Jules Verne - Claudius Bombarnac

December 1, 2016 | Author: fulvix88 | Category: N/A
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Racconto...

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Jules Verne CLAUDIUS BOMBARNAC Disegni di Leon Benett incisi da T. Delangle, Froment e F. Moller Copertina di Carlo Alberto Michelini Titolo originale dell’opera

CLAUDIUS BOMBARNAC (1893) Traduzione integrale dal francese di GIUSEPPE CASTOLDI

Proprietà letteraria e artistica riservata – Printed in Italy © Copyright 1975 U. Mursia editore 1641/AC – U. Mursia editore – Milano – Via Tadino, 29

PRESENTAZIONE Due aspetti fondamentali della narrativa di Verne caratterizzano i due romanzi che presentiamo qui in un unico volume. Ne Il castello dei Carpazi predomina un tono dichiaratamente romantico, con elementi di suspense che ne rendono l'intreccio ancora più ricco e avvincente; in Claudius Bombarnac, invece, il registro è umoristico e a tratti persino grottesco. In entrambi, poi, si esprime ancora una volta il gusto dell'anticipazione scientifica e tecnica dì Verne: nel primo, il fonografo di Edison e la lanterna magica sono alla base della stregonesca invenzione del barone Rodolphe de Gortz che crea fantasmi parlanti; nel secondo viene addirittura anticipata la linea ferroviaria Transiberiana, che al momento della pubblicazione del romanzo era nella sua primissima fase di realizzazione. Il primo romanzo è ambientato in Transilvania, in un tetro castello che si erge minaccioso sulla catena dei Carpazi. Il villaggio di Werst, ai piedi di questo castello, è sotto l'incubo del Chort, come in quella località viene chiamato il diavolo: tutti tremano di paura nel vedere i ruderi della vecchia costruzione fumare e lampeggiare sinistramente, e nessuno osa avvicinarsi, ha guardia forestale Nic Deck, che tenta di accostarsi alle mura, viene colpita da una specie di fulmine e rimane come paralizzata per alcuni giorni. Il giovane conte Franz de Télek, di passaggio da quelle parti, sente parlare di quanto è successo e decide di tentare l'impossibile per svelare il mistero. A ciò lo spinge anche una strana coincidenza: il castello è di proprietà del barone Rodolphe de Gortz il cui nome suscita in lui il doloroso ricordo

di un grande amore perduto. Il conte infatti si era innamorato di una giovane e bellissima cantante lirica, la Stilla, di cui si era infatuato anche il barone de Gortz. ha giovane cantante era morta durante la sua serata d'addio al palcoscenico e la sua morte aveva portato Franz de Télek sull'orlo della follia. Rodolphe de Gortz era scomparso, l'occasione che si presenta è dunque quanto mai interessante e invitante per Franz, anche se l'avventura cui va incontro si rivelerà piena di incognite e più drammatica del previsto. Il romanzo è la storia di questa avventura che si colora sempre più di mistero, con pagine che hanno a tratti anche il fascino del brivido. Il secondo romanzo è la storia di un reporter, Claudius Bombarnac, cui il giornale parigino «The XXeme Siecle» ha affidato l'incarico di inviare un «servizio» sul viaggio inaugurale della nuova ferrovia transcaspica che collega Tiflis (Georgia) a Pechino. Ma il taccuino di viaggio di questa impresa avventurosa è qualcosa di più di un servizio giornalistico: sotto la penna di Verne si trasforma in un vero e proprio romanzo, o meglio in una sorta di commedia a sorpresa, i cui attori sono Fulk Ephrinell, rappresentante di denti… finti, Horatia Bluett, rappresentante di… capelli, il ridicolo barone Weiss-schnitzerdórfer, globetrotter sempre in ritardo, il maggiore Noltitz, l'altero signor Faruskiar, il giovane cinese Pan-Chao e il suo precettore Tio-King e tanti, tanti altri, per non parlare del misterioso personaggio che viaggia chiuso in una cassa che reca scritto: «Contenuto fragile». Tutto un campionario di personaggi che dà il via ad una trama intricata e arruffatissima che l'autore sbroglia solo alla fine con la consueta eleganza e disinvoltura.

JULES VERNE nacque a Nantes l'8 febbraio 1828. A undici anni, tentato dallo spirito d'avventura, cercò di imbarcarsi clandestinamente sulla nave La Coralie, ma fu scoperto per tempo e ricondotto in famiglia. A vent'anni si trasferì a Parigi per studiare legge, e nella capitale entrò in contatto con il miglior mondo intellettuale dell'epoca. Frequentò soprattutto la casa di Dumas padre, dal quale venne incoraggiato nei suoi primi tentativi letterari. Intraprese dapprima la carriera teatrale, scrivendo commedie e libretti d'opera; ma lo scarso successo lo costrinse nel 1856 a cercare un'occupazione più redditizia presso un agente di cambio a Parigi. Un anno dopo sposava Honorine Morel. Nel frattempo entrava in contatto con l'editore Hetzel di Parigi e, nel 1863, pubblicava il romanzo Cinque settimane in pallone. La fama e il successo giunsero fulminei. Lasciato l'impiego, si dedicò esclusivamente alla letteratura e un anno dopo l'altro – in base a un contratto stipulato con l'editore Hetzel — venne via via pubblicando i romanzi che compongono l'imponente collana dei «Viaggi straordinari – I mondi conosciuti e sconosciuti» e che costituiscono il filone più avventuroso della sua narrativa. Viaggio al centro della Terra, Dalla Terra alla Luna, Ventimila leghe sotto i mari, L'isola misteriosa, Il giro del mondo in 80 giorni, Michele Strogoff sono i titoli di alcuni fra i suoi libri più famosi. La sua opera completa comprende un'ottantina di romanzi o racconti lunghi, e numerose altre opere di divulgazione storica e scientifica. Con il successo era giunta anche l'agiatezza economica, e Verne, nel 1872, si stabilì definitivamente ad Amiens, dove continuò il suo lavoro di scrittore, conducendo, nonostante la celebrità acquisita, una vita semplice e metodica. La sua produzione letteraria ebbe termine solo poco prima della morte, sopravvenuta a settantasette anni, il 24 marzo 1905.

Indice PRESENTAZIONE _____________________________________________ 3

CLAUDIUS BOMBARNAC ______________________________ 7 Taccuino di un reporter________________________________________ 7 Capitolo I______________________________________________________ 8 Capitolo II ____________________________________________________ 17 Capitolo III ___________________________________________________ 26 Capitolo IV ___________________________________________________ 34 Capitolo V ____________________________________________________ 44 Capitolo VI ___________________________________________________ 53 Capitolo VII __________________________________________________ 64 Capitolo VIII__________________________________________________ 74 Capitolo IX ___________________________________________________ 83 Capitolo X ____________________________________________________ 91 Capitolo XI ___________________________________________________ 99 Capitolo XII _________________________________________________ 107 Capitolo XIII_________________________________________________ 114 Capitolo XIV_________________________________________________ 123 Capitolo XV _________________________________________________ 132 Capitolo XVI_________________________________________________ 140 Capitolo XVII ________________________________________________ 150 Capitolo XVIII _______________________________________________ 157 Capitolo XIX_________________________________________________ 167 Capitolo XX _________________________________________________ 175 Capitolo XXI_________________________________________________ 181 Capitolo XXII ________________________________________________ 187 Capitolo XXIII _______________________________________________ 197 Capitolo XXIV _______________________________________________ 204 Capitolo XXV ________________________________________________ 212 Capitolo XXVI _______________________________________________ 221 Capitolo XXVII ______________________________________________ 230

CLAUDIUS BOMBARNAC TACCUINO DI UN REPORTER

CAPITOLO I Claudius Bombarnac, reporter "XX Siecle" Transcaucasia Tiflis Questo era l'indirizzo del telegramma che il 13 maggio trovai arrivando a Tiflis. Ed eccone il testo: "Interrompendo qualsiasi altro incarico, in data 15 corrente, Claudius Bombarnac si trovi al porto di Uzun-Ada, litorale est mar Caspio. Là prenda treno diretto Grande Transasiatica fra frontiere Europa e capitale Celeste Impero. Trasmetta impressioni sotto forma di cronaca, interviste personalità di rilievo incontrate su percorso, segnalando minimi incidenti a mezzo lettere o telegrammi secondo necessità di buon servizio. " 'XX Siecle' conta su zelo, attività, abilità suo corrispondente al quale apre credito illimitato." Questo succedeva la mattina stessa del mio arrivo a Tiflis dove avevo l'intenzione di passare tre settimane e quindi proseguire, per visitare le province della Georgia a vantaggio del mio giornale e (speravo) di quello dei suoi lettori. Questi sono gli incerti e le alee dell'esistenza di un reporter viaggiante! A quell'epoca, le ferrovie russe erano collegate con la linea georgiana Poti-Tiflis-Baku. Dopo un lungo e interessante viaggio attraverso le province della Russia meridionale, avevo varcato il Caucaso e contavo di riposarmi nella capitale della Transcaucasia… Ma ecco che la dispotica amministrazione del "XX Siecle" mi concedeva solo una mezza giornata di sosta in quella città! Appena giunto sarei stato costretto a ripartire senza nemmeno aver avuto il tempo di aprire la valigia! Cosa volete? Bisogna soddisfare le esigenze dei servizi giornalistici e quelle, così moderne, delle

interviste! E dire che mi ero accuratamente preparato e abbondantemente fornito di documenti geografici ed etnologici riguardanti la regione transcaucasica. Valeva la pena di aver imparato che i berretti di pelliccia a forma di turbante che portano i montanari e i cosacchi si chiamano papakha, che la veste arricciata in vita dove si appendono le cartuccere laterali è chiamata tcherkeska dagli uni e bechmet dagli altri! Valeva la pena di essere in grado di affermare che i georgiani e gli armeni portano il berretto a pan di zucchero, che i mercanti indossano la tulupa, specie di pelliccia in pelle di montone, mentre i curdi o i parsi indossano ancora la burka, di tessuto peloso reso impermeabile dalla sua apprettatura! E della cuffia delle belle georgiane, il tassakravi, formata da un nastro leggero, da un velo di lana e da una mussola, che incornicia dei volti così belli; dei loro abiti dai colori sgargianti con le maniche abbondantemente aperte, dei loro sottabiti allacciati in vita, dei loro mantelli invernali in velluto guarniti di pelliccia e di argento agli alamari, della loro mantiglia estiva in cotonina bianca, lo tchadré, che esse tengono stretta sotto il gomito, di tutte queste mode, infine, di cui avevo così accuratamente preso nota sul mio taccuino di reporter, che ne avrei fatto ora? Andate un po' a imparare che le orchestre del paese sono composte di zurnas, clarini chiassosi, di mandolini con corde di rame che vengono pizzicate con una penna, di tchianuri, violini che si suonano verticalmente, di dimplipitos, specie di cimbali che crepitano come la grandine sui vetri delle finestre! Andate un po' a imparare che lo schaska è una sciabola sospesa a una bandoliera ornata di chiodi e di ricami d'argento, che il kindjall o kandjiar è un pugnale infilato nella cintura e che l'armamento dei soldati caucasici si completa con un lungo fucile a canna damaschinata ornata di convolvoli in metallo cesellato! Andate un po' a imparare che il tarantass è una specie di berlina poggiata su cinque sostegni di legno relativamente elastici, tra ruote piuttosto distanziate e di media altezza, che questa vettura è guidata da uno yemtchik appollaiato sul sedile anteriore a reggere le briglie di tre cavalli e che a lui si unisce un secondo postiglione, il falètre,

quando occorre prendere un quarto cavallo dal matritel che è poi il mastro di posta delle strade caucasiche! Andate un po' a imparare che la versta corrisponde a un chilometro e sessantasette metri; che le svariate popolazioni nomadi dei governatorati della Transcaucasia si dividono in famiglie: calmucchi discendenti degli eleuti, quindicimila; chirghisi, d'origine musulmana, ottomila; tartari di Kundrof, undicimila; tartari di Sartof, dodicimila; nogai, ottomilacinquecento; turcomanni, circa quattromila! Ed ecco che, dopo aver sgobbato così minuziosamente sulla mia Georgia, un ukase mi costringe ad abbandonarla! E non avrò nemmeno il tempo di vedere il punto del monte Ararat in cui il quarantesimo giorno del diluvio approdò l'arca di Noè, il primitivo cargo del famoso patriarca. E dovrò rinunciare a pubblicare le mie impressioni su un viaggio in Transcaucasia, rimetterci al minimo mille righe per le quali avevo a mia disposizione le trentaduemila parole della nostra lingua attualmente riconosciute dall'Acadèmie Française! È duro, ma non si può discutere! E per prima cosa, a che ora parte da Tiflis il treno per il mar Caspio? Alla stazione di Tiflis fanno capo tre linee ferroviarie: la linea ovest che finisce a Poti sul mar Nero, che è il porto dove sbarcano i passeggeri provenienti dall'Europa; la linea est che si ferma a Baku, dove si imbarcano i passeggeri che devono attraversare il mar Caspio; e infine la linea di centosessantaquattro chilometri che i russi hanno appena costruito fra la Circaucasia e la Transcaucasia, da Vladikarkaz a Tiflis, passando dal colle di Arkhot, a quattromilacinquecento piedi di altezza, che unisce la capitale georgiana alle linee ferroviarie della Russia meridionale. Vado di corsa alla stazione e mi precipito alla biglietteria. — A che ora il treno per Baku? — chiedo. — Andate a Baku? — risponde l'impiegato. E attraverso lo sportello mi lancia quello sguardo più militaresco che borghese che balena invariabilmente sotto la visiera dei berretti moscoviti.

— Immagino — dico io forse un po' troppo vivacemente — che non sia proibito andare a Baku. — No, — mi risponde lui seccamente — a patto che si sia in possesso di regolare passaporto. — Avrò un regolare passaporto — rispondo a quel poco socievole funzionario che, come tutti quelli della Santa Russia, mi sembra foderato d'un poliziotto. Poi mi limito a tornare a chiedere l'ora di partenza del treno per Baku. — Le sei di sera. — E si arriva? … — Il giorno dopo alle sette del mattino. — In tempo per prendere il piroscafo per Uzun-Ada? … — In tempo. E l'uomo dello sportello risponde al mio saluto con un saluto di meccanica precisione. La faccenda del passaporto non mi preoccupa affatto; il console di Francia saprà darmi tutte le referenze richieste dall'amministrazione russa. Le sei di sera e sono già le nove del mattino! Bah! Se si pensa che certi itinerari vi permettono di esplorare Parigi in due giorni, Roma in tre e Londra in quattro, sarebbe abbastanza strano che fosse impossibile vedere Tiflis in mezza giornata, e quando dico vedere, intendo de visu. Diamine, sono un reporter o no? Inutile dire che se il mio giornale mi ha mandato in Russia è perché parlo correntemente il russo, l'inglese e il tedesco. Pretendere che un cronista conosca tutte le migliaia di idiomi che servono a esprimere il pensiero nelle cinque parti del mondo, sarebbe veramente esagerato! Del resto se alle tre lingue già ricordate aggiungo il francese, si può andar lontano attraverso i due continenti. E vero, ci sono il turco di cui ricordo solo alcune locuzioni, e il cinese di cui non capisco una sola parola. Ma non devo temere di restare a bocca spalancata sia nel Turkestan sia nel Celeste Impero. Lungo la strada non mancano gli interpreti e faccio conto di non perdere il benché minimo dettaglio del mio percorso lungo la Grande Transasiatica. So vedere, e vedrò. Del resto, perché nasconderlo?

Sono di quelli che pensano che tutto è oggetto di cronaca, che la terra, la luna, il cielo, l'universo sono fatti per redigere articoli e non sarà la mia penna a restare disoccupata. Prima di visitare Tiflis, definiamo la faccenda del passaporto, Per fortuna, non si tratta di ottenere quel poderojnaia che una volta era indispensabile a chiunque viaggiasse in Russia. Quelli erano i tempi dei corrieri e dei cavalli di posta, e la potenza di quel documento ufficiale appianava tutte le difficoltà, garantendo il più rapido cambio di cavalli come pure le più gentili cortesie dei postiglioni e la massima rapidità dei trasporti, a tal punto che un viaggiatore ben raccomandato poteva superare in otto giorni e cinque ore le duemilasettecento verste che separano Tiflis da Pietroburgo. Ma quante difficoltà per procurarsi quel passaporto! Al giorno d'oggi basta un semplice permesso di circolazione: un permesso che comprovi in certo qual modo che non siete né un assassino né un condannato politico, che siete insomma ciò che in un paese civile si definisce un galantuomo. Grazie all'aiuto che mi presterà il nostro console a Tiflis non tarderò a essere in regola con l'amministrazione moscovita. E questione di due ore e di due rubli, dopo di che mi dedico corpo e anima all'esplorazione della capitale georgiana, senza prendere nessuna guida: non le posso soffrire. Per la verità, sarei stato in grado di guidare qualsiasi forestiero per i dedali di questa capitale che avevo tanto minuziosamente studiato prima. È un dono di natura. Girando a caso ecco che cosa individuo: prima di tutto la duma, che è poi il municipio dove risiede il golova, cioè il sindaco. Se mi aveste fatto l'onore di accompagnarmi, avrei rivolto i vostri passi verso la Krasnoia-Gora, la passeggiata lungo la riva sinistra del Kura, che corrisponde ai Champs Elysèes locali (qualche cosa che sta fra il Tivoli di Copenaghen e la fiera dei bastioni di Belleville, con i suoi katchéli, deliziose altalene le cui ondulazioni saggiamente studiate fanno venire il mal di mare). E dappertutto, fra il groviglio di baracconi da fiera, le donne in abito di festa che circolano a volto scoperto e di conseguenza — georgiane o armene che siano — tutte appartenenti a un culto cristiano. In quanto agli uomini, sono dei veri Apolli del Belvedere, vestiti

però meno semplicemente; sembrano tutti principi e mi domando se non lo siano in realtà. Infatti, non discendono forse da…? Ma lasciamo la genealogia per più tardi e continuiamo a grandi passi la nostra visita. Un solo minuto perso vuol dire dieci righe di servizio in meno e dieci righe di servizio in meno significano… Beh, dipende dalla generosità del giornale e del suo consiglio d'amministrazione. Ed ora svelti, al grande caravanserraglio. Là soggiornano le carovane provenienti da tutte le parti del continente asiatico. Eccone una in arrivo, composta di mercanti armeni, ed eccone un'altra che parte, formata da trafficanti della Persia e del Turkestan russo. Avrei voluto arrivare con la prima e partire con la seconda. Ma è impossibile e mi rincresce. Dopo l'istituzione delle ferrovie transasiatiche è raro incontrare ancora quelle interminabili sfilate di cavalieri, pedoni, cavalli, cammelli, asini, carri. Bah! Però non temo che il mio viaggio attraverso l'Asia centrale debba peccare di mancanza d'interesse. Ed ora eccoci ai bazar con i mille prodotti della Persia, della Cina, della Turchia, della Siberia, della Mongolia. Stoffe a profusione di Teheran, Sciraz, Kandahar o Kabul; tappeti meravigliosi per tessitura e colori; seterie…che non valgono quelle di Lione. Farò acquisti?… No! Caricarsi di bagagli per un percorso dal mar Caspio al Celeste Impero… mai! Valigetta in mano, borsa a tracolla basteranno. Biancheria?… me la procurerò strada facendo, come gli inglesi. Sostiamo davanti alle celebri terme di Tiflis dove le acque termali possono raggiungere i sessanta centigradi. Là si praticano i massaggi più perfezionati secondo le più recenti tecniche, il raddrizzamento della spina dorsale, lo stiramento degli arti. Ricordo quello che ne ha detto il nostro grande Dumas, le cui peregrinazioni non sono mai state prive d'incidenti: al caso, li inventava, quel geniale precorritore del servizio giornalistico a tutto vapore. Ma io non ho il tempo né di farmi massaggiare, né di farmi stirare. Guarda un po'! L'Hotel de France. Dove mai non c'è un Hotel de France? Entro e mi faccio servire la colazione: una colazione georgiana, innaffiata da un certo vino della Kachelia che si dice non ubriachi mai, a meno che non lo si aspiri bevendolo da quelle

bottiglie dal collo largo dove il naso entra ancora prima delle labbra. Ai russi, generalmente sobri, basta il loro infuso di tè, sembra, però con una discreta aggiunta di vodka che è la grappa moscovita per eccellenza. Io, francese e guascone per giunta, mi contento di bere la mia bottiglietta di vino della Kachelia come si beveva una volta il nostro Chàteau-Lafitte ai tempi sempre rimpianti in cui il sole ne distillava sulle colline di Pauillac. Per la verità questo vino del Caucaso per quanto un po' asprigno si accompagna decentemente alla gallina lessata, diciamo al pilau, il che permette di trovargli un sapore particolare. Argomento chiuso. Torniamo a confonderci con i sessantamila abitanti che ospita attualmente la capitale georgiana. Perdiamoci nel labirinto delle sue strade in mezzo alla popolazione cosmopolita. Molti ebrei che chiudono le loro giacche da destra a sinistra (così come scrivono) al contrario delle razze ariane. Forse che i figli d'Israele non sono i padroni in questo paese come lo sono altrove? Secondo un proverbio locale ciò dipende certamente dal fatto che ci vogliono sei ebrei per ingannare un armeno e nelle province transcaucasiche gli armeni sono molto numerosi! Giungo ad una piazza sabbiosa, dove giacciono a centinaia i cammelli con le zampe anteriori ripiegate, le teste allungate. Una volta erano a migliaia. Ma dopo la costruzione della ferrovia transcaspiana che risale a qualche anno fa, il numero di questi portatori forniti di gobba è diminuito in proporzione molto notevole. Provatevi un po' a far concorrenza ai bagagliai o ai carri merci con delle semplici bestie da soma! Seguendo le strade in discesa, sbocco sul viale che segue il Kura il cui letto divide la città in due parti disuguali. Da entrambe le parti si arrampicano case che si mettono in mostra, si accatastano, si superano. Fanno a gara a chi riesce a guardare sul tetto del vicino. Nelle vicinanze del fiume i quartieri sono molto commerciali con gran movimento di venditori di vino, dagli otri gonfi come palloncini, e di venditori d'acqua con i loro recipienti di pelle di bufalo ai quali sono applicati dei tubi simili a proboscidi d'elefante. Ed ora eccomi andare alla ventura. "Errare humanum est" dicono

volentieri i collegiali di Bordeaux quando se ne vanno bighellonando lungo la Gironda. — Signore — mi dice un buon ebreuccio mostrandomi una casa che mi sembra comunissima, — siete straniero? … — Eccome! — Allora non passate davanti a quella casa senza fermarvi per un momento ad ammirarla… — E cosa c'è da ammirarvi? … — Vi ha abitato il celebre tenore Satar, celebre per il suo fa di petto…e quanto glielo pagavano! Auguro a quel degno patriarca di poter lanciare un fa ancora meglio pagato e risalgo la collina sulla destra del Kura per avere una panoramica generale. In cima alla collina, in una piazzetta dove un cantantedeclamatore recita gesticolando dei versi del delizioso poeta persiano Saadi, mi abbandono alla contemplazione della capitale transcaucasica. Ciò che sto facendo lì, mi riprometto di ripeterlo a Pechino fra una quindicina di giorni. Ma, nell'attesa delle pagode e degli yamen del Celeste Impero, ecco che cosa Tiflis offre al mio sguardo: delle mura di fortezze, dei campanili di templi appartenenti a diversi culti, una chiesa metropolitana con la sua doppia croce, case in stile russo, persiano o armeno; pochi tetti, ma tante terrazze; poche facciate ricche, ma tanti balconi-veranda aggrappati ai vari piani; poi due zone nettamente distinte: la bassa, rimasta georgiana, e la alta, più moderna, attraversata da un lungo viale fiancheggiato da begli alberi fra i quali si intravvede il palazzo del principe Bariatinsky… C'è tutto un rilievo scorretto, capriccioso, imprevisto, una irregolarità meravigliosa che l'orizzonte delimita nella cornice grandiosa delle montagne. Sono quasi le cinque. Non ho tempo di abbandonarmi al torrente rimuneratore delle frasi descrittive. Affrettiamoci a ridiscendere verso la stazione. Là, trovo una certa affluenza di gente, armeni, georgiani, mingreliani, tartari, curdi, israeliti, russi delle rive del Caspio, gli uni che vengono ad acquistare il biglietto — oh, colore orientale! — per Baku, gli altri per le stazioni intermedie.

Questa volta sono perfettamente in regola. Né l'impiegato che pare un poliziotto, né i poliziotti stessi potrebbero opporsi alla mia partenza. Mi danno un biglietto di prima classe, valevole fino a Baku. Scendo sul marciapiede d'accesso al treno. Secondo la mia abitudine, vado a mettermi in un angolo di uno scompartimento piuttosto confortevole. Alcuni viaggiatori mi seguono, mentre il popolo cosmopolita invade gli scompartimenti di seconda e terza classe. Dopo il passaggio del controllore, vengono chiuse le portiere. Un ultimo fischio annuncia che il treno sta per mettersi in moto… Improvvisamente si sentono delle grida: delle grida in cui la collera si unisce alla disperazione e afferro queste parole dette in tedesco: — Ferma! … Ferma! … Abbasso il vetro del finestrino e guardo. Un uomo grosso, valigia in mano, berretto a visiera in testa, le gambe impacciate nelle pieghe di un'ampia palandrana, corre a perdifiato. È in ritardo. Alcuni impiegati vogliono trattenerlo…Sì, cercate di fermare una bomba nel pieno della sua traiettoria! Ancora una volta il diritto è sopraffatto dalla forza. La bomba teutonica descrive una curva felicemente calcolata e viene a cadere nello scompartimento accanto al nostro passando per la portiera che un viaggiatore compiacente tiene aperta. In quel momento, il treno si mette in movimento, le ruote della locomotiva scivolano sulle rotaie poi la velocità aumenta… Siamo partiti.

CAPITOLO II SIAMO partiti con tre minuti di ritardo: bisogna essere precisi. Un reporter non preciso è come uno studioso di geometria che trascura di spingere i suoi calcoli fino alla decima decimale. Questo ritardo di tre minuti ha permesso al tedesco di diventare nostro compagno di viaggio. Ho l'impressione che quel galantuomo mi darà materiale per i miei pezzi, ma è solo un presentimento. Sono le sei di sera e a questa latitudine nel mese di maggio fa ancora chiaro. Mi sono procurato un orario e lo consulto. La carta di cui è corredato mi fa conoscere una dopo l'altra le stazioni della ferrovia fra Tiflis e Baku. Mi sarebbe insopportabile non conoscere che direzione prenderà la locomotiva, se il treno salirà a nord-est oppure scenderà verso sud-est, tanto più che, scesa la notte, non vedrò niente non essendo nictalopo come i gufi, le civette, i barbagianni e i gatti dei tetti. L'orario mi dice che all'inizio la ferrovia segue pressappoco la strada carrozzabile che congiunge Tiflis al mar Caspio toccando Saganlong, Poily, Elisabethpol, Karascal, Aliat, Baku, attraversando la vallata del Kura. Non è tollerabile che una linea ferroviaria abbia degli scarti: per quanto è possibile deve seguire la linea retta. E così fa appunto la Transgeòrgiana. Fra le stazioni che essa mette in comunicazione ce n'è una che avrei voluto visitare a mio agio: è Elisabethpol. Prima di ricevere il telegramma dal "XX Siecle", avevo progettato di soggiornarvi per una settimana. Averne lette delle descrizioni così attraenti e fermarvisi — per cinque minuti soli — fra le due e le tre di notte! Invece di una città splendente sotto i raggi del sole, avere solamente una vaga visione generale confusamente intravista alla pallida luce lunare! Finito di spulciare l'orario, passo all'esame dei miei compagni di viaggio. Siccome siamo in quattro, inutile dire che occupiamo i quattro angoli dello scompartimento! Ho preso uno degli angoli sul lato del corridoio nel senso di marcia.

Ai due angoli opposti, sono seduti uno di fronte all'altro due viaggiatori. Appena saliti, calcatisi il berretto sugli occhi, si sono avvolti nelle loro coperte: georgiani, per quanto ho potuto capire. Ma essi appartengono alla razza speciale e previlegiata di coloro che dormono in treno e non si sveglieranno prima dell'arrivo a Baku. Da gente così non si può cavare niente; il vagone per loro non è altro che un letto. Davanti a me, invece, sta un tipo tutto diverso e che non ha niente di orientale: tra i trentadue e i trentacinque anni, una barbetta rossastra, sguardo vivace, naso da cane da ferma, bocca che non chiede che di parlare, mani amichevoli pronte a stringere quelle di chiunque; si tratta di un tipo alto, vigoroso, largo di spalle, busto imponente. Dal modo con cui si è sistemato dopo aver accomodato la sua valigia e aver disteso il suo scialle dai colori vistosi, ho riconosciuto in lui il traveller anglosassone, abituato ai lunghi spostamenti, più spesso su treni o piroscafi piuttosto che comodamente seduto nel suo home, ammesso che ce l'abbia. Deve essere un viaggiatore di commercio. Osservo che ostenta molti gioielli, anelli alle dita, spilla alla cravatta, gemelli da polso con vedute fotografiche, ciondoli rumorosi alla catena del panciotto. Benché non abbia né orecchini né anelli al naso, non sarei sorpreso che si trattasse di un americano… dirò di più, di uno yankee. E quello che fa per me. Sapere chi sono i miei compagni di viaggio, da dove vengono, dove sono diretti non è forse il compito di un reporter che ha bisogno di certe interviste? Comincerò dunque dal mio dirimpettaio. Immagino che non mi sarà difficile. Egli non pensa né a dormire né a contemplare il paesaggio illuminato ancora dagli ultimi raggi del sole morente. Se non mi sbaglio deve avere tanta voglia di rispondermi, quanta ne ho io d'interrogarlo: reciprocamente. Stavo per farlo… Un dubbio mi trattiene. Purché questo americano (giurerei proprio che lo è) non sia un cronista per conto di un "World" o un "New York Herald" qualunque, incaricato di viaggiare sul diretto della Grande Transasiatica! Questo mi farebbe andare in bestia! Qualsiasi cosa, ma non un rivale! La mia esitazione si prolunga. L'interrogherò o non l'interrogherò?

La notte è ormai prossima… Finalmente, stavo per aprir bocca, quando fui prevenuto dal mio compagno. — Siete francese? — mi domandò nella mia stessa lingua. — Sì, signore — gli risposi nella sua. Decisamente, eravamo persone destinate a comprenderci. Il ghiaccio è rotto e allora ci scambiamo domande reciproche. Ben noto è quel proverbio orientale: "Fa più domande un pazzo in un'ora di quante non ne faccia un savio in un anno". Ma poiché né io né il mio compagno abbiamo pretese di saggezza, ci abbandoniamo vicendevolmente mescolando i nostri idiomi. — Wait a bit 1 — mi dice il mio americano. Faccio notare questo modo di dire, perché nella nostra conversazione esso tornerà spesso come il colpo di corda che dà lo slancio all'altalena. — Wait a bit! Scommetterei uno contro dieci che siete un reporter! — E vincereste… Sì… reporter mandato dal "XX Siecle" per seguire le peripezie di questo viaggio. — Andate fino a Pechino? … — Fino a Pechino. — Anch'io — replica l'americano. Era quello che temevo! — Un collega? — chiesi aggrottando le sopracciglia con aria poco simpatica. — No… tranquillizzatevi… Non commerciamo lo stesso articolo, signor… — Claudius Bombarnac, di Bordeaux, felicissimo di aver come compagno di viaggio il signor… — Fulk Ephrinell, della ditta Strong Bulbul and Co. di New York (U.S.A.). Ha proprio aggiunto U.S.A. Ci eravamo reciprocamente presentati. Io, commesso viaggiatore di notizie, e lui, commesso viaggiatore di… di cosa? Devo ancora 1

Aspettate un momento (N.d.A.)

saperlo. La conversazione continua. Fulk Ephrinell ha viaggiato un po' dappertutto, e anche oltre, aggiunge. Conosce le due Americhe e quasi tutta l'Europa! Ma è la prima volta che mette piede in Asia. Parla… parla… e lancia continuamente i suoi wait a bit con facondia inesauribile. Che l'Hudson abbia la stessa caratteristica della Garonna, cioè di sciogliere per bene la lingua? Di conseguenza lo ascoltai per quasi due ore avendo modo di udire a malapena i nomi delle stazioni che venivano lanciati a ogni fermata: Sagan-long, Poily e altri. E dire che avrei voluto osservare il paesaggio blandamente illuminato dalla luna e scribacchiare qualche osservazione. Fortunatamente il mio compagno ha già attraversato le province orientali della Georgia. Mi indica le località, le borgate, i corsi d'acqua, le montagne che si profilano all'orizzonte. Le intravvedo appena…Maledette ferrovie! Si parte, si arriva e strada facendo non si è visto niente! — No — gridai — non c'è più il fascino del viaggiare in diligenza, in troika, in tarantass, con l'imprevisto della strada, l'originalità degli alberghi, il cicaleccio delle stazioni di posta, la bevuta di vodka degli yemtchiks… e a volte l'incontro di quegli onesti briganti la cui razza finirà per spegnersi… — Signor Bombarnac — mi domanda Fulk Ephrinell — ma rimpiangete seriamente queste cose? — Molto seriamente — risposi. — Con i vantaggi della linea retta della ferrovia, perdiamo il pittoresco della linea curva o spezzata delle strade maestre d'una volta. E ditemi un po', signor Ephrinell, la lettura di racconti di viaggi fatti una quarantina d'anni fa in Transcaucasia non è forse fatta per lasciarvi dei rimpianti? Riuscirò a vedere anche uno solo di quei villaggi abitati dai cosacchi, soldati e contadini nello stesso tempo? Riuscirò ad assistere ad uno almeno di quei "divertimenti" che tanto incantavano il turista, di quelle djinitovkas equestri con i cavalieri in piedi sui cavalli che lanciavano in aria le sciabole e scaricavano le pistole e vi facevano da scorta se eravate in compagnia di un alto funzionario moscovita o di un colonnello della Staniza?

— Certo, abbiamo perduto tutte queste belle cose — riprese il mio yankee. — Ma grazie a questi nastri di acciaio che finiranno per circondare il globo come un moggio di sidro o una balla di cotone, andremo in tredici giorni da Tiflis a Pechino. Ecco perché se avete calcolato degli incidenti… per distrarvi… — Ma certo, signor Ephrinell! — Illusioni, signor Bombarnac! non succederà niente né a voi, né a me. Wait a bit,vi garantisco il viaggio più monotono, più preciso, più casalingo, più terra terra, infine più piatto… come le steppe del Karakum che la grande Transasiatica attraversa nel Turkestan e le piane del deserto di Gobi che attraversa in Cina… — Vedremo — risposi io, — perché io viaggio per il piacere dei miei lettori… — Mentre io viaggio semplicemente per i miei affari. A questa risposta mi venne l'idea che il signor Fulk Ephrinell non sarebbe stato il compagno di viaggio che avevo sognato. Lui ha della merce da vendere, io non ne ho da comperare. Da questo momento prevedo che dal nostro incontro non nascerà un'intimità sufficiente per tutta la durata del viaggio. Dev'essere uno di quegli yankees di cui si può dire: quando stringono un dollaro fra i denti impossibile strapparglielo… e non riuscirei a strappargli niente di buono! Tuttavia so di lui che viaggia per conto della ditta Strong Bulbul and Co. di New York; ignoro però cosa tratti questa ditta. A sentir lui, la ditta Strong Bulbul and Co. dev'essere conosciuta dal mondo intero. Ma allora com'è possibile che io non la conosca, io, un reporter della scuola di Chincholle, il maestro di tutti noi! Mi sento in fallo perché non ho mai sentito parlare della ditta Strong Bulbul and Co. Mi propongo dunque d'interrogare Fulk Ephrinell su questo argomento, quando egli mi chiede: — Avete già visitato gli Stati Uniti, signor Bombarnac? — No, signor Ephrinell. — Verrete un giorno o l'altro nel nostro paese? — Forse. — Allora non dimenticatevi di esplorare a New York la ditta

Strong Bulbul and Co. — Esplorare? — E la parola giusta. — Va bene. Non trascurerò di farlo. — Vedrete allora uno dei più notevoli stabilimenti industriali del Nuovo Mondo. — Non ne dubito, ma potrei sapere? … — Wait a bit, signor Bombarnac! – risponde Fulk Ephrinell animandosi tutto. — Immaginatevi uno stabilimento colossale: ampie costruzioni per il montaggio e la messa a punto dei pezzi; una macchina che produce la forza di millecinquecento cavalli; dei ventilatori che fanno seicento giri al minuto; delle caldaie che divorano cento tonnellate di carbone al giorno; una ciminiera alta quattrocentocinquanta piedi; dei capannoni immensi per l'immagazzinaggio dei prodotti fabbricati che noi smerciamo per le cinque parti del mondo; un direttore generale, due vicedirettori, quattro segretari, otto vicesegretari, un personale di cinquecento impiegati e di novemila operai, un'intera legione di commessi viaggiatori (come colui che vi parla) che sfruttano l'Europa, l'Asia, l'Africa, l'America, l'Australia, per concludere un giro d'affari che supera annualmente i cento milioni di dollari! E tutto questo, signor Bombarnac, per fabbricare miliardi… Sì! dico proprio, miliardi di… A questo punto, il treno incomincia a ridurre la velocità sotto l'azione dei freni automatici; poi si ferma. — Elisabethpol! … Elisabethpol! — gridano il macchinista e gli impiegati della stazione. La nostra conversazione viene interrotta. Abbasso il finestrino dei mio lato ed apro la portiera, assai desideroso di sgranchirmi le gambe. Fulk Ephrinell, invece, non scende. Eccomi dunque, misurare a grandi passi il marciapiede di una stazione ben illuminata. Una decina di viaggiatori sono già scesi dal treno. Cinque o sei, dei georgiani, si accalcano sui gradini dei diversi scompartimenti. Dieci minuti di fermata a Elisabethpol: l'orario non ce ne concede di più. Subito ai primi tocchi della campana mi avvio verso il mio scompartimento, vi salgo e appena chiusa la portiera, mi accorgo che

il mio posto è stato preso. Sì… in faccia all'americano si è insediata una viaggiatrice con la tipica disinvoltura anglosassone, illimitata come l'infinito. E giovane? È vecchia? È bella? È brutta? L'oscurità non mi permette di giudicarlo. In ogni modo, la galanteria francese m'impedisce di tornare al mio angolo, mi siedo allora accanto a questa signora che non si scusa nemmeno. Quanto a Fulk Ephrinell, mi sembra che dorma e così ecco che devo ancora sapere cos'è che fabbrica a miliardi questa benedetta ditta Strong Bulbul and Co. di New York. Il treno è partito e Elisabethpol sta già alle nostre spalle. Cosa ho visto di questa graziosa città di ventimila abitanti a centosettanta chilometri da Tiflis, sul Gandja-tchai, tributario del Kura, che avevo particolarmente studiato?… Niente delle sue case di mattoni nascoste fra il verde: niente delle sue strane rovine; niente della sua magnifica moschea costruita all'inizio del XVIII secolo, né della sua piazza di Maidan. Dei platani meravigliosi, rifugio di corvi e di merli, che mantengono una temperatura sopportabile durante gli eccessivi calori estivi, ho appena intravisto i più alti rami in cui giocavano i raggi lunari e lungo le rive del fiume, che svolge le sue acque argentee e mormoranti di fianco alla strada principale, non ho visto che alcune case con giardinetti simili a piccole fortezze merlate. Nella mia mente è rimasta solo una sagoma incerta, presa al volo fra le volute di vapore eruttate dalla nostra locomotiva. Ma perché quelle case sempre sulla difensiva? Perché Elisabethpol era una piazzaforte una volta esposta ai frequenti attacchi dei lesghiani di Chirvan, montanari che, secondo il parere degli storici meglio informati, discendono direttamente dalle orde di Attila. Era quasi mezzanotte. La stanchezza mi invitava al sonno, ma, da buon reporter, volevo dormire soltanto con un occhio e un orecchio. Caddi però in quella specie di sonnolenza che producono le vibrazioni regolari di un treno in moto, miste a fischi laceranti, a rumori di frenature che precedono i rallentamenti, a frastuoni tumultuosi all'incrociarsi di due convogli. Durante le brevi fermate si sentono gridare i nomi di stazioni e sbattere le portiere che si aprono o chiudono con sonorità metallica… Fu così che sentii gridare Gèran, Varvara, Udjiarry, Kiurdamir,

Klurdane, e poi Karasul, Navagi… Mi raddrizzavo, ma non occupando più l'angolo dal quale ero stato tanto disinvoltamente allontanato, non potevo guardare attraverso il finestrino. E allora mi domando cosa nascondono quel mucchio di veli, di coperte, di gonne che intravvedo al mio posto usurpato. Domanda senza risposta. Questa viaggiatrice mi sarà compagna fino al termine della Grande Transasiatica? Scambierò con lei un simpatico saluto, incontrandola nelle strade di Pechino?… Dalla mia compagna, il mio pensiero torna al mio compagno che russa nel suo angolo in modo tale da ingelosire i ventilatori della ditta Strong Bulbul and Co. Ponti di ferro o d'acciaio, locomotive, lamiere per corazzature, caldaie a vapore, pompe per miniera?… Da quello che mi ha detto il mio americano ne faccio un rivale di Creusot, o di Cokerill o di Essen; insomma qualche formidabile stabilimento industriale degli Stati Uniti d'America. A meno che non me l'abbia data ad intendere… poiché non mi sembra "verde" come dicono al suo paese, il che significa che non ha precisamente l'aria di un ingenuo, il suddetto Fulk Ephrinell! Poi mi sembra di essere caduto a poco a, poco in un sonno di piombo. Sottratto alle influenze esterne non sento più nemmeno la stentorea respirazione del mio yankee. Il treno arriva a Aliat, vi fa una fermata di dieci minuti e riparte senza che io me ne sia accorto. Mi dispiace, perché Aliat è uh piccolo porto e di là avrei potuto dare una prima occhiata al mar Caspio e intravvedere quelle contrade che furono devastate da Pietro il Grande. Avrei potuto scrivere due colonne di cronaca storico-fantastica su questo soggetto mescolando il Bouillet al Larousse… Nonostante che non avessi visto niente di questo paese né della sua capitale, non sarebbe stato difficile far scattare la molla della mia fantasia… — Baku! Baku! … E questo nome che mi risveglia alla fermata del treno. Sono le sette del mattino.

CAPITOLO III LA PARTENZA del piroscafo avverrà alle tre del pomeriggio. 1 miei compagni di viaggio che devono attraversare il mar Caspio si affrettano a correre al porto. Perché si tratta infatti di prenotare una cabina o di segnare il proprio posto nelle sale del piroscafo. Fulk Ephrinell mi ha lasciato precipitosamente con queste sole parole: — Non ho un minuto da perdere! Devo occuparmi del trasporto dei bagagli… — Ne avete molti? — Quarantadue casse. — Quarantadue casse! — gridai. — E rimpiango di non averne il doppio. Permettete, vero? … Non sarebbe stato più frettoloso se avesse dovuto fare una traversata di otto giorni invece che di ventiquattro ore, per traversare l'Atlantico anziché il mar Caspio. Credetemi, lo yankee non ha pensato nemmeno per un attimo ad offrire la mano alla nostra compagna per scendere dal vagone. Lo sostituisco io. La viaggiatrice appoggiandosi sul mio braccio, salta… no, mette lentamente il piede a terra. Come tutta ricompensa ho avuto un thank you, sir pronunciato da una voce secca estremamente britannica. Da qualche parte, Thackeray ha scritto che una signora inglese ben educata è la più completa delle opere di Dio sulla terra. Non chiedo che di poter verificare questa galante affermazione nella nostra viaggiatrice. Ha rialzato la veletta. È una giovane signora o una vecchia zitella? Con queste inglesi, non si capisce niente! Dimostra venticinque anni, ha un colorito albinesco, un'andatura a scatti, un abito montante come una marea equinoziale, non porta occhiali pur avendo gli occhi azzurrissimi da miope. Mentre piego la schiena inchinandomi, mi onora di un saluto con il capo che fa muovere solo le vertebre del suo lungo collo, e si avvia verso l'uscita con passo regolare.

Molto probabilmente ritroverò questa signora a bordo del piroscafo. Quanto a me, non intendo scendere al porto che all'ora di partenza. Sono a Baku, dispongo di mezza giornata per visitare Baku e non ne perderò un'ora, visto che il caso delle mie peregrinazioni mi ha condotto a Baku. E possibilissimo che questo nome non risvegli in alcun modo la curiosità del lettore. Forse però, la sua immaginazione si infiammerà, se aggiungo che Baku è la città dei ghebri, dei parsi, la metropoli degli adoratori del fuoco. Circondata da una triplice cinta di mura nerastre e merlate, questa città è costruita vicino al capo Apcheron, sulle ultime ramificazioni della catena del Caucaso. Vediamo un po'! Sono in Persia o in Russia?… Senza alcun dubbio in Russia, visto che la Georgia è una provincia moscovita; ma è lecito credersi in Persia, poiché Baku ha conservato l'aspetto persiano. Vi visito un palazzo dei khan, puro prodotto dell'architettura del tempo di Schrahriar e di Sherasade, "la figlia della luna", sua spiritosa narratrice, un palazzo le cui fini sculture sono così fresche che sembrano aver appena ricevuto l'ultimo colpo di scalpello. Più lontano alcuni svelti minareti, e non le cupole panciute di Mosca la santa, si ergono agli angoli di una vecchia moschea in cui si può entrare senza togliersi le scarpe. È vero, il muezzin non lancia più alcuni versetti del Corano quando è l'ora della preghiera. D'altronde Baku possiede dei quartieri che sono veramente russi per usi e aspetto, con le loro case di legno senza alcuna traccia del colore orientale, una stazione dall'aspetto imponente, degna di qualsiasi grande città europea o americana e, al termine di questa strada, un porto moderno dove l'atmosfera è annerita dalle volute di fumo di carbone, vomitate dai fumaioli delle navi a vapore. Ci si domanda davvero che ci fa, questo carbone, in questa città di nafta. Perché questo combustibile dal momento che il suolo arido e denudato dell'Apcheron, dove non cresce che l'assenzio pontico, è tanto ricco di petrolio? A ottanta franchi ogni cento chili, fornisce la nafta bianca o nera che le necessità di consumo non inaridiranno per secoli. Fenomeno veramente meraviglioso! Volete un apparecchio

istantaneo d'illuminazione o di riscaldamento? Niente di più semplice: un buco in questo suolo, il gas ne esce e non avete che da accenderlo. E un gasometro naturale alla portata di tutte le borse. Avrei voluto visitare il famoso santuario di Atesh-Gàh, ma è a ventidue verste dalla città e non ne avrei avuto il tempo. E là che brucia il fuoco eterno mantenuto da centinaia d'anni da sacerdoti parsi, venuti dall'India, che non mangiano mai cibo animale. In altri paesi questi vegetariani sarebbero considerati semplicemente degli erbivori. Questa parola mi rammenta che non ho fatto colazione e poiché suonano le undici mi dirigo verso il ristorante della stazione dove non intendo affatto conformarmi al regime alimentare dei parsi di Atesh-Gàh. Entrando in sala incontro Fulk Ephrinell che ne esce precipitosamente. — E la colazione? — gli chiedo. — Fatta — mi risponde. — E i vostri bagagli?… — Ancora ventinove da trasportare fino al piroscafo… Ma scusatemi… non ho un minuto da perdere. Quando si rappresenta la ditta Strong Bulbul and Co. che spedisce settimanalmente cinquemila casse dei suoi prodotti… — Andate… andate, signor Ephrinell, ci vedremo a bordo. A proposito, avete forse incontrato la nostra compagna di viaggio? — Che compagna di viaggio? — Quella giovane signora che occupava il mio posto nello scompartimento… — C'era una giovane signora con noi? — Ma certamente. — Ebbene, lo vengo a sapere da voi, signor Bombarnac, lo vengo a sapere da voi! Così dicendo, l'americano varca la porta e sparisce. C'è d'augurarsi che prima di arrivare a Pechino io riesca a sapere quali sono i prodotti della ditta Strong Bulbul and Co. di New York. Cinquemila casse alla settimana… che produzione e che smercio! Consumata rapidamente la colazione, mi rimetto in campagna.

Durante la mia passeggiata ho avuto modo di ammirare alcuni magnifici lesghiani con la tcherkeska grigiastra con cartuccere sul petto, il bechmet di seta rosso vivo, le ghette ricamate in argento, le scarpe piatte senza tacco, il papakha bianco in testa, il lungo fucile di sbieco sulle spalle, lo schaskae il kandjiar in cintura, in breve veri uomini-arsenale, come ci sono gli uomini-orchestra, ma di aspetto magnifico e che devono fare splendido effetto nei cortei dell'imperatore di Russia. Sono già le due, e mi decido ad andare verso l'imbarcadero passando per la stazione dove ho lasciato in deposito il mio bagaglio. Eccomi dunque, valigia in una mano, bastone nell'altra, che prendo una delle strade che scendono verso il porto. Alla svolta di una piazza, vicino al punto dove la cinta è interrotta per dare l'accesso al molo, due persone che camminano di pari passo attirano la mia attenzione, non so proprio il perché. Si tratta di una coppia in abito da viaggio. L'uomo dimostra da trenta a trentacinque anni, la donna da venticinque a trent'anni;l'uomo bruno ma già un po' brizzolato, dalla fisionomia mobile, lo sguardo vivace, passo disinvolto e con un certo dondolio delle anche; la donna, bionda, ancora piuttosto bella, gli occhi azzurri, la carnagione un po' appassita, i capelli leggermente arricciati sotto la cuffia, un abbigliamento strano che non è di buon gusto sia per il taglio fuori moda, sia per il colore chiassoso. Si tratta verosimilmente di due sposi che il treno ha portato da Tiflis e forse anche, se il fiuto non m'inganna, due francesi. Ma nonostante li osservi curiosamente, essi non fanno altrettanto con me. Sono troppo occupati per potermi notare. Fra le mani, in spalla sono carichi di borse, cuscini, coperte, bastoni, ombrelli, parapioggia. Portano una massa di piccoli colli che non vogliono mettere insieme coi bagagli sul piroscafo. Provo il vivo desiderio di aiutarli. Non è un'occasione fortunata (e delle più rare) d'incontrare dei francesi fuori di Francia? Nell'attimo in cui sto per abbordarli, ecco riapparire Fulk Ephrinell che mi trascina via, lasciando indietro la coppia. Ma la partita è soltanto rimandata; li ritroverò sul piroscafo e faremo conoscenza durante la traversata.

— Ebbene — domando allo yankee — a che punto è l'imbarco del vostro carico? — In questo momento sta arrivando la trentasettesima cassa, signor Bombarnac… — E finora, nessun incidente? — Nessuno. — E che cosa contengono le vostre casse, per favore? … — Che cosa contengono?… Ah! ecco la trentasettesima! — gridò Fulk Ephrinell correndo verso un carro che arrivava in quel momento sul molo. Lì, c'è un movimento considerevole: l'animazione che distingue gli arrivi e le partenze. Quello di Baku è il porto più frequentato e più sicuro del mar Caspio. Derbent, che si trova più a nord, non potrebbe fargli concorrenza, ed esso assorbe quasi per intero il traffico mercantile di questo mare o piuttosto di questo grande lago che non comunica con nessuno dei mari vicini. Inutile dire che la creazione di Uzun-Ada, sul litorale opposto, ha duplicato il transito che una volta si svolgeva attraverso Baku. La linea transcaspiana, aperta alla circolazione di viaggiatori e merci, è la via commerciale per eccellenza che allaccia l'Europa al Turkestan. In un prossimo avvenire forse una seconda linea costeggerà la sponda persiana collegando le ferrovie russe meridionali alle ferrovie delle Indie inglesi, il che risparmierebbe ai viaggiatori la traversata del Caspio. E quando questo immenso bacino si sarà disseccato in seguito all'evaporazione perché non dovrebbe esserci una ferrovia su quel letto di sabbia per permettere ai treni di andare (senza alcun trasbordo) da Baku a Uzun-Ada? Nell'attesa della realizzazione di questo desideratum è necessario servirsi del piroscafo come io mi preparavo a fare con una numerosa compagnia. Il nostro piroscafo si chiama Astara e appartiene alla Compagnie Caucase et Mercure. E un grosso piroscafo a ruote che fa tre volte alla settimana il servizio da una riva all'altra. Molto largo di scafo, è stato sistemato in modo da poter caricare molte merci e i costruttori si sono preoccupati più dello stivamento dei carichi che non delle comodità dei passeggeri. Ma dopo tutto per una navigazione di

ventiquattro ore non è il caso di fare i difficili. All'accesso dell'imbarcadero c'è un tumultuoso afflusso di gente: gente che parte e gente che guarda quelli che partono, tutti provenienti dalla popolazione cosmopolita di Baku. Osservo che la maggior parte dei viaggiatori sono turcomanni ai quali si mescolano una ventina di europei di varie nazionalità, qualche persiano e anche due tipi provenienti dal Celeste Impero. Questi evidentemente diretti in Cina. L’Astara è letteralmente stivato di merci; la stiva non è bastata e buona parte del carico è rifluita sul ponte. La parte di poppa è riservata ai passeggeri, ma dalle passerelle gettate fra i tamburi delle ruote fino al castello di prua sono stati ammucchiati infiniti colli che delle incerate spesse e incatramate devono proteggere contro le ondate. Là sono stati deposti i bagagli di Fulk Ephrinell. Egli li ha tenuti d'occhio con un'energia da yankee, ben deciso a non perdere di vista il suo prezioso materiale: casse cubiche, alte, larghe e profonde due piedi, ricoperte di cuoio verniciato, accuratamente legate, sulle quali si leggono le parole Strong Bulbul and Co. New York. — La vostra merce è tutta a bordo? — chiedo all'americano. — Sta arrivando la quarantaduesima cassa — mi risponde. Infatti un facchino che si trova già sul ponte dell'imbarcadero la porta sul dorso. Mi sembra però che questo facchino sia un po' vacillante grazie certamente a una troppo prolungata bevuta di vodka. — Wait a bit — grida Fulk Ephrinell. Aggiungendo in buon russo per essere capito meglio: — Attenzione! … attenzione!… Il consiglio è ottimo, ma tardivo. Il facchino ha messo un piede in fallo. La cassa gli scivola alle spalle e cade… fortunatamente al di sopra dell'impavesata dell'Astara, si spezza in due lasciando cadere sul ponte una quantità di pacchettini la cui carta, lacerandosi, lascia uscire il contenuto. Che grido d'indignazione ha lanciato Fulk Ephrinell! E che pugno poderoso rifila al maldestro mentre ripete disperato: — I miei denti… i miei denti! … Ed eccolo trascinarsi sulle ginocchia per raccogliere i pezzettini di

avorio artificiale sparsi per tutto il corridoio davanti alle cabine mentre io non posso trattenere il riso. Sì! Sono denti che fabbrica la ditta Strong Bulbul and Co. di New York! Questa fabbrica gigantesca lavora per fornire cinquemila casse alla settimana alle cinque parti del mondo. E per rifornire i dentisti del vecchio e del nuovo continente, è per farli arrivare fino in Cina che questa fabbrica sviluppa la forza di millecinquecento cavalli e brucia cento tonnellate di carbone al giorno… Questo è veramente americano! Si dice che la popolazione del globo sia di millequattrocento milioni di anime e calcolando trentadue denti per abitante, ciò fa circa quarantacinque miliardi. Quindi se mai capitasse di dover sostituire tutti i denti veri con altrettanti falsi, la ditta Strong Bulbul and Co. non sarebbe nella possibilità di farlo! Ma dobbiamo abbandonare Fulk Ephrinell alla caccia dei suoi tesori odontologici. La campana manda gli ultimi rintocchi. I passeggeri sono tutti a bordo. L'Astara sta per mollare gli ormeggi. Improvvisamente si sentono delle urla provenire dalla banchina. Le riconosco, sono le grida del tedesco, quelle che ho già sentito a Tiflis nel momento in cui il treno per Baku si metteva in marcia. Infatti ecco il viaggiatore di cui dicevo. È senza fiato, corre, non ne può più. La passerella è già stata tolta e il piroscafo si sta già allontanando dal molo. Come farà a imbarcarsi questo ritardatario? Per fortuna un traversino rizzato a poppa dell'Astara trattiene ancora il piroscafo vicino alla banchina. Il tedesco appare nel momento in cui due marinai stanno manovrando i parabordi a sfera di attracco. Gli tendono la mano e lo aiutano a saltare a bordo… Decisamente l'omone ha l'abitudine del ritardo e perciò sarei meravigliatissimo se giungesse a destinazione. Intanto, effettuata la manovra, L’Astara si è messo in marcia sotto l'azione delle sue potenti ruote e ben presto è fuori dei passi. A circa venti metri di distanza una specie di ribollimento che sconvolge la superficie marina rivela un'agitazione profonda delle acque. In quel momento mi trovavo presso l'impavesata di sinistra e, con il sigaro in bocca, guardavo sparire il porto dietro la punta del capo Apcheron mentre la catena del Caucaso appariva all'orizzonte

verso ovest. Poiché mi restava fra le labbra un mozzicone del sigaro, dopo averne aspirato le ultime boccate lo getto a mare. In un attimo un tappeto di fuoco si propaga intorno allo scafo del piroscafo. Il ribollimento proveniva da una sorgente sottomarina di nafta ed è bastato quel mozzicone per infiammarla. Si sentono delle grida. l'Astara avanza fra volute ignescenti, ma un colpo di timone ci allontana dalla fonte del fuoco e ogni pericolo è ben presto scomparso. Il capitano, che si era portato a poppa, si limita a dirmi freddamente: — Avete commesso un'imprudenza. Io gli rispondo come si fa generalmente in questi casi: — Perbacco, capitano, non lo sapevo… — Si deve saper tutto, signore. Questa frase è stata pronunciata con voce secca e dura a qualche passo da me. Mi volto… E la tizia inglese che mi ha dato questa lezioncina…

CAPITOLO IV DIFFIDO per abitudine delle impressioni di viaggio. Queste impressioni sono soggettive (parola che uso perché è di moda, benché non abbia mai saputo ciò che significa). Un uomo allegro vedrà le cose allegramente, mentre uno triste le vedrà malinconicamente. Democrito avrebbe trovato un aspetto incantevole tanto alle rive del Giordano che alle spiagge del mar Morto, mentre per Eraclito sarebbero stati uggiosi i paesaggi del golfo di Napoli e le spiagge del Bosforo. Quanto a me, ho un carattere fortunato (perdonate se parlo troppo di me in questo racconto, ma è raro che la personalità di un autore non partecipi a quello che egli racconta: come si può vedere in Hugo, Dumas, Lamartine e tanti altri. Shakespeare è un'eccezione, ma io non sono Shakespeare; naturalmente non sono nemmeno Lamartine, Dumas o Hugo). Nonostante tutto, per quanto sia nemico delle dottrine di Schopenhauer e di Leopardi, debbo confessare che le rive del Caspio mi sono sembrate tetre e tristi. Nessuna animazione sul litorale, nessuna vegetazione, niente uccelli. Non ci si sente davanti a un grande mare; ciononostante, anche se il Caspio non è in realtà che un lago sprofondato ventisei metri al disotto del livello del Mediterraneo, questo lago è spesso turbato da violente tempeste. Una nave non ha possibilità di "fuggire" come dicono i marinai. Cosa sono poi un centinaio di leghe di larghezza? Con queste bufere, si fa presto a essere sbattuti dalla costa occidentale all'oriente e viceversa e i porti dove rifugiarsi non sono numerosi né in direzione dell'Asia, né in direzione dell'Europa. A bordo dell'Astara ci sono un centinaio di passeggeri: molti di questi sono caucasici che commerciano con il Turkestan, e quindi non ci accompagneranno fino alle province orientali del Celeste Impero. Infatti già da parecchi anni è in funzione la linea Transcaspiana fra Uzun-Ada e la frontiera cinese. Fra questo porto e Samarcanda ci sono non meno di sessantatré stazioni. E dunque in questo tratto del

tragitto che il treno depositerà la maggior parte dei viaggiatori. Di essi non mi devo preoccupare e non perderò tempo a studiarli. Mettiamo che uno di loro sia interessante: io lo lavoro, lo scavo "fino all'anima", e poi lui, al momento buono mi lascia. No! La mia attenzione sarà tutta per coloro che fanno l'intero viaggio. Ho già Fulk Ephrinell e forse anche quell'affascinante inglese che mi sembra diretta a Pechino. A Uzun-Ada troverò altri compagni di viaggio. Per ciò che riguarda la coppia francese, ancora niente, ma la traversata del Caspio non terminerà senza che io sappia come regolarmi sul loro conto. Poi ci sono anche quei due cinesi che, evidentemente, ritornano al loro paese. Se sapessi soltanto un centinaio di parole di konan-hoa (che è la lingua parlata dal Celeste Impero) forse potrei cavar qualche cosa da quei due bizzarri individui degni di decorare un paravento. Per dir la verità, mi occorrerebbe un personaggio circondato da un'aureola di leggenda, un eroe misterioso che viaggiasse in incognito, gran signore o bandito che fosse. Ma non devo dimenticare il mio doppio ruolo: di reporter per i fatti e di intervistatore per le persone… a un tanto la riga; devo scegliere bene: chi fa una buona scelta è generalmente fortunato. Per la scala della tuga, sono sceso nei saloni di poppa. Non ci si troverebbe un posto libero. Le cabine sono già occupate da passeggeri e passeggere che temono il beccheggio e il rullio. Sdraiatisi appena saliti a bordo, non si alzeranno che al momento in cui il piroscafo accosterà il molo di Uzun-Ada. In mancanza di cabina, altri viaggiatori si sono installati sui divani, colmi di piccoli bagagli e di lì non si muoveranno più. Trovatelo, se potete, un individuo romantico fra tutti questi addormentati minacciati dal mal di mare! Quanto a me, faccio conto di passar la notte sul ponte e a questo scopo risalgo per la scala del boccaporto di prua. Là, trovo l'americano che sta terminando di rimettere in sesto la sua cassa. — Lo credereste — grida — lo credereste che quell'ubriacone di un mugik ha avuto il coraggio di chiedermi la mancia? — Spero che non abbiate perso nulla, signor Ephrinell — ho replicato.

— No… per fortuna! — Posso sapere quanti denti importate in Cina in tutte quelle casse? — Un milione e ottocentomila, senza contare i denti del giudizio! E Fulk Ephrinell scoppia a ridere su questa facezia che deve aver già pronunciato molte volte. Lo lascio e raggiungo la passerella fra i due tamburi delle ruote. Il cielo è piuttosto bello e spira un vento del nord che minaccia di aumentare. Al largo, lunghe onde verdastre corrono sulla superficie del mare. E probabile che la notte sia più dura di quanto non si pensi. A prua del piroscafo, molti passeggeri: turcomanni cenciosi, chirghisi dagli occhi a mandorla, mugik vestiti da emigranti, poveri diavoli insomma, stesi sulle drome, contro le paratie, lungo le incerate. Fumano quasi tutti o sgranocchiano, le provviste che hanno portato per la traversata. Altri cercano già nel sonno il riposo alle loro fatiche, forse anche di scordare la fame. Mi viene in mente di mettermi a camminare avanti e indietro fra quei gruppi. Faccio come il cacciatore che batte i cespugli prima di appostarsi. Eccomi davanti alla montagna dei bagagli su cui lancio un vero sguardo da doganiere. Una cassa piuttosto grande, di legno bianco, su cui ricade un lembo d'incerata, attira la mia attenzione. Sarà alta un metro e ottanta per un metro di larghezza e di profondità. L'hanno messa lì con tutte le cure che richiedono queste parole scritte in russo sui fianchi: Specchi, Fragile, Teme l'umidità. E queste indicazioni: Alto, Basso che sono state rispettate. Poi, un indirizzo così formulato: Signorina Zinca Klork, viale Cha-Coua Pechino, provincia di Petchili, Cina. Come indica il suo nome, questa Zinca Klork deve essere romena; approfitta del treno diretto della Grande Transasiatica per farsi spedire degli specchi. Forse questo articolo manca nei negozi dell'Impero di Mezzo? Come fanno allora le belle celestiali ad ammirare i loro occhi a mandorla e le loro torreggianti capigliature? Suona la campana che annuncia il pranzo delle sei. La sala da pranzo è a prua. Vi scendo e trovo che una quarantina di convitati sono già seduti a tavola. Fulk Ephrinell s'è installato press'a poco al centro del salone.

Poiché c'è un posto libero accanto a lui, mi fa segno di andare a occuparlo e io mi affretto a prenderne possesso. Non so se sia semplice combinazione, ma la viaggiatrice inglese è seduta alla sinistra di Fulk Ephrinell che parla con lei e si crede in dovere di presentarmela. — La signorina Horatia Bluett — dice. Dirimpetto a me, vedo la coppia francese che sta studiando coscienziosamente il menu. All'altra estremità del tavolo, dalla parte della dispensa da dove provengono i piatti (cosa che gli permetterà di servirsi per primo) si è comodamente sistemato il viaggiatore tedesco, uomo di massiccia costituzione, dal volto rossastro come la barba e dai capelli biondi; le mani sono goffe, il naso molto lungo fa pensare alla proboscide dei plantigradi. Ha quell'aria sui generis degli ufficiali della landsturm minacciati da una precoce obesità. — Questa volta non è in ritardo — dico a Fulk Ephrinell. — Si è sempre puntuali per l'ora del pranzo nell'impero germanico! — mi risponde l'americano. — Sapete come si chiama quel tedesco? — Barone Weissschnitzerdörfer. — E va fino a Pechino con quel nome? … — Fino a Pechino, e così pure quel maggiore russo che si è seduto accanto al capitano dell'Astara. Guardo il personaggio in parola, età circa cinquant'anni, tipo molto moscovita, barba e capelli brizzolati, aspetto simpatico. Io so il russo, lui deve sapere il francese. Sarà lui il compagno di viaggio che sogno? — Dite che è un maggiore, signor Ephrinell? — Sì, medico dell'esercito russo e lo chiamano maggiore Noltitz. Decisamente l'americano è meglio informato di me, benché non sia un reporter. Poiché il rullio non è ancora molto sensibile, tutti mangiano di buon appetito. Fulk Ephrinell si intrattiene con la signorina Horatia Bluett e capisco benissimo perché c'è stato un ravvicinamento fra queste due nature così completamente anglosassoni. Infatti uno è rappresentante di denti, mentre l'altra è

rappresentante di capelli. La signorina Horatia Bluett rappresenta un'importante ditta di Londra: la Holmes Holme, alla quale il Celeste Impero fornisce annualmente capigliature femminili per due milioni. Ella si reca a Pechino su incarico della suddetta casa, per aprirvi una filiale dove si concentreranno i prodotti raccolti sulle suddite… e senza dubbio anche sui sudditi del Figlio del Cielo. L'affare si presenta sotto un aspetto ancor più favorevole, dato che la società segreta "Loto Blu" spinge alla soppressione del codino, emblema dell'asservimento dei cinesi ai tartari manciù. "Suvvia" penso "se la Cina manda i suoi capelli all'Inghilterra, l'America vi invia i suoi denti. È uno scambio di cortesie e tutto va per il meglio". Siamo a tavola da un quarto d'ora. Non è accaduto nessun incidente. Il viaggiatore dal volto glabro e la sua bionda compagna sembrano ascoltarci quando parliamo francese. Manifestano un piacere evidente e un visibile desiderio di unirsi alla nostra conversazione. Dunque, non mi sono sbagliato: si tratta di compatrioti, ma di che categoria?… In questo momento l'inclinazione dell’Astara si accentua; i piatti vibrano fra le caviglie fissate sulla tavola, le posate scivolano tintinnando, i bicchieri rovesciano parte del loro contenuto, le lampade a sospensione si allontanano dalla verticale o piuttosto sono i nostri sedili e la tavola che obbediscono ai capricci del rullio. Effetto curioso da osservare, quando si ha il temperamento abbastanza marino per non sentirsi male. — Ah! — mi dice l'americano — ecco quell'ottimo Caspio che incomincia ad agitarsi! — Soffrite il mar di mare? — gli chiedo. — Io? — mi risponde. — Quanto un delfino. E voi, signorina — fa rivolgendosi alla sua vicina — non avete mai avuto il mar di mare? — Mai — risponde la signorina Horatia Bluett. Dall'altra parte della tavola, la coppia si scambia qualche parola in francese. — Non ti senti male, signora Caterna? — No, Adolphe… non ancora… ma se dovesse continuare…

confesso che… — Via, Caroline, sarà meglio tornare sul ponte. Il vento è passato di una quarta a est e l’Astara non tarderà a ballare. Questo modo di esprimersi indica che il "signor Caterna", poiché tale è il suo nome, è marinaio o lo è stato. Questo spiega il suo camminare ancheggiando. Il beccheggio ora è molto forte. La maggioranza dei commensali non può sopportarlo. Passeggeri e passeggere, una trentina circa, hanno abbandonato la tavola per andare a respirare in coperta. L'aria aperta li rimetterà. Non siamo più che una decina, in sala da pranzo, compreso il capitano che si intrattiene tranquillamente con il maggiore Noltitz. Fulk Ephrinell e la signorina Bluett mi sembrano abituati a questi inevitabili incidenti della navigazione. Il barone tedesco mangia e beve come se fosse seduto a tavola in una birreria di Monaco o di Francoforte: tenendo il.coltello con la destra e la forchetta con la sinistra, fa dei mucchietti di carne che condisce con sale, pepe e salsa e poi introduce sotto il labbro barbuto con l'estremità del coltello… Bah, che modi teutonici! Comunque sia, tiene duro e non saranno certo le oscillazioni del rullio, né le scosse del beccheggio che lo faranno rinunciare a un boccone o a una sorsata. Un po' più lontano stanno i due cinesi che osservo curiosamente. Uno, è un giovanotto dal portamento distinto, venticinque anni circa, fisionomia gradevole nonostante il colorito giallo e gli occhi a mandorla. Alcuni anni passati senza dubbio in Europa hanno certamente europeizzato i suoi modi e persino il suo abito. Ha baffi sottili, sguardo spirituale, pettinatura più francese che cinese. Mi sembra un ragazzo simpatico, di carattere gaio e che non deve salire spesso la "torre dei rimpianti" per usare una metafora del suo paese. Il suo compagno, di cui lui ha tutta l'aria di burlarsi è, al contrario, il tipico pupazzo di porcellana dalla testa mobile; da cinquanta a cinquantacinque anni, il viso sornione, la parte alta dell'occipite rasata per metà, il codino sulla schiena, l'abito tradizionale: sopravveste, giacca, cintura, pantaloni a sbuffo e babbucce multicolori: una porcellana cinese della "Famille Verte". Lui non può resistere e, dopo un beccheggio particolarmente forte

accompagnato da un frastuono di stoviglie, si alza e sparisce per la scala della tuga. E il giovane cinese si mette a gridare tendendogli un volumetto che ha abbandonato sulla tavola: — Cornaro!… Cornaro!… Cosa c'entra quella parola italiana in una bocca orientale?… Forse che quel cinese parla la lingua del Boccaccio? … Il "XX Siecle" ha diritto di saperlo e lo saprà. Intanto la signora Caterna si alza pallidissima e il signor Caterna, marito modello, la segue in coperta. Finito il pranzo, lascio Fulk Ephrinell e la signorina Bluett chiacchierare… di rappresentanze e di prezzi correnti e me ne vado a passeggiare a poppa dell'Astava. La notte è ormai fonda. Veloci nubi, scacciate dall'est, ricoprono le zone alte del cielo dove fa capolino qualche rara stella. La brezza rinfresca. Il fanale bianco del piroscafo tintinna dondolandosi all'albero di trinchetto. I due fuochi di posizione, seguendo il rullio, mandano sulle onde lunghe strisce di luci verde o rossa. Presto rivedo Fulk Ephrinell. Dal momento che la signorina Bluett si è ritirata in cabina, va a cercare nel salone di poppa un angolo di divano per distendervisi. Gli auguro la buona notte e egli mi lascia dopo avermi gratificato di un analogo augurio. In quanto a me, avvolto nelle mie coperte e addossato a qualche angolo del ponte dormirò meglio di un marinaio che non è di guardia. Sono soltanto le otto. Accendo un sigaro e a gambe divaricate per assicurarmi l'equilibrio contro il rullio, comincio a passeggiare lungo l'impavesata. I passeggeri di prima classe hanno già abbandonato il ponte e io mi ci trovo quasi solo. Sulla passerella va avanti e indietro il primo ufficiale, sorvegliando la rotta che è stata data al timoniere, situato alla barra presso di lui. Le pale delle ruote battono violentemente il mare, emettendo una specie di tuono quando l'una o l'altra gira a vuoto. Un fumo acre volteggia intorno alla parte superiore del fumaiolo che vomita fasci di scintille. Alle nove la notte è scurissima. Cerco di individuare al largo qualche fanale di piroscafo, ma senza riuscirvi: il Caspio è un mare poco frequentato, Non si sentono che grida di uccelli marini, gabbiani e procellarie, che si abbandonano in balia del vento.

Durante la mia passeggiata, sono ossessionato da un pensiero: se il viaggio dovesse compiersi senza che possa cavarne per il giornale… La direzione me ne riterrebbe responsabile e avrebbe ragione. Come! Nessuna avventura da Tiflis a Pechino!… Evidentemente la colpa sarebbe mia. Perciò sono deciso a tutto pur di evitare una simile disgrazia. Sono le dieci e mezzo quando vengo a sedermi su una delle panchine a poppa dell'Astava. Ma con questa brezza da tergo mi è impossibile restarvi. Mi rialzo e vado verso prua tenendomi al capodibanda. Sotto la passerella, fra i tamburi delle ruote sono talmente scosso dal vento che debbo cercare un riparo lungo i bagagli ricoperti dall'incerata. Disteso fra le casse, stringendomi nella coperta, la testa appoggiata all'incerata non tardo a assopirmi. Dopo un po' di tempo di cui non ho nozione esatta, sono risvegliato da uno strano rumore. Da dove proviene?… Ascolto con maggior attenzione. Si direbbe che qualcuno russi accanto al mio orecchio. "È qualche passeggero di prua" penso. "Si sarà intrufolato sotto l'incerata fra le casse, e non deve trovarsi troppo male in questa cabina improvvisata". Alla luce che filtra dalla parte inferiore della lampada dell'abitacolo, non vedo nulla. Tendo di nuovo l'orecchio… Il rumore è cessato. Mi guardo in giro… non c'è nessuno in questa parte del ponte, poiché i passeggeri di seconda classe sono distesi a prua. Via, avrò certamente sognato e riprendo la mia posizione per dormire… Questa volta non mi sbaglio! Il rumore ha ripreso e mi accorgo che proviene dalla cassa a cui appoggio la testa. — Perbacco! — mi dico. — Lì dentro c'è un animale! Un animale?… Quale?… Un cane?… Un gatto?… No! Perché avrebbero nascosto in questa cassa un animale domestico?… Una fiera allora… una pantera, una tigre, un leone. Mi lancio su questa pista… Delle fiere che vengono spedite a un serraglio o a qualche sultano dell'Asia centrale. Questa cassa è una

gabbia e se la gabbia si aprisse…se la fiera si slanciasse sul ponte…che incidente di viaggio… che soggetto da cronaca!… E vedete un po' fin dove può giungere la sovreccitazione celebrale di un reporter in cerca di un servizio; bisogna che sappia a tutti i costi a chi è mandata questa fiera, se è diretta a Uzun-Ada o se prosegue fino in Cina… Ci dev'essere l'indirizzo sulla cassa. Prendo un cerino, lo sfrego e siccome sono sotto il vento, la fiamma si tiene diritta… Cosa vedo alla sua luce?… La cassa contenente la fiera è precisamente quella con l'indirizzo: Signorina Zinca Klork, viale Cha-Coua, Pechino Cina!… Fragile la mia belva! Teme l'umidità il mio leone!… E va bene! Ma a che scopo la signorina Zinca Klork, questa bella (perché deve essere bella) romena (perché deve essere certamente romena), si fa spedire una belva in scatola con quella qualifica? Ragioniamo un po' invece di sragionare. Questa bestia, qualunque essa sia, deve pur mangiare, deve pur bere. Ora, partendo da UzunAda occorrono undici giorni per attraversare l'Asia e giungere alla capitale del Celeste Impero. E allora, chi darà da bere all'animale, e chi gli darà da mangiare se non deve uscire dalla sua gabbia dove deve star rinchiusa per tutto il viaggio? Il personale della Grande Transasiatica non avrà per la suddetta fiera che tutte le delicate attenzioni richieste per il trasporto di uno specchio, poiché tale è il contenuto dichiarato della cassa e quindi la bestia morirà d'inanizione! Tutte queste cose mi turbinano in testa, le idee mi si confondono. "È un bel sogno che mi abbaglia o sono sveglio?" come dice la Margherita del Faust in una frase più lirica che grammaticale? Non posso più resistere. Sento un peso di due chili su ogni palpebra; mi lascio cadere lungo l'incerata; avvolto strettamente nella coperta, cado in un sonno profondo. Quanto tempo ho dormito? Forse da tre o quattro ore. Ad ogni modo è certo che non faceva ancora giorno quando mi sono svegliato. Dopo essermi fregato gli occhi, mi sollevo, mi alzo e mi appoggio all'impavesata.

L’Astara è un po' meno scosso dal mare lungo da quando il vento è passato a nord-ovest. La notte è fredda. Mi scaldo misurando il ponte a gran passi per una mezz'ora. Non pensavo neanche più alla fiera, ma bruscamente me ne ricordo. Non converrebbe che richiamassi l'attenzione del capostazione di Uzun-Ada su quell'inquietante bagaglio? In fin dei conti, non è affar mio. Vedremo prima della partenza. Guardo l'orologio: sono solo le tre del mattino. Vado a riprendere il mio posto e, con la testa appoggiata alla parete della cassa, chiudo gli occhi… Improvvisamente, un nuovo rumore… questa volta, non mi posso sbagliare… uno sternuto semisoffocato ha fatto tremare le pareti della cassa… Nessun animale ha mai sternutato in tal modo! Possibile? Un essere umano è nascosto in quella cassa e si fa trasportare dalla Grande Transasiatica in barba alla bella romena?… Ma sarà un uomo o una donna?… Mi è sembrato che lo sternuto avesse risonanza maschile. Impossibile dormire, ora. Come tarda a farsi giorno e come sono impaziente di esaminare quel bagaglio! Volevo degli incidenti, ebbene! eccone uno e se non ne ricavo cinquecento righe di cronaca… Dei biancori incominciano a sfumare l'orizzonte a est. Le nubi dello zenit ne ricevono una prima colorazione, Infine compare il sole umido ancora degli spruzzi delle onde. Guardo, è proprio la cassa diretta a Pechino. Osservo che ci sono dei fori qua e là dai quali si rinnova l'aria all'interno. Forse attraverso quei fori un paio d'occhi spia ciò che succede fuori!… Non devo essere indiscreto… A colazione si trovano tutti i commensali di ieri che sono rimasti indenni dal mal di mare: il giovane cinese, il maggiore Noltitz, Fulk Ephrinell, la signorina Horatia Bluett, il signor Caterna, solo, il barone Weissschnitzerdörfer e sette o otto altri passeggeri. Mi guarderò bene dal confidare all'americano il contenuto della cassa… Non avrebbe che da commettere un'indiscrezione e allora addio alla mia cronaca! Verso mezzogiorno la terra è segnalata in direzione est; una terra piatta e giallastra senza profili di rocce, ma con delle dune: sono i dintorni di Krasnovodsk. Alla una, siamo in vista di Uzun-Ada. Alla

una e ventisette metto piede su terra asiatica.

CAPITOLO V UNA VOLTA i viaggiatori sbarcavano a Mikhailov, piccolo porto che allora era testa di linea della Transcaspiana, ma le navi di medio tonnellaggio vi trovavano a mala pena acqua sufficiente. Fu allora che il generale Annenkof, creatore della nuova ferrovia, l'eminente ingegnere il cui nome ricorrerà spesso sotto la mia penna, fu portato a fondare Uzun-Ada, e questo abbrevia notevolmente la durata della traversata del mar Caspio. Questa stazione, costruita in tre mesi, venne inaugurata l'8 maggio 1886. Fortunatamente avevo letto i resoconti dell'ingegner Boulangier riguardanti la prodigiosa opera del generale Annenkof. Perciò non sarò troppo disorientato durante il percorso della ferrovia da UzunAda a Samarcanda. Inoltre, conto sul maggiore Noltitz che è al corrente di questi lavori. Ho il presentimento che diventeremo buoni amici e in barba al proverbio che dice: Se il tuo amico fosse anche di miele, non leccarlo! mi riprometto di leccare il mio compagno di viaggio per il vantaggio dei miei lettori. Si parla spesso della rapidità straordinaria con cui gli americani hanno costruito la loro ferrovia attraverso la pianura del Far West. Ma sia ben chiaro, a questo proposito, che i russi non sono loro inferiori in niente e che forse li hanno anche superati in rapidità e arditezza industriale. Nessuno ignora quella che fu l'avventurosa campagna del generale Skobeleff contro le tribù turcomanne, campagna di cui la ferrovia transcaspiana assicurò il definitivo successo. Da allora la situazione politica dell'Asia centrale si modificò profondamente e il Turkestan non fu più che una provincia della Russia asiatica le cui frontiere confinano con quelle del Celeste Impero.

Già ora il Turkestan cinese subisce visibilmente l'influenza moscovita che nemmeno le vertiginose altezze dell'altopiano del Pamir hanno potuto arrestare di procedere nella marcia civilizzatrice. Mi avventurerò dunque in quei paesi che Tamerlano e GengisKhan hanno un tempo devastati, in quei paesi favolosi dove i russi già nel 1886 possedevano seicentoquindicimila chilometri quadrati con un milione e trecentomila abitanti. La parte meridionale di questo territorio costituisce oggi la regione transcaspica, divisa nei sei distretti di Fort-Alexandroski, Krasnovodsk, Askhabad, Karibent, Merv e Pendeh governati da colonnelli o da tenenti colonnelli moscoviti. Come si può facilmente immaginare, basta un'ora per visitare Uzun-Ada il cui nome significa esattamente "Isola Lunga". Si tratta quasi di una città, ma di una città moderna, tracciata con il compasso e con la squadra in mezzo a un gran tappeto di sabbia giallastra. Nessun monumento, nessun ricordo: banchine di assi, case di legno, alle quali il moderno desiderio di comodità comincia ad affiancare qualche casa di pietra. Si può immaginare cosa sarà fra cinquant'anni questa prima stazione della Transcaspiana: una gran città dopo essere stata una grande stazione. Non pensate che vi manchino gli alberghi. Fra gli altri, l'hotel du Czar, dove si mangia bene, ci sono buone stanze e ottimi letti. Il fatto del letto però, non mi preoccupa, poiché il treno parte oggi stesso alle quattro del pomeriggio. Per prima cosa, mi sono affrettato a telegrafare al "XX Siecle", per mezzo del cavo transcaspico, per dire che sono al mio posto di lavoro, stazione Uzun-Ada. Fatto questo, mi dedico alla mia contabilità di reporter. Niente di più facile. L'operazione consiste nell'aprire un libro d'informazione sui compagni con cui entrerò in contatto durante il viaggio. È il mio sistema di cui mi sono sempre trovato bene: nell'attesa di quelli ancora sconosciuti, incomincio a notare nel mio taccuino i conosciuti dando loro un numero d'ordine:

N. 1, Fulk Ephrinell, americano. N. 2, Signorina Horatia Bluett, inglese. N. 3, Maggiore Noltitz, russo. N. 4, Signor Caterna, francese. N. 5, Signora Caterna, francese. N. 6, Barone Weissschnitzerdörfer, tedesco. Per quanto riguarda i due cinesi, essi non avranno il numero che più tardi quando sarò sicuro delle loro caratteristiche. In quanto all'individuo chiuso nella cassa ho la ferma intenzione di entrare in rapporti con lui e (chi lo vuole, mi biasimi pure) di essergli utile se mi sarà possibile senza tradire il suo segreto. In stazione, il treno è già formato: è composto da vagoni di prima e di seconda classe, d'una vettura ristorante e di due bagagliai. Le vetture sono dipinte a colori chiari: precauzione eccellente tanto per il caldo che per il freddo. Siccome in queste province dell'Asia centrale la temperatura oscilla fra i cinquanta gradi centigradi sopra lo zero e i venti al disotto con uno scarto quindi di settanta gradi, è prudente cercare di attutirne gli effetti. Questi vagoni, molto comodi, sono riuniti uno all'altro con delle passerelle secondo l'uso americano. Invece di essere chiuso come in una camerata, il viaggiatore può circolare per tutta la lunghezza del treno. Fra i sedili imbottiti, si svolge un corridoio che termina alla piattaforma anteriore e posteriore di ogni vagone dove si agganciano le passerelle. Questa facilità di comunicazione, di cui approfitta il personale del treno, garantisce la sicurezza. Il nostro treno comprende una locomotiva con carrello a quattro piccole ruote, il che permette di seguire meglio anche le curve più strette; un tender con serbatoio per l'acqua e per il combustibile, un bagagliaio in testa e uno in coda: in tutto, calcolando anche la locomotiva con il suo tender, si tratta di dodici vetture. Le vetture di prima classe hanno la toilette ed i sedili, grazie a un semplice meccanismo, possono trasformarsi in sdraio, cosa indispensabile per lunghi viaggi. Devo riconoscere che i viaggiatori di seconda classe non sono trattati così favorevolmente e per di più devono portar con sé il cibo a meno che non preferiscano rifornirsene nelle stazioni.

D'altronde, sono pochi quelli che fanno il tragitto completo fra il Caspio e le province orientali della Cina, vale a dire seimila chilometri circa. L'apertura di questo tratto della Grande Transasiatica risale solo a sei settimane fa e la Compagnia non ha ancora messo in circolazione che due treni settimanali. Fino ad oggi tutto è proceduto regolarmente. Per la verità debbo aggiungere questo dettaglio significativo: gli addetti al servizio sono forniti di un certo numero di revolver di cui, in caso di bisogno, possono armare il viaggiatore. Saggia precauzione, soprattutto per ciò che riguarda la traversata dei deserti cinesi, dove se si dovessero verificare delle aggressioni bisogna essere in grado di respingerle. Penso però che la Compagnia abbia preso tutti i provvedimenti necessari per assicurare la regolarità dei treni. Ma la parte cinese è amministrata da cittadini del Celeste Impero, e chi conosce il passato di quegli amministratori? Non c'è da temere che si siano preoccupati più dei loro dividendi che della sicurezza dei viaggiatori? Aspettando la partenza passeggio avanti e indietro lungo il marciapiede esaminando il treno e guardando attraverso i finestrini delle vetture che non hanno aperture laterali, dato che vi si accede dalle piattaforme. Tutto è nuovo: il rame e l'acciaio della locomotiva sono luccicanti, le vetture risplendenti, le molle non si curvano sotto il peso della fatica e le ruote poggiano a perpendicolo sulle rotaie. Ecco dunque il materiale rotabile che attraverserà un intero continente. Nessuna ferrovia eguaglia questa, nemmeno in America dove la ferrovia del Canada è lunga cinquemila chilometri; quella della Central Union cinquemiladuecentocinquanta; la ferrovia di Santa Fé quattromilaottocentosettantacinque; quella AtlanticoPacifico seimilaseicentotrenta e la ferrovia del Nord-Pacifico seimiladuecentocinquanta. Quando sarà terminata, una sola linea ferroviaria avrà uno sviluppo più lungo: la Transiberiana che degli Urali a Vladivostock sarà lunga seimilacinquecento chilometri. Da Tiflis a Pechino il nostro viaggio non durerà che tredici giorni e solamente undici da Uzun-Ada. Il treno si fermerà alle stazioni secondarie solo il tempo necessario per rifornirsi di acqua e di combustibile. Invece nelle città principali come Merv, Bukhara,

Samarcanda,Taskend, Kasgar, Kokhan, Su-Tchèu, Lan-Tchèu, TaiYuan, si fermerà parecchie ore permettendomi di vedere quelle città a volo di reporter. E naturale che lo stesso macchinista e gli stessi fuochisti non potrebbero fare servizio per undici giorni consecutivi, perciò essi verranno sostituiti, come è opportuno, ogni sei ore. Solo che i russi, che lavoreranno fino alla frontiera turkestana, verranno sostituiti dai cinesi sulle locomotive del Celeste Impero. Però c'è un agente della Compagnia che non deve abbandonare il suo posto: è Popof; è il nostro capotreno, un vero russo dall'aspetto militare con la palandrana a pieghe, il berretto moscovita, gran barba e folta zazzera. Mi propongo di chiacchierare a mio piacimento con questo brav'uomo, per poco che sia loquace. Se non sdegna un bicchiere di vodka al momento giusto, mi saprà dire tante cose sul paese; da dieci anni è al servizio della Transcaspiatica nel tratto fra Uzun-Ada e il Pamir e da un mese segue la linea completa fino a Pechino. Nel mio taccuino gli assegno il numero 7 e speriamo che non mi lasci mancare le informazioni. Insomma, non domando incidenti di viaggio, no!, ma solo piccoli guai che siano degni del "XX Siecle". Fra i viaggiatori che passeggiano sul marciapiede ci sono molti ebrei più facilmente riconoscibili dal loro tipo che non dal loro abbigliamento. Una volta, in Asia centrale, essi non potevano portare che il toppe, specie di berretta rotonda, e una semplice corda quale cintura, né potevano avere guarnizioni di seta, pena la morte. E si dice anche che non potessero entrare in certe città se non a dorso d'asino e in altre a piedi. Ora si coprono il capo con il turbante orientale e viaggiano in carrozza quando lo permette loro la borsa. Chi potrebbe pretendere di impedirglielo dato che sono sudditi dello zar bianco, cittadini moscoviti, e godono di diritti civili e politici eguali a quelli dei loro compatrioti turcomanni? Qua e là, circolano anche dei tadjiks di origine persiana, i più begli uomini che si possono vedere. Hanno comperato i biglietti, alcuni per Merv o Bukhara, altri per Samarcanda, Taskend o Kokhan e non passeranno al di là dell'altopiano russo-cinese. Sono, per la maggioranza, passeggeri di seconda classe. Fra i viaggiatori di prima,

osservo degli usbechi, tipi piuttosto ordinari, dalla fronte sfuggente, gli zigomi sporgenti, il colorito grigiastro, che furono in passato i signori del paese e le cui famiglie fornivano gli emiri e i khan dell'Asia centrale. Ma non ci sono dunque europei su questo treno della grande Transasiatica? Devo confessarlo, ne conto appena cinque o sei: qualche commerciante della Russia meridionale e uno solo di quegli inevitabili "gentlemen" del "Regno Unito", ospiti abituali dei treni e dei piroscafi. Del resto, occorre ancora procurarsi l'autorizzazione per prendere la Transcaspica, autorizzazione che l'amministrazione russa non concede volentieri agli inglesi. Pare che questo sia riuscito ad ottenerla. Ad ogni modo, questo personaggio mi sembra degno di attenzione. E alto, magro e dimostra chiaramente la cinquantina d'anni che gli attribuiscono i suoi capelli pepe e sale e i favoriti grigiastri. La caratteristica del suo volto è la boria o piuttosto quel disprezzo composto in parti uguali di amore per tutto ciò che è inglese e di disprezzo per tutto ciò che non lo è. Questo tipo di persone a volte è insopportabile anche a suoi stessi compatrioti, quali Dickens, Thackeray e altri che li hanno spesso sferzati. Mentre costui si pavoneggia tronfio, che sguardi lancia alla stazione di Uzun-Ada, al treno in partenza, al personale ferroviario, allo scompartimento nel quale ha occupato il posto con la valigia! Forse questo personaggio viene qui a rappresentare le tradizionali gelosie dell'Inghilterra per le grandi opere che il genio moscovita ha felicemente portato a termine? Lo saprò e, nell'attesa, assegnamogli il numero 8 nel mio taccuino. Insomma, poche o punte figure importanti. Peccato. Se soltanto l'imperatore di Russia da una parte e il Figlio del Cielo dall'altra fossero saliti su questo treno per incontrarsi ufficialmente al confine fra i due imperi, immaginatevi quali feste, quale sfarzo, quali descrizioni, quali soggetti per lettere o telegrammi ci sarebbero stati! Penso di tornarmene presso la cassa misteriosa. Non ha forse diritto a questo appellativo? Sì, certamente. Si tratta solo di vedere dove si trova esattamente e di escogitare il sistema per raggiungerla. Il bagagliaio di testa è carico dei bagagli di Fulk Ephrinell. Esso

non si apre lateralmente, ma alle due estremità, come le carrozze viaggiatori e, come esse, è fornito di una piattaforma e di una passerella. Un corridoio interno permette al capotreno di attraversarlo da cima a fondo per raggiungere il tender e la locomotiva in caso di bisogno. Lo sgabuzzino di Popof si trova nell'angolo di sinistra della piattaforma del primo vagone. A notte buia, mi sarà facile raggiungere il bagagliaio poiché esso è chiuso solo dalle porte poste alle estremità del corridoio lasciato libero tra i bagagli. Inoltre questo bagagliaio è destinato ai bagagli diretti in Cina mentre quelli per la parte turkestana della ferrovia occupano il bagagliaio in coda al treno. Quando arrivai, la famosa cassa era ancora sul marciapiede. Guardandola da vicino, mi accorgo che, da ogni lato, ci sono dei fori di aerazione e che la parete è divisa in due pannelli di cui uno può scorrere sull'altro all'interno. Ciò mi fa pensare che il prigioniero abbia voluto riservarsi la possibilità di uscire dalla sua prigione, per lo meno durante la notte. In questo momento i facchini sollevano la cassa e io osservo con grande soddisfazione che lo fanno attenendosi alle raccomandazioni iscritte sui suoi lati. Essa viene depositata con molte precauzioni accanto all'ingresso del bagagliaio; sul lato sinistro, ben appoggiata e assicurata, con la parola "alto" in alto e la parola "basso" in basso, con la parete anteriore dove c'è il pannello scorrevole libera di aprirsi come se si trattasse dell'anta di un armadio. E, infatti questa cassa non è forse un armadio… che mi riprometto di aprire? Devo però sapere se l'agente incaricato dei bagagli sta in questo bagagliaio… No, constato che il suo posto è nel bagagliaio di coda. — Eccola a posto, questa fragile — dice uno dei facchini dopo aver controllato che la cassa sia sistemata a dovere. — Non c'è pericolo che si muova! — risponde l'altro facchino. — Gli specchi arriveranno sani e salvi a Pechino… a meno che il treno non deragli per la strada… — O che non venga tamponato!… — risponde il primo facchino.— Eh! è già successo! Hanno ragione quei galantuomini. E già successo… e succederà ancora.

L'americano viene a raggiungermi dando un ultimo sguardo al suo stock di incisivi, molari e canini, dopo aver lanciato l'immanchevole watt a bit! — Sapete, signor Bombarnac — mi dice — che i viaggiatori prima di partire devono pranzare all'Hotel du Czar? È l'ora. Mi accompagnate?… — Vi seguo. E raggiungiamo la sala da pranzo. I miei numeri sono tutti lì. Il numero 1, Fulk Ephrinell, prende posto naturalmente accanto al numero 2, la signorina Horatia Bluett; gli sposi francesi, numero 4 e 5, sono l'uno di fianco all'altra; il numero 3, maggiore Noltitz, s'installa in faccia ai numeri 9 e 10, cioè ai due cinesi ai quali ho assegnato queste cifre nel mio taccuino. In quanto al grosso numero 6, il tedesco, sta già mangiando immergendo nella minestra il suo naso da trombone. Osservo anche che il capotreno Popof, numero 7, ha il posto riservato in fondo alla tavola. Gli altri commensali europei o asiatici sono sistemati passim con l'evidente intenzione di far onore al pasto. Ah! dimenticavo il numero 8: il signore sdegnoso del quale non so ancora il nome e che sembra deciso a considerare la cucina russa inferiore all'inglese. Osservo anche con quanta attenzione il signor Caterna si occupa di sua moglie, incoraggiandola a recuperare il tempo che il mal di mare le ha fatto perdere a bordo dell'Astara. Le versa da bere, le sceglie i bocconi migliori ecc. — Che fortuna, — sento che dice — che non siamo sottovento del tedesco, poiché non ci sarebbe avanzato nulla! Infatti egli è sopravvento, voglio dire che le portate gli vengono presentate prima che al barone Weissschnitzerdörfer, il quale non fa complimenti nel saccheggiarle senza vergogna. Questa riflessione enunciata in forma marinara mi fa sorridere, e il signor Caterna, che se ne accorge, mi strizza l'occhio con un leggero movimento di spalla verso il barone. Inutile dubitarne, questi francesi non sono di gran classe: né "select" né "high life" ma in quanto ad essere brava gente ne rispondo e, quando si tratta di farsela con dei compatrioti, non

bisogna essere difficili in paese turkestano. Il pranzo è terminato dieci minuti prima dell'ora fissata per la partenza. Suona la campana e tutti si dirigono verso il treno la cui locomotiva soffia a pieni polmoni. Mentalmente innalzo un'ultima preghiera al Dio dei reporter pregandolo di non risparmiare le avventure. Quindi, dopo essermi assicurato che tutti i miei numeri occupano i vagoni di prima classe (per cui non li perderò mai di vista) vi prendo posto a mia volta. Il barone Weissschnitzerdörfer (che nome interminabile!) questa volta non è in ritardo. E il treno, invece, che è in ritardo di cinque minuti sull'ora regolamentare. E allora, ecco il tedesco lagnarsi, imprecare, minacciare di citare per danni la Compagnia… Diecimila rubli, niente po'po' di meno… se questo gli farà perdere… Ma perdere che cosa, dato che va fino a Pechino?… Finalmente gli ultimi colpi di fischietto lacerano l'aria, le vetture si scuotono e il treno si mette in moto mentre un formidabile urrà ne saluta la partenza.

CAPITOLO VI LE IDEE di un uomo che va a cavallo sono diverse da quelle di uno che va a piedi. La differenza è ancora più notevole quando egli viaggia in ferrovia. L'associazione dei pensieri, il carattere delle riflessioni, il concatenarsi dei fatti si svolge nel suo cervello con una rapidità eguale a quella del treno. Si "corre" nella testa, come si "corre" nel proprio scompartimento. E per questo che mi sento in una condizione di spirito particolare, desideroso di osservare, avido d'istruirmi; tutto alla velocità di cinquanta chilometri all'ora che è la media che deve tenere il nostro treno attraversando il Turkestan, per passare poi a quella di trenta chilometri quando percorrerà le province del Celeste Impero. Cose, queste, che vengo a sapere consultando l'orario comperato alla stazione; a questo orario è unita una lunga carta piegata e ripiegata che fornisce l'itinerario completo della ferrovia fra il mar Caspio e le coste orientali della Cina. Lasciando Uzun-Ada, mi studio dunque la linea transasiatica come mi ero studiato quella transgeorgiana lasciando Tiflis. I binari hanno uno scartamento di un metro e sessanta centimetri fra le due rotaie: lo scartamento imposto alle ferrovie russe è superiore di nove centimetri a quello di tutte le altre ferrovie europee. Si dice, a questo proposito, che i tedeschi abbiano fabbricato, molti assali di questa misura nel caso eventuale che dovessero invadere la Russia. Penso con piacere che i russi avranno preso la stessa precauzione per il caso, non meno eventuale, che dovessero invadere la Germania. Uscendo da Uzun-Ada la ferrovia corre fra massicce e tondeggianti dune di sabbia. Giunta al braccio di mare che separa l'Isola Lunga dal continente, lo attraversa su un terrapieno di milleduecento metri che una scogliera artificiale protegge dalle violente mareggiate. Abbiamo già passato parecchie stazioni senza fermarci, fra le altre quella di Mikhailov che è a una lega da Uzun-Ada . Ora dobbiamo

averle distanziate di quindici-trenta chilometri. Quelle che ho intravisto hanno l'aspetto di ville con balaustre e tetti all'italiana. Effetto singolare, questo, nel Turkestan e in vicinanza della Persia. Il deserto si stende fino nei dintorni di Uzun-Ada, perciò le stazioni ferroviarie costituiscono come tante piccole oasi create dalla mano dell'uomo. E l'uomo infatti, che ha piantato quegli striminziti pioppi azzurri ai quali esse devono un po' d'ombra; è lui che con grande spesavi ha fatto giungere questa acqua i cui rinfrescanti zampilli ricadono in un'elegante vasca. Senza questi lavori idraulici, non ci sarebbe un albero, né un angolo verde in mezzo a queste oasi. Esse sono le balie della ferrovia, e alle locomotive non occorrono balie asciutte. Per dire il vero, non ho mai visto terreni così spogli, così aridi, così refrattari alla vegetazione; sembra che al di là di Uzun-Ada, la loro superficie superi i duecentosessanta chilometri. Quando il generale Annenkof iniziò i suoi lavori a Mikhailov, fu costretto a distillare l'acqua del Caspio come si fa sulle navi con opportuni apparecchi. Ma se l'acqua è necessaria per produrre il vapore, il carbone è necessario per vaporizzare l'acqua. I lettori del "XX Siecle" si domanderanno dunque come si riesca a mettere sotto pressione delle macchine in un paese dove non c'è possibilità di estrarre un pezzo di carbone, né di tagliare un pezzo di legno. Ci sono forse degli spacci di questi materiali nelle principali stazioni della linea transcaspiana?… Per niente. Ci si è limitati a mettere in pratica un'idea che aveva avuto il nostro grande chimico Saint-Claire Deville, ai primordi dell'utilizzazione del petrolio in Francia. Le caldaie delle macchine sono alimentate, grazie a un polverizzatore, dai residui della distillazione di quella nafta che Baku e Derbent forniscono inesauribilmente. In alcune stazioni, esistono dei capaci serbatoi pieni di questo combustibile minerale che viene versato nei contenitori del tender e poi bruciato su delle griglie speciali di cui sono munite le locomotive. Ed è ancora questa nafta che viene usata sui battelli a vapore del Volga e di altri affluenti del Caspio. Credetemi, se vi affermo che il paesaggio non è estremamente variato.

Il suolo, quasi piatto attraverso i terreni sabbiosi, è assolutamente orizzontale alla superficie dei terreni alluvionali dove stagnano acque salmastre. E perciò non poteva essere più adatto per stabilirvi una ferrovia. Nessuna trincea ferroviaria, nessun terrapieno, nessun viadotto, nessuna opera d'arte, infine, per servirmi di un termine caro agli ingegneri, e anche molto "caro". Soltanto qua e là qualche ponte di legno lungo da due a trecento piedi. In queste condizioni il costo chilometrico della Transcaspiana non ha superato i settantacinquemila franchi. La monotonia del viaggio non sarà interrotta che nelle vaste oasi di Merv, Bukhara e Samarcanda. Occupiamoci dunque dei viaggiatori, cosa semplice dal momento che è facile circolare da un'estremità all'altra del treno. Con un po' di fantasia, posso immaginarmi di essere in una specie di borgata mobile di cui mi appresto a percorrere la strada principale. Rammento al lettore che la locomotiva e il tender sono seguiti dal bagagliaio in un angolo del quale è deposta la cassa misteriosa e che lo sgabuzzino di Popof occupa l'angolo di sinistra della piattaforma della prima vettura. In questa vettura osservo alcuni sarthi d'aspetto imponente e fiero avvolti nelle loro lunghe vesti dai colori vistosi dalle quali escono gli stivali di cuoio guarniti di passamanerie. Hanno begli occhi, barbe magnifiche, nasi arcuati e sembrerebbero dei veri signori se non si sapesse che il nome "sarthi" significa rigattiere, e questi sono certamente diretti a Taskend dove i rigattieri pullulano. In questa vettura hanno preso posto anche i due cinesi, uno di fronte all'altro. Il celestiale più giovane guarda dal finestrino. Il celestiale più vecchio (un Ta-lao-yè, cioè una persona in età) non fa che cincischiare le pagine del suo libro; questo libro, piccolo in 32, simile a un annuario del Registro Navale, è ricoperto di un panno peloso come il breviario di Un canonico e quando è chiuso i due piatti sono trattenuti da un elastico. Quello che mi meraviglia è che il proprietario di questo libretto non sembra leggerlo da destra a sinistra. Possibile che non sia stampato in caratteri cinesi?… Cosa da verificare. Su due sedili affiancati, sono seduti Fulk Ephrinell e la signorina

Horatia Bluett. Chiacchierano scribacchiando dei numeri. Non so se il pratico americano mormora all'orecchio della pratica inglese il verso adorabile che fece palpitare il cuore di Lydia; Nec tecum possum vivere sine te! Ma quello che invece so, è che Fulk Ephrinell può benissimo vivere senza di me. Ho fatto bene a non far conto su di lui per rendermi gradevole il tempo libero del viaggio. Quel demonio di uno yankee mi ha completamente "mollato" (è la parola) per la magra e angolosa figlia di Albione. Arrivo alla piattaforma, supero la passerella e mi trovo così all'ingresso del secondo vagone. Nell'angolo di destra vedo il barone Weissschnitzerdörfer. Il suo naso lungo (questo tedesco è miope come una talpa) tocca le righe del libro che sta sfogliando: l'orario. Quel viaggiatore impaziente sta verificando se il treno giunge alla stazione all'ora stabilita. Quando c'è ritardo eccolo esplodere in nuove recriminazioni e minacce contro la Compagnia della Grande Transasiatica. In questo vagone viaggiano anche gli sposi Caterna che vi si sono sistemati confortevolmente. Di buon umore, il marito discorre gesticolando, afferra di quando in quando le mani della signora, le cinge anche la vita, poi gira il capo, lo alza verso il soffitto e pronuncia qualche parola a parte. Da parte sua la signora Caterna si china, fa delle mosse confuse, arretra nel suo angolo e sembra piuttosto ribattergli che non rispondergli. Mentre sto uscendo sento un ritornello d'operetta uscire dalla bocca a cuore del signor Caterna. All'interno del terzo vagone, occupato da parecchi turcomanni e da tre o quattro russi, vedo il maggiore Noltitz. Sta parlando con dei compatrioti. Se mi facesse degli approcci, mi unirei volentieri alla loro conversazione. È meglio che me ne stia un po' riservato; dopo tutto il viaggio è appena incominciato. Visito quindi la vettura ristorante. È lunga un terzo più delle altre; si tratta di una vera e propria sala da pranzo fornita di una sola grande tavola; in fondo, da un lato c'è l'office, dall'altro la cucina dove lavorano il cuoco e il capo-cameriere, entrambi di origine

moscovita. Questo vagone ristorante mi sembra sistemato adeguatamente. Dopo averlo attraversato arrivo alla seconda parte del treno dove sono ammassati i viaggiatori di seconda classe: dei chirghisi dall'aspetto poco intelligente, il cranio schiacciato, la mascella prognata sporgente in avanti, barbetta da capra, naso camuso da cosacchi, pelle molto scura. Questi poveri diavoli, di religione musulmana, appartengono parte alla Grande Orda che erra lungo le frontiere della Siberia e della Cina, parte alla Piccola Orda sparsa fra i monti Urali e il mar d'Arai. Un vagone di seconda classe, o persino uno di terza, è un palazzo per gente abituata agli accampamenti della steppa, alle miserabili iurte dei villaggi. Né i loro giacigli, né i loro sgabelli valgono le panchine imbottite sulle quali se ne stanno seduti con gravità tutta asiatica. È lì che si sono messi due o tre nogai che si recano nel Turkestan orientale. Di razza superiore a quella dei chirghisi, la razza tartara, è fra essi che si formano gli eruditi, i professori che hanno reso famose le città opulente di Bukhara e Samarcanda. Ma la scienza e il suo insegnamento stentano ad assicurare l'esistenza (sia pur ridotta al minimo necessario) in queste province dell'Asia centrale. Perciò i nogai cercano volentieri di rendersi utili come interpreti. Disgraziatamente, con la diffusione della lingua moscovita, il mestiere è poco lucroso. Ora so il posto di tutti i miei numeri e dove ritrovarli in caso di bisogno. Per ciò che riguarda il viaggio fino a Pechino non ho nessun dubbio circa il signor Fulk Ephrinell e la signorina Horatia Bluett, né il barone tedesco e i due cinesi, né il maggiore Noltitz e i coniugi Caterna e nemmeno per l'altero gentiluomo di cui ho visto la magra figura in un angolo del secondo vagone. In quanto a quei viaggiatori che non valicheranno la frontiera, essi ai miei occhi sono assolutamente insignificanti. Però fra i miei compagni non intravvedo ancora quello che sarà l'eroe della mia futura cronaca… Speriamo che salga lungo la via. Ho intenzione di annotare ora per ora, che dico mai?, minuto per minuto, ciò che mi accade nel mio viaggio. A questo scopo, prima che cali la notte mi reco sulla piattaforma anteriore del vagone per

gettare un ultimo sguardo alla campagna circostante. Un'ora di sigaro mi farà raggiungere la stazione di Kizil-Arvat dove il treno deve fermarsi per un po' di tempo. Passando dal secondo al primo vagone incontro il maggiore Noltitz. Per deferenza, mi tiro da parte. Egli mi saluta con quel garbo che distingue i russi di elevata posizione sociale. Rispondo al suo saluto. Il nostro incontro si limita a questo scambio di cortesie, ma il primo passo è fatto. In questo momento, Popof non si trova nel suo sgabuzzino. Vedendo la porta del bagagliaio aperta, ne deduco che il nostro capotreno è andato a parlare con il macchinista. Sulla sinistra del bagagliaio, la cassa misteriosa è sempre al suo posto. Siccome non sono che le sei e mezzo è ancora troppo chiaro perché mi azzardi a soddisfare la mia curiosità. Il treno corre in pieno deserto. E il Kara-Koum, il "deserto nero" che si stende al disopra di Khiva su tutta la parte del Turkestan che sta fra la frontiera persiana e il corso dell'Amu-Daria. In realtà le sabbie del Kara-Koum non sono più nere di quanto non siano nere le acque del mar Nero, bianche quelle del mar Bianco, rosse quelle del mar Rosso, e gialle quelle del fiume Giallo. Ma queste denominazioni di colore, per quanto errate siano, mi piacciono follemente. Nei paesaggi bisogna colpir l'occhio con i colori e la geografia non è forse un paesaggio? Sembra che questo deserto una volta fosse occupato da un bacino centrale che si è inaridito come si inaridirà il mar Caspio; questa evaporazione si spiega con l'energica concentrazione dei raggi solari alla superficie dei territori che si svolgono fra il mar d'Arai e l'altopiano del Pamir. Il Kara-Koum è formato da dune sabbiose, stranamente mobili che i forti venti minacciano di spostare senza posa. Le barcane, così le chiamano i russi, hanno altezza che varia fra i dieci e i trenta metri e offrono larga presa ai terribili cicloni del nord che tendono a respingerle verso il sud. Da ciò nascono dei timori giustificati circa la sicurezza della Transcaspiana. Bisognava trovare il modo di proteggerla efficacemente e il generale Annenkof si sarebbe trovato molto imbarazzato se la previdente natura, mentre gli forniva un

terreno favorevole alla creazione di una strada ferrata, non gli avesse in pari tempo fornito il mezzo di arrestare lo spostamento delle barcane. Sul lato in ombra di queste dune crescono in gran numero dei cespugli spinosi: ciuffi di tamerici, cardi stellati e quegli haloxilonammodendron che i russi chiamano meno scientificamente saksaul. Le radici profonde e vigorose di questa pianta sono adatte a trattenere il terreno come fa nell'Europa settentrionale l’hippophaerhamnoides, arbusto della famiglia della eleagacee che si usa per immobilizzare le sabbie. Gli ingegneri della ferrovia hanno poi aggiunto in parecchi punti a queste piantagioni di saksaul dei rivestimenti di terra argillosa pestata e, nei luoghi più minacciati dall'invasione, anche delle palizzate. Precauzioni utili, senza dubbio, ciononostante, se la strada è protetta non lo sono i viaggiatori quando la sabbia vola come mitraglia e il vento solleva sulla pianura bianchi fiori di sale. Per fortuna, non siamo all'epoca dei maggiori caldi e non è in giugno, né in luglio, che consiglierei di prendere la Grande Transasiatica. Rimpiango molto che il maggiore Noltitz non abbia pensato di venire sulla passerella a respirare l'aria buona del Kara-Koum; gli avrei offerto uno dei "londres" scelti, di cui sono abbondantemente provvisto. Egli mi avrebbe detto se le stazioni di cui leggo il nome sull'orario: Balla-l-schem, Aidine, Péréval, Kansandjik, Uchak sono delle località interessanti della strada ferrata, il che non mi sembra affatto. Ma non posso permettermi di disturbare la sua siesta. Però quanto sarebbe stata interessante quella conversazione poiché la sua carica di medico dell'esercito russo gli ha permesso di partecipare alla campagna dei generali Skobeleff e Annenkof. Quando il nostro treno supera rapido le stazioncine che onora solo di un fischio mentre passa, il maggiore avrebbe saputo dirmi se l'una, l'altra o l'altra ancora era stata o meno teatro di qualche fatto di guerra. Come francese mi sarei sentito autorizzato a interrogarlo sulla spedizione russa attraverso il Turkestan e non dubito che il mio compagno di viaggio non avrebbe mancato di darmi soddisfazione. Seriamente, non posso contare che su di lui… o su Popof.

Ma ora che ci penso, perché Popof non è nel suo sgabuzzino? Nemmeno lui sarebbe insensibile ai piaceri di un sigaro. Mi sembra che il suo colloquio con il macchinista non finisca mai… Finalmente, eccolo riapparire in fondo al bagagliaio, lo attraversa, ne esce, ne chiude la porta, si ferma un attimo sulla piattaforma, sta per rientrare… Una mano che tiene un sigaro si tende verso di lui, Popof sorride e ben presto i suoi sbuffi odorosi si mescolano voluttuosamente ai miei. Credo di aver già detto che il nostro capotreno è da una quindicina d'anni al servizio della Compagnia Transcaspica. Conosce bene il paese fino alla frontiera cinese e ha già percorso quattro o cinque volte l'intera linea che va sotto il nome di Grande Transasiatica. Popof, dunque, era già in servizio sui treni del tronco iniziale fra Mikhailov e Kizil-Arvat; tronco che, iniziato nel 1880, fu terminato in dieci mesi nel novembre 1881. Cinque anni dopo la prima locomotiva entrava a Merv il 14 luglio 1886; diciotto mesi dopo, la si salutava a Samarcanda. Ora i treni del Turkestan sono collegati con la ferrovia del Celeste Impero e quel nastro di acciaio si svolge senza interruzione dal mar Caspio a Pechino. Dopo che Popof ebbe finito di darmi tutte queste informazioni, gli chiesi se sapeva qualcosa sui nostri compagni di viaggio; voglio dire quelli che vanno fino in Cina. E prima di tutto, il maggiore Noltitz?… — Il maggiore — mi risponde Popof — ha vissuto a lungo in mezzo alle province turkestane, e se va a Pechino, è per organizzare un ospedale destinato ai nostri compatrioti, naturalmente con l'autorizzazione dello zar. — Mi piace il maggiore Noltitz — ho risposto — e spero di fare presto la sua conoscenza. — Non domanda altro che di fare la vostra — mi risponde Popof. — E conoscete quei due cinesi che sono saliti sul treno a UzunAda? — Assolutamente no, signor Bombarnac; di loro non conosco che il nome che è scritto sullo scontrino dei loro bagagli. — Ditemi questi nomi, Popof. — Il più giovane si chiama Pan-Chao, il più vecchio Tio-King.

Può darsi che abbiano viaggiato per l'Europa per qualche anno, ma non saprei dire,da dove vengono. Credo che il giovane appartenga a qualche ricca famiglia dal momento che è accompagnato dal suo medico. — Quel Tio-King?… — Sì, il dottor Tio-King. — E tutti e due parlano solo il cinese? — E molto probabile perché non li ho mai sentiti esprimersi in altra lingua. Su questa informazione di Popof, mantengo il numero 9, già attribuitogli, al giovane Pan-Chao e il numero 10 al dottor Tio-King, come già destinatogli. — Quanto all'americano… — riprende Popof. — Fulk Ephrinell — esclamai— e l'inglese, la signorina Horatia Bluett? Oh! Su quei due, non avete bisogno di dirmi nulla. So già tutto su di loro. — Volete che vi dica quello che penso di quella coppia, signor Bombarnac? … — Ditemi quel che ne pensate, Popof. — Che forse, appena giunti a Pechino, la signorina Bluett potrebbe diventare la signora Ephrinell… — E che il cielo benedica quell'unione, Popof, poiché sono proprio fatti l'uno per l'altra! Vedo che su questo punto io e Popof andiamo d'accordo. — E quei due francesi… quei due sposi così reciprocamente affettuosi — chiesi — chi sono?… — Non ve l'hanno detto?… — No, Popof. — State tranquillo che ve lo diranno, signor Bombarnac. D'altronde, se desiderate saperlo, la loro professione è scritta a chiare note sia sui bagagli del signore sia su quelli della signora. — E che cosa sono, dunque?… — Degli attori che vanno a recitare in Cina. Attori?… Se questo spiega certi atteggiamenti, certe smorfie, la mobilità della fisionomia, i gesti dimostrativi del signor Caterna, non spiega però le sue espressioni marinaresche.

— E sapete che parti recitano questi artisti? — domando a Popof. — Il marito è primo tenore comico. — E la moglie?… — Prima artista in tutti i generi. — E dove va questa coppia… lirica? — A Shangai dove sono scritturati entrambi al teatro della residenza francese. Benissimo. Parlerò di teatro, di chiacchiere dietro le quinte, di pettegolezzi di provincia e, come dice Popof, farò ben presto conoscenza con l'allegro tenore comico e la graziosa prima artista in tutti i generi. Ma non è lì che troverò l'eroe romantico, oggetto dei miei desideri! In quanto al gentiluomo sdegnoso, il nostro capotreno non ne sa niente all'infuori dell'indirizzo scritto sui suoi bauli: sir Francis Trevellyan di Trevellyan-Hall, Trevellyanshire. — È un signore che non risponde quando gli si parla! — aggiunge Popof. Molto bene! Il mio numero 8 farà ruolo muto; e non sapevo di dire così giusto. — Eccoci al tedesco — riprendo. — Il barone Weissschnitzerdörfer? — Immagino che andrà fino a Pechino. — Fino a Pechino e oltre, signor Bombarnac. — Oltre?… — Sì… fa il giro del mondo. — Il giro del mondo?… — In trentanove giorni. Così, dopo la signora Bisland che ha fatto questo famoso giro in settantatré giorni; dopo la signorina Nellie Bly che l'ha fatto in settantadue; dopo l'onorevole Train che l'ha fatto in settanta, questo tedesco pretende di farlo in trentanove?… E vero che attualmente le comunicazioni sono più rapide, le linee più dirette e che servendosi della Grande Transasiatica che dalla capitale prussiana porta a Pechino in quindici giorni, il barone può accorciare della metà il vecchio percorso via Suez-Singapore. — Non ci riuscirà mai! — mi sfuggì detto.

— E perché?… — chiese Popof. — Ma perché è sempre in ritardo. A Tiflis per poco non perdeva il treno, e a Baku, il piroscafo… — Ma non è stato in ritardo a Uzun-Ada… — Non importa, Popof, sarei molto sorpreso se questo tedesco riuscisse a battere americani e americane in questa gara fra "globetrotters".

CAPITOLO VII IL TRENO è arrivato a Kizil-Arvat (a duecentoquarantadue verste dal Caspio) alle sette e tredici di sera invece che alle sette. Questo lieve ritardo ha causato tredici proteste da parte del tedesco, una per minuto. Ci sono due ore di sosta alla stazione di Kizil-Arvat. Benché il giorno volga al tramonto non posso impiegare il mio tempo che visitando questa cittadina che ha più di duemila abitanti: russi, persiani e turcomanni. C'è poco da vedere, però, sia in città, sia nei dintorni dove la campagna, priva di alberi (non vi spunta nemmeno una palma), non offre che pascoli e campi di cereali bagnati da un magro ruscello. La mia fortuna ha voluto che avessi come compagno, anzi per dir meglio, come cicerone il maggiore Noltitz. La nostra conoscenza è avvenuta molto semplicemente. Il maggiore è venuto verso di me e io sono andato verso di lui appena fummo scesi sul marciapiede della stazione. — Signore, — feci — sono francese; Claudius Bombarnac, corrispondente del "XX Siecle" e voi siete il maggiore Noltitz dell'esercito russo. Andate a Pechino e io pure. Conosco la vostra lingua, come è molto probabile che voi conosciate la mia… Il maggiore mi fece un cenno di assenso. — Ebbene, maggiore Noltitz, invece di comportarci vicendevolmente da estranei durante questo lungo viaggio attraverso l'Asia centrale, non vorreste che diventassimo qualche cosa di meglio che dei semplici compagni di viaggio? Di questo paese voi conoscete tutto ciò che io ignoro e per me sarebbe un vero piacere documentarmi… — Signor Bombarnac, — mi risponde il maggiore in ottimo francese — sono a vostra disposizione. Poi aggiunse sorridendo: — In quanto a documentarvi… Uno dei vostri più eminenti critici non ha detto, se ben ricordo, "I francesi amano imparare ciò che sanno già…"

— Vedo che avete letto Sainte-Beuve, maggiore Noltitz, e forse quello scettico accademico, in generale, aveva ragione. Quanto a me, però, vengo meno alla regola e desidero imparare tutto ciò che non so. Ora, per ciò che riguarda il Turkestan russo, sono di un' ignoranza… — Sono a vostra completa disposizione, — risponde il maggiore — e sarò felice di raccontarvi quanto ha fatto il generale Annenkof, di cui ho seguito tutti i lavori. — Vi ringrazio, maggiore Noltitz, non mi aspettavo di meno dalla gentilezza di un russo verso un francese… — E, — rispose il maggiore — se mi permettete di citare in parte la celebre frase dei Danicheff, " sarà sempre così finché ci saranno dei francesi e dei russi". — Dumas figlio dopo Sainte – Beuve! — esclamai. — Mi accorgo, maggiore, di aver a che fare con un parigino… — Di Pietroburgo, signor Bombarnac. E su ciò ci stringiamo cordialmente la mano. Un istante dopo, il mio compagno ed io siamo a passeggio per la città ed ecco ciò che mi dice il maggiore Noltitz. Fu verso la fine del 1865 che il generale Annenkof terminò il tronco iniziale della ferrovia a Kizil-Arvat, tronco lungo duecentoventicinque chilometri, di cui centosessanta dovettero venir costruiti sulla superficie di un deserto che non poteva fornire una sola goccia d'acqua. Prima però di dirmi come si svolse questo straordinario lavoro, il maggiore ha avuto cura di rammentarmi i fatti che hanno gradualmente portato alla conquista del Turkestan e alla sua definitiva annessione all'impero moscovita. Fin dal 1854 i russi avevano imposto un trattato d'alleanza al Khan di Khiva. Qualche anno dopo, accanendosi a proseguire la loro marcia verso est, le campagne dal 1860 al 1864 avevano procurato loro i canati di Kokhan e di Bukhara. Due anni più tardi, in seguito alle battaglie di Irdjiar e di Zara-Buleh anche Samarcanda era passata sotto il loro dominio. Restava da conquistare la parte meridionale del Turkestan, soprattutto l'oasi di Akhal-Tekké che confina con la Persia. I generali Sourakine e Lazareff lo tentarono con le spedizioni del 1878 e 1879.

Ma il loro piano fallì e allora lo zar conferì l'incarico di sottomettere quelle valorose tribù turcomanne al celebre Skobeleff, l'eroe di Plevna. Non essendo ancora stato creato il porto di Uzun-Ada, Skobeleff sbarcò a Mikhailov e fu allo scopo di facilitargli la marcia attraverso il deserto che il generale Annenkof, suo braccio destro, realizzò quella ferrovia strategica che, in dieci mesi, raggiunse la stazione di Kizil-Arvat. Ed ecco come fecero i russi a costruire quella ferrovia con una rapidità ancora superiore a quella degli americani nel Far-West. L'opera doveva essere in pari tempo di utilità militare e industriale. Prima di tutto, il generale Annenkof costruì un treno di posa comprendente trentaquattro vagoni di cui quattro a due piani per gli ufficiali, venti a due piani per gli operai e i soldati, un vagoneristorante, quattro vagoni per le cucine, un vagone-ambulanza, un vagone-telegrafo, un vagone-fucina, un vagone-viveri e un vagone di riserva. Essi divennero i suoi laboratori ambulanti e anche la sua caserma, dove millecinquecento tra operai-militari e impiegati trovavano alloggio e mantenimento. Questo treno procedeva con il progredire della messa in opera dei binari. Gli operai erano divisi in due squadre che lavoravano ognuna sei ore al giorno con l'aiuto della gente del paese che viveva in tende e che raggiunse il numero di quindicimila persone. Un filo telegrafico collegava la zona dei lavori con Mikhailov da dove partivano su una piccola ferrovia Decauville i treni che portavano le rotaie e le traversine. In queste condizioni e grazie al terreno perfettamente orizzontale, il risultato di una giornata si valutava con un progresso di otto chilometri, mentre negli Stati Uniti non era stato che di quattro. Quanto alla mano d'opera, essa non era molto cara: quarantacinque franchi al mese agli operai delle oasi, cinquanta centesimi al giorno a quelli che venivano dalla regione di Bukhara. Fu così che i soldati di Skobeleff furono trasportati, prima a KizilArvat e poi centocinquanta chilometri più in là, fino a Ghéok-Tepé. Questa città si arrese solo dopo la distruzione dei suoi bastioni e il massacro di dodicimila dei suoi difensori e fu allora che l'oasi di Akhal-Tekké cadde in mano dei russi. Quanto agli abitanti dell'oasi

di Atek, non tardarono a sottomettersi tanto più volentieri in quanto che avevano implorato l'appoggio dello zar nella loro lotta contro Kouli-Khan, signore di Merv. Anche gli abitanti di quest'ultima, in numero di duecentocinquantamila, seguirono il loro esempio, e la prima locomotiva si fermò alla stazione di Merv nel luglio del 1886. — E gli inglesi — chiesi al maggiore Noltitz — con che occhio hanno visto i progressi russi nell'Asia centrale? — Con occhio geloso, naturalmente, — rispose il maggiore. — Pensate, le ferrovie russe collegate con le ferrovie cinesi anziché con le ferrovie dell'India! La linea transcaspica che fa concorrenza alle ferrovie che vanno da Hérat a Delhi! D'altronde gli inglesi non sono stati fortunati in Afganistan come lo siamo stati noi nel Turkestan. Del resto, avete visto quel signore che viaggia sul nostro treno? — Perfettamente, maggiore Noltitz. E sir Francis Trevellyan di Trevellyan Hall, Trevellyanshire. — Ebbene! Sir Francis Trevellyan non ha che occhiate di disprezzo e sdegnosi scrollamenti di spalle per quanto noi abbiamo fatto. Egli incarna in persona le profonde gelosie della sua nazione, e l'Inghilterra non accetterà mai che le nostre ferrovie vadano dall'Europa all'oceano Pacifico, dato che le britanniche si fermano all'oceano Indiano! Questa interessante conversazione durò circa un'ora e mezzo mentre percorrevamo le strade di Kizil-Arvat. Era ora di tornare alla stazione e fu ciò che il maggiore ed io facemmo. Naturalmente, le cose non devono finire così e ci accordiamo a che il maggiore abbandoni il suo posto nel terzo vagone e venga a occuparne uno vicino a me all'interno del primo. Eravamo già due abitanti della stessa città; ebbene, diventeremo due vicini nella medesima casa, anzi, meglio ancora, due amici nella stessa camera. Alle nove viene dato il segnale di partenza. Il treno, lasciando Kizil-Arvat, si slancia a sud-est verso Askhabad seguendo la frontiera persiana. Il maggiore ed io abbiamo continuato a parlare di svariate cose per circa mezz'ora; egli mi fa osservare che se il sole non fosse nascosto dietro l'orizzonte, potrei vedere le ultime cime dei grandi e dei piccoli Balcani asiatici che si ergono sopra la baia di Krasnovodsk.

La maggior parte dei nostri compagni di viaggio si è già sistemata per la notte sui suoi sedili che un congegno ingegnoso ha permesso di trasformare in cuccette. Ci si può stendere, appoggiare il capo su un cuscino, avvolgersi in coperte e se si dorme male è proprio perché non si ha la coscienza tranquilla. Pare che il maggiore Noltitz non abbia nulla da rimproverarsi poiché pochi minuti dopo avermi augurato la buona notte è immerso nel sonno del giusto. Per conto mio, se resto sveglio è perché ho la mente al lavoro. Penso alla famosa cassa e all'uomo che essa rinchiude: ho deciso di mettermi in comunicazione con lui, questa notte stessa. Mi viene in mente che già altri originali hanno viaggiato in questo modo eccezionale. Nel 1889 e 1892 un sarto austriaco, certo Hermann Zeitung, è andato da Vienna a Parigi, da Amsterdam a Bruxelles, da Anversa a Cristiania rinchiuso in una cassa e due fidanzati di Barcellona, Errès e Flora Anglora, hanno diviso la medesima scatola…di conserva attraversando la Spagna e la Francia. Per prudenza, devo aspettare che Popof abbia fatto definitivamente ritorno nel suo sgabuzzino. Il treno non si fermerà prima della una di notte a Ghéok-Tepé. Immagino che il detto Popof non mancherà di fare un buon sonno nel tragitto fra Kizil-Arvat e Ghéok-Tepé e allora (o mai più) avrò modo di mettere in esecuzione il mio progetto. Ma, un'idea! Se si trattasse di Zeitung che si serve di questo mezzo di locomozione per spillar così un po' di denaro alla generosità pubblica?… Dev'essere lui… non può essere che lui!… Diavolo! Però la sua personalità non è per niente interessante!… E dire che contavo su questo intruso… Ad ogni modo, vedrò; lo conosco dalle fotografie e potrebbe darsi che potessi utilizzarlo… Mezz'ora dopo la nostra partenza, una porta che si chiude rumorosamente sulla piattaforma anteriore mi dice che il capotreno è rientrato nel suo sgabuzzino. Nonostante la voglia che ho di andar a fare una visita al bagagliaio, decido di pazientare perché è possibile che Popof non sia ancora immerso nel sonno più profondo. All'interno del treno tutto è tranquillo sotto la luce velata delle lampadine. Fuori la notte è scurissima, i fremiti del treno si

confondono con il fischiare di una brezza piuttosto fresca. Mi alzo, scosto il velo da una delle lampadine e guardo l'orologio… Sono le undici e pochi minuti. Mancano ancora due ore alla fermata di Ghéok-Tepé. Il momento è giunto. Dopo esser scivolato fra i sedili, raggiungo la porta, l'apro e la richiudo dolcemente senza che nessuno dei miei compagni mi abbia sentito e senza aver svegliato alcuno. Eccomi sulla piattaforma davanti alla passerella che trema per gli scossoni del treno. In mezzo all'insondabile oscurità in cui si avvolge il Kara-Koum, provo l'impressione che dà l'immensità notturna del mare attorno a una nave. Dalle persiane dello sgabuzzino filtra una debole luce. Devo aspettare che venga spenta oppure, cosa più probabile, essa durerà fino allo spuntar del giorno?… Ad ogni modo, Popof non è ancora addormentato: lo capisco dal rumore che fa rigirandosi. Me ne sto appoggiato alla balaustra della piattaforma. Sporgendomi, i miei sguardi vengono attratti dalla striscia luminosa che il fanale di testa proietta davanti alla macchina. Sembra che si viaggi su una strada infuocata. Sopra il mio capo le nubi si danno la caccia disordinatamente e con estrema rapidità; attraverso i loro squarci scintillano alcune costellazioni: ecco Cassiopea; a nord, l'Orsa Minore; allo zenit, la stella Vega della costellazione della Lira. Finalmente il silenzio più assoluto regna da una piattaforma all'altra. Popof, nonostante abbia l'incarico di sorvegliare il personale del treno, ha gli occhi sigillati dal sonno. Certo di poter agire impunemente, varco la passerella e mi trovo davanti alla porta del bagagliaio. Questa porta è chiusa semplicemente da una sbarra che dondola fra due ferri. L'apro e me la tiro dietro. Ho eseguito la manovra senza far rumore, perché se è vero che non voglio attirare l'attenzione di Popof, non voglio nemmeno risvegliare quella del mio "ingabbiato volontario". Nonostante la profonda oscurità che regna nel vagone, che non ha

alcun finestrino laterale, riesco ad orizzontarmi. So dove sta la cassa: all'angolo di sinistra, entrando. L'importante è di non andare a sbattere contro qualcuno dei colli, tanto più che essi appartengono a Fulk Ephrinell e immaginate che baccano si udirebbe se uno di essi precipitasse con tutti i suoi pacchetti di denti artificiali! Prudentemente, procedendo a tentoni, tastando a destra e a sinistra prendo contatto con la cassa. Le zampe di una mosca non l'avrebbero sfiorata più leggermente di quello che fecero le mie mani quando riuscii ad accarezzarne i contorni. Mi chino e poso timidamente l'orecchio contro il pannello anteriore… Non si sente un respiro. I prodotti della ditta Strong Bulbul and Co. di New York non sono più silenziosi nelle loro scatole. Un timore mi invade, il timore di veder crollare tute le mie speranze di reporter. Mi sono sbagliato a bordo dell’Astara? Quel respiro, quello sternuto li ho forse sognati? Forse nessuno è rinchiuso in questa cassa? Nemmeno Zeitung? Si tratterà poi veramente di specchi spediti alla signorina Zinca Klork, viale Cha-Coua, Pechino, Cina?… No! per quanto debole sia stato, ho sorpreso un movimento all'interno della cassa; esso va accentuandosi e io mi sto domandando se il pannello non si abbasserà lungo la guida e se il prigioniero non stia per uscire dalla sua prigione per respirare un poco l'aria fresca dell'esterno. Il meglio che possa fare per vedere senza essere visto è di rannicchiarmi in fondo al bagagliaio nascosto fra due colli. Grazie all'oscurità, non c'è niente da temere. Improvvisamente un leggero scricchiolio colpisce il mio orecchio. Non sono vittima di un'illusione; è proprio lo sfregamento di un fiammifero che si sta accendendo… Quasi contemporaneamente alcuni deboli raggi di luce brillano attraverso i fori di aerazione della cassa. Se mai avevo avuto dubbi sulla categoria a cui appartenesse il prigioniero, nella scala degli esseri viventi, in quel momento ne fui certo. A meno che non si trattasse di una scimmia che conoscesse

l'uso del fuoco e sapesse anche maneggiare i fiammiferi… Certi viaggiatori dicono che ne esistono, ma si deve stare alla loro parola. Perché non confessarlo? Sono preso da una certa emozione e mi guardo bene dal muovermi. È passato un minuto. Non c'è niente che indichi che il pannello sia stato mosso, né che lo sconosciuto stia per uscire… Mi rialzo, striscio nel bagagliaio, mi avvicino… Un solo timore mi ossessiona: che la luce si spenga bruscamente… Infine, eccomi arrivato contro il pannello, che però mi guardo bene dal toccare, e applico il mio occhio a uno dei buchi… C'è proprio un uomo chiuso lì dentro e non è Zeitung, il sarto austriaco. Signore, Vi ringrazio!… Ne faccio immediatamente il mio numero 11. Quest'uomo, di cui vedo distintamente i lineamenti, mi sembra avere dai venticinque ai ventisei anni. Ha una barba bruna; è il vero tipo del romeno e ciò conferma le mie idee sulla sua corrispondente romena. Ha uno sguardo buono nonostante che la sua fisionomia denoti grande energia: e non ne è forse necessaria molta, per avere il coraggio di farsi spedire come bagaglio per un tragitto così lungo? Però, se non ha per niente l'aria di un malfattore che si sia fatto rinchiudere in quel modo per tentare qualche colpo, devo confessare che non ha neppure l'aspetto dell'eroe di cui avrei voluto fare il personaggio principale di questo racconto. Dopo tutto non erano eroi nemmeno quell'austriaco e quello spagnolo che avevano viaggiato nelle loro casse; erano dei giovanotti molto semplici, molto borghesi e ciononostante fornirono ai cronisti materia per intere colonne di cronaca. E questo bravo numero 11, grazie ad amplificazioni, antinomie, diaferesi, epitesi, tropi, metafore e altre figure di questo genere, riuscirò a abbellirlo, ingrandirlo, svilupparlo come si sviluppa una negativa. E poi, viaggiare in una cassa da Tiflis a Pechino, è ben altro che andare da Vienna o da Barcellona a Parigi, come hanno fatto Zeitung, Errès e Flora Anglora. Di più, non tradirò il mio romeno, né lo denuncerò a nessuno. Egli non dovrà dubitare della mia discrezione e dei miei buoni uffici per essergli utile, nel caso che venisse scoperto… Ma non lo sarà.

Cosa sta facendo in questo momento?… Seduto in fondo alla cassa, alla luce di una piccola lampada, il bravo ragazzo sta cenando tranquillamente. Sulle ginocchia ha una scatola di carne e il biscotto non gli manca: in un armadietto vedo delle bottiglie piene, inoltre una coperta e un mantello sono appesi alle pareti. È proprio a suo agio, il mio numero 11! Sta nella sua stanza come la lumaca nel suo guscio. La sua casa viaggia con lui che, in tal modo, economizza il migliaio di franchi che gli sarebbe costato il viaggio da Tiflis a Pechino, sia pure in seconda classe lo so: questo si chiama frodare e ci sono leggi che impediscono questa frode. Ma intanto egli può uscire quando vuole dalla sua cassa, passeggiare nell'interno del bagagliaio e (di notte) avventurarsi perfino sulla piattaforma… No! non lo compiango e quando penso che si fa recapitare all'indirizzo di una bella romena, prenderei molto volentieri il suo posto. Mi viene un'idea che mi sembra buona, ma che può anche non esserlo: battere un colpo leggero al pannello della cassa; entrare in rapporto con il mio nuovo compagno, venir a sapere chi è, da dove viene poiché so dove va. Sono divorato da una curiosità vivissima… Bisogna che la soddisfi… In certi momenti il cronista si trasforma in figlia di Eva! Ma quel disgraziato giovanotto, come prenderà la cosa?… Benissimo; ne sono sicuro. Gli dirò che sono francese, e un romeno sa bene che si può fidare di un francese. Gli offrirò i miei servizi… Gli proporrò di alleviare i rigori della sua prigionia con le mie interviste e di completare la scarsità del suo vitto con qualche leccornia… Non rimpiangerà le mie visite né dovrà temere le mie imprudenze. Picchio sul pannello… La luce si spegne immediatamente. Il prigioniero ha smesso di respirare… Bisogna rassicurarlo. — Aprite, — dico sottovoce in russo… — aprite. Non ho potuto finire la frase perché il treno ha avuto una scossa e mi sembra che rallenti di velocità. Eppure non siamo ancora arrivati alla stazione di Ghéok-Tepé.

Si odono delle grida all'esterno. Mi affretto a uscire dal bagagliaio di cui richiudo la porta. Era tempo. Sono appena arrivato sulla piattaforma, che lo sgabuzzino si apre. Ne esce Popof che, senza avermi visto, entra nel bagagliaio dirigendosi verso la locomotiva. Quasi subito il treno ha ripreso la sua normale velocità e un istante dopo Popof ricompare. — Cos'è successo, Popof? — Cose che succedono spesso, signor Bombarnac. Un dromedario si è fatto schiacciare… — Povera bestia! — Povera bestia… che avrebbe potuto causare un deragliamento… — Dannata bestia, allora!

CAPITOLO VIII PRIMA che il treno raggiungesse la stazione di Ghéok-Tepé, sono rientrato nel mio vagone. Al diavolo quel dromedario! Se non si fosse fatto schiacciare così sciaguratamente, il numero 11 non sarebbe più uno sconosciuto per me. Avrebbe aperto il suo pannello e avremmo chiacchierato amichevolmente e poi ci saremmo separati con un'energica stretta di mano…Ora, invece, deve essere preoccupatissimo, poiché sa che la sua frode è stata scoperta e che esiste qualcuno delle cui intenzioni egli ha motivo di sospettare: qualcuno che forse non esiterà a tradire il suo segreto… E allora, dopo essere stato estratto dalla cassa, verrà messo in buona custodia alla stazione più vicina e invano la signorina Zinca Klork lo aspetterà nella capitale del Celeste Impero! Sì! Sarebbe bene rassicurarlo questa notte stessa… Ma è impossibile perché il treno si fermerà fra poco a Ghéok-Tepé, poi a Askhabad che lascerà alle prime luci del giorno. Non posso più contare sul sonno di Popof. Ero assorto in queste riflessioni quando la locomotiva, alla una di notte, si è fermata alla stazione di Ghéok-Tepé. Nessuno dei miei compagni di viaggio ha abbandonato la sua cuccetta. Scendo sul marciapiede e vado a passeggiare attorno al bagagliaio. Correrei troppi rischi se cercassi di introdurmici. In quanto alla città, che avrei visitato volentieri, ne sarei stato impedito dalla profonda oscurità. Da ciò che mi ha detto il maggiore Noltitz essa conserva ancora le tracce del terribile assalto di Skobeleff nel 1880: mura smantellate, bastioni in rovina… Devo rassegnarmi ad aver visto tutto ciò con gli occhi del maggiore. Alle due del mattino, il treno riparte dopo aver accolto alcuni viaggiatori che Popof mi dice essere turcomanni. Quando si farà giorno, li passerò in rivista. Una passeggiata di una decina di minuti sulla piattaforma mi permette di intravvedere le montagne della frontiera persiana sul limite estremo dell'orizzonte. Al di là dei ciuffi di un'oasi

verdeggiante bagnata da numerosi corsi d'acqua attraversiamo grandi pianure coltivate dove la ferrovia fa molte deviazioni: delle "divisioni", dicono gli inglesi. Dopo aver constatato che Popof non ha nessuna intenzione di riaddormentarsi, sono andato a riprendere il mio posto nell'angolo. Alle tre, nuova fermata. Sul marciapiede, gridano il nome di Askhabad. Siccome non posso star fermo, scendo lasciando i miei compagni profondamente addormentati, e mi avventuro in città. Askhabad è il capoluogo della regione transcaspiana e rammento bene quello che ne ha detto l'ingegner Boulangier durante l'interessante viaggio che egli fece fino a Merv. Tutto quello che ho potuto intravvedere, sulla sinistra della stazione, è stata la sagoma scura del forte turcomanno che domina la città nuova, la cui popolazione, dal 1887, è quasi raddoppiata. In tutto, forma un blocco piuttosto confuso dietro uno spesso sipario di alberi. Sono rientrato verso le tre e mezzo. In quel momento Popof attraversa il bagagliaio non so a quale scopo. Come dev'essere grande la preoccupazione del giovane romeno per tutti questi andirivieni davanti alla sua cassa! Quando Popof ricompare: — Niente di nuovo? — ho chiesto. —Niente, signor Bombarnac, se non che la brezza del mattino è fresca. — Molto fresca, infatti. C'è un bar in stazione?… — Sì, ce n'è uno per soddisfare i viaggiatori. — E, senza dubbio, anche gli impiegati, vero, Popof? Venite con me, dunque. E Popof non si fa pregare altro. Se è vero che il bar è aperto, mi sembra però che i consumatori abbiano una scelta di consumazione assai ristretta. Per tutto liquore c'è il "kimis", bibita che si ottiene dal latte di mucca fermentato; esso ha il sapore di inchiostro un po' insipido: molto nutriente, però, pur essendo molto liquido. Bisogna esser tartari per aver anche solo il coraggio di guardare quel kimis; almeno quello è l'effetto che mi ha fatto. Popof, però, l'ha trovato eccellente e questo è essenziale. La maggior parte dei sarthi e dei chirghisi scesi a Askhabad, sono

stati sostituiti da altri viaggiatori di seconda classe, afgani, di condizione mercanti ma soprattutto contrabbandieri, molto addentro in questo tipo di affari. Tutto il té verde che si consuma nell'Asia centrale, essi lo fanno venire dalla Cina attraverso l'India, e nonostante il trasporto considerevolmente allungato, lo vendono a un prezzo inferiore del té russo. Inutile dire che i bagagli di quegli afgani vengono controllati con minuzia moscovita. Il treno è ripartito alle quattro del mattino. Il nostro vagone continua ad essere trasformato in vagone letto. Invidio il sonno dei miei compagni e, non potendo far di meglio, me ne ritorno sulla piattaforma. A est spunta l'alba. Qua e là si vedono i resti dell'antica città: una roccaforte cinta da alti bastioni, e una successione di lunghi portici che si sviluppano per più di millecinquecento metri. Dopo aver superato diversi terrapieni resi necessari dall'ineguaglianza del fondo sabbioso, il treno ritrova la steppa orizzontale. Procediamo alla velocità di sessanta chilometri orari, dirigendoci verso sud-est in modo di seguire la frontiera persiana: è solo al di là di Duchak che la ferrovia se ne allontana. Durante un tragitto di tre ore, ecco i nomi delle due stazioni dove ci siamo fermati per diverse necessità: Chèours, raccordo con la strada per Meschhed, da dove si vedono le alture dell'altopiano dell'Iran, e Artyk, dove l'acqua è abbondante ma leggermente salmastra. Il treno attraversa l'oasi dell'Atek, tributario di una certa importanza del mar Caspio. Verzura e alberi dappertutto. Questa oasi giustifica il proprio nome e non sarebbe indegna del Sahara. Si estende fino alla stazione di Duchak, alla seicentoseiesima versta dove arriviamo alle sei del mattino. Due ore di fermata, ossia due ore di passeggiata. Via, per visitare Duchak accompagnato dal maggiore Noltitz che mi fa ancora una volta da cicerone. Un viaggiatore ci ha preceduti fuori dalla stazione: riconosco sir Francis Trevellyan. Il maggiore mi fa osservare che l'espressione di quel gentiluomo è più che mai accigliata, la sua bocca più che mai sdegnosa e l'attitudine più che mai anglosassone. — E sapete perché, signor Bombarnac? — aggiunge. — Perché

dalla stazione di Duchak fino al termine delle ferrovie dell'India inglese, una linea che traversasse la frontiera dell'Afganistan, Kandahar, le gole di Bolan e l'oasi di Pendjech, basterebbe a collegare le due reti ferroviarie. — E questa linea sarebbe?… — Di soli mille chilometri; ma gli inglesi si ostinano a non voler dare via libera ai russi. Eppure che vantaggio sarebbe per il traffico poter mettere Calcutta a soli dodici giorni da Londra! Chiacchierando, io e il maggiore giriamo per Duchak. Già da molti anni si prevedeva l'importanza che avrebbe preso quel modesto villaggio. Una diramazione lo collega con la linea di Teheran, in Persia, mentre nessun tracciato è stato nemmeno progettato in direzione delle ferrovie dell'India. Fin tanto che nel Regno Unito i gentlemen fatti sullo stampo di sir Francis Trevellyan saranno la maggioranza il raccordo asiatico non sarà mai realizzato. Il discorso mi conduce a interrogare il maggiore sul grado di sicurezza della Grande Transasiatica attraverso le province dell'Asia centrale. — Nel Turkestan — mi risponde — questa sicurezza è abbastanza ben garantita. Gli agenti russi sorvegliano continuamente la ferrovia, il servizio di polizia si svolge regolarmente nei dintorni delle stazioni e siccome le stazioni non distano molto una dall'altra, non penso che i viaggiatori abbiano a temere dalle tribù nomadi. Inoltre, la popolazione turcomanna si è assoggettata alle esigenze (talvolta assai dure) dell'amministrazione moscovita. Infatti il tratto transcaspico funziona da tanti anni e nessun attacco ha mai intralciato i suoi treni. — Ciò è rassicurante, maggiore Noltitz. E per la parte compresa fra la frontiera e Pechino… — Quella è un'altra cosa — risponde il maggiore. — Sull'altopiano del Pamir, la linea è strettamente sorvegliata, ma al di là, la Grande Transasiatica è sotto il controllo dell'amministrazione cinese, della quale non mi fido molto. — Le stazioni distano molto una dall'altra? — chiedo. — Qualche volta, molto. — E gli impiegati russi verranno sostituiti con impiegati cinesi? — Sì, ad eccezione del nostro capotreno, Popof, che deve

accompagnarci per tutto il tragitto. — Allora come impiegati, meccanici e guidatori avremo dei celestiali?… Eh, maggiore, ciò mi sembra preoccupante e la sicurezza dei viaggiatori… — Ricredetevi, signor Bombarnac, gli agenti cinesi non sono meno esperti dei nostri, e sono degli eccellenti meccanici. E altrettanto è degli ingegneri che hanno costruito la linea attraverso il Celeste Impero. La razza gialla è, senza dubbio, una razza molto intelligente e molto ricettiva dei progressi industriali! — Lo credo, maggiore, dato che un giorno dovrà diventare la padrona del mondo… dopo la razza slava, naturalmente! — Non so proprio che cosa riserva l'avvenire — mi risponde sorridendo il maggiore Noltitz. — Ma, tornando ai cinesi, vi garantisco che hanno un'intelligenza pronta e una stupefacente facilità di assimilazione. Li ho visti all'opera e ne parlo per esperienza. — D'accordo, ma se non c'è pericolo da questo lato, non è forse vero che bande di malfattori percorrono i vasti deserti della Mongolia e della Cina settentrionale? — E credete che questi malfattori oserebbero attaccare un treno? — Proprio così, maggiore, ed è quello che mi rassicura… — Come… questo vi rassicura? … — Certo, poiché la mia sola preoccupazione è che il nostro viaggio si svolga senza incidenti. — Veramente, signor reporter, vi ammiro!… Avete bisogno d'incidenti… — Come il medico di ammalati. Venisse un bell'incidente… — Eh, signor Bombarnac, temo che sarete deluso sotto questo aspetto se è vero, come ho sentito dire, che la Compagnia sta venendo a patti con alcuni capi banda… — Come quella famosa amministrazione ellenica con l'Hadji Stavros del romanzo di About?… — Precisamente, e chissà anche se nel suo consiglio… — Perbacco, ecco una cosa che non potrei credere… — E perché no? — mi risponde il maggiore Noltitz. — Sarebbe molto all'ultima moda questo sistema di garantire la sicurezza dei

treni nella traversata del Celeste Impero. Ad ogni modo c'è uno di questi industriali del brigantaggio che ha voluto conservare la sua indipendenza e libertà d'azione, un certo Ki-Tsang… — Chi è questo cinese? — Un audace capo banda, di origine per metà cinese e per metà mongola. Dopo aver sfruttato per un pezzo lo Junnan dove ha finito per essere braccato troppo da vicino, si è trapiantato nelle province del nord. La sua presenza è stata persino segnalata sulla parte della Mongolia servita dalla Grande Transasiatica. — Gran Dio! ecco un fornitore di cronaca come occorre a me! — Signor Bombarnac, le cronache che vi fornirebbe questo KiTsang potrebbero costare molto caro… — Bah! Maggiore, il "XX Siecle" non è forse ricco abbastanza per pagare la sua gloria? — Pagare con i suoi soldi, sì, ma noialtri pagheremo forse con le nostre vite! Per fortuna, i nostri compagni non hanno sentito le vostre parole, altrimenti reclamerebbero in massa la vostra espulsione dal treno. Perciò siate prudente e non manifestate i vostri desideri di cronista in cerca di avventure. Soprattutto, che non si parli di questo Ki-Tsang… Sarà molto meglio nell'interesse dei viaggiatori… — Ma non del viaggio, maggiore… Ritorniamo verso la stazione. La fermata a Duchak deve prolungarsi ancora una mezz'ora. Passeggiando lungo il marciapiede osservo una manovra che modificherà la composizione del treno. Da Teheran è arrivato un nuovo vagone instradato sul binario di Meschhed che mette in comunicazione la capitale della Persia con la Transcaspica. Questo vagone, chiuso e piombato, è accompagnato da una scorta di sei agenti, di nazionalità persiana che sembra aver la consegna di non perderlo di vista. Non so se dipende dalle mie condizioni di spirito, ma mi sembra che quel vagone abbia qualcosa di speciale, di misterioso; e dato che il maggiore mi ha lasciato, mi rivolgo a Popof che sta sorvegliando la manovra. — Popof, dove va questo vagone? — A Pechino, signor Bombarnac.

— E cosa trasporta? — Cosa trasporta?… un gran personaggio. — Un gran personaggio? — Ciò vi fa meraviglia? — Infatti… in quel vagone… — Se lo ha voluto lui. — Ebbene, Popof, avvertitemi quando scenderà questo gran personaggio. — Non scenderà. — Perché? … — Perché è morto. — Morto? … — Sì; è il suo corpo che si sta riportando a Pechino dove verrà seppellito con tutti gli onori che gli sono dovuti. Finalmente c'è dunque un personaggio importante sul nostro treno, allo stato di cadavere, è vero! Non importa! raccomando a Popof di cercar di conoscere il nome del defunto. Dev'essere qualche mandarino di riguardo. Appena lo saprò, manderò un telegramma al "XX Siécle". Mentre sto guardando questo vagone c'è un altro viaggiatore che l'osserva non meno curioso di me. Questo viaggiatore è un uomo d'aspetto fiero, di una quarantina d'anni, che porta elegantemente il costume dei mongoli ricchi; è alto di statura, ha lo sguardo un po' fosco, baffi da moschettiere alla Scholl (potesse averne lo spirito!), colorito bruno, palpebre che non battono. "Un magnifico tipo! " dico a me stesso. "Non so se diventerà il personaggio di primo piano che cerco, ma a buon conto gli darò il numero 12 nella mia compagnia ambulante." Questo gran personaggio di primo piano (l'ho saputo subito da Popof) è il signor Faruskiar. E accompagnato da un altro mongolo, di rango inferiore al suo, della sua stessa età, di nome Ghangir. Entrambi scambiano qualche parola guardando il vagone che viene attaccato in coda al treno, prima del bagagliaio. Appena terminata la manovra, i persiani prendono posto nella vettura di seconda classe che precede la vettura mortuaria affinché la preziosa salma resti

sempre sotto la loro sorveglianza. In questo momento si sente gridare sul marciapiede della stazione. Queste grida, le conosco. E il barone Weissschnitzerdörfer che grida: — Fermatelo… fermatelo! Questa volta non si tratta di fermare un treno in partenza, ma un cappello in pericolo. Delle folate piuttosto violente si riversano su questa stazione aperta a tutti i venti, e il cappello del barone (un casco di colore bluastro) gli viene strappato via bruscamente; esso rotola sul marciapiede, sulle rotaie, rasenta gli steccati e i muri e il suo proprietario corre a perdita di fiato senza riuscire a raggiungerlo. Devo riconoscere che vedendo quell'inseguimento disperato, il signor e la signora Caterna si tengono i fianchi dalle risa e il giovane cinese Pan-Chao scoppia in una risata, mentre il dottor Tio-King resta imperturbabilmente serio. Il tedesco, rosso in volto, senza fiato, ansimando, spolmonato, non ne può più. A due riprese riesce a mettere una mano sul suo copricapo, che però gli sfugge, ed egli finisce lungo disteso con la testa sotto le pieghe della sua palandrana; ciò che induce il signor Caterna a canticchiare il celebre motivo di Miss Helyett: "Ah! il bellissimo punto di vista…a…a…sta! " "Ah! la prospettiva imprevista…a…a…sta!" Non conosco niente di più malizioso, di più burlesco di un cappello portato dal vento, che va, viene, caracolla, salta, sobbalza, fluttua, riparte della più bella quando credete di averlo afferrato. Se mi dovesse succedere una cosa simile perdonerei a quelli che ridessero della comica lotta. Ma il barone non è in vena di perdonare. Salta di qui, rimbalza di là, si avventura fra le rotaie. Gli gridano — Fate attenzione… fate attenzione — perché il treno proveniente da Merv entra in stazione con una certa velocità. È la morte del cappello; la locomotiva lo schiaccia senza pietà e quando viene consegnato al barone il casco è ridotto a un cencio sbrindellato. E allora ricomincia la serie d'imprecazioni all'indirizzo della Grande Transasiatica.

Dato il segnale, i viaggiatori vecchi e nuovi si affrettano a riprendere i loro posti. Fra i nuovi, vedo tre mongoli, di aspetto piuttosto cattivo, salire in un vagone di seconda classe. Mentre sto mettendo piede sulla piattaforma, sento il giovane cinese dire al suo compagno: — Eh! dottor Tio-King, avete visto quel tedesco con il suo cappello buffo?… Quanto ho riso! Come mai Pan-Chao parla il francese correntemente, che dico? meglio ancora che il francese, il parigino?… Il che mi stupisce… per parlarlo a mia volta!

CAPITOLO IX SIAMO partiti in perfetto orario. Questa volta il barone non avrà da lamentarsi. Dopo tutto, capisco le sue impazienze: basta un minuto di ritardo per fargli perdere il piroscafo di Tien-Tsin per il Giappone. La giornata si annuncia bella. Però c'è un vento pazzo da spegnere il sole come se fosse una candela, uno di quegli uragani che, dicono, arrestano le locomotive della Grande Transasiatica. Oggi, però, fortunatamente soffia da ovest e sarà molto sopportabile perché investe il treno dal dietro. Si potrà restare sulle piattaforme. Ora mi auguro di entrare in conversazione con il giovane PanChao. Popof aveva ragione: dev'essere figlio di una famiglia ricca che ha passato qualche anno a Parigi per istruirsi e divertirsi. Dev'essere stato uno degli ospiti assidui del té delle cinque del "XX Siècle". Frattanto ho altre cose di cui occuparmi. Per primo, dell'uomo nella cassa. Sarà passata un'intera giornata, prima che abbia potuto tranquillizzarlo. In quali angoscie sarà certamente! Ma siccome sarebbe imprudente entrare di giorno nel bagagliaio, bisogna aspettare la notte. E non devo dimenticare che nel mio programma è anche indicato un colloquio con il signor e la signora Caterna; questo, d'altronde, non presenterà alcuna difficoltà. Quello che dev'essere meno facile, è mettermi in comunicazione con il numero 12: il superbo signor Faruskiar. Sembra molto "abbottonato", quell'orientale! Ah! un nome da sapere al più presto è quello del mandarino che ritorna in Cina sotto forma di collo mortuario. Con un po' di abilità, Popof finirà per saperlo da uno dei persiani preposti alla guardia di Sua Eccellenza. Se fosse quello di un grande funzionario, il PaoWang, il Ko-Wang, il viceré dei due Kiang, il principe King in persona… Per la prima ora il treno non fa che correre attraverso l'oasi. Presto saremo in pieno deserto. Il terreno è formato da strati alluvionali che

si stendono fino ai dintorni di Merv. Bisogna abituarsi a questa monotonia del viaggio che si prolungherà fino alla frontiera del Turkestan. Oasi e deserto, deserto e oasi. Però all'avvicinarsi dell'altopiano del Pamir, lo scenario cambierà a vista. I soggetti di paesaggio non mancano al nodo orografico che i russi hanno dovuto tagliare come l'astuto Alessandro ha fatto con il nodo che univa il giogo al timone del carro di Gordio. Ciò ha valso al conquistatore macedone l'impero dell'Asia… ed è di buon augurio per la conquista dei russi. Dunque, aspettiamo la traversata dell'altopiano del Pamir e i suoi paesaggi variati. Al di là si svolgono le interminabili pianure del Turkestan cinese e le immensità sabbiose del deserto di Gobi, dove ricomincerà la monotonia del percorso. Sono le dieci e mezzo. Ben presto verrà servita la colazione nel vagone-ristorante. Ma prima di tutto la mia passeggiata mattutina lungo la "via principale" del treno. Dov'è finito Fulk Ephrinell? Non lo vedo al suo posto accanto alla signorina Horatia Bluett che interrogo dopo averla salutata molto gentilmente. — Il signor Fulk è andato a dare un'occhiata ai suoi bagagli — mi risponde. Ah! è già arrivata al "signor Fulk" in attesa di arrivare semplicemente a Fulk! Il signor Faruskiar e Ghangir dalla loro partenza si sono sistemati in fondo al secondo vagone. In questo momento, soli, parlano fra loro a bassa voce. Ritornando, incontro Fulk Ephrinell che va a raggiungere la sua compagna di viaggio. Mi stringe americanamente la mano. Gli dico che la signorina Horatia Bluett mi ha dato sue notizie. — Oh! — fa lui — che donna ordinata, che commerciante fuori classe!… Una di quelle inglesi… — Degne di essere americane! —aggiungo io. — Wait a bit! —replica lui sorridendo con aria che non potrebbe essere più significativa. Quando sto per uscire, mi accorgo che i due celestiali devono essere già andati alla vettura-ristorante. Il libro del dottor Tio-King è

rimasto su una mensola del vagone. Non credo che sia indiscrezione da parte di un reporter prendere questo libro, aprirlo e leggerne il titolo che suona così: Della vita sobria e regolata o l'arte di vivere a lungo in perfetta salute Tradotto dall'italiano da Luigi Cornaro, nobile veneziano Accresciuto dal modo di correggere un cattivo carattere di godere perfetta felicità fino ali 'età più avanzata e di non morire che per l'estinzione della linfa vitale consumata da estrema vecchiaia Salerno MDCCLXXXII Così, questa era la lettura preferita del dottor Tio-King! ed ecco perché il suo poco rispettoso discepolo gli lancia a volte il nome Cor. all'infuori del suo motto: Abstinentia adjicit vitam. Mi propongo però di non mettere in pratica il motto del nobile veneziano, almeno per la colazione. Niente di nuovo per ciò che riguarda la sistemazione dei commensali nel vagone-ristorante. Mi ritrovo vicino al maggiore Noltitz che osserva con una certa attenzione il signor Faruskiar e il suo compagno, seduti all'estremità della tavola. Ci domandiamo chi mai può essere quel mongolo dall'aspetto così altero. — Ma — dico per l'idea che mi frulla in testa — se fosse… — Chi, dunque? — risponde il maggiore. — Quel capo di pirati… il famoso Ki-Tsang… — Scherzate… scherzate pure, signor Bombarnac, ma sottovoce, mi raccomando! — Via, maggiore, convenite con me che si tratta di un personaggio dei più interessanti, degno di essere minuziosamente intervistato. Chiacchierando, mangiamo di buon appetito. La colazione è ottima poiché le provviste sono state rinnovate a Askhabad e a

Duchak. Come bevande abbiamo tè, vino di Crimea, birra di Kazan; come carne delle costolette di montone e ottima carne conservata; come dessert, un melone saporito, pere e uva di prima scelta. Dopo la colazione me ne vengo a fumare il mio sigaro sulla piattaforma posteriore del vagone-ristorante. Quasi subito sono raggiunto dal signor Caterna. Evidentemente l'ineffabile tenore comico curava l'occasione di entrare in rapporto con me. I suoi occhi spiritosi, semichiusi, il suo volto glabro, le sue guance abituate alle basette finte, le sue labbra abituate ai baffi finti, il suo capo abituato ai capelli posticci rossastri, neri, grigi, alla calvizie o ai lunghi crini secondo le parti, tutto denota in lui il commediante abituato alla vita del palcoscenico. Ma il signor Caterna ha una fisionomia così aperta, un volto così ilare, un'attitudine così franca: infine tutta l'apparenza di un gran bravo uomo! — Signore — mi dice — possibile che due francesi vadano da Baku a Pechino senza far conoscenza? — Signore — risposi — quando incontro un compatriota… — Che è parigino, signore… — E, di conseguenza, doppiamente francese — ho aggiunto io — mi pentirei di non avergli stretto la mano! Quindi, signor Caterna… — Sapete il mio nome? — Come voi sapete certamente il mio. — Certo, signor Claudius Bombarnac corrispondente del "XX Siecle". — Ai vostri ordini, credetemi. — Mille volte grazie, signor Bombarnac, anzi, diecimila come si dice in Cina, dove stiamo recandoci io e la signora Caterna… — Per assumere a Shangai i posti di tenore comico e di prima attrice in tutti i generi nella compagnia della residenza francese… — Ma voi, dunque, sapete proprio tutto? … — Un reporter! — Giusto — Aggiungerò anche, riferendomi a certi modi di dire marinareschi, che un tempo dovete aver navigato, signor Caterna… — Lo credo bene, signor reporter. Ex capo lancia dell'ammiraglio de Boissoudy a bordo del Redoutable.

— Mi domando allora perché voi, marinaio, non avete preso la via del mare… — Ah! ecco, signor Bombarnac. Sappiate che la signora Caterna, (senza dubbio la miglior prima attrice in tutti i generi di provincia) a cui nessuna passerebbe in prora (scusate, abitudine di vecchio marinaio!) nelle parti di servetta e in costume, non sopporta il mare. Così quando seppi della Grande Transasiatica le dissi "Stai tranquilla, Caroline! Non temere l'elemento perfido e ingannatore! Andremo attraverso la Russia, il Turkestan e la Cina senza abbandonare la terra ferma! ". E come questo ha fatto piacere alla mia cara, così coraggiosa, così pronta a sacrificarsi, così… non trovo la parola giusta! Infine, signore, una prima attrice in tutti i generi che farebbe anche la parte della strega pur di non lasciare un direttore nei guai! Un'artista, una vera artista! Fa piacere ascoltare il signor Caterna. E "sotto pressione" come dicono i macchinisti, e c'è solo da lasciargli emettere il suo vapore. Anche se può sembrare sorprendente, egli adora sua moglie e mi fa piacere di pensare che ella lo ricambi. Una coppia ben assortita, se mai ce ne fu una, come vengo a sapere dal mio tenore comico, mai imbarazzati, pieni di risorse, contenti della loro sorte, non amando nulla quanto il teatro, soprattutto il teatro di provincia dove lui e la signora Caterna hanno rappresentato dramma, vaudeville, commedia, operetta, opera comica, opera, traduzioni, farse spettacolari, pantomima, contenti delle rappresentazioni che iniziano alle cinque e finiscono all'una di notte, tanto nei grandi teatri dei capoluoghi quanto nelle sale dei municipi di provincia o nei granai dei villaggi, senza costumi, senza trucco, senza orchestra, a volte anche senza spettatori (ciò che li dispensava dal rendere il denaro) dei commedianti, insomma, buoni a far tutto decentemente in qualsiasi ruolo. Nella sua qualità di parigino, quando navigava il signor Caterna ha dovuto essere il buffone del castello di prua, abile di mano come un prestigiatore, abile di piede come un funambolo, capace d'imitare con la lingua o con le labbra tutti gli strumenti di legno e di ottone; possiede il più svariato assortimento di ritornelli, brindisi, canzoni patriottiche, monologhi, e scenette da caffè-concerto. Mi racconta

tutto questo gesticolando abbondantemente, con facondia inesauribile, camminando avanti e indietro, ancheggiando a gambe un po' aperte e a piedi in dentro come un marinaio brillo. Non mi annoierò in compagnia di un individuo così allegro. . — E prima di lasciare la Francia, dov'eravate? — gli chiedo. — A la Fertè-sous-Jouarre, dove la signora Caterna ha avuto un vero successo nella parte di Elsa nel Lohengrin che abbiamo rappresentato senza orchestra. Ma che lavoro interessante e ben fatto! — Dovete aver girato il mondo, signor Caterna. — Lo credo bene, la Russia, l'Inghilterra, le due Americhe, Ah! signor Claudius… Mi chiama già Claudius. — Ah! signor Claudius, ci fu un tempo in cui ero l'idolo di Buenos-Ayres e l'infatuazione di Rio de Janeiro! Non crediate che inventi! No! io, mi conosco! Cattivo a Parigi, sono ottimo in provincia! A Parigi si recita per sé. In provincia si recita per gli altri! E poi, che repertorio! — Tutti i miei complimenti, caro compatriota. — Li accetto signor Claudius, perché amo la mia professione. Che volete? Non tutti possono pretendere di diventare senatori o… reporter! — Ciò è cattivo da parte vostra, signor Caterna — dico io, ridendo. — No… è la parola fine. Mentre l'inesauribile tenore comico snocciolava il suo rosario, delle stazioni apparivano e sparivano fra due colpi di fischio del treno, Kulka, Nisachurch, Kulla-Minor e altre ancora, tutte di triste aspetto; poi Bairam-Ali alla settecentonovantacinquesima versta e Kurlan-Kala alla versta ottocentoquindici. — E per dirvi tutto — continua il signor Caterna — non è che andando in giro non abbiamo guadagnato del denaro. In fondo al nostro baule, ci sono delle obbligazioni del Nord, sulle quali faccio conto: un investimento di tutto riposo e onestamente guadagnato, signor Claudius! Dio mio! Io so benissimo, però, che benché si viva in regime democratico, in regime di uguaglianza, è ancora lontano il tempo in cui si vedrà il padre nobile cenare accanto alla prefettessa in

casa del presidente della corte d'appello e la prima attrice in tutti i generi aprire il ballo con il prefetto in casa del capo di stato maggiore!… Via! si cena e si balla fra noi… — E non ci si diverte di meno per questo, signor Caterna… — Né è meno raffinato, signor Claudius — mi replica il futuro gran primo comico di Shangai scuotendo uno jabot immaginario con la disinvoltura di un Luigi XV A questo punto, la signora Caterna viene a raggiungerci. È proprio la degna compagna di suo marito, creata e messa al mondo per dargli la risposta nella vita come sulla scena, una di quelle compagne di teatro che non sono né smorfiose, né cattive lingue, generalmente figlie d'arte, nate non si sa dove e nemmeno come, ma brave ragazze. — Vi presento Caroline Caterna — mi dice il tenore comico con l'intonazione di uno che presenti la Patti o Sarah Bernhardt. — Dopo aver stretto la mano di vostro marito, sarò ben lieto di stringere la vostra, signora Caterna… — Ecco signore — mi risponde la prima attrice in tutti i generi — senza complimenti, sui due piedi e senza suggeritore! — Come vedete, per niente affettata e la miglior delle mogli… — Come lui è il miglior dei mariti! — E me ne vanto, signor Claudius — risponde il tenore comico — e sapete perché? Perché ho capito che il matrimonio sta tutto in quel precetto del Vangelo al quale i mariti dovrebbero conformarsi: il marito mangia spesso ciò che piace alla moglie! Credetemi, era commovente sentire quell'onesto istrionismo tanto diverso dalla contabilità galante del "dare e avere" del rappresentante e della rappresentante che conversavano nel vagone vicino. Ma ecco che il barone Weissschnitzerdörfer, in berretto sportivo, esce dalla vettura-ristorante dove immagino non avrà passato il tempo a consultare l'orario. — Che tipo divertente, il signore col cappello! — grida il signor Caterna, dopo che il barone è rientrato nel vagone senza onorarci nemmeno di un saluto. — Come è… tedesco! — gli fa eco la signora Caterna. — E dire che Heinrich Heine chiama quella gente querce sentimentali! — ho soggiunto io.

— Vuol dire che non conosceva questo! — risponde il signor Caterna — quercia, va bene, ma quanto a sentimentale!… — Sapete — dico — sapete perché questo barone ha preso la Grande Transasiatica? — Per andarsene a mangiare i crauti a Pechino! — mi risponde il signor Caterna. — No… no! è un rivale della signorina Nelly Bly. Ha la pretesa di fare il giro del mondo in trentanove giorni… — Trentanove giorni! — esclama il signor Caterna.— Volete dire centotrentanove! Non è sportivo, quel barone, oh! non è sportivo affatto! E con voce di clarino raffreddato il tenore comico intona l'aria ben nota delle Cloches de Corneville: "Feci tre volte il giro del mondo…" aggiungendo, dedicandolo al barone: "E io non ne farò nemmeno la metà! "

CAPITOLO X A MEZZOGIORNO e un quarto, abbiamo superato la stazione di Kari-Bata che con i suoi tetti all'italiana assomiglia un po' a una delle stazioni fra Napoli e Sorrento. Vedo un vasto accampamento russoasiatico le cui tende ondeggiano al soffio di una fresca brezza. Siamo entrati nell'oasi merviana lunga centoventicinque chilometri, larga dodici e della superficie di seicentomila ettari: non si dirà poi che le mie informazioni mancano di precisione! A destra e a sinistra, campi coltivati, macchie di begli alberi, un susseguirsi ininterrotto di villaggi, di tuguri fra gli alberi di alto fusto, frutteti fra le case, greggi di pecore e di buoi sparsi nei pascoli. Tutta questa fertile campagna è bagnata dal Murgab (l'Acqua bianca) e dalle sue derivazioni: i fagiani vi pullulano come i corvi alla superficie della pianura normanna. All'una pomeridiana il treno si ferma alla stazione di Merv a ottocen-toventidue chilometri da Uzun-Ada. Ecco una città più volte distrutta e più volte rifatta. Le guerre del Turkestan non l'hanno risparmiata. Pare che, un tempo, essa fosse un covo di razziatori e di banditi ed è deplorevole per il celebre KiTsang che egli non sia vissuto in quell'epoca. Magari sarebbe diventato un altro Gengis-Khan! A questo proposito il maggiore Noltitz mi cita un detto turcomanno che dice: "Se incontri una vipera e un merviano incomincia con l'uccidere il merviano, poi pensa alla vipera!" Voglio sperare che da quando la regione di Merv è diventata moscovita sia il caso di cominciare dalla vipera. Fermata di sette ore a Merv. Avrò così il tempo di visitare questa strana città che ha avuto una profonda trasformazione fisica e morale grazie ai procedimenti un po' arbitrari dell'amministrazione russa. È una fortuna che la sua fortezza di otto chilometri di circonferenza, costruita nel 1873 da Nur-Verdy, non abbia impedito alle truppe dello zar di impossessarsene. In tal modo l'antico nido di malfattori è

diventato una delle città importanti della Transcaspica. Ho detto al maggiore Noltitz : — Se non è abusare della vostra compiacenza, posso pregarvi di accompagnarmi… — Volentieri — mi rispose; — quanto a me, rivedrò Merv con molto piacere. Ci siamo avviati di buon passo. — Devo avvertirvi — osserva il maggiore — che visiteremo la città nuova. — E perché non prima l'antica?… sarebbe più logico e anzi più cronologico… — Perché la vecchia Merv è a trenta chilometri della nuova e l'intravvedrete appena, passando. Perciò rifatevi alle descrizioni perfettamente esatte che ne ha fatto il vostro grande geografo Elisèe Reclus. I lettori non perderanno nulla nel cambio. La distanza della stazione dalla Merv nuova è breve. Ma che orribile polverone! La città commerciale è costruita sulla sponda sinistra del fiume, una città di tipo americano che deve piacer molto a Fulk Ephrinell: strade larghe perfettamente diritte che si incrociano ad angolo retto; viali rettilinei con filari di alberi; un andirivieni molto animato di negozianti vestiti all'orientale, di israeliti, di mercanti delle specie più svariate; molti cammelli e dromedari: questi ultimi assai ricercati per la loro resistenza alla fatica e che differiscono nel treno posteriore dai loro congeneri africani. Poche le donne nelle strade assolate che sembrano incandescenti. Ho visto però qualche tipo femminile assai notevole conciato con un abito quasi militare: stivali morbidi ai piedi e cartuccera sul petto secondo la moda circassa. Oh! ricordate di diffidare dei cani randagi, animali affamati, di pelo lungo, dai denti preoccupanti, di una razza che ricorda i cani del Caucaso; non sono questi gli animali che hanno divorato un generale russo, secondo quanto racconta l'ingegner Boulangier? — Ma non per intero — mi dice il maggiore, confermando il fatto. — Hanno risparmiato gli stivali! Nel quartiere commerciale, in fondo a dei pianterreni oscuri

abitati da persiani e da ebrei, all'interno di bottegucce miserabili, si vendono quei tappeti di incredibile finezza e dai colori artisticamente combinati, tessuti per la maggioranza da vecchie che non hanno certamente dei cartoni di disegni Jacquard. Sulle due sponde del Murgab, i russi hanno costruito caserme. Là sfilano in parata soldati turcomanni al servizio dello zar. Portano berretti azzurri e spalline bianche sui loro abiti consueti e manovrano agli ordini di ufficiali moscoviti. Un ponte in legno, lungo cinquanta metri, il cui piano stradale poggia su pilastri a cavalletto, attraversa il fiume. Su di esso passano non soltanto i pedoni, ma anche i treni e al disopra dei suoi parapetti è tesa la linea telegrafica. Sull'altra sponda sorge la città amministrativa che conta un considerevole numero d'impiegati civili che portano tutti uniformemente il berretto a visiera russo. In realtà, ciò che c'è di più interessante da visitare è una specie di annesso, un villaggio Teké, una specie di isola a sé in Merv, i cui abitanti hanno conservato il brutto tipo di quella razza decadente: corpo muscoloso, orecchie a sventola, labbra grosse, barba nera. Da lì si sprigiona ancora un ultimo resto di quel color locale che manca alla città nuova. Alla svolta di una via del quartiere dei mercanti ci affianchiamo al rappresentante americano e alla rappresentante inglese. — Signor Ephrinell! — esclamo. — Non c'è poi niente di così straordinario in questa Merv moderna! — Anzi, signor Borhbarnac, la città è quasi americana, e lo diventerà completamente il giorno in cui i russi l'avranno dotata dei tram e dei lampioni a gas! — Arriveranno anche quelli. — Lo spero e allora Merv avrà il diritto di chiamarsi città. — In quanto a me, signor Ephrinell, avrei preferito fare un'escursione alla città vecchia, visitare le moschee, le fortezze, i palazzi. Disgraziatamente è un po' lontana e il treno non vi si ferma; me ne dispiace… — Puah! — fece l'americano. — Quello che io rimpiango è che non c'è nulla da fare in questi paesi turcomanni! Gli uomini hanno

tutti di quei denti… — Bisogna riconoscere, però, che le donne hanno di quei capelli… — aggiunge la signorina Horatia Bluett. — Benissimo, signorina, comperate queste capigliature e non avrete perso il vostro tempo. — E certo ciò che farà la ditta Holmes Holme di Londra — mi risponde la rappresentante inglese — appena avremo esaurito lo stock di capelli del Celeste Impero. E con questo, la coppia ci lascia. Erano le sei e proposi allora al maggiore Noltitz di cenare a Merv prima della partenza del treno. Egli accetta, ma ha avuto torto di accettare. Il nostro triste destino ci ha, portato all'Hotel Slave che è molto inferiore al nostro vagone-ristorante, almeno per la qualità dei menù. Ci fu poi, particolarmente, una minestra nazionale (il borchtch) preparata con latte acido, che mi guarderei bene di raccomandare ai buongustai del "XX Siecle". A proposito del mio giornale: e il telegramma riguardo al mandarino che il nostro treno trasporta… funerariamente? Popof sarà riuscito a sapere il nome di questo alto personaggio dagli individui muti che lo accompagnano? Sì, infine! Abbiamo appena raggiunto il marciapiede della stazione che il buon uomo si precipita verso di me dicendo: — So il nome. — Ed è?… — Yen-Lou… il grande mandarino Yen-Lou, di Pechino. — Grazie, Popof. Mi precipito verso l'ufficio telegrafico e da lì spedisco al "XX Siecle" il seguente telegramma: Merv, 16 maggio, ore 7 di sera. Treno Grande Transasiatica sta per lasciare Merv. Preso a Duchak corpo grande mandarino Yen-Lou proveniente da Persia, destinazione Pechino. Il nome di Yen-Lou si è rapidamente diffuso fra i nostri compagni

di viaggio e mi è proprio sembrato che il signor Faruskiar abbia sorriso sentendolo pronunciare. Puntualmente, alle otto di sera, abbiamo lasciato la stazione. Dopo quaranta minuti passiamo accanto alla vecchia Merv di cui non ho potuto veder nulla perché la notte era profondamente buia. Però so che vi è una fortezza con torri quadrate e mura di cinta in mattoni cotti al sole, rovine di tombe e palazzi, avanzi di moschee e tutto un insieme di avanzi archeologici per descrivere i quali ci sarebbero volute non meno di duecento righe in corpo nota. — Consolatevi, — mi dice il maggiore Noltitz. — La vostra soddisfazione non sarebbe stata ugualmente completa, poiché la vecchia Merv è stata rifatta quattro volte. Se aveste visto la quarta città, la Bairam-Ali dell'epoca persiana, non avreste potuto vedere la terza, che era mongola, e tantomeno la città musulmana della seconda epoca, chiamata Sultan-Sanjar-Kala, e altrettanto sarebbe successo della città della prima epoca. Quest'ultima è chiamata da alcuni Iskander-Kala, dal nome di Alessandro il Macedone, e da altri Ghiaur-Kala, attribuendone la fondazione a Zoroastro, il creatore della religione dei Magi un migliaio d'anni prima dell'era cristiana. Perciò se volete un consiglio, gettate alle ortiche i vostri rimpianti. Ed è esattamente quello che feci non potendo fare diversamente. Ora il nostro treno corre verso nord-est. Le stazioni si susseguono alla distanza di venti-trenta verste una dall'altra. Non ne vengono detti i nomi, poiché non vi si effettuano fermate e io devo ridurmi a saperli dall'orario. Sono Keltchi, Ravina (perché mai questo nome italiano in provincia turcomanna?), Peski, Repeteck, ecc. Attraversiamo il deserto, il vero deserto, senza un filo d'acqua. Per questo sono stati trivellati dei pozzi artesiani che alimentano sufficientemente i serbatoi della ferrovia. Dal maggiore vengo a sapere che gli ingegneri ebbero enormi difficoltà a immobilizzare le dune in questa parte della strada ferrata. Se le palizzate fossero state inclinate obliquamente come le barbe di una penna, la linea ferroviaria sarebbe stata ben presto invasa dalla sabbia così da rendere impossibile la circolazione dei treni. Superata questa regione di dune, ritroviamo la pianura perfettamente orizzontale dove la posa dei binari si è svolta assai rapidamente.

Uno alla volta i miei compagni di viaggio si addormentano, trasformando il nostro vagone in vagone-letto. Ripenso allora alla situazione del mio romeno: devo cercare di rivederlo questa stessa notte? Senza dubbio, e non solo per soddisfare una mia naturale curiosità, ma anche per calmare le sue inquietudini. Infatti, sapendo che il suo segreto è conosciuto dalla persona che gli ha parlato attraverso il pannello della cassa, se gli venisse in mente di scendere a una stazione, di sacrificare il suo viaggio, di rinunciare a raggiungere la signorina Zinca Klork per sfuggire all'inseguimento della Compagnia… Dopo tutto è possibile e il mio intervento sarebbe stato dannoso per quel povero ragazzo… senza contare che perderei il mio numero 11: uno dei più preziosi della collezione. Sono quindi deciso a fargli visita prima della prossima alba. Tuttavia, per maggior prudenza, aspetterò che il treno abbia superata la stazione di Tchardjui dove deve arrivare alle due e ventisette del mattino. La fermata è di un quarto d'ora prima di rimontare verso l'Amu-Daria. Popof andrà allora a ficcarsi nel suo sgabuzzino e io potrò introdurmi nel bagagliaio senza temere di essere visto. Come mi sembrarono lunghe le ore! A più riprese, poco mancò che soccombessi al sonno, perciò me ne andai due o tre volte a prendere aria sulla piattaforma. Al minuto preciso dell'orario il treno entra in stazione a Tchardjui, alla versta mille e cinque. Essa è un'importante città del canato di Bukhara che la Transcaspiana ha raggiunto verso la fine di novembre del 1886 : diciassette mési dopo la posa della prima traversina. Non siamo più che a dodici verste dell'Amu-Daria ed è oltrepassato quel fiume che intendo procedere alla mia operazione. Ho detto che la fermata di Tchardjui deve essere di un quarto d'ora. Alcuni viaggiatori scendono perché erano diretti a quella città che conta trentamila abitanti. Altri salgono, ma esclusivamente nei vagoni di seconda classe per recarsi a Bukhara e a Samarcanda. Sul marciapiede si verifica un certo movimento. Anch'io sono sceso e, passeggiando presso il vagone di testa, ne vedo aprirsi e richiudersi la porta senza far rumore. Un uomo striscia sulla piattaforma, scivola furtivamente attraverso la stazione scarsamente illuminata da qualche lampada a petrolio.

È il mio romeno… Non può essere che lui… Nessuno l'ha visto e si è confuso tra gli altri viaggiatori… Perché questa scappata? Forse per rinnovare le sue provviste al bar della stazione?… Oppure la sua intenzione è di piantarmi in asso come io temevo?… Perbacco, saprò ben impedirglielo… Mi farò conoscere… gli prometterò aiuto e assistenza… Gli parlerò in francese, in inglese, in tedesco, in russo… a sua scelta… Gli dirò: "Amico mio, contate sulla mia discrezione… Non vi tradirò… Viveri, ve ne porterò di notte… Incoraggiamenti, ve ne darò in quantità come dei viveri… Non dimenticate che la signorina Zinca Klork, evidentemente la più bella delle romene, vi aspetta a Pechino… ecc." Ed eccomi a seguirlo senza averne l'aria. In mezzo a quell'andirivieni non corre gran rischio di essere osservato. Né Popof, né nessuno degli impiegati potrebbero sospettare in lui un frodatore della Compagnia. Si dirigerà verso l'uscita… mi sfuggirà?… No! ha voluto soltanto sgranchirsi le gambe meglio di quello che può fare passeggiando nel bagagliaio. Dopo un periodo di prigionia durato dalla partenza da Baku, vale a dire da sessanta ore, ha ben diritto a dieci minuti di libertà. È un uomo di media statura, agile nei movimenti, e più che camminare sembra che scivoli. Si rannicchia, si raggomitola come un gatto e non deve stare troppo stretto nella sua cassa. Indossa un giubbotto, un paio di pantaloni con cintura e ha un berretto foderato di pelliccia, il tutto di colore scuro. Mi sono rassicurato circa le sue intenzioni. Ritorna verso il bagagliaio, scavalca il marciapiede, rientra passando dalla piattaforma e la porta si chiude silenziosamente alle sue spalle. Appena il treno si sarà rimesso in cammino andrò a battere al pannello della cassa e questa volta… Nuova contrarietà. Invece di un quarto d'ora, la fermata a Tchardjui ne dura tre. Si è dovuto riparare una lieve avaria a uno dei freni della locomotiva. Così, nonostante i reclami del barone tedesco, non lasciamo la stazione che alle tre e mezzo quando incomincia a far giorno. Conseguenza di tutto ciò è che, se non ho potuto fare la mia visita al bagagliaio, ho perlomeno visto l'Amu-Daria.

L'Amu-Daria è l'Oxus degli antichi, il rivale dell'Indo e del Gange. Un tempo tributario del Caspio secondo un letto indicato sulle carte, è ora diventato tributario del mare d'Arai. Alimentato dalle nevi e dalle piogge dell'altopiano del Pamir, porta le sue acque pigre fra scogliere di argilla e di sabbia. In linguaggio turcomanno è chiamato il "fiume-mare" e il suo corso si svolge per duemilacinquecento chilometri. Il treno avanza su un ponte, lungo una lega, che scavalca l'Amu-Daria e lo domina dall'altezza di undici metri dal pelo dell'acqua. Al suo passaggio il piano stradale trema sui mille piloni che lo sostengono, riuniti in gruppi di cinque, fra le campate che distano nove metri una dall'altra. Fu in dieci mesi ed al prezzo di trentacinquemila rubli, che il generale Annenkof costruì questo ponte, il più importante di tutti quelli che la Grande Transasiatica supera. Il fiume è color giallo sporco. Alcune isole, sparse qua e là, emergono dalla corrente a perdita d'occhio. Popof mi mostra i posti dei guardiani notturni, stabiliti ai parapetti del ponte. — A che servono questi posti di guardia? — ho chiesto — Ad alloggiare del personale speciale, incaricato di dare l'allarme in caso d'incendio e munito di estintori. Infatti, è prudente. Non soltanto le faville delle locomotive hanno appiccato il fuoco in parecchi punti, ma c'è da temere anche un'altra eventualità. Moltissime barche, per la maggioranza cariche di petrolio, discendono e risalgono l'Amu-Daria e succede spesso che si trasformino in brulotti. Una sorveglianza costante è quindi fin troppo giustificata perché, se il ponte venisse distrutto, occorrerebbe circa un anno per ricostruirlo durante il quale il trasporto dei passeggeri da una riva all'altra sarebbe dei più difficili. Finalmente, a piccola velocità, il treno ha attraversato il fiume. È giorno fatto. Ricompare il deserto fino alla seconda stazione: Caracul. Al di là, si delineano i meandri d'un affluente dell'AmuDaria, lo Zarafchane il "fiume che trascina l'oro con le sue acque" e il cui corso si prolunga fino alla valle di Sogd alla periferia di quella fertile oasi in cui risplende la città di Samarcanda. Alle cinque del mattino il treno si ferma nella capitale del canato di Bukhara, millecentosettesima versta a partire da Uzun-Ada.

CAPITOLO XI \I CANATI di Bukhara e di Samarcanda formavano un tempo la Sogdiana, una satrapia persiana, abitata prima dai tadjiks e poi dagli usbechi che invasero il paese alla fine del XV secolo. Ma c'è da preoccuparsi di un'altra invasione infinitamente più moderna: quella delle sabbie dopo che le piante, destinate a bloccare le dune, sono andate quasi completamente distrutte. Bukhara era la capitale del canato, la Roma dell'Islam, la "Noble Cité", la città dei Templi, il centro venerato della regione maomettana. Era la città dalle sette porte, ai tempi del suo splendore era circondata da un'ampia cinta, e i suoi commerci con la Cina sono sempre stati considerevoli. Attualmente possiede ottantamila abitanti. Ecco ciò che mi insegna il maggiore Noltitz invitandomi a visitare questa metropoli dove egli ha soggiornato parecchie volte. In quanto a lui, non potrà accompagnarmi, dovendo fare qualche visita. Dobbiamo ripartire già alle undici del mattino. Cinque ore solo di fermata e, per di più, la città è anche piuttosto lontana dalla stazione. Se l'una non fosse collegata con l'altra a mezzo di una ferrovia Decauville (questo nome francese suona bene in piena Sogdiana), non avremmo abbastanza tempo per aver anche solo una semplice idea di Bukhara. Il maggiore prenderà la Decauville con me, poi giunto a destinazione mi lascerà per andare a occuparsi dei suoi affari. Non posso fare conto su di lui. Sarò dunque ridotto alla mia sola compagnia? Possibile che neanche uno dei miei numeri venga ad unirsi a me?… Ricapitoliamo: il signor Faruskiar?… C'è da pensare a lui quanto al mandarino Yen-Lou rinchiuso nel suo catafalco viaggiante. Fulk Ephrinell e la signorina Horatia Bluett?… inutile pensare a loro quando si tratta di palazzi, di minareti, di moschee e di qualsiasi altra inutilità archeologica. Il tenore comico e la prima attrice in tutti i generi? Impossibile poiché la signora Caterna è stanca e il signor Caterna ha il dovere di starle vicino. I due celestiali?… hanno già

lasciato la stazione… Ah! sir Francis Trevellyan… Perché no? … non sono russo ed è con i russi che costoro ce l'hanno… Non sono stato io a conquistare l'Asia centrale… Tentiamo di far aprire questo gentiluomo così chiuso!… Mi avvicino, saluto, sto per parlare… Egli fa appena un leggero inchino, gira sui tacchi e se ne va. Animale! Ma la Decauville lancia i suoi ultimi fischi. Il maggiore ed io occupiamo uno dei vagoni aperti. Dopo una mezz'ora varcata la porta di Dervaze, il maggiore mi lascia, ed eccomi vagare, solo, fra le mura di Bukhara. Se dicessi ai lettori del "XX Siecle" che ho visitato le cento scuole della città, le sue trecento moschee (tante moschee quasi quante sono le chiese di Roma) essi non mi crederebbero, nonostante la fiducia che meritano incontestabilmente i reporter. Perciò mi atterrò alla vera verità. Percorrendo le strade polverose della città sono entrato a caso in edifici incontrati sul mio cammino. Ecco qui un bazar dove si vendono quei tessuti di cotone a colori alternati chiamati aladjas, fazzoletti leggeri come una ragnatela, oggetti di cuoio lavorati a meraviglia, sete il cui fruscio si chiama tchakhtchukh in lingua di Bukhara, nome che Meilhac e Halevy saggiamente non hanno dato alla loro celebre eroina. Laggiù c'è un negozio dove si possono comperare sedici varietà di té di cui undici appartengono alla categoria dei té verdi, i soli usati nell'interno della Cina e dell'Asia centrale: fra gli altri, il più apprezzato di tutti è il lonka di cui basta una sola foglia per aromatizzare un'intera teiera. Più oltre mi avvio per il lungofiume dei serbatoi di Divanbeghi, che costeggia un lato di una piazza quadrata ornata di olmi. Non molto lontano si innalza l'Arca, il palazzo fortificato dell'emiro, decorato da un orologio moderno sulla porta. Arminius Vambery ha trovato questo palazzo di aspetto sinistro e io sono della sua opinione anche se i cannoni di bronzo che ne proibiscono l'ingresso sembrano più decorativi che cattivi. Non dimentichiamo che i soldati di Bukhara che passeggiano per le strade in calzoni bianchi, tunica nera, berretto d'astrakan e grandi stivali, sono comandati da ufficiali russi dorati su tutte le cuciture. Alla destra del palazzo si erge la moschea più grande della città, la

moschea di Mesdjidi-Kelan, che fu fatta costruire da Abdullah-KhanSheibani. Ha una quantità di cupole, di piccoli campanili, di minareti di cui le cicogne che in città sono a migliaia devono essere ospiti assidue. Girando sempre a caso capito sulla riva dello Zarafchane a nordest della città. Le sue acque limpide e fresche spazzano i canali una volta o due ogni quindici giorni per misura sanitaria; l'igienica istituzione è appena stata introdotta, per cui uomini, donne, bambini, cani, bipedi, quadrupedi si bagnano in tumultuosa promiscuità di cui non saprei rendere l'idea e consigliare l'esempio. Seguendo la direzione sud-ovest verso il centro della città, incrocio gruppi di dervisci che con i berretti appuntiti, il grande bastone in mano, la pettinatura a "colpo di vento", si fermano a volte per partecipare a danze che non sarebbero sconfessate dai fanatici dell'Elysée-Montmartre, mentre un cantico, letteralmente urlato, ritma i loro passi assai caratteristici. Non bisogna dimenticare che ho percorso anche il mercato dei libri. Vi sono non meno di ventisei botteghe dove si vendono libri stampati e manoscritti non a peso, come il tè, o a mazzo come le verdure, ma come merce corrente. In quanto ai molti médressés (collegi che hanno dato a Bukhara una nomea universitaria) devo confessare di non averne visitato nessuno. Spossato, sfinito, stremato vado a sedermi di nuovo sotto gli olmi del lungofiume Divanbeghi. Lì bollono senza interruzione enormi samovar e per un tenghe, cioè settantacinque centesimi, mi abbevero del shivin, té di qualità superiore che non assomiglia per niente a quello che beviamo in Europa (il quale — così dicono qui — ha già servito a pulire i tappeti del Celeste Impero). Ecco il ricordo che ho conservato della Roma del Turkestan. Dopotutto, dato che non si può soggiornarvi un mese, tanto vale restarvi solo qualche ora. Alle dieci e mezzo, accompagnato dal maggiore Noltitz ritrovato alla partenza della Decauville, sbarco alla stazione dove i depositi rigurgitano di balle di Bukhara e di lana merviana. Alla prima occhiata vedo che tutti i miei numeri, compreso il barone tedesco, sono sul marciapiede. In coda al treno, i persiani

montano fedelmente la guardia al mandarino Yen-Lou. Mi sembra che tre dei nostri compagni di viaggio li osservino con persistente curiosità; sono quei mongoli di aria sospetta saliti alla stazione di Duchak. Passando accanto a loro, mi par di osservare che il signor Faruskiar fa loro un segno di cui non comprendo il significato. Li conosce?… Comunque, questa circostanza mi incuriosisce. Appena il treno si è messo in moto i viaggiatori vanno al vagoneristorante. I posti accanto a quelli che occupiamo io e il maggiore dalla partenza, sono liberi e il giovane cinese, seguito dal dottor TioKing, ne approfitta per avvicinarsi. Pan-Chao sa che appartengo alla redazione del "XX Siecle" e, verosimilmente, ha tanta voglia di parlare con me quanta ne ho io di parlare con lui. Non mi sono ingannato. Sotto l'abito del celestiale si nasconde un vero parigino dei boulevards. Ha passato tre anni in mezzo alla gente che si diverte ma anche in mezzo a quella che si istruisce. Figlio unico di un ricco commerciante di Pechino, ha viaggiato e viaggia sotto l'ala protettrice di questo Tio-King (una specie di dottore) che mi pare un gran tontolone e di cui il suo allievo si burla garbatamente. Lo credereste? Il dottor Tio-King, dopo aver trovato su un lungosenna quel libretto di Cornaro, non cerca che di conformare la sua esistenza a L'arte di vivere a lungo in perfetta salute! La quantità conveniente del mangiare e del bere, il regime da seguire nelle diverse stagioni, la sobrietà che dà vigore allo spirito, l'intemperanza fonte di grandi malanni, il modo di correggere un cattivo carattere e di godere salute eccellente fino ad un'età avanzata, sono questi i precetti magistralmente consigliati dal nobile veneziano nella lettura dei quali è perennemente assorto questo imbecille di cinese. A questo proposito Pan-Chao non cessa di punzecchiarlo con inesauribili e argute facezie di cui il buon uomo non tiene alcun conto. Subito a colazione abbiamo avuto qualche esempio della sua monomania, poiché il dottore, come il suo allievo, si esprime in purissimo francese. — Prima di iniziare il pasto — gli dice Pan-Chao — ricordatemi un po', dottore, quante regole fondamentali esistono per conoscere la misura giusta del bere e del mangiare?

— Sette, mio giovane amico — gli risponde Tio-King serissimo. — La prima è di non prendere una tale quantità di nutrimento per cui non si possa in seguito applicarsi a funzioni puramente spirituali. — E la seconda?… — La seconda è di prendere soltanto tale quantità di nutrimento che non produca in seguito né torpore, né pesantezza, né stanchezza corporale. La terza… — Basta così, per oggi, se volete dottore — risponde Pan-Chao. — Ecco un certo maintuy che mi sembra assai ben preparato e… — Badate, mio caro discepolo! Questa vivanda è una specie di budino di carne tritata unita a grasso e spezie… Temo che sia pesante… — Perciò, dottore, vi consiglio di non mangiarne. Da parte mia, imiterò i signori. E infatti è quello che fa Pan-Chao, d'altronde con ragione perché il maintuy è delizioso, mentre il dottor Tio-King si accontenta di ciò che di più leggero offre il menù del giorno. A quanto ci dice il maggiore Noltitz, questi maintuy, fatti saltare nel grasso, sono ancora più saporiti. E come potrebbero non esserlo, se prendono il nome di zenbusis, che significa "bacio di dama"? Siccome il signor Caterna manifesta il suo rincrescimento poiché questi zenbusis non compaiono sul menù della colazione, mi arrischio a dire : — Credo che si possano trovare degli zenbusis anche al di fuori dell'Asia centrale! Su ciò, Pan-Chao soggiunge ridendo: — È a Parigi che si fanno i migliori! Guardo il più giovane celestiale. Con che appetito lavora!… ciò che gli vale le osservazioni del dottore circa "la smodata consumazione della sua linfa vitale". La colazione si è allegramente prolungata. La conversazione è caduta sui lavori dei russi in Asia. Pan-Chao mi sembra assai al corrente dei loro progressi. Non solo hanno fatto la linea transcaspica, ma ora hanno in via di esecuzione, ed è già parecchio avanzata, la Transiberiana studiata fin dal 1888. Al primo tracciato che passava da Iscim, Omsk, Tomsk, Krasnojarsk, Nijni-Ufimsk e

Irkustk, ne hanno sostituito un secondo, più meridionale, che passa per Orenburg, Akmolinks, Minussinsk, Abatui, e Vladivostock. Quando questi seimila chilometri saranno terminati, Pietroburgo sarà a sei giorni dal mar del Giappone. E questa Transiberiana, il cui sviluppo supererà quello della Transcontinentale degli Stati Uniti, non costerà più di settecentocinquanta milioni. Si può facilmente immaginare come questo discorso sull'opera moscovita non sia fatto per piacere a sir Francis Trevellyan, cosicché, nonostante non dica una sola parola e non alzi gli occhi dal suo piatto, il suo lungo volto si colora leggermente. — Eh! signori miei — dico allora — ciò che vediamo non è nulla in confronto a quello che vedranno i nostri nipoti. Oggi noi viaggiamo su un treno diretto della Grande Transasiatica, ma che sarà quando la Grande Transasiatica si collegherà alla Grande Transafricana?… — E come si potrebbe congiungere con una strada ferrata l'Asia all'Africa? — chiede il maggiore Noltitz. — Ma attraverso la Russia, la Turchia, l'Italia, la Francia e la Spagna; i viaggiatori andranno da Pechino al Capo di Buona Speranza senza trasbordi. — E lo stretto di Gibilterra? — osservò Pan-Chao. A questo nome, sir Francis Trevellyan rizza le orecchie. Quando si parla di Gibilterra sembra che l'intero Regno Unito venga agitato da un sussulto mediterraneo-patriottico. — Sì … Gibilterra? — riprende il maggiore. — Ci si passerà sotto — ho risposto — un tunnel di quindici chilometri, che gran cosa! Non ci sarà parlamento inglese che ci si opponga come fa oggi a proposito del tunnel fra Calais e Dover! Un bel giorno, si farà tutto, tutto… e ciò giustificherà il verso Omnia jam fieri quae posse negabam. Soltanto il maggiore Noltitz capì il mio sfoggio di erudizione latina; in quanto al signor Caterna lo sentii dire a sua moglie: — Ha parlato in volapuk. — Quello di cui non c'è dubbio – riprende Pan-Chao – è che

l'imperatore della Cina è stato molto avveduto tendendo la mano ai russi, piuttosto che agli inglesi. Invece di ostinarsi a costruire ferrovie strategiche in Manciuria, che non avrebbero mai avuto l'approvazione dello zar, il Figlio del Cielo ha preferito collegarsi con la Transcaspiana attraverso la Cina e il Turkestan cinese. — Ed ha agito saggiamente — aggiunge il maggiore. — Con gli inglesi era soltanto l'India collegata all'Europa. Con i russi invece è l'intero continente asiatico che viene servito. Guardo sir Francis Trevellyan… la colorazione dei suoi zigomi si accentua, ma lui non batte ciglio. Mi chiedo se questi attacchi fatti in una lingua che capisce perfettamente non lo faranno infine uscire dal suo mutismo. Però se avessi dovuto parlare in favore o contro, sarei stato molto imbarazzato. Il maggiore Noltitz riprende la conversazione indicando gli incontestabili vantaggi della Grande Transasiatica dal punto di vista dei rapporti commerciali fra l'Asia e l'Europa e ne dipinge la sicurezza e la rapidità delle comunicazioni. Sotto l'influenza europea spariscono vecchi odi. Un'era nuova si apre per quelle popolazioni e, in questo, bisogna riconoscere che l'opera dei russi merita l'approvazione di tutte le nazioni civili. Non sono forse giustificate le belle parole pronunciate da Skobeleff dopo la presa di Ghéok-Tepé quando i vinti potevano temere le rappresaglie dei vincitori: "Nella politica dell'Asia centrale, noi non conosciamo paria!"? — Ed è questa politica — dice il maggiore concludendo — che fa la nostra superiorità sull'Inghilterra. — Nessuno può essere superiore agli inglesi! Questa era la frase che, attendevo da sir Francis Trevellyan, frase che, si dice, i gentlemen del Regno Unito pronunciano venendo al mondo… Invece niente di tutto ciò. Ma quando mi alzai per fare un brindisi all'imperatore di Russia e ai russi, e all'imperatore di Cina e ai cinesi, sir Francis Trevellyan sentendo la sua collera pronta a scoppiare, lasciò bruscamente la tavola. Decisamente nemmeno oggi avrò il bene di conoscere il suono della sua voce! Non c'è bisogno di dire che durante tutta questa conversazione il barone Weissschnitzerdörfer non si è occupato che di svaligiare ogni

portata con grande stupore del dottor Tio-King. Questo tedesco non ha certamente mai letto i precetti di Cornaro, o se li ha letti, li trasgredisce in modo oltraggioso! D'altronde, è anche possibile che non capisca il francese e che quindi non abbia capito niente di tutto ciò che abbiamo detto in questa lingua. Immagino che sia per la stessa ragione che il signor Faruskiar e Ghangir non hanno potuto parteciparvi. È molto se si sono scambiati qualche parola in cinese. Debbo però notare un dettaglio alquanto bizzarro e che non sfuggì nemmeno al maggiore. Interrogato sulla sicurezza delle comunicazioni della Grande Transasiatica attraverso l'Asia centrale, Pan-Chao confessò che questa sicurezza era meno garantita al di là della frontiera del Turkestan. Fui così portato a chiedere al giovane celestiale se prima della sua partenza per l'Europa avesse sentito parlare del famoso KiTsang. — Sovente – mi rispose – perché allora Ki-Tsang operava nelle province dello Junnan; speriamo di non incontrarlo sul nostro cammino. Avevo certamente pronunciato male il nome di quel celebre bandito, perché feci fatica a capire Pan-Chao quando l'articolò con l'accento della sua lingua natale. Ebbene! quello che credo di poter affermare è che nell'attimo in cui egli ripeté il nome di Ki-Tsang, il signor Faruskiar aggrottò le ciglia e i suoi occhi balenarono. Poi dopo aver guardato il suo compagno, riprese l'abituale indifferenza per tutto quello che si diceva intorno a lui. Farò proprio molta fatica a forzare l'intimità di questo personaggio. Questi mongoli sono chiusi come le casseforti Fichet e quando non se ne sa la parola-chiave è ben difficile aprirli! Il treno aveva proceduto con estrema rapidità. Solitamente impiega un'intera giornata per servire le undici stazioni che ci sono fra Bukhara e Samarcanda; questa volta invece non ha impiegato che tre ore per superare i duecento chilometri che separano le due città e così alle due e mezzo pomeridiane entrava nell'illustre città di Tamerlano.

CAPITOLO XII SAMARCANDA è situata al centro della ricca oasi bagnata dallo Zarafchane attraverso la valle di Sogd. Un opuscoletto che ho comprato in stazione mi dice che questa grande città potrebbe benissimo occupare uno dei quattro luoghi dove i geografi concordano nel situare il paradiso terrestre. Lascio la discussione agli esegeti di professione. Incendiata dagli eserciti di Ciro trecentoventinove anni prima di Cristo, Samarcanda fu in parte distrutta da Gengis-Khan verso il 1219. Divenuta la capitale di Tamerlano, questa situazione di cui poteva certamente inorgoglirsi non le impedì di essere devastata dai nomadi del XVIII secolo. Come si vede, le maggiori città dell'Asia centrale presentano un continuo alternarsi di grandezze e di rovine. Sosta di cinque ore a Samarcanda, di giorno, ciò che mi promette qualche piacere e qualche pagina di appunti. Non c'è da perdere tempo. Come al solito la città è doppia: una costruita dai russi, moderna, con parchi verdeggianti, viali ornati di betulle, palazzi, ville: l'altra, antica, ricca ancora dei magnifici avanzi del suo splendore e che richiederebbe parecchie settimane per essere studiata coscienziosamente. Questa volta, non sarò solo. Il maggiore Noltitz è libero e verrà con me. Eravamo già usciti dalla stazione, quando ci si fanno incontro il signor e la signora Caterna. — Andate a girare per la città, signor Claudius? — mi domanda il tenore comico con gesto ampio, quasi a indicare la vasta cinta di Samarcanda. — Tale è la nostra intenzione, signor Caterna. — Se voi ed il maggiore Noltitz foste così gentili da permettermi di unirmi… — Ma certo! — Con la signora Caterna, poiché io non faccio niente senza di lei… — La nostra esplorazione non ne sarà che più gradevole —

risponde il maggiore inchinandosi davanti alla gentile prima attrice in tutti i generi. Io aggiungo a mia volta: — Per evitare fatica e guadagnar tempo, propongo un'arba. — Un'arba — esclama il signor Caterna ancheggiando. — Cos'è mai un'arba? — Una carrozza del paese. — E vada per l'arba! Invadiamo una di quelle casse mobili che posteggiano davanti alla stazione. Con la promessa di un silao o mancia, lo yemtchik o cocchiere ci promette di mettere le ali ai piedi alle sue due colombe, vale a dire ai suoi due cavallini, e partiamo di buon passo. Abbandoniamo sulla sinistra la città russa, disposta a ventaglio, con il palazzo del governatore circondato da bei giardini, il parco pubblico, i suoi viali frescamente ombreggiati, l'abitazione del capo del distretto che guasta un po' il panorama della città vecchia. Passando, il maggiore ci mostra la fortezza che l'arba sta costeggiando. E là che sono scavate le tombe dei soldati russi morti nel 1868 durante l'attacco nelle vicinanze del vecchio palazzo dell'emiro di Bukhara. Da qui, per una via stretta, ma rettilinea, la nostra arba giunge sulla piazza del Righistan "che non si deve confondere con la piazza di ugual nome a Bukhara" fa osservare ingenuamente il mio libriccino. E un bel quadrilatero forse un po' guastato dal fatto che i russi l'hanno lastricato e ornato con lampioni (cosa che piacerà molto a Fulk Ephrinell se si deciderà a visitare Samarcanda). Su tre lati di questa piazza sorgono le rovine ben conservate di tre médressés, dove i mollahs danno ai ragazzi un'istruzione assai completa. Questi médressés (a Samarcanda ci sono diciassette di questi collegi e ottantacinque moschee) questi médressés si chiamano Tilla-Kari, Chir-Dar e Ulong-Beg. In linea di massima, si può dire che si assomigliano: portico centrale che conduce ai cortili interni, muri in mattoni smaltati, colori giallo pallido e azzurro tenero, arabeschi con righe dorate su fondo azzurro turchese (il colore dominante), minareti che minacciano di cadere e non cadono mai, fortunatamente

per il loro rivestimento di smalto che l'intrepida viaggiatrice, signora Ujfalvy-Bourdon, dichiara infinitamente superiori ai nostri più begli smalti craquelés. E non si tratta di un vaso da mettere sopra un caminetto o sopra uno zoccolo, ma di minareti di notevole altezza. Queste meraviglie sono ancora allo stato in cui le trovò Marco Polo, il viaggiatore veneziano del XIII secolo. — Dunque, signor Bombarnac — chiede il maggiore — non ammirate la piazza del Righistan? — È magnifica! — faccio io. — Sì — interviene il nostro tenore comico —e che magnifico scenario sarebbe per un balletto, Caroline! Quella specie di moschea verso il giardino, e quest'altra verso il cortile… — Hai ragione, Adolphe — dice la prima artista in tutti i generi — ma forse bisognerebbe raddrizzare le torri, per la regolarità, e sistemare al centro delle fontane luminose… — Ottima idea, Caroline! Vediamo un po', signor Claudius, scriveteci un dramma, ma un dramma di gran spettacolo con un terzo atto in uno scenario come questo… Per il titolo… — Tamerlano è indicatissimo — rispondo io. Mi sembra che il tenore comico faccia una smorfia molto significativa. Il conquistatore dell'Asia non gli sembra d'attualità. Non "è abbastanza "fin de Siecle". Inoltre, chinandosi su sua moglie il signor Caterna si affretta ad aggiungere: — In quanto a piazze, ne ho visto migliori alle Porte-Saint-Martin nel Fils de la nuit. — Ed io allo Chàtelet in Michel Strogoff. Meglio lasciarli dire, i nostri due commedianti. Essi vedono tutto sotto l'aspetto del teatro. Preferiscono le quinte di aria e di fogliame all'azzurro del cielo e alla chioma degli alberi delle foreste, i teloni agitati ai marosi dell'oceano le prospettive di un fondale ai posti rappresentati su di esso, uno scenario di Cambon, di Rubé o di Jambon a qualsiasi paesaggio, infine preferiscono l'arte alla natura… Non sarò io a cercar di modificare le loro idee a questo proposito. Avendo pronunciato il nome di Tamerlano, domando al maggiore Noltitz se non andremo a visitare la tomba di questo celebre tartaro.

Il maggiore mi risponde che la vedremo al ritorno e il nostro itinerario ci conduce davanti al grande bazar di Samarcanda. L'arba si ferma a uno degli ingressi di quella vasta rotonda dopo averci fatto capricciosamente attraversare una parte della città vecchia le cui case non hanno che il pianterreno e mancano di qualsiasi apparenza di comodità. Ecco il bazar dove sono accatastate in enorme quantità stoffe di lana, tappeti-moquette di vivaci colori, scialli dai bei disegni, tutto buttato alla rinfusa sui banchi delle botteghe. Davanti a questa mostra venditori e compratori discutono rumorosamente le condizioni anche minime di vendita. Fra queste stoffe c'è un tessuto di seta chiamato kanaus che sembra molto ricercato dalle belle di Samarcanda benché sia ben lungi dall'eguagliare i prodotti similari della fabbricazione lionese tanto per qualità quanto per splendore. Ciononostante la signora Caterna sembra enormemente tentata come lo sarebbe davanti alle mostre del "Bon Marche o del "Louvre". — Questa stoffa farebbe un bellissimo effetto per il mio costume della Gran Duchessa! — dice. — Ed ecco un paio di babbucce che avrebbero un successo pazzo per l'Ali-Bajou del Caidl — aggiunge il signor Caterna. E mentre la prima attrice in tutti i generi fa spesa di un taglio di kanaus, il tenore comico si offre un paio di quelle babbucce verdi che i turcomanni calzano prima di varcare la soglia delle moschee. Ciò però non avvenne senza ricorrere alla compiacenza del maggiore che fu tanto gentile da fare da interprete fra il signor Caterna e il mercante i cui "yoks…yoks" uscivano come uno scoppiettio dalla sua gran bocca. L'arba riparte per dirigersi verso la piazza di Ribi-Khanym dove s'innalza la moschea dello stesso nome, che fu quello di una delle mogli di Tamerlano. Secondo me, se è pur vero che questa piazza non è regolare quanto quella del Righistan, essa però è forse più pittoresca: rovine raggruppate in modo strano, avanzi di portici, volte spezzate, cupole mezzo scoperchiate, colonne prive di capitelli i cui fusti hanno però conservato la vivacità del loro smalto; poi una lunga sfilata di portici che chiudono un lato di quell'ampio

quadrilatero. Il tutto è veramente di grandissimo effetto perché questi monumenti della splendida Samarcanda si staccano su uno sfondo di cielo e di verzura di cui si cercherebbe invano l'equivalente… anche all'Opera, senza offendere il nostro tenore comico. Però devo riconoscere che proviamo un'impressione ancora più profonda quando, verso l'estremità nord-est della città, l'arba ci deposita in faccia alla più bella moschea di tutta l'Asia centrale: la moschea di Schah-Sindèh, che risale all'anno 795 dell'Egira (1392 della nostra era). Non posso affidarmi alla penna per dare un'idea di questa meraviglia. Quand'anche avrò infilato le parole mosaici, frontoni, timpani, nicchie, smalti, aggetti, nel rosario di una frase, il quadro resterebbe ancora incompleto. Ci vorrebbero dei pennelli e non una penna. L'immaginazione resta confusa davanti ai resti della più splendida architettura lasciataci in eredità dal genio asiatico. È nel meandro più profondo di questa moschea, che i fedeli vanno a adorare la tomba di Kassim-ben-Abbas, santo venerato della religione musulmana e di cui sembra si dica che se si dovesse aprire l'avello, ne uscirebbe un vivente in tutta la sua gloria. Però, l'esperienza non è mai stata fatta e si preferisce attenersi alla leggenda. Abbiamo dovuto strapparci da questa contemplazione, ma abbiamo avuto la fortuna che né il signor, né la signora Caterna turbarono la nostra estasi, rievocando i loro ricordi teatrali. Senza dubbio avevano condiviso la nostra impressione. Ripreso posto nell'arba, lo yemtchik ci porta al galoppo delle sue colombe per strade ombrose che l'amministrazione russa mantiene con cura. Per le strade, sono molti i passanti che meritano di essere guardati. Portano costumi assai diversi, dei khalats dai colori cangianti e hanno la testa avvolta nei turbanti in modo molto grazioso. Per la maggioranza appartengono alla razza dei tadjiks, d'origine iraniana. Sono vigorosi individui, la cui pelle bianca è scomparsa sotto l'abbronzatura dell'aria aperta e del pieno sole. Ripeto qui quello che ho ritrovato leggendo l'interessante narrazione della signora UjfalvyBourdon: "Generalmente, i capelli sono neri quanto la barba che

hanno assai abbondante. Gli occhi, quasi sempre bruni, non sono mai rialzati agli angoli. Il naso è molto bello, le labbra sottili, i denti piccoli. La fronte è alta, larga e l'insieme del volto ovale". Così non posso trattenermi da un cenno di approvazione quando il signor Caterna esclama alla vista di uno di questi tadjiks, splendidamente drappeggiato nel suo khalat multicolore: — Che bellissimo gran primo attore! Che ammirevole Mèlingue!… Ve lo immaginate nel Nana-Sahih di Richepin o nello Schamyl di Meurice? — Ne farebbe del denaro! — risponde la signora Caterna. — Se ne farebbe… lo credo bene, Caroline! — replica l'entusiasta tenore comico. E per lui come per tanta altra gente di teatro, l'entrata non è forse la più seria e la meno discutibile manifestazione dell'arte drammatica? Son già le cinque e in questa incomparabile città di Samarcanda le scene si cambiano a vista. Ecco che lo spettacolo mi prende, ma certamente finirà dopo mezzanotte e dal momento che partiamo alle otto bisognerà rassegnarsi a perderne la fine. Siccome ci tenevo, non fosse altro per onore di cronaca, a non passar da Samarcanda senza aver visto la tomba di Tamerlano, l'arba ritorna verso sud-ovest e si ferma presso la moschea di Gur-Emir, presso la città russa. Che quartiere sordido, che mucchio di case di argilla e di paglia, che agglomerato di miserabili catapecchie abbiamo attraversato! La moschea è assai maestosa. È sormontata dalla sua cupola, in cui domina l'azzurro vivo della turchese, come da un berretto persiano e il suo unico minareto, ora decapitato, scintilla di arabeschi smaltati che hanno conservato la loro antica purezza. Abbiamo visitato la sala centrale, sotto la cupola. E là che si erge la tomba dello "Zoppo di ferro" come chiamavano Timur il conquistatore. Circondate dalle quattro tombe dei suoi figli e del suo santo patrono, le ossa di Tamerlano, il cui nome sembra riassumere tutto il quattordicesimo secolo della storia asiatica, imbiancano sotto una lastra di giada nera, ricamata con iscrizioni. I muri di questa sala sono rivestiti di giada su cui risaltano innumerevoli volute; una colonnetta eretta verso sud-ovest indica la direzione della Mecca. La

signora de Ujfalvy-Bourdon ha giustamente paragonato questa parte della moschea di Gur-Emir a un santuario ed è quest'impressione che abbiamo provato. E quest'impressione ha preso una colorazione ancora più religiosa quando, seguendo una scala stretta e oscura, siamo scesi fino alla cripta che contiene le tombe delle mogli e delle figlie di Tamerlano. — Ma infine, questo Tamerlano — domanda il signor Caterna — questo Tamerlano di cui non si fa che parlare… — Questo Tamerlano — rispose il maggiore Noltitz — fu uno dei più grandi conquistatori del mondo, anzi il più grande se si misura la grandezza dall'estensione delle conquiste… L'Asia ad est del mar Caspio, la Persia e le province a nord della sua frontiera, la Russia fino al mar d'Azof, l'India, la Siria, l'Asia minore e infine la Cina, sulla quale lanciò duecentomila uomini, insomma, un intero continente fu il teatro delle sue guerre. — Ed era zoppo!… — fece osservare la signora Caterna. — Sì, signora, come Genserico, come Shakespeare, come Byron, come Walter Scott, come Talleyrand; ma ciò non gli ha impedito di fare molto cammino. Ma quanto era fanatico e sanguinario! La storia afferma che a Delhi fece massacrare centomila prigionieri e che a Bagdad fece erigere un obelisco con ottantamila teste. — Preferisco quello di Place de la Concorde — rispose il signor Caterna — e poi è in un pezzo solo. Su questa osservazione, lasciamo la moschea di Gur-Emir e visto che è ora di "riprendere le prove", come dice il nostro tenore comico, l'arba si affretta a dirigersi verso la stazione. In quanto a me, nonostante le osservazioni della coppia Caterna, ero tutto immerso in quella sensazione così penetrante del color locale che danno le meraviglie di Samarcanda, quando fui brutalmente richiamato alla realtà moderna. Per le strade, sì! per le strade vicino alla stazione, in piena capitale di Tamerlano, vedo passare due velocipedisti in sella al loro velocipede. — Ah! — grida il signor Caterna — individui con le ruote! E quegli individui erano di origine turcomanna! Dopo "questa" non rimaneva che fuggire al più presto da una città tanto disonorata dai capolavori della locomozione meccanica, ed è

quello che fece il nostro treno alle otto di sera.

CAPITOLO XIII ABBIAMO pranzato un'ora dopo la partenza del treno. In vagoneristorante c'è qualche nuovo commensale, fra cui anche due negri che il signor Caterna chiama volentieri "uomini oscuri". Secondo quanto mi ha detto Popof, nessuno di questi viaggiatori deve varcare la frontiera russo-cinese, perciò mi interessano poco per non dir nulla. Durante il pranzo al quale partecipano tutti i miei numeri (ne ho dodici e immagino di fermarmi lì) mi accorgo che il maggiore Noltitz osserva continuamente il signor Faruskiar. Incomincia forse a sospettarlo? E attribuisce al fatto che quel mongolo sembra conoscere (senza darlo a vedere) i tre viaggiatori di seconda classe, mongoli come lui? Forse la sua immaginazione lavora con la stessa attività della mia e si chiede se non è il caso di prendere sul serio quella che non è stata altro che una facezia da parte mia? Che io, letterato, cronista in cerca del "caso", in caccia della "scena madre" ostinatamente richiesta ogni lunedì dal mio amico Sarcey, 2 voglia vedere in questo personaggio un rivale del famoso Ki-Tsang o magari Ki-Tsang in persona è comprensibile, ma che lui, uomo serio, medico dell'esercito russo, possa abbandonarsi a simili combinazioni da scenario, nessuno lo crederebbe. Non importa, ne riparleremo. Dimentico però presto il mongolo per l'uomo-bagaglio che, secondo me, deve concentrare tutti i miei sforzi. Nonostante la fatica che risento dopo la lunga passeggiata attraverso Samarcanda, voglio 2

Francisque Sarcey (1827-1899), celebre critico drammatico del giornale parigino 'Temps" e famoso per le cronache del lunedì che tenne per trent'anni (N.d.T.).

fargli visita questa notte stessa se l'occasione si presenterà. Finito il pranzo, ognuno ha ripreso il suo posto nel vagone con l'intenzione di dormire fino a Taskend. Trecento chilometri separano Samarcanda da Taskend. Il treno non arriverà in questa stazione prima delle sette di mattina. In questo tratto non si fermerà che tre volte, per rifornirsi di acqua e di combustibile, circostanza favorevole al buon esito del mio progetto. Devo aggiungere che la notte è scura, senza luna e senza stelle. Minaccia di piovere, il vento aumenta. Un tempo simile non invita a passeggiare per le piattaforme e nessuno vi passeggerà. L'importante è di scegliere il momento in cui Popof sarà nel buono del sonno. Ad ogni modo, non c'è alcuna necessità che la nostra intervista abbia a prolungarsi. L'importante è di rassicurare quel bravo ragazzo e questo avverrà appena avremo fatto conoscenza. Qualche informazione su di lui, sulla signorina Zinca Klork, da dove viene, perché va a Pechino, le cause che gli hanno fatto scegliere quel modo di trasporto, le sue risorse per il viaggio; come ha fatto a sistemarsi in quella cassa, la sua età, la sua professione, dov'è nato, quello che ha fatto in passato, quello che spera di fare in avvenire ecc., infine desidero sapere da lui tutto ciò che richiede un servizio coscienzioso ed è quello che gli domanderò… Non è essere troppo esigente. Per prima cosa aspettiamo che nel vagone tutti siano addormentati. E non ci vorrà molto perché più o meno i miei compagni di viaggio sono tutti stanchi delle ore passate a Samarcanda. Le cuccette sono state preparate dopo il pranzo. Qualche viaggiatore ha tentato di fumare sulle piattaforme, ma le raffiche di vento li hanno scacciati ben presto. Ognuno ha ripreso il suo posto sotto le lampade velate e verso le dieci e mezzo il respiro degli uni e il russare degli altri fanno a gara con il cigolio continuo del treno sull'acciaio delle rotaie. Sono rimasto per ultimo a prender aria e Popof scambia qualche parola con me. — Non saremo disturbati questa notte — mi dice — e vi invito ad approfittarne per fare un buon sonno. La notte prossima nelle gole del Pamir, temo che non viaggeremo così tranquillamente. — Grazie, Popof, seguirò il vostro consiglio e dormirò come una

marmotta. Popof mi augura la buona notte e entra nel suo sgabuzzino. Mi sembra inutile tornare al mio posto nel vagone e resto sulla piattaforma. Impossibile vedere qualcosa sia da una parte sia dall'altra. Abbiamo già superato l'oasi di Samarcanda ed è alla superficie di una grande pianura orizzontale che si svolge ora la strada ferrata. Passeranno parecchie ore prima che il treno raggiunga il Syr-Daria dove, per poter passare, è stato costruito un ponte simile a quello sull'Amu-Daria, ma meno importante. Sono quasi le undici e mezzo quando mi decido a aprire la porta del bagagliaio che richiudo alle mie spalle. Non ignoravo che il giovane romeno non stava sempre nella sua scatola e poteva essere che gli fosse presa proprio in quel momento la fantasia di sgranchirsi le gambe passeggiando da un'estremità all'altra del bagagliaio… L'oscurità è completa. Non un filo di luce esce dai fori della cassa. Mi sembra che questo sia preferibile. E meglio che il mio numero 11 non venga sorpreso da un'apparizione troppo brusca. Dorme, senza dubbio… Busserò due colpetti nel pannello, lo sveglierò e prima che abbia potuto fare un movimento, ci saremo già spiegati. Andrà tutto liscio. Cammino a tentoni. La mia mano incontra la cassa alla parte anteriore della quale appoggio l'orecchio e ascolto. Non un movimento, non un sospiro! Forse il mio uomo non c'è più?… Ha deciso di evadere?… Forse è sceso a qualche stazione senza che io me ne sia accorto?… E la mia cronaca è partita con lui?… Per dire il vero, sono tremendamente inquieto… Ascolto attentamente… No! non è fuggito… è rannicchiato contro la parete della cassa… Sento distintamente la sua respirazione regolare e prolungata… Dorme… dorme di un sonno da innocente lui che non avrebbe diritto che a quello del colpevole, frodatore com'è della Compagnia della Grande Transasiatica! Stavo per bussare, quando il fischio della locomotiva lancia delle urla laceranti al passaggio di una stazione. Ma so che il treno non deve fermarsi e allora aspetto che cessino i fischi.

Busso, allora, un colpo leggero nel pannello… Nessuna risposta. Però il rumore del respiro è meno accentuato di prima. Altro colpo un po' più forte. Questa volta esso è seguito da un movimento di sorpresa e di spavento. — Aprite… aprite!… — dico in russo. Nessuna risposta. — Aprite… — ripeto. — E un amico che vi parla… Non dovete temer niente! Se il pannello non si è abbassato come avrei sperato sento però lo sfregamento di uno zolfino e una luce fievole rischiara l'interno della cassa. Guardo il prigioniero attraverso i buchi della parete. Il volto è scomposto e lo sguardo stralunato… Non sa se dorme o se sogna. — Aprite, amico mio — gli dico — aprite e state tranquillo… Ho sorpreso il vostro segreto… Non dirò niente… Anzi, potrò esservi utile… Il povero diavolo ha l'aria di essere un po' rassicurato, malgrado resti immobile. — Credo che siate romeno — aggiungo — io sono francese!… — Francese?… Siete francese?… E la risposta mi viene data nella mia lingua ma con accento straniero. Un altro legame, fra noi. Il pannello è scivolato lungo la guida di scorrimento e alla luce della fiammella posso esaminare il mio numero 11 che potrò finalmente designare in modo meno aritmetico. — Nessuno può vederci… né sentirci?… — mi chiede con voce semi soffocata. — Nessuno. — Il capo treno?… — Dorme. Il mio nuovo amico mi prende le mani e me le stringe… Capisco che cerca un appoggio… Capisce che può contare su di me… Ciononostante la sua bocca mormora ancora:

— Non traditemi… non traditemi!… — Tradirvi, ragazzo mio?… Forse che i giornali francesi non sono stati simpatici per quel piccolo sarto austriaco e per quei due fidanzati spagnoli che si sono fatti spedire nel modo che avete fatto voi?… Non hanno forse aperto delle sottoscrizioni in loro favore?… E voi potete pensare che io, cronista, io giornalista… — Siete un giornalista? … — Claudius Bombarnac, corrispondente del "XX Siecle" — Un giornale francese… — Ma sì, vi dico. — E andate fino a Pechino?… — Fino a Pechino. — Ah! signor Bombarnac, è Dio che vi ha messo sulla mia strada. — No, sono i direttori del mio giornale, e loro mi hanno delegato i poteri che ricevono a loro volta dalla Provvidenza. Coraggio e fiducia! Tutto quello che potrò fare per voi, lo farò… — Grazie… grazie! — Come vi chiamate?… — Kinko. — Kinko?… Bellissimo nome! — Bellissimo? — Per i miei articoli! Siete romeno, vero? — Romeno di Bucarest… — Ma avete vissuto in Francia? … — Quattro anni a Parigi dov'ero apprendista tappezziere al faubourg Saint-Antoine. — E siete tornato a Bucarest?… — Sì, per esercitarvi il mio lavoro, fino al giorno in cui non ho più potuto resistere al desiderio di partire. — Di partire?… e perché? — Per sposarmi! — Per sposarvi… con la signorina Zinca… — Zinca? — Sì, la signorina Zinca Klork, viale Cha-Coua, Pechino, Cina! — Sapete?… — Senza dubbio… C'è l'indirizzo sulla vostra cassa…

— Giusto! — In quanto alla signorina Zinca Klork… — È una giovane romena… L'ho conosciuta a Parigi dove imparava il mestiere di modista… Oh! Graziosissima… — Ne ero sicuro… non insistete. — Anche lei è tornata a Bucarest… poi le hanno chiesto di andare a dirigere una casa di mode a Pechino… Ci amavamo, signore, lei è partita… ed è un anno che siamo separati!… Tre settimane fa, mi ha scritto… Tutto andava molto bene laggiù. Se avessi potuto raggiungerla mi sarei fatta una posizione… Non avremmo tardato a sposarci… Lei aveva già fatto qualche risparmio… Ben presto avrei potuto guadagnare quanto lei… E allora mi sono messo in strada… a mia volta… per la Cina… — In questa scatola? — Che volete, signor Bombarnac? — mi risponde Kinko arrossendo — Non avevo denaro a sufficienza che per comperarmi questa cassa, qualche provvista e per farmi spedire da un amico compiacente… Costa mille franchi andare da Tiflis a Pechino… Ma appena li avrò guadagnati, vi giuro che la Compagnia verrà rimborsata… — Vi credo, amico Kinko, e al vostro arrivo a Pechino… — Zinca è avvertita. La cassa verrà portata a casa sua in viale Cha-Coua ed è lei… — Che pagherà il porto?… — Sì, signore. — E con piacere, lo garantisco… — Certamente… ci amiamo tanto! — E poi, Kinko, cosa non si farebbe per un fidanzato che acconsente a trasformarsi in un bagaglio per quindici giorni e che arriva sotto l'etichetta: Specchi… Fragile… Teme l'umidità… — Ah! voi vi burlate di un povero diavolo… — Per nulla… e potete star certo che, per ciò che dipenderà da me, non trascurerò di fare in modo che arriviate dalla signorina Zinca Klork perfettamente asciutto e tutto d'un pezzo… insomma, in perfetto stato di conservazione! — Vi ringrazio ancora una volta, signore — risponde Kinko

stringendomi le mani. — Credetemi, non avrete reso servigio a un ingrato. — Eh! amico Kinko, sarò pagato… molto di più! — E come? … — Raccontando appena potrò, quando voi non correrete più alcun pericolo, il vostro viaggio da Tiflis a Pechino. Pensate… che titolo di cronaca! Un innamorato in scatola! … Zinca e Kinko!! Millecinquecento leghe attraverso l'Asia Centrale in un bagagliaio!!! Il giovane romeno non poté far a meno di sorridere: — Non bisognerà aver troppa premura… — aggiunse. — Non temete! Prudenza e discrezione, come nelle agenzie matrimoniali. E così, dopo che mi sono recato sino alla porta del bagagliaio per assicurarmi di non correre il rischio d'essere sorpresi, la conversazione continua. Naturalmente, Kinko mi domanda come ho fatto a scoprire il suo segreto. Io gli racconto quello che è successo sul piroscafo durante la traversata del Caspio. È la sua respirazione che l'ha tradito. L'idea che dapprincipio io l'abbia preso per un animale (una fiera addirittura) gli sembra molto divertente. Una fiera, lui! Al massimo un fedele barboncino! Poi, il suo sternuto l'ha fatto risalire la scala degli esseri, fino a giungere a quello umano. — Ma — mi dice abbassando la voce — due notti fa ho creduto che tutto fosse perduto… A bagagliaio chiuso avevo acceso la mia piccola lampada… e stavo incominciando a cenare, quando, tutto ad un tratto hanno bussato sul pannello… — Ero io, Kinko, io stesso e quella notte noi ci saremmo conosciuti se all'attimo in cui stavo per parlarvi, il treno non avesse subito una scossa e rallentato di velocità. Un dromedario aveva avuto la balordaggine di attraversare i binari ed io feci appena in tempo a rifugiarmi sulla piattaforma… — Eravate voi! — grida Kinko. — Respiro! … In quali angosce ho vissuto! … Si sapeva che qualcuno stava nascosto in questa cassa… Mi vedevo scoperto, consegnato agli agenti, arrestato, messo in prigione a Merv o a Bukhara, perché la polizia moscovita non scherza! E la mia piccola Zinca, mi avrebbe atteso invano… e mai

più avrei potuto rivederla… a meno di riprendere il viaggio a piedi… Via! L'avrei ripreso, signore, l'avrei ripreso certamente, signore. E dice queste parole, con tale decisione da rendere impossibile di non riconoscergli un'energia fuori del comune. — Bravo Kinko, — ho risposto — sono veramente desolato di avervi causato tante apprensioni. Ora siete rassicurato, anzi penso che le vostre fortune sono aumentate da quando siamo diventati amici. Domando a Kinko di mostrarmi come è sistemato nella sua cassa. Nulla di più semplice e meglio disposto. Sul fondo un sedile, su cui si Siecle, con lo spazio necessario per stendere le gambe quando le sistema obliquamente; sotto questo sedile (chiuso con un coperchio) lo spazio per delle modeste provviste e gli oggetti per la tavola, ridotti a un semplice coltello da tasca e a un bicchiere di metallo; poi la palandrana e la coperta appese a un chiodo e la piccola lampada di cui si serve di notte agganciata a una delle pareti. Va da sé che il pannello mobile permette al prigioniero di abbandonare temporaneamente la sua prigione. Ma se la cassa fosse stata messa in mezzo agli altri colli, se i facchini non l'avessero depositata con tutte le precauzioni dovute alla sua "fragilità", egli non avrebbe potuto far funzionare il pannello e si sarebbe visto costretto a domandare grazia prima della fine del viaggio. Fortunatamente, c'è un Dio per i fidanzati e l'intervento divino in favore di Kinko e di Zinca Klork si è manifestato in pieno. Kinko mi dice che, di notte, ha sempre potuto passeggiare nel bagagliaio e che è anche riuscito una volta a scendere dal treno. — Lo so, Kinko… È stato alla stazione di Bukhara… Vi ho visto… — Mi avete visto?… — Sì e ho anche temuto che voleste fuggire ma, se vi ho visto, è perché sapevo della vostra presenza nel bagagliaio e perché ero là ad osservarvi e nessun altro all'infuori di me avrebbe pensato di spiarvi. Ad ogni modo, ciò è pericoloso, non fatelo di nuovo e lasciate a me di rifornirvi di cibo tutte le volte che ne avrò la possibilità. — Grazie, signor Bombarnac, grazie! Ora non temo più di venir scoperto… se non alla frontiera cinese… o piuttosto a Kashgar…

— E perché?… — La dogana per le merci dirette in Cina è severissima. Temo che controllino i bagagli e che la mia cassa… — Infatti, Kinko — risposi — ci saranno momenti difficili. — Se venissi scoperto… — Sarò presente io e farò di tutto perché non vi succeda nulla di increscioso. — Ah! signor Bombarnac — grida Kinko in uno slancio di riconoscenza — come potrò sdebitarmi con voi? — Ma molto facilmente, amico Kinko. — E in che modo? … — Invitandomi al vostro matrimonio con la bella Zinca… Voglio essere della festa… — E ne sarete, signor Bombarnac, e Zinca vi darà un bacio… — Non farà che il suo dovere, amico Kinko, ed io farò il mio rendendo al suo due baci dei miei. Ci scambiamo un'ultima stretta di mano e, per dir la verità, mi sembra che quel bravo ragazzo abbia gli occhi umidi quando lo lascio. Spegne la lampada e risolleva il pannello, poi attraverso la cassa mi giunge ancora un grazie e un arrivederci. Esco dal bagagliaio, chiudo la porta e mi assicuro che Popof sia sempre addormentato. Infine, dopo qualche minuto passato a respirare l'aria frizzante della notte, vengo a riprendere il mio posto presso il maggiore Noltitz. Il mio ultimo pensiero, prima di chiudere gli occhi è che, grazie all'introduzione del personaggio-episodio di Kinko, il viaggio del loro reporter non spiacerà ai suoi lettori.

CAPITOLO XIV SE I RUSSI avevano tentato invano nel 1870 di fondare a Taskend una fiera che potesse rivaleggiare con quella di Nijni-Novgorod, questo tentativo doveva riuscir loro circa una ventina d'anni dopo. Attualmente, è cosa fatta grazie alla Transcaspiana che collega Samarcanda e Taskend. Ma non soltanto i mercanti con tutti i loro generi di merci si sono diretti in massa verso questa città, bensì anche i pellegrini che affluiscono con tutto il loro armamentario di pellegrinaggio. E diventerà una processione, che dico?, un esodo addirittura, ben altrimenti considerevole all'epoca in cui i fedeli musulmani potranno recarsi alla Mecca in treno. Intanto, siamo a Taskend dove l'orario non indica che due ore e mezzo di fermata. Certamente non farò in tempo a visitare la città che ne varrebbe la pena. Ma debbo confessare che queste città del Turkestan hanno molte somiglianze fra loro, e chi ne ha visto una, ha visto anche le altre a meno di poter scendere nei minimi dettagli. Dopo aver attraversato una campagna fertile dove si dondolano le eleganti chiome dei pioppi, dopo aver fiancheggiato campi irti di vigneti e rasentato giardini ricchi di alberi da frutta, il nostro treno è giunto alla città nuova. Cosa inevitabile, a datare dalla conquista russa — non racconto nulla di nuovo al lettore — ci sono sempre due città sovrapposte a Taskend come a Samarcanda, a Bukhara come a Merv. Qui, la città vecchia ha strade tortuose, case di fango e argilla, bazar di apparenza assai mediocre, caravanserragli eretti con mattoni seccati al sole, qualche moschea e scuole tanto numerose come se lo zar le avesse ordinate con un ukase, imitando ciò che è accaduto in Francia. È vero, qui sono gli scolari che mancano, non le scuole. Riguardo alla popolazione di Taskend, essa non differisce sensibilmente da quelle che abbiamo già trovato in altre parti del Turkestan; comprende sarthi, usbechi, tadjiks, chirghisi, nogai,

israeliti, qualche afgano e qualche indù e — cosa che non dovrebbe meravigliare — russi che vi si trovano come a casa loro. È forse a Taskend che si trova il maggior numero di ebrei. Del resto è dal giorno in cui questa città passò sotto l'amministrazione moscovita che la loro situazione migliorò decisamente, ed è da quell'epoca che data la piena libertà civile e politica di cui essi godono. Non posso dedicare che due ore alla visita della città ed è quello che faccio da reporter zelante. Mi hanno visto passeggiare per il gran bazar, semplice costruzione di assi dove sono ammassate stoffe orientali, tessuti di seta, stoviglie di metallo e campioni variatissimi della produzione cinese fra cui porcellane di bella fabbricazione. Per le vie di Taskend, si incontra un certo numero di donne. Inutile dire che in questo paese non ci sono più schiave, con grande disappunto dei musulmani. Ora la donna è libera, anche in famiglia. — E per questo — mi racconta il maggiore Noltitz — che un vecchio turcomanno diceva un giorno "L'autorità del marito è finita da quando egli non può più picchiare la moglie senza che lei lo minacci di ricorrere allo zar. E la distruzione del matrimonio! " Non so se il sesso gentile viene ancora picchiato, ma ad ogni modo uno degli sposi sa in cosa può incorrere se pesta l'altro. Ci credereste? Questi strani orientali non vogliono vedere un progresso in questa proibizione di percuotere le loro mogli! Forse essi ricordano che il Paradiso Terrestre non era poi tanto lontano, un bel giardino fra il Tigri e l'Eufrate a meno che non si trovasse fra l'Amu e il Sir-Daria? Forse non hanno dimenticato che nostra madre Eva abitava questo giardino preadamitico e che, se ella fosse stata picchiata un po' prima della sua prima colpa, non l'avrebbe certamente mai commessa… Via, non insistiamo! Non mi è capitato di sentire, come è accaduto alla signora Ujfalvy-Bourdon, la fanfara locale suonare Les pompiers de Nanterre nel giardino della residenza del governatore generale. No! quel giorno suonava Le pére la Victoire e, pur non essendo interamente nazionali, quelle arie non riuscivano meno gradevoli ad orecchie francesi. Alle undici precise del mattino abbiamo lasciato Taskend. La zona

attraverso la quale si allunga la strada ferrata della Grande Transasiatica è già più accidentata. La pianura incomincia a ondularsi sotto le prime ramificazioni del sistema orografico dell'est. Ci avviciniamo all'altopiano del Pamir. Ciononostante la velocità normale è stata sempre mantenuta durante questo tragitto di centocinquanta chilometri che ci separa da Khodjend. Una volta in viaggio, il mio pensiero torna al bravo Kinko. Il suo romanzetto d'amore mi ha commosso fino al profondo del cuore. Questo fidanzato che si fa spedire… questa fidanzata che pagherà le spese di porto… Sono sicuro che il maggiore Noltitz s'interesserebbe a questi due piccioni di cui uno è in gabbia; non serberebbe troppo rancore al frodatore della Compagnia e, soprattutto, sarebbe incapace di tradirlo… Perciò ho un vivo desiderio di raccontargli in tutti i dettagli la mia spedizione al bagagliaio… Ma questo segreto non mi appartiene. Non devo far nulla che possa compromettere Kinko… Quindi non parlo e la notte prossima, se mi sarà possibile, cercherò di portare qualche provvista al mio… pacco… diciamo "a sorpresa". Il giovane romeno nella sua cassa non è forse come una "sorpresa" dentro la sua scatola? Arriviamo a Khodjend alle tre pomeridiane. Il paese è fertile, verdeggiante, coltivato accuratamente. È un succedersi di orti, apparentemente molto ben tenuti, di immense praterie seminate a trifoglio di cui si fanno quattro o cinque tagli all'anno. Le strade, avvicinandosi alla città, corrono in mezzo a filari di vecchi gelsi che divertono lo sguardo con la loro chioma contorta. Sempre le città accoppiate: la vecchia e la nuova. Le due assieme, che nel 1868 non contavano che trentamila abitanti, ora ne possiedono dai quarantacinque ai cinquantamila. E forse l'influenza della vicinanza che produce questo incremento delle nascite? E forse il prolifico esempio del Celeste Impero che si comunica alla provincia? No, è il progresso delle transazioni commerciali e l'affluenza dei mercanti delle più svariate origini sui nuovi mercati. La nostra sosta a Khodjend durò tre ore. Ho fatto quindi la mia visita di reporter passeggiando lungo le rive del Syr-Daria. Questo corso d'acqua che bagna i piedi delle alte montagne del Mogol-Tau è varcato da un ponte la cui parte centrale offre passaggio a

imbarcazioni di un certo tonnellaggio. Fa molto caldo. Siccome la città è protetta dal paravento delle sue montagne, le brezze delle steppe non riescono a raggiungerla per cui essa è una delle più soffocanti del Turkestan. Ho incontrato il signor e la signora Caterna, entusiasti della loro gita. Il tenore comico ci dice in tono di buon umore: — Non dimenticherò mai Khodjend, signor Claudius! — E perché non dimenticherete mai Khodjend, signor Caterna? — Vedete queste pesche? — mi risponde mostrandomi alcuni frutti che tiene in mano. — Sono magnifiche… — E per niente care! … Quattro copechi al chilo, ossia dodici centesimi! — Ah! — gli rispondo. — Questo per il fatto che la pesca non è rara in questo paese. È la mela dell'Asia ed è una di queste mele che la signora Adamo ha sgranocchiato. — Allora posso perdonarle! — esclama la signora Caterna che stava proprio addentando una di quelle pesche saporite. Dopo Taskend, la ferrovia era discesa verso sud nella direzione di Khodjend, ma da questa città in avanti essa risale a est in direzione di Kokhan. E alla stazione di Taskend che si è più avvicinata alla Transiberiana e una ramificazione in via di costruzione la collegherà ben presto alla stazione di Sémipalatinsk, completando in tal modo (riunendole) la rete ferroviaria dell'Asia Centrale e quella dell'Asia Settentrionale. Superata Kokhan, ci dirigiamo decisamente verso est passando da Marghelân e Och, fra le gole dell'altopiano del Pamir, per poter valicare la frontiera turkestano-cinese. Appena il treno riprende la sua corsa, i viaggiatori vanno al vagone-ristorante dove non vedo nessun nuovo venuto. Non dobbiamo incontrarci con altri compagni di viaggio che a Kashgar, Da là, la cucina russa cederà il posto a quella celestiale e, benché questo nome richiami alla mente il nettare e l'ambrosia dell'Olimpo, è assai probabile che ci sia da perdere nel cambio. Fulk Ephrinell è al suo solito posto. Senza arrivare alla famigliarità è però visibile che una stretta intimità, basata sulla

somiglianza di gusti e di abitudini, esiste fra la signorina Horatia Bluett e l'americano. Nessuno di noi dubita più, che al termine del viaggio ciò finisca con un matrimonio. Entrambi avranno avuto in treno il loro romanzo d'amore… Francamente preferisco quello di Kinko e di Zinca Klork… Ma è vero, la piccola romena non è qui! Siamo fra noi, e con il "noi" intendo dire i miei numeri più simpatici, il maggiore, il signor e la signora Caterna, il giovane Pan – Chao che risponde con battute assai parigine alle sciocchezze del tenore comico. Il pranzo è buono e allegro. Mentre esso si svolge impariamo la quarta regola del nobile veneziano Cornaro allo scopo di determinare la giusta misura del bere e del mangiare. Pan-Chao ha portato il dottore su questo soggetto e Tio-King gli risponde con una serietà veramente… buddistica. — Questa regola è fondata — egli dice — sul fatto che non si può determinare una medesima quantità di nutrimento per ogni individuo a causa della differenza d'età, di forza e dei diversi tipi di cibo. — E per un individuo come voi, dottore che cosa occorre? — domanda il signor Caterna. — Quattordici once di solido o di liquido… — All'ora?… — No, signore, al giorno — risponde Tio-King — ed è a questa misura che si tenne l'illustre Cornaro dai trentasei anni in poi, ciò che gli lasciò sufficiente forza di corpo e di spirito per scrivere il suo quarto trattato a novantacinque anni e per campare fino a centodue… — In questo caso, datemi una quinta costoletta! — esclama PanChao scoppiando in una risata. Non c'è nulla di più gradevole che di chiacchierare davanti a una tavola ben guarnita; ma che io non mi dimentichi di completare le mie annotazioni su ciò che riguarda Kokhan. Non dobbiamo raggiungerla che alle nove di sera quando sarà buio. Perciò ho chiesto al maggiore di darmi qualche informazione su questa città che è l'ultima di tale importanza nel Turkestan russo. — Posso farlo benissimo — mi risponde il maggiore — essendovi stato di guarnigione per quindici mesi. E peccato che non possiate visitarla, perché è rimasta molto asiatica e noi non le abbiamo ancora

abbinato una città moderna. Vi avreste visto una piazzaforte che non ha rivali in Asia, un palazzo di splendida costruzione, quello del vecchio khan di Khudaiar situato su una collinetta di un centinaio di metri, e al quale il governatore ha lasciato la sua artiglieria di fabbricazione sartha. Viene considerato una meraviglia e posso assicurarvi che è vero. Perdete la rara occasione di servirvi delle parole più colorite della vostra lingua per descrivere la sala del trono, trasformata in chiesa russa, un labirinto di stanze i cui pavimenti sono in legno prezioso di Karagatch, il padiglione rosa dove i forestieri ricevono un'ospitalità veramente orientale, il cortile interno con decorazioni di tipo moresco che ricorda le adorabili fantasie architettoniche dell'Alhambra, le terrazze dalle splendide vedute, i padiglioni dell'harem dove le mille mogli del sultano (cento più di Salomone) vivevano in buona armonia, le facciate come trine, i giardini stipati di vigne secolari… Ecco quello che avreste potuto vedere… — E che avrò visto con i vostri occhi, caro maggiore. I miei lettori non se ne lamenteranno. Desidero soltanto che mi diciate se a Kokhan ci sono dei bazar. — Una città turkestana senza bazar sarebbe come dire Londra senza docks! — mi risponde il maggiore. — E Parigi senza teatri! — esclama il tenore comico. — Sì, Kokhan ha dei bazar; fra gli altri uno, sul ponte sul Sokh (i cui due rami traversano la città), nel quale i più bei tessuti dell'Asia si pagano in tillah d'oro che valgono quanto tre rubli e sessanta copechi della nostra moneta. — Maggiore, sono sicuro che, dopo dei bazar mi parlerete delle moschee… — Certamente. — E dei médressés… — Ma certo, signor reporter, ma sarà per farvi sapere che questi monumenti non valgono né i médressés né le moschee di Samarcanda o di Bukhara. Ho così messo a profitto la compiacenza del maggiore Noltitz e grazie a lui per i lettori del "XX Siécle" sarà come se non fossimo passati a Kokhan di notte. La mia penna inonderà di raggi solari

questa città di cui non ho potuto vedere che il vago contorno. Il pranzo si prolunga piuttosto tardi e finisce in modo inatteso per l'offerta che ci fa il gentile signor Caterna di "recitarci un monologo". Lascio indovinare se l'offerta fu accolta con entusiasmo! Il nostro treno assomiglia sempre più a una cittadina mobile. Ha persino il suo Casinò che è il vagone-ristorante dove siamo ora tutti riuniti. Ed è così che, nella parte orientale del Turkestan, a quattrocento chilometri dall'altopiano del Pamir, al dessert di un ottimo pasto servito nel salone della Grande Transasiatica, l’Obsession venne recitata con ingegno penetrante dal signor Caterna, grande primo-comico scritturato al teatro di Shangai per la stagione entrante. — Signore — gli dice Pan-Chao — i miei più vivi e sinceri complimenti. Ho già sentito Coquelin Junior… — Un maestro, signore, un maestro!… — risponde il signor Caterna. — A cui voi andate molto vicino… — Rispettosamente… molto rispettosamente! Gli applausi prodigati al signor Caterna non hanno avuto il dono di commuovere sir Francis Trevellyan che si è invece prodigato in esclamazioni onomatopeiche circa il pranzo che lui ha trovato esecrabile. Non si è divertito affatto, nemmeno "tristemente" come già facevano i suoi compatrioti, quattrocento anni fa, stando a quanto ha detto Froissard. Del resto, però, nessuno fa più attenzione alle recriminazioni di questo brontolone. Il barone Weissschnitzerdörfer non ha capito una sola parola di questo piccolo capolavoro, ma, l'avesse anche capito, non sarebbe stato in grado di apprezzare questo campione della "monologomania" parigina. In quanto al signor Faruskiar e al suo inseparabile Ghangir, nonostante il loro tradizionale riserbo sembra che le espressioni sorprendenti, i gesti significativi, le intonazioni comiche del signor Caterna li abbiano interessati entro certi limiti. Il tenore comico l'ha osservato ed è molto sensibile a questa muta ammirazione. Infatti, alzandosi da tavola mi dice: — È splendido quel signore!… che dignità!… che prestanza!…

che tipo proprio da estremo Oriente!… il suo compagno mi piace meno… una comparsa al massimo! Ma quel magnifico mongolo, Caroline non lo vedresti nel Morales dei Pirates de la Savane? — Però non con quell'abito! — risposi io. — Perché no, signor Claudius? Un giorno, a Perpignan, ho rappresentato il colonnello di Montéclin de la Closerie des Genets in divisa di ufficiale giapponese… — E quanto l'hanno applaudito! — interviene la signora Caterna. Durante il pranzo abbiamo superato la stazione di Kastakos situata al centro di una regione montuosa. La ferrovia fa molte curve superando viadotti e tunnel come ci fa capire il rotolare rumoroso dei vagoni. Poco dopo, Popof ci dice che siamo nei territori del Ferganah, nome dell'antico canato di Kokhan annesso alla Russia nel 1876 con i sette distretti di cui si compone. Questi distretti dove la maggioranza è costituita da sarthi, sono amministrati da prefetti, da sottoprefetti e da sindaci. Bisogna proprio venire nel Ferganah per trovarvi tutti gli ingranaggi della Costituzione dell'anno VIII! Al di là, è ancora la steppa immensa che si stende davanti al nostro treno. La signora Ujfalvy-Bourdon l'ha assai giustamente paragonata a un biliardo tanto è perfettamente orizzontale. La differenza è però che non è una biglia d'avorio che rotola alla sua superficie, bensì un treno espresso della Grande Transasiatica alla velocità di sessanta chilometri orari. Lasciata dietro di noi la stazione di Tchutchai entriamo in quella di Kokhan alle nove di sera. La sosta deve durare due ore. Perciò scendiamo sul marciapiede. All'atto di scendere dalla passerella, mi avvicino al maggiore Noltitz che sta domandando al giovane Pan-Chao: — Conoscevate il mandarino Yen-Lou di cui si sta riportando il corpo a Pechino? … — Affatto, maggiore. — Eppure deve, essere un personaggio notevole se si fa caso agli onori che gli sono resi… — È possibile — risponde Pan-Chao — ma ne abbiamo talmente tanti di personaggi notevoli, nel Celeste Impero!

— E allora questo mandarino Yen-Lou?… — Non ne ho mai sentito parlare. Perché il maggiore Noltitz ha fatto questa domanda al giovane cinese e a quale sua interna preoccupazione essa risponde?

CAPITOLO XV KOKHAN, due ore di sosta. E notte. La maggior parte dei viaggiatori, già sistemati nei vagoni per dormire, si dispensano dallo scendere. Eccomi a passeggiare fumando sul marciapiede. Questa stazione è piuttosto importante e il suo parco macchine permetterà di sostituire una locomotiva più potente a quelle che hanno rimorchiato il nostro treno da Uzun-Ada. Quelle prime macchine erano sufficienti quando la strada ferrata correva su una pianura pressappoco orizzontale. Ma ora siamo già impegnati fra le gole dell'altopiano del Pamir. Ci saranno delle pendenze piuttosto forti il che esige una maggior forza di trazione. Guardo l'esecuzione della manovra e, dopo che la locomotiva con il suo tender è stata staccata, il bagagliaio (quello di Kinko) viene a trovarsi in testa al treno. Mi viene fatto di pensare che il giovane romeno possa avventurarsi sul marciapiede. Sarebbe un'imprudenza perché rischierebbe d'essere visto dagli agenti, specie di gardovoi che vanno e vengono squadrando per bene la gente. Il meglio che il mio numero 11 possa fare è di restarsene in fondo alla sua cassa o, per lo meno, nel bagagliaio. Mi rifornirò di provviste liquide e solide e andrò a portargliele anche prima della partenza del treno, se mi sarà possibile farlo senza essere visto. Il bar della stazione è aperto e Popof non è lì. Avrebbe potuto meravigliarsi vedendomi fare degli acquisti poiché il vagoneristorante è rifornito di tutto ciò che potrebbe occorrerci. Un po' di carne fredda, del pane, una bottiglia di vodka è tutto quello che mi ha dato il bar. La stazione è poco illuminata; rare lampade non danno che una luce fievole. Popof è occupato per il suo servizio con uno degli impiegati. La nuova locomotiva non è ancora in manovra per venir a mettersi in testa al treno, perciò il momento mi sembra favorevole. Inutile aspettare di aver lasciato Kokhan. Fatta la mia visita a Kinko

potrò almeno dormire tutta la notte e confido che ciò mi sarà assai gradevole. Salgo sulla piattaforma e dopo essermi assicurato che nessuno possa vedermi penetro nel bagagliaio dicendo subito: — Sono io! Infatti era prudente avvertire Kinko nel caso che fosse uscito dalla sua cassa. Ma non aveva avuto questa idea e io gli consiglio la massima circospezione. Le provviste gli fanno un gran piacere perché variano un poco il suo cibo abituale. — Non so come ringraziarvi, signor Bombarnac — mi dice. — Se non lo sapete, amico Kinko — rispondo io — dispensatevene, è più semplice.. — Quanto tempo resteremo a Kokhan? — Due ore. — E quando raggiungeremo la frontiera? — Domani, verso l'una del pomeriggio. — E Kashgar? — Quindici ore dopo, nel pieno della notte fra il 19 e il 20. — È lì che sta il pericolo, signor Bombarnac… — Sì, Kinko, perché se è difficile entrare in territorio russo non è meno difficile uscirne quando i cinesi sono alle porte. I loro agenti ci esamineranno a fondo, prima di permetterci l'ingresso. Tuttavia questa severità viene esercitata sui viaggiatori e non sul loro bagaglio. Siccome questo bagagliaio è particolarmente riservato a quelli spediti fino a Pechino credo che non abbiate niente da temere. E, adesso, buona notte. Per precauzione, non voglio prolungare la mia visita. — Buona notte, signor Bombarnac, buona notte! Sono uscito e ho raggiunto la mia cuccetta e, perbacco, non ho nemmeno sentito il segnale di partenza quando il treno si è messo in cammino. La sola stazione un po' importante dove il treno si è fermato prima del levar del sole è quella di Marghelân, ma la sosta è stata di breve durata. Marghelân, città popolosa di sessantamila abitanti è, in realtà, la

capitale del Ferganah e ciò è dovuto al fatto che Kokhan non ha una buona reputazione quanto a salubrità. Naturalmente la città è doppia: una russa, l'altra turcomanna. Quest'ultima, priva di monumenti antichi, non offre alcuna attrattiva e quindi i miei lettori mi perdoneranno di non aver interrotto il mio sonno per onorarla di un'occhiata. Seguendo la vallata dello Schakhimardan, il treno ha ritrovato una specie di lunga steppa, e ciò gli ha permesso di riprendere la sua normale velocità. Alle tre del mattino, sosta di quarantacinque minuti alla stazione di Och. Anche lì, ho mancato al mio dovere di reporter e non ho visto niente. La mia scusa, però, è che non c'era niente da vedere. Oltre questa stazione, la ferrovia raggiunge la frontiera cinese che separa il Turkestan russo dall'altopiano del Pamir e dal vasto territorio dei Kara-Uirghisi. Questa zona dell'Asia centrale è tormentata incessantemente dal lavorio plutonico che turba le viscere del suolo. A più riprese il Turkestan settentrionale ha subito violente scosse (non si è ancora dimenticato il terremoto del 1887) e tanto a Taskend quanto a Samarcanda avevo potuto vedere delle prove di questi terribili sommovimenti. Frequenti oscillazioni, per quanto poco sensibili, vengono effettivamente osservate con regolarità e questa azione vulcanica si esercita su tutta la lunga falda fra il mar Caspio e l'altopiano del Pamir, dove sorto immagazzinati petrolio e nafta. Insomma questa regione costituisce una delle zone più interessanti dell'Asia centrale che un turista possa visitare. Se è vero che il maggiore Noltitz non è mai stato oltre la stazione di Och, situata ai piedi dell'altopiano, egli ne conosce però il territorio per averlo studiato sulle carte moderne e sulle relazioni dei più recenti viaggi. Fra i quali citerò quello dei signori Capus e Bonvalot: ancora due nomi francesi che sono felice di ricordare fuori della Francia. Da allora, il maggiore è desiderosissimo di vedere i luoghi di persona e perciò non sono ancora le sei del mattino che ci troviamo entrambi piantati sulla piattaforma, binocolo in mano, e orario sott'occhio. Il Pamir o Bam-i-Duniah, è generalmente chiamato il "Tetto del

Mondo". Da lì si dipartono le imponenti catene del Tian-Chàn, del Kuen-Luen, del Caracorum, dell'Himalaia e dell'Hindu-Kush. Questo sistema orografico, della larghezza di quattrocento chilometri, che costituì per secoli una barriera invalicabile, è stato vinto dalla tenacia moscovita. La razza slava e la razza gialla sono venute a contatto. Mi si permetta un po' di erudizione su questo argomento; del resto non sono io a parlare, ma il maggiore Noltitz. I grandi viaggiatori dei popoli ariani hanno lottato tutti per riuscire a esplorare l'altopiano del Pamir. Senza risalire fino a Marco Polo nel XIII secolo, chi troviamo? Gli inglesi, con Forsith, Douglas, Biddueph, Young-husband e il celebre Gordon, morto nelle regioni dell'Alto Nilo; i russi con Fendchenko, Skobeleff, Prjevalky, Grombtchevsky, il generale Pevtzoff, il principe Galitzine, i fratelli Groum-Grjimailo; i francesi con d'Auvergne, Bonvalot, Capus, Papin, Breteuil, Blanc, Ridgway, O'Connor, Dutreuil de Rhins, Joseph Martin, Grenard, Edouard Blanc; gli svedesi con il dottor Swen Hedin. Questo "Tetto del Mondo" — grazie a tali esplorazioni — si direbbe essere stato sollevato da un Diavolo zoppo con magica mano, per lasciarne vedere i misteri. Ora si sa che è composto da un inestricabile groviglio di vallate che di altitudine media superano i tremila metri; si sa che è dominato dai picchi Gurumdi e Kauffmann, alti ventiduemila piedi, e dalla punta del Tagarma che ne è alta ventisettemila; si sa che da questa vetta scorrono l'Oxus o Amu-Daria verso ovest e il Tarim verso est; si sa infine che la sua ossatura è tagliata soprattutto nella roccia dell'era primaria, dove abbondano lo schisto e il quarzo, i grès rossi dei terreni secondari e il loess argilloso-sabbioso di cui lo strato quaternario è abbondante in Asia centrale. Le difficoltà che la Grande Transasiatica ha dovuto superare per traversare questo altopiano sono state enormi. Fu una sfida del genio umano alla natura e la vittoria rimase al primo. Attraverso quei passi in dolce pendio, che i chirghisi chiamano "bels", i viadotti, i ponti, i terrapieni, le trincee, i tunnel hanno contribuito alla costruzione di questa ferrovia. Non vi sono che curve brusche, discese che esigono potenti locomotive, qua e là macchinari fissi per trainare il treno agganciato a cavi mobili: insomma un lavoro erculeo superiore a

quello degli ingegneri americani nelle strette della Sierra Nevada e delle Montagne Rocciose. L'aspetto desolato di questi territori è fatto per colpire l'immaginazione. E questa impressione si fa sempre più viva a mano a mano che il treno raggiunge le maggiori altitudini seguendo il profilo accidentato della linea. Nessuna borgata, nessun casolare; null'altro che capanne sparse dove i pamiriani conducono un'esistenza solitaria con le loro famiglie, i loro cavalli, le loro mandrie di yak o "kutar" che sono dei buoi con coda di cavallo, le loro pecore di razza nana e le loro capre dal pelo assai fitto. La muta di questi animali è una conseguenza naturale del clima e essi cambiano la veste invernale con la bianca pelliccia estiva. La stessa cosa succede anche al cane a cui d'estate, all'epoca del caldo, si schiarisce il pelo. Risalendo i passi, larghe brecce lasciano vedere di tanto in tanto il pianoro in lunghi e vaghi arretramenti. In numerose località si raggruppano ginepri e betulle che sono i principali alberi del Pamir mentre sulle ondulate pianure abbondano le tamerici, i carici, l'armisia, specie di canna molto abbondante nelle depressioni riempite d'acqua salina, e una labiata nana che i chirghisi chiamano "terskenne". Il maggiore mi cita poi diversi animali che costituiscono una fauna piuttosto variata sulle alture del Pamir. E anche bene sorvegliare le piattaforme delle carrozze dove potrebbero slanciarsi dei mammiferi che non hanno diritto né alla prima, né alla seconda classe: fra gli altri pantere e orsi. Durante la giornata, questi nostri compagni hanno preceduto e seguito i vagoni. Che grida risuonano quando plantigradi o felini fanno balzi lungo la ferrovia con intenzioni di cui è permesso sospettare! Molti colpi di revolver sono stati sparati forse senza vera necessità, ma essi divertono e, in pari tempo, rassicurano i viaggiatori. Nel pomeriggio siamo stati testimoni di una magnifica fucilata che ha ucciso sul colpo un'enorme pantera proprio quando stava per varcare con un balzo il predellino della terza vettura. — A te, Marguerite! — ha esclamato il signor Caterna. E come avrebbe potuto esprimere meglio la sua ammirazione se

non lanciando questa celebre risposta di Buridan alla moglie del Delfino — e non alla regina di Francia com'è impropriamente detto nel famoso dramma La tour de Nesle? Siamo debitori di questo bellissimo colpo cinegetico al nostro magnifico mongolo. — Che mano e che occhio! —dico al maggiore che non cessa di rivolgere occhiate sospettose al signor Faruskiar. Fra gli altri animali della fauna pamiriana, si vedono lupi, volpi e branchi di quei montoni selvaggi di alta statura e con le corna nodose graziosamente ricurve, che in linguaggio indigeno vengono detti "arkars". Nelle alte zone del cielo volano gipeti, avvoltoi e, in mezzo ai bianchi vortici di vapore che si lascia dietro la nostra locomotiva, nugoli di corvi, piccioni, tortore e cutrettole. Il giorno passa senza incidenti. Alle sei di sera abbiamo varcato la frontiera dopo un percorso totale di circa duemilatrecento chilometri superati in quattro giorni dalla partenza da Uzun-Ada. Fra duecentocinquanta chilometri il treno arriverà a Kashgar. Benché in realtà ci si trovi già sul suolo del Turkestan cinese, sarà solo in quella città che passeremo nelle mani dell'amministrazione del Celeste Impero. Finito il pranzo, verso le nove, ognuno si stende nella sua cuccetta con la speranza, diciamo anzi con la convinzione, che questa notte sarà calma quanto la precedente. Ma non doveva esserla. Durante le prime ore il treno ha ridisceso i pendii del Pamir a grande velocità. Poi ha ripreso la sua marcia consueta per una lunga via orizzontale. Poteva essere circa la una di notte, quando fui svegliato bruscamente. In pari tempo anche il maggiore Noltitz e la maggior parte dei nostri compagni si svegliano. In fondo al treno si odono urla violente. Che succede? L'inquietudine s'impadronisce dei viaggiatori, quell'inquietudine conturbante e irragionevole che provoca il minimo incidente in ferrovia.

— Cosa c'è?… cosa c'è?… Queste parole vengono pronunciate con spavento da tutte le parti e in diverse lingue. Il mio primo pensiero è che si tratti di un attacco. Penso al famoso Ki-Tsang, il pirata mongolo del quale ho forse così imprudentemente sollecitato la collaborazione… per la mia cronaca! Ancora un attimo e il rallentare del treno indica che sta per fermarsi. Popof, dopo essere entrato nel vagone, ne torna fuori e io gli chiedo cos'è successo. — Un incidente — mi dice. — Grave?… — No, si è rotta una barra d'aggancio e i due ultimi vagoni sono rimasti in difficoltà. Appena il treno è fermo una dozzina di viaggiatori, fra cui io, scende sul binario. Alla luce di una lanterna possiamo facilmente constatare che la rottura della barra non è dovuta a sabotaggio. Però non è meno vero che i due ultimi vagoni del treno (quello funebre e quello di coda occupato dall'impiegato dei bagagli) sono in difficoltà. Ma da quanto tempo e a quale distanza?… Lo si ignora. Bisognava sentire le urla delle guardie persiane incaricate di scortare il corpo del mandarino Yen-Lou di cui erano responsabili! I viaggiatori che si trovavano nel loro vagone e essi stessi, non si erano accorti di nulla al momento della rottura. Quando avevano dato l'allarme l'incidente si era verificato da un'ora o forse anche da due. Del resto il partito da prendere è chiaro: fare macchina indietro e agganciare il treno ai vagoni staccatisi. Insomma niente di più semplice. Ma — ciò che non cessa di sorprendermi — è l'atteggiamento del signor Faruskiar in questa circostanza. Infatti è lui che insiste fortemente perché si agisca senza perdere un istante. Si rivolge a Popof, al macchinista, al fuochista e per la prima volta sento che parla russo molto chiaramente. Ad ogni modo, non c'è da discutere. Siamo tutti d'accordo sulla necessità di retrocedere per raggiungere il vagone del mandarino e

quello dei bagagli. Non ci fu che il barone tedesco che protestò. Ancora ritardi!… Sacrificare del tempo, forse anche molto, per un mandarino… un mandarino defunto… Lo mandiamo a spasso. In quanto a sir Francis Trevellyan non faceva che alzar le spalle quasi volesse dire: "Che amministrazione… che materiale… Queste cose non succederebbero sulle ferrovie anglo-indiane". Il maggiore Noltitz è impressionato come me del singolare intervento del signor Faruskiar. Questo mongolo di solito così calmo, così impassibile, con quello sguardo freddo sotto la palpebra immobile, ora va e viene in preda a una specie d'inquietudine furiosa che sembra incapace di dominare. E il suo compagno non è meno insistente di lui. Eppure, in cosa può interessarli che quei due vagoni si siano staccati? Non hanno neppure bagagli nel bagagliaio di coda! E dunque per il defunto mandarino Yen-Lou che si danno tanta pena?… Era per questa ragione che alla stazione di Duchak osservavano ostinatamente il vagone che racchiudeva il corpo del defunto?… Capisco benissimo che il maggiore trovi molto sospetto questo modo di comportarsi. Abbiamo appena ripreso i nostri posti che il treno riprende il suo cammino all'indietro. Il barone tedesco cerca di recriminare, ma il signor Faruskiar gli lancia uno sguardo talmente feroce che egli non vuole esporsi a riceverne un secondo e ritorna nel suo angolo a imprecare. L'alba si annunciava verso est, quando i due vagoni vengono segnalati a un chilometro di distanza e, dopo un'ora di marcia il treno viene lentamente a raggiungerli. Il signor Faruskiar e Ghangir hanno voluto assistere al riaggancio delle vetture che venne fatto con tutta la solidità possibile. Il maggiore Noltitz ed io osservammo che entrambi scambiarono qualche parola con i tre altri mongoli, ma questo non dovrebbe meravigliarci dato che sono compatrioti. Tutti riprendono il proprio posto e il macchinista spinge a tutto vapore per riguadagnare in parte il tempo perso.

Ciononostante il treno arriva a Kashgar con notevole ritardo e sono le quattro e mezzo del mattino quando entra nella capitale del Turkestan cinese.

CAPITOLO XVI LA KASHGARIA è il Turkestan orientale che va trasformandosi gradatamente in Turkestan russo. Alcuni scrittori della"Nouvelle Revue" hanno detto: "L'Asia centrale non sarà un gran paese fin tanto che l'amministrazione moscovita non avrà messo le mani sul Tibet o quando i russi comanderanno a Kashgar". Ebbene! per metà, è già cosa fatta. L'apertura del Pamir ha permesso di congiungere la ferrovia russa con quella che fa servizio da una frontiera all'altra del Celeste Impero. La capitale della Kashgaria è ora tanto moscovita che cinese. La razza slava e la razza cinese stanno gomito a gomito e vivono in perfetto accordo. Per quanto tempo? Lascio ad altri di predire l’avvenire, io mi accontento del presente. Arrivo alle quattro e mezzo, partenza alle undici. La Grande Transasiatica si è mostrata generosa. Avrò tempo disponibile per visitare Kashgar a condizione però di diminuire di un'ora buona il tempo concessoci. Infatti, quello che non fu fatto alla frontiera, sarà fatto ora a Kashgar. Quando si tratta di formalità vessatorie: documenti da verificare, passaporti da firmare ecc, i cinesi valgono i russi. E la stessa pignoleria minuziosa e meticolosa: bisogna sottomettersi. Non bisogna dimenticare quanto è terribile e minacciosa la formula che il funzionario del Celeste Impero appone in fondo ai documenti: "Tremate e ubbidite!" Sono disposto a ubbidire e ritornando comparirò davanti alle autorità di frontiera. Ricordo i timori

manifestati da Kinko ed è per lui che ci sarà da tremare se la visita ai viaggiatori si estende anche a quella dei colli e dei bagagli. Prima che il treno arrivasse a Kashgar il maggiore Noltitz mi aveva parlato così: — Non immaginatevi che il Turkestan cinese differisca sensibilmente dal Turkestan russo. Non siamo nella terra delle pagode, delle giunche, dei battelli-fiori, degli yamens, degli hongs e delle torri di porcellana. E, prima di tutto questa è una città doppia come Bukhara, Merv e Samarcanda… Per queste città dell'Asia centrale avviene come per certe stelle: soltanto non gravitano l'una attorno all'altra. L'osservazione del maggiore è giustissima. Non è più il tempo in cui in Kashgaria regnavano gli emiri, in cui la monarchia di Mohammed-Yakub si imponeva a tutta la provincia turkestana, in cui i celestiali che volevano soggiornarvi erano costretti ad abiurare la religione di Budda e di Confucio e a convertirsi al maomettanesimo se volevano aver salva la vita. Che volete? In questa fine di secolo, arriviamo sempre troppo tardi e queste meraviglie del cosmorama orientale, queste usanze singolari, questi capolavori dell'arte asiatica non sono più che dei ricordi o addirittura delle rovine. Le ferrovie finiranno con il ridurre i paesi che attraversano a un livello comune e a una comune somiglianza. Sarà l'uguaglianza e forse la fratellanza. D'altronde per essere sinceri, Kashgar non è più la capitale della Kashgaria, è semplicemente una stazione della Grande Transasiatica, il punto di raccordo fra le ferrovie russe e quelle cinesi e il nastro di acciaio lungo circa tremila chilometri dal Caspio a questa città se ne stacca per prolungarsi per altri circa quattromila e raggiungere la capitale del Celeste Impero. Ma torniamo ora alla doppia città. La nuova è Yangi-Chahr, la vecchia alla distanza di tre miglia e mezzo, è Kashgar. Ho avuto modo di visitarle entrambe e vi dirò quello che sono tanto l'una che l'altra. Prima osservazione: tanto l'antica che la nuova città sono circondate da un orribile muraglione di terra che non predispone in loro favore. Seconda osservazione: vi si cercherà invano un monumento di qualsiasi genere poiché i materiali di costruzione sono

identici sia per le case che per i palazzi. Nient'altro che terra, e nemmeno terracotta! Non è con questa specie di fango seccato al sole che si possono ottenere linee regolari, sagome pure, sculture finemente tracciate. Per l'arte dell'architettura occorrono la pietra o il marmo che mancano totalmente nel Turkestan cinese. Una vetturetta, guidata rapidamente, porta me e il maggiore Noltitz a Kashgar che ha una circonferenza di tre miglia. Il KizilSou, cioè il "Fiume Rosso", piuttosto giallo come di dovere per un fiume cinese, la racchiude nei suoi due bracci riuniti da due ponti, Se si vogliono vedere delle rovine più interessanti bisogna uscire dalla cinta dove, a breve distanza, si notano degli avanzi di bastioni che risalgono a cinquecento o a duemila anni fa, a seconda dell'immaginazione degli archeologi. Quello che è assolutamente sicuro, è che Kashgar ha subito il temibile assalto di Tamerlano e bisogna convenire che senza l'intervento di questo terribile zoppo, la storia dell'Asia centrale sarebbe profondamente monotona. È vero che, dopo quest'epoca, si sono succeduti dei sultani violenti, fra gli altri quello Uali-Khan-Tulla che fece scannare Schlagintweit, uno dei più dotti e dei più audaci esploratori del continente asiatico. Due targhe di bronzo, regalate dalle Società geografiche di Parigi e di Pietroburgo, ne ornano il monumento commemorativo. Kashgar è importante centro di traffici, il cui movimento è dovuto quasi esclusivamente ai russi. Le sete di Kothan, il cotone, il feltro, i tappeti di lana, i panni sono gli articoli principali che si trovano sui mercati della provincia e che vengono esportati anche oltre frontiera fra Taskend e Kulja, verso il Turkestan nord-orientale. Da quello che mi dice il maggiore, è qui che sir Francis Trevellyan avrebbe ragione di manifestare il suo cattivo umore. Infatti, nel 1873-1874, un'ambasceria inglese guidata da Chapman e Gordon fu mandata dal Kashmir a Kashgar passando per Kothan e Yarkand. A quell'epoca gli inglesi potevano sperare che le relazioni commerciali si sarebbero stabilite a loro profitto. Ma le ferrovie russe, invece di collegarsi a quelle indiane, si sono collegate con le ferrovie cinesi con il conseguente risultato che l'influenza inglese dovette cedere a quella moscovita. La popolazione di Kashgar è turcomanna, mescolata in grande

quantità con questi Celestiali che adempiono volentieri le funzioni di domestici, artigiani o venditori ambulanti. Meno fortunati di Chapman e Gordon, io e il maggiore Noltitz non abbiamo potuto vedere la capitale della Kashgaria quando gli eserciti dell'emiro affollavano le sue strade tumultuose. Più nessuno di quei fantaccini djiguits, a cavallo, né di quei sarbaz a piedi. Spariti i magnifici corpi dei taifourchis, armati e disciplinati alla cinese, i lancieri superbi e gli arcieri calmucchi che tendevano archi alti sei piedi, le "tigri" con gli scudi tinteggiati a colori sgargianti ed i fucili a miccia, destinati ad essere fucilieri. Spariti tutti i pittoreschi guerrieri dell'esercito kashgariano e, con loro, sparito anche l'emiro! Alle nove, siamo di ritorno a Yangi-Chahr. E là in fondo a una strada nei pressi della cittadella, cosa vediamo?… Il signore e la signora Caterna in estatica ammirazione di un gruppo di dervisci musicanti. Chi dice derviscio, dice mendicante e chi dice mendicante richiama alla mente il massimo della sporcizia e del lazzaronaggio. Ma che straordinaria comicità di gesti, ma che atteggiamenti nel maneggiare la chitarra a corde lunghe, ma che ancheggiamenti acrobatici durante le danze con cui accompagnano il canto delle loro leggende e delle loro poesie, profane al massimo! L'istinto dell'attore si è risvegliato nel nostro tenore comico; non può star fermo, è "più forte di lui". Così, con lo slancio di ex-gabbiere foderato da un grande primoattore comico, egli imita con brio quei gesti, quelle attitudini, quegli ancheggiamenti e mi par di vederlo fare una parte in quella quadriglia di dervisci chiassosi! — Ah! signor Claudius, — mi dice — non è affatto difficile rifare gli esercizi di questa brava gente! … Componetemi un'operetta turkestana, datemi il ruolo di un derviscio e vedrete se non entro nella sua pelle! — Non ne dubito, caro Caterna — gli rispondo — ma prima di entrare in quella pelle, entrate nel ristorante della stazione e venite a dare l'addio alla cucina turcomanna perché ben presto saremo ridotti a quella cinese. L'offerta viene accettata tanto più volentieri, in quanto la

reputazione dei cuochi di Kashgar è universalmente riconosciuta, come ci fa osservare il maggiore. Infatti il signor e la signora Caterna, il maggiore, il giovane PanChao e io siamo stupiti e soddisfattissimi della quantità e della qualità dei piatti che ci vengono serviti. Le vivande dolci si alternano capricciosamente con gli arrosti e la carne alla griglia. Poi, cosa che il tenore comico e la prima attrice in tutti i generi non dimenticheranno mai (non meno che le famose pesche di Khodjend), ecco certi piatti di cui l'ambasceria inglese ha voluto conservare il ricordo mettendone per iscritto la composizione nel resoconto del suo viaggio: piedini di maiale cosparsi di zucchero, rosolati nel grasso e leggermente marinati, e rognoni fritti con una salsa zuccherata mescolati con frittelle. Il signor Caterna domanda ancora due volte dei primi e tre dei secondi. — Mi premunisco — ci dice. — Chissà cosa ci offrirà il vagoneristorante delle ferrovie cinesi! Diffidiamo delle pinne di pescecane, che a volte sono un po' coriacee, e dei nidi di rondine che non saranno certamente molto freschi! Sono le dieci, quando un colpo di gong annuncia che le operazioni di dogana stanno per cominciare. Dopo aver bevuto un ultimo bicchiere di vino del Chao-Hing, ci alziamo da tavola per ritrovarci qualche minuto dopo tutti riuniti nella sala d'aspetto. I miei numeri sono tutti presenti, naturalmente eccettuato Kinko che avrebbe certo fatto onore alla nostra colazione se avesse potuto parteciparvi. Si trovano dunque in sala Tio-King con il suo Cornato sotto il braccio; Fulk Ephrinell e la signorina Horatia Bluett, che frammischiano i loro denti e i loro capelli, in modo figurato, si capisce; sir Francis Trevellyan, immobile e muto, intrattabile e compassato, intento a succhiare il suo sigaro sulla soglia; il signor Faruskiar, accompagnato da Ghangir; viaggiatori russi, turcomanni e cinesi: in tutto dalle sessanta alle ottanta persone. A turno ognuno dovrà presentarsi davanti ad un tavolo occupato da due celestiali in abito nazionale: un funzionario, che parla il russo correntemente, e un interprete per le lingue tedesca, francese e inglese. Il celestiale è un uomo d'una cinquantina d'anni, cranio pelato,

baffi folti, lunga treccia sulla schiena, occhiali sul naso. Avvolto in una zimarra a fiorami, obeso come si addice alle persone distinte nel suo paese, non ha una fisionomia invitante. In fondo, però, non si tratta che di un controllo di documenti e poiché i miei sono in regola non m'importa se l'aspetto di questo funzionario è arcigno o no. — Che aria ha! — mormora la signora Caterna. — L'aria di un cinese, — risponde il tenore comico e per la verità, non si può fargliene colpa. Sono uno dei primi a mostrare il mio passaporto che porta il visto del console di Tiflis e delle autorità russe di Uzun-Ada. Il funzionario lo esamina molto attentamente. Con i procedimenti dell'amministrazione mandarina bisogna sempre stare all'erta. Cionondimeno questo esame non solleva alcuna obiezione e il timbro con il drago verde mi dichiara "atto a partire". Lo stesso risultato per il tenore comico e la prima attrice in tutti i generi. Però, vai la pena di guardare il signor Caterna mentre vengono esaminati i suoi documenti. Prende atteggiamenti da colpevole che cerchi di intenerire i giudici della polizia criminale; fa gli occhi dolci; le sue labbra abbozzano un sorriso quasi volesse implorare grazia o, almeno, un favore; eppure nemmeno il più esigente dei cinesi potrebbe fargli osservazione. — Perfetto — dice l'interprete — Grazie, principe! — risponde il signor Caterna con l'accento del monello di Parigi. Quanto a Fulk Ephrinell e alla signorina Horatia Bluett tutto procede liscio, come impostare una lettera: se un rappresentante americano e una rappresentante inglese non fossero in regola, chi potrebbe esserlo? Lo zio Sam e John Bull sono una cosa sola. Altri viaggiatori russi e turcomanni subiscono la prova senza materia di contestazione; sia che appartengano alla prima o alla seconda classe, sono nelle condizioni che esige l'amministrazione cinese la quale riceve un diritto piuttosto elevato per ogni visto, diritto che si può pagare in rubli, taèls o sapechi. Fra questi viaggiatori, osservo un pastore protestante degli Stati Uniti di circa cinquanta anni, che è diretto a Pechino; è il reverendo Nathaniel Morse, di Boston, uno di quei bravi distributori di Bibbie,

uno di quei missionari americani che si celano sotto la pelle del mercante, molto abili negli affari. A buoni conti, gli do il numero 13, nel mio taccuino. La verifica dei documenti del giovane Pan-Chao e del dottor TioKing non offre nessuna difficoltà e questi scambiano i più amabili "diecimila buongiorno" con il rappresentante dell'autorità cinese. Quand'è la volta del maggiore Noltitz si verifica un leggero incidente. Sir Francis Trevellyan, che si era presentato contemporaneamente a lui, non sembra assolutamente disposto a cedergli il posto. Però, tutto si limita ad occhiate altere e provocatrici. Il gentiluomo non si è nemmeno data la pena di aprir bocca. Sta dunque scritto lassù che io non conoscerò il suono della sua voce!… Il russo e l'inglese ricevettero entrambi il loro visto e la faccenda finì lì. Il signor Faruskiar, seguito da Ghangir, arriva davanti al celestiale con gli occhiali, che lo guarda con una certa attenzione. Io e il maggiore Noltitz l'osserviamo. Come subirà l'esame? Forse saremo illuminati sul suo conto… Ma qual è mai la nostra sorpresa, anzi il nostro stupore, al colpo di scena che si produce in questo momento? Dopo aver dato un'occhiata ai documenti che Ghangir gli ha presentato, il funzionario cinese si è alzato e si è rispettosamente inchinato davanti al signor Faruskiar dicendo: — Il signor amministratore della Grande Transasiatica si degni di ricevere i miei diecimila omaggi! Amministratore, ecco cos'è questo signor Faruskiar! Tutto si spiega! Durante tutto il nostro tragitto attraverso il Turkestan russo egli ha creduto bene di conservare l'incognito come fa un grande personaggio all'estero, ma ora, nelle ferrovie cinesi, non si rifiuta di riprendere il grado che gli appartiene con tutti gli onori a cui ha diritto. E io — scherzando, d'accordo! — che mi sono, permesso di identificarlo per il pirata Ki-Tsang! E il maggiore Noltitz che passava il tempo a sospettare di lui! Insomma, volevo avere un personaggio notevole nel nostro treno… e ce l'ho, questo personaggio; farò la sua conoscenza, lo coltiverò come una pianta rara e poiché parla il russo,

lo intervisterò a fondo! Bene! eccomi entusiasmato al punto che non posso far a meno di alzare le spalle quando il maggiore mi mormora sottovoce: — Dopotutto può darsi che sia il capo di una di quelle bande con cui la Compagnia Transasiatica ha trattato per assicurarsi i suoi servigi! Via, maggiore, siamo seri! La visita sta per finire e le porte stavano per aprirsi quando comparve il barone Weissschnitzerdörfer. E indaffarato, turbato, inquieto, sbalordito e si dimena agitandosi febbrilmente. Perché si dimena? perché si agita? perché si china e poi si raddrizza guardandosi intorno come qualcuno che abbia perduto qualcosa di prezioso?… — I vostri documenti? — gli chiede l'interprete in tedesco? . — I miei documenti — risponde il barone — li sto cercando… non li ho più… erano nel mio portafoglio… E va frugando nelle tasche dei pantaloni, del panciotto, della giacca, della sua palandrana (ne ha perlomeno una ventina) e non trova nulla. — Affrettiamoci… affrettiamoci! – ripete l'interprete.— Il treno non può aspettare… — Mi oppongo a che esso parta senza di me! — esclama il barone — Questi documenti… come potrebbero essere andati perduti?… Avrò lasciato cadere il mio portafoglio… Me lo porteranno… In quel momento un colpo di gong fa rimbombare gli echi nella stazione. Fra cinque minuti il treno partirà! e il disgraziato teutone a urlare: — Aspettate… aspettate! … Donner wetter! si può ben avere qualche minuto di pazienza per riguardo a un uomo che fa il giro del mondo in trentanove giorni… — La Grande Transasiatica non aspetta — risponde il funzionario-interprete. Senza preoccuparci ulteriormente, io e il maggiore Noltitz raggiungiamo il marciapiede mentre il barone continua a dibattersi davanti all'impassibilità dell'autorità cinese. Osservo il treno e vedo che la sua formazione è stata modificata per il fatto che nel tratto da

Kashgar a Pechino i viaggiatori saranno meno numerosi. Invece di dodici vetture, ne ha soltanto dieci, sistemate nel seguente ordine; locomotiva e tender, bagagliaio, due vetture di prima classe, vagone – ristorante, due vetture di seconda classe, vettura del defunto mandarino, bagagliaio di coda. Le locomotive russe che ci hanno trainato da Uzun-Ada saranno sostituite da locomotive cinesi che funzioneranno non più a nafta, ma con quel carbon fossile di cui esistono notevoli giacimenti nel Turkestan e abbondanti scorte nelle principali stazioni della linea. La mia prima cura è di dirigermi verso il bagagliaio di testa. Proprio in quel mentre, alcuni impiegati della dogana lo stanno visitando e io tremo per Kinko… E sicuro, però, che la frode non è stata scoperta perché la notizia avrebbe fatto rumore. Purché la cassa sia stata rispettata! L'avranno messa in qualche altro posto? Non l'avranno a volte rigirata o capovolta?… Proprio in quel momento gli agenti cinesi escono dal bagagliaio richiudendone la porta senza che io abbia potuto darvi un'occhiata. L'essenziale è che Kinko non sia stato sorpreso in flagrante. Appena mi sarà possibile, entrerò nel bagagliaio e, come dicono i banchieri, "verificherò lo stato di cassa". Prima di risalire nella nostra vettura, il maggiore Noltitz mi prega di seguirlo in fondo al treno. La scena di cui siamo testimoni non manca di un certo interesse: è la consegna delle spoglie del mandarino Yen-Lou che le guardie persiane fanno a un drappello di soldati dello Stendardo Verde che costituisce il corpo di gendarmeria cinese. Il defunto passerà sotto la sorveglianza di una ventina di celestiali che devono prender posto nella vettura di seconda classe che precede quella funeraria. Sono armati di fucili e rivoltelle e sono comandati da un ufficiale. — Via — dico al maggiore — decisamente doveva essere un personaggio importante questo mandarino Yen-Lou se il Figlio del Cielo gli manda una scorta d'onore… — O di difesa — mi risponde il maggiore. Il signor Faruskiar e Ghangir hanno assistito a questa operazione, ma in ciò non c'è nulla di sorprendente. L'amministratore non ha forse il dovere di vegliare sull'illustre defunto affidato alle cure degli agenti della Grande Transasiatica?

Risuonano gli ultimi colpi di gong; ognuno si affretta a raggiungere la sua vettura. E del barone, che ne è successo?… Eccolo che arriva di corsa sul marciapiede. Ha trovato i suoi documenti in fondo alla sua diciannovesima tasca. Ha avuto il visto necessario… ma appena in tempo. — I viaggiatori per Pechino, in vettura! — grida Popof con voce stentorea. Il treno si scuote, sta per partire, è partito.

CAPITOLO XVII CORRIAMO sulle rotaie di una ferrovia cinese a binario unico, trainati da una locomotiva celestiale guidata da macchinisti di razza gialla… Speriamo di non essere "tamponati" in viaggio, dato poi anche che il treno conta fra i suoi viaggiatori uno dei principali personaggi della Compagnia, nella persona del signor Faruskiar. Ma, dopotutto, se intervenisse qualche incidente, esso servirebbe a interrompere la monotonia del viaggio e mi fornirebbe degli episodi. Sono costretto a riconoscere che finora i miei personaggi non mi hanno dato quello che mi aspettavo. L'azione si fa meno interessante, e langue. Ci vorrebbe un colpo di scena che portasse tutta questa gente alla ribalta, quello che il signor Caterna chiamerebbe un bel "quarto atto". In realtà, Fulk Ephrinell e la signorina Horatia Bluett sono sempre assorti nel loro colloquio commerciale a quattr'occhi; Pan-Chao e il dottore mi hanno divertito per un po', ma ora non "rendono" più. Il tenore comico e la prima attrice in tutti i generi non sono che dei comici ai quali mancano le situazioni; Kinko stesso, su cui fondavo tante speranze, ha varcato la frontiera senza incidenti, arriverà a Pechino senza inconvenienti e sposerà senza»difficoltà alcuna la sua Zinca Klork. Decisamente le cose non vanno bene! Non cavo niente, nemmeno dal fu mandarino Yen-Lou! E dire che i lettori del "XX Siecle" si aspettavano da me una cronaca vibrante e sensazionale! Possibile che sia costretto a ripiegare sul barone tedesco? No! Egli è soltanto ridicolo e il ridicolo, che è l'originalità degli sciocchi, non può mai interessare. Torno alla mia idea; mi ci vorrebbe un eroe, ma finora i suoi passi non si sono ancora fatti sentire dietro le quinte… Decisamente è giunto il momento di entrare in rapporto più stretto con il signor Faruskiar. Forse sarà meno ermetico, ora che non viaggia più in incognito. In certo qual modo, noi siamo suoi amministrati. Egli è una specie di sindaco del nostro villaggio a rotelle e un sindaco ha il dovere di darsi a quelli che governa. Inoltre,

nel caso che venisse scoperta la frode di Kinko, è bene che cerchi di assicurarmi la protezione di questo alto funzionario. Dopo aver lasciato Kashgar, il nostro treno procede a velocità moderata. Sull'orizzonte opposto si profilano i massicci dell'altopiano del Pamir, poi — verso sud-ovest — si arrotonda il Bolor, ossia la cinta kashgariana dove spunta fra le nubi la cima del Tagharma. Non so come impiegare il mio tempo. Il maggiore Noltitz non ha mai visitato questi territori attraversati dalla Grande Transasiatica per cui non ho la risorsa di prender delle note sotto dettatura. Il dottor Tio – King non alza gli occhi dal suo Cornato e quanto a Pan-Chao mi pare che ne sappia più su Parigi e la Francia che non su Pechino e la Cina. Inoltre, quando è andato in Europa ha preso la via di Suez per cui conosce il Turkestan orientale esattamente come il Camciatca. Però conversiamo volentieri assieme. È un compagno piacevole, ma un po' meno di amabilità e un po' più di originalità farebbero meglio al caso mio. Sono quindi ridotto a passeggiare da un vagone all'altro, bighellonando sulle piattaforme, interrogando l'orizzonte che si ostina a non darmi risposta e ad ascoltare qua e là… Toh! ecco il tenore comico e la prima attrice in tutti i generi che sembrano occupati in una conversazione assai animata. Mi avvicino… Cantano a mezza voce. Tendo l'orecchio. Mi piacciono molto i miei tacchini…ini…ini… dice la signora Caterna. Mi piacciono molto le mie pecore…ore…ore… replica il signor Caterna, tenore comico buono a tutto, che in caso di bisogno canta anche in chiave di baritono. È l'eterno duetto di Pipo e di Bettina la rubiconda che essi vanno ripetendo per le loro future rappresentazioni di Shangai! Che fortunati sono gli abitanti di Shangai! Non conoscono ancora la Mascotte! Intanto sento che Fulk Ephrinell e la signorina Horatia Bluett

discorrono con un certo brio e sorprendo questa frase del loro dialogo: — Temo — dice la rappresentante inglese — che i capelli a Pechino siano in rialzo… — E io — dice il rappresentante — che i denti siano in ribasso, Ah! se scoppiasse una bella guerra in cui i russi spaccassero la faccia ai cinesi… Ve l'immaginate? Battersi per fornire alla ditta Strong Bulbul and Co. di New York l'occasione di smerciare i suoi prodotti! In verità, non so cosa pensare, e dire che abbiamo ancora sei giorni di viaggio. Al diavolo la Grande Transasiatica e il suo monotono percorso! Il Great Trunk da New York a San Francisco è più movimentato! Qualche volta, almeno, i pellirosse attaccano i treni e la prospettiva di venir scotennato per strada non può che aggiungere maggior fascino al viaggio! Ah! cos'è che sento recitare, o piuttosto, salmodiare in fondo al nostro vagone? — Non c'è uomo che, in qualsiasi impiccio si trovi, non sappia impedirsi di mangiar troppo e che debba garantirsi dei malanni prodotti a causa dell'ingestione di troppo cibo. Quelli che hanno l'incarico della direzione degli Affari Pubblici vi sono ancora più costretti degli altri… È il dottor Tio-King che sta leggendo a alta voce un passaggio del Cornavo per ficcarsi meglio in testa questi principi. Eh! dopo tutto non è completamente da disdegnare questo principio che il nobile veneziano emette all'indirizzo degli uomini politici. Se lo telegrafassi al Consiglio dei ministri? Forse banchetterebbero con maggior discrezione… Se mi rimetto all'orario, durante questo pomeriggio dobbiamo aver passato lo Yamanyar su un ponte di legno. Questo corso d'acqua scende dai massicci dell'ovest la cui altezza non è inferiore ai venticinquemila piedi inglesi e la sua velocità viene accresciuta dal disgelo delle nevi. A volte il treno passa in mezzo a folte giungle dove, a quanto mi afferma Popof, le tigri sono piuttosto numerose. Numerose: voglio crederlo, però non ne ho visto neanche una. Eppure, in mancanza di pellirosse, delle pelli tigrate potrebbero

procurarci qualche distrazione. Che soggetto per la cronaca di un giornale e che fortuna per un giornalista! Terribile catastrofe… Un treno della Grande Transasiatica attaccato dalle tigri… Unghiate e colpi di fucile… Cinquanta vittime. Un bambino divorato sotto gli sguardi della madre. Il tutto inframmezzato da punti di sospensione! Ebbene, no! i felini turcomanni non mi hanno dato nemmeno questa soddisfazione! Perciò li tratto,… e ne ho il diritto!, da gatti inoffensivi! Le due stazioni più importanti sono state Janghi-Hissar dove il treno si è fermato dieci minuti, e Kizil dove stazionò per un quarto d'ora; qui, essendo il suolo ferroso funzionano degli alti forni come, del resto, indica la parola "kizil" che significa rosso. Il paese è fertile e notevolmente ben coltivato a grano, mais, riso, orzo, e lino nella parte orientale. Dappertutto folti ciuffi d'alberi: salici, gelsi, pioppi. Si vedono a perdita d'occhio campi seminati con arte e irrigati da numerosi canali, praterie verdeggianti dove sono rinchiusi greggi di pecore; una regione che, se non fosse per le montagne del Pamir che si profilano all'orizzonte, ha un po' della Normandia e un po' della Provenza. Però, questa parte della Kashgaria è stata terribilmente devastata dalla guerra all'epoca in cui essa combatteva per conquistare la sua indipendenza. Questi territori furono inondati di sangue e, lungo la ferrovia, il terreno è gonfio di tumuli sotto i quali sono sepolte le vittime del loro patriottismo. Ma via, non sono venuto nell'Asia centrale per viaggiare in terra francese! Qualcosa di nuovo, diamine! qualcosa di nuovo, d'imprevisto, d'intensivo! Senza ombra di incidenti, in una giornata piuttosto bella, la nostra locomotiva entrò nella stazione di Yarkand alle quattro del pomeriggio. Se Yarkand non è la capitale amministrativa del Turkestan orientale russo, essa è però certamente la più importante città commerciale della provincia. — Ancora due città in una — dico al maggiore Noltitz.— Questo lo so da Popof. — E questa volta non furono i russi a costruire la città moderna — mi risponde il maggiore.

— Moderna o antica — proseguo io — temo che esse non facciano che assomigliare a quelle che abbiamo già visto: un muro di terra, qualche dozzina di porte che aprono dei varchi nella cinta, nessun monumento, nessun edificio, solo gli eterni bazar orientali! Non mi ingannavo e quattro ore erano troppe per visitare le due Yarkand di cui la moderna ha nome Yanji – Shahr; per fortuna non è più proibito alle yarkandesi di circolare per le strade, fiancheggiate da tuguri fatti di argilla mista con sassi e paglia, come si praticava ai tempi dei "dadkwahs" o governatori della provincia. Esse possono aver ora il piacere di vedere e di essere viste, piacere che è diviso dai "faranguis" come vengono chiamati i forestieri a qualunque nazione appartengano. Sono molto belle, queste asiatiche, con i capelli raccolti in lunghe trecce, il tessuto a spina pesce dei corpetti, le sottovesti a colori vivaci ornate da disegni cinesi in seta di Kothan, gli stivali ricamati dai tacchi alti e i turbanti di forme civettuole sotto i quali si vedono capelli neri e sopracciglia riunite. Un certo numero di viaggiatori cinesi, scesi a Yarkand, vengono sostituiti da viaggiatori di identica origine —fra gli altri una ventina di coolies — Alle otto di sera ripartiamo. La notte viene impiegata a percorrere i trecentocinquanta chilometri che separano Yarkand da Kothan. Una visita al bagagliaio di testa, mi ha permesso di constatare che la cassa è sempre al medesimo posto. Il russare che sento mi dice che Kinko; incassato come al solito, dorme tranquillamente. Non ho voluto svegliarlo e lo lascio sognare la sua bella romena. Il giorno dopo, Popof mi informa che il treno con la sua velocità da omnibus è passato da Kargalik, luogo di congiunzione delle strade di Kilian e di Tong. La notte è stata fresca poiché siamo ancora a milleduecento metri d'altezza. Dopo la stazione di Guma, la direzione della ferrovia è esattamente da ovest a est seguendo pressappoco il trentasettesimo parallelo, lo stesso che, in Europa, passa per Siviglia, Siracusa e Atene. Si è visto un solo corso d'acqua di una certa importanza, il Karakash, sul quale si vedono alcune zattere alla deriva e delle file di cavalli ed asini nei punti guadabili fra banchi di sassi. Esso incrocia la ferrovia un centinaio di chilometri prima di Kothan dove arriviamo

alle otto di mattina. Due ore di sosta e siccome questa città può dare un'anticipazione di quello che sono le città celestiali, ho voluto prenderne una rapida visione. Realmente si direbbe una città turcomanna costruita da cinesi o una città cinese costruita da turcomanni. Sia i monumenti, sia gli abitanti sembrano avere questa doppia origine. Le moschee sembrano delle false pagode mentre queste sembrano delle false moschee. Perciò non mi meraviglio che il signor e la signora Caterna che non hanno voluto perdere questa occasione di mettere piede in Cina, siano un po' delusi. — Signor Claudius — mi fa osservare il tenore comico — qui non c'è assolutamente un scenario dove poter rappresentare la Prise de Pèkin! — Ma non siamo a Pechino, mio caro Caterna. — Giusto; e bisogna sapersi accontentare anche di poco. — Anzi del minimo, come dicono gli italiani. — Ah! se dicono così, non sono tanto stupidi! Mentre stiamo per ritornare nel nostro vagone, vedo Popof che mi corre incontro gridando: — Signor Bombarnac… — Che c'è, Popof? — Un impiegato del telegrafo mi ha chiesto se su questo treno non c'è un corrispondente del "XX Siecle". — Un impiegato del telegrafo?… — Sì, e alla mia risposta affermativa mi ha dato questo telegramma per voi. — Date… date! Prendo il telegramma che mi aspettava da parecchi giorni. Che sia la risposta a quello che avevo spedito da Merv al mio giornale riguardante il mandarino Yen – Lou? Apro il telegramma … lo leggo … mi cade dalle mani. Ecco quello che diceva: Claudius Bombarne, reporter XX Siecle Kothan, Turkestan cinese

Non è corpo mandarino che ferrovia riporta a Pechino, ma tesoro imperiale, valore quindici milioni, mandato da Persia in Cina; ciò annunciato giornali Parigi da otto giorni; cercate essere meglio informato in avvenire.

CAPITOLO XVIII —MILIONI… quel preteso vagone mortuario contiene dei milioni! Senza accorgermene, la frase imprudente mi è sfuggita, di modo che il segreto del tesoro imperiale viene in quell'attimo conosciuto da tutti: impiegati della stazione e viaggiatori del treno. Per maggior sicurezza il governo persiano, d'accordo con quello cinese, ha voluto far credere che si trattava del trasporto del corpo di un mandarino mentre si trattava del trasporto a Pechino di un tesoro di quindici milioni di franchi… Che Dio mi perdoni, ma che topica — certamente spiegabile — avevo preso! Ma perché avrei dovuto diffidare di quanto mi aveva detto Popof e perché questo avrebbe dovuto sospettare di quello che gli avevano detto gli impiegati persiani circa il mandarino Yen-Lou?… Non c'era alcuna ragione di mettere in dubbio la loro veridicità. Ciò non impedisce che io mi senta tremendamente umiliato nel mio amor proprio di cronista, e addoloratissimo del richiamo all'ordine dovuto a questa topica. Ma è possibile? A Parigi il "XX Siecle" è meglio informato di quanto non lo sia io, sulla Grande Transasiatica, riguardo ciò che concerne questo treno! Sa che è un tesoro imperiale quello che trasciniamo in coda al nostro treno mentre io lo ignoravo! O delusione dell'inviato speciale! Ora il segreto è divulgato e veniamo anche ben presto a sapere che questo tesoro, in oro e pietre preziose, fu depositato un tempo nelle mani dello scià di Persia il quale ora lo spedisce al suo legittimo proprietario, il Figlio del Cielo. Ecco perché il signor Faruskiar, che ne era stato informato nella sua qualità di amministratore della Compagnia, ha preso il nostro treno a Duchak per accompagnare quel tesoro fino a destinazione. Ecco perché lui e Ghangir e i tre mongoli loro agenti hanno severamente sorvegliato quel vagone prezioso, ecco perché erano così inquieti quando esso fu abbandonato in seguito alla rottura della barra di aggancio e perché hanno furiosamente insistito che si

andasse a riprenderlo… Sì! ora tutto si spiega! Ed ecco anche perché a Kashgar un secondo drappello di soldati cinesi è venuto a ricevere in consegna il vagone dopo averne dato scarico agli impiegati persiani! Ed ecco finalmente perché Pan-Chao non aveva mai sentito parlare del mandarino Yen-Lou, dato che nessun illustre personaggio di quel nome era mai esistito nel Celeste Impero! Siamo ripartiti all'ora stabilita e, si può ben immaginare, i nostri compagni di viaggio non fanno che parlare di tutti quei milioni che basterebbero a arricchire tutto il personale del treno. — Questo sedicente vagone funebre mi era sempre sembrato sospetto — mi dice il maggiore Noltitz — ed è per questo che avevo interrogato Pan-Chao circa il defunto mandarino. — Infatti, me ne ricordo — risposi — e non avevo capito il perché della vostra domanda. Ad ogni modo, quello che è sicuro è che ora rimorchiamo un tesoro… — E aggiungo — riprese il maggiore — che il governo cinese è stato molto prudente a dargli una scorta di venti uomini assai ben armati. Da Kothan a Lan-Tchéou, il treno ha duemila chilometri di deserto da superare, e la sicurezza della ferrovia lascia a desiderare attraverso il Gobi… — Tanto più, maggiore, che da quanto mi avete detto il temibile Ki-Tsang è stato segnalato nelle province settentrionali del Celeste Impero… — Infatti, signor Bombarnac e un colpo di quindici milioni sarebbe un bel colpo per un capo di banditi. — Ma come mai questo capo avrebbe potuto essere informato dell'invio del tesoro imperiale?… — Quella gente ha sempre modo di saper ciò che le interessa. Sì, pensai, e anche senza leggere il "XX Siecle"! E mi sentii arrossire pensando al mio errore grossolano che mi procurerà certamente le maledizioni di Chincholle. Nel frattempo, sulla piattaforma si facevano diverse chiacchiere secondo le riflessioni personali di ognuno. C'era quello che preferiva viaggiare con dei milioni, piuttosto che trainare un cadavere. Un altro osservava che il trasporto del tesoro non era senza pericolo per la

sicurezza dei viaggiatori. E questa è anche l'opinione sostenuta dal barone Weissschnitzerdörfer durante un'uscita furibonda contro Popof. — Bisognava avvertire, signore, bisognava avvertire! —. ripete. — Adesso si sa che quei milioni sono trasportati da questo treno e questo può far venire l'idea di attaccarlo! Ora, un attacco, anche ammesso che venga respinto, procurerebbe ritardi, e ritardi… non posso ammetterli… No, signore non lo posso! — Ma nessuno ci attaccherà, signor barone — risponde Popof — nessuno neanche ci pensa! — E che ne sapete voi, signore, che ne sapete? — Calma, vi prego. — No! non mi calmerò e se la circolazione risultasse ostacolata, ne renderò responsabile la Compagnia! D'accordo, centomila fiorini a titolo di risarcimento danni al barone del "giro del mondo"! Passiamo agli altri viaggiatori. Non c'è da dubitare che Fulk Ephrinell considererà questo incidente dal punto di vista pratico. — È certo — dice — che i nostri rischi sono notevolmente aumentati con l'aggiunta di questo tesoro e, in caso d'incidente causato da questo fatto, la Life Travellers Society presso la quale sono assicurato rifiuterebbe certamente di pagare i danni, la responsabilità dei quali ricadrebbe tutta sulla Compagnia della Grande Transasiatica. — Infatti — risponde la signorina Horatia Bluett — e se non venissero ritrovati i vagoni abbandonati la sua situazione davanti al Celeste Impero sarebbe grave. Non siete anche voi di questo avviso, Fulk? — Completamente, Horatia. Horatia e Fulk, semplicemente! La coppia anglo-americana aveva ragione; l'enorme perdita sarebbe stata accollata alla Grande Transasiatica poiché la Compagnia non poteva ignorare che si trattava di oro e pietre preziose e non già delle spoglie del mandarino Yen-Lou; e ciò impegnava la sua responsabilità personale. Quanto ai coniugi Caterna, sembra che questi milioni che

viaggiano in coda al nostro treno non li emozionino minimamente e che si limitino a ispirare al tenore comico questa riflessione-. — Eh! Caroline, che teatro si potrebbe costruire con quel denaro! Ma la parola giusta sulla situazione è detta dal pastore protestante salito a Kashgar, il reverendo Nathaniel Morse: — È sempre allarmante trascinarsi una polveriera alle spalle! Niente di più giusto, e questo vagone con il suo tesoro imperiale è proprio una polveriera che potrebbe far saltare in aria il nostro trèno. La prima ferrovia impiantata in Cina nel 1877 ha collegato Shangai a Fu-Tchéou. In quanto alla Grande Transasiatica, essa segue pressappoco il tracciato russo proposto nel 1874 passando per Taskend, Kuldja, Kami, Lan-Tchéou, Singan e Shangai. Questa ferrovia non penetra attraverso le popolose province centrali che possono venir paragonate a vasti alveari di api ronzanti, api straordinariamente prolifiche. Per quanto è possibile, essa segue una linea retta fino a Su-Tchéou prima di girare verso Lan-Tchéou. 3 Se serve qualche città importante è con diramazioni che proietta verso sud-est. Fra le altre, una di queste diramazioni (quella da Tai-Youan a Nanchino) dovrà collegare queste due città delle province di Chansi e di Chen-Toong. Ma per il momento la costruzione non ancora terminata di un importante viadotto ne ritarda la gestione. Quella che è completamente finita, assicurando una comunicazione diretta attraverso l'Asia Centrale, è la linea principale della Grande Transasiatica. A costruirla gli ingegneri non ebbero maggiori difficoltà di quelle che ebbe il generale Annenkof per la Transcaspiana. I deserti del Kara-Koum e di Gobi si assomigliano; uguale suolo orizzontale, stessa mancanza di alture e di avvallamenti, identica facilità per la posa in opera di traversine e binari. Se si fosse dovuto attaccare l'enorme catena dei monti Kuen-Lun, Nan-Chan, Amie, Gangar-Oola, che si delineano sulla frontiera del Tibet, gli ostacoli sarebbero stati tali per cui non sarebbe bastato un secolo a superarli. Invece su un terreno piatto e sabbioso la ferrovia ha potuto avanzare rapidamente fino a Lan-Tchéou come se fosse una lunga Decauville di tremila chilometri. 3

La finale "fou" indica le capitali di provincia o le città di primaria importanza; la finale 'Tchéou" indica le città di seconda categoria. (N.d.A.).

E stato solo nei dintorni di questa città, che gli ingegneri hanno dovuto impegnare un'energica lotta contro la natura. E lì che si effettua la penetrazione costosa e faticosa attraverso le province di Kan-Sou, di Chan-si e di Petchili. Strada facendo, mi limiterò a indicare alcune delle stazioni principali dove il treno sosta per rifornirsi di acqua e di combustibile. Lungo la destra della ferrovia, lo sguardo non cesserà dall'essere distratto da un lontano orizzonte di montagne che inquadrano con un pittoresco groviglio l'altopiano tibetano, mentre a sinistra si perderà lungo la superficie delle interminabili steppe del deserto di Gobi. È l'insieme di questi territori che forma realmente l'impero cinese se non la vera Cina che la ferrovia ci rivelerà solo avvicinandosi a LanTchéou. Così tutto concorda perché questa seconda parte del viaggio sia assai poco interessante, a meno che il Dio dei cronisti non voglia darci in incidenti quello che la natura ci nega in impressioni. Però mi sembra che qua dentro abbiamo diversi elementi dei quali con un po' di fortuna e d'immaginazione dovrei trarre partito. Alle undici il treno lascia la stazione di Kothan e sono quasi le due e mezzo del pomeriggio quando arriva a Keria dopo essersi lasciato dietro le stazioncine di Urang, Langar, Pola e Tschirie. Nel 1889-90 questo tracciato fu esattamente percorso da Pevtzoff da Kothan fino al Lob-Nor, ai piedi del Kuen-Lun che separa il Turkestan cinese dal Tibet. Il viaggiatore russo passò da Keria, Nia, Tchertchen, proprio come stavamo per fare noi con tanta facilità, mentre la sua carovana si trovò invece alle prese con tanti pericoli e difficoltà: il che non gli impedì di riportare diecimila chilometri di rilevamento topografico, senza contare le quote d'altitudine e la longitudine di un buon numero di punti geografici. Ed è un onore per il governo moscovita l'aver in tal modo continuata l'opera di Prjevalsky. Dalla stazione di Keria, verso sud-ovest si possono ancora vedere le cime del Karakorum e la vetta del Dapsang alla quale diversi cartografi attribuiscono un'altezza superiore agli ottomila metri. Ai suoi piedi si stende la provincia del Kashmir! Là, l'Indo nasce da modeste sorgenti che alimentano uno dei maggiori fiumi della

penisola. Là si stacca dall'altopiano del Pamir l'enorme catena dell'Himalaya dominata dalle più alte cime del mondo. Da Kothan abbiamo percorso centocinquanta chilometri in quattro ore. Velocità assai moderata: in questa parte della Transasiatica non raggiungeremo la rapidità della Transcaspiana. O le locomotive cinesi sono meno veloci o i macchinisti, grazie alla loro naturale indolenza, pensano che la velocità di trenta o quaranta chilometri orari sia la massima che si possa ottenere sulle ferrovie del Celeste Impero. Alle cinque della sera, altra stazione, Nia, dove il generale Pevtzoff aveva impiantato un osservatorio meteorologico. Qui la sosta è di soli venti minuti. Ho il tempo di fare qualche acquisto di provviste al bar della stazione. Facile indovinare a chi sono destinate. I viaggiatori che salgono lungo il tragitto sono ormai solo di origine cinese, sia uomini sia donne. È raro che occupino i vagoni di prima classe, d'altronde fanno anche brevi percorsi. Eravamo partiti da solo un quarto d'ora quando Fulk Ephrinell, con l'aria seria del negoziante che deve trattare un affare, viene a raggiungermi sulla piattaforma del nostro vagone. — Signor Bombarnac — mi dice — devo chiedervi un favore. Ah! pensai, sa bene ricordarsi di me questo americano quando ne ha bisogno. — Felice, se posso esservi utile, signor Ephrinell — risposi; — di che si tratta? — Vengo a pregarvi di farmi da testimonio. — Una questione d'onore?… E con chi, per favore?… — Con la signorina Horatia Bluett. — Vi battete con la signorina Horatia Bluett? — esclamo ridendo. — Non ancora… La sposo. — La sposate? — Sì! è una donna preziosa, molto addentro nel commercio, contabile notevole… — Complimenti, caro signor Ephrinell! Contate su di me… — E senza dubbio anche sul signor Caterna? … — Certamente non chiederà di meglio e se ci sarà un pranzo di nozze canterà al dessert…

— Quanto ne avrà voglia — mi risponde l'americano. — Ed ora vediamo un po' per i testimoni della signorina Horatia Bluett… — Giustissimo. — Credete che il maggiore Noltitz, accetterebbe? … — Un russo è troppo gentiluomo per rifiutare. Se volete potrei fargli io la proposta. — Vi ringrazio in anticipo. In quanto al secondo testimonio… sono un po' imbarazzato… Quell'inglese, sir Francis Trevellyan… — Un cenno di testa negativo sarà tutto quello che otterrete da lui. — Il barone Weissschnitzerdörfer?… — Domandare ciò a un uomo che sta facendo il giro del mondo e che non finirebbe mai di firmare con un nome così lungo! — Allora non vedo altri che il giovane Pan-Chao…o in caso di suo rifiuto, la nostra guida, Popof… — Certamente ne avrebbe molto piacere… Ma non c'è premura, signor Ephrinell, e una volta giunti a Pechino, non sarà difficile trovare il quarto testimonio… — Come… a Pechino? … Ma non è a Pechino che intendo sposare la signorina Horatia Bluett! — È forse a Su-Tchéou o a Lan-Tchéou… durante una sosta di qualche ora?… — Wait a bit, signor Bombarnac! vi pare che un americano abbia il tempo di aspettare?… — Allora, dove sarebbe?… — Ma qui. — Sul treno?… — Sul treno. — Allora sono io che vi direi: Wait a bit! — Nemmeno ventiquattro ore. — Vediamo un po', per celebrare un matrimonio ci vuole… — Un sacerdote protestante americano, e abbiamo il reverendo Nathaniel Morse. — Acconsente? — Se accontente! … sposerebbe tutto il treno, se glielo domandassero. — Bravo, signor Ephrinell! … un matrimonio in treno è una cosa

che ci promette un po' di distrazione. — Signor Bombarnac, non si deve mai rimandare a domani ciò che si può fare il giorno stesso. — Sì, lo so… Time is money… — No! Time is time semplicemente, e non perdiamone mai nemmeno un attimo. Fulk Ephrinell mi stringe la mano e io incomincio a compiere i passi necessari riguardo ai testimoni per la cerimonia nuziale come ho promesso. Inutile dire che i due rappresentanti sono liberi entrambi, che possono disporre delle loro persone, e contrarre matrimonio davanti a un sacerdote protestante così come si fa in America evitando tutti quei preliminari fastidiosi che sono imposti in Francia e in altri paesi formalisti. È un bene, è un male? Gli americani pensano che sia per il meglio e, come ha detto Cooper, "il meglio di casa loro è il meglio dovunque". Per prima cosa mi rivolgo al maggiore Noltitz che accetta volentieri di essere testimonio della signorina Horatia Bluett. — Questi americani sono sorprendenti — mi dice. — Per il fatto che loro non si sorprendono di nulla, maggiore. Uguale richiesta da parte mia al giovane Pan-Chao. — Felicissimo, signor Bombarnac! — mi risponde. —Farò da testimonio a questa adorabile e adorata signorina Horatia Bluett! Se il matrimonio fra un'inglese e un americano con dei testimoni francesi, russi e cinesi non offre tutte le garanzie di felicità, mi domando quale altro potrebbe esserlo. E adesso, è la volta del signor Caterna. Se accetta, lo spassosissimo tenore comico… piuttosto due volte che una! — Oh, che idea per un vaudeville o per un'operetta! — esclama — Abbiamo già Le mariage au tambour, Le mariageaux olives, Le mariage aux lanternes… Ebbene! sarà Le mariage en railway, o Le mariage a vapeur! che bei titoli, signor Claudius! Quel vostro buon diavolo di americano può far conto su di me! Testimonio vecchio o giovane, padre nobile o primo amoroso, marchese o contadino, a sua scelta, mi trasformerò come vorrà…

— Non è necessaria nessuna trasformazione, signor Caterna — gli ho risposto — Il paesaggio andrà benissimo così com'è! — E la signora Caterna parteciperà anche lei alla cerimonia? — Perbacco… sarà la damigella d'onore! Per ciò che riguarda queste funzioni tradizionali non si può essere troppo difficili sul percorso della Grande Transasiatica. In quanto alla cerimonia era ormai troppo tardi perché potesse svolgersi quel giorno stesso. Del resto Fulk Ephrinell intende che le cose siano fatte decorosamente, quindi c'è qualche disposizione da prendere. Il matrimonio verrà celebrato nella mattinata di domani. I viaggiatori saranno pregati di assistervi in massa. Il signor Faruskiar si è degnato di promettere di far l'onore della sua presenza. Durante il pranzo non si parlò che di quello, e dopo essersi complimentato con i futuri sposi, che lo gradirono con una grazia tutta anglosassone, ognuno promise di firmar l'atto. — E faremo onore alle vostre firme! — aggiunse Fulk Ephrinell con il tono del negoziante che accetta una tratta. Giunta la notte, tutti andarono a dormire, pensando ai festeggiamenti del giorno dopo. In quanto a me, faccio la mia solita passeggiata fino al vagone occupato dai soldati cinesi e constato che il tesoro del Figlio del Cielo è fedelmente custodito. Metà della scorta veglia, mentre l'altra metà dorme. Verso la una di notte ho potuto andare a trovare Kinko portandogli le provviste comperate per lui alla stazione di Nia. Il giovane romeno è tutto rinfrancato e rassicurato. Non intravvede più ostacoli e pensa di arrivare felicemente in porto. — Ingrasso, dentro questa scatola — mi dice. — Evitatelo — rispondo ridendo — altrimenti non potreste più uscirne! Gli racconto dell'incidente del matrimonio Ephrinell-Bluett e come esso verrà celebrato in mattinata con gran pompa. — Ah! — fece lui sospirando — loro non sono obbligati ad aspettare fino a Pechino! — Certo, Kinko, però mi sembra che un matrimonio costruito in queste condizioni non debba essere molto solido! Ma, dopo tutto questo riguarda quei due originali.

Alle tre del mattino ci fu una sosta di quaranta minuti alla stazione di Tchertchen quasi al piede delle propaggini del Kuen-Lun. Nessuno di noi ha visto nulla del paese triste e desolato privo d'alberi e di verzura che la linea attraversa risalendo verso nord-est. Fattosi giorno, il nostro treno corre sulla linea di quattrocento chilometri che separa Tchertchen dalla stazione di Tcharkalyk mentre il sole accarezza con i suoi raggi l'immensa pianura tutta scintillante d'efflorescenze saline.

CAPITOLO XIX SVEGLIANDOMI mi sembra di uscire da un brutto sogno. Non si tratta di uno di quei sogni che domandano di essere interpretati secondo i principi della Clef d'or. No, non c'è nulla di più chiaro. Il capobandito Ki-Tsang, che ha preparato un colpo di mano per impadronirsi del tesoro cinese, fa attaccare il treno nelle pianure del Gobi meridionale… Il vagone è forzato, saccheggiato, svaligiato… L'oro e le pietre preziose del valore di quindici milioni vengono strappati ai celestiali di scorta che soccombono dopo una coraggiosa difesa… Quanto ai viaggiatori… Due minuti ancora di sonno e non sarei stato indeciso sulla loro sorte e la mia. Ma tutto questo sparisce con i vapori notturni. I sogni non sono delle fotografie inalterabili; con il sole impallidiscono e finiscono per cancellarsi. Mentre faccio il mio giretto da un'estremità all'altra del treno, come fa un buon borghese per le strade della sua borgata, vengo raggiunto dal maggiore Noltitz. Dopo avermi stretto la mano, mi indica un mongolo sistemato in seconda classe e mi dice: — Non è uno di quelli saliti sul treno a Duchak con l'amministratore Faruskiar e Ghangir. — Infatti — rispondo al maggiore — non avevo ancora visto quel viso sul treno. Popof, al quale mi rivolgo, mi dice che quel mongolo è salito alla stazione di Tchertchen. E aggiunge che dopo il suo arrivo, l'amministratore ha conferito un attimo con lui, dal che lui Popof aveva concluso che il nuovo viaggiatore fosse un agente della Compagnia della Grande Transasiatica. Durante la mia passeggiata, non ho visto il signor Faruskiar. Che sia sceso in qualcuna delle stazioncine intermedie tra Tchertchen e Tcharkalyk dove dobbiamo arrivare all'una del pomeriggio? … No, in questo momento lui e Ghangir si trovano sulla piattaforma anteriore del nostro vagone. Sembrano occupati in una conversazione assai animata che interrompono soltanto per scrutare con visibile

impazienza la vasta pianura che si stende fino all'orizzonte verso sudest. Che sia qualche notizia portata dal mongolo che li ha fatti uscire dal loro abituale riserbo e dalla loro abituale gravità? Ed ecco che mi abbandono alla fantasia intravvedendo avventure, attacchi di banditi come nel mio sogno… Vengo richiamato alla realtà dal reverendo Nathaniel Morse che viene a dirmi: — È per oggi… alle nove… Non scordatevene, signore. Già, il matrimonio di Fulk Ephrinell con la signorina Horatia Bluett. In verità, non ci pensavo più. È ora di raggiungere la toilette del nostro vagone. Tutto quello che potrò fare è di cambiarmi la biancheria (non potendo cambiar d'abito) ed a ragione: bisogna che io — uno dei due testimoni dello sposo — sia presentabile, poiché l'altro, il signor Caterna, sarà certamente splendido. Infatti il tenore comico si è introdotto nel bagagliaio — ne tremo ancora pensando al povero Kinko! — e là, con l'aiuto di Popof ha tolto da uno dei suoi bauli un abito un po' sciupato, ma il cui successo è garantito in una cerimonia nuziale: frac color burro fresco con bottoni di metallo e fiore all'occhiello; cravatta con un diamante inverosimile, calzoni al ginocchio color rosso vivo con fibbie di rame, panciotto a fiorellini sparsi, calze screziate, guanti di filaticcio di seta, scarpette nere e cappello grigio a pelo lungo. Quante volte il nostro commediante avrà dovuto rappresentare la parte dello sposo, o meglio ancora di zio degli sposi di campagna indossando quell'abito tradizionale!… Del resto, è magnifico, il volto radioso, la barba rasata di fresco, le guance azzurrastre, lo sguardo vispo e allegro, le labbra rosee. La signora Caterna non è meno vestita a festa di lui. Questo abito da damigella d'onore l'ha trovato facilmente nel suo guardaroba: corpetto attillato a righe incrociate, gonna corta di lana verde, calze color malva ben tese, cappello di paglia ornato di fiori artificiali a cui non manca che il profumo, un sospetto di ombretto sulle palpebre e di rosso sugli zigomi. E la prima attrice in tutti i generi di provincia e se lei e suo marito vorranno rappresentare qualche opera di soggetto rustico dopo il pranzo, garantisco loro applausi a non finire.

Il matrimonio verrà celebrato alle nove, annunciato dalla campana del tender che suonerà a distesa come la campana di una cappella. Con un po' di fantasia ci si potrà credere in un paese. Ma dove chiamerà i testimoni e gli invitati questa campana? … Nel vagoneristorante molto decorosamente sistemato per la cerimonia, come ho potuto rendermene conto. Non è più un vagone-ristorante, ma un vagone-salone se mi si permette l'espressione. La tavola grande, smontata, ha ceduto il posto a una piccola che fungerà da scrittoio. Dei fiori, comperati alla stazione di Tchertchen, sono appesi agli angoli del vagone che è abbastanza grande per contenere la maggioranza dei presenti. Quelli che non troveranno posto all'interno, staranno sulle piattaforme. Il personale viaggiante è stato avvertito da un semplice cartello apposto sulla porta dei vagoni di prima e seconda classe e formulato in questi termini: "Il signor Fulk Ephrinell, della ditta Strong Bulbul and Co. di New York, ha l'onore d'invitarvi al suo matrimonio con la signorina Horatia Bluett, della ditta Holmes Holme di Londra, che verrà celebrato nel vagone-ristorante del treno della Grande Transasiatica, oggi 22 maggio, alle nove in punto a cura del reverendo Nathaniel Morse, di Boston". "La signorina Horatia Bluett, della ditta Holmes Holme di Londra ha l'onore d'invitarvi al suo matrimonio con il signor Fulk Ephrinell, della ditta Strong Bulbul and Co. di New York, che verrà celebrato ecc." Non son chi sono se da un avvenimento simile non so cavare almeno un centinaio di righe: vorrebbe dire che non capisco niente del mio mestiere. Intanto, m'informo da Popof del luogo esatto in cui si troverà il treno all'atto della cerimonia. Popof me lo indica sulla carta annessa all'orario. Esso è situato a centocinquanta chilometri dalla stazione di Tcharkalyk, in pieno deserto in mezzo a quelle pianure attraversate da un piccolo corso d'acqua tributario del Lob-Nor. Per una ventina di leghe non si incontrano stazioni e perciò la cerimonia non corre il rischio d'esser interrotta per una qualsiasi fermata.

Inutile dire che dalle otto e mezzo, io e il signor Caterna siamo pronti ad adempiere il nostro compito. Il maggiore Noltitz e Pan-Chao hanno fatto anche loro quel po' di toilette richiesto dalla solennità: il maggiore ha l'aria grave come quella di un chirurgo che sta per tagliare una gamba; il cinese ha l'aspetto leggermente canzonatorio del parigino ad un matrimonio in provincia. Il dottor Tio-King e Cornavo, uno portando l'altro, parteciperanno anche loro alla festicciola. Se non mi sbaglio, il nobile veneziano era celibe, ma non credo che abbia mai manifestato alcuna opinione sul matrimonio studiato sotto il rapporto dell'umido radicale, a meno che non sia al principio del capitolo intitolato: Modi facili e sicuri di rimediare rapidamente ai diversi incidenti che minacciano la vita. — E — aggiunge Pan-Chao che ha appena finito di citarmi questa frase cornariana — io credo che il matrimonio possa venir annoverato fra questi incidenti! Le otto e tre quarti. Nessuno ha ancora visto i futuri coniugi. La signorina Horatia Bluett è chiusa in uno degli scompartimenti del primo vagone dove si sta senza dubbio occupando della sua sistemazione nuziale. Da parte sua è molto probabile che Fulk Ephrinell stia dando un ultimo tocco al nodo della cravatta, un'ultima lucidata agli anelli, ciondoli e altri gioielli della sua gioielleria portatile. Non sono inquieto, li vedremo comparire all'atto che la campana incomincerà a tintinnare. Ho un unico rimpianto ed è che il signor Faruskiar e Ghangir siano troppo occupati per unirsi alla gioia di questa festa. Ma perché mai continuano ad interrogare con lo sguardo l'immenso deserto? Davanti ai loro occhi non si svolgono le steppe coltivate della regione del Lob-Nor, ma il Gobi che è arido, triste, cupo come risulta dalle rettifiche dovute ai signori Grjimailo, Blanc e Martin. C'è proprio da chiedersi a che scopo lo guardino entrambi con una ostinazione così particolare. — Se i miei presentimenti non m'ingannano — mi dice il maggiore Noltitz — ci deve essere qualcosa. Che significano queste parole?… Ma la campana del tender messa in movimento, manda i suoi allegri inviti. Le nove; è ora di andare in

vagone-ristorante. Il signor Caterna è venuto a mettersi al mio fianco e lo sento canticchiare: E la campana della torre Che improv…visamente risuona… Mentre la signora Caterna replica al trio della Dame Bianche con il ritornello dei Dragons de Villars: E suona, e suona, e trilla E suona e tintinna. facendo il gesto obliquo di tirare la corda conformemente alle tradizioni teatrali. In processione, i viaggiatori si mettono in marcia: prima i quattro testimoni, poi gli invitati che arrivano dalle due parti del paese, voglio dire del treno: dei celestiali, qualche turcomanno, un certo numero di tartari, uomini o donne, molto incuriositi di assistere a questa cerimonia. I quattro mongoli sono rimasti sull'ultima piattaforma, quella vicina al vagone del tesoro che i soldati cinesi non devono abbandonare nemmeno un istante. Giungiamo al vagone-ristorante. Il pastore è seduto davanti al tavolo su cui c'è l'atto di matrimonio che egli ha preparato secondo le forme volute. Ha visibilmente l'abitudine di queste operazioni commerciali quanto matrimoniali. La coppia Ephrinell-Bluett non è ancora comparsa. — Ma — dico rivolgendomi al tenore comico — che abbiano rinunciato a sposarsi? … — Se vi avessero rinunciato — mi risponde ridendo il signor Caterna — il reverendo sposerà di nuovo noi due, io e mia moglie… Siamo in abito di nozze e non vorremmo aver alzato il gran pavese per niente!… Vero, Caroline?… — Sì, Adolphe! — risponde smancerosa la prima attrice in tutti i generi. Ma questa spassosa ripetizione del matrimonio del signor e della

signora Caterna non avrà luogo. Ecco il signor Fulk Ephrinell, esattamente vestito, questa mattina, come lo era ieri e, dettaglio da rimarcare, con ancora una matita infilata dietro il padiglione dell'orecchio sinistro perché l'onesto rappresentante di commercio ha appena finito di preparare un conto per la sua ditta di New York. Ecco la signorina Horatia Bluett, magra, secca, rigida come solo può esserlo una rappresentante britannica, con lo spolverino sopra l'abito da viaggio e — come gioiello — un mazzo di chiavi rumoroso che le ciondola dalla cintura. I presenti si sono educatamente alzati all'ingresso dei futuri sposi. Dopo aver salutato a destra e a sinistra i due "prendono tempo" come direbbe il signor Caterna. Poi si avanzano verso il pastore che sta in piedi con la mano posata sulla Bibbia semiaperta senza dubbio alla pagina dove Isacco, figlio di Abramo e di Sara, sposa Rebecca, figlia di Rachele. Se un armonium facesse sentire le sue musiche di circostanza, ci si crederebbe proprio in una cappella… Ma arriva, la musica! Se non è proprio un armonium sono per lo meno i suoi spiccioli. Un'armonica si sfiata nelle mani del signor Caterna. Nella sua qualità di vecchio marinaio sa maneggiare quello strumento di tortura ed eccolo che suona l'insulso andante della Norma con le varianti più… fisarmonichesche! Sembra che ciò faccia un enorme piacere ai nativi dell'Asia centrale. Mai le loro orecchie sono state accarezzate da questa melodia così antiquata che quello strumento a mantice rende in modo tanto espressivo! Infine, tutto ha termine, anche l’andante della Norma. E il reverendo Nathaniel Morse incomincia a servire agli sposi il discorso che già molte volte ha recitato in circostanze analoghe. — Le due anime che si fondono… La carne della carne… Crescete è moltiplicatevi… A mio modo di vedere avrebbe fatto meglio a dire con tono nasale come un semplice notaio: — Davanti a noi, notaio-pastore, è stato redatto un atto con la ragione sociale Ephrinell Bluett and Co… Il mio pensiero resta interrotto. Dalla parte della locomotiva risuonano delle grida. I freni, manovrati bruscamente, hanno

fischiato in modo stridulo. Qualche scossa successiva accompagna il rallentamento del treno. Poi un urto violento blocca i vagoni in mezzo a una nuvola di sabbia. Che diversione alla cerimonia nuziale e come abbiamo "messo il nostro filo a terra" per usare un'espressione da telegrafisti. Tutto va a gambe all'aria nel vagone-ristorante, uomini e mobili, promessi sposi e testimoni. Nessuno ha potuto stare in equilibrio, è una confusione indescrivibile, urla di terrore e gemiti prolungati… Ma — mi affretto a dirlo — niente di grave perché la fermata è stata istantanea. — Presto, giù dal treno — mi dice il maggiore.

CAPITOLO XX IN UN ATTIMO tutti i viaggiatori, più o meno contusi e sconvolti, si sono buttati giù dal treno. Non si sentono che gemiti e domande fatte in tre o quattro diverse lingue in mezzo allo sgomento generale. Il signor Faruskiar, Ghangir e i quattro mongoli sono stati tra i primi a buttarsi dal treno. Tutti si sono appostati sulla strada ferrata, il kandjiar in una mano, il revolver nell'altra. Non c'è dubbio: è stato preparato un colpo per saccheggiare il treno. Infatti, per circa un centinaio di metri mancano i binari e la locomotiva, dopo aver urtato contro le traversine, si è arrestata davanti a un mucchio di sabbia. — Come! La ferrovia non è finita… e mi hanno venduto un biglietto da Tiflis a Pechino?… E ho preso questa Transasiatica per poter guadagnare nove giorni nel mio giro del mondo? Da queste frasi rivolte in tedesco a Popof, ho riconosciuto la voce dell'irascibile barone. Ma questa volta è a ben altri che agli ingegneri della Compagnia che egli avrebbe dovuto rivolgere i suoi rimproveri. Interroghiamo Popof, mentre il maggiore Noltitz non cessa di osservare il signor Faruskiar ed i mongoli. — Il barone ha torto — ci dice Popof. — La ferrovia è completamente finita e se questi cento metri all'incirca di rotaie sono stati tolti in questo punto è stato con intenzione criminale… — Per far fermare il treno… — gridai. — E per rubare il tesoro che porta a Pechino! — aggiunse Caterna. — Su ciò non c'è alcun dubbio — dice Popof; —prepariamoci a respingere un attacco. — Abbiamo forse a che fare con Ki-Tsang e la sua banda? — esclamai io. Ki-Tsang!… questo nome che corre ora su tutte le bocche dei viaggiatori basta a determinare un indicibile spavento. In questo momento, il maggiore Noltitz mi dice sottovoce: — Perché Ki-Tsang… e non piuttosto il signor Faruskiar?…

— Lui, un amministratore della Transasiatica… — Diamine, se è vero che la Compagnia ha fatto entrare nel suo consiglio qualche capo di banditi, per meglio garantire la circolazione dei treni… — Non crederò mai una cosa simile, maggiore! — Come volete, signor Bombarnac. Però è sicuro che Faruskiar sapeva che questo sedicente vagone funerario trasportava dei milioni… — Via, maggiore non è il momento di scherzare!… — No!… è il momento di difendersi e ci si difenderà coraggiosamente. L'ufficiale cinese ha disposto i suoi uomini intorno al vagone con il tesoro. Essi sono una ventina e noi viaggiatori — donne escluse — siamo una trentina. Popof distribuisce le armi portate in caso di un attacco. Il maggiore Noltitz, il signor Caterna, Pan-Chao, Fulk Ephrinell, macchinista e fuochista, viaggiatori asiatici e europei sono tutti decisi a combattere per la salvezza generale. Sulla destra della ferrovia, a un centinaio di passi, si stendono delle macchie fitte e profonde, specie di giungle sospette, dove senza dubbio sono nascosti i banditi nell'attesa del momento opportuno per precipitarsi sui binari. Improvvisamente scoppiano delle grida. Dalle macchie sbuca una banda che vi si era imboscata: una sessantina di mongoli nomadi del deserto di Gobi. Se questi malfattori prevarranno, il treno verrà saccheggiato, il tesoro del Figlio del Cielo sarà rubato e — ciò che ci commuove di più — i viaggiatori saranno massacrati senza pietà né misericordia. E il signor Faruskiar di cui il maggiore Noltitz sospetta così ingiustamente?… Lo guardo… La sua fisionomia è mutata, il suo bel volto è impallidito, si è raddrizzato sulla vita, lampi sfavillano dalle sue palpebre immobili… Via! Se mi sono ingannato sul conto del mandarino Yen-Lou, perlomeno non ho preso però un amministratore della Compagnia della Grande Transasiatica per il famoso bandito dello Yunnan! All'apparire dei mongoli, Popof ha fatto precipitosamente rientrare nell'interno del vagone la signora Caterna, la signorina Horatia Bluett

e tutte le altre donne turcomanne o cinesi che fossero. E abbiamo preso tutte le precauzioni perché vi fossero rinchiuse in assoluta sicurezza. Ho per arma un revolver a soli sei colpi, ma saprò servirmene. Ah! volevo degli incidenti, degli infortuni, delle impressioni di viaggio!… Ebbene! la cronaca non mancherà al cronista a condizione che esca sano e salvo dalla zuffa per l'onore del servizio e per la gloria del "XX Siecle"! Ma non è dunque possibile gettare lo scompiglio fra gli assalitori, cominciando con il bruciare le cervella a Ki-Tsang, supposto che sia Ki-Tsang l'autore di questa imboscata?… Quello, sì, che sarebbe assolutamente decisivo. I banditi dopo aver fatto una scarica con le loro armi, le brandiscono ora, gettano urla feroci. Il signor Faruskiar, pistola in una mano, kandjiar nell'altra si precipita su di essi con gli occhi scintillanti e le labbra coperte da una schiuma leggera. Ghangir è al suo fianco, seguito dai quattro mongoli che incita con la voce e con i gesti… Io e il maggiore Noltitz ci buttiamo a nostra volta sugli assalitori. Il signor Caterna ci ha preceduto a bocca aperta, mostrando i bianchi denti pronti a mordere, strizzando l'occhio, maneggiando il revolver. Il tenore e il grande primo comico hanno ceduto il passo al marinaio, ricomparso per la circostanza. — Questi furfanti — grida — vogliono venire all'abbordaggio!… Questo pirata che vuol farci colare a picco! Avanti, avanti per l'onore della bandiera… Fuoco da dritta, fuoco da sinistra… Fuoco da tutte le parti! E non è più armato con uno di quei pugnali da teatro né con delle pistole caricate con la polvere inoffensiva di Edouard Philippe. No! con un revolver per mano, saltando come un gabbiere di trinchetto, spara, come l'ha appena detto, a destra, a sinistra, da tutte le parti! Da parte sua anche il giovane Pan-Chao si espone coraggiosamente, il sorriso sulle labbra, trascinando dietro di sé gli altri viaggiatori cinesi. Popof e gli impiegati del treno fanno coraggiosamente il loro dovere. E non è da meno sir Francis Trevellyan di Trevellyan Hall che si batte con metodico sangue

freddo mentre Fulk Ephrinell si lascia trasportare da una furia tutta americana, non meno irritato per l'interruzione del suo matrimonio che per i pericoli che corrono i suoi quarantadue colli di denti artificiali. E non saprei dire se questi sentimenti siano in parti uguali nel suo modo di pensare così positivo! Per farla breve, da tutto questo risulta che la truppa di malfattori si urta contro una resistenza più seria di quanto si aspettasse. E il barone Weissschnitzerdörfer?… Ebbene, il barone è uno dei più accaniti. Suda sangue e acqua; il furore lo trasporta facendogli correre il rischio di farsi massacrare. Già più volte si è dovuto disimpegnarlo. Quelle rotaie asportate, quel treno in pericolo, quell'attacco in pieno deserto di Gobi, i ritardi che ne deriveranno… ciò vuol dire perdere il piroscafo a Tien-Tsin, compromettere il giro del mondo, l'itinerario interrotto nel primo quarto del percorso! Che intoppo per l'amor proprio germanico! Il signor Faruskiar, il mio eroe — non posso chiamarlo altrimenti — ostenta una straordinaria intrepidità, tenendosi dove maggiormente ferve la mischia e — esauriti i suoi colpi di revolver — si dà a maneggiare il kandjiar da uomo che deve aver visto spesso la morte da vicino e non ha mai temuto di sfidarla. D'ambo le parti si conta già un certo numero di feriti, forse ci saranno anche dei morti fra quei viaggiatori che giacciono sulla linea ferroviaria. Ho avuto una spalla sfiorata da una pallottola: una semplice graffiatura della quale mi sono accorto appena. Il reverendo Nathaniel Morse non ha creduto che il fatto di essere un ecclesiastico gli imponesse di incrociare le braccia e dal modo con cui se ne serve non sembra essere ai suoi inizi nel maneggio delle armi da fuoco. Il signor Caterna ha il cappello trapassato da una pallottola e non dimentichiamo che si tratta del cappello di sposo del villaggio: il cappello a cilindro dal pelo lungo. Per questo, esplode in una bestemmia arcimarinara in cui si accoppiano i tuoni e i portelli di murata; poi, con un colpo ben assestato, colpisce a morte colui che gli ha imperdonabilmente bucato il copricapo. La lotta dura ormai da una decina di minuti con allarmanti fasi alterne. Il numero delle persone fuori combattimento aumenta d'ambo le parti e l'esito è ancora incerto. Il signor Faruskiar, Ghangir

e i mongoli hanno ripiegato verso il prezioso vagone che i gendarmi cinesi non hanno abbandonato un istante, ma due o tre di essi sono stati colpiti mortalmente e il loro ufficiale viene ucciso con una pallottola in testa. Così, il mio eroe fa tutto ciò che può fare il coraggio più ardente per difendere il tesoro del Figlio del Cielo. Mi preoccupo del prolungarsi del combattimento. Durerà senza dubbio finché il capo della banda, un gigante dalla barba nera, spingerà i suoi complici all'assalto del treno. Finora i colpi l'hanno rispettato ma nonostante i nostri sforzi dobbiamo riconoscere che il nemico guadagna terreno. Saremo dunque costretti a rifugiarci nei vagoni, come dietro le mura di una fortezza, a trincerarvisi e a combattervi fino al momento in cui l'ultimo di noi sarà stato sopraffatto? E ciò non tarderà ad avvenire se non riusciremo ad arrestare il movimento di ritirata che incomincia a verificarsi dalla nostra parte. Al rumore delle detonazioni ora si aggiungono anche le grida delle donne: alcune di queste, sconvolte, corrono sulle piattaforme, nonostante che la signorina Horatia Bluett e la signora Caterna cerchino di trattenerle nelle vetture. E vero che alcune pallottole bucando i pannelli sono entrate all'interno e io mi domando se anche Kinko non sarà stato colpito nel suo bagagliaio. Il maggiore Noltitz mi dice: — Non va bene! — No… non va bene — rispondo — e temo che le munizioni siano prossime alla fine. Bisognerebbe metter fuori combattimento il capo di quei furfanti… Venite maggiore… Ma quello che noi volevamo fare, lo sta facendo un altro proprio ora. Quest'altro, è il signor Faruskiar. Dopo essersi aperto un varco nelle file degli assalitori, li ha spinti fuori dei binari nonostante i colpi diretti su di luì… E giunto davanti al capo dei banditi… alza il braccio… lo colpisce ih pieno petto con il suo kandjiar… Allora la banda batte in ritirata, senza neanche prendersi cura dei morti e dei feriti. Alcuni tagliano la corda nella pianura, gli altri spariscono nel più profondo della macchia. A che scopo inseguirli, dato che la lotta è terminata a nostro vantaggio?… E, oso dirlo, senza

l'ammirevole valore del signor Faruskiar, non so se sarebbe rimasto uno di noi, per raccontare questa storia! Ma il capo dei banditi non è morto, benché il sangue gli sgorghi abbondantemente dal petto… E allora siamo testimoni di una scena che non dimenticherò mai, una scena che è tutta nelle pose dei personaggi. Il capo è caduto con un ginocchio a terra, una mano alzata, l'altra appoggiata al suolo. Il signor Faruskiar è in piedi accanto a lui dominandolo con tutta la sua alta statura… Improvvisamente l'uomo si alza con un ultimo sforzo, minaccia con il braccio il suo avversario… lo guarda… Un ultimo colpo di kandjiar gli trapassa il cuore. Il signor Faruskiar allora si volta e dice in russo con voce perfettamente calma: — Ki-Tsang è morto e come lui periscano tutti quelli che alzeranno le mani contro il Figlio del Cielo.

CAPITOLO XXI Così dunque, era Ki-Tsang che aveva attaccato il treno della Grande Transasiatica nella pianura del deserto di Gobi! Il pirata dello Yunnan aveva saputo che un vagone con oro e pietre preziose per un enorme valore faceva parte di quel convoglio!… E come si potrebbe meravigliarsene se i giornali — anche quelli di Parigi — ne avevano pubblicato la notizia nella pagina della cronaca già da parecchi giorni? Così Ki-Tsang aveva avuto tutto il tempo di preparare il suo colpo, di togliere un pezzo di rotaie per impedire il passaggio e probabilmente sarebbe riuscito ad impossessarsi del tesoro imperiale, dopo aver massacrato tutti i viaggiatori, se il signor Faruskiar non l'avesse abbattuto ai suoi piedi. Ecco perché il nostro eroe si era dimostrato così preoccupato fino dal mattino!… Se osservava il deserto con tanta insistenza era perché era stato prevenuto dei progetti di Ki-Tsang da quell'ultimo mongolo salito a Tchertchen! Ad ogni modo, non avevamo più nulla da temere da quel Ki-Tsang… l'amministratore della Compagnia ha fatto giustizia del bandito, giustizia sbrigativa, ne convengo. Ma siamo in mezzo ai deserti della Mongolia dove il collegio dei giurati non esiste ancora, per buona sorte dei mongoli. — Ebbene — dico al maggiore — spero che vi siate ravveduto dei vostri sospetti sul signor Faruskiar. — In una certa misura, signor Bombarnac!… In una certa misura?… Diamine, com'è difficile il maggiore Noltitz! Ma guardiamo un po' ciò che urge di più e contiamo le nostre vittime. Da parte nostra, ci sono tre morti, compreso l'ufficiale cinese, e una dozzina di feriti di cui quattro molto gravemente, e gli altri abbastanza leggermente da poter continuare il viaggio fino a Pechino. Popof se l'è cavata con una scalfittura e il signor Caterna con una graffiatura che sua moglie vuole fasciare personalmente. Il maggiore ha fatto trasportare i feriti nei vagoni e presta loro

l'assistenza che le circostanze permettono. Il dottor Tio-King ha offerto il suo aiuto, ma gli si preferisce un medico dell'esercito russo, e lo capisco benissimo. In quanto a quelli dei nostri compagni che sono morti si è d'accordo di ricondurli alla stazione più prossima dove si renderanno loro gli estremi doveri. Per ciò che riguarda i banditi, essi hanno abbandonato i loro morti. Li copriremo con un po' di sabbia e tutto sarà finito. Al punto della linea dove il treno si è fermato esso si trova a una distanza pressoché eguale sia da Tcharkalyk che da Tchertchen, le due sole stazioni dove sia possibile procurarsi dei soccorsi. Il guaio è che esse non sono più in comunicazione telegrafica perché Ki-Tsang, togliendo i binari, aveva abbattuto anche i pali telegrafici. Quindi la discussione circa il miglior partito da prendere non fu molto lunga. Per prima cosa, dato che la locomotiva è uscita dai binari, bisogna rimettercela; poi, essendo la linea interrotta, la cosa più semplice è di invertire la marcia del treno fino a Tchertchen dove aspetterà che gli operai della Compagnia, abbiano ristabilito la comunicazione, il che potrà avvenire in quarantotto ore. Ci si mette all'opera senza perdere un istante. I viaggiatori non chiedono altro che di aiutare Popof e il personale del treno che hanno a disposizione qualche attrezzo, fra gli altri cric, leve, martelli, chiavi inglesi. Così dopo tre ore di lavoro si riesce, non senza fatica, a riportare sulle rotaie il tender e la locomotiva. Il più difficile è fatto. Ora, a macchina indietro e a piccola velocità il treno potrà arrivare a Tchertchen. Ma quanto tempo perso, quanti ritardi! E quante recriminazioni e quanti donnerwetter, teufel e altre bestemmie sfuggono dalla bocca del nostro barone tedesco! Ho omesso di dire che dopo la rotta dei banditi i viaggiatori — io in testa — abbiamo tenuto a ringraziare il signor Faruskiar che ha ricevuto le nostre riconoscenti espressioni con tutta la dignità di un orientale. — Non ho fatto che il mio dovere di amministratore della Compagnia — rispose non senza una certa modestia piena di nobiltà. Poi, su suo ordine, i mongoli hanno preso parte al lavoro. Ho anzi osservato che ci mettevano un ardore infaticabile, ragione per cui ci

siamo molto rallegrati con loro. Di tanto in tanto il signor Faruskiar e Ghangir si intrattenevano a voce bassa ed è in seguito a queste conversazioni che nacque una proposta a cui nessuno aveva pensato. — Signor capotreno — disse il signor Faruskiar, rivolgendosi a Popof — sarei dell'avviso che converrebbe continuare la strada fino a Tcharkalyk piuttosto che retrocedere, e ciò nell'urgente interesse dei viaggiatori. — Sì,, certo, signor amministratore — rispose Popof — sarebbe meglio infatti se la linea non fosse interrotta dalla parte di Tcharkalyk, il che rende impossibile la circolazione. — Adesso, sì signor capotreno. Ma se ristabilissimo la linea, sia pure provvisoriamente, i vagoni non potrebbero passare? E una proposta che merita di venir presa in considerazione e così ci riuniamo tutti per discuterne: il maggiore Noltitz, Pan-Chao, Fulk Ephrinell, il signor Caterna, il pastore protestante, il barone Weissschnitzerdörfer e una dozzina di altri viaggiatori, di quelli che capiscono il russo. Il signor Faruskiar riprende dicendo: —Ho appena finito di percorrere la parte di ferrovia distrutta dalla banda di Ki-Tsang. La maggior parte delle traversine sono ancora al loro posto. In quanto alle rotaie quei malfattori le hanno semplicemente buttate sulla sabbia e rimettendole a posto, pezzo per pezzo sarà facile portare il treno dove la linea è di nuovo a posto. E un lavoro che si può fare in ventiquattro ore e dopo cinque potremmo essere a Tcharkalyk. Ottima idea alla quale Popof, il macchinista, e i viaggiatori aderiscono tutti e ancor più di tutti il barone. Il progetto è realizzabile e se mancherà qualche pezzo di binario si potrà portare avanti qualcuno di quelli che hanno già servito e assicurare in tal modo il passaggio del treno. Decisamente questo signor Faruskiar è un uomo, è lui il nostro vero capo, è lui il personaggio che volevo e griderò il suo nome all'universo intero e farà risuonare in suo onore le trombe di tutta la cronaca! E dire che il maggiore Noltitz si è ingannato al punto di vedere in

lui un rivale di Ki-Tsang i cui crimini invece hanno avuto il supremo castigo proprio da lui! Per prima cosa si procede a risistemare le traversine che erano state tolte là dove avevano lasciato la loro impronta e il lavoro viene effettuato senza interruzioni. Inutile dire che non temendo che alcuno mi vedesse in mezzo alla confusione seguita all'attacco, ho potuto entrare nel bagagliaio per assicurarmi che Kinko fosse sano e salvo, per raccontargli tutto ciò che era accaduto, per raccomandargli la prudenza ed invitarlo a non uscire dalla sua cassa. Me l'ha promesso e quindi da questo lato, sono tranquillo. Erano quasi le tre quando ci siamo messi al lavoro. Le rotaie erano state tolte per un centinaio di metri. Come appunto ha fatto osservare il signor Faruskiar, non è necessario fissarle solidamente. Questo lavoro spetterà agli operai che la Compagnia manderà da Tcharkalyk quando il treno avrà raggiunto questa stazione. Siccome i binari sono piuttosto pesanti, ci dividiamo in squadre. Viaggiatori tanto di prima che di seconda classe vi partecipano con buona volontà. Il barone fa mostra di un ardore senza pari. Fulk Ephrinell, che non pensa più al suo matrimonio quasi non avesse mai deciso di sposarsi (gli affari innanzi tutto), si fa in quattro. Pan-Chao non è secondo a nessuno; persino il dottor Tio-King cerca di rendersi utile… alla maniera del celebre Auguste, la "mosca del cocchio" dei luna park. Perbacco! Se è caldo, il sole del Gobi, questo "re dei raggi! " come piace chiamarlo al signor Caterna. Solamente sir Francis Trevellyan di Trevellyan Hall se ne sta placidamente nel suo vagone. Niente di tutto ciò può interessare il gentiluomo. Alle sette di sera, la linea è ristabilita per la lunghezza di una trentina di metri. Non tarderà a cadere la notte. Si decide di riposarci fino a domani. Basterà una mezza giornata per terminare il lavoro e il treno potrà ripartire nel pomeriggio. Abbiamo un gran bisogno di mangiare e dormire. Dopo un lavoro così massacrante, che appetito! Ci si riunisce nel vagone-ristorante gli uni al seguito degli altri senza distinzione di classe. I viveri non

mancano e facciamo una larga breccia nelle provviste. Non importa! Ci si rifornirà a Tcharkalyk. Il signor Caterna è particolarmente in forma allegro, loquace, chiassoso, faceto, comunicativo, sfrenato. Al dolce, lui e la signora Caterna intonano il pezzo — adatto alla situazione — del Voyage en Chine che noi ripetiamo con maggior slancio che unità: La Cina è un bel paese Che deve certamente piacervi… Ah! Labiche, avreste mai immaginato che questi adorabili versi avrebbero rallegrato un giorno dei viaggiatori della Grande Transasiatica che si trovavano nei guai? E poi il nostro tenore comico (forse un po' troppo su di giri, lo riconosco) ha un'idea… E che idea!… Perché non si riprende la cerimonia interrotta per l'attacco al treno?… Perché non si procederebbe alla celebrazione del matrimonio?… — Che matrimonio?… — domanda Fulk Ephrinell. — Il vostro, signore, il vostro… — gli risponde il signor Caterna — L'avete forse dimenticato?… Buona, questa! Il fatto è che tanto Fulk Ephrinell che la signorina Horatia Bluett sembrano non ricordare che, se non fosse stato per l'aggressione di Ki-Tsang e della sua banda, a quest'ora essi sarebbero stati uniti dai dolci lacci dell'imeneo. Ma si è troppo stanchi. Il reverendo Nathaniel Morse non ne può più. Non avrebbe la forza di benedire gli sposi che, a loro volta, non avrebbero quella di ricevere la sua benedizione. Si rimanda la cerimonia al giorno seguente. Fra Tcharkalyk e Lan-Tchéou ci sono novecento chilometri di percorso e sono più che sufficienti per incatenare saldamente questa coppia anglo-americana. Ognuno va dunque a cercare il sonno ristoratore nelle cuccette o sui sedili. Ad ogni modo però non vengono trascurate le regole di prudenza. Infatti, benché ciò sembri impossibile, data la morte del loro capo, i banditi potrebbero tentare un attacco notturno. Ci sono sempre quei dannatissimi milioni del Figlio del Cielo che devono eccitare la loro

cupidigia e se noi non stessimo all'erta… Rassicuriamoci, è il signor Faruskiar in persona che si prende l'incarico di organizzare la sorveglianza al treno. Dopo la morte dell'ufficiale ha preso lui il comando della scorta cinese. Lui e Ghangir devono vegliare sul tesoro imperiale e, come dice il signor Caterna, mai a corto di citazioni riprese al repertorio dell'Opera Comique: — Questa notte, le damigelle d'onore saranno ben custodite! E infatti il tesoro imperiale lo fu meglio di quello che fu la bella Athénais de Solange fra il primo e il secondo atto dei Mousquetaires de la Reine. Il giorno dopo, siamo al lavoro dall'alba. Il tempo è magnifico. La giornata sarà calda. Al 24 di maggio, in pieno deserto dell'Asia Centrale la temperatura è tale che si potrebbe far cuocere delle uova ricoprendole semplicemente di sabbia. Lo zelo non diminuisce e i lavoratori non sono meno attivi del giorno precedente. Il riassestamento della linea viene regolarmente completato. Poco per volta, sistemati sulle traversine, i binari si riuniscono per le estremità e verso le quattro del pomeriggio il viaggio può essere ripreso. La macchina, messa in pressione, comincia ad avanzare lentamente, poi i vagoni la seguono uno dopo l'altro spinti a braccia allo scopo di evitare un deragliamento. Eccoli infine arrivati senza alcun danno e ora la via è libera fino a Tcharkalyk… ma che dico? fino a Pechino! Riprendiamo i nostri posti e Popof dà il segnale di partenza al momento in cui il signor Caterna intona il ritornello di vittoria dell'equipaggio della nave ammiraglia Haidée. Mille hurrah, rispondono!… Alle dieci di sera, il treno entra nella stazione di Tcharkalyk. Il ritardo è stato esattamente di trenta ore. Ma trenta ore non sono sufficienti perché il barone Weissschnitzerdörfer perda il piroscafo da Tien-Tsin a Yokohama?…

CAPITOLO XXII Così io, che volevo un incidente, sono stato servito a dovere e non avrò che da ringraziare il Dio dei reporter se non ci sono state vittime da parte nostra. Io sono uscito sano e salvo dalla zuffa. Tutti i miei numeri sono intatti se si eccettua qualche graffio. Soltanto il mio numero 4 ha avuto una pallottola da parte a parte… nel suo cappello da matrimonio. Ora non ho altra prospettiva in vista che la ripresa della cerimonia nuziale Bluett-Ephrinell, e il finale dell'avventura di Kinko. Infatti, non immagino che da parte del signor Faruskiar ci siano riservate altre sorprese. E vero che si può far conto sul caso, dato che il viaggio deve durare ancora cinque giorni. Compreso il ritardo dovuto all'affare Ki-Tsang saranno tredici giorni dalla partenza da UzunAda. Tredici giorni… Diamine!… e ci sono tredici numeri iscritti nel mio diario… Però, se fossi superstizioso! Siamo rimasti a Tcharkalyk tre ore. La maggior parte dei viaggiatori non ha abbandonato le cuccette. Si sono fatte le dichiarazioni relative all'attacco al treno, ai morti che l'autorità cinese provvederà a far seppellire, ai feriti che devono essere lasciati a Tcharkalyk, dove non mancheranno loro le cure. La borgata è popolosa, a quanto mi ha detto il giovane Pan-Chao e rimpiango di non averla potuta visitare. La Compagnia della Grande Transasiatica, dal canto suo manderà senza ritardo degli operai a riparare la linea ed a rialzare i pali telegrafici cosicché in quarantotto ore la viabilità potrà essere completamente ristabilita. Naturalmente il signor Faruskiar con la sua autorità di amministratore della Compagnia ha preso parte alle diverse formalità che si dovettero assolvere a Tcharkalyk. Non lo elogerò mai abbastanza. D'altronde i suoi buoni uffici gli sono ricompensati dalla deferenza che gli dimostra il personale della stazione. Le tre di notte. Siamo arrivati a Kara-Buzan, dove il treno si è

fermato pochi minuti. E' in quel punto che la ferrovia incrocia l'itinerario di viaggio di Gabriel Bonvalot e del principe Henri d'Orléan attraverso il Tibet nel 1889-90. Viaggio ben più completo del nostro, ben più difficile, ben più pericoloso, viaggio circolare da Parigi a Parigi via Berlino, Pietroburgo, Mosca, Nijni, Perm, Tobolsk, Omsk, Sémipalatinsk, Kuldja, Tcharkalyk, Batang, Yunnan Hanoi, Saigon Singapore, Ceylon Aden, Suez, Marsiglia: giro dell'Asia e giro dell'Europa. Il treno arriva al Lob-Nor alle quattro e riparte alle sei. Questo lago di cui il generale Pevtzoff ha esplorato le sponde nel 1889, di ritorno dalla sua spedizione nel Tibet, non è che un ampio stagno coperto da isolotti di sabbia circondati da appena un metro d'acqua. Il paese dove il Tarim svolge il suo corso ampio e lento, era già stato esplorato dai padri Huc e Gabet, dagli esploratori Prjevalsky e Carey fino al passaggio Davana situato a centocinquanta chilometri verso sud. Ma da questo passaggio, accampandosi a volte addirittura a cinquemila metri d'altezza, Gabriel Bonvalot e il principe Henri d'Orléans si sono avventurati in territori vergini ai piedi dell'imponente catena dell'Himalaya. E verso est, verso il Kara-Nor, che si dirige il nostro itinerario costeggiando la base dei monti Nan-Chan, dietro i quali si sviluppa la regione dello Tsaidam. La ferrovia non ha osato avventurarsi in mezzo alle contrade montagnose del Ku-Ku-Nor ed è aggirando questo massiccio, che raggiungeremo la grande città di Lan-Tchéou. Però, se il paese è triste, i viaggiatori del nostro treno avranno cento ragioni per non esserlo. Una giornata festosa si annuncia con questo bel sole, i cui raggi dorano a perdita d'occhio le sabbie del Gobi. Dal Lob-Nor fino al Kara-Nor ci sono trecentocinquanta chilometri da percorrere, ed è fra questi due laghi che si celebrerà il matrimonio così disgraziatamente interrotto di Fulk Ephrinell e della signorina Horatia Bluett. Speriamo che questa volta nessun incidente venga a turbare la felicità dei due sposi. Dall'alba il vagone-ristorante è stato di nuovo sistemato per la cerimonia, i testimoni sono pronti a fare la loro parte e i futuri sposi non possono che essere nelle stesse disposizioni.

Venendo ad avvertirci che il matrimonio verrà celebrato alle nove, il reverendo Nathaniel Morse ci presenta gli omaggi di Fulk Ephrinell e della signorina Horatia Bluett. Io e il maggiore Noltitz, il signor Caterna e Pan-Chao saremo in armi all'ora fissata. Né il signor Caterna, né la signora Caterna credono opportuno di dover indossare di nuovo gli abiti da sposi di campagna. Non si abbiglieran-no che per il gran pranzo che verrà servito alle otto di sera: pranzo offerto da Fulk Ephrinell ai suoi testimoni ed ai notabili dei vagoni di prima classe. Il nostro tenore comico ci dice, gonfiando la guancia sinistra, che al dessert ci sarà una "sorpresa". Quale?… Per discrezione, non oso insistere. Un po' prima delle nove, la campana del tender si è messa in movimento. Rassicuratevi, non annuncia un incidente. Quegli allegri rintocchi sono per chiamare noialtri al vagone-ristorante e in processione ci avviamo al luogo del sacrificio. Il signor Fulk Ephrinell e la signorina Horatia Bluett sono già seduti davanti al tavolino, dirimpetto al pastore protestante, e noi prendiamo posto intorno a loro. Sulla piattaforma si sono raggruppati i curiosi che non vogliono perder nulla della cerimonia nuziale. Arrivano il signor Faruskiar e Ghangir che erano stati oggetto di un invito personale. I presenti si alzano in segno di rispetto: essi devono firmare il certificato nuziale. E un grande onore e se si fosse trattato di me sarei stato orgoglioso di vedere il nome illustre del signor Faruskiar apposto sull'ultima pagina del contratto nuziale. La cerimonia viene ripresa e questa volta il reverendo Nathaniel Morse è riuscito a giungere al termine del discorso così deplorevolmente interrotto due giorni prima. Né lui, né i presenti sono stati buttati a terra da una fermata prematrimoniale del treno. I due futuri — hanno ancora diritto a questa qualifica — si alzano e il pastore domanda loro se acconsentono di accettarsi reciprocamente come sposi. Prima di rispondere, la signorina Horatia Bluett si rivolge a Fulk Ephrinell e gli dice a labbra strette : — Resta inteso che la partecipazione della ditta Holmes Holme

sarà del venticinque per cento nei benefici della nostra associazione… — Quindici… — risponde Fulk Ephrinell — soltanto quindici. — Non sarebbe giusto, poiché io accordo il trenta per cento alla ditta Strong Bulbul and Co… — Ebbene facciamo il venti per cento signorina Bluett. — E sia, signor Ephrinell. — Ma proprio perché siete voi! — aggiunge il signor Caterna, sussurrandomi questa frase all'orecchio. Per un attimo ho temuto davvero che il matrimonio dovesse fallire per uno scarto del cinque per cento! Finalmente, tutto s'accomoda. Gli interessi delle due ditte sono stati salvaguardati da entrambe le parti. Il reverendo Nathaniel Morse ripete la sua domanda. Un si secco della signorina Horatia Bluett, un si rapido di Fulk Ephrinell gli rispondono e i due sposi vengono dichiarati uniti dal vincolo matrimoniale. Viene allora la firma dell'atto: loro per i primi, poi i testimoni, quindi il signor Faruskiar, poi i presenti; infine il pastore appone il suo nome e la sua sigla, e con ciò viene chiusa la serie delle formalità regolamentari. — Eccoli uniti per la vita — mi dice il tenore comico col suo gesto caratteristico della spalla. — Per la vita… come due ciuffolotti! — aggiunge sorridendo la prima attrice in tutti i generi, che non ha scordato che questi uccelli sono citati per la fedeltà del loro amore. — In Cina — osserva il giovane Pan-Chao — non sono i ciuffolotti ma le anitre-mandarine che simbolizzano la fedeltà del matrimonio. — Anitre o ciuffolotti, è la stessa cosa — replica filosoficamente il signor Caterna. La cerimonia è finita. Si fanno i rallegramenti agli sposi. Ognuno ritorna alle sue occupazioni. Fulk Ephrinell ai suoi conti, la signora Ephrinell al suo lavoro. Nel treno nulla è cambiato, solo ci sono due coniugi in più. Io, il maggiore Noltitz e Pan-Chao andiamo a fumare su una delle

piattaforme lasciando i coniugi Caterna ai loro preparativi poiché mi sembra che abbiano l'aria di fare una prova. Probabilmente si tratta della sorpresa per la sera. Il paesaggio è poco variato. Sempre questo monotono deserto di Gobi con le alture del monte Humboldt sulla destra verso la parte che si attacca ai monti Nan-Chan. Le stazioni sono piuttosto rare: sono soltanto un agglomerato di capanne fra le quali la casa del cantoniere ha l'aspetto di un monumento. E lì che si rinnovano le riserve d'acqua e di carbone del tender. L'avvicinarsi della vera Cina, popolosa e laboriosa, si farà veramente sentire al di là del Kara-Nor dove comincerà ad apparire qualche borgata. Questa parte del deserto di Gobi non assomiglia per niente alle regioni del Turkestan orientale che abbiamo attraversato lasciando Kashgar. Sono territori altrettanto nuovi per Pan-Chao e il dottor Tio-King, quanto per noi europei. Devo dire che il signor Faruskiar non disdegna più di partecipare alla nostra conversazione. È un individuo piacevole, istruito, spiritoso con cui conto di far più ampia conoscenza quando saremo giunti a Pechino. Mi ha già invitato a andarlo a trovare nel suo yamen e allora avrò il modo di intervistarlo. Ha viaggiato molto e sembra avere una simpatia speciale per i giornalisti francesi. Sono sicuro che non rifiuterà di abbonarsi al "XX Siecle" (Parigi, quarantotto franchi; dipartimenti: cinquantasei; estero: settantasei). Dunque, mentre il treno procede a tutto vapore, si parla di mille cose diverse. A proposito della Kashgaria, di cui si è pronunciato il nome, il signor Faruskiar ci dà dei dettagli assai interessanti su quella provincia che fu molto turbata dai movimenti insurrezionali. Era l'epoca in cui la capitale, resistendo alla cupidigia cinese, non aveva ancora subito la dominazione russa. Spesso numerosi celestiali furono massacrati allorché ci furono le rivolte dei capi turkestani e la guarnigione dovette rifugiarsi nella fortezza di Yanghi-Hissar. Fra i capi di quegli insorti, ce ne fu uno, quell'Uali-Khan-Tulla di cui ho già parlato a proposito dell'assassinio di Schlagintweit, che divenne provvisoriamente il padrone della Kashgaria. Era un uomo intelligentissimo, ma di una ferocia non comune e il signor Faruskiar

ci cita un fatto atto a darci un'idea del carattere spietato di questi orientali. — C'era a Kashgar — ci dice — un armaiolo famoso che, desiderando assicurarsi i favori di Uali-Khan-Tulla fece una sciabola di gran valore. Finito il lavoro incaricò suo figlio, bambino di dieci anni, di andare a offrirgliela, sperando che il ragazzo ricevesse qualche ricompensa dalla mano regale. Ne ebbe una infatti. Il personaggio dopo aver ammirato la sciabola, chiese se la lama era di prima qualità: "Si" rispose il bambino. "Avvicinati allora!" disse Uali-Khan-Tulla e con un sol colpo gli tagliò la testa che mandò al padre con l'importo del costo della sciabola di cui a-veva in quel modo sperimentato l'eccellente qualità. Questa narrazione venne fatta con perfetta giustezza d'inflessioni, però se il signor Caterna l'avesse sentita, credo che non mi avrebbe chiesto di prendere il soggetto per un'operetta turkestana. La giornata è trascorsa senza incidenti; il treno ha proceduto alla moderata velocità di quaranta chilometri orari: media che, a dar ascolto al barone Weissschnitzerdörfer, avrebbe dovuto essere elevata a ottanta. La verità è che il macchinista e i guidatori cinesi non si preoccuparono in alcun modo di recuperare il tempo perso fra Tchertchen e Tcharkalyk. Alle sette di sera si giunge al Kara-Nor per sostarvi cinquanta minuti. Questo lago, meno esteso del Lob-Nor, assorbe le acque del Sule-Ho, disceso dai monti Nan-Chan. I nostri sguardi sono compiaciuti alla vista di macchie verdi che inquadrano la sponda meridionale animata dal volo di moltissimi uccelli. Alle otto, quando lasciamo la stazione, il sole è tramontato dietro le dune di sabbia e una specie di miraggio prodotto dal riscaldamento degli strati inferiori dell'atmosfera prolunga il crepuscolo sopra l'orizzonte. Appena partiti, subito a tavola. Il vagone-ristorante ha ripreso il suo aspetto normale ed eccoci al pranzo di nozze che sostituisce il pranzo regolamentare. Una ventina di convitati sono stati invitati a questa agape ferroviaria e, primo fra tutti il signor Faruskiar. Ma per una ragione o un'altra egli ha declinato l'invito di Fulk Ephrinell. Mi dispiace perché speravo che la mia buona fortuna mi facesse sedere accanto a lui.

Mi viene in mente, allora, che questo nome illustre merita di essere inviato alla direzione del "XX Siecle"; il nome e anche qualche riga relativa all'attacco al treno e alle peripezie della difesa. Mai informazione sarà stata più di questa meritevole di essere spedita telegraficamente, per caro che venisse a costare. Questa volta non corro il rischio di prendermi una ramanzina. Non è possibile nessun errore del genere di quello accaduto a proposito del falso mandarino Yen-Lou che ho sulla coscienza… È vero che ciò succedeva nel paese del falso Smerdis e forse qui sta la mia scusa. Ho deciso: giunti a Su-Tchéou, poiché la linea telegrafica sarà stata ristabilita insieme con quella ferroviaria, invierò un telegramma che rivelerà all'ammirazione dell'intera Europa il brillante nome di Faruskiar. Eccoci a tavola. Fulk Ephrinell ha fatto le cose nel miglior modo possibile. In vista del festino, a Tcharkalyk si erano rinnovate le provviste. Faremo onore non più alla cucina russa, ma a quella cinese imbanditaci da un cuoco cinese. Per puro caso non saremo costretti a mangiare con i bastoncini, e le forchette non sono proibite ai pasti della Grande Transasiatica. Sono alla sinistra della signora Ephrinell, mentre il maggiore Noltitz è alla destra di Fulk Ephrinell; gli altri invitati si sono seduti come capitava. Il barone tedesco, che non è tipo da ritirarsi davanti a un buon boccone, fa parte dei convitati. Quanto a sir Francis Trevellyan, non ha nemmeno risposto con un cenno all'invito fattogli. Per incominciare: minestra di pollo con uova di pavoncella, poi nidi di rondine tagliati a fili, ragù con giallo di gamberi, ventrigli di passeri, piedini di maiale arrosto in salsa, midolli di montone, oloturie fritte, pinne di pescecane molto gelatinose, infine, germogli di bambù al sugo, radici di ninfee zuccherate, tutti cibi fra i più inverosimili innaffiati con vino di Chao-Hing che viene servito tiepido in teiere di metallo. La festa è molto allegra e molto, come potrei dire… intima, tenendo conto che il marito non si occupa minimamente della moglie e… reciprocamente. Che mattacchione inesauribile è il nostro tenore comico! Che getto continuo di sciocchezze, incomprese per la maggioranza, di giochi di parole antidiluviani, di sproloqui di cui

ride così allegramente che non si può non ridere con lui. Vuole imparare qualche parola cinese, e siccome Pan-Chao ha detto che "tching-tching" vuol dire grazie egli "tching-tchinga" a ogni momento con intonazioni burlesche. Poi è la volta delle canzoni francesi, russe, cinesi, fra le altre il "Shiang-Tono-Tching" la "Canzone del Sogno" nella quale il nostro giovane celestiale ripete che "i fiori di pesco profumano alla terza luna e quelli del melograno rosso alla quinta". Questo festino si è protratto fino alle dieci. A questo punto il tenore comico e la prima attrice in tutti i generi, che si erano eclissati prima del dessert, fanno il loro ingresso l'uno indossando una palandrana da cocchiere e l'altra in costume da bambinaia e hanno rappresentato Les Sonnettes con una lena, uno spirito, un brio! … Non sarebbe che troppo giusto se Claretie, dietro raccomandazione di Meilhac e di Halevy, desse loro un posto fra gli ospiti della Comédie Française. A mezzanotte la festa è finita e ognuno di noi ha ripreso posto nel suo scompartimento. Non sentiamo nemmeno gridare i nomi delle stazioni che precedono Lan-Tchéou ed è fra le quattro e le cinque del mattino che facciamo una sosta di quaranta minuti nella stazione di questa borgata. A mano a mano che la ferrovia scende al disotto del quarantesimo grado, per girare intorno alla base orientale dei monti Nan-Chan, il paesaggio si modifica sensibilmente. A poco a poco il deserto sparisce, i villaggi sono meno rari e aumenta la densità della popolazione. Ai terreni sabbiosi si sostituiscono le pianure verdeggianti e anche le risaie poiché le montagne vicine riversano abbondantemente le loro acque su queste alte regioni del Celeste Impero. Dopo la tristezza del Kara-Kum e la solitudine del deserto di Gobi, non ci lagniamo di questo cambiamento. A partire dal mar Caspio i deserti non hanno fatto che succedersi ai deserti, eccettuato che attraverso i massicci dell'altopiano del Pamir. Ora, fino a Pechino non mancheranno al percorso della Grande Transasiatica i punti pittoreschi, i profili delle montagne all'orizzonte, né le profonde vallate. Stiamo entrando in Cina, nella vera Cina, quella dei paraventi e delle porcellane, sui territori della vasta provincia del Kin-Su. Fra

tre giorni saremo alla fine del viaggio e non sarò io, semplice corrispondente di giornale, destinato a interminabili spostamenti, che mi lamenterò della sua lunghezza. Fortuna per Kinko, rinchiuso nella sua cassa, e per la bella Zinca Klork divorata dall'inquietudine nella sua casa del viale di Cha-Coua! Facciamo sosta per due ore a Su-Tchéou. Mia prima cura è di correre all'ufficio telegrafico. Il compiacente Pan-Chao accetta di farmi da interprete. L'impiegato ci spiega che i pali della linea sono stati rialzati per cui i telegrammi seguono la via normale. Immediatamente lancio al "XX Siecle" un telegramma così concepito: Su-Tchéou 25 maggio, 2 e 25 della notte Treno attaccato fra Tchertchen e Tcharkalyk da banda celebre KiTsang; viaggiatori hanno respinto l'attacco e salvato tesoro cinese; morti e feriti d'ambo le parti; capobandito ucciso da eroico mongolo signor Faruskiar uno amministratori Compagnia, cui nome deve essere oggetto ammirazione universale. Se questo telegramma non mi vale una gratifica da parte del mio direttore… Due ore, per visitare Su-Tchéou, sono poche. Fino adesso nel Turkestan avevamo sempre visto due città affiancate, una antica e una moderna. In Cina, ci fa osservare Pan-Chao, sono incastrate una nell'altra due città e talvolta anche tre o quattro, come a Pechino. Qui, Tai-Tchéou è la città esterna e Le-Tchéou quella interna. La prima cosa che ci colpisce è che tutt'e due hanno un aspetto desolato. Ovunque tracce d'incendi, qua e là pagode e case semidistrutte, un ammasso di macerie che non sono dovute all'opera del tempo, ma alla guerra. Ciò dipende dal fatto che Su-Tchéou, un tempo presa dai musulmani e poi ripresa dai cinesi, ha subito l'orrore di quelle barbare lotte che finiscono con il distruggere gli edifici e massacrare gli abitanti di qualsiasi età e sesso. E vero che gli abitanti si riformano rapidamente nel Celeste Impero, più rapidamente che non i monumenti a risorgere dalle loro rovine. Così Su-Tchéou è ridiventata popolosa tanto nella sua doppia

cinta che nei sobborghi da cui vi si accede. Vi fiorisce il commercio e passeggiando per la strada principale abbiamo osservato numerose botteghe ben rifornite, senza parlare dei venditori ambulanti. E là per la prima volta, il signor e la signora Caterna hanno visto passare fra due ali di popolo che si ritraeva più per timore che per rispetto, un mandarino a cavallo preceduto da un domestico che portava un parasole a frange, segno della dignità del suo padrone. Poi, c'è una curiosità che si deve visitare a Su-Tchéou : è lì che incomincia la famosa Grande Muraglia del Celeste Impero. Dopo essere ridiscesa a sud-est verso Lan-Tchéou, questa muraglia risale verso nord-est, percorrendo le province del Kian-Su, del Chan-Si e del Petchili fino a nord di Pechino. Qui non è più che una specie di parapetto in terra, interrotto da alcune torri, per la maggior parte in rovina. Mi sarebbe sembrato di mancare ai miei doveri di cronista se non fossi andato a salutare al suo inizio quest'opera gigantesca che supera qualsiasi lavoro delle nostre fortificazioni moderne. — È veramente utile questa Muraglia della Cina?… — mi ha chiesto il maggiore Noltitz. — Per i celestiali non lo so — risposi io — ma lo è certamente per i nostri oratori politici ai quali essa serve di confronto quando discutono dei trattati di commercio. Senza di essa, cosa diventerebbe l'eloquenza legislativa?

CAPITOLO XXIII DA QUARANTOTTO ore non ho visto Kinko, e l'ultima volta anzi non ho potuto scambiare con lui che poche parole, solo per tranquillizzarlo. Questa notte cercherò di fargli visita e a questo scopo mi procuro delle provviste alla stazione di Su-Tchéou. Siamo partiti alle tre. I nostri vagoni sono agganciati a una locomotiva più potente; in questi territori accidentati, le salite certe volte sono piuttosto ripide. Settecento chilometri ci separano dall'importante città di Lan-Tchéou dove non arriveremo che domani mattina marciando alla velocità di dieci leghe all'ora. Faccio osservare a Pan-Chao che questa media è piuttosto bassa. — Che volete — mi risponde mentre sta sgranocchiando dei semi di cocomero — voi non cambierete e nulla cambierà il temperamento dei celestiali. Siccome sono conservatori all'eccesso, essi conserveranno questa velocità qualunque siano i progressi della locomotiva. E del resto, signor Bombarnac, trovo già quasi inverosimile che l'Impero di Mezzo abbia delle ferrovie! — Non dico il contrario — risposi.— Però quando ci si concedono delle ferrovie, è per averne tutti i vantaggi che esse comportano. — Bah! — fece incurante Pan-Chao. — La velocità vuol dire tempo guadagnato e guadagnar tempo… — In Cina il tempo non esiste, signor Bombarnac, e non può esistere per una popolazione di quattrocento milioni di uomini. Ne resterebbe poco per ognuno. Così non ce la facciamo nemmeno a contare per giorni e per ore… ma sempre per lune e veglie… — Cosa più poetica che pratica — risposi io. — Pratica, signor reporter! Voi occidentali non avete che questa parola sulle labbra! Essere pratici vuol dire essere schiavi del tempo, del lavoro, del denaro, degli affari, della gente, degli altri, di se stessi! Vi confesso, che durante il mio soggiorno in Europa (potete chiederlo al dottor Tio-King) non sono mai stato pratico e ora,

tornato in Asia, non lo sarò certamente di più. Mi lascerò vivere, ecco tutto, come le nubi si lasciano portare dalla brezza, il filo di paglia dalla corrente, il pensiero dall'immaginazione… — Vedo — dissi — che bisogna prendere la Cina così com'è. — E come probabilmente sarà sempre, signor Bombarnac. Ah, se sapeste come vi è facile la vita: un piacevolissimo far niente fra paraventi nella calma degli yamen! Il pensiero degli affari ci preoccupa poco e quello della politica ancora meno. Pensate un po'! Da Fu-Hi, primo imperatore nel 2950 a.C. contemporaneo di Noè, ad oggi siamo alla nostra ventitreesima dinastia. Attualmente, essa è mancese: e di quello che sarà più tardi, che importa! Che si abbia un governo o non lo si abbia, quale dei Figli del Cielo esso abbia scelto per far la felicità dei suoi quattrocento milioni di sudditi, a malapena lo sappiamo e desideriamo saperlo! E evidente che il giovane celestiale ha mille e diecimila volte torto, usando la sua formula numerativa, ma non sarò certo io a ledere la sua libertà di pensiero. Durante il pranzo, il signor e la signora Ephrinell, seduti l'uno accanto all'altra, si sono appena scambiati qualche parola. La loro intimità sembra meno stretta da quando si sono sposati. Forse sono assorti nel calcolo dei loro reciproci interessi non ancora ben fusi. Ah! questi anglosassoni non contano a lune e a veglie! Loro sono pratici, troppo pratici! La notte è stata pessima. Verso sera il cielo, di color porpora ramato, si era fatto tempestoso, l'atmosfera era diventata soffocante e la tensione elettrica esagerata. Ne seguirà un temporale "molto ben riuscito". Per lo meno questa è l'espressione di cui si è servito il signor Caterna aggiungendo che non aveva mai visto niente di meglio se non forse nel secondo atto del Freischütz durante la caccia infernale. Il fatto è che il treno corre — si fa per dire — in mezzo a una zona abbagliante di lampi e ad un rimbombare di tuoni che l'eco delle montagne prolunga all'infinito. Credo anche che siano caduti parecchi fulmini, ma le rotaie metalliche appropriandosi il fluido, costituiscono delle specie di conduttori che risparmiano ai vagoni di venire colpiti. E veramente un bello spettacolo, ma anche un po' terribile, quello di questi fuochi nello spazio che la pioggia

torrenziale non riesce a spegnere e di queste scariche continue nelle nubi ai quali si uniscono i fischi stridenti della nostra locomotiva quando passa davanti alle stazioni di Yanlu, di Yun-Tchéng, di Hulan-Sieu e di Da-Tsching. Favorito da questa notte così turbata ho potuto comunicare con Kinko, dargli le provviste e intrattenermi qualche momento con lui. — E dopodomani — mi ha chiesto — che arriveremo a Pechino, signor Bombarnac? — Sì… dopodomani, Kinko se il treno non avrà altri ritardi. — Oh! non è dei ritardi che ho paura! Ma quando la mia cassa sarà nella stazione di Pechino, non vorrà dire che io sia in viale ChaCoua… — Non importa Kinko, poiché la bella Zinca Klork sarà alla stazione… — No, signor Bombarnac, le ho raccomandato di non venire. — Perché?… — Le donne sono così impressionabili! Vorrebbe vedere il bagagliaio dove ho viaggiato, reclamerebbe questa cassa con un'insistenza tale che potrebbe destare sospetti… Infine, minaccerebbe di tradirsi… — Avete ragione, Kinko. — E poi, non arriveremo in stazione che nel pomeriggio, molto tardi, forse, e il trasporto dei bagagli non si farà che il giorno seguente… — È' probabile… — Via, signor Bombarnac, se non è abusare, vi chiederei di farmi ancora un favore. — Cosa volete da me?… — Che vogliate assistere alla partenza della cassa onde evitare qualche incidente… — Sarò presente, Kinko, sarò presente, ve lo prometto. Diamine! Gli specchi sono fragili e veglierò che non siano maneggiati troppo bruscamente. Anzi, se lo volete, accompagnerò la cassa fino al viale Cha-Coua… — Non osavo chiedervelo, signor Bombarnac… — Avete torto, Kinko. Non si deve far complimenti con un amico,

ed io sono vostro amico. Oltretutto mi farà molto piacere di far la conoscenza della signorina Zinca Klork. Voglio essere sul posto quando la cassa verrà consegnata, la preziosa cassa… l'aiuterò a schiodarla. — Schiodarla, signor Bombarnac! e il mio pannello? … Ah! come farò presto a saltar fuori dal mio pannello. Uno spaventoso colpo di tuono interrompe la nostra conversazione. Ho creduto che lo spostamento d'aria facesse uscir il treno dalle rotaie. Lasciai dunque il giovane romeno e raggiunsi il mio posto nel vagone. La mattina seguente — 26 maggio, ore sette — arrivo alla stazione di Lan-Tchéou. Tre ore di sosta; tre ore soltanto. Ecco quello che ci costa l'attacco di Ki-Tsang. Andiamo, maggiore Noltitz, andiamo Pan-Chao, andiamo signor e signora Caterna, in cammino… Non abbiamo un minuto da perdere. Ma proprio nel momento in cui stavamo per lasciare la stazione, l'apparizione di un personaggio grande, grasso, grigio e grave ci trattenne. E il governatore della città, in doppio abito di seta bianca e gialla, ventaglio in mano, cintura con fibbia e mantiglia, una mantiglia nera che farebbe miglior figura sulle spalle di una bella manola. È accompagnato da un certo numero di mandarini dal bottone e i celestiali li salutano avvicinando i due pugni che muovono dal basso verso l'alto inclinando il capo. Ohimè! Che viene a fare, questo signore?… Ancora qualche formalità cinese?… Ricomincia la visita dei viaggiatori e del bagaglio?… E Kinko che pensavo fuori da ogni complicazione… Niente di preoccupante, si tratta solo del tesoro che il treno della Grande Transasiatica trasporta per il Figlio del Cielo. Il governatore e il suo seguito si sono fermati davanti al prezioso vagone chiuso con catenacci e piombato e lo guardano con quell'ammirazione rispettosa che si prova – anche in Cina – davanti a un forziere che racchiude parecchi milioni. Domando allora a Popof cosa significa la presenza del governatore e se ha qualche cosa a che vedere con noi: — In nessun modo — risponde Popof. —È venuto da Pechino l'ordine di annunciare telegraficamente l'arrivo del tesoro. E quello

che ha fatto il governatore che è in attesa di una risposta per sapere se lo deve dirigere su Pechino o trattenere provvisoriamente a LanTchéou. — Forse questo ci ritarderebbe? — Non credo. — Allora in cammino — dissi ai miei compagni. Ma se la faccenda del tesoro lascia noialtri indifferenti, sembra che non sia lo stesso per il signor Faruskiar. In cosa lo può interessare che questo vagone parta o non parta, che resti agganciato al nostro treno o che ne venga staccato? Ciononostante, sia lui sia Ghangir sembrano molto contrariati, benché cerchino di non lasciarlo trasparire, mentre i mongoli, pronunciando alcune parole a bassa voce fra loro, lanciano al governatore di Lan-Tchéou occhiate poco simpatiche. In questo momento, il governatore viene messo al corrente di quello che è successo durante l'attacco al treno e della parte presa dal nostro eroe per la difesa del tesoro imperiale, del coraggio con cui si è battuto e come abbia liberato il paese dal terribile Ki-Tsang. Allora il governatore ringrazia in termini elogiatori, che Pan-Chao si fa premura di tradurci, il signor Faruskiar e gli fa capire che il Figlio del Cielo saprà riconoscere i suoi servigi. L'amministratore della Grande Transasiatica lo ascolta con l'aria tranquilla che lo distingue, ma non senza una certa impazienza: lo vedo molto chiaramente. Forse si sente superiore tanto agli elogi quanto alle ricompense, anche quando vengono dall'alto. Da qui riconosco la sua fierezza mongola. Ma non attardiamoci. Che il vagone del tesoro continui o no il suo viaggio verso Pechino, poco ci importa! Ciò che ci interessa è visitare Lan-Tchéou. Benché l'abbiamo fatto sommariamente, me ne è rimasto un ricordo piuttosto chiaro. Per prima cosa, esiste una città esterna e una città interna. Questa volta, niente rovine. Città assai vivace, popolazione brulicante e molto attiva, famigliarizzata dalla ferrovia alla presenza degli stranieri che non perseguita più come una volta con la sua indiscreta curiosità. Ampi quartieri occupano la destra dello Huan-Ho, largo

due chilometri. Questo Huan-Ho, è il Fiume Giallo, il famoso Fiume Giallo che, dopo un corso di quattromila chilometri, precipita le sue acque argillose nelle profondità del golfo di Petchili. — Non è alla sua foce presso Tien-Tsin che il barone deve imbarcarsi per Yokohama? — Chiede il maggiore Noltitz. — Proprio là — ho risposto io. — Lo perderà — replica il tenore comico. — A meno che il nostro "globe trotter" non trotti! — Il trotto di un asino dura poco, come si dice — risponde il signor Caterna — e non arriverà… — Arriverà in tempo, se il treno non farà altro ritardo — fa osservare il maggiore. — Arriveremo in stazione a Tien-Tsin il giorno 23 alle sei di mattina e il piroscafo non parte che alle undici. — Che egli perda o non perda il suo piroscafo — replicai io — questo non deve impedire la nostra passeggiata! Un ponte di barche attraversa in questo punto il Fiume Giallo e la sua corrente è talmente rapida che il piano stradale è sottoposto a sensibili ondulazioni. La signora Caterna che ha creduto di potervicisi arrischiare incomincia a impallidire. — Caroline… Caroline — esclama suo marito — stai per avere il mal di mare! Via… stringi il vento… stringi il vento!… La signora Caterna "stringe il vento" e risaliamo verso una pagoda che domina la città. Come tutti i monumenti di questo genere, la pagoda assomiglia a un mucchio di compostiere messe una sull'altra, ma queste compostiere sono di bella forma e se fossero in porcellana cinese non ci sarebbe di che meravigliarsene. Visti pure, ma senza entrarvi, importanti stabilimenti industriali, una fonderia di cannoni, una fabbrica di fucili il cui personale è di origine indigena. Percorso un bel giardino attiguo alla casa del governatore, con il suo capriccioso complesso di ponti, chioschi, vasche, porte in forma di grandi vasi di porcellana. Ci sono più padiglioni e tetti rivolti all'insù che non alberi e ombra; viali pavimentati di mattoni fra i resti delle fondamenta della Grande Muraglia. Erano le dieci meno dieci quando siamo tornati in stazione,

completamente sfiniti, perché la passeggiata è stata dura, e senza fiato perché il caldo è intenso. Mia prima cura è di cercare con lo sguardo il vagone dei milioni. E sempre allo stesso posto, il penultimo del treno, sotto la sorveglianza delle guardie cinesi. Infatti, il telegramma atteso dal governatore è giunto: l'ordine è di dirigere il detto vagone su Pechino, dove il tesoro verrà consegnato al ministro delle Finanze. Dov'è il signor Faruskiar?… Non lo vedo. Ci ha forse piantato in asso? No! eccolo su una delle piattaforme mentre i mongoli sono risaliti nel loro vagone. Quanto a Fulk Ephrinell è andato in giro per conto suo (dei campioni di suoi prodotti da distribuire) mentre la signora Ephrinell se ne è andata a sua volta (per concludere molto probabilmente un semplice affare di capelli). Stanno ritornando entrambi e vanno a riprendere il loro solito posto come se neanche si conoscessero. Gli altri viaggiatori non sono che celestiali, alcuni diretti a Pechino, altri hanno acquistato biglietti per le stazioni intermedie: Si-Ngan, Ho-Nan, Lou-Ngan, Tai-Yuan. Sul treno ci devono essere un centinaio di viaggiatori. Tutti i miei numeri sono ai loro posti. No, non ne manca nessuno… Tredici, sempre tredici! Stavamo ancora sulle piattaforme quando venne dato il segnale di partenza e quando il signor Caterna chiese alla signora Caterna quello che aveva visto di più strano a Lan-Tchéou : — Di più strano, Adolphe?… Quelle grandi gabbie sospese ai muri e agli alberi dove stavano rinchiusi strani uccelli… — Strani, infatti, signora Caterna — risponde Pan-Chao — erano uccelli che parlavano, da vivi… — Come, erano dei pappagalli?… — No, delle teste di criminali… — Che orrore! — grida la prima attrice in tutti i generi facendo una smorfia delle più espressive. — Che vuoi, Caroline — risponde sentenziosamente il signor Caterna — è la moda di questo paese!

CAPITOLO XXIV A PARTIRE da Lan-Tchéou la ferrovia attraversa una zona notevolmente coltivata, bagnata da numerosi corsi d'acqua e piuttosto accidentata così da richiedere molti giri, ragione per cui gli ingegneri hanno dovuto ricorrere a lavori speciali quali ponti e viadotti, lavori dall'ossatura di solidità piuttosto dubbia tanto che il viaggiatore non è per niente rassicurato quando sente il piano stradale cedere sotto il peso del treno. E vero che siamo nel Celeste Impero e che qualche migliaio di vittime in una catastrofe ferroviaria avrebbero scarso valore in proporzione ai suoi quattrocento milioni di abitanti! — E poi — ci dice Pan-Chao — il Figlio del Cielo non va mai in treno! Benissimo allora. Alle sei di sera, arriviamo a King-Tchéu, dopo aver seguito per una parte del tragitto il percorso capriccioso della Grande Muraglia. Di questa immensa frontiera artificiale, eretta fra la Mongolia e la Cina, restano solo i blocchi di granito e di quarzo rossastro che le servivano da base, la terrazza di mattoni con parapetti di altezza ineguale, alcuni vecchi cannoni corrosi dalla ruggine e nascosti sotto uno spesso strato di licheni e delle torri quadrate dai merli scompagnati. La cortina interminabile sale, scende, si inarca, si raddrizza, corre a perdita d'occhio seguendo i dislivelli del terreno. Alle sei di sera, dunque sosta di mezzora a King-Tchéu, di cui ho intravisto solo qualche alta pagoda, e verso le dieci altra sosta di quarantacinque minuti a Si-Ngan di cui non ho nemmeno visto i profili delle case. L'intera notte è stata impiegata a percorrere i trecento chilometri che separano questa città da Ho-Nan dove ci siamo trattenuti per un'ora. Credo che i londinesi non avrebbero fatto fatica a prendere per Londra questa città di Ho-Nan ed è possibile che anche la signora Ephrinell lo abbia creduto. Non è che lì ci fosse lo Strand con il suo impressionante andirivieni di gente e di vetture, né il Tamigi con il

suo prodigioso movimento di barche da carico e di navi a vapore. No! ma eravamo in mezzo a un nebbione talmente britannico che era assolutamente impossibile veder alcunché delle case e delle pagode avvolte nella nebbia. Questa nebbia durò tutto il giorno rendendo il cammino assai difficile al treno. Questi macchinisti celestiali sono veramente molto pratici, molto attenti, molto intelligenti e meritano di essere citati a esempio ai loro colleghi delle ferrovie occidentali. Per tutte le cronache! non siamo davvero favoriti nell'ultimo giorno del nostro viaggio prima di arrivare a Tien-Tsin! quante notizie di cronaca annientate in mezzo a quei vapori impenetrabili! Non ho visto niente delle gole e dei burroni attraverso i quali si snoda la Grande Transasiatica, niente della valle di Lou-Ngan dove ci fermiamo alle undici, niente dei duecentotrenta chilometri che abbiamo percorso sotto le volute di una specie di nebbia giallastra, degna di questo paese giallo, per fare finalmente sosta verso le dieci di sera a Tai-Yuan. Ah! Che giornata tetra! Per fortuna, alle prime ore della sera, la nebbia si è dissipata. E ne era proprio tempo, ora che è notte e notte molto scura. Vado al bar della stazione dove compero qualche dolce e una bottiglia di vino. Ho intenzione di fare un'ultima visita a Kinko. Berremo insieme alla sua salute e al suo prossimo matrimonio con la bella romena. Avrà viaggiato frodando la Grande Transasiatica, lo so bene, e se la Grande Transasiatica lo sapesse! Ma la Grande Transasiatica non lo saprà. Durante la sosta, il signor Faruskiar e Ghangir passeggiano sul marciapiede, lungo il treno. Questa volta non è il vagone del tesoro che attira la loro attenzione, ma il bagagliaio di testa che osservano con estrema insistenza. Sospetterebbero forse qualche cosa di Kinko?… No! questa ipotesi è inverosimile. Sono il macchinista e il fuochista che sembrano essere più particolarmente l'oggetto del loro esame. Questi sono due bravi cinesi, che iniziano il loro turno di servizio e forse al signor Faruskiar non spiace di vedere a chi è affidata, oltre al tesoro imperiale, la vita di un centinaio di persone! …

Suona l'ora della partenza e a mezzanotte la macchina si avvia lanciando fischi violenti. Come ho già detto la notte è scurissima, senza luna, senza stelle. Lunghe nubi si arrampicano sulle zone basse dell'atmosfera. Mi sarà facile entrare nel bagagliaio senza essere visto. In totale, non ho abusato nelle visite a Kinko durante questi dodici giorni di viaggio. In questo momento Popof mi dice: — Non andate a dormire, signor Bombarnac? — Fra un po' — ho risposto,— dopo questa nebbiosa giornata che ci ha tenuti rinchiusi tutto il giorno nei vagoni, sento bisogno di respirare all'aria aperta. Dove deve fermarsi il treno?… — A Fuen-Choo, appena passato il punto dove viene a raccordarsi la linea per Nanking. — Buona sera, Popof. — Buona sera, signor Bombarnac. Eccomi solo. Mi viene in mente di fare una passeggiata fino in fondo al treno e mi fermo un po' sulla piattaforma che precede il vagone del tesoro. Tutti i viaggiatori, meno le guardie cinesi, dormono profondamente il loro ultimo sonno, s'intende ultimo sonno sulla Grande Transasiatica. Tornato in testa al treno, mi avvicino alla loggetta dove vedo Popof che mi sembra addormentato profondamente. Allora apro la porta del bagagliaio, la richiudo e segnalo la mia presenza a Kinko. Il pannello si abbassa, e la piccola lampada ci rischiara. In cambio dei dolci e del vino, ricevo i ringraziamenti di questo bravo ragazzo, e insieme beviamo alla salute di Zinca Klork che conoscerò domani. E mezzanotte e cinquanta. Fra dieci minuti, come ha detto Popof, avremo passato il punto dove si stacca la diramazione per Nanking. Questa diramazione costruita per cinque o sei chilometri, porta al viadotto della valle di Tjou. Il viadotto è un'imponente impresa, me l'ha detto Pan-Chao con tutti i dettagli, e gli ingegneri cinesi non hanno ancora costruito che i piloni, alti un centinaio di piedi. È al raccordo di questa diramazione con la Grande Transasiatica che è situato lo scambio che permetterà di dirigere i treni sulla linea di

Nanking, ma il lavoro, probabilmente, non sarà finito che fra tre o quattro mesi. Sapendo che dobbiamo fare sosta a Fuen-Choo, mi congedo da Kinko con una stretta di mano, e mi alzo per uscire… In quel momento mi par di sentire dei passi sulla piattaforma dietro il bagagliaio… — Fate attenzione, Kinko! — dico a bassa voce. La lampada viene spenta immediatamente e restiamo immobili entrambi. Non mi sono sbagliato… Qualcuno cerca di aprire la porta del bagagliaio. — Il pannello… — dico. Il pannello viene rialzato, la cassa è chiusa e resto solo nell'oscurità. Evidentemente non può essere che Popof a entrare… Cosa penserà trovandomi lì?… La prima volta che ho fatto visita al romeno, mi sono nascosto fra i colli… Ebbene! mi nasconderò lì, una seconda volta. Quando mi sarò rannicchiato dietro le casse di Fulk Ephrinell è improbabile che Popof mi possa vedere… anche alla luce della sua lanterna. Fatto questo, guardo… Non è Popof perché avrebbe portato la lanterna. Cerco di riconoscere chi sono le persone entrate… ma è difficile. Non hanno fatto che scivolare davanti ai colli e dopo aver aperta la porta anteriore del bagagliaio l'hanno richiusa dietro di loro… Sono viaggiatori del treno, nessun dubbio su ciò, ma perché qui e a quest'ora?… Bisogna saperlo… Ho il presentimento che si stia macchinando qualche cosa… Forse ascoltando… Mi avvicino alla parte anteriore del vagone e, nonostante i ruggiti della macchina sento abbastanza distintamente… Mille e diecimila diavoli, non mi sbaglio!… È la voce del signor Faruskiar… Parla in russo con Ghangir… È proprio lui!… I quattro mongoli l'hanno accompagnato… Ma cosa fanno lì?… per che motivo si sono appostati sulla piattaforma che precede il tender!… E cosa dicono?…

Eccolo, quello che dicono!… Delle domande e risposte scambiate fra il signor Faruskiar e i suoi compagni, non perdo una parola. — Quando arriveremo alla diramazione?… — Fra qualche minuto. — Siamo sicuri che Kardek sia allo scambio? — Sì, poiché siamo d'accordo. Che cosa è stato convenuto, e chi può essere quel Kardek di cui parlano?… La conversazione riprende: — Bisognerà aspettare di vedere il segnale — dice il signor Faruskiar. — Non è una luce verde? — domanda Ghangir. — Sì, e vorrà dire che lo scambio è stato azionato. Non so più se la testa mi ragiona… Lo scambio azionato… Che scambio? … Passa mezzo minuto… Non sarebbe meglio avvertire Popof?… Sì… Bisogna avvertirlo… Stavo per dirigermi in fondo al bagagliaio, quando un'esclamazione mi trattiene. — Il segnale… ecco il segnale! — ha esclamato Ghangir. — E ora il treno è lanciato sulla linea di Nanking! — replica il signor Faruskiar. Sulla linea di Nanking!… Ma allora siamo perduti… A cinque chilometri da qui si trova il viadotto di Tjou, in costruzione e il treno sta dirigendosi verso un abisso… Il maggiore Noltitz non si era affatto sbagliato sul conto del signor Faruskiar… Capisco il progetto di quei miserabili… L'amministratore della Grande Transasiatica non è altro che un malfattore della peggior specie… Ha accettato gli ordini della Compagnia solo per aspettare che si presentasse l'occasione di fare qualche buon colpo… L'occasione si è presentata con i milioni del Figlio del Cielo… Sì! l'orribile macchinazione mi si rivela ora in tutta la sua ampiezza… Se Faruskiar ha difeso il tesoro imperiale contro Ki-Tsang, non era che per strapparlo a quel bandito che aveva fermato il treno e il cui attacco veniva a disturbare i suoi piani criminosi!… Ecco perché allora aveva combattuto così

valorosamente!… Ecco perché aveva arrischiato la vita e perché si era comportato tanto eroicamente… E tu, povero stupido di un Claudius, che ci sei caduto!… Ancora una topica!… Prenditi questa, amico mio! Per prima cosa, bisogna impedire a questo furfante di compiere la sua opera… Bisogna salvare il treno che è lanciato a tutta velocità verso il viadotto incompiuto… bisogna salvare i viaggiatori che corrono verso una spaventosa catastrofe… Me ne infischio, come di un fatto di vecchia cronaca, del tesoro che Faruskiar e i suoi complici sperano di appropriarsi dopo l'annientamento del treno!… Ma io e i viaggiatori… è un'altra cosa… vorrei raggiungere Popof… Impossibile… Mi sembra di essere inchiodato sul pavimento del bagagliaio… La mia testa non ragiona più… Ma è proprio vero che stiamo correndo verso l'abisso?… No!… Sono pazzo!… Faruskiar e i suoi compagni vi precipiterebbero anche loro. Parteciperebbero alla nostra sorte… perirebbero con noi! Ma ecco che ora si sentono delle grida provenire dalla parte anteriore del treno: grida di gente che si sta uccidendo… Nessun dubbio!… Il macchinista e il fuochista sono stati uccisi e sento che la velocità del treno incomincia a diminuire. Capisco… uno di quei miserabili sa manovrare la macchina e il rallentamento permetterà loro di saltare a terra e fuggire prima della catastrofe… Infine riesco a vincere il mio torpore… Traballando come un ubriaco è un miracolo se ho la forza di trascinarmi fino alla cassa di Kinko. Là, in poche parole, gli dico l'accaduto ed esclamo: — Siamo perduti… — No… forse — risponde lui. Prima che io faccia un solo movimento, Kinko è uscito dalla sua cassa, si precipita verso la porta del bagagliaio, s'arrampica sul tender esclamando: — Venite… Venite!… Non so come sia successo, ma in un attimo mi sono trovato accanto a lui sulla piattaforma della locomotiva, con i piedi nel sangue… il sangue del macchinista e del fuochista che sono stati buttati sulla strada ferrata.

In quanto a Faruskiar ed ai suoi complici, non ci sono più! Prima di fuggire, uno di loro ha allentato i freni, aperto abbondantemente le valvole d'immissione del vapore, caricato di combustibile il forno ed ora il treno corre a velocità pazza… In pochi minuti, avrà raggiunto il viadotto di Tjou… Kinko energico e risoluto non ha perso il sangue freddo. Ma invano tenta di maneggiare il manubrio, di controbattere il vapore, di arrestare la marcia stringendo i freni… Non sa come funzionino quei rubinetti e quelle leve… — Bisogna avvertire Popof! — grido. — E cosa farebbe?… No! non c'è che un modo… -Quale?… — Attizzare il fuoco — risponde calmo Kinko — caricare le valvole e far saltare la locomotiva… E dunque questo il solo modo — modo disperato — di fermare il treno prima che raggiunga il viadotto?… Kinko inforna palate di carbone sulla griglia del forno. Si produce così un eccessivo tiraggio che richiama delle masse d'aria attraverso la fornace, la pressione sale, il vapore esce dalle valvole fra un sibilare di giunti, borbottii della caldaia, stridore della macchina… La velocità aumenta e deve certo superare i cento chilometri orari… — Andate — mi grida Kinko — e rifugiatevi tutti nell'ultimo vagone… — E voi, Kinko?… E lo vedo attaccarsi con tutt'e due le mani alle valvole, e buttarsi con il suo peso sulle leve. — Ma andatevene, dunque! — mi grida. Mi arrampico sul tender, supero il bagagliaio, sveglio Popof urlando a pieni polmoni: — In fondo… in fondo!… Alcuni viaggiatori bruscamente destati si precipitano a lasciare i primi vagoni… Improvvisamente rimbomba una terribile esplosione seguita da una scossa violenta. A tutta prima, il treno ha come un moto di arretramento; poi, trascinato dalla velocità acquistata continua a procedere per un mezzo chilometro. Infine, si ferma…

Popof, il maggiore, il signor Caterna, la maggior parte dei viaggiatori saltiamo giù tutti sui binari… Nell'oscurità si vede confusamente un groviglio di impalcature in cima ai piloni che dovrebbero portare il viadotto della valle di Tjou… Duecento passi più avanti, il treno della Grande Transasiatica sarebbe stato inghiottito dal precipizio.

CAPITOLO XXV E io che chiedevo dei soggetti di cronaca, che temevo la noia di un viaggio di seimila chilometri, monotono e comune durante il quale non avrei trovato né un'impressione, né un'emozione suscettibile di essere tradotta in cronaca! E non è meno vero che ho commesso ancora una sciocchezza, e come famosa! Quel signor Faruskiar di cui, per telegramma, ho fatto un eroe per i lettori del "XX Siecle"! Decisamente con tutte le mie buone intenzioni, merito di esser messo fra i migliori dei ranghi che devono lastricare l'inferno. Come ho detto, siamo a duecento passi dalla valle di Tjou, una larga depressione che ha richiesto l'impianto di un viadotto lungo da trecentocinquanta a quattrocento piedi. Il fondo di questa vallata cosparso di rocce si trova a cento metri di profondità. Se il treno fosse caduto fino in fondo a questo baratro, nessuno di noi ne sarebbe uscito vivo. Questa memorabile catastrofe, interessantissima dal punto di vista della cronaca, avrebbe annoverato un centinaio di vittime. Ma grazie al sangue freddo, all'energia, alla dedizione del giovane romeno, siamo sfuggiti a questo orribile sinistro. Tutti?… No!… Kinko ha pagato con la vita la salvezza dei suoi compagni di viaggio. Infatti, in mezzo allo scompiglio generale, mia prima cura fu quella di ispezionare il bagagliaio, rimasto intatto. Evidentemente se Kinko fosse riuscito a sopravvivere all'esplosione avrebbe dovuto tornarvi a riprendere la sua prigione mobile e ad attendere che io potessi mettermi in comunicazione con lui. Ohimè! la cassa è vuota… vuota come quella di una società in stato fallimentare… Kinko è rimasto vittima del suo sacrificio. C'era, dunque, un eroe fra i nostri compagni di viaggio ma non era quel Faruskiar, l'abominevole bandito che si nascondeva sotto la veste di amministratore della Società di cui ho così maldestramente gettato il nome ai quattro venti! Era quel romeno umile e modesto,

quel povero fidan-zato che la fidanzata attenderà invano e che non vedrà mai più!… Ebbene! saprò rendergli giustizia… Racconterò quello che ha fatto… Il suo segreto, mi rimprovererei di conservarlo… Se ha frodato la Compagnia della Grande Transasiatica, è però grazie a quella frode che i viaggiatori di un intero treno sono in salvo! Se Kinko non ci fosse stato eravamo tutti perduti e saremmo periti tutti della morte più spaventosa! Sono ridisceso sui binari con il cuore gonfio e le lacrime agli occhi. Certo il colpo di Faruskiar — persino con l'intromissione del suo rivale Ki-Tsang — era ben congegnato grazie a quella diramazione di sei chilometri che conduceva al viadotto incompiuto. Niente di più facile che guidarvi il treno quando un complice avesse maneggiato lo scambio. Poi, dopo che un segnale convenuto avesse indicato che ci trovavamo sulla diramazione, non c'era altro da fare che raggiungere la piattaforma della locomotiva, uccidere il macchinista e il fuochista e dopo ciò, fuggirsene approfittando del rallentamento della macchina alla quale il forno surriscaldato non avrebbe tardato a rendere la sua velocità… Ed ora, senza dubbio, quei farabutti, degni delle più raffinate torture della giustizia cinese, stavano dirigendosi verso la vallata di Tjou. E là che fra i resti del treno essi si ripromettevano di recuperare i quindici milioni d'oro e di pietre preziose. E di quel tesoro avrebbero potuto impossessarsi senza tema di venir sorpresi perché la notte avrebbe loro permesso di commettere quel crimine spaventoso… Ebbene! quei ladroni sarebbero stati derubati a loro volta e spero che pagheranno un così abominevole misfatto con le loro teste… per lo meno! Ma so soltanto io quanto è accaduto, e lo dirò, poiché il povero Kinko è morto. Sì! ho deciso, parlerò dopo che avrò visto Zinca Klork… Bisogna che la povera ragazza venga avvertita con riguardo… non voglio che la notizia della morte del suo fidanzato si diffonda e la colga come un colpo di fulmine… Sì! … domani… appena saremo arrivati a Pechino… Sì!…E poi, dopo tutto se non voglio ancora dir niente riguardo a

Kinko, posso però denunciare Faruskiar, Ghangir e i quattro mongoli loro complici… Posso dire di averli visti attraversare il bagagliaio, di averli seguiti, di aver capito le loro intenzioni mentre s'intrattenevano sulla piattaforma, di aver inteso le urla di quei disgraziati uccisi sul loro posto di lavoro e che fu allora che ritornai verso i vagoni urlando: "Tutti indietro… tutti indietro!…" Del resto, come si vedrà, un altro i cui giusti sospetti sono diventati certezza, attende soltanto il momento opportuno per denunciare il preteso signor Faruskiar! Il maggiore Noltitz, il barone tedesco, il signor Caterna, Fulk Ephrinell, Pan-Chao, Popof, una ventina di altre persone oltre a me siamo ora riuniti in gruppo in testa al treno. Inutile dire che, fedeli alla loro consegna, le guardie cinesi sono rimaste accanto al tesoro che nessuno di loro avrebbe osato abbandonare. L'impiegato del bagagliaio di coda arriva portandone i fanali che con la loro luce potente, ci permettono di vedere lo stato in cui si trova la locomotiva. Il treno, spinto ad una velocità eccessiva non si è bruscamente fermato (cosa che ne avrebbe causato la distruzione totale) perché l'esplosione si è verificata nella parte superiore e laterale della caldaia. Siccome le ruote hanno resistito, la locomotiva ha continuato a procedere sulle rotaie per un po' di tempo perdendo velocità. Da ciò è risultato che il treno si è fermato da solo e per questo i viaggiatori se la sono cavata con una semplice scossa violenta. Quanto alla caldaia e ai suoi accessori, non ne restano che degli informi rottami. La ciminiera, il duomo, il cassetto di distribuzione del vapore sono scomparsi: rimangono solo lamiere sventrate, condotti spezzati e contorti e tutto un insieme di tubature scoppiate, cilindri a pezzi, bielle disarticolate: piaghe aperte di questo cadavere d'acciaio. Non soltanto è distrutta la locomotiva, ma anche il tender è fuori servizio. Le casse per l'acqua sono sfondate mentre il carico di carbone si è sparso tutto sul binario. In quanto al bagagliaio è veramente un miracolo che sia stato appena danneggiato. Considerando gli effetti di questa terribile esplosione mi spiego come non ci sia stata una sola probabilità di scampo per il giovane romeno, ucciso e ridotto a brandelli!… Quindi dopo aver vagato

lungo i binari per un centinaio di metri, non mi sono meravigliato di non trovar niente di lui!… Guardiamo il disastro, in silenzio dapprima; poi incominciamo a scambiarci le nostre considerazioni. — Nessun dubbio — dice uno dei viaggiatori — che il manovratore e il fuochista siano periti nell'esplosione! — Poveretti! — risponde Popof. — Mi domando però come abbia fatto il treno a immettersi sulla diramazione di Nanking senza che essi se ne accorgessero!… — La notte è molto scura — osservò Fulk Ephrinell — e il macchinista non avrà visto che lo scambio era spostato. — E la sola spiegazione possibile — rispose Popof — altrimenti avrebbe cercato di fermare il treno, mentre eravamo invece lanciati a una velocità spaventosa… — Ma come mai — dice Pan-Chao — la diramazione per Nanking era aperta, visto che il viadotto di Tjou non è finito? Lo scambio è dunque stato manovrato? — Senza dubbio — risponde Popof. — Molto probabilmente è in seguito a una negligenza… — No… a una idea malvagia — replica Fulk Ephrinell. — C'è stato un delitto, un delitto premeditato per distruggere il treno e far perire tutti i viaggiatori. — E a che scopo? — chiede Popof. — Allo scopo di rubare il tesoro imperiale, — esclama Fulk Ephrinell. — Dimenticate che quei milioni potevano tentare dei banditi? Non è forse stato per saccheggiarlo che il nostro treno è stato attaccato fra Tchertchen e Tcharkalyk?… L'americano non sapeva di dir così giusto. — Così — disse Popof — voi pensate che dopo l!aggressione di Ki-Tsang, altri banditi… Fino allora il maggiore Noltitz non aveva preso parte al colloquio, ma eccolo interrompere Popof e alzando la voce in modo che tutti noi potessimo sentire: — Dov'è il signor Faruskiar? Tutti si voltano domandandosi che ne è dell'amministratore della Compagnia.

— Dov'è il suo compagno Ghangir? — riprende il maggiore. Nessuna risposta. — Dove sono i quattro mongoli che occupavano l'ultimo vagone? — domanda ancora il maggiore Noltitz. Nessuno di loro si presenta. IL signor Faruskiar non risponde all'appello. Popof penetra nel vagone dove stava di solito quel personaggio… Il vagone è vuoto. Vuoto?… No. Sir Francis Trevellyan è tranquillamente seduto al suo posto assolutamente estraneo a ciò che accade. E forse cosa che lo riguarda? E poi non bisogna dire che su queste ferrovie russocinesi c'è proprio il colmo dell'incuria e del disordine!… Uno scambio aperto, non si sa da chi!… Un treno che prende una strada sbagliata!… Che amministrazione: tanto ridicola quanto moscovita! — Ebbene! — disse allora il maggiore Noltitz — il malfattore che ha lanciato il treno sulla diramazione di Nanking, quello che ha voluto farlo precipitare nella vallata di Tjou per impossessarsi del tesoro imperiale, non è altri che Faruskiar! — Faruskiar! — esclamano i viaggiatori. E la maggioranza di essi si rifiuta di prestar fede all'accusa formulata dal maggiore Noltitz. — Come!— dice Popof — sarebbe questo amministratore della Compagnia che si è comportato così coraggiosamente durante l'assalto dei banditi, che ha ucciso con le sue mani Ki-Tsang il loro capo… Allora entro in scena io. — Il maggiore non si sbaglia — dico. — È Faruskiar che ha organizzato questo bel colpo! E in mezzo alla meraviglia generale, racconto tutto quello che so, quello che il caso mi ha fatto conoscere. Dico come ho sorpreso il piano di Faruskiar e dei mongoli quando era troppo tardi per impedirne l'esecuzione: l'unica cosa che non dico è dell'intervento di Kinko. Quando sarà giunto il momento, saprò fargli giustizia. Alle mie parole, segue un concerto di maledizioni e di minacce. Che! quel signor Faruskiar… quel mongolo così fiero… quel

funzionario che abbiamo visto all'opera!… No!… E impossibile… Ma bisogna arrendersi all'evidenza… Ho visto… ho sentito… affermo che Faruskiar è l'autore di questa catastrofe in cui doveva perire l'intero nostro treno e che è proprio il più terribile bandito che abbia mai operato in Asia Centrale! — Vedete, signor Bombarnac, i miei primi sospetti non mi avevano ingannato — mi dice a parte il maggiore Noltitz. — E fin troppo vero — ho risposto — e, ne convengo senza falsa vergogna, mi sono lasciato abbindolare dalle arie di questo abominevole mascalzone! — Signor Claudius — interviene il signor Caterna che ci ha raggiunti in quel momento — mettete tutto ciò in un romanzo, e vedrete se non si griderà che la cosa è inverosimile! Il signor Caterna ha ragione, ma per inverosimile che sia, è proprio così! E inoltre per tutti, eccetto che per me che conosco il segreto di Kinko, è proprio da considerare un miracolo che la locomotiva si sia fermata sull'orlo del precipizio a causa di quell'esplosione provvidenziale. Ora che ogni pericolo è scomparso, si tratta di provvedere immediatamente a rimettere i vagoni del treno sulla linea di Pechino. — La cosa più semplice — dice Popof — è che alcuni di noi si sacrifichino… — Io sarò uno di quelli! — esclamò il signor Caterna. — Che si deve fare? — aggiungo io. — Raggiungere la stazione più vicina, — riprende Popof — quella di Fuen-Choo, e da lì telegrafare alla stazione di Tai-Yuan perché inviino un locomotore di soccorso. — A che distanza è, questa stazione di Fuen-Choo? — chiede Fulk Ephrinell. — Siamo a sei chilometri circa, dalla diramazione per Nanking — risponde Popof — e la stazione di Fuen-Choo si trova circa a cinque chilometri al di là di quella. — Undici chilometri — riprende il maggiore — per dei buoni camminatori è affare di un'ora e mezzo. Prima delle tre, la macchina spedita da Tai-Yuan potrebbe aver raggiunto il treno in difficoltà.

Sono pronto a partire… — Anch'io — dice Popof — però penso che sarà bene essere in un buon numero. Chi sa che non si debbano incontrare per strada Faruskiar e i suoi mongoli! — Avete ragione, Popof — risponde il maggiore Noltitz — e dobbiamo anche essere ben armati. È più che prudente poiché i banditi che devono essersi diretti verso il viadotto di Tjou, non devono essere troppo lontani. E vero, però, che quando si accorgeranno di aver fallito il colpo si affretteranno a battersela. Come oserebbero, in sei, attaccare un centinaio di viaggiatori senza contare i soldati cinesi preposti alla custodia del tesoro imperiale? Una dozzina di noi, fra cui oltre a me, il signor Caterna e PanChao, si offrono di accompagnare il maggiore Noltitz. Però siamo tutti d'accordo nel consigliare a Popof di non abbandonare il treno, assicurandogli che faremo noi tutto il necessario a Fuen-Choo. Quindi, armati di pugnali e revolver, — è la una e mezzo del mattino — prendiamo la strada lungo i binari che risalgono verso la biforcazione delle due linee camminando il più rapidamente possibile, per quanto lo permetta questa notte molto scura. In meno di due ore, raggiungiamo la stazione di Fuen-Choo senza fare alcun cattivo incontro. Evidentemente Faruskiar deve esser tornato sui propri passi. Sarà la polizia cinese che dovrà occuparsi di catturare questo bandito e i suoi complici. Ci riuscirà?… Me lo auguro, ma non ci spero troppo. Alla stazione, Pan-Chao si abbocca con il capostazione che fa chiedere telegraficamente che una locomotiva venga mandata da TaiYuan alla diramazione di Nanking. Sono le tre, incomincia a farsi giorno e noi andiamo ad attendere la locomotiva alla biforcazione. Dopo tre quarti d'ora, dei fischi lontani annunciano il suo arrivo e infatti essa viene a fermarsi al punto di raccordo delle due linee. Appena ci siamo ammucchiati nel tender, la locomotiva si avvia per la diramazione e una mezzora dopo raggiungiamo il treno. Il giorno è ora abbastanza chiaro per permettere ai nostri sguardi di stendersi per un raggio di visuale sufficientemente ampio. Senza

dir niente a nessuno, vado alla ricerca del corpo del mio povero Kinko e non ne trovo il benché minimo resto! Siccome non si può mettere la locomotiva davanti al treno, perché in questo punto non c'è né doppio binario, né piattaforma girevole, si decide che essa viaggerà a ritroso fino alla biforcazione dopo aver abbandonato il tender e la macchina assolutamente fuori uso. Ne verrà di conseguenza che il bagagliaio dove si trova la cassa, purtroppo vuota, dell'infelice romeno viene a trovarsi in coda al nostro treno. Si parte, e in mezz'ora raggiungiamo lo scambio della linea ferroviaria principale per Pechino. Per fortuna, non è stato necessario tornare a Tai-Yuan, il che ci ha risparmiato un'ora e mezzo di ritardo. Prima di superare la deviazione, la locomotiva è venuta a mettersi in direzione di FuenChoo; poi i vagoni uno dopo l'altro sono stati spinti fino al di là della biforcazione e il treno si è ricostituito nella sua normale formazione. A partire dalle cinque, attraversavamo a velocità regolarmente la provincia di Petchili. Non ho nulla da raccontare su questa nostra ultima giornata di viaggio, durante la quale il nostro macchinista — devo rendergli questa giustizia — non ha fatto proprio nulla per cercare di riguadagnare il tempo perduto. Ma se a noi qualche ora di più o di meno importano poco, non è così per il barone Weissschnitzerdörfer che deve prendere a Tien-Tsin il piroscafo per Yokohama. Infatti, quando siamo arrivati verso mezzogiorno, il piroscafo era partito da tre quarti d'ora e appena il globe-trotter tedesco — rivale delle Bly e delle Bisland — si è precipitato sul marciapiede della stazione è stato per sentirsi dire che il detto piroscafo usciva in quel momento dalle bocche del Pei-Ho, per entrare in mare aperto. Disgraziato viaggiatore! Non meravigliamoci dunque se il nostro treno deve sopportare una bordata di imprecazioni teutoniche che il barone lancia da "dritta e da sinistra" come avrebbe detto il signor Caterna. E francamente è nel suo pieno diritto di bestemmiare nella sua lingua madre! Siamo rimasti solo un quarto d'ora a Tien-Tsin. Quindi i lettori del "XX Siecle" mi perdonino se non ho potuto visitare quella città di

cinquecentomila abitanti, la città cinese dei templi, il quartiere europeo dove si concentra il traffico commerciale, i viali lungo il Pei-Ho che centinaia di giunche solcano nei suoi due sensi… La colpa è di Faruskiar che, anche solo per aver intralciato i miei compiti di reporter, si merita di essere suppliziato dal più fantasioso dei carnefici cinesi! Nessun incidente ha turbato le ultime tappe del nostro percorso. Ciò che mi rattrista profondamente è il pensiero che non ritorno con Kinko e che la sua cassa è vuota!… E lui che mi aveva affidato l'incarico di accompagnarlo dalla signorina Zinca Klork! Come farò a dire a quella disgraziata signorina che il suo fidanzato non è giunto alla stazione di Pechino?… Per concludere, tutto ha una fine in questo mondo, anche un viaggio di seimila chilometri sulla linea della Grande Transasiatica e dopo un viaggio di tredici giorni, un'ora dopo l'altra il nostro treno si è fermato alle porte della capitale del Celeste Impero.

CAPITOLO XXVI —PECHINO, tutti scendono! — grida Popof. E il signor Caterna gli risponde con cadenza parigina: — Ti credo, vecchia mia! E tutti sono scesi. Sono le quattro del pomeriggio. Per delle persone stanche per trecentododici ore di viaggio non è questo il momento di andarsene in giro per la città, che dico mai, le quattro città, incastrate una nell'altra. Del resto, ne ho tutto il tempo poiché il mio soggiorno in questa capitale deve durare alcune settimane. L'essenziale è trovare un albergo dove si possa abitare in modo decente. Da informazioni prese, c'è da credere che l'Hotel des Dix mille Songes, vicino alla stazione, ci offrirà delle comodità non lontane dalle nostre abitudini occidentali. Quanto alla signorina Zinca Klork, rimando a domani la visita che devo farle. Giungerò da lei prima che la cassa sia stata inoltrata al suo domicilio e troppo presto, ahimè! poiché sarà per annunciarle la morte del suo fidanzato. Il maggiore Noltitz abiterà nel mio stesso albergo: non devo quindi congedarmi da lui, né dai coniugi Caterna che vi resteranno per una quindicina di giorni prima di partire per Shangai, Quanto a Pan-Chao e al dottor Tio-King, una vettura li aspetta per condurli allo yamen abitato dalla famiglia del giovane cinese. Ma ci rivedremo. Degli amici non si separano così alla spiccia e la stretta di mano che ci scambiamo nello scendere dal vagone non sarà l'ultima. Il signor e la signora Ephrinell lasceranno subito la stazione per occuparsi dei loro affari che li costringono a trovarsi un albergo nel quartiere commerciale della cinta cinese. Ma non se ne andranno senza prima aver ricevuto il nostro addio. Perciò io e il maggiore Noltitz raggiungiamo l'amabile coppia con la quale scambiamo i convenevoli d'uso. — Finalmente — dico a Fulk Ephrinell — i quarantadue colli della ditta Strong Bulbul and Co. sono giunti felicemente in porto!

Ma c'è mancato poco che l'esplosione della nostra locomotiva non rompesse i vostri denti artificiali… — Avete ragione, signor Bombarnac — mi risponde l'americano — i miei denti l'hanno scampata bella. Quante avventure dopo la nostra partenza da Tiflis! … Decisamente questo viaggio è stato assai meno monotono di quanto pensassi… — E poi — interviene il maggiore — vi siete sposato durante il viaggio… se non sbaglio! — Wait a bit! — replica l'americano in tono bizzarro. — Scusate… abbiamo premura… — Non vogliamo trattenervi, signor Ephrinell — ho risposto — e permettetemi di dire arrivederci alla signora Ephrinell e a voi… — Arrivederci — risponde quest'inglese americanizzata ancora più secca all'arrivo che alla partenza. Poi, voltandosi: — Non ho tempo di aspettare, signor Ephrinell… — E nemmeno io, signora — risponde l'americano. Signor… signora! … via, non ci si chiama già più Fulk e Horatia! E allora senza che nessuno dei due abbia offerto il braccio all'altro, varcano entrambi la porta d'uscita… Ho idea che il rappresentante sia andato a destra mentre la rappresentante volgeva a sinistra. Dopotutto è affar loro. Restava il mio numero 8, sir Francis Trevellyan, il personaggio muto che non ha pronunciato verbo per tutta la rappresentazione, voglio dire per tutto il viaggio. Eppure vorrei proprio sentire il suono della sua voce, anche solo per un attimo. Ah! se non mi sbaglio, questo sta per accadere proprio ora. Infatti, il flemmatico inglese è lì, volgendo lo sguardo sdegnoso da un vagone all'altro. Ha appena tolto un sigaro dal suo astuccio di marocchino giallo. Ma, scuotendo la scatola dei fiammiferi, si accorge che è vuota. Io ho il sigaro, un ottimo "londres", acceso e lo sto fumando con la beata soddisfazione dell'amatore ma anche con il rimpianto dell'individuo che sa di non trovarne l'eguale in tutta la Cina. Sir Francis Trevellyan ha visto il bagliore del mio sigaro e avanza verso di me.

Credo che mi chiederà di dargli del fuoco o piuttosto "della luce" come dicono gli inglesi e aspetto il some light tradizionale. Il gentiluomo si limita a tendere la mano e, macchinalmente io gli tendo il sigaro. Egli lo prende allora fra il pollice e l'indice, ne fa cadere la cenere bianca, vi accende il suo e allora io penso che se non ho sentito il some light sentirò almeno un… thank you, sir. Affatto! dopo aver aspirato un paio di volte il suo sigaro, sir Francis Trevellyan butta per terra il mio con noncuranza, poi, senza nemmeno salutare, tenendo la sinistra da vero londinese, con passo misurato, lascia la stazione. Come, non avete detto nulla?… No! sono rimasto come uno stupido. Non mi è venuta né una parola, né un gesto… Davanti a quella mancanza di cortesia ultrabritannica, sono rimasto interdetto mentre il maggiore Noltitz non ha potuto trattenere un fragoroso scoppio di risa. Ah! se lo ritrovo, quel gentiluomo… Ma non ho mai più rivisto sir Francis Trevellyan di Trevellyan Hall, Trevellyanshire. Una mezz'ora dopo, siamo sistemati all'Hotel des Dix mille Songes. Là ci hanno servito un pranzo confezionato secondo l'inverosimile cucina celestiale. Terminato il pasto, a partire dalla seconda veglia — per usare l'espressione cinese — ci addormentiamo, in letti troppo stretti e in camere poco confortevoli, ma non del sonno del giusto bensì di quello dello stremato, che vale quanto il primo. Non mi sono svegliato prima delle dieci e forse avrei dormito anche tutta la mattina se non mi fosse tornato in mente che avevo una missione da compiere. E che missione! Dovevo andare in viale ChaCoua prima che la funesta cassa venisse consegnata alla sua destinataria, signorina Zinca Klork. Mi alzo, dunque. Ah, se Kinko non fosse morto, sarei tornato in stazione… come gli avevo promesso, avrei assistito allo scarico della preziosa cassa… avrei sorvegliato che arrivasse sul carro con tutti i riguardi… l'avrei accompagnata fino al viale Cha-Coua… avrei anche aiutato a trasportarla nella camera della signorina Zinca Klork!… E che doppia esplosione di gioia quando il fidanzato si

sarebbe slanciato fuori dal pannello per cadere nelle braccia della bella romena!… Invece no! Quando la cassa arriverà, sarà vuota, vuota come un cuore di cui è sfuggito tutto il sangue! Verso le undici lascio l'Hotel des Dix mille Songes; scorgo una di quelle carrozze cinesi che sembrano dei palanchini con le ruote, do l'indirizzo della signorina Zinca Klork, ed eccomi in strada. Come si sa, delle diciotto province della Cina, quella di Petchili è quella che occupa la posizione più settentrionale. Formata da nove dipartimenti, ha per capitale Pechino, una volta detta Chim-Kin-Fo che vuol dire "città del primo ordine che ubbidisce al cielo". Non so se questa capitale ubbidisca davvero al cielo, ma certo essa ubbidisce alle regole della geometria rettilinea. Ci sono quattro città — quadrate o rettangolari — una dentro l'altra: la città cinese che contiene la città tartara, questa, a sua volta, contiene la città gialla o Hung-Tching, la quale contiene la città rossa o Tsen-KaiTching, vale a dire "la città proibita". E in questa cinta simmetrica di sei leghe si contano più di due milioni di quegli abitanti, tartari o cinesi, che vengono chiamati i tedeschi dell'oriente, senza contare alcune migliaia di mongoli e di tibetani. Che ci sia un grande andirivieni di passanti per queste strade me ne accorgo dagli ostacoli che la mia carrozza incontra a ogni passo: mercanti ambulanti, carrette caricate troppo pesantemente, mandarini con i loro seguiti numerosi. Per non parlare di quegli abominevoli cani vagabondi, per metà sciacalli e per metà lupi, spellati e rognosi, dall'occhio falso, dalle zanne minacciose che per nutrimento hanno solo immondi detriti e che detestano i forestieri. Fortunatamente non sono a piedi e non ho affari nella città rossa, dove è proibito penetrare, né nella città gialla, e nemmeno in quella tartara. La città cinese forma un parallelogramma rettangolare, diviso da nord a sud dalla Grande Avenue che va dalla porta Houng-Ting alla porta Tien e attraversato dall'est all'ovest dal viale Cha-Coua che, dalla porta di questo nome, va alla porta di Couan-Tsa. Con questa indicazione nulla di più facile per trovare la dimora della signorina Zinca Klork, ma niente di meno comodo per andarvi, dato l'ingombro delle strade di questa prima cinta.

Finalmente, un po' prima di mezzogiorno, arrivo a destinazione. La carrozza si ferma davanti a una casa di apparenza modesta occupata da artigiani che lavorano a domicilio, e, come dice l'insegna, più particolarmente da stranieri. E al primo piano, la cui finestra dà sul viale, che abita la giovane romena la quale, se non l'avete dimenticato, dopo aver imparato il mestiere di modista a Parigi, è venuta a esercitarlo a Pechino dove ha già una discreta clientela. Salgo a questo primo piano. Leggo il nome della signorina Zinca Klork su una porta. Busso. Mi viene aperto. Eccomi davanti a una signorina proprio seducente come diceva Kinko. E una ragazza bionda, di ventidue o ventitré anni con gli occhi neri caratteristici del tipo romeno, una bella figura, una fisionomia graziosa e sorridente. Infatti, non è forse stata informata che il treno della Grande Transasiatica nonostante tutte le peripezie del viaggio è in stazione da ieri sera e non aspetta quindi ella forse il suo fidanzato da un momento all'altro? E io, con una parola, spegnerò quella gioia, soffierò su quel sorriso… La signorina Zinca Klork è molto sorpresa di vedere uno sconosciuto alla sua porta. Siccome ha vissuto in Francia per diversi anni non esita a riconoscermi per francese e mi chiede che cosa le procura l'onore di vedermi. Bisogna che faccia attenzione alle mie parole, poiché minaccerei di ucciderla, povera figliola! — Signorina Zinca… — dico. — Voi sapete il mio nome? — esclama lei. — Sì, signorina… sono arrivato ieri con il treno della Grande Transasiatica… La signorina impallidisce, i suoi begli occhi si intorbidano. Evidentemente ha ragione di temere… Kinko è stato sorpreso nella sua cassa, la frode è stata scoperta?… l'hanno arrestato… è in carcere?… Mi affretto ad aggiungere: — Signorina Zinca… certe circostanze… mi hanno messo al corrente… del viaggio di un giovane romeno…

— Kinko… il mio povero Kinko… l'hanno scoperto?… — mi risponde lei con voce tremante. — No… no… — dico io, esitando. — Nessuno ha saputo niente all'infuori di me… Sono stato spesso a trovarlo nel bagagliaio… di notte… siamo diventati come due compagni… due amici… Gli portavo qualche rifornimento… — Oh, grazie, signore! — dice la signorina Zinca Klork, afferrandomi le mani. — Con un francese, Kinko era sicuro di non venir tradito, anzi di averne aiuto!… Grazie… grazie!… Mi sento sempre più spaventato della notizia che devo dare a questa signorina. — E nessuno ha mai sospettato della presenza del mio caro Kinko? — mi chiede. — Nessuno. — Che volete, signore, noi non siamo ricchi… Kinko non aveva denaro… laggiù… a Tiflis… e io non ne avevo ancora abbastanza per pagargli il biglietto del viaggio… Ma è arrivato, infine… troverà lavoro perché è un bravo operaio e appena potremo rimborsare la Compagnia… — Sì… lo so… lo so… — E poi ci sposeremo, signore… lui mi vuol tanto bene e io glielo ricambio! … Ci siamo conosciuti a Parigi, due del paese, come dite voi… Era così gentile con me!… Allora, quando è tornato a Tiflis, l'ho pregato tanto di venire a raggiungermi che lui ha pensato di chiudersi in una cassa… Povero ragazzo, come doveva starci male!… — Ma no, signorina Zinca… ma… — Ah! quanto sarò felice di pagare il porto del mio caro Kinko… — Sì… pagare il porto… — Non tarderà molto, ora? … — No… e nel pomeriggio… certamente… Non so più cosa rispondere. — Signore — mi dice Zinca Klork, — Kinko ed io dobbiamo sposarci una volta assolte tutte le formalità e se non è abusare della vostra gentilezza, ci farete piacere e ci onorerete se vorrete assistere al nostro matrimonio…

— Al vostro matrimonio… certamente… L'ho promesso al mio amico Kinko… Povera ragazza!… non posso lasciarla in questa situazione. Bisogna dire tutto… tutto. — Signorina Zinca… Kinko… — E lui, signore, che vi ha detto di annunciarmi il suo arrivo, vero?… — Sì, signorina Zinca! Ma… capirete… Kinko è… piuttosto stanco… dopo un percorso così lungo… — Stanco?… — Oh! non spaventatevi! — E forse ammalato?… — Sì… un po'., indisposto. — Allora, vado… Bisogna che lo veda… signore, vi scongiuro, accompagnatemi alla stazione… — No, sarebbe un'imprudenza, signorina Zinca! State qui… state qui! Zinca Klork mi guarda fisso. — La verità, signore, la verità! — dice. — Non nascondetemi nulla… Kinko… — Sì… devo darvi… una triste notizia… Zinca Klork sta per svenire… Le tremano le labbra… può appena pronunciar parola… — E stato scoperto!… — dice. — La frode si è venuta a sapere!… L'hanno arrestato. . — Volesse il cielo che non fosse che questo!… signorina… abbiamo avuto degli incidenti… durante il viaggio… Il treno ha minacciato di venir distrutto… Una catastrofe spaventosa… — E morto!… Kinko è morto! La disgraziata Zinca cade su una sedia e — per usare la fraseologia immaginosa dei celestiali — le sue lacrime scendono come la pioggia in una notte autunnale! Ma non si può lasciarla in questo stato, povera ragazza!… Sta per perdere conoscenza… Non so più dove sono… Le prendo le mani… Non faccio che ripetere: — Signorina Zinca… signorina Zinca… In questo momento scoppia un gran tumulto davanti alla casa. Si

sentono delle grida, un frastuono di folla le accompagna e, in mezzo a quel tumulto, una voce… Gran Dio… non mi sbaglio!… E la voce di Kinko!… L'ho riconosciuta! Ma sono impazzito?… Zinca Klork, che si è alzata, si precipita alla finestra, l'apre e entrambi guardiamo fuori… Un carro da trasporto è fermo davanti alla porta. La cassa con le sue molteplici iscrizioni: Alto, Basso, Fragile, Specchi, Teme l'umidità è lì, mezza fracassata. Il veicolo è stato urtato da un carretto proprio nell'atto in cui si scaricava la cassa… Essa è caduta per terra… si è sfasciata… e Kinko ne è uscito fuori come un diavolino da una scatola a sorpresa… ma vivo, e come vivo!… Non posso credere ai miei occhi!… Come, il mio giovane romeno non è dunque perito nell'esplosione!… No! Come saprò ben presto, essendo stato gettato sulle rotaie quando la caldaia è scoppiata, dapprincipio rimase tramortito; poi, accorgendosi di non essere ferito, — un vero miracolo! — si è tenuto in disparte finché giunse il momento in cui poté rientrare nel bagagliaio senza essere visto. Io, intanto, ne ero già uscito e avendolo inutilmente cercato non potevo non dubitare che egli fosse stato la prima vittima della catastrofe. Dunque — o ironia della sorte! — aver compiuto un viaggio di seimila chilometri sulla ferrovia della Grande Transasiatica, rinchiuso in una cassa fra i bagagli, esser scampato a tanti pericoli, attacchi di banditi, esplosione di macchina, ed ecco che uno stupido incidente — lo scontro con un carretto in una strada di Pechino — fa perdere in un attimo a Kinko tutto il beneficio del suo viaggio… fraudolento, sia pure, ma veramente così… Non trovo parola degna di descrivere questa impresa prodigiosa. Vedendo apparire quell'essere vivente, il guidatore del carro si è messo a urlare. In un attimo la folla si è radunata; la frode è scoperta, arrivano i poliziotti… E cosa volete che faccia quel giovane romeno che non sa una parola di cinese e che per spiegarsi non ha che l'insufficiente lingua dei gesti? Così non riesce a farsi capire e del resto, che spiegazione avrebbe potuto dare? Io e Zinca Klork gli eravamo vicini. — La mia Zinca… la mia cara Zinca! — esclama lui stringendosi

al cuore la ragazza. — Kinko mio… mio caro Kinko! — esclama lei mescolando le sue lacrime a quelle di lui. — Signor Bombarnac… — dice il povero ragazzo che non ha altra speranza che nel mio intervento. — Kinko — ho risposto io — non disperatevi e contate su di me! Siete vivo, voi che credevamo morto… — Eh! non è che stiamo molto meglio — mormora lui. Errore. Qualunque cosa è sempre meglio della morte anche quando ci si vede minacciati di andare in carcere, sia pure in un carcere cinese. Ed è quello che è accaduto nonostante le suppliche della ragazza alle quali unisco le mie, senza riuscire a farmi capire, mentre Kinko veniva portato via dagli agenti fra le risa e lo schiamazzo della folla… Ma io non l'abbandonerò… No! dovessi smuovere cielo e terra, non l'abbandonerò.

CAPITOLO XXVII SE mai l'espressione "arenarsi in porto" può essere usata in senso preciso, è proprio in questa circostanza e mi si perdonerà di farne uso. Tuttavia non è detto che una nave che si arena in vista del porto debba essere decisamente perduta. Che la libertà di Kinko sia compromessa, in caso che il mio intervento e quello degli altri compagni di viaggio fossero inefficaci, siamo d'accordo. Ma egli è vivo e questo è l'essenziale. Del resto, non c'è da perder tempo, perché se la polizia in Cina lascia molto a desiderare è però immediata e spicciativa. Subito preso e subito impiccato, e Kinko non deve essere impiccato… nemmeno in senso figurato. Offro dunque il braccio alla signorina Zinca Klork e la conduco alla mia carrozza che ci riporta rapidamente all'Hotel des Dix mille Songes. Là ritrovo il maggiore Noltitz, il signor e la signora Caterna e, per un caso fortunato, il giovane Pan-Chao, senza il dottor Tio-King, questa volta. Pan-Chao certo non chiederà di meglio che di farsi nostro interprete presso le autorità cinesi. Allora, in cospetto della sconsolata Zinca riferisco ai miei compagni tutto ciò che riguarda il suo fidanzato, le condizioni in cui ha viaggiato Kinko e come ho fatto la sua conoscenza durante il viaggio. Spiego loro che, se ha frodato la Compagnia della Grande Transasiatica, è grazie a quella frode che ha potuto prendere il treno a Uzun-Ada. E se non l'avesse preso noi saremmo finiti inghiottiti dagli abissi della vallata di Tjou… E preciso i fatti che conosco io solo: sono io che ho sorpreso il bandito Faruskiar all'atto in cui stava per compiere il suo delitto, ma fu Kinko che, con pericolo della vita, con sangue freddo e coraggio sovrumano, riempi di combustibile il forno della locomotiva, si appese alle leve delle valvole e produsse l'arresto del treno facendo saltare la macchina. Che esplosione di Oh! e di Ah! esclamativi alla fine del mio

racconto mentre con uno slancio di riconoscenza un po' da gigione, il nostro tenore comico si mette a urlare: — Evviva Kinko!… Che venga decorato! Nell'attesa che il Figlio del Cielo conceda a questo eroe un qualsiasi Drago Verde, la signora Caterna prende le mani di Zinca Klork, l'attira a sé e l'abbraccia… l'abbraccia senza riuscir a trattenere le lacrime che sono proprie delle prime amorose, delle artiste in tutti i generi… Pensate, un romanzo d'amore interrotto all'ultimo capitolo. Ma badiamo al più urgente e, come grida il signor Caterna, "Tutti in scena per il quinto atto"; il quinto atto è quello in cui di solito si conclude il dramma. — Non possiamo lasciar condannare questo bravo ragazzo! — dice il maggiore Noltitz. — Dobbiamo andare dal direttore della Grande Transasiatica che venendo a conoscenza dei fatti sarà il primo a impedirne l'incriminazione. — Senza dubbio — risposi — dato che non si può negare che Kinko oltre al treno, abbia anche salvato tutti i viaggiatori… — Senza parlare del tesoro imperiale — aggiunge il signor Caterna — i milioni di Sua Maestà! — Niente di più vero — dice Pan Chao. — Il guaio è che Kinko è caduto nelle mani della polizia che l'ha portato in prigione ed è molto difficile uscire da una prigione cinese! — Affrettiamoci — ho risposto — e corriamo dal direttore della Compagnia. — Ma vediamo un po' — dice la signora Caterna — non potremmo quotarci tutti per rimborsare il prezzo del posto in treno?… — Ecco una proposta che ti fa onore, Caroline — esclama il tenore comico mettendo mano al taschino. — Signori, signori — risponde Zinca Klork con gli occhi lacrimosi — salvate il mio fidanzato prima che venga condannato… — Sì, carina — replica la signora Caterna — sì, cuor mio, lo salveremo il tuo fidanzato e se fosse il caso di dare uno spettacolo in suo favore… — Brava, Caroline, brava! — esclama il signor Caterna

applaudendo con l'energia di un sottocapo della claque. Lasciando la giovane romena alle carezze, esagerate ma sincere, dell'ottima artista in tutti i generi che non vuol più abbandonarla dichiarando che la considera come se fosse sua figlia e che la difenderà con tutte le sue forze, io, Pan-Chao, il maggiore Noltitz e il signor Caterna ritorniamo alla stazione dove si trova l'ufficio del direttore della Grande Transasiatica. Il direttore è nel suo ufficio e dietro richiesta di Pan-Chao veniamo introdotti al suo cospetto. Questi è un vero cinese in tutta l'accezione del termine e capace di tutte le sottigliezze amministrative; un funzionario che "funziona", vi prego di credere, e che darebbe dei punti ai suoi colleghi della vecchia Europa. Pan-Chao gli raccontala faccenda e, dato che quello capisce abbastanza bene il russo, io e il maggiore prendiamo pure parte alla discussione. Sì! C'è stata una discussione. Questo inverosimile celestiale insiste nel sostenere che il caso di Kinko è dei più gravi… Una frode compiuta in quelle condizioni… una frode esercitata su un intero percorso di seimila chilometri… una frode che danneggia per un migliaio di franchi la Compagnia della Grande Transasiatica e i suoi azionisti… Rispondiamo a questo cinese "cinesizzante" che tutto quello che lui dice è verissimo, ma che insomma il danno sarebbe stato ben altrimenti considerevole se il frodatore non fosse stato sul treno e non avesse salvato, a rischio della sua propria vita, non solo il materiale ferroviario, ma anche l'esistenza dei viaggiatori… Lo credereste? Quella vivente grottesca figurina di porcellana cinese ci fa capire che in fondo, da un certo punto di vista, sarebbe stato meglio dover rimpiangere la morte di un centinaio di vittime piuttosto che… Sì. Lo sappiamo bene! Periscano pure le colonie (e i viaggiatori di tutto un treno), ma che il principio sia rispettato! Per farla breve, non siamo riusciti a ottenere niente. La giustizia seguirà il suo corso con il frodatore Kinko. Ci siamo ritirati mentre il signor Caterna eruttava contro

quell'imbecille un sacco di bestemmie del gergo tanto marinaresco quanto teatrale. Cosa dovevamo fare? — Signori — ci dice Pan-Chao — so come si svolgono le cose in Cina e nel Celeste Impero. Non passeranno due ore da quando Kinko è stato arrestato e il momento in cui verrà condotto davanti al giudice del dipartimento, incaricato di occuparsi di questi generi di delitti: egli minaccia di subire non solo la prigione, ma anche la bastonatura… — La bastonatura… come a quello scemo di Zizel nel Si j'étais Roi? — esclama il nostro tenore comico. — Esattamente — risponde Pan-Chao. — Bisogna impedire questo abominio… — fa il maggiore Noltitz. — Per lo meno, bisogna tentare di farlo — prosegue Pan-Chao. — Per ciò, vi propongo di andare in tribunale dove cercherò di difendere il fidanzato della bella romena, e che possa "perdere la faccia" 4 se non riesco a cavarlo dai guai! Questo non è solo il miglior partito, ma anche l'unico che possiamo prendere. Usciamo dalla stazione e ci accalchiamo in una carrozza che in una ventina di minuti ci porta davanti alla bicocca di aspetto piuttosto miserevole dove funziona il tribunale del circondario. C'è folla. La notizia si è già divulgata. Tutti sanno che un frodatore si è fatto spedire da Tiflis a Pechino dentro una cassa in un bagagliaio della Grande Transasiatica, compiendo il viaggio gratuitamente. Tutti vogliono vederlo, tutti vogliono conoscere le sembianze di questo originale… Ma nessuno sa ancora che si tratta di un eroe! Eccolo là, il nostro bravo compagno, fra due agenti rebarbativi e gialli come mele cotogne. Quei disgraziati sono pronti a riportare in carcere il prigioniero, dietro ordine del giudice, e a somministrargli qualche dozzina di bastonate sulla pianta dei piedi nel caso che venga condannato a questo aumento di pena. 4

Espressione cinese che significa "Che io sia disonorato". (N.d.A.).

Kinko è avvilito e vergognoso, ciò che mi stupisce da parte di un ragazzo che so così energico. Vedendoci, però, la sua fisionomia si illumina di un raggio di speranza. In quel momento il guidatore del carro, appoggiato dalla testimonianza degli agenti, stava raccontando tutta la storia a un omino dagli occhiali che scuoteva il capo con aria poco rassicurante per il colpevole, il quale, poveretto, fosse anche stato innocente come un neonato, non avrebbe potuto difendersi non conoscendo una parola di cinese. È a questo punto che Pan-Chao si presenta. Il giudice lo conosce, gli sorride. Infatti il nostro compagno è figlio di un ricco mercante di Pechino fornitore autorizzato dagli spacci del té di Tung-Tien e di SungFong-Cao. Subito i cenni del capo dell'omino prendono un'aria più simpatica. Il nostro giovane avvocato si dimostra veramente patetico e spiritoso! Riesce a interessare il giudice e a commuovere l'uditorio facendo il racconto del viaggio e delle sue peripezie; poi fa l'offerta di rimborsare alla Compagnia quello che le è dovuto… Disgraziatamente il giudice non può accettare… C'è un danno materiale, oltre al danno morale, ecc.. ecc. Al che Pan-Chao, si anima e, benché noialtri non si capisca una parola di cinese, indoviniamo che parla del coraggio di Kinko, del sacrificio che avrebbe fatto della sua vita per la salvezza dei viaggiatori e da ultimo che è merito del suo cliente se il tesoro imperiale è stato salvato. Inutile eloquenza. Infatti gli argomenti non hanno nessun valore per questo magistrato inesorabile che durante tutto il corso della sua lunga carriera non ha mandato assolti che una diecina di accusati. Arriva a condonare la bastonata, ma applica sei mesi di carcere e il rimborso del danno, più gli interessi, alla Compagnia della Grande Transasiatica. A un cenno di questa macchina condannatrice, il povero Kinko viene portato via. Però, che i lettori del "XX Siecle" non s'impietosiscano sulla sorte di Kinko! Anche a costo di rimetterci cento righe della mia cronaca, preferisco dire addirittura che tutto si è poi accomodato.

Il giorno seguente, Kinko fa un'entrata trionfale nella casa del viale Cha-Coua dove ci trovavamo tutti riuniti mentre la signora Caterna prodigava le sue materne cure all'infelice Zinca Klork. I giornali si erano impadroniti del caso. Il "Chi-Bao" di Pechino e il "Chinese-Times" di Tien-Tsin avevano reclamato la grazia del giovane romeno. Quelle grida di misericordia erano giunte ai piedi del Figlio del Cielo, al posto stesso dove si trovano le sue orecchie imperiali. Inoltre Pan-Chao ha fatto pervenire a Sua Maestà una supplica in cui riferiva gli incidenti di viaggio e insistendo soprattutto sul punto che, senza la dedizione di Kinko, l'oro e le pietre preziose a quell'ora sarebbero stati nelle mani di Faruskiar e dei suoi banditi. E per Budda! ciò valeva ben altro che sei mesi di prigione! Sì! valeva ben quindicimila taels, vale a dire più di centomila franchi e in uno slancio di generosità il Figlio del Cielo li aveva mandati a Kinko insieme al condono della pena. Non sto a descrivere la gioia, la felicità, l'entusiasmo che questa notizia, portata da Kinko in persona, procurò a tutti i suoi amici e in particolare alla bella Zinca Klork. Questi sentimenti non si possono esprimere in nessuna lingua, nemmeno nella lingua cinese benché essa si presti tanto generosamente alle metafore più inverosimili. Ed ora, gli abbonati del "XX Siecle" mi concedano di dare le ultime notizie sui compagni di viaggio i cui numeri sono notati nel mio taccuino di reporter. Numero 1 e 2, Fulk Ephrinell e signorina Horatia Bluett: non essendo riusciti ad accordarsi sulle diverse percentuali stipulate nei loro accordi matrimoniali, hanno divorziato tre giorni dopo il loro arrivo a Pechino. È come se il matrimonio non fosse mai stato celebrato durante il viaggio sulla Grande Transasiatica e la signorina Horatia Bluett è rimasta la signorina Horatia Bluett. Che Dio conceda la grazia alla magra e secca rappresentante di commercio di far larga messe di capigliature cinesi e al pratico rappresentante di abbellire con i suoi denti artificiali tutti i palati del Celeste Impero! Numero 3, il maggiore Noltitz: si occupa dei lavori dell'ospizio che è venuto a fondare a Pechino in nome del governo russo e quando giunse l'ora della separazione sentii di lasciare un vero amico

in quei paesi lontani. Numeri 4 e 5, signor e signora Caterna: dopo un soggiorno di tre settimane nella capitale del Celeste Impero, il simpatico tenore comico e la gentile artista in tutti i generi sono partiti alla volta di Shangai, dove attualmente fanno la delizia della residenza francese. Numero 6, il barone Weissschnitzerdörfer, di cui scrivo per l'ultima volta il nome interminabile. Ecco, questo giramondo non ha soltanto perso il piroscafo a Tien-Tsin, ma, un mese più tardi, l'ha perduto anche a Yokohama; in seguito, dopo sei settimane, ha fatto naufragio presso il litorale della Colombia inglese, e da ultimo, per un deragliamento sulla linea San Francisco-New York è riuscito a stento a terminare il suo giro del mondo… in centottantasette giorni, anziché in trentanove. Numeri 9 e 10, Pan-Chao e il dottor Tio-King: cosa posso dirvi, se non che Pan-Chao è rimasto il parigino che avete conosciuto e che tutte le volte che viene in Francia, ci troviamo riuniti a un pranzo da Durand o da Marguery. In quanto al dottore, è arrivato a non mangiar altro che un tuorlo d'uovo al giorno come Cornaro, il suo maestro e quindi spera di vivere fino a centodue anni seguendo l'esempio del nobile veneziano. Numero 8, sir Francis Trevellyan e numero 12, signor Faruskiar: non ho mai rivisto il primo che mi deve una riparazione e un sigaro, e non ho mai sentito dire che il secondo sia stato impiccato. Certamente l'illustre bandito dopo aver dato le dimissioni da amministratore della Grande Transasiatica, continua la sua carriera più redditizia nelle province mongole E infine Kinko, il mio numero 11: non è necessario che vi dica che il mio numero 11 ha sposato con gran cerimonia la signorina Zinca Klork. Abbiamo assistito al loro matrimonio e se il Figlio del Cielo ha largamente dotato il giovane romeno, la giovane romena ha ricevuto un regalo magnifico a nome dei viaggiatori del treno, salvati dal suo fidanzato. Questo è il resoconto fedele del viaggio. Ho fatto del mio meglio per assolvere il mio compito di reporter durante tutta la lunga strada e speriamo che la direzione del "XX Siecle" se ne dichiari soddisfatta nonostante i guai e le topiche che ben sapete! In quanto a me, dopo aver trascorso tre settimane a Pechino, sono

rientrato in Francia via mare. Ora non mi resta da fare che una confessione dolorosa per il mio amor proprio: all'indomani dell'arrivo nella capitale del Celeste Impero, avevo ricevuto un telegramma in risposta al mio da LanTchéou, redatto in questi termini: Claudius Bombarnac, Pechino, Cina Direzione "XX Siecle" incarica corrispondente Claudius Bombarnac presentare rallegramenti e omaggi signor Faruskiar. Io però, ho sempre sostenuto che questo telegramma non è mai pervenuto al suo destinatario, ragion per cui gli fu risparmiata la contrarietà di rispondervi.

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