IL MOBBING - Punto di vista giuridico-
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Il mobbing nel diritto del lavoro
INDICE
1. 1. UN PO' DI STORIA......................................................................2 1.1. IL FENOMENO.........................................................................................................4 1.1.a) TIPOLOGIE DI MOBBING.............................................................................10 1.1.b) LE FASI DEL MOBBING.................................................................................13 1.2.LA VALUTAZIONE DEL FENOMENO................................................................19
2. DISEGNI E PROGETTI DI LEGGE..........................................23 2.1.ATTUALE QUADRO NORMATIVO IN ITALIA..................................................23 2.1.a) PROGETTI DI LEGGE SULLA PREVENZIONE E REPRESSIONE DEL MOBBING....................................................................................................................27 ELENCO DEI PROGETTI DI LEGGE..............................................................................................30 2.2. QUADRO NORMATIVO EUROPEO.....................................................................34 2.3. CONCLUSIONE.......................................................................................................38
3. LA GIURISPRUDENZA ITALIANA.......................................40 3.1. ALCUNE SENTENZE..............................................................................................42
4. PREVENZIONE DEL MOBBING.............................................47 5. CONCLUSIONE.........................................................................52
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Il mobbing nel diritto del lavoro
1. UN PO' DI STORIA Definizione-
Il termine mobbing è stato coniato agli inizi degli anni settanta
dall'etologo Konrad Lorenz per descrivere un particolare comportamento di alcune specie animali. Il termine, proveniente dalla lingua inglese e dal verbo «to mob» (attaccare, assalire), è mediato dall'etologia e si riferisce al comportamento di alcune specie animali, solite circondare un membro del gruppo per allontanarlo. In quanto derivato dallo studio sui comportamenti degli animali, il mobbing è indubbiamente un fenomeno selettivo naturale. Chi non si integra nel sistema, chi è semplicemente diverso dal contesto in cui è inserito viene avvertito come una minaccia, perché «altro» rispetto a sé stessi; di qui la necessità di espellerlo o metterlo nelle condizioni di auto-espellersi. Dal punto di vista sociologico, nell'ottica dell'impresa, il mobbing viene considerato come un impatto su un modello organizzativo gerarchizzato, conseguenza del pressing esercitato su un dipendente per isolarlo ed escluderlo; dal punto di vista medico, nell'ottica del lavoratore, viene considerato una lesione all'equilibrio psico-fisico, conseguenza del sopracitato «pressing». Il primo a parlare di mobbing quale condizione di persecuzione psicologica nell'ambiente lavorativo, è stato, alla fine degli anni ottanta, lo psicologo svedese Heinz Leymann, che lo definiva come una comunicazione ostile e non etica, diretta in maniera sistematica da parte di uno o più individui generalmente contro un singolo che è progressivamente spinto in una posizione in cui è privo d’appoggio e di difesa e lì relegato per mezzo di ripetute e protratte attività mobbizzanti. Leymann ha espressamente affermato: «In caso di conflitto, le azioni che hanno la funzione di manipolare la persona in senso non amichevole, si possono distinguere in tre gruppi di forme di comportamento. Un gruppo di azioni verte sulla comunicazione con la persona attaccata. Un altro gruppo di comportamenti punta sulla reputazione della persona, utilizzando strategie per distruggerla. Infine le azioni del terzo gruppo tendono a manipolare la prestazione della persona per punirla. Alcuni di questi comportamenti si possono trovare nella comunicazione umana quotidiana o durante casuali litigi. Solo se queste azioni vengono compiute di proposito, frequentemente e per molto tempo, si possono 2
Il mobbing nel diritto del lavoro chiamare mobbing»1. Nel giro di pochi anni il lavoro di questo gruppo ha trovato consensi in tutta Europa: dapprima in Germania2, quindi in Francia e, da qualche anno, anche in Italia3. L'associazione contro lo Stress psico-sociale e il Mobbing, fondata in Germania nel 1993, lo definisce ufficialmente così: «...Una comunicazione conflittuale sul posto di lavoro tra colleghi o tra superiori e dipendenti nella quale la persona attaccata viene posta in una posizione debolezza e aggredita direttamente o indirettamente da una o più persone in modo sistematico, frequentemente e per un lungo periodo, con lo scopo e/o la conseguenza della sua estromissione dal mondo del lavoro. Questo processo viene percepito dalla vittima come una discriminazione». In Italia si inizia a parlare di mobbing solo negli anni novanta grazie allo psicologo del lavoro Harald Ege4, che delinea il fenomeno come «una forma di terrore psicologico sul posto di lavoro, esercitata attraverso comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti, da parte di colleghi o superiori» attuati in modo ripetitivo e protratti nel tempo per un periodo di almeno sei mesi. In seguito a questi attacchi la vittima progressivamente precipita verso una condizione di estremo disagio, che cronicizzandosi, si ripercuote negativamente sul suo equilibrio psico-fisico5. Nel 1
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Cfr. Heinz Leymann, The contest and development of mobbing at work, in Mobbing and victimization at Work, in European Journal of Work and Organizational Psychology, vol. 5, n. 2; cfr. anche F. Caracuta, Relazione al convegno nazionale organizzato dalla Uil C.A. nazionale e dalla Uil C.A. di Lecce, con il patrocinio della Provincia di Lecce e dell'Università degli Studi di Lecce, su: Mobbing- Un fenomeno da debellare, svoltosi in Galatina (Le) il 16 Giugno 2000, in www.diritto.it/articoli/lavoro/mobbing4.html; cfr. E. Minale Costa, Percorsi giurisprudenziali nel diritto del lavoro, Torino, 2004, pp. 286 ss. La Germania risulta essere un paese molto evoluto in fatto di studio e prevenzione del mobbing. Secondo i dati riportati da Ege, il mobbing è abituale argomento di discussione tra la gente e attraverso i principali mezzi di comunicazione; è inoltre riconosciuto come malattia professionale e le strutture sanitarie sono dotate di appositi strumenti per la diagnosi e la cura delle vittime di mobbing. In Italia le iniziative riguardanti il mobbing si stanno moltiplicando ogni giorno. La prima divulgazione sul fenomeno si deve al dottor Harald Ege, che a partire dal 1996 ha pubblicato una serie di libri sul mobbing, e precisamente: Mobbing.Che cos'è il terrore psicologico sul posto di lavoro; Il Mobbing in Italia; Stress e mobbing; I numeri del mobbing. Interviste e questionari a più di 300 vittime. Harald Ege, Psicologo del lavoro, ricercatore tedesco residente in Italia da molti anni dove opera, in particolare a Bologna, si è affermato come uno dei più accreditati e conosciuti specialisti nella materia, venendo a collaborare infine anche come Ctu nella controversia conclusasi con la sentenza del Tribunale di Forlì, 15 Marzo 2001- Est. Sorgi- , sentenza che per opinione unanime costituisce il contributo più avanzato alla definizione del fenomeno da parte della giurisprudenza. Cfr. G. P. Cioccia, Mobbing e danno alla salute: tutela, diagnosi e valutazione medica legale.
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Il mobbing nel diritto del lavoro 1996 tale autore ha pubblicato in Italia il primo libro dedicato espressamente all'argomento6 e ha fornito una nuova elaborazione del fenomeno, la cui espressione più recente è pervenuta a descrivere «il mobbing (come) una situazione lavorativa di conflittualità sistematica , persistente e in costante progresso in cui una o più persone vengono fatte oggetto di azioni ad alto contenuto persecutorio da parte di uno o più aggressori in posizione superiore, inferiore o di parità, con lo scopo di causare alla vittima danno di vario tipo e gravità. Il mobbizzato si troverà nell'impossibilità di reagire adeguatamente a tali attacchi e a lungo andare accusa disturbi psicosomatici, relazionali e dell'umore che possono portare anche a invalidità psicofisiche permanenti di vario genere e percentualizzazione»7. In altre sue opere Ege arriva anche a definire il mobbing come una vera e propria «guerra sul lavoro, in cui, tramite violenza psicologica, fisica e/o morale, una o più vittime vengono costrette a esaudire la volontà di uno o più aggressori. Questa violenza si esprime attraverso attacchi frequenti e duraturi che hanno lo scopo di danneggiare la salute, i canali di comunicazione, il flusso di informazioni, la reputazione e/o la professionalità delle vittime»8.
1.1. IL FENOMENO Nello stesso testo, Ege fornisce un altro preziosissimo contributo nell'individuare addirittura le categorie in cui suddividere gli attacchi mobbizzanti, le cinque
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Riflessioni sulla difficile «arte del vivere» nell'ambiente lavorativo – tratto da Bollettino dell'Ordine Provinciale di Roma dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri. H. Ege, Mobbing. Che cos'è il terrore psicologico sul posto di lavoro, Pitagora Editrice, Bologna. H. Ege, La valutazione peritale del danno da mobbing, 2002, Giuffrè, Milano, pag. 39. Cfr. H. Ege, Mobbing, conoscerlo per vincerlo, Franco Angeli Editore, 2001, pag. 51.
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Il mobbing nel diritto del lavoro seguenti:
LIPT (Leymann Inventory of Psycological Terrorism) 1. Comunicazione
· il capo limita la possibilità di esprimersi della vittima · viene sempre interrotto quando parla · i colleghi limitano la sua possibilità di esprimersi · si urla o si rimprovera violentemente con lui · si fanno critiche continue sul suo lavoro · si fanno critiche continue sulla sua vita privata · è vittima di telefonate mute o di minaccia · è vittima di minacce verbali · è vittima di minacce scritte · gli si rifiuta il contatto con gesti o sguardi scostanti · gli si rifiuta il contatto con allusioni dirette
2. Relazioni sociali
· non gli si parla più · non gli si rivolge più la parola · viene trasferito in un ufficio lontano dai colleghi · si proibisce ai colleghi di parlare con lui · ci si comporta come se lui non esistesse
3. Immagine sociale · si sparla alle sue spalle · si spargono voci infondate su di lui · lo si ridicolizza · lo si sospetta di essere malato di mente · si cerca di convincerlo a sottoporsi a visita psichiatrica · si prende in giro un suo handicap fisico · si imita il suo modo di parlare o di camminare per prenderlo in giro · si attaccano le sue idee politiche o religiose · si prende in giro la sua vita privata · si prende in giro la sua nazionalità · lo si costringe a fare lavori umilianti · si giudica il suo lavoro in maniera sbagliata e offensiva · si mettono in dubbio le sue decisioni · gli si dicono parolacce o altre espressioni umilianti · gli si fanno offerte sessuali, verbali e non 4. Situazione professionale e privata
· non gli si danno dei compiti da svolgere · gli si toglie ogni tipo di attività lavorativa, in modo che non possa più nemmeno inventarsi un lavoro · gli si danno lavori senza senso · gli si danno lavori molto al di sotto della sua qualificazione professionale · gli si danno sempre nuovi compiti lavorativi · gli si danno lavori umilianti · gli si danno compiti molto al di sopra delle sue capacità o qualificazioni per screditarlo
5. Salute
· lo si costringe a fare lavori che nuocciono alla sua salute · lo si minaccia di violenza fisica · gli si fa violenza leggera per dargli una lezione · gli si fa violenza fisica più pesante · gli si causano danni per svantaggiarlo · gli si creano danni fisici nella sua casa o sul posto di lavoro · gli si mettono le mani addosso a scopo sessuale
Nella sua ultima opera9 Ege delinea i sette criteri fondamentali per l'individuazione del mobbing:
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Cfr. H. Ege, La valutazione peritale del danno da mobbing, op. cit.,pp.7 ss.
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Il mobbing nel diritto del lavoro Parametri per il Riconoscimento del Mobbing:
Requisiti:
1. Ambiente lavorativo
Il conflitto deve svolgersi sul posto di lavoro
2. Frequenza
Le azioni ostili devono accadere almeno alcune volte al mese
3. Durata
Il conflitto deve essere in corso da almeno sei mesi; almeno tre mesi nel caso del “Quick Mobbing”10
4. Tipo di azioni
Le azioni subite devono appartenere ad almeno due delle cinque categorie del "LIPT Ege" (tre su cinque nel caso del “Quick Mobbing”)
5. Dislivello tra gli antagonisti
La vittima è in una posizione costante di inferiorità.
6. Andamento secondo fasi successive
La vicenda ha raggiunto almeno la II fase del modello italiano Ege a sei fasi. (vedi pag. 14)
7. Intento persecutorio
Nella vicenda deve essere riscontrabile un disegno vessatorio coerente e finalizzato, obiettivo conflittuale e carica emotiva e soggettiva.
L'autore inoltre fornisce parametri atti a chiarire quello che non è e non deve essere considerato mobbing: il mobbing non è, come già di è detto, una singola azione, consistente in un unico demansionamento, un trasferimento gravoso, un ordine di servizio umiliante, l'assegnazione ad una postazione scomoda, ma è una strategia, un attacco continuo, ripetuto, duraturo; non è una malattia, ancor meno una patologia psichiatrica, ma è invece una situazione; non è un problema dell'ambiente familiare; non è una molestia sessuale, anche se questa può essere 10
La durata del conflitto deve pro-trarsi per almeno sei mesi, sì può considerare anche un limite di soli tre mesi nel caso in cui la frequenza degli attacchi sia quotidiana e le azioni siano dotate di particolare forza conflittuale e carica persecutoria: in questo caso viene denominato Quick Mobbing.
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Il mobbing nel diritto del lavoro una degli strumenti finalizzati a tale scopo; non individua un tipo particolare di vittima, ma può essere indirizzato contro chiunque, secondo dinamiche che si sviluppano maggiormente in ambiente impiegatizio e nel settore pubblico. Scopo del mobbing è, come già detto, quello d'indurre la vittima ad abbandonare il posto di lavoro, attraverso il licenziamento o costringendola a consegnare le dimissioni. Il fenomeno ha assunto proporzioni a tal punto rilevanti, da coinvolgere in ogni paese europeo percentuali molto alte di lavoratori. Non esistono casistiche precise, ma il numero di casi di mobbing sembra essere in continuo aumento. In Europa tale fenomeno sta assumendo dimensioni sociali di notevole rilievo. In Italia circa il 6% della popolazione attiva (approssimativamente un milione e mezzo di lavoratori) ne sarebbe vittima con conseguenti effetti negativi che ricadono sull'individuo colpito, sul suo nucleo familiare, sulle aziende per le quali il deterioramento delle dinamiche lavorative di gruppo comporta inevitabilmente un aumento dei costi aziendali e sulla collettività con il conseguente incremento dei costi sanitari e previdenziali.
I dati nella tabella seguente sono tratti da “ H. Ege, Mobbing. Che cos'è il terrore psicologico sul posto di lavoro, Pitagora Editrice, Bologna. “.
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Il mobbing nel diritto del lavoro
A 301 vittime di Mobbing è stato sottoposto un questionario specifico che riguardava gli effetti e le modalità del terrorismo psicologico che subivano o avevano subito sul posto di lavoro. Ecco alcuni dei risultati della ricerca: IL SETTORE DI PROVENIENZA DELLE VITTIME DI MOBBING Più del 38% delle vittime intervistate provengono dal settore dell’industria produttrice di beni/servizi, mentre un altro forte riscontro del mobbing si ha nella pubblica amministrazione (oltre 21%). All’interno del mondo industriale o del terziario è ben evidente un certo orientamento verso il profitto, che si traduce di solito nella filosofia secondo cui chi produce di più viene anche maggiormente gratificato. Possiamo dunque avanzare l’ipotesi secondo cui esiste una forte relazione tra mobbing e ambizione. Poiché più si produce e più si ricevono gratificazioni, è possibile che un impiegato carrierista ed ambizioso ricorra al mobbing per liberarsi di un collega molto bravo sul lavoro, che è o potrebbe diventare un pericoloso concorrente nella corsa alla promozione. Nell’amministrazione pubblica, invece, solitamente hanno molto peso i favoritismi di ogni tipo, famigliare, politico, etc. Ciò può portare alla spiccata tendenza ad eliminare chiunque non faccia parte della “famiglia”, e che quindi costituisce con la sua semplice presenza, una denuncia al sistema.
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Il mobbing nel diritto del lavoro CONSEGUENZE PER UN'IMPRESA CHE PERMETTE IL MOBBING: -alto turn-over (non sono solo i mobbizzati che vengono licenziati o danno le dimissioni che se ne vanno via, ma anche una discreta percentuale di lavoratori che hanno assistito al caso di mobbing e che per paura non sono intervenuti a difesa della vittima. Questi spettatori hanno paura di diventare a loro volta capri espiatori, cercano nuove opportunità di lavoro e una volta trovato un nuovo posto danno le dimissioni). -assenteismo e congedi malattia -diminuzione del tempo di lavoro netto (i mobber passano la maggior parte dell’orario di lavoro a perseguitare la vittima ed a pianificare come perseguitarla in futuro): secondo Casilli11 il mobber perde il 15% del proprio tempo al lavoro in vessazioni. -calo di produttività a lungo termine della vittima (quando non e’ malata) -deficit produttivo (aumento degli scarti di lavorazione, maggior numero di errori) -spese legali per cause civili e/o penali(a seconda della gravità del mobbing) -danno d’immagine all’azienda (il lavoratore che ha subito mobbing può informare la stampa del suo caso) -costi per la liquidazione o la buonauscita, oppure per la messa in lista di mobilità (rara nei casi di mobbing). -costi per rimpiazzare i mobbizzati. COSTI PER SOSTITUIRE UN LAVORATORE LICENZIATO : -costi di reclutamento (inserzioni sui quotidiani di offerta lavoro) -screening: valutazione dei curriculum e delle referenze -costi di selezione del personale (test, colloqui) -training del neoassunto [il costo di selezione e formazione di un neoassunto e’ in totale di circa 15 milioni di lire]
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A. Casilli, Stop mobbing. Resistere alla violenza psicologica sul luogo di lavoro, Derive Approdi, Roma, 2000.
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Il mobbing nel diritto del lavoro
1.1.a)
TIPOLOGIE DI MOBBING
La dottrina ha delineato varie tipologie di mobbing: 1. Mobbing di tipo verticale: quando la violenza psicologica avviene nei confronti della vittima da parte di un superiore (nella terminologia anglosassone questa forma viene anche definita bossing o bullying), «che per diversi motivi (volontà di raggiungere massimi livelli di efficienza, invidia, paura di perdere potere nella struttura gerarchica) oltrepassa i limiti della propria supremazia professionale fino a esercitare atteggiamenti particolarmente aggressivi e punitivi nei confronti della propria vittima. Tali atteggiamenti
di
norma
vengono
poi
assunti
da
altri
dipendenti,
determinando un progressivo isolamento della vittima»12; «costituito da soprusi gerarchici e umiliazioni imposte al subordinato da un superiore aggressivo [ ... ]. Altro non è che una delle dinamiche più comuni all'interno dell'area della violenza psicologica in azienda»13. Più propriamente il bossing è l'azione compiuta dal datore di lavoro o dalla direzione del personale nei confronti di dipendenti divenuti scomodi. Si tratta, dunque, di una strategia aziendale di riduzione, ringiovanimento o razionalizzazione degli organici (detto anche “mobbing pianificato”). 2. Mobbing di tipo orizzontale: quando l'azione discriminatoria è messa in atto dai colleghi nei confronti del soggetto colpito; di norma questa tipologia può essere letta in una duplice chiave interpretativa: •
la prima riguarda più strettamente l'organizzazione del lavoro. In tal senso un dipendente, o neoassunto o trasferito o promosso, col suo arrivo scardina in qualche modo un gruppo già collaudato e dotato di propri equilibri interni che tendono spesso ad appiattire la personalità e la professionalità dei singoli. Trattasi, in genere, di persone intraprendenti e creative, e in quanto tali in grado di turbare meccanismi conosciuti e accettati da tutti i componenti;
•
nel secondo caso, l'emarginazione progressiva della vittima passa attraverso l'essere diversa dal resto del gruppo: si pensi ai portatori
12 13
Così, L. Pardini, La medicina del lavoro e il fenomeno del Mobbing, pag. 28. Così, A. Gilioli, R. Gilioli, Cattivi capi, cattivi colleghi, Mondadori, Milano, 2000, p. 33.
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Il mobbing nel diritto del lavoro di handicap fisico o mentale o a soggetti appartenenti a diverse razze, religioni o di diversa inclinazione sessuale. 3. Mobbing individuale: quando oggetto è il singolo lavoratore. 4. Mobbing collettivo: quando colpiti da atti discriminatori sono gruppi di lavoratori (si pensi alle ristrutturazioni aziendali, prepensionamenti, cassa integrazione, etc...); spesso attuato come strategia aziendale mirata a ridurre o razionalizzare gli organici e rivolto a gruppi numerosi di persone. 5. Doppio mobbing: si realizza, a parere di Ege, quando il mobbizzato riversa sulla famiglia tutte le sue problematiche. A una prima fase di comprensione dei familiari, segue una condizione di distacco che, quando la situazione si aggrava, porta ad un ulteriore isolamento dell'individuo dal nucleo familiare. 6. Mobbing esterno: la vittima è il datore di lavoro che subisce pressioni attuate sotto forma di minacce di denuncia per comportamenti mobbizzanti, sia da parte di organizzazioni sindacali, che da dipendenti con velleità carrieristiche. 7. Mobbing dal basso (sia individuale che collettivo): quando viene messa in discussione l'autorità di un superiore. 8. Mobbing sessuale: molestie a sfondo sessuale, anche se non caratterizzate da contatto fisico. 9. Mobbing strategico: che corrisponde ad un preciso disegno di esclusione di un lavoratore da parte della stessa azienda e/o del management aziendale, che, con tale azione premeditata e programmata, intende realizzare un ridimensionamento delle attività di un determinato lavoratore o il suo allontanamento dal lavoro. 10.
Mobbing emozionale: si manifesta attraverso un'alterazione delle relazioni
interpersonali
(esaltazione
ed
esasperazione
dei
comuni
sentimenti di rivalità, gelosia, antipatia, diffidenza, paura, etc... di ciascun individuo), sia di tipo gerarchico che tra colleghi. 11.
Mobbing senza intenzionalità dichiarata: privo di una volontà strategica di eliminare un determinato lavoratore con azioni di violenza psicologica, caratterizzato, dall'accentuazione da parte di un pari grado (per 11
Il mobbing nel diritto del lavoro eliminare eventuali ostacoli alle proprie ambizioni carrieristiche), o da parte di un superiore (al fine di tutelare la propria posizione gerarchica, giudicata in pericolo), dalla conflittualità latente nell'ambito lavorativo. Deve inoltre farsi presente che in caso di mobbing, la situazione può essere resa ancora più grave dalla presenza dei cosiddetti “side mobber”, detti anche “spettatori silenziosi”, ovvero dipendenti non responsabili delle condotte persecutorie, ma a conoscenza dei fatti14.
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Cfr. C. Lensi, op. cit.; cfr. G. P. Cioccia, op. cit.; cfr. R. Gilioli, M. Adinolfi, A. Bagaglio, D. Boccaletti, M. G. Cassitto, B. Della Pietra, C. Fanelli, E. Fattorini, D. Gilioli, A. Grieco, A. Guizzaro, A. Labella, O. Mattei, M. Menegozzo, S. uenzaMenegozzo, R. Molinini, D. Musto, A. Paoletti, F. Papalia, R. Quagliuolo, F. Vinci, Un nuovo rischio all'attenzione della medicina del lavoro: le molestie morali ( Mobbing ), Consensus Document, in La Medicina del Lavoro, vol. 92, n. 1, Gennaio-Febbraio 2001, Casa Editrice Mattioli, Fidenza.
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Il mobbing nel diritto del lavoro
1.1.b)
LE FASI DEL MOBBING
A giudizio di Leymann, il mobbing si sviluppa attraverso quattro fasi: 1. Segnali premonitori: fase breve e sfumata nella quale iniziano a manifestarsi i primi screzi relazionali tra la vittima e i colleghi o il superiore. Tali screzi si scatenerebbero in seguito a cambiamenti apparentemente non significativi nell'ambiente lavorativo, quali, ad esempio, una nuova assunzione oppure una promozione. Iniziano le prime critiche e i primi rimproveri. La vittima inizia ad avvertire un certo malessere, che tuttavia cerca ancora di gestire con il ricorso alla razionalità e alla pazienza. Di solito dopo sei mesi appaiono disturbi psicosomatici (insonnia, diarrea, vomito, nausea, incubi e così via...), che divengono ansia generalizzata entro un anno dall'inizio delle persecuzioni. 2. Mobbing e stigmatizzazione: in questa fase si rendono palesi tutti i comportamenti del mobbing, attraverso incalzanti e reiterati attacchi nei confronti della vittima al fine di screditarne la reputazione, isolarla dal contesto lavorativo impedendogli ogni forma di comunicazione e di espressione, demotivarla riducendone la considerazione di sé attraverso continue critiche e richiami oppure dequalificandolo professionalmente. Il protrarsi delle suddette aggressioni per un periodo che va dai quindici ai diciotto mesi determina nella maggior parte dei casi uno stato cronico di ansietà. Dai due ai quattro anni dall'inizio delle vessazioni appaiono gravi disturbi psichici, quali depressione accompagnata da fobie, automatismo e ruminazioni mentali, ossessioni, dipendenza da farmaci tranquillanti, assenze dal lavoro per malattia. 3. Ufficializzazione del caso: la vittima denuncia le vessazioni, ma viene additata dai suoi aguzzini come soggetto psichicamente labile. La malattia assume il ruolo di causa e non di conseguenza e la vittima viene bollata come «problematica», «strana», «piantagrane», dando vita ad un vero e proprio fenomeno di stigmatizzazione. In questi casi, la via preferibile resta l'intervento di sindacalisti esterni all'impresa in cui si trova il mobbizzato.
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Il mobbing nel diritto del lavoro 4. L'allontanamento: è la fase conclusiva dell'azione mobbizzante, che culmina con il completo isolamento della vittima. Il mobbizzato si trova completamente isolato, dequalificato professionalmente e incapace di reagire alla situazione. Inizia a manifestare depressione e somatizzazioni che lo portano a consultare un medico specialista. Con il passare del tempo la situazione diviene insopportabile e il lavoratore stremato, non riuscendo a trovare una soluzione al problema, sceglie la strada delle dimissioni volontarie quale estremo tentativo di salvezza. Arrivato a questo stadio, il fenomeno è difficilmente arginabile. Il soggetto viene definitivamente escluso. Frequente è la cronicizzazione di manie ossessive; più raro, ma comunque possibile, il rischio di suicidi15 e lo sviluppo di comportamenti criminali. Anche quando non si decide per il licenziamento con indennità o per la decisione autoritaria di internamento psichiatrico, l'esclusione dal mondo del lavoro avviene, comunque, mediante l'assegnazione di incarichi di minore importanza o la successione di trasferimenti da un posto all'altro.
Harald Ege ha modificato il modello di Leymann, aggiungendo due fasi: 0. «Condizione zero»: non si tratta di una fase, ma di una pre-fase, di una 15
Gli studi condotti in Svezia attribuiscono al mobbing la corresponsabilità per il 15% dei suicidi annuali.
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Il mobbing nel diritto del lavoro situazione iniziale normalmente presente in Italia e del tutto sconosciuta nella cultura nordeuropea: il conflitto fisiologico, normale ed accettato. Una tipica impresa italiana è conflittuale. Sono poche le imprese che sfuggono a questa regola. Questa conflittualità fisiologica non costituisce mobbing, anche se è evidentemente un terreno fertile al suo sviluppo. Si tratta di un conflitto generalizzato, che vede tutti contro tutti e non ha una vittima individuata. Non è del tutto latente, ma si fa notare di tanto in tanto con banali
diverbi
d’opinione,
discussioni,
piccole
accuse
e
ripicche,
manifestazioni del classico ed universalmente noto tentativo generalizzato di emergere rispetto agli altri. Un aspetto è fondamentale: nella “condizione zero” non c’è da nessuna parte la volontà di distruggere, ma solo quella di elevarsi sugli altri. Vediamo un esempio pratico: un'impresa di servizi che elabora programmi di computer e software. I tempi di consegna sono sempre strettissimi e i dipendenti sono continuamente sottoposti a superlavoro. ”Dipendente X” è un programmatore dipendente di questa impresa: a volte si trova in difficoltà e indietro col lavoro, ma nessun collega può e vuole aiutarlo, perché impegnato a gestire i suoi stessi tempi strettissimi. Inoltre, nell'impresa esiste una forte competitività: ogni dipendente che riesce a consegnare in tempo il lavoro riceve una gratificazione, mentre chi resta indietro corre seri rischi. In conseguenza di tutto questo, i rapporti personali tra tutti i colleghi (e non solo nei confronti di “Dipendente X”) sono praticamente inesistenti e improntati a una gelida cortesia formale. 1. Conflitto mirato: è la prima fase del mobbing in cui si individua una vittima e verso di essa si dirige la conflittualità generale. Il conflitto fisiologico di base dunque prende una svolta, non è più una situazione stagnante, ma si incanala in una determinata direzione. In questo momento l’obiettivo non è più solo quello di emergere, ma quello di distruggere l’avversario, “fargli le scarpe”. Nel nostro esempio, “Dipendente X” riceve una cospicua gratificazione per aver portato a termine in tempo un importante lavoro. Questo suscita invidia nei colleghi che temono di venire ingiustamente surclassati: ora, pensano, il
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Il mobbing nel diritto del lavoro capoufficio privilegerà lui invece di noi. Cominciano così a isolarlo e a prenderlo in giro: “Sei tu il fenomeno, quindi non hai bisogno di consigli da parte nostra”. 2. Inizio del mobbing: gli attacchi da parte del mobber non causano ancora sintomi o malattie di tipo psico-somatico sulla vittima, ma tuttavia le suscitano un senso di disagio e fastidio. Essa percepisce un inasprimento delle relazioni con i colleghi ed è portata quindi ad interrogarsi su tale mutamento. “Dipendente X” è ora fatto bersaglio di veri e propri attacchi: è accusato di stakanovismo e di superbia nei confronti dei colleghi. Prima era spesso attaccato, ora ogni problema viene riversato su di lui, che è diventato ormai il capro espiatorio dell’intero ufficio: “La colpa del ritardo è sua, voleva fare tutto da solo”, “Non ci ha informato per avere da solo tutto il vantaggio”, “Quello vuole farci le scarpe a tutti”. “Dipendente X” si accorge della freddezza che improvvisamente lo circonda e comincia a chiedersi cosa mai ha fatto per meritarsela. 3. Primi sintomi psicosomatici: la vittima comincia a manifestare problemi di salute e questa situazione può protrarsi anche per lungo tempo. Questi primi sintomi riguardano in genere un senso di insicurezza, l’insorgere dell’insonnia e problemi digestivi. A furia di interrogarsi, il nostro “Dipendente X” è arrivato al punto che la situazione in ufficio è diventata un chiodo fisso: non dorme più bene, si sveglia spesso in preda ad incubi, comincia ad avvertire tremori alle gambe quando va in ufficio ed entra in una lieve depressione, poiché vede che non riesce in nessun modo a migliorare le cose. 4. Errori e abusi dell'amministrazione del personale: il caso di mobbing diventa pubblico e spesso viene favorito dagli errori di valutazione da parte dell’ufficio del personale. La fase precedente, che porta in malattia la vittima, è la preparazione di questa fase, in quanto sono di solito le sempre più frequenti assenze per malattia ad insospettire l’Amministrazione del Personale. In seguito ai sintomi psicosomatici che avverte, “Dipendente X” va una
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Il mobbing nel diritto del lavoro prima volta in malattia, ma al ritorno in ufficio la situazione peggiora: ora i colleghi lo prendono in giro anche per avere, a loro dire, rimediato delle vacanze extra quando loro erano oberati di lavoro. “Dipendente X” cerca di resistere, ma deve chiedere altri giorni di permesso: l’insonnia si è aggravata e la depressione è sempre più profonda, non riesce a entrare in ufficio e a mettersi al lavoro. L’ufficio personale, allarmato anche dal ritardo del lavoro, nota le ripetute assenze di “Dipendente X” e comincia a indagare: la soluzione più facile è inviare richiami disciplinari a una sola persona (“Dipendente X”) piuttosto che a tutto l’ufficio. 5. Serio aggravamento della salute psicofisica della vittima ( ha inizio l'isolamento della vittima ): in questa fase il mobbizzato entra in una situazione di vera disperazione. Di solito soffre di forme depressive più o meno gravi e si cura con psicofarmaci e terapie, che hanno solo un effetto palliativo in quanto il problema sul lavoro non solo resta, ma tende ad aggravarsi. Gli errori da parte dell’amministrazione infatti sono di solito dovuti alla mancanza di conoscenza del fenomeno del mobbing e delle sue caratteristiche. Conseguentemente, i provvedimenti presi sono non solo inadatti, ma anche molto pericolosi per la vittima. Essa finisce col convincersi di essere essa stessa la causa di tutto o di vivere in un mondo di ingiustizie contro cui nessuno può nulla, precipitando ancora di più nella depressione “Dipendente X” è in piena depressione: non riesce più a dormire o ad andare avanti senza farmaci. Ora è convinto più che mai che tutto il mondo ce l’ha con lui, non solo i colleghi, ma anche l'impresa stessa, che lo richiama, lo rimprovera, gli nega permessi, ferie e aspettative. 6. Esclusione dal mondo del lavoro: implica l’esito ultimo del mobbing, ossia l’uscita della vittima dal posto di lavoro, tramite dimissioni volontarie, licenziamento, ricorso al pre-pensionamento o anche esiti traumatici quali il suicidio, lo sviluppo di manie ossessive, l’omicidio o la vendetta sul mobber. Anche questa fase è preparata dalla precedente: la depressione porta la vittima a cercare l’uscita con le dimissioni o licenziamento, una forma più grave può portare al pre-pensionamento o alla richiesta della pensione di
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Il mobbing nel diritto del lavoro invalidità. I casi di disperazione più seri si concludono purtroppo in atti estremi. “Dipendente X”, ormai incapace di reggere ancora la pressione cui è sottoposto, si dimette. Le sue referenze per un altro eventuale impiego, non sono certo migliori, e comunque, prima di riprendere il lavoro, ha bisogno di riposo e di cure per uscire dal tunnel della depressione e riprendere fiducia in se stesso.
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Il mobbing nel diritto del lavoro
1.2.LA VALUTAZIONE DEL FENOMENO La determinazione del mobbing in base ai sette parametri tassativi di riconoscimento non è che il primo stadio di un processo articolato, attraverso cui si giunge alla quantificazione del Danno da Mobbing ai fini peritali e che è stato denominato "Metodo Ege 2002" per la determinazione e quantificazione del danno da mobbing. Si tratta del primo esperimento in assoluto di tabellazione matematica per il risarcimento del danno da mobbing: esso è presentato e dettagliatamente spiegato nel citato libro edito da Giuffré16, che contiene anche in Appendice le Tabelle complete di monetizzazione del danno da mobbing.
Il "Metodo Ege 2002" è così schematizzato:
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H. Ege, La valutazione peritale del Danno da Mobbing, Giuffré Milano 2002.
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Il mobbing nel diritto del lavoro
"METODO EGE 2002" per la valutazione e quantificazione del Danno da Mobbing
FASE I Determinazione del Mobbing Sulla base del risultato del test "LIPT Ege" e del colloquio specialistico sulla vicenda lavorativa, il perito verifica la presenza contestuale dei sette parametri tassativi e quindi è in grado di stabilire se la vicenda in esame è o meno riconducibile al mobbing. FASE II Valutazione della Lesione Accertata da Mobbing (L.A.M.) totale permanente Se la fase precedente ha dato esito positivo, l'Esperto procede, sulla base del calcolo matematico di valori convenzionali, alla percentualizzazione della cosiddetta L.A.M. totale permanente, che indica il grado di lesione che la vittima di mobbing ha riportato sia a livello professionale/economico, sia dal punto di vista cosiddetto esistenziale (maggiorazioni relative al doppio-mobbing e al calo di autostima). Nella valutazione si tiene conto di più varianti, come la durata e la frequenza del mobbing, lo stadio raggiunto dalla vicenda lavorativa e la fascia di reddito della vittima. FASE III Quantificazione monetaria della L.A.M. totale permanente Con apposite tabelle di monetizzazione del danno da mobbing, elaborate sulla base dell'attuale tabella per la quantificazione del danno biologico, si giunge alla determinazione dell'indennizzo monetario che il mobbizzato può chiedere davanti al giudice a titolo di risarcimento per l'insieme dei danni che il mobbing gli ha arrecato. I valori di tale indennizzo variano a seconda del sesso e dell'età della vittima, oltre naturalmente a tener conto dell'inflazione.
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Il mobbing nel diritto del lavoro La non facile valutazione medico legale dei casi di mobbing è basata innanzitutto sull'accertamento della realtà del danno, con la constatazione obiettiva della lesione e la conferma delle circostanze e delle cause responsabili del fatto lesivo (studio analitico dell'ambiente lavorativo, del tipo di vessazione e di terrorismo psicologico subita ecc.). Fondamentale è la dimostrazione del rapporto di causalità esistente tra le cause o concause
che
devono
essere
cronologicamente,
qualitativamente,
quantitativamente idonee a produrre l'effetto dannoso che sarà analizzato nella sua natura, entità e conseguenze che ha provocato. Per i danni da mobbing non è possibile applicare il principio della causalità esclusiva ma si dovranno valutare tutte le concause e le condizioni che prendono parte al verificarsi dell'evento con conseguente riconoscimento ed esclusione di eventuali occasioni prive di valenza causale. È di cruciale importanza, per una corretta metodologia valutativa medico legale, considerare che il danno biologico provocato dal mobbing riconosce sicuramente una genesi multi fattoriale, per cui non sarà possibile prescindere da quella che è la specifica ed individuale costituzione del soggetto e dalla sua personale suscettibilità e capacità di reazione ad un determinato evento dannoso e/o a diversi
stimoli
relazionali
ed
ambientali.
È
assolutamente
necessario
individualizzare il caso, senza ricorrere a inquadramenti standardizzati, per accertare la natura specifica della patologia riconducibile al mobbing. Per la complessità delle problematiche correlate, l'approccio al fenomeno mobbing deve essere multidisciplinare e deve coinvolgere diversi profili professionali:
il medico del lavoro che dovrà valutare scrupolosamente tutti i "rischi lavorativi" analizzando tutte quelle nozioni di tipo tecnico ed organizzativo in grado di alterare la condizione di benessere psico-fisico del lavoratore e, in sinergia con il datore di lavoro, identificare e bloccare eventuali anomalie nei vari processi lavorativi;
lo specialista psichiatra al quale è affidato il compito di enunciare una diagnosi clinica differenziale tra un disturbo dell'adattamento (condizione transitoria che solitamente si sviluppa entro tre mesi dall'esordio dei fattori stressanti e si risolve entro sei mesi dalla cessazione degli stessi) e un più 21
Il mobbing nel diritto del lavoro importante disturbo post traumatico da stress (maggiore compromissione della affettività dell'individuo con conseguente grave disagio alla sua vita di relazione e cronicizzazione dei disturbi che permangono anche dopo l'allontanamento
dai
fattori
stressanti).
Dovrà
fornire
un’accurata
valutazione della personalità del mobbizzato identificandone i problemi adattativi di personalità, la capacità di interazione con l'ambiente lavorativo e i limiti soggettivi di ipersuscettibilità a stress lavorativi generici .
Il medico legale attraverso un’approfondita anamnesi inchiesta ed analisi documentale dovrà: • inquadrare a 360 gradi lo stato anteriore del soggetto per ottenere informazioni circa la sua vita lavorativa antecedente e attuale, la presenza di malattie pregresse, motivazioni ed eventuali interessi extra-lavorativi, ecc. • individuare la persecuzione e l'illecito comportamento; • dimostrare il nesso causale tra l'azione lesiva ed il danno; • quantizzare il danno.
Da quanto esposto si evince come sia complesso l'accertamento e l'acclaramento di una condizione di mobbing in un lavoratore che, nel nostro ordinamento giuridico, anche in assenza di norme giuridiche "ad hoc", trova già sufficiente tutela per le azioni o comportamenti riconducibili alle vessazioni connesse con l'ambiente lavorativo. È fondamentale, a mio avviso, pervenire ad un’univoca definizione di mobbing che tenga conto di tutte le componenti qualitative, quantitative, cronologiche e modali che lo costituiscono al fine non solo di ridimensionare esagerate aspettative nei lavoratori, vista la grande eco che in questi ultimi tempi il mobbing sta suscitando, ma anche per circoscrivere un fenomeno all'interno del quale, attualmente, si può ricomprendere tutto e il contrario di tutto e che rischia di assumere una connotazione di sproporzionata novità a livello di contenzioso.
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Il mobbing nel diritto del lavoro
2. DISEGNI E PROGETTI DI LEGGE 2.1. ATTUALE QUADRO NORMATIVO IN ITALIA L’assenza di una specifica previsione legislativa non impedisce di difendersi dal mobbing dal momento che nel nostro ordinamento già esistono norme (costituzionali, civilistiche, penali e specialistiche) le quali, grazie ad una paziente opera di interpretazione, costituiscono un buon argine a protezione delle vittime di violenze psicologiche in ambito lavorativo potendo assicurare la tutela del lavoratore ed il risarcimento dei danni subiti in conseguenza dei comportamenti mobbizzanti oltre che la sanzione di tali comportamenti. Numerose sono le norme della Costituzione poste a tutela della persona in quanto tale e del lavoratore inserito nella realtà lavorativa (artt. 2, 3, 4, 32, 35, 36, 41) e tra queste, in particolare vanno segnalati gli articoli: 32, che riconosce la tutela della salute come diritto fondamentale dell'uomo (la salute è il fondamentale diritto dell’individuo e l’interesse primario della collettività); 35, che prevede la tutela del lavoro in tutte le sue forme (Il lavoro è tutelato in tutte le sue forme); 41, che vieta lo svolgimento dell'attività economica privata se esercitata in contrasto con l'utilità sociale o qualora rechi danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana (qualsiasi attività economica non può svolgersi se in contrasto con l’utilità sociale, se reca danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana). Sotto il profilo civilistico, occorre prima di tutto distinguere le ipotesi in cui l'autore del mobbing è un datore di lavoro da quella in cui è un superiore gerarchico o un collega della vittima. Nella seconda ipotesi, l'autore delle violenze psicologiche potrà essere chiamato a rispondere ai sensi dell'art. 2043 c.c., quindi per responsabilità extracontrattuale. La norma di carattere generale contenuta nell'art. 2043 stabilisce, infatti, che qualunque fatto doloso o colposo che causa ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno ed è, quindi, perfettamente 23
Il mobbing nel diritto del lavoro applicabile alle varie configurazioni del mobbing poiché contiene il principio generale di responsabilità e sancisce il divieto di cagionare danni ad altri. L'importanza dell'articolo, quale efficace strumento di lotta al mobbing, è messa in particolare risalto dalla sentenza n° 411 del 24 Gennaio 1990 della Corte di Cassazione nella quale la stessa Corte “ha stabilito che il bene della salute costituisce oggetto di autonomo diritto primario e quindi il risarcimento per la sua lesione non può essere limitato alle conseguenza che incidono soltanto sulla idoneità del soggetto a produrre reddito e cioè al danno patrimoniale inteso come diminuzione del reddito per esborsi di denaro (cure e/o trattamenti medici o acquisto di prodotti farmaceutici) cosiddetti danno emergente, o come possibilità di perdita di guadagno a causa dalla condotta del molestatore (lucro cessante), ma deve essere esteso al danno biologico inteso come lesione inferta al bene dell'integrità psichica in sé e per sé”. Qualora invece l'autore della violenza psicologica sia il datore di lavoro. La responsabilità derivante dall'art.2043 potrà concorrere con quella contrattuale da inadempimento di cui all'art. 2087 del Codice Civile che dispone, integrando le obbligazioni nascenti dal contratto di lavoro, che, “l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. E' evidente che dall'articolo 2087 discende non solo il divieto per il datore di lavoro di porre in essere direttamente comportamenti riconducibili al mobbing, ma anche l'obbligo di attivarsi per impedire che tali comportamenti siano messi in atto dai propri dipendenti. In giurisprudenza, infatti, è stata riconosciuta la legittimità del licenziamento in tronco di lavoratori che abbiano posto in essere delle gravi condotte nei confronti di altri dipendenti. Nel merito, il lavoratore dovrà provare la condotta illegittima ed il nesso di causalità tra l'inadempimento delle misure previste dall'art. 2087 ed il danno subito, mentre a carico del datore di lavoro rimane la prova di aver operato secondo le disposizioni di legge. Analogamente trovano sanzione anche i comportamenti riconducibili all'abuso del
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Il mobbing nel diritto del lavoro diritto da parte del datore di lavoro. Quindi la tutela del lavoratore vittima di vessazioni psicologiche può essere esercitata ai sensi degli articoli 2043 e 2087 c.c., e la scelta del meccanismo di tutela più idonea spetterà al lavoratore. Un importante principio è stato recentemente affermato dalla Corte di Cassazione con l'innovativa sentenza del 5 Ottobre 200117. La Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi sul caso di un lavoratore, che dopo aver svolto per tre anni le mansioni per le quali era stato assunto, nei successivi sedici anni – pur continuando a ricevere la retribuzione – non era stato impiegato in nessuna attività, riconoscendogli il diritto ad essere risarcito per il danno subito ha sancito il principio secondo il quale la negazione o l'impedimento allo svolgimento delle mansioni lede il diritto fondamentale alla libera esplicazione della personalità del lavoratore”. Ancora sotto il profilo civilistico è possibile esperire la tutela in via d'urgenza in presenza di comportamenti vessatori o discriminatori che pongono in grave pericolo i diritti del lavoratore, attraverso l'art. 700 c.p.c. Per quanto riguarda invece il profilo penalistico, non pochi operatori del diritto sostengono a ragione che il mobbing, potendo causare anche malattie professionali, potrebbe costituire reato configurandosi come diritto di lesione personale colposa previsto dall'art. 590 del codice penale (pena della reclusione per colui che procura delle lesioni ad una persona per colpa. La pena è maggiore se il fatto si crea anche a causa della violazione delle norme di prevenzione sugli infortuni sul lavoro. Il procedimento è d’ufficio e non a seguito di denuncia della parte offesa, nei soli casi di violazione delle norme di prevenzione sugli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale). L'applicazione delle regole generali del diritto penale al mobbing comporta, in ogni caso, l'esigenza di valutare in concreto se la compromissione dell'integrità psicofisica del lavoratore sia riconducibile ad una condotta del datore di lavoro colposa o dolosa. 17
Vedi: www.infoius.it/sentenze/cass_2001 Sezione Tributaria n. 9116
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Il mobbing nel diritto del lavoro
Norme di tipo specialistico: La legge n. 300/70 (Statuto dei lavoratori), è uno degli strumenti più importanti che la legislazione mette a disposizione per la tutela del lavoratore. Tra le varie norme dello Statuto un particolare rilievo assumono l'art. 7 con l'obbligo di specifica procedura disciplinare contro gli abusi del datore di lavoro, l'art. 13 a tutela delle mansioni del lavoratore dai comportamenti di dequalificazione professionale e l'art. 15 per la tutela della nullità degli atti che abbiano finalità discriminatorie ai danni del lavoratore. Il Decreto legislativo 626/94 che ha affermato il diritto alla salute inteso come assenza di malattia, ma anche come assenza di disagio e segnato il passaggio all'idea della tutela della sua integrità psico-fisica. Da qui, deriva l'ammissione del risarcimento del danno biologico che andrebbe totalmente addebitato in maniera personale e diretta agli autori delle violenze psicologiche e dovrebbe avvenire ogni volta che ricorrano le condizioni previste dall'art. 2043 c.c. indipendentemente dalle obbligazioni che gravano sul datore di lavoro (vedi artt. 2049 e 2087 c.c.). Il Decreto legislativo 38/00 che ha introdotto, seppure con alcune eccezioni, la tutela assicurativa INAIL del danno biologico, (art. 13: il lavoratore è tutelato da un’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali che ricomprende anche il danno biologico quale lesione all’integrità psico-fisica del lavoratore valutata da parte del medico legale. La quota d’indennizzo non dipende dalla capacità di produzione del reddito del danneggiato).
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Il mobbing nel diritto del lavoro
2.1.a) PROGETTI DI LEGGE SULLA PREVENZIONE E REPRESSIONE DEL MOBBING Attualmente sono stati presentati in Parlamento 20 progetti di legge sul mobbing, in totale (9 al Senato, 5 alla Camera). Diversi di essi, costituiscono la riproposizione di d.d.l. e p.d.l. presentati dalle (stesse) forze politiche nella XIII legislatura. Sono il d.d.l. n. 924 del 5 dicembre 2001 (DS – U) che ripropone il precedente n. 4265 del sen. Tapparo; il n. 122 del 6 giugno 2001 d’iniziativa Tomassini (FI) che ripropone il proprio precedente n. 4512; il n. 422 del 9 luglio 2001 del sen. Magnalbò (AN) che ripropone il proprio precedente n. 4802. Altri, quali AC n.1128 (Benvenuto), AC n. 2040 (Fiori), ripropongono i precedenti con aggiornamenti o con omissione della (pregressa) configurazione penale della fattispecie mobbing (Fiori). Si tratta di proposte animate da analoghi fini ispiratori che: a) definiscono concettualmente il mobbing e descrivono i comportamenti persecutori in modo generale, ovvero attraversi esemplificazione delle più comuni ipotesi vessatorie od emarginanti in azienda. In alcune di esse si rinvia ad un decreto del ministero del lavoro il compito di individuare le fattispecie concrete (e tassative) di violenza psicologica e morale ai danni dei lavoratori; b) individuano nei possibili persecutori i datori di lavoro, i superiori gerarchici, i pari grado e (solo alcuni progetti) i subordinati; c) in alcuni casi prevedono che la persecuzione debba avere la finalità di danneggiare
il
lavoratore,
in
altri
ritengono
sufficiente
l’attuazione
del
comportamento persecutorio, considerato illegittimo e condannabile anche in assenza di una precisa finalità; d) prevedono precise responsabilità disciplinari a carico dei promotori del mobbing e la responsabilizzazione del datore di lavoro che viene obbligato a verificare le denunce di mobbing e ad assumere le necessarie conseguenti iniziative (irrogazione di provvedimenti disciplinari, rimozione degli effetti, ecc.); e) pongono a carico del datore di lavoro l’onere di indicare le azioni di prevenzione 27
Il mobbing nel diritto del lavoro e informazione che vanno realizzate (imponendo chiarezza e trasparenza nei rapporti aziendali) disponendo, a tal fine, anche lo svolgimento di apposite assemblee del personale, consultazioni periodiche o l’istituzione di un apposito organo (progetto di Forza Italia), composto da rappresentanti del datore di lavoro, dei lavoratori e delle ASL; f) si propongono l’individuazione e la punizione di eventuali strategie aziendali che, attraverso il mobbing siano dirette a ridurre o a razionalizzare il personale ; g) definiscono le azioni di tutela che la vittima potrà promuovere (ricorso alla conciliazione, anche attraverso le rappresentanze sindacali e alla autorità giudiziaria); h) impongono l’obbligo di ripristino delle situazioni professionali colpite dalle azioni persecutorie, il risarcimento dei danni subiti e la nullità degli atti discriminatori e di eventuali atti di ritorsione in seguito alla promozione di iniziative di tutela; i) prevedono la possibilità di pubblicità del provvedimento del giudice. Un esame approfondito dei progetti di legge potrà fornire agli interessati un completo quadro delle iniziative che, in linea di principio, dovrebbero essere in grado di rinforzare le difese del lavoratore dalle persecuzioni psicologiche. Nel merito si deve valutare positivamente l'individuazione e la condanna di quelli che vengono considerati comportamenti persecutori, che è la prima necessaria condizione per garantire una difesa delle vittime. Per quanto concerne l'indicazione dei potenziali colpevoli di mobbing, si ritiene preferibile la soluzione che comprende anche i subordinati della vittima che, in molti casi, visto un soggetto in difficoltà, non esitano ad unirsi al gruppo dei persecutori, per i più svariati motivi (ad esempio per vendetta) o senza alcuna concreta ragione. Le soluzioni che assegnano a datore di lavoro e rappresentanze sindacali compiti preventivi, di accertamento e di individuazione delle misure necessarie per il ripristino della legalità (con riferimento alla legge n. 626 del 1994) si considerano preferibili, in quanto più consone alla nostra tradizione sindacale, rispetto a quelle che assegnano tali compiti ad appositi organi estranei ed esterni alla azienda. Un ulteriore elemento di valutazione positiva è dato dal fatto che le misure previste
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Il mobbing nel diritto del lavoro nei vari progetti di legge siano applicabili anche in concorso con le leggi vigenti (e con altre in itinere come quelle in materia di molestie sessuali) e ne consentano un migliore utilizzo, contribuendo a rafforzare il sistema di tutele nel suo insieme.
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Il mobbing nel diritto del lavoro
Elenco dei progetti di legge Senato: 1. Disegno di legge d’iniziativa del sen. Tapparo ed altri (Dem. Sin.) n. 4265, intitolato «Tutela della persona che lavora da violenze morali e persecuzioni psicologiche nell'ambito dell'attività lavorativa», comunicato alla Presidenza il 13 Ottobre 1999. Il disegno offre innanzitutto una definizione del fenomeno (art. 2). A livello preventivo (art. 3), suggerisce «iniziative di informazione periodica verso i lavoratori» a cura delle rappresentanze sindacali aziendali (r.s.a.) e dei datori di lavoro, soggetti che, nel caso in cui ricevano denunce di mobbing, «hanno l'obbligo di attivare procedure tempestive di accertamento dei fatti denunciati e misure per il loro superamento». Viene previsto altresì l'obbligo per il datore di lavoro di consegnare al momento dell'assunzione «una dichiarazione del Ministero del Lavoro relativa alla tutela delle violenze morali e persecuzione psicologica nel lavoro», con obbligo di affissione della stessa nelle bacheche aziendali e diritto per i lavoratori ad ulteriori due ore annue di assemblea per trattare il problema. Per quanto riguarda la repressione del fenomeno, invece, ferma restando la «responsabilità disciplinare, secondo quanto previsto dalla contrattazione collettiva» di chi pone in essere azioni di mobbing o dolosamente denuncia azioni poi rivelatesi inesistenti (art. 5), viene confermata l'applicabilità dell'art. 2113 c.c. ai provvedimenti maturati in ambito di mobbing (art. 4), nonché l'esperibilità delle procedure arbitrali e di conciliazione, oltre che della competenza del Tribunale del Lavoro in caso di ricorso in giudizio (art. 6). A livello sanzionatorio, il disegno prevede due novità interessanti: la condanna del responsabile al risarcimento del danno, liquidato dal giudice in forma equitativa (art. 6), e la possibilità di richiedere che il provvedimento, di condanna o di assoluzione, sia comunicato «mediante lettera ai dipendenti interessati, per reparto e attività, dove si è manifestato il caso di violenza morale e persecuzione psicologica oggetto dell'intervento giudiziario» (art. 7). In chiusura (art. 8) il disegno di legge, oltre a sanzionare con la nullità «tutti gli atti o fatti» che derivano dal mobbing, stabilisce una presunzione di 30
Il mobbing nel diritto del lavoro «contenuto discriminatorio» per tutti provvedimenti peggiorativi che colpiscono la vittima di mobbing «adottati entro un anno dalla denuncia». E' stato poi ripresentato dal sen. Battafarano (DS – U) con il n. 924 del 5 dicembre 2001. 2. Disegno di legge d’iniziativa del sen. Tomassini (FI), n. 4512, ripresentato dallo stesso nella XIV legislatura con il n. 122 del 6 giugno 2001, (“Disposizioni a tutela dei lavoratori dalla violenza o dalla persecuzione psicologica”). 3. Disegno di legge d’iniziativa del sen. Magnalbò (AN) n. 4802, ripresentato dallo stesso nella XIV legislatura con il n. 422 del 9 luglio 2001, (“Norme per contrastare il fenomeno del mobbing”). 4. Disegno di legge n. 266 del 21 giugno 2001 d’iniziativa del sen. Ripamonti (Verdi) – identico al n. 924/2001. 5. Disegno di legge n. 870 del 21 novembre 2001 d’iniziativa del sen. Costa (FI), (“Norme per contrastare il fenomeno del mobbing”). 6. Disegno di legge n. 986 del 20 dicembre 2001 d’iniziativa del sen. Tofani ed altri (AN), (“Disposizioni a tutela dei lavoratori dalla violenza o dalla persecuzione psicologica”). 7. Disegno di legge n. 1242 del 14 marzo 2002 d’iniziativa del sen. Montagnino (Mar. – DL – U), (“Tutela della persona che lavora da violenze morali e persecuzioni psicologiche nell'ambito dell'attività lavorativa”). 8. Disegno di legge n. 1280 del 21 marzo 2001 d’iniziativa del sen. Sodano Tommaso (Misto –RC), (“Norme per la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori da molestie morali e psicologiche nel mondo del lavoro”). 9. Disegno di legge n. 1290 del 27 marzo 2002 d’iniziativa del sen. Eufemi (UDC:CCD – CDU-DE), ("Norme generali contro la violenza psicologica nei luoghi
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Il mobbing nel diritto del lavoro di lavoro"). 10. Progetto di legge n. 4313 ("Disposizioni a tutela dei lavoratori dalla violenza psicologica"), presentato al Senato della Repubblica dall'on. Athos De Luca. Il progetto si caratterizza per la particolare attenzione dedicata all'accertamento clinico delle patologie da mobbing (art. 6), e per l'esplicita previsione e peculiare repressione del fenomeno del bossing (art. 4, strategia societaria illecita); per il resto ricalca sostanzialmente l'impostazione dei precedenti progetti legislativi.
Camera : 11. Proposta di legge n. 581 del 6 giugno 2001 dell’on. Loddo Tonino (Mar. –DL – U), (“Disposizioni a tutela dei lavoratori dalla violenza e dalla persecuzione psicologica”). 12. Proposta di legge n. 1128 del 28 giugno 2001 dell’on. Benvenuto (DS – U), (“Disposizioni a tutela dei lavoratori dalla violenza e dalla persecuzione psicologica”). 13. Proposta di legge n. 2040 del 28 novembre 2001 dell’on. Fiori (AN), (“Disposizioni a tutela dei lavoratori dalla violenza e dalla persecuzione psicologica”). 14. Proposta di legge n. 2143 del 21 dicembre 2001 dell’on. Tarantino (FI), (“Disposizioni per la tutela dei lavoratori da molestie morali e violenze psicologiche”). 15. Proposta di legge n. 2346 del 14 febbraio 2002 dell’on. Zanella (Misto, Verdi – U), (“Disposizioni per la tutela dalla persecuzione psicologica nei luoghi di lavoro”). 16. Progetto di legge n. 6410 del 16 Febbraio 2000, (“Disposizioni a tutela dei 32
Il mobbing nel diritto del lavoro lavoratori dalla violenza e dalla persecuzione psicologica”), a firma Benvenuto ed altri, relatore l'on. Carlo Stelluti, di contenuto del tutto analogo al progetto di legge n. 4265, a firma del Senatore Tapparo e altri. 17. Proposta di legge n. 1813 presentata il 9 Luglio 1996 alla Camera dei Deputati dagli onorevoli Cicu ed altri, intitolata «Norme per la repressione del terrorismo psicologico nei luoghi di lavoro». Tale proposta, che si prefigge lo scopo di «prevedere il reato di mobbing e perseguire penalmente tale comportamento, equiparandolo ad un reato verso la persona e verso la società», risulta oggi assegnata alla Commissione Giustizia della Camera. 18. Progetto di legge n. 6667 (“Disposizioni per la tutela della persona da violenze morali e persecuzioni psicologiche”), di iniziativa del deputato Fiori, presentato alla Camera il 5 Gennaio 2000. 19. Progetto di legge camera n. 601, “Norme a tutela della libertà e della dignità della persona dalle molestie sessuali nei luoghi di lavoro”. 20. Progetto di legge Camera n. 5090, “Norme a tutela della persona che lavora contro le molestie sessuali nei luoghi di lavoro”.
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Il mobbing nel diritto del lavoro
2.2. QUADRO NORMATIVO EUROPEO In attesa di una direttiva o regolamento in materia di mobbing, il Parlamento Europeo ha emesso la risoluzione del 20.09.2001 contro la violenza o le molestie nei luoghi di lavoro, che riassume i dati a disposizione degli esperti e sottolinea la necessità di rafforzare le misure per fronteggiare il fenomeno del mobbing. Per contrastare il fenomeno, il Parlamento raccomanda agli Stati membri di imporre alle imprese ed ai sindacati l’attuazione di efficaci politiche di prevenzione, invitando, altresì, la Commissione a combattere il fenomeno del mobbing sul posto di lavoro ed a valutare l’esigenza di iniziative legislative in tal senso. La risoluzione esorta, inoltre, gli Stati membri ad uniformare la definizione del mobbing, sottolineando la loro responsabilità per il mobbing e la violenza in genere sul posto di lavoro, da combattere attraverso una strategia comune di lotta. Nei paesi dell'Unione Europea, il fenomeno del mobbing non è affrontato in maniera uniforme. Basterà guardare i Paesi Scandinavi, che sono stati i pionieri del pieno riconoscimento normativo del mobbing grazie al fondamentale contributo fornito dagli studi del Prof. Heinz Leymann negli anni '80. In particolare, la Svezia, che è stata il primo Paese Europeo ha dotarsi di una legge nazionale sul mobbing attraverso l’Ente Nazionale per la Salute e la Sicurezza Svedese, che - già nel lontano 1993 - emanò una specifica Ordinanza (AFS 1993/17), entrata in vigore dieci anni fa (il 31 marzo 1994), recante misure contro qualsivoglia forma di "persecuzione psicologica" negli ambienti di lavoro. Essa attribuisce particolare importanza agli aspetti psicologici, sociali ed organizzativi dell'ambiente di lavoro e addossa al datore di lavoro la responsabilità riguardo all'organizzazione e la programmazione
dell'attività
di
lavoro.
Si
tratta
di
un
vero
codice
comportamentale delle relazioni sociali all'interno dei luoghi di lavoro. Esiste inoltre una legge del 1992, che obbliga il datore ad effettuare controlli periodici 34
Il mobbing nel diritto del lavoro nell'ambiente di lavoro e vi è un'altra normativa riguardante la riabilitazione professionale che deve essere garantita alle vittime del mobbing. O ancora, si veda la Norvegia, che ha preferito optare per una tutela a livello legislativo del mobbing attraverso l’introduzione di una specifica previsione nella legge sulla tutela dell'ambiente di lavoro del 1977 ad opera del § 12 della legge 24 giugno 1994, n. 41, che così recita: "..I lavoratori non devono essere esposti a molestie o ad altri comportamenti sconvenienti…..". Anche nei Paesi Francofoni, notevoli sono stati i passi in avanti compiuti. In Francia, nel 2000 è stata varata la legge "lutte contre le harcélement moral au travail" specifica sul mobbing, in cui si legge: "Nessun lavoratore deve subire atti ripetuti di molestia morale che hanno per oggetto o per effetto un degrado delle condizioni di lavoro suscettibili di ledere i diritti e la dignità del lavoratore, di alterare la sua salute fisica o mentale o di compromettere il suo avvenire professionale. Nessun lavoratore può essere sanzionato, licenziato o essere oggetto di misure discriminatorie, dirette o indirette, in particolare modo in materia di remunerazione, di formazione, di riclassificazione, di qualificazione o classificazione, di promozione professionale, di mutamento o rinnovazione del contratto, per aver subito, o rifiutato di subire, i comportamenti definiti nel comma precedente o per aver testimoniato su tali comportamenti o averli riferiti.". Con questa legge, entrata in vigore il 17 gennaio 2002, la Francia è, dopo la Svezia, il secondo Paese comunitario ad essersi dotato di uno strumento legislativo per la lotta contro il mobbing o meglio, in gergo nazionale, l’harcèlement moral. Le due peculiarità
di
maggior
interesse
riguardano
l’introduzione
dell’istituto
dell’inversione dell’onere della prova (per cui è il soggetto accusato di aver posto in essere azioni dirette o indirette di violenza morale in ambito lavorativo a dover dimostrare l’estraneità da qualsiasi forma di responsabilità) e l’introduzione di un’apposita figura di reato, con l’inserimento nel codice penale francese di una nuova sezione intitolata, per l’appunto, all’harcèlement moral e di un articolo, il 222-33-2, che sanziona espressamente "il fatto di molestare gli altri attraverso comportamenti ripetuti aventi per oggetto o per effetto una degradazione delle condizioni di lavoro suscettibili di ledere i suoi diritti e la sua dignità, di alterare la 35
Il mobbing nel diritto del lavoro sua salute fisica o mentale o di compromettere il suo avvenire professionale", con la pena della reclusione fino a un anno o della multa di 15.000 euro. Si veda poi il Belgio, dove esiste dall'11 Giugno 2002 la legge per regolamentare il fenomeno. La legge si qualifica per la previsione dell'obbligo per il datore di lavoro di designare, in accordo con i rappresentanti dei lavoratori, un “Consigliere per la prevenzione” (interno od esterno a seconda delle dimensioni dell'impresa) con specifiche competenze psico-sociali in particolare riferite all'ambiente lavorativo. Le imprese al di sopra di 20 dipendenti, qualunque sia il settore di attività, dovranno disporre del servizio interno di prevenzione, mentre quelle con meno di 20 dipendenti che ne sono prive, saranno affiliate ad un servizio esterno di prevenzione inter-aziendale che raggruppa specialisti di ben cinque discipline (medicina del lavoro, sicurezza, igiene industriale, ergonomia e psicologia). Da alcuni anni, grazie all'azione svolta dal sindacato, si è costituita presso i servizi pubblici per la protezione e prevenzione sul lavoro, una commissione “d'avviso” composta da rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro, con lo scopo di offrire ai lavoratori vittime del mobbing un'assistenza al di fuori dell'attività lavorativa. In Spagna, in data 23 novembre 2001, sono state presentate al "Congreso de los Deputatos", da parte del Gruppo parlamentare socialista, due nuove proposte di legge (la n. 122/000157 intitolata "derecho a no sufrir acoso moral en el trabajo" e la n. 122/000158 intitolata "Organica por la que se incluye un articulo 314 bis en el Codigo Penal tipiticando el acoso moral en el trabajo") miranti a regolare normativamente l’acoso moral e, in data 14 aprile 2001, il Parlamento Catalano ha approvato una "Proposicion no de llei" sul mobbing, nella quale, tra l’altro, propone di modificare l’attuale legge di prevenzione dei rischi lavorativi in modo da includere la prevenzione dell’acoso moral tra le obbligazioni del datore di lavoro. In Germania, pur non essendoci ancora alcuna legge specifica, alla Volkswagen nel 1996 è stato firmato un accordo tra azienda e sindacato con l’obiettivo di prevenire molestie sessuali, mobbing ed ogni forma di discriminazione al fine di 36
Il mobbing nel diritto del lavoro creare un clima di lavoro positivo basato sulla reciproca collaborazione e il 23 dicembre 1988 è stato sottoscritto il "Betriebsverfassungsgesetz" (BetrVG), ossia un accordo sul mobbing nell’area del pubblico impiego. In Austria è rinvenibile un’esplicita menzione del termine mobbing, all'interno del piano d'azione per la parità uomo-donna approvato il 16 maggio 1998, che così recita: "Tra i comportamenti che ledono la dignità delle donne e degli uomini nel luogo di lavoro vanno annoverati in particolare le espressioni denigratorie, il mobbing e la molestia sessuale. Le collaboratrici devono essere edotte sulle possibilità giuridiche di tutela delle molestie sessuali". In Svizzera, in assenza di una normativa specifica sul mobbing, forme di tutela adeguate sono apprestate attraverso l'applicazione di norme generali poste a tutela della salute fisica e psichica dettate dalla Legge federale sul lavoro e da quella sull'uguaglianza tra donne e uomini, dal Codice delle obbligazioni nonché da alcune disposizioni del Codice Penale. In Gran Bretagna è in discussione una proposta di legge che, pur non tenendo conto della dimensione collettiva o dell'organizzazione del lavoro come fattori alla base del mobbing, dispone l'adozione da parte del datore di lavoro di una politica mirata a prevenire il fenomeno da sottoporre alla consultazione dei rappresentanti sindacali e dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. Anche a livello internazionale hanno cominciato ad interessarsi al problema le grandi Organizzazioni specializzate dell'ONU, come l'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e l'ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) che ha promosso azioni contro la violenza sul luogo di lavoro. Quest’ultima, in un recente studio (promosso nel corso della Conferenza Internazionale sul trauma sul luogo di lavoro" tenutasi l’8-9 Novembre 2000 a Johannesburg,), intitolato "La violenza sul lavoro: la minaccia globale", ha chiarito come non tutta la violenza sia fisica e ha riconosciuto il grande impatto sul lavoro della violenza psicologica, categoria a cui ha ricondotto diversi comportamenti, tra cui anche il mobbing ed il bullying. Da questa ricerca è emerso un nuovo approccio alla violenza sul lavoro, che attribuisce uguale enfasi sia ai comportamenti lesivi dell’integrità fisica del lavoratore, sia a quelli che mirano ad intaccare il suo equilibrio psicologico. 37
Il mobbing nel diritto del lavoro
2.3. CONCLUSIONE Comunque, nel nostro Paese, in considerazione della carenza esistente in materia e della crescente domanda di tutela proveniente dai lavoratori, la questione mobbing è stata finora affrontata soprattutto a livello giurisprudenziale e dottrinale con l’utilizzo degli strumenti legislativi vigenti. Viceversa, in ambito legislativo, l’elemento costante di armonia delle varie proposte di legge italiane e delle varie norme sul tema è sempre quello di adottare definizioni ampie e ricche di casistica che mal si conciliano con l’effettiva esigenza di tutela di chi ricorre alla vie giudiziarie e affronta l’enorme ostacolo dell’onere probatorio a suo carico. Al di là della circostanza evidente che adottare una definizione ampia e flessibile com’era stato fatto nella Legge Regione Lazio -, pone seri problemi di costituzionalità, soprattutto laddove si prevedano sanzioni amministrative e pecuniarie per il presunto mobber, resta ancora la necessità di prefigurare correttamente gli estremi giuridici che connotato in astratto l’illegittimità del comportamento mobbizzante. Il rischio principale è di ripetere gli errori del passato, con definizioni (come è stato per quella che sanciva il reato di plagio, poi abrogata perché dichiarata incostituzionale) che implichino una “probatio diabolica” (cioè una prova impossibile da fornire) a tutti gli effetti o che siano troppo vaghe per ricondurvi le peculiarità di ogni caso specifico. In realtà, in Italia, nell’enorme prolificare legislativo che vi è stato, soprattutto con riguardo alle garanzie e alle forme di tutela offerte ai lavoratori, esistono già, come visto, sia a livello costituzionale che legislativo primario (civile e penale), tanti strumenti normativi validi per garantire al singolo una tutela specifica contro il mobbing. Pur in assenza di una definizione scritta da parte del legislatore, l’illecito derivante e l’ingiustizia conseguente, è sanzionata opportunamente con forme risarcitorie ed inibitorie che ampiamente offrono ristoro alla potenziale vittima. Basterà focalizzare l’attenzione su quelle che comunemente vengono elencate come fattispecie tipiche del mobbing (dequalificazione, violenza morale, abuso del
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Il mobbing nel diritto del lavoro potere gerarchico o disciplinare, calunnie sistematiche, ingiuria e/o diffamazione, maltrattamenti ed offese verbali, etc…) per constatare che il maggior numero di esse costituiscono, in linea di astratta previsione, fattispecie penalmente rilevanti e/o integrano ipotesi tipiche di violazioni di obblighi del datore di lavoro.
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Il mobbing nel diritto del lavoro
3. LA GIURISPRUDENZA ITALIANA La giurisprudenza (e cioè le decisioni dei giudici di legittimità e di merito), ha sostanzialmente “tappato il buco” venutosi a creare a livello legislativo nazionale, attraverso una serie di sentenze e di provvedimenti che hanno progressivamente nel tempo rafforzato la tutela dei lavoratori da danni per mobbing. Più precisamente, si è osservata una crescente presa di posizione da parte dei giudici del lavoro nei riguardi del già esposto fenomeno, tanto da poter riscontrare un percorso evolutivo che, partendo dalle prime timide sentenze di riconoscimento della problematica di specie con una serie di limiti e di vincoli ed un ambito di applicabilità assai ristretto, attualmente concede al mobbing spazi di applicazione di tutela assai vasti ed eterogenei tra loro, con un onere probatorio a carico del dipendente assai ridotto rispetto anche al passato più prossimo. Per somme linee si può affermare che originariamente per danno da mobbing era strettamente inteso quello relativo alla lesione dell’integrità psico – fisica del lavoratore, da cui scaturiva una malattia; si trattava, in sintesi, di un danno non patrimoniale di natura extracontrattuale. Successivamente, i giudici (esemplare in tal senso la sentenza del Tribunale di Tempio Pausania del 10.07.2003 n. 15718) hanno esteso il concetto di danno non patrimoniale da mobbing, includendo in esso oltre al danno biologico anche il danno esistenziale, comprendente il danno da demansionamento, il danno all’immagine e, più in generale, le sofferenze patite dal lavoratore per aver lavorato per un certo lasso di tempo in un ambiente ostile ove ripetutamente venivano emessi nei suoi confronti provvedimenti disciplinari e non, aventi natura pregiudizievole. Ulteriore passo in avanti si è avuto con la sentenza della Cassazione, sezione lavoro del 2.01.2002 n. 1019. Tale sentenza ha aperto la strada ad un danno 18
Vedi: www.studiolegalelaw.it
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Il mobbing nel diritto del lavoro patrimoniale da mobbing, inteso come lesione del fondamentale diritto al lavoro da considerarsi soprattutto come mezzo di estrinsecazione della personalità di ciascun cittadino e dell’immagine e della professionalità del dipendente. In pratica, quando viene lesa la dignità professionale del lavoratore (quale esigenza umana di manifestare la propria utilità e le proprie capacità nel contesto lavorativo) viene danneggiato un bene immateriale per eccellenza, non stimabile economicamente, ma comunque rilevante sul piano patrimoniale (per la sua attinenza agli interessi personali del lavoratore), determinabile necessariamente solo in via equitativa. Detto provvedimento è assai importante perché permette, tra l’altro, di superare il concetto pregresso che la mortificazione della professionalità del lavoratore potesse dar luogo a risarcimento solo ove venisse fornita la precisa prova dell’effettiva sussistenza di un danno patrimoniale; si afferma infatti in suddetta sentenza che la prova è già insita nell’affermazione del diritto fondamentale del lavoratore al riconoscimento ed alla tutela del bene a carattere immateriale del valore superiore della professionalità. Ulteriori sentenze (Tribunale di Pisa 3.10.200120 ed alcune pronunce della Corte di Cassazione del 200321) si sono poi spinte fino a considerare il danno morale, inteso quale “prezzo del dolore” che incide prettamente sulla sfera privata attraverso una compromissione della personalità, risarcibile autonomamente rispetto a cd. danno biologico. Si è infatti argomentato che ben può capitare che un lavoratore subisca una evidente lesione della sua personalità morale senza alcun danno psichico, allorquando il destinatario della pressione o della vessazione – per sua fortuna – possegga risorse proprie che gli consentano di superare indenne il comportamento vietato, così avvertendo un pregiudizio della sua personalità, ma senza alcuna conseguenza permanente nelle sue capacità psico fisiche. Ebbene, tale danno morale sfugge ai dettami codicistici (di cui all’art. 2058 c.c. e 185 c.p.) in virtù dei quali il danno morale è intanto risarcibile in quanto correlato ad un fatto illecito che sostanzi gli estremi di un fatto reato perseguibile penalmente. Si è, in parole povere, dedotto che il danno morale da mobbing può assurgere a figura autonoma, risarcibile in via equitativa, scisso da 19 20 21
Vedi: www.lavoropa.it/archivio/0/700/780/789/CorteCassazione2gennaio2002n10.pdf Vedi: www.unicz.it/lavoro/SENTENZE_TOSCANE.htm Vedi: www.infoius.it/sentenze/cass_2003/default.asp
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Il mobbing nel diritto del lavoro qualsiasi collegamento sia con il danno biologico sia con la commissione di un fatto illecito che costituisca reato. Infine, va segnalata la sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite del 4.05.2004 n. 8438 22. Detta sentenza, avente a presupposti un’azione giudiziaria da mobbing per demansionamento, vessazioni e prevaricazioni di un lavoratore da parte del datore di lavoro, evidenzia che la fattispecie di responsabilità, pur quando il mobbing possa essere riferito ad ipotesi di pratiche vessatorie poste in essere da uno o più soggetti diversi per danneggiare un lavoratore in modo sistematico nel suo ambiente di lavoro, è prettamente riconducibile alla violazione di obblighi contrattuali derivanti dal rapporto di impiego. Controversie aventi siffatta natura attengono, infatti, a diritti soggettivi derivanti direttamente dal medesimo rapporto di lavoro che vengono violati, nell’esercizio di tipici poteri datoriali, da condotte lesive del principio negoziale di protezione delle condizioni di lavoro e della stessa tutela della professionalità prevista dall’art. 2103 c.c. L’importanza di tale pronuncia è di aver operato il definitivo passaggio dal concetto iniziale limitato di mobbing quale malattia del lavoratore avente natura extracontrattuale e sfera non patrimoniale, ad un concetto di lesione da mobbing quale estrinsecazione di una violazione di diritti soggettivi che vengono disciplinati e ricevono tutela nell’ambito delle stesse regole negoziali inserite nel contratto di lavoro.
3.1. ALCUNE SENTENZE 22
Vedi: http://www.legge-e-giustizia.it/2004
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Il mobbing nel diritto del lavoro
1. Tribunale di Torino, sentenza del 16 Novembre 1999 Giudice Ciocchetti - Erriquez c. Ergom Risarcibilità ai sensi dell'art. 2087 c.c. e dell'art. 32 Cost. - Il mobbing come fatto notorio - Danno psichico temporaneo. Questa decisione costituisce la prima sentenza con cui un giudice italiano si avvale del mobbing per definire ed inquadrare il comportamento aggressivo e molesto di un superiore gerarchico nei confronti di un dipendente. Oggetto di giudizio è il caso di un'impiegata costretta a svolgere le sue mansioni in uno spazio angusto, isolato dai colleghi di lavoro e adibito a deposito e ripetutamente insultata dal capo reparto per le lamentele relative a tale trattamento. A causa di tale situazione, dopo circa 5 mesi dall'inizio dell'attività lavorativa la ricorrente si assenta dal lavoro per malattia avendo contratto una grave forma di depressione con frequenti stati di pianto ed agorafobia. Il Tribunale di Torino con tale decisione: a) qualifica il mobbing come "fatto notorio" ex art. 115 c.p.c. comma II, e quindi tale da non esigere dimostrazione alcuna in giudizio, b) afferma la responsabilità contrattuale del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. in combinato disposto con l'art. 32 Cost., per i danni psicologici subiti dalla dipendente e dovuti ai trattamenti incivili ed ingiuriosi posti in essere dal suo preposto; c) non ritiene necessario ricorrere alla consulenza tecnica d'ufficio per l'accertamento del danno subito dalla ricorrente, dal momento che idonei certificati clinici ed univoche testimonianze ricollegano l'insorgenza della patologia al tempo in cui la vittima è stata sottoposta al mobbing; d) accerta la mancanza di postumi di natura permanente e condanna la convenuta alla liquidazione del danno biologico temporaneo assoluto, calcolato in via equitativa.
2. Tribunale di Torino, sentenza del 30 Dicembre 1999 Giudice Ciocchetti - Stomeo c. Ziliani s.p.a.
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Il mobbing nel diritto del lavoro Responsabilità ai sensi dell'art. 2087 c.c. e art. 32 Cost. - Il mobbing come fatto notorio - Danno psichico temporaneo. A distanza di un mese e mezzo dalla prima decisione il Tribunale di Torino torna a pronunziarsi relativamente ad un altro caso di mobbing. La fattispecie è relativa ad una lavoratrice che viene indotta dal presidente della società per cui lavorava a dimettersi, in quanto la società stessa era venuta a conoscenza della circostanza che il di lei convivente aveva iniziato a prestare attività lavorativa per una società concorrente. Dopo un colloquio richiesto dalla società resistente avente ad oggetto tale circostanza, la ricorrente entrava in malattia; cosicché la società assumeva a tempo indeterminato un'altra lavoratrice con attribuzione a quest'ultima delle mansioni già assegnate alla dipendente assente; inoltre la stessa società , al rientro della malattia, attribuiva alla ricorrente mansioni dequalificanti. In seguito al comportamento del datore di lavoro la ricorrente accusava sindrome ansioso-depressiva, insonnia, ansia, inappetenza e crisi di pianto. Il Tribunale di Torino, con tale decisione riafferma i principi già enunciati nella precedente sentenza del 16.11.1999, per quanto attiene a) la qualificazione del mobbing come fatto notorio; b) l'accertamento del danno e del relativo nesso causale, sulla base dei certificati clinici e delle univoche testimonianze, ritenendo superfluo l'ausilio della consulenza d'ufficio; c) l'accertamento della responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. in combinato disposto con l'art. 32 Cost.; d) l'accertamento della mancanza di postumi di natura permanente. Il caso de quo è una tipica ipotesi di mobbing orizzontale; il mobber, infatti, è il datore di lavoro e non un preposto. Lo schema giuridico che il Tribunale applica è arricchito dall'art. 2103 c.c, stante il danno da dequalificazione subito dalla dipendente rimasta vittima di pratiche di mobbing.
3. Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza dell'8 Gennaio 2000, n. 143 Pres. Trezza - Rel. Prestipino - Filonardi c. Henkel s.p.a.
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Il mobbing nel diritto del lavoro Accuse di mobbing - Mancata prova - Giusta causa di licenziamento. Con tale pronuncia la Suprema Corte conferma le sentenze di merito che avevano ritenuto giustificato il licenziamento comminato alla dipendente, in seguito alla diffusione di accuse diffamatorie da parte della lavoratrice ai danni dell'azienda. La ricorrente, a sostegno delle proprie ragioni, esponeva che fin dal giorno della sua assunzione in servizio avvenuta nel 1974 aveva svolto la propria attività lavorativa con piena soddisfazione sua e dei suoi superiori ma che, a partire dall'anno 1985, quando era stato sostituito il capo del personale e a causa del rifiuto che aveva opposto alle insistenti attenzioni di natura extra professionale rivoltole dal suo superiore, aveva cominciato a subire un'opera di “boicottaggio”, con irrogazione di sanzioni disciplinari e arresto della carriera, poi culminata nel licenziamento, Con l'indicata decisione la Corte di Cassazione: a) definisce il mobbing come quel fenomeno che consiste nell'aggressione della sfera psichica altrui; b) pone a carico del lavoratore l'onere della prova del mobbing; c) stabilisce che il mancato raggiungimento di tale prova giustifica la comminazione di un licenziamento per giusta causa per violazione del rapporto di fiducia. E' bene, per non fraintendere il valore e la portata applicativa di tale precedente, chiarire che la Corte di Cassazione e i giudici di merito, nel pervenire all'indicato giudizio, sono stati influenzati non soltanto dal mancato assolvimento, ad opera della ricorrente, del suo onere probatorio, ma anche dal comportamento della stessa la quale, prima del licenziamento, aveva affidato le sue accuse all'azienda ad un comunicato stampa, che successivamente risultò firmato dal marito.
4. Suprema Corte di Cassazione Sezione Lavoro, sentenza del 25 Maggio 2000, n. 5491
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Il mobbing nel diritto del lavoro Francesco Florindo c. Ansaldo Industria s.p.a. Accuse di mobbing- onere della prova a carico del lavoratore Con questa sentenza la Suprema Corte riconosce il diritto del lavoratore, che sia vittima di comportamenti "persecutori", al risarcimento del "danno biologico" ma ribadisce che il riconoscimento di tale diritto è condizionato alla dimostrazione Il caso oggetto di giudizio è quello di un lavoratore impegnato nell'attività sindacale, che lamenta di aver subito un comportamento persecutorio da parte del datore di lavoro, il quale gli aveva spesso inflitto sanzioni risultate poi illegittime. Questi soprusi determinano nel lavoratore l'insorgenza di disturbi nervosi con somatizzazioni (nausea, vomito, dolori epigastrici), i quali inducono la vittima ad avanzare richiesta di risarcimento del danno biologico. Il Pretore, in primo grado, accoglie il ricorso, in secondo grado la decisione viene riformata, sicché il lavoratore ricorre in Cassazione. La Suprema Corte, però rigetta la domanda ritenendo il lavoratore non abbia provato l'esistenza di un rapporto di causalità tra la condotta del datore di lavoro ed il danno alla salute.
5. Tribunale di Forlì, sentenza del 15 Marzo 2001 Estensore Sorgi - Mulas c. Banca Antoniana Popolare. Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale - Danno esistenziale. Con questa sentenza il Tribunale di Forlì individua un caso di mobbing attraverso la ricostruzione della storia professionale del ricorrente: dipendente modello della Banca convenuta per la quale lavorava da oltre un ventennio, con riconoscimento
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Il mobbing nel diritto del lavoro assoluto delle proprie capacità e della propria professionalità fino al momento in cui qualcosa cambia e da dipendente modello in piena ascesa professionale diventa, nel volgere di pochi anni, un problema da gestire per la Banca. Le qualifiche professionali si abbassano, si stenta a trovare per lui un ruolo professionale effettivo, viene trasferito da Forlì, sede di suo gradimento, a Rimini e non viene considerato per lui più nessun avanzamento in carriera. Tale sentenza è profondamente innovativa rispetto alle pronunce del Tribunale di Torino che l'hanno preceduta. Il Tribunale di Forlì, infatti: a) non si affida al principio del "fatto notorio" ex art. 115, 2° comma c.p.c.; b) non attribuisce piena ed esclusiva efficacia probatoria ai certificati medici prodotti dal ricorrente a sostegno della risarcibilità del danno; b) dispone un preventivo colloquio del lavoratore con uno specialista; c) affronta il tema del risarcimento del danno alla salute sotto il duplice profilo della responsabilità contrattuale ex art. 2087 c.c. ed extracontrattuale ex art. 2043 c.c; e) ritiene il danno esistenziale congeniale a situazioni di mobbing.
4. PREVENZIONE DEL MOBBING Ricapitoliamo: il mobbing esiste; il mobbing non è una malattia; il mobbing può indurre a patologie; il mobbing è un pericolo; il mobbing sul posto di lavoro consiste in un comportamento ripetuto e 47
Il mobbing nel diritto del lavoro immotivato, o una singola decisione ingiustificata le cui conseguenze si protraggono nel tempo, rivolto contro un dipendente o un gruppo di dipendenti, tale da creare un rischio per la salute e la sicurezza; il mobbing può essere verticale, esercitato dai vertici verso la “base”, (ed in questi casi viene anche definito bossing) o in verso opposto, dalla base contro il vertice; e può essere orizzontale, esercitato tra colleghi di pari grado; il mobbing genera delle diseconomie aziendali e sociali; l'organizzazione del lavoro è un fattore di rischio; la salute del lavoratore è un bene sociale; un generale interesse collettivo deve essere istituzionalmente tutelato; uno stato di pericolo per la salute del lavoratore è penalmente sanzionato; il datore di lavoro ha il compito di valutare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori; la salute è uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale del soggetto. La prevenzione in un ambiente di lavoro, intesa a migliorare la vita lavorativa e, nel caso del mobbing, ad evitare l'emarginazione sociale, deve procedere attraverso due canali ben definiti: la prevenzione aziendale la prevenzione istituzionale
La prevenzione aziendale, intesa come miglioramenti apportati all'ambiente di lavoro. Secondo l'Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro sono: •
dare ai singoli lavoratori la possibilità di scegliere le modalità di esecuzione del proprio lavoro;
•
diminuire l'entità delle attività monotone e ripetitive;
•
aumentare le informazioni concernenti gli obiettivi;
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Il mobbing nel diritto del lavoro •
sviluppare uno stile di leadership;
•
evitare definizioni imprecise di ruoli e mansioni.
Sempre nell'ambito della prevenzione aziendale vanno sicuramente inserite tutte quelle attività che tendono a sviluppare una cultura organizzativa i cui standard e valori siano contro il mobbing: •
una consapevolezza, da parte di tutti, del significato di mobbing;
•
indagare l'estensione e la natura del fenomeno;
•
sollecitare l'impegno etico dei datori di lavoro e dei lavoratori dipendenti a creare un ambiente in cui non ci sia posto per il mobbing;
•
delineare i tipi di azione che sono accettabili e quelli che non lo sono;
•
esporre le conseguenze dell'infrazione degli standard e dei valori dell'organizzazione, con le relative sanzioni;
•
indicare dove e come le vittime possono trovare un aiuto;
•
impegnarsi ad impedire che i fatti segnalati producano ripercussioni sul testimone;
•
spiegare la procedura per segnalare gli episodi da mobbing;
•
chiarire il ruolo dei dirigenti, supervisori, colleghi e rappresentanti sindacali;
•
dettagliare i servizi di consulenza e di supporto disponibili per la vittima e per chi pratica il mobbing;
•
mantenere la riservatezza;
•
distribuire/comunicare
efficacemente
gli
standard
ed
i
valori
dell'organizzazione a tutti i livelli organizzativi, tramite manuali, riunioni informative, opuscoli, etc..; •
fare in modo che gli standard ed i valori dell'organizzazione siano noti ed osservati da tutti i lavoratori dipendenti;
•
migliorare la responsabilità e la competenza del management per quanto riguarda la gestione dei conflitti e la comunicazione;
•
stabilire un contatto indipendente per i lavoratori;
•
coinvolgere i dipendenti ed i loro rappresentanti nella valutazione del rischio e nella prevenzione del mobbing.
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Il mobbing nel diritto del lavoro
La prevenzione istituzionale deve elaborare modelli di riferimento, linee guida, procedure, metodologie di analisi, verificare e controllare se e come il fenomeno sia stato affrontato nelle aziende o nelle unità produttive, utilizzando la sanzione penale con lo spirito e le finalità preventive che gli istituti legislativi oggi permettono, con tutti gli altri strumenti, di “rimuovere” lo “stato di pericolo” nel più breve tempo possibile.
In questo scenario dato dalla prevenzione aziendale e dalla prevenzione istituzionale, le forze sindacali sono indiscutibilmente una parte attiva, costruttiva e propositiva: il sindacato deve definire e proporre codici di condotta per la tutela della dignità del lavoratore che deve ispirarsi ai principi di correttezza nelle relazioni interpersonali. Le organizzazioni sindacali dovranno effettuare azioni divulgative sul fenomeno mobbing attraverso convegni, pubblicazioni, marketing sociale, analisi dei processi lavorativi promotori di patologie, studio ed analisi delle proposte istituzionali finalizzate alla tutela della salute ed allo sviluppo delle risorse umane ed alla formazione mirata allo sviluppo delle competenze.
SCHEDA
COME FERMARE IL MOBBING
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Il mobbing nel diritto del lavoro
Oltre alla disciplina giurisprudenziale, esistono moltissimi siti che trattano l'argomento e che offrono informazioni e assistenza on-line e sul territorio. Basta digitare “assistenza mobbing” su un qualunque motore di ricerca e si perviene ad 51
Il mobbing nel diritto del lavoro una grande quantità di contatti, sfruttabili attraverso una moltitudine di progetti, iniziative e attività preposte al riconoscimento, alla denuncia e, quindi, alla prevenzione e repressione del mobbing. Un esempio ne sono questi indirizzi: •
www.mobbing.comunitaeuropea.com
•
www.ugl.it/ugl/mobbing/Page.asp
•
www.buoniesempi.it/scheda.asp
•
www.101professionisti.it/guide/mobbing/home.aspx
•
www.girodivite.it
•
www.provincia.le.it/sis/doc/propleggemobbing.doc
•
www.aziendalex.kataweb.it/article
•
www.riflessioni.it/testi/mobbing.htm
•
www.ausl.pe.it/mobbing/mobbing.htm
•
www.uil.it
•
www.unicam.it/ssdici/mobbing/mobb5III_00.html
•
www.studiolegale-online.net/assistenza_legale.php
e molti altri ancora.
5. CONCLUSIONE Le uniche strategie imprescindibili sono quelle atte a prevenire il fenomeno ed aggredire le sue manifestazioni. 52
Il mobbing nel diritto del lavoro E' necessario intervenire sull'organizzazione del lavoro e su un efficace ed efficiente processo formativo ed informativo dei lavoratori a tutti i livelli operativi, attraverso un'adeguata valutazione del rischio. Vista l'interdisciplinarità con la quale si deve affrontare una problematica complessa è assolutamente indispensabile raggiungere una “uniformità di linguaggio” da parte di tutte quelle professioni coinvolte nel processo. Il fenomeno deve essere riconosciuto, assimilato, interiorizzato dall'azienda e dai lavoratori per poter essere riconosciuto, combattuto ed eliminato il più presto possibile, ossia aggredirlo quando rappresenti un rischio non accettabile. La vigilanza ed il controllo istituzionale sono imprescindibili, perché stiamo affrontando fenomeni e problemi, ossia pericoli e rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori che sono dei beni sociali e come tali costituiscono un generale interesse collettivo e quindi istituzionalmente tutelato, e lo stato di pericolo per un lavoratore deve essere penalmente sanzionato. Il lavoro è uno dei momenti fondamentali di autorealizzazione dell'individuo; la menomazione di questa opportunità per conflitti interpersonali nei luoghi di lavoro o per decisione dell'azienda, ente o amministrazione pubblica è un fatto gravissimo sia sotto l'aspetto della tutela individuale della persona, sia perché genera delle diseconomie interne ed esterne, dirette ed indirette al luogo di lavoro. La cooperazione nel lavoro è la miglior strada per un'adeguata utilizzazione e valorizzazione delle risorse umane e per questo è necessario trovare un metodo che riveli e non nasconda i legami, le articolazioni, le solidarietà, le implicazioni, le connessioni, le interdipendenze e le complessità. La convergenza di interessi tra imprese, lavoratori, istituzioni e rappresentanze delle forze sociali è a questo punto evidente, ed è per questo che il percorso di soluzione del problema e tutela dal fenomeno deve essere tracciato da tutti i soggetti che ne sono coinvolti, così da creare una sistema che valuti realmente tutte le problematiche emergenti e si adoperi per risolverle.
Bibliografia
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