Islam - Filoramo riassunto Doc
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“Islam”, a cura di Giovanni Filoramo UNO. MUHAMMAD Muhammad, il Profeta, figlio di Amina e ‘Abd Allah, del clan coreiscita dei B. Hashim, nacque il lunedì 12 del mese lunare di Rabi’I, nel 570 circa. Restò orfano e venne cresciuto prima dal nonno paterno e poi dal fratello germano del padre, Abu Talib. A 25 anni sposa Khadiga, dei Makhum, e si occupa di organizzare le carovane e dirigere il patrimonio della ricca moglie. Degli anni precedenti alla conversione si sa poco: la religione musulmana parla esclusivamente di due episodi principali: 1. Incontro con il monaco arabo Bahira. 2. Partecipazione al restauro della Ka’ba che lo vide designato per ricollocare al suo posto la pietra nera. A 40 anni, nel mese di Ramadan, durante un ritiro spirituale, ebbe la rivelazione coranica: gli apparve l’angelo Gabriele (Gìbra’ila) che lo salutò chiamandolo “Inviato di Dio” e gli fece ascoltare e recitare la prima rivelazione coranica. La moglie Khadiga fu la prima a credere al racconto del Profeta, sconvolto per la visione, e lo fece incontrare col cugino Asad che era hanif di grande dottrina: costui gli chiarì che era stato visitato dallo stesso Namus che Dio aveva inviato a Mosè. Accettare la cosa non fu facile, per il timore di essere preso per pazzo. Questo, cui si aggiunse un arresto delle rivelazioni, porto Muhammad sull’orlo del suicidio. A trarlo dalla disperazione intervenne la ripresa del flusso rivelativo. L’esperienza venne divulgata all’interno delle mura domestiche e trova due sostenitori in due giovani: Zayd, schiavo affrancato, e il cugino ‘Ali Talib. Cosa dicevano le rivelazioni? Esistenza di un unico Dio, Allah, Dio d’amore per chi a Lui si affida ma severo con chi da Lui si allontana; esistenza di una vita oltre la morte e del giudizio finale cui è chiamata l’Umanità; biasimo per l’egoismo dei ricchi. Quest’ultima rivelazione, in particolare, si pone contro la gestione egoistica degli affari e colpisce anche appartenenti alla famiglia del Profeta, come lo zio Abu Lahab, ovviamente ostile al nipote. Questo atteggiamento anticensuario rimarrà un tratto ricorrente nella cultura islamica. Per circa tre anni, l’opera di proselitismo rimane circoscritta all’interno della famiglia, trovando sostenitori particolarmente nei soggetti più deboli (donne, schiavi, fanciulli) e, al contempo, forti opposizioni da parte dei personaggi più facoltosi. Muhammad inizia a predicare pubblicamente quando le sure rivelate erano già circa 70 e si trova di fronte l’opposizione dell’élite meccana. Essa tentò, infatti, di impedire l’attivismo del Profeta che, per proteggere i suoi discepoli dalle minacce, ne inviò un gruppo, tra cui si trovava il suo fratello di latte, in Abissinia dove furono accolti con benevolenza dal Negus (motivo per cui il cristianesimo godette di molte simpatie nel giovane Islam, contrariamente all’ebraismo). La preghiera, obbligatoria più volte al giorno, divenne uno dei pilastri della nuova religione. Intanto, due importanti conversioni premiano l’operato del Profeta: lo zio Hamza e ‘Umar al-Khattab. 1
Episodio dei versetti satanici: il Profeta pronunciò una rivelazione che sembrava riconoscere la triade pagana higiazena. Gibra’il però rivelò a Maometto che la rivelazione era stata fatta, in realtà,, dal demone Iblis. Ciò (dal momento che si era sperata una riconciliazione tra pagani e musulmani), in unione al fatto che il Negus d’Abissinia aveva rifiutato la richiesta dei coreisciti di espellere i musulmani, spinse i maggiorenti della Mecca a prendere misure drastiche contro il Profeta, boicottando l’interno lignaggio di Abu Talib. Il bando, che durò due anni, scavò un profondo solco tra il Profeta e il mondo da cui proveniva. 619 d.C.: muoiono la moglie e Abu Talib. A quest’ultimo succede Abu Lahab, ostile al Profeta. Costui, dopo aver saputo che il padre, in quanto pagano, sarebbe bruciato all’inferno, si rifiutò di garantire l’incolumità di Muhammad (cosa che avrebbe dovuto fare per i vincoli di sangue). Il Profeta si allontana, per forza di cose, dalla città. Ottiene, più tardi, protezione da parte di Al-Mu’tim ‘Adi. In questo periodo avvengono altri due fatti importanti: 1. Conversione di alcuni Ginn, demoni del deserto, e riconoscimento di altri profeti, tra cui Noè, Mosè e Gesù. 2. Visione mistica in cui viene portato dall’Angelo Gabriele a Gerusalemme. Egira: nel 620 Maometto si incontra, a 2 miglia e est di Mecca, con sei Khazragiti che si impegnano nell’opera di conversione dei loro concittadini. Nel 621 si aggiungono altri sette correligionari e viene stretto il “patto delle donne”, atto di collaborazione e mutua difesa. A ciò seguì un altro patto siglato da 75 persone, tra cui anche molte donne, che fu chiamato “di guerra” e suggellato con la palmata: inizia una nuova fase per cui i musulmani avrebbero potuto ricorrere alla forza, alla jihad, in senso difensivo. Il 16 luglio 621 Maometto abbandona la Mecca: è l’Egira, l’emigrazione, da cui i musulmani contano gli anni lunari. L’Egira comporta la rottura dei vincoli tribali, motivo per cui per un certo periodo i musulmani dovettero nascondersi per poi giungere a Yathrib. Qui Maometto ha la rivelazione più lunga del corpo coranico e i musulmani iniziano a gettare le basi di una vera e propria comunità. Per lungo tempo furono ospitati a Medina dove si sostenteranno depredando le carovane di Mecca, previo un accordo coi Medinesi con cui vennero stabiliti i termini dell’alleanza. Inoltre, Muhammad diventava capo della Umma. In questo periodo la quibla, l’orientamento durante le preghiere, fu spostata verso la mecca. Nel frattempo di deteriorarono i rapporti tra medinesi e ebrei che vennero espulsi dalla città. Islam guerriero: si susseguono gli attacchi alle carovane che sfociano in diverse battaglie. Le più importanti sono: 1. Battaglia contro Khalid al-Walid: i musulmani sono sconfitti e lo stesso profeta ferito. 2. Assedio di Medina: i meccani devono ritirarsi, vittoria strategica del Profeta. Viene completato, intanto, l’apparato istituzionale islamico e vengono ripresi i riti di pellegrinaggio.
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Il primo gennaio 630, viene conquistata la Mecca. Con la successiva conquista di Ta’if, viene completata la conquista della Gàzirat al’Arab. Lunedì 13 del mese di Rabi I (632 d.C.) il Profeta muore.
DUE. L’ISLAM SUNNITA (VII-XVI SECOLO) È difficile separare la storia dell’Islam in quanto religione da quella che è stata la sua vicenda come Stato e società. Il rispetto delle leggi divine si impone a tutti i livelli: il ricordarsi di Dio va esteso a tutte le occorrenze dell’esistenza. L’assioma per cui nell’Islam politica, società e religione sono sempre intimamente unite è, però, valido solo per il primo periodo della civiltà musulmana dato che successivamente si è verificata una sostanziale separazione fra spirituale e temporale. Nascono infatti due anime: 1. Imperiale, politica e mondana. 2. Provinciale, comunitaria e devota. Nel 632 muore Maometto e la sua morte provoca tra i fedeli senso di smarrimento e risulta quindi necessario procedere per consolidare le basi della comunità. Emerge, in questo contesto, la figura di Abu Bakr, compagno fedele del profeta, che chiama a raccolta i fedeli placandone gli animi. Il problema principale riguardava l’integrità della Umma: in particolare le comunità e le tribù convertite sentivano e consideravano la confessione come una sorta di contratto politico che, morto il profeta, era da considerarsi sciolto. Per impedire le secessioni, Abu Bakr diede il via a spedizioni punitive e ad una politica riflessiva. È proprio in questo periodo che l’Islam si afferma sia dal punto di vista militare sia da quello della sua universalità contro i particolarismi. In questo periodo viene, altresì, abbozzato con le spedizioni in Siria e Iraq il piano delle conquiste islamiche, perfezionato dai successori di Abu Bakr e dalla dinastia Omayyade. La scomparsa del Profeta però porta anche ad un grave problema: manca ora un’autorità unica e universalmente riconosciuta. Sorgono in questo contesto posizioni diverse su questioni della vita religiosa e civile, alcune delle quali porteranno uno scisma mentre altre conviveranno in osservanza del principio islamico dell’armonia nella diversità. In questo quadro assumono importanza le generazioni di: 1. Compagni/Ashhab: coloro che hanno incontrato Maometto e gli sono stati amici e discepoli fedeli. Considerati, per ovvi motivi, i più veritieri e autorevoli nella trasmissione dell’insegnamento del profeta. 2. Seguenti/Tabi’un: hanno sconosciuto i compagni. 3. Seguenti dei seguenti. Nei primi decenni di codificazione dell’Islam, queste categorie ebbero un ruolo fondamentale e ad essi si riferivano i credenti per delucidazioni sui riti, sul Corano, sui comportamenti da tenere, nonostante non sempre vi fu coincidenza di opinioni.
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Sunnismo: il processo di formazione fu lungo tanto che si stabilizzò nei suoi principali aspetti solo nel X secolo. Il sunnismo si rifà all’esempio del Profeta, la Sunna, e fa suo il concetto di consenso/igma’ per cui si tende ad eliminare, di fronte a una pluralità di opinioni, quelle estreme, inglobando quelle intermedie secondo l’insegnamento del profeta. Le fonte principali dell’elaborazione dottrinale sunnita sono: parola di Dio, Insegnamento dei Profeti, accordo dei Saggi. Il Corano: dall’arabo Al-Qur’an, che deriva a sua volta dal siriaco, “lettura”. Per l’islam il corano è la diretta e letterale trascrizione della parola di Dio. Prima della sua stesura definitiva, il messaggio divino venne affidato soprattutto alla memoria dei credenti e le prime redazioni scritte, di cui nulla ci è rimasto, erano semplici aiuti per la memoria. Ciò comportò l’esistenza di diverse versioni divergenti del testo sacro che portarono addirittura alla creazione di schieramenti regionali. Dal momento che ciò poteva nuocere allo spirito comunitario, il califfo ‘Uthman decise di varare un testo unico, operazione decisamente complessa che incontrò, tra le altre cose, decise resistenze. Venne ordinata anche la distruzione delle copie divergenti e infine la vulgata stabilita dal califfo di affermò. I problemi principali riguardavano: 1. Ordinamento delle sure. 2. Scrittura araba: l’assenza di vocali e dei segni diacritici, oltre che della punteggiatura, rende difficile la lettura e la recitazione del corano. Si erano infatti consolidate varie varianti di lettura, ognuna basata su una tradizione che si faceva risalire al profeta stesso. La tradizione ha accolto sette diversi tipi di lettura, fissati nel VIII secolo, che prendono il nome dagli studiosi che le hanno codificate. Le più diffuse sono quella di Nafi’ e quella di ‘Asim. Un altro problema riguardava l’interpretazione dei contenuti del corano. Esso si poneva anche dal punto di vista religioso dato che l’unico interprete ispirato e autorizzato era proprio il profeta e dato che in alcuni versetti si invitava il credente a non soffermarsi sull’interpretazione dei passaggi ambigui. Inizialmente ci si limitò a raccogliere le tradizioni del profeta ma le prime generazioni utilizzarono informazioni e spiegazioni provenienti anche dalle così dette “Genti del Libro”, cristiani ed ebrei. Successivamente, con l’opera di selezione delle fonti vennero presi in considerazione solo documenti plausibili e di provata veridicità. Personaggi importanti in questo campo furono Ibn ‘Abbas e Al-Tabari, che si basarono sullo studio delle tradizione esegetiche. Gli studi sull’interpretazione del corano si basarono su: 1. Tradizioni esegetiche 2. Commento basato sull’opinione: si afferma l’idea della legittimità di un commento delle parola divina che si fondasse sullo sforzo del singolo interprete. Nel corso dei secoli si sono sviluppate una serie di scienze coraniche sussidiarie:
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1. Scienza dell’abrogante e dell’abrogato: tenta di definire quali precetti sono da considerarsi modificati, abrogati da successive rivelazioni divine (problema della cronologia coranica). 2. Scienza delle cause delle rivelazioni: indaga il contesto storico in cui sono avvenute le rivelazioni. 3. Scienze che indagano sulla corretta recitazione del corano: ortografia coranica, ortoepeia coranica, salmodia [..]. La Sunna: raccoglie ciò che è stato tramandato a proposito dei detti e dei fatti del profeta che, con il suo comportamento, ha rappresentato un prosieguo naturare della rivelazione. La sunna si basa in prevalenza sul testo degli hadit: essi sono narrazioni che hanno come protagonista il profeta. Erano un numero immenso e solitamente erano accompagnate da isnad, cioè elenchi di nomi che ne garantivano l’attendibilità. Ciò non fermò la produzione di falsi, produzione che fu enorme tanto che nacque una disciplina, la Scienza degli Uomini, finalizzata ad esaminare gli isnad. Il sunnismo attribuisce autorità indiscussa solo a cinque raccolte di hadit: di Bukhari, di Muslim, di Da’Ud, di Tirmidhi e di Nasa’t. Se il libro di Dio e la Sunna non sono sufficienti a regolare una questione? Il sunnismo aderisce al concetto di Igma, accordo, consenso. Il più autorevole è, come abbiamo detto, quello dei Compagni. Ci sono tre consensi: 1. Qawl: tramite parola. 2. Fi’l: tramite atto. 3. Taqrir: tramite silenzio. Se neanche attraverso il consenso è possibile regolare la questione, si procede tramite Qiyas, l’analogismo. La legge e le scuole giuridiche: la grande via o strada maestra, shari’a, è il termine che designa la norma dettata da Dio al suo Profeta e che costituisce la legge che i credenti devono seguire. Nell’Islam, la legge è precisa formulazione del volere divino che si esplica in una serie di precetti e divieti. Il concetto principale è quello dell’ibaha, della liceità, il criterio ispiratore cui Dio si è attenuto nella sua opera di legislatore supremo. L’uomo ha la libertà di godere dei frutti del mondo terrestre ma, dal momento che la sua indole può portarlo verso la devianza, devono essere stabiliti dei limiti con la finalità che questa libertà non divenga arbitrio e non violi i diritti altrui e di Dio. La shari’a definisce tutti gli ambiti della vita umana, interiore e esteriore. Tuttavia, l’ambito interiore è noto solo a Dio, unico giudice delle coscienze: l’attività umana deve quindi restringersi, nel campo della legge, solo al rispetto esteriore delle norme. Di conseguenza la disciplina che studia il diritto, il Fiqh, si è concentrata sulla definizione degli aspetti formali del comportamento umano, trascurano la dimensione interiore. Lo studio della giurisprudenza si articola in due discipline: la prima tratta dei fondamenti concettuali del diritto, gli usul, la seconda si dedica alla deduzione delle norme positive e alle modalità della loro esecuzione, i furu. I furo sono distinti tra gli atti di culto e le norme che regolano i rapporti fra gli uomini. Gli atti vengono classificati in cinque categorie normative:
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1. Fard: categoria dell’atto assolutamente obbligatorio e la cui omissione può essere punita. 2. Mindub: atti raccomandati, desiderabili, la cui omissione non è punibile. 3. Mubah: atto lecito che il credente è libero di compiere o meno. 4. Makru: azione riprovevole, fortemente sconsigliata ma la cui esecuzione non comporta la punibilità. 5. Haram: atto illecito, vietato, la cui esecuzione è punibile. Queste categorie non sempre devono considerarsi come assolutamente rigide, anche perché le scuole giuridiche non sempre sono concordi su cosa far rientrare in una categoria e cosa nell’altra. Il sunnismo ha optato dunque per una certa flessibilità, consentendo una sostanziale elasticità di giudizio. Una parte degli studiosi ha, infine, supposto che la shari’a non sia un prodotto originale dell’islam ma piuttosto la risultante di diversi influssi stranieri, da quelli romano-bizantini a influssi ebraici. I quattro riti: la formazione del sunnismo può dirsi compiuta con la nascita e l’affermarsi delle prime scuole teologico-giuridiche. Esse sono indicate col temine arabo madhhab che indica, nei suoi molteplici significati, che le scuole giuridiche vanno al di là della giurisprudenza strettamente intesa in quanto comprendono anche tutto ciò che riguarda la sfera dei rapporti tra credente e Dio e i principi essenziali del credo. Queste scuole iniziarono a formarsi verso la fine dell’VIII secolo: 1. La prima è quella che si rifà a Abu Hanifa Al-Nu’man (767 d.C.), rappresentante della scuola irachena. Costui può essere considerato come uno dei massimi esponenti del pensiero islamico tant’è che gli venne riconosciuto l’appellativo di Guida Suprema. Egli e i suoi seguaci sono considerati sostenitori dell’uso del pensiero nell’elaborazione della giurisprudenza, tant’è che fanno ampio uso dell’analogia, qiyas. La scuola hanafita è quella più diffusa nel mondo islamico e le maggiori concentrazioni si trovano in Asia centrale, in Afghanistan, Siria, Turchia e nel subcontinente indiano. 2. Altra scuola è la scuola malichita, di Anas Ibn Malik, rappresentante dei dotti di Medina. I malichiti attribuiscono una maggiore importanza a quanto era stato elaborato nella città del Profeta, dando maggiore spazio alle tradizioni e considerando prioritario il parere della comunità medinese. Anch’essa, comunque, accetta pareri fondati sull’analogia. È diffusa in Maghreb e in Africa orientale. 3. Vi è poi la scuola sciafiita, diffusa in molte regioni, che si rifà a al-Shafi’i che cercò di superare le divergenze in un quadro di equilibrio e conciliazione. 4. Tra le principali scuole troviamo infine quella hanbalita, fondata da Ibn Hanbal che nacque e operò a Baghdad. Egli optò per un ritorno intransigente e senza compromessi alle fonti. La scuola è diffusa principalmente in Arabia Saudita. Le scuole hanno convissuto piuttosto pacificamente all’interno del sunnismo e le loro differenze sono state viste più come le diverse possibilità di applicazione di un precetto che come espressione di un conflitto di principi. Un fedele può passare liberamente da una scuola all’altra a seconda delle necessità, anche momentanee. L’Islam moderno ha più volte criticato l’istituzione delle scuole giuridiche che, oggi, esercitano un’influenza sempre minore all’interno del sunnismo.
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Gli atti di culto: si tratta di azioni rituali che i credenti sono tenuti ad adempiere nel loro rapporto con Dio e che manifestano la servitù degli uomini nei confronti del loro Signore. Infatti gli atti di culto si chiamano ‘ibadat, parola che ha la radice di ‘abd, servo. Ci sono cinque precetti che costituiscono i pilastri dell’Islam. 1. Professione di fede: “Attesto che non vi è divinità all’infuori di Dio e attesto che Muhammad è l’Inviato di Dio”, è l’adesione alla verità di carattere naturale e intuitivo. La professione di fede è definita nei trattati di diritto nel suo aspetto e nelle sue valenze formali. Essa viene continuamente ripetuta dai fedeli in ogni occasione della vita quotidiana. 2. La preghiera: è l’orazione rituale, compiuta secondo modalità ben precise e attenendosi a un certo numero di prescrizioni. E’ da distinguere dalla du’a, la preghiera spontanea con cui il credente si rivolge direttamente a Dio, non regolamentata dalla legge. Le modalità della preghiera sono sancite da Sunna e Hadit. La preghiera può essere eseguita sia singolarmente che in collettività, condotta da una guida, l’imam, che per primo esegue i movimenti e le recitazioni prescritte, seguito dai fedeli. Ogni musulmano ogni giorno deve compiere cinque preghiere obbligatorie: alba, mezzogiorno, pomeriggio, tramonto, notte. L’orario d’inizio viene scandito dall’appello, lanciato dal minareto e affidato al muezzin, ai fedeli. Ogni preghiera deve essere svolta in un lasso di tempo e se non la si fa entro il tempo determinato deve essere recuperata. Se il credente ha perso il suo stato di purità, deve rimuoverla con un rito di abluzione e solo in quel momento può svolgere la preghiera. Per pregare, il fedele deve rivolgersi verso la Mecca. La preghiera si svolge in fasi e con movimenti ben precisi. I movimenti, i rak’a, vengono ripetuti due volte all’alba, tre al tramonto, quattro a mezzogiorno, pomeriggio e notte. I rak’a sono: Takbir (pronuncia della formula Allha akbar, mani aperte ad altezza del capo con palme rivolte in avanti), Recitazione della prima sura del corano e di un brano a scelta, Inchino, Ritorno alla posizione eretta, Prostrazione, intermezzo in posizione seduta, prostrazione. 3. Elemosina rituale: è la decurtazione dei beni che purifica. È l’intenzione che rende valido l’atto: un’elemosina senza la retta intenzione non ha alcun valore. Il senso è quello di porre un freno alla cupidigia e all’avarizia degli uomini. L’elemosina va pagata su tutti quei beni che l’uomo acquisisce legittimamente con le proprie attività e che rappresentano il superfluo dei suoi guadagni. Le elemosine vanno distribuiti ai poveri, a coloro incaricati di raccoglierle o per riscattare schiavi e debitori, per il viandante e per la causa di Dio. 4. Digiuno: esso venne istituito in un lunedì del mese di Sha’ban, nel secondo anno dell’egira. Il digiuno obbligatorio viene effettuato nel mese di Ramadan, mese rivelato dal corano in cui la presenza divina si fa più direttamente percettibile. Durante il Ramadan i fedeli devono astenersi dal cibo, dal sesso e dal bere fino al tramonto, quando è possibile consumare un frugale pasto. Sono esclusi i malati, i bambini, le donne col ciclo, incinta e in allattamento, i viaggiatori e gli anziani. 5. Pellegrinaggio: possiede valori sociali e spirituali che lo rendono unico. Esso spicca tra gli altri riti per la ricchezza del suo simbolismo e la sacralità e complessità di pratiche e procedure. Le origini storiche sono fatte risalire agli stessi inizi dell’umanità: la Ka’ba è il luogo dove era posta la tenda di Adamo. Il pellegrinaggio deve essere compiuto almeno una volta da tutti i musulmani ma non è tassativo: lo fa chi ha la possibilità fisica, temporale ed economica. DI solito, si differenzia tra piccolo pellegrinaggio, cioè una sorta di “visita” alla
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città santa con dei riti, e pellegrinaggio vero e proprio. Quest’ultimo si può compiere solo nel “mese del pellegrinaggio” ed è composto da una serie di riti precisi. 6. Altri precetti religiosi: ci sono anche altri atti che un fedele musulmano deve compiere, ad esempio quando nasce un figlio bisogna sussurrargli all’orecchio una preghiera, tagliarli una ciocca di capelli dopo l’imposizione del nome, pesarla e dare l’equivalente in denaro in elemosina e sacrificare un animale per ringraziare Dio. Anche la circoncisione da alcuni viene considerata un obbligo per testimoniare l’entrata del giovane nella pubertà. Occasioni come matrimoni o funerali sono marchiate da intensa solennità e da alcuni precetti. Ci sono poi prescrizioni alimentari, di abbigliamento, queste ultime molto rigide per le donne. Le relazioni fra gli uomini: la legge islamica comprende sotto il nome di mu’amalat i negozi che regolano i rapporti degli esseri umani fra di loro. 1. Famiglia: la legge individua nel matrimonio il cardine fondamentale della famiglia. Il matrimonio, con l’Islam, divenne l’unica forma legittima di unione fra sessi, un dovere religioso e sociale. La donna ha, secondo il corano, il diritto di percepire la dote e le assicura, in caso di ripudio, tutele giuridiche ed economiche. Con l’Islam la donna diviene soggetto indipendente dal punto di vista legale, dal momento che ad essa viene riconosciuto il diritto alla proprietà e all’eredità. L’Islam è severo anche nei confronti dell’infanticidio femminile. Il matrimonio è essenzialmente un contratto stipulato dall’uomo e da un rappresentante della sposa, il quale ne cura gli interessi. Esso, per essere valido, deve osservare alcuni requisiti fondamentali: la dote che la moglie percepisce rimane suo bene inalienabile di cui può disporre in qualsiasi momenti, è essenziale il consenso delle parti, senza la consumazione il matrimonio è considerato nullo e viene sciolto, la donna musulmana non può sposare un non musulmano, un musulmano può sposare una donna ebrea o cristiana ma non idolatre e politeiste. Il corano ammette anche la possibilità della poligamia anche se aggiunge che è meglio attenersi a una sola sposa, per evitare di essere ingiusti nei confronti di qualcuna delle consorti. Il matrimonio può essere sciolto tramite ripudio, per scioglimento consensuale, per decesso di uno dei coniugi. I figli sono otto la tutela del padre che, a prescindere dal loro sesso, deve trattarli tutti ugualmente. Peccato abietto è considerato l’approfittarsi dei figli organi. Alla madre è affidata la cura dei figli. In caso di divorzio o ripudio, i figli restano al padre a meno che non intervengano condizioni che richiedano il contrario. I figli devono ai genitori assoluto rispetto e obbedienza. 2. La comunità dei credenti: la comunità, la umma, è la forma compiuta e globale della società. La comunità islamica deve essere un corpo omogeneo, nel quale tutti gli elementi concorrono alla perfezione e all’armonia. La solidarietà e la mutua assistenza tra i membri della umma sono un obbligo giuridico, un precetto cui nessuno può sottrarsi. A capo della umma vi è Dio, nessuna chiesa, nessun clero. La guida della comunità (la prima fu il Profeta) deve essere scelta in maniera oculata e la scelta deve ricadere su persone che possiedano requisiti, fisici e morali, tali da poter guidare la umma. 3. Relazioni coi non musulmani: lo spazio è diviso in due categorie: la casa dell’Islam e le terre ostili, ovvero la casa della guerra. Compito dell’Islam è rimanere in uno stato di belligeranza permanente con gli infedeli. La legge e le situazioni storiche hanno però fatto accettare l’idea che non sempre sia possibile mantenere l’atteggiamento conflittuale. L’Islam non ha mai ignorato la
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realtà di altre fedi e definisce ebrei, cristiani e sabei come gente del Libro che, dal momento che si ispirano ad un autentico testo sacro, sono legittimati a conservare la propria legge, anche se conquistati. A idolatri e pagani non viene riconosciuto alcun diritto e alcuna protezione. Sufismo: il sufismo, o mistica dell’Islam, è un fenomeno di non facile definizione. Il sufismo ha generato interminabili discussioni riguardo alle sue origini storiche. Le componenti più letteraliste del mondo musulmano ne hanno denunciato l’estraneità rispetto allo spirito originario dell’islam, mentre gli studiosi occidentali hanno sostenuto le teorie più diverse, attribuendo un ruolo decisivo nella formazione del sufismo alle più disparate religioni o correnti spirituali, dal monachesimo cristiano, al pensiero neoplatonico. La critica più recente, infine, considera il sufismo un prodotto genuino dell’Islam, che ha avuto il suo alimento iniziale nella meditazione del Corano e dell’insegnamento del Profeta. A questo impulso originario si sono poi aggiunti elementi diversi che hanno arricchito i concetti, il lessico e le tecniche delle prima riflessione. Le fonti principali del sufismo sono il Corano e la Sunna. In particolare, il sufismo ha visto nella generazione del profeta il punto di partenza della propria storia: l’insegnamento di Muhammad, ribadito dai compagni, ha spesso posto l’accento sulla dimensione che i sufi faranno propria, quella interiore. Padre del sufismo fu Al-Hasan al-Barsi, il cui insegnamento ha dato il via a una vera e propria scuola, quella irachena, i cui temi prediletti furono quelli della rinuncia e del distacco dalle cose mondane, del timore di Dio, dell’abbandono fiducioso in Lui, dell’accettazione del suo decreto, dell’amore spirituale. In questa fase emerge anche la figura di una donna, al-Adawiyya, diventata il modello per eccellenza dell’amore esclusivo per Dio. Il sufismo raggiunge la sua maturità nel IX secolo dopo Cristo, periodo in cui si sviluppa la trattatistica ai suoi massimi livelli. Principale esponente dell’epoca è Al-Gunayd e tra i contemporanei vale la pena di ricordare anche Hallag, martire mistico dell’Islam, messo a morte per il suo proclama “io sono il Vero”. In Turchia e in Iran si sviluppò un’altra generazione di sufi tra cui troviamo Hakim, che ci fornisce la più articolata esposizione del concetto di “santità”, Bistami, poco incline al rispetto delle convenzioni ma rigido osservante della shari’a,. Anche nelle regioni più occidentali dell’Islam si assistono a questi sviluppi, in particolare tra il X e l’XI secolo, periodo di definitiva affermazione del sufismo dell’Islam. È l’epoca, questa, dei manuali classici che codificano dottrine e pratiche del sufismo. Queste opere esprimono lo sforzo di definire più precisamente gli stati spirituali della vita, rigorosamente gerarchizzati a seconda della loro rilevanza e del loro significato. Il sufismo, soprattutto dopo la grande sintesi di Ghazali, trovò posto fra le discipline riconosciute e accettate dall’Islam, nonostante permanessero le polemiche che non si sopirono mai del tutto. Il sufismo non è una disciplina esclusivamente speculativa: la pratica ha un posto di primissimo piano e non è mai separabile dall’elaborazione teorica. L’insegnamento dei sufisti non ha mai perso di vista il legame che unisce la descrizione della realtà spirituale con la realizzazione persona di quella realtà. Teoria e realizzazione sono due momenti dello stesso processo, che si compenetrano e completano a vicenda. Nel sufismo, il maestro rappresenta in via di principio l’uomo perfetto, rappresenta la realizzazione delle possibilità interiori dell’essere. Egli è l’uomo cosmico intorno al quale ruotano le sfere dell’esistenza universale, una manifestazione del logos eterno. Egli si identifica col Verbo, il principio metafisico di ogni profezia, e diventa sostituto, na’ib, del profeta come modello di perfezione.
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Di conseguenza, il discepolo deve aderire completamente alle norme che la sua guida gli indica. Da questo principio prende le mosse l’itinerario del sufismo e si manifesta in una serie di pratiche e comportamenti suggeriti dal direttore spirituale. L’aspetto rituale più rilevante del sufismo è il dhikr: esso è ricordo di Dio e menzione del suo nome. Menzionando ripetutamente il nome di Dio, si riaccende nell’uomo la consapevolezza della presenza divina all’interno di sé e si ripristina quello stato che ha preceduto l’esistenza temporale umana. Questo rito risponde a precisi requisiti ed è trasmesso per via orale dal maestro al discepolo. Confraternite del sufismo: 1. 2. 3. 4. 5.
Qadiriyya. Suhrawardiyya. Rifa’iyya. Shadhiliyya. Mawlaeiyya.
TRE. L’ISLAM DELLA TRANSIZIONE (XVII – XVIII SECOLO) Per quanto riguarda le periodizzazioni interne che rispecchino i ritmi propri dell’Islam, possiamo dire che da un punto di vista storico-religioso, l’Islam Classico può essere esteso fino al XVI secolo (X secolo dell’ègira). Nel suo primo millennio di storia, l’Islam ha subito notevoli trasformazioni ma può comunque essere trattato come un’unità sostanzialmente omogenea, nella quale i principi di fondo sono rimasti gli stessi. Infatti il concetto dell’igma, il consenso, ha permesso all’Islam modificazioni e sviluppi nel rispetto dei suoi principi basilari e nella coesistenza di punti di vista molteplici, con la capacità di dare risposta alle nuove esigenze. Con lo scadere del millennio però questo sistema inizia a dare segni di logorio: i punti di vista dell’Islam classico assumono natura esclusivista, si riducono a scuole chiuse e rigide che tutelano i propri interessi screditando le altre, minando la compatibilità di espressioni diverse che aveva costituito la spina dorsale della civiltà musulmana tradizionale. Ovunque si fa sentire l’esigenza di un risanamento. L’Islam ha una concezione ciclica della storia: la fine di un millennio e l’inizio di un millennio nuovo rappresentano una mutazione significativa e irreversibile, anche solo simbolicamente. Infatti il passaggio al nuovo millennio è accompagnato da attese di palingenesi morale e spirituale della società, in un’ottica storica involutiva: lo stesso Profeta aveva dichiarato che l’Islam sarebbe tornato esule così come era iniziato e che le generazioni successive alla sua si sarebbero sempre più allontanate dallo spirito originario della rivelazione. Bisognava dunque cercare di porre un argine alla decadenza, di limitare i guasti dell’opera corrosiva del tempo. Ciò nonostante, un’altra tradizione ricordava che allo scadere di ogni secolo, Dio avrebbe inviato qualcuno che potesse rinnovare la religione della comunità e con l’avvicinamento del nuovo millennio questo rinnovamento, il tagdid, non poteva non essere molto incisivo. Assistiamo dunque al diffondersi dell’idea di rinnovamento e l’inizio dell’era moderna dell’Islam. In quest’epoca, si fanno più frequenti e severe le denunce contro certe categorie del sapere religioso sempre più chiuse e tese alla difesa dei propri privilegi e che si debbano restaurare i valori più autentici dell’Islam.
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Le opinioni sono diverse: c’è chi propugna un ritorno alla lettera delle fonti primarie dell’Islam (Corano e Sunna), c’è chi limita la propria critica solo agli eccessi e alle distorsioni di strutture ormai consolidate che vogliono mantenere. I primi hanno dalla loro la parola coranica e il messaggio del Profeta, i secondi si rifanno al concetto dell’igma, concetto che in questo periodo diventa oggetto di accese discussioni tra chi lo difende e chi lo vorrebbe addirittura abolire. Si diffonde, oltretutto, un certo fondamentalismo come quello dei kharigiti o delle correnti come mu’taziliti e sciiti. È singolare il fatto che proprio una scuola del sunnismo tradizionale, la scuola hanbalita, abbia finito col diventare il punto di riferimento del nuovo fondamentalismo che si sviluppa a partire dal XVIII secolo: infatti il neohanbalismo si ispirò al teologo Taymiyya che combatté energicamente contro ogni forma di atteggiamento accomodante e per un’interpretazione letterale e inflessibile della legge e contro sciiti, cristiani e sufismo. Wahhabismo: il movimento deve il suo nome al teologo al-Wahhab. Egli riteneva che il mondo sunnita dovesse tornare radicalmente alle proprie origini per affrontare la crisi incombente: l’impero ottomano gli appariva incapace di contrastare le crescenti affermazioni sciite in Iran e le devianze dottrinali e morali. Egli iniziò la sua opera partendo da queste esigenze di riforma e promuovendo una politica di rigore verso le forme di innovazione. Il suo primo scritto, “Il libro dell’unità divina”, propone di riportare il monoteismo islamico al centro di ogni attività religiosa e politica e attacca sciiti, mu’taliziti e sufi. La reazione sunnita sembrò inizialmente avere la meglio e Wahhab fu allontanato dalla sua residenza ma trovò appoggio politico nell’emiro di Dar’iyya e i due si giurarono, nel 1744, reciproca fedeltà. Da questo momento le vicissitudini del Wahhabismo furono legate alle fortune della gente saudita ma il successo politico e militare di questo Stato non fu accompagnato da una parallela diffusione dell’ideologia dal momento che il suo tenore rigoroso e inflessibile suscitò a lungo nel mondo islamico il timore del fanatismo. Il punto di maggior controversia, fu l’atteggiamento verso gli altri musulmani: questa ideologia è infatti pronta a scomunicare tutti quelli che non la condividono. Il Wahhabismo non è però un eterodossia dell’Islam: infatti il pensiero wahhabita prende le mosse da una delle scuola principali del sunnismo ed è presente in varie istituzioni della cultura islamica mondiale. Mondo delle confraternite: le confraternite, che hanno il loro punto di riferimento più o meno direttamente nel sufismo, si sono ampiamente radicate nel tessuto delle società islamiche. Fra il XVII e il VXIII secolo il mondo delle confraternite inizia però a manifestare alcune possibili devianze: l’eccessivo potere raggiunto da alcune di esse le rendevano piccoli stati nello stato, gestiti autocraticamente e con trasmissione ereditaria del potere, cosa che le rendeva vere e proprie dinastie in grado anche di reclutare eserciti e sollevare movimenti e popolazione. Tutto ciò aveva spinto alcune di esse a tradire i valori originali e a trasformarsi in organismi politici con la finalità di espandere la loro influenza. A questa degenerazione politica si aggiunge poi un diffuso lassismo morale e le degenerazioni popolari che vedono spesso gli adepti alle confraternite trasformarsi in saltimbanchi girovaghi. La condanna di questi abusi fu pronunciata all’interno stesso del sufismo e i maestri sufi si dedicarono al rinnovamento dei valori e al riordino degli ordini. I principali interpreti di questa riforma non si ispirano sempre agli stessi principi né adottano gli stessi metodi ma si parla generalmente di neo-sufismo. Alcuni casi sono quelli di:
Al-Darqawi: non vuole fondare una via nuova né modificare radicalmente gli equilibri del sufismo. Collocato all’interno della Shadhiliyya, egli critica l’eccessivo attivismo politico degli ordini contemporanei e lo sfruttamento che i 1
maestri facevano del proprio prestigio. Da lui nacque una nuova confraternita. La Darqawiyya. Al-Tigani: vuole instaurare un nuovo ordine e segnare con forza il distacco dal passato. La Tiganiyya emerge come ordine atipico, dal momento che si legittima risalendo direttamente alla fonte di ogni magistero spirituale, quello del Profeta. Egli spensa che la crisi delle confraternite possa essere superata solo con un brusco ritorno alle origini del sufismo ed è per questo che i primi maestri della sua scuola adottarono un atteggiamento piuttosto rigido, in contrasto con le autorità e in pronunciato distacco con le altre confraternite. Il successo di questa confraternita fu notevole e si espanse soprattutto in Africa nordoccidentale e a sud del Sahara. Mir Dard di Delhi: insiste sul fatto che la vera via è quella muhammadiana, che il primato spirituale appartiene al profeta e non è appannaggio di nessun ordine e di nessun maestro. Ganganan di Delhi: il mondo del sufismo doveva salvaguardare lo spirito dell’Islam senza però accedere a pulsioni fondamentaliste. Bisognava rispettare la legge islamica ma anche rispettare le altrui credenze, cosa che scatenò le ire dei fanatici che culminarono col suo assassinio. Wali Allah di Delhi: egli propose di superare la ristretta logica delle singole appartenenze proponendo una sintesi che rappresentasse un nuovo modo di vedere l’Islam. Per lui era necessario tornare a un’intensa e diretta interpretazione delle fonti e procedere anche a un ripensamento non solo del sufismo ma di tutte le discipline islamiche. Idris di Fez: è il più vicino al Wahhabismo, con eccessiva venerazione dei santi, il suo rifiuto per ogni forma di consenso e l’obiettivo di uniformare pratiche e comportamenti di tutti i popoli musulmani.
Verso il mondo contemporaneo: questo complesso panorama costituisce il prologo agli sviluppi contemporanei della religione musulmana. Bisogna dunque fare considerazioni generali su alcuni di questi sviluppi:
Il modernismo è frutto del confronto con la modernità europea. In realtà una visione del mondo islamico che si risveglia bruscamente all’indomani dell’invasione napoleonica dell’Egitto è fuorviante dal momento che la maggioranza dei musulmani, impero ottomano e India in particolare, hanno già dovuto affrontare il problema della superiorità tecnologica ed economica dell’Europa, sperimentando e elaborando ricette di convivenza con la nuova realtà. Il modernismo dunque non è un fenomeno improvviso e tra la fase moderna e contemporanea dell’Islam non vi è continuità ma neppure una totale frattura. L’islam moderno e contemporaneo conosce personaggi che si dimostrano irriducibili a ogni classificazione meccanica. Un esempio è l’emiro algerino AlQadir, eroe nazionale algerino e oppositore all’invasione francese. Pur non essendo un modernista, egli non fu neanche un fondamentalista dato che la sua reazione all’Occidente fu squisitamente politica e non gli impedì di aderire alla massoneria e proteggere la comunità cristiana di Damasco.
QUATTRO. L’ISLAM CONTEMPORANEO
Le mutazioni socioculturali e le tensioni spesso contraddittorie che attraversano oggi le società musulmane si inscrivono in un quadro storico che ha avuto l’Occidente come punto di riferimento per la formulazione delle proprie strategie politiche.
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La question d’Orient si accompagna in Europa a una riflessione scientifica e alla nascita di una nuova disciplina, l’orientalismo. Europa e Islam diventano protagonisti di una stessa storia, quelle della difficile irruzione della modernità. In Europa l’interesse scientifico per l’Islam è anteriore alle imprese coloniali e la prima cattedra sull’argomento risale alla prima metà del ‘500 presso l’Università di Parigi. La fine del ‘700 e l’inizio dell’800 comunque segnano l’irruzione della modernità nel mondo musulmano, tappa resa obbligatoria dalla debolezza strutturale delle società musulmane non in grado di porti al riparo dalle imprese coloniali. Fra gli avvenimento più rilevanti sicuramente troviamo la spedizione di Napoleone in Egitto nel 1789. I musulmani scoprono un altro ordine culturale e si pongono la questione, tutt’oggi non risolta, della propria identità culturale. In Europa convivono invece due letture dell’Islam: una romantica, legata all’eredità di Goethe, che vede nell’Oriente l’ideale della purezza originaria, l’altra degli orientalisti e dei filosofi per cui l’Islam e la sua cultura sarebbero refrattari agli ideali di progresso e libertà. Da parte musulmana, inizialmente è prevalso il fascino della modernità. L’autore più importante in questo senso è al-Tahtawi, egiziano. E proprio l’Egitto sarà, dopo la spedizione napoleonica, il primo paese a inviare in Francia un gruppo di studiosi tra cui al-Tahtawi per imparare le scienze esatte, la tecnica e le scienze umane per poi applicarle in Egitto. Al-Tahtawi scrive un carnet di viaggio in cui testimonia l’onda d’urto provocata dal nuovo paesaggio culturale. La pubblicazione del suo scritto fu accolta con entusiasmo dagli stessi islamici. In particolare al-Tahtawi da risalto alla scienza, vista come percorso di emancipazione e come mezzo per ritornare al periodo d’oro degli antichi fasti dell’Islam. Egli e i suoi sostenitori sembrano convinti che basti importare la modernità per risolvere i problemi politici e sociali. L’irruzione della modernità fu però un fatto traumatico perché le masse erano impreparate ad essa e si trovarono, insieme alle élite musulmane (queste in via di occidentalizzazione), a doversi confrontare con il dilemma fra tradizione e modernità, con le reazioni più diverse, dall’imitazione al rigetto. Gli autori musulmani che hanno guardato alla modernità come qualcosa di adattabile meccanicamente hanno travisato l’effettiva natura problematica. Per i musulmani era difficile comprendere il cammino della modernità occidentale. Le due facce dell’Islam: nel corso del XIX secolo, le élite urbane individuano nell’Islam delle confraternite un fattore e sintomo di decadenza della civiltà islamica. Essa si è sempre identificata con uno stato forte, centralizzato, strutturato in una città capitale e un una serie di province non autonome, con una cultura di matrice urbana. Con la decadenza è subentrata una cultura frammentata, che si riferiva ad autorità locali e non centrali. Ciò viene chiamato il ripiegamento dell’Islam su se stesso. Alla metà dell’800 emergono quindi due registri della cultura:
Uno di matrice urbana Uno che rappresenta l’islam segmentario e clientelare
Anche se in alcuni casi i due registri hanno convissuto, il giudizio dei portavoce della cultura arabo-islamica del secolo introduce una visione dicotomica dalla società islamica e in questo contesto le confraternite diventano capro espiatorio: da esse deriva la degenerazione dell’Islam. Ciò comporta un tentativo di evizione delle confraternite mistiche, viste come ostacolo alla modernizzazione. Riformisti e modernisti infatti concordano sulla necessità di eliminare le confraternite.
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Si assiste dunque a un urto tra confraternite e riformisti musulmani e l’ideologia di questi ultimi si rifarà in particolare a Taymiyya a ai suo continuatori. All’associazionismo delle confraternite si oppone l’affermazione del tawhid, l’unicità divina, da parte dei dottori della legge, fautori di uno stato centrale, uniforme, unificato. La convergenza tra le élite che si rifanno al laicismo e quelle che si rifanno alle idee riformiste si è tradotta in una vasta trasformazione economica e sociale e nella nascita del pensiero nazionalista. Costruire il mondo moderno: la triade della nahda: il periodo della Nahda è presentato attraverso tre protagonisti principali ed è il periodo che coincide con la spartizione del mondo afro-asiatico tra gli imperi coloniali e la nascita del panislamismo e del riformismo, legati appunto a questi tre pensatori.
Al Afghani: è il primo pensatore musulmano che si sia misurato con le personalità e il clima intellettuale europea. Egli nascondeva le sue origini (si dice fosse sciita) e probabilmente perché su tutto egli faceva prevalere il progetto politico: il suo progetto panislamico. Altri pensano che essendo sciita si nascondesse per evitare le persecuzioni da parte della maggioranza sunnita che li consideravano eretici. Egli guarda l’Islam come origine di un legame comunitario e politico ma cerca anche di superare il registro delle identità religiose per puntare unicamente sul referente politico. Abduh: discepolo di Afghani, è un teologo, un personaggio profondamente religioso che comunque ama la critica e affronta il tema del nazionalismo. Per lui il riformismo dell’Islam non consiste solo in una rilettura teologica ma sconfina anche in una riflessione sociale, i cui paradigmi sono tolleranza e razionalità. Egli critica il fatalismo, l’imitazione sterile, l’indebolimento della facoltà di giudizio. Il problema di fondo nella sua riflessione è quello della modernità e degli strumenti intellettuali che possono colmare il divario tra arretratezza sociologica e mutamento sociale. La sua opera principale è l’Epistola sull’unicità in cui afferma che bisogna superare il contrasto tra scienza e religione, ragione e rivelazione. Infatti secondo lui i due piani non sono antitetici ma coincidenti e definisce l’Islam come religione della ragione e della scienza. Egli inoltre punta sul nazionalismo: l’idea di nazione è vista come strumento di emancipazione dal dispotismo turco-ottomano. Rida: allievo di Abduh, fu molto più rigido del maestro e si situa su posizioni più conservatrici. Egli concepisce e realizza il pensiero riformista e il movimento della Salafiyya. Al centro sta l’idea fondamentale che il risveglio dell’islam passa dal ritorno alle fondi e dall’eliminazione delle innovazioni sul piano teologico e del culto dei santi su quello antropologico. La Salafiyya è sia riflessione teologica che progetto politico perché ha come fine l’adattamento dell’Islam al mondo moderno. Quindi il principio fondamentale su cui si basa Rida è il ritorno ai fondamenti: Corano e Sunna, la purezza originaria dell’Islam. Tutto ciò che è negativo va eliminato con il ritorno alle origini. Bisogna quindi far rinascere l’Islam attraverso la sua purificazione ed evitare l’occidentalizzazione che viene identificata come imitazione servile: tutto ciò che si pone al di fuori dell’età dell’oro dell’Islam è decadimento e regressione.
Patrimonio e rivoluzione, dalla turath alla thawra: la riflessione dei pensatori musulmani è inseparabile dal contesto storico-politico internazionale che vede le potenze europee confrontarsi con l’impero ottomano. In questo contesto non va sottovalutato il ruolo e la funzione del nazionalismo come riscatto dei musulmani nei confronti della storia. La riflessione sull’Islam è andata di pari passo con l’elaborazione dell’Idea di Stato Nazione: essa era vista in termini di emancipazione dei popoli e di liberazione dal 1
giogo coloniale ma anche perché il concetto di nazione rappresentava l’effettivo termine di transizione tra mondo antico e mondo nuovo. La nazione nel pensiero islamico si struttura su una visione dell’Islam quale fattore aggregante. Islam e nazione vanno di pari passo. L’Islam è richiamato come legittimazione dello stato-nazione e nel nazionalismo islamico le colonne portanti sono arabismo e islamismo. A partire dagli anni Settanta emergono nel mondo musulmano due tipi di letterati: uno legato al corpus e alle corporazioni dei dotti, l’altro autodidatta, legato alle forme moderne di trasmissione del potere. Questo sdoppiamento delle forme emergenti del sapere è risultato di un doppio movimento: il massiccio accesso all’istruzione e l’erosione della società tradizionale. Si avverta un cambiamento nella figura del letterato e nella tipologia delle forme di contestazione e di formazione dei protagonisti dell’islam. I protagonisti del fondamentalismo di tipo classico, con una formazione di tipo tradizionale, venuta dalle confraternite, dalle scuole religiose e dai centri di diffusione del sapere che rimangono ancora legati alle strutture tradizionali di insegnamento. Questo provoca una rottura tra il dotto-letterato dell’Islam, garante della società sul piano etico-giuridico, e l’intellettuale contestatore, ingegnere, medico o tecnico ma militante dell’islam. Il militantismo dell’islam contemporaneo ha costruito la propria concettualizzazione di un’alternativa all’occidente prendendo dal linguaggio coranico i concetti che potevano essere i più adatti a una demarcazione di tipo epistemologico. Ci si basa sulla contrapposizione tra la storia post-coranica e quella pre-islamica, identificando con il concetto di gahilliya tutto ciò che è negativo e quindi anche tutti i valori dell’Occidente secolarizzato. Il pensatore principale è:
Mawdudi: nasce nel 1903 in India, inizia una carriera giornalistica a Dehli e partecipa attivamente al Movimento per il Califfato e difende il califfato ottomano, difesa intesa come espressione della potenza islamica e della sopravvivenza della comunità musulmana. Il suo primo libro è “La guerra santa dell’Islam”. Fonda l’organizzazione della ‘Gama-‘a: essa deve interrompere i rapporti con tutto eccetto Dio e i suoi insegnamenti. Con lui quindi l’Islam politico diventa eversivo rifiutando la dialettica politica e opponendo ad essa un progetto politico che si ispira integralmente all’Islam, progetto che assorbe completamente l’individuo fino a farlo scomparire. Con la creazione della ‘Gama-‘a nel 1972 si profilano due direzioni interne alla leadership: una proponeva l’identità nazionale in quanto affermazione di un islam occidentalizzato, l’altra, sostenuta da Mawdudi, affermava che l’islam non poteva essere rinchiuso in uno stato nazione. Egli inoltre voleva convincere, nell’ambito pakistano, l’élite occidentalizzata della lega musulmana della possibilità di applicare la legge islamica in una società moderna. Inizia per lui un periodo di intensa attività ideologica e politica nel mondo islamico, che lo porterà alla radicalizzazione delle posizioni e allo scontro delle correnti progressiste. Mawdudi insomma politicizza la teologica islamica: la sua dottrina politica afferma la assoluta unicità di Dio nei confronti del quale l’uomo occupa una posizione di dipendenza assoluta e a cui deve obbedienza e abbandono. Riconoscere Dio significa elevare la posizione dell’Uomo. La civiltà occidentale è assimilata all’idea di decomposizione.
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Diritto e shari’a: l’islam contemporaneo e l’ideologia islamista hanno pensato il diritto in un quadro concettuale nuovo, quello dello stato. L’islamismo considera lo stato come luogo deputato all’aggregazione dei musulmani tra di loro e quindi lo stato deve coincidere con la comunità. Il dibattito moderno sull’applicazione della legge islamica è sorto perché gli islamisti considerano lo stato non più corrispondente all’Islam. Fondamentalismo e neofondamentalismo: nel 1929, al-Banna decide di fondare il movimento dei fratelli musulmani e in questo periodo le società musulmane sono attraversate da diverse correnti di idee. Al-Banna pensa che dinnanzi all’occidentalizzazione crescente non è più sufficiente solo la predicazione e per questo pensa alla creazione di un movimento, i fratelli musulmani, il cui compito doveva essere l’educazione alla lettura del corano, al diritto musulmano, alla storia dell’islam. L’ideologia della Fratellanza Musulmana si sviluppa sia su un registro politico (Al-Banna si batte per la ricostituzione del califfato) sia su un registro pedagogico e missionario. La critica all’Occidente è una critica contro i costumi e contro la perdita di identità e AlBanna affida al missionarismo il compito di reislamizzare dal basso la società. Ci si concentra sulla donna: la sua emancipazione corrisponde alla modernizzazione e alla occidentalizzazione della società e Al-Banna afferma che la deislamizzazione della società può essere individuata attraverso il cambiamento sociale del ruolo femminile. Tra il 1929 e il 1932 i fratelli musulmani iniziano a connotarsi come partito politico, anche con sezioni femminili. Ma il loro ruolo contestatore e il coinvolgimento del gruppo in numerosi assassini compromette la vita stessa di Al-Banna che muore nel 1949 in uno scontro con la polizia. Nel movimento, una personalità di spicco è Qutb, il primo a concettualizzare l’islam politico. Egli concettualizza l’idea di lotta politica e di movimento sulla base di una rilettura del corano e di un trasferimento concettuale nei confronti del pensiero politico moderno. Il concetto di gahilliya, permeato da Mawdudi, diventa l’equivalente di tutto ciò che il musulmano non deve essere. Nello jihad invece sono contenute le premesse dell’ideologia della lotta: la guerra è vista come obbligo individuale e collettivo e la jihad è reazione, mondiale e permanente, a tutto ciò che non è islamico. Dopo Qutb, si sviluppa la lettura politica islamista che conosce nel mondo e nella cultura sciita due importanti personalità, entrambe morte assassinate:
Baqir Sadr: porta il titolo di sayyid ed è discendente del Profeta. Compie i suoi studi a Nagaf e si schiera contro la penetrazione delle idee occidentali in Iraq e contro il clero sciita iracheno che considera debole nei confronti delle sfide del momento. Egli si rifà a : concetto di thawra, lotta contro Israele e colonialismo, umma. All’ondata di comunismo in Iraq, egli presenta l’islam come alternativa a marxismo e capitalismo ma anche come filosofia superiore ad ogni altra. Egli non rifiuta però l’economia di mercato né il ruolo dello stato, che vede come strumento di regolamentazione dell’economia. Egli pensa infatti l’Islam anche nella sua dimensione economica (una sorta di terza via tra capitalismo e comunismo) e sviluppa, inoltre, in termini costituzionali il concetto di politico, proponendo la formulazione di una costituzione che si ispira all’Islam e alla tradizione sciita duodecimana. Concetto, questo, su cui si incontra con l’ayatollah Khomeini con il 1979 e la rivoluzione iraniana. Shari’ati: fra i pensatori della rivoluzione iraniana più conosciuti, è legalo agli intellettuali laici dato che non fa parte del clero sciita ma è uno studioso anche con una formazione europea. Egli individua nell’islam sciita la religione degli oppressi, attribuendogli una valenza di tipo terzomondista.
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CINQUE. CONFESSIONI SCISMATICHE, ETERODOSSIE E NUOVE RELIGIONI SORTE NELL’ISLAM La cultura islamica non ha mai operato una netta distinzione tra eresia e scisma e ciò probabilmente è dovuto al fatto che quasi tutte le fratture verificatesi all’interno della comunità musulmana hanno visto le componenti religiose e civile combinarsi in modo non chiaramente distinguibile. Alla morte del profeta, la comunità musulmana è composta dai Compagni e l’eterogeneità di questo gruppo comportava una divergenza di opinioni in svariati campi, soprattutto per quanto riguardava la designazione di un capo per la comunità. I punti di intesa sull’argomento non mancavano e tutti erano d’accordo sul fatto che la successione non comportasse alcuna rivendicazione di qualità profetiche. Le divergenze riguardarono il modo secondo cui la nuova guida doveva essere nominata e a molti non andò bene l’elezione di Abu Bakr, soprattutto perché non era diretto discendente del profeta. Si trattò dunque di una divergenza di principio che vide da una parte un criterio elettivo basato sul merito, dall’altra un criterio basato sulla diretta discendenza dal Profeta. Col tempo, questo contrasto portò a creare una vera e propria fazione, il partito di Ali, cugino del Profeta e marito di una delle sue figlie, Fatima. In questi tempi di dissidio per nulla indicano che a considerazioni politiche in senso lato si aggiungessero anche fattori religiosi: le due fazioni da questo punto di vista non si differenziavano. I casi di settarismo religioso furono, in questo periodo, poche e isolate eccezioni. Il tempo e in particolar modo la sconfitta del movimento sciita però determineranno una più netta differenziazione anche in questo campo. Influenza delle culture regionali: la geografia islamica ha suddiviso il mondo conosciuto in vari climi che rappresentavano anche le differenze di carattere culturale. L’estensione raggiunta dalla civiltà musulmana portò l’Islam a dover interagire con i diversi climi che apportarono ognuno il proprio contribuito all’Islam. È difficile in realtà stabilire in che modo e quanto le singole influenze ambientali abbiano influito e nell’ambito religioso si va facendo strada l’idea che l’Islam ha importato numerosi elementi esogeni sapendo però creare una sintesi originale sulla quale è sempre visibile il marchio della sua originalità. Movimento dei partigiani di Ali e le sue tendenze: il movimento sciita nacque nei primi decenni di vita dell’islam e rappresentò il tentativo di affermare i diritti politici della famiglia del profeta, diritti lesi dall’elezione di Abu Bakr. La dissidenza tra sciiti e sunnita andò montando sotto i due califfati successivi, di Umar e Uthman, che venne accusato di favorire i componenti della propria famiglia e di non prestare attenzione alle nuove classi di convertiti che andavano ingrossando le file dell’Islam . La reazione popolare si identificò con la difesa dei diritti usurpato alla famiglia del Profeta e soprattutto a Kufa il malcontento trovò un crescente alimento, soprattutto tra i lettori del Corano. Tensioni si manifestarono anche in altre regioni: Egitto, la stessa Siria, l’Arabia. Queste tensioni sfociarono nell’assassinio di Uthman che causò una profonda emozione dai musulmani. Il massimo rappresentante della famiglia degli omayyadi, Mu’awiya, accusò Ali e i suoi partigiani scatenando il conflitto che avrebbe portato alla guerra fratricida e al sisma. Le lotte non faranno altro che allargare il solco e inasprire i toni della contesa. Nella stessa componente sciita ci furono divisioni tra chi non esitò a mettere in pratica la violenza e chi si rifiutò di provocare una guerra civile. Scisma dei kharigiti: essi non sono degli sciiti nel senso stretto della parola dal momento che si separarono dal partito di Ali arrivando addirittura a combatterlo.
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Tuttavia le loro origini sono da rintracciare proprio nelle istanze di giustizia e di rigore morale dello sciismo. Il termine kharigiti significa “coloro che escono” e primitivamente si identificarono con la lotta armata. Con le tensioni dopo l’uccisione del califfo, ci fu un confronto fra i due eserciti nella piana di Siffin ma entrambe le fazioni si dimostrarono titubanti, ritirando l’esercito. Si richiese un arbitrato che ebbe esiti inconcludenti ma che nei fatti favorì Mu’awiya. Ciò non fece altro che aumentare la tensione. Alcuni dunque decisero di “uscire”, appunto, di nuovo in battaglia ma di fronte al rifiuto di Ali compirono una vera e propria secessione. Il movimento non ebbe lunga vita e venne annientato in una sanguinosa battaglia anche se riuscì a far sentire ancora la sua voce. Esso è un movimento di carattere prevalentemente popolare che fece della militanza combattiva il centro delle proprie attività. Questo non vuol dire che non abbia anche una suo espressione dogmatica e in particolare la dottrina è incentrata sulla questione del capo legittimo: essi accettano come guida il miglior musulmano e non la linea del sangue. Propugnano rigore morale, legando strettamente la fede alle opere. Tutti coloro che contrastavano la causa dovevano essere perseguitati e uccisi e così le loro famiglie anche se non tutti i kharigiti aderirono a questo rigore. Shi’a imamita: lo sciismo imamita ha rappresentato e rappresenta il gruppo maggioritario dell’islam dissidente rispetto al mondo sunnita. Il termine imamiti allude alla nozione più caratteristiche del movimento, quella dell’imam che definisce la figura del capo spirituale e temporale della comunità. La codificazione dell’imamismo è sempre avvenuta in “negativo” allo scopo di differenziarsi dalle altre correnti. L’origine dello sciismo va ricercata nel mancato riconoscimento di Ali quale successore del Profeta, cosa che gli imamiti invece affermano doveva essere fatta anche basandosi su alcuni versetti coranici e sugli hadith che designerebbero Ali come successore. Dopo l’uccisione di Uthman, Alì prese la carica di califfo ma il suo califfato venne turbato da tensioni continue che costrinsero Alì e i suoi sostenitori a una vera e propria lotta per la sopravvivenza che vide l’erosione costante dell’autorità del califfo. Con la morte di Alì, si riaffermano gli Omayyadi. Il numero di imam riconosciuti dalla corrente maggioritaria dello sciismo si arresta aa 12 e sono Ali, Hasan, Husayn, Ali, Muhammad, Ga’far, Musa, Ali, Muhammad, Ali, Hasan, Muhammad con cui si stabilì la nozione della scomparsa o “occultamento”. Gli imamiti seguono la dottrina teologica della scuola mu’tazilita e in particolare si concentrano su:
Unicità di Dio Giustizia di Dio Profezia Imamato Escatologia
Secondo l’imamismo è teologicamente e razionalmente impossibile che Dio, dopo la morte del Profeta, abbia abbandonato a se stessa la comunità di fedeli.
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