L'Attivismo Della Montessori

December 27, 2023 | Author: Anonymous | Category: N/A
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Maria Montessori in un francobollo commemorativo

Maria Montessori e l’attivismo italiano

Capitolo 4

1. Maria Montessori 2. Le sorelle Agazzi 3. Giuseppina Pizzigoni 4. Maria Boschetti Alberti

A

fine Ottocento si avverte in Italia la necessità di una riforma dell’educazione della prima infanzia. Il metodo diffuso, una contaminazione di quello di Ferrante Aporti e di quello di Fröbel, mostra sempre più i suoi limiti: poco spazio dato all’attività spontanea dei bambini e molto alle parole della maestra, ambienti non sempre adeguati, un insegnamento spesso artificioso e mnemonico. Il rinnovamento necessario non tarda a giungere, e sarà un rinnovamento vigoroso, che porterà il nostro paese all’avanguardia mondiale nell’educazione della prima infanzia. Il merito è di Maria Montessori, la protagonista indiscussa della pedagogia italiana del Novecento. La sua ricerca non ha dato solo un contributo fondamentale alla fondazione scientifica della pedagogia, ma è giunta alla elaborazione di un metodo che, sperimentato con successo, si è diffuso in tutto il mondo, mantenendo nel tempo la sua vitalità ed il suo valore. La pedagogia montessoriana interpreta uno dei temi più vivi dell’attivismo: quello della liberazione dell’infanzia dal peso dell’educazion tradizionale, che ne disconosce le esigenze eed i diritti. La scienza è messa al servizio di una finalità umanistica, che è quella di restituire libertà, gioia e creatività all’infanzia, ponendo così, al contempo, le basi per una società mi-

gliore, pacifica e serena. Ma Maria Montessori non è l’unica protagonista dell’attivismo italiano. Figure meno note, e tuttavia meritevoli ancora oggi di attenzione, sono quelle delle sorelle Agazzi (il cui metodo è stato per anni contrapposto a quello Montessori), di Giuseppina Pizzigoni e di Maria Boschetti Alberti. Se Montessori ha creato delle istituzioni educative autonome, le altre autrici che studieremo in questo capitolo si sono mosse, con differenti gradi di autonomia, nell’ambito della scuola pubblica, stimolando con la loro sperimentazione coraggiosa il rinnovamento delle nostre istituzioni scolastiche.

▪ 1. Maria Montessori 1. 1. Nota biografica Maria Montessori nasce a Chiaravalle, nelle Marche, nel 1870. Cinque anni dopo si trasferisce con la famiglia a Roma, dove frequenta il Regio Istituto Tecnico “Leonardo Da Vinci”, ottenendo il diploma nel 1890. In contrasto con il padre e con gran parte dell’opinione pubblica dell’epoca, che considerava gli studi tecnicoscientifici inadatti alle donne, decide di iscriversi al corso di laurea in medidica dell’Università “La Sapienza”, dove si laurea nel 1896, prima donna italiana laureata in medicina. Lo stesso anno è a Berlino, dove interviene al Congresso femminile in rappresentanza delle donne italiane, sostenendo il diritto delle donne ad avere un

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Maria Montessori

■ Keiron. Pedagogia 2.0 uguale salario a parità di lavoro. Nel 1898 interviene a Torino al primo Congresso Pedagogico Nazionale, proponendo un ordine del giorno con il quale chiede che la scuola si occupi dei bambini con difficoltà di apprendimento attraverso l’istituzione di classi aggiuntive, mentre per i bambini con deficit più gravi propone la creazione di istituti medicopedagogici, ponendo al contempo il problema della formazione scientifica degli insegnanti. Quale risposta alle esigenze poste dall’ordine del giorno nasce la Scuola Magistrale Ortofrenica, che ha il compito di preparare gli insegnanti specializzati nel lavoro con bambini con deficit intellettivi, che Montessori dirige per due anni. Nel 1898 dalla relazione con un assistente di psichiatria, Giuseppe Montesano, nasce il figlio Mario; la coppia decide di non sposarsi ed il bambino viene affidato ad una famiglia che vive in campagna. Tornerà a vivere con la madre nel 1912. Nel 1899 è presente a Londra, su invito del ministro Baccelli, per rappresentare l’Italia all’International Council of Woman. Dopo aver conseguito una seconda laurea in filosofia, viene nominata docente di igiene e di antropologia presso il Magistero di Roma. Nel 1906 si impegna per la concessione alla donne del diritto di voto, firmando un proclama affisso in diverse città italiane e facendo domanda di iscrizione alle liste elettorali. come è noto, in Italia le donne acquisiranno il diritto al voto solo dopo la caduta del fascismo, nel 1946. Il 6 gennaio 1907 inaugura a Roma, nel popolare quartiere San Lorenzo, la prima Casa dei bambini, seguita da una seconda ad aprile, sempre nello stesso quartiere, mentre ad ottobre apre una Casa nel quartiere Umanitaria a

Milano. In un volume intitolato Il metodo della pedagogia scientifica (1909), che avrà grandissimo successo anche all’estero, mette a punto quello che da allora si chiamerà Metodo Montessori. Per diffonerlo, nasce nel 1924 l’Opera Nazionale Montessori. Il rapporto col fascismo, buono all’inizio, si deteriora inevitabilmente, anche in seguito alle critiche fatte da Giuseppe Lombardo Radice, che sostiene la superiorità e maggiore “italianità” della pedagogia delle sorelle Agazzi e la scarsa originalità di quella di Montessori. Nel 1934 si arriva alla chiusura delle scuole Montessori da parte del regime; lo stesso anno Montessori si dimette dall’Opera Nazionale e in compagnia del figlio viaggia all’estero: prima in Spagna, poi in Inghilterra, infine in India, dove approfondisce i rapporti con la Società Teosofica, cui si era iscritta già nel 1899. In una serie di opere approfondisce il significato pedagogico e psicologico del suo metodo: Il segreto dell’infanzia (1936), La scoperta del bambino (1948), Educazione e pace (1949), La mente del bambino (1949) Muore nel 1952 a Noodwyk, in Olanda.

1. 2. L’educazione dei bambini frenastenici La pedagogia di Montessori ha in origine una impostazione rigorosamente scientifica e positivistica, cui si affiancherà con gli anni una più ampia visione filosofica, etica e perfino religiosa, cui non sarà estranea l’influenza della teosofia. Come abbiamo visto, al Congresso Pedagogico del 1898 Montessori pone il problema dell’educazione dei bambini con deficit intellettivi, che allora si definivano frenastenici. Convinta della possibilità di ottenere risultati notevoli con questi bambini attraverso una educazione guidata da rigorosi principi scientifici, Montessori visita gli istituti all’avanguardia in Inghilterra ed in Francia. Viene così a conoscenza dell’opera dei medici francesi Jean Marc Gaspard Itard e Édouard Séguin, che considererà i suoi maestri. Il primo era noto per il caso di Victor dell’Aveyron, un ragazzo cresciuto in una fore-

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■ 4. Maria Montessori e l’attivismo italiano

Vincenzo Irolli, Il riposo dello scolaretto

to culminante è l’educazione morale, intesa come educazione della volontà e del sentimento. In questo periodo Montessori ritiene indispensabile che l’educatore eserciti la propria autorità sul bambino e lo costringa all’ubbidienza attraverso il comando. “Il maestro che comanda - scrive - è una volontà che s’impone al bambino deficiente, il quale manca di volontà; e si sostituisce alla sua o spingendolo all’azione o inibendo i suoi impulsi”. Per essere efficace il maestro deve fare attenzione a non comandare ciò che non può ottenere, e deve curare la voce, il gesto e la minica.

1. 3. La liberazione del bambino

sta ed in tutto e per tutto simile alle bestie, che Itard aveva cercato di rieducare. Séguin, allievo di Itard, aveva elaborato un metodo per l’educazione dei bambini frenastenici che cercava di riattivare in loro gradualmente l’intelligenza stimolando i sensi e la muscolatura con esercizi e materiali adatti. Questa gradualità si ritrova anche nelle lezioni tenuta da Montesori alla Scuola Magistrale Ortofrenica, pubblicate ne L’autoeducazione nelle scuole elementari (1919). Prima di educare un bambino frenastetico bisogna occuparsi del suo corpo, ristabilire delle condizioni di benessere e stimolare i sensi. Con dei bagni freddi o caldi e massaggi si svilupperà la sensibilità, con una dieta attenta e regolata si eviteranno i disturbi intestinali, quindi con una serie di esercizi appositi si stimolerà prima la muscolatura e poi i diversi sensi. A questo punto è possibile passare all’educazione intellettuale, cominciando dall’apprendimento della lettura, che avverrà attraverso lettere in legno che il bambino dovrà toccare, abituandosi al gesto della scrittura; si passa quindi a quelle che Montessori chiama “lezioni oggettive”, nelle quali si mostrerà in modo breve ed essenziale, ma ripetuto nel tempo e con diverse prospettive, un oggetto vicino all’esperienza del bambino. Momen-

A spingere Montessori verso lo studio dell’educazione dei bambini frenastenici c’è una preoccupazione umanitaria: quella di lavorare per l’emancipazione, la crescita, il miglioramento di soggetti che sono al margine dell’umanità, relagati tradizionalmente nei manicomi e considerati irrecuperabili. C’è una continuità tra la sua lotta politico-culturale in favore delle donne e la sua ricerca scientifica nel campo dell’educazione dei bambini frenastenici. In entrambi i casi si tratta di un lavoro per la liberazione e l’integrazione nella società di soggetti esclusi. Ma sono soltanto le donne ed i bambini frenastenici in questa condizione di esclusione? Ben presto Montessori si rende conto che il soggetto escluso e marginalizzato per eccellenza nella società è il bambino; non solo quello frenastenico, ma anche quello in salute fisica e mentale. La società ha fatto progressi enormi nel riconoscimento dei diritti personali degli adulti, ma non si può dire lo stesso dei diritti del bambino. In nome della stessa educazione si sono compiute e si compiono violenze sui bambini. È normale rivolgersi al bambino con durezza e sottoporlo a castighi; se è vero che le punizioni corporali sono sempre meno accettate, è anche vero che spesso i genitori si credono in dovere di dare ai figli qualche schiaffo. “Eppure – scrive Montessori nel Segreto dell’infanzia – si sono aboliti i castighi corporali per gli adulti, perché avviliscono la dignità umana e sono una vergo-

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■ Keiron. Pedagogia 2.0 gna sociale. Ma esiste villania maggiore dell’offendere e battere un bambino? È evidente che la coscienza dell’umanità è sommersa in un sonno profondo”. Luogo di violenza per il bambino è anche la scuola. Le scuole, i luoghi in cui si compie il lavoro delicatissimo e cruciale dell’educazione, sono edifici squallidi, pensati e progettati dal punto di vista dell’adulto, sì che un bambino vi si perde. Con indosso una uniforme, il bambino dovrà sedere ad un banco per ore ed ore, immobile, in potere della maestra, costretta a sottomettersi all’insegnamento, più che ad apprendere realmente. Tale è la sua condizione, che Montessori lo paragona al Cristo: il banco è come la croce, che costringe a subire immobile il supplizio. Ma come il Cristo il bambino risorge: “Come ha detto Emerson, il bambino è l’eterno Messia, che sempre ritorna fra gli uomini decaduti, per condurli nel regno dei Cieli”. Questo paragone non sembri eccessivo. Per Montessori è nel bambino che risiede ogni possibilità di cambiamento e di riscatto per l’umanità. L’unica possibilità di avere una umanità felice, libera dal flagello della violenza e della guerra, risiede nel bambino, nella sua possibilità di prendere una direzione diversa rispetto a quella che è stata presa dai suoi genitori e dai suoi insegnanti. Come è evidente, l’educazione non deve dunque replicare nel bambino l’adulto, riprodurre il mondo esistente con i suoi limiti, ma deve essere occasione per una trasformazione e liberazione radicale. Perché ciò sia possibile, occorre da un lato il senso profondo del rispetto verso il bambino e la coscienza dei suoi diritti, e dall’altro lo sguardo scientifico, che consente di liberare l’infanzia dal peso di superstizioni, errate credenze, suggestioni apparentemente rispettose dell’infanzia, e che in realtà l’alienano. Quando non è costretto a stare immobile in un banco, il bambino viene fatto vivere in un mondo di balocchi, di fantasie, di fiabe, di immaginazione. Si ritiene che questo sia il mondo proprio del bambino. Nulla di più falso, per Montessori. Il bambino, quando non si trova in condizioni di alienazione, non si perde in fantasie, ma si concentra e lavora in modo disciplinato ed attento. Affinché emerga questo

aspetto dell’infanzia, occorre che al bambino venga offerto un ambiente adatto, che non abbia nulla della violenza strutturale delle scuole tradizionali e gli dia la possibilità di fare esperienze creative autonome.

1. 4. La Casa dei bambini Le prime due Case dei bambini nascono a Roma in un quartiere, il San Lorenzo, caratterizzato da degrado abitativo e da una forte criminalità, in cui i bambini molti bambini crescevano per strada. La scelta non è casuale, ma risponde all’intento di contribuire al risanamento del quartiere, avviato dall’Istituto Romano di Beni Stabili con il restauro delle abitazioni. Per affrontare il degrado sociale si pensa di istituire degli asili infantili, affidandone l’organizzazione a Montessori. La proposta le consente di mettere in pratica le sue idee pedagogiche, realizzando anche i suoi ideali umanitari e di liberazione femminile. La Casa dei bambini è pensata come una struttura educativa al servizio del cambiamento del territorio. La direttrice della Casa ha l’obbligo di risiedere nel quartiere e di mettere a disposizione della sua gente la sua cultura e le sue competenze; è una sorta di operatrice per lo sviluppo comunitario. Il regolamento della Casa impone ai genitori alcuni obblighi: dovranno portare i figli puliti e collaborare con le maestre nel loro lavoro educativo. Così le Case avviano la trasformazione delle famiglie, tolgono i bambini dalle strade, offrono alle donne la possibilità di affrancarsi dalle incombenze legate alla cura dei figli e di dedicarsi a sé stesse. C’è, dietro questa impostazione, la consapevolezza che non è sufficiente studiare scientificamente il bambino per giungere ad una educazione efficace; occorre considerare anche l’ambiente familiare e sociale in cui cresce. Come afferma nel discorso inaugurale della seconda Casa dei bambini, “invano cercherà la pedagogia scientifica di migliorare le nuove generazioni se non giunge ad influire anche sull’ambiente ove le nuove generazioni sorgono e crescono”. Tuttavia questa esigenza di apertura all’ambiente sociale, realmente essenziale, non ha trovato in Montessori un adeguato sviluppo, e restauna affermazione di principio, più che una direzione

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■ 4. Maria Montessori e l’attivismo italiano d’azione. Il bambino, più che partecipare attivamente alla vita sociale del quartiere, resta legato al suo materiale, impegnato nel suo processo di autoeducazione. Dal punto di vista strutturale, la Casa dei bambini è l’esatto contrario delle scuole. Se queste, come abbiamo visto, sono pensate e progettate dal punto di vista dell’adulto, la Casa dei bambini, ed è questa una grande novità, è realmente a misura di bambino: le sedie, i tavoli, tutto l’arredamento è proporzionato alle misure dei bambini. I tavolini, oltre che piccoli, sono leggeri, in modo che i bambini stessi possano trasportarli. Le credenze sono ad altezza di bambino, e così anche il lavabo. Alle pareti ci sono dei piccoli quadri ed una grande riproduzione della Madonna della Seggiola di Raffaello, che per Montessori è l’emblema delle Case dei bambini. Questa scelta innovativa riguardante il setting scolastico esprime concretamente la centralità del bambino nell’educazione. L’altra innovazione della Casa è il materiale.

1. 5. Il materiale e gli esercizi

MAria Montessori in una Casa dei bambini

La scuola tradizionale ha il suo fondamento nel-

la parola dell’insegnante, che spiega alla classe gli argomenti che di volta in volta intende proporre agli studenti. La lezione può far ricorso anche a dei materiali di supporto, il cosiddetto materiale oggettivo, che però è ancora legato alle esigenze dell’insegnante, più che a quelle degli alunni. Gli oggetti fanno riferimento agli argomenti da spiegare, e non hanno alcun rapporto con le esigenze psichiche dei bambini. Al contrario, il materiale montessoriano nasce dalla ricerca scientifrica sullo sviluppo sensoriale ed intellettuale dei bambini, ed è progettato affinché i bambini possano usarlo da soli, sviluppando attraverso l’esercizio le proprie facoltà e al tempo stesso riflettendo sulle proprie strategie cognitive. Esso, afferma Montessori, è per il bambino “come una scala che di grado in grado lo aiuta a salire”. Ogni materiale è adatto ad una determinata fase di sviluppo, ed al tempo stesso aiuta il bambino a passare alla fase successiva. Il bambino non dipende più dalla voce dalla maestra, non è più il destinatario passivo della sua lezione, ma costruisce da sé i proprio apprendimenti, conquistando il senso dell’autonomia ed acquisendo fiducia in sé stesso.

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Maria Montessori in compagnia dei bambini

■ Keiron. Pedagogia 2.0

Il materiale montessoriano nasce da una lunga sperimentazione e da un progressivo raffinamento, a partire dal materiale usato da Itard e Séguin nell’educazione dei bambini frenastenici. Lo scopo del materiale è quello di avviare l’educazione dei sensi mettendo ordine nel caos delle impressioni che il bambino riceve normalmente, ed intervenendo anche tempestivamente per correggere eventuali disfunzioni. Solo questo lavoro prelimirare sui sensi per Montessori consentirà poi in modo naturale lo sviluppo dell’intelligenza. Il materiale non è in alcun modo imposto al bambino, ma suscita il suo immediato interesse, poiché risponde ad un suo bisogno funzionale. Per questo il bambino nella Casa è libero di scegliere il materiale che preferisce, che sarà anche quello più adatto ai suoi bisogni di crescita. La maestra vigilerà soltanto sul suo uso corretto. Gli oggetti che costituiscono il materiale sono ordinati secondo una specifica qualità fisica e sensoriale: vi sono oggetti che riguardano la forma, altri il colore, altri ancora il suono, il peso, la ruvidezza, e così via. Il materiale isola una sola qualità e la presenta in forma graduale, andando da un minimo ad un massimo, in modo che il bambino possa affinare la propria capacità di percezione cogliendo la differenza di intensità degli stimoli sensoriali. Per far acquisire al bambino la capacità di riconoscere i colori si useranno così delle tavolette intorno alle quali sono avvolti dei fili di seta colorati con nove tinte diverse, ognuna delle quali presentata in sette diverse gradazioni, per un totale di 63 tavolette. Con questo

materiale è possibile organizzare diversi giochi, chiamando i bambini a disporre le tavolette secondo il colore e l’intensità della gradazione. Per educare il tatto si usano tavolette ricoperte di carta liscia o vetrata e smerigliata, anche qui con diverse gradazioni; i bambini le sfiorano con le dita e gli occhi chiusi, riconoscendo le differenze. Per educare la percezione dei suoni si fa ricorso a scatole cilindriche che contengono oggetti che fanno rumori diversi (sabbia, pietre ecc.) ed a campane che emettono suoni corrispondenti alle sette note. E così via. Gli esercizi con i materiali si svolgono secondo tre momenti. Al principio il bambino deve riconoscere l’identità, mettendo insieme oggetti simili; in seguito è portato a riconoscere i contrasti, individuando gli estremi di ogni gradazione; infine dovrà saper distinguere le somiglianze, ordinando il materiale secondo la gradazione. Il materiale è costruito con forme attraenti e colori vivaci, in modo da attirare spontaneamente il bambino; inoltre è fatto per stimolare l’attività del bambino, per essere cioè spostato, manipolato eccetera. Molti oggetti poi sono autocorrettivi, ossia sono costruiti in modo tale che il bambino può rendersi conto immediatamente dell’errore. Ciò fa sì che il bambino, mentre usa il materiale, possa riflettere sui suoi errori ed imparare da essi, giungendo autonomamente alla soluzione. Oltre agli esercizi con il materiale nella Casa vi sono esercizi di vita pratica, che riguardano il mantenimento dell’ordine e della pulizia dell’ambiente e della persona. Il bambino dovrà così imparare a muovere silenziosamente le sedie, a trasportare gli oggetti, a camminare in punta di piedi, a spolverare, a versare acqua nei recipienti, a vestirsi e lavarsi da sé, a mangiare usando le posate, ad apparecchiare la tavola, a marciare ritmicamente eccetera.

1. 6. La maestra Come già accennato, il ruolo della maestra nella Casa è principalmente quello di vigilare sull’uso corretto del materiale da parte dei bambini. Si

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■ 4. Maria Montessori e l’attivismo italiano tratta di un ruolo ben diverso da quello tradizionale. L’educazione nella Casa è sostanzialmente autoeducazione: i bambini si educano da sé lavorando con il materiale, non dipendono dalla maestra e dalle sue lezioni. Nella scuola tradizionale l’iniziativa spetta all’insegnante; ora invece l’insegnante è chiamata a farsi da parte, ed a lasciare che il bambino faccia da sé. Scrive Montessori: “Gli oggetti e non l’insegnamento della maestra sono la cosa principale: ed essendo il bambino che li usa, egli, il bambino, è l’entità attiva e non la maestra”. Il suo compito è di fare da collegamento tra il bambino ed il materiale, che naturalmente dovrà conoscere bene, non in modo esteriore, ma per averlo adoperato lei stessa a lungo, sperimentandone in prima persona le caratteristiche e le difficoltà. Presenterà il materiale ai bambini mostrando loro l’uso corretto e vigilerà sul suo uso corretto. Nel caso in cui qualche bambino ne faccia un uso errato, la maestra deve intervenire: in modo dolce, se il bambino è tale, in modo più energico ed autirevole, se il bambino mostra una certa disposizione al disordine. L’ordine, l’armonia, l’operosità silenziosa caratterizzano l’atmosfera dalle Casa dei bambini. Per custodire questa atmosfera, la maestra deve vigilare anche affinché “il bambino che sta assorto nel suo lavoro non sia disturbato da nessun compagno”. Come è stato osservato da non pochi critici, questo che a Montessori appare come un disturbo può essere nulla più che l’espressione di una esigenza di socialità, che nella Casa viene sacrificata allo sviluppo sensoriale attraverso il lavoro individuale. Del resto, nella Casa dei bambini è raro che si verifichino problemi disciplinari. Nelle classi, affollate anche da cinquanta bambini, vige l’ordine più assoluto. Un risultato che non è ottenuto con rimproveri e comandi, mezzi che per Montessori sono privi di utilità per raggiungere lo scopo, ma semplicemente con il lavoro. I bambini non si abbandonano al disordine perché sono concentrati nelle loro attività, intenti al lavoro. se un bambino esprime irrequietez-

za muscolare, non serve a molto intimargli di star fermo, poiché quel suo comportamento è espressione di un bisogno di coordinamento motorio che dev’essere soddisfatto. Bisognerà cercare dunque gli esercizi adatti a rendere armoniosi i suoi movimenti, raggiungendo al contempo l’obiettivo di ristabilire la disciplina turbata dal suo comportamento.

1. 7. Lo sviluppo infantile Il profondo ripensamento del ruolo della maestra che abbiamo appena visto è in Montessori la conseguenza della sua concezione scientifica dello sviluppo infantile. Una convinzione diffusa vuole che il bambino venga costruito, plasmato dall’adulto, che dirige la sua evoluzione psichica. Per Montessori non è solo un errore: è una forma di arroganza, con la quale l’adulto si attribuisce un potere quasi divino sul bambino. E’ una convinzione pericolosa, perché può ostacolare il naturale processo di sviluppo psichico e personale, che Montessori con un termine che ha qualcosa di religioso, chiama incarnazione. Considerare il bambino come un essere che si incarna vuol dire scorgere in lui un progetto originario, una serie di inclinazioni che esistono già alla nascita, e che si svilupperanno con il tempo. Gli animali riescono poco tempo dopo la nascita a raggiungere l’autonomia, mentre i neonati restano a lungo non autosufficienti. Ma l’animale non fa che replicare la sua specie, mentre l’essere umano è un individuo irripetibile. Si potrebbe dire, scrive Montessori nel Segreto dell’infanzia, che l’animale è un oggetto fabbricato in serie, mentre l’uomo è come un oggetto lavorato a mano: “ognuno è diverso dall’altro, ognuno ha un proprio spirito creatore, che ne fa un’opera d’arte della natura”. Questo spirito creatore, questa molla interiore che, attraverso un processo che durerà anni, creerà l’individuo unico ed irripetibile, è chiamato da Montessori embrione spirituale. E’ una energia misteriosa e creativa, che presiede all’opera della autocreazione del bambino; una forza che ha bisogno di

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■ Keiron. Pedagogia 2.0

Nicolai Petrovich Bogdanov Belski, Un esercizio complicato

un ambiente positivo per compiere la sua opera, esattamente come l’embrione fisico ha bisogno dell’ambiente del ventre materno per svilupparsi. Lo sviluppo è l’impresa faticosa con la quale l’embione spirituale costruisce l’individuo assimilando progressivamente l’ambiente. Sapere questo, vuol dire guardare il bambino con occhi nuovi, imparare un nuovo rispetto: “Quel corpicciuolo tenero e grazioso che adoriamo ricolmandolo di cure soltanto fisiche e che è quasi un giocattolo nelle nostre mani, assume un altro aspetto e incute riverenza, ‘Multa debetur puero reverentia’”. La massima di Quintiliano acquista ora un nuovo valore: il bambino incute rispetto per la grandiosità della sua impresa, perché costruendo sé stesso il bambino costruisce al contempo anche l’umanità. Non è vero, afferma Montessori, che l’uomo è il padre del bambino. E’ vero il contrario. “Bisognerebbe dire: l’uomo è stato costruito dal bambino: costui è il padre dell’uomo”. Il bambino alla nascita non è guidato da schemi di comportamento innati, ma non è nemmeno totalmente in balia dell’ambiente. Piuttosto, ha la capacità di acquisire dall’ambiente le infor-

mazioni che sono necessarie per la sua crescita. Questa capacità è per Montessori il fatto fondamentale per comprendere lo sviluppo psichico nei primi tre anni di vita. La mente del bambino, a differenza di quella dell’adulto (che per imparare deve far ricorso alla volontà ed all’attenzione) ha la capacità di imparare acquisendo in modo inconscio dall’ambiente ciò di cui ha bisogno. Montessori la chiama, per questo, mente assorbente, precisando che il modo in cui la mente assorbe è diverso da quello della spugna, che assorbe l’acqua senza riuscire poi a trattenerla. La mente del bambino assorbe informazioni che resteranno per tutta la vita e costituiscono la base del suo carattere futuro. Questo assorbimento non avviene in modo casuale, ma segue delle leggi ben precise ed alcuni periodi sensitivi. Esistono nel bambino delle energie che gli consentono di assorbire in modo inconscio dall’ambiente le informazioni di cui ha bisogno, e che Montessori chiama nebule. Quando una nebula si attiva, il bambino è sensibile in modo particolare ad alcuni stimoli, quelli che in quel momento sono importanti per la sua crescita. Quando ad esempio giunge il momento della nebula del linguaggio, il bambino riesce improvvisamente a distinguere il linguaggio umano dagli altri suoni e rumori, e se qualcuno gli parla prova un piacere che manifesta con il sorriso. Emerge con chiarezza l’importanza assoluta dell’ambiente per lo sviluppo psichico del bambino. Se, quando è attiva una particolare nebula, il bambino non riceve dall’ambiente gli stimoli necessari, accade un ritardo nello sviluppo che può essere difficile colmare in seguito. Fino all’età di tre anni dunque l’educazione coincide con la vita stessa. In questa fase psicoembrionale il bambino assorbe inconsciamente dall’ambiente ciò di cui ha bisogno. Non occorre che qualcuno ad esempio gli insegni a parlare: impara da sé. Da adulti non ricorderemo le cose avvenute in questa fase, perché la personalità non era ancora completa. Le cose cambiano verso i tre anni d’età con l’emergere della co-

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■ 4. Maria Montessori e l’attivismo italiano scienza. Nella prima fase il bambino ha creato le funzioni fondamentali; ora queste vengono sviluppate e condotte all’unità. Se prima si limitava ad assorbire l’ambiente circostante, anche se in modo creativo, ora ha una sua volontà, e dunque agisce consapevolmente sull’ambiente. Adesso il bambino mostra una naturale attitudine alla astrazione ed a seguire l’ordine e l’esattezza dei procedimenti logici: sviluppa quella che Montessori chiama mente matematica. Le difficoltà che molti bambini hanno con la matematica sono il segno di un cattivo procedimento educativo. Se vengono messi a contatto con del materiale adatto, come quello montessoriano, e si assegnano loro dei compiti che richiedono precisione ed esattezza, i bambini mostrano una spontanea attrattiva per la matematica e lavorano con interesse ed attenzione.

1. 7. La normalizzazione Uno dei problemi eterni della pedagogia è quello del rapporto tra autorità e libertà. Da una parte v’è chi pensa che il bambino, lasciato a sé, si abbandonerebbe alle proprie tendenze negative, per cui è necessario l’intervento correttivo dell’adulto; dall’altra si obietta che è l’autorità a deviare il naturale svolgimento delle facoltà del bambino, che solo nella libertà possono svilupparsi in modo armonico. Dal punto di vista di Montessori questa è una falsa alternativa. Gli educatori autoritari impongono un ordine ed una disciplina che sono inevitabilmente falsi, perché legati solo alla paura ed all’imposizione dell’adulto. Quando questi limiti vengono eliminati da un approccio libertario si ha, nota Montessori, “uno scatenamento disordinato di impulsi non più controllati perché erano stati prima controllati soltanto dalla volontà degli adulti”. Questa non è vera libertà, e non favorisce la crescita del bambino. Nella Casa dei bambini avviene qualcosa di diverso. Regna una disciplina che tuttavia nonha alcun bisogno del ricorso all’autorità. Come è possibile? Grazie al lavoro. I bambini sono

chiassosi, disordinati, distratti, capricciosi, pigri se non hanno qualcosa da fare; qualcosa, s’intende, che sia importante per loro. Nella Casa trovano molte attività interessanti da fare e si concentrano facilmente nel lavoro. Il bambino viene così disciplinato non dall’intervento autoritario della maestra, ma dall’ambiente stesso, che non gli consente di distrarsi perché ad ogni passo esige la sua attenzione. Montessori chiama normalizzazione questa riconquista delle sue qualità positive da parte del bambino. Il bambino disciplinato, che lavora e si concentra (e si apre all’altro, diventando socievole ed altruista), è null’altro che il bambino vero, il bambino normale. Deviato è invece il bambino che le tendenze disgregatrici e diseducative dovute all’ambiente esterno ed all’intervento dell’adulto costringono ad una fuga nella fantasia. E’ un bambino spezzato, perche non gli si consente di incarnare l’intelligenza nell’azione, esprimendosi attraverso il movimento e facendo esperienze concrete; non gli resta dunque che la via dell’immaginazione. La Casa dei bambini si configura dunque come un luogo di guarigione. “Si direbbe - conclude Montessori ne La mente del bambino - che i bambini fanno esercizi di vita spirituale, avendo trovato una via di perfezionamento e di ascesa.”

1. 8. Una pedagogia per la pace Nella sua lunga vita Maria Montessori ha assistito alle due guerre mondiali, all’affermarsi dei nazionalismi, delle persecuzioni razziali, dell’odio in tutte le sue forme. Una delle preoccupazioni costanti della sua ricerca è quella della pace; ed è significativo che la sua ultima opera, La mente del bambino, si chiuda con una riflessione sull’amore. Per quanto sembri essere stato cacciato via dal mondo, l’amore è in realtà una grande energia cosmica, anzi è l’universo stesso, il principio che guida il mondo inanimato e quello animato, spingendo costantemente verso l’armonia e l’unità. Anche quando i cuori

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■ Keiron. Pedagogia 2.0 sembrano essersi inariditi, c’è un modo semplice ed infallibile per riscoprire l’amore: guardare un bambino. Ovunque il bambino suscita immediatamente amore, dolcezza, tenerezza. “Il bambino - scrive - è una sorgente d’amore; quando lo si tocca, si tocca l’amore”. Se si cerca poi di comprendere l’amore, si scoprono affinità significative con la mente assorbente. L’amore è la capacità di accettare senza giudicare, di comprendere, di armonizzare. Non è forse questo che fa il bambino?Alla fine del suo percorso, Montessori mostra così che gli adulti, che hanno la pretesa di educare i bambini, dovranno imparare da loro ciò che è assolutamente indispensabile per la sopravvivenza della specie. “Lo studio dell’amore e la sua utilizzazione ci porteranno alla sorgente dalla quale esso zampilla: il Bambino. Questa è la strada che l’uomo dovrà percorrere nel suo affanno e nei suoi travagli, se egli, come aspira, vuole raggiungere la salvezza e la unione dell’umanità”.

▪ 2. Le sorelle Agazzi

Rosa Agazzi

2. 1. Nota biografica Le sorelle Rosa (1866-1951) e Carolina Agazzi (1870-1945) sono nate a Vologno, in provincia di Cremona, figlie di un artigiano del legno con la passione per la musica. Dopo essersi diplomate entrambe alla Scuola normale di Brescia hanno iniziato ad insegnare nel 1899 nella stessa scuola di Nave, un paese del bresciano: Rosa era insegnante ele-

mentare (in una classe con 73 bambini), mentre a Carolina furono affidati circa 125 bambini dell’asilo. Successivamente si sono spostare in diversi asili della zona, ispirandosi al metodo aportiano ed a quello fröbeliano, non mancando di introdurre elementi originali, come la musica al pianoforte. Nel 1895 le due sorelle si ritrovano a lavorare insieme all’asilo della borgata di Mompiano, grazie all’intervento di Pietro Pasquali, pedagogista fröbeliano e direttore delle scuole elementari di Brescia, che diventerà il principale sostenitore del metodo Agazzi. All’asilo di Mompiano le sorelle metteranno a punto il loro metodo sperimentale, che presto riceverà ampi riconoscimenti ufficiali ed influenzerà anche la politica scolastica dello Stato, pur senza raggiungere la notorietà e la diffusione internazionale del metodo Montessori. Contribuirà allla diffusione del metodo la casa editrice La Scuola, una delle più importanti realtà editoriali italiane nel campo dell’educazione. Carolina Agazzi è autrice di un libro di Consigli alle famiglie (1903), mentre la sorella, più prolifica, ha scritto tra l’altro: La lingua parlata (1910), L’arte delle piccole mani (1927), Guida per le educatrici dell’infanzia (1929) e Conversazioni sulla scuola materna (1950).

2. 2. Il metodo La formazione e le prime esperienze educative delle sorelle Agazzi avvengono all’insegna del fröbelismo, metodo di cui tuttavia non tardano a cogliere i limiti, soprattutto per come esso si presenta nei suoi continuatori ed epigoni. Intervenendo nel 1898 al congresso pedagogico di Torino (lo stesso cui partecipa Maria Montessori), Rosa Agazzi propone la sua critica al fröbelismo, che è in realtà soprattutto una critica all’applicazione formale e stanca che del metodo fanno le maestre. Non bisognava rinunciare a Fröbel, ma reinterpretarne lo spirito, sfrondandolo invece dagli elementi più astratti ed intellettualistici, come il misticismo ed un uso rigido del materiale (i doni). Il punto di parten-

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za di questo ripensamento non poteva essere che il bambino: occorreva tornare a considerare la realtà del bambino nella sua autenticità e freschezza e rispettarne soprattutto la libertà. Non più il bambino sottoposto ad infiniti esercizi per modellarne il comportamento, ma il bambino che vive nell’asilo come a casa propria: e la denominazione di scuola materna vuole evidenziare questa continuità. I bambini sono operosi non meno che nelle Case dei bambini montessoriane, ma in questo caso si tratta soprattutto di attività di vita pratica. I bambini non sono assistiti, ma devono occuparsi loro stessi di tutto ciò di cui ha bisogno la scuola. Da un lato, dunque, devono prendersi cura di sé (lavarsi – cosa cui si riserva una cura particolare – pettinarsi, vestirsi ecc) ed aiutare i bimbi più piccoli che non sono autonomi, dall’altro devono compiere tutte le attività necessarie alla vita collettiva: andare a prendere l’acqua, lavare le stoviglie, sistemare la provvista della legna, pulire le suppellettivi... I bambini sono costantemente all’opera, sotto lo sguardo attento dell’educatrice, che vigila che tutto si svolga in ordine. In queste attività pratiche si incarna l’ideale di una vita operosa e solidale, che è un ideale al tempo stesso etico ed estetico. I bambini apprendono l’importanza e la bellezza dell’ordine e dell’armonia tanto delle cose quanto degli atti, e si aprono alla collaborazione ed al sostegno reciproco. Sanno di avere la responsabilità della casa che abitano; quelli più grandi, di cinque o sei anni, hanno inoltre la responsabilità di insegnare a quelli più piccoli, di tre anni, la cura personale. In un simile ambiente educativo la massima libertà individuale si armonizza così naturalmente con la collaborazione ed il lavoro comune. Anche la scuola materna agazziana ha il suo materiale. Non si tratta di materiale scientifico, appositamente preparato, ma proprio degli oggetti di uso comune e collettivo, che i bambini imparano ad usare nelle loro attività quotidiane. Vi sono poi gli oggetti personali, ognuno dei quali ha un suo contrassegno, una immagine facilmente riconoscibile (oggetti comuni per i più

piccoli, forme geometriche per i più grandi), che è segno distintivo di ogni bambino ed indica la sua proprietà d e l l ’o g g e t t o . Atteaverso i contrassegni i bambini imparano a riconoscere e rispettare il principio di proprietà, ma non solo. Ogni contrassegno ha un nome, che viene ripetuto più volte. Ascoltando il nome del proprio contrassegno e quello dei contrassegni altrui, il bambino arricchiscono il proprio lessico, associando il nome all’immagine. Si avvia così l’educazione linguistica, che verrà completata con il dialogo vivo con la maestra. In fine, vi sono le cianfrusaglie senza brevetto, cose di nessuna importanza che si trovano normalmente nelle tasche dei bambini: bottoni, pezzi di spago, conchiglie, scatolette, tappi di sughero e così via. Questo materiale eterogeneo e povero dà vita ad un vero museo delle cianfrusaglie ed è la base per una grande varietà di esercizi che permettono l’affinamento della percezione sensoriale e del gusto estetico. I materiali casuali raccolti in una scatola possono ad esempio servire per un esercizio di discriminazione e riconoscimento dei colori, oppure possono essere divisi in base al materiale, o ancora in base alla grandezza. Tutto è affidato alla creatività della maestra e dei bambini, che sapranno trarre di volta in volta le migliori occasioni di esperienza dal materiale disponibile. Ogni attività è accompagnata dal dialogo e dalla discussione. La maestra stimola l’espressione spontanea dei bambini, senza però fermarsi ad essa, ma invitandoli anche a riflettere sulle parole, distinguendo ad esempio le parole di due sillabe da quelle di tre sillabe, o analizzando i diversi accenti. L’espressione

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Carolina Agazzi

■ 4. Maria Montessori e l’attivismo italiano

■ Keiron. Pedagogia 2.0 linguistica si sublima poi nel canto, che ha una importanza centrale nel metodo agazziano. anche in questo caso, i bambini vengono invitati al canto spontaneo attraverso l’imitazione della maestra, e gradualmente sono indotti a riflettere sulla giusta intonazione ed affinano la propria voce, fino a giungere all’armonia del canto comune. Se Montessori, partita da una visione rigorosamente scientista, è approdata con gli anni ad una spiritualità non priva di influenze orientali, la pedagogia delle sorelle Agazzi si inserisce nella cornice della tradizione cattolica: un dato da considerare, se ci si interroga sulle ragioni del successo del metodo agazzano in quell’Italia fascista che invece ha considerato con sospetto, fino a rifiutarlo come una visione del mondo estranea ed eterodossa, il pensiero montessoriano.

▪ 3. Giuseppina Pizzigoni 3. 1. Nota biografica Giuseppina Pizzigoni (1870-1947) è nata a Milano. Conseguito a diciotto anni il diploma di maestra, vince un concorso pubblico e inizia a lavorare come maestra. Dopo diverse esperienze didattiche, che vedono il suo entusiasmo educativo scontrarsi con la noia della routine delle scuole pubbliche, matura l’idea di una scuola nuova, in cui l’insegnamento sia basato sull’esperienza. “Avevo idea chiara e volontà forte, – scrive – ma non potevo pensare di rinunciare al mio posto in Comune per dedicarmi al mio ideale. Sapevo anche che, se mi fossi presentata ai miei superiori, dicendo il mio sogno di capovolgere il metodo in uso nelle scuole elementari, mi sarei molto probabilmente sentita rispondere : ‘Faccia il suo dovere e non sogni tanto! Stia, stia quieta per carità!’.Troppo ardito appariva allora il mio sogno! Pensai che saggio era presentarsi alle Autorità scolastiche, ag-

guerrita di appoggi sicuri e di fondi. Fra i miei amici (ne avevo allora meno di oggi, ma allora avevo anche meno nemici) riuscii a formare un Comitato promotore per l’attuazione del mio sogno didattico; ed ebbi subito con me personalità non dubbie e uomini di fede e di scienza...”. Grazie a questi sostenitori, tra i quali un ministro e diversi scienziati, riesce a fondare nel 1911, nel quartiere popolare della Ghisolfa a Milano, la scuola sredimentale Rinnovata, che comincia con due sole sezioni e 64 studenti e cresce progressivamente, fino a quando si rende necessaria la costruzione di un nuovo edificio. Quest’ultimo, progettato secondo le precise indicazioni pedagogiche di Pizzigoni, viene inaugurato nel 1927 ed è ancora oggi la sede della scuola. Lo stesso anno nasce l’Opera Pizzigoni, con il compito di promuovere la diffusione del suo metodo. Tra gli scritti di Pizzigoni: La scuola elementare rinnovata secondo il metodo sperimentale (1914); Linee fondamentali e programmi della scuola elementare rinnovata secondo il metodo sperimentale (1922); Le mie lezioni ai maestri delle scuole elementari d’Italia (1931).

3. 2. La Rinnovata La scuola di Pizzigoni nasce da alcune intuizioni pedagogiche supportate da uno sguardo attento alle innovazioni educative nelle diverse parti del mondo. Maestra nella scuola pubblica, ha parole molto dure per il suo verbalismo, l’inerzia, la scarsa salubrità dell’ambiente stesso, che non è adatto a formare persone in salute. Non c’è da meravigliarsi se i bambini cercano di fuggire da scuola: “Il bambino che vorrebbe per ogni nonnulla marinare la scuola, quello che ci va piangendo, quello che progredisce in pallore o che si fa miope o nervoso, si ribellano attivamente o passivamente a uno stato di cose incompatibile con la loro natura, ma nello stesso tempo ci ammoniscono”. La scuola è un ambiente insano perché costringe all’immobilità e ad una disciplina militare che confligge con il

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bisogno di libertà, e non consente una esperienza concreta del mondo ed una vera vita sociale. Alla base dell’idea sperimentale della Rinnovata c’è l’esigenza di tutelare la salute dei bambini, offrendo un ambiente igienico e salubre, ma soprattutto favorendo la vita all’aperto ed il contatto con la natura. Gli ampi spazi all’aperto che fanno parte della struttura della Rinnovata sono parte integrante della scuola e costituiscono una risorsa educativa fondamentale. Le uscite in giardino servono per osservare da vicino quella natura che nella scuola tradizionale si studia sui libri; ma anche la vita sociale va osservata e studiata, ed a questo servono le uscite in città. La Rinnovata adotta quello che poi si chiamerà tempo pieno, protraendo le attività scolastiche fino alle sei del pomeriggio ed eliminando sia il doposcuola che i compiti a casa. In questo modo sarà permesso anche ai figli dei poveri fare, a scuola, quelle attività che i figli dei ricchi fanno fuori dalla scuola. Motivato da preoccupazioni igieniche e salutiste è anche il rifiuto di ogni precocizzazione nell’apprendimento del leggere e dello scrivere. Pur dichiarando di condividere l’impostazione pedagogica di Maria Montessori (al punto di sostenere che i piccoli studenti provenienti dalle Case dei bambini montessoriane potranno continuare utilmente la loro educazione nella Rinnovata), Pizzigoni è nettamente in disaccordo su questo punto. “Io trovo nelle statistiche che il difetto della miopia ha una frequenza del 3, del 5% avanti l’ingresso nella scuola, e diventa oltre il 20% durante la scuola. L’occhio del bambino, che è di regola ipermetropico, per lo sforzo di accomodamento si avvia alla miopia. C’è tanto da fare, a mio parere, senza preoccuparsi del meccanismo del leggere e dello scrivere!”. Il bambino imparerà a leggere quando sarà il momento opportuno, senza alcuna forzatura, con la consapevolezza che nel frattempo potrà imparare molte altre cose. Alle lezioni verbali nella Rinnovata si sostituiscono le lezioni basate sull’osservazione e sull’esperiemento. Ecco come Pizzigoni descri-

ve una di queste lezioni: “Devo parlare in 5a classe della pressione atmosferica che si esercita in ogni senso. Perché mi appoggerò tutta alla fede che gli scolari hanno in me? Ecco invece una latta vuota in cui ho versato un mezzo bicchier d’acqua; la metto sopra una fiamma a spirito. Gli scolari si rendono conto del vapore che esce dall’apertura superiore della latta; capiscono che, dopo qualche tempo, l’acqua se ne è andata quasi tutta in vapore, scacciando l’aria dall’interno del recipiente. Ora la latta è piena di vapor acqueo. Chiudo l’apertura, tolgo la latta dal fuoco e spengo la fiamma. I ragazzi sono tutt’occhi.... Pum! pim! pam!... La latta cede a destra, a sinistra, di su, di giù si storta, si piega, si contorce con movimenti inaspettati e rapidi.... L’attenzione e l’allegria sono al colmo; e tutti a una voce gridano: ‘E’ la pressione dell’aria!’”. E’, senza dubbio, il racconto di una leziona alternativa, in grado di tener desta l’attenzione degli studenti. Tuttavia mancano ancora il fare in prima persona degli studenti, l’esperimento e l’osservazione diretta; la maestra resta una mediatrice indispensabile tra gli studenti e gli oggetti da conoscere. Va però considerata, riguardo al “fare”, l’importanza che nella Rinnovata ha il lavoro, che è tra i suoi aspetti più innovativi ed interessanti. Lavoro che sarà diverso a seconda dei sessi, anche se alla Rinnovata vige la coeducazione di ragazzi e ragazze: i maschi si dedicheranno al lavoro della terra e della materia (legno, plastilina ecc.), mentre le ragazzine impareranno a cucinare ed a fare i lavori domestici. Se giunge alla intuizione dello stretto legame

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Un cortile della Rinnovata

■ 4. Maria Montessori e l’attivismo italiano

tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, e del valore formativo di quest’ultimo, Giuseppina Pizzigoni non riesce a concepire il lavoro al di fuori degli schemi di genere; e chiederle di più vuol dire forse non tenere in debito conto la situazione storica nella quale si è sviluppata la sua esperienza educativa. Nonostante la sua impostazione sperimentale, la scuola di Pizzigoni non rinuncia all’educazione religiosa, che è naturalmente quella cattolica, anche se ricondotta a quelle massime della morale evengelica che possono essere considerate anche quale base dell’etica civile. Oltre alle lezioni di “morale religiosa” sono previste delle lezioni di catechismo vere e proprie, alle quali però sono dispensati dal partecipare gli studenti non cattolici.

▪ 4. Maria Boschetti Alberti 4. 1. Nota biografica Nata a Montevideo in Uruguay da una famiglia di emigrati svizzeri e formatasi alla Scuola Normale di Locarno, Maria Boschetti Alberti (1884-1951) ha cominciato giovanissima, a quindici anni, la sua carriera di maestra itinerante in alcuni paesini svizzeri. L’inizio non è dei migliori: insegna secondo l’uso corrente, ma ciò la annoia e ne spegne ogni entusiasmo. La scuola le sembra rigida, fredda, un luogo privo di gioia e di reale contatto umano. Scriverà nel Diario di Muzzano (1939), la sua opera principale: “In quei tempi – fino al 1916 – non avevo amore per i miei scolari. Eravamo anzi nemici. Io, da una parte, sulla cattedra, ritta, severa come una divinità antica: loro, dall’altra, separati da me da un muro di ghiaccio. Non potendo amare i miei alunni, non amavo neanche la scuola”. Decisa a reagire a questo stato di cose, intraprende del 1916 un viaggio in Italia, al fine di conoscere

le innovazioni pedagogiche del nostro paese e trarne ispirazione. A Milano e Roma visita scuole per bambini anormali, ma è soprattutto il metodo Montessori a richiamare la sua attenzione. A Milano visita l’Umanitaria, una scuola per poveri retta secondo il metodo montessoriano, e ne viene fortemente colpita. Nominata maestra a Muzzano (presso Lugano), nel 1917, comincia subito la sua sperimentazione educativa, provando ad adattare il metodo montessoriano alla scuola pubblica. Le sue innovazioni suscitano nell’ambiente del paese una ostilità che sfocia in una indagine richiesta dai genitori degli alunni, in base alla quale le vengono contestate una serie di mancanze di carattere formale e burocratico. si trasferisce quindi ad Agno, dove ha modo di sviluppare le proprie sperimentazioni educative rendendosi progressivamente autonoma dal metodo Montessori e dando vita a quella che, con un termine di Lombardo Radice, chiamerà scuola serena, che presto suscita interesse e consensi di alcuni autorevoli esponenti del mondo pedagogico, tra i quali Adolphe Ferrière. Tra le sue opere, oltre al citato Diario di Muzzano: La disciplina nella libertà (1927), La scuola serena di Agno (1928), Ricordi della scuola di Agno (1938).

4. 2. La scuola serena Tra le cose che Boschetti Alberti aveva ammirato maggiormente all’Umanitaria c’era la serenità, l’ordine, il piacere spontaneo con il quale i ragazzi si dedicavano al lavoro scolastico, così apertamente in contrapposizione con la noia ed il malessere che aveva sperimentato nella sua scuola. Come fare per introdurre anche nella

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Maria Boschetti Alberti

■ Keiron. Pedagogia 2.0

■ 4. Maria Montessori e l’attivismo italiano scuola pubblica questo clima sereno e positivo? Boschetti Alberti cominciò, a Muzzano, con alcune innovazioni ispirate al metodo Montessori. La vita scolastica cerca di armonizzare le esigenze del singolo e della comunità. Di qui i due principi fondamentali dell’ordine, che è rispetto della vita comune, e della libertà, che è la salvaguardia dei bisogni individuali. Per favorire l’apprendimento vengono introdotti dei materiali ispirati a quelli montessoriani, anche se meno raffinati ed autoprodotti, ma le innovazioni più importanti sono con ogni probabilità quelle che riguardano la relazione tra la maestra e gli studenti. Con grande cura e sensibilità Boschetti Alberti cerca di creare degli spazi di confronto e di espressione, dedicando del tempo alla libera conversazione con gli studenti – per lo più figli di contadini – e mettendo a loro disposizione un quaderno sul quale potranno annotare tutto ciò che vorranno. I risultati furono negativi, giudicati con i parametri della scuola di allora: e di qui le ostilità di cui s’è detto. Ma Boschetti Alberti operava ad un livello più profondo: risvegliare negli studenti un amore reale per il sapere, rispettarne l’identità culturale e la differenza, dar loro la parola. Ad Agno il suo metodo si fa più consapevole. Il senso della scuola le si chiarisce come segue: “far passare alcune ore del giorno in un ambiente di calma a questi poveri ragazzi che vivono fra persone affaticate e stanche in un ambiente nervoso; far conoscere il bello, inebriare del bello questi poveri tipi che hanno tanto di lurido e di squallido intorno a loro; far respirare in un ambiente di educazione e di finezza queste povere anime che già conoscono parecchie, troppe brutture della vita e che di educazione e di finezza non hanno alcuna idea”. Viene in primo piano, nella riflessione di Boschetti Alberti, il tema della qualità della vita scolastica, che in genere viene sacrificato al risultato, al sistema di apprendimenti che si chiede alla scuola di far raggiungere agli studenti. La scuola non è vera scuola se non vi si sta bene; e non educa, ossia non fa crescere

nella verità e nella bellezza, se non v’è il massimo rispetto della individualità degli alunni. L’autoritarismo, la freddezza nei rapporti umani, le punizioni ed i ricatti, che così tristemente caratterizzano spesso la scuola, sono incompatibili con qualsiasi autentica educazione. La scuola serena esige anche un setting adeguato. Quello tradizionale (i banchi e la cattedra) è pensato in base ad esigenze non educative, ma di controllo. Che fare? In una scuola privata sperimentale si possono ripensare gli spazi; nella scuola pubblica basta mettere i banchi lungo le pareti e liberare lo spazio, come Boschetti Alberti fece. La giornata scolastica ad Agno comincia con la preghiera, cui segue l’accademia, un’ora dedicata al bello ed al bene affidata interamente alla creatività degli studenti. Durante quest’ora potevano leggere una poesia, mostrare un disegno, allestire insieme una rappresentazione teatrale, curando anche l’aspetto dell’aula. E’ la scuola libera da ogni impaccio burocratico, pura espressione; ed è, anche, l’educazione etica ed estetica sfondata da ogni moralismo e da ogni passiva trasmissione di valori e regole morali. I bambini si appassionano spontaneamente al bello, perfezionano il gusto, riflettono sul bene attraverso le storie, entrano con leggerezza nel mondo dei valori. Il problema di conciliare la necessità di seguire un programma ministeriale con il bisogno di rispettare i ritmi e la libertà di apprendimento di ciascuno studente è risolto da Boschetti Alberti redigendo un programma per ogni disciplina, con una sreie di temi tra i quali lo studente poteva scegliere quelli più vicini ai suoi interessi. I progressi compiuti venivano verificati durante il controllo del lavoro, che seguiva l’accademia. Non si trattava di un controllo dei compiti svolti, ma del necessario intervento di indirizzo e di sostegno al lavoro autonomo. Lo studente è il protagonista del suo apprendimento; ma la maestra gli dà suggerimenti, gli indica gli errori, lo incoraggia e stimola interessi ulteriori. Lo studente apprende realmente, se parte da propri interessi; e può partire dai propri interessi solo

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■ Keiron. Pedagogia 2.0 se viene lasciato libero. E’ su questa intuizione che si basa tutto il lavoro della scuola di Agno. Dopo il controllo del lavoro è il momento della lettura da parte della maestra, cui seguiva il lavoro libero. Boschetti Alberti distingue due aspetti della libertà del lavoro scolastico: la libertà di modo e la libertà di tempo. La prima è la libertà di lavorare secondo il metodo preferito, senza alcuna necessità di uniformità. Gli studenti possono lavorare da soli o in gruppo, usare il quaderno o la lavagna, e così via. La libertà di tempo è la possibilità di seguire i propri personali tempi di apprendimento, scegliendo quanto tempo dedicare ad un argomento o ad un esercizio. Nel pomeriggio le lezioni continuano con la conferenza di uno studente a turno su un argomento specifico. La disciplina

della conferenza è fissa (ogni giorno è dedicato interamente ad una delle tredici materie di stu dio), ma anche in questo caso lo studente ha la libertà di scegliere quale argomento trattare all’interno di quella disciplina. La giornata scolastica si conclude con una nuova sessione di lavoro libero. Come si vede, si tratta di una scuola che ha al centro lo studente, con i suoi bisogni ed interessi, secondo la grande lezione dell’attivismo. La scuola pubblica viene liberata dall’interno, per così dire, con un’azione che mostra la possibilità di aprire le iestituzioni anche quando esse paiono ormai sclerotizzate, di introdurre in esse il soffio dell’innovazione e la possibilità della gioia.

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■ 4. Maria Montessori e l’attivismo italiano

▪ Testi 1. Il bambino costruttore dell’uomo In questo passo de La mente del bambino Montessori opera un vero rovesciamento della visione dominante del bambino: non è più debole, passivo, destinatario delle cure dei genitori, ma capace di acquisire autonomamente le conoscenze e le informazioni di cui ha bisogno. Il rapporto tra adulto e bambino si rovescia: non è l’adulto che costruisce il bambino, attraverso le cure e l’educazione, ma è il bambino che, con il suo grande lavoro di crescita, costruisce l’uomo futuro. Consideriamo le relazioni di diversi psicologi che hanno studiato il bambino dal primo anno di vita. Che cosa se ne deduce? Che la crescenza dell’individuo, in luogo di essere affidata al caso, deve essere diretta scientificamente con migliore cura; il che consentirà di raggiungere un migliore sviluppo dell’individuo. L’idea in cui tutti concordano è che l’individuo più curato e assistito è destinato a crescere più forte, più equilibrato mentalmente e con un carattere più energico. In altre parole, il concetto conclusivo è che oltre che dall’igiene fisica il bambino dovrà essere protetto da un’igiene mentale. La scienza ha fatto altre scoperte intorno al primo periodo della vita: nel bambino si sono rese manifeste energie assai maggiori di quanto generalmente non s’immagini. Al suo nascere, psichicamente parlando, il bimbo è nulla; e non solo psichicamente, giacché al suo nascere egli è incapace di movimenti coordinati e la quasi immobilità degli arti non gli consente di far nulla; né può parlare, anche se vede quello che accade intorno a lui. Dopo un dato periodo di tempo, il bambino parla, cammina, e passa da una conquista ad un’altra fino a costruire l’uomo in tutta la sua grandezza e intelligenza. Ed ecco che una verità si fa strada; il bambino non è un essere vuoto,

che deve a noi tutto ciò che sa e di cui l’abbiamo riempito. No, il bambino è costruttore dell’uomo, e non esiste uomo che non sia stato formato dal bambino che egli era una volta. Le grandi energie costruttive del bambino, di cui abbiamo già più volte detto, e che hanno attratto l’attenzione degli scienziati, sono rimaste sinora celate sotto un complesso di idee formatesi intorno alla maternità; si diceva: la mamma ha formato il bambino, essa gli insegna a parlare, a camminare, ecc. Ora tutto questo non è affatto opera della madre, ma conquista del bambino. Ciò che la madre crea è il neonato, ma è il neonato che produce l’uomo. Se la madre muore, il bambino cresce ugualmente e compie la costruzione dell’uomo. Un bambino indiano condotto in America e affidato alle cure di americani imparerà la lingua inglese e non l’indiana. Non dalla madre, quindi, viene la conoscenza del linguaggio, ma è il bambino che si appropria del linguaggio come si appropria delle abitudini e dei costumi della gente fra cui si trova a vivere. Non vi è dunque in queste acquisizioni alcunché di ereditario, e il bambino, assorbendo dall’ambiente che gli è intorno, plasma da se stesso l’uomo futuro. Riconoscere questa grande opera del bambino non significa diminuire l’autorità dei genitori; quando essi si persuaderanno di non essere i costruttori, ma semplicemente i collaboratori della costruzione, tanto meglio potranno compiere il proprio dovere e aiuteranno il bambino con una più vasta visione. Soltanto se questo aiuto è dato convenientemente il bambino realizzerà una buona costruzione; così l’autorità dei genitori non si fonda su una dignità a sé stante, ma sull’aiuto che essi danno ai loro figli, ed è questa la vera e grande autorità e dignità dei genitori. Ma consideriamo anche da un altro punto di vista il bambino nella società umana. L’idea marxista ha disegnato la figura dell’operaio, quale è modernamente acquisita dalla nostra coscienza : l’operaio produttore di benessere e ricchezza, collaboratore essenziale nella grande opera del vivere civile, riconosciuto tale

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■ Keiron. Pedagogia 2.0 dalla società agli effetti dei suoi valori morali ed economici, avente diritto moralmente ed economicamente a essere provveduto dei mezzi e materiali necessari a compiere il suo lavoro. Ora portiamo quest’idea nel nostro campo. Rendiamoci conto che il bambino è un operaio e che il fine del suo lavoro è di produrre l’uomo. I genitori provvedono, è vero, a questo lavoratore i mezzi essenziali di vita e di lavoro costruttivo, ma il problema sociale nei riguardi dell’infanzia va considerato di ben maggiore importanza, perché il lavoro dei bambini non produce un oggetto materiale, ma crea l’umanità stessa: non una razza, una casta, un gruppo sociale, ma l’intera umanità. Se si considera questo fatto, risulta chiaro che la società deve prendere in considerazione il bambino, riconoscendone i diritti e provvedendo ai suoi bisogni. Quando noi prenderemo la vita stessa a oggetto della nostra attenzione e del nostro studio, potremo giungere a toccare il segreto dell’umanità e avremo nelle nostre mani il potere di governare e aiutare l’umanità. Anche noi, quando parliamo di educazione, predichiamo una rivoluzione, in quanto grazie ad essa ogni cosa che noi oggi conosciamo verrà trasformata. Io considero questa l’ultima rivoluzione: una rivoluzione non violenta, e tanto meno cruenta, che esclude anzi ogni benché minima violenza, perché quando vi fosse ombra di violenza la costruzione psichica del bambino sarebbe ferita a morte. La costruzione della normalità umana va difesa. Tutti i nostri sforzi non hanno forse mirato a rimuovere gli ostacoli sulla via dello sviluppo del bambino e ad allontanarne i pericoli e le incomprensioni che lo circondavano? Questa è l’educazione intesa come aiuto alla vita; un’educazione dalla nascita, che alimenti una rivoluzione scevra di ogni violenza e che unisca tutti per un fine comune e li attragga verso un solo centro. Madri, padri, uomini di stato, tutti converrano nel rispettare e nell’aiutare questa delicata costruzione, elaborata in condizioni psichicamente misteriose, sotto la guida di un maestro interiore. È questa la nuova luminosa

speranza dell’umanità. Non ricostruzione, ma aiuto alla costruzione che l’anima umana è chiamata a condurre a termine, costruzione intesa come sviluppo di tutte le immense potenzialità di cui il bambino, figlio dell’uomo, è dotato. (M. Montessori, La mente del bambino, Garzanti, Milano 1999, pp. 14-16.)

2. L’embrione spirituale Ogni bambino ha in sé, fin dalla nascita, l’oscuro progetto di quello che sarà, e che potrà realizzare solo se troverà un ambiente favorevole, che gli offra il nutrimento culturale di cui ha bisogno senza soffocarlo imponendogli un progetto estraneo. Di qui l’importanza dell’assoluto rispetto del bambino e della sua autonomia. Il fenomeno del bambino inerte alla nascita è sempre stato constatato, dando luogo a riflessioni filosofiche: ma non ha finora attirato l’attenzione dei medici, né dei psicologi, né degli educatori: è rimasto uno dei tanti fatti evidenti per i quali non c’è altro da fare che constatarli. Molti fatti restano così per lungo tempo messi da un lato, chiusi a chiave tra i depositi del subconscio. Nella pratica della vita consueta, però, queste condizioni della natura infantile hanno portato molte conseguenze, che rappresentano un gran pericolo per la vita psichica del bambino. Esse hanno fatto pensare erroneamente che non fossero passivi soltanto i muscoli, cioè che non fosse inerte soltanto la carne: ma che il bambino stesso fosse inerte, un essere passivo e vuoto di vita psichica. E innanzi allo spettacolo magnifico sì, ma tardivo del suo manifestarsi, l’adulto osò farsi la convinzione erronea di essere lui ad avere animato il bambino con le sue cure, coi suoi aiuti. Se ne fece un dovere e una responsabilità; l’adulto apparì a se stesso come il plasmatore del bambino e il costruttore della sua vita psichica. Suppose di poter compiere dal di

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■ 4. Maria Montessori e l’attivismo italiano fuori un’opera creativa, dando stimoli, direttive e suggestioni, affinché si svolgano nel bambino intelligenza, sentimento e volontà. L’adulto si è attribuito un potere quasi divino: ha finito per credere di essere lui il Dio del bambino e pensò di se stesso come è detto nella Genesi : «Io creerò l’uomo a mia immagine e somiglianza». La superbia è stato il primo peccato dell’uomo: quel sostituirsi a Dio è stato la causa della miseria di tutta la discendenza. Infatti se il bambino porta in sé la chiave del suo proprio enigma individuale, se ha un disegno psichico e delle direttive di sviluppo, esse debbono essere potenziali ed estremamente delicate nei tentativi di realizzazione. E allora l’intervento intempestivo dell’individuo adulto, volitivo ed esaltato dal suo illusorio potere, può cancellare quei disegni o deviarne le occulte realizzazioni. L’adulto può veramente cancellare il divino disegno fin dalle origini dell’uomo, e sempre, di generazione in generazione, l’uomo crescerà deformato nella sua incarnazione. Questo è il grande, è il fondamentale tra i problemi pratici dell’umanità. Tutta la questione è qui: che il bambino possegga una vita psichica attiva anche quando non può manifestarla, perché deve a lungo elaborare nel segreto le sue difficili realizzazioni. Questo concetto suggerisce una visione impressionante: quella di un’anima imprigionata, oscura, che cerca di venire in luce, di nascere e di crescere e che va a poco a poco animando la carne inerte, chiamandola col grido della volontà, affacciandosi alla luce della coscienza con lo sforzo di un essere che nasce. E nell’ambiente lo attende l’altro essere dal potere enorme, gigantesco, che lo afferra e quasi lo stritola. Nell’ambiente nulla è preparato per ricevere quel fatto grandioso che è l’incarnazione di un uomo: perché nessuno lo vede e perciò nessuno l’aspetta (non v’è nessuna protezione per lui, nessun aiuto). Il bambino che si incarna è un embrione spirituale che deve vivere a spese dell’ambiente,

ma come l’embrione fisico ha bisogno di un ambiente speciale quale è il seno materno, così questo embrione spirituale ha bisogno di essere protetto da un ambiente esterno animato, caldo d’amore, ricco di nutrimento: dove tutto è fatto per accogliere e niente per ostacolare. Una volta che sia compresa questa realtà, l’attitudine dell’adulto verso il bambino deve cambiare. La figura del bambino, embrione spirituale che si sta incarnando, ci scuote, ci impone nuove responsabilità. Quel corpicciuolo tenero e grazioso che adoriamo ricolmandolo di cure soltanto fisiche e che è quasi un giocattolo nelle nostre mani, assume un altro aspetto e incute riverenza. “Multa debetur puero reverentia”. L’incarnazione avviene attraverso occulte fatiche: tutto attorno a questo lavoro creativo sta un dramma sconosciuto, che non fu ancora scritto. A nessun essere creato spetta quella sensazione faticosa del volere che ancora non esiste, ma che dovrà comandare: e dovrà comandare cose inerti, per farle attive e disciplinate. Una vita incerta e delicata affiora appena alla coscienza, mettendo i sensi in rapporto con l’ambiente, e subito si propaga attraverso i muscoli, nel perpetuo sforzo di realizzarsi. Avviene uno scambio fra l’individuo, o meglio l’embrione spirituale, e l’ambiente; grazie ad esso l’individuo si forma e si perfeziona. Cotesta attività primordiale, costruttiva, è analoga alla funzione di quella vescichetta che nell’embrione fisico rappresenta il cuore, e che assicura lo sviluppo e la nutrizione di tutte le parti del corpo dell’embrione, in quanto si alimenta attraverso i vasi sanguigni della madre, suo ambiente vitale. L’individualità psichica si sviluppa e si organizza per l’azione di cotesto motore in relazione con l’ambiente. Il bambino si sforza di assimilare l’ambiente, e da tali sforzi nasce l’unità profonda della sua personalità. Questa lenta e graduale azione costituisce un continuo appropriarsi dello strumento da parte dello spirito, il quale deve continuamente vegliare, con sforzo, per la sua sovranità, affinché

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■ Keiron. Pedagogia 2.0 il movimento non muoia nell’inerzia e non si meccanizzi. Esso deve comandare continuamente affinché il movimento, libero dal dominio d’un istinto fisso non conduca al caos. L’esercizio di questo sforzo produce uno sviluppo sempre attivo di energia costruttiva e contribuisce all’opera perpetua dell’incarnazione spirituale. Così si forma, da sola, la personalità umana, come l’embrione e il bambino si trasformano nel creatore d’uomini, nel Padre dell’uomo. In realtà, che cosa hanno fatto il padre e la madre? Il padre ha agito unicamente dando una cellula invisibile. La madre, oltre a una cellula germinativa, ha dato l’ambiente vivo adatto, con i requisiti necessari alla protezione e allo sviluppo, affinché la cellula germinativa si segmentasse tranquillamente per attività propria, producendo il neonato inerte e muto. Quando si dice che il padre e la madre hanno costruito il figlio, si ripete un’espressione inesatta. Bisognerebbe dire: l’uomo è stato costruito dal bambino: costui è il padre dell’uomo. Si deve considerare sacro lo sforzo occulto dell’infanzia: quella laboriosa manifestazione merita un’accogliente aspettativa, poiché in questo periodo di formazione si determina la personalità futura dell’individuo. Da tale responsabilità nasce il dovere di studiare e penetrare con approfondimento scientifico le necessità psichiche del bambino e di preparargli un ambiente vitale. Siamo ai primi balbettii di una scienza che si deve sviluppare molto, e alla quale l’adulto deve fornire la collaborazione della sua intelligenza per conseguire, attraverso lunghi sforzi, l’ultima parola nella conoscenza della formazione dell’uomo. (M. Montessori, Il segreto dell’infanzia, Garzanti, Milano 1989, pp. 46-49.)

3. La disciplina attiva Nella scuola tradizionale la disciplina è intesa come

silenzio ed ordine, cose che si possono ottenere con dei bambini soltanto al prezzo dell’imposizione. nella Casa dei bambini la libertà ha il solo limite del rispetto degli altri, e l’insegnante evita ogni intervento che possa soffocare la spontaneità dei bambini. Ecco un’altra obiezione facile nei seguaci della scuola comune. Come ottenere la disciplina in una classe di fanciulli liberi di muoversi? Certamente nel nostro sistema abbiamo un concetto diverso della disciplina; la disciplina, anch’essa, deve essere attiva. Non è detto che sia disciplinato solo un individuo allorché si è reso artificialmente silenzioso come un muto e immobile come un paralitico. Quello è un individuo annientato, non disciplinato. Noi chiamiamo disciplinato un individuo che è padrone di se stesso e quindi può disporre di sé ove occorra seguire una regola di vita. Tale concetto di disciplina attiva non è facile né a comprendersi, né ad attuarsi ma certo esso contiene un alto principio educativo: ben diverso dalla coercizione assoluta e indiscussa alla immobilità. E’ necessaria alla maestra una tecnica speciale per condurre il fanciullo su tale via di disciplina, ove esso dovrà poi camminare tutta la vita, avanzando indefinitamente verso la perfezione. Come il bambino, allorché impara a muoversi anziché a star fermo, si prepara non alla scuola, ma alla vita, sì che diviene un individuo corretto per abitudine e per pratica anche nelle sue manifestazioni sociali consuete; così il bambino si abitua ora a una disciplina non limitata all’ambiente scuola, ma estesa alla società. La libertà del bambino deve avere come limite l’interesse collettivo: come forma ciò che noi chiamiamo educazione delle maniere e degli atti. Dobbiamo quindi impedire al fanciullo tutto quanto può offendere o nuocere agli altri, o quanto ha significato di atto indecoroso o sgarbato. Ma tutto il resto — ogni manifestazione avente uno scopo utile qualunque essa sia e sotto qualsiasi forma esplicata — deve essergli non solo permesso, ma deve venire osserva-

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■ 4. Maria Montessori e l’attivismo italiano to dal maestro: ecco il punto essenziale. Dalla preparazione scientifica il maestro dovrebbe acquisire non solo la capacità, ma l’interesse di osservatore dei fenomeni naturali. Egli nel nostro sistema dovrà essere un “paziente” assai più che un “attivo”; e la sua pazienza sarà composta di ansiosa curiosità identifica e di rispetto al fenomeno che vuole osservare. Bisogna che il maestro intenda e senta la sua posizione di osservatore. Tale criterio conviene riportare nella scuola dei piccini, che dispiegano le prime manifestazioni psichiche della loro vita. Noi non possiamo sapere le conseguenze di un atto spontaneo soffocato quando il bambino comincia appena ad agire: forse noi soffochiamo la vita stessa. L’umanità che si manifesta nei suoi splendori intellettuali nella tenera e gentile età infantile, come il sole si manifesta all’alba e il fiore al primo spuntar di petali, dovrebbe essere rispettata con religiosa venerazione: e se un atto educativo sarà efficace, potrà essere solo quello tendente ad aiutare il completo dispiegamento della vita. Per far questo è necessario evitare rigorosamente l’arresto di movimenti spontanei e l’imposizione di atti per opera d’altrui volontà: a meno che non si tratti di azioni inutili o dannose, perché queste devono essere soffocate, distrutte. (M. Montessori, La scoperta del bambino, Garzanti, Milano 1999, pp. 53-55.)

4. Il materiale Il materiale scientifico montessoriano si occupa dello sviluppo sensoriale, e per questa via favorisce il più generale risveglio dell’intelligenza, consentendo anche al bambino di mettere ordine negli stimoli che provengono dall’ambiente. Il nostro materiale per lo sviluppo dei sensi ha una storia sua propria. Rappresenta una selezione, basata su accurati esperimenti psicologici, del materiale usato da Itard e Séguin nei loro

tentativi di educare bambini deficienti e mentalmente menomati, degli oggetti usati come prove in psicologia sperimentale e di una serie di materiali da me designati nel primo periodo del mio lavoro sperimentale. Il modo con cui questi differenti mezzi furono usati dai bambini, le reazioni in essi provocate, la frequenza con cui essi usarono questi oggetti, e soprattutto lo sviluppo che essi resero possibile, ci offrirono man mano criteri degni di fiducia per la eliminazione, la modifica e l’accettazione di questi mezzi come materiale delle nostre scuole. Colore, dimensioni, forma, insomma tutte le loro qualità furono sperimentalmente stabilite. Poiché in questo libro non trattiamo di questo periodo del nostro lavoro, vale la pena di menzionare questo fatto. Per evitare malintesi e confutare le critiche espresse dopo che il nostro metodo fu noto in tutto il mondo, può essere egualmente utile stabilire lo scopo della nostra educazione dei sensi. L’ovvio valore dell’educazione e del raffinamento dei sensi, allagando il campo della percezione, offre una sempre più solida e ricca base allo sviluppo dell’intelligenza. Per mezzo del contatto e dell’esplorazione dell’ambiente l’intelligenza innalza quel patrimonio di idee operanti, senza le quali il suo funzionamento astratto mancherebbe di fondamento e di precisione, di esattezza e di ispirazione. Questo contatto è stabilito per mezzo dei sensi e del movimento. Se è possibile educare e raffinare i sensi, anche se ciò è soltanto un’acquisizione temporanea nella vita degli individui che più tardi non li usano in modo così ampio e costante come in certe professioni specificamente pratiche e sensoriali, il valore di questa educazione dei sensi non diminuisce, perchè proprio in questo periodo di sviluppo si formano le idee fondamentali e le abitudini dell’intelligenza. Vi è anche un altro lato importante di questa educazione. Il bambino di due anni e mezzo o tre che viene alle nostre Case dei Bambini ha, negli anni precedenti della sua vita molto attivi e mentalmente svegli, accumulato e assorbito

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■ Keiron. Pedagogia 2.0 una quantità di impressioni. Questo notevole fatto, la cui importanza può essere difficilmente esagerata, avvenne, però, senza alcun aiuto o guida dall’esterno. Impressioni essenziali e casuali sono tutte accumulate assieme, creando una confusa, ma considerevole ricchezza nella sua mente subcosciente. Con il graduale manifestarsi della consapevolezza e della volontà diventa imperativo il bisogno di creare ordine e chiarezza e distinguere tra l’essenziale e il casuale. Il bambino è maturo per una riscoperta del proprio ambiente e della ricchezza interiore di impressione che ne ha riportato. Per rendersi conto di questo bisogno, il bambino richiede una esatta guida scientifica, come quella resa possibile dalla nostra dotazione strumentale e dai nostri esercizi. Egli può essere paragonato a un erede inconscio dei grandi tesori che possiede, ansioso di apprezzarli attraverso la conoscenza di un esperto di professione, e di catalogarli e classificarli, in modo d’averli a sua piena ed immediata disposizione. Se par possibile il dubbio sulla permanenza di un’accresciuta e raffinata attività sensoriale in certe sfere d’azione della vita, quest’ultimo fatto sembra certo un’acquisizione della massima durata. Generalmente il primo scopo dell’educazione dei sensi è stato considerato come la ragione dell’importanza attribuitale nel nostro metodo, mentre il secondo non è per noi inferiore, anzi è in realtà il suo primo motivo. La nostra esperienza e quella dei nostri seguaci sono soltanto servite ad avvalorare la nostra idea. In conclusione possiamo menzionare il grande servigio reso dal nostro materiale sensoriale e dagli esercizi eseguiti con esso per la scoperta di difetti nelle funzioni dei sensi in un periodo in cui può ancora esser fatto molto per porvi rimedio. Il materiale sensoriale è costituito da un sistema di oggetti, che sono raggruppati secondo una determinata qualità fisica dei corpi — come colore, forma, dimensione, suono, stato di ruvidezza, peso, temperatura, ecc. Così, p. es.: un gruppo di campane riproducono i toni musica-

li; un insieme di tavolette che hanno differenti colori in gradazione; un gruppo di solidi che hanno la stessa forma e graduate dimensioni: e altri che invece differiscono tra loro per la forma geometrica; cose di differente peso e della medesima grandezza: ecc., ecc. Ogni singolo gruppo rappresenta la medesima qualità, ma in gradi diversi: si tratta quindi di una graduazione dove la differenza tra oggetto e oggetto varia regolarmente ed è, quando possibile, matematicamente stabilita. Simile criterio generico va però soggetto a una determinazione pratica che dipende dalla psicologia del bambino e sarà scelto con l’esperienza, come adatto a educare, solo un materiale che effettivamente «interessa» il piccolo bambino e lo trattiene in un esercizio spontaneo e ripetutamente scelto. Ogni gruppo di oggetti — materiale dei suoni, materiale dei ecc. — presentando una graduazione, ha dunque agli estremi il «massimo» e il «minimo» della serie, che ne delimitano i limiti, i quali, più propriamente, sono fissati dall’uso che ne fa il bambino. Questi due estremi, se avvicinati, dimostrano la differenza più palese che esista nella serie e perciò stabiliscono il più spiccato contrasto che sia reso possibile col materiale. Il contrasto essendo rilevante rende evidenti le differenze e il bambino anche prima di esercitarsi è capace di interessarsene. (M. Montessori, La scoperta del bambino, cit., pp. 109111.)

5. La prima educazione linguistica Per Rosa Agazzi l’educazione linguistica deve partire dalla valorizzazione del patrimonio conoscitivo e linguistico che il bambino già possiede quando va a scuola. Fondamentale è il ruolo dell’educatrice, che dovrà avere una pronuncia impeccabile e scegliere gli esercizi più adeguati per i bambini. Nella ristretta cerchia della sua vita, il bambi-

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■ 4. Maria Montessori e l’attivismo italiano no incontra una considerevole quantità di cose di cui la famiglia e la scuola gl’insegnano il nome. Non è quindi necessario, e tanto meno opportuno, esercitandolo nel linguaggio, uscire dall’ambito delle cose note. Anziché affaticare la memoria coll’estendere soverchiamente la conoscenza di nuovi nomi, conviene insistere sulla pronuncia chiara di quelli che il bambino già conosce o sente ripetere dalle persone che lo circondano. Non si dimostrerà mai abbastanza come le cose si presentino all’occhio e alla osservazione del bambino sotto molteplici aspetti, a seconda dell’esercizio col quale lo si intrattiene. Un oggetto può dare motivo a percezioni e intuizioni di qualità, di quantità, di forma, di uso ecc.; ed è appunto dall’incontro di cose note e di percezioni nuove che il linguaggio nasce spontaneo e le idee si associano. La pronuncia Saper pronunciare è condizione indispensabile per saper parlare. L’educatrice che non dà la dovuta importanza all’emissione della parola, trascura una parte del suo compito, che è quello di porre le basi per facilitare al futuro alunno della scuola elementare l’apprendimento dell’alfabeto. L’acquisto di una buona pronuncia abbraccia, come nell’insegnamento del canto, la funzione uditiva e la ginnastica dei muscoli labiali. La percezione uditiva riceve chiarezza dalla viva voce dell’educatrice ed è rafforzata dalla percezione visiva: due stimoli contemporanei che invitano la voce e le labbra dell’alunno alla ripetizione della parola udita e apparsa sulle labbra della maestra. Nell’insegnamento della lingua, due fattori sono indispensabili: a) l’educatrice che sa, e sa farsi imitare; b) la scelta dell’esercizio. Purtroppo, nell’insegnamento linguistico come in qualche altro ramo dell’educazione infantile, si nota ancora un grande empirismo. Chi scrive avverte il difetto senza avere la pre-

tesa di saperne suggerire il rimedio. E lo avverte, anzitutto, per mettere sull’avviso chi va preparando le nuove educatrici, affinchè si dia la necessaria importanza a questa preparazione. Educatrice, fammi sentire come parli e ti dirò come insegni la parola. Alcune maestre, da troppo tempo avvezze a parlare in fretta, a ingoiare sillabe, a non dare alla parola il naturale accento, alla frase la dovuta espressione, alle riprese di fiato la necessaria importanza, avrebbero bisogno, più che di consiglio, di scuola. Quanto ne avvantaggerebbero i nostri scolari! Questi e, per conseguenza, il popolo non potranno mai liberarsi dai naturali difetti se l’insegnante stessa non sente la necessità di dar forma e colore alla parola. La chiarezza della pronuncia si ottiene coll’esercizio. Cominciamo pertanto col dire che non dobbiamo soverchiamente preoccuparci se il bambino è talvolta privo di qualche consonante: in questo difetto bisogna lasciar fare al tempo. Il tardivo, però, verrà utilmente aiutato dall’educatrice mediante esercizi individuali o collettivi, di breve durata, poiché si sa che non saranno mai divertenti. L’esercizio diverte quando ha principio da una sensazione. Le cose, scelte con opportunità, vengono in nostro soccorso: nel loro nome, esse presentano gli elementi della parola: vocali, consonanti, sillabe, accenti; più le sappiamo rendere attraenti e varie nei loro caratteri di grandezza, di piccolezza, di forma, di colore, di materia, più il bambino si sente disposto a ripeterne il nome. Nello stabilire, in questi esercizi, una gradazione metodica, ci accorgiamo che la nostra lingua non ci permetterebbe egualmente di segnare una base concreta, quale risulta, ad esempio, quella di una raccolta di cose dal nome monosillabo. Assai proficuo sarebbe esercitare il bambino ad unire la vocale a una sola consonante. Offrirgli, cioè, un gruppo di nomi risultanti da tutta la serie delle sillabe di cui la nostra lingua è

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■ Keiron. Pedagogia 2.0 ricca. Queste sillabe isolate, vale a dire emesse con una sola apertura delle labbra, faciliterebbero assai la via all’apprendimento delle parole complesse. I monosillabi nostri, invece, hanno significato astratto. L’educatrice inizi l’esercizio del linguaggio approfittando di quelli che offrono qualche interesse ai sensi del bambino: la ripetizione del verso di qualche animale: muh!... - co... co... - be... - bu... bu...; qualche voce avverbiale accompagnata dall’azione: su, giù; qua, là; no, sì; qualche pronome: tu, te...; voci esclamative: oh!, ah!, uh!, ih!, eh!, sempre accompagnate dal gesto. Un ripiego, s’intende, tanto per prendere le mosse da monosillabi, perchè il bambino possa sperimentare (e all’osservazione del fatto lo dovrà portare l’educatrice stessa) come le parole sono formate di parti, ciascuna delle quali vuole una propria apertura delle labbra. La bocca si muove una, due, tre, quattro o più volte, a seconda che la parola è più o meno lunga. Non si creda che il bambino si disinteressi dell’esperimento, che anzi lo attrae al punto ch’egli ne fa oggetto di passatempo coi compagni; e non è raro il caso che dia luogo a qualche divergenza, sulla quantità delle parti di cui una parola si compone. L’educatrice, sempre vigile, approfitta di questi casi per portare luce e ritornare sull’esercizio.

Il museo delle cianfrusaglie agazziano costituisce una riserva di materiali di origine umile, che si rivelano preziosissimi se usati in modo creativo grazie all’inventiva dell’educatrice.

è facile conciliare l’idea di abbondanza coll’idea di economia. All’opposto, qui s’intende parlare di un museo accessibile a tutte le borse, perché si vuol applicare un grande principio ormai in disuso: Nessuna cosa è inutile quando si sappia trarne benefico vantaggio. Oh non dubiti, l’educatrice! Io le auguro, sì, i mezzi pecuniari per procurarsi una bella collezione di animali artificiali, e minuscoli mobili di casa, e arnesi da lavoro; le auguro di poter sperimentare i migliori ritrovati per esercitare i sensi; le auguro del denaro, insomma. Ma tutto sta nel saperlo spendere a dovere, per non ingrossare le file di certe educatrici solite a profonderlo in oggetti inutili, in capricci d’occasione, in istrumenti scientifici che non sanno adoperare, in enormi bambole ricche di riccioli e di abiti di seta, anche laddove i bimbi che le debbono guardare non hanno la possibilità di cambiarsi la camicia. In certi casi è da preferirsi la povertà alla disponibilità di denaro scompagnata dal discernimento. Tornando a noi, il nostro museo non costa nulla: si potrebbe perfino chiamarlo il “museo dei poveri”, se non avesse il pregio di giovare quanto e più di quello dei ricchi. Non me ne faccio un merito: intendo invece attirare su di esso l’attenzione delle giovani educatrici, perchè si guardino dall’imparare il noto ritornello : “Non si può far nulla, perchè manca il museo”. Manca il museo? Ebbene, io v’insegno a prepararlo. Prima, però, guardiamoci bene in faccia. Siete voi educatrici da senno o da burla? Volete far carriera lavorando o facendovi rimorchiare? Se appartenete alla seconda specie, andate pure; il mio consiglio non è affare per mestieranti. No? Siete un’anima buona, felice di poter dare il vostro contributo all’educazione dell’infanzia? Oh, allora venitemi accanto, ch’io sarò lieta d’insegnarvi tante piccole cose.

Si è accennato poc’anzi, e non a caso, a un museo abbondante. L’espressione potrebbe far venir meno qualche buona intenzione, poiché non

a) Il materiale Stabilito il principio che nessuna cosa è inutile, cominciamo col mettere in serbo tutto ciò che

(R. Agazzi, La lingua parlata, La Scuola, Brescia 1952, pp. 149-152.)

6. Un museo che non costa nulla

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■ 4. Maria Montessori e l’attivismo italiano passa sotto il nome di “inezia” e che, probabilmente, potrebbe finire fuori della finestra. Naturalmente per questa raccolta si deve badare che le cose sian pulite e di piccole dimensioni, condizione quest’ultima necessaria per poterle raggruppare e collocare in armadi o sopra mensole. Ecco, pertanto, alcuni elementi della raccolta: scatolette, bottoni, semi, noccioli, tubetti, fili, fettuccine, figurine, boccette, tappi, campionari di tessuti, di carte, ninnoli vari, palline, vasetti, sacchetti, cartoline ecc. Materie varie: cera, ferro, stagno, marmo, legno, pelle, vetro ecc. Si aggiunga a queste cose tutto quanto ci può fornire il lavoro manuale (anche dell’educatrice), e cioè: frutta di creta, fiori e foglie artificiali, piccoli indumenti, parecchi utensili di casa, borsette e cestini, forme ritagliate in carta o in cartoncino ecc. La piccola industria, oggi, offre anch’essa cosucce utili e graziose a prezzo irrisorio. Come si può non approfittarne? Nel nostro museo, un tavolinetto, una sedia da pochi soldi, diverranno motivi di linguaggio e di confronti, fonte di attività immaginativa. L’arte di educare non deve avere preconcetti di mezzi: più si serve di mezzi semplici, più si avvicina ai bisogni delle classi meno abbienti; ne arricchisce l’intelligenza, perchè la piega all’osservazione delle umili cose, le quali sono, della vita, parte non trascurabile; alimenta e disciplina le facoltà immaginative, perchè insegna al fanciullo ad apprezzare e a giovarsi, ne’ suoi giuochi, anche delle cose che sono poco più del nulla.

care. Quando l’educatrice pone in mano ai bambini una cosa, deve tosto rammentare che in essi parla la voce dell’istinto [dell’impulso]. Non invano si è accennato altrove a un graduale esercizio di contatto colle cose. Oh, guai a chi credesse di poter affidare agli educandi questo o quel materiale qui menzionato, senza la necessaria preparazione! Le cose, nel nostro caso, sono mezzi di cui l’educatrice si serve per insegnare al fanciullo a superare la lotta fra ristinto [l’impulso] che s’impone e la ragione che si va facendo strada. Il gesto, il consiglio, la parola persuasiva, l’esempio dell’educatrice sono le sentinelle pronte a prevenire o a correggere qualche mossa disordinata; talvolta a reprimere un volontario atto scompi-gliatore. Reprimere? In certi casi, sì. Il transigere, in chi educa, talvolta, quando non è comoda scappatoia, è sintomo di debolezza: due cause che effettuano il ritardo di una conquista. Avvedutezza ci vuole, energia e spirito di sacrificio. Perciò qualsiasi metodo o sistema sarà sempre lettera morta se chi è chiamato a educare non avrà dianzi appreso l’arte di disciplinare se stesso e le proprie anioni. Il contegno della maestra-educatrice deve essere inappuntabile: situazione morale che imprime responsabilità a ogni suo atto che non sia conforme alla parola educazione, presa nel suo più largo significato. Il maestro non può insegnare se non quello che sa: l’educatore non può mostrarsi all’educando se non attraverso il proprio costume. (R. Agazzi, La lingua parlata, cit., pp. 38-41.)

b) L’uso del materiale È più facile preparare un museo che saperlo adoperare. Chi inventa un esercizio non fa che seguire un impulso dell’intuizione; e lo sforzo mentale ha termine all’apparire dell’idea snebbiata. Ma chi lo deve applicare, se ha stoffa di educatore, deve sempre coordinare uno scopo didattico a finalità educative. Egli segue il concetto dell’istruire per edu-

7. Socievolezza Nel testo che segue sono indicati alcuni degli esercizi utilizzati nella scuola materna agazziana per favorire la socialità ed il rispetto dell’altro. La scuola di grado preparatorio accoglie bambi-

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■ Keiron. Pedagogia 2.0 ni che vengono da diverse classi sociali. Si trova fra essi il buono, il meno buono, il dispettoso, il docile, il caparbio, il gentile per contratte abitudini famigliari, il rozzo figlio della strada, il sudicio, il pulito, il prepotente, l’indifferente, l’egoista, il timido, il sofferente... e via sulla scala dei difetti naturali e acquisiti. Salta subito all’occhio la necessità di creare intorno a questa massa eterogenea, ancora estranea all’uso della ragione, un’atmosfera che sia per tutti respirabile, un’atmosfera permeata di sana libertà in cui l’arte della educatrice, infiltrandosi nel giuoco, mira a raggiungere un primo stato di equilibrio fra le varie manifestazioni di vita, condizione questa indispensabile nella preparazione dell’ambiente educativo. Si tratta di far giungere all’animo infantile le prime sensazioni di una vita basata sull’ordine, ovunque frutto di tolleranza, di generosità, soprattutto di reciproco rispetto. Per chi, leggendo il titolo — “Socievolezza” — a capo di questo primo gruppo di esercizi, non trovasse il nesso logico col titolo del libro, è utile dire subito che socievolezza qui è un insieme di giuochi, esercizi, lezioncine occasionali diretti a stabilire rapporli di affettività fra la piccola società infantile, unico plausibile punto di partenza per gettare i primi rudimenti del diritto e del dovere. Le cose, le azioni verranno in aiuto dell’educatrice. Non v’ha motivo, sia pure di poco rilievo, che non offra materia d’intrattenere la mente del bambino, per natura proclive alla curiosità. Una palla, un rumore, una scatola che si capovolge, un’ondata di vento che fa sbattere le invetriate, una moneta, un vestito nuovo, un bambino che strilla, son tutte cause che fermano la di lui attenzione, punto di appoggio su cui la maestra dirige la sua tattica di educatrice. Non è vero che si educhi facendo ai bimbi lunghe chiaccherate intorno a cose e a fatti nuovi; talora poche parole, un gesto, una mossa espressiva dello sguardo sono più che sufficienti per suggestionarne lo spirito. Come sapete che hanno penetrato il vostro pensiero? Un im-

provviso silenzio, un drizzarsi repentino della testa, l’intensità dello sguardo, l’involontaria imitazione dell’espressione del vostro viso, un lungo respiro finale sono atti rivelatori di movimento psichico. E se ha capito, perchè tace il bambino? Per la semplice ragione che non sa ancora esprimersi colla parola il proprio pensiero: questo è quanto ci proponiamo di insegnargli dopo che gli avremo spianata la via alla socievolezza. E’ bene però tener présenle che l’esercizio della socievolezza non deve essere ristretto da confini di tempo, né da limite di lezioni. Se v’ha scuola senza confini è questa e se v’ha ramo dell’educazione meno coltivato nella famiglia e nella scuola è ancora questo. Non creda l’educatrice di perdere tempo occupandosene! La massima “istruire per educare” dovrebbe trovar posto in ogni momento della vita scolastica. (...) La palla M. Chi vuol giocare con me? Tutti?... Verrete uno alla volta. Giocheremo con questa palla. Come la chiamate voi — la balla? — No, non va bene dire balla, diciamo tutti: palla. — Virginio, va là in fondo alla scuola. Che vuoi da me? - V.: La palla. - M.: E tu, Emilio, che vuoi? - E.: La palla. Un po’ per uno M.: Ora giocheranno insieme due bambini, Firmo e Nicola. Firmo, ecco la palla, lanciala verso Nicola e di’ con bella voce: Nicola, prendi la palla! — Adesso a te, Nicola, lanciala qui e dì a Firmo: Firmo, prendi la palla! (Dopo una breve partita la M. invita i due bambini a cedere ad altri il balocco). Egoista (Lezione occasionale) Un bambino: Voglio giocare sempre io! — M.: Sei bravo, tu, di giocare? - B.: Sì. — M.: Fammi vedere! (Mentre il bambino giuoca, la maestra toglie dall’armadio una palla più bella e la porge ad un bambino d’indole buona). — M.: A te,

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■ 4. Maria Montessori e l’attivismo italiano Clemente, fa giocare Catina. — Il bambino: La voglio io quella palla lì! Subito! - M.: No, caro, questa che hai tu è la palla per i bambini che non la voglion dare agli altri e quella è la palla che si dà ai bambini che lasciano giocare anche i compagni. Diventa buono e te la darò. Sì, no Ogni mattina la M. osserva le mani e la faccia dei bambini. — M.: Ti sei lavato le mani? (Insegna a rispondere sì o no); non castiga per non abituare i bambini a mentire. Alcuni vogliono che i bambini rispondano sissignora, nossignora. In omaggio all’uso e alla deferenza, col tempo si potrà insegnare anche il sissignora e il nossignora, ma per il momento contentiamoci del sì e del no. Dopo tutto queste sono le risposte più naturali e più brevi che noi possiamo dare, senza mancare di rispetto a chichessia. M.: E la faccia l’hai lavata? Ti sei anche fatto pettinare? Toccate la faccia; che è? Mostrate le mani; che sono? E’ sporca la vostra faccia? E’ netta? E le mani come sono? Pulire il naso M.: Vedo delle belle faccine e delle belle manine, ma vedo anche dei nasi sporchi. Non avete il fazzoletto? Fatelo vedere. Come lo chiamate voi? (Indicando il fazzoletto). Dobbiamo pulire il naso tutti insieme? Io faccio così (Fa vedere). E voi, come fate? (Corregge). Quando il naso è netto, il fazzoletto si mette via subito. Dove lo mettete? Dove l’avete messo? Che è questa? (La tasca). Che cosa avete messo in tasca? (Sempre il dialetto prima e l’italiano poi). Non vogliamo fanciulli sporchi M.: Avete mai visto dei bambini che mettono le mani in bocca? O le dita nel naso? O che si grattano la testa? O che prendono i piedi con le mani? O che tengono il moccio al naso? Vi piacciono? Oh, io non li posso soffrire! Come sono schifosi! Emilio, (bambino della III se-

zione) vieni qui; quando vedi un bambino che porla le mani alla bocca, che dici tu? — E.: Via la mano dalla bocca! — M.: Bravo, così si dice. Ascolta, Luigia (della III sezione); se tu vedrai un bambino, col moccio al naso, non gli dirai niente? — L.: Sì, dirò: pulisci il naso col fazzoletto! (Altre domande simili ad altri bambini della sezione superiore prima e ai piccini poi. E’ utile far accompagnare le parole con qualche gesto espressivo della mano). Alla bottega (Giuoco) I bambini (un grande con un piccolo per mano) vanno a fare spesa dalla Maestra, con soldi di carta. Un giorno la Maestra vende frutta, altra volta pane, caramelle, fagioli ecc. Bambini: Per piacere, tre soldi di fagioli. M.: Ecco tre soldi di fagioli. (Fa un cartoccetto con fagioli veri, o con ghiaia, e li porge). Bambini: Grazie! Buon giorno! Sporchi, non si entra M.: Ah! Carlino stamattina non si è lavato! Non sei un bel bambino, veh, oggi! (Ai bambini) Vi piace toccare queste mani? — B.: No! - M.: Dare un bacio su questa faccia? — B.: No! - M.: Nemmeno a me piace. Presto, presto, dell’acqua... Lavati, Carlino, altrimenti oggi ti tocca star fuori di scuola. Noi non li vogliamo i bambini sporchi! Dove sarà? (I bambini sono sempre disposti su due schiere, senza più attenersi alla distinzione dei sessi). M. : Io vo’ cercando una bambina che ho perduto. Si chiama Cesira: dove sarà mai? (La bambina corre dalla maestra dicendo: Sono io, Cesira; oppure sono io la bambina che avete perduta. I piccolini potranno dire semplicemente: “Eccomi!” Ritornello...). Visite (La maestra manda una parte dei bambini fuori di scuola, e dice agli altri): M.: Questa sarà la vostra casa: i bambini che

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■ Keiron. Pedagogia 2.0 sono fuori verranno, uno alla volta, a trovarvi. Sarete voi gentili nel salutarli? E farete sentire chiaro il loro nome? I bambini rientrano, e ciascuno alla sua volta domanda: E’ permesso? -—I compagni, che sono rimasti in sala, rispondono: Avanti! Addio, Carlo; addio, Maria; addio, Elisa; ecc. Saggio di memoria La Maestra nasconde un bambino e fa cenno a parecchi di uscire di scuola. Il bambino nascosto si presenta e dice il nome dei compagni assenti. Tutti in azione E’ utile e divertente far eseguire delle azioni o finte azioni senza che i bambini sappiano sempre esprimerle con parole. M.: Dobbiamo portar da beccare alle galline? Dobbiamo salutare quelli là che passano? Dobbiamo scaldare le mani ai più piccini, che sono fredde? Dobbiamo mangiare la pappa? Scaldare le nostre mani? Lavare la faccia? Spolverare il vestito? ecc. Si soccorra chi cade Una fra le azioni che nella Scuola materna è bene far eseguire frequentemente è quella di rialzare un compagno che cade. Per solito, il bambino che vede cadere una persona si mette a ridere, pessima abitudine che si riscontra anche fra gli adulti. La Maestra un giorno insegna ai bambini il giuoco “Piè zoppo”. E’ impossibile che tutti sappiano dare saggio di equilibrio prolungato. Perciò ecco là bambini che cadono. La Maestra corre a rialzarli, a pulirli se si sono impolverati, a domandare se si sono fatti male, poi cerca di ottenere il silenzio. M : Questo giuoco è carino, vi fa saltellare come tanti passerini, ma sarebbe ancora più bello se qualcuno di voi andasse a rialzare i bambini caduti. Avete visto che ci vado sempre io? Rincresce a me che si facciano del male, poveri piccini! Sentite, prima di continuare questo giuoco, faccia-

mone un altro. (Sceglie alcuni bambini). Questi bimbi faranno una corsa e ad un mio cenno cadranno tutti in terra; noi andremo a rialzarli, a pulire i loro indumenti, a domandare se si son fatti male. Se qualcuno si fa male, conducetelo a me, penserò io a guarirlo. In questa scatola (mostra una scatola) tengo tante cose che possono fare del bene alle persone che si fanno del male. Proviamo? (R. Agazzi, Come intendo il museo didattico, La Scuola, Brescia 1976, pp. 13-25.)

8. Cos’è la Rinnovata Nel testo che segue Giuseppina Pizzigoni presenta sinteticamente, nelle sue lezioni ai maestri, la storia e l’impostazione pedagogica della Rinnovata. Si noti l’insistere sul tema dell’italianità, che è diventato centrare con l’avvento del fascismo. Ed ora vi dirò in sintesi che cosa è la “Rinnovata”. E’ sorta quale esperimento di differenziazione didattica per virtù del Comune di Milano, del Ministero dell’Educazione, della Cassa di Risparmio e di un gruppo di benemeriti cittadini che hanno ascoltata la mia voce. Oggi è una scuola speciale del Comune, sorretta da una Associazione, che si appoggia ad Enti statali, ad Enti locali e ai propri soci. La “Rinnovata” non è già figlia di lunghi studi e di profonde meditazioni; essa è la traduzione pratica del mio intuito pedagogico. E però ha dato il la alla riforma del ‘23. Avrei, è vero, potuto scrivere in un volume le mie idee; ho preferito fare una scuola, sicura che il fatto compiuto e imponente sarebbe stato più persuasivo che non le parole. E penso con commozione a quei maestri che già hanno portato il mio pensiero nel Veneto e in Sicilia, in Piemonte e in Sardegna, a Ravenna e nel Lazio, in Valle d’Aosta e lungo la Riviera, e sui monti e in riva ai laghi e nelle Colonie di

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■ 4. Maria Montessori e l’attivismo italiano questa nostra Italia benedetta, per la quale mi è gioia aver dato la parte migliore di me. Il mio pensiero pedagogico? E’ necessario crescere i nostri ragazzi forti fisicamente e spiritualmente; crescerli buoni ed anche istruiti. E’ necessario allargare il nostro concetto di scuola fino a sentire che scuola è il mondo. E’ necessario convincersi che ogni cosa, ogni fatto, ogni uomo che venga a contatto col bambino gli è maestro. E’ necessario che il maestro di classe veda il suo compito precipuo nel procurare questi sani contatti, affinchè da essi derivi quel fatto di suprema bellezza che è l’educazione. E’ necessario sostituire al verbalismo scolastico l’esperienza personale del ragazzo, quale mezzo di apprendimento; esperienza guidata dal maestro sui centri spontanei di interesse per il bambino, quali: il lavoro in genere, la ricerca individuale, la terra, gli animali, le piante; la verità sempre. E finalmente è necessario convincersi che la Scuola d’Italia deve preoccuparsi di formare gl’ltaliani. S. E. il Ministro dell’Educazione Nazionale lasciò scritto nel 1923 in un album della “Rinnovata”, in seguito a una sua attenta visita: “Con viva ammirazione per questa scuola di libertà e di disciplina, di verità e di attività, di religiosità e di nazionalità”. Egli ha così riassunto il Programma della “Rinnovata”. Infatti gli scolari della “Rinnovata” sono liberi di adempiere al loro dovere; nella “Rinnovata” si vive la vita e si studia la vita: base della vita e dello studio è la verità trascendentale, la verità scientifica, la verità morale: verità sempre! Mezzo del metodo di apprendimento è l’attività del ragazzo. L’educazione religiosa e l’educazione con carattere nazionale sono la base, il punto di partenza e lo scopo di tutto il nostro lavoro educativo. La “Rinnovata” è scuola gioconda, scuola viva, perchè è scuola di vita e non di parole.

Oggi la “Rinnovata” è fra le opere di profilassi antitubercolare, perchè è scuola all’aperto per i ragazzi normali. (...) Nel 1921 il voto del Congresso di igienisti tenutosi a Trento fu il seguente: “Tutte le scuole d’Italia dovrebbero trasformarsi sul tipo della “Rinnovata” di Milano, perchè l’Italia possa avere la scuola igienica per tutti i suoi bambini”. Oggi la “Rinnovata” è anche indicata come un modello di scuola rurale, per lo sviluppo che ha dato allo studio dell’agricolture, così da innamorare dei lavori dei campi figli di operai dell’officina. Che cosa è la “Rinnovata”? E’ un’istituzione nata nel 1911 umilmente in due piccoli padiglioni döcker sperduti fra i campi e gli orti operai della Ghisolfa e in povertà francescana, ma subito sorretta da personalità non dubbie: l’astronomo Giovanni Celoria, il noto neurologo Prof. Eugenio Medea, il noto psicologo Dott. Zaccaria Treves, il poeta Giovanni Bertacchi, gl’industriali Paravia, Marelli e Bisleri, per dirvi i nomi dei primissimi. Perchè volli la “Rinnovata”? La volli per un bisogno del mio spirito, tediato dalla vita scolastica del tempo; per amore grande ai bambini, che sentivo sacrificati fisicamente e intellettualmente; per amore grande al mio Paese, il quale deriva la sua forza dalla gioventù sana e ben preparata alla vita. In che consiste la “Rinnovata”? Come nel 1911, allorchè sorse, le ragioni della sua vita sono oggi le stesse: combattere, stroncandolo alla radice, il verbalismo scolastico; utilizzare ai fini dell’educazione l’attività fattiva dei bambini; tenere in gran conto la personalità dei singoli, pure non dimenticando la collettività; educare il ragazzo senza trascurare nessuna delle sue esigenze fisiopsichiche; educare il ragazzo d’Italia; orientare ed avviare il ragazzo italiano alla professione che risponda alla sua vocazione: ciò che naturalmente esige la ricerca della vocazio-

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■ Keiron. Pedagogia 2.0 ne dei singoli. La “Rinnovata” non è già il lussuoso fabbricato che il Comune di Milano volle dare alla mia scuola a testimonianza di quanto apprezzi il mio lavoro. La “Rinnovata” è la riforma spirituale della scuola; quella riforma da me proposta e vissuta dal 1911 ad oggi, e che S. E. il Ministro Gentile ordinò con la riforma a tutta Italia nel 1923. (G. Pizzigoni, Le mie lezioni ai maestri d’Italia, La Scuola, Brescia, 1961, prima lezione.)

9. La libertà di tempo La libertà di tempo, una delle due libertà fondamentali della scuola di Agno (con la libertà di modo o di metodo) consiste nel rispetto dei tempi di apprendimento e degli interessi degli studenti. Lasciati liberi, essi giungono naturalmente a concentrarsi nello studio ed a lavorare. Una volta due visitatrici forestiere mi domandarono quali erano nella scuola serena le cose più importanti, alle quali dare maggior peso. Risposi che, una fra le altre, era la libertà di tempo. Allora sorridendo mi dissero: — “Oh! la libertà di tempo! L’abbiamo già anche noi. Sul nostro orario è scritto: dalle 2 alle 4 lavoro libero”. Com’è difficile l’intendersi anche fra persone che lavorano al medesimo fine! La libertà di tempo (la liberté du moment) è cosa ben diversa. Quantunque rappresenti un sacrosanto diritto del fanciullo, nelle scuole comuni non è rispettata. Nelle scuole comuni alle 9 il ragazzo deve interessarsi all’aritmetica, alle 10 della lingua, alle 11 della storia. Quando una specie d’interesse per l’aritmetica comincia a svegliarsi nel fanciullo, trach!... Per un segno dell’orologio l’interesse è spento; il ragazzo deve cominciare ad interessarsi della lingua. Ma non è una macchina il fanciullo, che possa essere montata ad

ore! Ma l’interesse non è un ordigno che possa farsi scattare a piacimento! Eppure la libertà di tempo è un diritto sacrosanto del fanciullo, diritto che dovrebbe essere garantito dal codice svizzero. Il ragazzo che è interessato all’aritmetica, deve poter continuare per ore ed ore o ; per giorni fino ad interesse esaurito. Fino a tanto che dura l’interesse, un lavoro non deve essere interrotto; così come non deve essere imposto di continuare un lavoro quando l’interesse è esaurito. Non è naturale, non è umano tagliare bruscamente un lavoro intellettuale nella sua massima tensione, né forzare l’intelletto a rivolgersi verso un oggetto nuovo dal quale non è attirato spontaneamente. Poi c’è un’altra legge principale che non bisogna trascurare, legge stabilita da madre natura: la legge del compenso. Quando un ragazzo ha fatto uno sforzo, deve potersi riposare; per esempio dopo un lavoro d’aritmetica, l’alunno deve poter disegnare o leggere una novella, o sfogliare un giornale: perchè è legge di natura che l’intelletto si riposi cambiando lavoro. C’è il tipo che può lavorare giorni e giorni in aritmetica, e c’è il tipo che si stanca dopo venti minuti. Ma il ragazzo che lavora alla ricerca d’una regola aritmctica per giorni e giorni, poi lascerà l’aritmetica per un certo tempo; mentre quello che si stanca dopo venti minuti, e si riposa con un lavoro leggero, ripigli era l’aritmetica magari due o tre volte al giorno. Se innumerevoli sono le differenze da tipo a tipo, certamente noi maestri in una lezione collettiva non potremo mai arrivare a far evitare lo sforzo. Tutt’al più noi potremo intervenire quando si mostrano segni esterni di stanchezza; ma allora sarà troppo tardi, l’intelletto sarà già troppo affaticato; e gli effetti della fatica intellettuale nella adolecenza sono disastrosi. Ammessa la nostra impossibilità di intervenire, dobbiamo ritenere come indispensabile la libertà di tempo. Il fanciullo sente benissimo, per legge di natura, quando lo sforzo comincia, e sa benissimo

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■ 4. Maria Montessori e l’attivismo italiano riposarsi appena sente un senso di stanchezza. Seguendo l’ordine di natura, si riposerà cambiando di lavoro, nella libertà di tempo. Nella scuola serena si vedono cogli occhi e si toccano con le mani, i gravi torti che si fanno ai ragazzi privandoli della libertà di tempo; nella scuola serena, sanguina il cuore al pensiero di una così grave ingiustizia che si fa sotto l’apparenza d’un sacrosanto dovere. Ed ecco in qual modo queste ingiustizie si possono vedere: Quello che la Montessori chiama la concentrazione dell’attenzione, è un fatto vero, naturale, che succede ad ogni fanciullo posto nell’ambiente di libertà; un fatto naturale come la comparsa del primo dente e il primo movimento di deambulazione. La Montessori lo chiama concentrazione dell’attenzione e pare credere che si faccia unicamente sul suo materiale. Deve essere invece una concentrazione di interesse, e può farsi su qualsiasi cosa. Il fanciullo che entra nell’ambiente di libertà, venga da casa o venga dalla scuola comune, è divagato, distratto, inquieto, annoiato. Poi ad un tratto (dopo un tempo breve o più lungo secondo i tipi) si fissa su d’una materia; fa, rifa, ripete. È l’interesse che si concentra; e da questo primo centro si estenderà a poco a poco alle altre materie finché diventerà generale.

Allora noi diciamo che l’alunno si è ordinato, perchè tutto ciò che esisteva nel suo intelletto allo stato di caos, ha cominciato a fissarsi. Questa è una legge naturale. Il fanciullo, sano, normale, una volta concentrato nell’interesse, non si dimostrerà mai più, neppure una volta, divagato, distratto, inquieto, annoiato: sarà invece sempre attento, interessato, concentrato su qualunque lavoro egli farà, su qualsiasi materia egli studierà. E questo perchè il fanciullo sano e normale, è capace di sviluppo in tutte le direzioni. Se nella scuola serena si vede un ragazzo il quale abbia già vissuto il fenomeno della concentrazione dell’interesse, restare ancora ozioso, disattento, inquieto, si deve senz’altro cercare la nuova causa fisica o psichica prima di attribuire a malavoglia, a indisciplina, a pigrizia quel nuovo stato del ragazzo La malavoglia, la pigrizia, l’indisciplina degli allievi sono effetti del cattivo ambiente scolastico: levate le cause, non si vedranno mai e mai più questi effetti. Nella scuola serena l’ambiente è sano: dunque sono perfettamente sconosciuti gli effetti deleteri su indicati. (M. Boschetti Alberti, La scuola serena di Agno, La Scuola, Bergamo 1964, pp. 91-94.)

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■ Keiron. Pedagogia 2.0

Antonio Vigilante, Keiron. Pedagogia 2.0 | www.keiron.info | Licenza CC BY-NC-ND 3.0

▪ Oltre il manuale Libri

Spunti per la ricerca

Tutte le opere di Maria Montessori sono disponibili in edizioni recenti presso l’editore Garzanti di Milano. Moltissimi sono anche gli studi su Montessori. Per una introduzione si può leggere il libro della sua allieva Grazia Honegger Fresco: Maria Montessori. Una storia attuale (L’ancora del Mediterraneo, Napoli 2008). Si può poi approfondire con Giacomo Cives, Maria Montessori. Pedagogista complessa (ETS, Pisa 2001), Clara Torna, La pedagogia di Maria Montessori tra teoria e azione (FrancoAngeli, Milano 2007) e Raniero Regni, Infanzia e società in Maria Montessori. Il bambino padre dell’uomo (Armando, Roma 2007). Sul femminismo di Maria Montessori è utile il libro di Valeria P. Babini e Luisa Lama Una donna nuova. Il femminismo scientifico di Maria Montessori (FrancoAngeli, Milano 2000). Molte informazioni sono nel sito dell’Opera Nazionale Montessori (http://www. operanazionalemontessori.it).

1. Approfondisci i rapporti tra Montessori ed il

Le opere di Carolina e di Rosa Agazzi non sono più disponibili sul mercato editoriale. Anche gli studi sono pochi. Da segnalare la collana “Il pensiero di Rosa Agazzi” dell’editore Junior di Bergamo ed il volume di Francesco Altea Il metodo di Rosa e Carolina Agazzi. Un valore educativo intatto nel tempo (Armando, Roma 2011). Ugualmente non disponibili sono le opere di Giuseppina Pizzigoni. Tra gli studi: L’ asilo infantile di Giuseppina Pizzigoni. Bambino e scuola in una pedagogia femminile del Novecento, di Sandra Chistolini (FrancoAngeli, Milano 2009) e Olga Rossi Cassottana, Giuseppina Pizzigoni e la «Rinnovata» di Milano, La Scuola, Bergamo 2004. Ricco di informazioni è il sito dell’Opera Pizzigoni (http://www.operapizzigoni.it).

regime fascista.

2. Sul caso del “ragazzo selvaggio dell’Aveyron” Itard ha scritto un libro, disponibile in italiano presso in due edizioni (Armando, Roma 2007; SE, Milano 2003). Alla vicenda è dedicato anche un film di François Truffaut, Il ragazzo selvaggio (1970). 3. La teosofia ha influenzato in modo profondo non pochi intellettuali italiani, oltre a Maria Montessori (ad esempio Roberto Assagioli). Cerca di saperne di più. 4. Nella controversia Montessori-Agazzi erano in ballo diverse questioni, tra le quali quella dell’italianità, che era un tema di fondo del fascismo. Cerca informazioni sulla querelle e cerca di interpretarla considerando la situazione storica. 5. Giuseppina Pizzigoni abolisce i compiti a casa. Sulla questione dei compiti esiste un dibattito minoritario ma interessante, in particolare in Francia (in Italia c’è il libro di Maurizio Parodi, Basta compiti!, Sonda, Torino 2012). 6. Maria Boschetti Alberti ha effettuato dei cambiamenti nella scuola elementare, per introdurre le due libertà di modo e di tempo. In che modo è possibile cambiare dall’interno (cioè in modo non istituzionale, ma per libera iniziativa di docenti e studenti) nella scuola secondaria, affinché anche in essa vi siano queste due libertà?

Non risultano studi su Maria Boschetti Alberti.

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