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February 6, 2017 | Author: dumas_66 | Category: N/A
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TECNICHE DI COMUNICAZIONE

La Comunicazione Interpersonale

Docente: Dott.ssa S. Privitera

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E la natura, si dice, ha dato a ciascuno di NOI due orecchie ma una sola lingua, perché siamo tenuti ad ascoltare più che a parlare Plutarco

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Una premessa necessaria La comunicazione è un’esperienza usuale e continua di relazione con gli altri, tende quindi ad influenzare reciprocamente le persone in relazione. La comunicazione è un processo: • Sistemico in quanto le persone coinvolte fanno parte di un sistema di influenzamento reciproco • Pragmatico in quanto ciò che conta sono gli effetti del comunicare, non le intenzioni, conta il messaggio che l’altro recepisce, la risposta che si ottiene • Strategico in quanto la persona che ha chiari obiettivi da raggiungere si dota di una strategia ben precisa. La migliore sistematizzazione dei processi di comunicazione in un’ottica sistemica è quella proposta dai ricercatori del Mental Research Institute di Palo Alto, California. In un’opera divenuta celebre, Pragmatica della comunicazione umana. Paul Watzlawick definisce la comunicazione un “processo di scambio di informazioni e di influenzamento reciproco che avviene in un determinato contesto”. E’ impossibile non comunicare: anche l’intenzionale assenza di comunicazione verbale, di fatto, comunica la nostra volontà di non entrare in contatto con l’altro. Tutto è comunicazione, anche il silenzio, perché anche con il silenzio si comunica qualcosa. “( )” C’è una proprietà del comportamento che difficilmente potrebbe essere più fondamentale e proprio perché troppo ovvia viene spesso trascurata: il comportamento non ha il suo opposto. In altre parole non esiste qualcosa che sia “non comportamento” o, per dirla più semplicemente, non è possibile non avere un comportamento. Ora se si accetta che l’intero comportamento in una situazione di interazione (tra persone, esseri viventi, ecc.) ha valore di messaggio, vale a dire è comunicazione, ne consegue che comunque ci si sforzi, non si può non comunicare”. (Watzlawick P., Bravin D.D., Pragmatica della comunicazione umana, Roma, astrolabio,1971). Quindi comunico per il semplice fatto che esisto. Gli esseri umani comunicano sia con il linguaggio numerico che con quello analogico. Il linguaggio numerico serve a scambiare informazioni, quello analogico definisce la natura della relazione. La comunicazione analogica ha a che fare con le emozioni e quindi con la comunicazione non verbale. I due linguaggi coesistono e sono complementari in ogni messaggio. Dunque, ogni comunicazione contiene un aspetto di contenuto, la 3

“notizia”, i “dati” e un aspetto di relazione che definisce i rapporti tra gli interlocutori; infatti definisce il modo in cui i dati vengono trasmessi e permette di capire come deve essere interpretato il messaggio (si tratta della metacomunicazione). Ad esempio, si può dire “Bene!” con l’intenzione di lodare qualcuno o con tono sarcastico per metterlo in ridicolo. L’aspetto di contenuto è cosa si dice, l’aspetto di relazione è come lo si dice. E’ quindi l’aspetto di relazione che chiarisce il significato del contenuto. A sottolineare l’importanza degli aspetti relazionali nella comunicazione vi sono alcuni dati statistici che mostrano che in una comunicazione il contenuto ha un “peso” soltanto del 10%, il tono della voce del 30% e la gestualità del 60%. Tono della voce e gestualità definiscono con il 90% la relazione!

Il linguaggio del corpo dice la verità e spesso smentisce quello che diciamo a parole. A volte ci troviamo di fronte ad una discrepanza fra l’espressione facciale, quella verbale e quella corporea che parlando 4

un linguaggio diverso contribuiscono a farci connotare diversamente i vari elementi. Così la sicurezza mostrata da un fermo sorriso può apparirci diversa se, ad esempio, viene contraddetta dal tremore delle dita o della voce. Il linguaggio del corpo è la via naturale attraverso la quale esprimiamo gli stati d’animo e può portare in contatto con le emozioni più profonde: le paure, le ansie, le gioie vengono trasmesse direttamente ai gesti della mano, ai movimenti delle gambe ai muscoli del viso. Le reazioni espressive alle emozioni comprendono sia le espressioni facciali sia altri aspetti del comportamento non verbale come la gestualità e la postura, aspetti prosodici del parlato e suoni vari, e aspetti relativi al comportamento prossemico - cioè l’orientamento dell’individuo e la sua locazione nello spazio rispetto ad altri individui od oggetti. Le emozioni, quindi, creano un contesto interazionale che ha un ruolo sulla regolazione dell’emozione stessa in quanto tollera, incoraggia o inibisce una certa emozione e la sua espressione. La comunicazione analogica: l’uso del corpo e della voce • Postura: atteggiamento del corpo Posizioni che la persona assume in un dato momento, i movimenti. Alcuni esempi di postura: dondolarsi sulle piante dei piedi, accavallare le gambe, postura eretta o incurvata in avanti, tesa o rilassata, dritta o obliqua, protesa in avanti con il busto, postura chiusa con le braccia conserte e rigide, il capo basso, ecc. • Prossemica: distanza e posizione È la scienza dello spazio umano. HALL (1963-66) Definizione: • insieme delle osservazioni e delle teorie relative all’uso culturale che l’uomo fa dello spazio; • studio del modo in cui l’uomo struttura inconsciamente il microspazio; • osservazione delle distanze mantenute fra gli uomini nelle loro transazioni quotidiane, dell’organizzazione dello spazio da parte dell’uomo, nella sua casa, nella sua città. Le distanze interpersonali: 1. intima a. contatto fisico; b. da 15 a 40 cm; 2. personale a. piccola sfera di protezione che un individuo crea attorno a sé; 5

b. da 45 a 120 cm; 3. sociale a. da 120 a 210 cm, fra persone che lavorano insieme; b. da 210 a 360 cm, fra persone che non lavorano insieme; 4. pubblica a. da 360 a 750 cm, fuori dalla cerchia che riguarda il soggetto; b. da 750 cm, personaggi ufficialmente di rilievo. • Espressione viso/occhi: congruenza e apertura La fisionomia di una persona muta continuamente, in reazione a certi stimoli ambientali ma anche in occorrenza ai diversi processi emozionali o cognitivi che la persona sta vivendo. Le reazioni espressive, in particolare quelle facciali e vocali, sono estremamente importanti nelle interazioni interpersonali in quanto, essendo direttamente osservabili, permettono di fare inferenze rispetto allo stato emotivo dell’individuo osservato (e dunque anche rispetto il rapporto interpersonale in atto). La parte più espressiva del volto sono gli occhi e la bocca. La bocca può segnalare diversi stati emotivi, positivi o negativi tramite chiusura o apertura: dalle labbra aperte tipiche della sorpresa, a quelle semiaperte dell’ascolto, chiuse della riflessione, serrate della preoccupazione, serrate con le mascelle tese della rabbia. È importante notare la congruenza delle espressioni della bocca con quelle degli occhi. Se la bocca ride e anche gli occhi ridono presumiamo armonia interna, se gli occhi rimangono seri o si fanno duri avvertiamo l’incongruenza. • Gesti - emblematici: sostituiscono la parola - descrittivi: accompagnano ed illustrano il discorso rendendolo più vivido di regolazione del comportamento dell’interlocutore ovvero assenso, dissenso, permesso di procedere con un garbato annuire del capo - di adattamento: gesti finalizzati a dominare i propri stati d’animo o le emozioni. È come se la persona cercasse di trovare conforto giocando con la collana, con i baffi, la cravatta, l’orecchino, ecc. Tali gesti possono essere emessi volontariamente o inconsapevolmente e assumono sempre significato comunicativo. • L’uso della voce/paralinguistica I segni paralinguistici non appartengono solo allo stile personale 6

espressivo tipico di ogni persona ma sono in grado di indicare umori e stati d’animo, intenzioni. Qualificano la forma del messaggio verbale: la variazione melodica di una frase, le differenti intonazioni consentono di riconoscere se la frase è interrogativa, esclamativa, imperativa, ironica, ecc. Tono: qualifica l’intenzione comunicativa. È un indicatore dell’intenzione comunicativa, del senso che si vuole dare a quanto si dice: tono interrogativo, tono riflessivo, tono sfidante, ecc. Tempo: evidenzia la velocità assoluta o relativa, l’uso delle pause che sono un fattore che serve a sottolineare, rinforzare, accentuare il contenuto verbale Timbro: è il colore del suono ovvero la percezione acustica del suono vocale e caratterizza la persona. Timbro gutturale, nasale. Volume: indicatore di distanza o di aspetti relazionali ed emotivi. Riguarda l’intensità sonora, il farsi ascoltare va calibrato a seconda della vicinanza o distanza dall’interlocutore. Comunicazione: componente razionale ed emotiva La comunicazione è costituita, oltre che dalla componente razionale, anche da quella emotiva ed è fortemente influenzata dalle personalità diverse che si mettono in relazione e ai meccanismi della percezione e di difesa. Ogni persona infatti, possiede un proprio sistema di riferimento legato al proprio modo di rapportarsi al mondo e, in particolare, determinato dal proprio sistema percettivo, il concetto di sé, la storia personale, i bisogni affettivi, le capacità cognitive, la cultura e i valori di riferimento, le motivazioni e aspettative, i ruoli sociali e professionali, ecc. Se una persona non riesce a decentrarsi dal proprio sistema di riferimento non è in grado di comprendere quello di un altro e ne risulta una comunicazione viziata. Per difenderci dal bombardamento di stimoli cui siamo permanentemente sottoposti usiamo selezionare le informazioni che provengono dal mondo esterno attraverso l’uso di “filtri” fisiologici, emotivi e culturali. Questi filtri agiscono strettamente connessi ai meccanismi di difesa che scattano automaticamente nel momento in cui un soggetto ha bisogno di escludere dalla consapevolezza informazioni o impulsi giudicati inaccettabili che gli provocherebbero sofferenza. Questi filtri ignorano o distorcono le informazioni che non confermano il nostro sistema di riferimento. Una famosa ricerca di W. Bennis ci dimostra che esiste una distorsione del messaggio che desideriamo inviare perché, oltre a 7

quello che intendiamo comunicare, si aggiunge ciò che non era nostra intenzione comunicare, per cui il messaggio percepito è diverso da quello inviato. Principio della comunicazione di Warren G. Tennis

Ciò che A comunica, ma non è nelle sue intenzioni

E’ la nostra identità ad essere costantemente in gioco nei processi di comunicazione e spesso è il desiderio di sentire confermata la propria identità o il timore che questa possa essere minacciata che influenza pesantemente la nostra capacità di ascolto e di comprensione. Finestra di Johary Noto a Me NOTO AD ALTRI

Ignoto a Me

PUBBLICO CIECO

IGNOTO AD ALTRI PRIVATO

INCONSCIO

La finestra di Johary è un modello teorico che ci permette di comprendere le dinamiche delle relazioni sociali. Abitualmente tendiamo a fornire un’immagine di noi stessi e ad accettare l’immagine che gli altri ci forniscono di sé: “La norma sociale impone di non dire ad altri la nostra impressione su di loro se differisce dall’immagine che essi presentano di se stessi”. Le quattro aree della “Finestra” sono: - area pubblica: corrisponde a quello che io so di me e a quello che gli altri sanno di me - area cieca: corrisponde a quello che io non so di me, ma che gli altri sanno di me - area privata: corrisponde a quello che io so di me, ma che gli altri 8

non sanno di me - area inconscia: è sconosciuta a me e agli altri. Per una buona comunicazione è importante saper cogliere il feed-back (informazione di ritorno) che ci viene sempre veicolato dall’interlocutore sia verbalmente che non. Il feed-back è la risposta che si ottiene dopo aver inviato un messaggio e che produce, a sua volta, un altro feed-back e così via. Il feed-back può essere considerato un fattore di controllo della comunicazione, perché consente di verificare l’effetto che i nostri messaggi producono sull’altro. Attraverso il feed-back esprimiamo assenso o dissenso, accettazione o rifiuto, comprensione o incomprensione, chiarezza o confusione. Abbiamo tre possibilità di risposta: • il feed-back positivo: è un messaggio di conferma, nel quale si approva ciò che l’altro ha detto (ad es. la lode). Significa “Tu esisti, sono d’accordo con te”. • il feed-back negativo: è un messaggio di negazione di quanto è stato detto (ad es. la critica). Significa “Tu esisti, ma non sono d’accordo con te”. • la disconferma: è una comunicazione patologica perché non prende in considerazione ciò che l’altro ha detto. Spesso è veicolata attraverso una comunicazione non verbale (ad es. voltare il viso dall’altra parte). Significa “Tu non esisti”. I FATTORI DI EFFICACIA DELLA COMUMICAZIONE INTERPERSONALE • Consapevolezza della propria identità in relazione all’interlocutore • Correttezza e completezza del contenuto • Congruenza tra gli aspetti verbali e quelli analogici • Corretto uso del canale utilizzato • Uso appropriato del contesto • Pertinenza dell’obiettivo • Efficacia dello stile adottato Come fare a rendere più efficace la comunicazione? • l’uso di un codice comune con l’attenzione al contesto culturale dell’interlocutore • l’ascolto di ogni feed-back anche non verbale • la disponibilità a modificare il messaggio se comprendiamo di non essere stati chiari • le riflessioni sui nostri atteggiamenti e le corrispondenti forme 9

linguistiche che possono facilitare la comunicazione: far domande aperte, evitare affermazioni perentorie, usare frasi di comprensione piuttosto che di valutazione... • la consapevolezza di essere agiti dai meccanismi di difesa e da quelli della percezione. Cercare quindi di essere più in ascolto, più osservatori... Regole di cooperazione * Regola di quantità: sii esauriente. Dai informazioni sufficienti affinchè i partecipanti capiscano * Regola di qualità: sii veritiero. Rendi credibile quanto affermi * Regola di relazione: sii pertinente. Rimani nel tema che si sta trattando * Regola di modo: sii perspicuo. Usa un linguaggio semplice, conciso e chiaro. Regole di cortesia • non ti imporre. Non porti in una posizione di superiorità, di venditore di idee, conoscenze, certezze. • offri alternative. Lascia ai partecipanti la possibilità di scegliere • metti a suo agio l’interlocutore. Non creare disagio, tensione, imbarazzo • Rispetta le differenze presenti in aula: di genere, di età, di ceto, di estrazione, di razza. Usa un linguaggio appropriato alle persone presenti in aula • Evita le squalifiche transazionali L’ASCOLTO L’ascolto di chi parla: come farsi ascoltare Per farsi ascoltare è opportuno avere qualcosa da dire che possa interessare l’ascoltatore, governare alcuni elementi del contesto, stimolare la ricettività del destinatario del messaggio, ottenere il consenso informato ed esprimersi in modo gradevole. Prima di parlare * Preparare mentalmente ciò che si vuole esprimere, organizzare il contenuto secondo criteri di importanza primaria e secondaria. * Ipotizzare il tipo di ascolto che l’ascoltatore potrà e vorrà dedicare, della relazione attuale e pregressa, dei rispettivi ruoli, della legittimità e credibilità di chi parla, del contratto d’ascolto.

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* Scegliere il registro linguistico e gli stili comunicativi più appropriati al contenuto, al contesto, al tempo a disposizione, agli obiettivi. Catturare l’attenzione Per stimolare la ricezione del destinatario chi parla può ricorrere ad alcune mosse preliminari, inviando messaggi anticipatori. Questi possono: a) precedere il messaggio primario, commentarlo o inquadrarlo in una cornice interpretativa: “Sto per dirti una cosa importante e vorrei essere ascoltato”; b) dare una visione d’insieme di quanto si sta per dire: “Ti dico cosa ho notato…”; c) porre delle clausole su come si intende trattare l’argomento: “Non sono esperto di ma...”; d) attribuire un ruolo all’ascoltatore: “Tu che conosci bene ...”. e) esplicitare come si desidera essere ascoltati: “ho bisogno di parlare per chiarirmi” f) negoziare il tipo di ascolto per chiarire disponibilità, aspettative e ruoli reciproci: “Ti va di ascoltarmi senza …”. Mantenere l’attenzione Durante la transazione è importante che chi sta comunicando si assicuri che i suoi messaggi siano recepiti. Dovrà perciò governare i seguenti fattori. 1) Ambientali: controllare suoni o rumori, luminosità, temperatura dell’ambiente, sistemazione fisica dell’ascoltatore. 2) Contenutistici: curare l’essenzialità, efficacia informativa, incisività, concisione, vaghezza, fatuità, perspicuità, novità, piacevolezza dei contenuti che propone. 3) Relazionali: prestare attenzione, interesse nei confronti dell’ascoltatore, osservazione e calibrazione del suo feedback. 4) Espositivi: curare espressioni vocali e gestuali, proprietà di linguaggio, scorrevolezza dell’eloquio, competenza e flessibilità linguistica. 5) Il tempo degli interventi: parlare quando l’altro è ricettivo. Accorgersi tempestivamente quando è il momento di modificare il tono o il linguaggio, di cambiare argomento, di passare il turno, di tacere.

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L’ascolto di chi ascolta: come ascoltare L’ascolto è dato dalla capacità di comprendere una prospettiva diversa dalla propria, di considerare le caratteristiche dell’altro e i suoi attributi di ruolo, di tenerne presente la prospettiva durante l’interazione. Per ottenere questo stato intrapsichico e interpersonale è importante tacere e adottare un’appropriata postura di ascolto. L’ascolto attivo ci invita a mettere da parte, per il tempo contingente dell’ascolto, i bisogni personali, a governare impulsi e temperamenti, a tenere a bada la tendenza a focalizzare l’attenzione su alcuni aspetti e a ignorarne altri. Ascoltare attivamente significa, anche evitare di fare troppe interruzioni, aggiunte, commenti, distrazioni, domande non pertinenti, giudizi o squalifiche, al fine di cercare di comprendere la prospettiva del nostro interlocutore. Cosa facciamo mentre ascoltiamo? A partire dalla voglia di stabilire e salvaguardare il rapporto, chi ascolta utilizza diverse conoscenze che permettono di intendere la situazione. Queste sono * capacità percettive che consentono di osservare in chi parla segnali analogici congruenti o incongruenti; * capacità intuitive che consentono di capire al volo, cogliere l’implicito, afferrare le allusioni, sopperire alle cancellazioni, contestualizzare le generalizzazioni; * capacità intellettive che consentono di collegare i diversi dati e di produrre ipotesi su tali collegamenti; * capacità interpretative che consentono di trarre inferenze, di spiegare certi fenomeni, di andare avanti e indietro per sciogliere nodi, disambiguare ambiguità, anticipare conclusioni; * capacità valutative che consentono di giudicare la rilevanza, il peso, il valore, la credibilità di quanto viene riportato; * capacità empatiche che consentono di cogliere le emozioni provate dal parlante. Per esercitare un ascolto attivo è opportuno inoltre: 1) Mettere da parte i propri bisogni personali, il bisogno di farsi valere, di avere ragione, di squalificare o di prendere il posto della persona che parla, di mostrarsi, di esibire il proprio sapere, di difendersi, di attaccare. 2) Governare la tendenza a focalizzare l’attenzione su alcuni aspetti e a ignorarne altri, a ricostruire il messaggio secondo le proprie selezioni e distorsioni percettive, le inferenze affrettate e le attribuzioni fallaci, secondo la legge del minimo sforzo. 12

3) Governare il proprio temperamento: mostrare pazienza, ascoltare fino in fondo senza eccessive interruzioni, aggiunte, commenti, distrazioni, domande non pertinenti, giudizi e squalifiche. 4) Concentrarsi sui contenuti: comprendere e difendere nella contingenza dell’ascolto la prospettiva dell’interlocutore, prestare attenzione alle sfumature verbali, ripetere con parole proprie, riformulare, chiedere conferma, fare la verifica di comprensione. 5) Esercitare intelligenza emotiva: rendersi conto dei legami tra quanto viene ascoltato e la propria risonanza emotive; entrare in empatia per percepire i sentimenti dell’altra persona, anticipare eventuali esigenze. L’ascolto intelligente: l’arte di porre domande e la verifica dell’intercomprensione L’ascolto attivo impegna a comprendere quanto l’altra persona sta tentando di comunicare. La non comprensione è dovuta a disparità di codici, non conoscenza dei contenuti, a delegittimizzazione dell’emittente. La mutua comprensione o intercomprensione è invece frutto di codici comuni, intuito, impegno, attenzione e rispetto reciproci. Per verificare l’intercomprensione bisogna cogliere le implicazioni descrittive, interpretative, valoriali, usando ascolto attivo. L’arte di domandare Per meglio orientarsi nel contenuto espresso da chi parla può essere utile rivolgere diversi tipi di domande. Porre domande aiuta ad orientare i contenuti, ad alimentare la relazione in corso e a far sì che il discorso iniziato o accennato vada oltre, si approfondisca o cambi direzione. Tipologie di domande: Di precisione: domande tese a raccogliere le informazioni mancanti (chi, quale, cosa, come, quando, quanto, dove) Di chiarimento: domande anticipate da “perché”, “come mai” e ricercano spiegazioni, interpretazioni, motivazioni. Passive: incoraggiamenti non verbali, pause, domande di supporto, di commento, di legame, con ripetizione della parola chiave. Aperte: domande di contatto, di verifica, di focalizzazione, comparative, ipotetiche, di estensione, di ricerca delle emozioni, di sintesi, di spiegazione, di giustificazione.

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La verifica di comprensione Per verificare la comprensione si possono usare diverse tecniche: - riformulazione: dire con parole proprie quanto ascoltato (se ho ben capito quello che tu dici è...). - ridefinizione: una specie di riformulazione che consente di attenuare la forza negativa o esagerata di un termine o di un concetto (problema/questione; meraviglioso/interessante) - sintesi: una specie di riformulazione che coglie l’essenziale di quanto ascoltato ed elimina ciò che è marginale (il succo della storia è...) - estensione: ampliare, allargare o generalizzare quanto ascoltato, riferendolo a un altro contesto (quello che tu dici vale anche... altro luogo, altro tempo, altre persone) - utilizzazione del turno: chi ascolta trae spunto da quanto detto dall’interlocutore per parlare di una propria esperienza passata o attuale (anche a me ... anch’io…) - utilizzazione proiettiva: chi ascolta riflette su cosa può apprendere da quanto detto dall’interlocutore (quello che tu dici mi fa pensare che la prossima volta anche io potrò...), sui vantaggi che può comportare aver acquisito quell’informazione (quello che dici mi aiuta a...) - associazione: libero fluire di pensieri, ricordi, magari anche poco attinenti (mi è venuta in mente quella volta in cui...) - analogia, trovare un esempio, una similitudine, un isomorfismo, stimolati da quanto ascoltato (quello che tu dici è come...), oppure un fattore o un elemento di contrasto (quello che dici è del tutto diverso da...) - empatia, comprensione emozionale, riconoscimento appropriato dello stato d’animo di chi parla (l’emozione che hai provato era di...; eri proprio felice..., che paura... devi aver provato). Dissenso e non sfida Ogni comunicazione umana riflette una tensione tra auto-espressione e mutuo riconoscimento, tra parlare per sé o parlare per o con l’altro, tra parlare e ascoltare. Tale tensione può ostacolare o impedire un’intercomprensione solidale e collaborativa. I dissidi, malintesi, discordanze, divergenze, disaccordi sono provocati da un mancato riconoscimento di ciò che ognuno cerca di spiegare all’altro, una sorta di delegittimazione dei sentimenti e delle opinioni di chi parla. Il dissenso evidenzia una divergenza sui contenuti espressi. Significa avere il coraggio di asserire ciò che uno pensa e sente, senza pretendere di avere ragione e senza squalificare i contenuti o la 14

posizione dell’altro o il suo ruolo o la sua persona. Sfida significa invece attaccare la posizione dell’altra persona per darle tono, per metterla in posizione di interiorità, per mostrarne l’inadeguatezza o per evidenziare l’errore. La sfida evidenzia un sotto tondo relazionale conflittuale e antagonista. E’ la differenza tra dire “Hai torto” e “Io la penso cosi”. Sette regole dell’arte di ascoltare • Non avere fretta di arrivare a conclusioni. • Riconoscere il proprio punto di vista. Il punto di vista è la vista di un punto e da un punto: il proprio • Per comprendere quello che un altro sta dicendo assumere che abbia ragione e chiedergli di aiutare a vedere dalla sua prospettiva • Utilizzare le emozioni proprie e altrui, cogliere il loro codice relazionale e analogico. • Adottare un atteggiamento esplorativo, flessibile, fiducioso, incerto, cogliere segnali che appaiono trascurabili e fastidiosi, marginali e irritanti, incongruenti con le proprie certezze. • Accogliere i paradossi del pensiero e della comunicazione, affrontare i dissensi come occasioni per esercitarsi nella gestione creativa dei conflitti. • Adottare un approccio leggero e divertente. STILI DI COMUNICAZIONE Passivo: Io non OK tu OK * Rinuncia a esprimere le proprie idee * Ha paura di offendere * Teme di essere criticato/a * Compiace, protegge * Lascia decidere gli altri * Non si difende * Evita conflitti o contrapposizioni forti

Manipolativo: io non OK tu non OK * Altera, distorce, trasmette in modo parziale e non pertinente, nel luogo o nel momento sbagliato le informazioni * Seduce, dissimula emozioni e sentimenti, attribuisce pensieri, desideri, intenzioni, stimola sensi di colpa, di inadeguatezza, di vergogna, di vulnerabilità, di orgoglio, di prestigio

Assertivo: Io OK tu OK * Riconosce e fa valere i propri diritti e riconosce e rispetta quelli degli altri. * Esprime le proprie posizioni, senza ansietà non necessarie, senza tentare di prevaricare gli altri. * E’ libera/o di scegliere come relazionarsi * Discrimina e contestualizza * Rispetta le regole di cortesia, di cooperazione e di reciprocità Aggressivo: io OK tu non OK * Impone le proprie idee * E’ intollerante, giudicante, interpretativo/a * Riconosce i propri diritti, ignora quelli degli altri * Ipervaluta se stesso/a e sottovaluta gli altri * Ricatta, minaccia, usa l’intimidazione

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APPENDICE

1. LINGUAGGIO NON VERBALE Un artista abituato ad usare i colori e a godere delle forme percepirà la realtà circostante in un’ottica “più colorata” e con maggiori “sfumature” rispetto ad un profano; un musicista apprezzerà maggiormente armonia e pulizia di suoni rispetto a chi non se ne è mai curato.

Entrambi hanno affinato le loro percezioni ed hanno appreso alcune modalità. Con la passione e con l’impegno è possibile apprendere nuovi “linguaggi” ed ampliare così la nostra rappresentazione del mondo. Nel campo della comunicazione prestare attenzione al linguaggio non verbale, individuarne alcuni ausili interpretativi potrà consentire un cambiamente-ampliamento del sentire e del vedere e quindi delle interessanti descrizioni alternative del mondo. Gli strumenti proposti potranno dare indicazioni sui “segnali” degli altri, ma anche sui propri, preziosi per conoscerci meglio.

Un esempio ... Per avere un’immediata rappresentazione del linguaggio non verbale proviamo ad immaginare di essere in un paese straniero e di non conoscere affatto la lingua: noi italiani siamo famosi nel mondo per il nostro gesticolare e per trovare strade alternative al linguaggio strettamente verbale per comunicare! Del resto se proviamo ad osservare attentamente il nostro interlocutore anche mentre parla la nostra lingua, potremo individuare una serie di segnali che si accompagnano alle parole e che ci danno delle interessanti informazioni!!!

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Tentando una separazione di piani, (Watzlawick Menschliche Kommunikation 1974) da una parte abbiamo il contenuto (si esprime con le parole) e da una parte la relazione (si esprime con il linguaggio non verbale). Quando la relazione è positiva tutto va liscio come l’olio, ma se la relazione è da costruire o è tesa o addirittura negativa i segnali non verbali (tono, mimica, atteggiamento, gestualità, distanza) diventano molto importanti, prendono il sopravvento e spesso “inghiottono” le informazioni sul piano del contenuto. Se un interlocutore ha paura o si sente aggredito o umiliato si attiva in lui il “cervello rettile”, si innesca un parziale blocco delle funzioni cognitive e le emozioni prendono il sopravvento. La comunicazione comincia a soffrire, la “buona, efficace e duratura” relazione diventa più difficile da mantenere o instaurare. E’ straordinario come noi, pur non avendo consapevolezza piena (conoscenza del codice) del linguaggio non verbale, istintivamente gli attribuiamo maggior importanza e gli concediamo maggiore fiducia, infatti spesso lo usiamo come modalità di controllo del linguaggio verbale. Provate a dire “sono molto contenta di vederti” con un’espressione sfacciatamente triste: che reazione avrebbe la persona che vi sta di fronte? Siamo in genere molto attenti a controllare la congruenza tra il contenuto della comunicazione ed i segnali non verbali dell’interlocutore: la congruenza convince mentre l’incongruenza rende instabile il rapporto e genera disagio ed incredulità. Un occhio attento ed esperto riesce a: ricollegare queste sensazioni con i segnali che li hanno generati

operare delle verifiche

superare malintesi spesso svantaggiosi

Spesso gli insicuri, ad esempio, inviano messaggi incongruenti e qualche loro inibizione da qualcuno potrebbe essere scambiata per “arroganza”. Tengo a sottolineare l’importanza dell’operare delle verifiche perché

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anche i segnali non verbali o “analogici” non sono sempre univoci e così anche il sorriso può essere segnale di imbarazzo, presunzione e non soltanto di compiacimento; le lacrime possono essere di dolore o di gioia, lo stringere i pugni può indicare aggressività/ostilità e persino autodisciplina. Un altro motivo per prestare attenzione al linguaggio non verbale è quello che, se anche noi siamo sollecitati molto precocemente all’apprendimento del linguaggio parlato, un messaggio può essere così suddiviso nella sua costituzione (suddivisione di Albert Mehrabain):

Dalle vostre esperienze e da suggerimenti teorici potrete riscontrare delle regolarità nel linguaggio corporeo che daranno degli indizi sull’altro ma che dovranno essere sempre verificate, invece di presumere di “aver senz’altro” capito: solo un attento controllo ci consentirà di stabilire se la nostra percezione era corretta. Il miglior modo per assicurarsi di aver ben capito è stimolare l’altro a esplicitare le intenzioni e si potrà fare facendo domande o … restando in silenzio. Le domande aperte (quelle a cui non si può rispondere con sì o no) incoraggeranno l’interlocutore a esprimersi più a lungo e quindi noi potremmo prestare ascolto sia al contenuto che al modo con si parla, mentre le domande chiuse (quelle che sollecitano come risposta un sì o un no) non saranno sempre appropriate perchè, se usate per il controllo dei sentimenti al di fuori delle relazioni strettamente private, sono troppo sfacciatamente intrusive della sfera psicologica intima. Spesso il tacere allo scopo di incoraggiare l’altro a parlare più a lungo è il metodo che ottiene migliori risultati, ma è di difficile attuazione: provare per credere!!

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2. I SEGNALI NON VERBALI Studiare, approfondire, osservare maggiormente il linguaggio non verbale è un’esperienza affascinante che arricchisce la visione e la descrizione del mondo. Tutti riconoscono il valore di gesti, atteggiamenti, comportamenti nel favorire o talvolta ostacolare la comunicazione, anzi il linguaggio non verbale spessissimo viene utilizzato come “codice di controllo” della comunicazione verbale nonostante pochi ne hanno fatto materia di studio. Chi volesse tentare di “imparare”, nel senso tradizionale del termine, questo linguaggio, probabilmente dovrà procedere per gradi, prima individuando i segnali non verbali più usati per poi tentare di scoprirne i significati e le possibilità di utilizzo. L’obiettivo della conoscenza potrà essere non solo quello di affinare le proprie capacità comunicative attraverso l’utilizzo consapevole del linguaggio non verbale (traguardo molto difficile da raggiungere), ma soprattutto quello di poter interpretare più chiaramente il messaggio dell’interlocutore e soprattutto “allargare” la conoscenza di sé. Facilmente si può avere la percezione di che cosa è il linguaggio non verbale immaginando di trovarsi all’estero senza conoscere la lingua: quando ci servirà la collaborazione di un’altra persona occorrerà attingere a risorse diverse dalle parole e per le comunicazioni “di routine” e/o quelle riconducibili al contesto non sarà difficile!! Al di là delle differenze culturali, anche a volte contrastanti dei vari Paesi, è come se esistesse per la specie umana un codice di linguaggio universale. Usualmente il linguaggio non verbale è contemporaneo al linguaggio verbale e ciascuno secondo la propria inclinazione, educazione o contesto sceglierà per lo più inconsapevolmente di utilizzare maggiormente l’uno o l’altro.

Watzlawick, in alcune sue pubblicazioni, aveva sostenuto che ogni comunicazione avviene contemporaneamente su due piani, quello del contenuto e quello della relazione: mediante le parole trasmettiamo delle informazioni e con i segnali del corpo diamo “informazioni alle informazioni”.

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Risulta facile accorgersi che se non c’è congruenza tra i due tipi di segnali l’interlocutore “tenderà le orecchie” essendosi avvalso del linguaggio non verbale per “controllare quello verbale”. Acquistano così importanza il tono della voce, la mimica, l’atteggiamento, la distanza, la gestualità segnali che non hanno significati univoci e che possono essere anche facilmente fraintesi (il sorriso è ironico o segnale di gioia? Il silenzio è insicurezza o scelta consapevole? ...). Si può tentare di individuare alcune “regolarità” anche nelle forme di espressione del linguaggio non verbale proprio per quello che attiene all’atteggiamento, alla mimica, alla gestualità, alla distanza, al tono. Il tono riguarda la sonorità delle espressioni dell’individuo e quindi l’intonazione, il ritmo, ma anche il sospiro o il silenzio; per mimica intendiamo tutto quello che si può osservare sul viso di una persona; per atteggiamento possiamo intendere la postura dell’individuo ed anche i movimenti che la modificano (spostarsi di lato, incrociare le braccia…), la distanza è quella che ci separa dagli altri o i movimenti per regolarla (per es. indietreggiare); nella gestualità comprendiamo tutti i gesti delle braccia ed alcune azioni riconoscibili come “gesti”: grattarsi la testa, schiacciarsi la punta del naso… Come tutte le classificazioni anche questa presenterà delle difficoltà volendo analizzare alcuni comportamenti o segnali, ma può aiutarci a stimolare il nostro senso di osservazione. Altre capacità che contribuiscono a questo apprendimento sono una buona capacità di ascolto e una buona dose di empatia in quanto comprendere il proprio mondo emotivo aiuterà a intuire quello degli altri. Attraverso l’osservazione, la capacità di ascolto e l’empatia riusciremo a riconoscere il linguaggio del corpo per poi passare ad interpretarlo e … giudicarlo positivo/negativo in base a criteri di onestà/sincerità, congruenza/incongruenza, spontaneità/autodisciplina, scherzo/ironia. Occorre però molta prudenza: nessun criterio è assoluto, anche quello che ci sembra il più accettabile; anche la sincerità a tutti i costi potrebbe risultare inopportuna e/o offensiva, inaccettabile. Inoltre, regola fondamentale del linguaggio non verbale è quella che nessun segnale da solo ha un preciso potere enunciativo e che il linguaggio 20

verbale e quello non verbale sono interdipendenti e quindi, nell’interpretazione, dobbiamo tener conto necessariamente di entrambi.

3. SAPER ASCOLTARE E’ possibile valutare la capacità di ascolto in relazione al tempo dedicato, alla modalità ed ai benefici ricevuti? Saper “ben ascoltare” può portare ad aprire la mente a nuove idee, a nuove soluzioni, ad arricchimento della persona. E’ un’abilità che può essere molto utile anche per la crescita professionale. Questa capacità contribuisce notevolmente ad essere dei bravi genitori, dei buoni figli, degli insostituibili compagni; è indispensabile ai medici, ai manager, indiscutibilmente agli addetti alle vendite. Da studi statistici, come si vede da grafico, è stato rilevato che, nei processi di comunicazione, la maggior parte del tempo viene dedicata all’ascolto.

Poiché il tempo è un bene prezioso e va utilizzato al meglio, le modalità di ascolto dovrebbero essere migliorate. Un metodo è quello di analizzare schematicamente le proprie modalità di ascolto e tentare di quantificarle:

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Ascolto finto

Ascolto “a tratti”, lasciandosi catturare da distrazioni, dall’immaginazione e comunque fidandosi dell’intuito che precocemente cattura le cose “importanti” tralasciando quelle meno importanti. Ascolto quindi passivo, senza reazioni, vissuto solo come opportunità per poter parlare.

Ascolto logico

Ci si sente già soddisfatti quando ci si scopre ad ascoltare applicando un efficace controllo del significato logico di quello che ci viene detto. L’attenzione sarà concentrata sul contenuto di ciò che viene espresso ed anche l’interlocutore potrebbe avere l’errata convinzione di essere stato capito

Ascolto empatico

Ci si mette in condizione di “ascolto efficace” provando a mettersi “nei panni dell’ altro”, cercando di entrare nel punto di vista del nostro interlocutore e comunque condividendo, per quello che è umanamente possibile, le attivo sensazioni che manifesta. Attenzione: da questa modalità è escluso il giudizio, ma anche il consiglio e la tensione del “dover darsi da fare” per risolvere il problema.

Quanto si è disposti a credere che quest’ultima modalità possa allargare le conoscenze, facilitare i rapporti, evitare errori, risparmiare tempo, aumentare la fiducia nella relazione? Può valer la pena di fare dei tentativi? Lo sforzo necessario sarà di spostare il l’interesse dal “perché” l’altro dice, interpreta o vive una situazione al “come” la dice: avendo, e quindi mostrando, interesse e comprensione (“sei importante, ho stima di te e riconosco, rispetto e condivido il tuo sentimento”). Potrebbe succedere che chi parla, sentendosi ascoltato, tenterà di migliorare la comunicazione sia nella quantità che nella qualità a tutto vantaggio della ricchezza delle informazioni, del senso di sicurezza, della fiducia e dell’onestà.

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Applicare una più efficiente modalità di ascolto avrà diversi vantaggi nei vari ambiti: riduce le incomprensioni

induce l’interlocutore ad esprimersi a pieno senza timore: spesso stimola in lui la ricerca delle migliori possibilità espressive, anche nei contenuti!

Rapportarsi al meglio con gli altri aumenta l’autostima e la fiducia in se stessi: si immagazzinano più informazioni, si eseguono meglio le istruzioni ed anche si ha maggior controllo su quelle date. Meno errori vuol dire impiegare il tempo al meglio in un clima di fiducia e di rispetto. Saper ascoltare se stessi, inoltre, metterà al riparo da scelte di cui ci si potrebbe pentire e aiuterà a soddisfare i bisogni ben individuati. Gli obiettivi raggiungibili ascoltando a livello attivo empatico potrebbero consistere, quindi, in un arricchimento personale, in un sostegno al nostro interlocutore perché trovi da solo le risposte ai suoi problemi o entrambi contemporaneamente; in tutti i casi: conviene aspettare il proprio turno ascoltando e poi parlare Attenzione: le nostre abitudini di ascolto in qualche modo sono state influenzate dai modelli appresi da bambini e da come si è sviluppata la nostra integrazione nelle prime occasioni di socializzazione. Tuttavia, con un certo esercizio, è possibile migliorare le proprie capacità di ascolto. Ecco due semplici esercitazioni per:

migliorare le abilità di ascolto imparando ad utilizzare un ascolto attivo empatico

1)

a) Nella situazione in cui il nostro interlocutore è preda di uno stato emotivo alto (rabbia, ansia, agitazione), per un fatto che non dipende da te, prova ad ascoltare al livello attivo empatico. b)Prova ad ascoltare al livello attivo empatico quando il problema che ha causato lo stato emotivo ti coinvolge come attore (l’interlocutore ti considera

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la causa del suo stato emotivo perturbato). La teoria, in questo caso, è applicabile più difficilmente e sarà necessario uno sforzo per riuscire nell’impresa.

2)

Fai mente locale su qualche persona che ritieni un “buon ascoltatore”, poi rifletti sul suo modo di porgersi e sulle gradevoli sensazioni che ti procura; ricorda, inoltre, qualche situazione in cui un buon ascolto ha o avrebbe risolto un problema più in fretta.

allenarsi all’ascolto e alla consapevolezza 1) Prova a ripensare ad alcuni momenti passati della tua vita in cui sei riuscito ad esprimerti su argomenti “difficili”; quanto ti sei sentito veramente ascoltato; con chi eri? Quando o quanto invece hai “dovuto tener dentro” perché bloccato dal tuo interlocutore? Chi era? Da chi ti piacerebbe o ti sarebbe piaciuto essere ascoltato di più?

2)

Per alcuni minuti chiudi gli occhi e concentrati sui rumori che provengono dall’esterno sforzandoti di captare anche quelli meno percettibili.

3)

Prova ad ascoltare con impegno una conferenza per te poco interessante o gli interventi di una riunione noiosa.

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GLOSSARIO DI COMUNICAZIONE

BOTTOM-UP: processo di elaborazione dal basso verso l’alto, ovvero che procede dalla semplicità verso la complessità. BROWSER: è un programma, solitamente dotato di un’interfaccia grafica piacevole e intuitiva, che consente la navigazione in internet, rendendo possibile l’accesso, la visualizzazione delle pagina web e l’utilizzo dei servizi messi a disposizione. CODICE: e’ un sistema di regole che assegna ai messaggi- segnali un dato valore in modo tale che chi trasmette compie un atto di codifica, chi riceve compie un atto di decodifica. COMPORTAMENTO SOCIALE: il comportamento sociale può essere elementare o istituzionale. si considerano comportamenti sociali elementari o generici gli atti o le risposte che si producono nei gruppi sociali informali, mentre si dicono istituzionali quelli attesi o caratterizzanti chi occupa una determinata posizione sociale. COMUNICAZIONE: trasferimento di informazioni codificate - cioè segni che esprimono o rappresentano un dato oggetto fisico o mentale in base a certe regole - da un soggetto ad un altro mediante processi di emissione, trasmissione, canale, ricezione, interpretazione, con possibili patologie o alterazioni. COMUNICAZIONE DI MASSA: e’ detto comunicazione di massa ogni processo di produzione, trasmissione e diffusione di testi, notizie, immagini, suoni, atto a raggiungere in modo simultaneo o comunque

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entro brevissimo tempo un gran numero di persone separate e disperse su vasto spazio e, per lo più, non in rapporto tra loro. COSCIENZA DI CLASSE: consapevolezza di appartenere, in forza della propria posizione oggettiva nella società, a una data classe sociale, e di avere per tale motivo, al di là degli interessi immediati, essenziali interessi economici e politici in comune con tutti i membri della stessa classe, in concorrenza o in conflitto con quelli di altre classi. CULTURA DI MASSA: con questa espressione si designa anzitutto un tipo di cultura di qualità mediocre, contraddistinto da superficialità, ripetizione di situazioni ovvie o risapute, sfruttamento dei gusti più banali del pubblico. al tempo stesso essa connota anche il fatto che i materiali di tale cultura sono diffusi quasi sempre dai mezzi di comunicazione di massa, come rotocalchi, cinema, radiotelevisione, e sono “consumati” da larghe masse di persone. solo parzialmente fondato è il luogo comune per cui la cultura di massa sarebbe la cultura propria della società di massa. FEEDBACK:

e’

un

meccanismo

di

retro-azione.

Nella

comunicazione è rappresentato da ciò che l’altro ci risponde, sia a livello verbale che non verbale. GLOBALIZZAZIONE:

con questo termine si intende la

standardizzazione di tutti i mercati mondiali rispetto ad un modello unico dominante, in cui è possibile la libera circolazione di capitali finanziari, commerciali e produttivi che si rendono in un certo modo indipendenti dai singoli governi politici. KNOW – HOW: l’insieme delle conoscenze tecniche, delle informazioni, e dei processi necessari per la produzione di un qualsiasi

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bene o servizio specifico di un determinato settore, acquisibile mediante l’esperienza. MARKETING: dal verbo inglese “to market”, che significa lanciare un prodotto sul mercato. Si potrebbe anche definire il marketing come l’insieme delle attività che un’azienda deve intraprendere al fine di lanciare e mantenere un prodotto o un servizio sul mercato, traendo un profitto da tale operazione. METACOMUNICAZIONE: e’ comunicazione sulla comunicazione: un individuo che comunica con un altro, lancia a quest’ultimo un messaggio, che ha valore di informazione o di notizia, ma contemporaneamente, definisce il modo in cui questo messaggio deve essere recepito. NEW ECONOMY: indica l’insieme delle attività, le aziende e gli investimenti basati in grandissima parte sulla rete. La new economy si differenzia dalla old economy soprattutto per lo sganciamento dallo spazio fisico all’interno del quale le società operano e per la possibilità delle aziende di accedere a un mercato globale eliminando molti costi di infrastrutture ORGANIZZAZIONE:

insieme

o

sistema

quantitativamente

significativo di persone, gruppi, modalità, attività, risorse, relazioni consapevolmente coordinate per il raggiungimento degli obiettivi stabiliti in una logica di pianificazione. PROBLEM SOLVING: capacità di risolvere i problemi personali, interpersonali e delle organizzazioni, mediante l’utilizzo di tattiche e tecniche, con la massima efficacia ed efficienza. SISTEMA: connessione di tutte le parti, elementi, variabili che concorrono e stanno tra di loro in un reciproco rapporto di influenza.

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SISTEMA SOCIALE: insieme strutturato di individui e gruppi, è pertanto una rete di relazioni sociali, una struttura di ruoli, norme e aspettative. SOCIALIZZAZIONE: processo di acquisizione mediante cui i nuovi membri di una società interiorizzano tutti gli aspetti della loro cultura: non soltanto i costumi e le tradizioni di un popolo, ma anche il linguaggio, l’uso dei manufatti e tutto l’insieme di leggende, miti e credenze condivisi dal folklore.

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BIBLIOGRAFÌA ESSENZIALE

A.A.V.V. Elogio della menzogna, Sellerio, 1990 Abate Dinouart, L’arte di tacere, Sellerio, 1989 G. Axia, Elogio della cortesia, Il Mulino, 1996 Birkenbihl V.: Segnali del corpo - F. Angeli, Milano 1991 G. Bell, Come parlare in pubblico...anche per lavoro, F. Angeli, 1991 Casula C., Giardinieri, principesse, porcospini: metafore per l’evoluzione personale e professionale, Franco Angeli Casula C., I porcospini di Schopenhauer: come condurre un gruppo di formazione per adulti. Franco Angeli Casula C., La comunicazione interpersonale in E. Invernizzi, Relazioni Pubbliche; 1. Le competenze, le tecniche e i servizi di base, McGraw-Hill, Milano 2001 Conserva R., La stupidità non è necessaria. La Nuova Italia Cecchin G., Lane G., Ray W.A., Verità e pregiudizi, Raffaello Cortina Editore Goleman D., Intelligenza emotiva, Rizzoli Goleman D., Lavorare con intelligenza emotiva, Rizzoli Hinde R.A. (a cura di) La comunicazione non verbale. Nuova Scientifica Laterza, Bari, 1974 L. ANCONA, Il desiderio nella prospettiva dell’inconscio, in L. ANCONA. C. VIGNA, Sclavi M., Arte di ascoltare e mondi possibili. Tannen D., Ma perché non mi capisci?, Frassinelli 29

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come

nascono

le

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