April 12, 2017 | Author: claudio rossi | Category: N/A
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Jean Darrrié Iou
I SIMBOLI CRISTIANI PRIMITIVI
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Prima di espandersi nel mondo greco e romano e di assumente il linguaggio, il Cristianesimo ha conosciuto un periodo importante in un ambiente ebreo in cui si parlava l'aramaico. Le tracce di questo giudeo-cristianesimo erano quasi scomparse. Eppure delle opere strane, tramandate in traduzioni in lingue orientali (armeno, siriaco, copto, etiopico) hanno consentito di restituirne poco a poco l'eredità letteraria ("Odi di Salomone», "Ascensione di Isaia», "Testamento dei Dodici Patriarchi», "Documento di Damasco», ecc.). Il Cardinale Jean Daniélou, attento ai simboli studiati in questa letteratura, ha analizzato le immagini e i segni che ci ha trasmesso il Cristianesimo antico. La croce, l'aratro, la corona, il carro, il pesce, la palma: tanti simboli che riacquistano così la loro pienezza dimenticata, e il cui significato e uso si ritrovano confermati dalle scoperte archeologiche che sono, in Palestina, le più importanti dopo i manoscritti del Mar Morto. Ecco che questo Cristianesimo dei primi secoli in Oriente, che ci rimaneva oscuro e sconosciuto, è adesso vicino a noi con il suo pensiero squisitamente biblico.
Jean Daniélou
I SIMBOLI CRISTIANI PRIMITIVI
CEdhdoni
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Imprimi potest: Paris, 13 février 1961 Philippe Durand- Viel, s. j., Praepos. provinc. Paris Imprimatur: Paris, 18 juillet 1961 t J. le Cordier
Titolo originale dell'opera:
LES SYMBOLES CHRÉTIENS PRIMITIFS © 1961 by Éditions du Seuil - 27 rue Jacob - Paris VIe
Traduzione dal francese a cura di ANDREINA
PROIETTO
con la supervisione di
Mons.
GIUSEPPE
CONTE
Prima ristampa: febbraio 1997
ISBN 88-86495-13-7
Tutti i diritti riservati
© 1990 by Edizioni Archeosofica di S. Palamidessi & C. s.n.c. - Roma © 1993 by Edizioni Arkeios di Silvestra Palamidessi - Roma © 1997 by Eredi Edizioni Arkeios di Silvestra Palamidessi Viale Regina Margherita, 244 - 00198 ROMA Tel. 06/44250615 - Fax 06/44250711 - E-mail:
[email protected]
NOTA
Molti dei simboli trattati in quest'opera provengono dagli ossari del cimitero di Dominus Flevit, sul Monte degli Ulivi. Questo cimitero è stato esplorato dallo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme, dal 1953 al 1955. Fu utilizzato dal I secolo a. C. al IV secolo d. C. In particolare, esso contiene delle tombe con forno o Kàkhim, che il R. P. Milik ha riconosciuto essere di un periodo che va dal I al II secolo dopo Cristo. Il carattere cristiano di alcuni di questi ossari è stato subito affermato dal R. P. Bagatti, anche se delle obiezioni furono sollevate dal P. Ferrua e dal P. De Vaux. Ma negli stessi anni simboli analoghi vennero scoperti a Nazareth su delle pietre ritrovate sotto il mosaico della chiesa bizantina costruita intorno al 427 e utilizzate per la chiesa-sinagoga preesistente - e a Hébron su una ventina di piccole stele. L'esame degli ossari conservati nei diversi musei archeologici palestinesi ha permesso di ritrovare altri esemplari. In base all'insieme di questi elementi, il P. Testa ha potuto riprendere il tema in una tesi sostenuta nel dicembre 1960 davanti ai professori dell'Istituto Biblico di Roma, e ribadire le affermazioni del P. Bagatti, concernenti il carattere giudeo-cristiano dei simboli in questione. Così i dati archeologici confermavano i documenti letterari e davano accesso alla simbolica della comunità giudeocristiana della Palestina nel I e II secolo della nostra èra.
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INTRODUZIONE
Prima di espandersi nel mondo greco e romano e di assumerne il linguaggio e le immagini, il cristianesimo conobbe un primo periodo in un ambiente ebreo in cui si parlava l'aramaico. Questo giudeo-cristianesimo non aveva avuto un futuro e le sue tracce erano quasi scomparse. Eppure delle opere strane, tramandate in traduzioni in lingue orientali, quali l'armeno, il siriaco, il capto, l'etiopico, hanno permesso poco a poco di restituirne l'eredità letteraria: sono le Odi di Salomone, l'Ascensione di Isaia, i Testamenti dei Dodici Patriarchi ed altri ancora. Ho provato in un altro libro! a restituirne la mentalità." Questa deriva dalle categorie dell'apocalittica ebraica: è una teologia della storia che si esprime per mezzo di simboli. Sono stato così indotto a chiedermi se un certo numero di immagini, tra quelle che ci ha lasciato il cristianesimo antico, non risalissero a questo periodo primitivo e non trovassero in esso il loro significato. Ho pubblicato in diverse riviste, dal 1954, i risultati di tali ricerche, e sono questi studi, riveduti e completa1 Théologie du judéo-christianisme,
Desclée 1958.
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ti, che ho raccolto in questo libro. Ho constatato la singolarità dei simboli della croce, quella dell'aratro in particolare. Mi è sembrato di riconoscere l'importanza della corona nella simbolica sacramentale. Sono rimasto stupito nel vedere il battesimo paragonato a un carro con il quale l'uomo si innalza verso il cielo. Pertanto sono stato portato a pensare che dei simboli più conosciuti, specialmente quello del pesce, potessero avere un significato diverso da quello che viene loro attribuito normalmente. Tuttavia la singolarità di queste conclusioni mi lasciava perplesso. Fu quindi con grande interesse che lessi, in un numero dell'Osservatore Romano del 6 agosto 1960, un articolo in cui il R. P. Bagatti, uno dei migliori archeologi della Palestina, riferiva le sbalorditive scoperte fatte a Hébron, a Nazareth e a Gerusalemme, che hanno permesso di portare alla luce un certo numero di ossari e di steli funerarie il cui carattere giudeo-cristiano è certo e che presentano esattamente la maggior parte dei simboli che io avevo, dal canto mio, scoperto come giudeo-cristiani nei monumenti letterari. Si ritrova il carro e la palma, la stella e la piantina, la croce ed il pesce. Questi ossari appartennero a una comunità giudeocristiana vivente in Palestina alla fine del I secolo ed al II secolo. I simboli che essi presentano sono stati studiati del R. P. Testa in una tesi discussa all'Istituto Biblico di Roma, non ancora pubblicata e di cui so soltanto quanto ne hanno scritto il P. Bagatti, nell'articolo citato, e lo stesso autore nell'Osservatore Romano del 25 settembre 1960. Diventa dunque possibile scrivere una nuova pagina della storia del cristianesimo. Nulla, fino ad ora, era per noi più oscuro di quel periodo che separa i primissimi inizi della Chiesa, che le Lettere di San Paolo e gli Atti degli Apostoli ci descrivono, dai suoi sviluppi in ambiente greco e romano, ad Alessandria, a Cartagine e a Roma. È questo periodo oscuro che incomincia a schia-
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rirsi. E ciò che si rivela a tutti è precisamente l'importanza che ebbe in quel periodo questo cristianesimo di struttura semitica che noi non sospettavamo e di cui lo studio della simbolica giudeo-cristiana ci fa conoscere certi caratteri.
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I
LA PALMA E LA CORONA
Il Nuovo Testamento non è la distruzione ma il compimento del Vecchio. Le feste liturgiche sono l'e, sempio più notevole di questo principio. Le grandi solennità del giudaismo, la Pasqua e la Pentecoste, sono rimaste quelle del cristianesimo, caricandosi solamente di un senso nuovo.Vi è tuttavia un'eccezione a questa legge, almeno apparentemente, che è quella della Festa dei Tabernacoli, la Scenopegia dei Settanta, che si svoL geva in settembre. Non ne sussiste che un vestigio, la lettura del testo del Levitico che la riguarda, il sabato delle Quattro Tempora di settembre. Ci siamo chiesti altrove se la festa non abbia tutta, via lasciato delle tracce nella liturgia e nell'esegesi cristiana 1. Ma dobbiamo prima chiederei il significato che essa rivestiva al tempo di Cristo.
La prima origine della festa dei Tabernacoli è da ri, cercarsi nel ciclo delle feste stagionali. È la festa della 1 «Les Quatre-Temps de septembre et la fète des Tabernacles», La 46 (1956), pp. 114-136; «La fète des Tabernacles dans l'exégèse patristique», Stud. Patrist., I, Berlino 1957, pp. 262-279.
Maison-Dieu,
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vendemmia, come la Pentecoste era la festa della mietitura-. Lo indica lo stesso testo del Levitico che ne prescrive la celebrazione (XXIII, 39). Anche Filone sottolinea questo aspetto (Spec. leg., II, 204). È a questa festa stagionale che si ricollegano i riti caratteristici della festa: l'abitazione per sette giorni nelle capanne costruite di ramaglie (0K11va{),le libagioni di acqua destinate ad ottenere la pioggia, la processione intorno all'altare l'ottavo giorno, tenendo in una mano il mazzo (lulab) fatto con tre specie di ramoscelli (salice, mirto e palma) e nell'altra un frutto di limone (etrog)3. Ma, come per le altre feste che hanno la stessa origine, il pensiero ebreo ha iscritto il ricordo di un avvenimento della sua storia nel quadro ciclico della festa stagionale. Così la Pasqua, festa delle prime spighe e dei pani azzimi, è divenuta la festa dei primogeniti risparmiati (passah) dall'Angelo sterminatore. La Pentecoste è stata associata alla comunicazione della Legge sul Sinai. Così è per la festa dei Tabernacoli. Già il Levitico spiega che essa è destinata a rammentare agli ebrei il ricordo del loro soggiorno nelle tende (0K11va{)del deserto al tempo dell'Esodo (XXIII, 43). Questa interpretazione si ricollega alla tradizione sacerdotale e si ritroverà in Filone (Spec. leg., II, 207), nella tradizione rabbinica+, presso i Padri della Chiesa>. Ma a partire dai Profeti, e sopratutto nel periodo dopo l'esilio, gli avvenimenti passati della storia d'Israele, e in particolare l'Esodo, non sono ricordati che per nutrire la speranza del popolo negli avvenimenti futuri, in cui la potenza di Jahweh si manifesterà in mo-
2 J.
PEDERSEN,
Israèl, II, Londra
1940, pp. 418-425;
H. J. KRAus,
Gottesdienst
in Israèl. Studien zur Geschichte des Laubhutteniestes, 1954; J. VAN GOUDOEVER, Biblical Calendars, Leyde 1959,
Monaco pp. 30-36. 3 Cfr. STRACK-BILLERBECK, Kommentar zum N. T., II, pp. 774-812. 4 Ibid., II, 778. 5 TEODORETO, Quaest. Ex., 54; P. G., LXXX, 276 B-C; GEROLAMO, In Zach., 3, 14; P. L., XXV, 1536.
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do ancora clamoroso in favore dei suoi. Gli avvenimenti dell'Esodo diventano la figura delle realtà escatologiche. È il fondamento della tipologia. Questo è vero per la Pasqua e l'uscita dall'Egitto, che appaiono come la figura della liberazione escatologica del popolo di Dio, ed è ancor più vero per la festa dei Tabernacoli, che assume più di qualsiasi altra festa un significato escatologico. Forse si può trovarne una ragione in un tratto che ci indica Filone, cioè che essa chiude (tEÀElro. Sembra che un passo del Pastore di Erma, il cui carattere giudeo-cristiano è noto e nel quale il rapporto con la festa dei Tabernacoli mi appare evidente, ci fornisca il simbolismo di questo rito. Vi si vede l'Angelo glorioso distribuire dei rami di salice alla folla, e poi richiederli a ognuno; egli consegna delle corone a coloro i cui rami sono coperti di germogli e rimanda indietro quelli i cui rami sono secchi. L'Angelo ci spiega quindi che i rami sono la Legge, e coloro i cui rami sono secchi sono quelli che l'hanno trascurata (Sim., VIII, 2, 1-4). Abbiamo modo di vedere il persistere di questo simbolismo presso i cristiani. Fin'ora abbiamo parlato solo del lulab, ma l'etrog condivide la stessa simbolica escatologica, accompagnando frequentemente illulab sui monumenti funerari con l'identico significato di immortalità. I Padri della Chiesa ravviseranno nell'etrog il simbolo del frutto dell'Albero della Vita paradisiaca ed a loro volta molti testi ebraici o giudaico-cristiani vedono nel frutto dell'Albero della Vita l'espressione della vita eterna-e. Ma vi è già nei giudaismo una relazione fra questo simbolismo e quello dell'etrog 25? A questo proposito, è interessante confrontare Ezechiele, XLVII, 12, e Zaccaria, XIV, 16, in quanto i due capitoli sono evidentemente dipendenti l'un dall'altro. Si parla dell'acqua viva che scenderà dalla nuova Gerusalemme attraverso il Monte degli Ulivi iEzechiele, XVII, 8 e Zaccaria, XIV, 4 e 8): sulla sponda di questo torrente Ezechiele ci mostra degli alberi della vita. 23 24 25
Cfr. STRACK-BILLERBECK, Il, pp. 792-793. I Hén., XXV, 4-5; Test. Lev., XVIII, 11; Apoc., II, 7; XXII, 2. Cfr. RIESENFELD, op. cit., pp. 24-25.
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Lo stesso tema sarà ripreso nell'Apocalisse, XXII, 2, ed a ciò corrisponde in Zaccaria la festa dei Tabernacoli. In entrambi i casi si tratta del Monte degli Ulivi, la cui relazione con la festa dei Tabernacoli ci appare ormai chiara ed evidente. Possiamo quindi concludere che la festa dei Tabernacoli si rivela come un'immagine del Paradiso, in cui l'etrog simbolizza il frutto dell'Albero della Vita.
Un ultimo tema merita di essere trattato a parte, poiché nello studio della festa dei Tabernacoli e del suo simbolismo messianico, esso viene generalmente trascurato: la corona. L'opinione generale è che l'uso della corona sia estraneo al giudaismo e che, laddove appare, ciò sia dovuto ad un'infiltrazione pagana. Questa è in particolare la tesi di Buchler, di Baus, di Goodenough e di Baron->. Infatti si ricorda, per quanto riguarda i cristiani, il De corona militum di Tertulliano, che condannava l'uso delle corone. Tuttavia, diversi autori hanno contestato questa opinione, e Harald Rìesenfeld-", Jacques Dupont=', Isaac Abrahams-? hanno difeso l'origine giudaica della corona. Quest'ultima tesi ci appare fondata, ma sembra che si possa andare ancora oltre e ricollegare alla festa dei Tabernacoli l'uso ebraico e successivamente cristiano della corona. Questo ci consente di capire meglio il suo simbolismo escatologico. L'usanza di portare delle corone nella processione che si svolgeva attorno all'altare nell'ottavo giorno della 26 Vedere i riferimenti nel mio «Bulletin des Origines chrétiennes», R. S. R., 45 (1957), pago 612. 27 Iésus Transfiguré, pp. 48-5l. 28 :Eùv Kptorér: L'union avec le Christ suivant saint Paul, Louvain 1952, pago 78. 29 Studies in Pharisaisrn and the Gospels, Cambridge 1917, 1, pp. 169-170.
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festa dei Tabernacoli, è atte stata sia da fonti ebraiche che pagane. Il testo ebraico essenziale è Giubilei, XVI, 30: «Fu stabilito che essi celebrino la festa dei Tabernacoli dimorando nelle capanne, portando delle corone sulle loro teste e tenendo in mano rami frondosi e ramoscelli di salice». Si tratta evidentemente di corone di foglie. Questa informazione è confermata dalla descrizione che Tacito fa della festa tHist., V, 5), quando dichiara che i sacerdoti ebrei vi portavano delle corone di edera. Goodenough scrive a tal proposito: «È ragionevole supporre che queste due fonti, completamente indipendenti fra loro, stabiliscano il fatto, totalmente ignorato dai rabbini nel Talmud, che l'usanza ellenica di portare le corone era stata introdotta negli usi della festa ebreav-". Il confronto dei testi stabilisce l'esistenza di questo costume, ma nulla giustifica l'affermazione che sia di origine ellenica. E l'allusione dei Giubilei stabilisce il contrario. A questi testi se ne può aggiungere uno cristiano, il cui contenuto è però la festa ebraica dei Tabernacoli, la Ottava Similitudine di Erma. Abbiamo già accennato a questo passo poiché in esso vi si trova un riferimento al lulab come simbolo delle buone opere; si tratta di una visione del Giudizio descritto nel quadro della festa dei Tabernacoli. Vi leggiamo: «L'Angelo del Signore ordinò di andare a prendere delle corone. Esse furono portate e sembravano fatte di palma, ed egli incoronò gli uomini che avevano consegnato i loro rami coperti di gemme e di frutti» (Sim., VIII, 2, 1). Si noterà che si tratta di corone di palma. Origene, dal canto suo, fa allusione ad un libro giudaico-cristiano ove «tutti i credenti ricevono una corona di salice» tHom., Ezech., I, 5). Si è voluto identificare questo libro con il Pastore, ma il riferimento alle corone di salice; anziché a quelle di palma, sembra indicare un'altra opera che riguarderebbe la festa dei Taberna30 Jewish Symbols,
IV, pago 157.
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coli, ove i rami di salice erano utilizzati per il lulab, e quindi potevano esserlo anche per le corone. I monumenti ebrei affrescati confermano questi documenti letterari. Un affresco della sinagoga di DùraEuropos, in cui tutti sono concordi nel riconoscere la processione della festa dei Tabernacoli, rappresenta i sacerdoti che portano delle corone di fiori-". Un'iscrizione di Bérénikè, di poco anteriore al Cristo, mostra gli Ebrei di questa città che offrono una corona di ulivo a un magistrato, durante la festa dei Tabernacoli V. Ma il fatto fondamentale, rilevato da Goodenough=, è il frequente accostamento, sui monumenti funerari ebraici, della corona e dellulab. Poiché ormai sappiamo chiaramente che illulab è associato alla festa dei Tabernacoli, è molto probabile che sia lo stesso per la corona-", Un'ultima conferma ci è fornita dai testi giudeo-cristiani concernenti il battesimo. Nelle Odi di Salomone le corone sono spesso menzionate. Così leggiamo all'inizio dell'Ode I: «Il Signore è sul mio capo come una corona e non esisterei senza di lui. Una vera corona è stata intrecciata sul mio capo» (I, 1-2). Si tratta di una corona di foglie, come indica l'Ode IX, 7: «Vieni in Paradiso, fatti una corona del suo albero e ponila sulla tua testa». Bernard ritiene che questi testi alludano ad un uso liturgico e rimanda al rito del battesimo, in cui il neofita era coronato di fiorP5. E Lampe accetta tale ipotesi: «Il neofita (per l'autore delle Odi) è apparentemente incoronato da una corona che simbolizza la presenza di Cristo, che è come una corona sul capo degli eletti»36. Questa usanza proviene qui sicuramente dal giudaismo. 31 Cfr. KRAELING,The Excavations at Dùra-Europos, Final Report, VIII, 1,NewHaven 1956,pp.114-115. 32 GOODENOUGH,op. cit., II, pp. 143-144. 33 Ibid., III, p. 471; IV, pago 157. 34 Altre attestazioni sono in Goodenough, op. cit., VII, pp.151-152. 35 The Odes of Salomon, Cambridge 1912, pago 45. 36 The Seal oi the Spirit , Londra 1943, p. 112. Cfr. JEAN DANIÉLOU, La Théologie du iudeo-christionisme, Parigi 1958, pago 382.
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Ora, il contesto ebreo in cui troviamo la corona è quello della festa dei Tabernacoli, e se ci ricordiamo che i riti giudeo-cristiani del battesimo contengono altre allusioni a questa festa-", l'origine dell'uso siriaco-cristiano nei riti ebrei dei Tabernacoli è molto verosimile. Il Testamento di Levi ci porta una testimonianza ancora più precisa e tanto più preziosa in quanto gli elementi ebraici appaiono più evidenti nella stesura cristiana. Vi è infatti un interessante passo in cui T. W. Manson e De Jonge vedono, nel simbolo dell'investitura del sommo sacerdote, un'evocazione del battesimo cristiano. Sette uomini procedono a questa iniziazione: il primo fa un'unzione con l'olio e consegna un bastone, il secondo lava nell'acqua pura, presenta il pane e il vino e riveste di una tunica di gloria, il quinto dà un ramo d'ulivo, il sesto pone sul capo una corona (VIII, 4-9). L'accostamento del ramo di ulivo e della corona ci pone nel contesto della festa dei Tabernacoli e dimostra il collegamento della corona con questa festa. D'altro canto l'insieme dei riti sembra riferirsi al battesimo. La corona appare dunque qui come un rito battesimale cristiano proveniente dalle usanze ebree della festa dei Tabernacoli. Si nota infine che il Libro di lèu presenta un rituale battesimale gnostico ispirato, come mostra il contesto, a consuetudini ebraiche, e in cui il rito dell'incoronazione ritorna a più riprese. Il passo più importante è il seguente: «Gesù compì questo mistero (uuo-rnptov) nel quale egli rivestì tutti i suoi discepoli di una tunica di lino e li coronò di una corona di mirto» (47; G. C. S., 312). Emerge subito l'unione dell'abito bianco e dell'incoronazione come nel Testamento di Levi. La corona è di mirto, e sappiamo che questa pianta era una delle tre qualità di cui era composto illulab, unitamente ai rami di palma e di salice. In particolare questi due ultimi li 37 JEAN DANIÉLOU, «Les Quatre-Temps de septembre Tabernacles», La Maison-Dieu, 46 (1956), pp. 114-116.
et la fète des
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abbiamo già trovati nelle corone, che sembra potessero essere di differenti specie. Abbiamo incontrato anche corone di edera e di rose, ed il Libro di lèu menziona, nel rituale battesimale, corone di verbena (nepio-repecov òp't'}Òç) (46. G. C. s., 309) e di artemisia (òpteuioto) (48; G. C. S., 313)38. Così l'esistenza di una corona di foglie nei riti della festa dei Tabernacoli appare attestato sia dai documenti ebraici concernenti la festa stessa, sia dai documenti giudaico-cristiani che ne mostrano la persistenza nei rituali battesimali-". Questo ci permette di scoprire un ultimo aspetto della simbolica ebraica della festa dei Tabernacoli: è infatti evidente il carattere escatologico della corona indicante la beatitudine eterna, e ne daremo qualche esempio. Ma spesso questo simbolo si ricollega all'usanza ellenica di consegnare al vincitore una corona quale ricompensa. Questo simbolismo esiste negli autori cristiani, ed è evidente in I Corinri, lX, 25. Ma vi è tutta una serie di testi ebraici e cristiani in cui la corona è il simbolo della gloria degli eletti, nel senso biblico del termine, e della vita incorruttibile che è loro data. E questo simbolismo è legato all'usanza della corona nella festa dei Tabernacoli ed al suo senso escatologico. Nell'ebraismo i monumenti effigiati ne costituiscono una prova decisiva. La corona è il simbolo della speranza nell'immortalità ed in questo simbolismo è associato illulab, il cui legame con la festa dei Tabernacoli è ormai evidente, come dimostra anche il Goodenough che abbiamo più volte citato. Nel cristianesimo abbiamo ugualmente rilevato, con il Pastore di Erma, il simbolismo escatologico della corona contenuto nella festa dei Tabernacoli. 38 Si noterà che il rito dell'incoronazione occupa un posto importante nel rituale mandeo del battesimo, Cfr. E. SEGELBERG, Masbùtà, Upsala 1958, p, 61, Ora le usanze mandee non hanno nulla di ellenistico. 39 Vedere ancora CIRILLO DI GERUSALEMME,Procatech., I; P. G" XXXIII, 332 A,
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Ma altri esempi ancora devono essere menzionati. di Giovanni ci mostra «la corona di vita» data a colui «che è fedele sino alla morte» (Il, 10). Un po' più avanti «il frutto dell'albero della vita» ha un simbolismo analogo, e noi abbiamo visto i rapporti fra questo e l'etrog. Le «palme portate in mano» sono un altro simbolo della gloria degli eletti (VII, 5) ed indicano evidentemente illulab. L'Apocalisse, come ha dimostrato J. Comblin, è impregnata delle immagini della festa dei Tabernacoli+". La processione dei sacerdoti in veste bianca attorno all'altare l'ottavo giorno della festa, diviene per Giovanni il simbolo della processione degli eletti attorno all'altare celeste l'ottavo giorno che segue la settimana cosmica. La corona di vita proviene da questa trasposizione. Questo si incontra altrove nell'apocalittica cristiana. L'Ascensione di Isaia vede nella corona, associata alla veste, il simbolo della gloria degli eletti. Gli abiti e la corona sono deposti al settimo cielo per essere indossati da Isaia, quando egli vi entrerà (VII, 22; VIII, 26; IX, 25). Osserviamo che la corona rappresenta la gloria suprema e viene di seguito alla veste, il che può alludere ad una successione rituale. L'Apocalisse di Pietro menziona ugualmente le corone in un contesto escatologico (R. O. c., 5 (1910) pp. 317 -319). Il Testamento di Beniamino parla «delle corone di gloria che porteranno coloro che hanno praticato la misericordia» (IV, 1). Si possono notare le diverse espressioni che indicano il significato escatologico delle corone. L'espressione «Corone di vita», che si trovava nell'Apocalisse, II, IO, riappare in Giacomo, I, 12: «L'uomo che sopporterà la prova riceverà la corona di vita». La Prima Lettera di Pietro parla della «corona di gloria» in un testo che evoca l'Apocalisse, VII, 17: «Quando il Principe dei Pastori
L'Apocalisse
40 «La Liturgie pp. 27-40.
de la Nouvelle
Jérusalern»,
E. T. L., 29 (1953),
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apparirà, voi riceverete la corona di gloria che non appassisce mai» (I Pietro, V, 4). Un ultimo testo riunisce la corona e gli altri temi escatologici di cui abbiamo parlato: si tratta del Libro V Esdra. Nella descrizione delle promesse escatologiche, si parla dei «tabernacoli eterni» e dell' «albero della vita» (Il, 11-12), e si ritrova il tema dei dodici alberi associato alle fontane e alle montagne (Il, 18-19). Ciò ci pone nel contesto di Ezechiele, XLVII, e dell'Apocalisse, XIX; gli eletti sono rivestiti di vesti bianche (Il, 39-40). Ma il passo essenziale è questo: «In mezzo alla folla vi era un uomo giovane, di statura elevata, più alto di tutti gli altri. Egli poneva delle corone sulle teste di ognuno di questi. E la loro statura aumentava. lo domandai all'angelo: -Chi sono costoro?- Egli rispose: -Sono coloro che hanno deposto la tunica mortale e hanno indossato l'immortale ed hanno confessato il nome di Dio. Da adesso sono incoronati e hanno ricevuto le palme (modo coronantur et accipiunt palmas ).- Dissi all'angelo: -E l'uomo giovane che pone le corone e dà loro le palme, chi è?- Egli rispose: -È il Figlio di Dio che essi hanno confessato nel mondo-» (Il, 45-47)41. Rileviamo per prima cosa i tratti che accomunano questo testo al Pastore. Il Figlio di Dio vi è distinto per la sua statura gigantesca (Sim., VIII, 1, 2). Il Nome di Dio è sinonimo di Figlio di Dio (Sim., VIII, 6, 2)42. Ricorderemo anche le dodici montagne delle Similitudini, IX. Ora questo giovane di statura gigantesca distribuisce corone e palme: ciò è identico a quanto troviamo nelle Similitudini, VIII, 2, 1-3. D'altra parte abbiamo visto che nel Pastore il contesto di questo passo era quello della festa dei Tabernacoli, ed è normale che qui sia la stessa cosa. Sempre nelle Similitudini, VIII, 2, 3, riscontriamo il passaggio che riguarda le vesti bianche: queste 41 Cfr. J. LABouRT, «Le Cinquième Livre d'Esdras», R. E., 6, (1909), pp. 433-434, che offre le varianti del testo. 42 Cfr. J. DANIÉLOU,Théologie du judéo-christianisme, pp. 204-208.
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analogie permettono di chiudere la questione relativa alla data di questo apocrifo. Si è voluto collocarlo nel V secolo, perché è in quest'epoca che appare la sua influenza sulla liturgia e sull'arte cristiana+ì, ma le analogie con il Pastore ci consentono, con H. Weinel e G. Volkmar, di farlo risalire alle fine del II secolo e di collegarlo alla letteratura giudeo-cristiana. È però possibile che sia stato tradotto, come il Pastore, nel IV secolo+'. Il Libro V Esdra riveste un interesse molto particolare in quanto dobbiamo ad esso se un certo numero di temi escatologici giudeo-cristiani, nati dalla festa dei Tabernacoli, sono passati nella liturgia e nell'arte romana, come il versetto «Requiem aeternam» della messa per i defunti. Il «riposo» era infatti un tema della nostra festa, anche se l'argomento che a noi ora interessa è quello delle corone. Il versetto «Modo coronantur et accipiunt palmas» è stato introdotto al secondo notturno del Comune degli Apostoli't'': vediamo anche che il mosaico della chiesa di Santa Prassede ci mostra gli eletti vestiti di abiti bianchi, che portano le palme e le corone. È molto probabile che questo tipo di rappresentazione, che è estraneo all'arte cristiana anteriore, sia stato adottato per la diffusione a Roma, nel IV secolo, del testo apocrifo in questione, per mezzo del quale le corone della festa dei Tabernacoli sono passate nella simbologia dell'Occidente cristiano. Ma se la simbologia escatologica della corona appare tardi in Occidente, sembra invece che in Oriente essa sia rimasta nel tempo, come pure il suo uso liturgico. Di ciò abbiamo una testimonianza negli Inni sul Paradiso di Ephrem, la cui rappresentazione del Paradiso, come 43 Cfr. L. PIROT, «Le Cinquième Livre d'Esdras», S. D. B., II, col. 1103-1107. 44 «Das funfte Buch Esra», in HENNECKE, Neutest. Apocr., pp. 390-391. 45 Cfr. L. BROU, «Le Ouatrième Livre d'Esdras dans la liturgie hispanique», Sacro Erud., 9 (1957), pp. 74-79.
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abbiamo già avuto occasione di rilevare, sia nella visione dei tabernacoli stessi e sia nella simbolica della loro decorazione, si ispirava alla festa. In Ephrem si riscontra con frequenza il tema delle corone. Nell'Inno IV, vediamo i giusti presentarsi in Paradiso con dei rami carichi di frutti e di fiori, che rappresentano i loro meriti e con cui essi si fanno delle corone (12 e 15); Beck, 53-54). È da osservare che l'immagine dei rami carichi di frutti, presentati dai giusti e significanti i meriti, è totalmente diversa da quella della palma che, nel mondo greco, veniva data al vincitore delle corse+>, È la prima immagine che incontriamo in Erma, in Metodio, in Ephrem, di cui testimonia la tradizione rabbinica. È naturalmente possibile che nel giudaismo la corona abbia avuto altri usi, e noi la vediamo menzionata in altri contesti, come ad esempio Giuditta, XV, 13. D'altra parte nella Bibbia vi sono allusioni ai diademi ed alloro simbolismo. Ma ci fermiamo qui all'uso delle corone di foglie nella festa dei Tabernacoli. E ci sembra, dall'insieme dei testi raffrontati, che è a questa usanza che si ricollega il simbolismo ebreo e giudeo-cristiano della corona per significare la gloria escatologica. Sia l'usanza che il simbolismo appaiono relativamente recenti nel giudaismo e si trovano in rapporto con lo sviluppo dell'attesa messianica e, letterariamente, dell'apocalittica. Ma non sembrano dipendenti dall'ellenismo. Resta il fatto che più tardi questo simbolismo interferirà con quello greco della corona come ricompensa al vincitore dei giochi, che si ritrova già in San Paolo. Questa evoluzione sarà parallela a quella della gloria escatologica, in cui il kabod biblico si colorirà del contenuto 46 Cfr. G. -H. RENDALL, The Epistle of James and Iudaic Christianity , Cambridge 1927, pago 40, che sottolinea l'origine ebrea della espressione: «La corona è l'equivalente dell'ebraico atarah e non ha niente a che vedere con quella che è data al vincitore dei giochi, fatto che è estraneo all'ambiente di Giacomo».
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della 80ça greca e della gloria rornana+". fondamento biblico persisterà comunque.
Ma il primo
Possiamo ormai tracciare la storia dell' esegesi della festa dei Tabernacoli e comprendere la sua importanza nelle origini della liturgia e dell'escatologia cristiana. Come abbiamo visto, già il giudaismo dava alla festa un'interpretazione escatologica nel suo significato globale. Ma il lato più importante è che un certo numero di simboli escatologici essenziali, quali illulab, l'etrog e la corona, si riferiscono ad essa. Questi simboli resteranno vivi nella liturgia cristiana, troveranno un grande spazio nei monumenti effigiati e ad essi si ispirerà la simbologia escatologica. È questo, dunque, un aspetto particolare della tipologia delle feste ebraiche nel cristianesimo che si può aggiungere a quella della Pasqua e della Pentecoste.
47 Cfr. J. DANIÉLOU. 45 (1957), pp. 611-613.
«Bulletìn des Origines chrétiennes»,
R. S. R.,
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II
LA VITE E L'ALBERO DELLA VITA
È una caratteristica saliente della letteratura giudeo-cristiana il posto che la Chiesa occupa in essa. Ho studiato altrove alcuni dei temi che servono a descriverne la misteriosa grandezza: è l'anziana donna, più antica del mondo, che appare a Erma; è la torre che egli vede costruire dagli angeli; è la sposa del verbo che ci mostra Clemente di Roma. Si incontra a più riprese un altro tema, quello di Chiesa come «piantagione», oureto; Il carattere giudeocristiano di questa definizione consente oggi di essere verificata per mezzo dei paralleli che le sono offerti attraverso i manoscritti di Oumràn. Essa presenta d'altronde delle varianti che aggiungono altrettanti elementi alla mistica ecclesiale del cristianesimo primitivo.
Innanzitutto, esamineremo i testi giudeo-cristiani che si ricollegano direttamente al nostro argomento. Essi sono stati raccolti da Schlier, e ciò ci facilita notevolmente il compito". 1 H.
SCHLIER,
Religiongeschichtliche
Untersuchungen.
ru den Igna-
tiusbriejen, Giessen 1929, pp. 48-54.
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Nell'Ascensione
di Isaia, si parla della «piantagione
che avrebbero piantata i dodici Apostoli del Beneamato» (IV, 3)2. Ignazio di Antiochia presenta per due volte il termine (Stromata, VI, 1,4). Queste immagini rimandano chiaramente al giudaismo contemporaneo al Cristo e di certo hanno le loro origini nell'Antico Testamento. Così leggiamo in Isaia: «Si chiameranno [il resto d'Israele] piantagione (qH'J'TEUu«) di Jahweh per la sua gloria» (LXI, 3; cfr. anche LX, 21)5. Ma la letteratura ebraica attesta che esse hanno uno straordinario sviluppo nell'apocalittica. In I Henoch incontriamo l'espressione «pianta di giustizia e verità» per designare il popolo eletto (X, 16; cfr. anche LXII, 8; LXXXIV, 6; XCIII, 2). Noteremo tuttavia che qui può trattarsi della concezione di una pianticella unica di cui parleremo più avanti. I Salmi di Salomone ci forniscono una definizione più immediatamente vicina: «Il paradiso del Signore, gli alberi di vita, sono i santi, la loro piantagione (rputei«) è radicata per l'eternità; essi non saranno estirpati per tutta la durata del cielo» (XIV, 2-3)6. Ma sono i manoscritti di Oumràn che forniscono la più ricca documentazione. Qui l'espressione si trova da per tutto. Il Consiglio della Comunità «sarà consolidato nella verità in quanto piantagione eterna» (D. S. D. VIII, 5). Bertil Gartner a proposito di questo testo scrive: «Noi troviamo, nel D. S. D., «piantagione» come termine tecnico per la setta che si considera come il santo resro-". Incontriamo l'espressione ancora in D. S. D. XI, 8; in CD.C., I, 7. E sopratutto occupa un posto di rilievo nelle Hoda5 Vedere su questo testo L F. M. BRAWLEY, «Jahweh is the Guardian of is Plantation. A note on 15., 60, 21», Bibl., 41 (1960), pp. 275-287. 6 Cfr. H. RIESENFELD, Jésus Tra nsfigu ré, p. 192; FILONE, Opif, 153: «Nel divino Paradiso tutti gli alberi si trovano ad essere vivi e razionali». 7 Die rdtselhajten Termini Nazoraer und Iskariot, Upsala 1957, pag.23.
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yoth, ove contiene una grande ricchezza di armonici.
La «piantagione eterna» indica la comunità: «Tutti i fiumi dell'Eden la irrigano» (VI, 15-17). Specie la colonna VIII è interamente consacrata al tema della piantagione'': essa è fatta di alberi della vita (VIII, 5) che portano per sempre dei frutti (VIII, 20). Agli alberi della vita, che sono i santi, sono opposti gli alberi d'acqua (VIII, 9). La piantagione degli alberi è lungamente descritta (VIII, 21-26) e sono sorpredenti gli accostamenti con le Odi, che Dupont-Sommer ha evidenziato". In un ultimo passaggio, i giusti sono ancora paragonati a degli alberi della vita (X, 26). Il mandeismo, che è senz'altro una gnosi ebrea l", ci fornisce un'ultima testimonianza sull'importanza della immagine della piantagione nel giudaismo precristiano. Schlier (op. cit., pp. 48-61) e Gartner (op. cit., pp. 2533), vi hanno rilevato l'interesse del tema della piantagione. Schlier in particolare ha accostato i testi mandei a quelli giudeo-cristiani: «Mi sono recato nel mondo, dice il Giardiniere, per piantare la piantagione di vita» (Libro di Giovanni, Lidbarsky, pago 219). E altrove: «Quanto sono belle le piantine che il Giordano ha piantato e fatto crescere. Esse hanno dato dei frutti puri» (Liturgia Mandea, Lidbarsky, pago 149). È da notare il legame fra la piantagione e il Giordano, che ricorda quello della piantagione e dei fiumi dell'Eden nelle Hodayoth. Il carattere battesimale del tema è qui manifesto, tenuto conto che nella liturgia mandea del battesimo si deve piantare un ramo di salice nel Giordano l l .
8 Cfr. G. BERNINI, «Il Giardiniere della Piantagione Eterna (D. S. T. VIII)>>,Sacra Pagina (Bibl. E. T. L., 63), Louvain 1959, II, pp. 47-59. 9 Les écrits esséniens découverts près de la mer Morte, Parigi 1959, pp. 240-244. Vedere anche F. M. -BRAUN, Jean le théologien et san évangile dans l'eglise ancienne, Parigi 1959, pp. 228-229. lO Vedere da ultimo K. RUDOLPH, Die Mandder, I, Das Mandder problem, Gottingen 1960, pago 252. Il SEGELBERG, Masbùtà, pp. 41-45.
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Possiamo dunque considerare che il tema della piantagione per designare la Chiesa, si ricollega alla catechesi battesimale cristiana, essa stessa ispirata alla catechesi ebraica. Nel cristianesimo successivo, subentreranno altri elementi e innanzitutto quello del giardino, il Paradiso, che noi abbiamo già incontrato. La Chiesa è il Paradiso di Dio, formato da alberi che sono i cristiani, piantati dal battesimo. Leggiamo in Ireneo: «Gli uomini che hanno progredito nella fede e hanno ricevuto lo Spirito di Dio sono spirituali, come piantati nel Paradiso»(Adversum haeresiae, V, lO, 1). Ci si ricorderà che già nel Nuovo Testamento il battesimo è considerato come una piantagione, giacché Paolo chiama «nuove piante» (veòtputot) i nuovi battezzati (I Timoteo, 111, 6). La letteratura successiva preferirà un'altra immagine, più greca: quella di «recentemente illuminati» (vEO> (VII, 1). J. -P. Audet collega questo passo alla stesura primitiva. Ciò che segue - e che concerne l'uso di altre forme di acqua, in mancanza di acqua viva - proviene dall'interpolatore, ma senza per questo essere di un tempo più tardivo-. L'uso indicato dalla Didachè è confermato da altri testi arcaici. Il Nuovo Testamento non contiene attestazioni esplicite, ma la Tradizione Apostolica parla di una «acqua corrente e pura» per il battesimo. Il carattere giudeo-cristiano e arcaico dell'uso è confermato dalle Omelie e dalle Deeretali pseudoclementine (Dee. IV, 67; VI, 13)3. Si noterà che l'espressione «acqua viva» può essere applicata a realtà diverse. Essa designa innanzitutto l'acqua di sorgente, ma può indicare anche l'acqua di ruscello o di fiume. In effetti gli scritti pseudo-clementini ci mostrano dei frequenti battesimi nel mare. Infine Klauser ha mostrato che l'acqua viva poteva anche essere l'acqua condotta da una canalizzazione a scaturire in un bacino". Questo fu sicuramente un caso molto comune, come testimonia il battistero del Laterano, ove l'acqua sgorgava dalla bocca di sette cervi di bronzo. L'uso rituale dell'acqua viva proviene da un contesto molto esteso. Lo troviamo nelle religioni greco-romane, 2 La Didachè, Instructions des Apàtres, Parigi 1958, pp. 358-367. 3 Cfr. J. DANIÉLOU, Théologie du judéo-christianisme, pp. 378-379. 4 Cfr. T. KLAUSER, «Taufet in lebendigem Wasser», Pisciculi, Munster 1939, pp. 157-160.
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ma appare particolarmente nel giudaismo. Già l'Antico Testamento, nel Levitico (XIV, 5), ne fa menzione per le purificazioni. Ma sopratutto il giudaismo contemporaneo al Cristo attesta l'importanza attribuita a dei riti in cui l'acqua viva gioca un ruolo capitale. I Mandei fanno dell'acqua viva il rito essenziale (Ginza, II, 1, 180). Giovanni Battista battezza nel Giordano. Or. Sib., IV, 165, ordina di bagnare tutto il proprio corpo in «fiumi di acqua viva (òsvcototv)». Gli Elcasaiti raccomandano contro la rabbia un bagno «in un fiume o in una sorgente abbondante» (Elench., IX, 15, 4). Il battesimo dei proseliti ebrei ha luogo nell'acqua viva. E l'acqua viva è raccomandata per le purificazioni>. Dunque il contesto rituale dell'acqua viva è quello del giudeo-cristianesimo, e appare legato a questo. Ma a tale contesto se ne aggiunge uno teologico. L'acqua viva è nel Vecchio Testamento un simbolo di Dio come sorgente di vita. Così in Geremia, II, 13: «Hanno abbandonato me, la sorgente di acqua viva (uoa'Toç çwiìç)>>. Il Cantico dei Cantici parla del «pozzo di acqua viva (uowp çÙN)>>in un senso indubbiamente simbolico (IV, 15). In Ezechiele e Zaccaria questa acqua viva indica l'effusione escatologica della vita di Dio. Citiamo Zaccaria, XIV, 8: «Un'acqua viva (uowp çÙN) uscirà da Gerusalemme». Ma più particolarmente questa effusione di acqua viva escatologica è posta in relazione con lo Spirito Santo, e ciò appare già in Ezechiele, XXXVI, 25-27. La relazione fra il battesimo di acqua e il battesimo di Spirito Santo a proposito di Giovanni Battista (Matteo, IIl, 11) pare proprio riferirsi a Ezechiele, che distingue i due momenti e considera l'acqua come la purificazione che precede il dono dello Spirito''. Questo legame si ritrova nel Manuale di disciplina di Oumràn (IV, 21). Tuttavia un altro testo di Oumràn sembra piuttosto 5 Cfr. J. THOMAS, Le mouvement baptiste en Palestine Gembloux 1955. 6 LAMPE, The Seal ofthe Spirit, Londra 1951, pago 28.
et en Syrie,
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assimilare l'acqua viva alla Torah, e ciò si ritrova nel Talmudl. Si tratta dell'Inno O (col. 8), in cui il Maestro di Giustizia è presentato nell'atto di dare l'acqua viva'': «Ti rendo grazie, o Adonai perché mi hai posto come una sorgente di fiume in una terra secca e uno zampillamento di acqua in una terra arida». Più avanti si parla del «Rimessiticcio»
di cui:
«la sorgente avrà accesso alle acque vive ed essa diventerà una fontana eterna». Poi è detto che: «Non si disseterà
alla sorgente di vita».
E: «Si è pensato senza credere alla sorgente di vita». Infine gli eletti: «Scorreranno come fiumi dalle acque perenni. È con la mia mano che tu hai aperto la loro fontana». Il Vangelo di Giovanni eredita dalla simbolica dell'acqua viva. Giovanni è il solo autore del Nuovo Testamento che presenta l'espressione uocop çéìN. Un primo passo è quello della Samaritana: «Se tu conoscessi il dono di Dio ... sei tu che gliel'avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato l'acqua viva (uocop çéìN). Ella gli disse: Signore, voi non avete niente per attingere e il pozzo è 7 8
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II, pp. 433-436. Utilizzo qui la traduzione di Dupont-Sornmer.
STRACK-BILLERBECK,
profondo. In che modo avete dunque l'acqua viva (u8rop çéìN)? Gesù le rispose: Chiunque berrà di quest'acqua avrà ancora sete; ma colui che berrà l'acqua che io gli darò non avrà mai più sete; anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente di acqua viva (u8rop çéìN) per la vita eterna» (IV, 10-14). Si può osservare, con il P. Braun", che il confronto fra il pozzo di Giacobbe e l'acqua viva data dal Cristo, può sottolineare il confronto fra la Legge e il Vangelo, giacché il pozzo di Giacobbe indica la Legge nel Documento di Damasco (VI, 4) e, d'altra parte, l'acqua viva è un simbolo della Legge. L'accostamento con l'Inno O è sorprendente. San Giovanni cita la frase del Cristo: «Se qualcuno ha sete, venga a me e beva. A colui che crede in me, come dice la Scrittura, fiumi di acqua viva (u8rop çéòv) sgorgheranno dal suo seno. Egli diceva questo dello Spirito che dovevano ricevere coloro che avrebbero creduto in lui» (VII, 37-39). In questo passo l'acqua viva è dunque un simbolo dello Spirito Santo. È da notare che questo è un commento di Giovanni e proviene dalla sua teologia. Tale simbolismo riappare nel finale della Apocalisse : «Poi mi mostrò un fiume di acqua della vita (u8rop çrofìç) che sgorgava dal trono di Dio e dell'Agnello» (XXII, 1). Abbiamo visto in precedenza che il Manuale di Disciplina è il primo testo in cui l'acqua viva appare direttamente associata allo Spirito Santo. In Ezechiele e in Giovanni Battista i due momenti sono invece distinti. Si può dedurre, quindi, che la simbolica dell'acqua viva come simbolo dello Spirito Santo è propriamente giovannea e deriva, in Giovanni, dalla teologia di Oumràn. Ma rimane da fare ancora un'ultima osservazione. È verosimile, come suggerisce Cullmannlv, che i due testi 9 «L'arrière-fond judaique du IVe évangile et la communauté de l'Allìance», R. B., 62 (1955), pp. 24-26. lO Les sacrements dans l'évangile johannique, pp. 50-54 e 58-61.
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di Giovanni, che abbiamo menzionato, abbiano delle risonanze sacramentali, poiché in essi è indicata l'effusione battesimale dello Spirito Santo. Ora questo è fondamentale, perché Giovanni è così il primo autore in cui i due temi che abbiamo studiato - il rito giudeo-cristiano del battesimo nell'acqua viva e il simbolismo dell'acqua viva che designa lo Spirito Santo - sono esplicitamente legati. È con lui che l'acqua viva del rito battesimale indica chiaramente l'effusione dello Spirito Santo. Abbiamo una teologia del battesimo, distinta dalla teologia paolina che si àncora maggiormente alla configurazione del Cristo morto e risuscitato, simbolizzato con l'immersione e l'emersione. Questa unione del rito d'acqua viva e della simbolica dell'acqua viva si ritrova nelle Odi di Salomone, se si accetta, con Bernard, il loro carattere battesimale. Così in XI, 6: «Un'acqua parlante si è avvicinata alle mie labbra, venendo dalla sorgente del Signore, e io ho bevuto e sono stato inebriato dall'acqua viva che non muore». È da rilevare l'espressione «acqua parlante» che si incontra nei testi mandei Il e che ci fa ricordare Ignazio di Antiochia: «Vi è in me un'acqua viva (uorop ç&v) che mormora: Vieni verso il Padre» (Rom., VII, 3). Zeno di Verona parla dell' acqua viva e del suo dolce mormorìo (Tractatus, II, 35). Ciò sembra alludere al mormorìo che fa udire l'acqua che scorre. Dal canto suo, l'Ode XXX è un richiamo al battezzato in questi termini: «Riempitevi delle acque della sorgente viva del Signore. Venite, voi tutti gli assetati, prendete la bevanda e riposatevi presso la sorgente del Signore» (XXX, 1-2). Emerge in questo testo la verosimile allusione a Isaia, LV, 1: «Voi tutti che avete sete, venite alle acquel?» e al Salmo XXII, 2: «Vicino alle ac-
Il ERIC SEGELBERG, Masbùtà, Studies in the Ritual of the Mandean Baptism, Upsala 1958, pago 45. 12 Si ritrova anche nell'Apocalisse, XXI, 6: «A colui che ha sete io darò in dono delle acque di vita
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(TOÙ Uòm;oç Tfiç çwiìç)>>·
que di riposo egli mi fa pascolare» 13. È difficile pensare che le Odi di Salomone dipendano da Giovanni. Ma, per contro, il loro rapporto con gli scritti di Oumràn è certo. Esse rappresentano uno sviluppo parallelo, il cui contesto è giudeo-cristiano.
Abbiamo fin' ora separato gli elementi essenziali del segno materiale e della realtà spirituale, che costituiscono il simbolismo dell'acqua viva. Ma è possibile precisare maggiormente il Sit; im Leben, il contesto biblico di questo simbolismo. Alcune osservazioni sui testi che abbiamo citato ci aiuteranno. L'Apocalisse, XXII, 1-2, dopo aver descritto il fiume di acqua viva che sgorga dal Tempio escatologico, continua: «Da tutte le parti del fiume, alberi della vita danno dodici volte i loro frutti; e le loro foglie servono alla guarigione delle nazioni». L'Ode di Salomone VII, dopo aver menzionato l'acqua parlante, prosegue: «Beati coloro per i quali vi è un posto nel tuo Paradiso, che crescono nella germinazione dei tuoi alberi» (15-16). Già nell'Inno O di Oumràn il tema degli alberi della vita accompagna quello dell'acqua di vita (col. 8, 5-6). Nei testi esaminati vediamo accostati diversi temi: la sorgente d'acqua viva, la piantagione degli alberi di vita, il Tempio. Questo ci orienta verso un primo testo, che è Ezechiele, XLVII. Nella descrizione del Tempio escatologico, noi leggiamo: «Ecco che queste acque uscivano da sotto la soglia della casa ... Era un torrente che non potevo attraversare ... Vicino al torrente cresceranno tutte le specie di alberi fruttiferi il cui fogliame non appassirà mai. Ogni mese essi produrranno frutti nuovi, perché le sue acque escono dal santuario» (XLVII, 1-12). Così la sorgente di acqua viva, scaturita dal Tempio, 13 CfT. Apocalisse, VII, 17: «L'Agnello sarà il loro Pastore durrà vicino alle acque della vita (UòU"WNçcoiìç)>>.
e li con-
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fa crescere degli alberi della vita, che sono il Paradiso restaurato. Questo tema ha certamente ispirato l'Apocalisse di Giovanni (XXII, 1-2) e le Odi di Salomone (VI,7)14. L'allusione al testo di Ezechiele e la testimonianza della sua applicazione arcaica al battesimo, appaiono in una citazione dell'Epistola di Barnaba, che costituisce uno di quegli agglomerati di citazioni bibliche caratteristiche del giudeo-cristianesimo l>. Leggiamo: «Dopo, che cosa dice il Profeta? Vi era un fiume che scorreva dal lato destro, e degli alberi pieni di bellezza spuntavano (àvE~atVE) da esso; e colui che mangerà di questi alberi vivrà eternamente. Con ciò egli vuol dire che noi scendiamo nell'acqua pieni di peccati e di sozzure, e che ne risaliamo portando nei nostri cuori il frutto del timore e della speranza in Gesù, essendo nello Spirito» (XI, 10-11). Si noterà la relazione con Giovanni: «Colui che mangerà di questo pane vivrà eternamente» (VI, 63) e con l'Apocalisse : «Gli darò da mangiare dell'albero della vita» (Il, 7). Il midrash citato da Barnaba sembra avvicinare i due passaggi, la qual cosa suppone una assimilazione dell'Eucaristia al frutto dell'albero della vita. I monumenti effigiati confermano la testimonianza dei testi letterari. Nei mosaici dei battisteri si vedono spesso gli alberi di vita che contornano la sorgente battesimale di acqua viva. Al V secolo, come mostra Underwood lv, il sepolcro del Cristo appare come la fontana da cui scaturisce l'acqua viva. Ma, d'altronde, il sepolcro è anche il nuovo Paradiso e la croce rappresenta l'albero di vita. Siamo in presenza di sviluppi che introducono temi nuovi, ma sempre nella scia del testo di Ezechiele. 14 Cfr. la nota di BERNARD, op. cit., pago 56: vi è un'allusione precisa al "ruscello divenuto torrente». 15 Cfr. Théologie du judéo-christianisme, pp. 102-111 e supra, pag.41. 16 P. A. UNDERWOOD, «The Fountain of Life», Dumbarton Oaks Papers, 51 (1950), pp. 96-99.
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Il punto importante, qui, è il legame fra l'acqua viva e gli alberi della vita. Questo legame sottolinea un nuovo aspetto dell'acqua viva, in quanto non è soltanto l'acqua corrente in contrapposizione all'acqua stagnante, ma è l'acqua che comunica la vita in opposizione alle acque che danno la morte l". Seguendo questa via, il testo di Ezechiele ci aiuterà a capire il senso di un altro simbolo, quello del «pesce». Sappiamo già che nella simbolica cristiana antica, il pesce rappresenta il cristiano. Questa interpretazione, secondo i Padri Latini, è dovuta al fatto che lX-ouç è l'anagramma di Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore. Ma d'altra parte il pesce appare generalmente in un contesto battesimale. Infatti Tertulliano dice: «Ma noi, piccoli pesci, nasciamo nell'acqua» (Bapt., I, 3) e Ambrogio: «Ti è stato riservato che le acque ti rigenerino con la grazia, corne esse hanno generato gli altri (esseri viventi) alla vita terrestre. Imita questo pesce» (Sacram., 111,3)18. Le pitture delle catacombe portano numerose testimonianze sul legame fra il pesce e l'acqua battesimale. Tale legame è anteriore al cristianesimo. Goodenough ha mostrato il posto che occupava nell'arte ebraica, in cui l'acqua è rappresentata come pescosa e il pesce significa la risurrezione l". Questo ci riconduce all'acqua viva, che è quella nella quale vi sono degli esseri viventi, e la presenza di pesci nell'acqua sta a significare che si tratta di acqua viva. Ma più precisamente questo tema compare nel capitolo XLVII di Ezechiele. A proposito del fiume di acqua che scaturisce dal Tempio, leggiamo: «Queste acque si dirigono verso la regione orientale; esse scendono nella pianura ed entrano nel mare; e le acque del mare saranno risanate. Qualunque essere che si muove, dovunque 17 L'espressione uowp çwiìç sottolinea questo aspetto, l'acqua corrente. 18 Vedere anche le iscrizioni di Abercio e di Pectorio. 19 Jewish Symbols, V, pp. 36-61.
uowp çaw indica
mentre
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entrerà la doppia corrente, vivrà; e qui il pesce diventerà molto abbondante. Sulle rive di questo mare si fermeranno i pescatori» (XLVII, 8-11). Se ci si ricorda del ruolo che questo capitolo occupa nella teologia dell'acqua viva, sembra evidente che è ugualmente ad esso che si ricollega il simbolismo battesimale del pesce, come ha giustamente visto Allgeier-". Il pesce indica il cristiano vivificato dall'effusione dell'acqua escatologica che sgorga da Gerusalemme. Sono da notare gli altri temi che il testo suggerisce. Il mare, che l'acqua viva bonifica all'Oriente di Gerusalemme, è il Mar Morto. L'acqua viva assume in questa prospettiva tutto il suo valore, a confronto con un'acqua in cui non esiste alcun essere vivente. È comprensibile l'importanza che il simbolo poteva avere per i membri di una comunità abitante nei pressi del Mar Morto. Ugualmente per Giovanni Battista, per il quale il Giordano diventa il segno dell'acqua viva che si getta nel Mar Morto. È interessante il tema dei pescatori associato a quello dell'acqua viva, cioè pescosa. Il suo significato battesimale nell'arte cristiana antica è certo, e anch'esso può essere stato suggerito al cristianesimo primitivo dal passo di Ezechiele. Hoskyns lo propone riguardo a Giovanni (XXI, 1-14)21 e ciò può essere vero anche per Luca (V, 1-11)22. Ci appare ora chiaramente tutto il peso che il testo di Ezechiele ha per l'origine della simbolica cristiana dell'acqua viva: esso ci spiega l'importanza di questo simbolismo nei testi di Qumràn, in quelli di Giovanni, nelle Odi di Salomone. È attraverso questo testo che si comprende la presenza dei temi annessi: il paradiso degli alberi della vita, la presenza dei pesci nell'acqua. Ciò comunque non esclude l'influenza di altri passi dell'An20 «Vidi aquam», Rom. Ouart., 39 (1931), pp. 29 e seguenti. 21 The Fourth Gospel, Londra 1947, pago 554. 22 In questi testi è il lago di Genezareth, e non il Mar Morto, che è pescoso. Ma nei LXX, il testo dice che l'acqua che sgorga dal Tempio «si sparge in Galilea» tEzechiele, XLVII, 8).
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tico Testamento, e su questo torneremo fra poco. Ma intanto possiamo affermare che il testo di Ezechiele ha avuto un ruolo preponderante=. Abbiamo di ciò una conferma in una raccolta di Testimonia conservate sotto il nome di Gregorio di Nissa. Fra le Testimonia riguardanti il battesimo, incontriamo una citazione di Ezechiele, XLVII. Ma questa relazione presenta delle modifiche caratteristiche, che mostrano contemporaneamente la sua appartenenza al fascicolo arcaico delle Testimonia, che ci documentava già l'Epistola di Barnaba, e la sua applicazione al battesimo: «Quest'acqua, spargendosi nella Galilea, santificherà (ayuxCJf.t) le acque e ogni anima ('Jf'UXTJ) verso la quale andrà quest'acqua, vivrà e sarà guarita (ìa1'}TJCJf'tat)>> (P. G., XLVI, 252 A). Questa è una citazione abbreviata di Ezechiele, XLVII, 8-9, ma, come abbiamo già detto, molte modifiche sono caratteristiche: il termine uyuxCJf.t «guarire» è sostituito con ayuxCJf.t «santificare», l'espressione nooa 'Jf'UXTJ 'tON çcorov, che indica «gli animali viventi» è ridotta a nooa 'Jf'UXTJ, che significa «qualsiasi anima». Il fatto che i pesci fossero designati con la parola nooa 'Jf'UXTJ facilitava il passo. Rimane tuttavia da chiarire un aspetto del testo di Ezechiele: le acque che sgorgavano dal Tempio. Questo passaggio si ritrova nell'Apocalisse di Giovanni, e rappresenta un elemento costitutivo del tema. A che cosa collegare questo legame fra il Tempio e l'acqua viva? Un altro passo può qui corrispondere: Giovanni, VII, 44. È infatti nel Tempio che Gesù si presenta come la sorgente di acqua viva. Ma questa parola si colloca anche nel quadro della festa dei Tabernacoli. Ora, come abbiamo spesso osservato, uno dei riti della festa dei Tabernacoli era la libagione d'acqua. Possiamo supporre che questa libagione d'acqua nel Tempio sia stata considerata 23 Cfr. E. PETERSON, 1959, pp. 323-327.
Frùhkirche,
Judentum
und Gnosis, Friburgo
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da Ezechiele come figura dell'effusione escatologica dell'acqua viva-" ? Ci ricorderemo che vi è un testo dell'Antico Testamento, che dipende da Ezechiele, in cui l'immagine del torrente escatologico che scaturisce da Gerusalemme, è accostata alla festa dei Tabernacoli come figura dell'adunata escatologica: questo testo è Zaccaria, XIV, 8 e seguenti. Vi vediamo l'acqua viva (u8rop .çÙN) uscire da Gerusalemme e spargersi contemporaneamente verso l'Oriente e l'Occidente - e in un'altra parte le nazioni salire a Gerusalemme per la festa dei Tabernacoli. Sappiamo infatti che la festa dei Tabernacoli aveva assunto un senso escatologico, e di conseguenza era normale che le libagioni di acque vive apparissero come la figura dell'effusione della vita di Dio, concepita come un fiume di acqua viva. In questa prospettiva, come mostra J. Comblin->. si svela il vero senso della parola del Cristo: «Come dice la Scrittura: Fiumi di acqua viva scaturiranno dal suo seno». Il testo della Scrittura, al quale si rimanda qui, è Zaccaria, il solo testo dell'Antico Testamento in cui u8rop çÙN abbia un senso escatologico. In Zaccaria, è dalla parte del Tempio che sgorga l'acqua, ed è dunque perché il Cristo si considera il Tempio della Nuova Alleanza, che egli attribuisce a se stesso la profezia. Sappiamo che questo tema era caro a San Giovanni. Ora l'immagine assume tutto il suo significato: l'effusione di acqua nel Tempio alla festa dei Tabernacoli è la figura dell'effusione escatologica della vita divina. E questa profezia si realizza quando il Cristo, che è il tempio escatologico, annuncia alla festa dei Tabernacoli che l'acqua sgorga dal suo fianco.
24 Cfr. JEAN DANIÉLOU, «Le symbolisme eschatologique de la fète des Tabernacles», Irenikon, 31 (1958), pp. 19-40. 25 «La liturgie de la Nouvelle Jérusalem», E. T. L., 29 (1953), pp. 29-33.
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Partendo da questo nucleo centrale, il tema dell'acqua viva ha avuto risonanza su diversi episodi dell'Antico Testamento, che peraltro sono letterariamente collegati con esso e che noi possiamo finalmente raggruppare. Seguiamo un ordine regressivo. Siamo partiti dal battesimo come effusione di acqua viva che rappresenta l'effusione dello Spirito. Abbiamo visto che questo era la realizzazione delle profezie annuncianti l'effusione escatologica dell'acqua viva. Ma le profezie, a loro volta, partono dalle realtà dell'Antico Testamento, che ricordano per mostrare nel passato la figura, il tipo delle realtà più ammirevoli che Dio opererà nel futuro. Abbiamo già notato di sfuggita diversi di questi temi. Ma è utile riprenderli per precisare diverse armonie del simbolismo dell'acqua viva. Il primo è quello delle acque primordiali della Genesi, I, 2 e 20. Le acque creatrici sono in relazione con il tema dell'acqua viva, in quanto esse producono gli esseri viventi. È questo un aspetto caratteristico della tipologia battesimale. Già Tertulliano scriveva: «Le prime acque ricevettero l'ordine di generare le creature viventi... perché non si abbia modo di meravigliarsi se nel battesimo le acque ancora producono la vita» (IlI, 4). È da notare la circostanza, molto interessante per la teologia delle figure, di una educazione attraverso la quale Dio si rende familiare con i suoi modi di agire in cose inferiori, affinché siano più accettabili le azioni che saranno compiute dal Cristo. Ambrogio cita la Genesi, I, 20: «Che le acque producano dei viventi» e mostra una figura del battesimo nel testo che abbiamo riportato. Il tema comune è quello del pesce. La seconda figura è quella del Paradiso. Essa è direttamente evocata nel passo di Ezechiele, ripreso da San Giovanni. Il legame qui è quello degli alberi di vita. Il fiume di acque vive farà nascere il nuovo Paradiso, come i quattro fiumi avevano fatto nascere il primo.
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Questo è un aspetto del tema generale del battesimo come ritorno al Paradiso, così importante nella catechesi antica e in particolare in quella siriana-v, che abbiamo già incontrato nelle Odi di Salomone. La decorazione dei battisteri paleocristiani ne costituisce una testimonianza notevole, come hanno riscontrato De Bruyne e Quasten. Uno dei tratti caratteristici di questa simbolica è l'identificazione dei quattro fiumi ai quattro Vangeli. Si trova in Cipriano: «La Chiesa, alla maniera del Paradiso, contiene nelle sue mura degli alberi carichi di frutti. Essa innaffia gli alberi con i quattro fiumi, che sono i quattro Vangeli, per mezzo dei quali dispensa la grazia del battesimo con un'effusione celeste e salutare» (Epist., 73, lO). Lo stesso tema appare in Ippolito (Com. Dan., 1, 17) ed è ripreso da Girolamo (Com. Mt., Prol. ; P. L., XXVI, 15-22). P. A. Underwood ha studiato il suo sviluppo nell'arte cristiana (Art. cit., pp. 71-80; 118-131). Questo ci ricorda che nel simbolismo ebraico l'acqua viva poteva significare l'insegnamento della Legge. Nell'Inno O di Oumràn è scritto: «E tu, o Dio, hai messo nella mia bocca questa sorgente di acque vive che non sarà mai prosciugata» (col. 8, 16). E ciò appare anche nelle Odi di Salomone (XL, 4). Un terzo tema è la roccia nel deserto. La sua interpretazione battesimale risale sia a I Corinzi, X, 3, che mostra nella roccia del deserto il Cristo dal quale sgorga l'acqua viva, e sia a Giovanni, VII, 38. Il tema è ripreso dai Padri, in Giustino: «È una fontana di acqua viva che il Cristo ha fatto scaturire nel deserto» (Dia!., LIX, 6), in Tertulliano (Bapt., IX, 3), in Cipriano (Epist., LXIII, 8), in Gregorio di Elvira (Tract., XV, 163-166). I Padri stabiliscono un parallelismo fra la roccia e la parola del Cristo alla festa dei Tabernacoli. E ciò pre26
JEAN
DANIÉLOU,
«Catéchèse
Maison-Dieu, 45 (1956), pp. 99-119.
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pascale
et retour
au Paradis»,
La
suppone che la roccia del deserto e la roccia del Tempio siano assimilati. D'altra parte, l'acqua che sgorga dal costato di Cristo sulla croce, nel quadro della tipologia dell'Esodo che è quello del Vangelo di Giovanni, appare come il risveglio dell'acqua che scaturisce dalla roccia (Gregorio di Elvira, op. cit.). Questa ricca dottrina è stata illustrata da Hugo Rahner-? e da Brauri=. Si noterà che, nella tipologia della roccia dell'Esodo, si tratta di acqua che disseta. Il concetto si ritrova nell' episodio della Samaritana e in Giovanni, VII, 37: «Se qualcuno ha sete, che venga a me, e che beva colui che crede in me». È lo stesso pensiero che appare nelle Odi di Salomone: «Hanno bevuto, tutti gli assetati che sono sulla terra» (VI, lO). Questo costituisce una nuova armonia del tema dell'acqua viva. Non solo è vivificante per i pesci, feconda per gli alberi; è anche potabile per gli uomini: essa dà la vita anche a 10ro29. Come ha rilevato Bernard, il simbolismo ebraico dell'acqua viva passa continuamente da un registro di immagini a un altro. Si noterà d'altronde in San Giovanni il parallelismo fra u8mp çmfl ç (Apoc., VII, 17) e àp'wç çmflç (Giov., VI, 48), che sostituisce il parallelismo u8mp çmflç (Apoc., XXII, 1) e ç,uÀov çmflç (Apoc., XXII, 2). Un quarto tema è quello del Giordano. Qui i legami originali con il battesimo sono evidenti sul piano rituale: Giovanni battezzava nel Giordano. D'altra parte il Giordano è il tipo stesso dell'acqua viva, quella del fiume che scorre; e il suo significato si accentua maggiormente nel contrasto con il Mar Morto. Si comprende quindi perché gli episodi dell'Antico
27 «Flumina de ventre Christi», Biblica, 22 (1941), pp. 269-302, 367-403. 28 «L'eau et l'Esprit», R. T, 1949, pp. 5-30. 29 Questo corrisponde a usi rituali. In Siria, la liturgia dell'iniziazione comportava una coppa di acqua benedetta (cfr. J. -M. HANSSENS, La liturgie d'Hippolyte, Roma 1959, pp. 159 e 484). Tale usanza si ritrova anche presso i Mandei (SEGELBERG,Masbùtà, pago 59), il che sottolinea una origine orientale.
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Testamento in cui il Giordano ha un ruolo - il suo attraversamento da parte di Giosuè, il bagno di Naaman, la scure di Eliseo, l'ascensione di Elia - siano apparsi come figure del battesimo. Il Giordano diventa nel mandeismo il nome di qualsiasi acqua battesimale, e infatti è indicato con il nome di «grande Giordano di acque vive» (Eric Segelberg, Masbùtà, pago38).
Bisognerebbe proseguire questa indagine nei secoli successivi. Testi liturgici, commenti patristici, monumenti effigiati, mostrerebbero come il tema dell'acqua viva è il cuore della teologia del battesimo. Ma non è questo il solo significato. Altri simbolismi suggeriscono altri aspetti: morte e risurrezione, purificazione. Ma questo sottolinea qualcosa di essenziale: se l'acqua viva significa lo Spirito, il battesimo dà la vita dello Spirito. E non è necessario un altro sacramento per completarlo in questo ordine. È quello che rifiutava ai suoi tempi Tertulliano, e quello che ha rifiutato nei nostri tempi Gregory Dix. La cresima è un'altra effusione dello Spirito, attraverso la quale il vescovo associa il cristiano alla sua missione apostolica.
IV
LA NAVE DELLA CHIESA
Il problema del simbolismo della nave e delle sue origini, è già stato oggetto di numerosi studi. F. -J. Dolger lo ha affrontato in un capitolo del suo libro Sol Salutis (pp. 272-287). E. Peterson gli ha consacrato una preziosa nota, pubblicata prima in T. 2., 6 (1950), pp. 77 -79, e ripresa con delle note inedite in Frùhkirche, Judentum und Gnosis, pp. 92-96. Questa nota ha provocato una replica di K. Goldammer, in T. 2., 6 (1950), pp. 232-237. Peraltro, in occasione dei suoi studi sul simbolismo della croce, Hugo Rahner è ritornato più volte sul tema della Chiesa come nave, in particolare in Antenna Crucis, III, «Das Schiff aus Holz», Z. K. T., 66 (1942), pp. 197-227. Tuttavia alcuni lavori recenti portano nuovi elementi che giustificano una ripresa di questo studio.
L'elemento da cui possiamo partire è l'appartenenza del tema della nave, come figura della Chiesa, alla tradizione catechetica. Il fatto è accertato da G. Strecker! nel 1 Das Judenchristentum pp. 105-106 e 113.
in den. Pseudo-Klementinen,
Berlino 1958,
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suo libro sugli scritti pseudo-clernentini. Il confronto appare nella lettera di Clemente a Giacomo, all'inizio delle Omelie : «Il corpo intero della Chiesa somiglia ad una grande nave, che trasporta in una violenta tempesta uomini di provenienza molto diversa» (14). Segue poi una lunga allegoria, in cui Dio è il proprietario della nave, Cristo è il pilota, il vescovo è la vedetta (npcopeuç), i presbiteri sono i marinai (v (4; 361 C). Si tratta di definizioni tradiziona, li, e ne ho già studiate diverse. Alcune ci sono familiari, ma ve n'è una che si ritrova nei tre elenchi e che è parti, colarmente singolare: quella di «veicolo», OXll)..lU. È possibile definire a quale immagine essa allude e, 83
di conseguenza, quale aspetto del battesimo mette in risalto? Si può precisare la sua origine nella tradizione? Dedico il presente studio alle delucidazioni su questo punto della catechesi battesimale antica. Esso sarà interessante in quanto ci porrà alla presenza di un'espressione che appartiene contemporaneamente al linguaggio filosofico ed al linguaggio religioso, e ci dimostrerà che si tratta in realtà di due correnti molto diverse.
La parola OXll/la che, nel suo senso proprio, indica qualsiasi specie di veicolo, ha una utilizzazione molto precisa nel linguaggio filosofico del IV e V secolo. E saremmo tentati di pensare a questo senso innanzitutto. Esso indica il corpo in quanto veicolo dell'anima. Questo significato sembra risalire al Timeo di Platone, ove leggiamo: «Gli Dei hanno dato il corpo intero quale veicolo (OXll/la) dell'anima» (69 C). Tale senso è frequente nel medio platonismo, e Waszing ne ha sottolineati alcuni esempi 1. Così Albinus dice che gli Dei hanno posto il corpo sotto l'anima per servirle da veicolo (XXIII, 1). Massimo di Tiro parla dell' «anima beata che si ricorda del Dio che l'ha posta sul veicolo (OXlluu) e che le ha ordinato di esserne il cocchiere» (Disc., XLI, 4)2 . Il medesimo significato lo ritroviamo negli autori cristiani. Infatti Clemente d'Alessandria (Stromata, VI, 163, 2), Metodio di Olimpia (Res., II, 22; G. C. 5., 376), Gregorio di Nissa, si chiedono che cosa diventa l'anima dopo la morte, quando il suo veicolo (OXll/la) si smembra totalmente (De An. et Resurr.; P. G., XLVI, 45 B). Si osserverà che in Gregorio il proseguimento dell'esposizione sembra indicare che l'immagine presente 1 Tertulliani De Anima, Amsterdam 1947, pago 542. 2 Vedere anche Hermès Tris mégis te , X, 13, con la nota di GIÉRE, pp. 128-129; PSEUDO-PLUTARCO, Vito Horner., 122.
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FESTU-
nella mente dell'autore è quella di una nave. Si tratta dell'anima pilota e non cocchiere. Infatti il termine 0XYU.ta può indicare sia una nave che una carrozza o un carro, parole di cui Gregorio conosceva naturalmente il significato (XLVI, 1001 B, 1013 B). Sembra tuttavia che Platone, paragonando il corpo a un veicolo, si sia piuttosto riferito a quest'ultima interpretazione. Tertulliano, per designare il corpo, traduce l'espressione OXllfHX con vectaculum (Anim., 53, 3) e Sant'Agostino con vehiculum. (Epist., XIII, 2). In questo senso l'immagine di OXllflU è stata integrata ad una tradizione filosofica comune, di tipo platonico, ma sotto una forma elementare. Nel neo-platonismo incontriamo invece una concezione più tecnica, che indica con OXllflU non il corpo terrestre, ma i corpi astrali che l'anima riveste successivamente nel corso della sua ascensione attraverso le sfere planetarie.'. Questa dottrina è particolarmente sviluppata in Proclo+. Come ha illustrato Trouillard>, per Pro do esiste una corporeità fondamentale, ma che è «il punto di inserimento di inviluppi supplementari». Nel suo Commento su Timeo, Prodo precisa che il voix; è portato dalla \jfUX1l, che la \jfUX1l, a sua volta, ha un veicolo di fuoco (uit}Éptov 0XllflU) e infine che vi è un corpo terrestre (Y11tVOV créqlu) (I, pago 5; II e sego Diehl.). Questa concezione raggruppa, in una visione sintetica, diverse linee di pensiero, le quali risalgono tutte a Platone. La dottrina dell'anima quale veicolo del voix; viene da Fedra (246 A), ove la parola oXllflU non compare, ma in cui si trova il carro portato dai cavalli alati, quale veicolo del voix; Metodio di Olimpia adopera il termine oXllflU nel 3
Cfr. G. VERBECKE, L'évolution de la doctrine du pneuma, du stoisaint Augustin , Parigi 1945, pp. 363-379; J. -J. POORTMAN, Ochéma, Assen 1954. 4 Cfr. Elenients of theology, pp. 207-210. Vedere le note di E. -R. DODDS, pp. 103-107. 5 «Réflexions sul l'0XTH.lU dans Proclus», R. E. G., 70 (1957), pp. 103-107.
ctsme
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passo che allude esplicitamente a questo contesto: «Ci vogliono nature forti, le quali lasciandosi andare diritto sui flutti della sensibilità, dirigano verso le alture il carro (ÒXTUUX) dell'anima, non scostandosi dalla meta, fino a quando, dopo essere balzate con leggerezza (KOU