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La lingua italiana - C Marazzini
LETTERATURA ITALIANA (Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli)
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CAPITOLO 1 : storia della lingua italiana: nascita e sviluppo di una disciplina 1. la riflessione antica sulla formazione dell’italiano.
IL DE VULGARI ELOQUENTIA DI DANTE La lingua italiana è una disciplina accademicamente giovane; in realtà esisteva anche prima, ma era legata ad altri studi o all’interno di altri ambiti di conoscenza: punto di congiunzione tra letteratura e linguistica. La storia della lingua aiuta meglio a comprendere la storia nazionale e testimonia lo sviluppo dell’idea di nazione. essione sulla storia dell’italiano si è legata alle teorie che miravano a definire la norma dell’italiano La rif llessione stesso: “QUESTIONE LINGUA”. temi storico-linguistici è il “De Vulgari Eloquentia” che risale Il più antico trattato inDELLA cui vennero affrontati all’inizio del Trecento: qui si affrontano le varietà di volgare parlate nella penisola italiana e un esame della tradizione poetica della nuova lingua. Per Dante la parentela tra il provenzale, il francese e l’italiano è verificabile nella somiglianza di m olte parole; il latino non è una lingua naturale, ma una creazione dei dotti.
LE TEORIE DEGLI UMANISTI Una reale tradizione di studi sulla storia della nostra lingua ebbe inizio con gli umanisti della prima metà del Quattrocento che si interrogavano soprattutto sulla situazione linguistica al tempo di Roma Antica e cercavano di definire le cause che avevano portato alla fine della romanità. Secondo BIONDO FLAVIO al tempo di Roma si parlava una sola lingua, cioè il latino e questa lingua si era corrotta per una causa esterna, ossia la venuta dei popoli barbari: da questa corruzione era nato l’italiano. Per Dante, nel De Vulgari, la mutevolezza delle lingue deriva dalla maledizione babelica. LEONARDO LEONA RDO BRUNI era convinto che al tempo di Roma antica non si parlasse un latino omogeneo, che poi si sarebbe corrottoalto con le barbarie, ma c’erano già due livelli di lingua: letterario, popolare, basso Dalla lingua popolare si sarebbe sviluppato l’italiano. La tesi più accreditata potrebbe essere quella che risale al Biondo. La tesi del Bruni fu reinterpretata: ipotesi di due lingue diverse e coesistenti, ossia il latino e l’italiano.
ETRUSCO E TOSCANO Italiano: originato dalle lingue barbare originato dal latini popolare In Toscana, Giambullari sostenne che la lingu a toscana era l’erede diretta dell’etrusco, infatti anche il centro geografico della civiltà etrusca veniva identificato in Toscana.
LA TEORIA DEL LATINO VOLGARE IN CASTELVETRO La teoria di Bruni fu f u ripresa e corretta da CASTELVETR CASTELVETRO: O: egli usò la definizione di “lingua latina vulgare”, per definire un’ipotesi sull’origine dell’italiano. Per lui al tempo di Roma esisteva un latino popolare che in grammatica grammati ca era identico al latino vero e proprio. Le parole del latino erano sopravvissute in italiano e il volgare aveva soppiantato pian piano quello classico, influenzato da imperatori stranieri e invasioni barbariche. LA RICERCA DI DOCUMENTI EPIGRAFICI E ARCHIVISTICI: CELSO CITTADINI E LUDOVICO ANTONIO MURATORI MURATORI CITTADINI fu autore del “Trattato della vera origine e del processo e nome della nostra lingua” nel 1601: egli tendeva ad escludere che le invasioni barbariche avessero avuto importanza per lo sviluppo della lingua. Intendeva verificare la tesi attraverso lo studio dei documenti epigrafici: con le lapidi si potevano conoscere meglio le fasi arcaiche della lingua latina. Il concetto di “corruzione” da parte delle invasioni barbariche perdeva la connotazione negativa. MURATORI fu uno storico; le sue opere ci hanno permesso di conoscere la storia del Medioevo. Egli desiderava trovare in Italia qualcosa di paragonabile al primo documento di lingua francese: “ IL GIURAMENTO GIURAM ENTO DI STRASBURGO”, realizzato dai successori di Carlo Magno nell’842. Il Giuramento fu trasmesso da Nitardo che affermò che era scritto in lingua romana: lingua intermedia tra latino e idiomi moderni, ma fu una concezione errata.
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Ma questa teoria della lingua intermedia condizionò per molto tempo gli studi romanzi. Muratori credeva che le lingue germaniche avessero avuto un peso determinante nella trasformazione del latino, che la lingua intermedia non esisteva e che nei documenti antichi fosse possibile rintra rintracciare cciare la lingua volgare. DALLA TEORIA DELLA LINGUA INTERMEDIA ALLA STORIA LINGUISTICA NAZIONALE L’ipotetica lingua intermedia fu collocata tra il latino classico e il moderno francese, la teoria fu accolta anche in Italia e accettata all’inizio dell’800 da PERTIC PERTICARI, ARI, collaboratore di Monti. I suoi saggi uscirono tra il 1828 e il 1820. GRASSI, progettava un libro di storia della lingua ita liana, rimasto incompiuto, legato all’ideologia nazional-risorgimentale. Egli vide nei barbari invasori, gli avversari eterni dell’Italia e gli antenati degli austriaci. RAYNOUARD, negli stessi anni, riprese questa teoria identificandola nell’’antico idiom a dei trovatori e fu tra i fondatori degli studi romanzi. La storia della linguistica italiana divenne uno dei settori più importanti: Leopardi, scrisse nello Zibaldone spunti interessanti. DALLA LINGUISTICA PRESCIENTIFICA ALLA LINGUISTICA SCIENTIFICA Nella linguistica europea occuparono un posto rilevante i fratelli SCHLEGEL, che studiarono l’origine della famiglia di lingue a cui l’italiano appartiene: gruppo indoeuropeo e le lingue bastate sul confronto tra idiomi diversi. Essi distinsero la linguistica scientifica e prescientifica: la linguistica, in quanto scienza, era una disciplina appena nata e nata dal nulla. Due fasi:fase prescientifica o empirica, prima degli Schlegel 1. 2. fase scientifica moderna, dagli Schlegel in poi Nel Seicento, Saumaise e Boxkorn elaborarono la teoria scitica: si ipotizzava la parentela tra lingue europee e persiano e lo scitico era la lingua capostipite. LA RIFLESSIONE SCIENTIFICA SULLA STORIA DELL’ITALIANO AUGUST WILHELM WILHELM SCHLEGEL
La sua linguistica toccò anche la formazione d ell’italiano. Le lingue potevano essere di 3 tipi: 1. senza struttura grammaticale: grammaticale: parole che non potevano essere modificate 2. ad affissi: permettevano la combinazione di composti, ottenuti mediante elementi di senso compiuto ( lingue degli indigeni d’America) 3. flessive: dotate di un sistema grammaticale strutturato, tipico degli idiomi europei. In queste lingue ogni parola è composta da una radice, modificata da un elemento privo di significato, ossia la desinenza. l’alterazione, i tempi dei verbi. Mediante la desinenza si segna il genere, illenumero, Esiste un’altra distinzione, per distinguere lingue antiche da quelle moderne: lingue sintetiche lingue analitiche: presenza dell’articolo, dei pronomi davanti ai verbi, degli ausiliari nei verbi, delle preposizioni. Nate dalla decomposiz decomposizione ione delle lingue sintetiche. Trasformazione: il latino aveva i casi, ma non l’articolo e l’ausiliare ( coniugava i tempi in modo sintetico), mentre le lingue romanze hanno articolo e preposizioni. La formazione della grammatica analitica era la vera causa della trasformazione del latino, sviluppo provocato dall’influenza dei barbari e dai provinciali, incapaci di usare le desinenze e i casi del latino classico. Raynouard era convinto che la lingua romanza fosse uniforme e che solo dopo erano nate le lingue italiana, spagnole, portoghese e francese. Schlegel obiettava ciò: il concetto di lingua romana andava inteso come una pluralità di lingue locali, differenti a seconda del periodo e del luogo.
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GRAZIADIO ISAIA ASCOLI Occupò molto giovane, nel 1861, la cattedra di grammatica comparata e lingue orientali all’Accademia scientifico-letteraria scientificoletteraria di Milano. Grande conoscitore di lingue, si era affermatosi nello studio della linguisti linguistica ca tedesca. Fu il primo a dare una descrizione accurata della distribuzione dei dialetti italiani e delle loro caratteristiche, in “Italia dialettale”. Rielaborò la teoria del “sostrato”: importanza delle lingue vinte su quelle dei vincitori ( importanza del sostrato celtico prelatino che condizionò la struttura degli organi fonatori. Fondò una rivista nel 1873, l’”Archivio glottologico italiano”, nel cui Proemio polemizzò contro la soluzione manzoniana della questione della lingua e definì come si doveva intendere il rapporto tra il toscano e la lingua italiana: forte policentrismo, con l’azione di città diverse da quelle di Firenze. La storia linguistica veniva utilizzata come strumento di comprensione della realtà e la storia dell’italiano non sarebbe stata comprendibile, senza la considerazione dei dialetti , in cui c’era una traccia del latino volgare.
NASCITA DI UNA NUOVA DISCIPLINA LA “STORIA DELLA LINGUA ITALAINA” DI BRUNO MIGLIROINI E IL “PROFILO” DI GIACOMO DEVOTO
NEL XIX secolo furono istitui istituite te cattedre di glottolog glottologia ia e di linguistica comparata. Cominciò ad avere la sua autonomia la filologia romanza, specializzata nello studio delle lingue e delle letterature neolatine, che occuparsi della formazione dall’Unità in lingua poi. italiana: In quel periodo furonooltre scoperti e pubblicati quasi tutti i piùdell’italiano antichi documenti della Carta Picena 1878 Confessione Umbra 1880 Testimonianza Testimon ianza di Travale 1907 Carta Osimana 1908 Postilla amiatina 1909 Molto più recente è la definizione della storia della lingua italiana come disciplina universitaria autonoma: la prima cattedra divenne attiva nel 1938 nella Facoltà di Lettere di Firenze, grazie al ministro Bottai e fu riscoperta da bruno Migliorini. Migliorini. Nel 1939 venne fondata la rivista “Lingua Nostra”, diretta da Devoto e Migliorini che sottolineava che bisognava tener conto di tutti gli strati sociali per la storia della lingua.
DEVOTO fu glottologo all’Università di Firenze e fu studioso di linguistica indoeuropea e di culture dell’Italia preromana. Pubblicò nel 1940 “Storia della lingua di Roma” e “Profilo di storia della lingua italiana”. Per Croce la storia della lingua era identica alla storia della letteratura. Migliorini intanto lavorava al progetto della scrittura della storia della lingua nazionale: egli volle che l’opera uscisse nel 1960, in coincidenza col millenario della lingua italiana, in quanto nel 960 fu reso pubblico il PLACITO CAPUANO. Nella prefazione dell’opera vi era la distinzione tra storia della lingua e storia letteraria, incentrata sugli scrittori. Per Migliorini l’interesse per la storia della lingua cominciava quando si commisurava il linguaggio individuale di uno scrittore con l’uso dei contemporanei. STRUTTURA DELLA “STORIA DELLA LINGUA ITALIANA” DI MIGLIORINI L’opera si presenta come un’eccezionale raccolta di dati e di informazioni, utile per ogni ricerca relativa la periodo cronologico anteriore alla prima guerra mondiale; tra i capitoli, secolo per secolo, sono inserite le fasi di passaggio dal latino all’italiano e i primi documenti della nostra lingua, oltre che al c apitolo dedicato a Dante. I capitoli sono strutturati in modo tale che per ogni secolo è dedicato un tema: questione della lingua, lessicografia, grammatica, rapporti tra latino e italiano, italiano fuori d’Italia.
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Si possono paragonare anche gli eventi tra i vari secoli. MIGLIORINI E LA LINGUA CONTEMPORANEA Migliorini fu tra i primi a occuparsi dell’italiano contemporaneo. Nel 1938 scrive “Lingua contemporanea”, nella cui prefazione osservava come fosse legittimo lo studio dei contemporanei all’interno de lla critica letteraria, e nel 1941 “Saggi sulla lingua del Novecento”. Si dedicò inoltre ai neologismi e ai prefissi moderni. LA “STORIA LINGUISTICA DELL’ITALIA UNITA” DI TULLIO DE MAURO DE MAURO scrisse “Storia linguistica dell’Italia unita”, del 1963, riproposta nel 1970; egli era filosofo del linguaggio, ma nel suo libro la storia della lingua viene collegata maggiorm maggiormente ente alla storia sociale. De Mauro si è interrogato sulle condizioni culturali e linguistiche delle masse; per lui al momento dell’unificazione politica, sarebbero stato in grado di parlare italiano solo il 2,55 dei cittadini. Vengono, poi, presentati i fenomeni che hanno condotto all’unificazione linguistica: emigrazione, urbanesimo, nascita dei poli industriali, diffusione della stampa, della radio e della televisione. L’italiano diffusosi nella penisola dall’Unità non era uniforme, ma piuttosto un “italiano regionale”, con tratti dei dialetti d’origine. 1.prima parte del volume appare più sintetica e discorsiva 2. la seconda( Documenti e questioni marginali), costituita da schede di approfondimento, dedicate al rapporto lingua-nazione, al Purismo, al Manzoni, ai dialetti, all’italiano regionale ecc. La linguistica, per De Mauro, doveva integrarsi con i fatti storici e sociali. DOPO LA “STORIA” DI MIGLIORINI: LA LINGUA ITALIANA NELLE UNIVERSITA’ La linguistica ha consolidato la sua posizione all’interno delle università e nei curricula dei corsi di studio
delle facoltàdella di lettere, un passaggio fondamentale formazione umanistica. nel 1992 è stata Gli storici linguadiventando hanno prestato attenzione ai probleminella dell’italiano contemporaneo: fondata l’ASLI, l’ “Associazione per la Storia della lingua italiana”, che raggruppa studiosi della disciplina italiani e stranieri e ha il compito di promuovere gli studi di storia della lingua italiana ad ogni livello culturale, scientifico e didattico. Essa ha sede a Firenze, presso l’Accademia della Crusca. Recentemente è stato dimostrato interesse verso i temi della comunicazione, con riferimento ai nuovi media e Internet. NUOVI MANUALI GENERALI DI STORIA DELLA LINGUA ITALIANA Dopo la “Storia” di Migliorini, sono uscite molte sintesi generali; molti di questi libri sono manuali universitari,, ma risultano adatti anche al pubblico medio. universitari Il SERIANNI è un libro scritto da diversi giovani autori, coordinati e diretti da Luca Serianni, docente all’Università di Roma “La Sapienza”. L’opera è sistematico e dispone di una ricchezza di materiali, oltre a rivolgersi a un lettore non specialista. È provvisto di una cronologia, che confronta su 3 colonne gli eventi relativi alla storia della lingua, i fatti salienti della vita letteraria e i principali eventi storico-politici. La letteratura, in queste opere, ha sempre occupato uno spazio importante. LA QUESTIONE DELLA LINGUA: STORIA DELLE IDEE E TEORIE LINGUISTICHE Ci sono state e ci sono parecchie discussioni discussioni relative alla lingua italiana, alla sua definizione, alla sua origine e natura, alla sua regolamentazione normativa. Nel nostro Paese, la questione della lingua, è partita da Dante, fino alla nostra epoca. Il grande manuale di riferimento per lo studio della questione della lingua, è quello di VITALE, del 1978, che contiene una vastissim vastissimaa documentazione. Il libro inizia: con un capitolo di Preliminari, dedicato a Dante e al De vulgari Eloquentia e al dibattito tra gli Umanisti del 400 capitoli dedicati al 500, 600, 700, 800 intervento di Dante, Bembo, Manzoni e dei minori ciascun capitolo ha delle note in chiusura volume vi è un’ “Antologia della critica”, con una raccolta di testi esemplari per illustrare i momenti determinanti della questione della lingua
GRANDI REALIZZAZIONI RECENTI: I NUOVI MANUALI DI RIFERIMENTO
LA “STORIA DELLA LINGUA ITALAINA” DIRETTA DA F. BRUNI PER LA SOCIETA’ EDITRICE IL MULINO
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Dal 1989 si è avviata la “Storia della lingua italiana”, strutturata per secoli e fino ad ora sono stati pubblicati capitoli sul: Medioevo 400 Prima metà del ‘500 Secondo ‘500 e ‘600 ‘700 2 dedicati all’800 Uno interamente dedicato al Manzoni ‘900 Lacuna dell’unico titolo ancora in preparazione, relativo al ‘300 toscano
“L’ITALIANO NELLE REGIONI” REGIONI” DIRETTO DA F. BRUNI PER LA CASA EDITRICE UTET Gli studiosi si posero il problema di realizzare un’opera in cui trovassero adeguato spazio le caratteristich e di una nazione come l’Italia, con la sua grande quantità di centri culturali e vivaci e con tanti dialetti entrati in contatti con la lingua nazionale. “L’italiano nelle Regioni” è stata concepita come una raccolta di monografie, ciascuna delle quali è d edicata alla storia dell’italiano in una regione della Penisola. È un volume voluminoso e con elegante veste grafica. I capitoli parlano delle regioni, ma non mancano monografie su Malta, Dalmazia, Canton Ticino e Corsica. Si è realizzato a un secondo volume dell’ “Italiano nelle regioni” e pensati una serie di volumi autonomi, ma il progetto è stato interrotto. L’opera ha portato al rifiorire degli studi a carattere regionale in maniera seria e scientifica . LA “STORIA DELLA LINGUA ITALIANA”DIRETTA DA L. S ERIANNI E P. TRIFONE PER L’EDITORE EINAUDI Serianni e Trifone hanno coordinato la “Storia della lingua italiana” in 3 volumi (SLIE), con un quadro aggiornato e completo delle attuali conoscenze, una serie di monografie affidate a singoli specialisti, raggruppate secondo analoghe tematiche. PRIMO VOLUME: “I luoghi della codificazione”: studi che hanno per oggetto la storia della nostra 1. grammatica, lessicografia, grafia, teorie linguistiche, lingua letteraria. “Codificazione”, per la stabilizzazione di una norma salda e la regolamentazione della lingua SECONDO VOLUME: “Scritto e parlato”: saggi sull’italiano dei semicolti ( gente del popolo, con 2. basso grado d’istruzione), saggi sul gergo, nomi di persona, nomi di luogo( ttoponomastica), oponomastica), distinzione tra lingua parlata e scritta 3. TERZO VOLUME: “Le altre lingue”, dedicato ai più antichi documenti dei volgari italiani e una serie di profili dei volgari medievali. Vi è un’impostazione geografica regionale. È contenuto uno studio sull’uso letterario dei dialetti, sul dialetto nella scuola, nella giustizia, nella Chiesa, sull’influsso sull’italiano delle altre lingue e in ultimo sugli italiani regionali( diversi dai dialetti, perché nascono dall’incontro tra il
dialetto lingua toscana). Si chiudee la con una saggio sull’italiano all’estero e uno sulle minoranze linguistiche in Italia. CAPITOLO 2: strumenti di lavoro
MANUALE DI DISCIPLINE AFFINI LA FILOLOGIA ROMANZA ROMANZA
La filologia romanza è anche chiamata “romanistica” e si occupa delle lingue derivate dalla lingua di Rom a, dette neolatine o romanze ( portoghese, spagnolo, catalano, francese, provenzale, italiano). “Le origini delle lingue neolatine” di TAGLIAVINI del 1947-49, ebbe poi nuove edizioni e nuovi rimaneggiamenti, rimaneggiam enti, aveva una struttura adeguata alle esigenze didattiche. Si apre con: un capitolo sulla storia degli studi dal comparativismo degli Schegel in poi, con alcuni riferimenti alla linguistica precedente, a partire dal De Vulgari Eloquentia di Dante. Viene presa in considerazione l’Italia antica, prima dell’es pansione romana, abitata da popoli che parlavano lingue italiche Seguono capitoli che trattano le trasformazioni del latino dell’Impero Romano Caratteristiche del latino volgare e esame degli elementi linguistici che hanno influito sulle parlate Delineamento della formazione delle lingue romanze
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Storia delle varie lingue romanze Informazioni sulle lingue sorelle dell’italiano per verificare analogie e differenze
LA FILOLOGIA ITALIANA E LA PALEOGRAFIA La filologia italiana è una disciplina specializzata nel l’edizione di testi in area italiana e soprattutto di testi antichi, ponendo attenzione ai loro caratteri linguistic linguisticii particolari. Lo storico della lingua dev’essere almeno in grado di maneggiare le edizioni critiche e giudicare la qualità della loro realizzazione. Chi si occupa di testi antichi, soprattutto di quelli precedenti all’età della stampa, dovrà acquisire conoscenze nel campo della “paleografia”: studio della scrittura. Paleografia è la disciplina che studia la storia della scrittura nelle sue differenti fasi, le tecniche operate per scrivere, il processo di produzione. Scrittura GOTICA si diffuse in Italia nel XII-XIII sec. Il termine è un riflesso del disprezzo con cui questa scrittura fu guardata dagli Umanisti, i quali la consideravano barbara. Fu usata dai primi umanisti, come Petrarca e Boccaccio e ha un disegno meno rigido (semigotica) MINUSCOLA CANCELLERESCA: adatta per i documenti notarili MERCANTESCA: di livello meno colto, è la scrittura corsiva che si trova nei quaderni di conti e nelle lettere di cambio ITALICA: comparsa nel ‘400, elegante e raffinata, passata poi alla stampa, con il corsivo aldino
LA DIALETTOLOGIA ITALIANA I rapporti tra la storia della lingua e la storia dei dialetti sono strettissimi. Il toscano affermò la sua supremazia, ma i volgari di altre regioni furono usati anche a livello colto, letterario o extraletterario. In “Fondamenti di dialettologia italiana” vi è: la definizione del concetto di dialetto
unclassificazione profilo di storiadei degli studiitaliani, dialettologici in Italia del loro uso nella società attuale la dialetti con la descrizione presentazione dei metodi e strumenti Per lo studio dei dialetti sono fondamentali, inoltre, gli atlanti linguistici linguistici:: rappresentazioni cartografiche della distribuzionee spaziale di parole, forme, costrutti, espressioni, fenomeni fonetici. distribuzion
LA GRAMMATICA STORICA DEFINIZIONE E NASCITA NASCITA DELLA GRAMMAT GRAMMATICA ICA STORICA
La grammatica storica non dà le regole della lingua in atto, ma mettendo a confronto fasi diacroniche diverse, chiarisce lo sviluppo della fonetica, morfologia e sintassi della lingua, a partire dalla sua formazione dal latino e ne segue gli sviluppi. La formazione della lingua è il primario oggetto di studio per la grammatica storica, che si è sviluppata nel clima del Positivismo dalla seconda metà dell’800: nel cambiamento delle lingue si riconosce un ordine, una serie di vere norme. LA “GRAMMATICA STORICA DELLA LINGUA ITALIANA E DEI SUOI DIALETTI”DI GERHARD ROHLFS È l’opera di grammatica storica più utilizzata, del 1940: concilia il metodo storico e quello geografico. Si presenta in tre volumi, dedicati a: 1. “Fonetica” 2. “Morfologia” 3. “Sintassi e formazione delle parole” Ognuno è corredato da un indice analitico, che raccoglie tutte le parole citate nel testo, sia italiane, che dialettali, oltre ai nomi geografici e ai nomi di persona. ALTRE GRAMMATICHE STORICHE DELL’ITALIANO Libro di Tekavic: trattazione aggiornata con le scoperte della moderna linguistica. Libro di D’Achille: attenzione a un pubblico studentesc o, in cui non vengono presupposte conoscenze specifiche. Attenzione alla fonetica e alla morfologia, mentre il lessico e la sintassi sono trattati in maniera più veloce “Introduzione alla lingua poetica italiana” di Serianni: non è una vera grammatica stor ica, ica, è un profilo grammaticale dell’italiano poetico e può essere utile a chi si occupa in maniera tecnica dell’evoluzione delle forme dell’italiano
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Libro di Castellani: uscito solo un volume, che tratta della formazione dell’italiano, del latino classico e volgare, dell’influsso galloromanzo e germanico, delle varietà toscane nel Medioevo e soprattutto della formazione della lingua poetica italiana delle origini.
LA GRAMMATICA DESCRITTIVA E NORMATIVA LA STORIA DELLA GRAMMATICA
La teorizzazione grammaticale del ‘500 ha stabilizzato e ufficializzato il successo dei 3 grandi autori del Trecento: Dante, Petrarca e Boccaccio. In seguito si sono affermate tendenze grammaticali più favorevoli a riconoscere il ruolo del parlato toscano e la sua egemonia. LA “GRANDE GRAMMATICA ITALIANA DI CONSULTAZIONE” Il progetto era di Renzi e Salvi e risale al 1976: prodotto di un lavoro di equipe con un notevole numero di specialisti. La Presentazione di Renzi spiega la differenza con le altre grammatiche, tracciando un panorama della produzione grammaticale in Italia del Novecento, notando la povertà nella produzione di questo genere nel periodo tra le due guerre; inoltre sottolinea il dannoso prodotto della condanna di Croce, per il quale la grammatica grammati ca non aveva nessuna dignità filosofica, ma era tuttavia solo uno strumento didatt didattico ico ed empirico. La trattazione comincia con la frase per poi estendersi a tutte le parti del discorso. Quando viene enunciata una regola, vengono fornite due frasi, precedute da un asterisco, che indica la inaccettabilità inaccettabili tà o agrammati agrammaticalità. calità. L’errore è un elemento che il linguista prende in considerazione con grande interesse. Mentre il grammatico tradizionalista si limitava a condannare le forma ritenute scorrette, il linguista si preoccupa di spiegare l’uso della lingua ai vari livelli, segnalando anche in molti casi l’esistenza di varianti
regionali. DIZIONARI STORICI E CONCORDANZE IL “BATTAGLIA” E LA LIZ LIZ
Lo studioso della lingua italiana fa largo uso dei dizionari, efficienti strument strumentii di consultazione. I dizionari storici hanno una documentazione più ricca che riguarda l’uso di tutte le epoche. Il più importante dizionario storico è il “Battaglia”. Battaglia, infatti, ebbe l’idea di riproporre, aggiornandolo, il più grande dizionario dell’Ottocento: quello di Nicolò Tommaseo. La nuova opera uscì nel 1961, in cui la struttura della voce rimane legata al modello ottocentesco. ottocentesco. Il progetto poi fu ampliato e divenne il “Grande dizionario della lingua italiana” in 20 volumi: Impostazione fortemente letteraria Vasta raccolta di esempi di scrittori: sotto ogni voce sono poste le attestazioni degli autori della letteratura italiana in ordine cronologico Gli scrittori sono di tutte le epoche, compresi i minori Lo spazio maggiore è assegnato al ‘900
nella “Letteratura italiana Zanichelli” su cd -rom, realizzata nel 1993: testi della nostra La LIZ cons letteratura daliste Medioevo al Novecento.
STRUMENTI DI CONSULTAZIONE IN INTERNET 1. Corpus messo in rete dal Ci-Bit, il consorzio interuniversitario per la Biblioteca Italiana Telematica: raccolta di testi, spesso rari 2. OVI, Opera del Vocabolario Italiano: opere dei primi maestri della letteratura italiana e anche testi di poeti meno conosciuti 3. Tesoro della Lingua Italiana delle Origini: vocabolario storico di tutte le varietà dell’italiano antico, fino al 1375, stampato anche su carta GRANDI DIZIONARI DELL’USO I dizionari storici documentano il passato della lingua, la sua storia ed evoluzione. I dizionari dell’uso fanno spesso riferimento al passato e contengono molt e parole antiche, per registrare le etimologiee e segnalare il lessico antico e letterario. Questo comune dizionario non è privo di elementi relativi etimologi alla storia della lingua. “Vocabolario della lingua italiana” di Duro del ’86-94 “Grande dizionario Italiano dell’Uso” di De Mauro del 1999
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DIZIONARI ETIMOLOGICI Il dizionario etimologico tiene conto dell’origine delle parole di una lingua. Suggerendo la loro etimologia. “Dizionario etimologico della lingua italiana” del 1950 -57, più noto come DELI: prima vengono citati gli autori e le opere in cui ricorre la parola con le relative date, partendo da quella più antica, poi viene inserita l’etimologia della parola. Inoltre fornisce una breve storia della parola nella sua evoluzione, oltre a fare osservazione di grammatica storica, verificando le trasformazione fonetiche subìte dal termine originario. CAPITOLO 3: soggetti e oggetti della storia linguistica
VOLGARI, DIALETTI E SPINTE REGIONALI CENTRO E PERIFERIA NELLA STORIA LINGUISTICA LINGUISTICA ITALIANA
La storia linguistica italiana si caratterizza per un profondo e costante rapporto tra centro e periferia; per centro si intende la Toscana, da cui ha avuto origine l’idioma nazionale, per poi espandersi verso altre regioni e nella cui espansione ha incontrato diverse parlate locali. Il toscano è apprezzato come lingua della Commedia di Dante, del Decameron di Boccaccio e del Canzoniere di Petrarca. Come osservava Manzoni, l’Italia era l’unica nazione in cui la capitale politica, ossia Roma, non coincideva con la capitale linguistica, Firenze. VOLGARI E DIALETTI C’è stata una fase iniziale in cui le varie lingue locali hanno potuto aspirare alla promozione di un alto livello di cultura. La prima scuola poetica italiana, infatti, è nata in Sicilia e ha usato il volgare siciliano, pur nobilita dolo per un uso illustre. Si può parlare di dialetto, solo da quando si è affermata la lingua. LETTERATURA DIALETTALE SPONTANEA E RIFLESSA Tale distinzione è stata stabilita da una famoso saggio di Croce: 1. letteratura dialettale riflessa si oppone consciamente alla lingua letteratura dialettale spontanea non è cosciente dell’opposizione alla lingua 2. Secondo Croce, l’uso cosciente del dialetto ebbe inizio dal Seicento, dopo la piena affermazione della letteratura in lingua, anche se la data può essere posta nel ‘500. POLICENTRISMO E VARIETA’ LINGUISTICA POLICENTRISMO L’esistenza dei dialetti è stato lo sfondo su cui si è sviluppata la letteratura in lingua, che ha potuto utilizzare le lingua regionale o opporsi ad esse. Tre tipologie: 1. testo scritto propriamente in dialetto
2. testo che che rifiuta utilizzailadialetto volte il dialetto in un contesto non dialettale e a fini diversi 3. testo La storia linguistica italiana è per sua natura policentrica e si è sviluppata anche attraverso la collaborazione del centro e periferia. L’AZIONE DELLE LINGUE STRANIERE: I PRESTITI TIPOLOGIA DEL PRESTITO Gli scambi con l’estero sono frequenti: la lingua si trasmette attraverso i libri, il prestigio culturale, scientifico e tecnologico, le invasioni militari, militari, i viaggi e i commerci. Sono le lingue dotate di maggior prestigio a influenzare il dialetto, esercitando un’azione che si manifesta nei prestiti. Il prestito può essere non adattato o adattato, a seconda che il termine venga accolto nella forma originale o venga in qualche modo modificato. Quelli non adattati, risultano vistosamente differenti dalle parole italiane. Il rapporto con una lingua diversa produce i calchi che possono essere di due tipi: 1. calco tradizionale, quando si traduce alla lettera la parola stranie ra( grattacielo traduce l’inglese skycraper) 2. calco semantico, quando una parola assume un nuovo significato traendolo da una parola straniera ( autorizzare: prima significava significava rendere autorevole e per influsso francese ora permettere)
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i prestiti di necessità si hanno quando la parola arriva assieme a un referente nuovo, privo di nome nella lingua che lo riceve: parola nuova insieme alla cosa nuova ( patata, parola giunta dall’America Latina) i prestiti di lusso possono essere giudicati superflui, perché la lingua possiede già un’alternativa alla parola forestiera, ma i loro uso prevale perché evoca una civiltà o una cultura prestigiosa, per un fine stilistico stilist ico ecc. ( baby sitter)
REAZIONI ESTEROFOBE E PURISTICHE Il linguista si limita a prendere atto dell’es istenza di prestiti e cerca di individuare i loro canali di diffusione, i motivi della loro fortuna. L’osservazione dei forestierismi ha preso le mosse da reazioni puristiche: il Purismo implica una difesa della lingua dai termini stranieri poiché la lingua viene sentita come segno di unità nazionale. LE LINGUE ENTRATE IN RAPPORTO CON L’ITALIANO Al primo posto ci sono quelle europee ( provenzale, francese, spagnolo, inglese), oltre ai contatti con il latino e il greco. Il latino fu una fonte a cui si attinse per potenziare il lessico del volgare, promuovendolo a un più elevato livello culturale, mentre i rapporti con il greco furono favoriti dallo sviluppo della cultura umanistica, anche se i principali termini riguardano la medicina. Tra le lingue moderne, il francese ha avuto maggiori rapporti: le letterature in lingua d’oc e d’oil si svilupparono prima della nostra. Molti gallicismi con i suffissi – aggio aggio ( coraggio, omaggio, vantaggio), ardo ( codardo), - iere( cameriere, cavaliere) sono entrati nell’uso comune. La penetrazione di parole francesi continuò nel Seicento, nel settore militare ( maresciallo, avanguardia, arruolare). Tra ‘700 e ‘800 fu forte l’influenza del francese nella politica ( federalismo, rivoluzione), per la presenza dei
francesi in Italia, delle loro leggi istituzioni. Al tempo dell’Illuminismo era elaistituzioni lingua di. cultura più prestigiosa e all’inizio dell’800 si sviluppò una reazione contro i gallicism gallicismi.i. Anche le lingue iberiche hanno avuto influenza dalla seconda metà del ‘500 alla fine del’600: attraverso lo spagnolo e il portoghese sono entrati in italiano diversi termini esotici indicanti frutti e prodotti prima sconosciuti ( banana, cacao, mais). Gli anglismi o anglicismi costituiscono un settore in continua crescita: il periodo di forte penetrazione comincia nell’800 e raggiunge raggiunge il culmine nella nostra epoca L’influenza germanica si era fatta sentire in una fase più antica, durante il processo di formazione della nostra lingua; parole portate dagli invasori che in certi casi soppiantarono la corrispondente parola latina ( guerra-bellum guerra-bellum)) Nel Medioevo è stato importante il rapporto rapporto con l’arabo( tariffa, dogana) dogana)
GLI SCRITTORI E IL LINGUAGGIO LETTERARIO IL RUOLO DEGLI SCRITTORI Nel pensiero idealistico,sociale. la lingua viene concepita come atto creativo, individuale e non come fatto di comunicazione La creazione letteraria richiede uno sforzoespressività di originalit originalità. à. Il linguaggio letterario ha spesso influito in maniera determinante sulla lingua comune. GLI SCRITTORI COME MODELLO DI CODIFICAZIONE Il linguaggio letterario può essere studiato dal punto di vista della critica stilistica che si occupa di definire i caratteri della scrittura di singoli autori. Nella situazione italiana sono stati proprio gli scrittori a incidere sullo sviluppo della lingua nazionale, fornendo gli elementi su cui grammatici e teorici hanno poi stabilito la norma. FORNACIARI: FORNACIA RI: uso moderno della lingua consiste in tutta quella parte che mentre si parla o è intesa, ha anche a suo favore la maggioranza degli scritto scrittori, ri, antichi e recenti SALVIATI: l’uso degli scrittori è privilegiato rispetto all’uso comune dei toscani BUONMATTEI: il più importante grammatico italiano del Seicento, aveva ribadito che le regole della lingua si ricavano degli scrittori e si deve ricorrere all’uso popolare, solo quando negli scrittori non c’è chiarezza. Gli scrittori sono stati considerati determinanti per la stabilizzaz stabilizzazione ione della norma grammatica grammaticale. le. In mancanza di una nazione politicamente unificata e una comunicazione affidata al dialetto, l’interesse per la lingua si è sviluppato soprattutto nel settore della letteratura.
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La prima teorizzazione linguistica relativa alla lingua italiana è stata proposta da Dante nel De Vulgari Eloquentia e ha avuto la possibilità possibilità di portare il volgare al livello sublime della poesia. IL POPOLO IL POPOLO PADRONE DELLE LINGUE Il linguaggio è patrimonio di tutta la comunità dei parlanti: la lingua non può essere considerata esclusiva di singoli individui o delle classi più colte, anche se solo queste ultime sono in grado di partecipare al dibattito letterario. POPOLO, PLEBE, SCRITTORI Bembo, a cui si deve la teoria vincente nelle dispute cinquecentesche sul volgare, era fautore di un ideale letterario aristocratico aristocratico e non riconosceva i diritti della parlata popolare. Per popolo, si intende quello toscano, l’unico che possedeva un idioma paragonabile a quello letterario. Il popolo di tutte le altre regioni era legato al proprio dialetto e non poteva essere oggetto di attenzione da parte di grammatici e teorici. Manzoni, nell’800, finì per adottare la lingua viva e vera di Firenze, staccandosi dalla tradizione letteraria arcaizzante. La plebe era sempre stata considerata di nessun valore o dannosa. L’ITALIANO POPOLARE I primi documenti presi in esame furono quelli più recenti: ROSSI raccolse una serie di lettere, scritte da una contadina del Salento, presentate in seguito in un saggio linguisti linguistico co di DE MAURO. La categoria di italiani popolare si è fissata all’inizio degli anni ’70 per indicare la parlat a degli incolti di aspirazione unitaria o di chi ha per madrelingua il dialetto. La scoperta di una serie di documenti, come racconti autobiografici e diari, dimostra come anche tra gli
appartenenti ai ceti sociali più bassi, ci fosse diverso la capacità leggere e scrivere. Veniva adoperato un italiano scorretto, saturo di dialettismo, ma comunque dal di mero dialetto. Il dialetto può essere studiato come oggetto specifico e può essere messo in relazione con la lingua: i dialetti si sono via via avvicinati all’italiano e questo ha acquisito elementi dei dialetti. Anche le masse popolari hanno partecipato indirettamente all’evoluzione della lingua. NOTAI E MERCANTI IL NOTAIO Il notaio è fra i protagonisti della fase iniziale della nostra storia linguistica: molti dei primi documenti in volgare sono stati scritti da notai e proprio a costoro si deve la scelta di introdurre il volgare al posto del latino: così accadde nel Placito Capuano, atto di nascita della nostra lingua. I notati sono stati tra i primi cult ori dell’antica poesia italiana, come dimostrano i Memoriali bolognesi, registri di atti, dove troviamo versi di Cino da Pistoia, di Cavalcanti e di Dante. Il notaio vive in una situazione di biling bilinguismo: uismo: per educazione è stato abituato ad usare il latino negli atti del suo ufficio, anche se il volgare è adoperato da testimoni e dalle parti che si presentano di fronte a lui. IL MERCANTE Il mercante medievale era meno istruito del notaio, ance se poteva conoscere le lingue straniere: imparava a leggere, scrivere e fare di conto, ma poi si dedicava alla sua attività pratica. Il mercante leggeva per proprio divertimento, ma il rapporto con la scrittura era più importante, in quanto aveva a che fare con la sua professione. La scrittura era al servizio di esigenze pratiche. Un libro di conti del 1211 è la prima testimon testimonianza ianza di volgare fiorentino. Di particolare interesse risulta l’area veneta: la più antica documentazione di Venezia è di origine commerciale. SCIENZIATI E TECNICI L’EGEMONIA DEL LATINO Lo strumento della lingua scientifica fu per lungo tempo solo il latino: questa situazione durò fino al Rinascimento.. Il latino adoperava in settori come la teologia, la matematica, la filosofia, l’astronomia ecc. Rinascimento La base delle conoscenze della natura era costituita da autori classici e da autori come Aristotele. Anche nel campo della medicina si usava il latino, lingua in cui erano tradotti in Europa, molti autori arabi.
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AFFERMAZIONE DI UN LINGUAGGIO SCIENTIFICO ITALIANO il linguaggio scientifico moderno ha accentuato molto i suoi caratteri specifici. Oggi molto spesso, chi scrive saggi scientifici, è tentato ad usare l’inglese e ciò evita problemi di traduzione, assicurando una più facile diffusione all’estero. Lo scienziato necessita di una terminologia priva di incertezza evocativa: deve definire rigorosamente i termini che usa o deve attenersi al significato prefissato. LA FORZA DELLA NORMA: I GRAMMATICI PRIME GRAMMATICHE ITALIANE La lingua esiste anche prima che i grammatici abbiano fissato le norme; l’italiano, vantava già un’eccellente tradizione letteraria quando tra ‘400 e ‘500, si avviarono i primi esperimenti di stabilizzazione della norma. La prima grammatica italiana è la GRAMMATICHETTA VATICANA, chiamata così perché tramandata da un codice apografo ( c opia dell’originale) della Biblioteca Vaticana (l’originale, oggi perduto, stava nella Biblioteca di Lorenzo il Magnifico a Firenze). Questa grammatica è attribuita a LEON BATTISTA ALBERTI e la data di composizione si colloca tra il 1434 e il 1454. Vi è un confronto tra italiano e latino, mentre inizialmente si parla di come i latini e i greci fossero stati i primi che ricavarono delle regole per scrivere in maniera corretta. Gli umanisti riconoscevano che il latino aveva una salda struttura grammaticale. grammaticale. L’opera non ebbe né fortuna né diffusione. Per la tradizione umanistica, abituata all’uso del latino, la promozione del volgare passava attraverso il riconoscimento riconoscim ento della sua capacità di avere delle regole: la grammatica era garanzia del valore della lingua. “Regole grammaticali della volgar lingua”di Giovanni Francesco Fortunio, pubblicate ad Ancona nel 1516. Nel 1525 uscirono le “Prose della volgar llingua” ingua” di BEMBO; nella terza e ultima parte si ttrova rova una vera e propria grammatica dell’italiano, esposta esposta in forma dialogica. Le norme fissate edaiBoccaccio; grammaticile del erano ricavate ildagli scrittori reso grande la lingua: Dante, Petrarca loro‘500 opere fornirono modello a che cui avevano i grammatici si attennero. La grammatica grammati ca si sviluppò dopo che fu disponibile una ricca tradizione letteraria. Fino a quel momento, chi usava la lingua, doveva ricavare autonomamente le regole, a partire dagli autori letti e ammirati. GRAMMATICHE TOSCANE DALLA Toscana, nel Cinquecento, non giunsero delle opere normative capaci di competere con quelle prodotte dall’editoria di Venezia. Dalla seconda metà del ‘500 all’inizio del ‘600, si imposero opere di grammatici toscani, che riconoscevano l’importanza della lingua fiorentina parlata, pur senza rinnegare il ruolo fon damentale della tradizione scritta. La norma dell’italiano si era fissata sulla base di modelli letterari antichi.
LA GRAMMATICA COME STRUMENTO DIDATTICO Le grammatiche del ‘500 furono strumento di consultazione per il letterati. Dal ‘700, con lo sviluppo di pubbliche scuole superiori di lingua italiana, ai grammatici si offrì la grammatica grammati ca come manuale e divenne uno strumento fondamentale. LESSICOGRAFI E ACCADEMICI NASCITA DEL VOCABOLARIO ITALIANO Il vocabolario dell’uso è considerato un testimone della lingua viva e necessita di continui aggiornamenti per stare al passo con i tempi: le edizioni dei vocabolari di succedono abbastanza di frequente, tenendo conto dei prestiti e dei neologismi che entrano in grande quantità nel patrimonio lessicale lessicale della nazione. LESSICOGRAFIA TOSCANA E ACCADEMIA DELLA CRUSCA I Più antichi vocabolari a stampa dell’italiano furono realizzati lontano dalla Toscana, soprattutto a Venezia, ma anche al Sud, come a Napoli. La cultura di Firenze intervenne attraverso l’Accademia della Crusca, fondata alla fine del ‘500. La Crusca pubblicò nel 1612 un vocabolario, in cui furono inserite le parole ammissibili. Il modello fu così forte che per secoli Accademia e Vocabolario si identificarono; furono pubblicate altre due edizioni nel Seicento e una nel Settecento.
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I GRANDI VOCABOLARI SPECCHIO DELLA CULTURA Alcuni vocabolari furono testimoni delle svolte culturali e di un atteggiamento linguistico disponibile ad accogliere novità di rilievo. Tra il 1797 e il 1805 fu pubblicato a Lucca il DIZIONARIO UNIVERSALE CRITICO ENCICLOPEDICO DELLA LINGUA ITALIANA di Francesco d’Alberti di Villanova, che segnò un deciso rinnovamento, anche per la disponibi disponibilità lità verso i francesismi, verso alcuni regionalismi e verso le voci tecniche. Bellini e Tommaseo crearono il DIZIONARIO DELLA LIGNUA ITALIANA. Manzoni progettò un vocabolario completamente diverso da quelli fatti fino ad allora, coerente con la scelta del fiorentino vivo: il GIORGINI-BROGLIO. Il dizionario divenne poi uno strumento della didattica scolastica, per combattere la corruzione delle parole forestiere, dei barbarismi. LA BUROCRAZIA E LA POLITICA LINGUISTICA DEGLI STATI LA SITUAZIONE PARTICOLARE DELLA TOSCANA La letteratura e la cultura furono i canali più importanti per la diffusione del l’italiano, lingua che non ha raggiunto la sua stabilità attraverso la forza unificatrice di uno stato moderno dotato di organizzazione burocratica. In Toscana, la lingua parlata era vicina a quella scritta e letteraria, il potere politico quindi era disponibile alla promozione della lingua volgare. Il toscano ebbe un’importante promozione alla corte medicea, al tempo di Lorenzo il Magnifico, nel Quattrocento e nel Cinquecento sotto Cosimo I. Quest’ultimo seppe promuovere una vera e propria politica cultur ale, finanziando l’Accademia fiorentina e chiedendole di interessarsi in particolare ai problemi della lingua e di fissare le regole del toscano. LE CANCELLERIE STATI COME DI IRRADIAZIONE Nel resto d’Italia si DEGLI ebbero casi di adoz ioneCENTRO del volgare toscano al posto DELLA el latino;LINGUA nel campo giuridicoamministrativo amminist rativo il latino deteneva un primato quasi assoluto. Ma il volgare, già nel ‘400, fece la sua comparsa in alcune cancellerie signorili; la cancelleria è la segreteria addetta allo svolgimento degli affari di Stato, in cui si conservano atti legislativ legislativii e giudiziari. È nelle cancellerie che nel ‘400 si forma la lingua che si definisce come “comune”, “koinè”. I cancellieri sono notai e hanno una cultura linguistica latino, legale, pragmatico, a cui si può accompagnare una cultura umanist umanistica. ica.
MOTIVAZIONI PER LA SCELTA DEL VOLGARE Il volgare viene utilizzato già nel ‘400, da alcune cancellerie italiane: a Mantova, a Milano e viene usato inizialmente in bandi e gride rivolte al popolo, in funzione divulgativa, e successivamente nella corrispondenza ufficiale e nelle procedure di giustizia. Il popolo, incapace di intendere il latino, era in balia di notai e avvocati, in grado di ingannare gli ignoranti. Quando la lingua viene sentita come valore nazionale e come difesa verso l’esterno, è vista come tangibile segno di unità. LA GUERRA AI DIALETTI E LA POLITICA LINGUISTICA Anche i dialetti esprimono individualità e diversità regionale, concepiti come ostacolo sulla strada dell’ideale nazionale. Lo stesso Manzoni non fu favorevole ai dialetti. La posizione antidialettale viene definita come “giacobinismo linguistico”. L’unità linguistica si realizza quando la nazione è riuscita a raggiungere un livello accettabile nell’omogeneità del sapere, nella circolazione di idee, nella scolarità. LA POLITICA SCOLASTICA Uno degli strumenti di politica linguistica linguistica è la scuola. Fino al ‘700 però la scuola fu in lingua latina, il volgare era estraneo; solo in Toscana furono istituite già nel ‘500 cattedre di lingua toscana nelle università.
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Solo con le riforme del ‘700 il toscano entrò nella scuola superiore e nelle università, ci fu una promozione dell’italiano che all’inizio occupò una posizione modesta, ancora marginale rispetto all’insegnamento della lingua latina. Aumentò l’importanza di scuole sotterranee, cioè non organizzate dallo Stato, né strutturate in maniera omogenea, tenute da religiosi, presso le parrocchie. Si faceva scuola anche in botteghe artigiane, per formare i figli dei mercanti. Così anche i ceti meno elevati della città poterono imparare a leggere e scrivere in volgare. Gli Stati fino al ‘700 si disinteressarono dell’educazione popolare, occupandosi solo dell’istruzione universitariaa e superiore. universitari Nella seconda metà dell’800 si realizzar oono no esperimenti di scolarizzazione di massa: le legislazioni più avanzate si ebbero in Piemonte, Lombardo-Veneto, mentre quelle più arretrate nello Stato Pontificio e nel Meridione. Nel 1848 il Piemonte riordinò tutta la materia relativa all’istruzione pubblica mediante la legge Boncompagni Nel 1859 la legge Casati istituì la scuola elementare gratuita per quattro anni. Molti maestri insegnavano insegnavano spesso usando il dialetto, perché non erano in grado di parlare italiano.
GLI EDITORI E LA TIPOGRAFIA LA RIVOLUZIONE DELLA STAMPA L’invenzione della stampa a caratteri mobili fu una rivoluzione che incise profondamente sulla cultura europea. Tra le conseguenze ci fu: Una diminuzione del prezzo dei libri Aumento delle tirature
ampia divulgazione fu influenzata anche l’evoluzione della lingua La stampa produsse una crescente regolarizzazione della scrittura; l’editoria del Rinascimento si trovò a convivere con il trionfo delle idee di Pietro Bembo. La tipografia italiana favorì nel ‘500 la diffusione della norma bembi ana e allo stesso tempo se ne avvantaggiò. La Bibbia di Gutenberg, primo libro composto a caratteri mobili, uscì a Magonza nel 1455. In poco tempo la tipografia si diffuse anche in altre nazioni e con ottimi risultat risultatii in Italia. I primi tipografi attivi in Italia furono tedeschi. Nel ‘400 Venezia divenne la la capitale della stampa italiana, la seguono Roma, Roma, Firenze, Milano e Bologna.
GLI INCUNABOLI IN LATINO Il termine “incunabolo” definisce il libro quattrocentesco, dal latino “incunabula”, ossia fasce. Il primo libro volgare italiano è un testo popolare: prima si faceva riferimento a un’edizione dei “Fioretti di San Francesco”pubblicato a Roma nel 1469, ora si tiene conto di un frammento di un libro di preghiere, il “Parson fragment” del 1462, anche se la data resta incerta. Tra il 1470 e il 1471 uscirono gli autori massimi della letteratura volgare: si ebbero le prime stampe del “Decameron” e del “Canzoniere” di Petrarca. Ne 1472 uscirono diverse diverse edizioni della “Commedia” dantesca. I libri in volgare furono tutto in tutto il ‘400 una minoranza. Il settore delle prose è il più rilevante, in cui entrano anche testi scientifici, oltre ai libri geografici. Importante è la categoria dei volgarizzamenti dai classici greci e latini.
LA TIPOGRAFIA DEL CINQUECENTO, IL VOLGARE E LE CORREZIONI EDITORIALI Nel ‘500 le percentuali dei libri in volgare volgare aumentarono notevolmente. Nella prima del ‘500 si segnala a Venezia l’editore ZOPPINO, che stampa quasi tutti i libri in italiano, mettendo in catalogo autori come Petrarca, Dante, Boccaccio, Ariosto. Il correttore tipografico acquistò sempre di più maggiore importanza: prima della normativa di Bembo, poteva aversi un adeguamento alla norma toscana, ma ciò veniva interrotto. Solo nel libro post-bembiano il problema della regolarizzazione del testo si pone in maniera definitiva; per questo gli editori utilizzarono dei revisori ben preparati.
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Nel ‘500 questa professione acquistò una fisionomia ben precisa, per llaa realizzazione di un testo corretto e omogeneo. Si arrivò così alla regolarizzazione della grafia e dell’uso della punteggiatura.
DALLA STAMPA AI MASS MEDIA IL GIORNALE E LA SUA FUNZIONE LINGUISTICA Il giornale, in quanto pubblicazione periodica, poteva essere rivolto allo stesso pubblico colto che ac acquistava quistava i libri. Le maggiori riviste erano “Il Caffè”, la “Biblioteca italiana”, collocate a livello alto e per un pubblico esperto, trattando questioni di attualità, attualità, il tema della lingua, entrando nel vivo di un dibattito molto vivace. Questo favorì una crescita dell’alfa betismo e una maggiore scolarizzazione. Il giornale fu motore del cambiamento e della promozione culturale, ma anche testimone del suo tempo; per questo il giornalista si confronta con l’attualità, le novità tecnologiche, i mutamenti del mondo. Il giornale è il primo luogo di scrittura in cui gli elementi della lingua approdano ed è il primo luogo in cui arrivano le prime parole forestiere di moda. RADIO, CINEMA E TELEVISIONE TULLIO DE MAURO, in “Storia linguistica dell’Italia unita” attribuì grande peso all’influenza linguistica dei media. La radio era diventata un canale per raggiungere le massi popolari negli anni precedenti la seconda guerra mondiale. La televisione, nata nel dopoguerra, raggiunse anche il pubblico delle fasce più povere, non toccato dalla circolazione della stampa. Capitolo 4: situazioni della comunicazione, la varietà della lingua
LINGUA SCRITTA E LINGUA PARLATA NON ESISTE ESISTE L’OMOGENEITA’ LI LINGUISTICA NGUISTICA AS ASSOLUTA SOLUTA La lingua è per sua natura caratterizzata da varietà, tramite la quale si esprime la creatività del parlante. Lo storico deve sempre chiedersi a quale livello e in quale situazione si collochino i testi che esamina. SCRITTO E PARLATO L’opposizione tra lingua scritta e parlata tende a essere riassorbita nella visione della lingua c ome un continuum tra due poli. Nell’oralità ci sono stati nuovi elementi cche he sono entrati nella comunicazione, assenti nella scrittura: i gesti, le espressioni, il tono della voce. La scrittura ha una maggiore durata del parlato: permette la correzione, il ripensamento, stesure diverse fino al raggiungimento di un risultato soddisfacente e ordinato. Il testo scritto permette un controllo maggiore delle connessioni testuali, del lessico, della sintassi. DIFFICOLTA’ DEGLI STUDI SUL PARLATO La registrazione della lingua parlata pone problemi di metodo, nella selezione dei canali e degli informatori. La maggior parte della storia linguistica italiana va ricostruita sulla base di documenti e testi scritti, in cui affiorano le tracce dell’orale. Un caso particolare è costituito dal testo teatrale, che presenta un certo realismo e può essere considerato una simulazione del parlato; non è un vero parlato, perché in realtà si tratta di un testo scritto da un autore per essere messo in scena da attori che lo interpretano con la loro voce. Il parlato viene anche inserito nella narrativa, ad esempio nelle novelle, in cui la voce del narratore lascia spazio ai dialoghi tra i personaggi. Entrambi sono comunque di creazione letteraria. DIASTRATICHE HE LA LINGUA DEI COLTI E QUELLA DEGLI IN COLTI: VARIETA’ DIASTRATIC DEFINIZIONE DEFINIZIO NE DELLA VARIETA’ DIASTRATI DIASTRATICA CA La lingua cambia in dipendenza del livello culturale e sociale di chi la usa. L’italiano popolare è un concetto che definisce l’italiano l’it aliano di chi non riesce a staccarsi dal dialetto e conta mina i codici, dando luogo a degli errori.
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Per i linguisti, gli errori, sono fenomeni da interpretare e comprendere, indicandone la genesi e le motivazioni. Essi parlano di varietà diastatiche per indicare differenze che si riscontrano nell’uso dei diversi strati sociali. Nello studio delle varie fasi diacroniche dell’italiano dell ’italiano non esistono solo i ceti sociali acculturati e partecipi al dibattito letterario, ma anche quelli più bassi che non sempre risultano estranei all’italiano. DIFFERENZE SOCIALI DELL’USO LINGUISTICO NEI DOCUMENTI SCRITTI DEL PASSATO L’esame dei testi classificabili come italiano popolare permette di approfondire il discorso relativo alle differenze sociali della lingua. Nel ‘500 la l a mancanza di una norma li linguistica nguistica codificata e riconosciuta, rendeva normale il ricorso a forme della lingua viva, filtrate attraverso la grafia latineggiante: sono le varietà diatopiche, ossia geografiche. Con l’affermarsi della codificazione bembiana, chi si discosta dalla norma, scivola in una scrittura defi nibile come semicolta o popolare. Dal Cinquecento, l’italiano letterario divenne lingua della comunicazione scritta ai diversi livelli della società; da allora quanto più è modesto il livello culturale dello scrivente, tanto più emergono vistosi gli elementi legati al dialetto. VARIETA’ DIATOPICHE DEFINZIONE DELLA VARIETA’ DIATOPICA Le varietà diatopiche della lingua sono definibili anche come varietà geografiche. DE MAURO ha mostrato che l’italiano parlato oggi nel nostro paese non è uniforme, ma varia da regione e regione. Le differenze riguardano il livello fonetico e fonologico, ma anche quello morfologico e lessicale. Ad esempio i parlanti settentrionali non distinguono tra le e/o rispettivamente aperte e chiuse. L’italiano di Roma non è identico a quello toscano.
Le varietà diatopiche possono stessa regione. Questa varietà si riconosce neldividere parlato euna nelle scritture; quanto più è basso il livello di cultura dello scrivente, tanto più non è in grado di aderire al modello del toscano letterario e più affiorano i tratti locali. Il processo di eliminazione dei tratti locali fu confermato dal ‘300 dall’imitazione del linguaggio delle Tre Corone. I libri di maneggio nel ‘700 servivano a verificare la consistenza dei dialettismi con cui si indicano gli oggetti domestici. LE ESIGENZE DELLA CHIESA Prima dell’Unità. Gli esponenti della gerarchia ecclesiastica si erano dimostrati sensibili ai problemi della varietà della lingua parlata e sapevano che i predicatori dovevano parlare al pubblico di regioni diverse senza sfigurare. IL MISTILINGUISMO Il parlante o scrivente italiano è stato attirato dal toscano, lingua conosciuta attraverso i modelli della letteratura o ammirata nel parlato popolare di Firenze. È stato condizionato dal suo dialetto d’origin e, spesso diverso dal toscano. Il parlante non toscano si trova a parlare un dialetto d’uso quotidiano, necessario e diffuso, collocato ad un livello di prestigio inferiore rispetto alla lingua letteraria, considerata la sola nobile. Il mistilinguismo era la mescolanza di elementi linguistici diversi, nello scritto e nel parlato e poteva manifestarsi sia involontariamente, involontariamente, per errore, sia volontariamente per scelta stilistica. VARIETA’ DIAFASICHE Diafasico è il termine tecnico per indicare differenze linguistiche relative allo stile della comunicazione, che può svolgersi a livelli diversi. Si può parlare di: livello molto elevato o aulico colto formale o ufficiale medio colloquiale informale popolare
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familiare basso, plebeo A ognuno di questi stili corrisponde una forma linguisti linguistica ca differente e scelte sintattiche sintattiche e lessicali diverse. La definizione dei registri e degli stili della comunicazione orale interessa i socioling sociolinguisti. uisti. Lo storico della lingua in diverse occasione terrà conto del livello o registro in cui si colloca il documento che ha occasione di prendere in esame. Molte tendenze innovative dell’italiano di oggi si manifestano ad un livello diafasico molto basso: gli è usato al posto di a lei uso del ci davanti al verbo avere che polivalente uso dell’imperfetto nell’ipotetica dell’irrealtà uso dell’indicativo al posto del congiuntivo nelle dipendenti
Capitolo 5: origini e primi documenti dell’italiano
DAL LATINO ALL’ITALIANO L’italiano deriva dal latino: ha la stessa origine delle altre lingue ro manze, derivando così dal latino volgare. Gli esiti romanzi vengono paragonati tra loro e ricondotti alla parole originaria dalla quale derivano: questa parola viene presupposta come propria del latino volgare, la lingua a cui gli studiosi fanno riferimento per spiegare l’origine degli idiomi romanzi. Il concetto di latino volgare, veniva usato per indicare i diversi livelli linguistici che esistevano nel latino e queste distinzioni rinviavano a livelli sociolinguistici sociolinguistici differenti. Gli incolti, quindi, parlavano in modo diverso dalle persone colte e dai romani istruiti.
Il concetto poi, fa anche riferimento a una componente diacronica, a una componente sociolinguistica e diacronica. Esempio: PLUS, che sostituì MAGIS nel comparativo. Il tipo magis era presente nelle aree laterali dell’Impero, mentre plus si era diffuso al centro. Essendosi già imposta la forma magis nei territori conquistati, in una fase successiva si irradiò da Roma il tipo plus, che non fece in tempo a raggiungere i territori laterali della Romania, che conservano tutt’oggi la forma più antica. Il latino dunque non aveva un’unità linguistica assoluta e non si impose allo stesso modo ovunque. La penetrazione fu forte in Iberia, Gallia, Rezia, Rezia, Norico, Dalmazia, Dacia e nell’Africa settentrional settentrionale; nella parte orientale dell’Impero prevalse l’uso del greco, l’unica lingua di cultura dell’antichità di fronte alla quale i romani provassero rispetto. L’atteggiamento dei romani nei confronti delle altre lingue dei popoli fu di disinteresse e di dispre zzo: il colonialismoo romano impose il latino insieme alle leggi latine e alla cultura latina. colonialism La Germania non fu latinizzata, a differenza della Gallia e il confine fu fissato sulla sponda del fiume Reno. A partire dal IV secolo, entrarono nel latino dei germanismi: guerra, germanico occidentale *WERRA( alto tedesco werra, confusione) che prese il posto di BELLUM
1. Al livello della lingua scritta si situa il latino classico, con la sua continuità culturale, a cui si avvicina il latino parlato dai ceti colti aristocratici dell’età repubblicana 2. latino popolare, identificato col latino volgare 3. il latino parlato dai ceti colti in età imperiale si avvicinò al livello popolare, dando origine al latino volgare, da cui sono nate le lingua romanze. In epoca tardo-imperiale, il latino parlato influenza solo marginalmente una lingua ormai cristallizzata e regolata dalle norme dei grammatici. La frattura tra scritto e parlato diventa insanabile. Dimensione geolinguistica geolinguistica dello sviluppo del latino, inquadrato in una prospettiva storica: progressiva espansione geografica del latino nel corso dell’età repubblicana e imperiale, che comportò la nascita di un “latino delle province” nel latino delle varie regioni, si avviò un processo di differenziazione, su cui incisero le invasioni barbariche e il processo si concluse con la nascita delle lingue romanze. I due schemi illustrano lo stesso sviluppo, dal latino volgare alle lingue neolatine, considerandolo da due punti di vista differenti.
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Uno dei mezzi per ricostruire gli elementi del latino volgare è la comparazione tra le lingue neolatine: quando si importa una parola al suo etimo latino- volgare, si può individuare l’esistenza di una forma lessicale non attestata nel latino scritto, indicata con un asterisco. Il latino volgare conteneva molte parole presenti anche nel latino scritto, come FUMUM. Altre parole furono innovazioni del latino parlato, non sono attestate nello scritto, come PUTIUM PUTIUM.. In altri casi si ebbe un cambiamento nel signif significato icato della parola latina letteraria, che assunse un senso diverso nel latino volgare: TESTAM, in origine era un vaso di terracotta, ma poi sostituì CAPUT. Assunse inizialmente un significato ironico, ma poi assunse in toto il nuovo significato, anche se capo sopravvive in italiano come parola dotta. Il confronto le lingue romanze e lavolgare: ricostruzione derivati dal latino sono gli strumenti pertra la conoscenza del latino esistonoetimologica una serie didei testi che possono darenon informazi informazioni oniunici utili per intravedere alcune caratteristiche del latino parlato di livello popolare o del latino tardo. Sono i trattati di cucina, medicina, ma anche i testi teatrali contengono elementi del parlato. Esempio: SATYRICON di PETRONIO ARBITRO, nel I secolo d.C.: coesistono forme come pulcher, formosus, bellus. Il primo aggettivo era destinato a sparire nelle lingue moderne, mentre gli ultimi due sono all’origine delle lingue romanze: 1. spagnolo: hermoso 2. italiano: bello 3. francese: beau Bellus si trovava anche nel poeta Catullo, nel I sec. a.C. e in Cicerone. Le forme affettive e familiari presero molte volte il sopravvento, rimpiazzando il tipo lessicale dominante. Esempio: in PETRONIO, si trova unus con funzione di indefinito anziché numerale, così come sarà nelle lingue romanze. Tra le fontierrori per lasignificat conoscenza contengono significativi. ivi. del latin volgare si possono citare le iscrizioni delle lapidi, che a volte Interessanti sono anche le scritture occasionali, come quelle che si trovano sulle pareti delle case di Pompei, graffiti e scritte murali: queste scritte non sono posteriori alla data del 79 d.C. quando l’eruzione del Vesuvio colpì la città. Rilievo, tra i documenti del volgare, lo ha l’APPENDIX PROBI. Chiamata così perché il documento segue gli Instituta artium di un grammatico tardo come Probo: è una lista di 227 parole non corrispondenti alla buona norma, tramandate da un codice scritto a Bobbio intorno al 700 d.C. un maestro dell’epoca avrebbe raccolto le forme errate in uso presso i suoi allievi e le avrebbe affiancate alle corrette, secondo il modello A NON B: speculum non speclum vetulus non veclus columna non colomna frigida non fricda turma non torma Non sempre la forma forma attestata nell’Appendix Probi è quella che ha dato origine agli sviluppi romanzi: SPECULUM ha dato origine a SPECCHIO, con passaggio di – CL CL a – kkj kkj VETULUM: vecchio L’Appendix è l’occasione per riflettere sulla presenza nel latino volgare di una serie di tendenze aberranti rispetto alla norma classica, avvertite come errori. L’errore è una deviazione rispetto alla norma, ma nell’errore possono manifestarsi anche tendenze innovative. Quando l’errore si generalizza, l’infrazione diventa norma per tutti i parlanti.
Gli studiosi fanno riferimento ai fenomeni di sostrato: il latino si impose su lingue preesistenti che influenzarono l’apprendimento della lingua di Roma. Esse erano l’etrusco, l’osco l ’osco-umbro. Con superstrato, si intende, l’influenza esercitata da lingue che si sovrapposero al latino, come avvenne al tempo delle invasioni barbariche. Per adstrato si intende l’azione esercitata da una lingua confinante. L’apporto lessicale all’italiano di queste lingue non è di grande rilevanza, anche se si possono individuare diverse parole di origine germanica. I goti entrarono in Italia nel 489, guidati da Teodorico. Il regno gotico finì con la guerra intrapresa dagli eserciti di Gisutiniano, il dominio dei goti non fu perciò molto lungo. La lingua gotica ci è nota soprattutto
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grazie alla traduzione della Bibbia fatta nel IV secolo dal vescovo Ulfila: i termini goti entrati nell’italiano sono meno di una settantina( settantina( astio, melma, nastro, stecca). I longobardi invasero il Paese nel 568 e la loro fu un’invasione violenta e brutale: si creò così una vera e propria frattura e il loro dominio durò fino alla venuta dei franchi, nel VIII secolo. Lasciarono anche una traccia nella denominazione di gran parte dell’Italia settentrionale, chiamata Lombardia. Le parole longobarde sono oltre 200, tra arcaiche e moderne, dialettali e di lingua( guancia, stamberga, federa, gruccia, palla, faida). L’insediamento dei franchi ebbe un carattere diverso: era un certo numero di nobili con i loro fedeli, un’elite che si insediò ai vertici del potere civile e militare( bosco, guanto, dardo). All’influsso franco, di tipo germanico, va collegato, lo gallo-rom gallo-romanzo. anzo. L’influenza d’oltralpe si fece sentire nel secolo XIquel e XII, con la diffusione della letteratura provenzale e francese, tanto che nel ‘200 vi furono f urono trovatori settentrionali che poetarono i lingua d’oc. Nel periodo carolingio entrarono parole come: conte, marca, cameriere, barone, dama, lignaggio, vassallo.
NOZIONI DI GRAMMATICA STORICA Le modificazioni subite dal latino non sono state casuali: si riscontra una regolarità. Queste regole possono essere organizzate così sistematicamente, da fornire una descrizione metodica per ognuna delle lingue romanze. La grammatica storica si occupa dello sviluppo diacronico della lingua, mentre quella descrittiva e normativa normativa si occupano delle norme che governano una lingua nella sua fase più recente. Le leggi della grammatica storica sono differenti da lingua a lingua e non sono prive di eccezioni e aanomalie. nomalie. NOZIONI ELEMENTARI DI FONETICA le vocali possono essere classificate in base al loro punto di articolazione. La fonetica è la disciplina che si occupa di questo relazione conarticolato lo studioria dell’anatomia dell’apparato fonatorio. settore della linguistica, che ha una precisa Vocale a, detta media Per la è la lingua si sposta in avanti e in alto verso il palato Per articolare la ó la lingua si sposta indietro, verso il velo palatino Per articolare la i si deve avere un’ulteriore avanzamento della lingua rispetto alla è Per pronunciare la u si deve giungere al limite del velo palatino
1. 2. 3.
vocale centrale bassa: a 3 vocali anteriori o palatali: i, è, é 3 vocali posteriori o velari: u, ò, ó
La e e la o si distinguono in chiuse e aperte. Vi sono lingue o dialetti in cui esistono le vocali “turbate”, la ö e la ü, assenti in italiano. Esiste la vocale indistinta o muta: ë o ə( schwa). Le vocali, inoltre, possono essere distinte a seconda della durata, in lunghe o brevi. Quelle che portano l’accento, sono dette toniche, quelle senza sono atone. Combinazioni particolari particolari di suono sono i dittonghi, che possono essere: Ascendenti: piède, uòmo Discendenti: fài, càusa A seconda che la sonorità diminuisca o aumenti nel passaggio dal primo al secondo elemento. La i e la u ( iod e waw) che entrano nei dittonghi vengono pronunc pronunciate iate in maniera intermedia tra quella si una vocale e di una consonante: semiconsonanti. Vengono rappresentate con un mezzo cerchio aperto verso il basso.
Le consonanti vengono pronunciate con un restringimento o con un’occlusione del flusso d’aria. Quando avviene il restringi restringimento mento sono dette FRICATIVE FRICATIVE.. Quando avviene un’occlusione sono dette OCCLUSIVE. La combinazione delle prime con le seconde produce le AFFRICATE. Le consonanti possono essere sorde o sonore: nelle prime non si ha la vibrazione delle corde vocali, nelle seconde sì.
OCCLUSIVE
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Sorde /p/ /t/ / k/
Labiali: dentali: velari:
Sonore /b/ /d/ /g/
Se l’occlusione della cavità orale si combina con il passaggio d’aria nel naso, si ottengono le consonanti nasali:
NASALI
Labiale: /m/ Dentale: /n/ Palatale: /ɲ/ Velare: /ɳ/ Se la lingua occlude solo la parte centrale della cavità orale, lasciando libere le zone laterali, avremo le consonanti laterali:
LATERALI: dentale: /l/ palatale: /ʎ/ (figlio)
La /r/ è una consonante vibrante, perché la lingua produce una serie di ostruzione che si susseguono rapidamente come vibrazioni. Con le fricativa, si produce un restringimento nel flusso dell’aria fino a produrre una attrito:
FRICATIVE: sorde sonore alveolari: / s/( sano) /z/ ( rosa) labio-dentali:: labio-dentali /f/ /v/ palatali: / ʃ/ /ʒ/
AFFRICATE: sorde dentali: /ʦ / ( alzare) palatali: /tʃ/ ( cena)
sonore ʣ// ( zero) / ʣ /dʒ/ ( giallo)
i nternazionale, come l’alfabeto fonetico internazionale o IPA. Esistono notazioni codificate a livello internazionale, Nella descrizione dell’italiano e dei suoi dialetti spesso si fa riferimento alla simbologia adoperata da G.Rohlfs nella sua grammatica storica. IL SISTEMA VOCALICO TONICO DELL’ITALIANO La lingua italiana ha un sistema di 7 vocali, perché è ed è costituiscono opposizione fonematica, cioè possono distinguere due parole altriment altrimentii identiche. Il sistema dell’italiano si è formato dallo sviluppo del sistema vocalico latino: il latino aveva dieci vocali, distinguibili distinguib ili in cinque lunghe e cinque brevi. Poi la quantità vocalica latina cessò di avere rilevanza e si trasformò in qualità: i parlanti pronunciavano le lunghe come strette e le brevi come aperte. Ī: i Ĭ, Ē: è Ĕ: è Ā, Ă: a Ŏ: ò Ō, Ŭ: ó Ū: u
ALTRI TIPI DI VOCALISMO Confronto con il sardo e il siciliano:
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SARDO: Ī, Ĭ: i Ē, Ĕ: e Ā, Ă: a Ŏ, Ō: o Ŭ, Ū: u Il sistema è penta vocalico. SICILIANO: Ī, Ĭ,è Ē: i Ĕ: Ā, Ă: a Ŏ: ò Ō, Ŭ, Ŭ: u
IL DITTONGAMENTO In italiano la è < Ĕ tonica, se in posizione di sillaba libera, ossia terminante per vocale, dà origine a un dittongo: PĔ – DE(M) DE(M) > piede. Anche la ò da Ŏ breve, dittonga, se tonica, in sillaba libera: BŎ -NU(M) > buono. All’inizio del’800 il dittongo uo venne eliminato dopo suono palatale( gioco< giuoco, figliolo< figliuolo). Il fiorentino popolare eliminò uo in tutte le posizioni: òmo al posto di uomo, bòna al posto di buona. Il dittongo manca in parole di origine dotta, che sono stata introdotte in italiano sulla base del modello latino: pòpolo< PŎPULU(M). PŎPULU(M). LA MONOTTONGAZIONE I dittonghi latini AE e OE si trasformarono rispettivamente in Ĕ breve e Ē lunga ( LAETU(M) >lieto, POENA(M)) > pèna). POENA(M Il dittongo AU resistette più a lungo, anche se i primi casi di monottongazione del tipo CAUDA(M) > CODA si verificarono già in epoca classica. c lassica. LA METAFONESI È un fenomeno linguistico che non interessa il toscano, ma si trova in altre zone d’Italia. Si può definire come una modificazione del timbro di una vocale per influenza di una vocale che segue. Si ha quando le vocali finale estreme influenzano la tonica che precede, aumentandone la chiusura se è già chiusa, facendola dittongare se è aperta. In Italia settentrionale settentrionale la metafonesi è limitata a è > i, ò > u davanti a – i finale. In certi casi può interessare la a. In Italia meridionale la metafonesi è di tutti i tipi: Ò > u sia davanti a – i (cunti), sia davanti a – o < u ( tratteneniento) Nel parlato in napoletano, si ha l’opposizione tra il maschile russë < RŬSSU(M) e il femminile rossa < RŬSSA(M): l’esito russë è condizionato dalla metafonesi, dovuta alla – U finale del maschile, poi trasformatasi in vocale muta; nel femminile il fenomeno non agisce perché la vocale finale è una – A. A.
L’ANAFONESI È un fenomeno tipico fiorentino e di una parte della Toscana, ma è assente nelle altre parlate italiane: è un elemento distintivo in opposizione alla metafonesi. È il fenomeno per cui una è tonica si trasforma in i davanti a nasale palatale ( ɲ ), davanti a laterale palatale (ʎ), provenienti rispettivamente da NJ e LJ e davanti a nasale velare (ɳ); ò tonica si trasforma in u davanti a nasale velare (ɳ). Esempio: gramigna< GRAMĬNEA(M), famiglia< FAMĬLIA(M), giunco< IŬNCU(M).
VOCALISMO ATONO il vocalismo atono italiano non distingue tra chiuse e aperte.
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Le vocali atone finali si indeboliscono giungendo a un suono indistint indistintoo in alcune zone del Meridione: questo suono può essere rappresentato con il segno della e muta ë; nella grafia dei dialetti meridionali questa e viene scritta come una e normale. Nelle parlate settentrionali italiane le vocali finali tendono a cadere, anche se maggior resistenza dimostra la – a. a. il toscano, ha una naturale tendenza a far finire le parole per vocale e a conservare le vocali finali. Già nel latino parlato era caduta la vocale mediana di molte parole sdrucciole: DŎM(I)NA(M)> donna, si tratta di una sincope della vocale postonica in penultima sillaba. BONITĀTE(M) >bontate > bontà è un esempio di sincope della vocale intertonica, con caduta ulteriore del – te te finale. PASSAGGIO E PRETONICA A I tende a chiudersi in i, come NEPOTEM >nepote >nipote. Nel toscano la DI e pretonica o protonica, In diversi casi il fenomeno non si riscontra per diversi motivi, per esempio in vocaboli di origine straniera, come il francesismo dettaglio o in parole in cui la e è stata ripristinata sul modello del latino(delicatodilicato) LABIALIZZAZIONE DELLA VOCALE PRETONICA Una vocale pretonica palatale( e, i) che venga a trovarsi vicino a un suono labiale( p, b, m, f, v) o labiovelare( kw, gw)può diventare labiale(u,o): DEBERE > devere> dovere o DEMANDARE > demandare > domandare. CONSONANTI FINALI Le consonanti latine – T, T, -S, -M in posizione finale subiscono nel passaggio all’italiano un indebolimento e un dileguo. CONSONANTI DOPPIE Le doppie latine si conservano in italiano e nei dialetti meridionali, ma non nelle parlate settentrionali. I gruppi consonantici latini CT e PT hanno dato origine: LACTE(M) LACTE(M) >latte, SEPTE(M) > sette. Un caso di raddoppiamento è quello che si produce in foto sintassi, cioè nel contatto tra due parole: AD CASAM > akkasa. La grafia italiana moderna registra il fenomeno solo quando si è prodotta l’univerbazione, cioè la riduzione ad una sola parola. SONORIZZAZIONE DELLE OCCLUSIVE SORDE INTERVOCALICHE IN Italia settentrionale le occlusive sorde intervocaliche k, p, t, passano alle corrispondenti sonore g, b, d, subendo un indebolimento e una conseguente sonorizzazione e a volte si arriva alla caduta della consonante sonorizzata. In Toscano questo fenomeno avviene raramente. Esempi: PATELLA(M) > padella, LOCU(M) > luogo. PALATALIZZAZIONE DI K E G( ESITI C E G + E, I ) La pronuncia del latino classico CERA e GELU era con occlusiva velare sorda, così come in CANIS, ma le vocali palatali e, i hanno finito per influenzare la pronuncia della consonante che precede. Si manifestò la tendenza a pronunciare le velari k e g come palatali davanti a vocali palatali: cera e gelo. Diversa la situazione in Italia settentrionale, dove l’evoluzione andò vers o le affricate dentali sorde e sonore, per poi passare alle corrispondenti sibilanti: CENTU( CENTU(M) M) > sent cento. La palatizzazione di C e G latine interessa la maggior parte delle lingue romanze. ESITI CONSONANTE +J Nel passaggio dal latino all’italiano le consonanti, tranne r e s , quando sono seguite da J si rafforzano: FACIO > faccio, SEPIA(M) > seppia. VITIU(M) > vezzo. Il nesso latino –TJ diventa in italiano l’affricata dentale sorda intensa: VITIU(M) In alcuni casi ci possono essere due esiti: PRETIU(M) PRETIU(M) > prezzo e pregio, RADIUM > razzo e raggio. Il nesso latino – LJ LJ dà laterale palatale intensa: FILIUM > figlio. – Il nesso NJ NJ dà in italiano la nasale na sale palatale intensa: IUNIUM IUNIUM > giugno.
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ESITI DI CONSONANTE +L I nessi latini di consonante +L passano in italiano a consonante +i: FLORE(M) > fiore, PLANU(M)> piano, CLAMARE> chiamare. In Italia meridionale il nesso latino – PL PL > ki: PLUS ( napoletano) chiù, (italiano) più. In posizione intervocalica la consonante +L raddoppia: NEB(U)LA(M) NEB(U)LA(M) > nebbia. Il nesso latino – TL TL passa a – CL: CL: VET(U)LU(M) > VECLU(M) > vecchio. LA LABIOVELARE Si chiama labiovelare il nesso kw o gw formato dalla velare k/g e dalla semiconsonante w. Nel dal all’occlusiva latino all’italiano, iiniziale niziale kw rimane intatta solo davanti ad a, mentr e negli altri passaggio casi si riduce velarelak.labiovelare QUID > che
PROSTESI Si ha quando c’è l’aggiunta di una vocale non etimologica all’inzio di una parola, per rendere la pronuncia più facile: in ispecie, per iscritto. l ’aferesi: Vangelo < EVANGELI EVANGELIUM. UM. Il fenomeno inverso, con caduta di vocale è l’aferesi: EPITESI ED EPENTESI L’epitesi consiste nell’aggiunta di un suono non etimologico alla fine di una parole, per facilitarne la pronuncia: piùe, fue per più e fu. L’epitesi di – ne ne esiste ancora oggi in alcune zone dell’Italia centrale: none per no. L’epentesi è l’inserimento di un suono non etimologico all’interno di una parola. ASSIMILAZIONE Un suono diventa simile a un altro che gli si trova vicino. È regressiva quando il suono che precede diventa simile a quello che segue( il secondo suono influisce sul primo), è progressiva quando il primo suono influisce su quello che segue. OCTO > otto, SEPTE(M) > sette. Anche la metafonesi è un fenomeno di assimilazione regressiv regressiva. a. Un’assimilazione progressiva dei dialetti centr o-meridionale o-meridionale è il passaggio – ND ND > -NN: QUANDO > quanno. DISSIMILAZIONE È il fenomeno opposto all’assimilazione e si ha quando due suoni simili situati vicino nella stessa parola si differenziano: ARBORE(M)) > ALBERO ARBORE(M ALBERO,, con dissim dissimilazione ilazione della prima r a causa della seconda. SPIRANTIZZAZIONE DI – BB- INTERVOCALICA È il passaggio dall’occlusiva labiale sonora latina in posizione intervocalica a una fricativa labio -dentale: HABERE > avere. ELEMENTI DI MORFOLOGIA STORICA: ARTICOLI E PREPOSIZIONI Nel passaggio dal latino alle lingue romanze si ebbe la perdita delle consonanti finali, ad esempio la – M dell’accusativo o la predita dell’opposizione tra vocali brevi e lunghe. Nella lingua latina si ebbe un collasso del sistema delle declinazioni; la scomparsa dei casi fu surrogata dall’introduzione di una serie di forme e costruzioni analitiche. Il latino è sintetico, mentre il passaggio dal latino classico a quello volgare implica l’introduzione di elementi morfologici analitici, analitici, come articoli e proposizioni; queste ultime presero la funzione di specificazione che nel latino classico era affidato ai casi. ELEMENTO DI MORFOLOGIA STORICA: IL NOME Le parole italiane derivano dall’accusativo delle parole latine, anche se nomi come uomo, sarto, moglie, derivano da nominativi nominativi.. La derivazione dall’accusativo è evidente negli imparisillabi della terza declinazione latina: monte < MONTE(M), nominativo MONS, amore < AMORE(M), nominativo AMOR. Il latino aveva tre generi di nomi: il maschile, il femminile e il neutro; quest’ul timo è sparito nelle lingue romanze, lasciando però qualche traccia: i nomi neutri latini si sono trasformati per la maggior parte in
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maschili, ma molti neutri plurali in – a sono diventati femminili singolari attraverso una fase in cui valevano come nomi collettivi: FOLIA > foglia. ELEMENTI DI MORFOLOGIA STORICA: IL VERBO Il futuro nelle lingue romanze si è formato differenziandosi dal futuro latino. Il futuro italiano deriva infatti dall’infinito del verbo + il presente di HABERE: CANTARE + HABEO > cantarò > canterò. Anche il passivo latino fu sostituito da forme analitiche, così come il passato prossimo: prossimo: ho ccantato antato < HABEO CANTATUS. ELEMENTI DI SINTASSI STORICA Nel latino classico era normale la costruzione con il verbo posto alla fine della frase, dopo il complemento indiretto e il complemen c omplemento to oggetto. Il latino volgare preferì l’ordine soggetto -verbo-oggett -verbo-oggetto-complemento o-complemento indiretto. Il latino classico costruiva la frase oggettiva mediante accusativo più infinito, mentre quello volgare introdusse una congiunzione subordinante quod o quia + verbo all’indicativo. Il latino mostrava una propensione per le frasi subordinate, mentre l’italiano preferisce la coordinazione. QUANDO NASCE UNA LINGUA: IL PROBLEMA DEI PRIMI DOCUMENTI Nel passaggio dal latino alle lingue romanze, la trasformazione durò secoli e si svolse su piano dell’oralità, in quanto il latino continuò a mantenere il ruolo di lingua della cultura e della scrittura. Lo stesso latino, poi, cambiò per l’ignoranza degli scriventi, oltre che per nuove abitudini. Si parla di latino medievale, come entità specifica a sé stante, diversa dal latino classico e dal latino volgare. Vi fu una fase in cui la lingua volgare, proveniente dal latino volgare, esistette nei parlanti, ma non venne ancora utilizzata per scrivere. questa fase parlate non furono prodotti Perché si affermasse la dignitàIndelle nuove romanze, eradocumenti. necessario che si accettasse di metterle per iscritto, ma non era semplice, in quanto non è facile scrivere una lingua che in precedenza era sempre stata orale. Solo verso il secolo XIII alcune scuole di scrittori scelsero la nuova lingua in maniera motivata, tenendo presente il modello di altre letterature volgari, nate oltralpe, anche se vi è l’esistenza di documenti più modesti prima di questo secolo. Primo documento in lingua francese: GIURAMENTI DI STRASBURGO dell’84. Non si hanno dubbi sull’intenzionalità di chi ha introdotto il volgare, la situazione è ufficiale, in quanto patto di alleanza fra i due sovrani( Ludovico il Germanico e Carlo il Calvo, nipoti di Carlo Magno). L’atto di nascita della lingua italiana è costituito dal PLACITO CAPUANO del 960 d.C.: formula connessa c onnessa a un giuramento. Questo documento non si lega a un evento storico, ma nasce da una piccola controversia giudiziaria di portata locale, ha dunque un tono minore rispetto a quello in lingua francese. Non era facile, concordare un’interpretazione letterale dei documenti, in quanto non era chiaro il senso di tutte le parole.
I GLOSSARI Nel 1963 è stato pubblicato il GLOSSARIO DI MONZA, risalente forse ai primi decenni del X secolo: si tratta di un glossario bilingue romanzo- romaico ( greco bizantino) e consiste nell’elenco di 60 lemmi in cui accanto alla voce latino – romanza romanza viene aggiunta la voce greco-bizantina. la definizione di romanzo non si identifica nel latino, ma spesso si avvicina alle forme del dialetto dell’Italia settentrionale. Lo scrivente non affiancò al termine latino una parola volgare, poiché il suo interesse andava all’equi valente greco ( registro intermedio). EDITTO DI ROTARI, prima stesura delle leggi longobarde, GLOSSARIO DI REICHENAU, con glosse in latino meno dotto. IL GRAFFITO DELLA CATACOMBA DI COMMODILLA A ROMA Le più antiche testimonianze italiane di scritture volgari sono maggiormente carte notarili, documenti processualu: documenti d’archivio. d’archivio.
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L’iscrizione della catacomba romana di Commodilla è un caso diverso , esso è un anonimo graffito tracciato sul muro. L’interesse deriva dal fatto che si tratta di un’anti ca testimonianza che conserva una spetto latineggiante, ma rivela il suo reale carattere del parlato. Il graffito non porta nessuna indicazione cronologica e si trova in una cappella sotterranea della catacomba, la cripta dei santi Felice e Adautto, la cui scoperta avvenne nel 1720. La cappella fu utilizzata come luogo di culto fino al IX secolo, quando i corpi dei due santi furono traslati altrove. Potrebbe risalire al VI-VII secolo. “NON/ DICE/ a voce alta”. RE IL / LE SE / CRITA/ A BBOCE”: “non dicere ille secrita a bboce” “ non dire quei segreti Sono stati individuati i caratteri capitali romani e lettere onciali: la scrittura onciale, tipica della cultura romana cristiana fu adoperata in tutto l’occidente latino dal IV al VIII -IX secolo, per tutto l’alto Medioevo fino alla rinascenza carolingia. L’ATTO DI NASCITA DELL’ITALIANO: IL PLACITO CAPUAN CAPUANO O DEL 960 Già nel 1734 il benedettino, padre Gàttola, aveva messo in evidenza il carattere volgare della formula ricorrente nel documento, testimonianza testimonianza di quella che gli sembrava una barbarica lingua italiana. Solamente nel ‘900 è stato studiato particolarmente e ha avuto il posto d’onore tra gli antichi testi notarili della nostra lingua. Chi lo ha scritto si è reso conto di utilizzare due lingue diverse: il latini notarile e il volgare parlato, quindi vi è una cosciente distinzione tra i due codici linguistici, impiegati nello stesso testo con scopi e funzioni differenti. Il Placito è stato scritto su un foglio di pergamena, relativo a una causa discussa di fronte al giudice capuano
Arechisi. Il contrasto tra italiano e latino è netto, anche se si tratta di un latino che risponde ai caratteri propri dell’uso notarile, con le tipiche sgrammati sgrammaticature. cature. La scelta di scrivere in volgare era un modo per rivolgersi a un pubblico diverso, più vasto ed estraneo alla causa. La formula del Placito Capuano del 960 non è isolata: si colloca nella serie di quelli che si è soliti definire i Placiti Capuani, con riferimento alla regione Campania. IL FILONE NOTARILE-GIUDIZIARIO IL VOLGARE NEI DOCUEMNTI NOTARILI I notai erano la categoria sociale che aveva più frequentemente occasione di usare la scrittura ed erano impegnati in un lavoro di transcodificazione dalla lingua quotidiana alla formalizzazione giuridica del latino. Lasciavano, così, spazio al volgare, che finiva per affiorare anche nel loro modesto latino. Occorreva una reale intenzionalità nello scrivente, nell’uso della nuova lingua, verificabile attraverso il confronto diretto tra i due codici linguistici diversi e contrastanti. LA POSTILLA AMIATINA La postilla è una forma di testo aggiunto al rogito vero e proprio. Per quanto riguarda la Postilla Amiati Amiatina, na, il notaio aggiunse commenti e osservazioni personali: nel 1087 due coniugi donarono i loro beni all’abbazia di San Salvatore di Montamiat Montamiata. a. LA CARTA OSIMANA del 1151, LA CARTA FABRIANESE del 1186 e la CARTA PICENA del 1193 LE TESTIMONIANZE DI TRAVALE Due pergamene del 1158 conservate nel’Archivio vescovile di Volterra. Nella seconda parte di una di queste pergamene il giudice aveva raccolto le testimonianze di 6 uomini, facendo affiorare il volgare nel bel mezzo del testo latino. Latino e volgare si alternano, ma l’ultimo è preferito dove viene introdotto l’aneddoto. LA DICHIARAZIONE DI PAXIA, tra il 1178 e il 1782 DOCUMENTI SARDI Dall’isola provengono diversi documenti risalenti al secolo XI e XII.
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Il più antico dei testi sardi volgari è la carta del giudice Torchitorio del 1070- 1080, conservata nell’Archivio Arcivescovile di Cagliari, trasmessa non in originale, ma in una tarda copia quattrocentesca. Databile tra il 1080 e il 1085 è un privilegio emess emessoo da un giudice di Torres, a favore di mercanti pisani. IL FILONE RELIGIOSO NEI PRIMI DOCUMENTI DELL’ITALIAN DELL’ITALIANO O Nel 1880 in un codice della biblioteca Vallicelliana Vallicelliana di Roma, fu scoperta la Formula di confessione umbra: il testo era una vera e propria formula confessione che il fedele poteva leggere o recitare. I Sermoni Subalpini sono una raccolta di prediche in volgare piemontese: corpus di 22 testi ampi. Il manoscritto si conserva in un codice pergamenaceo della Biblioteca Nazionale di Torino. I testi alternano
parti in latino corpocollocato vero del tra discorso è in volgare moderno e puòalessere il XII che e il XIII secolo. locale, caratterizzato anche da esiti del piemontese DOCUMENTI PISANI PRIMI DOCUMENTI LETTERARI Un vero sviluppo della letteratura italiana si ebbe nel XIII secolo a partire dalla scuola poetica di Federico II, la cosiddetta Scuola siciliana. Capitolo 6: Il Duecento
DAI PROVENZALI AI POETI SICILIANI La scelta del volgare vide impegnato non un singolo, ma un gruppo omogeneo di autori, socialmente collocati in posizioni molto rilevanti. r ilevanti. La prima scuola poetica italiana nacque all’inizio del XIII secolo, nell’ambiente colto e raffinato della Magna Federico II di Svevia, in Italia meridionale: la Scuola Siciliana. Fino adCuria alloradialtre due letterature si erano affermate: 1. la letteratura francese in lingua d’oil la letteratura provenzale in lingua d’oc: lingua della poesia, incentrata sulla tematica dell’amore, 2. intellettualizzato, intellettua lizzato, che si era sviluppata nelle corti di Provenza, Aquitania e Delfinato. I trovatori furono molto imitati dai poeti italiani che scrivevano in versi provenzali. Anche i siciliani imitarono la poesia provenzale, ma es si ebbero l’idea di sostituire a quella lingua forestiera, un volgare italiano, quello di Sicilia. Lo stesso imperatore Federico poetò in siciliano, benché non lo fosse di nascita. La corte federiciana era un ambiente internazional internazionale, e, quindi si parlava anche il latino. Alcuni dei poeti siciliani, non lo furono di nascita: Doria, Giacomino Pugliese, Rinaldo d’Aquino; la scelta del siciliano ebbe un valore formale, raffinato. Entrano nell’uso comune termini provenzali come: le forme in – agio( agio( coraggio, ossia cuore) le forme in – anza( anza( allegranza, speranza, rimostranza, credanza)
La presenza dei provenzalismi nella poesia siciliana si spiega con l’influenza della letteratura in lingua d’oc, anche se in passato ci furono delle resistenze ad ac accogliere cogliere il primato cronologico della Poesia di Provenza. Anche Dante, nel De Vulgari Eloquentia, aveva avuto coscienza della linea storica che partiva dai provenzali, fino ai siciliani. Il corpus della poesia delle origini è stato trasmesso da codici medievali scritti da copisti toscani: chi copiava, spesso, si sentiva libero di intervenire nel testo, per migliorare ad esempio dei punti oscuri. Intervennero così sulla forma linguistica della poesia siciliana, con una vera operazione di traduzione, eliminando per quanto possibile i tratti siciliani che stridevano. La sconfitta degli Svevi e l’avvento degli Angioini portarono con sé la distruzione fisica dei manoscritti di origine siciliana. Galvani osservò come nel Medioevo potesse accadere che un testo di origini toscane, passando per le mani di copisti settentrionali venisse modificato tramite l’introduzione di tratti linguistici regionali, inesistenti nell’originale; un processo del genere, ma inverso, sarebbe avvenuto nel caso della poesia siciliana, che si sarebbe toscanizzata passando per meni toscane.
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Barbieri, studioso della poesia provenzale, aveva avuto tra le mani il LIBRO SICILIANO, poi perduto, contenente alcuni testi poetici siciliani che si presentavano in una forma vistosamente siciliana. Tra essi vi era la canz one di Stefano Protonotaro: “Pir meu cori alligrari”, oltre a un frammento del figlio di Federico II, Re Enzo. La sicilianit sicilianitàà è vistosa: vocali finali – u u e – i al posto delle – o ed – e toscane la u al posto della o Progressivamente Progressivam ente si giunse alla sostituzione dei tratti siciliani con quelli toscani. La lezione della poesia siciliana fu comunque decisiva per la nostra tradizione lirica: si stabilizzò la rima siciliana e divennero normali in poesia i condizionali meridionali in – ìa.
DOCUMENTI CENTRO-SETTENTRIONALI LA LINEA MAESTRA DELLA LIRICA ITALIANA: DAL SUD AL CENTRO-NORD Con la morte di Federico II e il tramonto della casa Sveva, venne meno ovviamente la poesia siciliana. La sua eredità passò in Toscana e a Bologna, con i cosiddetti poeti siculo-toscani e gli stilnovisti:spostamento verso l’area centro -settentrionale. LA POESIA RELIGIOSA Il “Cantico di frate sole” di S. Francesco d’Assisi ha un lieve anticipo rispetto alla scuola siciliana, databile intorno al 1223 e noto anche con il titolo latino di “Laudes creatura rum”; fu scritto in volgare, con elemento umbri. Questo documento per molti secoli non fu preso in considerazione come documento letterario. La tradizione della laudi religiose ebbe gran sviluppo non solo nel ‘200, ma anche nel ‘300 e nel ‘40 0, quando i testi laudistici, dedicati a Gesù, alla Madonna, furono trascritti in appositi quaderni( i laudari) e furono utilizzati dalle confraternite come preghiere cantate. La maggior parte delle laudi erano ccomponim omponimenti enti anonimi, di modesta qualità letteraria, in lingua quotidiana e poco ricercata. Nel passaggio dall’area centrale al settentrione, sett entrione, le laudi subirono manomissioni linguistiche, accogliendo dei settentrionalismi. LA POESIA DIDATTICA E MORALEGGIANTE DEL NORD ITALIA In Italia settentrionale nel ‘200 fiorì una letteratura in volgare, diversa da quella sviluppatasi alla corte di Federico II. Alcuni nomi sono da rintracciare in Ugaccione da Lodi, Giacomino da Verona, Bonvesin de la Riva: l’area prevalente era quella lombarda. Il volgare settentrionale del ‘200 tendeva a farsi illustre, anche se nel confronto con la letteratura toscana, il successo di questa rimosse questi esperimenti. I SICULO-TOSCANI E GLI STILNOVISTI L’area toscana in cui si ebbe la prima notevole espansione dell’uso del volgar e scritto è quello occidentale, fra Pisa e Lucca. In quest’area si sviluppò la poesia detta siculo-toscana, che ebbe i suoi centri a Pisa, Lucca, Arezzo( con Guittone). Firenze si affermò solo nella seconda metà del ‘200: tra il 1260 e il 1280, con Chiaro Davanzati, Rustico Filippi. Lo stile di Rustico, però, era un fiorentino comico, differente differente dal linguaggio da quello cortese. Dante attribuì a Guinizzelli la svolta stilistica che avrebbe portato alla nuova poesia d’amore, in cui permanogono gallicismi, provenzalismi e sicilianismi: riviera: fiume rempaira: ritorna sclarisce enveggia: invidia serie in – anza anza saccio: so aggio: ho
DANTE TEORICO DEL VOLGARE Le idee di Dante sul volgare si leggono nel Convivio e nel DE VUlgari Eloquentia. Nel Convivio, il volgare viene celebrato come “sole nuovo” destinato a splendere al posto del latino, per un pubblico che non è in grado di comprendere la lingua dei classici.
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Il volgare aveva una possibilità possibilità di divulgazione o comunicazione più efficace. Nel Convivio il latino è reputato superiore in quanto utilizzato nell’arte; nel De Vulgari Eloquentia, la superiorità del volgare viene riconosciuta in nome della sua naturalezza, ma la letterarietà della lingua latina diventa uno stimolo per la regolarizzazione del volgare. Il De Vulgari, composto nell’esilio,ma prima della Commedia, lasciato interrotto al II libro; è il primo trattato sulla lingua e sulla poesia volgare ed è un saggio inserito nel quadro della cultura europea del Medioevo. La fortuna del trattato non fu pacifica, in quanto le sue tesi furono usate in chiave polemica. Fu riscoperto nella prima metà del XVI secolo. Alcuni insinuarono il sospetto che il trattato non fosse di Dante, questo faceva comodo alla cultura ffiorentina iorentina che non tollerava le pagineche in il cuitoscano Dante potesse aveva condannato volgare toscano, il volgare. bolognese e il siciliano illustre e negando illustre identificarsiilcon la lingua degnapreferendo della poesia Manzoni affermò che il De Vulgari non aveva per oggetto la lingua in generale, n é l’italiano in maniera specifica, ma solo la poesia. Dante stabilì le sue tesi dalle origini: fra tutte le creature l’unico essere dotato di linguaggio è l’uomo e il linguaggio stesso caratterizza l’essere umano in quanto tale. L’origine del linguaggio e delle lingue viene ripercorsa attraverso il racconto biblico: episodio della Torre di babele. La storia delle lingue naturali comincia e la loro caratteristica è mutare nello spazio, da luogo a luogo e nel tempi: continua trasformazione. La grammatica delle lingue letterarie, per Dante, è una creazione artificiale dei dotti. La sua attenzione di concentrò sull’Europa: nei Paesi del Nord e del Nord-Est( germanici e slavi) si parlano lingue in cui sì si dice iò nei Paesi del centro Sud si parla la lingua d’oil( francese), la lingua d’oc( provenzale) e il volagre del sì (italiano)
in Grecia e nellelinguistico zone orientali diffuso provenzale il greco e italiano, restringendosi solo all’Italia, che trattò Poi del gruppo del era francese, risultava diversificata all’interno con parlate locali. Dante esaminò le parlate alla ricerca del volgare migliore, definito illustre, aulico, curiale, cardinale e tutte sono indegne del volgare illustre. Tra le più severe condanne c’era quella per il toscano e per il fiorenti no, mentre migliori risultavano il siciliano e il bolognese. La nobilitazione del volgare doveva avvenire attraverso la letteratura. Non solo la lingua popolare toscana non interessava Dante, ma condannava poeti come Guittone d’Arezzo, attribuendoglii uno stile rozzo e plebeo, ben diverso da quello dei siciliani e degli stilnovisti. attribuendogl DANTE LIRICO Le prime esperienze poetiche di Dante appaiono radicate nella cultura e nella poesia volgare di Firenze, sia per i temi, che per le strutture linguistiche, stilistiche, metriche. Prevedibile era la presenza di sicilianismi e gallicismi. Diminuirono gli apporti tradizionali, come le parole con suffissi in – anza anza ed – enza, enza, mentre aumentano le dittologie sinonimiche. Nella Vita Nova, Dante, commentando in prosa una scelta delle proprie poesia, realizzò un connubio tra i due generi. LA PROSA IL RITARDO DELLA PROSA Il livello della prosa duecentesca appariva più modesta rispetto alla poesia. Al tempo di Boccaccio, la prosa italiana era ancora alla ricerca dei sui modelli, mentre la poesia era già organizzata in una solida tradizione.
IL PRIMATO DEL LATINO E I VOLGARIZZAMENTI Il latino aveva il primato assoluto nel campo della prosa, come strumento di comunicazione scritta e di cultura: spesso assumeva forme domestiche o affioravano tracce di un espressivo parlato in lingua volgare. Il volgare per essere autonomo e per emergere, doveva essere influenzato dal latino: lo dimostrano i volgarizzamenti, volgarizzam enti, un genere costituito da traduzioni, rifacimenti e imitazioni di testi classici.
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Traducendo in volgare un testo latino o francese, si realizzava una scrittura di alto valore sperimentale e si stabilivano le strutture della prosa italiana. L’influenza del francese sul volgare italiano si può verificare nel gran numero di prestiti lessicali. VARIETA’ LINGUSTICA DELLA PROSA DUECENTESCA Alle due lingue di comune impiego nella prosa, il latino e il francese, nel ‘200, non si contrappose un tipo unico di volgare, ma una varietà. La posizione di prestigio si assegnava a Bologna, in cui c ’era una prosa elevata. Guido FABA: nei “Parlamenta et epistole” vi sono modelli d’oratoria e di lettere in lingua bolognese illustre, esposta periodo.all’influenza del latino oppure i cursus, consistenti in clausole ritmiche, impiegate per terminare il Capitolo 7: Il Trecento
LA “COMMEDIA” DI DANTE DANTE E IL SUCCESSO DEL TOSCANO L’eccezionalità della Commedia, permette di isolare l’opera dalle altre; è scritta in una lingua diversa da quella teorizzata nel De Vulgari Eloquentia. La sua ricchezza tematica e letteraria, favorì una promozione del volgare, dimostrando che la lingua aveva potenzialità illimitate. Mentre lo stilnovismo è il fenomeno legato all’esperienza di Dante nella sua patria, la Commedia è un’opera compiuta in esilio, che si collega linguisticamente alla Toscana e a Firenze, ma che si proietta anche in Italia settentrionale. Il toscano iniziò così la sua espansione; nello stesso Trecento altri due autor toscani produssero opere scritte in fiorentino: “Canzoniere” di Petrarca e il “Decameron” di Boccaccio. Ielevazione tre autori sugli sono altri. stati uniti nella denominazione delle “Tre Corone”, che indica la loro supremazia e la loro All’epoca la società fiorentina era vivacissima e aveva rapporti mercantili con il resto d’Italia; il fi orentino occupava una posizione mediana tra le parlate italiane ed era abbastanza simile al latino, cosa che gli permetteva di penetrare sia al Sud che al Nord del Paese. La letteratura fu quindi determinante per le sorti della lingua, che non aveva unità politica. VARIETA’ LINGUISTICA DELLA “COMMEDIA” Bruno Migliorini, nella sua “Storia della lingua italiana” ha definito Dante il padre del nostro idioma nazionale. Realizzare un’opera, usando una lingua nuova, in grado di toccare tutti gli argomenti , faceva della “Commedia”, un’opera universale, segnando lo sviluppo della letteratura. Nel ‘500, furono sollevate polemiche sul realismo di ce certe rte parti del poema dantesco, investendo il giudizio sulla lingua, anche se non venne meno una valutazione complessiva di ammirazione verso l’opera. Il confronto va fatto con la lingua dei classici: la grande presenza di latinismi nella Commedia è uno degli elementi che più differenzia la lingua della Commedia dalla lingua delle liriche dantesche nel loro complesso. Si cita ad esempio il VI canto del Paradiso, con il lungo discorso di Giustiniano, in cui molti termini sono costruiti con l’ausilio della lingua classica: cirro negletto: capigliatura arruffata termini tecnici come emisperio, dilibra cenìt: zenit, parola ricavata dall’arabo, ben nota agli astronomi e ai naviganti medievali
Il plurilinguismo è una delle categorie che sono state utilizzate per definire la lingua poetica di Dante, opposto al monolinguismo lirico: racchiude una scelta dettata dalla disponibilità ad accogliere elementi di provenienza disparata, non solo latinismi, ma anche termini forestieri, plebei, parole toscane e non toscane. Questo deriva dalla varietà del tono, in quanto le situazione nella Commedia, vanno dal profondo dell’Inferno alla visione di Dio, passando così dal livello basso e dal turpiloquio al livello più alto e teologico. Si può parlare di una polimorfia della lingua di Dante nella Commedia, che riguarda l’alternanza di forma dittongate e non dittongate: core/cuore foco/fuoco
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La libertà di Dante nei confronti c onfronti della lingua, si può verificare anche nei neologism neologismi.i. Si tratta comunque di un linguaggio poetico, in cui rientrano elementi di natura ritmico-metrica ritmico-metrica e retorica. STRUMENTI PER LO STUDIO DELLA LINGUA DI DANTE: LE “CONCORDANZE” E L”ENCICLOPEDIA L”ENCICLOPEDI A DANTESCA” Anche per Dante sono state prestabilite delle concordanze che permettono una rapida consultazione e l’immediato reperimento di forme, parole e costrutti. Petrocchi: “Concordanze della Commedia di Dante Alighieri”.
La LIZ comprende la Commedia e permette immediati confronti con il linguaggio di tutta la tradizione poetica. Uno strumento di consultazione indispensabile è costituito dall”Enciclopedia dantesca” diretta da Umberto Bosco, in 5 volumi, uscita a Roma tra il 1970 e il 1976 . Le voci dell’Enciclopedia sono poste in rodine alfabetico e toccano ogni problema relativo ai personaggi, ai movimenti politi politici ci e spirituali, ma molte sono di interesse linguistico, con riferimento alla questione della lingua, e metrico. IL LINGUAGGIO LIRICO DI PETRARCA La caratteristica dominante del linguaggio poetico di Petrarca è la sua selettività, che esclude molte parole usate da Dante nella Commedia. La parte dell’opera petrarchesca scritta in volgare è ridotta rispetto a quella latina e il Canzo niere rappresenta una sorta di elegante divertimento dello scrittore. Il titolo stesso, è in latino: “Rerum vulgarium fragmenta”, ossia Frammenti di cose volgari. In latino sono anche le postille inserite dallo stesso autore. Petrarca aveva familiarità con il latino e lo usava come normale strumento per la comunicazione culturale e per la riflessione; il dai volgare veniva usato come lingua di un raffinato gioco poetico, in omaggio alla tradizione che partiva siciliani. La lingua naturale e più spontanea de ll’uomo, per l’autore, era proprio il latino, il volgare è strumento di esercitazione letteraria. accolse solo una rima siciliana: voi, altrui. Consacrò la rima grafica e non fonica Eliminò alcuni gallicismi come fidanza, fallanza, dilettanza Conservò altri gallicismi come rimembranza e baldanza
La lingua selezionata e ridotta nelle scelte lessicali, accoglie un grande numero di varianti: Deo/Dio Degno/digno Fuoco/foco
Petrarca fece uso di una dispositivo che mutava l’ordine delle parole, anticipando il d eterminante rispetto al determinato o anticipando l’infinitiva dipendente rispetto alla principale. Inoltre ricorrevano chiasmi, antitesi, enjambement, anafore, allitterazioni ecc. e il poeta scriveva in maniera unita nomi come: sualuce, almio, la prima; venivano uniti al nome i possessivi, le preposizioni, gli articoli e gli aggettivi, manca l’apostrofo introdotto nel ‘500. Erano presenti molti latinismo grafici, come le h etimologiche in: huomo, humano, honore e per l’affricata usava la ç( sença per senza). Il Codice Vaticano latino 3196 raccoglie e tramanda le liriche del Petrarca.
LA PROSA DI BOCCACCIO La prosa trecentesca non era ancora stabilizzata in una tradizione salda, anche se non mancavano esempi a cui ispirarsi come la Vita Nova e il Convivio di Dante. Nella tradizione italiana la prosa di Boccaccio assunse una funzione egemonica, quando nel ‘500, teorici e grammatici, seguendo Bembo, indicarono in essa il modello a cui attenersi. Questo modello acquisì più autorità grazie a Salviati e all’Accademia della Crusca, influenzando coloro che scrissero in italiano. Il Decameron offriva modelli ben differenti, nella sua ricerca di realismo. Compaiono voci che introducono elementi diversi dal fiorentino: Il veneziano di monna Lisetta ( VI, 2) e di Chichibio ( VI, 4) Il senese di Tingoccio ( VII, 10) e di Fortatarrigo ( IX, 4)
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Il toscano rustico nella novella del prete di Varlungo e di Madonna Belcolore ( VIII, 2)
Le novelle mostrano una disposizione a concedere spazio al dialogo, con moduli del parlato e vivaci scambi di battute. Lo stile era caratterizzato da una frequente ipotassi. Uso di elementi ritmici, dal cursus agli artifici ritmico - musicali più ricercati, i parallelismi sintattici, le simmetrie del periodo, le allitterazioni, l’uso delle figure retoriche. Tuttavia alcuni tratti appaiono arcaicizzanti, come l’uso costante del numerale diece, anziché dieci. Per verificare la grafia dell’autore, si può consultare l’autografo nel codice Hamilton 90 conservato a Berlino, si notano:come le x (exempli) Latinismi Il nesso – ct ct ( decto) Le h etimologiche( herba, habito) L’affricata dentale è resa dalla ç, come in Petrarca
PROSA MINORE DELL’AUREO TRECENTO: LA TOSCANA Non solo l’imitazione delle Tre Corone Corone fu un dato di fatto, ma fu consigliata consigliata da teorici e grammatici. grammatici. A fianco dei grandi del ‘300 furono collocati autori minori di un secolo reputato “aureo”, perché si era realizzato un connubio tra scrittori e il popolo: l’abate Cesari, vissuto vissuto nell’800 ed esponente del Purism Purismo, o, era convinto che nel ‘300 tutti gli autori toscani, anche i minori, avessero avuto la dote di scrivere bene e fossero degni modelli di prosa. Il purismo consisteva nell’identificazione di modelli linguistici ritenuti esenti da difetti. Domenico Cavalca fu autore di volgarizzamenti; la sua opera più rinomata di traduttore è la versione delle “Vite dei santi padri”, con uno stile semplice, si rivolgeva a uomini semplici e non letterati, cioè chi non
conosceva il latino.fu autore dello “Specchio di vera penitenza”, op era morale e dottrinale che rielabora la Iacopo Passavanti materia della predicazione quaresimale a Firenze nel 1354. Queste opere erano considerate determinanti per la formazione dei giovani, anche a scopo di educazione linguistica. PRIMI SUCCESSI DEL TOSCANO La lingua toscana è la più adatta alla letteratura e inoltre è quella che era più diffusa e più comprensibile. comprensibile. Questo consisteva in un aperto riconoscimento del primato del toscano sulle altre lingue regionali. Nel tardo ‘300 il petrarchista padovano Francesco di Vannozzo usò il dialetto in componimenti satirici e polemici, in quanto il contesto della satira riconduceva a un linguaggio più realistic realisticoo e meno selezionato. Nella lingua poetica di Niccolò De Rossi convivevano forme diverse, toscane e settentrionali: egli si sforzava di eliminare le forme troppo locali e introdusse elementi toscani, fino al punto di arrivare all’ipercorrettismo( correzione di una forma giusta). Cecco d’Ascoli, autore dell’”Acerba” utilizzò la terzina, anche se era diversa dalla terza rima da ntesca( Dante: ABA BCB CDC, Cecco: ABA CBC DED). I VOLGARIZZAMENTI Tra i volgarizzam volgarizzamenti enti si possono citare: “Le vite dei santi padri” di Domenico Cavalca “Fioretti di San Francesco” È un volgarizzamento da una precedente redazione latina dello stesso auto re, la “Cronica” dell’Anonimo romano, contenente la Vita di Cola di Rienzo, del 1360: la lingua si presentava in forme meridionali. La redazione romanesca nasceva da un intento divulgati divulgativo: vo: Esito in ie di g+ vocale palatale ( iente per gente) Assimilazione Assimilaz ione di – nndd
L’EPISTOLA NAPOLETANA DI BOCCACCIO Uno dei più antichi testi in volgare napoletano è una lettera scritta dal toscano Boccaccio: l’epistola è databile al 1339. Si potrebbe definire una letteratura dialettale riflessa, ossia cosciente di essere tale, volontariamente distinta dal codice della lingua letteraria. È uno scritto di tono t ono scherzoso, rivolto all’amico Francesco de’ Bardi.
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Il soggiorno napoletano fu molto importante per la formazione di Boccaccio e per la sua conoscenza dell’ambiente mercantile, dove nasce l’Epistola. La lingua napoletana è marcata in senso comico, ricorrono ipercorrettismi, in quanto il dittongo napoletano viene introdotto anche in parole che in napoletano non lo hanno: nuostra, nuome, fratiello. L’esperimento di Boccaccio è importante dal punto di vista linguistico, perché mostra un uso volontario di un volgare diverso dal proprio, identificato nelle caratteristiche fonetiche, lessicali e sintattiche. Capitolo 8: Il Quattrocento
LATINO E VOLGARE IL RIFIUTO UMANISTICO DEL VOLGARE E IL CONFRONTO CON IL LATINO Petrarca, iniziatore dell’Umanesimo affidò la parte più solida del suo messaggio letterario a una lingua diversa dal volgare: scrivendo in latino, si ispirava a Cicerone, Livio, Seneca, Virgilio, Orazio e misurava la differenza tra quei modelli e il latino medievale. Avviò, quindi, un processo che fu determinante per gli sviluppo della lingua; il confronto con il latino di quegli autori fu decisivo per la formazione di una mentalità grammaticale. Il nuovo gusto classicistico si orientò verso una concezione della lingua intesa come frutto di imitazione dei grandi modelli letterari. Si ebbe una conseguente crisi del volgare, che non arrestò l’uso del volgare stesso nella pratica, ma lo screditò agli occhi della maggior parte dei dotti. Gli uomini di alta cultura disprezzarono la lingua moderna o la ignorarono. Vi furono umanisti della prima generazione che non usarono il volgare, come Coluccio Salutati, figura al centro dell’Umanesimo fiorentino nei primi anni del ‘400. Dires se per alcuni anni la cancelleria fiorentina, diffondendo il propriodastile latino, elaborato su modelli ciceroniani. Salutati fu introdotto Leonardo Bruni tra gli interlocutori del “Dialogus ad Petrum Paulum Histrum” e che espresse il rammarico per il fatto che Dante, abile poeta, non avesse preferito usare il latino per realizzare la Commedia, in quanto la lingua avrebbe coronato maggiormente la sua gloria letteraria. Leonardo Bruni invece celebrava i meriti di Dante, a prescindere dalla lingua usata; scrisse una “Vita” del peota in cui affermò che non c’era differenza tra lo scrivere in latino o in volgare o in latino e greco, poiché ogni lingua ha la sua perfezione. Uno scrittore aveva il diritto di essere giudicato non per la lingua adottata, ma per la qualità delle proprie opere. Il disprezzo per il volgare nella seconda metà del secolo era ancora normale e la cultura letteraria era dominata dal movimento umanistico, che si esprimeva in latino e nel latino riconosceva un vivo patrimonio, in quanto strumento della conoscenza, della dottrina e della letteratura. Il latino era preferito perché lingua più nobile, capace di garantire l’immortalità letteraria. L’uso del volgare risultava accettabile solo nelle scritture pratiche e d’affari, senza pretese d’arte. Gli studi sull’origine del volgare incominciarono nel momento in cui nacque una storiografia interessata a definire precisamente il trapasso dall’antichità al Medioevo. MACARONICO E POLIFILESCO La cultura umanistica produsse alcuni tipi di scrittura in cui il latino e il volgare entrarono in simbiosi, a volte a scopo comico e più raramente con intento serio. Gli esperimenti di mistilinguismo mistilinguismo tra latino e volgare furono frequenti. Esistono due forme di contaminazione colta tra volgare e latino: il macaronico e il polifilesco. Con macaronico si indica un linguaggio nato a Padova a fine ‘400 e caratterizzato dalla latinizzazione parodica di parole del volgare o dalla deformazione dialettale di parole latine, con forte tensione tra le due componenti. Una delle componenti, dialettale, è bassa, plebea, mentre l’altra è aulica. Il macaronico consiste nella formazione di “parole macedonia”: a una parola volgare può essere applicata una desinenza latina: Cercabat: cercava ( cercare+ -abat imperfetto latino)
In altri casi parole esistenti sia in latino che in volgare vengono usate nel significato proprio del volgare, come casa che in latino significa capanna, e parole latine che vengono legate in costrutti sintattici tipicamente volgari.
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Il risultato è un latino che sembra pieno di errori, anche se l’autore macaronico è un ottimo latinista: è la scelta volontaria dello scrittore a scopo comico, mediante una tecnica che abbassa il tono. Iniziatore del genere è Tifi Odasi, ma il più illustre è Teofilo Folengo. Il polifilesco è detto anche pedantesco; un linguaggio del genere è inserito nell’Hypnerotomachia Poliphili( Guerra d’amore in sogno dell’amatore di Polia), romanzo anonimo pubblicato nel 1499 a Venezia. È un’opera scritta in volgare. Il pedantesco non è una scrittura comica e parodica, ma seria. Il volgare combinato con il latino non è dialettale, ma toscano, boccaccesco, con una patina settentrionale. Il latino si ispira a scrittori diversi da quelli della latinità aurea, rifacendosi ad Apuleio e Plinio. FENOMENI DI MESCOLANZA NELLA PREDICAZIONE In Italia settentrionale nella seconda metà de’800 vi erano alcuni predicatori che si esprimevano con un linguaggio in cui latino e volgare si mescolavano in modo tale da ricordare il macaronico. La mescolanza non è una novità del ‘400, ma deriva dalla tradizione medievale. Le espressioni e le frasi latine si trovavano a convivere con una robusta dialettalità, come in Bernardino da Feltre. ALTRI CASI DI CONTAMINAZIONE TRA LATINO E VOLGARE Vi sono anche scritture che hanno la compresenza del latino e del volgare, ma che non hanno intenti d’arte: sono le epistole, le relazioni, i diari, i ricettari. Il latinismo nel contesto di un documento volgare è legato alla consuetudine; in una lettera, ad esempio, possono essere in latino le formule iniziali e finali. Esempio: epistola epistola di Esterolo Visconti al duce Francesco Sforza; in eessa ssa ci si rivolge r ivolge col vocativo latino allo Sforza e in latino è anche l’indicazione della data e del luogo, oltre che alla firma del mittente. Tutto i l resto èIninunvolgare. testo di natura giuridica in volgare, saranno in latino molti termini tecnici e se il testo è in latino, saranno in volgare alcune frasi o termini diversi dal contesto. La mescolanza in varie occasioni di italiano e latino in uno stesso documento durerà anche nel secolo seguente, quando l’italiano sarà più affermato.
LEON BATTISTA ALBERTI UNA NUOVA FIDUCIA NEL VOLGARE Lo sviluppo del volgare fu rallentato dalla preferenza degli umanisti della lingua dei classici. Mancava un autore che manifestasse piena fiducia nell’italiano, anche se questa operazione era stata anticipata da Dante nel De Vulgari Eloquentia, ma il trattato non era conosciuto nel ‘400. Leon Battista Alberti, uno dei più grandi architetti del secolo, iniziò il m ovimento dell’Umanesimo volgare ed elaborò un programm programmaa di promozione della nuova lingua. Furono realizzate sia poesia che prose di tono alto, per trattare argomenti seri e importanti, come nel “De pictura”, nella “Della famiglia”. La posizione teorica espressa nel Proemio al III libro della “Famiglia” si ricollega Ai temi affrontati nelle discussioni sul passaggio dal latino all’italiano. L’Alberti riconosce la causa della perdita della lingua latina alla calata dei barbari, così si sarebbero introdotti nel linguaggio i barbarismi. Compito del volgare era quello di riscattare se stesso, facendosi onore come il latino. La nobile prosa dell’Alberti era ricca di latinismi, soprattutto a livello sintattico, oltre che lessicale e fonetico, l’influenza del latino dà esiti che si discostano dal modello ipotattico e ritmico di Boccaccio. LA “GRAMMATICA DELLA LINGUA TOSCANA” L’Alberti realizzò anche la prima grammatica della ligua italiana, prima grammatica umanistica di una lingua volgare moderna. Questa è trasmessa tramite un codice apografo scritto per il Bembo, conservato nella Biblioteca vaticana. Una premessa introduce una polemica contro coloro che ritenevano che la lingua latina fosse solamente dei dotti, mentre l’Alberti voleva dimostrare che anche il volgare aveva una sua struttura grammaticale ordinata, come il latino. Una caratteristica della grammatica era l’attenzione per l’uso toscano del tempo, non per gli autori antichi.
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IL CERTAME CORONARIO Il Certame coronario risale al 1441: Alberti organizzò una gara poetica in cui i concorrenti si affrontarono con componimenti in volgare; la giuria era composta da umanisti e non assegnò il premio, così che gli fu indirizzata un’anonima protesta, in cui si lamentava che gli avversari del volgare ritenessero indeg no cheuna lingua come l’italiano pretendesse di gareggiare col latino. L’UMANESIMO VOLGARE ALLA CORTE DI LORENZO IL MAGNIFICO L’ASPIRAZIONE AL PRIMATO DI FIRENZE a Firenze all’età di >Lorenzo il Magnifico, si Landino ebbe un eforte rilancio dell’iniziativa in favo re del toscano; i protagonisti di questa svolta furono Cristoforo il Poliziano. Landino fu cultore della poesia di Dante e Petrarca ed espose tesi che in parte ricordavano quelle dell’Alberti, riprese poi nel XVI secolo: negava la naturale inferi orità del volgare rispetto al latino e invitava i concittadini di Firenze a darsi da fare perché la città avesse ottenuto il primato della lingua. Lorenzo il Magnifico, nel proemio al Comento per alcuni suoi sonetti, tra il 1482 e il 1484, prospettava uno sviluppo del fiorentino. Lo sviluppo della lingua si legava ad una concezione patriottica, intesa come patrimonio e potenzialità dello stato mediceo.
LANDINO TRADUTTORE DI PLINIO Famoso è il suo commento a Dante e la sua traduzione in volgare della “Naturalis historia”di Plinio, un testo difficile per a gran quantità di tecnicismi tecnicismi legati al contenuto scientifico-enciclopedico dell’opera. Landino sosteneva la necessità che il fiorentino si arricchisse con un apporto delle lingue latina e greca: la traduzione aveva una funzione importante. LA “RACCOLTA ARAGONESE” Nel 1447 Lorenzo il Magnifico inviòa Federico, figlio del re Ferdinando di Napoli, una raccolta di poesie, note col nome di “Silloge” o “Racoolta aragonese”: raccolta antologica della tradizione let teraria volgare che andava dai pre-danteschi e dallo Stilnovo fino a Lorenzo il Magnifico. L’antologia era accompagnata da un’importante epistola, ancora oggi attribuita a Poliziano, segretario privato di Lorenzo.
REALIZZAZIONI DI LINGUAGGIO POETICO IN TOSCANA La vitalità dell’Umanesimo volgare fiorentino, aveva particolare interesse verso le realizzazioni poetiche di Lorenzo e del suo ambiente. Il volgare era soggetto di un esercizio letterario colto, in ambiente d’elite, da parte di autori che erano in grado di apprezzare le bellezze della letteratu letteratura ra classica. Significativo era l’esperimento della letteratura rusticale a cui appartiene la “Nencia da Barberino”, poemetto di Lorenzo de’Medici, di cui esistono quattro redazioni di diversa lunghezza. latino no e il Più com plessa fu l’esperienza poetica di Poliziano, che fu in grado di usare tre lingue: il greco, il lati toscano; interessanti sono le “Stanze per la giostra di Giuliano de’Medici”, composte tra il 1475 e il 1478 e lasciate incompiute. Per quanto riguarda l’opera esistono problema di natura filologica, poiché esistono 6 manoscritti che tramandano il testo. Nell’ambiente mediceo si assiste alla prima trasposizione su un piano colto, di un genere popolare: il cantare cavalleresco, formato da ottave e portat o sulle piazze da cantastorie, per l’intrattenimento del pubblico. “Il Morgante” di Pulci fu composto su richiesta di Lucrezia Tornabuoi, madre di Lorenzo il Magnifico, fra il 1461 e il 1481, recuperando forme popolari. Pulci scrisse a Lorenzo una lettera in furbesco( uso del gergo) e compilò un Vocabolista, ossia una raccolta ad uso privato, considerata un antecedente di un vocabolario italiano( oltre 700 vocaboli riuniti, tra cui latinismi tradotti con parole dell’uso comune). Molte delle voci si ritrovano nel “Morgante”, in cui tra l’altro si riscontra una notevole varietà lessicale. Il Burchiello ( Domenico di Giovanni) è famoso per aver perseguito un genere di poesia comica, fondata sul gioco dei doppi sensi e sull’invenzione verbale, ai limiti del non senso e dell’incomprensibilità. Si trova l’imitazione della parlata altrui, in 3 sonetti, in cui fa la parodia del veneziano, del senese e del romanesco.
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LA PROSA TOSCANA Il rapporto col parlato è avvertibile nella produzione novellistica toscana, soprattutto nelle parti dialogate, dove emergono plebeismi, come nei “Motti e facezie del Piovani Arlotto” o nella “Novella del Grasso legnaiolo”. Il genere delle novelle si colloca su un piano diverso rispetto alla prosa nobile. Romanzi di Andrea da Barberino, soprattutto i “Reali di Francia: genere tipicamente popolare, che fece circolare modelli di prosa italiana tra un pubblico avvezzo al dialetto. La lunga fortuna di questo testo è da ricondurre alle vicende linguistiche del popolo nei secoli successivi al XV secolo. Il testo fu sottoposto a revisione grafica e ad una “pulizia”linguistica, destinato al consumo popolare. LA LETTERATURA RELIGIOSA E LA SUA INFLUENZA Nel ‘400 si trovano i laudari, in suo presso molte comunità del’Italia settentrionale e in zone del Piemonte, i cui esiti si avvicinavano in parte alla lingua francese. “Passione di Revello”: lunga e sacra rappresentazione del 1490 nel Piemonte occidentale; testo ricco di forme settentrionali e locali, non senza esiti toscani ( -are in verbi come pregare, avisare, perdonare, il piemontese avrebbe la forma in – è o – er). er). Le sacre rappresentazioni erano messe in scena per un pubblico popolare e gli incolti potevano conoscere una lingua più nobile e toscanizzata. Anche la predicazione si rivolgeva al popolo e doveva servirsi del volgare. Il volgare della predicazione era molto vicino al dialetto o volgare locale. Nel ‘400 però la lingua toscana esercita anche in questo campo un prestigio. I testi delle prediche di San Bernardino da Siena, non sono autografi e non sono affidabili per quanto riguarda la fonetica e la morfologia,anche se sono utili per la sintassi, lo stile e il lessico e riescono a trasmettere abbastanza bene i caratteri dell’oralità. San Bernardino voleva fare uso di una lingua semplice e colloquiale, con esempi tartti dalla vita quotidiana, citando mestieri, situazioni comuni, comuni, luoghi familiari. LA LINGUA DI “KOINE’” E LE CANCELLERIE La poesia volgare ebbe una maggiore uniformità rispetto alla prosa; quest’ultima non si poteva limitare al solo uso novellistico - narrativo, ma aveva bisogno di estendersi a settori extraletterari. Si può parlare di una varietà di scriptae, ossia lingue scritte e attestate da documenti dell’epoca, collocate in precisi spazi sociali e geografici. Nel ‘400 le scriptae si avviano verso forme di koinè, termine tecnico per indicare una lingua comune superdialettale. La koinè quattrocentesca consiste in una lingua scritta che mira all’eliminazione di una parte dei tratti locali, raggiungendo il risultato con latinism latinismii e appoggiandosi al toscano. L’uso del volgare fu avviato nelle cancellerie principesche, ad opera di funzionari, in genere notai; ad esempio o documenti volgari nella cancelleria viscontea cominciano dal 1426. L’uso delle cancellerie fu influenzato dai gusti linguistici linguistici e letterari della corte, di cui cancellieri e segretari facevano parte. Le testimonianze più significative del processo di italianizzazione delle koinai regionali furono le lettere di rappresentanti diplomatici diplomatici dei vari principati. L’azione dei modelli letterari toscani influì sul livello delle koinai, esercitandosi al di là dell’ambito della scrittura d’arte. Boiardo, le cui lettere private sono a un livello di formalizzazione e toscanizzazione minore rispetto alle opere poetiche, è un esempio. Nelle sue epistole non si trovano tratti dialettali emiliani, ma elementi settentrionali e non amnca qualche toscanismo di matrice letteraria, come l’articolo il al posto di el. Il latinismo è una soluzione linguistica naturale, ma riempe una lacuna le ssicale lasciata dall’artificiale coscienza toscana dello scrivente e quindi adempie a una funzione non puramente ornamentale e stilistica, ma strutturale. Quindi nell’incertezza di un uso non ancora codificato da grammatiche e vocabolari, il latinismoo era un punto di appoggio. latinism La koinè si sviluppò anche nell’uso tecnico-scientifico. Castiglione, partito nelle sue lettere da un linguaggio cortigiano corrispondente alla koinè cancelleresca mantovana, se ne staccò tramite piccole conversioni linguistiche, man mano che veniva a contatto con le corti italiane.
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FORTUNA DEL TOSCANO LETTERARIO MODELLI DELLA LINGUA TOSCANA NELLE CORTI D’ITALIA Il volgare toscano acquistò un prestigio crescente dalla seconda metà del ‘300, a partire dalla presenza fuori dalla Toscana, di autori come Dante e Petrarca, che si mossero in area settentrion settentrionale: ale: precoce fu la diffusione della Commedia e del Canzoniere. Il Decameron non fu da meno,anche se in certe zone fu tradotto in francese. Si formarono le biblioteche di studio, di impronta umanistica, in cui avevano spazio esclusivo gli autori latini. Il pubblico ideale, signorile, era bilingue o trilingue: lettura di libri italiani, francesi e latini. A Milano l’apertura verso la letteratura toscana fu avviata da Filippoall’Inferno Maria Viscon ti che leggeva Petrarca e Boccaccio e che fece compilare intorno al 1440 un commento dantesco, fece commentare Petrarca dal Filelfo. Si diffuse la stampa di testi italiani prodotti in territorio lombardo: segno di una richiesta del mercato, indirizzato in maniera positiva verso la letteratura volgare. Insieme a Firenze e Milano, anche Venezia era una città di stampa: dal 1470 era uscito il Canzoniere di Petrarca e nel 1471 il Deacmeron. Boiardo in ambiente emiliano, si dedicava all’imitazione petrarchesca negli “Amorum libri”, dove la toscanizzazione è più forte. UN CASO DI TOSCANIZZAZIONE NEL SETTENTRIONE D’ITALIA: LA LIRICA DI BOIARDO Matteo Maria Boiardo arrivò alla poesia in volgare dopo un’esperienza poetica in lingua latina. Egli operò in una dimensione acronica, quindi volontariamente sradicato dal proprio terreno linguistico dialettale e assimilò librescamente librescamente il toscano, senza percepire questo linguaggio come lingua vera. Egli non era influenzato dalla letteratura medicea dell’Umanesimo volgare e il suo punto di riferimento era il
Trecento, in particolare la poesia del Petrarca. Un altro punto di riferimento era il latino: frequenti erano i latinismi latinismi che si riflettevano sul vocalismo tonico, in cui ricorrevano i e u al posto di e ed o. Il confronto tra Boirardo e il suo “Orlando innamorato” è reso difficile dal fatto che non si possiede l’originale; le due più antiche edizioni del poema sono del 1487 e del 1506 e sono giunte a noi in un’unica copia. Questa rarità si spiega con il carattere popolare del testo, che comporta una vera e propria usura. Si ha anche un manoscritto, che però è posteriore al 1495. IL LINGUAGGIO DELLA LIRICA NELL’ITALIA MERIDIONALE Quando si instaurò a Napoli la corte c orte aragonese. Fiorì una poesia cortigiana di cui sono esponenti autori come Francesco Galeota, Caracciolo, Pietro Jacopo de Jennaro. La lingua di questi autori può essere studiata confrontandola con la koinè meridionale, con il toscano letterario e il toscano contemporaneo. I tratti linguistici più comuni emersi sono: Forme anafonetiche fiorentine e forme senza anafonesi Oscillazione tra ar protonica locale e er fiorentino nei futuri e condizionali dei evrbi Oscillazione tra possessivi possessivi toa, soa e i toscani tua, sua Forme come iorno, iace ( passaggio dj a j) Articoli lo e lu Forme del futuro in – aio aio e – aggio aggio
La generazione successiva dei poeti meridionali, ebbe come rappresentanti Cariteo e Sannazzaro; quest’ultimo è ricordato per l’ “Arcadia”, appartenente al genere bucolico, di cui esistono due redazioni e in cui si alternano egloghe pastorali e parti in prosa. La prima redazione risale al 1484-1486 e la seconda fu pubblicata nel 1504. La prosa dell’Arcadia è importante, in quanto è la prima prosa d’arte composta fuori falla Toscana, in lingua ex novo ed è il primo esempio di revisione linguistica in senso toscaneggiante ad opera di uno scrittore periferico.
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Capitolo 9: Il Cinquecento
ITALIANO E LATINO Nel ‘500 il volgare raggiunse raggiunse piena maturità, ottenendo il riconoscimento unanime unanime dei dotti; fioriscono autori come Ariosto, tasso, Machiavelli, Guicciardini e inoltre il volgare scritto raggiunse un pubblico molto ampio di lettori. Al latino fu tolto progressivamente progressivamente spazio. La maggior parte dei libri pubblicati era ancora in latino e la lingua resisteva al livello più alto della cultura, ma gli intellettuali avevano fiducia nella nuova lingua: tale crescente fiducia derivava anche dal processo di regolamentazione grammaticale. grammatica Determinante furono le “Prosele. della volgare lingua”di Pietro Bembo. lettori ori cercava Si ebbero le prime grammatiche a stampa dell’italiano e i primi lessici; la maggior parte dei lett delle risposte pratiche, una guida per scrivere correttamente liberandosi dagli eccessivi latinismi e dialettismi. Verso la metà del secolo si assiste al tramo nto della scrittura di koinè, tipica del ‘400, che era caratterizzata da contaminazioni di parlate locali, latino e toscano. Attraverso una regolamentazione normativa, l’italiano raggiunse uno status di lingua di cultura di alta dignità, anche se il latino continuava ad avere una posizione rilevante. Nella quotidianità, il volgare trovava spazio, più o meno ufficialmente. Marazzini ha preso in esame i privilegi concessi all’edizione del Decameron di Salviati, del 1582: su 11 privilegi concessi da governanti di stati italiani, 7 sono integralmente in latino, 2 mescolati italiano e latino e 2 sono integralmente in italiano. Il latino risulta quindi maggioritario. Il volgare veniva usato nella scienza quando si trattava di stampare opere di divulgazione, avendo uno spazio rilevante nei testi di arti applicate. Quanto al settore umanistico - letterario, il volgare trionfò nella letteratura e si affermò nella storiografia, grazie a Machiavelli e Guicciardini. La percentuale più alta di libri stampati venne stampat a dall’editoria i Venezia, seguita da quella di Firenze. Nella Roma della seconda metà del ‘500 llaa produzione dei libri in volgare è al di sotto del 50% e a T Torino orino e Pavia accadde la stessa cosa, in quanto città periferiche rispetto al centro toscano e caratterizzate da una forte presenza della cultura universitaria, legata alla lingua latina. A Roma il latino è egemonico perché lingua della Chiesa. LA QUESTIONE DELLA LINGUA PIETRO BEMBO: DALLE EDIZIONI ALDINE DEL 1501-1502 ALLE “PROSE DELLA VOLGAR LINGUA” Nell’avvio dell’attività di Bembo è importante il sodalizio con l’editore veneziano Aldo Manuzio, uno dei grandi maestri dell’arte tipografica italiana ed europea. Manuzio aveva stampato nel 1499 l’Hypnerotomachia Poliphili, libro saturo di latinismi. Il suo secondo libro stampato in volgare fu l’edizione delle “Lettere” di Santa Caterina, nel 1500. Nel 1501 Manuzio stampò due classici, Virgilio e Orazio, scegliendo un formato editoriale di piccole dimensioni, ossia il tascabile. Egli divenne famoso anche per il carattere tipografico corsivo, detto aldino. Nello stesso anno usciva usciva “Le cose volgari di Mess Messer er Francesco Petrarca”, curato da da Bembo. Bembo portò delle innovazioni, come la forma linguistica del testo, che sarebbe stata la base delle teorie delle Prose della volgar lingua ( compariva per la prima volta il segno dell’apostrofo, ispirato alla grafia greca). Nel 1502 Manuzio pubblicò la Commedia curata dal Bembo. Bembo intanto scriveva gli “Asolani” stampati ne 1505; in questa prosa trattatistica e fil osofica si imitava linguisticamente linguisti camente il Boccaccio. Il dibattito teorico sulla lingua non fu mai così acceso come nel ‘500: l’esito delle discussioni fu la stabilizzazione normativa dell’italiano. La questione della lingua, sulla natura del volgare, va intesa come insieme di teorie estetico – letterarie letterarie che si collegano a un progetto di sviluppo delle lettere. Le “Prose della volgar lingua” furono pubblicate a Venezia nel 1525: è l’editio princeps ( così si usa chiamare la prima edizione a stampa di un’opera classica, medievale o moderna) di cui abbiamo l’edizione critica, con delle varianti rispetto al manoscritto e che è conservato nella Biblioteca vaticana di Roma.
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Le Prose sono divisibili in 3 libri, il terzo dei quali contiene una grammatica dell’italian o, che risulta però poco sistematica e anche perché il trattato ha forma dialogica. Più che grammatica è una serie di norme e regole esposte nella finzione di un dialogo, da cui emerge un profilo dell’italiano, che Bembo teorizzava. Il dialogo è collocato nel 1502 e vi prendono parte 4 personaggi, ognuno dei quali è portavoce di una tesi diversa: 1. Giuliano de’Medici, terzo figlio di Lorenzo il Magnifico, rappresenta la continuità con il pensiero dell’Umanesimo volgare 2. Federico Fregoso espone molte tesi storiche 3. Ercole Strozzi, umanista e poeta in latino, espone le tesi degli avversari del volgare Carlo Bembo, fratello dell’autore, è portavoce delle idee di Pietro 4. Nelle Prose viene fatta un’ampia analisi storico-linguistica, prendendo le distanze dalla tesi di Bruni, secondo cui l’italiano era già esistito al tempo dell’antica Roma, come lingua popolare. Bembo non accettava la ricostruzione storica e ne individuava i rischi, facendo osservare a Ercole Strozzi, sostenitore del primato del latino, che non ci sarebbe stato nessun motivo di adottare una lingua scacciata dalle scritture classiche. Secondo Biondo Flavio, il volgare era nato dalla contaminazione del latino ad opera degli invasori barbari e il volgare stesso diventava un’entità nuova, da riscattare tramite gli scrittori e la letteratura. L’italiano stava progressivamente migliorando, mentre il provenzale stava perdendo terreno; il discorso così si spostava sul piano della letteratura, le cui sorti erano inscindibili da quelle della lingua. Il punto di vista delle Prose è umanistico e si fonda sul primato della letteratura. Quando Bembo parlava di lingua volgare, intendeva il toscano, quello letterario trecentesco dei grandi autori. La lingua non si acquisisce dal popolo, secondo Bembo, ma dalla frequentazione dei modelli scritti, i grandi trecentisti. La sua teoria voleva coniugare la modernità della scelta del volgare, secondo un ideale classicistico: requisito
per la nobilitazione del volgare era un totale rifiuto della popolarità; ecco perché Bembo non apprezzava le scelte di Dante nella Commedia di scendere verso il basso. Bembo si preoccupava di precisare che le parti a cui faceva riferimento nel Decameron non erano quelle dialogate, in cui emergeva il parlato, ma quelle dove era visibile lo stile dello scrittore, con la sua sintassi latineggiantee le inversioni e le frasi gerundive. latineggiant Era favorevole a una regolamentazione del latino aderente al periodo aureo della classicità, fondata sul binomio Virgilio Virgilio - Cicerone e a cui corrispondevano nel volgare Petrarca e Boccaccio. La soluzione di Bembo formalizzava quanto era avvenuto nella prassi: il volgare si era diffuso in tutta Italia come lingua della letteratura attraverso un’imitazione, più o meno cosciente, dei grandi trecentisti. La grammatica dell’autor e permetteva di portare a compimento quel processo, depurando il volgare dagli elementi della koinè. LA TEORIA CORTIGIANA Per Calmeta il volgare migliore era quello usato nelle corti italiane e soprattutto nella corte d Roma; secondo Castelvetro, egli faceva riferimento alla fiorentinità della lingua, che si doveva apprendere sui testi di dante e Petrarca e doveva essere affinata attraverso l’uso della corte di Roma. Nel ‘500 Roma era una città cosmopolita e la sua popolazione era molto esposta alla penetr azione azione di mode linguistiche. Equicola aveva parlato di una lingua capace di accogliere vocaboli di tutte le regioni italiane, mai plebea e con una coloritura latineggiante e il cui modello risiedev risiedevaa nella Corte di Roma. Castiglione nel “Cortigiano”, uscito nel 1528 era un fautore della lingua cortig cortigiana. iana. La differenza tra questo ideale e quello di Bembo sta nel fatto che i fautori della lingua cortigiana non volevano limitarsi all’imitazione del toscano arcaico, ma preferivano far riferimento all’uso vivo d i un ambiente sociale determinato, come la corte. Bembo obiettava che la lingua cortigiana era un’entità difficile da definire e non riconducibile all’omogeneità. LA TEORIA ITALIANA DI TRISSINO Analogie con la teoria cortigiana presenta la tesi del letterato Giovan Giorgio Trissino, legato anche alla riscoperta del De Vulgari Eloquentia. Nel 1529 Trissino fece stampare il trattato dantesco, in traduzione italiana e nello stesso anno pubblicò il “Castellano”, un dialogo in cui sosteneva che la lingua poetic a di Petrarca fosse composta da vocaboli provenienti da ogni parte d’Italia d’Italia e non era definibile come fiorentina, bensì com comee italiana.
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La sua tesi negava la fiorentinità della lingua letteraria e faceva appello alle pagine in cui Dante aveva condannato la lingua fiorentina. Trissino era convinto che la Commedia fosse stata scritta da Dante in omaggio ai principi esposti nel trattato e ne rappresentasse la realizzazione; egli e gli aveva proposto una riforma del’alfabeto italiano, con l’introduzione di due segni del greco: epsilon e omega. LA CULTURA TOSCANA DI FRONTE A TRISSINO E BEMBO Alla cultura toscana non piacque la riproposta del De Vulgari Eloquentia, rimesso in circolazione da Trissino, anche se esercitò influenza su Rucellai, Alamanni e Guidetti. reazione e Trissino Dante fu il “Discorso dialogo intorno alla nostra lingua”attribuito La più interessante Machiavelli: nel testo viene introdotto che dialogao con Machiavelli, chiedendo scusa degli erroria commessi scrivendo il De Vulgari Eloquentia, errori per aver scritto in fiorentino e non in lingua curiale. Trissino non è menzionato espressamente, ma si parla di letterati non toscani che volevano indebitamente farsi maestri di lingua. Viene rivendicato il primato linguistico di Firenze contro le pretese settentrionali. Il Discorso rimase inedito fino al’700 e non influì sul dibattito della lingua. Si ebbe una polemica sull’autenticità del De Vulgari Eloquentia, favorita dal fatto che Trissino non rese mai pubblico il testo originale latino dell’opera, stampato solo nel 1577 a Parigi. La traduzione circolò più dell’originale, finché i due testi non furono uniti nel 1729. L’HERCOLANO DI VARCHI Dal dibattito uscì vincente la tesi fiorentina arcaizzante di Bembo. La situazione mutò nella seconda metà del secol o, quando uscì l’Hercolano di Benedetto Varchi, fiorentino, che aveva maturato un’esperienza culturale al di fuori della sua città, essendo stato esule a causa di trascorsi politici antimedicei. A Padova aveva avuto modo di frequentare l’Accademia degli Infiammati, dov’era viva la lezione di Bembo e lo aveva conosciuto di persona. Egli ebbe il merito di introdurre il bembismo nella città che più gli era avversa, cioè Firenze, dove si rischiava di cadere in una posizione provinciale e marginale. La rilettura di Bembo condotta da Varchi non fu fedele, anzi risultò un tradimento delle premesse del classicismoo volgare; ciò servì a rimettere in gioco il fiorentino vivo: fu una riscoperta del parlato. classicism Per Varchi la pluralità dei linguaggi non andava spiegata con la maledizione babelica, ma con la naturale tendenza alla varietà propria della natura umana. Inutile veniva reputata la ricerca del primo linguaggio umano, che secondo il De Vulgari, era l’ebraico. Il concetto di lingua veniva discusso nell’ambito di una concezione sociale del linguaggio e veniva proposta anche una classificazione delle lingue basata su alcuni elementi: La loro provenienza dall’estero La loror esistenza in un luogo Il patrimonio di cultura e letteratura La natura di idiomi vivi o morti La comprensibilità
Varchi affidava il modello alla lingua parlata di Firenze. Molte pagine dell’Hercolano contengono liste di espressioni proverbiali fiorentine, allo scopo di semplificare la ricchezza e varietà della lingua parlata. La revisione del bembismo vanificava l’austero rigore delle Prose, caratterizzate dalla loro attenzione per il ruolo dei grandi scrittori e dall’affermazione che la città di Firenze non poteva vantare nessun primato. L’Hercolano sanciva il principio che esisteva un’autorità popolare da affiancare a quella dei grandi scrittori. LA STABILIZZAZIONE DELLA NORMA LINGUISTICA LA PRIMA GRAMMATICA A STAMPA DELLA LINGUA ITALIANA Nel ‘500 si ebbero le prime grammatiche e i primi vocabolari, in cui si riflettevano le proposte teoriche, come quella di Bembo. Si stabilizzò anche la terminolog terminologia ia linguistico-gramm linguistico-grammaticale. aticale. Il III libro delle Prose è esso stesso una grammatica, seppur esposta in forma dialogica. Fortunio precedette Bembo, con le “Regole grammaticali della volgar lingua”, opera che non ha la stessa teorizzazione sistematica dell’opera, ma che non si discosta da quegli ideali. Le parti del discorso di cui si dà conto sono ridotte a quattro: 1. nome 2. pronome
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3. verbo avverbio Note sono dedicate all’aggettivo, all’aggettivo, alla congiunzione, alla preposizione e all’interiezione. SVILUPPO DELLA PRODUZIONE GRAMMATICALE E DEI PRIMI LESSICI Nella metà del ‘500 furono disponibili diverse grammatiche che illustravano la lingua teorizzata da Bembo; esse no si proponevano obiettivi teorici, ma avevano uno scopo pratico. Nel 1550 uscirono le “Osservazioni nella volgar llingua” ingua” di Ludovico Dolce, libretto di piccole dimensioni. Nel 1562 l’editore Sansovino di Venezia pubblicò le “Osservazioni della lingua volgare de diversi uomini illustri”, riunendo in un solo volume 5 opere grammaticali dalla prima metà del secolo, di Fortunio, Bembo, Acarisio, e Corso. Sulla lineaGabriele del Bembo si collocano i “Commentarii della lingua italiana” di Ruscelli, usciti postumi nel 1581. Le grammatiche venivano pubblicate soprattutto dall’editoria veneta ed era pressoché assente in Toscana, poiché si sentiva meno il bisogno di consultare strumenti normativi di questo genere. A Firenze si ebbe solo l’uscita della grammatica di Giambullari nel 1552, con cui si voleva riproporre la norma della lingua parlata a Firenze, rivolgendosi ai non fiorentini e ai giovani, ma fu un fallim f allimento. ento. Nacquero i primi lessici, antenati dei vocabolari, che contenevano un numero limitato di parole, ricavate da spogli sugli scrittori, come Dante, Petrarca e Boccaccio in primis. “Le tre fontane” di Liburnio del 1526 fu un incrocio tra retorica, grammatica e lessicografia; il titolo allude metaforicamente metaforicam ente alle Tre Corone. “La fabrica del mondo” di Francesco Alunno di Ferrara del 1548 è il più noto vocabolario de lla prima metà del ‘500. GLI SCRITTORI DI FRONTE ALLA GRAMMATCA DI BEMBO L’effetto più noto della grammatice di Bembo si ebbe su un grande capolavoro come l’ “Orlando innamorato”, perché Ariosto corresse la terza e definitiva edizione del poema seguendo l e indicazioni delle Prose. Edizioni del: 1516, notevolmente toscanizzata, con uso delle consonanti doppie, nell’uso di c e z di fronte a vocale, forme come giaccio, giotto per ghiaccio, ghiotto 1521, con correzioni come la sostiruzione dell’articolo maschi le el con il, le desinenze del presente indicativo in prima persona plurale con – iamo iamo 1532, con solo 3 casi di mancato dittonga mento ie: prigioniera, visera e destrero
L’ITALIANO COME LINGUA POPOLARE E PRATICA Nel ‘500 si assiste a una crescita dell’impiego della lingua italiana, che si verifica nelle scritture e nelle stampe. Aumentano le occasioni di scrivere, cresce l’uso della lingua, utilizzata anche da persone di scarsa cultura. L’analfabetismo era diffuso, soprattutto nelle campagne, anche se nelle città c’era chi non sapeva leggere e scrivere. Le scritture popolari e semipopolari erano caratterizzate da regionalismi e dialettismi; il modello omogeneo di lingua toscana diffuso con il successo delle teorie di Bembo e con la produzione grammaticale agì sugli scriventi colti. La varietà dei diversi usi erano legati alle diverse condizioni sociali degli scriventi. Campioni dell’italiano dei semicolti si rintracciano nei diari che mostrano l’italiano con vistosi tratti regionali. Anche alcuni libri a stampa offrono materiale per un italiano extraletterario ricco di termini quotidiani, così come le raccolte di ricette medico-alchemiche, culinarie: sono opere in cui si trova una terminologia tecnica e settoriale estranea alle problematiche dell’italiano poet ico e letterario, legata alla vita quotidiana e alle necessità pratiche comunicative.
IL RUOLO DELLE ACCADEMIE L’ACCADEMIA PADOVANA DEGLI INFIAMMATI E SPERONE SPERONI Vi erano stati tanti progressi per la crescita quantitativa del volgare, ma il dibattito giunse i dotti che discutevano problemi teorici normativi normativi.. fu fondata nel 1540 ed era frequentata anche da Sperone Speroni, L’Accademia padovana deglie Infiammati autore del dialogo “Delle lingue”, pubblicato nel 1542. tale dialogo è ambientato a Bologna nel 1530: in esso viene introdotto Bembo che difende le proprie idee, mentre le altre posizioni nella questione sono
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rappresentate da un cortigiano e da Lazzaro Bonamico. Nel dialogo viene introdotto un altro dialogo narrato da uno scolaro, che esprime una posizione originale: quella del filosofo aristotelico Pomponazzi. Pomponazzi dichiarava che la filosofia avrebbe dovuto essere trasportata dalle lingue classiche, dal latino e greco, alla lingua volgare, con traduzioni e conseguente modernizzazione della cultura. Il latino e il greco gli sembravano un ostacolo alla diffusione del sapere. ( posizione controcorren controcorrente) te) L’ACCADEMIA FIORENTINA Le accademie svolsero nel ‘500 una funzione di primo piano, in quanto influenzarono gli intellettuali e vennero dibattuti i problemi principali culturali. L’accademia fufiorentina il luogo nata in cui vennero affrontate questioni linguistiche attuali: ad esempio come nell’Accademia nel 1541 dall’Accademia degli Umili e che nel 1542 divenne un organismo ufficiale. L’ACCADEMIA DELLA CRUSCA E SALVIATI La fondazione dell’Accademia della Crusca risale al 1582. Nel 1583 l’ingresso di di Lionardo Salviati coincise con l’affermazione l’affermazione di seri interessi filologici. La Crusca inizialmente si fece conoscere per la polemica, condotta soprattutto da Salviati, contro la Gerusalemme Libertata si Tasso, a sostegno dell’Ariosto. Salviati raggiunse la fama come autore degli “Avvertimenti della lingua sopra ‘l Decameron”, un libro filologico e grammaticale, un intervento per spurgare l’opera d elle parti ritenute moralmente censurabili. Questo fu commissionato dal granduca Francesco di Toscana per compiacere Sisto V e veniva dopo l’analoga effettuata dai “Deputati” dell’Accademia fiorentina. La censura fu un’occasione per la nascita e lo sviluppo di un’attenzione filologica per il testo del Decameron: per tramandarne lo stile, giudicato ammirevole, si accettava di intervenire mutilando il testo. Nel 1590 l’Accademia deliberò di rivedere e correggere il testo della Commedia di Dante e nel 1595 usc ì a Firenze “La Divina Commedia” di Dante, ridotta dall’Accademia. LA VARIETA’ DELLA PROSA LE TRADUZIONI, LA SAGGISTICA E LA PROSA TECNICA L’architettura fu uno dei settori in cui l’italiano si impose, non solo nelle opere nuove, ma anche traducendo ciò che si presentava in latino. In latino era ancora il quattrocentesco trattato “De re edificatoria” di Leon Battista Alberti, tradotto in volgare da Cosimo Bartoli, col titolo “L’architettura”. Fra le traduzioni determinanti la più importante fu quella di Vitruvio, autore a cui Battista si era ispirato; la prima traduzione italiana di Vitruvio c’era stata all’inizio del secolo XVI, da parte del pittore Cesariano, traduzione con forme tipiche della koinè settentrionale. Il testo è vincolato dal latino, non solo nelle scelte lessicali, ma anche nella costruzione della frase. La trattatistica architettonica raggiunse nella seconda metà del ‘500 una maturità assoluta e una perfezione terminologica notevole, tanto che molte parole italiane, relative all’architettur a civile e militare, entrarono anche nelle altre lingue europee. Anche la trattatistica d’arte offrì molto materiale allo storico della lingua: dal 1550 al 1568 uscirono le “Vite”di Vasari. Le traduzione dei classici costituiscono una parte importante per la storia dell’italiano; proprio nel confronto col latino la lingua italiana affinò le proprie capacità e potenzialità. Importanti furono le traduzioni di Aristotele, Aristotele, tra cui va ricordata la Retorica, tradotta da Caro e la Poetica, da Piccolomini.i. Platone fu tradotto nei suoi Dialoghi nel 1574. Piccolomin L’abbondanza di traduzioni rispondeva a un desiderio di divulgazione. La versione degli Annali di Tacito, tra il 1596 e il 1600, fu effettuata da Davanzati, che si sforzò di gareggiare con l’originale, per dimostrare la brevità e l’arguzia dell’idioma fiorentino e per controbattere le censure rivolte alla lingua italiana dall’umanista francese Estienne. Estienne aveva condannato una precedente traduzione tacitiana di Dati per la sua incapacità di adeguarsi all’originale latino. Davanzati rinunciava alla floridezza dello stile boccacciano e cercava semplicità nell’imitazione dello stile dei trecentisti minori, minori, usando anche elementi del parlato e popolari, seguendo il suo ideale di scrivere semplice.
Nel 1532 fu stampato a Roma il trattato “De principatibus” di Machiavelli: il “Principe” è un esempio di prosa, molto diverso da quello proposto da Bembo, in quanto Machiavelli scrisse in un fiorentino ricco di
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latinismi, inoltre in latino sono i titoli dei veri capitoli, n onostante l’autore non disdegnasse di accogliere tratti bassi. Nel 1540 fu stampata la “Storia d’Italia” d’Italia” di Guicciardini. IL LINGUAGGIO SCIENTIFICO Il volgare prevaleva nel settore della scienza applicata o diretta a fini pratici, non nella ricerca accademica. Mattioli, che visse a lungo all’estero, medico alla corte imperiale, fu autore dei “Commentarii”, che ebbero numerose ristampe e che serviva a identificare e classificare le piante utili a fini medicinali. Il libro appartiene al campo delle scienze e della medicina, ma possiede anche valore pratico, per questo è scritto in italiano. La scelta del volgare acquista rilievo nel caso di Galileo, che appunto giungeva da un settore ostile del volgare, quello della scienza universitaria. Rinunciando al latino, Galileo aveva lo svantaggio di limitare la circolazione internazionale. LA PROSA DI VIAGGIO L’interesse linguistico della letteratura di viaggio consiste nella possibilità di reperire neologismi e forestierismi, legati alla descrizione di nazioni e luoghi esotici. Questo tipo di letteratura, inoltre, può esprimere interessi linguistici, linguistici, quando accade che il viaggiatore si occupi degli idiomi parlati o scritti con cui è entrato in contatto. Tra gli ordini più attivi ci fu quello dei Gesuiti; Botero nelle “Relazioni universali”, del 1596, descrisse tutte le parti del mondo conosciuto, attraverso i testi originali spagnoli di cui si servì come fonte; lo spagnolo aveva una grande importanza importanza come lingua internazionale. Infatti negli scritto di tutti i viaggiatori ricorrono generalmente molti ispanismi, sia come prestiti di necessità, che come citazioni. IL MISTILINGUISMO DELLA COMMEDIA Dalla prima metà del ‘500 la commedia si rivelò genere ideale per la realizzazione di un mistilinguismo o per la ricerca di elementi e lementi del parlato. La caratteristica più evidente della lingua della commedia è data dalla compresenza di diversi codici per i diversi personaggi. Al parlato mirarono molti autori toscani, come Machiavelli, che nel Discorso o Dialogo, se la prese con Ariosto, che avrebbe scritto commedie in cui, non avendo voluto usare il dialetto e non conoscendo il toscano parlato, avrebbe ottenuto un risultato scarso e poco credibile. Cecchi per rendere colorito c olorito il dialogo delle proprie commedie, le riempì di motti e proverbi. Analoghe esibizioni di linguaggio popolare toscano si trovano anche in testi senesi, come “La pellegrina”, di Bargagli. Della Porta, ne “La fantesca” del 1592 impiegò diversi tipi tradizionali, tra cui la figura del pedante che si esprime in forme auliche a uliche e latineggianti, rovesciate ad effetto comico. Nel “Candelaio” di Giordano Bruno, il latino si mescola con il fidenziano e con il volgare e quest’ultimo è ridotto al minimo. Calmo nella “Rodiana” approfitta dell’abilità polilinguistica di un servo che imita napoletano, francese, milanese, raguseo, spagnolo, fiorentino, e di un vecchio che parla spagnolo, francese, napoletano, pugliese, mantovano, genovese e arabo.
L’EPISTOLOGRAFIA Nel XVI secolo le raccolte di lettere, anche di autori famosi, costituirono un genere tra i più fortunati e diffusi. La maggior parte di questi libri fu stampata a Venezia.
IL LINGUAGGIO POETICO ARIOSTO Ariosto adeguò la propria lingua al modello toscano delle Tre Corone, eliminando i settentrionalismi e accettando le regole della grammatica di Bembo. Machiavelli criticò linguaggioditeatrale di Ariosto, giudicandolo innaturale. L’esito finale del ilbembismo Ariosto è il segno della riuscita della teorizzazione linguistica, che nell’Orlando furioso si traduce in una lin gua chiara, elegante e regolata.
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Il tono medio viene ottenuto anche con l’eliminazione di epiteti preziosi, sostituiti da termini prosaici e quotidiana, da aggettivi più sobri e indeterminati.
IL PETRARCHISMO È una caratteristica del linguaggio poetico del Cinquecento e consiste in una soluzione coerente con il modello di Bembo e lui stesso nelle sue liriche, rappresentò questo gusto letterario. Il petrarchismo significa la scelta di un vocabolario lirico selezionato e di un repertorio di topoi.
TORQUATO TASSO LE POLEMICHE CON nelle LA CRUSCA I rapporti tra Tasso e laECrusca furono essenziali discussioni linguistico linguistico – letterarie della fine del ‘500. L’attacco dell’Accademia della Crusca alla “Gerusalemme liberata” non fece allontanare Tasso dalla lingua toscana, bensì egli non mise mai in discussione la toscanità della lingua italiana. Prese le distanze dai dialetti, per celebrare il primato della lingua toscana. Tasso non riconobbe comunque il primato fiorentino: la tradizione toscana era intesa come patrimonio culturale comune e per questo proponeva una prosa in cui prevaleva la paratassi sull’ipotassi, con una diminuzionee delle clausole. diminuzion La polemica con la Crusca, non riguardò lo stile di Tasso prosatore, non la sua poesia lirica e neanche i versi dell’ “Aminta”; le accuse rivolte al Tasso epico ebbero per oggetto questioni di lingua e stile: Lo stile di Tasso epico è oscuro Il suo linguaggio è una mistura di voci latine, pedantesche, straniere, lombarde, composte I suoi versi sono aspri Poteva avere una locuzione più chiara
I cruscanti giudicavano che Tasso, rispetto ad Ariosto, non fosse facile da intendere e questo costringeva il pubblico ad una lettura silenziosa. Si poneva quindi un problema di sintassi e disposizion disposizionee delle frasi nella struttura ritmica dell’ottava. Nel lessico della poesia epica, Tasso mostrò una predilezione per il latinismo, che costituisce uno degli elementi usati per far conseguire alla poesia, il livello elevato. Le critiche della Crusca mostrano uno scarso apprezzamento nei confronti del nuovo gusto letterario, in quanto Tasso si era staccato dal modello di Ariosto, senza preoccuparsi delle norme bembiane, ma l’autore ci teneva a dimostrare che le sue scelte lessicali non si erano discostate così tanto dai grandi scrittori del passato. La violenza con cui Salviati attaccò Tasso ha un significato più profondo: egli era guidato dal fastidio nei confronti di una stella nel mondo della letteratura volgare, che brillava lontano da Firenze e sembrava non conoscerne il primato. Il primato assoluto di Firenze sulla lingua era un’ambizione a cui Salviati aspirò per tutta la vita. Nella sua Apologia, Tasso proponeva una distinzione tra fiorentino antico e moderno, contestando che i fiorentini potessero ambire ad essere giudici più di altri competenti di letteratura e affermava che la lingua volgare era qualcosa di separato dal volgo,avendo acquisito una dimensione colta. Tasso osservava che la lingua di Dante era stata più fiorentina di quella di Petrarca, ma meno poetica ( alludendo alla formalizzazione di una lingua non realistica, vaga, allusiva, utilizzabile e utilizzata come modello). Le dispute tra Tasso e Salviati mostrarono una rottura: l’Accademia stava per coronare il suo progetto istituzionale, per regolare la lingua italiana, mentre la letteratura prendeva un’altra strada, opposta e in conflitto. TEORIA POETICA E STILE DI TASSO Una guida per cogliere lo stile della poesia di tasso sono le sue pagine di teorico, contenute nel quinto libro dei “Discorsi del poema eroico”, dedicato all’elocuzione, intesa come problema che non riguarda solo l’oratore e l’attore, ma anche il poeta. Tasso spiegò come poteva essere raggiunto l’ideale di magnificenza a cui aspirava e che costituiva il motivo di attrito rispetto alla concezione della Crusca.
Il primo carattere di magnificenza sta nell’asprezza, termine con cui designa la presenza di forti 1. allitterazioni un altro espediente sta nei versi spezzati, nell’uso degli enambement, che spesso separa l’aggettivo 2. dal sostantivo e che permette di distanziare il verso dalla monotonia della prevedibilità metric metricaa
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3. accumuli di elementi congiunti da e, che accrescono ac crescono la forza nel parlato enumerazione: ottenuta con l’accostamento di elementi senza l’uso della congiunzione e; viene 4. realizzata soprattutto in polisindeto, polisindeto, quando vi è un crescendo o climax ricerca dell’indeterminato e del vago 5. 6. duplicazione della parole in forme di anafora LA CHIESA E IL VOLGARE LA TRADUZIONE DELLA BIBBIA E LA LINGUA DELLA MESSA La Chiesa fu tra i protagonisti della storia linguistica nel periodo dal Concilio di Trento alla fine del Seicento. La lingua ufficiale della Chiesa restò il latino, ma il problema del volgare emerse nella catechesi e nella predicazione. Il rapporto tra la Chiesa e la lingua volgare fu affrontato anche nel dibattit dibattitoo al Concilio di Trento: si discusse la legittimità delle traduzioni traduzioni della Bibbia, ma i padri non arrivarono a una decisione radicale. Nel 1559 Paolo IV riservava una menzione alle Bibbie volgari, di cui era vietato il possesso senza licenza del Santo Uffizio; la proibizione fu ribadita nel ‘500 e nel ‘600. Al Concilio di Trento si affrontò il problema della traduzione della Sacra Scrittura, discusso nel 1546, in cui fu fondamentale l’azione di Lutero con la famosa versione in tedesco. Alcuni dei partecipanti del Concilio vedevano nella Bibbia una rischiosa fonte di errori e di eresie, altri erano fautori della traduzione della Bibbia. Prevalse la posizione di chi preferì far cadere ogni riferimento alla questione, lasciando decidere ai pontefici. Per quanto riguarda il tema della Messa, era necessario contrapporsi alla tendenza manifestata dal mondo protestante: veniva sottolineata la funzione di lingua sacra del latino. Inoltre al latino era riconosciuto il carattere di lingua universale, che garan tiva un’omogeneità internazionale nel messaggio della Chiesa. LA CHIESA, LA QUESTIONE DELLA LINGUA E LA PREDICAZIONE Il volgare respinto dai piani alti della Chiesa, confermava il suo ruolo nel settore che più risentiva del confronto con i fedeli: la predica. La predicazione in lingua volgare era uno dei compiti a cui i parroci non dovevano sottrarsi e questa pubblicazione doveva svolgersi durante la Messa, entro il rito pronunciato in latino. Il bembismo influì fortemente anche nel campo della predicazione, riconoscibile in Musso, che era stato allievo a Padova di Bembo. “Il predicatore” di Panigarola, uscì postumo nel 1609 e fu il trattato più importante per il rinnovamento della prosa della predicazione, per renderla adeguata ai dettami della retorica, c on l’intento di compiere un’applicazione della cultura alla fede. All’interno vi era un’adesione alla teorizzazione del primato della lingua fiorentina parlata, giudicata come la più adatta al pulpito. Panigarola consigliava di imparare il buon italiano sulle grammatiche, grammatiche, ma esortava a soggiornare a Firenze per qualche tempo. Egli trovò un corrispondente in Federico Borromeo che sottopose le sue prediche a un processo di revisione linguistica, partendo dal principio che anche l’oratoria sacra doveva diventa re uno strumento di letteratura profana. Nella seconda metà del XVI secolo vennero alla luce molte opere retoriche, che dimostrano che la Chiesa cercava di stabilire le norme per una predicazione colta, di alto livello e che voleva dimostrare l’esistenza d i un pubblico di religiosi pronti ad aggiornarsi e desideroso di imparare. Capitolo 10: Il Seicento
IL VOCABOLARIO DELL’ACCADEMIA DELLA CRUSCA La Crusca fu un’associazione provata in un’Italia divisa in stati diversi, ciascuno con la propria tradizione e quindi un Paese poco adatto a sottomettersi a un’unica autorità normativa; eppure l’Accademia portò a termine il disegno di restituire il primato della lingua a Firenze. Il suo contributo più grande si ebbe quando si indirizzò alla lessicografia, dal 1591 ; in quest’anno gli accademici discussero sul modo di fare il Vocabolario, attraverso un procedimento razionale di schedatura. Da Salviati proveniva l’impostazione per cui gli autori minori erano giudicati degni, per meriti di lingua, di
stare a fianco della dei grandi della letteratura. Al momento realizzazione del Vocabolario, Salviati era già morto; dopo di lui non ci fu in Accademia una figura di spicco che potesse esserne l’erede, in quanto nessuno aveva una precisa competenza lessicografica o linguistica.
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Vi era inoltre il problema del finanziamento, in quanto per stampare il Vocabolario occorrevano molti soldi e questo costrinse gli accademici ad autofinanziars autofinanziarsi.i. La situazione politica stessa dell’Italia era sfavorevole, perché la frammentazione politico-amministrativa aumentava il rischio delle edizioni pirata. Bastiano de’Rossi era incaricato di stendere la lettera dedicatoria da premettere al Vocabolario. Il “Vocabolario degli Accademici della Crusca” uscì nel 1612, presso le tipografia veneziana di Giovanni Alberti; sul frontespizio portava l’immagine del frullone, uno strumento che si usava per separare la farine dalla crusca ( emblema) e con il motto: “Il più bel fior ne coglie”. La lezione delle Prose sopravviveva, ma filtrata attraverso l’interp retazione fiorentinista di Varchi e Salviati; il Vocabolario abbondava nel presentare termini e forme dialettali fiorentine e toscane: assempro per esempio calonaca per canonica caro per carestia manicare per mangiare
Per la scelta della grafia, il Vocabo lario si collocò sulla linea dell’innovazione, distaccandosi in parte dalle convenzioni ispirate al latino ( le h etimologiche e i nessi del tipo ct); notevoli erano anche la coerenza e l’omogeneità delle scelte ortografiche. Il Vocabolario assunse un prestigio sovra regionale; il Tesauro non fu mai d’accordo con il fiorentinismo cruscante e diede una serie di indicazioni per sfruttare appieno le potenzialità della Crusca, facendo uso anche della tavola lessicale latino-italiana. Il lessico latino poteva servire da guida per la ricerca del lessico italiano. L’OPPOSIZIONE ALLA CRUSCA PAOLO BENI L’opposizione al Vocabolario e ai criteri che lo avevano ispirato si manifestò già dal 1612, anno della sua pubblicazione. Il primo avversario fu Beni, professore di umanità all’Università di Padova, autore di un’”Anticrusca” in cui venivano contrapposti al canone di Salviati, gli scrittori del ‘500 e Tasso in particolare. Per lui la lingua esisteva come patrimonio comune che si estendeva al di là dell’italiano scritto e arrivava a interessare il parlato: le pronunce di Campania, Umbria, Marche e di Roma, potevano essere messe a confronto con quelle di Firenze. Ci fu una polemica contro le lingua usata da Boccaccio, indicandone le irregolarità e i termini plebei. Intendeva dimostrare come l’antica lingua era incolta e rozza del ‘300 e la moderna regolata e gentile, giudicando negativamente il ‘300.
ALESSANDRO TASSONI Critico nei confronti della Crusca, preparò un elenco di osservazioni, utilizzate dagli accademici per la seconda edizione del Vocabolario nel 1623. La polemica contro la Crusca si caratterizzò per una sostanziale asistematicità asistematicità . Il pensiero di Tassoni esprimeva la protesta contro la dittatura fiorentina sulla lingua e proponeva di adottare nel Vocabolario espedienti grafici per contrassegnare le voci antiche e le parole da evitare. Tema fondamentale della riflessione era l’improbabilità dell’arcaismo linguistico, coerente con il disprezzo per l’uso e l’abuso del latino negli scritti tecnici t ecnici di materia medic a e legale: Tassoni si mostrava ostile a ogni culto della tradizione che ostacolava la modernità e la semplicità della comunicazione. Molte volte nelle sue annotazioni vi era il riferimento all’uso linguistico di Roma, contrapposto a quello di Firenze. Coerentemente con la sua posizione antibembiana, antifiorentina e anti arcaizzante, nel poema eroicomico “La secchia rapita” utilizzò voci e frasi di vari dialetti centro-settentrion -settentrionali ali ( bolognese, bresciano, modenese, padovano, romanesco), seconda una forma di gioco linguisti linguistico co che si addice allo stile comico. DANIELLO BARTOLI Noto per la sua elegante prosa, autore de “Il torto e il diritto del Non si può”, del 1655, libro che uscì sotto lo pseudonimo di Ferrante Longobardi. Non si tratta di una polemica confronti del Vocabolario, né di affermazioni teoriche destinate a controbattere a priori il metododiretta seguitonei dall’Accademia. Bartoli usava una pungente ironia nei confronti di ogni forma di rigorismo grammaticale, volendo mettere a fuoco che il grammatico deve usare con cautela il suo diritto di condanna e di divieto.
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L’opera principale di Bartoli è “Istoria della compagnia di Gesù”, pubblicata dal 1650 al 1673, in cui descrisse anche i quadri geografici esotici in cui si erano svolte e si svolgevano le attività missionarie dei suoi confratelli gesuiti. Bartoli che non viaggiava mia, usò per il suo lavoro gli scritti di coloro che erano stati effettivamente in missione.
LE EDIZIONI DEL 1623 E DEL 1691 DEL VOCABOLARIO: SVILUPPO DELLA CRUSCA E DELLA CULTURA LINGUISTICA TOSCANA La fortuna del Vocabolario della Crusca è confermata dalle due edizioni che uscirono in seguito: 1. la seconda edizione uscì nel 1623, analoga alla prima, tranne per alcuni aggiunte e correzioni 2. la terza edizioni, stampata Firenze e non in piùfolio a Venezia, è del del 1691 e si presenta già dall’esterno: tre tomi al posto di uno,a con il formato e un aumento materiale, sia perdiversa la quantità dei lemmi, che per gli esempi e la definizione delle voci Anche dal punto di vista qualitativo i cambiamenti erano sensibili; i lavori per la riedizione durarono per 30 anni e furono importanti i contributi di Dati, Segni, Redi, Magalotti, Salvini. Il binomio Redi-Magalotti era costituito da due letterati scienziati molto rinomati e ciò spiega la cura con cui la Nuova Crusca diede conto c onto del linguaggio scientifico, includendo includendo Galileo fra gli autori. Nella terza edizione si fece riscorso all’indicazione V.A., ossia Voce Antica, per segnalare le voci introdotte nel vocabolario, non per propo rle all’uso dei moderni, ma a scopo storico-documentario: era uno strumento per facilitare la lettura degli scrittori antichi. Sul versante della modernità venne dato uno spazio maggiore a voci non documentate nell’epoca d’oro della lingua italiana, ossia il ‘300 e che risultavano dall’uso degli autori moderni. Inoltre furono inserite una serie di voci attestate da scrittori di scienza del ‘600, queste e altre voci furono scelte sull’autorità di scrittori contemporanei e dando la preferenza ai toscani. Tra gli “Autori moderni” citati in difetto, vi sono diverse presenze non toscane, sia appartenenti al passato che ai contemporanei, come Iacopo Sannazzaro, Baldassar Castiglio Castiglione, ne, Chiabrera, Pallavicino. Annibal Caro era già stato inserito nella seconda Crusca, così come il Guarini, autore de “Il pastor fido”. Ma l’autore più significativo, inserito nella Terza Crusca è Torquato Tasso; vistosa è l’assenza di Marino, in quanto l’ambiente fiorentino era ostile agli eccessi del Barocco. Nella terza Crusca, inoltre, furono dedicate delle pagine alla spiegazione dei criteri generali seguiti per realizzare l’opera. IL LINGUAGGIO DELLA SCIENZA GALILEO E IL LINGUAGGIO DELLA SCIENZA La prosa del ‘600 deve molto allo sviluppo del linguaggio scientifico, prima di tutto per merito merito di Galileo. Galileo aveva cominciato a scrivere in italiano molto giovane, con “La bilancetta”, definendo una precisa preferenza per la lingua moderna, ma il suo insegnamento universitario a Padova fu in latino. La scelta fra le due lingue era dettata dalla fiducia a priori nel volgare, in quanto Galileo aveva affermato di usarlo per raggiungere coloro che avessero più interesse per la milizia che per la lingua latina: intento divulgativo. Scelse il toscano, anche se all’inizio gli capitò di usare c omunque il latino, che aveva caratteristiche innovative. Il latino via via assunse la funzione di termine di confronto negativo,a cui rivolgersi polemicamente: ciò è evidente nel “Saggiatore” del 1623, dove sono riportate le tesi dell’avversario scritte in latino e confutate in italiano, dando vita così a un continuo dialogo tra le due lingue. popolare; favorito dall’ dall’origine origine ttoscana, oscana, seppe Pur scegliendo il volgare, non si collocò mai al livello basso- popolare; raggiungere un tono elegante e medio, con una chiarezza terminologica e sintattica e non rinunciò a mostrare alcuni difetti della lingua toscana viva e parlata, così come non rinunciò al sarcasmo e al paradosso. Non ci può essere discorso scientifico, senza il rigore logico e dimostrativo e la chiarezza linguistico – terminologica; anche quando non si trattava di testi scientifici, ricorreva sempre il richiamo a un oggetto particolare. Galileo quando nominava e definiva un concetto o una cosa nuova, preferiva attenersi ai precedenti comuni ed evitare di introdurre una terminolog terminologia ia inusitata o troppo colta. LA SCIENZA PIACEVOLE: REDI E MAGALOTTI Redi, scienziato, è tra i fondatori della biologia moderna e le sue prose consistevano in descrizioni i esperimenti, ricavate da appunti presi in laboratorio e svolte come relazione, che prende in genere la forma
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epistolare. Egli divideva la propria attività tra il settore scientifico e quello umanistico. Frequente era da parte sua la citazione di versi anche nel bel mezzo di una descrizione di un’esperienza, come i versi di Dante. La poesia è utilizzata come vera e propria divulgazione. Il termine popolare toscano poteva essere proposto accanto a quello colto. Redi aveva il gusto per la denominazione d’uso, per la freschezza della lingua parlata e per l’impiego del francesismo corrente. IL MELODRAMMA Nato a cavallo tra ‘500 e ‘600 e destinato a un grande successo successo nel secolo XVII XVII.. L’Italia assunse una posizione egemonica per del ciò rapporto che riguarda la produzione melodramma melodramm a permetteva di affrontare la questione tra parola e musica. di opere liriche e il Il melodramma del primo ‘600 fu un tentativo di ricreare la tragedia antica, che si immaginava fosse stata eseguita dai greci con l’accompagnamento del canto e nacque dalla volontà di non sacrificare il testo del libretto alle esigenze della melodia. Nel Rinascimento assunse importanza la forma del madrigale: Tasso scrisse molte poesie dedicate alla musica e al canto e altre volte i versi furono impiegati per la musica. Il rapporto tra parola e melodia fu affrontato in ma niera profonda e sistematica: così nel “Dialogo della musica antica” del 1581 di Vincenzo Galilei. Il teatro del ‘500 era stato recitato e non cantato, fino a quel momento e la musica era rimasta confinata. La nascita del melodramma avvenne nel 1600 con la rappresentazione dell’ “Euridice”, in occasione delle nozze di Maria De’ Medici. Il melodramma si caratterizzava come un tipo di spettacolo d’elite, come forma di divertimento che richiede scenografie e allestim allestimenti. enti. Il linguaggio del melodramma si inseriva nella linea della lirica petrarchesca, rivisitata attraverso Tasso, in particolare nell’ “Aminta”.
IL LINGUAGGIO POETICO BAROCCO ELEMENTI INNOVATIVI Con Marino e il marinismo a partire dal ‘600, le innovazioni si fecero più accentuate che nel Tasso: il catalogo degli oggetti poetici si allargò rispetto alla tradizione, anche se gli schemi metrici e le cadenze ritmiche rimanevano quelle petrarchesche.
La poesia barocca estese il repertorio dei temi e delle situazioni, assunte come oggetto di poesia e il rinnovamento tematico ne portò uno lessicale. La prosa scientifica, frutto dello spirito di osservazione e del gusto sperimentale e quindi frutto del metodo di Galileo, aveva descritto con interesse il regno animale. I poeti barocchi non furono da meno e arrivarono a utilizzare gli stessi strumenti della scienza. L’ “ADONE” DI MARINO Nell’Adone vi sono famose ottave in cui lo scrittore, iinn una complessa allegoria, introdusse l’anatomia del corpo umano e adoperò termini anatomici per tentare una descrizione delle diverse parti del corpo. Il lessico dell’anatomia venne introdotto per celebrare i sensi il corpo umano. Altre ottave utilizzavano la descrizione della luna fatta da Galileo, per ribadire la disponibilità della letteratura verso le scoperte della scienza. Un filone della poesia barocca cha fa capo a Marino, impiegò il lessico scientifico, insieme alla tematica e agli oggetti della scienza. La scienza così viene riconosciuta dalla letteratura. La presenza del lessico scientifico confermò la tendenza al rinnovamento, verificabile nell’inserimento di forestierismii e di parole provenienti dalla tradizione comica. forestierism Inoltre nell’Adone fu inserita l’attualità: vengono adoperati i cultismi, grecismi, latinismi, non di rado di provenienza scientifica. Vengono impiegate le parole composte e non poco comuni, oltre a quelle inventate, che sono simili a quelle comuni, ma non uguali e che hanno un significato comi comico. co. Quello dei marinisti fu uno stile ricco di metafore, oltre che di bisticci. La donna venne ritratta non in sembianze petrarchesche. IL “CANNOCCHIALE ARISTOTELICO” DI TESAURO Definito il trattato più significativo per intendere la poetica del Barocco. Molte parti del libro offrono una serie di riflessioni di carattere letterario e toccano problemi di natura linguistic linguistica. a.
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C’è una polemica contro il dogmatismo grammaticale e contro l’autorità pedantesca e che si traduce in una concezione della lingua intesa come qualcosa di libero, destinato a mutare nel corso del tempo. Secondo Tesauro, la lingua è un sistema aperto e mutevole e lo scrittore è libero di sottrarsi alle convenzioni grammaticali; viene così legittimata la violazione della norma, purché sia fatta consciamente, da parte di chi conosce l’esistenza. Egli contrappose la cacofonia alla cacozelia: 1. la cacofonia, cioè il cattivo suono, è un vizio di forma 2. la cacozelia è il difetto di quelli che errano per essere rispettosi nei confronti delle norme grammaticali
Anche le parole straniere, definite barbarismi barbarismi,, possono diventare eleganti; anzi proprio perché inusitate nella nostra lingua, hanno un effetto migliore di quello che si riscontra nell’idioma da cui provengono, perché diventano pellegrine. La polemica di Tesauro contro gli arcaismi lessicali ritorna in “Della’arte delle lettere missive”, un tratt atello di stile epistolare: a suo giudizio la maturità della lingua italiana, cominciata nel secolo XVI andava crescendo e la lingua moderna risultava migli migliore ore di quella antica. Alcune pagine del “Cannocchiale aristotelico” discutono della metafora, la fig ura retorica più caratteristica della poesia barocca. Aristotele nella “Reotrica” aveva accennato alla metafora come strumento di effettiva conoscenza della realtà, capace di cogliere l’analogia tra cose differenti. La trattatistica barocca poté considerar e la metafora come fulcro dell’attività poetica, frutto di un ingegno, che è la facoltà creativa, distinta dalla capacità razionale dell’uomo. SVILUPPO LETTERARIO DELLA PREDICAZIONE RELIGIOSA NEL XVII LA PREDICAZIONE BAROCCA La predicazione barocca presentava una serie di costanti: forte uso di esclamazioni presenza di interrogazioni, di invocazioni, di elencazioni giochi di rima, allitterazioni, assonanze, anafore.
Si tendeva verso la metafora e la ridondanza lessicale, spesso in forma di climax e di gioco verbale. Le “Dicerie sacre” di Marino si collegano alla predicazione religiosa: Marino, pur essendo un laico, imitò lo stile e il genere della predica. Già nella seconda metà del ‘500 le raccolte di prediche avevano affiancato le raccolte dei discorsi l aici, le orazioni politico- giudiziarie o celebrative. Nel ‘600 le raccolte di prediche furono pubblicate sotto il titolo di “Panegirici”, “Panegirici”, “Quaresimali”. I titoli costruiti secondo l’artificio della sorpresa furono comuni nel ‘600, così come l’uso di formu le sorprendenti nel contenuto della predica. PADRE PAOLO SEGNERI E LE MISSIONI RURALI A Sègneri fu riconosciuta l’autorità linguistica dai compilatori della III edizione del Vocabolario della Crusca; egli fu il più famoso predicatore del XVII secolo e prese le mosse da una riforma dello stile barocco. Nella forma linguistica e nella struttura del sermone, Sègneri sembrava legato alla tradizione precedente, anche se fu rivoluzionari rivoluzionarioo rivolgersi alle masse rurali. Il suo vero pubblico fu quello popolare. Egli intendeva raggiungere un pubblico solitamente trascurato, costituito dalla gente di campagna, che abitava in località sperdute, isolate, mai visitate dai predicatori più famosi. Per molti suoi uditori doveva essere un’occasione unica sentir parlare un or atore atore di qualità elevata e di fronte a questo pubblico incolto, Sègneri non abbassò il livello linguistico della propria oratoria. Il predicatore usò strategie gestuali, coreografie orchestrate. L’ANTIFIORENTINISMO DI PAOLO ARESI L’ “Arte di predicar bene” fu l’opera principale dell’autore, difensore della dignità del volgare. A suo giudizio il volgare era uno strumento degno di trattare problemi di retorica ecclesiastica. Aresi non ignorava l’esistenza della predica pronunciata in dialetto, ma esso non er a accettabile per due
motivi: 1. perché faceva venire meno l’obbligo della nobiltà del dettato 2. perché sarebbe stato impossibile per un predicatore itinerante far uso di parlate diverse.
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La soluzione proposta era quella dell’italiano comune che si staccava dal parlato popolare ed evitava di avvicinarsi al fiorentino, in quanto sarebbe risultato falso e avrebbe dato un tono di eccessivo artificio alla predica.
LE REAZIONI ALLA POETICA DEL BAROCCO Già alla fine del ‘600 si ebbe una reazione alle concezioni poet iche del Barocco, in nome di un rinnovato classicismoo e della razionalità in poesia. classicism I modelli del linguaggio letterario non furono più gli autori di maggior successo. A partire dal ‘600 si sviluppò il giudizio sul cattivo gusto del barocco e tale giudizio fu ripetuto dagli Illuministi ‘700. La reazionedel antibarocca si ebbe in Francia, prima che in Italia e condannava la letteratura del nostro Paese e quella della Spagna e la polemica letteraria sul Barocco, finì per coinvolgere il giudizio stesso sulla nostra lingua. Bouhours svolse la seguente tesi: solo ai francesi poteva essere riconosciuta l’effettiva capacità di parlare gli spagnoli declamavano gli italiani sospiravano.
A vantaggio del francese giocava la vicinanza della prosa e della poesia, indice di razionalità e Bouhours voleva promuovere il francese come lingua universale, il “nuovo latino”. La lingua italiana veniva giudicata come incapace di esprimere in modo ordinato il pensiero umano e veniva confinata come strumento della lirica amorosa e del melodramma. Solo nel ‘700 autori come Orsi, Muratori si preoccupavano di difendere la lingua italiana dalle accuse nei suoi confronti. LA LETTERATURA DIALETTALE LETTERATURA DIALETTALE RIFLESSA Nacque una letteratura dialettale cosciente di essere tale e volontariamente opposta alla letteratura in toscano: letteratura dialettale riflessa. La tradizione letteraria italiana fu caratterizzata dalla grande vitalità della letteratura in dialetto, che assunse un ruolo non secondario. Alcuni nomi di autori possono essere ricondotti a Cortese, Peresio, Berneri, che apportò una serie di postille linguistiche linguisti che destinate a spiegare le espressioni dialettali o gergali. Anche nel teatro ci furono autori a utori dialettali di rilievo, come Tana, nobile piemontese. Per Maggi, milanese, il dialetto era una lingua degna di elogio e strumento di moralità; la sua satira morale si inserisce nella linea lombarda che conduce a Porta e Parini, con un impegno letterario di alto livello. Uno dei settori in cui si applicò il dialetto fu quello del travestimento comico o parodico dei grandi poemi, come la “Gersulamme liberata”, che fu realizzata in veneziano, bolognese e napoletano. TOSCANITA’ POPOLARE E DIALETTALE TOSCANITA’ Una forma di dialettalità è riconducibile alla manifestazione del gusto per la lingua toscana popolare. In Michelangelo Buonarroti, il Giovane, accademico della Crusca e collaboratore del Vocabolario, il gusto della popolarità si trasformava in un’esasperata ricerca del ribobolo. Famose sono le sue opere teatrali in versi “Tancia” del 1611 e “Fiera” del 1619. La Tancia fu studiata nel ‘900 e questa farsa rusticale presenta varietà linguistiche rustiche e popolari, in parte atttinte dai contadini toscani e in parte inventate dall’autore. L’autore poneva in bocca ai contadini parole loro e con c on deformazioni fonetiche, usava fraintendim fraintendimenti enti che evidenziavano la loro ignoranza.
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Capitolo 11: Il Settecento
ITALIANO E FRANCESE NEL QUADRO EUROPEO PRESTIGIO E RUOLO DELLE LINGUE D’EUROPA le lingue di cultura che potevano ambire a un primato internazionale erano tre: francese, italiano e spagnolo, anche se quest’ultimo era in una fase calante, in concomitanza con la crescita di prestigio del francese. Nel ‘700 non ha nessun rilievo il portoghese; le lingue slave non erano conosciute né apprezzate. Il tedesco e l’inglese avevano una posizione marginale e la l a cultura inglese si diffuse attraverso le traduzioni francesi. Leibniz aveva lamentatofilosofico il ritardoedel tedesco edal puntoladilingua vista aveva del vocabolario e della capacità di veicolare il pensiero scientifico inoltre uno statusintellettuale culturale insufficiente; insufficien te; solo con il Romanticismo all’inizio del XIX secolo, ottenne un riconoscimento. L’italiano era lingua di corte a Vienna e Metastasio nel suo lungo soggiorno vie nnese non sentì la necessità di imparare il tedesco, così come Da Ponte, il librettista di Mozart. Anche a Parigi l’italiano era abbastanza conosciuto. Il francese aveva assunto una posizione che lo l o rendeva erede del’antico latino. Goldoni scrisse nella lingua d’oltralpe non solo due commedie, ma anche le sue memorie. Non fu l’unico intellettuale italiano a impiegare il francese, anzi era una scelta obbligata per chi si trasferiva all’estero ( le memorie di Casanova o i saggi di Denina). Il francese veniva usato da scrittori dell’Italia settentrionale per appunti privati, per annotazioni, lettere, diari. La sua penetrazione avveniva attraverso molti canali: danza, moda, teatro, prediche ecc.. IL FRANCESE LINGUA MODELLO La diffusione della lingua, della moda e della cultura di Francia aveva avuto conseguenze sul piano linguistico. Nel 1784 l’Accademia di Berlino premiò un saggio di Rivarol, che riprese il tema per cui il francese poteva rappresentare il latino dei tempi moderni. Rivarol pretendeva di attribuire il successo internazion internazionale ale del francese non solo a cause storiche contingenti, ma ad una virtù strutturale della lingua, chiara, logica e razionale. La lingua francese fu esportata nei paesi conquistati dall’Impero e messa in atto attraverso una politic a di francesizzazione; mentre il francese era la lingua della chiarezza, l’italiano era la lingua della passione emotiva, della poesia e della musicalità e quindi scarsamente razionale. L’ordine degli elementi veniva identificato nella sequenza soggetto -verbo-complemento, mentre l’italiano era caratterizzato da una grande libertà nella posizione degli elementi del periodo. Alla fine del secolo, Denina, confutò la tesi di Rivarol, sostenendo che non esiste una superiorità assoluta di una lingua sulle altre e che tutte le lingue ci sembrano naturali. Inoltre spiegava che l’ordine libero delle parole si spiegava con la presenza di una diversa organizzazione, come l’esistenza di elementi morfologici che segnalano la funzione delle parole,indipendentement parole,indipendentementee dalla loro posizione. La diffusione del francese e la sua egemonia permisero di guardare in maniera più critica alla tradizionale cultura italiana: la Francia aveva una lingua adatta alla conversazione e alla divulgazione, rispetto all’italiano. L’INFLUENZA DELLA LINGUA FRANCESE Entrarono nella lingua italiana un gran numero di francesismi, rintracciabili nei settori come la moda, la politica, la diplomazia, la burocrazia, le belle arti, il commercio, la filosofia ecc..il termine moda è stesso un gallicismo. In questo secolo, poi, si può notare il rapporto stretto tra lingua e cultura. In campo scientifico una rivoluzione nacque dalla diffusione della terminologia chimica. Due principi di Lavoisier: 1. meglio un nome nuovo chiaro e trasparente, che un nome tradizionale opaco e fuorviante 2. creando nuovi termini è opportuno servirsi delle lingue morte e in particolare del greco.
IL PENSIERO DI CESAROTTI NEL DIBATTITO LINGUISTICO SETTECENTESCO Fin dall’inizio del ‘700sono si eraleavuta una riproposta primato di Firenze della lingua toscana; un esempio “Annotazioni” di delle Antonposizioni Maria relative Salvini al alla “Perfetta poesiae italiana” di Muratori. Salvini polemizzava contro il concetto di lingua comune e ribadiva i due vantaggi dei fiorentini, possessori della lingua per diritto e per studio.
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I fiorentini continuavano a rivendicare il primato della loro città. Becelli esortava all’imitazione delle Tre Corone, proponendo un canone rigido. Celebre è la “Rinunzia avanti notaio al Vocabolario della Crusca” sc ritta da Verri a nome dei redattori della rivista milanese “Il Caffè”: l0intervento mostra una grande insofferenza nei confronti dell’autoritarismo fiorentino e consiste in un pamphlet, caratterizzato dal tono sarcastico, in cui si denuncia lo spazio eccessivo che le questioni retoriche e formali (le parole) hanno avuto nella cultura italiana a svantaggio delle cose, a danno del progresso concreto. Cesarotti nel “Saggio sulla filosofia delle lingue”, prima edizione del 1785 con il titolo “Saggio sulla ling ua italiana”, seconda edizione del 1788: sistema concezione generale del linguaggio, elaborata sulla base di ideeconteneva diffuse nelun‘700 dallavalido, culturafondato francese.su Iluna saggio si apre con una serie di teorie: tutte le lingue nascono e derivano, all’inizio della loro storia sono barbare, ma il concetto di barbarie non ha senso se lo si utilizza nel confronto fra le lingue, perché tutte servono ugualmente all’uso della nazione che le parla nessuna lingua è pura: tutte nascono dalla composizione di elementi vari tutte le lingue nascono da una combinazione casuale, non da un progetto razionale nessuna lingua nasce da un ordine prestabilito nessuna lingua è perfetta, ma tutte possono migliora migliorare re nessuna lingua è tanto ricca da non aver bisogno di nuove ricchezza nessuna lingua è inalterabile nessuna lingua è parlata in maniera uniforme nella nazione
Cesarotti poi affronta il problema della distinzione tra lingua orale e lingua scritta; quest’ultima ha una dignità superiore, in quanto momento di riflessione e strumento con cui operano i dotti. La lingua scritta per l’autore non dipende dal popolo e nemmeno dagli scrittori, non può essere fissata in modelli. La polemica si caratterizza per il suo antipurism antipurismo. o. La III parte del saggio è più pratica: Cesarotti indica la strada per una normativa illuminata, da contrapporre a quella troppo rigida della Crusca. A differenza degli illuministi radicale del “Caffè” egli non vuole una libertà da ogni regole e riconosce il valore dell’uso, quando accomun a scrittori e popoli. Chi scrive non deve guardare a un passato morto e sepolto: gli scrittori sono liberi di introdurre termini nuovi o di ampliare il senso dei vecchi. I termini nuovi possono essere introdotti per analogia con i termini già esistenti. Un’altra fonte di parole possono essere i dialetti italiani e Cesarotti ammette che possono essere adottate anche parole straniere, ma questa scelta dev’essere fatta con cautela. Egli inizia il suo discorso sui prestiti trattando la questione delle parole latine e dei grecismi; in nome della chiarezza egli pensa che sarebbe auspicabile una diminuzione del loro numero nel linguaggio scientifico. Questa posizione diffidente nei confronti dei grecismi, anticipa quella di Pietro Giordani, che propose termini composti italiani invece di quelli greci. Toccare il problema significava affrontare il tema più spinoso dei forestierismi provenienti dalle lingue moderne e soprattutto dal francese. Ma per Cesarotti i forestierismi e i neologismi, una volta entrati in italiano, possono produrre nuove derivazioni. Il “genio della lingua”, inteso come carattere originario tipico di un idioma e di un popolo, era utilizzato dagli avversari dei forestierismi per dimostrare l’estraneità e l’improponibilità del termine esotico. Cesarotti propone un duplice concetto di genio grammaticale e retorico per distinguere meglio nella lingua ciò che deve essere difeso come inalterabile da ciò che invece può mutare in relazione ai tempi e al progresso. La struttura grammaticale delle lingue è infatti inalterabile, il lessico invece dipende dal genio retorico e riguarda l’espressività della lingua stessa; è in quest’ultimo settore che tutto è alterabile come i prestiti e le derivazioni. Quindi ha torto chi afferma che i forestierismi guastano la lingua, in quanto le strutture grammaticali grammati cali non sono investite dal cambiamento. La IV parte del saggio, a conclusione, è dedicata all’esaminazione della situazione italiana e propone delle soluzioni positive della alle polemiche della questione della lingua. Proprio nelle ultime pagine si affronta il tema del rinnovamento lessicografia legata all’attualità della politica. Poiché la lingua è della nazione, Cesarotti, proponeva di istituire un Consiglio nazionale della lingua, al posto della Crusca e la sede avrebbe dovuto essere ancora Firenze; Firenze; la nuova istituzione istituzione si sarebbe occupata
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di studi etimologici e filologico - linguistici, ma soprattutto con attenzione al lessico tecnico delle arti, dei mestieri e delle scienze. La schedatura avrebbe superato la selettività letteraria e avrebbe permesso di arrivare alle parole di uso regionale e poi si sarebbe arrivati ad una scelta; il patrimonio lessicale ottenuto sarebbe stato confrontato con quello ,presente nei vocabolari di altre nazioni. Compito finale del Consiglio era la compilazione di un vocabolario, realizzato in due forme: 1. un’edizione ampia, scientifica rivolta agli specialisti e con carattere etimologico, storico, filologico e comparativo 2. un’edizione di uso comune, pratica e divulgativa. Il saggio si chiude con un appello alle attività intellettuali, chiamando Firenze a farsi guida culturale d’Italia, con il consenso delle altre regioni, ma fu inascoltato. LE RIFORME SCOLASTICHE E GLI IDEALI DI DIVULGAZIONE GLI IDEALI DI DIVULGAZIONE DEL SAPERE Vi è un nesso tra gli ideali di divulgazione culturale, di svecchiamento e rinnovamento del pensiero e la diffusione nel Settecento di un sentimento democratico democratico.. Le condizioni del popolo divennero un forma di interesse per gli illuministi e si cominciò a pensare che la conoscenza della lingua italiana doveva entrare nel bagaglio di ogni uomo per poter assumere un ruolo nella società produttiva. Il recente volume dedicato alla storia linguistica del ‘700 scritto da Matarrese, si apre con un capitolo dedicato a “Scuola ed educazione linguistica”: l’ organizzazione razionale di una scuola è uno degli obiettivi che caratterizzano positivamente l’Illuminismo riformatore. L’ insegnamento della lingua implicò delle strategie e degli obiettivi di politica culturale. È in questo secolo che l’italiano entra in forma ufficiale, poiché sono le organizzazioni statali a darsi da fare, sotto lo stimolo di intellettuali intelligenti, per far si che l’insegnamento non fosse svolto solo in riferimento alla lingua latina. Nasce così una sensibilità nuova per i temi della divulgazione e della diffusione della cultura nei ceti medie moderne sono anche le ribellioni antipedantesche e antiaccademiche. Gli specialisti indicarono la strada per le necessarie riforme sulla via del progresso, anche se la situazione italiana rimase assai difficile, per la mancanza di uno stato unitario nazionale che doveva applicare un disegno di riforma omogeneo per un territorio così ampio. RIFORME SCOLASTICHE NEL PIEMONTE Nel 1729 Vittorio Amedeo II di Sa voia emanò dei provvedimenti per la riforma dell’università; un intellettuale di grido come Scipione Maffei suggerì l’introduzione dell’insegnamento delle lettere toscane ma non fu messo in atto. I Regolamenti scolastici Piemontesi del 1729 introducevano, d’altro canto, l’insegnamento della grammatica latina mediante manuali scritti in italiano. Sempre in Piemonte nel 1733-34 divenne obbligatorio per la prima volta, nella scuola superiore d’elite, lo studio dell’italiano, stabilito solo una volta alla settimana, il sabato. Nel 1734 venne definitivamente a Torino una cattedra universitaria di italiano e greco, cattedra che divenne punto di avvio di una politica di sviluppo della scuola d’italiano. L’italiano così si fece fe ce più solido, in quanto venne istituita una classe iniziale, propedeutica a quelle già esistenti e dedicata a fornire i rudimenti della lingua italiana. Naturalmente lo sviluppo dell’insegnamento dell’italiano è stato graduale e sempre in un contesto finalizzato allo studio del latino. MODENA, NAPOLI, PARMA Modena, in seguito a nuove costituzioni degli studi emanate nel 1772, si prescriveva per i primi anni di corso l’uso di libri esclusivamente italiani e non latini. Si ebbero riforme scolastiche dopo la cacciata dei Gesuiti anche a Napoli e a Parma. A Parma nel 1768, si prevedeva per le classi infime, destinate a coloro che non avrebbero proseguito gli studi, l’insegnamento del solo italiano. A Napoli fu avanzato un progetto di Genovesi del 1777, che proponeva a livello di istruzione primaria per i meno abbienti, l’istituzione di insegnamenti di leggere, scrivere ed abaco pratico; il regno di Napoli si trovava in uno stato d’inferiorità a causa dell’inesistenza dell’istruzione primaria.
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LA POLEMICA CONTRO IL LATINO Nel ‘700 si levarono polemiche contro l’abuso del latino nell’educazione dei fanciulli; ai giovani delle classi medie popolari serviva una cultura più legata alle esigenze dei commerci e delle attività pratiche e il latino veniva accusato di essere il freno di questo progresso. IL LOMBARDO-VENETO Alla fine del XVIII secolo furono avviate delle riforme nelle scuole del Lombardo - Veneto, grazie alla politica scolastica di Maria Teresa d’Austria. Fu ideato a Berlino e giunseforma in Italia attraverso l’Austria un nuovo metodomoderna, didattico,come det to un normale, cui per la prima volta prendeva l’unita della classe concepita in maniera gruppoina cui venivano dati insegnamenti per obbiettiv obbiettivii didattici unitari. Tra il 1786 e 1788, il padre Soave pubblicò una serie di manuali per l ’insegnamento dell’italiano che ebbero grande fortuna. Nel 1783 era stato pubblicato a Rovereto un abc, ovvero “Il libretto dei nomi” e poi modificata dal Soave per realizzare il nuovo “Abbeccedario”, che consentiva un percorso graduale dalla lettera alla sillaba, alla parola, alla frase, al testo in prosa, al testo in versi. Per Soave il dialetto poteva essere utilizzato come punto di accesso alla lingua italiana, fornendo frasi dialettali da tradurre in italiano. L’obbiettivo era la conoscenza dell’italia no finito e per Soave finito significava accurato ed elegante, cioè il toscano. Dalla riforma austriaca nacque un’idea di una scuola comunale con il compito di insegnare a leggere e a scrivere; scuola istituita nell’‘800 negli stati dell’Italia settentrion ale. La scuola comunale si collega anche alla pedagogia popolare del Romanticism Romanticismo. o.
LINGUA DI CONVERSAZIONE E SCRITTURE POPOLARI UNA LINGUA D’OCCASIONE L’interesse dei riformatori per l’insegnamento scolastico dell’italiano non produsse risultati immediati al livello della popolazione di ceto più basso;l’uso della lingua italiana continuò ad essere un fatto d’elite. Il toscano era adatto alle situazioni ufficiali e ai libri, ma meno adatto alle situazione familiari, ai rapporti confidenziali, occupato dai dialetti. LINGUAGGIO INTINERIARIO E PARLAR FINITO L’opinione di Baretti andava d’accordo con altre, ad esempio quella di Foscolo, che parlava di linguaggio mercantile e itinerario, usato da coloro che erano abituati a muoversi nella varie regioni italiane. Foscolo osservava che l’uso di una lingua non dialettale nella propria patria avrebbe rischiato di creare problemi di comprensione. Manzoni descrisse i caratteri del “parlar finito”, la lingua ritenuta elegante e che consisteva nell’utilizzo di parole che si supponevano italiane e nell’aggiunta di finali italiane alle parole dialettali terminanti per consonante. La lingua italiana si prestava poco alla conversazione naturale, perché era scritta, ma poco parlata. Solo i Toscani si trovavano in posizione di vantaggio, perché nella loro regione, lingua scritta e parlata coincidevano quasi perfettam perfettamente. ente. SCRITTURE POPOLARI Anche nel ‘700, si reperiscono scritture popolari, di semicolti, in cui si ha modo di osservare un uso difettoso della lingua scritta. Questo tipo di situazione comunicativa dava luogo a interferenze del codice dialettale con quello dell’italiano. Un italiano di tipo regionale e popolare si rintraccia negli annunci commerciali sulle gazzette, come negli articoli di cronaca giornalistica, con un italiano assai modesto e con tratti popolari. LINGUAGGIO TEATRALE E DEL MELODRAMMA L’OPERA IN MUSICA Il successo dell’opera italiana è nel ‘700 molto grande anche all’estero. Il successo della lingua italiana nell’opera per a fissare come lingua della dolcezza, stereotipo dell’italiano cantabilità, dellamusica poesia,contribuì dell’istinto, della lopiacevolezza, in contrapposizione al francese, lingua della della razionalità e della chiarezza.
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Il giudizio sul linguaggio del melodramma portava anche al le’stero una valutazione favorevole delle opere italiane; una delle più fortunate fu la “Serva padrone” di Pergolesi, rappresentata a Napoli nel 1733. Il successo di quest’opera all’estero fu grande e lo stile musicale italiano trovò paladini in Voltaire, Rousseau e Diderot. Il linguaggio dell’opera influenzò anche l’italiano imparato da alcuni stranieri. Nei paesi di lingua tedesca, ebbe un nuovo successo con il trionfo dell’opera italiana a Vienna, con Metastasio; anche Mozart conosceva l’italiano e lo adoperò in forme curiose e vivaci e il compositore utilizzò libretti scritti dall’italiano Da Ponte. IL LINGUAGGIO DI GOLDONI La scenica richiedevaun unoautore sforzoteatrale notevole approssimazione; esistendo Italia una verarappresentazione lingua comune di conversazione, chedivolesse simulare il non parlato, senza inimparare la lingua toscana viva, era costretto o a ricorrere al dialetto o a impiegare una lingua mista, in cui entrassero elementi diversi, come francesismi ecc.. Goldoni optò per l’una e l’altra soluzione: scrisse opere in dialetto veneziano, in italiano e anche in francese. Il suo francese era stata una lingua formalmente imperfetta, ma assai vivace e adatta aalla lla scena. L’uso del dialetto, che in scena non è un problema, richiede qual che temperamento in occasione della trasposizione scritta, a stampa: sparisce il tradizione bolognese del dottore avvocato il dialetto veneziano resta, ma corredato da una serie di chiose per far intendere anche ai non veneti particolarità che andrebbero perdute sono spiegati in nota gli elementi di un ipotetico italiano settentrionale, in cui le careghe stanno al posto delle sedie e barba sta per zio vengono commentati i proverbi, le parole del dialetto meno trasparenti. Dialetto e lingua non sono da considerare in opposizione, ma si alternano e si confondono in una stessa battuta. L’italiano teatrale di Goldoni è estraneo alle preoccupazioni di purezza. Egli rivendicava il valore pratico delle sue scelte, al di fuori di ogni teoria. Lingua non elegante, ma viva, innovativa, specialmente sul piano sintattico. In Goldoni domina una sintassi di tipo paratattico, in cui affiorano caratteri propri del parlato e del registro informale, rimasti ai margini della norma grammaticale.
LINGUAGGIO POETICO L’ARCADIA Risale al 1690 la fondazione a Roma dell’Arcadia, movimento che con le sue diffuse colonie organizzate in ogni centro italiano, anche nelle località di provincia, fu un esercizio poetico di grandissime dimensi dimensioni. oni. Questa stagione poetica così florida ebbe come strumento una lingua tradizionale, ispirata al modello del Petrarca e intesa a liberarsi degli eccessi formali del Barocco. ADESIONE AL PASSATO NEL LINGUAGGIO POETICO: LA DIFFICOLTA’ DEL RINNOVAMENTO Vi è nel linguaggio della poesia del ‘700 una sostanziale adesione al passato, visibile nell’impiego della toponomastica toponomasti ca e onomastica classica, della mitologia, con largo uso di latinismi e arcaismi. Quando veniva introdotta una parola esotica, che non aveva tradizione poetica, se ne addolciva il suono mediante l’aggiunta di epiteti. Altri procedimenti vistosi nella poesia, a cominciare da quella di Metastasio, furono i troncamenti, specialmente quelli del verbo all’infinito ( arrossir, parlar): soluzione obbligata. In Metastasio il cantabile fu spinto nella forma dell’arietta, in cui trovano posto anche massime e proverbi, alcuni dei quali passati nel patrimonio mnemonico comune. I troncamenti hanno lo scopo di distinguere la poesia dalla prosa e di salvare i versi dal rischio dello scivolamento del prosastico, rischio per chi usa abitualmente un lessico ridotto e una sintassi elementare, come Metastasio. Tra due termini si tende a scegliere quello più raro e letterario, piuttosto piuttosto che quello banale: duolo al posto di dolore brando invece di spada talamo invece di letto
La poesia didascalica ebbe una grande fortuna, in quanto incarnava ideali di divulgazione e di progresso e celebrava i successi della ricerca scientifica, come nell’ “Invito a Lesbia Cidonia” di Mascheroni, dove Lesbia Cidonia venne guidata a v isitare i laboratori dell’Università di Pavia.
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LA PROSA LETTERARIA SEMPLIFICAZIONE SEMPLIFICAZI ONE E LINEARITA’ SINTATTICA Nella categoria della prosa letteraria è da includere la prosa saggistica del ‘700; è questo tipo di prosa che attraverso l’influenza delle lingue straniere, si avvia verso una semplificazione sintatti sintattica. ca. Molti scrittori confrontavano la tradizione francese con quella inglese: lo fa Beretti nella “Frusta letteraria”, Verri in un intervento sul “Caffè”, dove dichiara la propria ammirazione per l’ordin e della scrittura francese e per la brevità della scrittura inglese e lamentando la penosa trasposizione dello stile italiano. “Le notti romane” di Verri, sono un esempio di proda che si propone come nobile modello neoclassico, ispirandosi all’antico, con latinism latinismi e con una sostenutezzaredazione oratoria. autografa de “Dei delitti e delle pene” di Serianni propone un confronto fra il’incipit dell’originaria Beccaria e quello dell’edizione a stampa: tra i due testi intercorre una sostanziale revisione stilistica, che ha per oggetto una semplificazione del periodo la stesura originale passò per le mani di Verri che ebbe parte in questa semplificazione delle strutture sintattiche L’obiettivo della chiarezza veniva perseguito dagli Illuministi e non sempre con successo.
LA PROSA DI VICO Giambattista Vico aveva aderito al capuismo, cioè al movimento arcaizzante del filosofo e scienziato napoletano Leonardo Di Capua, che imitava i modelli toscani antichi. antichi. Nella “Scienza nuova” si riconoscono arcaismi e latinismo, in una sintassi diversa dall’armonica struttura classicistica classicist ica ricca di equilibrio. Nella prosa di Vico si possono trovare vere e proprie cascate di subordinate. ALFIERI L’autore non perse occasione per parlare male della lingua francese e per descrivere il proprio apprendimento del toscano classico. La Firenze di Alfieri era diversa da quella che affascinerà i cacciatori di lingua viva e parlata dell’età romantica ed era una sorta di mito letterario- archeologico. Ci restano dei suoi appunti, in cui le parole toscane erano affiancate agli equivalenti francesi o piemontesi; lo stesso Alfieri iniziò nel 1774-75 in lingua francese il suo diario personale, per passare all’italiano nel 1777. Nelle tragedie di Alfieri lloo stil stilee dell’autore si caratterizzò per un volontario allontanamento dalla normalità ordinaria e dal cantabile, allontanamento ottenuto attraverso ogni sorta di artificio retorico, in particolare attraverso la trasposizione sintattica sintattica e la spezzatura delle frasi. La lettura della “Vita” risulta più agevole, perché è un’avventura linguistica e perché descrive il cammino verso la lingua toscana di un giovane aristocratico piemontese, nato in una regione in cui l’italiano non era di casa e si parlava il francese.
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Capitolo 12: L’Ottocento
PURISMO: IL CULTO DEL PASSATO All’inizio del’800, anche per reazione contro l’egemonia della cultura francese e contro l’invadenza della lingua d’oltralpe, imposta durante l’Impero napoleonico, si sviluppò un movimento chiamato Purismo. Il termine, inizialmente nato per polemica, indicava un’avversione e un’intolleranza per ogni innovazione, influsso straniero, tecnicismo, neologismo. Un atteggiamento del genere ebbe per conseguenza un forte antimodernismo, ne derivava un vagheggiamento felice per l a lingua e un disprezzo per i tempi presenti e una teoria della storia linguistica,dell’antico, intesa comeepoca progressiva caduta. Il capofila del Purismo italiano può essere definito Antonio Cesari, veronese, autore di libri religiosi, di novelle, studi danteschi, ma so prattutto celebre per la sua attività di lessicografo; la “Dissertazione sopra lo stato presente della lingua italiana” è da considerare il vero manifesto del purismo. Secondo Cesari tutti in quel tempo del 1300 parlavano e scrivevano bene, il canone della perfezione linguistica veniva esteso al di là delle opere degli autori, massimi o minori che fossero. Si apprezzava non solo la letteratura, ma anche le umilissime scritture quotidiane, le note contabili ecc.. Arrivò presto a riproporre l’inautenticità del De vulgari Eloquentia, secondo i vecchi argomenti dibattuti, ma superati e improponibili. Il marchese Puoti, napoletano, tenne una scuola libera e provata, dedicata all’insegnamento della lingua italiana, intesa come concezione puristica, ma meno rigida di quella di Cesari, più disponibile verso gli autori del ‘500; fu il maestro di De Sanctis e Settembrini. Quest’ultimo, pur lontano dal Purismo, ne giustificava l’esistenza come forma di sentimento nazionale. De Sanctis nello scritto autobiografico “La giovinezza” ricorda i contenuti della scuola di Puoti, che spiegò che la base della scuola era la buona e ordinata lettura dei trecentisti e cinquecentisti. Lo scrittore Carlo Botta fu solidale con il Cesari, fu autore della “Storia della dell a guerra della indipe ndenza degli Stati Uniti d’America” del 1809, in cui la lingua di arcaismi cozza con il contenuto moderno. L’autore oltre a parole obsolete come civanza per guadagno, misfare per far male, usi i nomi antichi dei venti al posto delle designazioni dei punti cardinali. L’efficacia pratica del Purismo, nella sua durata temporale molto lunga, si realizzò anche in seguito, dopo l’Unità italiana, quando l’insegnamento di molte scuole fu improntato a metodi che discendevano dalle idee di Puoti e di Cesari. I “Fatti di Enea”, il “Novellino”, le prediche del Cavalca restano tra i libri fondamentali per l’educazione dei giovani. LA “PROPOSTA” DI MONTI E LE REAZIONI ANTIPURISTICHE Vincenzo Monti, all’apice della sua attività letteraria, pose un freno alle esagerazioni del Purismo. Fin dal 1813 dimostrò di non andare d’accordo col Cesari e dalle colonne del “Poligrafo” di Milano, Monti gli rinfacciò di aver dato una versione del Vocabolario della Crusca apparentemente più ampia. La critica antipurista di Monti arrivò a colpire lo stesso Vocabolario della Crusca; le sue polemiche linguistiche compongono la serie di volumi intitolata “Proposta di alcune correzioni ed aggiunte al Vocabolario della Crusca”, uscita dal 1817 al 1824. Gran parte della Proposta era costituita dalla ricerca di errori compiuti dai vocabolari fiorentini, errori dovuti anche alla scarsa preparazione filologica. Il Vocabolario della Crusca veniva giudicato inadeguato, caratterizzato da una visione angusta della lingua. Tra i romantici milanesi circolò uno scritto di Stendhal ( I pericoli della lingua italiana), ispirato al sensismo: sensismo: lo scritto condannava il Purismo e metteva a fuoco la situazione linguistica dell’Italia, caratterizzato dalla vitalità dei dialetti e dall’artificiosità della lingua lette raria.
LA SOLUZIONE MANZONIANA ALLA QUESTIONE DELLA LINGUA GLI SCRITTI EDITI E INEDITI DI MANZONI SULLA LINGUA ITALIANA I romantici milanesi si dibattevano attorno al problema dell’italiano in tutto o in parte simile a una lingua morta, che si imparava dai libri, che si impiegava nella letteratura e per le occasioni ufficiali, ma inadatta ai rapporti quotidiani i qualileera facile e funzionale Manzoni affrontò lae familiari, questioneper e inserì suepiùidee nella stesura deil“Idialetto. promessi sposi”, divenute una teoria linguistica di alto valore sociale che influirono profondamente, collaborando a cambiare la situazione dell’italiano e rendendo la nostra lingua più viva e meno letteraria.
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La sua teoria linguistica dev’essere giudicata alla luce dei suoi scritti postumi. Nel 1974 sono state pubblicate le cinque redazioni del trattato “Della lingua italiana”, su cui Manzoni lavorò per circa trent’anni e questo h portato portato gli studiosi a riesaminare la teoria manzoniana. manzoniana. Manzoni, negli interventi pubblici, non esibì il lavoro teorico che aveva perseguito negli anni; in vita curò la pubblicazione di interventi brevi e occasionali, come la “Lettera al Carena”, del 1847 e stampata nel 1850, la “Lettera intorno al libro “De vulgari eloquio” di Dante Alighieri” del 1868 ecc… Nel 1932 fu pubblicato il “Sentir “Sentir Messa”, un libro della lingua lingua d’Italia, anch’esso lasciato incompiuto.
LA SCOPERTA DEL FIORENTINO VIVO Manzoni ad occuparsi questione della e del problema della prosa italiana dal 1821, con la stesura deliniziò “Fermo e Lucia”, redazione rdella edazione iniziale dei lingua Promessi Sposi. La prima fase, che si rimanda in una lettera al Fauriel nel novembre 1821, viene definita come eclettica, in quanto Manzoni cercava di raggiungere uno stile duttile e moderno, utilizzando il linguaggio letterario, ma senza vincolarsi ad esso alla maniera dei puristi, anzi accettando francesismi e milanesismi. milanesismi. La descrizione della propria lingua letteraria fu data da Manzoni nella seconda introduzione al “Fermo e Lucia” del 1823, dove prendeva le distanze dallo stile composito e lamentava la propria naturale tendenza al dialettismo. Nel “Fermo e Lucia” il toscano affiora come termine di confronto. La seconda fase che Manzoni chiamò toscano – milanese, milanese, corrisponde alla stesura dei Promessi Sposi per l’edizione 1825-27: lo scrittore cercava di usare una lingua toscana, ma ottenuta tramite libri, attraverso vocabolari, secondo il metodo delle postille presenti nella copia del Vocabolario della Crusca nell’edizione veronese di Cesari. Queste postille mostravano il fastidio dello scrittore, che dopo aver consultato testi e vocabolario, non era in grado di sapere se le forme linguistiche che lo interessavano fossero vive o obsolete. In Manzoni matura un diverso concetto di uso, legato non più ad un eventuale impiego letterario, ma alla vita della parola in una comunità di parlanti. In diverse postille mostrava di essere attirato dalle concordanze tra dialetto milanese e linguaggi linguaggioo fiorentino. Non manca il confronto con l’equivalente france francese: Manzoni utilizza gli strumenti familiari come il dialetto e il francese per approfondire la conoscenza del toscano. Nel 1827 Manzoni fu a Firenze e il contatto diretto con la lingua toscana suscitò una reazione decisiva: in una lettera del 1828 a Leopoldo II di Toscana, parlava della delizia di vivere in quella lingua. Dal 1830 la riflessione linguistica di Manzoni si sviluppò con maggior impegno; l’esito fu la nuova edizione dei Promessi Sposi del 1840-42, corretta per adeguarla all’ideale di una lingua d’uso, resa scorrevole, purificata da latinismi, dialettismi dialettismi ed espressioni letterarie di uso arcaico. Nel 1847 Manzoni in una lettera a Carena, espresse la propria posizione definitiva, auspicando che la lingua fiorentina completasse l’opera di unificaz ione. LA “RELAZIONE” DEL 1868 Nel 1868 lo scrittore rese pubbliche in una Relazione al ministro Broglio le ragioni per cui gli sembrava che il fiorentino dovesse essere diffuso attraverso una politica linguistica, messa in atto nella scuola, ad opera degli insegnanti. Proponeva anche che si realizzasse un vocabolario della lingua italiana concepito su basi nuove, affiancato da agili vocabolari bilingui, capaci di suggerire le parole toscane corrispondenti a quelle delle varie parlate d’Italia. La Relazione nasceva da una richiesta ufficiale, fatta dal ministro dell’Istruzione che aveva invitati a proporre le più efficaci strategie per diffondere l’italiano tra il popolo. La questione della lingua si collegava per la prima volta ad una questione sociale. Intellettualii come Tommaseo e Lambruschini presero le distanze da Manzoni, rivendicando la funzione degli Intellettual scrittori nella regolamentazione della lingua, sollevando dubbi di varia natura sul primato assoluto dell’uso vivo di Firenze, così Settembrini e Fanfani.
INFLUENZA DELLA TEORIA MANZONIANA La teoria ebbe effetti rilevanti e ciò si spiega con a forza di penetrazione dei Promessi Sposi, modello di prosa elegante e colloquiale al tempo stesso e che sembrava di liberare la prosa italiana dall’impaccio della retorica. Bonghi scrisse il saggio “Perché la letteratura italiana non sia popolare in Italia” nel 1855 a puntate su un giornale di Firenze, in seguito in volume che riprendeva anche temi della trattatistica settecentesca, che lamentava l’inferiorità dell’italiano rispetto al francese nelle letture piacevoli e divulgative. Bonghi
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analizzava lo stile di diversi autori, da Boccaccio, Machiavelli, Bartoli a Giordani e individuava i difetti di costruzione e le inversioni che ne rendevano faticosa la lettura. In alternativa proponeva uno stile piano, adatto a una piacevole conversazione. L’esempio di Manzoni favorì la cosiddetta “risciacquatura in Arno”, il soggiorno culturale a Firenze, con lo scopo di acquisire familiarità con la lingua parlata della città. Manzoni influenzò doversi intellettuali; anche Morandi, precettore di Vittorio Emanuele III fu manzoniano. L’unico freno alla diffusione della teoria manzoniana nel mondo della scuola fu il prestigio di Carducci come poeta-professore, avversario del toscano popolareggiante. ALCUNE IDEE-GUIDA DELLA va LINGUISTICA POSTUMI La teoria linguistica manzoniana giudicata allaMANZONIANA luce degli scritti NEGLI postumi,SCRITTI soprattutto del trattato “Della lingua italiana”. Manzoni si oppose al Purismo di cesari, da cui lo divideva la coscienza netta che la naturalezza della lingua non poteva essere cercata in modelli scritti scritti,, in un corpus filologico eterogeneo e arcaico. Manzoni era inoltre avverso alle teorizzazioni dei classicisti, che affidavano le sorti della lingua alla responsabilità degli scrittori e non al potere dell’uso. Una buona parte del saggio Della lingua italiana era dedicata a combattere le teorie di Condillac sull’origine del linguaggio: Manzoni accettò la tesi della lingua come dono divino, ribadendo la sua piena fiducia nella narrazione della Bibbia. Rifiutava l’idea che il linguaggio fosse nato dalle onomatopee e dalle interiezioni e restò legato a una polemica contro la filosofia del ‘700, contro gli Ideologues, che aveva frequentato a Parigi ne lla giovinezza, prima della conversione. Elaborò il principio dell’adeguatezza: una lingua viva è quella che basta a dire tutto quanto si dice nella società che si serve della lingua, concepita quindi come interezza, al di là dell’uso individuale. Non era accettabile il concetto di lingua modello, perché la forma della lingua non esiste se non nella lingua in atto. Le lingue sono mutabili. Il pensiero linguistico di Manzoni, basato sulla mutabilità, rifiutava il concetto di legge, così come contestava il valore delle categorie grammaticali; nella lingua l’eccezione e l’irregolarità valgono quanto la regola. REALIZZAZIONI LESSICOGRAFICHE GRANDI DIZIONARI DIZIONARI NELLA PRIMA META’ DEL’800 L’800 è stato il secolo dei dizionari ed è stata una stagione florida sia per l a produzione che per la qualità, oltre che per la varietà di realizzazioni. In questo secolo il dibattito sul lessico prese le mosse dalla Crusca, sia in riferimento alle idee linguistiche dell’Accademia, sia per la rivisitazione extratoscana del Vocabolar io io degli Accademici, realizzata nel 180611 dal padre Antonio Cesari di Verona, capofila del Purismo ( Crusca veronese). Cesari aveva riproposto il Vocabolario della Crusca con delle aggiunte, allo scopo di esplorare il repertorio della lingua antica, quella trecentesca, dei grandi autori, ma anche di quelli minori. Tra il 1833 e il 1842 fu pubblicato il Vocabolario della lingua italiana di Manuzzi, anch’esso nato da una revisione della Crusca; quest’autore fu un purista e il vocabolario attestava la tenden za di una parte della cultura italiana di adattarsi nel passato. Altre riproposte sono: il “Dizionario della lingua italiana” in 6 volumi di Cardinali, Oriolo e Costa, pubblicato a Bologna nel 1819 il “Dizionario della lingua italiana” in 7 volumi di Carrer e Federici, uscito a Padova fra il 1827 e il 1830
Entrambi i vocabolari dichiararono di aver integrato la Crusca con voci riprese dall’Alberti di Villanova, dalla Proposta di Monti e dalla Crusca veronese di Cesari.
La somma delle aggiunte avveniva in maniera piuttosto meccanica e queste opere potevano peccare di originalità; la forma grafica si poteva così riscontrare: l’asterisco era il segno scelto per contrassegnare tutte le voci nonpiù presenti nella le Crusca che risultavano poco riconoscibili. La soluzione era comoda per identificare rapidamente novitàeintrodotte. Tra i 1829 e il 1840 si stampò il “Vocabolario universale italiano”, la cui base era sempre la Crusca, però rivisitata: l’opera aveva un taglio prettamente enciclopedico, con attenzio ne alle voci tecniche. Fu detto
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“Tramater”, dal nome della società tipografica napoletana che lo stampò e superò le definizioni tradizionali, in quanto nei vocabolari precedenti i lettori avevano fatto riferimento a conoscenze presupposte nel lettore ( cane, come animal noto o cavolo, come erba nota); nel Tramater la definizione zoologica e botanica poggiava sulla precisa classificazione classificazione scientifica. IL “DIZIONARIO” DI TOMMASEO Nessun vocabolario eguagli la qualità di questo, terminato poi da Bellini. Il progresso appariva sostanziale; Tommaseo era già noto come lessicografo, soprattutto per i “Sinonimi”. Il vocabolario si presentava sotto l’auspicio dell’unità politica polit ica appena raggiunta. L’autore si preoccupò di illustrare attraverso il dizionario, le idee morali, civili, letterarie ed in effetti molti termini politici politici e civili entrano per la prima volta in una vocabolario italiano. Uno dei punti di forza consisteva, oltre che nella mole e abbondanza dei lemmi, nella strutturazione delle voci: il criterio più seguito stava nel: dichiarare l’ordine delle idee, seguendo un criterio logico, a partire dal significato più comune e universale ordinare gli eventuali significati diversi, individuati da numeri progressivi privilegiare l’uso moderno, pur pur documentando quello passato. Risultò così il primo vocabolario storico della nostra lingua.
IL VOCABOLARIO MANZONIANO La relazione “Dell’unità della lingua e dei mezzi di diffonderla” del 1868 si chiuse con la proposta di un vocabolario. Per Manzoni bisognava scindere le due funzioni confuse neo vocabolari italiani: mostrare l’uso vivente, per indicare l’uso vivo di Firenze, e documentare gli esempi degli scrittori del passato. Quest’ultimo fine doveva essere rinviato a lessici appostiti, di tipo storico. L’obiettivo di Manzoni consisteva nella realizzazione di una serie di vocaboli dialettali dialettali che suggerissero l’esa l’esatto tto equivalente fiorentino. Il vocabolario veniva utilizzato come strumento primario di intervento linguist linguistico. ico. Manzoni non vide il compimento del suo vocabolario e alla sua morte, nel 1873, si era appena avviata la pubblicazione del “Novo vocabolario della lingua li ngua italiana secondo l’uso di Firenze”, il cosiddetto “Giorgini Broglio” ( uno era il genero, l’altro era il ministro dell’Istruzione). L’opera si concluse nel 1897 e non arrivò mai ad un largo pubblico, anche per la concorrenza di altre iniziative, come: il “Vocabolario della lingua parlata” di Rigutini-Fanfani, del 1875 1. il “Novo dizionario universale della lingua li ngua parlata” di Policarpo Petrocchi, del 188 7-91. 2. Il Giorgini-Broglio scomparve quasi del tutto dalla circolazione. Al posto delle citazioni tratte dagli scrittori, presentava una serie di frasi anonime, testimonianza del’uso del ’uso generale e allo stesso tempo venivano el eliminate iminate le voci arcaiche. DIZIONARI PURISTICI, DIZIONARI DI SINONIMI E DIZIONARI METODICI All’inizio del XIX secolo si manifestò la tendenza a raccogliere voci da espellere, realizzando uno strumento di consultazione con uno scopo opposto a quello del comune vocabolario. Il vocabolario raccoglie e definisce le parole degne di essere usate o adoperate dagli scrittori del passato. Nel 1812 il primo vero dizionario puristico fu compilato da Bernardoni a cui replicò Gherardini, dando un elenco di “Voci italiane ammissibili benché proscritte dall’Elenco del sig.Bernardoni”, mostrando che molte voci avevano in realtà esempi d’autore e che altre erano state ricavate per derivazione o analogia . Il più famoso è il “Lessico della corrotta italianità” di Fanfani e Arlia del 1877, che nel 1881 divenn e il “Lessico dell’infime e corrotta italianità”. Comune a tutti i vocabolari puristici è la lotta contro dialettismi e francesismi, che il più delle volte sono di fatto entrati nella nostra lingua. I francesismi in particolare costituivano la fonte di imbarbarimento della lingua italiana. Parallelamente ai dizionari puristici, continuò la tradizione di coloro che compilarono difese delle parole sotto accusa e nel 1858-60 uscì il “Dizionario di pretesi francesismi e di pretese voci e forme erronee della lingua italiana” di Viani. Tommaseo nelc’era 1830lailcoscienza “Dizionario opera ristampata Allae vocabolo, base delle ricerche suirealizzò sinonimi, chedei la sinonimi”, perfetta sinonimia non esistenele nostro che trasecolo. vocabolo passa sempre una differenza, anche sottile.
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Negli anni in cui maturava l’Unità, fu maggiormente avvertita la necessità di lessico tecnico: la nostra eera ra una lingua che possedeva le parole per la poesia, per il poema e per il melodramma e risultava debole o poco utilizzabile, utilizzabil e, proprio nel settore tecnico-pratico e familiare. Carena nella sua opera si preoccupò di verificare l’uso vivo toscano ho sbagliato, abbia fatto ben grosso il marrone > l’abbia l’abbia fatta bella, manifestare un marrone > palesare palesare uno sproposito.
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Eliminazione di forme eleganti, auliche, affettate, arcaicizzanti o letterarie rare: al loro posto forme comuni e usuali. Assunzione di forma tipicamente fiorentine, come i monottonga menti in – uouo- ( spagnuolo > spagnolo ), uso di lui e lei come soggetti al posto di egli ed ella. Eliminazione Eliminazi one di doppioni di forme e voci ( eguaglianza > uguaglianza, pel e ccol ol > per il, con il)
L’uso manzoniano ha influenzato il destino della lingua italiana: altre innovazioni stanno nel: Quasi generale eliminazione della d eufonica dai monosillabi ad/ed tranne davanti a vocale corrispondente
Larghezza di elisioni ( di alloggiare > d’alloggiare) e di apocopi ( viene, quasi a un tratto > vien, quasi a un tratto), ma meno frequenti
La risciacquatura dei panni in Arno determinò l’adozione di uno stile più naturale, sciolto dalla tradizione aulicaLa posizione di Manzoni era centrale nella prosa ottocentesca, anche per l’influenza che esercitò su molti scrittori: Grossi, Cantù, Carcano, D’Azeglio furono legati a Manzoni e tentarono la via del romanzo, senza arrivare alla sensibilità manzoniana dell’omogeneità linguistica. ALTRI MODELLI DI PROSA Collodi ebbe una grande influenza sul pubblico giovanile, con “Le avventure di Pinocchio” del 1883: lo stile del libro, diverso da quello di Manzoni, collaborò con il manzonismo a diffondere la lingua toscana in tutt’Italia. Seguirono la linea del mistilinguismo autori che anticiparono le tendenze del ‘900: il lombardo Dossi, il piemontese Faldella e il meridionale Imbriani; lo stile di questi autori si caratterizzava per l’uso di forme linguistiche linguisti che attinte a forme diverse, come il toscano arcaico, il toscano moderno, il dialetto. Faldella nel suo Zibaldone, una sorta di vocabolario personale, registrava le parole interessanti che scovava nella sue letture, orientate ad autori comici del ‘500 e verso un autore toscano del’800 come Giusti. Faldella non fu sempre cosciente della portata stilistica di elite del suo stile ricercato, gli sembrava che la sua prosa fosse composta da un italiano semplice e popolare, adatto a una letteratura carica di significato morale ed educativo. VERGA, IL DIALETTO E IL RINNOVAMENTO DELLA SINTASSI Fu inaugurata una svolta da Verga, soprattutto con i “Malavoglia”, con un modesto tasso di sicilian ità linguistica che si accompagnava ad un utilizzo dell’elemento locale onnipresente. Si adattava la lingua italiana come uno strumento di comunicazione per alcuni personaggi siciliani appartenenti al ceto popolare; Verga adottò alcune parole siciliane not e in tutt’Italia e poi ricorreva a innesti fraseologici, come quando usava espressioni, come: pagare col violino ( pagare a rate), pigliarsela in criminale (pigliarsela a male).
Dei tratti popolari si possono riconoscere nei soprannomi dei personaggi Viene utilizzato il che polivalente polivalente ricalcato sul ca siciliano Ridondanza pronominale Ci attualizzante ( averci) Utilizzo di gli per loro
Questi tratti servivano a simulare un’oralità viva, suggerita anche da raddoppiamenti e ripetizioni. Nuova risulta la sintassi verghiana, in particolare per il discorso indiretto libero, che consiste, secondo la definizione di Herczeg, in un miscuglio del discorso diretto e indiretto. Due sono le possibilità che si offrono a uno scrittore che deve far parlare i suoi personaggi, nei dialoghi o nel monologo interiore: 1. apertura delle virgolette e riportare in forma diretta le loro battute 2. introduzione di un discorso indiretto, in cui lo scrittore riferisce le parole del personaggio
Il discorso indiretto libero rappresenta una terza intermedia due, ma più libera: nonvoce vengono aperte le virgolette,è lo scrittore che riferisce le soluzione, parole o i pensieri del fra suolepersonaggio, ma nella dello scrittore affiorano modi e forme proprie del discorso diretto. Il lettore quindi ascolta la voce del personaggio con il suo carattere e il livello di espressione.
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La sintassi dove è inserito il discorso indiretto libero segna un mutamento: predomina l’uso dell’imperfetto narrativo. Nei Malavoglia la voce dello scrittore diventa espressione della coralità popolare, che fa da filtro alla narrazione. L’innovazione stilistica permetteva di snellire il periodo, eliminando le frasi subordinate e dava voce a nuovi personaggi, popolari, appartenenti al mondo degli umili e dei vinti. Il cammino della lingua scritta verso il parlato non prende solo la forma del toscano, ma anche dell’italiano popolare e regionale.
LA POESIA LINGUAGGIO POETICO NEOCLASSICO Il linguaggio poetico dell’800 si caratterizzava per una fedeltà alla tradizione aulica e illustre, in coincidenza con l’affermazione del Neoclassicismo. Vincenzo Monti era il restauratore di un linguaggio classico sontuoso e Foscolo non era da meno, come dimostra la solennità dei “Seplocri”. La tendenza all’aulico, proprio della poesia neocl assica, era verificabile a livello sintattico, perché frequenti erano le inversioni prolettiche, congiunti con vocativi posti al fondo del periodo, come nel sonetto “Alla sera”: forse perché della fatal quiete tu sei l’im ago a me si cara vieni, o Sera!. La disposizione sintattica s discosta da quella propria della prosa e della lingua comune. Il lessico veniva selezionato come parole nobili e proprie della quotidianità: la doppia serie lessicale, fatta di cultismi e latinismi, distingue le parole della poesia da quelle della prosa e questa sarà una caratteristica del linguaggio letterario italiano almeno fino al ‘900 con Pascoli. Nel caso di parole che non sono diverse in prosa e poesia, si ricorreva alla sincope ( spirto per spirito, pria per prima) o al troncamento ( cor, mar, dolor, amor) ed erano tronchi anche gli infiniti dei verbi in tutte e tre le coniugazioni c oniugazioni.. Leopardi nel suo Zibadone scrisse che una parola o una frase difficilmente è elegante se non si isola dall’uso del volgare: gli arcaismi si addicevano alla poesia, in cui il linguaggio si riallacciava alla tradizione petrarchesca e tassiana. Attraverso tasso, Leopardi acquisì il prinicipio del carattere vago del linguaggio poetico, in cui non ci dovrebbero essere termini che definiscono in maniera precisa e univoca, ma parole che dovrebbero evocare qualcosa di indefinito e quindi di poetico.
UN DISSONANTE CONTRASTO TRA TONI ALTI E TONI BASSI Il linguaggio poetico dell’800 si mantenne immune da vistose novità formali e le parole nuove, quotidiane vennero introdotte solo nella poesia giocosa, come quella di Giusti. Lo stesso Manzoni si attenne alla forma tradizionale, senza abuso di arcaismi e parole colte, nonostante il tono sia sempre stato alto, sublime. Le parole quotidiane ebbero difficoltà ad entrare in poesia, eppure premevano sul linguaggio poetico. Quando i romantici vollero introdurre in poesia contenuti realistici, il linguaggio poetico non permetteva l’inserimento di parole quotidiane. si ebbe nella seconda metà del secolo, nei poeti della cosiddetta Qualche segno di innovazione “scapigliatura”, come Praga e Tarchetti, che introdussero elementi realistici.
LA POESIA IN DIALETTO E LE POLEMICHE ANTIDIALETTALI L’800 fu un secolo in cui ebbe un eccezionale sviluppo qualitativo, la poesia in dialetto. Il milanese Porta e il romano Belli rappresentavano i più alti esponenti di questa letteratura. Belli commentò i propri sonetti con note esplicative, che illustravano anche alcune parole poi passate alla lingua nazionale, come fregarsene (fregammene), cazzata (sciocchezza), fesso (sciocco). La poesia di Porta si legava, invece, a una polemica sul ruolo del dialetto e della letteratura dialettale. Pietro Giordani, classicista, con una un articolo sulla “Biblioteca italiana” del 1816, condannò l’in iziativa di Francesco Cherubini di stampare collezione di opere letterarie in dialetto milanese. Era prevista l’uscita in 12 tomi, che avrebbero riunito in un unico corpus, a partire dai cinquecentisti per giungere ai contemporanei e l’ultimo tomo doveva essere riservato a Porta.
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Giordani contestava l’uso dei dialetti come nocivo per la nazione e riteneva che la poesia dialettale dovesse essere collocata su un piano basso e non avesse alcuna funzione di progresso. Sentiva inoltre la mancanza di una lingua comune diffusa largamente. Porta scrisse in polemica contro Giordani, una serie di 12 sonetti satirici. I romantici milanesi, invece, erano favorevoli alla tradizione in dialetto, in cui vedevano un modo di avvicinarsi alla lingua popolare, riallacciandosi anche alla posizione del Parini. Capitolo 13: Il Novecento
IL LINGUAGGIO LETTERARIO E SCIENTIFICO NELLA PRIMA META’ DEL SECOLO DURATA DEL LINGUAGGIO CLASSICO Gli autori vissuti a cavallo tra i due secoli, come D’Annunzio e Pascoli, testimoniarono nel le loro opere le trasformazioni trasformazi oni in atto. La lingua italiana si presentava nel ‘900 con tante novità. Carducci fu l’ultimo scrittore che incarnò il ruolo tradizionale del vate e la lingua della sua poesia aderì alla nobilitazione dei versi, al di fuori del genere satirico - polemico. Serianni ricorda che in “Giambi ed epodi” entrarono termini moderni e impoetici come questura, tartufi, listino, con la funzione di sottolineare il registro comico-satirico, ma nei momenti di maggior impeto lirico, la nobilitazione restava molto forte. Il linguaggio poetico fino a Carducci si mantenne immune da vistose novità formali: furono mantenute le forme tradizionali, i vocaboli arcaici, latineggianti, le forme del verbo anticheggianti; quindi le parole e i modi comuni e quotidiani furono evitati. Anche la poesia d D’Annunzio non rinunciò alla nobilitazione attraverso la selezione lessicale: ippopotamo divenne pachidermo fiumale le cameriere divennero fanti, cameristi gli operari divennero uomini operatori Quanto a latinismi, D’annunzio non è da meno di Carducci. La poesia dannunziana si presentava come innovativa per la capacità di sperimentare forme diverse e per il gusto di citare e utilizzare lingua, esempi, stilemi antichi. D’annunzio era un consumatore onnivoro di parole, disseminando arcaismi, tecnicismi, preziosismi, oltre a lessici specialistici. Egli fu prima di tutto uno straordinario artefice della parola, della ripresa della frase altrui da cui prendeva spunto per la propria creazione, con grande abilità. Gli si devono alcuni neologismi, come velivolo per aeroplano, il nome da lui suggerito per la Rinascente e inoltre collaborò con la nascente cinematografia del muto, fornendo le didascalie e i nomi di persona latini e punici per il colossal del 1914, “Cabiria”, “Cabiria”, che narrava la guerra tra Roma e Cartagine.
CRISI DEL LINGUAGGIO CLASSICO Una prima rottura con il linguaggio poetico tradizionale si ha con pascoli, con i crepuscolari e le avanguardia. Benché Pascoli abbia utilizzato parole colte e latinismi e abbia saputo maneggiare perfettamente la forma antica, con lui cadde la distinzione tra parole poetiche e parole non poetiche. Le parole a quel punto utilizzate erano sublimi, arcaiche, attuali, quotidiane, fino ad includere dialettismi, regionalismi e un po’ di italo-americano in “Italy” dei “Primi poemetti”. Lo stile di Pascoli, poi, includeva l’inserimento di domande, esclamazioni, risposte brevi, l’uso di pause, elementi che ricordavano il parlato; inoltre era notevole la sua precisione botanica e ornitologica. La poesia crepuscolare accentò la tendenza verso la prosasticità e rovesciò il tono sublime. L’avanguardia in Italia si identificò con il Futurismi, facendo un provocatorio rinnovamento della forma, attraverso: l’uso di parole miste ad immagini l’uso di caratteri tipografici di dimensioni diverse, con effetti paragonabili a quelli del collage abolizione della punteggiatura largo uso dell’onomatopea Il futurismo incise notevolmente sui modi del linguaggio poetico del primo ‘900, con la poetica del
balenio analogico Ladipoesia si impadronì frammento, motori, così’del come in “Zang Tumbecc… Tumb” Marinetti del 1914.del lessico delle automobili, della guerra, dei Palazzeschi nella “Passeggiata” integrò elementi impoetici tratti dalle insegne commerciali e d egli avvisi pubblicitari.
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PROSA POETICA, LINGUA MEDIA, MISTILINGUISMO La lirica dannunziana era caratterizzata dalla tendenza dello scrittore a far meno della virgola, ma le innovazioni più importanti potevano trovarsi nel “ Notturno” e nel “Libro segreto”. “Notturno” fu scritto nel 1916 durante un periodo di temporanea cecità e si caratterizza per: i periodi brevi e brevissim brevissimii la sintassi nominale i frequenti a capo presenza di elementi fonici e ritmici nella frase di andamento lirico Questo sarà uno dei modelli più seguiti nel ‘900; modello in cui D’Annunzio inserisce tutto il suo gusto per
lo sperimentalismo. Un riflesso del parlato si ha nella prosa di Pirandello, soprattutto nelle opere teatrali; la riproduzione dell’oralità è attestabile nelle frequen ti interiezioni e connettivi come come è vero, si sa, figurarsi ecc.., oltre che in rapide opposizioni che rendono sfuggente la comunicazione. La prosa di Pirandello era opposta a quella di D’Annunzio. Pirandello stava attento a non uscire dai moduli della lingua quotidiana, il suo era un uso medio e inoltre lui era stato sempre diffidente verso il dialetto come strumento strumento letterario, anche se non rinunciava a dare alle sue opere quel colore locale. Svevo fu famoso per il rapporto complesso con la lingua italiana, determinato dalla provenienza da Trieste, oltre che dall’esperienza culturale lontana dalla letteratura classica. Fu accusato di scrivere male. Coletti osserva come la lingua de “La coscienza di Zeno” non rispondeva ai canoni puristici e questo si poteva notare da: uso dell’ausiliare avere con i verbo servili incertezze dei tempi verbali vistosa formalità grammaticale elementi arcaici i prostetica: in Isvizzera, per ischerzo contiguità dei pronomi personali mi vi: mi vi accingo, mi vi sarei adattato uso anomalo del di: pronto di dividere La lingua di Svevo nacque come forma quasi privata e va inserita nel contesto storico in cui è nata. La lingua della Coscienza è anche il risultato di un progetto stilistico, di cui l’approssimazione grammaticale è l’elemento costitutivo ( monologo interiore e analisi di coscienza richiedevano una lingua imperfetta?). Uno dei punti di riferimento per gli scrittori, dopo che Verga aveva mostrato la via per una scrittura vicino al mondo popolare, era il dialetto. Un uso particolare del dialetto si ha negli scrittori mistilingue, come Gadda; egli passò attraverso alcuni esperimenti della scapigliatura ottocentesca, come Dossi, Faldella, Cagna. Non utilizzava solo un dialetto, bensì il lombardo, il romanesco, il molisano. Il libro pi ù fortunato di Gadda fu “Quel pasticciaccio brutto de
via Merulana” uscito in parte una rivista nel 1946 e divenne volume da cui si stacca di colpo L’effetto di deformazione delsu narrato in Gadda si attuò attraverso l’usonel del1947. dialetto, con il linguaggio alto e retorico. Il Novecento è stato un secolo pieno di connotazioni satiriche ed ironiche, oltre che con stereotipi del linguaggio ufficiale, aulico- poetico, poetico, con l’impiego di tecnicismi, esotismi esotismi o inserti di lingua straniera.
ORATORIA E PROSA D’AZIONE L’oratoria del primo ‘900 richiama il tema dei discorsi rivolti alle masse da Mussolini. Questi discorsi erano trasmessi in tutta Italia dalle radio ed erano filmati nei documentari cinematografici: gran parte del loro dell’oratoria tradizionale). fascino stava nel rap porto diretto con la folla ( tipico dell’oratoria Per indicare una tendenza a un’oratoria letteraria lett eraria magniloquente, coltissima ed efficace bisognerebbe puntare ancora a D’Annunzio: i suoi discorsi rivelarono una notevole abilità nella scelta del periodo breve e incisivo, con riprese frequenti, accostandolo a un ideale parlato con sapore teatrale. Vanno ricordati i proclami e i messaggi dannunziani, specialmente quelli in relazione con la questione di Dalmazia e di Fiume. Il suo modello influì ampiamente sulla retorica del fascismo. fascismo. Nella lingua del Fascismo e di Mussolini stati individuati i seguenti caratteri: abbondanza di metafore religiosesono ( martire, asceta), militari ( falangi), equestri ( redini del proprio destino) tecnicismi di sapore romano, da Duce a centurione
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ossessione dei numeri
Mussolini fu tra i primi a fare dell’oratoria una tecnica di persuasione di massa. Tra gli effetti su queste lezioni giunte attraverso la radio, la scuola, la propaganda, si può inserire l’assorbimento dei moduli linguistico - retorici dominanti. Tra i vari discorsi sono da ricordare De Amicis, Turati colto e spiritoso, Gramsci, fondatore del Partito Comunista Italiano, che riteneva l’oratoria socialista macchiata del grave difetto della vuota retoric a e proponeva uno stile lucido e razionale. Per Gramsci era inaccettabile che ci fossero due lingue e due stili diversi: uno per parlare ad operai e
contadini e uno per parlare a tutti gli altri. Fu anche maestro di giornalismo e resta una sua lettera in cui spiega come si ottiene uno stile chiaro e comunicativo. Nei suoi scritti non mancano artifici retorici, soprattutto di tipo sintattico, per esercitare quella che si definisce la funzione conativa del linguaggio politico, che deve convincere e muovere muovere l’uditorio. L’ITALIANO DELLA SAGGISTICA: VERSO L’USO MEDIO La crescita nell’Italia unita di una struttura universitaria moderna comportò un’abbondante letteratura saggistica nei vari settori disciplinari, con circolazione del sapere,anche in forma divulgativa. Per esempio l’editore Hoepli realizzò una famosa collana che ebbe molto successo, attraverso una serie di volumetti tascabili, finalizzata all’applicazione pratica del sapere, manuali dedicati alle più diverse tecniche e discipline. I manuali fornirono una terminolog terminologia ia scientifico-tecnica che si stava molto diffondendo. L’800 si era chiuso con una bipolarità nel linguaggio saggistico - argomentativo: da una parte la tendenza all’aulicità e dall’altra la tendenza al parlato. L’obiettivo del linguaggio saggistico umanistico era una lingua media e oggettiva e fu raggiunto da Croce, maestro della cultura italiana nella prima metà del secolo: la sua fu una scrittura chiara, moderna, limpida e sobria, dove però non mancarono elementi arcaici. In Giovanni Gentile la prosa argomentativa fu meno razionale, con elementi mistico-religiosi e suggestivi. Le forme suggestive ed evocatorie, ma di taglio poetico, si possono trovare anche nella saggistica di Pascoli, che nel “Fanciullino” inserisce un tono t ono discorsivo. Luigi Einaudi si colloca tra i migliori prosatori di questo secolo, così come Contini. POLITICA LINGUSITICA NELL’ITALIA FASCISTA AUTARCHIA E XENOFOBIA Il Fascismo ebbe una chiara politica linguistica, che si manifestò in modo autoritario; gli aspetti più rilevanti furono: la battaglia contro i forestierismi in nome dell’autarchia culturale 1. 2. la repressione delle minoranze etniche L’imposizione dell’italiano in Valle d’Aosta ebbe come effetto una pericolosa reazione separatista e atteggiamenti atteggiam enti di ribellione.
Per quanto riguarda la Tittoni, lotta contro i forestierismi, tra il 1924 e il di 1926 ebberodella dellelingua”. prese di posizione di singoli individui come membro del Partito fascista, autore unasi“Difesa Nel 1930 si ordinò la soppressione nei film di scene parlate in lingua straniera. Nel 1940 l’Accademia d’Italia fu incaricata di esercitare una sorveglianza sulle parole forestiere e di indicare delle alternative, anche perché le parole straniere furono vietate nelle attività professionali. professionali. L’interesse per la lingua assunse anche una valenza positiva: venne fondata la rivista “Lingua nuova”. La concezione avversa ai forestierismi fu definita neopurismo, da non identificare con la politica xenofoba del Fascismo che non rifiutava di mescolare la lingua e la razza, furono però accettati diversi termini stranieri uscenti in consonante come sport, film, tennis, tram. Ci fu anche una campagna per abolire l’allocutivo lei e sostituirlo con il tu, considerato più romano e con il voi, ma non ebbe successo sia perché il lei era radicato nella lingua italiana e perché il voi era sentito da molti dialettale dialettale e quindi da evitare. LA LESSICOGRAFIA DEL FASCISMO E L’ASSE LINGUISTICO ROMA -FIRENZE All’inizio del ‘900 la Crusca tentava di concludere una nuova versione del vo cabolario, avviata nel 1863. Il primo volume era stato dedicato ae Vittorio V Emanuele re d’Italia. La mole dell’opera era notevole laittorio realizzazione si II, trascinò per molto tempo e poi la sua funzione non era quella di un tempo.
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Le idee di Croce, il più autorevole pensatore del tempo, erano avverse alla lingua modello e al toscanismo in generale. Quando nel 1923 divenne ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Gentile, filosofo fascista, fu tolto alla Crusca il compito di preparare il vocabolario, ma il nuovo e moderno vocabolario del Fascismo, prodotto dall’Accademia d’Italia non ebbe esito felice, arrivò solo al primo volume nel 1941. questo procedette all’eliminazione di molte voci antiche e i vocaboli nuovi furono accettati per designare idee e cose nuove. I forestierismi erano registrati nel nuovo vocabolario, anche nella forma di prestiti non adattato, come boxe, bull-dog, camion, posti tra parentesi quadra, per segnalare la loro estraneità alla sostanza della lingua. Inoltre sono citati gli scrittori, ma solo come documentazione di uso comune, senza riferimento preciso all’opera sa cui è tratto l’esempio. Nel 1939 Bertoni e Ugolini pubblicarono per l’EIAR, ente radiofonico di Stato, il “Prontuario “Prontuario di pronunzia e di ortografia” in cui si affrontava la questione della pronuncia romana e quanto divergeva dalla fiorentina, oltre a fornire la pronuncia esatta della radio. Veniva rivendicato il ruolo di Roma nella questione della lingua.
IL DOPOGUERRA IL NEO-ITALIANO TECNOLOGICO: PASOLINI E LA NUOVA QUESTIONE DELLA LINGUA A Pasolini si deve l’ultimo importante intervento nella questione della lingua. Nato come conferenza, questo intervento fu pubblicato su “Rinascita” del 16 dicembre 1964 con il titolo “Nuove questioni linguistiche”: le sue tesi non avevano affatto un carattere normativo, anzi la sua era una vera e propria analisi sociolinguist sociolinguistica ica della situazione presente. Pasolini partì da premesse marxiste e gramsciane, sostenendo che era nato un nuovo italiano, i cui centri stavano al nord del Paese, dove avevano sede le grandi fabbriche e dove si era diffusa e sviluppata la moderna cultura industrial industriale. e. Egli annunciò che era nato l’italiano come lingua nazionale e che per la prima volta una borghesia egemone era in grado di imporre i suoi modelli, superando una tradizionale estraneità tra ceti alti e bassi. Delineò alcune caratteristica del nuovo italiano: semplificazione sintattica, con una caduta delle forme metaforiche, non usate da torinesi e milanesi, veri padroni della nuova lingua drastica diminuzione dei latinismi prevalenza dell’influenza della tecnica rispetto a quella quella della letteratura
L’autore analizzò la tipologia stilistica degli scrittori italiani, collocandoli al di sotto o al di sopra di un’ipotetica linea dell’italiano medio. Vi erano 3 linee: 1. italiano medio, anonimo, a-letterario, caratteristico di opere di banale intrattenimento e d’evasione 2. 3.
della prosa dialettale linea bassa, alta, che a sua volta poteva essere divisa in vari gradi, che accoglievano tutti coloro che si erano allontanati dal livello medio. Sul gradino più alto stava il linguaggio iperletterario degli ermetici, che avevano usato una lingua speciale adatta solo alla poesia. Pasolini collocava se stesso su una linea a forma di serpentina che attraversava tutti i livelli, passando dal piano alto a quello basso e su questa linea c’era anche Gadda, con il suo mistilinguismo, da cui Pasolini era influenzato. L’attenzione di tutti si concentrò sull’annuncio della nascita del nuovo italiano tecnologico e inoltre Pasolin i intervenne su temi linguistici, in un contesto diverso, per rivendicare la funzione rivoluzionaria dei dialetti e per lamentare l’imbarbarimento del linguaggio linguaggio dei giovani. TENDENZE DEL LINGUAGGIO LETTERARIO Pasolini sembrava privilegiare gli esperimenti di plurilinguismi, alla maniera di Gadda o alla maniera dei propri romanzie rivendicando ambientati nelle borgate di Roma, cui attribuiva una efunzione stilistica e unagaddiano. funzione documentaria quindi due filoni: quelloa verista - verghiano quello espressionistico Contini aveva utilizzato il mistilinguismo mistilinguismo come esemplare categoria critica, oltre che linguistica. linguistica.
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Il Gruppo ’63, formato da personalità come D’Arrigo, Testori, Busi, preferì soluzioni di rottura, personali e scarsamente comunicative. Lo scrittore di oggi gode di una libertà grandissima e può arrivare alle soglie di una lingua semidistrutta, detta ironicamente standard. Per molti autori del ‘900 il dialetto è stato una fonte di arricchimento linguistico. Non sempre l’invenzione linguis linguistica e lo sperimentalismo rendono difficile il rapporto con il pubblico. Il “Partigiano Johnny” di Fenoglio, rimasto incompiuto, era stato composto con una miscela d’italiano e inglese e poi arrivò al meritato successo, nonostante le condanne ideologiche ideologiche le incomprensioni iniziali. iniziali. Sulla strada del rinnovamento poetico si collocano autori di eccezionale statura come Ungaretti, Saba, Montale che sperimentavano una serie di soluzioni stilistiche, dal linguaggio comune e quotidiano di Sava, alla lingua impoetica di Pasolini e Sanguineti. Montale, attraversato D’Annunzio e dopo aver selezionato ciò che la koinè primo novecentesca offriva, arrivò in “Satura” del 1971 a una lingua spesso ironica, distaccata, prosastica, piena di citazioni di elementi quotidiani e calcolata con eleganze. In realtà nella semplicità dell’ultimo Montale si nascondono procedimenti linguistici complessi. VERSO L’UNIFICAZIONE: LINGUA, DIALETTI, IMMIGRAZIONE Pasolini prospettava una rivoluzione nella storia dell’italiano e lo annunciava usando il suo stile, da poeta dilettante di linguistica e sociologia, più che da saggista scientifico. Le lingue non cambiano improvvisamente e nel corso del ‘900 ci fu una perdita progressiva dei dialetti, a vantaggio della lingua italiana. Nel 1961 gli analfabeti si erano ridotti all’ 8,3% e nel 1971 all’ 5,2% . Da altri dati, secondo una ricerca degli anni ’50, se ne deduce che l’italiano era in progresso, ma il dialetto non era morto, visto che nel 1988, quasi il 66% degli italiani lo usava più o meno costantemente nella vita familiare e il 23% ne faceva un uso totale. L’uso del dialetto risultava maggiore presso i vecchi, piuttosto che presso i giovani, più nel Sud che nel Nord, nelle campagne, nei ceti inferiori. L’adozione di un diverso codice di comun icazione avviene, solitamente, quando il parlante è spinto da motivazioni profonde e De Mauro vide nella crescita dei poli urbani industrializzati una diretta causa dell’indebolimento dei dialetti.
UNA LINGUA PROLETARIA Negli anni ’60 e ’70 anche la fabbr ica ica svolse la funzione di scuola, promuovendo e integrando nella realtà cittadina e industriale, masse di origine contadina, con uno speciale linguaggio della politica ispirato alla cultura marxista. Era compito del delegato imparare a parlare con i compagni, organizzare le assemblee e trattare con i capi. In quegli anni maturava un rinnovamento nel linguaggio delle lotte politiche operaie, che si staccava dai moduli della retorica alta ereditati dalla t radizione oratoria d’anteguerra e con discese verso il bassoquotidiano. Il linguaggio dei nuovi gruppi di sinistra cercava la trasgressività verbale, palesando una mancanza di inibizioni; il linguaggio della protesta è stato ripreso da Nanni Balestrini nel romanzo “Vogliamo tutto” del 1971, che racconta la storia di un operaio salernitano sbarcato alla Fiat nel 1969. I volantini del gruppo terroristico Brigate Rosse, arrivarono a una grande celebrità: questi furono uno strumento di comunicazione molto importante e diffusissimo in quegli anni ed erano caratterizzati da una serie di slogan,di formule fisse, cariche di emotività evocatrice. In opposizione al linguaggio politico aggressivo e militaresco, si sviluppava attraverso una serie di espedienti come l’eufemismo, l’evasività, l’abuso di tecnicismi giuridico - burocratici, un linguaggio politico della tradizione moderata, oltre a farne parte i giochi di parole, l’ossimoro come cauto entusiasmi, attesa precipitosa ecc… FUNZIONE DEI MEDIA: RADIO E TELEVISIONE La radio italiana nacque nel 1924 e la televisione cominciò a trasmettere nel gennaio 1954. La sua funzione linguistica linguisti ca si è affiancata a quella dei media che già esistevano come i giornali, il cinema. De Mauro mise in evidenza gli effetti edinelle questo nuovo media: le trasmissioni e radiofoniche giunte anche nelle zone geografiche classi sociali a basso reddito e televisive ciò fu importante ai fini erano della diffusione della lingua.
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I media e la tv in primis sono diffusori di tecnicismi, neologismi e di luoghi comuni verbali della cronaca e della politica, come mani pulite, malasanità ecc... e perfino diffusori di nuovi nomi di persona. I GIORNALI Il linguaggio giornalistico ebbe sempre un importante funzione e poteva costituire un argine contro la bassa qualità di quello televisivo, trattandosi di un modello scritto contrappost contrappostoo a uno parlato. Il quotidiano è il tramite fondamentale tra l’uso colto e letterario dell’italiano e la lingua parlata e il giornale può essere assunto come indicatore di lingua media, in cui trovare una pluralità di sottocodici ( politico, burocratico, economico, scientifico) e di registri ( aulico, parlato, informale, brillante). Il luogo di maggiore originalità del linguaggio si riscontra nei titoli: il titolo deve essere pensato per colpire il lettore e in esso domina prevalentemente la farse nominale, con espedienti di messa in rilievo. LA PUBBLICITA’ Il linguaggio pubblicitario è fondato sullo slogan e sulla trovata attraverso questo canale si diffondono termini tecnici e forestieris forestierismi. mi. Lo slogan deve colpire il lettore e favorire f avorire un comportamento nel potenziale acquirente, acquirente, deve suggestionare e convincere , ad esempio attraverso l’uso marcato dei superlativi, sia con desinenza – issimo issimo ( occasionissima, superissimo) superissim o) sia con i prefissi extra, iper, maxi, super. Nell’analisi del linguaggio pubblicitario ci si trova i fronte a due atteggiamenti: 1. ammirazione per la capacità del linguaggio di sfruttare e accentuare le possibilità espressive dell’italiano 2. fastidio per la creazione della parola-merce
Il linguaggio favorisce: la formazione dei composti o parole macedonia, come ammazzasete, granturism granturismoo l’uso dei sostantivi giustapposti, ad esempio determinato -determinante come esperienza Gillette, profumo-donna Neologismii e giochi di parole Neologism Uso della retorica
ITALIANO STANDARD, ITALIANO DELL’USO MEDIO E CAMBIAMENTO LINGUISTICO L’italiano dell’uso medio èrispetto il nome di una standard categoria,( Castellani definita dalo ha Sabatini, sulla base norma di fenomeni grammaticali. La differenza all’italiano chiamato italiano le, cioè secondo la norma), sta nel fatto che l’italiano dell’uso medio, comune e colloquiale, accoglie fenomeni del parlato, presenti da tempo nello scritto, ma tenuti a freno dalla norma grammaticale che ha sempre tentato di respingerli ed emarginarli. Lo standard rappresenta un italiano ufficiale e astratto, mentre quello dell’uso medio rappresenta una realtà, di cui tutto abbiamo esperienza, alcune caratteristiche sono: Lui, lei, loro usati come soggetti Gli generalizzato anche se con il valore di le e loro Diffusione delle forme ‘sto ‘sta A me mi Costrutti preposizionali preposizionali con il partitivo, alla manier farncese ( con degli amici( Ci attualizzante con il verbo avere a altri verbi ( che c’hai?) Anacoluti nel parlato ( Giorgio, non gli ho detto nulla) Che polivalente, con valore temporale, finale e consecutivo
venivo)
Cosa interrogativo posto di che cosae condizionale nel periodo ipotetico dell’irrealtà( se sapevo, Imperfetto al psotoaldel congiuntivo
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Queste caratteristiche interessano anche i parlanti istruiti. i struiti. Anche Renzi ha elencato le caratteristiche innovatrice dell’italiano contemporaneo: Costrutto “è che…non è che…” Diffusione dell’indicativo al psoto del congiuntivo nella frase subordinata ( mi dispiace ce Maria è partita) Uso di lui anche per l’inanimato Uso avverbiale di tipi ( lui pensa tipo che…) Participo passato al superlativo ( sono stato delusissimo) Dai! Come espressione di meraviglia meraviglia Il dimostrativo “questo” al posto dell’indefinito “uno” Possibili anglicismi anglicismi sintattici, come giorno dopo giorno ( day after day).
SCUOLA E LINGUA SELVAGGIA Tappa importante per l’omologazione di tutti gli italiani fu l’introduzione della scuola media unica, uguale per tutti, nel 1962, con obbligo scolastico fino ai 14. Essa veniva istituita al posto del doppio canale di formazione, ereditato dalla riforma scolastica di Gentile, che aveva proposto scuola media e avviamento professionale in alternativa. La scuola era diventato l’obiettivo privilegiato degli interventi. La diffusione delle nuove idee linguistiche fu caratterizzata da una forte presenza ideologica della Sinistra. Anche la cultura cattolica intervenne nel dibattito: Don Milani mise a nudo le condizioni di miseria linguistica linguisti ca in cui si trovavano i ragazzi delle classi povere. Egli proponeva una serie di interventi per adattare la scuola e l’insegnamento alle presunte necessità degli allievi; erano tecniche in gran parte provocatorie. Don Milani arrivò a mettere in discussione l’esistenza e la legittimità di qualunque norma linguistica o di qualunque forma alta di comunicazione. Gli specialisti mossero critiche contro le tecniche tradizionali di insegnamento della grammatica, contro l’uso del tema come una forma di esercizio di scrittura; ciò provocò una revisione dei metodi e degli obiettivi dell’insegnamento, rinnovandolo in parte. Oggi si riscontrano carenza linguistiche di base non solo negli studenti della scuola dell’obbligo, ma anche in allievi assai avanzati, che giungono all’università senza rispettare le norme più elementari della grammatica e della sintassi: italiano selvaggio. selvaggio. Vi sono non solo errori banali, ma frasi preconfezionate, interferenze con il dialetto. Capitolo 14: Quadro linguistico dell’Italia attuale
COMPOSIZIONE DEL LESSICO ITALIANO La stragrande maggioranza delle parole italiane è di origine latina: alcune di queste parole sono entrate nel latino dal greco e dal punto di vista etimologico sono definibili come grecismi ( tragedia, metro). Quindi vi è anche una forte componente greca. Tra le lingua moderne il francese ha maggior spazio. SCRITTURA E PRONUNCIA DELL’ITALIANO IL SISTEMA GRAFICO DELL’ITALIANO Il sistema grafico dell’italiano non è univoco: usiamo gli stessi segni “E” ed “O” per indicare le e/o aperte e chiuse senza distinzione. A volte l’imprecisione della grafia si lega ad effettive oscillazioni nell’uso reale della lingua. I FONEMI DELL’ITALIANO In riferimento alle vocali, l’italiano ha un sistema di 7 elementi, resi da soli 5 segni grafici, ma questo sistema non è nella coscienza linguistica di tutti i parlanti nazionali. Le coppie e/ aperta o chiusa è poco utilizzata, a parte nei romani e nei toscani, con divergenze tra gli uni e gli altri. Anche nel caso di fonemi consonantici, la realizzazi realizzazione one non è identica in tutto il territorio nazionale.
IL RADDOPPIAMENTO FONOSINTATTICO La moderna grafia registra il fenomeno quando si è prodotta una parola unica: fra + tanto ha dato origine a frattanto, con raddoppiamento della t.
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Nell’italiano standard il raddoppiamento è prodotto: Da tutte le parole polisillabiche con ac cento sull’ultima vocale ( perché mai si pronuncia perchemmai) Da tutti i monosillabi con accento grafico ( più su si pronuncia piùssù) Da monosillabi forti: forti: a, da, su, tra, fra, ho, ha, do, fa, fu, va, sto, sta, che, qui, qua, se (congiunzione), ma, e, o, tu, te, me Il raddoppiamento non è praticato nelle parlate regi onali dell’Italia settentrionale.
DOVE SI PARLA ITALIANO L’italiano è parlato in tutto il territorio della Repubblica italiana, di cui è la lingua ufficiale, anche se la Costituzionee non gli assegna esplicitamente questa funzione. Costituzion L’affermazione che l’italiano è la lingua ufficiale di ritrova nel primo articolo della legge sulla protezione delle minoranze linguistiche del 1999. L’italiano poi è parlato nello stato del Vaticano, nella Repubblic a di San Marino, in alcuni Cantoni della Svizzera, nel principato di Monaco, in Istria, in Dalmazia. Vanno considerate le comunità di emigrati italiani. È parlato da circa 58 milioni di persone in Italia. ALLOGLOTTI NELL’AREA ITALIANA TIPOLOGIE DI CLASSIFICAZIONE DI ALLOGLOTTI Entro i confini della Repubblica italiana sono presenti alcuni gruppi alloglotti, di origine romanze e non romanza; si parla generalmente di minoranze linguistiche. Si parla di alloglotti quando aree linguistiche più grandi, situate al di fuori del nostro territorio nazionale, si estendono anche all’interno dei nostri confini. Si usa il concetto di isole linguistiche per indicare una comunità di alloglotti molto piccole e isolate ( greche, albanesi…) Oggi la legge numero 482 del 1999 tutela le minoranze albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene, croate, francesi, franco-provenzali, friulane, ladine, occitane e sarde.
PROVENZALI E FRANCO-PROVENZALI Parlano lingue del gruppo romanzo; in molte valli alpine del Piemonte occidentale si parla provenzale, così come in alta Valle di Susa. La Valle d’Aosta è un’area franco -provenzale e il francese è per tradizione la lingua di cultura. LADINI Nelle valli alpine delle Dolomiti ci sono le parlate appartenenti al ladino, introdotto in alcune scuole dal 1948, come prevede lo statuto di autonomia del Trentino Alto Adige. Nella maggior parte del Friuli e della Carnia ci sono le parlate ladino-oriental ladino-orientali.i. Parlate ladine sono anche in territorio nazionale, con ilcitedesco, francese e italiano.svizzero e il ladino in base alla Costituzione svizzera è lingua SARDI Anche il sardo può essere considerato una lingua per le sue particolari caratteristiche all’interno del gruppo romanzo, anche se non si è mai giunti alla creazione di una koinè sarda. Il sardo si distingue in 4 varietà: gallurese, sassarese, logudorese ( e nuorese) e il campi ca mpi danese, che ha il suo centro nella zona di Cagliari. ISOLE LINGUISTICHE: ALGHERO E GUARDIA PIEMONTESE Si parla di isole linguistiche quando ci si trova in presenza di comunità caratterizzate da una loro diversità, ma molto ridotte, isolate e geograficamente circoscritt circoscrittee a un territorio molto piccolo. Ad Alghero la popolazione è catalana in seguito alla conquista militare della città da parte di Pietro IV d’Aragona. A Guardia Piemontese, a Cosenza, invece ci c i sono i resti di una vecchia colonia valdese di lingua provenzale. MINORANZE E ISOLE TEDESCHE Accanto ai gruppi alloglotti romanzi, vi sono quelli non romanzi, come le diramazioni tedesche che hanno importanza, perché la loro presenza ha dato luogo a problemi di natura politica e amministrativa; la più
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numerosa comunità di tedeschi occupa l’alta Valle dell’Adige. Questa minoranza etnica ha uno statuto speciale, che interessa la provincia di Bolzano. Il tedesco ha l o status di lingua ufficiale accanto all’italiano e viene insegnato a scuola come prima lingua, l ingua, che imparano l’italiano come seconda. Il dialetto si usa nella comunicazione familiare, la lingua tedesche risponde a situazioni formali elevate, come l’insegnamento, la burocrazia, la cultura, la religione e la letteratura.
ISOLE GRECHE Vi sono colonie greche presenti nel territorio italiano: una è in Calabria e l’altra nel Salento. Si è discusso sull’or sull’origine igine di queste colonie e due tesi si sono sono contrapposte: una vede nelle isole greche d’Italia l’eredità dell’Antica Magna Grecia. Il residuo delle antiche 1. colonie anteriori alla dominazione romana l’altra vede in esse una conseguenza dell’occupazione bizantina nell’Italia meridionale 2. MINORANZE RECENTI E DI ALTRA ORIGINE Negli ultimi 20 anni il fenomeno dell’immigrazione del Terzo Mondo povero, in particolare dall’Africa e dall’Asia e dai Paesi Slavi è aumentato notevolmente. Questi nuovi gruppi etnolingusitici etnolingusitici stanno soppiantando le vecchie minoranze storiche per importanza e peso sociale e a costoro bisogna aggiungere i clandestini. La nuova immigrazione ha creato un sottoprolet sottoproletariato ariato urbano con scarse possibili possibilità tà di integrazione e con una tendenza a creare gruppi etnici isolatri e conflittuali, portatori di tradizioni che si scontrano con quelle locali e con le leggi italiane. AREE DIALETTALI E CLASSIFICAZIONE DEI DIALETTI LE LINEE LA SPEZIA- RIMINI E ROMA-ANCONA Si possono distinguere in Italia tre aree diverse: 1. Settentrionale 2. Centrale 3. Meridionale Queste sono separate da due grandi linee di confine: la linea La Spezia - Rimini divide i dialetti settentrionali da quelli centro-meridionali e la linea Roma - Ancona divide i dialetti meridionali da quelli centrali. La linea La Spezia - Rimini è definita da Rohlfs con il termine di frontiera linguistica per la sua importanza e per le premesse storiche che spiegano l’esistenza del confine. Il confine linguistico è identificato dai linguisti,, prendendo in considerazione diversi fenomeni. Nelle parlate dialettali a nord di questa linea si ha: linguisti Indebolimento( sonorizzazione o caduta) delle occlusive sorde in posizione intervocalica ( fradel invece di fratelli, formiga invece di formica) Scempiamento delle consonanti geminate geminate ( spala per spalla, gata per gatta, bela per bella) Caduta delle vocali finali ( an per anno), eccetto la a che resiste Contrazione delle sillabe atone ( slar per sellaio, tlar per telaio)
Sono caratteristiche proprie dei dialetti gallo-italici. gallo-italici. I confini dei fenomeni elencati non coincidono fra loro; se si tracciano sulla carta geografica le varie isoglosse ( le linee di confine dei singoli fenomeni linguistici) si nota che esse hanno lo stesso percorso tra Emilia e Toscana, ma nella zona collinare alle spalle di Rimini divergono. Il confine linguistico tra Nord e Centro è individuabile in maniera meno netta. Per quanto riguarda la linea Roma - Ancona, al di sotto di essa si ha: Sonorizzazione delle consonanti sorde in posizione postnasale ( mondone per montone, angora per ancora) Metafonesi delle vocali toniche e ed o per influsso di – i e – u finali ( acitu per aceto, dienti per denti) Uso di tenere per avere Uso del possessivo in posizione proclitica ( figliomo per mio figlio) Un po’ più a nord della linea Roma – Ancona corre il confine dell’assimila zione di – nd nd > nn e mb> mm.
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CLASSIFICAZIONE STORICHE DEI DIALETTI Forte è la variabilità dei dialetti,che mutano da luogo a luogo, anche all’interno di una stessa regione o città. La prima descrizione sistematica e scientifica dell’Italia dialettale fu data da Ascoli nell’VIII volume dell’ “Archivio glottologico italiano”, rivista da lui fondata. GLI ITALIANI REGIONALI L’italiano non è parlato in modo uniforme in Italia : vi sono marcate differenze che interessano il livello fonetico e poi anche quello lessicale e sintattico e più raramente quello morfologico. Le varietà d’italiano dipendono dalla distribuzione geografica, dall’influenza esercitata dai dialetti locali e prendono il nome tecnico di varietà diatopiche diatopiche dell’italiano o italiani regionali. La caratterizzazione più evidente dei vari italiani regionali si ha a livello di pronuncia. De Mauro distingue il diverso prestigio delle 4 principali varietà di pronuncia: Minimo è il prestigio della varietà meridionale Maggiore sarebbe il prestigio della varietà settentrionale Uno spazio particolare meritano la varietà toscana e romana. Quest’ultima ha una funzione speciale perché Roma oltre che una metropoli è la capitale della politica e dello spettacolo.
L’italiano è una lingua che per tradizione è ricc a di termini ufficiali, elevati, letterari, ma quando si passa a un contesto familiare e domestico le differenze regionali si fanno marcate. Cortelazzo cita come esempio la forma interrogativa nuorese, che comporta l’inversione del posto del verbo rispetto al complemento o l’inversione della posizione dell’ausiliare (olio comprate?).
ITALIANO, FIORENTINO E TOSCANO Il toscano è la parlata regionale che più si avvicina alla lingua letteraria, poiché la lingua letteraria deriva dal toscano trecentesco. Il toscano ha avuto una posizione privilegiata: Firenze è stata considerata la città in cui si poteva imparare a conversare nella lingua migliore. Fra le altre parlate toscane, ha goduto di un certo prestigio culturale quella senese. Cosa il fiorentino ha in com une con l’italiano e in cosa si distingue da esso. Cose in comune: Anafonesi Dittongazione Dittongazio ne di Ĕ ed Ŏ del latino Il passaggio di e atona protonica ad i Passaggio di – ar ar atono a – er er nel futuro della prima coniugazione (amarò > amerò) Passaggio di – rj rj intervocalico a – j ( gennaio contro gennaro) gennaro) Italiano non conosce metafonesi, presente nel settentrione e meridione
Differenze: Gorgia, spirantizzazione spirantizzazione delle occlusive sorde intervocaliche, per cui amico è pronunciato amiho Tendenza alla monottoganzione di – uò-: uò-: buono e nuovo in Toscana bòno e nòvo