I Punti Chiave dello Dzogchen - Tulku Urgyen Rinpoche
March 14, 2017 | Author: lobeito | Category: N/A
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I punti chiave dello Dzogchen Tulku Urgyen Rinpoche tratto da un insegnamento orale dato a Nagi Gompa il 24 Novembre 1995
Il modo di affrontare la pratica Dzogchen è questo: si inizia con i preliminari, il Ngöndro; si prosegue con la pratica dello Yidam, per esempio lo Shitro; poi viene la pratica del Trekchö e poi, quale perfezionamento, quella del Tögal. Ognuna di queste pratiche di Dharma dovrebbe essere svolta. Per tutte le pratiche di Dharma c’è bisogno dei preliminari, così come una casa ha bisogno delle fondamenta. Iniziamo il sentiero dello Dzogchen con il Ngöndro per questo motivo: attraverso innumerevoli vite passate abbiamo creato karma negativo e oscurazioni incommensurabili. Il Ngöndro purifica ogni azione non virtuosa e ogni oscurazione prodotte dalle attività del corpo, della parola e della mente. Dopo aver completato il Ngöndro, si inizia la parte principale della pratica, che è come costruire un palazzo sopra delle solide fondamenta. Per quanti possano essere i suoi piani, il palazzo ora sarà stabile. La parte principale è composta da due fasi: lo sviluppo ed il completamento. Lo stadio di sviluppo, in questo caso, consiste nella visualizzazione del proprio Yidam personale e nella recitazione relativa. La pratica dello Yidam è poi seguita dallo stadio di completamento, che è il Trekchö. Trekchö significa che viene indicato lo stato fondamentale della purezza primordiale, che deve essere riconosciuto e poi reso stabile. Quando si pratica il Trekchö, si lascia la mente libera da ogni fissazione. Quando si pratica il Tögal, nonostante non ci sia alcun attaccamento, si applicano tuttavia quattro punti chiave. Trekchö significa riconoscere che la nostra essenza è primordialmente pura. La base per il Tögal è riconoscere, allo stesso tempo, che la nostra manifestazione naturale è spontaneamente presente. Quindi, riconoscere che la manifestazione naturale (la presenza spontanea) è insostanziale e priva di natura propria, è il sentiero supremo, l’unione della purezza primordiale e della presenza spontanea che chiamiamo unione del Trekchö e del Tögal. C’è una corrispondenza fra Trekchö e Tögal e i due aspetti conosciuti come il sentiero della liberazione e il sentiero dei metodi. Combinando il Trekchö e il Tögal nel sistema Dzogchen, si sperimenta la manifestazione naturale delle divinità pacifiche e irate durante questa stessa vita, senza aver bisogno di aspettare il bardo. Poiché l’intero percorso è stato attraversato in vita, non c’è più niente da allenare o purificare durante il bardo. Riprendendo il discorso, dopo aver completato il Ngöndro si procede con lo stadio di sviluppo dello Yidam. I tantra affermano che è necessario quadruplicare le pratiche in questa nostra era. C’è un numero stabilito per le pratiche e le recitazioni del Ngöndro, ma non ce n’è per il Trekchö, e neanche c’è un limite di tempo. Non si “finisce” il Trekchö dopo un paio di mesi o anni; fintanto che c’è vita, c’è la pratica del Trekchö. Nessuno “finisce” il Trekchö! Durante tutta la vita, la natura della mente deve essere riconosciuta. D’altra parte si può padroneggiare il Trekchö e realizzarlo. Ciò accade quando non esiste più alcuna illusione, né di giorno né di notte. A quel punto si può
dire di essere andati oltre il Trekchö. Tuttavia, io credo che ci siano motivi sufficienti per continuare a praticare per il resto della vita. Né il Trekchö né il Tögal sono pratiche di meditazione formale. Trekchö significa semplicemente riconoscere che la nostra esseza fondamentale è vuota. Tögal è le manifestazioni naturali che sono spontaneamente presenti. L’essenza e le sue manifestazioni non sono nostre creazioni; noi non le creiamo praticando. Sia nel Trekchö che nel Tögal non si crea niente con l’immaginazione, ma si riposa semplicemente nello stato naturale. In altre partole, il Trekchö è riconoscere che la nostra condizione naturale o essenza fondamentale è primordialmente pura. Il Tögal è riconoscere che la manifestazioni naturali di questa purezza primordiale sono spontaneamente presenti. E riconoscere che questa manifestazione naturale è insostanziale – cioè che le manifestazioni naturali delle cinque saggezze in forma di cinque luci colorate non sono qualcosa che si possa afferrare – costituisce l’unità della purezza primordiale e della presenza spontanea. Questi due aspetti, purezza primordiale e presenza spontanea, non sono separati e distinti come le nostre due braccia. Essi sono un’unità indivisibile, perché la qualità vuota dell’essenza della mente è la purezza primordiale, mentre la qualità cognitiva è la presenza spontanea. Dunque, essendo questi aspetti indivisibili, lo sono anche il Trekchö e il Tögal. Non si può dire che il Tögal sia una pratica meditativa, quanto un allenamento dove ci sono quattro punti chiave da applicare. Voglio sottolineare ancora che il Tögal non è una questione di immaginare o meditare su qualcosa; le manifestazioni che appaiono sono l’espressione della purezza naturale. Se ci si allena appropriatamente e si applicano i punti chiave, tutte le manifestazioni del Tögal evolvono spontaneamente. Il motivo per cui molti insegnamenti Dzogchen sono legati alla sadhana che comprende le cento divinità pacifiche e irate è che le manifestazioni includono queste divinità. La pratica lascia che qualsiasi cosa sia presente in noi diventi visibile, niente altro si manifesta. Poiché le cento divinità pacifiche e irate sono già presenti nel nostro corpo, diventano visibili durante la pratica del Tögal. Le divinità del Tögal sono le stesse che appariranno nel bardo. Dunque, se il mandala completo (delle cento divinità) si è manifestato in vita, non c’è bisogno che appaia nel bardo; non si manifesta due volte. Ecco perché molti insegnamenti Dzogchen enfatizzano il mandala delle cento divinità pacifiche e irate. Esistono molti livelli di pratica sulle cento divinità nel Mahayoga, nell’Anu Yoga e nell’Ati Yoga. Chokgyur Lingpa, per esempio, ha rivelato le sadhana per tutti e tre i veicoli. Per l’Ati Yoga egli ha rivelato il Kunzang Tuktig, oltre a una sadhana appartenente al Dzogchen Desum. Si può basare la pratica Dzogchen anche sulla figura del guru, poiché il maestro illuminato racchiude tutto. Per esempio, il tesoro della mente di Jigmey Lingpa chiamato Tigle Gyachen è basato sulla singola figura di Longchenpa. In questo modo ci possono essere diversi approcci, ed è veramente utile praticarli. Sia che si stia fermi o in movimento, in qualsiasi situazione ci si trovi, bisogna sempre ricordare il Trekchö, il riconoscimento della natura della mente. Questo è il vero nucleo, il cuore della pratica Dzogchen. Le prime esperienze che si hanno al momento della morte sono suoni, colori, luci, ma non come quelli normali che si percepiscono in vita , bensì molto più intensi e travolgenti. I colori sono come sfumature iridescenti, le luci acute come la punta di un ago, come guardare verso il sole. I colori sono indicazioni del corpo illuminato, i suoni indicazioni della parola illuminata, le luci indicazioni della mente illuminata. Ecco perché il Libro Tibetano dei Morti ricorda al morente di non aver paura delle luci, di non temere i suoni, di non spaventarsi per i colori. Nel bardo, gli yogi che hanno familiarizzato in vita con la pratica del Tögal non ne vengono spaventati, perché sanno che colori, suoni e luci sono manifestazioni del corpo, della parola e della
mente della propria natura di buddha. La loro manifestazione è il preludio per il resto del bardo. Le persone ordinarie vengono totalmente sopraffatte dalla immensità di queste manifestazioni. I suoni echeggiano come il rombo di 100.000 tuoni simultanei, e i colori e le luci risplendono con l’intensità di 100.000 soli. In seguito, quando iniziano ad apparire le cento divinità, le più grandi sono come il Monte Sumeru, mentre le più piccole come un grano di senape. Le divinità appaiono danzare tutto intorno, vibranti di vita. Di fronte a questo spettacolo, si hanno due possibilità: o si è colti dal panico e dal terrore o si riconoscono le divinità come le proprie manifestazioni naturali. Ecco perché è di incredibile beneficio praticare in questa vita in modo da acquisirne familiarità. Altrimenti, di fronte ad esse nel bardo, si verrà colti profondamente confusi ed impreparati. Anche se si è un valente studioso buddhista, conoscitore del Dharma, abile speculatore etc.etc., senza questa familiarità si verrà presi dal panico e dal terrore di fronte alle manifestazioni del bardo. Non si può dibattere con le divinità, non si può allontanarle. Però, se si segue il Vajrayana e si familiarizza con il sentiero unificato dello sviluppo e del completamento, si potranno riconoscere tutte le manifestazioni come proprie, il che sarà di reale beneficio. Ecco perché il Libro Tibetano dei Morti enfatizza “Non aver timore delle tue stesse manifestazioni”. Non c’è alcun motivo di aver paura di se stessi, nessun bisogno di essere sopraffatti dai propri suoni, luci e colori. Si può attraversare il bardo con successo anche avendo praticato pienamente la Mahamudra e le Sei Dottrine (Sei Yoga di Naropa, N.d.T.), ma il successo è garantito se si è raggiunta la stabilità nel Trekchö e nel Tögal. Trekchö è riconoscere che la dharmata della mente e i colori e le luci sono tutte manifestazioni naturali della dharmata, e che i suoni sono la dharmata stessa che risuona. Dobbiamo riconoscere che queste manifestazioni, visibili ma tuttavia insostanziali, non vengono da nessun altro luogo diverso. Comprendendo veramente questo, il Signore della Morte non avrà alcun potere su di noi. E’ incredibilmente importante acquistare familiarità con queste manifestazioni in vita praticando l’unificazione del Trekchö e del Tögal, perché prima o poi tutti finiremo nel bardo e queste manifestazioni appariranno. Queste intense esperienze del bardo non sono esclusività di pochi o dei buddhisti, e neanche serve pensare di non aver niente di cui preoccuparsi se si crede che tutto finisca con la morte. Alle esperienze del bardo non importa quello che pensiamo, esse appaiono a tutti. Evitiamo il triste destino della maggior parte delle persone, che vengono completamente travolte dal pensiero che le manifestazioni della loro propria natura di buddha siano demoni venuti a condurli all’inferno! Che peccato sarebbe!!
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