Henry Lincoln - Il Codice Segreto Della Croce
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HENRY LINCOLN
IL CODICE SEGRETO DELLA CROCE
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A mon cher ami Michel, qui trouva Le Tomple.
PARTE PRIMA
La ricerca Introduzione A TUTTI piace un bel giallo. E quando il giallo non è opera di fantasia, ma è ambientato in luoghi e tempi reali e i suoi protagonisti sono persone reali, allora al fascino della narrazione si aggiunge il desiderio di conoscere «la verità». Quando poi non solo la storia è arricchita da un tesoro sepolto e gli eventi non sono avvolti nell'aura del remoto - nel tempo e nello spazio - ma si sono verificati nel passato recente e in una località facilmente accessibile, allora la seduzione diventa pressoché irresistibile. Il mistero di Rennes-le-Château cominciò così. Nel diciannovesimo secolo, un prete squattrinato di un paesino francese trova qualcosa, a quanto pare, nell'interno della sua chiesa. Improvvisamente, è ricco. Quel che è certo è che comincia a spendere forti somme di denaro. Di conseguenza, dice la gente, deve aver trovato un tesoro. Nel 1969 mi proposi di risolvere il mistero. Mi sembrava una caccia al tesoro appassionante e ben localizzata. Dopo quasi un trentennio ho al mio attivo quattro documentari e tre libri che hanno reso il piccolo villaggio dei Pirenei famoso in tutto il mondo. Oggi a Rennes-le-Château arrivano turisti da ogni parte del pianeta. Alcuni sono interessati, altri affascinati. Altri ancora sono ossessionati, desiderosi di credere, impegnati nella ricerca di un proprio Santo Graal personale; qualcuno di quello vero. Le distorsioni generate da un soggettivo non-ragionare hanno attribuito alla piccola cima montuosa tutta una serie di «tesori»: dalle ricchezze perdute dei templari ai dischi volanti sepolti, al corpo mummificato di Gesù Cristo. Ma la cosa più curiosa è stato il desiderio ardente di alcuni di dimostrare -o almeno di sostenere che tutta questa storia è un imbroglio. Oggi infatti non si tratta più della semplice e mondana ricerca del tesoro del sacerdote. Bérenger Saunière. Quella «semplice» caccia si è trasformata nella volontà di capire qualcosa di molto più profondo. Rennes-le-Château ha dimostrato di essere essa stessa un mistero. Un luogo sacro, prescelto e a quanto sembra venerato dai nostri lontani antenati. Prescelto, oltre tutto, con una perizia e un'esperienza che noi, i loro «illuminati» discendenti, non immaginavamo possedessero. Come mai l'inaspettato - il notevole, l'inedito - provoca tanta inquietudine e tanto disagio? Perché qualcuno desidera tanto che ciò che non è familiare sia anche non vero? Sostenere che le stupefacenti scoperte che sono state fatte non hanno alcun fondamento significa negare fatti empiricamente dimostrabili. Affermare che l'insieme straordinario e recente di dati non sia che il risultato di coincidenze prive di significato denota una precisa volontà di non riconoscere che il passato potrebbe avere ancora sorprendenti lezioni da impartirci. Questa volontà di negare si 2
va facendo negli ultimi tempi sempre più esplicita. Qualcuno ha cominciato a diffondere le più bizzarre spiegazioni su come avrei «inventato» la storia o sul fatto che i suoi dettagli mi sarebbero stati «forniti» da oscure e misteriose éminences grises. Ho deciso perciò che è arrivato il momento di raccontare come si è dipanato il filo di questa storia. La vicenda è piuttosto pittoresca, anche senza le congetture e le fantasie di alcuni dei miei commentatori. L'abbondanza di appunti, diari, fotografie e documenti che ho raccolto in anni di ricerche e di riprese filmate, mi hanno permesso di ripercorrere i miei passi per tutto il lungo itinerario, con le sue tante deviazioni e i suoi numerosi ostacoli. Spero che questa ricapitolazione dimostri che la logica degli elementi documentali conduca spontaneamente alla sua ultima e ineluttabile conclusione. Una conclusione che è forse più sorprendente del mistero di partenza. Una conclusione, oltre tutto, che è a sua volta un inizio, perché conoscere non vuol dire inevitabilmente capire. Spero soprattutto che il racconto, spogliato dalle aspettative interessate, dalle illusioni e dalle false ricostruzioni a cui è stato sottoposto, si riveli appassionante. Il grande geografo Alexander von Humboldt dice: «Una cosa nuova all'inizio viene negata. Poi sminuita. Infine si decide che la si conosceva da sempre». Negli ultimi trent'anni ho spinto questa storia verso la seconda di queste fasi. Sarò felice se questo libro contribuirà a farla avanzare verso la terza. * * *
«Ma tu sei matta», dissi. Patricia e Cécile si erano viste l'ultima volta alla fine delle superiori. Era passato più di un decennio e la loro amicizia era andata avanti solo grazie a un regolare scambio epistolare. «Un giorno dobbiamo rivederci», era stato il costante leitmotiv nelle loro lettere. Ma ora le due ragazze avevano ciascuna un marito e una schiera di figli, cinque francesi e quattro inglesi. Ora - avevano deciso - era il momento che le due famiglie passassero insieme le vacanze estive. «Ma chi ci assicura che andremo d'accordo con Michel?» protestai. «Chi ci dice che i ragazzi non si odieranno a prima vista? Rimarremo intrappolati in una fattoria francese per un mese. E potremmo ritrovarci con una terza guerra mondiale minorile.» Ma ormai ci eravamo impegnati. Michel e Cécile avevano già prenotato la fattoria. Si chiamava Le Tomple: al momento non me ne resi conto, ma non avrebbe potuto avere un nome più adatto come punto di partenza verso un futuro del tutto inatteso. Prevedendo quello che sarebbe stato un mio bisogno assolutamente indiscutibile, mi procurai una scorta di tascabili in cui contavo di trovare una via di scampo da nove ragazzini scatenati e una coppia di francesi che non conoscevo meglio di quanto conoscessi il generale de Gaulle. Sta di fatto che il miracolo si verificò. Quanto a Patricia e Cécile, risultò che la loro amicizia era sopravvissuta intatta. Michel e io andammo d'accordo fin dal primo momento. E i bambini, comunicando senza sforzo in uno strano patois anglofrancese di loro invenzione, formarono da subito un'avventurosa e felice tribù. Di tutti i miei libri, trovai il tempo di leggerne uno solo. Si intitolava Le Trésor Maudit; l'autore era Gerard de Sède. E mi aprì la porta a un lavoro che mi avrebbe impegnato tutta la vita.
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1 Agosto 1969: estate nelle Cévennes I BAMBINI sguazzano strillando e dando la caccia a immaginarie vipere nel ruscello che scorre accanto alla casa. Michel ha accompagnato le signore al villaggio alla ricerca di materie prime per cucinare. Io svolgo la mia funzione di babysitter all'ombra degli ippocastani, sfogliando assonnato il mio libro, Le Trésor Maudit, il tesoro maledetto. È un buon titolo per una lettura estiva disimpegnata. Lentamente, mi accorgo che comincio a sentirmi pungolato dalle domande che il testo pone e lascia senza risposta. Tanto che comincio, anzi, a chiedermi perché alcuni dei quesiti sono stati sollevati, mentre altri, più fondamentali, non sono nemmeno accennati. Il sole manda riflessi abbaglianti dall'acqua dove giocano i bambini. Mi stropiccio gli occhi e scruto la pagina che ho davanti. È la riproduzione di una delle misteriose pergamene che dovrebbero contenere gli indizi relativi al «tesoro maledetto», un tesoro che attende di essere scoperto in qualche luogo dei Pirenei. Fisso vacuamente la pagina, sentendo il sonno che arriva. Improvvisamente mi sveglio di soprassalto. Gli ippocastani sono scomparsi, le voci dei bambini sono sfumate. L'unica cosa di cui ho coscienza è la strana scritta presente sulla pergamena. Improvvisamente riesco a vedere il messaggio. È lì... è semplice... un codice da boy scout. Mi metto a decifrarlo. «Questo tesoro appartiene a...» Ma... è troppo semplice. Perché l'autore del mio tascabile non dice niente in proposito? È strano ed elettrizzante - che non riveli nessun dettaglio importante. È impossibile che non se ne sia accorto. Allude a un cifrario molto più complesso che aspetta ancora di essere scoperto. Se solo lo ha guardato, deve averlo trovato. Dopotutto, quello che ho scoperto io è soltanto una carota che mi viene fatta pendere davanti al naso: uno stimolo. Qualcosa che dice: «Sei sulla strada giusta. Sì, ci sono dei messaggi nascosti. Continua a cercare». Cerco. Conto le lettere. Provo a leggerle a ritroso, poi verticalmente, poi una sì e una no, poi una ogni tre. Ma il sole è cocente. Sento un grido e qualcosa piomba nell'erba accanto a me. Una boccia. I bambini hanno abbandonato il ruscello e corro il rischio imminente di essere tramortito da un missile della sovreccitata partita di pétanque che ha avuto inizio. «Scusa. Non avevamo visto che stavi lavorando.» Lavorando? Be', hanno ragione. Il mio notes onnipresente è già coperto di appunti scarabocchiati. Abbandono Le Trésor Maudit. Dopotutto sono in vacanza, dovrei essere in vacanza. Ma mi conosco. Non è il genere di puzzle che riuscirò ad abbandonare. Dopo cena sediamo sotto il pergolato di vite sulla piccola terrazza, lo sguardo perso verso la «nostra» pacifica valle deserta. I nove bambini continuano a spendere le loro energie illimitate lungo il ruscello, comunicando in quella straordinaria, ma per loro perfettamente comprensibile, miscela delle due lingue. La conversazione di noi adulti è leggera, disinvolta, e al tempo stesso assorta e attenta. Gli inizi di quella che diventerà una profonda amicizia si stanno sviluppando. Crescerà anno per anno nelle brevi e scarse settimane estive che d'ora in poi trascorreremo insieme. Queste conversazioni dopo cena sono dedicate a ricostruire le vicende degli ultimi anni; esplorare i pensieri, le reazioni, i sentimenti reciproci; formare un magazzino di ricordi a cui attingere fino alle prossime grandes vacances - e forse avviare un veicolo di interessi comuni che potremo inserire nelle lettere che ci scriveremo nel corso dell'inverno. La mia «scoperta» del pomeriggio è un argomento inevitabile. Mostro loro il libro, racconto che ho trovato un messaggio nella pergamena, un messaggio che l'autore non rivela. Cécile è una fanatica di cruciverba, so che questo genere di giochi la attira irresistibilmente. Lei e Michel non impiegano più di me a decifrare il codice, una volta che ho spiegato qual è la chiave. Patricia, come prevedevo, è più interessata alla storia che lo circonda che all'enigma in sé. Faccio una breve sintesi 4
del curioso racconto dell'oro perduto di Rennes-le-Château, così come l'ho appreso dal libro. I bambini tornano dal gioco e si siedono ad ascoltare. Il mio maggiore mi chiede se è «qualcosa di nuovo» che sto preparando per la TV dei ragazzi. È l'unico abbastanza grande da ricordare il serial sulla caccia al tesoro, una storia inventata, che scrissi qualche anno fa. I ragazzini sgranano gli occhi quando rispondo: «No. Questa volta il tesoro sembra esserci davvero». Un tesoro sepolto! Un vero tesoro sepolto - e papà ha risolto uno degli indizi! I bambini esaminano le mie deduzioni, poi si immergono tutti insieme nel libro per vedere che cosa riescono a cavarne. Qualcuno chiede se ho intenzione di scrivere un programma sull'argomento. In questa fase non ho certamente in mente niente del genere. Ma l'idea è stata seminata - ed è destinata a germogliare. Per il resto delle vacanze Le Trésor Maudit passa di mano in mano. Tutti sperano di essere i primi a trovare il prossimo indizio. Ma non viene fuori niente. Con la fine dell'estate nelle Cévennes, il viaggio con i nostri amici fino alla loro deliziosa cittadina di Vendòme, sulla Loira, e poi la triste separazione fino all'anno prossimo - tutto mi riporta al mio «ordinario» mondo pressante della televisione. Le Trésor Maudit sta diventando uno dei tanti piccoli ricordi di vacanza. La «realtà» delle sceneggiature e delle scadenze sta per riprendere il sopravvento. Ma... in un angolo della mia mente resta sempre quel libro con la sua strana storia raccontata a metà. Una volta o l'altra dovrò tornarci su.
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2 1970: «Chronicle» PER più di un anno la storia rimane a fermentare sul fondo della mia mente. Ogni tanto riprendo il libro e mi diverto per una o due ore, tentando di risolvere l'enigma. Ma mi rendo conto sempre più chiaramente che sono necessarie delle ricerche - e piuttosto approfondite - se voglio trovare qualche risposta alle domande che si vanno moltiplicando rapidamente nella mia testa. Poi, mi capita tra le mani un'edizione rilegata del libro. Ora dispongo di fotografie del villaggio, della gente, della campagna, della strana chiesa dove furono ritrovate le pergamene. Questo nuovo materiale visivo e le stesse didascalie delle immagini sollevano tutta una nuova selva di interrogativi. L'idea di un programma televisivo sulla storia comincia a prendere corpo con una certa solidità. Certo, se il mistero potesse trasferirsi dalla sezione «divertimento» della mia vita a quella «lavoro», la cosa mi offrirebbe l'opportunità di effettuare le necessarie ricerche. Non dovrei più sentirmi in colpa quando permetto alla vicenda di occupare del tempo che dovrei impiegare più «produttivamente». Ma finora i miei testi sono stati dedicati al mondo di fantasia delle serie televisive. Questo programma - ancora più improbabile di alcune delle mie più improbabili trame deve essere trattato in maniera fattuale. Un documentario è l'unico approccio possibile. Chronicle, il programma della BBC, sembrerebbe la collocazione giusta per questa storia. Chronicle si occupa di argomenti di interesse storico e archeologico; indaga su opere attuali ed esplora storie, personaggi ed eventi interessanti del passato. Il responsabile della trasmissione è Paul Johnstone. Fortunatamente, conosco Paul da anni, anche se non abbiamo mai lavorato insieme. Telefono al suo ufficio e prendo un appuntamento «per due chiacchiere su un'idea di un possibile programma». Mi rendo conto che molti degli aspetti vagamente sensazionalistici e congetturali della questione non sono adatti alla formula di Chronicle, ma la storia e lo sfondo sembrano di sufficiente interesse. E sono certo che la mia decifrazione del codice «da scolaretti» della pergamena verrebbe visualizzata splendidamente sul piccolo schermo. E così, a metà novembre 1970, mi trovo accomodato nell'ufficio di Paul davanti a una tazza di caffè e una lista di una mezza dozzina di note. I fatti, così come ho bisogno di riferirli in questa fase, sono relativamente semplici. (Il quarto di secolo e più che è passato nel frattempo ha introdotto molti mutamenti in quei «fatti» di base. Al tempo di questo primo colloquio sapevo poco di più di quanto aveva scritto de Sède.) Nel 1891, Bérenger Saunière, giovane prete spiantato del piccolo villaggio francese di Rennesle-Château, trovò quattro pergamene in un pilastro cavo della sua chiesa. Poco dopo la scoperta fece un viaggio a Parigi per consultare alcuni esperti sul contenuto dei misteriosi documenti. Da quel momento, e per i venticinque anni fino alla sua morte, avvenuta nel 1917, il sacerdote condusse una vita da milionario. Comperò terre, costruì case, rinnovò la sua chiesa, elargì doni eccetera eccetera. Furono le pergamene a condurlo alla scoperta di un tesoro? In qualche modo riuscì a impadronirsene e a sfruttarlo? E - cosa più importante dal punto di vista di un'eventuale puntata di Chronicle - in che cosa poteva consistere il tesoro? Ovviamente, questo è l'aspetto su cui le domande di Paul sono più serrate. Delineo il percorso storico che andrà seguito. Questo fornisce una risposta davvero sorprendente rispetto alla questione della composizione del tesoro. E fornisce il titolo che suggerisco per il programma: Il tesoro perduto di Gerusalemme...? Ma Paul troppe volte è stato seduto alla sua scrivania ad ascoltare teorie altrettanto sorprendenti ma totalmente infondate. Una domanda fondamentale reclama ancora una risposta. Anche ammettendo che si possa trarre un caso storicamente valido dalla teoria che un paesino francese sia il luogo dov'è nascosto un importantissimo tesoro storico, è abbastanza per costruirvi un programma televisivo? Non sempre le teorie si possono trasformare in immagini. E qui interviene il mio pezzo forte. Mostro a Paul una copia di una delle misteriose pergamene riprodotte nel mio ormai consunto tascabile. Il testo è in latino - chiaro e privo di ambiguità -, un 6
passo dal Vangelo di Giovanni. Lo esamina per qualche momento, poi alza lo sguardo su di me con un som-setto: «Forza, Hen. Tira fuori il tuo asso nella manica». Gli espongo la semplice chiave del messaggio nascosto e lo lascio a lavorarci su da solo. Un paio di minuti di silenzio mentre Paul traffica con le lettere, poi legge il risultato. À DAGOBERT II ROI ET À SION EST CE TRÉSOR ET IL EST LA MORT (Questo tesoro appartiene a re Dagoberto II e a Sion e luì è lì morto). «Guarda guarda...» «Interessante, eh?» «Decisamente, ragazzo mio.» «E la decifrazione costituirà una splendida sequenza di animazione.» «Sta bene. C'è abbastanza per azzardare una gita a Parigi. Parliamo con l'autore del tuo libro. Se ci sembra che la cosa continui a stare in piedi, penseremo alla possibilità di un programma.»
La pergamena con il messaggio di Dagoberto.
Settimana di Natale 1970: Parigi Gerard de Sède, l'autore francese, è stato rintracciato e ha accettato di parlare con noi. Il lunedì parto, dopo aver concordato un incontro alle Deux magots, un caffè dalle parti di St Sulpice. Paul mi raggiungerà il martedì. Mi avvio alle Deux magots per l'appuntamento alle sei e mezzo. Parigi è più bella che mai e, nella settimana di Natale, l'aria di festa accresce il senso di eccitazione che provo all'idea di quello che potrebbe rivelarsi l'inizio di un progetto interessante e appassionante. Al bar, domando a uno dei camerieri e
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La seconda pergamena.
de Sède mi viene indicato. È un uomo ben piazzato, nero di capelli, con un viso aperto e un paio di occhi interrogativi. Alza lo sguardo mentre mi avvicino al suo tavolo e sorride. «M. Lincoln...?» Le brevi formalità sono presto superate, fa la sua comparsa del vino e cominciamo a sondarci a vicenda. Anche lui come me è uno scrittore professionista e quindi non può non essere interessato alla possibilità che la BBC intenda servirsi della sua collaborazione per un programma basato sul suo Trésor Maudit. Esprime la sua disponibilità e parliamo in termini generali su come intendo organizzare il programma. Questo mi porta più vicino a una delle domande chiave che non vedo l'ora di porgli fin da quando, all'ombra dell'ippocastano delle Céven-nes, ho visto con tanta chiarezza il «messaggio nascosto». L'inevitabile formalismo iniziale si è allentato. Ora siamo due scrittori impegnati in una discussione professionale. Mi sembra che il momento sia quello giusto e pongo la mia domanda: «M. de Sède, come mai non ha pubblicato il messaggio della pergamena?» Ed ecco che compare la prima delle strane e vaghe indicazioni del fatto che la storia del tesoro di Rennes-le-Château non potrà essere un servizio televisivo di tutto riposo. Mi guarda per un momento. Segue una pausa appena percepibile. Poi: «Quale messaggio...?» Improvvisamente mi 8
sento come riluttante a parlare esplicitamente del messaggio. «Quel messaggio che è così facile da trovare.» Siamo entrambi consapevoli della schermaglia che ha avuto inizio. Continuiamo il gioco, di fioretto ancora per un po' finché tutti e due siamo ben certi che stiamo parlando dello stesso messaggio - che lo conosciamo entrambi - e che ciascuno sa che l'altro lo sa. «Perché non lo ha pubblicato?» Un'altra pausa. Infine mi arriva la risposta. «Perché pensavamo che potesse essere interessante che qualcuno come lei lo trovasse da solo.» Che diavolo può voler dire? E, pensavamo? Chi? Qualcosa mi suggerisce che per il momento è meglio che non insista su questa stranezza. Dopotutto questo è solo un incontro preliminare, per conoscerci, per capire chi siamo. Gli mostro invece un'altra piccola decifrazione su cui mi sono cimentato. Una decifrazione che non prendo particolarmente sul serio ma che è ugualmente interessante. * Si basa sulla riproduzione, nel libro di de Sède, di una stranissima iscrizione che un tempo si trovava su una tomba nel cimitero di Rennes-le-Château. La mia interpretazione della lapide sembra coglierlo totalmente di sorpresa. È evidente che la cosa gli giunge nuova. Si sviluppa un'animata discussione sulla validità e l'importanza della mia lettura. Alla fine ci separiamo abbastanza cordialmente, dopo aver fissato un appuntamento a pranzo per l'indomani, quando da Londra arriverà anche Paul. C'è qualcosa di alquanto irreale nell'incontro di martedì. De Sède trova divertente l'idea di pranzare in un pub inglese, e così ci incontriamo al Red Lion, il locale aperto da poco sugli Champs Elysées. Pinte di birra scura e cosciotto di montone... una discussione un po' in francese un po' in inglese, sul problema di presentare una storia francesissima negli inglesissimi termini della BBC. Mentre sono al bancone a ordinare altra birra, mi trovo a riflettere che deve trattarsi di un preassaggio dell'ingresso della Gran Bretagna nel Mercato Comune. Ah, be'... immagino che debba essere un onore fare da battistrada... eppure avrei tanto desiderato l'intimità di un bistrot parigino e una bottiglia di vino come si deve. Nel corso del pranzo de Sède ci mostra della nuova documentazione sulla storia. Paul ascolta e pone le sue attente domande mentre io archivio nella mente le nuove informazioni. Come previsto, quando ci congediamo, Paul promette di mettersi in contatto con de Sède «appena sarà presa una decisione». Paul si ferma a Parigi per altri progetti di Chronicle. Beviamo insieme una tazza di tè veloce prima che io corra all'aeroporto e lui formula qualche piccola perplessità che ha ancora in mente. Nonostante queste riserve, vediamo entrambi la possibilità di un servizio di venti minuti da inserire in un programma contenitore. Restiamo d'accordo di riflettere sui problemi e di rivederci al ritorno di Paul a Londra. Se la decisione sarà un sì, comporterà un'attività frenetica per prepararci a girare all'inizio della primavera. Sul volo per Londra, ho per la prima volta l'opportunità di considerare la cosa con calma. Improvvisamente mi rendo conto in che cosa mi sto cacciando. Questo non è un testo di fantasia. Non posso rigirare la storia in modo da adattarla alle mie esigenze. Non si può modificare la trama per aggirare le difficoltà. Questa storia dev'essere raccontata in termini spettacolari ma rigidamente fissati all'interno di una cornice di fatti noti e dimostrabili, di un'ipotesi ragionevole. Qui non c'è spazio per barare. C'è una quantità di lavoro da fare... e non ho ancora visto il villaggio che costituirà la nostra ambientazione principale. Due giorni dopo, alla vigilia di Natale, Paul rientra a Londra. Mi telefona. «Adesso che abbiamo avuto modo tutti e due di dormirci sopra, cosa ne pensi della storia di Rennes-le-Château?» «Sono ancora dell'idea che possa funzionare, Paul. Molto dipende dalle location e dal materiale visivo che riusciamo a raccogliere.» «Sono d'accordo. Progettiamo un servizio tra i venti minuti e la mezz'ora. Vieni in ufficio la settimana prossima; ti farò conoscere il giovanotto che lo dirigerà. Giovane, entusiasta... ti piacerà. Secondo me dovresti mettere in programma un giro di ricognizione al villaggio per l'inizio di * Per questa discutibile «decifrazione», vedi The Holy Place, pp. 49-50.
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febbraio. Cominceremo a girare a fine marzo.» «Così presto?» «Presto? Hai sei settimane intere per organizzare le cose. Buon Natale.» Riaggancio e tiro un profondo sospiro. Mi conviene cominciare a pensare a una prima stesura del copione. Dovrò avere qualcosa di cui discutere con il mio regista quando mi incontrerò con lui. Improvvisamente non si tratta più di chiacchierare. Ho un documentario da scrivere. Buon Natale, proprio! Le mie feste si tingono del mistero di Rennes-le-Château. Ciononostante mi godo ugualmente il solito cenone e lo scambio dei doni intorno all'albero decorato. Ma più tardi, nel pomeriggio, i familiari si accorgono della mia aria sempre più distratta e alla fine sguscio via per immergermi nelle mie carte. Nei mesi futuri si abitueranno a un padre che, benché fisicamente presente, sembra permanentemente lontano mille miglia. Già nei primissimi momenti, quando in pratica conosco ben poco della storia, mi riesce difficile scuotermi di dosso il mistero. È fin troppo facile permettergli di diventare un'ossessione. Appena le vacanze sono ufficialmente finite, ho il mio primo incontro con il regista. Andrew Maxwell-Hyslop è un giovane alto, attivo, intelligente. Con grande sollievo scopro che sa il francese e si è preso la briga di leggersi il libro di de Sède durante le vacanze di Natale. Non ho bisogno di perdere tempo a spiegargli la storia. Ha già una serie di domande da fare, a cui rispondo come meglio posso. Discutiamo di una possibile forma da dare al programma e gli prometto di preparare un abbozzo di script prima che facciamo il nostro sopralluogo - che viene fissato dal 19 al 24 febbraio. Lavorando sul testo comincio ad accorgermi dei problemi che comporta scrivere una storia vera ambientata in un'autentica località. Non posso inventarmi delle simpatiche immagini per mia comodità. L'ambientazione per il programma esiste già e tocca a me scrivere il testo in modo tale da sfruttare appieno quello che c'è. Mi trovo invischiato nel mare delle mie ignoranze. Quanto è grande esattamente Rennes-le-Château? Dove si trova la chiesa rispetto al castello? È possibile avere entrambe le costruzioni nella stessa inquadratura? E dove si trova, per esempio, la Poltrona del Diavolo - lo strano masso che a quanto sembra ha una qualche misteriosa valenza? È vicino al villaggio? O dovremo dedicare un'intera mezza giornata a raggiungerla, riprenderla e tornare indietro? Il tempo per le riprese sarà limitato. Se alcune delle località fossero eccessivamente lontane, potrei doverle eliminare dal testo. Una nuova messe di questioni puramente pratiche comincia a sorgere. E non c'è modo di trovare le risposte finché non avrò visto il villaggio con i miei occhi.
Febbraio-marzo 1971: il sopralluogo Percepisco l'eccitazione che ribolle sotto la superficie quando m'incontro con Andrew al terminal dell'aeroporto il pomeriggio del 19 febbraio. Per tutti e due, l'eccitazione si mescola con l'ansia di cominciare a lavorare... e con una certa trepidazione. Siamo in cammino sulla nostra strada, ma che cosa scopriremo? La BBC sta consentendo ad Andrew di provare per la prima volta a cimentarsi con le sue sole forze. Non ci sarà nessun veterano a tener d'occhio questa spedizione. Ma Paul pensa che con un «vecchio lupo» come me a tenergli compagnia, non dovrebbe presentarsi alcun serio problema. Il «vecchio lupo», però, non condivide del tutto la fiducia di Paul. Potrà anche essere il mio centoquattresimo testo per la TV, ma il soggetto riguarda un'area che mi è totalmente sconosciuta. Centotré sceneggiature di fiction non necessariamente ti insegnano a progettare un buon documentario. Soprattutto con una storia complessa come questa. In volo per Parigi, regista e autore si rendono perfettamente conto che potrebbe essere l'inizio di una vicenda assai impegnativa, in cui mettere alla prova le proprie capacità. Nessuno dei due può permettersi di fare pasticci con questo programma. 10
Il piano prevede una serata rilassata a Parigi prima di prendere il treno, domattina di buon'ora, per Tolosa, dove ci aspetterà una vettura a nolo. Ma sto per imparare che i viaggi all'estero con una quantità di lavoro da far stare dentro un tempo limitato, non sono mai semplici. Un piccolo contrattempo può trasformarsi in un grosso guaio - e i programmi possono saltare a causa di un cambiamento nelle condizioni del tempo. Imparerò a ringraziare Iddio per il mio particolare senso dell'umorismo. Il primo «nonsense» capita - anche se al momento non ce ne rendiamo conto - appena mettiamo piede sui marciapiedi di Parigi. È tardi. Io sono il primo a scendere dall'autobus dell'aeroporto e fermo un taxi mentre viene scaricato il bagaglio. Il taxi accosta, io prendo la mia borsa, Andrew la sua valigia e partiamo per il nostro hotel. Lasciamo il bagaglio in camera e usciamo a cercarci un ristorantino per una cena tranquilla. Verso l'una di notte, piacevolmente rilassati, torniamo in albergo. Mi preparo per andare a letto e improvvisamente Andrew scopre che non è in grado di aprire la sua valigia. Esaminiamo la chiave e la valigia. L'orribile verità si fa strada nella nostra mente. Non è la sua valigia. Stessa forma, stesso colore, ma indiscutibilmente non la stessa valigia. Andrew si accascia lentamente sul letto. «Tutti i miei appunti... la macchina fotografica... il mirino... Cosa diavolo possiamo fare?» «All'una e mezzo del mattino? Niente. Andarcene a letto e dormire.» «Ma Henry, non ti rendi conto? Qualcuno ha la mia valigia. Potrebbe essere in viaggio verso qualsiasi destinazione. Tutta la mia roba a questo punto potrebbe trovarsi dall'altro capo dell'Europa!» «Poco probabile. Chiunque sia, dev'essere rimasto accanto all'autobus aspettando che scaricassero la sua valigia. Quando tutto il bagaglio è stato ritirato, la tua valigia sarà rimasta lì. Lui - o lei - avrà capito cos'era successo. Il tuo bagaglio sarà chiuso nell'ufficio degli autobus del terminal. E ci scommetto che c'è un viaggiatore piuttosto seccato che sta sperando che ti accorga dell'errore e torni lì.» «Lo faccio subito.» «Adesso? È troppo tardi. Al massimo prova a telefonare, ma penso che troverai il terminal chiuso.» Infatti. Non c'è altro che possiamo fare fino alle sette e mezzo di domani mattina. Il nostro treno parte alle 8.57. Rimaniamo d'accordo che se si dovessero presentare difficoltà a recuperare la valigia di Andrew, io proseguirò da solo, prenderò l'automobile a Tolosa, proverò a fare qualche giro sul posto per conto mio e poi tornerò a prendere Andrew alla fine della giornata. Già adesso il nostro programma accuratamente studiato comincia a mostrarsi non troppo affidabile. Dopo una notte insonne, Andrew si precipita al terminal mentre io sistemo i conti dell'albergo e mi avvio alla Gare d'Austerlitz. Non mi attira per niente l'idea di un viaggio in treno di sette ore da solo, ma se non altro sto imparando una lezione preziosa. Con la storia di Rennes-le-Château niente sarà mai semplice e lineare. Nella circostanza, la valigia è effettivamente chiusa nell'ufficio degli autobus. Enormemente sollevato e con un'aria decisamente vivace nonostante la notte in bianco, Andrew arriva alla stazione perfettamente in tempo, stretto alla sua valigia e dopo aver lasciato un biglietto di profonde scuse all'altro sventurato viaggiatore. L'attraversamento della Francia in treno è piacevole ma faticoso. Alle quattro e mezzo del pomeriggio raggiungiamo Tolosa e ci mettiamo subito alla ricerca della nostra auto a nolo. Per fortuna l'ufficio della Hertz è adiacente alla stazione e mi accorgo, con un certo allarme, che l'ora di punta serale sta già cominciando. Non possiamo permetterci di aspettare che il traffico si riduca. Dobbiamo raggiungere Carcassonne, che è a quasi sessanta miglia. C'è una persona che dobbiamo vedere, possibilmente questa sera. Visto che io ho più esperienza a guidare «contromano», Andrew mi cede il volante. Improvvisamente mi rendo conto di altri problemi di natura pratica. Ho guidato, è vero, per molte miglia sul continente, ma sempre a bordo della mia auto, un'auto inglese. Ora, per la prima volta, mi tocca sondare i misteri del posto di guida a sinistra in una città che non conosco - e all'ora di punta. Prima, però, mi tocca risolvere un'altra difficoltà. La BBC non ha fornito la documentazione giusta 11
di autorizzazione per l'autonoleggio. Seguono complessi negoziati, ma dopo una mezz'oretta (altro tempo prezioso che se ne va), ci consegnano le chiavi e ci accompagnano alla macchina. E parcheggiata con un margine di spazio di qualche centimetro in una stretta traversa che immette direttamente nell'arteria principale di fronte alla stazione ferroviaria. Mi sistemo al volante, traffico con la leva del cambio con la mano destra, così poco abituata, e mi tuffo nel maelstrom del traffico. La commovente fede di Andrew nella mia capacità di risolvere ogni problema di auto, traffico e guida mi dà una certa dose di sicurezza. In un lasso di tempo sorprendentemente breve, grazie all'ispirata navigazione di Andrew e al suo occhio per i segnali, siamo fuori, sulla statale, al galoppo per Carcassonne. «Non si può morire senza aver visto Carcassonne», si dice, e da anni avevo deciso che un giorno o l'altro avrei fatto una visita a questa incredibile cittadella fortificata. E ora che ci sono, che sono diretto proprio lì, tutti i miei pensieri sono concentrati su un minuscolo anonimo paesino di montagna qualche miglio più su lungo la valle dell'Aude. Eppure, nella luce del tardo pomeriggio, la prima visione di Carcassonne è una scena che mozza il fiato. Mura, torri e torrette - una città medievale da fiaba che staglia il suo profilo sullo sfondo di un cielo verde e oro. Ci si sente quasi defraudati quando ci si accorge che l'improvviso scintillio sotto il massiccio portale d'accesso non viene da un riflesso di armature ma dai fari di un'auto. Il ventesimo secolo dimora incongruamente entro quelle mura imponenti. Andrew e io ci concediamo qualche minuto da «turisti». Facciamo fotografie, ammiriamo lo scenario e reagiamo in quel tipico modo euforico che prende tutti i viaggiatori che capitano per la prima volta in un posto come Carcassonne. Ma cinque minuti è il massimo che possiamo rubare. Abbiamo una lettera di presentazione per Mme Lily Devèze, che è guida storica della città antica e che sa tutto della storia della regione. Questa sera intendiamo solo presentarci e chiederle quando le sarebbe comodo concederci un'intervista. Ma non abbiamo fatto i conti con la sua generosa ospitalità. Solo qualche minuto, e ci troviamo sistemati in poltrona, godendoci un bicchiere di vino e la cordialità dell'accoglienza di Mme Devèze. Sì, sa qualcosa del «Mistero di Rennes-le-Château», anche se il villaggio non l'ha mai visitato. Le espongo alcune mie piccole preoccupazioni e le chiedo consiglio su un problema su cui sto riflettendo fin da quando abbiamo lasciato Londra. È indispensabile per noi vedere l'interno della chiesa, ma so che spesso nei paesini - soprattutto quelli più remoti e isolati - gli abitanti sono molto sospettosi nei confronti degli estranei. Rennes-le-Château ha sicuramente ricevuto la visita di un buon numero di cacciatori di tesori e sappiamo che non sono bene accetti. Che genere di accoglienza avremo noi due forestieri? È febbraio, e difficilmente potremo passare per due turisti capitati lì per caso. Se dovessimo trovarci davanti a porte chiuse, quale strategia ci consiglierebbe di adottare? La risposta è semplice. Mme Devèze, nella sua qualità di guida accreditata, dispone di documenti ufficiali che le danno libero accesso a tutti i monumenti pubblici. Con nostro enorme piacere, si offre di accompagnarci nella nostra prima visita a Rennes-le-Château. L'unica questione è: quando? Con il tempo limitato che abbiamo a disposizione, contavamo di recarci al villaggio come prima cosa domani mattina, domenica. Le sta bene. È libera e disposta a dedicare a noi là giornata.
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3 Rennes-le-Château: prime impressioni DOPO una confortevole notte in un piacevole hotel di Carcassonne, ci presentiamo alle dieci dalla nostra guida. Cinque minuti dopo siamo in viaggio. Finalmente tra poco vedrò Rennes-le-Château. Il viaggio di un'ora sembra un'adatta introduzione. Via via che ci addentriamo nella valle dell'Aude, salendo verso le lontane cime nevose dei Pirenei, il paesaggio si fa più selvaggio e aspro. La strada segue il fiume, curvando e serpeggiando lungo gole frastagliate di nuda roccia grigia. Le pendici fittamente alberate rasentano la strada, piene di ombre segrete sotto il sole splendente. Non è difficile credere che nei pressi, ma lontano dallo sguardo, si apra un impensato mondo di mistero. Passiamo per Limoux, una ridente cittadina dove si produce un delizioso vino bianco frizzante, La Blanquette de Limoux, che meriterebbe una fama molto maggiore di quella di cui gode oggi. Si prosegue quindi per Alet-les-Bains, molto più piccola e molto più graziosa di Limoux e con le rovine di un'imponente e antica cattedrale. E poi, finalmente, Couiza. Lo so che siamo quasi arrivati eppure, finora, non c'è stato nessun preavviso: nessuna lontana veduta di Rennes-le-Château, nessun segnale indicatore con il suo nome. Nessun segno che siamo ormai a pochi minuti da quello che dev'essere uno dei più curiosi villaggi della Francia. Rallento mentre entriamo in Couiza, svoltando a destra per la città, attraversando il ponte sul fiume quasi a passo d'uomo cercando il cartello che ci indichi la via per Rennes-le-Château. E, improvvisamente, eccolo lì. Una stradina prende a sinistra tra una parete rocciosa e un alto argine... RENNES-LECHÂTEAU - KM 4,4. Immediatamente la pendenza della strada comincia a crescere, tra i tornanti e le curve a gomito, stretta al fianco della montagna, mentre un panorama straordinario si apre davanti ai nostri occhi. A sud, la grande conca di una pianura, cinta in lontananza dalle colline e, dietro di loro, ancora più lontano, dai Pirenei, con le cime innevate nitidissime sotto la luce del sole. A est, molto più vicino - solo qualche miglio - sorge il Picco di Cardou, il «Nido d'Aquila», con gli strani affioramenti rocciosi frastagliati che spuntano dai suoi fianchi. Il fiume sotto di noi serpeggia verso Cardou. Dall'altro lato della valle, a nord, si trovano le enormi rovine del Castello di Coustaussa, un tempo a guardia dell'accesso alla valle. Ma a ogni curva della strada i nostri occhi puntano verso l'alto, aspettando la prima immagine di Rennes-le-Château. Un miglio. Due, continuiamo a salire e ancora non c'è segno del villaggio. Davvero è une ville perdue, una città perduta. Poi - del tutto inaspettatamente - una piccola torre fortificata spunta da una cima, sovrastando la valle. La torre sembra fuori posto. Non si è ancora inserita bene nel paesaggio. Sembra proprio quello che è: la stravaganza di un ricco. La riconosco immediatamente per averla già vista in fotografia. È la Torre di Magdala, fatta costruire dal personaggio principale della nostra storia, Bérenger Saunière, il povero prete di campagna che divenne «le Curé aux Milliards». Una curva e la torre è di nuovo scomparsa. Ancora qualche svolta ed ecco le case. Del tutto anonime - un tipico villaggio della Francia del sud. Tranne per il cartello sul muro. Rozzamente tracciato in lettere blu su uno sfondo bianco: FOUILLES INTERDITES, Vietati gli scavi. Gli scavi? Al turista casuale ignaro della leggenda del tesoro, deve presentarsi immediatamente l'interrogativo: cosa ci sarà mai da scavare tra questo gruppetto di casupole strette intorno alla loro chiesetta e al poco appariscente castello? Ma noi, che già conosciamo in parte questa storia sconcertante, siamo venuti qui - come tanti altri prima di noi - per trovare la risposta a questo interrogativo. Per verificare, sul suo territorio, se sia possibile farci un'idea sul personaggio Bérenger Saunière e districare quanto possibile del Mistero di Rennes-le-Château. Quando esco dall'ultima curva arrivando dentro il villaggio, mi sorprende scoprire quanto sia piccolo, e quanto apparentemente deserto. Le strade sono vuote e silenziose, salvo per una coppia di gatti che ci studia. Un piccolo cartello inchiodato a un muro ci indica dove parcheggiare. La freccia ci spedisce 13
su per una stradina, dove tra le fiancate dell'auto e i muri delle case restano solo pochi centimetri. Poi, improvvisamente, davanti a noi, vedo l'ingresso della chiesa. È molto più piccola di quanto avessi immaginato guardando le fotografie. Eppure, non è una delusione. Pochi metri prima di raggiungere la porta della chiesa, la strada svolta bruscamente a sinistra e ci troviamo a passare davanti alla Villa Bethania, un altro edificio che mi è familiare. È questa la grande casa costruita dall'Abbé Bérenger Saunière e in cui riceveva i suoi ospiti. Ora è diventata l’Hotel La Tour. Dietro la villa c'è il piccolo parcheggio, e alle sue spalle quella straordinaria stravaganza, la Torre di Magdala. Parcheggio l'auto e scendiamo per dare un'occhiata in giro. Alto sopra la valle, il paesino gode di un panorama di una bellezza stupefacente. In ogni direzione, ma soprattutto verso sud in direzione dei Pirenei, c'è una veduta che da sola giustificherebbe la lunga salita. Rennes-le-Château possiede due tesori: l'oro del curato e la sua posizione mozzafiato. Dal punto di vista del regista, questo è un sovrappiù di valore incalcolabile. Saunière, tutto sommato, sarebbe anche potuto essere il prete di una squallida parrocchia industriale. Un fondale più bello per la nostra storia non si potrebbe desiderare. Ma per quasi tutti i visitatori, il panorama ha un'importanza secondaria rispetto al mistero. E in questa prima visita devo riconoscere che la mia mente si distrae dalle bellezze paesaggistiche alla ricerca delle tracce di Bérenger Saunière. Mentre siamo ancora accanto all'auto, la porta di Villa Bethania si apre. Un uomo piccolo, nero di capelli, lindo e sorridente ci viene incontro: il primo essere umano che vediamo nel villaggio. Ecco una persona che diventerà un caro amico. Affascinante, affabile, colto e, ovviamente, preparatissimo sulla storia di Bérenger Saunière, quest'uomo è Henri Buthion, albergatore, l'attuale proprietario dell'Hotel La Tour. Mme Devèze, nel suo ruolo di guida, si assume il compito di occuparsi delle formalità. Stabilite le identità, mettiamo in programma un pranzo all'hotel dopo una ricognizione preliminare. I miei timori di difficoltà si rivelano infondati. M. Buthion procura le chiavi della chiesa e il nostro tour ha inizio. Nel suo dominio, è una guida perfetta. Nel paio d'anni dalla pubblicazione di Le Trésor Maudit si è abituato alla piccola schiera estiva di turisti francesi, ciascuno con la sua copia del libro e ciascuno con la sua teoria personale sull'ubicazione del tesoro del curato. Comunque, per il momento, non siamo alla ricerca del tesoro. Andrew e io cerchiamo le migliori angolazioni di ripresa e le migliori ambientazioni. Ci siamo già fatti una certa idea di alcune cose che vediamo dalle illustrazioni del libro di de Sède. Eppure, ancora una volta, dovrò accorgermi che anche le idee e le deduzioni che ho tratto da questo materiale, nonostante l'apparente semplicità, non sono totalmente affidabili. Le mie prime ore a Rennes-le-Château mi forniranno altre di queste curiose impalpabili indicazioni del fatto che la storia non sarà per nulla semplice. Prima di entrare in chiesa facciamo visita al piccolo camposanto. All'occhio di un inglese, come tutti i cimiteri francesi, presenta un che di estraneo. La nuda terra bruna e i fiori finti mostrano un'immagine lugubre della morte. Non c'è traccia del verde fascino e dell'ordinata quiete che si possono trovare in molti cimiteri di campagna in Inghilterra. In fondo, contro il muro, ci dice M. Buthion, c'è la tomba di Bérenger Saunière. Da lontano, mi sembra sangue della lampada presso l'altare. Henri Buthion accende le luci e immediatamente tutto brilla dei riflessi dell'oro. Tutt'intorno a noi c'è un'incredibile massa di minuziose decorazioni. Statue, dipinti, tutta la superficie delle pareti, tutto è dipinto e dove possibile dorato. L'effetto complessivo è soverchiarne e sconfina nel pacchiano. Qui non c'è alcuna delicatezza. Piuttosto, una clamorosa espressione di enorme vitalità, che scivola nel cattivo gusto, volgare, sì, ma che in qualche modo trasmette una strana attrazione. Nel suo fascino vistoso e aggressivo, sembra rispecchiare il carattere di Saunière. Forse è logico così. Tutta questa decorazione è stata fatta dietro sue indicazioni. Questo è il suo messaggio personale. Passiamo una mezz'ora a esaminare i dettagli. Comincio a stendere note e a fare fotografie. Andrew si concentra sui problemi registici degli angoli di ripresa e di illuminazione. Poi, mentre lui va fuori con gli altri per studiare le riprese esterne, io mi siedo su una delle panche. Qui, finalmente, ho la prima opportunità di starmene tranquillo ad assorbire l'atmosfera della chiesa di Bérenger 14
Saunière. Questi pochi momenti di silenzio e solitudine producono in me la scoperta finora più sorprendente e più imprevista. Il tentativo di assorbire l'atmosfera fallisce. L'atmosfera non c'è. Sono perplesso. Ogni costruzione antica - e in particolare ogni antico edificio di culto - che abbia mai visitato ha un suo particolare «sapore». Quel senso, puramente soggettivo ma non per questo meno tangibile, del passato; del peso degli anni che si sono accumulati sopra le pietre. Come molti di quelli che visitano per la prima volta questa chiesetta ormai famosa, mi ero quasi aspettato un'aria di minaccia, forse. O un senso di qualcosa di sinistro. O, come minimo, un senso di disagio. Di sicuro mi aspettavo che secoli di preghiere avessero lasciato il segno. Ma qui... niente. Il luogo è una tabula rasa. Inerte, morto; e le facce delle statue sono cieche e remote. I loro occhi dipinti guardano senza vedere. Non c'è nulla che possano vedere. La massa fantasmagorica e pacchiana dei dettagli spazza via ogni senso. Non c'è alcuna coerenza - neppure nelle quattordici Stazioni della Croce. Ogni dettaglio sembra a sé, come se ciascuno di essi avesse un suo significato separato da trasmettere, ma quanto ad atmosfera, niente. La chiesa resta muta e riempita di vuoto, come se fosse stata prosciugata. Alla fine mi rifugio nella viva luce di febbraio. Gli altri stanno guardando il pilastro visigoto nel cui interno cavo Saunière avrebbe trovato le misteriose pergamene. Il pilastro è stato spostato in un giardinetto davanti al portico della chiesa, dove funge da supporto per una statua della Madonna. Trasferito nuovamente nel 1994 nel museo locale per paura di atti vandalici (o peggio). Lo spostamento ha dato una nuova prova dell'inattendibilità delle informazioni di de Sède. La colonna non è cava. Lo stretto foro da incastro di riconoscerla. Il libro di de Sède ha una fotografia che, secondo la didascalia, rappresenta la tomba di Saunière accanto a uno scavo eseguito nel 1966. In primo piano nella foto si vede una grande tomba rettangolare; sullo sfondo una fossa profonda, quella dello scavo del 1966. Avevo immaginato che la tomba fosse quella di Saunière. Mi avvicino e immediatamente resto sorpreso vedendo che la lapide parla di tutta un'altra persona. M. Buthion si accorge della mia perplessità. Sorridendo indica un punto a qualche metro sulla mia destra. «È lì.» E difatti è quella l'ultima dimora del curato. Piccola: una semplice croce di pietra eretta sopra una lastra piatta posata accanto alla fossa. Spaccata, in parte invasa dalle erbacce; gli agenti atmosferici, e la terra e le foglie accumulate rendono l'iscrizione difficile da decifrare: «ICI REPOSE BÉRENGER SAUNIÈRE», ma è dall'altra parte della fossa che, fa capire la didascalia della foto, potrebbe essere un tentativo di «furto di tombe». Guardo di nuovo il libro e vedo che la tomba di Saunière non è neppure visibile nell'illustrazione. Un errore? Può darsi. Certamente è un'altra delle tante anomalie che comincio a raccogliere. (La semplice tomba di Saunière è oggi, inevitabilmente, un po' abbellita. La pietra è racchiusa in un blocco di cemento, dal quale un grande bassorilievo del buon curato guarda con aria interrogativa verso il basso.) Passiamo a visitare la chiesa. È dedicata a Maria Maddalena, che - a quanto ci dice la leggenda giunse in Francia portando la «vera Croce» e il Graal. La statua della santa, con la Croce e il Graal, sormonta il portale della chiesa. Sotto i suoi piedi, Saunière ha fatto incidere l'ammonizione: TERRIBILE EST LOCUS ISTE: questo luogo è terribile. (Alcuni visitatori di Rennes-le-Château vedono un significato sinistro in queste parole, che sono prese dalla Genesi, 28,17, e si riferiscono al luogo dove Giacobbe fece il sogno della scala che sale al cielo. La messa di dedicazione di una chiesa comincia con questa frase. L'ho vista anche sulla parete del Tempio del Monte a Gerusalemme. Più perplessità può lasciare un'altra frase incisa sul portico: DOMUS MEA DOMUS ORATIONIS VOCABITUR: la mia casa sarà detta la Casa della Preghiera. La citazione viene completata in Matteo, 21,13, dalle parole: «Ma tu ne hai fatto un covo di ladri».) Appena entrati, accanto alla porta, l'acquasantiera è sostenuta da un diavolo di notevole bruttezza. Orribile e deforme, il suo volto è contorto in un muto grido di odio. Imbattersi in lui all'improvviso dev'essere sicuramente uno choc. Ma anche in questo caso, le illustrazioni di de Sède ci hanno preparato e mi sorprende vedere quanto è piccolo. Me lo ero immaginato in grandezza naturale, mentre la sua statura è appena la metà della mia. Le dimensioni ridotte sembrano 15
diminuire la sua minaccia. L'interno della chiesa è molto esiguo e buio, con solo il luccicare rosso, sulla sua superficie è troppo piccolo per aver contenuto il tubo cavo al cui interno si sarebbero trovate le pergamene. Oggi al museo, come «vero» nascondiglio, è esposto un montante di legno della ringhiera di una scala. Ma anche questo, in mancanza di prove, è molto discutibile. Osservando l'intricata decorazione scolpita, mi colpisce l'incongruità delle nuove scritte che Saunière ha fatto incidere sulla sua superficie: PENITENCE PENITENCE e MISSION 1891. Non riesco a capire perché qualcuno dotato di un certo senso della storia, come apparentemente lo era Saunière, possa voler sfigurare in questo modo un oggetto così antico. Mi viene alla mente una spiegazione, curiosa ma semplice. Aggiungendo delle scritte, ha dato al pezzo un «alto» e un «basso». Ora c'è un solo modo giusto di considerare il pilastro come eretto. Che volesse farcelo vedere nel verso sbagliato? (Questa idea alquanto bislacca mi conduce in seguito ad approfondire le mie conoscenze sull'arte visigota e merovingia - di cui non so praticamente niente. La mia intuizione risulta probabilmente fondata quando scopro che la Croce incisa, accompagnata dall'Alfa e l'Omega, è un motivo ricorrente nell'arte visigota: e qui, effettivamente, l'iscrizione di Saunière fa sì che compaia capovolto. Un'altra stranezza.) A pranzo discutiamo della storia con Henri Buthion. È felicissimo dell'idea di fare un documentario per la BBC ed è abbastanza sicuro che riceveremo la piena collaborazione dagli abitanti del villaggio. Problemi e incertezze sembrano ridursi sempre di più. Continuiamo a discorrere mentre il pomeriggio scivola via. Il pranzo è troppo buono per consumarlo in tutta fretta e, oltre tutto, è importante guadagnarci la benevolenza di M. Buthion. È una miniera di aneddoti e storie locali su Bérenger Saunière e sulla caccia al suo tesoro. Alcune idee interessanti si aggiungono alla mia lista di appunti. Alla fine andiamo via, più che soddisfatti della nostra prima visita a Rennes-le-Château, resa indubbiamente più facile dalla bravura di Lily Devèze a «ungere le ruote». Andrew e io stabiliamo di tornare domani mattina presto, di passare una lunga giornata di lavoro in ricognizione sui luoghi che riguardano il nostro progetto. Con nostro grande piacere, ci verrà preparata una camera a Villa Bethania. Domani notte dormiremo chez Bérenger Saunière.
Problemi di ripresa Ogni indagine dettagliata tira fuori strane coincidenze. Il lavoro preparatorio sulla storia di Rennes-le-Château non fa eccezione, anche se dovranno passare dei mesi prima che l'accumularsi di «coincidenza» su «coincidenza» mi induca a cercare qualche altra spiegazione. Ma, coincidenze a parte, questo lungo lunedì è destinato a produrre la prima di una piccola messe di eventi curiosi che ho sempre fermamente incasellato nella categoria del «puro caso». Per esempio il tentativo di fotografare dettagli nella chiesa di un villaggio vicino, che dimostra ancora una volta l'apparente inevitabilità di intoppi in ogni sfaccettatura di questa storia. Quella che abbiamo programmata dev'essere una giornata attivissima. Molto terreno va coperto: una quantità di siti da esaminare per verificarne l'accessibilità e la produttività dal punto di vista visuale. Di mattina molto presto Andrew e io lasciamo il nostro hotel di Carcassonne e torniamo a Rennes-le-Château per depositare i nostri bagagli e controllare l'esattezza dei riferimenti sulle mappe con Henri Buthion. Ci sarà da muoversi su un terreno montuoso accidentato, per cui indossiamo solide scarpe da passeggio e riempiamo gli zaini dell'attrezzatura. Mentre siamo seduti in auto facendo gli ultimi controlli prima di lasciare il villaggio, M. Buthion compare con una cesta da picnic che ci sosterrà finché faremo ritorno a sera. E che picnic! Un terzo tesoro di Rennes-leChâteau è la superba cucina di Henri Buthion. (Henri Buthion, come il suo Hotel La Tour sono ormai da tempo andati via da Rennes-le-Château.) La nostra giornata ha una programmazione non troppo rigida. È impossibile prevedere quanto ci vorrà per raggiungere alcuni siti. Il villaggio di Rennes-les-Bains è in cima alla nostra lista di priorità. La sua chiesa e il cimitero hanno immagini, iscrizioni tombali e oggetti che possono interessarci. Rennes-les-Bains è una 16
stazione termale dove le sorgenti calde e acque ricche di minerali servono un moderno ospedale, così come un tempo servivano i bagni di una stazione romana. La storia di Saunière ha dei fili che risalgono al lontano passato, e quindi le testimonianze visive dell'occupazione antica ha una grande importanza per noi. Rennes-les-Bains si rivela diversissima dal villaggio gemello di Rennes-le-Château. Da qui non si gode di vasti panorami montani. La stazione termale si stringe al fiume nelle profondità di una valle ripida e boscosa. Ponti caratteristici collegano le file delle case sulle due sponde del fiume. Sotto il diroccato albergo vittoriano Thermes Romains il fiume scorre dove la sorgente calda si getta nelle acque gelide, un punto ancora usato dalle donne del posto per il bucato settimanale. La piazzetta con i suoi alberi polverosi è silenziosa e sonnolenta. I vecchi del paese stanno seduti davanti alla porta di casa o sui parapetti di pietra. Invalidi in carrozzella, pazienti dell'ospedale, chiacchierano tranquilli all'ombra. Anche a febbraio le giornate possono essere calde e luminose in questa parte del mondo. (Rennes-les-Bains fu colpita da un'inondazione disastrosa nel settembre 1992. Il livello del fiume salì da otto centimetri a otto metri nel giro di un paio d'ore. Dietro la chiesa del paese, il cimitero venne devastato, così come le facciate del Thermes Romains e di molte altre case. Ora l'albergo ha perduto la sua aria diroccata ed è stato riparato e ferocemente rammodernato.) Troviamo la chiesa appena alle spalle della piazzetta del paese. Eseguiamo una rapida ispezione, ma all'interno è molto buia e i dipinti che, ci hanno detto, presentano dei dettagli che potrebbero interessarci, sono praticamente invisibili. Decidiamo di non perdere altro tempo qui per il momento e ci disponiamo immediatamente a trovare la Poltrona del Diavolo: una roccia sul pianoro sopra Rennes-les-Bains che a quanto pare avrebbe dei legami con lo strano diavolo nella chiesa di Saunière. Dato che dovremo ripassare per Rennes-les-Bains nel viaggio di ritorno, decidiamo di tornare a visitare la chiesa in quella occasione, nella speranza che le condizioni di luce siano migliorate tanto da permetterci di fare delle fotografie. Appena fuori del villaggio troviamo il sentiero, quasi invisibile, che si ar rampica sul fianco della montagna e che Henri Buthion ha segnato sulla no stra mappa come via di accesso alla Poltrona del Diavolo. Sistemo l'auto in una macchia d'ombra accanto a un piccolo parapetto di pietra e, con l'attrezzatura in spalla, imbocchiamo il sentiero coperto dalle chiome degli alberi. La salita è erta e difficoltosa, il sentiero si dirama continuamente, si fa a ogni svolta più ingombro di vegetazione e più ripido. Le pause per ripren dere fiato diventano sempre più frequenti e sento che il sudore sta inzuppando il maglione che ho addosso. Mi rimprovero per non aver portato indumenti estivi più leggeri: d'altra parte siamo a febbraio. Il mio zaino si fa più pesante e la conversazione si dirada, impegnati come siamo a risparmiare il fiato per la salita. Durante una delle pause un commento di Andrew mi aiuta a trovare una nuova riserva di energia: «Sembri in forma, per la tua età». Per la mia età? Cosa sarei, un vecchio rimbambito? Improvvisamente lo zaino si fa leggero. Faccio uno scatto a una velocità che rasenta la follia, mormorando tra la barba una sequela di luoghi comuni della serie «si ha l'età che si sente di avere». E però, mentre il passo rallenta di nuovo, decido di accettare il rilievo di Andrew come il complimento che voleva essere. Dopo tutto, potrei effettivamente essere suo padre. Non proprio, ma quasi. E il mio unico esercizio fisico è rappresentato abitualmente dalla camminata quotidiana fino alla mia auto. Sì, direi proprio che sono in forma per la mia età. Eccomi qua, a metà di una cima dei Pirenei, e non in stato di collasso totale. Non ancora. Eppure... per la mia età! Ma pensa un po' ! (Erano quarantun anni ben portati.) Gli alberi si diradano aprendosi in una radura. Eccolo. Un grande masso grigio nettamente scavato a forma di poltrona. La sua dimensione fa quasi pensare a un trono. Per un attimo mi domando se abbiamo trovato proprio il posto giusto. La roccia ha un che di diverso dall'illustrazione che rammento di aver visto nel libro di de Sède. Ma Andrew trova un cartellino di legno, piccolo e marcito, inchiodato a un tronco d'albero: SOURCE DU CERCLE. FAUTEUIL DU DIABLE. «Fonte del Cerchio. Poltrona del Diavolo». La piccola sorgente è accanto a noi e non c'è altro nei dintorni che potrebbe essere il masso che stiamo cercando. Ci giro intorno, cercando l'angolatura che 17
corrisponda al mio ricordo della fotografia mentre Andrew fruga nello zaino in cerca del libro. Ma da nessuna prospettiva mi sembra quello. Andrew trova la pagina e immediatamente si presenta la spiegazione logica. «Prova a metterti sulla testa», dice. «De Sède l'ha stampata capovolta». Non è strano che appaia diversa. Probabilmente un altro errore, ma certamente un'altra aggiunta alla mia lista di sconcertanti stranezze, che ormai sta crescendo rapidamente. La Poltrona del Diavolo è uno strano oggetto. La nicchia scavata che forma il sedile è troppo netta e regolare per essere di origine naturale. Ma perché scolpire un sedile in un masso su un monte remoto e deserto? Non c'è nessuna visuale interessante da qui. Forse era una sorta di luogo di ritrovo? Per un convegno di streghe? Un'assemblea druidica? Chi può dirlo? Comunque, dal nostro punto di vista è visivamente interessante e so che posso farlo rientrare nel disegno degli indizi sul tesoro che compariranno nel nostro film. Discutiamo sulla possibilità di portare quassù la troupe televisiva con tutta l'attrezzatura. Non sarà facile e ci vorrà quasi mezza giornata per arrivare, installarsi e filmare. Decidiamo di includerlo nel calendario delle riprese e sentiamo di esserci meritati una pausa. Mi accomodo sulla Poltrona del Diavolo per far fuori buona parte del picnic di Henri Buthion. Poi facciamo qualche fotografia e riprendiamo il cammino verso l'auto. Sono il primo ad arrivare, e trovo un quartetto di amabili anziani signori seduti all'ombra sul parapetto di pietra accanto al quale ho parcheggiato. Lancio un bonjour, alzando la mano in un gesto di saluto. Mi accorgo che ho la microcamera fotografica appesa al polso. Mi appoggio al cofano dell'auto e mi metto a chiacchierare con gli uomini mentre aspetto l'arrivo di Andrew. A un certo punto lo sento che mi chiama da un punto non lontano sopra la collina. Ha trovato un'angolatura che sembra interessante su Rennes-les-Bains. Mi arrampico per il breve tratto di sentiero per raggiungerlo. Consideriamo l'inquadratura, decidiamo di no e torniamo alla macchina. In tre minuti siamo di ritorno alla piazzetta di Rennes-les-Bains. Per la seconda volta proveremo a fotografare l'interno della chiesa. Appena cominciamo a mettere mano all'attrezzatura, mi accorgo che la mia macchina fotografica non c'è più. Frughiamo metodicamente l'interno dell'auto. Niente. Altro tempo perso. Devo averla lasciata cadere dove abbiamo parcheggiato. Risaliamo in auto e rifacciamo la strada. I quattro signori stanno ancora prendendo il sole seduti sul parapetto. Mi fermo accanto a loro e chiedo se hanno visto la mia fotocamera. Sì, uno di loro ricorda di averla vista che l'avevo al polso appesa per la cinghia. L'unica possibilità sembrerebbe che mi sia caduta sul sentiero quando Andrew mi ha chiamato per guardare il panorama. Risaliamo fino a quel punto. Non ce n'è traccia. Questi primi metri del sentiero sono puliti e fiancheggiati da erba bassa e ispida. Non c'è nessun posto dove una macchina fotografica possa essersi nascosta, del sottobosco, dei sassi. Eppure... niente. Torniamo dai vecchi che intanto hanno cercato intorno e sotto l'auto. La macchina fotografica è sparita nel nulla. È un disastro. A parte la perdita della mezza dozzina di scatti che ho appena fatto, a questo punto è inutile tornare a visitare la chiesa di Rennes-les-Bains. Dovrò comprarne un'altra. Ma dove? L'unica speranza, mi dicono i vecchi, è Esperaza, un paese dopo Couiza. Ci costerà un'ora abbondante. Non mi ero mai reso conto di quanto potesse essere prezioso il tempo. E la scomparsa della macchina fotografica rimarrà un mistero insoluto. Però la circostanza conferma il detto che non tutti i mali vengono per nuocere. Il piccolo negozio di fotografo di Esperaza è di proprietà del sindaco del paese, Georges Basset. Anche lui diventerà un buon amico e ci fornirà alcune informazioni preziose sulla storia di Saunière. L'acquisto viene fatto in tutta fretta e torniamo di corsa verso Rennes-les-Bains. La luce comincia a diminuire e decidiamo di rimandare a domani la chiesa. Ci sono altre località ancora da trovare. Alcune strane pietre erette e un paio di sorgenti locali sarebbero collegate agli «indizi sul tesoro». Mentre stiamo cercando infruttuosamente una sorgente chiamata Source de la Madeleine, alla fine ci imbattiamo in un cartello che indica una Fontaine des Amours, la Fonte degli Amanti. Che sia un altro nome della fonte che non riusciamo a trovare? Non sembra molto probabile, ma decido di fare un salto giù per il fianco della collina, mentre Andrew fa manovra per girare l'auto. Appena la vedo, ho la certezza che non si tratta della Source de la Madeleine. Comunque, già 18
che sono qui, decido di fotografarla. Faccio una foto, ma la luce è sbagliata e l'angolatura ancora di più. C'è un grosso masso lungo il fiume in cui si getta il torrente. Mi ci arrampico... e mi trovo a faccia a faccia con la mia prima «testimonianza» locale, scoperta autonomamente, a favore della storia così com'è riportata dal Trésor Maudit di de Sède. Il libro accenna a una sorta di «liaison» tra Saunière ed Emma Calvé, celebre prima donna dell'epoca. Ed ecco che, inaspettatamente, presso la Fonte degli Amanti, trovo che la roccia su cui mi sono inerpicato porta la classica iscrizione degli innamorati: un cuore trafitto da una freccia. Sotto, E. CALVÉ, con la data 1891. Strano. Il 1891 è l'anno della presunta scoperta delle pergamene da parte di Saunière. A quanto si sa, solo dopo un anno, più o meno, conobbe Emma Calvé. In ogni caso, l'iscrizione è un legame affascinante con la storia. Faccio una foto e, molto soddisfatto della mia piccola scoperta, chiamo Andrew per fargliela vedere. Lui è compiaciuto quanto me e propone, tempo permettendo, di tornare domani a rifotografarla con una luce migliore. (La Fontaine des Amours è uno dei luoghi più piacevoli della zona. Non c'è posto più adatto per un picnic.) Questo piccolo evento alla Fontaine des Amours si rivelerà parecchio più significativo - e perfino inquietante - di quanto immaginiamo. Sarà la prima prova che qualcuno segue i nostri movimenti. E gli occhi che ci osservano, a quanto pare, sono ostili, e anche privi di scrupoli. Al nostro ritorno sul posto ci aspetta uno choc. L'iscrizione non c'è più. È stata asportata dalla roccia. La foto 5 dell'inserto è l'unica documentazione del fatto che essa sia mai esistita. Ma per il momento, ignari, ci rimettiamo in moto alla ricerca della Source de la Madeleine nella luce che sta scemando, per scattare le ultime fotografie della giornata e tornare a Rennes-leChâteau. Questa notte dormiremo in casa di Saunière, a Villa Bethania. Ci aspetta una magnifica cena e una serata, fin troppo breve, ad assimilare la conoscenze di prima mano di Henri Buthion su Rennes-le-Château. Dobbiamo andare a dormire presto. Domani sarà l'ultimo giorno del nostro giro di ricognizione, e c'è ancora tanto da fare.
Un «petit miracle» Alle prime luci dell'alba sono già sveglio. L'aria è fresca e immobile. La veduta dalla mia finestra è quasi troppo bella per essere vera. Verso est, il mio sguardo raggiunge la chiesetta di Saunière, così vicina che posso quasi toccarla. L'altra finestra guarda a sud e una dolce luminosità perlacea di una limpidezza cristallina sembra mettere in evidenza ogni minimo dettaglio dell'immenso panorama. Tra pochi momenti sarà giorno. Mi vesto in tutta fretta e mi avvio verso la terrazza ai piedi della Torre di Magdala. L'alba a Rennes-le-Château è uno spettacolo che vale davvero la pena di vedere. Anzi, quando la luce cresce e il vivo sole del mattino comincia a disegnare ombre nette sulla campagna, trovo un effetto visivo che diventerà la mia immagine preferita nel film. Nella valle sotto la terrazza verso ovest, un campo verde lentamente raccoglie una precisa silhouette nera di Rennesle-Château sulla sua cima montuosa. La Torre di Magdala merlata, la terrazza, la conica Orangerie a vetri... tutto si distende sul verde vivo con un'intensa acutezza di dettagli. Fotografo la scena e a colazione sorprendo Andrew pregandolo di impegnarsi a convincere la nostra troupe di ripresa ad alzarsi dal letto prima dell'alba per poter cogliere il «villaggio d'ombra» per il programma. Mi sento ottimista sulla giornata. È cominciata bene. Abbiamo ancora bisogno di un «campo lungo» di Rennes-le-Château con cui aprire il programma. Chiediamo a Henri Buthion dove possiamo trovare una veduta da lontano veramente interessante che mostri l'isolamento del villaggio. Ce n'è una spettacolare, ci dice, verso sud, su una cresta montana dall'altro lato della pianura. È possibile arrivarci in auto quasi direttamente, ma dubita che il nostro veicolo a noleggio, piuttosto delicato, gradirà il viaggio. Prima ancora che possiamo chiederci se sia il caso di azzardare la proposta, Henri si offre di accompagnarci con la sua vettura, decisamente più robusta. L'ultimo mezzo miglio dovremo percorrerlo a piedi. Non c'è un sentiero che salga sulla montagna, ma il percorso è relativamente agevole. In fila indiana, 19
avanziamo su per un fianco non troppo ripido verso un gruppo di imponenti guglie di roccia bianca, che torreggiano sopra la cresta. La veduta di Rennes-le-Château al di là della piana, incorniciata da quelle rocce nude, è perfetta. Purtroppo il posto è troppo lontano e lungo da raggiungere per poterlo includere nel nostro calendario delle riprese. Optiamo per un compromesso, rinunciando alla cornice di rocce e ripiegando su una veduta più vicina e dal basso, sulla pianura. Comincio a scattare le solite fotografie, che costituiscono i miei fondamentali appunti visivi. Andrew si allontana per qualche ripresa più in là lungo la cresta. Il tempo, come sempre, è limitato. Oggi dobbiamo tentare, per la terza volta, di fotografare l'interno della chiesa di Rennes-les-Bains. All'improvviso Andrew lancia un grido di costernazione. Ha fatto la prima foto e ha scoperto che dalla sua macchina è saltata la levetta di ricarica. È impossibile mandare avanti la pellicola. Assurdo. Comincio a sospettare che siamo vittime di una qualche folle cospirazione. Non riusciremo mai a fotografare Rennes-les-Bains? Ci mettiamo alla ricerca, ma è un compito palesemente disperato. Come si fa a trovare un oggetto nero e argento di due centimetri di diametro su una scarpata pietrosa quando non sappiamo nemmeno ritrovare con certezza il percorso che abbiamo fatto per salire? Senza un sentiero da seguire, ci siamo inerpicati a casaccio. Non saprei neppure cominciare a ripercorrere i miei passi, figuriamoci quelli di Andrew. In ogni caso, non abbiamo la minima idea di quando, a che punto della salita, il pezzettino possa essersi staccato. Avviliti, cominciamo a ridiscendere dall'altura. Altro tempo andrà perduto nell'impresa disperata di trovare un rimpiazzo per il pezzo mancante. Durante la discesa, Henri Buthion mi sta vicino in silenzio. Poi, con il tono più naturale di questa terra, suggerisce: «Magari potremmo chiedere aiuto a sant'Antonio l'Eremita. È bravissimo a trovare gli oggetti perduti». Mi sono già reso conto, nelle mie conversazioni con Henri, che è un uomo di semplice e onesta devozione. Ma la proposta di chiedere l'intercessione di un santo per trovare la leva di caricamento di una macchina fotografica sembra troppo legato alla superstizione. Mi viene spontaneo un gioco di parole: «Perché no? Non abbiamo niente da perdere». Ma non sono sicuro che il mio fiacco tentativo di umorismo funzioni anche in francese e, in ogni caso, è una battuta francamente patetica e ho il sospetto che probabilmente offenderebbe Henri. Lui diceva sul serio. Camminiamo per un tratto discutendo di questioni pratiche. Quando contiamo di ritornare con la troupe di ripresa? Quante camere ci serviranno? Avremo bisogno di usare l'impianto elettrico della villa per le luci? Improvvisamente Henri tronca la conversazione e devia attraverso il pendio sassoso. Mi chiedo dove stia andando. E poi vedo qualcosa che luccica sul terreno davanti a lui, a cinque o sei metri di distanza. Henri si avvicina, quindi si china a osservare l'oggetto scintillante. Mi guarda. «L'avevo detto che sant'Antonio ci avrebbe aiutato.» Accorriamo mentre si china a raccogliere la levetta di caricamento. È stato indiscutibilmente un gigantesco colpo di fortuna. O no? Sorridendo, Henri depone il minuscolo oggetto luccicante nella mano di Andrew. «Voilà! Un petit miracle.» Non sembra ci sia altro da dire. E così, si ritorna a Rennes-le-Château. Salutiamo Henri Buthion, nella felice certezza che tra qualche settimana, quando torneremo per le riprese, troveremo un solido amico al villaggio. Con un'altra delle magistrali merende di Henri caricate in auto, ci mettiamo in marcia per il nostro ultimo sopralluogo. Le imponenti rovine diroccate del Castello di Coustaussa forniscono un'altra veduta da lontano di Rennes-le-Château, incorniciata tra mura cadenti, ideale per la sequenza conclusiva. Poi, finalmente, Rennes-les-Bains - e altre stranezze. Il libro di de Sède fornisce una pianta della chiesa di Rennes-les-Bains per illustrare l'allineamento di taluni elementi che sarebbero significativi. Uno di questi elementi è un dipinto della Madonna con il Cristo morto. (In seguito si scoprì che si trattava di una copia rovesciata, a specchio, di un quadro di Van Dyck che si trova al museo di Anversa.) E noto come Le Christ au lièvre «il Cristo della lepre» in quanto, secondo de Sède, il ginocchio destro di Gesù ricorda la testa di una lepre. In un colloquio mi ha fornito un'ulteriore informazione: che questo dipinto ha il curioso particolare di un ragno nascosto. Questo, afferma lo scrittore, è un indizio per il tesoro sotto forma di rebus. (Il ragno, in francese, si dice araignée, e quindi, secondo l'accento locale, à 20
Rennes.) Il «ragno nascosto» è, mi dice, la Corona di spine nell'angolo in basso a destra del quadro. La prima stranezza che notiamo è che la pianta di de Sède presenta il dipinto sulla parete orientale della cappella laterale, mentre in realtà esso si tro trova sulla parete occidentale (e a quanto sembra è sempre stato lì). Le pareti della chiesa sono annerite dalla polvere dei decenni. Non c'è luce riflessa, anzi non c'è quasi luce. Il quadro è praticamente invisibile. Sperando per il meglio, scatto qualche fotografia con il flash, augurandomi che queste possano aiutarmi a esaminare i dettagli in seguito. L'«allineamento» proposto da de Sède, già messo in discussione dalla collocazione errata del dipinto, inizierebbe da un tiglio che si trova nel cimitero. Cerchiamo la pianta, ma senza fortuna. È vero, ci sono dei ceppi di alberi abbattuti negli anni passati. Ma nel punto indicato... niente. Ancora un'anomalia. Sembra chiaro che non possiamo prendere per buona nessuna delle indicazioni di de Sède. Tutte vanno controllate e se qualcuna non è verificata, come ora vediamo, andrà trattata con estrema cautela. Il nostro giro di ricognizione ha dato quasi tutte le risposte che cercavamo. Ha anche prodotto una selva di nuovi interrogativi. Questa, come impareremo, è la caratteristica normale della ricerca su Rennes-le-Château. Ma per il momento siamo soddisfatti e intraprendiamo il viaggio di ritorno verso casa, dove inizieremo il lavoro minuzioso per preparare il copione e il piano delle riprese. Rientrati in Inghilterra, le mie foto mi permettono finalmente di esaminare i dettagli dell'interno della chiesa di Rennes-les-Bains. De Sède mi ha assicurato che il ragno nascosto del rebus si trova nell'angolo in basso a destra del dipinto che colloca nel punto sbagliato. Le fotografie che ho scattato dimostrano che gli Oggetti della Passione - i tre chiodi, la spugna eccetera -sono effettivamente nel posto indicato. Secondo de Sède, la Corona di spine è dipinta in modo che ricordi un ragno. Ora che la mia fotografia mi permette di vederla chiaramente, mi sembra che ci voglia un grande sforzo di fantasia per accorgersi di una cosa del genere. Ma, esaminando i dettagli, noto che effettivamente c'è qualcosa a forma di ragno «nell'angolo in basso a destra». Un'erba che cresce in una fenditura della roccia può sicuramente essere vista come «ragnesca». Una simile interpretazione è indiscutibilmente soggettiva e quindi, a mio parere, inattendibile. Ciononostante, la forma corretta nel punto indicato da de Sède, anche se il dettaglio da lui specificato è errato, mi induce a riflettere. Quando guardo la presunta «testa di lepre» sul ginocchio di Cristo, mi accorgo che anche qui un'interpretazione del genere è possibile, grazie all'ombreggiatura delle tinte. Ma noto anche che è presente un'altra «testa di lepre», molto più evidente, nell'esecuzione palesemente innaturale dell'ascella destra di Cristo. Perché non ne è stato fatto cenno? E quale eventuale significato può essere ricavato da tutti questi bizzarri - e dubbi - dettagli? Comincio a domandarmi quanta parte delle sue informazioni derivino da una sua conoscenza diretta e quanta invece rappresenti semplicemente informazioni fornite da altri e da lui trasmesse. Nella mente mi risuona l'eco della sua enigmatica dichiarazione al nostro primo incontro: «Pensavamo che potesse essere interessante che qualcuno come lei...» E assodato che l'aumento di indizi del numero crescente di anomalie potrebbe indicare che de Sède non è la fonte primaria della storia raccontata nel suo Trésor Maudit. (Le mie fotografie rivelano anche uno splendido dettaglio nella chiesa di Rennes-les-Bains che non ha niente a che vedere con il Mistero. A sinistra della porta, in una piccola nicchia, c'è il fonte battesimale. Nella penombra, avevo più intuito che visto i suoi dettagli. Sopra il fonte, il lampeggiatore della mia macchina fotografica ha registrato un superbo bassorilievo del Battesimo di Gesù. Un tesoro che «vale una deviazione».) Lavorando allo script, molto del mio «tempo di riflessione» lo passo con lo sguardo fisso sulle pergamene di Saunière, che sono appese al muro sopra la mia scrivania. Noto che ci sono alcune crocette, apparentemente incongrue, sparse tra le lettere di uno dei documenti ed è così che mi imbatto in
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La struttura geometrica della pergamena.
una strana nuova pagina da aggiungere al dossier dei «messaggi segreti». La disposizione delle croci mi porta alla scoperta di un notevole disegno geometrico al quale è stato ingegnosamente sovrapposto lo scritto. Il disegno accuratamente strutturato è quello di una stella a cinque punte racchiusa in un cerchio.* Perché c'è? E che cosa può significare? In uno dei nostri frequenti incontri, mostro la nuova scoperta ad Andrew. È colpito quanto me dalla logica della costruzione. Ma, come me, non riesce a trovare alcuna spiegazione, se non il ben noto - e alquanto dubbio significato occulto attribuito al disegno in relazione a operazioni magiche, come la «evocazione degli spiriti». Questa interpretazione sembrerebbe atta a sollevare inutilmente un polverone, per quanto riguarda la nostra storia, e né lui né io troviamo un modo per inserirla succintamente nel filmato. Devono passare degli anni prima che l'importanza di questa costruzione geometrica risulti evidente. Per il momento, è un vicolo cieco e dobbiamo lasciarlo lì dov'è.
* Per una spiegazione della logica di questo eccezionale disegno, vedi The Holy Place, pp. 27-31.
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4 L'inizio delle riprese: un cambiamento di programma NEL marzo 1971 Andrew e io partiamo con la nostra troupe per girare il breve servizio che Paul Johnstone conta di inserire in un numero di Chronicle nel corso dell'anno. Non abbiamo idea che nuove rivelazioni porteranno il mistero di Rennes-le-Château in direzioni del tutto impreviste. I primi accenni di come si metteranno le cose passano quasi inosservati nel generale fermento delle attività. De Sède fa una fugace comparsa al villaggio per guardarci al lavoro. In una delle conversazioni che ho con lui, accenna a un passo del suo libro che ai miei occhi ha sempre avuto un carattere di curiosa irrilevanza. Il passo racconta come, durante un fatidico viaggio a Parigi per la decifrazione delle pergamene, il prete Saunière aveva comperato delle copie di alcuni dipinti. Una di queste era la riproduzione di un capolavoro del Seicento, I pastori d’Arcadia di Nicolas Poussin. Raffigura tre pastori e una pastora che contemplano una tomba in un paesaggio mitico, arcadico. La prima volta che ho letto la notizia nell'edizione tascabile del libro di de Sède, non ci ho fatto quasi caso. Sembrava niente di più che un fuggevole squarcio su una sfaccettatura del carattere e degli interessi di Saunière. L'edizione illustrata del Trésor Maudit, però, aveva richiamato la mia attenzione su questo aneddoto. Per quanto potesse sembrare un particolare secondario, l'autore aveva ritenuto opportuno inserire il dipinto tra le illustrazioni. Perché prendersi la briga, e affrontare i costi, di riprodurre il quadro quando la sua rilevanza rispetto alla storia meritava solo una breve frase? Ora, mi dice de Sède, qualcuno avrebbe scoperto la località dipinta da Poussin. La tomba e il paesaggio, a quanto pare, non sono affatto immaginari. Inoltre, si trovano nelle vicinanze di Rennes-le-Château. De Sède sostiene di non essere in possesso di informazioni più precise. Il suo informatore ha promesso di fornire ulteriori dettagli che lui ci manderà «appena arriveranno in suo possesso». Questo nuovo dato singolare è destinato a essere la bomba che influirà su tutti i nostri piani. La miccia verrà accesa mentre aspettiamo «ulteriori dettagli». Finite le riprese senza che succeda nulla di particolare, resta da lavorare al montaggio. Tornati a Londra, cominciamo a dare pazientemente a tutto il materiale filmato la forma di un programma. Mentre siamo impegnati in questa attività, da de Sède arrivano altre informazioni. Si presentano sotto l'inattesa forma di una «nuova» decifrazione. Il mio originario codice «da boy scout» l'avevo trovato nel più breve dei due documenti ufficialmente rinvenuti da Saunière. Ora de Sède ci spedisce il testo di un messaggio nascosto nelle decine di lettere interpolate, prive di senso, che avevo da tempo identificato nel documento più lungo. Ancora una volta, il più antico dei miei interrogativi sul mistero mi si riaffaccia alla mente. «Perché mai le decifrazioni non appaiono nel libro di de Sède?» C'era, sì, un passo che faceva riferimento a un lavoro svolto da «esperti crittografi». La loro conclusione era che i documenti contenevano testi cifrati con «una sostituzione a doppia chiave e una trasposizione eseguita su un disegno a scacchiera, con ulteriori complicazioni sotto forma di errori intenzionali intesi a portare il decifratore su false piste». Ma come era stato possibile, mi ero chiesto, giungere a queste conclusioni senza arrivare con successo a una decifrazione? E se tale decifrazione era stata fatta... ancora una volta... perché non era pubblicata? Che uso dobbiamo fare di questo nuovo messaggio? È bizzarro e in buona parte incomprensibile. Ma contiene una frase fondamentale: «Poussin ha la chiave». Ecco il legame con l'artista e il presunto acquisto da parte di Saunière di una copia de I pastori d'Arcadia. La miccia è stata accesa, e la detonazione non si fa aspettare troppo. Gli «ulteriori dettagli» promessi da de Sède arrivano. Sono delle fotografie di una tomba in un paesaggio pastorale. La località, ci informa, è solo a un paio di miglia da Rennes-le-Château, «sulla destra della strada, tra i paesi di Serres e di Arques». Tomba e paesaggio appaiono indiscutibilmente identici a quelli raffigurati nel quadro di Poussin. Esattamente in questo periodo, e indipendentemente da de Sède, mi imbatto in un altro legame con Poussin e il suo dipinto e imparo una lezione importante. «Non è sufficiente guardare. Occorre 23
anche vedere.» Il mio lavoro su questa storia è cominciato quando ho guardato la pergamena di Saunière e ho visto il messaggio nascosto. In seguito ho «visto» il complicato disegno geometrico nascosto sotto le lettere. Ma c'è un altro semplice messaggio che ho sotto gli occhi e benché lo abbia guardato molte volte, soltanto adesso, ora che la sua importanza mi richiama a gran voce, riesco a vederlo. Si trova in un'iscrizione tombale riprodotta nel Trésor Maudit, un'iscrizione
che, ci dice de Sède, Saunière pensò bene di cancellare (ma, a quanto pare, una copia è sopravvissuta). La lastra si trovava sulla tomba di una grande dame di Rennes-le-Château del diciottesimo secolo, Marie de Blanchefort, deceduta nel 1781; questa iscrizione, con quella che l'accompagnava sopra la lapide eretta della tomba, è strettamente legata con i messaggi segreti delle pergamene. * Le due righe verticali che racchiudono l'iscrizione mi perseguitano da mesi. A prima vista non hanno niente di terribilmente complicato, eppure non riesco a trovare una spiegazione soddisfacente. Il testo centrale è in latino, così come, apparentemente, la colonna verticale di sinistra. La colonna di destra sembrerebbe greco. Ma, finora, quel poco di latino e quel pochissimo di greco che ricordo non mi hanno fatto fare nessun passo avanti, ET IN PAX sembrerebbe tutto quanto possa suggerire la prima colonna. Ma il mio latino, per quanto arrugginito, mi dice che PAX, il nominativo per «pace», è grammaticalmente errato dopo la preposizione IN. Anche accettando una frase sgrammaticata, si ottiene E IN PACE - che non aiuta molto. Ma ora ho in mente Poussin e la «decifrazione» delle colonne verticali mi fa vergognare della mia cecità. Il testo è tutto in latino, ma le colonne verticali sono scritte in caratteri greci. Il «camuffamento» è tutto qui. Non resta che traslitterarlo nell'alfabeto latino. E, T, I, N e A rimangono uguali. Ma P diventa R; X diventa K (o C dura)... e così via. Le due colonne dicono semplicemente: «ET IN ARCADIA EGO»... l'iscrizione sulla tomba che stanno contemplando i pastori nel dipinto di Poussin. Ecco il nostro anello di collegamento. Tutti questi suggerimenti che una «chiave» del mistero si trovi nelle opere di Poussin, più la sorprendente e filmabile scoperta della tomba e del paesaggio de I pastori d'Arcadia, non possono più essere ignorati alla luce del nostro programma. Andrew e io abbiamo una lunga, concitata ed eccitata discussione. La cornice del programma su cui stiamo lavorando e il tempo a disposizione * Vedi The Holy Place, cap. 5.
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del nostro servizio non permettono di introdurre questo nuovo materiale. In ogni caso, il nostro viaggio per le riprese si è concluso e non disponiamo di materiale visivo per illustrare la «scoperta Poussin». Certo, potremmo riprodurre il quadro nel nostro film. Ma il paesaggio? I nuovi siti? I nuovi dati e le nuove teorie? Non abbiamo neanche un minimo spezzone filmato utilizzabile. Dobbiamo parlare al nostro produttore. Paul ascolta la nostra relazione sui nuovi elementi e resta colpito non meno di noi dalle fotografie della tomba. Conviene con noi che la storia ha acquisito una nuova dimensione, anche se la soluzione dell'enigma appare ancor più di prima avvolta nel mistero. Anche Paul, come noi, ritiene che l'aspetto Poussin non si possa ignorare. È spettacolare e visivamente efficacissimo. Inoltre, alla luce di quanto si sa della vita e dell'opera di Poussin, è una vera scoperta. In qualche modo va inserita nel filmato. Nel mondo della televisione, però, la decisione non può essere così semplice. Abbiamo già una data prevista per la messa in onda del programma. Concedere altro tempo per un'ulteriore spedizione di riprese e per strutturare un nuovo servizio significa che il nostro «buco» andrà riempito da qualcos'altro e che bisognerà trovare una nuova data per la nostra trasmissione. Questo, però, non è un problema né per Andrew né per me. Paul, convinto come noi che il nuovo materiale meriti un approfondimento, ci fa felici decidendo di affidarci un'intera puntata di Chronicle in cui esplorare la storia di Saunière. Risolverà lui i problemi amministrativi. A noi resta il compito di realizzare il filmato. Ora, improvvisamente, abbiamo un po' di respiro. Il film di notevole durata che ora dovremo fare non può essere mandato in onda prima dell'inizio della primavera del 1972. Avrò molto più tempo per condurre altre ricerche. Non torneremo a filmare a Rennes-le-Château prima di settembre, quando sarà passato il maggiore afflusso turistico e il periodo di caldo più forte.
Anomalie Intanto, c'è una quantità di lavoro da fare. Una nuova linea di indagine è stata aperta dalla complessa ultima decifrazione speditaci da de Sède. Diventa l'argomento di prolungate riflessioni. Come faccio a inserirlo nel mio copione ampliato? Il messaggio è strano e, a prima vista, assai stravagante: BERGERE PAS DE TENTATION QUE POUSSIN TENIERS GARDENT LA CLEF PAX DCLXXXI PAR LA CROIX ET CE CHEVAL DE DIEU JACHEVE CE DAEMON DE GARDIEN A MIDI POMMES BLEUES
(letteralmente: Pastora nessuna tentazione che Poussin Teniers tengono la chiave. Pace 681. Per la croce e questo cavallo di Dio finisco questo demonio di guardiano a mezzogiorno mele blu). Cosa diavolo dobbiamo pensarne? De Sède afferma che la decodificazione è stata eseguita dai computer dell'ufficio cifra delle forze armate francesi. Ma più mi arrabatto a verificare l'arzigogolato funzionamento del metodo di codifica, più mi sento insoddisfatto da quell'affermazione. Non riesco a immaginare come un programma di computer, per quanto sofisticato, possa essere in grado di compiere gli arbitrari, illogici - per non dire irrazionali - salti di senso che questo codice richiede. Ho bisogno del parere di un esperto. Fortunatamente la BBC sta preparando una serie sui decrittatori. Un contatto con un esperto di cifrari non richiede uno sforzo superiore a una decina di passi lungo il corridoio della redazione di Chronicle. Un paio di telefonate e mi trovo in auto diretto a far visita a un ex membro della confraternita dei decrittatori del British Intelligence. Gli mostro le pergamene in codice, il sistema di codificazione e il messaggio finale. È incuriosito e mi interroga in modo pressante sulla provenienza della documentazione e la possibile datazione della cifra. Gli fornisco tutte le informazioni che sono stato in grado di ottenere da de Sède ed esprimo i miei dubbi sulla credibilità e franchezza delle mie fonti. L'idea di una possibile macchinazione sotterranea aggiunta al carattere straordinario del messaggio cifrato sembra incuriosirlo ancora di più. «Me lo lasci per qualche giorno», dice. Entro la settimana ho la sua reazione da specialista. «E una delle cifre più complesse che abbia mai visto», mi dice. «Il sistema è perfettamente valido ma laborioso. Ci saranno voluti mesi per prepararlo.» Gli domando se sarebbe 25
stato possibile decifrare il codice con un computer. «Assolutamente no», mi risponde. «Non è, semplicemente, un problema valido per un calcolatore. È, in pratica, inespugnabile.» «E allora, come mai disponiamo del messaggio decodificato?» insisto. «Chi le ha fornito la decifrazione deve possedere la chiave.» «Oppure un informatore che ha la chiave», considero. «Questo è un altro problema», dice l'esperto di cifrari. * Mentre sto lavorando sulle nuove piste e seguendo le mie più recenti linee di ricerca, un'altra curiosità fa la sua comparsa nella storia «secondo de Sède». Reperisco una seconda versione rilegata del suo libro. Si tratta di un'edizione di un Book Club. Inizialmente appare identica all'edizione rilegata che ho già acquistato. Ma, per non smentire l'andamento di questa storia, individuo un'evidente anomalia. I due libri hanno le stesse illustrazioni - con una singolare eccezione. Il primo mi ha già lasciato perplesso con una fotografia apparentemente irrilevante, che dovrebbe essere di un pannello ligneo con un'ape scolpita in ogni angolo e, nel centro, una figura femminile alata che, ritta su un piccolo globo, regge una corona d'alloro alta sopra la testa. La didascalia dell'illustrazione è, a dir poco, oscura: «Rennes-les-Bains - Thermes Romains (detail)». Il testo del libro non ne fa cenno. Non è il caso, però, di immaginare altri misteri. Forse, avevo pensato, c'era una spiegazione di questo «dettaglio» che è saltata nella sistemazione finale del testo. Probabilmente le illustrazioni erano già state preparate e allora era troppo tardi per eliminare la fotografia. Come spiegazione, non è delle più soddisfacenti, ma almeno è possibile. Nel primo libro rilegato, l'illustrazione è una foto retinata. La versione del Book Club, invece, è una fotoincisione al tratto. Ne segue che il misterioso «dettaglio» non è lì per errore. L'illustrazione è chiaramente voluta. Perché? E perché in nessuno dei testi disponibili si trova il minimo accenno di spiegazione? Questo è un mistero che non sarà mai risolto. Quando lo interpello, de Sède non sa (o non vuole) darmi una spiegazione. Un minimo barlume sarà alla fine gettato su questa particolarità. De Sède ha promesso di fornire materiale visivo per il nostro film. A un certo punto arriva un fascicolo dal suo editore parigino, contenente fotografie di Saunière, della sua governante, della sua chiesa eccetera. In pratica, tutte le illustrazioni del libro. E ci sono sia il mezzo tono sia la foto al tratto del «dettaglio» di Rennes-les-Bains. Gli appunti registrano la mia perplessità: Sul retro della foto retinata: - Hotel des Termes Romains - Rennes-les-Bains - Porte de la Salle à Manger - Motif = Europe et les Abeilles - sur la Boule et tenoni le cercle - (Taureau = Apis = Apiculture). Dunque è la porta della sala da pranzo. Cosa ci fa capire? Ma... se la donna è Europa... questo è un affascinante (anche se azzardato) legame con le api. (La mitica Europa fu sedotta da Zeus sotto forma di un toro. Apis è il dio toro egizio. Apis è anche la parola latina per ape. E l'apicoltura è l'allevamento delle api.) Annoto anche: «Il retro di quasi tutte le illustrazioni ha un timbro violaceo con la parola Che cosa (o chi) è Plantard?» Passeranno diversi anni prima che trovi una risposta a questa domanda. Mentre mi dibatto tra questi e altri più pratici problemi di preparazione del testo, l'estate passa. Prima che me ne accorga, è il momento della nostra seconda spedizione di riprese a Rennes-le-Château. PLANTARD.
Settembre 1971: la ricerca della tomba Le consuete limitazioni di budget della BBC fanno sì che questo viaggio venga fatto in tutta fretta. Paul può fornire una troupe di ripresa solo per un paio di giorni. Peggio, Andrew e io non avremo il tempo di fare un sopralluogo. Vero è che ormai la zona la conosciamo benissimo, ma * L'intera esposizione del funzionamento di questa cifra straordinaria si trova in The Holy Place.
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della «tomba di Poussin» non abbiamo visto altro che delle fotografie, e siamo anche incerti sulla sua ubicazione precisa. Preparare il copione non ha presentato difficoltà. So come fare per dire a parole quello che intendo dire. Ma in termini di immagini avremo bisogno di riprese corrispondenti della tomba e dello sfondo per mostrare il più chiaramente possibile i paralleli esatti tra dipinto e paesaggio. Ciò significa trovare le precise posizioni della macchina da presa e, con un tempo limitato per le riprese, è meglio sapere in anticipo queste cose. I nostri problemi pratici sono risolti, almeno in parte, dalla crescente complessità delle mie ricerche. Non è mai stato facile seguire alcune delle piste da Londra. Gran parte della documentazione, se non tutta, si trova in Francia. Paul finisce per proporre che vada avanti io con qualche giorno di anticipo per qualche ricerca sul posto. Questo mi darà l'opportunità di lavorare alla storia e, contemporaneamente, di studiare la zona per trovare i possibili punti di ripresa corrispondenti al quadro. Questo, con un po' di fortuna, dovrebbe risparmiare ad Andrew ore di arrampicate montane improduttive e sfibranti. In più, la mia spedizione in solitario non graverà eccessivamente sulle finanze della BBC. A metà settembre sono in partenza da Victoria Station con il traghetto per la Francia. Questa volta non viaggio in compagnia. I miei sentimenti sono ambivalenti. C'è un mare di lavoro da fare e avrò a disposizione qualche giorno in solitudine a Rennes-le-Château. Non mi è mai piaciuto muovermi da solo e mi chiedo come apparirà il paese a un viaggiatore isolato. Ci sono già stati segnali inquietanti del fatto che qualcuno non gradisce che degli estranei indaghino troppo in profondità sul mistero del tesoro di Saunière. Penso comunque che sarò troppo indaffarato per consentirmi certe inquietudini. Ammesso che ci sia davvero qualcosa di inquietante. La mia agenda è fittissima di impegni. Mentre mi rilasso sul treno notturno da Parigi, preparo una lista di priorità. La prima cosa, e la più ovvia, è individuare la tomba; A questo riguardo non devo perdere tempo. L'arrivo del treno a Carcassonne è previsto alle sei del mattino. Davanti alla stazione dovrei trovare l'auto a noleggio che è stata ordinata in anticipo. Con un po' di fortuna sarò in pista per le sei e un quarto. Dovrei riuscire a trovare il posto, effettuare una verifica preliminare sull'accessibilità ed essere in grado di far colazione a un'ora non troppo irragionevole - diciamo le otto e mezzo - a Rennes-le-Château. Il resto della mattina potrà essere dedicata ad affrontare eventuali problemi immediati e a tentare di mettermi in contatto con alcune delle persone che mi occorre vedere. Soprattutto, devo cercare di organizzare degli incontri con storici ed esperti locali, come il professor Nelli dell'università di Tolosa, che vive a Carcassonne. Spero di trovare qualcuno che sappia darmi informazioni sulla tomba. È, questa, una necessità urgente visto che, a parte l'aspetto e l'ubicazione approssimativa, non ne so ancora nulla. Spero di dedicare i prossimi due giorni a incontri e colloqui con questi esperti, e a immergermi negli archivi di dipartimento. Così mi rimarrebbe quasi un giorno intero per esaminare con una certa cura l'area intorno alla tomba, per poter identificare le possibili angolature di ripresa. Poi il lungo viaggio fino a Tolosa a prendere Andrew che arriverà in volo nel pomeriggio del terzo giorno. Paul ha rubato qualche giorno ai suoi programmi per accompagnarlo. Non mi sorprende che intenda partecipare anche lui all'emozione della scoperta poussiniana. Come sempre, una quantità di cose da fare. Ma non mi sembra che il tempo debba costituire un assillo insostenibile. Non imparerò mai. Alla stazione di Carcassonne non c'è alcuna auto che mi aspetta. Prendo una decisione. Al diavolo i programmi e le tabelle orarie. Rennes-le-Château impone il suo ritmo e a me toccherà soltanto «suonare a orecchio». In ogni caso, sono furibondo, e gli appunti del momento lo dimostrano: 7.00. Notevoli difficoltà per rintracciare l'autonoleggio. Non ha uffici a Carcassonne... né a Narbonne. Una specie di concessionario non apre fino alle otto. Totale perdita di tempo! Programma saltato completamente!! Sono inferocito!!! 8.35. Telefonata con l'autonoleggio. Problemi con la vettura. (Sono convinto che se ne sono semplicemente dimenticati!) Sarà consegnata entro un'ora. Scuse e giustificazioni... ma il danno è fatto! 27
Non c'è altro da fare che restarmene ad aspettare alla stazione di Carcassonne. Gli uffici degli archivisti e di altre persone che potrei voler vedere non apriranno prima delle nove. Non c'è alcun modo per utilizzare il tempo sprecato, se non bevendo all'infinito tazze di caffè, scrivendo furiosi e infruttuosi appunti e modificando il programma che mi ero preparato. Alla fine l'auto arriva alle 9.45. Mi precipito agli archivi comunali. Nessuno sembra saper nulla della nostra tomba. Mi promettono che faranno una ricerca sull'argomento e mi prepareranno i documenti per il pomeriggio. Con una telefonata al professor Nelli fisso un appuntamento preliminare per domani. Una visita fugace al locale ufficio turistico è un altro buco nell'acqua per quanto riguarda la tomba. Le ore passano e io sono ancora a Carcassonne. Finché non avrò localizzato la tomba, continuerò ad avere l'impressione di lavorare su uno sfondo di incertezza. Trovare la tomba, quindi, è ancora almeno soggettivamente - la mia prima e più urgente priorità. Alla fine, rimescolato il programma del giorno dandogli una sorta di ordine, risalgo in auto e punto verso sud. La strada ormai la conosco e procedo veloce. Limoux e Alet mi sfrecciano accanto. Avvicinandomi a Couiza, improvvisamente, a una curva, colgo tra gli alberi una nuova veduta di Rennes-le-Château. Henri Buthion si starà chiedendo che fine avrò fatto. Ma non c'è tempo per passare per il villaggio. «Trovare Arques e la tomba» è diventata un'esigenza urgente, pressante, come se potesse scomparire se non la fermassi in tempo. A Couiza e poi la svolta a sinistra verso Rennes-les-Bains. Cardou davanti a me, dove la strada curva a destra. Ai piedi del monte, la familiare deviazione a destra per Rennes-les-Bains. Ma questa volta tiro dritto, seguendo il segnale SERRES - ARQUES. La strada segue le giravolte del fiume: davanti a me, in linea retta, lo sguardo non arriva mai troppo lontano. La valle comincia ad allargarsi sulla destra. Alla fine, a sinistra, il profilo squadrato dello Château de Serres. Non può essere troppo più in là. Rallento e comincio a studiare attentamente la strada davanti a me. La tomba dovrebbe trovarsi «lungo la strada, sulla destra, all'altezza di un'ampia curva». A ogni curva rallento a passo d'uomo e scruto i paraggi. Mi sembra di viaggiare per un numero infinito di miglia lungo innumerevoli curve: ancora niente. Che mi sia sfuggita? Devo tornare indietro e ricominciare? Decido di proseguire, almeno fino all'abitato di Arques. Una volta lì saprò per certo che sono andato troppo in là. La tomba si trova «tra Serres e Arques». Un'altra curva. Niente. Un'altra. Questa volta c'è una collinetta sormontata da un folto d'alberi. Comincio ad accelerare, già concentrandomi sulla strada più avanti. Ma, nell'ombra sotto gli alberi, mi sembra di avvertire, più che vedere, una forma squadrata. Qualunque cosa sia, la sensazione di spi-golosità che registra la mia mente fa pensare a un manufatto. Fermo l'auto e guardo indietro. Ed eccola lì. Non ci possono essere dubbi. Quella è la «tomba di Poussin». Per forma, dimensione, colore, è sicuramente lei. Perfino la familiare tonalità ocra nel terreno del paesaggio circostante rispecchia le tinte della grande riproduzione fotografica del dipinto che tengo sul sedile accanto. Innesto la retromarcia ed esco dalla carreggiata fermandomi in uno spiazzo erboso. I pochi metri che ho percorso a ritroso sono sufficienti a nascondere di nuovo la tomba dietro la vegetazione della collinetta. Sarà anche lungo la strada - ma è facilissimo che sfugga. Scendo dall'auto e mi guardo intorno. C'è un piccolo fossato tra il poggio e la strada, ripido e piuttosto profondo. Al di là della collinetta, il terreno degrada fino al punto in cui, a qualche centinaio di metri, un paio di grossi edifici apparentemente in rovina continuano il loro processo di diroccamento. Lungo la strada e sul lato opposto rispetto alla tomba c'è un gruppetto di cascine disabitate. Non si vede alcun segno di attività o di movimento. A quanto pare sono solo in questa campagna addormentata. Dal punto in cui ho parcheggiato, un piccolo sentiero conduce in direzione della collinetta. Mi affretto a seguirlo. Mi porta verso l'alto e mi ritrovo ad accostarmi alla tomba da dietro. «Da dietro», cioè, rispetto a come mi sono abituato a vederla nel dipinto. Ma anche da questa angolatura, quando la intravedo tra gli alberi, mi «suona giusta». Mi freno. Non voglio lasciarmi andare a illusioni prodotte dal desiderio. A conclusioni affrettate. Ora che sono qui, devo essere certo che l'identità non sia soltanto una somiglianza casuale. 28
Ma l'unico accenno fugace di una sensazione che potrebbe essere definita di delusione viene quando esamino la facciata del sepolcro. Non c'è traccia di iscrizioni - neppure qualche segno sbiadito sulla pietra, che un tempo poteva formare le parole ET IN ARCADIA EGO. Ma forse era sperare troppo. Mi allontano dalla tomba, tenendo in mano la riproduzione a colori del dipinto, cercando di pormi, rispetto alla struttura, nel punto da cui l'aveva vista l'artista. È possibile appena per un pelo. Occorre spostarsi fino all'orlo del fossato, che in quel punto va giù a perpendicolo. La limitata cima piatta della collinetta termina bruscamente a pochi passi dalla tomba. Una volta situati nel modo giusto, però, l'armoniosa corrispondenza tra l'immagine e la realtà è impressionante. Attraverso gli alberi si scorge un massiccio pinnacolo roccioso. Nel dipinto è collocato con precisione estrema. C'è però una differenza evidente nel paesaggio a sinistra di questo sperone, che è un pendio in salita. Nel quadro, invece, la linea del monte ricade, anche se noto che una fila di nuvole dipinte sembra seguire il profilo del terreno che sale. Archivio mentalmente il fatto destinandolo a riflessioni future. La corrispondenza dell'intero paesaggio sulla destra è ancora più notevole. Cardou e la cresta di Blanchefort occupano i punti esatti. Cosa più emozionante di tutte, mi accorgo che la bassa cima di un monte molto lontana sull'orizzonte dipinto combacia esattamente con la realtà. E la cima è indiscutibilmente quella di Rennes-le-Château. È davvero un premio extra: il villaggio è visibile dalla tomba - e Poussin lo ha situato con una tale precisione che per il film sarà possibile realizzare una magnifica ripresa parallela. Le somiglianze sono già sufficientemente numerose da confermarmi nella prima impressione generale. Quando comincio a studiare i particolari più minuti, compaiono delle corrispondenze ancora più persuasive. Dietro l'angolo di destra della tomba dipinta c'è un albero. Un grosso e antico leccio cresce nel punto giusto. Potrebbe essere la stessa pianta, vecchia di tre secoli? O una discendente dell'originale? Forse, in ogni caso non è possibile essere certi che l'albero dipinto da Poussin sia effettivamente un leccio. (Indagini presso il Botanic Gardens di Kew hanno prodotto l'opinione che la pianta del dipinto «sembrerebbe una quercus ilex», un leccio.) In ogni caso, la posizione è dal punto di vista visivo perfettamente soddisfacente. Del tutto imprevedibile e notevole è la corrispondenza di un altro piccolo dettaglio. Il pastore sulla destra del quadro poggia il piede su una pietra di forma cilindrica. Esattamente nello stesso punto, una corrispondente pietra cilindrica è inserita in un cornicione che è stato aggiunto alla parete anteriore della tomba. Tutto, nella tomba e nell'ambientazione, è giusto. Ora sono sicuro che è valsa la pena sottostare ai ritardi e al lavoro extra. I pochi minuti di cui ho avuto bisogno per trovare conferma si sono rivelati elettrizzanti, e mi dispiace di essere solo. È stata un'esperienza da condividere. Ma non c'è tempo per concedersi il lusso di indugiare, sia pure per brevi momenti, in sentimenti di intima soddisfazione. È già ora di pranzo, e i miei appuntamenti pomeridiani si avvicinano. Scatto qualche fotografia, poi rimetto l'auto nella direzione di Rennes-le-Château. Guido in uno stato di esaltazione. Le frustrazioni dell'inizio della giornata sono dimenticate. Mi accorgo che sto cantando a voce alta e stonata mentre percorro le ultime miglia lungo la salita ripida e tortuosa. Non vedo l'ora di ritrovare tutti i miei amici in paese. La scoperta che la BBC ha dimenticato di preannunciare a Henri Buthion il mio arrivo non è niente di più che un piccolo divertente intoppo. Di certo non gli impedisce di prodursi all'istante in uno dei suoi pranzi superlativi, che ho appena il tempo di gustare prima di rimettermi in marcia verso Carcassonne. L'archivio cittadino non è riuscito a trovare tra i suoi documenti la minima traccia della tomba di Arques. Nessuno ne sa niente e si nota uno stato di generale perplessità di fronte a tale carenza di informazioni. Anche se mi dispiace di non poter disporre di materiale di riferimento da usare nel copione, non posso fare a meno di sentire un certo intimo piacere all'idea che a quanto pare abbiamo messo le mani su qualcosa di totalmente inedito. Certo, la generale ignoranza della cosa sembrerebbe indicare che l'importanza della tomba non era mai stata rilevata. Mi suggeriscono di parlare con il curatore della biblioteca di Carcassonne, stimato e colto storico locale che ha compiuto molte ricerche sul passato della zona. Mi incontro con René Descadeillas, il curatore, nel suo ufficio; esamina le fotografie della tomba con interesse. Non ne sa nulla ed è, inizialmente, incuriosito. Conviene sul fatto che quella 29
costruzione meriti un'indagine e telefona a un collega che potrebbe essere in grado di dare qualche chiarimento - ma anche in questo caso, niente. A questo punto quella diffusa ignoranza su una grande tomba sul ciglio della strada comincia ad apparirmi decisamente fuori del comune. M. Descadeillas, però, quell'ignoranza la interpreta come una prova che la tomba non può avere alcuna importanza. «L'intera regione è stata studiata approfonditamente», dice. «Se questa tomba avesse una qualche rilevanza, io o il mio collega lo sapremmo.» La dichiarazione mi sembra un po' azzardata, ma quando porto la conversazione su Rennes-le-Château e su Saunière, il mutamento nel suo atteggiamento è, come ho annotato al tempo, «a dir poco singolare». Saunière, afferma, non era altro che un truffatore. L'unico mistero è l'identità delle tre o quattro persone che gli fornivano i quattrini. «Gente devota che non desiderava che le loro famiglie lo venissero a sapere.» Come spiegazione, l'idea che un gruppetto di persone fosse disposto a mantenere «un truffatore» nel lusso mi sembra ancora più misteriosa. Le opinioni di M. Descadeillas sono espresse con grande chiarezza ed energia. Le pergamene, mi dice, sono spazzatura. Gli chiedo dei messaggi segreti. «Il messaggio riferito a Dagoberto, per esempio.» Scoppia in una risata fragorosa. «Non esiste un messaggio del genere», afferma. «Sono tutte invenzioni.» I documenti, mi dice, sono un tentativo palesemente maldestro di riprodurre scritti antichi. Sono così chiaramente non del periodo che vorrebbero imitare che devono essere dei falsi privi di ogni valore. Chi sa se M. Descadeillas considererebbe anche i propri scritti come «spazzatura» e «tutte invenzioni» se glieli presentassero scritti in una maldestra riproduzione del cuneiforme babilonese. I messaggi nascosti, dopotutto, sono chiaramente inseriti nei testi. Il contenuto è indiscutibilmente più importante della forma in cui è presentato. Mi sembra strano che uno storico rifiuti così categoricamente anche solo di considerare una possibilità concretamente espressa, sulla quale ha appena dichiarato di non saper nulla. Non c'è alcun dubbio che la menzione di Rennes-le-Château ha provocato un netto cambiamento nel suo modo di fare. Comunque, mi offre di farmi esaminare quanto ha scritto lui stesso su Saunière. È una breve opera inedita, una copia della quale è conservata nella biblioteca. Contiene, mi assicura, «tutti i fatti verificabili». Posso sfogliarmelo per mezz'ora, ma mi proibisce espressamente di prendere appunti. Mi accompagna in una stanzetta, mi fa accomodare a un tavolo e scompare. Il libro me lo porteranno. Ancora una volta mi colpisce questo improvviso cambio di atteggiamento, che sembra suggerire una incomprensibile ostilità. Dopo qualche minuto compare un impiegato e mi piazza davanti il libro, quindi, impassibile, si siede al tavolo di fronte a me. È qui, presumibilmente, per accertarsi che non prenda appunti clandestinamente. In questa situazione irreale e imbarazzante, sfoglio il libro di Descadeillas. Le annotazioni buttate giù appena lasciata la biblioteca mi dicono che l'esposizione che della storia di Saunière fa Descadeillas appare più bizzarra che mai, ma contiene «una meticolosa raccolta di date, prezzi, nomi di artigiani, artisti e ditte coinvolte nei vari progetti edilizi eccetera». Non di grande aiuto. Ma, considerando che i dettagli sono tutti presumibilmente ricavabili da documenti ufficiali, il divieto di prendere appunti risulta ancor più sconcertante. (Mesi dopo, scoprirò che M. Descadeillas fa anche lui parte della piccola schiera di attivi cacciatori del tesoro: il che spiega, forse, il suo atteggiamento evasivo.) Un aspetto che mi colpisce molto è l'insistenza del libro sul fatto che Saunière avrebbe acquisito la sua ricchezza grazie al traffico delle messe. Mi sono già imbattuto in questa accusa, anche se mai accompagnata da prove. Si penserebbe che se Saunière avesse davvero montato, come si vuol far credere, una vasta campagna pubblicitaria per richiamare commissioni per dire messa in cambio di un pagamento, della cosa sarebbe rimasta qualche traccia. Il racconto di Descadeillas, invece, non dà alcuna prova a sostegno dell'accusa, né fa cenno all'altra sua allusione, quella della presenza di ricchi e anonimi benefattori. (Una presunta inchiesta ai tempi di Saunière sarebbe «arrivata fino in Vaticano», ma la questione fu lasciata cadere per «mancanza di prove».) Nel complesso un'ora, se non particolarmente illuminante, almeno interessante, anche se non ho fatto alcun passo avanti nel tentativo di apprendere qualcosa sulla tomba lungo la strada tra Serres e Arques. Mi dirigo di nuovo verso Rennes-le-Château, ma non avendo niente altro di pressante da fare per oggi, decido di concedermi un po' di necessario relax e di lasciare lo stradone principale, 30
che ormai conosco fin troppo bene, utilizzando le strade secondarie da Carcassonne a Limoux. Il paesaggio è magico, i paesi giacciono sereni sotto la coltre dei secoli nella luce autunnale del crepuscolo. A St Hilaire trovo una stupenda abbazia con un chiostro che è l'ideale per la pacifica contemplazione. All'interno della chiesa, un superbo sarcofago marmoreo del dodicesimo secolo funge da altare in una cappella laterale. È' uno dei tanti tesori sconosciuti che se ne stanno nascosti in villaggi sperduti di tutta la Francia e che, nel linguaggio delle guide turistiche «valgono la deviazione». Nell'ultima luce del giorno, faccio sosta in Alet-les-Bains. In ognuno dei miei spostamenti frettolosi a Carcassonne e ritorno, ho notato le imponenti rovine di una grande cattedrale lungo la strada nel centro del paese. Finalmente ho un po' di tempo per fermarmi. Immerse quasi fino all'orlo nelle ombre della sera, le torreggianti mura diroccate sono bellissime. Mi fermo dove le ombre dei sacerdoti riccamente abbigliati sembrano ancora compiere i loro servizi sacri nello spazio silenzioso e deserto davanti all'altare maggiore. Anziché l'incenso, è l'oscurità a salire verso il soffitto a volta. Ho la sensazione di disturbare il sonno sereno degli anni di abbandono ed esco senza far rumore girovagando per le strade deserte del paese. Nei venticinque anni dei miei tanti viaggi di ritorno, Alet-les-Bains è diventato per me un luogo di particolare incanto e piacere. La via principale non porta più il viaggiatore di passaggio a imbattersi inaspettatamente in questo piccolo gioiello. Fortunatamente, forse, oggi il paese è lasciato da parte e il mondo moderno gli sfreccia accanto dall'altro lato. Ma Alet per me non ha mai perso il suo fascino. Con le belle vie deserte e silenziose, mi sembra l'incarnazione di una giovane dama riservata di un tempo lontano che guarda, sorridendo a occhi socchiusi, troppo timida per parlare, ma consapevole di essere affascinante. Riluttante, riparto e percorro nel buio le ultime miglia della strada che sale tortuosa a Rennes-leChâteau, guardando con piacere alla prospettiva di una pacifica serata dedicata alla riflessione prima di andare a letto presto. Invece, come ormai dovrei aver imparato ad aspettarmi, la sera non si presenterà affatto come l'avevo prevista.
Una notte difficile Nella Villa Bethania di Saunière, Henri Buthion mi ha preparato quella che sto cominciando a vedere come «la mia stanza». Rinfrescato e pregustando una cena tranquilla, mi avvio giù in cucina, dove sono ormai persona grata. La moglie, la madre e i figli di Henri si occupano tutti della gestione dell'albergo. È un piacere, ora che il pieno del periodo delle vacanze è passato, riuscire a inserirsi con loro nel ritmo di un piccolo hotel familiare fuori stagione. Con un bicchiere prima di cena, dare una mano a preparare il proprio pasto può essere un modo piacevole di passare una mezz'oretta, purché si sia ammessi nel sancta sanctorum. Probabilmente per loro la mia «inglesità», la mia curiosità di scrittore e il mio entusiasmo per la storia del villaggio sono una cosa nuova e in un certo senso divertente. Fatto sta che vengo accolto liberamente nel loro mondo più privato e, con molta buona volontà, mi si lascia continuare nel mio incessante interrogatorio, nella mia ininterrotta voglia di assorbire l'atmosfera. Finalmente pronta la mia cena, mi trasferisco nella sala da pranzo dell'hotel. (Passeranno ancora alcuni mesi prima che mi venga concesso l'onore di un posto alla tavola dei Buthion.) La salle à manger è molto lunga e stretta, in parte al di sotto del livello stradale e originariamente, ai tempi di Saunière, fungeva da giardino d'inverno. (Attualmente è diventata un museo del paese.) Ciascun tavolo è illuminato da fioche lampade da parete schermate di rosso che aggiungono un'affascinante atmosfera di intimità quando il locale è pieno. Vuoto com'è adesso, sembra un po' lugubre, con quella sua aria da tunnel. Henri ha preparato per me a un tavolo a metà della stanza e noto con una certa sorpresa che anche il tavolo vicino alla porta è apparecchiato. Dunque non sono, come avevo creduto, l'unico ospite dell'albergo. 31
Ho appena cominciato a mangiare quando entra un giovanotto alto, biondo e ben piantato, che con un cenno nella mia direzione si siede all'altro tavolo. Si avverte una sensazione di strano impaccio in due ospiti solitari che dividono una stanza da pranzo così grande, soprattutto perché lui è seduto dandomi le spalle, infilato in un angolo buio. È impossibile per entrambi ignorare la presenza dell'altro e il silenzio, rotto solo dal rumore sommesso delle posate, diventa quasi fastidioso. Quando Henri compare con il mio secondo, gli mormoro qualcosa sul fatto che mi rendo conto che forse è troppo tardi per invitare quello sconosciuto a cenare al mio tavolo, ma forse Henri potrebbe chiedere al giovanotto se ha voglia, dopo, di prendere con me il caffè e un digestif. A Henri sembra una buona idea, anche perché l'altro si è già informato su di me e sembra pronto a cogliere l'occasione di fare due chiacchiere. Il mio invito viene debitamente trasmesso e accettato. Finita la cena, Henri accompagna il giovanotto al mio tavolo, fa le presentazioni e si ritira discretamente, lasciandoci con una riserva di caffè e di cognac. All'inizio la conversazione non va al di là delle prevedibili banalità: cortesi luoghi comuni sull'albergo, la bontà del cibo, la bellezza del paesaggio. Negli ultimi anni, mi dice, ha preso l'abitudine di venire qui a Rennes-le-Château ogni volta che ha un weekend libero. Il paese dove abita è a non più di un'ora di macchina e lo attira la pace e la tranquillità e, ovviamente, il mistero del villaggio. La notizia che «un forestiero» sta mostrando un interesse insolito è arrivata fino a lui e così ha colto l'occasione per fare una visita fuori stagione nella speranza di conoscermi ed, eventualmente, di scambiarci le opinioni in proposito. Il suo modo di fare mi fa pensare che ha in mente qualcosa di più specifico che una semplice chiacchierata salottiera. La conversazione si sposta sempre più concretamente verso la caccia al tesoro. Lascia capire che è stato informato che io avrei avuto un certo successo nel dipanare alcuni indizi. L'esperienza mi ha insegnato che quelli che si dedicano a questa storia esclusivamente come una caccia al tesoro sono inclini alla cautela, gelosi delle loro «scoperte» e portati a giocare le loro carte in maniera estremamente sorvegliata, scambiando qualche briciola di informazione con «dritte» in campi che loro non hanno ancora battuto. Quelle che ritengono più preziose, tra le loro scoperte, le tengono tutte per sé. Questo aspetto da caccia al tesoro, per quanto affascinante e molto produttivo dal punto di vista del divertimento, è sempre stato secondario, per me, rispetto all'emozione del disvelamento del mistero storico. Naturalmente, come chiunque altro, sarei ben felice di scoprire un vero tesoro. I cacciatori di tesori, però, non sono disposti a credere che io sinceramente non sono a caccia dell'oro. Il fatto che io consegnerei tutto quanto trovassi alle autorità e non scomparirei nella notte con il bottino, sarebbe ai loro occhi più che improbabile - e in più totalmente incomprensibile. Forse sono troppo scettico per nutrire il sogno di trovare una caverna di Aladino piena di ricchezze. Ma certamente la mia convinzione che la ricerca e la realizzazione del documentario sono veicoli più validi di qualsiasi caccia al tesoro per incanalare la mia energia, mi ha reso più generoso, con i frutti del mio lavoro, di quanto sarei nell'altra eventualità. Il fatto è che, semplicemente, non ho niente da nascondere. Il mio giovane amico, quindi, sembra trovare un po' strano che io sia disposto a esporre i particolari delle decifrazioni, le possibili angolature di approccio al mistero, oltre a qualcuna delle nuove idee che mi sono venute. Spero dunque che questo «commercio» produca qualche nuova idea per me, visto soprattutto che gran parte del mio materiale gli risulta inedito. Sono perplesso, però, perché comincio ad avvertire in lui un'inquietudine non inferiore alla sua eccitazione. Quando finisco di esporre un possibile intreccio tra alcuni degli indizi, mi accorgo che sta per prendere una decisione. Aspetto che si esprima. La pausa si prolunga. Mi rendo conto del silenzio assoluto che ci circonda. La mezzanotte è passata da un pezzo e il villaggio è addormentato da ore. Noi due, chini sul nostro tavolo nella penombra della sala da pranzo, siamo sicuramente le uniche anime sveglie nel raggio di miglia. La pausa sembra farsi interminabile. Che cosa sta pensando? È apparso colpito dalla mia esposizione di alcuni indizi. Ritiene che sia arrivato in vicinanza del traguardo? E se è così, perché la cosa lo turba tanto? Chiunque sia alla caccia di questo tesoro sa bene che chiunque altro potrebbe arrivare prima. È uno dei rischi insiti nel gioco; e allora perché preoccuparsi? La risposta, quando 32
arriva, è più diretta e sconcertante di quanto mi aspetti. Improvvisamente si raddrizza sulla sedia e mi guarda fisso. «Monsieur, devo dirle che penso di aver localizzato il tesoro e sento l'obbligo di avvertirla che sarò spietato se lei - o chiunque altro - mi sbarrerà la strada.» Rennes-le-Château mi ha insegnato a essere pronto a tutto. Le minacce, però, non fanno parte delle mie aspettative. Nonostante le decine di thriller che ho scritto, mi accorgo che è uno choc trovarmi nel mezzo di una scena di minaccia nemmeno tanto velata. Questo succede solo nei film. O a qualcun altro. Certamente, finora, a me non è mai accaduto, se non nelle pagine di un copione. Guardo il giovanotto, consapevole della mia corporatura da peso piuma rispetto al suo abbondante metro e ottanta. Non c'è dubbio: non potrei far molto per impedirgli di sbatacchiarmi contro il muro, se dovesse decidere in questo senso. Ma farà poi sul serio? Considero per un momento la questione. Sì. Non è solo la mia innata vigliaccheria a convincermi che mi trovo in una situazione che richiede delicatezza. La mia prossima mossa viene dalle innumerevoli scene-cliché che ho visto - e scritto - in passato. Prendo la bottiglia del cognac e lentamente riempio il suo bicchiere, poi il mio. Fedele alle migliori tradizioni del thriller, noto che la mia mano è ferma come la classica roccia. L'assurdità dell'intera irreale situazione mi colpisce improvvisamente e mi accorgo che sto sorridendo come un deficiente. «Le credo», è l'unica risposta che sono capace di farmi venire in mente. Forse la mia aria divertita gli risulta imprevista quanto lo è stata per me la sua minaccia, perché si rilassa un minimo e si mostra disposto a continuare a parlare. Ha detto che «pensa» di aver individuato il tesoro; dunque non ne ha ancora avuto conferma. Il suo allarme deriva evidentemente dal timore che le mie deduzioni mi consentano di batterlo sul tempo. Io, da parte mia, so benissimo di non avere in mente alcuna ubicazione precisa. In ogni caso, l'oggetto della mia visita è filmare la «tomba di Poussin». Quello che ora comincia a preoccuparmi è che possa veramente aver localizzato il nascondiglio di Saunière. Se è così, lui e ogni eventuale tesoro che possa trovare finiranno indiscutibilmente per sparire, senza che nessuno lo sappia, tranne probabilmente un ricettatore a cui porterà tutto ciò che possa essere convertito in denaro sonante. Per il momento la moralità di questa mentalità da caccia al tesoro non è di interesse immediato. Mi rendo conto che non posso far nulla per dissuaderlo. Quello che più mi inquieta, però, è il rischio che reperti archeologici potenzialmente importanti possano scomparire senza lasciar traccia e, peggio, senza essere mai stati documentati. Sento che in qualche modo devo cercare di guadagnare la sua fiducia. Continuiamo a parlare mentre scorrono le ore della notte; cerco di persuaderlo che non sono qui per sottrargli il «suo» tesoro ma che, nel caso che lui faccia davvero la scoperta, desidererei soprattutto vederlo. Nel modo più convincente possibile, cerco di spiegargli la necessità di permettere una documentazione di un simile ritrovamento. Azzardo perfino il tentativo disperato di convincerlo a lasciarmi filmare gli eventuali oggetti ritrovati prima che vengano spostati, o anche solo toccati. Forse la disponibilità che ho mostrato a esporgli le informazioni in mio possesso mi ha reso più convincente: alla fine, con mio grande stupore, accetta la proposta. Mi permetterà di riprendere tutto ciò che dovesse trovare a condizione che mi impegni a non dir nulla, a non pubblicare nessuna fotografia e a non trasmettere nessuna ripresa filmata finché non sia trascorso un periodo di alcuni mesi. Chiedendo mentalmente perdono alle autorità interessate perché la mia offerta rischia di diventare un atto di complicità, cerco di impegnarlo con qualcosa di più di una vaga promessa. I miei problemi non gli interessano, ma mi propone di mandarmi un segnale in codice in caso di successo. So benissimo che l'intera faccenda potrebbe non essere altro che una costruzione della sua fantasia. Ce ne sono stati molti, prima di lui, convinti di aver risolto il mistero (e molti di più ce ne saranno in futuro). Per quanto scettico possa essere, non sono disposto a buttar via, per negligenza, la più esile delle possibilità. Il mio atteggiamento è, e continuerà a essere, di apertura mentale. Noto che il mio tentativo di «pressing» ha fatto un po' abbassare la cresta al giovanotto. Sembra che il nostro colloquio stia arrivando alla conclusione. Non me ne rammarico. Sono quasi le due e ho avuto una giornata lunga e faticosa. Siede guardandomi in silenzio mentre raccolgo gli appunti e 33
gli schizzi che ho buttato giù durante la nostra chiacchierata. Poi, mentre sto per augurargli la buonanotte, di punto in bianco mi chiede: «Ha visto lo scavo nella stanza sotto la Torre di Magdala?» La domanda improvvisa mi coglie di sorpresa. «No. Pensavo che quella stanza fosse tenuta sempre chiusa.» Scuote la testa con un'aria un po' divertita. «Non sempre. Venga. Le farò vedere. Ha una torcia?» «Ehm... no.» Non è vero. Ma improvvisamente mi sento nervoso. Non mi va l'idea di visitare una stanza sotterranea in piena notte. Una stanza, tra l'altro, dove a quanto pare qualcuno ha scavato. Una simile spedizione, e con un giovanotto così singolare e allarmante, non mi sembra la cosa più saggia da fare. Visto che la prudenza, alle due di notte, mi sembra la miglior virtù tra quelle che posseggo, decido di non fornire i mezzi per un'escursione verso l'ignoto alla luce della mia pila. Ma non mi sgancio così facilmente. Sorride. «Non importa. So dove ce n'è una.» Scompare, lasciandomi con un interrogativo: perché mi ha chiesto una torcia se sapeva già che ce n'era una a portata di mano? Mentre lo aspetto, solo nella penombra della stanza da pranzo, il mio nervosismo cresce e l'impaginazione comincia a lavorare. Se esiste davvero uno scavo nella stanza sotterranea sotto la torre, quello sarebbe un posto comodissimo in cui potrei «sparire». Andrew, Paul e la troupe non arriveranno ancora per un pezzo. Di nuovo il carattere assurdo della situazione si impone, e ha inizio dentro di me un serrato dibattito mentale. «Se sei veramente nervoso, rifiutati di andare. Vattene in camera tua e chiuditi a chiave.» «D'altra parte, io sono uno scrittore che sta facendo ricerche per una storia. Questa è una cosa che vale la pena approfondire. E in ogni caso... sono assicurato.» Questo pensiero assurdo mi rinforza lo spirito e fa appello al mio senso dell'umorismo. No, non mi tirerò indietro. Dopo qualche momento, il mio compagno è di ritorno con una piccola torcia elettrica per illuminare il nostro cammino. Attraversiamo il giardino buio, reso diverso dalla notte. Teatralmente sinistri sotto gli alberi, i tavolini e le sedie di ferro battuto pitturati di bianco spiccano nella fioca luce come tanti scheletri in agguato. Il silenzio è assoluto quando arrivo ai gradini che portano alla stanza sotterranea e guardo il giovanotto che traffica con la maniglia della porta. Secondo il più classico stile dei film dell'orrore, la porta si apre cigolando sui cardini arrugginiti e lui si fa da parte per lasciarmi passare. Mi chiedo come mai la porta non sia chiusa a chiave. Sperando che la mia momentanea esitazione non traspaia, faccio un profondo respiro e scendo i pochi scalini verso il buio. Lui mi segue, poi chiude la porta. L'«atmosfera» crepita tutto intorno a noi e la mia immaginazione galoppa mentre lui fa girare il fascio di luce per la stanza. È piccola e nuda. Nell'angolo a sinistra in fondo c'è un grosso mucchio di terra. Di fronte, si spalanca un profondo fosso, in fondo al quale il fioco raggio della pila non riesce ad arrivare. Quanto sarà profondo? La terra ammucchiata mostra che una quantità di lavoro è stata dedicata allo scavo. Qualcuno doveva essere assolutamente certo di essere sulla strada buona, anche se sembrerebbe il posto meno adatto per nascondervi un tesoro. Non ci vuole molto per esaminare un buco nel terreno. Nel mio presente stato mentale, non ho un gran desiderio di indugiare. Esprimo il mio scarso interesse per quel lavoro apparentemente inutile e, dopo pochi secondi, sono pronto ad andarmene. Ma il mio compagno ora si è appoggiato con tutto il suo considerevole peso alla porta e non mostra alcun desiderio di tornare all'hotel. La mia sensazione di disagio comincia a crescere. Immaginazione o no, mi rendo conto di trovarmi in una situazione potenzialmente pericolosa. E la cosa non mi piace neanche un poco. L'atmosfera claustrofobica di quella segreta è accentuata dalla fossa che si apre minacciosamente dietro di me. Voglio filar via al più presto. Per qualche motivo l'elementare espediente di scostarlo con una gomitata dalla porta e uscire, date le circostanze, non sembra la più ragionevole delle opzioni. La sua conversazione va avanti tortuosa, vaga e senza meta. Dietro le sue parole sembra che stia pensando ad altro; che stia arrivando a una sorta di decisione. Decido che è meglio non aspettare ma coglierlo di sorpresa - se ci riesco. Provo con un lancio lungo. «È riuscito a capire qual è il senso di quella stranissima iscrizione dietro il Calvario nel cimitero della chiesa?» Centro pieno! Non sa neppure che esiste e, ovviamente, non perderà l'occasione di raccogliere una nuova pista. «Andiamoci, allora. Tocca a me mostrare qualcosa a lei.» L'idea di aggirarmi in un camposanto in piena notte non mi pare proprio entusiasmante, ma è sempre meglio che rimanere intrappolato in 34
questo sinistro sotterraneo. Muovo un paio di passi decisi nella sua direzione e lui, istintivamente, si sposta dal mio cammino. Apro la porta, salgo veloce la scala di pietra e rifaccio la strada attraverso il giardino dell'albergo. Sento che dietro di me lui chiude la porta e si affretta a raggiungermi. L'aria fresca della notte non è mai stata tanto gradita e quel gioco comincia quasi a piacermi. Almeno ho recuperato un minimo di controllo sulla situazione - e su me stesso. Gli mostro l'iscrizione dietro il Calvario, CHRISTUS A.O.M.P.S. DEFENDIT. Non ha idea di cosa possano significare quelle criptiche iniziali. (Quando, qualche tempo dopo, mi sono imbattuto nel misterioso Priorato di Sion, ho avanzato l'ipotesi che le lettere stessero per ANTIQUUS ORDO MYSTICUSQUE PRIORATUS SIONIS. De Sède ipotizza AB OMNI MALO PLEBEM SUAM.) Mentre lui comincia a copiare la scritta su un taccuino, io colgo l'occasione di augurargli un'improvvisa buonanotte e prendere la strada dell'albergo. Raggiunta la mia camera, chiudo la porta e mi sento un po' stupido. Quella sensazione di minaccia era totalmente immaginaria? Forse. Questo episodio non darà nessun frutto concreto. Il giovanotto riparte il mattino seguente dopo un fugacissimo contatto. Non mi comunicherà mai alcuna scoperta e francamente non mi aspettavo niente di diverso. Sono convinto che come tanti altri che si ritengono sul punto di fare il grande ritrovamento, alla fine è rimasto deluso. Certamente non è scomparso nel nulla con il suo bottino. Mi dicono che lo si vede ancora, di tanto in tanto, al villaggio e per molti anni cercherà sempre di far coincidere le sue visite con le mie. Ovviamente ha degli informatori tra gli occhi che mi osservano.
Due signore americane Domenica risulterà una giornata più tranquilla e più produttiva. La generale carenza di informazioni riguardo alla «tomba di Poussin» lascia ancora un «buco» nel mio copione. Ho il sospetto che il professor Nelli non mi sarà utile più degli altri nel ragguagliarmi concretamente, anche se varrà senz'altro la pena ascoltare la sua opinione. E dunque, di nuovo a Carcassonne per il mio appuntamento. Il professore si rivela una persona di grande fascino e cortesia, fiero della sua regione e, giustamente, della propria profonda conoscenza di essa. Partiamo su una nota di buonumore quando mi informa che era lui il «collega» a cui aveva telefonato M. Descadeillas per un aiuto sulla mia richiesta originaria. Ben diversamente dal suo amico, il professor Nelli ritiene che ci sia effettivamente qualcosa su cui valga la pena di indagare nel caso Saunière, ed è molto colpito dal fatto che sia un estraneo, e addirittura uno straniero, a richiamare la loro attenzione sulla tomba di Arques, sempre passata inosservata. «A volte c'è bisogno di un occhio nuovo per accorgersi dell'ovvio», dice. Non ne sa assolutamente nulla, mi confessa, ma riconosce che le fotografie mostrano «una struttura di una qualche importanza - ma probabilmente non signeural». Quando gli mostro il punto preciso sulla carta, resta letteralmente sbalordito. Conosce perfettamente la zona, avendola visitata con M. Descadeillas «decine di volte». Sono interessati a un'antica pietra eretta che si trova sul fianco della collina «proprio dall'altra parte della strada». Ogni volta che ci sono stati, devono aver parcheggiato nelle vicinanze della tomba, senza mai notarla. «René sarà mortificatissimo. Va fiero della sua reputazione di autorità locale. Credo che sia una lezione salutare, ma divertente. C'è sempre qualcosa da imparare.» Promette di indagare e di informarmi se dovesse saltare fuori qualcosa. Ormai sono rassegnato all'idea che non metterò le mani su niente di concreto a proposito della tomba. L'ultima speranza è riposta nel proprietario del terreno su cui sorge, dal quale devo ottenere il permesso per filmare in una proprietà privata. Finora i tentativi di rintracciare il proprietario sono stati infruttuosi e la ricerca è diventata una delle mie priorità. Ma, come capita spessissimo con le ricerche a Rennes-le-Château, la luce mi arriva da una fonte inaspettata. Georges Basset, il fotografo di Esperaza, che mi è venuto in aiuto quando ho perso la macchina fotografica, è entrato a far parte della rete dei miei amici locali. Passo da lui per rifornirmi di pellicole e, nel corso della nostra breve conversazione, Georges mi dà la mia prima - e totalmente inattesa - informazione sulla 35
tomba. Mi chiede come stanno andando le mie ricerche e io gli racconto del colloquio con il professor Nelli su «una tomba locale», specificando che il professore a quanto pare è arrivato abbastanza rapidamente a considerare l'opportunità di aprirla. (Gliene faccio cenno per verificare la reazione di uno del posto a una simile eventualità.) «Intende dire la tomba lungo la strada per Arques?» «Sì. Sembra che nessuno ne sappia niente.» «Ma non c'è bisogno di prendersi il disturbo di aprirla. Io lo so cosa c'è», dice lui. «Due signore americane.» «Mi sta prendendo in giro. Due signore americane...?» Ma Georges Basset non sta scherzando. Suo padre era amico di un uomo che era venuto nella regione subito dopo la prima guerra mondiale: un ingegnere civile americano che si chiamava Louis Lawrence. Lawrence aveva comperato il terreno su cui sorgeva la tomba ed era vissuto lì con la moglie e la madre. L'anziana signora Lawrence era morta nel 1920 e il figlio l'aveva fatta deporre nella «tomba di Poussin». La signora Lawrence più giovane aveva raggiunto la suocera verso il 1924. Lawrence era morto nell'ospedale di Carcas-sonne, e lì era stato sepolto. La storia di Georges Basset sembra abbastanza singolare da rientrare nella mia crescente collezione di particolari imprevisti. Ma qui, se non altro, c'è qualcosa di concreto che è possibile controllare e verificare. Finalmente ho un'indicazione. Quando, successivamente, rintraccio l'anziano attuale proprietario del terreno, lui è in grado di confermare il racconto, con la sostanziosa aggiunta del fatto che lui era presente al funerale del 1920 e aveva dato una mano ad aprire la tomba che doveva ricevere la cassa della madre di Mr Lawrence. Può darmi la sua assicurazione di testimone oculare che quando era stata aperta, nel 1920, la tomba era completamente vuota. Ci si può chiedere che cosa mai potrebbe aver condotto un ingegnere civile americano in quella che, all'epoca, doveva essere una parte del mondo remota e primitiva. Quanto alla tomba. Il proprietario non sa darmi altri dettagli sulla sua storia o sulla sua destinazione. «Mio nonno mi diceva che era sempre stata lì», dice. Visto che il mio informatore è un ultraottantenne, questo dato deve far risalire l'esistenza della tomba almeno a un secolo fa. (Ci sono state diverse opinioni sull'età della struttura. Descadeillas afferma che «dev'essere dell'inizio del ventesimo secolo». Nessun elemento concreto per la datazione è finora emerso. La testimonianza di prima mano del proprietario sull'affermazione del nonno rimane quindi, per come stanno le cose, la prova migliore.) Quando gli chiedo il permesso di filmare la tomba, è felicissimo di concederlo. «Nessuno si prende mai la briga di chiedermi il permesso. Ma certamente non mi dispiace affatto. È un bel posto, perché non dovrebbero farlo? Non fa nessun danno. Filmi pure quanto le pare.» Non passerà molto tempo perché le sue parole riecheggino in una forma inaspettata. La giornata finisce con una visita al castello di Arques, che sorge a pochi minuti di auto dopo la tomba. Magnifico e imponente donjon, con la sua sagoma massiccia e le sue torri si staglia contro il cielo, sintesi di tutte le fantasie infantili su un castello giocattolo fattosi realtà. Bisognerà senz'altro aggiungerlo alla nostra lista di esterni da filmare. Prendo nota di una curiosità sulla sua ubicazione. Il castello si trova a meno di un miglio dal villaggio, stretto intorno alla sua chiesetta. Il terreno che divide il castello dall'abitato è aperto e in lieve pendio, e non sembra esservi alcuna logica in questa separazione. Anzi, la funzione del donjon di rifugio per gli abitanti del paese nei momenti di difficoltà è ostacolata dalla collocazione. Per ora sto semplicemente notando una stranezza. Ci vorranno anni perché mi renda conto che l'ubicazione stessa ha una sua grande importanza.
Vandalismo Il lunedì si annuncia grigio e nuvoloso. Ma il tempo non riesce a farmi perdere il buonumore. Il mio sopralluogo ha avuto tutto il successo che potevo desiderare. Posso impiegare la mattina per effettuare i controlli finali intorno alla tomba studiando le posizioni per la cinepresa prima di iniziare il lungo tragitto sotto la pioggia battente per andare a prendere Paul e Andrew all'aeroporto di Tolosa nel tardo pomeriggio. Il brutto tempo e la stanchezza accumulata nei giorni di sforzi concentrati rende il viaggio tutt'altro che piacevole. Arrivo alla periferia di Tolosa proprio nel 36
momento del massimo traffico della fine della giornata, un purgatorio da cui esco per finire in un incubo quando mi trovo intrappolato su un cavalcavia bloccato da un camion in panne. Per quasi tre quarti d'ora me ne sto a bollire di rabbia mentre si sviluppa un ingorgo che, dal mio punto di osservazione sopraelevato, sembra coinvolgere tutta la città. Mentre io sono preda della mia rabbia impotente, Paul e Andrew sono in pieno panico all'aeroporto. Poiché si aspettavano di trovarmi ad attenderli, hanno telefonato a Henri Buthion per sapere come mai non ci sono. Avendo saputo che ero partito «da ore», stanno immaginando ogni genere di sinistro evento automobilistico che potrebbe essermi capitato quando finalmente li trovo, carichi di bagagli e di incertezza. La troupe di ripresa sta viaggiando via terra e ci raggiunge chez Saunière mezz'ora dopo il nostro arrivo. Una serata conviviale si conclude con l'offerta di fervide preghiere perché il tempo migliori per le riprese di domani. L'alba porta nuvole minacciose e raffiche di vento ma, fortunatamente, niente pioggia, e io conduco il nostro piccolo convoglio lungo la strada tortuosa che porta alla «tomba di Poussin». Paul si bea della bellezza del paesaggio e Andrew si assume il ruolo di guida. Facciamo qualche sosta lungo la strada perché Paul possa vedere il Castello di Coustaussa, Cardou e Blan-chefort, a lui già familiari grazie alle riprese che abbiamo effettuato in primavera. Oltre Cardou, per Andrew è territorio nuovo e, per i miei compagni, l'eccitazione della scoperta è ancora nell'aria. Il castello di Serres appare alla nostra sinistra. Rallento. «Manca poco. È sulla destra.» Procediamo in silenzio e sento la tensione che monta leggermente. Sono ansioso di vedere le reazioni di Paul e di Andrew alla struttura e alla sua ambientazione. Ho fatto di tutto per non influenzare le loro aspettative, dicendo solo che sono convinto che la scoperta è genuina. Il mio produttore e il mio regista saranno d'accordo che tutti i nostri sforzi ed esborsi extra meritavano di essere spesi? Esco dalla strada e parcheggio sullo spiazzo erboso. La tomba non è ancora visibile. Voglio che la loro prima vista sia uguale alla mia: un «campo lungo» al di là del fossato, dalla strada. «Appena pochi metri lungo la strada», li informo. «La vedrete dal parapetto.» Gli altri si affrettano, Andrew armato della riproduzione del dipinto. Io resto indietro, per osservare le reazioni... e non resto deluso. Andrew appoggia la figura sul parapetto di pietra che cinge la strada e gli altri si affollano intorno a lui per confrontare la scena dipinta con il paesaggio che si trova davanti a loro. Un silenzio concentrato sembra trascinarsi per un'eternità mentre aspetto i loro primi commenti. Finalmente Paul si volta verso di me con un gran sorriso. «Speravo che fosse buona, ma non avrei mai pensato che fosse così buona.» Andrew è entusiasta. «Qui c'è tutto», dice, «il paesaggio corrisponde perfettamente. Deve di sicuro essere il punto scelto da Poussin.» «Et in Arcadia ego», mormora Paul. «Abbiamo trovato l'Arcadia.» Non avevo mai pensato alla nostra scoperta in questi termini, ma Paul ha ragione. Qui c'è la materializzazione della visione di un pittore classico della tranquillità pastorale ideale. Quanto era parso la fantasia bucolica di un artista si apre davanti ai nostri occhi lungo una valle della Francia del sud. L'unica cosa che manca, per il momento, è il sole. «È incredibile che nessuno l'abbia mai individuata», dice Andrew. «Chi avrà fatto la soffiata a de Sède?» mi domando. Ho idea che la scoperta originale sia stata fatta non da lui ma da uno degli oscuri nell’ombra che ormai sospetto si muovano nell'ombra dietro di lui. La troupe sistema l'attrezzatura e trascorriamo la mattina in uno stato di euforia e di intensa attività. Siamo in grado di fare delle magnifiche sovrapposizioni di Cardou e di Blanchefort, che nel dipinto si trovano situate con grande precisione rispetto alla realtà. La roccia di Toustounes, proprio dietro la tomba, è anch'essa perfettamente al posto giusto. Abbiamo una lunga discussione congetturale sull'unico elemento che non corrisponde: il tratto di pendio in salita alla sinistra di Toustounes, che Poussin ha rappresentato come un fianco in discesa. Il dipinto è conservato a Parigi, al museo del Louvre. Suggerisco che forse un controllo sul posto sarebbe utile. Si potrebbe sottoporre il quadro ai raggi X. È possibile che Poussin abbia dipinto il profilo in maniera corretta e poi, per qualche motivo, lo abbia modificato sostituendolo con le nuvole? È chiaro che ci sarebbero molte cose che varrebbe la pena approfondire. Terminiamo il lavoro della mattina più che soddisfatti del materiale girato e riprendiamo la strada per il breve viaggio di ritorno a Rennes-leChâteau dove pranzare e preparare il piano delle riprese per il resto della giornata. Seguendo 37
fedelmente il modello dei mesi passati, la giornata ha ancora qualche sorpresa in serbo per noi. Dopo una breve pausa per il pranzo, torniamo alla tomba per le riprese del pomeriggio. Mentre parcheggio l'auto, ho il piacere di vedere il simpatico proprietario del terreno che scende lungo il sentiero dalla tomba. Ma quando smonto dall'auto per salutarlo, il mio piacere sfuma rapidamente. È furibondo. Agitando i pugni nell'avvicinarsi, ci grida di non mettere più piede sulla sua proprietà, altrimenti chiamerà la polizia. Quando interrompe la sua tirata per prendere fiato, mi affretto a domandargli che cosa gli abbia fatto cambiare idea. Dopo tutto, gli ho chiesto il permesso - e l'ho ottenuto. «Il permesso di filmare, sì. Non il permesso di darsi al vandalismo!» Vandalismo? Cosa mai intende dire? La perfetta professionalità di una troupe cinematografica non lascia tracce. Continua a sbraitare mentre Andrew, Paul e gli altri aspettano perplessi, senza capire. Per quanto ci sforziamo, non riusciamo a capire esattamente di quale crimine ci accusi. Finalmente lo convinco a mostrarci la causa della sua collera. La sua ira è certamente reale, ma sta cominciando a rendersi conto che la mia aria di stupita innocenza è altrettanto genuina. Raggiunta la tomba, tutto si fa immediatamente chiaro. Durante la nostra breve assenza, qualcuno ha fatto intenzionalmente il tentativo di infrangere il tetto della struttura. Il coperchio di pietra è malamente spaccato in un angolo e il grosso sasso usato per compiere il danno è stato lasciato sul posto. Non c'è bisogno di sottolineare la mia rabbia a una tale mostruosa barbarie. Il proprietario può vedere che sono sinceramente scosso, sconvolto e allarmato per quanto è accaduto. In pochi istanti i buoni rapporti sono restaurati e lui prontamente concede la prosecuzione delle riprese. Eppure, la situazione resta inquietante. La tempestività dell'incidente non può essere frutto di coincidenza. Per qualcuno poco addentro alle pratiche ripetitive e protratte della cinematografia, la nostra partenza dopo la lunga mattinata di lavoro deve aver costituito un segnale che le riprese erano finite. Se non fossimo ritornati, certamente saremmo stati ritenuti responsabili di quella che nel migliore dei casi sarebbe apparsa una grottesca e arrogante manifestazione di ingratitudine. È stato evidentemente un atto di criminale vandalismo compiuto allo scopo di macchiare la nostra reputazione. Certamente avrebbe reso assai improbabile qualsiasi ulteriore collaborazione da parte dei locali. Si potrebbe anche sospettare che l'autore del gesto sperasse che lo avevamo condotto al «tesoro». Questo brutto incidente contribuisce a confermare un sospetto e un timore che continuano a crescere nella mia mente fin dalla distruzione della «iscrizione Calvé» presso la Fontaine des Amours. È ormai ovvio che i miei movimenti sono osservati con gran cura. Quindi, è chiaro, se dovessi mostrare un interesse più che fugace per un sito o un oggetto, mi esporrei al rischio di più tangibili - e sgradite - attenzioni. Ovviamente non c'è niente che potrei, o vorrei, fare per impedire ad altri di indagare sulla storia. Ma finirà per accumularsi una minacciosa raccolta di segnali, il peggiore dei quali è la profanazione della tomba di Poussin. (Le aggressioni a questo importante e affascinante manufatto continueranno spasmodicamente per molti anni. Alla fine nella primavera del 1988, fu fatto il folle tentativo di farlo saltare con un esplosivo. Tragicamente, ma forse comprensibilmente, il proprietario del terreno fece abbattere la tomba nella vana speranza che le ossessive e oltraggiose attenzioni dei cacciatori del tesoro cessassero.) Devo imparare a diventare estremamente prudente; ma la forza bruta dei cacciatori del tesoro lascerà una sgradevole scia al mio passaggio. Nel cimitero di Rennes-le-Château le nostre riprese primaverili comprendevano la lapide di Marie de Negri de Blanchefort, la cui iscrizione sarebbe stata cancellata da Saunière. Adesso la pietra è spaccata in tre pezzi, nella convinzione, presumibilmente, che il tesoro si trovasse lì sotto. (Venti anni dopo, resta sì e no metà della pietra.) Avevo fotografato anche la Pietra Eretta sulla collina sopra la tomba di Poussin. Tornando sul posto appena un paio di giorni dopo, ho trovato che era stato praticato un profondo scavo ai suoi piedi. Il cimitero di Rennes-les-Bains aveva una lapide estremamente interessante, che Andrew e io avevamo esaminato a lungo in primavera. Ora scopriremo che la pietra è sparita del tutto. Prevedevamo già, con un certo disagio, che con ogni probabilità il nostro film avrebbe richiamato un gran numero di nuovi turisti-cercatori a Rennes-le-Château. Il villaggio, lo sappiamo, rischierà di perdere la sua atmosfera pacifica e incontaminata. Ma è un prezzo che i suoi abitanti 38
sembrano disposti a pagare... e solo con una minima riluttanza. I turisti porteranno indubbiamente gradite e necessarie attività economiche in quella che è una zona relativamente arretrata. Però il turismo innocente è una cosa; ben diversa è l'attenzione di cacciatori di tesori ossessionati dall'oro e privi di scrupolo che non hanno rispetto né interesse per niente che non sia la fantasia di riempirsi le tasche con ciò che resta dell'ipotetico tesoro di Saunière.
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5 I pastori d'Arcadia A PARTE queste sgradevoli prove della natura tutt'altro che nobile dei nostri invisibili osservatori, la seconda breve spedizione per le riprese si svolge assolutamente priva di incidenti. Tornati a Londra, Andrew si accinge a mettere insieme in un film coerente il nostro materiale, mentre io perfeziono il testo di commento. Paul fissa la data della trasmissione: 12 febbraio 1972. Una priorità per questo intervallo di tempo è sentire pareri sull'importanza della «scoperta» Poussin. Lo specialista riconosciuto sulla vita e le opere del pittore è Anthony Blunt, Surveyor of the Queen's Pictures e direttore del Courtauld Institute of Art. Andrew riesce a fissare un appuntamento e, armati di fotografie della tomba e del paesaggio, ci presentiamo allo studio di Blunt presso l'istituto alla ricerca di illuminazione. Quello che troviamo è un muro. Il quadro raffigura una tomba immaginaria in un paesaggio immaginario, ci dice Blunt. Gli mostriamo le fotografie. Riconosce che la struttura è molto simile alla tomba del dipinto. Gli facciamo notare la perfetta corrispondenza con gli elementi del paesaggio di sfondo. Lui pondera per qualche istante. La fedeltà dei particolari dipinti rispetto all'immagine fotografica è innegabile. Ma Blunt scuote la testa. «È una coincidenza straordinaria, ma pur sempre una coincidenza.» Se io sono di diverso parere, insiste Blunt, sta a me produrre un'ipotesi di conferma. «La vita di Poussin è estremamente ben documentata», ci dice, «e si sa che non ha mai visitato quella parte della Francia.» Quando metto in dubbio la sua certezza dogmatica su una vita di tre secoli fa, Blunt ammette che esistono delle falle negli anni giovanili di Poussin. «È possibile», domando, «che Poussin abbia visitato la zona in gioventù, prendendo degli schizzi dettagliati?» «No.» «Potrebbe essere stato qualcun altro a realizzare gli schizzi in base ai quali lui ha prodotto il dipinto?» «No. Poussin non lavorava così.» Ecco la voce dell'Esperto. Io, da ignorante dilettante quale sono, non posso mettermi a discutere con il verbo dell'autorità. Blunt ci sta riferendo ciò che gli hanno insegnato, ciò che lui continua a insegnare. Ma io ci sono stato di persona davanti a quella straordinaria struttura e, con i miei occhi, ho visto e vissuto una precisa rappresentazione dell'Arcadia di Poussin. Come spiegazione, trovo la «coincidenza» assai insoddisfacente. C'è anche la questione della «lettera di Fouquet» trovata nell'archivio della famiglia CosséBrissac. Spedita dall'abate Louis Fouquet al fratello Nicolas, sovrintendente delle Finanze alla corte di Luigi XIV, parla di un incontro con Poussin nella primavera del 1656. La lettera è misteriosa. Louis Fouquet scrive di un «segreto» che ha appreso da Poussin. «Un segreto tale che gli stessi sovrani si dannerebbero per estorcerglielo.» Blunt è in grado di offrirci qualche chiarimento? Il senso della lettera, riconosce, non è mai stato interpretato appieno. A suo parere, però, riguarda una commissione di sculture per il giardino di Fouquet. Questa spiegazione mi risulta insoddisfacente quanto l'altra. È chiaro che mi toccherà compiere altre ricerche - e altre riflessioni.
Il Louvre e la Bibliothèque Nationale Dopo il buco nell'acqua con Blunt, non posso che sperare che le cose vadano meglio con il Louvre, che ha promesso di mettere a disposizione le copie delle radiografie del dipinto. Per fortuna, avevamo programmato di filmare un'intervista con Gerard de Sède a Parigi. La breve spedizione per le riprese mi darà l'opportunità di visitare il Louvre, così che potrò vedere I pastori d'Arcadia in «carne e ossa» oltre che in radiografia. L'intervista filmata richiede poco tempo e mi trovo con una mattinata libera prima dell'appuntamento che ho con il direttore scientifico del Louvre. Con mio grande piacere, de Sède mi chiede se mi farebbe piacere accompagnarlo alla 40
Bibliothèque Nationale dove è conservata un'abbondante documentazione relativa alla vicenda. C'è un libro in particolare che ci tiene molto a farmi chiedere alla biblioteca. Si tratta, mi spiega, di un'opera misteriosa sull'antica lingua dei celti scritta dall'amico di Saunière, l'abate Boudet, prete di Rennes-les-Bains. De Sède mi avverte però di non aspettarmi di vedere il libro. Lui è a conoscenza dell'esistenza di due sole copie: una presente nel catalogo della Bibliothèque Nationale, l'altra in una biblioteca di provincia. Ma nessuna delle due copie, mi dice, è mai stata accessibile. Presumibilmente sono state rubate. Gli interessa vedere la reazione alla mia richiesta di vederlo. De Sède mi spiega la routine di richiesta della Bibliothèque e io riempio i moduli necessari. Con suo indicibile stupore, il libro di Boudet arriva. Nei pochi momenti che dedico a studiarmelo, non riesco a vedere alcun suo uso diretto nel nostro film. Piuttosto, trovo più interessante lo sbalordimento di de Sède al suo arrivo. È questa un'altra dimostrazione del fatto che si basa su informazioni altrui? * Degli altri due libri ordinati dietro suo suggerimento, me ne arriva uno. L'altro è, mi si dice, communiqué. Il che significa semplicemente che al momento si trova già in lettura. Ovviamente dovrò ritornare alla biblioteca per continuare le mie ricerche. Per il momento, altri impegni richiedono il mio tempo. Arrivo al Louvre e trovo che lo scienziato che ha eseguito lo studio ai raggi X ha preparato le radiografie in modo che possa esaminarle e resta a disposizione per rispondere agli eventuali quesiti che potrei porgli. Ma ancora una volta mi trovo ad affrontare quella che mi sembra una delusione. Le radiografie mostrano senza alcun dubbio che Poussin non ha apportato nessuna alterazione sostanziale a I pastori d'Arcadia. Il profilo anomalo del monte e le nubi sulla sinistra del dipinto erano lì fin dal primo momento. Il motivo che potè spingerlo a introdurre quella variazione sembrerebbe destinato a rimanere avvolto nel mistero. Dedico parecchio tempo a esaminare dettagliatamente le fotografie ai raggi X - una simile opportunità non si presenta di frequente - e, al di là di tutte le mie aspettative, noto ancora un'altra curiosità. C'è un piccolo dettaglio visibile solo nell'imprimitura e che sembra inspiegabile. Come si può vedere distintamente, il tratto di bastone che spunta dietro la testa del pastore di destra è coperto dal colore del tetto della tomba. Sembrerebbe che il bastone sia stato dipinto prima. Poussin, a quanto pare, avrebbe lavorato a ritroso partendo dai dettagli in primo piano: una procedura alquanto insolita. Si direbbe che abbia fissato la posizione del bastone prima di completare la raffigurazione della tomba e della testa del pastore. Quando faccio rilevare questa curiosità ricevo una risposta sorprendente. Sembrerebbe che finora nessuno si sia accorto dell'anomalia. Forse, mi suggeriscono, una velatura, l'aggiunta successiva di uno strato di pittura, potrebbe giustificare la peculiarità; ma in realtà non c'è traccia di velature. Un'altra possibile spiegazione viene avanzata dall'esperto del Louvre. La densità atomica del materiale pittorico usato per la tomba potrebbe essere più pesante di quello del bastone, con un effetto coprente sul bastone. Questo però non spiega come mai la parte inferiore del bastone non sia ugualmente coperta. Misteri del genere possono essere assai tenaci. Anche se non ho modo di usarlo nel nostro film, questo frammento del puzzle continuerà ad affiorare nella mia mente, imponendosi all'attenzione. Per il momento, comunque, questo filo penzolante andrà lasciato lì dov'è. Ho ancora un impegno per la giornata: un esame ravvicinato della raffigurazione visibile a occhio nudo de I pastori d'Arcadia di Poussin.
* Al mio ritorno in Inghilterra ordinai La vraie langue celtique di Boudet alla mia biblioteca locale. La cosa divertente fu che riuscirono a procurarmene una copia nel giro di quarantott'ore. Si trovava nella sala consultazione della biblioteca del sobborgo londinese di Swiss Cottage. Il libro oggi è diventato un punto di riferimento fondamentale per gli appassionati di Rennes-le-Château ed è disponibile in più di un'edizione in facsimile. (Vedi The Holy Place, cap. 9.)
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I pastori scomparsi Come accade con tanti aspetti della ricerca su Rennes-le-Château, perfino questa questione apparentemente così semplice presenta la sua quota di complessità. In circostanze normali il quadro sarebbe stato esposto nella Grande Galene del Louvre. E invece, recentemente (e per coincidenza) era stato dato in prestito al museo di Rennes. (Non Rennes-le-Château, ma la città della Normandia.) Adesso giace sequestrato nel vasto deposito del Louvre e non è accessibile al pubblico. Mentre io esaminavo le radiografie, il direttore scientifico del museo ha telefonato per procurarmi il permesso di visitare la riserve. Mi fornisce, in caso di necessità, un biglietto da lui firmato come autorizzazione e poi va via in tutta fretta per un appuntamento lasciandomi ad aspettare l'arrivo di una guida che mi accompagni attraverso gli interminabili e labirintici corridoi del palazzo. La cosa si rivela un incredibile safari. Vengo condotto per lunghissimi corridoi; attraverso porte che occasionalmente si aprono su aree pubbliche dove i turisti ammirano i capolavori appesi alle pareti. Una di queste uscite ci fa trovare coinvolti nella ressa che circonda Monna Lisa di Leonardo. Come il Coniglio Bianco di Alice, la mia guida si fa strada sgomitando tra la folla, apre una porta adiacente e scompariamo di nuovo in altri interminabili corridoi. Questa volta le mura sono di nudi mattoni, e mi trovo a faccia a faccia con un'altra Monna Lisa. L'apparizione mi provoca una sosta perplessa. Guardo bene, ma non riesco a individuare nessuna differenza con il dipinto esposto al pubblico a pochi metri di distanza. So che sono state fatte innumerevoli copie del capolavoro di Leonardo, ma questa giustapposizione di una Monna Lisa pubblica e una privata mi fa uno strano effetto. Lancio uno sguardo interrogativo alla guida. «Qual è?» Lui sorride, si stringe nelle spalle e prosegue al trotto lungo il passaggio polveroso. Finalmente raggiungiamo la caverna di Aladino della riserve. È una sala immensa che ha la funzione di una sorta di «schedario». Sui due lati di una vasta corsia centrale sono allineate file di enormi scaffalature che vanno dal pavimento al soffitto. In ciascuna di esse è infilato di costa un certo numero di dipinti, elencati su schede affisse alla fiancata visibile della struttura. Il mio compagno scorre le schede sulla sinistra, mentre io controllo quelle di destra. Arrivo alla fine della sala senza successo e aspetto l'arrivo della guida. «Dalla mia parte non c'è», mi dice lui. «Nemmeno dalla mia.» Ci dev'essere sfuggito. Ci scambiamo i lati e rifacciamo la strada a ritroso con maggior cura. Ma, secondo le schede, I pastori d'Arcadia non si trova nella riserve. Ma questo è assurdo. Perché la ricerca su Rennes-le-Château deve trovarsi così continuamente di fronte a ostacoli e problemi? Dov'è il quadro? «Se non è nelle schede, allora qui non c'è», assicura la mia guida. «Ma deve esserci!» «Se c'è e non è schedato, cosa impossibile», ribadisce, «ci vorranno ore per trovarlo. Su queste scaffalature ci sono centinaia di dipinti.» È chiaro che non ha nessuna intenzione di imbarcarsi in una ricerca fisica in tutto il deposito del Louvre e mi guarda male come se la disfunzione nel sistema del museo fosse colpa mia. «Mi sembra difficile che il direttore scientifico si sia preso il disturbo di darmi il permesso di vedere un dipinto che non c'è», insisto sulla difensiva, frugandomi le tasche alla ricerca del foglietto di autorizzazione che mi ha consegnato «in caso di necessità». Mi rendo conto della futilità del mio gesto già mentre spiego il biglietto. Ben difficilmente farà materializzare i pastori arcadici dal limbo in cui si trovano al momento. «Guardi», dico sconsolato. Ma nell'angolino in fondo al foglietto noto una specie di scarabocchio. Sembrerebbe il numero 139. Aggrappandomi all'unico appiglio disponibile, chiedo: «Potrebbe essere il numero 139?» «I dipinti non sono numerati», risponde lui, secco. Gli piazzo il foglietto sotto il naso. Lui lo squadra. «Ah!» dice. «Tredici G.» Fa dietrofront e ripercorre una fila di scaffali. Ma certo. Treize gauche, tredici a sinistra. Tira fuori l'intelaiatura scorrevole dal tredicesimo scaffale a sinistra. I pastori arcadici appaiono alla vista. Non sapremo mai come mai, tra tutti i dipinti così accuratamente immagazzinati e documentati, solo questo sia passato attraverso le maglie della rete di schedatura del Louvre. È l'ennesimo esempio della regola di Rennes-le-Château, che tutti i ricercatori dovrebbero tenere sempre presente: «Con Rennes-le-Château, niente è mai semplice e diretto».
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La trasmissione e le reazioni Tornato di nuovo a Londra, il lavoro a Il tesoro perduto di Gerusalemme...? procede. Paul visiona il primo abbozzo del montaggio e decide che l'intervista a de Sède non è soddisfacente. De Sède ha preferito parlare di aspetti della storia che non sono direttamente pertinenti alla strutturazione del nostro programma. (Approfondire il possibile legame di Saunière con una cantante lirica, che pure meriterebbe un rapido accenno, non è il genere di particolare che rientra nell'impostazione storico-archeologica di Chronicle.) Inoltre, l'accento di de Sède lo rende poco comprensibile e i suoi argomenti non giustificherebbero la spesa di sottotitoli. Paul decide, da produttore del programma, di eliminarlo dal filmato. Toccherà a me riempire i minuti tagliati con un mio intervento. De Sède è furibondo. Ignorando che tali decisioni sfuggono completamente al controllo dell'autore, è convinto che è stata una mia volontà personale eliminarlo dal film allo scopo, come dice lui, di prendermi io «tutto il merito». Non c'è spiegazione che basti a farlo ricredere. Qualche anno dopo, l'apparentemente normale decisione editoriale di Paul avrà ripercussioni impreviste e divertenti, benché violente. Alle 20.30 di sabato 12 febbraio 1972, la BBC 2 manda in onda Il tesoro perduto di Gerusalemme...? Probabilmente me lo sarei dovuto aspettare... i «gremlin» di Rennes-le-Château sono in agguato sulle ali. La Gran Bretagna sta attraversando un «inverno di scontento». L'attività sindacale ha provocato una crisi energetica. A metà del programma la fornitura di energia elettri-i ca salta. In vari punti del paese gli schermi televisivi si spengono. Ululati di rabbia e frustrazione inondano i centralini della BBC. E, dagli spettatori delle zone non colpite dal black-out, arriva un fiume di messaggi pieni di interesse. La forza della reazione porta alla decisione di replicare il programma. La seconda - e questa volta ininterrotta - trasmissione va in onda sei settimane dopo, il 31 marzo, Venerdì Santo. La reazione del pubblico al Mistero di Rennes-le-Château è incomparabilmente più forte di quanto avessi previsto. Vero è che, secondo il giusto, commento di un giornalista, «al solo accenno a un tesoro sepolto, tutti i muscoli dei sogni e dell'avidità cominciano a fremere». Eppure, sono completamente impreparato al gran numero di lettere che arrivano. Una simile reazione, inutile dirlo, è enormemente gratificante. Quello che era iniziato come un «breve riempitivo per un programma contenitore» ha dato la stura a una corrente affascinata e produttiva nella coscienza dei telespettatori. Approfondire le ricerche sulla storia di Saunière non ha più niente dell'autocompiacimento, ma è diventato un imperativo. Prima o poi dovrà esserci una seconda puntata.
Prova incontrovertibile? La vicenda di Rennes-le-Château suscita una varietà straordinaria di reazioni. La posta consegna pareri che vanno da «tutta la storia dev'essere un imbroglio» a «perché non trovare il tesoro semplicemente sorvolando la zona con un magnetometro aereo?» Ricevo anche un paio di cartine topografiche contrassegnate con l'ubicazione (diversa per ogni mappa) dell'oro di Saunière, identificato con il metodo antico (e non affidabile al cento per cento) della rabdomanzia «a distanza». Una delle lettere chiede una risposta immediata. Un giovane ufficiale subalterno della Royal Artillery di stanza in Germania, chiede le esatte coordinate del villaggio. Ha deciso di dare a una squadra di suoi soldati una licenza pasquale portandoli sul posto per trovare il tesoro. Andrew cortesemente - e in tutta fretta - lo dissuade. La popolazione locale (per non dire delle autorità locali) non sarebbe affatto contenta della rottura della sua tranquillità rurale da parte di entusiastiche e discutibilissime manovre militari. La grande maggioranza delle lettere esprime un notevole interesse per la vicenda e chiede ulteriori informazioni, copie del testo e/o riproduzioni delle pergamene. Le migliori di tutte sono le 43
poche lettere che propongono nuove idee e suggeriscono nuove piste. Un insegnante di latino mi fornisce un magnifico anagramma di Et in Arcadia ego, l'iscrizione sulla tomba dipinta da Poussin. Il suo suggerimento è I tego arcana dei: «Vattene! Celo i segreti di Dio». Se l'anagramma appare splendidamente pertinente, non posso che restare convinto che tali giochi di parole non sono altro che una interessante - e felice - coincidenza. Finirò con l'imparare che alcuni «solutori dell'enigma di Rennes-le-Château» sono pronti a fondare le più elaborate teorie su «prove» tanto inconsistenti, adombrandosi non poco davanti al mio rifiuto di lasciarmi impressionare dai loro volonterosi convincimenti. I giochi di anagrammi possono produrre risultati apparentemente splendidi. Ma un risultato casuale non è una prova. Una delle prime lettere è diversa da tutte le altre. È breve e sorprendente, e sembra dirottare la storia in una direzione totalmente inedita. L'autore è un vicario della Chiesa d'Inghilterra in pensione. «Posso segnalarle», dichiara senza mezzi termini, «che il 'tesoro' non consiste in oro e pietre preziose, bensì in un documento contenente la prova incontrovertibile che Gesù era vivo nell'anno 45 d.C. ... Questo», aggiunge, «distruggerebbe totalmente il dogma 'cristiano'.» La mia prima reazione è che si tratta semplicemente della comunicazione di uno squilibrato e la metto via. Quando più tardi rileggo la lettera prima di archiviarla, mi colpisce lo stile dogmatico e assolutamente equilibrato del vicario. Decido che un colloquio con un sacerdote che coltiva convinzioni così singolari potrà essere più che interessante. Considero che un pomeriggio trascorso in sua compagnia non sarà tempo buttato via. Ora che sono passati tanti anni, sono arrivato alla conclusione che probabilmente è stato questo mio atteggiamento a contribuire più di ogni altra cosa a farmi trovare una strada in mezzo ai mari nebbiosi del materiale più incerto e a farmi pervenire ai porti più insospettabili. Determinate mentalità accademiche - soprattutto quelle del tipo di Blunt - balzano troppo prontamente alla conclusione che una data ipotesi è «impossibile». Costoro non si degneranno di perdere nemmeno un momento del loro tempo per riflettere sul perché delle loro ferree certezze, per chiedersi se, per caso, non potrebbe esserci tra tante scorie almeno il barlume di un'idea interessante. Mi sembra che quel che conta nell'esame di idee apparentemente oltraggiose non sia tanto se le si trovi accettabili, credibili, o anche solo possibili. Quel che conta di più - e che è più illuminante - è la possibilità che qualcuno in passato possa aver albergato una convinzione del genere. I navigatori, tutto sommato, un tempo pensavano che la terra fosse piatta e che c'era il pericolo di precipitare giù dall'orlo. Le conseguenze di questa convinzione meritano di essere studiate, anche se la loro infondatezza è accertata. Io sono sempre pronto a dedicare un po' di tempo all'esame del suggerimento anche più improbabile. Se è proprio un insulto alla ragione, lo si vedrà agevolmente. Quel che è certo è che ho imparato che alcune idee, considerate folli, hanno portato a scoperte di grande valore. L'apertura mentale è una risorsa preziosa. Anche se non riesco a capire come chiunque possa affermare di possedere una documentazione «incontrovertibile» sulla veridicità di alcunché, anche se non riesco a capire in che modo l'eventualità che Gesù sia sopravvissuto alla crocifissione possa avere una qualche relazione con la storia di Bérenger Saunière, fisso ugualmente un appuntamento con il reverendo B. e lascio felicemente Londra per «sprecare» un pomeriggio in sua compagnia. In carne e ossa si rivela una persona meno dogmatica e rigida che sulla pagina. Mi dà l'impressione che ora si rammarichi che il servizio postale non abbia smarrito la lettera. Non sembra aver voglia di approfondire l'allettante accenno che ha lanciato. Ricavo, però, due informazioni istruttive. La prima è che, tanto tempo fa, si era dimesso dalla sua carica e, desiderando ancora dedicare la vita al servizio degli altri, era passato alla medicina laureandosi medico. Qualcosa lo aveva indotto ad abbandonare la chiesa, anche se in età avanzata ha fatto ritorno sotto la sua ala. Decisamente quest'uomo non è uno squilibrato. La seconda informazione mi viene quando lo sto sondando per scoprire da dove venga la sua straordinaria informazione. Rifiuta di dilungarsi sulla semplice dichiarazione contenuta nella sua lettera, ma confessa che ha saputo la cosa da un certo canonico A.L. Lilley. Quando più tardi rivolgo la mia attenzione al canonico, scopro che aveva 44
studiato a Parigi all'inizio del secolo. Aveva lavorato a St Sulpice ed era stato in contatto con un giovane studioso francese di nome Emile Hoffet. Ora, improvvisamente, scorgo una breccia in questa nebbia di apparente irrilevanza. Nella sua discutibile esposizione degli eventi di Rennes-leChâteau, de Sède ci dice che Saunière fece un viaggio a Parigi con le sue misteriose pergamene. I documenti vennero esaminati, ci dice, da esperti a St Sulpice, uno dei quali era un certo Emile Hoffet. Sento scattare la molla della coincidenza. Se questa storia è vera e se i documenti contengono informazioni interessanti, allora qui esiste una possibile catena di collegamento. Hoffet lavora sulle pergamene di Saunière - Lilley lavora con Hoffet. Lilley comunica «qualcosa» a un certo reverendo B., che perde la fede e abbandona la chiesa. È uno scenario tenue e poco probabile. Ma sta in piedi. E combacia con un altro strano aneddoto di de Sède, sulla confessione di Saunière in punto di morte. Il sacerdote che la ascoltò, ci dice, rimase profondamente turbato e gli negò l'assoluzione. Vere o false che siano queste storie, qui c'è di sicuro sepolta una coerenza.* Per il momento appare come niente di più che un'affascinante, ma non pertinente, divagazione.
Shugborough Hall Una nuova pista più immediatamente produttiva viene da un telespettatore che chiede se sono a conoscenza del monumento dei «Pastori» a Shugborough Hall nello Staffordshire. Si tratta di un grande bassorilievo che riproduce nel marmo I pastori d'Arcadia di Poussin, ma scolpito al rovescio, specularmente. Inoltre, sotto l'immagine, è incisa una serie di lettere che non sono mai state interpretate in maniera soddisfacente. Sembra che valga la pena arrivare fin lì per fare qualche indagine su questa imprevista aggiunta al mio «Dossier Poussin». E ne ricaverò una lezione di grande utilità. Shugborough Hall è la dimora dell'Earl di Lichfield. Oggi amministrato dal consiglio di contea dello Staffordshire, gli edifici delle ex stalle ospitano il County Museum, dove vado a informarmi. Ma non apprendo molto a proposito del «monumento dei pastori». A quanto pare risale al diciottesimo secolo ed è opera di Peter Scheemakers. Sembra non esista alcuna documentazione sui motivi per cui fu commissionato, né su quale potesse essere il suo significato. Le lettere sotto il bassorilievo sono: O. U. O. S. V. A. V. V. D D
M.
Anche queste non trovano spiegazione. È stata avanzata solo una possìbile interpretazione. Anna Seward, poetessa del diciottesimo secolo, detta «il cigno di Lichfield», comincia una poesia con i seguenti versi: Out Your'n Own Sweet Vale, Alicia, Vanisheth Vanity 'Twixt Deity and Man thou shepherdest the way. Come si vede, le lettere iniziali del primo verso (con l'eccezione dellaY di «Your'n») corrispondono all'iscrizione. E le lettere, si può suggerire, si trovano «tra» la «D» e la «M» di «Deity and Man». Ma anche accettando l'idea che la poesia di Anna Seward sia collegata al monumento di Shugborough, non si può dire che la connessione getti una qualche luce sul problema. La scritta misteriosa registra semplicemente i versi di Anna Seward? Oppure Anna Seward scrisse le sue parole in modo che coincidessero con quelle lettere enigmatiche? In ogni caso, questo piccolo mistero sembra non essere altro che una breve distrazione dall'enigma di * Questo fu il primo degli indizi prodotti dalla ricerca, che portarono alla formazione dell'ipotesi presentata in Baigent, Leigh e Lincoln, Il santo Graal.
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Poussin e Saunière. È, però, nel tentativo di troncare ogni possibile legame tra le due storie, che mi trovo di fronte all'ennesima delle coincidenze di Rennes-le-Château. Raccontando dell'indagine nata dalle pergamene cifrate, finora mi sono concentrato su Poussin e il suo dipinto de I pastori d'Arcadia. Eppure non è l'unico artista a comparire tra gli indizi. In proposito, il testo decifrato dice «Pastora - nessuna tentazione - Poussin e Teniers tengono la chiave». La «pastora» trova un legame diretto con Poussin ne I pastori d'Arcadia. Ma su «Teniers» c'è ancora incertezza. Secondo de Sède il riferimento alla «tentazione» fa capire che il dipinto che qui interessa è una Tentazione di sant'Antonio. Ma i Teniers, padre e figlio, hanno prodotto numerose variazioni su questo tema. Come facciamo a essere sicuri di quale sia l'opera indicata? Inoltre, il «nessuna tentazione» della cifra non mi lascia tranquillo. Manca ancora un'indicazione vitale. A Shugborough intravedo il primo barlume di una possibile soluzione. Cercando di chiarirmi i motivi della presenza della versione scolpita nel parco di Shugborough, chiedo se esista qualche prova di una sua importanza particolare per la famiglia che la commissionò nel diciottesimo secolo. «Be'», dice il curatore del museo, «nella casa esiste anche uno schizzo a matita del dipinto.» Chiedo se posso vederlo, e il permesso mi viene concesso senza difficoltà. Qualcuno viene mandato a prenderlo perché io possa esaminarlo. Finalmente ritorna, con una piccola figura incorniciata. Mentre si avvicina, dice: «Mi spiace, ma non è lo stesso dipinto». Me lo porge, e quello che vedo non è il soggetto dei pastori del Louvre che mi è ormai familiare, ma una versione precedente, sempre di Poussin, dello stesso tema. Questo I pastori d'Arcadia fu dipinto circa un decennio prima della versione del Louvre ed è di proprietà del duca del Devonshire. La cosa, ben lungi dal deludermi, mi interessa molto. Evidentemente il tema dell' «Et in Arcadia ego» era di grande interesse nella Shugborough del Settecento. Facendo un altro passo avanti lungo questa pista allettante, domando: «Qualcuno, qui, aveva l'abitudine di realizzare copie di antichi maestri?» «No», mi rispondono, «c'è soltanto un'altra copia di questo genere e non è di un Poussin.» Ancora ignaro della bomba in arrivo, mi informo su chi sia l'altro artista riprodotto. «Teniers», è la risposta. Quasi non credo alle mie orecchie. Poussin e Teniers tengono la chiave. Le coincidenze non possono spingersi fino a questo punto. Sto per scoprire quale Sant'Antonio di Teniers sia quello che ci riguarda? «Sa dirmi il titolo della copia di Teniers?» chiedo, sforzandomi di non far trapelare troppa eccitazione nella mia voce. «Certo. Si tratta di Elia ed Eliseo nutriti dai corvi.» L'improvvisa esaltazione sfuma. Ah, be'... forse non si può pretendere che un caso così straordinario dia tutti i frutti che ci si aspetta. Comunque, per sgombrare il campo dai residui di questa pista inattesa, chiedo se posso vedere il quadro. Purtroppo è chiuso nell'appartamento privato dell'Earl e lui al momento non è in casa. Un altro filo sciolto che mi toccherà lasciar penzolare. Sono deluso, ma non eccessivamente. L'eco dell'esplosione di questa particolare bomba, però, non vuole spegnersi. In un angolo della mia mente la coincidenza continua a stuzzicarmi. Fortunatamente Shugborough ha un'altra importante lezione da insegnarmi. Solo dopo molto tempo mi trovo nuovamente a Shugborough Hall, impegnato nei lavori preparatori per il secondo film su Rennes-le-Château, Il prete, il pittore e il diavolo. Ora, finalmente, conto di eliminare il «filo sciolto» di Teniers. Chiedo ancora se mi sarebbe possibile esaminare il dipinto, anche se non mi è chiaro in che modo un episodio dell'Antico Testamento come Elia ed Eliseo nutriti dai corvi possa avere un collegamento con l'indizio del «nessuna tentazione», indizio che, apparentemente, si legherebbe in qualche modo con la pastora di Poussin e, presumibilmente, sant'Antonio. Questa volta lord Lichfield è in casa e mi lascia esaminare molto volentieri la copia del Teniers. Il quadro è un olio piuttosto grande, mi dicono, dipinto da Anne Margaret Coke più o meno nello stesso periodo del diciottesimo secolo in cui venne eretto nel parco il monumento dei pastori. Quando alla fine mi accompagnano a vederlo, il dipinto è stato tirato giù dalla parete e sistemato nel centro di una bella sala, appoggiato a un divano. Mentre seguo il curatore del museo nella stanza non sono preparato alla mia reazione di improvvisa - e stupita - eccitazione. «Ma non possono essere Elia ed Eliseo!» esclamo. «Come fa a dirlo?» ribatte il curatore un po' bruscamente. «È sempre stato catalogato con questo titolo.» «Ma non può essere», insisto. «Lo guardi. Non può 46
essere un tema dell'Antico Testamento. C'è un crocifisso nel mezzo.» Mi sono state impartite due lezioni in una. La prima dovrei già averla appresa dal mio brusco contatto con Anthony Blunt: «Mai accettare acriticamente la parola di un 'esperto'. Controllare sempre di persona». La seconda è la conferma di una vecchia lezione: «Bisogna imparare non solo a guardare, ma anche a vedere». Una breve ulteriore ricerca rivela che il soggetto è Sant'Antonio e san Paolo nel deserto. Inoltre, è l'unica opera su sant'Antonio, di entrambi i Teniers, in cui il santo non stia subendo la tentazione. Qui, finalmente, sembra venire la conferma che questo potrebbe effettivamente essere il dipinto a cui si riferisce il messaggio cifrato. «Pastora - nessuna tentazione Poussin e Teniers tengono la chiave.» Come conferma aggiuntiva, l'artista ha posto accanto a un albero sullo sfondo una pastora con un gregge di pecore. Fino a che punto può arrivare la coincidenza? E perché questo curioso legame con l'enigma di Rennes-le-Château spunta in Inghilterra?
Il parere dell'esperto Quando, più tardi, cerco questo dipinto di Teniers nel catalogo della collezione della Witt Library, presso il Courtauld Institute, lo trovo schedato anche qui come Elia ed Eliseo nutriti dai corvi. Chiedo conferma all'assistente che mi sta aiutando del fatto che il dipinto è stato intitolato erroneamente. Lui guarda a lungo la riproduzione del quadro, ma non capisce perché io non voglia accettare il titolo presente nel catalogo. È incredibile come l'ovvio possa essere invisibile perfino quando ce l'abbiamo sotto gli occhi. La mia posizione riguardo all'affidabilità del «parere dell'esperto» assumerà una nuova coloritura grazie all'ennesimo imprevisto risultato della trasmissione Il tesoro perduto di Gerusalemme... ? Paul mi chiama per dirmi di aver ricevuto una richiesta e un invito da parte di un eminente rappresentante del «Mondo dell'Arte». Avrei niente in contrario a partecipare con lui a una piccola soirée privata per discutere della questione Poussin, preceduta, se possibile, da una proiezione della nostra puntata di Chronicle, così che tutti i presenti possano essere au fait delle nostre affermazioni? Da «agnelli innocenti», non vediamo obiezioni alla cosa. La serata viene dunque organizzata e, portando una copia del film, Paul e io varchiamo, tranquilli e senza alcun sospetto, la soglia del nostro «mattatoio» in un quieto e discreto pa-lazzetto di Belgravia. Mentre sorseggiamo il nostro sherry prima della proiezione del filmato, il tono dei frammenti di conversazione che ci arrivano comincia a illuminarci sulla natura del nostro pubblico. «Cosa glien'è sembrato del Rembrandt da Christies la settimana scorsa?» «L'ho comprato io.» «Ah...» Ma i modi garbati dei nostri ospiti nascondono a malapena artigli affilatissimi. Il filmato è accolto da un educato applauso e da complimenti sulla qualità del programma. Domande su Saunière e il suo presunto tesoro riempiono una mezz'oretta di conversazione anodina. Ma, a poco a poco, quella conversazione si sposta su «questioni artistiche». Non ci metto molto a capire, con un certo disagio, che 1'«Establishment dell'Arte» vuole farmi la pelle. Un ricercatore dilettante non è ben accetto nel mondo di coloro che sanno. Soprattutto quando va dicendo in giro di aver fatto una scoperta entro i confini della loro competenza professionale. «Una baggianata colossale, ovviamente, cercare di trascinare Poussin in questa faccenda.» «Mio caro ragazzo, se Poussin fosse stato invischiato in una cosa del genere, noi lo sapremmo.» «È assolutamente impossibile che abbia dipinto quella sua simpatica valle, sa? Semplicemente non è mai stato da quelle parti.» «S'informi sulla sua vita, caro ragazzo. Lui ha lavorato sempre a Roma, a parte un breve soggiorno a Parigi.» Mi sento, materialmente e figuratamente, messo nell'angolo. E, trovandomi nell'angolo, cerco furiosamente una via d'uscita. In circostanze del genere, ho scoperto, il cervello si schiarisce e gli elementi essenziali vengono a galla. 47
«Questo lo so», dico. «Il re lo manda a chiamare. Viene a Parigi. Vi resta un paio d'anni e poi se ne torna a Roma.» «Esattamente.» «E questo quando avviene?» domando, intravedendo una possibilità. «A Parigi è nel 1640. Torna a Roma nel 1642.» «E in quale anno dipinge I pastori d'Arcadia» «Intorno al 1640.» «Ah. Quindi il viaggio capita nel momento opportuno.» La mia sicurezza cresce. «Sa dirmi quale itinerario seguì?» «Quello solito, naturalmente.» «Questo non risponde alla mia domanda. Sa dirmi quale strada percorse?» «La strada che facevano tutti.» «Mi scusi, ma nemmeno questo risponde alla domanda. Quale tragitto compì da Roma a Parigi e poi da Parigi a Roma?» Dopo cinque minuti di rossori, il mio equilibrio è pienamente restaurato. Gli «esperti» non hanno idea dell'itinerario di Poussin. Il loro sicuro «non è mai stato da quelle parti» si è rivelato una semplice supposizione. Una breve deviazione dal «solito itinerario» è quindi possibilissima. E la precisione del paesaggio da lui raffigurato è una prova convincente del fatto che Poussin quella deviazione la fece, e proprio nel tempo più opportuno. Una «supposizione» contraria è solo un debole argomento. (Un decennio dopo le posizioni erano meno rigide e si cominciava ad affrontare i fatti. In Poussin Paintings - A Catalogue Raisonné di Christopher Wright, pubblicato nel 1984, leggiamo delle «notevoli» rassomiglianze tra la tomba e il paesaggio dipinti e quelli della realtà. «Queste somiglianze», dice Christopher Wright, «sono innegabili, ed è improbabile che si tratti di una coincidenza».) Ho il sospetto che se non fossi stato, ai loro occhi, nient'altro che un dilettante privo di basi, questa splendida aggiunta alle loro conoscenze sulla vita dell'artista sarebbe stata accolta in modo meno ostile e arrogante. Mentre me ne torno a casa dopo questa serata, che in fin dei conti si è rivelata interessante e illuminante, posso rilassarmi nella certezza che le sabbie mobili in cui pensavo di essere finito si sono trasformate in terreno molto più solido. Le nostre affermazioni si sono dimostrate indiscutibilmente più fondate delle dogmatiche congetture degli «esperti».
Dossier segreti e altro ancora Il fermento provocato dalla trasmissione e le reazioni al filmato cominciano a scemare. Ma io non considero più una gratificazione privata il tempo dedicato a Rennes-le-Château. Ormai sono perfettamente consapevole delle tante e svariate piste che si sono aperte davanti a me. Il fugace contatto con la Bibliothèque Nationale, in compagnia di de Sède, mi ha lasciato intravedere un potenziale tesoro di documentazione. Decido che qualche giorno a Parigi di intenso lavoro negli archivi sarà molto utile. E ancora una volta mi trovo di fronte a tutti i bizzarri inciampi, le false piste e le cortine fumogene che assillano chiunque cerchi la «verità» di Rennes-le-Château. Consultare una biblioteca nazionale, si penserebbe, è cosa relativamente priva di imprevisti. Come semplice esempio delle elaborate circonvoluzioni relative al materiale di Rennes-le-Château, mi basta citare il curioso caso dei Dossiers secrets. Questi «dossier» sarebbero opera di un certo Henri Lobineau. Ma una ricerca su questo autore nel catalogo della biblioteca finisce in un nulla di fatto. Per rintracciare l'opera è necessario cercare sotto il nome «Schidlof». Come fa il comune ricercatore a conoscere questa recondita informazione? Ci si aspetterebbe di trovare una scheda sotto «Lobineau» con un rimando: vedi «Schidlof». Ma non c'è niente del genere. Anzi, nessuna indicazione di alcun genere. * * Il problema è stato presumibilmente risolto nei nostri giorni di microfiches e cataloghi informatizzati. Per tutti i dettagli su questa discutibile pubblicazione, vedi Baigent, Leigh e Lincoln, Il santo Graal.
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Io, ovviamente, sono nella posizione privilegiata di essere stato informato da de Sède. Ma lui non è stato in grado, e la cosa non mi meraviglia, di spiegarmi perché è necessario giocare a questo gioco, né di dirmi chi gli ha fornito la necessaria chiave a questo mistero. Tra le pubblicazioni più interessanti che fluttuano nelle acque torbide delle «fonti», ve ne sono diverse i cui autori nascondono la propria identità dietro pseudonimi risonanti. Il nome di Madeleine Blancasall è chiaramente costruito con un riferimento alla santa patrona di Rennes-leChâteau, Maria Maddalena, accoppiata con i nomi dei due fiumi, il Blanque e il Sals, che confluiscono poco a sud di Rennes-les-Bains. Nicolas Beaucean è un'ovvia eco del nome scritto sul vessillo dei cavalieri templari. Le opere non particolarmente illuminanti di questi due autori sono in grado di consultarle senza difficoltà. Ma un'altra delle pubblicazioni pseudonime si rivela assai più sfuggente. È intitolata Un Trésor Mérovingien à Rennes-le-Château. L'autore si veste della santa identità di Antoine l'Ermite (Antonio l'Eremita, o Antonio Abate). Questo sant'Antonio, incidentalmente, non va confuso con il sant'Antonio da Padova. Antonio l'Eremita porta una campanella e un bastone (a forma, quest'ultimo, di croce a tau) ed è sempre accompagnato da un maiale. È lui il santo a cui ci si appella quando si smarrisce qualcosa, come felicemente dimostrò Henri Buthion nel caso della manovella perduta della macchina fotografica di Andrew. Ed è lui, ovviamente, il sant'Antonio delle tentazioni e dei quadri di Teniers. Un Trésor Mérovingien à Rennes-le-Château è il libro che avevo ordinato durante la mia visita alla Bibliothèque Nationale con Gerard de Sède. In quella occasione, era communiqué: non disponibile perché lo stava consultando un altro lettore. Ho la sorpresa, tanti mesi dopo, di trovarlo ancora communiqué. Tutti e tre i giorni che trascorro a lavorare a Parigi, ripresento la richiesta del libro. Ogni volta vengo informato che il libro è communiqué. La cosa è molto frustrante, ma il fatto che anche altri si stiano occupando del mistero di Rennes-le-Château non è affatto sorprendente. Per il momento mi tocca accettare la frustrazione come «parte del lavoro». Ma faccio girare lo sguardo per la vasta sala di lettura della biblioteca e mi chiedo quale di quelle teste chine stia compulsando la mia elusiva preda. Ancora una volta me ne torno in Inghilterra senza aver potuto consultare Antoine l'Ermite. Circa un mese dopo, un'amica mi dice che sta per fare una breve vacanza a Parigi. C'è qualche commissione, mi domanda, che può fare per me? Le chiedo di passare per la Bibliothèque Nationale; ordinare l'inafferrabile Antonio l'Eremita e, se possibile, fotocopiarne una o due pagine. Ma ritorna con l'ormai familiare insuccesso. Communiqué. Comincio a subodorare qualcosa che non va: qui gatta ci cova. Alla prossima opportunità devo trovare il modo di fare chiarezza. Ma dovranno passare altri mesi prima che possa fare il tentativo. Finalmente sono di nuovo alla Bibliothèque Nationale. Ancora una volta ordino il libro. Ancora una volta è communiqué. Mi chiedo se non sia il caso di chiedere l'intercessione del santo in persona, ma non sono sicuro se riterrebbe di sua competenza l'incarico. Dopo tutto quel libro non l'ho precisamente perduto. Magari ne avessi avuto l'occasione! Siedo al mio tavolo nella sala di lettura e rifletto sul problema. Se non posso chiedere a sant'Antonio, potrò almeno fare qualche rimostranza al banco della bibliotecaria. Ma: no, mi dicono, se è communiqué è communiqué. Non posso farci assolutamente niente. Qualcuno lo sta leggendo. «Da mesi e mesi?» mi lamento. Ma l'unica risposta è un'alzata di spalle. Mi viene in mente un'idea che non mi sembra irragionevole. «Non potrei, madame, ordinarlo adesso per domani mattina, così che la mia sarà la prima richiesta della giornata?» La proposta è accolta con un'occhiataccia inorridita. Questo non è previsto dalle norme della Bibliothèque Nationale. Dovrò presentarmi al banco tutti i giorni, compilare la mia richiesta e aspettare - con pazienza - che l'altro lettore abbia finito. È chiaro che di fronte a questa burocrazia non farò nessun passo avanti. Come estremo tentativo disperato, chiedo: «Le è possibile indicarmi il tavolo dell'altro lettore?» Il trauma provocato dalla proposta fa perdere del tutto la favella alla bibliotecaria. Le sue sopracciglia schizzano verso l'alto della fronte e chiude gli occhi per nascondersi alla vista tanta inaudita temerarietà. Mortificato a dovere, me ne torno al mio banco. Evidentemente dovrò escogitare un altro stratagemma. Sfoglio distrattamente gli altri libri ordinati in giornata, mentre il cervello dibatte il mio problema. 49
Qui, per chi non è pratico di tali arcane questioni, spiegherò la routine che occorre seguire per guadagnarsi l'accesso a un libro che fa parte dell'immensa riserva della biblioteca nazionale di Francia. Prima, occorre rintracciare il libro nel catalogo principale della biblioteca e prendere nota della segnatura, un numero di riferimento. Nella sala di lettura, bisogna riempire un modulo, in triplice copia, per ciascun libro richiesto e poi consegnarlo al banco. Si deve scrivere il proprio nome, il titolo del libro e la segnatura. Viene assegnato il numero di un tavolo. A suo tempo, il libro - o i libri - viene consegnato presso il tavolo indicato, dove ora si è liberi di cominciare a lavorare. Delle tre copie del modulo, una resta presso il banco dove si è presentata la richiesta e le altre due partono per i recessi cavernosi dei magazzini della biblioteca. Quando il libro viene trovato sugli scaffali, la seconda copia del modulo viene infilata sotto la copertina in modo tale che il volume possa trovare la strada fino al tavolo del lettore che lo ha richiesto. La terza copia - che prende il nome di fantòme - è posta nello spazio lasciato libero dal libro, dove la sua presenza «di fantasma» permane finché il volume non sarà rimesso nella sua legittima dimora. Se il libro è communiqué, la cosa viene debitamente segnalata sul fantòme che perviene sul banco del lettore a notificargli la situazione. Ho modo di utilizzare vantaggiosamente questa complessa routine? «No» sembra l'unica risposta alla mia domanda. Interminabili discussioni con funzionari di vario livello finiscono sempre allo stesso modo: mi ritrovo a battere la testa contro un muro compatto di rigide norme e regole. Mentre rifletto su questo scenario apparentemente immodificabile, comincio a chiedermi se la mia padronanza della lingua non sia, per una volta, uno svantaggio. Mi torna alla mente com'era disponibile la gente ai tempi della mia jeu-nesse, quando il mio francese era tutt'altro che adeguato. Potrei sollecitare l'aiuto «dimenticando» la lingua e presentandomi come uno straniero pateticamente confuso? Perché non provare? Ovviamente qui non funzionerebbe, qui nella sala di lettura dove Madame l'Ogresse sa già come stanno le cose. Abbandono il mio tavolo e, armato del mio modulo con su stampigliata la temuta parola communiqué, faccio ritorno alla sala cataloghi. Due o tre addetti alla gestione del catalogo sono lì anche per prestare assistenza in caso di bisogno. Scelgo un anziano signore dotato di un sorriso gioviale e di un'aria disponibile. «Excusezmoi, monsieur», dico, con l'accento più incisivo che riesco a metterci, «Parlez-vous anglais?» «A little», mi risponde. Sfruttando sfacciatamente il suo limitato inglese e il mio per il momento praticamente incomprensibile francese, spiego faticosamente che sono uno scrittore, che sto cercando di fare una ricerca entro quelle sacre mura e che ho difficoltà a capire il funzionamento del sistema. Potrebbe aiutarmi? «Ma certo.» Di sicuro farà del suo meglio. Gli mostro il mio modulo communiqué. Mi spiega che cosa vuol dire e io spiego a lui che quel maledetto libro risulta communiqué da mesi. La scarsa trasparenza della nostra scarsa padronanza della reciproca lingua fa sì che ci vogliano una decina di fumosi minuti per giungere a questo livello di comprensione. Ma conviene con me che non è cosa habituelle che un libro resti communiqué per così tanto tempo. Chiedo, con nuove frasi penose e incerte, che mi confermi, please, che il libro si trova effettivamente presso un altro lettore. Proprio come speravo disperatamente, decide che sarà cosa più rapida e agevole fare un controllo materiale, anziché impelagarsi in ulteriori sfibranti tentativi di comunicarmi consigli e/o istruzioni. Scompare portandosi via il mio foglietto con il necessario numero di catalogo. Aspetto. Finalmente ricompare, con un'aria scura. Il libro, mi dice, non c'è. Il fantóme nello scaffale non porta la data di oggi ma quella di diversi mesi fa. Il libro è stato rubato. Inoltre, risulterebbe rubato da miei compatriotes. Come lo sa? Il nome sul fantóme è palesemente inglese, mi dice. Potrebbe darmelo? Be', ovviamente no, non potrebbe. Ma i miei strenui sforzi di parlargli nella sua lingua mi hanno concesso, pensa, una piccola infrazione delle regole. Mi dà il nome. E adesso so che quella gatta che avevo subodorato tanti mesi fa è ancora qui a covare. Il nome di cui così gentilmente mi informa è quello della mia amica, quella a cui era stata fornita la stessa storia del libro communiqué. Perché? E perché il suo fantóme è stato lasciato nello scaffale? A che gioco giochiamo? E chi lo sta giocando? Ringrazio il cortese impiegato per la sua assistenza «al di là del dovere» e torno in Inghilterra più che perplesso per l'inaccessibilità dell'opera di Antonio l'Eremita. 50
Decido comunque di non lasciar correre. Tramite la mia biblioteca locale in Inghilterra entro in contatto con un impiegato del nostro servizio bibliotecario che si occupa di prestiti internazionali. Gli spiego la strana storia e lui accetta di scrivere da parte mia alla direzione della Bibliothèque Nationale. Con mio massimo stupore, sì e no una settimana dopo, Un Trésor Mérovingien à Rennes-le-Château di Antoine l'Ermite viene deposto nella mia buca delle lettere. Si rivela un opuscoletto di poche pagine. Quella che mi è stata mandata è una fotocopia, con la richiesta di rispedirla alla Bibliothèque Nationale appena l'avrò letta. La faccenda si fa sempre più curiosa. Una fotocopia, in fin dei conti, non è che carta da macero, che probabilmente vale meno delle spese di spedizione. Debitamente - e immediatamente - provvedo a fotocopiare la fotocopia e a rispedirla a Parigi. Ma non è questo l'aspetto più bizzarro di questa bizzarra saga. Appena comincio a scorrere le pagine faticosamente acquisite della mia copia di Un Trésor Mérovingien, mi rendo conto che le ho già lette. Si tratta del capitolo su Rennes-le-Château di un libro pubblicato recentemente da Robert Charroux: Trésors du Monde. Ma quel capitolo non è semplicemente la riproduzione fotografica dell'opuscolo. L'impaginazione è diversa e vi sono minime modifiche al testo (del tipo: mettre aujour corretto in mettre à jour; C'est alors cambiato in C'est à cette époque). Perché qualcuno dovrebbe prendersi il disturbo di pubblicare una copia di un lacunoso, incompleto e raffazzonato resoconto di una storia che è già edito? E perché fare in modo che abbia tante difficoltà a metterci le mani sopra? Questo ennesimo mistero non avrà mai una spiegazione. Forse qualcuno sta mettendo alla prova la mia perseveranza?
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6 Il prete, il pittore e il diavolo PER quanto affascinante, l'indagine su Rennes-le-Château sta diventando un notevole peso per le mie risorse. Devo ancora guadagnarmi da vivere e ho una famiglia da mantenere, una famiglia che cresce numericamente. L'opportunità di un periodo sabbatico pagato da dedicare alle mie ricerche arriva quando mi chiedono di scrivere la versione inglese di un film francese e di fare da direttore dei dialoghi durante le riprese. Questo mi porterà a Belgrado per tre mesi (prospettiva, nei giorni passati del periodo di Tito, non particolarmente allettante). Ma le riprese iugoslave saranno seguite da tre mesi di lavoro negli studi di Parigi. Questa in sé è certamente una grossa tentazione. Amo Parigi, e la mia base operativa sul posto fungerà da casa di vacanze per la famiglia durante la chiusura delle scuole. Altrettanto attraente è l'idea che certamente sarò in grado di trovare il tempo libero per immergermi nei tesori della Bibliothèque Nationale. La decisione diventa inevitabile, però, quando scopro che il film sarà diretto da Georges Franju, uno dei grandi nomi della cinematografia francese. Non posso perdere l'occasione di lavorare con una vera e propria leggenda del cinema. Faccio i bagagli e volo a Belgrado. Rennes-le-Château scivola nei recessi della mia mente mentre il piacere di lavorare con una troupe cinematografica franco-italo-tedesco-iugoslava occupa tutte le mie ore da sveglio. Per giorni e giorni non sento una parola di inglese e il mondo, un po' pazzo ma divertentissimo, degli attori e dei tecnici continentali presto sommerge ogni pensiero di Saunière e della sua strana storia. Belgrado passa in un turbine di shashlik e isteria. I vani sforzi degli attori iugoslavi alle prese con le battute in inglese provocano in noi tutti un'ilarità incontenibile. Soprattutto nel meraviglioso Franju, che peraltro non sa una parola di inglese e dipende totalmente da me per sapere a che punto del copione ci troviamo. «Je ne comprends rien», mi dice un giorno mentre proviamo con alcuni attori. «Ils sont magnifìques... mais je ne comprends rien.» Gli confermo che senza il copione nemmeno io sarei in grado di capire il loro inglese. Il che, caso strano, non è assolutamente un problema. A noi serve solo il corretto movimento delle labbra, poiché i dialoghi saranno doppiati in seguito da attori inglesi. Olzdoza lok tin ball tit mi resta nella memoria come un tipico esempio delle più fantasiose manifestazioni vocali di un comprimario serbo che mi confida di essere «particolarmente portato per le lingue». (La frase che sta cercando di articolare è All the doors are locked and bolted, «Tutte le porte sono chiuse e sprangate».) La sanità mentale - più o meno - torna quando regista, troupe e attori protagonisti si spostano a Parigi. Il comunismo - anche la versione titina occidentalizzata - può gravare pesantemente sullo spirito. Dopo il grigiore di Belgrado, l'improvviso contrasto fa apparire Parigi spumeggiante come champagne... anzi, come Blanquette de Limoux. Le sue tentazioni sono seducenti e soccombo quasi immediatamente allo charme di Madame l'Ogresse. Il suo richiamo di sirena - o è il richiamo di Rennes-le-Château? - si rivela irresistibile. La seconda mattina che sono in città, con una giornata libera davanti a me, vado a cercarla alla Bibliothèque Nationale.
Estate parigina Quello che ora presenta la ricerca è un problema di decisioni. Il classico imbarazzo della scelta. Il lavoro precedente ha indicato numerose linee di ricerca. Quale sarà la più produttiva? Quale si rivelerà un vicolo cieco? Impossibile dirlo. Non c'è altra alternativa che setacciare caparbiamente gli innumerevoli tomi che potrebbero fornire una sorta di illuminazione. O perfino una sorta di rilevanza. Ai primi posti nella mia lista di priorità per la ricerca c'è l'ordine medievale dei monaci 52
guerrieri, i cavalieri templari. Non ne so niente, a parte un vago ricordo del perfido Brian de Bois Guilbert nell’Ivanhoe della mia infanzia. I Dossiers secrets di Lobineau, però, accennavano a qualcosa di speciale nella loro storia e a un possibile legame con Rennes-le-Château. Devo anche imparare quanto è possibile sui catari, gli eretici albigesi nel cui territorio sorge il villaggio. Poussin... Teniers... i templari... i catari e il dualismo... i visigoti... Dagoberto II e i merovingi... alchimia... società segrete... messaggi in codice... La lista appare interminabile quanto profonda è la mia ignoranza. C'è moltissimo da fare. E - anche se non lo so ancora - si agita qualcosa sul fronte di Rennes-le-Château della BBC. Con il passare delle settimane, Franju ha sempre meno bisogno di me. Le scene dialogate del film sono praticamente completate, le sequenze che restano da finire sono quasi tutte di «azione». Le mie ricerche presso la Bibliothèque Nationale possono procedere quasi senza interruzioni. Arrivano le vacanze scolastiche. Un appartamento parigino non ha molte attrattive per dei ragazzi pieni di attività, mentre la famiglia ha un gran desiderio di vedere Rennes-le-Château. Prendo in affitto una casetta all'ingresso del paese, dove i ragazzi hanno il piacere di scoprire che il famoso cartello di FOUILLES INTERDITES «vietati gli scavi» è affisso proprio sulla facciata. La famiglia si dispone a diventare rennoise per il lungo intervallo estivo. Di tanto in tanto riesco a prendere il treno Parigi-Carcassonne per passare un weekend lungo en famille. Il villaggio comincia a sembrarmi meno un luogo di lavoro e più un ambiente familiare. Sta diventando «casa mia». In una caldissima mattina di sabato resto intrappolato da solo a Parigi. L'estate si sta avviando alla conclusione. La famiglia è tornata in Inghilterra e tra non molto la raggiungerò. Anche se la realizzazione del film mi ha soddisfatto, sarò felice di tornare nel trambusto di una casa piena di bambini. La vita solitaria dello scapolo, ho scoperto, non fa per me. Esco di casa per il solito impegno settimanale con il locale Supermarché. Mentre percorro il marciapiede semideserto, un uomo si mette al mio fianco. «Bonjour», mi saluta. Lo guardo. Quel viso mi è familiare, ma solo vagamente. Dove l'ho visto? Forse è qualcuno che abita nel mio stesso palazzo? Proseguiamo insieme, scambiandoci per qualche minuto frasi impersonali di circostanza. Poi, improvvisamente: «Come vanno le sue ricerche?» Ricerche? Allora non è un semplice vicino di casa. Un lettore che ho conosciuto alla Bibliothèque Nationale? Rispondo evasivamente. «Ho degli amici che potrebbero esserle utili.» «Non credo di aver bisogno di aiuto», rispondo guardingo. «Per ora ho bisogno semplicemente di studiarmi determinati argomenti.» «Potrebbero avere del materiale che non troverebbe in nessun altro luogo.» Comincio a sentirmi interessato, ma non tentato. Chi è quest'uomo? E cosa cerca? Di nuovo rispondo in modo non impegnativo. «Ah, sì?» «Hanno una riunione domani sera. Lei è invitato. Se le interessa.» «Non so se sarò libero», rispondo, cauto. «Dov'è l'incontro?» «Non lontano. L'accompagnerò io. Passo a prenderla al bar di fronte a casa sua. 19.30.» La cosa non mi va. Lo stile «maschere e pugnali» non è il mio stile. Ma siamo arrivati al Supermarché. «Ci penserò.» E mi avvio verso il negozio. «Se non può non si preoccupi», mi dice. «Ci può essere sempre un'altra occasione.» Potrei pensarci. Ma, senza che lo sappiamo né io né lui, non ci sarà «un'altra occasione». Rennes-le-Château sta, per l'ennesima volta, per imporre i suoi tempi. Un'oretta dopo, la spesa è finita e io mi sto rinfrescando sotto la doccia. Suona il telefono. «Pronto, sono Roy Davies. Chronicle.» Roy Davies fa parte della piccola scuderia di registi di Paul Johnstone; ormai li conosco tutti bene. Mi informa che Andrew Maxwell-Hyslop ha lasciato il Chronicle per un altro settore della BBC. Paul ha deciso di fare una seconda puntata su Rennes-leChâteau e ne ha affidato a Davies la regia. Potrebbe venire a Parigi per parlarmene? Visto che il mio lavoro per il film è praticamente finito, sono più che lieto di avere un altro progetto in prospettiva. Mi sorprende, però, che Davies intenda venire da me immediatamente. A quanto pare c'è una certa urgenza. Con un lungo weekend solitario che mi aspetta. Sono ben felice di accettare. Arriverà in volo domani, in tempo per incontrarsi con me a pranzo. Nei diciotto mesi circa passati 53
dal Tesoro perduto, ho raccolto una quantità di materiale nuovo e interessante e ho già cominciato a mettere insieme, nella mia testa, un abbozzo di intreccio. L'occasione di discuterne con un regista è molto ben accetta. Ma scoprirà che il progetto del programma non corrisponde a quello che avevo previsto io. In un ristorante di Quai Voltaire apprendo il motivo di tanta urgenza. Qualche tempo fa uno degli spettatori del primo film (lo chiamerò Mr A) aveva contattato Chronicle, sostenendo di aver risolto il mistero. Aveva localizzato il tesoro di Saunière. La BBC era interessata a riprendere il momento dello scavo? La prospettiva, ovviamente, è molto allettante. Dove si trova, e che cosa lo ha portato fin lì? Ma Mr A non è disposto a rivelare i particolari, né su come ha decifrato gli indizi né sulla esatta ubicazione. «In vista di Rennes-le-Château»: oltre questo non sembra disposto ad andare. Non rivelerà altro finché non farà la sua dichiarazione davanti alla telecamera, sul posto, al villaggio. Inoltre, esige che Henry Lincoln sia tenuto fuori della cosa. Questo è il momento di gloria di Mr A e non intende correre rischi. Convinto dalle affermazioni, e con un contratto già preparato, Roy Davies ha aperto le trattative con Rennes-le-Château per i permessi necessari. Per quanto riguarda il villaggio, però, lui è un perfetto sconosciuto. Sulle pendici dei Pirenei Chronicle e BBC significano meno che niente. Inoltre i paesani sanno che io ho continuato le ricerche sulla vicenda. Sono perplessi e preoccupati per la mia non partecipazione. Per loro, la questione è semplice: senza Lincoln il film non si fa. Se per me la cosa è lusinghiera, per la BBC è una maledetta seccatura. Ma il villaggio è irremovibile. Sarei disposto, chiede Davies, a venire a Rennes-le-Château e aiutare a risolvere la difficoltà? E, ovviamente, a entrare in qualche modo nella preparazione del programma? Il tutto è estremamente urgente. Se sono d'accordo, potremmo partire da Parigi immediatamente. La troupe è già in preallarme e la data delle riprese si avvicina in fretta. Ma come si fa un film senza un copione, vorrei sapere. Non ho nemmeno cominciato a dargli una forma. Le riprese, spiega Davies, saranno del tipo «reportage di attualità». Un servizio sul disseppellimento del tesoro. Non abbiamo bisogno di un copione. Quello sarà possibile scriverlo quando vedremo che cosa abbiamo. La situazione mi sembra tutt'altro che soddisfacente. Ma sono incuriosito, se non del tutto convinto, dalla certezza di Davies che il tesoro sia stato trovato. E so che «reportage di attualità» o meno, prima o poi un testo sarà necessario. Accetto di occuparmi della cosa. Sarà anche domenica pomeriggio, ma so che Franju sta filmando un inseguimento in un cimitero in un quartiere degradato della periferia parigina. Chiamo l'ufficio di produzione ed espongo il mio problema (o meglio della BBC). In breve e senza difficoltà viene organizzata la chiusura del mio rapporto con il film. Ho già provato con gli attori per le poche scene di dialogo che restano - e in ogni caso il produttore sarà felice di tagliare dal budget un'altra settimana di mie spese. Faccio i bagagli in tutta fretta, abbozzo un tentativo vergognosamente superficiale di riordinare l'appartamento, e parto. Alle 19.30 della domenica sera, mentre la mia misteriosa conoscenza di marciapiede mi aspetta al bar, ho già lasciato Parigi. Di lì a pochi anni, mi chiederò se non ho perduto la prima opportunità di fare la conoscenza con la misteriosa «società segreta» che va sotto il nome di Priorato di Sion.
Il secondo filmato La rapidissima visita a Rennes-le-Château sì traduce in poco più che una serie di abbracci da tutti gli amici del paese; richieste di notizie sulla famiglia (in particolare su uno dei miei figli, che a quanto pare ha fatto colpo sulle jeunes filles del posto); e un breve e scherzoso incontro con il sindaco, M. Lambège, che sblocca l'impasse. Le porte vengono riaperte e si prendono gli accordi per le nostre riprese. Inevitabilmente ci sarà un contingente della BBC più folto, che eccederà le limitate risorse di sistemazione su Henri Buthion. Organizzo in modo da tornare nella casa di Mme Fons, quella all'entrata del paese, che è stata la mia «casa lontano da casa» per l'estate. Qui, almeno, posso rientrare in una sorta di familiarità, di routine domestica, faccio ascoltare la registrazione del 54
colloquio con Mr A. Ascolta con attenzione e in silenzio. Quando il nastro finisce, c'è una lunga pausa in cui aspetto la sua reazione. Ma anche se colgo la sua preoccupazione, sembra restare solido nella fiducia verso le conclusioni di Mr A. Non mi impensierisce particolarmente l'inconsistenza del materiale. So di avere in testa un film già parzialmente strutturato e abbondante materiale aggiuntivo per completarlo. E, in ogni caso, siamo impegnati. Tra un giorno e mezzo filmeremo il «disseppellimento del tesoro di Bérenger Saunière».
Lo scavo E così siamo ancora una volta a Rennes-le-Château, dove l'aria è di nuovo carica di elettricità mentre ci riuniamo sul belvedere di Saunière per le prime riprese del mattino. Per quanti sforzi faccia (e riconosco di non farne troppi) trovo difficile condividere l'eccitazione per l'imminente scoperta. La giornata è limpida e serena, il panorama mozzafiato nella sua nitidezza cristallina. Dal belvedere c'è una veduta chiarissima del sito dello scavo programmato da Mr A. Su questo sfondo, la prima sequenza mostrerà il cacciatore del tesoro che descrive ciò che a suo parere è in serbo per noi. Mr A dice alla telecamera che quando scenderemo sul fianco della Roque Fumade, si «aspetta di trovare un grande masso, sotto il quale ci sarà una galleria che scende fino a una caverna, dentro la quale troveremo il tesoro di Saunière». Sarò anche pedante, e sono sempre molto attento con la scelta delle parole, soprattutto quando si parla «alla telecamera». «Possiamo girarla di nuovo?» chiedo. «Perché?» Spiego che l'aspettativa espressa da Mr A, che «dovremmo trovare un masso», apparirà confermata quando il masso sarà materialmente «trovato». Ma noi sappiamo già che il masso c'è. Mr A ci ha detto che ha visitato il posto e vi ha trovato un masso che, a suo dire, nasconderebbe il tunnel. Nella «take two» ci dice che il punto è contrassegnato da un masso. Quando lo solleveremo si «aspetta di trovare una galleria che scende fino a una caverna, dentro la quale troveremo il tesoro di Saunière». Con questa piccola ma importante correzione, sono soddisfatto. Adesso vorrei mettermi davanti alla telecamera e dire che cosa mi aspetto di trovare? La mia risposta è breve. «Io non mi aspetto niente. Non c'è nessuna prova che troveremo alcunché. A parte, cioè, il masso, già individuato da Mr A.» «Dovrebbe dire qualcosa di più», mi sollecitano. Ma questo è tutto quanto sono disposto a dire. Anzi tutto quanto posso dire. Ed ecco che è arrivato il «momento della verità». Telecamera, treppiede, registratore e microfoni, mezzi di illuminazione, riserva di pellicola, riflettori... tutto viene raccolto e ci avviamo giù per la montagna di Rennes-le-Château verso Roque Fumade. Sono affascinato dalla quantità di attrezzatura che è stata trasportata anche per lo scavo vero e proprio. Picconi, badili — perfino dei caschi da minatore nel caso che il tetto del tunnel risulti insicuro. Così caricati, seguiamo Mr A lungo il letto profondo di un torrente fino ai piedi della Roque. «Sopra monti e colline, tra boschi e brughiere»... finalmente arriviamo al Masso che copre La Galleria. Infestato dai rovi, è interrato in un ripido pendio. Ed è enorme. Sembrerebbe che per spostarlo ci vorrà almeno una mezza dozzina di uomini ben piantati. Per me, è l'ultima goccia. Mr A ci ha detto che Saunière avrebbe rimosso e risistemato il pietrone in ognuna delle sue visite clandestine alla «grotta del tesoro». La cosa - senza la collaborazione di una squadra di aiutanti, e una notevole quantità di tempo e attrezzature pesanti è palesemente impossibile. Mi arrampico su per il pendio fino alla cima del masso e osservo la febbrile attività che si svolge sotto di me. Davies ha scelto la posizione della macchina e tra poco tutto sarà pronto per una ripresa di Mr A che dà inizio allo sfoltimento dei rovi intorno alla pietra. Da un lato c'è Mr A, armato di machete, che aspetta l'«Azione!» del regista. Decido che per quanto mi riguarda il momento dell'azione è già arrivato. Richiamo l'attenzione del gruppo indaffarato immerso fino alla cintola nei cespugli spinosi. 55
«Vorrei dire qualcosa. E vorrei dirla adesso - prima che tocchiate una sola foglia. Non ho nessun dubbio su quello che sto per dire, e non voglio che poi mi si accusi di aver parlato con il senno di poi. State perdendo tempo. Qui non c'è niente. Né esiste uno straccio di prova concreta che possa esserci qualcosa. Io me ne torno al villaggio, dove mi rinfrescherò con qualche bibita finché non avrete deciso che ne avete abbastanza e mi raggiungerete.» Mentre prendo la strada del ritorno lungo il pendio, Davies mi richiama: «Sarà lei a fare una figuraccia quando porteremo alla luce il tesoro». «Correrò il rischio», rispondo e riprendo allegramente il cammino. Ho da lavorare, io. C'è un copione da preparare. Tornato nel giardinetto della confortevole casa di Mme Fons, mi dedico a mettere ordine nei miei appunti per il copione che avevo intenzione di scrivere. Sul fianco della collina, l'opera di disboscamento, le sudate e le riprese continuano ininterrotte. Alla fine della giornata, vedo passare sotto la mia finestra la processione accaldata, graffiata e sfinita, diretta verso le docce rinfrescanti di Villa Bethania - e il fresco della birra e del vino della cantina di Henri Buthion. «Non si discute», penso contemplando il ritorno degli stanchi cacciatori dalla collina e bevendo un altro sorso del mio panaché ghiacciato, «ho preso la decisione giusta.» Per altri due giorni continuo a scrivere in pace a casa mia o sotto l'ombra del giardino di Saunière, godendo della bellezza e tranquillità di Rennes-le-Château deserta. Intanto, di sotto, sulla pendice infocata dal sole, la febbre della caccia al tesoro sta calando. La speranza scema, rifà la sua comparsa il realismo e i nervi sono tesi. La terza sera vengo convocato per una riunione sotto gli alberi. «La cosa è senza speranze. Laggiù non c'è niente», mi dice Davies. «Che cosa facciamo?» aggiunge, più appropriatamente. «Facciamo un film», rispondo, con una spigliatezza che deve apparire compiaciuta e irritante al massimo. «Propongo che lei e la troupe dedichiate la serata a sbronzarvi. Io torno a casa mia e scrivo qualcosa. Domani a colazione le darò il suo copione per le riprese del giorno.» Mai una situazione ha tanto meritato il commento: «L'avevo detto, io». Mio eterno merito è non averlo espresso. A colazione la mattina seguente il posto a tavola di Mr A è vuoto. Una ricerca nella sua stanza la trova vuota. Con i suoi sogni e la sua bacchetta da rabdomante, si è dileguato silenziosamente nella notte. (Più tardi vi fu un Mr C, che riuscì anche lui a convincere la BBC di aver trovato il tesoro. Io però venni a sapere di questa nuova spettacolare scoperta solo dopo che era stata effettuata un'altra abortita spedizione di caccia al tesoro.)
Una scoperta vera Ormai ho messo insieme sufficiente testo per tenere la troupe più che occupata mentre io continuo il mio lavoro solitario chez Mme Fons. Mentre lavoro tranquillamente nel mio giardino, compare Mme Fons in persona, per il nostro consueto caffè e per aggiornarmi sugli ultimi pettegolezzi sulle faccende del paese. Ma questa volta mi ha portato anche dell'altro. Mentre sediamo nel giardinetto, deposita sulla mia pila di fogli una busta marrone malconcia. «Queste sono per lei», dice. «Sono rimaste in fondo all'armadio dei miei per cinquanf anni. Mi fa piacere se le ha lei. Magari le può usare nel suo film.» Prendo la busta e ne sfilo il contenuto: una manciata di fotografie virate in seppia, graffiate e un po' sbiadite. Non credo ai miei occhi. C'è una foto di Saunière che non avevo mai visto. Saunière, nel suo abito talare ricamato, che posa con orgoglio sotto il portico della sua chiesa. Un'altra, accanto al famoso pilastro dell'altare in cui avrebbe trovato le pergamene. Un'altra ancora, con amici, in una scena festiva davanti al suo presbitero, a braccia conserte, con aria da padrone, accanto a un tavolo carico di bicchieri e bottiglie di vino. Un'altra ancora, in posa vicino al cancello del cimitero del paese. Istantanee disinvolte del reale Bérenger Saunière; ben diverse dai formali 56
ritratti da studio, in posa, che finora sono stati le mie uniche rigide immagini dell'uomo. C'è però un nuovo ritratto formale: un'imprevista e disturbante foto sul letto di morte. In questa immagine mi sorprende una curiosa anomalia. Sul comodino è posato una mitra da vescovo. Possiamo essere certi che si tratta di Saunière? Ma la rassomiglianza è innegabile e, come rileva Mme Fons, non ci sarebbe stato motivo che i suoi genitori conservassero con tanto affetto la fotografia della morte di un altro sacerdote, vescovo o no. Ecco che qui, alla fine, un piccolo, reale e per me splendido tesoro è davvero emerso. Mme Fons ha ereditato dai genitori le fotografìe, che sono rimaste a giacere, quasi dimenticate, tra le loro cose. Mi sento privilegiato e onorato da un dono così prezioso. Qui c'è davvero del magnifico nuovo materiale per il film. Ma le fotografie sono preziose per l'archivio del paese e prometto che, quando ne avrò fatto delle copie, le restituirò alla loro casa legittima. (Da allora Mme Fons è deceduta. Presumo che le abbia passate al villaggio, come mi aveva detto che avrebbe fatto.) Più tardi, il giorno stesso, mostro il mio trofeo a Henri Buthion. Resta esterrefatto. Come chiunque, in paese, era convinto che tutto il materiale di questo genere fosse stato identificato. Forse ci sono altri tesori simili ancora da scoprire. Anche Roy Davies è elettrizzato, quando ritorna dalle riprese giornaliere, vedendo il magnifico nuovo materiale visivo che è emerso e studiamo come incorporarlo nel copione. Mi ha confessato poi che gli è stato difficile capacitarsi di come io fossi riuscito a mettere insieme il suo riuscitissimo documentario Il prete, il pittore e il diavolo, nel paio di giorni dopo l'uscita di scena di Mr A: come se partissi da zero quando è arrivata la sua disperata richiesta di soccorso. È vero che la mia esperienza di autore di «soap opera» mi ha insegnato la preziosa arte dello scrivere veloce per rispettare una scadenza impossibile. Ma neppure Emergency - Ward 10 avrebbe potuto insegnarmi quel grado di velocità. Comunque, tre giorni di riprese (e una quantità di pellicola) sono andati sprecati. Il tempo concesso per girare sta per finire. Inutile sperare che le indispensabili sequenze che ancora mancano di Rennes-le-Château possano essere completate in questa spedizione. Dobbiamo tornare in Inghilterra, dare accuratamente forma al programma, e ritornare qui. Metà ottobre sembra una data possibile. Per allora, ne sono sicuro, potrò presentare uno script definitivo.
Apparizioni belghe Metà ottobre arriva e la sceneggiatura è pronta. Henri Buthion viene avvertito telefonicamente del nostro arrivo. La data scelta è il 13. A ottobre la stagione turistica è finita. Il piccolo hotel nella Villa Bethania di Saunière di solito è chiuso; il nostro arrivo fuori stagione rappresenta una gradita aggiunta a questo tempo morto. Ma Henri ha una piccola sorpresa in serbo. Per la sera del nostro arrivo l'albergo è tutto occupato. Imbarazzato, ci dice che bisognerà trovare un'altra sistemazione. Il ristorante, naturalmente, sarà a nostra disposizione. Ma, fatto senza precedenti, le sue camere sono tutte prenotate, per una notte soltanto, da un gruppo. Potremo trasferirci da lui il giorno 14. Non è niente di più che una piccola seccatura e non abbiamo difficoltà a trovare un'alternativa per il pernottamento. E così, ancora una volta la troupe si riunisce. Ci sistemiamo provvisoriamente nella nostra base temporanea e ci dirigiamo a Rennes-le-Château per la serata. Henri mi ha detto che gli sembra che il gruppo dei suoi ospiti imprevisti sia belga. Cosa più interessante, lo hanno avvisato che intendono fare un'escursione in tarda serata. Lasceranno l'albergo dopo cena e torneranno a notte fonda. A Henri la cosa sembra un po' strana. Anche a noi. Ma il ristorante ci offre un'ottima copertura: forse riusciremo a scoprire che cosa c'è sotto, se sotto c'è qualcosa. I membri del gruppo misterioso sembrano gente comune. In effetti, nel ristorante ci sono più clienti di quanti ne possa alloggiare l'albergo. Alcuni, come noi, dormiranno evidentemente altrove. La sala da pranzo è affollata e animata dalle discussioni. La famiglia Buthion è indaffaratissima, sia in cucina sia per servire quella moltitudine. La squadra della BBC è interessata non meno che 57
incuriosita. Siamo abituati ad avere quel posto quasi interamente a nostra disposizione. Albergo e villaggio hanno un'aria diversa quando sono pieni di turisti. Anche se non siamo proprio sicuri che «turisti» sia il termine adatto per definire i nostri commensali. Nel corso della sera, qualcuno di noi trova modo di attaccare brevemente discorso con vari membri della comitiva. Quando confrontiamo le informazioni raccolte, vediamo che ci sono state raccontate due storie completamente diverse. Secondo qualcuno, sono i testimoni dell'arrivo di un disco volante. Sembra che abbiamo a che fare con un gruppo di ufologi, un po' squinternati ma inoffensivi. Altri dicono che si starebbero preparando ad assistere a un'apparizione dei cavalieri templari. Non riusciamo a decidere quale alternativa sia la più credibile, o la più squinternata. Quale che sia l'evento che deve verificarsi, il disco volante o i templari si materializzeranno sulla cresta di Bézu. È un monte perfettamente visibile, a quattro miglia di distanza al di là della pianura a sud di Rennes-le-Château. Qui, a quanto pare, sorgeva un tempo una commanderie - un acquartieramento dei templari. L'intenzione dei visitatori è arrampicarsi sulla montagna per trovarsi sul posto, in cima, nelle ore notturne, quando l'apparizione, o le apparizioni, avrebbero in programma di farsi vedere. La troupe della BBC si riunisce in conciliabolo. Ciascuno di noi sembra essere arrivato alla stessa conclusione. È un'occasione troppo bella per lasciarsela scappare. Armati di macchine da presa e apparecchi di registrazione, seguiremo gli spettrali cacciatori di dischi volanti. L'evento (o anche il non-evento) sembra degno di essere immortalato sulla pellicola. (Avendo scalato molte volte, negli anni, il Monte Bézu, ora impallidisco al pensiero di un'impresa così incredibilmente azzardata. Arrampicarsi sul Bézu di giorno, quando il tortuoso sentiero è almeno visibile, è già abbastanza arduo e difficoltoso. Scalare la parete scoscesa della montagna per la prima volta, in linea retta, nel buio della notte e carichi di prezioso equipaggiamento, è proprio da dementi.) Comunque, pronti per l'avventura, carichiamo l'auto e aspettiamo di entrare in azione. La cena finisce e mentre si avvicinano le undici la folta comitiva comincia a indossare cappotti e scarponi da arrampicata e a prepararsi per la partenza. E, improvvisamente, scompaiono. Un serpente di una dozzina e più di paia di fari si dipana giù da Rennes-le-Château a Couiza nel profondo della valle sottostante. La troupe della BBC, come un contingente di «Keystone Cops», si getta all'inseguimento dietro le ultime luci di posizione. Bézu potrà anche essere a soli quattro miglia, ma «a volo d'uccello». Le nostre prede però non sono uccelli, sono belgi. E anche con dei belgi al volante, il convoglio deve seguire la strada. Da Couiza a Campagne-les-Bains, poi a sinistra per la via principale del villaggio di Granès, poi la minuscola borgata di Le Bézu. Quasi una dozzina di miglia di tortuose strade di montagna vengono attraversati a velocità da Grand Prix. Ma a Le Bézu la strada si trasforma piuttosto in una pista sassosa. Lentamente raggiungiamo la processione di fari di auto che si sta dipanando nell'aperta campagna. La nostra mappa non mostra davanti a noi altro che la casa colonica di les Tipliés. Ma ora possiamo vedere la massa scura del Monte Bézu stagliarsi contro il cielo stellato. In lontananza, il convoglio si sta arrestando. Osserviamo le luci dei fari che si spengono, sostituite da una fila di torce e lanterne che si allunga nella valle dove, presumiamo, ai piedi del monte, si trova la cascina. Parcheggiamo e ci prepariamo a seguirli. Devono esserci ancora circa ottocento metri di pista, e poi ci sarà da arrampicarci sulla montagna. Ma siamo ancora di un allegro umore postprandiale. Con l'attrezzatura in spalla, continuiamo l'inseguimento del brillio da lucciole della tortuosa linea di torce. Mantenendo una certa distanza dalla nostra preda, finalmente raggiungiamo les Tipliés. La casa è buia e apparentemente deserta, anche se il cortile della fattoria mostra segni di presenza umana. Forse gli abitanti sono addormentati, o forse preferiscono, saggiamente, non mostrarsi a questi inconsueti visitatori notturni. Mentre attraversiamo il cortile, vediamo la fila delle luci oscillanti già alte sopra di noi. Troviamo lo stretto sentiero che porta su per il fianco della montagna coperto di alberi e di cespugli. Con solo il barlume delle torce da seguire, non abbiamo altra scelta che arrampicarci alla meglio dietro di loro. Non è facile. Né piacevole. Le divertite battute della nostra conversazione sussurrata sfumano. Ci rendiamo tutti conto che dobbiamo essere pazzi a esserci imbarcati in questa avventura da scolaretti. Ma ora che 58
siamo arrivati fin qui, ci sentiamo impegnati. Sudati, graffiati e imprecanti, raggiungiamo finalmente la cresta di Bézu. I belgi non sono contenti di vederci. E come dargli torto? Malconci e affannati come siamo, non costituiamo un decente sostituto, emergendo dal buio, degli attesi alieni e/o cavalieri fantasmi. Sono stati accesi dei falò, ma non saprei dire se come segnalazione per l'astronave in avvicinamento o semplicemente per riscaldarsi. (Decidiamo che gli eventuali spettri templari che si aggirassero nelle vicinanze non avrebbero bisogno di luci di indicazione. Naturalmente accettiamo smentite.) Accasciati contro le scarse vestigia diroccate di quello che un tempo è stato il muro di un castello, riprendiamo fiato e osserviamo quello che succede. Non succede niente. I nostri amici se ne stanno in giro in gruppetti mormorando piano, silhouette sullo sfondo delle fiamme giallo arancio. Una bella scena, decidiamo, ma parecchio monotona. Decisamente non degna della fatica dell'arrampicata. Prendiamo in considerazione l'idea di unirci ai belgi nella speranza di un arrivo ultraterreno. Sentiamo l'esigenza di una qualche specie di compensazione. La otteniamo sotto forma di un corroborante sorso di brandy da una fiaschetta previdentemente portata da uno dei nostri tecnici del suono. «Volevo essere sicuro», ci spiega, «che stanotte ci fosse un contatto con un qualche genere di spirito.» Mezzanotte - ma nient'altro - arriva e se ne va. Un belga con un muso lungo così si avvicina a comunicarci che quasi certamente la mancata materializzazione è colpa nostra. La nostra «aura di scetticismo» ha un influsso negativo. Verso mezzanotte e mezzo un influsso più positivo si fa sentire sotto forma di generale desiderio, tra la troupe della BBC, di chiuderla lì e andarcene a cercare il calduccio dei nostri letti. Mentre raccogliamo l'attrezzatura, il nostro tecnico del suono ci chiama per farci ascoltare una cosa strana. Oziosamente, stava puntando in giro un microfono direzionale, ascoltando niente in particolare. Ma all'improvviso ha raccolto un segnale. È sotto di noi e sembra provenire da circa due miglia verso nord. Ascoltiamo a turno alla sua cuffia, ma nessuno distingue nulla in quel suono basso e rombante. Potrebbe essere, pensa, un generatore; ma non suona giusto al suo orecchio esperto. Almeno qualcosa di inspiegato è successo. (Controllando sulla mappa, risultò che quel luogo era nelle vicinanze di una collina chiamata La Pique. Si sarebbe rivelata - molto più tardi - una interessante coincidenza.) Stabiliamo di accontentarci di questo e, lasciando i belgi alla loro veglia speranzosa - o senza speranze - ce ne scendiamo di nuovo giù per il fianco della montagna. In auto, verso casa, dibattiamo giovialmente sulla sanità mentale - o sull'ingenuità - dei belgi. Possibile che facessero sul serio? O era solo una scusa per un'allegra scampagnata notturna? Quale concepibile vera ragione avrebbero potuto avere per la loro strampalata spedizione? E questa è la domanda che fornisce l'imprevista, ma bizzarra risposta. È la notte del 13 ottobre. Fu il 13 ottobre del 1307 che i cavalieri templari furono arrestati. La spedizione di mezzanotte fino alla comanderia templare doveva essere una celebrazione dell'anniversario. Ma perché questo particolare anniversario? La sua importanza viene improvvisamente fuori. Siamo nel 1973. L'aritmetica mentale offre un adeguato pezzo finale a questo gioco grottesco. Questo è un anniversario molto speciale. Il suo numero è il Numero della Bestia nell'Apocalisse. «Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza, calcoli il numero della bestia, perché è un numero d'uomo; e il suo numero è 666.» L'intuizione dà la sua coloritura al proprio atteggiamento. Forse la riunione su Bézu è più arcana - e meno ingenua - di quanto immaginassimo.
Montségur Se è vero che lo strano conclave notturno su Bézu e le fantasie sul tesoro di Mr A costituirebbero un magnifico materiale per un film assai divertente, non è per film di questo genere che esiste Ononide. Il nostro documentario è più serio e il materiale che vado lentamente scoprendo è piuttosto importante. Fondamentali per il nuovo film sono le storie dei cavalieri templari e degli eretici albigesi, i catari, che compaiono con una certa rilevanza sullo sfondo. Questi nuovi elementi 59
delle mie ricerche sono entrambi ben noti in Francia, dove le loro drammatiche vicende fanno parte dell'istruzione scolastica di ogni ragazzo. Per un pubblico di telespettatori inglesi, però, Il prete, il pittore e il diavolo aprono porte nuove. La storia della sanguinosa crociata guidata dalla Chiesa contro gli albigesi getta una luce straordinaria sul Medioevo ed è troppo poco nota al di fuori del mondo francofono. Qui si presenta l'opportunità di esplorare - in un contesto appassionante e spettacolare - un aspetto affascinante del nostro passato che, finora, ha interessato solo gli storici di professione. Il tesoro di Saunière è un eccellente appiglio a cui agganciare queste vicende di sangue, fede, fuoco e spada, che si svolgevano proprio in queste terre. Le storie dei templari e dei catari si intrecciano, e ciascuna comporta l'esistenza di tesori, di uno o di un altro genere. Ancora una volta, posso raccontare una storia che farà «fremere i muscoli dei sogni e dell'avidità». Il tesoro dei templari fu uno dei principali elementi della loro caduta. Per il re di Francia Filippo il Bello, i templari costituivano un pericolo politico. Erano una forza combattente immensamente ricca, potente e organizzata. Erano insediati in castelli e comanderie sparse su tutto il suo regno, e.non gli dovevano fedeltà, essendo responsabili solo nei confronti del papa. E Filippo era indebitato con i templari. Quando progettò la loro distruzione, contava di mettere le mani sulla loro favolosa ricchezza. Ma quando all'alba del venerdì 13 ottobre 1307, in un'azione di sorpresa, i cavalieri vennero arrestati, del tesoro non fu trovata traccia. Né è mai venuto alla luce. Che fosse questa la fonte della ricchezza di Saunière? Uno degli aspetti più inquietanti della distruzione dei templari è il fatto che, benché monaci combattenti cristiani che avevano posto la vita al servizio di Cristo e della sua Chiesa, furono accusati di negare Cristo e di sputare sulla Croce e calpestarla. La negazione di Cristo Crocifisso fu l'accusa mossa anche ai catari, templari e catari erano accomunati dal fumo sulfureo dell'eresia. E, come per i templari, anche dei catari si diceva che possedessero un tesoro - anche se quest'ultimo sembra fosse di natura più spirituale. È stato perfino ipotizzato che il tesoro dei catari fosse il Santo Graal. Per procurarci uno sfondo visuale al racconto della loro storia, percorriamo una trentina di miglia che separa Rennes-le-Château dal castello di Montségur. Questo castello, che sorge sul suo incredibile e torreggiarne picco, è uno dei grandi e peculiari siti della storia dell'umanità. Come Masada in Israele, questa montagna assiste all'estrema disperata e tragica resistenza di una fede perseguitata. Qui, in una mattina di primavera del 1244, l'ultima guarnigione catara assediata si trovò a faccia a faccia con la sua scelta finale e fatale. A coloro che erano disposti a rinunciare alla propria fede e ad abbracciare la Chiesa di Roma, veniva offerta la vita e la libertà. Guardando in basso dalle loro mura imponenti, potevano vedere l'alternativa che aspettava i reprobi. Le fascine ammucchiate dentro una palizzata. La tortura del martirio nelle fiamme purificatrici dell'Inquisizione. Ancora oggi, seguendo il sentiero roccioso, è impossibile non avvertire la presenza di quelle duecento anime coraggiose che fecero la scelta più amara. Per loro la feroce tortura del fuoco era meno dolorosa che abiurare alla loro dottrina. Tenendosi per mano e cantando, percorsero la temibile via che portava all'Eternità. Ogni volta che metto piede su quelle pietre, sento che sto occupando lo spazio di una certezza e una forza di fede che nella nostra epoca più «illuminata» è quasi incomprensibile. Ma attraverso i secoli la fiamma brucia ancora a Montségur e i martiri non sono stati dimenticati. Le ricerche su questa storia tragica di fede e sofferenze mi portano inevitabilmente all'uomo noto come «il papa dei catari». Déodat Roché è ultranovantenne quando gli faccio visita per la prima volta nella sua casa di Arques. Ha una profonda conoscenza della storia e della fede dei suoi antenati e ha accettato di parlarmi dei rituali della sua chiesa «eretica». Mi riceve nel suo soggiorno spoglio, bellissimo nella sua semplicità monastica. L'unico ornamento è una grande ciotola di legno, contenente tre mele avvizzite, posata su un lungo tavolo nudo, dall'aspetto secolare, a cui è seduto, eretto su una poltrona scolpita dall'alto schienale. Ha un'aria ascetica e santa; la testa emaciata e le fragili mani sembrano ricoperte da una pelle quasi trasparente e sottile come carta. Pressoché immobile, parla con voce sommessa e chiara, spiegando riti e preghiere; con pazienza e pacata 60
cortesia risponde alle mie tante domande. Un anno dopo, passo di nuovo a trovarlo. Lo trovo ancora seduto, nella stessa posizione, sulla stessa sedia. Sembra che non si sia mai mosso di lì. Niente nella stanza è cambiato, tranne il contenuto della ciotola di legno, dove dodici mesi prima c'erano tre mele avvizzite. Ora le mele sono solo due. Si ha la sensazione, che non pare affatto inverosimile, che la mela mancante abbia costituito il suo unico sostentamento per questi dodici mesi.
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7 Compare la geometria di Poussin LA vicenda dei catari è potente e toccante. Al suo confronto, la venalità della caccia al tesoro sembra quasi sacrilega. Ma sono stati fatti passi importanti verso il dipanamento del mistero di Rennes-le-Château, passi che è necessario inserire nel film. La visita al Louvre che ho fatto per esaminare le radiografie de I pastori d'Arcadia ha lasciato un «filo penzolante». Si tratta di un'evidente e inspiegata anomalia nell'esecuzione del bastone del pastore sulla destra (vedi Foto 12 dell'inserto). Molte volte sono tornato, e invano, su questo problema. Ma sto imparando «non solo a guardare, ma a vedere». Sto anche imparando a porre domande semplici. Se si parte a caccia di complessità, quelle stesse complessità possono oscurare una semplicità che richiama a gran voce l'attenzione su di sé. Mentre lavoro alla sceneggiatura, torno ancora una volta sulla domanda. Questa volta mi chiedo: «Qual è la cosa più semplice che posso dire del bastone?» La risposta è: «Che è tagliato in due dal braccio del pastore». Metto mano al compasso e misuro la distanza dalla base del bastone alla linea del braccio del pastore. Da questo punto alla cima del bastone la distanza è precisamente la stessa. Il bastone non è semplicemente tagliato in due: è esattamente tagliato in due. Misuro la distanza dalla cima del bastone alla punta dell'indice del pastore. Anche qui, la distanza è precisamente la stessa. L'odore della scoperta ha già raggiunto le mie narici. Perché Poussin ha voluto un'esattezza così rigorosa? E, intanto, l'ha davvero voluta? Oppure mi sono semplicemente imbattuto in un'altra delle straordinarie coincidenze di cui parlava Blunt? Provo con il bastone del pastore di sinistra. Dalla cima al punto in cui è tagliato dalla schiena del pastore inginocchiato, la misura è anche qui la stessa. Da quel punto mediano fino alla base: ancora la stessa. È ben difficile che sia una coincidenza. Mi lancio in uno studio minuzioso, centimetro per centimetro, del dipinto. In mezz'ora ho identificato una ventina di riproposizioni della misura del mezzo bastone. Sono sconcertato e intimidito. Anche a un primo sguardo, il quadro è evidentemente l'opera di un genio. Ma ora mi si sta parando davanti un altro livello di virtuosismo. Poussin ci ha regalato un fluido idillio, rilassato e armonico, di calma serenità. Eppure è arrivato a questo attraverso una rigida e formale struttura geometrica. Tale rigoroso e inflessibile controllo è un metodo abituale nel suo lavoro? Non è la prima volta, nella saga di Rennes-le-Château, che mi sento sprofondare: questo studio richiede conoscenze e competenze che non possiedo. Il professor Christopher Cornford del Royal College of Art ha fatto uno studio speciale sulla costruzione geometrica dei dipinti. Accetta di effettuare un'analisi de I pastori d'Arcadia. (Il professor Cornford non ha eseguito analisi del Sant'Antonio di Teniers, poiché era disponibile solo la copia di Shugborough ed era impossibile sapere quanto fosse precisa. Solo dopo la morte di Christopher Cornford è stato rintracciato l'originale.) Per non influenzarlo in alcun modo, inizialmente non lo informo della scoperta che ho fatto della misura del mezzo bastone. Affronta il problema scevro da ogni preconcetto. E fa una scoperta stupefacente. Secondo le parole della sua relazione scritta: Quasi tutti i dipinti degli antichi maestri (per la verità, tutti quelli che ho finora esaminato) sembrerebbero composti, in maniera più o meno rigida, rispettando un sistema di linee direzionali, ortogonali e diagonali, basate sull'una o l'altra di una mezza dozzina di suddivisioni geometriche e/o aritmetiche, abbastanza dirette, del formato rettangolare: linee che è possibile costruire facilmente con riga, compasso, riga a T e squadra. I sistemi usati rientrano in due classi fondamentali: quelli che usano principalmente la costruzione geometrica, determinando sequenze di grandezze che sono progressioni 62
geometriche... e quelli basati sui rapporti tra piccoli numeri interi, come 2:3, 3:4, 3:5 eccetera. Quest'ultimo sistema si fonda sul racconto della creazione esposto nel Timeo di Platone, e fu pubblicato dall'Alberti nel suo trattato Dell'architettura (Firenze, 1485). Procede per via di calcolo oltre che tramite la costruzione eseguita con l'uso di strumenti ed ebbe grande influenza nel Rinascimento e dopo, in quanto dissocia l'arte e l'architettura dall'antica tradizione manuale massonica (ossia edificatoria) di epoca medievale, associandole alla cultura umanistica. Inoltre, il sistema numerico utilizzato era una sorta di invocazione al divino, nella misura in cui la costruzione di un edificio o la realizzazione di un dipinto diventava una replica nel microcosmo dell'atto primigenio della creazione. Il sistema massonico-geometrico è incomparabilmente il più antico dei due. Anzi, sembra fosse già noto agli antichi egizi e alla nostra stessa cultura megalitica. È sopravvissuto, spesso circondato da un'atmosfera di segretezza (se non di culto) di mestiere, fino ai tempi di Alberti, cadendo successivamente nell'oblio... Così, dato che I pastori d'Arcadia furono dipinti intorno al 1640, ci si aspetterebbe di trovare una substruttura di tipo albertiano-timeana più che una massonico-geometrica... Eppure, con sua grande sorpresa, il professor Cornford scopre che Poussin ha resuscitato questo sistema da tanto tempo caduto in disuso per la costruzione de I pastori d’Arcadia. La struttura si basa sul pentagono, il poligono a cinque vertici le cui corde formano la stella a cinque punte o pentagramma. Cornford procede: Quello che mi convince in questo caso che sia presente una geometria pentagonale è il formato del dipinto... Le dimensioni sono... 120 cm x 87 cm = 1:1,3793 - una discrepanza appena dello 0,0033% rispetto al rettangolo 1:1,376, che ha una relazione particolarissima e molto forte con il pentagono regolare... Il pentagono [e il] pentagramma... hanno goduto di immenso prestigio, suscitando una vera e propria reverenza tra i matematici, gli architetti e i costruttori fin dai tempi più antichi. Per i pitagorici (dal VI secolo a.C.) il pentagramma era un simbolo di vita, eternità e salute... L'uso del pentagramma nella più tarda pratica magica, come protezione contro enti spirituali non invitati, è presumibilmente una reminiscenza, o una diretta eredità, della tradizione pitagorica. Alla fine della sua accurata e dotta analisi, il professor Cornford fa questa interessante dichiarazione: Se Poussin ci sta dicendo qualcosa... sembra dire che i pentagoni e i pentagrammi e i loro angoli costituenti sono profondamente coinvolti. Mentre leggo la relazione del professore, questa frase sembra balzare fuori dalla pagina. Poussin ha messo la massima cura nel nascondere - e al tempo stesso segnalare - la presenza di questa particolarissima forma geometrica. Avverto un nettissimo senso di déjà vu. Le pergamene mi hanno già mostrato esattamente la stessa sottile allusione a una geometria nascosta.
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L'analisi geometrica del professor Cornford.
Inoltre, la forma geometrica celata è, in entrambi i casi, pentagonale. Può essere, ancora una volta, una coincidenza? Si aggiunga all'equazione l'affermazione, contenuta nella lettera di Fouquet, che: «Poussin aveva un segreto tale che gli stessi sovrani si dannerebbero per estorcerglielo». Il rifiuto «bluntiano» di certi accademici di anche soltanto prendere in considerazione una possibile validità delle strade di ricerca appena aperte non sembra soltanto una manifestazione di testardaggine. È incultura.
Le figure dell'immaginario e il diavolo Inevitabilmente, il lavoro del professor Cornford mi fa rivolgere l'attenzione al possibile significato della stella a cinque punte. In che modo questa elegante forma geometrica può aiutarci a penetrare il mistero di Rennes-le-Château? L'imprevedibilità della sua doppia apparizione nell'indagine infatti rende indiscutibile la sua importanza. Finora ero al corrente di un unico contesto per il pentagramma: la magia. Ricordo di aver visto una rappresentazione del Dottor Faust di Marlowe in cui Faust evoca Mefistofele dall'interno della protezione del «pentangolo magico». Ricordo anche i romanzi di Dennis Wheatley, in cui descrive l'uso del pentangolo in terrificanti «riti satanici». Perfino il professor Cornford fa riferimento all'«uso del pentagramma nella pratica magica». Ma, nonostante tutti i suoi elementi di stranezza ed eresia, la storia di Saunière, in tutta la complessità dei suoi dettagli, sembrerebbe richiedere qualche spiegazione in più. Questo non è una semplice cortina fumogena intorno alle attività di gente che si balocca con le «arti nere». Si avverte ancora la mancanza di qualcosa. Riflettendo sul problema, mi rendo conto che probabilmente la causa della sua apparente impenetrabilità sta nel mio atteggiamento di uomo del ventesimo secolo. La cosa mi si è già presentata chiara con commovente vigore a proposito della storia dei catari. 64
Chiaramente la loro visione del mondo era totalmente diversa dalla nostra. Che sia la mìa ottica a distorcere l'immagine? Questa storia ha le sue radici nel lontano passato. Se vogliamo capirla, non dobbiamo forse cercare di non sovrapporre i nostri preconcetti alle credenze e agli atti dei nostri progenitori? Sentendo parole come «magia», «occulto», «culto del demonio», reagiamo con spregio «illuminato». Robaccia! Fanfaluche! Solo gli «squinternati» prendono sul serio cose del genere. Ma questa verità è la nostra verità. E i nostri progenitori non erano degli squinternati. Vivevano in un mondo diverso. E credevano, con un'intensità che a noi non è dato comprendere, nella realtà di simili mistiche «sciocchezze». Quanti innocenti hanno esalato l'ultimo rantolo nello strazio delle fiamme? Quanti devoti e retti hanno frustato e torturato nel nome di Gesù Cristo? Per capirlo, dobbiamo cercare - almeno un po' - di vedere il mondo con i loro occhi. Molti, oggi, se pensano all'Inquisizione, la vedono composta di mostri sadici e perversi. Ma gli inquisitori, ai loro propri occhi - e agli occhi della maggioranza della società in cui vivevano - erano uomini buoni e pii. Agivano per la compassione che provavano verso le anime che cercavano di salvare. Mentre il carnefice accendeva la torcia, loro cantavano Veni Creator Spiritus. Possiamo sinceramente affermare di conoscere il loro mondo? Condannare è troppo facile. Molto più difficile è liberarsi dei propri preconcetti. Ma se vogliamo comprendere dobbiamo fare almeno il tentativo. Guardare il passato con gli occhi di oggi significa solo vedere le immagini prodotte da uno specchio deformante. Questi pensieri mi portano a riconsiderare alcuni degli elementi della storia. Comincio a domandarmi fino a che punto le credenze del passato possano essere filtrate attraverso i secoli. La storia dei catari, per esempio, si chiude con la tragedia di Montségur nel marzo 1244. Montségur potrà, sì, essere l'ultima pagina del libro, ma è veramente «la fine»? La fede, le credenze e la società che le alimentano non si spengono di colpo come la luce elettrica. Dovettero essere molti i paesi e i villaggi, non toccati dalla calamità, dove la vita e la chiesa catara continuarono a vivere, sia pure in clandestinità. Il libro di Ladurie su Montaillou documenta questo semplice fatto. Catari e templari erano stati accusati entrambi di venerare il demonio. Ma in entrambi i casi l'accusa è una ipersemplificazione. Come ha chiarito Hugh Schonfield nel suo The Essene Odyssey, la presunta figura demoniaca dei templari, il Baphomet, era in realtà Sophia, il Principio (femminile) di Saggezza. Per i catari, è vero, tutta la materia era creazione del Rex Mundi, il Re della Terra, il Dio del Male, schierato in opposizione al Dio del Bene. Ma riconoscere il potere del male non significa affatto venerarlo. Chi riconosce il potere del nazismo non per questo è un nazista. Riflettendo su queste idee, mi viene in mente che Saunière aveva fatto porre una statua del Diavolo nella sua chiesa. In questo nuovo contesto, mi sembra una strana iniziativa, per un prete dell'inizio del Novecento. In un caldo pomeriggio di riprese per Il prete, il pittore e il diavolo, mi rifugio nel fresco della chiesa e mi trovo a contemplare il brutto e deforme mostriciattolo. Saunière ne ha fatto un sostegno per l'acquasantiera (vedi Foto 11). Eppure, ancora una volta è necessario guardare al di là della superficie e vedere il vero significato... se un significato c'è. In questo caso, la chiave sta nei dettagli insignificanti e apparentemente decorativi che Saunière ha aggiunto al gruppo statuario. Il Rex Mundi, il Signore della Terra, sostiene l'Acqua Santa. Sopra vi sono le figure di quattro angeli che, con i gesti della mano destra, stanno tracciando il segno della Croce. Ma tra l'acqua e gli angeli vi sono due bestie decorative incongruenti e irreali. Guardando gli elaborati abbellimenti di Saunière, mi rendo conto che tutti gli elementi del gruppo hanno un loro senso, con l'apparente eccezione di queste due creature. Ma la decorazione fine a se stessa non è nello stile di Saunière, almeno, per l'idea che comincio a farmene. Il suo lavoro è troppo accurato, troppo ponderato, troppo finalizzato. Troppo facilmente gli occhi scivolano su di loro: ma le bestie sono lì perché hanno un significato da comunicare. Per la prima volta mi prendo la briga di guardarle davvero. E vedo che sono salamandre. La salamandra del mito nasce dal fuoco. È una creatura del fuoco. Qui è il messaggio nascosto, eppure esplicito, che dà un nuovo senso, un senso sorprendente, al gruppo scultoreo. Alla base c'è il 65
Rex Mundi - Signore della TERRA. Sopra di lui c'è la conca scolpita che contiene L’ACQUA Santa. Poi le salamandre - il FUOCO. E ritti sopra di loro, stanno gli angeli, che sono creature di puro spirito - o ARIA. Il messaggio di Saunière è ora tanto chiaro quanto apparentemente anacronistico. Qui sono presenti i Quattro Elementi del pensiero ermetico. Terra... Acqua... Fuoco... Aria. Ogni tentativo di interpretare i significati di Saunière è destinato a sconfinare nel regno pericolosamente soggettivo della speculazione. Ciononostante, il messaggio c'è innegabilmente, e innegabile è il suo senso. Stiamo assistendo alla manifestazione di un modo di pensare che appartiene a un'epoca molto più antica. Di qualsiasi cosa si tratti, il messaggio non è tale da integrarsi armoniosamente nel pensiero moderno. Si integra, però, con altri elementi strani e relativamente moderni che sono affiorati. Nei Dossiers secrets di Lobineau ho scovato una lista dei presunti Grandi Maestri di una «società segreta»: il Priorato di Sion.* La storia che sta cominciando a dipanarsi fa pensare che è molto probabile che questa società fosse composta, ai tempi di Saunière, da gente che «si baloccava con l'occulto». La Parigi fin de siecle, non diversamente da Londra, era sede di molte organizzazioni di questo genere. Eppure, il coinvolgimento del nostro sacerdote in simili dubbie pratiche non sarebbe sufficiente a spiegare tutti i fili, alcuni secolari, del mistero. La ricerca su Rennes-le-Château sta assumendo il carattere di una strana e tormentosa battuta di pesca. Quando si tira a bordo la lenza, ci si accorge che la preda non è «la risposta» bensì altre due domande. Altri due ami da ammainare, e di nuovo la possibilità di raddoppiare le possibilità, le interpretazioni, le domande. Gli orizzonti di questo mondo in cui sono finito si espandono senza posa. Ma non posso ignorare l'altro mondo, quello in cui vivo. Un mondo che ha le sue esigenze, fatto di studi televisivi, di calendari di produzione e di scadenze. Il nuovo film non può attendere i risultati indeterminati di una ricerca incerta. In ogni caso, disponendo dei confini limitati di un documentario televisivo, ho già materiale più che sufficiente per un approfondimento affascinante della storia. Il programma deve essere portato a termine. Lo spazio per la sua messa in onda è già stato programmato. Mentre io sono immerso nel lavoro di routine per la preparazione della trasmissione, esplode un ennesimo pétard di Rennes-le-Château.
Tesoro in vendita Di punto in bianco, rispunta Gerard de Sède. Non essendo mai riuscito a placarlo o a spiegargli i motivi della sua esclusione dal primo film, non mi aspettavo di avere più sue notizie. E invece, a metà aprile del 1973, ecco che arriva questa lettera: Parigi, 13 aprile 1973 Caro Mr Lincoln, passando per Rennes-le-Château, ho saputo che ha da poco girato un secondo filmato sul posto. Per questo motivo ritengo che sarà interessato a sapere che uno dei miei confratelli e io abbiamo trovato il tesoro scoperto da Bérenger Saunière, che si tratta effettivamente di un tesoro dei re visigoti comprendente il famoso missorium, e che ne possediamo le fotografie a colori. Se la cosa le interessa, siamo disposti a fornire alla BBC i 7 fotocolor dei 7 pezzi del tesoro sulla base di un preciso contratto. Poiché ci sono altre proposte, la prego di farmi avere una rapida risposta. Cordiali saluti Aggiunge un numero telefonico - da chiamare «in tarda mattinata o dopo le 19» -, presumibilmente per facilitare la rapidità della risposta. Questa sì che è davvero una bomba. Non si tratta di dubbie aspettative à la Mr A. Qui c'è una * Per i particolari di questa organizzazione, vedi II santo Graal e L'eredità messianica.
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esplicita certezza, con già delle prove visive a sostegno. Qui c'è qualcosa di concreto. Una notizia scottante che esige di essere afferrata a due mani: il climax del mistero del tesoro di Saunière. N'estce pas? Presumibilmente de Sède se ne sta seduto accanto al telefono ad aspettare, nelle ore stabilite. Ma il suo apparecchio non squilla. Una settimana dopo la mia concisa risposta cade nella sua cassetta della posta. Grazie per la sua interessante lettera. Mi dica qualcosa di più. Con un'impazienza non esagerata, ma con un certo grado di interesse, aspetto. Passano dieci giorni e ricevo la sua risposta: Parigi, 25 aprile 1973 Caro Mr Lincoln, ho ricevuto la sua lettera del 17 aprile. La mia proposta è semplicissima. In un primo momento avevo pensato di poter vendere le otto fotografie del tesoro alla BBC, assieme a un'intervista relativa alle circostanze della scoperta. Ma in questo caso avrei corso il rischio che l'intervista potesse essere tagliata all'ultimo momento, come nel suo programma precedente. Sa, come si dice in Francia, «il gatto che si è scottato con l'acqua bollente ha paura anche dell'acqua fredda». Propongo quindi di vendere alla BBC un filmato sonoro di dieci minuti in cui riferisco le circostanze della scoperta e presento gli otto pezzi del tesoro; il missorium, il trono d'oro tempestato di rubini e smeraldi eccetera. Naturalmente a colori. Il film sarà pronto all'inizio di giugno. Prima di acquistarlo, naturalmente, la BBC potrà visionarlo a Parigi. Cordiali saluti Ma questa elettrizzante missiva non riceve la risposta che M. de Sède evidentemente si aspetta. Il «trono d'oro tempestato di rubini e smeraldi», decido, non vale il francobollo della risposta. Avendo letto la sua allettante proposta, non gli rispondo ma archivio e torno al mio lavoro. Perché non mi sento tentato? Perché non mi butto su questa preda luccicante emettendo gri-dolini di gioia? Il mio ragionamento è semplicissimo. L'errore di de Sède sta nell'idea che si è fatto di me, di ingenuo cacciatore ossessionato dal tesoro. Il suo «tesoro» è senza alcun dubbio una truffa. Rileggendo la prima lettera mi era tornata alla mente una frase imparata a scuola: Timeo Danaos et dona ferentes: temo i greci perfino quando portano doni. Perché de Sède sta facendo un'offerta così generosa? Affermando di aver trovato un tesoro reale visigoto è come se dicesse: «Ho trovato un Tiziano perduto». Il mondo - e la stampa di tutto il mondo - correrebbe alla sua porta se dovesse fare un annuncio del genere. Certamente non avrebbe bisogno della mancetta che, lui lo sa, la BBC può permettersi di pagare per le sue fotografìe - sia pure «in base a un preciso contratto». Ma sicuramente ha qualcosa da mostrarmi. Ha dimenticato che ho l'abitudine di controllare e ricontrollare tutto quello che mi capita sotto mano e che, da dilettante, cerco sempre il parere di esperti? Se le sue foto non riguardano un autentico tesoro, scoprirei subito la cosa, dovrebbe saperlo. Ma tutti i manufatti che potrebbero essere classificati come «tesoro visigoto» sono ben noti. Non può cercare di appiopparmi le fotografie di qualcosa che se ne sta esposto al Louvre o al British Museum. Ne consegue, quindi, che sta offrendomi fotografie di oggetti genuini - ma che sono normalmente inaccessibili. Come può essere? Mi viene in mente una sola spiegazione. Siamo ancora in piena Guerra Fredda. Può essere che, dietro la Cortina di Ferro, e quindi poco noto agli specialisti occidentali, si trovi un tesoro di quel periodo?
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Ma sicuramente ha qualcosa da mostrarmi. Ha dimenticato che ho l'abitudine di controllare e ricontrollare tutto quello che mi capita sotto mano e che, da dilettante, cerco sempre il parere di esperti? Se le sue foto non riguardano un autentico tesoro, scoprirei subito la cosa, dovrebbe saperlo. Ma tutti i manufatti che potrebbero essere classificati come «tesoro visigoto» sono ben noti. Non può cercare di appiopparmi le fotografie di qualcosa che se ne sta esposto al Louvre o al British Museum. Ne consegue, quindi, che sta offrendomi fotografie di oggetti genuini - ma che sono normalmente inaccessibili. Come può essere? Mi viene in mente una sola spiegazione. Siamo ancora in piena Guerra Fredda. Può essere che, dietro la Cortina di Ferro, e quindi poco noto agli specialisti occidentali, si trovi un tesoro di quel periodo? La sua seconda lettera, aumentando gli articoli del tesoro da sette a otto, mi fa pensare ancora una volta che molto probabilmente non è lui la fonte primaria della sua «scoperta». Ancora una 68
volta, ho la sensazione che de Sède sia utilizzato come intermediario. È certo, inoltre, che la sua nuova offerta, un «filmato sonoro» al posto delle fotografie, dimostra la sua ignoranza della tecnica cinematografica. Rimuoverlo dal programma sarebbe altrettanto facile nel primo quanto nel secondo caso. Comunque, il fatto che stia offrendo di esporsi, in film, nell'esecuzione di una truffa, mi suggerisce che potrebbe essere una vittima innocente, abbagliato dal tesoro e sfruttato per farmi cadere in una trappola di simile ingenuità. Visto che non abbocco, de Sède si ritrova con un certo numero di fotografie in mano. Riuscirà a trovare un acquirente altrove? E infatti, nel numero di autunno di una rivista trimestrale, Charivari* le immagini compaiono. È un «collega» di de Sède, un certo Jean-Luc Chaumeil, a fornire l'articolo di accompagnamento: Il tesoro esiste - noi lo abbiamo visto. Il drammatico racconto riferisce come gli intrepidi cacciatori del tesoro furono portati in una villa segreta sul Lago di Lemano, dove ebbero il privilegio di vedere le magnifiche ricchezze portate alla luce a Rennes-le-Château da Berenger Saunière. La mia intuizione su una possibile provenienza est-europea delle fotografìe è immediatamente e felicemente confermata quando mi arriva la proposta di scrivere la versione in inglese di un documentario sul «Tesoro di Petroassa» in Romania. E qui, non in Svizzera ma a Bucarest, si trova l'oro di de Sède. Perfino lo Charivari è preoccupato per la rassomiglianza. Ma, ci dice la rivista, gli autori dell'articolo sono «categorici». Le immagini sono simili ma non «identiche». Questo è certo. Le fotografie di de Sède mostrano il tesoro di Petroassa... ma stampate a rovescio. Ci sarà una sgradevole appendice a questa storia già screditata, una quindicina di anni dopo. Nel 1988 de Sède pubblica un nuovo libro sulle «imposture e fantasie» di Rennes-le-Château. ** Qui ci racconta che «uno pseudogiornalista - un certo Jean-Luc Chaumeil - si è coperto di ridicolo» pubblicando un articolo sullo Charivari riferendo della presunta scoperta del tesoro di Saunière in Svizzera. De Sède condanna Chaumeil come «ignorante mistificatore» e lancia strali di rettitudine e superiorità contro questa invenzione. Un'invenzione che - ma trascura di fornire questo particolare ai suoi lettori - lui stesso ha contribuito a fabbricare.
Un triangolo di castelli Comunque, la fallita - e ridicola - trappola di de Sède non è stata altro che una piccola distrazione. Ho delle piste molto più interessanti e importanti da seguire. Il professor Cornford, concludendo la sua relazione sul dipinto di Poussin, ha avanzato un suggerimento inatteso e originale. «Non varrebbe la pena», propone, «esaminare la mappa cercando la presenza di eventuali vettori e angoli pentagonali?» Un'idea del genere non mi era mai venuta in mente e, inizialmente, non so neppure da dove cominciare una ricerca così complicata. Ma la visione fredda e obbiettiva che del puzzle ha il professor Cornford non va sottovalutata. Completato Il prete, il pittore e il diavolo, ho tempo da dedicare a questa idea nuova e suggestiva. Apro la carta topografica e, abbagliato dalla massa di particolari, aspetto una sorta di ispirazione. Nella mia ricerca sempre ottimistica di un mezzo per evitare le complicazioni, prego che si presenti da solo un approccio semplice. Ma come si fa a semplificare un pentagono? Disegno la forma poligonale su un foglio, poi unisco i vertici ottenendo il pentagramma. Mi rendo conto che la stella a cinque punte è costituita da cinque triangoli sovrapposti. Ogni triangolo ha un lato corto (il lato esterno del pentagramma) e due più lunghi ma uguali. Le misure degli angoli interni sono 36°-72°-72°. Un triangolo sembra una forma più facilmente identificabile. Ma anche un triangolo, come lo si trova, su una mappa? Mi occorrono tre luoghi. Tre località notevoli e in qualche modo collegate. Ed è qui il semplice e ovvio punto di partenza. Rennes-le-Château... il Castello... sembra un inizio evidente, tanto più che ci sono altri due * Charivari n. 18, Parigi, ottobre-dicembre 1973. ** Rennes-le-Château - le dossier, les impostures, les phantasmes, les hypothèses, Parigi 1988.
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castelli elevati, nelle immediate vicinanze, che sono collegati al mistero. Uno, chiaramente visibile al di là della pianura, è Bézu, ad appena quattro miglia, scena della spedizione notturna dei «fantasmi dei templari». Verso est - e ancora più vicino, a circa due miglia - c'è Blanchefort, anch'esso con connessioni templari (Bertrand de Blanchefort era un Gran Maestro Templare). La minuscola traccia di una torre di osservazione si trova sulla montagna riconoscibile che Poussin ha inserito nella sua riproduzione del paesaggio ne I pastori d’Arcadia. Ciascuna delle montagne è visibile dall'altra e ciascun sito dei castelli è indicato sulla carta. Tre castelli che formano un triangolo. Traccio le linee di unione. Immediatamente, il familiare profumo della scoperta è nell'aria. Ci si aspetterebbe che una collocazione casuale dei castelli sui cucuzzoli più convenienti producano un triangolo irregolare. Ma il disegno che è venuto a me è tutt'altro che irregolare. È un triangolo isoscele: con due lati uguali. La distanza tra Rennes-le-Château e Bézu è uguale alla distanza da Bézu e Blanchefort. Misuro gli angoli interni. Sono 36°-72°-72°. Il professor Cornford ha visto giusto: ho trovato un triangolo «pentagonale». Ecco un'altra «straordinaria coincidenza». Ma è destino che ogni nuova scoperta, a proposito di Rennes-le-Château, debba rimanere nel regno delle coincidenze? O è arrivato il momento di prendere in considerazione qualche altra spiegazione?
«Ley-lines»: magia e occulto? Inizialmente mi impongo molta cautela per evitare di leggere indebiti significati in linee tracciate su un territorio. Si rischia di scivolare nell'area incerta delle «ley-lines», quelle linee che corrisponderebbero a sentieri preistorici e che i rabdomanti affermano di aver individuato ma delle quali, a quanto ne so, non si può dimostrare oggettivamente l'esistenza. Qualsiasi linea, sufficientemente prolungata, finirà inevitabilmente per passare per più di un punto di interesse. Ma dove finisce il caso, e dove inizia la volontà intenzionale? Le linee del triangolo di Rennes-leChâteau sono brevi. I punti sono visibili uno dall'altro. Sono quindi, in un certo senso, «pratici». Possono essere usati per avvistamento, per comunicazione o forse - mi viene in mente - per indicare altri punti. Finora dispongo di tre località che segnano tre dei cinque angoli di un pentagono regolare. Il prossimo passo inevitabile sta nel cercare gli altri due vertici per completare la figura. Non esistono altri castelli posti in punti convenienti e quindi non sembra che vi siano altri contrassegni del territorio (se effettivamente di questo si tratta). Solo per fare ordine in questa fase dell'indagine, individuo geometricamente gli altri due punti che formano la stella. E ora la «coincidenza» cessa di essere, in tutto e per tutto, una spiegazione probabile per quello che ho scoperto. I due nuovi punti sono, incredibile a dirsi, già segnati sulla mappa dai cartografi dell’Institut Géographique. Esattamente nei punti giusti vi sono le «quote di altitudine», l'indicazione di chi realizza la carta del punto più alto dell'area immediatamente circostante. A ovest, la quota di 559 metri è segnata all'altezza di una cresta, la Serre de Lauzet. A est, 587 metri sulla Soulane. Ogni punto e, anche qui, una montagna. Ecco cinque picchi montani naturali che sorgono in perfetta simmetria pentagonale. Questo fenomeno non può essere che di incredibile rarità. Con quale frequenza ci si può aspettare di trovare elementi topografici naturali collocati in modo da formare una figura geometrica complessa e regolare? E un tipo di figura, tra l'altro, a cui i nostri progenitori attribuivano un significato tanto forte. Una figura che fin dai tempi più antichi, secondo le parole del professor Cornford, «... godeva di immenso prestigio e suscitava una vera e propria reverenza». Non potrei mai sottolineare abbastanza la futilità di adottare un approccio «moderno» a un fenomeno del genere. Ho conosciuto troppe persone che continuano a ripetere, con «illuminato» senso di superiorità, che è una sciocca e antiscientifica perdita di tempo prendere sul serio questioni del genere. Ripeto: questa è la nostra verità. Come potremo mai capire le azioni dei nostri antenati se affermiamo che le loro «sciocche» credenze sono irrilevanti? Non siamo tenuti a condividere quelle credenze, ma è indispensabile che ne riconosciamo l'esistenza. 70
Con la scoperta del Pentagono delle Montagne, mi rendo conto che ancora una volta sono scivolato in un ambito che esula dalle mie competenze. Crederci o meno... accettarlo o meno... riderne o condannarlo... disapprovarlo o considerarlo uno scherzo... in ogni caso mi sono scontrato con qualcosa che, per qualcuno vissuto nel passato - e anche per qualcuno ancora adesso - è mistico, magico, e quindi di rilievo religioso. Dire che la forma è insignificante vuol dire ignorare il significato che altri potrebbero attribuirle. E uno di questi significati - lo so bene e la cosa mi turba è satanico, o come minimo occulto. Sono parole che influiscono sull'atteggiamento che si assume. Oggi, il termine «occulto» si usa solo nel dubbio contesto della magia e della stregoneria. Ma la parola in sé vuol dire semplicemente «nascosto». In questo senso, abbiamo a che fare sicuramente con una conoscenza che era nascosta ai non iniziati. Nel corso dei secoli l'influsso dell'occulto ha avuto un andamento alterno. Alla fine dell'Ottocento - al tempo di Saunière - come nuovamente oggi alla fine del Novecento, il potere della magia rappresenta per alcune menti una grande forza di attrazione che si cerca di imbrigliare. E i «maghi» hanno sempre usato la stella a cinque punte per le loro attività, per «evocare gli spiriti», perfino per chiamare il Diavolo in persona. Per costoro, il «pentacolo» è lo scudo di protezione oltre che il punto focale del potere. La comparsa dell'idea di magia nella faccenda di Bérenger Saunière non la trasforma automaticamente in una questione degna solo della «frangia di lunatici». Il Pentacolo di Montagne di Rennes-le-Château esiste innegabilmente. Le persone «razionali» che liquiderebbero le implicazioni «magiche» come indegne di seria considerazione debbono ricordare che, nel giusto o in errore che siano, esistono comunque moltissimi che, ancora oggi, non sarebbero d'accordo con loro. E che si comporterebbero di conseguenza.
Un tè al vicariato La scoperta avviene poco prima della data prevista per la messa in onda di Il prete, il pittore e il diavolo. È troppo tardi per inserirla nel programma. Inoltre, getta una luce nuova e per certi versi poco simpatica sul mistero Saunière. Non mi va di impegnarmi in rivelazioni che potrebbero rivelarsi di natura «sensazionalistica». Ho bisogno di consigli e devo riflettere ancora a lungo su queste possibilità prima di rischiare di esporle pubblicamente. Per fortuna ho un amico a cui posso rivolgermi per una guida esperta e concreta su questo genere di argomenti. John è il vicario di una parrocchia di campagna. È un sacerdote di grande saggezza, cultura e umanità, dotato di una mente aperta e attenta. So che ascolterà attentamente quanto ho da dirgli e che il suo consiglio sarà pacato, sensato e prezioso. Fisso un appuntamento con lui nel suo vicariato nella pacifica campagna dell'Oxfordshire. Mentre esco da Londra percorrendo l'autostrada molto novecentesca, mi colpisce l'incongruità della materia quasi medievale contenuta nel fascio di carte e mappe che giace sul sedile posteriore della mia auto. Quasi quasi spero che John getti acqua fredda sulle mie apprensioni e con un bel sermoncino mi rimandi a casa con il monito di non lasciare che la mia immaginazione iperattiva mi travolga. Sediamo nel suo vicariato pieno di sole, bevendo tè e scambiandoci gli ultimi pettegolezzi personali inevitabili quando due amici si incontrano dopo mesi. Di nuovo la natura incongrua di quello che sto per dirgli sembra evidenziata dalla normalità assolutamente tranquilla del posto. Che cosa hanno a che fare eresia, culto demoniaco, spiritismo con il tè e i biscotti e il sole che illumina un bel giardino inglese? Finito il tè, mi alzo e guardo dalla finestra il prato ben curato, i fiori, gli alberi e gli uccelli indaffarati a beccare i semi all'ombra. Qual è il posto del Diavolo, in tutto questo? Da dove comincio? John aspetta in silenzio. Ho qualcosa in mente... e lui lo sa. «John... che cos'è che rende santo un luogo?» Cominciamo a parlare. Lentamente, un pezzo alla volta, depongo le mie prove davanti a lui. L'acqua fredda che dovrebbe smorzare i miei timori non arriva. John ascolta e vedo bene che anche per lui la questione è seria. Resta colpito dall'unicità e dalla rilevanza del pentagramma di Rennes71
le-Château. Un posto del genere dev'essere stato (e forse essere ancora) di enorme importanza per tutti i praticanti delle «arti magiche» che ne sono arrivati a conoscenza. Sottolinea che non devo considerare quel posto come impestato dal male. Il pentacolo, in sé, è inerte: né «magia bianca» né «magia nera». E l'uso che se ne fa ciò che dà la sua efficacia al simbolo. Quando chi traffica nell'«arte nera» vuole evocare gli spiriti, disegnerà il suo pentacolo sul pavimento del suo «tempio». Quindi può fare un sacrificio - un gatto nero, o un gallo, magari - per infondere potere al suo centro focale e animarlo. Quale mai sacrificio, si domanda John, potrebbe essere ritenuto adeguato per animare un pentacolo di oltre diciotto miglia di circonferenza? Qui si presenta un pericolo molto pratico che potrebbe essere insito nella mia scoperta. Anche se liquidassimo come immondizia le implicazioni... anche se fossero immondizia... potrebbe esserci benissimo un folle criminale tentato di mettersi nel centro di quella stella a cinque punte e «fare la prova». Non è una scoperta che possiamo tranquillamente ammannire al pubblico come intrattenimento televisivo. Quante volte mi sono interrogato sulla natura del presunto mistero di Rennes-leChâteau? Quale sorta di segreto può essere mantenuto inviolato per secoli? Se ora mi sto avvicinando a una realtà, allora qui, davvero, l'ammonizione «pubblica e sarai dannato» può avere un briciolo di verità letterale. Comunque, sto parlando con un uomo buono e saggio e lui mi dice che, in questa occasione, trova difficoltà a dare un semplice consiglio. Una scoperta del genere non dovrebbe essere nascosta. Chi sa, forse i riflettori della pubblicità impediranno un uso perverso del luogo. La nostra conversazione ha portato un brivido nel vicariato. Mentre mi preparo ad andar via, John mi dice: «Henry, ti prego, fammi un favore». «Certo, se posso.» «Probabilmente non la prenderai sul serio quanto me. Ma... ti spiace inginocchiarti? Vorrei pregare.» Un po' imbarazzato, faccio quello che mi chiede. Mentre ascolto le sue parole, di nuovo il giardino colorato e soleggiato fuori della finestra mi sembra uno strano sfondo su cui interpretare questa scena quasi teatralmente irreale, ma che mette soggezione. Chi ha udito il suo nome pronunciato in sonore frasi invocanti aiuto contro «gli oscuri poteri della Sua Satanica Maestà» dica pure che ho drammatizzato eccessivamente la cosa. Per me, però, il ricordo più vivo di questo episodio è quello della luce dorata del sole. Forse c'è qualcosa da leggere in questo?
Saunière il prete Mentre mi dirigo verso casa, i pensieri del Diavolo e dei suoi possibili moderni adoratori vengono giustamente spazzati via dalla necessità di affrontare il traffico infernale dell'ora di punta alla fine dell'autostrada. Ma le parole di John mi hanno dato una prospettiva da cui osservare il mistero Saunière; e mentre guido il caleidoscopio di immagini sconnesse comincia a formare una nuova figura. Alcuni degli strani racconti che ho sentito sembra abbiano improvvisamente acquistato un senso imprevisto. Perfino lo scintillio dell'oro, mi accorgo con un soprassalto, può essere spiegato. Saunière, ci hanno detto, spendeva enormi somme di denaro e quindi doveva aver trovato un tesoro. I nuovi pensieri sull'«occulto» e altri aneddoti che ho raccolto intervistando i locali, mi permettono di formulare un'ipotesi inaspettata. E se non ci fosse stato nessun tesoro? Ho già accennato agli oscuri e probabilmente occulti interessi del Priorato di Sion, la «società segreta» che si era intravista occhieggiare nell'ombra e con cui Saunière poteva essere coinvolto. Due strane storie sembrano alludere a una qualche discutibile attività del genere. La prima la incontro quando sto cercando di controllare l'affermazione di de Sède che quando il vescovo di Carcassonne venne a benedire la stravagante ristrutturazione della chiesa del paese, rimase così turbato da ciò che vide che cancellò Rennes-le-Château dalla lista delle sue Visitazioni. Il vescovo, ci dice de Sède, non tornò mai più. Le mie informazioni mi fanno pensare che probabilmente il 72
racconto di de Sède non è veritiero. Potrebbe essere il risultato della confusione tra gli atteggiamenti di due diversi vescovi. Durante gli ultimi anni della vita di Saunière, il suo vescovo era indiscutibilmente schierato contro di lui; forse non visitò il villaggio; certamente tentò di far rimuovere e rimpiazzare Saunière. Questi però rifiutò di muoversi. «1 miei interessi mi trattengono qui», avrebbe dichiarato. Certamente, inoltre, i suoi parrocchiani non volevano separarsi da lui. Il vescovo precedente, però, quello che occupava la sede di Carcassonne al tempo della inaugurazione delle decorazioni della nuova chiesa, sembra avesse un atteggiamento totalmente diverso. Da un anziano del posto ho sentito un aneddoto che sembra così strano e così insensato che sono portato a credere che ci dia uno squarcio sulla verità. Secondo questo racconto, il vescovo rimase tutt'altro che scandalizzato dalle attività di Saunière. Dopo la cerimonia della dedicazione, i due se ne andarono a passeggiare nel giardino della chiesa, profondamente immersi nella conversazione, a braccetto... e si scambiarono il cappello. Una storia così bizzarra e campata in aria potrebbe anche contenere un briciolo di verità. Soprattutto se messa accanto allo strano dettaglio della mitra da vescovo posata sul comodino accanto al letto di morte di Saunière. (Devo far presente che ancora oggi non posso fare a meno di porre un punto interrogativo accanto a questa strana fotografia. Con Henri Buthion, ho fatto un esame accurato della villa e del presbitero di Saunière. Non siamo riusciti a trovare una stanza che corrispondesse esattamente a quella dell'immagine. La rassomiglianza con Saunière è notevole; la provenienza della foto impeccabile. Eppure...) Una anziana signora, che sostiene di essere stata presente, mi racconta una storia ancora più stravagante del funerale di Saunière, nel 1917. Prima della sepoltura, dice, la salma fu portata su una terrazza accanto alla Torre di Magdala. Qui fu sistemata su una poltrona e avvolta in un manto frangiato color cremisi. I partecipanti al funerale sfilarono davanti al corpo, tagliando ciascuno un filo della frangia en souvenir. Curioso omaggio, per un umile parroco. Queste storie, torno a sottolineare, sono dei sentito dire e quindi inaffidabili. Ma, nel contesto della leggenda Saunière, stanno creando un quadro pieno di ombre. Inoltre, questo quadro può aiutare a spiegare le enormi spese di Saunière, senza ricorrere all'allettante (e distraente) idea che abbia trovato un tesoro. In questa fase, posso formulare un tentativo di ipotesi che si adatti ai fatti, così come sono noti nel 1974.
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8 Ipotesi SAUNIÈRE, nato e cresciuto in vista di Rennes-le-Château, doveva conoscere bene la storia e le leggende della zona. Avrà sentito raccontare dei catari «adoratori del demonio» e delle loro connessioni con il Santo Graal. Sa quindi che la sua regione ha dei legami con qualcosa di occulto e di potente. Nel 1891 scopre nella sua chiesa qualcosa (le pergamene?) che gli rivela, forse, l'esistenza del pentagramma delle montagne. I preti spretati sono molto ricercati dai gruppi dediti all'occultismo per la celebrazione dei loro riti. Se per loro c'è ancora del potere in un uomo che un tempo era sacerdote, quanto migliore - e più forte - sarà il potere di un uomo che fa ancora parte del clero? Saunière è un prete e abita nel «Tempio». Il viaggio che compie a Parigi per la «decifrazione delle pergamene» sarà stato fatto anche per contattare quelli che più dovrebbero mostrare interesse per quel che ha trovato. Sotto questa luce la sua presunta liaison con Emma Calvé, cantante lirica di fama internazionale, diventa più comprensibile. La Calvé, inoltre, è amica del compositore Claude Debussy, che compare nei Dossiers secrets come uno dei Grandi Maestri del Priorato di Sion. Ed entrambi hanno notoriamente contatti con figure del mondo «occulto» parigino. A Rennes-le-Château si mormora anche di un arciduca absburgico che visita il villaggio ai tempi di Saunière. Gente ricca e influente viene attirata nella rete delle possibilità. E Saunière ha da offrire loro qualcosa che possiede un immenso richiamo, un immenso valore, occulto e unico. Rientrato dal viaggio a Parigi, ci dicono, prese a girovagare per le colline: raccogliendo pietre, diceva, se qualcuno gliene chiedeva ragione. Stava verificando gli angoli e le posizioni dei cinque punti? Li stava in qualche modo contrassegnando, o contrassegnando il cerchio circoscritto? Del fuoco, o una luce, viene posto agli angoli del pentagramma quando viene usato per evocare l'aldilà. La cosa più significativa è che in questo periodo i giorni della sua povertà finiscono e lui comincia a spendere grosse somme di denaro. Nel 1891, Rennes-le-Château è un piccolo villaggio di contadini, cadente, isolato e misero, remoto e di difficile accesso, privo di ogni comodità moderna. Saunière compra l'appezzamento di terra adiacente al suo presbitero e si costruisce una bella villa. Per Rennes-le-Château è una cosa che fa colpo. Fosse alle porte di Carcassonne, o anche di Limoux, cesserebbe di impressionare. È semplicemente una confortevole casa di famiglia borghese. Fa costruire un serbatoio idrico a torre e ora ogni casa del paese ha l'acqua corrente. Un gesto generoso, ma l'acqua corrente è una semplice comodità della vita civile. Molto più denaro va nell'ammodernamento della stradina sterrata che porta su dalla valle. Ma anche questo gesto di munificenza non richiede, a quei tempi di manodopera a buon mercato, un Creso. E nonostante tutte queste iniziative per creare un ambiente confortevole nel villaggio, ci dicono che lui non abita mai nella sua villa appena costruita. Continua a risiedere nel presbiterio, molto più modesto. Villa Bethania è riservata ai suoi ospiti. Un gruppo di ricchi e colti parigini, con le loro buone ragioni per desiderare di visitare questo luogo sperduto, e ragioni ancora migliori per desiderare di mantenere Saunière in situ, forniscono tutto il denaro necessario per assicurarsi il proprio comfort e l'accessibilità del sacerdote. Secondo i canoni di questo gruppo le somme spese non sono affatto esorbitanti. Saunière trovò necessariamente un tesoro? O gli furono semplicemente forniti i generosi mezzi per organizzare e mantenere un appropriato milieu per i suoi nuovi e ricchi amici? Questa ipotesi potrebbe anche spiegare la strana storia che il prete che raccolse la sua confessione in punto di morte rifiutò di somministrargli l'estrema unzione. Saunière aveva forse confessato di avere celebrato riti magici o, nel migliore dei casi, eretici? La storia si fa più oscura e meno agevole. Ho sollevato il lembo di un velo allarmante e temibile. Volente o nolente, mi tocca seguire questa pista ancora un po' per assicurarmi che sia reale. Sarei più contento di scoprire che
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sfuma in un nulla di fatto.
La «X» sulla mappa del tesoro? Il pentacolo e la sua valenza magica occupano i miei pensieri. Anche se parte di tale significato può essere dedotto dalla presenza del disegno nelle pergamene, trovo difficile riconoscere un'analoga importanza nell'uso che ne fa Poussin nei suoi (pastori d'Arcadia. Christopher Cornford ha evidenziato che una delle conferme più stringenti della manipolazione consapevole da parte di Poussin della struttura geometrica del dipinto sta nella significativa collocazione del centro del pentagramma. Il centro si trova precisamente sulla fronte della pastora. Secondo il suo commento, «la cosa suggerisce... che l'intera scena emani in qualche modo dalla coscienza meditativa del personaggio femminile, che ruoti intorno a essa... E il suo umore di dolce malinconia a dominare il dipinto». Ora che la struttura pentagonale è stata trovata nel paesaggio di Rennes-le-Château, l'identificazione del punto centrale è logica e inevitabile. Ed è anche molto facile. Il tentativo fa scaturire tutto un torrente di nuove possibilità. Mentre traccio le linee che individuano il centro della stella, mi rendo conto che questo è un posto notevole dove nascondere qualcosa. Ho forse trovato la «X» sulla mappa del tesoro? Conoscendo il disegno geometrico celato nelle montagne circostanti, questo luogo si può sempre rintracciare con precisione. Se non lo si conosce, il sito sfugge irrimediabilmente. Ma un luogo così straordinariamente significativo è troppo imponente, troppo importante per fungere semplicemente da nascondiglio per oro e gioielli. Un «tesoro»... la ricchezza... dopotutto è qualcosa di essenzialmente troppo mondano per meritare una collocazione del genere. Anche se è stato effettivamente usato a questo scopo, la cosa non può essere che di importanza secondaria per chiunque sia al corrente di cosa c'è qui. Si tratta, inutile dirlo, di idee prive di ogni certezza. Se è necessario mantenersi aperti a ogni possibilità, è importante non sovrapporre delle speranze, non prendere la probabilità per un dato di fatto. L'individuazione del centro della stella, in ogni caso, produce un ennesimo fatto concreto e sorprendente. Il punto è contrassegnato da un'altra cima di monte. Il suo nome è La Pique. Ancora una coincidenza - e una coincidenza stupefacente. Questa volta, però, il punto più alto non si trova esattamente sull'intersezione geometrica, ma a circa duecentocinquanta metri a sudest. La prima reazione è di delusione. Ma poi, devo chiedermi, cosa mi aspetto, un miracolo? Il fenomeno dei cinque picchi è già abbastanza abbagliante. Queste «strutture» non sono state progettate e costruite per conformarsi a un disegno. Sono elementi naturali del paesaggio. Trovare un'altra cima ancora, messa al posto giusto anche approssimativamente, in una posizione così significativa, è una cosa che toglie il fiato. Un'altra tessera del puzzle che va a posto. Un indizio fornito dal libro di de Sède era una strana incisione su una pietra nota come La Dalle de Coumesourde. Questa pietra, ci dice de Sède, fu trovata «nei pressi di Coumesourde». Ai piedi della montagna centrale c'è un'antica fattoria. Si chiama Coumesourde e si trova anch'essa a un paio di centinaia di metri dal centro geometrico. Mi chiedo se questa pietra non potesse un senso segnare quel punto significativo. D'altra parte, se la conoscenza del luogo è un segreto gelosamente serbato, perché richiamare l'attenzione su di esso contrassegnandolo in modo così visibile? Sono domande che affiorano alla superficie dalle torbide profondità che vengono raggiunte. Ma non si può fornire loro una risposta certa, e io non sono portato alle congetture. I fatti che si vanno accumulando sono già abbastanza problematici senza che li si complichi con dubbie conclusioni. La questione dello scopo e dell'esatta collocazione della Dalle de Coumesourde mi induce a riflettere sul possibile uso di questo straordinario Pentangolo da parte di qualcuno dedito all'evocazione del mondo degli spiriti. La necessaria «protezione» offerta dal centro della stella non significa che solo il centro esatto serva alla bisogna. Il centro esatto risulta trovarsi, infatti, su un 75
ripido pendio sulla parete settentrionale della Pique. Potrebbe essere difficile mantenersi in equilibrio, qui, e tanto più celebrare riti elaborati. Ma, con una forma così vasta, l'area centrale è a sua volta molto ampia. Devo forse cercare un pezzo di terra più vicino, pianeggiante e utilizzabile? Per questa ricerca decido di raccogliere ogni informazione possibile prima di tornare in zona a esaminare il luogo «dal vivo». Ma ho bisogno di sapere più di quanto possa dirmi una mappa. Le fotografie aeree sembrano un mezzo efficace per esplorare il territorio e si possono ottenere agevolmente dall'Istituto geografico francese. Le foto subito adombrano una possibilità. Vicino alla fattoria di Coumesourde - e nei «corni» del pentagramma piccolo che giace all'interno del pentagono al cuore del disegno maggiore - c'è un campo triangolare. Il campo richiama la mia attenzione in quanto è grande e pianeggiante ed è l'unico nella zona che abbia una forma riconoscibilmente «geometrica». Inoltre, e cosa ancora più interessante, il campo mostra un curioso disegno di «crop markings», segni provocati da alterazioni nella crescita della vegetazione dovute a interventi eseguiti sul terreno: antichi confini di campi, per esempio, o tracciati di piste o anche le fondamenta di edifici scomparsi da tempo. Certamente tali segni non sono visibili da terra e, in ogni caso, il «disegno» potrebbe essere solo la mia lettura soggettiva delle tracce. Ma mi rendo conto, con un certo disagio che, soggettiva o meno, mi piaccia o no, posso «vedere» la sagoma di una grande figura alata all'interno del campo (vedi Foto 21 e 22). I crop marking, il disegno e la figura alata possono essere tutti prodotti della mia immaginazione, ma quello che è certo è che questo è l'appezzamento di terreno pianeggiante e usabile più vicino al centro della stella. E la fotografia mostra qualcosa di più tangibile della mia sagoma immaginaria. In mezzo al campo, nel punto che si potrebbe dire la «testa» della figura che vede la mia soggettività, c'è un solido «punto» nero. La foto è troppo piccola perché si possa riconoscere la natura del punto, ma sicuramente non è una costruzione. Concludo che è fin troppo facile ricamare fantasie su questa stranezza, che potrebbe effettivamente essere - una volta tanto - nient'altro che una coincidenza. Devo tenerla lontano dai miei pensieri finché non sarò riuscito a organizzare un viaggio per esaminare con cura il terreno. Ma so che la cosa è troppo allettante per poter far finta di niente a lungo. Nel grigiore della fine di gennaio 1975 non mi è difficile convincere qualche amico a montare in macchina e accompagnarmi in una spedizione sui Pirenei.
Il punto nero Dopo vari giorni di pioggia e forte vento, la giornata è fredda ma luminosa e calma quando usciamo da Rennes-le-Château diretti verso sud attraverso la pianura alla ricerca del campo triangolare con il suo strano «qualcosa» scuro nel mezzo. Se questa fosse una storia di fantasia, si potrebbe immaginare ogni genere di cosa in attesa della piccola squadra di investigatori. Un altare? Una caverna di Aladino piena di ogni ricchezza? Un Tempio Satanico? Un gruppo di stregoni pazzi che ci osservano nella loro sfera di cristallo mentre, ignari del nostro fato, ci apprestiamo a cadere nella loro trappola? Nella pratica, la realtà è - non sorprendentemente - molto più ordinaria. E anche molto più sconcertante. Come sappiamo dalle fotografie aeree, il campo è affiancato dallo stretto sentiero che rasenta le poche fattorie isolate disseminate nella pianura. Passando accanto alla fattoria della Maurine, sappiamo che la prossima curva ci mostrerà quello che stiamo cercando. Guido molto lentamente e già da lontano ci sembra di aver identificato il «punto nero». È un gruppetto di alberi: ne vediamo la cima che spunta dal rialzo nel terreno. Quando raggiungiamo l'angolo del campo, il sospetto è confermato. Fermo l'auto a fianco della strada e ci guardiamo intorno. La vasta pianura è bellissima nella sua selvatichezza deserta. Non si vede anima viva. Sembra che siamo i soli ad abitare il paesaggio. A destra, il terreno sale bruscamente verso le grandi rocce che fanno da corona alla collina centrale, La Pique. A sinistra, lo spiazzo deserto del campo triangolare è limitato in lontananza da un bosco. Il campo in sé non ha 76
niente, tranne il piccolo folto d'alberi che, dal punto in cui siamo noi, sembra del tutto insignificante. Niente, in questo gruppetto di piante, inviterebbe il raro passante ad attraversare il campo per esaminarlo più da vicino. Un intrico di erbacce e rovi si aggrappa ai tronchi di pochi alberelli cresciuti in cerchio. Uniformemente distanziati, intorno alla circonferenza, vi sono altri quattro alberi, molto più alti, le cui cime svettanti si agitano appena nell'aria ferma del mattino. Uno dei miei amici, che se ne intende, rileva che gli alberi sembrerebbero tutti più o meno della stessa età, piantati forse un secolo fa. «Grosso modo al tempo di Saunière», commenta. Un ruscello serpeggia tra gli alberi e attraversa il campo verso di noi, versandosi nel fossato che corre lungo la strada. Ci portiamo sul campo, seguendo il corso d'acqua. Via via che ci avviciniamo agli alberi vediamo che la vegetazione ai loro piedi forma un muro fitto e impenetrabile. La linea del ruscello è l'unico varco che permette l'accesso allo spazio in mezzo agli alberi. Ci infiliamo nello stretto passaggio e ci troviamo in un'ampia area circolare, di circa sei metri di diametro. Una volta dentro, siamo racchiusi e nascosti, schermati dal mondo esterno, che a sua volta è schermato ai nostri occhi. Lo spazio tra gli alberi non è vuoto. Il piccolo corso d'acqua esce da una feritoia squadrata scavata nella parete di un profondo bacino di pietra pieno d'acqua. La scena è tanto imprevista quanto poco drammatica. E anche sconcertante. La vasca è evidentemente artificiale. È di forma rettangolare, lunga circa cinque metri e larga due metri e mezzo o tre. Le sue pareti lisce e verticali salgono per diversi centimetri al di sopra del livello dell'acqua, profonda quasi un metro. Un'altra tacca dall'altro lato della vasca permette all'acqua di entrare. (Scopriremo che la sua fonte è una sorgente in fondo al campo, che affiora dal terreno e forma il ruscello che si getta nel bacino nascosto.) I due incavi lungo il bordo del bacino assicurano un livello costante dell'acqua. Ma a che cosa serve? In fin dei conti non c'è bisogno di cercare spiegazioni al di là delle più normali. Discutiamo delle varie possibilità. «Forse per abbeverare il bestiame?» «Difficile. Troppo profondo.» «E ha le pareti a picco. Se una vacca o una pecora dovessero caderci, sarebbe un lavoraccio tirarle fuori.» «Oltre tutto gli alberi sono troppo vicini. Quasi come se fossero stati piantati per impedire alle bestie isolate di avvicinarsi.» «Che ne pensate di un serbatoio per l'acqua da irrigazione?» «Non pare molto pratico. Come la prendi? Con un secchio?» «Magari pompandola con un tubo?» «Poco utile anche così. Al massimo uno spruzzetto, per un campo di queste dimensioni. Con le estati lunghe e calde di questa regione, la terra finisce per arroventarsi.»
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1 Bérenger Saunière, in pompa magna, il giorno della consacrazione delle nuove vistose decorazioni della sua chiesa. 2 Sotto, la Torre di Magdala.
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3. Villa Bethania, appena costruita. Il campanile della chiesa è visibile sulla destra. Saunière e Marie, la governante, sono accanto alla fontana, e sullo sfondo si intravede il cane Pomponnet, nella sua cuccia. 4. A fianco, Saunière accanto al pilastro.
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5. L'incisione presso la Fonte degli Amanti.
6. Paul Johnstone accanto alla tomba di Nicolas Poussin.
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7. I pastori d'Arcadia (particolare).
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8. Lo schizzo di Shugborough della versione di Poussin del 1630.
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10. Saunière con alcuni amici nel giardino della chiesa.
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11. Il gruppo statuario alchemico.
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12. e 13. I pastori d'Arcadia di Nicolas Poussin (la versione del 1640) e, sotto, il paesaggio corrispondente.
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14. Il Pentagramma a Stella all'interno del Pentagono delle Montagne, con il triangolo dei castelli. A = Rennes-le-Château B = Castello di Blanchefort D = Castello di Béz.u
15. La Stella di Davide o Sigillo di Salomone dì Esperaza.
16. Il Pentagramma e l'Esagramma collegati scoperti in Bretagna da Patricia Hawkshaw.
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17. e 18. Bérenger Saunière in vita… e in morte?
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19. Veduta aerea del territorio.
20. Il campo triangolare vicino alla fattoria di Coumesourde.
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21. Il punto nero sulla mappa.
22. Una ripresa aerea ravvicinata successiva rivela che il punto nero è costituito da una macchia di alberi.
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23. La Pique.
24. Danze sataniche.
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25. Le rovine che giacciono in corrispondenza del punto « ?» sulla mappa riportata a pag. 172.
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Nonostante la sua aria innocente, non riusciamo a immaginare un utilizzo evidente della piccola vasca. Il solo fatto che sia così isolata farebbe escludere che si tratti di una qualche comodità per la più vicina casa colonica, che dista qualche centinaio di metri. Il corso d'acqua si sarebbe potuto incanalare verso un punto molto più vicino alla casa, se doveva servire come un comodo serbatoio d'acqua. In ogni caso, la mappa mostra la presenza di una sorgente nelle immediate vicinanze della fattoria. (Il mio archivio conserva la registrazione di un colloquio in cui Roy Davies riferisce di aver saputo che le donne del posto usavano la vasca per fare il bucato, spiegazione che lo lasciava soddisfatto. Io resto poco convinto. Visto che ognuna delle fattorie dei dintorni possiede una sua sorgente e una riserva d'acqua, ci si può chiedere per quale motivo le locali dovessero percorrere quasi mezzo miglio per fare il bucato in una vasca dalle pareti verticali situata in un punto scomodo, nel mezzo di un campo che peraltro non ha traccia di sentieri o piste che indicherebbero un uso abituale.) Anche se personalmente non ho alcuna voglia di ricorrere a spiegazioni meno che ordinarie a ciò che abbiamo trovato, è impossibile dimenticare la curiosa successione di prove che ci ha condotto fin qui. Mentre ce ne stiamo lì a contemplare questo piccolo mistero, si presenta un'altra stranezza. La vasca è pulita. All'apparenza, la cosa potrebbe apparire non degna di nota, ma io so per esperienza - dalla vasca del mio giardino - che questi piccoli bacini d'acqua formano rapidamente uno spesso strato di fango. In effetti, qui il terreno che entra dalla tacca d'ingresso dell'acqua forma un deposito sufficiente a riempire, diciamo, un piatto da minestra. A parte questa piccola traccia, il fondo liscio della vasca è chiaramente visibile. Inoltre, come notiamo adesso, dopo giorni di forte vento non c'è quasi una foglia sulla superficie dell'acqua. Da questi elementi è impossibile trarre altre conclusioni: la vasca è stata ripulita molto di recente. Ci guardiamo intorno per vedere se risulta qualche segno di materiale che possa essere stato rimosso dal bacino, ma non ce n'è traccia. Questo complica il mistero. Non conosco nessun contadino che si prenderebbe una briga del genere con una riserva d'acqua isolata come questa. Rammentiamo che cosa ci ha condotto qui, e una vaga ipotesi si fa strada. Potrebbe darsi che ci troviamo in presenza delle attività non di un contadino ma della misteriosa e mistica «società segreta» che apparentemente mi segue come un'ombra? Siamo ai primi giorni di febbraio. I documenti del Priorato di Sion che ho visto sottolineano l'importanza di una data particolare - il 17 gennaio - appena un paio di settimane fa. Se loro (o qualcun altro) attribuiscono davvero un significato e uno scopo a questa singolare costruzione nel cuore del pentagono, potrebbe essere stata ripulita per usarla in una sorta di rito in quella che per loro è una data significativa? Ma che genere di cerimonia richiede dell'acqua pura, pulita, naturale, corrente? Una risposta immediata è un rituale di purificazione e certamente la vasca potrebbe servire perfettamente per una cerimonia battesimale di immersione totale. Ma i bagni di purificazione rituale si usano anche per altro che non sia un battesimo. Li ho visti in Medio Oriente, davanti alle moschee, dove i fedeli si purificano prima di entrare nel luogo sacro. Questa nuova idea ci aiuta a notare un'altra aggiunta strana e sconcertante alla massa crescente di «coincidenze» indicative di cui disponiamo. A poche centinaia di metri a sud, la mappa mostra la Valdieu - la Valle di Dio. Per quanto cerchi di evitare una iperdrammatizzazione di ciò che vado scoprendo, le straordinarie congiunzioni di indizi e possibilità che mi trovo davanti a ogni svolta sono innegabili. Il quadro che si va sviluppando potrebbe anche spingerci verso il territorio di «frange di squilibrati», ma non è un buon motivo per voltargli le spalle. In assenza di prove concrete, è un atto di fede tanto dire «io non credo» quanto dire «io credo»; tanto dire «tutto questo dev'essere immondizia» quanto dire «tutto questo dev'essere la verità». Non ha senso voler decidere che cosa potrebbe, o non potrebbe, avere significato e importanza per altri. Dobbiamo mantenere la mente aperta e restare pronti a confrontarci con ogni evenienza. Fantasia o meno... certamente non è irragionevole postulare che chiunque abbia dato a un luogo il nome altisonante di «Valle di Dio» possa avervi visto qualcosa che indicava santità. Costoro potrebbero aver desiderato di purificarsi di fronte a quella divinità che ritenevano abitasse il luogo. 94
Non riusciamo ad arrivare a una conclusione sullo strano bacino di acqua, ma si presenta una interessante, anche se insolita, possibilità in relazione alla vicina La Pique, l'altura centrale del pentagono. Spostandoci in auto verso sud, lontano dalla vasca e verso la Valdieu, notiamo che la configurazione della cima del monte cambia. Vista da sud, non si presenta come una parete montana ma come un pendio, sormontato da pietroni. Ha una straordinaria rassomiglianza con la rupe centrale de I pastori d’Arcadia. La forma della roccia alle spalle della tomba del quadro corrisponde abbastanza e, come nel dipinto, l'altura discende dolcemente sulla sinistra. È forse questa la spiegazione dell'anomala alterazione nella raffigurazione, per il resto esatta, del paesaggio in Poussin? Il pittore ha forse incorporato due diverse località in un'unica immagine? Il paesaggio dipinto sulla destra presenta certamente il panorama preciso che si ha dalla tomba. Che il settore centrale mostri la veduta dalla Valdieu? Ancora una volta è indispensabile tenere presente che qualsiasi interpretazione visuale di questo tipo è puramente soggettiva. La somiglianza degli elementi del paesaggio alla Valdieu, diversamente dalla precisione della veduta dalla tomba, non è niente di più che una suggestione. Prima di trarre conclusioni, o anche solo di proporre ipotesi, occorrono prove molto più concretamente oggettive delle intenzioni di Poussin. En passant, a proposito della vasca, devo ricordare un episodio successivo e piuttosto bizzarro. Quando, un paio di anni dopo, sto realizzando il terzo film per la BBC, L'ombra dei templari, torno alla vasca con il regista, Roy Davies. Mentre ci avviciniamo al piccolo varco di accesso tra gli alberi, vediamo che c'è qualcosa che pende da un ramo alla destra del passaggio. Si tratta di una carcassa di capra, decapitata e semicarbonizzata. Il cranio bruciato, completo di corna, giace all'interno della radura, accanto alla vasca. Ci siamo imbattuti nei resti di qualche rito satanico? Personalmente sono più portato a pensare che questo è meno probabile della possibilità che uno dei nostri soliti e invisibili osservatori ci abbia lasciato questo macabro indizio per farci pensare così. In ogni caso, sembra che qualcuno sia consapevole delle sgradevoli potenzialità del sito.
Incontro fortuito Il pentacolo di montagne con le nuove linee di ricerca che lo accompagnano è stato trovato troppo tardi perché lo si possa inserire in Il prete, il pittore e il diavolo. Una terza puntata è ormai inevitabile. Non solo ho una stupefacente e inattesa scoperta a fare da climax a un nuovo film. Lo sfondo, popolato com'è di catari, templari, maghi, alchimisti e società segrete, si sta facendo più ricco e più colorito. Anche l'appetito del pubblico si sta sviluppando, come testimonia la corrispondenza che mi arriva sempre più consistente. Il carico di lavoro è imponente e, per quanto sia affascinante, questa infinita ricerca sta esaurendo tutte le mie risorse. Rennes-le-Château rischia di diventare un lusso troppo costoso. E anche esigente. Non lo si può semplicemente raccogliere e poi lasciar cadere come se niente fosse per lasciare il posto alla commissione di una normale sceneggiatura. Nell'agosto 1975 ho in mente queste preoccupazioni di lavoro quando mi accingo a un altro incarico ordinario, di quelli che mi danno da mangiare. Sono stato invitato a tenere un corso di sceneggiatura presso una scuola estiva. L'ambiente è magnifico. Una splendida secolare residenza nobiliare, sperduta nel profondo della campagna inglese. Quando docenti e studenti si riuniscono per la cena della prima sera, mi scontro con l'imprevisto intoppo. La scuola è rigidamente vegetariana. Carnivoro impenitente, posso comunque ammettere che alcuni piatti vegetariani sono squisiti. Purtroppo, questo menu non ne prevede. La cucina è assolutamente atroce. Il danno è aggravato dall'inevitabile beffa. L'acqua è l'unica bevanda disponibile per accompagnare il pasto singolarmente insipido. Mentre giocherello con il mio piatto di coriacee foglie di lattuga avec garniture de vieux fromage sec, mi accorgo che lo stesso gioco lo sta facendo, dall'altra parte del tavolo, un individuo dall'aria saturnina e dai lunghi capelli la cui espressione di disgusto non è minimamente mascherata dagli occhiali da sole che ha sul naso. Alza lo sguardo mentre io spingo 95
da parte il piatto quasi intatto. «Anche lei?» Annuisco. «Peggio», aggiunge, «io ho un eccesso di sangue nel mio sistema alcolico. Perché non ce la battiamo e andiamo a vedere cosa ha da offrire la città più vicina?» E così, davanti a una piacevole cena al ristorante, il mio carico di lavoro si trova improvvisamente diminuito. Troviamo un terreno comune nell'interesse per la storia medievale. Meglio ancora, Richard Leigh ha dedicato parecchio tempo allo studio della storia dei cavalieri templari. Ha già percorso diverse delle linee di ricerca su cui ho intenzione di imbarcarmi. Nel corso del resto della scuola estiva, occupiamo il tempo libero tra una lezione e l'altra scambiandoci reciprocamente informazioni. Richard è in grado di riempire molte delle lacune nella mia conoscenza degli ordini medievali dei monaci combattenti e prende coscienza dell'importanza di alcune delle curiose ed evidenti anomalie che sto cominciando a portare alla luce. Decidiamo di unire le nostre forze in un'impresa che ormai è diventata troppo vasta e impegnativa per un solo uomo. Richard procura un ulteriore sostegno quando fa la conoscenza con Michael Baigent, un fotoreporter neozelandese che ha abbandonato la sua vocazione per indagare sulla storia dei templari. Con una squadra di tre uomini, il lavoro procede più costante. Alla fine dell'anno comincia a prendere forma un terzo possibile film. È in questo periodo che si verifica un'inattesa, ma a suo modo preziosa, interruzione nella mia concentrazione sulla storia di Rennes-le-Château. Mi offrono di scrivere il testo per Il testimone silenzioso, un documentario sulla Sindone di Torino. Il soggetto, con i suoi legami con i templari, le reliquie medievali e la storia del cristianesimo delle origini, rientra perfettamente nella mia sfera di interessi. Il tema è stimolante; il produttore, David Rolfe, è professionale, impegnato e simpatico. Il progetto rappresenta per me una piacevole, benché frenetica, «vacanza» che occupa gran parte del 1976. Ho la possibilità di tornare alla saga di Saunière rinvigorito e con rinnovato entusiasmo.
I merovingi e il pesce Con l'impegno di Chronicle a produrre una terza puntata su Rennes-le-Château, L'ombra dei templari comincia a prendere forma. È durante una riunione di una giornata intera dedicata alla sceneggiatura nel cottage di Cotswold in cui mi sono trasferito, che si verifica un sorprendente balzo in avanti nella storia che sta cominciando lentamente a emergere. Richard Leigh e Michael Baigent sono venuti nella tranquillità della campagna per poter lavorare nei dettagli sulla massa crescente del materiale di ricerca. Roy Davies, che dirigerà anche questo film, ci raggiunge per una giornata di lavoro concentrato sulla sceneggiatura proposta. Finiamo coinvolti profondamente in una discussione speculativa sulla natura del presunto «segreto di Rennes-le-Château». I documenti del Priorato di Sion sottolineano con insistenza l'importanza della dinastia merovingia dei re francesi. Questa linea di sangue ebbe termine, a quanto pare, con Dagoberto II nel 679. Si tratta inoltre del re nominato nelle pergamene in codice: «Questo tesoro appartiene a re Dagoberto II e a Sion e lui è lì morto». Cosa c'è di speciale, domanda Roy Davies, nei merovingi? Le nostre ricerche hanno prodotto svariate curiose risposte alla domanda. Meroveo, fondatore della dinastia, avrebbe avuto due padri, in quanto la madre, gravida, fu ingravidata nuovamente, mentre nuotava, da un chinotauro, una sorta di mitica creatura marina. Come Sansone, i re merovingi avevano la proibizione di tagliarsi i capelli, nei quali, si diceva, risiedeva la loro potenza. Cosa più significativa, erano riconosciuti re «per diritto di sangue», e non grazie all'unzione da parte della chiesa. Mentre discutiamo di queste idee, uno di noi rileva scherzando che «questa faccenda del chinotauro appare sfuggente come un pesce». A volte una battuta, anche sciocca, può provocare un imprevedibile lampo di illuminazione. Cade il silenzio mentre noi siamo momentaneamente distratti dai confusi frammenti di storia e leggenda che stiamo contemplando. Improvvisamente colgo lo sguardo di Richard. Ci guardiamo con aria interrogativa ancora per qualche momento, e poi: «Pensi anche tu quello che penso io?» domanda Richard. «Credo di sì», rispondo. Un'idea stupefacente si è 96
fatta strada in mezzo alla congerie dei forse. «Credo che dovremmo approfondire la cosa», dico. Dopo esserci scusati con gli altri, Richard e io lasciamo il mio studio e, per dieci minuti, passeggiamo in giardino tirando fuori una sorprendente, ma del tutto coerente, proposta dal rapido coagularsi di indizi e intuizioni. Una creatura marina... un pesce... uno dei più antichi simboli di Cristo. Poteva essere il segno che i re merovingi, per diritto di sangue, rivendicassero una discendenza da Gesù? Nasce qui l'ipotesi che avrebbe creato tanto scalpore in Il santo Graal, anche se devono passare diversi anni prima che l'idea diventi abbastanza consistente da poterla presentare in un libro. (Devo qui, tra parentesi, riferirmi alla tesi, spesso fraintesa, contenuta ne Il santo Graal. Più di una volta ho letto - e mi è stato anche detto direttamente - che avrei sostenuto per certo che «Gesù si sposò e generò una discendenza», come se il nostro libro affermasse di essere arrivato a questa conclusione come un fatto. In realtà non c'è alcun modo di dimostrare una proposizione del genere. II libro presenta una ipotesi che certamente concorda con tutte le prove che abbiamo raccolto. Quella ipotesi rimane ancora valida. Anche se venisse dimostrato che non lo è, questo non altererebbe il fatto che vi sia stato in passato chi l'ha ritenuta vera e che questa convinzione abbia influito sul comportamento di costoro.)
Come in cielo... così in terra Niente di tutto ciò, è chiaro, ha alcun effetto sul lavoro che stiamo facendo in preparazione della realizzazione dell'Ombra dei templari. Da quando abbiamo cominciato ad avvertire che la storia di Saunière contiene materiale controverso e difficile, uno degli obiettivi costanti della ricerca è stata la caccia alle prove che tendano a contraddire ogni ipotesi emergente. Ma continua a crescere una convinzione innegabile e, a volte, allarmante. Ogni nuovo frammento, ogni nuovo indizio, ogni nuova scoperta, tende a confermare lo strano quadro che va emergendo. Sta diventando chiaro che Rennes-le-Château è il centro focale di un mistero molto più grande della semplice provenienza e del contenuto di un tesoro sepolto. La «storia del tesoro» assume sempre più l'aspetto di una cortina fumogena messa lì per nascondere dell'altro. E questo «altro» sembrerebbe possedere, in un certo senso, un carattere religioso e/o mistico. Mentre vado avanti nell'impegno per chiarirmi l'importanza oltre che la realtà del Pentagono delle Montagne, appaiono sempre nuovi indizi che tendono a confermare. Uno di questi indizi emerge dal tentativo di rispondere a una questione apparentemente semplice. Ha rilevanza il fatto che la chiesa di Rennes-le-Château sia dedicata a santa Maria Maddalena? La nuova decorazione di Saunière per la chiesa comprendeva l'aggiunta di un bassorilievo della santa sulla parte anteriore dell'altare. Sono stato attirato in questa indagine periferica perché mi hanno detto che fu Saunière in persona a dipingere i particolari dello sfondo di questa pala d'altare, che mostra Maria inginocchiata in una caverna. All'inizio della ricerca questo faceva parte dell'assemblaggio dei potenziali indizi del tesoro. Ma ora sto cercando in altre direzioni. C'è un notevole dibattito sull'esatta identità di Maria Maddalena, che era presente alla crocifissione. E stata identificata con Maria di Betania, che unse i piedi di Gesù con unguenti preziosi, e anche con la prostituta redenta. All'inizio del settimo secolo, papa Gregorio I proclamò che queste donne erano la stessa persona; nel Medioevo il suo culto ebbe grande diffusione. Ancora oggi, a Les Saintes Maries de la Mer si tiene ogni anno una cerimonia per celebrare il suo arrivo in Francia «portando la Vera Croce e il Graal». La chiesa di Rennes-le-Château ha due sue statue, in entrambe delle quali è mostrata con la Croce e il Graal; nella vetrata orientale è raffigurata nell'atto di ungere i piedi di Gesù. Molti teologi oggi ritengono che le tre donne siano tre persone diverse, ma come al solito bisogna evitare che le conclusioni degli esperti odierni influiscano sulla nostra interpretazione delle credenze dei nostri antenati. La più illuminante delle credenze medievali riguardanti Maria Maddalena si riferisce al suo ruolo nella storia della crocifissione e della resurrezione di Gesù. Secondo il testo biblico, fu lei la prima a vedere il Cristo Risorto. Per questo motivo era vista dagli gnostici e dai mistici del Medioevo come 97
Tramite della Rivelazione Segreta. Questo appellativo altisonante richiama la mia attenzione. Di nuovo devo ricorrere al parere di un esperto e resto affascinato nell'ap-prendere che quei mistici le avevano assegnato un simbolo nei Cieli. Quel simbolo era il pianeta Venere. Ancora una volta mi trovo trascinato lungo una pista che porta in una direzione apparentemente non pertinente. Sarebbe troppo facile cambiare strada. Dire: «Questo non ha niente a che vedere con la ricerca in corso». Ma Rennes-le-Château insegna a non fare mai assunzioni del genere. Perché la santa e Venere, sua controparte celeste, hanno davvero una «rivelazione segreta» da impartire. Le stelle e i pianeti, come si sa, erano di enorme interesse e importanza per gli studiosi medievali. Le ricerche in proposito, anzi, cominciarono nella più remota antichità. Babilonia, così come l'Egitto e l'antica Cina ci hanno lasciato documentazione di studi astronomici di grande perizia e precisione. Anche i grandi monumenti litici di Carnac in Francia e di Stonehenge in Gran Bretagna ci mostrano che complessi lavori astronomici erano stati intrapresi già in epoca megalitica. Ma anche qui non dobbiamo lasciare che la nostra conoscenza moderna del funzionamento del cosmo influisca sulla interpretazione dei nostri progenitori. Per questi, il cielo era la dimora degli dei e, in epoca cristiana, divenne il luogo sacro dove abitava Dio con tutti i suoi santi. I pianeti, ruotando, ci mostravano il misterioso modo di agire della mano di Dio, espresso negli armoniosi movimenti delle sfere. Un aspetto di questo antico studio si riferiva ai disegni invisibili che i pianeti tracciano sul firmamento. Ogni pianeta, muovendosi nella sua orbita, raggiunge posizioni in cui Terra, Sole e pianeta formano un allineamento diretto. Per ciascun pianeta, ogni rivoluzione produce un numero fisso di allineamenti. E ogni pianeta differisce nel numero di allineamenti e nella forma del disegno che in tal modo produce. L'orbita di Mercurio, per esempio, crea tre allineamenti di questo genere. Unendo i tre punti, è possibile disegnare sulla volta celeste un invisibile triangolo irregolare. Marte, Sole e Terra sono in allineamento quattro volte durante ogni rivoluzione, tracciando il disegno di un quadrilatero. Uno solo di questi disegni invisibili è regolare. Un unico pianeta ci mostra una figura geometrica perfetta. La figura è il pentagono e il pianeta è Venere. Creando cinque allineamenti regolarmente distanziati nel corso di un periodo di otto anni, Venere disegna nel cielo il perfetto, nascosto e segreto simbolo della stella a cinque punte. Ecco una risposta, del tutto inattesa e straordinariamente significativa, alla mia semplice congettura che la dedica della chiesa di Rennes-le-Château potesse essere pertinente. Proprio qui, non creato dall'uomo ma formato con le montagne dalla mano di Dio, c'è il potente simbolo della santa patrona del villaggio. «Come in cielo... così in terra.» Il paesaggio stesso porta il segno invisibile della rivelazione segreta nel Cielo. Qui, di nuovo, c'è un sapere accessibile «solo agli iniziati». È impossibile stabilire quanto lontano nel passato fu notato per la prima volta questo straordinario fenomeno. Quello che è indiscutibile è che fu notato. Ecco un altro frammento che tende a confermare che sono sulla strada giusta. Il Pentacolo delle Montagne di Rennes-le-Château è lo specchio sulla Terra del portento nei Cieli. Reale, eppure invisibile - salvo ai pochi iniziati che sono a conoscenza del segreto - Terribilis est locus iste - questo luogo è terribile, disorienta, dà soggezione. Qui, la Terra è toccata dal segreto e dalla rivelazione celeste. Qui è un luogo sacro. Tutti questi anni di ricerca hanno costruito una storia complessa di tesori, sangue, fuoco, fede ed eresie. Ma le storie possono essere raccontate in maniera sbagliata, fraintese, distorte, perfino inventate. Comincio ad accorgermi che nella massa del materiale vi sono pochi, pochissimi fatti solidi e incontrovertibili, e quei pochi fatti hanno portato inevitabilmente in direzione della scoperta. Le pergamene certamente contengono una stella a cinque punte nascosta. Il dipinto di Poussin, altrettanto certamente, nasconde una stella a cinque punte. Rennes-le-Château stessa fa parte dell'invisibile stella a cinque punte del paesaggio. E la santa del villaggio è rispecchiata nel cielo dalla stella a cinque punte simbolo di Venere. È possibile che una simile sequenza di indizi logici sia niente di più che un cumulo di coincidenze privo di senso? Indubbiamente sono molti che vorrebbero crederlo. Mentre contemplo l'eccezionale nuova veduta che Rennes-le-Château ha aperto davanti ai miei occhi, sono già persuaso che gridare alla «coincidenza» è una vana reazione in presenza di una difficile verità con cui è necessario confrontarsi. Vana e segno di pigrizia 98
mentale. È come dire: «La cosa è così improbabile e collima così malamente con le idee moderne che non vale la pena perdere tempo ad approfondirla». È un assunto, questo, con cui non posso concordare.
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9 Plantard e il suo Priorato MENTRE lavoriamo a L'ombra dei templari, mi sorge spontaneo un interrogativo: chi, nel passato, può essere stato al corrente di ciò che ho scoperto? Gli oscuri informatori di de Sède sanno tutto? Quel misterioso organismo che è il Priorato di Sion esiste ancora e, se esiste, sa tutto? È una pista che non vedo l'ora di seguire e, fortunatamente, sto per averne l'occasione. La BBC ha contattato una ricercatrice che vive a Parigi. L'incarico assegnato a Jania Macgillivray consiste nel rintracciare il Priorato di Sion. Ho già rilevato il misterioso riferimento a «Plantard» sul retro delle fotografie speditemi per il primo film. Il Gran Maestro del Priorato di Sion è un certo Pierre Plantard de St Clair. Jania Macgillivray riesce, apparentemente senza troppe difficoltà, a convincere il Priorato a incontrarsi con noi. Oltre alla opportunità di fare qualche domanda pertinente, ora avremo anche la possibilità di persuadere qualcuno - magari lo stesso M. Plantard - a parlare a loro nome nel film che stiamo per produrre. Viene fissato un appuntamento, nel quale la BBC accetta di mostrare Il prete, il pittore e il diavolo, per fugare gli eventuali timori del Priorato su una nostra volontà di usare in maniera sensazionalistica il materiale. Il film, fortunatamente, era stato realizzato in coproduzione con una casa francese e quindi è disponibile una versione in francese. L'appuntamento è in una saletta di proiezione privata nel cuore di Parigi. L'incontro è fissato per la tarda mattinata, cosa che ci fa sperare di continuare la discussione nell'ambiente più informale di un intervallo per il pranzo. La squadra della BBC si riunisce una decina di minuti prima dell'orario dell'appuntamento e viene raggiunta da un gruppetto di presunti membri del Priorato. Vengono fatte le presentazioni formali. Ma M. Plantard non fa parte del gruppo. Ci viene assicurato, però, che ha promesso di essere presente. I suoi seguaci non vogliono che si cominci prima del suo arrivo. Aspettiamo, tra chiacchiere banali in un'atmosfera leggermente ingessata e imbarazzata. All'ora esattamente preordinata, la porta si apre e fa il suo ingresso Pierre Plantard de St Clair. È un individuo alto e magro con un'aria riservata di quieta e distaccata autorità. I membri del Priorato lo accolgono con ogni manifestazione di deferenza. Ognuno è enchanté di fare la conoscenza di tutti gli altri e senza altri scambi salottieri il gruppo prende posto per assistere al film. M. Plantard si accomoda nel centro di una fila di poltrone, con il suo collega più prossimo, il marchese Philippe de Chérisey alla sua destra. Io scelgo la poltrona subito dietro di loro. Non ho bisogno di guardare lo schermo -conosco fin troppo bene il materiale - e mi interessa di più osservare come reagisce M. Plantard al nostro modo di presentare la storia. Mi viene in mente la dichiarazione enigmatica di de Sède al nostro primo incontro: «Pensavamo che potesse essere interessante che qualcuno come lei...» Ed eccoli, finalmente, i misteriosi «noi», anche se, a quanto pare, de Sède non fa più parte della compagnia. «Qualcuno come me» è, evidentemente, qualcuno che ha accesso ai media. Perché, altrimenti, mi avrebbero fatto arrivare le informazioni alla Bibliothèque Nationale? Perché, altrimenti, mi farebbero trapelare sempre nuove informazioni mentre procedo a lavorare sulla storia? Ma che cosa cercano? Se si trattasse di una semplice manovra truffaldina, ci sarebbe qualche segnale su come qualcuno potrebbe trarre vantaggio dall'imbroglio. E invece non si vede niente del genere; il denaro non entra nella loro equazione. (Gli anni Novanta hanno assistito a scomposti tentativi, particolarmente da parte della BBC, di dimostrare che l'intero affaire è una truffa. Non si è cercato, però, di spiegare la cosa. La semplice accusa è stata ritenuta sufficiente a risolvere tutto, mentre non risolve niente.) M. Plantard e il suo gruppo, in tutti questi anni, sono rimasti discretamente sullo sfondo. Hanno lasciato che traessi le mie conclusioni partendo dal materiale che mi hanno messo a disposizione, senza chiedere nulla in cambio. Se in qualche modo la cosa è una truffa, lo è in modo sottile, duraturo e incomprensibile. E perché, alla fine, hanno deciso di mostrarsi? Presumibilmente stanno cercando una sorta di
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esposizione. Adesso scopriremo se ho detto quello che loro si aspettavano. O forse ho detto di più? O di meno? Il film li spingerà a portare avanti la collaborazione? O mi verrà sbattuta in faccia quella porta che si è appena socchiusa? Il Gran Maestro e i suoi accoliti guardano il filmato in silenziosa concentrazione. Occasionalmente le teste di Plantard e di de Chérisey si accostano per scambiarsi un commento sussurrato. Fino a quando il film non è quasi finito non mostrano altro che un rilassato interesse. Ma, improvvisamente, le due schiene davanti a me si irrigidiscono e M. Plantard si tira su e si protende concentrandosi. Quella che passa sullo schermo, però, è un'immagine fugace. Quando scompare, le due teste si accostano di nuovo in una breve e concitata conversazione. Touché! Ho mostrato loro qualcosa che non si aspettavano. Nell'immagine, priva di commento parlato, si vede la pergamena con il pentacolo sovrapposto. Non erano al corrente della presenza della figura geometrica? O sono semplicemente sorpresi del fatto che l'abbia trovata? Il film termina e noi aspettiamo la reazione del pubblico del Priorato. Ma il pubblico del Priorato aspetta la reazione di M. Plantard. Evidentemente nessuno è disposto ad anticipare la decisione del Gran Maestro. M. Plantard sorride. Il film, ci dice, è una pregevole presentazione della storia. Sarà felice di collaborare personalmente con noi nella preparazione del terzo episodio. Incaricherà un membro del suo entourage di parlare a nome del Priorato. È disposto a discutere nei dettagli il contenuto dell'intervista che la BBC vorrà riprendere e quindi darà istruzioni in conseguenza al suo rappresentante. Non mi aspettavo che questa «società segreta» fosse così pronta a esporsi agli occhi del mondo. Ma, spiega M. Plantard, il Priorato non è propriamente una società segreta: piuttosto una società «discreta»; essenzialmente un «affare di famiglia». La sua pronta disponibilità è, dal mio punto di vista, un'ottima notizia, anche se avrei preferito che a parlare fosse il Gran Maestro e non un semplice «membro». Ma, se non altro, ora saremo in grado di presentare in carne e ossa questa società discutibilmente «segreta» e/o «discreta». Inoltre, non ho bisogno di affrettare la mia ricerca. M. Plantard è disposto a parlare. Posso giocare con la mia preda con maggiore leggerezza che se questa fosse stata la mia unica occasione. Ora M. Plantard sarà accessibile per ulteriori incontri. Posso procedere più lentamente; arrivare a conoscerlo meglio prima di porre le mie domande più difficili. Ma, con mia grande sorpresa, è M. Plantard a mettere i piedi nel piatto. Ci tiene, a quanto pare, a verificare senza indugi di che pasta sono fatto.
Confezioni Dopo qualche momento di conversazione generica e di complimenti per il film che hanno appena visto, Plantard e de Chérisey mi tirano in disparte. La presentazione dei codici nascosti nelle pergamene, dice M. Plantard, è di ammirevole chiarezza. Ritiene, però, che io debba sapere che i documenti sono «confezionati», fabbricati dal suo amico de Chérisey. De Chérisey non dice nulla. Sembra tanto divertito quanto sconcertato da questa improvvisa e inaspettata rivelazione. Ma io ho già incontrato l'ipotesi che le pergamene fossero dei falsi, qualche anno fa, in un servizio televisivo di dieci minuti. Perché, mi chiedo, M. Plantard intende eliminare uno dei principali puntelli della sua storia trasmessa da de Sède? Io però ho parlato con un esperto di codici del British Intelligence, che mi ha detto che sono «tra le cifre più complesse che abbia mai viste; e ci saranno voluti mesi di lavoro per prepararle». Ho anche scoperto la geometria, nascosta con brillante sottigliezza sotto il testo scritto. Nessuno si sarebbe accollato un compito così arduo solo per una fuggevole presentazione su un teleschermo. E poi, non sono passati molti minuti da quando ho colto, con interesse, la reazione sorpresa di questi due signori all'apparizione del pentagono nel filmato di Chronicle. M. Plantard aspetta la mia reazione alla rivelazione con un atteggiamento di benevola e incuriosita giovialità. Scuoto la testa. «No, M. Plantard», rispondo. Lui fa un gran sorriso e cambia bruscamente argomento. Per quanto mi piacerebbe approfondire la questione, capisco che per il momento ha detto tutto ciò che intendeva dire in proposito. Cercava una mia reazione - e l'ha avuta. 101
Da parte mia, so che queste non saranno le sue ultime parole sull'argomento. Usciti dal cinema, la squadra della BBC e i membri del Priorato si rilassano in un'animata discussione a tavola. Mi affascina notare che anche se M. Plantard ci accompagna al ristorante e siede a capotavola con noi, il Gran Maestro del Priorato non mangia né beve in pubblico. È comunque cortese e cordiale nel modo di fare, rispondendo gentilmente - o evadendo abilmente - a tutte le domande che gli vengono poste. Ci accordiamo perché trascorra del tempo con noi il giorno precedente la ripresa dell'intervista perché si possa discutere delle domande che intendo porre e delle risposte che darà il suo portavoce, oltre che di eventuali specifici punti che desideri vengano toccati. Questa discussione preparatoria privata mi permetterà, spero, di esplorare alcune delle aree di ricerca più «delicate». Con mia sorpresa, il portavoce incaricato sarà un certo Jean-Luc Chaumeil. Si tratta del «collega» di de Sède nella «scoperta» fatta nel 1973 del tesoro di Saunière. Insomma dietro quel falso c'era effettivamente il Priorato. O almeno così sembrerebbe. Posso solo pensare che Chaumeil immagini che, poiché de Sède nelle sue lettere non aveva fatto il suo nome, non sono al corrente della connessione. O forse è Chaumeil che non sa niente delle lettere che mi ha scritto de Sède? È evidente che questi due uomini sono entrambi usati come altoparlanti, per riferire solo quanto viene loro detto. Le acque si stanno facendo estremamente torbide. Devo procedere con cautela. L'ambientazione dell'intervista sarà una piccola galleria d'arte di proprietà della madre di Chaumeil. Un disegno di Cocteau (ultimo nome della Lista dei Grandi Maestri dei Dossiers secrets) farà da sfondo. E in questa stessa galleria che mi incontrerò con M. Plantard per la seduta preliminare, mentre Roy Davies, in quanto regista, predispone le cose per la ripresa. Mi accosto a questo incontro, si può ben capire, con cautela. L'argomento dell'autenticità delle pergamene è una delle mie priorità. Anche qui Philippe de Chérisey è presente. Dichiaro subito che non posso accettare l'idea che un compito così elaborato e che ha richiesto tanto tempo possa essere stato svolto al solo scopo di comparire per qualche minuto in televisione. A proposito di questi documenti, antichi o moderni che siano, falsi o autentici, è possibile dire che, letteralmente, «c'è più di quanto l'occhio possa vedere». M. Plantard fa un gran sorriso. «Be'», dice, «le confezioni di de Chérisey si basano su ottimi originali.» Esprimo il desiderio di vederli. M. Plantard annuisce. «Credo che si possa fare.» Si rivolge al suo compagno. «Li porti domani», dice, senza ulteriori spiegazioni, e poi passa ad altro. Le altre questioni riguardano principalmente il ruolo del Priorato di Sion come sostegno ai discendenti dei re merovingi. Lui, mi dice, è discendente diretto del re merovingio assassinato, Dagoberto II «La Francia», aggiunge, «non esisterebbe senza i merovingi. Il Priorato sostiene noi e noi sosteniamo il Priorato.» Sono aspetti che sarebbe lieto di vedere inseriti nell'intervista. La cosa comincia ad apparire come una rivendicazione, un po' eccentrica, al trono di Francia. Un po' come se un discendente della regina Boudicca pretendesse per sé la corona d'Inghilterra. Una materia difficile da prendersi sul serio. Ma M. Plantard sottolinea che la sua famiglia non avanza nessuna rivendicazione del genere. «Il re», dice, «non è necessario che regni. Basta semplicemente che sia.» Per questo motivo desidera che in qualche modo suo figlio compaia nel film. Quale rappresentante della prossima generazione, della continuità del lignaggio, il figlio è più importante del padre. Questi e altri temi analoghi vengono esplorati e il contenuto dell'intervista prende forma. In questa occasione, però, decido di non fare cenno al mio interesse per gli aspetti geometrici della storia. Anche se è una parte essenziale della mia ricerca, la sua reazione alla figura geometrica nel film precedente mi ha lasciato incerto su quale debba essere l'approccio migliore all'argomento. Per il momento forse è meglio giocare al sicuro e aspettare un'altra occasione per effettuare qualche delicato sondaggio. Il giorno della ripresa mi incontro sul presto con Plantard e de Chérisey. Mentre Roy sta organizzando le «inquadrature introduttive», io, finalmente, vedrò gli «originali» delle pergamene. Si rivelano, in realtà, tutt'altro che degli originali, benché siano istruttive, e più che interessanti. I documenti che de Chérisey estrae dalla sua valigetta sono fotografie in bianco e nero - circa venti centimetri per venticinque. 102
Le pergamene, così come sono riprodotte nel libro - e in ogni altro libro e film da allora (compresi i miei) - hanno tanti puntini, apici e accenti inseriti negli spazi tra le righe del testo. Molti ricercatori hanno dedicato una quantità di tempo a cercare di strappare un qualche senso da quei segni. Le fotografie che mi fanno vedere essi dimostrano che non sono presenti negli originali. Sono stati aggiunti in inchiostro blu, chiaramente visibile sulla superficie smaltata delle stampe. Sono queste le «confezioni» di de Chérisey. Mi dice che ha fatto anche un'altra modifica, molto importante. I due documenti non sono più nella scala esatta. Tra loro, uno è più grande - o più piccolo - della realtà. A parte questo, non mi arrivano altre spiegazioni. Sull'importanza delle alterazioni apportate da de Chérisey a quelli che M. Plantard ha definito «ottimi originali» si possono avanzare solo congetture. È possibile che i due testi fossero originariamente dorso contro dorso sullo stesso documento e che, in qualche modo, potessero interagire tra loro se visti in controluce. Se si potesse riprodurli nelle dimensioni esatte e porli nel corretto rapporto reciproco sulla pagina, sarebbe interessante vedere se il disegno pentagonale dell'uno produca in qualche modo un'indicazione pertinente sull'altro. (L'autenticità di questi documenti è molto discussa, come se l'intero mistero dipendesse da loro. In effetti, stabilire se questi documenti siano antichi originali o moderne «confezioni» è una questione puramente accademica. Quale che sia la loro provenienza, il contenuto resta immutato. E certamente contengono una cifra di eccezionale complessità oltre al pentagono, così significativo e magnificamente nascosto.) Ma non è questo il momento di approfondire questi problemi. Oggi è il giorno delle riprese. Roy Davies ha optato per l'introduzione la sequenza di M. Plantard che attraversa uno dei ponti parigini. Secondo la sua richiesta, viene filmato mentre cammina tenendo per mano suo figlio, Thomas. Ciò fatto, ci trasferiamo nella galleria d'arte di Mme Chaumeil, dove sarà girata l'intervista. Il lavoro di routine con cui si sistemano le luci e la cinepresa viene completato in breve. Chaumeil è stato preparato e subisce, un po' imbarazzato, le attenzioni della madre, che gli spazzola i capelli preparandolo a comparire davanti all'obiettivo. In quello che è a tutti gli effetti «l'ultimo momento», M. Plantard spariglia le carte: della troupe e del Priorato. Ha deciso, annuncia, di parlare di persona. M. Chaumeil può farsi da parte. Chaumeil è mortificato. La madre di Chaumeil ha il cuore spezzato - ed è molto contrariata. M. Plantard incede urbanamente in mezzo al popolo turbato e prende posto davanti al disegno di Cocteau. Io sono raggiante. Non solo il Gran Maestro sarà più autorevole di un semplice portavoce, ma mi rendo conto anche che mi è stata concessa una magnifica opportunità. M. Plantard ha già preparato accuratamente le risposte alle domande che gli farò. Sarà rilassato e sicuro di sé, conoscendo il terreno su cui si muove e sentendosi in pieno controllo della situazione. Alla fine dell'intervista, però, con la macchina ancora in funzione, aggiungerò una domanda supplementare imprevista. Sarà affascinante cogliere la sua reazione genuina e impreparata a quella che per me è una questione chiave. L'intervista filmata procede senza intoppi e, finalmente, arriva la mia occasione. Quando gli chiedo del «segreto di Rennes-le-Château», mi risponde che il segreto «non è solo a Rennes-leChâteau - è anche intorno a Rennes-le-Château». E qui arriva la mia mossa di apertura. Gli chiedo della geometria che ho trovato e quale importanza lui attribuisce al pentagono. Per la prima volta nelle sue risposte fluide e ben tornite, esita. La pausa si prolunga. Un angolo della sua bocca si torce nell'inizio di un sorriso incerto. «Io...» dice e tace di nuovo. Poi, con una leggera alzata di spalle, dice tutto quello che è disposto a dire: «Non posso risponderle su questo argomento». «Non può», mi domando, o «non vuole?» Improvvisamente appare a disagio, quasi sfuggente. La mia domanda imprevista ha prodotto una reazione più affascinante - e reale - di quanto avessi sperato.
Chérisey Il problema per chi cerca di sondare i rappresentanti di una società «segreta» - o anche solo 103
«discreta» - è semplicemente che non si conoscono i loro segreti. È troppo facile per loro dire: «Ah sì, di questo sappiamo tutto» anche se non sanno niente. Anche se M. Plantard fosse del tutto all'oscuro della geometria, non sarebbe in alcun modo tenuto a riconoscere la propria ignoranza. Dopo tutto, per lui sarebbe una diminuzione dire: «Non ho idea di quello di cui sta parlando». (Da questo momento, e negli anni successivi, nel corso di tante interviste, eviterà sempre di farsi attirare in una discussione sul carattere geometrico della scoperta. Solo una volta si spinge a fare un commento, quando produco il disegno di un pentagono e un esagono collegati. Gli chiedo cosa ne pensi. «Lo trovo irritante», risponde; e, come al solito, cambia argomento.) Ancora adesso non so con certezza che cosa M. Plantard e il suo gruppo sappiano delle scoperte che ho fatto. Non posso essere neppure sicuro che una organizzazione come il Priorato di Sion esista nella forma che lui lascia intendere. Quel che è certo, però, è che nel corso degli anni ha chiesto il nostro aiuto per chiarimenti su determinate questioni che gli stanno a cuore - come per esempio rintracciare membri della sua famiglia oggi residenti in Inghilterra.* Il resto delle riprese della giornata procede senza incidenti, anche se in un'atmosfera un po' tesa. Chaumeil e sua madre, forse legittimamente, si sentono delusi e sfruttati dall'intervento piuttosto autoritario di M. Plantard.** D'altronde, lui è non solo il Gran Maestro, ma anche il Roi Perdu. Dal mio punto di vista, io per il momento mi sono spinto al limite con le mie domande sulla geometria. M. Plantard, è chiaro, non andrà oltre la dichiarazione di non potermi dare una risposta. Finite le riprese, va subito via. Evidentemente non è disposto a sottostare a ulteriori domande, né è il tipo da indulgere a chiacchiere mondane. Il suo amico, de Chérisey, è però di tutt'al-tra stoffa. Lavora nel teatro e, come tutti gli attori, è, almeno in superficie, aperto, socievole e simpatico. È felice di concludere la giornata di lavoro con una chiacchierata rilassata davanti a una tazza di caffè. Un'occasione, per me, per provare almeno a sondare un po' più a fondo. Ma a quanto sembra ha avuto istruzioni di mantenere una cauta discrezione. Ogni volta che affronto un argomento che potrebbe rivelarsi delicato, devia abilmente la conversazione. E un abile raconteur, dotato di uno spirito pronto e tagliente e una riserva di aneddoti divertenti. Mi ritrovo affascinato non meno che frustrato. So bene che, nella sua valigetta, ci sono le fotografie delle pergamene. Potrei non aver più un'occasione di trovarmi così vicino agli «originali»; potrebbe essere addirittura la mia ultima opportunità di vedere questi «quasi originali». La giornata sta finendo, ma il tempo è bello. De Chérisey esprime il desiderio di fare una passeggiata e un lungo girovagare termina su una panchina delle Tuileries. Continua a regalarmi aneddoti ben raccontati e spesso molto divertenti. Ma io ho in mente qualcosa di più del divertimento. Stiamo in buona compagnia e l'atmosfera è amichevole. Alla fine, visto che il tempo sta passando e non ho niente da perdere, decido di avanzare la mia richiesta senza mezzi termini. «Potrei dare un'altra occhiata alle fotografie delle pergamene?» Dopo una minima esitazione, apre la valigetta e me le porge. «Perché aggiungere i segni?» domando. «Per lo svago degli ignari», risponde. «Sì, ma perché?» insisto. Si stringe nelle spalle. «Sono un intrattenitore.» È chiaro che non avrò mai una risposta diretta. Ma - forse semplicemente perché ce l'ha sotto mano - aggiunge un altro frammento. Toglie alcuni fogli dalla sua borsa e dice: «Sto scrivendo una spiegazione dei codici. Le manderò una copia. Si divertirà». Ma non la vedrò mai. (C'è motivo di sospettare che il documento facesse parte delle «carte rubate del Priorato» nella faccenda Chaumeil.) Né mi avvicinerò mai più di così agli «originali delle pergamene». Purtroppo, Philippe de Chérisey morì all'improvviso nel luglio 1985.
* Per la storia del nostro rapporto con M. Plantard e i suoi colleghi, vedi L'eredità messianica. ** Questo brusco cambiamento di programma potrebbe essere all'origine di quella che si rivelerà uno scontro verbale piuttosto violento tra Chaumeil e i suoi ex confratelli. Vedi L'eredità messianica, cap. 19, per la cronaca della corrispondenza al vetriolo in cui Chaumeil viene accusato di un coinvolgimento nell'Affare degli Archivi Rubati del Priorato.
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10 Un disastro indipendente UNA volta completato L'ombra dei templari, è possibile dedicare tutta l'attenzione allo sviluppo dell'ipotesi che verrà pubblicata all'inizio del 1982 come Il santo Graal e poi ampliata nel 1986 in L'eredità messianica. Ma questi anni non contengono soltanto la prosecuzione della nostra ricerca e i contatti ininterrotti con M. Plantard e i suoi colleghi. È in questo periodo che una casa produttrice indipendente si fa viva con la proposta di realizzare un documentario di lungo metraggio sul Mistero di Rennes-le-Château. L'idea di trattare l'argomento senza le abituali limitazioni della serietà di approccio tipica della BBC è allettante. Nel caso specifico, la libertà da quelle limitazioni si rivelerà tutt'altro che liberatoria. Mi incontro con il produttore nel suo ufficio in Wardour Street, il cuore del quartiere cinematografico di Londra. Discutiamo a lungo del soggetto e di un nuovo trattamento del materiale. Finalmente, a quanto pare, potrò contare su un budget più generoso. Non sarà necessario fare le riprese sempre di corsa e io potrò dedicare una maggiore quantità di pellicola a esplorare alcune delle interessanti, e finora taciute, vie laterali della storia. Più tempo e più denaro potranno essere finalmente spesi per ottenere quel genere di effetti visivi che il budget di Chronicle non consentiva. Da tempo, per esempio, desideravo poter riprendere il villaggio dall'alto. Sarebbe un modo splendido per visualizzare la geometria sul territorio reale anziché su una mappa o, come nell'ultimo servizio per Chronicle, con un modellino in rilievo. Ora queste «spese pazze» saranno possibili. Comincio a lavorare al testo con entusiasmo. Preparata la prima stesura, c'è una seconda riunione in Wardour Street. Ora sono pronto a consultarmi con il regista prima di sviluppare ulteriormente il copione. Chi sarà, e quando potrò conoscerlo? Ma il produttore è preso da altre questioni di pre-produzione. Il regista, mi dice, lavorerà con me al copione durante le riprese. Tutti sono soddisfatti per come stanno andando le cose. Tutti, cioè, tranne me. Io, dopo tutto, sono ancora in fase di «prima bozza». Per me è un aspetto importante del mio lavoro incorporare nel copione definitivo le idee del regista. Le esigenze di ripresa e di montaggio imporranno inevitabilmente, in seguito, delle modifiche. Ma, insisto, dovremmo almeno cominciare con una struttura solida e concordata. Arrivare sul posto con un copione appena abbozzato è, a mio parere, un po' come fare una frittata senza rompere prima le uova. Si perderà una quantità di tempo a scartare i frammenti di guscio. Questa, non va dimenticato, è una storia complessa che richiede una strutturazione accurata. Non è un notiziario di attualità, in cui si riprendono le cose via via che avvengono. Il contatto con il regista è una parte importante del mio processo di lavoro e ripeto la mia richiesta urgente di un colloquio con lui prima di partire per andare a girare. I miei timori, però, vengono liquidati alla svelta. Ci sarà tutto il tempo sul posto, mi dicono. I problemi si possono risolvere a mano a mano che si presentano. Il regista è ansioso di incontrarsi con me a Rennes-le-Château. Non avrà il tempo per discutere in anticipo il copione. Mentre mi preparo per l'ennesima spedizione di riprese, sono nervoso e scoraggiato. Mi sento intrappolato in un'impresa che mi appare del tutto insoddisfacente e i presagi sono tutt'altro che buoni. Mentre aspetto all'aeroporto il mio volo per Tolosa, mi rendo conto con apprensione che cominceremo a girare tra pochi giorni e io non ho ancora nemmeno visto il mio regista. E lui, cosa ancora più preoccupante, non ha ancora visto Rennes-le-Château. Ma non potrò avere neanche un paio d'ore di colloquio con lui sull'aereo. Lui ci raggiungerà domani viaggiando in auto. Questa volta il mio piacere di tornare al paese è decisamente guastato dal disagio per quello che mi sembra un atteggiamento un po' da laissez-faire nei confronti del progetto. Non solo la questione è complicata, ma c'è anche la necessità di mantenere buoni rapporti con i locali. Gli abitanti del paese sono diventati miei amici e non ho nessuna voglia di vederli contrariati. Sono giustamente
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sensibili alla storia del loro paese e del loro prete e io ho sempre fatto del mio meglio per far sì che comprendessero e accettassero i nostri piani. Ora, nemmeno io so in che modo il mio regista intende affrontare il soggetto. So anche che alcune troupe cinematografiche possono essere prive di tatto e insensibili, indifferenti a quello che si possono lasciare alle spalle una volta che hanno finito il loro lavoro. Posso solo pregare che i miei timori siano infondati. Sono seduto nel giardino di Saunière, aspettando l'arrivo del regista e ricapitolando l'itinerario delle rapide visite che dobbiamo fare per i sopralluoghi nei diversi posti che ho incluso. Manca poco più di un giorno all'arrivo della squadra e all'inizio delle riprese. Prima di allora devo cercare di fare la conoscenza con l'uomo che realizzerà il film, e di spiegargli il retroterra della storia. Per questo compito ho a disposizione la giornata di oggi e quella di domani. La giornata di oggi comincia a scorrere via. Henri Buthion mi rifornisce di bibite rinfrescanti e di pacata conversazione, accorgendosi della mia crescente inquietudine per la mattina che se ne sta andando. Chi sa, magari sarà qui per pranzo. Ma l'ora di pranzo arriva e se ne va. Idem per gran parte del pomeriggio. L'esperienza di anni di lavoro con la televisione mi ha insegnato che «tempo sprecato è budget buttato via». Semplicemente non sono abituato a questo approccio piuttosto insouciant al lavoro. Finalmente, quando una buona metà del pomeriggio se n'è andata, sento il rumore di un'auto. Lascio il mio tavolo sotto l'ombra degli alberi di Saunière e mi piazzo nel parcheggio. Una grande decappottabile scintillante avanza lungo Villa Bethania e si arresta davanti alla Torre di Magdala. Una figura alta e decisamente sovrappeso si estrae dal posto di guida. «Salve», dice. «Lei dev'essere Lincoln.» Ammetto l'addebito e le presentazioni sono concluse. Gli dico che cominciavo a preoccuparmi per il ritardo. Il pranzo a Carcassonne, mi spiega, era troppo buono per affrettarsi. Oggi è festa. Domani avremo tutto il tempo per lavorare. Mi rassegno all'indifferenza dei Fati... e all'apparente analoga indifferenza del regista. Alla fine del pomeriggio arriva una seconda automobile con il nostro produttore e la sua segretaria personale. Dal fugace contatto che ho avuto con lei a Londra, so che è simpatica ed efficiente. Lui, però, sembra stranamente inquieto. Ha trovato faticoso il viaggio dall'Inghilterra, dice, e ha un terribile mal di testa. Andrà a riposare per un po'. Vediamoci tutti per una consultazione a cena, propone. Non mi resta altro, decido, che godermi quello che resta del mio giorno di vacanza forzata. Con un bicchiere di Ricard, premurosamente fornito da Henri, siedo sul belvédère di Saunière e osservo il sole del tramonto che scintilla sui lontani picchi innevati dei Pirenei. Nessuna ansia lavorativa è in grado di guastare la bellezza di questo paesaggio. Domani, mi consolo, sarà un altro giorno. Purtroppo, ho dimenticato che oggi non è ancora finito.
L'ottica del regista A cena, il nostro regista ricompare, rinfrancato - e con «un'ottica». Ha appena fatto un giretto preprandriale per il villaggio e ha «pescato qualcosa». Ha parlato con il proprietario dell'antico castello diroccato di Rennes-le-Château, che gli ha detto qualcosa che nel mio copione non c'è. Mentre sono felice di apprendere che il regista, se non altro, ha letto il mio abbozzo, non so bene quale valore abbia ciò che può aver sentito dallo châtelain del borgo. Si tratta di un anziano personaggio, eccentrico ma amabile, che a quanto sembra ha ereditato dal padre la sua eccentricità. Quest'ultimo passò molti anni a setacciare la campagna dei dintorni e a portare a casa sassi dalla strana forma. Ognuna di queste pietre ha una qualche rassomiglianza con un osso del corpo umano. Così, nel corso di una vita lunga e attiva, ha trovato sassi a forma di tibia, a forma di ulna, a forma di vertebra e perfino a forma di cranio. Con questi assemblò un completo scheletro «umano», che era pronto a esibire a qualsiasi viaggiatore di passaggio che si mostrasse interessato, sostenendo che si trattava di un «essere umano fossile». Una generazione dopo, lo scheletro continua a essere mostrato, il castello continua a crollare e l'eccentricità continua a fiorire. Apprendo con sollievo, però, che i fossili umani non figurano tra le idee del nostro regista. «Sono solo sciocchezze per turisti», mi spiega. «L'amico è d'accordo con me... solo un mucchio di 106
vecchi sassi. Abbiamo fatto una bella chiacchierata e lui ammette di propinare ai turisti quel genere di robaccia che secondo lui quelli cercano.» Ma il nostro regista è convinto di essere stato eletto per un privilegio unico. Per lui, la storia dello châtelain non è una «robaccia come il resto». Per lui soltanto «la verità vera» è stata preservata e trasmessa di generazione in generazione. «E combacia magnificamente con quello che ha raccolto lei a proposito di adorazione del diavolo!» «E quindi, che cosa mi è sfuggito?» «È tutta magia sessuale pagana. Saunière partecipava a orge sataniche. Lui faceva da sommo sacerdote e tutte le donne del posto dovevano cedergli. Aveva messo perfino delle immagini sessuali in chiesa!» «Dove?» chiedo flebilmente. La cosa sta diventando ancora più allarmante di quanto avrei potuto immaginare. «Nella finestra sopra l'altare.» «Ma quella è una semplice raffigurazione, perfettamente ortodossa, di Maria Maddalena che unge i piedi di Gesù», protesto. Diffìcile vederla come un'orgia. Ma certo, avrei dovuto capirlo L'immagine è molto più sottile... e allo stesso tempo più evidente. Saunière, a quanto pare, ha inserito nella scena sulla vetrata una chiara immagine del sesso della donna. «Chiaro più che mai», mi informa il regista. «Mi ha fatto vedere una fotografia. Domani mattina come prima cosa andiamo a controllare in chiesa.» «Visto?» mi dice, indicando il finestrone illuminato dal sole del mattino. Maria Maddalena è inginocchiata ai piedi di Gesù. Nel punto in cui le pieghe della sua veste seguono la curva delle ginocchia, dovrei vedere un'esibizione di flagrante oscenità. Non ci riesco. «Ci vorrebbe l'immaginazione surriscaldata di un adolescente monomaniaco, per vederlo», ribadisco. «Ma no», risponde lui allegramente. «Posso tirarne fuori una ripresa molto convincente.» Giovanni, capitolo 11, versetto 35, mi attraversa la mente. Potrà essere il versetto più breve dei Vangeli, ma nel mio stato d'animo attuale, dice tutto quello che si può dire: «Gesù pianse». Come faccio, mi domando, a tirarmi fuori da quest'incubo? Da qui in avanti il caos turbina tutt'intorno a me. Il film, mi informano, racconterà la storia delle indagini su un culto satanico, istituito da Saunière e ancora in vigore.
Sesso e satanismo La chiesa del villaggio è introdotta da un primo piano di una delle gargolle sul portico, a cui si fa «vomitare sangue». (Diverse bottiglie dell'eccellente vino della casa di Henri Buthion vengono sprecate per ottenere questo effetto.) La carcassa abbandonata di una vecchia auto, a portata di mano in un angolo del parcheggio del paese, verrà spinta sull'orlo del precipizio sotto la Torre di Magdala e data alle fiamme come documentazione di un attentato dei satanisti alla vita dell'«Investigatore». Tutte le «signore (e i signori) della notte» che si riescono a racimolare a Carcassonne vengono assoldate per danzare nude intorno a un falò presso la vasca nel centro del pentagono. Una delle signore viene ripresa sul tetto della Torre nel ruolo di altare di carne all'interno di una stella a cinque punte. Avvolto nel fumo rosso cremisi, un componente della troupe, vestito da mago con tanto di mantello e cappello a punta, «sacrifica» una colomba (finta) sopra il suo corpo nudo disteso al suolo. (Altra imitazione di sangue!) L'orrore si accumula sull'orrore. Innumerevoli volte chiedo al produttore di liberarmi da questo purgatorio di cui non voglio far parte e a cui non posso fornire alcun contributo. Ma sembra non accorgersi di quanto sta succedendo intorno a lui. Spesso scompare dal villaggio per ore e ore per qualche sua commissione. Neppure la sua assistente è in grado di illuminarmi su quello che sta facendo o che ha in mente. In uno dei pochi brevi colloqui che riesco ad avere con lui, mi invita a non preoccuparmi. «Il regista sa quello che fa. Andrà tutto bene. Comunque», aggiunge inaspettatamente, «ha contanti con sé?» Essendo questa un'area rurale, le banche più vicine sono aperte solo un paio di giorni alla settimana e lui ha degli acquisti urgenti da fare. «Quanto le serve?» 107
«Lei quanto ha? Glieli restituirò dopodomani, quando apre la banca.» Visto che comunque sono bloccato in paese senza un mezzo di trasporto e senza bisogno immediato di denaro, gli passo la mia riserva di contanti. Lui monta in macchina e parte per le sue compere. La troupe sparisce in campagna per filmare un'altra fantasia sessuale registica. I miei servigi non sono necessari. Non ho un testo per commentare le arcadiche piroette di gente nuda. Salgo sul tetto della Torre di Magdala per riflettere in silenzio e solitudine. Se non altro, ho il panorama di cui godere. Ma per la prima volta preferirei essere altrove, ovunque tranne che a Rennes-le-Château. Mi rendo conto di essere in trappola. Se semplicemente sparissi, abbandonerei il villaggio nelle mani tutt'altro che delicate del regista. Sento che devo rimanere nei paraggi per versare olio sulle acque inevitabilmente agitate dalle sue iniziative. E, senza sperarci troppo, mi aggrappo alla tenue probabilità di riuscire a restituire un minimo di buonsenso a quello che sta succedendo. Improvvisamente arriva Henri Buthion. «Pensavo che le interessasse sapere che è comparso de Sède. Sta parlando con papà nel ristorante.»
Riunione Sono anni che non vedo de Sède. So che era in collera per essere stato eliminato dal primo filmato e si è mostrato piuttosto sgarbato con me nelle ultime lettere. Comunque, non vedo il motivo di nascondermi. Dal nostro ultimo incontro molte cose sono successe nella storia di Rennesle-Château. Sarebbe un gesto di cortesia, concludo, scendere a salutarlo. In ogni caso, sarà un sollievo dalla mia situazione frustrante e deprimente di inattività. Henri è sulla soglia della sua cucina quando entro nel foyer del ristorante. De Sède alza lo sguardo mentre io arrivo scendendo le scale nella fresca penombra. Accanto a lui c'è una donna (Mme de Sède?). Un altro uomo, che neppure conosco, e armato di una macchina fotografica dall'aspetto professionale, è situato accanto all'ingresso. «Salve, Gerard», dico, tendendo la mano. «Mi fa piacere rivederti.» Lui mi stringe la mano mormorando un saluto, ma gli altri personaggi presenti in scena non mi vengono presentati. Come se non aspettasse altro che l'occasione e senza alcun preambolo né alcun tentativo di convenevoli, de Sède mi aggredisce. «Perché hai scritto al Louvre affermando di essere stato tu, e non io, a scoprire la tomba di Poussin?» Sono sorpreso. La cosa mi giunge nuova. «Come sarebbe?» rispondo. «Non ho mai fatto un'affermazione del genere.» «E invece sì. La tua lettera è nell'archivio del Louvre.» «Ma io non ho scritto nessuna lettera», protesto. Mme de Sède (?) interviene. «Bugiardo!» strilla. «Couchez!» tuona de Sède, indicando il tappeto. (È il modo di ordinare «A cuccia!» a un cane. Se per noi sembra una cosa decisamente balorda da dire, in Francia è considerato un insulto molto grave.) «Ti assicuro che non ho scritto al Louvre. E non ho mai negato che mi avessi dato tu le informazioni sulla tomba.» De Sède decide di riprendere l'argomento della signora. «Bugiardo!» «Dagliele!» sollecita Madame. De Sède non ha bisogno di altri incoraggiamenti. Il braccio prende la rincorsa e mi assesta un colpo di taglio (tipo karate) alla testa. Vedo le classiche stelle e barcollo all'indietro. Una frazione di secondo dopo, vedo anche il lampo della macchina dell'altro gentiluomo: troppo tardi, mi spiace, per registrare altro che la scena congelata di un dopo-colpo. Segue un silenzio stupito. Sento che aspettano da me una qualche reazione. 108
«Se ti ha fatto piacere», dico, «sono contento per te.» Non sembra questa la reazione desiderata. De Sède sposta il peso del corpo da un piede all'altro, nella pausa imbarazzata. Poi mormora: «Forza, andiamo alla chiesa». E, con i suoi due compagni alle calcagna, fa la sua uscita, un po' ingloriosa e poco spettacolare. Henri Buthion non si è mosso dalla porta della cucina. Mi guarda con muto divertimento. «Henri», dice, «J'admire votre sang-froid britannique.» Scoppiamo a ridere. Finora questo è stato l'incontro più grottesco che ho avuto a Rennes-le-Château. Mentre applica un tampone di ghiaccio sull'occhio che rapidamente mi sta diventando nero, Henri commenta saggiamente: «Il ricorso alla violenza fa capire che si è rimasti a corto di argomenti». Il signore con macchina fotografica, sospetta Henri, è un giornalista; probabilmente portato lì per immortalare la prevista scazzottata. Purtroppo, però, ha perso la sua occasione. Inutile dire che nell'archivio del Louvre non esiste nessuna lettera come quella di cui parlava de Sède. Ancora una volta, a quanto pare, sta agendo in base a «informazioni ricevute». I registri del Louvre conservano la nota sulla mia visita per esaminare le radiografie. La nota riporta semplicemente che uno scrittore inglese, Henry Lincoln, riferisce che è stata identificata una tomba somigliante a quella de I pastori d'Arcadia. Chi ha convinto de Sòde che sto cercando di portargli via la sua «gloria»? Ma non avrò modo di interrogarlo ulteriormente sull'argomento. Dopo pochi minuti sentiamo il rumore di un'auto che porta via il terzetto. Mi hanno lasciato con un mistero in più. Per il momento, però, sono indifferente a questi problemi. Ne ho già abbastanza con la Saga di Sesso e Satanismo di Saunière.
Takeaway Quando alla fine della giornata la troupe ritorna da chi sa quali delizie filmiche, il nostro regista mi viene a cercare. «Serve il suo aiuto», dice. Faccio fatica a crederlo, ma presto scopro che la richiesta di assistenza è, più che professionale, politica. Domani è il giorno in cui sarà qui un elicottero, in arrivo dall'Inghilterra, per le riprese aeree del villaggio. Potrei dire a Henri Buthion che non sarà necessario prepararci la cena per domani sera? Con il trascorrere dei giorni ho finito per accorgermi che non sono perfettamente in sintonia con i processi mentali del regista. Ora, però, devo confessare di essere totalmente confuso da questo particolare non sequitur. Articola meglio la sua richiesta. Potrei usare le mie doti per convincere Henri Buthion a lasciare che il regista prenda possesso della sua cucina domani sera? Perché? Sembra che sia stato organizzato un banchetto registico speciale. Lui ha un suo ristorante cinese preferito a Londra - e l'elicottero ci porterà i suoi piatti più prelibati. Poiché il volo richiederà buona parte della giornata, tali piatti avranno bisogno di essere riscaldati: logico, no? Occorre tutta la mia diplomazia per convincere Henri che questa particolare stravaganza non è un insulto calcolato alla sua cuisine. Si tratta, piuttosto, di una specie di scherzo. All'arrivo aviotrasportato delle offerte orientali, il regista occupa ufficialmente il regno di Henri. Osserviamo affascinati mentre lo spento pasto riceve il bacio della vita. Inutile dire, la salma si rivela irresuscitabile. Sarà anche stato «il meglio di Londra in fatto di cucina cinese»... ma resta pur sempre niente di più che un takeaway, dispendioso in maniera ridicola e probabilmente record mondiale di distanza. A suo tempo anche i cani del villaggio, che sanno quello che vogliono, lo rifiuteranno. La cena improvvisata di Henri è meno esotica ma infinitamente più allettante. L'arrivo e l'atterraggio dell'elicottero è ovviamente un evento senza precedenti per Rennes-leChâteau. Gli abitanti sono brevemente interessati alla inedita scena e poi tornano alle loro attività quotidiane. Per me, si apre l'ultima pagina di questa storia avvilente. Le insolite attività degli ultimi giorni hanno, com'è naturale, richiamato una certa attenzione. Cominciano a circolare voci sugli inconsueti comportamenti della strana troupe cinematografica. Alla fine, un paio di rappresentanti della stampa locale arrivano a Rennes-le-Château e si rivolgono a me per un'intervista. Nel corso degli anni questa è diventata una pratica comune, ma questa volta 109
sento che devo essere un po' più circospetto del solito nelle risposte alle loro domande. Mentre sono seduto a discorrere con i giornalisti sul belvédère, all'improvviso compare il produttore. Visto che non parla e non capisce una parola di francese, mi domando come gli sia venuta l'idea di partecipare alla discussione. Forse c'è qualcosa che vorrebbe che io dicessi? C'è, ma non ha niente a che fare con i giornalisti. Sembra ancora più nervoso del solito. Ha un modo di fare che tradisce un'agitazione controllata a stento. «Devo lasciare il villaggio», dice. «Immediatamente. Devo tornare a Londra.» Lui e la sua segretaria non hanno altro da fare sul posto e, dato che avevo espresso il desiderio di tornare in Inghilterra, mi propone di fare i bagagli all'istante. Intende partire subito. Azzardo che sarebbe buona politica finire l'intervista ma lui non mi dà ascolto. «Immediatamente!» ripete. «Faccia subito le valigie. Partiamo tra cinque minuti.» La sua agitazione è reale. Evidentemente dice sul serio. Mi scuso con i giornalisti perplessi, corro a Villa Bethania e getto le mie cose nelle valigie. Non riesco assolutamente a capire che cosa abbia prodotto questa svolta drammatica negli eventi. Ma, senza aver tempo per pensare, mi sembra la cosa migliore agguantare l'opportunità, finché c'è, di fuggire di qui. Quando scendo in strada trovo l'auto del produttore davanti alla porta della Villa con il motore acceso. Il produttore sta davanti al portabagagli già aperto, dove sistemo le mie valigie. Lui chiude il cofano e si avvia al posto di guida. «Aspetti!» lo chiamo, «devo avvertire Henri Buthion che sto andando via... devo salutare la famiglia.» «Non c'è tempo!» grida lui, salendo in auto. Ma questo grado di scortesia verso i miei amici non posso accettarlo. Per fortuna Henri è sceso in giardino per capire cos'è quel trambusto. Gli spiego in tutta fretta e ci abbracciamo mentre sento dietro di me il produttore che inserisce la marcia. Mi getto sul sedile posteriore e, con la portiera non ancora chiusa, sfrecciamo via. Sono senza fiato, confuso e arrabbiato. Che diavolo succede? Mentre il produttore guida a velocità eccessiva lungo i tornanti della strada che scende a Couiza, noto che, accanto a lui, la segretaria appare pallida e preoccupata. Ho il sospetto che non sia solo quella guida spericolata ad angosciarla. Si volta verso di me e io sollevo le sopracciglia in una muta domanda. Lei risponde con una lieve alzata di spalle di perplessità. Ovviamente non è più di me au fait degli sviluppi. L'auto sfreccia per Couiza e poi, con mia sorpresa, prende a destra verso Rennes-les-Bains. «È a sinistra per Carcassonne e l'autostrada per Tolosa», grido. Ma, scopro, mi sta portando all'aeroporto di Perpignan. Mentre puntiamo verso est a velocità folle, cerco di spiegare i problemi che crea questa decisione. Primo, non so se oggi da Perpignan c'è un volo che vada bene. Secondo, ammesso che il volo ci sia, non so se ci sarà posto. Terzo, il mio biglietto di ritorno per Londra è valido solo da Tolosa. Quarto, ammesso che ci sia il volo e che si trovi posto da Perpignan, presumibilmente ci sarà un supplemento da pagare sul mio biglietto. E, quinto, e più drastico, non ho in tasca un solo quattrino. Il produttore non mi ha ancora restituito il denaro di cui qualche giorno prima aveva così urgente bisogno. (Si noti che tutto questo accadeva quando le carte di credito non erano diffuse come oggi.) «Ci pensi lei a sbrogliarsi dalla situazione», mi dice e, chino sul volante, aumenta ancora l'andatura. Per il resto del viaggio a rotta di collo, mi sforzo disperatamente di convincerlo che avrò qualche difficoltà a «sbrogliarmi dalla situazione» se mi trovo semplicemente scaricato all'aeroporto senza biglietto, probabilmente senza un volo e certamente senza un soldo. Dire che sono un po' preoccupato è dir poco. Non soltanto per me, ma anche per la sua segretaria, che deve accompagnarlo in quello che promette di essere un viaggio di ritorno terrificante. Quell'uomo si sta comportando in maniera totalmente incomprensibile e allarmante. L'aeroporto di Perpignan è minuscolo, con un parcheggio di fronte all'edificio del terminal. Il produttore ferma l'auto davanti all'ingresso, salta giù, estrae le mie valigie dal portabagagli e le scarica a terra. Pretendo che mi accompagni nell'edificio per scoprire a quali problemi potrò trovarmi di fronte. La sua assistente si unisce a me nella richiesta e lui, riluttante e agitato, accetta. Corriamo allo sportello delle informazioni, dove in breve scopro che - fortunatamente - volo e posto sono disponibili. Traduco. «Bene», fa lui e si avvia verso l'uscita. 110
«Aspetti!» lo chiamo. «C'è da pagare il supplemento.» «Quanto?» sbuffa, tirando fuori il libretto degli assegni. La ragazza al banco spiega che non può pagare a lei, che deve rivolgersi alla biglietteria dall'altra parte della sala. Traduco. Lui si abbandona a furiose e volgari imprecazioni, che io non traduco. Corre allo sportello e scribacchia sull'assegno, gettandolo sul banco e, senza fermarsi, si precipita a uscire. Gli galoppo dietro. «Per favore!» lo imploro. «Potrebbe lasciarmi almeno qualche franco? Non ho i soldi nemmeno per un caffè. E poi in Inghilterra dovrò comunque arrivare a casa.» Mi ignora e si scaraventa nell'auto, gira la chiavetta e tra una nuvola di gomma bruciata, accelera e va. Ma la sua segretaria ha sentito la mia preghiera. Mentre l'auto sfreccia via dal parcheggio, vedo il suo braccio che si agita dal finestrino e lascia cadere una manciata di banconote nella scia della macchina. La nuvola di denaro sale in cielo svolazzando mentre l'auto scompare. Senza fiato, li guardo andar via; poi, sollevato, comincio la mia assurda caccia ai biglietti. Almeno, adesso posso concedermi il lusso di quella tazza di caffè ottenuta con tanta disperazione. Questa esperienza straordinaria e grottesca, però, non è una farsa. Il modo di fare apparentemente insano del produttore, in realtà, lo è letteralmente. Le emicranie e il comportamento irrazionale sono gli effetti di un insospettato tumore al cervello. Pochi giorni dopo il suo rientro in Inghilterra, il poveretto muore. Per quanto pregassi per uscire da quella situazione, non avrei mai desiderato una via di salvezza così terribile. Comunque, la morte del produttore è seguita dal crollo della sua compagnia e l'abbandono del progetto del film. Dal mio punto di vista, almeno, questa è una traccia di luce che tocca una nube disastrosa. Ma, per quanto irritante ed esasperante sia stato l'intero episodio, esso serve a dimostrare quanto sia facile sovrapporre le più bizzarre interpretazioni sui pochi fatti che sono emersi nel corso di anni di ricerca su una storia già abbastanza bizzarra.
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11 Interpretazioni INEVITABILMENTE Rennes-le-Château non è più il minuscolo borgo sperduto e sonnolento che ho conosciuto nel 1971. È arrivato il turismo, con le sue schiere estive di visitatori che cercano informazioni, indicazioni, cartoline illustrate, mappe, libri, souvenir... più un parcheggio per i torpedoni, cibo, bevande, gelati, servizi igienici e i bidoni dell'immondizia che ormai fiancheggiano innumerevoli le strade del villaggio. Io ho contribuito per la mia parte alle orde di turisti. Nel 1979 l'agenzia turistica di stato francese ha deciso che bisognava richiamare un maggior flusso di visitatori in Languedoc. Essendo io responsabile di aver sottoposto Rennes-le-Château all'attenzione del mondo esterno, mi chiedono di guidare gruppi di cercatori di Saunière per i siti che hanno a che fare con il mistero. Ho continuato a farlo sporadicamente nel corso degli anni e ho avuto così modo di osservare come si è sviluppato il fascino per questa storia. In un castello isolato appollaiato sulla cima a strapiombo di una montagna, ho trovato un gruppo di americani intenti ad ascoltare la loro guida che leggeva dei passi dai miei testi. Sulle pendici alberate di Blanchefort, ho incontrato una comitiva di olandesi che seguivano accuratamente gli allineamenti di The Holy Place. E a Rennes-le-Château, sono stato abbracciato fervidamente da una signora lituana in lacrime che stringeva un'edizione russa (pirata) del Santo Graal. A ogni visita mi sono inerpicato su La Pique, la montagna centrale del Pentacolo. Da lì si può ancora godere, in solitudine, di un panorama impareggiabile, con la consapevolezza di trovarsi nel cuore del mistero. Ma in basso, dove un tempo l'enigmatica vasca se ne stava isolata in un tratto di campagna aperta e deserta, ora il suo schermo di vegetazione è stato strappato via e nelle vicinanze sorge una grande casa. Ai piedi di La Pique ha fatto la sua comparsa una schiera di chalet in legno per le vacanze. Più incresciosi sono gli estremi a cui certa gente si è spinta sotto l'impulso delle fantasie sbocciate nella loro confusa immaginazione. Così, nel 1988, l'attacco con gli esplosivi alla tomba di Poussin di folli «cacciatori di tesori» e la sua conseguente tragica distruzione. Cosa ancora più penosa, nel 1996 fu staccata e trafugata la testa della statua del diavolo di Saunière. Questa deplorevole profanazione della chiesa di Rennes-le-Château fu, sembrerebbe, un perverso e futile tentativo di «disinnescare» influenze maligne. Inevitabilmente, ogni visitatore porta una visuale personale della storia. Molti giungono alla conclusione che la pace e la bellezza del paesaggio sono ricompense sufficienti per il loro viaggio. Ma alcuni sono ancora ossessivamente alla caccia del tesoro e/o alla ricerca di un contatto con l'ombra di Saunière per avere una guida. Entusiasti del paranormale e della New Age (in particolare nella varietà anglosassone) sono attirati come a un mistico vaso del miele e molti hanno acquistato proprietà nell'area. Nei superficiali contatti che ho avuto con questa fervida gente, mi ha lasciato perplesso la loro convinzione che io avrei la stessa loro visione della questione. Avendo interpretato ciò che ho scritto secondo i loro modi stravaganti, sembrano incapaci di accettare l'idea che io non intendo confermare, e tanto meno condividere, i loro interessi per il paranormale. Una di questi cercatori di illuminazione mi ha mandato una copia di un libro che aveva scritto. «Ecco la verità», mi informava nella lettera che l'accompagnava. «Tu la conosci, ma non hai il coraggio di dirla.» La «verità» consisterebbe nel fatto che gli extraterrestri sbarcarono sulla Terra e crearono la razza umana. Temo comunque di non «conoscere» una verità del genere. Un'altra scrittrice mi ha informato che il suo libro mi aveva «messo in una situazione di grande pericolo» in quanto rivelava che io ero tra i pochi che conoscevano «la verità», verità che, anche qui, non avevo avuto il coraggio di scrivere ma alla quale avevo soltanto alluso. Questa «verità» era diversa dalla prima. Secondo l'autrice, io «so» che la Terra è cava e che una sotterranea Razza di Padroni controlla il mondo da sotto i nostri piedi.
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Altri autori «risolvono» l'enigma con cervellotiche contorsioni basate su arbitrari e strazianti anagrammi. Esempio: la Torre di Magdala di Saunière è merlata; definita «a crenel» (?) dà l'anagramma le crâne (il cranio) ed è quindi un riferimento al cranio di san Dagoberto (!). Noto en passant che le lettere della parola danno anche élancer: lanciare... o cestinare. Che è un'utile indicazione sull'uso che dovrei fare di tali insensate indicazioni. Una pubblicazione recente, lanciata con grande clamore, dedica un mezzo migliaio di pagine all'esplorazione della geometria di Rennes-le-Château. La comparsa di questo libro è stata accompagnata dal non insolito alone di paranoia che, stando alla mia esperienza, e sempre indice di insensatezza. Un alone che ha preso la forma di una (peraltro permeabilissima) cortina di sicurezza, messa in piedi evidentemente per aumentare l'aspettativa dell'evento della pubblicazione. Comunque, oltre a impedire agli autori e all'editore di mostrare la normale cortesia professionale in nome della quale è buona norma chiedere il permesso di riprodurre materiale sottoposto a copyright, li ha anche fatti cadere in una serie di pesanti stupidaggini. Avendo saccheggiato The Holy Place facendo man bassa di prosa e di geometria, il libro riproduce, varie volte, uno dei miei diagrammi che, ci spiegano gli autori, «dimostrano» che le mie conclusioni sono sbagliate. Il diagramma, affermano, aveva «il chiaro scopo» di indicare una simmetria che io non avrei notato e che contribuisce a confermare le loro conclusioni. Ma possono star tranquilli: non c'era alcuna volontà di indicare quella simmetria. Questo posso affermarlo con sicurezza, visto che la mano che ha disegnato il diagramma è la mia. Quando, all'inizio del loro libro, la loro argomentazione li spinge ad accusarmi dell'errore, la spiegazione dell'accusa deve aspettare circa quattrocentocinquanta pagine, dove, in nota, confessano di aver «dovuto decidere» che cosa era accettabile! A quale conclusione arriva la loro discutibilissima geometria? All'identificazione di una località sul fianco di Cardou, la montagna di fronte a Blanchefort. Ma David Wood, Erling Haagensen, Patricia Hawkshaw, io stesso e altri, abbiamo indicato innumerevoli località del genere, come spiegherò nella seconda parte. E però un semplice punto su un'altura non garantisce un particolare scalpore. Non si può pretendere che il pubblico dei lettori resti troppo elettrizzato dal fatto. E dunque adesso Cardou si ritrova appioppata una tomba di Gesù Cristo. Perché no? Disponendo di un'immaginazione abbastanza fertile, si può proporre di tutto, di tutto accettare in nome della fede e della volontà. Resto sempre divertito e stupito dall'affermazione, di ogni nuova pubblicazione, che è stata finalmente raggiunta «la soluzione del mistero». Come può la creazione della razza umana da parte dei venusiani spiegare la ricchezza di Saunière? Come può un anagramma interpretare un allineamento di chiese? Come può una tomba di Gesù risolvere il problema di una misura prefissata? Ogni solutore dell'enigma sembra portato a ignorare le conclusioni degli altri. Perché? A ogni nuova pubblicazione, spero di vedere nuovi e autentici passi avanti. Da tutto il mondo mi sono state mandate idee, scoperte, manoscritti. Gli autori che presentano dati verificabili ricevono tutta l'assistenza che sono in grado di dare. Avendo chiarito, nel corso degli anni, la mia posizione, fortunatamente non ricevo più molta corrispondenza dal giro dei più lunatici. Questi sono più portati ad ammantarsi nella loro dubbia coltre di segretezza, nell'evidente timore che qualche mago nascosto possa influenzarli, scalzarli, minacciarli. Quando gli scopritori della tomba di Gesù si accorgono che ho trovato qualcosa di «giusto» con la mia geometria ma che non sono arrivato alle loro stesse conclusioni, affermano: Le possibilità sono tre: le deduzioni sono fallaci; sono un'ipotesi fortuita e sono esatte; a Henry Lincoln è stato detto cosa fare. Chi sarebbero queste misteriose entità che vanno in giro a «dire alla gente cosa fare»? Il governo? Be'... può darsi. La chiesa? Improbabile. Il mio editore? Ehm. Certamente faccio quello che J, la «mia metà», mi dice di fare. (A volte.) Ma lei non solo non sa molto di geometria, non le interessa nemmeno troppo. Mi tocca concludere che gli autori sbagliano citando tre sole possibilità. Ma, da portatori di «fantasie di complotto», troverebbero troppo banale e poco interessante la quarta possibilità: e cioè, la verità... ossia, come dimostrano abbondantemente i miei archivi, le 113
registrazioni, le corrispondenze e i taccuini, che ci sono arrivato da solo. Certo, c'è una quinta possibilità. Le mie idee potrebbe avermele portate Babbo Natale...
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PARTE SECONDA
La scoperta 12 L'itinerario della scoperta PER quasi trent’anni ho inseguito il fantasma di un prete dell'Ottocento che mi ha condotto su un
lungo itinerario nel passato. Altri ora stanno seguendo la stessa strada - alcuni con maggiore determinazione e maggiore intelligenza di altri. In questo libro ho ripercorso i miei passi. Nelle pagine che seguono tenterò, nel modo più semplice possibile, di mostrare al lettore la scena che vedo aprirsi davanti a me. Finora ho raccontato la storia dei molti anni di attività, deviazioni, follie e duro lavoro che mi hanno portato a un punto in cui il Mistero di Rennes-le-Château non è più il piccolo enigma localizzato del Tesoro maledetto, ma una rilettura della storia e delle credenze degli ultimi duemila anni. Con i miei due coautori, ho barcollato sotto l'impatto della reazione mondiale alla pubblicazione, nel 1982, de Il santo Graal. Con il senno di poi, è facile oggi vedere che quello che avrebbe preso il nome di «materiale su Gesù» di quel libro era destinato a sollevare violente proteste, soprattutto tra quelli che non lo avevano letto. Siamo stati accusati di aver mosso attacchi sconsiderati e infondati al cristianesimo, mentre in realtà avevamo semplicemente presentato un'ipotesi. Comunque, non è mia intenzione in questo libro soffermarmi su quell'ipotesi. Quella che segue è un'esplorazione, ma non di ipotesi né di ulteriori avventure lungo la strada di Rennes-le-Château. Si tratta piuttosto dell'esposizione di una serie di fatti e una breve spiegazione su come quei fatti si sono cristallizzati in una situazione di confusione. La mia indagine sul Mistero di Rennes-le-Château mi ha portato alla conclusione che Rennes-leChâteau è esso stesso un mistero. Lo scopo di questa seconda parte del mio libro è affrontare l'inatteso senza preconcetti, senza teorizzazioni e sicuramente senza rivelazioni sensazionalistiche. Che cosa dunque intendo dimostrare? La semplice risposta che, per il momento, indicherà la pista della scoperta è che la disposizione di determinate strutture artificiali nell'area di Rennes-le-Château sono situate in modo da creare disegni geometrici coerenti e precisi. Esse sembrano dimostrare l'esistenza di un «paesaggio strutturato». Ossia, la collocazione di tali costruzioni appare misurata con cura e con perizia e dimostra una conoscenza molto avanzata della matematica, della geometria e delle tecniche di agrimensura. La storia, però, ci insegna che tali conoscenze e tali tecniche non erano disponibili alla società che esisteva al tempo in cui quest'opera fu compiuta, che devono, ovviamente, essere più antiche dell'epoca delle origini note delle strutture. I più evidenti di questi edifici sono chiese antiche, alcune delle quali risalgono ad almeno mille anni fa. Di nuovo ci sentiamo dire che una matematica di simile complessità non era disponibile neppure nel decimo secolo. Inoltre, è notorio che la Chiesa usurpò preesistenti - e molto più antichi - siti sacri. Una popolazione di recente cristianizzazione avrebbe così continuato a frequentare i suoi abituali luoghi di culto, dove i loro riti pagani ora sarebbero stati sostituiti dai sacramenti della Chiesa. Naturalmente non tutti i siti sacri pagani divennero una chiesa, ma è interessante notare che un 115
vescovo del settimo secolo implorava i suoi fedeli di cessare di celebrare riti presso «sacre pietre, rocce, fonti e luoghi dove si incontrano tre strade». La campagna francese è ricchissima di croci lungo la strada. Questi Calvaires sorgono quasi invariabilmente presso «luoghi dove si incontrano tre strade». Anche questi, quindi, probabilmente serbano il ricordo di siti significativi. I pochi monoliti preistorici dell'area sembra siano stati incorporati nella geometria di Rennes-le-Château. Questo indicherebbe che la disposizione originaria è stata creata in tempi megalitici e fu contrassegnata da pietre che oggi, per la maggior parte, sono sostituite da chiese e croci sui cigli delle strade. Cercando di sradicare i culti pagani, la Chiesa ha involontariamente conservato quanto intendeva distruggere. Le reazioni a una simile inattesa scoperta sono prevedibili. A un estremo ci sono gli ostili razionalisti che sostengono che queste scoperte sono «impossibili». Indossati i paraocchi del senso di superiorità accademica, è facile ignorare i fatti. L'altro estremo è rappresentato dai mistici «cercatori di verità» New Age, che si precipitano sui nudi fatti come «prova» di una qualche nascosta, o soprannaturale, o extraterrestre attività. Confesso di provare la stessa perplessità davanti all'una e all'altra reazione. Tali «prove» richiedono un grande salto di fede. La volontà di accettare congetture come fatti e desideri come realtà. Molti sono disposti a bersi senza problemi le storie degli incontri con gli alieni. Perfino Rennes-leChâteau ha il suo disco volante, che sarebbe sepolto in un campo dietro il villaggio. Ma le affermazioni non sono prove. Una convinzione - come le non-convinzioni dei razionalisti - senza una prova non dimostra niente. Accoglierò di tutto cuore prove oggettive sulle attività di superintelligen-ze, extraterrestri, divinità o anche maghi nascosti in agguato sui picchi inaccessibili dell'Himalaya. Non accetterò, viceversa, semplici asserzioni di queste idee, che non provano altro che il desiderio di credere in ciò che si asserisce. Per questa ragione non chiedo al lettore di credere in ciò che segue. Semplicemente vorrei che i fatti fossero controllati e verificati. Certamente le prove che presenterò mostreranno di contrastare con l'interpretazione comunemente accettata del nostro passato. Questo non vuol dire, però, che siano impossibili. Qualcuno potrà trovare sgradevoli i fatti che seguono. La loro avversione non invalida i dati. Non dubito - anzi, lo spero - che si potranno trovare e correggere errori nei dati. Ma il quadro complessivo che emerge è indiscutibile. Rennes-le-Château ha aperto la porta su una nuova visione delle capacità e delle attività dei nostri progenitori. Non vedo alcun motivo per presumere che i creatori di quello che descriverò fossero altro che persone normali e di normale intelligenza. Che le loro capacità siano andate perdute appare evidente. Che possedessero quelle capacità è altrettanto evidente.
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13 Dati di base CON la pubblicazione, nel 1986, di L'eredità messianica, sentivo di essere arrivato alla fine della mia lotta per comprendere il mistero di Rennes-le-Château. Riguardando i film che avevo realizzato negli anni Settanta, trovavo affascinante notare come fosse cambiata la storia sviluppandosi nel corso degli anni via via che si accumulavano le prove. Per tutto il tempo avevo smontato e rimontato i «dati» della vicenda. Cercando di non accettare niente «per fede». Cercando di confermare o smentire i «fatti». Cose che erano state date per buone - che il prete avesse trovato un tesoro; che i templari avessero estratto l'argento dalle miniere locali; che il Priorato di Sion fosse una «società segreta» antica e genuina - diventavano sempre meno solide e concrete. Questi «fatti» erano semplici voci riferite. Dopo quasi un ventennio ero arrivato a rendermi conto della vastità della mia ignoranza. Quasi tutto ciò che era presente nella storia era stato pescato da un pantano di interrogativi. I fatti indiscutibili erano pochissimi. E anche quei pochi fatti erano aperti all'interpretazione e quindi, di nuovo, all'incertezza. Prima di voltare le spalle una volta per tutte alla storia, pensai che fosse interessante, oltre che salutare, sintetizzare le certezze frutto di tutti quegli anni di lavoro. 11 risultato fu illuminante. Fatto 1 : Due «pergamene» furono pubblicate da de Sède. (Provenienza incerta; data incerta; autore incerto.) Antiche o moderne - false o autentiche - valide o fraudolente... quello che è dimostrabile ed evidente per sé è che esistono. Fatto 2: Le «pergamene» nascondono un disegno geometrico che è pentagonale. (Dimostrabile.) 160 Fatto 3: I pastori d'Arcadia di Nicolas Poussin raffigurano un paesaggio nei dintorni di Rennesle-Château. (Dimostrabile.) Fatto 4: I pastori d'Arcadia di Nicolas Poussin nascondono un disegno geometrico che è pentagonale. (Dimostrabile.) Fatto 5: Il paesaggio presso Rennes-le-Château nasconde una configurazione geometrica di montagne che è pentagonale. (Dimostrabile.) Fatto 6: La santa patrona di Rennes-le-Chateau è santa Maria Maddalena, la cui rappresentazione celeste era il pianeta Venere, i cui allineamenti orbitali formano un disegno geometrico che è pentagonale. (Dimostrabile.) Con questo sunto delle prove concrete accumulate, mi resi conto all'improvviso che, per quanto mi sforzassi, non avrei potuto trovare nient'altro nella storia che fosse altrettanto inattaccabile. I fatti suesposti non dipendono da inaffidabili testimonianze di seconda mano. Non dipendono da documenti che potrebbero essere stati falsificati. Non dipendono da ipotesi che, per la loro stessa natura, non sono provate. Non dipendono dalla fede, da credenze, da volontà di credere. Sono fatti verificabili. La storia aveva avuto inizio come il mistero locale di un prete di campagna dell'Ottocento e un possibile tesoro. La ricerca e la formulazione di un'ipotesi esplicativa aveva inaspettatamente allargato gli orizzonti della storia. Ma ora, filtrando i fatti dalla teoria, il campo si era nuovamente ristretto. Il mistero era tornato locale. Ciascuno dei fatti tangibili della mia lista era collegato direttamente a Rennes-le-Château - e alla geometria pentagonale. Gli anni passati alla ricerca del Priorato di Sion e della Connessione Merovingia avevano prodotto due libri. Per quanto ampio fosse stato il lavoro, ero stato sempre consapevole che, inevitabilmente, stavo lasciando da parte una tangibile scoperta. La geometria del Pentacolo delle Montagne restava un elemento fermo, inesplicabile e - per il momento - apparentemente irrilevante. Ma in questo aspetto della storia era stato introdotto un altro elemento che esigeva la mia attenzione. La dimostrazione della geometria delle montagne nell'Ombra dei templari aveva
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richiamato l'attenzione di un esperto cartografo. David Wood cominciò un suo lavoro sulle configurazioni del territorio e fece uno stupefacente passo avanti.
Il secondo pentacolo Nel corso degli anni, avevo ricevuto numerose lettere da spettatori e lettori che sostenevano di aver «risolto il mistero». Le soluzioni andavano dal ridicolo all'incomprensibilmente contorto. Quasi tutte erano ossessivamente fissate su un nascondiglio per un tesoro, o un corpo mummificato di Gesù, o altre fantasie del genere, e dimostravano vari gradi di paranoia. Una lettera (fattami pervenire tramite un legale) parlava di «informazioni vitali» e mi intimava di incontrarmi con il mittente all'ingresso posteriore di una certa biblioteca pubblica, portando con me determinate prove per dimostrare che non ero un impostore. Un'altra era scritta su un foglio che era stato infornato per renderlo fragile, in modo che si disintegrasse appena letto. Il desiderio di comunicare la buona notizia della «soluzione» era offuscato dal timore che io mi appropriassi del merito della scoperta, se non dell'oro e dei gioielli, portandoli via da sotto il naso del «solutore». «Abbiamo riflettuto a lungo se fosse il caso di metterci in contatto con lei», diceva una missiva, «poiché non abbiamo alcuna intenzione di cedere i nostri diritti o copyright... Esigiamo garanzie e sicurezza.» Perché, mi chiedevo, se pensano che io sia così pericolosamente disonesto si sono presi la briga di scrivermi? La comunicazione di David Wood, però, era di un genere completamente diverso. Qui, per la prima volta, c'erano dei rilievi che rientravano perfettamente nella indispensabile categoria del «dimostrabile e verificabile». Cosa ancora più emozionante, la nuova scoperta era geometrica e pentagonale. La sua perizia cartografica gli aveva consentito di spingere l'indagine in una nuova dimensione. Ora era chiaro che la mia scoperta del Pentacolo delle Montagne non era che un primo sprazzo di qualcosa molto più complesso. Ecco la prova che c'era stato un piano geometrico consapevole e di grande abilità, che aveva governato la collocazione di determinate strutture nel paesaggio di Rennes-le-Château. Fui felice di scrivere una prefazione per il suo libro Genisis, che uscì nel 1985, anche se non potei nascondere che non accettavo le sue conclusioni: ossia che la straordinaria ingegnosità del lavoro comportava l'intervento di una intelligenza che era, per certi versi, «sovrumana». Trovavo allarmanti tali conclusioni in quanto si spostavano dal piano della certezza a quello della soggettività, e su questa strada non me la sentivo di seguirlo. La matematica e la geometria presentate dall'autore, comunque, colpivano profondamente e sembravano costituire un'estensione logica della pista in cui mi ero già imbattuto. Ai miei sei fatti dimostrabili e provabili, ora potevo aggiungerne un settimo. David Wood aveva identificato una geometria pentagonale associata con un cerchio di chiese e castelli. Ma il suo lavoro andava al di là delle mie competenze. Di cartografia, geometria o matematica non sapevo più di quanto mi ero portato dietro dai miei giorni scolastici, quasi quarant'anni addietro. Per qualche tempo il nuovo sviluppo rimase in letargo. Ma, per quanto desiderassi voltare le spalle alla vicenda, dai lettori continuavano ad arrivare lettere che chiedevano risposta e che mantenevano Rennes-le-Château entro i margini dei miei pensieri. Qualcuno mi chiedeva un'opinione e un commento sulla scoperta di David Wood. Era inevitabile che tornassi a riportare l'attenzione sul suo lavoro. E immediatamente si presentò un interrogativo semplice e spontaneo. Il suo libro esplorava in maniera dettagliatamente affascinante la costruzione geometrica che aveva individuato a Rennes-le-Château - eppure ignorava il Pentacolo delle Montagne originario che lo aveva condotto alla scoperta. Il suo interesse riguardava esclusivamente lo strano pentagono irregolare che aveva trovato, con le sue valenze numerologiche e sessuali, e che equiparava agli dei dell'antico Egitto. Ma anche se il suo pentagono comprendeva più di uno dei cinque picchi che avevo identificato io, non vi faceva alcun accenno, né ad alcun eventuale significato che la forma 118
«originale» potesse contenere. Potevo solo ipotizzare che la cosa dipendesse dal fatto che non aveva trovato alcun collegamento con il sistema numerico che stava sviluppando. Ma se erano validi sia il Pentacolo delle Montagne sia il Pentacolo delle Chiese - e gli elementi addotti tendevano a far pensare che lo fossero - sarebbe stato veramente incredibile che non esistessero legami tra loro. Decisi di approfondire. E il semplice gesto di sovrapporre i due disegni mostrò immediatamente la loro brillante interrelazione (vedi pag. 164).* A parte il fatto ovvio di avere in comune Rennes-le-Château come apice nordoccidentale e la collocazione dell'apice orientale del pentacolo originario sul lato di quello nuovo, si può anche vedere con quanta eleganza le forme delle due stelle sono reciprocamente allineate. Le linee tratteggiate mostrano come sono situate precisamente le bisettrici degli angoli. Vedere che la scoperta di David Wood non era, come lui sembrava pensare, la «soluzione» del mistero, ma solo una sua parte, mi indusse a svolgere altre indagini per conto mio. Questo, a sua volta, portò alla scoperta che la «strutturazione» geometrica del paesaggio di Rennes-le-Château era incredibilmente più vasta di quanto lui e io avessimo immaginato. Quello che si veniva rivelando era uno sbalorditivo capolavoro di antica agrimensura.
Nel 1994 David Wood pubblicò Geneset, un approfondimento del pentacolo scoperto da me. Ma, con mia grande meraviglia, pur riuscendo a indicare dei difetti nella mia esposizione della portata della sua scoperta, continuava a ignorare completamente i nuovi ritrovamenti. Comunque, il suo cerchio di chiese non è l'unico cerchio di chiese nella zona di Rennes-le-Château. I suoi accurati allineamenti non sono gli unici accurati allineamenti. E impossibile non rammaricarsi del fatto che con la sua indiscussa padronanza della matematica, abbia deciso di voltare le spalle a tutto quanto non riguardasse il suo - sicuramente magnifico - frammento della geometria. Se volesse mettere la sua perizia (che a me manca) a disposizione del più grande mistero, sono convinto che potrebbe estendere ancora di più i confini della nostra conoscenza. Anche se ho il sospetto che avrei ancora difficoltà ad accettare le sue interpretazioni dei dati. * Per una descrizione più dettagliata, vedi The Holy Place.
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Bornholm In The Holy Place riconoscevo di essere incerto sull'estensione del fenomeno geometrico che avevo scoperto. Il paesaggio strutturato che avevo identificato non presentava limiti chiaramente definiti e certamente si estendeva al di là dei margini delle mappe su cui ero stato in grado di trovare le sue tracce. Anche se gli orizzonti del Mistero si erano nuovamente ristretti all'area di Rennes-le-Château, sembrava possibile che non fossero affatto limitati quanto erano apparsi inizialmente. Quello che avevo visto come il «Tempio» costruito in modo da includere il Pentacolo delle Montagne, sembrava privo di «mura esterne». Con allineamenti chiaramente definiti, lunghi anche venti miglia, la caccia a un perimetro sembrava assai impegnativa. Eppure, non ero preparato al vasto nuovo panorama che stava per apparire. All'inizio del 1991 fui contattato da un regista della televisione danese. Erling Haagensen, però, non stava pensando alla realizzazione di un film. Sapeva solo che ero interessato alla geometria del territorio e che ne avevo discusso in un programma televisivo intitolato L'ombra dei templari. A questo punto non sapeva nulla della scoperta di David Wood, né della recente pubblicazione di The Holy Place. Semplicemente, disponeva di alcuni dati di cui desiderava discutere con qualcuno che fosse a conoscenza di questi temi e pensava che io fossi in grado di fornirgli qualche utile commento su ciò che aveva trovato. Erling era nato sull'isola danese di Bornholm, nel Mar Baltico, dove la sua famiglia viveva da molte generazioni. Crescendo, il suo interesse per il passato di Bornholm era aumentato, e in particolare per le antiche chiese disseminate per l'isola. Quelle quindici chiese, quattro delle quali circolari, sono uniche in Scandinavia e risalgono al periodo dei templari. Inoltre, aveva scoperto che le chiese sembravano situate in conformità con un elegante disegno geometrico. Chissà che io non fossi in grado di fare un po' di luce sulle prove straordinarie da lui raccolte. Da una breve conversazione telefonica risultò chiaro che il lavoro di Erling era accurato e meticoloso e che a quanto pareva aveva prodotto risultati a me curiosamente familiari. A suo parere quella geometria risaliva al tempo della costruzione delle chiese, ossia circa al tredicesimo secolo, l'epoca dei templari. Gli dissi che avevo motivo di credere che le figure geometriche di Rennes-leChâteau avessero un'origine assai più antica. Forse risalente al periodo che vide la costruzione di grandi monumenti megalitici quali quelli di Stonehenge. Esistevano tracce del genere a Bornholm? Mi confermò che effettivamente c'erano tracce di costruzioni megalitiche in tutta l'isola e che molte delle chiese erano associate con queste Pietre Erette. Alcune di queste erano addirittura inserite nelle chiese, racchiuse nelle loro mura. Il quadro si faceva già più interessante. Ma quando mi disse che la geometria da lui individuata era pentagonale, capimmo che stavamo scoprendo, ciascuno per proprio conto, un diverso frammento dello stesso mistero. Ed era una semplice - anche se deliziosa coincidenza il fatto che il centro principale di Bornholm si chiami Rønne? Era ovvio - e indispensabile - che Erling e io passassimo del tempo insieme per effettuare un attento studio comparato dei nostri risultati. Come avevamo previsto, i due sistemi geometrici si intrecciavano. Quella che avevamo davanti agli occhi era la prova che una conoscenza avanzata di tecniche di misura, di matematica e di agrimensura era ampiamente diffusa in Europa in un momento indeterminato del passato. Quel momento non poteva essere più recente del tredicesimo secolo, quando erano state costruite le chiese di Bornholm. Ma poiché quelle chiese erano associate con megaliti, la datazione poteva anche essere spostata indietro di due millenni. Come era possibile che non sembrava essere sopravvissuta alcuna documentazione di tali straordinarie capacità e conoscenze? Gli specialisti di antichi sistemi di misura avevano notato che determinate testimonianze, in eccezionali imprese di misurazione, sembravano implicare un imprevisto grado di competenza. Un'opera molto seria sull'argomento aveva perfino posto la domanda: «La Terra fu misurata nell'antichità remota?»* Apparentemente, a Rennes-le-Château e a * A.E. Berriman, Historical Metrology, Dent, 1953.
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Bornholm ci trovavamo per la prima volta di fronte a prove «dimostrabili e provabili» di quelle competenze. Il frutto della mia collaborazione con Erling Haagensen fu una serie di documentari che realizzammo nel 1993 per la TV2 Danmark, intitolati Il segreto. (La serie è stata ampiamente trasmessa in Europa e in Nordamerica. È stata anche diffusa molte volte tramite i canali satellitari europei. Frattanto, nel Regno Unito, ora la BBC ha imboccato la curiosa via di cercare di dimostrare che il fenomeno di Rennes-le-Château non esiste.) Erling ha anche scritto, in danese, una efficace esposizione scientifica di quanto ha scoperto a Bornholm (vedi Bibliografia). Le informazioni cominciavano a diffondersi più ampiamente. Sempre più persone raccoglievano, e arricchivano, i nostri dati. Ormai sono state identificate configurazioni geometriche anche in altre località, in Francia e in Scandinavia. Indubbiamente se ne troveranno anche altrove.
Aprire la porta Per coloro che desiderano unirsi alla ricerca delle tracce nascoste dei nostri antenati, la prima chiave di accesso al disegno sacro è a portata di mano. Non è difficile aprire la porta. Un po' meno facile è andare avanti nelle indagini, ma non tanto da scoraggiare. Esula dagli scopi di questo libro scendere più a fondo nelle complessità della scoperta, già dettagliata in The Holy Place. Intendo esplorare, nel modo più semplice possibile, quegli elementi della geometria del territorio che sono più direttamente accessibili al lettore non specialista e dimostrare la solidità del terreno su cui si basa il lavoro. Quello che segue è un esercizio di osservazione. Cosa più importante, queste osservazioni non contengono alcun desiderio di dimostrare altro che i semplici, nudi - direi quasi aridi - fatti. Non comincio con il desiderio di dimostrare l'esistenza di un «paesaggio strutturato». Né vorrei che il lettore cominciasse con quel desiderio. Dal mio punto di vista è meglio cominciare con la volontà di smentirli. Molti dei dettagli che seguono sono stati identificati sulle mappe accuratamente dettagliate delle aree interessate. Per la Francia, sono prodotte dall'Institut Géogmphique Nationale. Le carte da usare sono quelle in scala 1:25.000, su cui è possibile identificare con immediatezza i singoli edifìci. Una scala del genere è adatta a stabilire se le configurazioni sono o meno presenti. Prima delle scoperte scandinave era difficile stabilire entro quali tolleranze i costruttori lavorassero. Se la misurazione, per esempio, va da una chiesa a un'altra, è sufficiente che i punti estremi si trovino genericamente all'interno della chiesa? Oppure dobbiamo accettare solo la misura che va, poniamo, da altare ad altare? A Bornholm, le quattro chiese principali sono circolari, per cui si può misurare a partire dal centro della circonferenza. Fortunatamente per tutte le chiese di Bornholm sono disponibili coordinate esatte, cosa che permette una esattezza maggiore. Sull'argomento, Erling Haagensen dice: La disposizione geometrica è estremamente precisa. Il sistema è individuato con angoli che hanno uno scarto di meno di 0,2 gradi dalla precisione assoluta.* Spesso non si rilevano imprecisioni misurabili... Con le coordinate - fornite dall'istituto geografico del governo danese chiunque possieda una calcolatrice tascabile e la conoscenza della semplice geometria pitagorica può confermare l'esattezza dei calcoli... Ma a consolazione di quei lettori che trovino questo esercizio improbo o troppo astruso - non c'è bisogno di una laurea in matematica per apprezzare la bellezza della geometria - così come non è necessario conoscere la scienza dell'armonia per godere della musica! (Bornholms Mysterium, p. 10)
* Per capire cosa significa, basta tenere un fiammifero tra le dita a braccio teso. Una porzione minima del lontano orizzonte è coperto da quel bastoncino di 2 mm. Ma si tratta di più di 0.2 gradi. Tutta la geometria di Bornholm è più precisa di così.
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Lavori di base: la chiave Il mio ultimo libro, The Holy Place, assieme a Bornholms Mysterium di Erling Haagensen e a Genisis e Geneset di David Wood, sono attualmente le uniche opere pubblicate che trattino l'identificazione della geometria del territorio. Ciascuno di essi, a suo modo, ha tentato di esporre le prove matematiche delle innegabili configurazioni che erano state individuate. Questo purtroppo ha prodotto una lettura difficile per chi non aveva la necessaria preparazione in materia. Ma, come ha rilevato Erling Haagensen, una comprensione totale delle dimostrazioni scientifiche non è indispensabile per afferrare i fatti fondamentali della scoperta. È mia intenzione, dunque, presentare quei fatti nel modo più semplice possibile. Non mi scuserò per aver introdotto un minimo grado di tolleranza nell'esposizione, dato che esso non influirà sulle conclusioni, ma permetterà al lettore non specialista di afferrare più prontamente la natura straordinaria del fenomeno che è stato scoperto. I lettori più dotati matematicamente vorranno, spero, approfondire e ampliare per conto loro - e con maggiore precisione - lo studio delle prove. Il titolo di questo libro è Il codice segreto della croce. Si tratta di una chiave semplice. È definita da una linea, lunga 188 millimetri. Per una frazione di millimetro questa non è la rappresentazione perfetta della misura chiave, ma va benissimo per l'utilizzo pratico. A occhio nudo non si distinguerebbe una maggiore precisione - e stiamo lavorando su una scala di 1:25.000, a cui 10 metri sul terreno corrispondono a meno di mezzo millimetro sulla mappa. La Foto 14 dell'inserto mostra la scoperta originaria del Pentagono delle Montagne. Il Punto A è fissato sulla Torre di Magdala di Saunière a Rennes-le-Château. Il Punto B è la piccola rovina della torre di guardia che corona il monte di Blanchefort. Il punto D segna le alte rupi sulla cima della montagna di Bézu, segnate sulla carta come Château Templier Ruines. I tre punti suddetti formano il triangolo di castelli che costituirono il primo passo nella scoperta. I punti C ed E sono le quote di altitudine indicate dai cartografi dell’Institut Géographique Nationale sulla Serre de Lauzet e la montagna di La Soulane come punti più alti delle rispettive località. Questi cinque punti rappresentano posizioni montane chiaramente visibili. La Foto 14 mostra anche una linea punteggiata che collega il Punto D (Bézu) con il Punto F. Il Punto F non indica una struttura visibile. È semplicemente l'intersezione della linea A-C con B-E. Il punto è fissato dalla geometria delle montagne, come lo è anche, evidentemente, la distanza D-F. Questa distanza - da un vertice della Stella all'intersezione opposta del disegno pentagonale - è l'origine della misura base usata dagli antichi ideatori del territorio strutturato. Come spiegherò in seguito, sembra possibile che una misura pratica «approssimativa» usata come aide-memoire dai costruttori fosse quella di 2 miglia e 1618 iarde. (Spiegherò anche perché ho definito la distanza in termini di English Statute Mile.) Sulla scala delle carte 1:25.000 che stiamo usando, 2 miglia e 1618 iarde, corrispondono a 187,9274 mm: quindi, la nostra chiave di 188 mm. (Più avanti esporrò i vari metodi che sono stati impiegati per definire la distanza precisa usata.)
Coincidenze? Così definita la distanza chiave, devo ora mostrare, nel modo più semplice possibile, le prove di cui disponiamo che è stata effettivamente usata questa misura. (I dati si possono facilmente verificare sulla carta appropriata: IGN Map. 2347 OT Quillan.) I primi indicatori sono riferiti alle chiese, per le quali i cartografi francesi usano il simbolo convenzionale ð. In questo modo lo spazio occupato dall'edifìcio non è indicato con precisione. (A differenza delle carte danesi, dove sono definite chiaramente la forma e la posizione degli edifìci.) Ciononostante, anche considerando l'imprecisione del simbolo cartografico, pochissime chiese hanno una lunghezza inferiore ai 25 122
metri (1 mm sulla carta). Si vedrà che questo grado di tolleranza non è compromettente. 1. Sulla carta, la distanza dalla chiesa di Rennes-le-Château alla chiesa gemella di Rennes-lesBains, verso est, è di 188 mm. C'è dunque un punto all'interno della struttura di una chiesa che si trova a una distanza di 2 miglia e 1618 iarde, da un punto all'interno dell'altra chiesa. Il fatto che questa distanza sia uguale a D-F, definita dal Pentacolo delle Montagne, potrebbe essere ovviamente una coincidenza. 2. Sulla carta, la distanza dalla chiesa di Rennes-le-Château alla chiesa di Campagne-sur-Aude, verso ovest, è anch'essa di 188 mm. C'è dunque un punto all'interno della struttura di una chiesa che si trova a una distanza di 2 miglia e 1618 iarde, da un punto all'interno dell'altra chiesa. Anche questa ripetizione potrebbe, ovviamente, essere una coincidenza. 3. A nordovest di Rennes-le-Château si trovano le chiese di Antugnac e Ro-quetaillade. La distanza tra i simboli delle due chiese è 188 mm. C'è dunque un punto all'interno della struttura di una chiesa che si trova a una distanza di 2 miglia e 1618 iarde, da un punto all'interno dell'altra chiesa. Questa ripetizione potrebbe, ovviamente, essere ancora un'altra coincidenza. 4. Un miglio a ovest di Antugnac si trova la chiesa di Croux. La carta mostra che è a 188 mm a sudovest della chiesa di Bouriège. C'è dunque un punto all'interno della struttura di una chiesa che si trova a una distanza di 2 miglia e 1618 iarde, da un punto all'interno dell'altra chiesa. Anche se questa quarta ripetizione potrebbe non essere altro che un'ennesima coincidenza, non si può evitare di cominciare a sentirsi un po' sorpresi da questa straordinaria continua ripetizione fortuita della stessa significativa misura. 5. A circa 5 miglia a nordest di Rennes-le-Château sorge la chiesa di Terroles. Si trova, sulla carta, a 188 mm a sudest della chiesa di St Salvayre e a 188 mm a nordest della chiesa di Arques. C'è dunque un punto all'interno della chiesa di Terroles che si trova a una distanza di 2 miglia e 1618 iarde, da un punto all'interno dell'una e dell'altra chiesa. Si può già vedere che, anche accettando generose imprecisioni, questi numerosi edifici mostrano una considerevole coerenza in fatto di collocazione reciproca. Qualcuno mi ha detto che «una carta non rappresenta nessun genere di realtà sul terreno». Mentre questa affermazione mi lascia perplesso, immagino che voglia dire che il fatto che esiste una misura fissa sulla mappa non implica necessariamente che esista una misura fìssa sul terreno reale. Il che sembra semplicemente significare che la carta non è precisa! Ma anche se questa strana affermazione rispecchiasse una profonda verità, resta comunque il fatto notevole che una «rappresentazione inaccurata» produce in ogni caso una sbalorditiva regolarità nella (inaccurata?) collocazione dei suoi simboli. Tutte le chiese che ho elencato sopra sorgono all'interno di un'area molto limitata. Non mi è toccato battere migliaia di miglia quadrate per trovare echi fortuiti di una misura che avrebbe, secondo una mia decisione, una particolare importanza. Nessuna di queste chiese dista più di sei miglia da Rennes-le-Château ed è stato il Pentacolo delle Montagne a definire la misura. In più, la lista non è finita. La chiesa di Esperaza si trova a due miglia a ovest di Rennes-le-Château. Le chiese di Les Sauzils, St Ferriol, Granès e Coustaussa sono tutte esattamente equidistanti dalla chiesa di Esperaza. La distanza che le separa corrisponde alle ormai familiari 2 miglia e 1618 iarde. La chiesa di Esperaza è dunque il centro di una circonferenza che ha un raggio di 2 miglia e 1618 iarde. Le quattro chiese di Les Sauzils, St Ferriol, Granès e Coustaussa si trovano sopra la circonferenza. Aggiungendo un ulteriore tocco alla catena di «coincidenze», David Wood ha definito un cerchio sulla cui circonferenza giacciono le chiese di Rennes-le-Château, St Just e Bugarach, oltre al castello di Serres. Giustamente, definisce il raggio di questo cerchio come misurante 2 miglia e 1630 iarde e 10 pollici. Per il momento c'è una discrepanza di 12 iarde e 10 pollici tra i due raggi 123
che stiamo considerando. Sulla carta, questa differenza corrisponde a 0,449 mm. È a stento visibile e, come ho detto, per il momento sto usando un «aide-memoire pratico approssimativo». Quale che sia la misura usata, delle due, la distanza sarà definita da punti che si trovano entro i confini delle strutture delle chiese. A Bornholm, Erling Haagensen definisce le sue misure, com'è naturale, nel sistema metrico. La sua indicazione equivalente di una distanza significativa è risultata di 4700,4913 metri. La misura corrisponde a 2 miglia e 1620 iarde e circa 18 pollici: una differenza con la misura di David Wood di poco più di 29 piedi e con la mia misura «pratica» di 7 piedi e 6 pollici che, sulla carta, è rappresentata «approssimativamente» da un invisibile 7 centesimi di millimetro. Tre ricercatori, ciascuno seguendo il suo itinerario di scoperta, hanno trovato prove di geometria pentagonale. Coincidenza? Ciascuno di essi ha trovato le prove di una misura di riferimento che, con una variazione di qualche iarda, corrisponde a poco meno di 3 miglia. Coincidenza?
La prima figura Le chiese, però, preservano qualcosa di più di questa eco dell'uso di una misura fissa. La loro collocazione reciproca non è arbitraria. Osservate semplicemente su una carta, sono disseminate, come ci si aspetterebbe, in maniera apparentemente casuale. Se su questo diagramma si applica un compasso facendo centro sulla chiesa di Esperaza e, aprendo il suo raggio fino alla chiesa di Les Sauzils, si traccia un cerchio, le chiese di St Ferriol, Granès e Coustaussa giaceranno, come si è già notato, sulla circonferenza. Un diametro tracciato dalla chiesa di Les Sauzils a Esperaza passerà direttamente per la chiesa di Montazels. (Chiamerò Punto X quello in cui il diametro raggiunge la circonferenza.) Un diametro tracciato dalla chiesa di St Ferriol a Esperaza passerà per un Calvaire che si trova presso un crocicchio stradale nelle vicinanze del villaggio di Antugnac. (Chiamerò Punto Y quello in cui il diametro raggiunge la circonferenza.) Una corda tracciata dalla chiesa di Les Sauzils alla chiesa del villaggio di Fa incontrerà la circonferenza a nord nel Punto Y. Una corda tracciata dal Punto Y, che passi per la chiesa di Montazels, toc-
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cherà la circonferenza a sudest in un punto che nel diagramma è stato contrassegnato con un «?». Esattamente in questo punto della carta c'è l'indicazione di un piccolo edificio non specificato. Si tratta in effetti di un cumulo di pietre diroccate insignificante e antico. Non è uno tra i tanti punti del genere sulla carta. È l’unico edificio della zona (vedi Foto 25). Una linea tracciata da questo punto alla chiesa di Les Sauzils completerà un triangolo equilatero. Una corda tracciata dal Punto X che passi per la chiesa di Antugnac toccherà la circonferenza nel Punto Z. Le corde tracciate dalla chiesa di St Ferriol ai Punti X e Z produrranno un altro triangolo equilatero. Il disegno completato è ben noto e, ancora oggi, conserva la sua rilevanza. Si tratta della figura a sei punte del Sigillo di Salomone, o Stella di Davide (vedi Foto 15).
Fantasia o realtà? C'è un interrogativo che bisogna porre: questo significativo fenomeno geometrico è il risultato di un esercizio consapevole e laboriosamente applicato nel realizzare il paesaggio? Oppure è il frutto della mia fantasia? Il lettore che voglia seguire i passi suindicati su un foglio di carta da lucido posta sul diagramma di pag. 172, coglierà subito la semplicità, l'eleganza e la precisione del disegno. Ma è necessario rendersi conto che questa semplicità, prodotta sulla superficie piatta di un foglio di carta, è il riflesso della disposizione di strutture poste su un terreno che è tutt'altro che piatto. Rennes-leChâteau, per esempio, si trova sulla cima di un'altura a circa 250 metri sopra il livello di Esperaza, che sorge sul fondovalle. Eppure le distanze orizzontali sono state calcolate con precisione. Le conoscenze che sono state necessariamente impiegate sono di una straordinaria sofisticatezza. Non esiste alcuna documentazione dell'esistenza di simili conoscenze al tempo in cui furono create le strutture che definiscono il disegno. A maggior ragione non esistono prove di tali conoscenze in un momento storico ancora precedente se è vero che le chiese replicano l'ubicazione di siti sacri ancora più antichi. Questa mancanza di prove porta a tentativi di «liquidare» tali scoperte come risultato del fatto che io le ho soggettivamente cercate. Si è suggerito, per esempio, che avrei, in sostanza, scelto le strutture che corrispondessero al mio desiderio di realizzare il disegno, ignorando quelle che non combaciavano. Anziché individuare la geometria celata nel paesaggio, Lincoln vi ha sovrapposto disegni astratti. Come quelle dei cacciatori di ley-lines, le sue figure contengono solo uno o due punti di vera importanza archeologica o storica. (Dr Paul Bahn)* Ma il Sigillo di Salomone è individuato non da «uno o due punti», bensì da sei chiese (con altre due chiese che giacciono sulla circonferenza che lo circoscrive), un Calvaire e un'antica rovina. Dieci punti. Perché fingere che non sia così? Inoltre esiste un'innegabile eleganza nei rapporti, per esempio, tra la chiesa di Montazels e le chiese di Les Sauzils ed Esperaza. Le tre chiese sono in allineamento perfetto, e la distanza tra Esperaza e Montazels è esattamente la metà della distanza tra Esperaza e Les Sauzils (il raggio del cerchio). Questa collocazione fa sì che Montazels si trovi nel punto mediano del lato del triangolo equilatero. Questa non è una coincidenza fortuita. Se la chiesa di Esperaza fosse stata situata in qualsiasi altro luogo - anche a distanza di solo poche iarde - questo disegno coerente non potrebbe esistere. Né sarebbe possibile «sovrapporlo» al paesaggio, come afferma Bahn. Bahn ci informa anche che «gli statistici hanno scoperto che complesse strutture geometriche possono facilmente formarsi sulle carte per caso». Questo è innegabile. Ma tali strutture sono fenomeni isolati. Non generano dati coerenti, interconnessi e misurabili che possono poi essere * Times Literary Supplement, 12 aprile 1991.
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riprodotti in altre località. L'analisi statistica necessaria a determinare una probabilità per la disposizione delle chiese rientra nell'area altamente specializzata della teoria statistica geometrica combinatoria. Gli scienziati, statistici e matematici che hanno esaminato le prove, ammettono che le scoperte relative a Rennes-le-Château meritano un serio approfondimento di analisi. Anzi, mentre scrivo, è da poco in corso un progetto che ha l'obiettivo di fornire la conferma della collocazione non casuale delle strutture. Si direbbe che ci troviamo di fronte a una di due proposizioni. La prima è che esiste, a Rennesle-Château, una qualche forza naturale che fa sì che gli esseri umani costruiscano fortuitamente le chiese in rapporti geometrici e a una distanza costante di 2 miglia e 1618 iarde. Oppure i siti furono scelti da persone esperte di geodesia. Di queste probabilità, a me e ai miei contatti scientifici la seconda sembra la più convincente. Il dottor Paul Bahn, però, sembra preferire la prima opzione e mi accusa di «cadere nella geomanzia»: l'«arte» magica della divinazione per mezzo di segni tratti dalla terra. Non riesco a vedere cosa ci sia di magico o di divinatorio nel fatto puro e semplice che, in un'area di appena 7 miglia quadrate, una quindicina di chiese sono poste a distanza di 2 miglia e 1618 iarde una dall'altra. L'idea di competenze antiche e mai prima d'ora immaginate fa così orrore che non si può prendere neppure in considerazione? A quanto pare esiste una malinconica divisione di atteggiamenti quando la Storia e la Scienza si affrontano. La prima adotta con soverchia prontezza un approccio di difesa e di chiusura mentale, come se il passato e il nostro modo di vederlo siano fissati in maniera immutabile. La seconda, invece, lavora in un mondo di cambiamento, e non si lascia intimidire da esso. La dottoressa Vanessa Hill è una scienziata. La sua vita professionale si svolge nel mondo della biochimica e della biologia molecolare - ma ha anche una profonda conoscenza della statistica. Quando si imbatté nel materiale di Rennes-le-Château, sentì la sua attrazione di stimolante e inedita possibilità di vedere il passato. Ha commentato: Sono un po' delusa da quei membri dell'Accademia che hanno dichiarato che le distanze tra le chiese sono casuali, quando è del tutto evidente che mancano delle appropriate qualifiche per affermarlo... non hanno guardato i dati, non hanno applicato le necessarie procedure scientifiche... Il lavoro di ricerca deve essere in ogni suo momento portato avanti in modo assolutamente privo di preconcetti, anche quando le conclusioni non corrispondono ai punti di vista, alle teorie e alle preferenze del ricercatore. Se un membro dell'Accademia non è in grado di farlo, allora il Silenzio sarebbe la scelta più consigliabile perché altri, più qualificati, non si sentano influenzati. Va anche ricordato che anche una rivendicazione di casualità deve essere appoggiata da un'analisi statistica di conferma. In questi campi, le opinioni non fanno testo!
Disegni di stelle Ma non ho ancora finito con la mia «sovrapposizione» di disegni sul Cerchio di Esperaza. Due apici della stella a sei punte sono fissati dalle chiese di Les Sauzils e di St Ferriol. Dunque sono situate in modo da definire un sesto della circonferenza. E Granès e Coustaussa, le altre due chiese che giacciono sulla circonferenza? Queste non fanno parte del disegno esagonale. Sono però collocate in modo tale che anche la distanza tra loro divida il cerchio in parti uguali. La loro distanza entra nel cerchio cinque volte, creando così un
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pentagono. Inoltre, la loro posizione rispetto all'esagono è tale che i due disegni sono interconnessi dal possedere un terzo punto in comune. Il Punto Z, come sopra definito, è comune a entrambi; come lo è la posizione magnificamente precisa della chiesa di Fa. La corda da Granès alla chiesa di Fa tocca la circonferenza nel Punto Z. La corda da Coustaussa alla chiesa di Couiza raggiunge anch'essa la circonferenza al Punto Z. La corda da Coustaussa alla chiesa di Campagne-sur-Aude raggiunge la circonferenza a un punto che chiamerò P. La corda dal Punto P che passa per il Calvaire a nord-ovest di Antugnac, raggiunge la circonferenza in un punto che chiamerò Q. La corda dalla chiesa di Granès al Punto Q passa per un Calvaire a nord-ovest di Montazels. Il Cerchio di Esperaza ha quattro chiese sulla circonferenza e comprende altre nove chiese. Di queste tredici chiese, dieci contribuiscono ai disegni esagonale e pentagonale. Le altre tre sono Croux, Campagne-les-Bains e Rennes-le-Château. Ma siamo appena all'inizio del nostro esame. Di Rennes-le-Château si è già visto che fa parte della struttura pentagonale originaria. Croux ha dimostrato un collegamento con la sua distanza di 2 miglia e 1618 iarde da Bouriège. In questo modo solo una chiesa dell'area interessata non ha ancora mostrato prove di una collocazione programmata. (Lo farà quando saranno esaminate ulteriori stratificazioni della geometria.) Per il momento, comunque, sono coinvolte dodici chiese su un totale di tredici. Non ho né scelto le costruzioni che si adattavano al mio disegno, né ignorato quelle che non si adattavano. Il paesaggio mostra prove evidenti di un metodo e di una pianificazione consapevoli. La geomanzia non c'entra niente. Né la magia. E nemmeno la volontà. Un abile disegno, conoscenze, intenzione e motivazione sono evidenti. Sono felice di scoprire che i miei antenati erano più ingegnosi di quanto pensassi.
Ley-lines? Queste linee sul territorio richiamano inevitabilmente un paragone con le ley-lines. E infatti, Bahn equipara i miei metodi con quelli dei «cacciatori di ley-lines» - il che dimostra semplicemente che ha deciso di non esaminare le prove. Per quanto ne so, delle ley-lines non è mai stata dimostrata 127
l'esistenza in maniera obiettivamente osservabile. In generale vengono individuate con la rabdomanzia; e se quest'arte ha certamente prodotto risultati sufficienti a imporsi a una seria considerazione, non è una tecnica scientificamente osservabile o misurabile. Le ley-lines in generale sono estremamente lunghe. Qualsiasi linea, proiettata da un dato punto-base passerà prima o poi per altri punti «interessanti» o «significativi». Ma sembra non esistere un metodo che, impiegato, escluda la possibilità di coincidenze. Quali dei punti su una data linea sono lì per puro caso e quali sono dimostrabilmente intenzionali? È in questo aspetto dell'indagine che il fenomeno di Rennes-le-Château differisce dai tentativi di definire le ley-lines. Le linee che abbiamo finora preso in esame sono tutte di breve distanza e, per la maggior parte, reciprocamente visibili. Di notte, un falò acceso su Rennes-le-Château sarà chiaramente visibile da, per esempio, Bézu, Esperaza, Fa, St Ferriol e perfino da punti lontani come St Salvayre, sei miglia a nord. Gli allineamenti possono essere considerati, in un certo senso, «pratici», permettendo avvistamenti lungo di essi. Molto più importante dell'intervisibilità, però, è l'impiego evidente di una misura fissa. Costruzioni che non solo sono allineate ma che si conformano a uno stesso sistema di misura hanno minori probabilità di essere in relazione arbitraria o casuale di quelle che sono semplicemente «messe in fila». Che a Rennes-le-Château sia impiegato un sistema di misura è innegabile. La ripetuta riproposizione della distanza di 2 miglia e 1618 iarde, non può nascere da semplice coincidenza. La definizione del sistema in uso, però, solleva altri problemi, ancora più spinosi. Prima di affrontare questi problemi, è necessario dimostrare che i disegni che scaturiscono dal Pentacolo delle Montagne fanno parte di un piano accuratamente e razionalmente ideato.
Le linee prolungate Uno dei primi passi compiuti da David Wood lungo il suo percorso di scoperta, consisté nel notare un'estensione del Pentacolo delle Montagne originale. Nell'Ombra dei templari mostravo che il lato nord della figura pentagonale andava da Rennes-le-Château al castello di Blanchefort. A quel tempo faceva parte di quello che avevo identificato come un «triangolo di castelli». Ma la chiesa di Rennes-le-Château è adiacente al suo castello ed entrambi sorgono sullo stesso allineamento. David Wood vide che questa linea continuava. Prolungata verso est, arrivava direttamente alla chiesa di Arques. Questo fatto, anche se potrebbe ancora una volta rientrare nell'ambito abbastanza mondano della semplice coincidenza, è parecchio più interessante di quanto potrebbe sembrare a prima vista. Un controllo su una qualsiasi carta geografica su cui sia riportato un analogo territorio aperto di villaggi sparsi confermerà in breve che non è facile trovare tre importanti edifici (in questo caso due chiese e un castello) in perfetto allineamento su così breve distanza. Questa circostanza imprevista condusse David Wood al suo cerchio di chiese e alla sua figura pentagonale estesa. Ma, come io non ero riuscito a vedere al di là della mia originaria e sorprendente scoperta, così il suo nuovo successo gli chiuse gli occhi davanti a quello che si apriva al di là di esso. La sua linea da Rennesle-Château a Blanchefort raggiunge in direzione est la chiesa di Arques. Non si accorse che a occidente toccava anche la chiesa di Campagne-sur-Aude (vedi diagramma pag. 128). Avendo identificato la linea Arques/Rennes-le-Château, il lavoro di Wood in seguito praticamente la ignora a favore di altri aspetti della sua geometria. Ma questa linea fornisce indicazioni ancora più chiare e prontamente comprensibili dell'intenzionale mappatura dell'area. Per poter apprezzare appieno l'ingegnosità impiegata, è necessario conoscere le speciali proprietà della stella regolare a cinque punte. La geometria
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pentagonale ha, secondo le parole del professor Cornford, «goduto di immenso prestigio, suscitando una vera e propria reverenza tra i matematici, gli architetti e i costruttori fin dai tempi più antichi». Perché? La sua proprietà più notevole sta nel comprendere quella che ha preso il nome di sezione aurea o proporzione aurea (denominata addirittura, proporzione divina). In The Holy Place davo questa spiegazione: In termini semplici, la sezione aurea è la divisione di un segmento nel modo più economico possibile in modo che la parte minore stia alla maggiore come la maggiore sta all'intero. Così, nel diagramma qui sotto, la linea AC è divisa nel punto B in modo che AB stia a BC come BC sta ad AC. Espressa matematicamente, la proporzione è 1:1,618.
Il pentagono, con la sua stella-pentagramma o pentacolo, e una figura a sezione aurea. Nel diagramma sotto, il rapporto tra i lati (per esempio AB) e le corde (per esempio AC) è 1:1,618. Inoltre, le corde si intersecano tra loro secondo lo stesso rapporto; per esempio, AC è tagliata da EB nel punto F in modo che AF sta a FC come 1 sta a 1,618. Lo stesso rapporto si ripete molte volte all'interno del pentagono. Anzi, può essere replicato all'infinito producendo sempre nuovi pentagrammi all'interno del pentagono creato dalle intersezioni delle corde, come indica la figura tratteggiata. Queste figure diminuiscono anch'esse secondo una progressione governata dalla sezione aurea. Inoltre, esiste un rettangolo che ha una relazione speciale e molto forte con un pentagono regolare (vedi diagramma pag. 129) Il rapporto preciso tra altezza e larghezza di questo rettangolo «pentagonale» fu usato da Poussin per dipingere I pastori d'Arcadia. È questa forma scelta con precisione ciò che ha permesso al 129
professor Cornford di identificare la geometria pentagonale.
Un raffronto tra il diagramma qui sopra e quello di pag. 128 mostra che il rettangolo «pentagonale» può essere identificato nel paesaggio. È definito da Rennes-le-Château, il Punto X, La Soulane e il Punto Y. Il lato orientale del pentagramma esteso di David Wood (che io chiamo P2), va da Bugarach, attraverso La Soulane e il Punto X, fino all'apice del Punto O. La lunghezza X-La Soulane (il lato corto del rettangolo) è uguale a O-X - come anche la distanza tra La Soulane e la chiesa di Bugarach. È chiaro quindi che il lato orientale di P2 è governato dalle dimensioni del Pentacolo delle Montagne originale. La lunghezza esatta del lato corto del rettangolo è ripetuta: una volta a nord e una volta a sud. La configurazione pentagonale delle montagne si può riconoscere chiaramente anche come 130
fattore di riferimento nella collocazione di alcune delle altre strutture. Le chiese di Granès e Antugnac, come anche il castello di Montferrand, si conformano elegantemente alle estensioni del disegno pentagonale e sono una precoce indicazione della possibile esistenza di un disegno sottostante in forma di griglia.
La griglia Se le configurazioni territoriali di Rennes-le-Château fanno parte di una disposizione consapevole, pianificata e intenzionale, ci si può aspettare la presenza di una griglia sottostante di riferimento. Come mostra il diagramma qui sotto, gli allineamenti strutturali cominciano a definire degli angoli retti. Ho già sottolineato che una ricerca su una carta in scala 1:25.000 di una qualsiasi area di carattere analogo a questa mostrerà molto raramente un allineamento di sole tre chiese, o altre costruzioni significative, su una distanza così breve. Se simili allineamenti sono spaziati in maniera uniforme e formano angoli retti, è ancora meno probabile che la circostanza sia stata prodotta dal caso. Qui invece, allineamenti, orientamento angolare e misura fìssa possono essere tutti dimostrati. Il lato orientale del P2 di David Wood va dalla chiesa di Bugarach a La Soulane, la punta esterna del Pentacolo delle Montagne e attraverso i castelli di Montferrand e Serres. Passa anche precisamente per la quota che contrassegna il picco di Cardou, il monte dominante a est di Rennesle-Château e
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culmina al Punto O, che è un trivio.* È un allineamento «forte» e forma un perfetto angolo retto con il lato settentrionale del Pentacolo delle Montagne. Questo lato nord è un allineamento altrettanto «forte», passando per le chiese di Campagne-sur-Aude e Rennes-le-Château, il castello di Blanchefort e la chiesa di Arques. (Prolungando ulteriormente la proiezione verso est, arriva a una croce lungo la strada in un sito chiamato, cosa interessante, «Il Campo Templare».) A sud di questa linea ce n'è un'altra, che passa per le chiese di St Ferriol e Granès, i punti di quota di La Pique (la sesta montagna al centro del Pentacolo) e raggiunge la chiesa di Albières, quasi dieci miglia più a est. Questa linea è perfettamente parallela a quella Rennes-leChâteau/Arques e quindi, naturalmente, è anch'essa ad angolo retto con il lato di P2. Il diagramma qui sopra illustra la incredibile regolarità della disposizione. Non solo le linee sono equidistanti, ma sono anche separate da distanze controllate che dimostrano l'uso di un'unità di misura fissa. Come mostra il diagramma, la diagonale di una casella della griglia corrisponde a tre unità di misura. Una diagonale su due caselle adiacenti orizzontalmente corrisponde a cinque unità. Il lettore che voglia riprodurre il diagramma sulla carta troverà pronta conferma della regolarità dei multipli di unità che ho indicato. Per quelli che si accontentano di una conferma approssimativa, l'unità sulla carta 1:25.000 misura una frazione invisibile meno di sei millimetri e mezzo: sufficiente per una valutazione generale. (Per i pedanti: la misura esatta sulla carta è 6,437376 mm.)
* Comprende anche altri punti di interesse più sottili, dettagliati in The Holy Place.
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14 Nuove scoperte Bornholm SPERO che le prove presentate fin qui bastino a stabilire il punto che il fenomeno che stiamo
affrontando non può essere una questione di caso fortuito. Questa eventualità è resa ancora più remota dalle scoperte indipendenti fatte sull'isola di Bornholm da Erling Haagensen. Qui ogni idea di «scelta» degli edifici è totalmente esclusa. Sull'isola esistono solo quindici chiese e tutte si conformano alla disposizione geometrica. La qualità e la sottigliezza dei disegni di Bornholm indicano l'esistenza di un progetto più sofisticato. Non sembra che qui si tratti di un caso di conservazione inconsapevole di antichi siti sacri. Alcune delle prove indicano che i costruttori delle chiese medievali erano coscienti del piano sottostante. A Bornholm, per la prima volta, si cominciano a intravedere le semplici ma ingegnosissime tecniche che vennero impiegate per assicurare l'estrema precisione che i costruttori evidentemente ritenevano necessaria. Le quattro chiese circolari dell'isola sono state dotate in seguito di tetti conici che coprono una rotonda che corre intorno a una torre centrale cilindrica. La rotonda e la torre sono entrambe tagliate da finestre a feritoia molto strette, che sono allineate con cura. Prima dell'aggiunta del tetto, queste finestre si affacciavano ovviamente sul paesaggio circostante. Nel nostro film Il segreto fummo in grado di dimostrare che un fuoco acceso all'interno della torre della chiesa di Østerlars sarebbe stato visibile solo lungo una linea molto sottile definita dalla posizione delle finestre. Da una
La chiesa di Østerlars prima dell'aggiunta del tetto.
posizione chiave nel disegno geometrico, sul punto più alto dell'isola, il minimo movimento laterale funge da «interruttore» che accende e spegne la luce. Questo sistema dovette assicurare allineamenti angolari estremamente accurati su molte miglia di territorio ondulato. Østerlars, la chiave centrale del disegno, conserva perfino un «calendario» accuratamente strutturato. La parete della torre centrale ha un contrassegno circolare situato con precisione in modo da raccogliere, attraverso due di queste finestrelle impeccabilmente allineate, i primi raggi del sole del solstizio d'estate. 133
La piena complessità del disegno di Bornholm sembra esibire il virtuosismo di un maestro costruttore. La precisione che Erling Haagensen ha trovato è impressionante. È come se fossimo in presenza di un abile insegnante che ci sta spiegando come risolvere un problema complicato. Per illustrare in modo relativamente semplice e diretto il grado di precisione impiegato, fornirò un solo esempio. La costruzione geometrica richiede che la chiesa di Østerlars sia equidistante dalle chiese di Nylars e Rutsker. Le coordinate fornite dall'ufficio cartografico del governo danese per le croci che sormontano i loro tetti conici stabiliscono che la distanza tra 0sterlars e Nylars è di 14.335,585 metri. La distanza tra Østerlars e Rutsker è di 14.335,71 metri. La differenza è di 125mm... su una distanza di oltre nove miglia. Il disegno richiede anche che la chiesa di Nylars si trovi rispetto a Østerlars a una distanza quadrupla di quella dalla chiesa di Vestermarie. Si resta quasi delusi scoprendo che le coordinate Nylars/Vestermarie definiscono una distanza che manca di 128 cm la perfezione. D'altra parte... Vestermarie fu ricostruita nel 1896. Sembrerebbe che i costruttori dell'Ottocento non avessero le stesse preoccupazioni dei loro predecessori del dodicesimo secolo.
Bretagna La scoperta di Bornholm aveva improvvisamente messo in primo piano la possibilità che la geometria di Rennes-le-Château potesse essere identificata anche altrove. Ma come intraprendere una ricerca del genere? Per un solo uomo sarebbe stata un'impresa immensa e avrebbe richiesto un tempo incredibile. Quando però prese a diffondersi la voce di questi paesaggi strutturati, cominciai a ricevere concitate comunicazioni. Molte parlavano di scoperte altamente improbabili. Mi giunsero figure geometriche irregolari e approssimative, tracciate su aree enormi sopra carte stradali e perfino atlanti. Ma, assieme ai risultati fantasiosi, cominciava ad apparire qualcosa di più positivo in Francia. Sarebbe stato chiaramente utile attingere, in un certo senso, al crescente interesse ed entusiasmo. Nel 1994 ebbi l'opportunità di avviare una ricerca a più vasto raggio. France Magazine è un trimestrale pubblicato in Gran Bretagna e destinato specificamente a un pubblico francofono.* Con tutti i lettori che avevano un sicuro interesse per il paese e molti che possedevano una casa in Francia, sembrava probabile che molti di loro disponessero anche di carte all' 1:25.000 delle loro zone preferite. Di conseguenza scrissi un articolo per la rivista, spiegando le scoperte in generale e specificando che io, contrariamente a quanto qualcuno continuava a pensare, non ero alla ricerca di ley-lines né di configurazioni immaginarie, come lo zodiaco di Glastonbury, bensì di distanze misurate con grande precisione tra elementi del paesaggio. Chiesi l'aiuto dei lettori in una caccia sulle loro carte: ma solo della misura di 188 mm tra chiesa e chiesa. Gli esempi cominciarono ad arrivare immediatamente da numerose località di tutta la Francia. Dal sudest, sopra Nizza, fino alla Dordogna e su a nord, prese a emergere la «misura delle chiese». Fu però la Bretagna la regione che produsse il risultato più spettacolare. Patricia Hawkshaw è un'insegnante inglese di matematica che ha una seconda casa in Francia, nell'entroterra di Quimper. Riuscì a identificare, nella sua area, non meno di 162 presenze della misura, tra chiese, Calvaires e cime di colline. Un esame più approfondito della carta ** produsse la straordinaria configurazione della Foto 16. Non solo si tratta ancora una volta della misura del raggio del cerchio di Rennes-le-Château, di 2 miglia e 1618 iarde. Qui si ripresenta anche il collegamento tra esagono e pentagono. Che il disegno si estenda al di fuori dei cerchi è elegantemente indicato dalla posizione di due chiese a nordest e a nordovest, che si trovano nei punti in cui si intersecano le proiezioni dei lati dell'esagono e del pentagono. * France Magazine Ltd, Stow-on-the-Wold, Glos GL54 IBN, Gran Bretagna. ** IGN Blue Series; 0618 ouest-Châteauneuf-du-Faou.
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Norvegia Ho più volte sottolineato che le linee prodotte dalla geometria di Rennes-le-Château interessano brevi distanze e che linee estremamente lunghe sono necessariamente meno «dimostrabili». Comunque, con gli evidenti legami con la Bretagna - e soprattutto con Bomholm - andrebbe come minimo considerata la probabilità di connessioni di lunga distanza. Allineamenti di lunga distanza sono stati identificati da Harald Boehlke in Norvegia. Vale la pena riferirne perché portano a una straordinaria ulteriore serie di «coincidenze» che è impossibile ignorare. Le sue scoperte possono essere riassunte come segue. Fino a un migliaio di anni fa la Norvegia era pagana. La popolazione era dispersa in piccoli insediamenti sparsi per il paese, con qualche centro di scambio soprattutto lungo le coste. Gli storici hanno notato un marcato mutamento con l'arrivo del cristianesimo. I centri commerciali più antichi scomparvero e nuove città di carattere più permanente furono fondate dalla Chiesa. Sembra che questi nuovi insediamenti provochino un certo grado di perplessità tra gli storici norvegesi. ... È difficile spiegare perché [Oslo] fu fondata in quella che fino ad allora era una zona appartata, al di fuori delle antiche vie commerciali consolidate. Erik Schia, Oslo Innerst i Viken, Aschehaug 1991. ... Non sappiamo bene perché intorno al 1100 Stavanger fu scelta per diventare città cattedrale. A.W. Br0gger sostiene che sia stata scelta per una ragione specifica. Norge Vart Land, Gyldendal 1984. Tønsberg è probabilmente più giovane di altre città. I primi insediamenti sembrerebbero risalire alla fine dell'undicesimo secolo. Aschehaugs Norges Historie, 1995. L'eliminazione dei centri di commercio e l'istituzione delle città del decimo e undicesimo secolo devono... essere viste come una precisa politica. Per Sveaas Andersen, Samlingen av Norge og Kristningen av landet 800-1130, Universitetsforlaget 1977. Le poche città medievali della Norvegia fecero la loro comparsa tra il 997 e il 1152 circa. Trondheim (997); Oslo (1000); Bergen (1070); Tønsberg (c. 1090); Stavanger (1125); Hamar (1152). Furono tutte fondate dalla Chiesa e Tønsberg possiede l'unica chiesa circolare di Norvegia. Si è ipotizzato che a Trondheim vi fosse una seconda chiesa rotonda, oggi sparita. L'antico sigillo del monastero raffigura una chiesa del genere. Cosa interessante, le due città associate con chiese circolari sorgono a nord e a sud sulla stessa linea di longitudine. Usando i monasteri medievali come suoi punti base, Harald Boehlke ha trovato le seguenti congiunzioni di coppie collegate di distanze: Da Tønsberg a Stavanger = 170,37 miglia Da Tønsberg a Halsn0y = 170,96 miglia Da Oslo a Stavanger = 190,12 miglia Da Oslo a Bergen - 190,57 miglia Da Hamar a Halsn0y - 197,36 miglia Da Hamar a Bergen = 196,57 miglia
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La linea da Sanday nelle Orkney a Sandøn in Svezia è tagliata dalla sezione aurea pentagonale di 1:1,618 ali 'altezza di Nord e Sud Sandøy. (Diagramma di Harald Boehlke.)
È riuscito a costruire una interessantissima geometria pentagonale derivante dalla disposizione dei monasteri. Certamente, su spazi così vasti le differenze di misura non sono eccessive. Eppure, occorre un'estrema cautela quando si tenta di trarre solide conclusioni. Seguendo una curiosa leggenda associata con una delle sue punte pentagonali, ha esteso il suo pentagramma producendo affascinanti risultati «casuali». Il vertice di nordovest del suo disegno è fissato dalla grotta di Dollstein su un'isola chiamata Sandøy. La leggenda parla di una visita di Ragnvald, conte di Orkney, a questa caverna nel 1127. Come a Rennes-le-Château, era alla ricerca di un «tesoro perduto». La grotta, si dice, prosegue sotto il mare fino a raggiungere la Scozia. Come dice Harald Boehlke: Che un tesoro sia nascosto nella grotta di Dollstein non è impossibile. Ma che la caverna sia collegata alla Scozia sembra il genere di leggenda che è meglio ignorare. Ma... la grotta di Dollstein è sull'isola di Sandøy, mentre a ovest, al di là del mare, vi sono le Faroe Islands - e un'altra Sandø. Tracciamo una linea da Sandøy in Norvegia a Sandø nelle Faroe. Guardando a sud verso le Orkney del conte Ragnvald, scopriamo Sanday. Tracciamo la linea dalle Faroe a Sanday nelle Orkney. Da qui, una linea in direzione est fino al punto sud del pentagramma completa un parallelogramma perfetto. La diagonale dalla grotta di Dollstein su Sandøy a Sanday nelle Orkney «connette» la caverna alla Scozia. La distanza è di 333 miglia. Gli angoli interni del parallelogramma sono di 36 gradi. (Un angolo «pentagonale».) Altre estensioni della sua costruzione geometrica sono centrate su un'isola svedese chiamata Sandøn. La sezione aurea della lunghissima linea dalla svedese Sandøn alla Sanday nelle Orkney, cade su un gruppetto di isole nel fiordo di Oslo, dove si trovano Nord Sandøy e Sud Sandøy. Le coincidenze si accumulano una sull'altra. E non può non incuriosire il fatto che il monastero di Utstein a Stavanger, uno dei punti chiave originari di Harald Boehlke, sia su un piccolo gruppo di isole, la più grande delle quali si chiama Rennes. Un'ennesima felice «coincidenza» da aggiungere a Rønne su Bornholm.
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La misura Ho già avvertito che la definizione del sistema di misura usato dai creatori del territorio controllato di Rennes-le-Château presenterà un problema spinoso. Un accademico di Cambridge si è spinto a suggerirmi, anche se non poteva negare le prove presentate fin qui, di eliminare quanto segue, perché lo trovava molto diffìcile da accettare. Io però ritengo mio dovere osservare, registrare e riferire. Piaccia o meno, la si accetti o meno, l'unità di misura che ho definito sopra in relazione al disegno della griglia è il miglio inglese. 1760 iarde. 5280 piedi. 63.360 pollici. 320 pertiche. La cosa, lo riconosco, sembra una impossibilità ridicola. La misura inglese non era un sistema fisso e razionale al tempo della costruzione delle chiese e tanto meno in tempi ancora più remoti. O almeno così ci hanno insegnato. Suggerire che le cose stiano diversamente sarebbe, come direbbe un esperto in misure, «romanticismo matematico e diffusionismo impazzito». Suggerire - come faccio io - che il sistema dimostra la proposizione di Berriman secondo la quale «la terra fu misurata nella remota antichità» significa attirarsi il disprezzo e la derisione di «coloro che sanno». Eppure, ho incontrato una tale massa di indicazioni incredibilmente precise a sostegno dell'idea che restare in silenzio sarebbe segno di viltà oltre che di incultura. Prima però devo fare una piccola digressione richiamando l'attenzione su una curiosità a proposito dell'istituzione di quello che è noto come l'English Statute Mile. Venne fissato per legge in uno statuto del 1592-1593. Si penserebbe che questo statuto avesse come oggetto la definizione di un sistema di misura. Non è così. Lo statuto è «Un Atto contro le nuove Costruzioni». Presenta dettagliatamente direttive «Per la soluzione dei grandi Malanni e Inconvenienti che quotidianamente crescono e aumentano a causa dell'affollamento delle Case da parte di diverse Famiglie... da cui è seguita e si è sviluppata una grande diffusione di Malattie e carenza di Vettovaglie...» Seguono nove lunghissime sezioni di normative, con una sorprendente presenza estranea, una singola frase interpolata nel penultimo paragrafo: «E che un Miglio sia calcolato e misurato come segue e non altrimenti, cioè a dire, un Miglio contenga Otto Furlong, e ogni Furlong contenga Quaranta Pertiche, e ogni Pertica contenga sedici Piedi e Mezzo». Dopodiché lo statuto torna a occuparsi dei dettagli della normativa edilizia. L'archivista che ho consultato a Westminster fu d'accordo con me che questa interpolazione così poco pertinente era, a dir poco, strana. Fu anche in grado di informarmi che quell'anno il Parlamento rimase chiuso. Chi fu, si chiedeva, il responsabile di quello strano modo di istituire il nostro miglio? E perché? David Wood fu il primo ad accorgersi della presenza della misura del miglio nella geometria di Rennes-le-Château, studiando gli allineamenti che formavano il suo pentagramma esteso. Quando esplorai le ulteriori complessità della geometria, fui in grado di confermare, in innumerevoli occasioni, la presenza indiscutibile del miglio inglese e delle sue riconosciute suddivisioni. Con le precise coordinate in suo possesso per Bornholm, Erling Haagensen potè corroborare i dati disponibili. Solo come esempio, posso citare la distanza tra le chiese di Ibsker e Povlsker che, stando alla geometria, dovrebbe essere di 7 miglia, ossia 11.265,1 metri. L'istituto geografico del governo danese dà la distanza tra le croci sui tetti delle chiese come 11.263,512 metri. Una differenza di 1,896 metri. In The Holy Place ho presentato numerosi esempi della presenza del miglio inglese nelle configurazioni geometriche. Ho anche esposto il ragionamento che ho seguito rispetto all'uso della misura e al suo rapporto con le dimensioni della Terra. In breve, la prima «misura fissa» fu, presumibilmente, il metro e fu definito come la decimilionesima parte della distanza tra il Polo e l'Equatore. (La decisione di adottare il sistema metrico fu presa dall'Assemblea nazionale francese nel 1791.) Nel mio lavoro avevo evidenziato l'apparire di quella che denominavo «la Pertica di Chromlech»: poco meno di mezzo pollice più corta della attuale misura della pertica, di 198 pollici. Un chilometro (che è accettato come una proporzione esatta della superficie terrestre) corrisponde a 137
39.370 pollici. La radice quadrata di 39.370 è 198,41874: poco più di mezzo pollice meno della attuale misura della pertica, che è 198 pollici. Dunque la «Pertica di Chromlech» è anch'essa una proporzione esatta della superficie della Terra. La pertica (pole, rod o perch) è un'unità di misura con cui oggi l'uomo della strada non ha familiarità. Questa curiosa unità di un trecentoventesimo di miglio non è più comunemente in uso. Essendomi imbattuto in essa, cominciai a fare delle prove con la misura e scoprii che diventava sempre più strana e più interessante. È vero, si dice che i numeri si possono usare per dimostrare qualsiasi cosa. Ma non, aggiungo io, con la continuità, la coerenza e, si potrebbe dire, l'eloquenza di ciò che ho trovato io. Altrettanto poco familiare dei 198 pollici della pertica attuale è la misura della sezione aurea pentagonale, che è 1,618. Ma i due numeri interagiscono con il nostro miglio con un effetto curioso. In The Holy Place ho spiegato, un po' scherzosamente, in che modo probabilmente un genio matematico del passato utilizzò le informazioni accumulate per ideare il sistema del miglio. (Con questo non si pensi che voglio sottintendere che qualche ente superumano e superintelligente fece la sua comparsa sul nostro pianeta per istruire la primitiva razza umana. È indiscutibile che alcuni esseri umani nascono con una comprensione dei numeri innata e quasi abnorme. Non esistendo, che io sappia, la minima prova in contrario, preferisco attenermi a questa supposizione piuttosto che all'idea alternativa - e, sospetto, meno probabile - di esseri soprannaturali o extraterrestri.) Devo chiedere al lettore di sopportare l'apparente «follia» di quanto segue. C'è, indiscutibilmente, del metodo in questa «pazzia». Il primo passo del nostro ipotetico genio matematico consiste nel misurare la Terra e prendere un decimillesimo della distanza dal Polo all'Equatore. Questo, in pollici, fa 39.370. La radice quadrata di questo numero è 198,41874. Un numero del genere è incomprensibile a tutti tranne a chi abbia una formazione matematica, e così, per la gente comune, il nostro genio lo arrotonda a 198. Questo è il numero di pollici in una pertica. Ora moltiplica 198 per il numero della sezione aurea, 1,618. Risultato: 320,364. Arrotondando e semplificando di nuovo, elimina la parte decimale e resta con 320: il numero di pertiche in un miglio. Avendo fissato il suo miglio a 320 pertiche di 198 pollici ciascuna, è arrivato a un miglio di 63.360 pollici, numero che, diviso per la sezione aurea di 1,618, si traduce in 39.159,456 pollici. L'arrotondamento più vicino è 39.160: abbastanza prossimo alla misura originaria di 39.370 ricavata dalla superficie della Terra. La differenza è di 210 pollici: sufficiente a ideare una pertica con 12 pollici mancanti per definire l'utile piccola misura di un piede. Presentato in questo modo disinvolto, si può cogliere ugualmente il sistema sottostante. Ma c'è davvero? O sono stato io a incastrare i numeri nel disegno che desideravo formare? Consideriamo quanto segue. Esiste un'unità di misura inglese ormai estinta detta Domesday League. Era l'equivalente di un miglio e mezzo, ossia 2640 iarde. Come si rapporta questa piccola misura comune con le dimensioni della Terra? 26402 (2640 leghe Domesday di 2640 iarde) = 6.969.600 iarde: (diviso 1760) = 3960 miglia. Qualsiasi testo standard di consultazione confermerà che il raggio medio della Terra è poco meno di 3959 miglia. (Il raggio equatoriale è dato generalmente come 3964 miglia e il raggio polare come 3949.) Vogliamo concedere al nostro antenato una discrepanza di un miglio, più o meno, nella sua misurazione della Terra? Oppure il fatto che il raggio della Terra corrisponda al quadrato della lega Domesday va liquidato come un'ennesima coincidenza? Il numero apparentemente insipido di 2640, misura della lega Domesday, si è mostrato in connessione con il sistema di misura inglese in vari modi affascinanti, basati su queste semplici divisioni: La metà di 2640 è 1320. Una volta e mezzo 2640 è 3960. (Ossia: 1320 x 2 = 2640; 1320 x 3 = 3960.) 138
1320 pollici = 6,66 pertiche 1320 iarde x 2 = 2640 (la lega Domesday) 1320 miglia x 3 = 3960 (il raggio equatoriale) 1320 pollici x 4 = 5280 (piedi in un miglio) Questi numeri interagiscono in molti modi. 198 è il numero di POLLICI in una PERTICA. 198 x 2 = 396 II PIEDE - 12 pollici x 11 x 10 = 1320 Il numero di POLLICI in 10 MIGLIA è 633.600 che, moltiplicato per 11 = 6.969.600 - già notato come il numero di IARDE nel raggio terrestre (=26402) E così via. Ma non voglio, in questo libro, inondare i non matematici di pagine scoraggianti di calcoli. Le permutazioni sono molte e ruotano intorno ai semplici numeri 1320 / 2640 / 3960.
Insegnare all'allievo sprovveduto In The Holy Place, tentavo anche di arrivare a una spiegazione su come avesse potuto il mio ipotetico genio, il Maestro di Matematica (chiamiamolo MdM) trasmettere questioni così complesse a una manodopera illetterata. Riuscii a dimostrare che, seguendo istruzioni semplicissime, è possibile far sì che qualcuno che non abbia la minima conoscenza di geometria possa imparare a costruire angoli esatti di 90° e anche i più complessi angoli «pentagonali» di 36° e 72°. Mostrai anche quanto poco complicate fossero le istruzioni necessarie a dividere una lunghezza secondo le proporzioni auree ai 1:1,618. Il mio incontro con la lega Domesday di 2640 iarde presentò nuove opportunità per la trasmissione e la conservazione di informazioni ancora più astruse in maniera semplice e di facile memorizzazione. Fin dal Medioevo siamo abituati all'idea della trasmissione del sapere da maestro a studente nelle corporazioni delle arti. Determinati elementi di questi insegnamenti ordinari erano conservati come «segreti del mestiere», che venivano acquisiti solo dopo lungo e accurato apprendistato ed erano tenuti nascosti ai «non iniziati». I costruttori delle grandi cattedrali, per esempio, serbavano complessi «segreti» matematici e geometrici del loro mestiere. Il seguente scenario immaginario ha un carattere di questo genere e comprende anche un elemento di «informazione segreta» che poteva essere concessa come privilegio solo agli «iniziati». MdM vorrebbe insegnare i numeri essenziali del suo sistema ai suoi «artigiani» che non sanno né scrivere né far di conto. Devono essere insegnati in un modo che sia facile da trasmettere e al tempo stesso diffìcile da modificare inavvertitamente. Come fare? I suoi «studenti» possono anche essere analfabeti, ma non sono stupidi. In ogni caso, il suo metodo dev'essere della massima semplicità - e non c'è niente di difficile nel concetto di «Uno». «Vi terrò lezione presso il Boschetto Sacro», potrebbe dire. «Porta con te una pietra.» A un secondo studente: «Porta con te una pietra in ogni mano». Come loro maestro, si assume il compito più difficile di portare due pietre in una mano e una nell'altra. Le pietre sono deposte sul terreno:
o
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ooo
Gli studenti possono vedere facilmente che insieme hanno portato lo stesso numero di pietre del loro maestro. L'esercizio viene ripetuto, con il risultato: 139
o o
oo oo
ooo ooo
o o o
oo oo oo
ooo ooo ooo
E di nuovo:
Come si vede, MdM ha impartito, in tre semplici passi, l'idea di: 1 2 3
2 4 6
3 6 9
Il piccolo blocco di numeri resta fissato, senza rischi di confusione. Il segreto del mestiere - da trasmettere solo al momento dell'iniziazione - è che il blocco di numeri va alterato attraverso il semplice espediente di spostare la colonna di destra al centro: 1 2 3
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E adesso i numeri che formano il sistema di misura delle miglia e serbano la sua definizione della grandezza del nostro pianeta sono fissi e indimenticabili. Che lo studente capisca o meno la questione, l'informazione è preservata. Non voglio suggerire nemmeno per un momento che una scena del genere si sia mai svolta. Il mio scopo è semplicemente di dimostrare la semplicità soggiacente a ciò che appare una questione relativamente complessa.
1,618 Alcuni dei miei studenti immaginari probabilmente erano più dotati dal punto di vista matematico e forse a essi furono affidati sistemi mnemonici più complessi. L'importanza e la portata della geometria pentagonale sono state ampiamente dimostrate nel corso dell'indagine. Lo studio del pentagono e delle proprietà della sua sezione aurea renderà familiare il numero 1618. È stato per questo motivo che ho scelto le 2 miglia e 1618 iarde, di facile memorizzazione, come mia approssimazione per la misura del raggio del Cerchio delle Chiese, una misura che sapevo «poco inferiore alle tre miglia». Avendo scelto le 2 miglia e 1618 iarde, come aide-memoire, mi resi conto con sorpresa che avevo definito un'approssimazione straordinariamente vicina di quello che si sarebbe trovato sul terreno. La cosa era sorprendente in quanto ero arrivato alla misura del raggio postulando una unità «arrotondata» di 1000 pertiche e moltiplicandola per la sezione aurea arrivando così a 1618 pertiche. (Avevo notato che questa sembrava la lunghezza di una corda che entrasse tre volte nel Cerchio delle Chiese e, da questo, ero stato in grado di calcolare il raggio del cerchio.)* Secondo il metodo più complesso di David Wood occorre prendere il numero di gradi in un cerchio (360), dividerlo per la sezione aurea e prendere i cinque sesti del numero risultante. Questo procedimento * Vedi The Holy Place, pp. 117-118.
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produce 185.410,1956 che, in pollici, corrisponde a 2 miglia e 1630,27 iarde. Erling Haagensen rilevò che il raggio del suo Cerchio era esattamente un terzo della distanza tra la chiesa di Østerlars e quella di Bodilsker. Le coordinate dell'istituto geografico danese danno una distanza di 14.101,474 metri. Diviso 3 dà 2 miglia e 1620,5194 iarde. Si può vedere che il mio numero «ipotizzato» con la sezione aurea di 2 miglia e 1618 iarde è molto vicino ai numeri trovati con metodi più sofisticati. Si tratta quindi di un aide-memoire notevolmente semplice e conveniente. Un'altra sorprendente proprietà del numero 1,618 sta nel suo quadrato. Moltiplicato per se stesso, 1,618 x 1,618 = 1,618 + 1. In altri termini, 1,6182 è uguale a 2,618. Tutti numeri impossibili da dimenticare, per chiunque abbia una «coscienza pentagonale». In questa sezione devo aggiungere un'altra straordinaria coincidenza. La «santità» del paesaggio di Rennes-le-Château deriva dalla sua configurazione di montagne pentagonale (e quindi in rapporto con la sezione aurea), che riflette sulla Terra i movimenti di Venere nel cielo. L'anno terrestre consiste in 365 giorni e un quarto. 365,25 diviso 1,618 = 225,74. Arrotondando secondo il metodo abituale del mio ipotetico MdM, otteniamo 225: il numero dei giorni dell'anno di Venere. (Venere completa un ciclo di fasi - il suo periodo sinodico - in 584 giorni. 584 diviso 1,618 = 360,9, che, arrotondato, riflette l'anno antico egizio di 12 mesi di 30 giorni, ossia 360 giorni più altri cinque «aggiunti». O i 360 gradi del cerchio. Inoltre, Mercurio e Saturno, il pianeta più interno e quello più esterno del Cosmo medievale, mostrano rapporti di sezione aurea nell'orbita e le dimensioni con una precisione del 99 per cento. Tali coincidenze numeriche aggiuntive, però, pur facendo pensare, non devono essere autorizzate a portarci lungo deviazioni ancora più mistiche e soprannaturali!)
Perché? Ci troviamo di fronte a un mistero. II paesaggio strutturato di Rennes-le-Château e la sua associazione con il miglio inglese (così come l'apparente legame del miglio con le dimensioni della Terra) sono facilmente dimostrabili, con una moltitudine di elementi di conferma. La misura e la geometria sono evidenti. Le figure sono ripetibili. I disegni sono significativi. Tutto ciò è stato creato in un remoto passato, un passato sul quale il fenomeno sta gettando nuova luce. Le prove richiedono dunque la seria attenzione degli storici e degli archeologi. Ma i dati di conferma si trovano quasi tutti in un regno che sta al di là della loro competenza e che essi ammettono di trovare difficile da accettare. Su questo argomento, il professor Christopher Cornford ha commentato: «Gli storici non hanno alcuna conoscenza della geometria... e perché dovrebbero? Ma se conoscessero l'eleganza e la coerenza di questi disegni geometrici e continuassero a ritenerli frutto del puro caso, allora sarebbe necessario accettare una coincidenza di tale astronomica rarità che sarebbe, di per sé, un fenomeno stupefacente». Finché gli storici e altri esperti non rivolgeranno la loro attenzione a questi temi, il mistero rimarrà irrisolto. So che alcuni lettori si aspettano una spiegazione da me. C'è un forte desiderio di «prove» dell'esistenza di enti soprannaturali che operano tra noi o di «cospirazioni» globali tese a tenerci all'oscuro di fatti importanti. Non condivido questo desiderio. Né ritengo che ciò che ho scoperto debba la sua creazione a qualcosa di più dell'ingegno dell'Homo sapiens. Non so che cosa ha spinto i nostri antenati a sottoporsi all'immensa fatica necessaria a produrre ciò che ho scoperto. Il fatto che lo fecero è implicito nei disegni e nelle dimensioni. Più che una spiegazione posso azzardare al massimo una vaga ipotesi. Ipotesi di altri avranno altrettanta validità. La mia «ipotesi», dunque, è molto poco spettacolare: penso che ci troviamo di fronte a un elaborato e abile esercizio di mappatura. Molto tempo prima dell'invenzione delle carte geografiche, gli esseri umani avevano comunque la necessità di spostarsi da un luogo a un altro. Di trovare la strada tra montagne e fiumi, tra foreste e brughiere deserte. Al di fuori del territorio familiare della 141
propria sede, un sistema riconoscibile di contrassegni sa rebbe stato una risorsa preziosa. Un tale sistema potrebbe essere stato marcato, forse, da Pietre Erette. Esiste, per esempio, una Pietra Eretta sulla cresta soprastante St Salvayre, sei miglia a nord di Rennes-le-Château. Oggi è un puntino sperduto in un paesaggio vasto e deserto. Questa ipotesi se non altro fornisce una sorta di spiegazione alla sua altrimenti inesplicabile collocazione. Cerchi di Pietre, forse, si trovavano in posizioni chiave all'interno di vaste reti note nei particolari solo a pochi «iniziati». Se quei pochi erano addestrati alla accurata misurazione di brevi distanze (2 miglia e 1618 iarde?), si potè sviluppare una rete di «guide» con una conoscenza fortemente specialistica. L'idea che ho appena esposta fornisce, almeno, una motivazione comprensibile. Però non esistono elementi concreti per confermare la teoria. A parte, ovviamente, gli indizi venuti alla luce nel corso dell'indagine. Devo aggiungere che io stesso non sono completamente convinto dell'ipotesi. Come ho detto: ci troviamo di fronte a un mistero. Infatti, che bisogno c'era, anche per queste ipotetiche guide, di conoscere le dimensioni della Terra? È un aspetto che è facilissimo romanticizzare. Ma quello che ho scoperto, accanto all'opera di Berriman e di altri studiosi, sembra indicare che l'unità di misura inglese conservi un'eco di quel bisogno. «Le attuali unità inglesi hanno le loro radici nella più remota antichità e sono rimaste praticamente immutate», dice il professor H.F. Bowsher.* Se questo è vero, forse non deve sorprenderci l'esserci imbattuti, infine, in prove tangibili di un uso antico di quelle unità. C'è anche la valenza «occulta» del naturale Pentagono delle Montagne. La frase «Come in cielo così in terra» ha riecheggiato nei secoli. Non si può negare che questa manifestazione fisica, qui sulla Terra, della forma stellata nei Cieli, dovette attribuire a questo luogo un carattere di santità per coloro che, tanto tempo fa, si resero conto che era presente. Le montagne stesse custodivano la misura. Forse il sistema si sviluppò in seguito ai tentativi di contrassegnare il sito come quel Luogo Sacro che appariva? Rennes-le-Château ha permesso di intravedere concetti ancora più difficili di quelli che ho presentato. In The Holy Place ho fornito numerosi esempi delle configurazioni geometriche collegate al primo meridiano francese della longitudine. Poiché la storia ci insegna che questo meridiano fu fissato solo nel diciottesimo secolo, la sola ipotesi viene rifiutata con scherno. Ma le prove ci sono. Tali idee apparentemente ancora più inverosimili accrescono la difficoltà ad accettare l'intera tesi. Me ne rendo conto. Ma che cosa si otterrebbe nascondendole? Il professor David H. Kelley dice: «... Mi sembra futile sostenere che chi dice 'non può essere' sia in una posizione più forte di quello che afferma 'è'. La realtà empirica prende il sopravvento sulle obiezioni teoriche, per quanto forti queste ultime possano apparire a priori».** Bisogna sperare che le obiezioni teoriche lascino il posto ai tentativi di dimostrare che i dati forniti in questo libro sono sbagliati. Se sono sbagliati, l'impegno della prova sarà rapido e agevole. Se non sono sbagliati...? A Rennes-le-Château gli antichi agrimensori, misuratori e cartografi ci hanno lasciato la realtà empirica delle loro stupefacenti fatiche. Ci hanno lasciato una documentazione delle loro capacità e conoscenze che, nel corso di tanti lunghi secoli, è andata perduta e dimenticata. Ci parlano attraverso gli anni nella lingua dei numeri e delle misure. Nessuna parola scritta sopravvive, ma il richiamo che ci lanciano è chiaro, sicuro e fiero di sé. È ora che ci mettiamo in ascolto - e che impariamo.
* Technikatörténeti Szemle (IX. 1977). ** In Neara Journal vol. XXVIII, 3 e 4.
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