L'Essenza del Neopaganesimo a cura di Davide Marrè - AA.VV.

February 6, 2017 | Author: Davide Marrè | Category: N/A
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Gabrio Andena - Rosa Carotti - Danalii Francesco Dimitri - Rosalba Formato - Gabriella Galzio Francesca C. Howell - Davide Marrè - Valentina Minoglio Ossian - Shakinàh - Daniele Tronco

l’ESSENZA del

NEOPAGANESIMO a cura di Davide Marrè

Circolo dei Trivi 

PROGETTO AURORA

Anno della cultura pagana

Grafica di copertina e impaginazione di Daniele Massarotto www.unclonable.it . [email protected] Proprietà letteraria riservata 2008

Associazione di volontariato

“Circolo dei Trivi” via Oxilia 13, Milano www.athame.it [email protected]

Stampato in Gennaio 2008 per Circolo dei Trivi da Global Print Srl 

A chi è capace di amare, a chi è capace di ridere e di piangere, a chi è capace di sognare e soprattutto a coloro che ne sanno raccontare



INDICE

CAP I – Il Neopaganesimo Alla ricerca di una definizione pag. 10 Quale religione? 14 L’uno e i molti - Politeismo, monoteismo o duoteismo? 16 CAP II – Movimenti religiosi neopagani Neodruidismo Wicca Asatru Tradizione Romana Stregoneria tradizionale Discordiani  

22 27 33 35 37 39

CAP IIl – Il divino femminile La rinascita della spiritualità femminile Sulle tracce della Grande Dea Essere una sacerdotessa

43 48 54

CAP IV - Radici filosofiche e culturali del Neopaganesimo Dal nichilismo al Neopaganesimo Psicanalisi e psicologia analitica 

66 68

CAP V – Suggestioni artistiche Discesa nella selva All’ombra del Dio sconosciuto

72 84

CAP VI - Neopaganesimo ed ecologia Come il Neopaganesimo potrà salvare il mondo

85

CAP VII - Neopaganesimo esoterico L’arte della magia e l’essere nel mondo La teurgia come magia neopagana? La Wicca e l’esoterismo neopagano Chaos Magick  

92 94 96 98

CAP VIII - Confronto con altre religioni Neopaganesimo e Cristianesimo Neopaganesimo e religioni orientali

102 109

Note Bibliografia Biografia autori

114 116 122 

INTRODUZIONE

Se cinque anni fa mi avessero detto che avrei curato un libro del Circolo dei Trivi mi sarei messo a ridere; invece, ora che questo libro (grazie ai suoi autori) ha preso lentamente forma tra le mie mani, è con un misto di stupore e di meraviglia che lo osservo, pur ridendo ugualmente, in uno stile un po’ discordiano… Non è il caso di tessere in questo contesto le lodi di questa Associazione e neppure mio compito, da una parte perché ne sono Presidente e perché in questi anni ho cercato di dare forma alle sue ambizioni e ai suoi scopi utilizzando una grandissima selettività e spesso anche altrettanta severità nei confronti di coloro che ne hanno fatto parte e che sono state le sue braccia, i suoi occhi e soprattutto il suo cuore e la sua mente. Malgrado i successi e il grande lavoro che siamo riusciti a svolgere, ci siamo dati pochissimo tempo per crogiolarci sugli allori e goderci il frutto del nostro successo, anche se i momenti di profondo divertimento credo non siano mai mancati a chi li ha saputi cogliere. Non sono affatto pentito di questo, anche se mi è costato, talvolta, l’amicizia e l’apprezzamento persino di persone che tanto hanno dato al Circolo. 

Eppure questo libro, pubblicato e distribuito gratuitamente grazie ai fondi regionali concessi al Progetto Aurora, è un piccolo regalo degli Dèi e anche la dimostrazione che, al di là degli inevitabili errori, la strada percorsa fin qui era quella giusta, o quantomeno non proprio quella sbagliata... meglio in questi casi restare sul vago. Un libro scritto a più voci e da autori che sono delle punte di eccellenza nel panorama culturale del Neopaganesimo, in una polifonia che è stata sempre il contrassegno di tutte le nostre attività, tese a mostrare proprio la multiformità del Neopaganesimo, la sua varietà, oso dire il suo “politeismo” di fondo. Non mi resta quindi che ringraziare, con molta umiltà (atteggiamento che normalmente mi è abbastanza estraneo!), quelli che adesso sono qui, ma anche chi non c’è più e infine chi un giorno si unirà al nostro cammino. Il ridere, il piangere, la gioia e l’amarezza, tutto è valso la pena, poiché se diceste mai sì ad un piacere “o, amici miei, allora diceste sì anche a tutto il male. […] Se diceste mai ‘mi piaci, felicità! Soffio! Attimo!’, allora volete indietro tutto!”1. Davide Marrè Cronos Rescaldina, 10 gennaio 62 

CAP. I – Il Neopaganesimo Alla ricerca di una definizione di Davide Marrè

Paganesimo Con il termine “paganesimo” si designa “l’insieme delle religioni e delle civiltà del mondo antico greco-romano”3 e per estensione un “culto, religione, credenza non cristiani”4. Dalla prospettiva della cultura occidentale, in particolare quella cristiana, e con il particolare riferimento alle religioni dell’antichità, il termine “pagano” sostituisce il termine di origine giudaica “gentile” e indica una persona che pratica una fede, credenza o religione che non appartenga al ceppo del monoteismo abramitico di cui fanno parte il Cristianesimo, l’Islam e l’Ebraismo. Questo termine può essere applicato con cautela, per estensione, anche alle religioni non cristiane che dall’antichità si sono sviluppate in particolare al di fuori della cultura occidentale, come l’Induismo, lo Shintoismo e le religioni etniche in generale che abbiano conservato una linea di continuità con il passato e non derivino da un semplice recupero di tradizioni. In Europa e ovunque il Cristianesimo si sia diffuso prima dell’età moderna, le religioni etniche sono pressoché inesistenti, poiché tutte le religioni etniche si sono dovute sostanzialmente confrontare con la repressione operata dal Cristianesimo e solo nell’età contemporanea hanno potuto ritrovare una nuova forma di libera espressione. Pagano deriva dal latino pagus, villaggio, poiché gli abitanti dei villaggi si convertirono molto dopo al cristianesimo rispetto agli abitanti delle città. Come il termine “paganesimo” nell’arco dei secoli è andato a definire un’ampia varietà di religioni del passato che venivano a trovarsi a contatto con il Cristianesimo, allo stesso modo il termine “Neopaganesimo” viene oggi utilizzato per designare una vasta 10

varietà di nuovi movimenti religiosi e religioni vere e proprie, influenzate dal paganesimo antico, spesso molto diverse tra di loro. Lo stesso termine “paganesimo” viene spesso utilizzato per indicare sia il paganesimo antico che il paganesimo moderno. Spesso alcuni pagani moderni preferisco l’utilizzo di questa parola a quella di Neopaganesimo perché sentono la necessità di sottolineare il legame con l’antichità, manifestando il desiderio di sentirsi parte di un passato e di una tradizione che ha subito un’interruzione lungo l’arco della storia. Interruzione che per molti è assai difficile da accettare. Una parte delle correnti ricostruzioniste si ritrova infatti nella posizione di sforzo continuo per stabilire un legame con il passato attraverso la ricostruzione, appunto, di pratiche e tradizioni che spesso hanno più una funzione di rievocazione nostalgica che una reale funzione spirituale. Questo atteggiamento, quando non è moderato da una sana consapevolezza che “ai greci (e nemmeno ai celti, ai germani o ai romani n.d.a.) non si torna”5, diventa un tentativo di fuga dalla modernità (parte però di uno spirito del tutto moderno) e conduce solitamente alla totale mancanza di confronto con le problematiche del mondo contemporaneo che chi vive invece nella dimensione più propria del Neopaganesimo non manca di affrontare. Un atteggiamento che più che neopagano dovrebbe essere definito veteropagano, in totale antitesi con lo spirito del Neopaganesimo e la sua collocazione nella post-modernità, connotato da un elemento nostalgico e spesso intollerante e integralista, nei confronti delle altre religioni, che tante volte ha portato in alcuni momenti della storia contemporanea a collegare il Neopaganesimo con alcune correnti politiche tristemente note. Inclinazione che è in totale contrasto sia col paganesimo antico sia rispetto ad una modalità autentica di intendere il paganesimo nel mondo contemporaneo. Ovviamente stiamo parlando di una frangia, quella dei veteropagani, attualmente poco significativa del movimento pagano contemporaneo, anche se talvolta molto chiassosa. Ma è necessario sottolineare, proprio a partire da questa distinzione, che tra coloro che oggi chiamano se stessi “pagani” (termine che coloro che 11

praticavano le religioni dell’antichità neppure conoscevano), pur essendo tutti neopagani, esiste una grande distinzione: da una parte coloro che sono consapevolmente neopagani e accettano, guardando al futuro e alle sfide della modernità, l’eredità del proprio passato, dall’altra coloro che dalla modernità vorrebbero fuggire per rifugiarsi in una visione nostalgica e spesso molto ideale, di un passato che non c’è più. E benché tutti abbiano diritto di cittadinanza nell’ampio universo del paganesimo, solo al primo di questi gruppi sarà rivolta la nostra attenzione nelle pagine che seguono. Neopaganesimo Il Neopaganesimo nella sua più propria specificità non rifiuta la tradizione, ma ne possiede una visione matura: in altri termini, antropologica. La tradizione, gli usi e i costumi legati alla trasmissione della cultura, non sono infatti un blocco monolitico e fossilizzato che non varia, ma l’esatto contrario, cioè ciò che pur tramandandosi ha la capacità di rinnovarsi e di far fronte ai problemi della civiltà. Le tradizioni sono infatti modelli culturali e spirituali dinamici che si confrontano continuamente con l’esigenza di una società e di una civiltà che muta in modo dinamico. Il Neopaganesimo, in quanto parte della spiritualità postmoderna, “si sente libero di sintetizzare elementi da tutte le fasi della storia in qualsiasi forma o modo che soddisfi i suoi propositi.”6 I neopagani usano il termine neopagano o pagano in riferimento a se stessi proprio perché fanno riferimento ad una ben precisa fase della storia, quella del confronto con il Cristianesimo che portò alla dissoluzione, spesso in modo cruento, delle spiritualità non cristiane in occidente, in primo luogo perché questo confronto si ripropone oggi per coloro che vivono in una società ancora fortemente influenzata dal Cristianesimo. Questo certamente non per mera contrapposizione, poiché il Cristianesimo e il Cattolicesimo delle origini assunsero una moltitudine di simboli del paganesimo antico e fecero propria larga parte della sua cultura, e neppure per segnare una totale discontinuità, ma piuttosto per sottolineare come anche 12

a noi spetti una parte dell’eredità di quel passato, da incastonare in una visione nuova dell’etica, della cultura e della spiritualità. In secondo luogo questi termini ci rimandano al loro significato originario da pagus, villaggio. Dopo secoli in cui l’uomo si è trovato a vivere nelle città e nelle metropoli spesso isolato e alienato da buona parte dell’umanità, quando persino dalla sua stessa comunità, i nuovi mezzi di comunicazione ci hanno introdotto in un nuovo “villaggio”: quello globale. Non è un caso che il Neopaganesimo abbia ricevuto il suo più grande impulso proprio nell’era di Internet, lo strumento che ha maggiormente favorito la creazione di questo villaggio globale. Ciò non significa in alcun modo che come neopagani siamo favorevoli alla globalizzazione nella sua totalità, ma piuttosto l’esatto contrario: viviamo con la consapevolezza di appartenere sempre di più ad un “mondo globale”, ma siamo perfettamente coscienti che molti dei fenomeni e delle forze che spingono verso una sempre maggiore globalizzazione devono essere contrastati e che questo villaggio globale non può essere costituito solo da casermoni di cemento da una parte e da villette a schiera tutte uguali dall’altra, ma al contrario deve fare delle differenze che sussistono al suo interno la sua ricchezza. Come neopagani viviamo il villaggio globale esaltando e preservando la diversità e contrastando l’appiattimento della globalizzazione. Il Neopaganesimo è nato sulla cultura della differenza: proprio partendo dal dato di fatto che esistono Dèi diversi, o quantomeno aspetti diversi della Divinità, vede in ogni manifestazione della diversità un dato positivo e nel confronto tra le diversità l’essenza stessa del suo essere. Le religioni pagane dell’antichità, come il Neopaganesimo, e a differenza sia del veteropaganesimo a cui si è accennato prima sia delle religioni monoteiste, “si basavano sulla simbiosi tra l’uomo e il cosmo, articolato come mondo degli Dèi, con il quale l’uomo poteva stabilire una relazione comunicativa attraverso il culto.”7 Sostanzialmente, le varie Divinità di un popolo, di una civiltà o di un gruppo “potevano essere paragonate a quelle di un altro, anzi potevano essere “tradotte” le une nelle altre.”8 13

Un altro tratto distintivo che è possibile cogliere nell’essenza di un paganesimo autentico, a differenza di altre correnti che pur richiamandosi al paganesimo propongono un modello in cui un leader è detentore della verità oppure solo gli Dèi di un dato gruppo sono veri, e naturalmente a differenza dei monoteismi che collegandosi all’idea di rivelazione rendono impossibile questa “traducibilità”, si basa “di fatto su un concetto debole di verità, secondo il quale tutti gli Dèi – i propri esattamente come quelli degli altri – sono veri.”9 Questa concezione è ancora oggi la linea di demarcazione tra Neopaganesimo e religioni abramitiche, ma anche la dimensione più propria in cui è possibile vivere autenticamente la spiritualità neopagana: l’intolleranza (da non confondersi però con la critica) o l’insulto verso modelli spirituali diversi, non appartengono al Neopaganesimo.

Quale religione? di Davide Marrè

Ovviamente non ci fu mai una religione pagana nell’antichità, ma semplicemente ci furono un gruppo di religioni che oggi noi chiamiamo, un po’ impropriamente, visto l’origine del termine, “pagane”. Certamente un druido del I secolo a.E.C.10, non sapeva di essere un pagano, come non ne era consapevole l’imperatore di Roma. Tutto questo per dire che quando parliamo di paganesimo antico stiamo parlando di un insieme di religioni che furono considerate pagane in quanto non-cristiane, allo stesso modo quando parliamo di Neopaganesimo parliamo di una spiritualità connotata da molte religioni. Questo è un punto fondamentale: il Neopaganesimo non è una religione, ma piuttosto un movimento spirituale in cui stanno prosperando diverse religioni. Per fare un semplice e un po’ grossolano parallelo, il Cristianesimo non è una religione, ma certamente è una religione il Cattolicesimo. Abbiamo già visto come sia abbastanza difficile focalizzare 14

i tratti principali del Neopaganesimo senza scadere in una generalizzazione grossolana di nessuna utilità e per questo è stato necessario soffermarsi proprio sui termini pagano e neopagano ed operare dei distinguo non solo tra di loro, ma anche al loro interno. Nel precedente paragrafo siamo andati in cerca di una definizione e abbiamo scoperto che la stessa definizione del termine Neopaganesimo sfugge alla presa, muta a seconda della prospettiva, un fenomeno a cui non siamo abituati se pensiamo alle religioni secolarizzate. Ci troviamo quindi di fronte alla necessità di definirci e trovare la nostra identità di Pagani (neopagani) attraverso una definizione, ma al contempo di sfuggire ad una etichettatura troppo semplicistica. Se le definizioni infatti ci mettono spesso al riparo dalla confusione, cioè dall’essere confusi con diversi movimenti spirituali che hanno poco a che vedere con ciò che sono i neopagani, allo stesso tempo ci imbrigliano e spesso ci limitano. Per questo dobbiamo definirci, ma al contempo non lasciarci imprigionare da ciò che diciamo di noi stessi. Un compito davvero arduo a cui tuttavia dobbiamo assolvere. Ho appena affermato che il Neopaganesimo non è una religione, è piuttosto un movimento spirituale dove stanno prosperando diverse religioni, ma anche questo non è del tutto vero. La rinascita del paganesimo è stata un fenomeno culturale che si è coagulato principalmente attorno al neoclassicismo, agli studi sul celtismo e sul druidismo e sulle religioni teutoniche, ma anche al contatto con l’Induismo e il Buddismo e la proliferazione delle correnti dell’esoterismo occidentale, ed infine attorno alla nascita (o rinascita) della Wicca. Questi nuovi movimenti religiosi hanno delimitato uno spazio in cui è possibile essere semplicemente dei “nuovi pagani” senza per questo essere né Wiccan, né Neoellenici, né Druidi e così via. Può sembrare una situazione paradossale, eppure non lo è. I nuovi pagani colgono innanzitutto una suggestione, uno zeitgeist, cioè uno spirito del tempo, di questi tempi in cui ognuno di noi è immerso, che “può essere formulata brevemente in uno schema: abbiamo un 15

paganesimo senza tragedia e un bisogno di salvezza senza fede.”11 Per questo ci troviamo davanti ad un Neopaganesimo fatto prima di tutto delle suggestioni di questo zeitgeist, e intorno a noi che ci consideriamo consapevolmente neopagani e che abbracciamo una delle religioni che fioriscono in questo terreno, ci sono una moltitudine di persone che vivono lo spirito neopagano di questo tempo, spesso lasciandosene persino travolgere. Una volta conosciuta la “morte di Dio” ad alcuni non resta che il mondo, abbandonata la trascendenza è nell’esperienza del mondo, nell’immanenza, che è possibile udire nuovamente una musica, un suono, l’oltre, una visione diversa dell’Uno e dei Molti

L’Uno e i Molti - Politeismo, monoteismo o duoteismo? di Gabrio Andena

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La religione si configura sempre come rapporto col Divino. Nella religione si agisce tramite una specifica prassi, che può prendere la forma del rituale, della preghiera o della meditazione, per entrare in rapporto con questo Divino, rinsaldare il legame fra l’uomo e la divinità. La religione si caratterizza altresì come fenomeno comunitario, che coinvolge un gruppo che nella pratica religiosa trova una parte della sua identità. È quindi essenziale, nella religione, avere una comprensione, che può essere più o meno trasparente, più o meno concettuale o consapevole, di che cosa sia il Divino e, nel caso il Divino si dia come persona, di chi sia. Il Neopaganesimo, sempre eccentrico rispetto a queste tematiche per via del ruolo problematico che la vita religiosa riveste nella nostra civiltà e per via della particolare genesi cui sono sottoposte tutte le “nuove religioni”, non può fare a meno di confrontarsi con queste domande. Mancando istituzioni che legiferino su cosa è neopagano e cosa non lo è, e vista l’assenza di testi sacri o profeti, è chiaro che è impossibile arrivare ad una posizione concorde. Tuttavia, pur nella variabilità di assunti sulla natura del Divino, emergono qua e

là alcune linee di interpretazione e, soprattutto, alcune esperienze paradigmatiche che sono sufficienti per fare della percezione che i singoli neopagani hanno del loro Divino un fenomeno che presenta tratti unitari. In particolare la prospettiva da cui vorrei avvicinarmi a questa tematica squisitamente teologica ruota attorno alla questione dell’uno e dei molti: ossia cercare di rispondere alla domanda “che cos’è il Divino?” rispondendo innanzitutto alla domanda “quanti sono i Divini?”. L’Eterno Femminino: il duoteismo La caratteristica che balza agli occhi nel Neopaganesimo è la presenza, quasi costante, di un Divino femminile. Non intendo riferirmi ad una Dea, che sia specifica o solo un archetipo del Femminile. Piuttosto all’esigenza, profondamente sentita, di completare la polarità: in reazione alle religioni patriarcali, rivelate, spirituali e incentrare sul maschile – sia come sacerdozio che come rappresentazioni del divino – il Neopaganesimo si fa araldo della necessità di far sentire l’altra campana, di esperire un divino che sia femminilità, terra-corpo-natura, istinto. Questo è il duoteismo caratteristico della Wicca: la venerazione di un Dio e una Dea. Il rapporto fra il Dio e la Dea costituisce il centro della pratica religiosa, che trova nel Grande Rito e nella Libagione il suo compimento. Le celebrazioni stagionali vengono intrecciate ad un racconto mitico che narra degli amori e della morte del Dio e della Dea. C’è già la chiara consapevolezza però che il Dio e la Dea si mostrano in molti modi, in molti volti. Il Dio e la Dea, nel duoteismo, sono concepiti come opposti complementari. Essi rappresentano serie di qualità opposte: maschile/femminile, estate/inverno, luce/ombra, vita/morte e così via, che unendosi e alternandosi generano il mondo e tutto ciò che esiste – e così come generano, portano alla morte. Sono la trama e l’ordito che attraversano ogni cosa nel mondo, ogni evento, ogni esperienza. La loro complementarità significa da un lato che non c’è un lato “buono” e uno “cattivo”, ossia che il duoteismo non sfocia in un dualismo di principi contrapposti; dall’altro che, poiché il Dio e 17

la Dea esistono solo nel rapporto reciproco dell’uno con l’altra, non è neppure possibile attribuire le coppie di opposti univocamente alla polarità maschile o a quella femminile. Ciò che voglio dire è che ciascuna delle coppie di opposti si può trovare sia nel Dio che nella Dea, talvolta persino il maschile e il femminile stesso (si pensi alle divinità androgine): il Dio non è la luce e la Dea l’ombra, e neppure viceversa; il Dio non è il Sole e la Dea la Luna (sebbene questa sia la rappresentazione prevalente), perché è possibile incontrare sfumature in cui il Dio è lunare (Thoth) e la Dea solare (Sekhmet). Il Dio e la Dea sono così strettamente intrecciati, nel contesto del duoteismo, da non essere strettamente parlando neppure due entità distinte: ciò che davvero esiste, l’unica cosa che davvero esiste in assoluto è la relazione fra i due, all’interno di cui ogni cosa diventa ciò che è. Maschera e Volto: politeismo esoterico Uno dei più noti passi liturgici wiccan, l’Incarico della Dea (Charge of the Goddess), così incomincia: “Ascoltate le parole della Grande Madre; Lei che anticamente era chiamata fra gli uomini Artemide, Astarte, Atena, Dione, Melusine, Afrodite, Cerridwen, Dana, Arianrhod, Iside, Bride e con molti altri nomi ancora.” Qui viene introdotta l’idea che il Dio e la Dea abbiano molti “volti” o “aspetti” diversi. Ogni Dio o Dea dell’antichità pagana è un aspetto del principio maschile o di quello femminile, un suo lato, una sua manifestazione. È come se alla domanda “Qual è il volto del Dio o della Dea?” non si potesse che rispondere moltiplicando all’infinito questo gioco di maschere e specchi, indicando continuamente nuove Divinità, nuove entità. Tuttavia permane alla radice l’idea che, come insegnava Dion Fortune, “tutti gli Dei sono un unico Dio e tutte le Dee sono un’unica Dea.” È quello che potremmo definire una sorta di politeismo esoterico, legata alla concezione, teosofica prima e magica poi, delle forme-pensiero. Esistono delle forze cosmiche e il nostro pensiero e la nostra immaginazione rivestono queste forze di una forma, dandogli l’aspetto delle Divinità storicamente esistite e venerate 18

nel paganesimo antico. Ma queste forme, questi volti, non sono che interfacce che l’uomo usa per relazionarsi alle vere forze cosmiche che stanno dietro la maschera. Seguendo questa linea di pensiero è persino dubbio che il Dio e la Dea siano delle persone divine: più probabilmente sono forze impersonali – mentre sono personali i vari volti che assumono per via del nostro relazionarci ad essi. Poiché siamo esseri umani, la relazione privilegiata è quella personale, dunque siamo portati a vedere la Polarità primordiale come una coppia di persone divine. La Grande Dea e il Grande Spirito: prospettive monoteistiche Il passo successivo è piuttosto semplice e può essere compiuto da più versanti. Da quello esoterico, completando l’assioma di Dion Fortune con la sua conclusione: “…e c’è un solo Iniziatore”. Ossia: dietro alla Polarità c’è un’Unità più alta, un mistico Uno al di là della comprensione che garantisce il riposo da ogni tensione, la pacificazione di ogni contrasto. Oppure, come storicamente avvenuto, si può compiere il passo verso il monoteismo dalla protesta sociale: così ha fatto il femminismo neopagano, asserendo che esiste soltanto una Dea. Insomma, da qualunque lato vi si arrivi, il passo pare essere quasi obbligato: se gli Dei e le Dee non sono che maschere di Forze superiori impersonali, è giocoforza supporre l’esistenza, peraltro attestata da buona parte delle religioni esistenti, di un qualche Uno superiore da cui il Dio e la Dea sgorgano. Spingono in questa direzione anche molte speculazioni New Age sull’Energia e in generale l’uso (e l’abuso) dell’Energia in tutti gli ambiti dell’esoterismo, che porta ad un ritorno ad una concezione che, sebbene raramente arrivi al monoteismo, di certo assume l’aspetto di un monismo: esiste un’unica sostanza di cui tutto e tutti sono composti – questo è il Divino. Poiché però l’uomo ha la necessità di relazionarsi a questo Divino, che francamente pare un po’ freddo e meccanico, ecco che sull’Energia Cosmica si proietta una coscienza, una personalità – ed ecco che ci si riaggancia a idee orientali, strappate dal loro contesto, 19

di coscienza cosmica e consapevolezza universale. Sciamani, animali-guida, spiriti di natura & co.: politeismo animistico Si assiste però negli ultimi anni ad un nuovo orientamento: la diffusione massiccia dello sciamanesimo e della comunicazione con gli spiriti di natura attraverso il channeling e pratiche affini mostra la tendenza a riportare ancora una volta l’ago della bilancia ad una concezione più politeistica e, francamente, animistica. Ogni cosa è animata, ogni oggetto, ogni pietra, ogni albero ha il suo spirito. Il Divino, che sembrava essere stato ricondotto all’Uno della Grande Dea o della Grande Energia cosmica, torna a moltiplicarsi, dandosi all’uomo in forma ancora più parcellizzata, ma molto più personalizzata. In questa prospettiva è necessario distinguere categorie di esseri non umani. Fra l’uomo e gli Dei esiste una gerarchia più o meno ben definita di entità, spiriti, maestri, guardiani che fungono da mediatori fra la Grande Energia e il singolo individuo. La Bilancia dell’Esperienza: la dialettica dell’uno e dei molti Il panorama è complesso e qui si voleva darne solo quale schizzo paesaggistico. Ma non posso esimermi ora dal tirare qualche conclusione, che individui quelle linee comuni interpretative che sono proprie del Neopaganesimo. Innanzitutto il Neopaganesimo non può fare a meno di un Divino Femminile, comunque venga poi interpretato. La femminilità, nella cultura occidentale, è stata rimossa o svalutata per troppi secoli: è necessario, in nome di un’esistenza più completa, riportare in vita questa metà del mondo, dandole il suo giusto peso. E attribuire anche al Divino una natura Femminile è di sicuro una valida mossa per riscoprire la dimensione sacra di tutto ciò che è femminilità e corpo e materia. Il Neopaganesimo non può neppure fare a meno di una molteplicità di enti divini, almeno sul piano pragmatico. Si può discutere quanto si vuole dell’Uno e della Coscienza Cosmica, ma ogni neopagano, 20

quando si giunge alla pratica, vi dirà che c’è una bella differenza fra Artemide, Morrigan e Iside. Il riconoscimento di questa molteplicità insita nel Divino stesso, è la grande ri-scoperta del Neopaganesimo. Laddove la maggior parte delle religioni tendono alla conciliazione e a placare tutti i conflitti – rivolgendosi dunque ad una prospettiva ultramondana – il Neopaganesimo recupera in maniera originaria e originale la spinta del paganesimo antico a riconoscere nel mondo il Divino in tutte le cose e dunque a rappresentarsi il Divino come radice della varietà della vita: esso stesso conflittuale, molteplice e, per certi versi, confuso. Infine, poiché anche l’Uno vuole la sua parte, il Neopaganesimo non può nemmeno credere in un insieme arbitrario di enti divini distinti. Si sente che sotto c’è qualcosa di unitario. Solo che invece che tagliare il nodo gordiano, si cerca di salvare la dialettica dell’Uno e dei Molti, mantenendosi in questa feconda tensione. L’Uno non è una realtà “altra” rispetto agli Dei o al mondo – concezione che produrrebbe un malsano dualismo che nega la vita. L’Uno non è Unità ma Armonia dei molteplici Dei, degli uomini e del mondo, armonia fra i distinti. Questo è ciò che garantisce al Neopaganesimo la sua lungimiranza, la tolleranza per il diverso (che rende il Neopaganesimo una religione così adatta ad una società multietnica e globale) e, soprattutto, la spinta ad un costante mutamento, che lo lascia fresco, vitale e legato all’esperienza piuttosto che alla fede cieca.

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CAP II – Movimenti religiosi neopagani

Neodruidismo

di Ossian – Luigi D’Ambrosio Per molti parlare oggi di druidismo può essere un argomento piuttosto anacronistico, ma questo vale solamente se consideriamo questa religione nel contesto esclusivo del druidismo storico. Come ben sappiamo i druidi, antichi sacerdoti di probabile origine celtica, e le loro dottrine muoiono tutti con la conquista romana dei territori delle antiche Gallie e di quelli più a nord: non eliminati per questioni religiose ma piuttosto per l’influenza politica che avevano sui Rix del loro popolo. Naturalmente con loro muore anche la tradizione magicoreligiosa a cui erano legati, in quanto si sa che gli antichi druidi non usavano la scrittura per tramandare la loro conoscenza, ma solo la trasmissione orale e la memoria. Ci viene quindi naturale chiederci oggi come sia possibile che siano nati alcuni movimenti sia religiosi che prettamente spiritualisti in epoca moderna che si definiscono ancora come druidismo. Conveniamo che tutto ciò che si cela sotto l’aspetto del druidismo antico è coperto da una sorta di nebbia, che a tratti lascia trasparire degli spiragli per ricostruzioni ed ipotesi, soprattutto perché pare che in epoca medioevale molti “codici” siano stati sincretizzati in racconti, miti, canti e soprattutto scritti religiosi da parte (per questi ultimi) di monaci cristiani che hanno ereditato una conoscenza antica, ma soprattutto hanno loro stessi abbracciato la nuova religione del deserto in cambio della vita stessa. Sono stati anche i poeti e musici o, come meglio amiamo definirli, i bardi che nei loro canti hanno lasciato una sorta di memoria storica che (con una adeguata conoscenza dei simbolismi 22

ed una buona interpretazione) hanno permesso che giungessero sino ad oggi molte immagini di quelli che erano i riti ed alcune essenze del pensiero druidico antico. Non meno importanti furono gli scritti degli storici classici come Giulio Cesare, Pomponio Mela, Plinio il Vecchio, Strabone, Diodoro, ecc., ma essendo molti di loro appartenenti al popolo conquistatore delle popolazioni delle Gallie antiche e quindi “di parte”, personalmente prenderei molti dei loro scritti con una buona dose di scetticismo, consapevole di scontrarmi con il pensiero di molti accademici attuali. In ultimo, ma per questo non meno importanti, vi sono i reperti muti dei ritrovamenti archeologici. Qui, personalmente, sono dell’idea che siamo dinanzi ad una continua evoluzione nella storia antica, con delle conferme e delle clamorose smentite delle ricostruzioni dell’era romantica. Con lo studio dei siti archeologici, in continua evoluzione, è possibile riavvicinarsi lentamente e ricostruire quelle che potevano essere alcune pratiche religiose degli antichi druidi: vorrei qui riportare come esempio il ritrovamento della tomba del druido sacrificatore vicino al tempio celtico di Gournay-sur-Aronde in Francia, completo di oggetti rituali ed altre suppellettili molto importanti per la sua datazione e la connotazione religiosa. Cosa vuol dire, però, praticare il druidismo nel secolo attuale? Innanzitutto sarebbe del tutto anacronistico rievocare la religiosità del druidismo antico, sia per questioni pratiche che etiche e morali. A questo punto è necessario ripercorrere brevemente i passi del Neodruidismo o Druidismo moderno, che poi tanto moderno non è in quanto un accenno alla ricostruzione di tale pensiero si ebbe nel lontano 1700. Naturalmente non stiamo parlando di un druidismo collegato al Neopaganesimo ma piuttosto ad un organo di stampo piuttosto framassonico e nazionalista che per precisione nasce in Inghilterra con l’Antico Ordine Druidico di Jon Toland, ulteriori sviluppi si hanno poi con Henry Hurle nel 1834, ma chi ispirò molto di più e caratterizzò il druidismo di quell’epoca fu Edward Williams che in 23

seguito assunse il nome bardico di “Iolo Morgannwg”. Il druidismo inizia ad avere un forte interesse verso una visione più “pagana” della spiritualità solamente intorno al 1940 quando The Church of Universal Bond, fondata nel 1912 da George Watson MacGregor Reid, riesce a catalizzare diversi aspetti ideali e spirituali presi sia dalla società Teosofica che dalla Golden Dawn, ipotizzando che il druidismo possa essere un veicolo capace di unire diverse discipline e credi spirituali: si trasforma nell’Antico Ordine dei Druidi e due personaggi ad esso collegati iniziano a focalizzare e a far crescere un grande interesse verso il paganesimo, stiamo parlando di G.Gardner, che si avvicina all’ordine, e Ross Nichols che in seguito alla morte di G.Gardner si stacca da questo e fonda l’OBOD, cioè l’attuale ordine inglese dei Bardi, Ovati e Druidi, una delle più grandi organizzazioni che ha anche ispirato molti ordini mondiali e che si sforza di risvegliare il druidismo interiore, con un programma di istruzione che affianca le preoccupazioni ambientalistiche e artistiche a quelle spirituali e promuove l’uguaglianza dei sessi ed incoraggia lo sviluppo di gruppi autonomi. Diversamente dall’OBOD, negli USA, nel 1963 viene fondato il RDNA - Reformed Druids of North America – in seguito ad una protesta studentesca che negli anni assume connotazioni sempre più spiritualiste creando un incredibile mix (tra misticismo cristiano a meditazioni Zen sino a preghiere dedicate alla Madre Terra) tipico del disagio e dello squilibrio spirituale e religioso di quegli anni. È solo con l’ADF (N Draíocht Féin di Ár - Il nostro spirito druidico) fondato nel 1986 da Isaac Bonewits (il quale rimane ad oggi uno dei massimi esponenti del movimento druidico statunitense, oltre che per tutto il movimento neopagano) che si crea non un percorso spirituale ma una vera liturgia, disconoscendo ogni divinità che non abbia una radice indoeuropea. Diverso è anche il Movimento Druidico Bretone definito nella Gorsedd de Bretagne dove viene più che altro evidenziato lo spirito indipendentista del paese, con una forte connotazione patriottica, artistica, poetica e musicale e che si discosta dall’idea del druidismo moderno pagano-politeista in quanto tutti possono far domanda per 24

entrare nell’ordine a patto di saper parlare il bretone. In accordo con i maggiori esponenti mondiali del druidismo moderno tra cui Isaac Bonewits, Philip Car Gomm ed Emma Restal Orr, posso permettermi di dare una nuova definizione a questo percorso spirituale. Convengo che il Neodruidismo oggi si ricollega al druidismo antico solo per una questione sciamanica e per un collegamento attraverso lo studio della storia e della mitologia di stampo indoeuropeo. Per questo anche il pantheon delle divinità si collega esclusivamente alla territorialità celtica. Le pratiche religiose sono l’espressione di un condizionamento temporale tra ben precise e radicate tradizioni di magia cerimoniale e pratiche sciamaniche, che cercano di centrare l’uomo moderno con gli spiriti della natura per collocarlo e radicarlo con le energie del territorio che lui abita. Il movimento non è “spirituale” per via di un’intesa più animistica di questo termine, ma diventa tale solo perché la pratica religiosa è incondizionatamente collegata con l’interazione e la conoscenza del mondo degli spiriti della natura e dei propri antenati. Ecco che il moderno druido diventa anche ecologista ed ambientalista in quanto non solo cerca di preservare le tradizioni della propria patria con gli studi della storia e della mitologia, ma anche preservando il proprio ambiente, o meglio Madre Terra, da un declino ecologico. Tutto ciò lo porta inevitabilmente ad un culto politeista verso archetipi e Divinità legate all’antica tradizione celtica e indoeuropea. Nel nostro secolo non è sufficiente autodefinirsi, o autoincensarsi, con il termine di “Druido”: esserlo ed appartenere veramente a questo percorso è sancito dal fatto che tutti i giorni bisogna vivere il druidismo nel modo più profondo della sua definizione, Druido è chi Druido lo fa. Riguardo alla ritualità vado in modo piuttosto breve ad illustrare quali sono le più importanti festività druidiche, divise in quattro solari e quattro lunari, o feste del fuoco, le quali sono prettamente legate ad una celebrazione del ciclo animale, mentre quelle solari sono legate al mondo vegetale. 25

Percorrendo la ruota dell’anno celtica iniziamo con la prima festività, Samonios, che cade tra il 31 di Ottobre ed il 2 di Novembre (anche se queste date si basano su di un calendario solamente solare gregoriano e non luni-solare come quello di Coligny): festa dedicata oggi alla riunione del gruppo-clan ed alla celebrazione della memoria degli spiriti e degli antenati. Il 21 di Dicembre si celebra il Solstizio d’Inverno o Alban Arthan (la Luce di Artù): festa della morte- rinascita e del nuovo ciclo del sole che trionfa sulle tenebre dell’inverno. Seconda festività del fuoco è Brigantia-Imbolc-Oimelc, che cade intono al 2 di Febbraio: festa del risveglio e della Dea bianca. Il 21 di Marzo festeggiamo l’Equinozio di Primavera, Alban Eilir (la luce della Terra), dove luce e tenebre sono in equilibrio, dove si celebra la rinascita del mondo vegetale ed i semi germogliano. Terza festività del fuoco è rappresentata da Beltane che si celebra i primi giorni di Maggio, festa della fertilità e inizio della stagione luminosa. Il 21 di Giugno abbiamo il secondo Solstizio, quello d’Estate Alban Hefin (la luce della punta), festa del trionfo del sole ma anche inizio del suo decadimento, una delle celebrazioni più importanti per tutte le comunità neo-druidiche attuali. Sei settimane più tardi troviamo intorno al 1° di Agosto la festività di Lugnasa, festa del sole e del raccolto ed infine al 21 di Settembre giungiamo all’equinozio d’Autunno – Alban Elfed (la luce dell’acqua), festa nuovamente di equilibrio ma anche di fine raccolto e nella quale la cerimonia ricorda anche l’entrata del portale delle tenebre, e con Samonios il cerchio si chiude. Vi sono cerimonie molto lunghe e complesse ed altre più brevi e semplici, tutte sono molto ispirate e assolutamente non dogmatiche: l’ispirazione è divina e il druido diventa un canale di questa energia, il potere non è in lui ma negli spiriti del luogo dove celebra. La via druidica è iniziatica e si può essere iniziati attraverso gli insegnamenti del druido anziano, inizialmente, e completati solo ed esclusivamente dagli spiriti. In Italia il movimento druidico non è organizzato in un unico movimento, ma molte singole persone o piccoli gruppi percorrono 26

indistintamente la propria “via” druidica. Nasce solo nel 2007 l’idea di riunire alcuni pensieri o meglio principi del druidismo italiano in alcune mie pubblicazioni sul sito www.druidismo.it .

Wicca

di Rosalba Formato (tratto dall’Intervento del 5 ottobre 2003 al convegno sulla Wicca di Massazza) Fino agli anni ’60, la Wicca si configurava come movimento occultista, esoterico, così come si era sviluppato nell’arco del secolo. Ricordiamo che la Wicca si manifesta ed “esce allo scoperto” soprattutto grazie all’abolizione della legge contro la stregoneria, il cosiddetto “Witchcraft Act”, abrogata in Gran Bretagna nel 1951 ad opera del Governo Churchill (e, beninteso, rimpiazzata nello stesso anno con il “Fraudolent Mediums Act”, ossia la legge contro l’uso fraudolento delle cosiddette “arti magiche”). Nel 1944 si era registrata l’ultima condanna in un processo per stregoneria in Gran Bretagna (nove mesi di carcere ad Helen Duncan accusata, tra l’altro, di evocare gli spiriti dei morti). Dagli anni ’70 la letteratura comincia ad espandersi ed i libri britannici arrivano negli Stati Uniti (il primo, nel 1971, è “Witchcraft from the Inside” di Raymond Buckland). E ci arrivano in un momento storico particolare dal punto di vista sociale. Sono gli anni delle contestazioni studentesche, del femminismo (chi non ricorda il famoso motto usato dalle femministe anche in Italia? “Tremate, tremate, le streghe son tornate!”). È proprio in questo momento storico ed in questo ambito che la Wicca assume un nuovo aspetto. Il movimento femminista si “appropria” dei discorsi relativi all’esistenza di una divinità di sesso femminile, del suo culto in qualche modo tramandato tramite le cosiddette “streghe” nel corso dei secoli (la teoria di Margaret Murray). Li trova “consoni” al proprio percorso. L’esistenza della Dea offre la possibilità di sviluppare e coniugare l’aspetto spirituale, trascendente, a quelle che sono le lotte politiche

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e sociali per l’affermazione delle donne. In questo ambito la Wicca si “libera” della divinità maschile, non esistono più uomini a capo delle congreghe. La Wicca diventa dichiaratamente “femminile” ed è in questo modo che ritorna a noi in Europa. Poco importa se le teorie della Murray sono state successivamente confutate. Quando un movimento rivoluzionario quanto lo è quello femminista si trova allo stato nascente, la febbre del cambiamento travolge ogni cosa… Questa “nuova” Wicca femminile ottiene un discreto successo negli Stati Uniti già in quegli anni, coinvolgendo sempre più attiviste. Suscita l’interesse di psicologhe junghiane. È avviato il percorso psico-mitologico. Vengono pubblicati molti libri. E la stragrande maggioranza delle autrici sono donne. Ma non solo! Anche i gruppi gay cominciano ad interessarsi a questa forma di spiritualità. La Wicca comincia negli anni ’70, soprattutto ad opera di autrici statunitensi, ad assumere la forma che è venuta nota a noi in Italia soltanto alla fine degli anni ’90. Dagli anni ’70 in avanti si assiste ad una crescita continua del movimento, che attrae molte persone, non più solo donne. Tuttavia osservare la crescita e l’evoluzione della Wicca negli Stati Uniti può essere un interessante modo per comprendere ed interpretare anche la crescita e lo sviluppo di questo credo all’interno di ognuno di noi. Io per prima ho iniziato aderendo alla corrente detta “dianica”, udendo ed interpretando la Voce della Dea soprattutto come un’opportunità in più per affermare un certo modo di porsi al femminile in ambito sociale, culturale, psicologico e politico. Inoltrandomi via via lungo il percorso che avevo intrapreso, ed apprezzando sempre più il meraviglioso messaggio che il sentiero della Dea offre ad ognuno di noi, ho compreso che si tratta di una Voce che trascende il genere. E dunque sarebbe oltremodo riduttivo limitare un messaggio così straordinario e rivoluzionario alle sole donne… La Dea, com’è nella sua Natura, si rivolge a tutti, ma proprio 28

a tutti. E non fa differenze. Donne e uomini, indipendentemente dal proprio orientamento etico, sessuale, politico, possono trovare lungo il sentiero della Dea ciò che la loro anima reclama. Una dimensione spirituale aperta ed accogliente, non punitiva, né misericordiosa. Non ne abbiamo bisogno. Noi siamo espressione della divinità che è immanente, dunque “nel” mondo, non già trascendente, ossia al di sopra ed al di là del mondo. Per questo non possiamo essere espressione di un “peccato”, originale o “copiato” (eheh!), né portarlo con noi per doverlo scontare lungo questa o altre esistenze… Tuttavia il “momento” femminile, la riflessione sull’importanza di una visione del mondo che privilegi l’approccio cosiddetto “femminile” è stata, ed è, importantissima. Amo sempre citare in questo senso un testo a mio avviso fondamentale, tradotto in italiano con il titolo “Il sorriso della leonessa”, opera dello psicoanalista junghiano Edward C. Whitmont (ed. Piemme): “La Dea è la custode dell’interiorità umana. Il patriarcato regolava gli aspetti esteriori del comportamento dell’uomo, ma svalutava l’istinto, il sentimento, l’intuizione dell’individuo e le profondità del femminile, eccetto che se in funzione di un servizio alla collettività. È significativo il fatto che il termine “effeminato” sia stato coniato con senso dispregiativo. Nel nuovo orientamento ogni individuo deve scoprire la fonte perenne dell’autentica coscienza e dell’indirizzo spirituale, la divinità che è dentro di lui.” Phyllis Curott, nel suo primo libro (il celeberrimo “Il Sentiero della Dea” - ed. Sonzogno) non cita mai il Dio… e per questo è stata criticata. Eppure per le donne questa “fase” è importante: è necessario e fisiologico “rompere” gli schemi radicalmente per poi poter recuperare le parti belle ed importanti del maschile. Il Dio che Phyllis Curott ci invita ad onorare nel suo secondo libro (“L’Arte della Magia” - ed. Sonzogno) è un Dio che danza la Vita. “Mai dare una spada ad un uomo che non sappia danzare”: è un antico detto scozzese e ci aiuta a comprendere quanto anche gli uomini abbiano “perso” della loro sfolgorante e multiforme personalità abdicando 29

ad alcune caratteristiche tradizionalmente considerate “femminili” e quindi “deboli”, “da evitare”. Queste fasi comportano dolore, sofferenza (le grandi trasformazioni, per definizione, non possono mai essere indolori), ma anche una grande crescita. Mano a mano che la Wicca si espande e si sviluppa da un punto di vista religioso e ritualistico, parallelamente crescono gli studi psico-sociologici orientati al mito ed all’importanza del recupero di questo per un’armoniosa e consapevole crescita individuale ed, in ultima analisi, collettiva. Esemplari in tal senso i testi della psicoanalista junghiana nippoamericana Jean Shinoda Bolen (“Le Dee dentro la donna” e “Gli Dei dentro gli uomini”, entrambi editi da Astrolabio). La Bolen propone un approccio terapeutico basato sui miti greci ancora al giorno d’oggi depositari, secondo la visione dell’inconscio collettivo di Jung, di un forte potere archetipico e di guarigione nelle nostre esistenze. Dunque la Wicca cresce ed evolve lungo tre linee fondamentali: 1. trascendente e manifestazione spirituale-ritualistica; 2. psico-mitologica; 3. sociale. È certamente molto importante conoscere i “precedenti”, gli eventi all’interno dei quali la nostra cultura affonda le radici… come quel terribile capitolo della nostra storia noto come “la caccia alle Streghe”. Ma a noi, OGGI, è richiesto di fare un passo OLTRE. La Wicca con la quale noi abbiamo a che fare è un movimento NUOVO. Rivoluzionario. Abbiamo già affrontato il discorso della Wicca come eminente manifestazione spirituale e percorso psico-mitologico. Ma c’è di più. Starhawk, nel 1979, pubblica The Spiral Dance, tradotto in italiano un paio di anni fa ed edito con il titolo “La Danza a Spirale” (Macroedizioni). Proprio la nostra considerazione della divinità immanente, ossia dentro il mondo, ci invita a vedere con occhi nuovi la realtà che 30

ci circonda. La Terra è, prima di tutto, una Divinità. Così come la Natura nel suo complesso. Dunque non può non essere oggetto di un rispetto ed una cura particolari. L’impegno nel sociale, in particolare nei movimenti ecologisti, animalisti, è tutt’uno. Il nostro essere Wiccan non può prescindere da questo. Ecco uno degli aspetti più innovativi. Anzi, ribadisco: rivoluzionario. Mi piace considerare la Wicca e, più in generale, il movimento neo-pagano come una sorta di “No Global dello spirito”. Anche nei nostri gruppi esistono infinite correnti, punti di vista, posizioni, ispirazioni a questa o quella tradizione antica, associazioni, coven, congreghe... Ma tutti siamo accomunati da un respiro comune e dalla capacità di poterlo modulare insieme. È nostra responsabilità. Vivere fino in fondo questo momento che ci è dato. E condurre la trasformazione. Ogni giorno. In ogni campo della nostra vita. Non siamo qui per caso e lo sappiamo tutti molto bene. Siamo impegnati su più fronti: culturale/filosofico, teologico, sociale, psicologico... La Wicca può aiutarci a vivere nel quotidiano. E noi possiamo portarla nella nostra quotidianità. Beninteso: la Wicca non è una terapia. Non mi stancherò mai di ripeterlo. Ci aiuta, ma occorre che noi siamo “centrati”. Ci guarisce, ma richiede il nostro impegno. Ci accompagna, ma esige che diveniamo consapevoli della nostra importanza e, più ancora, dell’importanza del compito che ci è demandato. Noi viviamo qui. Qui ed Ora. È la nostra testimonianza nella vita quotidiana che fa la differenza. Perché la forza del nostro credo, nella presenza immanente della Divinità, è una leva potentissima. E... vuoi vedere che ce la facciamo veramente a cambiare il mondo? Per poter scegliere come comportarci nella vita occorra, prima di tutto, essere “centrati”, in equilibrio ed armonia. Guardare dentro se stessi, invitare la propria divinità interiore ad esprimersi per guidarci nelle nostre scelte, nel nostro agire. Vivere senza paura. Questo, per me, è vivere Wicca. Ogni giorno, in ogni situazione. 31

Mi dispiace, ma non credo ai messaggi che arrivano dall’esterno. La voce con cui la Dea si manifesta è all’interno di noi. È dell’Universo. È la Natura che pulsa, dal nucleo ferroso contenuto al centro della Terra, fino alle pulsazioni del nostro battito cardiaco, fino al pulsare delle stelle nell’Universo... e chissà fin dove noi non possiamo nemmeno immaginare! Pulsazioni tutte coordinate alla medesima frequenza. Incredibile, ma vero. Dimostrato scientificamente! E quando “rallentiamo”, quando ci disponiamo ad ascoltare questo battito costante, il suono primordiale dell’Universo, le risposte arrivano. E magari sono anche completamente diverse da ciò che pensano tutti gli altri, da ciò che viene comunemente messo in pratica. Da ciò che pensavamo noi stessi venti minuti prima... Per me vivere Wicca significa anche sforzarsi di imparare un nuovo modo per vedere le cose. Per me la Wicca è prima di tutto un’OPPORTUNITÀ. L’opportunità di “darsi il permesso” di conoscere meglio se stessi ed il mondo che ci circonda. E se cogliamo l’opportunità, la Wicca diventa CONSAPEVOLEZZA. Consapevolezza dell’importanza di noi persone all’interno di un mondo che scopriamo essere, essenzialmente, Natura. E con la consapevolezza, la Wicca si trasforma in PERCORSO. Un percorso che ha più sentieri, dove possiamo esplorare la profondità dell’animo umano, con gli strumenti della psicologia e del mito, e la meraviglia del mondo che ci circonda, studiando e conoscendo la Natura, uniformandoci ai suoi ritmi, riscoprendo saperi ed usanze antiche. Il percorso, allora, ci introduce alla Wicca quale SAPERE. Un sapere arcaico, e quindi profondamente connesso con la Natura. E quindi, in ultima analisi, con l’aspetto originario dell’essere umano. Il sapere comincia a portarci lontano eppure così profondamente in noi stessi. Fino al punto di scoprire che la Wicca è MAGIA. Perché tutto l’Universo ne è intriso, e quindi anche noi stessi, che siamo parte del tutto. Ma la Magia richiede attenzione, quindi la Wicca è anche CURA 32

E GUARIGIONE. Cura, guarigione ed attenzione prima di tutto verso se stessi e verso a nostra Madre Terra, smeraldo incastonato nell’Universo, che continua generosamente a sostenerci, nonostante le angherie cui la sottoponiamo. Cura e conoscenza ci mostrano, infine, la Wicca come TRASCENDENZA. Mondo e Natura si ampliano e si proiettano in altri mondi infiniti, e come noi partecipiamo dei primi siamo parte anche degli altri piani, cui tendiamo dalla nostra imperfezione iniziale per arrivare a riconoscere la deità che alberga dentro di noi. E che (era ora!) non può che identificarsi con una Divinità splendida e forte, ed amorevole e terribile, e quotidiana ed universale, e lunare e solare, e giovane e madre e vecchia, ma FEMMINA, finalmente! Perciò ecco una mia definizione di Wicca e Strega: “UN PERCORSO TRASCENDENTE E MAGICO CHE CI OFFRE L’OPPORTUNITÀ DI GIUNGERE AD UN SAPERE “FEMMINILE” CONSAPEVOLE, TRAMITE LA CURA E LA GUARIGIONE DELLA NATURA. COLORO I QUALI PERCORRONO QUESTA VIA UNIFORMANDOSI AI RITMI NATURALI, ONORANDO I CAMBI DI STAGIONE, STUDIANDO GLI ANTICHI CULTI DELLA DEA E LE MITOLOGIE SUCCESSIVE, RICERCANDO LA DEA ALL’INTERNO DI SÈ PER PORTARLA OGNI GIORNO NEI PROPRI MONDI, EBBENE QUESTE PERSONE SONO STREGHE.”

Asatru

di Davide Marrè (revisione da Cap IX “Il Neopaganesimo” in “Il Paganesimo” di L. Rangoni) Asatru è il termine tradizionale con cui si definisce la religione basata sulla riscoperta del pantheon germanico-scandinavo e sassone. Asatru significa “fedeltà agli Asi”, gli Asi sono la stirpe divina di Odino, il Dio nordico cieco da un occhio e signore del 33

Valalla, a cui vennero rivelate le Rune, per questo l’Asatru è anche conosciuta come Odinismo. In Islanda l’Asatru dal 1972 è una religione riconosciuta grazie all’opera del poeta islandese Gothi (l’alto sacerdote) Sveinbjorn Beinteinsson e trova anche oggi le sue radici storiche nell’Edda, testo di Snorri Sturluson che visse in Islanda dal 1178 al 1241 ed in cui vengono narrate le gesta degli Dei nordici e la cosmogonia secondo i popoli nordici. Dagli anni settanta in avanti questa religione va incontro ad una espansione molto rapida soprattutto negli stati scandinavi e in Germania e oggi anche negli Stati Uniti. Storicamente il paganesimo nordico si trovò legato al partito Nazionalsocialista tedesco e attualmente esistono dei gruppi neonazisti che si autodefiniscono Asatru, questo malgrado sia nei paesi scandinavi che altrove la maggior parte degli aderenti a questa religione manifestino esplicitamente dei principi antirazzisti e antinazisti e siano quindi più vicini a quello spirito neopagano che abbiamo delineato prima, a differenza dei nostalgici ricostruzionisti veteropagani. Nell’Asatru risalta un concetto di individualismo in relazione al rapporto che l’individuo ha con la sua famiglia, con i suoi amici, con il suo popolo e con la sua stirpe, per cui un individuo è tale in funzione dei legami che stringe con le altre persone che rappresentano il clan. Viene rifiutato ogni dogmatismo e c’è un rifiuto netto, qui più che altrove, del Cristianesimo e del Giudaismo. La libertà della persona viene esaltata, insieme all’appartenenza tribale, per cui non sono ammessi  stranieri, cioè cristiani e nonEuropei. L’universalismo, nel senso dell’universale diffusione di valori e ideali comuni, è rifiutato categoricamente e il richiamo alla tradizione contro lo spirito progressista è costante in buona parte dei gruppi aderenti. I suoi valori sono il coraggio, la sincerità, l’onore, la fedeltà, la disciplina, l’ospitalità, l’operosità, la perseveranza che si applicano ad un ottica spirituale guerriera che esalta il valore dell’amicizia e del cameratismo. Nel nostro paese l’Asatru in forma più o meno organizzata è presente dal 1994, anno in cui viene costituita la Comunità Odinista che ha le sue origini ideali in Islanda, ma che opera marginalmente 34

in Italia, richiamandosi alle radici tribali longobarde, benché storicamente il paganesimo germanico a cui si richiama fu presente in Italia per appena due secoli dall’ 800 al 1000.

Tradizione Romana

di Davide Marrè (revisione da Cap IX “Il Neopaganesimo” in “Il Paganesimo” di L. Rangoni) La nascita della “Via Romana” è avvenuta in Italia prevalentemente durante il periodo fascista e vede in Arturo Reghini e Julius Evola due dei suoi maggiori esponenti. Tuttavia un primo interesse per le tradizioni romane risale già al rinascimento e le opere di Giorgio Gemisto Pletone e Pomponio Leto restano un punto di partenza per gli sviluppi odierni. Nel 1924 Reghini darà inizio alla pubblicazione di “Atanor” e successivamente di “Ignis”, mentre Evola pochi anni dopo si troverà a dirigere il Gruppo di Ur, una cerchia di persone in cui confluivano vari elementi esoterici oltre alle suggestioni legate alla “romanità”. Ad ogni modo in entrambi gli autori appare chiarissima la volontà di dare al fascismo un’anima pagana riferita appunto al suo pantheon di Dei, tuttavia almeno in questa prima fase ci si riferisce a Giano come al Dio supremo, mentre gli altri Dei sono considerati entità di grado inferiore, alla stregua di “angeli”. Il tentativo di paganizzazione del fascismo fallisce e la Via Romana cadrà nell’ombra per ricomparire negli anni sessanta all’interno di Ordine Nuovo, un gruppo di estrema destra, da cui però si distaccherà presto per coagularsi nel Gruppo dei Dioscuri che avrà una chiara matrice evoliana ed a sua volta andrà ad ispirare, dopo la sua fine, il gruppo Arx di Messina che darà vita nel 1984 al trimestrale “La Cittadella”. Parallelamente a questo gruppo operano negli anni ottanta in Italia il Centro Studi “Claudio Flavio Giuliano”, l’Istituto Siciliano di Studi Tradizionali di Travia e il Centro Studi “Giorgio Gemisto Pletone” a Riccione, che daranno vita con Arx, attraverso apporti differenti, ad un movimento comune, nato tra il 35

1985 e il 1988 a seguito di una serie di incontri (I, II e III Conventum Italicum): il Movimento Tradizionalista Romano. Dal 1998 questa organizzazione è diventata Movimento Tradizionale Romano e tra defezioni, riorganizzazioni e evoluzioni di correnti interne, dal 2001 prosegue la pubblicazione de “La Cittadella” oltre ad organizzare una serie di incontri e convegni divulgativi. Non è possibile non citare inoltre la rivista di studi tradizionali “Arthos” diretta da Renato Dal Ponte che fu protagonista nel 1981 di un primo momento di incontro delle varie anime della “Via Romana” a Cortona. Negli ultimi anni accanto ai gruppi legati al Movimento Tradizionale Romano, altri gruppi emergenti hanno cominciato a far sentire la loro voce, ne è un esempio Radio Tradizione, una radio che trasmette esclusivamente online e che, come dice il nome stesso, pur vicina alla tradizione romana si apre anche alle varie forme di paganesimo “tradizionale” presenti in Italia. Per sua stessa definizione, essa nasce dalle “Corporazioni Studi Filologici ed Archeologia Sperimentale”, Ouroboros, Roma Invicta e “Piana gallica” e dalla “Compagnia delle Armi e delle Arti di Bologna” e si propone di essere una “fonte di informazioni e divulgazione degli aspetti tradizionali del popolo Italiano, dei costumi storici, dell’insegnamento sapienziale e della Tradizione Guerriera.” Anche all’estero si sono costituiti dei gruppi che si rifanno alla romanità, in Nova Roma troviamo la riproposizione più articolata di questo ritorno, nata negli Stati Uniti si è costituita nel 1997 come “nazione virtuale” ed ha costituito anche una “provincia” italiana. Se quest’ultima, più lontana da un movimento spirituale ma piuttosto movimento culturale, è più vicina ad un modello più sinceramente neopagano, il tradizionalismo romano è invece per certi versi l’incarnazione stessa di un veteropaganesimo ricostruzionista, così come l’abbiamo precedentemente delineato. Gli elementi comuni e in generale condivisi del paganesimo romano sono lo studio e la restaurazione della cultura romana, che comprende naturalmente la riproposizione della “religio romana”. Grande attenzione è posta sulla applicazione dell’etica, delle virtù romane come ideali a cui tendere e delle filosofie romane, compresa 36

la filosofia epicurea e stoica. Il concetto di patria come elemento sacrale, di appartenenza all’”imperium romanum” in senso elitario e l’apertura alle tradizioni “barbare” che influenzarono la tarda romanità sono elementi chiave per capire questa forma di paganesimo che si discosta dagli elementi naturalistici tipici del Neopaganesimo a favore appunto del concetto di civiltà romana. I principi che in generale la “Via Romana” persegue non si esauriscono esclusivamente nel riproporre il culto del pantheon romano, ma nel riproporre globalmente la cultura legata alla civiltà della Roma antica: è un paganesimo più silenzioso che rifiuta l’esposizione e che ha scelto la strada della proposta culturale e dell’elitarismo, attraverso l’organizzazione di convegni legati alla storia e al costume del mondo romano, proponendo inoltre la rilettura delle fonti letterarie e storiche del mondo romano e una rivisitazione delle tematiche esoteriche legate in particolare all’opera di Evola ed arricchite da spunti filosofici.

Stregoneria tradizionale

di Davide Marrè (revisione da “Wicca: la Nuova Era della Vecchia Religione”, Aradia edizioni) Il termine “stregheria” è sostanzialmente moderno, lo utilizza quasi esclusivamente Girolamo Tartarotti12, la cui opera a metà del XVIII secolo “si può a ben ragione considerare come il punto di arrivo del più che secolare ripensamento sulla questione della stregoneria”13. Successivamente il termine è presente nel “Vocabolario Piemontese – Italiano di Michele Ponza” del 1859, per la cronaca un sacerdote, nel “Vocabolario Bolognese - Italiano” di Carolina Coronedi Berti (1874), nel “Nouveau dictionnaire italienfrancais et francais-italien” di Costanzo Ferrari e Arthur Enkenkel (1900), dove il termine stregoneria e stregheria hanno due diverse connotazioni: il primo si riferisce sostanzialmente all’arte di operare incantesimi e malefici, mentre il secondo ad una forma organizzata di stregoneria legata al sabba, un distinzione forse utile, ma anche 37

fittizia, e che sia nel “Vocabolario della lingua italiana” di Zingarelli che nel Devoto–Oli, viene abolita, in quanto il termine stregoneria nella sua prima accezione (e anche storicamente) è connesso ad operazioni di rituali sinistri (appunto il sabba) ed in senso estensivo alla pratica di incantamenti e malefici. La parola ricompare in E. Verga nel 189914, riferendosi a due casi di stregoneria avvenuti nel milanese, ma in sostanza il termine stregheria tornerà in uso grazie a Raven Grimassi15, noto autore americano (di incerte origini italiane) che ha pubblicato una serie di libri sulla stregheria, di discutibile attendibilità, in cui stregheria sta ad indicare pressochè esclusivamente la Vecchia Religione di Leland. Il fenomeno della stregheria, parte proprio da una moda americana, in cui davanti alle critiche mosse alla Wicca riguardo alle sue origini, ha spinto alcuni a ricostruire la “stregheria” come culto più tradizionale e connesso a delle autentiche radici storiche, ossessione tipica dell’atteggiamento del veteropaganesimo ricostruzionista, con l’unico risultato di vedersele contestate: lo stesso Grimassi è stato in più occasioni sbugiardato, e gli è stata contestata persino l’italianità della sua famiglia. Si tratta in sostanza di una moda postgardneriana che ha spinto all’interno e all’esterno della Wicca ad una sorta di corsa all’oro in merito alla propria autentica origine tradizionale. Negli Stati Uniti chiunque avesse origini europee (andando indietro nel tempo la più ampia maggioranza della popolazione) poteva vantare una strega in famiglia e una certa ereditarietà... Quando si parla di Stregheria si tenta anche qui in Italia, ma in maniera ben più grossolana, lo stesso procedimento che aveva tentato Gardner, ricostruire un culto da pochi elementi. La differenza principale è che mentre la Wicca si è configurata come uno dei culti più autenticamente neopagani, grazie al suo spirito rivoluzionario e innovatore, la stregheria si ripropone appunto come un ricostruzionismo veteropagano. Ovviamente è necessario operare dei distinguo perché esistono delle forme di riproposizione della Vecchia Religione di Leland che anziché avvolgere nella cortina di fumo delle “autentiche origini” il proprio percorso, lo esaminano 38

alla luce di un consapevole confronto con un passato che è appunto “passato”. Una delle fonti principali di tutti i testi sulla stregheria o stregoneria tradizionale infatti è “Aradia: il Vangelo delle Streghe”, oltre ad “Etruscan Roman remains”, di C. G. Leland (ricordiamo che Gardner e la Valiente, oltre a conoscere questi testi, li usarono nella “ristrutturazione” della Wicca). Quello che può infastidire è la costante accusa che viene fatta alla Wicca, da alcuni praticanti di queste cosiddette vie più tradizionali, di essere una sorta di corrente di rango inferiore che non ha nessuna tradizione alle spalle. Se andiamo a vedere la stregheria più da vicino vediamo che nella pratica ci ritroviamo col pentacolo, le invocazioni ai quattro elementi, l’Athame diventato qualcos’altro, il Libro delle Ombre e persino gli otto sabba. Se per quanto riguarda i primi elementi possiamo sforzarci di pensare che siano un retaggio della stregheria italiana, altrettanto non possiamo fare per il pentacolo e soprattutto per gli otto sabba. Nella stregoneria italiana, si veda Ginzburg e altri, compaiono piuttosto le quattro tempora! Un certo tipo di stregheria, in sostanza, pur sputando nel piatto in cui mangia, la Wicca, è ad ogni modo “perfettamente” Wiccan almeno nella concezione.

Discordiani

di Francesco Dimitri Lord Omar Kayyham Ravenhurst, noto anche come l’ex-marine Kerry Thornely, e Malaclypse the Younger, altresì detto Gregory Hill, furono i fondatori della Società Discordiana. Alla fine degli anni Cinquanta i due amici ebbero svariate esperienze mistiche, durante le quali compresero, finalmente, la Verità Ultima Di Tutte Le Cose: che il mondo è un gran macello e l’ordine, per usare le loro parole, “è soltanto la prevalente forma di chaos”. Malaclypse (forse assieme al Lord) scrisse quindi un libro destinato a influenzare profondamente la storia del Neopaganesimo e della magia occidentale: Principia Discordia, or, How I found the Goddess and what I did to Her when 39

I found Her. In Italiano suona Principia Discordia [I Princìpi della Discordia], o, Come ho trovato la Dea e cosa Le ho fatto quando L’ho trovata. La Dèa in questione è Eris, Signora della Discordia, divinità suprema di questa nuova religione. Il suo nemico, il vero e proprio diavolo, è noto come mr. Greyface, un essere il cui peggior peccato è la mancanza di senso dell’umorismo: il suo perverso lavoro consiste nel convincere le persone che il mondo è noioso quanto lui. Per diletto e lavoro, spinge a credere che il riso abbondi solo sulla bocca degli sciocchi. Parlare in modo serio della Società Discordiana è difficile e a tratti imbarazzante. Il principale nemico di questo strano gruppo è proprio la serietà, quella serietà mortifera che trasforma il più bel rito religioso, la più nobile idea politica, in un tran tran ripetitivo, in un’ortodossia che rinuncia a essere creativa. Lo scherzo, il disturbo, il gesto inutile ma divertente, la surrealtà: sono questi i cardini della Società. Leggere i Principia Discordia (disponibili freeware su Internet) è un’esperienza simile a un bizzarro trip: all’inizio Malaclypse e Omar Kayyham raccontano di aver ricevuto la rivelazione finale in una sala da bowling, e che a portargliela fu uno scimpanzé saggio e maestoso. Uno scimpanzé. Ed è solo l’inizio. La domanda che, tra animali sapienti e giochi di parole, i Principia fanno venire in mente, è: ma si tratta di un vero libro sacro, o è soltanto una parodia? La risposta discordiana è che i Principia sono l’uno e l’altro. La rivelazione data dallo scimpanzé richiama in modo evidente le rivelazioni dei vari profeti (cristiani e non), e il libro vide la luce in un periodo in cui i fermenti religiosi abbondavano. Erano gli anni in cui anche la Wicca si andava consolidando, ed è probabile che la scelta di una “Dèa casinista” sia una strizzata d’occhio alla “Dèa madre” gardneriana. Ma dire questo significa soltanto grattare la superficie. Eris è un archetipo, un trickster che i discordiani accolgono e cercano di incorporare. Lo scherzo dei Discordiani è irriverente perché ogni buono scherzo lo è, e perché lo è anche l’Universo. Quest’ultimo, come insegnava Charles Fort, è dotato di un grande sense of humour – quando gli esseri umani diventano troppo sicuri di qualcosa, 40

l’Universo li smentisce. Ma lo scherzo può anche essere, a suo modo, del tutto serio, una degnissima via per l’illuminazione. Il Disordine di Eris (che per un periodo ha lavorato come maitresse, secondo la teologia discordiana) è gioioso e creativo, offre infinite possibilità a chi le sa cogliere. Possiamo ottenere i più grandi risultati solo se siamo disposti a non prendere troppo sul serio né noi stessi né le nostre credenze: dopotutto la rivelazione divina, la più grande e pura, è stata data da uno scimpanzé. Gli stessi Malaclypse e Omar Kayyham hanno avuto difficoltà a venire a patti con questo modo radicalmente nuovo (almeno per l’Occidente) di intendere la spiritualità. Omar ha ammesso che, all’inizio, né lui né Malaclypse credevano davvero in Eris – ma le cose sono cambiate con il tempo. “All’inizio”, ha dichiarato Malaclypse “pensavo che stessi facendo lo stronzo con Eris, ora mi rendo conto che è Eris che sta facendo la stronza con me”. La profezia si autoavvera, il gioco diventa serio, lo scherzo diventa sacro. La Società Discordiana non è solo una nuova religione, è (al pari della più o meno contemporanea Wicca, ma in modo diverso) un nuovo tipo di religione. Si può cazzeggiare con gli Dèi, ma solo a patto che si sia pronti a vedere loro che cazzeggiano con noi. Si può (si deve) scherzare su tutto, prendere in giro chiunque, ma solo a patto che si sia disposti a farlo anche con noi stessi. Tutto questo perché l’Universo non ha un vero senso, tutto questo perché non esiste una Verità Ultima. L’Universo è un gran casino. E, checché ne dica il diabolico Greyface, è un casino divertente. Una maitresse come Eris sa organizzare grandi feste. Il Discordianesimo è una religione seria, pur non essendolo affatto – paradosso, questo, che si è dimostrato estremamente vitale. È difficile misurare il suo successo in termini numerici, perché la Società è priva di qualsiasi organizzazione. Per diventarne membri basta dire di esserlo. Per essere promossi a sacerdoti occorre seguire una procedura astrusa e surreale. Molto più semplice è diventare direttamente papi: basta stampare la «tessera da papa» (o scaricarla da Internet) e iniziare a scomunicare quanti più papi avversari possibile. La presenza di Eris si fa sentire anche nell’appartenenza 41

al gruppo – non sono ammesse gerarchie che non siano ironiche, e il «gruppo» stesso non è altro che un network di persone unite da idee simili. Se è impossibile capire quanti discordiani ci siano in giro (anche perché non ha alcun senso, nella logica di Eris, distinguere tra un «vero» discordiano e uno falso), è più semplice seguire le influenze della Società sulle culture successive. A renderla famosa presso il grande pubblico sono stati Robert Anton Wilson, discordiano della prima ora, e Robert Shea, che hanno scritto a quattro mani la Trilogia degli Illuminati, capolavoro di fantascienza visionaria che mescola occultismo, complottismo, delfini saggi e puro e semplice cazzeggio. In Italia è stata pubblicata dalla Shake!, e tutti e tre i volumi dovrebbero essere facilmente reperibili. Più dei libri però a portarla nel nostro Paese ha contribuito Internet, dove il saluto «Heil Eris!» si è diffuso fin dagli anni Novanta. Il singolo effetto più importante della società discordiana è però la nascita della Chaos Magick, la cosiddetta «magia postmoderna», croce e delizia dell’occultismo dagli anni Settanta in poi. L’idea che l’Universo non segua alcuna regola (neppure quelle dei maghi), quella che gli Dèi siano entità con cui giocare, e quella che non esista un ordine naturale delle cose, hanno profondamente influenzato una generazione di occultisti, che ha preso in parola Eris e ha interpretato in modo nuovo tutta la tradizione esoterica occidentale. Anche se la magia del chaos non deriva direttamente dalla Società Discordiana, difficilmente sarebbe esistita senza di essa: il «grimorio discordiano» (o Liber Nice) contenuto nel libro Prime Chaos, di Phil Hine, è una lettura obbligata per chi voglia comprendere (condividendoli o meno) alcuni trend fondamentali del paganesimo del nuovo millennio.

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CAP III – Il divino femminile La rinascita della spiritualità femminile le donne tornano a danzare

di Chiara (Shakinàh)

Una Donna cammina solitaria tra gli Alberi di un Bosco...le Foglie secche frusciano sotto i suoi piedi, bisbigliando Parole e Nomi antichi ed eterni...i passi della Donna, avvolta in un mantello nero ed incappucciata, hanno come unica guida la Luce nitida della Luna piena, che splende perfetta, serena ed immutabile nel Cielo freddo d’Inverno, tra i Rami nudi come dita stanche... Il Sentiero nascosto tra le Foglie del Tempo è appena visibile, eppure - parrebbe - tracciato da innumerevoli orme. La Donna lo percorre cantilenando in un sussurro, sottile come il Respiro condensato nel freddo, un sussurro di saggia dolcezza. Si perde flebile, la sua Voce, nel riverbero sordo del Silenzio, come minuscoli sono i passi negli spazi incommensurabili di una cattedrale. Silenzio… che le riempie le orecchie, le culla la mente, gravida di intenzioni, come Semi di Potenzialità, Semi di Creatività, di Consapevolezza, di Cambiamento. Ma il sacro Silenzio della Notte in ascolto viene dolcemente increspato da un altro sussurro…ed un altro…ed ancora. Alza lo sguardo, la Donna, e sorride nel vedere chi si avvicina da numerosi Sentieri limitrofi. Altre Donne, nei loro mantelli, ognuna sussurrando il suo Canto. Si scorgono l’un l’altra ed ognuna lascia che il proprio Canto da un sussurro si apra negli spazi tra gli Alberi, per giungere alle orecchie delle Sorelle sugli altri Sentieri: ognuna con il suo timbro, ognuna con le sue Parole…eppure tutte intonano lo stesso Canto, che si innalza al Cielo notturno, mentre si avvicinano ad una radura. I Sentieri convergono come ampi raggi ricurvi, verso lo spazio sgombro dagli Alberi al cui centro si erge un Menhir di pietra. Le 43

Donne si conoscono e si riconoscono, si incontrano e si sorridono, si prendono per mano senza arrestare i loro passi, ma proseguendo il cammino in un andamento spiraleggiante. Ecco che il Canto si fa Danza, la Danza a Spirale: la forma delle Galassie, nel loro moto infinito nel Grembo dell’Universo, la forma della stessa Vita, la forma del Tempo, che torna eppure cambia. Danzando le Donne si guardano: sono Fanciulle, sono Madri, sono Anziane, sono tante e sono Una. I loro Corpi sono plasmati dalla Madre di tutte le Madri: Gaia, la Terra. Le loro Menti splendide e complicate sono ispirate da una Brezza di creatività… creatrici le Donne, che intessono Storie, Trame, Parole, Vite, creano l’Arte, creano la Vita… I loro Cuori fiammeggiano della passione per questa Vita, dalla quale amano a volte lasciarsi stupire o a volte costrette a rimanere deluse… ma solo per ritornare poi a combattere vigorose e guerriere. Il loro Ventre racchiude i Misteri dell’Amore e della Vita nella dolcezza dell’Acqua. La loro Anima respira a fondo lo Spirito che le sospinge nella Spirale… Sono come Stelle: ciascuna bellissima, ognuna diversa, ognuna importante per trovare la Strada o una Strada. Ma sanno brillare insieme, in una grande Costellazione dove ognuna ha il suo ruolo, ognuna la sua posizione ed il suo spazio: ognuna rimane se stessa, ma tutte insieme sono altro. Le Fanciulle, le Madri e le Anziane si muovono come in un vortice, ed i loro sguardi si incrociano, si intrecciano, tessono la Consapevolezza. Consapevolezza che guardare le altre è come guardare in uno specchio, uno specchio del Presente, del Futuro e del Passato che è anche il nuovo Futuro, perché la Spirale non abbia mai fine…perché la Spirale non ha mai fine. Sono tutte diverse, le Donne, e sono Donne, partecipi di questa identica condizione proprio per il fatto di essere diverse ed uniche. Ed il Canto si innalza più forte…e la Danza prosegue più veloce, i mantelli fluttuano ampi, come grandi ali di uccelli notturni. L’Aria fredda intrisa di Energia palpabile entra nei Respiri, fluisce nel Sangue, riempie il Cuore e scatena le risa, acute come campanelli cristallini. 44

Improvvisamente, tutte insieme, ognuna per se ma come fossero Una, le Donne si fermano, ansimanti, sorridenti, ogni tanto ancora scosse da una risata, accaldate. I mantelli ricadono pesanti a ricoprire le spalle ed i Corpi delle Fanciulle, delle Madri e delle Anziane. Ma si innalzano ora le Mani al Cielo, alla Luna, così che la Gioia ed il Ringraziamento giungano all’Universo, un piccolo Dono in cambio di innumerevoli preziosissimi Doni. Le Donne sono ora stanche, di nuovo cominciano a sentire il freddo della Notte e del Bosco al di la dei confortevoli mantelli. Rimangono vicine, riunite in un grande Cerchio, dove tutte sono uguali, tutte si guardano in viso. Oscillano dolcemente, i lunghi mantelli come Onde del Mare che si susseguono incessanti. Ma ora i Canti sono terminati, ora rimangono le mille Sensazioni dell’ebbrezza che ha investito tutte e fatto a ciascuna un Dono personale: una Risposta forse, o una nuova Ispirazione, un nuovo Canto, una Conferma… I Doni sono Sensazioni sottili, preziose, intime, da accogliere con riconoscenza e le Donne dimostrano il loro rispetto scegliendo il Silenzio. Sul Bosco torna dunque il sacro Silenzio, la Luna nel suo andare sulla ruota del Cielo si mostra frammentata tra i Rami. Non c’è più bisogno di Parole, le Donne si salutano con gli sguardi, consapevoli dei sentimenti e delle sensazioni di tutte e di ciascuna e, voltandosi, si allontano dalla radura, ognuna nuovamente lungo il suo Sentiero… Le Donne stanno tornando a riscoprire se stesse e questo non solo da un punto di vista strettamente legato all’aspetto del femminismo. Stanno tornando a capire cosa si cela nei loro cuori spesso così difficili da comprendere persino per loro stesse, tornano a conoscersi nel loro intimo e reciprocamente le une con le altre. Sempre di più le Donne rialzano la testa, anche se a volte questo non basta nella totalità della vita (ma questo breve saggio non è il luogo per una speculazione che attraversi la storia, la politica, la religione, il mondo del lavoro, quello famigliare ecc), ma può bastare perché si guardino semplicemente allo specchio, osservando 45

attentamente nei loro occhi per capire cosa si nasconda oltre le maschere indossate ogni giorno. Per quello che interessa noi, qui ed ora, le Donne stanno riscoprendo la loro Spiritualità, che in alcune cose non è diversa da quella maschile, eppure allo stesso tempo, può anche esserne così distante da essere veramente “altro”...o meglio, “altra”. Soprattutto, quello che le Donne stanno scoprendo, anche coadiuvate e sostenute da altre Donne in questo faticoso lavoro, è che la loro Spiritualità ha delle declinazioni unicamente, squisitamente femminili. Il modo tutto particolare che le Donne hanno di intendere certe cose della Vita – anche le più banali – e che le differenzia dagli uomini, influenza anche l’aspetto spirituale. Così l’ottica delle Donne cerca e scava soprattutto nel Mistero legato alla Terra e alla Vita perché son cose che appartengono loro nel profondo... Nessuno stupore, dunque, che le Donne sul Sentiero pagano/ neopagano siano ancor più sospinte in questa ricerca del Se profondo, in questo riappropriarsi delle proprie sensazioni, per sentirsi nuovamente e pienamente Dee, degne di Fiducia, Rispetto, Valore. Come da sempre sono le Streghe, donne indipendenti, non per questo perfette, ma consapevoli della loro femminilità e di tutto quello che questo comporta nella Vita. La spiritualità delle Donne, il loro Istinto, il loro Intuito, Sciamane, Creatrici ed Artiste per eccellenza: elementi un tempo profondamente rispettati e quasi temuti in un alone di misterica e magica soggezione davanti alla Forza della Vita che esse incarnavano ed interpretavano. La statura spirituale delle Donne nell’antichità può quasi stupire, anche se solo si pensa agli oracoli del mondo greco-romano: tutte Donne. Ma in un niente questo iniziale stupore svanisce facendo mente locale proprio su quanto delle Donne si sa e si dice. Anche oggi normalmente si parla di “intuito femminile”: rendiamoci dunque pienamente conto che non si tratta di una definizione vuota. E si pensi al ruolo biologico della Donna e – come si diceva poco sopra – a quale timor reverenziale essa doveva ispirare per la sua unica, insostituibile capacità di creare la Vita. Una creatura 46

preziosa, essenziale, sacra, la Donna. Una creatura che è resa ancor più sensibile ed intuitiva proprio per i continui magici cambiamenti legati alla Luna che la Natura opera in lei ogni mese: la Donna cambia il suo corpo, cambia il suo umore, cambia la sua sensibilità e la sua capacità di percezione. Inoltre è noto come in antichità si usassero principalmente calendari lunari per scandire il trascorrere del tempo, quindi un ciclo biologico evidentemente legato alla Luna ovviamente era considerato sacro. Tutto questo ha sempre facilitato le Donne nel ruolo di Sciamane, un ruolo per loro quasi naturale, istintivo, appunto. Gli esempi che si potrebbero portare sono numerosi, ma crediamo ne basti uno particolarmente significativo, raccontato da Vicky Noble nel suo libro “Il Risveglio della Dea”. Per meglio comprendere in cosa consista il legame tra l’istintività delle Donne ed il mondo dello Sciamanesimo basti spiegare come le pratiche sciamaniche siano sempre profondamente istintuali, nell’ancestrale fiducia che quanto l’Universo ci indica e che noi percepiamo ed interpretiamo, sia ciò di cui, in quel momento, abbiamo bisogno. La pratica sciamanica è indissolubilmente legata al mondo naturale e degli animali (Animali Guida, Animali di Potere) e da questo risulta derivare un carattere radicalmente intuitivo-istintuale. Lo sciamano (o la sciamana), all’interno del nucleo sociale, ricopre svariati ruoli, che vanno dal consigliere e legislatore (con l’ausilio della divinazione o dei messaggi ricevuti dai viaggi sciamanici) al guaritore, ruolo che in realtà risulta preponderante nello sciamanesimo. Lo sciamano è un uomo potente, profondamente riverito e rispettato. Il suo intervento è importante, per la società, come quello di un guerriero. E non si può negare che lo sciamano sia, in un modo molto particolare, un guerriero: molti viaggi sciamanici di visione e guarigione sono esperienze forti e a volte quasi dolorose e violente, ma necessarie. Impossibile a questo punto non notare come la figura, il ruolo dello sciamano – a livello umano e spirituale – si rispecchi meravigliosamente nell’archetipo della Donna/Dea Triplice: la Fanciulla guerriera, la Madre amorevole (guaritrice, creatrice di Vita), 47

l’Anziana saggia e rispettata... ed il Cerchio torna a chiudersi... Il breve pseudo-racconto iniziale è ovviamente allegorico: inutile sviscerare quali e quanti siano i riferimenti simbolici all’Antica Religione, tanto sono lampanti. Il gruppo Soteira, sezione puramente femminile del Circolo dei Trivi, fa suo questo valore in uno straordinario esperimento – fin qui egregiamente riuscito – di incontro, confronto, scambio, supporto reciproco. Un gruppo di Donne, persino non tutte Streghe, con esperienze e conoscenze diverse, con Percorsi, Sentieri e Tradizioni diverse che sanno dar vita ad un vero grande Calderone ribollente dove la meta è la profonda condivisione. E visto che è il viaggio la cosa più importante, ecco che questa condivisione già sussiste lungo il tragitto: rituali di Tradizioni miste, nati da intuizioni spontanee ed estemporanee, incontri su svariate tematiche dove ognuna mette sul piatto quel che sa e che ha da dare... Le Donne stanno rialzando il volto, dunque, verso le Stelle, della cui materia tutti siamo fatti, verso la pallida, splendida Luna che veglia da sempre sulla loro femminilità. Sono forse i primi timidi passi, ma nutriti di profondo entusiasmo, passione, voglia di scoperta e sete di conoscenza di quell’Universo che vortica fuori da noi in profonda assonanza all’Universo che vive dentro di noi: “Come Sopra Così Sotto”.

Sulle tracce della Grande Dea di Chiara (Danaliit)

“What is True is True and what is True will remain” Marija Gimbutas Il matrismo Possibile che fra la storia dei nostri progenitori ancestrali e la 48

comparsa delle prime grandi civiltà, l’umanità non abbia lasciato alcuna traccia di sé? Eppure io “sentivo” che mancava un tassello importante... Quando incontrai la Wicca, quel lungo periodo incognito si svelò grazie all’eminente archeologa Marija Gimbutas, la prima a sostenere la tesi del matrismo. La Gimbutas, di origini lituane, si interessò fin dalla gioventù alla storia della sua terra e intraprese una prestigiosa carriera universitaria nei campi del folklore, dell’antropologia e dell’archeologia. Fu lei a porsi la fatidica domanda: “Chi e che cosa c’era prima delle popolazioni Indo-Europee?” Nel 1963 iniziò gli scavi che sarebbero durati 15 anni in Jugoslavia, Grecia ed Italia, portando alla luce numerosissimi reperti, alcuni con motivi ricorrenti, come le Dee Uccello o le Dee Serpente. Tutte queste esperienze formarono il suo primo, rivoluzionario libro: Gods and Goddesses of Old Europe. Nella società matrista, a differenza di quello che si potrebbe pensare, le donne non soverchiavano gli uomini: essi avevano la loro giusta posizione sociale e infatti si ritrovano sia Dee sia Dei. La Dea aveva comunque un ruolo predominante poiché era considerata la Creatrice: le statuine dai seni enormi, dai fianchi e glutei abbondanti sono il simbolo concreto di questo potere di fertilità e prosperità, così diverso dai nostri modelli femminili anoressici, androgini e sterili; confronto stridente fra le due visioni dell’essenza del femminino. Le società matriste non erano né monoteiste né politeiste: la Dea era una sola ma venerata in molte forme; il riflesso di questo fatto si ritrova nella Wicca moderna, dove la Dea è venerata nei suoi tre aspetti principali: la Fanciulla, la Madre e la Vecchia. La religione della Dea era direttamente collegata con il ciclo della vita: nascita, morte e rigenerazione e non solo con i riti di fertilità, a dimostrazione che il livello di evoluzione raggiunto da queste popolazioni era molto elevato. La Gimbutas fa inoltre notare come la produzione artistica subì un tracollo con il passaggio al patriarcato. L’aspetto religioso era quindi fondamentale nel matrismo e 49

aveva certamente caratteri sciamanici: fra i resti archeologici sono stati ritrovati semi di papavero e di altre piante che avevano probabilmente effetti di alterazione della coscienza, quelle tecniche dell’estasi che si ritrovano anche in altre civiltà a noi ben note, come la greca o la romana. Ma ora immaginate di tornare indietro nel tempo...scorrete nella vostra mente la Storia della razza umana come l’avete sempre conosciuta, fino alle più remote civiltà. Civiltà guerriere, della spada, dominate dai maschi...non è forse questa la Storia che avete appreso? State pronti a incontrare una società umana che definireste puramente utopica, ma che invece è stata reale, presente per migliaia di anni... ........una pianura inondata dai raggi del sole, campi di grano dorato, maturi e pronti per il raccolto. Il cielo è terso, azzurro, e un gruppo di uomini e donne stanno mietendo le messi, cantando allegramente. Le loro vesti sono molto semplici, ma di una foggia a voi sconosciuta. L’atmosfera è di grande armonia. I bambini corrono qua e là, giocando. Al calar della sera, il piccolo gruppo si avvia verso un villaggio. Non ci sono mura di protezione, le capanne sono semplici, fatte di canne intessute, dalla pianta circolare. In mezzo ad esse vi è un altare adornato con fiori e frutta fresca. Una statua che rappresenta una donna dalle forme abbondanti, rozzamente intagliata nel legno, completa il tutto. La gente prepara un grande fuoco e si appresta a consumare un pasto a base di cereali e latte di capra. I bambini vengono mandati a riposare, gli adulti si dipingono i corpi con colori vivaci e iniziano a danzare nudi sotto le stelle, invocando il nome della Grande Madre. I canti e le danze divengono sempre più frenetici, accompagnati dal suono dei tamburi, finchè tutto si ferma all’improvviso. Cala il silenzio assoluto e una donna fissa le fiamme parlando con voce alterata, la Voce della Dea, profetizzando come andrà la prossima stagione invernale.......

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La caduta dei popoli della Dea La Gimbutas ipotizzò che le prime popolazioni Indo-Europee giunsero in Europa dal Sud della Russia intorno al 5.000 a. C.: gli invasori erano popolazioni semi-nomadi che avevano addomesticato il cavallo e si spostavano velocemente, predando ed uccidendo. Il passaggio dal matrismo al patriarcato fu quindi uno scontro violento fra due culture completamente differenti e le prove archeologiche raccolte da Marija provano infatti che vi fu un cambiamento repentino. Questo sta ad indicare come il matrismo non si sarebbe mai potuto sviluppare in quella direzione culturale, poichè le differenze erano troppo forti. Le bellicose tribù a cavallo imperversarono sulla pacifica civiltà agricola, che venne così annientata in poco tempo. La Gimbutas traccia il background della società Proto-IndoEuropea: la sua struttura era patriarcale, patrilineare, guerriera, lineare e non ciclica; ogni loro Dio era quindi un guerriero. I tre principali erano: il Dio del Cielo Scintillante, Il Dio dell’Oltretomba ed il Dio del Fulmine. Le Dee perdono il loro potere individuale, indipendente dal Dio e divengono solo mogli, figlie o madri, figure in secondo piano, il cui unico attributo considerato è la bellezza esteriore e la capacità di generare figli maschi guerrieri. Con l’eclissi della Dea, pare che l’oscurità avvolga anche l’anima e lo spirito della razza umana. Il rapporto uomo-donna si deteriora e le donne seguono il destino delle loro Dee: esse divengono madri, mogli, figlie di qualcuno, dipendenti, sottomesse, senza alcun potere. I loro ruoli di guide, sacerdotesse, governanti, sciamane, sagge svaniscono all’improvviso, relegandole nell’ambito chiuso della casa, della famiglia e dei figli. Nulla di più. Questo brusco cambiamento ideologico si ritrova anche in molte mitologie: le Grandi Dee, potenti e temute, vengono detronizzate all’improvviso da mariti, fratelli e figli. Nella mitologia atzeca la Dea della Luna viene fatta a pezzi e sparpagliata nel cielo dal fratello minore; in quella nipponica la Dea del Sole Amaterasu si auto-esilia in una caverna dopo essere stata 51

insultata dal fratello, il Dio della Tempesta Susanoo. Nella mitologia greca e romana troviamo molto spesso episodi di violenza contro le donne: molti Dei seducono o tentano di sedurre donne mortali che vengono punite se non soggiacciono alla loro volontà, come nel famoso episodio di Apollo e Dafne ne Le Metamorfosi di Ovidio, Anche nella storia biblica di Adamo ed Eva ritroviamo il passaggio dal matrismo al patriarcato: la prima moglie di Adamo era Lilith, la Dea Uccello della Morte e della Rigenerazione, l’archetipo primordiale della strega, dotata di grande potere, Colei che in origine era la Dea sumera delle Stelle, Ishtar. Adamo non riusciva a controllarla e Lilith lasciò il Giardino dell’Eden, andando in esilio sulle coste del Mar Rosso; il nuovo Dio Unico creò allora dalla sua costola una nuova compagna, mite ed ubbidiente, Eva, che gli diede figli maschi. Iniziò così la campagna diffamatoria contro la Dea e quindi contro le donne e il loro potere: il patricarcato le temeva, temeva il loro potere di creatrici e distruttrici, la loro stessa natura di nutrici e portatrici di vita che poteva rovesciare il sistema basato sulla guerra , sulla prevaricazione, sulla forza bruta. Piccoli gruppi di iniziati conservarono in segreto la venerazione per la Madre e di nascosto, nelle ombre, si tramandarono oralmente gli Antichi Misteri, le tecniche per contattare il Divino senza intermediari e la saggezza della Natura, con il timore costante di venire perseguitati e distrutti. Ma sarebbe dovuto passare molto tempo prima che la Dea riemergesse dal suo lungo oblio...e questo avvenne non molto tempo fa, quando l’umanità, con le guerre mondiali ed i conflitti nucleari, fu davvero sull’orlo di auto-distruggersi, ormai completamente accecata dalla sete di distruzione e violenza senza senso. La Dea oggi Spontaneamente, apparentemente dal nulla, nel secolo scorso nascono movimenti spirituali basati sulla Terra, religioni adogmatiche, politeiste, dove la grande Maestra è di nuovo Lei, la Terra, dopo migliaia di anni. 52

Sempre Lei, antica, serena, come la Luna nel cielo, che guarda gli umani che ogni giorno la offendono e la maltrattano come bambini capricciosi che non vogliono imparare la lezione. Se Gaia avesse voluto, ci avrebbe già distrutto. Oggi la venerazione per la Dea non può essere identica a quella dell’antichità: noi purtroppo dobbiamo fare i conti con un pianeta in crisi ecologica profonda; molti neopagani sono costretti loro malgrado a vivere in città. È quindi molto più difficoltoso sentire la voce della Terra ed armonizzarsi di nuovo con i suoi cicli, ma bisogna assolutamente tentare in ogni modo di riaccostarsi a Lei. E come nell’antichità la Dea aveva molto forme, così al giorno d’oggi le streghe moderne possono fare riferimento ai diversi pantheon mitologici: grazie ai moderni mezzi di comunicazione e soprattutto alla rete Internet, ci si può documentare ed informare sulle Dee di tutto il mondo: dalla tradizione egizia a quella indiana; dalle nordico-celtiche alle americane ed australiane. Ogni civiltà e cultura ha prodotto le proprie specifiche divinità, i propri racconti e leggende dalle quali si può imparare moltissimo, poichè sono storie archetipe che toccano i grandi temi della vita umana. Ma come fare a sentire la Dea oggi? Oltre a stare in mezzo alla Natura, in solitudine, e riscoprire la sua saggezza, una donna ha un lungo percorso davanti a sé: deve superare tutti gli schemi mentali e sociali acquisiti, liberarsi dell’inconscio collettivo accumulato per millenni e combattere ogni giorno per avere di nuovo un rapporto paritario con gli uomini: è risaputo che il riconoscimento sociale della donna è ancora inferiore rispetto agli uomini, basti pensare a chi occupa i posti di potere. Una donna deve interiorizzare i concetti rivoluzionari che ho esposto sopra: essere libera, indipendente, avere prestigio, potenza, ed essere consapevole di averli dentro di sé. Quante donne possono affermare questo al giorno d’oggi? È difficile liberarsi della cultura patriarcale nella quale una donna deve avere un compagno, un marito che la mantenga e le stia accanto. Una donna deve innanzitutto sperimentare il potere di Artemide, 53

la Dea Selvaggia dei Boschi, che vive indipendente e si procaccia da vivere da sola. Quante volte una donna entra in relazioni sentimentali distruttive poiché ha poca autostima? Artemide fa sentire di nuovo la fierezza , la forza e l’orgoglio di essere attive ed indipendenti. Il secondo passo è quello di riscoprire la propria femminilità e dolcezza, che troppe volte dobbiamo mettere da parte in un mondo governato dalle logiche del denaro, dell’egoismo, dello sfruttamento. Madre Gaia ci abbraccia e ci fa sentire di nuovo amate, noi che siamo sempre portate a sacrificarci per gli altri e a mettere da parte quello che proviamo e non dare importanza alle nostre esigenze. Gaia ci scalda di nuovo il cuore e l’anima, riempiendoli di luce ed amore. Più avanti nel cammino, dobbiamo iniziare ad affrontare le nostre paure, conoscere noi stesse, esplorare in profondo ciò che siamo, la nostra essenza: Ecate, Regina della Luna Nera e Saggia ci conduce dentro noi stesse, a fronteggiare i nostri demoni interiori e ad evolverci come esseri umani, a fronteggiare il lato oscuro dell’esistenza: dolore, sofferenza, lutti, malattie e la nostra morte.

Essere una Sacerdotessa di Valentina Minoglio

Vero sine mendacio, certum et verissimum Quod est superius est sicut quod est inferius et quod est inferius est sicut quod est superius ad perpetranda miracola rei unis Come sopra, così sotto. Questo principio della Tavola di Smeraldo permea tutto l’esoterismo occidentale. E accompagna giorno dopo giorno la vita di una Sacerdotessa. Il volere degli Dei si dispiega nei singoli eventi della vita quotidiana. Ci sono momenti unici, eccezionali e fuori del tempo, i momenti in cui il sacro irrompe nella nostra vita e le dà il respiro dell’eternità. Ma una Sacerdotessa impara a riconoscere il disegno degli Dei, o del particolare Dio a 54

cui è devota, anche in eventi meno emozionanti. Impara a scorgere una trama dietro il tessuto della vita ordinaria. A ricostruire una costellazione che unisce Stelle apparentemente lontane. A vedere il volto di un dio nel volo di un uccello, nelle foglie di un albero che si muovono all’improvviso, in un libro che cade all’improvviso, proprio mentre stavi formulando una domanda.... Impara a distinguere quale uccello, quale albero, e spesso non è una sorpresa raccogliere quel libro e vedere che ancora un volta si è aperto sulle pagine che parlano della divinità a cui si è devoti. Impara a scorgere segni della divinità in fatto apparentemente casuali ma che con il Tempo si legano e prendono una Forma. La Wicca è una religione che offre l’opportunità a tutti di essere Sacerdoti e Sacerdotesse. Anche se non è una Via facile. Ma Sacerdoti e Sacerdotesse Wiccan sono figli dei sacerdoti antichi. Vediamo brevemente quale era il loro ruolo e il loro compito, per comprendere meglio qual è il nostro, oggi. Intanto, nella Wicca ci sono Sacerdotesse donne. Chi erano anticamente le sacerdotesse? Grecia Antica In Grecia non esiste un gruppo sacerdotale chiuso. Durante ogni manifestazione cultuale però è presente qualcuno che diriga, inizi, pronunci la preghiera, compia la libagione. Il santuario è proprietà del Dio, ma vi è una responsabile preposta, hiereia, sacerdotessa. Il sacerdozio non è una condizione generale, nessuno è sacerdote come tale, ma sacerdote di una Divinità in particolare. Le cariche sacerdotali sono spesso ereditarie, ma l’assegnazione può valere come manifestazione della volontà divina. La sacerdotessa porta la grande chiave del tempio ed è onorata come una Dea fra la gente. In genere sacerdotesse servono le Dee e sacerdoti gli Dei maschi, ma ci sono moltissime eccezioni: Pallade Atena ha un sacerdote, come vi sono sacerdoti maschi nel culto di Demetra, e Dioniso, Apollo e lo Zeus di Dodona hanno sacerdotesse. Il celibato a vita non esiste. Si devono rispettare divieti per certi 55

cibi, osservare digiuni, e per mantenere la purezza, corrispondente al sacro, la sacerdotessa deve evitare il contatto con i morti, per esempio. Il santuario è lo Spazio per il divino, la festa è il suo Tempo. Ci sono giorni distinti dagli abituali, che cominciano la notte prima, e il contrasto con l’abituale può esprimersi nella gioia e nel piacere, nell’ornamento e nella bellezza, ma anche in qualcosa di minaccioso e terrificante. Vi è sempre un corteo, verso il santuario, e processioni, dal santuario, che interrompono un periodo di purificazione. Non esiste alcuna festa rituale senza la danza, che si svolgono nel santuario, diverse per ogni divinità (a Delo si svolgeva una danza labirintica, danze con scudi erano in onore di Atena, fanciulle danzano per Artemide). Per celebrare una divinità i Greci istituivano anche delle gare, per qualsiasi cosa: sportive, di poesia, danza, bellezza, musica… le prove di forza hanno anche carattere iniziatico. Le sacerdotesse presiedono riti del fuoco: il fuoco è legato alle divinità soprattutto ctonie e preolimpiche, e non vi è comunque rito senza fuoco: un falò, una processione con fiaccole. Il fuoco che divampa manifesta la presenza del Dio e il profumo del fuoco, sprigionato da legni sacri o incensi, è divino (il sacro coinvolge tutti i sensi). La sacerdotesse offrono anche doni agli dei che li richiedono: soprattutto cereali, fiori, primizie, o si fanno testimoni di un’offerta votiva: un voto. La libagione è l’atto più sacro: si può versare completamente il liquido (per gli dei ctonii) o bere e versare, la libagione è anche una forma di invocazione. La libagione è la forma più pura e raffinata di rinuncia: non si può più raccogliere ciò che si è versato. Rappresenta l’elevazione della speranza attraverso una serena dissipazione. Le sacerdotesse si occupano anche della preghiera: le devozioni richiedono le giuste parole. Ogni parola errata, rozza o lamentosa è blasfema. Oppure vegliano sul Silenzio sacro. I riti culminavano spesso nelle nozze Sacre, gli hieros gamos, 56

il congiungimento sessuale dei sacerdoti che indica l’unione del Dio e della Dea. La tradizione è antica: il re sumerico è l’amante della Grande Dea, la somma sacerdotessa di Tebe è la donna del dio Amon, Astarte è la sposa dei sacerdoti di Cipro. I culti misterici di Dioniso prevedevano una iniziazione sessuale. E il culto di Afrodite con le sue sacerdotesse, le etere, prevedeva l’unione sessuale: in quel modo la Dea, che si nutre di amore, si manifestava agli uomini. Il sacro appare come l’extra-ordinario, il totalmente “altro”, perciò le esperienze in stato alterato di coscienza sono il supporto essenziale della religione. Questa esperienza può derivare da una predisposizione individuale, da una tecnica apprendibile o dall’uso di droghe. Comunque la Sacerdotessa vede, sente e vive ciò che per gli altri non è dato, e instaura un rapporto diretto con la divinità. Entheos è quando una persona parla con voce strana o in maniera incomprensibile, si muove con movimenti inconsulti. Il Dio può possedere o rapire il suo sacerdote. Nell’estasi la persona abbandona la via abituale, la razionalità. Nel culto di Dioniso furore ed estasi sono normali: esperienza divina e appagamento. Ma ci sono anche forme di rapimento sobrio. Apollo induce una follia profetica, un entusiasmo poetico. Dioniso uno erotico e filosofico. Zeus invece sta nel limpido spazio del pensiero assennato. Interessante notare che Platone chiamava filosofia l’amore della sapienza, sapienza che era esistita in un mondo arcaico, in cui esistevano appunto i sapienti. Non c’è uno sviluppo continuo e omogeneo fra sapienza e filosofia. Sono Apollo e Dioniso gli Dei della sapienza greca. A Delfi, sede dell’oracolo di Apollo, si manifesta la vocazione dei greci per la conoscenza. Sapiente però non è Odisseo: sapiente è chi getta luce nell’oscurità, chi scioglie i nodi, chi manifesta l’ignoto, chi precisa l’incerto. “Ai nottivaghi ai magi ai posseduti da Dioniso alle menadi agli iniziati” è dedicato un testo fondamentale della sapienza, “Dell’origine” di Eraclito. La conoscenza dell’oracolo appartiene alla sapienza, le sacerdotesse di 57

Delfi sono connesse con la sapienza. È sempre Platone, nel Fedro, a indicarci come: “…non è verace il discorso che ad un innamorato si debba preferire chi non ama, con il pretesto che l’uno delira e l’altro invece è sano e saggio. Ciò sarebbe detto bene se il delirio fosse invariabilmente un male; ora invece i più grandi doni ci vengono proprio da quello stato di delirio, datoci per dono divino. Perché appunto la profetessa di Delfi, le sacerdotesse di Dodona, proprio in quello stato di esaltazione, hanno ottenuto per la Grecia tanti benefici, sia agli individui che alle comunità; ma quando erano in sé fecero poco o nulla”. I sogni vengono dagli Dei, e nei sogni gli Dei indicano agli uomini la via da seguire, e le sacerdotesse, soprattutto di Apollo, li interpretano: per trovare l’interpretazione convincente, esente da dubbio, è necessario un dono carismatico, una ispirazione. Per questo le indovine sono considerate sagge (anche se, ancora, la parola mantis, indovino, ricorda mania, follia). L’arte di interpretare diventa una tecnica quasi razionale. Segno può essere qualsiasi fenomeno non del tutto ovvio: si osservano il volo degli uccelli, il comportamento dell’animale sacrificato… I segni favorevoli vanno accolti con un voto, quelli sfavorevoli mutati con una purificazione: non è tanto importante prevedere, sapere prima cosa accadrà, ma decidere, con l’aiuto della sacerdotesse, cosa fare o non fare. In certi Luoghi gli dei danno maggiori segni: sono chiamati Oracoli. Qui il dio parla direttamente tramite un medium, che cade in stato di entusiasmòs. A Dodona tre sacerdotesse , chiamate colombe, parlavano per Zeus: cadono in trance e poi non ricordano più nulla. A Didima, oracolo di Apollo, vi era una fonte sacra: la sacerdotessa cadeva in estasi tenendo la verga di alloro del dio, immergendo i piedi nella fonte e ispirandone i vapori. A Patara, in Licia, la sacerdotessa passava la notte nel tempio, e su di lei veniva il Dio in forma di sogno e il vaticinio. Il più famoso oracolo è Delfi, dove Apollo avrebbe sostituito 58

un precedente culto ctonio dedicato a Gaia (o alla Dea Serpente: Apollo infatti sconfigge Pitone, ma le sue sacerdotesse lo ricordano nel nome): vi erano tre Pizie che durante tutto l’anno si dedicavano al dio. Dopo un bagno nella fonte Castalda la Pitia entra nel tempio, fa bruciare farina d’orzo e foglie d’alloro sul fuoco sempre acceso e discende nella parte finale del tempio. Qui c’era l’omphalòs, sopra un’apertura circolare nel terreno (dalla quale recenti studi hanno verificato uscissero vapori di etilene, una sostanza che provoca, a piccole dosi, euforia, leggerezza, allucinazioni), con sopra un calderone. Seduta sull’orlo dell’abisso, avvolta dai vapori che salgono e agitando un ramo di alloro, la Pitia cade in trance. Secondo alcune versioni, il Dio possiede la Pitia anche in senso sessuale (anche nei misteri di Eleusi il rapimento da parte del Dio è sia sessuale che estatico). Come le Pitie erano le Sibille. L’Antichissima Dea Serpente Le Pitie erano eredi delle antiche Pitonesse, messaggere della Grande Dea la cui voce, scaturita dalle profondità della terra e conosciuta tramite il potere del Serpente, parlava attraverso di loro. Le pitonesse o drakaine erano profetesse. Il culto del serpente era legato a valori femminili ancestrali. Le sacerdotesse, con la sua maschera sul viso, impersonavano la Dea Serpente. Giungevano a un simile stato solo coloro che in seguito a un lungo cammino avevano accolto l’Abbandono e accettato la Trasformazione. La Dea Serpente è in grado di trasformare. Il suo potere risiede nei suo occhi: incrociare lo sguardo, guardare negli occhi è un gesto che richiede coraggio. Significa accettare la sfida dell’altro. Guardare negli occhi la Dea significa abbandonarsi a quello stato di “follia sacra” che porta conoscenza. (probabilmente anche a questo si riferisce Huson quando parla dello “sguardo di basilisco” delle streghe). Il culto della Dea Serpente era diffuso a Creta, studiato dalla Gimbutas. La civiltà minoica è la culla della civiltà europea, e la 59

Dea Madre era venerata a Creta, poi il culto diviene secondario con l’arrivo degli Dei micenei. Le donne avevano un ruolo importante a Creta, non solo le sacerdotesse. Le statuette della Dea sono moltissime: la Dea dell’Omphalos, con le braccia alzate, la Dea dei Serpenti… Le pitture raffigurano sacerdotesse con abiti eleganti intente a rituali sacri. Dalle sacerdotesse della Dea serpente e dalle Pitie deriva la topologia della Sacerdotessa della Dea che ancora oggi, nella Wicca, molte donne incarnano. I Celti Le sacerdotesse celtiche sono citate storicamente da Pomponio Mela. “Sena… nel mare britannico… è degna di nota per l’oracolo della divinità gallica le cui sacerdotesse sono nove, vergini perpetue. Esse…con i loro canti e i loro singolari artifici… calmano i mari in tempesta e i venti e si trasformano in qualsivoglia animale. Sanno guarire quello che altri non sanno guarire e sanno predire il futuro”. La donna nella società celtica riveste ruoli importanti: guerriere, sacerdotesse, profetesse. Storicamente documentata è un’organizzazione religiosa femminile, quella delle 9 vergini dell’Ile de Seine. Erano chiamate Bandrui ed erano divise in tre categorie: le sacerdotesse che vivevano sull’isola perennemente, osservavano il voto di castità e alimentavano il sacro fuoco perenne in onore delle divinità femminile a cui erano consacrate. Le sacerdotesse che potevano sposarsi ma dovevano servire la Dea, parlavano con la gente, compivano profezie e leggevano il futuro sulle foglie del vischio. Quelle della classe più alta accedevano al loro ruolo solo dopo molti anni di studio e un rito di passaggio, potevano circolare liberamente nel mondo, avevano il compito di mantenere vive le tradizioni religiose, praticavano l’astrologia, conoscevano le erbe e le pietre, curavano le malattie, si occupavano delle nascite, accompagnavano a una dolce morte e compivano incantesimi d’amore. La Sorellanza delle Nove era devota alla Dea della luna. Queste donne erano vergini nel senso 60

antico, cioè fiorenti, verdeggianti: non un sinonimo di castità, ma di libertà: sceglievano quando e come amare un uomo. Avalon Alle sacerdotesse celtiche si è ispirato il Ciclo di Avalon di Marion Zimmer Bradley che ha tracciato il ruolo della moderna Sacerdotessa in modo preciso e ispirato molta parte della Wicca. Le sacerdotesse di Avalon, le figlie della Dea, avevano precisi poteri: il Volo, la Profezia, la Guarigione, il Potere sugli Elementi, il Manifestare la Dea. Ad Avalon il mondo sottile e quello “reale”, non erano separati, ma coesistevano (come ogni strega sa, possiamo “essere fra i mondi” nel Cerchio, creare un Doppio Astrale di oggetti, persone e situazioni…). Le donne di Avalon possono viaggiare liberamente da un reame all’altro ricavandone Conoscenza (come le antiche Pitonesse) e risultati materiali. lo scambio continuo fra realtà ordinaria e incantata era simboleggiato dalla capacità delle sacerdotesse di far diradare le nebbie dalla barca e far apparire Avalon. Secondo la descrizione storica, le druidesse potevano volare: il Volo è quello magico, astrale. Potevano prendere la forma di animali: una capacità comune a tutti gli antichi sciamani, che viaggiavano fra i mondi assumendo la forma di animali Totem. Le sacerdotesse di Avalon hanno la Vista: la percezione dell’invisibile, e la capacità di vedere il magico in ogni cosa. Grazie alla Vista le sacerdotesse possono guarire: la malattia è una disarmonia che nasce nell’anima e si manifesta con sintomi. Per guarire, bisogna “ricercare l’anima”, vedere l’energia sottile e dove è disequilibrata. E poi intervenire sul corpo con il corpo con i rimedi che la Natura ci offre: la terra è il corpo della Dea, e il nostro corpo è sacro, i suoi cicli, le sue stagioni, sono anche i nostri cicli, amare e rispettare la natura è anche amare noi stesse, e usare il potere del nostro corpo (le mani per esempio) per guarirci e guarire. L’ecologia è da sempre custodita soprattutto dalle donne, che sentono forse maggiormanete l’identificazione con Gaia e ne sentono le ferite 61

come fossero inflitte al proprio corpo. La Profezia: incarnando la voce della Dea, le sacerdotesse uscivano dallo Spazio e dal Tempo e potevano viaggiare nel passato e nel futuro e penetrare il senso del presente. Le sacerdotesse di Avalon potevano attraversare le acque: simbolo del viaggio dentro di sé per conoscere se stesse. “Conosci te stesso” è scritto sul portale di Delfi. La discesa della Dea o del Dio nella Sacerdotessa le permette innanzitutto di conoscere se stessa. Di discendere nei propri abissi (come nei Misteri di Eleusi) scoprendo la propria luce. Poteri magici in chiave femminile Nel libro “La Dea doppia”, Vicki Noble parla dei poteri delle sacerdotesse così: “Se avessimo ancora la capacità di camminare sull’acqua, di volare nell’aria… come sarebbe la nostra vita oggi? La moderna tecnologia è forse qualcosa di diverso dall’antica magia messa in atto per millenni da daini, sciamane, menadi? Forse, quelle magie erano basate sulla terra e sul corpo, e volte a una conoscenza costruttiva che privilegia la guarigione e il benessere del corpo e dell’anima, il sapere come percezione e comprensione della realtà infinita che ci abita, la beatitudine, l’estasi… E ci insegnano a combattere e a salvare ciò che amiamo, come devono aver sempre fatto le guerriere e le sacerdotesse dei tempi passati”. Un pensiero condiviso anche dal libro “Le vergini Arcaiche ovvero di come le antiche Donne custodissero la Libertà, l’Ebbrezza e la Gioia”: “Nei miti del passato sono protagoniste le donne (le Yogini seguaci di Durga in India, le nordiche sciamane al seguito della Dea Freya, le Baccanti del corteo dionisiaco, le custodi del fuoco greche, britanniche e romane quali le Vestali, le Sibille delle più diverse civiltà); miti che pur venendo da luoghi lontani e da popoli profondamente diversi nascondono un unico filo conduttore che conserva, come una medicina, la traccia dell’epoca della Grande Madre, fonte di felicità e beatitudine per le donne; un’epoca nella quale verginità non voleva dire, come ora, assenza del maschio, ma 62

assenza del maschio prevaricatore. Tale stato implicava innanzitutto una radicale autonomia di fronte all’uomo, l’assenza di qualsiasi tipo di vincolo o soggezione nei confronti di esso e niente affatto un’estraneità alla dimensione erotica. Anzi, la Verginità magica rappresentava una condizione di gioia e libertà femminile estreme e senza limiti che consentiva ad alcune fortunate donne di conservare e custodire la forza, il mistero, la bellezza e la purezza delle foreste vergini selvagge, inviolate e sconosciute agli uomini, covando costantemente nel profondo di sé stesse una perpetua divina, naturale, languida ed erotica ebbrezza”. Dion Fortune Dion Fortune, nei romanzi con protagonista Morgan Lilith Le Fay, tratteggia una splendida figura di Sacerdotessa, di Iside in questo caso, e ne chiarisce un aspetto: “c’è una grande differenza tra il sensitivo e l’adepto; perché il sensitivo è un sensitivo e nient’altro, ma l’adepto, per essere degno di questo nome, deve essere anche un mago, vale a dire che deve essere in grado di esercitare i poteri dello spirito sia obiettivamente che soggettivamente”. La Wicca Siamo vicinissimi alla concezione di ruolo sacerdotale che si ha nella Wicca, dove la Sacerdotessa è chi ha la capacità, l’attitudine e la volontà di essere tramite fra il mondo Divino e quello Umano. La Magia è un’attitudine e una capacità che viene affinata con l’esperienza e la dedicazione, e così la capacità di portare su un piano umano e tangibile l’esperienza del Divino. Nella Wicca tradizionale, come ci viene tramandato, il ruolo della Sacerdotessa è ben preciso: sua è la facoltà di canalizzare la manifestazione della Divinità attraverso il rituale noto come Drawing Down the Moon. La qualifica di Sacerdotessa è appannaggio dell’iniziata fin dal primo Grado: l’accolita viene proclamata “A Priestess and a Witch”. Come dicevamo, però, essere una Sacerdotessa oggi significa non solo manifestare la Divinità ma anche coglierne la Volontà nella vita quotidiana. 63

E vivere le caratteristiche della divinità nella propria vita, viverne il Potere. La Wicca offre un pantheon quasi illimitato, e questa è la caratteristica più interessante del Neopaganesimo: dare alle donne dei modelli vari e altrettanto validi. Ci sono diverse correnti nella Wicca. In alcune si venera una unica Dea (e tutte le dee sono il volto di un’unica Dea, come sosteneva Dion Fortune), in altre si cercano e si celebrano le Dee mantenendone le caratteristiche uniche e la “personalità”. Le varie Dee sono al contempo fuori e dentro di noi. Così possiamo scorgere lo sguardo combattivo di Freya quando una donna decide di dare battaglia per vincere in una situazione difficile. Sentiamo il fruscio dei veli blu dell’abito di Yemaya quando una mamma culla il proprio bambino. Scorgiamo gli occhi dorati di Hathor quando una donna vuole circondarsi di cose belle e preziose, sentiamo il respiro di Gaia nel gesto semplice di cogliere un fiore o allevare un animale, percepiamo la leggerezza del volo di Sarasvati nel canto o nel suono di uno strumento, sentiamo il profumo di Afrodite avvolgere una donna decisa a sedurre l’uomo (o la donna) che le piace, arretriamo di fronte alla rabbia immaginando che vi sia Sekhmeth la terribile a ispirarla, sappiamo che c’è Iside a ispirare le visioni e le parole misteriose che spesso ci sorprendono. Possiamo immaginare che vi sia Ecate a guidare il risveglio di una coscienza femminile addormentata o repressa per lunghissimo tempo. Ma da tutte le Dee una strega e una Sacerdotessa riceve un grande dono, il comprendere che non esiste un modello unico di femminilità. La femminilità tradizionale viene messa in crisi. I ruoli sociali si arricchiscono, le donne possono scegliere il modo di essere donna che preferiscono e che sentono più vicino alla propria natura in una legalizzazione della libertà che è l’aspetto più rivoluzionario della Wicca. Uno degli aspetti più rivalutati è quello della donna consapevole. La stessa parola “strega” ha un’etimologia che richiama la saggezza e la consapevolezza. Una consapevolezza di se stesse che si forma nel silenzio e nell’attesa di segni della Dea. Soteira, il gruppo 64

femminile del Circolo dei Trivi, è nato proprio pensando a questo modello di femminilità. Una Dea e la sua Sacerdotessa E interessante, molto interessante, è notare il ruolo della divinità nella genesi di questo gruppo: il nome Soteira è stato scelto da me, d’impulso, attribuendolo alla Dea di cui sono Sacerdotessa, Ecate, una Dea molto vicina al Circolo. Qualche settimana dopo mi è stato fatto notare che avevo sbagliato: Soteira è un attributo di un’altra Dea, Atena e non ci sono testi in cui venga usato in riferimento a Ecate. Dopo mesi però abbiamo scoperto che Ecate viene definita Soteira in testi esoterici e in uno studio. Ho scoperto questo celebrando un Esbat di Luna Nera e pochi minuti dopo aver posto l’immagine della Dea sull’altare, dopo che per mesi l’avevo tolta. Mi piace pensare che Ecate abbia sussurrato uno dei suoi nomi segretamente, e solo con il tempo abbia mostrato alla sua Sacerdotessa il legame con lei. Nella vita di una Sacerdotessa questi sono i Segni della divinità. Questi e altri. Una Dea o un Dio che chiamano e a volte reclamano e pretendono attenzione, che insegnano a riconoscerli e in questo modo liberano la psiche da dogmi e schemi e offrono possibilità impensate. Seguirli è una via misteriosa, che obbliga ad abbandonare sentieri già tracciati (perché nel Paganesimo non esiste l’appiglio rassicurante della volontà divina rivelata e a volte nemmeno quello delle esperienze condivise, ma si è faccia a faccia con il Dio, in rari e benedetti casi in compagnia di fratelli e sorelle che hanno lo stesso sentire e gli stessi segni). La Dea illumina questo sentiero con la luce non fissa della fiaccola, a volte con un fuoco, e quando impari a decifrarle con la luce delle Stelle, che sono il nostro specchio nell’universo e attraverso il cui disegno (con l’astrologia) gli dei possono comunicare con noi. “Ogni uomo e ogni donna è una Stella”, diceva Crowley, e “Fa’ ciò che vuoi” significa Vedere la forma della propria costellazione, riconoscerla. E diventarla, magicamente. Come dice Maria Zambrano “Ogni vita è un segreto…Esistono dei nuovi, che aprono un cammino fino ad allora chiuso. Sono potenze 65

soteire che conducono l’uomo verso una condizione in cui ormai non avrà nulla da temere; divinità dell’iniziazione. Comportano una saggezza speciale. … non sono oggetto di contemplazione. La relazione con loro è di partecipazione sacra. Dei non dell’uno, ma della trasmigrazione e della pluralità, liberano i tanti che sonnecchiano imprigionati sotto l’apparenza immutabile della condizione umana…donano il coraggio di esprimersi”.

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CAP IV - Radici filosofiche Dal nichilismo al Neopaganesimo di Davide Marrè

“Dio è morto” scriveva Friedrich Nietzsche ne “La gaia scienza” nel 1882, inaugurando la lunga stagione, che troverà la sua più compiuta espressione in “Al di là del bene e del male”, del nichilismo, del declino dei valori dell’occidente che verranno messi in crisi non solo dalla storia, ma anche e proprio da questo filosofare col martello, al fine di scardinare le certezze di un universo culturale chiuso e arrogante. Ma un Dio moralizzatore, il Dio della “legge” dell’occidente, non muore così facilmente e spesso la sua è una lunga agonia con momenti di morte apparente e di inaspettate riprese: perché gli Dèi potessero tornare e rinascere rinnovandosi, la morte di Dio doveva però essere in qualche modo sancita, benché prematuramente. Non mi riferisco alla morte del Dio cristiano (il Cristianesimo ha per la verità più di un Dio) e nemmeno a quello ebraico o islamico, ma a quel Dio particolare che ha determinato la storia dell’occidente, la nostra storia e la sua morale esclusiva. Quando una civiltà cambia è inevitabile che anche il suo Dio (o i suoi Dei) muoia e in un certo senso si sacrifichi trasformandosi, come già accaduto molte volte nel passato. I filosofi del nichilismo, come corrente filosofica della negazione, negazione dei valori e negazione della realtà, non sono altro che i profeti di un mondo che si appresta ad un radicale cambiamento, ad un tramonto dell’Occidente come fino ad ora è stato inteso, e ad un ampliarsi dell’orizzonte della prospettiva. Quali siano i cambiamenti di un mondo che si ritrova, in questo lungo passaggio, senza valori e punti di riferimento, sono visibili a tutti, come è bene visibile il prezzo (guerre globali, inquinamento, genocidi, ecc.). Eppure questi profeti hanno spesso proposto una prospettiva che 67

andasse oltre la stessa assenza di valori (che di per se diventa a sua volta il valore di un epoca di transizione): per lo stesso Nietzsche era la trasvalutazione di tutti i valori: “se debbo essere compassionevole, non voglio però chiamarmi tale; e se lo sono, allora meglio di lontano”16. Un cammino difficile e irto di ostacoli in una notte che Heidegger identificò come la notte dell’Essere. Eppure una notte necessaria, poiché, per parafrasare Maria Zambrano, è nella notte del senso (il senso dei valori, della vita, ecc.) che germina l’Aurora e che una nuova alba può essere intravista, un alba in cui la libertà (che è poi sempre libertà di amare) sarà il volto più maestoso in cui il divino si presenterà a noi. È difficile dire in che punto, tra la notte e il giorno, siamo ora, ma quello che conta è che su questo cammino non siamo soli, gli dèi, ben prima di noi, si erano ritirati in questa notte e sono pronti ad aiutarci… a volte con dei bruschi scossoni che ci riportano sulla strada maestra, altre volte facendoci stendere più comodamente, magari proprio sul lettino di uno psicanalista…

Psicanalisi e psicologia analitica a confronto Neopaganesimo: le radici mitiche dell’anima

col

di Gabrio Andena

La psicanalisi ha la sua preistoria nel mesmerismo. I mesmeristi ritenevano che gli esseri viventi sprigionassero un particolare fluido, chiamato magnetismo animale, che poteva essere manipolato tramite particolari procedure e strumenti, ma soprattutto da alcuni individui particolarmente versati nel percepirlo e dirigerlo. Si narra che i magnetizzatori compissero grandi prodigi di guarigione e che potessero produrre quello stato che oggi noi definiamo ipnotico. È interessante che una disciplina come la psicoanalisi, che con Freud si propone come scienza svolta a guarire e a smascherare le illusioni che gli esseri umani si fanno sulla loro vera natura (sostanzialmente animale), nasca da un ambito che è colluso così pesantemente con 68

l’esoterismo e con la magia: difatti alcune pratiche proprie del mesmerismo sono in pratica indistinguibili da un rituale magico. Dal mesmerismo si passa alla psicoanalisi e ai primi studi sull’isteria. Qui Freud trova il suo terreno ideale. Ebreo ateo di formazione medico-scientifica, Freud coglie l’eredità essenziale del mesmerismo: comprende che ciò che davvero cura è la relazione fra il medico e il paziente, non presunti fluidi magnetici o altro, la semplice relazione – che per un colto intellettuale quale egli era, prendeva la forma della parola. Freud pose al centro della vicenda di sviluppo del bambino, quale snodo cruciale, il celebre complesso di Edipo: in nuce, il bambino o la bambina si innamora del genitore dello stesso sesso e rivaleggia col genitore del sesso opposto. È dunque il complesso di Edipo che viene rivissuto nella relazione con l’analista – e in questo riviverlo si ha una occasione di superarlo. Qui non ci interessa una storia della psicanalisi, solo rilevare che laddove Freud si immerge nella psiche e scende nelle sue profondità, in zone antiche e oscure, sente il bisogno di avvalersi, come metafora descrittiva, di un mito: il mito di Edipo. Un altro celebre mito introdotto da Freud come spiegazione del disagio psichico è quello di Narciso, da cui viene il narcisismo. È come se Freud, usualmente tanto razionale e pacato nel suo scrivere, sentisse qui il bisogno di ricorrere a immagini mitiche per via della loro idoneità a descrivere i processi più intimi che costituiscono la genesi di un essere umano. Carl Gustav Jung, formatosi come psichiatra, fu discepolo di Freud per alcuni anni. Il loro rapporto di maestro-discepolo (Freud voleva Jung come suo erede alla testa del nascente movimento psicoanalitico) venne messo in crisi dallo sviluppo indipendente che le idee di Jung seguirono. Jung coniò il concetto di inconscio collettivo, parte della psiche umana comune a tutti, che è costituito dagli archetipi. Gli archetipi sono degli schemi innati nella psiche, modi di reazioni tipici a determinate situazione chiave della vita (amore, morte, nascita, paura). Nella loro essenza sono inconoscibili: noi percepiamo solo 69

il loro particolare manifestarsi nelle singole vite, non il loro essere in sé. Gli archetipi si svelano all’uomo con tratti spesso personali, ossia come persone che compaiono in sogni, visioni, fantasie e con cui l’io può dialogare e relazionarsi. Già da questi pochi cenni salta all’occhio la vicinanza fra gli archetipi e il modo in cui il Neopaganesimo intende gli Dei: essenzialmente inconoscibili, si mostrano in molti volti, molti aspetti. I paralleli si infittiscono se approfondiamo le teorie junghiane. La psicologia analitica, la disciplina fondata da Jung, si basa su polarità, ossia su coppie di opposti complementari, che interagendo fra loro costituiscono la vita psichica, individuale e collettiva. Ogni vita è segnata dal processo di individuazione che, cosciente o meno, è la tensione naturale della psiche a comporre i dissidi in una totalità armonica, attraverso la creazione spontanea di simboli unificatori che leghino insieme gli opposti, mantenendoli allo stesso tempo come distinti: questa totalità ideale, mai pienamente raggiunta, è il Sé, di cui l’Io non è che una parte. In quanto totalità, il Sé contiene sia l’aspetto maschile che femminile; nell’inconscio di ciascuno c’è una particolare figura archetipica, l’Anima per gli uomini e l’Animus per le donne, che è la propria controparte sessuale inconscia. Dunque in ciascuno ci sono sia il maschile che il femminile – si vede bene quanto sia prossimo questo discorso al duoteismo proprio della Wicca, il Dio e la Dea sono in ognuno. Jung si dedicò sempre agli insegnamenti esoterici, in particolare allo gnosticismo e all’alchimia. Le denominazioni d a lui applicate agli archetipi, così barocche, hanno un gusto davvero gnostico: è uno strano teatro, la psiche, in cui si muovono l’Io-Eroe, l’Ombra, l’Anima/Animus, il Vecchio Saggio, la Grande Madre, il Puer Aeternus e poi croci, cerchi, leoni, alberi del mondo, serpenti, giganti e fate. L’inconscio collettivo pare, nella pratica, indistinguibile da ciò che gli esoteristi chiamano piano astrale, quel livello della realtà in cui la psiche è assolutamente reale. Del resto Jung stesso, sebbene forse con presupposti metafisici diversi, insisteva proprio su questo punto: la realtà della psiche, delle immagini che vediamo nei sogni 70

e nelle visioni e nelle fantasie, il loro diritto ad essere considerati tanto reali quanto gli oggetti che ci circondano. Analizzando e riflettendo sempre più a fondo sulla natura degli archetipi, Jung giunse alla conclusione che avessero probabilmente una natura psicoide. Con questo termine voleva indicare che gli archetipi non sono propriamente né interni né esterni, né mentali né materiali, ma qualcosa a metà strada. È molto cauto nei suoi scritti nell’esprimere queste concezioni, più palese invece nelle trascrizioni dei seminari che possediamo. Jung giunse a questa conclusione elaborando l’idea di sincronicità, definita come un nesso acasuale ma psichicamente significativo, insomma come una coincidenza. Jung notò che quando l’analisi di un paziente, esaurito l’inconscio personale (l’Ombra), si spostava verso i territori dell’inconscio collettivo, incrociava sempre più spesso episodi sincronici: l’esterno, giunti a certe profondità della psiche, sembrava essere perfettamente speculare all’interno, macrocosmo e microcosmo sembravano integrarsi alla perfezione, additando una radice comune – gli archetipi. Nel Neopaganesimo la sincronicità è una delle dottrine favorite come spiegazione della magia. Gli effetti di un incantesimo di fatto assumono l’aspetto di eventi sincronici, in cui avviene esattamente ciò per cui operavamo tramite il nostro rituale senza che ci sia alcuna connessione causale evidente, dal punto di vista scientifico, fra il nostro rito e, ad esempio, la proposta di lavoro ricevuta o la guarigione improvvisa da una malattia. Gli archetipi, come accade sovente nei sogni, assumono l’aspetto di Dei. E, come il maestro Freud che ricorreva a Edipo e Narciso, così anche Jung usa abbondantemente il materiale mitologico e religioso per leggere la psiche dei suoi pazienti, amplificandone la psiche personale fino a metterli in contatto con la psiche collettiva. Anzi, per leggere la psiche, punto e basta, perché quando si è nell’inconscio collettivo, di psiche ve n’è una sola, per tutti. Ciò che si fa in un’analisi junghiana, ad un certo punto, non è più curare un disagio, ma consentire ad una persona di scoprire il proprio destino personale o, se si vuole porla in termini religiosi, il divino che è in sé. 71

CAP V – Suggestioni artistiche Discesa nella selva

di Gabriella Galzio (dagli atti inediti di Trivia 2006) […] Rientra nella prassi del sentirmi dentro una circolarità relazionale, di affetti e di energie, che pone tutti sullo stesso piano, attivi e ricettivi insieme, in una prassi antiautoritaria e comunitaria che ho sempre cercato di praticare in quanto vissuta come un valore, e che mi sembra di poter ascrivere ad una sensibilità e ad una prassi neopagane, sostanzialmente estranee alle logiche del dominio della stessa prassi, o forse pratica rituale, l’avere scelto la sera della vigilia del solstizio d’estate per compiere lo sforzo di una nuova sintesi all’interno di un mio percorso che giunge da lontano, ma che mai come ora si era trovato a una impasse; abbiate dunque l’indulgenza che si accorda ai primi passi di un bambino, incerti e discontinui… Molti di noi […] condividiamo e pratichiamo già ritualità connesse alla sacra ruota delle 8 feste dell’anno solare, di cui il solstizio d’estate costituisce il culmine della luce, ma altri forse non sanno di questa ruota, di questa ciclicità, di questo “imbragamento” cosmico; personalmente ritengo il fondamento cosmologico, il perno di ogni possibile rivoluzione copernicana, il prius e il principio per ripensare il nostro stesso stare al mondo. Non si può non ricominciare dal riportare al centro il cosmo, dal quale ci siamo progressivamente sganciati fino a rovesciare – in un colpo di hybris o delirio di onnipotenza - i termini della relazione stessa con il cosmo, arrivando a pensare di poterlo sottomettere, asservire, ad esso sostituirci – nel 2000, con il titolo “Navdanya 9 semi”, lanciai un manifesto (riportato poi in introduzione al mio libro Apocalissi fredda17), in cui denunciavo il tentativo in atto di preparare una “seconda genesi”. In questo delirio di gigantismo abbiamo reso sempre più minuscoli gli oggetti, cosmo compreso, e abbiamo perso, insieme agli oggetti megalitici del passato, anche ogni senso di 72

qualcosa di più grande di noi, ogni apertura allo stupore, al mistero, alla trascendenza18 – non abbiamo più soglie sacre e inviolabili. Da questo senso di sgomento, nasceva la ribellione in versi alla hybris contemporanea19: A quel ragioniere della psiche che si nega, essere poeta fino in fondo fuori della galassia, portatelo fuori, nelle minute carcerine del suo utero! Non ero stata violentata per nulla, non ero andata da lui per nulla cosa se non per essere tratta, dai parlatoi dei confessionali, dagli spogliatoi dei medici incattedrati, dai rituali d’anticamera, dai santi appretati, No. Volevo un uomo davvero selvatico, m’avesse tratto le braccia dai rovi e baci baci … no, gli uomini si appellano all’ordine degli uomini. Ma ciò che in natura troviamo legge e acqua pura quella per noi non sarebbe legge, più dura? Più salsa da bere? quando si aprono nella terra vene acquifere e auree e i maremoti sollevano catene di monti e rotoli di onde quando salgono i purgatori dalle bocche piene di petrolio e pennuti galleggianti nel catrame, e banchi d’aragoste raggianti sulla spiaggia non certo aurora, Aurora piangi, così gli umani … Presto ci porteranno in zone protette, ci chiameranno humani o specie nova a ripopolare le aree dismesse del pianeta. E il mare? ci accoglierà in un altro verdeggiare o blu indaco o celeste. E lì saremo eccelsi in quello stridere di freni, in quella hybris vieta faremo ressa, colore, rosso, giallo, algido corallo del più folto albero del mare. E tu poeta, in questo acqueo làmpo avrai la tua eternità, il tuo sublime tocco naturale, la tua santità 73

in festa. Sarai il nuovo incarnato, il labbro d’uva, il succo del papavero. Qui in poca chiosa una nuova tempesta, io ti dico che la vita «parla!» è dura perla, rosa rosa rosa selvatica e antica fra le tue dita, a te stringila forte

Noi non proviamo più il senso del numinoso, non proviamo più lo Schauder, il brivido, che si avverte nell’incedere grave, epicolirico, dei versi del Faust di Goethe (brivido del numinoso, salvato, nella traduzione, solo da Andrea Casalegno per le edizioni Garzanti, per chi fosse incuriosito)20. Autore assolutamente pagano, Goethe, artista, ma anche uomo di scienza, fu sostenitore di quella intelligenza sensibile o dei sensi che purtroppo la cultura dominante ha mandato sul rogo insieme a milioni di corpi sensibili di guaritori e guaritrici, cosiddette sagge donne, che si tramandavano quella conoscenza acquisita attraverso i sensi e per via orale – vale la pena ricordare, per chi non lo sapesse – che con l’istituirsi della casta medica, venne attuato un duplice atto di dominio e di sterminio, la cancellazione di ogni tradizione orale-sensoriale-sensitiva e dunque basata sul corpo senziente e intelligente, e insieme l’esclusione di un intero genere, quello femminile, dall’esercizio dell’arte della guarigione, il che fa pensare che quel modo di guarire fosse proprio nativo delle sagge donne. Sta di fatto che da un certo momento in poi, la medicina venne decretata scritta e maschile (o, sarebbe meglio dire, patriarcale!). Le conseguenze di quella barriera all’entrata le vediamo ancora adesso … Ma torniamo alla ruota delle 8 feste sacre dell’anno, in quanto perno cosmologico, del tempo ciclico entro cui siamo alloggiati nel nostro viaggio cosmico prima che mondano. Nella seconda metà del ‘900 è sorta la cronobiologia21 che, su basi scientifiche, ci ha restituito ciò che, su basi mitiche, gli antichi già sapevano, 74

quando invocavano il kairos, il tempo propizio: e cioè che siamo inseriti, io dico “imbragati”, in una rete di cicli temporali, dal più grande (come l’anno solare) al più piccolo cui abbiamo saputo dare un nome (ciclo ultradiano, i classici 90 minuti di una partita calcistica); in realtà noi saremmo regolati da una fitta maglia di cicli cosmici, se solo avessimo l’intelligenza sensibile di ascoltarli: in breve, anche solo l’arco della giornata non è retta da un tempo lineare vetero positivista tanto consono alla dimensione produttiva, ma si snoda lungo un “serpentone” o sinusoide di tempi e frequenze d’onde cerebrali, energeticamente, qualitativamente, diversi, che conosce, ad esempio, tra le undici e le dodici il suo picco massimo d’energia creativa e, tra le quattordici e le sedici (quello della siesta per intenderci), il suo picco d’energia, minimo per creare, ma tra i migliori, io sospetto, per procreare – è uno dei momenti migliori per fare l’amore – ma, ahimè, pare che anche l’appassionata Spagna abbia deciso di abolire la siesta, e dunque di “modernizzare” il tempo ciclico, ‘segandosi’, in un impeto di autocastrazione! (fuori dagli equivoci, non sono contraria ad un’accorta modernizzazione, ma al rullo compressore della globalizzazione). Se il tempo ciclico del solstizio ha costellato la stesura di questo discorso, il luogo è stato altrettanto importante, perché ho scelto di scriverlo nella casetta in pietra di torrente in cui abito nell’Oltrepo’, situata in un villaggio di 70 anime, un pagus, dunque un sito pagano, alle pendici di un monte sovrastante il torrente, in cima al quale vi è un antico sacrario, pagano; testimoni ne sono infatti una pietra circolare prospiciente un dirupo, e la classica cappelletta dedicata a San Lorenzo (che ha sostituito la Dea Luna), dove ancora si celebra la messa in agosto la notte di San Lorenzo. Nei 18 anni che sono trascorsi da quando andai ad abitarvi, tante cose sono accadute, nel senso del meraviglioso, ma solo oggi, ho avuto intuizione che quella pietra posta sull’altura fosse con molte probabilità un omphalos, come tutti gli ottagoni (la ruota delle 8 feste sacre, chissà?) su cui si ergono basiliche cristiane, come quella di San Lorenzo a Milano, a ridosso della quale, in Piazza Vetra si 75

consumò uno dei tanti roghi dell’inquisizione, e dove, curiosamente, andai ad abitare sempre 18 anni fa, in Corso di Porta Ticinese. Perché anticamente è stato dato il nome di ombelico a questi luoghi, senz’altro tellurici, della terra? Non sarà stato forse perché vivo era il sentire di essere appartenenti a una madre, alla madre terra, e che anch’essa, la terra, fosse a sua volta legata a un’altra madre, il più vasto cosmo? Tra un omphalos nella campagna dell’Oltrepo’ e un altro omphalos nella città di Milano, cercando di ristabilire i nessi spezzati tra città e campagna, tra la selva e la corte – come Merlino, il mago - in quei 18 anni (9 di città + 9 di campagna) andavo intanto consumando in me un processo irreversibile che ho chiamato discesa nella selva, che ha finito per produrre anche una sua poetica, per certi versi ereticale, al punto da dare il titolo a una sezione di uno dei miei libri di poesia22. Ce ne torneremo e, come noi, la vita nel suo fulgore, gli alberi ingialliti i tronchi sfatti nel trascinarsi delle acque blu, viola, un porticciolo, il sole avremo figli, forse, e un angolo di orto una nuova povertà invaderà il mondo vuoteranno le corti, affrancheranno gli eretici beato chi non si interna nel labirinto beata me stretta a un osso di me una vita fiorita, qui nelle stanze ventilate di rade pietre, un esile linguaggio aggiusta una parola di selva per il tuo palato cortigiano. Ma io, come Merlino, il mago sto, fra la selva e la corte nel luogo sottile del trapasso nella soglia ombratile del bosco al limitare, un’arte di fuoco 76

dentro formule. Meglio celarsi - dietro la poesia ti puoi nascondere – che venire allo scoperto, dire il mondo in un sorso, berlo e il volo che stenti a compiere sognarlo, rientrando in te come da furia un folle solca nell’aria un desiderio di verità e inalterata fede salda, bianca e inalberata stagione dei passeri, ha il candore.23 Questo processo si è dunque rivelato irreversibile perché mi ha cambiato nell’essere, oggi non potrei più fare a meno di vivere in campagna, anche se per giorni sento l’esigenza di trattenermi in città… l’Oltrepo’ è un territorio felice perché in parte coltivato a vite, solare, ridente, collinare, in parte è rimasto selvatico, terra di cinghiali, scoiattoli, lepri, fagiani, civette che ho spesso visto e udito, dando vita a una poetica della selva che ha fortemente influenzato la mia poesia. È qui che ho scoperto come la siesta non sia un fatto personale, ma un evento cosmico corale, una repentina sospensione del tempo, dove tutto intorno improvvisamente tace, in un unico abbraccio di quiete, in un unico assopirsi, di animali e umani. Non è improbabile che vi sia un cambio di frequenze, da onde beta, ad alfa, a theta, induttrici del sonno, ossia ipnotiche. È qui che ho com-preso, con il corpo, con i sensi, come la rottura dell’appartenenza all’unità del cosmo, sia significata anche la rottura dell’appartenenza alla comunità del pagus. E comprendo che se vogliamo ritrovare questa unitarietà della comunità pagana, non possiamo prescindere da una ritrovata appartenenza al cosmo e alle sue frequenze energetiche temporali. Non c’è progetto di civiltà nuovo, se non è alloggiato nell’alveo naturale del più ampio respiro cosmico. È nel villaggio che ho cominciato a conoscere le erbe selvatiche, a curarmi, ma anche a cucinarle, ce ne sono di commestibili 77

buonissime - tarassaco, farinaccio, germogli di equiseto…-, ormai sconosciute agli stessi abitanti della zona, anche questo, un processo lento e graduale, prima con il supporto dei libri, poi per via sensibile, azzardando ad assaggiare, vedendo le piante – dico vedendo e non guardando le piante perché è lo stesso vedere sensitivo che vivo in poesia – me ne resi conto definitivamente, quando un giorno a ridosso del muro di casa, dove poco discosta già viveva allo stato selvatico una rosa antica bellissima e profumatissima (la stessa della poesia), scorsi una pianta nuova, mai vista prima di allora, che mi trasmise una sorta di timore; sentii che era pericolosa, velenosa, mai l’avrei assaggiata, era una pianta arcaica, stra-ordinaria – il cervello rettile mi stava segnalando un’esperienza fuori dalla percezione ordinaria. Corsi ai miei libri finché scoprii che si trattava di una datura stramonio, pianta rigogliosa dai fiori meravigliosi, notturnamente meravigliosi… chi mi aveva detto che quella pianta era velenosa, o fuori dall’ordinario, io che prima d’allora ne ignoravo l’esistenza? Chi se non quella intelligenza sensibile di cui parlava Goethe, quel corpo che sente, vede e intende, poiché sintonizzato col cosmo? Quello stesso che sente, vede e intende anche in poesia perché parte di un’unica natura? Quel cervello rettile spodestato, rimosso dal monopolio della corteccia cerebrale! Quell’emisfero destro, esautorato dall’unilateralità del sinistro! Di questo processo di discesa nella selva è stato parte il lento riapprendistato delle facoltà sensitive e della mente bicamerale, la rimessa al centro del corpo erotico e sensitivo con conseguente ridimensionamento del logocentrismo occidentale, il rientro nell’alveo cosmico e nella sensibilità sincronica, la riallocazione del mondo entro il cosmo, come del tempo lineare entro le maglie del tempo ciclico in un’unica spirale, della coscienza di veglia entro le irruzioni stupefacenti della transe. Stupefacente fu anche l’incontro con Mario Polia, uno dei maggiori antropologi studiosi di sciamanesimo andino, il quale mi disse: secondo gli sciamani, le piante che vengono ad abitare presso la tua casa, sono quelle che ti corrispondono e di cui hai bisogno, lo 78

stramonio apparso presso la tua casa è una huaca, un’apparizione, appunto, o un’epifania, per dirla con terminologia cristiana … più tardi scoprii che lo stramonio, maschio, è, insieme alla cannabis, femmina, una delle due piante dell’estasi sacra24. Non ho fatto nulla. Da allora aspetto ogni anno che rispunti a maggio, fiorisca magnifico in agosto, e stecchisca in inverno fino a sparire. Ma è fra le presenze più preziose del mio habitat. E veniamo dunque a quella forma di trance che chiamiamo inspirazione poetica, o volo estatico della poesia. Tutta l’attuale teoria e prassi letteraria dominante nega questo dato evidente. Viceversa ha ridotto la poesia da processo estatico (di transe) a prodotto estetico (di mestiere), tout court, a fiction. Da esperienza di transe, e dunque di trans-cendenza, di apertura al mistero, del soggetto, a creazione, quando non di manipolazione, dell’oggetto. Ma questo non è altro che il risultato di un processo di decadenza. Non solo lo sapeva un Garcia Lorca nei suoi scritti sul Duende, quell’entità che irrompe nell’ispirazione della cantora andalusa e getta il suo canto fuori dalle regole, facendone qualcosa di straordinario; non solo lo sapeva il visionario Yeats, la cui moglie peraltro era medium, e non solo i poeti maledetti che assumevano assenzio, ben sapendo comunque che il primo psicotropo naturale è la stessa psiche; ma possiamo risalire almeno fino a Platone (ma che a sua volta riceve questa tradizione da chi lo precede) quando formula la teoria della 4 forme di mania (o di transe), una delle quali era appunto l’inspirazione delle Muse. Credo, dunque, che riportare la poesia nel suo alveo naturale della transe costituisca non solo un gesto di rifondazione della sensibilità pagana, ma un atto dovuto nei confronti della verità poetica. Ma veniamo alla scaturigine della transe poetica, e dunque alla scaturigine del ritmo cosmico che innerva la poesia imprimendole la sua andatura. Al cuore dell’africania, e quindi della cubania (mutuo i termini dall’opera di Fernando Ortiz25), troviamo le claves, uno strumento a percussione che consta di due elementi percussivi, considerati a torto uguali e neutri; ma questi non sono né uguali 79

(poiché uno dei due è cavo e più grande), né neutri, perché uno è maschio e l’altro è femmina. Bene, all’origine dello sprigionarsi del ritmo, c’è dunque la grande metafora sessuale dell’incontro tra maschile e femminile, c’è il traboccamento di un’energia erotica. Nell’inspirazione poetica è quel traboccamento di energia erotica vitale, che urge dentro, e che da sé prende forma nel verso portata dal metro, dalla misura ritmica; misura tutt’altro che arbitraria, e viceversa mutuata dalle onde ritmiche del cosmo, tant’è che le ritroviamo nella poesia, come nella musica, e nella danza, ché anzi in origine, formule magiche venivano cantate e danzate nell’ambito del medesimo contesto rituale (così ancora nella tradizione africana). La transe poetica si annuncia con la “chiamata”, ossia con l’instaurarsi di una ‘banda ritmica’ che trasmette i primi uno, due versi; qui, il poeta può rispondere alla chiamata, disporsi alla ricezione, oppure no; se si dispone all’ascolto, rimarrà in quella tensione ricettiva dei versi che seguono, sdoppiandosi fra Io di transe e Io testimone (per mutuare le categorie di Lapassade26), sino all’esaurirsi di quella energia; nei casi di maggiore intensità energetica, all’esaurirsi dell’energia, avrà come la sensazione di atterrare da un volo, e di riaprire gli occhi. Poeti come Yeats, Lorca, i maledetti, tra quelli citati, senz’altro i più visionari, sapevano che il traboccamento erotico della psiche sprigiona il volo estatico, la visione estatica dell’invisibile. Per cogliere quell’invisibile, il corpo, ridotto a voce, ha cessato di esistere, non ha più sentito né fame, né sonno, né ha visto scomparire la luce del giorno, che ormai è sera. Poi sopravvengono la fame, i rumori esterni e la voglia di uscire in strada. Se dunque riportiamo l’esperienza poetica entro il vissuto della transe, possiamo finalmente riconoscere la vera natura, psicofisica, dei metri ritmici della versificazione. Come esiste un nesso, infatti, fra i ritmi musicali del tamburo e i ritmi delle nostre onde cerebrali – tipicamente il theta-drumming induttore di transe nelle cerimonie sciamaniche -, così esiste un nesso tra i metri ritmici della poesia e i ritmi delle nostre onde cerebrali, qualcosa che ho 80

potuto constatare io stessa nella mia personale esperienza di quello che ho chiamato “dodecasillabo ipnotico” (chi avesse curiosità di approfondire l’argomento – sul theta-drumming, un articolo scritto dell’etnomusicologo C. Haas e sul dodecasillabo ipnotico sotto il profilo metricologico scritto da me -, può prendere in visione il 3° numero della rivista “Fare anima” 27 […]). Di questi dodecasillabi vorrei darvi qualche esempio, per trasmettervene la sonorità, l’andamento sinusoidale, appunto ipnotico: sii scura miniera agli altrui sogni oppure gli aromi cannabis stramonio lapilli oppure di olii, di fermenti, làsciti, unguenti – E non credo più che sia un caso, che in tutti e tre questi versi, alle caratteristiche formali corrisponda, sul piano dei contenuti della narrazione, un chiaro riferimento al sonno ipnotico. I versi dodecasillabici nella tradizione italiana, del resto, sono molto rari e rimandano a una metrica antica – forse ad un’epoca arcaica in cui poesia e psicotropi naturali erano parte integrante di un’unica magia rituale, poiesis, nella sua accezione più antica, operazione magica. Parte di quei misteri che sarebbe stato sacrilego sondare, e solo possibile propiziare. Parte di questo mistero e di questa magia, furono alcuni versi che mi vennero ‘portati dal selvatico’, e in particolare da una narrazione (che mi giunse mitica) di un contadino dell’Oltrepo’ su quella che anticamente era l’usanza di fare i fuochi fra le vigne prima che li vietassero (diciamo) ‘per ragioni di sicurezza’! Ricordo che rimasi colpita dall’idea olfattiva del profumo della vite quando brucia e … il mio cervello rettile dovette ridestarsi, insieme alle sagge donne. In questi versi le sagge donne non erano più soltanto le herbaderas del Mesoamerica o le guaritrici dell’Oltrepo’ di cui il contadino ricordava la presenza nel paese, esse erano insieme le insorgenti donne contemporanee, di cui le guaritrici, con un residuo gesto di fierezza – alzando le polveri ­ avevano preservato dai conquistatori ogni memoria antica; eravamo noi, le tante sagge donne contemporanee, presenti nelle diverse tradizioni etniche, portatrici di una sovranità, in corale rapporto col sacro. 81

Ma se ho valicato mondi, replicante non è stato per ritrovarmi fra voi incolume fra i vostri versi. Ho acceso le colonne dell’alto mare ben prima di conoscervi, di gareggiare nella quarta velocità, straniante ho liquidato purezze per la purezza impaludabile, affondabile dei polsi fra i vostri inchiostri di educandi ho sciolto le mani ai muri i calcinacci in bocca la perla ho liberato a una lenta sassaiola celeste in corsa selvatica fuori dalle corsie preferenziali. Ho partorito maestri, generato padri i soli possibili al mio statuto di fèmmina scrive eluard «Hanno figli che saranno padri d’uomini» non figlie non padri di donne e niente voli un docile morto al sorriso non ho concesso profondità acquifera di vene a quel padre d’orfana … e le donne poi mi hanno salutato come un cane la rogna gli uomini, vellutata innocuità mutante afferro a ferro e fuoco per la fanciulla della razza nuova l’acquifera vena della carne il salino bagliore della pupilla 82

e grandi svettavano i fuochi prima che li vietassero fra le vigne gli aromi cannabis stramonio lapilli gli occhi delle donne fra balze di terra flottanti fra le acque prime che alzassero le polveri le sagge donne epocalmente vostra mi congedo in prima e corale persona mi distacco da un’umiliante pace, senza làmpi28 Se i lampi erano proverbialmente quelli dei surrealisti, i polsieri (in ferro e rame) che indosso ancora oggi, nacquero da quell’insorgere “a ferro e fuoco” del verso poetico, magico talismano e segno di un processo artistico continuo, fortemente intrecciato, col corpo, alla vita. Bene, avvicinandoci alla conclusione, vorrei riassumere insieme a voi i passi di questo percorso: abbiamo tentato di accennare a una cosmologia pagana – simbolizzata dalla sacra ruota –, a una mitologia pagana – che ci vuole legati a un omphalos-, a un’estetica pagana– che situa l’arte nell’alveo estatico della transe-, a una poetica pagana – a una poetica della selva – e persino a una metrica pagana – del dodecasillabo ipnotico- che avvicina l’ars dictandi al theta-drumming sciamanico; vorrei aggiungere a un’utopia pagana, cosmico-politica, che avvicini la teoria al rituale e alla prassi … sono solo accenni, ma lasciano affiorare una visione nuova, che riporta la psiche nel corpo, il corpo nella comunità, la comunità nel cosmo, e alla loro arcaica integrità corale e vibrante – alla gioia della festa! E se è vero che i trinari sparano, e sparano a festa, allora mutante afferro a ferro e fuoco/ per la fanciulla della razza nuova! 83

All’ombra del Dio Sconosciuto Omaggio a Maria Zambrano

di Rosa Carotti (poesia vincitrice della I edizione del concorso “La voce delle Muse”)

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Vivono in me che le precedo e a tratti sfioro il lembo Nina, Diotima, Antigone, Eloisa e incedono con lieve passo solenne “Figure dell’Aurora” momento sacro che partorisce la Luce. E sono voci sospiri canti sommesse invocazioni grida che dal vaso dall’urna dal convento dalla tomba si levano a reclamar parola. E i loro corpi sotterrati e vivi chiedono che con umile pazienza io smuova la terra fino al cuore del germoglio. Così è delle donne la fatica piegate su ciò che tace nel profondo chiamate al segreto della fioritura. Le vedi chine e invece fiere non s’arrestano a ciò che appare a ciò che si rivela. Stanno nel silenzio del mattino attente al fremito delle radici al pianto delle canne alla dolorosa rivelazione della spina. Non solo rosa splendore ed evidenza ma rovo oscurità e mistero.

CAP VI - Neopaganesimo ed ecologia

Come il Neopaganesimo potrà salvare il mondo

di Francesca Ciancimino Howell – trad. D. Tronco (già pubblicato in diversa forma dalla Naropa University del Colorado, USA) “In profonde caverne gli Antichi Dei dormono, ma gli alberi ancora ricordano il loro Signore. È il flauto di Pan che suona la melodia nelle oscure ore del bosco…” Vivianne Crowley “Oh, che il mio canto possa inneggiare come si conviene la lode alla Dea, Una Dea a cui son dovuti inni di lode altissimi” Ovidio, Le Metamorfosi Mentre scrivo questo titolo provocatorio e forse curioso, un sensuale crepuscolo d’inverno si stempera su una Milano in attesa del Solstizio. Antichi vicoli e piazze sono rinfrancati dall’abbraccio della notte che si avvicina, e nel tepore delle braccia amorevoli che circondano la loro casa, gli spiriti ancestrali che qui abitano mi sorridono ed incoraggiano. “Sì, figlia dei figli, sappiamo che tu sei una fra coloro che non hanno dimenticato!” O così mi pare di sentirli dire. No, noi neopagani non abbiamo dimenticato. “Dimenticato cosa?”, si starà domandando qualcuno fra i lettori. E riecheggia nell’etere anche “E torniamo a quel titolo arrogante e bizzarro!”. La denominazione Neopaganesimo, e non Paganesimo, è quella oggi scelta più di frequente per identificare le religioni precristiane e le pratiche spirituali che si stanno affermando, o meglio riaffermando, ad onorare la Terra come sacra e come Madre; che onorano i cicli mutevoli della Luna e delle stagioni; e che spesso 85

venerano vari e differenti pantheon di Dee e Dei antichi. È una denominazione che vuol mostrare come la nostra sia una religione rinata, che si sviluppa da radici molto antiche ma che non è interamente modellata su queste. Il Neopaganesimo include molte tradizioni dalle origini molto differenti, come il Druidismo, la Wicca, l’Asatru, alcuni lignaggi Sciamanici Europei, le Stregonerie tradizionali (fra cui quelle Italiane), il Candomblè Afro-Brasiliano, più altre da ogni continente e cultura mondiale. Ora, chi non è abituato a simili discussioni potrebbe chiedersi come un ritorno di tutto ciò possa salvare il mondo, e trovare francamente sconcertante un’idea di questo tipo. Ci si potrebbe chiedere, ad esempio: abbiamo bisogno di tornare a preoccuparci, timorosi, di propiziare Dei famelici e capricciosi? Alle pratiche violente di culture arcaiche come i sacrifici di sangue? O, peggio, umani? Come potrà mai aiutarci a “salvare la Terra” una regressione ad espressioni primitive come queste, in quest’era postmoderna? Pratiche di questo tipo potrebbero effettivamente essere viste da alcuni come “primitive”, da altri “premoderne”; certamente si basano sulle necessità e sulle tradizioni di ère passate e culture differenti. Tuttavia, aspetti come il sacrificio di sangue non rientrano normalmente, nella mia esperienza più che ventennale di pratica Wiccan, nell’ambito del Neopaganesimo postmoderno. Al contrario, molti fra i Wiccan da me incontrati nel corso dei miei anni di pratica nel nuovo continente, nelle isole britanniche ed in tutta Europa, interpretano letteralmente il precetto Wiccan fondamentale “Non nuocere a nessuno” dedicandosi al vegetarianesimo totale o parziale. Molti (come me) sono impegnati per i diritti degli animali o attivisti, e certamente sono fortemente consci e coinvolti nelle tematiche ambientaliste. (Ovviamente, altri interpretano differentemente l’insegnamento di non nuocere a nessuno.) Ho assistito in America Centrale a rituali che comprendevano sacrifici di sangue (di pollame), ma non posso dire di poterne scrivere con cognizione. Il retaggio di questi è molto diverso dalle tradizioni tendenzialmente pan-europee a cui è dedicato questo saggio, quindi sarebbe improprio includerli in questa breve disamina del Neopaganesimo. 86

Gli elementi del Neopaganesimo che potrebbero certamente modificare e forse migliorare lo stato di crisi ecologica e planetaria in cui viviamo, come anche gli stati critici dell’umanità a ciò connessi, possono delinearsi come quattro specifiche sfaccettature religiose, fra di loro collegate: 1. Riscoprire a livello mondiale la devozione al Divino Femminile, che dona un maggior equilibrio alle pratiche religiose nel mondo ed alle relazioni fra i sessi; 2. Ritornare a comprendere ed onorare la Terra come sacra e come Madre; 3. La rinata relazione fra l’umanità e gli spiriti di Natura, che spesso in ambito Wiccan definiamo “Elementali” o talvolta “Signori degli Elementi”; 4. Uno stile di vita sostenibile che modelli questi aspetti di culto. Posso affermare questa tesi apparentemente stravagante con sicurezza, e non perché vado glorificando una qualche era passata in cui le società matriarcali sarebbero vissute in armonia con la Terra ed in pace con gli umani loro prossimi. Purtroppo queste idilliache pretese di vita paradisiaca dei millenni passati sono stati ampiamente smontati dall’archeologia recente. (Come autrice Wiccan, e quindi neopagana, mi sento di affermare che una parte degli studi affrettatamente pubblicati negli ultimi decenni da periodici ed editori New Age e neopagani è responsabile di un disservizio. Fortunatamente molti accademici anche neopagani hanno ribattuto con studi approfonditi negli anni più recenti, nell’ambito di ricerche di dottorato, post-dottorato o personali.) È essenziale chiarire che affermando la necessità del ritorno del Divino Femminile per il futuro dell’umanità io non intendo sostenere il matriarcato. Gli estremismi sono estremismi, ed abbiamo sofferto abbastanza sotto l’oppressione mondiale dei patriarcati. La devozione al Divino Femminile non esclude il Divino Maschile! Piuttosto, può restituirci un equilibrio ed una “via di mezzo” che è stata perduta dalle religioni unilateralmente patriarcali. Come può sopravvivere 87

il mondo senza la Madre? Come potrà guarire e risanarsi il cuore degli uomini, senza la Sua compassione, la Sua grazia, il Suo amore? La perpetua devozione a Maria nel Cattolicesimo ci mostra con abbagliante chiarezza questo bisogno doloroso. Il defunto Papa Giovanni Paolo Secondo, che preferisco ricordare con il suo nome originale di Karol Wojtyla, definì questo nuovo Millennio “il Millennio di Maria”. Il Suo richiamo immancabile ha rotto la stretta vaticana, apparentemente impenetrabile, e l’antico poeta ancora vivo in Karol Wojtyla l’ha udita. Come affermano l’Eco-Femminismo ed altre filosofie e scienze sociali di recente ascesa, l’oppressione delle donne è andata frequentemente di pari passo con la negazione dell’esistenza di un Sacro Femminile, negazione che a sua volta segue a ruota l’approfittarsi della Natura e della Terra. Si potrebbe affermare che ci siamo trovati su questa via, che porta al potenziale disastro ecologico per la civiltà occidentale, fin da quando le Sacerdotesse adoratrici di Gaia di Delfi, Cuma e ogni altro luogo nel mondo classico vennero soppiantate dai Sacerdoti di Apollo… Spogliate del vero potere oracolare e trasformate in portavoci di una struttura sempre più urbana e dominata dagli uomini. Ho così toccato i primi due punti delle mie affermazioni apparentemente bizzarre. Ora tornerò su ciò che i Genius Loci e gli spiriti di Natura della Lombardia in particolare amerebbero che noi Pagani “non dimenticassimo”. Com’è viva, e sacra, la Terra, così lo è l’interezza della Natura, della vita, “popolata” (per così dire) di miriadi di esseri che noi umani, con la nostra frenetica andatura urbana o suburbana, non vediamo né sentiamo. E come potremmo vederli o sentirli se la nostra cultura cristiano-giudaica ne nega la stessa esistenza? Il Popolo Fatato, gli Eserciti dei Sidhe, il Piccolo Popolo, i Deva, i Drala della cultura Tibetana – per citarne solo alcuni – sono relegati agli antichi racconti o alle fiabe da narrare attorno al fuoco. Tuttavia, essi sono reali… Ed attendono che ancora una volta ci accorgiamo di loro. Sono sgusciati via dal nostro mondo umano, ossessionato dal progresso e dalla tecnologia, per rifugiarsi ancora più in profondità nei recessi selvaggi che ancora rimangono. 88

Dimorano quieti, in attesa ed in osservazione, anche nelle plaghe inesplorate della mente e del cuore nostri. Sono le nostre stesse cellule a serbare il ricordo… Ed i nostri sogni a richiamarlo. L’immaginario di J.R.R. Tolkien, con la morte della cultura gloriosamente magica degli Elfi nella Terra di Mezzo quando essi si imbarcano per allontanarsene, è più reale di quanto molti di noi vorrebbero credere. Anche l’affermazione di James Barrie in Peter Pan, che le fate muoiono ogni volta che un bambino afferma di non credere in loro, scaturisce da antiche verità nascoste. Tuttavia, noi possiamo riaccendere e ristabilire questi legami e queste antiche relazioni – in effetti è ciò che dobbiamo fare se vogliamo trovare una via per risanare l’umanità su questo pianeta! È cruciale non solo per noi stessi, ma anche per le innumerevoli e preziose specie con cui qui condividiamo la vita. Le creature Elementali sono nostre alleate tanto nel “salvare la Terra” quanto nel far crescere, semplicemente, un giardino più verde e rigoglioso. I primi tre principi qui sopra delineati formano parte degli aspetti più fondamentali della religione neopagana. Il quarto è la mia aggiunta ad essi, la dedizione ad una vita sostenibile, che traggo dalla mia tradizione, dal mio insegnamento e dalla mia stessa pratica. Se la nostra spiritualità può far rinascere in questo millennio una nuova consapevolezza, l’umanità e la Madre che è il nostro pianeta potranno avere l’opportunità di un futuro più sano ed armonioso. Dobbiamo però cominciare da ora, in casa, al lavoro, nel nostro quotidiano. È dalle piccole cose, e nei piccoli passi, che scaturiscono la consapevolezza e la coscienza superiore. Non c’è tempo da perdere, come affermò Al Gore nel Dicembre 2007 ricevendo il premio Nobel per il suo lavoro ecologico, non un solo minuto. Uno stile di vita neopagano – sostenibile, attento e consapevole – può guarire ed aiutare fortemente tutti noi, come il pianeta, se ci apriamo ad esso nella maniera più attenta e sostenibile. La nostra non è una religione di proselitismo, né di crociate. Tuttavia, se noi neopagani riuscissimo a trovare la fiducia ed il coraggio per scuoterci di dosso secoli di oppressione interiorizzata e per 89

emergere dall’ombra, se riuscissimo a trovare la forza e la disciplina per resistere i mali che minano la cultura sviluppata occidentale, potremmo guidare con il nostro esempio e modellare un’armonia ecologica nutrendoci da radici profonde. L’Italia è una cultura antica, con radici pagane nello stesso territorio… radici che sono solo state ricoperte dalle culture e dalle religioni successive. Se quelli di noi che godono del lusso di vivere in questa bellissima penisola si fermassero per un istante, ed imparassero ad ascoltare le voci silenziose sotto gli strepiti della vita postmoderna, udiremmo ciò che i nostri progenitori e la Dea sanno insegnarci riguardo la Terra. Sapremmo riconoscere le voci del Popolo Fatato, e dei Genius Loci italici. Queste radici ancestrali hanno degli esempi nel passato, incentrati sulla Terra: i misteri Eleusini, i culti Isiaci, le diffuse comunità Druidiche, lo Stoicismo, i Pitagorici e molti altri. Fra questi molti messaggi possiamo trovare ciò che ci viene detto a Yule nella mia tradizione Wiccan: che dobbiamo essere luci nella tenebra. Una realtà inquietante e difficile è che il clima con il suo mutamento ci porta verso un massiccio cambiamento ecologico a livello globale, richiedendoci un grande coraggio per essere quella guida e quella luce. Ora, non intendo sostenere che i nostri antenati Pagani vivessero in modo sostenibile – tutt’altro! Anche i Nativi Americani sono stati molto più distruttivi nelle Americhe di quanto si pensasse in precedenza… è possibile che alcune tribù siano state responsabili dell’estinzione locale di intere specie. Tuttavia, in termini Europei, pare che ciò che talvolta sembriamo voler emulare nel mondo occidentale sviluppato siano la crudeltà e gli eccessi del tardo Impero Romano, contrapposto all’“Equilibrio nel Tutto” sostenuto dai Greci. Uno degli scopi che dobbiamo perseguire è l’Equilibrio – nelle nostre vite e nella nostra relazione con la Terra e con gli Elementali. Il Neopaganesimo che noi portiamo avanti è un sentiero di illuminazione e compassione, proprio di questa era… e non uno che ripeta gli errori del passato. Le sfumature rosee e violacee si cullano sopra la città, delineando dolcemente i tetti. Nella campagna lombarda, e del 90

vicino Piemonte, una nuova notte spietatamente bella si avvolge sinuosa alle montagne. Il dolce crepuscolo ammaliatore è terminato, trasformandosi nella profondità notturna e risvegliando sensi nuovi. Che tutti noi riusciamo a scuoterci di dosso il nostro letargo, la nostra apatia urbana, e finalmente a risvegliarci ancora una volta – udendo le molteplici voci che ci parlano, che risuonano nelle nostre cellule, che turbano i nostri sogni e chiamano i nostri sensi più atavici. Madre Gaia, in tutte le Sue innumerevoli e magiche diversità, attende il nostro ritorno.

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CAP VII - Neopaganesimo esoterico L’arte della magia e l’essere nel mondo di Gabrio Andena

La magia è indubbiamente nella nostra civiltà l’arte più bistrattata e incompresa. L’atteggiamento verso la magia fa emergere in tutto il suo dissidio le polarità della nostra cultura. Da un lato viene derisa e accantonata senza neppure un pensiero in nome degli ideali della scienza. Dall’altro lato, una parte consistente della nostra società si rivolge, in maniera oserei dire patologica, al magico, in particolare con la divinazione, l’astrologia, l’incanto d’amore, con l’evidente intento di arginare l’angoscia data da un mondo che non è più a misura umana e di cui si teme la labilità. La magia, se rettamente compresa, è invece proprio un collocarsi in questa labilità. Quando si entra nei suoi territori si cede molto più potere di quanto non se ne ricavi, perché il mondo del singolo si amplia ad includere nuovi piani di realtà e nuove entità con cui è necessario confrontarsi, rinunciando a parte della propria libertà in nome di una vita più piena. Trovo che una buona chiave di lettura per comprendere la magia sia la filosofia esistenziale. Nell’esistenzialismo l’essenza dell’essere umano viene trovata nell’esistenza: esistenza assume un significato assai preciso qui ed indica il mondo della possibilità. La pietra, la pianta, l’animale non vivono nel mondo della possibilità, sono quel che sono, seguono la loro natura. In un certo qual modo questo li rende anche più vicini agli Dei, perché non possono sbagliare. L’essere umano è diverso: noi decidiamo di momento in momento che cosa saremo, siamo nel nostro fondo storici. Noi siamo ciò che facciamo fra la nascita e la morte, le due soglie che segnano la nostra finitezza, noi siamo la nostra storia. Agendo plasmiamo il nostro tempo, determinandoci e dandoci una forma, e costantemente superandola, perché l’essere umano trascende sempre sé stesso: finché è vivo, non è concluso, con la sua ultima azione può cambiare 92

il senso di tutta la sua vita. Questo è il primo passo per comprende l’universo della magia, concepire il mondo come fluido reame della possibilità, piuttosto che come regno fatto soltanto di leggi ferree e meccaniche. L’essere umano è anche essere-nel-mondo. Ossia ogni uomo nasce sempre in un mondo e vive in un mondo. Il mondo non va inteso come uno spazio neutro, un contenitore in cui l’essere umano si trova collocato. Il mondo fa parte dell’essere di ciascuno di noi, ciascuno porta con sé il suo mondo. L’essere umano apre un mondo ed essendo lui ad aprirlo, lo determina anche con le sue decisioni, donandogli senso, interpretazione e forma. Se questa concezione viene seguita con coerenza fino all’estremo, eccoci giunti alla magia. Il mondo è parte di noi e noi siamo parte di lui, ci coimplichiamo sempre; non siamo due cose separate una a fianco all’altra, ma una intrecciata nell’altra: è l’antica idea, riproposta in una chiave di lettura diversa, del rispecchiarsi di alto e basso, interno ed esterno, macrocosmo e microcosmo. Nella magia l’essere umano supera la contrapposizione fra l’io (il soggetto) e il mondo (l’oggetto), per arrivare a quel punto che è la sorgente dei due. Coscientemente chi pratica magia dissolve il confine fra sé come presenza, come essere autocoscienze e presente a sé stesso come distinto dall’oggetto altro da sé. Ma questo confine non viene dissolto in una direzione mistica di fusione. Si abbatte il confine fra io e non-io per ridefinirlo. È come se un muro dovesse essere abbattuto per ricostruirne un altro in una posizione più adatta. Questo è un momento essenziale della magia, il ritorno dalla confusione fra io e non-io, il ritorno alla presenza, ma ad una presenza a sé che ha nel frattempo riplasmato il mondo per i suoi scopi. Ma, bisogna aggiungere, l’essere umano è anche finito, non si conosce fino in fondo, sempre opaco rispetto a sé. Dunque capita sovente che sia il mondo a ridefinire il soggetto, ossia che quando si opera un incantesimo ci si trovi fra le mani con un effetto diverso da quello che ci si aspettava. Questo è un limite salutare al nostro senso di onnipotenza, alla nostra idea fallace di volontà e alla nostra arroganza di poter decidere tutto di noi stessi e di quello che ci 93

circonda. La magia è ovviamente ben distante dall’onnipotenza. Le leggi naturali è difficile infrangerle, ammesso che sia possibile. La magia non opera in maniera così volgare, con effetti speciali da cinema. È un’arte raffinata, è il cogliere le sottile tonalità del mondo, toccarne alcune corde segrete, di una realtà più profonda. Essa agisce sostanzialmente ricorrendo a ciò che già c’è nel mondo, ma indirizzandolo in modo da creare strane e francamente inspiegabili serie di coincidenze. Non escludo che i limiti della magia possano stendersi ben più in là. In fondo la scienza, il cui dogma oggi domina la nostra parte di mondo, limita molto i fenomeni magici, perché ci impedisce di percepirli e persino di farli accadere: è infatti la mancanza di credenza che danneggia soprattutto la magia. Non che la magia sia nutrita di fede cieca, è anzi molto più affini alla scienza di quanto non lo sia una religione dogmatica. Ma la magia compare laddove si lascia all’universo la capacità di stupirci, dove si lascia che il possibile emerga come essenza stessa della realtà.

La Teurgia come Magia neopagana? di Gabrio Andena

La teurgia, fiorita nel cuore della filosofia neoplatonica, era un insieme di pratiche volte ad invocare una Divinità all’interno di un praticante, facendo sì che si fondesse con l’essenza divina e che parlasse con la voce del Dio. In effetti si presentava con tutti i caratteri di una possessione da parte del Dio, per fini di evoluzione spirituale, profetici e probabilmente anche magici. La ricca pratica teurgica nella tarda età imperiale romana ha prodotto i famosi Oracoli Caldaici, di cui si sono conservati solo pochi brani e frammenti: questi oracoli, che rivelano la natura del cosmo, si pensa siano stati ottenuti proprio per via teurgica. Dobbiamo considerare che in quei tempi la ricerca spirituale individuale difficilmente trovava soddisfazione nella religione ufficiale. Chi agognava ad un’esperienza diretta del divino si rivolgeva ai misteri oppure alla 94

filosofia. La filosofia era intesa infatti come una via spirituale, un cammino di evoluzione e il conoscere la struttura del cosmo, l’atto di contemplazione, equivalevano ad uno stato di beatitudine. Vi sono molti altri tipi di teurgia che sono apparsi nel corso della storia. Ma le radici della teurgia caratteristica del Neopaganesimo, ed in particolare della Wicca, sono qui. La Wicca è nata come magia prima, rapidamente tramutatasi in una religione misterica. Si era Wiccan se si riceveva una iniziazione in una congrega. Questa iniziazione veicolava un passaggio di potere (oltre che di conoscenze, acquisite sul campo osservando la pratica rituale) e consentiva di sperimentare i misteri. Poi nel corso dei decenni la Wicca si è largamente trasformata, ma ha conservato questo nocciolo misterico. Questa duplice natura della Wicca, forma di magia e percorso religioso, ne fanno un interessante unicum nel panorama delle attuali religioni occidentali. Solo nell’antichità era possibile riscontrare qualcosa di analogo. La Wicca annulla la distinzione fra magia e religione, fondendo una nell’altra. Il risultato di questa fusione è precisamente una forma di teurgia: ogni atto magico è invocazione degli Dei e ogni celebrazione degli Dei è anche atto magico. La teurgia è dunque una forma di magia specificamente neopagana. La base teorica è l’immanenza del divino. Se gli Dei sono davvero presenti in tutto, allora viene scardinata la classica distinzione fra alta magia, volta all’evoluzione spirituale, e bassa magia, volta a scopi materiali: ogni atto neopagano è teurgico. Teurgia significa etimologicamente “lavoro degli Dei”. Sono gli Dei che agiscono e l’uomo agisce in quanto non c’è parte di lui che non sia degli Dei, come insegnavano gli antichi misteri. L’atto centrale della pratica teurgica è l’invocazione. Nella Wicca esiste una tecnica chiamata in inglese “Drawing Down the Moon”, che tradotto significa approssimativamente “tirar giù la luna”. Si riferisce alla leggenda secondo cui le streghe della Tessaglia (una regione della Grecia) avessero il potere di tirar giù la luna con i loro incanti. Questa notizia è stata interpretata come una forma di invocazione, in cui la discesa della luna rappresentava la discesa 95

della Dea lunare Ecate fra le sue adoratrici. Col Drawing Down un Sacerdote invoca la Dea su una Sacerdotessa. Invocare significa “chiamare dentro”, opposto ad evocare che vuol dire “chiamare fuori”: si invoca quando l’entità chiamata deve scendere in una persona, dentro un essere umano, prendendone in qualche modo possesso. Naturalmente è possibile ribaltare la prospettiva e asserire che è la Dea interiore, intima natura di ognuno, che emerge e permette così all’individuo di mostrare la sua vera natura. Questa pratica teurgica è centrale nella Wicca perché ne costituisce una peculiarità: nello spazio sacro dove avviene la celebrazione, grazie all’invocazione, gli Dei sono realmente presenti per tutta la durata del rituale, avvertibili, visibili sotto le sembianze di un ben preciso essere umano ed è possibile interagire con loro. Possiamo estendere questa esperienza al di là dell’ambito Wiccan, fino a farne un fondamento dell’intero movimento neopagano. Da qualunque prospettiva il Divino deve essere avvertito come presenza interiore, presenza interiore che sconfina con l’identità: l’uomo nel Neopaganesimo è in qualche modo deificato, perché si armonizza ad un ordine profondo che attraversa la realtà tutta e che è rappresentato dagli Dei. Il sentire neopagano vive di questa visione, la visione del Divino in ogni essere, e si alimenta di essa. L’etica neopagana segue questo tracciato: il lavoro di costruzione di un rapporto personale con una Divinità a cui ci si avvicina per conoscere meglio sé stessi e il mondo, per ritrovarla in sé e trovare la giusta distanza rispetto a questo lato dell’universo.

La Wicca e l’Esoterismo neopagano di Gabrio Andena

La Wicca nasce come forma di magia. Gardner davvero non pensava ad una religione, ma, come accade quando gli Dei sono coinvolti, il destino l’ha trasformata fra le sue mani, trasfigurando un gruppetto di distinti gentiluomini inglesi che praticavano magia rituale negli iniziatori di una delle più originali e feconde religioni 96

dell’Occidente. La Wicca deve quindi molto alla magia e i suoi diretti predecessori sono sicuramente l’Ordine Ermetico dell’Alba Dorata (Golden Dawn) e due fra i suoi più brillanti rampolli, Aleister Crowley e Dion Fortune. È dalla Golden Dawn che Gardner ha preso ispirazione per elaborare il Drawing Down, oltre che dagli scritti di Margaret Murray. In quell’ordine magico infatti i membri si addestravano a visualizzare se stessi sotto forma di divinità egizie, condividendone in questo modo l’identità e i poteri. Solo così i rituali potevano avere senso, solo se erano compiuti da esseri divini, non semplici esseri umani. Molti altri elementi sono affluiti dalla magia cerimoniale: l’uso del pentacolo, delle quattro armi elementali, la tracciatura del cerchio con le quattro direzioni – tutta una serie di conoscenze sia pratiche che teoriche che Gardner, probabilmente ispirato da qualche Divinità, ha magistralmente plasmato in una nuova sintesi, integrando ad esse la venerazione per il mondo naturale e per i suoi cicli propria del druidismo dei suoi tempi e, soprattutto la presenza essenziale di una Dea. Se nella Wicca vi è una Dea, il debito è anche verso Crowley. Troppo spesso si parla a vanvera su questo personaggio contraddittorio, che, io ritengo, fu di sicuro un grande mastro spirituale, che si condivida o meno la sua strada. Nel Thelema, altra strana sintesi, molto meno riuscita della Wicca a mio giudizio, fra magia e religione, il Femminile Divino ha un ruolo chiave. Nuit, la Dea della volta stellata egiziana, viene elevata a principi cosmico abbracciante e ad amante divina di ogni ente che da lei procede. Il lavoro magico per Crowley ruotava attorno ad una figura femminile, la Donna Scarlatta, una sorta di Sacerdotessa, che si offriva come canale per le forze invisibili. Molto di tutto questo e del complesso lavoro occulto che vi è dietro è rimasto nella Wicca, in particolare nelle sue forme iniziatiche. Sicuramente però il debito maggiore và a Dion Fortune. È stata lei la grande ispiratrice della Wicca, forse la sua più grande matriarca inconsapevole. In un periodo della sua vita la grande 97

occultista lavorò intensamente con le forze magiche che lei definiva del “raggio verde”, ossia con una magia neopagana. Fu lei a porre limpidamente al centro della pratica magica la polarità maschilefemminile, sia in chiave di principi metafisici (tramite la cabala), sia in chiave di lavoro occulto fra Sacerdote e Sacerdotessa. In Crowley il rapporto fra maschile e femminile è ancora fortemente squilibrato, i ruoli non sono paritari, anche se è assai difficile chiarire quale abbia il sopravvento. In Dion Fortune invece si riconosce una specularità perfetta: il mondo è suddiviso in diversi piani di esistenza, secondo l’insegnamento della teosofia, e l’uomo e la donna si alternano nei ruoli attivo-proiettivo e passivo-ricettivo su ogni piano, invertendoli ad ogni gradino della scala. Questo, secondo la Fortune (e il fatto che fosse donna e che il marito l’avesse piantata ha forse influito in questo giudizio), giustificava che la donna, nel lavoro magico, fosse colei che davvero teneva le redini. I suoi romanzi, come “Il Dio dal Piede Caprino” o “La Sacerdotessa del Mare”, sono storie assai istruttive su come in concreto possa svolgersi questo esoterismo neopagano. Gli antichi Dei vengono identificati con le varie Sephirot dell’Albero della Vita cabalistico. Eppure, ed è questo che rende i suoi romanzi affascinanti, si ha la sensazione che qualcosa strabordi dallo schema cabalistico, che gli Dei si presentino con una personalità ed un influsso che non possono essere ignorati. Soprattutto che si presentino in tutta la loro individualità e specificità, mostrando la loro concreta vicinanza all’essere umano.

Chaos Magick

di Francesco Dimitri Esistono due modi per guardare al chaos. Uno è quello di considerarlo l’assenza di ogni regola, l’altro è di considerarlo la possibilità di ogni regola. Pensate a un mazzo di carte. Una volta mescolate, sono un insieme caotico, disordinato, in cui un due di picche segue un cinque di cuori, senza alcuna logica apparente. 98

Durante una partita però è necessario ordinare le carte, creare una logica, per fare punti e vincere: una sequenza di un certo tipo (per esempio, tutti gli Assi) può essere utile a poker ma non in un altro gioco. La stessa carta, o lo stesso insieme di carte, è utile se decidiamo di seguire alcune regole, del tutto inutile se decidiamo di seguirne altre: il mazzo in sé contiene un numero (quasi) infinito di possibilità, sono i giocatori a scegliere quali considerare utili e quali no. Se immaginate per un istante che il mazzo sia un modello dell’intero universo, avrete colto il senso della chaos magick, o magia del chaos. Confusi? Chiariamo. Il principio di base è esposto in una frase attribuita ad Hasani Sabah, fondatore degli ashashin: “nothing is true, everything is permitted”, “niente è vero, tutto è permesso”. L’idea è che l’Universo non risponda a nessuna regola precisa: è soltanto un mazzo di carte, senza una rigida logica di fondo. Niente è vero. È compito del mago inventare un ordine, delle regole, che gli permettano di giocare la partita che preferisce. Però, poiché tutte le regole sono inventate, non esistono regole migliori o peggiori in assoluto. Bisogna trovare quelle più adatte a se stessi, o alla situazione. Tutto è permesso. La chaos magick si pone al di là e al di sopra dei vari paradigmi magici, e viene definita spesso un metaparadigma. I paradigmi tradizionali hanno un modello cosmologico più o meno ben definito. Nel Thelema esiste un preciso concetto di successione eonica. In ciascuna tradizione Wiccan ci sono almeno il riconoscimento di una polarità maschile/femminile e un’attenzione particolare all’immanenza del divino. Per la chaos magick l’unica realtà di fondo è il chaos: in altre parole una realtà di fondo non esiste, esiste solo un mazzo di carte, l’universo, che viene mescolato e rimescolato di continuo dai giocatori, gli esseri umani. Le varie tradizioni magiche e religiose sono i giochi (parola intesa nel senso più nobile) che con questo mazzo è possibile fare. L’addestramento più importante di un mago del chaos (o caota) consiste nel cosiddetto paradigm shift, il “cambiamento di paradigma”: il mago può essere oggi Wiccan, domani thelemita, dopodomani cattolico. E usare gli strumenti magici che i vari 99

paradigmi offrono: una versione moderna della dottrina delle segnature, un concetto di Volontà potente e malleabile, le preghiere ai santi. Non esistono contraddizioni tra i sistemi, perché i sistemi sono solo regole, convenzioni, e cambiare gioco è sempre possibile. Il rischio principale è quello della superficialità. È un rischio che molti praticanti riconoscono, ma che un buon addestramento dovrebbe evitare. Un mago del chaos che decida di dedicarsi, per esempio, alla Wicca Gardneriana, dovrebbe riuscire a farlo anima e corpo, credendo, almeno finché li pratica, che i suoi rituali siano efficaci e belli. E se domani vorrà passare alla cabala, dovrà studiarla a fondo, e convincersi della sua intima verità. È evidente che il paradigm shift non è facile e richiede grande disciplina. L’approccio libero e creativo della chaos magick ha spinto nuove generazioni di occultisti a cercare fonti magiche nella letteratura, nei fumetti, nei giochi di ruolo, ovunque. Uno dei modelli chaotici più noti, quello degli otto colori della magia proposto da Peter Carroll, è esplicitamente ispirato ai romanzi comico-fantasy di Terry Pratchett. E il fumettista Grant Morrison, in un articolo storico comparso su un’antologia pubblicata da Disinformation Company, ha aperto ufficialmente il campo alla pop magic, una forma di magia basata sulla cultura pop. La chaos magick ha due nonni nobili, Aleister Crowley e Austin Osman Spare, l’inventore della tecnica dei sigilli, fondamentale al punto da essere la singola tecnica magica che più definisce questo metaparadigma. Un sigillo è un incantesimo che consiste nel legare il proprio desiderio (per esempio: ritrovare le chiavi di casa) a un’immagine, per poi operare mentalmente con l’immagine stessa. Su Internet, e nella bibliografia acclusa, è possibile trovare parecchi dettagli su questa tecnica. Se Crowley e Spare furono i nonni, i padri, o almeno i padrini, della chaos magick furono Peter Carroll e Ray Sherwin, assieme agli SNS (Stoke Newington Sorcerors), un gruppo di maghi inglesi, negli anni Settanta: per più di un motivo, tra cui il periodo in cui nacque, la chaos magick è un po’ la figlia punk della tradizione esoterica occidentale. 100

Il più influente Ordine chaotico al mondo è quello degli IoT, Illuminati di Thanateros, fondato dallo stesso Carroll. C’è chi pensa che un Ordine chaotico sia una contraddizione in termini, e quindi molti praticanti preferiscono restare da soli o riunirsi in network informali che comunicano via Internet. Qui possiamo citare almeno la gigantesca raccolta di testi presente su Chaos Matrix (www. chaosmatrix.org) e l’italiano Ottarino (www.ottarino.com), una webzine e una mailing list in cui è possibile trovare (e chiedere) altre, chaotiche, informazioni.

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Capitolo VIII – Confronto con le altre religioni

Neopaganesimo e cristianesimo: dal Giardino alla Fede, dall’Altare ai Misteri, ipotesi di raffronto fra il Cristianesimo e la Wicca di Daniele Tronco

Il Giardino è immerso in una luce soffusa, quasi ambrata. Un’alba eterna, perché questa è l’alba del mondo. La Donna, scioltasi dall’amplesso gioioso col suo compagno che ora è assopito nella liquida atmosfera dell’Inizio, si scuote dal torpore e si alza ad esplorare il Giardino che è il suo regno e la sua casa. Accanto a lei, nel mattino del mondo, dorme pacifico il placido leone che l’ha scaldata nel suo sonno, raggomitolate fra le zampe possenti una coppia di lepri che al suo passaggio aprono un occhio per poi richiuderlo, serene. E, accanto a lei, striscia il Serpente che nel suo breve sonno le ha parlato e con cui lei sente di avere tanto in comune. Muovendosi quasi a caso, senza una meta precisa, la Donna si ritrova al centro del Giardino. Ed il Serpente, ora guizzando nel sottobosco, ora sfiorandola con le morbide spire, la segue nel suo vagabondare, sempre sussurrandole nella mente ed all’orecchio. “Che sia veramente così?”, si chiede la Donna. Gli Alberi sono di fronte a lei, e sul più vicino di essi si insinua il Serpente, fra i rami frondosi, a spiccare un frutto che cade dolcemente ai suoi piedi. Lei lo raccoglie da terra, col sussurro sibilante che dall’Albero scende sul suo corpo e che la colma della vibrante curiosità del proibito. Osserva la perfezione del frutto. Ne assapora l’aroma. E lo morde. Il resto, credo, lo sappiamo tutti. La tentazione dell’Uomo, la vergogna, la cacciata, la condanna. Nulla di nuovo, nulla di sconcertante. Lo sappiamo tutti perché l’abbiamo sentito decine di volte. Eppure, forse non tutti ci siamo soffermati ad analizzare i 102

temi di fondo introdotti e fissati da un passo poetico di tremila anni fa, in modo così deciso e penetrante che (letteralmente) miliardi di persone nel mondo nascono, vivono e muoiono per e con gli ideali che da questo sono germinati. Certo, c’è molto altro: c’è la Legge, c’è il Patto e per la grande maggioranza di quei miliardi c’è la Redenzione. Ma tutto nasce, e tutto è in funzione, di quell’atto così apparentemente sconsiderato, di quel morso fatale da cui nascono il Peccato, il Tempo, la Morte ed infine (felix culpa) la Grazia. Questo, di poco rimaneggiato, non è il fulcro della religione ebraica e men che meno di quella cristiana. È un buon punto di partenza, tuttavia, per un breve viaggio a confronto fra la realtà religiosa dominante nel paese in cui viviamo (in realtà si dovrebbe intendere: nel “primo mondo”, in quella fetta di privilegio istituzionalizzato in cui ha la fortuna di essere nato chi sta leggendo queste righe) ed un’espressione spirituale così radicalmente diversa come le diverse forme di Neopaganesimo ed in particolare la Wicca. Perché le differenze, spietatamente radicali nonostante chi vorrebbe il contrario, stanno tutte in questi aspetti fondamentali e vitali: il Peccato, il Tempo, la Morte, la Grazia. Partiamo innanzitutto dal Peccato. Molto semplicemente, nella Wicca non esiste questo concetto. Certo, tutti sappiamo che al mondo vi sono persone malvagie, che vengono compiuti atti di violenza (fisica, mentale, emotiva) che molti vorrebbero etichettare come “disumani” scordandosi che sono invece proprio, disperatamente, “umani”; sappiamo anche che le sofferenze dovute all’egoismo (nostro, spesso e volentieri) sono infinite come infiniti sono gli atti di fondamentale ingiustizia. Nessuno di noi è stupido (così amo pensare) e nessuno vuole negare che al mondo vengono compiute molte azioni cattive. Quello che fortunatamente manca, in un contesto Wiccan, è l’idea di peccato “originale”. L’uomo non viene visto come fondamentalmente fallace e corrotto. La donna non è sentina dei vizi e non è causa di una supposta “caduta” da uno stato di felicità ineffabile all’oscurità sanguinosa del presente. Non c’è, insomma, la necessità di giustificare l’esistenza di un corpo con le sue fragilità contrapponendolo ad uno Spirito che, pur nella sua imperfezione, 103

discende direttamente dal Divino. Questo atteggiamento, in cui corpo ed anima sono egualmente sacri ed in cui non vi è in alcun modo il rifiuto della corporeità, distingue i Neopaganesimi odierni non soltanto dalla totalità delle denominazioni cristiane, ma anche da molte filosofie antiche (neoplatonismo e relative correnti gnostiche in testa). Questo dovrebbe far pensare chi vorrebbe vedere “il paganesimo” come un unicum che storicamente si contrappose (e contrappone) all’avanzata cristiana, oltre che spingere tutti noi ad approfondire, come sarebbe salutare e proficuo, le radici del presente. Torniamo all’umana imperfezione, ed al peccato. La massima espressione dell’atteggiamento abramitico in merito è il Decalogo: quei comandamenti che sono tanto integrati nella nostra cultura occidentale che solo recentemente nella legislazione del nostro paese alcuni comportamenti (l’adulterio, il divorzio, l’aborto, la dote, la disparità fra i sessi, solo per citare i casi che più ci paiono oggi eclatanti) sono stati rivalutati. E tanto integrati nella vita quotidiana che molti faticano a comprendere come nella Wicca non vi sia spazio per una morale “al negativo”, un “tu non farai” serializzato a stigmatizzare ed a condannare. Come risaputo, ma non sempre compreso appieno, c’è tutt’altro tipo di approccio, esemplificato dal Rede. “Finchè non nuoce a nessuno, fa’ ciò che vuoi” è un consiglio etico (“rede” sta letteralmente per “consiglio, massima”, dal Middle English) che contrappone un’etica positiva (“fai” e non “non fare”) all’esplicita negazione dei comandamenti imposti dall’alto. Va detto, in questo contesto, che la condizione di peccato in cui l’uomo sarebbe immerso senza possibilità di salvezza se non dall’alto è alquanto più esplicita e pessimista secondo la visione di confessioni cristiane come il Luteranesimo o il Calvinismo, piuttosto che per il tanto esecrato credo cattolico romano. L’etica Wiccan comporta, inoltre, un altro aspetto di fondamentale importanza com’è quello della responsabilità personale non solo per gli atti compiuti, ma anche per l’autovalutazione degli atti stessi. Sta a noi decidere cosa sia “nuocere”, sta a noi decidere chi sia 104

“nessuno”, sta a noi decidere cosa implichi il “fare ciò che si vuole”. È una responsabilità che non tutti si sentono di affrontare, e questo è il motivo per cui tanti rifuggono da essa, mal interpretando come fosse una legge morale il (saggio e semplicissimo) consiglio del Rede. Non essendoci un giudizio di ordine superiore, o non esplicitandosi questo in un assetto legislativo, perdono ovviamente di valore minacce come la dannazione eterna, che sia “lontananza da Dio” o “eternità di torture fisiche”, o ancora (come da interpretazione biblica letterale) “cessazione dell’esistenza dell’anima”. Non abbiamo un inferno, sebbene questo non impedisca ad alcuni di noi di concepire un paradiso temporaneo (le terre dell’estate) o eterno (l’estasi della Dea) dopo la fine della presente incarnazione. Mi esprimo così in quanto molti fra i Wiccan coltivano la consapevolezza che il nostro tempo su questa Terra non sia limitato ad una sola occasione, ma al contrario vi possa essere un ritorno. Questo è una delle tante idee acquisite principalmente da influssi orientali, sebbene vi siano state storicamente concezioni di questo tipo anche in area mediterranea. È uno dei punti di dicotomia insanabile con la totalità delle confessioni cristiane odierne, tuttavia, e non solo per l’impossibilità di accostare un ritorno ciclico dell’esistenza con un processo lineare nascitavita-morte-giudizio. La ciclicità della Vita e della Morte che la Wicca trova così congeniale è solo un aspetto del più ampio spiraleggiare del tempo che vede l’assenza di un Inizio e di una Fine, nell’eterno rigenerarsi della Ruota dell’Anno come si rigenerano gli Dei stessi e come noi rinasciamo, sempre progredendo verso mete che non sappiamo, ora, neppure identificare. Come non ci sarà un Giudizio (o un Ragnarok), così non vi fu mai una creazione, o quantomeno non una Creazione primigenia: alcuni di noi amano pensare al Big Bang come una eccellente metafora per una diastole cosmica, in nessun modo definitiva, in attesa del prossimo battito del cuore dell’universo. Ma tutto ciò è solo un’interpretazione assolutamente personale, ovviamente… Perché la mancanza di una Sacra Scrittura che vorrebbe essere il paradigma universale ci pone nella posizione 105

di doverci creare una escatologia (ed una teologia) di cui siamo, ancora una volta, responsabili senza alcun imprimatur divino a giustificare le nostre posizioni. L’ultimo aspetto che scaturisce dall’apologo (o poema, come viene definito oggi da parte cattolica: fortunatamente non viene interpretata come una verità letterale, al contrario di altre confessioni cristiane) della caduta è di gran lunga il più complesso da affrontare. Le teologie cristiane sono concordi nell’affermare che l’incarnazione divina in Gesù di Nazareth sia la chiave tramite cui l’uomo peccatore, intrinsecamente corrotto e contaminato dall’originale fallo di Eva, può aspirare alla “salvezza”. Ciò può avvenire con modalità differenti a seconda della teologia in questione: dal mistero divino luterano, al fondamentale pessimismo calvinista, alla celebrazione cattolica del divino amore. E le differenze divengono fondamentali nel momento in cui si affrontano le questioni chiave del rapporto fra Divino ed Umano. Da parte cattolica, ad esempio, viene affermata l’essenzialità della successione apostolica perché questo rapporto venga mantenuto: il sacerdozio cattolicoromano è depositario esclusivo della relazione con Dio. Ben diversa la posizione luterana in cui il sacerdozio è universale, perché tale relazione è appannaggio dell’intera comunità dei credenti, e “pastori” sono semplicemente coloro per cui la comunione con Dio è diventata esperienza quotidiana ed attività professionale. Come si colloca la Wicca su questi aspetti? Qui, molto più che in tutte le altre sfaccettature della vita spirituale, si allarga il baratro che segrega una religione “naturale” da una “rivelata”. Prima di tutto è necessario puntualizzare che come molti sono consapevoli non si sta parlando di una Divinità trascendente e separata dalla propria creazione, ma di un’immanenza che intride le più intime fibre della realtà sensibile: il Divino non sarà mai “al di sopra”, mentre può essere visto al contrario “nel profondo” della materia e del mondo conosciuto. Fondamentalmente diverso è quindi il ruolo sacerdotale, che diviene necessariamente operativo e, a mio personale giudizio, più vicino a ciò che era ed è in società animiste e cosiddette “primitive”. 106

I Cristianesimi sono fondati su una concezione fideistica dell’esperienza religiosa in cui non è prevista la percezione del Divino da parte del singolo, ma l’accettazione supina della Sua presenza in particolari momenti come (per il Cattolicesimo romano) la consacrazione eucaristica, la confermazione, il conclave. Il contatto diretto con la Divinità, comunque sia intesa, non viene richiesto né, di norma, incoraggiato. Le eccezioni esistono, certamente: vi sono sette cristiane che vanno ricercando questo particolare stato estatico (chi profetizza, chi maneggia serpenti, chi impone le mani…) alcune di esse presenti anche nel nostro paese ed in sorprendente, benché difficile, non belligeranza con l’ortodossia dominante. Come vi sono stati mistici in grado di entrare in comunione profonda con la Divinità, che per questo si sono sempre posti ai margini della religiosità ortodossa, e la storia li ricorda differentemente a seconda delle condizioni esterne: scismatici, eretici, eresiarchi o, in qualche caso molto fortunato, santi. Nella Wicca possiamo affermare con tranquillità che non essendovi cesura fra il mondo umano e quello Divino, ma avvenendo questo passaggio con una gradualità talora sconcertante, il ruolo del Sacerdote è lo stesso, ma le implicazioni della sua attività sono radicalmente divergenti. Sacerdoti e Sacerdotesse, le quali (giova ricordare) sono primae inter pares nel Cerchio e nella gestione della Congrega, hanno il compito di assicurare la presenza Divina durante la celebrazione. Il riconoscimento di tale impresa (tutt’altro che automatico e garantito da una qualche ordinazione episcopale) non è affidato alla fede cieca degli astanti, a cui si richiede una percezione anche fisica della “speciale” situazione in cui si vengono a trovare nel Cerchio. Da notarsi il fatto che sono necessari una consapevolezza ed un potenziale ben sviluppati per riuscire a partecipare fino in fondo ad un rituale Wiccan. In effetti, e ciò si discosta decisamente anche dal “sacerdozio universale” della Riforma, possiamo definire agevolmente la Wicca nella sua espressione originale come una religione priva di uno stato laicale, in cui è Sacerdote o Sacerdotessa chi è in grado di invocare e canalizzare il Divino, e tale potenzialità viene richiesta a chiunque partecipa ad un Cerchio. È possibile 107

essere cristiani senza essere Santa Teresa, come è possibile essere mussulmani senza essere sufisti. Non si può essere Wiccan senza essere Sacerdoti, o quantomeno tendere a questo fine. Conseguenza prima è che non c’è una “assemblea dei fedeli” che partecipa alla celebrazione come soggetto passivo e come “batteria energetica” per chi sull’altare sta celebrando i Misteri. C’è o ci dovrebbe essere una comunità attiva di partecipanti consapevoli di quanto sta avvenendo, consapevoli che la Manifestazione ha anche loro come protagonisti, disposti ad una disamina anche spietata, quasi scientifica, delle sensazioni provate e generate. Certo, non è una capacità di tutti, né è un caso che la Wicca nasca come Via iniziatica ai Misteri, un esoterismo intimista ed assieme comunitario (e non il contrario, come si potrebbe forse dire del Cattolicesimo), il punto di intersezione fra il misticismo della santa (e della strega) con il potere magico del sacerdote (e del mago). Difficile da comprendere, per chi ragiona in termini di cieca fede, meno difficile per chi ha provato, nell’estasi, la vicinanza degli angeli ed il Potere divino. I Cristianesimi ed i Neopaganesimi non saranno mai rivali, nonostante quanto vorrebbe qualcuno: si rivolgono a persone molto differenti, che non possono dire, in coscienza, di aver “scelto” l’uno o l’altro Sentiero. Certo, ci sono decine di sedicenti Wiccan che sono rimasti cristiani nell’animo (né sarebbe stato per loro possibile altrimenti), come ci sono migliaia di cristiani che sono dotati di quella scintilla di consapevolezza necessaria alla comprensione intima del divino mistero. Sono, purtroppo, pessimi Wiccan e cattivi cristiani. Ci va molto coraggio per cambiare le proprie concezioni di nascita, ma ne serve molto di più per guardarsi dentro e riconoscerci consapevolmente per ciò che si è. Fedeli o esploratori, figlie di Eva o serpenti ribelli, angeli o streghe. Tutti noi siamo su una Via verso il Mistero Ultimo. Sta a noi riconoscere il nostro sentiero, aprire gli occhi e con un profondo respiro muovere il primo passo.

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Neopaganesimo e religioni orientali Neopaganesimo e Buddismo di Gabrio Andena Non è semplice individuare connessioni fra il Neopaganesimo e il Buddhismo. È forse più agevole, oltre che più proficuo, individuare i punti di dissonanza. Esistono molti buddhismi; qui ci si riferirà a dei principi generali, degli orientamenti di base di questo percorso, che stento a definire religione, semplificando inevitabilmente il discorso. La differenza essenziale è secondo me che il Neopaganesimo è una religione della presenza, della pienezza del mondo; il Buddhismo una religione dell’assenza, dell’inconsistenza del mondo. Meriterebbe una valutazione a parte il Buddhismo Ch’an (da cui poi il Buddhismo Zen). L’essenza del Buddhismo, compendiata nelle quattro Nobili Verità, è che la vita è dolore, che la vita è dolore perché tutto è impermanente (soprattutto il Sé) e che la via per l’estinzione del dolore è il Nirvana. Sebbene il Neopaganesimo possa probabilmente concordare sul fatto che il mondo sia impermanente, relativo, in costante mutamento – è la valutazione di fondo che muta: il Neopaganesimo accetta il dolore come parte della vita, parte del ciclo, mira anzi ad inserirsi in pieno in questa ciclicità, ad entrare in perfetta armonia con essa. Il Buddhismo, d’altra parte, chiama, come è noto, samsara il ciclo della nascita, morte, rinascita e attribuisce ad esso un valore negativo: l’obiettivo è il nirvana, il “luogo” che non è un luogo in cui il ciclo cessa e si gode della beatitudine perpetua. L’etica del Buddhismo è imperniata sulla consapevole attenzione e sulla compassione (accentuata in particolare nelle scuole del Mahayana, il Grande Veicolo). I due ideali presentati dal Buddhismo solo quello dell’Arhat, il Santo, per l’Hinayana, il Piccolo Veicolo, ossia l’individuo che si distacca dalla brama e da ogni legame per giungere al nirvana; l’altro grande ideale, proprio del Mahayana, è il Bhodisattva, colui che vive per la grande compassione e mira 109

a salvare tutti gli esseri (le cose sono più complicate di così, poiché al livello di un Bhodisattva propriamente non esistono più esseri da salvare e neppure un salvatore). Gli esseri tutti sono fondamentalmente impermanenti, dunque nella loro essenza irreali o almeno non reali in un senso assoluto: ogni cosa che esiste c’è per un riunirsi di concause, che al loro termine non lasciano nulla. L’etica del Neopaganesimo è invece radicalmente ambigua, per via della molteplicità di volti che il divino assume. Di sicuro è difficile proporre in un contesto neopagano un’illuminazione o una fine della ciclicità. Ma è il senso del mondo che cambia: è il senso di una presenza – l’immanenza degli Dei nel mondo significa che ogni cosa è riconosciuta nella sua sacralità, nella sua divinità e dunque, in un certo senso, ad ogni cosa individuale è assicurata una sua assolutezza, fosse pure quella di un istante. Soprattutto nel Neopaganesimo la dimensione della brama, della passione e in genere di tutto ciò che è piacere, corpo e che lega non è svalutata, ma all’opposto innalzata. Il mondo ci lega a sé in infiniti legami e non è possibile pensare ad alcun distacco. Neopaganesimo e Taoismo di Gabrio Andena Il Taoismo, religione autoctona della Cina, a differenza del Buddhismo, è invece assai vicino allo spirito del Neopaganesimo. Il pensiero cinese è connotato da un notevole grado di concretezza, attaccamento al mondo, coinvolgimento soprattutto nella vita sociale e politica (come mostra il confucianesimo). Quando il Buddhismo giunge in Cina subisce infatti un notevole mutamento proprio ad opera di influssi taoisti e si afferma l’idea che il Buddha è la natura essenziale di tutti gli esseri, la loro più intima essenza. Il Taoismo è imperniato sul Tao, questo inesprimibile principio, che fa sì che ogni cosa fluisca e segua la sua natura. Essere nel Tao significa anzitutto essere in armonia con la propria intima natura – è un’etica di spontaneità, sottesa dal concetto di mente naturale e di natura originaria dell’essere umano, viziata dalla civiltà. Il Tao 110

si manifesta come Uno e poi come due principi complementari, Yang e Yin, il Maschile e il Femminile. La vicinanza con la Wicca è strettissima. I due principi danno poi luogo all’Uomo e ai Cinque Elementi, che generano le “diecimila cose”, ossia il mondo. Ecco un’altra affinità: gli Elementi come pilastri del mondo. Sebbene diversi da quelli occidentali, si deve rilevare che vi sono numerose affinità: questi Elementi, chiamati i Cinque Agenti, sono collocati ai quattro punti cardinali e la Terra è al centro. Dunque come nella liturgia Wiccan. Il sacerdote taoista traccia il cerchio e chiama gli Elementi per ricreare simbolicamente l’universo intero e poterlo così rendere armonico o armonizzarsi con esso. In fondo la Wicca assomiglia moltissimo ad un Taoismo occidentale, il che è abbastanza sorprendente se si considera che non vi sono state influenze storiche dirette, poiché le pratiche taoiste erano poco note nella prima metà del secolo scorso. Gli Dei non hanno un gran ruolo nel Taoismo, sono decisamente poco personali e rappresentano più che altro simboli di principi impersonali, ad uso e consumo dei più che non possono coglierne la vera essenza. C’è però un intensissimo lavoro magico legato agli spiriti: esorcismi e incantesimi erano all’ordine del giorno nel mondo taoista e la magia era un’arte raffinata e molto avanzata. La natura ha un ruolo preminente, come luogo di manifestazione privilegiato del flusso del Tao, così come nel Neopaganesimo, in cui gli Dei si mostrano anzitutto nei cicli naturali. L’ideale sociale taoista è anarchico e utopico: piccole comunità rurali separate le une dalle altre. I personaggi esaltati negli scritti taoisti non sono i grandi meditatori o gli spirituali, ma i piccoli artigiani, che sanno fare bene il loro lavoro, in perfetta armonia col Tao, tanto che le loro azioni sono perfette proprio perché istintive e spontanee. Inoltre, anche i monaci taoisti e gli eremiti non mirano all’illuminazione o ad una fuga dal mondo: lo scopo ultimo delle pratiche meditative taoisti è la lunga vita, la vita prospera, in salute e serena. L’alchimia taoista ha come fine il conseguimento dell’immortalità, nel qui e ora. Un ideale ben aderente allo spirito del Neopaganesimo. 111

Neopaganesimo e Induismo di Davide Marrè Con l’Induismo che pure è un entità di difficile definizione vista la varietà di forme e tradizioni in cui si rappresenta, il Neopaganesimo condivide il concetto di identità tra divinità e devoto, benché quest’ultimo termine non sia in molto in uso nel Neopaganesimo per via della sua connotazione. Per essere più precisi anche nel Paganesimo degli ultimi cinquant’anni, troviamo sempre più forte e definita quella concezione per cui “l’essenza di una persona, il suo vero Sé (atman), è identico all’essenza del cosmo (brahman)”29. Alcune divinità dell’Induismo vengono invocate in alcune musiche e celebrazioni neopagane, in particolare le divinità femminili, ma non è ovviamente possibile definire l’Induismo come una religione neopagana, anche se la parola “Induismo” è entrata in uso nel diciannovesimo secolo per definire un insieme di culti e pratiche spesso molto diversi tra di loro. Ovviamente il confronto che è possibile tracciare brevemente in questa sede è tra il Neopaganesimo (e i suoi culti) e l’Induismo moderno che a sua volta comprende un gran numero di culti differenti che solo in un periodo recente sono entrati a far parte della denominazione unitaria di Induismo. I culti indù sono per un lungo periodo della storia culti legati all’India e solo verso la fine del periodo coloniale l’Induismo assumerà la vocazione di religione mondiale grazie a personaggi come Ramakrishna, Vivekananda e Gandhi. I principi predicati da questi santi indù configurano l’Induismo moderno e le sue correnti, ma esercitano un enorme influsso sull’esoterismo occidentale (attraverso la teosofia) e attraverso questo sul Neopaganesimo. Elemento condiviso tra Induismo e la quasi totalità delle correnti neopagane è il ciclo di morte e rinascita, cioè la reincarnazione, seppure con una visione differente. In molte correnti neopagane è penetrato inoltre anche il concetto di kharma, la legge causa effetto 112

che regola il ciclo della reincarnazione. Anche il concetto di una verità che si presenta sotto molteplici apparenze, e che porta (nella maggioranza dei casi) ad uno spirito di tolleranza nei confronti di punti di vista diversi, è una prassi molto diffusa sia nell’Induismo che nel Neopaganesimo. Immediatamente conseguente a questo è il fatto che entrambe queste correnti religiose non sono legate ad un insieme definito di concetti filosofici. Infine il concetto induista del divino e della/e Divinità e assolutamente speculare a quello neopagano, si va dl concetto di un Uno originario, il Divino, Brahman che si manifesta in varie forme, ma che è impersonale e indefinibile, fino a concezioni più puramente politeiste. Ovviamente nel Neopaganesimo questi principi hanno spesso ricadute differenti che nell’Induismo: la reincarnazione non è vista come un fatto negativo e non è presente un concetto di salvezza, è assente anche una morale più o meno rigida legata al concetto di dharma. Non c’è dubbio, al di là di alcune profonde differenze, che tutto il Neopaganesimo sia stato profondamente influenzato dalla diffusione su scala mondiale dell’Induismo e che negli anni futuri il dialogo tra queste due correnti di pensiero potrà avere sviluppi interessanti.

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Note F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Newton Ho deciso di misurare, un po’ ironicamente, il tempo dalla fondazione del Circolo avvenuta nel dicembre del 2002, considerando il 2003 come anno 1, il 2008 è quindi l’anno 6. 3 “Vocabolario della Lingua Italiana” di Nicola Zingarelli, ed. Zanichelli 4 ibid. 5 “I nuovi pagani” di Salvatore Natoli, Il saggiatore, pag. 21 6 “Hermetic Magic” di Stephen Edred Flowers, Weiser Books, pag. 14 7 “Non avrai altro dio” di Jan Assmann, trad. F. Rigotti, ed. Il Mulino pag. 9 8 ibid. 9 ibid. pag 11 10 a.E.C: ante Era Comune 11 Salvatore Natoli, “I Nuovi Pagani”, Il Saggiatore 12 “Del Congresso notturno delle Lammie libri tre” di Girolamo Tartarotti, 1749 13 da “La Stregoneria – diavoli, streghe, inquisitori dal trecento al settecento” di S. Abbiati, Oscar Mondadori 14 “Intorno a due documenti inediti di stregheria milanese del secolo XVI, in “Rendiconti del R. Istituto storico lombardo di scienze e lettere”, n. 32, 1890 15 “The way of Strega” di Raven Grimassi, 1994 16 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Newton 17 Gabriella Galzio, Apocalissi fredda, Agorà Edizioni, La Spezia, 2001 18 Ipotizzo che la vera transcendenza scaturisse dalle pratiche magico rituali di transe, precedenti le forme teologiche della religiosità patriarcale fondata sul logos che finì per oscurare il corpo sensitivo. 1 2

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La poesia “Ho atteso un amore nel senso storico” è contenuta nel mio libro inedito La discesa alle Madri. In essa è fatto riferimento a disastri ecologici ambientali su cui è invocata la pietas della Dea Aurora; la rosa goethiana e la nuova tempesta alludono al desiderio di un nuovo Sturm und Drang neoromantico che spazzi via l’aridità della nostra epoca materialista. 20 J.W. Goethe, Faust Urfaust, a cura di Andrea Casalegno, ediz. Garzanti. 21 S. Perry e J. Dawson, Le ore del corpo, ed. Eco, Milano, 1996. 22 La sezione “Discesa nella selva” è contenuta nel mio libro inedito La discesa alle Madri. 23 La poesia reca il titolo “Fra la selva e la corte” ed è contenuta nel mio libro inedito La discesa alle Madri. Il simbolo del labirinto rinvia ulteriormente a Paracelso e al suo Labirinto dei Medici. 24 Christian Raetsch, Le piante dell’amore, Gremese Editore, 1991. 25 Fernando Ortiz, La africania de la musica folklorica de Cuba, Editora Universitaria, La Habana, 1965. 26 George Lapassade, La transe, ediz. Sensibili alle foglie. 27 “Fare anima. Semestrale di poesia, poetica e cultura”, 3° n., ediz. Studio d’Autore. 28 La poesia “Fanciulla della razza nuova” è contenuta nel mio libro inedito La discesa alle Madri e fa riferimento a “Viaggio a Montevideo” del poeta visionario Dino Campana. L’Io poetico si manifesta qui come Io corale, di primo coreuta, rispetto al coro delle sagge donne. 29 “L’induismo” di Gavin Flood, trad M. Congedo, Piccola Biblioteca Einaudi 19

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BIBLIOGRAFIA CAPITOLO I Jan Assmann, Non avrai altro Dio, ed. Il Mulino Martin Heidegger, Introduzione alla Metafisica, Adelphi Salvatore Natoli, I nuovi pagani, Il saggiatore Fernando Savater, Degli dei e del mondo, Frassinelli

CAPITOLO II Neodruidismo Emma Restall Orr, I principi del Druidismo, Armenia ed. Jean Markale, Il druidismo, Ed. Mediterranee P. B. Ellis, Il segreto dei Druidi, Ed. Piemme Wicca Christian Bouchet, Wicca – Storia, Teoria, Pratica, ed. L’Età dell’Acquario Cronos, Wicca – La Nuova Era della Vecchia Religione, Aradia Edizioni Raymond Buckland, Il libro delle streghe, Armenia John J. Coughlin, Out of the shadows – An exploration of Dark Paganism and Magick Vivianne Crowley, Wicca – The Old Religion in the New Millennium, Thorsons Phyllis Curott, Il sentiero della Dea, Sonzogno Stewart Farrar, What Witches Do, Phoenix Janet e Stewart Farrar, A Witches’ Bible, Phoenix Janet Farrar e Gavin Bone, Progressive Witchcraft, New Page Books 116

Ed Fitch, Il libro segreto delle arti magiche, Hera Gerald B. Gardner, Witchcraft Today, Mercury Publishing The Meaning of Witchcraft, Mercury Publishing Philip Heselton, Wiccan Roots, Capal Bann Charles G. Leland, Aradia: il Vangelo delle Streghe a cura di L. Menegoni, Leo S. Olschki Editore Starhawk, The Spiral Dance, Harper San Francisco Doreen Valiente, Witchcraft for Tomorrow, Phoenix An ABC of Witchcraft, Phoenix Asatru Snorri Sturluson, Edda, Rusconi editore Gianna Chiesa Isnardi, I miti nordici” Rusconi editore Brian Bates, La via del Wyrd, ed. Rizzoli Gualtiero Ciola, Noi , Celti e Longobardi, Edizioni Helvetia Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Historia langobardorum, Biblioteca Universale Rizzoli Diana Paxon, Essential Asatru: Walking the Path of Norse Paganism, Citadel Tradizione Romana Manifesto del Movimento Tradizionalista Romano, “Orientamenti per i tempi a venire”, Arx, Messina 1993 Renato del Ponte, Il movimento tradizionalista romano nel Novecento. Studio storico preliminare, SeaR, Scandiano 19872. Stregoneria tradizionale Raven Grimassi, Ways of strega, Paperback Dragon Rouge, La Vecchia Religione, Aradia Edizioni Sheanan e Ardathlili, Il sabba italiano Laura Marianna Vatta e Ottaviano Spinelli, Fronde dell’Antico Noce, ed librarie Franco Spinardi Discordiani Adler Margot, Drawing down the moon, Penguin books, New York 117

& Londra, 1986. Hine Phil, Prime Chaos, New Falcon, Tempe, 1999. Malaclypse the Younger, Principia Discordia, or, How I found the Goddess and what I did to Her when I found Her, quinta edizione, 1991, versione html. Shea Robert & Wilson Robert Anton, The Illuminatus! Trilogy, Constable & Robinson, Londra, 1998.

CAPITOLO III Vicky Noble Il Risveglio della Dea, Ed. Tea Michael Harner, La via dello sciamano”, Ed. Mediterranee Marija Gimbutas, Il linguaggio della Dea, Longanesi Marija Gimbutas, The civilization of the Goddess: the world of old Europe, Harper Riane Eisler, Il calice e la spada, Saggi Frassinelli Devon Scott, Tradizioni perdute, Ur-Lunaris Ada D’Aries, La voce dell’antica Madre, Edizioni della Terra di Mezzo Enciclopedia della mitologia, Gribaudo-Parragon Kris Waldherr, The book of Goddesses, Abrams D.J. Conway, Magick of the Gods and Goddesses, Crossing Press W. Burkert, La religione greca, Jaka Book Dion Fortune, La Sacerdotessa del mare, Venexia M.Z.Bradley, Le nebbie di Avalon, Tea R. Graves, I miti greci, Longanesi L.Morpurgo, Il convitato di pietra, Longanesi K. Waldherer, La dei interiore, Xenia J. Bolen, Le dee dentro la donna, Astrolabio

CAPITOLO IV Dal nichilismo al Neopaganesimo Martin Heidegger, Che cos’è metafisica, Adelphi Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Newton 118

Maria Zambrano, L’uomo e il divino, Il lavoro Neopaganesimo e Psicologia Analitica AA.VV. (a cura di Carotenuto Aldo), Trattato di Psicologia Analitica, UTET, 1997 Bolen Jean, Le Dee dentro la Donna, Astrolabio, 1991 Bolen Jean, Gli Dei dentro l’Uomo, Astrolabio, 1994 Ellenberger Henri, La Scoperta dell’Inconscio, Boringhieri, 1976 Hillman James, L’Anima del Mondo e il Pensiero del Cuore, Adelphi, 2002 Hillman James, Re-Visione della Psicologia, Adelphi, 1992 Hillman James, Saggio su Pan, Adelphi, 1977 Jacobi Jolande, La Psicologia di C.G. Jung, Boringhieri, 1973 Jung Carl Gustav, Opere 8: La Dinamica dell’Inconscio, Boringhieri, 1994 Jung Carl Gustav, Opere 9/1: Gli Archetipi dell’Inconscio Collettivo, Boringhieri, 1997 Jung Carl Gustav, Opere 9/2: Aion – Ricerche sul Simbolismo del Sé, Boringhieri, 1997 Jung Carl Gustav, Opere 14: Mysterium Coniunctionis, Boringhieri, 1991 Jung Carl Gustav, L’Io e l’Inconscio, Boringhieri, 1985 Jung Carl Gustav, Sogni, Ricordi, Riflessioni, Rizzoli, 1998 Jung Carl Gustav, Visioni, Ma.Gi., 2004 Neumann Erich, La Grande Madre, Astrolabio, 1981 Neumann Erich, Storia delle Origini della Coscienza, Astrolabio, 1976 Vegetti Finzi Silvia, Storia della Psicoanalisti, Mondatori

CAPITOLO V Gli dei amano in silenzio Napoleone mio dolcissimo, Giuseppina amica mia (Bompiani 1989) L’Altro (Bompiani 1991); 119

Sette Madri (Bompiani 1993); Luna d’Amore (Fogola 1994); Eterna Luna (Alpha Dimensione Vita 2000) Il soffio della luna (Psiche 2007). Plenilunio d’autunno (2003) Lo specchio e il sogno (2004) Virtù dei vizi (2006), Eresie erotiche (2007) Pesco in fiore (2007) Discesa nella selva Fondali (1993), La buia preghiera (Campanotto,1996), Sofia che genera il mondo (I Quaderni del Battello ebbro, 2000) Apocalissi fredda (Agorà, 2001) Ishtar dagli occhi colmi (Moretti & Vitali, 2002) La discesa alle Madri (in pubblicazione)

CAPITOLO VI Francesca C. Howell, Gaia – Magia della Terra, Venexia

CAPITOLO VII Crowley Aleister, Magick, Astrolabio, 1976 De Martino Ernesto, Il Mondo Magico, Boringhieri, 2007 Fortune Dion, La Cabala Mistica, Astrolabio, 1974 Fortune Dion, Il Dio dal Piede Caprino, Venexia, 2001 Fortune Dion, La Sacerdotessa del Mare, Venexia, 2002 Fortune Dion, Magia Applicata, Venexia, 2004 Fortune Dion, La Magia della Luna, Venexia 2007 Fortune Dion, The Esoteric Philosophy of Love and Marriage, Red Wheel, 2007 Gilber R.A., Golden Dawn: Twilight of the Magician,Aquarian Press , 1983 120

Grant Kenneth, Aleister Crowley e il Dio Occulto, Astrolabio, 1975 Hutton Ronald, The Triumph of the Moon, Oxford University Press, 2001 Introvigne Massimo, Il Cappello del Mago, Sugarco, 2003 Regardie Israel, La Magia della Golden Dawn, Mediterranee, 1991 Symonds John, La Grande Bestia, Mediterranee, 2006 Sutin Lawrence, Fa’ Ciò che Vuoi, Castelvecchi, 2006 Carroll Peter, Liber Null & Psychonauts, Weiser, Boston 1987. Carroll Peter, Liber Kaos, Weiser, Boston 1992. Hine Phil, Condensed chaos, New Falcon, Tempe 2003.

CAPITOLO VIII Neopaganesimo e Cristianesimo Nietzsche, L’Anticristo, Newton Neopaganesimo e Religioni Orientali Canone Buddhista (2 vol.), UTET, 1997 Le Rivelazioni del Buddha: il Grande Veicolo, Mondadori, 2004 Laozi, Einaudi, 2004 Le Opere dei Padri del Taoismo, Mondadori, 1981 Cheng Anne, Storia del Pensiero Cinese (2 vol.), Einaudi, 2007 Gavin Flood, L’Induismo, Piccola Biblioteca Einaudi Robinet Isabelle, Storia del Taoismo, Astrolabio, 1993 Robinet Isabelle, Laozi e il Tao, Borla, 2000 Schipper Kristofer, Il Corpo Taoista, Astrolabio, 1983 Shantideva, La Via del Bodhissatva, Chiara Luce, 1999 H.von Glasenapp, Le Religioni dell’India, 1996 Williams Paul, Il Buddismo Mahayana, Astrolabio, 1990 Wong Eva, Il Grande Libro del Tao, Mondadori, 1998 www.vedanta.it

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BIOGRAFIA AUTORI Gabrio Andena (Gabriel), filosofo ermeneuta, counsellor junghiano e segretario del Circolo dei Trivi. Pratica da alcuni la Wicca nell’alveo della Tradizione Alexandriana e Gardneriana, affiancandola alla magia cerimoniale. Rosa Carotti vive e lavora a Cremona, dove è nata. Da anni conduce gruppi di donne su miti e archetipi del femminile. Scrive da che ne ha memoria. Chiara (Shakinàh) ha ricevuto questo nome durante un viaggio attraverso le sette soglie superate, nel mito, dalla Dea Inanna: un nuovo nome dopo essere stata spogliata di tutta se stessa. È una Strega Eclettica e (semi-) Solitaria. Il suo percorso, iniziato con l’incontro con la Wicca, è vario, ma improntato fortemente allo sciamanesimo e alla spiritualità celtica. Ha partecipato ad incontri, conferenze e seminari con Francesca Ciancimino Howell, Vivianne e Chris Crowley, Phyllis Curott, Janet Farrar e Gavin Bone, Lorenza Menegoni etc. Recentemente si occupa della organizzazione “logistica” degli eventi del Gruppo Soteira. Chiara (Danaliit) percorre le Antiche Vie da qualche anno. Ha frequentato workshop e seminari sulla Wicca e sullo Sciamanesimo. Ha pubblicato l’articolo I volti della Dea sulla rivista Athame nell’ambito del gruppo Soteira. Recentemente ha tenuto una giornata di incontro sullo sciamanesimo con Chiara (Shakinàh) ed Emanuele del Clan del Lupo, sempre per il gruppo Soteira. Francesco Dimitri vive e lavora a Roma, anche se si sposta volentieri in altre parti del mondo (di recente è stato avvistato a Londra e in Transilvania). È un esperto di magia, Neopaganesimo e cultura pop, ha una particolare passione per Papa Legba e per lavoro fa lo 122

scrittore. Tra le altre cose, ha scritto Neopaganesimo – Perché gli dèi sono tornati, e ha curato l’edizione italiana della biografia di Aleister Crowley scritta da Lawrence Sutin, Fai quel che vuoi. Il suo prossimo libro, un romanzo, parla del dio Pan, ed è in uscita a giugno. Rosalba Formato (Mnemosyne), laureata in Economia e Commercio, maestra di Yoga, scrittrice ed esperta di terapie alternative, ha seguito il percorso wiccan per poi trasferirsi a Sidney dove vive tutt’ora e dove ha proseguiito il suo cammino di ricerca della spiritualità femminile, è l’ideatrice e la moderatrice della più grande mailing list wiccan e pagana italiana “lemusenellarete”. Gabriella Galzio, poeta, ha fondato e diretto “Fare anima. Semestrale di poesia, poetica e cultura”. Ha partecipato a programmi RAI sulla poesia, presente in antologie, è stata tradotta negli USA per “Le acque di Hermes” (Univ. Charleston, 1999) e in Germania per la rivista “Matrix”(2007). Traduzione e curatela: Divano occidentaleorientale di J. W. Goethe (Rizzoli, 1997). Per l’Enciclopedia tematica aperta, vol. Il Comico, a cura di Carlo Sini, ha curato “Il comico nella letteratura tedesca” (Jaca Book, 2002). Per il Centro Internaz. Studi Romantici (Univ. di Bologna), “Double Tongue” (“La Questione romantica”, 2005 Ideazione e regia di eventi di poesia a Milano, con l’Ass. Cult. Studio d’Autore da lei fondata e diretta: “Midsummernight” festa-animazione (2004) e “L’accendersi dei luoghi”per la Primavera di S. Lorenzo (2005). Francesca Ciancimino Howell, Grande Sacerdotessa di Terzo Grado, è autrice di “Gaia, magia per il Pianeta”, in corso di pubblicazione ad inizio 2008 dalla Venexia Editrice. Nel suo libro si possono trovare meditazioni, rituali e varie tecniche magiche. Francesca sta compiendo una ricerca qui in Italia finalizzata ad un dottorato in Studi Religiosi. Il suo sito web personale è www.magicwithgaia. com

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Davide Marrè (Cronos), counselor di orientamento esistenziale, giornalista, saggista, Presidente dell’Associazione “Circolo dei Trivi” e direttore della rivista di Wicca e Paganesimo “Athame”; ex-Coordinatore nazionale della Pagan Federation International. Ha pubblicato “Wicca: la Nuova Era della Vecchia Religione”, Aradia Edizioni, e “La psicologia esoterica”, Xenia. Valentina Minoglio Morgan è Wiccan di Tradizione alessandriana. Ha seguito seminari di Phillys Curott, Lorenza Menegoni, Janet Farrar. È vicepresidente del Circolo dei Trivi, scrive per Athame e ha tenuto alcuni seminari sulla Wicca tra i quali quello che ha dato vita al gruppo Soteira. È un’astrologa e studia il rapporto fra astrologia e paganesimo. Ossian (Luigi D’Ambrosio), Presidente dell’Associazione culturale Antica Quercia con sede a Biella, che pubblica la rivista “Vento tra le fronde”. Si occupa da anni di neodruidismo, è uno degli ideatori del Convegno Nazionale sulla Wicca di Biella e organizzatore di numerosi eventi tra cui l’annuale Festa di Beltane. Daniele Tronco (Elaphe) è praticante Wiccan da anni e cofondatore dell’associazione di volontariato Circolo dei Trivi. Da sempre dedito alla sperimentazione in campo esoterico e magico, si muove nell’ambito della Tradizione Alexandriana e Gardneriana.

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Copia non in vendita, distribuita gratuitamente dal Circolo dei Trivi Supplemento rivista Athame anno 2008

Stampato in Italia Milano - Gennaio 2008

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