La Teoria Del Tutto
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Storia dell'universo e della fisica attraverso la penna di Leopardi, la filosofia di Godel, la musica di Bach e...
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Istituto “C. Lorenzini”, Pescia Anno scolastico 2014-2015 Matteo Rosellini
La teoria del tutto Sommario 1
Introduzione Una piccola sfida Dio gioca a dadi? La bellezza come fonte di ispirazione Caccia a ritroso I conflitti L’intuizione di Einstein Le stranezze quantistiche Alla ricerca della teoria del tutto La teoria delle stringhe Simmetrie della natura Le dimensioni nascoste Le difficoltà logiche L’autoreferenza Il teorema di Godel Godel, Escher, Bach Un atto di fede La trama della realtà
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Bibliografia
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La teoria del tutto 2
Introduzione Ad osservare il fenotipo del mondo si fa abbastanza presto: altra cosa è saperlo apprezzare. Ma il genotipo, lo scheletro dell’universo, è cosa ben più rara e raffinata. La fame di conoscenza è sempre stato l’ingrediente fondamentale della specie umana, si andava per tentativi: la filosofia ha fatto da apripista, poi è arrivata la scienza. Oggi camminano a braccetto, a volte si separano per un attimo, ma alla fine tornano a scorrere parallele, perché la ricetta del mondo è complicata e un protocollo per comprenderla non esiste. Lo diceva Galileo che “La natura è un libro aperto agli uomini: essa ci parla, e comunica attraverso un linguaggio che è quello matematico.” Ma gli scienziati sono sempre stati cattivi: prima Copernico toglie la Terra dal centro degli ingranaggi dell’universo, poi Darwin smentisce la creazione dell’uomo dalla costola di Abramo e lo rimanda alla meno nobile discendenza da un tipo di scimmia: e poi, cosa si inventeranno? La difficoltà, forse, è proprio questa: sconfiggere quei pregiudizi arrugginiti che l’abitudine alla Hume ci ha messo in mente. Prima di esser pronti a comprendere la mente di quel Demiurgo-senza-copie che ci ha plasmati bisogna imparare a pensare trascendendo dalla tranquilla ortogonalità delle ascisse con le ordinate: ad osare, a stupirsi, a credere in qualcosa. Così fece Darwin quando pubblico l’Origine delle specie, così fecero Faraday e Maxwell quando dettero una forma al campo elettromagnetico, così fece Einstein quando pubblicò la Relatività Generale: il genio osa, è questa la costante. Se è vero che Sir Newton scrisse le leggi del moto dopo che una bella mela gli era caduta sulla testa, non si può certo dire che Gabriele Veneziano abbia sfoderato la teoria delle superstringhe perché aveva sbattuto la capoccia in un mesone-ro: ma il principio di funzionamento è lo stesso, è la curiosità che accende la miccia alla scienza, e solo quando si è consapevoli della bellezza del mondo, allora, si inizia a chiedersi perché. Una piccola sfida “Allora, eccoci qui: una piccola sfida, qualcosa per separare gli uomini dai ragazzi, il grano dalla pula, i mesoni dai mesoni-p, i quark dai… quaqquaraqquà”. La rincorsa al sapere prosegue per cambi di rotta: quando sembra che tutto torni, quando sembra che il lavoro sia ormai bello che finito, ecco, è proprio allora che una teoria rivela le sue contraddizioni ed emerge la necessità di andare a scavare ancora più a fondo. Albert Einstein nel 1905 firmò da solista la relatività ristretta: era una scommessa, una legge che andava contro non solo alla meccanica nata con le sensate esperienze e le necessarie dimostrazioni di Galileo e canonizzata da Isaac Newton, ma anche contro al modo di pensare delle persone. Una legge che rivedeva il tempo. Lo spazio. La materia. Una decina di anni dopo adattò la gravitazione alle scoperte precedenti fondando la relatività generale. Lo stesso Einstein raccolse l’atto disperatissimo di Planck e osò rivedere e correggere daccapo la concezione fisica dell’energia: Faraday e Maxwell avevano descritto il campo elettromagnetico con quattro integrali, Lord Kelvin era pronto a scommettere che il lavoro dei fisici ormai fosse giunto al termine, si sarebbe trattato solo di migliorare le approssimazioni di misurazione di qualche cifra significativa. Ma Bohr, De Broglie, Heisemberg, Shrodinger raccolsero le orme di Einstein e diedero luce alla meccanica quantistica, una fisica del paradosso, volta ad occuparsi di dare un nome e un cognome a particelle piccolissime generate dagli urti di altre particelle accelerate. Non è un caso che i pilastri della fisica moderna siano proprio la relatività e la meccanica quantistica: due teorie tanto profonde, quanto diverse. La prima si occupa del mondo del macro, studia corpi immensi su scale ancora più grandi; 3
l’altra tratta del mondo del micro, dalle molecole agli atomi fino ai quarks e alle particelle subatomiche. L’una studia corpi grandi e pesanti, l’altra oggetti piccoli e leggeri: com’è logico, i campi di applicazione di queste due teorie non s’intersecano, ma se lo facessero? Prendiamo un buco nero, ad esempio: una massa enorme assume dimensioni minuscole. Oppure, pensiamo al big bang: sembra proprio che l’intero universo sia schizzato fuori da un misero granellino microscopico. Dio gioca a dadi? Il determinismo è un modo di leggere gli eventi tale da associare ad ogni causa un effetto e, al contrario, ad ogni effetto una causa: secondo questo punto di vista niente avviene per caso. E’ un ragionamento ontologico che fa come concetto-chiave la necessità, per cui un ente necessario è governato da un nesso di causalità lineare. “Un'intelligenza che in un certo istante conoscesse tutte le forze che mettono la natura in moto e tutte le posizioni di tutti gli oggetti la quale natura è conosciuta, se questo intelletto fosse anche abbastanza vasto per analizzare questi dati, raccoglierebbe in una singola formula i movimenti dai più grandi corpi dell'universo a quelli del più piccolo atomo; per una tale intelligenza niente sarebbe incerto e il futuro, come il passato, sarebbe il presente ai suoi occhi.” Lo scienziato più famoso dell’Età Napoleonica Pierre Simon de Laplace, ricordato per aver proseguito gli studi di Newton combinando analisi matematica e geometria a descrivere una “meccanica celeste”, per esempio, era convinto che un intelletto sufficientemente preparato avrebbe potuto, conosciute velocità e posizione di una particella in un dato istante e tenute a mente le leggi della natura, calcolare la posizione di ogni particella in un altro istante. Viceversa, l’indeterminismo è un modo di pensare che non riesce necessariamente a fare di una causa un effetto: è a questo punto che scende in campo non più la certezza matematica, ma la probabilità. Il concetto alla base di questo modo di pensare, al contrario della necessità, è la contingenza, ossia la concezione per cui due eventi siano collegati tra loro da una relazione di causalità non-lineare, ma senza porre il caos come requisito fondamentale dell’esistenza. “Nell’ambito della realtà le cui connessioni sono formulate dalla teoria quantistica, le leggi naturali non conducono quindi a una completa determinazione di ciò che accade nello spazio e nel tempo; l’accadere (all’interno delle frequenze determinate per mezzo delle connessioni) è piuttosto rimesso al gioco del caso” Nel 1927 Heisemberg firmò il principio di indeterminazione: h ∆ x ∆ p≥ 2 dove ∆ x è l’incertezza sulla posizione, ∆ p sulla quantità di moto, e h è la costante di Planck ridotta. Data la proporzionalità inversa tra posizione (quindi velocità) e quantità di moto, anche riducendo di moltissimo l’errore assoluto relativo all’una, aumenterebbe quello dell’altra: non è quindi possibile conoscere, in un dato istante, contemporaneamente, lo stato fisico preciso di un sistema. L’entanglement quantistico, infatti, non consente di “osservare” contemporaneamente posizione e quantità di moto, altrimenti una si “distrugge”. Nell’esperimento della doppia fenditura di Feynman, ad esempio, sparando un fascio di elettroni contro una doppia fenditura, si notava che se un osservatore assisteva al processo le particelle avevano comportamento corpuscolare; altrimenti, si comportavano come onde elettromagnetiche. Einstein: “Dio non gioca a dadi con l’universo” 4
Bohr: “Einstein, smettila di dire a Dio cosa deve fare!” Feynman-Hawking: “Dio non solo gioca a dadi, ma li lancia anche in posizioni assurde, in modo tale che non possiamo vedere quale numero sia uscito. Sembra proprio che la natura intrinseca del nostro universo abbia a che fare con l’indeterminismo rivoluzionario recente: insomma, non è possibile avere risultati certi e assoluti circa lo stato del mondo, bisogna basarsi solo ed esclusivamente su… ciò che è più probabile. La bellezza come fonte di ispirazione Sembra strano, ma molti scienziati credono fermamente che la bellezza sia una guida attendibilissima alla verità, e molti dei progressi della fisica teorica sono dovuti ad autori che richiedono ad una nuova legge: l’eleganza matematica. Una volta Einstein si vide chiedere, a proposito della sua neonata relatività, cosa avrebbe fatto se un esperimento avesse smentito tale teoria. Indifferente a questa prospettiva egli replicò: “Mi chiedete cosa farei se un esperimento smentisse questa mia formula? Tanto peggio per l’esperimento: ha ragione la teoria!” Il premio Nobel Paul Dirac assunse un atteggiamento analogo: come il famoso regista Sorrentino andava a caccia delle sue teorie inseguendo… la loro Grande Bellezza. E’ famosa la scenetta: Lei disse: “dimmi qualcosa di bello” Lui rispose: ( ∂+m ) φ=0 L’equazione qui sopra è quella alla base dell’entanglement quantistico: in pratica, se due sistemi interagiscono tra loro per un certo periodo di tempo, e poi vengono separati, non possiamo più distinguerli come due sistemi distinti, ma in qualche modo sottile diventano come un unico sistema. Quello che accade ad uno di loro continua ad influenzare l’altro, anche a distanza di chilometri o di anni luce. Ricorda qualcosa? Roger Penrose, fisico cosmologo britannico, allo stesso modo, è convinto che Francamente, credo che la mente creativa si faccia strada in un regno come quello platonico, e che lì vi scorga delle forme, come dire, belle. […] Di solito l’argomento rigoroso è l’ultimo passo! Prima si devono fare molte congetture, e per queste sono importantissimi i convincimenti estetici. Caccia a ritroso Compito della scienza è quello di rispondere ai perché del mondo. Stando a sentire il ragionamento induttivo tipico degli empiristi inglesi, però, viene da chiedersi: fino a quando sarà possibile chiedersi perché? Esiste un ente che non ha bisogno di spiegazioni? Sentiamo P. Davies: “Da bambino esasperavo i miei genitori chiedendo continuamente “perché?”. Perché non posso andare fuori a giocare? Perché potrebbe piovere. E perché potrebbe piovere? Perché il meteorologo ha detto così. E perché lo ha detto? Perché sono arrivo temporali dalla Francia e… E perché? Perché è così!” Il lavoro dello scienziato è quello di eliminare quel “perché è così”. Davies, dal canto suo, afferma anche che, alla fine, 5
“Concedo che non si può dimostrare che il mondo è razionale. E’ possibilissimo che al livello più profondo sia assurdo. Tuttavia il successo della scienza è una forte prova indiziaria a fronte della razionalità della natura.” Il cosmologo Stephen Hawking, invece, tiene presente che “In numerose occasioni abbiamo introdotto una nuova classe di osservazioni solo per poi scoprire nuovi fenomeni che non erano previsti dalla teoria di partenza” Sembrerebbe quindi che il progetto scientifico tenda all’infinito, come la metafora del filosofo Niccolò Cusano che immaginava la conoscenza ultima come una circonferenza, e i successi scientifici degli uomini come un poligono inscritto ad essa: aumentando il numero dei lati del poligono, ci si avvicina sempre di più alla circonferenza, ma non sarà mai possibile raggiungerla. E invece, sempre Hawking, rinormalizza questi infiniti: “Sembra però che la gravità escluda questa serie di “scatole cinesi”. Per energie prossime a quella di Planck, una particella avrebbe una massa così concentrata da separarsi dal resto dell’universo e collassare su se stessa, formando un buco nero. […] Pare quindi che, di questo passo, alla serie di teorie sempre più precise dovrebbe esserci un limite, una sorta di Teoria Ultima dell’Universo.” Il geniale fisico però sottolinea con brillante ironia il fatto che il cammino da compiere sia ancora parecchio lungo: “A conferma di quello che ho detto dovremmo costruire un acceleratore di particelle capace di raggiungere l’energia di Planck, pari a 1019 GeV: se si considera che il più potente acceleratore di cui disponiamo raggiunge scarsamente 1 solo GeV, coi tempi di crisi economica che corrono, è poco probabile che questo progetto sarà raggiunto a breve.” I conflitti Sono stati tre i grandi conflitti che hanno attanagliato la fisica nel corso della sua storia: 1. Secondo le leggi Newtoniane del moto è possibile raggiungere e superare la velocità della luce: per le leggi dell’elettromagnetismo di Faraday-Maxwell invece questo non è possibile. Einstein risolse questo enigma con la Relatività ristretta, spiegando che spazio e tempo non sono entità assolute ma costruzioni elastiche le cui forme dipendono esclusivamente dallo stato di moto del soggetto che le esperisce; 2. Proprio la Relatività ristretta, col fatto che la velocità della luce risulta essere insuperabile, collideva con la Gravitazione universale di Newton, secondo cui le forze di attrazione si trasmettono istantaneamente nello spazio. Ancora Einstein sciolse questo nodo con la teoria della Relatività generale, secondo cui spazio e tempo non sono solo influenzati dallo stato di moto dell’osservatore, ma si curvano, si piegano, in presenza di grandi masse ed energie. 3. L’ultimo conflitto, quello ancora irrisolto, è quello che potrebbe portare ad una ipotetica Teoria di Ogni Cosa: quello di conciliare il grande con il piccolo, la Relatività generale con la Meccanica quantistica. L’intuizione di Einstein 6
“La teoria della relatività ristretta, che non è altro che il prolungamento sistematico della elettrodinamica di Maxwell e di Lorentz, ha aperto nuove vie superando i suoi stessi limiti.” Einstein aveva in mente di dimostrare che i fenomeni elettromagnetici possono non essere influenzati dal moto uniforme attraverso l’etere, ammesso che un etere esista. Nel 1905 pubblicò due principi: 1. Il principio di relatività: le leggi che regolano tutti i fenomeni fisici sono le stesse per due osservatori animati di moto rettilineo uniforme l’uno rispetto all’altro. Allo stesso modo, non è possibile distinguere un osservatore in moto uniforme relativo da un altro osservatore in quiete. 2. Il principio di costanza della velocità della luce: la luce si propaga nel vuoto, e non nell’etere, con una velocità costante c, in tutte le direzioni, indipendentemente dalle condizioni di moto sia della sorgente, sia dell’osservatore. La simultaneità classica venne superata da quella relativa: due eventi si dicono simultanei se due segnali luminosi, partiti da A e da B, giungono contemporaneamente nel punto medio di AB. Ma questa simultaneità del sistema AB non si verifica più in un sistema diverso da AB, in moto rispetto al primo. Su una ferrovia AB transita un treno A’B’ con velocità v. Sia M’ il punto medio del treno A’B’ coincidente col punto medio M della ferrovia AB. Due segnali luminosi spediti da A a B arrivano contemporaneamente in M, ma non giungono simultaneamente in M’, dato che il segnale lanciato da B arriva prima in M’ rispetto a quello lanciato da A, se il treno si muove da A a B: la luce non può essere accelerata o frenata, dunque chi sta fuori dal treno ha ragione a dire che un raggio arriva prima di un altro. Un orologio ritarda all’aumentare della velocità: il tempo scorre più in fretta per un osservatore stazionario rispetto ad uno in moto, ma non si può dire che, ammettendo di poter passare la vita muovendosi alla velocità della luce, raggiungeremmo l’immortalità: l’esistenza nel tempo si allunga, è vero, ma la velocità di azione rimane la stessa, quindi, in sostanza, la quantità di vita non varia. Il moto può quindi essere ripartito non solo nelle tre dimensioni temporali, ma anche in quella del tempo: tutti gli oggetti sono sempre in moto nello spazio-tempo con velocità fissa, quella della luce. Ma questa velocità dev’essere divisa lungo le quattro dimensioni: un oggetto in quiete si muove nella dimensione del tempo, invecchiando alla velocità della luce. Un oggetto in moto uniforme si muove lungo una delle tre dimensioni con velocità v e quindi rallenta il suo moto nel tempo che ora si dilata assumendo una velocità (c−v) . Il postulato fondamentale della meccanica classica, la proporzionalità tra la forza e l’accelerazione, viene quindi mutato dalla meccanica di Einstein: quanto più un corpo si muove con velocità più alta, tanto più è difficile accrescerla: la massa non è più costante intrinseca del corpo, ma diviene variabile e crescente con la velocità. L’energia sotto qualsiasi forma si comporta quindi come la materia: non c’è differenza essenziale tra massa ed energia, l’energia possiede massa e la massa rappresenta energia. La fisica classica aveva introdotto due sostanze, massa ed energia, e aveva enunciato due leggi di conservazione: Einstein le fonde insieme, riducendo tutto ad una sola sostanza: lim mv 2=E v→ c
Nella teoria Newtoniana la forza gravitazionale esercitata da un corpo su un altro dipende solamente dalle masse e dalla distanza, e non ha nulla a che fare col tempo: significa che la forza gravitazionale si propaga all’istante, ma senza rivelare niente sulla natura di questa forza metafisica. Einstein ebbe l’intuizione di “ricreare” la gravità usando un particolare tipo di moto uniformemente accelerato, grazie al principio di equivalenza. Einstein pensò che cariche elettriche e forze 7
magnetiche hanno bisogno di un campo per propagarsi: ossessionato dall’idea di campo, ecco l’intuizione: anche la gravità ha bisogno di un campo per propagarsi da un corpo all’altro, il campo gravitazionale, che non è dato da nessun ente mistico, ma dal puro spazio. La gravità si propaga nello spazio. E lo spazio, lo spaziotempo, è capace di incurvarsi: così come un oggetto si contrae nella direzione del moto, le relazioni della geometria piana non sono valide per un osservatore in moto accelerato, e la gravità è la curvatura dello spaziotempo. In assenza di materia ed energia per Einstein lo spazio è piatto, ma in presenza di un oggetto massiccio la struttura dello spazio circostante viene deformata, e costituisce un incurvamento del foglio di spaziotempo tale da produrre un effetto sugli altri oggetti che si trovano nelle vicinanze di questo corpo, dato che si trovano a dover percorrere uno spazio modificato, come una palla appoggiata su una rete sottile la deforma, e cambia il moto di una pallina più piccola che deve attraversare tale regione di spazio. La gravità è trasmessa dallo spazio, ma non simultaneamente: si propaga come le increspature sulla superficie di un lago, a quale velocità? Ma è ovvio: alla velocità della luce. Le stranezze quantistiche Penso si possa tranquillamente affermare che non c’è nessuno che capisca la meccanica quantistica. [R. Feynman] Nel 1968 i fisici che lavoravano all’acceleratore di particelle di Stanford scoprirono che protoni e neutroni non sono le particelle fondamentali e quindi indivisibili: ognuno di loro è formato da tre particelle, i quarks, il cui nome viene ripreso da una filastrocca di James Joyce nel romanzo Finnegans Wake, che Murray Gell-Mann e George Zweig stavano leggendo ai tempi dell’università: Three quarks for Muster Mark! Sure he has not got much of a bark And sure any he has it's all beside the mark. I quark si presentano fondamentalmente sotto forma di due varietà: up e down, ma ne esistono anche di charm, strange, top, bottom. Un protone, per esempio, è formato da due quark-up e un quark-down, un neutrone da due down e un up. A metà degli anni 50 Reins e Cowan dimostrarono la presenza del neutrino, già previsto in linea teorica da Pauli. Non ci sono prove di altri costituenti fondamentali come i quarks e gli elettroni, ma ce ne sono molte sulla presenza di altri “ingredienti sub-atomici”. Le forze fondamentali in natura sono quattro: 1. La Forza Gravitazionale, che ci tiene in orbita intorno al Sole e ci lascia con i piedi piantati per terra; tra tutte queste quattro, la forza più famosa del mondo è più di 100.000 volte più debole della forza forte. 2. La Forza Elettromagnetica, che fa funzionare lampade, computer, televisori, spiega i fulmini; 3. La Forza Debole, che è responsabile del decadimento radioattivo di sostanze come l’uranio o il cobalto; 4. La Forza Forte, che tiene in collati i quarks tra di loro all’interno dei protoni e degli elettroni dentro al nucleo, a formare gli adroni; Si può riassumere un concetto sicuramente complicatissimo dicendo che, a livello microscopico, ad ogni forza fondamentale sono associale particelle speciali e specifiche, presenti in quantità discrete e quantizzate, ossia, come costituenti della minima quantità possibile di tale forza, e responsabili del suo propagarsi nel mezzo. Il Modello Standard delle particelle elementari, 8
elaborato negli anni ’70 con i suoi esperimenti a conferma ha fruttato il premio Nobel al nostro Carlo Rubbia e continua a dare soddisfazioni, con la scoperta, di questi tempi, del famoso Bosone di Higgs, ma sembra incompleto di qualcosa: parla di certe particelle, che si trovano in una certa regione di un certo campo con una certa energia. E’ ancora lontano dall’eleganza matematica in cui speravano Einstein e Dirac. Proprio Dirac, a propostito di questo Modello Standard, affermò: “E insomma, non abbiamo ancora risolto questo grosso problema” Comunque, si può dire che il veicolo della Forza Forte, quella che tiene uniti i quark, è rappresentato dai gluoni, dall’inglese glue, colla. Allo stesso modo, alcuni tipi di bosoni, tra cui quelli W e Z, trasportano la Forza Debole. La massa come qualità fisica invece, si è scoperto esser trasportata dal celebre bosone di Higgs. I fotoni sono i carrier della Forza Elettromagnetica e i gravitoni della Forza Gravitazionale. A loro volta, la Forza Forte è studiata dalla cromodinamica quantistica, quella Debole e quella Elettromagnetica dalla teoria elettrodebole e quella Gravitazionale dalla gravità quantistica. La teoria unificante dovrebbe occuparsi di conciliare le Forze Forti con quelle Deboli: e questo è già stato fatto, il Modello è in accordo con la Relatività ristretta di Einstein. A questo punto, però, manca di tener presente la Gravità intesa come Relatività allargata.
I principi fondanti della meccanica quantistica sono: 1. Sia la luce che le particelle che costituiscono gli atomi e cioè gli elementi fondamentali che compongono la materia (quindi noi stessi e la realtà a noi manifesta) sono costituite da minuscoli concentrati di energia detti quanti, che hanno una duplice natura, intuita dal premio Nobel L. De Broglie: ondulatoria e corpuscolare. Le proprietà delle vibrazioni dell’onda quantistica sono invece descritte dall’equazione di E. Shrodinger, anch’egli premio Nobel:
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2. Il principio di indeterminazione di Heisemberg, secondo cui non è possibile conoscere simultaneamente la velocità e la posizione di una particella quantistica, poiché quanto maggiore è l'accuratezza nel determinarne la posizione tanto minore è la precisione con la quale si può accertarne la velocità e viceversa.
3. L’Entanglement quantistico: se due particelle si fanno interagire per un certo periodo e quindi vengono separate, quando si sollecita una delle due in modo da modificarne lo stato, istantaneamente si manifesta sulla seconda una analoga sollecitazione a qualunque distanza si trovi rispetto alla prima.Tale fenomeno è detto "Fenomeno dell'Entanglement". Questo teorema, descritto da Dirac, viola il principio di località secondo cui ciò che avviene in un luogo non può influenzare un evento che accade altrove, difeso a spada tratta da Einstein col paradosso Einstein-Podolski-Rosenberg, ma confermato nel 1998 con la riuscita di un esperimento di teletrasporto in California. Insomma, la Relatività Generale è deterministica, precisa e ordinata e si occupa di grandi corpi su grandissime scale; la Meccanica Quantistica, invece, è indeterministica, intrinsecamente probabilistica e quindi approssimativa e si occupa di piccole particelle su piccolissime scale. Alla ricerca della teoria del tutto Nonostante la storia della fisica dimostrasse che di traguardi raggiunti non si debba mai parlare, nel 1928 Max Born tornò alla carica: “La fisica come la conosciamo oggi entro sei mesi potrà considerarsi una scienza compiuta” Pensava che la legge dell’elettrone di Dirac potesse essere estesa anche al protone. Ma, ovviamente, non era così. Ma Hawking è ottimista: “Oggi abbiamo diverse teorie parziali: quelle sulla forza debole, sulla forza forte e sulla forza elettromagnetica si possono combinare tra loro nella teoria unificata, ma mancando dell’apporto della teoria della Relatività Generale non si possono dichiarare complete. Questo perché la Relatività Generale è ancora una teoria classica, ossia non tiene conto del principio di indeterminazione. Combiniamo Relatività e indeterminazione, e saremo a buon punto.” Tra le teorie parziali candidate a diventare una Teoria di Ogni Cosa ci sono 1. La supergravità, che era la stessa gravità ma con qualche particella in più, in modo tale da far valere il principio di indeterminazione: questo perché tale principio implica che anche lo spazio vuoto dovrebbe esser pieno di particelle e rispettive anti-particelle (con spin pari a sun mezzo) dotate di energia infinita e quindi con una forza attrattiva in grado di curvare l’universo tanto da renderlo proprio di dimensioni piccolissime. Aggiungendo particelle con spin diverso quella “combinazione di infiniti” viene normalizzata, nel senso che ∞−∞ nella sua forma indeterminata sarà uguale ad un valore k riscontrabile solo sperimentalmente. Nella Relatività di Einstein, invece, di variabile c’era solo la costante cosmologica. Insomma, in presenza di quantità infinite, si tratta solo di sottrarre infinito 10
dall’infinito e di far combaciare l’esperimento con l’ipotesi: funziona bene, benissimo in pratica, ma in teoria, si capisce altrettanto bene, manca di qualcosa 2. La Teoria delle stringhe, anch’essa capace di eliminare gli infiniti, ma con un procedimento differente e alquanto singolare. Vediamolo meglio. La teoria delle stringhe La teoria delle stringhe ha una storia curiosa, fu scoperta verso la fine degli anni ’60 per descrivere la Forza Forte. L’idea di fondo era di considerare protone e neutrone come onde che si muovono lungo un filo chiuso, una stringa. Gabriele Veneziano adoperò una formula partorita 200 anni prima dal matematico Eulero per i suoi studi, che portarono risultati migliori del previsto, ammettendo l’esistenza del gravitone. In pratica, si tratta di considerare la materia come costituita alle origini non più da particelle fondamentali e indivisibili puntiformi, ma particelle estese in due dimensioni, chiuse a formare una stringa. Tale stringa, a seconda della frequenza e dell’intensità di vibrazione, proprio come la corda di un violino, fornisce la particella di una massa e di un’energia. E’ una teoria estremamente semplice rispetto alle altre: per capirlo serviamoci di un diagramma usato per monitorare le fluttuazioni quantistiche in un sistema, detto diagramma di Feynman:
A
Figura 1
Il diagramma a sinistra in figura 1 mostra le interazioni quantistiche nel Modello Standard, rappresentando le linee entranti dal passato e uscenti dal futuro del sistema. Il punto critico è senza dubbio il punto A, dove si incrociano tali linee unidimensionali: ma interpretando questa situazione in due dimensioni, e cioè rappresentando la stessa figura come un “tubo”, si capisce bene che non esiste uno e un unico punto in cui sono concentrate le interazioni e le fluttuazioni quantistiche, semplificando non di poco il lavoro dei fisici teorici. Inoltre questa struttura più “tozza” implica che questi nuovi costituenti fondamentali dell’universo non possano sondare ciò che avviene per dimensioni minori della lunghezza di Planck, evitando le fluttuazioni più violente e imprevedibili. Per far tornare questa teoria però c’era bisogno di ancora un paio di aggiustamenti: 1. La supersimmetria; 2. Le dimensioni nascoste; Simmetria della natura Sembra proprio che la natura sia simmetrica. Le meraviglie dell’architettura classica si rifanno al concetto del rettangolo aureo, seguono schemi e proporzioni sempre precisi e multipli. La fauna e la flora si distinguono per le trame complesse ma modulari dei disegni riprodotti sul pelo dell’animale o sui petali di un fiore. Alcuni autori hanno fatto della simmetria il proprio stilema, prendiamo la concinnitas di Cicerone, ad esempio: “Ero amicis iucundus, inimicis mitis et facilis 11
O, ancora, la figura retorica del chiasmo è frequentissima: prendiamo il verso da Il Passero Solitario di Leopardi: “odi greggi belar, muggire armenti” Alla base della vita sulla terra, inoltre, c’è la chiralità delle molecole base: l’enantiomeria o isomeria ottica comporta un tipo di roto-simmetria tra molecole speculari e non sovrapponibili. La supersimmetria vuole associare ad ogni fermione un bosone di uguale massa ma di diverso spin e ad ogni bosone un fermione, come sopra, di uguale massa ma diverso spin. Ma siamo sicuri che la natura sia simmetrica? Siamo abituati a immaginare il mondo come una grande equazione in cui a=a è un identità, e i termini a sinistra sono simmetrici rispetto ai termini a destra. Abbiamo fede nel terzo principio di Newton, che fa corrispondere ad una forza orientata in un modo e dotata di una certa intensità un’altra forza di stessi modulo e direzione ma di verso opposto. La vita è fatta di caldi e freddi, di bianchi e neri, di gravi e acuti, di destra e sinistra, di materia e antimateria. Eppure il secondo principio della Termodinamica, “È impossibile realizzare una trasformazione il cui unico risultato sia quello di trasferire calore da un corpo più freddo a uno più caldo senza l'apporto di lavoro esterno” aveva anticipato, con l’irreversibilità dei processi termodinamici, il fatto che la natura avesse un senso. Una direzione, e non l’altra. Pensiamoci bene: unendo due opposti, nella coincidentia oppositorum, essi dovrebbero annullarsi a vicenda. Quando dal Big Bang sono nate materia e antimateria, avrebbero dovuto nullificarsi all’istante, ma così non è stato. Una lieve asimmetria ha fatto nascere l’universo. Una lieve preferenza per le trasformazioni che avvengono verso destra è stata responsabile della creazione della vita. La natura non confonde la destra con la sinistra: la natura è sinistrorsa. Le dimensioni nascoste L’esistenza delle dimensioni nascoste è fondamentale per il successo della teoria delle superstringhe, ossia le stringhe dotate di supersimmetria. Ne occorrerebbero 10 (anche se secondo il fisico teorico E. Witten ce ne sarebbe una in più), oppure 26 per dare un senso a ciò che ci circonda. Dove starebbero queste 7 o 22 dimensioni nascoste? Semplice, sarebbero arrotolate su se stesse, su scale infinitesimali. Non potremmo mai vederle. Come un oggetto a due dimensioni visto da lontano sembra averne solo una, così noi uomini possiamo vederne solo 3, più quella del tempo che è solo immaginabile. Secondo Hawking “Una possibile risposta potrebbe essere il principio antropico: la vita sulla Terra non è adatta per esseri bidimensionali, che dovrebbero scavalcarsi tra di loro quando si muovono nella stessa dimensione ma in senso opposto. Ci sarebbero problemi anche se le dimensioni “spianate” fossero più di tre: l’attrazione gravitazionale diminuirebbe con la distanza molto più di quanto non faccia ora. Insomma, le tre dimensioni sono la spiegazione del fatto che l’elettrone rimane in orbita attorno al nucleo, senza schizzare via e senza collassarvi addosso.” Le difficoltà logiche La ricerca di una Teoria di Ogni Cosa è stata resa più ardua da due difficoltà logiche: 1. L’autoreferenza della stessa: un assioma matematico viene dato come indimostrabile, e da esso ne si deducano i teoremi. Ma non è detto che in un sistema diverso dal nostro valgano gli stessi assiomi, né che non dipendano da qualcosa di esterno. 12
2. Il Teorema di Godel; L’autoreferenza Si parla di autoreferenza quando una proposizione si riferisce, direttamente o indirettamente, a se stessa. In pittura questo fenomeno è noto come effetto Droste, da una famosa pubblicità di caramelle che raffigurava nella confezione una ragazza che teneva in mano la stesso identico prodotto. Prendiamo la pipa di Magritte, che riporta scritto: “Ceci n’est pas un pipe” Oppure si consideri il romanzo di Italo Calvino Se una notte d’inverno un viaggiatore: “Dunque, hai visto sul giornale che è appena uscito Se una notte d’inverno un viaggiatore, nuovo libro di Italo Calvino, che non ne pubblicava da anni. Sei passato e l’hai comprato. Hai fatto bene.” O ancora, l’opera Sei personaggi in cerca di autore di Luigi Pirandello: Di giorno, su un palcoscenico di teatro di posa. IL DIRETTORE DI SCENA: Oh! Che fai? IL MACCHINISTA: Che faccio? Inchiodo. IL DIRETTORE DI SCENA: A quest'ora? Guarderà l'orologio Sono già le dieci e mezzo. A momenti sarà qui il Direttore per la prova. IL MACCHINISTA: Ma dico, dovrò avere anch'io il mio tempo per lavorare! IL DIRETTORE DI SCENA: L'avrai, ma non ora. IL MACCHINISTA: E quando? IL DIRETTORE DI SCENA: Quando non sarà più l'ora della prova. Su, su, pòrtati via tutto, e lasciami disporre la scena per il secondo atto del Giuoco delle parti.
Il teorema di Godel Il teorema di Godel riprende il famoso paradosso del mentitore: “Io mento” per cui se dico il vero allora la dicitura è falsa e se dico il falso allora la frase è vera. Il teorema dell’incompletezza di Godel afferma quindi che, data una teoria matematica ben strutturata, non banale e che ha una descrizione in un numero finito di passaggi, essa è o incompleta, oppure non esiste. Una teoria del tutto sarebbe una teoria matematica coerente, ma dovrebbe essere o incompleta, e allora non sarebbe più una teoria del tutto, oppure dovrebbe non esistere. Hawking abbassò la testa: “Alcune persone si arrabbierebbero molto se non dovesse esistere una teoria definitiva, che possa essere formulata come un numero finito di principi. Io appartenevo a quel gruppo di persone, ma ho cambiato idea.” 13
Non tutti i fisici però sono pronti a rinuciare. Rimane da dire, però, che il teorema di Godel va a fare il paio col secondo principio della termodinamica: ora aggiunge all’insensatezza della vita, che tende irrimediabilmente all’entropia del caos, un altro ingrediente: l’incompletezza. Godel, Escher, Bach Un grande logico, un grande pittore, un grande musicista. Che cosa lega questi nomi, a parte la gloria? Uno strano anello, un fenomeno che consiste nel ritrovarsi inaspettatamente, salendo o scendendo lungo i gradini di un qualche sistema gerarchico, al punto di partenza. Salire una scala e ritrovarsi ai piedi di essa. Escher l’ha disegnato, Godel l’ha pensato, Bach l’ha suonato. Il canone cancrizzante di Bach (figura 2), conosciuto anche come Canone 1 a 2 all’interno delle Variazioni Goldberg nasce come una singola frase musicale, che però deve essere accompagnata da una seconda voce ottenuta rileggendo la prima, ma di moto contrario, e sovrapponendole. Le due frasi, quindi, iniziano entrambe dagli estremi opposti, per poi abbracciarsi e separarsi di nuovo, esplorandosi a vicenda nel corso della musica.
Figura 2
La cascata di Escher in figura 3 stravolge la consapevolezza prospettica e disegna un mulino ad acqua che dopo aver messo in funzione la macina, attraverso una strada che si snoda a zig zag ottenuta unendo due triangoli di Penrose, ricomincia il proprio ciclo formando quindi un sistema chiuso che garantirebbe un rendimento pari a 1 e, violando la conservazione dell’energia, darebbe luogo ad un impensabile moto perpetuo.
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Figura 3
E’ facile accorgersi che le cose che un sistema ha da dire su se stesso sono proprio quelle intrinseche, essenziali, quelle da cui le altre dipendono. Condannate ad una perenne vertigine, come quella che danno due specchi che si riflettono. Il teorema di Godel implica anche questo: che quella vertigine non potrà mai essere superata. Un atto di fede All’inizio dell’universo, quindi, non c’è niente che possa spiegare il tutto. Le contraddizioni logiche glielo impediscono. Non si può spigare il futuro partendo dal passato. Forse non troveremo mai un senso vero e reale alla nostra esistenza. La natura forse è proprio così, un universo narcisistico, più malizioso che sottile, nato irrazionale, ma con una puntina di razionalità. Narcisistico affinché gli uomini desiderino conoscere quanto è straordinario. E lo è, non ci sono dubbi. Si cerca di conciliare il grande con il piccolo: la verità è che agli estremi la fisica, la biologia, la filosofia, la matematica, diventano… assurdi. Un atto di fede. L’esistenza è un atto di fede, cieco e insensato, come quello di Kirkegaard. Bisogna scegliere qualcosa in cui credere.
La trama della realtà 15
Possiamo però dedurre una cosa dalle scoperte raggiunte in questi duemila anni di alloggio sul Pianeta Terra: che la trama della realtà consiste in un insieme di rapporti. Niente nell’universo, è fine a se stesso. Abbiamo ridimensionato la concezione del tempo, dello spazio, della materia. Sembra che non ci sia più niente di assoluto. Ci stiamo imbattendo nella ricerca di una legge che nello spiegare tutto dovrebbe automaticamente spiegare anche se stessa. Ma nella rincorsa alle scoperte fisiche, l’abitante del mondo tecnologico è diventato un nuovo soggetto: l’osservatore. L’osservatore è in grado di influenzare la realtà: è il moto dell’osservatore che modifica le caratteristiche del tempo e dello spazio, è la presenza dell’osservatore che rivela o nasconde questa o quella natura intrinseca della materia. La vita è nata per la comunità. Il senso della vita è la coscienza di essere esseri dotati di ragione, chiamati a rapportarci, relazionarci, comunicare e collaborare, racchiusi in una scatola di materia che alle origini sembra essere assurda: ci si può credere, o ci si può non credere. Per citare il Leopardi de La Ginestra: “tutti fra sé confederati estima gli uomini, e tutti abbraccia con vero amor, porgendo valida e pronta ed aspettando aita negli alterni perigli e nelle angosce della guerra comune. Ed alle offese dell’uomo armar la destra, e laccio porre al vicino ed inciampo, stolto crede cosí, qual fora in campo cinto d’oste contraria, in sul piú vivo incalzar degli assalti, gl’inimici obbliando, acerbe gare imprender con gli amici, e sparger fuga e fulminar col brando infra i propri guerrieri.”
Bibliografia Stephen Hawking, La teoria del tutto, BUR, 2015 Paul Davies, La mente di Dio, Mondadori, 1995 Carlo Rovelli, 7 brevi lezioni di fisica, Piccola Biblioteca Adelphi, 2014 16
Brian Greene, L’universo elegante, Einaudi, 1999 Douglas Hofstadter, Godel, Escher, Bach, Adelphi, 1979 Edward Witten, La teoria delle Stringhe. La teoria del tutto. DVD, 2013 Salvatore Califano, Simmetrie e asimmetrie nel mondo fisico, PDF ONLINE www.quantistica.altervista.org Quantisticca: gli strani fondamenti del nostro mondo
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