Il-Frutto-Proibito-Della-Conoscenza - Igor Sibaldi.pdf

February 1, 2017 | Author: cirano62 | Category: N/A
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Indice Introduzione 7 Parte prima. Prometeo I. La memoria e l’oceano. Il nostro Corpo maggiore. Prometeo e il serpente dell’Eden. Le paure del Dio supremo e il suo patto con gli uomini. Le due forze dell’evoluzione umana 15 II. Il Corpo maggiore, il fegato e le guarigioni. L’antichissimo Signore delle Porte. Il diavolo e il diverso. Le epoche di obbedienza. La nostra stanza tonda 28 Parte seconda. I sette mondi degli uomini III. I Sei Cieli dell’evoluzione umana. Il guardiano delle soglie. I maestri fanno lezione sul bene e sul male 41 IV. Le mie discese. Il Settimo Cielo e Lucifero. Il Nilo e il Diluvio. Il patto col diavolo 55 V. Le porte dell’anima. Il diavolo e l’io secondo Basilide e Jung. I re Magi e Gesù. Il mistero dell’incarnazioni 62 VI. La più antica storia d’amore 73 VII. Tutto cresce. La morte di Paola. Gli indovinelli della Sfinge. Il Paradiso, e un’altra lezione sul Male. Persefone e il Dio degli Inferi 77 Parte terza. Il diavolo e l’unico Dio VIII. La promessa. Primo viaggio nell’Aldilà. Storia e natura del diavolo cristiano. Il Dio unico e il cuore come far crescere entrambi 93 IX. Seguito del precedente. Come si cresce nelle storie — a ritroso. Il mondo intermedio. Pollicino e Babbo Natale 107 X. «Non indurci in tentazione.» L’eredità ostile. La stanza di Barbablù. Il principio di rotazione. Biancaneve 115 XI. Nella foresta. L’apparato circolatorio del Corpo maggiore. L’Inferno e la paura delle responsabilità I tabù sul male e i tabù sul bene. Gesù, quando discese all’Inferno 127 XII. Arianna e il labirinto. Il filo e il serpente. Come salvare le anime dannate 142 XIII. I sette peccati capitali, e l’ottavo. Un’ altra notte, quaranta secoli fa. L’Inferno delle moltitudini. Le imprese di coraggio 151

Parte quarta. L’esplorazione dell’Aldilà XIV. Il modo migliore di insegnare. Utilità dei momenti di dubbio. Come cambiare il passato 165 XV. La materia, gli specchi e la realtà. Potere e dovere. Gli animali maestri. Gli angeli e il diavolo dietro agli specchi. Bellerofonte 176 XVI. All’assedio di Acri. Il limite dell’io. Sion 190 XVII. Schema generale dell’Aldilà. Il Graal? Il ponte. Il ritratto del diavolo. Altri universi e altre popolazioni extraterrestri 198 XVIII. L’amore è prendere. Il Graal. I nuovi genitori e le reincarnazioni illustri 208 XIX. I figli degli Elohim. Il peso del Corpo maggiore. La nuova morale, al di là del diavolo 214 Parte quinta. L’albero delle due vite XX. La luna e il velo nell’acqua. Il diavolo che precipita giù dal cielo e la fine del cristianesimo 225 XXI. Gli automi e il padrone di questo mondo 229 XXII. Un nuovo modo di viaggiare. La stella-arca 234 XXIII. I nemici e l’unico io. I grandi amori. La lussuria, San Giorgio e la principessa prigioniera 238 XXIV. Tecnica delle imprese di coraggio 246 XXV. Le maschere. Quando bisogna alzarsi. La storia di mago Merlino e dei suoi veri genitori 255 XXVI. La disobbedienza 264 Note 1. Come incontrare i propri Spiriti-guida 271 2. Il diavolo nella Bibbia 289 3. Il diavolo nei Vangeli 291 4. I desideri 294 5. I desideri e l’io più grande 300 6. Ancora sul Secondo Cielo 307

Comunicare con gli Spiriti-guida è semplice, e nelle note in appendice a questo libro do le indicazioni per riuscirci in poco tempo. Non occorre forza di volontà, né coraggio né qualche particolare predisposizione. Gli Spiriti-guida si trovano a breve distanza dalle sintonie dei nostri pensieri consueti e sono legati a noi da vincoli di alleanza — da un antico ideale di cooperazione con noi umani, che in tutto l’universo siamo gli esseri a loro più affini. Fanno perciò il possibile per rendere facile la strada a chi li vuole conoscere, e le loro accoglienze sono affettuose, festose. L’unica condizione che bisogna rispettare perché la comunicazione sia efficace è prendere nota delle loro parole mentre le dicono — perché la nostra mente non riesce a conservarne il ricordo per più di qualche secondo. C’è chi sostiene che siano angeli di Dio, altri temono che siano esseri demoniaci, o fantasmi, o semplicemente prodotti irregolari della nostra immaginazione. Quando avrete cominciato a conversare e a sentirvi a vostro agio con i vostri Spiriti-guida, lasciate che siano loro stessi a raccontarvi da dove vengono e qual è la loro natura. A me, hanno sempre detto: «Noi siamo te e tu sei noi. Solo che tu sei tu in quel mondo, nel tuo Aldiqua, e noi siamo te in un mondo più grande». E con il passare del tempo ho scoperto che questa risposta è una formula magica, una specie di «apriti Sesamo» che può spalancare dimensioni sempre nuove, porte segrete dell’anima. In questo libro narro di ciò che si vede al di là di alcune porte. Il Dominante, l’Austero e gli altri «maestri» che mi accompagnano in queste pagine, parlano e si comportano come qualsiasi altro Spirito-guida: proprio come loro, anche i vostri maestri invisibili potranno risolvervi problemi e condurvi in viaggi simili a quelli che descrivo qui, se glielo chiederete. È sufficiente chiedere, non rispondono mai con un rifiuto, solo talvolta raccomandano di aspettare che arrivi il tempo più opportuno. E quel tempo arriva, prima o poi. E il Dio Yahwéh disse allora: «Ecco, l’uomo è diventato come uno di Noi per la conoscenza del bene e del male. Ora, bisogna che non stenda più la mano e non prenda anche il frutto dell’albero delle due vite, perché se ne mangerà vivrà per sempre!» E il Dio Yahwéh mise i Kheruvim e la fiamma della spada che gira su

se stessa, a custodire la via verso l’albero delle due vite. Genesi 3, 22 Il frutto proibito della conoscenza Introduzione Cominciammo a ragionare sul diavolo tre anni fa. A quel tempo, tra l’altro, con l’aiuto dei miei maestri stavo traducendo la Bibbia. Da un pezzo desideravo capire che cosa dicesse davvero il Libro sacro delle tre grandi religioni: così mi ero messo a studiare l’ebraico e, parola dopo parola, esploravo lentamente le prime pagine, il racconto della Creazione. Mi sentivo come i bambini che appena imparano a camminare esplorano la casa. Quasi a ogni passo chiedevo spiegazioni ai maestri — non perché gli Spiritiguida conoscano l’ebraico antico (non conoscono nessuna lingua; comunicano per telepatia, come si usa dire: cioè per impulsi di significato che la nostra mente trasforma in parole) —, ma perché per loro il tempo non ha gli stessi confini che ha per noi e, quando non sapete o non capite qualcosa in un dato momento, possono descrivervi chiaramente come vi apparirà quel qualcosa quando l’avrete scoperto e capito. Così procedevamo: «Strano che qui il diavolo non ci sia», osservai un giorno, mentre discutevamo del giardino dell’Eden e del mondo che gli si stendeva intorno. «Perché strano?» «Nel racconto della Creazione non c’è traccia né dei Diavoli né dell’Inferno», dissi. «Non li ha creati Dio?» Davvero non ce n’era traccia. Anche il serpente, che tutti ritengono un travestimento del diavolo, nella Bibbia è una figura tutt’altro che diabolica: il serpente dell’Eden insegna agli uomini a nutrirsi dei frutti della conoscenza, contro l’insopportabile divieto imposto da Yahwéh, il Dio della Terra. Ciò che noi chiamiamo diavolo non fa queste cose: la sua merce è il male, e non certo la conoscenza. «Oppure c’è, il diavolo, e io non l’ho visto?»

«Non c’è, né lì né poi. Mettiamocelo noi», disse quel mio spirito che io chiamo il Dominante — perché è quello che parla più spesso, e per il quale gli altri miei Spiriti maestri nutrono un evidente rispetto. «Cioè, lo mettiamo noi nella Bibbia?» «Non nella Bibbia. In quello che la Bibbia vi ha insegnato a vedere: nel vostro universo e in voi stessi.» «Vale a dire?» «Ciò che voi chiamate diavolo è un vostro blocco», spiegò il Dominante, con quell’aria che ha sempre quando spiega: come un pittore che insegna a dipingere. «O meglio ancora, è tutti i vostri blocchi. Perciò la gente non lo vede quando c’è e si immagina di vederlo quando non c’è. Non sarebbe male fare un po’ d’ordine. Quanto più riconoscete i vostri blocchi, tanto meno ne subite le conseguenze. Mettiamocelo noi: così ce ne liberiamo.» «Un libro sul diavolo», aggiunse. «Pensaci.» «Il diavolo non c’è né lì né poi»? Provai a controllare, ed era vero. Ciò che i cristiani, gli ebrei e i musulmani chiamano diavolo non compare mai nei quarantasei libri che costituiscono la Bibbia. Nei primi due — Genesi ed Esodo — i patriarchi e gli altri protagonisti mostrano di conoscere una grande quantità di angeli e molti Dei, e di sapere benissimo cos’è il male, ma a quanto risulta dalle loro vicende non avevano idea di chi o cosa fosse il diavolo, e non sentivano nessun bisogno di averla. In alcuni libri successivi compare qua e là lo Shatan (cioè Satana, che in ebraico significa «l’oppositore», proprio come Diabolos in greco), ma neanche lui somiglia al nostro diavolo: Shatan-Satana viene presentato come un rispettabile membro della Corte divina, figlio della Divinità e suo consigliere, e non come suo nemico o ribelle. Al contrario: è un consigliere molto severo, trova che gli uomini siano troppo superficiali, e suggerisce di non fidarsene più di tanto. E Dio, per lo più, gli dà ascolto (Per questi rimandi al testo biblico, v. la nota Il diavolo nella Bibbia, a p. 289). All’uomo, invece, il diavolo dell’Antico Testamento non suggerisce nessuna tentazione che si possa definire malvagia. Quando per esempio re Davide fa uccidere un suo generale per prendersene la moglie, il Libro non fa parola di nessun Satana. «Cioè, secondo la Bibbia l’impulso al male viene soltanto dall’animo umano?» domandai.

«Vero che l’argomento è bello?» disse il Dominante. «E tu ti stai accorgendo di non saperne niente; quindi sei nella situazione migliore per cominciare.» «Ma il diavolo esiste, sì?» «Certo.» Lessi attentamente anche ciò che i Vangeli narrano del diavolo. E anche lì è strano: in molti punti il diavolo è mostrato come un consulente e addirittura un aiutante di Gesù! Per esempio, prima di cominciare a predicare, Gesù andò a discutere il suo piano d’azione col diavolo — e i suggerimenti che il diavolo gli diede erano tutto Sommato sensati, anche se Gesù non li approvò. Più tardi, Gesù venne accusato più volte di compiere i suoi miracoli grazie a poteri diabolici: e, sorprendentemente, Gesù non lo negò mai. E durante l’ultima cena, ordinò a Satana di «entrare in Giuda», perché Giuda trovasse il coraggio di tradirlo (Per questi rimandi ai Vangeli, v. la nota Il diavolo nei Vangeli, a p. 291) «Quindi Gesù e il diavolo andavano d’accordo?» «Come vedi, sì.» «Su, non chiedi niente? Fa’ domande precise e noi ti rispondiamo», disse un altro dei miei maestri, che chiamavo l’Austero, per i suoi modi. «Cos’è e come ha preso forma ciò che oggi chiamiamo diavolo?» «Così non basta, devi essere più preciso», disse il Dominante. «Domanda punto per punto.» Cominciai ad annotarmi domande più precise, con l’Austero che mi sussurrava: «Non basta. Non basta ancora». Che cosa chiamiamo diavolo? Com’è fatto il diavolo, in realtà? Da dove viene e dov’è? — annotavo diligentemente. — Nel cuore o nella mente dell’uomo, o nel suo inconscio, o in qualche luogo dell’universo, visibile o invisibile?

E com’era, chi era prima che i santi cominciassero a odiarlo? E che cosa significa? Che cosa fa, quali poteri esprime, quali compiti ha? Deve tentarci, ingannarci? Perché? «Bene, continua.» Le nostre tre grandi religioni insegnano che il diavolo è la causa di tutti i mali umani: ma perché dicono questo, se i loro Libri sacri, la Bibbia e i Vangeli, non ne parlano in questo modo? E se Dio è buono e onnipotente, perché tollera l’esistenza del diavolo, che di fatto limita il suo potere? O forse Dio non è affatto buono e onnipotente? Quali sono, in realtà, i rapporti tra il diavolo e Dio? «Perché la gente ci crede e i teologi no?» mi suggerì il Dominante. I teologi non ci credono? «Non ci riescono più. La religione impone di crederci, ma i teologi quando parlano dell’esistenza del diavolo dicono soltanto cose confuse e noiose. Hanno la mente bloccata. Potresti chiedere perché.» Feci per annotare anche questa domanda. «Che gli importa dei teologi?» intervenne l’Austero. «Quelli non hanno nessun bisogno né di credere né di sapere: ripetono solo quel che hanno imparato, e avendo fatto fatica a impararlo vogliono che anche altri facciano fatica. Lasciateli perdere.» «Come vuoi tu», mi disse il Dominante. Scrissi: Perché la gente crede nel diavolo (anzi a volte è più facile credere nell’esistenza del diavolo che in quella di Dio) e i teologi non riescono a dirne nulla di convincente? «Bene.» «Ho precisato abbastanza o devo continuare ancora?»

«Hai chiamato per nome un po’ di cose», disse il Dominante. «Adesso arriveranno. Non avere fretta.» «Tra una settimana, tra un mese o tra un anno?» «Qualcuna l’avevi già ascoltata anni fa. Non è la prima volta che ne parliamo.» «E quando l’abbiamo fatto?» «Cerca nei tuoi quaderni vecchi.» PARTE PRIMA Prometeo I La memoria e l’oceano. Il nostro Corpo maggiore. Prometeo e il serpente dell’Eden. Le paure del Dio supremo e il suo patto con gli uomini. Le due forze dell’evoluzione umana «Leggi gli appunti di quando parlavamo di Prometeo», disse il Dominante. Quand’era stato? I quaderni d’appunti dei miei incontri con i maestri occupavano già allora un intero scaffale: non mi era mai venuto in mente di ordinarli per argomenti, e di una conversazione su Prometeo avevo solo un ricordo vago. «Sono dei tempi del viaggio in Georgia», suggerì l’Austero. Come si fa a ricordare tutto? domandai mentre cercavo tra i quaderni. Non c’è abbastanza posto nella mente di un uomo. Oppure c’è un modo, per ricordarsi di tutto? «Nella tua mente no, di sicuro», disse il Dominante. «La mente è come una barca in un oceano: non può contenere l’oceano in nessun modo. Non potrai mai ricordano tutto.» E l’oceano cosa sarebbe?

«Sei tu. Con la differenza che gli oceani non si prendono cura delle barche che li attraversano: tu invece puoi prenderti cura di quella barchetta che chiami la mente, o l’io.» «Già», disse l’Austero. «E appena ti accorgi che l’io è quella barca e che tu sei l’oceano, diventi l’uomo più fortunato del mondo. E non hai nessun bisogno di ricordare: sai, e basta.» Se io sono la barca, come faccio a essere anche l’oceano? «Non te ne sei ancora accorto. Non sei ancora l’uomo più fortunato del mondo. E pensare che è così semplice.» Mi insegnate a diventarlo? «Qui non facciamo altro. Su, trova quegli appunti.» Era un quaderno del 1994. A quel tempo facevo il reporter di guerra, nell’ex Georgia sovietica. Un giorno, durante un viaggio in aereo sopra la catena del Caucaso, un amico georgiano mi aveva detto che, secondo il mito greco, proprio laggiù Giove suppliziò Prometeo, su una di quelle rupi innevate, per punirlo di aver dato agli uomini il fuoco. «Per i greci il Caucaso era l’estremo limite del mondo», mi disse. E qualcosa nella sua frase risuonò in me come il campanello di una porta chissà dove. Quella notte ne parlai con i miei maestri — in una stanza d’albergo sul Mar Nero, nella desolata cittadina di Poti. Poti, 19 ottobre 1994 È esistito davvero Prometeo? «Che domande. Certo», disse l’Austero. «Miliardi di volte. Esiste continuamente. È come se domandassi: è esistita davvero la cistifellea?» «L’anatomia e la mitologia sono in gran parte la stessa cosa», spiegò il Dominante. «Con la differenza che nell’anatomia ci sono migliaia di nomi, mentre nella mitologia ce ne sono centinaia di migliaia. Ma orientarcisi non è difficile, perché gli uni e gli altri descrivono comunque la stessa cosa.»

Il nostro corpo? «I vostri corpi.» Cioè, il mito di Prometeo è un po’ come la scoperta della funzione di un organo del corpo? «Dei vostri corpi», precisò il Dominante. «L’anatomia descrive il vostro corpo fisico. La mitologia è un modo di descrivere altri vostri organi e capacità, che voi non conoscete ancora.» Il corpo eterico, il corpo astrale e così via? «No, quelle sono vostre idee complicate. E molto più semplice: voi avete un altro corpo, molto più grande, e grazie alla mitologia ne sapete una quantità di cose, che però la vostra mente ignora. Chiamalo: il Corpo maggiore. E rispetto al Corpo maggiore, il corpo fisico è due cose: in primo luogo, è un organo esso stesso, e precisamente l’organo che permette al Corpo maggiore di esistere sulla terra, di entrare in rapporto con il mondo della materia. Ecco, così all’incirca: come lo stai immaginando ora. Disegnalo come lo stai immaginando.»

Così? «Bene. In secondo luogo, voi col vostro corpo fisico siete ancora come nella pancia della mamma — che è la pancia del Corpo maggiore. E i miti vi raccontano come sarete da grandi. Quali organi userete, cosa ne potrete fare, e così via.»

Ma organi come, in che senso? «Organi. Di attività, di pensiero, di volontà. Di digestione, di riproduzione, di senso e di tutto il resto, nel mondo più grande che abiterete. È un’ottima cosa che cominciamo a parlarne, perché tra un po’ il vostro mondo non vi basterà proprio più.» E Prometeo che organo sarebbe? «Ricordi com’è la sua storia?» Storia di Prometeo Ricostruimmo insieme la storia di Prometeo — che in seguito verificai, a casa, sul mio prediletto manuale di mitologia (K. Kerényi, Die Mythologie der Griechen trad. it. Gli dei e gli eroi della Grecia, Milano 1963). Prometeo era per sua natura un ribelle — mi spiegarono i maestri — e amava sfidare Giove, Dio supremo. Non poteva non sfidarlo, per due ragioni: in primo luogo, perché era dotato di un intenso impulso creativo, che Giove non aveva affatto: Giove aveva il potere, il potere soltanto. E in secondo luogo, perché Prometeo amava molto gli uomini, mentre Giove li considerava soltanto dei sudditi. «Era un Dio supremo all’antica», osservò l’Austero. Prometeo fu dapprima alleato dei Titani, gli antichissimi Dei del Cielo che avevano mosso guerra a Giove: e Prometeo dava loro buoni consigli; ma i Titani diffidavano di lui, sempre per via di quella sua indole ribelle, così ben presto Prometeo li abbandonò e lasciò che venissero sconfitti. Restò per conto suo e si dedicò agli uomini soltanto. Spiegò agli uomini il modo più vantaggioso di fare sacrifici agli Dei, insegnò loro come lavorare i metalli, donò loro anche l’arte della preveggenza — da cui il suo nome: Prometeo significa appunto «il Preveggente». Ma quando vide che questo dono produceva negli uomini cupe malinconie, fece in modo che non riuscissero più a usarlo, salvo rare eccezioni. A Giove tutta questa generosità di Prometeo non piaceva affatto, era seccato dai rapidi progressi degli uomini e per ostacolarli confiscò loro il fuoco. In realtà, Giove a quel tempo stava meditando addirittura di sterminare gli uomini, facendoli morire di fame, per lasciar

nascere un altro genere di esseri viventi dopo di loro. Prometeo lo intuì e subito si oppose: rubò il fuoco e lo riportò agli uomini. Giove lo punì impalandolo e inchiodandolo su una colonna, tra le rupi del Caucaso, appunto. E comandò che ogni notte venisse un’aquila tra quelle rupi, a divorare il fegato di Prometeo, e che il fegato gli ricrescesse ogni giorno, così che ogni notte le sue sofferenze fossero proprio come la prima notte. Prometeo è il fegato? «In parte sì», sorrise il Dominante. «Ma non sai ancora cos’è il fegato del tuo Corpo maggiore. Andiamo per ordine. Innanzitutto, nota bene che questa è la stessa storia del serpente dell’Eden. Lo vedi? «Il serpente dell’Eden dà agli uomini il frutto della conoscenza, che il Dio Yahwéh aveva proibito, e il Dio Yahwéh lo punisce condannandolo a strisciare per l’eternità. Prometeo dà agli uomini il segreto del fuoco, e il dio Giove lo impala su una colonna. In tutt’e due le storie il dio supremo blocca la crescita degli uomini, la loro via verso l’alto, diciamo. » Yahwéh e Giove: mi colpì la somiglianza dei nomi. Non me n’ero mai accorto. I greci hanno preso dai miti ebraici o gli ebrei hanno preso dai greci? «Tutti e due prendevano dagli egizi», mi rispose l’Austero, «ma né il tempo né i confini tra i popoli sono come li immaginate voi. Che ti importa di sapere chi ha preso da chi?» «L’argomento principale, in queste due storie sacre», continuò il Dominante, «è la paura che il Dio supremo ha dei progressi degli uomini. In tutt’e due le storie il Dio supremo vede che gli uomini salgono, e si allarma. Giove blocca questa ascesa, la pietrifica in forma di colonna, e lì inchioda Prometeo, con in più quell’aquila che gli lacera il costato. È come se Giove dicesse agli uomini: ‘Vedete? Tutte le volte che qualcuno vi aiuterà più di tanto farà questa stessa fine. Tu vedi?» Sì. «No, non vedi ancora».

«Avete molti altri racconti intorno a quella paura divina e a quella colonna: anche la Torre di Babele era un’immagine dell’evoluzione umana, del salire umano, e il Dio supremo Yahwéh fermò anche quella, sempre perché ne aveva paura. E così via, così via. Ogni volta che gli uomini ricominciano a salire, il loro Dio supremo li sgomenta appendendo qualcuno a un palo. Oppure li rovescia a terra. Così, il Dio supremo Yahwéh impone al serpente di strisciare, per punizione: come una vivente colonna abbattuta». «E qui apparentemente la storia di Prometeo e quella del serpente divergono: Prometeo rimane lì e il serpente continua a strisciare per il mondo». «Ma in realtà le due storie si completano a vicenda. Il serpente è ciò che Prometeo fa sulla terra». «È l’uso che fate della vostra vista, della conoscenza: Pro meteo è ‘colui che vede più in là’, e anche il vostro destino è di spingere avanti la conoscenza — tenendola aderente alla realtà, proprio come un serpente aderisce alla terra. E il crescere della vostra conoscenza è ciò che spaventa tanto il Dio supremo. E come continua, poi?» La storia di Prometeo? Seguito della storia di Prometeo Prometeo avrebbe dovuto rimanere per sempre sulla colonna, a patire, col torace squarciato. Ma lo salvò sua madre, Temis, Dea della giustizia: gli confidò un delicatissimo segreto di politica olimpica — e allora Giove permise che Prometeo venisse liberato, a patto che non rivelasse quel segreto a nessuno. Il segreto era che il regno di Giove non sarebbe durato in eterno e che un altro Dio avrebbe potuto regnare dopo di lui sull’universo intero. Così (e di nuovo per una sua paura di Dio supremo) Giove permise che Prometeo venisse tolto dalla colonna. Ma pose una condizione: che un altro immortale ne prendesse il posto, perché quel supplizio era un fatto troppo importante per Giove e la colonna non doveva rimanere vuota. E qui compare un altro personaggio: il centauro Chirone, buono e sapiente, che aveva insegnato anche lui tante cose agli uomini, soprattutto nel campo della medicina. Narra il mito che Chirone, proprio allora, era rimasto ferito accidentalmente da una freccia avvelenata, e le

sue sofferenze erano insopportabili, e la sua scienza medica non bastava a guarirle: perciò chiese a Giove che lo facesse morire — e perché la sua morte servisse a qualcosa prese il posto di Prometeo. E lì sulla colonna rimase il suo cadavere, mentre Prometeo tornò libero com’era prima. «Vedi?» mi domandò il Dominante. Annuii. «Non vedi ancora gran che», disse l’Austero. Cosa c’è che non vedo ancora? «Oh, una quantità di cose», disse il Dominante. «A te sembra che ti stiamo conducendo per una qualche caverna, e non ti accorgi che le pareti della caverna sono ricoperte di pietre preziose e che dappertutto ci sono lampade da strofinare. Così sono tutti i miti. Ma non c’è fretta. Ascolta bene. «Il buon centauro Chirone», continuò il Dominante, «doveva morire sul palo: proprio perché era anche lui un maestro degli uomini, e avrebbe avuto ancora molte cose da insegnare. Perciò era un ottimo sostituto di Prometeo, agli occhi di Giove. E da allora, i Prometei-Serpenti e i Chironi ci sono sempre stati, nel vostro mondo: hanno cambiato forme e nomi, ma hanno sempre avuto storie simili a quella. E a un certo punto sono diventati ciò che chiamate il diavolo.» Il diavolo? «Anche per questo nel Medioevo vi immaginavate il diavolo proprio come un centauro, metà uomo e metà cavallo», disse l’Austero. «Ma già nel Medioevo nessuno si ricordava più perché lo si immaginasse così, e perché al tempo stesso si credesse che il diavolo fosse il serpente dell’Eden.» Prometeo che viene condannato e Chirone che si offre spontaneamente sono due aspetti del diavolo? «Questa è la parte più interessante della spiegazione», disse il Dominante.

«Secondo te, perché i vostri Dei supremi hanno tanta paura che gli uomini si evolvano?» Perché hanno paura di perdere il posto? «Non solo. È anche perché sono gli uomini stessi ad averne paura. Gli uomini hanno un gran bisogno di credere che Dio rimanga sempre: sempre uguale, e sempre più in alto di loro. Tutti gli umani hanno più paura che avvenga qualche mutamento in cielo, di quanta ne potrebbe avere Dio stesso». «Ma al tempo stesso, sentono chiaramente che la loro vita è tutta quanta mutamento ed evoluzione, e che non possono fermare questa evoluzione, e che questa evoluzione finirà per cambiare ogni cosa. Perciò vogliono che la fermi Dio. Proiettano sul Dio supremo quella loro paura, e si placano guardando il supplizio di chi li voleva aiutare a crescere. E il Dio supremo obbedisce agli uomini.» «Altrimenti quel vostro Dio supremo avrebbe salvato Gesù», disse l’Austero. E perché il Dio supremo obbedisce agli uomini? «Be’, è il Dio del vostro mondo», disse il Dominante. «In qualche modo deve essere in armonia con chi vi abita. Altrimenti gli uomini lo abbandonerebbero a se stesso e se ne prenderebbero un altro — come appunto lascia intendere il mito di Prometeo, con quel segreto di Temis.» Quindi è come se facessero un patto: rimani nostro Dio se ci garantisci che anche il resto rimarrà com’è ora? «Prendi nota», mi consigliò il Dominante; «queste cose sono ancora troppo grandi per te, ma tu prendi nota, da bravo. «Vedi, per gli uomini ci sono due modi di crescere, di evolversi...» Cioè: di crescere, o di evolversi? Sono due cose diverse. «Sono la stessa cosa. Te l’ho detto, voi avete un Corpo maggiore, e via via che vi evolvete scoprite le sue capacità, non potete neanche immaginare quali e quante. Così come una volta eravate sicuri che i pianeti del sistema solare fossero sette, e oggi sapete che sono nove, e tra un po’ ne conterete dodici, allo stesso modo scoprite anche questi vostri poteri maggiori. E via

via che li scoprite, la distanza tra voi e l’onnipotenza degli Dei celesti diminuisce. Così crescete.» «Crescete e vi moltiplicate», notò l’Austero. «Crescere è moltiplicare ciò che sapete di voi e ciò che siete.» «Così, dicevamo, voi avete due modi di compiere queste scoperte: uno è inconsapevole, e l’altro è consapevole», continuò il Dominante. «Quello inconsapevole è l’impulso naturale all’evoluzione: è una profonda forza che cresce in ogni uomo, e gli uomini ne hanno paura perché sentono che questa forza è più grande di loro. «Quello consapevole è invece il desiderio personale di indagare, di sperimentare: come fanno i mistici, gli esploratori, gli scienziati e via dicendo.» E in pratica non vanno di pari passo, questi due modi? «No davvero. Il secondo modo non è mai pericoloso per gli Dei supremi e non fa particolare paura agli uomini, perché comunque dura poco. Si desta ogni tanto, agisce per un po’ e poi si avvelena e si frena da sé, rimanendo fermo per secoli interi.» E perché si ferma? «Per sgomento, soprattutto. Sai com’è: gli scienziati e i mistici sono molto contenti delle loro scoperte, ne sono fieri, ma sanno bene che verranno superate... Come dice Gesù? In quel giorno non mi domanderete più nulla (Vangelo di Giovanni 16, 23). «E gli scienziati e i mistici finiscono spesso per temere quel giorno proprio come lo teme il vostro Dio. La differenza è che Dio può soltanto fermare gli altri, mentre scienziati e mistici possono fermare se stessi: e si fermano. Chirone si offre spontaneamente alla morte, come hai visto. E quanti, quanti segreti poteva rivelarvi ancora! » Era stato ferito, soffriva. «Certo, è una cosa molto triste quando i Chironi si fermano. La ferita esprime proprio quella tristezza: cosa c’è di più triste di una ferita accidentale, che diventa una ferita mortale? E la forma più malinconica di suicidio, quando chi ha voglia di morire chiede aiuto al caso, e il caso gli offre una morte dolorosa. Per Chirone è così. Chi ti ricorda?»

Pensai a qualche scienziato o a qualche mistico, e non mi venne in mente nessuno in particolare. «Ti verrà in mente», disse il Dominante, e tacque per un istante. «Questo per ciò che riguarda il vostro impulso consapevole all’evoluzione. Invece l’altro vostro impulso è irresistibile», riprese, «è alimentato da grandi esseri veramente immortali: il serpente, Prometeo, Cristo... Sono veramente immortali, dunque per quanto si tenti di fermarli ci sono e ci saranno sempre. «E perciò succede così: quando gli uomini hanno molta paura delle forze che li fanno crescere, e obbligano il loro Dio supremo a inchiodarle, ciò che rimane lì inchiodato è solo qualche mistico o qualche scienziato, mentre quella forza profonda riesce sempre a liberarsi, e continua ad agire. Così è nella storia di Prometeo: Chirone avvelenato rimane lì e muore, mentre Prometeo si libera e va oltre. «Così è anche per i cristiani: non appena si scelgono come simbolo un mistico ribelle inchiodato alla croce, ecco che comincia a crescere e a diffondersi quel diavolo che essi sentono come nemico pericoloso.» Il diavolo è il nostro impulso all’evoluzione? «Per la maggior parte di voi sì.» E Gesù? Gesù poi è risorto, non è rimasto lì. «Tutto risorge, tutto continua. Gesù risorge e scompare in cielo. E sulla terra rimane il diavolo, dopo di lui, a segnarvi i confini da superare, le direzioni in cui deve spingersi avanti la vostra conoscenza. Purtroppo, voi pensate che Gesù e il diavolo siano in contrasto, in concorrenza addirittura. E solo per paura che lo pensate.» Quali confini intendi: se il diavolo è il signore del Male... «Sei proprio sicuro che lo sia, e che il male sia il male? Dovremo chiarire un po’ la questione, quando sarà tempo. L’idea del male era già ben chiara a tutti quanti molto prima che i cristiani cominciassero a delineare la loro idea del diavolo. Il diavolo è soprattutto il Signore del Pericolo: di ciò che è pericoloso per il vostro Dio supremo».

«È l’oscura coscienza che Prometeo può venire impalato, e che Gesù può venire crocifisso o trasferito su un trono nelle nuvole all’altro capo dell’universo, ma che non è finita lì, non è finita mai. Vi rimane sempre intorno, e dentro, quella forza irresistibile dell’evoluzione, che minaccia ogni vostro ordine e fa paura agli uomini e agli Dei. E quello è il vostro diavolo: il serpente della conoscenza, la vista di Prometeo che continua a spingersi avanti. E chi non ne ha paura? Chi non la sente come un pericolo?» Non somiglia neanche un po’ a quel che si dice del diavolo. «No. Ricorda: dietro a tutte le parole sono nascosti grandi tesori. E la chiave di quei tesori è che la vostra realtà è molto piccola. Non appena lo sai, entri e puoi prendere ciò che c’è». La finestra della mia stanza d’albergo dava sulla spiaggia e l’alone di luce arrivava fin quasi alla battigia. Il Mar Nero era davvero d’un nero di velluto, e senza luna. Richiusi il quaderno e, dato che qua e là questa conversazione mi era sembrata, veramente eccessiva, la dimenticai. Tanto che fu una sorpresa, quando la rilessi tre anni fa. II Il Corpo maggiore, il fegato e le guarigioni. L’antichissimo Signore delle Porte. Il diavolo e il diverso. Le epoche di obbedienza. La nostra stanza tonda «È perché eri troppo piccolo, a quel tempo», disse il Dominante, mentre finivo di rileggere quegli appunti. E il Corpo maggiore esiste davvero? «Certo. Si estende intorno a ciascuno di voi, è immenso, e voi ne siete una minuscola propaggine: l’unica sua parte che tocca terra.» Quindi non è terreno? «Attraverso di voi tocca terra ed entra a far parte del vostro mondo. E attraverso i miti potete accorgervi di quando lo usate e di come lo userete meglio quando avrete capito che c’è.» E Prometeo, Colui-che-vede-più-in-là, rappresenta l’organo della vista del Corpo maggiore?

«Sulla terra Prometeo e il serpente corrispondono agli organi della vista, ma ogni volta che Prometeo ricomincia a salire diventa propriamente il fegato del vostro Corpo maggiore. Perciò l’aquila lo colpisce proprio lì. «Nel vostro corpo fisico, il fegato cosa fa? Immagazzina energia e depura il sangue. Esamina, interpreta, capisce ciò di cui vi nutrite. Così fa anche nel vostro Corpo maggiore: immagazzina ciò che scoprite, lo decifra e lo capisce, trasformandolo in sostanze energetiche ed eliminando ciò che vi avvelenerebbe. Prometeo è l’organo che fa questo nella vostra crescita; e nel mito, Giove danneggia apposta quel vostro fegato superiore. Ci si accanisce proprio. «Per un bel pezzo anche voi avete fatto lo stesso, in nome della religione del Dio supremo: torturando e bruciando le streghe, gli eretici, che esaminavano e capivano ciò che agli altri sembrava soltanto pericolo, materia diabolica. Così avete danneggiato moltissimo i vostri rapporti con il fegato del vostro Corpo maggiore.» Calcò su quelle parole. «Mentre al vostro Corpo maggiore tutti quegli orrori non han fatto né caldo né freddo. Il vostro Corpo maggiore è invulnerabile e inesauribile.» Il Corpo maggiore è misurabile in qualche modo? Esiste davvero in qualche modo nel nostro spazio terreno, sopra di noi, intorno a noi? «Sì e no. Diciamo che si trova a metà tra la tua realtà fisica e l’universo infinito: è nell’una e nell’altro.» Cioè? Si può disegnare? «Non ci riusciresti. Non puoi disegnare l’infinito. Puoi anche pensarlo così: il vostro Corpo maggiore è più piccolo del cielo, ma è abbastanza grande da intersecare la volta celeste, e da uscirne — qualunque sia la vostra volta celeste: quella azzurra sopra le nubi, o quella nera sopra le stelle.» Ah, non capisco, mormorai. «Provaci. Non lo comprenderai mai, ma ti fa bene provarci. «Non lo puoi comprendere perché non sei tu che comprendi, lui, è lui che comprende te e tutto ciò che prende forma sulla terra intorno al tuo piccolo io. Perciò abituati a pensarci tranquillamente, sapendo che non lo comprenderai mai: e ti accorgerai di imparare una quantità di cose preziose.» «E piacevole», intervenne l’Austero. «Finché non lo comprendi, continuerai a imparare cose nuove.» Quello che avete detto riguardo al fegato ha a che fare anche con le malattie del fegato? «Con le malattie no, non necessariamente. Con le guarigioni sì», rispose il Dominante. «Quelli che voi chiamate ‘miracoli’ sono sempre interventi del vostro Corpo maggiore, e tutte le vostre guarigioni sono miracoli.

Succede così, seguimi bene: «Quando uno si ammala, è perché il suo io piccolo, la sua mente, si accorge di ammalarsi. Se non se ne accorgesse, non si ammalerebbe: la malattia non vi si aggancia se il vostro piccolo io non le dà il permesso, in un modo o nell’altro...» Davvero? «Certo. Perciò la gente triste si ammala. E quando uno si è ammalato ha due possibilità: o continua a contemplare la sua malattia, e cerca di combatterla sapendo di essere sempre più malato — e allora non guarisce, e se la malattia è mortale, muore —; oppure, se è fortunato, fa ciò che fai tu quando ti rendi conto di non poter comprendere il Corpo maggiore: cede e lascia che il Corpo maggiore intervenga al posto suo, e faccia ciò che lui non può fare.» In che modo? «Attraverso qualche mito, non importa quale. L’importante è che il malato si affidi a forze più grandi di lui, e i vostri miti sono ciò che vi permette di percepire e di evocare quelle forze. I santi, gli angeli, gli Dei e gli spiriti sciamanici, i luoghi miracolosi — incluse le cliniche e gli ospedali, per chi ci crede... — sono tutti miti ugualmente utili, che vi aiutano ad affidarvi al vostro Corpo maggiore e a lasciarlo agire in voi. «Il vostro Corpo maggiore non aspetta altro: appena le vostre capacità consuete si fanno da parte e lo lasciate agire, interviene, e voi guarite. Se fossero le medicine a farvi guarire, una malattia si curerebbe in tutto il mondo con le stesse sostanze chimiche: invece in Europa si cura in un modo, in Cina in un altro, in Africa in un altro ancora, e così via, e se uno è fortunato guarisce, in tutti i continenti.» E il Corpo maggiore come fa a guarire i malati? «Cambia il loro destino. Tutto ciò a cui il vostro piccolo io dà il permesso di accadere nella vostra vita è ciò che chiamate ‘il destino’, il fatum. Il Corpo maggiore è più grande di voi e del vostro fatum, e può cambiarlo. Ha risorse di energia inesauribili. Invece le energie del mondo in cui abitate voi sono esauribilissime, anche quelle dannose: voi per lo più le lasciate agire, ma potete esaurirle ed eliminarle. Crescete un po’ nel vostro Corpo maggiore, e quelle energie si consumano, come il combustibile di un aereo in volo.» «In che senso dici «se uno è fortunato»? «Certi non riescono mai ad abbandonarsi davvero, O non sanno, o non ammettono che l’uomo possa affidarsi a qualcosa di più grande del vostro mondo. Hanno paura di tutto ciò che è più in alto di loro, diverso da loro; così, se sono malati restano malati, e se sono sani si condannano a portare soltanto il peso del loro Corpo maggiore, senza usarlo mai. «Perciò è tanto importante la mitologia, perché è proprio l’opposto dei roghi: migliora i vostri rapporti con ciò che è più in alto, con il Corpo maggiore. Vi insegna a sentirlo. Fa bene al vostro fegato superiore. D’altronde è una lunga storia, questa dei vostri attriti con le vostre facoltà superiori, immemorabilmente più antica dei roghi delle streghe.»

Me la raccontate? «C’è un mito antico che la racchiude tutta. Molto antico...» ripeté il Dominante, come soprappensiero. «Il nome vero del protagonista non ti direbbe niente, da millenni si è perso.» E chi era? «Il Signore delle Porte. Una specie di remotissimo antenato del serpente e di tutto ciò che c’è dietro al vostro diavolo.» Il Signore delle Porte «E la sua storia è così: il Signore delle Porte, antenato del vostro diavolo, era un immortale che voleva diventare Dio supremo. E naturalmente aveva bisogno dell’umanità per questo, dato che senza l’aiuto degli uomini non si diventa Dei, né tantomeno Dei supremi. Il Signore delle Porte aveva un piano: alzare il livello complessivo dell’umanità, e portarla più vicino alla sfera divina.» Cioè accelerare l’evoluzione, come dicevate prima? «Molto di più. A quel tempo gli uomini credevano che la sfera divina fosse una dimensione vera e propria: una specie di stratosfera spirituale, piena di dolcezze, di sapienza e di potenza salutare. E quell’antenato del diavolo voleva che tutti gli uomini la raggiungessero. Oggi vi sembrerebbe sicuramente un’illusione, ma allora poteva veramente apparire una via di sviluppo, almeno a una mente ottimista come la sua.» E come pensava di fare, il Signore delle Porte? «Per esempio, voleva ispirare i profeti in modo che si facessero capire meglio dalla gente, e voleva confondere i re e i sacerdoti in modo che non riuscissero più a perseguitare i profeti. Voleva insegnare ai medici a non farsi pagare. Voleva convincere tutti gli uomini che quella sfera divina non era soltanto divina, ma che era ciò che chiamiamo il Corpo maggiore, né più né meno. Voleva fare una quantità di altre cose, e insomma: aveva un suo piano molto dettagliato, per riuscirci. Elevare gli uomini gli sembrava un’impresa degna di un Dio, pensava che gli uomini ne sarebbero stati contenti, e che anche se all’inizio gli fosse costata cara (com’era molto probabile), alla fine l’avrebbero divinizzato per l’eternità. Così, l’antenato del diavolo amava molto questo suo progetto...» Ma se la sfera divina avesse cessato di essere divina, come avrebbe potuto lui diventare un Dio? «Quella sfera avrebbe cessato di essere divina, ma ce ne sarebbe stata un’altra più su, perché ogni sfera divina che riuscite a immaginare è il riflesso di sfere più alte. Così lì, su un’altra sfera più alta, lui sarebbe stato Dio, superiore a tutti gli altri Dei che gli uomini conoscevano allora. Oh, niente da dire: l’idea era buona. Ma c’era in lui, in qualche angolo della

sua natura immortale, un antichissimo sentimento di libertà e di saggezza... È sicuramente molto utile essere un Dio, ma un Dio non è né libero né saggio. Capisci cosa voglio dire?» Un Dio non è saggio? «Se uno non è libero, non è saggio. E chi ha il potere non è libero. Conosci qualcuno che abbia più potere di un Dio?» «Il Signore delle Porte tuttavia pensò di poter trascurare e anche di poter nascondere a se stesso la voce del suo sentimento, e tentò l’impresa». «Forse — chissà — sarebbe anche riuscito a nascondere quella sua voce a se stesso; ma agli uomini non si può nascondere nulla che riguardi il sentimento. Gli uomini si accorsero che in fondo al cuore non era del tutto convinto, e lo tradirono. Smisero di ascoltarlo. Così il suo piano andò in fumo, si cominciò a dire che il Signore delle Porte era solo un perturbatore dell’ordine e lo si condannò per sempre a essere il contrario di un Dio: un Anti-Dio, un’immagine del pericolo...» Un diavolo. «Suppergiù. Per spregio, poi, gli uomini equivocarono questa definizione, di “immagine del pericolo”, e lo ritennero senz’altro un essere pericoloso, propagatore di mali: e come sempre succede con gli sconfitti, dettero a lui la colpa di tutti i mali esistenti nel mondo umano. Da questo equivoco nacquero moltissime leggende calunniose su di lui, per lo più banali e inutili.» Tutto qui? domandai, dato che il Dominante taceva. «Tutto qui.» Da dove viene questa storia? «La conoscevano in Egitto, ma gli egizi l’avevano presa da altri molto più antichi di loro, che per voi non hanno nome. Ha sicuramente influito sulla storia del serpente dell’Eden. Interessante quell’ idea che il sentimento l’abbia fermato nella sua carriera celeste, vero? Pensaci bene.» Somiglia a ciò che mi avevate detto di Chirone, che non riusciva a superare se stesso. «Ha influito anche sulla storia di Chirone. Ma guarda bene. La libertà, la saggezza, il sentimento: sono queste le cose che gli uomini hanno paura di perdere, evolvendosi. Il mito del Signore delle Porte esprime il loro timore che nel Corpo maggiore non ci sia più spazio per tutto questo.» Ed è vero?

«No. Ma era ed è un timore ben radicato in voi, nel vostro io piccolo — nella parte di voi che tocca terra. A quel tempo, esprimeva una sensazione, ben precisa, che libertà, saggezza e sentimento fossero cose umane e non divine, e che il loro posto fosse sulla terra e non in cielo. Avevate paura di perderle, salendo, evolvendovi.» Quindi il Signore delle Porte era... cioè, in un certo senso quella gente si identificava nel Signore delle Porte? «Sì, ma pochissimi se ne rendevano conto. «Oggi invece ne avete altre, di paure, e talmente dense e aggrovigliate che un diavolo come quello non riuscireste più nemmeno a immaginarlo. Anzi, non riuscite più a immaginarlo in nessun modo; vi siete rinchiusi nelle paure come in una stanza buia, e avete cominciato ad aver paura anche di quel buio. Così il diavolo non lo vedete più, e quel fantoccio con le corna che vi immaginate di solito non è certo il diavolo, per voi.» E il diavolo cos’è, per noi? «In periodi come il vostro il diavolo smette di essere un personaggio, non ha più contorni. Diventa un tipo di avvenimenti, quel tipo di avvenimenti che voi chiamate: diverso. Ciò che può succedere di inaspettato; le tentazioni, le rivoluzioni.» Cioè. la gente vede il diavolo in ciò che può succedere di diverso dalle loro aspettative? «Quasi tutti sentono che quello è il diavolo, e pensano che quello sia il male. In un certo senso hanno anche ragione, perché pensare così è un fenomeno piuttosto grave. Di solito è irrimediabile. E il modo in cui succede è questo, ascolta: «La maggioranza delle persone comincia a convincersi di essere in buoni rapporti con Dio: di obbedirgli nel modo giusto e di aver ragione su tutta la linea. I loro sacerdoti hanno ragione, la loro civiltà ha ragione, la loro razza ha ragione, Dio è dalla loro parte. E questo è l’inizio della rovina...». Be’, non è certo il caso nostro: in un periodo di crisi religiosa come questo attuale... «E successo ai vostri padri, ai vostri nonni e ai nonni dei vostri nonni, e voi ne state subendo le conseguenze — sotto forma di rovina, non di crisi», disse l’Austero. «Il guaio è», continuò il Dominante, «che quando credono di obbedire tanto bene alloro Dio, gli uomini finiscono per abbassano, a forza di sentirselo tanto vicino. E un Dio abbassato non è più un Dio, diventa un idoletto inutile in cui non riescono più a credere davvero. Così il cielo sopra di loro rimane vuoto. «Non se ne accorgono e continuano a sentirsi obbedienti (l’obbedienza dà assuefazione: è come una droga, in periodi del genere): ma un Dio a cui obbedire non l’hanno più. In alto non

c’è più nulla, tutto è al loro livello: tutto è esistenza quotidiana, tran tran. E a questo obbediscono. Così ciò che è al loro livello diventa il loro Dio, a cui si inchinano e a cui fanno sacrifici. È un po’ il contrario di quel vecchio progetto del diavolo.» Gli fanno sacrifici? «Eccome! Gli sacrificano tutto ciò che hanno di più prezioso: la libertà, i desideri, la vita intera. È una sorte tristissima. «E naturalmente, se il posto di Dio lassù rimane vuoto, anche la posizione del diavolo cambia. Per la gente il diavolo è soltanto il nemico di Dio: dunque se Dio, per loro, è l’esistenza solita, il diavolo diventa tutto il resto, tutto ciò che è diverso. «E allora tutto ciò che sanno si trasforma in una specie di diga, che tiene indietro il Nemico. Quella è la paura della paura. Ed è davvero un guaio quand’è così.» «Diventate feroci e stupidi, quand’è così, e vi sembra normale», mormorò l’Austero. E perché dite che è irrimediabile? «Perché quelle dighe, quando si sono formate, cominciano a esistere davvero: la vita della gente diventa davvero una diga. Non è orribile? La maggioranza cerca di abbassarsi sempre più, di capire sempre meno, perché la loro esistenza quotidiana sembri più alta di loro, e per aver l’illusione di obbedire a qualcosa di superiore mentre in realtà obbediscono soltanto alla loro routine. E tutto ciò che non capiscono diventa loro nemico: estraneo, diverso, malvagio. Le loro dighe li schiacciano, e nessuno di loro se ne accorge mai.» «Così è sempre, quando vengono i Diluvi», disse l’Austero. «Quando si ruppero le dighe ai tempi di Noè nessuno se ne accorse. Avevano troppa paura per accorgersene, e per millenni continuarono a illudersi di essere ancora vivi.» Sentivo che era vero. Mi guardai intorno, nel luogo in cui venivo a trovare i maestri. L’avevo costruito io nella mia immaginazione, molti anni prima, e non era mai cambiato: una grande stanza tonda in fondo a un lago, scavata in una rupe che somigliava a un grande vascello affondato. Nella stanza c’erano divani e poltrone, tappeti, e una spessa vetrata che dava sulla profondità verdazzurra del lago. C’erano alcune porte, da cui sentivo entrare i maestri — li sentivo soltanto, non li vedevo, erano invisibili — e c’era la porta da cui entravo io, con un corridoio che visto dalla stanza ricordava un ponte levatoio. A quel tempo era così. E quella stanza era diventata talmente reale, per .me, e mi piaceva immensamente: così lontana dal mondo esterno, dove tutto era davvero come me l’aveva appena descritto il Dominante. In quella stanza tutto era diverso. Soprattutto le parole dei Maestri. Nel mondo esterno nessuno mi aveva mai parlato come loro.

«Non va, sai», disse il Dominante. «Anche questa stanza è una diga.» No, dissi, è un posto diverso. Il mondo esterno è la diga che dite voi. «E una diga, questa stanza», insistette dolcemente il Dominante, «e non è il modo giusto di imparare. Così impari solo echi, annunci di cose, e non le cose.» Ci pensai, e scossi il capo. E come faccio a imparare le cose, davvero? Ogni argomento che toccate è come la porta di una città: ci vorrebbero mesi e anni per conoscere la città intera, e a ogni passo voi aprite la porta di un’altra città. «Questo va benissimo così, e sarà sempre così: ovunque arrivi, ci saranno sempre cose che rimangono fuori dalla tua portata. Le cose che impari segnano la tua strada, le cose che non hai ancora imparato sono il paesaggio intorno, che la strada attraversa. I paesaggi sono il mondo, e il mondo è tuo, è il tuo Corpo maggiore. Mentre la strada è il tuo io piccolo, che cresce per quanto può. «L’importante è che il tuo io piccolo continui a cercare la strada, e non si fermi pensando di essere arrivato. Non costruire mai dighe, va bene?» PARTE SECONDA I sette mondi degli uomini III I Sei Cieli dell’evoluzione umana. Il guardiano delle soglie. I maestri fanno lezione sul bene e sul male «È che dovresti viaggiare un po’», aveva cominciato a dirmi l’Austero in quel periodo. Con «viaggiare» intendeva i viaggi nell’Aldilà, in epoche lontane o fuori dal nostro universo. E avevamo fatto qualche viaggio del genere, in passato, ma senza grandi risultati. Non serve, gli rispondevo. Non vedo mai niente quando viaggiamo. A questa risposta l’Austero borbottava qualcosa e non c’era più. Detestava sentirmi dire che non riuscivo a fare qualcosa e quando lo dicevo se ne andava per un po’. Ma davvero le rare volte che avevamo provato a viaggiare, anni prima, non mi era rimasto nessun ricordo di quel

che avevo percepito, e non avevo preso appunti durante i viaggi. Solo qualche parola mal scritta, indecifrabile o senza senso. «Due cose non ti riescono e sarebbero invece importanti», mi disse il Dominante, un giorno che l’Austero era scomparso borbottando dopo una di quelle mie risposte. «Una è viaggiare e l’altra è congiungere. Non congiungi ancora ciò che percepisci qui con ciò che percepisci nel vostro mondo. E quando riuscirai a fare una cosa, ti riuscirà anche l’altra.» Congiungere come? «Congiungere. Farne una cosa sola. Altrimenti impari soltanto in teoria e non in pratica. Anche questa è soltanto un’inutilissima diga.» E perché non riesco a congiungere? «Perché fai troppo poco per gli altri. Quando qualcosa non ti riesce è sempre questa la ragione principale.» Rimasi in silenzio, e mi sentivo a disagio. In quel periodo facevo una quantità di cose ed ero sempre affannosamente occupato. Al mattino insegnavo in un liceo (dopo la guerra nel Caucaso avevo lasciato perdere i reportage), nel resto della giornata facevo consulenze per case editrici, traducevo la Bibbia e scrivevo il mio primo libro sugli Spiriti-guida. In più cercavo di essere un buon padre di famiglia, e di salvare il mio matrimonio che, come banalmente succede, assomigliava sempre più a un cappio al collo. Pensando alle mie giornate dense, quella frase — «fare di più per gli altri» — mi suonava addirittura irritante: ne alitava un senso di colpa che non sentivo affatto mio. «Io faccio quello che devo e quello che posso», pensai, «e non posso smettere per fare qualcos’altro. Non è per pensare meno a me stesso, o per nascondermi qualcosa...» Il Dominante aspettava. Be’, sbuffai, e cosa potrei fare? «Non è la domanda giusta. La domanda giusta è: perché hai paura di fare quello che puoi?» Mettiamola così. Perché?

«Non è una paura tua, è di una moltitudine di altri legati a te. Ma bisogna superarla, non hai scelta. Col passare del tempo il peso di questa moltitudine si gonfia, e finirà per trascinarti via come un’inondazione senza che tu te ne accorga, se non fai qualcosa di più per loro. Mentre se impari a farlo cambierà tutto.» Aspettò che finissi di scrivere questa frase, e riprese: «Anche quel peso è il Corpo maggiore, se riesci a capirlo. Diventa veramente un peso insopportabile se non si incarna in qualche modo, e il Corpo maggiore è troppo vasto per incarnarsi soltanto in te, nel tuo piccolo io. Capisci?» D’accordo, aiutatemi allora. Potete? «Ah, noi sì», rispose il Dominante. «Ma tu non capisci ancora. I nostri poteri sono mille e mille volte più grandi di quelli che conosci. Solo che così come sei ora non puoi ancora immaginarli, e perciò non puoi chiedere. Così non cresci.» «Guarda qui», sospirò, vedendo che non capivo; «è così che crescete voi», e cominciò a tracciare disegni sul pavimento della stanza tonda, che servizievolmente divenne di sabbia, mentre io l’avevo sempre immaginato di pietra. C’entra col diavolo? domandai. «Altroché. Ecco, poniamo che questo sia il limite delle tue possibilità:

«È il limite di ciò che sai e che puoi sapere. Il limite di ciò che sei e che puoi essere. Quanto più scopri ciò che puoi scoprire qui, succede questo:

«Il cerchio all’interno si allarga fino a che non coincide con il cerchio esterno. E quello è il punto in cui sei tu: perciò ti accorgi che, così come sei ora, ci sono cose che non ti riescono, e che la tua strada sta fermandosi. «Poi il cerchio che prima era all’interno si allarga ancora e si dissolve, scompare: questo è il fare di più per gli altri, il dare agli altri. Allora si può ricominciare a imparare, ad accorgersi di altre cose:

«E così via. Così succede sempre, e così è per tutti. «Il cerchio interno devi immaginarlo vuoto. Ogni volta che imparate qualcosa in più è come se allargaste un vuoto dentro di voi, da cui entrano molte più cose di quelle che vi sembra di imparare. Il cerchio esterno è il limite di ciò che siete, e devi immaginarlo pieno. Capisci come funziona?» Il cerchio esterno rimane sempre uguale, osservai. Vuoi dire che il limite delle nostre possibilità non cambia mai? «Aspetta, siamo appena all’inizio. In realtà il cerchio esterno è un cerchio soltanto a guardarlo da dentro. Visto dilato invece è così.» Il Dominante tracciò quest’altro disegno:

«Noi lo vediamo dilato: per noi è conico», spiegò. «Voi lo vedete nell’altro modo perché ci siete dentro.»

E dove finisce, il cono? «Dove arriva la vostra vista. E un campo visivo: tutt’intorno a voi è un vostro orizzonte, e verso l’alto è un vostro cielo. Nel vostro universo ce ne sono altri cinque così, e via via che il cerchio interno si allarga e si sposta riuscite a vederli, uno per volta. Il cerchio interno è il punto da dove guardate. È così, vedi:

«Nel vostro universo umano voi avete sei Cieli. E il cerchio interno può trovarsi nel Primo Cielo, o nel Secondo, nel Quinto, e così via.» Perché sono proprio sei? «Sono sei», disse il Dominante. «Anche se rivoltassi il vostro universo da cima a fondo non riusciresti a trovarne di più. Puoi anche immaginarli così:

«O così, anche così va bene:

«Tanto tempo fa gli astronomi pensavano che questi Cieli fossero le sfere celesti, e che esistessero nell’universo fisico: invece esistono soltanto in voi, nel vostro universo umano. Cioè in quello che voi percepite della realtà. «Ora, dicevamo: lo spostamento del cerchio interno da un Cielo all’altro», proseguiva il Dominante, «è ciò che voi chiamate evoluzione, e di cui avete tanta paura. Voi, per averne meno paura, vi immaginate che l’evoluzione siano le modificazioni culturali, sociali eccetera che avvengono nel corso del tempo. Ma a immaginarla così non significa gran che.» Per noi sì. «No, neanche per voi. Serve soltanto a quelli che vogliono illudersi di essere arrivati più in là di chi è vissuto prima di loro, il che è una sciocchezza. «La vostra evoluzione non è affatto negli strumenti tecnici, né nella grandezza delle città o nel numero delle parole importanti che riuscite a ideare. È una crescita della vostra percezione e della vostra statura interiore. Non è diversa da un’epoca all’altra, è diversa da persona a persona, in ogni epoca. E in qualsiasi giorno della vostra vita voi potete diventare completamente diversi da ciò che eravate fino al giorno prima.» Cioè, in ogni epoca ci sono persone più evolute, che vedono più «Cieli» di altre? «No, te l’ho detto: voi siete capaci di vedere solo un Cielo alla volta, almeno nel vostro Aldiqua. Io posso spiegarteli tutti, se vuoi; ma se te li spiego comincerai a vedere ogni cosa diversamente, e quello che hai imparato finora non ti interesserà più. Farai fatica a intenderti con l’altra gente, per un po’. Non ti spiace?» Ci pensai per qualche secondo e poi feci segno di no, col capo. «Come vuoi», disse il Dominante, con un mezzo sorriso nella voce. «Allora: «Il Primo Cielo è quando un uomo percepisce se stesso come individuo. E l’orizzonte che vedete intorno e dentro di voi, e il cielo che percepite sopra di voi (con gli Dei, il Paradiso e tutto il resto), quando dite e pensate ‘io sono, io voglio, io so, io dico’ e così via. Io io io. Nel Primo Cielo vi sembra che questa parola ‘io’ non richieda nessuna spiegazione.

«Il Secondo Cielo è ciò che vedete quando vi sentite parte di un insieme di persone, e pensate e percepite quel che pensano e percepiscono queste persone. Per esempio un popolo, una religione, un partito: un noi numeroso. Noi noi noi. E lì il noi è più importante di tutto. «Il Terzo Cielo, è ciò che uno vede quando comincia ad accorgersi che dentro di lui c’è qualcosa di più ampio di quell’io che dice ‘io voglio, io so, io dico’ eccetera. Avete tanti nomi per indicare questo qualcosa di più ampio: l’inconscio, le vite precedenti, le vostre potenzialità che ancora non conoscete. Ognuno di questi nomi coglie un pezzetto della realtà del Terzo Cielo. Più in generale e più precisamente: il Terzo Cielo è quando ciò che agisce in voi è ciò che non sapete di voi stessi. Ci siamo fin qui?» Sì. «Il Quarto Cielo è quando ciò che uno non sa di se stesso si unisce a ciò che un altro non sa di se stesso. Questo succede nei grandi amori, nelle grandi passioni. O anche quando alcune persone (pochissime) hanno un medesimo ideale, che è in contrasto con l’ordine costituito.» E quando l’ideale di quelle persone concorda con l’ordine Costituito? «Quel tipo di ideali sono ancora nel Secondo Cielo. Appena quelle persone crescono di numero, formano daccapo un ‘noi’ e ridiventano Secondo Cielo. «Poi, il Quinto Cielo è quello della vostra più limpida dimensione interiore. È quando cominciate a sentire che in voi c’è un mondo immenso, segreto, incomprensibile, molto più grande non soltanto del vostro io ma di tutto ciò che conoscete: quando cominciate a intuire che ciò che vi succede, vi succede soltanto perché siete voi a volerlo. E non riuscite a crederci e non capite come sia possibile: e quanto più ci pensate, tanto meno riuscite a descriverlo, eppure sentite che è proprio così. Quando per esempio formuli un desiderio e il desiderio si realizza... Sai bene com’è, no?» Annuii. * «Ecco, quello è il Quinto Cielo.

*

V. la notai desideri, a p. 294.

«Il Sesto Cielo è quando trovate un altro che ha cominciato a fare questa stessa scoperta della sua più limpida dimensione interiore, e riuscite a comunicare con lui. E questa, naturalmente, è una grandissima felicità.» Più grande di un grande amore? «Sì. Ti spiace?» Un po’, dissi, pensando a un mio grande amore. «Scrivi, scrivi, la spiegazione non è finita», continuò il Dominante. «Questi sono i sei gradi della vostra evoluzione. Tre di questi gradi (il Primo, il Terzo e il Quinto) riguardano il vostro rapporto con voi stessi, e gli altri tre (i numeri pari) riguardano il vostro rapporto con gli altri. Ed è una differenza molto importante: nei Cieli dispari, salendo dal Primo al Terzo, al Quinto, avete sempre più occasioni di scoprire quello che chiamiamo il vostro Corpo maggiore; nei Cieli pari è il contrario: nel Secondo, nel Quarto, nel Sesto Cielo imparate a usare sempre meglio il linguaggio e le facoltà del vostro io piccolo, che sente di non essere di per sé un intero, di essere soltanto una parte di qualcosa, e crede che la parte restante siano gli altri. Capisci?» Sì, benissimo. Questo l’avevo capito davvero bene. «Ma tutti i Cieli sono necessari. Dovete passare da tutti e sei — e superarli, naturalmente. Se restate fuori da qualche Cielo, è solo perché non avete abbastanza forza per volerlo conoscere: e allora tutto ciò che pensate o fate rimane incompleto, fragile e in qualsiasi momento può sembrarvi insensato. In ogni epoca c’è chi resta aggrappato per tutta la vita al suo Primo Cielo, al Secondo, e chi comincia ad affacciarsi al Terzo, o che tutt’ a un tratto si ritrova nel Quarto, e via dicendo. «I bambini, per esempio, sono tra il Sesto e il Quinto. La maggior parte degli adulti sono arroccati nel loro Primo Cielo, e passano al Secondo solamente quando qualcosa li costringe a farlo.» Io a che Cielo sono? «Quando parli con noi scopri continuamente il Quinto.»

Sentii, intanto, che l’Austero era tornato a sedersi accanto a me. «Fate lezione?» domandò.* «E tra ciascun Cielo e l’altro», proseguì il Dominante, «c’è quello che chiamate il diavolo, il vostro cosiddetto Signore del Male. Per voi, ogni tratto intermedio tra questi sei gradi di evoluzione è territorio suo: il diavolo è il vostro guardiano delle soglie.» Il Signore delle Porte? «Già. Questa è ancor oggi la sua mansione. E molto grande e minaccioso quando lo vedete da fuori; ma ogni volta che riuscite a passare da un Cielo all’altro, ciò che chiamate diavolo scompare.» Nel senso che chi si trova nel Primo Cielo pensa che sia male passare al Secondo? E lo stesso succede a chi si trova al Secondo, e al Terzo e così via? «Ogni tanto pensano che sia male, che sia una tentazione, ogni tanto ne hanno soltanto paura senza capire perché. Per gli adulti, quanto più salgono dai Cieli inferiori a quelli superiori, tanto più la paura diventa panico e orrore. E in generale, tutto ciò che gli uomini definiscono come il Male — con la maiuscola — ‘lo vedono proprio nel passaggio tra il Cielo in cui si trovano e il Cielo immediatamente superiore.» «Gli state spiegando la conoscenza del bene e del male?» domandò l’Austero. «Stiamo cominciando, sì», disse il Dominante. Possibile che sia così semplice? domandai. «Vedi tu stesso», rispose il Dominante, «uccidere è male, no? E male rubare, opprimere, ingannare. Dal punto di vista del vostro Primo Cielo tutto questo è certamente male e *

«Fare lezione» era un nostro termine tecnico. A volte, quando ponevo ai Maestri una

questione d’ordine generale o particolarmente complicata, accettavano di rispondermi solo sotto forma di un vero e proprio corso: dovevo cioè andare a trovarli quotidianamente o a giorni alterni, per un certo periodo di tempo — di solito un paio di settimane —, e ascoltare le loro lezioni sull’ argomento.

tentazione diabolica. Ma dal punto di vista del Secondo Cielo è già molto diverso: nel Secondo Cielo rubare, ingannare, opprimere e anche uccidere sono indispensabili strumenti di lavoro: nei partiti, negli eserciti, nei governi... E nel Secondo Cielo chi fa queste cose non pensa di commettere il male, a meno che naturalmente non ricominci a guardare dal punto di vista del Primo Cielo.» E quando uno uccide o ruba per proprio conto? «Per proprio conto? Hai visto troppi thriller. Nessuno uccide o ruba per proprio conto: queste cose sono sempre un prodotto del Secondo Cielo — perché per commetterle l’uomo deve inevitabilmente usare forze che si formano nel Secondo Cielo. Nel Primo Cielo non avete forze simili, il vostro campo visivo non arriva a percepirle, da lì.» Cioè, vorreste dire che un individuo normale, normalmente egoista, non può uccidere o rubare o opprimere? «Davvero non capisci? Nel momento in cui il signor X uccide o ruba, non è più il caro signor X che tutte le mattine canticchia e pensa ‘io, io’ guardandosi allo specchio, e che si intenerisce ricordandosi di quand’era bambino. Nel momento in cui uccide o ruba, diventa membro del grande insieme atemporale degli assassini e dei ladri. E in quel momento lo sente, lo sa di essere diventato un altro — possiede una forza diversa, e vede il mondo così come sempre l’hanno visto tutti gli assassini e tutti i ladri.» «Non è più un io, è l’espressione di un noi», disse l’Austero. «Poi», continuò il Dominante, «se dopo aver ucciso o rubato torna a essere il caro signor X e a vedere il mondo dal punto di vista del Primo Cielo, pensa con orrore ‘io, io ho fatto questo! Ho ucciso, ho rubato!’: ne è sconvolto e si pente di quello che ha fatto, e gli sembra di non capire come sia stato possibile, e dirà che il diavolo l’ha spinto e gli ha guidato la mano. Non è stato il diavolo, ma solo la forza del Secondo Cielo. «Perciò anche i processi spettano sempre ai tribunali, a un qualche apparato collettivo, cioè di nuovo a un ‘noi’: i delitti si possono giudicare solo dal punto di vista del Secondo Cielo — come delitti commessi da un membro di un ‘noi’, che non ha rispettato le regole di un altro ‘noi’ più potente. Dal punto di vista del Primo Cielo potete solo inorridire dei delitti, ignorarli, perdonarli o nel peggiore dei casi esserne vittime.»

«Il che non toglie che quasi ovunque la gente del Primo Cielo farebbe volentieri a pezzi quelli del Secondo Cielo, se potesse», osservò l’Austero. «Ma non può.»* «Già. Altrimenti gli Stati non esisterebbero», disse il Dominante, «e non avreste nessuno che

vi

comanda.»

E per chi passa al Terzo Cielo, il diavolo dov’è? «Oh, dal punto di vista del Primo e del Secondo Cielo il Terzo Cielo è pericolosissimo e molto diabolico», rispose il Dominante. «Le Chiese hanno continuato per secoli a bruciare quelli del Terzo Cielo, senza che nessuno pensasse di impedirglielo, perché a tutti sembrava una cosa normale. «E dal Quarto Cielo in su, la paura di chi li guarda dai Cieli inferiori diventa sempre più profonda e tormentosa. Fa paura entrare nel Quarto Cielo: gettarsi in un grande amore. Quanti ci riescono? «Fa ancora più paura entrare nel Quinto. E il Sesto Cielo è quello che fa più paura di tutti: perciò lo scoprono così in pochi. «E ogni volta, a ogni passaggio da un Cielo all’altro, ciò che fa paura è propriamente l’idea di perdere quello che si ha e si conosce. Di veder sparire il cerchio interno, come dicevamo prima. Rispetto a quello che si ha e si conosce nell’Aldiqua, ognuno di questi passaggi è la Negazione, la Privazione. E la manifestazione del Male.» Allora secondo voi il male non esiste di per sé, e dipende soltanto dai punti di vista. «Non perdere tempo con quel genere di astrazioni. Che vuoi dire ‘il male di per sé’? Se qualcosa è male, per forza è male per qualcuno. E ciò che chiami male esiste eccome, e dipende soltanto dai vostri campi visivi. «Secondo l’Inquisizione era molto male e cosa diabolica dire che la Terra gira intorno al Sole. E secondo qualunque uomo uccidere è male, perché per essere soltanto un qualunque uomo bisogna vedere le cose dal punto di vista del Primo Cielo.»

*

V. la nota Ancora sul Secondo Cielo, a p. 307.

Quindi il diavolo non è di per sé malvagio? Voglio dire: dato che il diavolo è il punto di passaggio tra un campo visivo e l’altro... «Te l’ho detto, dipende tutto dai campi visivi. Quando uno è passato da un Cielo all’altro, ciò che prima gli appariva come diabolico ora gli appare in un altro modo. Prima di passare, invece, il diavolo è il Signore del Pericolo, appeso lì sul passaggio come Prometeo e Chirone, a farvi paura. «Lì lo fate appendere dal vostro Dio, perché in ciascun Cielo il vostro Dio è il Signore di tutto ciò che avete e conoscete sotto quel determinato Cielo. Quindi, pensate voi, è chiaro che a Dio secca che la gente passi e Lo lasci indietro.» Ogni Cielo ha un suo Dio? «No, ma voi percepite Dio in un modo diverso a seconda del Cielo in cui siete.» E quando si viaggia, si viaggia anche attraverso questi Cieli? «In parte, sì. In ogni caso è utile conoscere un po’ di geografia prima di viaggiare, non ti pare?» IV Le mie discese. Il Settimo Cielo e Lucifero. Il Nilo e il Diluvio. Il patto col diavolo Non è che un po’ viaggio già, quando vengo a trovarvi? «Stai parlando della discesa?» Le mie discese interiori per raggiungere i maestri erano una specie di viaggio. Nei primi anni erano più brevi: chiudevo gli occhi, immaginavo un sentiero, il lago, un tuffo nel lago e la porta della rupe sott’acqua — e in poco più d’un minuto ero già nella stanza tonda. In seguito, avevo sentito il bisogno di inserire un montacarichi, prima del sentiero. E il montacarichi era diventato un lungo volo verticale: immaginavo di precipitare, seduto sulla mia sedia, le mani sui braccioli — e questo volo durava già di per sé più d’un minuto.

Quanti chilometri in altezza sarebbero occorsi, nella realtà, per precipitare così a lungo? Immaginavo molto vividamente quel volo; stringevo addirittura i braccioli quando, di tanto in tanto, la sensazione di star precipitando diventava più netta e raccapricciante. Non sapevo se quell’allungamento del percorso fosse dovuto a una mia maggiore resistenza a raggiungere la dimensione degli Spiriti-guida o se, al contrario, con la pratica quella dimensione fosse diventata più profonda dentro di me: semplicemente quel volo mi piaceva; anche gli istanti di raccapriccio erano incantevoli. Durante il volo trovavo anche il tempo di mettere a punto le domande, gli argomenti di cui conversare - e alla fine la sedia si posava a terra, lentamente, all’imbocco del sentiero. Le mie discese come si collocano, nella geografia dei Cieli? «Sono già un viaggio e non lo sono», disse il Dominante. «Non lo sono ancora perché lì rimani ancora aggrappato a ciò che sai dite, un po’ come ai braccioli della sedia. E lo sono già, perché tutto quello che riguarda noi è già viaggiare. Qui da noi, dovunque sei sei in viaggio: qualunque domanda poni, cominci un viaggio in cui ciò che conosci rimane indietro. Solo che finché ti limiti ad ascoltare è come se viaggiassi soltanto con l’udito, e finora hai fatto così.» «È come se viaggiassi in braccio alla mamma, come un bambino appena nato», aggiunse l’Austero, «e la mamma ti racconta cosa si vede dal finestrino.» «Poi imparerai che tutte le cose che conosci qui sono forze, da adoperare e non da ascoltare soltanto», disse il Dominante. Sono forze in che senso? «Nel senso più semplice. Forze. Forze per fare di più per gli altri e per viaggiare sul serio. Vedrai, imparerai. Intanto continua a scrivere: i Cieli sono sette, ne manca ancora uno.» E riprese la lezione. «Il Settimo Cielo è quando il vostro campo visivo esce da quei Sei Cieli, e li vede nel loro insieme. «Così:

«Formano una specie di emisfero, vedi? E il Settimo Cielo è l’altro emisfero.» Sembrano un sole all’alba, visti così. «Tutto quello che vedete nel vostro mondo significa e indica qualcos’ altro», disse l’Austero. Anche il sole all’alba.» «Tutto quello che sapete diventa una specie di indovinello, quando cominciate a entrare nel Settimo Cielo», precisò il Dominante, «anche il sole all’alba.» E anche nel Settimo Cielo il diavolo è il guardiano della soglia? «No, qui non occorre», disse il Dominante. «Per voi il Settimo Cielo è tutto quanto diavolo: è tutto quanto soglia.» Tacque, per qualche secondo. «Tu non hai ancora domandato niente su quel che fa il guardiano della soglia, e non hai capito cos’è e come la si attraversa.» Obbedii al suggerimento. E come la si attraversa? «La soglia tra un Cielo e l’altro», spiegò il Dominante, «è un elemento completamente diverso da ciò che conoscete nei primi Sei Cieli. È come un fiume: ci sprofondate per un istante e poi risalite dall’altra parte. Un po’ come Mosè quando viene affidato al Nilo, nella cesta. Ricordi com’era? «Il Faraone aveva ordinato di annegare nel Nilo tutti i figli maschi degli ebrei: invece la mamma di Mosè disobbedisce, tiene con sé il suo bambino; e quando non può più tenerlo nascosto lo mette in una cesta, e lo affida al Nilo. Il Nilo porta il piccolo fino a dove una

principessa sta facendo il bagno, e la principessa raccoglie il bambino e lo alleva come un principe.* Rifletti bene su questo punto», mi raccomandò il Dominante. Quindi queste linee che nel disegno sembrano raggi di sole sono fiumi? «Non fiumi d’acqua, certo», rispose il Dominante. «Fiumi di un elemento che trasforma: e quell’istante in cui vi sprofondate basta a rendervi tanto diversi da farvi risalire a un altro di quei Sei Cieli, invece che a quello di prima. Così Mosè, quando viene immerso nel fiume, è un piccolo disperato, e quando arriva dall’altra parte è un principino. «Se invece sprofondaste un po’ di più nei fiumi di quell’ elemento, arrivereste subito nel Settimo Cielo. Ciascuno di quei fiumi è già il Settimo Cielo. Vedi che confluiscono tutti?» E in che modo quest’elemento sarebbe il diavolo? «Proprio come lo è Prometeo. Quell’elemento è ciò che va più in là, e vi porta più in là. E il diverso. E quando voi pensate che il diavolo sia il Malvagio, è soltanto perché volete tenervi a distanza dalla riva.» «E quello che una volta chiamavate Luciferus, “il portatore di luce”: proprio per la sua somiglianza con il sole all’alba», aggiunse l’Austero, «e perché da quell’elemento si vede tutto in una luce diversa. Ma anche allora non vi ricordavate più perché lo si chiamasse così.» E dove si trovano precisamente questi fiumi? Voglio dire: c’è un punto in cui li si vede, o è una metafora? «Si trovano in ogni cellula del vostro corpo», rispose il Dominante, «in ogni confine dei vostri pensieri, in ogni contorno di ciò che vedete, e nella storia di Mosè, che è la storia di ognuno di voi.» Cioè? «La storia di quella persecuzione è la storia di ognuno di voi. li passaggio da un Cielo a un altro è sempre un’evoluzione, ed è sempre un affidarsi al fiume. A vederlo da una riva soltanto, ci si sente davvero come quegli ebrei che vedevano scomparire nel fiume la loro discendenza, *

Esodo 2, 1-10

il loro futuro. E la maggior parte della gente non riesce a vedere nient’altro. La madre di Mosè, nella storia, riesce a vedere un pochino di più e vede la cesta; è un modo più coraggioso di guardare quel fiume» «Gli altri vedono solo la pressione delle circostanze», aggiunse l’Austero, «il destinò. Per loro il destino è solo il Faraone, lontanissimo e onnipresente.» «Per loro quel Nilo è come il Diluvio», disse il Dominante. «Un perenne diluvio, nella perenne creazione in cui vivete voi.» Mi piacque molto questa idea: che la creazione narrata dalla Bibbia non fosse un avvenimento compiutosi all’inizio dell’universo ma una descrizione mitica dell’universo in cui viviamo, del senso profondo del nostro modo di vivere — e così pure il Diluvio, e la storia di Adam, e di Caino e Abele e tutta la Genesi erano e sono storie nostre, che noi tutti viviamo sempre. «Come ho fatto a non pensarci prima?» dissi tra me, e mi venne in mente l’arcobaleno che compare dopo il Diluvio (Genesi9, 13). E i sette colori dell’arcobaleno hanno a che fare con i sette Cieli? domandai stupito. «E un altro modo di tracciare il disegno dei Cieli, certo», disse il Dominante. «Ce ne sono tanti, di modi.» «E la differenza che c’è tra Noè e l’umanità sommersa dal Diluvio è la stessa che c’è tra la madre di Mosè e tutte le altre madri di quegli ebrei in Egitto», aggiunse l’Austero. E la cesta di Mosè è come l’arca di Noè? «È la stessa storia. Il mondo si affida alle acque per rinnovarsi. È la vostra storia, la trovate in ogni aspetto della vostra vita, se volete. Ci sono tanti altri racconti che la ripetono e ne precisano questo o quel dettaglio. Per esempio le vostre leggende sui patti col diavolo.» Le leggende in cui qualcuno fa un patto per accrescere il proprio dominio, la propria ricchezza e così via, e perde l’anima? «Proprio. In tutte le storie che conoscete c’è un indovinello da risolvere. In queste leggende dei patti col diavolo l’indovinello è: come mai chi fa un patto col diavolo perde la sua anima?» sorrise il Dominante. «E la risposta è: il patto col diavolo raffigura precisamente il passaggio da uno dei Sei Cieli a un altro. In quelle leggende, la brama di ricchezza o di dominio o d’altro

rappresenta l’impulso a compiere quel passaggio. E nel passaggio da un Cielo all’altro si perde davvero l’anima, ma non perché il diavolo se la porta via. «È perché voi non vedete mai la vostra anima, e solo durante il passaggio — quando vi immergete in quell’elemento che vi trasforma —, solo allora vedete la vostra anima per un istante: le immense possibilità che ci sono per voi, nella vostra anima. E poi di nuovo la perdete di vista, appena entrate in un altro dei Sei Cieli. In questo senso la perdete. La vostra anima è nel Settimo Cielo.» Quindi il diavolo è la soglia della nostra anima? «Il diavolo è la paura della soglia, e per voi il Settimo Cielo è la soglia da cui cominciate a vedere com’è fatta la vostra anima. E lì tutto è diverso da tutto, e ogni cosa può trasformarsi e mostrarsi in una nuova luce. Il diavolo è l’immagine che avete della paura di questa trasformazione, e della distanza che volete tenere fra voi e la vostra anima.» V Le porte dell’anima. Il diavolo e l’io secondo Basilide e Jung. I re Magi e Gesù. Il mistero dell’incarnazione Altre volte avevamo parlato dell’anima, e i maestri mi avevano spiegato che l’anima umana non è affatto quel batuffolo di luce o quel corpo diafano che ci si immagina di solito: l’anima di ognuno, secondo i maestri, è un’immensa regione dell’universo, nella quale il nostro io (l’io piccolo, come lo chiamavano loro) è come una moneta in un lago. Questa immensa regione è ciò che chiamiamo Aldilà, o più precisamente: l’anima di un individuo è il suo Aldilà personale — ciò che quell’individuo può scoprire dell’Aldilà. E tra l’anima e il Corpo maggiore che rapporto c’è, precisamente? «Il Corpo maggiore è tutt’ intorno al tuo piccolo io e al tuo corpo fisico», rispose il Dominante, «ed è a metà tra la tua realtà fisica e l’infinito; invece l’anima è a metà tra il tuo cosmo e l’infinito — intendendo per ‘cosmo’ l’immagine che avete voi dell’universo.» Ripetei mentalmente questa definizione, come compitandola.

L’infinito in che senso? «In tutti i sensi: tutto ciò che è infinito e che voi non potrete capire mai. E li l’anima è come una porta che collega due stanze. Per alcuni è una porticina minuscola, così la vedono loro; per altri è addirittura come un forellino nel muro, per altri ancora è grande come la porta di una città o come l’imbocco di una valle. In realtà è grande come il più grande dei Cieli, il Settimo, appunto: è lì che comincia la vostra anima.» A metà tra la nostra immagine del mondo e l’infinito... Quindi l’anima è nella mente, è un’astrazione? «Non è per niente astratta. E un ben preciso grado di intensità del reale. Come dice il finale del Faust, quando il dottor Faust ritrova l’anima?» Andai a prendere il Faust di Goethe: l’ultima pagina. Tutto l’effimero è soltanto una somiglianza; l’inattuabile qui diventa ciò che avviene; l’indescrivibile qui si compie; l’Eterno Femminino ci trae avanti. «Eh eh», ridacchiò l’Austero, compiaciuto. «Qui, l’effimero è il vostro cosmo», spiegò il Dominante. «L’inattuabile e l’indescrivibile sono ciò che non riuscite a includere nel vostro cosmo; e ciò che Goethe chiama l’Eterno Femminino è ciò che voi e noi chiamiamo l’anima, e che non solo non è astratto, ma fa diventare reali un’infinità di cose che per voi non esistono nemmeno nella vostra immaginazione.» E perché «Femminino»? Perché è femminile? «Perché il vostro io è maschile. Tanto negli uomini quanto nelle donne l’io è un principio maschile: anche le donne dicono il mio io, no? Voi lo sentite così. Mentre l’anima, la sentite

come un principio femminile, proprio perché è tanto lontana ed eternamente diversa dal vostro io, quanto la donna lo è dall’uomo. Così, finché siete degli io, siete lontani e diversi dalla vostra anima. Potete entrare e viaggiare nell’anima, ma non siete lei. Potete averla, ma non essere lei. Così è. E ne siete infinitamente attratti e tratti avanti, proprio come dice Goethe.» E anche il Corpo maggiore è un principio maschile? «Certo. Ed è anche molto paterno.» E il diavolo? «Il diavolo per voi è soltanto il confine e la paura. Dipende da come lo immaginate: se lo immagini come un confine che ti ferma, è maschile; se lo immagini come paura che ti ingoia è femminile. Ma dipende soltanto dalla vostra immaginazione: maschile e femminile nel caso del diavolo sono solo ‘somiglianze’ vostre. Cose effimere.» «Come la somiglianza tra quei fiumi e il sole all’alba», disse l’Austero. Quindi il diavolo è solo una parte di ciascuno di noi, un aspetto di noi? «Non ho detto questo», rispose il Dominante. «E d’altronde voi sapete molto poco di voi stessi. Conoscete solo i piccoli aspetti e i piccoli poteri che avete nell’ Aldiqua — nei Sei Cieli — e vi fa paura l’idea che possano diventare insignificanti davanti a vostri poteri più grandi. Appunto perciò avete tanto bisogno di un guardiano malvagio che ve ne tenga separati.» Così ci teniamo separati da quel che è nostro: da noi stessi? «Da voi stessi e quindi da tutto. E quello che diceva Basilide, ricordi lo schema?» Lo schema di Basilide di Jung Basilide era il nome che Jung dava a un suo Spirito-guida con il quale aveva cominciato a conversare verso il 1915. E da questo Basilide — a detta dei miei maestri — Jung aveva tratto

una delle sue teorie più belle, esposta nel suo libro Tipi psicologici (1921):* è la teoria secondo cui l’io, cioè il centro della nostra coscienza, avrebbe quattro aspetti fondamentali, e precisamente: Intuizione, Pensiero, Sensazione e Sentimento. Queste quattro facoltà, o funzioni, secondo Jung, costituirebbero i modi in cui il nostro io è, percepisce e capisce. In alcuni individui è più sviluppato il Pensiero, in altri il Sentimento, o la Sensazione, o l’Intuizione: e tutta la vita cosciente e inconscia di ogni individuo dipende dal diverso sviluppo che hanno in lui queste quattro facoltà. Con la sua pratica di analista Jung si accorse che la gente riesce a utilizzare efficacemente e coscientemente soltanto due di queste facoltà, mentre le altre due rimanevano «in ombra», sottratte al controllo della coscienza. Perciò — dice Jung in quel suo libro — l’io di ciascuno può essere raffigurato schematicamente come un quadrante nascosto per metà, in cui quelle quattro facoltà sono disposte come i punti cardinali di una bussola. Così:

Questo sarebbe lo schema dell’io di un tipo «Pensiero», cioè del tipico studioso, riflessivo, per lo più sentimentalmente impacciato: in cima al quadrante c’è appunto la facoltà Pensiero, la più sviluppata, e nel punto più basso il Sentimento, che in quel genere di persone è solitamente la facoltà più in ombra, repressa. In un tipo «Sensazione», invece, in cima al quadrante ci sarebbe la Sensazione, e l’Intuizione sarebbe in basso. Jung descrive in modo molto divertente le caratteristiche dei vari tipi

*

C.G. Jung, Psychologische Typen (trad. it. Tipi psicologici, Torino 1977). Per le conversazioni di

Jung con Basilide, Filemone, Ka e altri «messaggeri dell’inconscio», si veda C.G. Jung, Sogni, ricordi, riflessioni, Milano 1978, pp. 219 e sgg., pp. 449-462.

fondamentali di io, dando anche consigli sulla scelta della professione e dei compagni di vita, tipo per tipo — un po’ come fanno gli astrologi quando descrivono le caratteristiche dei vari segni. Nel corso della vita il quadrante dell’io può mutare un poco la propria inclinazione, e cambierà di conseguenza anche l’orientamento della vita: per esempio, nel tipo «Pensiero» potrà succedere che l’aspetto Intuizione scenda nell’emicerchio inferiore, e che la Sensazione salga un poco nell’emisfero superiore. Ma una delle quattro facoltà rimarrà sempre in basso, nel buio dell’inconscio, a causare all’io problemi e inquietudini — tanto più gravi quanto più preziosa apparirà, all’io, la sua facoltà più alta. E la zona più buia del quadrante, secondo Jung, è un po’ il diavolo di ciascuno. Perciò tanti santi ritengono di avvertire le tentazioni diaboliche come tentazioni sessuali e sentimentali: perché, appartengono al tipo «Pensiero», e il Sentimento costituisce il loro punto oscuro e minaccioso. Nei tipi «Sentimento» capita invece il contrario: il Sentimento dà loro le stesse emozioni e la stessa capacità di conoscenza che il pensiero dà ai tipi «Pensiero», mentre i loro ragionamenti si riveleranno facilmente incerti, e ingannevoli — proprio come se il pensiero fosse un loro nemico interiore, sempre pronto a far fare loro brutta figura. E così via. Questa all’incirca era la teoria dei tipi psicologici che, secondo i miei maestri, Jung aveva tratto dal suo Spirito-guida Basilide. Basilide era un filosofo gnostico alessandrino, vissuto nel II secolo dopo Cristo; e in effetti c’è in quella teoria junghiana qualcosa di arcaico. «Basilide era molto meno arcaico di voi, se è per questo», disse l’Austero. «E comunque Basilide gliel’aveva spiegato in un altro modo, il quadrante: gli aspetti non erano solo quattro, ma molti di più, e non erano solo aspetti psicologici. Non riguardavano solo la personalità delle singole persone.» E i Cieli e il quadrante hanno qualcosa in comune? «Li si può far coincidere, in un certo modo», rispose il Dominante. «La parte nascosta del quadrante si può far corrispondere all’area dove si trovano il diavolo e l’accesso alla vostra anima, nel senso che dicevamo prima. E la parte visibile del quadrante può corrispondere ai vostri Sei Cieli. «Ma la parte nascosta dovrebbe essere molto più ampia: in realtà, è ampia come il buio nel vostro universo. Ed entra tra i Sei Cieli, con i suoi raggi-fiumi. Quanto a questo lo schema di Jung non va. E vero invece, come dice Jung, che quanto più vi sembra preziosa la facoltà che è

in cima al vostro quadrante, tanto più buia diventa la parte nascosta — e tanto più vi sentirete minacciati e limitati dal vostro diavolo.» Cioè minacciati e limitati dalla nostra stessa anima? «Come ti avevo detto.» «Perciò Gesù prima di cominciare a predicare va nel deserto a discutere col diavolo», continuò il Dominante. «Va a conoscerlo, per non esserne limitato. «E nella storia di Gesù ci sono altre due discese nella parte buia del vostro universo: una è dopo la morte, quando discende nell’Inferno a salvare i peccatori;* e l’altra quando nasce. Le vostre storie di Gesù dicono che nasce in una grotta, di notte, in un mondo ostile e buio. E un’immagine simbolica, molto precisa. Gesù per voi rappresenta il punto più alto che si possa immaginare nel quadrante dell’io umano: addirittura più su della sua circonferenza. Un uomoDio...» Un Corpo maggiore. «L’io del vostro Corpo maggiore, diciamo. Nasce in voi, quando siete pronti ad accoglierlo, e nascendo scende giù, verso punti più oscuri del quadrante...» I Magi! mi venne in mente a un tratto. I tre re Magi sarebbero gli altri tre aspetti dell’io? «Certamente. Uno dei tre è nero, no? Quello raffigura il punto più basso, il vostro diavolo.» «E tutti e tre gli portano i loro doni», aggiunse l’Austero. «I doni sono le scoperte che il punto più alto fa scendendo giù. C’è sempre da guadagnarci, a viaggiare.» E l’altra discesa, quella nell’inferno? «Aspetta, guarda qui», proseguì il Dominante. «Il disegno del quadrante diventa così: ciò che chiamate Gesù scende, e quelli che chiamate i re Magi gli vengono incontro», e tracciò il disegno sul pavimento:

*

La discesa di Gesù nell’inferno, narrata negli apocrifi (Libro della Resurrezione di Gesù, ecc.) è divenuta parte integrante della tradizione cristiana.

«E diventa il disegno di una stella, vedi? Inoltre, siccome gli aspetti dell’io sono più di quattro, in realtà apparirebbe così:

«E così via, così via», diceva il Dominante continuando ad aggiungere punti e raggi alla stella, «è la stella dei Magi. E questa stella siete voi, quando cominciate a illuminarvi davvero e a scoprire la vostra anima. Infatti la fate comparire sopra la grotta di Gesù quando arrivano i Magi. «Lì, è proprio come quando Faust ritrova l’anima: e tutto diventa possibile, non avete più ombre né confini nel vostro campo visivo, e tutto ciò che è e che può succedere è soltanto una somiglianza. O un indovinello, se preferisci. Capisci? Questo è ciò che chiamate la nascita di Gesù.» Gesù invece com’è nato, davvero? Voglio dire il Gesù che è esistito storicamente. «Il Gesù che è esistito storicamente?» ripeté il Dominante. «La vostra storia è troppo piccola perché un Gesù possa esserci esistito davvero.»

Cioè non è esistito? «Non è esistito: non è un tale che c’è stato e non c’è più. Non lo sai? I cristiani dovrebbero saperlo. Come dice il vostro mistero dell’incarnazione? Gesù è nato, ma dopo che è nato sua madre era ancora vergine; e Gesù è morto, ma dopo che è morto la sua tomba era vuota. È un mistero e un indovinello: chi può essere un uomo del genere? Cosa rispondi?» Un uomo-Dio, o un Dio-uomo. «Bla bla. Non si risponde a un indovinello con un altro indovinello. Di’ bene: è l’uomo, dal punto di vista di Dio. Nascita e morte sono i vostri confini, i confini dell’io piccolo: e Gesù vi mostra ciò che è più grande di questi confini, in ciascuno di voi. Come dice Gesù quando parla di se stesso? Come chiama se stesso?» In diversi modi. figlio di Dio, figlio dell’uomo... «Io. Quando parla di se stesso dice io, semplicemente. E lì c’è la risposta. Voi quando dite io parlate del vostro io piccolo, che comincia con la nascita e finisce con la morte. Gesù invece vi insegna a dirlo da un altro punto di vista, e intende un io che è più grande della realtà come la intendete voi, e che la vostra realtà non può ancora contenere. Così quando è nato sua madre rimane vergine, e quando è morto la sua tomba rimane vuota. E più grande del tempo. E quello è il vostro io vero.» L’io del Quinto Cielo: quando dicevate che dentro ognuno di noi c’è un mondo immenso e così via? «Più ancora. Il Quinto Cielo è soltanto un vostro modo di scoprirlo, ancora a mezza strada.» L’io dei Cieli più su? «Diciamo l’io della stella, per ora.» E quanti sono in tutto i raggi della stella? domandai, guardando ancora il disegno. «Tanti», disse l’Austero. «Come una stella in cielo.»

«La cosa più notevole», riprese il Dominante, «è che quando si forma la stella in voi, le due parti del quadrante non sono più separate: si congiungono e diventa tutto Settimo Cielo. È molto bello ma succede a pochi. O meglio, pochi se ne ricordano, quando gli succede.» Perché? «Perché è qualcosa che vi fa paura e perché non avete abbastanza forza. Non riuscite a congiungere, con la mente e con la memoria. Solo nelle storie ci riuscite un po’: e infatti le storie sono un ottimo esercizio per imparare a ricordare queste cose. Vuoi che te ne racconti una, per allenamento? Fa’ così: non scriverla, prova a ricordarla soltanto. Ti sarà utile, ed è una storia molto bella e antica. E l’antenata di tutte le storie.» Anche questa riguarda il diavolo? «Il diavolo e anche Gesù. Ma è molto più antica dello schema di Basilide, anche se l’argomento è lo stesso.» E la capirò? «Probabilmente non subito. Mettila in un capitolo nuovo, tutto per lei, così ti ricordi che è importante.» VI La più antica storia d’amore PARTE PRIMA «È in due parti», cominciò a narrare il Dominante. «Parte prima: Una volta lo Spirito abitava in alto (e intendo dire lo Spirito supremo, quello che dà vita a tutti gli esseri, mortali e immortali), abitava molto in alto nell’universo; ma si innamorò della materia. Avrebbe potuto restarsene lassù, al posto suo, ma non volle: era innamorato. E contro il parere di tutti — di tutti gli Dei e di tutti gli angeli — lo Spirito scese giù verso la materia, si unì a lei, e si trasformarono entrambi e da allora furono una cosa sola. «Così cominciarono a prendere forma tutti i vostri mondi e tutti i vostri cieli, molto prima che gli Dei creatori li plasmassero nella forma che hanno adesso. E da allora, da quando lo Spirito e la materia cominciarono a unirsi, in tutto ciò che esiste nei vostri mondi c’è una forza che vuole tornare in alto, e c’è un’ altra forza che vuole restare dov’ è. E anche queste due forze sono una cosa sola, e non si possono distinguere l’una dall’altra, mai. Ti piace?»

E questa la storia? «È la prima parte. È molto conosciuta, in un modo o nell’ altro ne parlano tutti i vostri Libri sacri. Solo che tutte le volte che l’hanno raccontata hanno esagerato un po’ nell’immaginare la materia come qualcosa di inerte, di pesante; in realtà non era proprio così, soprattutto allora. E anche allo Spirito hanno fatto fare troppo bella figura. Ma non importa; ti raccomando di notare quel bisogno che lo Spirito ha della materia. È molto commovente, no? È anche la storia di Gesù, di ciò che voi chiamate Gesù. E la fidanzata di Gesù è la terra, la materia, appunto. «Adesso la seconda parte: PARTE SECONDA «Tra gli esseri immortali a cui lo Spirito dava vita c’era anche il diavolo, o meglio: quello che voi oggi chiamate il diavolo; ma a differenza degli Dei e degli angeli, il diavolo aveva una sua autonomia, molto spiccata, e pensava sempre per conto suo — come già sai, d’altronde.» Feci segno di sì. «Bene. Agli Dei e agli angeli non era piaciuta quella scelta d’amore dello Spirito, ma ci si erano adeguati. Il diavolo invece decise di intervenire, e scese anche lui nella materia, ma non per amore: vi scese per separarla dallo Spirito, e trovò il modo. La sposò (era appunto un diavolo-confine, maschile). E da allora il diavolo è il marito della materia, e la Terra è sua moglie.» Ma come è possibile che... «Che sia fidanzata di uno e moglie dell’altro?» disse il Dominante, dolcemente. «Non, è così in tutte le storie d’amore e in tutti i matrimoni? Pensaci.» «Gesù nei Vangeli incontra diverse donne adultere», aggiunse l’Austero.* «Non è certo per caso che le incontra.» «Ora veniamo alla spiegazione», riprese il Dominante. «La materia è la vostra casa. Per voi è la famiglia, la nazione, le condizioni di vita, il corpo, insomma questo genere di cose: ciò che *

Vangelo di Giovanni 4, 16 e sgg.; 8, 3 e sgg. ecc.

c’è di più stabile e rassicurante nel vostro Aldiqua. E il contrario esatto della vostra anima, per intenderci. E tutto ciò che vive nei vostri Sei Cieli sa di avere la materia come casa; ma ciò che vive non vuole sentirsi in pace, in questa sua casa, non vuole dimenticare di essere diverso, di essere anche figlio di suo padre, oltre che dèlla materia. Questo non voler dimenticare è un modo molto semplice, per voi, di sentire la vostra anima. In un certo senso è la vostra anima.» E il padre chi è: lo Spirito o il diavolo? «Sola mater certa: neanche la materia sa chi sia il padre. Tutto farebbe pensare che sia lo Spirito: anche il vostro sguardo,. il vostro modo di sorridere. Ma chi può dirlo?» Questa seconda parte della storia non l’avevo mai sentita. Da dove viene? «Da noi. È antica quanto noi. Comunque sia, tutte le vostre storie d’amore sono espressioni di quel non voler dimenticare. Se vi sentiste in pace nella vostra casa, tutt’uno con la vostra mamma, non vi innamorereste mai di nessuno.» E riguardo alla materia il diavolo e lo Spirito non riescono a trovare una soluzione? Un accordo, non so... «Non in questa storia. «Vedi, il vero segreto di questa storia è che a raccontarla è la materia stessa. È la materia a vederla così. E convinta che lo Spirito si innamori di lei e venga a salvarla, e che suo marito il diavolo esista per impedirle di farsi salvare. Ciò che in voi è materia ha bisogno di tutt’e due queste figure, per descrivere come si sente. E si sente esattamente così.» Cioè, se li immagina lei così e magari lo Spirito e il diavolo fanno tutt’altro? «Non è che se li immagini: semplicemente tifa esistere così, nel suo mondo. Nel suo mondo comanda lei sola, e tutto diventa espressione di lei, anche il diavolo e lo Spirito.» «In questo senso lo Spirito e il diavolo sono fratelli, nel vostro mondo», aggiunse l’Austero. «Per la materia, il diavolo è il sapere che non c’è speranza, e che lei rimarrà sempre in basso», continuò il Dominante, «e da un lato la cosa non le spiace più di tanto, dato che lì in

basso comanda lei. Ma d’altro lato, l’angoscia che ne prova le dà la forza di vedere lo Spirito che si è innamorato di lei e che l’ha raggiunta dov’è. E così li vedete voi.» Noi, o la materia? Noi non siamo solo materia, l’hai detto anche tu, prima. «Sì», disse il Dominante. «Ma nell’Aldiqua siete sempre segretamente convinti che la materia sia più forte, sia dello Spirito innamorato sia del diavolo suo marito. Quello che importa più di tutto agli uomini è che la loro casa non crolli: che i Sei Cieli siano sempre ben saldi, nella parte visibile del quadrante.» E hanno ragione gli uomini? La materia è più forte dello Spirito e del diavolo? «Be’, giudica tu. Per lo Spirito innamorato la storia non finisce bene, direi, così come non finì bene per Gesù. E al diavolo non tocca la parte del marito tradito, nel vostro mondo? Così la vede la materia, e di sicuro voi non fate gran che, con i vostri poteri, per dimostrare che ha torto. Non ti pare?» VII Tutto cresce. La morte di Paola. Gli indovinelli della Sfinge. Il Paradiso, e un’altra lezione sul Male. Persefone e il Dio degli Inferi «Comunque sono uno che non fa abbastanza per gli altri», pensavo ogni tanto nei giorni seguenti. Certo, non era grave, dato che la maggioranza delle persone non ha mai fatto abbastanza per gli altri; ma più ci pensavo, e più mi sentivo come se mi avessero diagnosticato una malattia, e come se ripetendomi che non è grave e che è molto diffusa stessi soltanto perdendo tempo, invece di curarmi. Per di più il Dominante aveva detto che alcune cose non mi riuscivano appunto perché facevo troppo poco per gli altri. Così non ero soltanto un avaro ma anche un debole, uno che ha paura di se stesso, di ciò che potrebbe riuscirgli. Mi dava più fastidio questo pensiero, o l’idea di andare a fare il volontario sulle ambulanze, o magari di fondare un ospizio? «Questo sarebbe stato fare qualcosa per gli altri», pensavo.

«Ma non ha senso e non è possibile. Su un’ambulanza non saprei cosa fare e per fondare opere pie ci vogliono capacità pratiche che io non ho in nessun modo. E dunque?» Agli Spiritiguida non ne parlavo — per timore che cominciassero davvero a darmi lezioni di pronto soccorso o di politica assistenziale, o magari a citarmi il Vangelo, là dove dice di dare tutto ai poveri. Ponevo invece molte domande sulla Bibbia e sul libro che stavo scrivendo su di loro, e mi rispondevano tranquillamente, come sempre. Riguardo al fare troppo poco per gli altri... mi decisi a domandare una notte. «Sì?» Intendevate fare o dare? Faccio troppo poco o do troppo poco? «Che differenza c’è?» chiese l’Austero. È che non riesco a pensarci chiaramente, confessai. C’è qualcosa che impedisce di capire cosa dovrei fare, per gli altri. «Tutto quello che fai», rispose il Dominante. «L’importante non è il cosa fare, ma il come lo fai. Tu fai le cose nel tuo mondo soltanto, che è piccolo: è lo stesso mondo in cui eri da bambino, quando imparavi a imitare gli altri. Intorno a te tutto cresce e tu no. Vivi ancora nella stessa finzione, nelle stesse prevenzioni degli altri; e se provi a immaginare qualcos’altro riesci solo a immaginare un’altra finzione, altre prevenzioni.» Non capisco bene. Ha a che fare con il Corpo maggiore? «Certo, ma per ora è vero che non sai pensarci come si deve. Non puoi, è troppo piccolo il mondo che hai. Se qualcosa ne esce, tu la vedi uscire e rimani rinchiuso lì. Non te ne sei nemmeno mai accorto: c’è il tuo diavolo sul confine, che ti fa troppa paura. E perciò non hai abbastanza né per dare o per fare, come dici tu, e nemmeno per capire gli indovinelli.» Tutto cresceva e io no. Era primavera, aprile, e il giorno dopo, guardando gli alberi verdi e il bianco luminoso delle nuvole, avevo l’impressione che gli alberi e le nuvole facessero abbastanza per gli altri e io no. Crescevano e splendevano.

«Dev’essere per questo che tanta gente ha 1’ allergia in primavera», mi venne in mente. «Quando tutto cresce e comincia a splendere, chi non cresce e non fiorisce si sforza di non accorgersene, e il suo corpo fa quel che dovrebbe fare la sua coscienza: si sente soffocare e piange.» Io avevo sofferto di asma allergica dall’adolescenza, fino a quando l’Austero — giusto l’anno prima — mi aveva insegnato il modo di guarirne: «Ah, perché non l’hai chiesto prima?» mi aveva detto. «Scrivi questa parola: heneikiokòs «Quando hai un attacco d’asma pronunciala di seguito, quante volte vuoi, ma ogni volta togli una lettera all’inizio e una lettera alla fine: eneikiokò, neikiòk, eikiò, e così via. E alla fine di’: kaaa, e respira. E l’asma passa.» E mi era passata, grazie a quel chiocciare vagamente greco. E quest’anno non mi era tornata. A maggior ragione non potevo più fingere di non accorgermi, ma il mio mondo rimaneva troppo piccolo e non riuscivo in nessun modo a ingrandirlo. Come si può ingrandire il mondo? In maggio, in quel mio mondo troppo piccolo morì la mia amica Paola. Si era appena separata dal marito e soffriva di forti emicranie, lei pensava che fosse per la tensione, per la solitudine, i medici invece dissero poi che la causa era una malformazione congenita in qualche punto della nuca, difficile da diagnosticare e impossibile da curare. Quando seppi che l’avevano ricoverata e che era gravissima corsi all’ospedale. Erano le undici di sera. L’atrio e i corridoi del padiglione neurologico erano deserti. Rabbrividii, non so perché, guardando i globi bianchi delle lampade appese al soffitto. All’ultimo piano il medico di guardia della Terapia Intensiva mi disse che non potevo entrare a vedere «la signora» — domandando gli di Paola l’avevo chiamata «la signora». «Lei è parente?» «No. C’è qualcuno, lì, dei parenti?» «No, sono andati via.» «E...»

Mi spiegò che la testa della signora era piena di sangue raggrumato e che tra qualche ora le avrebbero prelevato gli organi, le cornee e il cuore. Paola aveva trentacinque anni. Quando aveva perso conoscenza quel pomeriggio — sul letto, in attesa che i calmanti facessero effetto —, il suo bambino era seduto nell’altra stanza, davanti alla televisione. «Ma soffre, adesso?» «No», disse il medico di guardia. Ci pensò, e mi guardò un’altra volta negli occhi prima di richiudere la porta. Rimasi per una mezz’ora davanti all’ingresso di quel padiglione. Era un edificio vecchio, rosso scuro. Non c’era ragione che stessi lì, ma non me la sentivo di tornare verso casa subito dopo aver saputo che tra poco avrebbero tolto a Paola le cornee e il cuore prima che morisse del tutto. Ci eravamo conosciuti a un giardino pubblico, dove andavamo a far giocare i bambini. Non eravamo grandi amici; non ci eravamo mai detti niente di importante, probabilmente non ci eravamo mai nemmeno chiesti consiglio su qualcosa. Ci eravamo soltanto abituati a vederci spesso. Neanche noi avevamo fatto abbastanza l’uno per l’altra? E per questo mi sembrava così pesante questa cosa normale, che stesse morendo? Non soffriva. Doveva solo andar via, perché non c’era più niente da fare. Il mattino dopo telefonai a una mia conoscente che teneva corsi sul channelling, cioè sul modo di comunicare con i morti, e le domandai in che modo si può aiutare qualcuno che muore. Mi disse che bisogna spiegargli alcune cose, sussurrandogliele all’ orecchio. «Non si può più. A quest’ora dovrebbe essere già morta, le toglievano il cuore stamattina presto.» «Allora arrivaci con i tuoi Spiriti; dev’essere ancora molto vicina. Le parole da dirle sono: Tutto continua. Quando muoiono hanno sempre paura che tutto sia finito, invece tutto continua; certi ne hanno talmente paura che per loro tutto finisce davvero per molto tempo. Ma poi tutto continua anche per loro. Spiegaglielo in modo che capisca, trova tu le parole. Da bravo, fa’ così. È una buona cosa.» Mi sembrò che sapesse quel che diceva. Ne parlai ai miei maestri e mi accompagnarono a una porta della nostra stanza tonda, mi dissero che dovevo proseguire da solo e scendere al quinto piano, e richiusero la porta alle

mie spalle. Era la porta di un ascensore, scesi al quinto piano e l’ascensore si aprì sul buio. Paola doveva essere lì da qualche parte, anche se non percepivo e non riuscivo a immaginare né lei né nient’altro: solo un buio vuoto. «Paoletta?» dissi. Aspettai per qualche istante e poi cominciai a dirle — a immaginare di dirle — che tutto continuava, il mondo, il suo bambino, tutte le persone a cui voleva bene, e anche lei: tutto continuava per lei e con lei, non c’era nessuna interruzione, solo un passaggio, una trasformazione. «E un passaggio di stato, così mi hanno spiegato... Una che se ne intende», aggiunsi.

«È...

come

il

ghiaccio

che

si

scioglie

e

diventa

acqua:

ma era acqua anche prima, in fondo. Ecco, precisamente così.» Pensai che se lo capivo io, lo stesse capendo anche lei. «Bisogna soltanto accorgersene, e allora tutto continua, di sicuro. » «Il male no», sentii che diceva. Sentii che la mia spalla sinistra diventava più pesante (poi i maestri mi spiegarono che a volte si prova questa sensazione, quando si parla con i morti). «No, no, certamente no», le dissi, «il male, il dolore, fa parte del ghiaccio, non dell’acqua... Il ghiaccio è duro e l’acqua è morbida. Tutto continua in un altro modo ma continua, Paoletta, vedrai che continua», proseguivo, «già adesso si dovrebbe vedere, guarda bene. Riesci a guardare?

Prova

e

ci

riesci,

da

brava.

Ecco,

tutto

qua,

andrà

tutto

bene».

«La tua forma diventa diversa», disse Paola, con voce calma, mentre io avevo immaginato la mia voce affannata. «La macina si ferma e non serve più.» «Quale macina?» Non ricordo d’aver sentito altro. Aspettai per un altro po’ e tornai su, con l’ascensore. Sono arrivato in tempo o mi sono immaginato tutto? domandai ai maestri. «Sei arrivato in orario», rispose l’Austero. Cioè mi ha sentito?

«Sei arrivato in orario per te. E un passo decisivo della tua evoluzione. Ti porta avanti in una forma molto più...» Lì capii cosa disse, ma lo scrissi male e quando riaprii gli occhi non lo ricordavo più. Avevo scritto anche altre frasi che non ricordavo più di aver udito, ma erano incomplete: «tu ancora non lo sai... disciogliti, dalle macine all’aria. Rispettale, e fai il tuo dovere...» Cos ‘è che mi avevate detto, l’altra volta? domandai il giorno dopo. Cos ‘erano quelle macine? «Niente, era un indovinello», disse il Dominante, «ma importava allora e adesso non importa più. Tutte le volte che arrivate a un confine trovate indovinelli: è il modo in cui la vostra mente sente il confine.» E lì il confine era la morte? Ho parlato davvero con Paola? «Lei ha parlato con te, tu hai parlato soltanto con il confine. Ecco, riguardo al diavolo: quel buio che vedevi lì era il diavolo, per te.» E per lei? «Per lei no. Tutto ciò che sta sul confine è il diavolo per chi ne è al di qua. È il buio, la paura: la soglia. Perciò dovevi dire che di là tutto continua: a te stesso dovevi dirlo per farti Coraggio, e non a lei. Nell’Aldilà tutto continua davvero, in tutte le direzioni: c’è tutto ciò che non sapevate di ricordare. Questo vi spaventa moltissimo. E non è soltanto nella morte: morte è solo uno dei nomi che gli date, ma il confine lo trovate in tutte le cose, in voi stessi, in qualsiasi istante. Non è dappertutto l’invisibile? Non è in tutto? Invece di invisibile potreste benissimo dire l’inattuabile, come diceva Goethe, o anche: l’irricordabile. Si può dire?» Immemorabile. E perché ci spaventa tanto? «Dipende. Certi quando lo sfiorano hanno l’impressione che quell’enorme memoria stia per spazzarli via, come un fiume in piena. I medium sono così. «Altri invece restano a guardare, la guardano mentre si avvicina. E nella loro mente è come se si domandassero: ‘e questo che vedo cos’è? In qualche modo lo sapevo eppure non lo so’; e lì sentono gli indovinelli. ‘Lo sapevo eppure non lo so’: questi sono gli indovinelli. Così è per te.»

«Quella è appunto la memoria del Corpo maggiore, che si affaccia alla vostra anima», continuò il Dominante. «Anche l’indovinello della Sfinge si riferiva a questo, davanti alle porte di Tebe. Pensaci. Com’era?» Nel mito di Edipo la Sfinge assediava la città di Tebe e poneva ai passanti il famoso indovinello, divorandoli se non sapevano rispondere: C’è sulla terra un animale che può avere quattro, due o anche tre gambe, ma è sempre chiamato con lo stesso nome. Tra gli esseri viventi che si muovono sulla terra, nel cielo o nel mare, questi è l’unico che muta talmente la sua natura. E quando cammina poggiando su un numero maggiore di piedi, la sua velocità è minore. «Vedi?» domandò il Dominante. La Sfinge era il diavolo? «Lì sì. E la risposta all’indovinello era: l’uomo. Così è in tutti questi indovinelli: qui ricordate sempre ciò che sapete già.» Ciò che sa il Corpo maggiore? «Ciò che vi accorgete di sapere quando cominciate a scoprire il Corpo maggiore», precisò il Dominante. «La Sfinge è come se dicesse: hai il coraggio di accorgerti che, visto da qui dove sei ora, l’essere umano è una bestiola che cammina in quel modo buffo? E che da qui vedi tutta la tua vita, dall’inizio alla fine, perché qui sei molto più grande di quella bestiola? Tu l’hai sempre saputo: hai il coraggio di accorgertene? «Se ve ne accorgete, potete continuare a ricordare tante altre cose; se no, qui rimane solo un vuoto che si spalanca, e quel vuoto è la vostra paura, le fauci della Sfinge.» Per me è stato un vuoto mentre parlavo con Paola? «Sì. Potete trovarne dappertutto, di questi vuoti che vi ingoiano. Per esempio, in tutto quello che immaginate dell’Aldilà. Prendiamo il Paradiso: gli uomini pensano che sia l’Aldilà, e invece è anche quello un indovinello della Sfinge. E solo un modo di descrivere una dimensione dell’Aldiqua.»

E che cos’è il Paradiso, nell'Aldiqua? «Il vostro desiderio che esista: che i meriti siano premiati, che Dio vi coccoli e così via. Solo che se non avete il coraggio di accorgervene e continuate a pensare che il Paradiso sia nell’Aldilà, questo indovinello ingoia i vostri destini, perché pensando che sia nell’Aldilà non fate niente per farlo esistere dove sarebbe il suo posto, cioè sulla terra. Voi vi immaginate che il diavolo vi impedisca di raggiungerlo, e in un certo senso avete ragione: è la vostra paura del confine, la vostra paura di sapere, è questo che vi impedisce di vedere cosa sarebbe davvero il Paradiso, se lo faceste esistere.» Non lo facciamo di proposito. È così che ce l’hanno insegnato. «Oh no, lo fate di proposito. E di proposito lo insegnate e lo imparate così, caro mio. «Così è anche per tutti i vostri mali. Il Male, in generale, il Male con la maiuscola, è la vostra paura di vedere ciò che è al di là del confine. È come quando giudicate malvagio quello che fanno gli uomini di un altro Cielo, ti ricordi?» Sì, uccidere, rubare eccetera. «Ecco, così è per tutti i mali. Cos’è ancora il Male, per voi? Poniamo, la malattia. Il Male non è la malattia: è solo la vostra incapacità di vedere cos’è la malattia. O la morte? È lo stesso: è la vostra paura di vedere cos’è la morte vista dall’altra parte del confine, dal punto di vista del Corpo maggiore.» Be’, è chiaro: vista da lontano la malattia fa meno impressione. Ma per l’uomo sulla terra è comunque un male. «No, il male è tutto quello che non vedete ‘da lontano’, come dici tu, e finché non lo vedete è il Male. «Gli uomini nell’Aldiqua si sforzano di capire le cose senza ricordarsi niente di ciò che sa il loro Corpo maggiore: lasciali fare, a loro piace sentirsi vittime e costruire muraglie per difendersi — ed è tutto quello che ottengono, sforzandosi di capire le cose a quel modo. Quando invece conosci le cose dal punto di vista del Corpo maggiore, ogni conoscenza serve a trasformare il senso di ciò che conosci, a vedere le somiglianze e gli indovinelli e a rivelare il vostro vero io — che non è l’io piccolo che avete nell’Aldiqua. Capisci?»

E per esempio, come si trasforma il senso della malattia? «Vedi cos’è e la guarisci, perché non hai più paura di vedere cos’è.» E la morte? «Vedi che non è quello che immaginate voi, e che è uno dei tanti modi di superare il confine tra l’Aldiqua e il vostro Corpo maggiore, l’invisibile, 1’ irricordabile. Uno dei tanti modi. Altrimenti è solo un vuoto, uno dei tanti vuoti che vi ingoiano. Prendi un’altra cosa qualsiasi, un qualunque altro male. Una guerra: là guerra è sicuramente un male divoratore, per tutti quelli che non capiscono cos’è, e li divora.» Come si fa a non capire cos ‘è, protestai, tutti capiscono cos’è una guerra. «No. La parola guerra è un indovinello che i più non capiscono mai. Non te ne sei accorto nel Caucaso? Chi capisce 1’ indovinello vede che la cosiddetta guerra sono soltanto degli uomini che uccidono e distruggono senza sapere perché, e che chiamano guerra questa cosa che non capiscono. Una moltitudine di soldati che dicono: ‘io sono qui ed è così perché c’è la guerra’. È come dire: ‘non capisco perché sono qui e perché è così’. E se ne lasciano divorare. Non sarebbe così se vedessero che la cosiddetta guerra sono soltanto loro stessi che si uccidono a vicenda.» Nessuna guerra è mai finita perché la gente si accorgeva di combatterla. «Perché voi non riuscite a fidarvi di ciò di cui vi accorgete. Non ve lo insegnano e avete paura a impararlo, così la vostra vita è piena di Sfingi e di indovinelli. E tutti i vostri Mali sono indovinelli così, visti dal confine.» E il diavolo è il nostro non vederli? «Sì, è il vostro buio, che vi fa paura. «Il diavolo è il confine a cui vi fermate nel capire le cose come sono. Avete paura che il vostro mondo crolli, se le capiste, e anche questo è un indovinello. Così, gli uomini dicono: ‘Perché Dio tollera il diavolo, e tollera il Male, le guerre, le malattie, o le sofferenze dei giusti?’ E la risposta è sempre la stessa, in tutti gli indovinelli della Sfinge. Sono gli uomini a immaginarsi e a volere che Dio tolleri il Male, perché sono loro a tollerano. Preferiscono

lasciarsi divorare, piuttosto che capire qualcosa in più di ciò che già sanno. «Così il Male rimane e la vostra casa è solida, e quello che gli uomini sanno rimane valido. E il diavolo continua a essere il buio tutt’intorno, che vi fa paura. Il confine è quel buio, per voi. » E sarà sempre così? «Nelle vostre religioni sì», disse l’Austero. «Se trovate Persefone, no», disse il Dominante. «Com’è la storia di Persefone rapita da Ades?» Demetra e Persefone Cercai nel mio prediletto manuale di mitologia, e ricostruimmo quella storia. La fanciulla Persefone era figlia di Giove e di Demetra, e, a insaputa di entrambe, Giove l’aveva promessa in sposa a suo fratello Ades, Dio degli Inferi, che la desiderava ardentemente. Così, Persefone un giorno stava raccogliendo fiori in un prato, quando a un tratto la terra si spalancò e ne comparve Ades, che la rapì sul suo cocchio e la portò nel suo regno sottoterra. Capitava a volte che un Dio si prendesse una sposa in questo modo. Demetra, che era la Dea della natura fertile, sentì il grido d’orrore della figlia; e cominciò a cercarla dappertutto, invano. Giurò che non avrebbe più fatto crescere il grano fino a che gli Dei non gliel’avessero restituita, e tutti i campi divennero sterili. «Questo è il non fare abbastanza per gli altri», notò il Dominante. Allora Giove le spiegò come erano andate le cose, le garantì che negli Inferi Persefone era regina e stava benone, e le permise di riaverla con sé per due terzi dell’anno, dalla primavera all’autunno. Ma in inverno Persefone avrebbe abitato con il marito, negli Inferi. Demetra accettò, e stabilì che le piante sarebbero cresciute e avrebbero dato frutto soltanto per tre quarti dell’anno. Così raggiunsero un accordo. «Vedi?» disse il Dominante. «Come torna sempre in controluce quell’antichissima storia d’amore, tra lo Spirito, la materia e il diavolo. I vincoli di parentela cambiano ma la storia si ripete continuamente. Ed è anche la storia di Gesù e dei re Magi: il tempo dei doni comincia soltanto quando ciò che è più in alto può scendere oltre il confine, nel buio. Mentre se non si

riesce ad accettare che è così, tutto rimane incompiuto dentro di voi, come nei campi di Demetra triste. «Tra l’altro», soggiunse, «il vostro organo che corrisponde a Persefone è il collo. Ricordi che ti avevo detto che in ogni mito è descritto qualche vostro organo?» Il collo del nostro Corpo maggiore? «Il vostro collo quando cominciate a scoprire il Corpo maggiore. Il vostro voltarvi da una parte e dall’altra. Il collo, in genere, è un organo di trasformazione, anche nel vostro Aldiqua trasforma il vostro campo visivo.» «Perciò in passato decapitavano o impiccavano i nemici dei regimi», aggiunse l’Austero. «Era importante per i capi, si sentivano meglio dopo aver visto tagliare o spezzare quei colli pericolosi, che si volgevano verso troppe cose, e troppo in là. «Persefone è propriamente il volgersi del collo, in tutta la sua importanza», disse il Dominante. Non ho capito una cosa — mi voltai per domandarlo, mentre ci stavamo congedando per quella notte, — anche prima del rapimento c’era la primavera, se Persefone coglieva fiori... «Sì, ma era soltanto una ragazzina, vittima indifesa di forze più grandi, di cui non sapeva nulla. Il suo collo era chino verso i fiorellini del prato. Poi invece, quando impara a voltarsi, diventa una regina, da cui dipendono immensi poteri. Così è anche per voi, quando imparate a usare il collo come si deve.» «Tu invece di raccogliere fiori guardi gli alberi», disse l’Austero. «Per tutti è così, tutti sono Persefoni fanciulle, prima di farsi rapire», disse il Dominante. «La prossima volta che scendi da noi proveremo a viaggiare, domani o dopo. Hai appena fatto qualcosa per gli altri, è il momento buono.» Vuoi dire quel che ho fatto per Paola? «Sì. Adesso ti manca soltanto qualcosa da cercare in viaggio, ma questo è facile, ti verrà in mente.»

Verrete anche voi, sì? «Certo. Non ti preoccupare.» E in che senso: qualcosa da cercare in viaggio? «Ah no, è il tuo indovinello. Devi risolverlo tu, per la prossima volta.» PARTE TERZA Il diavolo e l’unico Dio VIII La promessa. Primo viaggio nell’Aldilà. Storia e natura del diavolo cristiano. Il Dio unico e il cuore: come far crescere entrambi Qualcosa da cercare in viaggio. «Intenderanno uno scopo, la realizzazione di un desiderio», così ragionavo tra me la notte seguente, mentre mi preparavo a scendere dai maestri. «Be’, non è difficile immaginare una risposta equilibrata: i desideri sono sicuramente la cosa più utile che esista al mondo, ma l’Aldilà non è il mondo e io non posso desiderare qualcosa in un posto che non conosco.» Disposi come al solito il quaderno e le penne sulla scrivania, spensi la lampada, chiusi gli occhi e immaginai uno dopo l’altro i sette colori dell’iride, dal rosso al violetto, come facevo ogni volta. «Già, e loro mi risponderanno che appunto per questo è un indovinello», pensavo intanto, con disappunto. «E un indovinello: devi cercare qualcosa in un posto che non sai! Come in una fiaba. E se non lo risolvo, niente viaggio. Devo trovare una risposta. Trovare qualcosa da cercare.» La mia sedia precipitava giù, sempre più giù nell’immaginazione mentre io — con le sopracciglia aggrottate — tentavo invano, come si tentano le chiavi in una serratura: «Potrei dire: nei viaggi cercherò un genio della lampada di Aladino?» Ma non mi occorreva, avevo già

loro. «Allora un qualche potere speciale? Una rivelazione?» Ma anche queste cose avrei potuto chiederle a loro, e me le avrebbero insegnate facendo lezione per un po’. «È strano, comunque: come mai non mi viene in mente niente, quando potrei pensare a qualsiasi cosa? Anche questo è il confine, il diavolo?» La sedia cominciò a rallentare e vidi dall’ alto il sentiero e il lago, sempre più vicini. «Gli dirò: andiamo a cercare qualcosa che mi permetta di sentirmi contento di me guardando la primavera, le nuvole luminose e gli alberi verdi. Capiranno cosa intendo, è un’ottima risposta.» La sedia toccò terra e mi avviai verso il lago. Ho pensato a cosa cercare, dissi subito, quando entrarono nella stanza tonda. «Bene, sentiamo.» La promessa. Lo pensai solo dopo averlo detto. La promessa. Non avevo idea di quale fosse, ma in quel momento

seppi

chiaramente

di

avere

una

promessa

da

mantenere.

Ricordarmi cosa ho promesso e quando, continuai, come per spiegarlo a me stesso. «Mh, ci siamo quasi», disse il Dominante, proprio come avrebbe potuto dirlo un maestro a scuola. «Non c’è soltanto la promessa da ritrovare», continuò. «C’è anche la capacità di usare le promesse: come strumento per la conquista della realtà.» Mi è venuto in mente solo adesso, dissi, senza capire quel che mi stava spiegando. Così, tutt’a un tratto. «Succede sempre così, con gli indovinelli. In parte è già questa la promessa che cerchi tu. «In un certo senso, è il passo successivo ai desideri. Quando esprimete i vostri desideri imparate non soltanto a guardare dentro voi stessi, ma anche ad affidarvi a forze invisibili e senza nome, più grandi di voi. E perciò a ogni desiderio autentico cogliete un lembo della trama sconosciuta della vostra vita: i desideri sono una forma superiore di conoscenza, e

questo è il dolce premio di tutti i desideri, anche di quelli che poi non avete la forza di lasciar realizzare. Quando invece...» E quelle forze invisibili sono il fiume che dicevate, nel disegno dei Cieli? «Certamente. Quando invece userai le promesse...» E i desideri sono un accesso al Corpo maggiore? «Certamente sì. Quando invece imparerai a usare le promesse, tutto comincerà ad avvenire per dimostrarti che tu contieni il mondo. E non capirai mai come, ma diventerai tu quelle forze più grandi.» Con le promesse, semplicemente? Dicendo: «farò questo e quest’altro»? «Più o meno. Col dirlo senza le parole. Anche qui, è come quando la mamma affida Mosè al Nilo, tale e quale. Vedrai, ma devi imparare a viaggiare, prima.» Tacquero. Adesso stiamo per viaggiare? «Direi.» Bisogna andare da qualche parte, per partire? — domandai, indicando le porte della stanza. «No. Basta che raccogli qualcosa per terra.» Immaginai di chinarmi; sentii che la spalla destra si chinava più rapidamente della sinistra, e ruotava verso sinistra. E cominciai a vedere. Un calcagno fine. E la caviglia, olivastra. Per un attimo soltanto. Di una bambina, sicuramente. Poi l’impronta che aveva lasciato il sandalo. La vedevo da vicino, sulla polvere rossastra; e la luce arancione del sole e l’ombra sul margine dell’impronta: il margine non era profondo più di due o tre millimetri, ma ne vedevo nettamente l’ombra. E il colore della luce del sole,

l’ombra e la polvere mi sembravano belli come pietre preziose. «E così bello il mondo?» ebbi il tempo di pensare. «Devi regolare un po’ la vista», disse il Dominante. «Tieni la schiena diritta, andiamo a sederci là», e indicò dei gradini di pietra nel sole al tramonto. Dov’è andata? domandai, intendendola bambina o la donna di cui avevo visto il calcagno. La bambina camminava davanti a noi: aveva lunghi capelli ricci, scuri, e una veste arancione, scura anch’essa, che le arrivava sotto le ginocchia. Diverso tempo prima, nelle conversazioni con i maestri mi era accaduto o mi era sembrato a volte di sentire anche la voce di una bambina, oltre alle voci del Dominante e dell’Austero. Mi volsi a chiedere al Dominante, e mi fermai a bocca aperta. «Che c’è?» sorrise il Dominante. Era la prima volta che lo vedevo. Il Dominante aveva una sopravveste lunga, a disegni persiani, rosso cupo e verde. Era largo di spalle e soprattutto di torace, e appena più alto di me. Aveva la barba rada, chiara, e grandi occhi castani che in quel momento erano illuminati dal sole. Vedevo il denso colore del sole sulle ciglia, sulle piccole rughe negli angoli degli occhi: sorrideva con le labbra chiuse. Poteva avere sessant’ anni. «Mi vedi, sì?» Sì! e ridevo dall’emozione. E lui è... L’ Austero, che gli camminava accanto, era vestito di chiaro, con ampie vesti arabe, bianco e ocra. Era più alto del Dominante e aveva la barba nera, gli occhi neri e la pelle bianco latte. Dietro di noi, sulla sinistra, venivano altre due figure che non distinguevo bene: avevano il sole alle spalle e il sole era basso e abbagliante. La bambina era corsa accanto a una di queste due figure e l’aveva presa per mano. Siete cinque?

«Noi? Tu sei cinque, noi ci adattiamo a te», rispose il Dominante, e mi guardò senza fermarsi. Ma non siamo né uno né tanti né pochi.» Per un attimo mi sembrò di aver capito perfettamente questa frase, come se fosse stata aritmetica. «Nei viaggi bisogna innanzitutto imparare a vedere», disse il Dominante. Mi sorridevano, tutti, anche l’Austero — che era sulla cinquantina, ma aveva un sorriso da adolescente, come accade a volte agli uomini non sposati. Li guardavo, ora l’uno ora l’altro, continuando a camminare, e non riuscivo a dire niente dalla contentezza. Le due figure sulla sinistra erano un uomo e una donna, vecchi, portavano anche loro vesti lunghe e ampie, blu scuro, e avevano forme strane dietro le spalle — come ali di libellula modellate con il filo di ferro. Io sono cinque? E tutti gli uomini lo sono? domandai, per sentire la mia voce. «Chi di più, chi di meno», disse l’Austero. Avrei voluto toccarli ma avevo paura che al contatto si dissolvessero. La bambina mi guardava con curiosità, sempre tenendo per mano il vecchio con le finte ali di libellula. «Qui, siediti», disse il Dominante, battendo la mano sui gradini tiepidi di sole. «Non devi aver fretta. Impara ad ascoltare e a prendere nota anche in viaggio.» E si sedette alla mia sinistra. Proprio davanti a me, sulla terra battuta, erano tracciati i disegni dei cerchi e dei coni dei cieli. «La questione, per voi, sta tutta nel concordare questi disegni tra loro», continuò il Dominante, vedendo che guardavo i disegni. «Dai diversi modi di risolvere questa questione prendono forma tutte le vostre religioni. Gli egizi e i greci ci riuscivano bene. Voi no, soprattutto perché sentite che in questi disegni è racchiuso un grosso potere, come in una formula magica, e ne avete paura.» «Infatti gli egizi e i greci non avevano il diavolo», disse l’Austero, che si era seduto a sinistra del Dominante. «Parla con noi come se fossi nella stanza», mi sussurrò il Dominante. «Devi abituarti.» Cioè (provai a obbedirgli), se il diavolo è la paura, vuoi dire che i cristiani hanno più paura degli altri?

«Il diavolo è soprattutto dei cristiani», disse il Dominante. «Loro l’hanno coltivato e plasmato nelle sue qualità, il che naturalmente è una cosa notevole. Il diavolo come lo si immagina di solito è una delle pochissime figure mitologiche relativamente nuove formatesi negli ultimi due millenni: per il resto, in mitologia avete continuato a riscoprire terre antiche. «I cristiani l’hanno plasmato e si sono per così dire specializzati nel diavolo, perché di tutte le religioni il cristianesimo è quella che teme maggiormente di venir superata. In un certo senso è la più consapevole di tutte. Sa di essere inferiore al suo principio, a Gesù e alle Scritture: sa di sapere meno di quel che sanno le Scritture (gli ebrei invece non lo sanno) e ne ha paura. È come nella storia di Prometeo: Prometeo viene appeso al palo per impedirgli di insegnare agli uomini. Allo stesso modo i cristiani hanno come simbolo Gesù crocifisso. Un corpo crocifisso: è un simbolo ben strano, non ti pare?» Sì, dissi, e intanto mi distraeva la sensazione del mio corpo, lì, delle mie gambe poggiate su quel gradino di pietra chissà dove. Sto perdendo qualche passaggio? domandai. Non ho seguito bene... «Sta andando tutto benissimo», mi rassicurò il Dominante. E proseguì: «Ti vostro corpo è davvero una delle ragioni principali della paura del Dio cristiano. Il vostro Dio, sai, è in una situazione difficile; molto più difficile di quella di Giove. L’avete proclamato Dio unico troppo presto, quando né Lui né voi eravate ancora pronti a una simile conquista.* Lui non si era ancora formato del tutto, e voi non avevate ancora superato neanche uno dei molti Dei che avevate allora. Stavate intuendo quella possibilità tanto audace: un Dio unico! E tutt’a un tratto avete Voluto realizzarla. E nota bene che neanche gli ebrei l’avevano: il loro Dio era soltanto il più grande, non pensavano che fosse l’unico. Parlo della massa, naturalmente. I più sapienti avevano un altro Dio ancora più grande.» E il nostro corpo preoccupa tanto Dio perché Dio non si è ancora formato? «Il vostro Dio unico non basta a dominare tutta la realtà, e il vostro corpo soprattutto è ciò che gli sfugge. Guarda tu stesso: il vostro Dio non mangia, non dorme, non fa l’amore. Non per nulla il vostro cosiddetto peccato originale riguardava proprio il mangiare qualcosa.

*

* Qui si riferiscono all’anno 313, in cui l’imperatore Costantino avviò una serie di riforme religiose che portarono, di fatto, all’instaurazione del cristianesimo come «religione ufficiale» dell’Impero romano, fino ad allora politeista.

«In questa parte di voi — nel cibo, nel sesso, nel sonno — sentite che Dio non c’è, e cibo, sesso e sonno sono per voi grandi fonti di angoscia. Lì cresce nella vostra religione quella stessa paura che provava Giove al pensiero di perdere il suo posto di sovrano. E la vostra religione vi mostra un corpo crocifisso, perché è del corpo che ha paura.» «Già», pensai, «Dio che cosa mangia? Se è vivo, perché non mangia? Perché non ci ho mai pensato?» «Ed ecco il vostro diavolo, a impersonare queste paure», continuava il Dominante. «Gesù muore, risorge e sale in cielo: ci sale col corpo, certamente, ma voi non ne sapete più niente di preciso. E sulla terra i vostri corpi e i bisogni del corpo diventano gli strumenti di lavoro del diavolo tentatore: della vostra paura al pensiero che quel Dio unico non basta. E voi non sapete che fare, immaginate un Inferno di fiamme per i corpi dei peccatori. I santi provano a non mangiare, a non dormire e a non fare l’amore, ma evidentemente non serve a gran che. È una situazione molto difficile, come vedi.» E come se ne esce? «I cristiani, dici? Di questo passo ci metteranno ancora qualche secolo, se saranno fortunati. Ciò che continuano a crocifiggere è l’immagine della loro crescita, che si è fermata, invece di salire fino al cielo; e anche la crescita del loro Dio si è fermata. Se fossero cresciuti di più si sarebbero incontrati e congiunti davvero, in tutti voi. «Per progredire un po’, i cristiani dovrebbero innanzitutto prendersi più cura del loro Dio — come faceva Mosè, quando il suo Dio era giovane. Con un Dio giovane ci vogliono grandi cautele; non bisogna né dargli ruoli che non ha ancora, né fingere di non accorgersi che tante cose non può ancora farle. Il vostro Dio unico è il cuore, per voi. Non è ancora il resto.» In che senso: è il cuore? «Ti ricordi la corrispondenza tra miti e organi? In tutto ciò che vi raccontate del Dio unico, il Dio unico corrisponde al vostro cuore. «Il cuore, nel vostro corpo, è l’organo che capta l’energia cosmica, le tante forze cosmiche che non potete capire e non capirete mai, neanche dopo mille reincarnazioni, perché ciò che in voi capisce e ricorda non è fatto in modo da contenere questo genere di informazioni. Da

queste forze traete la vita: passano attraverso il vostro cuore, e il vostro cuore è un canale e un riduttore, diciamo così, che trasmette quelle forze vitali al vostro corpo, alla mente e a tutto ciò che siete, sotto forma di energie fisiche e psichiche e via dicendo. Tutti sanno che il cuore pulsa, no?» Sì. «E l’unico organo del vostro corpo che ha il battito, il ritmo. Quel ritmo è il suo captare energia. L’energia cosmica è suono, ritmo. E quando parlate del vostro Dio unico, state parlando del vostro modo di captare quell’energia. Cioè del cuore.» Provavo un senso di vertigine. «Per fare qualsiasi cosa, anche soltanto per respirare», continuava il Dominante, «avete bisogno di quell’energia: di quel ritmo che attraverso il sangue arriva in tutto il corpo. Il cuore è un po’ come le dinamo sulle montagne: le dinamo le avete inventate proprio prendendo a modello il cuore — senza accorgervene, naturalmente. «E lo stesso è il vostro Dio unico. È il vostro canale e il vostro riduttore di energia.» E un Dio unico più adulto, diciamo, più formato, dovrebbe essere tale da corrispondere a tutto il corpo, a tutti gli organi tutti insieme? «Certo. Siete ancora ben lontani, non pare anche a te? Inoltre accade questo: il vostro cuore, se potesse funzionare normalmente, tranquillamente, capterebbe quantità di energia incommensurabilmente più grandi di quelle che capta ora. Vi farebbe vivere per centinaia di anni. Ma voi lo limitate e lasciate che ve lo limitino in tutti i modi possibili: vi lasciate offendere, ferire, ostacolare, bloccare, vi ostacolate e vi bloccate voi stessi crudelmente. Ed è inevitabile che anche il vostro Dio unico ne risenta, e la sua crescita ne è tanto più frenata. Così stanno le cose. «Ricordi quando parlavamo del destino? Ti avevo detto che il destino è tutto ciò a cui voi date il permesso di accadere: questo permesso lo date appunto attraverso il cuore.» Dunque non con la volontà?

«Non con la volontà del vostro piccolo io. Dipende tutto dal cuore: dove il vostro cuore non giunge, non potete giungere in nessun modo, con il vostro piccolo io. Questo è ciò che chiamate coraggio. Sai cos’è il coraggio?» Penso di sì. «Probabilmente no. Disegna un cuore.»

Disegnai un cuore sul pavimento della stanza, e il Dominante vi aggiunse dei puntini tutt’intorno. «Questo è il vostro cuore com’è di solito. Ogni volta che scoprite, fate o sentite intensamente qualcosa di nuovo e di più grande, il battito del vostro cuore si amplia. Il cuore cresce, e crescete anche voi e tutta la vostra esistenza cresce, Ma avete queste schegge tutt’intorno, queste spine.» I puntini lì? «Sì. Sono schegge di vecchie ferite, tanto vecchie che per lo più non potete neppure ricordare chi ve le ha fatte e quando. Come punte di freccia che si sono spezzate e sono rimaste lì. Una ferita, magari, l’avete avuta una notte che piangevate nella culla e nessuno vi sentiva. Un’altra, l’avete avuta un giorno che, a tre anni di età, vi sentivate tristi e avreste avuto bisogno di carezze, e invece una qualche zia vi ha trattato male perché era nervosa. Un’altra ancora è stata quando un amichetto ti ha soffiato una fidanzatina, all’asilo. Ferite così. Tutti ne avete molte, e rimarranno lì per sempre. E tutte le volte che il cuore cerca di ampliarsi, sente quelle schegge, che pungono. E il cuore dei più smette di crescere lì: non sa cos’è quel dolore di spine, non può ricordarlo, e non cresce più. Lì si ferma il coraggio.» E così è anche per il Dio unico? «Per i più, sì.»

«Perciò Gesù aveva una corona di spine in testa, quando lo stavano uccidendo», disse l’Austero. «Perché voleva far capire che c’è un Dio più grande. ma la gente che lo stava uccidendo o lo lasciava uccidere aveva quelle spine intorno al cuore — e attorno alla loro idea di Dio. E per quelle spine lo uccidevano. E la gente ne ha ancora, esattamente come allora.» 8 E come se ne esce? domandai di nuovo. «Qualche spina la superate con il sentimento Con l’amore, con l’odio: qualsiasi sentimento che diventi più forte di quel pungente dolore, per il tempo necessario a frantumare qualche spina. Ma non basta. Togliere quelle spine non potete: non basterebbe una vita intera per rintracciarle tutte, figuriamoci per estrarle. E fare a meno del vostro Dio unico sarebbe impossibile: c’è, come c’è il vostro cuore; ed è com’è, e dovete tenerne conto. «Così, dovete per forza aiutarlo. A crescere. Con quel Dio unico siete davvero dei Mosè, tutti quanti: Mosè aveva trovato il suo Yahwéh abbandonato nel deserto, dimenticato da tutti. Era un Dio troppo piccolo, un cuore troppo piccolo e Mosè l’ha adottato, l’ha allevato, l’ha educato a un maggiore coraggio. Mosè era egiziano, conosceva e aveva molti Dei: conosceva e sapeva interpretare molte storie di Dei, molta anatomia mitica. Con questa sua sapienza ha aiutato il Dio unico e il cuore a crescere meglio. È più o meno quello che dovreste fare anche voi.» Cioè? In che modo precisamente? «Nell’uomo c’è una parte fertile, che cresce e lo fa crescere sempre, e sono le storie. Mosè per far crescere il suo Dio e il cuore ha scritto storie di uomini e di Dei: la Genesi, l’Esodo. Quello è il modo. E anche voi nelle storie potete crescere splendidamente: come gli alberi, affondando sempre più giù le radici. È nelle radici che gli alberi crescono, no?» Quest’ultima cosa la capii subito molto bene: immaginai un albero che cresce nelle radici. Di solito si pensa che l’albero cresca verso l’alto, ma in realtà cresce soprattutto verso il basso, nel buio della terra dove trae il suo nutrimento, e la crescita dei rami e del fogliame è un po’ come la coda dell’albero. Così anche noi cresciamo affondando le radici nella parte oscura del quadrante. Ma perché proprio con le storie?

«Innanzitutto, perché le vostre storie sono tutte connesse con il Corpo maggiore», rispose il Dominante. «Se una storia rimane nei secoli è perché è bella, e se qualcosa è bello ha sicuramente a che fare con il vostro Corpo maggiore.» La bellezza è un modo che abbiamo di percepirlo? «È un modo di lasciarlo agire. «In secondo luogo, tra le cose che conoscete le storie sono ciò che somiglia di più alla vostra crescita e alla promessa che cerchi tu», disse il Dominante. «Voi come fate a crescere? Lasciate che il vostro corpo e le vostre capacità si sviluppino, non le intralciate. Così avviene anche con le vostre storie: non siete voi a inventarle, lasciate che prendano forma, e tutto ciò che dovete fare quando le componete o le raccontate è non intralciarle, non rovinarle. Non è così che fate con le storie? Questo è un ottimo modo di crescere, e di far crescere il vostro cuore e il vostro Dio unico.» Vuoi dire che per crescere dobbiamo formare storie nuove? «Non esistono storie nuove. Non esiste il tempo come lo intendi tu. Lasciate che prendano veramente forma le vostre storie: che vi rispecchino. Le storie crescono e trovano la loro forma proprio come voi, scendendo sempre più nel buio. Per voi il buio è la parte oscura del quadrante, quando usate il quadrante per raffigurarvi. Nelle storie, il materiale che usate è il tempo: e il buio in cui crescono le storie è il passato. Le storie crescono verso il passato. E anche gli Dei. E anche voi.» Nel senso che le storie e gli Dei ci vengono dal passato?... Stavo per domandarlo, quando mi accorsi che non vedevo più nulla: ero ancora nella stanza tonda. E i loro volti, e i gradini e il sole al tramonto erano un ricordo che si perdeva rapidamente, già lontano, come il ricordo di un sogno. Perché? domandai. Quando è sparito tutto? «Ci vuole un po’ di pratica, nel viaggiare», disse il Dominante. «Ti sei perso quasi subito. La prossima volta andrà meglio. Continua a prendere nota, intanto.» IX Seguito del precedente. Come si cresce nelle storie — a ritroso. Il mondo intermedio. Pollicino. E Babbo Natale

«Cosa stavi per domandare?» Il Dominante riprese tranquillamente la conversazione. Le storie che crescono all’indietro... E perché vengono dal passato, e si nutrono del passato? «No no. Crescono proprio verso il passato, si formano a ritroso. Voi non ve ne accorgete mai.» E come? «Per esempio: la vostra storia più famosa dice che all’inizio il Dio creatore creò il mondo e gli uomini, e poi avvennero tutte le varie vicende, il serpente nell’Eden, il Diluvio, la Torre di Babele, poi Abramo, Giacobbe e così via, fino a quando Mosè incontrò il Dio creatore nel deserto e ne raccontò la storia. Così la raccontate voi. «Invece andò in un altro modo: Mosè incontrò un Dio nel deserto, incominciò a capire questo Dio e a pensarci, e quanto più ci pensava, tanto più prendeva forma questo Dio, e cresceva, e crebbe talmente da diventare il creatore di tutto il mondo, il che all’inizio non era ancora, quando Mosè l’aveva incontrato nel deserto. Così succede nelle storie. Hai capito?» Cioè bisogna capovolgerle, in un certo senso... «Voi potete percorrere il tempo in tutte le direzioni che volete, nelle storie come nella realtà. E solo per paura che non lo fate. Perciò non vi accorgete di come prendono forma le storie, e le ascoltate e non capite. Ma è molto semplice, ascolta: se Mosè avesse incontrato un altro Dio e ci avesse pensato altrettanto, quest’altro Dio sarebbe diventato il Dio creatore. Così, la vostra storia più famosa vi narra che è l’uomo a dar forma e senso al suo Dio, e a tutto il suo mondo, attraverso quel Dio. Ma voi non lo sapete e credete diversamente, perché questo vi fa paura. È chiaro, adesso? «E il seguito di quella vostra storia tanto famosa», continuò il Dominante, «vi dice che Gesù era un uomo,, ma era figlio di Dio; e che scontò i peccati del mondo e Dio lasciò che venisse ucciso per la salvezza dell’umanità. Così la raccontate voi, e vi sforzate di crederci anche se non ha nessun senso. «Invece la storia cresce in un altro modo. Ogni uomo sconta i peccati degli altri uomini, perché ne subisce le conseguenze; ma ogni uomo può fare a meno di ripetere i peccati degli altri, se si accorge che sono peccati. Gesù pensò molto a questo fatto, capì che per

accorgersene occorreva un punto di vista più alto, e insegnò agli uomini a far crescere se stessi proprio così come Mosè aveva fatto crescere il suo Dio. ‘Prendetevi Dio come padre’, spiegò, ‘cambiate la vostra storia a ritroso, cambiandone le origini più remote: chi può impedirvelo? E prendete da Dio, come ogni figlio prende dal padre.’ «Questo pensiero spaventò talmente la gente, che finirono per uccidere Gesù; e siccome ancor oggi vi fa molta paura, preferite credere che soltanto Gesù è stato figlio di Dio, e ha scontato i peccati del mondo e Dio l’ha lasciato uccidere per salvarvi.» Perché se ne ha tanta paura? Paura di cosa? «Paura che se l’uomo può diventare figlio di Dio, poi possa diventare anche qualcosa di più ancora.» «Ma questo è precisamente ciò che deve succedere», disse l’Austero, «e poco importa che ne abbiate tanta paura.» E come si fa a imparare da Dio Padre? Noi non capiamo cos ‘è. Se uno ci crede, crede in qualcosa che non capisce, oppure crede in qualcosa che gli hanno insegnato altri uomini, e non Dio Padre... «Strambo ragionamento», rispose il Dominante. «Perché pensi così? Voi imparate sempre le cose che non capite ancora, e solo dopo che le avete imparate riuscite a capirle. Così è anche con il vostro Dio Padre. Il credere non c’entra nulla: si tratta soltanto di imparare. Chiunque sa cosa vuol dire ‘Dio’, e da ciò che chiama ‘Dio’ può imparare, come un figlio da un padre. Che c’è di strano? «Anche riguardo alle storie», continuò. «Voi fate tanta fatica a capire come crescono le storie perché avete questa brutta vecchia tendenza a sostituire il credere al capire. Ciò che chiamate credere è l’aspetto peggiore delle vostre religioni. Esprime quel che avete davvero di più brutto: la vostra incapacità di cambiare idea e la voglia di aver ragione a tutti i costi. Questo lo si può fare soltanto con le cose che non si vogliono capire. E vi ha sempre causato un sacco di guai.» Certo.

«Ha troncato le radici della vostra crescita; e solo le vostre storie hanno continuato a crescere: a esplorare il vostro mondo intermedio. Un po’ come i corsari e i pirati che andavano in giro per gli oceani, mentre le navi con le bandiere dei re seguivano le rotte consuete.» Che cos’è il mondo intermedio? «La distanza tra voi e tutto il resto. Quando il vostro piccolo io si muove e cresce, si accorge che intorno a lui c’è uno spazio immenso, distanze immense da percorrere; quando raggiunge qualcosa di nuovo, la distanza che ha percorso diventa conoscenza, carta geografica: mentre tutte le distanze che il vostro piccolo io ha intuito ma non ha ancora percorso sono il mondo intermedio, e quello è il mondo delle storie. È un gran bel posto. Non ha confini: non soltanto si estende all’infinito, ma in ogni sua regione può scomparire e ampliarsi a seconda delle distanze che riuscite a percorrere. Quando ne percorrete un tratto, lì il mondo intermedio scompare: non c’è più, diventa semplicemente mondo vostro. Ma in compenso, ogni volta che ne percorrete un tratto il mondo intermedio diventa più grande tutt’intorno: scoprite continuamente che avete un’infinità di altre cose da scoprire. Questo è il mondo intermedio, e qui abitiamo noi.» Cioè voi siete i nostri corsari? «Le storie sono i vostri corsari e vanno e vengono nel mondo, intermedio. Noi abitiamo qui: in ogni vostra distanza.» Quindi ,voi le conoscete già, tutte queste distanze? «Sì, e pian piano te le insegniamo, soprattutto attraverso le storie.» Ma se avete detto che le storie crescono nel passato, vuoi dire che anche il mondo intermedio è nel passato: come può essere la distanza intermedia tra noi e ciò che saremo in futuro? «È tutto quanto passato, caro mio», rise il Dominante, «e tutto cresce nel passato. Non hai idea di quanta parte dite stesso sia fatta di storie che crescono nel passato: e le storie sono l’unico modo che hai di esplorarla e di scoprirla! Stavo parlando molto seriamente, quando ti ho detto che i miti antichi descrivono la vostra anatomia», aggiunse. Scrissi questa frase e la rilessi, confuso.

«Perciò è tanto importante che tu capisca come crescono le storie; vedi?» soggiunse il Dominante, mentre rileggevo. Questo vale per tutte le storie o soltanto per le storie sacre? In tutte le storie c’è la crescita a ritroso e c’è un «credere» che impedisce di «capire»? «In tutte quelle che vale la pena di ascoltare.» Anche, poniamo, nella storia di Pollicino? «Altroché. Pollicino è la storia di ciò che c’è di più importante in voi. Puoi dargli tanti nomi: la vostra sapienza, il vostro coraggio, il vostro Corpo maggiore, o addirittura il vostro mondo intermedio... In ogni caso, è ciò che c’è di più importante in voi. Nelle fiabe è sempre così: ciò che appare più piccolo, appare piccolo come appaiono piccole le stelle, che invece sono molto grandi, viste da vicino. Ma dalle cose grandi voi preferite tenervi lontani, in particolare quando vi riguardano direttamente. Questo è il significato di tutto ciò che appare piccolo nelle fiabe.» Grazie. «Di cosa?» Di tutte queste cose. «È la prima volta che dici grazie, e qui da noi non sta bene. Ricorda: qui da noi si ringrazia soltanto con lo sguardo. Hai sempre ringraziato come si deve, finora, con lo sguardo; non cominciare con le goffaggini. «Dicevamo di Pollicino. La fiaba racconta che i genitori di Pollicino — cioè voi — cercate di spaventano a morte, di distruggerlo, perché temete di non avere i mezzi per mantenerlo. Gli trasformate il mondo in un posto orribile, lo spedite in una foresta terrificante, in cui vorreste che sparisse per sempre. Ma lui pian piano ritrova sempre la strada, e ritorna a casa dai suoi genitori. E la fine della storia è uguale all’inizio, e si ripete continuamente.» E i fratelli di Pollicino, che si perdono con lui e che lo seguono? «È una cosa che ti ho già spiegato: il Corpo maggiore e tutto ciò che c’è di grande in voi è troppo grande perché possa identificarsi con una persona sola. È sempre tanti. E anche voi,

quanto più imparate a scoprire il vostro Corpo maggiore, tanti più fratelli vi accorgete di avere.» «Sono più che fratelli», disse l’Austero. «Siete voi stessi in tanti.» Come faccio a imparare questo modo di spiegare le storie? «Non puoi imparano, lo sai già. E come quando hai risolto l’indovinello. Anche le storie sono indovinelli: sono fatte a specchio, come tutti gli indovinelli, e servono a farvi vedere voi stessi come vi vedreste dall’Aldilà. E così che si cresce. Qual era la risposta all’indovinello della Sfinge?» L’uomo. «Anche nelle storie la risposta è sempre: l’uomo, voi stessi. Impara a guardarti, e impari a spiegare le storie.» C’era una fiaba in cui il diavolo faceva il fabbricante di specchi, dissi tra me, dai miei ricordi d’infanzia. «Sì, La Regina delle Nevi di Andersen. Anche il fatto che voi raccontiate i miti e le fiabe ai bambini dipende sempre da quella distanza che fa apparire piccolo ciò che è molto grande.» Cioè anche i bambini sono molto grandi e ci appaiono piccoli perché noi ne siamo lontani? «Precisamente. E voi, inconsapevolmente e irresistibilmente, intuite che anche le vostre fiabe sono troppo grandi per voi e che solo i bambini potrebbero spiegarvele, e perciò le raccontate a loro. Ma purtroppo non funziona, per voi: i bambini sono tra il Quinto e il Sesto Cielo, e voi da adulti siete quasi tutti nel Primo. Non riuscite ad ascoltarli. A meno che non procediate anche voi a ritroso, ridiventando bambini.» Ricominciando a credere a Babbo Natale e così via? «I bambini non ci credono, a Babbo Natale: capiscono cos’è. Voi non lo capite più, e per paura non riuscite neanche a crederci: e lo camuffate, come un vecchio pagliaccio, per non vedere cos’è e chi è. Per non accorgervi che è il diavolo.»

Babbo Natale è il diavolo? «E un vostro modo di camuffarlo, di porre una distanza tra voi e lui; così lo spingete nel mondo intermedio e diventa una storia da interpretare. Qualcuno si è camuffato: ecco tutta la sua storia. Una finta barba bianca, troppo grande e troppo bianca: serve soltanto a nascondergli il volto. Il cappuccio e gli stivaloni, che nascondono ciò che le sue renne mettono così bene in evidenza: corna e zoccoli... Davvero non te ne sei mai accorto? Babbo Natale è il diavolo — che gira di notte con i suoi doni, perché la parte oscura porta sempre doni, ricordi? «E, come sempre, lavora per farvi crescere. Fa crescere i vostri bambini, insegnandogli la cosa più utile di tutte, i desideri: il coraggio di esprimere i propri desideri e di aspettare, di sapere che si realizzeranno! Non c’è esercizio che faccia crescere meglio, a parte le storie; ma un desiderio e una storia sono quasi la stessa cosa, non trovi? «Poi, quando smettete di crescere li chiamate tentazioni, quei desideri, e rovinate in tutti i modi possibili quest’esercizio tanto prezioso — per non crescere più. Ma l’effetto rimane lo stesso: anche per voi le tentazioni del diavolo sono specchi, per farvi crescere, anche se voi ci aggiungete i sensi di colpa, per camuffarle... per spingerle nel mondo intermedio, da cui comunque ritornano sempre, come Pollicino.» X «Non indurci in tentazione. » L’eredità ostile. La stanza di Barbablù. Il principio di rotazione. Biancaneve La notte seguente tornammo sull’argomento. In che senso camuffiamo le tentazioni con i nostri sensi di colpa? «Nel solito senso», disse il Dominante, «non volete vederle per ciò che sono. Se fossero soltanto desideri, vi darebbero la misura della vostra voglia di diverso: vi indicherebbero le direzioni della vostra crescita - perché chi desidera cresce, e chi cresce desidera, è una legge assoluta, questa.

«Ma voi avete imparato a temere superstiziosamente il diverso, e camuffate una quantità di vostri desideri chiamandoli tentazioni. Non per questo cessano di esistere: solo, le indicazioni che vi danno diventano un po’ più emozionanti, un po’ più simili a storie d’avventura. «Di fatto, sulla vostra conoscenza le tentazioni hanno lo stesso effetto che hanno su dite i nostri viaggi qui. Nella tentazione il diavolo è come se vi dicesse: ‘Ecco, uomo, vedi a cosa stai pensando? A qualcosa di diverso da ciò che ti sembra giusto e onesto. Ora vedremo se ciò che ti sembra giusto e onesto è abbastanza solido, o se è più forte ciò che è diverso’. Così con la tentazione hai due punti di vista, mentre senza la tentazione ne hai uno solo. La stessa cosa facciamo noi nei viaggi.» Cioè, compito del diavolo è saggiare la forza di un sistema religioso, più che la forza morale degli uomini? «La forza morale degli uomini!» disse il Dominante. «Che modo presuntuoso di definire la vostra ansia di obbedire a ciò che vuole la maggioranza. ‘Forza morale’ è proprio la parola sbagliata: ‘inerzia morale’ andrebbe meglio, ‘connivenza morale’... Invece, compito del diavolo è farvi vedere le cose da due punti di vista — e compito vostro sarebbe non identificarvi né con l’uno né con l’altro. Così si impara a crescere, dalle tentazioni. Ma voi pensate che il diavolo ce l’abbia con voi; ed è chiaro che, se qualcuno ti dice una cosa, c’è una bella differenza se lo credi un essere malvagio più astuto dite, o se lo credi un maestro che sta insegnandoti qualcosa d’importante. Non ti pare?» E si impara che cosa, precisamente? «L’unica cosa che potete imparare: voi stessi, ‘la vostra gioia’, come la chiama il Vangelo. Gesù durante l’ultima cena dice: Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia resa piena (Vangelo di Giovanni 16, 24). «Ecco. La vostra gioia è scoprire cosa siete, come siete, come capite — e sta’ pur certo che sarà sempre qualcosa di diverso da ciò che credevate. Non per nulla Gesù spiega che il miglior modo di scoprirlo sono i desideri, l’energia del cuore: ‘Chiedete! Chiedete ciò che volete!’ Lo ripete diverse volte di seguito*. Cercate la gioia: fate agire il cuore, non soltanto la mente... E *

Vangelo di Giovanni 14,13; 15,7; 15, 16; 16, 23, ecc. V. la nota I desideri e l’io più grande, a p. 300

voi avete sempre paura: quando vi viene in mente di desiderare e di chiedere, nove volte su dieci vi spaventate, pensate: ‘Ecco, sto desiderando, il Tentatore vuole che io mi smarrisca nel mio egoismo’. Invece sta soltanto aiutandovi a fare quello che vi insegnava Gesù. «E il resto io sai. Quello che imparate chiedendo è molto più importante di quello che imparate ottenendo; e la realizzazione di un desiderio è solo la conseguenza delle scoperte che avete fatto chiedendo sul serio: di quanto siete cresciuti, chiedendo sui serio.» E allora «non indurci in tentazione», che cosa vuoi dire? Perché lo si dice a Dio e non ai diavolo? «Vuoi dire: ‘non farci scambiare per tentazioni malvagie gii insegnamenti dei chiedere, liberaci dalla nostra voglia di condannarci sempre’. Non dice così? Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori. E non ci indurre in tentazione ma liberaci dai male. «Il Padre nostro dice così. Voi, per lo più, quando recitate questa preghiera calcate sulle parole i nostri debitori e liberaci dal male. Cioè rimanete sempre convinti che sia Dio a obbligarvi a giudicare gli altri e a condannare voi stessi. Così stimolate il vostro senso di colpa. Invece vedi: ‘rimettere ai debitori’, liberarli dai loro debiti, dipende solo da voi. Il senso di colpa siete voi che ce lo mettete; e tocca a voi toglierlo.» No, un momento. Lì parla dei nostri debitori, di chi è in colpa verso di noi. Invece il senso di colpa riguarda le nostre colpe: non possiamo togliercelo da soli. «Non c’è nessuna differenza. Perdonare e perdonarsi sono proprio la stessa cosa. Rifletti. Voi ne avete talmente tante, di cose da perdonare: i padri, i nonni, le generazioni passate hanno commesso una quantità di colpe che tocca a voi pagare. Guerre, disastri, ingiustizie di tutti i generi, che hanno guastato il mondo in cui nascete e guastano tutta la vostra vita. Loro sono i vostri debitori e il vostro vero peccato originale.* E le colpe vostre sono pressoché *

Il peccato originale, secondo l’interpretazione più consueta, fu l’atto misteriosamente sessuale che Adamo e la prima donna compirono nel Paradiso terrestre. In realtà, questo episodio della Bibbia non ha alcun rapporto con la sessualità: l’adam, nel testo biblico, è «l’umanità intera», mentre l’aisha, la «compagna» che compare all’umanità nell’Eden, non è affatto la prima donna bensì la parte femminile, l’anima dell’io umano, che guida l’umanità nella conoscenza della realtà terrena e celeste («del Bene e del Male»). Cfr. La creazione dell’universo, Sperling & Kupfer, Milano 1999, p. 43.

sempre imitazioni di quelle colpe: lezioni che vi hanno insegnato quando eravate troppo piccoli per rifiutarvi di imparare. Voi le ripetete e le insegnate ad altri dopo di voi — e avete molti modi di insegnare: anche semplicemente col modo di muovervi, col tono di voce riuscite a imprimere in chi è più piccolo di voi le colpe che il mondo ha insegnato a voi. È un modo che il vostro mondo ha di difendere se stesso, di restare com’è, il più a lungo possibile. Così, se perdonate quelle colpe e ve le lasciate alle spalle, perdonate e liberate anche voi stessi; e viceversa. È tutt’ uno.» «È l’eredità ostile», disse l’Austero. E recitò, lento: La mia eredità è divenuta per me come un leone nella foresta. Ha ruggito contro di me. Perciò ho cominciato a odiarla.* «Che la vostra eredità vi ruggisca contro è una grande fortuna», disse l’Austero, «così ci mettete meno tempo a imparare a esserne liberi. Mentre tenervi quell’ eredità significa incatenarvi il cuore e gli occhi.» «La maggior parte della gente si lascia divorare da quell’eredità e da quell’ odio al tempo stesso», aggiunse il Dominante. «Invece perdonare è talmente semplice! Vi lasciate alle spalle tutto il vostro senso di colpa e cominciate a scoprire ciò che siete davvero, ascoltando i vostri desideri: quello che desiderate davvero. » E anche le tentazioni sono un prodotto di quell’eredità? Voglio dire: se un desiderio ci sembra una tentazione è perché contrasta con quello che ci hanno insegnato, con il Cielo dei padri, dei nonni e così via? «No, questo è soltanto un altro modo di lasciarvi divorare dalla vostra eredità», disse il Dominante. «Te l’ho detto, non c’è bisogno di incolpare nessuno. I padroni della tentazione siete soltanto voi stessi: è la vostra presunzione di voler abitare soltanto nella parte più alta del quadrante. Così vi circondate d’una quantità di stanze di Barbablù, piene di buio e di terrori — che vi terrorizzano solo perché non avete il coraggio di entrarci e di accendere la luce.» *

Geremia 12, 8.

Ma se i quelle stanze c’è davvero qualcosa che non vogliamo vedere di noi stessi, qualcosa di noi che ci ripugna? «Sai com’è la fiaba di Barbablù. La bella fanciulla lo sposa, e lui le dice: ‘Sei padrona di tutto il mio castello, ma non entrare mai in quella certa stanza’. «Ti ricorda niente?» L’albero della conoscenza. «Certamente: l’albero della conoscenza del bene e del male.» Tu potrai mangiare i frutti di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare i frutti, perché se ne mangi morirai certamente.* Anche questa è una storia del Dio supremo? Sono tutte intrecciate tra loro, le storie. «Sono tutte storie di specchi», disse il Dominante. «E nella Bibbia come continua, questa storia? «Gli uomini mangiano il frutto di quell’albero, e il Dio Yahwéh va a lamentarsi dagli altri Dei supremi: ‘Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male!...’† «Il segreto principale di quella stanza di Barbablù è che si tratta di una stanza di passaggio: è un corridoio che porta in altre ali del castello, e nei giardini, e fuori nel mondo intero.» «È il principio di rotazione», disse l’Austero. «È così, guarda», e il Dominante tracciò questo disegno:

*

Genesi 2, 16



Genesi 3, 22

«Questo è di nuovo il vostro campo visivo, più in dettaglio. E la crescita della vostra conoscenza: che si allarga dal centro, un po’ come gli anelli nel tronco delle piante, ma a spirale. Vedi?» e il Dominante continuò a tracciare lentamente la spirale che si allargava dal centro. «Le parti chiare del cerchio rappresentano le vostre scoperte più grandi, le conoscenze più luminose; e le parti scure sono quelle che dovete per forza attraversare, per salire verso la luce.» Il diavolo, le paure? «Sì. E il principio di rotazione è che non potete salire direttamente verso la luce, ma soltanto così, a spirale. A un certo punto incontri quelle parti buie, basse: se non le vuoi vedere, ti fermi lì e non sali più. Quelle sono le stanze di Barbablù. Se invece le attraversi, la tua spirale continua ad allargarsi anche verso l’alto, verso le conoscenze superiori. E molto semplice.» E più si va in alto e più ci si accorge di quelle parti scure, notai, guardando il disegno. «E meno paura ne hai, e più rapidamente sali. Il segreto è che le parti buie e le parti di luce sono tutt’uno; il principio di rotazione è soltanto una metafora.» Quell’ultima frase passò alta sopra di me, troppo in alto — mi parve — perché potessi sperare di afferrarla. E perché la sposa di Barbablù muore, se Barbablù è un ‘immagine del Dio supremo? domandai. Il Dio supremo uccide?

«Vi schiaccia, sì. Barbablù è l’immagine che avete del Dio supremo quando non vi fidate di voi stessi. Con un’immagine del genere, non vi resta gran che da fare nel mondo, se non obbedire o morire. Lo dice anche il vostro Dio Yahwéh: ‘se conosci muori’. Ma poi la storia continua, no?» Dopo la morte? «Tutto continua. Anche le storie sono tutte intrecciate fra loro, nel mondo intermedio, e si rispecchiano l’una nell’altra, e sfociano continuamente l’una nell’altra: la storia di Prometeo nella storia di Barbablù, e la storia di Barbablù in quella di Biancaneve, che risale di nuovo alla storia dell’albero della conoscenza. L’hai mai ascoltata bene, la storia di Biancaneve? Biancaneve «Com’è che la raccontate voi? La Regina matrigna guardò nello specchio...» Il Dominante si fermò, fingendo di ricordare vagamente: «E ‘specchio specchio’, disse la Regina matrigna, ‘chi è la più bella del reame?’» «Specchio

specchio

delle

mie

brame»,

corresse

I’

Austero,

pensoso.

«Una domanda a uno specchio è un indovinello, naturalmente», proseguì il Dominante, «e qual è la risposta a tutti gli indovinelli sul confine?» L’uomo? «L’uomo, infatti. Nella storia di Biancaneve la Regina matrigna è ancor sempre un’immagine del vostro Dio supremo: e guarda il suo specchio — cioè il mondo in cui lui è Dio supremo — e vede che il punto più importante del reame è l’uomo. Saperlo vi spaventa, e perciò immaginate che anche il Dio delle vostre religioni si spaventi, quando si sente dire così dallo specchio.» E il reame è l’universo? «Sì. L’uomo è più importante degli Dei, e il Dio delle vostre religioni capisce subito che cosa significhi questo. Significa che gli Dei, tutti gli Dei si innamoreranno dell’uomo, lo brameranno... »

«Specchio specchio delle mie brame», confermò l’Austero. «Cercheranno di dominano in qualche modo, come si vuoi dominare chi si brama», proseguiva il Dominante, «e l’uomo dal canto suo potrà scegliere tra gli Dei quello che più gli piace. Così è per voi, davvero. «Perciò la fiaba dice che la Regina era matrigna e non madre di Biancaneve: perché il Dio delle vostre religioni, quale che sia, diventa un sovrano precario se l’uomo è il punto più importante dell’universo. Diventa solo un reggente, temporaneo!: sempre a rischio che voi ne troviate un altro, o che crescendo cominciate a regnare voi stessi. «Quel Dio dunque si allarma, nella fiaba. E che può fare? Eliminare ciò che dice lo specchio? E come? Non si può eliminare la risposta giusta di un indovinello. La si può soltanto allontanare, spostare. «E così avviene: il Dio supremo, il Dio delle vostre religioni, vi sposta e vi manda a vivere in una foresta, dove non vedete né il cielo né il vostro mondo così com’è. Nella realtà, sono le vostre religioni a fan questo, in omaggio alloro Dio... Ela foresta cos’è?» Cos’è? «Sono i vostri Cieli, il vostro Aldiqua, in cui sapete tanto poco di voi, ma in cui, inevitabilmente, crescete. E lì ci sono i sette nani, che si prendono cura di Biancaneve.» I nani sono i sette Cieli! esclamai quasi. «I -nani sono tante cose. Sono i sette Cieli — e uno è muto, infatti: è il Settimo Cielo, che, visto dalla foresta, non vi dice niente che possiate capire.» Mentre prendevo appunti cominciai a ridere, dallo stupore. Biancaneve! «Poi, come sai già, nelle fiabe tutto ciò che è piccolo appare piccolo soltanto perché è lontano: così anche qui, i sette nani sono innanzitutto l’immagine del vostro modo di percepire ciò che è più in alto — enormemente più lontano. A ciascuno di quei sette nani corrispondono gerarchie di esseri superiori, più alti del vostro Dio, ma è ancora presto per parlarti di questo. Tu sei ancora nel profondo della foresta. Poi, in parte, i sette nani siamo anche noi, ma soltanto in parte e per vie traverse, diciamo.»

«Ah, è veramente la fiaba più bella di tutte», non si trattenne l’Austero. «Pensa, chi l’ha composta stava per essere bruciato sul rogo: e la scrisse in prigione, negli ultimi giorni. Lo bruciarono perché aveva insegnato queste stesse cose dotta- mente ai dotti, ma quella sua fiaba viene raccontata da secoli a tutti i bambini. Non è fantastico?» «E la Regina matrigna», continuò il Dominante «domanda ancora allo specchio: ‘Chi è adesso la più bella del reame?’, cioè adesso che l’uomo è rinchiuso nel suo Aldiqua. Ma la risposta è sempre la stessa: il punto più importante del reame sarà sempre e comunque l’uomo. Allora la Regina tenta di nuovo di rovinare la vostra Biancaneve, e mette il veleno nella mela.» La mela rappresenta il frutto dell’albero della conoscenza? «Sì. Nella fiaba il senso è che il vostro Dio supremo e le sue religioni fanno in modo che la conoscenza giunga a voi soltanto avvelenata: soltanto sotto forma di tentazione. È un altro modo di descrivere il principio di rotazione.» Cioè, bisogna affrontare quel veleno per andare oltre, per salire più su? «Sì. E Biancaneve muore, avvelenata. Ma ricordi com’è? Muore e non muore: è una morte che non cambia nulla del suo aspetto, ma lei questo non lo sa. Per Biancaneve è proprio la morte, e non c’è più nulla: un lungo sonno, in una bara di cristallo, e intorno ha soltanto quelle pareti di cristallo, che rispecchiano solo il suo volto...» Cioè, nelle cose che ci sembrano tentazioni vediamo noi stessi: è questo il senso? «Voi vedete soltanto voi stessi, sempre: in fondo a una foresta, chiusi nella bara delle vostre piccole conoscenze e delle vostre certezze, con gli occhi immobilizzati da quel veleno, vi guardate intorno a occhi chiusi e vedete soltanto voi stessi. E anche se apriste gli occhi, non potreste toccare né sentire niente al di là del cristallo che vi rispecchia da ogni parte. Questo è il vostro piccolo io.» Tacque per un istante. «E poi ecco: un bacio», riprese. «Biancaneve apre gli occhi, e invece del cristallo vede il principe azzurro.»

Chi è il principe azzurro? «Il vostro Corpo maggiore.» E l’altro, il Dio supremo che fa? «Non c’è più.» Come non c’è più? «Quel Dio supremo non c’è più. Gli Dei sono un vostro organo: se voi crescete e cambiate, cambiano e crescono con voi. Finché siete la piccola Biancaneve, il vostro Dio supremo è la matrigna, o Barbablù, o Yahwéh che vi proibisce le cose. Quando crescete un po’ di più, diventa il vostro Padre. Come dice il primo indovinello del Padre nostro? Padre nostro, che sei nei cieli...» È un indovinello? «Certo. E significa: Tu che sei nostro Padre, immagine di ciò che saremo da grandi.» Non capisco. E difficile da capire? «Che c’è da capire? Un padre è un padre. Non potete restare piccini per sempre: prima o poi diventate come papà. Voi cercate in tutti i modi di tenere le distanze, immaginando di avere tanti difetti e limitazioni che vi distinguono dagli Dei. Ma siete loro figli: e crescete, ed ereditate.» Scossi il capo. «Dico sul serio», sorrise il Dominante. E voi? Voi avete già ereditato? «Gli Dei sono un vostro modo di capire. Come le parole, o come i cinque sensi, o la mente. Noi abbiamo altri modi.»

Quali? domandai, proprio mentre l’Austero diceva: «Adesso domanderà: ‘Quali?’» «È ancora presto per te», rispose il Dominante. «Impara a viaggiare, prima. Devi imparare a scrivere durante i viaggi senza smettere di vedere, a progettare i viaggi e un paio di cosette ancora. Impara a sentire il viaggio come una storia. Ti farà molto bene, vedrai.» XI Nella foresta. L’apparato circolatorio del Corpo maggiore. L’Inferno e la paura delle responsabilità. I tabù sul male e i tabù sul bene. Gesù, quando discese all’Inferno Cominciammo a fare almeno un viaggio alla settimana, perché imparassi. La partenza avveniva sempre allo stesso modo: dovevo immaginare di chinarmi a raccogliere qualcosa; mentre mi chinavo tutto sembrava girare su se stesso, e mi sentivo in qualche posto sconosciuto, che non riuscivo a vedere bene. Lì i miei maestri sceglievano un punto comodo, per lo più panoramico, e ci siedevamo a chiacchierare, «in attesa che la mia vista si assestasse», così dicevano. Una volta fu sulla riva di un fiume, un’altra volta su un’alta duna, al margine di qualche deserto; poi capitammo in una città, in una specie di caffè sotto i portici, con le colline intorno, all’alba. Io prendevo nota senza fatica (durante questi viaggi riuscii anche a farmi risolvere dai maestri una questione biblica particolarmente aggrovigliata,*) ma ogni volta, non appena il mio campo visivo cominciava a precisarsi — il che accadeva dopo una decina di minuti — svaniva tutto, e mi ritrovavo nella stanza tonda. Perché non ci fermiamo un po’ di più, qualche volta? «Stai imparando, non avere fretta», diceva l’Austero. «Quando uno ha fretta vuoi dire che sta fermo», diceva il Dominante. «Quando invece fa le cose lentamente vuoi dire che si sta muovendo. È sempre così per voi, nell’Aldiqua come nell’Aldilà. Ed è così anche per te: quando cominci a distinguere le cose intorno senti subito

*

Furono le cosiddette «Età dei Patriarchi», Genesi, cap. 5. V. La creazione dell’universo, cit., pp. 97 e sgg., pp. 231 e sgg.

l’impulso della fretta, e perciò ti ritrovi fermo nella stanza. Quando la tua vista si sarà abituata non avrai più fretta di vedere.» «Imparerà», disse l’Austero. Loro, durante i viaggi, erano sempre uguali: il Dominante con la sua sopravveste persiana, l’Austero vestito da arabo, la bambina col suo abitino arancione e i due vecchi d’un colore blu scuro, più vaghi nei contorni, con le loro finte ali di libellula. Questi due vecchi non parlavano mai con me, a volte scambiavano qualche frase tra loro o con la bambina; il Dominante mi aveva detto che erano «Spiriti-guerrieri» e che avevano il compito di proteggerci. Hanno un ‘aria un po' fragile, gli bisbigliai una volta. «Ma sanno ancora il fatto loro», mi rassicurò il Dominante. Perché nei viaggi vi vedo e nella stanza tonda no? «Non vedi noi, te l’ho già detto. Noi, non puoi vederci; vedi te stesso. A questo servono i viaggi, le prime volte.» Dopo sei o sette di quei viaggi di pochi minuti — noi li chiamavamo «cartoline» — la mia vista nell’Aldilà migliorò tutt’a un tratto e per la prima volta un viaggio si trasformò in una storia, o almeno in un frammento di storia. Avvenne così: Quando mi chinai e tutto girò su se stesso, vidi una strada, in leggera salita, con piccole chiazze di luce lunare. La luna filtrava da una galleria di alberi alti e folti, e io stavo camminando. Si vede bene, qui! «Sst! Parla sottovoce. E non avere fretta», disse l’Austero, passandomi davanti. Dove siamo? Il Dominante si strinse nelle spalle, sorridendo.

«Nella stanza tonda li ascolti come se ti parlasse un mondo intero», mi sussurrò il vecchio con le finte ali di libellula, indicando con un cenno del capo il Dominante, «qui invece sono alla pari con te.» E mi sembrò che sorridesse. Non ero sicuro di aver capito, e non riuscii a rispondergli nulla. «Intende dire che nei viaggi non c’è mai trama, all’inizio, e neanche noi sappiamo cosa succederà», sussurrò il Dominante. «Il Corpo maggiore è molto grande, anche per noi. Poi, pian piano prende forma la trama, ogni volta.» Noi viaggiamo nel Corpo maggiore? «Per ora sì.» Ma... Il Dominante si portò l’indice davanti alla bocca, è mi invitò con un gesto a guardare avanti. L’Austero si era fermato: stava cercando qualcosa sul lato destro della strada e faceva cenno che ci avvicinassimo. La strada era polverosa, d’un color cenere che scintillava nel chiarore lunare. «È qua, vieni», sussurrò l’Austero. «Entra qui.» Questo c’entra col diavolo? domandai. «Aspetta e vedrai.» C’era un passaggio tra i cespugli. Mentre scostavo le foglie vidi che avevo due anelli alla mano destra; li tastai, col pollice. Il sentiero tra i cespugli conduceva a una radura. Lì l’Austero mi fermò, e mi fece cenno di sedermi. La luna quasi piena illuminava più di metà della radura e splendeva limpida sopra il fogliame nero alla mia sinistra. L’aria era immobile. Aspettammo in silenzio per circa un minuto, e ogni volta che provavo a domandare qualcosa l’Austero aggrottava le sopracciglia. Non sentivo nessun odore, non avevo olfatto. Mi toccai il naso.

«Fermo», sussurrò l’Austero. C’era un silenzio compatto, che sembrava premere sui timpani. Guardai le forme che la luna salvava dal buio. Qualche fiore chiuso, le foglie di un rampicante sulle radici di un albero accanto a me. La corteccia liscia; e più su i primi rami, con le foglie appena spuntate. Quando tornai a guardare verso gli alberi davanti a me, mi accorsi che qualcosa si era mosso, dall’altra parte della radura. Dapprima non scorsi niente, nel nero dei cespugli. Poi le spalle mi si irrigidirono: c’era una figura in un angolo, accovacciata. Vedevo il contorno dei capelli — come un mantello di lana sopra la testa e le spalle, ma erano capelli. Trattenevo il respiro. Si mosse lentamente, si spostò di due passi verso sinistra e lì si accovacciò di nuovo. Pensai che si fosse spostata solo per assicurarsi che l’avessi vista. I capelli erano simili a quelli della bambina, solo più lunghi. Era quella stessa bambina diventata adulta? Il viso e il corpo non si vedevano. Si teneva a distanza dal tratto di radura illuminato dalla luna. Con la coda dell’occhio vidi alla mia destra la bambina, che teneva la mano del Dominante e guardava anche lei preoccupata verso l’altra figura. «Mi hanno portato qui per incontrare qualcuno», pensai. «Dev’essere uno dei loro indovinelli, e quella figura lì dev’essere d’accordo con loro. E un mio nuovo maestro?» Feci per voltarmi verso i miei e in quell’istante la figura si mosse, e si fermò quando tornai a guardarla. Provai una stretta allo stomaco, all’improvviso pensiero che quella figura potesse essere pericolosa. Ma non potevano avermi portato qui per espormi a un pericolo. E cos’è un pericolo nell’Aldilà, cosa significa? «Attento adesso», sussurrò l’Austero. Socchiusi la bocca per domandare «A cosa?» e sentii un sibilo nell’aria, proprio vicino agli occhi. La figura si stava muovendo, sulla sinistra, si avvicinava tenendosi sempre a distanza dalla luce lunare. Arretrai di qualche passo lungo i cespugli. La figura disse qualcosa come «T-t-t», con una voce sicuramente femminile, e di nuovo sentii, e vidi il sibilo: uscì dalla figura per un istante, come un lunghissimo braccio, ed era qualcosa di tagliente.

«T-t-t-t.» Eppure c’era qualcosa di allegro in quel «t-t-t». Come se fosse il suo modo di ridere. Conoscevo questa figura: dentro di me cominciavano a emergere barlumi di ricordo, da chissà dove. La conoscevo e venivo qui a imparare. E ne ero attratto come da una calamita, e il sibilo era una lama e sulla lama c’era del veleno. Quel baluginare di ricordi faceva accelerare il mio battito cardiaco; respiravo a bocca aperta. La figura si mosse più rapida, sempre nell’ombra lungo il contorno di luna, e anch’io mi misi a correre, perché lei non mi si avvicinasse: chino, goffo, rischiando di inciampare — e in quella corsa sentii altri due o tre di quei sibili, immaginai la carne tagliata. Poi di nuovo silenzio. Eravamo fermi entrambi, la figura e io, a cinque passi di distanza. La figura era accovacciata. «Nessuno dei maestri fa niente?» pensai. «T-t!» sussurrò la figura, quasi con gioia. E io — nel cuore, in tutto il petto — sentii che era contenta che fossi lì. E che mi avrebbe tagliato la gola con quel suo sibilo, se mi fosse venuta più vicina. «Basta», sentii l’Austero, come dentro la mia testa. «Diventa troppo pericoloso adesso, vieni via!» Mi spostai, e la figura non mi seguì. Solo allora cominciai a sentire davvero la paura nella mente. Mi alzai in piedi e corsi nella direzione in cui doveva esserci la strada. Mi buttai attraverso i cespugli, che mi graffiavano, finché mi mancò il terreno sotto i piedi e caddi in avanti, malamente, sulla strada. Vidi i miei maestri che si avvicinavano di corsa, la polvere sollevata dai loro passi, mi voltai per vedere se la figura mi avesse seguito — e voltandomi fui di nuovo nella stanza tonda. «L’ha graffiato?» sentii che domandava il Dominante, seccato. «No, solo i cespugli un po’», gli rispose l’Austero. E poi rivolto a me: «Hai avuto una bella paura». Sì. Chi era, cos’era?

«Sempre lo stesso, eri tu», disse l’Austero. In una mia reincarnazione ero stato lì e andavo a imparare da quella donna? «Non proprio», disse il Dominante. «Era piuttosto un luogo dentro dite, e non nel mondo intèrmedio.. Le reincarnazioni sono storie del mondo intermedio? Non sono vite realmente vissute? «Come le immaginate voi nel mondo intermedio, le vostre reincarnazioni sono storie da esplorare. Nella realtà, sono quelle parti del Corpo maggiore che potete conoscere e sperimentare solo raffigurandole come vostre storie, vissute in un lontano passato.» E quali parti sono? «L’apparato circolatorio. Diciamo: la circolazione energetica del Corpo maggiore — che corrisponde alla circolazione sanguigna del vostro corpo fisico. Immagina una sconfinata foresta di coralli. Senza rocce, solo coralli — morbidi, pulsanti, e cavi all’interno. E densissimi, e lunghi fino a perdersi nell’infinito. La circolazione energetica del Corpo maggiore ti apparirebbe più o meno così, se potessi vederla. Le tue reincarnazioni ti indicano lo stato di questo sistema circolatorio: quelle buone, sono i tratti in cui l’energia fluisce bene, senza incontrare ostacoli; quelle cattive sono trombosi, che qua e là ostacolano il suo fluire. Ciò che credi di ricordare da qualche tua reincarnazione è come il tracciato di quelle vostre macchine d’ospedale, che misurano la portata delle arterie.» Il Corpo maggiore può avere trombosi? «Ovviamente no. È il tuo modo di essere, che qua e là non riesce ad aprirsi a certe energie del Corpo maggiore e a viverle. Ma voi potete capirlo soltanto in questa forma: immaginando questo vostro estendervi nel tempo, nel passato, sotto forma di storie, che chiamate: reincarnazioni. E queste storie sono nel mondo intermedio.» «E quando cominciate a ricordarne qualcuna — come dite voi —, allora compito vostro è quello di congiungerla a voi: di capire che cosa vi indica, riguardo al vostro modo di scoprire il Corpo maggiore. Voi invece pensate, per lo più, che i ricordi delle vostre reincarnazioni vi rivelino qualche aspetto misterioso del vostro piccolo io: che siano uno strumento in qualche modo psicologico.

«In ogni caso, stavolta non era una reincarnazione da congiungere: era già congiunta, diciamo. Era un luogo in cui sei fermo, dentro dite, qualcosa che ti è capitato in passato e ti capiterà ancora, in forme più o meno simili a queste.» Dentro di me nell’Aldiqua, o nell’Aldilà? «Dentro dite, sia nell’Aldiqua che nell’Aldilà. Tu sei tu comunque.» Mi sa che non li ho ancora capiti, i rapporti tra l’io, il Corpo maggiore e l’Aldilà... Cioè, a volte mi sembra di capirli e a volte no. «Mettiamola così: il Corpo maggiore è un involucro che vi contiene, e contiene anche tutto il vostro Aldilà. Ma l’Aldilà è enormemente più grande di qualsiasi Corpo maggiore.» È un altro indovinello? «Sì, ma è molto facile. La soluzione è che, per voi, una cosa può contenere soltanto ciò che è al suo interno, mentre qui da noi una cosa può contenere sia ciò che è al suo interno, sia ciò che è al suo esterno.» Deglutii. «E’ facile da capire, sai. E come la luce di una stella: immagina una stella che sia tutta luce, un globo gassoso che arde... o anche soltanto una candela. Indubbiamente, questa stella o questa candela contiene la propria luce, non è così? Ma il buio che ha intorno contiene quella luce, o quella luce lo contiene? Prova a pensarci. Poniti dal punto di vista della stella e pensaci.» E mentre ci pensavo proseguì: «Voi siete appunto all’ interno di quella luce, e quello è il vostro Corpo maggiore. E dove arriva il vostro sguardo, nel buio, ci sono ampi territori che imparerai a esplorare — specialmente se non corriamo più rischi in quelle foreste», aggiunse seccato, rivolgendosi all’Austero. «Ma ci metterà dei secoli se non impara a spaventarsi un po’», borbottò l’Austero. «E poi ci stavamo attenti, tutti quanti.» Rimasero in silenzio, per qualche istante. E a me venne da ridere. «Comunque nella foresta la ragazza eri tu», riprese il Dominante.

E allora perché mi voleva uccidere? «Era un punto in cui sei fermo. Voleva trasformarti, non ucciderti. La paura che hai sentito è un po’ quello che succede anche a noi, tutte le volte che cominciamo a parlare con voi. Ecco, stai cominciando davvero a sentire come sentiamo noi.» Cioè gli uomini con voi si comportano come quella ragazza? «Ci respingete. Non lo fate apposta e non ve ne accorgete, ma è proprio come se vi difendeste a quel modo, ogni volta che cominciate a sentire che ci siamo. E ne risultano una quantità di problemi, nei rapporti tra noi e voi.» «Anche l’attrazione che hai sentito per lei è simile a quella che c’è tra noi e voi», aggiunse l’Austero. «E ti spaventava, e questo complicava tutto.» E se non ci fosse quello spavento che cosa succederebbe, tra noie voi? «Non ci sarebbe nemmeno l’attrazione», rispose il Dominante. «Le tue percezioni sarebbero più chiare e ci intenderemmo molto meglio, perché non sentiresti più differenza tra te e noi. Ci si arriverà prima o poi.» E la foresta e la luna, cos’erano? «Quello era il tuo modo di sentire il punto in cui Aldilà e Aldiqua si trovano vicini. Il buio era l’Aldiqua, la luna era il chiarore riflesso dell’ Aldilà; e il cielo era l’Anima.» In questi viaggi i particolari dell’ambiente hanno tutti un significato preciso? «Dappertutto i particolari dell’ambiente hanno un significato preciso: solo che nel vostro Aldiqua vi proteggete da questi significati, mentre qui stai imparando a leggerli. E ti attrae e ti spaventa, hai visto come.» Ma perché gli uomini fanno così, con voi? «Hanno questo confine da superare. E il loro labirinto; quello che voi chiamate: l’Inferno.» L’inferno?

«Voi lo chiamate così e ci proiettate sopra molti prodotti della vostra immaginazione: le fiamme, i tormenti... e anche queste immagini sono innanzitutto difese, per non vedere cos’è. Le fiamme servono ad abbagliarvi e i tormenti a riflettere le vostre paure, come in uno specchio. Pensa: uno specchio che voi incendiate, per non avvicinarvi.» «Tu riesci a vedere cos’è davvero l’Inferno per voi?» mi domandò il Dominante, mentre provavo a immaginare uno specchio incendiato. Il senso di colpa? «Non esattamente. Il vostro Inferno è soprattutto la paura delle responsabilità. In tutte le vostre immagini dell’Inferno voi credete che i peccatori morti finiscano lì, a farsi punire in eterno per i loro peccati. L’ indovinello è: perché i peccatori devono essere morti, per venir puniti in eterno?» Perché? «Appunto perché avete paura delle responsabilità. I peccatori all’inferno sono persone costrette a rispondere di quel che hanno fatto o che non hanno fatto: che incubo per voi! Questo pensiero vi ripugna talmente, che collocate al di là della morte (cioè lontanissimo da voi, fuori dal mondo!) il momento in cui la gente dovrà assumersi le responsabilità di ciò che ha fatto e di ciò che non ha fatto. «Ed è proprio un’ illusione: in realtà, non assumersi la responsabilità è il vero tormento ed è morte interiore, per voi. Quello è l’Inferno vero; mentre l’Inferno che immaginate nell’Aldilà è soltanto un tranquillante.» «Già», aggiunse l’Austero, «il più potente tranquillante mai escogitato: ha placato popoli interi.» «Ricordati bene», mi disse il Dominante, «non assumersi responsabilità è sapere che nell’Aldilà c’è l’Inferno. Assumersi le proprie responsabilità è andare oltre, e lasciarsi il vostro inferno alle spalle.» Ma responsabilità in che senso?

«Nell’unico senso possibile», rispose il Dominante, mentre io sentivo quella mia domanda come un arretrare — come se una parte di me stesse continuando a correre tra i cespugli. «La responsabilità è accorgersi di qualcosa. Ma voi avete paura di accorgervi. Noi vi facciamo accorgere, e perciò quando ci percepite ci trattate a quel modo. È come se diceste: ‘via! tornatevene da dove siete venuti, spiriti infernali’.» La ragazza nella foresta era uno spirito infernale, per me? «No. La ragazza eri tu, prima che trovassi il coraggio di ascoltarci. E adesso sono le tue resistenze a capire quello che ti insegniamo. Ma te l’ho detto, pian piano impari.» «Ciò che voi chiamate Inferno è mostrato bene nella Bibbia», continuò il Dominante. «Là dove parla del confine tra Aldilà e Aldiqua e dice che il Dio Yahwéh scacciò l’uomo dall’Eden e mise un angelo ….con la spada fiammeggiante che gira su se stessa, a custodire la via verso la crescita delle due vite.* «Quello è il vostro Inferno. La spada che gira su se stessa, vedi? E uno specchio: è negli specchi che le immagini girano su se stesse; e nello specchio ci siete voi, che brandite quella spada per farvi paura, come quella ragazza nella foresta. La spada taglia e brucia: e le sue fiamme sono il cerchio di fuoco con cui circondate la vostra conoscenza, per non superarla. Per non accorgervene, appunto. «E giustamente vi siete immaginati che a metter lì quella barriera sia stato il Dio supremo, cioè il tutore dell’ordine nel vostro Aldiqua.» E l’angelo? «L’angelo è l’immagine di ciò che diventate voi, quando avete superato quella barriera. Vedrai.» Mi fidai di quel «vedrai», per il momento. Quindi se quello è uno specchio, in un certo senso siamo tutti all’Inferno? *

Genesi 3, 24. Nelle traduzioni consuete della Bibbia questo passo suona un po’ diversamente («la fiamma della spada folgorante, per custodire la via all’albero della vita»); ma io lo riferisco com’è nel testo ebraico antico.

«Sì, finché accettate di restarci», disse il Dominante. «Di sicuro, nel vostro Inferno ci mettete molte cose: i vostri segreti più preziosi, le Sacre Scritture, e via dicendo. È lì che le tenete.» La Bibbia, i Vangeli eccetera? «Le Scritture che vi fanno accorgere di qualcosa che temete.» Nel senso che non riusciamo a leggerle perché ne abbiamo paura? «Nel senso che le circondate di quel particolare fuoco dell’Inferno, che ha la ben nota peculiarità di bruciare senza consumare. E un fuoco che serve solo a tenervene lontani, ma che non riesce a consumarle. Voi lo chiamate anche: tabù. Le fiamme intorno al limite della conoscenza, è esattamente così.»* «Anche per questo raccontate che Gesù dopo la resurrezione discese all’Inferno», disse l’Austero. «Perché qualcuno tra voi aveva capito subito dove sarebbe andato a finire il Vangelo, nella vostra religione.» «D’altronde non era possibile altrimenti, anche per un altro motivo», disse il Dominante: «perché non ci potete arrivare diversamente. Quelle fiamme, e i tabù in genere, servono a tenervi a distanza dalle cose importanti fino a che non siete cresciuti abbastanza. Ci vuole forza, per arrivarci. Così, da un lato le vostre religioni tengono all’Inferno le loro Scritture, e le imprigionano lì senza spiegarle e senza capirle, solo perché ne hanno paura; e d’altro lato, lo fanno perché gli uomini imparino ad accumulare abbastanza energia per capirle da soli. «E perciò le vostre religioni mandano i peccatori all’Inferno», continuò il Dominante. «I peccatori sono quelli che vi insegnano a superare i tabù. Non lo dice anche il Vangelo? Gli ultimi saranno i primi, i peccatori andranno davanti ai giusti: ‘Le prostitute e gli sfruttatori andranno davanti a voi nel Regno dei Cieli...’† * Dice così Gesù, non è vero? Voi invece li mandate all’Inferno, ma il senso è lo stesso, come vedi. I peccatori vanno davanti ai giusti perché insegnano loro che cosa bisogna fare.» *

«Già, ed è così da un bel pezzo», aggiunse il Dominante, mentre rileggevo questa pagina. «Quando Orfeo andò nell’Hades e ne tornò fuori, cominciò a rivelare i segreti dell’Aldilà: e Giove lo incenerì con un fulmine. Era già una chiara premonizione dell’Inferno cristiano, delle fiamme intorno alla conoscenza.» †

Vangelo di Matteo 21, 31

Cioè? «I peccatori lo fanno a modo loro: violano tabù facili, tabù su cose cattive, dannose, odiose eccetera. Ma così facendo insegnano ai giusti a violare i tabù più difficili: i tabù sulle cose buone, i tabù sulla conoscenza. Solo che i giusti non lo capiscono, e perciò i peccatori li precedono sempre. «Guarda Hitler, per esempio. Quanti tabù spaventosi e incredibili ha violato, e ha spinto tanta gente a violarli. Voi lo condannate e basta, e così tutto il male che Hitler ha fatto non è servito a niente.» E cosa bisognerebbe fare? Non condannano? «Se un uomo così meschino è riuscito a violare tanti tabù sul male, e a convincere tanta gente a violarli, gli uomini grandi e buoni dovrebbero violare i tabù sul bene: i vostri tabù sulla conoscenza del corpo e dell’universo, degli Dei e dei mondi superiori, dei vostri enormi poteri di fare ciò che voi chiamate bene. «E’ sempre stato così, nel lontano passato. A ogni orrore commesso dagli uni corrispondeva prima o poi una qualche conquista spirituale di altri. C’è questo bilancio, nell’umanità; e voi siete rimasti indietro nei pagamenti. Dovreste proprio fare qualcosa per rimediare, invece di limitarvi a condannare e di prendervela comoda intanto — per la vostra solita paura della responsabilità. Per l’Inferno.» Altrimenti che succede? «Altrimenti finirà per annullarsi ogni coscienza. Si annullerà ogni coscienza e per millenni non saprete più nulla: solo ciò che sapete già, del vostro piccolo io.» XII Arianna e il labirinto. Il filo e il serpente. Come salvare le anime dannate «Non è che sia difficile, sai, violare i tabù», continuò il Dominante. «E quando ci riuscite c’è molto da guadagnarci: molta forza e molta salute in più, a meno che non moriate nel tentativo.»

Ah, davvero? «Sì, dico sul serio. Ne supereremo, di tabù, se ci ascolti, e vedrai che effetto fa quando rimangono indietro. Solo, sta’ attento: l’unico problema è che quando si comincia a superare un tabù tutto diventa doppio. Il tuo io, la paura, il mondo intero... Si ha paura, e al tempo stesso si sente l’impulso ad andare avanti: sai, come quando hai fortuna. Ti attrae come una calamita. Proprio come quella figura nella foresta. «Così è anche nella vita: diventa talmente intensa, la vita, mentre superi un tabù, e al tempo stesso non t’importa più, e vivere e morire è lo stesso. Perciò alcuni muoiono nel tentativo, o poco dopo. Devi fare attenzione.» Ma voi mi aiutate, no? «Sicuro, ma tu devi fare attenzione.» E perché succede così, quando si viola un tabù? «È come uscire da una malattia. Non tutto ciò che chiamate malattia vi fa star male o vi mette in pericolo. Anzi, molte delle vostre malattie servono precisamente a mettervi al riparo da malattie peggiori, o dalle vostre stesse forze, che se foste sani in quel dato periodo della vita vi spingerebbero verso cose troppo grandi, a cui non siete pronti. Così attraverso molte vostre malattie difendete voi stessi. «Lo stesso vale per i tabù. I tabù vi servono per difendere ciò che avete fatto e che potete fare di voi stessi, in un dato periodo. Per difenderlo da ciò che non avete ancora la forza di fare. Capisci? «E così come voi uscite da tante malattie morendo, o ne uscite per morire poco dopo, allo stesso modo quando uscite da un tabù rischiate di perdere tutto: tutto ciò che avete fatto e che potete fare in quel periodo. Il che spesso porta alla morte — e non alla morte di Biancaneve, ma proprio all’infarto, all’ictus e così via.» E allora perché si vuole... Perché bisogna violarli? Gesù, per esempio, insegna a violarli continuamente.

«Per due ragioni, sostanzialmente. Primo, perché un tabù è un limite, e superare un limite aumenta sempre il vostro potere, se riuscite a reggerlo. E secondo, perché crescendo dovete per forza superare dei limiti, e la vostra crescita è più forte di voi: non potete fermarla a lungo. Prima o poi crescete, capite, vedete. Pensa: finché sei al di qua di un tabù è come se recitassi una parte senza sapere qua! è la storia in cui reciti e come andrà a finire. Se lo superi invece impari a vedere tutto quanto il copione... «E terzo, perché ogni limite è tutti i limiti», disse l’Austero. Ma non capii cosa intendeva. «E tutto diventa doppio, quando li superate», continuò il Dominante, «e appunto perciò nelle vostre storie si trova sempre qualche figura ibrida, su quei confini: la Sfinge, col corpo di leone e la testa di donna, il Minotauro, metà uomo metà toro.» Quelle figure ibride sono proiezioni della nostra paura, dei rischi del superare un tabù? «No, sono la vostra paura. Conosci la storia di Teseo e del Minotauro? È molto utile, a questo riguardo.» Teseo e Arianna Me la ricordavo, ma per scrupolo controllai sul mio manuale di mitologia, mentre la ricostruivamo. Teseo era un principe, forte e bello. Aveva due padri: uno divino, il Dio del Mare, e uno umano che si chiamava Egeo ed era re di Atene. In un’ altra città, a Cnosso, sull’ isola di Creta, c’era un altro re, Minosse: e Minosse aveva un figliastro mostruoso e feroce, il Minotauro, cannibale, che sua moglie aveva generato accoppiandosi con un toro. «Vedi? È tutto doppio. Due padri e due figli, e i figli hanno due padri ciascuno», disse l’Austero. «Si vede subito che parla del confine.» I confini e i tabù sono la stessa cosa? «Certo. Va’ avanti.» Anche Gesù aveva due padri. «Tutti avete due padri, quando siete sul confine.»

Re Minosse fece guerra a re Egeo e lo sconfisse, e gli impose di mandare periodicamente sette giovinetti e sette giovinette a Creta, perché venissero sacrificati al Minotauro. Li facevano entrare in un labirinto, dove il Minotauro viveva nascosto da tutti, e li il Minotauro li divorava. Come i peccatori nell’Inferno, dissi. Teseo non sopportò quell’orribile imposizione. E siccome oltre che principe era anche un eroe, chiese di venir mandato a Cnosso insieme agli altri giovani. «Come Gesù, che si fa crocifiggere tra i due ladroni», Osservò l’Austero. Partirono su una nave dalle vele nere: «Se ucciderò il Minotauro», disse Teseo a suo padre Egeo, «la nave con cui tornerò avrà le vele bianche. Se la nave al ritorno avrà le vele nere, vorrà dire che il Minotauro avrà ucciso me.» Arrivarono a Creta e Teseo fu il primo a entrare nel labirinto. Ma prima di entrarci aveva incontrato Arianna, lì a Creta. Arianna era la figlia del re Minosse: e si innamorò dell’eroe Teseo e gli insegnò il modo di uscire dal labirinto. Gli diede un gomitolo: Teseo doveva legare un capo del filo all’ingresso, così avrebbe potuto ritrovare la via per uscire. Qui è come la storia di Pollicino, dissi ai miei maestri. «E’ tale e quale.» Nel labirinto Teseo trovò il Minotauro, lottò con lui e lo uccise. Poi ritrovò l’uscita grazie al gomitolo è partì da Creta, con tutti i giovinetti ateniesi e con Arianna. Ma poco dopo abbandonò Arianna su una certa isola, e proseguì. Ed era talmente turbato al pensiero di Arianna abbandonata, che si dimenticò di sostituire le vele nere con le bianche. Così non appena il re Egeo vide entrare in porto la nave con le vele nere, si gettò in mare da una rupe, per il gran dolore, e prima che la nave toccasse terra era già morto. «Ottima storia», disse l’Austero, come se l’avesse assaporata. Non ho mai capito perché Teseo abbandoni Arianna, che l’aveva aiutato.

«Non poteva fare altrimenti», disse il Dominante. «E anche qui per due ragioni. Una è che Arianna era il suo Spirito-guida, e doveva restare nell’Aldilà: ogni volta che andate nell’Aldilà incontrate le vostre Arianne innamorate, e imparate da loro. Ma il loro posto è là, e nell’Aldiqua non si vedono più.» Io chi ho incontrato? «Noi, per esempio.» «E il tuo prendere nota è il gomitolo», disse l’Austero. «La seconda ragione è che Arianna, lì, è guida di un’impresa di coraggio», continuò il Dominante. «E quando l’impresa è terminata, Arianna deve scomparire: e Teseo non la vedrà più, non solo nell’Aldiqua ma neanche nell’Aldilà.» Perché? «Perché ogni impresa di coraggio vi fa crescere d’un tanto, nel vostro Corpo maggiore. Il nostro compito è farvi crescere di quel tanto che possiamo, secondo le nostre capacità. Quando ci riusciamo, vi lasciamo andare incontro ad altri maestri, che sanno e possono più di noi. «Così, Arianna vede arrivare Teseo: e si accorge che lui ha una vocazione alla scoperta del Corpo maggiore — dato che è li per i suoi compagni e non per se stesso, mentre i compagni sono soltanto vittime. Da quel momento è già tutto deciso: Arianna non può non innamorarsene, non può non aiutarlo, anche se sa da subito che poi lo dovrà abbandonare, perché ogni Corpo maggiore è più grande di qualsiasi Spirito-guida. Lo sa da subito...» E il fatto che Arianna tradisca il Minotauro, che significato ha? Era pur sempre suo fratello. O è come nella storia di san Giorgio e il drago, in cui san Giorgio libera una principessa prigioniera? «Mh, piano, piano», sorrise il Dominante, «questa è tutta un’altra questione. Prendi fiato. «Tutte le volte che in un mito si parla di due fratelli, si intende un’unione molto profonda», cominciò a spiegare il Dominante, con una pausa a ogni frase, come per darmi il tempo di capire passo passo. «Arianna e il Minotauro sono due, agli occhi di Teseo, ma in realtà sono una persona sola. Te l’ho detto: tutto diventa duplice, su quei confini.»

Sono due aspetti di un unico essere? «Per voi, sì. E uno lo uccidete, e l’altro viene con voi e poi lo perdete di vista. E come nella storia di Prometeo: Chirone rimane morto sul palo, e Prometeo va libero, sempre innamorato di voi, mentre l’umanità prosegue il suo cammino. E anche questo un indovinello, naturalmente.» E la risposta è ancora: l’uomo? «Sì. Ciò che vedete nell’ Aldilà è immancabilmente un vostro specchio: anche i volti degli Spiriti-guida. E Arianna, da brava amante, aiuta Teseo a vedere meglio in se stesso — ad affrontare le sue paure, a vincerle e a lasciarsele alle spalle. Capisci?» Il Minotauro è il diavolo? È la nostra paura...? «Sì.» E anche l’amore di Arianna rispecchia qualcosa di noi? «Sì e no. Un po’ è veramente nostro; non siamo perfetti, ci innamoriamo anche noi. Ci dispiace quando dobbiamo andarcene. «Un altro indovinello è quel filo», si affrettò a proseguire il Dominante, mentre io avrei voluto domandargli qualcos’altro al riguardo. «Risolvilo: cos’è il filo che vi permette di uscire dal labirinto?» L’uomo, di nuovo? «Una vostra facoltà: è il linguaggio. La vostra capacità di chiamare per nome le cose, via via che le vedete e le capite Ricordi com’è nella Bibbia? Nell’Eden il Dio Yahwéh conduce dall’uomo tutti gli animali, ‘per vedere come li avrebbe chiamati’.* La capacità di dare i nomi è un vostro dono, che il vostro Dio Yahwéh non ha. E Arianna insegna a Teseo a mantenere questa capacità aderente alle cose, e così lo guida. Quello è il filo. E ciò che fa anche il serpente nell’Eden...» Anche il serpente è il linguaggio? *

Genesi 2, 19.

«Il linguaggio aderente alle cose può portarvi molto più in là di dove siete, vi apre la strada: vi fa accorgere del labirinto in cui vi trovate e di come se ne esce. Finché siete nell’Aldiqua è il vostro strumento più prezioso, per orientarvi. E ha questa particolarità preziosissima: quanto più è aderente alle cose, tanto più vi apre la via verso il vostro Corpo maggiore, facendovi uscire dal labirinto, per quel che potete.» Quindi il labirinto è... «È il linguaggio quando non lo usate bene, quando lo usate per non accorgervi e per non capire ciò che vedete. È lo specchio con le fiamme, i vostri tabù, il vostro Inferno, che vi fa arretrare continuamente. Ed è con il vostro arretrare che si forma il labirinto. È il camminare senza sapere dove si è.» «In altre storie lo vedete come una foresta», aggiunse l’Austero. E i giovanetti ateniesi, che Teseo libera? «Quello è un segno molto preciso del Corpo maggiore. Tutte le volte che qualcuno fa qualcosa per gli altri, è perché comincia a sentire il suo Corpo maggiore. E inevitabile: finché vi date da fare per voi stessi siete soltanto il vostro piccolo io. Quando sentite il Corpo maggiore, fate qualcosa per gli altri. Perciò Prometeo si dava tanto da fare per voi: per mostrarvi com’è la vostra via d’evoluzione da ciò che siete di solito a ciò che siete davvero.» «Nel Corpo maggiore sei sempre tanti», aggiunse l’Austero. «Non puoi più pensare a te stesso come a uno solo. Ricordi cosa avevamo detto dei fratelli di Pollicino?» «E il Minotauro può essere un pericolo molto serio, lì», continuò il Dominante. «Certi non lo sconfiggono: arrivano sul confine, nel labirinto, ma non ne escono più, o perché non riescono a superare la dimensione del loro io piccolo, o perché semplicemente smarriscono quel filo e si perdono nel labirinto. Nel primo caso, finiscono in quelli che chiamate culti satanici. Nel secondo caso, si producono quelli che chiamate i casi di possessione diabolica.» Cioè, la possessione diabolica è una perdita del linguaggio? «Sì. La cosa più triste è che non dipende quasi mai da chi ne è vittima: dipende dall’ambiente, dai familiari. I posseduti sono per lo più persone nate in ambienti in cui nessuno dice niente di vero e nessuno sa ascoltare gli altri. L’ambiente finisce per soffocare e

distruggere anche in loro il linguaggio: potrebbero essere dei Tesei, e invece diventano pazzi. I vostri esorcisti si ostinano a curarli, ma serve a poco. Da curare è innanzitutto il loro ambiente, non loro; ma è una cura enormemente difficile, e gli esorcisti ne hanno paura, come tutti i sacerdoti legati dal giuramento ai loro padri e re.» Già, e perché re Egeo muore? «Perché per Teseo dopo un’impresa simile le cose non potevano più essere le stesse di prima», rispose il Dominante. «Egeo è il mondo com’era prima che Teseo partisse: è il re che obbediva a quel tributo orribile e mandava all’Inferno i ragazzi, sconfitto dalla paura. Quando Teseo libera i ragazzi e torna, anche re Egeo deve scomparire. E inevitabile che Teseo si dimentichi dell’accordo preso con Egeo, perché gli accordi con il vecchio re non contano più, dopo un’impresa simile. «Così succede tutte le volte che cominciate a liberare peccatori dall’Inferno. Così è sempre, nelle storie dei confini e dei tabù che superate. Sono quel tipo di mutamenti di cui tutti i sovrani e tutti gli Dei supremi hanno tanta paura.» Cioè, se uno libera i peccatori dall’Inferno cambiano i sovrani del cielo? «Sì. Vuoi sapere come si fa a liberare i peccatori dall’Inferno cristiano?» È una cosa possibile? «Certo. E non vorrai lasciarli lì, adesso che sai che potresti tirarli fuori.» Dobbiamo viaggiare fin là? «Tanto viaggiamo sempre fin là.» XIII I sette peccati capitali, e l’ottavo. Un’altra notte, quaranta secoli fa. L’Inferno delle moltitudini. Le imprese di coraggio Perché bisogna far finta di raccogliere qualcosa per incominciare un viaggio? domandai qualche notte dopo, mentre ci preparavamo a partire.

«Non è far finta, è un atto di coraggio», disse il Dominante. «Vuoi dire far attenzione a una piccola cosa, come se ti fermassi a raccoglierla, tranquillamente. E così che prendono forma le dimensioni maggiori: in spazi immensi, davanti a cosmi interi che ruotano e cambiano, tu vedi una cosa piccola che ti incuriosisce. In qualunque mondo le cose piccole si vedono quando si è in armonia con quelle grandi, e viceversa. E allora puoi viaggiare dovunque.» Cioè, è un modo per «assestare la vista», come dicevate voi? «Assestare la vista è un modo per intrappolare la tua razionalità. Per viaggiare bisogna che tutte le facoltà della mente guardino per qualche istante nella stessa direzione: e la razionalità si oppone sempre, perché è piccola e prepotente. Vuol capire tutto e riesce a capire soltanto le cose piccole; così quando si accorge che là tutto è più grande di lei, si impunta e non vuoi vedere niente. Allora noi le diamo qualcosa di piccolo da guardare, e lei senza accorgersi obbedisce, per il tempo necessario a partire.» E ci casca sempre? «Sempre. E molto ottusa, e non solo in te: in tutti è così. Poi, una volta salpati, lei continua a guardare i dettagli e corre avanti e tutt’intorno, mentre noi conversiamo, e si diverte moltissimo.» «Tu comunque cerca di essere più elegante nell’andatura, durante i viaggi», osservò l’Austero. In che senso? «Stai più diritto, cerca di sentire la tua statura. Altrimenti hai un’aria stupida, scusami se te lo dico. Lì, a volte, hai la tendenza a stare ingobbito, come se avessi paura che qualcuno ti picchi.» Che c’entra questo con la razionalità? «Niente. Ci tengo che tu faccia bella figura, tutto qui.» Perché? C’è qualcuno che ci guarda, lì?

«No, nessuno guarda te, non ti vedono ancora», rispose l’Austero. «Sei tu che devi cominciare a veder bene loro, e se stai diritto li vedi meglio. E un tuo compito, sta’ dritto: lì, adesso, è come se li percepissi soprattutto col petto. Altrimenti potrà succederti di non veder niente del tutto.» E per un istante, mentre parlava, vidi davvero e soltanto il buio e me ne spaventai. Mi sentii come se guidando, di notte, fosse d’un tratto scomparsa qualsiasi luce: le luci della strada, i fari della macchina, le luci del cruscotto. Solo il buio completo, mentre la macchina va. Mi riscuoto da quella sensazione, come da un brutto sogno. «Visto?» mi dice l’Austero. Partiamo. Inspiro, come prima di tuffarmi. Mi chino a raccogliere qualcosa che non so, per un attimo tutto gira da destra a sinistra: e vedo erba rada e polvere, di nuovo in una luce di luna. Cerco di stare diritto, di «sentire la mia statura». Intorno c’è un prato, e ci sono muri che salgono dall’erba, pallidi e nitidi nella notte, in questa luce. Tra i muri si vedono i margini lontani di un bosco nero, e attraverso le finestre vuote di questi muri si vede il cielo. Sono rovine o muri in costruzione? «Tutt’e due le cose, direi», mormora il Dominante, accanto a me. Pensando a come possano essere tutt’e due le cose comincio a camminare, tra questi muri. Li guardo, con il mento in su. Ci sono finestre e archi vuoti, i muri sono spessi un braccio, alcuni formano angoli e brevi corridoi, altri sorgono isolati; e non c’è traccia di tetto. Sembrerebbe un gioco di Costruzioni di bambini giganteschi. È un labirinto? «No. Potrebbe essere un tempio.» Anche i miei maestri stanno camminando e guardano. La bambina mi dice qualcosa, io non capisco e lei ride. Provo a prenderla per mano, ma scappa, e la vecchia con le finte ali di libellula mi sorride, e la segue. «Vieni qua», le dice, «non correre.»

Nelle finestre vuote e sull’erba la luce della luna è talmente bella da sembrare viva: un essere vivente, assorto, fatto soltanto di luce. E magari se gli si parla risponde. Sarebbero gelosi i miei maestri, se attaccassi discorso con questa luce di luna? «Ti piace questo posto?» mi domanda l’Austero. Moltissimo, non so come ma mette allegria. Ci sono già stato, qui? L’Austero si stringe nelle spalle e continua a osservare questa strana architettura. Tiene le mani dietro la schiena, come un turista appagato da un luogo. «Dicevamo, l’altra volta: i peccatori all’Inferno.» Il Dominante si siede sul davanzale di una specie di finestra — il davanzale gli arriva alle anche — e mi fa segno di sedermi accanto a lui. «Tu che ne pensi: sono nati prima i peccatori o i peccati?» È un indovinello? I peccati? «Secondo i cristiani, i peccati per cui si viene mandati all’Inferno sono i sette peccati capitali, generatori di tutti gli altri peccati. Cioè superbia, avarizia, invidia, accidia, ira, lussuria e gola. Questi sono i sette giovinetti e le sette giovinette da dare al Minotauro. Sette aspetti capitali di ognuno di voi.» Sono sette perché hanno a che fare con i sette Cieli? «Certamente. Ogni peccato corrisponde a un Cielo: la superbia è per il Settimo Cielo e l’avarizia è per il Primo. La lussuria è per il Sesto Cielo e l’invidia è per il Secondo. La gola è per il Quinto e l’accidia è per il Terzo. E l’ira è per il Quarto. Ciascuno di questi peccati vi trattiene dall’entrare in uno dei sette Cieli, e vi fa credere che chi ci è entrato sia condannato all’Inferno.» Cioè, se uno entra nel Settimo Cielo gli altri pensano che sia per superbia, se uno entra nel Sesto Cielo sembra che sia per lussuria, e così via? «Così pensate voi. In realtà è il contrario. Se non entrate nel Settimo Cielo è perché siete bloccati dalla superbia. Se non entrate nel Sesto Cielo è perché siete bloccati dalla lussuria, e così via.

«Naturalmente ci sono molti altri tipi di peccato, ma questi sette sono utilissimi per verificare gli ostacoli che trovate nell’Aldiqua. Sono la cosa più preziosa che il cristianesimo abbia scoperto dopo la resurrezione di Gesù; ma avete cominciato a fraintenderli quasi subito. «I cristiani pensano che la gola sia un problema dei golosi, l’invidia un problema degli invidiosi e così via, e che questi sette peccati siano evidenti errori che la gente compie nel mondo. Invece indicano comportamenti e convinzioni che tutti ritengono ovvi e ragionevoli, e che nessuno chiamerebbe peccati, nel vostro mondo. «Sono i modi in cui lasciate che ciò che siete dipenda da ciò che è fuori di voi, invece di dipendere da voi stessi. E sono i modi che avete di restare all’Inferno, non di andarci.» No, non capisco. La bambina mi passa davanti di corsa, ridendo. «I sette peccati diventano altrettanti ‘apriti Sesamo’ quando si impara a usarli», continua il Dominante. «Ora te li spiego, uno per uno. Vuoi? «Scrivi: «Avarizia non è soltanto l’essere avari. È quando pensate che ciò che siete dipenda da ciò che avete. Quando pensate: io non conto niente, ma se ho qualcosa valgo qualcosa. Appena cominciate a pensare di contare qualcosa anche per altre ragioni, vi si apre il Primo Cielo, in cui sentite il vostro io. «Invidia non è soltanto l’invidiare, ma è tutte le volte che pensate: se non guardo gli altri non so cosa dire e cosa fare. Quando invece vi sentite tutt’uno con altri, con un insieme di gente, vi si apre il Secondo Cielo. «Accidia è tutte le volte che pensate: se non dimostro ciò che valgo, posso immaginarmi di valere di più. Quando invece vi accorgete che in voi c’è qualcosa di più grande di ogni vostro valore, entrate nel Terzo Cielo. «Ira è quando pensate: se non posso dire che qualcuno ha torto non so cosa dire degli altri. Quando non vi importa più niente degli altri perché siete perdutamente innamorati di qualcuno, siete nel Quarto Cielo, che è quello dei grandi amori.

«Gola è quando pensate: il mio spirito non combinerà mai niente se non si preoccupa di nutrire il mio corpo attraverso qualcuna delle mie bocche. Quando scoprite che dentro di voi ci sono immense forze che nutrono e muovono il mondo intero, siete nel Quinto Cielo.» «Le vostre religioni sono principalmente invidia e ira: Secondo e Quarto Cielo», dice l’Austero, che sta camminando tranquillamente in cima a un muro, almeno a sette o otto metri da terra, sempre con le mani dietro la schiena. «Lussuria è quando pensate... » continuò il Dominante, e non riuscii a sentire il seguito della frase. «È il tuo peccato, perciò non ci riesci ancora», spiegò tranquillamente il Dominante. «E superbia è quando pensate: se non sono diverso dagli altri non sono niente. Mentre nel Settimo Cielo tutto è diverso da ciò che sapete. «Questi sono i peccati per i quali restate nel vostro Inferno, nella paura dell’accorgersi. Sono indubbiamente i vostri più grandi tabù e perciò sono così preziosi: perché vi mostrano ciò che vi limita.» «Anche questi sono indovinelli, naturalmente. Puoi liberarti di qualcosa soltanto quando sai cos’è, e quando sai cos’è vuol dire che ne sei già fuori: è la solita storia, ogni volta che trovi la risposta a un indovinello la Sfinge ti lascia passare e scompare. Così, quando uno capisce cos’è avarizia in lui, non può più essere avaro; non può più, così come non potete più far entrare il piede nelle scarpe che portavate da bambini.»* Quindi basta capire questi sette peccati per uscire dall’Inferno? «È senz’altro una buona premessa», dice il Dominante. «Poi c’è l’ottavo peccato capitale, che vi rimane da affrontare quando avete capito cosa sono gli altri sette. Ed è la colpa, che assomma gli altri sette e di cui tu sai già diverse cose. È l’immagine e la chiave degli altri sette...» Sotto un arco, a venti passi da noi, sta passando un uomo vestito di chiaro. *

«Questo naturalmente si riferisce ai vostri organi superiori», mi fece notare l’Austero mentre ultimavo il libro. «E un altro modo che avete di imparare a scoprirli. E quando cominciate a impararlo, la vita che conducevate prima vi fa lo stesso effetto di quando andavate in giro con le vostre scarpine da bambini.»

Quello chi è? «Sei tu com’eri allora», dice il Dominante, guardandolo a sua volta. All’epoca di questi muri? Quanti secoli fa? «Quaranta, almeno.» Quaranta secoli era un lasso di tempo troppo grande perché io riuscissi a pensarne qualcosa lì per lì. Annotai soltanto «quaranta» sul quaderno, mentre guardavamo quell’uomo che si stava avvicinando. Noi per lui siamo invisibili? «Sembra di sì.» E non può neanche sentirci? «Se tu capisci bene quel che diciamo, lo sente anche lui.» «Per noi il vostro tempo non esiste», dice l’Austero, dal muro. «La colpa, dicevamo», continua il Dominante, tornando a guardare me. «Ti avevamo già detto che le colpe che scontate sono quelle degli altri. I giovinetti che venivano sacrificati al Minotauro non avevano nessuna colpa, scontavano soltanto la colpa di re Egeo, che si era rassegnato alla sconfitta e all’imposizione. Così avviene sempre e comunque, rovinandovi immancabilmente la vita. E in questo senso i peccati sono nati sicuramente prima dei peccatori.» L’uomo di quattromila anni si è fermato a misurare la larghezza di una finestra, a braccia. «Crescere», continua il Dominante, «è liberarvi da quegli otto peccati, che sono gli aspetti del vostro dipendere dagli altri, dalle moltitudini. È come se quei peccati vi impigliassero nelle moltitudini di chi non è ancora cresciuto e, con l’ottavo peccato, anche nelle moltitudini immense di chi è vissuto prima di voi; così dipendete da tutta questa gente. Via via che crescete vi staccate da loro, quanto più scoprite il vostro Corpo maggiore. «È un fatto notevole, non trovi? Una caratteristica del Corpo maggiore è fare cose per gli altri: così, quanto più vi preoccupate di voi, nel vostro piccolo io, e cercate di difendervi dal prossimo, tanto più siete

impigliati in una moltitudine di altri, in quegli impasti di anime innumerevoli che nel vostro Inferno sono raffigurate dalle fiamme... I laghi di fiamme, con i peccatori che ne emergono appena. E allora la vostra sorte dipende dagli altri e non da voi.» Prendo nota, ma intanto sto guardando l’uomo di quattromila anni fa che viene pian piano verso di noi, fermandosi ogni tanto a osservare i muri, come calcolando qualcosa. «Invece», continua il Dominante, «quanto più cominciate a fare qualcosa per gli altri, tanto più sentite il vostro vero io e vi accorgete che da voi può dipende la sorte di molti e molti.» «Chi è? Perché è qui a quest’ora di notte?» non riesco a non pensare all’uomo, che si sta avvicinando. E incontro il suo sguardo. «Bene così», mi sussurra l’Austero, d’un tratto molto vicino. Mi ha visto... Ha due anelli alla mano destra. Ed è la mia mano, li sto tastando col pollice. Quell’uomo sono io. Il Dominante, l’Austero e gli altri non si vedono più e il mio corpo è gracile, la mia testa è più leggera del solito. Sto camminando, sento l’aria fresca della notte sul viso, l’odore dell’erba umida e nel cuore un senso di soddisfazione, di orgoglio che sembra venirmi da tutto ciò che ho intorno. Com’è leggera la testa, davvero! «Quaranta secoli fa non vi si era ancora chiusa la fontanella nel cranio, perciò senti la testa leggera», mi spiega il Dominante, in qualche punto della mia testa. Mi spaventa quello che sto provando, perché sembra così semplice eppure so che è assurdo: sono l’uomo vestito di chiaro e sono io che ascolto i maestri — sono tutt’e due le cose nello stesso istante, ma l’uomo vestito di chiaro non vede e non sente i maestri, mentre io sì. «Ascolta intanto», dice il Dominante, «continua a scrivere. Per salvare i peccatori dall’Inferno e liberarli delle colpe che hanno lasciato in voi (dato che di questo si tratta), devi avere una forte immagine dite. Quanto più l’immagine dite è completa e forte, ben visibile fuori da quelle fiamme, tanto più le colpe degli altri diventano leggere e si ritirano, scompaiono. E vedi anche gli altri molto meglio.

«Ti ricordi com’è la storia dell’uomo nato cieco, nel Vangelo? I discepoli vedono un uomo cieco dalla nascita, e si domandano perché debbano capitare cose simili alla gente: ‘È nato così perché i suoi genitori hanno peccato?’ domandano a Gesù. E Gesù risponde che è nato cieco perché bisogna che si impari a guarirlo.» «E infatti è questa l’unica ragione per cui certi nascono malati», osservò l’Austero. «Gesù lo guarisce», continuò il Dominante, «e l’uomo nato cieco comincia pian piano a vedere.* E cosa vede?» Gli altri, le cose... «Tutto quello che aveva avuto intorno e di cui era sempre vissuto. Anche in queste cose si procede a ritroso, è inevitabile. Anche la vostra immagine si precisa e si fortifica a ritroso, andando sempre più indietro, nel tempo dei tempi.» C’entra con le storie che si interpretano e crescono a ritroso? «Certo. Tra le storie che narrate e le storie che siete e che vivete non c’è differenza. Anche quando riuscite a compiere qualche impresa di coraggio crescete, anche a ritroso, e vedete sempre meglio ciò che siete.» In che senso dici: imprese di coraggio? «E un termine tecnico, imparerai a usarlo. Ci vuole coraggio per vivere e compiere storie. E quel coraggio è ciò che libera tante e tante persone che vi tengono impigliati e vi divorano come fiamme. Gli Otto peccati, invece, sono roccaforti di paura.» E «crescere a ritroso» è anche fare qualcosa per gli altri nel passato? «Nel passato, nel presente, nel futuro. Il tempo non è come lo pensate voi.»

*

Qui il Dominante si riferisce a due diversi passi dei Vangeli: nel Vangelo di Giovanni 9, 1 e sgg. è narrata la guarigione di un uomo nato cieco; nel Vangelo di Marco 8, 22 e sgg. è narrata la guarigione di un cieco che comincia a vedere, appunto, «pian piano»: «Gesù gli impose le mani e gli domandò: ‘Vedi qualcosa?’ Quello, alzando gli occhi, disse: ‘Vedo gli uomini, perché vedo come degli alberi che camminano’. Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi, ed egli cominciò a vederci chiaramente e fu guarito, e vedeva ogni cosa anche a distanza».

Capivo e non capivo. Era ancora troppo poco perché la mia mente riuscisse a orientarsi in quelle spiegazioni, eppure avevo la sensazione che soltanto una parte di me — una piccola parte di me — non capisse ciò che il resto di me sapeva già. Intanto, là nella luce della luna, continuavo a essere due. Stavo camminando, vestito di chiaro, in una notte di quaranta secoli fa, senza udire altro che il silenzio della notte, e al tempo stesso stavo ascoltando il Dominante, e vedevo l’Austero accanto a me, e la bambina e i due vecchi che si erano avvicinati e mi osservavano, incuriositi. Quelle imprese di coraggio, le potrei compiere anch’io? domandò al Dominante una parte di me, mentre l’uomo di quaranta secoli fa calcolava qualcosa tra l’angolo di un muro e la luna. «Come no», rispose il Dominante. «Cercale, caro. Quali preferisci? Guarire le malattie? Da domani facciamo lezione su come guarirle, se vuoi. Solo, ricorda: se incominciando un’ impresa ne parli a qualcuno, gli farai fare la fine di Egeo. Quelli a cui ne parli, o vengono con te o rimangono indietro e non li ritrovi più, non apparterranno più al tuo mondo, quando avrai compiuto la tua impresa. Ed è molto difficile che troviate persone disposte a seguirvi in un’impresa di coraggio. «Perciò impara a non dirlo, all’inizio: hai noi con cui parlarne. E a ogni impresa l’immagine che hai dite diventerà più netta, e avrai liberato tanti. Così è per ognuno.» «Comincia qui la promessa che cercavi», disse l’Austero. «Già. Il diavolo arriva alla fine e lì comincia la promessa», disse il Dominante. «Dovrà anche stare attento. C’è molto peggio dei Diavoli, negli universi», aggiunse il vecchio dalle finte ali di libellula. Che cosa? domandò una parte di me. Il Dominante fece un cenno vago, con una mano, e non rispose. Intanto l’uomo di quaranta secoli fa si stava massaggiando il petto, vicino al cuore. Che cosa c’è di peggio? insistetti.

Essere due cominciò a diventare una grande fatica, come se le forze stessero fluendo via e fossero le ultime, brevi, che era impossibile trattenere. Cercai di stare diritto, come mi aveva raccomandato l’Austero, e invece di vedere meglio mi accorsi che dormivo davanti alla mia scrivania, con il capo appoggiato alla spalliera della poltrona, che è alta e morbida. Quasi due ore dopo riaprii gli occhi, spensi la luce e andai subito a letto, sfinito. PARTE QUARTA L’esplorazione dell’Aldilà XIV Il modo migliore di insegnare. Utilità dei momenti di dubbio. Come cambiare il passato Per diversi giorni non scesi a parlare con i maestri, e quando ci tornai ero di cattivo umore. «Che c’è?» Niente, è che adesso non so più abbastanza e ho paura che vada tutto a rotoli. «Le conferenze e così via?» Qualche settimana prima avevo accettato l’invito di un Istituto di Psicologia a tenere un ciclo di conferenze sugli Spiriti- guida, e poi un corso — il mio primo «seminario pratico» per comunicare con l’Aldilà. Ma dopo l’incontro con l’uomo di quaranta secoli fa mi era sembrato davvero di saperne pochissimo e mi stavo perdendo d’animo. «E perché?» domandò il Dominante. Non so. Tante cose... Non so cos’è stato quello sdoppiamento. Come ha fatto lui a vedermi, se era vissuto quattromila anni fa. Come ha fatto a vedermi se le reincarnazioni sono quello che mi avete spiegato voi l’altra volta? O era tutto quanto mondo intermedio? «È buffo quando non vi tornano i conti», disse il Dominante.

Per voi è buffo. Perché non mi avevate avvertito prima che ci sono troppe cose che non so? Non avrei preso l’impegno delle conferenze. «Questo è il contrario di un problema», disse il Dominante. «Rendersi conto di non sapere abbastanza è un vantaggio, quando si insegna. Io intendevo dire quando non vi tornano i conti col tempo, con i quaranta secoli.» Perché è un vantaggio non sapere abbastanza, quando si insegna? «Perché è il modo migliore di insegnare: l’unico modo sensato. Se uno pensa di sapere abbastanza per insegnare agli altri, vuoi dire che non sa fare niente di interessante con quello che sa. Chi insegna così è uno che ha terrore di far brutta figura e vuole nasconderlo a se stesso, e darsi importanza. Insegnare è utile soltanto quando imparano tutti: sia chi insegna sia chi lo ascolta. Allora è una bella cosa. Da solo non ci arrivi, e perciò spieghi agli altri a che cosa precisamente non arrivi, e ci arrivate insieme.» Cioè, arrivo alla conferenza e dico: ‘non ho capito questa cosa, aiutatemi voi’? «No, cominci a spiegare quello che sai, e il resto prende forma in te e in loro. È il Corpo maggiore che interviene. Come dice Gesù? ‘Dove ci sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro.’* Tutte le volte che Gesù dice io, sta parlando del Corpo maggiore.» Si può imparare a dire «io» parlando del Corpo maggiore? «È ciò che intendete quando dite sul serio io. Ma voi non parlate quasi mai sul serio, e io è il più ironico dei vostri pronomi personali.» «E lo sapete tutti benissimo», ironizzò l’Austero. «Quanto all’insegnare imparando, anche per noi è lo stesso quando insegniamo a te. Noi non abbiamo e non capiamo la forma, le parole, e tu non sai quello che sappiamo noi. Tu ci dai le parole, e così noi impariamo una quantità di aspetti a cui non potremmo arrivare da soli, e intanto rispondiamo alle tue domande.

*

Vangelo di Matteo 18, 20.

«Fa’ così anche tu: promettilo a te stesso e mettici un po’ di rischio e di fiducia. Per te sarà ancora più facile, perché tutti hanno i loro maestri e i maestri della gente che ti ascolta vi aiuteranno.» «Quanto al tempo, se i conti non ti tornano è per lo stesso motivo», continuò il Dominante. Anche il vostro rapporto col tempo dipende soprattutto dalla vostra energia e dalla vostra fiducia. Con quell’uomo di quattromila anni fa, per esempio, i tuoi quattromila anni c’entravano poco quando lo hai visto. Se avessi avuto un po’ più di fiducia avresti potuto anche rivolgergli la parola e raccontargli perché eri lì e un sacco di cose.» Cioè avrei potuto, non so, disegnargli una bicicletta, e lui avrebbe visto come funziona una bicicletta? «Certo. E magari ti avrebbe aiutato a capire meglio la meccanica della bicicletta, col suo punto di vista.» E lui e i suoi contemporanei avrebbero costruito biciclette? «Probabilmente sì; erano gente industriosa. Ma voi non l’avreste saputo, perché i vostri libri di storia dell’India non parlano di biciclette.» Ma l’invenzione della bicicletta quattromila anni fa cambierebbe tutta la storia del mondo. Cambierebbe tutta la nostra tecnologia, no? «Non è detto. Il più delle volte le indicazioni ottenute attraverso questi varchi nel tempo appaiono completamente insensate ai contemporanei di chi le ottiene. Leonardo da Vinci, per esempio, o Nostradamus hanno descritto cose del genere, che per secoli nessuno ha capito.» «Ma hanno provato una grande gioia», disse l’Austero. «Poche cose danno più gioia di queste.» E quando invece i contemporanei non respingono indicazioni del genere? «Allora si producono notevoli cambiamenti, certo. Se quaranta secoli fa quell’uomo ti avesse ascoltato e avesse insegnato a costruire biciclette, in capo a qualche mese nella tua epoca ci sarebbe un improvviso fiorire di invenzioni e rivoluzioni tecnologiche. Ma

naturalmente nessuno saprebbe spiegarsi il perché, anzi: nessuno riuscirebbe nemmeno a domandarsi perché. Lo sapresti solo tu, e non crederesti a quello che sai.» State parlando sul serio? «Dipende da te. Se impari stiamo parlando sul serio, se non impari stiamo solo scherzando.» Come faccio a sapere che è vero, questo che dite? domandai, con un improvviso senso di tristezza, al pensiero che per una qualche ragione avessi smesso di ascoltare e stessi inventando io stesso le risposte. Quella possibilità di cambiare avvenimenti passati sembrava provenire troppo direttamente da varia letteratura di fantascienza, H.G. Wells e innumerevoli fumetti. E il senso di tristezza era dovuto al dubbio che, se avevo inventato io quelle ultime risposte dei maestri, anche altre risposte precedenti fossero soltanto frutto d’invenzione. «Sapere che è vero?» sorrise il Dominante. «Caro, non puoi. Quando la mamma affidò il piccolo Mosè al fiume, non sapeva che poco più in là sarebbe arrivata la principessa a fare il bagno, e che Mosè sarebbe diventato principe d’Egitto. È sempre così, c’è sempre un fiume di quel genere, quando parli con noi.» «C’è sempre un fiume così, quando avete a che fare con la trama segreta della vostra vita», aggiunse l’Austero. «E magari sto inventandomi anche queste risposte», non potei fare a meno di pensare. «In realtà, questi dubbi sono quanto di più scoraggiante possa capitare durante le conversazioni con gli Spiriti-guida. L’esperienza insegna molto presto a non farci caso, a non fidarsi mai delle proprie impressioni e dei propri dubbi durante le conversazioni e a continuare comunque a prendere nota, rimandando ogni giudizio a quando si rileggeranno gli appunti il giorno seguente. Nove volte su dieci, infatti, quelle impressioni sono soltanto un velo con cui la nostra coscienza nasconde a se stessa cose importanti, alle quali non si sente ancora pronta. Io sapevo che era così, lo avevo già imparato, ma ogni tanto ci si ricasca. «Ogni volta che ti succede», mi disse il Dominante, «approfittane per progettare piani per il futuro. Sono quelli i momenti migliori per farne: ciò che tu senti come dubbio è simile a un tornante in montagna. È precisamente la stessa sensazione, non ci hai mai fatto caso?»

No. «Facci caso. Ed è veramente un tornante della tua strada interiore, da lì il paesaggio si allarga: vedi di più, nel tuo animo, nella tua fantasia e nei tuoi sentimenti. Perciò è un buon momento per fare progetti, invece di rallentare e basta, come fai tu.» «Sarà», pensai. E dovetti farmi forza per continuare a domandare e a prendere nota, con quei dubbi che mi pesavano ancora sul cuore. Allora spiegate. Si possono cambiare gli avvenimenti passati: è un indovinello? «Certo, è la risposta è sempre la stessa: l’uomo, tu stesso. Ascolta e prendi nota per bene. «Voi per adesso state soltanto subendo l’effetto del passato», il Dominante scandì nettamente le ultime quattro parole — tanto che alzai involontariamente le sopracciglia: «e lo subite sia sotto forma di colpe commesse da chi è vissuto prima di voi, sia sotto forma di storia passata — immobilizzata dal fatto di essere avvenuta tanto tempo fa, secondo il vostro modo d’intendere il tempo. «Ed è un po’ come quando morivate di qualche malattia che non sapevate ancora curare: pensavate che fosse destino, volere di Dio, o magari opera del diavolo. Con la storia passata succede la stessa cosa: voi pensate «È passato!», e siete convinti che non possiate farci nulla, che il passato sia più grande di voi. Invece è più grande soltanto di ciò che sapete di voi — del vostro io piccolo. Anche qui c’è un diavolo che vi impedisce di scoprire qualcosa più in là.» Cioè un confine, un tabù? «Certo. Avete un tabù sul tempo, un limite che vi sembra insuperabile. E non ti avevamo detto che ogni limite è tutti i limiti?» Sì. «Così anche il limite tra il vostro io piccolo e il vostro Corpo maggiore è tutti i limiti. Voi vi sentite minuscoli e insignificanti al cospetto del tempo: dei milioni di anni del vostro pianeta...» Certo.

«E avete sicuramente ragione a sentirvi così: è una sensazione importante e utilissima, perché è esattamente ciò che prova il piccolo io di ciascuno di voi al cospetto del suo Corpo maggiore. Quei milioni di anni sono il normale tempo presente del vostro Corpo maggiore. «In quel suo tempo presente gli avvenimenti fluiscono continuamente, e prendono forma, mutano forma, proprio come i vostri progetti nel tempo presente dell’io piccolo. L’unica vera differenza è che l’io piccolo può fare progetti: solo l’io piccolo ha la volontà e la forma, e può plasmare l’una e l’altra, e gli avvenimenti — perché soltanto l’io piccolo ha rapporto con la materia, con il mondo terreno. Capisci? La parte restante, il Corpo maggiore, aspetta ordini e obbedisce agli ordini. Così stanno le cose. Voi per lo più gli ordinate di non muovere nulla in ciò che chiamate storia passata, e il Corpo maggiore tranquillamente vi obbedisce.» Non è possibile. «Non è possibile soltanto perché il tabù è il tuo grande bisogno di sapere che tutto nella tua immagine dell’universo sia ancora com’era stamattina. Invece tra un quarto d’ora sarà completamente diverso. Ti spiace questo?» Non risposi. Sentivo che il cuore cominciava a pulsare in un modo diverso. «Ora», continuò a dettare il Dominante, «secondo la vostra immagine dell’universo il tempo è fatto di passato, presente e futuro. È un’idea molto irrazionale, in realtà le direzioni del tempo sono infinite, come sono infinite le linee che partono dal centro di una sfera... Ma poniamo pure che sia così, dato che il vostro piccolo io non riesce ancora a immaginarlo diversamente. Diciamo che il passato, il presente e il futuro sono i tre modi che avete di guardare le dirèzioni del tempo. «Come sono, cosa sono, in realtà? Il passato è ciò che per voi esiste già. Il futuro è la vostra voglia di conoscere. E il presente è dove riuscite ad arrivare con il vostro sguardo. E tutt’e tre insieme sono come una mano che plasma la creta. La mano è il presente, la creta è il passato, e il futuro sono le forme che voi plasmate. Hai scritto?» Sì. Provai a immaginare una mano che plasma la creta. E in che senso il presente dà forma al futuro?

«Lo vede, lo capisce e lo fa esistere.» La creta è il passato. Cioè: il nostro futuro sarebbe tutto nel nostro passato? «Sì. E ciò che capite e plasmate nel vostro passato. Se non capiste niente del passato, il vostro futuro non prenderebbe forma: e il tempo sarebbe soltanto il trascorrere sempre uguale delle ore, dei giorni, delle stagioni, e delle vostre energie che deperiscono nell’inerzia. Quando invece comincia a prendere forma il futuro, è perché avete scoperto e plasmato qualcosa nel passato. «Voi sapete bene che è così. «Lo vedete nei nevrotici: nel passato del nevrotico ci sono cose che bloccano il suo futuro, e lui deve tornare nel passato a capirle e a plasmarle. Non dite così, voi? «Così è anche in tutte le vostre teorie sulla reincarnazione: anche lì lo vedete. Nella vita incontrate continuamente i ‘nodi karmici’ da sciogliere, le conseguenze delle reincarnazioni precedenti, da risolvere e superare. Sono nel lontano passato, e le incontrate nel vostro presente, e da quei nodi dipende il vostro futuro. C’è chi pensa così, tanti lo pensano. Ma non ne traete nessuna conclusione. «In realtà, così è ogni volta che fate davvero qualcosa. Ogni volta che fate qualcosa, state cambiando e riplasmando cose e destini nell’arco di centinaia e migliaia di anni fa.» Questo c’entra anche col far uscire i peccatori dall’Inferno? «Il principio è questo, sì. Ma ha una quantità di altre applicazioni.» «Ora, congiungi quel che ti ho appena spiegato. «Il vostro piccolo io (che ha la forma e la volontà, e può progettare) è un organo del vostro Corpo maggiore, ed è fatto della sua stessa sostanza, è tutt’uno con il Corpo maggiore. Così anche il vostro tempo presente è solo un aspetto del tempo presente del Corpo maggiore, che è quei milioni di anni che voi immaginate quando pensate alla storia del mondo.» «‘Milioni di anni’! Che parole insensate», disse l’Austero. E come si dovrebbe dire, invece? gli domandai.

«Adesso. Di’ semplicemente: adesso. E tutto lì.» «Nel Corpo maggiore è tutto lì, adesso», spiegò il Dominante. «La vostra storia del mondo, la vostra storia dell’umanità sono anch’esse storie, tali e quali ai miti: descrizioni della vostra anatomia. Tutte le civiltà che conoscete, tutti i popoli del passato sono adesso, nel vostro Corpo maggiore, e voi potete cambiare le loro vicende proprio così come tu puoi cambiare la dimensione di un tuo muscolo, facendo ginnastica, o le condizioni di un tuo organo, facendolo ammalare o guarendolo se è ammalato.» «E come cambiare una tua abitudine», disse l’Austero. E il Dominante subito riprese: «Ovviamente, dopo che hai cambiato qualcosa nel passato i vostri libri di storia continueranno a dire quel che dicevano prima, ma che farci? Quando qualche scienziato scoprì che

la

terra gira intorno al sole, per un bel pezzo i dotti continuarono a insegnare che il sole gira intorno alla terra, anche se i loro calcoli non tornavano.» Ma a questo modo non rimane più niente del tempo come lo conosciamo noi, provai a protestare. Se è come dite, viviamo tutti nell’irrealtà. Chiunque mi deriderebbe se provassi a sostenere una cosa del genere. «Ti preoccupa davvero che ti deridano?» Non è questo il punto, ma non... «Te l’ho detto: voi siete abituati a subire il passato, a immaginarvi il passato come la pressione di forze innumerevoli che non potete cambiare. Ma è solo perché pensare così vi esime dalle vostre responsabilità e dai vostri poteri. Vi piace immaginarvi come Biancaneve, teneri e indifesi, chiusi nella bara di cristallo. Invece avete la forma, la volontà, potete plasmare: ed è una cosa che potete fare soltanto voi, soltanto voi in tutti gli universi.» Per esempio: mille anni fa un paese viene invaso da un popolo nemico. io posso cambiare questo avvenimento? «Sì. Se capisci cosa sono in te quel paese, quel popolo nemico, e quell’invasione. L’importante è capirlo.

«Se riesci a capirlo succedono due cose: primo, vedi un senso del tutto nuovo di quel fatto; e secondo, vedere quel senso ti conduce alla profondità giusta per poterlo cambiare, nel tuo Corpo maggiore. E lì, se ti sembra ancora giusto cambiario, lo cambi esattamente come cambieresti il tono di un tuo muscolo, lo stato di un tuo organo, o una tua abitudine. Poi, naturalmente, toccherà a quel popolo e ai suoi contemporanei vedersela con ciò che avrai cambiato.» Scusate tanto, ma non ci posso credere. «Non è questione di crederci o meno», disse il Dominante. «Semplicemente ti succederà prima o poi e vedrai di persona com’è, e come cambieranno le cose nel tempo tuo. Quanto al capirlo, ti mancano ancora un paio di elementi importanti: ma ci arriveremo presto.» XV La materia, gli specchi e la realtà. Potere e dovere. Gli animali maestri. Gli angeli e il diavolo dietro agli specchi. Bellerofonte Restai in silenzio, mentre i miei pensieri correvano. «Dipende tutto dalla vostra percezione», riprese il Dominante. «A te sembra tanto impossibile quel che ti ho detto, perché vedi le cose dal punto di vista della materia, di tutto ciò che c’è di solido intorno a te. Come tutti, anche tu vuoi che la materia, la tua casa, sia solida e non crolli. Non hai capito bene quella prima storia d’amore, ricordi? Non ci hai nemmeno pensato più. «Ma pensaci e dimmi (è un indovinello molto facile): è l’uomo a costruirsi la casa, o è la casa a costruire l’uomo?» E l’uomo a costruirla. «Bravo. E anche quella prima, antichissima storia d’amore era soltanto una storia, un vostro mito anatomico. Anche la materia è un vostro organo.» E quale?

«La creatività. E un organo vero e proprio. Nel vostro io piccolo è l’organo che narra, dipinge, plasma e così via: narra con le parole, dipinge con i colori, plasma con la creta. Nel Corpo maggiore invece usa la realtà, e con quella costruisce la vostra casa. Voi ci mettete la forma e la volontà, senza le quali quell’organo non farebbe nulla. «Così, tutt’intorno a voi avete l’immenso museo, la galleria d’arte delle vostre opere, che è il mondo in cui vivete. A te e a tutti importa che sia ben tutelato, e solido: e non lo sarebbe più tanto, se pensaste che quelle opere si possono rifare in un altro modo. Così dite: Quod scripsi, scripsi.* Quel che c’è, c’è: se così è stato fatto ed è avvenuto in passato, così deve essere. Stabilite che questa è la legge del museo, e così percepite ciò che c’è lì: e non potete far nulla. Ma è soltanto un vostro modo di percepirlo.» E cambiare il passato sarebbe come ritoccare i quadri? «Sì, se pensi di farli più belli e impari a farlo. Oppure puoi cambiarli di posto. Come vuoi. Occorre solo modificare le leggi del museo, e chi può impedirtelo? Le tue leggi attuali stabiliscono che quei quadri resteranno così per sempre: ma cosa rimane per sempre? ‘Per sempre’ è l’eternità, e l’eternità è soltanto adesso. L’unico elemento che può impedirti di fare qualcosa nell’eternità è soltanto il tuo cuore, il tuo coraggio. O il Dio supremo, che è la stessa cosa, anatomicamente parlando. «Aiutalo, educalo, fallo crescere, e vedrai. È soltanto lì l’ostacolo. La materia di per sé è fatta apposta perché qualche energia la modelli, e così è da sempre e dappertutto. E il vostro io piccolo è fatto apposta per comunicare con il Corpo maggiore e mettere all’opera le facoltà del Corpo maggiore, e viceversa. L’unico ostacolo è nel cuore.» Sarà. «Sarà, sarà. Certo che sarà. Hai solo paura che sia vero, e tieni la tua paura davanti a te come uno schermo, per non vedere più in là. Rischia di diventare una cosa piuttosto noiosa, se va avanti così. Se vuoi un consiglio, il modo migliore è che tu divenga talmente più ampio di quello schermo da vederlo piccolo come un fazzolettino per terra, che puoi chinarti a raccogliere quando vuoi.» *

Vangelo di Giovanni 19, 22: «I sommi sacerdoti dissero allora a Pilato: ‘Non scrivere [sulla croce di Gesù] “il re dei Giudei”, ma che lui ha detto di essere il re dei Giudei’. Pilato rispose: ‘Quel che ho scritto, ho scritto’»

Come quando partiamo per un viaggio? «Puoi chinarti a raccoglierlo anche nel tuo mondo, nel museo. E quando ti rialzi e lo rimetti in tasca, ti accorgi che il museo è proprio la bara di cristallo di Biancaneve. Quella bara di cristallo, hai capito bene cos’ è, nella fiaba?» Era il nostro modo di conoscere. «Il modo di conoscere in cui vi aveva rinchiuso il Dio della terra, cioè il vostro cuore e il vostro coraggio così come sono sulla terra. E vuoi dire che tutto ciò che potete conoscere e pensare del mondo-museo intorno a voi è soltanto un’immagine di voi, riflessa da tante pareti di specchio. «Per esempio, voi credete che il vostro tempo lineare sia tutt’intorno a voi, nell’universo intero; invece è proprio il contrario: quel tempo lineare è soltanto in voi, e la bara di cristallo lo riflette. Così è per ogni cosa. In quella bara di cristallo, tutto è un riflesso di voi: ma voi pensate che sia la realtà, e quella è tutta la realtà, per voi, e sono tutti i vostri limiti. Nell’Aldiqua non avete nient’ altro. «Scrivi, scrivi. E ciò che vi dice anche l’astrologia: anche quando guardate la volta celeste, voi vedete sempre e soltanto voi stessi, la vostra sorte passata e futura. Solo che gli astrologi pensano che le stelle influiscano davvero su di voi, dall’esterno; invece sono soltanto riflessi di voi, sulle pareti a specchio della vostra bara. Lì siete Biancaneve. «Così anche il passato è l’immagine riflessa di ciò che siete, e il futuro è il modo in cui lo vedete e lo capite via via.» «E se fosse vero, questo che mi sta dicendo?» pensai. «E ciò che vi sembra lontano, nel tempo come nello spazio», continuava il Dominante, «non è affatto lontano da voi: è sempre e soltanto una vostra immagine riflessa, distante da voi come tutto il resto, ma riflessa per un qualche gioco di specchi negli angoli della bara. Quando metti due specchi uno davanti all’altro e un oggetto nel mezzo, l’immagine riflessa di quell’oggetto non sembra allontanarsi enormemente, da una parte e dall’altra? Invece basta che tendi la mano, e l’oggetto è lì davanti a te. E puoi cambiarlo e plasmarlo come vuoi. Così è per ogni cosa che conoscete.»

Quindi conoscere, per noi, è sempre una specie di prigione? «Dipende. Per il vostro piccolo io, conoscere è sempre conoscere se stessi in un piccolo recinto di specchi. Ma vedi, voi siete lì dentro, e lì c’è tutto il vostro mondo, ed lì che agite. E se agite su voi stessi, agite su tutto. Il che ha i suoi vantaggi.» Se uno agisce sul suo cuore e sul suo coraggio, agisce sul suo Dio? «Certo. E su tutto il resto.» Come si fa a crederci? «Che abbiate così tanto potere? Non è una cosa da credere: è da capire. All’inizio ti dà le vertigini, ma ci si può abituare pian piano. «Cominci a pensare: ‘cosa voglio? Quale impresa di coraggio mi piace di più?’ Trovare la cura per una malattia, impedire una guerra, scoprire nuovi continenti? Prima ci pensi. Poi lo decidi. E poi lo fai succedere, agendo su te stesso ed eliminando i sotterfugi.» Quali sotterfugi? «Tutti. Gli inganni, le vie traverse, le cose che non volete vedere in voi stessi, le parole che intralciano il vostro potere. Perché funzioni, bisogna lasciarlo agire e basta: limpido com’è.» Come: le parole? Non avevate detto che il linguaggio è uno strumento prezioso? «Oh sì, può servirvi come il filo di Arianna, se rimane aderente alle cose reali. Ma le cose reali sono fuori dalla vostra bara di cristallo: invece le parole come le usate voi di solito sono dentro, e servono soltanto a illudervi che tutto sia come sembra.» «Il buffo è che vi immaginate di essere i più evoluti di tutti gli animali, proprio perché avete quelle parole! Gli animali fanno il possibile per spiegarvi delicatamente che non è così, ma voi non riuscite nemmeno ad accorgervene. Altro che i più evoluti.» È un indovinello?

«Non necessariamente. E solo che gli animali sono molto più evoluti di voi. Anche la Bibbia vi dice che l’uomo è stato creato per ultimo, no? E che dunque gli animali creati prima di lui ne sanno molto più di lui. «Quanto a questo, gli animali si dividono in due categorie principali: ‘selvatici’ e ‘domestici’, come dite voi. I ‘selvatici’ sono sicuri che non vi evolverete mai più di tanto, e che perciò sia inutile perdere tempo con voi. I ‘domestici’ invece confidano che nonostante tutto qualche speranza ci sia, e vi stanno accanto per insegnarvi. «È una scelta eroica, dato che farvi da maestri è sempre un’occupazione ad altissimo rischio — anche per gli animali. E i vostri animali domestici non soltanto vengono il più delle volte sterminati, ma muoiono sconsolati, vedendo che la loro opera continua a non produrre nessun frutto, neanche dopo millenni di dedizione. Eppure persistono. Gli animali domestici sono un po’ i santi perenni della natura.» Cioè, i nostri animali sarebbero nostri maestri perché ci insegnano a non usare le parole? «Anche. Gli animali hanno un linguaggio di gran lunga superiore al vostro: non fanno differenza tra comunicare e essere. Con il vostro modo di usare le parole, invece, voi siete pressoché condannati a tenere distanti queste due cose: dite quasi sempre ciò che non siete e ciò che non è — e ovviamente non capite e non sapete quasi mai quello che state dicendo. Hai mai notato quante cose esistono per voi soltanto perché ci sono parole che le indicano? E quanti guai provocano queste cose? Lo Stato, per esempio. O i giuramenti.» Ma anche gli animali hanno il loro territorio, e i loro capi e... «Piano, piano. Non ho detto che gli animali siano perfetti. Ho solo detto che sperano di insegnarvi una quantità di cose che voi non capite. Non per nulla fu un serpente, all’inizio, a spiegarvi come si raggiunge la conoscenza: ‘non fidatevi dei divieti astratti, delle frasi campate per aria’, vi disse, ‘tenete il vostro linguaggio aderente alle cose, e uscirete dai vostri recinti e

labirinti di specchi’* Invece la stragrande maggioranza di voi ha pensato che strisciasse soltanto perché era un serpente.» «Così si è scoraggiato e ha preferito diventare selvatico», osservò l’Austero. Sul serio? «Certo. Avevate talmente paura che vi insegnasse qualcos’altro, che ha lasciato perdere.» E fuori dai recinti e dai labirinti cosa c’è? Quelle pareti di cristallo esistono davvero da qualche parte o sono solo un modo di dire? «Sono al confine del vostro Aldiqua, di tutti gli universi che riuscite a immaginare», rispose il Dominante. «E fuori c’è il vostro Corpo maggiore. Da lì vedete bene gli specchi, e il vostro piccolo io, e il suo piccolo mondo.» E fuori si parla come gli animali? «Come gli animali o come gli angeli. Gli angeli non possono mentire, come sai:† non possono usare sotterfugi. Anche nella forma in cui li immaginate voi, riescono a mostrarvi che il mondo reale è molto più grande di quello che voi chiamate per nome.» Cioè? «Come li immaginate voi, anche gli angeli sono soltanto vostri specchi: ma rispecchiano molto più di ciò che sapete. Voi li immaginate come giovanotti alati, ed ecco: le membra umane dell’angelo corrispondo a ciò che sapete di voi stessi, al mondo del vostro piccolo io; le ali corrispondono a ciò che in voi è troppo grande perché l’uomo-Biancaneve possa saperlo. «Di là dalle pareti di cristallo vi accorgete che tra le vostre membra umane e la vostra parte alata non c’è distanza: le une continuano del tutto naturalmente nell’altra. E che anche quel che fate nel vostro mondo ha le ali di quella vostra parte più grande e sconosciuta: e continua, là — e viceversa: perché quando agite davvero nel vostro mondo, è il vostro Corpo maggiore che agisce.»

*

Così risulta infatti dal testo ebraico antico della Genesi, 3, 15 (v. La creazione dell’universo, cit., pp. 50-52.)



Secondo gli angelologi, tre cose non possono fare gli angeli: disobbedire, riprodursi e mentire

«Tutto continua», mi rammentò l’Austero. Così anche gli angeli sono un ‘immagine del nostro Corpo maggiore? «Certo. Sono i vostri principi azzurri, e i vostri miti: sono proprio la stessa cosa. E i vari tipi di angeli a voi noti precisano ulteriormente l’immagine del vostro Corpo maggiore. Quando immaginate che esistano angeli della Provvidenza, angeli salvatori, angeli distruttori, angeli dei fiori e delle acque e via dicendo, e che per tutto ciò che esiste ci siano appositi angeli custodi, state soltanto descrivendo le vostre ali: come sono disposti e connessi i vostri poteri nell’universo.» Cioè, i nostri poteri hanno a che fare anche con la crescita dei fiori e con le acque? «Vedi? Con la tua mente non riesci ancora a capirlo. Comunque sì, i poteri del vostro Corpo maggiore sono intrecciati con tutto ciò che esiste nell’universo, e lo fanno esistere. Così come sono intrecciati i poteri della vostra mente e i poteri del vostro corpo — fino ai piccoli poteri del sangue nei vostri Capillari... Ma voi non arrivate ancora a capire neanche questo, vero? Siete molto bravi a difendervi da questo genere di cose, lì sotto il cristallo. Avete sempre il diavolo, sui confini.» Se c’è il diavolo lì, come possono esserci anche gli angeli? Se dici che da lì cominciano le nostre ali... «Il diavolo è sempre e soltanto la vostra paura: prende forma là dove vi fermate, dove non volete vedere più voi stessi. «Per esempio, noi ti diciamo: ‘I vostri poteri sono immensi come le ali degli angeli’. Tu pensi: ‘Questo significa che con i miei poteri potrei fare anche un immenso male! E che i mali esistenti sono probabilmente prodotti dai miei poteri!’ E non osi più credere a quello che ti diciamo, per paura della responsabilità. Ed ecco, questo è appunto il diavolo, per te. «Mentre in realtà tra le ali degli angeli e quelle del diavolo non c’è differenza: è sempre la stessa parte di voi che non vedete. Quando vi sentite buoni e cari, quella vostra parte sconosciuta sono le ali degli angeli. Quando vi sentite cupi, malvagi, oppure eroici e pronti a vincere i mostri e i Minotauri, allora sono le ali del diavolo, che vi trascinano, vi tentano o vi sfidano. Ma siete sempre voi.»

Dunque tutto dipende da noi, negli universi? «Sì, da ognuno di voi. Quando imparate a usare le ali ve ne accorgete senza ombra di dubbio. Mentre se non imparate a usarle continuate soltanto a giocare con le parole.» Vedi che non ha senso quello che dici. Ci sono una quantità di cose che non dipendono affatto da ognuno di noi, ma da cause esterne, o da alcune persone soltanto... Le guerre, per esempio. Se io so che in qualche parte del mondo c’è una guerra, quella guerra non dipende da me, ma da altri. «No. Nel vostro universo le guerre sono scontri che avvengono prima di tutto in voi, tra ciò che sapete di essere e parti di voi che non siete capaci di essere: qualsiasi nemico, non importa di chi, è soltanto l’immagine di una parte dite che non vuoi conoscere e ammettere; e un nemico, non importa di chi, esiste soltanto perché non volete conoscere e ammettere una determinata parte di voi stessi. «Così, da un lato, finché la vostra scoperta di voi stessi non sarà terminata ci saranno sempre guerre, e sarà uno dei tanti prezzi che pagherete per restarvene nella vostra bara di cristallo. E d’altro lato, ogni guerra nel vostro universo è una guerra di conquista interiore: e torna a ripetersi fino a che non conquistate in voi stessi quella vostra parte sconosciuta, che l’ha provocata.» Ma in «voi» chi? Vuoi dire in tutta l’umanità, nella maggioranza dell’umanità, o cosa?.. «No, ‘voi’ è tu, lui, lei, chiunque. Ognuno di voi è l’Uomo. Se uno di voi conquista, cioè conosce e ammette davvero in se stesso quella parte prima ignota, quella parte non produce più guerre, in nessun luogo del vostro universo. Ognuno di voi è l’Uomo.» Ma è una responsabilità immensa! «Credi che gli animali, gli angeli e tutti gli Dei si occupino di voi solo perché non sanno come passare il tempo? «C’è una vostra storia, che gira elegantemente intorno a questa questione: panoramicamente intorno», disse più allegro il Dominante, per rallegrare me, vedendo che ero turbato. Bellerofonte. Ti ricordi com’è?»

Bellerofonte e Pegaso La ricordavo bene, era sempre stata la mia storia prediletta, fin da bambino. «E la storia di ciò che la gente vivrà», disse il Dominante, mentre incominciavo a ricostruirla. Bellerofonte era un eroe e aveva un cavallo alato, di nome Pegaso, che in realtà gli era fratello: erano nati tutti e due dal Dio del Mare, così narra il mito. E insieme compirono imprese coraggiose. Scamparono alle insidie della regina Antea, sconfissero la Chimera, le Amazzoni, il popolo dei Solimi, e il popolo dei Lici... Come si fa a sconfiggere un popolo da soli? «Salta questa parte, dove parla delle Amazzoni e degli altri suoi eroismi. Sono episodi molto al di là dei vostri specchi. Racconta il finale, quello è importante adesso.» In che senso sono molto al di là dei nostri specchi? «Là ci sono molte altre forze, che schermano e dirigono ampi torrenti di energie. Queste energie potrebbero giungere a voi, se non venissero deviate, e alcune potrebbero annientarvi. Ciò che scherma e devia da voi quelle forze è principalmente il fatto che non ne sapete niente; perciò va’ pure avanti.» Non avevate detto che se uno ignora una parte, quella parte produce nemici e conflitti? «Sì, e infatti quelle forze possono esservi ostili, ma per scoprire le vostre parti che ve le rendono ostili è ancora presto, non sei abbastanza robusto. Dunque, Bellerofonte e Pegaso erano fratelli e compirono molte imprese. Poi?» Erano fratelli nel senso che si volevano molto bene? «L’opposto. Si volevano così bene perché in realtà erano fratelli. Capisci?» Cioè erano profondamente uniti? «Sì. Bellerofonte stava imparando a capire che cosa sono gli angeli, ed era una cosa notevole, dato che gli angeli non c’erano ancora nei miti greci.

«Cominciava a capire che quel suo angelo, Pegaso, era una sua immagine riflessa; ma non osava capirlo del tutto, e perciò raccontava a se stesso che Pegaso gli era fratéllo, e che era un cavallo alato. E credeva in questo suo strano racconto. Era il suo modo di imparare e di non imparare: di non aprire gli occhi.» «Un po’ come fai tu, che non domandi chi sono i nostri due vecchi con le ali, che ci accompagnano nei viaggi», osservò l’Austero. Mi ripromisi di domandano. Dunque, Bellerofonte e Pegaso — così narra il mito — si volevano molto bene e compirono imprese strabilianti; dopodiché Bellerofonte divenne un re potente e celebre, e cominciò ad annoiarsi, perché tutto gli sembrava troppo possibile, troppo facile. Allora immaginò un’impresa inaudita e assolutamente impossibile: salire fin nell’Olimpo, per vedere se gli Dei esistono veramente. Così salì, insieme a Pegaso. Salì sempre più in alto, in groppa a Pegaso, e a un tratto scivolò, non riuscì a tenersi aggrappato al cavallo e cadde sulla terra. Non morì, ma rimase zoppo per sempre; e diventò un eremita. Pegaso invece salì al cielo e visse per sempre nell’ Olimpo. «Capisci?» mi domandò il Dominante. Bellerofonte voleva arrivare fin lassù per vedere se anche gli Dei sono uno specchio? «Questa è la storia ordinaria; ma capisci come cresce sul serio, a ritroso? «Guardala. L’inizio vero della storia è quando Bellerofonte è diventato re: ed è quando cominciate a vedere l’immagine di voi stessi, negli specchi. Allora capite come siete arrivati a vederla, capite com’è il vostro Pegaso, il potere delle vostre ali e le possibilità d’azione che avete nel mondo che conoscete. Vi accorgete di tutte le imprese che avete compiuto per arrivare a questo... » E possiamo accorgercene solo dopo che le abbiamo compiute? «Prima di compierle e mentre le compite siete ancora una piccola parte di voi. Quando vi accorgete davvero delle vostre imprese, è perché siete già diventati re.»

Diventare re in questa storia è un ‘immagine del Corpo maggiore? «Diventare re, nelle storie e nella realtà, è accorgersi che il Corpo maggiore esiste e funziona. E quest’inizio vero della storia è identico al finale, a quando Bellerofonte è storpio ed eremita e Pegaso è nell’Olimpo. È anche questo un aspetto dell’essere re, nel vostro universo: quando uno è arrivato a vedere se stesso, conosce cose che non può raccontare agli altri uomini — e non perché gli sia vietato, ma perché gli altri non lo capirebbero — e perciò tra gli altri uomini si sente eremita e storpio, mentre in realtà le sue ali arrivano in cielo.* E per spiegare questa regalità di Bellerofonte, la storia cresce a ritroso raccontando la salita al cielo, e la caduta... «Inoltre», continuò il Dominante «nella sua crescita a ritroso questa storia ha due confini: due limiti oltre i quali la perdete di vista e non riuscite più a raccontare. «Il primo confine è che Bellerofonte ci arrivò, nell’ Olimpo, ma non riuscì a capirlo, così come non era riuscito a capire ciò che lo legava a Pegaso. Di Pegaso aveva pensato che fosse un cavallo e che perciò fosse diverso da lui, e non tutt’uno con lui. E quando arrivò davanti agli Dei, sentì allo stesso modo di éssere diverso dagli Dei, e cadde. Tutto questo lo capì e lo pensò con il suo piccolo io, con la sua mente. Così la sua parte più grande, Pegaso, il potere delle sue ali, salì e rimase tra gli Dei — poiché davvero, fin là arrivano le vostre ali, il Corpo maggiore — mentre il suo piccolo io consueto tornò sulla terra, a zoppicare. Questo è il primo confine, come un primo margine d’una strada. «Il secondo confine e margine della strada è che Bellerofonte salì fino agli Dei e capì tutto ciò che doveva capire, e perciò tornò sulla terra. «Capì innanzitutto che compito dell’uomo non è stare in cielo, ma abitare sulla terra, per congiungere il cielo con la terra. Proprio perché le vostre ali arrivano fin là, non c’è ragione

*

tratto della menomazione è molto diffuso nei miti dei profeti e degli scopritori di qualche Aldilà, come mi fece notare il Dominante in un’ altra occasione. Il patriarca Giacobbe zoppicava, per un’anca lussata, dopo il suo incontro con l’Angelo nel deserto; Edipo va cieco per il mondo, dopo che ha scoperto di essere marito della regina sua madre; Tiresia, il grande indovino, è cieco lui pure; Omero era cieco; Orfeo dopo il suo viaggio nell’Ade è eremita e non si mostra mai di giorno, come se la luce del giorno lo ferisse; Gesù dopo la resurrezione ha il torace squarciato, e mani e piedi forati; i santi, nell’iconografia cattolica, portano sempre i segni delle loro ferite e piaghe. «La menomazione porta sempre in sé questo segreto», mi disse il Dominante. «Fa’ caso a quello che provi davvero, la prossima volta che vedi un menomato.»

che là vada a stare anche la vostra mente umana, ti pare? In cielo rimane Pegaso, ma Pegaso e Bellerofonte sono sempre una cosa sola, anche se uno è in cielo e l’altro è sulla terra. «Ora, intendi bene: questi due confini della storia sono due margini d’una strada. Se c’è l’uno c’è anche l’altro, non si escludono. Capisci?» Sì, risposi vagamente. E: Non c’è modo di tornare da un viaggio così senza restare storpi? domandai, ricordandomi che il Dominante aveva detto: ‘Ci andremo’. «Oh sì, se vuoi. Ma di solito non se ne ha voglia, poi. Rimane una forte nostalgia di questo viaggio lassù, ed è tanto bella che non si ha voglia di liberarsene, e tanto forte che non si può non esprimerla: e siccome con le parole è impossibile, è il corpo che la esprime... Comunque vedremo di fare qualcosa anche per questo, se zoppicare ti disturba tanto.» Bene. XVI All’assedio di Acri. Il limite dell’io. Sion Non provavo ancora a formarmi una visione d’insieme. Sapevo che sarebbe stato inutile: la caratteristica delle conversazioni con gli Spiriti-guida è che per un po’, anche dopo averle accuratamente trascritte, soltanto le singole frasi risultano chiare — mentre a rileggerne anche soltanto una pagina o due si ha l’impressione che la mente sia troppo stretta per contenerle. A ogni rilettura interi brani ti sembrano disperatamente nuovi, come se ogni volta ne vedessi solo una piccola parte e il resto si perdesse in una qualche nebbia. E più l’attenzione e la memoria si tendono nello sforzo, più si perdono in quella nebbia. Può durare così per settimane, addirittura per mesi. La cosa migliore da fare è proprio il contrario: godersi quella sensazione di perdercisi — che è molto bella — e aspettare. Col tempo le spiegazioni degli spiriti cominciano a sistemarsi da sé, non tanto nella mente ma come intorno a essa: allora la sensazione diventa quella di abitare nei loro insegnamenti, come in un appartamento nuovo, pieno di cose, e solo allora è possibile ragionarci su. E questione di crescita: gli Spiriti-guida badano bene a non mettersi allo stesso livello del loro interlocutore, ma ogni volta un poco più su, così che solo crescendo

si può impararne qualcosa. E io fiduciosamente aspettavo, tenendo in ordine i miei appunti e guardando con indifferenza alle riflessioni che mi capitava di fare in quel periodo, circa i confini dell’Aldilà, il diavolo e il resto, perché sapevo che erano superficiali e premature. Pochi giorni dopo la conversazione su Bellerofonte, per esempio, scesi dai maestri pensando all’universo infinitamente molteplice che doveva risultare da quel sistema di pareti a specchio: dato che ogni individuo è diverso — pensavo — quegli specchi dovevano riflettere miliardi di diverse strutture della realtà, che nessuna statistica avrebbe mai potuto integrare. Se ognuno vede soltanto se stesso in tutto ciò che conosce, chi può dire quale sia l’immagine del mondo più vera? Come nelle opere d’ arte, ciò che conta nella conoscenza non è dunque la rispondenza al vero, ma forse soltanto la maggiore o minore bellezza, intensità, suggestione? E mi sembrava che, pensando così, buona parte di ciò che i miei Spiriti mi avevano detto sui poteri umani risultasse più ragionevole, e meno preoccupante. «Viaggiamo?» mi disse il Dominante. «E da un po’ che non viaggiamo più.» E mentre mi preparavo a partire: «Ah, e ricordati sempre», mi disse, «la vostra realtà è molto piccola, è più piccola di voi. Anche la tua idea che siate tanti e diversi è più piccola di te. È solo un’obbedienza, non una conoscenza. «Questo per quanto riguarda la tua idea dell’universo molteplice, che è sbagliata», aggiunse, vedendo che non capivo. Annuii e partimmo. Mi chinai (questa volta ero davvero contento di viaggiare, mi sentivo bene, attento e limpido) e mentre tutto girava da destra a sinistra cominciai a vedere una via di città, in rovina, antica, con molto disordine e fumo. Camminavamo svelti, correvamo quasi, l’Austero davanti e noi dietro. A un certo punto cominciò a esserci tutt’intorno un gran movimento di persone, ma non ci fermammo a guardare. La bambina.., dissi, preoccupato. Vidi accanto a me il viso del vecchio con le finte ali di libellula, che mi diceva: «Finché ci siamo noi è protetta e siete protetti».

«Da cosa devono proteggerci?» pensai. «Ancora pericolo?» Salimmo una scala senza balaustra, che sporgeva da un muro di grosse pietre, attraversammo qualcosa che sembrava una terrazza, poi un’altra, e lì non c’era più nessuno, la gente era rimasta indietro, più giù. Vidi l’Austero che si infilava attraverso una stretta apertura in un muro bianco di calce. Il muro era alto, guardai su per cercarne i contorni e vidi il cielo d’un azzurro abbagliante: il muro era inclinato, e bastava sollevare appena lo sguardo per vedere il cielo. «È una cupola», spiegò l’Austero, da dentro. «Entrate, svelti.» C’era un corridoio, che curvava. Da lì, attraverso un’altra apertura nel muro passammo in un corridoio più stretto e più breve: e altri uomini vi entrarono dopo di noi, e non erano spiriti ma corpi. L’Austero mi indicò uno di loro, massiccio, con una barba grigia, e io lo seguii per qualche passo. E gli altri? domandai, voltandomi. Eravamo soltanto io, l’Austero e il Dominante, e quegli uomini-corpi. «Sst», fece l’Austero, «ascolta lui.» E davvero cominciai ad ascoltare l’uomo dalla barba grigia; era come se lo ascoltassi da dentro. «Va tutto bene, è giusto così», pensava quest’uomo. «Se altri hanno altri Dei, significa che ognuno nel mondo ha molti Dei. Non bisogna temerli. L’uomo è l’unica ragione dell’esistenza degli Dei.» Chi è? domandai al Dominante. «Sa che adesso lo uccideranno», mi rispose sottovoce, «e vuoi essere pronto. Sta pensando, perché il suo pensiero e la sua attenzione rimangano desti nel momento della morte.» Gli altri uomini che sono qui lo uccideranno? «No. Altri ancora. La gente che hai visto prima.» Allora perché non gli diciamo di andare via?

«Ha deciso così. E poi lo ucciderebbero lo stesso.» «Gli Dei sono come paesi che noi attraversiamo>, pensava l’uomo dalla barba grigia. «Ma non sono eterni, mentre noi sì. Perciò esistono con tanta forza e non muoiono, mentre noi moriamo nel tempo.» Sentii che lo pensava con dolore. Era perché stava per morire? No — udii in qualche parte di me — è perché sa che nessuno lo capirebbe se lo dicesse: per lui è importante ma sa che nessuno lo capirebbe. Non me l’avevano detto i maestri, ero stato io a rispondere a me stesso; e storsi la bocca, tanto era pesante il dolore che quell’uomo aveva nell’animo, e che anch’io sentivo. «Eccoli lì», disse il Dominante. In fondo al corridoio vidi altri uomini, che scendevano di corsa una scala. L’uomo dalla barba grigia diede un ordine e si voltò, e vidi i suoi occhi, spaventati e tristi. Ma lui non vide me. Mi passò proprio accanto. Aveva la spada. Sentii che il cuore gli batteva forte. Chiuse e strinse le palpebre e pensò: «Noi passiamo oltre, in nome nostro e in nome del Dio più alto, che nessuno... » Poi, di colpo, il pavimento e i muri crollarono lungo tutto il corridoio. Io avevo chiuso gli occhi, per non vedere. «Lo sapeva che sarebbe crollato», sentii che diceva l’Austero. Sono morti tutti? «Finiranno di morire tra poco. Che fine da leggenda.» Non vedevo più niente. Cos’è successo alla sua mente, adesso? Voglio dire, alla sua coscienza, all’io... «Adesso che è morto non è più la sua mente, è la tua. È un tuo piccolo specchio, adesso», disse il Dominante. «Succede sempre così quando si muore.» Si diventa sempre piccoli specchi quando si muore?

«L’io è ciò che nutre la vostra evoluzione interiore: è il problema che dovete risolvere — e finché lo sentite così la vostra evoluzione procede; ma a un certo punto l’io diventa ciò che la frena. Perciò bisogna uscirne, e l’io da cui si esce continua a vivere negli altri. Adesso il suo continua a vivere in te, quando dici o pensi: io.» E la reincarnazione? «Non come la immaginate voi. Ci sono molte parti di voi che si reincarnano ciascuna a suo modo, e non una volta sola. Ciascuna parte di ciascuno di voi può trasmigrare in molti altri, da una vita a molte e molte vite, molte volte. «Adesso hai visto questo perché avevi pensato che i nostri insegnamenti sono come un posto in cui stare. Quali parole avevi usato tu? ‘Come un appartamento nuovo.’ Lui ti ha dato un’immagine molto efficace di cosa vuol dire abitarci. Te ne ricorderai, un giorno, in tutti i dettagli. Per te è stato come un dono, davvero.» Se è morto, non andiamo a dirgli che tutto continua? «No, è successo secoli fa, è già continuato tutto», disse il Dominante. «Te l’abbiamo detto, è il tuo specchio. Lui non c’è più, sei tu», disse l’Austero. E io di chi sarò lo specchio quando morirò? «Di molti, anche tu», disse il Dominante. «Di sicuro, quando morirà quello che sei normalmente nel vostro Aldiqua, diventerà uno specchio di ciò che sei adesso mentre parli con noi. Questo comincia a succedere già quando parli con noi, e ancora di più quando viaggiamo, quando ci si avvicina al confine degli specchi.» E viaggiando ci arriveremo? «Penso di sì. E sia lì sia nella morte sono occasioni panoramiche per vedere che ciascuno di voi ha un io finché siete legati al vostro Aldiqua. «Poi, via via che vi allontanate dal vostro Aldiqua, vi accorgete di essere tutti un io solo. Allora il vostro io di prima diventa quel piccolo specchio: una realtà troppo piccola, che rispecchia una realtà grande.»

In questo senso dicevate che ognuno è l’Uomo? «Sì. L’uomo ha un io solo, l’umanità intera ha un io solo. È detto molto bene nel libro di Isaia: Che cosa si risponderà ai messaggeri delle nazioni? L’Altissimo ha fondato Sion, e in Sion si rifugiano gli oppressi del suo popolo.* Lui lo chiama Sion. È l’unico io: voi crescendo imparate a diventare soltanto quell’io, e lì è la vostra trama vera.» È il Corpo maggiore, anche quello? «È una parte: è un altro modo che avete di scoprirlo. Ed è davvero dove portate le vostre vittorie, dove le celebrate e ne gioite, quali che siano. «Lì sentite la possibilità di trasformare i vostri miliardi e miliardi di uomini in un popolo, e quel popolo in un unico io: e allora succedono meraviglie. E il diavolo e tutte le paure che vi opprimono rimangono indietro, sepolte, insieme a tante altre cose che lì non importano più, a Sion, come dice Isaia.» Non capisco... «Non c’è gran che da capire. Lui l’ha mostrato veramente bene», disse l’Austero, e capii che ora intendeva l’uomo dalla barba grigia. Quando è successo quello che ho visto in quei corridoi? «Alla presa di Acri, in luglio.» Durante le Crociate? E immaginai quegli uomini con la cotta di maglia e il mantello bianco. Sto immaginando tutto quanto, sì? «No. La tua immaginazione è soltanto ciò che trasforma in immagini quello che vedi qui. Ma lo hai visto davvero. Hai un po’ di paura e pudore della porta che ti si è aperta, ma l’hai già attraversata, non puoi farci niente e ti ci devi abituare.» *

Isaia 14, 32

Per favore spiegatemi, è troppo confuso così. Ma non mi ascoltavano. «L’aveva avuta dalla storia di Sansone, l’idea, non da Isaia», stava dicendo l’Austero al Dominante. «Sansone schiavo, in catene e cieco, fa crollare tutto su chi lo teneva schiavo. Sul suo io.» «Eh sì», rispose il Dominante. «E proprio tale e quale.»* XVII Schema generale dell’Aldilà. Il Graal? Il ponte. Il ritratto del diavolo. Altri universi e altre popolazioni extraterrestri Sentivo, dalla voce, che l’Austero era in qualche modo commosso dall’episodio che avevamo appena visto; mi ricordai delle sue vesti larghe, da arabo, e avrei voluto domandargli qualcosa. Ma era come se si fosse voltato (non lo vedevo, lo sentivo soltanto) e guardasse altrove. «È così, vedi», mi disse intanto il Dominante. «Questi sono i vostri Sei Cieli soliti:

e il cerchio più largo che c’è sotto è il confine del Settimo Cielo. Visto da più lontano, diciamo, è così:

*

Giudici, 16, 22-31. L’episodio a cui avevo assistito — il crollo del pavimento durante l’irruzione degli attaccanti — era avvenuto nel 1291 durante l’ultima difesa del Tempio di san Giovanni d’Acri; lo verificai, non senza emozione, in una storia delle Crociate. «Ma io ero là?» domando ai miei. «Oh, c’eravate tutti, là», risponde l’Austero. «Proprio non riesci a capirla questa cosa, eh?»

L’emisfero inferiore è molto più ampio dell’area dei Sei Cieli, vedi? E questi due cerchi nell’emisfero inferiore sono il passato e il futuro: il cerchio n. 1 è il passato, il cerchio n. 2 è il futuro, e possono ampliarsi e restringersi in vario modo, non sono fissi. E l’asse centrale siete voi.» Cioè ognuno di noi? «E quello che ognuno di voi chiama io. Finché siete nei primi Sei Cieli vi sembra sempre che l’io sia una cosa molto personale, che sia fatto di ricordi, speranze, pieno di segreti che nessun altro saprà mai... è così, no? E alcuni immaginano che con la morte scompaia, e altri immaginano o desiderano che dopo la morte continui, ciò che voi chiamate io. «Invece vedi com’è: dalla soglia del Settimo Cielo in avanti c’è un unico io — che è l’asse centrale. E lì ciascuno di voi è l’uomo, l’umanità. Questo è lo schema.» Il Dominante tacque per qualche istante, come aspettando — invano — di vedere sul mio viso il lampo dell’intuizione. «E in realtà l’asse centrale è soltanto un punto di vista», proseguì, paziente. «Lì ognuno di voi è l’io e l’umanità intera, perché da lì vedete le cose come le si può vedere dal punto di vista dell’io, dell’umanità. Infatti, vedi, quell’asse centrale è la linea in cui confluiscono tutti i punti di vista dei Sei Cieli: è ciò che li unisce tutti.» Nel senso che nel Settimo Cielo esistono altri punti di vista oltre all’io e all’umanità? «Certo, infiniti punti di vista», disse il Dominante. «Vi spostate d’un po’ dall’asse centrale, e avete un altro punto di vista. Vi spostate d’un altro po’, e avete un altro punto di vista. Infiniti punti di vista. Solo che nell’Aldiqua non avete le parole per indicare neanche uno di questi diversi punti di vista. Le parole che avete per indicare i vostri modi di vedere sono: io, noi, un altro, alcuni altri, molta gente, tutti... Ma

sono sempre operazioni aritmetiche con l’io. Noi è: io A + io B, + io C, eccetera. Un altro è: io A + io B - io A. E così via. Nell’Aldilà invece l’io esiste soltanto lungo l’asse centrale: in tutti gli altri punti cambia tutto e quella vostra aritmetica non serve più. Lungo l’asse dell’unico io, invece, cambia in un modo più semplice: io e tutti sono la stessa cosa. Solo questo.» Sentivo di poterlo capire, ma al tempo stesso sentivo che se avessi capito quel che mi stava dicendo avrei cominciato a dissolvermi, a non esserci più. E non volevo.

«L’hai già superata, questa porta», mi disse di nuovo l’Austero. «Ti ci devi soltanto abituare.» «Non perderti a cercare le parole per definirlo: puoi soltanto sperimentarlo», continuò il Dominante. «Tu lo sperimenti ogni volta che parli con noi, ogni volta che viaggiamo, ma naturalmente puoi dire soltanto ‘io’ e pensare di essere soltanto te stesso, perché sei ancora molto impacciato. «Ricordi quando dicevamo che il miglior modo di insegnare è quando non si sa abbastanza e si impara da chi ascolta? Ecco, anche quello è un modo per sperimentarlo. O quando dicevamo che la vostra immagine dell’angelo è un vostro autoritratto con le ali? «Pensa a come sono le vostre ali, la parte di voi che non conoscete: molto grandi, ben più grandi del vostro mondo. Infinite. «Così, c’è un limite nei mondi oltre il quale le tue ali confluiscono nelle ali di un altro, e più avanti nelle ali di molti altri, e più avanti ancora nelle ali di tutti quanti — e sono tutt’uno con le ali di tutti quanti. Questo è un altro modo in cui potresti capirlo, guardando dal tuo mondo, dal tuo Aldiqua-degli-specchi. Ci siamo fin qui? Non stare a guardare a quel modo davanti al tuo naso e fa’ una domanda sensata, per favore.» Sì. Mh. E in che modo si possono ampliare i cerchi del passato e del futuro? «Si possono ampliare e restringere in due direzioni: in orizzontale e in verticale», disse il Dominante. «La differenza tra i due cerchi è che il cerchio del passato può ampliarsi fino ai limiti di quell’emisfero inferiore, e non oltre. Quello del futuro si amplia anche oltre. «I due cerchi possono diventare così, o così, o così», disse, tracciando questi altri disegni:

«Così prende forma il vostro futuro nell’Aldilà, e nell’Aldiqua lo realizzate, grazie ai tanti poteri delle vostre ali.» Automaticamente? Lì si amplia e noi subito lo realizziamo? «Per quanto potete capirne voi nell’Aldiqua, sì.» «Lo schema dell’Aldilà è ciò che nelle leggende si chiama il Graal», disse l’Austero. Finsi di non averlo sentito: l’argomento mi pareva già troppo ampio, perché ci si potesse introdurre anche il Graal. Tu avevi detto che possiamo cambiare avvenimenti passati, anche una catastrofe avvenuta in passato... «Aspetta», mi fermò il Dominante, «ascolta. In verticale avviene questo, nell’emisfero inferiore: quanto più siete vicini alla soglia del Settimo Cielo, e quindi ai vostri Sei Cieli soliti, tanto più vasto è il cerchio del vostro passato. E quanto più ve ne allontanate e scendete, tanto più è stretto: e tanto più facile è che il cerchio del futuro lo superi. E alla fine, proprio in fondo alla sfera, ciò che rimane del cerchio del passato è soltanto l’ultimo punto dell’asse centrale, l’ultimo lembo del vostro io. E lì ciò che chiamate ‘il futuro’ è dappertutto.» Cioè, dipende da quanto ci allontaniamo dal nostro io piccolo e diventiamo quell’unico io? «Proprio così. Quando siete vicini alla soglia del Settimo Cielo il passato vi appare ancora enorme, riempie tutto l’orizzonte: è il passato delle moltitudini, delle civiltà e via dicendo. E lì, volerlo modificare è come voler modificare qualcosa in un mare, da una barca. E ovviamente ti sembra inconcepibile. «Più giù, lungo quell’asse dell’unico io, diventa come modificare qualcosa in un lago, e ancora più giù diventa come modificare qualcosa in una pozzanghera. Lì, plasmando il futuro

potresti modificare rivoluzioni, guerre e catastrofi passate, tutto quello che vuoi — se riesci a portare fin laggiù la tua volontà, formulando qualche progetto sensato.» E conte posso saperlo, se un mio progetto è sensato o no? «Lungo quell’asse i progetti non sono solo tuoi: lì sei nella dimensione dell’unico io, e ogni tuo pensiero diventa più grande dite. Molti, molti altri vi partecipano, e loro sono te e tu sei loro, senza che tu possa sapere e nemmeno immaginare quanti siano. Compito tuo è portare fin là la tua volontà, il tuo presente. Allora quell’unico io può agire nel presente, nella realtà. Capisci?» «Il tuo presente e la tua volontà diventano come un ponte», disse l’Austero. «E quel ponte è il tuo coraggio», riprese il Dominante, «ed è ciò che chiami Dio, o anche: caso. O la necessità, che è la stessa cosa.» Il caso e la necessità non sono la stessa cosa. «Voi stabilite qual è la necessità, quale dev’essere il destino: il vostro coraggio è il potere con cui lo stabilite, e il caso è la forma che il destino assume in concreto. E Dio è il legame tra tutti questi elementi: è ciò che li fa confluire tutti in un unico ponte.» E il ponte sarei io, il mio coraggio? Il Dominante sospirò. «Sì», disse. «Tu sei la presenza. Se tu ci sei c’è tutto, se non ci sei non c’è niente.» E se io non ci sono ma c’è un altro? «Non c’è differenza, lì. E l’unico io, non c’è differenza fra te e un altro; per ciascuno è così. «E questo ponte, tu puoi capirlo soltanto se ci sei sopra, o se almeno riesci a scorgere dov’è nella tua esistenza. Ed è ovunque, può essere ovunque tu gli comandi di essere.» Queste frasi mi passavano accanto come astronavi. Per un attimo immaginai perfino come avrebbe potuto essere bello trovarsi su un’astronave che si lascia alle spalle la terra, ed entra nello spazio vuoto.

E il ponte qual è: è l’asse qui sotto, l’unico io? domandai guardando quello «schema dell’Aldilà». «TI ponte è il significato di questo disegno», disse il Dominante, «invece ogni linea del disegno è una soglia, con il diavolo che la sorveglia. È un po’ una topografia del diavolo, nelle sue linee universali.» «Non pensavi mica che il diavolo fosse antropomorfo?» ridacchiò l’Austero. E ancora più giù, sotto l’ultimo punto della sfera che cosa c’è? «Non c’è più niente per voi: il nulla», rispose il Dominante. «Invece per l’unico io, da lì in avanti si trovano altri universi, in quel nulla. Alcuni universi hanno una struttura simile a questa vostra, a calice, e sono quelli con cui si può entrare in contatto più facilmente, usando questo emisfero inferiore così come tu usi la tua stanza tonda quando vieni a trovarci. Altri universi non hanno forma, hanno altre modalità che il vostro pensiero non riuscirà mai a concepire.» E in ogni universo ci sono popolazioni? «Certo. E c’è il passato, il presente e il futuro, e potete usarli anche lì.» E quelle popolazioni sanno di noi? «Così come voi sapete delle stelle, delle galassie. Vi vedono, diciamo, da molto lontano.» Se non possiamo andare a conoscerle, potreste almeno descrivermele? «Non è che non possiate andare a conoscerle. In realtà le vedete anche voi, o perlomeno le percepite; solo che non ve ne accorgete.» Sono quelli che si chiamano extraterrestri? «Più o meno. Li percepite ovunque: come se camminaste di notte, nella nebbia, e ognuno vede qualcosa dinanzi a sé, nella nebbia, e nessuno vede ciò che vede un altro. Così li percepisce ciascuno di voi. Capisci?» Ma esistono?

«Certo. «A volte, li percepite anche come direzioni di sviluppo, di evoluzione. Li percepite nella fantasia, sotto forma di idee, di immagini soprattutto: immagini di cose da fare, di modi d’agire che vi piacciono molto senza che voi sappiate bene perché. E vi piacciono semplicemente perché ne siete incuriositi: voi avete una natura da esploratori... Di solito esprimete queste immagini nella pittura, nei sogni. In ogni epoca ne avete viste molte.» E sono immagini di extraterrestri? Com’è possibile? «Sai, quando leggendo un libro o guardando un film ti identifichi con un personaggio? Non è perché quel personaggio ti somigli, ma perché l’emozione di quel libro o di quel film ti sta guidando oltre il Settimo Cielo, e lì il tuo io consueto rimane indietro, senza che tu te ne accorga. Lì cominciate a percepire innanzitutto quell’unico io, che vi unisce a ogni altro uomo: e ogni tanto ve ne allontanate anche, e percepite l’unico io di qualche altro universo.» Per esempio in quale libro, in quale film? «Non in qualcuno in particolare. Dipende solo dall’emozione che provi leggendo o guardando. Poi quando ti capiterà davvero di incontrare qualche abitante di altri universi, ti accorgerai che l’avevi già percepito prima e non ricorderai dove. E andrà bene così.» E dove l’avrò percepito? «Nei paesaggi delle storie.» Cioè? «Nei paesaggi, negli sfondi che immagini per le storie, quando le leggi o le racconti. Tu non ci fai caso, metti a fuoco soltanto la storia: ma intanto immagini i luoghi, gli sfondi. Ecco, e lì li intravedi, i cosiddetti extraterrestri, ma non te ne accorgi. Poi te ne accorgerai, quando li incontreremo davvero.» Che significa questo che mi state raccontando? È un indovinello? «No. Significa soltanto che avete da fare tanta e tanta strada, al di là del diavolo, e che anche questa strada comincia nelle cose più semplici. E le emozioni che provate guardando un film o

leggendo un libro sono una delle cose più semplici che abbiate oggi, voi occidentali. È come nei viaggi, quando per partire ti chini a raccogliere qualcosa.» E come si fa a raccogliere, qui? «Si prende, e basta. Tendi la mano e prendi.» XVIII L’amore è prendere. Il Graal. I nuovi genitori e le reincarnazioni illustri «Tendi la mano e prendi... È come nell’amore», continuava il Dominante. «Chi non ama una cosa, la subisce. Se comincia ad amarla, la conosce e la trasforma. Perché tanta gente non riesce a provare amore, secondo te?» Perché ha paura? «Ha paura che il suo cuore cominci a battere troppo forte, e si allarghi nel battito, e si laceri. Questi preferiscono pensare che nell’amore l’importante sia dare. Ma non è vero: quella è retorica, o al massimo generosità; potete benissimo dare anche a chi non amate. «Invece prendete solo da chi amate: la mano, la bocca, le parole di chi amate... «Non è così? «Non per nulla anche nell’amore il vostro io piccolo rimane indietro. Sentite il bisogno di congiungervi alla persona che amate, e vi sembra una privazione tornare a essere soltanto il vostro io piccolo, quando chi amate vi lascia soli: perché, secondo te?» Perché uno sente che il suo io piccolo è troppo piccolo? «Sì. È perché nell’amore avete un lampo di percezione di quell’unico io, e il vostro io solito vi sembra terribilmente stretto, dopo. «Vi sembra di morire soffocati, lì dentro. Ed è vero. Quando monte, voi monte sempre soffocati dal vostro piccolo io.»

«È proprio come nella storia di re Artù», insistette l’Austero. «Te l’avevo detto che quel disegno era il Graal.» Perché dice così? domandai al Dominante. Che c’entra il Graal? «Ha ragione. Il disegno dei Cieli e dell’emisfero inferiore è precisamente il Graal: nella leggenda il Graal era il calice in cui era stato raccolto il sangue di Gesù. Ed era un indovinello: cos’è il calice in cui si è potuto raccogliere il sangue di Gesù?» Anche la risposta a questo indovinello è: l’uomo? «L’Aldilà dell’uomo. Il sangue di Gesù è il principio vitale dell’unico io che ti ho detto. «Nel vostro Aldiqua si disperde: gli uomini dei Sei Cieli uccidono Gesù — lo uccidono ogni giorno —, o non riescono a impedire che sia ucciso. Invece in quel calice il sangue si raccoglie. «E se lo immagini come lo descrivono i racconti del Graal, è tale e quale al disegno: un filo di vita che cola nel calice, dai Sei Cieli del vostro mondo all’Aldilà. «Così:

«Ricordi com’è la storia di re Artù? Il re deperisce, e manda i cavalieri a cercare il Santo Graal, che ha infiniti poteri. I cavalieri partono alla ricerca, e tutti periscono, uno dopo l’altro, finché uno lo trova. Perché Artù non va di persona a cercarlo?» Re Artù è l’io piccolo?

«Re Artù è il sentirsi mortalmente stretti nel vostro io piccolo. I cavalieri sono il vostro tentativo di arrivare più in là: e uno soltanto ci arriva, proprio perché quando ci arrivate vi accorgete di essere un unico io — ti accorgi cioè di essere tu tutti quanti. Per arrivarci molti aspetti dite devono morire davvero, te li devi lasciare alle spalle.» «E quello che sta succedendo anche adesso: cambi definitivamente, quando ascolti queste cose», disse l’Austero. «Tra un po’ non ricorderai più niente di come sei ora, e di come gli altri e le cose ti sembrano ora. L’Aldilà è l’Aldilà, e non è uno scherzo.» «Anche questa è identificazione», riprese il Dominante. «Quando cominciate a scoprire l’Aldilà vi identificate sempre, in due sensi: negli altri, via via che vi avvicinate all’unico io; e negli eroi leggendari che hanno percorso quelle stesse strade.» In che modo? «In vari modi. Per esempio, immagina un bivio, due vie. In qualche parte del mondo c’è questo bivio nella tua vita: e una via conduce verso la tua distruzione, e l’altra verso le grandi imprese di un altro uomo, non tue. Che fai tu? Prendi la seconda via, e così avviene.» Cioè entro nel destino di un altro? E un altro deve scomparire per lasciare il suo destino a me? «No. Per tutti è così, sempre, in ogni istante della vita. Ogni svolta della vostra via vi permette di accedere al destino di un altro, per non venire distrutti. Tu avevi un tumore all’intestino quando hai incontrato noi, e non l’hai più, non hai nemmeno mai saputo di averlo. Nessuna via è la vostra via, mai. Anche questo è un modo di identificarsi con gli altri.» Ma avviene nell’Aldilà o nell’Aldiqua? Non ho capito. «Quando avviene, nel tuo Aldiqua ti accorgi soltanto che la tua vita è cambiata, mentre se impari a guardare nell’Aldilà vedi come e perché è cambiata, in realtà.» «Vedi?» intervenne l’Austero. «Ti preoccupa l’idea di poter cambiare il passato: ma vedi come cambia il presente? Così può avvenire, purché tu lo desideri e lo decida.» «Ci sono nel mondo città circondate da mura», riprese il Dominante, «splendide mura: e non si sono mai estese, queste città, oltre le proprie mura. Per difendersi si sono soffocate. Non vorrai fare così anche tu? Tu abiti altrove. Lasciati crescere.»

E l’identificazione negli eroi leggendari? Cosa vuoi dire? «Avviene anche questo, immancabilmente. Lo vogliate o no, quando cominciate a inoltrarvi nell’Aldilà siete eroi come gli eroi dei miti e delle fiabe. Perciò quando avete la mente chiara — da bambini, per lo più — ascoltate i miti e le fiabe così volentieri, e irresistibilmente vi identificate, ascoltando: in Pollicino, in Biancaneve, in Bellerofonte, in Teseo. Perché lo sentite, lo sapete che parlano di voi: di come sarà per voi.» Calcò sul sarà. Nel senso che per tutti sarà così? Vuoi dire nella morte? «Tutti monte prima o poi. Che sia morte fisica o immaginata, non ha grande importanza: morendo scoprite come sarà, com’è; e per il vostro io piccolo, scoprirlo equivale a morire.» «Quindi è meglio scoprirlo prima della morte fisica, non ti pare?» disse l’Austero. «Scoprite lì di avere padri e madri diversi da quelli che avevate», riprese il Dominante, trovate in voi biografie nuove, diverse. Vi accorgete che le state vivendo da tanto, tanto tempo. È quello che provate cominciando a essere in quell’unico io. Anche Gesù a un certo punto della sua vita si accorge di avere un altro Padre, che non è il falegname Giuseppe, e di esistere da sempre. Così è per tutti. «Sai come succede», continuava il Dominante, « quando tanti che cominciano a credere nelle vostre idee sulla reincarnazione si immaginano di essere stati persone illustri, nobili, re? È normale che sia così; è sbagliato, è illusione: ma al tempo stesso è giusto e vero, proprio come una fiaba. E perché quando cominciano a credere nelle vostre idee sulla reincarnazione, anche lì sentono il confine, il passaggio su cui siamo ora. Sentono che tutta la vita cambia, il karma cambia, lì, e si divènta eroi. «Così, dicono: ‘io ero Caterina di Russia, io ero Tutankamon’, e questo non è vero; ma ciò che sentono nella loro anima è: ‘io posso diventare diverso, più grande, coraggioso, bello come un eroe, al di là della mia vita, del mio piccolo io’, e questo è vero. L’errore è che credono di esserlo stati in passato, in altre vite passate: pensando così si confondono, rimangono aggrappati al loro io consueto, e non scorgono più il confine. Se lo vedessero, invece, si

accorgerebbero che possono diventare adesso quelle persone e tanti altri, ed eroi straordinari, nella vita diversa che incomincia nell’unico io. «Aspetta», mi disse, perché avevo aperto la bocca per domandare qualcosa. «Se poi davvero passate oltre e vi voltate a guardare, il vostro io piccolo vi appare sperduto, misero — zoppo, come Bellerofonte appariva a Pegaso. O chiuso nella sua bara di cristallo, come Biancaneve. O angosciato e morente, come re Artù, col suo cuore troppo ferito per pulsare un po’ di più.» Quindi il nostro principe azzurro siamo noi stessi? Prima non l’avevate spiegato così: perché non potevo capirlo così prima? «Bah», disse l’Austero. «Noi rispondiamo soltanto alle tue domande», disse il Dominante. «Potresti domandare un’infinità di altre cose, e noi risponderemmo a tutte. Dipende solo da te e da come cresce il tuo io: prima ti bastava sentir parlare di alcune cose, e adesso non ti basta più. Che c’è di strano? Cresci. E la legge della vostra vita lì, nel vostro Aldiqua. Tra un po’ imparerai anche che i poteri del Corpo maggiore non sono infiniti, e allora la tua anima spalancherà altre porte più in là.» XIX I figli degli Elohim. Il peso del Corpo maggiore. La nuova morale, al di là del diavolo «Le cose cambiano molto da qui in avanti», spiegò il Dominante. «Anche il diavolo cambia completamente. Resta anche lui indietro, nel mondo di prima: un piccolo limite di voi, invece che una soglia dell’universo.» Cioè? «All’inizio com’era, ricordi? Quando non ne sapevi ancora niente, il diavolo era la paura, la soglia che spaventa. «Poi guardandolo meglio, guardandolo a ritroso ti sei accorto che vi indicava una forma di coraggio, una via dell’evoluzione. Prometeo che si ribellava al Giove supremo, e vi insegnava, vi guidava. Con infinita pazienza vi insegnava a lasciarvi alle spalle ciò che eravate, e a farvi

salire in alto: e lì l’origine del suo insegnamento era la stessa dell’insegnamento di Gesù. Due fratelli, due figli degli Dei,* davvero.» Perciò discutevano nel deserto, prima che Gesù cominciasse a predicare? «Bellissimo quadro, vero? Loro due che discutono tranquillamente nel deserto, su come conquistare il mondo, e non hanno niente: solo il deserto intorno», disse l’Austero. «Appunto», continuò il Dominante, «e adesso anche il diavolo rimane indietro, in fondo a voi stessi e sempre più lontano. Può solo trattenervi, ma è facile lasciarlo ancora più indietro e vederlo scomparire del tutto, via via che salite nel vostro Corpo maggiore.» «Di là dai confini delle vostre certezze», disse l’Austero, «di là dai confini delle vostre religioni — quando salite da una vostra religione a ciò che c’è più oltre, di nuovo.» Quando saliamo da una nostra religione.., ripetei sottovoce, cercando di capire. «E una delle scoperte che fate lì è che da quei confini in poi ciò che gli altri vedono di voi somiglia al diavolo.» Gli altri più giù? «Gli altri più giù non riescono a spiegarsi la libertà che percepiscono in voi: non la si può nascondere in nessun modo, la libertà. Alcuni, raramente, vi vedono come angeli, ma per lo più vi vedono come esseri diabolici, e vi temono, o sono attratti da voi, oppure tutt’e due le cose insieme. Insomma si comportano proprio come si comporterebbero con il diavolo — con ciò che secondo loro è il diavolo.» In che senso non si può nascondere la libertà? Uno non può essere soltanto libero interiormente?

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Ben-ha-Elohim, «figlio degli Elohim», è infatti chiamato Shatan-Satana nel libro di Giobbe 1, 6-12; 2, 1-7. Nella Bibbia, «Elohim» indica un’immagine plurale della Divinità: propriamente, è l’insieme di tutti gli aspetti del divino, quelli già noti alle varie religioni e quelli ancora ignoti, e la sorgente della potenza creatrice. È un p0’ il Como maggiore di Dio, mentre il Dio Yahwéh è soltanto un aspetto della Divinità, ed è il Dio delle leggi, dei limiti e in genere del mondo terreno. Quando Gesù, nei Vangeli, indica Dio come padre, si riferisce sempre agli Elohim, al «creatore del cielo e della terra» — fino alle ultime parole che pronuncia sulla croce: Eloì, EIoì, lema sabactani?, che significa: «Dio, Dio, perché mi hai abbandonato?» (Vangelo di Marco 15, 34).

«No, è proprio una percezione fisica. Quando qualcuno stabilisce contatti più precisi con il suo Corpo maggiore, gli altri che vivono intorno a lui o che lo incontrano come che sia non possono non accorgersene. E come se sentissero tutt’a un tratto il peso del loro Corpo maggiore, perché vedono che su di voi non pesa più, non è più qualcosa di estraneo che vi opprime. «Ne abbiamo già parlato. Non hai mai sentito quello che si chiama il peso dell’esistere?» mi domandò il Dominante, vedendo che proprio non capivo. «Quella sensazione d’un limite perenne, di un’inerzia, di una routine inevitabile e così via? «Ecco, quello è il peso del Corpo maggiore: è così che grava sul vostro piccolo io, fino a che siete soltanto il vostro piccolo io. Come un rimorso, come un’occasione che non hai colto... Pesa come tutti i vostri rimorsi, tutti insieme, e come tutte le occasioni che avete perso e perdete. Oh, ci si può abituare a sentirlo e non farci caso più di tanto, ma finché non cominciate a diventare il vostro Corpo maggiore, quel peso è inseparabile dalla vostra sensazione di essere vivi. «E quando gli altri più giù vedono che in voi quel peso sta diminuendo, lo sentono ancor più nettamente su di sé: nelle loro giornate, nelle loro convinzioni, nelle braccia, nel fegato, nel cuore. Perciò la gente era tanto contenta, nel Medioevo, quando si bruciava qualche eretico. Erano contenti che sparisse.» Ah, dissi, perplesso. E allora come si fa con «gli altri più giù»? «Oggi non è più come nel Medioevo, certo. Ma se si mette male, potete per esempio mascherarvi. Fingere di zoppicare, come Bellerofonte; o fare il principe azzurro, o Babbo Natale...» Sul serio, o metaforicamente? «Che seccatura le vostre parole! Tutto quello che riuscite a dire e a pensare con le parole è una metafora, anche l’universo. Lasciale agire, non preoccupartene, senti quel che ti indicano. È così facile, qui. «Fingere di zoppicare, nel senso che il vostro io consueto rimane là: e voi dall’alto lo vedete che zoppica, cercando di essere come gli altri.

«E fare Babbo Natale, nel senso che qualcosa dovete pur fare: non potete mica restarvene sul ponte a guardare le nuvole Se si mette male, non potete più intendervi con gli altri parlando. Potete soltanto fare: e appena cominciate a fare, vi si svelano poteri che non avreste mai sognato, e campi d’azione corrispondenti. «Con quei poteri potete non soltanto cavarvela, ma anche fare cose per gli altri.» Anche lì bisogna fare qualcosa per gli altri, per progredire? «Come già sai perfettamente. Quando cominciate a diventare il Corpo maggiore, vi accorgete che il vostro io piccolo non basta più, in nessun senso. Non potete più fare qualcosa soltanto per voi stessi: tutto ciò che viene da voi è più grande di voi, ha bisogno degli altri, della gente. Questa è la forma più semplice e inevitabile dell’identificazione negli altri, attraverso l’unico io.» «Perciò gli eretici finivano sempre per mettersi nei guai», disse l’Austero. «Non potevano starsene per conto loro, in nessun modo.» «A quel punto dovete per forza adottare una nuova morale, diversa», continuò il Dominante, «e questo è piuttosto complicato, almeno all’inizio. E difficile costruirsi una morale senza avere il vostro vecchio diavolo a indicarvi cos’è il male.» «Hai fatto caso che Gesù non parla mai del diavolo quando spiega la sua nuova morale per questa forma di esistenza. Fate per gli altri quello che volete che gli altri facciano per voi,* fate splendere il vostro sole sui giusti e sugli ingiusti... Dà tanti comandamenti, ma sul diavolo neanche una parola.» Già, perché? «Perché il diavolo è la soglia, e là voi siete oltre.» E là, mettere in pratica quei comandamenti è più difficile che nei nostro mondo?

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Vangelo di Matteo 7, 12; 5, 45

«In realtà non è difficile nè nel vostro mondo nè là; tutto sta nell’imparare il modo. La differenza è che nel vostro mondo il difficile è metterli in pratica. Là, la cosa più difficile è accorgervi che li state mettendo in pratica.» «Ci vuole coraggio anche per accorgersi di quando si stanno facendo le cose come si deve», disse l’Austero. «Tutti i problemi che voi potete avere con la morale sono problemi di coraggio», spiegò il Dominante. «Nel vostro mondo, questi problemi sono sostanzialmente due: il giudizio e la libertà. «Il giudizio, perché vi viene spontaneo giudicare le azioni e le situazioni: belle, brutte, giuste, sbagliate, e così via. Ma le giudicate sempre dal punto di vista della vostra massima aspirazione, che è quella di sentirvi tranquilli e sereni come il bimbo in braccio alla mamma. Io sono tranquillo e sereno come un bimbo appena svezzato in braccio a sua madre; come un bimbo svezzato è l’anima mia.» Che poesia è? «E’ un Salmo.* ‘Ciò che voi desiderate più di tutto è sentirvi protetti: che le circostanze vi cullino, amiche», continuò il Dominante. «Questo è il fondamento della vostra morale, nel mondo dei Sei Cieli. E contrasta totalmente con l’altro punto, con la libertà — dato che la libertà è non essere in braccio a nessuno. «Così la vostra morale vi fa sentire comunque oppressi: dalle vostre protezioni, quando desiderate la libertà; e dalla mancanza di quelle protezioni, quando riuscite a essere liberi. In un modo o nell’altro, state sempre subendo qualcosa, e cercate di difendervene. Non è così, per voi?» In un certo senso sì, ma... Aspettarono che continuassi, ma non avevo niente da aggiungere a quel «ma».

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Salmo 130, 2

«Bene. Perciò, dicevamo, fate fatica a mettere in pratica quei comandamenti, che sono fatti per chi va in giro sulle proprie gambe e riterrebbe ridicolo tornare in braccio alla mamma. Ora, indovinello: chi è la mamma?» Il nostro Corpo maggiore? «Bene, stai facendo progressi. Oltre quei confini voi siete il vostro Corpo maggiore: dicendo ‘io’, là intendete il Corpo maggiore. E a ogni passo vi accorgete che là ciascuno di voi è il solo essere al mondo che può imprimere una direzione a tutta la sua esistenza, e a tutto quanto — a ciò che gli altri più giù chiamano il mondo, e che credono esista di per sé. «Lì vi accorgete che la vostra volontà non è mai diretta né modificata da altri fuori di voi. E che tutto diventa semplice: come quando vi accorgete che una porta si apre girando la maniglia e tirandola verso di voi, mentre per tanto tempo avevate cercato di aprirla spingendola. Aprirla, in qualsiasi cosa fate, non richiede più nessun coraggio. E allora vi riuscirà molto difficile giudicare le azioni e le situazioni, e a questo vi serviranno i comandamenti: non a sapere cosa potete fare, ma appunto ad accorgervi di cosa state facendo.» E perché sarà così importante giudicare e accorgersene? «Perché altrimenti non riuscireste più a usare le parole, e non sapreste più che cosa significa ‘io’ e perdereste ogni legame col vostro mondo. Invece dovete continuare ad abitarci, nel mondo. È nel mondo che dovete stare.» Cioè, diventeremmo talmente più ampi da non dar più peso al nostro io piccolo? «Non diventereste, ma diventate. Non è un qualche luogo lontanissimo, è molto vicino. Diventate talmente ampi da sentirvi una comunità, un popolo. Come diceva Dio ad Abramo: ‘lo farò dite un grande popolo’.* Intendeva esattamente questo. Quando avviene, compito vostro è non dimenticarvi di essere voi e basta. Questo è l’importante, e allora dà i suoi frutti maggiori. «Per di più, là cominciate ad avere altri maestri, che non usano più le parole. Altri volti, altre parti di noi che non ascolti come ascolti noi, ma con ali più ampie. Dovete esser pronti ad ascoltarli nel modo giusto.» *

Genesi 12,2

E qual è il modo giusto? «Vedrai a suo tempo. È un po’ come guardare le stelle con la nuca.» Cioè? «Se guardi le stelle con gli occhi ti sembrerà sempre di averle guardate troppo in fretta, anche se le guardi per ore. Il modo migliore di guardare il cielo stellato è con la cima della testa e con la nuca.» Perciò bisogna chinarsi, per viaggiare? Lo domandai mentre prendevo nota. E già prima che finissi di formulare la domanda cominciai a provare una sensazione completamente nuova per me. Era come una vertigine al contrario: nella vertigine si ha raccapriccio di una profondità sotto di noi; lì invece la profondità, i’abisso, era sopra. Rimasi immobile, e cercavo di capire, come aggrappandomi a quel mio tentativo di capire, per non venir trascinato via. «Nella vertigine tutto sta nei peso del corpo», pensai, «si ha paura che il corpo precipiti giù, trascinato dal suo peso...» Adesso, invece, era come se il peso del mio corpo mi trattenesse dal precipitare verso l’alto — non riesco a trovare un’espressione più precisa per descriverlo , e verso l’alto c’era un’altra forza che poteva trascinarmi, un’altra gravitazione. «Ecco», mi disse il Dominante, «questo è all’incirca il senso del cristianesimo. Ed è così che finirà.» Avrei voluto domandare «Cioè?» ma non ci riuscii. E intanto vidi, per qualche istante, immaginai di vedere in quel momento la mia mano che si tendeva verso la luna riflessa nell’acqua. Tra i riflessi di luna, nell’acqua, c’era un velo leggero che rimaneva indietro e affondava, piano, nell’acqua scura, mentre la mia mano se ne allontanava sempre più. PARTE QUINTA L’albero delle due vite Tendi la mano, e prendi. XX

La luna e il velo nell’acqua. Il diavolo che precipita giù dal cielo e la fine del cristianesimo «Ti stai smuovendo, come una barca dalla riva», mi disse il Dominante quando tornai nella nostra stanza tonda, due o tre notti dopo. «Forse è meglio che cominci a mettere in ordine tutte queste cose per il libro, altrimenti scomparirà come quel velo, dentro dite.» Il velo nell’acqua era una specie di segnale? un presagio? «Non proprio un presagio: sull’acqua c’eri tu, come ti vedi adesso. Era come un riflesso di quel che avevamo appena detto: la luna nell’acqua è ciò che capite, la mano che si tende sono le vostre parole, e il velo è ciò che sapevate e immaginavate prima. Il senso è che tendete la mano verso un riflesso di luna, e naturalmente non afferrate la luna, ma vi piace il gesto. Allo stesso modo vi piacciono le parole.» E la luna in cielo? «Quella è sempre lì, e la luna nell’acqua è solo un suo riflesso. Il velo è un’altra cosa che vi piace molto: vi intenerisce vederlo scomparire. Di solito è di quella tenerezza che sono fatti i vostri libri.» «Mentre voi andate sempre più in là», aggiunse l’Austero. «Anche con il chiedere e l’ottenere accade sempre così», disse il Dominante. «All’inizio avete paura di chiedere, perché vi dispiace per il velo che scomparirà. Poi chiedete, tendendo la mano sull’acqua, e quello che chiedete vi viene dato: ma voi siete sempre più in là. Il vostro Corpo maggiore ha le sue rive, certamente, ma sono molto grandi, e il Corpo maggiore può muoverle, per di più.» Vuoi dire che quel che chiediamo e che ci viene dato è solo illusione, luna nell’acqua? «No, perché illusione? Quello che vedono le vostre parole è solo un riflesso di luna. La luna l’avete già. Se riusciste a spostare un po’ il vostro campo visivo vedreste molte altre cose: che state camminando sull’acqua, per esempio. Ma lì le vostre parole non arrivano ancora.» Noi ci arriviamo e le nostre parole no?

«Le vostre parole ci arrivano soltanto nelle storie. Con le storie vedete come arrivarci e com’è quando ci arrivate: ma l’unico modo che avete di arrivarci davvero è il fare. «È ciò che spiega Gesù ai suoi discepoli quando cominciano a fare prodigi: li manda a insegnare e a fare prodigi in varie città, e quando loro tornano entusiasti, com’è che gli dice? Va’ a vedere.» Avevo visto Satana cadere dal cielo, come una folgore. Ecco, vi ho dato il potere di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni e sopra ogni potenza del nemico, e nulla vi potrà più danneggiare. Ma voi non gioite perché i demoni vi si sottomettono; gioite piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli. Vangelo di Luca 10, 17-20 «‘Gioire’ nel linguaggio dei Vangeli significa sempre ‘capire’.» Davvero? «Era un linguaggio che avevano certe correnti cristiane di quei tempi; gli autori dei vostri Vangeli venivano da lì. Non erano certo cristiani di Roma. E nota bene che il loro non era un linguaggio cifrato: non si rendevano neanche conto che ‘capire’ e ‘gioire’ potessero significare due cose diverse. Così, quella frase significa: voi non capirete mai perché i demoni vi si sottomettono — perché il vostro modo di capire non riesce a contenere quel genere di cose. «E infatti continua: voi, se capite, è solo perché i vostri nomi sono scritti nei cieli. Cioè: c’è una parte di voi che capisce queste cose, ma è grande come il cielo.» E quello che dicevate delle ali? E dell’io di Gesù, e del Corpo maggiore? «Certo.» E perché Gesù vedeva Satana cadere come una folgore? «Perché i suoi discepoli stavano crescendo in fretta. Quanto più voi crescete, tanto più il diavolo resta indietro, come quel velo. E quanto più rapida è la vostra crescita, tanto più vi sembra che lui precipiti. In realtà il diavolo resta fermo dov’è: ai confini dei vostri Cieli. Siete

voi che salite. E l’unico modo che avete di accorgervene nel vostro mondo è attraverso quello che fate, non attraverso ciò che riuscite a capire lì, con le vostre parole solite.» Perché i teologi cristiani non riescono a leggerlo così, questo passo? «Perché sono cristiani, e qui Gesù sta parlando di ciò che seguirà al cristianesimo. È come quel segreto di politica olimpica che Giove temeva tanto, e che lo spinse a liberare Prometeo: ‘Può darsi che Giove non rimanga per sempre Dio supremo’. Ricordi?» Cioè? Non capisco. «Il cristianesimo è la religione che ha il diavolo, e nella quale il Dio supremo e il diavolo si contendono il piccolo io dell’uomo. Passerà, quando l’uomo comincerà a scoprire il suo Corpo maggiore. Il diavolo rimarrà indietro, sempre più giù, e voi conoscerete cose nuove, mondi nuovi, una divinità nuova. Per adesso, col vostro io piccolo, non potete conoscere tutto questo, ma potete percepirlo in ciò che riuscite a fare con l’aiuto del Corpo maggiore. Questo è il senso.» E allora si scoprono anche quelle popolazioni diverse che dicevate? «Sì. E chiaro che i cristiani, e soprattutto i loro teologi, non possono capirlo: se lo capissero non sarebbero più né cristiani né teologi. A loro piace stare in cima al quadrante, e tengono molto alla loro eredità; così noi possiamo prendere tranquillamente da sotto il loro naso ciò che non vedono.»* XXI Gli automi e il padrone di questo inondo E dopo che è precipitato, il diavolo che fa? «Continua a fare il diavolo per gli altri più giù.»

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Qui il Dominante si riferisce a un episodio della Bibbia: quando Giacobbe e sua moglie Rachele rubano gli idoli al padre di lei, Labano (Genesi, cap. 31)

E non c’è il rischio che prendiamo noi il suo posto... Voglio dire, se sui confini il diavolo è un po’ come Prometeo che si libera sempre, non può succedere che gli Dei supremi se la prendano con noi e che finiamo lì appesi? «Dipende da voi. Il diavolo è molto adattabile, prende tutte le forme che gli date. Potete vederlo come i re Magi, che se ne vanno tranquilli dopo aver consegnato i loro doni. oppure potete vederlo precipitare. O come lo vedeva Chirone, che per i propri tormenti e per compassione ha voluto prendere il suo posto.» Cioè, la nostra sorte dipende da come lo immaginiamo? «O se preferisci, il modo in cui lo immaginate dipende dalla sorte che vi siete scelti. E per immaginare che il diavolo se ne vada tranquillo come i re Magi, come dovrei fare? «Sull’acqua la corrente vi porta sempre tranquillamente, se la lasciate fare. Ma voi avete quasi sempre qualcosa che vi trattiene, un’ancora. Anche per te è così. Tu per esempio traduci la Bibbia.» E una delle cose più appassionanti che abbia mai fatto. E poi qualcuno deve pur farlo. «Ecco, precisamente, qualcuno deve pur farlo. Anche Chirone la pensava così: qualcuno deve pur prendere il posto di Prometeo sul confine. Quello che vi hanno insegnato della Bibbia era uno strumento di supplizio, per fermarvi sul confine: e tu hai pensato di doverlo dimostrare. Liberissimo di farlo. Ma sono sempre parole, e più in là c’è molto di più delle parole. Impara a staccarti dalle tue ancore.» Mentre il Dominante mi stava dicendo quelle parole — «la corrente vi porta sempre...» — mi successe di nuovo di vedere qualcosa, nitidamente, in qualche parte di me, proprio come quando avevo visto la mano sull’acqua. Una grande stanza, con tavoli da artigiano e molti oggetti e strumenti e ingranaggi, simili agli ingranaggi degli orologi, e un uomo che lì costruiva automi. Erano automi umani, in grandezza naturale, con costumi e parrucche: automi violinisti, che suonavano brevi melodie, automi che giocavano a scacchi... «Nel Settecento erano molto di moda», disse il Dominante. Che cos ‘è?

«Lascia che sia; questa è davvero una tua vita passata. Ti fa bene, da lì trai forza. Stai sciogliendo nodi che stringevi allora e che ti stringevano allora». Significa che adesso sto costruendo automi? «Questo lo fate sempre», rise il Dominante. «A quel tempo stavi cominciando a capire che gli automi siete voi, sei tu. Nelle vostre vite costruite voi stessi: l’unico io che siete si adatta così al vostro Aldiqua. E costruite automi di tutto quanto: del mondo, degli Dei, del diavolo, degli Spiriti. Allora eri quasi arrivato a capirlo, ma hai avuto troppo poco tempo, quella volta, sei morto presto». «Quanto alle ancore da cui staccarsi», continuò il Dominante, «ricordi quel passo dove Gesù dice che il diavolo è vostro padre? Cercalo, sii gentile, e leggilo bene.» Perciò non potete comprendere le mie parole, [perché] avete per padre il diavolo. E volete fare ciò che vuole il padre vostro. Lui è stato omicida fin dal principio e non ha retto alla verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso parla del suo, perché è bugiardo e padre della menzogna. Vangelo di Giovanni 8, 43-44 «Hai notato niente? Vedi quante contraddizioni?» Non so, non... «Mh. Dovremmo scrivere un libro sui Vangeli», borbottò l’Austero. «E un vero groviglio questo passo», spiegò il Dominante. «Venne scritto in un modo, dall’evangelista Giovanni; poi venne modificato da certe autorità della diocesi nel cui territorio abitava Giovanni, e in seguito un discepolo di Giovanni aggiunse la frase all’inizio, ‘non potete capire le mie parole’, appunto per avvertire che il passo che seguiva non era più comprensibile dopo quelle modifiche, e andava inteso in un altro modo. E i discepoli dell’evangelista Giovanni sapevano in quale modo. «Invece di diavolo, Giovanni aveva scritto: il padrone di questo mondo. E il padrone e padre di questo mondo non è certo il diavolo, che vive ai confini: il padrone e padre è quell’automa di Dio che vi costruite quando avete paura della vostra evoluzione. Quello uccise la gente ‘fin dal principio’, quando fece venire il Diluvio per fermarvi. E ha sempre bisogno che gli si

obbedisca, perché ha paura di venir abbandonato da voi: e voi volete che sia così, perché avete paura di abbandonarlo.* Come dice qui: ‘voi volete fare ciò che vuole lui’. Naturalmente una diocesi non poteva tollerare che si parlasse così del loro Dio.» «A quel tempo gli uomini non avevano ancora per padre il diavolo», aggiunse l’Austero. «Lo temevano troppo. E obbedivano soltanto a quel padrone.» Cioè, le ancore che ci frenano sono le nostre obbedienze al padrone di questo mondo? È quello che dicevate del cuore che non si amplia più di tanto? «Le vostre obbedienze e in genere tutti i conti che avete da saldare con quel padrone. Prova a immaginare come sarebbe se non avessi nessuna ancora.» E come faccio? «Immaginalo, semplicemente. C’è una parte di te che immagina sempre: va in esplorazione ed è sempre in viaggio. Prima l’hai sfiorata, prova ancora. Lascia che le immagini si delineino da sé. Posa la penna.» Provai. Chiusi gli occhi (li avevo socchiusi, prima, per prendere nota più comodamente) e rimasi in attesa. Vedevo soltanto il buio delle mie palpebre. «Guarda con la nuca, non con gli occhi», mi suggerì il Dominante. «Le stelle si guardano con la nuca», mi tornò in mente. Provai a immaginare il colore del cielo e la mia testa che si voltava di qua, di là, per guardarlo. «Be’, non può essere tutto cielo», pensai. E immaginai ciuffi d’erba su un lato, sul margine d’una strada. E la strada, diritta. Nient’altro intorno. Non riesco a immaginare i luoghi intorno, dissi. «No», disse il Dominante. «Non li vedi perché non ci sono. Siamo su un ponte.» «Una specie di acquedotto», precisò l’Austero, volgendo il capo verso di me. XXII

*

V. la nota a p. 214

Un nuovo modo di viaggiare. La stella-arca L’Austero anche questa volta ci precedeva di qualche passo. Ma siamo in viaggio? Non mi ero chinato... La bambina mi teneva per mano, con la sinistra, e stavamo camminando su una strada diritta, una specie di ponte. «Vedi giusto», disse il Dominante accanto a me. «E la vostra vita che diventa così, come un ponte senza niente intorno. Cammini e cammini, e ormai ogni passo è sopra il nulla. Quanto al viaggiare, te l’ho detto: una parte di voi è sempre in viaggio.» Siamo dove il cerchio del futuro si allarga più del passato? «Siamo su quel confine.» E cosa succederà adesso, da qui in poi? «Non adesso. Hai ancora diverse àncore, tu. Quando ti avevamo parlato della lussuria non eri riuscito a sentire, ricordi? Quella è un’àncora, per te.» «Comunque è già una bella cosa che riesca a viaggiare così, senza nessuna partenza», disse dietro di noi il vecchio con le finte ali di libellula. «Ah, certo», disse il Dominante. E senza guardarmi, con gli occhi rivolti alla strada: «Solo che il tuo mondo finisce, e non solo in te o qui da noi. E bisogna che vi sbrighiate ad arrivare fin là, nell’altro, altrimenti restate sommersi nella fine di questo.» Dici sul serio o è una fine del mondo interiore? «Dico sul serio. Il vostro mondo interiore continuerà ancora e a tanti sembrerà che tutto sia come prima, ma il vostro mondo finisce. Non te ne sei accorto, guardandoti intorno nell’Aldiqua? Se non arrivi più in là, anche per te questo secolo sarà tale e quale a quello appena passato, lo ripeterà punto per punto. E così il successivo, e il successivo, e così via. È tempo di levare le àncore.» E come si fa, in pratica, a levare un’àncora?

«Ricordi l’immagine della stella?» Il Dominante si fermò e tracciò per terra la stella, con un dito:

«La stella per voi è un allineamento di energie. È un po’ come la combinazione di una cassaforte: quando l’allineamento è completo, la porta si apre. È molto semplice da capire: quando le vostre energie non sono allineate, è così», e tracciò un altro disegno che conoscevo:

«Così

le

vostre

energie

si

diradano

intorno

e

si

perdono:

alimentano il vostro mondo, tutto ciò che sapete del mondo, che esiste a spese vostre. «Via via che si forma la stella, invece, il mondo smette di assorbire le vostre energie, di esistere a spese vostre: lo vedete meglio, vedete che è fatto di specchi, e allora da quegli specchi le vostre energie ritornano a voi, vi accorgete che sono vostre — così come sono vostre le parole con cui descrivete le cose del mondo. Questa è la stella:

«Le energie tornano a voi e quando avete abbastanza energia, passate oltre.» «Rispetto al vostro mondo, la stella è come l’Arca di Noè rispetto al Diluvio», aggiunse l’Austero. «Già. Il problema è che se tentate di passare quando le vostre energie non sono ancora sufficienti, finite per naufragare di sicuro», proseguì il Dominante. «E tu per ora sei una stella che ha solo sei punte, ancora sghembe. Ti mancano ancora le energie portate via dalla lussuria. È una situazione molto comune.» «Perciò ci vedi come se fossimo cinque», disse l’Austero. «Noi cinque più tu, che qui sei il sesto.» E adesso recupererò anche quelle energie e diventeremo sette? In quel momento la bambina mi tirò leggermente per la manica, e la presi in braccio. Si accomodò sul mio braccio destro e mi posò una mano sul cuore. Che c’è? le sorrisi. «Ricordati che tu sei mio», disse. «Io sono legata a te da un’altra persona. Tu sei suo nel cuore. Non l’hai ancora incontrata, è solo una promessa del cuore. Mi hanno detto di dirti così.» Chi te l’ha detto? «Poi, poi», intervenne il Dominante, «prendi nota, adesso. Prendi nota per bene.»

XXIII I nemici e l’unico io. I grandi amori. La lussuria, san Giorgio e la principessa prigioniera L’Austero mi sussurrò: «Se capisci passiamo oltre, e vedi un sacco di altre cose.» Il Dominante sorrise, e cominciò la spiegazione. Eravamo su quella strada-ponte, fermi, in piedi: il Dominante davanti a me, io con la bambina in braccio, l’Austero alla mia sinistra e gli altri due a qualche passo di distanza, con le braccia conserte. «Ricordi la regola dei due cerchi concentrici?» disse il Dominante. Sì, il cerchio interno che si allarga oltre il cerchio esterno. Era una regola? «È una regola e vale ovunque. In ogni vostro Cielo voi vi accorgete di avere nuovi poteri, ma quando li avete scoperti quei poteri diventano un confine da superare: sono ciò che vi impedisce di entrare nel Cielo successivo. I confini del Cielo in cui sei ti rinchiudono, e assorbono e macinano le forze delle tue ali, come macine d’aria.» Lo disse muovendo la mano in tondo, a mimare il movimento di una macina. «Quella tua amica te ne aveva parlato», disse l’Austero. «Paola.» «Sì. I tuoi campi visivi diventano pesanti come macine»,* continuò il Dominante. «Ma nota bene: usare le ali vuoi dire semplicemente fare. Le ali sono forme d’azione. «E il maggior rimpianto di quelli che arrivano a questa scoperta attraverso la morte: prima che la loro coscienza si dissolva hanno il tempo di accorgersi che avrebbero potuto fare tante cose, e che a impedirglielo non erano il mondo, la necessità, gli altri, ma soltanto il loro campo visivo, il modo in cui intendevano il loro mondo, la necessità, gli altri.» Be’, è chiaro.

*

«Guarda cosa dice il Vangelo, riguardo alle macine», mi suggerì l’Austero mentre rileggevo questa pagina. 11 passo è nel Vangelo di Matteo 18, 6: «Quanto a chi cerca di pone insidie (nella scoperta della verità) anche a uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina di quelle che l’asino fa girare, e che fosse gettato negli abissi del mare». «Chi vi pone insidie nella scoperta della verità», spiegò il Dominante «l’ha già quella macina intorno al collo: ed è il suo campo visivo.»

«Certo che è chiaro. Ogni vostro confine è uno specchio.» «Così, tanti pensano di non riuscire a fare qualcosa perché gente nemica glielo impedisce. È molto comune; il Vangelo cosa dice al riguardo? ‘Fate splendere il vostro sole sui giusti e sugli ingiusti, sugli amici e sui nemici — allo stesso modo’.* E voi pensate che sia un’esortazione a una generica bontà, ed eventualmente al martirio, se i nemici sono arrabbiati. «Invece è un’indicazione molto più precisa. Il ‘sole’ rappresenta il vostro Corpo maggiore; gli ‘amici’ e i ‘giusti’ rappresentano le capacità, i poteri che già sapete usare, e gli ‘ingiusti’ e i ‘nemici’ rappresentano i poteri che non sapete ancora di avere.

«Così il senso è: quanto più riuscite a scoprire e a usare il vostro Corpo maggiore, tanto più farete luce anche sui vostri poteri ignoti. E naturalmente la conseguenza è anche che avrete meno nemici, dato che i vostri nemici sono persone che vengono a mostrarvi parti di voi che non vedete ancora, e parti degli universi che non vedete ancora.» Cioè i nostri nemici servono a noi, ci sono utili? «È molto semplice. Se uno ha un nemico, è perché non si è ancora accorto di avere una qualche capacità, un qualche potere che quel nemico non ha. «I vostri amici sono di due tipi: o sono persone che hanno poteri simili a quelli che sapete di avere voi, o sono persone che non hanno i poteri che sapete di avere voi. E con i vostri amici vi intendete bene: pensate come loro, o insegnate loro a pensare come voi, e a fare le cose che sapete fare voi. «Con i nemici, invece, non vi intendete in nessun modo. Quelli che chiamate nemici percepiscono in voi poteri che voi non sapete di avere, e non possono capire di cosa si tratta, perché loro quei poteri non li hanno. Vi sentono come estranei, diversi, e voi non capite perché. Non vi intendete e litigate. E continua così fino a che non vi accorgete di avere quei poteri che loro sentono in voi. Accorgersene è far splendere quel sole.» E allora i nemici diventano amici? *

Vangelo di Matteo 6, 45: «Siate figli del vostro Padre celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti».

«No. Accorgersi di quei poteri vuol dire crescere, salire nel Corpo maggiore, e lasciarsi sempre più indietro il vostro io piccolo. Quei nemici e quegli amici riguardano il vostro io piccolo: gli amici vi aiutano a sentirvi bene nell’io piccolo, e i nemici vi aiutano a superarlo. Quando siete arrivati più in là, i rapporti che avevate con loro cambiano completamente: il tuo io comincia a essere più grande, include anche loro, cominci a fare le cose per loro come le faresti per te stesso, in modo del tutto naturale. Questo è i] significato del comandamento ‘non fare agli altri ciò che non vorresti che gli altri facessero a te’. E incontri altri amici e nemici altrove, più su.» Quando dicevate che nell’Aldilà ci sono popolazioni amiche e nemiche, intendevate questo: i nemici e gli amici che si incontrano più su? «Anche, sì. Una cosa analoga succede con ciò che voi chiamate lussuria.» E salendo sempre di più, si arriva a inglobare tutta l’umanità? «Sì. E naturalmente i tuoi poteri crescono nella stessa misura. E una cosa che ti abbiamo già spiegato in molti modi: perché fai tanta fatica a capirla?» E la lussuria, come c’entra? «Voi pensate che il peccato capitale chiamato lussuria sia il desiderare più di tutto un altro corpo di cui gioire. Invece è il pensare: ‘se non ho un altro corpo di cui gioire, io mi sento disperatamente chiuso in me stesso’ e il credere che l’altro corpo di cui gioire sia il corpo di un’altra persona.» È questo ciò che non avevo sentito quando mi stavate spiegando i sette peccati capitali? «Sì, dato che sei un lussurioso. Sei fermo lì, a questo desiderio sessuale che hai imparato nel mondo; ed è come tendere la mano verso il riflesso della luna nell’acqua.» E in questo caso la luna cosa sarebbe? «Il riflesso nell’acqua è una luna in piccolo. La luna, in questo caso, è un altro corpo, più in là del mondo, non sai dove, e quel non-sai-dove è un mondo intero, sono molti mondi interi, da scoprire.»

Nell’Aldilà, cioè senza il mio corpo fisico? «Aldilà e Aldiqua sono soltanto vostri modi di percepire la realtà. Anche il tuo corpo fisico è un riflesso della luna nell’acqua: e non puoi certo impedire che la luna si rifletta nell’acqua. Così, nell’acqua — nel tuo Aldiqua — il tuo corpo fisico e il suo piccolo io continueranno a riflettere ciò che succede nella luna — nel tuo Aldilà. È molto semplice.» E come lo rifletteranno? «Nel fare. Ciò che scopri nell’Aldilà diventa il tuo fare nell’Aldiqua. Quante più cose scopri nell’Aldilà, tante più cose fai nell’Aldiqua.» E vale anche viceversa? «Non nella lussuria, se è questo che vuoi dire. Desiderare corpi altrui per non sentirti chiuso in te stesso è solo un equivoco e un miraggio.» Ma il Sesto Cielo non era quello in cui chi ha scoperto una sua immensa dimensione interiore incontra un altro che sta facendo la stessa scoperta? «Certo, il principe azzurro. Quello è appunto il vostro Corpo maggiore. Non avevo detto che lì avresti incontrato un’altra persona. Quanto più scopri il tuo Corpo maggiore, tanto più ti accorgi che tu sei il tuo Corpo maggiore.» Quindi, quanto più uno sale nel Corpo maggiore tanto più diventa casto? Scoppiarono a ridere, per il tono preoccupato con cui avevo pronunciato la domanda. Venne da ridere anche a me. No, dico sul serio, insistetti. Allora come si fa? Anche la bambina rideva. «A non perdere il desiderio sessuale mentre sali?» precisò il Dominante. «Usa il principio di rotazione. Sono sempre quelli i due sistemi indispensabili: il cerchio che si allarga e il principio di rotazione.

«In ciò che chiamate lussuria tu rimani aggrappato, diciamo, alle tue parti basse, e questo ti impedisce di salire più su, se pensi che salendo ti stacchi da quelle. Invece è tutt’uno: com’è in alto, così è in basso. «Come avviene quando fate l’amore? Una parte del vostro essere si apre, e diventa un varco verso un altro essere. Così è tra due corpi fisici, e così è anche tra il tuo io piccolo e il tuo Corpo maggiore. L’unica differenza è che, con il Corpo maggiore, il varco che si apre è verso l’infinito — o almeno così lo sente il tuo piccolo io, all’inizio; poi lo sente come un fiume, di cui non conosce nè la fonte nè la foce, e poi lo sente come il suo nuovo io più grande. «E dopo aver fatto l’amore che cosa succede? Nel mondo fisico, i due corpi ritornano chiusi in se stessi: la forza che li ha aperti l’uno all’altro è passata, è successo qualcosa che le loro menti non hanno capito, e quella strana forza è sparita chissà dove, mentre loro sono rimasti dov’erano prima. «La stessa cosa succede quando vi aprite al vostro Aldilà. Comunque sia, alla fine il tuo piccolo io si ritrova sulla terra, nell’Aldiqua, dove è sempre stato. Tutto qui. Solo che a ogni grande amore, impari a sentire un tratto nuovo del tuo Corpo maggiore: un minuscolo tratto in più, sempre. E viceversa, ogni volta che riesci a raggiungere un nuovo lembo del tuo Corpo maggiore, qualche grande amore si fa avanti, e ti trova e tu lo trovi.» «Ma è come quando riesci a vedere un’altra stella in cielo», aggiunse l’Austero. «Il tuo piccolo io rimarrà sempre sulla terra.» E il nostro io piccolo non può arrivare più in là? «Voi non potete, così come non puoi diventare il corpo della persona che stai amando. Questo è il confine naturale della lussuria, che dovete superare per entrare nel Sesto Cielo.» E come? «I cristiani dicono che l’atto sessuale è peccato quando non serve a generare un nuovo essere: non dicono così? E hanno perfettamente ragione a dirlo, ma non capiscono perché, dal momento che sono fermi anche loro dove sei fermo tu. Ciò che dicono senza capirlo è che oltre quel confine può arrivare soltanto un essere nuovo. «Dovete diventare un essere nuovo per arrivarci, e il vostro piccolo io non può diventarlo.

«Come diceva Dio a Mosè, quando erano arrivati al confine della terra promessa e il popolo si rifiutava di entrarci: I vostri cadaveri cadranno in questo deserto. I vostri figli saranno nomadi nel deserto per quarant’anni, e porteranno il peso delle vostre infedeltà, fino a che i vostri cadaveri saranno tutti quanti nel deserto. Ma i vostri figli sì, i vostri figli li farò entrare. Numeri 14, 31

«Ecco. Invece di ‘infedeltà’ mettici ‘le cose che sapete nell’Aldiqua’, e corrisponde perfettamente a ciò che vi succede più su.» E perché lì è scritto «in questo deserto»? «Perché le cose che sapete nell’Aldiqua vi sembrano sempre più un deserto, via via che salite. Voi le abbandonate e non ci trovate più voi stessi: sono vuote di voi. E anche i ‘cadaveri’, rappresentano ciò che eravate prima.» Suona un po’ cupo. «No. San Giorgio per liberare la principessa prigioniera deve uccidere il drago: e il drago è sempre un’immagine del vostro passato — di ciò che siete stati in passato. Finché è vivo, il drago .vi tiene prigionieri: quando diventate san Giorgio e lo uccidete, potete prendere i tesori che sorvegliava. Inoltre, molte leggende dicono che il sangue dei draghi rende invulnerabili, ed è vero. Diventare invulnerabili vuoi dire arrivare a un altro grado di evoluzione, ai Corpo maggiore. Lì siete davvero invulnerabili, e le vostre energie sono inesauribili.» E arrivarci vuoi dire fare le cose in un determinato modo? «Come dicevamo. Ogni volta che fai davvero qualcosa, rifletti nell’Aldiqua quell’io più grande. Da quel che imparate nel vostro mondo non potete accorgervene. Solo nell’Aldilà lo vedete e lo capite. Vuoi che te lo spieghi più praticamente?» XXIV Tecnica delle imprese di coraggio

«Quando siete nell’Aldiqua, il Corpo maggiore è il vostro più grande mistero. Non riuscite in nessun modo a pensare che siete tutt’uno con lui. Non potete, è troppo grande. Quando invece salite nel Corpo maggiore, come sai, il vostro problema è esattamente l’opposto: l’importante, lì, è che manteniate il contatto con il vostro io piccolo. Perciò il fare è tanto importante. Fare, voler fare, giudicare e decidere cosa fare: e sono tutte cose possibili soltanto nell’Aldiqua, nell’io piccolo.» Nel deserto, cioè? «Eh sì. Il Corpo maggiore ha poteri inimmaginabili, ma li potete far agire soltanto se avete deciso lo scopo per il quale usarli: altrimenti quei poteri spazierebbero negli universi, liberi e indifferenti come il vento. E chi decide è l’io piccolo. Una volta presa la decisione, usarli diventa una tecnica d’azione, e permette di ottenere risultati che nel vostro mondo sembrano prodigi. Questa tecnica ha sette norme da seguire, punto per punto.» Prodigi in che senso? «Non ti piace? Forse ti suona meglio: imprese di coraggio. Le avevamo chiamate così qualche settimana fa. È giusto: ci vuole coraggio per tornare nel deserto a far qualcosa, quando te lo sei lasciato alle spalle. «Ma agli altri più giù ogni risultato di questa tecnica sembra comunque un prodigio. È perché non sanno niente del Corpo maggiore, e per loro queste cose sono inspiegabili e temibili come il loro Dio. Per noi invece si tratta di tecnica, di norme e leggi, perché le nostre misure sono diverse — e si applicano altrettanto bene a questi poteri immensi e alle cose più insignificanti. «E le leggi sono conoscenza. Prendi nota per bene.» «Innanzitutto, prima di ciascuna impresa di coraggio devi sapere cos’hai deciso di fare: bisogna avere uno scopo ben chiaro, perché solo allora il mondo comincia a obbedirti. E qualsiasi scopo va bene — ma le prime volte farai meglio a scegliere cose che ti sembrino impossibili, o almeno estremamente difficili. Così sarà più emozionante. Dunque: PUNTO PRIMO «Devi lasciare che avvenga.

«Lascia che le forze che non conosci dispongano liberamente di sé. Non dare ordini alle tue forze, neanche nel pensiero: devi soltanto sapere cos’hai deciso, ma ripeto: una volta che lo hai stabilito non devi più esprimerlo con le parole, neanche mentalmente. «Questo, perché le vostre parole servono soltanto nei desideri, quando uno non ha ancora imparato a desiderare sul serio ed esita a ogni passo: in quel caso, la cosa principale è convincerti che stai desiderando qualcosa e che il tuo pensiero accetta quel determinato desiderio e non ne ha più paura. In questa tecnica, invece, lascia fare alle tue ali, che lavorano per stupirti e che non hanno parole, proprio come le membra del tuo corpo. Qui passi dal desiderio alla promessa.» È questa la promessa che dovevo cercare? «È questa, sì. Nella promessa è tutta la tua vita che guida le forze del Corpo maggiore: non limitarne l’azione con le parole. C’è qualcosa di molto più grande dietro ogni decisione che hai preso.» Ma come si fa a esprimere una decisione, o una promessa che sia, senza le parole? Devo pur formularla in qualche modo. «Impara a farlo senza le parole. C’è sempre qualcosa di molto più grande dietro una tua decisione: e le parole sono soltanto similitudini, servono a paragonare quel qualcosa di più grande a cose più piccole. Non correre il rischio di perderti dietro a queste cose più piccole.» Ma come si fa a... «Imparalo. PUNTO SECONDO «Devi donare al mondo qualcosa. Staccarti, scioglierti da una qualsiasi cosa. Non importa cosa, purché sia un dono, un’offerta al mondo.» Come un’offerta? Dare qualcosa a qualcuno? «Come vuoi. L’importante, quando compi un’impresa di coraggio, è che nel tuo mondo tu ti sciolga da una cosa che hai e lasci che se ne vada libera, non più tua. I vostri medici hanno

intuito in qualche modo che questo donare è molto utile, quando uno ha a che fare con forze più grandi di lui, come la malattia e la guarigione: e impongono ai pazienti di liberarsi di una somma di denaro.» Cioè si fanno pagare. «In omaggio alle umane miserie la prendono in consegna loro, quella somma. Ma andrebbe altrettanto bene se invece dei soldi usaste i pensieri: voi di solito vi tenete avidissimamente stretti i vostri pensieri, le vostre idee, più ancora che i soldi. Potresti provare a staccarti da un tuo pensiero, a sentire che non è più tuo. Non lo fate mai, e invece è molto piacevole.» E come si fa? «Semplicemente senti che non è più tuo. Se così ti sembra troppo astratto, puoi dirti: ‘ecco, questo mio pensiero appartiene a qualcun altro, d’ora in avanti’. E già sufficiente. PUNTO TERZO «Devi dare peso ai confini del tuo scopo. «È un modo di aggiustare bene il tiro. Non volere che la tua impresa di coraggio risolva tanti problemi, ma soltanto che realizzi ciò che hai deciso. Per esempio, se si tratta di una malattia da guarire, non volere che poi la tua salute sia perfetta, ma solo che quella particolare malattia scompaia. Capisci?» Ma non avevi detto che dietro a ogni decisione c’è sempre qualcosa di molto più grande? «Sì, ma non tocca a te sapere cosa ci sia. Compito tuo, durante l’impresa, è badare all’io piccolo: tenerti radicato al tuo mondo. E un po’ come evitare di venir portato via da un uragano di vento. Così, fa’ in modo che la tua coscienza si aggrappi saldamente allo scopo che ha scelto, e resta a vedere cosa succede. PUNTO QUARTO «Devi usare la mente per limitare quelle forze.» Non è la stessa cosa del punto terzo?

«No, è un’aggiunta al punto primo e al secondo. «È semplice. Tutta l’impresa verrà compiuta dalle tue ali, di cui tu non sei cosciente. Ma la tua parte cosciente, la mente, deve averci un ruolo, non puoi escluderla e basta. Falla agire frenando, fa’ che freni, e non che inciti come che sia. Per esempio, usa la mente per esaminare le tue paure del risultato che hai scelto. Se è una cosa che ti sembrava impossibile o difficile, vuol dire che ti faceva paura in qualche modo. Pensa a come sono fatte quelle paure. O semplicemente pensa ad altro, per deviare la tua attenzione su cose che non c’entrano, così che non disturbi le tue ali.» E la mente non le disturba se frena? «No, al contrario: se frena fa l’unica cosa che sa fare davvero, sta al posto suo e le tue ali possono tranquillamente ignorarla. PUNTO QUINTO «Pensa a forme di vita diverse. Ad altri mondi. Quando compi un’impresa di coraggio prova a fantasticare, appena puoi: e immagina che le tue fantasie siano davvero notizie, rivelazioni di altri mondi.» E lo sono davvero? «Sì. PUNTO SESTO «Ricordati: questo modo di usare la mente durante l’impresa, questo frenare e fantasticare è la miglior difesa contro tutte le energie che potrebbero scatenarsi intorno alle vostre ali.» Il sesto punto è ricordarmene? «Sì. E molto importante. Ti ho detto che oltre i confini c’è di peggio del diavolo. C’è anche di peggio delle macine del vostro mondo, e la vostra mente potrebbe attrarre quel genere di cose, per la sua solita e profonda paura che l’impresa riesca. In ogni caso darebbe impacci pericolosi alle vostre ali, se si impicciasse: e sarebbe come se dovessi correre con la bambina in braccio.»

La bambina che tenevo in braccio mi guardò alzando le sopracciglia, in una buffa espressione di stupore. Le sorrisi e accomodandola meglio sul braccio continuai ad ascoltare. PUNTO SETTIMO «E infine: devi ‘promanare’. Dare al mondo esempi visibili del cambiamento che sta avvenendo in te. Essere diverso da prima, per quanto puoi: almeno un po’. » E il Dominante ricominciò a camminare, gli altri lo seguirono, e anch’io. E «promanare», come dici tu, a che cosa serve precisamente? «A ciò a cui servono tutti gli altri punti. Sono tutti dettagli di un unico comportamento, non ti sei accorto? Li ho divisi in sette punti solo perché mi ascoltassi con attenzione per il tempo necessario. La cosa importante era che questa spiegazione durasse appunto quant’è durata. Era una specie di sacramento.» Questa tecnica è una forma di magia, no? «Se ti piace chiamarla così. Ma in pratica, è quello che succede in voi ogni volta che riuscite a fare qualcosa. È anche il fondamento di qualsiasi pratica magica che funzioni, ma solo perché le pratiche magiche sono un fare, e non perché questi sette punti siano magia.» «Comunque non c’entrano con quella che voi chiamate magia», intervenne l’Austero. «I maghi non le capiscono queste cose, perché pensano di ottenere risultati grazie alla loro forza personale, alla loro preparazione e così via. Invece quando fai qualcosa sul serio la forza non è mai la tua: è la forza inconsapevole della vostra evoluzione, di tutti gli uomini, amici, nemici, viventi, passati. Le tue ali sono le ali di tutti gli uomini.» Quindi chiunque può usare questa tecnica? «Te l’ho appena spiegato», disse il Dominante: «voi fate sempre così, quando fate qualcosa. Ma di solito lo fate inconsapevolmente e non riuscite a dirigere i risultati: a congiungerli con ciò che avete deciso, o con ciò che vorreste decidere... Questa tecnica serve soltanto ad accorgerti di cosa fai e di cosa succede quando fai qualcosa.» Ma hai anche detto che serve a fare prodigi.

«Ogni volta che fate davvero qualcosa rispettate tutti i sette punti che ti ho detto, senza accorgervene: e allora avvengono prodigi in qualche luogo senza che voi lo sappiate. Se per esempio fai una scoperta (prendiamo un esempio roseo), se scopri la cura di una malattia, in qualche punto del passato sta cambiando qualcosa che ti permette di arrivare a quella scoperta, e in qualche punto del mondo diverse persone a te ignote stanno scoprendo cose altrettanto importanti, proprio come te, o magari la stessa cosa che stai scoprendo tu. Voi siete tutti uniti. «Se invece sai che è così e decidi prima qualche scopo meraviglioso da ottenere, è molto meglio, non ti pare? Certo, pone più responsabilità alla vostra coscienza — a paragone di quel che pensate di solito riguardo al bene e al male, o alla causa e l’effetto: ma quelle responsabilità le avete comunque. E se imparate a usarle bene, i vantaggi sono notevolissimi.» E un esempio non «roseo», quale potrebbe essere? «Tutti i guai del vostro mondo sono il risultato dei vostri poteri: di ciò che fate senza sapere cosa fate, senza aver deciso nulla, senza volere nulla di preciso.» Cioè, insistevo, accigliato, è sufficiente che io decida quale prodigio voglio ottenere: e poi seguo questi sette punti facendo qualcosa, e il prodigio avviene? «Sì. Questa è la promessa che cercavi. Solo che devi deciderlo senza le parole.» Ma non è possibile pensare senza parole, senza pensieri! «Usa il sentimento. E tutta lì la questione: sul cuore e sul coraggio puoi agire soltanto attraverso il sentimento.» I sentimenti invece delle parole. «Già. Questo devi imparare.» E ci si può proporre qualsiasi scopo? «Qualsiasi scopo», rispose il Dominante. Anche ridare la vita a qualcuno che è morto?

«Non lo vorrebbe. Dovete rispettare la volontà di chi è arrivato più in là di voi, e la morte è un modo per arrivare più in là di voi. Lo fareste soltanto tornare indietro.» E come si fa a sapere se uno scopo che ci poniamo non rispetta la volontà di qualcuno? «No, distingui bene. lo ho parlato della volontà di chi è arrivato più in là di voi: quella non potete non rispettarla. Dovete e basta, non dipende da una vostra decisione: chi è più avanti vi guida e basta, senza che voi nemmeno capiate come. «Allo stesso modo, chi è più indietro di voi vi obbedisce inevitabilmente: vi segue, senza accorgersene, anche quando crede di opporsi a voi. E facile riconoscerli: quando provano a capire qualcosa, arrivano sempre alla conclusione che ciò che fanno non dipende dalla loro volontà.» In che senso ci seguono? «Cercano di evitarvi in tutti i modi e li avete sempre intorno. A voi sembrano ostacoli sulla vostra strada: in realtà, vi stanno soltanto seguendo.» E quelli che sono arrivati dove siamo arrivati noi? «Quelli aspettano soltanto che qualcuno abbia qualche scopo e cambi la loro vita.» «E come quando non avevate ancora varcato l’oceano e vi immaginavate che oltre Gibilterra ci fossero mostri e demoni marini», disse l’Austero. «Non vedevate l’ora che qualcuno ci andasse, solo che nessuno voleva essere il primo.» «Così anche voi, ogni volta che usate questa tecnica, allargate l’energia e il movimento del mondo», continuò il Dominante, «dissolvete i mostri e allargate i cieli, proprio come quando scoprivate i nuovi continenti. Il vostro Corpo maggiore è tale e quale a un nuovo continente, per voi. E così anche il Sesto Cielo, per la maggior parte della gente.» XXV Le maschere. Quando bisogna alzarsi. La storia di mago Merlino e dei suoi veri genitori

«Sai», disse l’Austero, «intanto che il tempo passa e ti abitui potresti scrivere un libro di racconti sulla Terra promessa, su che effetto fa. Tanto, questo sul diavolo l’hai finito, ormai.» Non lo sentii quasi. Mentre il Dominante parlava avevo cominciato a immaginare il mondo visto dal Corpo maggiore, e rapidamente nella mia fantasia aveva preso forma un cielo con le braccia (non saprei descriverlo altrimenti) che mi teneva così come poco prima avevo tenuto in braccio la bambina. Lo immaginavo, camminando. «Dovresti guardare anche un po’ dove vai», aggiunse l’Austero. «Guarda.» Siamo ancora in viaggio? Il ponte su cui camminavamo stava attraversando una città, adesso, ma non vi passava sopra: vi entrava e si incuneava tra le case, diventava una via e incrociava vie sempre più strette. Ci spostavamo con grande rapidità. Perché è così? Dove stiamo andando? «Si, è strano», disse il Dominante. L’aria era scura come una sera di pioggia, e per le vie c’erano molti passanti, tutti con lunghi cappotti, o mantelli, non vedevo bene. Per un istante aprii gli occhi in casa mia, a Milano, davanti alla mia scrivania — e lì naturalmente tutto era come prima: il computer, i libri, alla parete l’icona rivestita d’argento. Richiusi gli occhi. I passanti portavano maschere, come a Carnevale, e correvano quasi, temevo che mi urtassero. La bambina era in braccio al vecchio con le finte ali di libellula. Lontano qua e là si sentivano grida. E alcuni di quei passanti avevano coltelli (poggiai la mano sul braccio del Dominante, quando me ne accorsi): ogni tanto si inseguivano da una parte all’altra della via, duellavano o qualcosa del genere. I nostri due vecchi si misero tra noi e quella gente, dando le spalle a loro, e ridendo. «Svoltate lì in quella via», disse il vecchio, sempre ridendo, e imboccammo un vicolo a sinistra. Ma che significa? continuavo a domandare al Dominante, e anche lui rideva tranquillamente.

Nel vicolo era ancora più buio e, con mio sollievo, non c’era nessuno oltre a noi. Di nuovo ci spostavamo rapidamente. Nel buio le case scomparvero e divennero alberi, grandi, una foresta sempre più fitta. «E la tua mente di prima che rimane indietro», mi spiegò finalmente il Dominante, «le tue resistenze sono là che si accoltellano, con le maschere.» Mi sono addormentato e sto sognando? «Ti stai indubbiamente addormentando, ma questo non c’entra: sei una parte nuova dite, e sei in una parte nuova dell’universo.» Non nel Sesto Cielo? «No. Stai esplorando più in là.» Il vecchio con le ali indicò qualcosa davanti a noi. «Quello è ciò che chiamate Merlino», mi disse il Dominante. Mago Merlino? Più avanti c’era soltanto il buio della foresta. «Non riuscirai a vederlo, non è un tuo maestro», disse il Dominante. «Noi possiamo sentirlo, tu no.» Poco dopo riaprii gli occhi, davanti alla mia scrivania. Del seguito di quel viaggio ricordavo soltanto una scena, stranamente precisa: un uomo disteso su un letto disfatto, in una stanza troppo calda. L’uomo aveva indosso una camicia dalle maniche ampie e pantaloni con l’allacciatura al ginocchio, come nel Settecento. Si alzava piano, scuotendo il capo, scontento. Era il fabbricante di automi? domandai il giorno seguente. «Sì ma non lo vedevi, lo stavi solo sognando», disse il Dominante. «E il significato del sogno è questo: quell’uomo era un modo che avete a volte di sentire la vita nel vostro Aldiqua, come una stanza troppo calda, senza finestre. E in quei momenti dipende solo da voi: dovete alzarvi. È tutto lì. E tornare ai vostri automi. Perciò era vestito come il fabbricante di automi.»

Aspettò che io capissi, e proseguì: «Alzarsi e ricominciare è il vostro maggiore eroismo nell’Aldiqua. Sono momenti di grande bellezza, come li vediamo noi: quando nell’Aldilà imparate a superare i Cieli, e nel vostro mondo, nel deserto, sentite che vale ancora la pena di alzarsi al mattino e di fare qualcosa. Poi anche voi ne sarete orgogliosi». Poi quando? «Fuori del tempo, da dove vi guardiamo noi.» E Merlino? Perché non ne ricordo niente? «Per un attimo l’hai anche visto: come un albero nella foresta, ma senza foglie. Ma anche se te lo ricordassi non riusciresti a trame niente: in quei territori le immagini sono diverse, lì il campo visivo è ancora troppo diverso dal tuo. Riuscite a coglierne qualcosa soltanto attraverso le storie. Ti ricordi com’è la storia di Merlino?» Storia di Merlino La spada nella roccia, re Artù, Viviana e Morgana e così via? «Nella storia di Merlino ci sono due punti che non capite mai», disse il Dominante, «e sono i due punti più importanti. Anzi, la storia di Merlino è tutta quanta in quei due punti. Il resto, la spada nella roccia, la tavola rotonda, l’educazione di Artù: sono altri racconti, echi di altre storie che si sono soltanto intrecciate a quella di Merlino. Quei due punti importanti sono: la nascita di Merlino, e il momento in cui Merlino scompare nella prigione di Viviana. «Merlino nasce dal diavolo — dice così la vostra storia, no? I Diavoli volevano fare anche loro quel che Dio aveva fatto con Gesù, e fecondarono una pia donna mentre dormiva...» «Così la raccontano i francesi», borbottò l’Austero, mentre io, nella mia stanza a Milano, prendevo da uno scaffale un libro su Merlino, per verificare. «... Ma la donna quando si svegliò capì», proseguì il Dominante, «e siccome era davvero molto devota, tanto pregò e tanto pianse che i Diavoli decisero di lasciar perdere, e di non occuparsi più né di lei né del bambino. Così nacque Merlino, e aveva i poteri dei suoi padri Diavoli ma mai dovette obbedire a quei Diavoli, che l’avevano abbandonato, e non si curò mai di loro. Questo è il primo punto importante. Stai prendendo nota?»

Sì sì. Misi da parte il libro che avevo aperto e continuai a prendere nota. «Il secondo punto è il grande amore di Merlino per la sua discepola Viviana, la Dama del Lago, principessa di Broceliande. «Quando era già divenuto un mago potente, Merlino andava spesso da Viviana, a istruirla nella magia, ed era felice con lei e lei lo era con lui. Ricordi cosa ti dicevo dei grandi amori? Anche per Merlino era così: anche lui, con questo suo amore, scopriva un tratto in più de suo Corpo maggiore. E anche lei, naturalmente. «Poi un giorno, mentre Merlino le dormiva accanto nella foresta, Viviana gli tracciò intorno un cerchio incantato e dal cerchio fece sorgere una prigione invisibile, nella quale Merlino scomparve per sempre. Lei sola, da allora in poi, poté andare a trovarlo: e vi andò ogni giorno, e lì furono sempre felici insieme.» Perciò non ho potuto vederlo? «Non puoi vederlo perché Merlino sei tu. Voi siete Merlino: perciò potete solo incontrarlo, e non vederlo.» È questo l’indovinello, nella storia di Merlino? Merlino è ogni uomo? «Ogni frase è un indovinello, in questi due punti della storia. E la soluzione è questa, ascolta: Merlino è ciò che voi diventate quando cominciate a scoprire i vostri poteri. E un vostro passo importante verso il Corpo maggiore. Ed è figlio del diavolo e abbandonato dal diavolo, perché quando scoprite i vostri poteri il diavolo rimane indietro: il diavolo è il confine che attraversate per poterli scoprire. In questo senso il diavolo è vostro padre, come fate dire a Gesù nei Vangeli: così riuscite davvero a farlo diventare vostro padre.» Ma quel passo dei Vangeli non era falsato? «Sì, e la storia di Merlino nasce da quella falsificazione, e la riscatta. La fa diventare vera alla fin fine, ma in un modo un po’ diverso da ciò che pensava la diocesi che la aggiunse al Vangelo di Giovanni. «Ragiona: i vostri genitori sono sempre la soglia che varcate per entrare nel vostro mondo; e così è in tutti i mondi in cui entrate. Per entrare nel vostro mondo vi serve un corpo: e voi

varcate il corpo di vostro padre e quello di vostra madre, e avete un corpo. Ma non appena l’avete, siete più di quel corpo, non è vero? «Allo stesso modo, per scoprire i vostri poteri dovete varcare il confine di quei poteri, e il confine è il diavolo: lo varcate, e siete più di quel confine. Così ve lo lasciate alle spalle, quando diventate Merlino.» «Come dice il Vangelo», aggiunse l’Austero: se il Figlio vi libera, allora siete liberi davvero (Vangelo di Giovanni 8, 36). «Anche questa è una regola che vale sempre, in tutto.» È come nella storia di Teseo, quando suo padre muore? «Tale e quale. Così è per Teseo, e per Edipo, e per Adamo e per tutti. Anche Giuseppe, il padre di Gesù, rimane indietro e scompare. Così è per tutti i vostri genitori.» E sarò così anche con Dio Padre? «Certo. Anche con il Corpo maggiore è così: quando sarete arrivati a varcarlo, vi lascerete alle spalle anche quello. Verrà anche questo giorno.» E la storia con Viviana? «Anche Viviana siete voi. «Viviana è ciò che siete nel vostro Aldiqua. La sua prigione invisibile è il grembo in cui portate Merlino: voi siete la madre del Merlino che diventerete. Così, vedi, la fine della storia di Merlino è anche il suo inizio: e tutta la storia serve a mostrarvi che voi siete sua madre e i suoi discepoli al tempo stesso.» Cioè, la prigione invisibile di Merlino è ogni uomo? «Sì, ma il vostro Aldiqua non è posto per lui. O almeno non ancora, non nel mondo com’è ora. Perciò, anche in tutte le sue avventure di mago, Merlino non agisce mai in prima persona: fa fare le cose ad altri, ad Artù, ai cavalieri, a Viviana... Proprio come il Corpo maggiore. Educa, guida, permette, impedisce — ma non agisce mai in prima persona, nel vostro mondo. Solo attraverso di voi.

«Come il Corpo maggiore, così anche Merlino esiste altrove: è là dove diventate immensi e aperti e vuoti alle energie degli universi. Sulla terra, invece, voi vi svegliate, vi alzate, eroicamente, come Biancaneve dalla sua bara di cristallo, e fate, agite... Imparate pian piano ad adoperare quelle energie, come Viviana nella foresta di Broceliande.» La foresta di Broceliande rappresenta la terra? «Non la terra. La terra è il regno di Artù. Broceliande è il vostro piccolo Aldilà personale, dove imparate da Merlino, e dove vi accorgete — pian piano — di avere Merlino dentro di voi, nascosto come nella pancia della mamma. E una vostra nuova religione che deve nascere dopo il cristianesimo; se pure si può parlare propriamente di religioni nuove.» Una volta mi avevate detto che noi siamo nel Corpo maggiore come nella pancia della mamma: qui è il contrario. «Non ti ho anche detto che i confini dell’Aldilà sono fatti di specchi? E che nell’Aldilà ciò che è contenuto contiene? Così, vedi», concluse il Dominante con un largo sorriso, «il segreto più semplice nella storia di Merlino è che nella prigione invisibile ci siete voi, e Merlino vi vede da fuori. A voi sembra che sia lui invisibile e chiuso. In realtà lo siete voi. E quanto più imparate a fare le cose per gli altri invece che per voi stessi soltanto, tanto più imparate anche a far nascere Merlino in voi stessi e a lasciarvi alle spalle l’io piccolo.» «A far nascere Merlino, Teseo, Prometeo...» aggiunse l’Austero, «invece di starvene lì a coccolarvi e a fare da scatola al vostro cuore. Su, viaggiamo più in là? Qui, col diavolo e i confini abbiamo proprio finito.» Più in là ci sono posti pericolosi come quello delle maschere? «Pericolose le maschere?» si stupì il Dominante. «Le maschere che duellavano erano una scena drammatica, per il tuo divertimento.» Era un vostro scherzo? «No no, era vera, ma era divertente. Quando voi non capite qualcosa avete due modi di resistere al capire: uno è la drammaticità, l’altro è l’ansia. Sono due facce della stessa corazza, buie da dentro, e divertenti da fuori.

«Per esempio, nella storia di Merlino la drammaticità erano i cavalieri: le svariate vicende dei cavalieri, che avete aggiunto alla storia di Merlino per non capire i due punti principali. Anche per questo i cavalieri hanno la corazza.» Drammaticità in che senso? «Agitazione, tanta buona volontà, tensione. Lo sguardo eroico di chi cerca una qualche morte da guardare in faccia. La bocca seria di chi sta pensando intensamente. Tutta questa drammaticità è la maschera che indossate quando non riuscite a capire qualcosa. «Davvero è divertente a vedersi, perché in realtà anche in quei momenti avete capito benissimo: solo che capire è una sensazione sottile, e voi nella drammaticità vi gonfiate, vi appesantite, vi corazzate — fate di tutto per non sentirla più, quella sensazione così sottile e leggera. È spassoso, per gli altri.» «Per noi», sorrise l’Austero. E aggiunse: «Ricordati, capire è sempre divertente, per un verso o per l’altro». «L’ansia invece», continuò il Dominante, «è quando ripeti sempre le stesse domande per convincerti che non hai ancora capito. Questo è di nuovo diabolico, è un contrabbandare il diavolo oltre confine. La drammaticità è dieci volte meglio.» Non era tanto divertente quando si accoltellavano, là. «Oh sì che lo era», disse l’Austero. «Ridevamo tutti, e anche tu. Non te ne sei accorto?» XXVI La disobbedienza Stavamo camminando, di nuovo. Adesso si partirà sempre così per i viaggi, senza che me ne accorga? «Non sempre, non necessariamente. Ma puoi esercitarti a far così, se ti piace: è anche questo un modo di non ricorrere alle parole quando agisci.»

Scendevamo lungo un pendio; la bambina diceva qualcosa al vecchio con le ali, che si era chinato per ascoltarla. Era un pendio di campi, con boschi intorno. Perché c’è spesso il bosco intorno, durante i viaggi? «Appunto perché devi imparare», disse l’Austero. «Il bosco intorno è la cornice in cui cerchi ancora di chiudere le cose. Imparando ti accorgerai che non serve, e non lo vedrai più.» «Non solo non serve», disse il Dominante. «È quello che ti rimane delle vostre obbedienze, e tutto sommato le vostre obbedienze sono soltanto dannose. «Hai notato che nelle epoche di grande obbedienza, quando vi sentite progrediti, evoluti e fieri dei vostro Aldiqua, succede sempre che il numero delle malattie ignote aumenta e che le capacità dei vostri medici diminuiscono? Pesti, epidemie... «È perché con quel vostro obbedire frenate la conoscenza, nelle vostre menti: ed è una pessima cosa, perché la conoscenza non si può fermare in nessun modo. Fermate nelle menti la vostra capacità di conoscere, e la conoscenza cresce nei vostri corpi. Voi difendete da voi stessi ciò che sapete, difendendo voi stessi da ciò che non sapete: e allora la vostra conoscenza si amplia malgrado voi, e a vostro danno. Vi incita, con le malattie, fino a che non vi trascina di nuovo avanti.» Cioè, se gli uomini obbedissero di meno si ammalerebbero dimeno? «Proprio così. «In ogni caso, è solo disobbedendo che riuscite a guarire quelle malattie nuove. «A un certo punto qualcuno smette di obbedire al presente e va a cercare nel futuro: trova la cura giusta, e allora tutto quello che sapevate prima e a cui obbedivate cambia e diventa passato. «Perché lui ci riesce e gli altri no? Solo perché non obbedisce. Non sta lì a fare i conti del male fatto e subìto, dei vostri accordi sulle cose da fare e da non fare, sui vostri tabù e sui vostri karma. Fa e basta.»

Gli altri hanno paura che il loro mondo crolli e gli crolli addosso», disse l’Austero. «E venerano i confini come se fossero Dei.» Invece il confine è il diavolo. «Invece il confine è il diavolo», approvò il Dominante, ricominciando a camminare. In fondo al pendio c’era un fiume, bruno e giallastro, quasi dello stesso colore dell’erba del pendio e dei campi sull’altra riva. «Tu cerca di obbedire soltanto alle promesse che trovi in te, e alle tue imprese di coraggio», continuò il Dominante, mentre ci avvicinavamo al fiume. «Trovati occasioni ne] mondo: fa’ qualcosa e cerca qualcosa che ti leghi al tuo mondo, perché soltanto lì puoi obbedire alle tue promesse, e fa’ crescere la tua storia a ritroso finché ne esci. E la tua unica libertà, nell’io piccolo.» In che senso? «Il vostro io piccolo cerca sempre di ritagliarsi angoletti di libertà per sé, e finisce sempre per dipendere da altri. A noi quel genere di libertà non interessa, e ormai non dice più niente neanche a te.» E in che senso «la mia storia a ritroso»: anche le nostre vite sono storie da interpretare a ritroso? «Sì, finché non imparate a dimenticarle. Dimenticarle è ancora più utile che interpretarle, e molto più difficile.» «Poi dimenticherai anche noi», disse l’Austero. No. Perché dici così? e mi fermai. «Anche noi siamo un tuo confine», disse il Dominante. «Viviamo perché tu ci presti questa cosa preziosa, la vita, il linguaggio, e noi in cambio ti spieghiamo queste cose, che non potresti conoscere in nessun altro modo. Quando le avrai conosciute passerai oltre, e noi non ci saremo più.» Ma io non voglio.

«Ah, non ha importanza», disse il Dominante, lanciando un’occhiata all’Austero, e avviandosi lungo la riva del fiume. NOTE 1 Come incontrare i propri Spiriti-guida Gli Spiriti-guida — o Spiriti della Ricchezza, come li chiamò Esiodo — sono un aspetto della realtà della psiche noto e amorevolmente studiato in tutte le culture religiose e anche nella psicologia moderna, almeno a partire dagli esperimenti di C.G. Jung con il suo celebre «maestro Basilide» (v. C.G. Jung, Erinnerungen, Traume, Gedanken, 1961 — trad. it. Sogni, ricordi, riflessioni, Milano 1978). E ogni cultura religiosa, e ogni studioso, ha le proprie tecniche per stabilire con gli Spiriti-guida un contatto durevole. Ho analizzato altrove i tratti fondamentali di queste tecniche e i presupposti del loro funzionamento (I maestri invisibili, Milano 1997). Qui di seguito illustro quella che a me sembra oggi la tecnica più semplice, più efficace e soprattutto più controllabile, tale cioè da escludere ogni eventualità di improvvise «comunicazioni spontanee» da parte degli Spiriti-guida nel corso della vita quotidiana. E una semplice ginnastica mentale — in quattro movimenti, che, un po’ come i passi di danza, solo all’inizio richiedono l’ausilio della memoria e in breve tempo divengono del tutto automatici. Quanto alla durata, questa danza d’accesso richiede, la prima volta, poco più di mezz’ora; dopo qualche «discesa», richiederà tre minuti soltanto — a meno che il viaggiatore non si soffermi per una qualche ragione a osservare i vari mutamenti della sua coscienza durante il percorso. Per maggiore comodità, consiglio al lettore di leggere i quattro movimenti al registratore, lentamente, con una breve pausa (una decina di secondi) a ogni asterisco e con una pausa più lunga (almeno due minuti) tra un movimento e l’altro; e di eseguirli ascoltando la registrazione. Alcuni sostengono che per un miglior risultato occorra, la prima volta, eseguire i quattro movimenti insieme con altre persone, almeno una decina — per sfruttare il «campo energetico» che sempre si forma quando alcune persone fanno qualcosa insieme. Se non conoscete nessuno che accetti di avventurarsi con voi nell’Aldilà personale, consiglio di cominciare questo esercizio, la prima volta, alle ore 22 di un giorno qualsiasi; è come un appuntamento ideale: così, potrete contare sul fatto che in quello stesso momento altri lettori

di questo libro stiano imboccando come voi questa via della percezione, e che un «campo energetico» utile stia formandosi tra voi e loro. La posizione migliore per questo genere di esercizi è seduti, con i gomiti su un tavolo o sui braccioli della sedia. Tenete a portata di mano un quaderno aperto, e una penna. Primo movimento Chiudete gli occhi. E pensate alla vostra palpebra destra. Alla pelle delicata della palpebra, alle ciglia. E immaginate una carezza leggera, di due dita, che passa piano piano lungo tutta la palpebra destra, dalla ghiandola lacrimale fino alla coda dell’occhio. Proprio vicino alle ciglia. Piano, dolcemente. Non c’è fretta. Immaginatela una volta. E ancora: un’altra volta. È molto piacevole. Una carezza leggera leggera. E — sentite? — la palpebra destra adesso sembra un poco più morbida, più calda, e dolcemente pesante. Ora, allo stesso modo, pensate alla vostra palpebra sinistra. Percepite, senza toccarle, la delicata pelle della palpebra sinistra, e le ciglia. E proprio come prima, immaginate una carezza leggera, di due dita soltanto, che passa piano piano lungo tutta la palpebra sinistra, dalla ghiandola lacrimale fino alla coda dell’occhio. Passa proprio vicino alle ciglia. Dolcemente. Immaginatela una volta. Immaginatela ancora; è piacevole. Una carezza leggera. E anche la palpebra sinistra — sentite? — diventa un poco più morbida, più calda, dolcemente pesante. Concedetevi qualche istante per sentire meglio questa sensazione di morbido tepore delle palpebre. Sentite che, piano piano, si estende? Quel tepore scende lungo le guance. Oppure sale, lentamente, oltre le sopracciglia, sulla fronte. Lasciate che vada dove vuole. Dove sa. E una sensazione non soltanto piacevole, ma preziosa: dovunque arriva, quella sensazione di morbida, morbida pesantezza porta riposo, lascia uscire tensione, stress.

Ed è una sensazione intelligente, sa dove andare. * Lasciate, per qualche istante, che vada e svolga il suo compito riposante. Non c’è fretta. Concedetevi questo lusso. * Ora portate di nuovo l’attenzione sulle vostre palpebre, e riaprite lentamente gli occhi. Secondo movimento Guardatevi intorno — a occhi aperti, per ora. C’è qualcosa di rosso in casa? Osservate il colore rosso. E c’è qualcosa di arancione? Osservate il colore arancione. Poi qualcosa di giallo; di verde; e di azzurro. Se c’è qualcosa color indaco, osservate il colore indaco: se no, sappiate che è un azzurro molto scuro, quasi nero. Infine, osservate qualcosa di violetto. Nel secondo movimento utilizzeremo questi sette colori, a occhi chiusi. * Ora chiudete gli occhi; i polsi sono poggiati al tavolo, la schiena è diritta. Di nuovo, proprio come prima, pensate alla vostra palpebra destra. Immaginate una carezza leggera, di due dita, che passa lungo tutta la palpebra destra, dalla ghiandola lacrimale fino alla coda dell’occhio; proprio vicino alle ciglia. Piano, piano; è piacevole davvero: una carezza così leggera. E — sentite? — la palpebra destra sta diventando più morbida, più calda, e dolcemente pesante. Poi, pensate alla vostra palpebra sinistra. Immaginate una carezza leggera, di due dita soltanto, che passa piano piano lungo tutta la palpebra sinistra, dalla ghiandola lacrimale fino alla coda dell’occhio. Vicino alle ciglia, piacevole, dolce. E anche la palpebra sinistra — sentite? — diventa più morbida, più calda, dolcemente pesante.

Concedetevi qualche istante per sentire meglio questa sensazione di morbido tepore sulle palpebre. Lasciate che questa sensazione vada dove vuole: è preziosa. Porta riposo, lascia uscire tensione, stress. E sa dove andare: lungo il collo; oppure intorno all’orecchio; o più in là, lungo la nuca, dove di solito si accumula tanta tensione. Lasciate che vada e svolga il suo compito. Che fretta c’è? Prendetevi questo piccolo lusso, ogni volta, ad ogni discesa. * Ora, a occhi chiusi, immaginate di vedere davanti a voi qualcosa di rosso. Non importa cosa. Un maglione rosso. Un’automobile rossa. O anche soltanto un puntino rosso, per un secondo. Qualunque cosa va bene purché sia rosso, in qualunque parte dello schermo buio che avete adesso dinanzi a voi, a occhi chiusi. Il colore rosso. * Ora il colore arancione. In qualunque punto dinanzi a voi, immaginate qualcosa di arancione. Un’arancia. Oppure un tramonto. Qualsiasi cosa. Anche soltanto per un istante. Se non riuscite a visualizzare il colore (tanti non ci riescono, le prime volte), immaginate una mano che lentamente scrive nell’aria la parola: arancione. * E ora il giallo. Immaginate qualcosa di giallo. Giallo come il limone. Oppure, come il sole che disegnano i bambini. Il colore giallo. O se non riuscite a visualizzare il giallo, immaginate una mano che scrive: giallo. * Ora il verde. È il più facile di tutti. Immaginate una foglia: ed eccolo, ben visibile, il colore verde. Il colore verde. *

Ora l’azzuffo. Immaginate qualcosa d’azzurro. Azzuffo carico. Come il cielo nelle cartoline del mare. Azzurro. Oppure la mano che lentamente, senza fretta, scrive: azzurro. * Ora, indaco. Immaginate il colore indaco. Indaco, come il cielo di notte. Il colore indaco. * E infine, il colore più leggero e più misterioso di tutti: il colore violetto. * Al di sotto del colore violetto, vedete, c’è una strada: lì incomincia una strada. Date soltanto un’occhiata dall’alto, non percorretela ancora. E ora risaliamo, lungo i colori, piano piano. Il colore violetto. Il colore indaco. Il colore azzurro. Il colore verde. Il colore giallo. Il colore arancione. Il colore rosso. Al colore rosso, sentite di nuovo le vostre palpebre, e riaprite lentamente gli occhi. Appena avrete riaperto gli occhi, annotate in breve sul quaderno ciò che avete visto dell’imbocco di quella strada. Terzo movimento Mettetevi comodi, sulla sedia — ma sempre con la schiena diritta. E pensate alla vostra palpebra destra. Immaginate la carezza leggera — la punta di due dita — che passa piano piano lungo tutta la palpebra destra, dalla ghiandola lacrimale fino alla coda dell’occhio, proprio vicino alle ciglia. Piano, piano, dolcemente. E la palpebra destra sta diventando più morbida, calda, dolcemente pesante.

Poi pensate alla vostra palpebra sinistra. E immaginate la carezza leggera, di due dita soltanto, che passa piano piano lungo tutta la palpebra sinistra, dalla ghiandola lacrimale fino alla coda dell’occhio; vicino alle ciglia: piacevole, dolce. E anche la palpebra sinistra sta diventando più morbida, calda, dolcemente pesante. Concedetevi anche questa volta qualche istante per sentire meglio il tepore delle palpebre. Non c’è fretta. Lasciate che questa sensazione di tepore vada dove vuole: è preziosa, porta riposo, dovunque arriva. Se scende lungo il collo e poi lungo il petto, lasciatela fare. Sa dove andare. Lasciate che svolga tranquillamente il suo compito. * Ora scendiamo lungo i colori. Immaginate il colore rosso. Il colore rosso. Poi il colore arancione. Come un’arancia. Oppure la mano che scrive la parola: arancione. Il colore arancione. Poi il colore giallo. Come il sole che disegnano i bambini. Il colore giallo. Il colore giallo. Poi il verde. Come una foglia. Il colore verde. Poi l’azzurro. Come il cielo nelle cartoline del mare. Il colore azzurro. Poi il colore indaco. Come il cielo di notte. Il colore indaco. E poi il colore più leggero e più misterioso di tutti: il colore violetto. Al di sotto del colore violetto, vedete, c’è ancora l’imbocco della strada: percorretela, questa volta. È in leggera discesa, vedete? Proseguite. Fate caso ai dettagli: osservate bene ciò che avete intorno, sulla destra, sulla sinistra. * Ci sono case, marciapiedi? o è una strada di campagna? O c’è il mare? Fate caso ai dettagli.

E il fondo della strada com’è? C’è ghiaia, o terra battuta, o è asfaltata? Guardate bene. * Continuate. Si va di buon passo, lungo queste strade. Ora — vedete? — c’è uno spiazzo in fondo alla strada, ampio, comodo. Lì fermatevi. Infilate una mano nella tasca destra e sentite cosa c’è: qualcosa di morbido — di velluto, o di pelle di daino, non si capisce bene. Prendetelo, guardate cos’è. È un sacchetto, morbido, di velluto. Di che colore è? Di che colore è la cordicella che lo chiude? Guardate bene. Tirate i capi della cordicella, apritelo. E infilate dentro la mano. C’è una sostanza leggera: più leggera della cipria, più leggera della cenere. Appena più densa dell’aria. Guardate com’è, sulla punta delle dita. * Questa sostanza ha poteri molto speciali. Sperimentate uno di questi poteri: tracciate nell’aria, proprio davanti a voi, una cornice — d’una forma che vi piaccia. Vedete? La cornice rimane. Prendete ancora un po’ di quella sostanza, e plasmate la vostra cornice in qualsiasi materiale vi piaccia. Quel materiale prenderà subito forma sotto le vostre dita, e rimarrà. Non ponete limiti all’immaginazione: volete che sia una cornice d’oro? O di acqua? Di diamanti? O di nuvole? Un pizzico della sostanza che avete nel sacchetto farà comparire qualsiasi materiale vorrete. Continuate a lavorare alla vostra cornice, a plasmarla — per almeno un minuto. (venti secondi di silenzio) Mentre la state tracciando non vi piace più? Potete cancellarla, con la gomma che c’è sulla matita. Disegnatela e ridisegnatela fino a quando vi piacerà. E ricordate: a ogni discesa potrete cambiare questa cornice, con un po’ della vostra polvere. Questo è il regno della trasformazione, e tutto può cambiare qui: e voi, soltanto voi, siete i padroni, qui.

(trenta secondi di silenzio) Date un’occhiata alla cornice. Può andare, ora? Per ora sì. Rimettete in tasca il sacchetto. Ora appoggiate la mano al centro della cornice, spostatela un poco verso sinistra, e premete leggermente. Qualcosa si sposta all’interno della cornice: sentite? Qualcosa, una superficie invisibile si è spostata, aprendosi come una porta. Ora riportate indietro la mano e — sentite? — quella superficie invisibile si richiude, con un leggero scatto. Provate ancora una volta. Ecco. Basta così, per ora. Ora riponiamo la cornice. Si fa così: premete delicatamente sui lati della cornice, verso l’interno. La cornice si rimpicciolisce. Non è più grande di un giornale, premete ancora: sarà grande come una rivista. Poi come un libro; poi come una carta d’identità; poi come un francobollo. Poi come un granello di ghiaia. Riponete quel granello di ghiaia nel sacchetto che c’è nella vostra tasca destra. Lì lo ritroverete ogni volta. Ora voltatevi, e percorrete la strada fino ai colori. E risaliamo lungo i colori. Il colore violetto. Il colore indaco. Il colore azzurro. Il colore verde. Il colore giallo. Il colore arancione. Il colore rosso. Al colore rosso, sentite di nuovo le vostre palpebre, e riaprite lentamente gli occhi. Appena avrete riaperto gli occhi, annotate in breve sul quaderno qual è la forma, il colore e il materiale della vostra cornice. Quarto movimento Prima di questo quarto movimento provate a scrivere sul quaderno, a occhi chiusi, una fila di i (col puntino). Una fila di u. Una fila di r. Proprio come in prima elementare, ma a occhi

chiusi. Vedete che è facile? Provate una fila di s, che di solito è la lettera più complicata da scrivere con gli occhi chiusi. Ricordate: è indispensabile che durante le conversazioni con i vostri maestri voi prendiate nota, con la grafia più chiara possibile. Tutto ciò che non annoterete di quelle conversazioni (sia le vostre domande, sia le loro risposte) scomparirà dalla vostra memoria nel giro di pochi secondi, quando avrete riaperto gli occhi, proprio così come a volte scompaiono i sogni, al mattino. Per evitare che, scrivendo a occhi chiusi, le righe si sovrappongano e divengano illeggibili, potrete appoggiare sul margine del quaderno la mano che non scrive, e toccarla con l’indice dell’altra mano ogni volta che andrete a capo: così saprete quanta distanza c’è tra la riga precedente e la nuova riga. Oppure, potrete tracciare una linea diagonale, discendente, dall’ultima lettera di una riga alla prima lettera della riga successiva. * Anche questo è un modo di evitare la sovrapposizione di righe. Ora posate la penna e chiudete gli occhi. L’inizio sarà sempre uguale. * Mettetevi comodi, sulla sedia — con la schiena diritta. E pensate alla vostra palpebra destra. Immaginate la carezza leggera — la punta di due dita — che passa lungo tutta la palpebra destra, dalla ghiandola lacrimale fino alla coda dell’occhio, proprio vicino alle ciglia. E la palpebra destra diventa più morbida, calda, dolcemente pesante. Poi pensate alla vostra palpebra sinistra. E immaginate la carezza leggera, di due dita soltanto, che passa lungo tutta la palpebra sinistra, dalla ghiandola lacrimale fino alla coda dell’ occhio; vicino alle ciglia: piacevole, dolce. E anche la palpebra sinistra diventa più morbida, calda, dolcemente pesante. Concedetevi ogni volta qualche istante per sentire meglio il tepore delle palpebre. Non c’è

fretta. Lasciate che questa sensazione di tepore vada dove vuole: è preziosa, porta riposo, dovunque arriva. Lasciate che svolga tranquillamente il suo compito. E intanto, pensate alle domande da rivolgere ai vostri maestri, che incontreremo tra poco. * Non

ponete

domande

la

cui

risposta

sia

semplicemente

«sì»

o

«no».

Pensate a domande che permettano di conversare un p0’; a richieste di spiegazioni, racconti, indicazioni, notizie di cui avreste bisogno. * Ora scendiamo lungo i colori. Immaginate il colore rosso. Poi il colore arancione. Oppure la mano che scrive la parola: arancione. Il colore arancione. Poi il colore giallo. Come il sole che disegnano i bambini. Poi il verde. Come una foglia. Poi l’azzurro. Come il cielo nelle cartoline del mare. Poi il colore indaco. Come il cielo di notte. E il colore più leggero e misterioso di tutti, il colore violetto. Al di sotto del colore violetto c’è ancora l’imbocco della strada: percorretela. Se si è modificata rispetto alla volta precedente, va benissimo così. Questo è il regno della trasformazione. Si modifica per adattarsi a voi. Voi, semplicemente, fate caso ai dettagli: osservate bene ciò che avete intorno, sulla destra, sulla sinistra. * Arrivate allo spiazzo che è in fondo alla strada. Dal sacchetto che è nella vostra tasca destra prendete quel granello,come di ghiaia, premetelo tra le mani, plasmatelo, e in pochi istanti ne prenderà forma la vostra cornice, nella forma che le avevate dato la volta scorsa.

Vi piace? Se non vi piace, modificatela usando un po’ della vostra polvere. (quindici secondi di silenzio) Ecco, così può andare, per ora. Ora, allargate la cornice premendo sui lati: verso l’alto, verso destra, verso sinistra, verso il basso. Premete delicatamente con una mano all’interno della cornice, sulla sinistra. Lasciate che si apra lo schermo invisibile che è all’interno della cornice, e scavalcate il lato inferiore — prima con una gamba, poi con l’altra. Ora siete dall’altra parte della cornice; chiudete quello schermo, con una leggera pressione. Quello schermo obbedisce soltanto al tocco della vostra mano. Soltanto voi potete aprirlo e chiuderlo. Voltatevi, e guardate cosa c’è, dall’altra parte della cornice. Un pendio. L’orizzonte, liscio. È il mare. Non ci sono nuvole. Immaginate l’odore del mare, il rumore, leggero. Sulla destra — vedete — c’è un molo. Scendete verso quel molo. Accanto al molo c’è un motoscafo in attesa. Ha una forma curiosa; ma funziona benissimo. Accomodatevi sul motoscafo, sul sedile posteriore. Non c’è nessuno alla guida, il motoscafo va da sé, e sa dove deve andare. Lasciate che vi porti. Si muove. Parte. Questa è la parte più riposante del viaggio: non occorre che facciate nulla, semplicemente godetevi il viaggio in motoscafo. Guardatevi intorno, mentre il motoscafo va. Com’è il sedile, di che colore è? Guardate com’è la costa che si allontana. E già lontana; il motoscafo è veloce.

Curva lentamente verso destra. E vedete già la destinazione, l’isola. Il motoscafo si avvicina all’isola, trova il punto migliore per approdare, approda. Si ferma. Scendete sulla spiaggia dell’isola. E andate verso l’interno. Troverete quasi subito l’apertura di una caverna — è molto grande. Entrate. Percorrete le scale: c’è una rampa di scale, che sembra costruita da poco. Un pianerottolo. E un’altra rampa di scale. Percorretela. Siamo arrivati. Questa che vedete, in fondo alle due rampe di scale, è la vostra stanza tonda. Qui solo voi potete entrare. È tonda: il pavimento è circolare. Il soffitto è tondo, a volte. Sulle pareti ci sono molte porte. Guardatele: sono davvero molte; la prospettiva della stanza è ingannevole: guardando tutte quelle porte, ci si accorge che la stanza è molto più ampia di come vi era sembrata all’inizio. Una delle porte è aperta, la prima sulla sinistra. Entrateci. È un magazzino: contiene molte, molte cose, come vedete. Scegliete, tra queste cose, una che serva ad arredare la vostra stanza tonda, a renderla più accogliente, più bella. * Prendete quel che avete scelto e portatelo nella stanza tonda. Ogni volta che scenderete nella stanza, date un’occhiata in magazzino, per scegliere qualche altro arredo o oggetto che la renda più accogliente. I vostri maestri, intanto, sanno bene che siete arrivati. Tra poco entreranno. Mettetevi al centro della stanza, riposatevi un poco, e aspettate.

Una raccomandazione, prima che entrino: siate sempre affettuosi con i vostri maestri, così come loro lo saranno con voi. Non limitate l’espressione del vostro affetto. Non c’è nessuno che vi veda e vi critichi, qui. Siate semplicemente affettuosi. Ecco. Una delle porte si sta aprendo. Andate incontro al vostro primo maestro. Salutatelo affettuosamente. Siate sempre affettuosi, con loro. * Forse è un volto che conoscete già. Forse non lo conoscete ancora. Forse è invisibile, come lo erano i miei maestri. Seguitelo. Vi sta accompagnando verso un’altra porta, la apre. Quello che entra da quest’altra porta è il vostro secondo maestro. Salutatelo affettuosamente. Siate sempre affettuosi con i vostri maestri. Salutateli anche da parte mia. * E ora prendete la penna e fate domande. Non diranno nulla finché non domanderete. Prendete nota delle risposte. Ricordatevi: tutto ciò che non scriverete andrà perso, prendete nota. Se dopo una domanda vi sembra di non udire nulla, è soltanto un’impressione: lasciate che la penna scriva, non frenatela; o magari, scrivete voi stessi le prime parole, a caso, e vedrete che la risposta prenderà forma rapidamente, da sé, come una dettatura. *

Potete domandare qualsiasi cosa. Se vi sembra di stare inventando, anche questa è solo un’impressione. Quando rileggerete, vi accorgerete che non siete stati voi a fabbricare le risposte. * I maestri vi spiegheranno tutto il necessario. Oh, non ora, certo. Col tempo. Questa volta si tratta soltanto di fare conoscenza. A proposito, la domanda che preferiscono è: «In che senso?» Domandate spesso: «In che senso?», dopo una loro risposta. Conversate con i vostri maestri, per cinque, lunghi minuti. A partire da questo istante. (cinque minuti di silenzio) Basta così, per ora. Potrete tornare qui quando vorrete, e proseguire questa conversazione e incominciarne di nuove. Ora congediamo i maestri. Per congedare i maestri, accompagnate il vostro secondo maestro alla porta che vi indicherà, salutatelo affettuosamente (siate sempre affettuosi con loro) e, quando è uscito, tastate la porta per assicurarvi che sia chiusa. * Allo stesso modo, accompagnate il vostro primo maestro alla porta che vi indicherà, salutatelo affettuosamente, e quando è uscito tastate la porta, per assicurarvi che sia chiusa. * Date un’occhiata intorno: nella vostra stanza tonda tutto è in ordine. Risaliamo. Avviatevi lungo la scala, e ai primi gradini fate un profondo respiro, molto profondo, e — vedete? — siete già alla cornice. Premete delicatamente all’interno della cornice, sulla destra, e lo schermo invisibile si aprirà. Scavalcate la cornice, prima con una gamba, poi con l’altra. Richiudete quello schermo con una leggera pressione, e rimpiccolite la cornice, come sapete fare: è sufficiente che premiate delicatamente sui lati. Diverrà più piccola, tornerà a essere quel granello come di

ghiaia. Riponete il granello nel sacchetto, nella vostra tasca destra. E percorrete la strada, che vi riporta verso i colori (è molto più breve al ritorno, vedete?). Risalite lungo i colori. Il colore violetto. Il colore indaco. TI colore azzurro. Il colore verde. Il colore giallo. Il colore arancione. Il colore rosso. Al colore rosso, sentite di nuovo le vostre palpebre, e riaprite lentamente gli occhi. Appena avrete riaperto gli occhi, rileggete quel che avete scritto sul quaderno e, dove non si legge bene, riscrivete meglio le parole o le lettere incomprensibili. Questi sono i quattro movimenti; non occorre altro, per l’avvio. La lentezza dell’esercizio, l’attenzione per i dettagli sono molto importanti, servono a dare il giusto tempo a tutte le fasi di questa discesa psichica. La seconda volta che si torna dai maestri è sufficiente ricordare (o riascoltare con il registratore) il quarto movimento. La successione dei colori, l’apertura della cornice, il viaggio in motoscafo, la discesa nella stanza diverranno via via molto rapidi. Quanto al motoscafo, qualcuno può trovare fuori luogo che si vada nell’Aldilà con un mezzo tanto moderno: ma è bene così; quel motoscafo (la presenza di un motore, in particolar modo) risponde a una precisa necessità, che i maestri vi spiegheranno dettagliatamente, se glielo domanderete. Le conversazioni con i maestri possono durare quanto volete: nei primi tempi è meglio limitarsi a una mezz’ora al massimo — per non stancare l’attenzione —; in seguito potrete rimanere a conversare anche un paio d’ore. Per tutto il resto, saranno i maestri a darvi istruzioni, chiarimenti e consigli.

2 Il diavolo nella Bibbia

Nell’Antico Testamento il diavolo o Satana compare davvero tre volte soltanto, come figura ben definita: 1) nel libro di Giobbe (cap. 1,6-12 e cap. 2, 1 e sgg.), dove Satana è presentato addirittura come uno dei «figli di Dio» (e precisamente dell’Elohim, dice il testo: cioè della Divinità suprema, creatrice) e insieme al Dio della Terra, Yahwéh, mette alla prova la devozione dello sventurato Giobbe: consiglia a Yahwéh di tormentare Giobbe con diverse sventure, e Yahwéh accetta e, in seguito, in una conversazione con lo stesso Giobbe, difende a lungo il proprio diritto di tormentare l’uomo. 2) nel Primo Libro delle Cronache (21, 1), Satana spinge re Davide a fare il censimento (ma nel Secondo Libro di Samuele — 24, I e sgg. —, dove è narrata quella stessa vicenda, non è più «Satana», bensì «la collera di Yahwéh» a spingere re Davide al censimento). 3) nel libro di Zaccaria (3, 2 e sgg.), Satana è una sorta di pubblico ministero celeste incaricato di sostenere l’accusa a carico di un sommo sacerdote. Alcuni commentatori della Bibbia tentano di vedere il diavolo in altri passi, in altre figure bibliche: per esempio nel gigante Golia (I Sam. 17, 1 e sgg.), nel coccodrillo o nel Leviathan di cui parla il libro di Giobbe (41; 27, 1; 26, 13), nello «spirito di menzogna» che confonde i profeti (2 Cronache 18, 20) o nel re dei babilonesi (Isaia 14). Ma sono forzature: queste figure non hanno alcun rapporto determinato né con il Shatan ebraico, né con la nostra idea di diavolo.

3 Il diavolo nei Vangeli La discussione tra Gesù e il diavolo è narrata dagli evangelisti Matteo (nel cap. 4) e Luca (nel cap. 4). Nelle traduzioni consuete, si legge sia in Matteo sia in Luca che lì, nel deserto, Gesù fu «tentato dal diavolo»: ma il termine greco usato dagli evangelisti (peirazo) significava a quell’epoca «mettere alla prova», «sperimentare», «sollecitare», e non «tentare» nel senso cristiano, ovvero «indurre al male». Dal racconto degli evangelisti risulta infatti che i progetti suggeriti dal diavolo durante quella discussione non erano affatto «tentazioni», ma autentici consigli: perché la predicazione avesse successo, il diavolo propose a Gesù di «trasformare le

pietre in pane», di «volare, gettandosi giù dal Tempio, davanti a tutti» e di «impadronirsi dei regni della terra». La prima proposta significava: «per convincere la gente, dimostra che il tuo insegnamento può risolvere i problemi economici di chiunque, e la gente ti onorerà e ti seguirà». Ma a Gesù non piaceva l’idea di fondare l’importanza della sua dottrina sull’elemento economico. La seconda proposta significava: «dimostra alla gente che sei un individuo eccezionale, un Superman, e la gente ti obbedirà». Ma a Gesù premeva che ogni uomo imparasse a obbedire a se stesso, alla parte più autentica e autonoma di se stesso, e non a un’autorità esterna: perciò se fece miracoli, in seguito, fu solo per insegnare a farli — per dimostrare che i poteri prodigiosi sono accessibili agli uomini e che ogni uomo, se ha «fede», può scoprirsi tanto eccezionale da non poter obbedire più a nessuna autorità esterna. La terza proposta significava: «non fidarti della gente, ragiona in termini politici: la gente obbedisce ai re, ai capi, ai generali. Ti daranno retta soltanto se diventerai anche tu qualcosa del genere; e se ti lasci guidare da me ci puoi riuscire». Ma Gesù detestava la politica, non ne capiva niente e pensava che non capirne niente fosse la condizione essenziale per essere veramente liberi. Così non diede ascolto al diavolo — a differenza della Chiesa, che in seguito prese in seria considerazione almeno due di quei progetti e li attuò sistematicamente, nel suo potere temporale e nel culto dei santi. * Quando venne accusato dai suoi avversari di usare i poteri del diavolo per compiere i miracoli, e addirittura di essere un «principe» infernale, Gesù rispose che è lecito e saggio impadronirsi di energie da tutti temute, se si riesce a non averne paura. «Quando un uomo forte e bene armato fa la guardia al suo palazzo, tutti i suoi beni stanno al sicuro. Ma se arriva uno più forte di lui e lo sconfigge, gli strappa via l’armatura nella quale quello confidava, e poi distribuisce il bottino» (Luca 11, 21-22). E quanto a quella stessa accusa, cfr. Matteo 10, 2425: «Un discepolo non è da più del maestro... Se hanno chiamato Beelzebù il padrone di casa, tanto più [chiameranno così] i suoi familiari!» *

sei un individuo eccezionale, un Superman, e la gente ti obbedirà». Ma a Gesù premeva che ogni uomo imparasse a obbedire a se stesso, alla parte più autentica e autonoma di se stesso, e non a un’autorità esterna: perciò se fece miracoli, in seguito, fu solo per insegnare a farli — per dimostrare che i poteri prodigiosi sono accessibili agli uomini e che ogni uomo, se ha «fede», può scoprirsi tanto eccezionale da non poter obbedire più a nessuna autorità esterna. La terza proposta significava: «non fidarti della gente, ragiona in termini politici: la gente obbedisce ai re, ai capi, ai generali. Ti daranno retta soltanto se diventerai anche tu qualcosa del genere; e se ti lasci guidare da me ci puoi riuscire». Ma Gesù detestava la politica, non ne capiva niente e pensava che non capirne niente fosse la condizione essenziale per essere veramente liberi. Così non diede ascolto al diavolo — a differenza della Chiesa, che in seguito prese in seria considerazione almeno due di quei progetti e li attuò sistematicamente, nel suo potere temporale e nel culto dei santi. * Quando venne accusato dai suoi avversari di usare i poteri del diavolo per compiere i miracoli, e addirittura di essere un «principe» infernale, Gesù rispose che è lecito e saggio impadronirsi di energie da tutti temute, se si riesce a non averne paura. «Quando un uomo forte e bene armato fa la guardia al suo palazzo, tutti i suoi beni stanno al sicuro. Ma se arriva uno più forte di lui e lo sconfigge, gli strappa via l’armatura nella quale quello confidava, e poi distribuisce il bottino» (Luca 11, 2 1-22). E quanto a quella stessa accusa, cfr. Matteo 10, 2425: «Un discepolo non è da più del maestro... Se hanno chiamato Beelzebù il padrone di casa, tanto più [chiameranno così] i suoi familiari!» * Gesù sapeva che Giuda lo avrebbe tradito; e Giuda esitava, a quanto riferiscono tutti e quattro i Vangeli. L’evangelista Giovanni narra che Gesù, quando gli domandarono chi l’avrebbe tradito, rispose: «È colui per il quale intingerò un pezzo di pane e glielo darò.» E intinto il pezzo di pane, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota. Allora, dopo quel boccone, Satana entrò in lui. Dopodiché Gesù gli disse: «Quello che devi fare, sbrigati a farlo»... E preso il pezzo di pane, Giuda subito uscì. Ed era notte. (Giovanni 13, 26-30)

Qui Satana è mostrato come il potere misterioso che conduce Giuda al tradimento; ed è chiaramente un potere agli ordini di Gesù. * L’immagine che i Vangeli danno del diavolo — così diversa da quella che il cristianesimo ne diede in seguito — ha suscitato da sempre la meraviglia dei commentatori più attenti. Ma gran parte degli insegnamenti di Gesù nei Vangeli sono talmente diversi e lontani dai tradizionali precetti del cristianesimo, che approfondire quel genere di originalità dei quattro evangelisti significò, per molti secoli, incorrere nella condanna d’eresia. Ancora oggi la memoria inconsapevole, genetica quasi, delle pene che sono state comminate agli eretici finisce per frenare la perspicacia della stragrande maggioranza dei commentatori.

4 I desideri Dei desideri e delle ragioni per cui si realizzano o non si realizzano avevo parlato a lungo con i miei maestri, negli anni passati (v. I maestri invisibili, cit., pp. 155 e sgg.). In sostanza, secondo gli Spiriti-guida, ogni desiderio che noi riusciamo a esprimere è una forma di premonizione: non si tratta cioè di un frutto della nostra fantasia, ma di un improvviso estendersi della nostra percezione, fino a cogliere nel futuro una qualche occasione che sta venendo proprio verso di noi e che può servire al nostro sviluppo interiore. E ciò che chiamiamo «desiderare» è in realtà il modo in cui questa nostra percezione più estesa cerca di annunciare alla nostra razionalità quelle occasioni che ha intravisto nell’avvenire, e di convincerla a non opporre resistenza e a non distrarsi, quando quelle occasioni arriveranno — bensì a farsi avanti e ad afferrarle. Secondo gli Spiriti-guida, questa spiegazione trova conferme tanto più nette quanto più un desiderio è coraggioso, e anche a me risulta che così sia; il problema consiste dunque nel precisare il grado di coraggio necessario a far sì che la nostra percezione scorga occasioni, «desideri» sufficientemente importanti per noi — indipendentemente da ciò che quei

«desideri» potranno sembrare, di primo acchito, alla nostra razionalità. La più celebre tra le precisazioni di questo grado di coraggio è di certo quella fornita da Gesù nei Vangeli: In verità io vi dico: se avrete fede (anche solo un pochi- no) quanto un granellino di senape, potrete dire a questa montagna: spostati da qui a là, ed essa si sposterà, e niente vi sarà impossibile. Vangelo di Matteo 17, 20 È una frase che Gesù ripete spesso, in tutti e quattro i Vangeli (Vangelo di Matteo 21, 21; e di Marco 11, 22-23; e di Luca 17, 5-6; e nel Vangelo di Giovanni vi insiste in tutto il lungo discorso dell’ultima cena, dal capitolo 14 al capitolo 16). Per comprendere bene che cosa intendessero dire qui gli evangelisti, va ricordato che la parola tradotta come «fede» (pìstis, in greco) non indicava ancora, alla loro epoca, quello sforzo di credere che tanto spesso i cristiani chiamano fede, bensì un fiducioso, coraggioso aprirsi alla conoscenza. Il senso dunque è: «se nel desiderare riuscirete a non porvi preclusioni, a non tenervi aggrappati a ciò che sapete già, a sentire in voi anche soltanto un tantino di pìstis, potrete spostare la montagna della vostra inerzia interiore, con straordinaria facilità, e nulla di ciò che desidererete vi sarà impossibile». Non c’è dubbio che Gesù se ne intendesse: e se a suo dire il grado di coraggio necessario è pari a «un granello di senape», non dovrebbe essere difficile produrlo. Le difficoltà — mi spiegarono i miei Spiriti — derivano principalmente da quella vera e propria atrofia del desiderio che si verifica nella stragrande maggioranza degli individui adulti. Per svariate ragioni, e soprattutto per l’educazione che ricevono da chi è già adulto e già atrofizzato in quel senso, i bambini smettono ben presto di desiderare davvero e riescono soltanto a imitare i desideri altrui. Il coraggio del desiderio cede allora il posto all’ansia del desiderio, che con gli anni diviene sempre più tormentosa e fa pensare all’assenza di desideri come a una liberazione. Da qui all’atrofia il passo è breve. Questo addestramento all’ansia è uno dei processi attraverso i quali si passa dal Quinto Cielo (che è proprio dei bambini, come i maestri spiegano qua e là in questo libro) ai Cieli Primo e Secondo, che sono invece caratteristici degli adulti. * In questo libro, nel capitolo 22, è spiegata una tecnica per riconoscere e utilizzare un genere particolare di coraggio e di pìstis. Ma qui colgo l’occasione per illustrarne un’altra,

preparatoria, diciamo: più semplice, ottima per scuotere l’animo adulto da quell’atrofia che dicevo. Non è mia, l’ho tratta, con qualche rielaborazione, da un bel libro di Jack Canfield e Mark Victor Hansen, The Aladdin Factor (Berkeley Books, New York 1995). Richiede due quaderni,

e

qualche

settimana

di

tempo

per

i

primi

risultati

concreti.

Su un quaderno scrivete 101 desideri, tutti diversi l’uno dall’altro, concisi e precisi, così, per esempio: 1. Io voglio un’automobile di lusso verde scuro. 2. Io voglio una villa in Riviera a pochi passi dal mare. Eccetera. Per compilare l’elenco nel modo migliore tornano utili le seguenti raccomandazioni: 

nello scrivere i desideri evitate accuratamente la parola «non»;



evitate desideri la cui realizzazione non sia verificabile (per es. «Io voglio essere

molto buono» non va bene, perché non è chiaro né che cosa significhi quel «molto» né cosa intenda per «buono»; invece di lasciar così nel vago si può precisare scrivendo: «Io voglio salvare un popolo da una carestia» o altro del genere); 

chiedete soltanto a nome vostro, e non per altri (per es., se un vostro conoscente

ha un determinato problema, non scrivete «Io voglio che il mio amico X risolva quel suo problema», ma «Io voglio risolvere quel problema del mio amico X» — e naturalmente precisate quale problema). È buona norma evitare desideri che ci appaiano nocivi per altre persone, perché la nostra coscienza potrebbe aversene a male, nel profondo, e punirci poi dolorosamente. Ed è meglio evitare desideri di carattere sentimentale riguardanti persone che non conoscete bene (attori e attrici, indossatrici, ecc.), appunto perché non li conoscete bene e potrà darsi che non vi piacciano affatto, quando quei vostri desideri si realizzeranno. Per il resto, non ci sono limiti: potete scrivere qualsiasi cosa, purché siate sicuri di desiderarla. I desideri devono essere, ripeto, 101: un bel numero orientale, che raffigura simbolicamente un intero grande (100) ma aperto, grazie a quell’1 in più, verso ulteriori sviluppi, e che vi obbligherà inevitabilmente a ridestare, stimolare e irrobustire le vostre facoltà di desiderio atrofizzate.

Una volta completato l’elenco dei 101 desideri, ricontrollatelo attentamente, correggetelo dove occorre, ricopiatelo in bella sull’altro quaderno (non più di quattro desideri per pagina), e poi rileggetelo una volta al giorno: sottovoce e in un luogo appartato, suggerirei, perché se qualcuno vi udisse casualmente potrebbe pensare di voi cose poco lusinghiere. E aspettate. Pian piano i desideri cominceranno a realizzarsi, ora in modo strabiliante, mediante coincidenze o altri fatti curiosi, ora nel più semplice dei modi, quasi inavvertitamente. Via via che i desideri si realizzano, cancellateli e sostituiteli con altri nuovi. Di solito, nei primi mesi successivi alla ricopiatura in bella, si realizza il 30 per cento dei desideri così elencati: gli altri rimangono preclusi, a causa di resistenze inconsapevoli, di sensazioni di inadeguatezza (non me lo merito, non valgo abbastanza, ecc.) e di altre aggrovigliate e deprimenti paure e blocchi affettivi di vario genere, che inconsapevolmente ci spingono a fuggire da quelle occasioni che la nostra percezione più estesa aveva colto nell’avvenire, quando compilavamo l’elenco. In seguito, potrà capitare che alcune di queste paure e di questi blocchi si sciolgano: allora i desideri a essi corrispondenti cominceranno a realizzarsi (le occasioni di realizzazione sono e rimarranno sempre inesauribili). Viceversa, nei desideri che non accenneranno in alcun modo a realizzarsi il compilatore dell’elenco avrà un’espressione metaforica (ma spesso sufficientemente eloquente) delle paure e dei blocchi più segreti che si nascondono nella sua psiche, e che limitano il suo campo di esistenza. In quelle paure e in quei blocchi abita — per usare il linguaggio dei maestri — il più cupo «diavolo» di quel compilatore. Dopo un anno, in ogni caso, distruggete e bruciate entrambi i quaderni, e non pensateci più. In molti casi, la piccola cerimonia di questa distruzione (che si rivela sempre più difficile del previsto) ha di per sé l’effetto di smuovere le «montagne» di almeno alcuni dei blocchi e delle paure più segreti e tenaci. Sia Canfield e Hansen, sia i miei maestri escludono che questa tecnica abbia qualche controindicazione. Quanto agli eventuali e ovvi problemi morali che può suscitare, è bene sapere fin dall’inizio che, spesso, dietro al timore di essere egoisti si cela in realtà una difficoltà o incapacità di ricevere; e che chi non sa ricevere non sa nemmeno dare.

Quanto ai problemi di carattere religioso, è altrettanto utile ricordare che le nostre idee occidentali sulla virtù dell’ascesi sono molto approssimative, e soltanto punitive: l’ascesi, la vera liberazione dal desiderio è una grande conquista, che si raggiunge non vietandosi di desiderare (il che conduce inevitabilmente a forme ossessive), ma imparando a superare la dimensione del desiderio, a provare per essa una sincera noia e indifferenza — il che è possibile, per la maggior parte delle persone, solo dopo averla sperimentata abbastanza a lungo con successo.

5 I desideri e l’io più grande Certamente, questo modo di intendere il desiderio è lontano da ciò che insegna la religione cristiana. Ma davvero lo si ritrova nei Vangeli: nel meraviglioso discorso di Gesù ai discepoli durante l’ultima cena, così come lo riferisce l’evangelista Giovanni. Nelle conversazioni con i miei maestri questo discorso viene citato spesso: per comodità dei lettori ne riporto qui qualche brano. Non aggiungo quasi nessun commento mio; lo stile è semplice, e senza alcuna difficoltà i lettori potranno trame spunti di riflessione non soltanto riguardo al desiderare e al chiedere, ma anche riguardo all’«io» più grande (al nostro «Corpo maggiore» come lo chiamano gli Spiriti- guida) e a molti argomenti toccati nelle nostre conversazioni. Dal Vangelo di Giovanni, capitoli 14, 15 e 16: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio, e anche nell’io abbiate fede. Nella casa di. mio Padre ci sono molte dimore: se così non fosse, l’io ve l’avrebbe detto. E l’io va a prepararvi il posto: quando ci sarà andato e vi avrà preparato un posto, tornerà e vi porterà là, con sé, perché siate anche voi dove è l’io. E del luogo dove conduce l’io, voi conoscete la via.» Gli disse Tommaso: «Signore, ma non sappiamo dove vai: come facciamo a sapere qual è la via?» Gli disse Gesù: «La via, la verità e la vita è l’io. Nessuno può giungere al Padre se non attraverso l’io. Se conoscete l’io, conoscete anche il Padre; e voi lo conoscete già, e avete visto cos’è». Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre, non chiediamo altro».

Gli rispose Gesù: «Da tanto l’io è con voi e tu non sai cos’è l’io, Filippo? Chi ha visto l’io, ha visto il Padre. Come puoi dire: ‘Mostraci il Padre’? Non che credi che l’io è nel Padre e il Padre è nell’io? Le parole che io dico a voi non le dico dal mio io soltanto; ma il Padre che è nell’io, è Lui a compiere le sue opere. Credetemi: l’io è nel Padre e il Padre è nell’io; se non ci riuscite altrimenti, credetelo per le opere stesse [che ciò vi permette di compiere]. «In verità, in verità vi dico: chi crede nell’io, compirà lui pure le opere che io compio, e ne farà di più grandi, perché l’io conduce al Padre. Qualunque cosa chiederete nel nome dell’io, l’io la farà, perché il Padre sia manifestato in ogni suo Figlio. Se chiederete qualsiasi cosa all’io, in nome dell’io soltanto, l’io la compirà. «Se amate l’io, osserverete i comandamenti dell’io. L’io pregherà il Padre, e il Padre vi darà un Altro, che sappia incoraggiarvi, e che rimanga con voi per sempre. E lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete già, perché abita in voi e sarà sempre in voi. L’io non vi lascerà mai orfani, ritornerà sempre da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più: voi invece vedrete sempre l’io, perché l’io vive e voi vivrete. In quel giorno saprete che l’io è nel Padre, e voi siete nell’io, e l’io è in voi. Chi accoglie i comandamenti dell’io e li osserva, ama me. Chi ama me sarà amato da Padre mio, e anche l’io lo amerà, e si manifesterà a lui.» Gli disse Giuda, non l’iscariota: «Signore, ma perché l’io si manifesterebbe solo a noi, e non al mondo?» Gli rispose Gesù: «Se uno ama l’io, ascolta la parola dell’io, e il Padre mio lo amerà e il Padre e l’io verranno a lui e abiteranno in lui. Chi non ama l’io, non ascolta le mie parole: e le parole che voi ascoltate non sono mie, ma del Padre che mi ha mandato. «Queste cose vi ho detto quando ero ancora con voi. Ma l’Altro che vi incoraggerà, lo Spirito santo che il Padre manderà nel nome dell’io, lui vi insegnerà ogni cosa e vi farà ricordare tutto ciò che l’io vi dice. Vi lascio la pace, vi do la pace dell’io. La do a voi in un modo diverso da come si danno le cose nel mondo. Non si confonda il vostro cuore, e non abbia paura. Avete udito ciò che vi ho detto: l’io va e poi tornerà a voi. Se amate l’io, dovete rallegrarvi che l’io conduca al Padre, perché il Padre è più grande dell’io. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché quando avverrà voi crediate. Non parlerò più

molto con voi, perché viene il padrone di questo mondo; costui non ha nessun potere sull’io, ma bisogna che il mondo sappia che l’io ama il Padre e che l’io fa quello che il Padre gli comanda. Crescete, andiamo più in là. «L’io è la vera vite, e il Padre dell’io è il vignaiolo. Ogni tralcio che nell’io non porta frutto, il Padre lo toglie; e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già potati, grazie alle parole che io vi ho annunciato. Rimanete nell’io, e l’io rimanga in voi. Come un tralcio non può portare frutto da sé solo, se non rimane attaccato alla vite, così è anche per voi, se non rimanete nell’io. L’io è la vite, e voi i tralci. Chi rimane nell’io e l’io in lui, porta molto frutto, perché senza l’io non potete fare nulla. Chi non rimane nell’io viene gettato via, come un tralcio tagliato, e si secca, e poi quei tralci vengono raccolti da qualcuno e gettati nel fuoco, e li bruciano. Se rimanete nell’io e le parole dell’io rimangono in voi, chiedete tutto quello che volete e vi sarà dato. In questo si manifesta il Padre dell’io: nel fatto che portiate molto frutto, e che impariate dall’io. «Come il Padre ha amato l’io, così anche l’io ama voi. Rimanete nell’amore dell’io. Se obbedite ai comandamenti dell’io, rimanete nell’amore dell’io, così come anch’io ho obbedito ai comandamenti del Padre dell’io e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la gioia dell’io sia in voi e la vostra gioia sia completa. «Questo è il comandamento dell’io: che vi amiate a vicenda, come l’io vi ama. Nessuno ha un amore più grande di chi dà la vita per i propri amici. Voi siete amici dell’io, se fate ciò che l’io vi comanda. Non vi chiamo più servi dell’io, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi chiamo amici, perché tutto ciò che l’io ascolta dal Padre lo fa conoscere a voi. Voi non avete scelto l’io, l’io ha scelto voi, e vi ha formati in modo che andiate e portiate frutto, e che il vostro frutto rimanga, e in modo che tutto ciò che chiedete al Padre in nome dell’io, il Padre ve lo conceda. Questo vi comanda l’io: di amarvi a vicenda. «Se il mondo vi odia, sappiate che prima di odiare voi ha odiato l’io. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; ma voi non siete del mondo: l’io vi ha resi diversi dal mondo, e perciò il mondo vi odia. Ricordatevi della parola che vi ho detto: un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno calpestato l’io (in se stessi), calpesteranno anche voi; se hanno ascoltato la voce dell’io, ascolteranno anche la vostra voce.

«Ma tutto questo lo faranno a causa dell’io, perché non conoscono Colui che ha mandato l’io (nel mondo). Se l’io non fosse venuto nel mondo e non avesse parlato a ciascuno di loro, non avrebbero torto a fare così; ma ora non hanno più scuse per i loro torti. Chi odia l’io, odia anche il Padre dell’io. Se l’io non avesse compiuto in mezzo a loro opere che nessun uomo potrebbe compiere, non avrebbero torto; ora invece hanno visto l’io, e hanno odiato l’io e il Padre dell’io. E così è stato, come era scritto nella loro Legge: Hanno odiato l’io, senza ragione. «Quando verrà l’Altro, a incoraggiarvi, che l’io manderà dal Padre, cioè quello Spirito di verità che proviene dal Padre stesso, lui renderà testimonianza all’io: e sarete voi stessi a rendere testimonianza all’io, perché siete stati nell’io fin dal principio. «Vi ho detto queste cose perché nessuno vi prenda più in trappola. Vi scacceranno dai loro templi; anzi, verrà l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere un culto a Dio. E faranno così perché non hanno conosciuto né l’io né il Padre dell’io. Ma l’io vi dice queste cose, perché quando avverranno vi ricordiate che l’io ve le aveva annunciate. «Non vi ho detto queste cose fin dall’inizio, perché prima ero come eravate voi. «Ma ora il mio io conduce da Colui che ha mandato l’io nel mondo, e nessuno di voi mi domanda: ‘Dove vai?’ E siccome vi dico queste cose, la tristezza ha riempito il vostro cuore. Ora io vi dico la verità: è bene per voi che io ma ne vada via, perché se non me vado, non verrà da voi l’Altro, a incoraggiarvi; ma quando me ne sarò andato, l’io ve lo manderà. E quando sarà venuto, spiegherà tutto chiaramente, al mondo intero: riguardo al peccato, e alla giustizia, e al giudizio. Riguardo al peccato, perché non credono nell’io; riguardo alla giustizia, perché l’io conduce al Padre e lo vedrete più; riguardo al giudizio, perché il padrone di questo mondo è stato giudicato. «Molte cose avrei ancora da dirvi, ma per il momento non siete in grado di portarne il peso. Quando verrà lo Spirito di verità, lui vi condurrà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé solo, ma dirà tutto ciò che ascolta, e vi annuncerà anche le cose future. Lui manifesterà pienamente l’io, perché prenderà dall’io e ve l’annuncerà. Tutto ciò che il Padre ha, lo ha anche l’io: perciò vi dico che prenderà dall’io, e ve lo annuncerà. «Ancora un poco e non vedrete più l’io; e ancora un po’, e lo vedrete di nuovo.» Al che, alcuni dei suoi discepoli dissero tra loro: «Ma che cosa sta dicendo? Ancora un

po’ e non vedrete l’io, e dopo un altro po’ lo vedrete? E cosa vuoi dire: l’io conduce al Padre?» E perciò dicevano: «Che cosa vuol dire ‘ancora un poco’? Non capiamo che cosa sta dicendo». Gesù si accorse che volevano fargli delle domande e disse loro: «State cercando di capire perché ho detto: ancora un poco e non vedrete più l’io, e ancora un poco e lo vedrete? In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e sarete tristi, e il mondo invece sarà contento. Voi sarete tristi, ma la vostra tristezza si muterà in gioia. «La donna quando partorisce soffre, perché è giunto il suo tempo; ma quando il bambino è nato, lei non si ricorda già più della sofferenza, per la gioia che nel mondo è nato un uomo. Così anche voi, ora, siete tristi; ma l’io vi vedrà di nuovo, e il vostro cuore gioirà e quella gioia nessuno ve la potrà più togliere. «In quel giorno non mi domanderete più nulla. «In verità, in verità vi dico: se chiederete una qualsiasi cosa al Padre nel nome dell’io, Lui ve la darà. Finora non avete chiesto ancora nulla nel nome dell’io. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia resa piena. «Queste cose ve lo ho dette in metafore. Ma verrà l’ora in cui non l’io non vi parlerà più in metafore, ma vi parlerà immediatamente del Padre. In quei giorno chiederete nel nome dell’io, e non vi dico che l’io pregherà il Padre per voi: il Padre vi ama, perché voi avete amato l’io, e avete creduto che l’io viene da Dio. L’io è uscito dai Padre ed è venuto nel mondo; ora si volge di nuovo dal mondo verso il Padre, e conduce a Lui.» Gli dissero i suoi discepoli: «Ecco, adesso sì che parli chiaro, e non usi più metafore. Ora capiamo che l’io sa tutto e che non c’è bisogno di fargli domande. Perciò crediamo che l’io è venuto da Dio». Gesù rispose loro: «Adesso credete questo? Ecco, verrà l’ora, anzi è venuta già, in cui vi dispererete e sarete ciascuno per proprio conto, e abbandonerete l’io; ma l’io non rimane mai solo, perché il Padre è con l’io. «Vi ho detto queste cose perché abbiate la pace nell’io. Nel mondo avrete tribolazioni, ma abbiate fiducia: l’io ha vinto il mondo!»

6

Ancora sul Secondo Cielo Tornammo a discutere del Secondo Cielo in seguito, quando già riordinavo gli appunti per questo libro. «È appunto il principio su cui si basava la non-violenza di Gesù, di Gandhi e di tanti altri», mi disse il Dominante, riguardo all’idea della componente impersonale dei delitti: «‘porgi l’altra guancia’ e così via. In pratica significa: quando hai capito come funziona il Secondo Cielo, cerca di stame alla larga il più possibile. Non permettere che le forze del Secondo Cielo si manifestino attraverso dite. Piuttosto, restatene nel Primo.» «Non giurare mai», disse l’Austero. Cioè? «Un altro comandamento di Gesù: ‘non giurare mai’ (Matteo 5, 34)», spiegò il Dominante. «Cioè: non prestare giuramenti di fedeltà, non lasciare che un qualunque Noi ti, comandi e si serva dite per far valere le ragioni di quel Noi contro qualche altro Noi. Non fare il soldato, il poliziotto, il ministro o altro del genere: nulla che richieda il giuramento. Difendi il diritto di pensare con la tua testa, anche soltanto dal punto di vista del Primo Cielo.» E i doveri che uno ha verso il suo paese, il suo popolo? Rimanere chiusi nel Primo Cielo non è soluzione onorevole, direi. «Tutto dipende da come li consideri, quei doveri e quel popolo. «Di sicuro, non c’è niente che ti obblighi a considerarli dal punto di vista dei Cieli pari. Chi sente solo il suo piccolo io e la sua incompletezza e cerca di completarsi attraverso gli altri, prima o poi si ritroverà aggrovigliato in qualche faccenda del Secondo Cielo: e allora, naturalmente, il comandamento ‘non giurare’ diventerà tormentosissimo. Chi invece impara a scoprire il suo Corpo maggiore, si accorge presto che il Primo Cielo non basta più: che il Corpo maggiore ha poteri ed esigenze molto più vaste del singolo io. Un io non gli basta, per incarnarsi. Ma la comunità, il popolo in cui si incarna un corpo più grande non ha mai nulla a che fare con i popoli e le nazioni che conoscete voi nel vostro Aldiqua.» E allora che succede? «Allora cominciano doveri e lealtà diverse da quelle di cui parlano i vostri libri di storia. E, naturalmente, anche conflitti diversi. Negli ultimi diciotto secoli questo genere di conflitti non

si sono mai risolti bene e non hanno lasciato tracce profonde nella vostra memoria storica — quella di voi europei, perlomeno. Ma in avvenire cambieranno una quantità di cose. Il vostro Secondo Cielo è molto meno forte, oggi, di quanto lo fosse ai tempi di Gesù, o anche ai tempi di Gandhi. Vedrai.»

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