidare dall'esperienza, lasciamo che siano gli esperti a dirci quali siano i nostri bisogni per poi chiederci come mai quei bisogni non ci sembrino mai soddisfatti. "Come le persone, trasformate in tanti scolari diligenti, si lasciano insegnare come, quando e cosa volere," scrive Ivan Illich, "la capacità di dar forma alle proprie esigenze in base a un'esperienza di soddisfazione, diventa una prerogativa non comune o di chi e molto ricco o di chi e seriamente privo di mezzi di sussistenza."3 Per tutti i motivi detti prima, la svalutazione del passato è diventata uno dei sintomi più rilevanti della crisi culturale che prendo in esame in questo libro, con frequenti richiami all'esperienza storica per chiarire quel che non funziona nei nostri ordinamenti attuali. La negazione del passato, in apparenza ottimistica e progressista, rivela - a un esame più approfondilo - la disperazione di una società incapace di affrontare il futuro.

13 RINGRAZIAMENTI

Alcune delle idee esposte in questo libro si sono arricchile e precisate nella corrispondenza e nelle conversazioni intrattenute con Michael Rogin e Howard Shevrin, che desidero ringraziare per l’interesse dimostrato per il mio lavoro e per i loro preziosi suggerimenti. Vorrei anche sottolineare il mio debilo nei confronti dei lavori di Philip Rieff e Russel Jacoby, che hanno offerto un notevole contributo per chiarire le tematiche alle quali questo libro è dedicato. A nessuno di questi studiosi deve essere attribuila la responsabililà delle mie conclusioni, alcune delle quali possono essere da loro non condivise. Il manoscritto si è giovato di una lettura critica di mia moglie e di Jeanette Hopkins, che mi hanno risparmiato in più di un'occasione formulazioni inesatte e inutilmente astratte. Voglio ringraziare ancora una volta Jean DeGroat, per l’abililà e la pazienza dimostrata come dattilografa. Versioni preliminari del materiale presentato - ora ampiamente rielaborato rispetto ai saggi precedenti -- sono apparse su New .York Review ("The Narcissist Società", 30 settembre 1976;

"Planned Obsolescence", 28 ottobre 1976; "The Corruption of Sports", 28 aprile 1977; "The Seige of the Famiti", 24 novembre 1977); Partisan Review ("The Narcissistic Personalità of Our Time", 1977, n. 1); Hastings Center Report ("Aging in a Culture wilhout a Future", August 1977); Marxist Perspectives ("The Flight from Feelings", primavera 1978); e Psychology Today ("To Be Young, Rich, and Entilled", matzo 1978).

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1. IL MOVIMENTO DI AUTOCOSCIENZA E L'INVASIONE SOCIALE DEL SE L 'uomo di Marivaux, secondo Poulet, è 'un individuo senza passato e senza futuro, che rinasce ad ogni istante. Gli istanti sono punti che si dispongono su di una linea, ma l'importante è l'istante, non la linea. L'uomo di Marivaux, in un certo senso, non ha storia. Non c 'è concatenazione tra quanto segue e quanto precede. E in una condizione di costante stupore. Non è in grado di prevedere le sue reazioni agli avvenimenti. Ne è sempre travolto. Vive in una condizione di sospensione ansiosa e di smarrimento.

DONALD BARTHELME t Fa solo rabbia pensare che si vorrebbe essere . da qualche altra parte. Siamo qui, e ora. JOHN CAGE 2

LA PERDITA DEL SENSO DEL TEMPO STORICO Si avvicina la fine del XX secolo, e con essa la convinzione che morte altre cose stiano volgendo al termine. Presagi, prodigi, segni premonitori di catastrofe ossessionano la nostra epoca. Il "senso della fine", che ha dato forma a tanta parte della letteratura del XX secolo, si sta insinuando anche nell'immaginazione popolare. Gli orrori del nazismo, la minaccia di annientamento nucleare, lo sfruttamento distruttivo delle risorse naturali, le fondate previsioni di un disastro ecologico danno corpo alla profezia poetica e concretizzano storicamente l'incubo, o desiderio di morte, cui gli artisti delle avanguardie furono i primi a dar voce. Se il mondo sia destinato a scomparire divorato

dal fuoco o sepolto dai ghiacci, in un'esplosione a in un silenzioso sussulto, è un interrogativo non più confinato al mondo dell'arte. Il disastro incombente è diventato preoccupazione quotidiana, tanto normale e consueta che nessuno si chiede più seriamente se e come il disastro potrebbe essere evitato. La gente si dedica affannosamente, invece, alla ricerca di strategie di sopravvivenza, di modi per prolungare la propria esistenza personale 1 6 o di sistemi per garantire il benessere del corpo e la pace dello spirito.* C'e chi scava rifugi antiatomici sperando di sopravvivere grazie agli ultimi rilrovati della moderna tecnologia. Nelle comuni. rurali, altri tentano di realizzare il progetto opposto: liberarsi dalla dipendenza tecnologica e sopravvivere cosi alla rovina. Un ospile in visila a una comune del North Carolina scrive: "Tutti sembrano condividere il senso della catastrofe imminente." Stewart Brand, the cura l’edizione del Whole Earth Catalogue, riferisce che "le vendile del Survival Book sono in vertiginoso aumento; a uno dei nostri successi più clamorosi".5 Entrambe le strategie riflettono la crescente disperazione di poter cambiare una società che non si riesce nemmeno a capire, una disperazione che sottende il culto della dilatazione della coscienza, della salute fisica e della "crescita" personale, oggi tanto diffuso. Dopo le mobililazioni poliliche degli anni sessanta, gli americani hanno dirottato il loro interesse su questioni esclusivamente personali. Abbandonata la speranza di migliorare la vita in modo significative, la gente si è convinta che quel che veramente conta è il miglioramento del proprio stato psichico: aderire alle proprie sensazioni, nutrirsi con cibi genuini, prender lezioni di ballo o di danza del ventre, bagnarsi nel mare della saggezza orientale, fare del jogging,

imparare a "entrare in rapporto", a vincere la "paura del piacere". Questi obiettivi, in se innocui, se elevati alla dignità di programma e impastati nella retorica dell'autenticità e della consapevolezza implicano di fatto il riliro dalla politica e il ripudio del passato recente. In realtà gli americani sembrano voler dimenticare non soltanto gli anni sessanta, le rivolte, la nuova sinistra, i disordini nei campus universilari, il Vietnam, lo scandalo Watergate e la presidenza * "IL senso delta fine... è... presente in maniera endemica in cio che noi chiamiamo modernismo," scrive Frank Kermode. ".,.In generate, sembra che in noi convivano il senso della decadenza della società --•- come dimostra il concetto di alienazione the, sostenuto da un rinnovato interesse per il primo Marx, non ha mai goduto prima di Maggiore favore e un utopismo tecnologico. Nel nostro modo di pensare al futuro ci sono contraddizioni tali che, se solo fossimo disposti a riconoscerle, sarebbero impossibili da integrare. Ma, di regola, restano nascoste in profondilà." 3 Susan Sontag, osservando che "la gente reagisce in modi diversi all'annuncio della futura rovina", distingue tra le fantasie apocaliltiche di epoche remote e quelle attuali. In passato, la previsione dell’apocalisse era spesso "occasione di un completo distacco dalla società", mentre attualmente provoca "una reazione inadeguata", 4 non suscita cioè "un grande turbamento".

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Nixon, ma tutto il loro passato collettivo, persino quello delle asettiche celebrazioni del Bicentenario. Nel film il dormiglione, uscilo nel 1973, Woody Allen ha centrato molto bene lo stato d'animo prevalente degli anni settanta. Il film, una indovinata parodia del genere fantascientifico, trasmette in modi diversi un unico messaggio: "le soluzioni poliliche non funzionano", come dichiara categoricamente Allen a un certo punto. Quando gli viene chiesto in che cosa crede, Allen, dopo aver scartato la politica, la religione e la scienza, afferma: "Credo nel sesso e nella morte -- due esperienze che si presentano una sola volta nella vita." Vivere per il presente è l’ossessione dominante vivere per se stessi, non per i predecessori o per i posteri. Stiamo perdendo rapidamente il senso della continuità storica, il senso di appartenenza a una successione di generazioni che affonda le sue radici nel passato e si proietta nel futuro. E’ la perdita del senso del tempo storico - in particolare, il lento dissolversi di qualsiasi serio interesse per la posterilà - che differenzia la crisi spirituale degli anni settanta dalle precedenti esplosioni di millenarismo religioso, con cui presenta qualche superficiale somiglianza. Molti osservatori han fatto riferimento a questa analogia, usandola come chiave di lettura della "rivoluzione culturale" contemporanea ma ignorandone i tratti distintivi rispetto ai movimenti religiosi del passato. Qualche anno fa, Leslie Fiedler proclamava una "nuova era della fede". Più recentemente, Tom Wolfe interpreta il nuovo narcisismo come un "terzo grande risveglio", come un'esplosione di orgiastica, estatica religiosità. Jim Hougan, in un libro che appare contemporaneamente critico e celebrativo della decadenza contemporanea, cerca un confronto tra l’atteggiamento spirituale attuale e il millenarismo del basso Medioevo.' "Le inquietudini del Medioevo non sono molto diverse da quelle del nostro tempo," scrive. Allora come oggi, dagli sconvolgimenti sociali nascevano le "sette

millenariste".* Sia Hougan che Wolfe, pero, forniscono involontariamente materia per escludere una interpretazione religiosa del "movi* Il libro di Hougan rispecchia la convinzione corrente dell'inutilità di "soluzioni solamente poliliche" ("la rivoluzione non otterrebbe altro effetto che un cambiamento nella gestione del malessere") ed esemplifica la reazione inadeguata di fronte al disastro the la Sontag considers cosa peculiare della nostra epoca. "E incredibilmente semplice," esordisce Hougan all'inizio. "Tutto va in pezzi. Non c' niente da fare. Un sorriso sia il vostro riparo."

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mento della coscienza". Hougan osserva che la sopravvivenza è diventata la "parola d'ordine degli anni settanta" e il "narcisismo collettivo" la tendenza dominante. Dal momento che la società è senza futuro, acquista un senso vivere solo in funzione del presente, occuparsi soltanto delle proprie "realizzazioni personali", diventare fini conoscitori della propria decadenza, coltiva un' " auto-osservazione di ordine trascendentale". Questi non sono atteggiamenti storicamente associati alle esplosioni millenaristiche. Gli anabattisti del XVI secolo non attendevano 'l'apocalisse assorbili in una "auto-osservazione trascendentale", ma con malcelata impazienza per l’età dell'oro di cui credevano segnasse l'inizio. Ne erano insensibili ai richiami del passato. Le antiche tradizioni popolari che parlavano di un "re dormiente" -- il condottiero che sarebbe rilornato al suo popolo e avrebbe ristabililo una perduta età dell'oro - ispiravano i movimenti millenaristi di questo periodo. IL Rivoluzionario dell'Alto Reno, autore anonimo del Book of a Hundred Chapters, proclamava: "Un tempo i Germani erano i padroni del mondo, e lo saranno ancora, più potenti che mai." Annunciava che il risorto Federico II, "l'Imperatore del giorno del giudizio", avrebbe ristabililo la religione degli antichi Germani, avrebbe spostato la capilale da Roma a Treviri, abolilo la proprietà privata e annullato le differenze tra ricchi e poveri.7 Tradizioni di questo genere, spesso associate ai movimenti nazionalisti contro la dominazione straniera, fiorirono in vari periodi e in forme diverse, tra cui si può annoverare la visione cristiana del giudizio universale. L'egualilarismo e lo pseudostoricismo che le informano indicano che persino le religioni del passato più radicalmente orientate verso il mondo ultraterreno esprimevano una speranza di giustizia sociale e un senso della continuità con le generazioni precedenti. E’ proprio l'assenza di questi valori che caratterizza la mentalilà della sopravvivenza negli anni

settanta. La "visione del mondo che si manifesta tra noi," scrive Peter Marin, fa perno "unicamente sul se" e ha "come unico valore la sopravvivenza individuale". Nel. tentativo di individuare i tratti distintivi della religiosità contemporanea, lo stesso Tom Wolfe osserva che "la maggioranza della gente, storicamente, non ha vissuto all'insegna del `si vive una volta sola'. Al contrario ha vissuto come se la sua vita fosse contemporaneamente quella dei progenitori e dei discendenti..." 8 Queste osservazioni si avvicinano molto al cuore del problema, ma

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allora da rimettere in discussione la definizione del nuovo narcisismo come "terzo grande risveglio".*

LA SENSIBILITA TERAPEUTICA Il clima contemporaneo è terapeutico, non religioso. La gente oggi non aspira alla salvazione personale, e tanto meno al ritorno a una primitiva età dell'oro, ma alla sensazione, alla illusione momentanea di benessere personale, di salute fisica e di tranquillità psichica. Anche il movimento radicale degli anni sessanta non rappresento, per molti di coloro. che vi aderirono per ragioni personali più che politiche, una " sorta di religione sostitutiva, ma piuttosto una forma di terapia. L 'attività politica radicale riempì il vuoto di molte vile, dando loro uni significato e uno scopo. Nel suo libro di memorie sul gruppo des Weathermen, Susan Stern descrive il loro carisma in termini presi a prestilo dalla psicoanalisi e dalla medicina più che dalla religione. Cercando di rendere il suo stato d'animo durante le dimostrazioni del 1968 a Chicago, alla Convenzione del partilo democratico, scrive invece del suo stato di salute. "Stavo bene. Sentivo il mio corpo agile, forte e snello, pronto a percorrere miglia e miglia, e le mie gambe che si muovevano sotto di me veloci e sicure." Poche pagine dopo,,dichiara: "Mi sentivo vera. " Più di una volta spiega che l'associazione con persone importanti la faceva sentire importante. "Sentivo di far parte di una vasta organizzazione di persone autentiche, geniali e stimolanti." Quando i leader che idealizzava la deludevano, come puntualmente accadeva, si metteva alla ricerca di nuovi eroi che li sostiluissero, nella speranza di ricaricarsi a contatto con la loro "luminosa genialilà" e di superare la sua sensazione di nullilà. In loro presenza, le accadeva di sentirsi "forte e sicura" - salvo poi rilrovarsi respinta, una volta cessata l'infatuazione, dall'"arroganza" di coloro che prima ammirava, dal "loro disprezzo per tutti coloro che stavano loro intorno". 9 Molti particolari nel libro della Stern suoneranno familiari

* Come esempio della muova tendenza a rifiutare la visione di se "come parte di un grande flusso biologico", Wolfe cila lo slogan pubblicitàrio di una tintura per capelli: "Se ho soltanto una vita, voglio viverla da bionda!" Se ne potrebbero cilare un numero infinilo: la pubblicità di Schlilz ("La vita ,e una sola, prendetevi il meglio"); il tilolo di un popolare dramnone sentimentale, "Una vita da vivere", e altri ancora.

20 agli storici dei movimenti rivoluzionari: l’ardore dell'impegno rivoluzionario, le interminabili dispute dottrinarie del gruppo sui dettagli della linea politica, l'instancabile "autocritica" a cui i membri della setta venivano continuamente invitati, il tentativo di rimodellare ogni aspetto della propria vita in conformilà con la fede, rivoluzionaria. Ma ogni movimento rivoluzionario rientra nella cultura del proprio tempo, e quello dei Weathermen presenta elementi che lo identificano immediatamente come prodotto della società americana in un periodo di aspettative decrescenti. Il clima psicologico in cui vissero i Weathermen - un clima di violenza, pericolo, droga, promiscuilà sessuale, confusione morale e psichica - non era il frutto di una tradizione rivoluzionaria preesistente, ma piuttosto il risultato dei turbamenti e delle angosce narcisistiche dell'America contemporanea. La preoccupazione per lo stato della sua salute mentale, insieme alla dipendenza dagli altri per il suo senso di identità, distinguono Susan Stern dal tipo umano che, spinto da un'ansia di tipo religioso, cerca nella politica una forma secolarizzata di salvazione: il suo bisogno era quello di acquisire una identità, non di annullarla abbracciando una grande causa. Il narcisista --- proprio per questa inconsistenza della sua identità - si differenzia anche da un vecchio tipo di individualista americano, l'"Adamo americano", analizzato da R.W.B. Lewis, Quentin Anderson, Michael Rogin, e da studiosi ottocenteschi come Tocqueville.10 Il narcisista contemporaneo, nel suo egocentrismo e nelle sue manie di grandezza, presenta qualche superficiale analogia col "se imperiale" tanto celebrato dalla letteratura americana dell'ottocento. L'Adamo americano, come i suoi discendenti attuali, cercava di liberarsi del passato e di stabilire quella che Emerson chiamava "una rifondazione del rapporto con l’universo". Gli scrittori e gli oratori del XIX secolo non si stancavano di riaffermare, in una grande varietà di forme, la dottrina di Jefferson secondo cui la terra appartiene ai vivi. La rottura con l'Europa, l'abolizione dei diritti di primogenitura e l'allentarsi dei vincoli familiari diedero fondamento alla convinzione (anche

se poi si rivelo una falsa speranza) che gli americani, unici tra tutti i popoli della terra, potevano sottrarsi all'ingombrante influenza del passato. Pensavano, come dice Tocqueville, che "il loro destino fosse tutto nelle loro mani". Le condizioni sociali degli Stati Unili, scriveva Tocqueville, avevano reciso i vincoli che in precedenza univano una generazione all'altra. "La trama del tempo è continuamente lacerata, e il

21 segno delle generazioni cancellato. Quelli the ci hanno preceduto sono subito dimenticati; di quelli the verranno, nessuno si cura: l'interesse dell'individuo è limitato a chi gli è immediatamente vicino. " il Qualche critico ha descritto il narcisismo degli anni settanta in termini simili. Le nuove terapie legate al movimento del "potenziale umano" insegnano, per usare i termini di Peter Marin, che "la volontà dell'individuo è onnipotente, e determina in tutto e per tutto il suo destino, rafforzando in questo modo l"isolamento del se' Questa linea di discorso appartiene a un filone di pensiero ben radicato nella tradizione americana. L'appello lanciato da Marin per il riconoscimento dell’immensa base comune dell'umanità" ricorda Van Wyck Brooks, che criticava i trascendentalisti del New England perché trascuravano "la geniale base comune della tradizione umana ".13 Brooks stesso, net suo atto d'accusa contro la cultura americana, riprendeva le critiche gia espresse da autori come Santayana, Henry James, Orestes Brownson e Tocqueville. La tradizione critica da loro inaugurata può ancora dirci molto sui mali dell'individualismo esasperato, ma deve essere rifondata per includervi le differenze esistenti tra l'Adamismo dell'ottocento e il narcisismo dei giorni nostri. La critica del "culto del privato", anche se utile per mantenere vivo il bisogno di socialità, è diventata sempre più fuorviante in un contesto che vede ridursi le possibililà di autentica privacy. E’ vero the l'americano moderno non è riuscito, come i suoi predecessori, a stabilire alcuna forma di vita comunitaria, ma le tendenze integrative della società industriale moderna hanno parallelamente minato le sue possibililà di "isolamento". Avendo trasferito all'azienda gran parte delle sue competenze tecniche, l'individuo non è più in grado di soddisfare i suoi bisogni materiali. Mentre la famiglia perde non soltanto le sue funzioni produttive, ma anche molte delle sue funzioni riproduttive, gli uomini e le donne non riescono neppure più ad allevare i loro figli senza l'assistenza di esperti qualificati. L'atrofia delle antiche tradizioni del self-help ha * Nel 1857, Brawnson stigmatizzava l’individualismo atomizzante della vita moderna in termini che anticipavano la denuncia degli stessi mali nel XX secolo. "L'opera di distruzione, iniziata dalla Riforma, the aveva aperto un'epoca di critica e di cambiamento, era stata, pensavo,

completata. Era stato dissolto tutto quello che c'era da dissolvere, era stato distrutto tutto quello che c'era da distruggere. Era venuto il momento di dare inizio all'opera di ricostruzione - un'opera di amore e riconciliazione... La prima cosa da fare è abbandonare l’ostililà verso il passato." 14

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espropriato il sapere quotidiano in un settore dopo l’altro, e ha determinato la dipendenza dell'individuo dallo stato, dall'azienda e dalle altre organizzazioni burocratiche. Il narcisismo rappresenta la dimensione psicologica di questa dipendenza. Malgrado le occasionali illusioni di onnipotenza, il narcisismo attende da altri la conferma della sua autostima. Non può vivere senza un pubblico di ammiratori. La sua apparente liberta dai legami familiari e dai vincoli istituzionali non lo rende più autonomo, o fiero della propria individualilà. Al contrario, essa alimenta l'insicurezza, che può essere superata solo cogliendo nelle attenzioni altrui il riflesso del suo "io grandioso", oppure associandosi a chi gode di carisma, fama e potere. Per il narcisista il mondo è uno specchio, mentre per l'individualista primitivo era una terra di nessuno da modellare secondo la sua volontà. Nell'immaginario americano dell'ottocento il vasto continente che si stendeva verso ovest simboleggiava contemporaneamente la speranza e la minaccia di una fuga dal passato. I territori del west rappresentavano la possibililà di edificare una nuova società libera da vincoli di tipo feudale, ma anche la tentazione di un abbandono della civiltà, di una regressione allo stato selvaggio. Attraverso l'operosità coatta e un'implacabile repressione sessuale, gli americani di quel secolo conseguirono un temporaneo trionfo sull'Es. La violenza con cui aggredirono gli indiani e la natura non nasceva da impulsi incontrollati, ma dal Super-io bianco anglosassone, che temeva il west selvaggio perché in esso si oggettivava la natura selvaggia latente in ogni individuo. Mentre la letteratura popolare celebrava l'epopea romantica della frontiera, in pratica gli americani imposero sui territori un nuovo ordine basato sul dominio degli istinti e sulla liberazione della volontà acquisitiva. La natura stessa dell'accumulazione implicava la sublimazione degli istinti, e la subordinazione degli interessi personali immediati al bene delle generazioni future. E’ vero che nel fervore della lotta per la conquista del west, il pioniere americano diede libero sfogo a

tutta la sua rapacità e crudeltà omicida, ma sempre con un obiettivo ben chiaro in mente (espresso, non senza qualche dubbio, nel culto nostalgico di una perduta innocenza): una comunità pacifica, rispettabile, profondamente religiosa, sicura per le sue donne e i suoi figli. Immaginava che i figli, cresciuti sotto l'influenza moralmente benefica della "cultura" femminile, sarebbero diventati sobri cittadini americani, timorati e rispettosi delle leggi, e il pen-

23 siero di questa eredita futura giustificava la sua fatica e scusava, nel frattempo, i frequenti cedimenti alla brutalità, al sadismo e alla violenza devastatrice. Gli americani dei giorni nostri si sentono invece schiacciati non dal senso delle possibilità senza limili, ma dalla banalità dell'ordine sociale che hanno eretto per dominarle. Avendo interiorizzato le restrizioni sociali attraverso cui cercarono nel .passato di contenere le libertà entro i limili della convivenza civile, si sentono sopraffatti da una noia che li annienta, come animali i cui istinti siano stati fiaccati dalla cattività. Il rilorno a uno stato primitivo rappresenta per loro una minaccia tanto lontana che ciò a cui aspirano è proprio una esistenza più vigorosamente istintuale. La gente, oggi, lamenta piuttosto la perdita di emotività; valorizza esperienze più intense, cerca di risvegliare sensi addormentati, si sforza di stimolare stanchi appetili. Gli uomini del XX secolo hanno eretto una tale quantità di barriere psicologiche per difendersi da emozioni intense, e investilo in questo processo tanta parte dell'energia pulsionale, che hanno quasi dimenticato cosa si prova a lasciarsi invadere dal desiderio. Tendono, piuttosto, a rodersi di una rabbia inespressa, che nasce dalle difese erette contro il desiderio e che a sua volta genera nuove difese. Anche se in apparenza sono persone miti, remissive e socievoli, internamente sono sconvolti dall'ira, che in una società compatta, burocratica e sovrappopolata non può disporre di molti sbocchi legittimi. L'espansione della burocrazia crea una fitta rete di rapporti interpersonali, premia le capacità di socializzazione e rende insostenibile lo sfrenato egotismo dell'Adamo americano. Nello stesso tempo, tuttavia, sgretola tutte le forme di autorità patriarcale e indebolisce quindi il Super-io sociale, rappresentato un tempo dai padri, dai maestri e dai predicatori. Ma il declino dell'autorità istituzionalizzata, in una società apparentemente permissiva, non determina un "declino del Super-io". negli individui. Favorisce, al contrario, lo sviluppo di un Super-io rigido e punitivo che, in mancanza di divieti che emanano da autorità socialmente riconosciute, trae gran parte della sua energia psichica dalle spinte distruttive e aggressive inconsce. L'azione del Super-io finisce per essere

dominata da elementi inconsci e irrazionali. Dal momento che le figure di autorità perdono nella società moderna la loro "credibilità", il Super-io dell'individuo deriva in misura sempre maggiore dalle primitive fantasie del bambino sui suoi genitori fantasie imbevute di sadico risenti-

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mento - piuttosto che dall'interiorizzazione di Io ideali formatisi attraverso i successivi rapporti con modelli di comportamento sociale amati e rispettati.* La lotta per mantenere l'equilibrio psichico in una società che pretende il rispetto delle regole di rapporto sociale, ma che si rifiuta di fornire un codice di condotta morale su cui fondarle, favorisce una forma di egocentrismo che non ha niente in comune con il narcisismo primario del s e imperiale. La struttura della personalità è sempre più dominata da elementi arcaici, e regredisce", come dice Morris Dickstein, "a un primitivo stato di passività in cui il mondo rimane informe, increato". Il s e imperiale, egomaniaco e avido di esperienze regredisce a un io grandioso, narcisista, infantile, vuoto: " u n oscuro buco fradicio", così scrive in Nog .Rudolph Wurlilzer, "dove prima o poi ogni cosa trova una via di accesso. Io resto fuori vicino all'entrata, maneggio la merce che viene spinta dentro, ascolto e, rispondo con cenni del capo. Lentamente svanisco assorbilo da questa cavità".15 Tormentato dall'ansia, dalla depressione, da una generica insoddisfazione, da un senso di vuoto interiore, l'"uomo psicologico" del XX secolo non mira a un potenziamento individuale e neppure alla trascendenza spirituale, ma anela alla pace dell'anima, in condizioni che la rendono sempre più improbabile. I terapeuti, non i preti, o i predicatori popolari del self-help, o modelli ideali di autorealizzazione come i capitani d'industria, sono diventati i suoi più importanti alleati nella lotta per raggiungere un equilibrio, e a loro che si ricorre nella speranza di conseguire il moderno equivalente della redenzione, la "salute * II Super-io, l 'agente della società nella psiche, consiste sempre di immagini interiorizzate dei genitori e di altri simboli di autorità, ma a importante distinguere tra le immagini che derivano da impressioni arcaiche, pre-edipiche, e quelle prodotte da impressioni successive e che, per questo motivo, rispecchiano una valutazione p i ù realistica dei poteri parentali. Più precisamente, le seconde contribuiscono alla formazione dell'" Io ideale" - interiorizzazione delle aspettative degli altri e dei tratti peculiari che amiamo e rispettiamo in loro; mentre il Super-io, diversamente dall'Io ideale, deriva da fantasie arcaiche che contengono un'ampia quota di aggressivilà e risentimento mescolati insieme, provocati dall'inevitabile fallimento dei genitori a soddisfare tutte le

richieste istintuali del bambino. Ma, generalmente, la parte aggressiva, punitiva e autodistruttiva del Super-io viene modificata dall'intervento dell'esperienza successiva, che attenua le primitive fantasie sui genitori immaginati come mostri famelici. Se tale esperienza manca - come spesso succede in una società che ha drasticamente svalutato tutte le forme di autorità - si può prevedere che il .Super-io sadico si svilupperà a danno dell'Io ideate, e il Super-io distruttivo a danno di quella voce interiore, severa ma sollecita, che chiamiamo coscienza.

25 mentale". La terapia si è definitivamente imposta come erede dell'individualismo primitivo e della religione, ma non nel senso che il "trionfo del terapeutico" sia diventato automaticamente una nuova religione. La terapia costiluisce infatti una forma di antireligione, e non certo perchè si attenga a spiegazioni razionali o a metodi scientifici, come vorrebbero farci credere gli addetti ai lavori, ma piuttosto perché la società moderna "non ha futuro", e per questo qualunque cosa trascenda i bisogni immediati non viene presa in considerazione. Anche quando i terapeuti parlano del bisogno di "significato" e "amore", essi definiscono l'amore e il significato unicamente come la realizzazione delle esigenze emotive del paziente. Difficilmente si verifica il caso considerata la natura dell'iniziativa terapeutica sarebbe strano il contrario - che incoraggino il paziente a subordinare i propri bisogni e interessi a quelli altrui, a una persona, o a qualche causa o tradizione al di fuori di lui. "Amore" come abnegazione o mortificazione di se, "significato" come devozione a qualcosa che ci trascende --- queste sublimazioni urtano la sensibilità terapeutica come oppressioni intollerabili, offese al buon senso, nocive alla salute e al benessere personale. La liberazione dell'umanità da questo genere di idee sorpassate sull'amore e il dovere e diventata la missione delle terapie postfreudiane, e in particolare di quegli innumerevoli seguaci e proselili per cui la salute mentale coincide con l'abbandono delle inibizioni e l'immediata gratificazione di qualsiasi impulso,

DALLA POLITICA ALL'AUTO-ANALISI Oltre ad aver soppiantato la religione come struttura portante della cultura americana, la concezione terapeutica minaccia anche di sostituirsi alla politica, ultimo rifugio dell'ideologia. La burocrazia trasforma il disagio collettivo in problemi personali da sottoporre a intervento terapeutico: la denuncia di questa operazione di svuotamento dello scontro politico e stata negli anni sessanta uno dei contributi più importanti della nuova sinistra alla crescita di una coscienza politica. Ma negli anni settanta moltissimi ex radicali si

sono a loro volta convertiti alla sensibilità terapeutica. Rennie Davis abbandona la linea politica radicale per seguire il giovanissimo guru Maharaj Ji. Abbie Hoffman, ex leader degli yippies, decide che è più importante

26 chiarirsi le idee che mettersi alla testa delle masse. Il suo compagno di un tempo, Jerry Rubin, giunto alla soglia dei fatidici trent'anni e trovandosi a faccia a faccia con il cumulo delle sue ansie e paure personali, si trasferisce da New York a San Francisco dove diventa - grazie a una disponibilità economica apparentemente inesauribile un insaziabile consumatore dei grandi supermercati spirituali della West Coast. "In cinque anni," confessa Rubin, "esattamente dal 1971 al 1975, ho sperimentato direttamente e.s.t., gestalt, bioenergetica, rolling, massaggic, jogging,, alimentazione naturale, tai chi, Esalen, ipnotismo, danza contemporanea, medilazione, Silva Mind Control, Arica, agopuntura, terapia sessuale, terapia reichiana e More House - un torso multiuso per lo sviluppo di una Nuova Ccscienza. " 'd Nelle. sue memorie, dal tilolo accattivante di Growing (Up) at Thirtà-seven, Rubin testimonia dei salutari effetti del suo regime terapeutico. Dopo aver trascurato il suo corpo per anni, si concede "l'autorizzazione a star bene" e perde rapidamente quattordici chili. A trentasette anni, cibi sani, jogging, yoga, sauna, chiropratica e agopuntura lo rimettono in forma "come a venticinque anni". I suoi progressi spirituali si rivelano altrettanto facili e soddisfacenti. Si libera della sua corazza difensiva, del suo sessismo, della sua "dipendenza dall'amore" e impara "ad amarsi tanto da non aver bisogno di un'altra persona per essere felice". Arriva a essere consapevole che la sua politica rivoluzionaria nascondeva un "puritanesimo di fondo", che talvolta gli creava un certo disagio per via della celebrità di cui godeva, e dei relativi privilegi materiali. Sembra che non sia stato necessario un grosso sforzo psichico per persuadere Rubin che "è giusto approfittare dei vantaggi che il denaro procura ". Impara ad assegnare al sesso "il posto che gli spetta" e a trarne piacere senza investirlo di significato,"simbolico". Sotto la guida di una serie di guaritori spirituali infierisce contro i genitori e contro- il suo legalitario e punitivo "giudice" interiore, riuscendo successivamente a "perdonare" genitori e Super-io. Si taglia i capelli, la barba, e ".quello che vidi mi piacque". Ora, "quando entravo in una stanza nessuno

sapeva chi ero, perché non, corrispondevo all'immagine che avevano di me. Avevo trentacinque anni, ma ne dimostravo ventilre". Rubin considera il suo "viaggio alla scoperta di se" come parte integrante del "movimento di autocoscienza" degli anni settanta.

27 Eppure la sua "massiccia auto-analisi" non ha prodotto molte indicazioni utili per la conoscenza di se, personale o collettiva: l'autoconsapevolezza continua a restate prigioniera di clichè liberazionisti. Rubin si confronta con il "femminile che è in me", con la necessità di acquisire un atteggiamento più tollerante verso l'omosessualità e con il bisogno di "riconciliazione" con i suoi genitori, come se queste verità risapute fossero rivelazioni faticosamente conquistate sulla condizione umana. Abile manipolatore delle tendenze più diffuse, "fenomeno dei media" e imbonilore dichiarato, Rubin parte dall'assunto secondo cui tutte le idee, i tratti caratteristici e i modelli culturali sono determinati dalla propaganda e dal "condizionamento". Scusandosi per la sua eterosessualilà, scrive: "Non mi sento attratto dagli uomini perché da bambino mi hanno inculcate l'idea che l'omosessualilà è una malattia." Ne! corso della terapia, si sforza di neutralizzare "la programmazione negativa a cui a stato sottoposto nell'infanzia". Persuaso che un decondizionamento collettivo fornirà le basi per un cambiamento 'sociale e politico, cerca di stabilire un fragile collegamento tra l'attività politica precedente e i suoi attuali interessi, unicamente incentrati sul suo corpo e le sue "sensazioni". Come molti ex radicali, ha semplicemente sostituito gli slogan terapeutici più diffusi agli slogan politici di cui si era fatto portavoce, con pari indifferenza per il loro contenuto. Rubin sostiene che la "rivoluzione interiore degli anni settanta" è nata dalla consapevolezza che il radicalismo degli anni sessanta non aveva affrontato i problemi della qualità della vita privata, e in genere i problemi culturali, nella errata convinzione che le questioni legate alla "crescita personale" - sono parole sue -- potessero attendere "fino a rivoluzione avvenuta". Questa accusa è in parte vera. Troppo spesso la sinistra ha rappresentato un rifugio per chi cercava di sfuggire allo sgomento della propria vita interiore. Paul Zweig, un altro ex radicale, ha ammesso di essere diventato comunista verso la fine degli anni cinquanta perché il comunismo "era una liberazione... dal vuoto e dai cocci rotti di una vita che si esauriva

nella dimensione privata"." Fin tanto che i movimenti politici continueranno ad attrarre chi cerca di soffocare i! senso del proprio fallimento personale immergendosi nell'azione collettiva --- come se questa escludesse in qualche modo una rigorosa attenzione per la qualità della vita privata - i movimenti politici avranno ben poco da dire sulla dimensione personale della crisi sociale.

28 Ma in realtà la nuova sinistra - diversamente dalla sinistra tradizionale aveva incominciato ad affrontare questo aspetto della crisi del breve periodo che vide i suoi giorni migliori a meta degli anni sessanta. In quegli anni, si stava diffondendo l’opinione - e non solo tra coloro che militavano nella nuova sinistra - che la crisi personale, date ormai le dimensioni raggiunte, rappresentasse di fatto una questione politica, e che un'analisi esauriente della società e della politica contemporanea dovesse essere in grado di spiegare, tra l’altro, perché la crescita e lo sviluppo personale siano divenuti un'impresa così ardua; perché la nostra società sia ossessionata dalla paura della maturità e della vecchiaia; perché la "vita interiore" non offra più alcuna protezione dalle minacce che ci circondano. La nascita, negli anni sessanta, di una nuova forma letteraria, che associava critica culturale, cronaca politica e ricordi personali, rappresento un tentativo di esplorare queste questioni - di far luce sulle interrelazioni tra vita privata e politica, tra la storia e l'esperienza personale. Libri come Armies of the Night, di, Norman Mailer, sbarazzandosi della convenzione dell'obiettività giornalistica, riuscivano spesso ad approfondire la realtà dei fatti più di tanti resoconti asettici, compilati da osservatori imparziali o presunti tali. Anche i romanzi, nei quali non si cercava più di mascherare la presenza o il punto di vista dell'autore, mostravano come l'atto dello scrivere possa. esso stesso diventare materiale narrativo. La critica culturale assunse un carattere personale e autobiografico che al peggio tendeva a degenerare nell'esibizionismo, ma che nei casi migliori dimostrava che il tentativo di comprendere i fenomeni culturale non può prescindere da un'analisi della loro influenza sulla stessa coscienza del critico. In tutte le discussioni risuonava l'eco dei rivolgimenti politici, e non fu più possibile ignorare il rapporto tra politica e cultura. Smantellando l’illusione di uno sviluppo culturale separato e autonomo, in nessun modo influenzato dalla distribuzione della ricchezza e del potere, la rivolta politica degli anni sessanta tendeva anche a cancellare la distinzione tra alta cultura e cultura popolare, e a fare di quest'ultima un argomento di

approfondilo dibattito.

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CONFESSIONE E ANTICONFESSIONE La popolarità dello stile confessionale testimonia senza dubbio, del nuovo narcisismo che pervade tutta la cultura americana; ma i lavori migliori di questo filone cercano di porsi -- attraverso l’esposizione dell'autore in prima persona - a una certa distanza critica dal se, e di cogliere forze storiche, traslate in forma psicologica, che hanno reso sempre più problematico il concetto stesso di identità individuale. Gia il solo atto dello scrivere presuppone in partenza un certo distacco, e l'oggettivazione della propria esperienza personale, come hanno messo in luce gli studi psicoanalitici sul narcisismo, fa si che "le pulsioni profonde di grandiosità ed esibizionismo - una volta opportunamente inibile negli scopi, addomesticate e neutralizzate - trovino accesso" alla realtà.* Tuttavia la sempre più frequente fusione tra romanzo, giornalismo e autobiografia è un segno innegabile delle crescenti difficolta di molti autori a raggiungere il distacco senza il quale non esiste arte. Invece di restituire in forma narrativa il materiale autobiografico o comunque di riordinarlo, è invalsa l'abitudine di presentarlo cosi com'è, lasciando al lettore totale libertà di interpretazione. Invece di rielaborare i propri ricordi, molti autori giocano sulla mera autoconfessione per mantenere vivo l'interesse del lettore, sollecilando non la sua capacità di discernimento, ma la sua morbosa curiosità per la vita privata delle persone famose. Nei lavori di Mailer e in quelli dei suoi molti imitatori, ciò che inizialmente nasce come riflessione critica sull'ambizione dello scrittore, apertamente riconosciuta come il sogno di conquistare l'immortalilà letteraria, finisce spesso per diventare un petulante monologo, con lo scrittore che specula sulla sua celebrità e riempie pagine e pagine di materiale il cui unico motivo di richiamo consiste nella sua associazione con un nome famoso. Una volta guadagnatosi un pubblico, lo scrittore dispone di un mercato bell'e pronto per le sue confessioni-verità. * IL lavoro utile e creativo, che mette l’individuo di fronte .a "problemi estetici e intellettuali irrisolti" e che perciò mobilila il narcisismo a favore di attività esterne all'io, offre al narcisista, secondo Heinz Kohut, le maggiori opportunità di trascendere la sua condizione.

"Una certa dose di potenzialilà creativa - per limitato che sia il suo raggio d'azione - e comune a molte persone, è la natura narcisistica dell'atto creativo (il fatto che l'oggetto dell'interesse creativo sia investilo di libido, narcisistica) può essere analizzata attraverso in normale auto-osservazione." 18

30 Così Erica Jong, dopo aver conquistato un suo pubblico scrivendo di sesso con una sensibilità degna d'un uomo, ha confezionato subito dopo un altro romanzo sulla vicenda di una giovane donna che diventa una celebrità letteraria. Anche i migliori tra gli autori di romanzi-confessione procedono lungo la sottile linea di confine che separa l'auto-analisi dall'autocompiacimento. I loro libri Advertisements for Myself di Mallet, Making il di Norman Podhoretz, Portnoy's Complaint di Philip Roth, Three Journeys di Paul Zweig, A Fan's Noter di Frederick Exley --- oscillano tra rivelazioni personali duramente acquisite, contenute dalla sofferenza che sono costate, e quel genere di confessione fasulla il cui unico valore per il lettore è il riferimento a fatti che riguardano immediatamente l'autore. Sull'orlo di un'autentica scoperta interiore, questi autori si rifugiano nella parodia di se stessi, cercando di disarmare la critica anticipandola. Invece di rivendicare il significato della loro opera narrativa, cercano di sedurre il lettore. Ricorrono all'ironia non tanto per mantenere il distacco dal loro oggetto, quanto per ingraziarsi il lettore, guadagnarne l'attenzione, senza peraltro chiedergli di prendere sul serio ne l'autore, ne il suo argomento. Molti racconti di Donald Barthelme, così brillanti e spesso così stimolanti nella loro "critica della vita quotidiana", risentono della sua incapacità di resistere alla tentazione della battuta facile. In "Perpetua", per fare un esempio, la sua satira dei neodivorziati, con la loro affabililà mondana e il loro "stile di vita" pseudoliberato, si riduce a banale umorismo. Dopo il concerto... indossi i suoi jeans scamosciati, la sua camicia fatta di tante sciarpe di diversi colori cucile insieme, il suo collare di legno la vorato e la sua mantellina alla D'Artagnan con la fodera d'argento. Perpetua non riusciva a ricordare che cosa era successo in quell'anno e cosa in quello precedente. Le era appena capilato qualcosa, o era stato molto tempo prima? Incontrava molta gente nuova. “Tu sei diversa," disse Perpetua a Sunny Marge. "Sono molto poche le ragazze the conosco che hanno tatuata sulla schiena la testa del maresciallo Foch." 19

Woody Allen, magistrale parodista dei clichè terapeutici e dell'egocentrismo che li produce, provoca spesso un ribaltamento del suo stesso

messaggio con quel genere di umorismo sbrigativo, categorico e autoliquidatorio che è diventato una delle components principali dello stile di conversazione americano. Nelle sue parodie degli atteggiamenti pseudo-introspettivi in un

-----r - -mondo senza speranza Allen impoverisce la sua carica ironica a furia di spiritosaggini a getto continuo. Mio Dio, perché mi sento così in colpa? Sara perché odiavo mio padre? Forse a stato l’incidente del vilello alla parmigiana? Ma cosa ci faceva nel suo portafoglio?... Che uomo deprimente! Quando andò in scena la mia prima commedia, A Cyst for Gus, al liceo, si presentò alla sera della prima in abito da cerimonia e maschera antigas. Cosa c'è nell'idea della morte che mi agita tanto? Forse l’ora. Guardatemi, pensava. Cinquant 'anni. Mezzo secolo. L'anno prossimo ne avrò cinquantuno. Quello dopo ancora, cinquantadue. Ragionando in questo modo, poteva calcolare la a sua età per i prossimi cinque anni?

II romanzo-confessione consente a scrittori onesti come Exley o Zweig di presentare un angosciato resoconto della desolazione spirituale dei nostri tempi, ma consente anche ad autori meno coscienziosi di esibirsi in "quel genere di rivelazioni esibizionistiche che in definitiva tacciono più di quel che confessano". Spesso la pseudoconsapevolezza del narcisista, espressa generalmente in clichè psicoanalilici, non è che un mezzo per stornare le critiche e rinnegare la responsabililà delle proprie azioni. "Mi rendo conto che questo libro è un esempio piuttosto sconcertante di sciovinismo maschilista," ammette Dan Greenberg nel suo Scoring: A Sexual Memoir. "Ma, cosa volete che vi dica?... Insomma, corrisponde a ciò che eravamo... cosa c ' è di strano, dunque? Non sto assolvendo questo atteggiamento, lo sto semplicemente descrivendo." 21 A un certo punto Greenberg riferisce di aver fatto l'amore con una donna completamente stordita dall'alcool e non più in grado di difendersi, unicamente per informare il lettore, nel capilolo successivo, che "non c'era assolutamente niente di vero" in tutto il suo racconto. Come vi sentile adesso al riguardo? Siete contenti? Quella storia con Irene, completamente immaginaria, vi ha fatto pensare che sono troppo immorale e disgustoso per continuare a leggere il mio libro? Immagino di no, perchè evidentemente siete andati avanti per leggere questo capilolo... Forse v i sentile ingannati e forse incominciate a pensare che se vi ho raccontato una cosa non vera potrei avervene raccontate delle altre. Ma non l’ho fatto - tutto il resto in questo libro... è vero dal principio alla fine, e siete liberi di crederci o di non crederci, come volete.

In Snow While Donald Barthelme si avvale di un espediente analogo, che di nuovo coinvolge il lettore nella creazione letteraria dell'autore. A metà del libro, il lettore trova un questiona31

32 rio dove si richiede il suo parere sullo sviluppo della storia e gli si indica come e quanto l’autore si è allontanato dalla trama originale. Quando T.S. Eliot aggiunse le note esplicative in appendice alla sua Wasteland; fu uno dei primi poeti a richiamare l’attenzione sulla trasformazione della realtà operata dalla sua immaginazione, ma il suo obiettivo era di aumentare la sensibilità del lettore alle allusioni contenute nel testo, di creare una risonanza fantastica più intensa, non, come fanno gli scrittori più recenti, di demolire la fiducia del lettore nell'autore. La figura del narratore inattendibile e parzialmente all'oscuro dei fatti è un altro vecchio espediente letterario. In passato, però, gli autori lo usavano spesso per ottenere effetti ironici dal confronto tra l'errata percezione degli eventi del narratore e la più esatta visione dell'autore stesso. Oggi, nella maggior parte dei lavori sperimentali, la convenzione letteraria del narratore immaginario è stata abbandonata. L'autore, ora, parla in prima persona, ma mette contemporaneamente in guardia il lettore sulla veridicità della sua versione dei fatti. "In questo libro niente corrisponde a verità," dichiara Kurt Vonnegut nella prima pagina di Cat's Cradle. Collocandosi al centro della scena come protagonista dell'azione, lo scrittore compromette la possibililà del lettore di credere a ciò che legge. Offuscando la distinzione tra verità e finzione, egli chiede al lettore di credere alla sua storia non perchè sembri vera oppure perché sia lui a dichiararla vera, ma per il solo fatto che egli sostiene che si potrebbe immaginare che lo sia almeno in parte - se il lettore fosse disposto a credergli. L'autore rinuncia al diritto di essere preso sul serio, sottraendosi parallelamente alle responsabililà che questo comporterebbe. Al lettore chiede condiscendenza, non comprensione. Accettando la versione dello scrittore che confessa di aver mentilo, il lettore a sua volta rinuncia al diritto di ritenere lo scrittore responsabile della veridicità del suo resoconto. Lo scrittore, in questo

modo, tenta di sedurre il lettore invece di convincerlo, solleticandolo con delle pseudorivelazioni intime per tener desto il suo interesse. Intrapreso in questo modo evasivo, il romanzoconfessione degenera in una anticonfessione. La registrazione della vita interiore si trasforma in una involontaria parodia della vita interiore. Un genere letterario che si presenta come testimonianza di ciò che è più profondo in ciascuno di noi, ci dice in realtà

33 che proprio la vita interiore è qualcosa che non val più la pena di esser presa sul serio. Questo spiega perché Allen, Barthelme e altri autori satirici, seguendo una strategia letteraria deliberatamente scelta, propendano così spesso per la parodia dello stile confessionale in voga in passato, quando l'artista metteva a nudo i suoi conflilti interiori convinto che rappresentassero, in piccolo, una realtà più vasta. Attualmente le "confessioni" degli artisti spiccano solo per la loro assoluta frivolezza. Woody Allen scrive a esempio una parodia delle lettere di Van Gogh al fratello, nella quale l’artista diventa un dentista preoccupato della "profilassi orale", del "drenaggio delle radici" e del "modo migliore di lavarsi i denti" 22 Il viaggio alla scoperta dell'interiorità non rivela altro che il vuoto. Per lo scrittore la vita non si riflette più nella sua anima. Succede esattamente il contrario: egli vede il mondo, anche nel suo squallore, come specchio di se stesso. Nel registrare le sue esperienze "interiori", non cerca di presentare un resoconto obiettivo di un frammento rappresentativo della realtà, ma mette in atto un'opera di seduzione per ottenere attenzione, consenso. o indulgenza su cui puntellare il suo vacillante senso di identità.

IL VUOTO INTERIORE Malgrado le difese di cui si circondano i romanziconfessione contemporanei, spesso vi si può leggere tra le righe l’angoscia che spinge alla ricerca della tranquillità psichica. Paul Zweig parla della sua sempre più forte "convinzione, quasi una fede, che la mia vita ruotasse intorno a un nucleo di inconsistenza che rendeva anonimo tutto ciò a cui mettevo mano"; del suo "letargo emotivo che perdurò fin verso i trent'anni"; del persistente "sospetto di inesistenza che tutte le mie chiacchiere e i miei sforzi ansiosi per piacere potevano aggirare o mascherare, ma mai intaccare, e nemmeno sfiorare".23 Nello stesso tono, Frederick Exley scrive: "Che io sia uno scrittore o meno, ho... sviluppato d'istinto l’amore per il singolo e l’avversione per la massa, ma nel mio caso, sfortunatamente, non son mai riuscito a controllare e articolare questa avversione." 24 I mass media, col loro culto della celebrità e il

relativo contorno di fascino e richiami sensazionali, hanno fatto dell'America un paese di fan, di spettatori. Dando corpo e sostanza ai

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sogni narcisistici di fama e gloria, incoraggiano l'uomo comune a identificarsi con gli idoli dello spettacolo e a odiare la "massa", moltiplicando le sue difficoltà ad accettare la banalità dell'esistenza quotidiana. Per Exley, Frank Gifford e i New York Giants "alimentavano l’illusione che la fama fosse un obiettivo raggiungibile". Ossessionato e -- sono parole sue - annientato da "questa divorante aspirazione alla fama", dall'"illusione di poter evadere dallo squallore di una vita anonima", Exley dipinge se stesso o i l suo narratore - - l a distinzione, come al solilo, non è chiara --- come una voragine aperta, una brama insaziabile, un vuoto che attende di essere riempilo dalle intense esperienze riservate ai pochi eletti. Per molti aspetti un uomo comune, Exley sogna "un destino grandioso che sia degno di me! Come il Dio di Michelangelo che si protende verso Adamo, io voglio protendermi oltre i secoli e affondare le mie manacce zozze nella posterilà!... Non esiste niente che io non voglia! . Voglio questo, voglio quello, voglio -- certo, tutto!" L'imbonimento consumistico e il mito della bella vita hanno legiltimato la gratificazione delle pulsioni e l'Es non deve più scusarsi . dei suoi desideri, o dissimularne la portata. Ma questo stesso condizionamento ha reso intollerabili il fallimento e la sconfilta. Quando il nuovo Narciso scopre che può "vivere non soltanto senza raggiungere la celebrità, ma senza un suo io, vivere e morire senza che mai nessuno dei suoi simili si accorga del posto infinitamente piccolo che occupa su questo pianeta", questa rivelazione non rappresenta solo una delusione, ma coincide con la distruzione del suo senso di identità. "Ero quasi completamente sopraffatto da questo pensiero," scrive Exley, "e non potevo soffermarmici senza cadere in una depressione indicibile." Nella sua inconsistenza e nella sua banalità, l'individuo che non possiede capacità straordinarie cerca di scaldarsi alla luce riflessa dei suoi idoli. In Pages from a Cold Island, Exley parla della sua adorazione per Edmund Wilson e racconta di come cercò di avvicinarglisi più intimamente intervistando,

dopo la sua morte, i superstili del grand'uomo. 25 Dato che queste interviste riguardano Exley stesso molto più che Wilson, e poiché Exley celebra ripetutamente i meriti letterari di Wilson nei termini retorici del tributo convenzionale - "uno dei grandi del XX secolo"; "cinquant'anni di indefessa dedizione al suo lavoro"; "la letteratura americana non aveva mai visto niente di simile" - appare chiaro che Wilson, persino da molto, rap-

35 presenta per Exley una presenza magica, che consente a chi vi si associa - ammiratori e adulatori postumi - di godere di un prestigio tutto vicario. Lo stesso Exley dichiara di aver agito "come se la vicinanza di Wilson potesse portarmi fortuna". Altri autori descrivono nelle loro autobiografie, senza un briciolo della consapevolezza di Exley, l'identico tentativo di vivere vicariamente attraverso persone più dotate di loro. Susan Stern, nel suo libro, da l'impressione di aver gravitato attorno al gruppo dei Weathermen perché frequentando delle star dei media come Mark Rudd e Bernardine Dohrn sentiva di aver finalmente trovato un suo "cantuccio nella vita"." Vedeva la Dohrn come una "regina", una "grande sacerdotessa" il cui "splendore " e la cui “ nobiltà" la distinguevano dai dirigenti "di secondo e di terzo grado" della SDS. "Qualsiasi qualità avesse, io la volevo per me. Volevo essere amata e rispettata come Bernardine." Quando il processo del Seattle 7 ne fece una celebrità dei media in proprio, la Stern scopri di essere finalmente "qualcuno", "perché c'era tanta gente che mi stava intorno, mi faceva delle domande, aspettava le mie risposte, o anche semplicemente mi stava a guardare, si offriva di far qualcosa per me sperando di godere di un po' di luce riflessa". Ora che aveva conquistato una "posizione di primo piano" si immaginava e cercava di far colpo sugli altri come un tipo "baldanzoso e volgare, duro e divertente, aggressivo e drammatico". "Dovunque andavo la gente mi amava." Il suo ruolo di spicco nell'ala violenta della sinistra americana le consentiva di agire, davanti a un vasto pubblico, le fantasie di rabbia distruttiva che alimentavano il suo desiderio di fama. Si immaginava come una Furia vendicatrice, un'Amazzone, una Valchiria. Sul muro della sua casa, dipinse "una donna nuda, alta due metri e mezzo, con lunghi capelli biondo-verdi e una fiammeggiante bandiera americana che le spuntava dalla fica!" Nel suo "delirio da acido", dice la Stern, "avevo dipinto ciò che in realtà, nel profondo, in qualche angolo nascosto della mia mente, volevo essere; alta e bionda, nuda e armata, nell'atto di fiaccare - o di sbarazzarmi di - un'America in fiamme". Ne le droghe, ne le fantasie di distruzione - anche

quando queste vengono oggettivate nella "pratica rivoluzionaria" - placano la smania interiore da cui derivano; i rapporti personali basati sulla gloria riflessa, sul bisogno di ammirare e di essere ammirati, si rivelano effimeri e inconsistenti. Le amicizie e le relazioni amorose della Stern si concludevano, di solilo, con delusioni, animosilà e recriminazioni. Lei stessa lamenta la sua fred-

36 emotiva: "Diventavo sempre più fredda dentro, e sempre più animata fuori." Sebbene la politica fosse il centro attorno a cui ruotava la sua vita, il mondo della politica non ha, nelle sue memorie, alcuna consistenza reale; compare soltanto come proiezione della sua rabbia e del suo disagio, come un sogno di angoscia e di violenza. Molti altri libri pubblicati in questi anni, anche quelli che sono frutto di movimenti politici, comunicano la medesima sensazione di irrealtà dell'azione politica. Paul Zweig, che tra il cinquanta e il sessanta visse per dieci anni a Parigi, dove prese parte al movimento di protesta contro la guerra d'Algeria, dichiara che la guerra "divento pian piano una presenza costante che invadeva ogni aspetto" della sua esistenza; eppure gli avvenimenti esterni giocano solo un ruolo secondario nel suo romanzo.27 Sembrano piuttosto il frutto di un'allucinazione, un vago retroterra di "terrore e vulnerabilità". Al culmine della violenta protesta contro la guerra algerina, "gli tornò in mente una frase che aveva letto una volta in un libro, sul vissuto interiore della schizofrenia. Il paziente, ispirato come un oracolo, aveva detto: `La terre bouge, elle ne m'inspire aucune con fiance' ". La stessa identica sensazione, racconta Zweig, si impadronì di lui in seguito nel deserto del Sahara, dove cercava di debellare la sua "aridità interiore" cimentandosi, da solo, contro i rigori della natura. "La terra si muove, non mi ispira nessuna fiducia." dezza

Nell'autobiografia di Zweig amori e amicizie sembrano offrire momenti che potremmo definire felici, ma la loro presenza non basta ad arrestare "il vuoto vortice della sua esistenza interiore". Visse per qualche tempo con una ragazza di nome Michelle, che "cerco in ogni modo di smuovere la sua inerzia senza successo". In una scena attentamente costruita, intesa a rendere la natura del loro legame, si p u ò cogliere allo stesso tempo la natura elusiva della narrativa di Zweig, l'autoironia destinata a compiacere e prevenire la critica, e l a sconcertante professione di inautenticità che vi sta dietro: Quasi a irridere l'angoscia che invade la stanza, la massa grigio china di Notre Dame emerge come un fantasma dalla

notte, oltre il magico e sordo brontolio del traffico. La ragazza è seduta sul pavimento, accanto a lei pennelli sparsi e una tavolozza di legno con incrostazioni scure. IL ragazzo a sul letto, a pezzi o almeno questa è la sua sensazione, e sta dicendo in un sussurro strozzato e teatrale: "Je ne veux pas et = un homme." Per esser più chiaro, per riportare l’ansia a un terreno di comunicazione razionale, ripete: "Je ne veux pas etre un homme", Iasciando intra-

37 vedere una question di principio che la ragazza, evidentemente, è troppo ottusa per cogliere, poiché emette un gemito e si mette a piangere. Dopo sei anni di questo andazzo "si sposarono e divorziarono nel giro di poche, intense settimane ". L'esilio di Zweig si concluse e con esso il suo tentativo "di interpretare la sua vicenda personale con la spregiudicatezza di chi non ha più niente da perdere". IL vuoto interiore, tuttavia, permane: "l'esperienza del vuoto interiore, la terrificante sensazione di non essere, a un certo livello esistenziale, più niente, la perdita di identità, il terrore che dentro di me, nel profondo, non ci sia nessuno". E a Swami Muktananda, un guru molto apprezzato a New York da chi è in cerca di cure spiriluali, che spetta il compito di insegnare a Zweig come disattivare il suo "doppio". "Baba" - il padre - mette in guardia dalla "futilità dei processi mentali". Sotto la sua guida, Zweig passa attraverso "il declino dell'abbandono". Come Jerry Rubin, attribuisce questa "guarigione", questa sensazione di "salute ed esuberanza", alla distruzione delle sue difese psichiche. "Svincolatosi dalla morsa paralizzante dell'autodifesa", egli ha anestetizzato quella parte di se "fatta di attività mentali strutturate... tenuta insieme dal pensiero ossessivo e stimolata dall'ansia".

LA CRITICA PROGRESSISTA DEL CULTO DEL PRIVATO La volgarizzazione della psicoanalisi, la diffusione di pratiche di autocoscienza, l'aspirazione alla fama e la tormentosa sensazione di fallimento personale, --tutti elementi che spingono all'inesausta ricerca di panacee spirituali --- hanno in comune una sorta di profonda apprensione per il se. Questo interesse esclusivo definisce il clima morale della società contemporanea. II dominio della natura e la ricerca di nuove frontiere hanno ceduto il posto alla ricerca di realizzazione personale, e il narcisismo è diventato uno dei temi centrali della cultura americana, come hanno variamente indicato autori come Jim Hougan, Tom Wolfe, Peter Marin, Edwin Schur, Richard Sennett e altri. Se pero non vogliamo limilarci a fare del

moralismo travestito, prendendo a prestilo la terminologia del gergo psicoanalitico, dobbiamo impiegare questo concetto con un rigore maggiore di quello usato nella critica sociale divulgativa e ben consapevoli delle sue implicazioni cliniche.

38 I critici del narcisismo contemporaneo e della nuova sensibilità terapeutica condannano a torto l'orientamento psicoanalitico come oppio della borghesia affluente. L'interesse per il se, sostiene Marin, rappresenta per la classe media americana il rifugio dagli orrori che la circondano - miseria, razzismo, ingiustizia- e "tranquillizza la sua coscienza inquieta".28 Schur attacca la "smania di autoconsapevolezza" sostenendo che è indirizzata verso i problemi specifici delle classi agiate, trascura quelli dei poveri e ridefinisce il "malcontento sociale in termini di carenze personali". 29 Egli giudica inoltre "criminale" da parte dei "cittadini della borghesia bianca indulgere in compiaciute preoccupazioni nei riguardi del proprio Io mentre i loro fratelli americani meno fortunati lottano e soffrono la fame". Ma l'ansia per il proprio Io di cui si nutrono i movimenti di autocoscienza non nasce dall'autocompiacimento, bensì dalla disperazione; e non si può certo sostenere che questa sia patrimonio esclusivo delle classi agiate. Schur sembra credere che l'instabilità, il carattere provvisorio dei rapporti interpersonali sia un problema solo per i grandi manager sempre in movimento. Ma davvero pensiamo che le cose vadano diversamente per i poveri? che i matrimoni della classe operaia siano felici e non conflittuali? che il ghetto produca amicizie solide, affettuose e non manipolatorie? Le indagini sulla vita delle classi subalterne hanno ripetutamente dimostrato piuttosto che la miseria logora i rapporti matrimoniali e di amicizia. Il fatto a che il collasso della vita personale non è causato dai tormenti spiriluali del benessere, ma dalla guerra di tutti contro tutti che si sta propagando dalle classi inferiori, dove ha infuriato sempre e senza sosta, al resto della società. Data che le nuove terapie sono, in genere, molto costose, Schur ne deduce a torto che siano orientate versa problemi fondamentalmente fittizi, che riguardano solamente i ricchi, e critica autori come George e Nena O'NeiIl (gli apostoli del "matrimonio aperto") per aver adottato "una visione incredibilmente etnocentrica della crisi personale, palesemente fondata sui loro valori e sulla loro esperienza

borghese". Deplora che agli esperti in autocoscienza non venga in mente "che la disponibilità economica può aiutare una persona a fronteggiare una crisi, e anzi, in primo luogo, a evitarla". Questi esperti scrivono come se le classi sociali e lo scontro sociale non esistessero. Perciò Schur riliene "difficile immaginare" che il movimento per l'autocoscienza, malgrado i tentativi di renderlo popolare attraverso ma-

39 nuali a buon mercato e free clinics, possa mai avere molto seguito tra i meno abbienti. Possiamo senz'altro immaginare che anche una persona di modeste condizioni economiche possa sentirsi in qualche modo sollevata grazie a qualcuna delle nuove tecniche di autorealizzazione. Ma, nel migliore dei casi, sarebbe un risultato di breve durata, Fuorviati dalla interiorizzazione dei loro problemi, i poveri verrebbero soltanto distolti dal compito più urgente di portare avanti i loro reali interessi collettivi.

Istituendo una contrapposizione semplicistica tra istanze "reali" e istanze personali, Schur trascura il fatto che le questioni sociali si presentano inevitabilmente anche come personali. La realtà materiale si ripercuote sulle vicende personali e familiari, che a loro volta influenzano il modo in cui noi percepiamo la realtà. Le sensazioni di vuoto interiore, di solitudine e di mancanza di autenticità non sono affatto immaginarie e nemmeno, in quanto tali, sprovviste di contenuto sociale; ne hanno origine unicamente dalle "condizioni di vita delle classi medie e alte". Nascono piuttosto dalle condizioni inumane che permeano la società americana, dai pericoli e dall'incertezza che ci sovrastano e dalla perdita di fiducia nel futuro. I poveri sono sempre stati costretti a vivere sotto il peso del presente, ma ora un'estrema ansietà per la sopravvivenza personale, che qualche volta si camuffa da edonismo, prevale anche tra gli appartenenti alle classi medie. Lo stesso Schur osserva che "ciò che in ultima analisi sembra emergere da questo contraddittorio messaggio a un'etica dell'autoconservazione ". Ma la sua condanna dell'etica della sopravvivenza in quanto "ripiegamento nel privato" non offre più alcun riparo da un mondo spietato. Viceversa, nella vita privata penetra l'anarchia dell'ordinamento sociale stesso dal quale si presume essa garantisca un rifugio. E’ la devastazione della vita personale, non il ripiegamento nel privato, che deve essere giudicato e condannata. Lo sbaglio del movimento di autocoscienza non è quello di dedicarsi a problemi futili o filtizi, ma quello di proporre soluzioni autolesioniste. Nato da una diffusa insoddisfazione per la qualità dei rapporti interpersonali, invita la gente a non fare grossi investimenti affettivi nell'amore e nell'amicizia, a evitare l'eccessiva dipendenza dagli altri e a vivere

solo per il presente - proprio le premesse che hanno creato per prime la crisi delle relazioni interpersonali.

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LA CRITICA DEL CULTO DEL PRIVATO: RICHARD SENNETT E IL DECLINO DELL’UOMO PUBBLICO" La critica del narcisismo di Richard Sennett, più sottile a penetrante di quella di Schur per l'insistenza con cui sottolinea che "il narcisismo è l'esatto contrario di un forte amore di se"; implica tuttavia un'analoga svalutazione della sfera personale. Il meglio della tradizione culturale occidentale, sostiene Sennett, deriva dalle convenzioni che un tempo regolavano i rapporti in pubblico, convenzioni che, attualmente condannate come soffocanti, artificiose e repressive della spontaneità dei sentimenti, stabilivano in passato delle regole di comportamento tra le persone, fissavano dei limili alla manifestazione dei sentimenti in pubblico e promuovevano stili di rapporto civili e non provinciali. Nella Londra o nella Parigi del 700 la socievolezza non dipendeva dalla familiarità. "Degli estranei che si incontravano in un parco o per la strada potevano parlarsi senza imbarazzo." Potevano attingere a un patrimonio comune di segni convenzionali che consentivano a persone di diverso rango sociale di intrattenere una conversazione civile e di collaborate a progetti di pubblico interesse senza sentirsi in dovere di svelare i loro segreti più intimi. Nell'800, tuttavia, queste regale di riservatezza cominciarono a venir meno, e si inizio a pensare che il comportamento pubblico di una persona ne rivelasse la personalità nascosta. Il culto romantico della sincerità e dell'autenticità privò le persone della maschera con cui una volta si presentavano in pubblico sfumando la linea di confine tra pubblico e privato. A mano a mano che la vita pubblica cominciò a rappresentare lo specchio della personalità individuale, venne meno la capacità di distacco, e con essa la possibilità di rapportarsi in modo ludico, il che presuppone appunto una certa dose di distanza dal se.

Ai giorni nostri, secondo Sennett, i rapporti pubblici, concepili come una forma di rivelazione intima, sono diventati qualcosa di mortalmente serio. La conversazione assume il tono della confessione. La coscienza di classe tramonta; le persone vedono nella loro posizione sociale il riflesso delle proprie capacità e si auto-incolpano delle ingiustizie subite. La politica degenera in una lotta per l'autorealizzazione invece che per il cambiamento sociale. Quando crollano i confini tra l'Io e il resto del mondo, il perseguimento di interessi personali, ben definiti, che una volta informava ogni fase dell'attività politica, non è più possi-

41 bile. L'uomo politico delle epoche precedenti sapeva prendere piuttosto che desiderare (ciò che Sennett definisce maturità psicologica) e giudicare l’ambito politico, come del resto la realtà in genere, a seconda che "avesse in serbo qualcosa per lui, e non che fosse lui". II narcisista, al contrario, "sospende gli interessi dell'Io" in un delirio di desiderio. Ben più complesso e stimolante di quanto si possa rendere in un breve sommario, il discorso di Sennett ha molto da insegnarci sull 'importanza del distacco dal proprio Io nel gioco e nelle ricostruzioni drammatiche della realtà, sulla proiezione della ricerca di se nella politica, e sugli effetti deleteri dell'ideologia del privato.

Ma l'idea di Sennett secondo cui in passato precisi interessi personali, o i l calcolo razionale dei vantaggi individuali e di classe costituivano il motore dell'attività politica non tiene conto degli elementi irrazionali che hanno sempre caratterizzato i rapporti di classe. Sennett non sottolinea a sufficienza l’abilità con cui i ricchi e i potenti hanno da sempre legittimato la propria supremazia fondandola su elevati principi morali, davanti ai quali il dissenso diventa un crimine non solo contro lo stato ma contro la stessa natura umana. Le classi dominanti hanno sempre cercato di inculcare nei subalterni l’attitudine a vivere lo sfruttamento e la deprivazione come una colpa, convincendosi d'altra parte che i propri interessi coincidessero con quelli di tutta l'umanità. Anche lasciando da parte la dubbia validità dell'equazione stabilila da Sennett tra buon funzionamento dell'Io e abilità "a prendere piuttosto che desiderare" - il che sembra contemplate la rapacità come unica alternativa al narcisismo, - il fatto e che gli uomini non hanno mai percepito i loro interessi con assoluta

chiarezza e perché hanno sempre avuto la tendenza, in tutti i tempi, a proiettare nella sfera politica i loro lati irrazionali. Imputare al narcisismo, all'ideologia del privato, o alla "cultura della personalità" gli aspetti irrazionali della politica attuale non soltanto esagera il ruolo dell'ideologia nello sviluppo storico, ma sottovaluta l’irrazionalita della politica nelle epoche precedenti.

La concezione di Sennett della giusta forma politica come politica dell'interesse personale appartiene alla tradizione pluralistica di origine tocquevilliana da cui chiaramente deriva una componente ideologica sua propria. Questo tipo di analisi tende a esaltare il liberalismo borghese come unica forma civile di vita

42 politica, e la "civiltà" borghese come unica forma incontaminata di incontro pubblico. Il punto di vista dei pluralisti, se pure riconosce le imperfezioni della società borghese, resta impermeabile a un'azione di riforma politica, dal momento che il processo politico è considerato per definizione un ambito di contraddizioni strutturali. Secondo questa ottica; quando la gente, uomini e donne, domanda sostanziali cambiamenti del sistema politico, proietta realmente nella politica le proprie ansie personati. In questo modo il liberalismo si autodefinisce come il limile estremo della razionalilà politica e liquida tutti i tentativi di superarlo come politica del narcisismo ivi compresa la tradizione rivoluzionaria al completo. L'adozione di una prospettiva di derivazione tocquevilliana non consente a Sennett di distinguere tra il deterioramento della politica radicale della fine degli anni sessanta dovuto all'introduzione di elementi irrazionali propri della cultura americana contemporanea e la validità di molti dei suoi obiettivi. Il suo metodo di analisi rende automaticamente sospette tutte le iniziative radicali, tutte le forme di attivita politica che tendono a instaurare una società non basata sullo sfruttamento. Malgrado la sua idealizzazione della vita pubblica del passato, il libro di Sennett partecipa dell'attuale rifiuto della politica - is negazione, cioè, della speranza di usare la politica come strumento di cambiamento sociale.

La smania di Sennett di ristabilire una distinzione tra vita pubblica e vita privata, inoltre, trascura i profondi legami che sempre uniscono l’una all'altra. Oggi la socializzazione dei giovani riproduce il dominio politico a livello dell'esperienza personale e l'invasione della vita privata da parte delle forze del

potere organizzato è diventata così capillare che la vita personate ha quasi cessato di esistere. Scambiando la causa con l’effetto, Sennett attribuisce il malessere contemporaneo all'invasione della sfera pubblica da parte dell'ideologia del privato. Per lui, come per Marin e Schur, l'attuale interesse per la scoperta di se, per lo sviluppo psichico e per la qualità dei rapporti interpersonali rappresenta una forma di egocentrismo indecente, di romanticismo sfrenato. In realtà, il culto del privato ha origine non nell'affermazione della personalità, ma nel suo collasso. I poeti e i romanzieri contemporanei, ben lontani dall'esaltare la personalità individuale del se, ne registrano la disintegrazione. Le terapie di appoggio all'Io disgregato sono portatrici dello

43 stesso messaggio. La nostra società, lungi dal tutelare la vita privata a scapito di quella pubblica, ha reso sempre più difficili da realizzare le amicizie profonde e durature, le relazioni amorose e i matrimoni. Mentre la vita sociale diventa sempre più aggressiva e violenta, i rapporti personali, che apparentemente ne rappresentano il rifugio, assumono a loro volta il carattere di uno scontro. Alcune delle nuove terapie conferiscono dignità a questo scontro in quanto espressione di "capacità di autoaffermazione" e del "leale duello amoroso e coniugale"31 Altre esaltano i legami temporanei con formule come "matrimonio aperto" e "vincoli a tempo indeterminato". Cosi esse non fanno che aggravate il male che pretendono di curare, ma lo fanno non tanto deviando l'attenzione dai problemi sociali a quelli personali, da istanze reali a istanze mistificanti, quanto occultando le origini sociali di una sofferenza (da non confondersi con l’egocentrismo compiaciuto) che è dolorosamente, ma erroneamente vissuta come assolutamente personale e privata.

44 2. LA PERSONALITA NARCISISTICA DEL NOSTRO TEMPO

IL NARCISISMO COME METAFORA DELLA CONDIZIONE UMANA . I critici recenti del nuovo narcisismo non soltanto scambiano causa con effetto, attribuendo al culto del privato sviluppi prodotti dalla disgregazione della vita pubblica, ma usano il termine "narcisismo" in modo così. approssimativo da svuotarlo quasi completamente del suo contenuto psicologico. Erich Fromm, in The Heart of Man, priva il concetto del suo significato clinico e lo estende fino a fargli comprendere tutte le forme di "vanità", di "ammirazione di se", di "autocompiacimento" e di "autoesaltazione" riscontrabili negli individui e tutte le forme di provincialismo, di pregiudizio etnico e razziale, e di "fanatismo" riscontrabili nei gruppi. 1 In altre parole, Fromm usa il termine come sinonimo dell'individualismo "asociale" che, nella sua versione del dogma "umanistico" e progressivo, minaccia la cooperazione, la fratellanza e la ricerca di una più vasta solidarietà. Il narcisismo si presenta semplicemente come l'antilesi di quel vacuo amore per l'umanità ("amore" disinteressato "per l’estraneo") auspicato da Fromm con il nome di socialismo. L'analisi di Fromm del "narcisismo individuale e sociale", che. ha trovato la sua giusta collocazione editoriale in una serie di libri dedicati alle "Prospettive religiose", offre un eccellente esempio della tendenza, tipica della nostra epoca terapeutica, a rivestire con formule psicoanalitiche delle banalità moralistiche. ("Viviamo in un periodo storico caratterizzato da una profonda frattura tra lo sviluppo intellettuale dell'uomo... e il suo sviluppo psicoemozionale che lo condanna a restate in uno

stato di spiccato narcisismo con tutti i sintomi patologici che gli sono propri.") Mentre Sennett ci ricorda che il narcisismo ha più punti in comune con il disprezzo di se che con l'ammirazione di se, Fromm perde di vista persino questa ben nota verità clinica, travolto dal suo zelo di predicatore dei vantaggi della fratellanza.

II guaio ha origine, come sempre nell'opera di Fromm, dal suo tentativo inutile e fuorviante di liberare il pensiero freudiano dalla sua base "meccanicistica" ottocentesca per metterlo al servizio del "realismo umanistico". In pratica, questo vuol dire sostituire al rigore teorico slogan e sentimenti moralmente edificanti. Fromm osserva incidentalmente che l'originario concetto freudiano di narcisismo presupponeva che la libido avesse origine nell'Io, considerato come un "grande serbatoio" di amore di se indifferenziato, mentre nel 1922 Freud decise, contrariamente a ciò, che "dobbiamo riconoscere nell'Es il grande serbatoio della libido". Ma Fromm sorvola su questo punto osservando che "la questione teoretica se la libido abbia inizio originariamente nell'Io o nell'Es non è affatto di sostanziale importanza per il significato da attribuire al concetto [di narcisismo] stesso". In realtà, la teoria strutturale della psiche,2 esposta da Freud in Psicologia di massa e in L'Io e l'Es, richiese, rispetto alle idee precedentemente esposte, alcune modificazioni che riguardano molto da vicino la teoria del narcisismo. Tale teoria strutturale spinse Freud ad abbandonare la semplice dicotomia tra istinto e coscienza e a riconoscere gli elementi inconsci dell'Io e del Super-io, l'importanza delle pulsioni non sessuali (aggressivilà o "istinto di morte") e l'alleanza tra Super-io ed Es, Super-io e aggressivilà. Queste scoperte resero a loro volta possibile la comprensione del ruolo delle

relazioni oggettuali nello sviluppo del narcisismo, mostrando così come il narcisismo sia essenzialmente una difesa contro le pulsioni aggressive piuttosto che amore di se.

45 Parlando di narcisismo la precisazione teoretica è importante, non solo perche il concetto si presta facilmente a enfatizzazioni moralistiche, ma perché l'abiludine a identificare col narcisismo tutto quanto sia egoistico e spiacevole offusca la specificità storica. Gli uomini sono sempre stati egoisti e i gruppi sono sempre stati etnocentrici; non si ricava nulla ridefinendo questi attributi in termini psicoanalitici. Comunque, l'emergere di disturbi caratteriali quale forma prominente di patologia psichia-

46 trica deriva, insieme alle modificazioni della struttura della personalità che questo sviluppo riflette, da cambiamenti ben definiti della nostra società e della nostra cultura - dalla burocrazia, dalla proliferazione delle immagini, dalle ideologie terapeutiche, dalla razionalizzazione della vita interiore, dal culto del consumismo, e in ultima analisi dai cambiamenti intervenuti nella vita familiare e nei modelli di socializzazione. Tutto ciò viene irrimediabilmente perso di vista se si riduce il narcisismo semplicemente a "metafora della condizione umana", come in un'altra interpretazione umanisticoesistenziale esposta in Sin and Madness: Studies in Narcissism da Shirley Sugerman. 3

Chi si occupa oggi di narcisismo non dà grande importanza all'eziologia del narcisismo e presta scarsa attenzione al numero crescente di pubblicazioni cliniche sull'argomento; questo atteggiamento rappresenta forse una scelta cosciente, originata dal timore che sottolineando gli aspetti clinici della sindrome narcisistica si finisce col ridurre l’utilita del concetto nell'analisi sociale. Questa scelta, però, si è rivelata un errore. Ignorando la dimensione psicologica, questi autori non colgono neppure quella sociale. Trascurano di indagare quei tratti del carattere che si trovano associati al narcisismo patologico e che in forma più attenuata si manifestano con tanta profusione nella vita quotidiana del nostro tempo: dipendenza dal calore vicario fornito da altri unita alla paura della dipendenza, sensazione di vuoto interiore, sconfinata ira repressa, desideri orali insoddisfatti. Ne si soffermano a considerare quelle che potremmo chiamare le caratteristiche secondarie del narcisismo: pseudo-introspezione, seduzione calcolata,

nervosismo e tendenza all'autodisapprovazione. In questo modo viene loro a mancare una qualunque base che gli permetta di operare connessioni tra la tipica personalità narcisistica e certe costanti caratteristiche della cultura contemporanea, quali il terrore della vecchiaia e della morte, l’alterazione del senso del tempo, il fascino della celebrità, la paura della competizione, il declino dello spirito ludico, il deterioramento dei rapporti tra uomo e donna. Per questi crileri il narcisismo resta nell'interpretazione più approssimativa sinonimo di egoi smo e in quella più esatta nient'altro che una metafora che illustra quello stato mentale per cui il mondo appare come specchio dell'Io.

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PSICOLOGIA E SOCIOLOGIA La psicoanalisi si occupa degli individui, non dei gruppi, I tentativi di estendere i risultati delle osservazioni cliniche al comportamento. collettivo si scontrano immancabilmente con il fatto che i gruppi hanno una vita propria indipendente. La psiche collettiva, ammesso che esista, riflette i bisogni del gruppo nel suo insieme, non i bisogni psichici individuali, che infatti devono essere subordinati alle esigenze della vita collettiva. E’ proprio la subordinazione degli individui al gruppo che la teoria psicoanalitica si impegna a chiarire; attraverso lo studio delle sue ripercussioni psichiche. Con un'analisi approfondila di casi individuali condotta sulla base di accertamenti clinici piuttosto che sulle impressioni che detta il senso comune, la psicoanalisi rivela i meccanismi profondi della società, proprio nell'atto di voltarle le spalle per immergersi nell'inconscio individuale.

Ogni società riproduce la propria cultura - le sue norme, i suoi presupposti fondamentali, i suoi modi di, organizzazione dell'esperienza - nell'individuo, nella forma della sua personalità. Come ha detto Durkheim, la personalità e l'individuo socializzato. Il processo di socializzazione, portato avanti dalla famiglia e in un secondo momento dalla scuola e dalle altre agenzie che intervengono nella formazione del carattere, modifica la natura umana per renderla conforme alle norme sociali prevalenti. Ogni società cerca di risolvere la fase critica dell'infanzia - il trauma della separazione dalla madre, la paura dell'abbandono, il dolore di competere con altri per la conquista dell'amore

materno - a suo modo, e la rnaniera in cui vengono risolti questi eventi psichici produce una caratteristica forma di personalità, una particolare deformazione psicologica, tramite la quale l’individuo si rassegna a una deprivazione istintuale e si adegua alle esigenze del vivere sociale. L'insistenza di Freud sulla continuità tra salute psichica e malattia psichica ci da la possibililà di considerare le nevrosi e le psicosi in un certo senso come l'espressione caratteristica di una determinata cultura. "La psicosi," ha scritto Jules Henry, "è il prodotto finale di tutto ciò che non funziona in una cultura." 4

Nel limilarsi a un attento studio degli individui la psicoanalisi chiarisce meglio il legame tra società e individuo, tra cultura e personalità. Essa ci da tante più informazioni sulla società quando meno si propone di farlo. L'estrapolazione

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di alcuni principi psicoanalilici fatta da Freud nel campo della antropologia, della storia e della biografia può essere tranquillamente ignorata da chi si occupa dello studio della società, ma le sue indagini cliniche sono una vera e propria miniera di concetti indispensabili, una volta stabililo che i processi mentali inconsci rappresentano la modificazione che la cultura opera sulla natura, l'imposizione della civilta sugli istinti.

Non si dovrebbe rimproverare Freud [scriveva T.W. Adorno] perche ha trascurato la dimensione sociale del reale, ma per non essersi preoccupato più di tanto dell'origine sociale della... rigidezza dell'inconscio, che egli registra con la lineare oggettivita del[lo scienziato] naturalista... Passando dalle immagini psicologiche alla realtà storica, dimentica cio che egli stesso ha scoperto - che tutta la realtà subisce una modificazione nell'inconscio - e quindi a indotto erroneamente a ipostatizzare eventi fattuali quali l’assassinio del padre da parte dell'orda primitiva.*

Chi desideri comprendere il narcisismo contemporaneo in quanto fenomeno culturale e sociale deve prima di tutto indirizzarsi alla crescente letteratura clinica sull'argomento, che non pretende di avere significato sociale o culturale e respinge deliberatamente l'affermazione che "i cambiamenti della cultura contemporanea", come scrive Otto Kernberg, "influenzano la struttura delle relazioni oggettuali .* *6 * "Nei... suo campo d'indagine," aggiungeva Adorno, "la psicoanalisi ci offre conclusioni specifiche; più si allontana da quella sfera, più le sue tesi sono minacciate alternativamente dalla genericila o dal rischio di una avventata ed esagerata sistematizzazione. Se uno commette un lapsus linguae e gli sfugge una parola carica di sottintesi sessuali, se uno soflre di agorafobia, o se una ragazza a sonnambula, la psicoanalisi non solo ha le sue migliori probabiliti di successo terapeutico, ma si trova niche

nel proprio campo di competenza, cioè l’individuo relativamente autonomo, monadologico, sede del conflilto tra pulsione istintuale e divieto. Quanto più si allontana dal suo oggetto, tanto pia e costretta a procedere in maniera dittatoriale e tanto più deve trascinare nel-l’ombra dell'immanenza psichica rib che appartiene alla dimensione dells realtà esterna. La sua illusion in questo caso a molto simile a quella `onnipotenza del pensiero' che essa stessa ha criticato come puerile." 5 ** Coloro che sostengono, in contrasto con la tesi esposta in questo studio, che non c'e stata alcuna modificazione fondamentale nella struttura della personalità, fanno riferimento a questo passo, a conferma dell'opinione che sebbene "effettivamente capili di notare certi particolari raggruppamenti di sintomi e disordini della personalità con frequenza maggiore o minore rispetto ai tempi di Freud... la nostra attenzione per questi fenomeni a aumentata principalmente perche è aumentato il nostro interesse clinico in seguito agli incredibili progressi della nostra conoscenza della struttura della personalità".7 Alla luce di questa polemica, è importante notare che Kernberg aggiunge una precisazione alle sue osservazioni: "Con questo non voglio dire che tali cambiamenti delle forme di relazione [e dells relazioni oggettuali in generale]

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Nei tes ti clinici, il termine narcisismo è qualcosa di più di una metafora per definire l'egocentrismo. In quanto formazione psichica in cui "l'amore rifiutato ritorna a se sotto forma di odio", il narcisismo è stato individuato come un elemento rilevante nei cosiddetti disturbi caratteriali che hanno attirato gran parte dell'attenzione clinica una volta dedicata all'isteria e alle nevrosi ossessive. Si è sviluppata una nuova teoria del narcisismo, basata sul ben noto saggio di Freud sull'argomento (che considera il narcisismo investimento libidinale dell'lo - come una condizione preliminare indispensabile dell'amore oggettuale) e però dedicata non allo studio del narcisismo primario, ma a quello del narcisismo secondario o patologico: l’incorporazione di grandiose immagini oggettuali come difesa contro l'angoscia e il senso di colpa. Entrambi i tipi di narcisismo cancellano i confini tra il se e il mondo oggettuale, ma tra i due c'e un'importante differenza. II neonato - il narcisista primario - non percepisce ancora l'esistenza della madre come separata dalla propria e quindi scambia la dipendenza dalla madre, che soddisfa i suoi bisogni nel momento in cui sorgono, per la propria onnipotenza. "Solo dopo diverse settimane successive alla nascita... il bambino percepisce che la fonte dei suoi bisogni... è interna a lui e la fonte di appagarnento è esterna."

Il narcisismo secondario, invece, "tenta di annullare il dolore causato dall'amore [oggettuale] frustrato" e di vanificare il risentimento del bambino contro coloro che non rispondono prontamente ai suoi bisogni; contro coloro che ora egli vede soddisfare altri accanto a lui e dai quali percio ritiene di essere stato abbandonato. Il narcisismo patologico, "che non può essere considerato solo una fissazione al livello del

normale narcisismo primario", insorge soltanto quando l'Io ha raggiunto il grado di sviluppo che gli consente di distinguersi da ciò che lo circonda. Se il bambino per qualche ragione vive con particolare intensità questo trauma della separazione, può cercare di ristabilire le relazioni originarie dando vita nella sua fantasia a una madre o a un padre onnipotenti che si mescolano alle immagini del suo stesso se. "Tramite l'introiezione il paziente

non potrebbero verificarsi nello spazio di numerose generazioni, se e quando il cambiamento dei modelli culturali modificherà la struttura familiare fino al punto che i primi stadi dello sviluppo infantile ne siano influenzati." Questo e esattamente quanto sostengo nei capilolo 7.

50 cerca di ricreare una relazione d'amore da lui ardentemente desiderata quale può essere esistita una Volta nel passato, e contemporaneamente di annullare l’angoscia e il senso di colpa originate dalle pulsioni aggressive dirette contro l’oggetto che lo ha frustrato e deluso."

I L NARCISISMO NELLA LETTERATURA CLINICA RECENTE8 Lo spostamento di interesse degli studi clinici dal narcisismo primario a quello secondario riflette sia il rivolgersi della teoria psicoanalitica dallo studio dell'Es allo studio dell'Io, sia il cambiamento del tipo di pazienti che ricorrono al trattamento psicoanalitico. In effetti, il passaggio da una psicologia degli istinti alla psicologia dell'Io fu originato in parte dalla considerazione che i pazienti che negli anni quaranta e cinquanta incominciarono a sottoporsi a terapia "molto di rado offrivano un quadro clinico simile a quello delle nevrosi classiche descritte da Freud in maniera così esauriente". Negli ultimi venticinque anni, il caso limile del paziente che presenta allo psichiatra non una sintomatologia ben definila ma una insoddisfazione latente, è diventato sempre più frequente. Egli non soffre di fissazioni o fobie prostranti o di disturbi nevvosi prodotti dalla conversione dell'energia sessuale repressa; lamenta invece "una vaga e diffusa insoddisfazione nei confronti delta vita" + sente' che "la sua amorfa esistenza è inutile e priva di senso". Avverte "una sottile ma penetrante sensazione di vuoto e di sconforto", "violente oscillazioni della sua stima di se", e "una generale incapacità a tirare avanti". Egli ottiene "un senso di crescente stima di se soltanto attaccandosi a forti personalità, oggetto della sua ammirazione, di cui desidera ardentemente l’approvazione e da cui ha bisogno di sentirsi appoggiato". Quantunque sia all'altezza delle sue responsabililà quotidiane e se la cavi anche brillantemente, la felicilà gli sfugge, e molto spesso la vita non gli sembra degna di essere vissuta.

La psicoanalisi, una terapia nata dalla pratica con individui duramente repressi e moralmente rigidi che dovevano venire a patti con una severa "censura" interiore, si trova oggi alle prese, sempre più spesso, con una "personalità caotica dominata dai propri impulsi". Deve occuparsi di pazienti che "agiscono" i propri conflitti invece di reprimerli o sublimarli. Questi pazienti, che hanno spesso momenti di genuina disponibilila, tendono

51 tuttavia a mantenere a un livello di superficialilà i propri rapporti affettivi. Manca loro la capacità di dolersi, perche il loro risentimento nei confronti degli oggetti d'amore perduti, in particolare verso i genitori, è cosi forte da impedire loro di rivivere le esperienze felici o di tesaurizzarle nella memoria. Sessualmente promiscui piuttosto che repressi, hanno cionondimeno delle difficoltà a "elaborare la pulsione sessuale" o ad accostarsi al sesso con spirito ludico. Evitano i coinvolgimenti troppo profondi, che potrebbero scatenare sentimenti di forte avversione. La loro personalità è formata in larga parte di difese erette contro tale risentimento e contro le sensazioni di deprivazione orale che sorgono nello stadio preedipico dello sviluppo psichico. In molti casi questi pazienti soffrono di ipocondria e avvertono un senso di vuoto interiore. Nel contempo nutrono fantasie di onnipotenza e credono fermamente nel loro diritto a sfruttare gli altri e a esserne appagati. Componenti arcaiche, punitive e sadiche predominano nel Super-io di questi pazienti, ed essi si conformano alle norme sociali più per paura della punizione che per un senso di colpa. Vivono i loro bisogni e desideri, inquinati dal risentimento, come profondamente pericolosi, ed erigono difese tanto primitive quanto i desideri che tentano di arginare.

In base al principio che la patologia altro non è che una versione potenziata della normalilà, il narcisismo patologico che si riscontra nei disturbi caratteriali di questo tipo dovrebbe dirci qualcosa sul narcisismo come fenomeno sociale. Gli studi sui disturbi della personalità9 che si collocano nella zona di confine tra nevrosi e psicosi, benchè siano indirizzati agli addetti ai lavori e non abbiano alcuna pretesa di fare luce su

questioni sociali o culturali, descrivono un tipo di personalità che dovrebbe essere immediatamente riconoscibile, in una forma più attenuata, per gli osservatori del panorama culturale contemporaneo: ne risulterebbe un individuo disinvolto nel manipolare le impressioni che suscita negli altri, avido di ammirazione e insieme pieno di disprezzo per coloro che induce a tributargliela; costantemente assetato di nuove esperienze emotive con cui colmare il suo vuoto interiore; terrorizzato dall'idea della vecchiaia e della morte.

Le spiegazioni più convincenti sulle origini psichiche di questa sindrome marginale si rifanno alla tradizione teorica stabi-

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lila da Melanie Klein.' Nei corso delle sue indagini psicoanalitiche sui bambini, la Klein scopri che i sentimenti iniziali di ira insopprimibile, diretti in particolare contra la madre e secondariamente contro l'immagine interiorizzata della madre come mostro famelico, rendono impossibile per il bambino sintetizzare immagini parentali "buone" e "cattive". La sua paura di essere aggredilo dai genitori cattivi proiezioni del suo stesso risentimento - lo spinge a idealizzare i genitori buoni che verranno a salvarlo.

Le immagini interiorizzate degli altri, seppellile nell'inconscio nei primi anni di vita, diventano altrettante immagini di se. Se le esperienze successive non riescono a qualificare o a introdurre elementi di realtà nelle fantasie arcaiche del bambino sui suoi genitori, per lui diventa difficile distinguere tra le immagini del se e degli oggetti esterni al se. Queste immagini si fondono insieme a formare una difesa contro le cattive rappresentazioni del se e degli oggetti, analogamente fuse sotto forma di un Super-io severo e implacabile. Melanie Klein sottopose ad analisi un bambino di dieci anni che inconsciamente vedeva la madre come un "vampiro" o un"uccello orrendo" e interiorizzava questa paura come ipocondria. Egli temeva che le cattive presenze dentro di lui avrebbero divorato quelle buone. La rigida separazione tra immagini buone e cattive del se e degli oggetti da una parte, e la fusione tra immagini del se e degli oggetti dall'altra, nascevano dall'incapacità del bambino a tollerare ambivalenza o ansietà. Poiché la sua collera era così profonda, egli non poteva ammettere di nutrire sentimenti di ostililà nei confronti di coloro che'amava. "La paura e la colpa relative alle sue fantasie distruttive hanno plasmato tutta la sua vita emozionale."

Un bambino che si senta minacciato tanto gravemente dai suoi stessi sentimenti aggressivi (proiettati sugli altri e poi nuovamente interiorizzati come "mostri" interni) cerca di compensare la collera e l'invidia che sente con fantasie di ricchezza, bellezza a onnipotenza. Queste fantasie, unilamente alle immagini interiorizzate dei genitori buoni con le quali cerca di proteggersi, diventano il nucleo centrale di una "grandiosa concezione del se". Una specie di "cieco ottimismo", secondo quanto dice Otto Kernberg, protegge il bambino narcisista dai pericoli esterni e da quelli interni a lui - in particolare dalla dipendenza dagli altri, nei quali sente, senza alcuna eccezione, di non

53 poter aver fiducia. "La proiezione costante di `tutte le cattive', immagini di se e degli oggetti perpetua un mondo popolato di oggetti pericolosi e minacciosi, contro il quale `tutte le buone' immagini di se vengono usate in maniera difensiva e intanto si sviluppano autorappresentazioni ideali e megalomani." La scissione tra le immagini determinate dai sentimenti aggressivi e le immagini che derivano dalle pulsioni libidiche fa sì che sia impossibile per il bambino riconoscere la sua stessa aggressività, provare sentimenti di colpa o interesse per oggetti investiti contemporaneamente di aggressivita e di libido, o rimpiangere oggetti perduti. Nei narcisisti la depressione non si manifesta come dolore misto a colpa, secondo la descrizione di Freud in Lutto e malinconia, ma come rabbia impotente e "sentimenti di sconfilta subita ad opera di forze esterne".il

Poichè il mondo intrapsichico di tali pazienti è così scarsamente popolato - consistendo unicamente nel "se grandioso", che, per usare le parole di Kernberg, e costiluito dalle "immagini indistinte e svalutate di se e degli altri, e dei potenziali persecutori" - sensazioni di vuoto e di non-autenticità sono avvertile con maggiore intensilà. Quantunque il narcisista possa essere adeguato al suo ambiente quotidiano e, in molti casi, piaccia alle altre persone (anche per la "pseudo-introspezione della propria personalità"), la sua svalutazione degli altri, unita alla mancanza di curiosità nei loro confronti, impoverisce la sua vita personale e rafforza la "sensazione soggettiva di vuoto". Privo di qualsiasi reale impegno intellettuale malgrado una valutazione frequentemente esagerata delle sue doti intellettuali - egli ha scarse capacità di

sublimazione. Dipende, di conseguenza, dagli altri per ottenere costantemente approvazione e ammirazione. " Deve legar[si] a qualcuno, costretto a vivere " un'esistenza "quasi parassitaria". Nello stesso tempo, la sua paura della dipendenza emotiva, unita alla tendenza alla manipolazione e allo sfruttamento con cui imposta i rapporti personali, rende tali rapporti fragili, superficiali e profondamente insoddisfacenti. "La relazione ideale per me, sarebbe una relazione della durata di due mesi," ha dichiarato un paziente. "Così non ci sarebbe nessun coinvolgimento. Allo scadere dei due mesi semplicemente la interromperei."

Perennemente annoiato, instancabilmente alla ricerca di immediate intimità - un tilillamento emotivo senza coinvolgimento e dipendenza - il narcisista è promiscuo e spesso anche

54 pansessuale, in quanto la fusione delle pulsioni pregenitali con quelle edipiche in funzione dell'aggressivita favorisce la perversità polimorfa. Le cattive immagini che ha interiorizzato gli causano anche una cronica apprensione per il suo stato di salute, e l’ipocondria, a sua volta, produce in lui un'affinità particolare per la terapia e per i movimenti e i gruppi terapeutici.

Come paziente psicoanalitico, il narcisista è il candidato perfetto per un'analisi interminabile. Nell'analisi egli cerca una religione o un sistema di vita, sperando di trovare nel rapporto terapeutico un sostegno esterno alle sue fantasie di onnipotenza e di eterna giovinezza. Le sue forti difese, però, costiluiscono un ostacolo alla riuscita dell'analisi. La superficialità della sua vita emotiva gli impedisce spesso di instaurare uno stretto rapporto con l'analista, sebbene "in molti casi egli usi la sua perspicacia intellettuale per concordare verbalmente con l'analista e riassuma con parole sue quanta a stato analizzato nelle sedute precedenti". Usa l'intelligenza al servizio dell'evasione piuttosto che della scoperta di se, ricorrendo a delle strategie di disorientamento identiche a quelle impiegate nella letteratura diaristica di questi decenni. "Il paziente si serve delle interpretazioni dell'analisi, ma le svuota rapidamente di vita e significato, cosicche quello che resta sono solo parole prive di senso. Le parole, a questo punto, sembrano diventare di proprietà esclusiva del paziente, proprietà che egli idealizza e da cui ricava un senso di superiorità." Anche se ora gli analisti non considerano più i disturbi narcisistici costiluzionalmente refrattari alla terapia, pochi tra loro sono ottimisti riguardo alle possibililà di successo.

Secondo Kernberg, il vero motivo per cui un tentativo va fatto, nonostante le numerose difficolta che si incontrano con i pazienti narcisisti, è l'effetto distruttivo del narcisismo sulla seconda metà della loro vita - la 'certezza delle terribili sofferenze che il futuro riserva loro. In una società che paventa la vecchiaia e la morte, invecchiare è causa di particolare sgomento per coloro che temono la dipendenza e la cui autostima esige l'ammirazione riservata generalmente alla giovinezza, alla bellezza, alla celebrità e al fascino. Le consuete difese contro i danni dell'eta avanzata - identificazione con valori etici o artistici che trascendono gli interessi immediate, curiosità intellettuale, il confortante calore emotivo che nasce dalle felici relazioni avute in passato - non sono, per il narcisista, di nessun aiuto. Incapace di trarre qualsiasi genere di conforto dalla iden-

55 tificazione con la continuità storica, per lui è impossibile "accettare il fatto che ora sia una generazione più giovane a godere di molte delle gratificazioni, in precedenza tanto apprezzate, connesse con la bellezza, la ricchezza, il potere e, in particolare, la creatività. La capacità di godere la vita all'interno di un processo che comporta la crescente identificazione con la felicità e le conquiste degli altri è tragicamente al di la delle possibilità delle personalità narcisistiche".

INFLUENZE SOCIALI SUL NARCISISMO Ogni epoca sviluppa forme proprie e peculiari di patologia, che manifestano in forma esagerata la sua struttura caratteriale profonda. Al tempo di Freud, isteria e nevrosi ossessive portavano all'estremo caratteristiche della personalità associate con l'organizzazione capitalistica nella fase iniziale del suo sviluppo. Ai giorni nostri, i disturbi preschizofrenici della personalità o i casi limite hanno attirato, unitamente alla schizofrenia medesima, un'attenzione crescente. Questo "cambiamento nella forma delle nevrosi a stato osservato e descritto fin dalla seconda guerra mondiale da un numero di psichiatri in continuo aumento." I2 Secondo Peter L. Giovachinni, "i medici sono continuamente alle prese con un numero in apparenza crescente di pazienti che non rientrano nelle categorie diagnostiche attuali" e che non presentano "sintomi definiti", ma "disturbi imprecisati e non determinabili". "Quando mi riferisco a `questo tipo di paziente'," scrive, "tutti sanno praticamente a chi mi sto riferendo." La sempre maggiore rilevanza dei "disturbi caratteriali" sembra indicare, nell'organizzazione della personalità, un cambiamento profondo da quella che è stata chiamata introversione al narcisismo.

Allen Wheelis osservava, nel 1958, che il modificarsi dei "modelli di nevrosi" appartiene "all'esperienza personale degli psicoanalisti più anziani", mentre i più giovani "lo rilevano dallo sfasamento esistente tra le precedenti descrizioni delle nevrosi e i problemi che presentano giornalmente i pazienti che frequentano i loro studi. Il cambiamento è consistito nel passaggio dalle nevrosi sintomatiche ai disturbi caratteriali." Heinz Lichtenstein, che contestò l'affermazione aggiuntiva che in ciò si riflettesse un cambiamento nella struttura della personalità, nel 1963

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scrisse tuttavia che il "cambiamento dei modelli nevrotici" costituiva ormai un' "fatto ben noto". Negli anni settanta, considerazioni di questo tipo sono diventate sempre più comuni. "Non è un caso," osserva Herbert Hendin, "che gli avvenimenti dominanti attualmente nel Campo della psicoanalisi siano la riscoperta del narcisismo e l'accentuazione del significato psicologico della morte." "In questi decenni che precedono il Duemila, i disturbi narcisistici sono, per l’analista," scrive Michael Beldoch, "ciò che furono, all'inizio del secolo, l'isteria e le nevrosi ossessive per Freud e i suoi primi colleghi. I pazienti di oggi, nel complesso, non sono affetti da paralisi isteriche alle gambe o da coazione a ripetere; e piuttosto proprio il loro essere psichico che si è intorpidito o che essi devono fregare e strofinare nello spossante e incessante tentativo di riscattarsi." Questi pazienti sono afflitti da "una penetrante sensazione di vuoto e da un profondo sconvolgimento della stima di se". Burness E. Moore osserva che i disturbi narcisistici sono diventati sempre più diffusi. Secondo Sheldon Bach, "si era abiluati a vedere arrivare gente affetta da coazioni a ripetere, da fobie e da nevrosi familiari. Ora si vedono in prevalenza narcisisti." Gilbert J. Rose sostiene che la prospettiva psicoanalitica, "impropriamente trasferila dalla pratica analitica" alla vita quotidiana, ha contribuilo a creare una "permissività globale" e la "eccessiva addomesticazione degli istinti "', il che a sua volta favorisce la proliferazione dei "disturbi narcisistici di identità". Secondo Joel Kovel, la stimolazione dei desideri infantili provocata dalla pubblicità l'usurpazione dell'autorità parentale a opera dei media e della scuola, e la razionalizzazione della vita interiore accompagnata dalla falsa promessa di realizzazione personale, hanno creato un nuovo tipo di "individuo sociale". "Il risultato non sono le nevrosi classiche nelle quali una pulsione infantile viene repressa dall'autorità patriarcale; nella versione moderna la pulsione a stimolata e pervertita senza che venga offerto un oggetto adeguato di appagamento, ne, tanto meno, forme coerenti di controllo... Tutto il complesso, che si colloca in una siluazione di alienazione piuttosto che di controllo diretto, perde la forma classica di sintomo - e viene

meno la possibilità terapeutica classica di restituire semplicemente una pulsione alla coscienza."

Il menzionato incremento del numero di pazienti narcisisti non vuole necessariamente dire che i disturbi narcisistici siano più comuni, tra la popolazione nel suo complesso, di quanto

57 lo fossero in passato, o che siano diventati più comuni delle nevrosi classiche da conversione. Forse vengono semplicemente sottoposti in anticipo all'attenzione dello psichiatra. Ilza Veilh sostiene che "per via della sempre maggiore consapevolezza delle reazioni da conversione e della diffusione della letteratura psichiatrica, le `superate' manifestazioni somatiche dell'isteria sono diventate sospette tra le classi più elevate, ed è per questo motivo che la maggior parte dei medici riferisce che ora i sintomi lampanti da conversione si incontrano raramente e, se capita, soltanto tra le persone non istruite". Probabilmente l'attenzione accordata dalla letteratura clinica recente ai disturbi caratteriali rende gli psichiatri più pronti a registrarne la presenza. Ma questa eventualità non diminuisce affatto l'importanza della testimonianza psichiatrica riguardo alla diffusione del narcisismo, soprattutto quando tale testimonianza viene alla ribalta in un momento in cui anche i giornali incominciano a occuparsi del nuovo narcisismo e della pericolosa tendenza verso l'egocentrismo. Il narcisista perviene all'attenzione degli psichiatri per alcuni dei medesimi motivi che gli permettono di raggiungere posizioni di rilievo non soltanto all'interno dei movimenti di autocoscienza e di altri gruppi, ma anche all'interno delle aziende, delle organizzazioni poliliche e delle burocrazie statali. Perché, malgrado tutto il suo tormento interiore, il narcisista passiede diverse caratteristiche che giovano al successo nelle istituzioni burocratiche, le quali favoriscono la manipolazione delle relazioni interpersonali, scoraggiano la nascita di profondi legami personali di solidarietà e concedono al narcisista l'approvazione che gli è indispensabile per rafforzare la sua stima di se. Sebbene ricorra a terapie che permettono di dare un significato alla sua vita e di sconfiggere il suo senso di vuoto, il narcisista gode spesso di un considerevole successo nella sua carriera

professionale. Domina con naturalezza le proprie impressioni e la padronanza con cui controlla ogni alterazione gli è di grande utilità nelle organizzazioni poliliche e commerciali, all'interno delle quali, attualmente, il risultato conta meno dell'"apparenza", dello "slancio" a del conseguimento di un primato.13 Nel momento in cui alla figura di "uomo dell'organizzazione" si sostiluisce quella di "gamesman" della burocrazia - e all"era della fedeltà" nel mondo degli affari americano succede l'epoca della "corsa al successo dirigenziale" - il narcisista si trova in una posizione privilegiata.

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In uno studio condotto su 250 manager delle dodici più importanti compagnia, Michael Maccoby descrive," con una certo indulgenza, il nuovo dirigente d'azienda come una persona che lavora non con le cose ma con le persone e che non si propone di costruire un impero ma di sperimentare "l'esaltante emozione di far correre la sua squadra e di mietere vittorie". Egli vuole "essere conosciuto come un vincitore, e la sua più grossa paura e di essere qualificato un perdente". Invece di misurarsi con un compito materiale o con un problema che richiede una soluzione, egli si misura con gli altri individui, spinto da un "bisogno di comando". Come è scritto in un manuale per manager di recente. pubblicazione, il successo al giorno d'oggi non vuole dire "semplicemente fare carriera", ma "farla superando gli altri".15 Il nuovo dirigente, con l’aria da ragazzo spiritoso e "seducente", vuole, come dice Maccoby, "conservare un'illusione di opzioni illimilate". Ha una scarsa capacità di "intimita personale e di impegno sociale". Nutre deboli sentimenti di fedelta persino per la compagnia per cui lavora. Un dirigente ha dichiarato di provare una sensazione di potere "a non farsi manovrare dalla sua compagnia".

Nel corso della sua scalata verso il successo, quest'uomo coltiva clienti influenti e tenta di usarli contro gli interessi della sua stessa compagnia. Secondo i suoi calcoli "e indispensabile avere un cliente molto importante, che abbia continuamente dei problemi e pretenda dei cambiamenti dalla compagnia. In questo modo, si acquista automaticamente potere all'interno della compagnia, e, nello stesso tempo, anche nei confronti del cliente. Non voglio precludermi alcuna possibile alternativa." Un esperto di management sottoscrive tale strategia

dirigenziale. A suo parere "l'eccessiva identificazione con la compagnia procura all'azienda poteri immensi sulla carriera e sul destino dei suoi autentici credenti". Più la compagnia è grossa, più egli riliene che sia importante per i dirigenti "indirizzare la loro carriera sulti base di libere scelte individuali" e di "conservare la più ampia serie di opzioni possibile".*

* Non è solo il gamesman a temere "di sentirsi preso in trappola ". Seymour B. Sarason segnala la diffusion di tale paura tra professionisti e studenti - che si preparano per carriere professionali.' 6 Anch'egli suggerisce l'esistenza di una relazione tra la paura di sentirsi in trappola e il valore culturale assegnato alla mobililà di carriera e al suo equivalente psichico, "la crescita personale". "`Mesta libero', 'non rinunciare alle alternative', 'prendilela calma' questi avvertimenti cautelativi nascono dall 'impressione che la società predisponga in-

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Come dice Maccoby, il gamesman "è ricettivo verso le nuove idee, ma privo di convinzioni ". E disponibile a mantenere relazioni d'affari con qualsiasi tipo di regime, anche se non condivide i principi che lo sostengono. Più autonomo e intraprendente di colui che si sente legato alla compagnia per cui lavora, egli tenta di usare la compagnia per i suoi scopi personali, temendo che altrimenti "la sua virilità venga completamente annichilila dall'azienda". Evita ogni forma di intimita come un pericolo, preferendo l"'eccitante e sensuale atmosfera" di cui si circonda il dirigente moderno sul lavoro, "dove adoranti segretarie in minigonna flirtano a gara con lui". Tutte le relazioni personali che il gamesman intrattiene sono subordinate all'ammirazione e al timore che egli suscita negli altri al fine di vedere riconosciute le sue credenziali di "vincitore". Invecchiato, vede aumentare le sue difficolta a imporre il genere di attenzione su cui prospera. Raggiunto un certo livello, la sua carriera professionale non progredisce oltre, forse perche i posti di maggior prestigio, come osserva Maccoby, continuano a essere riservati a "coloro che sanno rinunciare alle ribellioni giovanili e diventano, almeno in una certa misura, dei sostenitori dell'organizzazione". Il lavoro incomincia a perdere interesse per lui. Avendo in realtà una scarsissima inclinazione per il proprio mestiere, il dirigente nuova maniera non ricava alcuna soddisfazione dalle sue imprese, dal memento che ormai hanno perso l'attrattiva degli anni giovanili. La mezza età piomba su di lui come una calamità: "Una volta che la forza, la gioventu, e persino l'eccitazione della vittoria, appartengono al passato, egli cade in uno stato di depressione e la mancanza di obiettivi lo induce a chiedersi quale sia lo scopo della sua vita. Non più stimolato dal gioco di squadra e incapace di dedicarsi a qualcosa in cui credere al di fuori di se stesso, ... si ritrova dolorosamente solo." Non dobbiamo stupirci, quindi, considerata la diffusione di questo schema di carriera, che nella psicologia popolare ritorni con tanta sidie di tutti i generi per sottrarti quella libertà senza la quale la crescita diventa impossibile." Questa paura di restare intrappolati o bloccati in una siluazione stagnante

è

strettamente collegata a sua volta alla paura della vecchiaia e della

morte. La smania di mobililà e il culto della "crescita" possono essi stessi essere considerati, in parte, come un'espressione della paura di invecchiare che ha raggiunto livelli di intensilà così alte nella società americana. Mobililà e crescita assicurano all'individuo che egli non è ancora entrato stabilmente nella fase declinante della vecchiaia.

60 frequenza il problema della "crisi della mezza età" e dei sistemi per affrontarla. Nel romanzo Office Polilics di Wilfrid Sheed," una moglie domanda: "Ci sono problemi seri tra il signor Fine e il signor Tàler?" Il marito le risponde che si tratta di cose senza importanza. "In realtà sono gli scherzi dell'Io." Nel suo studio sul management Eugene Emerson Jennings annuncia la scomparsa dell'uomo dell'organizzazione e l'avvento della nuova "era della mobililà", sottolineando che "la mobililà" aziendale "non si esplica semplicemente nell'esecuzione di un lavoro".18 Quello che conta è "lo stile... l'ostentazicne... l'abililà di dire e di fare praticamente qualsiasi cosa senza mettersi in conflilto. con gli altri". Secondo Jennings il dirigente che punta al successo sa come comportarsi con le persone che gli stanno intorno - con "l'impiegato senza prospettive" afflilto dal problema della "mobilila bloccata", invidioso del successo altrui; col "rapido carrierista"; col "superiore in ascesa". Il "dirigente di successo" ha imparato a "decifrare" i rapporti di potere del suo ufficio e "a captare l'aspetto più nascosto e sfuggente dei suoi superiori, in particolare quale sia la posizione che occupano rispetto ai colleghi del loro stesso livello e ai loro superiori". "Da pochi segni è in grado di desumere quali siano i centri di potere, e si sforza di mettersi in vista e di farsi notate da chi li controlla, curando con assiduilà la propria posizione e le proprie possibililà rispetto a loro, pronto a cogliere ogni opportunità per seguire il loro esempio. Sfruttera le occasioni che gli si presentano in società per valutare gli uomini che sono centri di sponsorship nel mondo aziendale."

Continuando a paragonare la "corsa al successo dirigenziale" a una competizione sportiva o a una

partila a scacchi, Jennings riliene che i dettagli della vita del dirigente siano del tutto casuali o comunque legati al caso e irrilevanti per il conseguimento del successo quanto possono esserlo i singoli atti di tirare un pallone in porta o muovere i pezzi su una scacchiera. Neppure una volta Jennings accenna alle ripercussioni sociali ed economiche delle decisioni manageriali o si sofferma a valutare il potere che i manager esercitano sulla società nel suo complesso. Per il manager aziendale che aspira al successo il potere non è rappresentato dal denaro o dall'autorita, ma dalla "carica", dall'"immagine vincente", dalla conferma della sua fama di vinci-

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tore. Il potere risiede negli occhi di chi guarda e non ha dunque alcun referente.e

La visione del mondo del manager, come viene descrilta da Jennings, Maccoby e dai manager in persona, è quella propria del narcisista, che vede il mondo come specchio di se stesso non si

interessa degli avvenimenti esterni tranne nel caso in cui gli rimandino un riflesso della sua propria immagine. L'ambiente della moderna burocrazia, caratterizzato dalla quantità di rapporti interpersonali e da una valutazione del lavoro in sè non relativamente alla sua esecuzione, provoca per sua natura e spesso premia un tipo di risposta narcisistica. Ma la burocrazia non rappresenta che una di quelle influenze sociali che determinano attualmente la sempre maggiore emergenza di un'organizzazione di tipo narcisistico della personalità. Un'influenza analoga è esercitata dalla riproduzione meccanica della cultura, dalla proliferazione di immagini visive e sonore nella "società dello spettacolo". Viviamo in un vortice di immagini e di risonanze che arrestano l'esperienza e la riproducono al rallentatore. Le macchine fotografiche e gli strumenti di registrazione non solo trascrivono l'esperienza, ma ne alterano la qualità, dando a gran parte della vita moderna l'apparenza di un'immensa camera dell'eco, di una sala degli specchi. La vita si presenta come una successione di immagini o di segnali elettronici, di impressioni registrate e riprodotte tramite la fotografia, i filmati, la televisione e sofisticati apparecchi di registrazione. La vita moderna nella sua totalilà è a tal punto mediata dalle immagini elettroniche che non possiamo trattenerci dal rispondere agli altri come se le loro azioni - e le nostre - venissero riprese e simultaneamente trasmesse davanti a un pubblico invisibile o raccolte per essere sottoposte, in un secondo tempo, ad accurato esame. "Sorridi, la telecamera ti sta inquadrando!" L'intrusione nella vita di tutti i giorni di questo occhio "onniveggente" non ci coglie più di sorpresa o privi di difese. Non abbiamo bisogno che qualcuno ci ricordi di sorridere. Il sorriso è perennemente stampato sul

nostro viso, e tutti In realtà esso è privo di riferimento a qualunque cosa esterna al se. nuovo ideale di successo è vuoto di contenuto. "La riuscila nel lavoro vuol dire errivare," dice Jennings. L 'equazione è successo uguale successo. Si osservi la convergenza tra il successo negli affari e la celebrità in campo politico e nel mondo dello spettacolo, legata anch'essa all" `apparenza" e al "carisma" e che non può avere, altra definizione diversa da se stessa. L'unico attributo importante della celebrità è d'essere riconosciuta come tale; nessuno sa d iirne il perche. Il

62 conoscono l'angolazione fotografica che mette in luce il lato migliore La proliferazione delle immagini registrate minaccia il nostro senso della realtà. Come osserva Susan Sontag nel suo studio sulla fotografia,'' "sembra che la realtà somigli sempre più a ciò che vediamo attraverso la macchina fotografica". Diffidiamo delle nostre percezioni fino a quando la fotografia non le conferma. Le immagini fotografiche ci danno la prova della nostra esistenza, senza la quale avremmo delle difficoltà a ricostruire persino la nostra storia personale. Come rileva la Sontag, nel 700 e nell'800 le famiglie borghesi glorificavano nei ritratti lo status familiare, mentre oggi l'album delle fotografie di famiglia conferma l'esistenza dell'individuo: la documentazione fotografica del suo sviluppo dall'infanzia in poi gli fornisce l'unica testimonianza della sua vita di cui egli riconosca la completa validita. Tra le "numerose utilizzazioni narcisistiche" che la Sontag attribuisce alla macchina fotografica, la "sorveglianza di se" si colloca tra le più importanti, non solo perché fornisce i mezzi tecnici per un continuo auto-esame, ma perché sottomette il senso dell'individualita alla consumazione di immagini del se, coinvolgendo nello stesso tempo la realtà del mondo esterno. Fissando le immagini del se in fasi diverse dello sviluppo, la fotografia contribuisce a indebolire l'idea di sviluppo come educazione morale e asseconda un'idea più passiva secondo la quale lo sviluppo consiste nell'attraversare le fasi della vita al momento giusto e seguendo un ordine prestabilito. L'attuale inclinazione a privilegiare il ciclo della vita è un'espressione della consapevolezza che il successo in politica e negli affari è subordinato al raggiungimento di certi traguardi nei tempi prestabilili; ma riflette anche la semplicilà con cui lo sviluppo può essere elettronicamente registrato. Questo fatto produce un'altra modificazione culturale che suscita una diffusa risposta narcisistica e, in questo caso, le fornisce un sostegno filosofico: la emergenza di una ideologia terapeutica fautrice di un programma normativo di sviluppo psicosociale che

alimenta ulteriormente l’ansia di auto-esame. Dall'ideale di sviluppo normativo nasce la paura che qualsiasi deviazione sia di origine patologica. I medici hanno creato il culto del checkup periodico - un'indagine eseguita ancora una volta con l'ausilio di apparecchi fotografici e altri strumenti di registrazione - e hanno inculcato

63 nei loro pazienti l'idea che la salute dipenda dal mantenersi sempre vigili e dalla precoce scoperta dei sintomi, accertata dalla tecnologia medica. Il paziente non si sente più sicuro fisicamente o psicologicamente fin tanto che i suoi esami radiografici non gli assicurano un "certificato di buona salute". La medicina e la psichiatria - e più in generale, la prospettiva e la sensibilità terapeutiche che permeano la società moderna - rinforzano il modello creato da altri condizionamenti culturali, all'interno del quale l'individuo si esamina continuamente per scoprire segni di invecchiamento e di cattiva salute, sintomi indicativi di stress psichieo, difetti e imperfezioni che potrebbero diminuire la sua attrattiva, oppure, diversamente, indizi rassicuranti che confermino che la sua vita sta procedendo in sintonia col programma. La medicina ha sconfilto i flagelli e le epidemie che in passato rendevano la vita così precaria, solo per dare vita a nuove forme di insicurezza. Analogamente la burocrazia, mentre da una parte ha reso la vita prevedibile e quasi noiosa, dall'altra ha risvegliato, sotto nuova forma, la guerra di tutti contro tutti. La nostra società superorganizzata, in cui le organizzazioni predominano pur avendo perso la capacità di imporre obbedienza, si avvicina di più, sotto certi aspetti, a uno stato di belligeranza universale che non il

capitalismo primitivo sul quale Hobbes ha modellato il suo stato di natura: Le condizioni sociali attuali incoraggiano una mentalilà della sopravvivenza, che si manifesta nella sua forma più rudimentale nei film catastrofici e nella fantascienza dei viaggi spaziali che permettono la fuga da un pianeta condannato. La gente non sogna più di superare le siluazioni difficili, ma semplicemente di sopravvivere loro. Come dice Jennings, negli affari "la battaglia è per la sopravvivenza emotiva" - perche ciascuno "preservi o rafforzi la propria identità o i l proprio Io ".20 La concezione normativa delle fasi di sviluppo spinge a vedere la vita come una corsa a ostacoli: l'obiettivo è soltanto quello di completare il percorso senza troppi danni e sofferenze. L'abilila di manipolazione a cui Gail Sheehy si riferisce,2 usando una metafora presa dal linguaggio medico, come a "sistema di supporto" sembra rappresentare la più elevata forma di saggezza: la consapevolezza che ci fa arrivare a destinazione - sono le sue parole - senza cedere al panico. Coloro che sono in grado di "affrontare la vecchiaia" e i traumi legati al ciclo vitale "senza farsi prendere dal panico", cosi si esprime la Sheehy, potranno dire, come uno dei suoi

64 pazienti: "Ora so che ce la faro a sopravvivere... Non mi lascio più prendere dal panico." Ma questa non è certo una gran forma di soddisfazione. "L'ideologia corrente," scrive la Sheehy, "sembra un miscuglio del mito della sopravvivenza personale, di revivalismo e di cinismo"; tuttavia la sua popolarissima guida alle "prevedibili crisi dell'eta adulta" - un inno superficialmente ottimistico alla crescita, allo sviluppo, e all'"autorealizzazione" - non metre in discussione questa ideologia, ma semplicemente la riafferma rivestendola di una forma più "umanistica". "Crescita" è diventato un eufemismo per sopravvivenza.

LA PROSPETTIVA DEI RASSEGNATI Nuove forme sociali richiedono nuove forme di personalità, nuovi modi di socializzazione, nuovi sistemi di organizzazione dell'esperienza. Il concetto di narcisismo non costiluisce un determinismo psicologico indiscriminato, ma ci da modo di spiegare l'impatto psicologico dei recenti cambiamenti sociali - posto che teniamo presente non soltanto le sue origini cliniche, ma la continuità esistente tra patologia e normalilà. In altre parole, esso ci fornisce un rilratto accettabilmente accurato della personalità "liberata" del nostro tempo, con il suo fascino, la pseudo-consapevolezza del suo stato, la promiscua pansessualilà, l'attrazione per la sessualilà orale, la paura della madre castratrice (Mrs. Portnoy), l'ipocondria, la superficialilà protettiva, la fuga dalla dipendenza affettiva, l'incapacità di cordoglio, il terrore della vecchiaia e della morte. II narcisismo sembra rappresentare realisticamente il modo migliore di tener testa alle tensioni e alle ansie della vita moderna, e le condizioni sociali prevalenti tendono perciò a far affiorare i tratti narcisistici .che, in gradi diversi, sono presenti in ciascuno. Tali condizioni hanno trasformato anche la famiglia, che è a sua volta fattore determinante della struttura profonda della personalità. Una società che teme di non avere un

futuro non può essere molto attenta ai bisogni delle nuove generazioni, e il senso sempre presente di discontinuità storica - il flagello della nostra società - ricade sulla famiglia con effetti particolarmente devastanti. Gli sforzi dei genitori moderni perché i loro figli si sentano amati e desiderati non riescono a nascondere una freddezza di fondo - l'indifferenza di chi ha ben poco da tra-

65 smettere alla generazione successiva e vede in ogni caso come prioritario il proprio diritto alla realizzazione di se. Il distacco emozionale unito ai tentativi per convincere il bambino della sua posizione di privilegio all'interno della famiglia, costiluiscono una base eccellente per la formazione di una personalità narcisistica. Tramite la famiglia, i modelli sociali si riproducono nella personalità. Gli ordinamenti sociali sopravvivono nell'individuo, sepolti nella sua psiche sotto il livello del conscio, anche dopo che Sono diventati oggettivamente indesiderabili e non necessari - come è il caso, ampiamente riconosciuto, di molti dei nostri attuali ordinamenti. La percezione del mondo come di un luogo pericoloso e inaccessibile, sebbene nasca dalla realistica consapevolezza della precarietà della vita sociale contemporanea, e rinforzata dalla proiezione narcisistica delle pulsioni aggressive verso il mondo esterno. La convinzione che la nostra società e senza futuro, se da un lato si basa su una visione realistica dei pericoli che ci attendono, dipende anche da una incapacità narcisistica di identificarsi con le generazioni future o di sentirsi inseriti nel corso della storia. L'indebolimento dei vincoli sociali, originato dallo stato di guerra sociale dominante, riflette al tempo stesso una difesa narcisistica contro la dipendenza. Una società violenta tende a produrre uomini e donne profondamente antisociali nel loro intimo. Non dovremmo essere sorpresi di scoprire, quindi, che sebbene il narcisista si conformi alle norme sociali per paura di una punizione esterna, in molti casi si immagina come un fuorilegge e vede gli altri sotto la stessa luce, "fondamentalmente disonesti e infidi, o. credibili solo a causa delle pressioni esterne". " Il sistema di valori delle personalità narcisistiche e deteriorabile," strive Kernberg, "in contrasto con la rigida moralilà delle personalità ossessive." ' L'etica dell'autoconservazione e della sopravvivenza psichica ha le sue radici non solo, dunque, nelle condizioni oggettive della contesa

economica, negli indici crescenti della criminalilà e nel disordine sociale, ma nei sentimenti soggettivi di vuoto e di isolamento. Essa riflette la persuasione --- originata dalla proiezione di angosce interiori tanto quanto dalla percezione esatta della realtà delle cose - che anche nei rapporti più intimi dominano l'invidia e la sopraffazione.. Il culto dei rapporti personali, che si intensifica a mano a mano che svanisce la speranza di soluzioni poliliche, nasconde una assoluta diffidenza nei rap-

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porti umani, esattamente come il culto della sensualità implica un rifiuto della sensualità in tutte le sue manifestazioni tranne le più primitive. L'ideologia della crescita personale, superficialmente ottimistica, lascia trapelare profondo sconforto e rassegnazione. la fede di chi non ha più fede.

67 3. DA HORATIO ALGER ALL'ALLEGRO IMBROGLIONE: EVOLUZIONE DELLE MODALITA’ DEL SUCCESSO

La società americana è contrassegnata da una ' fondamentale accentuazione dell affermazione personale, in particolar modo dell'affermazione professionale mondana. La "storia dell'uomo di successo" e il rispetto accordato a coloro che si sono fatti da sé sono marcatamente americani come poche altre case... [La società americana] ha dato la sua approvazione a Horatio Alger e ha celebrato il manovale delle ferrovie che diventa presidente. ROBIN WILLIAMS

L'uomo di grandi ambizioni è ancora tra noi, come sempre è stato, ma ora ha bisogno di un più acuto spirito di iniziativa, di una più profonda capacità di manipolare La "democrazia delle emozioni", se vuole mantenere una sua identità separata e incrementarla in modo significativo per mezzo del successo,.. I problemi sessuali del nevrotico che lotta per un po' di gloria effimera nella Manhattan della metà di questo secolo sono molto diversi dai problemi del nevrotico della Vienna dei primi del secolo. La storia modifica l'espressione della nevrosi anche se non muta i meccanismi the la sottendono. PHILIP RIEPF 2

'

I L SIGNIFICATO ORIGINARIO DELL ETICA DEL LAVORO

Ancora in epoca recente, l'etica protestante del lavoro si ergeva come uno dei pilastri fondamentali della cultura americana. Secondo il mito dell'impresa capitalistica, la parsimonia e l’operosità rappresentavano la chiave del successo materiale e della realizzazione spirituale. La concezione dell'America come terra di opportunità dipendeva dall'assunto per cui - abbattuti i tradizionali ostacoli alla promozione sociale - si sarebbero create le condizioni per una mobililà sociale basata unicamente sull'iniziativa individuale. Il self-made man, incarnazione archetipa del sogno americano,

doveva la propria promozione alle abiludini di operosità, sobrietà, moderazione, autodisciplina, e all'orrore per i debiti. Egli viveva in funzione del futuro, rifuggendo

68 dall'auto-indulgenza in favore di un'accumulazione paziente e scrupolosa; fino a quando le prospettive collettive apparvero globalmente tanto promettenti, il differimento delle gratificazioni non soltanto costituì la sua gratificazione principale, ma anche un'abbondante fonte di profitti. In una economia in espansione ci si poteva attendere che il valore degli investimenti si moltiplicasse col tempo, come fecero ripetutamente notare i portavoce del self-help malgrado la loro celebrazione del lavoro come tale. In un'epoca di aspettative decrescenti, le virtù protestanti non suscitano più grande entusiasmo. L'inflazione provoca l'erosione degli investimenti e dei risparmi. La pubblicità indebolisce l'orrore per l'indebitamento invitando il consumatore a comprare ora e a pagare in seguito. Poiché il futuro si fa minaccioso e incerto, soltanto gli sciocchi rimandano a domani il divertimento che possono avere oggi. Un profondo mutamento del nostro senso del tempo ha trasformato le abitudini lavorative, i valori e la definizione del successo. Quale fine ultimo dell'esistenza terrena l'autoconservazione ha sostituito la tendenza al miglioramento di sé. In una società senza legge, violenta e imprevedibile, nella quale le condizioni normali della vita quotidiana tendono ad assomigliare a quelle sinora confinate al mondo della malavita, gli uomini vivono di espedienti. Essi sperano non tanto di prosperare, quanto semplicemente di sopravvivere, anche se la stessa sopravvivenza richiede ogni giorno di più un reddito considerevole. In passato, il self-made man era fiero della sua capacità di giudicare il carattere e la rettiludine; oggi egli scruta ansiosamente le facce dei suoi collaboratori non tanto per valutare il loro merito, quanto per calcolare esattamente la loro ricettività nei confronti delle sue manipolazioni. Egli mette in pratica la arti classiche della seduzione e con pari indifferenza per le sottigliezze morali, spera di conquistare il vostro cuore mentre vi deruba. L'allegro imbroglione sostiluisce Horatio Alger come prototipo del successo personale. Se

Robinson Crusoe era l'incarnazione del tipo ideale dell'uomo economico, l'eroe della società borghese nel momento della sua ascesa è in spirito di Moll Flanders che presiede al suo decadimento. La nuova etica dell'autoconservazione si è formata in tempi lunghi; non è emersa da un giorno all'altro. Nei primi tre secoli della nostra storia, l'etica del lavoro ha costantemente mutato il proprio significato; tali vicissitudini, spesso impercettibili al

69 momento, prefigurarono la sua trasformazione finale in un'etica della sopravvivenza personale. Per i puritani, l'uomo pio seguiva con impegno la propria vocazione non tanto per accumulare ricchezze personali, quanto per accrescere il benessere e il vantaggio della comunità. Ogni cristiano, come dice Cotton Mather, aveva una "vocazione generate" a servire Dio e una "vocazione personale che definiva la sua utilità nel suo ambiente". Questa vocazione personale nasceva dal fatto che "Dio ha fatto l'uomo un essere sociale".3 I puritani ammettevano che un uomo potesse diventare ricco seguendo la propria vocazione, ma consideravano la prosperità personale connessa solo incidentalmente all'attività sociale - attraverso la trasformazione collettiva della natura e il progresso delle arti e delle conoscenze utili. Insegnavano agli uomini che avevano accumulato ricchezze a non vantarsene con il loro prossimo. Il vero cristiano, secondo le concezioni calviniste di una esistenza pia e onorevole, sopportava con equanimità sia la buona che la cattiva fortuna, accontentandosi di ciò che la sorte gli aveva riservato. "Questo egli aveva imparato a fare," assicurava John Cotton. "Se Dio Io faceva prosperare, egli aveva imparato a non insuperbire, e se avesse dovuto essere soggetto al bisogno, avrebbe potuto sopportarlo senza lamentarsi. E’ il medesimo atto di miscredenza che conduce l'uomo a lamentarsi nelle contrarietà e a insuperbire nella prosperità." Pur esprimendo il calvinismo una serie di riserve morali nei confronti di chi ricercava la ricchezza, molti dei suoi adepti, in particolare quelli del New England, ingrassarono e si arricchirono sul

commercio del rum e degli schiavi. Quando il puritano fu sostituito dallo yankee, emerse una versione secolarizzata dell'etica protestante. Mentre Cotton Mather consigliava di non indebitarsi poiché ciò andava a scapilo del creditore ("Sia per il molesto pensare, in qualsiasi momento: `Ho i soldi di un altro uomo nelle mie mani, a li trattengo a suo danno' ") Benjamin Franklin argomentava che l'indebitarsi era un danno per il debitore medesimo, poiché lo metteva alla merce dei suoi creditori. I sermoni puritani che avevano come argomento la vocazione citavano in continuazione dalla Bibbia; Franklin codificò il buon senso popolare nei detti di Poor Richard. "Aiutati che Dio ti aiuta." "II tempo perso non si recupera "Non rimandare a domani quello che puoi fare oggi." "Se vuoi conoscere il valo-

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re del denaro, prova a chiederne in prestito; chi chiede prestiti incassa dispiaceri." Mentre i puritani insistevano sull'importanza del lavoro socialmente utile, lo yankee enfatizzava il miglioramento personale, senza limilarlo al semplice far soldi, ma estendendolo fino a includervi l'autodisciplina, l'educazione e lo sviluppo dei doni che Dio ci ha dato, in prim o luogo la ragione. L'ideale di prosperità del XVIII secolo non comprendeva soltanto benessere materiale, ma anche buona salute, serenità, saggezza, utilità e la soddisfazione di sapere che ci si era guadagnati la stima degli altri. Nella parte della sua Autobiografia dedicata all' "Arte della virtù", Franklin riassunse i risultati di un programma di miglioramento morale di tutta una vita: Alla temperanza egli attribuisce il suo stato continuo di salute e ciò che ancora gli resta di una sana costiluzione. Alla laboriosilà e alla frugalilà, le condizioni economiche che favorirono l'acquisizione del suo patrimonio, insieme a tutto quel sapere che lo mise in grado di essere un cittadino utile e che gli conquistò una certa fama tra gli erudili. Alla sincerità e alla giustizia, la fiducia del suo paese e le cariche onorifiche che esso gli conferì. E all'influenza congiunta di tutto l’insieme delle virtù, la serenilà del carattere e quella giovialilà nel conversare che fanno sì che, la sua compagnia sia tuttora ricercata, e piacevole persino per i suoi conoscenti più giovani.

Nella versione settecentesca dell'etica del lavoro la virtù paga, ma non solo in denaro. La vera ricompensa che viene dall'essere virtuosi è di avere, al termine della propria vita, ben poco di cui doversi scusare o pentire. La ricchezza ha il suo valore soprattutto in quanto condizione preliminare necessaria all'educazione morale e intellettuale.*

* I tentativi di ridurre "forze della virtù" frankliniana a un'etica puramente prudenziale dell'arricchimento e del progresso personale perdono di vista le sue sfumature più sottili. "Tutti gli atteggiamenti morali di Franklin," scrisse "Max Weber in L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, sono intrisi di utilitarismo... Le virtù...' sono tali soltanto nella misura in cui sono realmente utili all individuo.,. L'uomo e dominato dall'idea di far soldi, dalla acquisizione come scopo finale della propria

vita."

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D.H. Lawrence espresse un'opinione non dissimile in

Studies of Classic American Lilerature. Queste interpretazioni

ignorano le relazioni, tanto fondamentali nella prospettiva borghese del XVIII secolo, tra arricchimento, socievolezza e il progresso delle arti utili; tra lo spirito del capitalismo e quello dell'inventiva e dell'abililà. Per Franklin il miglioramento personale non. coincide con il progresso personale; in effetti, nel XVIII secolo, l'ambizione era una virtù più hamiltoniana che non frankliniana o jeffersoniana.

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DALL'"AUTOFORMAZIONE" ALL'AVANZAMENTO PERSONALE PER MEZZO DI "IMMAGINI VINCENTI" Nel Corso del XIX secolo, l'ideale del miglioramento personale degenerò nel culto dell'operosità coatta. P.T. Barnum, che ammassò una fortuna seguendo una vocazione la cui stessa natura sarebbe stata condannata dai puritani ("Ogni vocazione con la quale Dio venga disonorato, ogni vocazione che alimenti soltanto le brame degli uomini... ogni vocazione di tal genere va rifiutata"), tenne in numerose occasioni una conferenza esplicilamente intilolata "L'arte di arricchirsi", che riassumeva la concezione del successo terreno nel XIX secolo.' Barnum cilava liberamente Franklin, ma senza la preoccupazione di , questi per la conquista della saggezza o per la promozione delle conoscenze utili. L'"informazione" interessava Barnum semplicemente come mezzo per dominare il mercato. Egli condannava quindi le "false economie" della contadina che al crepuscolo spegne la candela invece di accenderne un'altra per leggere, non rendendosi conto che l' "informazione" ottenuta per mezzo della lettura ha un valore di gran lunga superiore al prezzo della candela. "Comprate sempre giornali attendibili" era il consiglio di Barnum ai giovani in cerca di successo, "e tenetevi al corrente degli affari del mondo. Colui che è privo di un giornale è tagliato fuori dalla sua specie." Barnum considerava l'opinione favorevole degli altri non un segno della propria utilità, ma soltanto un mezzo per ottenere credito. "L'integrità senza compromessi del carattere è un bene inestimabile." Il XIX secolo tentò di esprimere tutti i valori in termini monetari. Ogni cosa aveva il suo prezzo. Le opere di carità erano un dovere morale perchè "l'uomo generoso disporrà di appoggio, mentre l'avaro meschino e poco caritatevole sarà sfuggito ". Il peccato di orgoglio non tanto offendeva Dio, ma

conduceva a spese esagerate. "Uno spirito orgoglioso e vanitoso, se lasciato libero di esercitare tutto il suo potere, è l'eterno cancro che divora gli elementi essenziali delle proprietà terrene di un uomo. " Il XVIII secolo trasformò la temperanza in virtù, senza peraltro condannare una moderata indulgenza verso la pratica della socievolezza. Franklin e i suoi contemporanei, al contrario, consideravano la "conversazione razionale" un valore fondamentale. Il XIX secolo condannò la socievolezza in se, sulla base del fatto

72 che avrebbe potuto interferire con gli affari. "Quante ottime opportunità sono, andate perdute, senza possibililà che si ripresentino, mentre un uomo sorseggiava un `bicchiere in compagnia' con i propri amici!" Nei sermoni sul self-help alitava ora lo spirito dell'iniziativa coercitiva. Henry Ward Beecher definì "il beau ideal della felicilà" come uno stato mentale in cui "un uomo è così. indaffarato da non sapere se è felice oppure no"? Russel Sage constatò che "il lavoro è stata la principale, e potrei dire la sola, fonte di piacere della mia vita".a Tuttavia, anche al culmine dell'età dell'oro, l'etica protestante non perse completamente il proprio significato originario. Nei manuali per l'uomo di successo, nelle raccolte McGuffey, nei Peter Parley Books e negli incitanti articoli scritti dai grandi capitalisti in persona, le virtù protestanti laboriosità, frugalità e temperanza - non soltanto rappresentavano il trampolino di lancio per il successo, ma erano fonte di gratificazione per il solo fatto di essere praticate. L'essenza del miglioramento personale sopravviveva, in forma degradata, nel culto della self culture intesa come cura ed educazione adeguate del corpo e dello spirito, nutrimento della mente con l’ausilio dei "grandi libri ", sviluppo del "carattere". Si continuava a celebrare il successo in base alla convinzione, più o meno latente, che accumulazione individuale corrispondesse a contributo sociale e le condizioni sociali del capitalismo industriale primitivo, in cui il perseguimento della ricchezza accresceva innegabilmente la disponibilita di oggetti utili, fornivano un certo fondamento all'affermazione che " il capitale accumulato a sinonimo di progresso" Col condannare le speculazioni e gli sperperi, sostenere l’importanza di una laboriosita paziente, spingere i giovani a iniziare dalla gavetta e a sottomettersi alla "disciplina della vita quotidiana ", anche gli esponenti più sfacciati dell'arricchimento individuale aderivano alla tesi per cui la ricchezza trae il proprio valore dal suo contributo al bene co-

mune e alla felicità delle generazioni future. L'elemento competitivo fu, stranamente, trascurato dal culto ottocentesco del successo: i risultati non venivano valutati rispetto a quelli altrui, ma secondo un ideale astratto di disciplina e di automortificazione. Verso la fine del secolo, tuttavia, si cominciò a parlare, a proposito di successo, di volonta di vincere. La burocratizzazione della carriera aziendale mute le condizioni delta promozione individuale; i giovani ambiziosi dovevano ora competere con i loro colleghi per ottenere l’atten-

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zione e l’approvazione dei loro superiori. I tentativi di superare la generazione precedente e gli sforzi per provvedere a quella futura lasciarono il posto a forme di rivalila intestina, che vedevano uomini di pari qualiti competere per un limitato numero di posti. La promozione dipendeva ora "dalla forza di volonta, dalla fiducia in se stessi, dall'energia e dall'iniziativa" celebrate in scritti esemplari quali Letters from a Self-Made Merchant to His Son di George Lorimer. John Cawelti, nel suo studio sul mito del successo, scrive che "verso la fine del XIX secolo i libri sul self-help erano dominati dall'ethos dell'arte della vendila e della propaganda. II magnetismo personale, una qualità che si supponeva mettesse gli uomini in grado di influenzare e dominare gli altri, divenne una delle chiavi fondamentali del successo." " Nel 1907, sia il Saturday Evening Post di Lorimer che la rivista Success di Orison Swett Marden, inaugurarono rubriche che istruivano sull' "arte della conversazione", la moda e Ia "cultura". La gestione delle relazioni interpersonali fi nì per essere vista come l’essenza della promozione personale. Il capitano d'industria lasciava il posto allo spregiudicato affarista, maestro nell 'arte di padroneggiare le impressioni. Ai giovani veniva detto che, se volevano riuscire, dovevano vendersi. Se all'inizio si distingueva a fatica tra il nuovo e il vecchio . metodo per arrivare al successo, la differenza fra i due divenne lampante quando Dale Carnegie e, successivamente, Norman Vincent Peale riformularono e trasformarono la tradizione di Mather, Franklin, Barnum e Lorimer. Come formula per il successo, conquistare gli amici e influenzare la gente avevano ben poco in comune con l’operosita e la parsimonia. I profeti di questo nuovo empirismo denigravano "il vecchio d o t t o secondo cui solo il duro lavoro è la chiave magica che apre le porte ai

nostri desideri".kz Essi esaltavano I'amore per il denaro, ufficialmente condannato anche dai materialisti più ostinati dell'eta dorata, in quanto utile incentivo. "Non riuscirai mai ad accumulate ricchezze in grande quantità," scriveva Napoleon Hill nel suo Thi nk and Grow Rich, "se non arderai dal desiderio di possedere denaro." 13 IL perseguimento della ricchezza si libero delle poche implicazioni di carattere morale che ancora aveva. Inizialmente, sembrava che le virtu protestanti possedessero un proprio valore autonomo; anche quando, nella seconda meta del XIX secolo, esse diventarono puramente strumentali, il successo mantenne dei sottintesi morali e sociali in virtu del suo contributo al benessere e al progresso umani. Ora il successo veniva consi-

74 derato fine a se stesso, e solo la consapevolezza di aver superato i propri concorrenti riusciva ancora a produrre un senso di auto-approvazione. I più recenti manuali per l'uomo di successo, assai diversi dai precedenti, vanno ben oltre il cinismo di Dale Carnegie e Peale: sostengono apertamente la necessità di sfruttare e intimidire gli altri, non dimostrano alcun interesse per cio che costituisce l’essenza del successo e insistono con candore sul fatto che le apparenze - "le immagini vincenti" contano più dei risultati, e le attribuzioni più delle realizzazioni. Uno degli autori sembra suggerire che il se consista in poco più che la propria "immagine" riflessa negli occhi degli altri. "Anche se non a un'affermazione originale, sono sicuro the sarete d'accordo con me sul fatto che il modo in cui vedete voi stessi riflettera l'immagine che offrite agli altri." '4 Nulla ha successo come l'apparenza del successo.

L'ECLISSE

DEI

RISULTATI INDIVIDUALI

In una società in cui il mito del successo è stato privato di qualsiasi significato trascendente, l'unico metro di misura dei propri risultati è costituito, per qualunque individuo, dai risultati altrui. L'autoapprovazione dipende dal riconoscimento e dal consenso pubblico, e la natura di tale approvazione ha subito, per proprio conto, importanti mutamenti. In passato l'opinione favorevole degli amici e dei vicini, che procurava all'individuo conferme indirette sull'utilila della propria vita, si basava sull'apprezzamento di quanto l'individuo aveva ottenuto. Oggi gli uomini ricercano quel genere di approvazione che celebra non tanto le azioni, quanto le qualità personali. Essi desiderano essere ammirati piuttosto che stimati. Bramano non la fama, ma il fascino e l’eccilazione della celebrità. Desiderano. essere invidiati piuttosto che rispettati. Orgoglio e avidità, peccati di un capitalismo in fase

ascendente, hanno lasciato il posto alla vanità. Se pure gran parte degli americani definirebhero ancora il successo in termini di ricchezza, fama e potere, il loro agire dimostra in realtà che essi hanno uno scarso interesse per la sostanza di queste conquiste. Non conta ciò che un uomo fa, ma che egli "ce l’abbia fatta". Se la fama a di chi compie imprese degne di nota, esaltate nelle biografie e nei libri di storia, la celebrità gratifica coloro che proiettano un'immagine esteriore attraente o piacevole o richiamano in qualche altro

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modo I'attenzione sulla loro persona, e viene osannata attraverso mezzi di informazione, nelle rubriche di pettegolezzi, nelle esibizioni televisive, sulle riviste dedicate alle "personalità". La celebrità è evanescente, come le notizie stesse, che perdono il loro interesse non appena perdono la patina dell'attualita. II successo mondano ha sempre implicato l'amara consapevolezza che "non si può portarlo con se"; oggi che il successo ha costi ampiamente dipendenti da fattori quali giovinezza, fascino e novita, la gloria è più fuggevole che mai, e coloro che conquistano l'attenzione del pubblico si preoccupano costantemente della possibilità di perderla. Nella nostra società il successo deve essere ufficialmente ratificato dall'opinione pubblica. Il magnate che vive nell'oscurita, l'edificatore di imperi che controlla i destini delle nazioni da dietro le quinte, sono esemplari in via d'estinzione. Persino i funzionari non elettivi, apparentemente occupati in questioni di alta politica, devono mantenersi costantemente in vista; tutta la politica diventa una forma di spettacolo. E’ risaputo che Madison Avenue confeziona politici e li piazza sul mercato come fossero cereali o deodoranti; ma l'arte delle pubbliche relazioni penetra ancora più profondamente nella vita politica, trasformando il modo stesso del fare politica. II moderno stratega non si preoccupa tanto del fatto che "c'e da lavorare" - che era lo slogan del capitalismo americano in fase ascendente; a lui importa che "il pubblico dei diretti interessati", per Usare le parole dei documend del Pentagono, sia imbonito, conquistato, sedotto. Egli confonde il riuscito

espletamento del compito che ha di fronte con l'impressione che fa o che spera di fare sugli altri. Cosi i funzionari americani si mossero a tentoni nella guerra del Vietnam poichè non erano in grado di distinguere gli interessi mililari e strategici del paese dalla loro personale "reputazione di garanti", come si espresse uno di loro. Più preoccupati degli orpelli che della realtà del potere, essi si convinsero che Ia rinuncia all'intervento avrebbe danneggiato la "credibilità" americana. Presero a prestilo la retorica della teoria dei giochi per conferire un 'apparenza di dignità alle proprie ossessioni, sostenendo che la politica americana in Vietnam doveva indirizzarsi al " pubblico' dei diretti interessati alle azioni degli USA", e cioè i comunisti, i sudvietnamiti, "i nostri alleati (che devono fare assegnamento su di noi come `fiduciari')", e il popolo americano.' Quando il fare politica, la ricerca del potere e il perseguimento della ricchezza non hanno altro scopo che quello di susci-

76 tare ammirazione o invidia, gli uomini perdono il senso del-l’obiettivita, gia precario nelle migliori circostanze. Le impressioni offuscano i risultati. L'uomo pubblico si preoccupa della propria capacità di essere all'altezza della crisi, di proiettare un'immagine di risolutezza, di fornire una convincente performance di potere esecutivo. Le critiche si rifanno ai medesimi valori: i primi dubbi sulla leadership dell'amministrazione Johnson si concentrarono sul "vuoto di credibilità". Le pubbliche relazioni e la propaganda hanno esaltato l'immagine e lo "pseudo-evento". La gente, ha scritto Daniel Boorstin, "parla continuamente non delle cose in se, ma delle loro immagini".16 La retorica del risultato, della dedizione univoca al compito che si ha di fronte --- la retorica della prestazione individuale, dell'efficienza e della produttivita - non fornisce più, sia nella struttura aziendale che in quella di governo, un quadro preciso della lotta per la sopravvivenza personale. Secondo Eugene Emerson Jennings "il duro lavoro... è condizione necessaria, ma non sufficiente, della mobilità ascendente; e in ogni caso non conduce al vertice"." Un giornalista, con esperienze sia nel proprio campo che nel Southern Regional Council, ha riferilo: "In entrambi i casi, ho constatato che ai dirigenti non importava quanto la mia attivita fosse buona o scadente... Cie che diventava importante non erano gli obiettivi, ma il fatto di far funzionare l’organizzazione."'g Anche la prosperiti dell’organizzazione, pets, non suscita pie quell'entusiasmo che generava negli anni cinquanta. Jennings scrive che "l’uomo che . sacrifica se stesso per il bene dell'azienda" e diventato "un evidente anacronismo".* il dirigente d'azienda in ascesa "non si considera un uomo dell'organizzazione". il suo "atteggiamento antiorganizzazione", infatti, a emerso come sua "caratteristica principale". Egli avanza nei ranghi dell'azienda non servendo l'organizzazione, ma convincendo i suoi colleghi del fatto che egli possiede le qualità del "vincitore",2o * Negli anni cinquanta, l’uomo dell'organizzazione considerava una moglie attraente e socialmente dotata un vantaggio prezioso per la propria carriera. Oggi i dirigenti vengono informati "dell'evidente,

grave contrasto esistente tra matrimonio e carriera dirigenziale ". Un recente resoconto paragona i "corpi elitari dei dirigenti professionisti" ai giannizzeri, i soldati scelti dell'impeto ottomano che, da bambini, venivano tolti ai loro genitori, erano allevati dallo stato e non potevano mai sposarsi. "Un giovane che prende in considerazione is carriera [dirigenziale] potrebbe a buon diritto considerarsi un giannizzero dci tempi moderni - e riflettere molto attentamente per scoprire se il matrimonio si adatta, in un qualsiasi modo, alti vita che ha scelto," 19

77 A mano a mano che i oggetto della carriera aziendale si sposta "dall'orientamento e dalla padronanza dei compili al controllo delle mosse degli altri giocatori", come afferma Thomas Szasz, il successo diventa dipendente "dalle informazioni sulla personalità degli altri giocatori ". il dirigente d'azienda o il burocrate sarà tanto più in grado di sfruttare gli errori dei suoi subordinati allo scopo di controllarli e di riaffermare la sua supremazia, quanto più riuscira a comprendere le loro caratteristiche personali. Se egli sa che i suoi subordinati gli mentiscono, la menzogna comunica I'importante informazione che essi lo temono e desiderano compiacerlo. "Neil'abboccare, per cosi dire, all'esca dell'adulazione, dell'imbonimento o del servilismo puro e semplice tesa da una risposta menzognera, colui che accetta la menzogna afferma nei fatti la propria volontà di barattare queste cose con la verità." D'altra parte l'accettazione della bugia rassicura il mentilore del fatto che non verra punilo, mentre gli ricorda la sua dipendenza e subordinazione. "In questo modo, entrambe le parti acquistano una certa... sicurezza." Nel romanzo di Joseph Heller Something Happened, il capo spiega ai suoi uomini di non volere da loro un "buon lavoro", ma delle "coliti spastiche ed esaurimenti nervosi ". '

Maledizione, voglio che la gente che lavora per me stia peggio, e non meglio di me. l per questa ragione che vi pago cosi bene. Voglio vedervi sulla cords. E voglio che alb sia ben chiaro a tutti. E voglio poterlo sentire in tono balbettante, agilato, strozzato... Non fidatevi di me. To non mi fido dell'adulazione, della lealta e della socievolezza. Non mi fido della deferenza, del rispetto e della coIlaborazione. Mi fido delta paura.22

Secondo Jennings, l'"etica della lealta" e in declino nel mondo degli affari americano perche la lealta può, tra le altre cose, "essere simulata e ostentata con eccessiva facilità da coloro che hanno un maggior desiderio di affermarsi".' L'affermazione the le organizzazioni burocratiche dedicano più energia al mantenimento delle relazioni gerarchiche che all'efficienza e all'operosità a avvalorata dalla considerazione che la produzione capitalistica moderna è assurta al

prima posto non tanto perche era necessariamente più efficiente di altri metodi di organizzazione del lavoro, quanto perche offriva ai capitalisti maggior potere e maggiori profitti. Le ragioni a favore del sistema industriale, secondo Stephen Marglin, non consistevano nella superiorità tecnologica rispetto alla produzione artigianale, ma nel controllo più efficace della forza-lavoro che

78 esso consentiva all'imprenditore. Per usar le parole di Andrew Ure, il filosofo delle manifatture, l'introduzione di questo sistema metteva il capitalista in grado di "soggiogare le nature refrattarie dei lavoratori" 14 A mano a mano che l'organizzazione gerarchica del lavoro si estende fino a toccare la funzione rnanageriale stessa, l’ufficio acquista le caratteristiche della fabbrica, e l'impostazione di linee di dominio e di subordinazione chiaramente demarcate assume un'importanza pari a quella della subordinazione del lavoro alla gestione direttiva. Tuttavia, nel-l’ "era della mobilità aziendale", le linee della superioriti e della subordinazione non sono consolidate, e il burocrate di successo sopravvive non appellandosi all'autorila della sua posizione, ma stabilendo un modello di movimento ascendente, coltivando l’amicizia di superiori in ascesa e somministrando "dosi omeopa= tiche di umiliazione" a coloro che lascia indietro nella sua scalata al vertice.25

L'ARTE

DELLA

SOPRAVVIVENZA SOCIALE

La trasformazione del mito del successo - della definizione del successo e delle qualiti che si suppone lo favoriscano ---ha luogo in tempi lunghi e trae origine non da eventi storici particolari, ma da mutamenti generali nella struttura delta società: Io spostamento di accento dalla produzione capitalistica ai consumi; l’espansione di grandi organizzazioni e delle burocrazie; le condizioni sempre più rischiose e violente della vita sociale. Sono passati più di venticinque anni da quando David Riesman affermo the la transizione dalla "mano invisibile" alla "mano tesa" segnava un mutamento fondamentale nell'organizzazione della personalità, dal tipo autodiretto, prevalente nel XIX secolo, all'attuale tipo eterodiretto. Allo stesso periodo, caratterizzato da un fermento di studi sulla

personalità e da un interesse per la cultura oggi quasi sopito, risalgono teorizzazioni analoghe sulla mutata struttura della società capitalistica avanzata. L' "uomo dell'organizzazione" di William H. Whyte, la "personalità orientata verso il mercato" di Erich Fromm, la "personalità nevrotica del nostro tempo" di Karen Horney e gli studi sul carattere del cittadino americano compiùti da Margaret Mead e Geoffrey Gorer coglievano le componenti essenziali dell'uomo nuovo: la sua smania di essere in buoni rapporti con gli altri; il sua bisogno di organizzare anche la propria

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vita privata secondo le esigenze delle grandi organizzazioni; il suo tentativo di vendersi, come se anche la sua personalità fosse una coerce a cui si pub assegnare un valore. di mercato; suo bisogno nevrotico di affetto, di conferme e di gratificazioni ora-Ii; la corruttibilila dei suoi valori. Tuttavia queste analisi della cultura e della personalità americane hanno prodotto, per un certo aspetto, un'impressione fuorviante dei cambiamenti che si verificavano all'ombra di quella che Riesman chiama l’ "affabile apparenza della socievolezza americana". I critici degli anni.quaranta e cinquanta confusero questa apparenza con la realtà più profonda." Gli americana, secondo Erich Fromm, avevano perso la capaciti di nutrire sentimenti spontanei, persino quelli che erano espressione della loro collera. Uno degli "scopi fondamentali del processo educative" era quello di eliminare l’antagonismo e di coltivare in vece sua "una cordialiti mercificata". "Se non sorridi, ti giudicano privo di una `personalità gradevole' e bisogna avere una personalità gradevole se si vogliono vendere i propri servigi in qualiti di cameriera, di commesso viaggiatore o di medico." Al pail di molti altri studiosi di scienze sociali, Fromm socializzava indiscriminatamente gli impulsi aggressivi; egli considerava l’uomo come un prodotto della socializzazione, non come un essere istintuale Ie cui pulsioni, parzialmente represse o sublimate, minacciano continuamente di esplodere in tutta la loro ferocia originaria. II culto americano della cordialiti nasconde ma non elimina una competizione micidiale per i beni e per il posto,

competizione ancora più spietata in un'epoca di aspettative decrescenti. Nel torso degli anni cinquanta opulenza, agi e "qualiti della vita" si delinearono come obiettivi primari. II welfare state, si pensava, aveva sradicato la povertà, le disuguaglianze economiche pH' evidenti e i conflilti a cui esse avevano, in precedenza, dato luogo. Gli apparenti trionfi del capitalismo americano lasciarono ai sociologi pochi motivi di preoccupazione, tolto il declino deil'individualismo e la minaccia del conformismo. II Wilti Leman di Arthur Miller, il commesso viaggiatore the dalla vita non vuole altro che essere "benvoluto", simboleggia i problemi del periodo postbellico. Nei più difficili anni settanta, la prostiluta, e non il commesso viaggiatore, sembra esemplificare nel migliore dei modi le qualiti indispensabili per riuscire nella società americana. Anch'essa si vende per vivere, ma i suoi sforzi per essere seducente non corrispondono a un deside-

80 rio di essere benvoluta. Mentre vuol essere ammirata, disprezza coloro che l’ammirano, ricavando una scarsa gratificazione dal proprio successo sociale. Tenta di suscitare sensazioni negli altri, senza mai farsi coinvolgere. il fatto di vivere in un milieu di relazioni interpersonali non fa di lei un tipo conformista o "eterodiretto". Rimane una solitaria e dipende dagli altri allo stesso modo in cui il falco dipende dai suoi piccoli. Sfrutta l’etica del piacere che ha sostituito quella dell'affermazione personale, ma la sua carriers, più di ogni altra, ci ricorda che l’edonismo contemporaneo, di cui essa e il simbolo supremo, non nasce dal-la ricerca del piacere, ma dalla guerra di tutti contro tutti, guerre che rende anche gli incontri più intimi una forma di sfruttamento reciproco. Oggi il piacere, prima definilo come fine a se, assume i requisili del lavoro, come Martha Wolfenstein ha osservato nel suo saggio sulla "morale del divertimento" - in altri termini il gioco viene on. "valutato in base a risultati standard the prima si applicavano solo al lavoro"." La misurazione delle "prestazioni" sessuali, l’insistenza sul fatto che ii soddisfacimento sessuale dipende da una "tecnica" appropriata, e la convinzione diffusa the essa possa essere "raggiunta" solo in seguito a uno sforzo coordinato, all'esercizio e allo studio, sono tutte realtà che confermano come la retorica del risultato abbia ormai invaso anche il territorio del gioco. Ma coloro che deplorano la trasformazione del gioco in prestazione, limitano la propria attenzione all'esteriorita del gioco, in questo caso all'esteriorita dei contatti sessuali. Ohre alla preoccupazione per la prestazione, esiste una pH' profonda determinazione a manipolare a proprio vantaggio i sentimenti altrui. La ricerca di vantaggi competitivi per mezzo della manipolazione delle emozioni plasma progressivamente non solo le relazioni personali, ma anche quelle di lavoro; e per questa ragione che ora la socievolezza puo funzionare come prolungamento del lavoro con altri mezzi. La vita privata, non costituendo più un rifugio dalle deprivazioni subite sul lavoro, e divenuta altrettanto anarchica, bellicosa e piena di tensioni quanto il mercato stesso. il cocktail però riduce la socievolezza a una schermaglia mondana. Gli esperti scrivono manuali tattici sull'arte della

sopravvivenza sociale, consigliando ai frequentatori in cerca di status di assumere una posizione di preminenza nella sala, di circondarsi di un gruppo di fedeli seguaci e di evitare di voltare le spalle al campo di Battaglia.

81 Oggi si è sempre più d'accordo nel riconoscere che una certa elasticita nelle relazioni interpersonali influisca sul risultato che c i si propone di conseguire; questo stato di cose ha incoraggiato il diffondersi di "terapie di rinforzo personale", contro-terapie intese a dotare il paziente di difese contro la manipolazione. Aiutando il paziente ad avere sicurezza in se stesso si tenta di liberarlo dai "sentimenti di ansia, ignoranza e colpa che... vengono efficacemente usati dagli altri per farci fare quello die loro vogliono". Altre forme di "terapia del gioco" mettono in guardia i pazienti sui "giochi che gli altri impongono", tentando in questo modo di promuovere una "intimila libera da giochi" za Terapie di questo tipo sono importanti non solo per gli obiettivi che si pongono, ma perche agiscono costantemente sull'ansia; le sostiene inoltre il presupposto teorico che il successo dipenda comunque dalla manipolazione psicologica e che ogni sfera dell'esistenza, persino quella del lavoro, apparentemente regolata sul conseguimento di risultati, faccia perno in realtà sulla lotta per il vantaggio interpersonale, sul gioco crudele di intimidire gli amici e sedurre la gente.

L'A P O T E O S I

'

DELL INDIVIDUALISMO

La paura che ossessionava i sociologi negli anni cinquanta --- i quali temevano che l’individualismo vigoroso avesse ceduto al conformismo e a una "tiepida socievolezza" - appare prematura a uno sguardo retrospettivo. Nel 1960, David Riesman denunciava il fatto che i giovani non possedevano quasi più una "figura" sociale, che la loro educazione gli aveva fornilo non "una personalità raffinata, ma una personalità affabile, superficiale, adattabile, adeguata all'articolazione elastica e al pesante turnover del lavoro nelle organizzazioni in espansione di una società opulenta". 1 vero che "un edonismo orientato verso il presente", come

proseguiva Riesman, ha sostituito l’etica del lavoro "proprio tra le classi che nelle prime fasi dell'industrializzazione erano orientate verso il futuro, verso mete lontane e gratificazioni differil te". Ma questo edonismo a una truffa; la ricerca del piacere maschera la lotta per il potere. 29 In realtà, gli americans non sono diventati più socievoli o solidali, come vorrebbero farci credere i teorici dell'eterodirezione e del conformismo: sono soltanto diventati più esperti nello sfruttare, a proprio vantaggio, le convenzioni delle relazioni interpersonali.

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Spesso le attivita apparentemente intraprese per puro divertimento hanno l'unico scopo di imbrogliare gli altri. sintomatico del reale modo di vita americano che i termini volgari con cult si a solili riferirsi al rapporto sessuale esprimano andhe un senso profondo di sopraffazione: si tratta di prendere il meglio del partner, di pestarlo, di ingannarlo, imponendo la propria volonta per mezzo dell'astuzia, di espedienti o della superioriti fisica. I verbi associati al piacere sessuale si sono arricchili oltre il consueto di sottintesi di violenza e di sfruttamento psicologico. Nel mondo violento del ghetto, il c u i linguaggio si a oggi insinuato in ogni maglia della società americana, la violenza associata al rapporto sessuale a diretta, con particolare intensiti, dagli uomini contro le donne, e in special modo contro le madri. II linguaggio dell'aggressione e dell'insulto rilualizzati ricorda a coloro che lo usano che lo sfruttamento a la regola generale, e una qualche forma di dipendenza il destino comune; che, come dice Lee Rainwater, "l’individuo non è sufficientemente forte o adulto per raggiungere il proprio scopo in modo legittimo, ma è piuttosto un bambino, dipendente da altri che tollerano i suoi infantili raggiri"; i maschi, quindi, anche quelli adulti, dipendono spesso dalle donne per avere appoggio e nutrimento. Molti di loro devono arruffianarsi per sopravvivere, ingraziarsi una donna per carpirle del denaro; le relazioni sessuali diventano cost manipolatorie e di rapina. II soddisfacimento dipende dal prendere ciò che si vuole, invece che dall'aspettare ciò che si ha diritto a ricevere. Tutto ciò entra a far parte del linguaggio quotidiano in espressioni che connettono il senso con l'aggressione e l’aggressivita sessuale con sentimenti altamente ambivalenti nei confronti delle madri.* * Nei tardi anni sessanta, i "radicali" bianchi adottarono con entusiasmo lo slogan "Mani contro il muro, motherfucker! " Ma questo termine ha perduto da lungo tempo le sue implicazioni rivoluzionarie, esattamente come altre espressioni dei tieri americani rese per la prima volta popolari tra i bianchi dagli uomini politici

radicali e dai portavoce della controcultura. In una forma leggermente purgata lo slogan a stato cosi bent accetto che in qualsiasi ambiente il termine "mamma" esprime spigliata familiarità o disprezzo. Analogamente, i Rolling Stones e altri esponenti dell'hard o acid rock, che hanno usato il linguaggio osceno del ghetto per comunicare un atteggiamento di alienazione mililante, hanno lasciato il posto a gruppi che cantano p i ù dolcemente, ma sempre utilizzando espressioni del ghetto, di un mondo in cult si ha solo cib che si a disposti a prendere. Svanila la messinscena dells solidarieta rivoluziona ria, dopo che la festa dell'amore "sballata" del "popolo di Woodstock" a degenerata nel caos mortale di Altamont, il cinismo sottostante si affaccia alla superficie più chiaramente che mai.

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Da un certo punto di vista, il ceto medio e diventato una pallida copia del ghetto negro, come ci induce a pensare il fatto che esso si sia appropriate del suo linguaggio. Non c 'e bisogno di minimizzare la povertà del ghetto o le sofferenze inflitte dai bianchi ai neri, per capire che le condizioni di vita della classe media, sempre più imprevedibili e pericolose, hanno prodotto strategie di sopravvivenza simili. In effetti, l'attrazione che la cultura negra esercita sui bianchi disaffezionati ci fa supporre che essa si rivolga a una condizione generalizzata, la cui caratteristica più importante è una diffusa perdita di fiducia nel futuro. I poveri hanno sempre dovuto vivere in funzione del presente, ma ora anche il ceto medio è preda di un'angoscia disperata per la propria sopravvivenza personale, che talvolta si manifesta sotto forma di edonismo. Oggi quasi tutti vivono in un mondo pericoloso che lascia poche vie di scampo. IL terrorismo internazionale e il fenomeno dei rapimenti, i bombardamenti e i dirottamenti aerei colpiscono arbitrariamente i ricchi come i poveri. Il crimine, la violenza e la guerra tra bande rivali rendono le citta insicure e minacciano di espandersi alle periferie. La violenza razziale per le strade e nelle scuole crea un'atmos£era di tensione erotica, e minaccia di esplodere da un momento al-l’altro in un conflilto razziale di grandi dimensioni. La disoccupazione si propaga dai meno abbienti ai colletti bianchi, mentre l'inflazione divora i risparmi di coloro che speravano in una vecchiaia tranquilla dopo il pensionamento. Buona parte di quella che con un eufemismo viene chiamata classe media, solo

perche si veste bene per andare al lavoro, è ora ridotta a livelli di vita proletari. Molte occupazioni riservate agli impiegati non richiedono maggiori abilità, e rendono meno economicamente di quelle svolte dagli operai specializzati, senza peraltro offrire garanzie di status o di sicurezza. Alla dominante atmosfera di incertezza si aggiungono i messaggi di morte e distruzione diffusi senza sosta dai mass media. Estese carestie, terremoti, guerre e sollevazioni in paesi lontani avvincono la nostra attenzione proprio come gli avvenimenti geograficamente più vicini. L'impressione di arbitrarietà nella cronaca delle calamità sembra confermare is natura arbitraria delle nostre esperienze, e la mancanza di continuiti nel resoconto degli eventi, presentandosi ogni nuova crisi come svincolata e indipendente da quella che l'ha preceduta, accresce la sensazione di discontinuiti della storia, la sensazione di vivere in un mondo in cui ii passato non e

84 di guida al presente e il futuro a diventato completamente imprevedibile. Le concezioni del successo presupponevano in passato un mondo in rapido movimento, in cui si potevano guadagnare o perdere in un baleno intere fortune e ogni giorno schiudeva nuove opportunità. Presupponevano anche, tuttavia, una certa stabilità, un futuro che avesse qualche evidente somiglianza con il presente e il passato. L'espansione della burocrazia, il culto del consumismo con le sue gratificazioni immediate, ma soprattutto il venir meno del senso della continuiti storica, hanno trasformato l’etica protestante portando alla loro logica conclusion i principi basilari della società capitalistica. II perseguimento dell'interesse personale, precedentemente identificato con il perseguimento razionale del guadagno e dell'accumulazione delle ricchezze, corrisponde oggi alla ricerca del piacere e di uno stato di sopravvivenza psichica, Le attuali condizioni sociali si avvicinano a quelle prospettate dal marchese de Sade proprio agli inizi dell'epoca repubblicana. Sade, per molti aspetti il più lungimirante e certamente il più scomodo tra i profeti dell'individualismo rivoluzionario, sosteneva che il punto d'arrivo logico della rivoluzione nei rapporti di proprietà avrebbe dovuto essere un'illimitata auto-indulgenza -- l'unico modo per raggiungere la fratellanza rivoluzionaria nella sua forma più pura. Nei suoi scritti Sade, tramite una regressione ai livelli più primitivi della fantasia, intravide prodigiosamente tutti gli sviluppi che la condizione individuale avrebbe avuto sotto il capitalismo, per arrivare infine non a uno stato di fratellanza rivoluzionaria, ma a una società di fratellastri in competizione che è sopravvissuta alle proprie origini rivoluzionarie e le ha rinnegate. Sade immagina un'utopia sessuale in cui ognuno ha diritto a chiunque altro e nella quale gli esseri umani, ridotti ai loro organi sessuali, diventano perfettamente anonimi e interscambiabili. La sua società ideale riaffermava così il principio del capitalismo secondo cui, in ultima istanza, gli esseri

umani sono riducibili a oggetti interscambiabili. Egli accetta anche, portandola a una conclusion sorprendentemente nuova, l'ipotesi di Hobbes secondo cui la distruzione del paternalismo e la subordinazione di tutte le relazioni sociali al mercato avevano privato la guerra di tutti contro tutti delle ultime restrizioni che la limitavano e delle illusioni che la mitigavano. Nello stato di anarchia organizzata che ne risultava, come Sade fu il primo a notare, iI piacere diventava l’unico scopo della vita, piacere indistingui-

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bile dallo stupro, dall'omicidio e dall'aggressivita sfrenata. In una società che ha ridotto la ragione a puro calcolo, nessun limite ha posto alla ricerca del piacere, all'immediato soddisfacimento di qualsiasi desiderio, per quanto perverso, folle, criminale o semplicemente immorale esso sia. Le norme che dovrebbero condannare il crimine o l’efferatezza derivano infatti dalla religion, dalla pieta o da quel tipo di ragionamento che rifiuta le applicazioni puramente strumentali; e nessuna di queste obsolete forme di pensiero o di sentimento ha diritto a un suo posto in una società basata sulla produzione di beni di consumo. Sade, nella sua misoginia, si rese conto del fatto che l'illuminismo borghese, portato alIe sue logiche conclusions, condannava anche il culto sentimentale della femminilita e della famiglia, che la borghesia stessa aveva portato a estremi senza precedenti. Nello stesso tempo, egli capi che la condanna della "venerazione per la donna" doveva andare di pari passo con la difesa dei suoi diritti sessuali, del diritto, come direbbero le femministe di oggi, a disporre del proprio corpo. Se nell'utopia di Sade l’esercizio di questo diritto si riduce al dovere di diventare lo strumento del piacere altrui, cio avviene non tanto perche Sade odiava le donne, quanto perche odiava l'umanità. Egli intul, con maggiore chiarezza delle femministe, che sotto il capitalismo tutte le libertà finiscono per ridursi alla stessa cosa, all'identico universale obbligo di godere e di essere goduti. Nel medesimo tempo, e senza violare la propria logica, Sade chiedeva per le donne il diritto "a soddisfare pienamente tutti i

loro desideri" e "tutte le parti del loro corpo" e affermava categoricamente che "tutte le donne devono sottomettersi al nostro piacere". In questo modo, l'individualismo puro sfociava nel ripudio pin radicale dell'individualila. "Tutti gli uomini e tutte le donne sono simili gli uni agli altri", secondo Sade; e per quello tra i suoi compatrioti che vogliono diventare repubblicani, egli aggiunge il sinistro ammonimento: "Non pensiate di pater diventare dei buoni repubblicani fino a quando terrete isolati nelle loro famiglie i bambini che dovrebbero appartenere soltanto alla repubblica." La difesa borghese dell'intimiya culmina - non solo nel pensiero di Sade, ma nella storia successiva che era stata prevista tanto esattamente persino nell'estremismo, nella follia e nell'infantilismo delle sue idee - nel più totale attacco all'intimita; la glorificazione dell'individuo arriva a identificarsi col suo annientamento.31

$6 4. LA BANALITA DELLA PSEUDOCONSAPEVOLEZZA DI SE: TEATRALITA DELLA POLITICA E DELL'ESISTENZA QUOTIDIANA

La morte della coscienza non equivale alla morte della coscienza di se. HARRY CROSBY 1.

LA PROPAGANDA DEI BENI DI CONSUMO

Agli albori del capitalismo industriale, i datori di lavoro consideravano l'operaio una bestia da soma "della razza del bue", sono le testuali parole di Frederick W. Taylor,3. specialista dell'efficienza. I capilalisti vedevano nel lavoratore soltanto una forza produttiva; non si curavano minimamente delle attivita a cui egli si dedicava nel tempo libero quel poco che gli restava dopo le dodici o quattordici ore passate in fabbrica. I padroni cercavano di controllare il lavoratore sul posto di lavoro, ma la loro sorveglianza aveva termine quando questi lasciava la fabbrica alla chiusura. L'istituzione, a opera di Henry Ford, di un Dipartimento di Sociologia alla Ford Motor Works, nel 1914, non aveva altro scopo che quello di trasformare i lavoratori, attraverso il controllo della loro vita privata, in produttori sobri, economi e diligenti.4 I sociologi della Ford tentarono di imporre alla forza-lavoro una antiquata morale protestante e si scagliarono contro il tabacco, l'alcool e la vita dissipata. A quell'epoca soltanto un ristretto numero di imprenditori capì che il lavoratore poteva essere utile al capitalista in quanto consumatore; che bisognava infondergli il gusto per cose più raffinate; che un'economia basata sulla produzione in serie richiedeva non solo un'organizzazione capitalistica

della produzione, ma anche un'organizzazione del consumo e del tempo libero. "La produzione in serie," disse nel 1919 il magnate dei grandi magazzini di Boston Edward A. Filene, "esige che le masse vengano educate; le masse devono imparare a compor-

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tarsi come esseri.umani nel mondo della produzione in serie... Non basta un'istruzione, devono avere una cultura." In altre parole, l'industriale moderno deve "educare" le masse alla civilta dei consumi. La produzione in serie di merci in quantità progressivamente crescenti ha bisogno di una domanda di massa che la assorba. L'economia americana, una volta raggiunto il livello tecnologico che le consentiva di soddisfare i bisogni materiali fondamentali, ha legato il suo sviluppo alla creazione nel consumatore di nuove esigenze e alla capacità di indurre la gente ad acquistare dei prodotti di cui non avverte il "bisogno" finche questo non le è imposto dai mass media. La pubblicita, ha detto Calvin Coolidge, "e il metodo per suscitare il desiderio di cose migliori". Il tentativo di "civilizzare" le masse ha originato una società dominata dalle apparenze - la società dello spettacolo. Nel periodo dell'accumulazione primitiva, il capitalismo subordinava l’essere all'avere, il valore d'uso delle cose al loro valore di scambio. Ora subordina il possesso stesso all'apparenza e calcola il valore di scambio di una merce in base al prestigio che essa può conferire - l’illusione di prosperità e benessere. "Quando la necessità economica cede il posto alla necessità di uno sviluppo economico illimitato," scrive Guy Debord, "al soddisfacimento dei bisogni umani fondamentali e universalmente riconosciuti subentra l’ininterrotta fabbricazione di falsi bisogni."' In un'epoca meno complessa, la pubblicita si

limitava a richiamare l’attenzione sul prodotto, esaltandone i pregi. Oggi a essa stessa a creare il prodotto: il consumatore, eternamente insoddisfatto, inquieto, ansioso e annoiato. Funzione della pubblicità non è tanto reclamizzare un prodotto quanto promuovere un modo di vita il consumo. Essa "educa" le masse a nutrire un'insaziabile avidità non solo di merci, ma di nuove esperienze e di realizzazione personale. Propone il consumo come risposta alle secolari afflizioni che si accompagnano alla solitudine, alla ma lattia, alla noia, alla mancanza di appagamento sessuale, e crea parallelamente forme di malcontento nuove e peculiari del nostro tempo. Sfrutta subdolamente iI disagio della civilta industriale. Il vostro lavoro a noioso e frustrante? Vi fa sentire stanchi e inutili? La vostra vita e vuota? Il consumo si incarica di riempire questo vuoto lacerante; ecco allora il tentativo di circondare i prodotti di un'atmosfera fantastica, fatta di allu-

88 sioni a luoghi esotici e a esperienze irripetibili, di immagini di seni femminili che promettono ogni delizia. La propaganda commerciale ha una duplice funzione. In primo luogo, promuove il consumo come alternativa alla protesta o alla ribellione. Paul Nystrom, uno dei primi studiosi di marketing moderno, osservo una volta che la civilta industriale genera una "filosofia della futilità un senso esteso di stanchezza, una "insoddisfazione per le ,realizzazioni" che trova sfogo nella sostituzione continua delle cose più frivole, seguendo i dettami della moda.8 II lavoratore stanco e amareggiato, invece di cercare di cambiare le sue condizioni di lavoro, cerca di rinnovarsi circondandosi di nuovi beni e servizi. Secondariamente, la propaganda trasforma in merce l'alienazione stessa. Essa si appunta sulla desolazione spirituale della vita moderna per proporci il consumo come rimedio. Non solo promette di mitigare quell'infelicita che da sempre è retaggio della carne; crea o esaspera nuove forme di infelicità l’insicurezza personale, la preoccupazione per il proprio status sociale, nei genitori il timore di non riuscire a soddisfare i bisogni dei figli. Avete l’aria un po' dimessa in confronto ai vostri vicini? La vostra macchina è meno potente della loro? I vostri figli sono altrettanto robusti? altrettanto benvoluti? a scuola, vanno bene come i loro? La pubblicità istituzionalizza l’invidia e i suoi tormenti. Al servizio dello status quo, la pubblicità si è nondimeno identificata con un profondo cambiamento dei valori, una "rivoluzione dei costumi e della morale" iniziata nei primi anni del secolo e proseguila fino ai giorni nostri. Le esigenze dell'economia dei consumi di massa hanno reso obsoleta l’etica del lavoro anche tra i lavoratori. Un tempo i tutori della salute e della moralità pubbliche esortavano l'operaio a lavorare perche quello era il suo dovere morale; ora gli insegnano a lavorare per avere la sua parte dei benefici del consumo. Nel secolo scorso, solo le elite obbedivano ai dettami

della moda e cambiavano le cose che gia possedevano con altre più nuove per l’unica ragione che non erano più in voga. L'ortodossia economica condannava il resto della società a una vita di duro lavoro e di pura sussistenza. Ora la produzione in serie degli articoli di lusso ha esteso alle masse le abitudini di pochi. L'apparato di promozione delle masse aggredisce. le ideologie basate sul differimento delle gratificazioni, si allea con la "rivoluzione" sessuale, si schiera, o così sembra, con le donne contro l'oppressione ma-

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schile e con i giovani contra l’autorita degli anziani. La logica della creazione della domanda esige che le donne fumino e bevano in pubblico, siano libere di andare in giro e rivendichino il loro diritto a essere felici invece di vivere per gli altri. L'industria della pubblicità incoraggia quindi la pseudoemancipazione delle donne lusingandole ("Ne hai fatto di strada, ragazza! ") e presentando come autentica autonomia la libertà di consumare. In maniera analoga blandisce ed esalta la gioventù nella speranza di promuovere i giovani allo status di consumatori maturi e autonomi, ciascuno col telefono, il televisore e un impianto hi-fi nella propria camera. L'"educazione" delle masse ha alterato i rapporti di forza all'interno della famiglia, indebolendo l'autorita del marito rispetto alla moglie e quella dei genitori rispetto ai figli. Emancipa le donne e i figli dall'autorita patriarcale soltanto per assoggettarli al nuovo paternalismo dell'industria pubblicitaria, dei gruppi industriali e dello stato.* VERITA E CREDIBILITA

Il ruolo dei mass media nella manipolazione dell'opinione pubblica è stato oggetto di grande e preoccupata attenzione, ma per lo più mal indirizzata. Molti giudizi critici partono dal presupposto che il problema sia quello di impedire la circolazione delle falsitù palesi; mentre è evidente, come è stato messo in luce dalle più acute analisi della cultura di massa, che i mass media, diffondendosi, hanno reso non pertinenti, per una valutazione della propria influenza, le categorie di vero e falso. La verita ha lasciato il posto alla credibilità, i fatti alle affermazioni che suonano autorevoli senza convogliare alcuna informazione autorevole. Proclamare che un dato prodotto e preferito dalle persone importanti senza dire a che cosa e

preferito, vantare la superio* Secondo Nystrom, e insita nella vita familiare la tendenza a privilegiare la consuetudine,. in contrapposizione alla moda. "La vita privata della famiglia e regolata dalla consuetudine pil' di quanto non avvenga per la vita pubblica o semipubblica." "II conflilto tra i giovani e le convenzioni", d'altro canto, favorisce rapidi cambiamenti nel vestire e nello stile dei costumi. In generale, nota Nystrom, la vita rurale, l’analfabetismo, la gerarchia sociale e l’inerzia appoggiano la consuetudine, mentre la moda - la cultura del consurno - e ii pro. dotto delle 'lone progressive all'opera nella società moderna: l’istruzione pubblica, Is libertà di espressione, la circolazione delle idee e dell'informazione, is "filosofia del progresso".

90 rita di un prodotto su concorrenti non specificati, attribuire implicilamente una data caratteristica unicamente al prodotto reclamizzato quando di fatto essa è condivisa da quelli della concorrenza, sono altrettanti espedienti per offuscare la distinzione tra vero e falso in un polverone di plausibilità. Questo genere di associazioni sono "vere", ma totalmente mistificanti. L'addetto stampa del presidente Nixon, Ron Ziegler, forth un significativo esempio dell'uso politico di queste tecniche quando ammise che le sue precedenti affermazioni sull'affare Watergate erano diventate "inoperative". A molti questo sembrò un modo eufemistico di riconoscere di aver mentito. Ciò che in realtà Ziegler voleva dire, era che le sue primitive dichiarazioni non erano più attendibili. Non il loro essere false, ma la loro incapacità di convincere le rendeva "inoperative". La loro veridicita o meno non era in discussione.

PUBBLICITÀ E PROPAGANDA

Come ha sottolineato Daniel Boorstin, noi viviamo in un mondo di pseudo-eventi e di semi inforrnazioni, in un'atmosfera satura di affermazioni che non sono ne vere ne false ma semplicemente credibili. Anche Boorstin tuttavia minimizza il grado in cui le apparenze - le "immagini" - dominano la società americana. Sottraendosi alle implicazioni più scomode della sua indagine, egli traccia una distinzione fittizia tra pubblicità e propaganda che gli consente di postulare una sfera di razionalita tecnologica -- che include gli interventi dello stato e buona parte della prassi normale dell'industria moderna - nella quale l'irrazionalita delle immagini non riesce a penetrare. Per Boorstin la propaganda, che egli associa esclusivamente ai regimi totalitari, consiste nell' "informazione volutamente tendenziosa", un tipo di informazione che ha la sua forza nell' "impatto emotivo"; uno pseudo-evento costituisce invece una "verità incerta" che fa leva

sul "nostro legittimo desiderio di essere informati". Questa distinzione non può reggere a lungo. Si basa su una concezione rudimentale della moderna propaganda, un'arte che da tempo si è impadronita delle tecniche più raffinate della pubblicità odierna. L'abile propagandista, come l'esperto pubblicitario, evita i facili appelli all'emotivita, sforzandosi di trovare uno stile che sia in armonia con la natura prosaica della vita moderna - vale

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a dire, un realismo diretto ma persuasivo. E neppure divulga informazioni "volutamente tendenziose". Egli sa bene che le verità parziali sono strumenti di frode ben più efficaci delle menzogne. Cerca allora di impressionare il pubblico presentando statistiche della crescita economica che omettono di segnalare l'anno a partire dal quale è stata calcolata la crescita, elenca fatti circostanziati, ma irrilevanti, sullo standard di vita in altre parole, dati non selezionati e non elaborati che inducono chi li riceve a trarre l’inevitabile conclusione che le cose stanno andando meglio e che l'attuale regime merita, dunque, la fiducia della gente, oppure che le cose stanno peggiorando tanto rapidamente che all'attuale regime dovrebbero essere concessi pieni poteri per fronteggiare l’emergenza della crisi. Usando particolari circostanziati per suggerire un quadro complessivo fuorviante, le scaltro propagandista fa della verità la principale forma di mistificazione. Nella propaganda come nella pubblicità, ciò che conta non è che l'informazione descriva fedelmente una situazione oggettiva, ma che sembri vera. A volte l'informazione va soppressa perche, pur accreditando l’operato del governo, presenta i fatti come poco plausibili. Jacques Ellul, in uno studio sulla propaganda, analizza i motivi per cui i tedeschi, nel 1942, non rivelarono che I'invincibile generale Rommel non si trovava in Africa settentrionale al momento della vittoria di Montgomery: "Tutti l’avrebbero ritenuta una scusa bell'e buona per spiegare la sconfitta e dimostrare che Rommel, in realtà, non era stato battuto." L'Office of War Information degli Stati Unili, smanioso di usare le atrocita dei tedeschi per infiammare I'opinione pubblica contra la Germania, ignaro la più

sconvolgente di tutte le atrocita, lo sterminio degli ebrei, col pretesto che la storia potrebbe "generare confusione e malintesi se sembrasse riguardare soltanto il popolo ebreo". La verità deve essere taciuta se ha l'aspetto di propaganda. "L'unico motivo valido per non trasmettere una notizia," consiglia un manuale in dotazione agli Alleati durante 10 la seconda guerra mondiale, "e che sia incredibile. " E’ una verità incontestabile che la propaganda fa subdolamente appello alle emozioni. Ellul osserva che la propaganda usa i fatti non a sostegno di un argomento, ma per esercitare una pressione emotiva. La stessa cosa, tuttavia, è vera per la pubblicità. In entrambi i casi, l'appello all'emotivita rimane tacito e indiretto; è insito nei fatti medesimi e non contrasta con il

92 "legittimo desiderio di essere informati". Poichè sa che un pubblico istruito e affamato di fatti e che niente gli e più caro dell'illusione di essere bene informato, il propagandista moderno evita di usare slogan altisonanti; quasi mai si richiarna a un destino superiore; raramente invoca l'eroismo e il sacrificio o ricorda ai suoi ascoltatori il passato glorioso. Egli si attiene ai "fatti". In questo modo non si riesce più a distinguere tra propaganda e "informazione". Una delle funzioni fondamentali della burocrazia federale, oggi in ampia estensione, e di soddisfare la richiesta di questo genere di informazioni. La burocrazia non si limita a fornire informazioni apparentemente attendibili ai suoi funzionari, ma arriva a elargire informazioni sbagliate al pubblico. E più questo prodotto è oscuro e denso di tecnicismi, più suona convincente. A questo fatto dobbiamo la diffusione, nella nostra cultura, del disorientante gergo pseudoscientifico. Questo linguaggio conferisce alle pretese delle amministrazioni e degli agenti pubblicitàri, in egual misura, un alone di neutralità scientifica. E, soprattutto, è intenzionalmente complesso e indecifrabile prerogative che riscuotono il favore di un pubblico che si sente informato nella misura in cui è frastornato. Nel torso di una conferenza stampa tenutasi nel maggio del 1962, John F. Kennedy proclamo, nei toni che gli erano consueti, la fine delle ideologie; rispose così a due bisogni della nazione: il bisogno di credere che le decisioni politiche siano nelle mani di specialisti imparziali e bipartitici e il bisogno di credere che i problemi di cui si occupano gli esperti siano incomprensibili ai profani. Per molti anni la maggior parte di note stata condizionata ad, avere un'opinione politica: repubblicana o democratica, "liberal", conservatrice o moderata. La realtà dei fatti a che la maggior parte dei problemi... che dobbiamo aifrontare ora, sono problemi tecnici, problemi amministrativi. Sono risoluzioni estremamente complesse, che non si prestano a quel nobile genere di agguerrili movimenti che in passato hanno infiammato il paese con tanta frequenza. [Essi] concernono questioni che trascendono ormai la capaciti di comprensione della stragrande maggioranza... "

POLITICA COME SPETTACOLO

Per gli analisti di sistemi e i "consulenti sociali" è una verità indiscussa iI fatto che "con il progressivo aumento della complessita della società", come ha detto una volta uno di loro,

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