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PROGETTO DI STRUTTURE
LA RIPARTIZIONE DEI CARICHI NEGLI EDIFICI
Paolacci Fabrizio Università degli Studi Roma Tre
Facoltà di Ingegneria
INDICE
1. Introduzione 2. La ripartizione dei carichi verticali 2.1. La ripartizione dei carichi verticali sulle travi 2.1.1. Il metodo delle aree di influenza 2.1.2. Il comportamento a piastra del solaio 2.2. La ripartizione dei carichi verticali sui pilastri 2.2.1. Modelli isostatici: Il metodo delle aree di influenza 2.2.2. Modelli iperstatici: trave continua 2.2.3. Modelli iperstatici: il telaio parziale e totale 2.2.4. L’influenza della deformabilità assiale dei pilastri 3. La ripartizione dei carichi orizzontali 3.1. Introduzione 3.2. Il comportamento delle strutture piane 3.2.1. Gli schemi strutturali tipici 3.2.2. Le strutture intelaiate 3.2.2.1.
I sistemi a ritti pendolari (strutture in acciaio)
3.2.2.2.
I sistemi MRF (shear‐type, travi deformabili, etc..)
3.2.3. Il comportamento delle pareti 3.2.3.1.
Le pareti piene
3.2.3.2.
Le pareti con aperture (metodi analitici e numerici)
3.2.4. I sistemi telaio‐parete 3.3. Il comportamento delle strutture tridimensionali 3.3.1. La ripartizione delle azioni orizzontali in edifici monopiano ad elementi discreti 3.3.2. La disposizione in pianta degli elementi irrigidenti 3.3.3. La modellazione dei nuclei scale e ascensori 2
1. Introduzione Il progetto di edifici con struttura intelaiata, come quello illustrato in figura 1 si articola in diverse fasi, ognuna delle quali ha un peso relativo differente. Particolarmente importante è la fase iniziale del progetto, ossia l’ideazione della struttura, la quale è caratterizzata da un alto grado di soggettività da parte del progettista. Infatti, egli deve necessariamente interpretare le esigenze funzionali e tradurle in una maglia strutturale dal buon funzionamento statico e che sia contemporaneamente in grado di realizzare la forma pensata per l’edificio.
Figura 1.1 – La maglia strutturale di un
Figura 2.1 – Effetto torsionale in un
edificio in c.a. e i percorsi di carico
edificio
La scelta degli elementi e della loro disposizione all’interno della maglia strutturale dipende da molteplici fattori (tipologia delle azioni esterne, materiali costituenti gli elementi strutturali, vincoli architettonici, etc…). Tale scelta ha una influenza diretta sul percorso dei carichi all’interno della struttura. Per tale motivo è opportuno che il progettista sia ben consapevole delle conseguenze sul buon funzionamento statico della struttura che una disposizione di elementi ha rispetto ad un altra. Ad esempio, la parete presente nella struttura di figura 1 rappresenta, come si può facilmente intuire, un aiuto nei confronti delle azioni orizzontali in direzione trasversale, in quanto la sua elevata rigidezza permette di assorbirne una elevata quantità, a vantaggio dei 3
pilastri, che conseguentemente vengono meno sollecitati. Di contro, la sua posizione eccentrica potrebbe costituire un peggioramento delle condizioni dei pilastri lontani dalla parete rispetto al caso in cui la parete non ci fosse. Infatti poiché la parete costituisce, come verrà meglio spiegato in seguito, un attrattore per le reazioni strutturali orizzontali dell’edificio, l’eccentricità tra azioni e le reazioni orizzontali produce, oltre alla traslazione, una torsione dell’edificio con un possibile incremento di sollecitazioni nei pilastri lontani dalla parete. E’ chiaro dunque che la scelta degli elementi e della loro disposizione in pianta e in elevazione di un edificio deve essere attentamente valutata alla luce delle possibili conseguenze che essa può avere sulla sicurezza strutturale. In quanto segue si vogliono illustrare alcuni principi guida sulla scelta di modelli semplificati, utilizzando come mezzo espositivo quello dei percorsi di carico, che risulta particolarmente efficace, a parere dello scrivente, per stimolare i progettisti ad una scelta più ragionata e consapevole della struttura, che oggi viene purtroppo sostituita dall’illusione che i programmi di calcolo possano rendere superflue alcune necessarie operazioni progettuali. Occorre aggiungere che la normativa attuale prevede una necessaria verifica dei modelli di calcolo che risulta essere particolarmente agevolata nel caso siano ben chiare le scelte strutturali e le relative conseguenze. A tal proposito, lo studio presentato nel seguito ha come ulteriore obiettivo proprio quello di fornire indicazioni sul comportamento strutturale con l’ausilio di modelli semplici che possano essere facilmente utilizzati per la validazione del calcolo strutturale realizzato mediante calcolatore elettronico. Per comodità espositiva verrà dapprima trattato il caso della ripartizione dei carichi verticali, per poi proseguire con il tema della ripartizione dei carichi orizzontali, al fine di suggerire opportune scelte sulla disposizione in elevazione e in pianta di pilastri, pareti, setti e nuclei scale e ascensore.
4
2. La ripartizione dei carichi verticali
Una struttura è generalmente destinata al trasferimento delle azioni esterne al terreno sul quale è fondata. Un categoria di carichi particolarmente rilevante, in quanto di natura quasi permanente, è quella dei carichi verticali, in genere rappresentati dai pesi propri degli elementi strutturali (solai, travi, pilastri, etc…) o da carichi variabili che dipendono dalla destinazione d’uso dell’edificio (civile abitazione, scale, balconi, etc…). Le modalità con la quale i carichi verticali si distribuiscono all’interno della struttura sono legate alla seguente catena di ripartizione:
SOLAIO TRAVI PILASTRI,SETTI FONDAZIONI
Infatti il solaio è il primo elemento con il quale i carichi verticali interagiscono. Si pensi ad esempio al peso dei sovraccarichi accidentali, come il peso delle persone o il peso dei tramezzi.
PILASTRO
SOLAIO
TRAVE
Figura 2.1 ‐ Catena di ripartizione dei carichi verticali
Infatti il solaio è il primo elemento con il quale i carichi verticali interagiscono. Si pensi ad esempio al peso dei sovraccarichi accidentali, come il peso delle persone o il peso dei tramezzi che poggiano sull’estradosso del solaio. Analizziamo ora la prima parte della catena: solaio‐travi. I carichi che agiscono sul solaio sono generalmente di natura distribuita, spesso superficiale o lineare, anche se non 5
mancano esempi di carichi concentrati. Occorre valutare la modalità di trasferimento di tali carichi sulle travi. Un approccio spesso seguito in sede di progetto è quello così detto della larghezza d’influenza delle travi. In pratica si immagina che il peso distribuito sulla superficie del solaio si trasferisca alle travi proporzionalmente ad una larghezza pari alla somma delle due semi‐ luci del solaio che interagisce con la trave, Figura 2.2. In tal modo il carico sulle travi è ancora distribuito, anche se linearmente.
L1 L=(L1+ L2)/2 L2
Figura 2.2 – Pianta di un impalcato in c.a. ‐ Luce d’influenza di una trave
Tale approccio è giustificato dall’ipotesi di comportamento monodirezionale del solaio (vedi figura 2.1) sulla base della quale si immagina che la singola campata scarichi in misura eguale il proprio peso sulle travi di appoggio. Il modello di calcolo che è associato al metodo appena illustrato è quello di trave semplicemente appoggiata. Le singole campate del solaio, pensato a comportamento monodimensionale, vengono schematizzate come travi semplicemente appoggiate.
6
p pt
Figura 2.3 – Il modello associato al metodo della larghezza d’influenza (modello isostatico)
Gli appoggi sono rappresentati dalle travi, considerate evidentemente indeformabili, essendo gli appoggi bilaterali. Con riferimento ad un metro di larghezza di solaio, il peso ad esso attribuibile è pari proprio al peso per unità di superficie p. Le reazioni agli appoggi costituiscono il carico trasferito dal solaio alle travi. Così ad esempio, l’appoggio intermedio avrà una reazione, a metro lineare pari a 2
che corrisponde proprio al peso distribuito linearmente calcolabile col metodo della larghezza d’influenza. Il metodo della luce d’influenza delle travi presenta delle evidenti limitazioni legate essenzialmente a due fattori: a) Il comportamento del solaio è bidimensionale b) Il modello ad esso associato non è del tutto soddisfacente per il fatto che l’interazione flessionale tra solaio e travi viene del tutto trascurata. Per ovviare a questi inconvenienti, pur mantenendo viva l’ipotesi di comportamento monodimensionale del solaio, si può arricchire il modello di figura 4 introducendo la continuità flessionale del solaio. Il modello più semplice che risponde a tali requisiti è il modello di trave continua. p pt
Figura 2.3 – Il modello di trave continua del solaio (modello iperstatico)
7
Per semplicità, facciamo riferimento al caso di figura 2.2, immaginando che le campate del solaio adiacente la trave abbiano ugual luce pari ad L. In tal caso il modello degenera in un modello di trave incastro‐appoggio. La reazione strutturale pt ossia il carico linearmente distribuito da attribuire alla trave è in tal caso pari a 1.25 pL, con un incremento del 25% rispetto al risultato ottenibile col metodo della larghezza d’influenza secondo il quale il carico distribuito sulla trave varrebbe invece pL. Al contrario, sugli appoggi di estremità il carico da attribuire alla trave viene sottostimato rispetto al metodo della larghezza d’influenza, essendo la reazione verticale pari a 0.375 pL. Il modello di trave continua, stante l’indeformabilità verticale delle travi, modifica fortemente la distribuzione del carico verticale dal solaio alla trave, della quale occorre valutarne l’attendibilità. A tale scopo si può affinare il modello introducendo un ulteriore modifica per tener conto della corretta interazione tra solaio e travi di bordo. Le travi, come noto, possiedono una rigidezza torsionale elevata che potrebbe influenzare la distribuzione del taglio nel solaio e conseguentemente la ripartizione dei carichi sulle travi. Consideriamo ancora il modello di figura 2.3. Modifichiamolo introducendo la rigidezza torsionale kt delle travi di bordo rappresentata da molle rotazionali di rigidezza kt (figura 6).
p
kt
Figura 6 – Modifica del modello di trave continua del solaio
Se la rigidezza kt fosse infinita, il modello degenererebbe in due travi doppiamente incastrate, le quali dal punto di vista della reazione strutturale sugli appoggi sarebbero equivalenti al modello di trave appoggiata. In realtà la rigidezza torsionale è finita e il modello presenta un comportamento intermedio tra quello di trave incastro‐appoggio e quello di trave doppiamente incastrata. Ciò che accade è che la reazione dell’appoggio interno diminuisce rispetto al modello di figura 5, mentre la reazione agli appoggi d’estremità aumenta. Maggiore è la rigidezza kt e
8
maggiore e la somiglianza del modello così modificato con il metodo della larghezza d’influenza. Dal punto della ripartizione dei carichi tale modello intermedio dovrebbe rappresentare una soluzione non troppo lontana da quella reale, che evidentemente risente di ulteriori fattori fin qui trascurati, come ad esempio il comportamento bidimensionale del solaio.
Figura 7 – Comportamento bidimensionale di un solaio
Il comportamento a piastra del solaio produce infatti una ulteriore variazione della distribuzione dei carichi tra solaio e travi. Infatti, in tal caso la ripartizione dei carichi segue la forma indicata in figura 8.
Figura 8 – Comportamento a piastra del solaio: ripartizione dei carichi
Il carico pt da considerare ripartito sulle travi è evidentemente non costante ma variabile linearmente. Occorre però osservare che il valore massimo del carico distribuito sulle travi è 9
pari a quello suggerito dai modelli monodimensionali. Dunque l’errore che si commette nell’uso di modelli di travi piuttosto che di modelli di piastra è a favore di sicurezza. Per tale motivo l’uso dei modelli semplici come quelli monodimensionali è ancora molto diffuso e l’approssimazione del metodo della larghezza d’influenza è più che accettabile. Il ragionamento fin ora seguito può essere ripetuto anche per la parte della catena di ripartizione dei carichi fra travi e pilastri. Consideriamo infatti un generico telaio piano appartenete alla struttura di figura 3, e per semplicità si considerino le luci eguali. p2
p1
L
L
Figura 8 – Modello del Telaio e ripartizione secondo il metodo della larghezza d’influenza
Il metodo della larghezza d’influenza prevede anche in questo caso un modello isostatico che è rappresentato in figura 8. Le travi sono appoggiate ai pilastri ai quali trasmettono il carico in proporzione alla loro luce L. Ad esempio per il pilastro centrale lo sforzo normale al piano terra varrà Un modello più raffinato prevede la continuità delle travi per la quale il modello di riferimento è quello di trave continua su più appoggi, rappresentati dai pilastri, considerati indeformabili assialmente. Come per il caso di ripartizione solaio‐trave, lo sforzo assiale del pilastro centrale alla base dell’edificio è incrementato del 25% rispetto a quanto previsto dal modello isostatico 10
1.25
mentre per i pilastri laterali lo sforzo normale è diminuito del 25% ,
0.375
Il modello di trave continua potrebbe cadere in difetto nel caso di campate di piccola luce che alterano sensibilmente la distribuzione dei carichi sui vincoli. Ad esempio la trave di figura 9, per il fatto che ha la campata di sinistra molto più piccola di quella di destra presenta una reazione nel pilastro di sinistra di segno negativo. Tale risultato mostra come l’utilizzo del modello di trave continua non è sempre fisicamente accettabile. Per rendere il modello più realistico si osservi che il forte impegno rotazionale dell’estremità di sinistra della trave dovrebbe in realtà impegnare flessionalmente il pilastro, che nel modello di trave continua è soggetto solo a sforzo normale.
p pt
Figura 9 – Modello di trave continua con campata piccola
Ad esempio per una luce di sinistra pari a 2 metri e una luce di destra pari 6 m e un carico di 20 kN/m il momento flettente e le reazioni agli appoggi sono indicati in figura 10. Da essa si evince come gli sforzi normali sui pilastri centrale e di sinistra siano evidentemente valutati in maniera errata.
Momento Flettente
Taglio
Reazioni Vincolari
Figura 10 – Diagrammi e reazioni di una trave con campata piccola
11
In virtù di tale osservazione, un modello più raffinato del precedente potrebbe essere quello illustrato in figura 11, (modello a telaio parziale), nel quale si tiene anche conto della rigidezza flessionale dei pilastri. Esso deriva dall’osservazione dell’andamento dei momenti flettenti sull’intero telaio, e in particolare dei punti di nullo dei momenti flettenti sui pilastri, nei quali il vincolo di continuità può essere sostituito da una cerniera.
Figura 11 – Modello a telaio parziale
Con riferimento all’esempio precedente aggiungendo anche la porzione di pilastri che va dal punto di nullo del momento al nodo trave‐pilastro, si può osservare come la valutazione dello sforzo normale sui pilastri diventi più ragionevole (Figura 12).
Momento Flettente
Taglio
Sforzo Normale
Figura 12 – Caratteristiche della sollecitazione del telaio parziale
Ciò è confermato dai risultati sul modello completo del telaio mostrati in figura 13. Si evince inoltre come le sollecitazioni sulle travi risultano essere più attendibili del modello a trave continua.
12
Momento Flettente
Taglio
Sforzo Normale
Figura 13 – Caratteristiche della sollecitazione del telaio completo
In presenza di telai con un numero elevato di campate, le zone centrali sono quelle per le quali il modello di trave continua può ritenersi ancora sufficientemente accurato, sia per la valutazione delle caratteristiche della sollecitazione delle travi, sia per la ripartizione dei carichi verticali sui pilastri, per la quale anche il metodo della lunghezza di’influenza può essere proficuamente utilizzato. L’attendibilità dei modelli più semplici si perde solamente nelle zone di estremità delle travi. Ad esempio la Figura 14 mostra i risultati in termini di sollecitazioni di un telaio a 2 piani con altezza interpiano di 3 m e 10 campate di 6 m ciascuna. Le travi sono sollecitate da un carico uniformemente ripartito di 20 kN/m. Nelle campate centrali i risultati sono sostanzialmente in accordo con quelli di una trave continua con 10 campate, mentre divergono nelle zone di estremità.
Momento Flettente
Sforzo normale
Figura 14 – Telaio a molte campate - caratteristiche della sollecitazione
I risultati fin qui esposti possono essere estesi anche a telai con un numero elevato di piani con l’avvertenza che le maggiori deviazioni si avranno nel primo e nell’ultimo piano per la presenza di vincoli che alterano la distribuzione delle sollecitazioni: l’incastro in fondazione sposta il punto di nullo del momento sul pilastro verso il basso per cui i pilastri del primo piano risultano più deformabili di quelli dei piani intermedi dove invece il punto di 13
nullo del momento è posto generalmente a metà altezza del pilastro; a causa dell’assenza del pilastro del piano superiore l’ultimo piano presenta anch’esso vincoli meno rigidi di quelli dei piani intermedi. Un esempio è illustrato in figura 15 dove è illustrato l’andamento del momento flettente per il telaio di figura 13 ma ora con 10 piani.
Ultimi due piani
Piani intermedi
Primi due piani
Figura 15 – Telaio a molti piani - caratteristiche della sollecitazione
Le precedenti osservazioni possono essere infine estese anche al caso di telai tridimensionali in quanto la rigidezza torsionale delle travi, generalmente non molto elevata, non è in grado di influenzare in maniera rilevante il comportamento flessionale dei singoli telai, che si deformano sostanzialmente ognuno indipendentemente dall’altro.
Ppij=peso pilastro Wij = peso piano n=numero piani
Figura 16 – Metodo delle aree d’influenza per la determinazione dello sorzo normale nei pilastri
14
In particolare, per la valutazione dello sforzo normale nei pilastri è ancora valido il metodo delle lunghezze d’influenza, denominato nel caso specifico “metodo delle aree d’influenza” in quanto riguarda più travi che convergono nel pilastro e dunque un’area piuttosto che una lunghezza. La figura 16 mostra come valutare l’area d’influenza di un pilastro. Da quanto esposto fin ora si può possono trarre alcune significative conclusioni sull’utilizzo di metodi e modelli semplificati per una corretta valutazione delle modalità di ripartizione dei carichi verticali tra gli elementi resistenti di una struttura: 1) Il metodo delle zone d’influenza è generalmente accettabile per la valutazione dello sforzo normale nei pilastri, almeno in fase di predimensionamento, sia nel caso di telai piani che nel caso di telai tridimensionali. Occorre però modificare la zona d’influenza nelle zone terminali dei telai e in particolare nei pilastri di bordo e nei pilastri adiacenti. Alcuni autori hanno suggerito coefficienti correttivi delle aree di influenza per tener conto di una corretta distribuzione dei carichi verticali tra solai e travi e tra travi e pilastri. In particolare per una corretta valutazione delle aree d’influenza dei pilastri Mihelbradt et al. (BIBLIO) suggeriscono di adottare i seguenti coefficienti. Tabella 1. Coefficienti correttivi delle aree d’influenza Pilastro
Coefficiente
interno
1
di bordo
0.9
primo dopo quello di bordo
1.1
d’angolo
0.8
2) E’ possibile utilizzare il modello di trave continua per la valutazione delle sollecitazioni nei solai a patto di apportare opportune modifiche nei vincoli di estremità in maniera da tener conto delle condizioni di bordo che modificano la distribuzione delle sollecitazioni negli elementi. Generalmente è sufficiente applicare un momento negli appoggi di bordo pari a pL2/(20÷24) al modello di trave continua (p, L=luce e carico campata di bordo) per ottenere risultati attendibili. 15
3) Per la valutazione delle sollecitazione nelle travi è possibile utilizzare il modello di trave continua, anche se il modello di telaio parziale è da preferire, in quanto mette automaticamente in conto l’influenza della deformabilità flessionale dei piastri sulle sollecitazione della trave. 4) La costruzione di modelli di telaio parziale dipende da una corretta valutazione dalla distanza tra il nodo trave‐pilastro e il punto di nullo del momento. Tale distanza può essere scelta pari ad h/2 per le travi dei piani intermedi, mentre per il piano primo e ultimo deve essere necessariamente aumentata. Una misura ragionevole può essere assunta è pari a 2/3h.
16
3. La ripartizione dei carichi orizzontali Un edificio è caratterizzato da una “struttura portante“ il cui modello di calcolo da adottare per la valutazione delle sollecitazioni dipende dal grado di accuratezza richiesta all’analisi. Con particolare riferimento agli effetti dei carichi orizzontali su edifici intelaiati sono possibili 3 livelli di modellazione via via più sofisticati: Modello monodimensionale La struttura viene sostituita da un elemento di trave monodimensionale sul quale a diverse altezze (rappresentati i diversi piani) sono applicate le forze esterne (orizzontali e verticali). Un modello così fatto può essere utilizzato per avere un’idea sulla risposta globale del sistema come ad esempio gli spostamenti di piano e tagli di piano. Esso non può essere utilizzato nel caso ci fosse l’esigenza di valutare le sollecitazioni dei singoli elementi.
spostamento
taglio di base
Figura 17 – Modelli monodimensionale
Modello bidimensionale (2D) Se l’edificio presenta un comportamento di tipo simmetrico l’analisi della sua risposta può essere ridotta all’analisi della risposta di alcuni suoi elementi. Nello schema di struttura intelaiata si sceglie generalmente un telaio piano nella direzione di sollecitazione. Tale modello, pur nella sua semplicità, permette di avere un certo grado di dettaglio delle sollecitazioni dei singoli elementi strutturali sufficiente per valutare la sicurezza strutturale. I modelli bidimensionali sono stati così diffusi che alcuni autori in passato hanno
17
proposto metodi di soluzione ad hoc (per la verità assai laboriosi ma efficaci) per comportamento lineare delle membrature.
sollecitazione
Figura 18 – Modello bidimensionale
Con l’avvento del calcolo automatico delle strutture questi modelli sono stati e sono tuttora utilizzati anche per la valutazione della risposta di telai a comportamento non lineare. Modello tridimensionale (3D) E’ di fatto il modello più accurato. Permette di modellare il comportamento di edifici anche estremamente irregolari, sia in pianta sia in elevazione. Si consideri ad esempio un edificio con la pianta indicata in seguito. Se si applicassero delle forze orizzontali si può immaginare facilmente la presenza di un rotazione del generico piano, questo per l’evidente differenza di comportamento dei telai di sinistra da quelli di destra (i primi sono più rigidi e quindi si deformano in misura minore).
Figura 18 – Modello Tridimensionale
18
Per la valutazione delle forze che competono ai singoli telai, non è però sufficiente distribuire l’azione esterna in funzione della rigidezza globale dei telai stessi, ma occorre necessariamente adottare un modello trdimensionale, che metta in conto anche l’accoppiamento roto‐traslazionale dell’edificio. Nei paragrafi successivi verranno analizzate le modalità di ripartizione dei carichi orizzontali tra gli elementi di una struttura intelaiata, in presenza o meno di elementi irrigidenti quali pareti, nuclei ascensore, utilizzando sia modelli piani che tridimensionali e mettendo in luce il ruolo dei singoli elementi. L’intento è quello di suggerire alcune raccomandazioni sulla disposizione in pianta e in elevazione degli elementi per un comportamento strutturale più favorevole nei confronti delle azioni orizzontali.
3.1. Il comportamento delle strutture piane
(introduzione sulle tipologie di telai piano)
3.1.1. Il comportamento delle strutture intelaiate piane
(discussione sul comportamento di telai a ritti pendolari di telai MRF (shear-type e non) e di strutture miste pareti-telaio
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3.1.2. il comportamento delle pareti (introduzione)
3.1.2.1.
il comportamento delle pareti piene
(comportamento a mensola, la modellazione semplificata e la modellazione agli elementi finiti, effetto tira e spingi nelle pareti)
3.1.2.2.
il comportamento delle pareti con aperture
3.1.2.2.1. pareti con trasversi infinitamente rigidi 3.1.2.2.2. pareti con trasversi infinitamente deformabili
3.1.2.2.3. pareti con trasversi a deformazione finita
(IL METODO DELLE MENSOLE COMPOSTE, LA MODELLAZIONE AGLI ELEMENTI FINITI)
20
3.2. IL COMPORTAMENTO DELLE STRUTTURE TRIDIMENSIONALI Come già si è avuto occasione di osservare gli edifici reali possono presentare un comportamento strutturale che per sua natura di presta ad essere meglio rappresentato da modelli tridimensionali piuttosto che da modelli piani. Il caso della valutazione delle sollecitazioni dovute ad azioni orizzontali agenti sugli edifici intelaiati è un caso tipico che per il suo enorme interesse, soprattutto nel campo delle azioni sismiche e del vento, è bene trattare in maniera approfondita, mettendo in luce gli aspetti che riguardano la corretta disposizione in pianta e in elevazione degli elementi strutturali (travi, pilastri, setti, nuclei, etc..) all’interno di un edificio. Nei paragrafi precedenti si è già avuto occasione di analizzare il comportamento statico di strutture piane sotto azioni orizzontali. Per capire i concetti base legati all’estensione del problema a tre dimensioni, viene dapprima analizzato il problema della ripartizione delle forze orizzontali in edifici mono piano, costituiti da elementi distinti (pilastri, pareti, nuclei etc..) collegati tra loro da un solaio rigido. Vengono poi forniti dei criteri di massima sulla distribuzione in pianta degli elementi irrigidenti (pareti, nuclei ascensore) Infine viene analizzato il caso di edifici a più piani e vengono fornite alcune indicazioni sulla modellazione con l’aiuto di programmi agli elementi finiti oggi sempre più diffusi e utilizzati dai professionisti.
3.2.1. La ripartizione delle azioni orizzontali in edifici monopiano ad elementi discreti Si consideri un edificio monopiano costituito da elementi distinti collegati tra loro da un solaio rigido nel proprio piano, soggetto ad una coppia di forze orizzontali Fx e Fy. Le componenti di spostamento sufficienti a descrivere il moto del solaio sono ovviamente 3: traslazione lungo x (Sx), traslazione lungo y (Sy) e rotazione (θ). Il sistema di riferimento sia quello indicato in figura 1 (O, x,y) rispetto al quale gli n elementi di supporto siano caratterizzato ognuno da un sistema di assi locali (0’,1,2) ruotato dell’angolo αi (figura 2). Il sistema è ovviamente iperstatico essendo il numero delle componenti di forza incognite maggiori delle componenti di spostamento. Per la soluzione deve essere necessariamente 21
impiegato anche il legame costitutivo dei singoli elementi che immaginiamo sia di tipo elastico lineare. Ogni elementi è dunque caratterizzato da una rigidezza lungo l’asse locale 1 (k1i), una rigidezza lungo l’asse locale 2 (k2i) ed eventualmente una rigidezza torsionale (kθi). Per la soluzione del problema si può applicare indifferentemente il metodo delle forze o degli spostamenti. Il metodo degli spostamenti è nel caso specifico più conveniente, essendo le incognite cinematiche solamente 3. y
y
2
1
Sy
α Sx
yi
θ
yi
0
xi
0
x
Figura xxx – Edificio monopiano
xi
x
Figura xxx – Sistema di coordinate locali
Si applichi quindi una componente di spostamento di piano alla volta e si esprimano le equazioni di equilibrio del piano nelle tre direzioni in funzione degli spostamenti. Ne risulta un sistema algebrico di 3 equazioni lineari in 3 incognite (Sx, Sy,θ) che si può risolvere in forma chiusa. Si applichi dapprima lo spostamento Sx al piano. Le reazioni dell’i-mo elemento, nel sistema globale, il cui significato è facilmente desumibile dalle figure xxx, sono esprimibili come segue:
,
(1)
,
,
(2)
,
,
,
,
,
(3)
,
y
y 2
2
1
Sxcosαi
k1i Sxcosαi
α yi
α yi
Sx
Rxx,i
Sxsinαi
0
xi
1
Rxy,i
k2i Sxsinαi
0
x
Figura xxx – Componenti locali di spostamento
xi
x
Figura xxx – Componenti locali di forza
22
Infatti, lo spostamento Sx provoca le componenti di spostamento locale indicate in figura xxx. Di conseguenza le forze lungo gli assi locali saranno quelle indicate in figura xxx, le cui componenti lungo gli assi globali X e Y sono proprio quelle indicate nelle equazioni (1) (2). L’equilibrio alla rotazione rispetto all’origine degli assi globali produce dell’equazione (3). Analogamente applicando una traslazione lungo l’asse Y, Sy si avranno le seguenti componenti di forza nel riferimento globale:
,
(4)
,
,
(5)
,
,
,
,
,
(6)
,
y
y 2
Sy
Sysinαi
2
1
k2i Sxsinαi
α yi
yi
Sycosαi
0
xi
Ryy,i
Ryx,i
0
x
Figura xxx – Componenti locali di spostamento
1 k1i Sycosαi α
xi
x
Figura xxx – Componenti locali di forza
Le rigidezze lungo gli assi x e y sono indicate con i simboli Kxx,i e Kyy,i mentre la rigidezza roto-rotazionale lungo l’asse x e y sono indicate con i simboli Kxy,i e Kyx,i dove il primo simbolo indica la componente di spostamento e il secondo la direzione della rigidezza. Si noti l’uguaglianza delle rigidezze roto-traslazionali: Kxy,i = Kyx,i
Analogamente a quanto prima effettuato, applichiamo una rotazione rigida al piano ed esprimiamo le componenti di forza dell’i-mo elemento in funzione della rotazione stessa. Tenendo conto del vincolo di rigidità del piano l’i-mo elemento subirà gli spostamenti Sxi=θyi ed Syi=θxi. Di conseguenza le equazioni che si ottengono sono le seguenti:
,
,
,
,
,
,
,
,
,
,
,
,
(7)
, ,
(8) (9)
,
23
La rigidezza torsionale del singolo elemento è stata indicata con il simbolo Kθθ,i ed è generalmente trascurabile, a meno che non si tratti di elementi ad elevata rigidezza torsionale, come ad esempio i vani ascensori, per i quali non è lecito trascurarla. Le equazioni di equilibrio dell’edificio nelle tra direzioni si possono quindi esprimere, per ogni direzione principale, come la somma delle componenti nelle medesima direzione dovute alle tre componenti di spostamento: ∑
,
∑
,
∑
,
(10)
∑
,
∑
,
∑
,
(11)
∑
,
∑
,
∑
(12)
,
Le precedenti possono essere espresse in forma più compatta utilizzando la notazione matriciale:
ossia
(12)
dove i termini sulla diagonale principale della matrice di rigidezza K sono i termini di rigidezza diretti mentre fuori dalla diagonale sia hanno i termini legati all’accoppiamento roto-torsionale. Il caso che più comunemente si incontra nella pratica progettuale è quello per il quale gli assi locali degli elementi coincidono con gli assi cartesiani globali di riferimenti (sistema α=0) (Figura xxxx). y
y’
CR xcr
x’ ycr x
0
Figura xxx – Sistema α=0 e posizione del centro di rigidezza
In tal caso la matrice di rigidezza K del sistema si semplifica essendo nulle le rigidezze miste Kxy e Kyx.. 24
Infatti, ricordando la definizione di rigidezza mista si ottiene:
0
,
(13)
Il sistema in forma matriciale assume quindi al forma semplificata seguente ∑ ∑
∑ ∑
,
∑ ∑
0
,
0
,
∑
,
,
(14)
, ,
,
In tali condizioni, applicando uno spostamento Sx=1, il sistema risponderà con il seguente sistema di reazioni strutturali nelle tre direzioni principali:
0 ,
In presenza di un sistema semplice come quello di figura xxx la sola traslazione produce anche una componente di momento, rispetto all’origine degli assi. E’ovvio chiedersi dove occorre traslare il sistema di riferimento affinché tale componente si annulli, ossia determinare sistema di riferimento per il quale il momento statico delle rigidezze si annulli. L’origine di tale sistema è detto centro delle rigidezze indicato in figura xxx con il simbolo CR, le cui coordinate sono le seguenti: ∑ ∑
,
∑
(15)
∑
Passando al nuovo sistema di riferimento la matrice di rigidezza diventa diagonale e il sistema di equazioni si disaccoppia: 0 0 0
0 0
(16)
0
25
La soluzione del sistema è immediata:
∑
∑
,
∑
,
,
,
(17)
Le componenti di spostamento dei singoli elementi si trovano ricordando che sussiste il vincolo di rigidità cinematica del piano che li collega, esprimibile attraverso le relazioni seguenti:
Dalle precedenti si ricavano infine le reazioni strutturali dei singoli elementi:
Sostituendo le espressioni degli spostamenti del piano rigido si ottengono le forze nelle due direzioni principali dell’elemento i-mo: ,
,
∑
∑
,
,
,
∑
(18)
, ,
,
∑
,
(19)
,
Si noti l’analogia con l’espressione della formula di Navier per la presso-flessione di travi di De Saint Venant. Esse suggeriscono che per aumentare la rigidezza torsionale della struttura occorre disporre gli elementi il più lontano possibile dal centro delle rigidezze, senza però che quest’ultimo subisca spostamenti. In genere è sufficiente disporre gli elementi preposti a sopportare i carichi orizzontali nella periferia dell’edificio. Situazioni particolari possono invece richiedere uno studio ad hoc della posizione in pianta degli elementi. Esempio xxx: Si consideri l’edificio monopiano indicato nella figura seguente. Essendo gli elementi resistenti delle pareti, di spessore s=16 cm si ha che k2
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