La Scelta Dell'Inclusione

June 29, 2018 | Author: VincenzoVitale | Category: Competence (Human Resources), Pedagogy, Knowledge, Emotions, Self-Improvement
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Riassunto da cui studiare tranquillamente per svolgere l'esame...

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1 LA SCELTA DELL’INCLUSIONE-Progettare l’educazione in contesti di disagio sociale (Fausta Sabatano) Capitolo 1: L’inclusione come criterio educativo

Inclusione come sguardo principalmente verso sé stessi e poi verso l’altro, per non colonizzarlo e renderlo come noi vogliamo. Riconoscere diritto di cittadinanza a chi è diverso da me per fare ciò dobbiamo lavorare sulle nostre strutture di pensiero, aspettative (metaconoscenza di noi stessi). Bisogna mettere in discussione le premesse apparentemente indiscutibili del nostro modo di vivere (Bauman). Tale lavoro autoriflessivo, obbligato in un processo educativo teso all’inclusione, deve coinvolgere tutti gli operatori del settore (politici, genitori, insegnanti ecc…). Tale prospettiva è ostacolata da due due tendenze: 1. Delegare al terzo settore l’intervento sociale (natura politico-sociale) politico -sociale) 2. Pedagogizzazione dei problemi sociali  diffuso atteggiamento che porta a delegare all’ambito educativo quelle emergenze sociali che interessano l’intera comunità scientifica sc ientifica e professionale. Inclusione è avere una prospettiva ecosistemica ampia, fondata sull’importanza della capacità di contaminarsi. È importante iscrivere l’inclusione nella logica dei principi, ovvero considerarla come elemento primo della società civile e come criterio che qualifica l’educazione nella sua essenza. La pratica educativa è autentica quando funziona come veicolo di inclusione e NON di esclusione! Diversità dal latino divergere, cioè allontanarsi da Differenza di ferre, cioè portare qualcosa, e quindi arricchire L’educazione deve peraltro aiutare a vedere e pensare in termini di differenza. Tramite l’altro si conosce sé stessi; è parlando dell’altro che definisco per opposizione me stesso. Due possibilità per conoscere sé stessi attraverso attraverso l’altro: 1. Se l’accento è posto sulle differenze  esclusione 2. Se si mettono in risalto le somiglianzel’inclusione produce una nuova identità condivisa Dal punto di vista antropologico, l’essere umano si realizza proprio nel principio dialogico, come essere in relazione l’io si fa si fa nel tu. Il rapporto con il diverso è il fondamento dell’esperienza umana, per organizzare il nostro mondo abbiamo bisogno di bisogno  di confrontarci con differenze di ogni genere. Caratteristiche della società occidentale: culti che ostacolano l’apertura, il dialogo, l’accoglienza  Culto dell’immediato:

necessità di volere tutto e subito, la mediazione è esclusa. La relazione è scoraggiata a causa del boom tecnologico. L’essere immediato senza mediazione. 

Culto dell’autorefenzialit à: culto di narciso, individualità, l’uomo ricerca esclusivamente il

proprio piacere. Il narcisismo della società occidentale rappresenta una caratteristica non più individuale, ma diffusa, che le conferisce un’identità autoreferenziale un’identità  autoreferenziale e frammentata, priva di coscienza storica.  Culto dell’efficienza:

sancisce l’isolamento di chi è inefficace. Ethos dell’efficienza  le persone oggi vengono misurate in termini di produttività, come macchine. Occorre ottenere il massimo da ogni persona e se di fatto essa ne è impossibilitata, viene esclusa. È possibile avvicinarsi a un bambino difficile, a un ragazzino immigrato con un atteggiamento efficiente o mirando a raggiungere risultati immediati? NO! Bisogna superare questi culti con

una dimensione culturale che valorizzi la dimensione inclusiva come base dell’educazione. Prima di tutto l’inclusione è un lavoro personale, perché non bastano politiche di inclusione se non ci sono scelte personali di inclusione. Nel nostro paese l’inclusione sociale viene vissuta come un pericolo o come un business per diversi motivi: - La scuola pubblica è in difficoltà nel realizzare percorsi realmente inclusivi. Insegnanti frustrati e sovraccaricati vivono ogni tipo di cambiamento come una preoccupazione, un carico maggiore. Vedi normativa BES - I servizi educativi e sanitari sono in balia di una logica calcolante, che ignora i bisogni dei soggetti e riduce la relazione di cura e di aiuto ad una possibilità di guadagno. La qualità della cura viene sacrificata in nome della quantità di denaro. - La crescita del terzo settore esprime la delega della responsabilità operata dagli enti istituzionalmente preposti al servizio sociale e all’istruzione e che ha prodotto l’aumentare di realtà associative che divengono depositi/contenitori i quali, volendo integrare, di fatto escludono e ghettizzano. “Non si può separare per unire”. Per includere è necessario deistituzionalizzare (smantellare i contenitori dentro i quali sono stati collocati gli individui. Esso è un processo di riconciliazione, che parte da un impegno in prima persona, da un’assunzione di responsabilità tradotta in tre parole: INCONTRARE, FARSI CARICO, ACCOMPAGNARE. È necessario abolire forme di assistenzialismo e vittimismo. Contro la logica della frammentazione degli interventi, è necessario pensare ad una redistribuzione delle responsabilità sociali, riaffermando il principio di sussidiarietà, che favorisce lo sviluppo di un’ottica 2 territoriale dei servizi, del ruolo degli attori e delle funzioni istituzionali. Bisogna resistere alla tentazione di sostituirsi alle istituzioni quando queste latitano. Bisogna richiamare ciascuno al suo ruolo; è necessario NON RINUNCIARE ALLA RETE. Capitolo 2: ORIENTARE LE PRATICHE- LA COSTRUZIONE DELLO SFONDO TEORICO DI RIFERIMENTO

In educazione è basilare avere una direzione, una bussola, per dotare di senso il proprio agire educativo. Per l’educatore la rotta è costituita dal sapere (scientifico+tacito, personale); questo sapere va negoziato e costruito con gli altri membri dell’equipe, per giungere a una prospettiva comune. Spesso in situazioni di contingente emergenza ci si dimentica della teoria, bisogna fare attenzione a tenerla sempre viva e presente. Tra educazione (prassi educativa) e pedagogia (riflessione teorica sull’agire educativo) deve esserci una relazione dialettica, affinché la prassi non cada nell’improvvisazione, nel casuale, nel buon senso e la teoria non divenga fine a sé stessa. Sfondo teorico del PROGETTO INTEGRA: definito pian piano progressivamente modello di apprendimento e di conoscenza, di riflessività; importante soprattutto per la progettazione del percorso di sostegno all’apprendimento proposto ai bambini. È importante partire dalle competenze e dagli interessi dei bambini (didattica ascendente). In secondo luogo la prospettiva costruttivista valorizza la relazione tra educatore e bambino e tra i bambini: conoscenza costruita insieme porta ad un apprendimento significativo  Costruttivismo socio-culturale:

 Formazione intesa come pratica

riflessiva: tutto quello che viene fatto/deciso deve

essere oggetto di riflessione, riflessione intesa anche come spazio mentale, di condivisione. Due testi di studio di riferimento per ripensare le pratiche educative: 1. La pedagogia degli oppressi di Paul Freire  lui sostiene la necessità di un’educazione non depositaria, ma autenticamente liberatrice. L’educazione deve essere un fatto dialogico. Essa è

autenticamente liberatrice, cioè consente all’altro di essere come lui si immagina, fornendogli gli strumenti per il cambiamento, ma lasciandogli la libertà di utilizzarli nella direzione che egli sceglie di seguire, rielaborando gli stimoli ricevuti.  2. Ragazzi difficili di Piero Bartolini  Paradigma fenomenologico , bussola del lavoro di

ricerca-azione. Il progetto integra ha preso come riferimento teorico 5 nuclei appartenenti a tale paradigma. PRIMO NUCLEOla reciprocità tra teoria e prassi: dalla prima scaturiscono i fondamenti essenziali della formazione dell’uomo e della sua vita che vanno ad orientare la pratica educativa. La teoria pedagogica può trovare solo nella pratica, in situazione, le risposte ai problemi del disagio, della marginalità, dell’esclusione. SECONDO NUCLEO La centralità del soggetto: l’esperienza è vissuta ed elaborata da un IO reale che la dota di senso. Ogni storia è a sé, non bisogna trovare generalizzazioni, filoni comuni ma bisogna partire dal soggetto che si ha davanti. Ognuno ha un proprio soggettivamente costruito per affrontare le difficoltà di vita. La progettazione educativa quindi deve partire dalla comprensione della persona. Al centro c’è l’elaborazione personale che ogni soggetto compie delle proprie difficoltà, la relazione che stabilisce con il suo contesto di vita perché è in questa relazione che viene prodotto il comportamento. L’educatore deve cercare di capire e immergersi nella visione del mondo del soggetto per entrare in sintonia con lui e quindi in relazione. TERZO NUCLEOLa ricerca di una vita autentica: non si può pretendere il cambiamento dell’altro partendo dal proprio punto di vista. La traiettoria del cambiamento è co-costruita, deve essere realizzata con loro e non per loro. L’educatore deve avere un atteggiamento di autentica apertura per qualsiasi tipo di soggetto egli ha di fronte. QUARTO NUCLEOL’epochè, ovvero la sospensione del giudizio: l’educatore deve mettere tra parentesi tutto ciò che sa, accantonare la sua esperienza. Per Husserl questo è un passaggio obbligato per liberare l’uomo dai dogmatismi e dai pregiudizi, implica una sospensione radicale della realtà. Freire sosteneva che l’educatore dovrebbe avere “un’impaziente impazienza” ossia deve rispettare e aspettare i tempi del soggetto senza rinunciare a spronarlo, a stimolarlo. La prassi educativa non può essere orientata in ogni azione da una precisa teoria, ma deve esprimere UN’INTENZIONALITA’ PEDAGOGICA. QUINTO NUCLEO L’intersoggettività: l’esistenza ha una natura relazionale, bisogna riconoscerlo. Il riconoscimento dell’alterità è il presupposto della coscienza della propria identità. Il lavoro educativo è un lavoro di continua negoziazione, condivisione di significati. Il confronto nel lavoro di equipe è alla base di tutto. La conoscenza condivisa si produce dai momenti di confronto. Sempre per quanto riguarda il progetto integra, in accordo con la prospettiva fenomenologico-ermeneutica, vengono indagate le interpretazioni che i soggetti danno agli eventi e delle esperienze vissute, investigati rispetto ai significati ad essi attribuiti. Quindi l’attenzione è posta non sul fenomeno, ma sulla comprensione del significato che l’esperienza assume per i soggetti della ricerca. Lo sguardo fenomenologico, valorizzando l’unicità dell’esperienza soggettiva e presentandosi come metodo discovered oriented ovvero costruito durante il cammino della ricerca e costantemente rimodulato è stato utile per 3 la metodologia della RICERCA-AZIONE. Il suo compito specifico è quello di provocare cambiamenti migliorativi all’interno dei contesti in cui viene effettuata: possibilità di migliorare la qualità del lavoro educativo, coinvolgendo tutti gli attori educativi, rende

possibile anche una rivisitazione delle teorie di sfondo. La prospettiva fenomenologica della ricerca educativa valorizza la dimensione relazionale della ricerca e della formazione, chiama in causa la qualità emozionale che viene espressa e induce il ricercatore a dialogare con le proprie emozioni, portandole al livello della consapevolezza. No assoluta razionalità. Capitolo 3: L’EDUCATORE COMPETENTE

Il concetto di professionalità si è evoluto negli anni, a differenza di quanto affermato nel passato, essa non si risolve esclusivamente nel possesso di conoscenze ad alto livello di specializzazione o nella capacità di usare una serie di tecniche. Il professionista è colui che, a partire dalla sua specializzazione, riesce a realizzare una concezione globale e creativa delle conoscenze, dei contesti. Il costrutto della professionalità presuppone un approccio alla cultura come ricerca, come processo dinamico di costruzione dei saperi. La professionalità, che prima era legata ad una determinata qualifica, o all’essere parte di una certa organizzazione, oggi assume contorni frammentati e diversificati, ponendosi a cavallo tra una dimensione di singolarità/individualità e una di comunità/collettività. COMPETENZA: fino agli anni ’80 era sinonimo di abilità o performance; le performance osservabile sono una condizione necessaria, ma non sufficiente per descrivere la competenza. Veniva anche considerata come sapere pratico e operativo in contrapposizione alle astrattezze delle conoscenze. L’etimologia (cum petere, dirigersi verso) evidenzia invece la capacità di sapersi orientare in determinati campi, non solo sapere una tecnica specifica. Spencer: competenza come una caratteristica intrinseca individuale che è casualmente

collegata ad una performance efficace o superiore in una mansione o in una situazione e che è misurata sulla base di un criterio prestabilito. Viene poi proposta una distinzione tra elementi di stabilità ed elementi di sviluppo delle competenze per cui le determinanti individuali sono il punto di partenza, soggette quindi a cambiamento e miglioramento.  STRUTTURA AD ICEBERG DELLA COMPETENZA: parte visibile della competenza formata da conoscenze e abilità (skills) e una parte nascosta formata dalle motivazioni, tratti, immagini di sé. È importante un approccio alla formazione che metta in primo piano le caratteristiche di personalità dei soggetti. Competenza e riflessività: studi confermano che ad abilità specifiche non necessariamente

corrispondono competenze di carattere più trasversale. È importante adottare un pensiero riflessivo, esso rappresenta il contenuto della formazione. Riflessività come strumento per definire uno stile di pensiero, una modalità di analisi della realtà  si fa riferimento a un’idea di conoscenza intesa come risorsa di adattamento flessibile, capacità di apprendere dall’esperienza e di risolvere problemi nuovi. Questo è un tipo di competenza di natura trasversale, riconducibile all’apporto di diverse risorse cognitive che consentono uno stretto rapporto tra i contenuti della conoscenza, il loro utilizzo, il loro controllo. La competenza deve essere intesa come l’esito di un processo cognitivo, che non si misura solo in base al sapere, perché si esprime anche nel modo di selezionare e di elaborare le informazioni ecc… Essa fa riferimento ad aspetti soggettivi, di tipo emotivo, cognitivo e relazionale e non si esaurisce a livello delle prestazioni esplicite. La pedagogia mira a salvare l’aspetto dinamico (sempre in itinere, soggette a rinnovamento) e quello integrato (mettere in relazione le competenze con ciò su cui si fondano e con ciò che ne consente l’esercizio) della competenza. (A LIVELLO DELLA FORMAZIONE) Caratteristiche fondamentali attribuite al costrutto della competenza: dinamicità, multidimensionalità, il carattere sistemico, la contingenza, il carattere situato (si manifestano nell’interazione tra un soggetto e un contesto, la flessibilità (saper fare cose diverse). In questo senso è possibile rapportarla con la riflessività, consentendo lo sviluppo di competenze trasversali. Conoscenza, competenza e pensiero riflessivo sono strettamente

collegati, intersecati l’uno con l'altro. È importante progettare percorsi verso un empowerment della capacità riflessiva riguardo alle competenze riflettendo sul proprio agire e sulla propria conoscenza professionale (per smascherare gli automatismi) e riflettendo sulla propria conoscenza: METACOGNIZIONE. Nel gruppo di lavoro ci si confronta, si dialoga, si scambia conoscenza, producendo nuova conoscenza. Competenze dell’educatore:

Non bastano la passione e i buoni sentimenti per svolgere questa professione. Operare in prospettiva inclusiva vuol dire far incontrare competenze e bisogni. L’educatore realizza, nella concretezza del quotidiano l’esperienza educativa, secondo gli orientamenti di senso e la prospettiva teorica prescelta, per sottrarre la pratica all’improvvisazione. Anche le competenze più specialistiche devono passare per il filtro di una prospettiva pedagogica generale. La specializzazione riguarda la dimensione della ricerca di quegli strumenti non pronti all’uso, ma di natura critica e riflessiva, che mettono l’educazione in condizione di affrontare la realtà. 4 Per Erdas ci sono 4 tipologie di strumenti: 1. Strumenti di natura paradigmatica: paradigmi, convinzioni, da cui è possibile partire per inquadrare i problemi 2. Di natura esplicativa: schemi concettuali attraverso i quali si interpreta la realtà 3. Strumenti informativi: utili per identificare il contesto in cui si colloca un intervento 4. Strumenti tecnologici: modelli, itinerari metodologici, tecniche da seguire in situazioni concrete Ogni competenza non deve essere chiusa. Occorre che il sistema educativo si fondi sull’interazione tra diverse figure educative. Nella prospettiva inclusiva essere competenti vuol dire anche saper trasmettere attraverso il dialogo e lo scambio le competenze a colleghi e colleghe che non hanno lo stesso profilo di competenza  rendere il contesto competente. Competenze dell’educatore secondo Bertolini: Globalità: lettura dell’evento educativo in una visione sistemica e complessa, uscendo dal

proprio punto di vista Operatività: assunzione di un consapevole orientamento al futuro, verso il possibile Relazionalità: evento educativo letto come un fare con, costruito insieme. 3 dimensioni per la

competenza relazionale: 1 saperescientifico, implicito, personale. 2 saper fare insieme di abilità che delineano la competenza specialistica. 3 saper essere capacità di ascolto, di empatia e di enteropatia. L’educatore deve guardare al suo agire in direzione sociale. Bruner dice che l’appartenenza culturale offre una cassetta degli attrezzi (credenze, regole, valori, visioni del mondo) che delinea gli schemi cognitivi su cui si fondano il conoscere e il fare esperienza. Bisogna capire cosa contiene la cassetta del bambino/ragazzo, non dargliene una nuova; insegnare a usare gli attrezzi di cui già dispone e aggiungerne dei nuovi con nuove esperienze. COMPETENZA EMOTIVA: fondamentale, cioè capacità di gestire in modo consapevole le emozioni, i sentimenti prodotti dalla relazione educativa.

Capitolo 4: EMERGENZA E GESTIONE DELL’AZIONE EDUCATIVA

DIDATTICA Precedentemente è stato detto che l’inclusione è un criterio per giudicare l’educazione, evidenziando come non sia possibile definire educativa una qualunque pratica, se essa non è inclusiva; lo stesso ragionamento riguarda anche la didattica, essa non può che essere inclusiva e quindi speciale, perché non può prescindere dalla storia di vita del soggetto. Essa deve promuovere la personalità di ogni bambino in tutte le sue dimensioni. In tale prospettiva le diversità, le difficoltà non vengono vissute come occasionali, problemi da mettere tra parentesi tentando di normalizzarli. Focalizzarsi sui problemi porta a cercare negli ambienti professionisti apposta per trattarli  questo provoca un equivoco: la presenza di professionisti delle difficoltà porta a sentirsi autorizzati a non pensarci, perché non si possiedono le adeguate competenze specialisticheDERESPONSABILIZZAZIONE. Questi tecnicismi possono portare a credere che ci sia una risposta esatta per il problema specifico, confusione di ruoli responsabilità e competenze. È importante il lavoro di equipe in un clima di collaborazione per evitare di cadere nell’ansia, nell’ambiguità, ricadendo sui bambini/ragazzi. Riportare le competenze alla responsabilità significa scoraggiare la delega, ma anche i deliri di onnipotenza vuol dire riaffidare a ognuno il proprio ruolo. Progettare, programmare, documentare, osservare e valutare

L’azione educativa è chiamata a svolgere una funzione di ponte tra senso della realtà e senso della possibilità, aiutando i soggetti a stabilire un equilibrio tra essi. Quando l’azione educativa si realizza in contesti di grave emergenza socio-culturale, il rischio maggiore è dato dalla possibilità di essere travolti e lavorare in assenza di progettualità solo per arginare e tamponare l’emergenza. È necessario inserirla in un sistema, trovando la bussola che ne possa orientare le azioni. Progettazione: è organizzazione, gestione, verifica del lavoro a partire dalla teorizzazione. È

un contenitore ampio, dentro al quale si colloca tutto l’intervento educativo. La dimensione progettuale pone l’accento sulle finalità. Programmazione: azione tesa a calare l’intervento nello specifico delle variabili locali,

individuando gli obiettivi che traducono le finalità scelte e le azioni e gli strumenti per raggiungerli. Osservazione: insieme di procedure volte a rilevare dati conoscitivi relativi ad un

determinato fenomeno che si è scelto di analizzare e interpretare. Il discrimine tra un tipo di osservazione comune ed una scientifica risiede nell’intenzionalità che caratterizza quest’ultima, ossia nella volontà di raccogliere informazioni riguardo un preciso oggetto di studio. Si tratta di un’osservazione strutturata/sistematica, che segue un preciso schema metodologico. In tal modo essa diviene un fondamentale strumento di valutazione. Consente di evitare il rischio di generalizzare le interpretazioni relative a un singolo evento al complessivo comportamento del soggetto. È una condotta che va preparata e programmata e richiede il supporto di specifici strumenti, come per esempio le griglie di osservazione (ne esistono di vari tipi).

5 Nel Progetto Integra, l’osservazione avviene tramite tre focus: 1. Relazione educatore-bambino : fatta dal supervisore e restituita all’educatore in sede formativa 2. Relazione tra bambini: effettuata dall’educatore per verificare l’andamento del processo di socializzazione ed il miglioramento delle competenze relazionali dei bambini 3. Singolo bambino: svolta dall’educatore per monitorare il percorso educativo e per ricalibrare l’intervento nei momenti critici Documentazione: consente di raccogliere ulteriori informazioni utili. Sono elaborati e

utilizzati nelle varie fasi del progetto soprattutto per le valutazioni). Nel Progetto considerato la documentazione era formata da: -la scheda di ingresso -la storia di vita -il Questionario “mio figlio e la scuola”  -la scheda di valutazione diagnostica

Un aspetto importante è che tutte le informazioni gestite abbiano il consenso dei genitori. È necessario che essi siano coinvolti nel progetto per esserne partecipi attivamente. È importante la restituzione riguardo la storia del bambino e di come egli la interpreta. MODALITA’ DI VALUTAZIONE: sia quella intermedia che quella finale, viene effettuata su tre dimensionirapporto con gli educatori, rapporto con i compagni, impegno nello studio. Riguardo a questi aspetti l’educatore deve scrivere una relazione. A ciò si unisce l’autovalutazione fatta dai bambini e la valutazione sulla quantità e la qualità della partecipazione dei genitori. Gestione delle emozioni: caratterizzano interamente il lavoro educativo. Possono essere sia

un vincolo che una possibilità. A livello professionale le emozioni non possono essere ignorate! Ne sono il fondamento; non si può razionalizzare tutto, sebbene si decida di ignorarle, esse vengono fuori in modo inconsapevole. È indispensabile una presa di coscienza sulla propria realtà emozionale. La fenomenologia offre una visione decisiva per comprendere la vita emotiva, ponendo in primo piano la soggettività e le sue manifestazioni, evidenziando l’intreccio tra ragione e sentimento. L’intelligenza emotiva: intesa come capacità/possibilità di conoscere, identificare, valutare, gestire le proprie emozioni, diviene allora centrale nel lavoro educativo, essendo alla base dell’agire razionale, perché sono proprio le emozioni a muovere il pensiero. Centrale diviene il rapporto tra sfera personale e sfera professionale. Il comportamento dell’educatore è efficace se lui riesce a gestire consapevolmente il coinvolgimento nella relazione educativa. Scheda di possibile spunto per percorsi formativi per gli operatori (pag. 120). Essa è centrata sulla gestione dell’intreccio tra sfera personale e professionale. 3 tipi di atteggiamento: 

Distanziamento tra le due sfere. Riguarda soggetti in cui la componente motivazionale e

vocazionale non è fondamento delle scelte professionali. Ciò comporta distacco nella relazione emotiva, freddezza. 

Sovrapposizione tra i due livelli. Il lavoro può essere visto come una via di fuga da una vita

personale non soddisfacente; caratterizzato da uno spirito missionario, necessità di sentirsi

utili. Trappola: percepire successi o insuccessi nella relazione col bambino come un fallimento personale. 

Mediazione e integrazione tra identità personale e professionale. C’è consapevolezza del

proprio agire e delle reali motivazioni ed emozioni che lo sostengono. Consapevolezza dei propri limiti e delle proprie fragilità.  Così diviene possibile l’empatia, partecipare alle emozioni dell’altro attraverso il filtro delle proprie esperienze, mantenendo la distinzione tra la propria vita emotiva e quella dell’altro, ma essendo capaci di compartecipare affettivamente all’esperienza vissuta altrui. 6 Capitolo 5: IL METODO INTEGRA

Per non essere risucchiati dall’emergenza occorre avere un’identità come educatori, e questa si nutre anche della condivisione del modo di affrontare tali problematiche, di una via da percorrere insieme, di un metodo in cui riconoscersi. Nel Metodo Integra coesistono diversi elementi:  Pensarsi insieme:  attenzione a tenere sempre presente la propria rete territoriale. Mira al

superamento della separazione degli interventi in una prospettiva di rete relazionale ed ecologica. Riferimento alla teoria ecologica di Bronfenbrenner: il comportamento umano è il risultato dell’adattamento del soggetto all’ambiente e ai fenomeni che lo caratterizzano (no causalità lineare diretta causa-effetto). All’origine del comportamento del bambino ci sono sempre molteplici cause, quindi è importante mettere in atto un azione educativa che non intervenga solo sul singolo, ma sul sistema delle relazioni e sulle dinamiche del contesto educativo, scolastico, familiare. Il lavoro di rete è la chiave di tutto, abbandonare il senso di onnipotenza, in favore di una collaborazione tra figure educative e istituzioni. Non è facile tessere una rete territoriale, le istituzioni sono restie al cambiamento, esso viene talvolta visto come una minaccia. Ci vuole un costante impegno nell’infittire questa rete per contrastare la deresponsabilizzazione che caratterizza gli enti locali di fronte all’emergenza educativa. L’obiettivo principale è trovare una linea comune di interpretazione e di azione con le scuole e i servizi sociali. Tutti gli enti e istituzioni devono coesistere in un rapporto di reciproca fiducia e di riconoscimento di ruoli e competenze.  Pensare insieme:  mettere in primo piano la storia del bambino, coinvolgendo i genitori.

Attenzione e centralità della famiglia in ambito psico-pedagogico perché è in essa che si sviluppa la dinamica appartenenza-identità del bambino. La famiglia è un’importante categoria di lettura dei fenomeni e delle situazioni relazionali per orientare l’intervento educativo. La famiglia che dovrebbe svolgere una funzione di cura e di protezione potrebbe essere in una situazione critica quando la relazione tra sfide e risorse è inadeguata. Anche se da una parte essa diviene la fonte dei disagi del bambino, rimane comunque l’interlocutore privilegiato del lavoro educativo. È importante aiutare i genitori a riappropriarsi della propria funzione di parenting, insegnandogli nuove strategie educative o migliorando quelle esistenti. Il Metodo Integra pone a fondamento del lavoro pedagogico un patto con le famiglie. Queste hanno l’obbligo di partecipare agli incontri di formazione e ai colloqui individualirendere il genitore partecipe del percorso del figlio e conoscerne lo sviluppo. Senza genitori è impossibile attivare dinamiche di cambiamento nel bambino.  Rispettarsi e rispettare:  individuare

un dispositivo istituzionale (insieme di regole). Ogni bambino arriva al progetto con la propria biografia personale, con i valori, interpretazioni e comportamenti da cui scaturisce la sua particolare visione del mondo . L’obiettivo è modificare questo sistema complesso di significati e costruire una nuova visione di sé e della realtà.

Prima di tutto bisogna creare un processo di consapevolizzazione riguardo ai propri sistemi di significato fino a giungere a un distacco critico. Successivamente, deve avvenire l’appropriazione di un nuovo punto di vista sul mondo e su di sé. Bisogna creare un contesto dove sperimentare nuovi modi di pensare e agire che chiami in causa la responsabilità del soggetto. Sottolineare l’importanza che ad avere diritti corrisponde la presenza di doveri nei confronti di sé e della società. La mancata consapevolezza di ciò corrisponde spesso a un vuoto di valori forti generato dalla delega di responsabilità educativa attuata dalla famiglia. Focus pedagogico: creazione di un dispositivo istituzionale (insieme di regole e routines segnate dal contesto, che caratterizzano gli spazi e i tempi e che segnano profondamente il soggetto). Le regole devono essere stabilite e CONDIVISE. È meglio che siano poche ma inamovibili, chiare e motivate. È richiesta coerenza agli educatori nel farle rispettare. Anche se condividerle e stabilirle insieme non è sufficiente per interiorizzarle. Il progetto integra utilizza per esempio lo strumento della patente educativa a punti (basata su premi e punizioni) principio della libertà di scelta nel decidere di non rispettare le regole, ma consapevoli che a ciò corrispondono conseguenze di diversa gravità. Per le difficoltà di tipo relazionale, strumento per l’educatore è la sospensione emotiva  così che il ragazzo è punito con una sorta di momentaneo vuoto affettivo percepito.  Riflettere sul proprio agire:  tenere

un atteggiamento critico e problematico rispetto alle proprie azioni. La dimensione riflessiva come funzione regolativa dell’azione svolge un ruolo di primo piano. La riflessione è una verifica della validità (Dewey), e comporta un esame critico degli assunti, delle idee che usiamo per risolvere i problemi. Problem posing/riflessione sulle premesse: consapevolezza dell’esistenza di un problema; riflessione sul contenuto: su ciò che sentiamo, percepiamo, mettiamo in atto; riflessione sul processo: sulle strategie messe in atto, sulle decisioni, su ciò che è stato

fatto. Nel Progetto Integra la formazione degli educatori (anche dei genitori), di marca riflessivo-costuttivista, persegue l’intenzione di far dialogare il sapere personale con microeventi che caratterizzano l’agire educativo per costruire stili di intervento sempre più coerenti ed efficacicaratterizzata dalla 7 centralità del soggetto e del suo ruolo attivo nella costruzione della realtà. La riflessione è lo strumento privilegiato per trarre senso dall’esperienza. Capitolo 6: STORIE DI VITA DIFFICILI E RISPOSTE EDUCATIVE

La categoria del narrativo è importante, serve per dare senso alla propria storia, al proprio vissuto, per rielaborarlo. Però in condizioni di forte emergenza socio-culturale il dirsi, il raccontarsi, dare voce alle proprie emozioni ed esperienze, risulta particolarmente difficile, a causa del carattere di deprivazione sociale e culturale. L’azione svolta dal progetto integra ha di fronte a sé situazioni di grande marginalità, genitori analfabeti che non sanno nemmeno scrivere per esempio. Infatti nel percorso proposto ai genitori è emersa la difficoltà di narrarsi. La prospettiva della narrazione mira all’emplotment, ossia il processo grazie al quale la persona inserisce sé stessa in una narrazione significativa, feconda ed appagante. È impossibile proporre al soggetto un senso oggettivo del proprio disagio, indagando processi di causa effetto tra gli eventi e offrire una soluzione non si può. La sfida pedagogica è costruire condizioni per pensarsi in modo differente di essere al mondo, una nuova visione di vita. Il paradigma narrativo come quello autobiografico costituiscono riferimenti fondamentali nella promozione di percorsi inclusivi e partecipativi, consentendo di incrementare le capacità dei soggetti di riflessione, metacognizione, condivisione ecc… l’utilizzo della scrittura consente di metabolizzare e pacificare le storie tormentate. La sfida del progetto è stata offrire ai genitori l’accesso alle parole per pensarsi. I genitori mostrano analfabetismo sia sul fronte culturale, che emozionale. Per questo l’attività formativa è stata

ricalibrata. Per i genitori vengono svolti focus group con proiezione video e in parallelo viene svolto anche un corso di alfabetizzazione primaria. L’utilizzo di proiezioni suscita molto interesse in loro, gli vengono presentate situazioni in cui possono immaginarsi nel ruolo genitoriale. Successivamente anche riflessioni su sé stessi  l’obiettivo è farli riappropriare del loro ruolo genitoriale in modo efficace. Vedi racconto storie da pag 170 sono storie esemplificative, che riguardano il lavoro educativo in contesti di disagio dove vige il vincolo dell’emergenza. Essa pone un limite all’azione educativa. Saper abitare l’emergenza da un punto di vista pedagogico vuol dire confrontarsi con i limiti e le possibilità date dal contesto e dal proprio ruolo. Per questo motivo l’azione deve essere svolta su più livelli: -educativo -psicologico -pedagogico È necessario attivare una rete di supporto territoriale. Di conseguenza il successo di un’azione educativa è attribuito al buon funzionamento di tutti gli attori del sistema. Principio di entanglement: (intreccio), in ambito pedagogico questo può tradursi nella

necessità di non dimenticare la provenienza, l’appartenenza, non ignorare l’intreccio che il bambino porta con sé. Ogni bambino porta la sua visione di mondo, della propria infanzia, anche se a volte non si può definire tale e per loro questa è la normalità. Vivere come vivono è normale, non conoscono altri modi. Concetti del libro sottolineati nella conclusione di Taylor:

1. Idea di consapevolezza: ogni figura educativa non deve agire in modo casuale, improvvisato. Deve sempre perseguire un focus, avere un’intenzionalità a partire dalle piccole azioni, attenzioni. Deve riflettere sul perché del suo agire costantemente. 2. La riflessione critica:  è il nucleo per diventare un educatore competente, senza la quale non si può crescere professionalmente. 3. La prospettiva olistica:  significa prendere atto che la comprensione più profonda di un bambino si rivela nel suo contesto di vita quotidiana, non solo nel bambino in sé. È necessario considerare sia il contesto personale sia quello sociale in cui il bambino interagisce ogni giorno. 4. Relazione autentica: l’educatore non deve mai perdere di vista il coinvolgimento e l’impegno teso al benessere del bambino e quindi provare empatia verso la sua storia, impegnarsi a renderlo più forte. Essere autentici vuol dire essere capaci di crescere assieme ai bambini.

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