La Trascrizione

August 31, 2017 | Author: cuntissazza | Category: Accordion, Classical Music, Pop Culture, Arts (General), Leisure
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La trascrizione (musicale) Ecco il significato del termine “trascrizione”, in musica, tratto da alcuni dizionari: - Italiano compatto - Dizionario della Lingua Italiana © 2010 Zanichelli editore:

trascrizione [tra-scri-zió-ne] nome femminile



in musica, adattamento di un brano: Esempio: questa è la trascrizione per pianoforte.

(Dal Sabatini - Coletti): trascrizione •

4 mus. Adattamento di un brano composto per uno strumento specifico a un altro strumento o all'orchestra.

Nella “Garzantina”, Enciclopedia della Musica Garzanti (ediz. 1996): Procedimento mediante il quale si riportano in notazione corrente musiche scritte con antichi sistemi (dai neumi alle intavolature) avvalendosi delle chiavi d’interpretazione offerte dalla paleografia musicale. // Il termine indica pure l’adattamento di una musica a uno strumento, o a un complesso strumentale o vocale, diversi da quelli per i quali essa fu originariamente scritta. Nel Cinquecento e Seicento furono molto praticate le trascrizioni per liuto di composizioni vocali; nel Settecento trascrisse musiche di Vivaldi [e altri compositori], Haydn trascrisse (dopo averle raccolte) molte canzoni popolari scozzesi; nel secolo seguente composizioni per organo di Bach vennero trascritte per pianoforte (Tausig, von Bülow, Busoni, ecc.). Il termine fu anche esteso a significare parafrasi, fantasia per pianoforte [o altri strumenti] su celebri motivi [in genere] operistici. Fra le trascrizioni del nostro tempo , famosa è quella fatta da M. Ravel dai Quadri d’una esposizione di M. Musorgskij, dall’originale pianistico all’orchestra [sinfonica]. Accanto a queste trascrizioni, che hanno il valore di ricreazioni artistiche, ne esistono altre con scopi eminentemente pratici, come quella delle opere per canto e pianoforte (utili per una lettura agevole e per lo studio da parte dei cantanti). Nel Dizionario di Musica classica di Piero Mioli (ediz. BUR, 2006): 1) Stesura in notazione moderna di antiche musiche scritte diversamente. Secondo le regole della “paleografia musicale” , si effettua per esempio dai codici gregoriani, trobadorici, polifonici, arsnovistici, fiamminghi, fino alle intavolature per liuto, organo, cembalo, vihuela del ’500-600. 2) Nuova stesura di una composizione precedente. Effettuata di regola da una mano diversa e seguente nel tempo, poteva trasformare una “chanson fiamminga” in una canzone per liuto (Les oiseaux di Janequin nella Canzon degli uccelli di Francesco da Milano), un “inno cristiano” in un pezzo per organo, un “madrigale” in un pezzo polistrumentale, un “concerto d’archi” in un concerto cembalistico (da Vivaldi a Bach), un corale vocale in corale organistico (da Lutero a Bach), un’aria per soprano in aria per basso, una sinfonia di Beethoven in una grande sonata per pianoforte (con le mani di Liszt…), un “lied” in un quintetto (grazie a Schubert e alla sua Trota), un “preludio e fuga” per Klavier nello stesso [p.

e f.] per pianoforte (da Bach a Busoni), un canto popolare orale e anonimo in un canto scritto e leggibile, i pianistici Quadri di un’esposizione Musorgskij negli stessi brani per grande orchestra di Ravel. Le origini del fenomeno posano in una concezione della musica non ancora “d’autore” ma libera, passibile di interventi successivi, di comode stratificazioni; mentre lo scopo era spesso la maggior divulgazione, la modalità poteva essere semplice e fedele ma anche complessa e ricreativa. Nelle stesure cameristiche di “melodrammi”, interi o a parte, il termine era addirittura sottinteso: dei vari titoli di Rossini, Mercadante, Bellini e così via, Ricordi pubblicava “opere per pianoforte”, o per 2 flauti, per violino [per physharmonica e pianoforte] e così via. Quella per voci e pianoforte, concepita sia per esecuzioni cameristiche che per studio, si chiamava piuttosto “riduzione”. Sempre a proposito della “trascrizione”, dall’interessante articolo: Bach e la trascrizione di Claudio Toscani (Amadeus, numero 1 (170), gennaio 2004): Nel trapiantare un brano da un mezzo fonico a un altro, diverso da quello per cui era stato concepito, si manifesta la sete dei sommo Compositore di conoscere e assimilare ogni aspetto della musica Perché si effettua una trascrizione? Quali sono le ragioni per cui si trapianta una composizione musicale da un mezzo fonico a un altro, diverso da quello per cui era stata in origine concepita? E hanno qualcosa in comune - poniamo - un antico contrafactum, la trascrizione bachiana di un concerto di Vivaldi, la trascrizione pianistica di partiture sinfoniche e operistiche realizzata da Liszt? Ci sono vari modi di effettuare una trascrizione; ma alle origini di quella che è una prassi costante della nostra tradizione musicale stanno fenomeni storici ricorrenti. Ci possono essere ragioni commerciali: la diffusione di una grande opera teatrale o sinfonica è facilitata da trascrizioni, per pianoforte o per piccoli organici strumentali, che la rendono accessibile al mercato amatoriale. Ci possono essere ragioni didattiche: da sempre la trascrizione è uno dei metodi di studio privilegiati dai compositori, non solo perché essa costringe ad affrontare i problemi di una specifica tecnica vocale o strumentale e dell'adattamento a un diverso organico, ma anche perché è un ottimo mezzo per studiare la forma, il piano delle modulazioni, il lavoro tematico di una composizione. Ci possono essere ragioni pratiche: alle trascrizioni devono forzatamente ricorrere i musicisti che suonano strumenti il cui repertorio è povero di composizioni originali. C'è persino chi si applica alla trascrizione per «migliorare» l'originale: è quanto fecero, in perfetta buona fede, Mozart con i lavori oratoriali di Händel, Mahler con le sinfonie di Schumann, Rimskij-Korsakov con la musica di Musorgskij. La trascrizione, in ogni caso, oggi è colpita da un generalizzato discredito, tanto che si è finito per disconoscere l'importanza storica del procedimento, dandone una falsa valutazione. Sono stati il Romanticismo e lo storicismo idealista, nell'800, a provocare il rivolgimento: è da allora che nella nostra cultura musicale si sono radicate le idee che l'autore licenzi le proprie creature in una veste compiuta e immutabile, e che il timbro sia un parametro sostanziale, e insostituibile, della creazione originale. In quest'ottica ogni trascrizione può solo apparire come un «tradimento» della volontà d'autore, da guardare con sospetto, anche quando il lavoro del trascrittore non è puramente meccanico ma si configura come una rielaborazione o una parafrasi dell'originale, e comporta dunque un vero apporto creativo. Una valutazione negativa è tanto più impropria nel caso di Johann Sebastian Bach. Anche un'occhiata superficiale al suo catalogo, nel quale i frutti della trascrizione sono numerosi e costantemente distribuiti nel tempo, svela che questa attività non è né occasionale né collaterale: è, al contrario, uno degli aspetti più caratteristici nei quali si manifesta la sua sete inesauribile di conoscere e assimilare ogni aspetto dell'arte e della scienza musicale.

Per quanto riguarda l’uso della trascrizione a fini didattici, si può affermare che essa è sempre stata impiegata per la realizzazione di metodi, trattati, antologie, ecc.: sia con finalità essenzialmente “ricreative” (ossia anche di semplice “svago”, per giovani studenti ed amatori in genere, attraverso varie semplificazioni e/o riduzioni), sia come efficace mezzo per studiare e conoscere, ad es., lo stile di determinati autori e/o generi musicali…

Il discorso ovviamente si riferisce a tutti gli strumenti musicali, ma con specifico riferimento alla fisarmonica basti pensare alle pioneristiche opere didattiche – degli anni ’30 e ’40 – dei vari Friel, Anzaghi, ecc. per rendersi conto dell’importanza delle trascrizioni all’interno di metodi e opere didattiche in genere. E questo non solo in Italia, ad es. il celebre Palmer-Hughes Accordion Course (Alfred Music, 1952-1961, USA) diffusissimo metodo americano, in 10 volumi, è basato essenzialmente su trascrizioni (di canti/motivi popolari e brani tradizionali classici). Come scritto nel libro La fisarmonica italiana (Farfisa, 1963-1964, Ancona) di B. Boccosi e A. Pancioni: […] fino a qualche decina di anni fa la fisarmonica restò, praticamente, priva di una propria letteratura musicale atta ad esaltarne le notevoli risorse espressive; […] Sotto la spinta dei migliori esecutori e talvolta delle stesse Case produttrici, molti musicisti si sono accostati allo strumento per dedicarsi alla preparazione di un serio e valido materiale didattico come base indispensabile di ogni ulteriore progresso artistico. Successivamente le trascrizioni e le riduzioni di brani di pubblico dominio – a cui la fisarmonica aveva necessariamente dovuto attingere per lunghi anni – vennero sostituite con ottime composizioni originali e si creò man mano un repertorio scelto e nutrito. […] Grazie a questo repertorio la fisarmonica si presenta finalmente nell’agone musicale con una patente di maturità che la pone allo stesso livello degli altri strumenti più antichi e tradizionali. Gli esecutori non debbono più ricorrere ad arrangiamenti di partiture scritte e concepite per il pianoforte, l’organo o addirittura l’orchestra; oggi essi hanno a disposizione […] un proprio repertorio di composizioni originali […] vasto ed artisticamente validissimo che è servito, fra l’altro, a far cadere le ultime barriere di ostilità […].

Il testo sopra riportato risente probabilmente del clima, festoso e retrospettivo, delle celebrazioni (forse delle “autocelebrazioni”?) del “Centenario della fisarmonica italiana”: 1863 – 1963, lodando molto il repertorio originale (soprattutto italiano) per fisarmonica e mettendolo forse in “inutile contrasto” con le trascrizioni... Mentre, dopo appena un quindicennio e sempre nel settore fisarmonica, qualcuno sente l’esigenza – anche grazie ai nuovi modelli di fisarm. “a bassi sciolti” – di rivalutare a dovere le trascrizioni dal repertorio classico. Interessante a tal proposito è il capitolo “Trascrizione e trascrittibilità” contenuto nel metodo di Elio Boschello La nuova dinamica fisarmonicistica (Bèrben, 1978 – Ancona): Il nuovo orientamento didattico e concertistico della fisarmonica impone quindi la necessità di rivalutare il patrimonio classico e, di conseguenza, tocca il problema della “trascrizione” per fisarmonica dello stesso […]. Essendo la trascrizione praticata correntemente dai maggiori ai più umili musicisti, anche tra i viventi, era inevitabile che contro di essa si scagliasse il dissenso preconcetto di quanti credono che il corso della storia possa venire modificato dalle loro opinioni. La pratica della trascrizione è antica, risale cioè a quando la musica polifonica veniva trascritta per liuto, oppure per organo […]. La usarono musicisti di ogni epoca e di ogni levatura […] e, malgrado le opinioni contrarie, ebbe grandissima importanza sullo sviluppo e la cultura dell’arte musicale. Senza entrare nel vivo degli aspetti artistici della trascrizione, che esulano dal nostro attuale campo di interesse, dirò in sintesi che la trascrizione non è che l’adattamento di uno spartito musicale (originalmente scritto per un determinato mezzo fonico) fatto per uno strumento (o per vari strumenti) che hanno diversità timbriche e foniche da quello per cui è stato scritto. Del resto ciò avviene continuamente nell’organo, i cui numerosi registri lasciati all’arbitrio dell’esecutore possono modificare se non addirittura invertire l’esigenza timbrica e fonica di una composizione. Il risultato comunque non è che la riproduzione con un nuovo mondo sonoro ed espressivo di elementi musicali scritti per sonorità diverse. Addirittura si constata talvolta come queste apparenti libertà, definite audaci se non profanatrici da chi è contrario alla trascrizione, portano ad una più profonda conoscenza dello spartito di quelle musiche e, nello stesso tempo, sono una forma superiore di divulgazione, di rispetto e di amore verso tanti capolavori, i quali, in ultima analisi, non sono proprietà esclusiva di nessuno, ma patrimonio per l’arricchimento professionale, culturale e spirituale di tutti.

L’esperienza e la storia ci insegnano che nessun concertista ha potuto sottrarsi al desiderio e all’interiore esigenza di riprodurre con il “suo” strumento partiture scritte per strumenti e mezzi fonici diversi; perché ogni strumentista “gusta” pienamente la musica, anche se scritta per uno strumento fonicamente opposto al suo, unicamente sullo strumento su cui più si è immedesimato, perché a lui più congegnale. Ciò spiega perché anche musicisti come Bach, Liszt, Busoni, Stravinskj, Casella, e moltissimi altri (ai quali non possiamo certo negare la capacità creativa di soddisfare ogni loro esigenza musicale con le proprie composizioni), siano largamente e fortunatamente ricorsi alla trascrizione. Non vedo perché il fisarmonicista non possa avere le stesse aspirazioni (motivate anche dalla necessità di arricchire la ancora scarsa letteratura del suo strumento) e non debbano essere incentivate e coltivate. Nella fisarmonica abbiamo un mezzo sonoro sul quale, senza snaturarlo, possono fluire tutte le principali arterie della musica. Assurdo quindi volerlo chiudere a questo flusso rigeneratore di cui necessita nella sua naturale esigenza di sviluppo, alla quale anche l’apporto tecnico dei costruttori deve ancora un largo quanto atteso contributo.

Concludo fornendo un brevissimo elenco di trascrittori e relative notevoli trascrizioni per fisarmonica che hanno avuto una grande diffusione e, in qualche modo, hanno fatto “scuola”: A. Galla-Rini: Eine kleine Nachtmusik di W.A. Mozart, Un americano a Parigi di G. Gershwin, ecc. ecc. C. Magnante: Malagueña e Andalusia di Lecuona, ecc. L.O. Anzaghi: Concerto nello stile italiano, Toccata e fuga in re minore di J.S. Bach, ecc. F. Fugazza: Rapsodia in blu di G. Gershwin, Corale in strofe variate di G. Farina, ecc. W. Beltrami: Czardas di V. Monti, ecc. Y. Kasakov: canti popolari russi, ecc. G. Marcosignori: La fille aux cheveux de lin di C. Debussy, Pasqualino e Sinforosa di L.Liviabella ecc. M. Ellegaard: Sonate di D. Scarlatti, ecc. S. Di Gesualdo: Toccate di G. Frescobaldi, L’arte della fuga di J.S. Bach, ecc.

Prof. Alessandro Mugnoz

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