TECNICA DEL CANTO LIRICO: I FONDAMENTALI di Lucio Lamarque Scopo di questo breve scritto è di evitare ai giovani che int...
TECNICA DEL CANTO LIRICO: I FONDAMENTALI di Lucio Lamarque Scopo di questo breve scritto è di evitare ai giovani che intraprendono lo studio del canto di commettere gravi errori di impostazione. Il mio obiettivo è dunque circoscritto. Va da sé che per imparare a cantare non bastano questi appunti e nemmeno i molti, anche ponderosi, trattati: ci vogliono anni e anni di pratica, spirito di osservazione, spirito autocritico e un buon maestro (non facile a trovarsi).
Chi sono.
Ho studiato canto da giovane per sei anni, dai 20 ai 25, con il maestro Arturo Merlini di Milano. I più anziani ricorderanno questo nome illustre. Interruppi gli studi alle soglie del debutto. Ero già sposato, con un buon lavoro in editoria che mi appassionava e che è stato poi il lavoro della mia vita. Non mi sentii di mettere in gioco quanto già avevo acquisito per tentare di inserirmi nell’ambiente teatrale, che avevo cominciato a conoscere e che non mi piaceva. Temevo inoltre che la mia emotività, allora eccessiva, mi avrebbe creato tensioni quasi insostenibili. Diciamo che amavo immensamente il canto ma che non ero nato per fare il tenore. Per la mia rinuncia, nessun rimpianto. Smisi totalmente di cantare nel 1966 e mi dedicai anima e corpo al mio lavoro. Come operatore editoriale ho però continuato per circostanze fortunate a occuparmi di musica e di canto. Fra i miei collaboratori ho avuto il maggiore esperto e storico della vocalità in Italia e, forse, nel mondo: Rodolfo Celletti. A lui, come al maestro Merlini, va la mia perenne gratitudine. Con Celletti ho avuto molte conversazioni sul canto e sui cantanti, prendendo spunto dai testi che egli mi inviava e che venivano pubblicati nelle opere di cui mi occupavo. Dopo aver felicemente percorso una lunga carriera in editoria, già anziano ho ripreso a cantare per conto mio. C’è voluto un lungo tempo per recuperare parte dell’antica abilità, ma è stato un tempo ben speso. Credo di aver interiorizzato oggi la tecnica del canto molto di più di quando cantavo con voce tanto migliore dell’attuale. Ma passiamo ai consigli.
1
La produzione della voce, ovvero la “fonazione” .
Fondamentalmente, la voce si produce come il suono in uno strumento ad ancia. In quest’ultimo c’è il fiato spinto con una certa forza contro un elemento vibrante (l’ancia), c’è un ambiente di risonanza (il tubo dello strumento) che traduce in suono la debole vibrazione. Nella voce il flusso dell’aria è dato dai polmoni; l’elemento vibrante è costituito dalle corde vocali; mentre gli ambienti di risonanza sono due: il torace (“risonanza di petto”) e la cavità orale (“risonanza di testa”). Dal concorso co ncorso di questi elementi nasce la voce nel parlato e, ovviamente, anche la fonazione del canto lirico, nella quale, però, il coordinamento dei tre fattori è molto più fine, molto più difficile da raggiungere e controllare, molto più impegnativo sul piano mentale e fisico. La respirazione.
“Chi ben respira bene canta” dicevano gli antichi maestri. E il grande tenore Carlo Bergonzi (a cui pure va la mia gratitudine) afferma: “Io non canto, respiro”. Che cosa significano queste parole se non che la respirazione corretta è la base del canto, particolarmente di quello lirico che non ammette approssimazioni ed errori? Vediamo allora come si respira. Faccio mie le indicazioni dei grandi trattatisti della prima metà dell’Ottocento ben descritte des critte da Rodolfo Celletti nel suo prezioso volume Il canto. Storia e tecnica, stile e interpretazione dal “recitar cantando” a oggi
(A.Vallardi, 1989), indicazioni dalle quali tuttavia Celletti, motivando, si discosta di poco (op. cit. pag.27). Dunque, la respirazione che mi sento di raccomandare è questa: - si ritraggono i muscoli dello stomaco e dell’addome e allo stesso tempo si inspira profondamente (meglio con il naso), ma senza forzare. Il torace si solleverà visibilmente. Se l’inspirazione sarà sufficientemente profonda si sentirà “aprire” la gabbia toracica e si percepirà il movimento di estensione dei muscoli della schiena. Dopo un congruo periodo di addestramento, il movimento verrà spontaneo quando si canta. Esercizio per la respirazione. Per assimilare al meglio la corretta tecnica di respirazione giova moltissimo un esercizio da fare in casa quotidianamente. È un esercizio “muto”. Si inspiri profondamente nel modo indicato; si trattenga il fiato per un paio di secondi badando a non irrigidire ir rigidire i muscoli m uscoli del collo, coll o, poi si espiri espi ri lentissimamente len tissimamente con un filo di fiato fino al completo svuotamento dei polmoni. Per svuotate i polmoni si devono impiegare mediamente dai 40 ai 60 secondi o anche più. Qualche antico maestro metteva davanti alla bocca dell’allievo una candela per verificare alla sua fiamma che il fiato uscisse debolissimamente e con regolarità, senza strappi o interruzioni. 2
Questo esercizio va ripetuto una decina di volte tutti i giorni, magari diviso in due parti se lo si trova, specie all’inizio, faticoso. fat icoso. Serve ad acquisire un perfetto controllo del fiato e ad economizzarlo quando si canta. L’ “attacco” del suono. “Attacco” significa avvio, inizio dell’emissione del suono.
Ma dove si va a “cercare” il suono? Forse in gola, magari vicino a dove si sa che sono poste le l e corde vocali? Neanche per idea, verrebbe fuori un suono ingolato, ingol ato, faticoso fati coso e privo di smalto. Le corde vocali conoscono perfettamente perfetta mente il loro mestiere mestier e ed è inutile disturbarle. Dopo aver preso il fiato come detto prima e mantenendo costante la retrazione dei muscoli addominali che tiene sollevato il petto, il suono si emette “prendendolo” (si dice pure “appoggiandolo” o “proiettandolo”) “in maschera”, ovvero nella volta del palato in un punto che cercheremo di individuare nel paragrafo seguente. seguent e. Nel corso degli esercizi (allorché non si hanno esigenze di interpretazione) l’attacco deve essere il più possibile morbido, mai troppo forte. Il canto “in maschera”. Quando si dice che nel canto lirico si canta “in maschera” si
intende che il suono va attaccato, indirizzato, tenuto e articolato nella cavità interna del palato corrispondente all’esterno al luogo dove un tempo si portava la mascherina in occasione di feste in costume. Per maggiore chiarezza: avete presente la mascherina di Zorro? Ci si riferisce a quella. Ma la zona della maschera è piuttosto ampia e si vorrebbe identificare con più precisione dove prendere, indirizzare e tenere costantemente il suono. Ma qui è l’intoppo, perché i vari trattati e le testimonianze di chi canta (bene) divergono, seppure di poco. Non bisogna però drammatizzare. È mia opinione che fattori personali (anatomici e fisiologici) e di gusto possano permettere una scelta, sempre però entro margini stretti. s tretti. Non c’è che provare a cercare il proprio “punto” “ punto” nella volta palatina, guidati dal migliore risultato che si riesce ad ottenere mirando sempre a un’emissione facile, morbida, per niente faticosa. Il canto in maschera è la condizione essenziale per emettere gli acuti. Inoltre, insieme con la corretta respirazione, sposta la fatica del canto dalla gola ai muscoli toracicoaddominali, tanto più robusti delle delicate corde vocali. Prova ne sia che dopo aver cantato correttamente un po’ a lungo la voce rimane limpida e fresca mentre i suddetti muscoli dolgono un po’ per la fatica sostenuta. Uno dei più perfetti cantanti della storia sotto il profilo tecnico, Giacomo Lauri Volpi, scrive di aver cercato per 28 anni (mentre mieteva trionfi) l’esatto punto dove “appoggiare” la voce e di averlo trovato infine nella cavità orale dietro gli incisivi. E aggiunge: “In tal modo ingolfamento e intasamento del suono vengono evitati, e lo 3
sforzo bandito. Similmente la respirazione non soffre fatica e l’intonazione alcuna offesa” ( A A viso aperto, “Corbaccio”, dall’Oglio editore, 1953, pagina 333). È una testimonianza preziosa, che potrebbe dire la parola definitiva (e forse la dice); ma con tutto il rispetto e la profonda ammirazione che ho per Lauri Volpi, non posso non costatare che altri bravissimi cantanti sembrano appoggiare il suono in un punto diverso, un po’ più in alto degli incisivi. Ripeto, però, che si tratta di spostamenti minimi, che non smentiscono la generale prescrizione di fondo di cantare “in maschera”. Attenzione. Il canto in maschera va tenuto in tutta la gamma dei suoni, dai gravi agli acuti, perché fonde e omogeneizza i due ambienti di risonanza che formano un suono “lirico”: l’ambiente di petto, ovvero del torace, e quello di testa, ovvero della cavità orale. Nei suoni gravi prevalgono (senza strafare) le risonanze di petto, nei suoni acuti quelle di testa. Un bilanciamento dei due ambienti di risonanza assicura facilità di emissione e omogeneità di timbro all’intera serie dei suoni. Il “passaggio di registro” e gli acuti .
Per cantare le prime parti delle più impegnative opere liriche bisogna padroneggiare con sicurezza un’estensione di circa due ottave. Se le note gravi e medie, in tutte le voci dal sopranino al basso profondo, sono (magari orribilmente emesse) alla portata di quasi tutte le voci ineducate purché sane, il problema spinoso si ha con le note acute, la cui emissione richiede molto studio e molta tecnica. Il canto in maschera, come già detto, è condizione essenziale per “passare” dal registro medio al registro acuto (“passaggio di registro”, posto, per esempio, nella voce di tenore fra il fa e il fa diesis). Tuttavia per tenere in maschera le note acute c’è bisogno di un correttivo. correttivo . Infatti a mano a mano che la voce sale, anche la laringe lari nge sale, finché dalla nota di passaggio in su diventa sempre più difficile emettere suoni accettabili, e la voce finisce quasi sempre per spezzarsi. Ciò si evita abbassando leggermente la laringe nella nota di passaggio con un movimento indotto da particolari muscoli laringei (muscoli crico-tiroidei) che, ahimè, la maggior parte dei cantanti riesce a percepire e a comandare solo dopo un addestramento non breve. Eseguito il passaggio, la laringe riprende a salire fino agli acuti estremi. Per gli aspetti anatomici e fisiologici di tutta la complessa questione è doveroso rimandare a due importanti volumi di foniatria: La voce del cantante, di Franco Fussi, Omega Edizioni, 2000; e Anatomia della voce , di Daniela Battaglia Damiani, Ricordi 2003. Togliamoci però l’idea che un testo di foniatria possa insegnarci a cambiare registro: tutt’al più ci può vagamente orientare, ed è già qualcosa. Volete sapere come me la sono cavata io, riprendendo a cantare dopo quarant’anni di silenzio, allorché le antiche sensazioni – il canto si basa sulle sensazioni – erano 4
svanite? Lette e rilette con poco vantaggio le indicazioni dei trattati di foniatria, ho proseguito a tentoni, provando e riprovando, finché, aiutato dalla fortuna, mi è riuscito di fare in un giorno benedetto quel misterioso movimento procurato dai misteriosi muscoli crico-tiroidei; eseguito per la prima volta il movimento, mi è stato più facile rifarlo una seconda volta a distanza di tempo, e poi altre volte ancora, finché il movimento è divenuto consapevole e volontario. Solo allora ho capito davvero le indicazioni foniatriche. Vi auguro di essere più perspicaci di me. La pronuncia delle vocali e l’ “arrotondamento del suono” .
Le cose che dirò in questo paragrafo le potete trovare, esposte in modo più esteso, in quasi tutti i trattati di canto. Chiuderò però la mia breve esposizione con una impertinente osservazione frutto della mia esperienza. Valuterete voi con la pratica personale. Abbiamo detto più volte che nel canto lirico è fondamentale cantare in maschera. Per poter tenere sempre il suono appoggiato alla maschera è però necessario modificare la pronuncia delle vocali in un modo particolare, che vien detto anche “arrotondamento del suono delle vocali”. Anche questa espressione è gergale ma cerchiamo di spiegarla con l’esempio della a, che va pronunciata fin dalle note gravi un po’ vicina alla o. Nelle note gravi l’arrotondamento è minimo (si potrebbe dire che la o va quasi solo “pensata”), infatti in molti bravi cantanti l’arrotondamento è quasi inavvertibile. A mano a mano che si sale l’arrotondamento è però maggiore e bene avvertibile, finché nel passaggio dalle note medie a quelle acute la o si fonde con una specie di u. Qui mi fermo, rimandando ancora a Celletti ( Il Il canto, cit., pagine 40-41) per una completa trattazione della pronuncia delle vocali. La mia impertinente osservazione (spero che Celletti non mi bastoni dall’alto dei cieli) è in sostanza una confidenza: se si eccettua la pronuncia della a che ho brevemente descritto, le altre indicazioni dei trattati sul resto delle vocali mi sono state ben poco utili. Me la sono cavata pronunciando sempre in maschera tutte le vocali, tenendo la gola ben larga come quando si pronuncia la a e convogliando il suono verso il magico punto della volta palatina, formando così un’immaginaria cupola sonora (scusate il volo pindarico). A chi mi legge vorrei infine proporre in forma di decalogo alcuni consigli di carattere tecnico-comportamentale che sarebbe stato troppo lungo sviluppare in paragrafi (“La brevità, gran pregio”, Bohème, atto I).
5
CONCLUSIONE IN FORMA DI DECALOGO 1 Non imitare nessuno. La voce è come le impronte digitali: non ce n’è una uguale a un’altra. Rispettando le proprie peculiarità e i propri limiti si ottengono i migliori risultati. Bisogna però ascoltare, e assiduamente, i migliori cantanti per comprenderne appieno la tecnica. 2 Un errore fatale che fa perdere rapidamente gli acuti è ingrossare le note centrali. La voce “corre” e si sente benissimo anche da lontano quando è tenuta “leggera”, ben sostenuta dal fiato e appoggiata in maschera. 3 Il canto è un’arte, non uno sfoggio narcisistico. Cercate l’espressione semplice ed eloquente in armonia con i valori stilistici del brano che cantate. 4 I vocalizzi sono necessari per imparare la tecnica, ma a cantare si impara cantando (Damiani, op. cit.). 5 Registrate sempre almeno una parte della vostra lezione di canto. Quando si canta non si è in grado di valutare la propria voce; solo ascoltandosi in registrazione si scopre davvero la propria voce, con tutte le sue caratteristiche e difetti. 5 Ogni voce ha il suo repertorio. Avventurarsi in un repertorio sbagliato (di solito si è tentati da quello troppo pesante per i propri mezzi) pregiudica irreparabilmente l’organo vocale causando una rapida usura. 6 Se dopo aver cantato la voce risulta sensibilmente appannata significa che avete cantato male. 7 Le note acute sono per quasi tutte le voci il problema dei problemi. Ora, teoricamente, sappiamo come vanno emesse. L’acuto è perfetto quando, emesso in maschera con l’impegno dei muscoli toracico-addominali e senza sforzo di gola, regala un senso di gioia e di liberazione (parole inusuali in campo tecnico ma è così). 8 Appena potete, cercate dei partner per eseguire duetti, terzetti ecc. È un’esperienza formativa sotto tutti gli aspetti, musicali, tecnici, interpretativi. 9 Se siete timidi o troppo emotivi combattete questi difetti cercando ostinatamente di migliorare la tecnica: è questa che accresce la vostra sicurezza. 10 Cercate, infine, di non illudervi con facili sogni di gloria. Si vive bene praticando tante altre professioni diverse da quella del cantante. Continuate però a cantare sempre per vostro conto e con altri: cantare dà gioia e fa bene alla salute. Un saluto. Aspetto consensi e insulti.
[email protected]
6