Károly Kerényi Le Figlie Del Sole
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Le Figlie Del Sole...
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Karoly Kerényi
Figlie del Sole
Bollati Boringhieri
Prima edizione nella collana «Gli Archi» gennaio 1991
© 1991 Bollati Boringhieri editore s.p.a., Torino, corso Vittorio Emanuele 86 I diritti di memorizzazionc elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o par ziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati Stampato in Italia dalla Novalito di Torino CL 61-9545-8
ISBN 88-339-0592-6
Titolo originale
Tiichter der Sonne © 1944 Rascher Verlag, Ziìrich Traduzione di Francesco Barberi Copertina di Luisa Conte
Figlie del Sole/ Koiroly Kerényi. -Torino 141 p. ; 22 çm. - (Gli Archi) Rist. anast. dell'ed., Torino L KERENYI, K>iroly l. MITOLOGIA GRECA
CDD 292.08
(a cura di S. & T.
- Torino)
Einaudi, 1949
Bollati Boringhieri, 1991
Indice
Prefazione di A.
II padre
e
Brelich
9
il re
n dio che si rinnova ogni giorno
23
Il Titano
41
La ricerca della regina La maga
61
L'assassina
79
La
metà
L'aurea
Fini·s
97 ll5
initium
La cretese figlia del Sole Nota finale
133 139
Prefazione
Il nome di Karl Kerényi è già da tempo familiare, anche in Italia, agli studiosi della religione classica: instancabile peUe grino delle regioni mediterranee, conoscitore d'ogni angolo della nostra penisola, Kerényi ha sempre tenuto a far arrivare la su11 parola agli italiani, fidando forse in quella comprensione istin· tiva e quasi inconscia che deriva da recondite rispondenze ed affinità, piu di qnanto potesse fidarsi della raffinata educazione intellettuale dei paesi di cultura germanica. È per questo che oltre ad alcuni saggi apparsi su periodici strettam·ente « sto1ico· religiosi » italiani, oltre a diverse conferenze tenute a Rom-at egli ha fatto pubblicare in Italia e in itaNano La religione antica nelle sue linee fondamentali (Zanichelli, Bologna, 1940) - sin tesi delle nnove ricerche salla particolare « forma » dello spirito antico nelle sue due grandi espressioni: la religione greca e quella romana -, uno dei primi tentativi seri del nostro secolo di trovare la
propria
chiave per la comprensione del mondo
antico, di getta:re le basi del
proprio
umanesimo.
Da qualche anno però l'interesse
suscitato dallo studioso
ungherese pare stia evadendo dalla cerchia ristretta della « gente di mestiere », filologi, archeologi, storici della religione. È tut· t'una classe
intellettuale -
numericamente
forse non
metto
l()
Prefazwne
ristretta di quella degli specializzati,
um
notevolmente piu com·
posita e culturalmente in certo qual modo piu importante sw uppunto per la sua varietà che per la sua posizione d'avanguar dia - che oggi comincia a tener conto di quel rwme, guidata ;
né
di
((giustificarla>>
con una teoria generale
della
ntentalità « prelogica )) o « mitica »: si trattava di ritrovare in f:ssa la
forma
greca, la maniera di vedere, vivere ed affrontare
lu realtà, maniera prop11ia al popolo che ha creuto la nostra
Prefazione
Il
civiltà. Al contatto di un simile punto di vista, la religione greca, anziché rimanere un curioso fenomeno storico, si è rivelata come limpida e perfetta espressione di valori spirituali di cui non possiamo disinteressarci se non a prezzo di disinteressarci della. nostra stessa esistenza. L'opera di Otto è il punto di partenza delle nu>
e il suo ultimo e intraducibile senso - questo è il
compito della nuova scienza che quindi, lungi dal concentrare la sua attenzione su contingenze della piccola storia e dal voler spiegare tutto con un povero meccanismo di « influssi », de11e gettar luce su un'attività primordiale dello spirito umano, sca· turita e determinata dall'essenza stessa dell'uomo e della sutJ posizione nel mondo, Il contributo di C. }ung ai grandi mitolagemi del Fanciullo divino e della Fanciulla divina dimostra l'interesse che la psico· logia contemporanea può prendere a questo genere di ricerche (C. }ung-K. Kerényi:
Einfiihrung ecc., 1941); ma la psicologia
del mito non afferra che un singola aspetto della scienza mito logica perché la mitologia impegna qualcosa di piu in noi che non la nostra « psiche » : impegna la nostra esistenza st�ssa, la nostra umanità. Dopo il preludio del
Die Gebnrt der Helena (1939}, l'Ein
fiihrnng apre quindi la nuova fase dell'attività scientifica del Kerényi, che coincide con la guerra e il vowntario esilio in Svizzera dell'autore.
Hermes der Seelenfiihrer (1944) - una
monografia diviJUl., ma non piU nella maniera statica e circo
Tochter der Sonne (1944} e Prometheus, il mitologema greco dell'esistenza umana (1946) sono i frutti
scritta dell'Otto -,
di quella solitudine che spesso offre in cambio, per i perduti contatti molteplici e superficiali con i singoli uomini, un con· tatto profondo con l' umanità.
Figlie del Sole
è dunque un'opera della piena maturità del·
l'autore. Ciò si rivela anche nella sua forma; non sol nella solida e densa bellezza dello stile che è cosi difficile rendere in una lingua analitica come la nostra, ma anche nella presenta·
Prefazione
l.j
zione priva di quella massa di note che formano l'orgoglio delle dissertazioni tedesche. Ma la mancanza delle note non significa abbandono del solido terreno del materiale. l numerosi miti, culti, raflìgurazioni, espressioni poetiche citati non hanno una importanza in sé: essi sono altrettanti frammenti che ricevono vita e luce pulsante unicamente dal senso integrale del mitolo gema solare. L'aderenza al materiale per Kerényi non è piri l'attaccamento inutile ai dati atomizzati e senza significato auto� namo, ma la fedeltà al senso che sola ravviva i particolari. L'eli minazione delle minuzie filologiche - di cui l'autore si dimo· stra padrone, ma alle quali dà soltanto un valore strumentale non vuol dire né arbitrio, né astrazione. Kerényi non intende propriamente darci una filosofia del mito: egli si rende sola interprete religiosamente attento e fedele di un fauo umano di portata universale: il mito. In Figlie del Sole Kerényi non fa altro che raccontare miti greci. Di fronte a questi miti 1wi moderni, malgrado le nastre particolari forme psichiche e le sovrastrutture della nostra coscienza, non possiamo non avve1· tire nel nostro intimo una rispondenza profonda: questa rispan· denza è garanzia dell'autenticità del mito solo ora risuscitato, ed è garanzia della nostra umanità. •
ANGELO BRELICH
Figlie del Sole
Dedicato al Poeta in Montagnola e al Filosofo in Brissago
L'lperione
di Holderlin contiene singolari « pensieri segreti
del poeta intorno al Sole, un « mistero
»
>>
nel senso in cui egli
usa tale parola. « Sii
come questo!
»
esclama
Alabanda e accenna al dio
Sole, che nella sua eterna giovinezza risorge sempre gioioso e fresco. I figli della Terra vivono unicamente per virtU sua. Vi sono però anche figli del Sole, « anime piu libere », che
egli'
educa. Un fratello di nome del Sole, del « magnifico lperioae del cielo », è l'eroe del romanzo. Il Sole è
in
lui. Quando ama,
l' zwmo è generalmente un Sole, tutto gli si sco pre, tutto gli si rischiara. Sotto l'influsso di Diotima si fa piu equilibrio nel· l'anima d'lperione, e all'improvviso egli sente le proprie forze disperse e vaganti
).
possibile Io
svegliarsi per un
«
rinnovarsi
ogni
Dove questa tenebra persiste eternamente, cioè nella
morte degli « esseri di un giorno ))
dei mortali che vivono una ' sola volta, li deve parlarsi di nn regno che viene costituito per
mezzo della poten.za di Helios manifestantesi nel proprio sot trarsi, cioè per mezzo di Helios in quanto Ade: del regno dei morti. Ma dove la sacra notte, durante il ringiovanente sonno di Helios, nasconde pomi aurei avviluppati da draghi e vello d'oro, tesori delle occidentali Esperidi e di Aiete colchico, germi di Sole che si svilupperanno in giorni di vita, li trovasi sicuramente nn altro regno che è al di fuori della vicenda dei
ll padre
38
il
e
re
giorni e delle notti come la « dimora di Ade» - il regno di Oceano. Che cos'è Oceano? La genesi degli dèi, anzi di tutto ciò che
/l{tUle. Se si volesse tra !;n_erebhe prescindere in
esiste, è detto assai chiaramente nell'I durre « genesis )) con « origine ))
bisfi
' quest'ultima parola del carattere di zampillo e di
zma
sola vr>lta,
e rappresentarsi u n continuo fluire, che scaturisce ·da un inin· terrotto processo generativo. Oceano è in tanto la genesi di tutto, jn quanto fu il primo procreatore, insieme con la sua compagna, la prima madre i n quest'umido elemento:
Teti de.
Dalla circostanza tuttavia, che Hera può pretendere nell'Iliade di riconciliare tra loro i due primi genitori, segue che quel pri· mitivo processo generativo cosmogonico non continua pill: mondo
dell'olimpico
ordinamento
degli
dèi
non
è
piti
il il
mondo della genesi, traboccante in forme nuovamente gene rate.
Naturalmente
Oceano col
suo
flusso
primordiale,
che
mantiene il prodotto del fluire per entro il già assicurato perpe tuarsi di tutte le acque e i succhi vitali, Oceano, nella sua « forza possente» si trova, anche tale, ancora li. Hera poté visitarlo nella sua « dimora
>>.
Ella invita anche Helios, quando
questi indugia, a far ciò. E il suo sciancato figlio Efesto, che lei per vanità ha scaraventato lontano da sé, ascolta nella caverna dove lavora per le sue salvatrici, le dee del mare, lo strepito della corrente di Oceano spumeggiante là intorno e rifinente senza fine. Poiché costui scorre ormai pacato « tornando su se stesso». II resto si deduce dalla posizione della sua " dimora». Chi lo raggiunge - e ciò è impossibile agli ordinari mortali - raggiunge i « confini della terra ». Ma li cessa ogni ulteriore delimitazione e quindi anche ogni precisazione spaziale e tent porale. La delimitazione ha valore soltanto verso la terra, la quale ha anche un'estensione - fino ai confini, che abbracciano in cerchio essa e tutti i mari possibili e che
sono
Oceano. Giac
ché questo significa l'espressione « confini di Oceano ». Una
Il dio che si rinnova « delimitazione di Oceano
>>
39
non esiste fuorché in rapporto alla
terra, che sola è circoscritta e circoscrivibile. Dal lato di Oceano ogni estensione si annulla. Ciò viene espresso per mezzo della rapidità della corrente di Oceano. Helios deve soltanto salire nella « tazza », e in « vertiginosa velocità » giunge da occidente a oriente. Ovvero là oriente ed occidente trapassano l'uno nel· l'altro. L'identità delle regioni orientali e occidentali è stata notata in un lavoro straordinariamente profondo sul
Oceano :
Kosmos di
« Aia giace verso oriente, Aia giace verso occidente, e
tuttavia ambedue sono unite come sorelle in Aiete e Aiaia Circe, geneticamente una cosa sola >>, scrive l'autrice,1 e accenna al racconto che Aiaia Circe aveva originariamente abitato col fra tello Aiete nella sua Aia, e poi il padre l'aveva portata in occi· dente. In tal senso viene lumeggiata anche la singolare situa· zione che si profila davanti a noi sia quando Odisseo nell'Aia di Circe, che è rivolta verso le tenebre, protesta inquieto di non sapere dove è Zophos e dov'è Eos, dove Helios nasce e dove .scende sotterra, sia quando poi si rende manifesto che in que st'Aia occidentale sono la dimora e i luoghi di danza di Eos e l'aurora del Sole. Non è qui, assolutamente necessario pensare a un trasferi mento di Circe da occidente a oriente, benché già Esiodo Io abbia fatto. Quando Helios sale nella corrente di Oceano, l'ap· parente incomunicabilità tra occidente e oriente si risolve i n una situazione che richiede le immagini dello scaturire e del fluire. Cosi Eschilo parla delle « sorgenti del Sole
"•
trebbero rendere anche mediante « corrente del Sole
che si po· "·
Tiepido
fluisce là, dice altrove, e racconta inoltre non di un fiume ma di uno « stagno, che tutto alimenta, su Oceano ». Soltanto i n modo contraddittorio può essere descritto quel luogo
ogni luogo, ' PAULA
fuori di
dove Helios è sull'Oceano e insieme dentro la sua
PHILIPPSON, Thes.olisclw Mythologie (N. d. T.).
Il padre e il
re
corrente. Neppure il « difuori " in rapporto alla terra risulta determinato da quella posizione. Poiché tutto ciò di cui si rac· conta che giaccia fuori dei confini della terra, avvolto nella tene· bra, come la casa di Ade, viene anche trasferito nelle profondità della terra. « Tenebra ll e « profondità terrestre '' sono soltanto espressioni diverse per dire che qui v'è qualcosa al di fuori della vicenda di giorno e notte, e quindi non soltanto fuori di ogni luogo, ma anche del tempo. Per giungere a una situazione come questa, il filosofo Par· menide, nella visione introduttiva del suo poema didascalico,. sale sul cocchio di Helios. Cosi egli crede, confermando invo· lontariamente l'intuizione fondamentale del mitologema della tazza solare, di giungere, attraverso la porta della vkenda di giorno e notte, a quello che per lui costituisce l'>
Se..
Il padre e il re
44
condo il senso grammaticale c·'è qui però qualcosa di apparen temente assurdo: al principio della creazione della terra per opera di Dio (in breve: al principio della creazione) la terra era deserta.. Dunque la terra già esisteva? Si, nel racconto. Il nulla può venire espresso in termini non filosofici, secondo lo stile dei mitologemi, soltanto come se fosse qualche cosa : terra o .acqua, o tutt'e due - soltanto, deserte. Con la logica non ci si può avvicinare a qUesta forma del racconto mitologico, perché essa è semplicemente forma e, come tale, inevitabile. Secondo paradosso : benché si parli dell'origine del mondo come di qualcosa accaduto al di fuori di colui che lo pensa, questo accadimento viene rappresentato come un venir fuori nella coscienza del pensante. Anche ciò è inevitabile. In tale venir fuori la tenebra, conforme all'esperienza, precede la luce . Se non si ponga di proposito la luce al principio come valore piti alto, ve la ritroviamo, come chiarezza, già nel momento successivo, subito dopo la tenebra: la chiarezza su ciò che nasce nel pensante, cioè il mondo. Non c'è ·da stupirsi che non soltanto luce e chiarezza in alcune lingue siano denominate con la mede· sima parola, ma che anche il mondo possa chiamarsi allo stesso modo. Cosi l'ungherese
vilag
ha tutti e tre i significati. Nel rac
conto biblico della creazione Dio comanda : Sia la luce. E la luce fu, prima ancora che fossero il cielo, il sole e le altre stelle. Nessuna cosmogonia è pensabile senza che il mondo « sor·
ga
"·
Ed esso sorge non altrimenti che nella luce. S'intende, in
colui che pensa : in una cosmogonia si dovrebbe naturalmente dire come il mondo per la prima volta sorse fuori! Qui noi in· contriamo il secondo paradosso, formalmente necessario, di ogni racconto cosmogonico. Né il vasto mondo, né la coscienza um.ana possono essere esclusi quali presupposti delle cosmogonie. E qui si presenta un terzo paradosso. Un mitologema cosmo· gonico, formato con materiale linguistico di questo mondo e rivissuto dalla coscienza, ha esso stesso il carattere di creazione,.
Il
45
Titflll{)
al pari di ogni creazione spirituale. Esso possiede tale carattere come opera che ci afferra alla maniera dell'opera d'arte. Al carattere di creazione appartiene anzitutto il paradosso della corrispondenza. Un'opera ha valore di creazione e non di mera compilazione soltanto quando corrisponde a ciò che nel nostro mondo è reale. Nel caso di un mitologema cosmologico questo paradosso cade. Avviene qui come in un'opera musicale, la pre tesa della corrispondenza non si solleva nemmeno. Nella forma del sorgere si ha .appunto un unico processo, che possiamo se· gnire, e nessun altro, al quale questo debba corrispondere. Al· trimenti verrebbe seguito appunto quest'altro, questo « reale e
cosi
si avrebbe la cosmogonia « propria
JJ
»,
che non potrebbe
essere confrontata con nessun processo phi « genuino ». Un mi tologema cosmogonico può essere accettatò soltanto senza con fronti, altrimenti si tratterebbe di una serie di ipotesi scientifi· che, non di un mitologema.
n terzo paradosso della cosmologia come tipo di racconto consiste dunque nel credito dato al mitologema della creazione, da accogliere spontaneamente, come si accoglie un'opera musi· cale. Al carattere di creazione appartiene cioè anche il para· dosso dell'autore. L'opera fatta di propria mano viene già dal suo autore - qualora si tratti realmente di creazione e non di compilazione - accolta in tal modo, quasi giungesse a lui come una specie di dono di una potenza piu alta, posta al di fuori della sua coscienza. Il narratore - lo sa benissimo - non era presente alla nascita del mondo. Ciò che egli racconta è opera sua. E tuttavia può riferirlo in modo credibile, perché la sua coscienza per prima lo .accolse come rivelazione. In ciò consiste l'attestazione : lo si crede, perché lo credette anche quegli che per primo lo udi - lo ndi soltanto. Per esempio dalle Muse, come Esiodo. Che cosa udi Esiodo? Segniamo la cosmogonia, che è conte· nuta nel suo poema intorno alla genealogia degli dèi, la Teogo ·
46
Il
nù.. Al
padre e il re
principio di tutto nacque il Caos, il vuoto, l'abisso. Poi
la Terra, l'elemento solido. Questa è la prima esplicazione in senso polare di quello che li comincia a svilupparsi. Ed Eros
fu il terzo elemento sorto con la prima emanazione,
e
causa di
emanazioni ulteriori. Dal vuoto abisso emanarono Erebos la Tenebra, e Nyx la Notte; e dall'unione di questi due i loro polari contrapposti: Aither la Luce celeste, ed Hemera il Gior· no. Quindi un'ulteriore emanazione polare da parte del Caos - di ciò che abbraccia, come un abisso. È la nascita della Luce e del suo equilibrato riscontro con la Notte : la nascita del Giorno. Entrambi: Giorno e Luce sono qui vuote, infeconde, mere nega· zioni della Notte gravida di una genia di larve, manifestazione di un pensiero che ritrova la sua particolare chiarezza nel mon do, e che è dotato di forte capacità di astrazione. Dall'altro lato procede un'altra emanazione. E semplicemente per il fatto che TWn viene tenuta presente la relazione temporale di queste emanazioni - se accadano contemporaneamente e con lo stesso ritmo, ovverG se il loro rapporto sia diverso, càpita a questa cosmogonia di rimanere fino al principio del re· gno di Zeus, fino al principio cioè dell'emanazione del nuovo ordinamento olimpico - del primo ordinamento in genere -, totalmente fuori del tempo. Solo con l'assoggettamento dei Ti tani e il collocamento forzato di Atlante a mantenere separati Cielo e Terra, solo con questi atti di fondazione di Zeus venne fissato un punto fermo, dal quale alla Notte e al Giorno fu pos· sihile cominciare a divergere l'uno dall'altro e armonizzare il loro alternarsi. Atlante sta li « davanti », scacciati, i quali rimangono dietro a lui,
>
la profonda
tenebra, definitivamente « foori '' dal mondo ordinato di Zeus. Davanti a lui - si può già dire, nel futuro - si avvicendano Giorno e Notte. Nella loro combinazione compare già un fnturo. Ma torniamo all'emanazione della Terra. Si tratta di un'ema· nazione di paesi - mari e monti - ma anzitutto di un'esplica·
Il Titano
47
zione polare. Come all'altro lato procede l'esplicazione polare dell'elemento privo di sostanza, cosi qui quella dell'elemento sostanziale. La Terra, la materna Gaia, genera il suo sposo, il Cielo stellato Urano. Dalla loro unione feconda nasce tutta la serie dei Titani, con Oceano alla testa. Costui apre la serie, e con Tetide la enumerazione delle Titanidi si chiude. Titani e Titanidi sono ugualmente compresi nel ciclo della primordiale generazione, :fin al piU giovane di essi, Crono, il quale ne provoc.a con la forza la cessazione. Questa cessazione al'·veniva anche in quell'altra cosmogonia accennata nell'Iliade, ma li per discordia tra i primi genitori. Oceano e Tetide compaiono in Esiodo in· sieme coi Titani, perché in questa cosmogonia si tratta qui per la prima volta di qualcosa di piu che non una pura esplicazione : cioè di una genesi. Nessuno dei Titani ha un nome esplicito, lo hanno piuttosto le Titanidi, che « esplicano » la prima dea Gaia, e quindi il primo femminino. l Titani hanno un nome enigmatico, in parte sicuramente non g�èco. lperiore rappresenta forse un eccezione . l'naiee, eh.Q non cond1v1ae la sorte ttel-rrltàii"f" �-��;·-�h�-,-,���e ··�&�allo·, Viene accolto nell'ordinamento der moiììlo di 7eus . . Eglr·;;···hifì'illm éòfi-'·'lfélibS:"'-MiSlèHOSò�- --eyipure· ·--m sostanza univoco, suona in om;;.; ir'd;;'ppio nome del Sole: Hyperioli EeHoi.-If .noìiie- iita: nìCO'TSempre al·p:fiìiiOposto:"La de;t�;n;�io�; che si presenta accanto a questa, Hyperionides, accenna al fatto che Helios ap· partiene a lperione solo in quanto figlio. Ed a ciò corrispon.lé anèlìe1aTiiiea genealogica di .Esiodo. co'n questo la misteriosa unità non scompare dal mondo omerico. Il carattere titanico appartiene alla piena dignità di Helios. Il siiO;;;>;-;; iii-Tit;,;;, è relatfvameiitt:_-f�a�Ji:a.r.e.;le : . press'a poco- equivalente al latino .. superi�r: ·c�� potrebbe çhiamru:&Uo stesso dio del Cielo. - ·-Dei rilD.an�iC!�� Titani, che Esiodo nomina in serie Koios, Krios, Japetos, il primo porta un nome che probabilmente non è greco, ma significa egualmente qualcosa di simile. Koios è ..
Il padre e il re
48
la forma maschile di Koia, un vocabolo raro, proveniente pro babilmente dall'Asia Minore, e il cui significato si è conservato. Esso vuoi dire lo stesso che in greco sphaira, « sfera » ; in que sto caso « sfera del cielo ». Per cui > sarebbe, come « Sp hairos », dio del cielo. Con tale significato s'accorda anche la serie genealogica che procede da lui. Sposa di Koios è Phoibe, loro figlie sono Latona e Asterie - questa con il nome traspa· rente di « Stellata » - e la figlia di Latona Artemide. La serie: Phoibe-Latona-Artemide è di carattere abbastanza lunare. Ac canto .a questa corre la serie: Phoihe-Asterie-Ecate con una dea, per nipote di Koios, forse ancora phi lunare. Il padre di Ecate si chiama Perses, un nome di cui una forma collaterale è por.. lata da un eroe di antichissimi mitologemi solari e lunari : Per seo, l'uccisore della lunare Medusa e il liberatore di Andromeda, ed esso stesso uno dei solari rampolli divini. Il significato dei nomi Perses-Perseus e dell'altra forma di . Perses è, insieme con Astraios e Pallante - il dio alato del Cielo -, figlio del Titano Krios, il qnale per mezzo di tale prole (sep pure non già per mezzo del nome, che ha lo stesso suono di krios, « ariete », in questo caso probabilmente > : cosi nell'Iliade e nell'Odissea vien chiamato Helios medesimo, e al pari di Hyperion Eelios anchè « eelios phaethon » prova l'identità di padre e figlio. Helios è frattanto padre anche di figlie. Due figlie del Sole custodiscono nell 'Odissea gli armenti di Helios: Phaethusa (cosi suona la forma femminile di Phaethon) e Lampetie (il nome significa parimenti la « splendente »). Se si prende in conside razione anche il tardo racconto di Fetonte, le sorelle sono tre: oltre Phaethusa e Lampetie, Aigle, la « lucente », oppure la
/
La ricerca della regma
62 « luce
"•
ed anche altre. Esse piangono il loro fratello precJ[H·
tato e nell'afflizione si tramutano in pioppi : in alberi di luce sulla corrente solare, dai quali stillano dorate lacrime di ambra. Tuttavia esse sono sempre li, servono il padre, sono le Heliadi, che al filosofo Parmenide attaccano i cavalli del Sole. In loro ci appare qUella misteriosa femminilità, quel soccorrevole atteg giamento sororale e al tempo stesso quell'aureo aspetto donnesco che i Greci percepiscono nel Sole, oltre la paternità di Helios. A questo accenna anche il femminile tedesco :
die
Sonne. Gli
antichi Lettoni cantavano appunto ciò nelle loro canzoni intorno alla figlia del Sole e alla madre
Sole. « Si, grande è la mia
stirpe », dice la materna dea Sole in uno dei canti,
e
quella
stirpe è principalmente di sesso femminile. Ci troviamo qui di fronte ,a un singolare fenomeno di pnmi· tiva intuizione del mondo. Accanto al mitologema della paterna forza del Sole - ovvero, considerando da un altro lato, al puro .aspetto solare dell'origine maschile della vita - vi sono mito· logemi di donne solari.
N oi qui intendiamo prendere con la
stessa serietà « carattere solare » e (( donna ». Usciremmo dalla mitologia, che ancora una volta va ascoltata come una lingua iDtellegibile,
e
le
diventeremmo
estranei,
se
interpretassimo
« donne solari » soltanto come un'espressione presa a caso al
feilllninile per indicare il Sole o la sua raggiante apparizione. In qualche modo si parla qui del Sole e allo stesso tempo anche della donna. Sappiamo .anzi che le dee lunari hanno col destino della donna e con l'essere femminile un rapporto almeno altret· tanto stretto che con la luna stessa. Luna e donna sono elementi di eguale valore nella storia della divina giovinetta che rìap· pare dopo essere stata
rapita..uccisa :
nel
mitologema,
cioè,
della regina degli Inferi Persefone '. L'aspetto lunare nell'essenza delle dee greche ci è familiare,
1
JuNG
e
KERÉNYI, Prolegomeni
ecc,
La lTUlga
63
il rapporto tra luna e donna è corrente. Tanto pm enigmatiche ci appaiono delle figlie del Sole, le quali hanno l'aria di aver ereditato qualcosa della sostanza patema, e hanno anche l'aria di manifestarlo. In corrispondenza a ciò, secondo il genere di espressione proprio della genealogia mitica, il significato della loro qualità di figlie, del loro essere Heliadi, sarebbe quello di mostrare l'essenza di Helios sotto un nuovo aspetto, in una particolare relazione. Ma dall'altro lato, non portano nulla con sé? Certo non a caso la madre di Phaethusa e di Lampetie porta nell'Odissea un nome lunare: ella si chiama Neaira, la « nuova >), esattamente come in latino Juno, una forma femminile di juvenis; soltanto che là si pensa piuttosto a una giovane donna, qui piut· tosto alla giovane luna. Poniamoci sott'occhio di nuovo quello che in Omero e in Esiodo, e poi anche in relazione con la storia di Fetonte, ci viene tramandato delle madri che hanno partorito figli solari. La madre delle figlie del Sole, che ne custodivano gli armenti, venne chiamata col nome di Neaira. Una parte molto piti im portante rappresenta nell'Odissea un'altra figlia del Sole.: Ci�ce. Sua madre si chiama là Perse, cioè con un nome che sta come forma femminile primaria al piuttosto secondario maschile Per ses o Perseus, nello stesso rapporto in cui Basile sta con basileus. Esiodo in luogo di Perse dice Perseis, quasi fosse lei la figlia di Perse come Ecate, la piti lunare forse di tutte le dee greche salvo Selene. Questa Perseis compare in Esiodo, per il quale essa non s'identifica con la « Perseis » Ecate, nell'elenco delle figlie di Oceano. Ma col suo nome primario di Perse ella sta li, per cosi dire, nella .sua forma originaria. E vi sta non solo come madre dei figli di Helios, che già per Esiodo è soltanto una ninfa, una delle tante oceanine, bensi come la sposa di Helios, la regina, nella quale il dio Sole entra per diventare ancor piti intimamente se stesso - phi intimamente padre, re e fors'anche piu intimamente Sole.
64
La ricerca della regina
Il poeta dell'Odissea può voler indicare coi nomi di Neaira e Perse differenti donne divine, amate da Helios : tuttavia la situazione mitologica rimane sempre la stessa. li dio Sole trova l'accoglimento che conviene alla sua essenza, e che anzi porta a perfezione il suo carattere essenziale di padre e di re. È un concepimento per mezzo di una donna e presuppone una conce pente. Quel concepimento dev'essere logicamente, non soltanto rispetto a tutti i figli di Helios, ma anche rispetto allo stesso Helios, padre e re, un proteron, un precedente. E già appar tiene a Iperione, al Titano, per cosi dire, al pre-Helios. L'ori ginaria concepente, la Theia, non è però necessario che sia una pre-Perse. Colei che concepisce e partorisce il Sole può rima nere sempre la stessa. l differenti nomi accennano ai differenti -lati della sua misteriosa essenza. E nessuno si adatta tanto a quella misteriosa sua qualità, per mezzo della quale ella, secondo l'espressione di Pindaro, dà valore all'oro (il che vuol dire: carattere solare al Sole), quanto appunto il primario-femminile nome solare « Perse ». l nomi che sono tramandati in connessione alla storia di Fetonte illuminano la sua essenza da un altro lato. Ovvero, parlando con piu esattezza, gettano l'ombra là dove risplende il piu puro oro. Se la madre di quel giovane Helios che è Fetonte, figlio del Sole, si chiama Klymene, « colei che esau disce » (e questo nome sembra già di per sé convenire alla Regina degl'Inferi), accanto a lei viene nominato come sposo un re Merops, equivalente a « primo uomo »· Secondo una diffe. rente tradizione ella medesima era Merope, la « femmina della specie umana », e il suo sposo, il padre di Fetonte, si chiamava Klymenos, cioè con un nome che si riferisce piuttosto al signore dei morti che non al dio Sole. È anzi lui che « oocatus atque nnn t'ocatus audit )l : colui che sempre esaudisce. l nomi Merope Merops, Klymene-Klymenos, conservano nel carattere della regina e sposa del Sole il lato d'ombra che conferisce mortalità.
65
La maga
E anche l'intuito poetico di Spitteler non ricollega forse l'in· nata dignità regale di Hera con il fatto che ella conferisce potenza, e con la mortalità? La mortalità della regina, dalla quale Zeus medesimo ottiene la signoria del mondo, era una sin· golare profonda intuizione, in risonanza involontaria col mitolo gema di Klymene e di Persefone. Tuttavia la parola « regina » si· gni:fica per noi anche qualcosa di puramente umano, in cui non pensiamo a ombra nè a tenebra di morte. Viené in tale parola espressa una possibilità dell'essere femminile, forse una delle sue forme primordiali, come in « madre )> o « vergine ». Si tratta sicuramente di qualcosa, che dev'essere presa con altret tanta serietà che « carattere solare » e
J
ne
è il femminile. Un nome adatto a una figlia del Sole, poiché circolare è il moto del Sole. Nel che anche gli Egizi ricono· scevano senza duhhio il carattere solare del loro sparviero del Sole. Nell'incantesimo d'amore i Greci impiegarono un piccolo uccello con voce di sparviero: il torcicollo, che però nell'azione incantatrice facevano volteggiare in cerchio. Ciò indica donde anche
l'incantesimo
d'amore
voglia
attinger
forza,
cioè
da
quella potenza accerchiante nella quale anche Circe, in quanto figlia, è radicata. Come incantatrice Circe non ha bisogno di rinnegare la pro� pria origine solare. Ella stessa certo non accerchia, al modo che poteva farlo la signora delle fiere nella sua forma alata. Anche nello stesso Omero appaiono talvolta ancora un dio o una dea setto forma di uccello. Ma Circe, dobbiamo tenerlo per fermo, rimane in tutte le sue azioni umana. Umana è quando con la sua potente bacchetta magica colpisce i compagni d'Ulisse e li rìn· chiude nel porcile : Ed essi di porci avean testa, �etole, voce e aspetto, ma la mente era quella di prima. E come piangenti furon chiusi, ad essi Circe gettò da mangiare ghiande e corniole, che sempre mangiano i porci che dormono in terra.
La maga
71
E umana è anche quando canta intenta « alla grande tela "• benché a questo seducente canto ci ricordiamo sinistramente della voce mortalmente incantatrice delle Sirene. Ma il tessere ! Quanto phi questo avvicina lei a una reale donna umana, che non faccia I'eterno pettinare della Loreley !
È poi un'altra questione se qnesta domesticità di una dea, la figlia di Helios e di Perse, appartenga
soltanto
al piano di uma·
nità, ovvero, tutt'al piO, soltanto alle doti di un'ordinaria inc.an.. tatrice. Omero fa precedere espressamente le relazioni di paren.. tela di Circe, ed esse non vanno dimenticate. « Una sorella ger· mana
(autokasignete)
del feroce Aiete
»,
che vuoi dire? Aiete
è, a giudicare dalla parte che rappresenta nel mitologema del vello d'oro, un re degli Inferi, il lato Ade di suo padre. Il suo nome è connesso, secondo la medesima legge di formazione, con
aia,
la « terra
gletes, con
>>,
aigle,
come ad esempio l'appellativo di Apollo, Ai. la « luce
"·
Se inoltre nella coppia fraterna
di Aiete e Circe debba esser passato in eredità anche il carattere solare del padre, ne consegue che, oltre il lato oscuro, sotter raneo, la coppia deve avere una metà chiara, celeste. Questa metà è Circe. Solo apparentemente la sua domesticità la porta giu sulla terra. Dobbiamo considerar meglio qnel « grande tes· suto
)>.
Nel fortemente mitologico ambito culturale del Nord, nel quale si sono conservate anche le canzoni lettoni del Sole runi dell'epos mitologico del pazioni caratteristiche
Kalevala,
e
i
filare e tessere sono occn·
della numerosa discendenza
solare. In un'antica canzone svedese è detto : Donna Sole sedette su una nuda pietra e filò sulla sua conocchia dorata tre ore, prima che il Sole sorgesse.
della dea
La ricerca della regina
72
Nel 41• runo del Kalevala l'effetto cosmico del canto sciama· nico di VB.jniimOjnen viene descritto nel modo seguente : Della luna la donzella e del Sol la bella figlia, .se ne stavan al telaio ed alzavan le spolette stoffa d'oro
a
ricamare
e d'argento ad adornare, sopra l'orlo d'una nube, sulla cima del grand'arco. (trad. PAVOLINI).
Con questo viene indicato come loro cc luogo » il margine del cielo. E che cosa tessano, ce lo chiarisce una canzone estone, in cui il tessere è l'attività dell'cc antico padre >>, dell'(( antico sapiente >> : il Dio creatore. Il rovescio fu tessuto al mezzogiorno, la piega nella casa dell'aurora, il resto nell'atrio del Sole. Lavorato al telaio, danzato al pedale un
abito d'oro tessuto alla Luna,
un velo fulgido al Sole...
Sarebbero dunque fenomeni di luce, che vengono filati e tessuti in tal modo. Mai però si tratta della spiegazione mitolo· gica di un fenomeno particolare, bensi, come espressamente attesta la canzone estone, della creazione del mondo. Si fila e si tesse continuamente il mondo. « Luce » può essere qui altret tanto poco la luce astronomica, quanto poco sotto il segno di Helios « giorno )) è il giorno astronomico. In questa luce, nella compagnia di questi fenomeni di luce, si svolge la vita. Conforme allo spirito della mitologia solare greca si dovrebbe dire che cosi vien filata e tessuta 1a vita, una vita .aurea, argentea, piena di
73
La maga luce.
Ciò
in realtà corrisponde all'occupazione
delle Moire.
Omero le chiama esplicitamente anche Klothes, le Filatrici, mentre d'altronde per lo phi soltanto la prima di esse è chia mata Klotho. Il verho che si riferisce a questo nome ha indub biamente come oggetto non il puro vivere, ma un contenuto di vita carico di destino, come Io
è
press'a poco il ritorno di Ulisse.
Esse sono li fredde dispensatrici del destino, come figlie asso ciate Dra alla Notte, ora a Zeus e alla giusta Temi. E una di loro dev'essere sempre quella che prende a filare. In Delfo se ne riconoscevano soltanto due: la Moira della nascita e quella
della morte. Lo stame delle Moire greche semhra filato non di luce solare o lunare, ma di misura e di morte. Che tuttavia, contrariamente a questa apparenza, si tratti di un filo di ori gine celeste, c e lo rivelano gli Ateniesi celebrando in un'iscri zione Afrodite Urania come la piu antica delle Moire. Di nuovo Mrodite, e precisamente quella « Celeste ))' ci ri conduce a Circe. L'afroditica incantatrice Certamente non essa sola
nell'Odissea:
è
anche tessitrice.
il che, trattandosi di
un ovvio genere di occupazione delle donne antiche, non ha in sé nulla di sorprendente. Frattanto Penelope, colei che in appa renza
è
la tessitrice puramente umana dell'Odissea,
è
a un tempo
quella che disfa il proprio lavoro. Il suo tessere corrisponde
a
questo riguardo al filare delle Moire. Forse anche il suo nome di uccello
(penelops
significa " anatra ») tradisce qualcosa della
sua condizione preomerica: la fignra dell'anatra, posta in risalto con tutti i mezzi nei vasi protocorinzi, accenna presumihilmente a una grande dea dell'origine della vita e della morte. Ma noi non intendiamo ora svelare i segreti di Penelope. Che « tessere )) possa esprimere il .generarsi della vita umana o del corpo, lo dimostra il comparire della tessitrice nelle simboliche pitture funerarie delle tomhe romane, e la parola greca gna il seme virile come filo da tessere, ed fidanzato cabiro.
è
mitas
che desi·
il nome dell'antico
La ricerca della regina
74
Si deve forse relegare la luminosa figlia del Sole nelle oscure profondità donde scaturisce la vita, dove nuovi esseri vengono tessuti con due diversi fili? Circe non è, anzitutto, una divinità materna. È vero che si ricordano figli di lei : figli e una figlia, Cassifone. Secondo il nome questa sarebbe la « fratricida » (quasi un altro nome di Medea, la quale in tal caso - cosi potrebbe ricostruirsi questa variante del mitologema - sarebbe la figlia della coppia di fratelli Aietes-Circe). Ma noi, nonostante la digressione, restiamo fermi alla fignra della Circe omerica. E questa, di certo, non è materna. All'incantatrice appartiene
piuttosto l'elemento atmosferico che non quello sostanziale-crea· tivo della maternità. Questo elemento atmosferico, che ella crea intorno a sé già col suo cantare, va riconosciuto come proprio di un'etéra, anche nel senso della rappresentazione omerica. Circe è inoltre colei che indica a Ulisse il cammino verso gli Inferi, e anzi ve lo manda. Anche senza di ciò l' etéra ha una relazione con la sfera mortale infera - per limitarci a ricordare di nuovo le Sirene -; l'una e l'altra cosa unite legano forse Circe alla profondità ctonia molto piu di quanto lo farebbe la sola maternità. . . Nell'antica Italia lo stretto rapporto tra morte e d etéra è par· ticolarmente palpabile. È questa un'intuizione immediata, altrei· tanto libera da intenti moralistici quanto in Omero la metamor· fosi dei compagni di Ulisse. Pianto rappresenta nel
Poenulus
la casa di un ruffiano : « Puoi tu vedere qui ogni specìe d'uo mini, come se .andassi nell'Averno >>. In un'altra commedia,
Bacchides,
il pedagogo designa la porta di casa di due giovani
libertine come > e « Oizus >> : Biasimo e Affanno - punizioni, dalle
quali l'umanità viene colpita , forse però a proprio vantaggio. Soltanto di Eris, la Discordia, dice Esiodo espressamente nelle
Opere e i Giorni,
ve ne sono di due specie: una buona e una
cattiva. Cosi aneh' essa non è ancora in sé diabolica, ma tra i suoi figli la malvagità viene già in primo piano : accanto alle Piaghe, che in sé possono essere senza malvagità e puramente mortali, anche « Phonoi )) e > (se non riesco a piegare i celesti, metterò in movimento l 'in ferno). È di nuovo Zeus, che nell'ottavo canto dell'Iliade accenna al fatto che Hera, quando si ritira, ricorre alle antiche potenze titaniche. E non solo con la preghiera, come nell'inno, ma nel fatto che ella condivide l'esilio sotterraneo degli antichi dèi celesti. E se in quest'occasione Zeus la chiama « cagna », ciò è da intendere piU nel senso di accanita e che sbrana, che di cc svergognata )) : Dell'ira tua non mi curo, neppur se agli estremi confini giungessi della terra e del mare, là dove Giapeto
e
Crono
siedono senza godere né i raggi del Sole·lperione, né i venti, e profondo hanno il Tartaro intorno; neppure se là tu giungessi raminga, di te non mi euro sdegnata, poiché di te non c'è niente pill cane.
Dalla superficie di una descrizione poetico·tipica siamo g1a da un pezzo pervenuti a quelle forze delle profondità cosmiche ate:mporali, il cui giuoco che determina l'eterno-umano si ogget.. tiva nei phi antichi mitologemi titanici e nei primitivi culti divini. Le nltime parole di Zeus si riferiscono a quella condizione di Hera, cui corrispondeva nel culto il suo appellativo « Chera », cc colei che è rimasta vedova », o qui forse pili propriamente « colei che è rimasta sola ». Queste parole esprimono un grande sprofondarsi e quindi un rimanere sprofondato nella tenebra, che sarebbe altrettanto facile riconoscere nella seconda metà del periodo lunare, quanto è facile riconoscere nella prima metà le altre due fasi di Hera, indicate nel culto per mezzo degli appellativi : la « Pais », la « fanc'iulla », e la « Teleia », « colei che è giunta a compimento » . Ora il telas, il compimento di cui qUi si tratta, non è certo sotto il segno di Hera un fenomeno astronomico, hensi il matrimonio.
La metà È
109
tempo di prendere in seria considerazione il fatto che Hera
rappresentava per i Greci la dea del matrimonio. Per mezzo della sua figura, quale abbiamo imparato a conoscerla, il matri monio non fu già giustificato come un'istituzione morale o anche soltanto vantaggiosa, bensi illuminato nella sua essenza. Illumi· nato come una forma totale dell'esistenza, la cui validità di natura in tutte le umane forme sociali viene dimostrata appunto con questo, che Hera vi appare insieme al suo lato tenebroso: che tali tenebre - il tragico allontanamento, le lotte e le ribel lioni - vengono comprese nel matrimonio e non lo smentiscono.
Il matrimonio è anzi la premessa che rende tragico quell'allon· tanamento, e possibili le lotte e le ribellioni. Esso da questa totalità di luminoso e di oscuro, e
cosi
è costituito
viene ricono
sciuto nel culto di Hera come dato di natura. Matrimoni umani possono andare in rovina, urtando contro una simile « totalità )) : Hera invece non soltanto si trova come «
teleia »
nel matri..
monio, nta percorre il matrimonio come qualcosa di « intero », quasi un « ciclo ». Hera e Zeus sono nella mitologia greca
la
coppia, proprio
nel senso che soltanto il loro matrimonio mostra questa totalità. Zeus stesso vi trova una pienezza. E.gli riceve in relazione alla sua unione con Hera l'appellativo di « egli non
teleios » .
Ma «
pierw »
è già come Hera, nel punto culminante di un ciclo,
che ha il suo significato soltanto allo zenit; hensi in quanto inte grato dall'altra metà - quella lunare e ctonia - ha nel suo ampio potere il mondo intero. Quando Hera si ritira completa mente nella tenebra, proprio allora Zeus possiede il mondo con tutte le sue tenebre. Hera sposo ciò che essa
è sempre soltanto in rapporto allo è : anche Chera, colei che è rimasta sola. Ella
rimane compresa in un ciclo, che in ognuna delle sue fasi viene determinato dalla relazione con Zeus. L'intera sna essenza si esaurisce in una forma dell'essere, che per lei significa, anche come pienezza, soltanto un esserè la « metà » . Ella può avere
La ricerca della regina
IlO
intorno a Zeus Ull4 vaata scienza, ma la potenza sta dal lato del nipote di Urano, dell'erede del Cielo che tutto abbraccia . Il tra·
gico non�essere-una-cosa-sola con Zeus tiene Hera a distanza
da quel centro - l'essenza di Zeus - stando nel quale la potenza rappresenta nn comprendere altrettanto ovvio quanto l'essere compresi dalla luce del cielo. Benché tutt'e tre gli appellativi delle fasi di Hera - Pais , Teleia, Chera - ci siano stati tramandati soltanto dall'arcadica Stinialo, le fasi stesse vennero celebrate anche in altri luoghi del suo culto. Esse corrispondono alle tre forme sotto cui appare la « divina fanciulla » , la sposa che si mostra madre tenera nei riguardi della propria figlia, ma piena d'ira nei riguardi d..Ilo sposo violento, il rapitore. Come qui madre e figlia sono nel lol'O nucleo essenziale identiche, cosi la figlia di Hera, Ehe, appare essere soltanto la sosia di sua madre, anzi la sua propria forma verginale, che conservava accanto a sé, come accompagnatrice, la grande dea ormai sviluppata, la Teleia. Ciò voleva essere l'espressione statico-plastica di quello che si raccontava nella forma mitologia corrispondente al ciclo : Hera che riemergeva sempre vergine dal bagno nella sorgente Kanathos. Questa cor· rispondenza nello sviluppo delle forme delle due sorelle Hera e Demetra - che diventavano qui « Hera e Ehe », là Demetra e Kore - viene confermata anche dal fatto che in un'iscrizione di Paro Demetra è designata come Hera, e in un'altra dello stesso luogo perfino Demetra e Kore come « Herai >> : « Here » al plurale. Come se in quell'isola « Hera » fosse in generale so].
tanto un titolo per indicare una « signora
)>
e « regina
)>
divina,
che là era Demetra. Alla base della 'corrispondenza c'è di sicuro la medesima sostanza, un primordiale, altrimenti irraggiungihile, elemento femminino e a un tempo lunare, che però mostra in Hera aspetti diversi che in Demetra. La differenza non appare in nessuna parte cosi acuta, come da
nn
Iato nella Kore rapita e dall'altro
lll
La metà
in Hera Pais o Parthenos, moe in Hera vergine. Il racconto, che Hera riacqui!!la la verginità per mezzo del bagno cultuale - giacché veniva immersa la sua statua di culto - ci viene tra� mandato come un mitologema segreto
dei
suoi
«
misteri
)J.
Questo racconto trae origine da!l'àmbito del santuario della grande dea di Argo, Hera Argeia, quella che contava per gli eroi di Omero. La sorgente Kanathos sgorga nei frutteti in vici nanza di Nauplia, e rinfresca l e ospiti di un piccolo chiostro
di suore. La stessa usanza con analogo significato si trovava di sicuro anche in altri luoghi di culto, dove veniva onorata Hera Parthenos, come in Ermione, e principalmente nella grande isola di Hera, Samo, che si chiamava anche Parthenia. La differenza essenziale tra una vergine tipo Kore come Nemesi o Artemide, ed Hera che riemerge dal bagno cultuale nella sua originaria verginità, consiste in ciò che essa non viene rapita, ma anzi è la sposa volontaria. Ed è Pais o Parthenos solo in rapporto a Zeus, come in rapporto a lui era Teleia e Chera. Il senso della riacquistata verginità sta appunto nel sacrificarla a lui. Per la dedizione che la fanciulla faceva di se stessa, Hera rimaneva il modello. Ciò che le accade non è né ratto né violenza, come fu il destino di Persefone, ma il connubio di una divina coppia di fratelli, nel quale la metà femminile ritrova quella maschile a lei strettamente affine. Il tabu umano dell'incesto ha qui tanto poco valore quanto nel caso di Kore Persefone, la quale fu rapita dallo zio, o in quello della madre Demetra, che venne perseguitata e violentata dal fratello. Le forze primigenie si mostrano in un libero giuoco. L'Iliade nel XIV canto parla affatto apertamente della prima unione di Zeus e Hera : quando in amore si unirono la prima volta recandosi
a
letto nascosti ai lor genitori.
Non si tratta qui, appunto, di vero e proprio « letto matri·
ll2
La ricerca della regina
moniale )), ma di un'usanza nota anche altrimenti e che era diffusa nell'antichità, particolarmente a Samo. Là si riferiva quest'usanza, che precedeva lo sposalizio, ad Hera e Zeus, e si pretendeva che la scena dell'unione divina fosse stata Samo. Secondo una narrazione, durò trecent'anni. Il suo frutto fu cosi si affermava, e in questo ci si scostava da Esiodo - Efesto,
il
difettoso. A Ermione si sapeva che Zeus si era conquistata la
vergine Hera sotto forma di cuculo. Tale, Hera Pai s : né Artemide, né vittima, come la figlia di Demetra, m a la compagna del giovane uomo, che godeva d'accordo con lui. Forse accenna a questo il nome di colei che le
è essenzialmente identica, Ebe
-
il
«
fiore di giovinezza » da
godere -, ma di sicuro vi accennava il piU drastico soprannome di « Pynna ». Anche la moglie Hera fu nel giuoco erotico e nel Jlieno abbandono a Zeus rappresentata in un modo, che sarebbe stato impossibile per qualunque altra dea. Le fonti letterarie ardiscono menzionare questa scena che si vedeva nel rilievo di nn
tempio,
soltanto perché credono trattarsi di
simbolismo
naturistico. M,a in fondo si tratta di un riattaccarsi al marito (�ome un lattante alla propria madre, un estremo sforzo per raggiungere un'unità originaria, perfetta. L'impulso verso la primitiva unità e l'essere condannata alla distanza costituisce l'essenza dell'eterna avversaria e ribelle, e l'essenza di quella forma di essere che ne costituisce il fonda mento - il matrimonio - quale sussiste in tutti i tempi sotto il segno di Hera. Questa nipote di Gaia e di Urano ricevette dalla iniziale unità degli antichi genitori la sna piu profonda essenza, e insieme, dalla prima malvagia azione di Crono suo padre, la ferita della separazione violenta. Necessaria era l'a· zione, necessaria la separazione. L'antica madre Gaia, che volle partorire, l'ha provocata. E tuttavia la separazione rimane ciò che Holderlin ha espresso in nna poesia di quattro versi in modo
La metà quasi altrettanto penetrante che
113 mitologemi di Hera o di
Medea: Volevamo dividerei, credevamo fo.sse bello e ben fatto; ' ma perché quest'azione ci atterrisce, come un delitto? Ahi, poco ci conosciamo, giacché in noi comanda un dio.
Hera porta in sé la separazione: t�nebr.a separata dalla luce del cielo, tenebra che inghiotte, collera titanica, malvagio pia cere di vendetta. Fin quando rimane nell'orbita luminosa di Zeus, confinata nel suo proprio ciclo, tutto ciò non la domina in modo definitivo. L'impulso la tiene nel complicato rapporto del conregnare nella vicinanza e del ribellarsi nella distanza. Lasciata fuori e scacciata da un tale ciclo, Medea ha le qualità di Hera, fondamentalmente identica a essa. Nel suo destino si compie il distacco originario, che genera l'omicidio. L'origine dell'omicidio ci si fa chiara, non però la sorgente di quella dignità di regina, che rende possibile a Omero di chiamare Zeus il « tonante sposo di Hera », .anziché pronunziare il suo nome. Colei che partecipa della sovranità dell'Olimpo e che sempre di nuovo si solleva > possiede, malgr:ado tutte le tenebre dell'abisso, questa dignità: l'aureo mistero, che ci attira oltre . . .
L'aurea
Quell'aurea fattezza femminile che andiamo rintracciando in questo studio, quelia letificante qualità deli'inteia stirpe solare che sembrava emanare non soltanto dal paterno dio Sole, ma anche dalla natura regale delia sposa del Sole e delia madre del Sole, l'abbiamo incontrata neli'essenza della figlia del Sole, Circe. Era il suo incantesimo afroditico. Uguale incantesimo solare dové appartenere anche a Medea, sedurre lei stessa e insieme circonfonderla, in quanto fu attratta e legata da Gia sone, e Giasone da lei. Se frattanto consideriamo questa nipote del Sole sotto l'aspetto di Hera, una dea olimpica che mostra meno il suo proprio sfondo titanico·steliare che non l'idea intrecciata in forma umana, allora riconosciamo indubbiamente anche un altro presupposto di queli'aspirazione ali'unità e alla vendetta, causate dall'esser separata, che sono caratteristiche di Medea. Questo presupposto è il carattere di metà. Appartiene alie profondità delia mitologia greca il fatto che tra le sue figure appaia come dea anche questo fenomeno in apparenza esclusivamente umano, il primitivo carattere di metà. Circa questa peculiarità di una grande dea si pensi non già a una casuale imperfezione, ma a una forma primitiva piena di significato. In Hera l'essere femminile si mostra non come qual·
La ricerca della regina
116
cosa che soltanto per caso è rimasto metà. Questa primordiale femminilità può venire rappresentata nelle medesime fasi come un'eterna forma dell'essere in sé. Cosi nella Fanciulla che in Demetra è madre e rinasce di nuovo in Kore. Nel suo proprio ciclo Demetra fu madre solo per riapparire in sua figlia come l'eterna indistruttibile Kore, la Fanciulla. Considerata sotto que· st'aspetto, perfino la maternità viene riferita ·alla femminilità come a una forma dell'essere che possiede il suo valore e rango in se stessa, e non già in una funzione come la « fecondità >>. Attribuire a una dea la « fecondità >> come significato esclusivo,
è possibile solo nel senso di una concezione che riconosce in generale nella donna soltanto una funzione e non già qualcosa che ha una sua propria esistenza, Anche il ciclo autonomo-femminile di Demetra non sta iso lato nel (( contesto >> cosmico di tutte le forme dell'essere. L'e1e mento virile penetra in esso come una potenza nemica - come assalitore, rapitore e violatore - e determina anche l'elemento femminile pienamente riferito a se stesso.
Sotto il segno di
Hera il medesimo ciclo rimane completamente chiuso e cionon dimeno manifesta il riferimento di tutte le sue fasi .ali'elemento virile. Quel ciclo non si mostra come qualcosa d'imperfetto, che in sé e per sé non può .avere nessun senso, ma COJDe (( metà >> fornita ugualmente
di significato.
L'essere
metà significa
in
questo caso il riferimento di un « tutto >> ad un .altro « tutto » a esso corrispondente.
Questo riferimento
dell'esistenza fem
minile vista come ciclo è in Hera altrettanto esclusivo quanto è esclusivo il riferimento a se medesimo dello stesso ciclo nel destino di Demetra e di sua figlia. Demetra diventò madre per essere di nuovo se stessa. Her.a allo stesso modo si rinnovò in Ehe. In tutt'altro modo ella fu la madre di Efesto, Ares, Tifone . Ciò accadde in virtU non di una fecondità materna e disinteres sata, ma della sua essenza, che è l'« essere metà >> e appunto per
ll7
L'aurea
questo desidera quella potenza che ogni « tutto " possiede in se stesso. Né Medea né Hera sono
> in virtll del loro essere
metà. La regina degli Inferi , la rapita e ritrovata Demetra-Kore, possiede questa dignità in una forma genuina, e tuttavia essa non è metà. In Virgilio si chiama «
domina Ditis )>,
la
), bensi come suo zio, una
patruus :
r.elazione che risale a un ratto e indubbiamente a una
fondazione del regno. A una fondazione del regno, inquan toché il primo ratto di fanciulla fu anche la prima morte, il primo presupposto del regno dei morti. Persefone e Ade s'integrano ,a vicenda. Ambedue esprimono il medesimo I'e gno, Ade, molto pill impersonalmente che non la misteriosa e tuttavia
assai
pill caratterizzata figur:a
della
sua
regina.
Sappiamo anche che alla innominabile, inesprimibile fanciulla, l'Arretos Kura dei m-isteri, ci si avvicina con un ramo d'oro, nel quale essa riceve, per cosi dire, l'oro della nostra vita; lo conserva, e certo, lo restituisce anche... Ed essa, l'accoglitrice di tutto l'elemento aureo, che proviene dal padre Helios e che senza
di lei si disperderebbe come polvere priva di v,alore, è
anche regina. Si manifesta forse qnesta forma primordiale del l'elemento femminile soltanto nell'accogliere che conserva, nel tener saldo la polverizzante potenza titanica? Dove risplenderà a noi l'idea della
BWlile,
o
Basi/eia?
Come una particolare persona divina Basileia compare in un tardo racconto mitologico, un 'invenzione di Dionigi Skyto brachion nel secondo secolo av. Cr. II materiale però non è li inventato : né l'antico re Urano, né sua moglie, l'antica madre Titaia, piu tardi denominata la « Terra
ll ,
né i loro figli, i
Titani. Da Dionigi Skytobrachion proviene solo l'affermazione che si tratti di racconti degli Atlantici intorno a dei loro re, piu tardi considerati divinità. Fu indubbiamente anche lui che
118
La ricerca della regina
in qu�sta preistoria atlantica fece di una Titanide, la phi antica dei figli di Urano e di Titaia, due persone : Basileia e Rea. Egli descrive Basileia in tal modo, come se fosse lei la grande Magna Mater dell'Asia Minore.
Questa, la Rea
Cibele,
appartiene
infatti a quelle dee che nel loro culto venivano onorate come «
regine ». Tuttavia anche Dionigi rimane fedele alla forma pri·
mitiva di quella
«
regina », verso la quale ci hanno portato le
nostre prime considerazioni, quand'egli racconta che Basilei.a, la prima Titanide, sarebbe diventata moglie d'Iperione, e per opera di lui madre di Helios e di Selene. Non si può dire neppure che la figura di Basileia risplenda per la prima volta - ma piuttosto che affiori da una mitologia popolare non classica - quando compare sulla scena dell'antica commedia attica. Negli
Uccelli
di Aristofane Prometeo, il ne·
mico degli dèi, che è al corrente dei loro segreti, dà a Pisthe· tairos il consiglio di chiedere in moglie Basileia ali'imbarazzato re degli dèi, Zeus. Per mezzo delle nozze con lei, la phi bella fanciulla divina, si otterrebbe la signoria del mondo. La parola
Basileia
significherebbe, con diversa
accentazione,
«
regno ».
La scena finale delle nozze, l'incoronazione del nuovo signore del mondo Pisthetairos, riposa frattanto non soltanto su un giuoco di parole, ma sull'idea che riC> , se senza di lei la vita sia ancora vita, vale in modo affatto particolare p-el matrimonio, proprio in quanto esso non soltanto serve alla « fecondità >>, ma può essere per donna e uomo
il
momento piu alto della vita. La parola
essere impiegata, come « frumento >> ,
dionysos
hephaistos
per
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