G.M.porru - Manuale Di Inglese Antico

December 18, 2022 | Author: Anonymous | Category: N/A
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MANUALE DI INGLESE ANTICO INTRODUZIONE Posizione dell’inglese fra le lingue germaniche  

Le lingue germaniche fanno parte della grande famiglia linguistica che chiamiamo indeuropea. Le lingue germaniche occupano in questo ambiente ambi ente una posizione centro-settentrionale, e si differenziano dalle aaltre ltre lingue indeuropee per certe caratteristiche che, ovviamente, troviamo presenti anche in inglese: 1.La cosiddetta “mutazione consonantica” o legge di Grimm; radicale;  2.l’accento di intensità fisso sulla sillaba radicale;  3.la riduzione della morfologia; 4.il particolare trattamento delle vocali.

Queste lingue germaniche si differenziano di fferenziano a lor volta in orientali  (delle  (delle quali ci è noto il solo gotico), settentrionali   (norvegese, svedese, danese e islandese) e occidentali  (tedesco  (tedesco alto e basso, frisone, inglese). L’inglese appartiene dunque al ramo occidentale delle lingue germaniche e in questo stesso ambiente è particolarmente affine – affine – nel  nel periodo antico del quale ci occupiamo – occupiamo – al  al frisone , tanto che si parla spesso di “anglo“anglofrisone” e, nella letteratura scientifica moderna, di “ingevone”, riprendendo una dizione dizi one tacitea. Segue per affinità il basso tedesco, mentre si allontana notevolmente l’alto tedesco, ted esco, il quale, avendo avuto una evoluzione del consonantismo tutta particolare (seconda mutazione consonantica), si distingue nettamente da tutte le altre ling lingue ue germaniche. Le origini della lingua inglese

La storia dell’inglese comincia alla metà del V secolo d.C. Intorno agli anni 446-450 alcuni contingenti delle tribù germaniche degli Angli, Sassoni, Juti, molto verosimilmente verosimi lmente anche dei Frisoni, passarono la Manica inizi iniziando ando una serie di scorrerie e colpi di mano che, crescendo via via di entità, porteranno porte ranno al loro definitivo insediamento nell’isola e alla conseguente germanizzazione di essa. Secondo la tradizione raccolta e tramandata dal Venerabile Beda questi gruppi g ruppi di Germani continentali furono chiamati in aiuto, come truppe mercenarie, da un regulo regul o britanno del sud dell’isola, Vortigern, per difesa contro le continue e sanguinose incursioni di Pitti P itti e Scoti, popolazioni settentrionali, anch’esse di stirpe celtica. popo lo nella sua “Historia (*Beda: erudito anglo vissuto dal 673 al 735, che ha narrato le vicende del suo popolo Ecclesiastica Gentis Anglorum”). Ben presto da alleati e sottomessi questi Germani si trasformarono in padroni e invasori e alla fine del V secolo tutta la parte meridionale della maggiore isola britannica era in loro mano. Gli antichi antichi abitanti dell’isola, tribù celtiche, lasciano il campo. Fuggono dinanzi alla furia selvaggia dell’invasore, si rifugiano nelle zone più impervie (la Cornovaglia, il paese del Galles, la Strathclyde) o addirittura passano il mare e si insediano in quella penisola Armorica, che da loro prenderà il nome di Bretagna. I Celti sembrano annullarsi: sono completamente sottomessi e della loro lingua, che pur aveva sopravvissuto alla lunga non riaffiora linguistico nulla o quasi nullanon nella germanica chenella i nuovi padroni impongono tutta ladominazione popolazioneromana, dell’isola. Il sostrato celtico halingua di fatto importanza nuova lingua dell ’isola: a dell’isola: restano vivi una serie di toponimi, il che è abbastanza comprensibile, e un esiguo esig uo numero di voci d’uso comune, termini familiari, rustici o legati alla morfologia del terreno: per es. binn “mangiatoia”, brocc “tasso”, bannock   “focaccia d’avena”, dunn “oscuro”, dun “collina”, cumb “valloncello”. “valloncello”.   Una volta cessata la lotta per la conquista del territorio, le nuove stirpi germaniche si sistemano non in un unico stato, ma in una serie di piccoli regni. Nella seconda metà del VI secolo si ha nell’isola la cosiddetta eptarchia: il regno del Kent, i tre sassoni del Sussex, Essex, Wessex, e i tre regni angli della Mercia, della Northumbria e dell’Anglia Orientale. Questo spezzettamento politico ha il suo riflesso anche nella lingua. Non si ha una lingua unica, ma un gruppo di dialetti del resto molto affini fra loro: anglo, sassone, kentico. Inizialmente gli Angli dovettero avere una posizione preminente; si parla infatti nei primi testi di englisc per indicare genericamente la lingua di tutto il paese. L’espressione Angli-Saxones o Anglo-Saxones è usata sul continente per indicare i Sassoni emigrati e distinguerli dai Vetuli Saxones rimasti nella madrepatria. Per queste ragioni, la grande portata del mutamento avvenutoqui nella lingua della quale ci stiamo occupando fra l’XI epur il XIIriconoscendo secolo, cioè dopo la conquista normanna, si preferisce chiamare questa stessa lingua [Digitare il testo]

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“inglese”, e non “anglosassone” anche nel periodo che va dalle origini al secolo XII, per evitare ogni idea di soluzione di continuità: antico inglese, dalle origini al secolo XII; medio inglese, dal XII al XVI secolo; nuovo inglese o inglese moderno, dal XVI secolo ad oggi.

Quasi tutta la letteratura inglese antica, anteriore alla conquista normanna, ci è stata tramandata nel dialetto del Wessex, quindi lo studio della grammatica inglese antica si fonda essenzialmente su questo dialetto. Alla All a fine dell’XI secolo, collo spostarsi del centro politico e commerciale da Winchester (Wessex) a Londra (Mercia) è il dialetto della Mercia che diventa la base della lingua comune. Evoluzione della lingua inglese. inglese. Influssi stranieri.

Abbiamo veduto l’importanza quasi nulla del sostrato linguistico celtico per la formazione dell’inglese. Di notevole importanza fu invece l’influsso latino, conseguente conseg uente alla cristianizzazione avvenuta a partire a  partire dalla fine del secolo VI. Molti prestiti latini erano già entrati nella lingua di queste tribù germaniche prima ancora che esse lasciassero la madre patria. Sono termini di cultura che riguardano l’arte muraria (es. street, wall, chalk, chester  ;…) il commercio (inch, pound, cheap, mint…), la tecnica del frutteto ( wine, cherry, plum, peach) e molti altri campi del viver civile. C’è dunque già nell’inglese antico uno strato che potremmo chiamare arcaico di latinismi al quale se ne sovrappone un secondo, legato alla nuova fede ( apostle, disciple, creed, priest, bishop …). …).   Verso la fine dell’VIII secolo, quando l’Inghilterra era divenuta un paese fiorente e pacifico, un centro di cultura nell’Europa medievale, cominciano le scorrerie dei Vichinghi, pirati-guerrieri che vengono dalla Norvegia e dalla Danimarca. Dalle prime incursioni della fine dell’VIII secolo si passa alle ggrandi randi invasioni in forze del secolo IX, e per l’Inghilterra si inizia un lungo periodo di lotte, distruzioni, saccheggi, che pur avendo av endo momenti di grande gloria e di vera e propria ripresa, quali quello corrispondente al regno di Alfredo il Grande e dei suoi immediati successori Edoardo ed Aethelstan, si concluderà all’inizio dell’XI secolo con la totale soggezione dell’Inghilterra ai ai Danesi.  Danesi. Due lunghi secoli di guerra, ma anche di una lenta, capillare infiltrazione di gente scandinava nel mondo inglese. Questo fatto lascia tracce negli usi, nei costumi, nel modo di amministrare le città e, com’è naturale, anche nella lingua. L’influsso L’influsso nordico è considerevole: nomi di luogo, di persona, termini di guerra, termini giuridici, parole dell’uso comune, fatti fonetici e morfologici.  morfologici.  Infine, col 1066; dopo la morte sul campo ad Hastings di Harold, H arold, l’ultimo re inglese caduto combattendo cont contro ro le truppe di Guglielmo di Normandia, detto poi “il Conquistatore”, inizia quel periodo di predominio politico e culturale del francese sull’inglese che avrà come risultato l’arricchirsi della lingua inglese di una quantità eccezionale di termini francesi e quel suo aspetto di lingua, per quel riguarda il vocabolario, semiromanza. L’inglese, in tutte queste sue complicate vicende, è sempre restato fondamentalmente se stesso, caratterizzato se mai da una eccezionale duttilità e capacità ricettiva in ogni momento della sua storia, anche molto dopo la Conquista: nel verso il mondostraniero, l atino-italiano, latino-italiano, nel periodo coloniale verso iill mondo orientale, saputo appropriarsi di Rinascimento molto materiale l inguistico linguistico assimilandolo perfettamente, inquadrandolo nelle sueha  categorie e nei suoi  modelli.  modelli. Ne è risultata risul tata quella lingua agile, vivace, ricchissima di sinonimi, evolutissima nella morfologia, dalle quasi infinite possibilità espressive che è l’inglese l ’inglese nel nostro tempo.  tempo.  

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FONETICA Grafia

Le tribù germaniche che nel V secolo invasero i nvasero la Britannia non conoscevano altro si sistema stema di scrittura che l’alfabeto runico. Ma le rune* sono segni adatti a scrittura epigrafica, non corsiva e, con la cristianizzazione, fu introdotta presso gli Inglesi la scrittura corsiva latina. Tuttavia le rune si continuarono ad usare fino al IX secolo, anzi il loro sistema, che era in origine di 24 segni, si evolse in terra britannica fino ad avere 28 segni. La prima missione cristiana inviata nel 597 in Britannia da Papa Gregorio Grego rio Magno, portò nell’isola numerosi codici scritti (grafia rotondeggiante), ma non possiamo dire che questo tipo di scrittura abbia trovato seguito. Tutti i codici inglesi antichi che noi possediamo sono scritti in una grafia peculiare, angolosa, longilinea, molto elegante, che i paleografi chiamano “insulare” o “irlandese”. “irla ndese”. Essa fu creata traendola dalla semionciale corsiva latina, nelle nel le scuole scrittorie d’Irlanda e di Scozia, già nel VII secolo. Il principale centro di diffusione in Inghilterra fu l’abbazia l’abb azia di Lindisfarne, fondata da Aidan, monaco del convento di Iona (Scozia). Uno dei più famosi e splendidi esempi di scrittura irlandese è proprio un Evageliario Evageli ario di Lindisfarne scritto intorno al 700, di una eleganza e raffinatezza straordinaria. Adattare l’alfabeto latino a rendere i suoni di una lingua germanica non fu certo cosa semplice e si dovette ricorrere a vari compromessi. Ne deriva una grafia incerta e varia talora anche nello stesso testo. *sistema grafico diffuso particolarmente nel Nord, i cui cu i segni venivano chiamati ‘rune’. L’origine delle rune va ricercata negli alfabeti di tipo venetico dell’Italia settentrionale, precisamente della fascia alpina centro centro-orientale, -orientale, diffusisi per via non precisamente nota nella Germania meridionale e da lì verso il nord, e che trovarono nelle prospere condizioni economiche della Danimarca del I-II secolo d.C. i presupposti per una rapida evoluzione ed espansione. Pronuncia 

È chiaro che queste “regole di pronuncia” non hanno pretesa di esattezza. Si vuol solo dare delle norme approssimative di lettura, seguendo quella che è la tradizione scolastica, basata in parte sulla interpretazione delle grafie antiche, in parte sullo sviluppo grafico e fonetico nel medio inglese e nell’inglese moderno. moderno.   a)Vocali i, e, a, o,u (ae,e)

non presentano problemi si pronuncia come l’a di ingl. fat, cat, black.

a

dinanzi a nasale ha un suono intermedio fra la a e la o. Nel IX sec. si usa più di frequente o, che è la norma nel dialetto anglico. Con il X secolo riprende il prevalere di a.

y

si pronuncia come la u francese. Bisogna Bi sogna notare che molto presto nel sassone occidentale y sta per . il suono i. Questo dipende dal fatto che si ha nell’inglese antico una progressiva perdita di arrotondamento della y, la quale dell’inglese alla fine del moderno periodo èdove semplicemente variante grafica della i. Confronta del resto la situazione y nota la i inuna finale. finale.    (oe)

nei rari casi in cui appare si pronuncia come la ö tedesca di ted. schön, können ecc.

I diagrammi ea, eo (io), ie notano talora vocali semplici, talora dei veri e propri dittonghi. Sono dittonghi quando continuano antichi dittonghi ie. ea < au; eo (io) (io) < *eu; ie < ea, eo (io) metafonizzati . Dato che questi dittonghi sono lunghi si usa segnarli come tali nei testi moderni: ēa, ēo, (īo), īe.  Sono diagrammi quando sono effetto di quelle pseudodittongazioni che si hanno dopo consonante palatale o dinanzi a consonante velare o per metafonia da vocale scura. La esatta pronuncia non è facilmente determinabile, tuttavia si possono dare alcune indicazioni: ea dopo palatale (c, g, sc) vale œ in sillaba tonica (cealf  “vitello”, geaf  “dare”); “dare”);   vale a in sillaba fuori accento (toecean “insegnare”); “insegnare”);   dinanzi a consonante velare ( r,l + cons., h) o quando vi sia nella sillaba seguente vocale velare, eo (io)

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vale oe/eə / (eald  “vecchio”). “vecchio”).   dopo palatale vale o (ceorl  “uomo”, bisceop “vescovo”); “vescovo”);   Pag. 3

 

ie b)Consonanti  p, t, b, d, m, n, l,  x c, g

c, g sono velari

/k/, /g/ in posizione iniziale c, g sono velari

/k/ , /g/ in mezzo e in fine di parola c, g sono palatali

/t ʃ / , /j/ in posizione iniziale c, g sono palatali /t ʃ / , /j/ in mezzo di parola c, g sono palatali /t ʃ / , /j/ in fine di parola

dinanzi a consonante velare o vocale velare della sillaba seguente vale e/eə / (eorl  “guerriero”). “guerriero”).   dopo palatale vale e (cierran “volgersi”, giefan  “dare”); “dare”);   dinanzi a consonante velare vale i  (  (hierde “pastore”, ieldu “vecchiaia”). “vecchiaia”).   non presentano problemi in inglese antico le originarie orig inarie gutturali occlusive sorda e sonora, segnate con c e g (  (ʒʒ), possono avere pronuncia velare o palatale a seconda dei suoni vocalici che li seguono o meglio che originariamente li seguivano: sono velari dinanzi a vocali velari ( a, ǻ , o, u) palatali dinanzi a vocali palatali (i, e, œ). -davanti a consonante: glaem “bagliore”, grund  “abisso”, craeft  “abilità”, cneo “ginocchio”; “ginocchio”;   -davanti a vocale scura: corn “grano”, cuman “venire”, gold  “oro”, gast  “spirito”, camp “lotta”; “lotta”;   -davanti a vocale palatale secondaria (cioè derivata da metafonia): cene < *konja-, “ardito”, cyning (*kuningaz). dinanzi a originaria vocale scura o originaria origi naria consonante, e nella geminazione espressiva:  fugol  “uccello”, bacan “cuocere”, agan “possedere”, boc “libro”, dogga “cane”. “cane”.   In questo caso la g, tranne che nella geminazione, prende una pronuncia fricativa, come la g di Magen, sagen del tedesco del nord. Dinanzi a vocale palatale primaria (non dovuta a metafonia), ai dittonghi originari, agli pseudodittonghi da frattura e da consonante palatale: ceap “bestiame”, ceosan “scegliere”, ciese “formaggio”, cild  “bambino”, giefan “dare”, geard  “cortile”. “cortile”.   Dinanzi a una i, j originario (> e, o scomparso), fra vocale palatale e consonante: taec(e)an “insegnare”, sec(e)an “cercare”, regn “pioggia”, rice “regno”, bec “libri”. “libri”.  

g dopo ogni vocale palatale, c solo dopo i: daeg “giorno”, aenig “ogni”, weg “via”, ic “io”, lic  “corpo”, swelc (*swa-lik ) “tale”.  “tale”. 

***

sc

che è il risultato di un antico sk  ha  ha sempre pronuncia palatale / ʃ //:: sceal  “devo, deve”, sculan “dovere”, scip “nave”, englisc “inglese”, bisc(e)op “vescovo”. “vescovo”.   Il valore sk  si  si mantiene in alcune parole di origine o influenza forestiera: scol, scinn “pelle”; in qualche caso speciale come ascian (*askojan) “chiedere”. Altri esempi waxan (wascan ) “ lavare”  lavare”  Pl. dixas (discas) “piatti”, pl. fixas ( fiscas  fiscas) “pesci”.  “pesci”. 

h

in posizione iniziale ha valore di semplice soffio, hund  “cane”, habban “avere”, hlaf  “pane”; “pane”;   in posizione media o finale ha valore di fricativa velare sorda //χχ/ (ted. Bach..) dopo vocale posteriore o consonante: heah “alto”, dohtor  “figlia”, durh “trans”; “trans”;   dopo vocale anteriore ha valore di fricativa palatale sorda / ç /  (ted.  (ted. Ich, nicht )):: riht “giusto”, cniht   “giovane uomo”;  uomo”;  il gruppo hs antico viene spesso trascritto x  e  e prende nella lingua tarda valore di ks: oxa “bove”, siex  “6”, weaxan  “crescere”. “crescere”.   Rappresentano la spirante interdentale e dovrebbero indicare  p la sorda (come in ingl. thin, thorn), d  la  la sonora (come in ingl. that, there). In pratica i due segni sono usati indifferentemente. Si pronunci quindi sordo o sonoro a seconda della posizione; si tratta di due varianti combinatorie dello stesso fonema. I mss. usano nel periodo più antico il diagramma th, poi verso l’inizio dell’VIII secolo appare il segno d  e  e un secolo dopo la runa p, detta (nome acrofono) ‘porn’  “spina”. “spina”.  

 p, d, (d)

 f

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si sonorizza fra elementi sonori: folc, wulf  (“popolo”, “lupo”) /folk,//wulf/  /folk,//wulf/  giefan “dare”, wulfes  “del lupo” /jevan/,/wulves/  /jevan/,/wulves/  Pag. 4

 

w

r

la stessa pronuncia dell’inglese moderno, ma non è mai ma i muto: we “noi” /we/, writan “scrivere” /writan/. Nei mss. più antichi viene indicato con u, uu.  In seguito appare la runa (detta wynn “gioia”), che resta in uso fino al XIII secolo, sostituita poi dal segno di origine francese w . valore alquanto dubbio. Forse in iniziale rotata come la r  italiana.  italiana. In fine di parola o dinanzi a consonante era probabilmente cerebrale, cioè ci oè retroflessa, come nell’inglese attuale.  attuale. 

cg (   ) indica  la  ʒ *** Il nesso affricata palatale /d ʒ(*lagjan) /dʒ / rafforzata, e si pronuncia quindi come la gg  di italiano gregge”; licgan (*legjan) “star disteso”, lecgan  “porre”, brycg (*brugja-) “ponte”, secg (*sagja-)“ faggio,  “guerriero. “guerriero.  

*** I nessi nc, ng (n ʒ ) hanno pronuncia velare o palatale a seconda che seguisse vocale velare o palatale: /ɳk /, /, /ɳg/ drincan “bere”, singan “cantare”, hungor  “fame”; “fame”;   /nt  ʃ //,/ ,/nd  ʒ/ benc (*bankiz) “panca”, lengra  (*langira) “più lungo”, pencan (got. pankjan) “pensare”.  “pensare”.  In quanto alla grafia notiamo che invece di c, per la gutturale velare sorda si usa k . Per la gutturale sonora, sia occlusiva che spirante, si ha nei mss. più antichi un segno particolare ʒ.  La g può rappresentare anche la semivocale germanica j . Nel secolo XII si introdusse nella scrittura, da fonte francese, la forma g (minuscola carolina) che fu usata per indicare l’occlusiva velare sonora /g/ , mentre la palatale palatale affricata /d  ʒ/ viene indicata con gg o dg e la spirante palatale / j / col segno y , sempre secondo l’uso francese. Ma anche il segno ʒ fu mantenuto fino alla fine del periodo medio inglese per indicare la spirante palatale. Accento 

L’inglese antico, come tutte le lingue ling ue germaniche, ha trasformato molto presto l’accento indeuropeo mobile e musicale in un accento di intensità e fisso (sul radicale). Si può quindi dire che l’accento cade sempre sulla prima sillaba della parola, a meno che questa prima sillaba non sia un prefisso; fra le parole con prefisso bisogna però distinguere i nomi dai verbi: i nomi hanno l’accento sul prefisso, mentre i verbi l’hanno sul radicale. Quindi: “nobile”…   a.parole semplici: béran “portare”, dàgas “giorni”, hàandlung “azione”, heafodu “teste”, aepele “nobile”… b.parole con prefisso àndgiet  “intelligenza”, ma ondgiétan “capire”; upgenga “fuggiasco”, ma opgangan “fuggire”; wipersaca “avversario”, ma wipsàcan “opporsi”… “opporsi”…   questa particolare natura dell’accento provoca, non solo in inglese, ma in tutto il germanico, un radicale cambiamento nella morfologia. L’accento di intensità fisso fi sso sul radicale porta ad uno scadimento s cadimento fonetico, ad una vera e propria atrofizzazione delle parti fuori accento: dato che la parte finale della parola ie. È caratterizzata dalla desinenza (che indica le relazioni rel azioni della parola con le altre della stessa frase) ne risulta un notevole iimpoverimento mpoverimento della morfologia. Questa spinta al potenziamento del radicale e questa messa in ombra della parte atona della parola, diviene un vero e proprio carattere delle lingue li ngue germaniche, che ne accompagna l’evoluzione attraverso il tempo.  tempo.  Qualche esempio: in aingl. Un verbo debole come habban “avere” ha una forma di preterito plurale indicativo hœ fdon, congiuntivo hœ fden. Già nel medio inglese ing lese questa forma di plurale è unica per indi indicativo cativo e congiuntivo: hadden > hadde.  L’inglese moderno had  vale  vale per preterito indicativo e congiuntivo, singolare e plurale. Il sostantivo stan “pietra”, tema maschile in –a, ha nell’aingl. Al plurale tre forme distinte: Nom. Acc. stanas, Gen. Stana, Dat. Stanum; il medio inglese ston ha al plurale una sola forma stones per tutti i casi. Quando si pensi che il gotico, testimoniato nel IV secolo, aveva in corrispondenza dell’aingl. dell ’aingl. Hœ fdon tre forme morfologicamente chiarissime: 1a pers. pl. habaidedum, 2a pers. pl. habaidedup, 3a pers. pl habaidedun, si può apprezzare ancor più il fenomeno di sincope e di scadimento della finale avvenuto in inglese.

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Le vocali 

Richiamiamo brevemente il vocalismo indeuropeo: a)una serie di vocali a timbro pieno e a o e palatale, a mediana, o velare, e/o alternanti fra loro nel 1 morfema, a al di fuori di ogni alternanza ; b)un elemento fonetico laringale, di timbro indistinto, che unito a vocale breve dà vocale lunga e che, se solo, può vocalizzarsi, dando ă nelle lingue ie. d’Europa, ĭ  nelle  nelle lingue arie. Può alternare nel morfema con vocale lunga di qualsiasi timbro. Si indica con ə e si denomina schwa mutuando il nome dall’alfabeto dall’alfabeto semitico.  semitico.  c)una serie di sonanti i, u, l, r, m, n Ricordiamo che in tutte le lingue germaniche, i timbri a ed o si confondono: ā ō > ō

ă ŏ > ă 

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È questo il cosiddetto fenomeno dell’alternanza o apofonia vocalica ie. Con questo si vuole vuo le significare che ogni radice monosillabica ie. può presentare la vocale e, la vocale o oppure vocale zero. Si ha cioè un’alternanza del tipo e/o/-; per es. la radice *SED- “star seduti” può mostrarsi sotto le forme *SED*SED- (grado normale), *SOD- (grado forte), *SD- (grado ( grado ridotto). Vocali brevi *ĕ 

germ. com. > e, aingl. > e e > i , in tutto il germanico, dinanzi a nasale + cons.: *bhendh- “legare”. “legare”.   E così si spiega il vocalismo radicale di verbi come swimman “nuotare”, findan “trovare”, rinnan “correre” ecc. e > i  in  in aingl. as. e fris. dinanzi ad m: as.aingl. niman, fris. nime, aat. neman, an. Nema *ă  germ.com. > a, aingl. > œ  la a mantiene il suo timbro se: 1)nella sillaba seguente c’è vocale velare (a, o, u)  daeg “giorno”, Nom.pl. dagas, Dat.pl. dagum Sadol  “sella”, nacod  “nudo”, faran “viaggiare” “viaggiare”   2)segue w  (non  (non seguita da i )  awel  “lesina”, gesawen “visto” (part.pres.)  (part.pres.)  Dinanzi a nasale la a > å, cioè ad un suono intermedio fra la o e la a; infatti nei testi più antichi si ha il prevalere ora di a ora di o: mann/monn, land/lond . Dal IX secolo prevale in tutto il territorio la o e questa grafia si mantiene costante nel dialetto anglo, mentre col X secolo nel sass. Occ. E nel dialetto del Kent riprende il sopravvento il segno a. Notiamo che questo trattamento di a come œ dinanzi a consonante orale e come å dinanzi a consonante nasale è comune all’inglese e al frisone: frisone: aat. vaz “botte”, aingl. Fœt , fris. fet  – aat.  – aat. mann “uomo”, aingl. mann/monn, fris. mon. *ŏ 

in tutto il germanico si confonde con a e ne segue le sorti: lat. quod  aingl.  aingl. hwœt   lat. octo aingl. eahta, anglo œhta  lat. nox, noctis aingl. neaht, anglo nœht   Vocali lunghe *ē 

Bisogna distinguere, nelle lingue germaniche, due casi: 1)ē1 (= ē ie.) 2)ē2 (germanica). I risultati sono: ē1 got. + fris. ē, aingl. + an. + as. + aat.  Ā ------- ē2 got. + aingl. + fris. + as. +an. ē. aat ē > ea > oa > ie   La ē1 germ.com. > ӕ, aingl. > ā, come in tutto il germanico occidentale e nel nordico. Ma questa ā in aingl. ha uno svolgimento parallelo a quello della ă: passa in linea di massima ad ǣ nel sassone occidentale (ad ē negli altri dialetti), si mantiene dinanzi a w , anche davanti a consonante gutturale, labiale o liquida se c’è vocale velare nella sillaba seguente: mǣg “parente” pl. māgas, ma con molte eccezioni), passa ad ō davanti a nasale. Anche la ā di prestiti latini antichi > ǣ. lat. sē-men, aingl. sǣ-d , -- aat. sā-t , aingl. sāwan – lat.  – lat. fē-ci , aingl. dǣ-d  – got.  – got. mēna, aingl.mōna  La ē2 (germanica) > aingl. ē  [Digitare il testo]

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È di origine oscura, e assai rara. Appare nel preterito dei verbi forti a raddoppiamento, in termini isolati, in prestiti dal latino. Esempi: got. slēpan aingl. slǣpan/slēp –  got.  got. lētan aingl. lǣtan/lēt –  lat.  lat. crēdo aingl. crēda –  lat.volg. Grēci  aingl.  aingl. Crēcas  *ā ō  germ.com. > ō, aingl. ō --- lat. frater  aingl  aingl brōpor – lat.  – lat. māter  aingl.  aingl. mōdor --- lat. flōs aingl. blōstma  Lo “schwa”   *ə  germ. com. > ă, aingl > ă *pəter  “padre”, lat. pater, ai. Pitàr , aingl. fӕder.  I verbi forti della VI classe, che raccoglie radici in vocalismo ridotto: standan/stōd (*stə- /*stā  /*stā-) “stare” --  faran/fōr  “viaggiare”. “viaggiare”.   Le sonanti *ĭ  

germ. com. > i  aingl.  aingl. > i lat. piscis  piscis aingl. fisc  fisc  ĭ  >  > e in tutto il germanico per metafonia (fatto molto antico) se nella sillaba seguente c’era originariamente una vocale più aperta: a, o, œ; lat.nidus  aingl.nest -- lat.vir   aingl.verr  ĭ  aingl.  aingl. > e quando segue una z germanica comune (germ.occ. r ) omosillabica, non seguita da i: aingl. meord got. mizdo -- aingl. me  got. mis -- aingl. pe  aat. Dir *ī   germ.com. > ī, aingl. > ī: lat. suīnus  aingl. swīn  *ŭ  germ.com. > ŭ , aingl > ŭ  *sunus aingl. sunu ŭ > ŏ in tutto il germanico occidentale, per metafonia da vocale più aperta: œ, a, o, purché la u non sia gold   got. gulpnasale -- aingl. god   got.egup dohtor  –  aingl. immediatamente seguita da nas. +uconsonante. aingl.  got.dauhtar  got. Inoltre solo in inglese  il passaggio > o non si verifica quando segue semplice talvolta anche in vicinanza di suono labiale. -- aingl.wulf   got.wulf -- aingl. fugol  fugol aat.vogel -- aingl. full  full got. fulls  fulls -- aingl.wunian aat.wonen -10 -- aingl.cumen, numen  aat. gicoman, ginoman *10Una u si ha in aingl. anche da lat. volg. o (cl. ō,ŭ + nasale): pund < pondo-, pondo-, munt < montem, montem, munuc munuc < monach monachus, us, nunne < nonna, must < mŭstum, cultur < cŭlter, scutel < scŭtula; ma non sempre: coper < cŭprum, box < bŭxus.  *ū 

germ. com. > ū, aingl. > ū

lat. mūs “topo”, aingl. mūs

--

aingl. tūn “recinto”, airl. Dūn 

*r *l *n *m

germ. com. > ur, ul, un, um Questi u, vocali d’appoggio delle antiche sonanti, si confondono con l’antica u e hanno gli stessi sviluppi: lat. mors, aingl. mordor  -- --- got. paurnus, aingl. porn  porn Dittonghi Si ha un dittongo quando due vocali si fondono in un unico elemento sillabico, costituendo un’unica emissione di voce nel corso della quale si ha cambiamento di articolazione e quindi di timbro. Da un punto di vista di fonetica ie. il dittongo risulta dall’unione dall ’unione di vocale + sonante, ma praticamente hanno interesse i dittonghi in – i i  ee quelli in – u u.. i dittonghi tipo er, el, en, em  si comportano come vocale + consonante.

*ai   germ.com. > ai, aingl. > ā: lat.hӕdus  aingl.gāt   -- lat.v ӕ  aingl.w ā  -- lat.ӕs  aingl. ār   *oi   si confonde confonde con ai  già   già nel germ.com.: alat.oinom  aingl.ān  -- got.wait   aingl.wat   *ei   germ.com. > ī  , aingl. > ī :  gr.στείχω   aingl.st   ī gan gan “salire” -- lat.con-fido aingl.b ī dan dan “aspettare” (*bheid-)  *au germ.com. > au, aingl. > ēa: lat.auris, aingl.ēare  -- lat.augere, aingl.ēacian  *ou si confonde con au già nel germ.com.: lat. r ūber, r ū fus (*roudhos), got. raups, aingl.r ēad   got. piuda, aingl. pēod -- gr. λευκός *eu germ.com. > eu, aingl. > ēo  λευκός “bianco”, aingl. lēoht  

Già nel germanico commune *eu > iu per metafonia da j, i  della  della sillaba seguente. Questo iu > īo in aingl., ma si ēo.    conserva bene solo nel dialetto della Northumbria e del Kent, mentre nel Wessex tende a “partire, passare ad Per cui si ha: līode/lēode  “gente”, as.liudi -- stīoran/stēoran  “pilotare” -- līoran/lēoran passare”. passare”.  [Digitare il testo]

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I dittonghi dell’aingl. ēa, ēo (īo), īe sono tutti ad apertura crescente, cioè il i l secondo elemento è sempre più aperto del primo. Sono in genere ad accentuazione ac centuazione discendente (accento sul 1° elementi), cioè dittonghi “propri”: éa, éo, íe, ma possono facilmente passare ad una accentuazione ascendente (cioè dittonghi “impropri”): ēá, ēó, īé, oppure avere accentuazione fluttuante. Non sono comunque sopravvissuti allo stadio antico della lingua inglese.

MUTAMENTI VOCALICI CAUSATI DA SUONI VICINI

La frattura 

Il vocalismo inglese è complicato da una serie di fatti che provocano il mutamento di timbro o la dittongazione delle vocali. Primo fra tutti in ordina di tempo è il fenomeno della  frattura: una dittongazione, peraltro instabile, delle vocali palatali brevi æ (< a) e i, ed in qualche caso anche delle corrispondenti lunghe, dinanzi a certe consonanti di con s., h. articolazione velare: r + cons., l + cons., I risultati sono æ > ea (ǣ > ēa)  ēa)   e > eo (ē  (ē > ēo)  ēo) 

[Digitare il testo]

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i > io (ī > īo )  Questi nuovi dittonghi sono molto instabili. Sono piuttosto dei diagrammi e il secondo elemento ( -a, -o) è. Più che vera vocale, suono di transizione ( glide) o meglio un’anticipazione della pronuncia velare della consonante seguente; prevale la pronuncia del primo elemento. Esempi: r + consonante æ  aingl. earm, got. arms “braccio” – aingl. – aingl. wearp, got. warp “gettò” – aingl. – aingl. scearp, aat. scarf  “aguzzò” “aguzzò”   e  aingl. heorte, as. Herto “cuore” – aingl. – aingl. steorra, as. sterra “stella” – aingl. – aingl. eorpe, as. ertha “terra” “terra”   i   il nuovo dittongo io resta inalterato solo nell’anglo della Northumbria N orthumbria e nel dialetto del Kent. Nell’anglo della Mercia > eo, nel dialetto del Wessex dapprima > ie poi > i, y   north. hiorde, merc. heorde, ws. hierde, as. hirdi  “pastore” “pastore”   north. Iorre, merc. eorre, ws. Ierre, irre/yrre, as. irri  “irato” “irato”   l + consonante

Il fenomeno varia da dialetto a dialetto. œ il passaggio ad ea si ha solo nel dialetto del Kent e nel Wessex, non nell’anglo:  nell’anglo:  ws. kt.  feallan, anglo  fallan “cadere” ws. kt. eald , anglo alt   “vecchio” ws. kt. healp, anglo halp “aiutò” “aiutò”   e  eo solo nel caso – lh-, lh-, -lkaingl. colh, aingl. seolh aingl. aseolcan “rallentare, rilassare” (raro) e nel caso – llf-, f-, eccettuando il dialetto dialetto del Wessex: aingl. seolf, ws. self  “stesso” “stesso”   i   frattura solo nel caso – lh-, lh-, -lk-; esempi rari e dubbi: ws. miolc/meolc, anglo milc “latte”; ma siccome la forma base è miluc (as. miluk ), ), la dittongazione potrebbe anche essere causata da metafonia da vocale velare. dinanzi ad h  eahta, ahtagot. meaht, œ aingl. nēah aat.nāh, “otto”, “notte”;   , aat.  “vicino”; “vicino”;    aat. maht “potenza”, aingl. neaht , aat. naht “notte”; ǣ  aingl. nēhv aingl. e  aingl. feoh, as. fehu “pecunia”, aingl. feohtan, aat. fehtan “combattere”, aingl. reoht , as. Reht  “giusto, diritto”;  diritto”;  i esempi rari e instabili: aingl. Miox (miohs), aat. mist (mihst) “concime”, aingl. Wioht/With “Isola di Wight”, aingl. Piohtas/Peohtas/Pihtas “Pitti”; “Pitti”;    ī   aingl. tīon (da tīhan), aat. zīhan “accusare”, aingl. pīon (da pīhan), aat. gi-dīan “prosperare”. “prosperare”.   Forme rare. Più comuni le forme in ēo: tēon, pēon.  Questi dittonghi, dinanzi ad h, sono molto instabili, si monottongano presto in anglico e più tardi anche nei dialetti del Wessex e del Kent. Si veda più avanti in *livellamento* . Pseudodittongazione dovuta a consonante palatale  

Posteriore alla frattura, ma anteriore alla metafonia è una apparente dittongazione delle vocali palatali primarie ( cioè non risultanti da metafonia) œ , e dopo i suoni palatali c,g; e non solo delle palatali primarie œ, e, ma anche delle vocali velari a, o, u  (a/ o davanti a nasale, a conservata da vocale velare della sill. seguente) e in seguito delle palatali secondarie generate per metafonia da i ) , dopo i suoni j  germanico (œ, e sk  germanico.  germanico. I risultati sono: a > ea e > ie (> i/y) u > io (eo, iu) o germanico > eo Ma si tratta in realtà di digrammi e non di veri dittonghi, cioè di un segno grafico composto di due elementi, ma che indica una vocale semplice; o per meglio dire il primo elemento del digramma è un “suono di passaggio” un “glide”, “gli de”, palatale, che funge da segno diacritico per indicare la particolare pronuncia (palatale) della consonante che precede. Questo fenomeno è particolarmente diffuso nel Wessex. Esempi:  /jæf/, aat. gab “dette”; aingl. sceal  /  / ʃ æl/, æl/, got. skal  “deve”; aingl. ceaster   /t /t ʃ   ʃ æster/, æster/, ma anche cœster, da œ aingl. geaf  /jæf/, . lat. castrum ǣ aingl. gēar /jā /jār/, aat. j ār  “anno” “anno”   e  aingl. giefan /jevan/, aat. geban “dare”; aingl. scield < *skeldu- aat. scilt, an. Skjoldr “giovane”;   u  aingl. giong (geong, gung, iung) aat. jung “giovane”; “vescovo”;   o  aingl. bisceop/biscop “vescovo”; “scarpa”;   ō  aingl. scēoh, scōh aat. scuoh “scarpa”; å  aingl. sc(e)amu, sc(e)omu “vergogna”, ingl. shame; a  (con vocale scura in sill. seguente) aingl. sc(e)alu aat. scala “guscio”, aingl.  aingl. sc(e)apa aat. scado “nemico”, “danno”.  “danno”. 

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Metafonia 

Con metafonia si intende il cambiamento di timbro di una vocale accentata per iinflusso nflusso di una vocale o semivocale semiv ocale della sillaba seguente. Si assiste cioè a un fenomeno di assimilazione regressiva. A seconda del suono vocalico che causa questo mutamento, si parla di metafona da i (j), metafonia da u (w), metafonia da o/a.  Le ultime due, in genere riunite ri unite data l’identità dei resultati, vanno sotto il nome di metafonia velare, mentre la prima è detta metafonia palatale.  Gli effetti dei due tipi di metafonia sono assai diversi, quella da i  (j ) consiste in una assimilazione di tutto il suono tonico alla i , j , che segue, cioè in una palatalizzazione, mentre quella velare provoca una pseudo-dittongazione con risonanza velare, con effetti identici a quelli della frattura. (La metafonia velare da a/o, di cui si parla, non va confusa con quei fatti metafonetici molto antichi, di tipo nettamente assimilat assimilativo, ivo, visti nel “le sonanti”, pag.7).  pag.7).  La metafonia da i  è  è la più antica: si deve essere compiuta fra il VI e il VII secolo, appare già infatti nei testi più antichi. La metafonia da vocale velare è più tarda, tocca infatti spesso vocali che già sono a lor volta esito di metafonia da i. Metafonia palatale (da i, j) 

Colpisce buona parte delle vocali semplici e dei dittonghi dell’ dell ’a.inglese: a (œ, å) > e  wakjan “svegliare”, aingl. settan, got. satjan “porre”, aingl. here, got. harjis “esercito”, aingl. weccan, got. – wakjan aingl. mann pl. men (*manniz) “uomo”;  “uomo”;  In qualche caso si ha œ e non e come risultato metafonetico di un antico  a. Per esempio in prestiti evidentemente fatti quando ormai la tendenza inglese a > œ era già esaurita: aingl. lœden >latinum, aingl. mœgester < magister , aingl. cœfester < capistrum oppure in parole che avevano già gi à nella flessione ondeggiamenti fra a/œ. Per esempio: faran “viaggiare” “viaggiare”   1a sg. fare (*faru), 2a sg. fœrest (*faris), 3a sg. fœrep (*farip), pl. farap ā (*ai) > ǣ  hāl “salute” hǣlan (*hāljan) “guarire”; ān “uomo” ǣnig (*ān + ig) “unico”; lār  “dottrina” lǣran (*lārjan) “insegnare”;  e>i

metafonia molto antica, germanica comune aingl. etan “mangiare” 2a e 3a sg. Itest, itep (etis, etip), aingl. helpan “aiutare” 2a e 3a sg. hilpst, hilpp, aingl. regn “pioggia” rīnan (*regnjan) “piovere”;  “piovere”;  o>œ>e dohtor  “figlia” dat.sg. dehter (*dohtri ), ), anglo dœhter, oxa “bue” Nom. Acc. pl. exen (*ohsin), ofst  “fretta” efstan “affrettarsi”, ele/œle, lat. oleum, lat. volg. olium; ō > œ > e  dōm “giudizio” dēman, got. Dōmjan “giudicare”, bōc “libro” pl. bēc, anglo bœc (*bōkiz), fōt  “piede” pl. fēt (*fotiz); u>y  full “pieno” fyllan, got. fulljan “riempire”, wynn “gioia” as. wunnia, purst “sete” pyrstan “aver sete”, v.deb.I cl.,  cl.,  ynce  < lat. *mùnita (< monēta); ū > y  <   lat. uncia, mynster < lat.volg. monisterium, mynet  <

cūp “noto” cypan “render noto”, plyme lat. prūnea  prūnea ;

ea** > ie (in seguito > i/y)

Sviluppo particolare del dialetto del Wessex. Negli altri dialetti si ha œ/e. la forma con y  diviene  diviene la più frequente nel X, XI secolo. eald  “vecchio”, comp. ws. Ieldra (*ealdira) anglo œldra, kent. eldra, ws. Ierming “miserabile” da earm “misero”, ws. giest  “ospite”, got. gasts tema *gasti-, ws. scieppan “fare, creare” > scippan, scyppan, got. skapjan; ēa > īe ( > ī/y)  solo nel Wessex, fuori del Wessex ēa > ē  hēah “alto”, got. hauhs comp. hīehra sup. Hīehst, gelēafu  “fede”, ws. Gelīefan “credere”, altri dial. Gelēfan, got. galaubjan ws. Hīeran “sentire”, altri dial. Hēran, got. hausjan [Digitare il testo]

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io (eo) > ie > i /y

la metafonia si ha solo nel Wessex. Gli altri dialetti conservano il dittongo io  georn “volentieri” ws. Giernan “desiderare”, altri dial. Giornan  feorr  “lontano” ws. afierran > afirran “allontanarsi” “allontanarsi”,, ws. ierre, irre/yrre”irato”, altri altri dial. iorre (*irzja-)   īo (ēo) > īe > ī/y   la stessa situazione dialettale del caso precedente: cēosan 3° sg. cīesp, lēoht  “luce” līehtan  “illuminare”, trēow  “fedeltà” getrīewe “fedele”, “fedele”,   più tardi: cīsd, cysp līhtan, lyhtan getrīwe, getrywe  ** derivato da frattura o da vicinanza di consonanti palatali. Metafonia da vocale vocale velare: u (w), o/a  

Colpisce solo le vocali brevi di tipo palatale, con effetti identici a quelli della frattura: a (œ) > ea e > eo i (y) > io a > ea

questa metafonia è la meno frequente nei vari dialetti a.inglesi a.inglesi.. l’unico dialetto che la attua pienamente è quello della Mercia. Altrove la a resta, anzi la presenza della vocale velare nella sillaba seguente contribuisce a mantenere immutato il timbro della a stessa. Esempi: merc. fearu  “vado”, altri dial. faru; merc. fearap “vanno”, altri dial. farap; merc. eappul  “mela”, altri dail. appul ; merc. featu “botti”, altri dial. fatu (Nom. Pl. di fœt ) e > eo

anche in questo caso il verificarsi del fenomeno varia a seconda dei dial dialetti etti e dell’ambiente fonetico nel quale la vocale e viene a trovarsi. Il dialetto del Wessex  è  è quello nel quale il passaggio si verifica più raramente. La metafonia appare in tutti i dialetti quando la e si trova dinanzi a l, r  o  o a labiale, tuttavia con qualche eccezione per iEsempi: documenti più “cervo” antichi in dialetto del Wessex. heorot  (*herut  ), ), heofon  “cielo” (*hebun), eofor  “cinghiale” aat. ebur,  heoru “spada” got. hairus, meolo “farina” aat. Melo i > io 

Si può ripetere l’asserzione fatta per il caso precedente. Da notare il frequentissimo scambio io/eo nel dialetto del Wessex. Esempi: siolufr  “argento” got. silubr , seofon/siofon “sette” as. sibun, hiora/heora “di loro” ws. hira, hiera, hyra.  NOTA – Per NOTA –  Per quel che riguarda la metafonia da vocale velare bisogna ripetere che non la si può mettere sullo stesso piano della metafonia palatale, in quanto non si tratta di semplice assimilazione. La cosiddetta metafonia velare va certo collegata con la frattura e vista come influsso di elemento velare (consonantico o vocalico) sul suono vocalico palatale che precede.

Livellamento  

Parlando dei dittonghi antichi e degli pseudodittonghi causati dalla frattura di vocali palatali dinanzi ad h, abbiamo già accennato alla loro instabilità. Questo fatto prende un particolare rilievo nel caso di dittonghi antichi o secondari dinanzi a consonanti gutturali. Potremmo chiamare chi amare queto fenomeno “livellamento” o “appianamento” traducendo l’espressione usata da Henry Sweet “smoothing”, tradotta in tedesco con “Ebnug” per primo da Karl Bulbring. Nei dialetti anglici dinanzi ai suoni gutturali c, g, h invece dei dittonghi ēa, ēo, ī o (germ. com. au, eu, iu) si hanno vocali semplici; dinanzi ad h, invece degli pseudodittonghi dovuti a frattura ea, eo, io (ws. ie); ēa, ēo, ī o (ws. ī e) si hanno pure vocali semplici: e per eo i  per  per io ē per ēa, ēo ī per īo œ per ea Esempi: anglo ēge ws. ēage “occhio”, anglo hēh ws. hēah “alto”, anglo fl ēge ēge ws. flēoge “mosca”, “mosca”,   anglo līhtan ws līehtan (ws. īe < īo + met.pal.) “illuminare”, anglo gesœh ws. Geseah (pret. di sēon “vedere”), anglo feh ws. feoh “bestiame, ricchezza”, anglo gesihp ws. gesiehp “volto” (ws. ie < io < i + hp ) Che non si tratti di mancata frattura, ma di monottongazione di vecchi dittonghi lo mostrano casi con caduta molto antica di h, che mantengono ancora il dittongo. Per esempio: anglo nēolēcan (ws. nēalǣcan ) “avvicinarsi”, anglo nēowest  (ws.  (ws. nēawest ) “vicinanza” rispetto ad anglo nēh (ws. nēah) “vicino”; hēanis “altezza, altura” rispetto a hēh (ws. hēah) “alto”.  “alto”. 

La tendenza alla monottongazione dinanzi a gutturale e dinanzi ai gruppi ht , hs (  x  x ) si fa sentire in seguito anche nei dialetti del Wessex e del Kent. Nel tardo sassone occidentale si ha e/ē per ea/ēa dinanza a c, g, h (ma per ea solo dinanzi ad h): seh per seah (pret. di sēon “vedere”), nēh per nēah “vicino” , ēge per ēage “occhio”, ēca per ēaca “aumento” “aumento”   [Digitare il testo]

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ma restano vive anche le forme dittongate. Nel sassone occidentael già prima del periodo alfrediano e anche nel dialetto del Kent si ha i  per  per eo, io dinanzi ai gruppi ht, hs ( x   x ) purché non segua vocale velare: cniht  (  (cneoht ), ), ma al pl. cneohtas “giovane uomo”; riht  (  (reoht ) “giusto”; Piht (Pioht ), ), ma al pl.  Piohtas/Peohtas “Pitti”. “Pitti”.   Nel tardo sassone occidentale si ha ē /e da ēa/ea anche dinanzi ai gruppi ht, hs (  x  x ); ); e questo anche se segue vocale velare: mehte per meahte (pret. di magan “potere”); ehta per eahta “otto”; hlehtor  per  per hleahtor  “risata”; fex  per  per feax   “capelli” ecc. VOCALI INGLESE ANTICO  Specchietto di riepilogo Vocali semplici

ĕ  ē  œ  ǣ  ă  ā  ŏ  ō  ŭ  ū  œ  œ   Ĭ    ī  

< < < < < < < < < < < < < < <

*ĕ (   pag.  ), ĭ  +  + met. da voc. + aperta (   pag.  ), œ , ă , ŏ + met. j (   pag.  ), eo + gutt. (   pag.  ) 2  pag.  ), ō + met. j, ēa, ēo + gutt. (   pag.  ) *ē (  *ă , *ŏ , *ə (   pag. e  ), ă + met. j (  pag.  ), ea + gutt. (  pag.  ) 1 *ē  (   pag.  ), ā + met, j (  pag.  ) ă + voc. Velare (  pag.  ) *ai, *oi (   pag.  ) ă  + nas. (  pag.  )  pag.  *ŭ + met. da voc. + aperta (  pag.  ), lat. ŭ (  ) *ā , ō (   pag.  ), ă + nas. + spir. (   pag.  )  pag.  *ŭ (  ), lat. volg. o (  pag.  )  pag.  ), ŭ + nas. + spir. (   pag.  ) *ū (  ŏ + met. ĭ  (raro)  (raro) (   pag.  ) ō + met. j raro (  pag.  ) *ĭ (  pag.   ), ĕ + nas. + cons. (  pag.   ), ĕ + met. J (  pag.  ), ie (  pag. e  ), io + gutt. (  pag.  ) * ī   (  (   pag.  ), ei (   pag.  ), ī e (   pag.  ), ĭ  +  + nas. + spir. (   pag.  ), ī om+ om+ gutt. (   pag.  )

y y

< <

* *ŭ ū +  + met. met. j, j, grafia grafia per per ii (  (  pag.  pag.   ))

å

Digrammi ea

<

eo io ie iu

< < < <

œ + fratt. (  pag.  ), œ + met.vel. (  pag.   ), œ dopo dopo palat palatale ale (   pag.

 )  e + fratt. (  pag.  ), e + met.vel. met.vel. (   pag.  ), o/u dopo palatale (   pag.  )  pag.  ), i + met. vel. (   pag.  ), u dopo  pag.  ) i + fratt. (  dopo palata palatale le (  e dopo palatale (   pag.  ), ea eo/io + met. j (   pag.  ) u dopo palatale (  pag.  )

Dittonghi

ēa

fratt. (  pag.  ) < *au, *ou (  pag.  ), ǣ + fratt. < *eu (  pag.  ), ē + fratt. (  pag.  ) < *eu + met. J (  pag.   ), ī + fratt. (  pag.  ) (    ) < ēa ēo/īo + met. j  pag.

ēo  ī o  īe 

Le consonanti La prima mutazione consonantica del germanico

Il sistema consonantico del germanico comune si distingue da quello delle altre lingue indeuropee per una serie di spostamenti nel modo di articolazione delle dell e antiche consonanti occlusive e semi occlusive (aspi (aspirate). rate). Tutto questo insieme di fenomeni si indica con il nome di “mutazione (o rotazione) consonantica” del germanico, germanico , oppure, dal nome del suo primo codificatore, “legge di Grimm”.  Grimm”.  a.  Le occlusive sorde ie. P T K K w  > spiranti sorde F P H H w  b.  Le occlusive sonore ie. B D G Gw > occlusive sorde P T K Kw  > spiranti sonore b d g gw   c.  Le occlusive sonore aspirate ie. BH DH GH GwH Esempi:  p > f lat. pecu-  aingl. feoh  got. faihu t>p lat. tres, tris aingl. pr  ī e  got. prija k > h  lat. cor, cordis aingl. heorte  got. hairto w

w

k  > h b>p d>t

sequor lat. dubùs lat.   lat. duco 

[Digitare il testo]

s on sch (w)an) aingl. aingl. d ēēop(  aingl. t ēon (t ēohan)

saihvan got. got. diups got. tiuhan

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g>k gw  > k w bh > b dh > d gh > g gw h > gw

lat. genu  aingl. cnēo (w) w  lat. venio (*g emio)  aingl. cuman (*cwuman) lat. bhr ātar   aingl. br ō por   lat. f ēci (*dhē-) aingl. d ǣd  “fatto” “fatto”   lat. hostis aingl. giest   w  gr. Ομϕη’  “voce” (*soηg h- ) aingl. singan 

got. kniu got. qiman got. br ō par got. gasts got. Siggwan

Non si tratta di passaggi indipendenti l’uno dall’altro o scaglionati nel tempo, ma di un “mutare” complessivo di tutto il sistema, di una “evoluzione di correlazioni”.  correlazioni”.  Torniamo ai passaggi a) b) c) visti all’inizio di questo paragrafo. Il primo passaggio a) non ha luogo se l’occlusiva sorda è preceduta dalla sibilante: lat. spuo  aingl. sp ī wan wan got. speiwan; lat. stella aingl . steorra got. stairno; gr.σκιά “ombra” aingl. sc ī nan nan  got. skeinan “apparire, sembrare”. Inoltre l’occlusiva dentale sorda (t ) non passa a spirante se è preceduta da altra occlusiva, cioè  pt > ft, kt > ht: lat. nox , noctis  aingl. neaht, lat. octo  aingl. eahta got. ahtau, lat. captivus  aingl. hœ ft   got. – hafts. hafts. Ogni gruppo germanico comune pt, kt  che  che si venga a formare anche per ragioni morfologiche diventa  ft, ht: da āgan “avere” 2a sg. āht, da magan “potere” pret. sg. meahte, da giefan (*geban) “dare” astratto verbale . gift (*geb- ti -) “dono”  “dono”  Un caso particolare particolare costituisce l’incontro di dentale + t, che in germanico comune e quindi anche in inglese > ss dopo vocale breve, s dopo vocale lunga. Per esempio dal verbo preterito-presente witan “sapere” si ha un preterito wissa  (*wid + ta); da hātan “chiamare” si ha l’astratto verbale hǣs (*haissi < *hait-ti ); ); da cwepan “dire” si ha Iond-cwiss Iond-cwiss  cwepfenomeni + ti-) “risposta”.  (* “risposta”.   kt >ht, dent. + t  > Questi ( pt  pt > ft,  > ss) non si verificano quando la – tt  (o  (o altra dentale) viene in contatto con una precedente occlusiva in età tarda, cioè non più in periodo germanico comune, ma in età storica, nel vero e proprio periodo inglese antico, per caduta di elemento intermedio fra i due suoni, per esempio nel caso dei preteriti di verbi deboli a vocale radicale lunga: cē pan “tenere” pret. cē pte, gr ētan “salutare” pret. gr ētte, scenc(e)an  “regalare” pret. scencte o di astratti in –  pu (got. ipa, aat. – ida ida): strengpu “forza”, aat. strengida ; cyppu “stirpe, aat. cundida. La legge di Verner

La legge di Grimm lascia senza spiegazione alcuni fatti particolari. Per esempio: lat. pater  ai.  ai. Pitàr  aingl.  aingl. f œder  got.  got. fadar  “padre”; lat. frater  ai.  ai. bhrātar  aingl.  aingl. brōpor got. brōpar “fratello”; “fratello”;   gr. δέκα aingl. tīen (< tēon < tehun) got. taihum “dieci”; gr. δεκάς, -άδος aingl. – tig, tig, got. tigus “decina”. “decina”.   Questi casi furono studiati dal linguista danese Carl Verner il quale nel 1877 dimostrò come questo diverso trattamento delle consonanti occlusive fosse determinato posizione debole, ma soprattutto dalla posizione dell’accento. Egli formulò unasorde seconda legge che portadalla il suoloro nome, nella quale si dice: “i suoni indeuropei k, t, p passarono dapprima a h, p, f  in  in ogni posizione; le fricative sorde che ne resultarono, insieme alla fricativa sorda s ereditata dall’indeuropeo, divennero in seguito, seguit o, in mezzo di parola e in vicinanza di suoni sonori, esse stesse sonore, ma si mantennero sorde se susseguenti a sillaba sill aba accentata”. Il che, secondo la formulazione di Antoine Meillet è quanto dire che le spiranti sorde germaniche f p h hw  e la sibilante s in posizione debole diventano sonore, a meno che il tono originario ie., cadendo sulla sillaba precedente, non ne impedisca la sonorizzazione. Vedremo più avanti quale importanza questo fenomeno abbia per la morfologia del preterito dei verbi forti e di altre formulazioni. Anche il fenomeno studiato dal Verner si spiega, da un punto di vista fonologico, con la neutralizzazione, in quelle date condizioni, delle opposizioni della dell a correlazione di sonorità fra spiranti. N Nel el “caso Verner” appare sempre e solo il termine sonoro dell’opposizione.  dell’opposizione.  Sviluppo inglese delle consonanti germaniche

Oltre alle tre serie di fenomeni che abbiamo determinato e cioè: w 





occlusive sorde  p t k k  , spiranti sorde  f p h h  , spiranti sonore  b d g g   il germanico comune possedeva i seguenti fonemi consonantici: due liquide l r due nasali  m n due semivocali  j w una sibilante s col suo allofono z.  [Digitare il testo]

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In inglese sono restati immutati i fonemi: p t h l r m n j w . Dobbiamo quindi osservare i seguenti seg uenti fatti: a)Labiovelari k > cw molto spesso delabializzato in c: lat. vivus (*geiuos) aingl. cwicu; got. sigqan aingl. sincan “andare a fondo”  fondo”  w h > hw  in  in posizione iniziale, ma in posizione intervocalica > -h-, destinato in genere a scomparire: . lat. quod, aingl. hwœt,  lat.sequor , got. saihvan, aingl. sēon “guardare, vedere”.  vedere”.  w  g  > w all’iniziale, g/w  in  in mezzo di parola: . lat. formus “caldo”, aingl. warm; got. siggwan, aingl. singan “cantare”; got. hneiwan, aingl.hnīgan “curvarsi” “curvarsi”   . aingl. magu “figlio”, mœg(e)p “ragazza”, meowle  id.; lat. ninguit , aingl. snīwep “nevica”. “nevica”.   b)Spiranti sorde Le spiranti sorde f, p si sonorizzano in posizione intervocalica:  f /v/, p /d/ c) Spiranti sonore b>b

in inziale; in mezzo di parola passa a b nella geminazione e dopo m; nelle altre posizioni resta spirante, quasi sempre trascritta con f ; d>d g>g

in inziale se segue vocale scura o consonante; resta fricativa in mezzo o in fine di parola dopo vocale scura e dopo r l; g > j  in  in iniziale e in mezzo di parola in vicinanza di vocale palatale. d) Sibilanti s

originariamente sorda, si sonorizza fra sonore, ma non n on lo si esprime esprim e graficamente, comunque spesso il fatto è dal trattamento dei suoni vicini: līesan “scegliere”, pret. līesde, mentre da cyssan “baciare” si ha cyste zconfermato > r   in posizione intervocalica ( māra “più” got. maiza; ēare “orecchio” got. auso) nell’alternanza grammaticale con s (cēosan “scegliere” pret. cēas/curon) nei gruppi rz (ierre “adirato” < *irzja- ) e zd  (  (hord  “tesoro”, got. huzd )).. In finale cade dopo sillaba atona (dœg < *dagaz) e nei monosillabi nei quali l’accento non è sempre ugualmente forte (wē “noi”, got. weis, aat. wir; pē “tibi”, got. pus, aat. dir ; hwa “chi”, got. hvas, aat. (h)wer  ecc.)  ecc.) e) Gutturali Nell’inglese e nel frisone, a differenza di quanto avviene nelle altre lingue germaniche, si ha una bipartizione nel trattamento delle gutturali c e g. Esse diventano palatali dinanzi a vocali palatali primarie, ai dittonghi causati dalla frattura, ai vecchi dittonghi. Restano velari dinanzi a vocali velari o a vocali palatali secondarie, cioè dovute a metafonia. Questo spiega la cosiddetta “dittongazione” delle vocali palatali dopo gutturale.  gutturale.   h postonica intervocalica o fra vocale e liquida scompare: 1) 1)   se è intervocalica si ha contrazione: feoh “ricchezza”, gen. f ēos (* feohes), sēon (*seohan) “vedere”;  “vedere”;  2)  se è fra vocale e liquida lēiquida si ha, ma non sempre, allungamento all ungamento della vocale precedente: Wealh “Celta, straniero”, pl. W  alas (ma anche Wealas), pw ēal  “bagno” “bagno”,, got.  pwahl, anglo st ēle “acciaio”, germ. occ. *stahlia-.  h intervocalica si mantiene se è pretonica: behindan “dietro”, geh ī eran eran “udire”. “udire”.   Geminazione Tutte le consonanti dell’aingl., tranne  j, w, possono essere geminate. La geminazione gemi nazione può essere: a)molto antica, cioè germanica comune, b)germanica occidentale, c)soltanto inglese. a)È germanica comune la geminazione di liquide e nasali ( eall  “tutto”, feallan  “cadere”, mann “uomo”, swimman  “nuotare”) e di s (wisse pret. di witan “sapere”, cyssan  “baciare”) più rara per k, t, p.  Germanica comune è la  Abba, Offa) e nomi di animali comuni ( dogga “cane”, frogga “ranocchio”). geminazione espressiva; nei nomi propri ( Abba, “ranocchio”).   b)È germanica occidentale 1) la geminazione gemi nazione di consonante semplice, tranne la r , preceduta da vocale breve, dinanzi ad  j:   got. satjan  aingl. settan aat. setzan “porre”; got. hlahjan  aingl. hliehhan aat. Hlahhan “ridere”; “ridere”;   got. skapjan aingl. scieppan as. skeppian “fare, creare”; got. saljan  aingl. sellan  as. sellian  “dare”; “dare”;   got. lagjan  aingl. lecgani aat. Leggen “porre”; “porre”;   ma: [Digitare il testo]

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got. harjis  aingl. here  aat. as. heri  “esercito”; got. nasjan  aingl. nerian  aat. as. neren, nerian  “salvare”; “salvare”;   2)la geminazione di it, c, p, h  dinanzi a r, l  originariamente  originariamente sillabici, che hanno in seguito sviluppato una vocale secondaria: es. got. baitrs, aingl. bittor , aat. bittar  “amaro” “amaro”;; got. snutrs, aingl. snuttor  “furbo”. “furbo”.   Ma resta sempre in uso anche la forma con consonante semplice: bitor, snutor . Queste forme con geminata non sembrano però originarie, origi narie, in quanto la geminazione geminazi one si aveva soltanto quando a r, l seguiva desinenza iniziante in vocale; da bitor  gen.  gen. bittres. Dalle frome flesse la geminata passa anche al nominativo e ci si ha accanto al tipo  bitor  il  il tipo bittor . c)In maniera molto simile in antico inglese si ha geminazione: 1)quando r, l   vengono vengono a contatto con precedente occlusiva per sincope di vocale mediana: es. bettra “migliore” accanto a bet(e)ra, miccles accanto a miceles da micel  “grande”. “grande”.   Questa geminazione davanti ad r  non  non si ha dopo vocale lunga, ma appare nella lingua tarda , specie con d, t : ǣdre/ œddre “vena” ātor/attor  “veleno” “veleno”,, mōdor/moddor  “madre”, f ōdor/fodder  “cibo”. “cibo”.   Pure tardi si ha la geminazione in forme flesse quali goddre gen. e dat. Sg. femm. di gōd  “buono”; il comp. deoppra di d ēop “profondo” swettra di sw ēt  “dolce” ecc.  ecc.   2)geminazione dovuta ad assimilazione in composti o comunque in forme derivate:  pœtte da pœt  pe  pe “ciò che, affinché”, l ātt ēow  “duce” da l ādpēow; il preterito di l ǣdan “condurre” è l ǣdde, di cypan “annunciare” è cypde, più tardi cydde, ecc. La geminata in alcuni casi si semplifica: a)in fine di parola: eal  “tutto”, gen. ealles; man “uomo”, gen. mannes; swimman “nuotare”, imper. swim; ma non mancano le forme con la geminata: mann, eall  ecc.  ecc. b)in fine di sillaba nel mezzo di parola: ealre, ealne, casi flessi di eal(l); cyste pret. di cyssan. c)nei composti, dopo consonante: wild ēor  per  per wild-d ēor  “selvaggina”, wyrt ūn per wyrt-t ūn “giardino” “giardino”,, eorl   ī c per eorl-l  ī c “signorile”. “signorile”.   Nella lingua tarda si ha molto spesso semplificazione dopo sillaba atona: atelic per atollic “terribile”, singalic  “continuo” per singallic; parimenti nelle forme flesse nelle quali appaiono a ppaiono nn, ll, rr, tt: per es. aggettivi in – en en e participi preteriti di verbi forti: acc. sg. mas. gyldenne, poi gyldene da gylden “dorato”; gesl œgenne poi gesl œgene da gesl œgen “colpito, ucciso”;  ucciso”;  sostantivi neutri in –  ja come w ēsten “deserto”, gen. w ēstennes poi w ēstenes; femm. in –  j ō come gyden “dea”, candel  “candela”. Gen. gydenne/gydene, candelle/candele; casi con desinenza in – r  r  di di aggettivi e pronomi in  – er: er: gen.pl. f ǣgerra poi f ǣgera da f ǣger  “bello”, ecc.   ō perra poi ō pera da ō per  “altro”, ecc.  MORFOLOGIA IL NOME 

Generalità Nelle lingue ie., che sono lingue flessive, si fa una distinzione fondamentale fra nome (cioè oggetto) e verbo (cioè azione). NOME è una parola o meglio una categoria di parole che indicano una sostanza o una qualità. Nel Medioevo il nome è stato distinto in sostantivo  e aggettivo. Di fatti, morfologicamente, cioè dal punto di vista della struttura e della flessione, le lingue indeuropee non distinguono fra sostantivi sos tantivi ed aggettivi. Solo alcune di esse e precisamente le germaniche, le baltiche e le slave, hanno instaurato per gli aggettivi una particolare flessione. È propria del nome la categoria del numero, del genere e del caso. Ogni parola semplice indeuropea e quindi anche il nome, si può scomporre in tre elementi: radice, suffisso, desinenza. La radice dà il significato generale della parola, il suffisso ne determina il valore, la desinenza indica i rapporti della parola cogli altri membri della frase e spesso il genere e il numero (sostantivi) o la persona e il numero (verbo). L’unione di R + S = Tema  Tema  Esempi: gief-end-es  R S D gen. sg.mas. del part.pres. di giefan “dare” “dare”   gum-a  R S -nom. sg. adesinenziale di un tema in nasale *gumon- “uomo” “uomo”    f ōt-a  R -- D gen. pl. di un tema-radice * f ōt- “piede” “piede”   mann 

R -- --

nom. sg. del tema-radice *man(n)- “uomo” “uomo”  

I sostantivi: tipi di flessione

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A seconda del tema si determina il tipo di flessione del sostantivo, il che equivale a dire che, nelle lingue ie., la flessione varia a seconda del tema della dell a parola. Si distingue una flessione per i temi con vocale tematica alternante e/o, una per i temi in –ā , una per i temi in sonante e consonante. I temi in sonante (i, u, liquida, nasale) sono caratterizzati da una alternanza vocalica suffissale di cui il germanico serba larghe tracce. Possiamo dire di re che l’antico sistema ie. della flessione nominale ha subito nel germanico una trasformazione vistosa in quella che potremmo chiamare la sua “struttura superficiale” (si può senz’altro parlare, nelle lingue germaniche, di una bipartizione assai semplice: temi in vocale ( o, ā , i, u) e temi in consonante), ma che mantiene nella sua “struttura profonda” molte delle antiche caratteristiche.  caratteristiche.   Per quel che riguarda le innovazioni, si nota una tendenza ad eliminare i temi in consonante, che passano in buona parte nella categoria dei temi in vocale. Ma, fra i temi in consonante, i temi in nasale hanno nel germanico una grande validità. Gli aggettivi del germanico hanno tutti, accanto al tema in vocale, un secondo tema in nasale: nasal e: blind  “cieco” (blinda-) / blinda (blindon-). Le varie categorie dei temi sono così ordinate nel germanico e quindi anche nell’inglese antico:  antico:   i , in u1. Questa declinazione, a)destinazione dei temi in vocale, che comprende i temi in – a (*e/o), in –ō (*ā), in – i  ricalcando una terminologia che risale a Jakob Grimm, è detta anche declinazione forte. **1Questi ultimi due antichi temi in i n sonante, con alternanza suffissale: * -eu/-ou/u, *-ei/-oi/-i . b)declinazione dei temi in consonante, alla quale appartengono: 1)l’ampia categoria dei temi in nasale (decl. “debole”);  “debole”);  2)resti di temi in *-er/*-or, *-et/*-ot, *-nt, *-es/*-os; 3)temi radice, cioè forme a suffisso zero: le l e desinenze si aggiungono direttamente alla radice. categoria numericamente molto ridotta. La flessione nominale del germanico e quindi anche dell’inglese antico distingue tre generi : maschile, femminile e neutro; tre numeri  (singolare,  (singolare, plurale e tracce di duale); quattro casi: nominativo, accusativo, genitivo e dativo e, in certi casi, tracce di locativo-strumentale e vocativo. Le sillabe desinenziali

L’accento delle lingue germaniche g ermaniche è accento di intensità, fisso sulla sillaba radicale. Questo porta come conseguenza la molto minore stabilità delle sillabe atone e in particolare delle sillabe finali, cioè delle desinenze. Le sillabe finali tendono a perdere la vocale breve, e ad abbreviare la vocale lunga (talora a perderla), i dittonghi di sillaba finale tendono a monottongarsi e quindi ad abbreviarsi. Si deve tenere conto dei seguenti fatti: a)consonanti finali: *-m > -n già in germanico comune questo – n in aingl. resta dopo vocale breve tonica, se no cade; *-t, *-d si conservano solo dopo vocale breve accentata; *-s > -z in germanico comune per la legge di Verner, quindi cade dopo vocale atona nel germanico occidentale, ma in inglese con qualche eccezione: si confronti per es. il Nom. Acc. pl. dei temi in – a ; *-r  resta  resta b)vocali finali: germ.com. – a (*ă , *ŏ) originaria o divenuta tale per caduta di consonante scompare, eccetto che nei monosillabi; – e germ.com. scompare, ma se era seguita da consonante, tranne r , passa ad – i i  già già nel germ.com. e viene trattata come originario tale germ.com. –ō (*-ā, *-ō) > aingl. u germ.com. –ī  >  > aingl. i  >  > e  germ.com. –ĭ, -ŭ originari o divenuti tali per caduta di consillabi, come pure le – u, u, -i  derivate  derivate da germ. *-ō, *- ī   ī , scompaiono quando la prima sillaba era lunga, restano se era breve (salvo eccezioni dovute ad analogia). Nei trisillabi – u derivato da germ.com. –ō cade dopo sillaba mediana lunga o quando tanto la radicale che la mediana sono brevi, mentre resta se la radicale è lunga e la mediana breve. Esempi: li ornung “studio” (femm. –ō, Nom.sg.) *lirnungō > lirnungu > liornung a,, Nom. Acc. pl.) *rakidō > rakidu > reced   “dimore” (nt. – a Ma: (nt.pl.)  Hāligu (nom. Sg. femm.) “santa”, hēafodu  “teste” (nt.pl.)  *-āi, *-ōi e *-ōu > germ. com. – ai, ai, -au > germ. occ. –ǣ, ō > aingl. (-œ >) – e, e, -a 

germ. com. –ō seguita da originario n o z, poi scomparsi, ha esito diverso a seconda della quantità: -ō di tre more (accento circonflesso) > -a  -ō di due more (accento acuto) > -œ > -e [Digitare il testo]

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Declinazione dei temi in vocale (forte)

Temi in – a (*-e/-o) Comprende solo temi maschili e neutri. La distinzione fra maschili e neutri è ristretta in aingl. solo ai casi Nominativo e Accusativo plurale. Nom. Acc. Gen. Dat. a)con sillaba radicale lunga Nom.Acc. Gen. Dat. b)con sillaba radicale breve Nom.Acc. Gen. Dat. OSSERVAZIONI i nomi che hanno vocale œ prima di consonante semplice sempl ice (es. dœg “giorno”, stœf  “asticella”) hanno al plurale vocale a (dagas, stafas..). I neutri con vocale e, i  +  + consonante c onsonante semplice (es. gebed  “preghiera”, clif  “scoglio”) hanno al plurale forme con metafonia velare (gebeodu, cliofu…). I nomi in h la perdono dinanzi a desinenza vocalica, con o senza allungamento allungamento di compenso: seolh “foca” gen. sēoles/seoles.   Se la h non è preceduta da consonante si ha contrazione:  feoh “ricchezza”, gen. fēos.  I bisillabi (al Nom. sg.) con vocale radicale lunga, perdono nelle forme flesse la vocale mediana, sia essa antica o risultato di liquida o nasale sillabica: engel  “angelo”, gen.engles; hēafod  “testa”, gen.hēafdes; tungol gen. tungles. I neutri però mantengono la vocale mediana, quando sia originaria, dinanzi alla des. – u di Nom. Acc. pl.: tungol e tunglu, ma solo hēafodu.  I bisillabi (Nom. (Nom. sing.) con c on vocale radicale breve mantengono, dinanzi a desinenza vocalica soltanto la vocale mediana antica e in genere quella resultante da una r  sillabica:   sillabica: heorot  “cervo” gen. heorotes, metod  “destino, dio” gen. metodes, wœter  “acqua” gen. wœteres, hamor  “martello” gen. hamores, ma fugol “uccello” gen. fulges. Nella lingua tarda tutto ciò è spesso modificato da fenomeni analogici. Per i neutri la des. – u (germ. *-ō ie. *-ā) di Nom. Acc. plurale talora è presente, talora cade: Originari bisillabi

dopo voc. rad. breve la – u resta: hof   ((*hofa-) pl. hofu dopo voc. rad. lunga la – u cade: word   ((*worda-) pl. word rientrano nel gruppo gli originari bisillabi con muta + liquida o nasale nella seconda sillaba, che spesso dà vocale secondar secondaria: ia: tungol  “stella” (*tungla-), wǣpen “armi” (*wǣpna-), tācen “segno” (*taikna-), i quali però ben presto hanno accanto alle forme adesinenziali anche forme in – u ( (analogich analogiche): e): tungol  e  e tunglu, tācen e tācnu ecc.

Originari trisillabi  

dopo voc. rad. lunga e mediana breve la – u resta: hēafodu “teste”, nīetenu “bestie”; “bestie”;   dopo voc. rad. lunga e mediana breve la – u cade: reced  “dimore”, werod  “bande, scorte”.  scorte”.  Temi in –  ja  Maschili *harja- “esercito”, mece émekjaémekja- “spada” “spada”   Nom. Acc. Gen. Dat. Neutri cynn *kunja. “stirpe”, westen *wostinnja “deserto” “deserto”   Nom. Gen. Acc. Dat. [Digitare il testo]

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OSSERVAZIONI 1)Metafonia della vocale radicale provocata dalla  j /i  del  del tema. 2)Distinzione fra nomi a vocale radicale originariamente lunga e breve. Se la vocale radicale è originariamente breve, la  j   raddoppia la consonante finale della radice e scompare (vedi secg, cynn), tranne nel caso che la consonante c onsonante finale sia r , nel qual caso non c’è geminazione g eminazione e la j  resta  resta anche al nominativo singolare ( > i > e), cfr. here.  3)La – e del Nom.Acc. sg. ha bisogno di spiegazione: per i temi a vocale radicale breve probabilmente, come si ha here (*heri ) anche la forma originaria del tipo a consonante raddoppiata, come secg, era *sege, sia che si consideri quella – e derivata da uno speciale grado ridotto – iizz, -im o da *-jos, *-jom > -iz, -im con caduta della a germanica. La geminata deriverebbe allora dai casi obliqui: *sagjes > secges, *kunjes > cynnes. Cfr. a conferma i composti cynedom, Cynewulf  paralleli  paralleli al tipo herefeld. Per la – e dei temi a vocale radicale lunga o si pensa con Sievers che in questo caso si abbia i + vocale, cioè *mekia- > mece, *witia- > wite, oppure si può supporre una formazione ie. *-ijos, *-ijom. 4)La – u di Nom. Acc. pl. neutro resta nei temi formati con il suffisso – en, en, -et  (germ.  (germ. occid. *-innja/*-unnja , germ. *-at ja/*-it ja) del tipo westen “deserto”, forse per analogia con I temi in – o del tipo tacen, tungol  e  e originari trisillabi a radicale lungo; resta nei temi a vocale radicale originariamente lunga del tipo wite (*witia-) “punizione”, rice (*rikia- ) “regno”, nei quali la – ii-- suffissale, poi caduta, può fungere da sillaba mediana. mediana. Temi in – wa wa. Maschile bearu *barwa- “bosco” “bosco”   Nom. Acc. Gen. Dat. Neutro bealu *balwa “male” “male”   Nom. Acc. Gen. Dat. OSSERVAZIONI Nel Nom. sg. la – w-, w-, dopo la caduta dell’originaria sillaba finale – az az (mas.) – a an n (nt.), trovandosi in finale assoluta dopo consonante si vocalizza in – u u.. Il dittongo della sillaba radicale è probabilmente originato per frattura nei casi obliqui e passato al nominativo per analogia. Si trovano infatti forme come balu accanto a bealu.  Quando a w  del  del tema viene a trovarsi dopo vocale, se la vocale è lunga la – w  cade: sna (*snaiwaz), snawes “neve”, forma tarda w  cade: snaw ; se la vocale è breve si forma un dittongo lungo: mas  peo (* pewa-) “servo” gen. peowes, nt. cneo (*knewa-) gen. coneowes; forme tarde peow, cneow. Nella lingua tarda il dittongo lungo si estende anche alle forme flesse:  peowes, cneowes. cneowes. Temi in –ō in –ō (*(*-ā)  ā)  Tutti femminili. Bisogna distinguere, per la desinenza del Nom. sg., i temi a vocale radicale breve da quelli a vocale radicale lunga. Vocale radicale breve: b reve: giefu *gebō- “dono” “dono”   Nom. Acc. Gen. Dat. Vocale radicale lunga ār *ārō- “onore” “onore”   Nom. Acc. Gen. Dat. OSSERVAZIONI Il gen. sg. dovrebbe avere desinenza – a, ma c’è evidentemente analogia analogia con D Dativo. ativo. Nel Nom. Acc. pl. – a è la desinenza più comune nel dialetto del Wessex, -e nel dialetto anglico. Ci si può spiegare la des. – a come originaria due forme.per il Nominativo (-ās < ā + es), e la des. – e per l’Accusativo (*ans). Ogni dialetto in seguito ha generalizzato una delle

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Il genitivo olurale – ena ena è analogo a quello dei temi in nasale. Gli originari trisillabi con vocale radicale breve non hanno la – u del nominativo: firen “colpa”, tigol  “tegola”. Seguono questo esempio tutti gli astratti in unga: manung, leornung.. Questi stessi astratti hanno spesso nel genitivo singolare (e anche nel dativo e accusativo) l’antica desinenza – a invece di – e: leornunga. Gli originari trisillabici con radicale lungo e consonante finale semplice eliminano nella flessione la vocale mediana: sāwol   “anima”, sāwle, frōfor  “consolazione” frōfre, ma firen “colpa” firene. Gli astratti in –  p(u) corrispondenti al got. ipa, aat. – ida ida perdono la vocale mediana e mantengono (ma non sempre) la – u del nominativo: gesyntu “salute” (aat. gisuntida): strengpu e strengp “forza” (aat. strengida). Temi in –jō (*jā)  Tipo unico di flessione sia che il vocalismo radicale fosse breve, sia che fosse lungo. Infatti anche nei nomi a vocale radicale breve, la consonante finale del radicale dinanzi alla  j  del   del suffisso (la quale scompare dopo aver metafonizzato la vocale precedente) si raddoppia, e quindi la vocale precedente si allunga. Mancano quindi i nominativi singolari in – u, anche nel caso di antichi trisillabi, poiché la vocale della sillaba mediana si allunga in seguito alla geminazione della consonante finale del radicale. Esempi: brycg “ponte”, a vocale radicale originariamente breve ( *brugjō-) hild  “guerra”, a vocale radicale originariamente originariamente lunga (*hildjō-) byrpenn  “fardello”, originario trisillabo trisil labo (*burpinnjō-) Nom. Acc. Gen. Dat. Il gen. pl. non ammette la desinenza – ena monosillabi onosillabi caratterizzati caratterizzati dalla consonante ena. A questo tipo appartengono una serie di m finale geminata e, quando è possibile, della metafonia della vocale radicale ( hell  “inferno”, hun(n) “gallina”, sœcc “lite” ecc.) e vari tipi di polisillabi: femminili in – een n (germ. occ. *-innjō) derivati da maschili (es. gyden “dea” *gudinnjō < guda- poi god  “dio”), astratti in – een n (*-inī, passati ai temi in –jō) da verbi: sœgen “detto” da secgan “dire”, selen “dono” dà sellan “dare” ecc.; astratti nes(s)/-nis/-nys da aggettivi: hāligness “santità” da hālig “santo” ecc.  in – nes(s)/-nis/-nys ecc.  Temi in –wō (*-wā) Al Nom. sg. –wō > -wu > -u (w  scompare   scompare dinanzi a u). questo – u resta dopo consonante preceduta da vocale breve ( beadu) scompare dopo consonante preceduta da vocale lunga ( mǣd )):: “ battaglia”, ”, mǣd   ((*mǣdwō -) “prato” “prato”   beadu (*badwō-) “battaglia Nom. Acc. Gen. Dat. Nel caso di – u preceduta da vocale lunga o dittongo, l – u, regolarmente scomparsa, viene ripristinata per analogia dalle forme flesse: stōw  “luogo” gen. stōwe; hrēow  “pentimento” gen. hrēowe. Quando la – u è preceduta da a forma dittongo: clēa “fauci” (*cla(w)u ), gen. clawe;  prēa (* prawu) “minaccia”, gen. prawe, forme più tarde di Nom. sg. clawu, prawu. Temi in – i.i. Sono maschili, femminili e neutri. La flessione era in origine uguale, ma si è molto trasformata per l’influenza dei temi in – a su maschili e neutri, dai temi in –ō sui femminili. Segno distintivo resta la metafonia palatale della vocale radicale. Maschili Bisogna distinguere i temi a radicale breve da quelli a radicale lungo: a)radicale breve: wine “amico” (*wini-) Nom. Acc. Gen. Dat. b)radicale lungo: giest  “ospite” (*gasti- ) a.. unica distinzione la metafonia palatale della voc. radicale. Completamente modellati sui temi in – a

Nom. [Digitare il testo]

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Acc. Gen. Dat. Fra i temi a vocale radicale lunga c’è un piccolo numero di etnici che hanno mantenuto l’antica flessione al Nominativo e Accusativo. Si usano quasi esclusivamente al plurale. Esempio: Nom. Acc. Gen. Dat. E cos’ Mierce “Merciani”, Seaxe “Sassoni”, Dēre “Deiri”, Beornice “Bernici”, Norp(an)hymbre  “Nortumbri” ecc.  ecc.  Alcuni di questi nomi hanno anche forme di tipo debole, per es. Nom. Acc. Seaxe, ma anche Seaxan; gen. Seaxa, ma anche Seaxna. Certo non è estranea l’influenza della forma latina Saxones. Neutri I temi a radicale breve hanno una flessione uguale a quella dei maschili. Nom. Acc. Gen. Dat. Non vi sono originari temi in – i i  neutri neutri a radicale lungo. Ma c’è un certo numero di antichi neutri in –  ja e in es/-os che, oltre a forme della flessione loro propria, hanno anche una flessione sul modello di spere (con Nom. sg. senza la – e finale, data la lunghezza del radicale): flǣsc “carne”, hǣl  “salute”, hrēd  “fama” gebenn “bando”, gehlyd  “rumore” ecc.  ecc.  Inoltre alcuni originari  femmin  femminili  ili  in  in – i i (es.  (es.gebyrd  “nascita” gecynd  “schiatta”, gepyld  “pazienza”, with “cosa, piccolezza” ecc.) oltre alla flessione loro propria (cfr. paradigma seguente) si comportano anche come neutri, sia seguendo la flessione dei neutri in –  ja tipo cynn, cioè con Nom. Acc. pl. gebyrd, gecynd…, sia seguendo, con maggior frequenza, la flessione dei neutri in – ii ,  con Nom, Acc. pl. gebyrdu, gecyndu… 

Femminili Solo temi a vocale radicale lunga. Es.: cwēn “donna” *kwǣni --zz Nom. Acc. Gen. Dat. La flessione di questi temi è identica a quella dei temi in –ō tranne l’Accusativo singolare cwēn (*kwēnin ). La forma originaria originaria del Nom. Acc. pl. è in – i i (cfr. Inno di Cædmon: “metudes mœcti” = i poteri di Dio, nella versione sassone occidentale “ Meotodes mœhte”) e poi scade in – e. Segue quindi l’analogia coi temi in –ō. 

Temi in – u u.. Maschili e Femminili. I neutri in – u sono del tutto scomparsi in inglese antico. I vocaboli appartenenti a questa classe sono piuttosto pochi, in quanto molti sono passati alle flessioni in – a e in –ō. Mostrano tracce dell’antica alternanza vocalica suffissale suffis sale che è ancora ben chiara nel gotico (*eu/ou/u ). Maschili a)a vocale radicale breve: sunu “figlio” “figlio”   Nom. Acc. Gen. Dat. b)a vocale radicale lunga

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I temi a vocale radicale lunga eliminano la – u del Nom. Acc. singolare:  feld  “campo”, hād  “stato, condizione”; polisillabi: polisillabi: sumor   “estate”, winter  “inverno” ecc. Questo facilita probabilmente il loro adeguarsi alla flessione dei temi in – a (vedi le desinenze date come seconde): Es. feld  “campo” “campo”   Nom. Acc. Gen. Dat. I femminili sono pochissimi. La flessione è uguale a quella dei maschili, ma più fedele al tipo originario: a)a vocale radicale breve; duru “porta” “porta”   Nom. Acc. Gen. Dat. b)a vocale radicale lunga, es.: hand  “mano” *handu-  Nom. Acc. Gen. Dat.

Declinazione dei temi in consonante Temi in nasale (declinazione debole)

Questa categoria raccoglie la maggior parte dei temi in consonante. si distinguono temi in *-on (di tutti e tre i generi) e temi in *- īn (femminili). A)Temi in – in –an an (*-on) Mentre in uno stadio arcaico del germanico la declinazione dei temi in nasale differenzia nettamente i maschili e neutri dai femminili, in quanto i primi hanno una chiara alternanza vocalica suffissale che manca nei secondi (* -on/*-en , cfr. got. guma  “uomo” gen. gumins) in antico inglese si è generalizzato generalizzato il grado *-on. Unica differenza il nominativo singolare in – a nel maschile, in – e nel femminile e neutro. Maschile guma “uomo” *gumon-, femm. tunge “lingua” *tungon-, nt. ēage “occhio” *augon-  Nom. Acc. Gen. Dat. OSSERVAZIONI 1)La desinenza – ena ena del Gen. pl. è recente, la forma più antica è – ana ana, -ona < *-onōm. La forma sincopata è frequente nei nomi di popolo a radicale lungo: Seaxna, Francna, Miercna, ma: Gotena, Judena. Nella lingua poetica frequente la forma sincopata in temi a vocale radicale r adicale lunga: wīsna, wrǣcna, ēagna. 2)Si distingue dallo schema normale la declinazione delle forme contratte per caduta di w, j, h intervocalico. Esempi: fra i maschili: frea “signore” (*frawon-), gen. frēan; gefēa gefēa “gioia” (*gifahon- ), tweō “dubbio” (*twehon-) ecc.; fra i femminili: f emminili:  “ape” (*bijon- ) (sg. G.D.A. bēon, pl.N. bēon, G. bēona, D. bēom), rēo anche rēowe “coperta”, tā (*tahon-) “dito del piede”beō ecc. ecc.    3)I neutri in *-on sono pochissimi; oltre ēage “occhio”, sicuro è il caso ēare “orecchio”; heorte “cuore” è passato ai femminili.  femminili.   [Digitare il testo]

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4)Secondo la formazione, si dovrebbero distinguere temi in – o on n, -jon, -won, anche – mon mon e – non non, ma la suddivisione non corrisponde ad alcuna differenza di flessione. Unico elemento la metafonia palatale nei temi in –  jon: dēma “giudice” “giudice” (*  (*dōm), brytta “dispensato “dispensatore” re” (*brut -). -). B) Temi in - īn  īn  Dovrebbero avere flessione di tipo debole gli astratti femminili in *- īn  īn, ma per analogia con gli astratti femminili in *-ipō  (aingl. –  pu), si flettono secondo i temi in –ō, quindi Nominativo sg. in – u (-o) e casi obliqui in – e (talora – u, u, -o). traccia della i   suffissale la metafonia palatale: palatale: strengu “forza”, ieldu “età” “età”,, hǣlu “salute” ecc.  ecc.  Es. hǣlu “salute” (*hail- īn-) Nom. Gen. Dat. Acc. Altri temi consonantici Temi in *-er/-or  

Sono i nomi di parentela:  fœder  “padre”, brōpor  “fratello”, mōdor  “madre”, dohtor  “figlia”, sweostor  “sorella”, e i collettivi gebrōpor  “fratelli” e gesweostor  “sorelle”. “sorelle”.    fœder  (*  (* pətér )),, brōpor  “fratello”, mōdor  “madre”, dohtor  (*  (*dhughəter )),, sweostor  (*  (*suesor )

Nom. Acc. Gen. Dat. Nom. Acc. Gen. Dat.

OSSERVAZIONI 1)Il – d e mōdor  si  si spiega con la legge di Verner. d-- di fœder   e 2)Il – t si introduce fra s – r nelle forme flesse, nelle quali i due suoni vengono a contatto: gen. ie. *swe-sr-os > germ. t- di sweostor  si com. *swestraz.  3)Il Nom. sg. ha originariamente vocale suffissale allungata ed è adesinenziale (asigmatico), cfr. gr. πατήρ. L’Acc. sg. e il Nom. pl. hanno un grado normale o forte f orte della vocale suffissale. Il Gen. e Dat. sg. il Gen. Dat. Acc. pl. hanno grado ridotto della vocale suffissale dinanzi alla desinenza tonica (cfr. gr. πατρός-ατρί) ben presto scomparsa in germanico: le vocali dell’inglese (di seconda sillaba) sono vocali secondarie, sviluppatesi dalla – rr..  4)Il Dat. sg. mostra metafonia palatale, causata dalla desinenza – i i . Il Dat. sg. di sweostor  si  si è conguagliato c onguagliato al resto del paradigma. paradigma. 5)Le forme Gen. sg. fœd(e)res e Nom.pl. fœd(e)ras sono analoghe ai temi in – a. a.  a. Possono essere state 6)L’Acc. pl. è rifatto r ifatto sul Nom.pl. La forma di tipo brōpru (mōdru, dohtru) è analoga a quella dei neutri in – a. tramite per quest’influsso certe forme di gebrōpor , gesweostor , originariamente collettivi neutri usati solo al plurale, declinati anche sul modello dei neutri in – a, a, -ja: gebropru , gesweostru . Le forme modra dohtra di Nom. pl. possono aver sentito l’influsso dei femminili in –ō. 

Temi in *-et/*-ot . In antico inglese vi sono solo pochi poc hi resti di questa categoria: mas. hœlep “eroe”, mōnap “mese”; nt. ealu “birra”; femm. mœ  “fanciulla”.   “fanciulla”. Nom. Acc. Gen. Dat. Nom. Acc. Gen. Dat. [Digitare il testo]

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OSSERVAZIONI Al Nominativo singolare singolare la dentale, trovandosi trovandosi in finale assoluta, in sillaba atona, cade. Le forme in dentale s ono più tarde, rifatte sui casi obliqui. Nel caso di mōnap “mese”, la dentale resta, in quanto la quanto la forma senza dentale mōna è passata alla declinazione dei temi in nasale, con il significato di “luna”. Nelle forme di Nom. e Acc. plurale la dentale resta, perché perc hé protetta dell’antica desinenza * -es, *-ns > germ. – iz, iz, -uns. Temi in – n nd  d  (* (*-nt ) Solo maschili. Si tratta di un certo numero di antichi participi presenti (suffisso *-ent/ont ) sostantivati. Qualche differenza di flessione fra monosillabi e polisillabi. polisillabi. monosill. Frēond  “amico”, polisill. Hattend  “nemico” “nemico”   Nom. Acc. Gen. Dat. Nom. Acc. Gen. Dat. OSSERVAZIONI Il dative singolare e il nominative plural dei temi monosillabici mostra metafonia palatale. Le forme in – eess di genitivo singolare ed in – e di dativo singolare sono analoghe a quelle dei temi in – a, a, come pure la forma in – as as  di nominativo plurale dei polisillabi. I polisillabi mostrano desinenze della declinazione forte aggettivale (nom. pl. hettend-e,  gen.pl. hettend-ra). I participi presenti non sostantivati si declinano come aggettivi.

Temi in *-es/*-os. Corrispondono al tipo latino genus, generis, gr.γένος, γένους. Sono tutti neutri. In inglese antico ne restano pochi esempi. La – s  suffissale (passata nel germanico occidentale ad – rr )  scompare al Nom. e Acc. singolare e appare nel resto della flessione. flessione. Esempio: cœlf  “manzo” “manzo”   Nom. Acc. Gen. Dat. Ma questo tipo di flessione si trova solo in testi anglici o in poesia. La forma più usuale in sassone occidentale ha la r  solo  solo al a..  plurale. Il singolare è rifatto sui temi in – a

Esempi: cealf  “manzo”, cild  “bambino” “bambino”   Nom. Acc. Gen. Dat. Alcuni temi apparteenti in origine a questa categoria hanno esteso la – rr  anche   anche al Nominativo e Accusativo singolare e sono passati alla declinazione dei temi in – a a.. Esempi: dōgor  “spazio di 24 ore”, eagor  “mare” e pochi altri.  altri.  Temi –radice Temi – radice Pochi resti di temi in consonante, che aggiungono direttamente direttamente le desinenze al radicale. a)maschili: fōt  “piede”, tōp “dente”, mann “uomo” “uomo”   Nom. Gen. Acc. Dat. [Digitare il testo]

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Nom. Acc. Gen. Dat. OSSERVAZIONI Il dativo singolare e il nominativo plurale mostrano metafonia palatale. L’acc. sg. e pl. è analogo al nominativ o. Accanto alla forma mann , c’è una forma manna, acc. mannan, declinata secondo i temi in nasale. b)femminili:

1)a vocale radicale lunga: bōc “libro”; neaht, niht  “notte”; burg “rocca”; sulh “aratro” e qualche altro.  altro.  Nom. Acc. Gen. Dat. 2)a vocale radicale breve: hnutu “noce”; stupu “colonna”; hnitu” “lendine”.  Nom. Acc. Gen. Dat. OSSERVAZIONI I temi a radicale r adicale lungo hanno il dativo singolare e il nominativo plurale metafonizzato, il gen. singolare analogo al dativo singolare. Il gen. sing. bōce è analogo ai temi in –ō. Le forme burug e byrig sono dovute al fatto che, talora, fra r, l e consonante, specie gutturale, si sviluppa una vocale secondaria, dello stesso timbro della vocale precedente. I temi a radicale breve hanno il nom. acc. e gen. sg. analogo ai corrispondenti temi in –ō a radicale breve. La – e del dativo singolare (*-i ) e del nominativo plurale (* -iz), provoca metafonia, ed essendo la sillaba radicale breve, si conserva.

c)neutri: l’unico tema-radice tema-radice neutro è scrūd “abbigliamento, vestiario”.  vestiario”. 

Nom. Acc. Gen. Dat. Annotazioni sintattiche sull’uso dei casi.  casi.  usi:   Accusativo. Oltre ad indicare il complemento oggetto l’Accusativo può avere altri usi:   Accusativo 1)indicare il soggetto nelle frasi oggettive, dopo verbi di comando: hēt pā hyssa hwœne hors forlǣtan (ordinò che ciascuno dei guerrieri lasciasse andare i cavalli); 2)avere uso avverbiale per indicare durata nel tempo: ealne dœg “tutto il giorno”, pone winter  “nell’inverno”. “nell’inverno”.   Genitivo. Oltre alla specificazione, possesso, rapporto fra nomi, il Genitivo è usato: 1)in senso partitivo, coi numerali: fiftig wintra wintra “cinquanta inverni”, con fela “molto”, mā “più”, lyt  “poco”: fela folca “multum populorum”; coi superlativi: hūsa sēlest  “la più bella delle dimore”, beama beorhtost  “il più splendente degli alberi”; coi pronomi indefiniti: manna cynnes sum(ne)  “uno della stirpe degli uomini”; uomini”; 2)in senso avverbiale: dœges “di giorno”,  giorno”, ealles “del tutto”;  tutto”;  3)con verbi indicanti emozioni, attività mentali e anche privazione o negazione: ne pence wē nānes yfeles y feles “nec ullas molimur insidias”; wilnigap monige men anwealdes  “molti uomini desiderano il potere”; gefultuma mē nū ānegre ǣlces fylstes bedǣled  

“aiuta ora me desolata, prima di ogni assistenza”. assistenza”.   Dativo. Oltre all’uso più comune di complemento di termine, è da notare l’uso:  l’uso:   1)del Dativo assoluto: gewunnenum sige “avendo ottenuto la vittoria”; vittoria”;   2)Dativo avverbiale, temporale: sume dœge “un giorno”, pǣre neahte “di notte”, gēardagum “nei tempi andati”;  andati”;  3)Dativo strumentale: hiera willum “d’accordo”, for mīnum pingum “per causa mia, riguardo a me”, m e”, fǣhde fēo pingode “sistemai

la faida col denaro”:  denaro”:  4)Dativo possessivo, in genere con verbi indicanti “essere” o “divenire “ divenire”: ”: pām wœs Crist nama “il suo nome era Cristo”; wœs him ricchezze”.  beorht wela “possedeva splendide ricchezze”. 

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I PRONOMI

Le lingue indeuropee hanno, oltre alla declinazione nominale, una speciale declinazione per i pronomi. Il pronome (personale, dimostrativo, relativo, interrogativo, indefinito) è una categoria del nome, che può sostituire o determinare; per cui ha, oltre alla sua specifica funzione di sostituto del nome, quella di aggettivo. Tutti i pronomi hanno la categoria del caso: nominativo, accusativo, genitivo, dativo, talvolta anche istrumentale. I pronomi personali sono indifferenti al genere ed esprimono il plurale con mezzi semantici, cioè con radicale diversi. Oltre ai numeri singolare e plurale i personali conservano il duale. Personali   Si distingue con radicale diverso la prima, la seconda e la terzapersona. Per quest’ultima si può porre, in fase germanic a comune, il riflessivo (*sue-) che l’inglese antico ha eliminato e sostituito con un pronome dimostrativo anaforico.  anaforico. 

Nom. Gen. Dat. Acc. Nom. Gen. Dat. Acc. Nom. Gen. Dat. Acc. OSSERVAZIONI Morfologia molto arcaica. La prima persona ha radicale diverso fra nominativo e casi obliqui sia al singolare: ic, mīn (cfr. lat. ego, me) che al plurale: we, ūre. 

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Notare le forme me, pe, we, ge alle quali corrisponde in gotico mis, pus, weis, jus e in aat.  mir, dir, wir, ir ; la i > e nell’inglese, come pure nel nordico, dinanzi a z (germ. occ. r ) della medesima sillaba, quando non ci sia i  nella   nella sillaba seguente, la *-s finale (germ. occ. > z > r ) cade dopo sillaba che abbia accento variabile, ora forte ora debole, come nel caso presente. Le forme ūre, ūs corrispondono a got. unsara, uns, aat. unser, uns: la ū < ŭ + nasale + spirante. Questo tema germ. com. * un- è grado ridotto del tema ie. *ne-/no- di pron. di prima persona plurale. Pronome di terza persona 

Nom. Gen. Dat. Acc. NOTA Il tema *ki- dal quale deriva questo pronome (cfr. lat. cis, citra) è vitale, oltre che in inglese, in as. (he) e in an. (hinn), mentre è presente solo in forme isolate in gotico e in antico alto tedesco. Nella lingua tarda abbondano le forme con grafia y   ((hym, hys, hy  ecc.)  ecc.) Pronomi possessivi  

Strettamente collegati ai personali sono i pronomi possessivi formati dal genitivo del corrispondente pronome personale: mīn  “mio”, pīn “tuo”, sī  “suo”, uncer  “di noi due”, incer  “di voi due”, ūre “nostro”, īower  “vostro”, sīn “loro”. “loro”.   La flessione è quella stessa degli aggettivi di forma forte. Sīn, aggettivo possessivo di terza persona, è l’unica forma superstite in antico inglese del pronome riflessivo ie. * sue-. Si usa per tutti i generi e numeri, ma è comunque solo in poesia e quando è riferito al soggetto della frase. Negli altri casi e nella lingua della prosa si usa il genitivo del pronome anaforico di terza persona: his, hire, pl.hiera.  Pronomi dimostrativi

Il pronome dimostrativo dimostrativo mostra in molte lingue l ingue indeuropee un doppio tema: *so- per il maschile e femminile al Nominativo singolare, e *to- per tutti gli altri casi. Questo fenomeno si mantiene anche in antico inglese (come pure in gotico); la morfologia di questo pronome è quindi molto arcaica. Nom. Gen. Dat. Acc. Istr. Il dimostrativo sē, sēo, pœt  prende molto presto funzione di articolo. Per esprimere il valore “dimostrativo” si usa una forma rafforzata pēs, pēos, pis ottenuta aggiungendo alle forme flesse del dimostrativo una particella *-si/*-se. Con l’andare del tempo le desinenze sono state spostate alla fine di questa specie di composto e tutto si svolge come se si partisse da un tema *pis-. Tracce dell’antica forma composta composta si notano nel Nominativo singolare mas. e femm.  pē-s, pīo-s, e nel Nominativo plurale:  pā-s.  Nom. Gen. Dat. Acc. Istr. N.A. G. D. La struttura originaria di questo dimostrativo rafforzato è ben conservata nel nordico runico: 

Nom. Dat. Acc.

Altri pronomi sono:aggettivo debole  se ilca  “idem”,dimostrativi declinato come debole  self, sylf, seolf  “stesso”, declinato come aggettivo debole e forte.  forte.  

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Pronomi interrogativi

Tema comune indeuropeo *k w e-/k w oForma unica per maschile e femminile (genere animato). Nom. Gen. Dat. Acc. Istr. Si trovano anche alter forme di Istrumentale: hwon (hwan) in locuzioni avverbiali: tō hwon “a che scopo”, for hwon  “perché” “perché”,, hū “come”. “come”.   Altri pronomi interrogativi sono: hwœper  “quale dei due”, hwelc…swelc “tale…quale” (*hwa-līk, *swa-līk )),, hūlik  “quale, di quale specie”.  specie”.  La flessione è quella degli aggettivi di forma forte. Pronomi relativi

L’inglese antico, come del resto tutte le altre lingue germaniche, non ha un vero e proprio pronome relativo. Si usa il dimostrativo se, sēo, pœt  e  e la particella pē sola o aggiunta al dimostrativo: sē, pē, sēo pē, pœtte o pœt  pœt pe. Talora si pospone al pē il pronome personale: pē hē “qui”, pē his “cuius”, pē ic “ego qui”, pē wē “nos qui”.  qui”.  Pronomi indefinti

Si possono usare come indefiniti gli interrogativi hwā, hwǣper, hwelc, hwilc (*hwi-līk ) con il significato signi ficato generico di “chiunque, qualcuno”. Di questi stessi pronomi si possono trovare molte forme composte, per esempio con:  con:   ā- , , ǣt, ge-, che non modificano il significato: āhwā, ǣthwā, gehwā, gehwilc, forme con l’indeclinabile – hwugu, hwugu, -hugu: hwœth(w)ugu, “qualcosa”, hwelch(w)ugu “qualcuno”, “qualcuno”,   con swā….swā: swā hwelc swā “chiunque” “chiunque”   nā- che nega: nāhwœper  “neuter” “neuter”   nat- che indica incertezza: nāthwelc “non so chi”  chi”  Altri pronomi indefiniti sono: sum, ān “quidam”, nān “nullus”, con flessione di aggettivo forte,  forte,   nāwiht, nāwuht, “nihil”, con flessione sostantivale  sostantivale  ōper  “altro, un altro”  altro”  œlc “ciascuno”, ǣig “qualunque” “qualunque”   swelc, pyslic “tale” “tale”   man “si” impersonale ecc.  ecc. 

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GLI AGGETTIVI

Generalità 

Le lingue germaniche hanno per gli gl i aggettivi una flessione speciale, o megli meglio o due tipi di flessione, dette forte e debole. È una innovazione del germanico, in quanto le lingue ie. non conoscono una speciale flessione per gli aggettivi: esiste un’unica flessione nominale valevole sia per i sostantivi che per gli aggettivi.  aggettivi.  Le lingue ie. hanno però una speciale flessione pronominale, con delle caratteristiche che anche il germanico ha ben conservato. La flessione pronominale è estesa, già in fase indoeuropea, i ndoeuropea, anche anche a tutti gli aggettivi di tipo indefinito indicanti “uno, ogni, altro, tutto” ecc..  ecc..  Questi speciali aggettivi potevano essere il tramite per facilitare un’influenza della flessione pronominale su quella degli aggettivi in genere: questo è di fatto avvenuto in alcune lingue ie. fra le quali quelle germaniche. Gli aggettivi, già nel periodo germanico comune, hanno adottato, in molti casi della declinazione, desinenze pronominali, differenziandosi così dai sostantivi. L’estensione delle forme pronominali non è però totale né uniforme uni forme in tutti i dialetti: si ha una flessione mista di forme nominali e pronominali, detta forte. Per esempio: Mas. sg. Nom. Gen. Dat. Acc.

sostantivo

aggettivo

pron.dimostr.

Femm.sg. Nom. Gen. Dat. Acc.

Accanto alla declinazione forte ogni aggettivo ha una declinazione debole modellata interamente sui sostantivi con tema in nasale (deboli). La distinzione nell’uso dei due tipi è sintattica: si usa la forma debole in genere quando l’agg l’aggettivo ettivo è determinato, cioè accompagnato dall’articolo o dal dimostrativo: be pām ēadigan Gregorie “riguardo al beato Gregorio”; dall’aggettivo possessivo: pyne ārf œstan mildheortnysse “la tua benigna misericordia”; miseri cordia”; in genere nelle frasi vocative: eala pu wuldorf œste hl œ fdige “oh, tu gloriosa Signora!”; quando l’aggettivo è al comparativo; nei numeri ordinali o rdinali (tranne oper  ‘secondo’). Si usa invece la forma forte quando qu ando l’aggettivo non è determinato o è usato come predicato, come attributo o apposizione: sy wuldor œlmihtigum gode “sia gloria a Dio onnipotente”, ealdorlangne tir geslogon “ottennero combattendo gloria imperitura”.  imperitura”.  [Digitare il testo]

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Declinazione forte

Questa declinazione forte comprende per la massima parte temi in i n *-o (germ. – a) con femminile in *-ā (germ. –ō), e un certo numero di temi in *-jo/-j ā (germ. –  ja/-j ō) e *-wo/w ā (germ. – wa/-w  wa/-w ō). I temi in – i,i, -u restano come tali solo al Num. Sg. e in qualche altro caso sporadico. Temi in – a/a/-ō (*-o/ (*-o/āā). Bisogna distinguere, come per i corrispondenti sostantivi, sostantivi , fra temi monosillabici a radicale breve, temi monosillabici a radicale lungo e temi polisillabi. a)monosillabici a radicale breve: bl œc “nero” “nero”   maschile

femminile

neutro

Nom. Gen. Dat. Acc. Nom. Gen. Dat. Acc. b)monosillabici a radicale lungo: gōd  “buono” “buono”  

Nom. Gen. Dat. Acc. Istr.

maschile

femminile

neutro

Nom. Gen. Dat. Acc. I temi che finiscono in – h al Nom. sg. perdono la – h h-- nelle forme flesse e, se la – h h-- è preceduta da vocale, si ha contrazione: hēah “alto”: mas. Acc. sg. hēa(n)ne, Gen. sg. hēas ( -o prima di desinenze consonantiche: gearu “pronto”, tema *gearwa- 

Sg. Nom. mas. Sg. Gen. mas.

femm. femm.

nt. nt.

Ecc. Ecc. Gli antichi temi   in in – i i  sono sono passati alla classe dei temi in –  ja: cl ǣne “piccolo”, gemyne  “penoso”, swice “ingannevole” ecc. Gli antichi temi   in in -u sono passati interamente alle categorie in – a, a, -ō , -ja/-j ō: per esempio iheard “duro”, got. hardus, twelfwintre “dodicenne”, got. twalibwintrus. Undici esempi di temi aggettivali in – u sono: wlacu “tiepido”, cwicu “vivo”, con accanto le forme wl œc, cwic.  Declinazione debole.

Questa flessione è, come si è detto, interamente modellata su quella dei sostantivi con tema in i n nasale. Esempio: gōda “il buono”  buono”  Nom. Gen. Dat. Acc.

maschile

femminile

neutro

Nom. Gen. Dat. Acc. NOTA Gli aggettivi in – a/  a/ ō il cui Nom. sg. termina in – h h,, cioè del tipo hēah fanno nella forma debole: hēa, hēan ecc. Declinazione dei participi. Il participio presente si flette come un aggettivo in –  ja/-j ō, e può avere sia flessione forte che debole. Per esempio dal verbo wesan “essere” si ha:  ha:  la forma forte  mas. wesende, femm. wesendu, nt.wesende  [Digitare il testo]

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la forma debole  mas. wesenda, femm. nt. wesende.  Il participio preterito, è declinato come un comune aggettivo in – a/a/-ō, sia forte che debole. Esempi da nerian “salvare”, niman “prendere”. “prendere”.   Forma forte: mas. nt. genered, numen, femm. Genered(u), numen(u). Forma debole: mas. genereda, femm. nt. generede. Comparazione Il comparativo degli aggettivi ag gettivi si forma in inglese antico agg aggiungendo iungendo un suffisso – rra, a, il superlativo aggiungendo un suffisso – est/-ost. est/-ost. Esempio: l ēof  “caro”: l ēofra, l ēofost. La forma antica del suffisso è *-isan, *-ista. Le lingue ie. potevano trarre direttamente dalla radice per mezzo del *-jos, *-is) degli intensivi che servivano da comparativo: cfr. lat.  sv ād  yas.   ī yas. *-jes ( l at. suavior, Ilsuffisso germanico usa il suffisso al grado zero – is is + un altro suffisso – an: an: -isan. Questo *-isan ai. , conservato ancora dal gotico nella forma – iza iza (sutiza, hardiza) diventa in inglese, con perdita della – i  i  e e rotacismo, -ra; ma la antica presenza della i   è rivelata dalla metafonia della vocale tonica: br ād  “largo”: br ǣdra; eald  “vecchio”: ieldra; feorr “lontano”: fierra ecc. Per il superlativo si può ricostruire il suffisso ie. * -ist(h)o (*-jes + t(h)o), cfr. Gr. Ήδιστος Gr. Ήδιστος ai. Svadistah. Nel germanico si usa – ista ista (got. sutists, hardists) che in inglese diventa – est  est : br ǣdest, ieldest, fierrest. Bisogna notare che ricorrono anche forme in *-os-an, *-os-ta, innovazioni germaniche. Originariamente erano proprie degli aggettivi con tema in – a/a/-ō. In inglese la forma è – ra, ra, -ost, ed è la più diffusa. Naturalmente non c’è metafonia: ceald  “freddo”, cealdra, cealdost; l ēof “caro”: l ēofra, l ēofost; gl œd “felice”: gl œdra, gladost.

I comparativi si flettono come aggettivi deboli. I superlativi seguono in genere la declinazione debole, salvo la forma adesinenziale in – est, est, -ost. Che si usa per il neutro singolare Nom. Acc. e Vocativo. Forme speciali di comparazione. 1.Ci sono quattro aggettivi che per il comparativo e il superlativo ricorrono ad un altro radicale: gōd   yfel micel lytel

“buono”

bet(e)ra bet(e)st, betsta sēlra, sēlla sēlest(a) “cattivo” wi(e)rsa wi(e)rrest(a), wi(e)rst(a), wyrst(a) “grande” māra mǣst(a) “piccolo”  l ǣssa l ǣst(a)

2.Esistono alcuni aggettivi di forma comparativa e superlativa tratti da avverbi o preposizioni, preposizioni , cioè senza un corrispondente aggettivo positivo. Alcuni di questi hanno il superlativo formato con un suffisso *-mo di intensivo (cfr. lat. pri-mus, optimus, summus) che si conserva in pochi casi nella forma – ma; ma; più frequente la forma rafforzata -mest: ǣr  “prima” ǣrra ǣrest(a) œ fter   “dopo” œ fterra œ ftermest(a)  fore “prima” forma, fyrmest(a) formest(a), fyrest(a)   feorr “lontano”  fierra   fierrest(a) hindan “dietro” hindema inne “dentro” innerra innemest(a) ūte “fuori” ūterra, yterra ūtemest(a) ytemest(a)  s ī  p “tardi” s ī  pra s ī  pe(me)st(a)

l œt “tardi” l œtra l œtemest(a), l œtest(a) norp “verso nord” norperra, nyrpra norpmest(a) sū p “verso sud” sū perra, syperra sū pmest(a) ēast “verso est” ēasterra ēast(e)mest(a) west “verso ovest” westerra westmest(a) ufan “sopra”  uferra, yferra ufemest(a) yfemest(a) niopan “sotto” niperra nipermest(a)

Avverbi 1.Gli avverbi di modo si formano normalmente con l’aggiunta al tema dell’agg dell’aggettivo ettivo della desinenza – e (antica desinenza di locativo): d ēop “profondo” d ēope, hl ūd  “sonoro” hl ūde, w  ī d  d “ampio” w  ī d de e ecc.  c: c: fr ēondlic “amichevole” freondl  ce, cildlic “infantile” 2.Molto di frequente si formano avverbi da aggettivi in – ll  ī   ī ce, cildl  ī ce. ce. Ne consegue che la finale – ll  ī   cce e viene sentita come formante avverbiale e si formano avverbi in – l  l ī   ce ce anche da c: heard  “duro”, heardl  ce; open “aperto”, openl  ce ecc.  ī ce;  ī ce aggettivi che non hanno la forma in – ll  ī  c: 3.Alcuni avverbi hanno la desinenza – a (got. –ō ; aat. as. –ō < abl. –ōd )):: sōna “subito”, twina “due volte”, singala   “sempre”. Un certo numero di avverbi si forma da aggettivi e anche sostantivi con la desinenza – inga, inga, -unga:

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eallunga “assolutamente”, dearnunga “segretamente”, nēadinga  “per forza”, f ǣringa “subito, improvvisamente”, improvvi samente”,  fyrdinga “in bande, gruppi” ecc. questa ques ta formante è forma cristallizzata cristall izzata di quello stesso suffisso – ung ungō-, -ingō-, che dà

degli astratti femminili. Queste forme avverbiali sono frequenti solo nel germanico occidentale. 4.Talora si usano forme nominali flesse con valore avverbiale: Acc. sg. ealne weg “sempre”, fela feola “molto”, genōg “abbastanza”; Gen. sg. d œges “ogni giorno, di giorno”, selfwilles  “volontariamente”, n ī htes htes “di notte”, sō pes  “davvero”; Gen. pl. nāne pinga “niente affatto”, gēara “prima”; Dat. sg. elne “vigorosamente”, ealle “interamente”; Dat. pl. gēardagum “un tempo”, hw  ī lt  lt   ī dum dum “talvolta”, wundrum “meravigliosamente”; miclum “molto”, ecc.  ecc.   5.I più importanti avverbi di luogo sono i seguenti: STATO IN LUOGO

 feorr (be)foran hēr (be)hindan hw ǣr inne nēah (be)niopan  pǣr uppe ūte

-------------

MOTO A LUOGO

“lontano”  “lontano”  “davanti”   “davanti” “qui”   “qui” “dietro”   “dietro” “dove”   “dove” “dentro”   “dentro” “vicino”   “vicino” “sotto”   “sotto” “là”   “là” “sopra”   “sopra” “fuori”   “fuori” “sud”   “sud” “nord”   “nord” “est”   “est” “ovest”   “ovest”

 feorr  forp hider hinder hw œ per, hwider in(n) nēar niper, nipor  pœder, pider up(p) ūt   sū p norp ēast west  

MOTO DA LUOGO

feorran foran hionan, hine hindan hwonan innan nēan niopan ponan, panan uppan, ufan ūtan sū pan norpan ēastan westan

or, -ost, indeclinabili: w   ī d de e  6.Gli avverbi di modo in – e possono formare comparativo e superlativo, in – or, “ampiamente”, w  ī dor, dor, w  ī dost; dost; holdl   ī ccee “graziosamente”, holdlicor, holdlicost. is, cfr. lat. mag-is), la quale in inglese antico è Alcuni avverbi formano il comparativo con l’antica desinenza – iiss (got. – is, caduta, lasciando però spesso traccia nella metafonia palatale: bet (*batiz) “meglio”; mā , mǣ “più” (got. mais); ǣr (*airiz) “prima”; fierr  (*  (* feorriz) “più lontano”; leng (*langiz) “più a lungo”, ecc.  ecc. 

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I NUMERALI

Cardinali twā  3 pr ī   4 f ēower 5 f  ī ff   6 siex 7 seofon  8 eaht eahtāā  9 nigon  10 t  ī ī en, en, tyn, tē tēn  11 en(d)le(o)fan 1 ān  2 twā prēot  ī ī ne, ne, -tyne 14-19 f ēower- f  ī f-, f-, siex-, seofon-, eahta-, nigon-t ī ene-, ene-, -tyne, tē tēne. 12 twelf 13 prē

I nomi dei numerali cardianli dall’uno al dieci sono tutti di eredità indeuropea. Per “undici” cfr. aat. einlif, as. elleban  (*en-liban), an. ellifu, got. ainlif. Per “dodici” cfr. aat. zwelif, as. twelif, an. tolf, got. twalif. Il secondo element – lif  lif  si  si può spiegare come derivato dal rad. ie.  *lik w - “lasciar di resto” (cfr. lat. linquo/liqui , got. leihavan) labializzato: -lip > -lif. Questa formazione trova un confronto nel baltico: lit. vienuó-lika “11”, dvy-lika “12” e significa “resto di uno”, “resto di due”. Si potrebbe anche pensare alla rad.ie. *lip- “restare attaccato” di aingl. be-lifan , got. bi-leiban, aat. Bi-liban, ma restano allora lontane le forme baltiche.

I primi tre numerali si declinano: ), tenendo presente che all’accusativo maschile la forma è ǣnne > *ainina.  1. ān come aggettivo forte (cfr. gōd ), La forma debole āna è usata nel senso di “solo”. Il plurale si trova usato col significato di “unico”. Molto frequente la locuzione “ānra (gen. pl.) gehwilc = ogni, singolo, ciascuno”.  ciascuno”.  2. Nom. mas. twē twēgen femm. twā twā  nt. tū, twā twā . . . Gen. twēg(e)a, twēgra .. . .Dat. twǣm, twām La forma twēgen è probabilmente analoga a bēgen (*bō (*bō-- jenō)   jenō) “entrambi”, femm. bā nt. bū, bā.   ī e, e, pr   ī  , pry   femm. pr  ī o, o, pr ēo  nt. pr ēo, pr  ī o  ... 3. Nom. mas. pr  . Gen.  pr  ī ora, ora, pr ēora  .. . Dat.  prim I numeri da 4 a 19 non si flettono se precedono il nome, mentre se seguono o sono usati come nomi si declinano decli nano secondo I temi in – i:i:  es.  f  gen. f  ī  fa  dat. f  ī  fum  ī  fe “cinque” I numeri da 20 a 60 sono formati dall’unità + la sillaba – ttig ig (got. tigus, cfr. gr. δέκας. –αδος); twēntig (twēgen + tig),  prītig, fēowertig, siextig.  Da 70 a 120 i numeri sono formati nello stesso modo, ma facendo precedere hund- “cento”, che nella lingua tarda cade. 70 (hund)seofontig “sette decine della serie decimale?”  decimale?”   80 (hund)eahtatig hundtēontig ontig 110 hundǣlleftig hundǣlleftig   120 hundtwelftig 100 hundtē

90 (hund)nigontig

Tutti I numerali da 20 a 120 sono originariamente originari amente sostantivi neutri e reggono il genitive, ma sono usati anche come aggettivi. Nella lingua tarda sono indeclinabili. OSSERVAZIONI [Digitare il testo]

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1.Questo cambio di tipo di numerazione ai livelli 12, 60, 120 potrebbe far pensare a influssi di un sistema di numerazione sessagesimale o duodecimale. Che questa numerazione, accanto a quella decimale, avesse un certo peso nel mondo germanico, specialmente nordico, è chiaramente testimoniato nei testi antichi. Come esempio di sopravvivenza si può citare il ted. “Grosshundert”  pari a 120 unità, l’inglese “great”   o o “long hundred” , idem, l’inglese “score”  =  = ventina, parola di origine Nordica, ecc. 2.Accanto ad hundtēontig “100”, è molto frequente il neutro hundred  (north.  (north. Hundrep, hundrœp) nel quale l’elemento – red  red   indica “numero, conto” (cfr. got. rapjō “numero”, rapjan “contare”, aat. radia, as. redia, fris. rethe). La forma semplice hund   difficilmente difficilmente è usata da sola: in genere è unita ad altri numerali.

I numeri da 200 a 900 si formano con l’unità + il i l nt. hund: tūhund, prēohund ecc. a, regolarmente declinato. 1000 pūsend,  pūsend, nt. in – a,

Ordinali ǣrest(a)  I forma, formest(a), fyrest(a), ǣrest(a)  II ōper, aefterra  aefterra  III pridda fēowerpa  IV fēorpa, fēowerpa  fīfta   V fīfta VI si(e)xta VII seofopa VIII eahtopa IX nigopa X tēopa ēopa   XI enlefta, en(d)le(o)fta XII twelfta con –tēopa: prēoteōpa, fēowǣrtēopa…  fēowǣrtēopa…  XIII-XIX formazione con –tēopa: con –tigoda: twēntigoda, prēotigoda…  prēotigoda…  XX-CXX formazione con –tigoda:

Per hund  e  e pūsend  mancano  mancano gli ordinali, si supplisce con circolocuzioni. La flessione degli ordinali è quella degli aggettivi deboli. Solo ōper  si  si flette come un aggettivo forte, e le l e forme di superlativo (tratte da avverbi) per “primo” si flettono ora forti ora debol deboli.i. Moltiplicativi

Si formano dei composti aggiungendo al numerale cardinale l’aggettivo –  feald  (cfr.  (cfr. lat. –  plex ) il quale prende valore di suffisso: ānfeald, twyfeald, prīefeald… “semplice, duplice, triplice”, ecc. Le forme avverbiali sono: ǣne “una volta” tuwa, twiwa, twywa  “due volte”

 priwa   “tre volte”  volte” 

per i casi restanti si supplisce con circolocuzioni col sostantivo maschile sī  p “via, viaggio” quindi “volta”: fīf sīpum, twām sīpum ecc. Distributivi

Solo resti: be….tweonum “fra due”, cfr. got. tweihnai;  prinna  “ogni tre”, ricorre solo una volta nelle leggi di Aethelred.  Aethelred.  Si usano piuttosto le formule twǣm ond twǣm, prim ond prim “a due a due”, “a tre a tre”, oppure: be twǣm, be prime cc.

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DERIVAZIONE NOMINALE

I suffissi più comuni per le formazioni nominali sono qui brevemente elencati: Sostantivi maschili a)Concreti: -ing, -ling

che indica genericamente appartenenza, usato particolarmente nei patronimici: cyning “re” (“appartenente alla stirpe”: cynn); œpeling “nobile, principe”; aelfred Apulfing “Alfredo figlio di Aethelwulf”.  Aethelwulf”.  -els ( < -isl, germ. occ. * -islja) Byrgels  “tomba”, fǣtels “recipiente”, gyrdels  “cintura”, rǣdels  “indovinello” ecc.  ecc.  d’agente: b)Nomi d’agente: -bora anche nome indipendente tratto dal radicale del verbo beran “portare”; indica colui che porta qualcosa o ha qualche incarico: wǣpenbora “guerriero”, wōpbora “poeta”, mundbora “protettore”… “protettore”…   -end

originariamente suffisso di participio presente: fēond  “nemico” frēond  “amico”, līpend  “navigante”, scēotend   “guerriero”, sellend  “datore”, wealdend  “reggitore” ecc.  ecc.  -ere (lat. –ārius) nomi d’agente tratti da altri nomi e anche da verbi: drēamere “musico”, drincere “bevitore”, fugelere “uccellatore, cacciatore”, godspellere “evangelista”, scipere “marinaio” ecc.  ecc.  c)Astratti: -ap, -op

Drohtap “modo di vita”, fiscap “pesca”, huntop  “caccia”, eafop “forza”, hergap  “spedizione militare” ecc.  ecc.  -dōm 

Anche parola indipendente col senso di “giudizio, “g iudizio, stato, condizione”: cynedōm “regno”, cristendōm “cristianesimo”,  pēowdōm “servizio”, lārēowdōm “insegnamento” ecc.  ecc.  -hād   anche parola indipendente: “stato, condizione”: prēosthād  “clero”, werhād  “virilità” “virilità”,, wīfhād  “femminilità” cildhād  “infanzia” ecc.  -scipe  burgscipe “cittadinanza”, hǣpenscipe “paganesimo”, gemǣnscipe “comunità, cameratismo”, pēodscipe “nazione” ecc. -stafas (pl. di stœf  “asta, lettera, segno”)  segno”)   ecc.  ārstafas “gentilezza”, hearmstafas “afflizione”, wyrdstafas “destino” ecc.  Sostantivi femminili a)Nomi d’agente:  d’agente:  -estre (germ. com. * -astrjon/*-istrjon)

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nomi formati da verbi e anche da sostantivi: bœcestre “fornaia”, sangestre “cantante”, lǣrestre “maestra”, rǣdestre   “lettrice”.   “lettrice”. b)Astratti: -en (germ. com. *-inī, *-injō, germ. occ. * -innjō) selen “dono”, lygen “falsità”, scielden “protezione”, segen “opinione”, rǣden “condizione, stato, ordinamento”; talora con tendenza a concretizzarsi: strēonen “luogo dove ci si distende”quindi di stende”quindi “letto”, byrgen  “sepoltura, sepolcro, tumulo”; talora il suffisso – en en è usato per fare il femminile da sostantivi maschili: gyden “dea”, fyxen  “volpe femmina”, mynecen “monaca”, pēowen “serva” ecc.  ecc.  -nes(s), -nis(s)

tratti da aggettivi: ēadigness “beatitudine”, biternes(s) “amarezza”, clǣnnes(s) “purezza”, īdelnes(s) “pigrizia”, mildheortnes(s) “misericordia” ecc.  ecc.  -rǣden 

anche nome indipendente “stato, condizione” (cfr. il tipo in – en en): holdrǣden “lealtà”, tēonrǣden “ingiuria”, trēowrǣden “fedeltà”, hīwrœden “famiglia” ecc.  ecc.  -po, -p, più antico –   pu (got. – ipa ipa, aat. ida) astratti da aggettivi: fylp  “sporcizia”, iermp(u) “miseria”, sǣlp “felicità”, gesyntu (*gesyndpu) “salute”, “salute”, strengp(u)  “forza” ecc.  ecc.  -u, -o, antichi temi in –īn  Tratti da aggettivi: menniscu “umanità, condizione umana”, wlencu “orgoglio”, ieldu “vecchiaia”, hǣtu “ardore” ecc.  ecc.  -ung, -ing  derivati da verbi, specie della II classe debole: āscung “interrogazione, domanda”, blācung “pallore”, handlung  “azione”, “affare”, langung “desiderio”, hālgung “consacrazione”, swīgung “silenzio” ecc.  ecc.  -wist  astratto  astratto verbale da wesan “essere” “essere”   midwist  “presenza”, hūswist  “casa famiglia”, samwist “convivenza”, “convivenza”,  onwist  “soggiorno”, stedewist  “costanza” ecc.  ecc.  Sostantivi neutri astrazione):  a)Concreti (ma risalenti ad un’originaria astrazione):  -en (germ. occ. *-innja, *- īna,  īna, risalente ad un ie. *- īno  īno- che indica in genere appartenenza, affinità). Vi si ricollegano anche i femminili in – en; en; 

 fœsten “fortezza”, wēsten “deserto”, nīeten “bestiame” ecc.  ecc.  Molti nomi di piccoli animali: gœten “capretto”, ticcen “capretto”, cycen “gallinella” ecc., per cui probabilmente il suffisso prende il valore, in i n seguito divenuto caratteristico, di diminutivo: mœgden “ragazza” ecc.  ecc.  -incel  (germ.  (germ. occ. *-(n)kl(īn) -? ) altro suffisso di diminutivo: hūsincel  “casetta”, tūnincel  “poderetto”, stānincel  “pietruzza”, scipincel  “barchetta” ecc.  ecc.   b)Astratti: - īāc  īāc  anche parola indipendente “gioco”, “movimento, attività”: wēdlāc “matrimonio”, wītelāc “punizione”, rēaflāc  “rapina”, brydlāc “dono di nozze” ecc.  ecc.  -et/-ot (*-itja, *-atja) derivati da nomi e verbi: pēowet  “schiavitù”, rymet  “spazio”, nierwet  “angustia”, sweofot  “sonno” ecc.

 Aggettivi -bǣre (dalla rad. *bher-, cfr. lat. –   fer ) w œstmbǣre “fruttuoso”, feperbǣre “piumato”, cwealmbǣre “mortale”, ātorbǣre “velenoso” ecc.  ecc.  -cund   denotante “specie, origine”: œelcund  “nobile”, d ēofolcund  “diabolico”, godcund  “sacro, divino”, gāstcund  

“spirituale” ecc.  ecc.  -ede  indicantee “provvisto di, fornito di…”: hringed(e)  “fornito di anelli”, micelhēafdede “dalla gran testa” prih ēafdede  indicant “tricefalo” ecc. (Forme participiali).  participiali).  -en (*-ina) designante la materia di cui qualcosa è fatto, o comunque la pertinenza: fellen  “di pelle”, fl ǣscen “di carne”, seolfren  den “serico” ecc.  “d’argento”, wylfen  “feroce, lupesco”, pyrnen  “spinoso”, s ī den ecc.  -erne (*-ronja-)

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denotante direzione: ēasterne “orientale”, westerne “occidentale”, sū perne “meridionale”, norperne  “settentrionale” ecc.  ecc.  -f œst anche aggettivo indipendente “fermo, solido”: ārf œst  “virtuoso”, sopf œst  “sincero”, sigf œst  “vittorioso”, bl ǣdf œst   “glorioso” ecc.  ecc.  -feald  (cfr.  (cfr. lat. –  plex ) ānfeald  “semplice”, manigfeald  “molteplice”, seofonfeald  “settemplice” ecc.  ecc.  -full

anche aggettivo indipendente “pieno”: andgietful(l)  “intelligente”, sorgful(l) “triste”, geornful(l) “zelante”, wundorful(l) “meraviglioso” ecc.  ecc.  -ig g. La presenza dell’uno o dell’altro è indicata in inglese dalla i suffissi germanici: -ag e – iig inglese dalla metafonia della (sono vocaledue radicale): bisig “indaffarato”, bl ōdig “sanguinoso”, mōdig  “coraggioso”, st ǣnig “pietroso”, purstig, pyrstig “assetato” ecc.  ecc.  -iht, -ihte

ha lo stesso valore del suffisso precedente, ma più forte: “coperto di…” st ǣniht(e), st āniht(e) “coperto di sassi”,  pyrniht(e) “coperto di spine”, sandiht  “coperto di sabbia”.  sabbia”.  -isc  dà aggettivi qualificativi: englisc “inglese”, denisc “danese”, mennisc “umano”, cildisc “infantile”, inlendisc  “indigeno”, heofonisc “celeste” ecc.  ecc.  -l ēas  anchee come aggettivo indipendente “privo, vuoto”:  f œderl ēas “senza padre”, mœgenl ēas “senza forza”, anch grundl ēas “senza fondo”, winel ēas “senza amici” ecc.  ecc.   -l   ī c morfemizzazione (con abbreviazione della i , ma non sempre in poesia) della parola (nt. – a) l  ī c “corpo, figura, aspetto”, cildlic  “infantile”, atollic “orribile”, d œglic “giornaliero”, mǣrlic “famoso”, hetelicm”ostile” ecc.  ecc.  -ol

forma aggettivi in genere da verbi: r ēafol  “rapace”, sl ā pol  “sonnolento”, pancol  “grato”, wacol  “vigile” ecc.  ecc.  -sum (dal tema pron. *sama- “stesso”, della stessa specie”)  specie”)  wynsum “delizioso”, langsum “tedioso”, fripsum “pacifico”, wilsum “piacevole”, h ī ersum ersum “obbediente” ecc.  ecc.  -weard   originariamente aggettivo verbale relativo a weorpan “diventare”; forma aggettivi denotanti denotanti la direzione o posizione: œ fterwead  “seguente”, andweard   “presente”, innanweard  “interno”, t ōweard  “futuro, veniente” ecc.  ecc.  -wende

relativo al verbo wendan “volgere” “volgersi”; forma aggettivi da altri aggettivi o sostantivi: hātwende “bollente”, hālwende “salutare”, hw   ī lwende lwende “temporaneo”, l ā pwende “odioso” ecc.  ecc. 

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IL VERBO

Generalità 

Si denomina “verbo” una parola che indica i ndica una azione, diversamente dal “nome” che indica sostanza o qualità. qualità.   La parola verbo deriva dal lat. verbum, che è a sua volta traduzione del gr. ρημα “parola, detto”, definizione che risale ad Aristotele, che considera questo elemento grammaticale gramm aticale nella sua funzione logica di “predicato”, cioè esprimente quello che si afferma nei riguardi ri guardi del soggetto. Chiamiamo il verbo “predicato verbale” quando si tratta di un’azione, “predicato nominale” quando si tratta di un rapporto di qualità (verbo essere + nome). Potremmo accettare la definizione defini zione data da Jules Marouzeau nel “Lexi que que de la terminologie linguistique” 1943, pag. 220: “Parola considerata dagli antichi come il termine essenziale dell’enunciato, definito dai moderni come esprimente essenzialmente un processo (azione, stato, divenire)”. divenire)”.   I caratteri formali del verbo sono: conclusa);  l’aspetto (cioè la qualità dell’azione: puntuale, ripetuta, durativa, già conclusa);  la diatesi (o posizione: attiva, media, passiva) il modo (realtà, possibilità, desiderio, comando) il tempo (presente, passato, futuro) il numero (singolare, duale, plurale) la persona (prima, seconda, terza) gli ultimi due strettamente collegati, tanto che i morfemi sono unici. L’insieme di tutte queste categorie si chiama chiam a “coniugazione verbale”, concetto assai astratto. In un periodo arcaico ar caico non è ipotizzabile per tutti tutti i verbi quella che noi chiamiamo “coniugazione completa”. Ogni radice verbale ha un tema che può essere di presente, di aoristo, di perfetto secondo l’aspetto, cioè la quali qualità tà dell’azione significata (azione che dura nel presente, azione puntuale cioè vista nel solo momento del suo compiersi, azione conclusa). Perciò verbi diversi si associano per costituire una coniugazione supplettiva, del tipo latino  fero/tuli   o o sum/fui . Solo mediante un lento processo di astrazione e generalizzazione (analogica) si arriva a dare ad ogni radice tutto un paradigma. Il verbo germanico ha molto semplificato la struttura ie. del verbo. una distinzione molto forte nel sistema verbale ie. è quella fra verbi tematici , cioè che hanno fra radice e desinenza la vocale tematica alternante e/o, e verbi atematici , cioè che aggiungono direttamente la desinenza alla radice. Questa differenza, conservata molto bene in alcune lingue ie., i e., vedi l’antico indiano e il greco, è di fatto scomparsa nel germanico, che ha generalizzato la forma tematica e conserva solo pochi resti di verbi in – mi  mi  e  e alcune forme di tipo atematico nelle classi II e III dei verbi deboli. Nel verbo germanico la nozione tempo ha prevalso su quella di aspetto tuttavia per l’espressione del tempo ci si limita ad opporre opporr e un tema di presente ad un tema di preterito. Anche il verbo antico inglese quindi ha una morfologia molto ridotta in confronto alla ricca gamma formale del verbo indeuropeo. -Ha una sola diatesi : quella attiva; -ha due tempi : presente e preterito; il futuro si esprime col presente e -ha tre modi : indicativo, ottativo-congiuntivo, imperativo; con forme perifrastiche, con l’aiuto -ha due numeri : singolare e plurale; degli ausiliari sculan “dovere” e willan “volere”; -tre forme nominali , cioè forme che, pur avendo

esse sono: l’infinito, tratto dal tema del presente, che indica come il verbo la funzione di esprimere l’azione l’azione,,   l’azione in senso generale al di fuori delle categorie grammat;  grammat;  

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si flettono e si costruiscono come il nome, facilitando la strutturazione della frase.

un participio presente con significato attivo; un participio passato con significato passivo o intransitivo.

I verbi dell’inglese antico si dividono in due grandi categorie: verbi forti  e  e verbi deboli. Si aggiungono a queste due altri piccoli gruppi: i verbi  perfetto-presenti  e  e i verbi atematici. 

Verbi forti  

Sono tutti verbi originari, la cui radice cioè indica di per sé un processo, un’azione. Si distinguono in verbi che formano il preterito cambiando il timbro della vocale radicale ( alternanza vocalica) e verbi che formano il i l preterito con il raddoppiamento. Le desinenze dei verbi forti sono, nel sassone occidentale, le seguenti:

Desinenze del presente. INDICATIVO

Sg. 1. -e 2. -(e)s, -(e)st 3. -(e)p

OTTATIVO

Pl. -ap

INFINITO

-an

Sg. 1. -e 2. -e 3. -e 

IMPERATIVO

Pl.

Sg. 2. --- Pl. 2. -ap -en, -an, -on

PARTICIPIO

-ende

OSSERVAZIONI Presente indicativo –  La desinenza originaria della 1a persona singolare è -u (*-ō), più recente – o, conservata in dialetto anglico. La des. della 2a persona è nella sua forma più antica – s (*-si ); ); la forma – sst  t  deriva  deriva il t  in parte dall’analogia dall’analogia coi perfetto-presenti (cfr. wast  da  da witan, scealt  da  da sculan ecc.) in parte dalla errata errata valutazione di forme con il pronome personale posposto come enclitica: biris pu > biristu “porti tu” da beran “portare” e simili.  simili. 

La vocale mediana (tematica) della 2a e 3a pers. sg. (spesso sincopata: sempre nei verbi contratti, negli altri casi dopo vocale lunga, specie nei dialetti meridionali: r  ī dan  ī dest,  ī tst,  ī t(t) originariamente mente una i  (*  (*-esi, dan “cavalcare” fa r  dest, r  ī ep ep ma più spesso r  tst, r  t(t)) è originaria *-eti  >  > germ. com. *-isi, *-ipi ) il che provoca metafonia palatale bere, bires, birep. Si conserva solo nei testi più antichi, ben presto si indebolisce in e. La desinenza del plurale, unica per le tre persone, è generalizzazione della forma di 3a persona: *-onti > anpi > ō p >ap, con abbreviamento della vocale finale in sillaba atona. Ottativo  – Nei – Nei testi più antichi le desinenze sono –œ (*-oi, *-ois, *-oit ) e œn (*-oint ). ). Oltre alle forme correnti – e, e, -en si trova nel tardo sassone occidentale – a an n e anche – on on (-un), di origine preteritale. preteritale. Imperativo –  La 2a pers. sg. è adesinenziale. L’antica L’antica desinenza – e, è regolarmente caduta in tutto il germanico. Ma quei verbi che hanno il presente in –  jo con vocale radicale breve, conservano la – ee,, derivata da un più antico – i i (  ( -en. Al di fuori del dialetto sassone occidentale si trovano anche le forme – an, an, -on, -un. I verbi semplici formano generalmente il p.p. col prefisso gi- > ge-, che ha in

origine valore perfettivo. Il part. pret. forte si flette come un comune aggettivo con forme forte e debole. NOTA È assai frequente l’uso del preterito di forma f orma perifrastica: perifrastica:   a) a)   part. pret. + l’ausiliare  l’ausiliare “avere” per i verbi transitivi: pœt ic cū pl  ī ce ce geleornad h œbbe “che io ho appreso con certezza”.  certezza”.   pā he h ī   p pā ongieten hœ fde “quando li ebbe compresi”; compresi”; b) b)   part. pret. + l’ausiliare “essere” per gli intransitivi:  pā w œs pœs folces fela on ān f œsten ō pflogen “buona “buona parte del popolo si era rifugiata in una fortezza”.  fortezza”.  Verbi forti alternanti

I verbi di questa categoria formano il preterito con alternanza della vocale radicale, cioè cambiando il timbro della vocale medesima. Questo cambiamento di timbro della vocale vocal e radicale, certamente connesso con lo spostarsi dell’accento (originario), è una eredità indeuropea. L’alternanza vocalica è un processo morfologico dell’indeuropeo, del l’indeuropeo, con il quale si può indicare la particolare accezione nella quale una data nozione è considerata; può indicare cioè una modificazione di numero, di caso, di tempo ecc. ec c. Nel sistema verbale più antico è, in linea l inea di massima, un segno dell’aspetto.  dell’aspetto.  Come abbiamo visto, nel germanico il concetto di aspetto è in decadenza, mentre si va sempre più consolidando la distinzione di “tempo”. Il verbo germanico indica infatti i vari temi temporali con un diverso timbro della vocale radicale. L’alternanza vocalica avviene secondo regole precise: ogni radice monosillabica indeuropea i ndeuropea (inutile fare riferimento a radici bisillabiche nel caso del germanico), a vocale breve, può presentare la vocale radicale o (grado forte), la vocale e (grado normale o debole), la vocale zero (grado ridotto): e/o/- (prima formula delle alternanze). al ternanze). Esempi: rad. *sed- “star seduto”  seduto”  lat.  sed-e-o, sol ium ium (*sod-ium), consido (*con-si-sd-o). Se la radice, oltre alla al la vocale radicale alternante al ternante contiene una sonante, questo elemento resta fisso, vocalizzandosi al grado ridotto ridotto della radice, senza turbare il gioco dell’alternanza.  dell’alternanza.  Esempi: sonante i : rad. *leik w - “lasciare”

sonante r : *derk-  “guardare” “guardare”  

Se la radice ha vocale radicale lunga, essa ha due sole possibilità: può presentare la vocale lunga ( ē , ō , ā = grado lungo o pieno) oppure il cosiddetto ‘schwa indeuropeo’ indicato con ə (grado ridotto): vocale lunga/ ə (seconda regola della alternanze). Esempi: [Digitare il testo]

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voc.rad. ē:  rad. *dhē- “porre, fare”: lat. f ēci /f ăctus voc.rad. ō:  rad. *d ō-  “dare”: lat. d ō / d ătus voc.rad. ā:  rad. *st ā-  “stare”: lat. st ārem /status Il verbo forte alternante del germanico germa nico si suddivide in sei classi, le prime cinque con vocale radicale breve al alternante ternante secondo la formula e/o/-, che si differenziano fra loro a seconda dell’ambiente dell ’ambiente fonetico nel quale la vocale radical radicalee alternante si viene a trovare, la sesta con vocale radicale lunga, alternante secondo la formula voc. lunga / ə.  Nelle prime cinque classi il presente è caratterizzato dal grado normale della radice ( e), il preterito singolare dal grado forte (o), il preterito plurale dal grado ridotto (--) e così pure il participio passato (--). Nella sesta classe il presente ha il grado ridotto ( ə), il preterito sg. e pl. il grado pieno (voc. lunga), il participio preterito grado ridotto (ə). morfologico di un verbo forte alternante sarà necessario conoscere quattro forme: Quindi peril individuare il tipo presente, preterito sg., preterito pl., part.preterito.

I Classe

La radice, oltre la vocale radicale alternante, contiene la sonante i . Presente vocalismo *ei > aingl. ī  aingl.  ī   Pret. sg. vocalismo *oi > aingl. ā  Pret. pl. vocalismo *i > aingl. i Part. pret. vocalismo *i > aingl. i Esempi: sn ī  pan “tagliare”: sn ī   pe, snā p, snidon, sniden b ī dan dan “aspettare”: b ī de, de, bād, bidon, biden l  ī  pan  “andare”: l  ī  pe, l ā p, lidon, liden 

gr  ī  pan “afferrare”: gr   ī  pe, gr ā p, gripon, gripen.

Il verbo sn ī  pan e il verbo l  ī  pan presentano una alternanza consonantica nel preterito fra singolare e plurale di tipo  p/d . Per spiegare questo fenomeno comunemente chiamato alternanza grammaticale (secondo l’espressione “grammatischer Wechsel” coniata da Jakob Grimm), dobbiamo d obbiamo tener presente che il preterito dei verbi forti germanici rispecchia, morfologicamente, il vecchio vecchio perfetto ie., le cu cuii caratteristiche sono: al singolare accento sul radicale e grado forte della vocale radicale; al plurale accento sulla desinenza e grado ridotto della vocale. Si pensi al tipo antico indiano (l’ai. conserva fedelmente l’antico accento ie.) véda “io so”, vidmàh “noi sappiamo” (*voìd-a, *vid-màs). Questo spostarsi dell’accento ha particolari conseguenze conseguenze per  per le radici uscenti in consonante occlusiva sorda indeuropea, la quale al singolare si muta, per la legge di Grimm in spirante sorda, ma al plurale, verificandosi le condizioni richieste dalla legge di Verner viene resa con la corrispondente spirante sonora. Ricordiamo che nel germanico occidentale la 2a persona singolare del preterito indicativo si adegua al vocalismo radicale e anche all’accento del plurale; quindi da sn ī  pan si avrà pret. sg. 1, 3 snā p, 2 snide; da b ī dan: dan: 1, 3 bād, 2 bide; da l  ī  pan: 1, 3 l ā p, 2 lide ecc. L’alternanza grammaticale è assai rara in gotico, dove l’analogia ha conguagliato (salvo due soli casi) il consonantismo dei paradigmi, mentre è ancora ben riconoscibile ric onoscibile in tedesco e in inglese, ing lese, pur essendo anche in queste ingue in declino. A questa prima classe appartiene un certo numero di verbi contratti: in inglese antico la h intervocalica scompare fin dal periodo arcaico, provocando contrazione degli elementi vocalici venuti a contatto e allungamento. Per questa ragione i verbi di questa classe tipo *t  ī han han “accusare”, *wr   ī han han  “coprire”, *l  ī han han “prestare” ecc., dopo un primo cambiamento per la frattura della i  dinanzi  dinanzi ad h in *t  ī ohan/*t  ohan/*t ēohan, wr  ī ohan/*wr  ohan/*wr ēohan ecc., passano a t   ī n/t  n/t ēon, wr   ī on/wr  on/wr ēon ecc. Le forme, con alternanza grammaticale, sono: t ēon: t ēo, t āh, tigon, tigen wr ēon: wr ēo, wr āh, wrigon, wrigen  ecc. II Classe

La radice, oltre alla vocale v ocale radicale alternante, contiene la sonante u. presente vocalismo *eu > aingl. ēo pret. sg. vocalismo *ou > aingl. ēa pret. pl. vocalismo *u > aingl. u [Digitare il testo]

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part. pret. vocalismo

*u

> aingl. u (> o per metafonia)

Esempi: bēodan “comandare”: bēode, bēad, budon, boden  fl ēotan “navigare”:  fl ēote, fl ēat, fluton, floten

con alternanza grammaticale: cēosan “scegliere”: cēose, cēas, curon, coren sē pan  “bollire”: sēope, sēap, sudon, soden Verbi contratti: t ēon (*t ēohan) “tirare”: t ēo, t ēah, tugon, togen  fl ēon (* fl ēohan) “fuggire”: fl ēo, fl ēah, flugon, flogen

NOTA Nel sassone occidentale I verbi contratti della I classe sono assai presto stati confusi, per la loro omofonia nelle forme contratte ( ī o > ē ; *eu > ēo), con i verbi contratti della II classe, per cui si hanno per esempio da wr ēon (*wr  ī han han) forme di preterito come wr ēah, wrugon accanto alle regolari wr āh, wrigon, e simili. Questo non avviene nel dialetto anglico. Appartiene inoltre a questa II Classe un gruppo di verbi con vocalismo ū al presente: d ū fan “tuffarsi”, br ūcan “usare”, sūcan “succhiare” “succhiare”;; būgan “piegare” ecc. Le forme sono del tipo: br ūcan: br ūce, br ēac, brucon, brocen. III Classe

Comprende tutte le radici che terminano in liquida o nasale + consonante. Si distinguono i seguenti tipi (si indica qui con k  una  una consonante qualsiasi): 1)  nasale + consonante 2) l + consonante presente *enk > ink

presente *elk > elk

pret. pl. sg. **onk pret. ṇk >> ånk unk part. pret. *ṇ *ṇk > unk (senza metafonia)

pret. ealk (con frattura) pret. sg. pl. **olk ḷk >> ulk part. pret. *ḷk > ulk > olk (per metafonia)

Esempio bindan “legare” “legare”  

Esempio helpan  “aiutare” “aiutare”  

Binde, band/bond, bundon, bunden

helpe, healp, hulpon, holpen

3)  r +consonante

presente *erk pret. sg. *ork pret. pl. *ṛk part. pret. *ṛ *ṛk

> > > >

eork (frattura) eark (frattura) urk urk > ork (per metafonia) 

weorpan: “gettare” weorpe, wearp, wurpon, worpen Esempio “gettare”   weorpan Con alternanza grammaticale: “diventare”  weorpe, wearp, wurdon, worden “diventare” 

Rientrano in questo stesso tipo 3) due piccoli gruppi di verbi:  prima della vocale radicale o con metatesi secondaria, che quindi non hanno frattura: a)  radici con la r  prima bregdan “bandire”: bregde, br œgd, brugdon, brogden stregdan “spargere”: stregde, str œgd, strugdon, strogden berstan  “scoppiare”: berste, bœrst, burston, borsten derscan “trebbiare”: dersce, d œrsc, durscon, dorscen  frignan  “domandare”: frigne, fr œgn, frugnon, frugnen. b)  verbi con presente a vocalismo ridotto:   murnan “lamentarsi”: murne, mearn, murnon, -spurnan “spronare”: spurne, spearn, spurnon, spornen

Su questo tipo 3) si modella anche un verbo con radice uscente in h + cons. (ht )):: feohtan  “combattere”: “combattere”:    feohte, feaht, fuhton, fohten

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IV Classe

Comprende tutte le radici che terminano in liquida o nasale semplice. Questa classe di verbi ha al preterito plurale, invece dell’atteso vocalismo ridotto, la vocale ē (grado allungato, caratteristico di preterito, cfr. lat. v ēni, l ēgi, fr ēgi… ēgi…), forse per analogia coi verbi della V classe. Il tipo in liquida è ben rappresentato: presente *er/*el > er/el pret. sg. *or/*ol > aer/ael pret. pl. *ēr/* r/*ēēl > ǣr/ǣ r/ǣl part. pret. *ṛ *ṛ/*ḷ /*ḷ 

Esempi: beran “portare” “portare”   bere, bœr, bǣron, boren stelan “rubare”

> ur/ul ur/ul > or/ol (per metafonia)

stele, st œl, st ǣlon, stolen.

Il tipo in inasale, la cui serie di alternanze sarebbe in teoria *en, *on, *ēn, *ṇ > en, ån, ōn, un è rappresentato da due  soli verbi: niman “prendere” e cuman “venire”, il cui paradigma presenta qualche anomalia:  anomalia:  niman: nime, nam/nōm, nōmon/nāmon, numen nime, con i  <  < e perchè segue m nōm, per analogia con il plurale nōmon nāmon, forma tarda, difficile da spiegare: forse influenzata dal doppio timbro vocalico ( a/ ō) del singolare numen, senza metafonia perché segue nasale. cuman:  cume, c(w)ōm, c(w)ōmon, cumen cume, con radicale al grado ridotto (* gw m-) e caduta della w  dinanzi  dinanzi ad u  c(w)ōm, rifatto sul plurale cumen, senza metafonia (vedi numen) e scomparsa della w  dinanzi  dinanzi a w.

V Classe

Comprende tutte le radici che terminano in consonante consonant e semplice, diversa da liquida e nasale. Questo tipo di radice non ammette, nel germanico, il grado zero, che provoc provocherebbe herebbe difficili incontri di consonanti, per cui al preterito plurale si ha il grado allungato ē, caratteristico di preterito, e al participio preterito il grado normale e. La serie delle alternanze è quindi: presente *e > e pret. sg. *o > ae Esempi: etan “mangiare” -

pret. pl. *ē > ǣ 

part. pret. *e > e

ete, œt, ǣton, eten  con alternanza grammaticale: cwepan “parlare, dire” cwepe, cw œ p, cw ǣdon, cweden.

Rientrano nella V classe un certo numero di: 1)verbi contratti Gef ēon “rallegrarsi”, sēon “vedere”, pl ēon “rischiare” (* fehan, *seh(w)an, plehan). Ecco le forme, con alternanza grammaticale: -f ēo, -feah, -f ǣgon, -fegen sēo, seah, sāwon/sǣgon, sawen/sewen/-segen

pl ēo, pleah, ---, ---.

2)verbi con presente in –  jo, e quindi con conseguente geminazione e metafonia della vocale radicale: biddan “pregare”: bidde bœd bǣdon beden sittan “sedersi”: sitte sœt sǣton seten licg(e)an “star disteso”: licge l œg l ǣgon legen picg(e)an “ricevere”: picge, peah pǣgon, pegen  fricg(e)an   “venir a sapere”: fricge -- -- gefregen. Questi verbi, come pure i presenti in –  jo della VI classe flettono il presente in modo identico ai verbi deboli della I classe a vocale radicale breve. [Digitare il testo]

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VI Classe

Comprende tutte le radici in vocale radicale lunga. Le rdici con voc. rad. * ē (>ǣ) hanno il preterito a raddoppiamento, non fanno quindi parte di questa classe. Restano le radici con voc. rad. *ō , *ā, le quali alternano con *ə , secondo la II formula delle alternanze vocaliche ie.; *ā *ō >ō in germanico, *ə > a germanica, per cui tutte le radici della VI classe alternano secondo il modello ō /a. Se prescindiamo dal confronto con le altre lingue ie. (*STĀ (*STĀ“stare in piedi”: *st ā-/*st ə-) possiamo parlare per il germanico di alternanza non qualitativa, ma quantitativa, cioè fra vocale lunga (germ. ō < *ā , *ō) e breve (germ. ă < *ā , *ŏ). Distribuzione dei gradi vocalici nei vari temi: presente *ə *ə  >a part. pret. * ə > a

Esempi: faran “viaggiare”: fare, fōr, fōron, faren 

standan “stare”: stånde, stōd, stōdon, stånden  pret. sg. *ō, *ā *ā  > ō pret. pl. *ō, *ā *ā  > ō  (con n solo nel tema del presente). Anche questa classe ha: 1)verbi contratti: slēan “colpire, uccidere” (got. slahan) slēa, slōh/slōg, slōgon, slagen/slœgen   pwēan “lavare” (got. pwahan) ecc. 2)verbi con presente in –  jo (con geminazione e metafonia): hebban “sollevare”: hebbe, hōf, hōfon, hafen (got. hafjan) hliehhan “ridere”: hliehhe, hlōh/hlōg, hlōgon, --- (got. hlahjan) sceppan “danneggiare”: sce ppe, sc€ōd, sc(e)ōdon, sc(e)ōdon, ---scieppan “creare”: scieppe, sc(e)ōp, sc(e)ōpon, sceapen  (got. skapjan) stœppan “camminare”: stœppe, stōp, stō, stapen/stœpen  swerian “giurare”: swerie, swōr, swōron, sworen (swaren) Paradigmi modello I Classe bidan “aspettare”

II Classe

bēodan “comandare” “comandare”    flēon “fuggire” “fuggire”  

tēon “accusare” PRESENTE Indicativo

Sg. 1. 2. 3. Pl.

bīde bītst bīt(t) bīdap

tēo   tēo tīehst tīehp tēop

bēde bīetst bīet bēodap

flēo   flēo flīehst  flīehst  flīehp  flīehp  flēop flēop

Ottativo

Sg.

bīde

tēo

Pl.

bīden tēon

Sg. 2. Pl. 2.

bīd tēoh bīdap tēop

Imperativo

bēode

flēo  flēo 

bēoden

flēon flēon

bēod bēodap

flēoh  flēoh  flēop  flēop 

Infinito

bīdan bēodan

tēon

flēon  flēon 

Participio

bīdende tēonde

bēodende flēonde flēonde PRETERITO Indicativo

Sg.

1. 2. 3.

Pl.

bād bide bād bidon

tāh tige tāh tigon

bēad  bēad  bude bead budon

flēah  flēah  fluge flēah fl ēah   flugon

bude

fluge

Ottativo 

Sg. [Digitare il testo]

bide

tige

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Pl.

biden

tigen

buden

flugen

boden

flogen

Participio

biden tigen

IV Classe  beran  “portare” “portare”  

III Classe bindan “legare”, helpan “aiutare”, weorpan “gettare” “gettare”   PRESENTE Indicativo

Sg. 1. 2.

3. Pl.

binde bindest, bintst bindep, bint bindap

helpe hilp(e)st hilp(e)p helpap

weorpe wierpst wierpp weorpap

bere bir(e)st bir(e)p bir (e)p berap Ottativo

Sg. Pl.

binde binden

helpe helpen

weorpe weorpen

bere beren Imperativo

Sg. 2. Pl. 2.

bind bindap

help helpap

weorp weorpap

ber berap Infinito

bindan

helpan

weorpan

beran Participio

bindende

helpende weorpende

berende PRETERITO Indicativo

Sg. 1. 2.

band/bond bunde

healp hulpe

wearp wurpe

b ǣr b ǣre

3.

band/bond bundon

healp hulpon

wearp wurpon

b ǣr b ǣon

Pl.

Ottativo

Sg. Pl.

bunde bunden

hulpe hulpen

wurpe wurpen

b ǣre b ǣren Participio

holpen

bunden

worpen

boren

VI Classe   faran  “viaggiare” “viaggiare”   sl ēan  “uccidere” “uccidere”   hebban “sollevare” “sollevare”  

V Classe etan “mangiare” sēon “vedere” biddan “pregare” PRESENTE  Indicativo

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Sg. 1. 2. 3. Pl.

ete itst itt etap

s ēo siehst siehp sēop

bidde bidest, bitst bidep, bit biddap

fare f ǣr(e)st f ǣr(e)p farap

sl slēēa hebbe sliehst hefst sliehp hefp sl slēēap hebbap

fare faren

slēa sl slēēan

Ottativo

Sg.

ete sēo eten sē sēon

Pl.

bidde bidden

hebbe  hebbe  hebben

Imperativo

Sg.

et

sēoh

bide

Pl.

etap

sēop

biddap

(f ǣr) far farap

slēah slē

hefe

sl slēēap

hebbap

faran

sl slēēan

hebban

Infinito

etan

sēon sē

biddan Participio

etende seonde

biddende

farende

sl slēēande hebbende

PRETERITO Indicativo

Sg. 1. 2. 3. Pl. Sg. Pl.

aet ǣte aet ǣton ǣte ǣten

seah sāwe seah sāwon sā sāwe sāwen sā

baed bǣde baed bǣdon bǣ bǣde bǣden bǣ

f ōr f ōre f ōr f ōron

slog, sl slō ōh slōge slō slog, sl slō ōh slōgon slō

hōf hōfe hōf h ōfon hō

f ōre f ōren

slō sl ōge slōgen slō

hōfe hōfen hō

faren

slaegen

hafen haefen

Ottativo

Participio

eten

sawen sewen segen

beden

11. ǣ per analogia con il plurale. La 2a pers. sg. dell’ind. Pret. ha grado ridotto e des. – e. Il grado gr ado ridotto è caratteristico anche dell’ind. Pret. pl. e dell’ottativo preterito. L’analogia fa sì che, quando nel pl. interviene il grado allungato (* ē , IV e V classe) esso passi anche alla 2a pers. sing. dell’ind. e all’ottativo.  all’ottativo.  12. f œr  è  è forma anglica, e rispecchia il normale sviluppo di una *ă. La forma sassone occidentale  far  è  è analogica. Verbi forti a raddoppiamento

Alcuni verbi forti germanici formavano il preterito col raddoppiamento, utilizzando un processo morfologico frequentemente usato nelle lingue indeuropee, i ndeuropee, non necessariamente legato al perfetto. Questo procedimento, pro cedimento, ancora chiaramente individuabile nel gotico ( haitan “chiamare” pret. haihait ; sl ē pan “dormire” pret. saisl ē p) è del tutto irriconoscibile nel germanico occidentale. In inglese a questa antica categoria corrisponde un certo numero di verbi che hanno al preterito uno speciale vocalismo ( ē , ēo) di difficile spiegazione, che potrebbe essere risultato di antiche contrazioni fra sillaba di raddoppiamento e sillaba radicale. I verbi di questa classe hanno tutti vocale radicale lunga, il preterito ha la stessa vocale radicale sia al sg. che al pl., il participio preterito ha lo stesso vocalismo del presente. Si può pensare ad una analogia coi verbi della sesta classe, facilitata dell’elemento comune: la lunghezza della vocale radicale.  radicale.  In base al vocalismo del preterito i cosiddetti verbi a raddoppiamento si distinguono in due gruppi: 1) 1)   con preterito in ē  2) con preterito in ēo  Al primo gruppo appartengono verbi che hanno al presente vocale radicale: a)ā (germ.h*āai  ) + hconsonante “separare”.   Esempio: tan, āte, hēt, hēsemplice: ton, hātenhātan “chiamare”, l ācan “saltare”, scādan “separare”. b)ǣ (*ē1) + cons. semplice: l ǣtan “lasciare”, sl ǣ pan “dormire”, r ǣdan “consigliare” ecc.  ecc.  [Digitare il testo]

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Esempio: l ǣtan, l ǣte, l ēt, l ēton, l ǣten  c)originario a + n + cons., quale si ha nei verbi contratti f ōn “prendere” “prendere” (got.  (got. f āhan) e hōn “prendere” (got. hāhan ). Le forme, con alternanza grammaticale, sono:  f ō  f ēng f ēngon fangen, hō  hēng hēngon (*fanhan, *hanhan).

Al secondo gruppo appartengono verbi che hanno al presente vocale radicale: a)a + l + cons.:  feallan  feallan “cadere”, healdan “tenere”, fealdan  “piegare” ecc.  ecc.  Esempio: fealan, fealle, f ēoll, f ēollon, feallen. b)a + n + cons.: bannan  “convocare”, spannan “tendere”, gangan “andare” ecc.  ecc.  Esempio: bannan, banne, bēonn, bēonnon, bannen c)ēa (*au) + cons. semplice: bēatan “colpire”, hēawan “colpire forte”, hl ēapan “saltare” ecc. ecc. Esempio: bēatan, bēate, bēot, bēoton, bēaten d)ō + cons. semplice: bl ōtan “sacrificare”, hr ōpan ecc.  ōpan “chiamare”, flōn “applaudire” ecc.  Esempio: blōtan, blōte, blēot, blēoton, blōten   e)ō, ā + w  (verbi  (verbi puri con ampliamento in – w w ): )  : blōwan “fiorire”, cnāwan “conoscere”, sāan “seminare”, flōwan  “scorrere” ecc.  ecc.  Esempi: blōwan, blōwe, blēow, blēowon, blōwen cnāwan, cnāwe, cnēow, cnēowon, cnāwen.  Una posizione dubbia ha il verbo blondan/blandan “mescolare” le cui forme sono: blånde, blēond/blēnd, blēondon/blēndon, blånden.  Nei dialetti anglici sussistono resti delle dell e antiche forme a raddoppiamento: heht  da  da hātan “nominare, comandare” reord  da  da rēdan (sass. occ. rǣdan) “consigliare”  “consigliare”  ondreord  da  da ondrēdan (sass. occ. –rǣdan) “temere”  “temere” 

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