I Persuasori Occulti

September 3, 2022 | Author: Anonymous | Category: N/A
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PERSONAL IDENTITY

L'identità person L'identità personale ale nasce nel 1694 1694.. È l’anno l’anno in cui il term termin ine, e, "p "per erso sona nall id iden entit tity" y",, vi vien ene e co coni niat ato o in dal dal filosofo inglese John Locke, e più o meno comincia in quell'epoca pure la "costruzione dell'Io", vale a dire la ric ricerc erca e la de defifini nizi zio one di che che cos cosa sosta ostanz nzia ia un'individualità, su che cosa si fonda e che cosa la tiene tie ne ins insiem ieme e nel tem tempo, po, attrav attravers erso o le esperi esperienz enze, e, anche le più lontane o superate. Remo Bodei, nel dedi de dica care re al te tema ma un po pond nder eros oso o vo volu lume me (" ("De Dest stin inii Pers Pe rson onal ali") i"),, ha defi definit nito o ta tale le op oper era a "u "una na de delllle e pi più ù colo co loss ssal alii im impr pres ese e de della lla mo mode dern rnitità". à". Impr Impres esa, a, si sia a chiaro, tuttora in pieno svolgimento. Oggi si parla di un Io postmoderno e di un’identità debole, “modulare", “nomadica”, continuamente ricomponibile, in tutto o in parte, di un "meticciato" delle de lle id iden entit tità à pe perr le fo fort rtii e pr prom omis iscu cue e migr migraz azio ioni ni in atto atto.. Su Subi bito to do dopo po si affa affacc ccia ia il postumano: l'unione di organico e inorganico, corpo e macchina, che per via di protesi, trapianti, interventi biotecnologici incide profondamente e sull'idea e la percezione di Io, ridefinendo perfino cosa è (e sarà) un uomo. La modernità di questo pensiero si impianta (e par parlia liamo mo del l'Occid cident e) quando qua ndo il mon mondo per perde dedalla il suo "in "incan cantam tament ento", o", quand qu ando o ili pensiero e la dell'Oc scienza, inente) epoca illuminista, lo do slegano trascendenza e fanno crollare pilast pilastri ri dell'im dell'immor mortal talità ità del dell'a l'anim nima a (id (idea ea platon platonico ico-pi -pitag tagoric orica), a), per cia ciascu scuno no unica unica e incorruttibile nel tempo, e della "Provvidenza Divina" (idea pagano-cristiana), vale a dire la garanzia della supervisione di Dio (o di più Dei), o quantomeno del suo interagire sui destini personali e sulla storia. Non ci sono più perni assoluti, non vi sono più certezze metafi met afisic sico-t o-teol eolog ogich iche e a far da cor cornic nice e e sosta sostanza nza al singol singolo o e all all'ag 'agire ire col collet lettiv tivo. o. Il “viand “vi andant ante e del dell’a l’avve vvenire nire”, ”, slegat slegato o da obb obblig lighi hi morali morali e rel religi igiosi osi,, è div diven enuto uto com comple pleto to artefice del proprio destino. Parte allora la ricerca filosofica di cosa sia la personal identity: se Cartesio la fonda in verticale col suo proverbiale "cogito ergo sum", Locke inaugura una fondazione "orizzontale" in cui è il filo della memoria e il prefigurarsi e preoccuparsi del futuro che tengono unita la coscienza. Locke è il capostipite di un filone filosofico che arriva ai nostri giorni e che ha come contraltare la corrente di pensiero mistico-relativista innestata da Schopenhauer e portata avanti per altri versi da Nietzsche. Per il filosofo tedesco, la vera essenza di ciascun uomo è un’oscura e universale volontà, la “volontà di vivere”, o anche "volontà di potenza", di cui l'intelletto, mero "parassita" del corpo, può prendere coscienza ma non governare. Inizia da qui un discredito dell'individualità ed un'esaltazione delle filosofie orientali. LA COLONIZZAZIONE DELLE COSCIENZE

Nel suo saggio “Destini Personalili.. L' L'E Età del ella la Colo Co loniz nizza zazi zion one e delle delle Cosc Coscie ienz nze” e” (M (Mililan ano, o, Fe Feltltri rine nelllli,i, 2002) 002),, Remo Remo Bo Bod dei an anal aliz izza za co com me nel corso orso de dell Nove No vece cent nto o si sia a la poli politic tica a ad in inva vade dere re i si sing ngol olii dal dal di dentr entro, o, a penet enetra rarn rne e e pla lassma marn rne e la psi sich che. e. Dal Dal tr trad adiz izio iona nale le "dem "demag agog ogo" o",, il co cond ndut utto tore re di po popo polili,, di pe pers rson one, e, Lo si snodo è giun giuntifondamentale ti al allo lo "p "psi sica cago gogo ", il co cond ndut utto tore re di "anime". ingo", questa traiettoria è costituito dalla "Psicologia delle Folle" di Gustave Le Bon

 

(1895). Sono gli anni in cui nasce la "citologia", la teoria cellulare, per cui l'organismo si basa su un agglomerato di cellule, ciascuna di per sé insignificante. È anche l'epoca in cui le masse si affacciano alla scena politica, ma sono per Le Bon masse dionisiache, "ineducabili e irredimibili", una vera e propria minaccia per la civiltà: o le si tengono fuori dalla politica, mentre il socialismo preme per organizzarle, o vanno messe sotto tutela da un'é un 'élilite te oppu oppure re da un "m "men eneu eurr des des fo foul ules es", ", un tras trasci cina nato tore re di foll folle. e. "Nel Nella la storia storia l'apparenza ha sempre avuto un ruolo più importante della realtà", realtà ", scrive Le Bon. E poiché il popolo rozzo ragiona solo per immagini, queste immagini vanno create dal meneur, come fa l'attore, e poiché siamo nell'età dei giornali, dice, (all'alba della "società dello spettacolo"), "l'ampia "l'ampia visibilità e udibilità può far più di mille ragioni ". ". POPULAR MIND

"Sapete donde nasce il più grave pericolo? Dal predominio della plebe, la quale promette una seconda barbarie più   profonda di quella dei Vandali e degli Unni e un dispotismo   più duro del napoleonico. Guai alla civiltà nostra se la moltitudine prevalesse negli Stati " (Tocqueville). Le Bon era rimast rimasto o colpi colpito to dal dalle le folle folle rivoluz rivoluzion ionari arie: e: da quelle del 1789 a quelle della Comune di Parigi del 1871 e degli anni notava nella spontanea uno fenome fen omeno no successivi. di enorme enorme Egli sug sugges gestio tionab nabili ilità tà folla rec recipro iproca, ca, di tipo tip ipnotico, con l'emergere conseguente di tratti di atavismo o primitivismo, da "orda primordiale", in cui tutte le emozioni e sent se ntim imen entiti ve veni niva vano no es esas aspe pera ratiti:: paur paura, a, entu entusi sias asmo mo,, aggressività, coraggio. Il prevalere delle pulsioni irrazionali, spesso connesso all'azione addirittura di ipnosi di fatto da parte di agitatori, secondo Le Bon aveva l'effetto di rendere le fo folllle e inco incons nsce ce e perc perciò iò ca capa pacci di at attiti che che i si sing ngol olii componenti non avrebbero compiuto mai se presi uno ad uno. D'altronde, l'istinto brutale delle "masse dionisiache" era ben noto agli antichi. Il mito, ma anche la storia, narrano di riti dionisiaci in cui le baccanti arrivavano a stati di possessione che le spingevano a divorare dei capretti vivi. Non è che Le Bon avesse scoperto niente di nuovo. Il fondatore della psicoanalisi, Sigmund Freud, sentì il bisogno di confrontarsi con Le Bon quando scrisse il suo saggio "Psicologia delle Masse e Analisi dell'Io" (1921). Un problema fondamentale che egli si trovava ad affrontare era il seguente: Le Bon aveva parlato di una psicologia di tipo collettivo che s'insediava al posto di quella personale cosciente. Freud non aveva alcuna difficoltà ad amme am mett tter ere e il ru ruolo olo deci decisi sivo vo de dell' ll'in inco cons nsci cio o in de dete term rmin inat atii comportamenti, ma non poteva riconoscere il tratto collettivo come co me el elem emen ento to pe pecu culiliar are e e du dunq nque ue la dete determ rmin inaz azio ione ne sovr so vrap aper erso sona nale le de degl glii atti atti de deii si sing ngol oli.i. Ne Nelllla a sua sua vi visi sion one, e, l'inc l'incon onsc scio io er era a il sist sistem ema a ps psic ichi hico co au auto tono nomo mo e na natitivo vo di ciascun uomo, caratterizzato da una sorta di energia volta al puro piacere personale, sempre direttamente o indirettamente sessuale (la libido). Unlist tal di zenergia desiderante era perr Fre pe reud ud in indi divvid idua uali stic ica agenere ed an anz i eg ego ois isti ticca in mo modo do irriduc irri ducibi ibile. le. Se c'e c'era ra qu qualc alcosa osa di mor morale ale,, ess esso o s'i s'inse nsedia diava va

 

semmai, ed a fatica, sul terreno della coscienza, ovvero della ragione, che però emergeva dopo l'inconscio originario, come una sorta di maschera, di derivato, o comunque di secondo grado rispetto alle (sue) irrefrenabili pulsioni sessuali. Inoltre, Freud riteneva che l'esperienza base dell'inconscio - attorno alla quale tutto da principio doveva ruotare fosse il rapporto con le figure parentali, il famoso "complesso di Edipo": incestuosità protoinfantile verso la madre, che il piccolo vorrebbe amare in modo esclusivo, e sentimento di amore-tremore verso il padre, che sottrae la madre, un padre sentito insieme come onnipotente, carissimo e nemico. Verso i cinque anni, il complesso di Edipo "evolutivo" deve essere superato. Se l'incestuositá, inconscia, verso la madre, e l'amore-odio per il padre,, anch padre anch'esso 'esso inco inconscio nscio,, perma permarrann rranno, o, si diventerà diventerà nevr nevrotici, otici, profo profondame ndamente nte feriti psichicamente, e tali si resterà sino al superamento, eventuale, dell'ingorgo infantile che ha bloccato lo sviluppo normale della psiche verso l'eterosessualitá e oltre il familismo infantile. PSICO-MOLTITUDINI

"Molti fanno mercato delle illusioni e dei falsi miracoli, così  ingannano le stupide moltitudini " (Leonardo Da Vinci). Come spiegava Freud i fenomeni di scatenamento di cieca passione dell'uomo "in folla" descritti da Le Bon? Freud si occupava non spontanee, come trattate dall fra da franc nce ese, se, solo madi folle an anch che e "a "art rtifific icia iali li", ", lequelle "c "co ollllet ettitivi vità tà organizzate", come quelle clericali, militari o politiche, che potr po trem emmo mo an anch che e defi defin nir ire, e, per usar usare e un te term rmin ine e più moderno, "movimenti" o anche "moltitudini". Secondo Freud, a tenere insieme queste "moltitudini artificiali", non é la mera sugges sug gestion tione e ipnoti ipnotica, ca, da rit ritene enersi rsi un fen fenome omeno no der deriva ivato, to, bensì, l'investimento libidico nei confronti di figure da tutti amate-temute, una sorta di "surrogato del padre" che si teme e si adora allo stess stesso o tempo: tempo: figure identificabili identificabili con il Generalissimo, con il Gran Sacerdote, con lo Statista, con il Fuhrer (o anche con il Megapresidente fantozziano). Il grande leader insomma, per amore di cui i seguaci si uniscono e si riconoscono. Freud, per spiegare le origini della società umana, fece sua l’ipotesi di Darwin relativa all’orda primitiva, condotta da un maschio forte che ch e im impo pone ne la pr prop opri ria a vo volo lont ntà à su tu tutt tti.i. Quel Quell’l’or orda da prim primititiv iva a è la prim prima a foll folla a ed i comportamenti delle folle occasionali possono essere compresi ad una momentanea regressione a condizioni che dovevano essere permanenti all’epoca di quell’orda. Ma qui il capo ha una posizione eccezionale e la sua vita psichica deve avere caratteri distintivi da quella di tutti gli altri. Il capo è forte, libero ed indipendente, mentre gli altri sono troppo deboli, pavidi, per arrischiare iniziative personali. Il capo è una specie di super-uomo, solo; egli non ama alcuno, i membri stessi della sua orda sono i mezzi coi quali soddisfa i propri biso bisogn gni:i: il suo suo na narc rcis isis ismo mo non non è lim limititat ato o da al alcu cuna na proi proiez ezio ione ne lib libid idic ica a ogge oggett ttua uale le permanente. Quindi, mentre il gregario ha bisogno di sentirsi amato, il capo non necessita d’amare nessuno; per il leader, l’amare è debolezza e per lui non vi è posto per i sentimenti (ossia per le stabili fissazioni libidiche). I rapporti affettivi che uniscono i singoli al capo non esauriscono però la struttura libidica della folla, la cui organizzazione sembra, infatti, costituita da un doppio ordine di legami: gli uni che collegano i singoli al capo, gli altri cheche uniscono i singoli tra loro.facente La fittaparte rete che risulta fondalasulla mancanza di libertà caratterizza l’individuo dellanefolla, masianche stessa uniformità di comportamento, che si pone come carattere peculiare di una formazione collettiva.

 

L’in L’inst stau aura rars rsii di ques questo to tipo tipo di re rela lazi zion one e è da ricer ricerca cars rsii in una una forma forma pa parti rtico cola lare re di identificazione che, sorgendo indipendentemente da legami affettivi, ostili o positivi nei confronti dell’oggetto, dà invece origine a legami di tal genere. La base di questo istinto è costituita da quella parità di situazione che è l’attaccamento libidico al capo e l’assunzione di questi come ideale dell’io. Per cui, in forma schematica, è possibile rappresentare la formazione della folla come costituita, primariamente, da un orientamento affettivo che si produce in una molteplicità di persone verso un individuo particolare, seguita da un pr proc oces esso so per per cui cui ta tale le in indiv divid iduo uo vien viene e assu assunt nto o come come id idea eale le de dell’ ll’io io in so sost stitituz uzio ione ne,, provvisoria, del super-io personale e da un fenomeno di identificazione fra i vari individui in cui il processo si è prodotto ed infine dal sorgere di nuovi legami affettivi che si istituiscono tra i singoli in forza e per effetto di quella stessa identificazione iniziale. Nel momento in cui i singoli perderanno la fede nel proprio leader, cesseranno di essere una folla e torneranno ad essere individui. Questa impostazione di Freud verrà poi ripresa ed in parte cont co ntes esta tata ta o de deci cisa same ment nte e supe supera rata ta da alt altri ri gran grandi di ca capi pi-s -scu cuol ola a dell della a psic psicoa oana nalis lisii contemporanea. A tal proposito è da ricordare l'opera di Wilhelm Reich (1897-1957) "Psicologia di Massa del Fascismo" (1933), in cui si ritiene che l'uomo moderno, di ogni ceto ma specia spe cialme lmente nte pic picco colo-b lo-borg orghes hese, e, sia ses sessua sualme lmente nte un inibito: da un lato, a causa dell'educazione propria del cmo ri rissnoga tian iagami nemica sim o,, ch deallll'a 'al roono aumoni sa nizz deare lla itint gnti liai mono ca, che tend teltndon oa a cde demo zzar e gl glifiamis isti sessua ses sualili sp spont ontane aneii esalta esaltando ndo l'a l'auto utorep repres ressio sione ne de della lla spontaneità vitale. Secondo Reich, il represso non supera mai il suo complesso di Edipo evolutivo, come dovrebbe fare il bambino entro i sei anni, al massimo versando in una condizione di esagerata dipendenza psicologica da figure parentali, interiormente assolutizzate, connessa al masch mas chilis ilismo mo ed al pat patrice ricentr ntrism ismo o (o fal fallog logoce ocentri ntrismo smo)) pr prop opri ri de della lla nost nostra ra ci civi viltà ltà.. Ta Tale le si situ tuaz azio ione ne sa sare rebb bbe e l'opposto di quella dei primordi dell'umanità, caratterizzata dalla comunione dei beni e dal matriarcato, con connessa promiscuità e libertà sessuale. Reich riteneva, inoltre, che, negli ultimi secoli, il Dio "Padre" avesse sempre più perso credito a causa della cultura scientifica, materialistica e rivol riv oluz uzio iona nari ria a che che ne avev aveva a mina minato to la cr cred edib ibililitità. à. La famigl fam iglia ia monoga monogamic mica a chi chiusa usa,, parall parallela elamen mente, te, sar sarebb ebbe e entrata in crisi a seguito dei colpi inferti all'ordine borghese dai ricorre ricorrenti nti movime movimenti nti popola popolari ri riv rivolu oluzio ziona nari. ri. In par parte te aveva visto giusto: Dio è morto, la famiglia è in coma e la scienza è la nuova religione mondiale; "potere al popolo" invece è rimasta un'utopia, mentre il patriarcato è più forte che mai. Per Reich, il fallimento della rivoluzione socialista e libertaria si deve al "nazi-comunismo", o anche "nazifascismo rosso", della controrivoluzione stalinista. Il nazifascismo, visto da Reich, è stato una restaurazione del "regno del padre", del quale i duci e i capi idolatrati dei sistemi totalitari di ogni colore erano un surrogato, una sorta di tutti Super-Io o Super-Uomo leaderdel politico incarna gli ingredienti odiosi fatto del regno padre:che la disciplina disc iplina artificiosa artificiosa e repressiv repressiva, a, il moral moralismo ismo insopportabile insopportabile e il razz razzismo ismo spirituale spirituale.. Per 

 

Reich, un miglioramento democratico della società si potrà avere solo fronteggiando i problemi della psicologia di massa. Diversamente da Reich, Alfred Adler (1870-1937) mette al centro la questione del vivere comunitario. Essendo l'uomo un ess esser ere e soc ociiale ale, ch che e ab abbi bissogna ogna del del vi vivvere ere e del ra rapp ppor orta tars rsii con con un una a co comu muni nità tà soc ocia iale le,, una una so soci ciet età, à, il problema della socializzazione è per il singolo una questione decisiva della sua esistenza. Nel momento in cui il singolo, all'interno del gruppo, viene discriminato e emarginato per  vari va ri moti motivi vi,, dive divent nta a di diff ffic icilile e l'l'int integ egra razi zion one e co con n gl glii al altr trii e subentra una nevrosi connessa al "complesso d'inferiorità". Che, per compensazione, produce un'esagerata volontà di potenza volta a lenire il disagio e soprattutto ad attrarre le attenzioni altrui, mentre non fa altro che allontanarlo ancor  più dagli altri, deviando la volontà di potenza dal gruppo. Adler ha spiegato questo fenomeno in "Prassi e Teoria della Psico Ps icolog logia ia Ind Indivi ividua duale" le" (19 (1920) 20).. All Allo o ste stesso sso mod modo, o, anc anche he l'emergere di una esagerata, morbosa, volontà di potenza politica è connessa a complessi d'inferiorità da compensare. Non riesce tanto difficile, alla luce di questa teoria, immaginare Mussolini, Hitler, Stalin, come fondamentalmente dei grandi complessati, degli ex-falliti e anche sessualmente repressi. Con ciò, si può pure comprendere la spiegazione del nazifascismo fornita dalla "psicologia culturalista" di Erich Eri ch Fro Fromm mm (19 (190000-198 1980), 0), spe specie cie in "Fuga "Fuga dalla dalla Libertà" (1941). Nati per vivere in comunità, come animali in branco, gli uomini vivono da secoli, a causa del capitalismo e del connesso liberalismo, in un mo mond ndo o segn segnat ato o dall dalla a "libe "libert rtà à da", da", os ossi sia a da dalla lla libertà dal collettivo, o se si vuole dallo Stato, dal pote po tere re,, cioè cioè dall dalla a libe libert rtà à come come indi indipe pend nden enza za perso per sonal nale, e, com come e pri privac vacy, y, com come e dir diritto itto-do -dover vere e di decidere personalmente sulla nostra sorte, come poi sulllla su a dire direzi zion one e dello dello Stat Stato o st stes esso so (l (lib ibera eralilism smo o e democrazia). Ma, nelle grandi crisi storiche, come quella del primo dopoguerra, la "libertà da", la libertà individuale, è diventata un fardello insopportabile, fonte di angoscia. L'uomo cerca allora un surrogato della protettiva, seppure gerarchica ed autoritaria, comunità perduta, e lo trova, o meglio si illude di trovarlo, consegnando il fardello pesante della propria libertà nelle mani di un Capo, che deve pensare e decidere per tutti. Ma questa soluzione é un atavismo storico, che non può durare. La sorte della democrazia moderna, e insieme della civiltà, è connessa per Fromm alla scoperta e fondazione di una vera comunità, non già premoderna o antimoderna, come quella dei fascismi e dei totalitarismi in genere, ma sociale e "realmente" democratica. È il tema sviluppato in opere come "Psicanalisi della Società Contemporanea" (1964). PSICOLOGIA COLLETTIVA

In Gran Gran Bre Bretag tagna, na, la psico psicolog logia ia collett collettiva iva venne venne stu studia diata ta nel nella la pro prosp spett ettiva iva dell’is dell’istin tinto to gregario, per cui gli uomini sarebbero spinti ad unirsi spontaneamente tra loro. Wilfred

 

Trotter dichiarò che l’uomo, come gli animali, è guidato nell’agire dai propri istinti, mentre William McDougall sostenne che gli istinti procurano l’energia che attiva il comportamento umano, uma no, che è int intell ellige igente nte,, intenz intenzion ionale ale e fin finali alizza zzato. to. Cio Cioè, è, non ind indivi ividua duato to dal dall’is l’istint tinto o totalmente, dato che l’energia acquisita dagli istinti si esprime in molteplici direzioni e l’is l’istin tinto to greg gregar ario io è solo solo uno uno de deii mo motiv tivii de dellll’a ’agi gire re um uman ano. o. Il pe pens nsie iero ro pi più ù co cono nosc sciu iuto to elaborato da McDougall è quello di “mente di gruppo”: la percezione che il gruppo ha della propria esistenza e della propria specificità rispetto ad altri gruppi. La mente di gruppo, comunque, si genera solo in gruppi ben organizzati, forniti di continuità, contraddistinti da tradiz tra dizion ionii e abi abitud tudini ini com comuni uni,, oltr oltre e che dal dalla la distin distinzio zione ne de deii mem membri bri in rappor rapporto to all alle e respo res ponsa nsabil bilità. ità. Se la folla folla è sprovv sprovvist ista a di organi organizza zzazio zione, ne, solo solo le emo emozio zioni ni sp spart artite ite genera gen erano no omo omogen geneit eità à for fornen nendo do la sug sugges gestio tionab nabilit ilità. à. Sec Second ondo o Gor Gordon don All Allpor port, t, le fol folle le divengono violente non per ritorno di un istinto gregario o di un’impetuosità originaria, ma perc pe rché hé le puls pulsio ioni ni de deii sing singol olii che che le co comp mpon ongo gono no sono sono stat state e os osta taco cola late te o sfid sfidat ate. e. L’atteggiamento degli altri agevola (è incentivo e sostegno insieme) l’azione di ognuno e favo favoris risce ce la scom scompa pars rsa a dei dei fr fren enii in inib ibito itori ri.. Fr Freu eud d ne nega ga ch che e vi si sia a un is istitint nto o greg gregar ario io originario e specifico, riconducendo la genesi di tutti i fenomeni sociali ad uno dei due istinti ritenuti primordiali: l’eros e il complesso degli impulsi libidici. Parlando della struttura libidica della folla, o dei legami libidici che costituiscono la coesione degli aggregati sociali, Freud si riferisce a tendenze libidiche distolte dal loro fine originale, quello sessuale, quindi sublimate. Secondo Freud, la soppressione dei legami libidici che legano un individuo all’altro può provocare uno stato acuto di angoscia nevrotica che si può interpretare anche come reazione emotiva alla perdita di quella protezione che il singolo sente nell’aggregato sociale. Staney Milgram e Hans Toch (“Collective Behavior: Crowds and Social Movements”, 1969) hanno sostenuto l’interdipendenza fra folle e movimenti sociali. Milgram è noto per  aver condotto nel 1961 un esperimento di psicologia sociale per studiare il comportamento di soggetti a cui un'autorità (nel caso specifico uno scienziato) ordina di eseguire delle azioni che confliggono con i valori etici e morali dei soggetti stessi (l'esperimento cominciò tre mesi dopo l'inizio del processo a Gerusalemme contro il criminale di guerra nazista Adolf Eichmann che dichiarò di aver semplicemente eseguito degli ordini). Contrariamente alle aspettative, nonostante i 40 soggetti dell'esperimento mostrassero sintomi di tensione e pr prot otes esta tass sser ero o verb verbal alme ment nte, e, un una a pe perc rcen entu tual ale e co cons nsid ider erev evol ole e di ques questiti ob obbe bedì dì pedissequamente allo sperimentatore. Questo stupefacente grado di obbedienza, che ha indotto i partecipanti a violare i propri principi morali, è stato spiegato in rapporto ad alcuni elementi, quali l'obbedienza indotta da una figura autoritaria considerata legittima, la cui autorità induce uno stato “eteronomico”, caratterizzato dal fatto che il soggetto non si considera più libero di intraprendere condotte autonome, ma strumento per eseguire ordini. I soggetti dell'esperimento non si sono perciò sentiti moralmente responsabili delle loro azioni, ma esecutori dei voleri di un potere esterno. Esperimento Milgram - Wikipedia La psicologia delle masse secondo Freud Crowd psychology - Wikipedia

 

«La coscienza collettiva è l'insieme delle credenze e dei  sent se ntime iment ntii co comu muni ni alla alla medi media a dei dei memb membri ri di un una a società. socie tà. Questo insieme ha una vita propria che non esiste se non attraverso i sentimenti e le credenze  presenti nelle coscienze individuali » ».. Fondat Fon datore ore della della scu scuola ola sociol sociologi ogica ca fra france ncese, se, psicol psicolog ogo o sociale ed etnologo, Émile Durkheim (1858 - 1917) introdusse nel discorso antropologico i concetti chiave di "coscienza collettiva", il patrimonio di sapere di un popo po polo lo,, e di "r "rap appr pres esen enta tazi zion onii coll collett ettiv ive", e", di cu cuii la coscienza collettiva è composta. Tali concetti furono formulati sulla base di alcune teorie già espresse dal naturalista tedesco A. Bastian (1826 - 1905), il quale, durante i suoi lunghi viaggi di studio per il mondo, aveva notato la presenza di idee comuni, elementari ("Elementargedanken"), e di comple com plessi ssi di idee idee ("Völke ("Völkerge rgedan danke ken"), n"), in gruppi gruppi uma umani ni div divers ersii e lon lontan tanii tra lor loro. o. Secondo Durkheim, la "coscienza collettiva" è sovraindividuale e dotata di una logica di sviluppo autonoma. Le società primitive, tuttavia, risultano caratterizzate da una uniformità intellettuale e morale di maggiore "intensità" rispetto alle civiltà più evolute. Ciò in quanto vi è una maggiore solidarietà tra i membri di ciascuna di esse. Tale solidarietà cheoccupa lega i singoli individui è detta dasingolo Durkheim la vita sociale ogni spazio della vita del e forte forditetipo è la"meccanico", riprovazionequando sociale per ogni atto che trasgredisca le norme sociali di comportamento. Le società più evolute sono invece caratterizzate da una solidarietà di tipo "organico", per la quale gli individui si riconoscono nel sociale attraverso atti intenzionali rispondenti alla volontà personale (volontà di potenza). "I te tent ntat ativ ivii di deriv erivar are e una una po poes esia ia di Goet Goethe he dal dal suo suo complesso materno, o di spiegare Napoleone come un caso di protesta virile, e san Francesco come un caso di rimozione sessua ses suale, le, ci lascia lasciano no profon profondam dament ente e insodd insoddisf isfatt atti.i. So Sono no te tent nta ativ tivi ins nsu uff ffic icie ient nti,i, che non re ren ndon dono con conto del ella la significativa realtà delle cose. Dove vanno a finire la bellezza, la grandezza e la santità? Queste sono pure vivissime realtà, senza le quali la vita umana sarebbe estremamente ottusa. Dov’è la giusta risposta ai quesiti che ci sono posti da inauditi  i nauditi  dolo do lori ri e co conf nflilitt tti? i? In ques questa ta risp rispos osta ta dovr dovreb ebbe be al alme meno no ri rissuonar onar qua ualc lco osa che ci ri riccor ordi di la gr gran ande dezz zza a de delllla a soffer sof ferenz enza. a. L’atte L’atteggi ggiame amento nto purame puramente nte razion razionali alista sta,, pe per  r  quan qu anto to sia sia sp spes esso so oppo opport rtun uno, o, tr tras ascu cura ra il sign signifific icat ato o de del l  dolore. Il dolore è messo da parte e dichiarato irrilevante. Fu  un gran rumore per nulla. Molto ricade in questa categoria, ma non tutto " (C.G.Jung, "Il Problema dell’Inconscio nella Psicologia Moderna", Einaudi, Torino, 1973). Un altro grande capo-scuola della psicoanalisi, lo svizzero Carl Gustav Jung (1875-1961), fondatore della "psicologia analitica", specie nei due volumi intitolati i ntitolati "Civiltà in Transizione" e anche nel volume "Jung Parla. Interviste e Incontri" (1977), espone la sua nota teoria dell' "inconscio collettivo": "L'incosciente "L'incosciente è bensì il ricettacolo di tutti i contenuti dimenticati,  passati o rimossi, ma è anche la sfera in cui hanno luogo tutti i processi subliminali, come le percezioni sensoriali troppo deboli per raggiunger la coscienza, e finalmente è anche la

 

matrice da cui cresce il futuro psichico". psichico ". Accanto ad un inconscio di tipo individuale, frutto di rimozione delle esperienze, specie infantili, traumatiche o comunque particolarmente sgradevoli, agisce in modo preponderante secondo Jung un inconscio collettivo generale da attribuire alla specie nel suo complesso. Ogni individuo allora non è altro che una particolare fioritura dell'identità di specie. In tale inconscio collettivo vivono le pulsioni che ci caratterizzano in quanto "animali culturali". In questa visione universalista, i ciechi istinti di sesso e potenza, già individuati e investigati da Freud e da Adler, si trovano a dialogare con la ricerca di assoluto, la ricerca di un senso dell'infinito che risulta presente da sempre in noi almeno come bisogno antropologico, come istinto a sé, che scaturisce da immagini mentali primordiali (gli archetipi). Si tratta di una sorta di "Deus interior", che non dimostra l'esistenza di Dio ma attesta che la tensione - o pulsione - religiosa è in noi a priori in quanto specie. L'inconscio collettivo ci parla attraverso simboli primordiali o archetipi (impr (im pron onte te). ). Qu Ques estiti arche archetitipi pi,, che che sono sono i se semi mi germ germin inal alii dell' dell'in inco cons nsci cio o co collllet ettiv tivo, o, si esprimono in taluni "grandi sogni", rari, ricchi di simboli, composti da storie non riducibili alle nostre vicende diurne, tali da impressionarci profondamente e da essere ricordati a lungo. Questi grandi sogni sono i nostri miti interiori. In precedenza, già Georges Sorel (1847-1922), ignoto a Jung, aveva ritenuto che i miti fossero come grandi sogni collettivi ad occhi aperti. Con que questi sti gra grandi ndi so sogni gni,, l'in l'incon consci scio o col collett lettivo ivo rea reagis gisce ce all alla a situazione indui cuiimm viviamo, come singoli, nelciò, privato, ma come com e ind indivi ividui immers ersii nel nella la storia. sto ria. Per Perciò , i gra grandi ndi anche sog sogni ni collllet co ettiv tivii ri rico corr rren entiti e di diff ffus usi,i, an anch che e fatt fattii ad occh occhii ap aper erti, ti, o raccontati nelle favole e nelle opere poetiche, sono la matrice interiore della storia, sono una "meta-storia". I nostri grandi sogn so gnii coll collet ettitivi vi e i no nost stri ri gran grandi di miti miti ve vera rame ment nte e vi viss ssut uti,i, soggettivamente e intersoggettivamente, ci dicono chi siamo e dove do ve andi andiam amo. o. Così Così Ju Jung ng,, ne nell 1936 1936,, in "Wot "Wotan an", ", sp spie iega ga il nazi na zism smo o co come me ri risv sveg eglilio o dell dell'a 'arc rche hetitipo po del del di dio o paga pagano no germanico, foriero di entusiasmi deliranti, seguiti però in modo altrettanto certo da lutti e rovine, che faranno rimpiangere il Cristo perduto. Nelle interviste, spesso a misura di saggio, egli interpreta Hitler come il rivelatore dell'inconscio collettivo deii te de ted desch eschi,i, un pr prof ofet eta a post post-c -cri rist stia iano no in pre preda a deliliri ri ne neoopagane pag aneggi ggiant anti.i. Ved Vede e infine infine,, dal dal 1945, 1945, nei grandi grandi crimini crimini ted tedesc eschi hi commessi durante la Seconda Guerra mondiale - come l'olocausto l'effetto di un "senso di onnipotenza" che ha colpito l'uomo di fronte alla "morte di Dio", quando è crollato il mito cristiano, che si è manifestato con l'orrore della bomba atomica: nel momento cioè in cui l'uomo si sostituisce a Dio e proclama il "giudizio universale", come gli imperatori della tarda romanità (a cui sia Hitler che Mussolini si ispiravano). In ques qu esto to se sens nso, o, va vann nno o le lett tte e le fo form rme e di sc schi hiav avis ismo mo e di stat statol olat atria ria (nazis (na zista ta ma anc anche he com comuni unista sta)) che era erano no sta state te tip tipich iche e del della la fine del mon mondo do ant antico ico.. Seguendo questo filo conduttore, appare come gli Stati Uniti d'America, soprattutto dopo la sconfitta del "fascismo rosso" più che del comunismo, siano i continuatori di questo "imperialismo neo-pagano" mascherato da democrazia cattolica.

 

PSICO-FASCISMO

Ortega Orte ga Y. Gass Gasset et nel nel 1930 1930 scri scriss sse e “La “La Ri Ribe bellllio ione ne de delle lle Massse” in cui sos Ma oste ten nne che il “tri “trion onfo fo del elle le ma massse”, e”, sottolineato dall’imporsi del fascismo, è fenomeno indicativo di un’involuzione della società europea. In essa, l’ “uomomass ma ssa” a” ha il so sopr prav avve vent nto o e ri rimp mpia iazz zza a ne nell gove govern rno o le minoranze più qualificate. La massa sradica tutto ciò che è anticonformista: cioè il diverso, il particolare, il qualificato, l’originale. Per Ortega, la vittoria delle masse significa perdita di originalità, di ciò che è personale. Sia Lenin che Hitler lessero l'opera di Le Bon, anche se fu Mussolini il più fervido ammiratore dell'opera dello psicologo francese. "È "È un’opera capitale", capitale", diceva. Una vera e propria miniera d'oro per chi voleva comprendere il comportamento del nuovo soggetto che si affacciava sulla scena politica: la mass ma ssa, a, in inte tesa sa co come me "gr gran ande de quan quantitità tà indis indistitint nta a di pe pers rson one e ch che e ag agis isce ce in ma mani nier era a uniforme". uniforme ". Non fu, come spesso si tende a sottolineare, la trasformazione industriale e produttiva l'unica responsabile della creazione della cosiddetta "massa". In Francia, ad esempio, la massa divenne oggetto di attenzione all'indomani dei fermenti rivoluzionari del 1789, per affermarsi poi come tema del ricorrente trattazioneferocia politicadei e sociologica dopo gli episodi della Comune di Parigi 1871. della La particolare comportamenti collettivi nel periodo del terrore rivoluzionario e dell'insurrezione della Capitale spinsero molti intellettuali francesi ad interrogarsi e soprattutto a preoccuparsi per i comportamenti della folla, la quale era ritenuta capace delle più spaventose aberrazioni. La “Psicologia delle Folle” rappresentò per l'epoca una grande novità e come tale fu accolta sia dai contemporanei ma ancor più dai lettori dei primi del Novecento. A Le Bo Bon, n, ne nell be bene ne e nel nel ma male le,, si de deve ve un una a bril brilla lant nte e intuizione: egli fu il primo ad utilizzare gli strumenti e il linguaggio della psicologia per descrivere i fatti sociali, nella conv co nvin inzi zion one e di pote poterr as assi simi mila lare re il co comp mpor orta tame ment nto o de delllla a massa a quello di un singolo soggetto, per quanto questo fosse costituito costituito da una pluralità di perso persone. ne. Se l'uom l'uomo o nella folla è un tutt'uno con gli altri uomini - pensava Le Bon - era quindi possibile considerare la folla come un unico soggetto e pe pert rtan anto to er era a leci lecito to appl applic icar are e ad essa essa qu quel ell'l'an anal alis isii psicologica che di solito si riservava agli individui singoli. Per  Le Bon, e qui la sua brillantezza va a farsi benedire, le gr gran andi di fo folllle e eran erano o il ri risu sultltat ato o di un ar arre rest sto o del del proc proces esso so evolutivo, il quale in linea teorica avrebbe dovuto procedere dall'informe alla forma, dall'indifferenziato alla progressiva differenziazione e pertanto dai comportamenti collettivi ai singoli gesti promossi dalle singole coscienze. Il fallimento del processo evolutivo tendeva a riportare la società verso gli stadi più antichi della sua evoluzione e quindi l'imporsi delle masse - almeno finché queste fossero rimaste senza controllo e senza guida - era il segno di un ritorno della barbarie che disgregava una cultura formatasi in una storia bimillenaria. Di talemassa, involuzione, Leguidato Bon trovava conferme anche analizzando comportamento della che era dall'istinto e dall'emotività piuttostoilche dalla logica estesso dalla ragione. La folla gli appariva agire sulla base dei sentimenti più primitivi, quelli che dal

 

punto di vista dell'evoluzione costituiscono le prime tappe dello sviluppo dell'umanità, mentre in questi raggruppamenti ciò che andava smarrita era la più grande conquista degli uomini moderni, ovvero la razionalità e l'uso delle superiori capacità intellettive. Un tipico ragionamento illuministico (che oggi appare invece piuttosto oscurantistico). Come molti suoi contemporanei, Le Bon era convinto dell'estrema fragilità delle ragione, che era considerata una conquista recente e pertanto fragile, al contrario dell'istinto, che era inve invece ce rite ritenu nuto to un una a cara caratt tter eris istitica ca pe perm rman anen ente te e du dura ratu tura ra de dell' ll'es esse sere re um uman ano. o. Lo smarrimento della ragione nell'aggregazione di massa era, per lo psicologo francese, il presupposto per una ben più importante perdita: la dissoluzione dell'identità individuale nell'identità collettiva. Senza una ragione autonoma, suggeriva Le Bon, l'uomo regredisce allo stadio animale e in natura gli esseri della stessa specie si somigliano tutti l'uno all' all'alt altro ro.. Co Così sì nell nella a ma mass ssa a l'uom l'uomo o si fa "a "anim nimal ale" e" e i su suoi oi is istin tintiti primi primitiv tivii lo rend rendon ono o praticamente identico a chi si trova a condividere con lui questa esperienza di gruppo. La folla, in quanto tendente ad avere un comportamento collettivo era, dal punto di vista medico-scientifico, un "malato" che lo psicologo doveva analizzare e se possibile curare, in quanto "affetta" da una regressione verso agli stadi arcaici. Quest'analisi della folla di Le Bon era vizia viziata ta da una serie di pregiudizi pregiudizi (tipicam (tipicamente ente illuminis illuministi, ti, razz razzisti isti ed euroc eurocentric entrici) i) che esploderanno in maniera evidente con l'uso che delle sue teorie faranno da una parte i dittatori totalitari, dall'altra i razionalisti e i darwinisti. Poiché, se le masse vengono viste come l'esito di un processo involutivo della coscienza e della ragione, ne consegue che esse debbano essere controllate e instradate su una giusta via da un'elite o da un capo che abbia conservato forte individualità. fu ruolo per l'appunto di Mussolini, che così si una espresse sulla folla e Esulquesto proprio di guida l'atteggiamento delle masse: "La " La massa per me non è altro che un gregge di pecore finché non è organizzata. Non sono affa affatt tto o cont contro ro di essa essa.. So Soltltan anto to ne nego go ch che e po poss ssa a orga organi nizz zzar arsi si da sé sé"". Un eco all'affermazione di Le Bon secondo cui "l'avvento " l'avvento di un conduttore di folle rappresenta l'unica alternativa al rassegnarsi a subire il regno delle folle poiché mani imprevidenti  hanno rovesciato una dopo l'altra tutte le barriere che potevano trattenerle". trattenerle". IL GRANDE DITTATORE

(Charles Chaplin USA 1940) La storia del mondo. Anzi del mappamondo. Quello con il quale gioca Charlie Chaplin/Adenoyd Hinkel ne “Il Grande Dittatore”. Una foto d'epoca ci mostra che un mappamondo identico si trovava nel vero studio di Adolf  Hitler al Reichstag, progettato da Albert Speer. Chaplin aveva sicuramente visto quella foto e vi si era ispirato per  la scenografia del suo film. Poi, in un filmato girato dal grande documentarista sovietico Roman Karmen, vediamo quello stesso studio dopo la presa del Reichstag da parte dell' de ll'Ar Arma mata ta Ro Ross ssa. a. Tu Tutt tto o è in mace maceri rie, e, il pavi pavime ment nto o è coperto da cumuli di calcinacci. Solo un oggetto è rimasto intatto. Il mappamondo.Tutto ciò è visibile nel magnifico docu do cume ment ntar ario io "T "The he Tram Tramp p an and d the the Di Dict ctat ator or"" di dire rett tto o dall'inglese Kevin Brownlow e dal tedesco Michael Kloft. L'aspetto più affascinante del documentario è il modo in cui gli autori ricostruiscono le “vite parallele” di Chaplin e Hitler. lo ricordano, i due erano quasi “gemelli”: Chaplin anticipò di mese quattro giorni, Pochi nascendo a Londrama il 16 aprile 1889; il dittatore nacque il giorno 20,Hitler stesso e stesso anno. La voce fuori campo di Kenneth Branagh ha buon gioco nel ricordare che

 

negli anni '10, mentre Chaplin diventa famoso interpretando un vagabondo - “il “tramp” del titolo - Hitler è un vagabondo sul serio e vive di espedienti nei bassifondi di Vienna. Il 1914 vede Chaplin esordire in "Kid Auto Races", mentre Hitler appare in una foto dei dimostranti che salutano con gioia l'ingresso della Germania nella Prima Guerra Mondiale. Nel '16, Chaplin firma il famoso contratto da un milione di dollari all'anno, mentre Hitler disegna manifesti per il cinemino delle truppe, al fronte. Alla fine degli anni '20, Chaplin rifiuta il cinema sonoro mentre Hitler trova in esso una formidabile arma propagandistica: e, di nuovo, Branagh sottolinea con sarcasmo come il sonoro fosse stato inventato da ebrei (i Warner) per un film in cui si parla di ebrei ("Il Cantante di Jazz"). Quando Hitler va al potere pot ere,, la propag propagan anda da nazist nazista a non per perde de occas occasion ione e di vitupe vituperare rare “l'ebr “l'ebreo eo Cha Chapli plin”: n”: Charlie, dal canto suo, non smentisce. Sidney Lumet, intervistato nel film, chiosa: “Anch'io da ragazzo pensavo che Chaplin fosse ebreo. D'altronde venivo da un quartiere dove chiunque fosse divertente era ebreo”. Chaplin concepisce l'idea del “Grande Dittatore” in un momento davvero speciale. Ha ragione Brownlow a sottolineare il suo coraggio: “Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale il 96% degli americani era contro l'intervento e l'an l'antitise semi mititism smo o er era a di diff ffus usis issi simo mo.. Un er eroe oe am amer eric ican ano o come come He Henr nryy Fo Ford rd av avev eva a sovvenzionato il putsch di Monaco nel '23 e aveva fornito alla Germania gli autocarri che si accingevano ad invadere la Polonia. Hitler aveva una foto di Ford nel suo studio”. Le riprese del “Grande Dittatore” iniziano sei giorni dopo l'inizio della guerra; quando Hitler  entra a Parigi, Chaplin pensa seriamente di fermarsi. Poi, per fortuna, va avanti: conclude il film dopo 559 giorni di riprese ed è ricompensato da un successo immenso. Vide, Hitler, ilVon film? Quasi sicuramente ha confermato Reinhard Spitzy, unad exuso SS del assistente Ribbentrop intervistatosì.daLoKloft: una copia del film fu importata Führer,diil quale – dice Spitzy – “si sarà sicuramente divertito alle scene che lo ritraggono insieme a Mussolini”. Brownlow aggiunge, non senza ridere amaro, che Spitzy è uno dei tanti “riciclati” dopo Norimberga. L'inglese Brownlow ricorda che fra i nazisti sdoganati ci fu anche il famoso Werner Von Braun: “Dopo la guerra scrisse un'autobiografia intitolata 'I Aimed at the Stars' (Miravo alle Stelle). In Inghilterra, ricordando le V1 da lui inventate, la ribattezzarono 'I Aimed at the Stars but I Hit London' (Miravo alle Stelle ma ho colpito Londra)”. “The Great Dictator” sancisce la scomparsa di Charlot, pur conservandone alcuni connotati: il protagonista è or ora a uno Ch Char arlo lott in invvec eccchiat hiato, o, coi coi cap ape elli lli grig grigi,i, sostanzialmente tranquillo; ha un lavoro e una bottega; ciò che gli accade non appart rtiiene più ad una condizione esistenziale assoluta, ma è determinato da una modificazione della storia, che piomba il mondo nell'or nel l'orror rore. e. In que queste ste con condiz dizion ioni,i, egl eglii ha l'oc l'occas casion ione e non sol solo o di far farsi si una compag compagna, na, Han Hanna nah h (Paule (Paulette tte Godd Go ddar ard) d),, ma di ricon riconos osce cers rsii part parte e di una una comu comuni nità tà so soci cial ale e (il (il ghet ghetto to). ). Il rapp rappor orto to servo/padrone si trasforma in rapporto oppressi/oppressori, ma la sua socialità (che non ha nulla a che vedere con la “coscienza di classe") è come sempre simbolicamente conc co ncen entra trata ta ne nelllla a co cont ntra rapp ppos osiz izio ione ne di due due pers person onag aggi gi,, ci cioè oè de delllle e due due fifigu gure re de dello llo sdoppiamento tipico del cinema chapliniano. Charlot, o il barbiere ebreo, è qui il portavoce degli oppressi, cioè il segno simbolico del “ghetto" come condizione storico-sociale (al quale però Chaplin imputa, distaccandosene razionalmente, il “grande sonno”, l'amnesia, della prima parte, durante la quale il nazismo ha preso il potere). Dall'altra parte, vero e proprio segno rovesciato, Hynkel, il mi dittatore, nuovo (e più esasperato) polo negativo della dialettica chapliniana.sta“Vanderbilt mandòil una serie di fotografie formato cartolina che mostravano Hitler durante un discorso. Il viso era oscenamente comico: una brutta

 

copia del mio, con i suoi assurdi baffetti, le lunghe ciocche ribelli e una boccuccia disgustosamente sottile” (Chaplin). L'idea di farne una parodia gli viene suggerita da Alexander Korda nel 1937. Ma il punto di partenza della parodia è rovesciato: Chaplin non costruisce un sosia di Hitler, ma riconosce (come è eviden evi dentem tement ente e fac facile ile fare) fare) Hit Hitler ler in Cha Charlo rlot. t. Il rap rappor porto to Charlot/HynkeI non nasce dalllla a casualilittà della ra rass ssom omig iglilian anza za,, ma da dall rico ricono nosc scim imen ento to em embl blem emat atic ico o dellll'e de 'equ quiv ival alen enza za:: la ma masc sche hera ra di Hy Hynk nkel el di dive vent nta a la caricatura, di segno invertito, della maschera di Charlot, dalla da lla qu qual ale e è in insc scin indi dibi bile le.. Ci Ciò ò spie spiega ga la pres presen enza za in Hynkel di alcuni caratteri (oltre a quelli fisionomici) che rimandano al primo Chas - e spiega soprattutto come Chap Ch aplilin n no non n abbi abbia a rele relega gato to qu ques esto to so sosi sia a al ruol ruolo o di anta an tago goni nist sta a (c (che he nel nel suo suo ci cine nema ma è se semp mpre re un ruol ruolo o sub ubor ordi din nat ato) o),, ma gl glii abb abbia confe onferi rito to l'i'imp mpo orta rtanz nza a sema se mant ntic ica a che che ha se semp mpre re ris riser erva vato to al prot protag agon onis ista ta.. Hynkel diventa un secondo centro del mondo, ripete r ipete ad un altro livello il potere nell'immagine proprio del suo omologo inferi inf eriore ore (lo stesso stesso Nap Napalo aloni, ni, o Buf Buffol folini ini nell'e nell'ediz dizion ione e originale, purdei sorretto dalla brillante caratterizzazione di Jack Oakie, appare al suo fianco come uno tanti antagonisti classici, cioè in definitiva in un ru ruol olo o di seco second ndo o pi pian ano) o).. Ques Questo to pr proc oced edim imen ento to fa di Hy Hynk nkeI eI un una a pres presen enza za autenticamente demoniaca, come dimostra la sequenza della danza col mappamondo, sul prelud pre ludio io del “Lo “Lohen hengri grin” n” di Wagne Wagner, r, cui si con contra trappo ppone, ne, specu specularm larment ente, e, la “Marci “Marcia” a” ungherese di Brahms, sulla cui gioiosa leggerezza il barbiere ebreo rade un cliente. Le due esistenze corrono parallele, attraverso la divaricazione della loro matrice unitaria, l'aggressività: in Charlot, essa sviluppa il proprio carattere difensivistico, in Hynkel la propria propr ia tensi tensione one al poter potere. e. Ques Questa ta compl complement ementariet arietà, à, la natur natura a sosta sostanzialm nzialmente ente univo univoca ca del doppio chapliniano, dopo essere stata tante volte intuita, qui esplode nella sua forma più più dr dram amma matiticca, ad im impe pedi dire re che che sia sia Ch Char arlo lott a prod produr urre re il su supe pera rame ment nto o de delllla a cont co ntra rapp ppos osiz izion ione: e: qu quan ando do ne nell fin final ale e il ba barb rbie iere re eb ebre reo o si so sost stititui uisc sce e al ditta dittato tore re,, detronizzandolo, ciò dura solo un attimo; subito dopo lo stesso barbiere ebreo, che a quella situazione è giunto narrativamente, perde i suoi baffetti e diventa Chaplin. La finzione finisce. Il personaggio non potrebbe sopportare il peso ideologico di quel discorso (sebbene non sia poi un discorso così rivoluzionario come può sembrare). Ma fino a che punto si può effettivamente parlare, come è stato fatto, di un “salto stilistico”? Si è visto come Chaplin riduca lo spazio cinematografico, l'inquadratura, al ruolo estraniante di scena. scena. Quando Quando esa esauto utora ra Charlo Charlott dalle dalle sue funzio funzioni, ni, questi si trova su un palco, deve parlare alle folle. La scena è diventata platea, la macchina da presa è il pubblico. Chaplin parla direttamente a noi dallo schermo, non parla ad un pubblico ico immaginario. Prende le distanze esplicitamente sia da Hynkel che da Charlot, rivendica la propria propr estraneità estra ino confronto confr aberr storia ch che e ia hann hanno o neità po port rtat ato bene beneonto e alle male maleaberrazion (l (le e azioni due duei della tr trad adiz izio iona nalili acce ac cezzioni ioni dell dell'u 'uom omo o ch chap aplilini nian ano) o) a no non n esse essere re pi più ù

 

distinguibili. Egli propone, in definitiva, se stesso come nuovo personaggio, la cui funzione è fuori della finzione, cioè direttamente nella Storia. La scena da cui Chaplin parla è dunq du nque ue la real realtà tà,, il su suo o ricor ricorso so alla alla pa paro rola la evit evita a qu qual alsi sias asii ric ricor orso so al alla la me meta tafo fora ra:: è declamazione doppiamente provocatoria - da un lato per quello che dice, dall'altro per  come lo dice (cioè per come rompe lo schema della rappresentazione). “Hanno riso e si sono divertiti; ora voglio che ascoltino. Ho fatto il film per gli ebrei di tutto il mondo. Volevo che l'onestà e la bontà tornassero sulla terra. Non sono comunista, sono soltanto un essere umano che vuole vedere in questo paese una vera democrazia e la libertà da quell'infernale irreggimentazione che dilaga in tutto il mondo” (Chaplin). Que uessta è un una a delllle e rag agio ioni ni che che spiegano le critiche negative mosse al fililm m. Come è già accaduto a "Mod "M oder ern n Ti Time mes" s",, si ri rimp mpro rove vera ra a “The Great Dictator” di avere polit po litic iciz izza zato to il co comi mico co (che (che prima prima poteva pote va esse essere re letto, ridutt riduttivame ivamente, nte, in sé), di avere quindi tradito il vero Chap Ch aplin lin,, di av aver ere e pe pers rso o lo sm smalt alto o delle passate invenzioni - o di avere sce celtlto o “l “lo o stil stile e de dell mod oder ern no fifilm lm sonoro”, in cui “l'umorismo sprigiona più dal dialogo e dalle situazioni che non dalla mimica e dai gag” (Huff). Nulla di più inesatto: il dialogo non è affatto comico e, tra l'altro, il barbiere ebreo non parla neppure. Certo, non mancano evidenti richiami al passato: la sequenza d'apertura ricorda "Shoulder Arms"; le baruffe durante il pranzo fra HynkeI e Napaloni discendono dalla slapstick comedy, in una nuova rivisitazione del mito, profondamente alterata nel suo porsi al confronto con questi referenti (è il riferimento storico, e non la meccanica in sé, a conferire il vero significato alle gag, la loro aggressività di beffa); gli scontri nel ghetto ricordano "Easy Street"; la sequenza del sorteggio (con le monete nel budino) è uno dei momenti più tipicamente chapliniani del film (con quel misto di comico e di crudeltà con cui Chaplin è abituato a mostrare la vigliaccheria tutta “normale" di Charlot). Chaplin usa degli schemi convenzionali, delle strutture che appartengono ad una mitologia codificata, per rivelare in essi e sopra di essi le contraddizioni specifiche del referente: il comico non è dato a priori, come forma pura, ma nasce dalla constatazione di una tragedia storica e riproduce, a sua volta, proprio il senso profondo di quella tragedia. Attraverso il comico, Chaplin approda alla storia, non più in quanto riferimento iconico naturalistico, ma alla storia in quanto senso. “The Great Dictator” procede costantemente su questa linea di concretizzazione continua attraverso l'astrazione del comico. Si pensi all’apertura del film. Una didascalia: "Questa è una storia che si svolge nel periodo tra le due guerre mondiali: un periodo di transizione, durante il quale si è scatenata la Pazzia, la Libertà è caduta a capofitto e l’Umanità è stata presa a calci nel sedere". Il clown che sconfisse Hitler  Grande dittatore (Il)

 

NATURAL MASSES

È straordinario quanto facilmente si possa passare da un "uso ragionevole della ragione" ad una "ragionevole follia". Dopo una serie di analisi brillanti (anche se non del tutto nuove), si giunge alla logica conclusione che per governare un branco di pecore serve un "buon pastore". Ma questo le pecore sono le prime a saperlo. E infatti si lasciano pascolare. Il problema allora non sono le pecore, Monsieur Le Bon, ma sem se mmai mai il pasto astore re.. Le "ma "mass sse e nat atur ural ali" i" si son ono o sem empr pre e au auto togo govverna ernate te e autoperpetuate, nel caos e nell'armonia. Il buon pastore è la "mente naturale". Infine, hanno prodotto l'uomo. L'uomo è dunque una "massa naturale", sia come individuo (elemento-atomo) sia come società (massa-popolo). Sia come corpo (biosfera) sia come mente (noosfera). Le masse umane non si possono porre aldifuori della natura, aldisopra o aldisotto, perché ne sono parte integrante. L'uomo è un "artificio " artificio naturale" che si evolve. Non è il punto di arrivo. È un ponte, "tra l'animale e l'oltreuomo", come dice Nietzsche. Le masse naturali, come la natura stessa, chiedono solo la libertà di autoconoscersi, autoevolversi e autogovernarsi. Ogni tentativo di irrigimentarle non può che tradursi nel suo opposto, una violenta deflagrazione, una "rivolta dionisiaca". Nietzsche, in ”Nascita della Tragedia“ (1872), scrive che lo spirito dionisiaco annulla il principio di individuazione, l’identità civile, statale, morale. Ilapollineo, principio tuttavia di individuazione, riflesso dell'istinto è necessario affinché l'uomo non si autodistrugga nel proprio lacerante grido (Iakchos) di dolore. Dioniso, il dio della perdita di ogni individuazione, individuazione, dell'esperienza mistica della coalescenza nel tutto della natura, è in pere pe renn nne e lo lott tta a con con Ap Apol ollo, lo, il dio dio sola solare re de della lla fo form rma a e della lla be bellllez ezza za,, del ell'l'eq equ uilib ilibri rio o e dell’a del l’armo rmonia nia.. La rel religi igione one dionis dionisiac iaca a fu una religione misterica: al centro del suo culto si ritr ritrov ova ano la ri riev evoc ocaz azio ion ne della lla dol olor oros osa a la lacceraz erazio ione ne del elll’u ’un nitità à pri rimo morrdial diale e nelllla a moltltep mo eplilici cità tà pr prop opri ria a dell dell’i’ind ndiv ivid idua uazi zion one e e l’aspirazione degli iniziati alla sua rico ricost stitituz uzio ione ne,, ne nelllla a perd perditita a de dellll’i’ide dent ntitità à personale. Così, nel ditirambo, ditirambo, la potenza della musi mu sica ca dion dionis isia iaca ca,, co coni niug ugat ata a ai movi movime ment ntii della del la danza, danza, ne riprod riproduce uceva va sim simbol bolica icamen mente te agon ag onia ia e gioi gioia. a. La tr trag aged edia ia gr grec eca a av avre rebb bbe e av avut uto o orig origin inar ariam iamen ente te,, se seco cond ndo o la tradizione che risale ad Aristotele, una connessione con il culto di Dioniso: allestita all all'int 'intern erno o delle delle cel celebr ebrazi azioni oni dio dionis nisiac iache he ad Ate Atene, ne, sar sarebb ebbe e sor sorta ta dal dit ditira irambo mbo dionisiaco. In questo senso, un ruolo centrale avrebbe avuto il coro tragico, cui si riduceva riduc eva in origine origine l'inte l'intera ra recita. Il coro rappresentav rappresentava a il corteo dei segu seguaci aci del dio, che, nell'estasi, si coglievano trasformati in satiri. La sua funzione primitiva sarebbe dunque stata quella di esprimere con quelle figure semibestiali il sentimento secondo cuii in fo cu fond ndo o al alle le cos ose e la vita vita è, a di disp spet etto to di og ogni ni mu muta tare re de delllle e ap appa pare renz nze, e, indistruttib indist ruttibilmen ilmente te poten potente te e gioiosa. gioiosa. Alla prese presenza nza di quel coro, la comunità poteva riporre la propria veste civile recuperare dall'estasi il senso dell'unità con ilcon tutto un’esperienza catartica, resae necessaria dionisiaca, la della qualenatura: si era gettato uno sguardo sull'essenza dolorosa dell'esistenza.

 

Principio individuationis - Wikipedia

BACCHANALIA (parte 2) La preoccupazione di Le Bon per la libertà della masse è indice dell'ideologia conservatrice di cui egli era portatore e che lo induceva a contrastare sia le aperture democratiche proprie della sua epoca sia i presupposti stessi del pensiero illuminista. L'autore delllla de a “Psi “Psico colo logi gia a de delllle e Foll Folle” e” co cons nsid ider erav ava a co con n di disp spre rezz zzo o l'ip l'ipot otes esii di una una so soccie ietà tà pi pien enam amen ente te democratica, capace di autogoverno e regolata dai principi della ragione, appellandosi paradossalmente pr pro opr priio a ques uestult tultim imi.i. Per Le Bon, le soci ciet età à democratiche non solo erano destinate al fallimento, ma rappresentavano anche una minaccia per la vita stessa della società, poiché conducono gli uomini vers ve rso o la ba barb rbar arie ie.. Inve Invece ce le di ditt ttat atur ure… e… Le Bo Bon n ri rite tene neva va impo imposs ssib ibilile e educ educar are e l'l'in inte tera ra ma mass ssa a ai principi della ragione e al pieno dominio di sé e al tempo stesso pensava che il potere dovesse essere detenuto da uomini eccellenti: gli aristocrati. Perciò,che l'unica formacapo di governo possibilesenza era per lui quella delle Tuttavia, era consapevole nessun può governare il consenso delleelite. masse: finita l'epoca delle monarchie basate sulla forza economica, militare o sull'autorità dinastica, il vero capo politico avrebbe potuto governare solo guadagnandosi il consenso delle folle. E così, in qualità di moderno Machiavelli, si assumerà l'incarico di insegnare al futuro principe come conquistare l'anima e il cuore delle folle. La prima regola è quella di comandare puntando sui sentimenti piuttosto che sulla ragione (di cui le masse scarseggiano): di questo consiglio di Le Bon fece fecero ro ampi ampiam amen ente te us uso o i ditt dittat ator orii to tota talit litar arii de dell No Nove vece cent nto o facendo leva, chi in un modo chi in un altro, su un "humus" (ter (termin mine e ta tant nto o caro caro al se sena natu turr Umbe Umbert rto o Bo Boss ssi) i) po popo pola lare re,, guadagnandosi il consenso o con le buone o con le cattive, senz se nza a con onccedere dere alle lle fo folllle e alc lcu una ra rap ppr pres ese entanz tanza a e distruggendone le libertà. Ma anche i "grandi leader" dell'oggi non no n so sono no da meno meno:: sf sfrut rutta tand ndo o il sist sistem ema a de deii ma mass ss-m -med edia ia,, sempre su sentimenti popolari, di massa, fanno leva, con l'unica differenza che apparentemente vige la democrazia (ma è solo un grande bluff). Rispetto al progetto illuminista di distruzione delle certezze tradizionali, Le Bon era fermamente contrario, perché si stava incrinando la fede in Dio e nello Stato e di conseguenza la "fede di massa”. Diceva Le Bon: "I "I filosofi  dell'ultimo secolo si sono consacrati con fervore al compito di  distruggere le illusioni religiose, politiche e sociali di cui per centinaia di anni avevano vissuto i nostri padri. Distruggendole, hanno inaridito le fonti della speranza e della ". Eh già, perché per essere governate senza che si instauri un regime di rassegnazione". rassegnazione pericolosa anarchia, le masse devono tornare a credere, e dunque il compito essenziale dell'aspirante meneur de foules èma reintrodurre comunità, un anche questa non sarà più di natura trascendente terrena. Elaquifede Le nella Bon commette altrosegrave errore. Perché Per ché,, è storic storicame amente nte oltr oltre e che che log logica icamen mente te provat provato, o, Apo Apollo llo e Dio Dionis niso, o, ind indivi ividuo duo e

 

massa, coscienza individuale e inconscio collettivo, come due vasi comunicanti, devono sempre poter dialogare e in qualche modo complementarsi. Panem et Circensem non bast ba ster eran anno no ma maii a sodd soddis isfa fare re i na natu tura ralili bi biso sogn gnii dell delle e mass masse e dion dionis isiac iache he,, che che in un mo modo do o ne nell' ll'al altr tro o do dovr vran anno no prim prima a o po poii sfogare. Per Le Bon, le folle non possono essere guidate dalla ragione, perché l'animo della folla è caratterizzato dal sentire e non dal pensare. Ma perché sentire non può essere anche un pensare? Sent Se nto o dunq dunque ue pens penso. o. Pe Pens nso o du dunq nque ue se sent nto. o. O, co come me di dice ceva va Cartesio, "dubito, dunque sono". I HAVE TO BELIEVE

Se l'uomo inserito nella massa è incapace di pensare, allora ha bisogno di illusioni, di passioni, è animato dalla volontà non di potere ma di credere, e questa volontà cresce nel momento stesso in cui le vecchie illusioni sono state messe in crisi dall'Illuminismo. Il sentimento e il bisogno di credere sono forze arcaiche ed eternamente operanti nell'uomo, e dunque, il buon pastore deve continuamente colmare con nuove speranze questa sete di illusione. Se si guarda alle grandi rivoluzioni, dice Le Bon, si nota come tutte siano prodotte dalla speranza e dalle fede più che da un accurato ragionamento: il cristianesimo e l'islamismo, il successo della rivoluzione francese e di Napoleone, sono frutto della fede e della speranza più che della "ragion pura". I totalitarismi del XX secolo hanno accolto in pieno laupat lezione Le Bon, fornito individui nuove cui credere, siro sono preo preocc ccup atii di dico cost stru ruir ire e hanno miti miti se semp mpre re agli nu nuov ovi i (e se semp mpre reillusioni fals falsi) i),, insp spes esso so tra tra lo loro in contraddizione. La storia è testimone di cosa hanno prodotto. Mussolini in particolare vantò più volte l'assenza di programma del primo fascismo, giungendo ad ostentare sia il suo su o tras trasfo form rmis ismo mo polit politic ico o si sia a i camb cambia iame ment ntii ne nell prog progra ramm mma a de dell pa part rtito ito.. Co Con n tale tale atteggiamento mostrava di aver metabolizzato l'insegnamento di Le Bon circa il carattere inconfutabile delle illusioni e l'assecondare la volontà di credere delle folle, anche a costo di sacrificare la coerenza dei propri ragionamenti. L'im L'impo porta rtant nte e è "f "far are e sc scen ena" a",, aizz aizzar are e gli gli an anim imi.i. "T "Tut utto to è teatro", come diceva Shakespeare. Sotto quest'ottica, si può comprendere meglio come mai, spesso e volentieri, siano degli attori, o perfino degli ex-cantanti da crociera (ogni rife iferimento è puramente voluto), a solca lcare oggi i palc pa lcos osce ceni nici ci dell della a poli polititica ca in inte tern rnaz azio iona nale le.. Lo stes stesso so Muss Mu ssol olin inii af affe ferm rmav ava a ch che: e: "So "Solo la fede smuove le montagne, non la ragione. Questa è uno strumento, ma non   può essere la forza motrice delle masse. Oggi, meno di    prima. La gente, oggi, ha meno tempo per pensare. La disposizione dell'uomo moderno a credere ha ". Da quest'idea, deriva il convincimento che le dell'incredibile". dell'incredibile masse siano fondamentalmente stupide e ignoranti. Basta dargli qualcosa in cui credere, e il gioco è fatto. Sbagliato. Le masse non sono affatto stupide. Le masse sono festanti e rivoluzionarie. E non sono disposte a credere a qualsiasi cosa. Poiché la mente della massa, la "ragione di massa", è la somma delle menti individuali, delle ragioni individuali, è un' "in "intel tellig ligenz enza a collet colstupida lettiv tiva", a",una è un "in "intel tellig ligenz enza a di massa" mas . Come può essere mega-intelligenza? La sa". domanda da porsi è: come può essere resa stupida? Separando i singoli elementi dal collettivo, dalla "ragione comune"; è

 

così che le masse divengono stupide, quando i singoli componenti che la formano, e la informano, cessano di comunicare. Come quando ad HAL 9000, nell'Odissea di Kubrick, vengono sconnessi i circuiti e comincia a balbettare frasi spastiche senza senso. Mussolini dimostrava di aver recepito un altro e forse ancora più importante suggerimento proposto da Le Bon: la creazione della fede incondizionata nel capo. Mentre ogni illusione può essere sostituita da un'altra, ogni credenza prende il posto di quella precedente, anche in aperto contrasto con quest’ultima, la fede nel capo deve rimanere sempre inalterata se si vuole mantenere il controllo delle folle. Il capo deve diventare una vera e propria divinità terrena, sottratto a qualsiasi esercizio del dubbio. La fede nel capo deve essere mantenuta attraverso una vera e propria idolatria, utilizzando tutte le strategie messe a disposizione dalla propaganda (e dalla disinformazione). In Unione Sovietica, il culto della personalità di Stalin fu uno dei principi su cui si resse l'intero appa ap para rato to tota totalilita tario rio;; in Ge Germa rmani nia, a, pe perr un ce cert rto o periodo nessuno osava dubitare dell'infallibilità di Hitler, anche quando i segnali della sconfitta nella Seco Se cond nda a Guer Guerra ra Mo Mond ndia iale le co comi minc ncia iava vano no ad essere evidenti. Per un sistema totalitario, la fede nel capo rappresenta la fede nell'intero sistema, perc pe rché hé,, a di diff ffer eren enza za di quan quanto to ac acca cade de ne nelllle e semplici dittature, tutto ciò che accadeSovietica nel paese è sotto la sua responsabilità. In Unione e in Germania, sia Stalin che Hitler si assumevano la responsabilità di qualsiasi azione compiuta da un loro lor o funzio funzionar nario, io, a dim dimost ostraz razion ione e che solo solo lor loro o erano l'emanazione del potere e che i burocrati e i sottoposti altro non erano che semplici esecutori della loro volontà. Allo stesso modo, la svolta autoritaria - e per certi versi totalitaria - del fascismo italiano si ebbe nel gennaio del 1925, quando Mussolini decise di assumersi la piena responsabilità per l'assassinio Matteotti, che era stato compiuto da due sicari per  conto di un non ben identificato mandante. TOTAL CONTRACT

"Il governo nazionale nell'arco di quattro anni spazzerà via la miseria dai contadini. Nell'arco di quattro anni eliminerà la disoccupazione. A questo colossale compito di risanamento della nostra nos tra eco econom nomia, ia, il gov govern erno o naz nazion ionale ale unirà unirà l'attua l'at tuazio zione ne di un piano piano di risanam risanament ento o del dello lo Stato, delle regioni e dei Comuni. In tal modo l'idea dell'assetto federativo dello stato diverrà vi vigo goro rosa sa e so solilida da re real altà tà.. I part partiti iti co comu munis nistiti e fiancheggiatori del comunismo hanno avuto 14 anni a disposizione per dimostrare la propria capa ca paci cità tà.. Il risu risultltat ato o è un ca camp mpo o di ro rovi vine ne.. Concedete a noi quattro anni di tempo, e poi giudicherete!

1 febbraio 1933 - Contratto con il popolo tedesco firmato: Adolf Hitler 

 

In un sistema totalitario, a differenza di quanto si può comunemente pensare, il potere non viene vie ne inf infatt attii det detenu enuto to esc esclus lusiva ivamen mente te con la violen violenza, za, ma è fru frutto tto di una recipro reciproca ca "contrattazione" tra il capo e le masse dominate, come il famoso contratto che Hitler  stipulò con la Germania, pateticamente emulato in tempi recenti da Silvio Berlusconi. Pateticamente, perché ad accomunare le due figure viene più da piangere che da ridere. Di sicuro, anche Berlusconi e la sua cricca (v (ved edii la lo logg ggia ia P2 P2), ), ha hann nno o stud studia iato to pe per  r  bene sia il saggio di Le Bon sia le tecniche di prop propag agan anda da nazi nazi-f -fas asci ci-c -com omun unis iste te.. Il contratto sociale di Rousseau proponeva di abbandonare lo stato di libertà naturale per entrare in una società organizzata e re rego gola lata ta ne nella lla qu qual ale e di dive veni nire re titito tola lari ri di libertà politica. I punti di riferimento sono la rinuncia in nome di un bene e il rispetto dei magistrati che però sono essi stessi parte del progetto di libertà e dunque possono essere revocati. Ciò che viene proposto è uno “stato etico” in cui l’intreccio di dirittidoveri è sostenuto da un intreccio di rinunce e conquiste, un grande e controverso documento per dibattere i principididella contratto Hitlersiinvece è un editto, scritto con perentoria condanna tutto democrazia. tranne che diIl se stesso.diHitler pone al centro, si indica come salvezza, produce allarme ("intorno a voi un mondo di macerie") e fa capire di essere la sola guida, il solo punto fermo in un paesaggio tragico. I punti del contratto di Hitler sono "prove" tra il magico e il demiurgico. "Io farò e voi approverete". Il linguaggio sottrae la libertà prima ancora di annunciarla. Segue lo stesso percorso, molti anni dopo, in Austria, il "Contratto per l'Austria" di Jorg Haider. L'intento è simile: siete in pericolo e io vi salvo. Il linguaggio è più vicino all'espediente di vendita e la promessa, invece che essere firmata firm ata col san sangue gue,, sugge suggeris risce ce con conven venien ienza, za, vanta vantaggi ggio o pers pe rson onal ale. e. È la stes stessa sa stra strada da di Berl Berlus usco coni ni.. Ma ne nell "contratto "cont ratto per l'Ital l'Italia" ia" (o "con l'Italia", l'Italia", a seconda seconda dei diversi diversi annunci) prevale il linguaggio e anche la messa in scena delllla de a vend venditita. a. Be Berl rlus usco coni ni fa ve veni nire re in me ment nte e qu queg eglili assicuratori d'altri tempi (lui stesso lo è stato) che ti fanno vedere solo ciò che è stampato grosso e ti nascondono il "fine print", le parole piccole piccole dove si dettano le vere condizioni. Come Hitler e come Haider, Berlusconi mente. Promette di andare via se non manterrà le promesse fatte (quattro su cinque, lui dice). Ma intanto sarà scaduto il suo "termi "te rmine" ne" ele elettiv ttivo o e dovrà dovrà comunq comunque ue ripr riprese esenta ntarsi rsi agli agli elettori. Insomma, un trucco banale che però ha funzionato. Contratto con gli italiani - Wikipedia  Jean-Jacques Rousseau - Wikipedia

 

Le Bon aveva individuato nel particolare rapporto tra capo e folla il segreto per la conquista del potere nelle moderne società in indu dust stri rial ali.i. Av Avev eva a in intu tuitito o il bi biso sogn gno o di identità presente in forma latente in tutti i grandi aggregati umani: all'abbandono della propria specificità che si realizza nella folla deve de ve corri corrisp spon onde dere re la crea creazi zion one e di un una a identità collettiva. L'individuo è disposto a rinunciare al proprio Io in favore di un Noi, a patto che questo nuovo soggetto sia dotato di una specifica personalità e, secondo Le Bon, questa può formarsi solo attraverso l'interven l'inte rvento to del conquista conquistatore tore delle folle. La massa è un'anima collettiva informe, che il mene me neur ur deve deve in info form rmar are e come come fo foss sse e ar argi gilllla a ne nelle lle sue sue ma mani ni,, a cu cuii deve deve dare dare form forma a attraverso il sapiente utilizzo delle emozioni più primitive, più arcaiche e forti. Sbagliato. Se libera di interrelazionarsi in modo naturale e totale, sarà la massa stessa a prendere coscie cos cienza nza,, ad animar animarsi, si, ad autoin autoinfor formar marsi si e autogo autogover vernar narsi. si. In un' un'alt altra ra sua ope opera, ra, "Aphorismes du Temps Present", Le Bon scrive: "La "La folla è un essere amorfo, incapace di  volere il suo meneur. La sua anima legata ailquella di questo ". d'agire Come senza un mago, come una divinità, come sembra un imperatore, capo politico è meneur e". chiamato dunque ad "animare" la folla, a spingerla all'azione, e in questo suo compito egli trova l'alleato più prezioso nella "credulità", nel bisogno di credere e nel bisogno di identità dei sog sogget gettiti massif massifica icati, ti, privat privatii del lor loro o io e imp imposs ossibil ibilita itatiti a com comuni unicar care e con l'a l'altro ltro.. L'individuo disperso nella folla è in effetti un soggetto debole, che ha perso la propria capacità di autogoverno e che è alla ricerca di un Io forte a cui appoggiarsi. Il moderno capo politico, spiega Le Bon, è uno "psicopompo", un conduttore di anime, che trasferisce la propria personalità a quella dell'individuo, proponendosi alla folla come un modello con cui identificarsi e come una guida da seguire. Il rapporto tra il capo e la folla, tra quest'Io egemone e le identità fragili e disperse che compongono la folla, è estremamente delicato e complesso, e dalla sua corretta gestione dipende il successo o l'insuccesso nella lotta per il potere. A differenza di quanto avveniva in passato con le antiche tirannie, l'aspirante dittatore moderno non può conquistare e mantenere il potere soltanto attraverso il principio di au auto tori rità tà o con il puro domin minio de delllla a fo forz rza a. Egl glii non può può imp mpor orre re mod ode ellllii di comportamento rispondenti esclusivamente alle proprie volontà senza correre il rischio di perdere il consenso della folla che si propone di comandare. Il moderno dittatore, sostiene Le Bon, deve saper cogliere i desideri e le aspirazioni segrete della folla e proporsi come l'incarnazione di tali desideri e come colui che è capace di realizzare tali aspirazioni. MIND CONTROL

Anche in questo caso, l'illusione risulta essere più importante della realtà, perché ciò che conta non è portare a compimento tali improbabili sogni, quanto far credere alla folla di esserne capace: "Nella "Nella storia - scrive Le Bon nella “Psicologia delle Folle” - l'apparenza ha sempre avuto un ruolo più importante della realtà". realtà". Il tiranno moderno deve quindi prestare la massima attenzione nell'evitare il confronto con la realtà, perché la massa, per  essere controllata, deve essere mantenuta inrsuasione questo limbo onirico di precisi contorni. Ecco allora subentrare subentra re l'uso della "tecno-pe "tecno-persuas ione", ", ovve ovvero ro la privo lobot lobotomizz omizzazion azione e delle coscienze attraverso i mass-media. Mantenendo il cittadino-spettatore in uno stato di

 

coscienza "sedata" sarà più facile farg farglili cre rede derre ci ciò ò che si vuo vuole le.. Ques Qu esto to è fo fond ndam amen enta talm lmen ente te lo scopo (e l'effetto) di tutti i progra pro grammi mmi tel televi evisiv sivii (con (con qualch qualche e rara rar a eccez eccezion ione), e), della della pubbli pubblicit cità, à, delle droghe legali, e anche di molte illegali, e dell’arte di massa. Procedendo in tale direzione, non sarà sa rà quin quindi di su suff ffic icie ient nte e al tir tiran anno no prop propor orsi si co come me il re real aliz izza zato tore re di dete de term rmin inat atii desi deside deri ri,, ma dovr dovrà à pres presta tare re la mass massim ima a at atte tenz nzio ione ne anche alla forma in cui tali aspirazioni e progetti vengono presentati. Ecco che entra in gioco il mito: il meneur deve far ricorso soprattutto al mito, alla forma del racconto, della narrazione, dell'orazione, per  essere in grado di catturare l'emotività delle folle e sottrarsi ad una verifica razionale e cr crititic ica. a. Perc Perché hé il mito mito? ? Perc Perché hé è la fo form rma a di lin lingu guag aggi gio o pi più ù arca arcaic ica, a, pe perc rché hé parl parla a direttamente all'inconscio collettivo, all' "inconscio di massa", perché ha una maggiore forza persuasiva del linguaggio ordinario. A differenza di un qualsiasi discorso razionale, il discorso mitico non prevede nessun controllo a posteriori sulla sua validità, perché il suo conte contenuto nuto è sempre sempree sottilmente sottilm indefinito indefini e dunque dunque fornisce una trasformarne serie ininterr ininterrotta otta di alibi agli "arruffapopolo" ai "falsiente profeti" chetopossono continuamente i contenuti o modificarne le sfumature, potendo sempre evitare di confrontarsi con la realtà. Quando si dice "politichese", in realtà si indica proprio una tale forma di linguaggio. Il mito, spiega Le Bon, non necessita di alcuna coerenza logica, perché esso si basa su immagini fantastiche e funziona quanto più è in grado di rappresentare le esigenze di riscatto e le aspirazioni della folla. I totalitarismi del Novecento proprio sui miti - la razza ariana, il neoimperialismo, il neo-paganesimo, l'immortalismo, il cosmismo - hanno fondato gran parte del proprio potere. Tutti i dittatori totalitari hanno mostrato sempre un estremo disprezzo perr i fa pe fatt tti,i, pe perr la re real altà tà st stor oric ica a (a (anc nche he quan quando do vi si ap appe pellllav avan ano) o),, co cost stru ruen endo do un una a propaganda priva di qualsiasi fondamento. Non a caso, Kruscev descrive Stalin come un uomo uo mo ch che e ma mani nife fest stav ava a un una a estre estrema ma "r "rilu ilutt ttan anza za a co cons nsid ider erar are e le co cose se de delllla a vi vita ta… … indifferente allo stato reale delle cose". Tanto in Le Bon che in Sorel, si spezza ogni forma di comunicazione razionale tra la base e il vertice: non resta che il linguaggio mitico e la mobilitazione emotiva. Il terreno è pronto per la nascita dei "superuomini", i vari Duce, Duc e, Füh Führer rer,, Caudil Caudillo, lo, Con Condu ducat cator, or, tut tutte te tra traduz duzion ionii di meneur. Studiando soprattutto Mussolini tra i dittatori, Bodei analizza con quali strategie volute si sia aperta quell'inedita fase della politica in cui la "sovranità è in grado di estendersi al mondo mondo inte interio riore". re". Mit Miti,i, ill illusi usioni oni,, fed fedii ve vengo ngono no cre creati ati e diffusi con precisi scopi di "programmazione del pensiero". Con Co n il su supp ppor orto to de delllla a tecn tecnol olog ogia ia,, prim prima a la radi radio, o, po poii la televisione, il politico invade per la prima volta lo spazio pri rivvat ato o del elle le cas case (e delllle e cosc scie ien nze). e). La real realtà tà fu effettivame effet tivamente nte messa a dura prova dai regim regimii totalit totalitari, ari, che cercarono imporre la del propria "volontà onnipotenza" sui fatti e sulladioggettività mondo. In undi regime totalitario pienam pie nament ente e rea realiz lizzat zato, o, com come e que quello llo sovie sovietic tico o deg deglili anni anni

 

Trenta, risultava quasi impossibile distinguere il vero dal falso e la fantasia dall'illusione, di ogni evento si esaltava la sua funzionalità al partito e alla rivoluzione, non era importante se fosse realmente avvenuto. Tali tecniche sono rimaste pressoché inalterate ai giorni nostri, semmai amplificate dallo strapotere dei mass-media, i veri dittatori dell'attuale tecno-totalitarismo psico-fascista. Per quanto potesse apparire folle - ed effettivamente si trattava di episodi di follia collettiva - in Unione Sovietica si portarono avanti processi a migliaia di persone sulla base di complotti semplicemente presunti o immaginati da Stalin, che sempre si conclusero con la condanna a morte o la deportazione degli imputati. In un simile regime totalitario, che aveva annullato la differenza tra vero e falso grazie all'attiva collaborazione della massa sedotta e ipnotizzata dalla propaganda, circolavano le ipotesi più improbabili su continue congiure contro la rivoluzione e queste diventavano spesso capi d'accusa contro soggetti totalmente innocenti. La polizia segreta sovietica riusciva anzi a convincere molti imputati innocenti della loro colpevolezza, spesso senza ricorre all'uso di torture fisiche, perché formulava le accuse senza far mai riferimento ad alcun fatto concreto. Il totalitarismo costruisce un processo generico alle intenzioni, isolando l'individuo dalla realtà circostante e convincendo chi gli è attorno a confermare le accuse, di modo che l'imputato finirà per arrendersi alla coerenza della storia proposta dalla polizia, arrivando infine a confessare crimini mai commessi. THE TRIAL (IL PROCESSO)

(Orson Welles, Fra/Ita/Ger, 1962) Josef K. una mattina viene arrestato, senza aver fatto nulla di male e senza sapere perché. Comincia allora una lunga lunga odi odisse ssea, a, fra carce carcere, re, lib libert ertà à pro provvi vvisor soria ia e tribunale, durante la quale a Josef si fa a poco a poco il vuoto intorno: amici, parenti, amori, svaniscono come nebbia al sole, e la condanna alla pena capitale che i giud giudic icii gl glii infl inflig iggo gono no senz senza a mai mai ri rive vela larg rglili il ca capo po d'imput d'im putazi azione one,, e anzi anzi no non n conos conoscen cendol dolo o essi essi stess stessi,i, sancisce un destino di vittima che oscuri meccanismi oppressivi hanno deciso di attribuirgli. Il protagonista morrà per mano di due allucinati e allucinanti custodi della legge, che lo accoltellano come banditi da strada; e morrà senza sapere perché, ma infine quasi agev ag evol olan ando do i su suoi oi ca carn rnef efic ici,i, in un una a or orma maii ra ragg ggiu iunt nta a complicità con l'incubo che gli è capitato in sorte. Pubblicato postumo nel 1925, “Il Processo” è un capolavoro assoluto nell'approfondimento dei meandri psichici in cui si aggira chi è posto nella condizione di vittima innocente. E Kafka non risparmia nulla, quanto a lucidità e spietatezza: quella di cui Josef K. è emblema è una condizione non storica, ma esistenziale. Le istituzioni che lo condannano restano indeterminate nello spazio e nel tempo, come a render ren dere e unive universa rsale le ed eterna eterna la tra trappo ppola la che attana attanagli glia a senza scampo l'individuo, eppure è difficile non cedere alla tentazione di leggere in questo romanzo di un autore ebreo una straordinaria dell'Olocausto: milioni di personepremonizione dovettero morire senza che come né loroJosef, né i loro uccisori sapessero il perché. Il buio senza spiragli in cui precipita senza colpe il

 

personaggio diventa così un'impressionante anticipazione del buio in cui una ventina d'anni dopo sarebbe precipitata la storia d'Europa. Joseph è un impiegato di banca dalle abititud ab udin inii meti metico colo lose se e pr prec ecis ise. e. Un giorno due strani individui si presentano alla sua porta per informarlo che, per  ordine di un misterioso tribunale, si sta preparando un processo contro di lui. Non No n c'è c'è ca capo po d' d'ac accu cusa sa,, né ar arre rest sto. o. Jose Jo seph ph co cont ntin inue uerà rà a lavo lavora rare re ed a vivere in casa sua con l'obbligo però di presentarsi di tanto in tanto per essere interrogato. Egli pensa inizialmente ad una burla escogitata dal colle lleghi d'uf d'uffifici cio, o, poi poi fifini nisc sce e pe perr acc accet etta tare re il processo, nel quale decide di intervenire per rintuzzare le accuse calunniose mossegli da una magistratura corrotta. Ma finirà per scoprire il suo isolamento. Man mano che si avvicina il giorno del processo tutti si allontanano da lui. Non c'è che una via d'uscita: non intestardirsi a sostenere la propria innocenza e così insabbiare il processo. Questo è il consiglio di Hilde, la moglie infedele di un usciere del tribunale; di Leni, infermiera legata ad un losco avvocato; del eoscia deliapittore alla moda aia,quali è titi rivolto per  consig con siglio lio. . Passa Pas sa un an anno no prete di ang angosc qua quando ndo, , un una a ser sera, due Joseph sig signor norii sives vestit i di ner nero o prelevano Joseph per condurlo in un posto deserto dove sarà giustiziato. "L'assurdità comica - diceva Bergson in "Le Rire" - appartiene alla stessa natura di quel quella la dei dei so sogn gni", i", ma maga gari ri an anch che e di quella degli incubi, e "Il Processo" per  ammissione dello stesso Welles, è un film pieno di humour. Non poteva essere diversamente: se "Il Processo" di Kafka si tras trasfo form rma a in un una a "c "con onsi side dera razi zion one e attu attual ale" e",, ci cioè oè in un fifilm lm "s "sul ulla la poliz polizia ia,, sulla burocrazia, sulla potenza totalitaria del Sistema, sull'oppressione dell' de ll'in indi divi vidu duo o ne nella lla soci societ età à mo mode dern rna" a" (Welles), la dimensione comica dell'assurdo kafkiano diventa trasparente. Alleggerito dallo spessore metafisico, Joseph K mantiene la sua tragicità solo vivendo in una situazione da commedia dell’assurdo. "Il Processo" è una tragedia che utilizza i meccanismi del non-sense, le atmosfere dello humour nero, le tinte forti della caricatura grottesca. Per Welles, Joseph K appartiene ad un mondo strutturato sulla negazione del senso e sulla perdita dell'identità esistenziale. Ma angoscia e comicità scattano assieme quando quell'organismo dell'assurdo che è la macchina sociale viene smascherato da una cellula deviante che non si riconosce più nel proprio tessuto. Il Joseph K di Anthony Perkins più tenta di capire e di correggere le storture logiche in cui è incappato, più queste si deformano e si allargano in una assoluta indeterminatezza. L'aggressività di Joseph K nel ricercare il motivo della sua colpa è un'energia chenella si avvita sustanza, se stesso e produce disperazione. Joseph K sisterile, svegliauno allasforzo mattina propria la strategia dell'assurdo è giàQuando in atto e la prima macchina del non-sense è già di fronte a lui sotto forma di ispettore di polizia.

 

Attravers Attrav erso o una rappre rappresen sentaz tazion ione e dia dialog logica ica costru costruita ita sul parado paradoss sso o info informa rmativ tivo o (al (alla la domanda di K la polizia risponde con altre domande), Welles esalta quel potenziale comico che nella scrittura kafkiana è diluito nel realismo minuzioso dei gesti e degli oggetti. Tutta la scena è montata sul principio del rallentamento, cioè su una dilatazione ossessiva dei tempi e dei ritmi attorno a un personaggio-vittima, che invece continua a pensare, agire e parlare secondo una dinamica normale. Il meccanismo che si fa metafora stessa del racconto e che informa tutte le altre tecniche del comico è proprio il principio del rallentamento, della dilatazione continua che rovescia il riso nella sofferenza e nello strazio di un ge gest sto o ch che e pr pros oseg egue ue me ment ntre re aspi aspira ra al suo suo pu punt nto o di rott rottur ura. a. Il prin princi cipi pio o di rallentamento, che scompone in modo analitico le situazioni sino alla perdita totale del loro senso, diventa per Welles la struttura stessa del processo, sempre rimandato e mai concluso. Il contesto figurativo del film ha un rilievo importantissimo, in quanto il percorso labirintico di Joseph K assume una fisicità pregnante e ossessiva. Welles utilizza la Praga magica di Kafka in un'ambientazione che dalla squallida modernità delle periferie urbane (Zagabria) trapassa nelle invenzioni scenografiche create nell'immenso spazio di una stazio sta zione ne in disus disuso o di Parigi Parigi (la Gar Gare e d'O d'Orsa rsay). y). L'u L'univ nivers erso o fig figura urativ tivo o del film sem sembra bra gravitare attorno a due progetti di attrazione: la geometria e il caos. La camera d'affitto della pensione in cui vive K è un moderno e disadorno parallelepipedo con pareti bianche, scarsissimi arredi e un soffitto basso che esalta la profondità di campo. Il mondo della banca, del lavoro al servizio del capitale, della logica produttiva, è ispirato ad un principio spaziale rettilineo, ad un geometrismo esasperato dal gigantismo prospettico. Il caos è invece la dimensione apparente di quell'organismo mostruoso totale che è l'universo della legge. È una topografia dell'assurdo che rimanda alla logicae onirica del surrealismo, allo spostamento fuori contesto dei ruoli sociali e dei comportamenti psicologici. Joseph K non vuo vuole le farsi farsi inc incate atenar nare: e: "es "esse sere re vincol vincolati ati è meg meglio lio che essere essere lib liberi eri", ", sen senten tenzia zia l'avvocato cui Orson Welles presta il volto glabro da adolescente malizioso. K non vuole ridursi schiavo del suo avvocato come il commerciante Block. Revoca il mandato al suo difensore, si dibatte, non vuole arrendersi al fatto che la vita consiste proprio nella servitù delle del le catene catene,, nel nell'u l'ubbi bbidie dienza nza ne neces cessar saria ia e libera liberator toria ia verso verso un'aut un'autorit orità à sup superi eriore ore ch che e protegge il destino dell'uomo. "Il protagonista di The Trial è un piccolo borghese, io lo considero come colpevole. Appartiene a qualcosa che rappresenta il male e che, nello stesso tempo, fa parte di lui. Non è colpevole di ciò che gli si rimprovera, ma è colpevole lo stesso: egli appartiene ad una società colpevole, collabora con essa. Non lotta, dovrebbe forse farlo, ma non prende posizione nel mio film. K collabora tutto il tempo. Nel romanzo di Kafka anche. Io gli permetto solamente di sfidare i suoi carnefici, alla fine” (Orson Welles, 1964). Il Processo – Schede Film

 

Le Bon individua ancora un altro aspetto centrale nel rapporto con le masse: oltre che essere un realizzatore dei desideri della massa, l'Io del capo deve infatti diventare, dice Le Bon, un oggetto di ide identifi ificazione per le folle. Emula lazzion ione e assoggettamento vanno infatti di pari passo, nel senso che l'una è la condizione necessaria per  l'altra. Non basta l'ubbidienza passiva - che può da un momento all'altro venir meno - ma occorre susc su scitita are la par arte teccip ipaz azio ion ne en entu tussia iast stic ica a e volontaria al potere. La massa è perciò invitata cont co ntin inua uame ment nte e non non solo solo ad ob obbe bedi dire re ma ad imitare il capo: "agisci in modo che se il Führer ti vedess ved esse e approv approvere erebbe bbe la tua azion azione". e". I reg regimi imi totalit tot alitari ari mis misero ero in pratic pratica a questi questi ins inseg egnam nament entii organizzando continuamente cerimonie e riti che facilitassero questa immedesimazione tra capo e folla, come le grandi adunate di Norimberga, le sfilate sulla piazza rossa a Mosca e i discorsi di Mussolini da piazza Venezia. Lo scopo di tali celebrazioni era quello di far  sent se ntir ire e le mass masse e pa part rtec ecip ipii de delllla a po pote tenz nza a e de deii prog proget ettiti de dell cap apo, o, di forn fornir ire e lo loro ro l'impressione di poter magicamente assorbirne la forza, di vedersi riconosciuto un ruolo attivo att ivo nella nella cos costruz truzion ione e dello dello stato stato tot totalit alitari ario. o. Nel Nelle le gra grandi ndi cel celebr ebrazi azioni oni,, l'i l'indi ndivid viduo uo massificato, della epropria veniva coinvolto inquasi un rituale di stesso unione sacrale e mistica con privato il suo capo vivevaidentità, l'ebbrezza di innalzarsi al suo livello. In real realtà tà,, qu ques est't'es esal alta tazi zion one e deri deriva vant nte e da dall' ll'un unio ione ne mi mist stic ica a co con n il ca capo po co cont ntrib ribui uiva va ad asso as sogg gget etta tare re se semp mpre re più più la ma mass ssa a al ca capo po,, pe perc rché hé ci cias ascu cun n es espo pone nent nte e de delllla a folla folla sperimentava l'insignificanza della propria esistenza in rapporto con quella del condottiero. Più il capo era ritenuto una persona eccezionale, più il Noi, composto di tanti soggetti con un Io debole, poteva essere sacrificato alla sua causa. La vita di un anonimo appartenente alla massa non solo era sacrificabile per realizzare il progetto del capo, ma addirittura la morte volontaria per la causa era considerata la più grande delle virtù (come nel caso dei kamikaze). Il fascismo impose dunque un modello di virtù in cui si lodava principalmente la disciplina, l'obbedienza, il senso del dovere e la necessità di raggiungere uno scopo: l'eroismo, il sacrificio di sé, l'annullamento totale del proprio io, "regalato" al proprio DuceFührer. Le Bon aveva riconosciuto il bisogno delle masse di essere inserite in un mondo condiviso di simboli e di speranze, in una comunità - anche folle quale quella nazi-fascicomunista - ma in cui forti siano i legami con gli altri uomini e che siano retti da una forte ideologia comune. Ecco, a proposito, cosa scriveva Hitler nel suo "Mein Kampf" riguardo a come intendeva avvalersi degli espedienti della propaganda: "Le masse non sanno cosa farsi della libertà e, dovendone portare il peso, si sentono come abbandonate. Esse non si avvedono di essere terrorizzate spiritualmente e private della libertà e ammirano solo la forza, la brutalità e i suoi scopi, disposti a sottomettersi. Capiscono a fatica e lentam len tament ente, e, men mentre tre diment dimentica icano no con fac facilit ilità". à". Pertan Pertanto, to, la propaganda efficace deve limitarsi a poche parole d'ordine martellate ininterrottamente finché entrino in quelle teste e vi sieque fiss isntem sinemen o ente ste, al,dasi mentras e. form "Qu Qual als ias i ualm bugi bulmen gia, a, riverit petu tuta fr freq uent trtasfo rmer erà àsia grad grsadua ente tesein ripe ve rità àta ". (Hitler-Goebbels). Si è parlato bene quando anche il meno

 

recettivo ha capito e ha imparato. Sacrificando questo principio fondamentale e cercando di diventare versatili si perde l'effetto, " perché   perché le masse non sono capaci di assorbire il  materiale, né di ritenerlo". ritenerlo". (…) Hitler era capace in un discorso di 40 minuti, di ripetere 26  volte, la stessa stessa frase semplice semplice che strapp strappava ava gli appla applausi, usi, eccitav eccitava a gli animi e proie proiettava ttava su di lui i propri latenti desideri cui aveva tolto il "coperchio". La frase, anzi la parola, era sempre la stessa: il "Popolo" vuole, il "Popolo" mi ama, Il "Popolo" brama, il "Popolo"  aspetta, il "Popolo" è impaziente", il "Popolo" pretende, il "Popolo" desidera", il "Popolo" è  pronto", il "Popolo" lotterà fino alla morte. "... e questi sanno che basta apostrofare la folla chiamandola “il popolo” per indurla a malvagità reazionarie. Che cosa non si è fatto davanti ai nostri occhi, o anche non proprio davanti ai nostri occhi in “nome del popolo” . (…) (Thomas Mann). Per imporre i suoi programmi, Stalin scriveva invece: "La " La Libertà? Solo gli illusi e i forti vivono in questa fede. Ma l'umanità è debole ed ha bisogno di pane e ". Notevole la corrispondenza con le parole di Dostoievsky, quando il Grande autorità". autorità Inquisitore dei Fratelli Karamazov si rivolge al Cristo reincarnato: "E " E gli uomini furono felici  di essere di nuovo condotti come un gregge e che il loro cuore era stato infine alleggerito d'un dono così terribile (della libertà) che aveva loro causato tanti tormenti ". ". (…) Per (…) Per co cont ntro rolla llare re gli gli uo uomi mini ni occo occorr rre e mani manipo pola lare re i lo loro ro [istinti e le loro emozioni] e non già tentar di correggere il loro modo di ragionare. È questo un fatto ben noto a molti uomi uo mini ni po polit litic ici,i, ch che e so sogl glio iono no pe pers rsua uade dere re i lo loro ro el elet etto tori ri face fa cend ndo o le leva va su suii che lo loro ronon sent sentime iment ntii pi più ùascoltati che che ri rico corre ndo o [ad [alod argomenti logici], sarebbero o rrend che, per meno, non basterebbero in nessun caso a commuovere le folle". Il dottor Bryson, docente di antropologia sociale, disse ai convenuti: "Se voi siete dei social engineers, tengo ad avvertirvi che è indispensabile un’analisi preliminare dei tre livelli in cui, in una società come la nostra, si manifesta l'as l'asse sens nso" o".. Il pr prim imo, o, eg eglili di diss sse, e, è la natu natura ra uman umana; a; e aggiunse che qui ben poco si poteva fare per "manipolare" la gente. Il secondo livello è quello culturale, dove si formano, e si modificano, le idee del pubblico. Il terzo livello è la zona in cui l'individuo opera le sue scelte, le quali sono spesso determinate da impulsi che non hanno alcun fondamento razionale. A questo livello, "è relativamente facile manipolare gli uomini". Se, invece, intendete modificare le loro idee, "dovete operare sul secondo livello", ricorrendo "a pressioni psicologiche, a tecniche e a ritrovati del tutto diversi da quelli impiegati per il terzo livello". (…) Sempre nel 1953, la stessa rivista dedicò due lunghi articoli ad un congresso nel quale erano stati esaminati "gli stretti legami che apparentano le publicrelati rel ations ons all alle e sc scien ienze ze soc social iali". i". Le due rel relazi azioni oni ven veniva ivano no pre presen sentat tate e dal dalla la rivist rivista a nei seguenti termini: "Le scienze sociali hanno trovato la soluzione - e ora non ci resta che impadronircene - a molti dei problemi coi quali stiamo da tempo lottando senza successo". Due eminenti studiosi, il dottor Rensis Likert, direttore dell'Istituto degli Studi Sociali dell'U del l'Univ nivers ersità ità del Mic Michig higan, an, e il dottor dottor Samue Samuell Sto Stouff uffer, er, dir dirett ettore ore de dell Lab Labora orator torio io di Relazioni Sociali dell'Università di Harvard, si incaricarono di insegnare agli interessati il modo di "impadronirsi " di queste soluzioni. Stouffer esordì affermando che era per lui un grande onore parlare ad un pubblico di "professionisti delle human relations ", e proseguì enunciando un postulato fondamentale: il comportamento degli uomini si controlla più facilmente loro emozioni che attraverso il loro sul intelletto. Aggiunse che al laboratorio attraverso di Harvard le "erano in corso studi particolareggiati problema della paura in relazione alla teoria dell'apprendimento". E promise che negli anni a venire gli esperti di

 

PR avrebbero trovato nel materiale raccolto "preziose indicazioni pratiche". Il dottor Likert intrattenne invece i convenuti sui moventi e sul modo di influenzare il comportamento del pubblico "ritoccando le forze motivazionali che operano sugli individui. (…). Packard Vance, I persuasori occulti Penso, dunque non sono. L'individuo manipolato Personal identity (philosophy) - Wikipedia

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