L'Inferno Moderno Un'Immagine Riflessa Di Quello vale La Divina Mimesis Di Pier Paolo Pasolini e La Divina Commedia Di Dante Alighieri
December 22, 2016 | Author: Magdolina19 | Category: N/A
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Uniwersytet Warszawski Katedra Italianistyki
Magdalena Tchórz Nr albumu: 244952
L’inferno moderno: un’immagine riflessa di quello medievale? La Divina Mimesis di Pier Paolo Pasolini e La Divina Commedia di Dante Alighieri.
Praca magisterska na kierunku Filologia w zakresie filologii włoskiej
Praca napisana pod kierunkiem Dr Haliny Kralowej Katedra Italianistyki
Warszawa, lipiec 2007
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Oświadczenie kierującego pracą
Oświadczam, Ŝe niniejsza praca została przygotowana pod moim kierunkiem i stwierdzam, Ŝe spełnia ona warunki do przedstawienia jej w postępowaniu o nadanie tytułu zawodowego.
Data
Podpis kierującego pracą
Oświadczenie autora pracy
Świadoma odpowiedzialności prawnej oświadczam, Ŝe niniejsza praca dyplomowa została napisana przeze mnie samodzielnie i nie zawiera treści uzyskanych w sposób niezgodny z obowiązującymi przepisami.
Oświadczam równieŜ, Ŝe przedstawiona praca nie była wcześniej przedmiotem procedur związanych z uzyskaniem tytułu zawodowego w wyŜszej uczelni. Oświadczam ponadto, Ŝe niniejsza wersja pracy jest identyczna z załączoną wersją elektroniczną.
Data
Podpis autora pracy
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Streszczenie
Dlaczego pisać dziś o zamordowanym w nie wyjaśnionych okolicznościach poecie i rozwaŜać jego symboliczną wędrówkę? Wędrówkę, którą odbywa na wzór Dantego, ale juŜ nie w zaświaty, lecz po peryferiach Rzymu, bo piekła poza ziemskim juŜ nie ma. Pasolini, choć nie kończy swojego dzieła, w pozostawionych dwóch ukończonych pieśniach i we fragmentach do pieśni III, IV i VII daje nam zadziwiająco wierny obraz wędrówki wzorowanej na wielkim dziele dantejskim, w którym upodabnia do słów wielkiego poety zarówno własne sformułowania, jak i obrazy w których nawiązuje do scen Piekła. I tutaj tajemniczy przewodnik zjawia się z pomocą, gdy zagubionemu i osamotnionemu Pasoliniemu z ’63 roku drogę zastępują trzy bestie symbolizujące wady które, ku swemu przeraŜeniu, natychmiast w sobie rozpoznaje. Lecz ku większemu jeszcze zdziwieniu rozpoznaje się w swoim przewodniku. Razem wędrują przez strome i dzikie jeszcze tereny rzymskiej peryferii, lecz nie schodzą do piekieł, bo piekło istnieje juŜ tylko tu i teraz. W przypisie wydawcy Pasolini zrzeka się autorstwa fragmentów poematu prozą twierdząc, Ŝe ich prawdziwy autor zginął rok wcześniej od uderzeń kija w okolicy Palermo. Zbyt śmiałym byłoby stwierdzenie, Ŝe przepowiedział sobie śmierć w niecały miesiąc po oddaniu do druku Boskiej Mimesis. Jednak jego słowa z ostatniego wywiadu, w którym twierdzi, Ŝe piekło przybliŜa się do nas, a on sam schodzi do niego świadom wielu faktów pozostających wciąŜ nieznanymi dla ogółu, ciągle rozbrzmiewają i nadal pozostają aktualne.
Słowa kluczowe: Poezja, piekło, Rzym, peryferie, nienawiść, mieszczaństwo, proletariat konformizm, złość, poeta. Dziedzina pracy (kody wg programu Socrates-Erazmus) 09000 Języki obce i filologie
Tył w języku angielskim: The modern hell, a reflection of medieval one? The Divine Mimesis of Pier Paolo Pasolini and The Divine Comedy of Dante Alighieri.
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INDICE: pag: INTRODUZIONE________________________________________________________5 CAPITLO I_____________________________________________________________9 1. Si, il romanzo è possibile_________________________________________________9 1.1 Dalla Mortaccia alla Mimesis____________________________________________13 1.2. Poesia in forma di rosa. (1961-1964)_____________________________________19 1.3 Volontà di Pasolini “a” essere poeta_______________________________________22 CAPITOLO SECONDO___________________________________________________25 2. La Divina Commedia e La Divina Mimesis__________________________________25 2.1 Canto primo__________________________________________________________28 2.2 Canto secondo________________________________________________________39 2.3 Abbozzi, iconografia ingiallita e Rabbia___________________________________46 CONCLUSIONI_________________________________________________________61 Aneks__________________________________________________________________67 Bibliografia_____________________________________________________________82
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INTRODUZIONE (...) e non per nulla infatti, scrive La Divina Mimesis, anche Dante ponendosi a riscrivere.1
1. Questa tesi deve la sua stesura a una casuale scoperta; si tratta di un libro di Maria Sabrina Titone intitolato Cantiche del novecento. Dante nell’opera di Luzi e Pasolini. Questo piccolo opuscolo che tratta il tema dell’inferno e del paradiso odierni, paragonando Pasolini e Luzi con Dante, ci ha suggerito di approfondire l’argomento e ci ha spinto alla ricerca dell’opera pasoliniana, cioè La Divina Mimesis. Di seguito si è rilevato che non era un libro facilmente reperibile, almeno a Varsavia non ce n’era nessuna traccia, a parte alcune citazioni nel soprannominato libro dell’analisi. Neppure le ricerche fatte su internet sono state soddisfacenti e fruttuose, eccetto qualche articolo tra cui l’edizione speciale dell’Espresso del 9 novembre 1975 dedicata interamente al ‘delitto Pasolini ’, dove vengono riportati alcuni brani dell’opera in questione, intitolato Il mio inferno.2 Tuttavia nel reperire degli articoli su La Divina Mimesis, ci siamo imbattuti nel sito ufficiale di Pier Paolo Pasolini dove fra l’altro siamo venuti a sapere dell’esistenza dell’Archivio Pasolini presso la Cineteca Comunale di Bologna. Il fatto di poter consultare i materiali dell’unico, al giorno d’oggi, archivio riservato alle opere pasoliniane, ci ha permesso anche di trovare dei libri difficilmente trovabili nelle altre biblioteche. A parte le possibilità di consultare diversi documenti stampati: estratti dagli articoli apparsi una volta sulla stampa, tesi di laurea e libri, ci si possono vedere tutti i film di Pasolini, sia quelli a soggetto che documentari, tra cui uno che ci servirà nell’interpretazione de La Divina Mimesis, intitolato Rabbia, un documentario del 1963. Perché scrivere oggi su Pasolini, paragonando uno dei suoi scritti con l’omonima opera dantesca? Perché occuparsi dell’inferno?3 Sono delle domande che si pongono di primo 1
G. B’arberi Squarotti Le maschere dell’eroe dall’Alfieri a Pasolini. Micella, Lecce 1990, p.334 http://www.pasolini.net/ricordi_espresso9novembre75.htm 3 Umberto Eco incoraggia gli studenti odierni alla lettura del Paradiso dantesco affermando la sua genialità e perfezione, in quanto esso tratta di un mondo concettualmente non percettibile da un essere umano vivente. Appunto il modo di presentarlo, cioè quello di renderlo umano,accessibile al senso dell’immaginazione ( U. Eco Sulla letteratura Tascabili Bompiani, Milano 2004, p 24), afferma la perfezione della cantica. Nonostante si tratti di cose spirituali, indicibili, spesso avvolte nell’ineffabilità, Eco consiglia vivacemente la lettura del Paradiso dantesco anche alla generazione della gioventù odierna, tutt’altro che propensa a sviscerare i testi medievali. 2
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acchito e speriamo che questa tesi possa fornire loro una risposta esauriente. All’inizio ci siamo resi conto dell’impegno alquanto delicato che ci spettava nel rivelare i sentimenti reconditi dell’autore e della serietà dell’argomento se si pensa che uno di non madre lingua italiana s’imbatte nelle incomprensioni dell’italiano odierno, tanto più del volgare trecentesco. Ma nonostante gli ostacoli linguistici e quelli stilistici che rendono ambedue le opere piuttosto ardue nel decodificare il loro messaggio figurativo, il lavoro che stiamo per iniziare costituisce una sorta di sfida che vale la pena di accettare, anzitutto per il piacere personale della lettura e della scoperta. Quindi l’obiettivo che ci poniamo ora starà nel paragonare due testi: uno novecentesco di Pier Paolo Pasolini: La Divina Mimesis, l’altro trecentesco di Dante Alighieri La Divina Commedia. Non è possibile prevedere quali conclusioni ne usciranno fuori dopo aver compiuto l’analisi comparativa e neppure prevediamo di seguire rigorosamente l’ordine inderogabile delle domande principali che stiamo per elencare. Per adesso lo scopo è quello di cercare delle risposte a parecchie domande incalzanti: Perché Pasolini ha tentato di intraprendere la trascrizione
dell’inferno nel suo mondo
contemporaneo? Che cosa significava per lui l’inferno e dove alla fine lo ha trovato? Di seguito cercheremo di riflettere sull’opinione di Alberto Moravia che smentisce la voce secondo cui Pasolini non poteva morire che così4 dato che egli stesso affermava che il suo modo di vivere era sempre incline alla morte e non ne aveva paura, il ché è confermato anche dalle sue parole in cui diceva che ogni notte rischiava la vita.5 Queste sono poche di tante domande che si pongono se si pensa al “poeta delle ceneri”, soprattutto all’ultimo periodo della sua creazione sia letteraria (Petrolio uscito postumo nel 1981), sia cinematografica (Salò o le 120 giornate di Sodoma). Inoltre, solo allora decise di pubblicare La Divina Mimesis, precisamente, la diede alle stampe circa un mese prima della tragica morte precoce subita per mano, dell’allora diciassettenne Giuseppe Pelosi, in circostanze fin’ora poco chiare. Il primo capitolo di questa tesi sarà riservato al periodo che precede la stesura della Divina Mimesis; tratterà quindi degli anni della sua creazione poetica cospicua e dei suoi esodi cinematografici. Vi cercheremo non solo di rintracciare l’evoluzione del suo pensiero ideologico che si incamminava in quegli anni diversi sentieri impervi, ma soprattutto tenteremo di trovare dei motivi che spieghino il perché dell’impresa audace che costituiva già
Intanto, esprime l’opinione che oggi la terza cantica dantesca possa essere letta in maniera più efficace, perché siamo eredi non solo della cultura medievale , ma anche di quella dei secoli successivi (U. Eco Sulla letteratura pp.23-29). Anche nel caso dell’Inferno, l’incoraggiamento sopra riportato costituisce per un lettore una buona spinta all’approfondimento dell’argomento, malgrado che nel caso dell’inferno pasoliniano si tratti di tutt’altro che di concetti ineffabili. L’inferno diventa sempre più vicino a noi, se credere a Pasolini. 4 A. Moravia, A. Elkan Vita di Moravia Bompiani, Milano 1990 p. 251 5 Ivi, p.251
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di per sé il fatto d’aver osato cercare di trascrivere La Divina Commedia dantesca. Sarà anche un’occasione di ricordare gli inizi del percorso poetico della vita di Pasolini. L’analisi comparativa vera e propria dei legami tra l’opera dantesca e pasolinana costituirà l’intero capitolo secondo. Fra l’altro ad un’attenzione particolare non sfuggirà l’iconografia ingiallita, cioè un album fotografico allegato al libro e Rabbia, il film già citato. Mentre il capitolo finale sarà costituito dalle conclusioni, dove inoltre cercherò di fare un riassunto del cosiddetto ultimo Pasolini, lasciando ampio spazio al profetismo pasoliniano e tornando all’onnipresente motivo della morte.
2. Chi avrebbe mai detto che quel figlio di una contadina e di un ufficiale dalla famiglia una volta benestante, sarebbe diventato l’oggetto di molteplici scandali, un intellettuale verso cui si gettavano degli sguardi biechi. Uno dall’infanzia marcata da spostamenti infiniti e continui cambiamenti di alloggio di città in città collegati con il mestiere di militare che faceva il padre di Pier Paolo: Bologna, Parma, Belluno, Congeliano, Casarsa, Sacile, Idria, Cremona, Scandiano, Reggio Emilia, per infine tornare a Bologna6; tra Friuli ed Emilia-Romagna, d’altra parte varie persone incontrate sul percorso della vita , la scoperta del dialetto materno friulano, l’ambiente universitario a Bologna, le precarie testate dove scrisse i suoi primi articoli, il primo volume delle poesie e infine il cambiamento totale che sarebbe stato l’incontro con la capitale, Roma Eterna, dove trascorse la maggior parte della vita.7 Ecco alcune tracce precedenti al periodo romano della vita di Pier Paolo Pasolini. E infine, in seguito alla denuncia per corruzione di minorenni8 Pasolini viene non solo espulso dal partito comunista, ma è anche costretto a lasciare Casarsa Della Delizia, amato paese materno dove si sentiva fin’allora sicuro. Casarsa che allora aveva lasciato per sempre, avrebbe costituito nella sua creazione artistica il mito della civiltà precapitalistica, ancora incontaminata e autentica, in opposizione a Roma come simbolo della corruzione – città prettamente capitalistica. Qui sorge uno dei tratti rilevanti per questa tesi – la contrapposizione tra la paradisiaca Casarsa e la infernale Roma. In effetti, per trovare la sorgente di uno degli argomenti ricorrenti nella creazione del cosiddetto “ultimo Pasolini”, bisogna lo stesso riferirsi al periodo casarsnse, dove prese l’avvio la tematica della morte venuta tangibilmente a galla negli anni finali della vita e della creazione pasoliniana. A quanto pare, il suo desiderio di morire è nato in famiglia, a causa delle frequenti scenate di gelosia che suo padre Carlo Alberto faceva a sua madre Susanna.9 Ma 6
L. Martellini Ritratto di Pasolini Laterza, Roma-Bari 2006, pp. 4-5 Ivi, pp. 3-22 8 M. S. Titone Cantiche del novecento, Leo S. Olschi 2001, p. 69 9 E. Siciliano Vita di Pasolini Oscar Mondatori, Milano 2005, p.48 7
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paradossalmente, per i tre primi anni di vita del futuro scrittore, Carlo Alberto fu molto più importante di Susanna.
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Non lascia dubbi il fatto che il mancato affetto paterno contribuì
allo sviluppo della personalità del piccolo Pier Paolo. Pur essendo inizialmente lui a costituire la figura più importante, Carlo Alberto perse tale prestigio quando il primogenito stava per compiere tre anni, mentre Susanna stava per partorire Guido.11 In seguito alla scomparsa precoce del secondogenito, partigiano in Croazia, puntò sul futuro del figlio “traditore” non propenso a seguire la carriera umanistica. Il carattere oppressivo del padre, sempre più collerico e imprevedibile man mano che la sua salute peggiorava, indubbiamente non giovava all’atmosfera familiare. E perciò non dovrebbe sorprendere che costretto a fuggire a Roma dichiarava di voler strappare la madre all’inferno di Casarsa, e con questo intendeva il padre. L’epos friulano si è spento per sempre. Qui sorge un’altra domanda incalzante: il periodo casarsense, lo si può quindi ritenere un felice tempo dell’infanzia che gli avrebbe suggerito la futura composizione della teoria dei due paradisi, o con il passare del tempo, con l’arrivo della coscienza matura, si rese conto che il cosiddetto paradiso in realtà non era mai esistito?12 Non casualmente il mondo raffigurato da Pasolini rispecchia la realtà contemporanea allo scrittore; per di più appunto lui descrive esclusivamente i posti e le persone conosciuti, non vi appare nessun’ombra di irrealtà, bensì uno spietato e cristallino resoconto della vita nell’ambiente che gli era ben vicino. Questa regolarità vale per le prime rime da bambino fino alla Mimesis e oltre. Per di più lo attestano le parole in cui afferma che tutta la sua vita si trova nei suoi scritti. Siccome lo constata lui stesso, non rimane che trarne un appoggio e rendere le sue opere e la sua biografia un punto di riferimento nell’interpretazione de La Divina Mimesis. 10
Ma la vita nella mia casa era sempre la stessa, sempre uguale alla morte. V. Mannino Invito alla lettura di Pasolini Mursia, Milano 1977, p.35 11 ‘Nei primi tre anni della mia vita per me lui è stato più importante di mia madre. Era una presenza rassicurante, forte. Un vero padre affettuoso e protettivo. Poi improvvisamente, quando avevo circa tre anni, è scoppiato il conflitto. Da allora c’è sempre stata una tensione antagonistica, drammatica, tragica, tra me e lui.(...) Quando mia madre stava per partorire ho cominciato a soffrire di bruciore agli occhi. Mio padre mi immobilizzava sul tavolo della cucina e mi apriva l’occhio con le dita e mi versava dentro il collirio. E’ da questo momento “simbolico’’ che ho cominciato a non amare più mio padre. ’ Dacia Maraini E tu chi eri? Milano 1978, pp.259-69 Ogni rissa fra i genitori avvicinava già allora Pier Paolo alla morte. (E. Siciliano Vita di Pasolini Oscar Mondatori, Milano 2005, p.51). Da adulto essendo già un poeta riconosciuto, scrittore e regista, confessa in un’intervista d’aver provato verso il padre un odio che non aveva mai provato verso nessun’altra persona. I loro rapporti difficili e drammatici spiegherebbe meglio Freud, perché esse non consistevano esclusivamente nelle diversità ideologiche ( Carlo Alberto, rigoroso ufficiale, accanito nazista, odiava il marxismo). Sono rimasti insomma, fino alla fine, profondamente nemici, nonostante che fosse lui a spingere il figlio alla carriera. Pasolini definì il rapporto con suo padre come il più drammatico che avesse mai avuto nella vita aggiungendo addirittura che tranne lui non aveva nemici. (Le confessioni di un poeta di Fernaldo Giammatteo 1967) 12 Teoria dei due paradisi, i falsi paradisi del neocapitalismo e del comunismo, inizialmente destinato alla Divina Mimesis, è stato da Pasolini dirottato su un’altra opera, Teorema, 1968, in: Romanzi e racconti 1962-1975, a cura di Walter Siti e S. de Laude, Mondadori 2001, pp. 1063-1067
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CAPITOLO I
(...)
io
scendo
all’inferno
disturbano la pace di altri. Ma state attenti. L’inferno sta salendo da voi...
e
so
cose
che
non
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1. Si, il romanzo è possibile14
1. Un tentativo pervicace di creare qualcosa di “ribollente e magmatico”, il progetto della riscrittura dell’opera dantesca accompagnò Pier Paolo Pasolini dal 1963 fino alla morte. Per quanto riguarda l’inizio di tale interesse, se si crede alle testimonianze che lasciò, sarebbe a partire dal 1959 che volle seguire le tracce dantesche (la stesura de La Mortaccia) o dal 1963 – inizio della stesura de La Mimesis. D’altra parte invece già ”in una lettera a Luciano Serra del settembre 1945, Pasolini afferma che la questione di Dante è importantissima”15 e scrive tre saggi critici su Dante.16 L’opera postuma, in quanto l’autore decide poco prima della tragica morte di dare alle stampe il documento della crisi in cui era caduto in quella prima metà degli anni Sessanta. Non si può affermare con certezza se la morte precoce dell’autore de La Mimesis non abbia
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Dall’intervista di Collombo. “Mi avete chiesto qualche mese fa se è ancora possibile il romanzo (...) Credevo che il romanzo, come genere, fosse finito, in quanto che io avevo esaurito certi argomenti miei, e tendevo a dar ragione a quelli che parlavano di crisi del romanzo (del resto se ne parla da quando sono nato). Adesso, dopo una lunga meditazione sui problemi linguistici, le rispondo che si, è possibile, quanto mai possibile,, anzi, mai come ora è stato possibile! (...) mi è tornata in mente un’idea vecchissima. Scrivere un ‘Inferno’ contemporaneo. Prima doveva essere una donna del mio vecchio ‘mondo’ ‘la mortaccia’ che scendeva all’Inferno e lo vedeva dal suo punto di vista. Ora sono io stesso a fare il viaggio. Il mio è un Inferno classico, come quello di Dante: a imbuto, con tanti gironi, e qualche girone nuovo, per i nuovi peccati. Un Inferno degli Anni Sessanta, popolato di miei contemporanei: amici, personaggi, eroi della cronaca rosa o criminale, capi di governo o di partito, con tanto di nomi e cognomi:una summa ironica e pantagruelica dello spirito contemporaneo. Linguisticamente sarà sarà molto interessante: ci sarà una mescolanza di dialetti che, che oggi ormai considero arcaici, e cercherò di inventare un linguaggio per i due ‘progetti’ di Paradisi: uno neo-capitalistico e uno marxista, che descriverò con una lingua inventata, con una lingua del futuro. Si tratterà di un romanzo apertissimo, di un cosa magmatica.” Si, il romanzo è possibile – Intervista con Pier Paolo Pasolini sui problemi della narrativa d’oggi di Alfredo Barberis, il Giorno , 2 dicembre 1964 15 M. A. Bazzocchi, Pier Paolo Pasolini p.84. Il tentativo della riscrittura di Dante potrebbe solo attestare le parole di A. M. Bazzocchi che “per Pasolini conoscere un autore vuole sempre dire sperimentarlo in profondo.” (Ivi.) 16 Intervento sul discorso indiretto libero, Volontà di Dante a essere poeta, e La mala mimesi, oggi si trovano sull’Empirismo eretico, Garzanti, Milano, 1972, pp. 81-121, 14
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sollecitato l’edizione dell’opuscolo in quanto la stampa di esso è stata terminata in appena 22 giorni dalla sua scomparsa. La sua peculiarità doveva consistere nella stesura “a strati”17 nel modo che ogni brano datato non deve essere cancellato da uno nuovo che lo segue. Il risultato finale costituiscono I e II canti finiti e abbozzi degli altri III, IV e VII. Inoltre, il breve testo è accompagnato dalla iconografia ingiallita, una sorta di “poesia visiva” che completa ciò che l’autore non sapeva o non voleva esprimere con le parole e che allo stesso tempo amplifica il campo espressivo dell’opera. La Divina Mimesis ha avuto tre edizioni: la prima, del 1975 e la seconda, del 1993 escono presso la casa editrice Einaudi (quest’ultima con la nota introduttiva di Walter Siti); mentre quella ristampa più recente, dell’ottobre del 2006, presso la casa editrice Mondadori, che d’altra parte aveva già pubblicato l’opuscolo nel volume dei Meridiani Romanzi e racconti 1963- 1975. L’ultima ristampa viene arricchita con un brano dell’intervista radiofonica Incontro con Pier Paolo Pasolini, a cura di Giorgio Furbini, messa in onda sul primo programma della Radio Svizzera Italiana il 5 febbraio 1964. Inoltre l’accompagna un articolo di Enzo Siciliano L’inferno postumo di Pasolini, pubblicato precedentemente su “Il Mondo” del 25 dicembre 1975. Fra l’altro il libro contiene una ricca bibliografia delle pubblicazioni sull’opera pasoliniana, di cui una buona parte costituiscono quelle dedicate a La Divina Mimesis, e un abbozzo biografico di Pasolini a cura di Graziella Chiarchissi, sua cugina ed erede dei suoi dattiloscritti.18 Ciò che sorprende è la mancanza nell’ultima edizione dell’appendice inclusiva delle note per il Canto Primo, presente ancora nel volume dei Meridiani. L’appendice costituisce in fondo una parte autonoma in quanto nel canto primo non ve ne sono riferimenti, sono piuttosto le note provvisorie. In questo punto chiedersi se tale omissione fosse conforme all’idea del romanzo a strati, sarebbe più che altro una domanda retorica.
2. Quelli che conoscono anche a malapena la sua creazione artistica, rimangono esterrefatti davanti alla notizia della morte del poeta, presunto autore de La Mimesis, della cui opera Pasolini finge di essere editore. La notizia stupisce tanto di più che nella nota
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“Alla fine il libro deve presentarsi come una stratificazione cronologica , un processo formale vivente: dove una nuova idea non cancelli la precedente, ma la corregga, oppure addirittura la lasci inalterata, conservandola formalmente come un documento del passaggio del pensiero. E poiché il libro sarà un misto di cose fatte e di cose da farsi – di pagine rifinite e di pagine in abbozzo, o solo intenzionali – la sua topografia temporale sarà completa: avrà insieme la forma magmatica e la forma progressiva della realtà (che non cancella nulla, che fa coesistere il passato con il presente ecc.)” P. P. Pasolini La Divina Mimesis Mondadori, Milano 2006, p.45 18 Conservati presso il Fondo Pasolini nell’Archivio Contemporaneo Alessandro Bonsanti del Gabinetto Viessieux di Firenze; dove fra l’altro si trovano i dattiloscritti de La Mortaccia e de La Divina Mimesis.
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dell’editore19 viene esplicitamente detto che l’autore è stato ucciso in spiaggia a Palermo.20 Vale la pena sottolineare che l’autore vero si finge un editore che ricostruisce, il meglio possibile, il filo cronologico21 degli appunti lasciati dal poeta morto fuori dal testo dattiloscritto, tra i libri che stava leggendo o addirittura “nella sua machina e nella tasca della giacca del suo cadavere.”22 Nel progetto audace dell’autore c’erano anche Paradiso e Purgatorio, comunque le critiche non ci riportano dati sufficienti a spiegare perché l’idea paradisiaca non ebbe riscontro nella sua effettiva creazione poetica. L’unica traccia, la costituisce una poesia, inizialmente destinata a La Mimesis di seguito dirottata su Teorema di cui parleremo in seguito.
3. Giuseppe Zigania, uno degli amici intimi di Pasolini, accenna all’opposizione mimesi – dieresi23 per entrare meglio nel significato del titolo, in quanto dieresi sarebbe una specie di racconto, dell’imitazione della realtà, mentre mimesi - la descrizione, ovverosia la realtà stessa. In fin dei conti, seguendo l’esempio di Platone, Pasolini sceglierebbe mimesi – un’imitazione perfetta della realtà, invece dell’imitazione imperfetta – dieresi. Tanto più che l’imitazione perfetta non è più un’imitazione, ma la cosa stessa.24 Pasolini opta per l’imitazione della realtà e di fatto vuole esprimersi attraverso la realtà. Forse questo spiegherebbe i suoi dubbi riguardanti il senso di scrivere romanzi, dato che ogni atto singolo di lettura segue una serie di varie interpretazioni dei singoli lettori. A quanto pare, Pasolini ha voluto per forza che ogni interpretazione fosse giusta, ma giusta vorrebbe dire uguale una all’altra? Un suo sì alla mimesi attesta la scelta del linguaggio cinematografico, in quanto nei film la realtà viene rappresentata tramite un’altra realtà.
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“Egli è morto ucciso a colpi di bastone, a Palermo, l’anno scorso” (nota dell’editore) P. P. Pasolini La Divina Mimesis Mondadori, Milano 2006, p.49 20 La morte sorprendentemente coincide con quella pasoliniana e indubbiamente ci lascia pensare che Pasolini stesso non avrebbe previsto la propria fine, basta ricordare la sua atroce morte avvenuta in spiaggia dell’Ostia. In questa tesi siamo tutt’altro che propensi alle supposizioni insensate, ma bisogna solo notare che questa osservazione ci permette di rintracciare il percorso che fece l’autore e che lo condusse alla morte. 21 ‘ Lo scrupolo dell’esattezza della successione cronologica era l’unico scrupolo che io potessi avere. Mi sono dunque attaccato ad esso come a un’ancora di salvezza. Capisco naturalmente che la lettura di questi frammenti possa venir turbata e non quella del senso. Ma ho preferito il rigore – un rigore qualsiasi – a una manipolazione sia pur onesta e ragionata.’ P. P. Pasolini La Divina Mimesis Mondadori, Milano 2006, p.49 22 P. P. Pasolini, La Divina Mimesis, Mondadori, Milano 2006, p.49. 23 Mimesi – “nella critica letteraria contemporanea, la rappresentazione di una realtà ambientale, sociale, culturale e sim. condotta nel modo più possibile realistico e impersonale”. Dieresi – “svolgimento, andamento narrativo di un’opera letteraria, teatrale o cinematografica”. Le definizioni vengono riportate secondo DeMauro, il dizionario della lingua italiana. 24 ‘Dunque la vera mimesis della realtà, ossia la sua imitazione perfetta, la realtà stessa.’ Il concetto della mimesi e dieresi viene ampliamente trattato da G. Genette, Frontiere del racconto, in L’analisi del racconto pp.271-279; citato da G. Zigania, Hostia. Trilogia della morte di Pier Paolo Pasolini, Marsilio, Venezia 2005 pp. 201- 202.
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Per Giuseppe Zigania la ‘divina mimesi’ sarebbe la morte stessa di Pasolini tra il giorno dei Santi e quello dei Morti del 1975, mentre se ci fosse stata una macchina da presa a inquadrarla, si sarebbe trattato della dieresi; in quanto la morte è stata ‘vissuta’ da Pasolini con il suo corpo, è stato “un discorso dunque incarnato di cui la morte- segno è il momento più alto e funzionale, ossia il momento della massima trasgressione linguistica.”25 Prima di iniziare l’analisi vera e propria bisognerebbe chiedersi quale mimesi aveva in mente Pasolini ponendosi a riscrivere Dante? Mimesis come trasformazione divina della realtà, o trasformazione della realtà divina, o forse divina trasformazione della realtà? E chi l’avrebbe trasformata?
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Ivi, p. 202
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1.1 Dalla Mortaccia alla Mimesis26
1. Allo scopo di rintracciare il percorso pasoliniano il risultato del quale è stata la Mimesis, bisognerebbe tornare all’anno della stesura del racconto intitolato La Mortaccia, inserito poi nella raccolta di racconti Ali dagli occhi azzurri. Ne La Mortaccia27, che può essere ritenuta un’incarnazione embrionale, incunabolo della Mimesis, Pasolini, utilizzando un discorso libero indiretto in romanesco28, ricalca l’esperienza di una prostituta romana sui primi due canti della Commedia. Teresa si trova a camminare, a notte alta, ai piedi di un montarozzo, sulla Tiburtina. Dopo un tentativo di fuggire fallito, quando ormai è scivolata sulla ‘fanga nera’, appare ‘un’ombra che non si capiva bene chi era ’29. In aiuto della prostituta compare lo stesso Dante nel ruolo di Virgilio, un Dante protettivo e silenzioso che conduce Teresa verso il carcere di Rebbia . Il frammento s’interrompe anche se Pasolini continua a pensare a un suo viaggio nel mondo moderno con la guida di una prostituta30. Ne parla in un intervento del 3 dicembre 1960 sul n.48 di ‘Vie Nuove’, prendendo spunto dalla richiesta di un lettore sulla tradizione italiana di Joyce, in quanto Joyce e Gadda hanno mimato linguisticamente il pensiero e il mondo dei loro personaggi.31
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Nella intervista rilasciata ad Alfredo Barberis nell’articolo intitolato: Sì, il romanzo è possibile (Il Giorno del 2.12.1964) Pasolini sostiene che si è accorto che proprio in questi anni è nato l’ italiano come vera lingua nazionale e che avrebbe scritto un ‘Inferno’ contemporaneo. ‘ Mi è tornata in mente una idea vecchissima. Scrivere un inferno contemporaneo. Prima doveva essere una donna del mio vecchio ‘mondo’ , ‘la mortaccia ’, che scendeva all’inferno e lo vedeva dal suo punto di vista. Ora sono io stesso a fare il viaggio. Il mio è un Inferno classico, come quello di Dante: a imbuto con tanti gironi, e qualche girone nuovo, per i nuovi peccati.Un inferno degli Anni Sessanta, popolato di miei contemporanei: amici, personaggi, eroi della cronaca rosa o criminale, capi di governo e di partito, con tanto di nomi e cognomi: una summa ironica e pantagruelica dello spirito contemporaneo.’ 27 ‘Ne La Mortaccia, il mio nuovo libro, userò lo stesso procedimento linguistico: ma con degli ovvi allargamenti. Infatti la prostituta Teresa scende all’inferno, secondo la visione e lo schema dantesco e l’inferno è sempre come visto da lui ’ ci sarà dunque la fusione tra la sua lingua – il romanesco della malavita – e la mia del relatore – l’italiano letterario. Ma poiché all’inferno si incontreranno personaggi di tutti i generi – dai ministri democristiani a Stalin, dai ladri e dai magneccia a Moravia, dai napoletani ai milanesi – è chiaro che nelle storie particolari di questi personaggi dovrò adottare diverse contaminazioni linguistiche. ’ ‘La mia opera sarà comica e satirica: lo schema dell’Inferno dantesco è un elemento comico: ed è quindi esplicito e dichiarato: né più né meno che come succederebbe in un avanspettacolo.’ (Dialoghi, 69) citati da: Pier Paolo Pasolini M. A. Bazzocchi, p.87 28 A. M. Bozzacchi parla degli interessi linguistici di Pasolini per il romanesco - A. M. Bozzacchi, op.cit. p.86 D’altro canto bisogna aggiungere che tali interessi sono presenti a partire dal primo volume Poesie a Casarsa, dopo di che arriva Poesia dialettale italiana, e non dimentichiamo i primi romanzi romani Ragazzi di vita e Una vita violenta, dove abbiamo il dialetto romano che utilizzano i suoi protagonisti come mezzo di comunicazione. Inoltre un’ulteriore testimonianza di forte impatto dialettale ci forniscono i suoi film dove il dialetto gioca il ruolo da protagonista. 29 La Mortaccia in Romanzi e racconti 1962-1975, Mondadori, V edizione I Meridiani 2005, p. 593 30 ‘Anticipando il plot della Mortaccia a Massimo Massara (su ’Nuova generazione ’ nel 1960) Pasolini nomina se stesso come viaggiatore e la prostituta come guida; accenna a un antinferno in cui incontrerà Moravia, Gadda, Thomas Mann e promette un Farinata/Stalin torreggiante all’ingresso di Dite. ’(nota introduttiva di Walter Weltroni alla 2a edizione della Mimesis del 1993, Einaudi). 31 M. A. Bazzocchi Op. Cit., p.87
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Sono due canti ricalcati topograficamente dall’immagine dell’Inferno dantesco;32 a differenza del testo dantesco, Pasolini scrive in prosa, in più lo smarrimento dantesco viene sostituito dal disorientamento notturno tra i tuguri e le baracche delle borgate. Nei confronti del testo dantesco il primo canto appare più rintracciabile in quanto abbonda in riferimenti topografici:
La catapecchia di Teresa era una delle ultime, quasi laggiù in fondo, poco prima dell’arco, verso i depositi della Coca Cola.33
L’incontro di Teresa con il poeta fiorentino non è casuale: Pasolini accenna al suo interesse verso La Divina Commedia dopo la lettura di una versione a fumetti che gliel’aveva regalata un suo cliente. Secondo il progetto pasoliniano la prostituta avrebbe incontrato all’inferno padre, madre, parenti, sfruttatori, colleghe, ma anche dei personaggi noti della vita pubblica di allora.34 Per quanto riguarda il titolo, l’autore
oscillava tra tre varianti: L’infernante, La
Mortaccia e L’inferno, tra cui inizialmente l’ultimo doveva essere quello decisivo. Con il passare del tempo La Mortaccia (ovverosia L’Inferno) ha ceduto il posto a un’altra idea dantesca, quella che costituisce l’oggetto di questa tesi, cioè La Divina Mimesis, dove al posto della prostituta appare Pasolini stesso smarrito nella selva della sua contemporaneità che sarà guidato da un semplice poeta popolare- lui stesso degli anni Cinquanta. Certamente rimane l’interrogativo sul perché Pasolini abbia voluto dare alle stampe l’abbozzo di un’opera quando nel cassetto aveva qualcosa di simile, ma di dimensioni più importanti, già nel 1963. 2. Teoria dei due paradisi35 (i falsi paradisi del neocapitalismo e del comunismo) inizialmente destinato alla Mimesis è stato da Pasolini dirottato su un’altra opera, Teorema del
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Le immagini allegoriche sono dantesche: la via smarrita, la selva, il colle; i personaggi: l’homo viator, la guida: il percorso interrotto nei pressi del carcere di Rebbia corrisponderebbe alla porta infernale. A.Dini, Una commedia di borgata. Pasolini, Dante e La mortaccia, in “Paragone letteratura”, 60 -61 -62, agosto –dicembre 2005, pp. 140 -159. 33 La Mortaccia in Romanzi e racconti 1962-1975, Mondadori, V edizione I Meridiani 2005, p. 592 34 ‘Quanto agli altri personaggi poi, avremo delle vere e proprie sorprese... Stalin sarà al Posto di Farinata, Gadda fra i golosi, Migliori e Tupini fra i lussuriosi, i dorotei sotto la cappa di piombo degli ipocriti, Moravia nel limbo dei virtuosi non battezzati... li ritroveremo tutti, prima o poi, i personaggi più in voga del mondo contemporaneo; e nella bolgia dei ladri, ritroveremo, come dicevo, gli scippatorielli di Panigo che racconteranno la loro storia’. Secondo l’intervista concessa a Adolfo Chiesa, apparsa su “Paese” Sera il 4-5 luglio 1960, citato da Romanzi e racconti 1962-1975, note e notizie su testi, Mondadori, V edizione I Meridiani 2005, pp. 1964-1965 35 Il testo è accompagnato da una breve nota dell’autore: ‘Un remake poetico all’inferno di Dante. Questo è un inserimento in versi nel testo in prosa .’
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1968. In effetti, pur non essendone stata inserita, Teoria... appartiene sin dall’origine al progetto della Mimesis. Nell’analizzare questa poesia di quasi cinque pagine36 non si pensa ad altro che all’infanzia del poeta e al suo rapporto con il padre che era per lui un ideale per i tre primi anni di vita.37
Il primo paradiso era quello del padre. C’era un’alleanza dei sensi dovuta all’adorazione unica di qualcosa di eretto, (...)
In quella luce arancione e senza fine, nel cerchio del deserto come un grembo potente, all’ oscuro delle erezioni paterne ma nel loro calore (...) il bambino godeva il paradiso:
Tuttavia il ragazzo sentiva la mancanza della presenza fisica del padre dovuta probabilmente al mestiere del militare che egli esercitava:38
Egli stava lontano, o arrivava forse con un viso lievemente ironico, com’è sempre chi protegge il debole, il tenerino – ch’è quasi una donna .
I motivi dell’odio nei confronti del padre non vengono riportati esplicitamente nella poesia39:
L’odio sorse improvviso, e senza ragione. Il bambino odiò forse quell’uomo per la sua troppa innocenza.
Quale innocenza aveva in mente il poeta, o più che altro che cosa intendeva dire scrivendo appunto ‘innocenza’? E poi chi fu “innocente”? il padre o il figlio? Si trattava forse più che altro del mancato filo di comunicazione tra i due, delle divergenze nelle opinioni politiche, tutto sommato: di un insieme di fatti che hanno reso Carlo Alberto e Pier Paolo nemici. 36
Teoria dei due paradisi, in Romanzi e racconti 1962-1975, Mondadori, V edizione I Meridiani 2005, pp. 1063-1064 37 Vedi nota 11 dell’introduzione. 38 Cui accennava più volte nelle lettere agli amici da adolescente: “Mia madre (...) mi mostrava (...) i volti di mio padre, e del mio più caro amico che la guerra mi ha portato via. Il primo sono due anni che non lo vedo. Del secondo non so più nulla.” (da: E. Siciliano Vita di Pasolini Oscar Mondatori, Milano 2005, p.69) 39 Vedi nota 11 dell’introduzione.
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Il momento in cui il bambino viene cacciato dal paradiso del padre è paragonato al peccato originale40:
E il bambino perdette il paradiso. E il padre lo cacciò, punendolo Per il suo desiderio di essere punito:
Paradossalmente o semplicemente apposta, a scopo provocatorio, Pasolini distorce la storia biblica:
Il bambino cadde a capofitto sulla terra, perdette il nome di Lucifero e prese, insieme, quello di Abele e quello di Caino
Il secondo Paradiso era quello della madre; gli ricordava l’odore della sua pelliccia, aveva il colore delle primule e viole; diventa poeta per la madre,41
Era il nuovo paradiso, e in mezzo a primule e viole c’era la madre con la sua pelliccia povera42 odorata di precoce primavera.
E solo allora che scopre:
la sua dolcezza di bambina, che non ha orizzonte diverso da quello che i genitori, o fratelli, o il marito, le assegnano: 40
Francesco Manzoni riporta la teoria di Ugo da San Vittore secondo la quale Dante – personaggio assume il valore significativo allegorico di Adamo, il nostro progenitore che dopo aver commesso il peccato originale, si è smarrito nella selva cacciato dal paradiso terrestre. Allo stesso modo Dante – personaggio ripete l’esperienza del progenitore, ‘ma non perché le condizioni politiche del tempo rappresentino un ripetersi e perpetuarsi del peccato originale, sebbene perché l’uomo, ogni l’uomo, l’umanità intera, ogni volta che cada in peccato attuale (...) ripete in sé le condizioni spirituali di ribellione a Dio dalle quali nacque il peccato dei nostri genitori.’ Fare qui quest’affermazione ci pare giusto in quanto Pasolini evoca ‘il peccato originale’ la quale connotazione con la Commedia dantesca non gli è di sicuro sconosciuta. F. Mazzoni, Saggio di un nuovo commento alla Divina Commedia Inferno canti I-III G. C. Sansoni, Firenze, 1967 p.4 41 “Sono affranto di esistenza: è questo uno di quei vaghi momenti in cui la poesia torna come una memoria lontana, è l’unico senso presente e certo è quello della propria umana solitudine. (...) Oggi è venuta mia madre a trovarmi, ed è partita da poco. Pensando a lei provo una dolorosa fitta d’amore; mi vuol troppo bene, ed anch’io. Io sono poeta per lei. Mi ha scritto l’altro giorno una lettera che mi ha fatto salire alla gola una vampata di pianto.” (Pier Paolo Pasolini, Lettere dagli amici(1941-1945) Milano 1976, pp.17-18, citato da: E. Siciliano Vita di Pasolini Oscar Mondadori, Milano 2005, p. 70) 42 ‘Questo odore della povera pelliccia di mia madre è l’odore della mia vita.’ Citato da: E. Siciliano Vita di Pasolini Oscar Mondadori, Milano 2005, p. 41; la citazione svela fra l’altro una tensione incestuosa dei loro rapporti teneramente strazianti; l’adolescente mostruosamente timido che era allora Pier Paolo sta per scoprire la propria diversità.
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e rassegnata, piena di fantasia, sogna, oltre quell’orizzonte, terre solo più felici, ed eroiche, senza osare desiderarle per sé, ma desiderandole solo per quel figlietto al suo fianco, anche lui tutto imperlato del fresco delle primule.
Uno dei ricordi più intensi è il fiume che scorre nei pressi della casa dove alloggiano, gli odori e i colori attorno che creano l’immagine paradisiaca di allora. E poi l’immagine materna: madre-insegnante dei primi odori sulla natura. Il periodo del secondo paradiso finisce con lo scandalo, che indubbiamente si riferirebbe all’accusa di atti osceni in luogo pubblico e corruzione di minorenne il che ferisce profondamente sua madre:
E anche la più innocente delle madri - e non si sa come possa averlo fattoè sottostata a ciò che per il figlio è spaventoso scandalo.
Che vorrebbe dire usignolo cantante ai margini del paradiso il cui canto non sentiva nessuno?43 Veniamo a sapere che il secondo paradiso è paragonabile con paradiso terrestre. La partenza per Roma:
Stretti per mano alla madre prendemmo le strade del mondo.
Non manca un’allusione alla scomparsa del secondogenito, Guido, fratello minore di Pier Paolo:
Lucifero si staccò da Abele e seguì il suo destino finendo nel buio più profondo. Abele morì ucciso da e stesso col nome di Caino. Insomma non restò che un figlio, un figlio solo.44
43 44
Va ricordato che una delle sue raccolte di poesia è intitolata: Usignolo della chiesa cattolica, 1958. Il corsivo del poeta.
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Anche se c’è da chiedersi se la morte di Caino non si riferisse alla scomparsa di quella parte di Pasolioni che è avvenuta dopo lo scoppio dello scandalo. La morte della parte dell’anima sua che non doveva mai più rinascere. Da questo momento si inizia di parlare dell’inferno:
Dovemmo guadagnarci la vita: questo ci tolse a noi, e fu ed è il primo inferno - questo, questo, che tu visiti e ricordi. Ma sotto all’inferno c’è un altro inferno, come prima del paradiso c’era un altro paradiso.
La riflessione poetica termina con una constatazione straziante; Pasolini afferma l’esistenza dell’inferno nella sua vita da allora in poi però, il fatto di viverlo quotidianamente pare impercettibile, lo vivi/ e non sai, perché il lavoro /(...) è una necessità della vita che annienta la vita. 45 La constatazione è tra l’altro paradossale, se prendiamo in considerazione l’opera pasoliniana, la sua complessità e ampiezza; egli stesso affermava più volte che non riusciva a smettere di lavorare. Come mai quindi quel fattore annientatore attribuito al lavoro? Ricordandosi delle prime difficoltà in cui si imbatte subito dopo l’arrivo a Roma, l’idea che aveva in mente poteva riferirsi ai primi anni vissuti nella città eterna quando conosce non solo la vita nella borgata, ma vive personalmente l’estrema miseria e stenta a mantenere sé e la madre.
45
Tutte le citazioni in versi sono della Teoria dei due paradisi, in Romanzi e racconti 1962-1975, Mondadori, V edizione I Meridiani 2005, pp.1063-1067
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1.2. Poesia in forma di rosa.46 (1961-1964)
La raccolta delle poesie differisce nettamente dalla precedente Le Ceneri di Gramsci, in quanto molto più autobiografica, se non persino prettamente autobiografica a suo modo. L’io narrante che costituisce poeta stesso si pone in primo piano rispecchiando (parlando della) la creatività pasoliniana in modo esauriente perché sono gli anni della ricca produzione cinematografica (Accattone, Mamma Roma, Il Vangelo secondo Matteo), della persecuzione giudiziaria, dei viaggi africani e asiatici e infine delle polemiche politico-ideologiche, negli anni del neocapitalismo che era sempre più trionfante e negando i vecchi valori del passato procedeva cambiando lo stile di vita e la morale, secondo Pasolini di allora soprattutto quelli borghesi ( pensiamo a Teorema).47 Dove rintracciamo la nostra Mimesis48? C’è una parte della raccolta intitolata Progetto di opere future dove addirittura vengono elencati dei ‘gironi’ dell’inferno contemporaneo il quale non è più ‘ubicato’ nell’al di là, ma è percettibile per noi siccome è un inferno terrestre che vivono quotidianamente gli abitanti delle più povere zone romane, e non solo. Le così dette “zone peccaminose” sono suddivise a seconda della gravità delle colpe commesse dai personaggi che vi stanno, ma non ci scordiamo che neppure la misura secondo cui tali peccati vengono giudicati, è notevolmente divergente dalle leggi governanti l’inferno dantesco, “l’inferno dell’età neocapitalista”49 viene contrapposto a quello medievale dantesco con le sue torture e pene specifiche che vi subiscono i condannati. I gironi infernali che troviamo nel
Progetto di opere future sono seguenti: TROPPO CONTINENTI
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" Questa raccolta poetica si articola intorno ad alcuni nuclei fondamentali, tra 'amore-nostalgia' e polemica, riesame impietoso e 'progetto', cupo sarcasmo e strazio: l'Africa come reincarnazione estetico-viscerale (ancora una volta) del mito 'popolare', e al tempo stesso come nuova 'ragione' nascente contrapposta al 'patto industriale' corruttore della vecchia Europa; l'affermazione del mondo del 'Passato' e della 'tradizione' come vero 'moderno' rispetto (e contro) alla mostruosa 'Dopostoria' neocapitalistica; la ricerca di un rapporto solidale tra la propria condizione (privata e storica) di 'diverso' e di eretico della Chiesa cattolica e di intellettuale borghese 'traditore' della propria classe, da un lato, e 'gli Ebrei... i Negri... ogni umanita' bandita', dall'altro: la metafora della 'Nuova preistoria', come punto di trapasso tra l'estrema fase della 'irrealta'' capitalistica e borghese, e l'avvento di una nuova 'aurora'; e infine, la 'alternativa', l'approdo al 'magma' poetico e alla 'disperata vitalita'', e quindi la presa di coscienza lucidamente autocritica del fallimento di un'esperienza 'vitale' che si sente 'disperatamente' esclusa dalla storia. La simbolica 'morte' e il preannunciato 'silenzio' poetico della parte finale della raccolta, significano anche questo. E' chiaro perciò come a questa intera fase del curriculum pasoliniano, presieda una crisi di fondo: l'avvento del neocapitalismo come processo di disumanizzazione e corruzione e distruzione di ogni civilta' e tradizione e valore, come fine di ogni possibile opposizione e lotta e 'alternativa'. Pasolini si muove tra tentazioni regressive e punte di rivolta, tra una carica anticapitalistica e un abbandonato ritorno alle mitologie originarie (reincarnate o meno); e anticipa in sostanza alcune linee del suo futuro discorso sullo 'Sviluppo' negli anni settanta, con i suoi momenti attivi e passivi". Gian Carlo Ferretti, dalla prefazione a Le belle bandiere, Editori Riuniti, Roma. 47 http://www.pasolini.net/poesia_formadirosa.html 48 ‘Secondo i progetti La Mimesis doveva diventare un’opera totalizzante, capace di comprendere La realtà; il versante antico dantesco doveva trovare corrispondenza del versante moderno del romanzo ‘catedrale’ di Proust (non per niente uno degli autori del famoso Mimesis di Auerbach)’ M. A. Bazzocchi, op. cit. p.97 49 Pier Paolo Pasolini PRF in Poesia in forma di Rosa p.208
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(Conformisti, Volgari, Cinici, Deboli, Ambigui, Paurosi50); GLI INCONTINENTI, ZONA PRIMA ( eccesso di Rigore, eccesso di Rimorso, eccesso di Servilità), ZONA SECONDA (Raziocinanti, Irrazionali, Razionali).51 Ciò che è distinguibile di primo acchito sono i personaggi che entrambi incontrano nei loro inferi: Dante ha a che fare esclusivamente con i morti, invece Pasolini vi incontra delle persone a lui contemporanee come Landolfi, De Grulle, Moravia. Anche la poesia accenna alla tematica dominante del primo canto della Mimesis, cioè al sole. Qui viene delineata con le parole del poeta un’immagine assai pittoresca di una bambina che corre ‘nel cuore del sole ’ verso un’altra bambina che già vista a distanza fa emanare da lei una sorta d’amore immenso, sincero, incontaminato perché puerile. E la luce che illumina tutto è il testimone dell’incontro inconsueto, tanto più inconsueto perché pare avvenisse nell’inferno. Il posto ha quindi in comune con quello medievale esclusivamente il nome, dato che il concetto della luce nell’inferno dantesco non esisteva, anzi l’inferno era privo di luce, immerso eternamente nel buio pesto. L’immagine dell’incontro affettuoso delle ragazze che corrono l’una verso l’altra evoca un fotogramma dell’episodio fiabesco La terra vista dalla luna52 (1966), la cui trama narra una storiella di un padre e un figlio che dopo aver seppellito la moglie e madre si recano alla ricerca di una nuova vittima che possa occuparsi di loro e mettere a posto la loro catapecchia, il loro tugurio ormai inabitabile. Anche qui vediamo una scena del genere, però è un momento piuttosto divergente dell’immagine che percepiamo nella poesia pasoliniana, siccome vi si tratta dell’ incontro con il marito e il figliastro della sordomuta e bellissima sposa (Silvana Magnano) dopo un temporaneo allontanamento da casa di lei a causa del consorte (Totò) e del figlio adottivo (Ninetto Davoli) alquanto difficili nella convivenza quotidiana. La morale della fiaba, pur
nettamente diverso dall’incontro innocente delle
ragazzine vale ad essere evocato in quanto appartiene ai fotogrammi facilmente reperibili
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Lo stampatello e le maiuscole delle categorie di peccatori, li riporto come nel testo originale di Pasolini stesso. Per confrontare le differenze nella suddivisione riportiamo anche la divisione dantesca: ignavi; virtuosi non battezzati o nati prima di Cristo; lussuriosi; golosi; avari e prodighi; iracondi e accidiosi; eretici; violenti contro il prossimo; violenti contro se stessi, suicidi e scialacquatori; violenti contro Dio e la Natura: bestemmiatori, sodomiti, usurai; ruffiani e seduttori; adulatori e lusingatori; simoniaci – venditori di cose spirituali; maghi e indovini; barattieri; ipocriti; ladri; consiglieri fraudolenti; scismatici e seminatori di discordia; falsari; giganti, sfidanti nei confronti delle divinità e superbi traditori dei parenti; traditori della patria; traditori degli ospiti; traditori dei benefattori. Da: Premessa all’Inferno, in: Dante Alighieri Commedia – Inferno, a cura di E. Pasquini e A. Quaglio, Garzanti, Milano 2004 52 “La terra vista dalla luna” è una parte del film “Streghe” (1967) di regia Mauro Bolognini, Franco Rossi, Luchino Visconti, Pier Paolo Pasolini e Vittorio De Sica; con Totò, Ninetto Davoli e Silvana Magnano.E’ una fiaba il cui morale scherzoso sarebbe: essere vivi o essere morti è la stessa cosa. Un episodio appartiene al raro nel caso pasoliniano, cinema di allegria. Da una parte è Ninetto un portavoce di allegra giovinezza, d’altra invece la figura di Totò rende particolarmente gioiosi i film pasoliniani in cui partecipò pur incarnando dei personaggi così seri come san Francesco (Uccellacci e uccellini, 1966). 51
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nella creazione cinematografica di Pasolini. (Edipo Re, Medea, incontro di amanti de Il Fiore di mille e una notte). Pasolini, almeno nel progetto, pone l’italiano non nazionale, la lingua dell’Inferno53, in opposizione alla nascita dell’italiano prodotto della nuova industrializzazione del Nord, e infatti la lingua nata in conseguenza dell’industrializzazione è quella nazionale in quanto i nuovi termini tecnici che sono apparsi negli anni del boom economico erano uguali sia per i settentrionali sia per i meridionali. Frammenti infernali, Memorie barbariche, Paradiso la teoria della divina teoria, La Divina Realtà e infine La Divina Mimesis. Nella nota n.2 Pasolini ne aggiunge un altro, dal titolo ‘Mammona (o Paradiso)’ e se il primo non ci stupisce, quello secondo tra parentesi ci lascia più che altro perplessi. Sarebbe una specie di ossimoro o si tratterebbe di un vago progetto, cui fa riferimento M. G. Titone, di riscrivere tutta l’opera dantesca, però iniziando dal Paradiso (che per Pasolini erano gli anni friulani)? L’ordine stabilito dalla struttura della Teoria dei due paradisi, cioè il paradiso seguito dall’inferno, spiegherebbe l’ordine alla rovescia della riscrittura che Pasolini si era posto.
53
‘La Divina Mimesis (...) si presenta miticamente come l’ultima opera scritta nell’italiano non nazionale, l’italiano che serba viventi e allineate in una reale contemporaneità tutte le stratificazioni diacroniche della sua storia. Nell’Inferno si parla dunque questo italiano, in tutte le sue combinazioni storiche (...) Invece, tutte le prospettive del futuro – ossia il progetto e la costruzione (in corso) dei Due Paradisi – quello neo-capitalistico e quello comunista – saranno redatte nella ‘supposta’ lingua nuova’ La Divina Mimesis in Romanzi e racconti 1962-1975, p.1118
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1.3 Volontà di Pasolini “a” essere poeta L’ultimo trentennio54, ovverosia gli ultimi sessant’anni dal giorno d’oggi, non abbondano dei riferimenti a Dante nella letteratura italiana. Le infrequenti presenze dantesche che appaiono ogni tanto sono sia di carattere critico che creativo. Pasolini ebbe un suo contributo sia nella critica dantesca55 che nella letteratura che sfida il sommo poeta, in quanto è l’unico fra i contemporanei che affronta il compito di rifare la Commedia. La presenza, al giorno d’oggi indubitabile, di Dante in Pasolini56 prende lo spunto percettibilo a partire dalla pubblicazione postuma de La Divina Mimesis nel novembre del 1975 , si deve tenere pure conto dei tre saggi critici pasoliniani in merito agli aspetti linguistici della creazione dantesca, apparsi nel 1965 su “Paragone”.57 Invece il forte desiderio di diventare poeta accompagna Pasolini sin dall’infanzia, da quando sua madre gli mostra come si fanno le rime. Il primo volume, Poesie a Casarsa del 1943, afferma solo la sua inclinazione poetica. Ciò spiegherebbe il particolare interesse per il suo maggior predecessore nel campo poetico della penisola italiana, al di fuori del discorso dantesco linguistico che riguarda indubbiamente di campi d’interesse comuni. La volontà di Dante “a” essere poeta di Pier Paolo Pasolini58 è un saggio in cui si indagano, sulla scorta delle indicazioni di Contini, i due registri linguistici, del poema dantesco – teologico – impone al testo un ritmo veloce e assolutizzante, tutto teso alla meta finale, ma c’è anche un punto di vista terreno che fa di continuo soffermare lo sguardo sulle cose del mondo – continuo movimento: elevazione e abbassamento della lingua parlata alta da
54
L’ultimo trentennio di Giorgio Barberi Squarotti, in Zennaro Silvio (a cura di) Dante nella letteratura italiana del Novecento Atti del Convegno di Studi Casa di Dante-Roma 6-7 maggio 1977, Bonacci Editore, Roma pp.245-277. Il libro, pur essendo stato pubblicato una bellezza di trent’anni fa, fornisce uno sguardo tutt’ora attuale della tematica dantesca nella letteratura contemporanea. 55 ‘ Intervento sul discorso indiretto libero’, ‘La volontà di Dante a essere poeta’, ‘La mala mimesi’ 56 ‘La questione di Dante è importantissima, Luciano. Si tratta di rinunciare, per potersi intendere, alle nostre due particolari retoriche o illusioni, che sono le nostre speranze per il presente. Io sono stato troppo brusco con Dante; ma tu forse insincero. Infatti non avrai assolutamente modo di dimostrarmi che, per ora, Egli sia stato una tappa nel nostro cammino, un aiuto, e un’influenza quasi sulla nostra poesia. In futuro nessuno può dir niente; certo l’inimitabilità di Dante, la solitudine della sua concezione poetica, l’inaccessibilità delle sue terzine sono cose dimostrate. Che gratitudine, io, posso avere per lui? E perché ricordarlo con falsa venerazione, nei miei scritti che sono assolutamente privati?’ P. P. Pasolini Lettere (1940-1954), a cura di N. Naldini, Torini, Einaudi 1986, p.206 57 I saggi: ”Intervento sul discorso indiretto libero” sulla lingua di personaggi danteschi a seconda del loro livello sociale e psicologico; “La volontà di Dante a essere poeta” dove viene rivelata la doppia natura del poema dantesco percettibili come opposizioni: neologismo-sociologismo, figurativismo-allegorismo, lingua prosasticalingua poetica; e “La mala mimesi”, ancora sul discorso libero indiretto. “Questi interventi non sono tanto studi specifici su Dante, quanto ricerca di una conferma, anche in Dante, dei principi fondamentali della poetica pasoliniana.” (S. Bazzana, Il dantismo di Pasolini, in Dante nella letteratura italiana del Novecento, a cura di S. Zennaro, Bonacci Editore, Roma 1977 p.279) sono stati raccolti da Pasolini in Empirismo Eretico del 1972 58 P. P. Pasolini Empirismo Eretico Garzanti, Milano 1972 pp.104-114
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un’élite a quelle particolari parlate da categorie sociali basse.59
Le sue pagine critiche
testimoniano la complessità dell’interesse che egli nutre per il poema di Dante.
Si tratta di abbandonare il proprio mondo per cercare materiali espressivi in altri mondi attraverso la tecnica del discorso libero indiretto, si tratta di praticare una mimesi con cui l’io dell’autore si renda distante come quello dei suoi personaggi.
60
La nozione di realismo elaborata dalla critica marxista viene messa in crisi da questa osservazione, alla quale Pasolini aggiunge l’idea che giustifica ora la sua stessa operazione di realismo in qualche modo autobiografico:
Dante ha potuto ottenere questo incorporando se stesso nella sua materia, cioè rendendosi protagonista del poema
61
La questione dantesca è tanto più rilevante in quanto:
(...) con Dante, siamo non solo davanti alla scoperta della lingua, ma davanti alla scoperta delle lingue. Nell’atto stesso, in cui è nata in Dante la volontà a usare per la Commedia la lingua della borghesia comunale fiorentina, è nata anche la volontà di capire i vari sublinguaggi da cui essa è formata (...)62
Nell’Intervento sul discorso indiretto libero, il tipo di discorso sul plurilinguismo dantesco, il quesito, viene paragonato alla mimesi, in quanto lo scrittore, ‘per un bisogno di intercomunicabilità col suo personaggio e un non meno misterioso bisogno di espressività , crea la condizione stilistica necessaria per rendersi narrante attraverso il suo personaggio.’63 Un’esistenza marcata da continui scandali, iniziando con quello casarsense del ’49, per finire con la morte, scioccante e sbalorditiva, che ha infine chiuso questa catena, a meno che non si tratti delle pubblicazioni postume (Petrolio, Amado mio preceduto dagli Atti impuri) o della prima visione del suo ultimo film Salò, 120 giornate della Sodoma, che avrebbe dovuto essere il primo della trilogia della morte.
‘Ma l’operazione autobiografica è ancor più forte nel testo scritto dove viene ripreso passo per passo il modello dantesco ’64
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M. A. Bazzocchi, Op. Cit. p.88-89 P. P. Pasolni, Volontà di Dante a essere poeta, in Empirismo eretico, Garzanti, Milano 1972, p. 61 Una lettera di Contini del 6 dicembree 1965 da: Pier Paolo Pasolini M. A. Bazzocchi, p.89 62 P. P. Pasolni, Volontà di Dante a essere poeta, in Empirismo eretico, Garzanti, Milano 1972, p.104 63 P. P. Pasolni, Intervento sul discorso indiretto libero, in Empirismo eretico, Garzanti, Milano 1972, pp.82-83 64 M. A. Bazzocchi, Op. Cit. p.99 60
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Pasolini si sentiva vicino a Dante vicino a se per una certa comunanza delle sorti: entrambi vivevano nelle società che li hanno esclusi. Pasolini si sentiva anch’egli, un esiliato, costretto a lasciare la sua amatissima Casarsa dopo lo scoppio dello scandalo e l’accusa di corruzione di minorenni. Echi danteschi sono rintracciabili anche nella sua produzione cinematografica, ad es. nell’Accattone in cui come epigrafe vengono riportati i versi del Purgatorio; lo stesso Accattone uscito dall’inferno, al contrario di Dante, si sporca la faccia bagnata di sabbia; in Salò, le 120 giornate di Sodoma, è riconoscibile la struttura dell’inferno dantesco. In Petrolio, il protagonista cambia sesso, ricerca ininterrottamente della propria identità diventa una sua ossessione. Siccome la riedizione de La Mimesis (Einaudi nel 1993) ha contribuito a riaccendere l’interesse per il binomio: Dante - Pasolini, e dato che la seguirono dieci volumi dei Meridiani, ancor di più la ristampa della raffigurazione di un Inferno a noi contemporaneo non dovrebbe passare senza lasciare eco.
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CAPITOLO SECONDO (...) la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio. Gv,3 19-21 Dante Alighieri continua a sorprendere e a sedurre il lettore contemporaneo, lo ammalia con la ritmica cangiante, forte, sommessa, gloriosa della sua poesia, fino a indurlo a risalire la corrente del tempo per attingere a una misteriosa sorgente medievale: la “Commedia Dantis Alagherii, fiorentini natione, non moribus.”65
L’inferno non è un posto, ma una situazione. S. T. Eliot
2. La Divina Commedia e La Divina Mimesis66
1. Lasciate ogni speranza di una lettura facile e piacevole voi lettori che desiderate provare delle emozioni comparabili a quelle che accompagnano la lettura de la Divina Commedia.67 Non ci rimane che condividere il dubbio di Walter Pedula che nei confronti delle edizioni postume di Pasolini, innanzitutto in merito alla Mimesis, si chiedeva se l’opera fosse stata pubblicata senza correzioni e modificazioni necessarie; in fin dei conti esprime
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Questa è la definizione dell’opera che –intorno al 1316, in corrispondenza con la stesura, dunque, dei primi canti del Paradiso – Dante enuclea nella Epistola a Cangrande (XIII, 28)”Libri titulus est: ‘Incipit Commedia Dantis Alaghierii, fiorentini natione, non moribuss.’ ” citato da: M.S. Titone Cantiche del Novecento. Dante nell’opera di Luzi e Pasolini Fondazione Carlo Marchi, Quaderni 10, Leo S. Olschi 2001, p.1 66 Nell’ambito di una tavola rotonda tenuta al Festival Provinciale dell’Unità di Milano, Pasolini offre una chiave di lettura al testo: “Immagino una specie di discesa agli inferi, dove il protagonista, per fare esperienza del genocidio di cui parlavo, percorre la strada principale di una borgata, di una periferia di una grande città meridionale, probabilmente Roma, e gli appare una specie di visioni ciascuna delle quali corrisponde a una delle strade trasversali che sboccano su quella centrale. Ognuna di esse è una specie di bolgia, di girone infernale della Divina Commedia: all’imbocco c’è un determinato modello di vita messo lì do soppiatto dal potere, al quale soprattutto i giovani, e più ancora i ragazzi, che vivono nella strada, si adeguano rapidamente. Essi hanno perduto il loro antico modello di vita, quello che realizzavano vivendo e di cui in qualche modo erano contenti e persino fieri anche se implicava tutte le miserie e i lati negativi che c’erano [...]; e adesso cercano di imitare il modello nuovo, messo dalla classe dominante di nascosto. Naturalmente io elenco tutta una serie di modelli, una quindicina, corrispondenti a 10 gironi e 5 bolgie. “ (F. Panzeri Guida alla lettura di Pasolini). 67 Per darne prova abbiamo tradotto le due cantiche compiute in polacco, esse vanno allegate alla fine di questa tesi.
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un’aspra critica della poetica de La Mimesis, in quanto un lettore vi trova difficilmente un barlume di compiacimento nella lettura.68 2. Ci sorprende la mancanza dell’appendice a ‘ La Divina Mimesis’ nell’ultima ristampa dell’opuscolo.69 L’appendice conteneva una poesia Di cos’altro parlano... e nota per il canto primo. La poesia, secondo le note che ci riporta il volume dei Meridiani redatto da Walter Sitti, era inizialmente destinata al canto IV, dove viene descritto il Giardino dei poeti, lo spiega la collocazione del dattiloscritto assieme allo scartafaccio intestato: Canto IV.70 Per quanto riguarda la nota per il canto primo (1963-67) Walter Sitti osserva che
Nota dell’editore (...) seguiva immediatamente nel Canto I il passo sugli operai la cui esistenza ‘stringe il cuore’ (nella redazione definitiva, in RR II, p.1078) e la decisione di espungerla sembra presa durante la preparazione del dattiloscritto per la tipografia, visto che si riconosce in quel punto, nel dattiloscritto, un esponente classico, preceduto da una fila di puntini (c.5): Sono qui dunque: a annoverare come unico dato positivo del mondo in cui storicamente sperimento il fatto di vivere – l’esistenza di questi operai (che stringe il cuore). .......................................1)71
Anche se inseriamo le note pasoliniane nel brano suggerito, ci permettiamo di constatare che tale accostamento risulta privo di legame logico a meno che non lo si legga nella chiave di un passo simile che Pasolini inserisce nel suo ultimo romanzo, sempre postumo, Petrolio. Il suggerimento ce lo dettano le somiglianze che sono percettibili se si prendono in considerazione le note e Appunto 55 di Petrolio. In breve la nota per il canto primo ci sembra più che altro un riassunto, timidamente abbozzato, della scena d’incontro tra il protagonista Carlo (che tra l’altro nel romanzo scopre la sua ‘ diversità ’ e cambia sesso) con una ventina di ragazzi, provenienti dalle classi operaie, allo scopo di provare molteplici soddisfazioni sessuali. In fin dei conti, pur non avendone prove sufficienti da parte dei critici pasoliniani, dopo uno studio attento di entrambi i testi la constatazione ci sembra alquanto 68
“E’ molto probabile che la sua opera postuma La Divina Mimesis sia stata pubblicata col consenso dell’autore, visto che essa risulta finita di stampare venti giorni dopo la sua morte. Certo è che però La Divina Mimesis, nella sua incompiutezza e frammentarietà non sappiamo quanto voluta, poteva anche non essere pubblicata da uno scrittore che avesse le dimensioni culturali e artistiche di Pasolini. Forse ora non si sa cosa è ‘opportuno’ leggere, ma se conta il ‘piacere della lettura ’ in questo libro non lo si prova se non assai raramente e comunque più nei frammenti che non nei due capitoli (...) portati a termine nel 1963, anno a cui risale l’idea di quest’opera di cui Pasolini confessa di non essere riuscito a trovare la chiave giusta.” W. Pedula, L’inferno di Pasolini, Avanti, 21. dicembre 1975 69 P. P. Pasolini La Divina Mimesis Mondadori, Milano 2006 70 Tutte le versioni del romanzo ‘a strati’ sono state deposita te da Graziella Chiarcossi, cugina e erede di Pier Paolo, presso il Gabinetto Vieusseux a Firenze. Note e notizie sui testi presenti nel volume di Meridiani Romanzi e racconti 1962-1975, in merito a La Divina Mimesis, le poesie e allegati che fanno parte di essa che ci riportiamo, derivano da queste note... P. P. Pasolini, Romanzi e racconti 1962-1975, Mondadori, 2001, pp.19851992. 71 La citazione è inserita nelle note e notizie sui testi in riferimento a la Mimesis, in Romanzi e racconti 19621975, Mondadori, V edizione I Meridiani 2005, p. 1992
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logica.72 Intanto un’altra testimonianza dell’affermazione sarebbero i tratti dei ragazzi e la loro caratteristica da parte dell’io narrante che spesse volte sottolinea le loro origini paesane73, in breve sono sempre i ragazzi poveri, per non dire tapini, è possibile che si tratti degli stessi, presenti alla riunione del Partito Comunista sul prato.
3. Che il poema dantesco sia prettamente allegorico non lo si deve ripetere. Tutta la Commedia è un’allegoria e in quanto tale non va pari passo con la metafora come figura retorica frequente. Dante presenta i concetti tramite l’immaginazione visiva che in fin dei conti crea una grande metafora, l’opera stessa. Così nella Commedia, pur essendo una metafora, non troviamo frequentemente queste figure retoriche.74
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Per fornirne una prova, vi riportiamo dei frammenti che supportano la nostra constatazione: nota per il canto primo Petrolio Mi allontano con ciclista- sentiero a mezza costa al Bene, il primo che era venuto dietro Carlo era Sandro sole: primo ciclista calzoni corti di maglia – (passano (...) La tuta scoprì un paio di calzoni grigi e una altri tre con stanghe, visti passare poco prima). maglietta color fragola, nera di unto. Primo ragazzo con stanga (un etrusco, pieno di seme); Gianfranco (...) era molto carino: ben proporzionato, secondo ragazzo con stanga (fortissimo, bruno, alto, con un viso forse un po’ troppo tondo, ma con una ben fatto: non riesce come il desolino con la maglietta bella bocca carnosa, un nasino regolare, i grandi occhi verde). neri con le grandi sopracciglia, Primo, Stefano, ragazzo biondo, viso irregolare, razza (...) il ciuffo alto come una cresta, lucente, ondulato e ‘semplice’: benissimo; secondo, Bruno, riccio come il morbido, che ricadeva indietro, rifluendo sopra le diavolo, un po’ pingue, bene; terzo, Ciuffetto, orecchie con lunghe , capricciose ondulazioni, fino ad ciuffetto enorme e viso un po’ da faina: benissimo, arricciarsi un po’ nella nuca di scolaretto.(...) complice. I capelli biondi che sulla testa lunga con le orecchie a sventola, formavano sulla fronte, un largo ciuffo rotondo, liscio e rilucente come la seta, parevano il suggello di tale suo destino: troppo comuni e insieme troppo fantastici per essere quelli di un ragazzo qualsiasi. Andiamo agli archi (dove tre quattro ore prima Quel sorriso era intrattenibile, e riguardava qualcosa Siciliano). Primo, Biondo Quadraro, bene,. Secondo, da cui Carlo era escluso. Ma Claudio parve capire Salvatore Latina, bene. Terzo, Adamo Latina, Ragioni questa esclusione, e disse gentilmente, arrivando, a per ricordarlo per sempre, come assoluta eccezione. Carlo, con la sua voce burina e con una certa eufemistica complicità: ‘Ciao’. (...) la testa di Gustarello era un vero capolavoro della natura. Il suo biondo era quello dell’oro, ma di un oro chiaro e ben lustrato. Le citazioni provengono da La Divina Mimesis, in RR II pp. 1156-58; e da Appunto 55 in: Petrolio, RR II, pp.1399-1437 73 Sandro, il primo del turno sul prato aveva ‘l’aria del ragazzino che mette in pratica le buone maniere che gli ha insegnato la madre: una madre del popolo, per cui naturalmente la buona educazione è una gentilezza istintiva e ben radicata.Questa gentilezza materna era tradita da tutti i gesti e le mosse di Sandro. Gli era rimasta attaccata come un odore. Del resto, anche i suoi vestiti, i semplici pantaloni e la semplice maglietta, avevano l’aria di essere stati comprati in qualche mercatino, insieme con la madre, con i soldi di famiglia.’ Petrolio, in RR II, Mondadori 2001, pp.1401-1402 74 T. S. Eliot, Dante in: Szkice krytyczne, Państwowy Instytut Wydawniczy, Warszawa 1972, pp.36-83
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Io dicevo: ‘A metà della mia vita me ne vado alle porte degli inferi; sono privato del resto dei miei anni.’ Isai. 38.10
Abbiamo dunque deviato dal cammino della verità; la luce della giustizia non è brillata per noi, né mai per noi si è alzato il sole. Sap. 5,6
La riflessione ti custodirà E l’inteligenza veglierà su di te, per salvarti dalla via del male, dall’uomo che parla di propositi perversi, da coloro che abbandonano i retti sentieri per camminare nelle vie delle tenebre. Prov. 2, 11-13
2.1 Canto primo
Quanto al canto, bisognerebbe subito collocare Dante - personaggio da una parte e Pasolini degli anni Sessanta dall’altra al centro dell’attenzione. La riscrittura pasoliniana della Commedia dantesca rimane allo stadio d’abbozzo di fronte all’omonima opera trecentesca. Accanto al canonico inizio, Pasolini non solo ricalca da Dante la situazione dello smarrimento in selva, in quanto perde la via giusta all’età di quarant’anni, il che entra nella fascia della vita media all’epoca dantesca.75 A quanto pare, Pasolini, pur riprendendo il testo originale, lo arricchisce abbondantemente
con elementi autobiografici76, il che cambia nettamente il
messaggio della riscrittura del testo dantesco: non si tratta più di un viaggio escatologico percorso in nome di ogni uomo, ma bensì del proprio smarrimento nella vita, o meglio 75
“Tutti i nostri giorni svaniscono per la tua ira, finiamo i nostri anni come un soffio. Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti, ma quasi tutti sono fatica, dolore; passano presto e poi ci dileguiamo.” (Ps. 89. 9-10) Pasolini non necessariamente conosceva questa citazione ma, a quanto pare doveva essere cosciente delle ragioni dantesche che avevano motivato tale scelta. Per quanto riguarda la conoscenza della Bibbia, essa rimane una lettura abbandonata, a parte gli obbligatori testi che studiò ancora a scuola. La riprese solo prima di girare Il vangelo secondo Matteo; fu una lettura subitanea e fruttuosa allo stesso tempo perché lo ispirò al film che la riflettesse letteralmente, senza cambiarci niente. 76 G. Barberi Squarotti, L’ultimo trentennio in: Dante nella letteratura italiana del nnovecento Atti del Convegno di Studi Casa di Dante-Roma 6-7 maggio 1977, Bonacci Editore, Roma 1977, p.268
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d’essersi accorto che la strada che credeva sempre giusta, non lo era. Il testo abbonda nelle evocazioni personali: pene, entusiasmi, sussulti, ragazzi, merende fuori città, passione di partito, amore populista per gli operai. La Mimesis è un’allegoria che levando in alto l’autobiografia le toglie il tono patetico, non più escatologico. Il “buio devastato, informe” è semplicemente un “buio” interiore, dell’inconscio freudiano. Mentre lo scopo principale de la Commedia è quello di attenuare l’importanza della storia individuale di Dante - pellegrino, dell’esperienza interiormente vissuta da Dante,77 e rivelarne il fattore universale. Nell’angoscioso e travaglioso anno 1300 Dante si trova di fronte alla lupa insaziabile della cupidigia, “diretta antitesi dell’Impero, incarnata in Bonifacio VIII”.78 L’opposizione tra gli aggettivi possessivi: ‘nostra vita... mi ritrovai’ che sottolinea la rilevanza della sua esperienza vissuta in nome di tutta l’umanità, scompare da Pasolini che compie il viaggio esclusivamente nel proprio nome.79 Pertanto, la vita diventa il cammino, nel medioevo, verso la patria eterna, verso l’amore che creò l’uomo.80 Non sappiamo se, precisando la propria età, Pasolini era cosciente delle parole dei salmi81, ma vale a dire che se l’idea della riscrittura risale al 1959, è pure vero che il poeta è sui quaranta.
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Si può aggiungere che siccome una vita della durata di settant’anni costituiva
ai tempi danteschi, secondo le credenze comuni, una durata media di vita, gli ottanta, come sarebbero nel caso di Pasolini, sottolineano a sua volta la particolarità e singolarità del percorso che sta per iniziare solamente in nome proprio; in più il poeta corsaro non sottolinea il fatto che si tratta della metà della vita: “Intorno ai quarant’anni, mi accorsi di trovarmi in un momento molto oscuro della mia vita.” (p.7) Il ritrovarsi per una selva oscura (Inf.I 2) nel caso di Dante avviene a causa della “carenza delle Guide volute dalla Provvidenza a reggere umanità, e in particolare per la tragica mancanza di un Imperatore che si opponga direttamente all’ormai sfrenata e dominante Cupiditias,”
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è il peccato che lo ha sviato dalla via retta. Ne la Mimesis invece
troviamo testimonianze dell’esclusione e dello smarrimento meramente interiore e angoscioso che consiste fra l’altro nel fatto d’essere escluso dalla vita altrui. C’è da riflettere cosa può costituire per Pasolini “la luce della vecchia verità (...) quella davanti a cui non c’è più niente
77
Mazzoni Francesco, Saggio di un nuovo commento alla Divina Commedia. Inferno canti I-III G. C. Sansoni, Firenze, 1967, p.17 78 Ivi, p.22 79 ‘Intorno ai quarant’anni, mi accorsi di trovarmi in un momento molto oscuro della mia vita.’ P. P. Pasolini, La Divina Mimesis, Mondadori, Milano 2006, p.7 80 „ L’amor divino mosse di prima quelle cose belle” Inf.I 39-40 L’amore è il solo motivo della creazione 81 “Intorno ai quarant’anni” inizia La Mimesis. 82 Pier Paolo Pasolini nasce il 5 marzo 1922 83 Mazzoni Francesco, Op. cit., p.27
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da dire”? In quanto Pasolini scende nell’inferno della propria psiche, la luce di una vecchia verità dovrebbe essere analizzata in chiave metaforica, tanto che le bestie84 che gli ostacolano il passaggio: la Lonza, il Leone e la Lupa, non rappresentano altro che i suoi vizi, quindi la rivelazione afferma ancora una volta il carattere prettamente personale, per non dire intimo del percorso pasoliniano. L’identificazione delle bestie con tre aspetti della propria natura costituisce solo un presago di un’altra identificazione inconsueta, precisamente quella dello sdoppiamento85: Pasolini–personaggio e Pasolini–guida al posto di Virgilio – due diverse incarnazioni della stessa persona. La riscrittura dantesca, con termini e riferimenti letterari, avrebbe come scopo il trasferimento del proprio dramma esistenziale e rappresentarlo come “divisione dell’anima, sdoppiamento tra le buie viscere e la ragione: che è poi il contrasto che sta alla base de Le ceneri di Gramsci.”86 Pertanto, contro le tre fiere, simbolo dei vizzi che lo governano, non trova che una guida che è l’egli stesso di un tempo, siccome ammira le proprie opere del passato e afferma di dovergli la stima, così come Dante ama Virgilio, poeta dei tempi di Augusto. Il “Virgilio” pasoliniano, chiamiamolo conformemente all’opera/chiave del tempo - poeta delle ceneri degli anni Cinquanta - ha intenzione di portare a salvamento la propria individualità. E’ lui stesso parecchi anni prima, il poeta delle Ceneri di Gramsci, cioè degli anni 50, che è una guida paesana e timida ma la più giusta perché il viandante vuole essere confortato nel suo impegno civile di scrittore che, intorno al ’63, gli araldi della neoavanguardia ponevano in dubbio. Perché “divina”? un suggerimento alla risposta potrebbe svelare l’accenno ai due regni dove il passaggio non è concesso alla guida, cioè “i Regni della Speranza e di Colui che Verrà” mentre percorreranno “un luogo che altro luogo non è che il mondo”. Di conseguenza l’aggettivo “divina” potrebbe derivare dal riferimento al modello dantesco, “al titolo vulgato del poema”. Il riferimento dantesco gli concede il titolo di “divina” che nell’escatologia vuol dire: punto di vista divino.87 La salvezza simbolica che acquista Dante tramite il pellegrinaggio era possibile percorrendo i regni del dolore e della purificazione, mondi ultraterreni che nel XX secolo 84
‘Le allegorie animalesche (...) valgono come figure efficaci dell’inconscio (...) Pasolini chiarisce in questo modo che il ‘viaggio’ è , anzitutto, viaggio dentro di sé, l’autobiografia si definisce allora come discesa in sé, con la sempre più decisa esclusione dei fatti esteriori. G. Barberi Squarotti, Op. cit. p.270-271. ‘In tutte e tre le fiere Pasolini si riconosce, ma la lupa la dipinge con i suoi stessi caratteri fisionomici (‘lo zigomo e la mascella allontanati tra loro..il naso ingrossato’) S. Vazzana, Il dantismo di Pasolini, in: Dante nella letteratura italiana del nnovecento Atti del Convegno di Studi Casa di Dante-Roma 6-7 maggio 1977, Bonacci Editore, Roma 1977, p. 285 85 “Il personaggio che racconta è, al tempo stesso, lo straziato uomo in preda a sussulti, terrori, dubbi, entusiasmi, che si vede riflesso nelle tre bestie, e il dimesso e ingiallito poeta civile che presenta la sua autobiografia ironica e logora, ma non più come contenuto dell’inconscio stesso, incrociatosi con la situazione contraddittoria e degradata del tempo, bensì come ‘esempio’, modello di un’esistenza e di un’azione esemplari di una superiore dignità.” G. Barberi Squarotti, Op. cit. p.271 86 G. Barberi Squarotti, Op. cit. p.273 87 Ivi, p.273-274
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secondo Pasolini non sono altro che il mondo, non più dell’al di là. La trecentesca conoscenza del male e del pentimento è necessaria per espiare le colpe del mondo peccaminoso88, al fine di poter godere dello splendore paradisiaco. Invece il cammino rintracciato ne La Mimesis perde lo scopo espiatorio, pertanto non è del tutto chiaro verso quale direzione stia andando il Pasolini - personaggio. Questa sensazione non è dovuta esclusivamente all’incompiutezza dell’opera, perché Dante segnala già nel canto primo il fine del proprio pellegrinaggio, il che Pasolini omette, a quanto pare consciamente. La descrizione del luogo dello smarrimento da Dante assume dei tratti concepiti letteralmente in quanto la selva aspra e forte cui terrificante descrizione anche al lettore da dei brividi, diventa ne La Mimesis una descrizione della borgata, nei pressi di un cinema, oggi non più rintracciabile. Pertanto Pasoloini si serve della “Selva”
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puramente allo scopo
metaforico, siccome si tratta della „Selva” della realtà del 1963. Pasolini non va più a piedi, come il suo predecessore, ma in macchina: “(...) appena svoltato con la mia macchina da un lungo viale cui s’era ridotta l’Aurelia – Viale Gregorio VII (...)” Lo dimostra ciò che vede: un mercatino, benzinai e un altarino di rose rosse in memoria di un operai defunto due giorni prima. Improvvisamente veniamo a sapere che il protagonista de La Mimesis arriva alla riunione con i braccianti e che loro lo aspettano. Si rallegrano perché diciotto ragazzi nuovi si sono iscritti al loro partito, presumibilmente a quello comunista. Paradossalmente, è un posto luminoso, vi arriva la luce mattutina primaverile (d’aprile o di maggio). Può leggermente stupire l’interno del già nominato cinema Splendid, perché è stilizzato agli anni quaranta. Qui non rimane che chiedersi: perché appunto anni quaranta? Bisognerebbe ricordare gli avvenimenti di questo periodo che incidono un’impronta incancellabile sulla personalità di Pasolini. Il brano dedicato agli operai si conclude con un’affermazione tipicamente pasoliniana che ripete più volte nell’arco dell’opuscolo, cioè che sperimenta la vita e che l’esistenza di questi operai gli stringe il cuore. In fin dei conti l’intervento sugli operai finisce per dare spazio al discorso ripreso da Dante, interrotto dopo la frase iniziale.”Io non so ben ridir com’ i’ v’intrai,/ tant’era pien di sonno a quel punto/ che la verace via abbandonai.” (Inf, I10-12) diventa in Pasolini: ”Ah, non so dire, quando è incominciata: forse da sempre.”(p.10) Il buio dantesco è causato anche dal fatto che il poema inizia all’alba e il protagonista intravede i primi raggi solari che illuminano la cima della collina: “guardai in alto e vidi le sue spalle vestite già dei raggi del pianeta.” (Inf. I 16-17) il che nel caso dantesco presagisce il
88
Dante Alighieri, Commedia, Inferno vol. 1, con il commento di Anna Maria Chiavacci Leopardi, Mondadori, Mlano 1991, introduzione al canto primo, p.4 89 Maiuscola e virgolette dell’autore.
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buon esito della vicenda; invece per Pasolini essa diventa “la luce della vecchia verità”(p.7) e anche nel suo caso non manca il sentimento travagliato dell’angoscia:
Alla luce, fatale, di quella vecchia verità, mi si quietò un po’ l’angoscia: che era stato l’unico reale sentimento durante tutto il periodo del buio, a cui la mia strada, giusta90!, mi aveva fatalmente portato.(p.10)
La stessa emozione accompagna Dante durante lo smarrimento che metaforicamente rappresenta “la notte”:
Allor fu la paura un poco queta, che al lago del cor m’era durata la notte ch’i’ passai con tanta pieta.
Entrambi i testi evocano la metafora onirica di un naufrago, miracolosamente salvato dal mare, il che rappresenta lo stato dell’animo dei due viaggiatori. Nel caso dantesco essa raffigura la fuga dalle oscurità del peccato che lo salva dalla dannazione e rafforza il precedente accorgersi d’aver smarrito la strada (non scordiamo la sua missione espiatoria in nome di tutta l’umanità). Pasolini, salvandosi, si gira per vedere le origini del proprio smarrimento che nasconde profondamente nel carattere e nella “fatalità del proprio esistere.” Il momento dell’accorgersi di tale perdita segue un periodo di solitudine, così è incominciato un nuovo percorso verso questa luce della “vecchia verità” ma allo stesso tempo un periodo di esclusione anche da parte degli amici. La lonza dantesca appare improvvisamente in mezzo al sentiero verso il colle sbarrando il passo al nostro viaggiatore. (“ ‘mimpediva tanto il cammino,/ ch’i’ fui per ritornar più volte volto” Inf. I 35-36). Anche Pasolini, solo a vedere la prima bestia, vuole tornare indietro. Nel suo caso la Lonza91 è “uscita dai ripostigli comuni” della sua anima, perciò si riconosce subito in essa il che lo spaventa fino a voler ritornare al vecchio mondo appena lasciato. Qui viene in mente una constatazione, che a differenza di Dante, Pasolini fugge dal suo ambiente e in fin dei conti pare poco propenso a compiere un viaggio espiatorio nel nome dell’umanità, come è nel caso del suo grande predecessore. L’affamato Leone, il cui apparire fa addirittura tremare l’aria, nel caso pasoliniano estende il significato assumendo dei tratti della pigrizia da una parte d’altra quelli dell’egoismo. Ma il peggio è la bramosa Lupa pasoliniana, che in Dante
90 91
Il corsivo dell’autore. Maiuscolo del poeta.
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simboleggia
l’avarizia, il peggiore dei peccati che sconfigge l’uomo perché genera tutti gli altri mali.92 In entrambi i casi una magrezza insolita distingue la terza bestia. La descrizione dettagliata del muso evoca i tratti del viso di Pasolini stesso:
I suoi connotati erano sfigurati da una mistica magrezza, la bocca assottigliata dai baci e dalle opere impure, lo zigomo e la mascella in basso, sulla pelle inaridita del collo. E tra loro una cavità oblunga, che rende il mento sporgente, quasi appuntito: ridicolo come ogni maschera di morte.
L’avvicinarsi al terzo vizio significa per Pasolini un vano tentativo di opporsi ad una forza insuperabile che lo priva della capacità di scrivere ma la cui presenza è costretto di accettare, perciò gli pare vano riprovare a raggiungere la cima che appena intravedeva in lontananza.93 Anche Dante pare uno che ha perso tutto: “ch’io perdei la speranza de l’altezza”. Inf. I 54 Gli animali94 comparsi sulla strada dantesca rappresentano, secondo l’esegesi biblica, i tre peccati fondamentali dell’uomo: lussuria, superbia e avarizia e impediscono all’uomo di percorrere la via del bene. 95 La metafora “ la dove il sol tace” che nella selva indica oscurità, in Pasolini prepara il terreno per l’apparizione della guida “ingiallita nel silenzio”. Lo sperduto in balia delle fiere scorge un barlume di speranza che gli giunge nell’oscurità con l’arrivo della misteriosa guida. L’arrivo di Virgilio rende veritiero il poema dantesco e conferma la sua storicità,, fa si che esso divenga databile. Il “Miserere di me” dantesco diventa: “Pietà, per favore” ne La Mimesis, grido onirico e disilluso, sincero nella disperazione di uno che ha perduto tutto emesso dal profondo della solitudine. E continuano: “ qual che tu sii, od ombra, od omo certo!” Inf.I 66, Dante non sa se si trova al cospetto di un uomo o di un morto. Il raccapriccio di Pasolini pare maggiore: “Guarda lo stato in cui mi trovo, guarda, anche se io non so se sei una sopravvivenza o una nuova realtà.” (p.13) Il dubbio sulla condizione della guida rimane. Pasolini evoca la compassione dell’arrivato sottolineando il proprio turbamento. La presentazione del sopraggiunto ne la Mimesis si amplifica dei dettagli assenti in Dante: “hai ragione, sono un’ombra, una sopravvivenza... sto ingiallendo pian piano negli 92
Dante Alighieri, Op. Cit. note al canto I, p.20 “La sua presenza era così indiscutibile da togliere ogni speranza di poter giungere mai a quella cima misteriosa che intravedevo davanti a me, nel silenzio.” (p.12) 94 La simbologia degli animali trae le origini dalla bibbia: “(...) li azzanna il leone della foresta, il lupo delle steppe ne fa scempio, il leopardo sta in agguato vicino alle loro città.” Ger, 5,6 95 Ai tempi danteschi le fiere sono anche metafore delle tre potenze politiche di allora: lonza – Firenze, leone – il re di Francia, lupa – la curia romana; le fiere rappresentano le passioni che travolgono un singolo uomo e allo stesso tempo rispecchiano la realtà politica in quanto il cammino dantesco può essere letto sia in chiave personale che universale. Dante Alighieri, Op. cit. note integrative al canto primo, pp.37-38. 93
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Anni Cinquanta del mondo, o, per meglio dire, d’Italia...” (p.13)
di fronte alla breve
constatazione nel poema dantesco: “Non omo, omo già fui” Inf. I 65. Dalle sopra citate parole veniamo a sapere che si tratta dello sdoppiamento di Pasolini, di egli stesso degli anni Cinquanta con i caratteristici tratti del viso: “occhi tiepidi e castagni sotto lo zigomo pronunciato, la guancia magra e infantile, la bocca dal brutto sorriso pieno di dolcezza” (p.14). Non appare come una figura degna di stima, ma più che altro sembra un colpevole o un delinquente.
li parenti miei furon lombardi, mantovani per patrїa ambedui. Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi, e vissi a Roma sotto ‘l buono Augusto nel tempo de li dèi falsi e bugiardi. Poeta fui, e cantai di quel giusto Figliuol d’Anchise che venne di Troia, poi che ‘ll superbo Ilїon fu combusto. Inf. I 68-75
Le origini del poeta antico, il suo ammettere la falsità delle credenze nei molteplici dèi servono a Dante da riferimento al suo progetto espiatorio, mentre l’ambiente pasoliniano pare tutt’altro:
Sono settentrionale, in Friuli è nata mia madre, in Romania mio padre; vissi a lungo a Bologna, e in altre città e paesi della pianura padana – come è scritto nel risvolto di quei libri degli Anni Cinquanta, che ingialliscono con me.. (...) Sono nato sotto il fascismo benché fossi quasi ancora un ragazzo quando cadde. E vissi poi a lungo a Roma, dove del resto il fascismo, con altro nome, continuava: mentre la cultura della borghesia squisita non accennava a tramontare, andando di pari passo (si dice così?) con l’ignoranza delle sconfinate masse della piccola borghesia... (p.14)
Contrariamente a Dante, Pasolini non elogia nessun eroe a egli contemporaneo (vedere la citazione precedente del La Commedia), ma cantò “la divisione della coscienza, di chi è fuggito dalla sua città distrutta, e va verso una città che deve ancora essere costruita”(p.14), anche se il brano sopraccitato non allude che a Enea il cui destino, secondo la predestinazione divina era quello di, dopo essersi salvato da Troia, costruire una città nuova sulla terra dove sarebbe sbarcato. Il fatto che non dovrebbe fuggire dall’attenzione del lettore rimane che si tratta della stessa metropoli dove Pasolini ubica il suo inferno, Roma. E non rimane che constatare: una città costruita secondo il commando divino diventa inferno. Non crediamo sia importante l’ateismo di Pasolini, perché siccome non era credente nemmeno in Dio dei 34
cristiani, con questo procedimento, ovviamente non si sa quanto voluto o meno, annienta la potenza divina e la sua influenza sulle azioni umane dato che sono uomini stessi che creano, con le loro azioni, l’inferno delle borgate. Le caratteristiche dell’eroe pasoliniano, costretto a fuggire dalla città distrutta, conferma un altro tratto autobiografico ne La Mimesis. Dato che si tratta della ”piaga di un dubbio, il dolore di una lacerazione” (p.14) che lo accompagnano e viene inoltre sottolineata la solitudine, che attesta il suo “ingiallire” nel tempo e ciò avviene perché gli altri (presumibilmente anche amici) si disinteressano dei fatti altrui.
Ma tu perché ritorni a tanta noia? perché non sali il dilettoso monte ch’è principio e cagion di tutta gioia? Inf. I 76-78
Ma tu, perché vuoi tornare indietro, in mezzo a quella degradazione? Perché non continui a salire su di qua, solo, come sei stato destinato a essere, e come sei? (p.14)
Pasolini riprende quasi fedelmente l’ammonimento nei confronti del viandante aggravandolo ancora con un grave sottolineamento della ripugnanza del posto (degradazione, appunto) dove intendeva tornare Pasolini - viaggiatore. Un lungo elogio dantesco di Virgilio viene sostituito sulle pagine de La Mimesis con una lunga riflessione dell’io narrante che contempla la figura della guida non riuscendo a chiamarlo con il nome di padre né di fratello maggiore, gli assegna al massimo il ruolo di una guida di montagna. Anzi, il nostro Pasolini non nasconde la delusione nei confronti della guida alquanto mediocre in quanto sperava che gli capitasse, dato che il momento pareva inconsueto, almeno il suo poeta prediletto Rimbaud, oppure Gramsci, ormai giacente al Cimitero degli Inglesi a Testaccio. Agli occhi penetranti del viandante appare “un piccolo poeta civile degli Anni Cinquanta,(...) incapace di aiutare se stesso, figurarsi un altro” (p.15) perciò sprovvisto, a suo avviso, del prestigio. D’altro canto invece pare consapevole dell’accaduto e lo comprende:
Eppure era chiaro che al mondo – nel mio mondo – non avrei potuto trovare – benché così misera, così, come dire, paesana, così timida – altra guida che questa. (p.14)
Il fatto che non trova che se stesso del decennio precedente, mette in evidenza la solitudine in cui si imbatte nel suo ambiente. Prima di far vedere al venuto che lo riconosce e rivelare il proprio segno di stima, come Dante nei confronti di Virgilio, fa questo ragionamento interiore
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che nasconde profondamente il vero filo di riflessione. Di seguito, esprime la propria stima e riconoscimento nei confronti del venuto.
Ah, sei tu! (...) ti riconosco! ti riconosco! (...) ti ho molto amato. Mi sei sempre sembrato, in fondo devo ammetterlo, il più alto dei poeti del nostro tempo, (...) il lungo lavoro critico operato su di te , nel segno, senza prestigio sociale, del narcisismo! Tu sei colui il cui stile è stato ragione per me di affermazione e successo! (p.16)
E la confessione dantesca:
O de gli altri poeti onore e lume, vagliami ‘l lungo studio e ‘l grande amore che m’ha fatto cercar lo tuo volume. Tu se’ lo mio maestro e ‘l mio autore, tu se’ solo colui da cu’ io tolsi lo bello stilo che m’ha fatto onore. Inf. I 80-86
E’ sorprendente affermare che Dante riscrive Eneide allo stesso modo che Pasolini – Dante, invece lo stile dantesco è dovuto a Virgilio e in conseguenza quello pasoliniano a Dante.
Vedi la bestia per cu’ io mi volsi; aiutami da lei, famoso saggio, ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi. Inf. I, 88-90
Ho bisogno del tuo aiuto (...) perché questa bestia può finire col togliermi la forza e la volontà di esprimermi. E non posso sopportare nemmeno l’idea di non essere più uno scrittore. (p.16)
L’effetto causato dalla rivelazione delle bestie pare tanto più grave nel caso pasoliniano e che provoca non solo una forte emozione, in quanto la rivelazione di esse potrebbe togliere la forza e capacità espressiva a Pasolini poeta, perciò l’aiuto della guida gli è indispensabile e glielo chiede umilmente.
Bisogna cambiare strada (...) se una situazione sembra pericolosa o indegna. Con questa bestia la cui presenza ti fa lamentare, non c’è da scherzare molto... (p.16)
«A te convien tenere altro vïaggio», rispose, e poi che lagrimar mi vide,
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« vuò campar d’esto loco selvaggio; ché questa bestia, per la qual tu gride, non lascia altrui passar per la sua via, ma tanto lo ‘impedisce che l’ucide; Inf. I 91-96
Il pericolo
rimane lo stesso; è impossibile fuggire dalla bestia, bisogna recarsi in una
direzione diversa, altrimenti si rischia di morire. Pasolini evidenzia la bramosa voglia della bestia che è tutta travagliata di voglie incontenibili sullo sfondo sessuale. Soltanto l’arrivo del veltro potrà saziare la sua immensa brama. La correttezza linguistica della guida che commuoveva Pasolini, ma si accorge di una sua paura, che attribuisce all’atteggiamento borghese, di dire direttamente ciò che pensa. Ciò che vale ad essere sottolineato è che la ripetizione in conseguenza della quale una parola perde un suo significato (il che d’altro canto è significativo), viene assomigliata alla ripetizione delle parole in litania e che la voce che sceglie Pasolini è appunto “sesso”, una delle sue ossessioni. Il mondo diventa oggetto di desiderio di sesso, non è più mondo, ma luogo di un solo sentimento. Questo sentimento si ripete e con se ripete il mondo, finché accumulandosi si annulla... (p.17)
Un altra strada che consigliano tutte e due le guide non è necessaria se non per il bene del viandante, allo scopo di proteggerlo dai mali delle bestie.
Per il tuo bene ora mi pare una cosa migliore condurti in un luogo che altro luogo non è che il mondo. Oltre io e te non andremo, perché il mondo finisce col mondo. (p.18)
Il Novecento no ha altro inferno che quello terreno, il quale non oltrepassa al dì là. Sorprende invece la mancanza dell’accenno alle pene che subiranno le anime nei gironi visitati, il che era ancora presente da Dante.
Ond’ io per lo tuo me’ penso discerno che tu mi segui, e io sarò la tua guida, e trattoti di qui per loco etterno; ove udirai le disperate strida, vedrai li antichi spiriti dolenti, che la seconda morte ciascun grida; e vedrai che son contenti
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nel foco, perché speran di venire quando che sia a le beate genti. Inf, I, 112-120
Contrariamente a La Commedia, ne La Mimesis non vi è alcun accenno alla speranza che nutriranno gli incontrati, non se ne parla nemmeno; il canto primo è focalizzato solo sulla figura di Pasolini - viandante. Pasolini - Virgilio dice unicamente di non essere autorizzato a condurlo nei due regni; uno progettato, altro sperato. “Allor si mosse, e io li tenni dietro.” (Inf, I, 136) diventa: “Indi si mosse, e io gli andai dietro.” (p.18) ma questo sarà l’oggetto del canto secondo.
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Quello che vedi scrivi in un libro. Ap. I, 11
2.2 Canto secondo
Il canto primo dell’Inferno, costituisce un’introduzione a La Commedia, invece il canto secondo introduce la tematica della cantica sessa. In questo momento sarebbe alquanto precoce estimare quanto di dantesco mantiene Pasolini, siccome ce lo impedisce il carattere aperto dell’opera. Pasolini, all’inizio del canto secondo, ci sorprende con una dettagliata descrizione del sentiero che attraversano Dante-Pasolini e Virgilio-Pasolini, abbondante in molteplici enumerazioni delle piante che trovano per strada. Al posto del tramonto regna sempre l’onnipresente luce nella quale tutto pare uguale. Il che ci sorprende, dato che le tenebre preludono l’entrata nell’inferno, e più che altro ci dimostra l’opposizione al modello de La Commedia. Al posto del dantesco sottolineare le difficoltà del combattimento che lo aspetta96, Pasolini parla del dolore che lo trafigge come “una punta infuocata” (p.20) e della impressione di sentirsi solo e piccolo nei confronti del grande mondo. Manca inoltre una conferma della veridicità del suo viaggio. Pasolini lascia il lettore incerto quanto alla veridicità del viaggio, magari è il dolore provato che glielo impedisce, o forse non c’è più bisogno di attestarla dato che il cammino non va oltre il mondo? Non vi manca però un’evocazione alle Muse, la quale pur dedicata all’ispirazione, mantiene tuttavia il modello dantesco:
Vecchia ispirazione, abituata a compilare mescolanze di luoghi, interi panorami volanti su Italie e Europe, e altre croste del mondo, aiutami tu, come una donna ripudiata, che non serve più a niente, ma, per una qualche vecchia amicizia, continua a frequentare il marito preso da altri amori (impossibili, se mai ce ne furono, e leggermente ridicoli e infamanti) a rendergli gli antichi, indispensabili servizi!
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(...) e io sol uno m’ apparecchiava a sostener la guerra sì del cammino e sì de la pietate, che ritrarrà la mente che non erra. Inf, II, 3-6
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Aiutami tu, in questo tradimento, in questa che è la peggiore delle arbitrarietà visionarie, in cui tu mi hai tanto assistito. Aiutami a dar corpo alle astrazioni, che vogliono essere così nuove, con la vecchia concretezza della fantasia domestica ed elegiaca. (p.20)
Ed ecco l’evocazione alle muse ispiratrici del sommo poeta:
O muse, o alto ingegno, or m’aiutate; o mente che scrivesti ciò ch’io vidi, qui si parrà la tua nobilitate. Inf, II, 7-9
I poeti necessitano dell’invocazione quando devono chiedere un dono divino. Quella alle Muse prende gli spunti dalla tradizione classica e pagana che Dante adatta ai termini cristiani, in quanto “la scrittura della preghiera richiama il linguaggio delle processioni liturgiche e del canto sacro.”97 Perché questa invocazione viene definita una preghiera? Essa deve la denominazione a “una forma classica, malgrado il contenuto cristiano”98 riprendendo il classico ordine evocativo delle divinità: vocativo – l’appellare la divinità; eulogia – l’elenco delle qualità divine; supplicatio – la richiesta dell’aiuto alle divinità. Dante-poeta chiama continuamente in aiuto delle forze divine, perché la materia della quale scrive è talmente elevata che solo loro possono conferirgli delle doti necessarie per esprimere efficacemente ciò che è indicibile. Ne La Mimesis troviamo lo stesso modello della preghiera, con la differenza che non si rivolge alle Muse ma direttamente all’ispirazione poetica, (che d’altro lato simboleggiano le Muse), paragonata ad una donna tradita che nella sua umiltà non smette di servire l’uomo con cui stava per tanti anni. Qui non rimane altro che chiedersi se non fosse stata la madre Susanna la fonte d’ispirazione per la metafora.99 Tale constatazione pare più giusta se ci ricordiamo che è stata appunto la madre a insegnare Pier Paolo come fare le rime, in fin dei conti, egli stesso afferma di essere poeta per lei100. Nonostante una netta differenza nei confronti della composizione dantesca, chiedendo aiuto all’ispirazione poetica, Pasolini si
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A. Jacomuzzi, G. B. Squarotti, Critica dantesca. Filologia delle storie letterarie del Novecento, Società Editrice Internazionale, Torino 1970, p. 413 98 E. Auerbach, Studi su Dante, Feltrinelli, Milano 1963, p.275 99 Enzo Sicilano così presenta in breve la storia di matrimonio, inteso quello di Susanna Collusi e Carlo Alberto Pasolini: ”Fra moglie e marito le turbolenze non avevano mai fine. Il sorriso di Susanna poteva essere una sfida per Carlo Alberto. Carlo la abbandonava per qualche tempo:poi tornava. (...) Dunque, Carlo Alberto era andato via di casa da una settimana – erano a Bologna, poteva essere il 1933 o il 1934-; come per scusare il marito, Susanna disse ad Annie:«Lui ha bisogno di donne.»” E. Siciliano, Op. Cit. p.40. Pur essendoci Carlo Alberto a lasciare fisicamente la moglie, lei rimane umilmente a casa, una madre fedele, a compiere quel ruolo essenziale, il risultato dell’attaccamento morboso al figlio Pier Paolo. 100 Vedi la nota 40 del 1 capitolo
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rende conto dell’arduità dell’argomento che sta per trattare, in quanto le astrazioni che vuole incarnare costituiscono per lui una materia completamente nuova. Prima di evocare le figure dei predecessori in un viaggio ‘simile’, Pasolini fa una riflessione sulla guida; lo sguardo lugubre con cui guarda il soccorritore svela le tentazioni vergognose e umilianti che dovrebbero essere nascoste nella società borghese. La guida stessa lo attrae emanando non solo della salute giovanile nel suo andare sportivo, ma anche
aveva qualcosa di abietto, di esagerato: come chi confessi senza pudore, e quasi senza accorgersene, certe proprie debolezze... a meno che non si trattasse di un’altrettanto pietosa civetteria... (p.20)
Vestito modestamente alla maniera di un insegnante che vive a stenti. Campa con difficoltà.101 E non scorda di sottolineare le proprie origini popolari. Comunque, ciò che per noi è rilevante, infine veniamo a sapere che la scena si svolge al tramonto e la sera rende depauperate e opache le cose che vede intorno. L’atmosfera serale del buio imminente scoraggia Pasolini di proseguire il cammino incutendogli paura con la quale esprime il proprio dubbio sul senso di tale percorso, mettendo inoltre in dubbio l’esistenza dei Due Paradisi.102 Di seguito ricorda a Pasolini - Virgilio uno dei grandi predecessori nel viaggio oltremondano, appunto Enea, in quanto cita Dante:
Non so se ti rendi conto... che questo viaggio l’ha già fatto, per dirla prudentemente, chi ”corruttibile ancora, ad immortale secolo andò.”103
Evocando allo stesso tempo l’autorità del sommo poeta, la vocazione di Enea, il fatto che fu autorizzato da una ideologia di ferro104 di compiere tale viaggio. Il viaggio vissuto da Dante, che in realtà inizia con il secondo canto, assume un significato simbolico. Il poeta fiorentino lo fece grazie ai suoi grandi predecessori: Enea, protagonista del poema di Virgilio, il suo maestro illustre e guida nel percorso attraverso i due regni iniziali, e grazie San Paolo, il suo predecessore cristiano da cui prende il concetto dell’impossibilità di raccontare le visioni paradisiache: “Fu rapito in paradiso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno di pronunziare.”105 E’ importante sottolineare lo scopo dei loro viaggi: nel caso di Enea lo era la creazione dell’Impero Romano, invece nel caso di 101
Qui vanno ricordati gli anni subito dopo l’arrivo a Roma quando non trova lavoro e vive a stenti. “Devo proprio andare avanti con questa Opera Barbarica, quella dei Due Paradisi non è che una velleitaria e infantile teoria”. Pasolini La Divina Mimesis, p.21 Maiuscoli sono dell’autore. 103 Ivi, pp.21-22 La citazione dantesca: “corruttibile ancora, ad immortale/ secolo andò” Inf, II, 14-15 104 “(…) egli era sostenuto da una ideologia di ferro” dissi proprio cosi “la più potentemente unitaria di tutta la nostra cultura, prodotto finale di tutto il Medioevo ecc. (...)” Ivi, p. 22 105 2 Cor. 12, 4 102
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San Paolo, la fondazione basilare della teologia cristiana nel suo corpus epistolare. Entrambi i percorsi ebbero luogo grazie alla missione provvidenziale che fu loro concessa. E’ Beatrice che trasmette a Dante l’investitura profetica, il fine del suo viaggio, cioè quello di scrivere dopo il ritorno le cose viste: “Quel che vidi, ritornato di là fa che tu scrive.” (Purg. XXXII. 104- 105). Dante ottiene quel comandamento come se fosse un profeta. Le parole riferite a lui sono simili a quelle indirizzate da Dio a San Giovanni prima della visione che servì ad Apostolo per scrivere l’Apocalisse: “Quello che vedi, scrivi in un libro” (Ap. I, 11). Così Dante si propone di seguire l’esempio del suo illustre precedente cristiano, San Paolo, che non solo fu rapito al terzo cielo, dove ”udì parole indicibili” (2 Cor. 12, 4) , ma sopratutto fu scelto da Dio. San Paolo, vas elactionis per portare il nome di Dio dinnanzi ai popoli, tramite la chiamata si fa vaso della scelta e di conseguenza va a predicare la parola di Dio portando il messaggio della salvezza. Dante adopera quel misterioso “vaso” evocandolo nel secondo canto dell’Inferno. Lo rende chiave di lettura anche della propria visione, anche se all’inizio si mostra incerto della propria investitura, paragonandosi con i grandi predecessori:
Ma io perché venirvi? O chi ‘l concede? Io non Enea, io non Paolo sono; me degno a ciò ne io ne altri crede. Inf. II, 31-33
L’esplicazione di tale impresa parrebbe semplice, lo scopo sarebbe quello di riacquistare le capacità espressive di Pasolini-Dante:
Ecco, insomma, volevo dire semplicemente... che rifare questo viaggio consiste nell’alzarsi, e vedere insieme tutto da lontano, ma anche nell’abbassarsi e vedere tutto da vicino – per continuare a esprimermi senza il minimo pudore. Tu sai cos’è la lingua colta, sai cos’è quella volgare. Come potrei farne uso? Sono entrambe ormai un’unica lingua: la lingua dell’odio. (p.22)
Le dimensioni pasoliniane differiscono da quelle dantesche, cui il sommo poeta fa accenno alla fine della seconda cantica: “entrai per lo cammino alto e silvestro.” (Inf, II, 142), dove alto vorrebbe significare appunto profondo, in quanto si scende nel centro della terra; silvestro invece amplifica il significato dell’aggettivo precedente, sottolineando l’aspetto esteriore della
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camminata.106 E finisce il discorso ripetendo le parole dantesche che riportiamo per la seconda volta: Me degno a ciò né io né altri crede. (p.22)107
La lingua dell’odio.
Anche Pasolini teme che tale viaggio oltrepassi la misura del possibile, dicendo: “Non sarà una follia?” (p.22) di fronte al dantesco: “temo che la venuta non sia folle”. (Inf, II, 35) Dolore del nevrotico
“Se ho ben capito” egli disse (nella mia stessa Lingua!) “ tu hai una maledetta paura. E ciò non ti fa onore.” (p.23)
E per evidenziare le somiglianze riportiamo anche i versi danteschi:
«S’i’ ho ben la parola tua intesa», rispuose del magmanio quell’ombra, «l’anima tua è da viltade offesa; la qual molte fïate l’omo ingombra sì che d’onrata impresa lo rivolve, come falso veder bestia quand’ombra. Inf, II, 43-48
In fin dei conti, l’ammonizione di Virgilio - Pasolini assume un tono di diretta critica, però in quel caso le parole non vanno pari passo con l’espressione degli occhi, tutt’altro che propensa a rimproverarlo108. Il rimprovero si nota con un procedimento di non esprimere l’opinione che tramite eufemismi, il che è una maniera contemporanea di scrivere. Lo scopo di essa sarebbe affievolire il significato vero e proprio della parola, in un certo senso nasconderlo.
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Dante Alighieri, Commedia, Inferno vol. 1, con il commento di Anna Maria Chiavacci Leopardi, Mondadori, Mlano 1991, note al Canto II, p.70 107 Invece la citazione dantesca originaria differisce di un articolo determinato: “me degno a ciò né io né ‘l altri crede.” Inf, II, 33 Questa osservazione fa riflettere se Pasolini, omettendo l’articolo, adatta il verso all’italiano contemporaneo, ovverosia se la perfetta conoscenza della Commedia che dimostra è basata esclusivamente sui ricordi scolastici senza doversi evocare al testo originale. Data la sua eloquenza e intelligenza tutt’altro che mediocre (basta pensare che ai tempi del liceo Galvani a Bologna trascorreva pomeriggi nella biblioteca dell’Archiginnasio e le sere nei bar a discutere con i letterati e intellettuali su temi di letteratura e cultura), nulla ci ostacola di presumere che Pasolini ricalca la Commedia dantesca dalla propria memoria. 108 E mi guardò con uno sguardo che era esattamente il contrario di quello che erano le sue parole: la parola paura corretta da quel maledetta che la temperava rendendola più tollerabile e opportuna; le parole non ti fa onore, quale reticenza per dire ti disonora. Ivi, p.23
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Il suo sguardo invece era senza «correzioni», pieno di coraggioso amore. (p.23)
Non è più Beatrice il cui contributo da Dio fa si che Pasolini–Dante viene carico di un’investitura comparabile a quella spettante ai profeti, ma nel caso pasoliniano, le parole precedentemente attribuite a Beatrice, le dice Pasolini Virgilio: “La Fede mi ha spinto qui; e la Fede è stata spinta a spingermi dall’Id...” (p.23) non più amore: “amor mi mosse, che mi fa parlare” (Inf, II,72) Oggi sappiamo che Beatrice gli è venuta dal cielo, quindi l’amore di cui ci parla ha provenienza divina ed è identificabile con il Dio che è amore stesso. Quindi, Pasolini non trova nessun sostituto all’intercessione delle sante donne Maria Vergine, Lucia, Beatrice109, che in quanto particolarmente venerate, chiedono a Dio il permesso di compiere da Dante quel viaggio eccezionale. In quel punto pare evidente poter paragonare Dante Pasolini non con Enea, ma con Ulisse, perché pure il suo viaggio non è autorizzato dalle divinità, Ulisse non ha nessuna missione da compiere e il suo unico scopo è quello di conoscere il mondo. Entrambe le guide invece tacciono, dopo aver comunicato al pellegrino il motivo della loro venuta. Pasolini - Dante e Pasolini - Virgilio non si scambiano più parole. La presenza della guida si mostra però per Pasolini un fattore confortante e incoraggiante, tanto più che scopre in lei, nel suo modo di camminare, delle somiglianze con suo fratello defunto, Guido.
Avevo, davanti a me, la faccia di un partigiano condannato a morte, che nel pallore del terrore, conserva – nell’occhio bruno, nello zigomo virile – la durezza della sua speranza, ormai inutile per lui. (p.23)
Nella reminescenza vede il fratello la cui sorte è pregiudicata, lo aspetta morte imminente. Contemplazione dei fiori - fratelli sul prato, che gli erano silenziosi compagni per tanti anni (ragazzi), diventa quasi un momento sacro, perciò quando egli se ne va senza conoscere i loro nomi. Fiori che ricominciano con fede ogni giorno. Poveri, fragili, ma belli, saranno i ragazzi del prato, perché gli descrive con delle caratteristiche dei ragazzi del evocato in precedenza, prato del Petrolio, ad esempio hanno vestiti da festa a poco prezzo, il che sottolineerebbe la provenienza, le loro radici plebei, spesso contadine.
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Le sante vergini, come altri personaggi chiave, sono legate alla storia personale di Dante. Dante ha una particolare devozione per santa vergine Maria, in quanto madre di Dio; per santa Lucia, protettrice della vista (all’epoca Dante ebbe dei problemi con la vista, il suo risanamento lo dovette a Santa Lucia; Beatrice ovviamente non è santa riconosciuta dalla chiesa ma secondo lui alla donna amata deve l’intercessione dalla santa Lucia che a sua volta chiede Vergine Maria l’intercessione da Dio e la grazia di compiere un viaggio nell’aldilà in nome dell’umanità. Inf, II, 95-108.
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Fioretti isolati, o in grandi distese, ognuno con suo stelo, tutto suo, che misteriosamente si sono stanziati qui, in una notte, venendo chissà da dove, su quest’era calpestata solo da superstiti greggi, o da puttane ormai vecchie, tristi, che chiedono pochi soldi agli operai che tornano dalla città, ai figli dei contadini che abitano in una campagna su cui si ammassa la periferia, oltre la curva di un fiume, o il rettilineo di un’autostrada. (pp.24-25)
Non sarebbe questa un’immagine assai simile alla descrizione del prato nell’appunto 55 del Petrolio? Come i fiori non scelgono il posto dove crescere, ma si lasciano guidare dal vento e dal sole, allo stesso modo pure egli non scelse volontariamente di venire a Roma, ma lo deve alla casuale scoperta (sorpreso con uno degli allievi a Casarsa.)
Anch’io come un fiore – pensavo – niente altro che un fiore non coltivato, obbedisco alla necessità che mi vuole preso dalla lietezza che succede allo scoraggiamento. Poi certo verrà ancora qualcosa che mi massacrerà: ma anche per me, come per i fiori delle altre primavere, il passato si confonde con il presente, e un prato qui, e, insieme, nel cosmo! (p.25)
La citazione ci toglie il fiato quando arriviamo al passo sulla morte violenta del poeta. Quanto vi è di profetico, quanto di casuale in queste parole?
Ma la similitudine non è esclusivamente pasoliniana, ne fa accenno Dante:
Quali fioretti dal notturno gel chinati e chiusi, poi che ‘l sol li’imbianca, si dirizzan tutti aperti in loro stelo, tal mi fec’io di mia virtude stanca.
Inf, II, 127-130110
Seguendo la guida, Pasolini - Dante prova molteplici stringimenti al cuore, il che non è altro che un altro tratto della sua natura simile a quella di un fiorellino del prato, ma anche tiene il passo alla guida, che procede con un andamento da partigiano.
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Gli elementi, anche minuscoli Della natura nella Commedia sono figure Della vita spirituale dell’uomo. Dante Alighieri, Commedia, Inferno vol. 1, con il commento di Anna Maria Chiavacci Leopardi, Mondadori, Mlano 1991, note al Canto II, p.68-69.
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«Amo la vita così ferocemente, così disperatamente, che non me ne può venire bene: dico i dati fisici della vita, il sole, l’erba, la giovinezza:… e io divoro, divoro, divoro… Come andrà a finire, non lo so.»111
Prima di essere mangiato il corvo disse: “I maestri sono fatti per essere mangiati in salsa piccante. Devono essere mangiati e superati, ma se il loro insegnamento ha un valore ci resterà dentro.” 112
2.3 Abbozzi, iconografia ingiallita e Rabbia
1. Appunti e frammenti per il canto III La prima immagine del III canto de La Mimesis appare come una Città multinazionale, piena di varie lingue, gerghi, dialetti. Vi manca l’immedesimazione del viaggiante con il luogo presente in Dante che sottolinea la missione di Dante pellegrino di dover compiere il viaggio redentorio in nome dell’umanità.113 La mancanza dell’entrata nel regno della dannazione ne La Mimesis, e allo stesso tempo l’omissione di una qualsiasi iscrizione sulla porta infernale, alquanto significativa nella Commedia114, si spiegherebbe con il fatto che Pasolini - Dante e Pasolini - Virgilio non vanno oltre il mondo. Ma nonostante ciò, non cambia l’argomento del discorso tra i protagonisti. Dantesco: “Maestro,che è quel che odo?” Inf, III, 32, diventa in Pasolini: “Maestro, cos’è quello che sento?” (p.26), però essa risulta una somiglianza ingannevole, siccome l’argomento del dialogo e le scene infernali risultano tutt’altro che convergenti. Gli ignavi115 del primo girone dantesco diventano in Pasolini “quelli che hanno eletto a proprio ideale una condizione peraltro inevitabile: l’anonimato.” (p.26) Il brano de La Mimesis, si trasforma peraltro in un’aspra critica dei conformisti che, l’autore conoscendo le 111
da Ritratti su misura, a cura di Elio Filippo Accrocca, Venezia, Sodalizio del Libro, 1960 http://www.italialibri.net/autori/pasolinipp.html 112 Dal film: Uccellacci e uccellini. Scritto e diretto da P. P. Pasolini. 1965 113 Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l’eterno dolore, per me si va tra la perduta gente. Inf, III, 1-3 114 Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate. Inf, III, 9 115 Mischiate sono a quel cattivo coro De li angeli che non furon ribelli Né fur fedeli a Dio, ma per sé furono. Inf, III, 37-39 Così Dante descrive gli ignavi nell’inferno.
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molteplici critiche della borghesia fa intuire che si tratta appunto di essa. E’ l’anonimato cui sfugge. Lo contrappone anche alla condizione dei partigiani che in tanti, gremiti in montagna ripetevano quotidianamente gli stessi gesti, ovverosia rifare azioni, il che sorprendentemente gli rendeva dissimili.116 Invece nel caso della borghesia non esprime che pungente critica:
Questi invece hanno fatto della loro condizione di uguaglianza e di mancanza di singolarità una fede e una ragione di vita: sono stati i moralisti del dovere di essere come tutti. (pp.26-27)
Qui ci vengono in mente le parole del regista rilasciate in una delle ultime interviste a proposito del suo ultimo film, Salò o 120 giornate di Sodoma, in cui sostiene che egli stesso non è un moralista. Sarebbe ingiusto paragonare le due affermazioni rilasciate a distanza di dieci anni, tanto più che nel ’75 Pasolini aveva già rilasciato l’abiura dalla trilogia della vita, mentre nel ’65 non ne ha ancora girato nessun film. Intanto la critica nei confronti del conformismo borghese lascia molteplici tracce nelle sue opere, una delle più aspre sembra il film Teorema dove il regista evidenzia la corruzione dei costumi e il marasma dei benestanti, mentre esalta l’innocenza della povera serva che come unica percepisce la provenienza divina dell’ospite divino.
Maestro, che è tanto greve a lor che lamentar li fa si forte? Inf, III, 43-44
Ma cos’hanno da lamentarsi così? (p.27)
Dannati danteschi non fecero né il bene né il male e in conseguenza nell’aldilà se ne pentono rimpiangendo la mancanza di reazione. Pasolini attribuisce a questi dannati delle caratteristiche simili, chiamandoli insieme: grandi rinunciatori che una volta non sofrirono, invece adesso sono infelici.
Essi infatti (al contrario che nella vita) qui erano infelici, piangevano, si lagnavano. (p.27)
La citazione mette in dubbio l’ubicazione dell’inferno pasoliniano, in quanto il poeta accenna alla vita di quelli che volevano vivere l’anonimato. Non resta che chiederci: dove è ubicato l’inferno che percorrono Dante e Virgilio odierni se prima era detto che non avrebbero
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Quanti di quei operai non erano uguali tra di loro? Guarda le loro fotografie ormai ingiallite. Erano popolo. Erano gioventù. Erano classe operaia. (p.26)
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percorso altro regno che il mondo? Sarebbe un’inconseguenza della composizione, o semplicemente un dato poco rilevante nella riscrittura, volendo l’autore rimanere in qualche modo fedele alla riscrittura del poema omonimo? La caratteristica dei conformisti in Pasolini è dettagliata, piena dei richiami alle masse che
seguono ciecamente una bandiera con su uno Stronzo. Sarebbe un suo modo di
condannare i regimi autoritari che annientavano la volontà dell’individuo fino a renderlo cieco, privo di qualsiasi propria volontà, capace di agire secondo le imposizioni.
2. Appunti per il IV canto Il brano successivo dell’opera pasoliniana, sarebbe collegato con la Commedia dantesca per la presenza del riferimento al pallore della guida:
Questo mio pallore non è che la pietà per tutta la gente laggiù, che vive nella confusione. Va bene, forse è una scusa, ma è anche la verità. La pietà infatti in me è solamente che prende la mancanza di libertà... (p.28)
L’angoscia de le genti che son qua giù, nel viso mi dipinge quella pietà che tu per tema senti. Inf, IV,19-21
In Dante è il momento di scendere nel primo limbo dell’Inferno, là dove ha il suo posto anche Virgilio,117 invece Pasolini - Virgilio la compassione per le anime che vivono nella confusione, ed è questo il perché del suo pallore, ma ne troviamo inoltre un’altra cagione, meno poetica: una crisi d’ulcera che ebbe luogo l’anno successivo.118 Lo testimonia inoltre l’aria stanca e malaticcia della guida.119 In Commedia i virtuosi (filosofi e poeti dell’antichità) sono eternamente sospesi nel limbo, invece oggi i loro posti occupano semplicemente i conformisti.
Pasolini all’inizio del secondo brano del canto si rende conto della propria incapacità di dire le cose come le ha viste:
Chiedo perdono a questo punto al lettore per la sproporzione tra quello che vorrei dire e quello che so dire. (p.29) 117
Il primo limbo è occupato dalle anime buone, di bambini e di adultiinnocenti, che non conobbero la fede in Cristo Salvatore. 118 Questo succede a cena con Alberto Moravia e Daccia Maraini in un ristorante nel marzo del 1966. Dopo di che rimane per un mese in letto e in conseguenza scrive le sue 6 tragedie: Calderòn, Pilade, Affabulazione, Porcile, Orgia, Bestia da stile, e delinea inoltre l’abbozzo del film Teorema. 119 “Io vedevo il colore di quelle guance: aveva certo una cattiva digestione, la mia Coscienza: o forse non stava bene di stomaco o di fegato. O era esaurito. O tutte queste cose insieme.” P. P. Pasolini, Op. Cit, p.28
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Ciò che Dante annota alla fine della descrizione delle anime degli illustri filosofi e poeti antichi nella bella scola:
Io non posso ritrar di tutti a pieno, però che sì mi caccia il lungo tema, che molte volte al fatto il dir vien meno. Inf, IV, 145-147
Presenti nello scrivere dantesco scacchi della memoria a causa dell’ineffabilità dell’argomento, vengono spiegati semplicemente riferendosi agli anni passati in provincia, ma con ciò Pasolini non vorrebbe giustificarsi e aspettare ancora di più con la stesura del poema.120 Perché gli era urgente scrivere appunto in quel preciso momento? La successiva riflessione sulla sapienza e innocenza ci spiega perché Pasolini andava a cercare i popoli incontaminati e prediligeva i ragazzi poco istruiti di borgata:
Il sapere poco è ingenuità e orgoglio mescolati insieme. L’ignoranza è un terrore infantile. (p.29)
Odiamo il conformismo degli altri perché è questo che ci trattiene dall’interessarci al nostro. Ognuno di noi odia nell’altro come in un lager il proprio destino. (p.30)
Piccolo borghesi – e soprattutto quelli che da lavoratori stavano diventando piccolo borghesi – hanno accettato il conformismo dei padri. Convinzioni e abitudini; paure e violenze; lavoro e festività; patrie e chiese. (p.30)
Dopo di che nuovamente ripete la preoccupazione per la propria inabilità di rappresentare fedelmente ciò che vede:
Mi scuso col mio lettore – che ha ragione di essere impaziente – per non saper rappresentargli una visione del mondo confortata dalla saggezza e dall’estremismo che vorrei. (p.30)
La riflessione che svolge il poeta, pur apparentemente poco conforme allo schema dantesco, esprime il nocciolo dell’essenza dell’inferno odierno, perché sostiene che l’inferno che si è “messo in testa di descrivere è stato semplicemente già descritto da Hitler.” (p.30)
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Pasolini chiama ciò che scrive Dròmenon, ne accenna prima in Descrizioni di descrizioni: “Ho fatto delle "descrizioni". Ecco tutto quello che so della mia critica. E "descrizioni" di che cosa? Di altre "descrizioni", che altro i libri non sono. L'antropologia l'insegna: c'è il "dròmenon", il fatto, la cosa occorsa, il mito, e il "legòmenon", la sua descrizione parlata.” http://www.pasolini.net/saggistica_descrizione.htm
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Hitler è stato frutto dei loro figli poeti, che hanno fatto un sogno molto più vero, più grande e più terribile d quello che fossero in grado di fare. (Poeti anche figli di Ebrei.) (p.31)
Altre volte invece accade che le parole di odio del poeta siano realizzate da una rivoluzione, quella che egli sognava. (p.36)
Sarebbe un accenno alle conseguenze del genocidio nazista effettuato in nome dell’ideologia nietzscheana? Bensì le parole di odio121 evocano la lingua dell’odio, la lingua dell’Italia unita. Anche ne La Mimesis non manca il giardino dei poeti; in questo caso si tratta di una villa Settecentesca distante a qualche chilometro di Praga, circondata da un enorme giardino122. Invece di sette mura che la recingono in Dante, vi troviamo un muro con un cancello. Il giardino è pieno di poeti cechi e slovacchi, a volte capita un ospite italiano. Perché il poeta colloca quel giardino appunto in Repubblica Cecoslovacca e non in Italia, dato che all’inizio dichiarava di voler percorrere le periferie di Roma o di altra città occidentale? Se il giardino si fosse trovato in Italia, i poeti sarebbero stati certamente volgari, poiché è volgare la piccola borghesia cui appartengono essendo costretti fare un secondo lavoro allo scopo di mantenersi. Invece i poeti del giardino sono riconosciuti dallo stato e non necessitano svolgere i mestieri per sopravivere.123 Solo a vedere i poeti al narratore si ristringe il cuore, come all’inizio solo a vedere gli operai. Da una parte è la volgarità dei poeti italiani che gli fa stringere il cuore, d’altra parte invece i poeti cechi e slovacchi suscitano in lui la stessa emozione. Tutto sommato, anche loro si guadagnavano del pane, solo che a differenza dei loro compagni italiani il compito di poeti che svolgono gli viene ufficialmente riconosciuto.
La povertà piccolo borghese rende così volgare il piccolo poeta, ma anche il grande poeta non ancora riconosciuto e onorato. (p.33)
E se torniamo al momento dell’incontro di Pasolini - Virgilio con Pasolini - Dante, ricordiamo che il venuto in soccorso al viandante sorpreso dalle bestie è “un piccolo poeta civile degli Anni Cinquanta.” (p.15) Quindi con ciò, Pasolini rigurgita aspramente gli anni della povertà che visse subito dopo arrivo a Roma, che si sono poi prolungati nel tempo e non sono terminati con il lavoro dell’insegnante a Ciampino. Anche se sostiene poi che
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Corsivo nostro in quanto riferito alla citazione precedente. Citazione: La Mimesis, p.39 E’ l’immagine che ci rimanda all’ultimo film pasoliniano, Solò, 120 giornate di Sodomia dove l’azione si svolg appunto in una villa separata circoncisa da un giardino. 123 “Avevano le garanzie necessarie per l’alloggio e il cibo, per le spese speciali e le malattie. Ma tali figure economiche erano tuttavia anch’esse misere: e dunque anch’esse .” (p.32-33) 122
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Il poeta vuole infatti vivere tutte le figure economiche possibili, vuole insieme la miseria e la ricchezza. Egli non è un acquirente! Egli è un produttore che non guadagna! E’ uno che produce merce che può e non può essere acquistata. (p.34)
E infatti egli stesso ne fornisce un esempio, ovverosia il suo Virgilio. Vivere nel giardino non è un fattore opprimente come lo era nel caso del giardino dantesco,124 i poeti qui presenti si distinguono dallo stile alto e dalla lingua pura, anzi, è un privilegio trovarsi nel loro giardino, per un piccolo poeta civile è un sogno. I “poeti” presenti nel giardino non ebbero paura della letteratura, la sorte di “letterati” sarà l’inferno. In effetti, Pasolini attribuisce al giardino il valore opposto a quello conosciutoci dalla Commedia. Addirittura qui compare onnipresente figura materna:
La madre! Essa era dunque la regina dell’Inferno: essa, raccolta, dolce, protettrice e bambina, ancora nella luce del Paradiso Terrestre. (p.37)
La madre serve da collegamento con il Paradiso, ormai solo in progetto. L’influenza della madre si rivela talmente forte che suo figlio le assomiglia così tanto che in fin dei conti: ”Era divenuto lei.” (p.38) Non sarebbe in questo punto troppo precoce menzionare lo svolgimento di questo accenno? A quanto pare quest’idea di diventare la madre si realizza in Petrolio dove il protagonista, Carlo, cambia sesso e diventa una donna. Non mancano segni profetici della propria morte:
E tanto più egli – morendo per desiderio di morire, uccidendosi per troppo amore di vita – era venuto ad assomigliare a sua madre. (p.38)
Non era egli stesso a dichiarare il proprio amare la vita ferocemente e disparatamente?125 Moravia non era d’accordo con l’opinione che Pasolini doveva morire proprio così, ma il poeta pur rendendosi conto del pericolo a cui si esponeva, non era in grado di rinunciare dal vivere la vita.126
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Gli spiriti magni dei poeti antichi, le anime buone che non conobbero la fede cristiana, le anime di neonati morti senza il battesimo, non hanno speranza di redenzione, anzi, essa è già avvenuta, Virgilio stesso afferma d’aver visto Gesù venire per liberare i patriarchi del vecchio testamento occupavano questo limbo. Non hanno speranza, qui risiede il loro dramma. 125 “Amo la vita così ferocemente, così disperatamente, che non me ne può venire bene: dico i dati fisici della vita, il sole, l’erba, la giovinezza:… e io divoro, divoro, divoro… Come andrà a finire, non lo so.” (da Ritratti su misura, a cura di Elio Filippo Accrocca, Venezia, Sodalizio del Libro, 1960) 126 (...) era chiaro che stavo facendo esperienza di una forma di vita allo scopo di esprimerla. (p.7)
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3. Appunti e frammenti per il canto VII Improvvisamente ci distacchiamo dal percorso cronologico e il brano seguente ci porta nel girone dei conformisti borghesi, che pur essendo capaci di riconoscere i propri peccati compiuti sulla base di conformismo, non lo hanno fatto
e per una semplice comodità
divennero „dei religiosi praticanti... dei benpensanti del tutto dediti al lavoro e alla famiglia che finirono col farsi fare le fodere delle poltrone con la pelle delle loro vittime” (p.39) Ecco la scritta che indica il loro loco: . Il relativo canto della Commedia viene invece dedicato agli avari e ai prodigi. E’ evidente che il percorso pasoliniano e tutt’altro che conforme al quarto cerchio infernale di Dante. Più ci allontaniamo dall’inizio, più ci imbattiamo in sempre meno somiglianze tra le due opere. Perché Pasolini omette due canti e passa direttamente al VII? Va notato che lo schema da lui annotato si trova inizialmente nel Progetto di Opere Future di Poesia in forma di rosa. Le punizioni nel suo inferno vengono ormai abolite, perché “la sola pena è esserci” (p40). Il girone dei conformisti è abitato dagli uomini di cultura tanto miti da poter introdurre nella loro zona nuovi reparti di polizia infernale femminile. Anche gli occhi di queste donne – poliziotti sono pieni della luce, ma di una luce nera e nemica in cui si leggeva l’odio solo a dover permettere il passaggio nella zona ai due estranei. Appare una immagine della folla agitata gremita in piazze delle grandi città o di quelle in provincia che svela un immortale spirito italiano. E’ ragionevole ipotizzare che la scrittura del VII canto è dovuta al fatto che secondo Pasolini il conformismo sarebbe un peccato il più frequente127 che genera dei peccati più gravi, fra l’altro la mancanza di religione che nel percepire pasoliniano è ormai divenuta essa stessa una sorta di religione.128 Inoltre sembra che Pasolini sta giocando con le parole definendo le masse di conformisti “vas di riduzione”, che si dovrebbe capire come “spirito di riduzione” che a sua volta genera la “mancanza di religione”. Qui stiamo al nocciolo dei peccati dell’epoca dell’odio. Il gioco pasoliniano consisterebbe nel riprendere il dantesco “vas di elezione”, attribuito a san Paolo, in quanto prescelto da Dio a portare il suo vangelo ai popoli che non lo conoscono, con il compito di scrivere un corpus epistolare. Quelli che si distinguono per il loro conformismo erano tutt’altro che destinati a tale fine, in quanto “avevano (...) gli strumenti necessari per riconoscere il loro peccato:“seppero come non essere conformisti e lo furono.” (pp.39-40)
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E infatti in nessun’altra parte dell’Inferno vedrai tanta gente. Le masse, amico mio.(p.42) Le masse; che hanno eletto a religione il non voler averne – senza saperlo. (p.42)
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“Vas di riduzione” dei piccolo borghesi sconvolgeva pure la guida il cui cuore era proprio incline a stringersi; dimostrava più complicità nello stingersi del cuore nei confronti dei maschi che delle donne.129 Ai peccati della borghesia appartengono anche i grandi genocidi nei campi di concentramento.130 Cerchio quinto che in Dante ospiterebbe gli iracondi e gli accidiosi equivarrebbe al Settore Autonomo Raziocinanti: Irrazionali e Razionali. Nell’altra zona in cui ci si imbattono, si rintracciano dei Riduttivi, e inoltre dei Troppo Continenti. Percorrono una strada paracarrata, dove del fango dantesco131 ve ne ritroviamo solamente dei “ponti eleganti sui sordidi, decrepiti canali di fango.” (p.43) Man mano si allontanano dal cerchio, s’immergono nel buio sempre più fitto, nel buio dal quale Pasolini non ci ha più indicato come uscire in quanto in questo punto interrompe il proseguimento con la stesura de La Divina Mimesis.
4. Iconografia ingiallita de La Divina Mimesis
Iconografia ingiallita (per un >)132 1. Grimau133 - comunista e appassionato nemico del sistema politico franchista, giustiziato dal regime il 20 aprile 1963. 2. Lambrakis - assassinato dalla polizia greca il 27 maggio del 1963. 3-4. Reggio Emilia 1960. L’inclusione delle due foto che testimoniano il vivo interesse Pasoliniano nei confronti degli scontenti rivoluzionari. Reggio Emilia si è iscritta nella storia con le ribellioni, voci si scontentezza, disaccordo con la situazione politica. Inoltre è nota per le Brigate Rosse, che qui presero le origini. E pure Pasolini è un ribelle, nonostante la voce lagnosa, la postura tutt’altro che spaventosa. E’ uno delle sue ultime grida, un grido sorde, in quanto il suo essere profeta non trovò riscontro ed attenzione ai suoi tempi. In questo caso 129
Ma i maschi! E gli occhi gli si riempirono di una malinconia simile allo spasimo di un dolore fisico: era ben nota la facilità con cui gli si stringeva il cuore, e ora evidentemente il destino di quelli maschi, che erano riusciti a portarsi nella tomba, intatta, la loro piccolezza di borghesi... di vas di riduzione, lo sconvolgeva. (p.42) 130 Ma mai in tutta la storia si videro i peccati così orrendi come quelli comessi dalla borghesia in questo secolo, per difendere il proprio diritto a odiare la grandezza. Penso a Bunchenwald e a Dachau, a Auchwitz e a Mauthausen (pp.42-43) 131 In la palude va c’ha nome Stige Questo tristo ruscel, quand’è disceso Al pié de le maligne piagge grige. E io, che di mirare stava inteso, vidi genti fangose in quel pantano, ignude tutte, con sembiante offeso. Inf. VII, 106-111 132 Abbiamo riportato il titolo dell’album che Pasolini inserisce ne La Mimesis. 133 Corsivo nostro; ci serve per evidenziare i titoli delle foto che contiene la iconografia ingiallita.
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specificamente il riferimento riguarda la manifestazione contro il governo Tambroni, del 7 luglio 1960, in conseguenza dell’attacco della polizia cinque ragazzi morirono. Ciò che accomuna Grimau, Lamarkis e ragazzi di Reggio Emilia è la loro morte assurda.134 5. Roma: folla anonima e seicento – veduta di una piazza romana riempita delle macchine, le seicento che la rendono prettamente contemporanea, neocapitalistica, borghese. Accenna inoltre al progresso tecnologico tipico per gli anni 60 e 70 in Italia. La foto da una parte fa pensare all’attitudine antiborghese di Pasolini, d’altra invece ricorda che anche egli, pur mettendo in risalto molteplici volte il disprezzo per lo stile di vita prettamente consumistico dei ceti benestanti, della borghesia innanzitutto, è attaccato ai beni materiali. Per darne un esempio basta ricordare la sua passione per le macchine, la sua prediletta Alfa Romeo senza della quale non poteva fare a meno, sopratutto nell’ultimo periodo della vita. E’ nel film Rabbia che evoca il simbolo del capitalismo italiano, la Fiat affermando che "comprare un operaio non costa nulla...". 6. Vecchie. E’ un’altra immagine romana, più diretta in quanto le vecchie sono inquadrate da vicino. Sarebbe un affettuoso ricordo dei primi anni a Roma? Vissuti tra Ponte Mammolo e via Fontejana, in pieno centro della Città Eterna? Vecchie appaiono pure nel canto primo, sono allestitrici della tomba del eroe degli operai.135 7. L’autore e Gadda. Quella con Gadda divenne una conoscenza decisiva per Pasolini, è il linguaggio che diventa un punto forte pasoliniano ed è ragionevole ipotizzare che allo sviluppo della sensibilità linguistica di Pasolini, ebbe indubbiamente influenza l’umorismo tutto speciale, la rottura del lessico letterario tradizionale e l’uso dei gerghi di Gadda.136 8. Comizio comunista. Rimane interrogatorio sull’impegnarsi di Pasolini nel comunismo. Inizialmente ne fu membro, però l’accusa di atti osceni in luogo pubblico e depravazione dei minorenni lo espungono dal partito comunista, il cui membro non divenne mai più. Indubbiamente il suo film di cui parleremo in questa tesi, Rabbia, è un filma marxista nell’impostazione. Accanto a questi dati abbiamo infine però la sua confessione di non essere un comunista ma simpatizzante con esso. Però una delle scene iniziali rappresenta una riunione del partito (si intende di quello comunista) dove si festeggia l’assunzione al partito dei nuovi 18 ragazzi iscritti. Ma è sempre la loro gioia, non quella di Pasolini. 9-13. Ragazzi, com’erano alla fine degli anni ’50 Non sono solo le parole che creano molteplici descrizioni, più o meno intime, a testimoniare il debole del Poeta per i ragazzi. L’arrivo a Roma gli offre un cambiamento della moralità: Pasolini non doveva più 134
“(...) le morti assurdamente eroiche a cui è delegata l’umile gioventù di sempre: i ragazzi di Reggio o Palermo, gli adolescenti cubani o algerini, Grimau, Lambrakis...” P. P. Pasolini, La Divina Mimesis, p.17 135 „(…) un altarino di rose, come quelli che allestiscono mani fedeli come furoro vecchie le loro vecchie, volonterose a ripetersi nei secoli. Ivi, p.8 136 E. Siciliano, Op. Cit, p.188
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nascondersi con quel suo debole alquanto impaccioso, severamente punito nel chiuso ambiente di Casarsa. Roma gli diede la libertà, però non essendo in grado di delineare i limiti, egli si lascia andare nell’oblio del piacere. Non è più a governare la propria volontà, ma pare di essere il suo corpo a dettargli il comportamento pericoloso di esporsi al rischio continuo, ogni volta che andava con un ragazzo. 14. Gruppo di partigiani Ne La Mimesis compaiono più volte i riferimenti ai partigiani. Addirittura il suo cammino dietro la guida viene assomigliato al passo ei partigiani che vanno in montagna137. La ferita, la piaga della morte del fratello Guido – partigiano, pare insanabile. 15. La tomba di Gramsci a Testaccio Pasolini vorrebbe che Gramsci fosse la sua guida durante il viaggio: “Poteva essere, ad esempio, Gramsci stesso..., lui, venuto fuori dalla piccola tomba del Cimitero degli Inglesi a Testaccio.” (p.15) 16. Gianfranco Contini138 E’ stato appunto Gianfranco Contini, il quale poi divenne l’amico del poeta, a recensire il primo volume di poesie, Poesie a Casarsa facendo così entrare ufficialmente nel mondo delle lettere. Non ci scordiamo però che l’essere poeta di Pier Paolo risale ai tempi dell’infanzia felice a Casarsa e nasce dall’affetto per la madre Susanna Collusi che lo insegna come fare le rime.139 17. Scena del battesimo (dal Vangelo secondo Matteo) La rilevanza del Vangelo nei confronti degli altri film del regista sorprende. Per Pasolini stesso poteva essere invece di gran valore, siccome l’idea dello sceneggiato gli viene subito dopo la lettura subitanea dell’intero Vangelo secondo Matteo. Per darne una spiegazione più concreta, ci viene in mente il paragone che dimostra la scena: il precedente riferimento a Franco Contini può essere il voler dire: è egli chi mi ha battezzato a essere poeta. Come Cristo, il figlio dell’uomo: non ebbe bisogno di confermare la sua divinità, però quel passo era necessario per entrare nel mondo, perché la gente lo accettasse e lo credesse almeno un profeta. Allo stesso modo Pasolini necessita l’autorizzazione ufficiale della comparsa nel mondo letterario, pur essendo anche lui convocato dall’alto140 a compiere questa missione. 18. Frontespizio di Poesia in forma di rosa. E’ una raccolta di poesie dove fra l’altro si trova Progetto di opere future che diventa un incunambulo delle zone peccaminose nell’inferno dantesco e che ne consegue, costituisce un passo alla creazione de La Divina Mimesis. 137
“Egli camminava deciso, intento, e io gli tenevo dietro: anch’io, ormai, avevo il passo di un partigiano che va verso i monti.” P. P. Pasolini Op. cit. p.25 138 ‘Questa fraternità umana era già stata avvertita da Gianfranco Contimi il 24 aprile 1943 quando, recensendo sul Corriere del ‘Ticino’ Poesie a Casarsa, aveva sentito un sapore pascoliano in certe arditezze linguistiche, che nelle dolcezze di talune onomatopee e di sentimenti rappresentati per via di indici verbali.’ M.S. Titone Cantiche del Novecento. Dante nell’opera di Luzi e Pasolini Fondazione Carlo Marchi, Quaderni 10, Leo S. Olschi 2001, p. 22; ‘Fra il ’51 ed il ’53 Pasolini sottoponeva i suoi strumenti critici all’autorevole ed esperto vaglio di Gianfranco Contini’ Ivi, p.29 139 Una delle più belle poesie dedicate a Susanna Collusi è Suplica a mia madre, del 25 aprile 1962: 140 Corsivo nostro. Il mandato di compiere questa missione proviene dalla madre Susana.
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19. Alcuni del Non ci sorprende invece il fatto che Pasolini ci ha pure inserito una foto del Gruppo 63 che erano a sua volta i suoi nemici letterali. Lo sottolinea meglio nella “Nota per un editore” dove dice che l’autore dell’opuscolo di cui dattiloscritti raccoglie e dopo averli ordinati da alle stampe, è morto a colpi di bastone a Palermo. Quel dato coincide non casualmente con un convegno del gruppo ’63 riunito nel 1° congresso a Palermo dello stesso anno, che non gli risparmiarono le critiche. 20. Primi anni ’60: fascisti. Nato sotto fascismo che in fin dei conti non è passato ma regna tutt’ora nella coscienza della borghesia, lo trova pure a Roma negli anni Cinquanta. Il fascismo sembrerebbe agli sgoccioli già a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, in realtà era tutt’ora regnante nelle menti dei fedeli suoi sostenitori. 21. Al Ninfeo di Valle Giulia141 22. Emilio Cecchi come Pasolini fu allievo di Longhi, solo che apparteneva alla generazione precedente, letterato e critico d’arte. Enzo Siciliano annota che in estate del ’43 trascorsa insieme al cugino Nico Naldini a Versuta (un paese poco distante da Casarsa) Pasolini trascriveva i vari volumi, tra l’altro appunto di Cecchi, aggrappandosi in questo modo all’unica sorgente della cultura in quel villaggio pressoché sperduto.
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Tra i punti più significativi della raccolta “Empirismo eretico” è sicuramente Il PCI ai giovani! che lo stesso Pasolini definirà come "Appunti in versi per una poesia in prosa seguiti da una 'Apologia'", apparso per la prima volta sul n. 10 di "Nuovi Argomenti" nell'aprile-maggio 1968. Con questa polemica in versi Pasolini si pone in una posizione critica rispetto al movimento studentesco. In particolare Pasolini si riferisce agli incidenti di Valle Giulia a Roma tra studenti e forze dell'ordine: "Hanno vent'anni, la vostra età, cari e care. Siamo ovviamente d'accordo contro l'istituzione della polizia. Ma prendetevela contro la magistratura, e vedrete! I ragazzi poliziotti che voi per sacro teppismo (di eletta tradizione risorgimentale) di figli di papà, avete bastonato, appartengono all'altra classe sociale. A Valle Giulia, ieri, si è così avuto un frammento di lotta di classe: e voi, amici (benché dalla parte della ragione) eravate i ricchi, mentre i poliziotti (che erano dalla parte del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque, la vostra! In questi casi, ai poliziotti si danno i fiori, amici, "Popolo" e "Corriere della sera", "Newsweek" e "Monde" vi leccano il culo. Siete i loro figli, la loro speranza, il loro futuro: se vi rimproverano non si preparano certo a una lotta di classe contro di voi! Se mai, alla vecchia lotta intestina". http://www.pasolini.net/saggistica_empirismo.htm
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23. Sandro Penna Agli occhi di Dario Bellezza142 ciò che accomuna Penna e Pasolini, sarebbe non solo amicizia143 e amore verso i ragazzi, ma anche una specie di compiacimento nella povertà che nel caso di Penna è una scelta di vita, invece in Pasolini nasce dalla volontà di ritornare alle origini dell’Italia contadina. A quanto pare, la presenza della foto dell’autore della Strana gioia di vivere sarebbe spiegabile sia con un’inclinazione comune che entrambi ebbero, il loro debole per i ragazzi, che con l’amicizia che gli legava. Un’altra peculiarità: il consumismo ha reso mostri i ragazzi che Penna amava, così che uno di questi uccise l’amico di Penna.144 24. La piazza della chiesa a Casarsa Onnipresente Casarsa, il paese della madre Susanna che, se credere alla testimonianza della teoria dei due paradisi, era il paradiso pasoliniano. Casarsa della Delizia che mai perde nella vita il suo valore dell’axis mundi. 25. Paesaggio africano Non ci sorprende la presenza del paesaggio africano, in quanto notevoli viaggi pasoliniani testimoniano il suo vivo interesse per i paesi del terzo mondo, dove andava allo scopo di ritrovare le menti umane incontaminate del malefico influsso del progresso di civilizzazione. L’ultima delle foto dell’iconografia ingiallita rappresenta i bambini africani messi in posa per scattare la foto. Sullo sfondo s’intravedono le povere catapecchie di paglia dove probabilmente vivono. Pasolini andava nei paesi del terzo mondo anche allo scopo di trovarvi dei personaggi per i suoi film. Un esempio che lo attesta sarebbe il film documentario Appunti per un’orestiade africana che testimonia il suo viaggio in Tanzania e Uganda allo scopo di trovare dei caratteri, dei personaggi per una versione moderna della tragedia eschilea.
5. Rabbia Il film di regia pasoliniana pare un saggio cinematografico che racchiude un decennio di riflessione del regista sul mondo borghese e sulla situazione postbellica in Italia e in mondo intero.
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D. Bellezza Penna e Pasolini in Argomenti nuovi, luglio-dicembre 1976, nr. 51, 52 pp.40-43; Bellezza, in quanto amico di Pier Paolo, è inoltre l’autore del libro La morte di Pasolini Mondadori, Milano 1981 143 Pasolini scrive saggi su Penna, pubblicati poi in Passione e ideologia, inoltre un intervento Un po’ di febbre raccolto in Scritti corsari. 144 Enzo Siciliano in Vita di Pasolini sottolinea iniziale competizione tra Penna e Pasolini “chi fosse riuscito a “farsi” più ragazzi insieme. E Pasolini enumerava lunghe liste – e il punto, ironico, incuriosito, di chi l’ascoltava era il “quanto”, il “dove”, il “come mai tanti”. Pier Paolo non scendeva in dettagli: ma ci metteva una buona dose di allegria, di gioco francamente infantile, nello sbalordire gli amici e nel lasciarli, tutto sommato, insoddisfatti.” E. Siciliano, Op. Cit. p.190
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Pasolini non si credeva comunista, sebbene il comunismo lo appoggiasse un tempo e fosse il membro del PCI prima dell’espulsione che ha seguito lo scandalo casarsense nel 1949; semmai un suo simpatizzante che spostava verso l’area politica di centro, e lo ammette pure egli stesso.145 Che Pasolini fosse invece un riconosciuto intellettuale del dissenso146, lo attesta Rabbia. E’ il titolo che tutt’altro che sfugge dall’attenzione, in quanto divenne un grido di dissenso poetico tramite un nuovo mezzo espressivo che, a partire dagli anni sessanta, gilielo permette la nuova forma espressiva che utilizza, cioè il linguaggio filmico. Rabbia147 - con il film, realizzato nel memorabile 1963, Pasolini – questa volta regista, cerca di rispondere “perché la nostra vita è dominata dalla scontentezza, dall’angoscia, dalla paura della guerra, dalla guerra?”
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Come sappiamo dall’opuscolo che qui siamo ad
analizzare, cerca la risposta nella selva del 1963, l’anno in cui dichiara d’essersi perso; la cerca attraverso le immagini sparse degli avvenimenti del tempo, nelle due dottrine ideologiche di opposte tendenze, presumibilmente la democrazia e il comunismo (regnanti allora in Europa) che delineano all’epoca la variante governativa dell’Europa. Il regista vi riporta delle immagini dei paesi comunista ad esempio Budapest, la capitale dell’Ungheria, ma pure le figure dei dittatori: Lenin e Stalin. Carri armati per le strade delle repubbliche sovietiche. L’Ungheria del 1956 va ricordata per la controrivoluzione e nell’espressione poetica del regista diventa nera, come i ricordi, ma sono i fratelli borghesi bianchi che uccidono e non perdonano. La libertà vera e propria dovrebbe essere gridata esclusivamente con amore, altrimenti tale grido perde il suo significato, perciò il comandamento pasoliniano è seguente: “gridate con disprezzo, con odio, con rabbia:evviva la libertà! (...) gridate con disprezzo, con rabbia, con odio.” 145
Più informazioni nell’intervista rilasciata nell’ottobre del 1975 a Stoccolma, presso l’Istituto italiano di cultura, in occasione della pubblicazione delle traduzioni delle sue poesie nella lingua svedese, in N. Naldini, Pasolini, una vita, Torino, Einaudi, 1989, p.406, citato da:V. Russo, Io cupo d’amore... Tre interventi per Pasolini, Roma-Salerno 1998 146 Il poeta del dissenso, in quanto si opponeva sia alle manifestazioni del’68, sia all’aborto, e ugualmente agli intellettuali della destra fornendo degli argomenti sconcertanti. Tanto più non ci sorprendono le aspre critiche che appaiono dopo la sua morte, scritte da uno dei suoi nemici letterati del gruppo ’68, Edoardo Sanguinetti, che disapprova lo stile incomprensibile, irreali sogni del ritorno al passato, illegibilità dei romanzi, e poetica difficile del poeta defunto. Osa addirittura dire: “Finalmente ce lo siamo tolto dai piedi, questo confusionario, residuo degli anni cinquanta.” Ivi, pp.59-60. 147 “È un film tratto da materiale di repertorio (novantamila metri di pellicola: il materiale cioè di circa sei anni di vita di un settimanale cinematografico, ora estinto). Un'opera gioranalistica, dunque, più che creativa. Un saggio più che un racconto. Per dargliene un'idea più precisa, le accludo il "trattamento" del lavoro: le solite cinque paginette che il produttore chiede per il noleggio. Tenga quindi conto della destinazione di questo scritto: una destinazione che implica da una parte una certa ipocrita prudenza ideologica (il film sarà molto più decisamente marxista, nell'impostazione, di quanto non sembri da questo riassunto), e dall'altra parte una certa goffagine estetica (il film sarà molto più raffinato, nel montaggio e nella scelta delle immagini, di quanto non si deduca da queste affrettate righe).” P.P.Pasolini in risposta ad un lettore sul soggetto di Rabbia. http://www.pasolini.net/cinema_rabbia.htm 148 Tutte le citazioni in questo brano senza riferimenti, provengono dal film, Rabbia, diretto, la prima pare da Pasolini, quella seconda da Giovannino Guareschi, commento in versi di Pasolini, letto da Giorgio Bassani (voce in poesia) e Renato Guttuso (voce in prosa).
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Dopo la guerra il mondo, l’Europa, l’Italia, paiono di tornare alla normalità, invece la realtà postbellica si rivela poco incline alla consuetudine, e lo attestano gli avvenimenti in Ungheria nel ’56, in Suez, Congo del ’61. Si rende conto che questi avvenimenti impediscono la pace, che senza risolvere le inquietudini che gli forniscono i motivi per lo scoppio, la pace totale rimarrà tutt’ora un’irraggiungibile sogno. E la rabbia verso chi si conforma, si adatta alla masse grigia, sgomentato con un qualsiasi spauracchio. Il poeta si riempie di rabbia e di scontentezza a forza selle discriminazioni, sempre in aumento, causate dalle diversità etniche (colore diventa un nuovo problema mondiale149) e differenziazioni di qualsiasi altro tipo, in quanto il mondo dopo la guerra tende a far assomigliare tutti, rendendo loro privi dei caratteri distintivi, personali, annientando la loro eccezionalità. La pacata voce di Giorgio Bassani fa da tramite a Pasolini e esprime il disaccordo del regista per le persecuzioni dell’uomo a causa di una qualsiasi sua diversità. Condanna rabbiosamente colonialismo, fame, razzismo esaltando la povera libertà di cui Europa può sorridere (Tanganica, India, Indonesia, Cuba). Il mondo oscuro del’63 non sono esclusivamente i conflitti e carestia del terzo mondo; Pasolini nota il rovescio della medaglia, le attrici che vivono indubbiamente nell’altro mondo rispetto a quello precedentemente riportato: Eva Gardner viene sempre volentieri a Roma, e Sofia Loren, pure lei inquadrata appena atterrata in un aeroporto, che assiste senza proteste allo sventramento dei capitoni. Si chiede quale sarà il futuro di una classe operaia che oggi sciopera per l’ora del té? Che assiepa le strade di Londra all’occasione dell’incoronazione di Elisabetta d’Inghilterra, una celebrazione millenaria. D’altra parte non ci lascia sfuggire avvenimenti senza precedenti, dai tronfi elezionali (sindacati democristiani) a quelli musicali ( Armstrong che combatte Carlo Martin). Anche qui Pasolini appare un misterioso messaggero del futuro: ”Malattia del mondo futuro:quando il mondo classico sarà esaurito, moriranno contadini e artigiani, industria avrà reso inarrestabile il ciclo del consumo, la nostra storia sarà finita”, “(...) adunate sterminate, un guerriero se ne va, verso là dove non c’è più storia.” All’occhio attento del poeta non sfugge la cristianità che è diventata la religione di re, religione borghese – avrà in mente gli stessi conformisti che poi si troveranno nel brano del canto VII? Saranno gli stessi che poi si troveranno nella sua zona dei conformisti? (vedere la nota al VII canto).
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“L’unico colore il colore dell’uomo nella gioia di affrontare la propria oscurità, vittoria costerà sudore, terrore; nemici tra i fratelli, fratelli attaccati al terrore antico, morire a Cuba – farsene solo una canzone.”
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Il poeta vuole avere ciò che ebbero i padri ideali e che non ebbe il suo padre carnale, vuole impadronirsi di ciò che gli fu negato – spirito di un volonteroso padre. La riflessione sui padri ideali delinea un doppio significato: rimane ancorata ai ricordi dell’infanzia e richiama una figura del padre tutt’altro che ideale, e inoltre si riferisce agli incidenti di Valle Giulia a Roma tra studenti e forze dell'ordine150. Per questo motivo dichiara di non voler essere padre per non ripetere gli errori paterni, ma sopratutto perché la nuova generazione di figli è nata e cresciuta in un’altra epoca rispetto a quella precedente. E anche loro osserva pure con rabbia.151 “Io tanto desidero impadronirmi della cultura tradizionale, voglio essere in possesso di ciò che è bello e nobile, che per tanti secoli mi fu negato, voglio istruirmi con lo spirito di un volonteroso padre, leggere come un padre giovane, conoscere con cuore come un padre religioso, sono il primo figlio istruito di una generazione che non ha avuto nulla se non i calli nelle mani e le pallottole nel petto, voglio ascoltare la voce della cultura, scienza, arte.” La guerra, pur essendo finita nel ’45, non è terminata definitamene, siccome non cessano il terrore e l’oppressione degli innocenti: guerra non cessa, terrore non vuole finire, guerra è un terrore. Vi inserisce anche una poesia su Marlyn Monroe, chiamandola “bellezza del mondo antico, piccola sorellina, si è portata via la sua bellezza, sparì come una bianca colomba d’oro,” la sua morte era ancora recente, siccome si è suicidata il 2 agosto 1962. Anche lei appartiene, per la sua scomparsa, al mondo antico, ormai antecedente. Marilyn Monroe sarebbe comparsa nell’ Inferno152 trasformata in una pianta di Mimosa.153 Pasolini compiange le regole che governano il mondo borghese: „bellezza e ricchezza che governa la classe , confonde la storia con la ricchezza, la natura con la ricchezza.”
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Vedi: Iconografia ingiallita 21. Al Ninfeo di Valle Giulia Album Pasolini Oscar Mondadori, Milano 2006, p53-54 152 Gli unici abbozzi della prima versione dell’Inferno pasolinano costituisce oggi La Mortaccia, il racconto inserito in Ali dagli occhi azzurri cui abbiamo accennato nel primo capitolo. 153 Il corriere lombardo, 28 marzo 1963, citato da: Romanzi e racconti 1962-1975, note e notizie su testi, Mondadori, V edizione I Meridiani 2005, p.1965 151
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CONCLUSIONI La morte non è nel non poter comunicare ma nel non poter più essere compresi.154
Perché scrivere oggi su Pasolini, paragonando uno dei suoi scritti con l’omonima opera dantesca? Perché occuparsi dell’inferno? Ce ne siamo chiesti all’inizio della tesi. Dopo la lettura attenta e l’analisi dei passi danteschi e pasoliniani, queste domande non sembrano più così astratte come all’inizio della nostra riflessione su come viene rispecchiato, ovverosia riscritto l’inferno medievale ai nostri tempi. All’origine di questa tesi lo scopo era quello di cercare delle risposte a parecchie domande incalzanti: Perché Pasolini ha tentato di intraprendere la trascrizione dell’inferno nel suo mondo contemporaneo? La risposta al quesito parrebbe evidente: perché a noi l’inferno sembra ancora più accessibile che a Dante, in quanto non bisogna neanche recarsi nell’aldìlà, l’inferno non è altro che il nostro mondo. Di seguito ci siamo chiesti: che cosa significava per lui l’inferno e dove alla fine lo ha trovato? E’ piuttosto uno stato che un posto, come avrebbe detto Eliot. Non un luogo dove si va dopo la morte, ma una strada percorsa. In un certo senso, la vita stessa di Pasolini in certi momenti assomigliava all’inferno; quando fu accusato di atti osceni in luogo pubblico e alla depravazione dei minorenni, sia quando venne a Roma e non vi trovò che miseria e alienazione, sia quando già riconosciuto letterato e regista veniva sottoposto al tribunale accusato al vilipendio della religione cattolica ecc. Anche quando conduceva la vita notturna recandosi alla ricerca “dell’amore dei corpi senza anime”, in cui conseguenza visse l’apogeo del proprio inferno, cioè una morte atroce. Successivamente volevamo riflettere sull’opinione di Alberto Moravia che smentisce la voce secondo cui Pasolini non poteva morire che così. Però dopo aver analizzato la nota dell’editore scritta da Pasolini stesso, sarebbe imperdonabile non esprimere la riflessione che ci viene in mente: anzi, contrariamente alle parole di Moravia, Pasolini non poteva morire che
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Una disperata vitalità, in Poesia in forma di rosa, Milano, Garzanti, 1964, pp.115-116
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così dato che egli stesso tale morte si era previsto e addirittura l’ha cercata consapevolmente, esponendosi al rischio ogni sera. In seguito la nostra riflessione ha dovuto spostarsi al concetto di Pasolini – profeta, in quanto ha previsto il pericolo che avrebbe portato come se la televisione, e lo confermano le parole espresse nell’ultima intervista rilasciata a Furio Colombo.155
Le vedo anch’io le pecore nere. Ne vedo tante. Le vedo tutte. Ecco il guaio (...): con la vita che faccio io pago un prezzo. E’ come uno che scende all’inferno. Ma quando torno – se torno – ho visto tante cose, più cose (...) Voglio dire fuori dai denti: io scendo all’inferno e so cose che non disturbano la pace di altri. Ma state attenti. L’inferno sta salendo da voi... E’ vero che la sua voglia, il suo bisogno di dare la sprangata, di aggredire, di uccidere, è forte ed è generale. Non resterà per tanto tempo l’esperienza privata e rischiosa di chi ha, come dire, toccato la vita violenta. Non vi illudete. E voi siete, con la scuola, la televisione, la pacatezza dei vostri giornali, voi siete i grandi conservatori di questo ordine orrendo basato sull’idea di possedere e sull’idea di distruggere.156
Bisognerebbe domandarci fino a che punto Pasolini fosse preveggente. Ma la domanda, a quanto pare, rimane per sempre retorica; pure il misterioso paradiso abbozzato, ovverosia progettato, cui l’autore avrebbe dedicato due cantiche, non vede luce, tranne ciò che è rimasto nella Teoria dei due paradisi che abbiamo riportato nel primo capitolo di questa tesi. Sarebbe plausibile confermare che nel caso pasoliniano il paese dell’infanzia, Casarsa della Delizia, sarebbe stato il regno del paradiso? Non esiste alcun ostacolo che negasse questo quesito, anzi La teoria... ce lo solo conferma. Dantismo di Pasolini potrebbe essere individuato in due cose: la scelta della terzina dantesca come forma di poesia e il soggetto ripreso dalla Commedia, ovverosia il tentativo di riscriverla, questa volta in prosa.157 Ma il lettore che si aspettava un inferno dantesco, almeno l’inferno di cui progetto Pasolini ci fornisce in Poesia in forma di rosa, rimane deluso. Pasolini rivive infatti un tratto del percorso dantesco ma lo fa a modo suo, tentando di riscrivere la Commedia in base all’esperienza d’Italia a lui contemporanea. Inoltre l’opera, la da alle stampe volutamente incompiuta, il che la rende ancora più misteriosa ed equivoca. Nella creazione Pasoliniana, vi troviamo dei tentativi ostinati, progetti velleitari di trovare un popolo incontaminato, ancora ingenuo d’una ingenuità preindustriale, il suo sogno 155
Testo intero dell’ulima intervista di Pier Paolo Pasolini è reperibile sulla pagina: http://www.pasolini.net/omicidio_stampa-9maggio2005.htm 156 Dall’intervista di Colombo “Siamo tutti in pericolo”, L’Unità 1 novembre 1975 157 S. Vazzana, Il dantismo di Pasolini, in: Dante nella letteratura italiana del nnovecento Atti del Convegno di Studi Casa di Dante-Roma 6-7 maggio 1977, Bonacci Editore, Roma 1977, p. 282. Inoltre Pasolini scrive ‘i primi sei canti del purgatorio’ che fanno parte della raccolta di poesie Trasumanar e organizar Garzanti, Milano 1976 (1a edizione 1971)
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utopico, radicato nell’infanzia paradisiaca. A quanto pare voleva addirittura scrivere due cantiche del paradiso: uno sperato, l’altro immaginato. Il continuo rincorrere all’innocenza incontaminata ancora dal capitalismo spiega il compiacimento che trova nelle persone poco istruite, vari ragazzi delle borgate, fra cui cerca i suoi attori e amici, come per esempio Ninetto Davoli o i fratelli Citti. In effetti però era incline addirittura a soggiogarli. Quella di Pasolini è indubbiamente stata una presenza scomoda, non vanamente venne chiamato un intellettuale di dissenso.158 La sua morte assomigliava alla vita che conduce. Si rendeva conto che il continuo rincorrere ai ragazzi l’avrebbe condotto alla morte? La morte tangibilmente presente nella sua creazione artistica, basta pensare al suo poeta, presunto autore de La Divina Mimesis, bastonato in spiaggia a Palermo. Che la morte sia presente nel suo inconscio, lo attestano anche i ritratti della nonna materna morta defunta nel 1941.159 Lo sostengono anche altri ricordi, anche quelli che proverrebbero dal periodo del presunto paradiso: “la vita nella mia casa era sempre la stessa, sempre uguale alla morte”
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oppure:
“Tutta la mia vita è stata influenzata dalle scenate che mio padre faceva a mia madre. Quelle scenate hanno fatto nascere in me il desiderio di morire.”161 Perché ripete tante volte che gli si stringe il cuore? Prima erano gli operai con i loro figli, poi anche “i poeti del giardino”, e a quanto pare sarebbero loro gli ultimi depositari degli autentici valori elementari di cui è privato il mondo borghese. Essi lo avvicinano al suo ideale delle menti incontaminate della modernità neocapitalista. Ma sorprendentemente è l’inferno che attira Pasolini seducendolo addirittura. E’ vero che nel progetto della sua opera esistevano anche due cantiche paradisiache: una del paradiso comunista e l’altra di quello neocapitalista che alla fine fanno parte di Teorema. Ma in questo caso non si tratta di una tale somiglianza alla Commedia dantesca come lo era nel caso della parte infernale della Divina Mimesis. Perché questa poetica inclinazione all’inferno? A quanto pare, l’ambiente infernale lo ritrova nella vita delle borgate, e il fatto è che a Roma “predilige le ore notturne e le fasce suburbane”162 che gli sono le più vicine. Tutto ciò rende il suo pensiero recondito, difficilmente decifrabile lo svolgimento del ragionamento ne La Mimesis. L’atmosfera plumbea delle borgate diventa lo sfondo per tutti i brani dell’opera. In breve ciò che rimane dopo la lettura de La Mimesis da una parte, e dei relativi a essa brani de La Commedia, sarebbe un paio di conclusioni cui abbiamo già accennato qualche volta nella nostre riflessioni, ma di cui troviamo giusto riportare qualche esempio significativo alla fine del nostro percorso interpretativo. Il più rilevante e significativo sembra 158
Russo Vittorio Io cupo d’amore...Tre interventi per Pasolini Roma-Salerno 1998, p.45-73 Il disegno è reperibile su: Album Pasolini, Mondadori, Milano 2005, p.11 160 V. Mannino Invito alla lettura di Pasolini Mursia, Milano 1977, p.35 161 Da: E. Siciliano Vita di Pasolini Oscar Mondatori, Milano 2005, p.48 162 V. Mannino Invito alla lettura di Pasolini Mursia, Milano 1977, p.38 159
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che “L’inferno del presente è quello del mondo neocapitalistico, dei valori ridotti a merce di cambio.”163 Contrariamente al viaggio dantesco, il percorso pasoliniano non finisce con il ritrovamento del bene, della felicità, della luce divina, in quanto interrotto, ma anche perché l’inferno di oggi non lascia scappare dai suoi abissi, pur essendo esclusivamente terrestre. Forse bisognerebbe chiedersi se lo scopo del suo viaggio era quello di trovare salvezza almeno per se stesso, dato per scontato che il viaggio che intraprese, lo fece esclusivamente nel suo nome? Però questa tesi non oltrepassa i confini di ciò che rimane analizzabile. Pare plausibile supporre che Pasolini non prevedeva nemmeno tale scopo, ma questo quesito lascia ampio spazio ad un altro approfondimento e inquadramento dell’argomento. Un altro punto di rilievo costituirebbe il perché della solitudine negli anni Sessanta e dell’esclusione dalla vita degli altri cui accenna all’inizio dell’opera. Pare evidente che Pasolini in quelli anni ha compreso lo smarrimento del sacro nella cultura contemporanea e ritirandosi dalla letteratura e intraprendendo un nuovo linguaggio espressivo, cioè quello cinematografico, ha solo cambiato il modo d’espressione, sostituendo il linguaggio letterario con quello più “mimetico”. Per tutta la vita lo perseguiva infatti “l’angoscia e la disperazione di non essere compreso”164. Questa volta però, non bada neanche all’opinione dei più intimi amici, riguardo alla sua audace impresa d’un viaggio, comparabile con quello vissuto dai profeti. Ma Pasolini stesso, no era pure egli un profeta? Ricordiamo qui, che le sue parole sulla minaccia che porta con sé la televisione, incomprese una volta, si sono purtroppo verificate. Il cambiamento della nuova generazione è avvenuto, a sua volta non senza contributo della cultura del consumismo che non ebbe che un’influenza negativa alla morale e contribuì alla depravazione dei giovani. Possiamo chiederci: ma i ragazzi delle borgate, non erano anche loro depravati e malvagi già all’epoca pasoliniana? Non rimane che confermare la veridicità del problema, però qui bisognerebbe aggiungere un altro fattore alquanto rilevante, quello della loro innocenza di natura, che Pasolini riteneva un tratto di riconoscimento che distingueva i poveri ragazzi provenienti dalla classe degli operai, e anche quella dei contadini, dai ragazzi provenienti della piccola borghesia. Compie un viaggio allegorico in quanto è focalizzato su se stesso, sul proprio smarrimento e le bestie che appaiono non minacciano che egli stesso, la sua uscita dai vicoli più comuni della sua anima, dell’anima divisa dopo la fuga da Casarsa della Delizia. Rimangono però senza risposta alcune questioni nate nel corso dell’analisi del testo pasoliniano: chi sarebbe colui che verrà e diventerà “la salvezza del mondo”165? Le parole
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M. A. Bazzocchi Pier Paolo Pasolini p. 100 G. C. Calabrese, Pasolini e il sacro, Jaca Book, Milano 1994, p.9 165 P. P. Pasolini Op. Cit. p.17 164
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pasoliniane qui sono feroci, perché si tratterebbe di qualcuno che sconfiggerà la Religione.166 Inoltre la questione della lingua dell’odio in cui scrive il poeta. In più chi è stato a condurre Pasolini-Virgilio a venire in soccorso a Pasolini-Dante smarrito? Questi sono soggetti che meritano un altro approfondimento. Conoscendo l’interesse, sempre più grande che desta l’opera pasoliniana in genere, ci permettiamo però di esprimere alla fine un augurio che l’argomento venga presto approfondito e amplificato. Un problema a parte nell’interpretazione de La Mimesis presentano i brani piuttosto zoppicanti e troncati, a volte poco nitidi in cui mancano le conclusioni. Difficile è anche spiegare quell’oscurità uguale alla luce, che già all’inizio del poema preannunzia un’opposizione allo schema dantesco che eliminava la luce dagli abissi infernali. Perché poi “lingua dell’odio”? perché viviamo all’epoca dell’odio. Non c’è l’altro fondo interpretativo per questa semplice ragione. I più profondi abissi infernali non sono altro che ”le Città dell’Occidente.”167 Pasolini, il più grande poeta civile italiano dopo Leopardi,168 non era morto a randellate su una strada di Palermo, quella fine che aveva riservato ‘a un poeta ’in prosa La Divina Mimesis del 1975. Bensì, come titolava il ‘Corriere’, era stato ucciso dove avrebbe girato il film della sua morte.169 “Poi certo verrà ancora qualcosa che mi offenderà e mi massacrerà.”170 Lette oggi non sono altro che parole di un profeta che s’affacciano timidamente dalla similitudine dei fiori nel secondo canto de La Divina Mimesis.171 Che Pasolini sia sempre stato uno gnostico innamorato nella realtà che ama la vita nel modo sconfinato, atrocemente, quasi dolorosamente, pare evidente dalle sue opere, le sue testimonianze, che con il passare del tempo si assumono il ruolo delle amiche confidenti. Giuseppe Zigaina, intitola Trilogia della morte di Pier Paolo Pasolini – Hostia che dal latino vorrebbe dire – vittima consacrata. E muore il Cristo odierno, senza la fede nella risurrezione, ma fiducioso nella realtà veritiera. Morendo conferma le proprie parole: "O esprimersi e morire o restare inespressi e immortali". La citazione di questo capitolo finale non è stata scelta casualmente, in quanto la sua interpretazione in merito a La Divina Mimesis ci dimostra se il pensiero del poeta si è avverato. Indubbiamente gli esodi di questa tesi sono stati piuttosto ardui, ma alla fine siamo arrivati alla constatazione piuttosto attuale: abbiamo colto,
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La parola Religijne viene scritta da Pasolini con maiuscolo nel primo canto p.17 P. P. Pasolini Op. Cit. p.17 168 P. Volpini, R. Roversi Pasolini nel Dibattito culturale contemporaneo Pavia 1977, s.12 169 B. D. Schwarz Pasolini requiem Marsilio 1995 170 “Siamo tutti in pericolo”, di Furio Colombo 171 Mimesi - della realtà e della sua morte, radicata nella sua mente quando viveva, perché “esprimersi e morire o essere immortali e incompresi” e di questi due preferisce esprimersi. Non vanamente in una delle interviste sottolinea che è possibile comprendere l’autore solo dopo la sua morte in quanto altrimenti non si è capaci di abbracciare con la mente tutto ciò che scrisse. 167
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ovverosia crediamo d’averlo fatto, il pensiero del nostro corsaro; egli dice che l’inferno, lo viviamo quotidianamente, ognuno a modo proprio, e incessamene, finché siamo vivi, non più dopo la morte. A patto che abbiamo compreso le parole di Pasolini.
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ANEKS
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Słowo wstępne
Boska Mimesis: oddaję dziś do druku te strony jako pewnego rodzaju „dokument”, ale równieŜ po to by zrobić na złość moim „wrogom”; rzeczywiście, dostarczając im kolejny argument do pogardzenia mną, daję im kolejny dowód, następne potwierdzenie, Ŝe skończę w Piekle. PoŜółkła ikonografia: te strony są bardziej logiczne niŜ jakakolwiek inna ilustracja, logiką (zresztą dość czytelnej) ‹‹ poezji wzrokowej››. [1975] 2 pierwsze pieśni Boskiej Mimesis Pieśń I Około czterdziestki zorientowałem się, Ŝe dotarłem do mrocznego momentu w moim Ŝyciu. Cokolwiek robiłem w mroku otaczającej rzeczywistości 1963 roku, roku do którego doŜyłem absolutnie nieprzygotowany na wyłączenie z Ŝycia innych, alienację, która tak naprawdę naśladuje moje własne Ŝycie, a towarzyszył temu wszechogarniający smutek. Nie w obrzydzeniu ani w udręce, a raczej prawdę mówiąc w mroku, kryło się co bardzo świetlistego: światło starej prawdy, innymi słowy, tej przed którą nie ma się juŜ nic do powiedzenia. Mrok ten przypominał światło. Jasność tego kwietniowego poranka (lub majowego, dokładnie juŜ nie pamiętam; miesiące w tej gęstwinie przemijają niepostrzeŜenie, bezimiennie) kiedy dotarłem przed kino Splendid (czy teŜ Splendore lub Smeraldo? Wiem natomiast, Ŝe kiedyś nazywał się Plinius i był jedną z tych cudownych świątyń- a nie wiedziałem o tym- kiedy poprzez kaŜdy mój czyn samowolny, naiwny, bądź występny, jasne było, ze Ŝyłem w celu wyraŜenia Ŝycia.) Światło, które ludzie dobrze znają wiosną, kiedy to ich najweselsze i najdroŜsze dzieci wychodzą w lekkich bluzkach, bez kurtek i podąŜają ulicą Aurelia Nuova pogodne i milczące, spragnione wiosny niczym pszczoły słodkiego nektaru: w tym czasie sześćset mieszczańskich rodzin rzymskich udaje się na pierwsze majówki na łąki grodzone trzciną i kwitnącą gliceryną, na mgliste wzniesienia Apeninów pokryte cieniami rzucanymi przez przedmioty które na swej drodze napotykają promienie słoneczne. Światło szczęścia i niepokoju igrające w głębi, pomiędzy dwoma drzwiami kina – w momencie gdy zakręciłem moim samochodem z długiej alei którą była Aurelia – w Viale Gregorio VII, zdaje mi się, Ŝe pomiędzy jarmarkiem pracowników stacji benzynowej z rzadka spotykanych w słońcu, a w głębi krytym bazarem którego stragany przykrywały małe zielone dachy. A oto w głębi widnieje coś czerwonego, bardzo czerwonego, róŜany ołtarzyk, niczym te układane dłońmi naboŜnych staruszek w wyludnionych wioskach Umbrii, Friuli czy Abruzji, podeszłe w latach jak ich prababki, chętnie poświęcające się temu zadaniu od 68
wieków. Niezgrabny ołtarzyk, ale na swój sposób sugestywny, gąszcz niezliczonych czerwonych róŜ których nie potrafiłbym opisać, a kiedy byłem blisko, dostrzegłem pomiędzy tymi czerwonymi róŜami, portret pogrzebowy człowieka zmarłego przed dwoma dniami, ich bohatera, naszego bohatera. Jego wyłupiaste oczy były osadzone tuŜ pod łysym czołem (urokliwa łysina nastolatka, który wzrastał w dostatku). Światło rzucało poświatę na róŜe i portret, chorągwie dookoła, zebrane być moŜe z okazji skromnej uroczystości ludowej, (dzieło Ŝon zapisanych do sekcji Forte Boccea, czy teŜ samych zapisanych kierowców czy murarzy, zapisanych ich grubymi dłońmi, onieśmielonych ale natchnionych tym róŜanym dziełem?) Wszystko to miało miejsce pomiędzy błyszczącymi wieczorem drzwiami kina Splendid, teraz pozbawionymi tej jasności, tego światła. Nędzne drzwi ze szkła i metalu. Prawie niedostrzegalny uścisk serca, wzruszenie, łzawe rozczulenie. Stwierdziłem równieŜ, Ŝe nędza i brak zbytku dręczyły mnie. A oni byli tam, czekali na mnie ze starym senatorem, nowym kandydatem do parlamentu: czarni i ciemni niczym chłopi , którzy przyjeŜdŜają do miasta w interesach i wszyscy gromadzą się na placu, na którym aŜ roiło się od ludzi, od którego aŜ biła podniosłość w tej oślepiającej pustce, którą zbliŜające się lato przygotowuje pomiędzy domami i zaułkami. A nadto pozdrowienia, uściski dłoni, porozumiewawcze spojrzenia. A teraz byli tam zgromadzeni w rzędach widowni - ten widok przyprawiał o ścisk serca w porannym świetle (w świetle magazynów, poddaszy, alei, a nie kin) w sali o wspaniałej nazwie172, która była wspaniałym miejscem spotkań tego zakątka dzielnicy, podczas długich nocy kiedy to Ŝycie przemija tak niepostrzeŜenie. Poza tym fakt, Ŝe osiemnastu nowych chłopców zapisało się, po rządowym zgromadzeniu, do naszej partii, radował wszystkich; była to radość porównywalna do tej czerpanej ze wspólnego biesiadowania, przypominała ona fatalne ziszczenie się faktów, których wyczekiwaną realizację świętuje się w ten sposób i to równieŜ przyprawiało mnie o skurcz serca. Tworzyli koło, które zdawało się stanowić pępek świata, jakby poza nim nic juŜ nie istniało. (Trwali tak, w niewłaściwym miejscu niczym półotwarte okienko w suficie kina Splendid przez które było widać wyraziście jedwabny błękit morskiego Apeninu.) Scena z lat czterdziestych, podobnie sztandary i mikrofon, a wszystko niestabilne, ze starego zmagazynowanego drewna, ledwie pozbijanego i pokrytego nędzną czerwoną tkaniną. Widok powodujący skurcz serca!
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Splendido –„wspaniały” przyp. tłum.
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Ciemność na ciemnościami. Byłem tam, twarzą w twarz z odświętnie ubranymi robotnikami: ojcowie w czerni, synowie w jasnych koszulkach o modnych tego lata kolorach czerwonego granatu, kanarkowej Ŝółci, złotej pomarańczy, a oto pewna bezzębna twarz humorystyczna wstawka mająca moc umniejszania powagi sytuacji: jego miejsce znajduje się na środku widowni, na siedzeniu, zdawałoby się, Ŝe wzniesiony najwyŜej ze wszystkich. Kiedy bije brawo, jego usta otwierając się ukazują w konwencjonalnym uśmiechu bezzębną szczękę, to sygnał by rozpocząć oŜywione oklaski. Ten krąg tworzący pępek świata dla samego siebie, obojętny na wszystko, rozpromieniony i obojętny, jakby świat był poza nim. A me serce się szamocze! Jestem więc tutaj aby dowieść , Ŝe jedynym dobrym zwiastunem Ŝycia, którym gram – jest egzystencja tych robotników na której wspomnienie serce się kraje.
Ach, nie potrafię powiedzieć kiedy to się zaczęło: być moŜe było tak od zawsze. KtóŜ moŜe wskazać moment kiedy to rozum zaczyna usypiać, czy raczej pragnąć własnego kresu? KtóŜ moŜe określić okoliczności w których rozum zaczyna się cofać, powraca do momentu w którym nie był rozumem, porzucając drogę, którą przez wiele lat uwaŜał za jedyną słuszną z uwagi na pasję, naiwność czy konformizm? Ale jak to się stało, Ŝe dotarłem w tym nierealnym, krótkim śnie- we śnie, który zadecydował o reszcie mojego Ŝycia (tak wtedy przynajmniej myślałem)- do podnóŜa „Wzgórza” w głębi tej doliny pełnej grozy, która tak bardzo przepełniała moje serce strachem przed Ŝyciem i poezją - spojrzałem w górę i ujrzałem światło, tam hen na szczycie, światło bijące niczym od niegdyś wschodzącego słońca, które oślepiało mnie niczym „stara prawda” na temat której nie moŜna juŜ niczego dodać. Ale która wypełnia radością odnalezienia, mimo Ŝe niesie ze sobą tak realny, faktyczny koniec wszystkiego. Na widok nieuniknionego światła starej prawdy, uspokoiłem się nieco: było to jedynym rzeczywistym odczuciem w tym całym okresie ciemności, do którego moja słuszna w moim mniemaniu droga doprowadziła mnie. Niczym rozbitek wychodzący z morza, chroniący się na nieznanej mu ziemi, oglądałem się za siebie, w stronę tej ciemności, wyniszczonej, bezkształtnej, zgubę własnego istnienia, natury, strachu przed zmianą, obawy przed światem, przed którymi nikt nigdy nie uciekł ocalając własną niezaleŜność. Odpocząłem trochę, nie myślałem, nie istniałem, nie pisałem: niczym chory, potem wznowiłem wędrówkę (ta sama stara historia). Opustoszałą drogą w górę, gdzie naprawdę mogłem powiedzieć, Ŝe byłem sam.
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Samotny, pokonany przez nieprzyjaciół, dla przyjaciół nudnawy ocalały,
dziwna
osobowość dla mnie samego, szedłem z wysiłkiem tą nową bezkresną drogą, wspinając się po stoku jak bezdomne dziecko lub zagubiony Ŝołnierz.
Ale oto po kilku krokach mojej samotnej, zraŜającej wspinaczki, oto widzę wyjście z pospolitych zakamarków mojej duszy (która usilnie myślała jakby tu obronić się by przeŜyć i powrócić), a oto przede mną ujrzałem bestię: zwinną i bez skrupułów, mieniącą się niczym kameleon w ten sposób, Ŝe jej ciągle zmieniające się kolory pozostają wciąŜ tymi wcześniejszymi. Zewnętrzne kolory: przede wszystkim te napotkane zaraz po urodzeniu, które natychmiast stały się przyczyną trudnego przywiązania, które naprawdę nie chciało tych zmian. A następnie te wewnętrzne, na wzór i podobieństwo, z powodu błędu dziecięcej i młodzieńczej szczerości, tych ze świata. Kolor czystości, przede wszystkim, wzniosłości moralnej, szczerości intelektualnej – przeklęte kolory malowane złudzeniami! Tak oto „Pantera” (z którą od razu się utoŜsamiłem) z tymi wszystkimi kolorami zdobiącymi jej skórę, nie poruszyła się nawet stojąc przede mną, niczym chłopięco młoda matka, niczym młodzieńczy kościół. A nawet, z powodu przeogromnej siły – siły prawdy, siły utrzymującej przy Ŝyciu, uniemoŜliwiała mi podąŜanie moją nową drogą – wybraną nie dobrowolnie, ale powodu braku jakiejkolwiek chęci, drogi na której nie potrzeba nikogo okłamywać, poniewaŜ jest się na niej samotnie.173
A ja, oszust, a nawet jeszcze
niewyczuwalny przypadek oszusta z powodu szczerze upragnionej utraty szczerości, poddawałem się wiele razy i powracałem do aroganckiego, głupiego, prostackiego świata, który dopiero co porzuciłem. Ale oto obok „Pantery” podąŜa „Lew”, w którego postaci wydają się zespolone senność i dzikość, który mimo Ŝe pozbawiony sierści, zwierzęco cuchnący, leniwy, despotyczny, nie interesował się niczym poza próŜniactwem i poŜeraniem - posiadał jednak moc kogoś kto nie zna zła – będąc z natury tylko dobrem, czyli tym na co z natury cały się składa. Z jego dzikiej i sennej egzystencji, egoizmu i strasznego głodu, „Lew” czerpał inspirację do Ŝycia; do Ŝycia, które wyróŜniało go z brutalną wręcz przemocą od świata zewnętrznego. śycie, w którym gościł drŜąc. WyobraŜenie o sobie samym jest absurdalne; a kiedy je się wyraŜa, niszczy rzeczywistość, poniewaŜ ja pochłania. Świadomość sprawia, Ŝe trudno jest sobie zabronić wypowiadania tej opinii, wiedza ta nie ułatwia aroganckiemu poecie
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na spokojną egzystencję. Częściowo teŜ, równieŜ w
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przypadku „Lwa” rozpoznałem siebie, jak w napominającym znaku ukazanym w krzywym zwierciadle.
Ale musiałem utoŜsamić się jeszcze z czymś o wiele gorszym. Z ciszy w której przebywałem- nieprecyzyjne określenie, lub powstające dopiero zjawisko z zawziętych a zarazem prostodusznych stron natury, które syn przejawiał przez całe Ŝycie – wyłoniła się wilczyca, która stanęła przy dwóch pozostałych bestiach. Jej rysy były zniekształcone przez tajemniczą chudość, wargi skurczone od pocałunków i czynów nieczystych, kości policzkowe oddalone od siebie, kość policzkowa i szczęka oddalone od siebie: kości policzkowe ku górze, naprzeciw oka, nad wysuszoną skórą szyi, a pomiędzy nimi podłuŜna wklęsłość czyniąca podbródek wystającym, prawie Ŝe zaostrzonym, śmiesznym niczym kaŜda maska śmierci. Udręka w oku tym bardziej nikczemna, im bardziej bliska mękom świętych; jego przeraŜająca oziębłość, gdyŜ wzrok zdawał się błądzić, raz biegnie naprzód, by innym razem uciec uwadze; pomiędzy otworami oczyma – gruby nos, tuŜ nad prawie zanikającą, z powodu wyczerpania (wyniszczenia, wyniszczającej choroby), górną wargą: ludzki nos bestii, która czyni samą siebie królikiem doświadczalnym własnych, nabytych rządz, w konsekwencji ulegając zepsuciu. Przestraszyłem się tej „Wilczycy”, nie z powodu degradacji, którą sobą ucieleśnia, ale dlatego, Ŝe była niemalŜe rzeczywistą zjawą; na jej widok moŜna by rzec: ecce homo i świadomość nie jest w stanie w Ŝaden sposób tego zapomnieć. Jej obecność, była niekwestionowana, tak Ŝe moŜna było porzucić jakąkolwiek nadzieję na zdobycie tego tajemniczego wzgórza, które zatopione w ciszy, niewyraźnie widziałem przede mną. Chętnie przybliŜyłem się w tym kierunku: zdeterminowany, lecz jakby bez Ŝycia, niczego juŜ nie tworząc, jednakŜe właśnie ten rodzaj pustki, a nawet wstręt do głębokiego bólu, (przygnębienia) spowodowany nową witalnością, która teraz, w obliczu potwierdzenia obecności tej niepokonalnej bestii niepokoju – z czym jakakolwiek próba zmierzenia się byłaby śmieszna – rodziło to we mnie obezwładniający mnie niepokój. Pociągała mnie pokusa powrotu tam, gdzie w gruncie rzeczy, nie wymaga się niczego poza milczeniem. A kiedy traciłem wszystko we własnych oczach, zasłuŜenie komiczny z powodu mojego wcześniejszego zwycięstwa nad światem do którego naleŜałem, a bez Ŝadnej racji uwaŜałem się od niego wyŜszy, teraz pozbawiony władzy poezji, a długotrwałe tajemnicze praktyki w których uczestniczyłem uczyniły ze mnie prostaka; a oto ukazała mi się kolejna postać zatopiona w ciszy w której miałem się jeszcze rozpoznać.
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Jak tylko spostrzegłem ją pośrodku tego bezludnego pustkowia, do którego po części sam juŜ naleŜałem, krzyknąłem: „Miej litość, proszę!”, niczym we śnie, kiedy traci się wszelką godność i kto musi płakać, płacze, a kto prosić o litość, prosi. „Spójrz w jakim jestem stanie, popatrz, chociaŜ nie wiem czy jesteś zjawą czy jakąś nową rzeczywistością”. „Ach”, rzekł do mnie patrząc na mnie z ostrą, ale nienaturalną ironią w jego oczach stworzonych do powaŜnego wyrazu, „masz rację, jestem cieniem, zjawą… NaleŜę do lat pięćdziesiątych tego świata, a dokładniej Włoch…” I tutaj uśmiechnął się jeszcze ironicznie, a moŜe trochę nerwowo: był powaŜny, ogarnięty pasją, świadczyły o tym jego wilgotne, kasztanowe oczy osadzone nad kościami policzkowymi, dziecięco chude policzki, wargi w swym sceptycznym uśmiechu, a zarazem pełnym słodyczy (uroku, powabu), wyraz wymuszony skrępowaniem kogoś, kto musi prosić o wybaczenie dawnej winy. Tak więc sceptyczny uśmiech czynił go biednym, zaniedbanym i brudnym przestępcą. I rzekł: ”Jestem z Północy, moja matka urodziła się w Friuli, mój ojciec w Romanii, a ja długo mieszkałem w Bolonii i w innych miastach i miasteczkach Niziny Padańskiej, jak piszą na obwolutach moich ksiąŜek z lat pięćdziesiątych, które przemijają wraz ze mną…”174 I tu uśmiechnął się niczym bezzębny, chociaŜ nie brakowało mu Ŝadnego zęba. I nie wiedzieć czemu, kiedy uśmiech rozciągnął mu usta, aŜ do zapadniętych policzków ukazując rzędy poŜółkłych zębów, pojawił się na jego twarzy wyraz prostodusznej szlachetności. „Urodziłem się w czasach faszyzmu, choć byłem jeszcze chłopcem, gdy upadł. A potem długo mieszkałem w Rzymie, gdzie zresztą panował on jeszcze, tyle Ŝe pod inną nazwą: podczas gdy kultura znakomitego mieszczaństwa nie sprawiała wraŜenia przemijającej podąŜając równym krokiem (o ile moŜna tak powiedzieć?) z ciemnotą bezkresnych mas drobnomieszczaństwa…” Ponownie się uśmiechnął, niczym winny, jakby chciał osłabić znaczenie słów, które wypowiedział, lub jakby chciał przeprosić za nieprecyzyjność do której zmuszały go okoliczności, lub teŜ niepokój. „Byłem poetą”, dodał szybko, jakby chciał podyktować napis ze swojego nagrobka, „opiewałem rozdwojenie jaźni kogoś kto uciekł ze swojego zniszczonego miasta do innego miasta, które miało być jeszcze wzniesione. A w bólu zniszczenia połączonym z nadzieją na jego wzniesienie, wypełnia pełen obaw swój nakaz …” Popatrzył na mnie przez moment, juŜ nie tak jak się patrzy na ofiarę, której trzeba pomóc, ale na ucznia, na dziennikarza przeprowadzającego wywiad. „Dlatego teŜ”, dodał, „jestem skazany na przedwczesne przemijanie, bo bolączka wątpliwości, ból udręki, działają na osobistą szkodę, które, całkiem słusznie, nie interesuje innych. A nadto, kaŜdy Ŝyje własnym Ŝyciem…”
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Uśmiechnął się jeszcze złośliwie i boleśnie, ale jego oczy nie były juŜ zdolne do uśmiechu, więc przyjaźnie dodał: „Ale ty, dlaczego chcesz zawrócić do tego zdegradowanego świata? Dlaczego dalej się nie wspinasz, sam, jak do tego jesteś przeznaczony, skoro juŜ tu jesteś?” Spojrzałem na niego. Uczynność aŜ od niego biła, chciał mi się ofiarować, poświęcić mi swój czas, dodawał mi otuchy w tej trudnej sytuacji. Przybysz, który zaofiarował mi się, był niepozorny i drobny, nie wydawał się być ani ojcem, ani starszym bratem, a jego pocieszający, choć nie majestatyczny widok wskazywałby na kogoś sprawującego władzę; mógł być najwyŜej przewodnikiem górskim. AleŜ wielkie nieba! W sytuacji jak ta, w której moje Ŝycie wydawało się łączyć niebo i ziemię, a dla innych mogło być tylko jedną z wielu przykładowych baśni – doświadczeniem z pozaświatów, wspinaczką tajemniczym, stromym zboczem pod promieniami rajskiego słońca – jak to się zdarza świętym, kiedy są juŜ postaciami ze świętych pieśni o ich Ŝywocie – w sytuacji podobnej do tej, mogłoby mi się przytrafić lepsze spotkanie, a przynajmniej bardziej powieściowe! Zdawało mi się, Ŝe wszystko było przygotowane: przybycie wielkiego przewodnika, wiodącego do celu drogami koniecznymi do przebycia, z poetycką wspaniałością z głębi mojej historii, mojej kultury. Mógł to być na przykład sam Gramsci, przybyły z małego grobu na cmentarzu Anglików na Testaccio, niski, o plecach jak prosto trzymający się Leopardi, z kwadratową twarzą matki z Sardynii z nieco romantyczną fryzurą przypominającą lata dwudzieste i w nędznych okularach mieszczańskiego intelektualisty… Albo, tak! mógł mi się przytrafić Rimbaud, mój osiemnastoletni Rimbaud, mój rówieśnik, inspirator, z boski przeznaczeniem, mówiący boskim językiem, niczym jakiś staroŜytny, który byłby jednak piękny i przybrany wstęgą niczym Alcibiade i nie po to, Ŝeby się z nim kochać, ale aby go podziwiać całym dziecięcym sercem… Albo, w końcu, mógł to być Charlot… Ale miałem przede mną tylko jego małego poetę miejskiego z lat pięćdziesiątych, jak sam gorzko mówił: niezdolnego do pomocy samemu sobie, tym bardziej innym. JednakŜe było jasne, Ŝe na świecie - w moim świecie – nie mógłbym znaleźć – chociaŜ równie nędznego, tak, jakby to powiedzieć, swojskiego, tak nieśmiałego – drugiego takiego przewodnika.
„Ach, o ty!” powiedziałem wtedy, „ Rozpoznaję cię, rozpoznaję cię! A.. – a mówiąc to poczerwieniałem, nie z powodu wyznanej słabości, ale dlatego, Ŝe jeszcze raz się zwierzałem – bardzo cię kochałem. Zawsze uwaŜałem cię, muszę to przyznać, za ‘największego z poetów naszych czasów’, a właściwie - za ich prawdziwego przewodnika. Z wielkim zapałem czytałem twoje utwory, warto było, by teraz wyjść z tego impasu” zaśmiałem się „choć długa 74
praca krytyczna twoich utworów nie przyniosła mi ani prestiŜu społecznego, ani samouwielbienia. To jednak dzięki tobie zdobyłem uznanie i odniosłem sukces!” Rozejrzałem się – oszołomiony nieprzyjemną traumą kolejnego wyznania, powtórzeniami w złym guście, świadomością braku czegokolwiek do dodania – rozejrzałem się dookoła; z trzech bestii tą, która najbardziej mnie przeraŜała, była mistycznie chuda „Wilczyca”, (o ciele wyniszczonym przez upodlenia cielesne, cuchnąca odchodami i spermą). „Potrzebuję twojej pomocy” wymamrotałem, niepewny jak nigdy wcześniej w moim Ŝyciu „bo ta bestia moŜe odebrać mi siłę i chęć wyraŜania się. A nie mogę znieść nawet myśli, Ŝe nie mógłbym być juŜ pisarzem.” „Potrzeba Ŝebyś zmienił drogę jeśli sytuacja wydaje się niebezpieczna i niewarta wysiłku” rzekł mi wtedy ze swoją zadziwiającą mądrością, próbując wyeliminować powagę tego, co mówił, wyraŜając się najbardziej banalnie, jak tylko się dało, w języku światowym. „Tej bestii, która sprawia, Ŝe się uskarŜasz, nie naleŜy wchodzić w drogę…” ciągnął; słyszałem z jaką poprawnością mówił, wzruszał mnie, bo zrozumiałem, Ŝe ironia nie była w jego stylu: był mistrzem powagi, znał prawa rządzące językiem przedmieść… UŜył litoty, osłabienia, wyuczonej w środowisku literackim. W sumie było to mieszczańskie zachowanie, strach przed wypowiedzeniem delikatnej prawdy; w obliczu wypowiedzenia jej twarzą w twarz, potrzeba wypowiedzenia jej prawie ukradkiem, niedbale, jakby mimochodem… „Jest ona niczym pasoŜyt i ty o tym wiesz. Powtarzanie uczucia staje się obsesją. A obsesja przekształca uczucie…” Uśmiechnął się, drwiąc z własnego, moralizatorskiego tonu, pokornie precyzując: „Jak powtórzenie słowa w litaniach… Powtórzenie odbierające słowu znaczenie i utratą znaczenia, które jest znaczeniem. Gloryfikujące… Ha, ha, ha!” Widziałem jak śmiał się w ciszy ze „wstrętem do przygnębienia” w zapomnieniu. Tak oto zamilkł jego wybrakowany, niewinny, dziecięcy śmiech znawcy stylu; kontynuował trzymając się ciągle języka mówionego: „Powtarzaj w nieskończoność słowo seks: jakie będzie jego końcowe znaczenie? Seks, seks, seks, seks, seks, seks, seks, seks, seks, seks, seks,
seks, seks, seks, seks…Świat poŜądający wyłącznie seksu nie jest juŜ światem,
lecz miejscem jednego pragnienia. Pragnienie to powtarza się, a z nim powtarza się świat, aŜ do momentu zniknięcia z powodu przesycenia… Ze świata pozostaje tylko cudowne złudzenie … Niczym religia, obsesja, naleŜy zwracać uwagę z kim się brata. Ale tymczasem to Narzucona Religia175 wchodziła w bliska zaŜyłość z kim tylko było to moŜliwe. I nie poprzestała na tym. Jej poŜądanie jest niewyczerpalne; aŜ spotka takiego jednego, który ją zabije. Ach, ach, ach! Ten tutaj, taki uzdolniony, nie jest moŜe właścicielem fabryk, ani właścicielem sieci dzienników, nie będzie miał posiadłości na południu, ale jego bogactwo 175
Wielkie litery autora
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będzie stanowił duch przedsiębiorczości, kapitał papierniczy i partia wielonarodowościowa. Ach, ach, ach! On przyniesie zbawienie światu, ale nie odrodzi się wcale poprzez absurdalnie heroiczną śmierć, do której jest wyznaczona biedna młodzieŜ wszystkich czasów: z Reggio czy Palermo, Kuby, Algierii, Grimau i Lambrakis… On wtrąci ich do najgłębszych otchłani Piekła, ze wszystkich Miast Zachodu, gdzie jeszcze króluje, w słuŜbie tych, którzy go poprzedzają i których on stanie się historycznym spadkobiercą. A teraz, dla twojego dobra, najlepszym wyjściem wydaje mi się przeprowadzić cię przez miejsce, które nie jest niczym innym jak tylko ziemią. Nie pójdziemy dalej, bo poza światem niczego juŜ nie ma. Jeśli zaś chodzi o nadzieję, (która jest matką głupich) i o plany Tego, który przyjdzie, ja jestem jeszcze niewtajemniczony w ich prawa. Nie jestem upowaŜniony aby zaprowadzić cię do tych dwóch Królestw: jednego właściwie istniejącego tylko w sferze nadziei, drugiego – planowanego. „Nie mam wyboru” rzekłem „idę tobą”. Spojrzał na mnie przez chwilę, badając mnie, nieśmiały lecz niezłomnie wilgotnymi oczyma znad wyniszczonych cierpieniami policzków. Potem ruszył, a ja za nim.
Pieśń II Widziałem go idącego przede mną stromym zboczem ścieŜką zarosłą najgorszymi drobnymi chwastami: to jedno z niewielu miejsc na świecie w którym jeszcze, po tym wszystkim co się stało, jedynym co się liczy są chwasty – kępy trawy nagromadzone tu od wiosny niczym grupy wędrownych handlarzy, z nieprzyjemnym odorem cygańskiego potu w czystości wieśniaczych czasów, nieśmiertelny Ŝarnowiec, skromna dzika akacja - która tylko w tym momencie roku przynosi korzyść swoim rozkwitem: wielkimi, grubymi kwiatami, stłoczonymi jeden na drugim, nieprzyzwoicie pachnącymi – lub gorący czarny bez, przezroczyste białe akacje – i inne nieskaŜone drzewa: morwa, winorośl, dąb – i te trochę bardziej tajemnicze: topola, olcha, wierzba - i dziki eukaliptus z szaro-czerwoną koroną, pamiętający inne klimaty – mahoń, mango indyjskie, barwne limfą kryjącą ich śmiertelna zieleń – lub akacje z Kenii, czerwone i zielone - i cynamonowce, trzcina cukrowa i garstki palm w oceanicznym świetle, - patrzyłem na niego jak szedł w górę urwistą ścieŜką peryferii, gdzie wieczorne światło przemijało niczym kaŜda ulewa. W tym świetle brak granicy pomiędzy człowiekiem a człowiekiem, pomiędzy tymi, którzy tam hen wysoko we wspaniałych, lecz skromnych królestwach Ŝycia, nizinach, slumsach wielkich miast, miastach (które były wtedy jedną smętną pajęczyną światła) dawali się ponieść radości istnienia, niczym obsypujące się juŜ kwiaty akacji i pachniały zgnilizną, w tym równieŜ chełpliwi, a wręcz tym bardziej dumni.
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Tylko ja byłem poza tak wielką glorią tak przeogromnej melancholii. A rozŜarzone od łez ostrze przebijało moja pierś powodując ból, który z jednakową siłą powtarzał się od najwcześniejszych lat Ŝycia. Tylko Ŝe ja wyznaczałem granicę: niewiarygodną dysproporcję pomiędzy mną małym, a całą resztą świata, granicę nie do zatarcia nawet przez tęsknotę. O długoletnia inspiracjo, przyzwyczajona do kreowania mieszanek panoram miejsc Włoch i Europy i innych obszarów ziemi, dopomóŜ mi ty, jako porzucona kobieta, która na nic się juŜ nie moŜe przydać, ale przez wzgląd na starą przyjaźń odwiedza męŜa zaangaŜowanego w inne miłości (niemoŜliwe do zrealizowania, jeśli kiedykolwiek takowe istniały, nieco śmieszne i dziecinne); odwiedza go by świadczyć mu stare usługi, w których jest niezastąpiona! DopomóŜ mi w tej zdradzie, w tej najgorszej samowolnej wizji w jakiej kiedykolwiek uczestniczyłaś. DopomóŜ mi ucieleśnić nową abstrakcję z mocą dawnej bezceremonialnej i elegijnej konkretności! Wystarczy: on szedł przede mną, bezbronny. A ja nie mogłem zabronić moim oczom spoczywać na jego karku, na jego ramionach, spojrzeniem, które upokarza zarówno patrzącego jak i obserwowanego. Bezprawne przywłaszczenie sobie czyjejś prywatności, które czyni jeszcze bardziej niesprawiedliwym uczucie litości powodowane tym spojrzeniem. On kroczył zwinnie przede mną, zwinnie niczym chłopiec. I to przede wszystkim budziło uciąŜliwe poczucie litości; był trzydziesto-czterdziestoletnim męŜczyzną, poetą, którego dzieła juŜ studiowano na uniwersytetach, jego sportowy chód przejawiał się w pewności siebie, a w ruchach miał w sobie coś przesadnie upodlającego, niczym ktoś, kto bezwstydnie wyznaje, prawie nie zdając sobie z tego sprawy, pewne własne słabości… chyba, Ŝe chodziło o równie godną poŜałowania kokieterię… Bo w całym jego ciele było coś wstydliwego, upokarzającego, dlatego to jego młodzieńcze zdrowie, które w ruchach podąŜania drogą w górę moŜna było dostrzec pod płaszczem pozornej chudości i wyczerpaniem jego ciała, co irytowało niewątpliwie tego, kto by go nie znosił i wzbudzało litość w kochającym go. I te jego ubrania noszone ostentacyjnie, przypominające o jego moŜliwościach finansowych w latach pięćdziesiątych, zakupione zgodnie z nieco plebejskim gustem i modą tego okresu: sportowa kurtka, którą znalazł w sklepie odzieŜowym, w rdzawo pomarańczowym kolorze; nie zapięty kołnierz koszuli, równieŜ ją kupił juŜ gotową w jakimś sklepie w centrum; lekko wymięte spodnie, zniszczone i trochę przykrótkie; buty starte na zewnętrznej stronie obcasów, jak gdyby ich właściciel chodził nieco pokracznie, a przede wszystkim te okropne przykrótkie skarpety, opinające się tuŜ nad kostką elastyczną gumką. 77
Szedł przede mną niczym nieświadomy potomek chłopki i mieszczanina, któŜ wie w jaki sposób stał się poetą, czy teŜ w którym zakątku prowincji, w jak bardzo przejmującej, osobistej i źle przeŜytej szlachetnej mieszance bólu i konformizmu. Głęboko upadłem na duchu. Załamałem się niczym neurotyk, wokół mnie widziałem wszystko na czarno, dostrzegałem to jako wyniszczone i zniekształcone, niczym manekiny i widma zlodowaciałe od melancholii. I ten wieczór, który zapadał wokół z zatrwaŜającym ciepłem ciszy przed huraganem… Zebrałem się na odwagę i zdołałem przemówić z załamującym mi się w gardle głosem, z tym samym tonem sprzeciwu typowym dla dzieci tuŜ przed wybuchem płaczu. „Muszę naprawdę podąŜać naprzód z tym Barbarzyńskim dziełem w którym dwa raje to tylko nierealna i dziecinna teoria?”: tak niekompletne okazało się moje pytanie, zresztą z typową mi otoczką autoironii. A on na to: „Oczywiście, Ŝe musisz, a czegóŜ by nie? Obrócił się z nieskrywanym zadowoleniem w oku. „Nie wiem czy zdajesz sobie sprawę…176 podobną wędrówkę odbył juŜ, przezornie mówiąc, ten który choć grzeszny, udał się do krainy nieśmiertelności. Poza tym177” ciągnąłem ukrywając moje lenistwo i zmęczenie za zwyczajnie ludzkimi argumentami
„jego
motywował wyŜszy cel178” tak właśnie powiedziałem „najpotęŜniejsze spoiwo naszej kultury, wynik Średniowiecza itd. A pomyśl jeszcze, Ŝe stylistycznie, ty, który jesteś nauczycielem tej materii, pomyśl co to za wyjątkowy przypadek: przeniesienie punktu widzenia w górę, co bezgranicznie zwiększa liczbę przedmiotów i ich nazwy, właśnie w momencie w którym wszystko zmniejsza się i syntetyzuje…” I w tym momencie dodałem jeszcze, ciągle z powodów litoty: „Jak powiedziałby profesor uniwersytecki”. I ciągnąłem: „Tak oto, chciałem krótko powiedzieć… powtórzenie tej wędrówki polega na wzniesieniu się i na spojrzeniu na wszystko z daleka, ale równieŜ na uniŜeniu się i ujrzeniu wszystkiego z bliska- aby wyraŜać się bez Ŝadnego skrępowania. Ty wiesz czym jest język literacki i ten którym posługujemy się na co dzień. W jaki sposób mógłbym się nim posłuŜyć? Oba są juŜ jednym językiem: językiem nienawiści.” A on, ze świecącym ponad wystającym policzkiem okiem, kiedy szedł poruszając się z wysiłkiem po urwistej (stromej) ścieŜce łąki westchnął: „Zamiast odpłynąć od brzegu, wypłyń na głębię!” Zrozumiałem, ale nie przekonany dodałem jeszcze: „Tak, ale…” a chciałem powiedzieć: „Co ludzie powiedzą?” (tzn. trzydzieści czy czterdzieści osób, które kocham, ale 176
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które jednak nie mogą mi zabronić poznania czegoś, równieŜ biorąc pod uwagę ich brak wiedzy jaka u diabła jest róŜnica pomiędzy odbiciem od brzegu, wypłynięciem na głębię.) Ale poprawiłem się i ciągnąłem ledwie oddychając: „Asymetria, dysproporcja, prawo zaplanowanej nieregularności, wyśmianie spójności, chuligańskie wprowadzenie samowoli… W kaŜdym razie… Tu zacytowałem jeszcze, tryumfalnie się broniąc, aczkolwiek tylko przez kilka chwil, czyjeś słowa: „Nie czuję się tego godzien, ani teŜ nikt mnie za takiego nie uwaŜa”. Kiedy tak rozkoszowałem się przemijającym zabarwieniem (tonem; przelotnym posmakiem) języka potocznego znów odezwałem się prostacko w moim „Języku Nienawiści” – historycznie moim – bo to język moich czasów, mojego ojca, mojej matki, moich profesorów,; moich dostawców gazet, mojego radio, mojej telewizji. I powiedziałem: „CzyŜ to nie będzie szaleństwem?” Traciłem chęć na to czego chciałem (co do tego nie ma wątpliwości) doświadczony neurotycznym bólem, który widzi koniec tego, co zapoczątkował i juŜ u początków niweczy niszczący ból końca: poczucie rozstania z czymś, przed poznaniem tego, piekielna tęsknota za czymś, co ledwie się posiada, coś co rozdziera pierś czy gardło niczym rozgrzane ostrze. „Jeśli dobrze zrozumiałem” rzekł (w moim języku) „Ogarnął cię paraliŜujący strach. Nie moŜesz się tym poszczycić.” Rzucił mi spojrzenie, które było dokładnym przeciwieństwem jego słów: słowo strach wzmocnione przez nie do zniesienia, które łagodziło znaczenie czyniąc je bardziej znośnym i stosownym; słowa nie moŜesz się poszczycić to nic innego jak powściągliwość z jego strony by powiedzieć: okrywa cię hańbą. Natomiast jego spojrzenie nie wyraŜało „nagany”, było raczej pełne męŜnej miłości. A mówiąc, znowu ironizował, bo w naszym świecie moŜna mówić tylko w taki sposób. „Wiara mnie tu przywiodła, a wiarę przymuszono do ponaglenia mnie z „Id…”179 Zamilkł. Ironizując, tj. wymawiając sugestywnie dwa słowa, moŜna wszystko wyrazić; spojrzenie, które jeszcze mi rzucił, miast jakiegoś świeckiego, światowego lub subtelnego lub subtelnego – był tak rozpaczliwie bezinteresowny podobny do czegoś ledwie świetlistego w pochmurnym krajobrazie zimowego deszczu; coś na chwałę Ŝycia i prawie kosmosu co uporczywie obstaje przy rozświetleniu mętnego błota. Jego namacalna obecność była być moŜe ślepym uporem poezji. Miałem przed sobą twarz partyzanta skazanego na śmierć, który w bladości swojego przeraŜenia zachowuje – w ciemnym oku i w męskiej kości policzkowej – nieprzydatną mu juŜ uporczywą nadzieję. PodąŜałem za nim wpatrzony w ziemię. 179
Wyraz nie dokończony przez autora.
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Spoglądałem w ziemię niczym ktoś, kto musi kryć nie ukazując tego nikomu, naiwność swojego zapału, pragnienie (na tym daremnym świecie), na odrodzenie, poszukując odrobiny wstydu. Biada temu, który się ujawni. Kroczyłem z pochyloną głową, by ukryć to, co czyni człowieka godnym jego imienia. Patrzyłem na kwiaty pod moimi stopami, które wyrastały pomiędzy srogą nieprzyjazną i niewinną trawą: byłem jak one, nie wierzyłem we własną śmierć i Ŝe moje Ŝycie moŜe trwać jeszcze tylko kilka dni. Kwiatuszki bez imienia, wiele nienazwanych, jeden podobny do drugiego, przypadkowo rosnące wzdłuŜ brzegów błotnistej ścieŜki, podobne jeden do drugiego nie tylko w ich nieuchwytnej formie prawie białego od pokory błękitu, śnieŜnobiałej ubogiej czystości, spłowiałego fioletu bądź Ŝółci bądź niczym rozcieńczone wino – ale jeden podobnie do jak wszystkie inne nieświadome swojej kruchości, ułomności, nietrwałości własnego istnienia. Kwiatuszki te były samą radością, którą dzieliły niczym bracia pomiędzy sobą, spragnione słońca. A teraz, gdy dzień miał się juŜ ku końcowi, obdarzając je
tylko
przytłaczającą je wilgocią, one, zaskoczone, sztywniały wszystkie razem, ale nie tracąc swej radości! Kto zatapia się pokornie nad refleksją człowieka, którą ten czyni na temat własnego Ŝycia, okazuje się najczulszym jego przyjacielem. JednakŜe – myślałem krocząc i patrząc na moje nędzne buty które deptały po błocie – odejdę stąd nawet nie poznawszy nazw tych kwiatów, które były przez tyleŜ lat moimi milczącymi towarzyszami. Dostrzegam, jak bardzo jestem do nich podobny: jestem jakby jednym z nich, bo drŜę, zachwycam się, powracam do Ŝycia z porannym słońcem, wierzący jeszcze w wieczność, którą poranek skrada budzącym się, poświęcając się na nowo niczym troskliwy ojciec. Kwiatki rosnące stłoczone w jednej kępie, tysiące drobnych braci przybranych w odświętne ubogie stroje, ale o brzegach przyprószonych tajemniczym zdobieniem godnym króla. Kruche i słabe, niewiele bardziej trwałe od prochu, czy lodu; tak niewiele potrzeba by je zniszczyć. Kwiatki rozsiane na duŜych przestrzeniach, odosobnione, kaŜdy na własnej łodyŜce, które w tajemniczy sposób osiedliły się tutaj pewnej nocy, nie wiadomo skąd przybyłe, na tej podeptanej przez ocalałe stada trawie lub przez stare juŜ i smutne prostytutki, które proszą o lichy grosz robotników wracających do miasta lub chłopskich synów z wioski przylegającej do peryferii, za meandrem rzeki czy teŜ za prosto biegnącą autostradą. Kwiatki, które pochodzą z przeszłości, która juŜ nie istnieje w Ŝadnej przestrzeni – które wyrastają tutaj tylko dzięki kaprysowi słońca i wiatru, jak cygański tabor - nigdy nie wybiera miejsc na rozbicie obozu, ale zdaje się na przypadek losu. 80
Ja równieŜ jestem niczym kwiat – myślałem – nie jestem niczym innym jak dzikim kwiatem, poddaję się nieoczekiwanej przyjemności, która nagle ogarnia mnie zniechęceniem. Z pewnością przydarzy mi się coś upokarzającego, co mnie zniszczy: ale równieŜ mnie tak jak i tym kwiatom, przeszłość zlewa się z teraźniejszością, łąka staje się całym wszechświatem! Spoglądałem na ramiona w ciasnej kurtce przede mną, co przyprawiało mnie o ścisk serca. PodąŜałem za nim ze ściskającym się po raz kolejny sercem. A on kroczył zdecydowanie, bacznie, a ja trzymałem się za nim: równieŜ kroczyłem niczym partyzant idący w góry.
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Siti consultati sull’internet: http://www.pasolini.net
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