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July 30, 2017 | Author: emanuele | Category: Naples, Pop Culture, Musicology, Elements Of Music, Music Theory
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Studi Pergolesiani Pergolesi Studies 9

a cura di / edited by

Francesco Cotticelli Paologiovanni Maione

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PETER LANG Bern • Berlin • Bruxelles • Frankfurt am Main • New York • Oxford • Wien ISBN 978-3-0343-1206-6 pb.

ISBN 978-3-0351-0523-0 eBook

© Peter Lang AG, International Academic Publishers, Bern 2015 Hochfeldstrasse 32, CH-3012 Bern, Switzerland [email protected], www.peterlang.com

Studi Pergolesiani Pergolesi Studies 9

a cura di / edited by

Francesco Cotticelli Paologiovanni Maione

Giorgio Sanguinetti

Gli schemi di partimento in alcune composizioni sacre di Pergolesi: modelli, materiali e trasformazioni

Di alcune curiose somiglianze Ascoltando la musica di Pergolesi, così come di molti altri suoi contemporanei, è facile imbattersi in passi simili o addirittura identici. Per esempio, l’ottavo brano dello Stabat mater di Pergolesi, «Fac ut ardeat cor meum», è una fuga doppia in cui, come di consueto per le fughe vocali di stile napoletano, soggetto e controsoggetto sono presentati insieme fin dalla prima entrata. Il profilo del soggetto (mostrato nell’Es. 1a) è caratteristico: inizia con un movimento di volta attorno al quinto grado melodico (5 – 6 – 5)1 per terminare poi sul terzo grado passando attraverso il quarto (4 – 3). Ancora una fuga doppia costituisce la conclusione («Alleluja») di un’altra composizione sacra di Pergolesi inserita da Marvin Paymer nella categoria B, quelle cioè probabilmente autentiche ma non certe: si tratta del mottetto Domine ad adjuvandum.2 Il profilo del soggetto (Es. 1b) è del tutto identico a quello di «Fac ut ardeat»: 5 – 6 – 5 – 4 – 3: la differenza principale tra i due soggetti è che il primo è in modo minore e il secondo maggiore, ma perfino i due controsoggetti, a partire dalla metà della seconda battuta, sono identici. Queste somiglianze si estendono anche a lavori inclusi da Marvin nella 1 In questo saggio i gradi della scala sono indicati nel modo seguente: – i numeri arabi con accento circonflesso (es. 1ˆ , 2ˆ, 3ˆ ) indicano i gradi melodici nella voce superiore; – i numeri arabi inscritti in un cerchio (es. ①, ②, ③ ) indicano i gradi melodici nel basso, ossia le note effettive del basso; – i numeri romani (es. I, II, III) indicano i gradi armonici (ossia le triadi costruite sui gradi della scala rappresentati dal numero romano): essi non indicano le note effettive del basso. 2 Marvin E. Paymer, Pergolesi authenticity: an interim report, in «Studi Pergolesiani / Pergolesi Studies» 1, 1986, pp. 196-217.

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categoria X, quella delle opere spurie. L’Esempio 1c mostra il soggetto di una fuga doppia tratta dal Magnificat di Francesco Durante, un’opera che è stata per molto tempo attribuita al suo allievo Pergolesi: come si vede, non solo il soggetto è molto simile alle due fughe sicuramente pergolesiane, ma anche il controsoggetto è quasi identico.

Esempio 1: Tre “complessi di soggetti” di fughe doppie: 1a) Giovanni Battista Pergolesi, Stabat Mater, n. 8: «Fac ut ardeat cor meum»; 1b) Giovanni Battista Pergolesi (?), Domine ad adjuvandum, n. 4: «Alleluja»; 1c) Francesco Durante, Magnificat.

Un’analoga somiglianza la riscontriamo confrontando l’inizio del Salve Regina di Pergolesi con quello del salmo Laudate Pueri dello stesso autore (entrambe sono opere sicuramente autentiche, categoria A): a parte il modo, i due pezzi iniziano nella stessa maniera (anche nel profilo del basso), e si differenziano soltanto a partire dalla seconda battuta. Anche in questo caso, tale somiglianza non si esaurisce all’interno delle opere di Pergolesi, ma si estende anche ad opere precedenti, e di autori appartenenti ad altri ambiti. Se prendiamo l’Allemanda della sonata a tre op. IV n. 11 di Arcangelo Corelli notiamo che l’inizio è esattamente identico a quello dei due esempi di Pergolesi; e lo stesso incipit lo troviamo, identico, nel primo Allegro del concerto grosso op. VI n. 8 (Fatto per la notte di Natale) sempre di Corelli.

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Esempio 2: Quattro incipit: 2a) Pergolesi, Salve Regina; 2b) Pergolesi, Laudate Pueri; 2c) Corelli, Sonata a 3 op. IV n. 11, Allemanda; 2d) Corelli, Concerto grosso op. VI n. 8, Allegro.

Casi come questi vengono tradizionalmente considerati come reminiscenze, imprestiti (auto-imprestiti, se all’interno della produzione di uno stesso autore) o, meno benevolmente, plagi: si tratta, com’è noto, d’un fenomeno tutt’altro che raro, specie nella musica del Settecento. L’idea di reminiscenza, imprestito o plagio presuppone che esista un ‘originale’ dal quale discenda, in modo più o meno innocente, una o più opere successive che sono state ‘copiate’ dalla prima. Questa visione si basa a sua volta sull’implicito riconoscimento dei principi di unicità, originalità e autorialità come fondamenti per il nostro

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giudizio di valore; valore che, nel caso di una ‘copia’, si riduce fino a quasi scomparire o, peggio, a rovesciarsi in un giudizio negativo di non-valore.3 Nel caso in questione, il fatto che Pergolesi utilizzi più volte la stessa musica, e che questa poi si ritrovi quasi identica nelle opere di un compositore precedente, sembra mettere il compositore più giovane in una luce non troppo positiva. Eppure esiste un’altra spiegazione alternativa a quella basata sul modello “originale/copia”. Può essere cioè che Pergolesi abbia utilizzato degli schemi compositivi che non costituivano proprietà intellettuale di qualche specifico autore, ma piuttosto un patrimonio comune a tutti i compositori della sua epoca. Allo stesso modo un capitello corinzio o una trabeazione dorica non sono ‘di’ qualcuno, ma fanno parte di un patrimonio comune che qualsiasi architetto ha potuto utilizzare a sua piacimento, senza per questo incorrere nell’accusa di plagio. Nel caso della musica, la trasmissione di questi schemi compositivi era facilitata dal particolare ambiente in cui i compositori si formavano a Napoli, quello dei quattro conservatori di S. Maria di Loreto, S. Maria della Pietà dei Turchini, S. Onofrio e dei Poveri di Gesù Cristo. In quest’ultimo istituto Pergolesi aveva studiato, tra il 1720 e il 1725, con i più grandi maestri del tempo: Gaetano Greco, Leonardo Vinci e Francesco Durante che, secondo le consuetudini del tempo, lo avevano istruito, tra le altre cose, anche nell’arte del partimento.4 Per un’ampia e recente indagine sul concetto di originalità e plagio in letteratura si veda: Robert Macfarlane, Original copy: plagiarism and originality in nineteenth-century literature, New York, Oxford University Press, 2007. Sul concetto di “originalità” come fondamento per un giudizio di valore in musica si veda, tra l’altro, Carl Dahlhaus, Analisi musicale e giudizio estetico, Bologna, il Mulino, 1987. Sul concetto di “opera musicale” resta imprescindibile il (pur discusso) libro di Lydia Goehr, The imaginary museum of musical works. An essay on the philosophy of music, Oxford, Clarendon Press, 1992. 4 La bibliografia sul partimento, fino a pochi anni fa limitata ai pionieristici studi di Rosa Cafiero, è enormemente cresciuta negli ultimi anni e si avvia a crescere ancora di più nell’immediato futuro. Mi limito qui a segnalare il numero speciale dedicato ai partimenti del «Journal of Music Theory» 51, 2007, 1, a cura di Robert O. Gjerdingen, con articoli di Ludwig Holtmeier, Giorgio Sanguinetti, Robert Gjerdingen, Rosa Cafiero e Gaetano Stella; il numero speciale della «Rivista di Analisi e Teoria Musicale» XV, 2009, 1: Composizione e improvvisazione nella scuola napoletana del Settecento, a cura di Gaetano Stella, con articoli di Rosa Cafiero, Robert Gjerdingen, Nicoleta Paraschivescu, Giorgio Sanguinetti, Paolo Sullo, Gaetano Stella; e il volume Partimento and Continuo Playing in Theory and Practice, ed. by Dirk Moelans, Leuven, Leuven University Press, 2010, con saggi di Thomas Christensen, Robert Gjerdingen, Giorgio Sanguinetti e Rudolf Lutz. Si veda anche la monografia di chi scrive dal titolo The Art of Partimento. History, Theory and Practice in Naples, New York, Oxford University Press, 2012. 3

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I partimenti erano lo strumento principe della didattica della composizione nei conservatori di Napoli (e non solo): originati dal basso continuo, se ne erano distinti all’inizio del Settecento per diventare una traccia per la realizzazione di un brano polifonico alla tastiera. Attraverso i partimenti le tecniche compositive, dalle più elementari come la regola dell’ottava alle più complesse come l’imitazione, venivano trasmesse dai maestri agli allievi attraverso la pratica. Lo studio del contrappunto, condotto parallelamente al partimento, rappresentava invece la parte più speculativa dello studio della composizione: tra i suoi obiettivi c’era la precisione della scrittura (non rilevante nel partimento, che veniva realizzato improvvisando alla tastiera) e lo studio approfondito delle tecniche di diminuzione e imitazione.5 Due dei maestri di Pergolesi ai Poveri di Gesù Cristo, Gaetano Greco e Francesco Durante, sono stati prolifici autori di partimenti utilizzati da generazioni di allievi (mentre nessun partimento ci è pervenuto di Leonardo Vinci). Tuttavia i partimenti dominavano la pedagogia napoletana anche negli altri tre conservatori napoletani: le raccolte che ci sono pervenute dei partimenti di maestri come Leonardo Leo, Nicola Sala, Pasquale Cafaro, Carlo Cotumacci, Giacomo Insanguine, Giovanni Paisiello, Giacomo Tritto (e la lista è incompleta) e, infine, quelli di Fedele Fenaroli, costituiscono nel loro insieme, al di là delle differenze stilistiche, un corpus che travalica il contributo del singolo autore e che costituisce un monumento unico, coerente e singolare di sapienza compositiva. I partimenti fornivano dunque ai giovani compositori una traccia per la realizzazione estemporanea di intere composizioni: dal semplice esercizio sulla regola dell’ottava fino alle forme più complesse come il concerto e la fuga. E proprio tra le fughe-partimento dei maestri napoletani che ci sono pervenute troviamo il modello di soggetto utilizzato da Pergolesi e Durante.6 Sullo studio del contrappunto nei conservatori napoletani si veda, in particolare, AlesAbbate, Due autori per un testo teorico settecentesco di scuola napoletana: Leonardo Leo e Michele Gabellone, in «Studi Musicali» 36, 2007, 1, pp. 123-159. Se nei quattro conservatori gl’insegnamenti di contrappunto e partimento fossero affidati allo stesso maestro o a due maestri distinti non è chiaro. Sembra che fino a circa il 1780 non vi fosse un criterio preciso, ma successivamente è possibile che quello del maestro di partimento fosse considerato un ruolo a parte. Sulla questione cfr. Rosa Cafiero, Metodi, progetti e riforme dell’insegnamento della «scienza armonica» nel Real Collegio di musica di Napoli nei primi decenni dell’Ottocento, in «Studi Musicali» 28, 1999, 2, pp. 425-481. 6 Sulla fuga-partimento napoletana si veda G. Sanguinetti, Partimento-fugue: the Neapolitan angle, in Partimento and Continuo cit., pp. 71-111. 5

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L’Esempio 3 mostra alcuni soggetti di fuga-partimento che mostrano tutti la stessa struttura di base: un movimento di volta superiore attorno al quinto grado della scala, seguito da una discesa per grado congiunto che può arrestarsi sul terzo grado ma che può anche proseguire fino alla tonica.7

Esempio 3: Soggetti di fuga-partimento di autori napoletani 3a) Leonardo Leo (prob.), Gj 1710; 3b) Leonardo Leo (Sala?) Gj 1853; 3c) Nicola Sala Gj 2180; 3d) Francesco Durante Gj 406; 3e) Nicola Sala Gj 2185; 3f) Nicola Sala Gj 2181.

7 I partimenti sono indicati col numeri di catalogo Gjerdingen (Gj) utilizzato per l’edizione online Monuments of partimenti, in corso di pubblicazione alla seguente URL: http:// faculty-web.at.northwestern.edu/music/gjerdingen/partimenti/index.htm In particolare, i cataloghi dei partimenti di Leo e Sala sono stati preparati da Lydia Carlisi (I partimenti di Leonardo Leo: contesto, fonti e catalogo tematico, tesi di laurea, Università di Roma Tor Vergata, a.a. 2008/09) ed Eleonora Betti (I partimenti di Nicola Sala: fonti, aspetti stilistici e catalogo tematico, tesi di laurea, Università di Roma Tor Vergata, a.a. 2008/09).

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L’Esempio 3a è un ‘complesso di soggetti’ che apre una doppia fuga probabilmente di Leo.8 Il ‘complesso’ è chiaramente diviso in due sezioni: nella prime cinque battute, tonalmente stabili, la voce superiore, dopo il movimenti di volta, scende fino al 3, mentre la voce inferiore si aggira intorno alla tonica; nella seconda parte, di carattere sequenziale, la voce superiore prosegue la discesa oltrepassando la tonica e arrivando sulla sensibile, mentre la voce inferiore ne asseconda la discesa secondo un movimento “giù di terza, su di grado”. L’Esempio 3b, da alcune fonti attribuito a Leo e da altre a Sala, ha un profilo melodico simile al precedente, ma a partire dalla fine della seconda battuta, quando entra la chiave di tenore, la voce superiore del ‘complesso’ scompare e viene sostituita dalle cifre del continuo: il profilo melodico del soggetto superiore, pur essendo soltanto implicito nella cifratura, è tuttavia abbastanza chiaro. Nell’Esempio 3c (di Sala) il soggetto si ferma sulla tonica, ed è seguito da una cadenza composta (un evento non frequente in un soggetto di fuga). Il successivo Esempio 3d, di Durante, mostra in assoluta trasparenza il profilo melodico di questo modello favorito di soggetto, ben evidente anche nel quinto esempio. Il sesto ed ultimo Esempio 3f mostra una versione ridotta del soggetto: qui l’entrata della risposta avviene quando il soggetto si trova sul 3, indicando che il profilo melodico essenziale è 5 – 6 – 5 – 4 – 3.9 Il confronto tra questi soggetti (o ‘complessi di soggetti’) di fughe-partimento e i soggetti utilizzati da Pergolesi e Durante nello Stabat e nel Magnificat mostra un’evidente somiglianza: essi sono basati sulla stessa idea, e sono realizzati nello stesso modo, a tal punto che quelli dello Stabat

8 Il termine ‘complesso di soggetti’ (‘subject complex’) è stato da me inventato per indicare l’insieme di soggetti che vengono presentati simultaneamente nelle fughe multiple. In molti casi i soggetti sono due, ma non mancano esempi di ‘complessi’ formati da tre soggetti che si presentano insieme. Cfr. G. Sanguinetti, The Art of Partimento cit., p. 331. 9 L’analisi dei soggetti di fuga fin qui condotta si ispira liberamente alla teoria dei “paradigmi” esposta nel suo libro da William Renwick, Analyzing fugue: a Schenkerian approach, Stuyvesant (NY), Pendragon press, 1995. Tuttavia i paradigmi di Renwick, basati essenzialmente sulle fughe di Bach, non coincidono con i soggetti mostrati negli esempi 1 e 3 del presente articolo. In particolare: 1) non esiste un paradigma per il movimento 5 – 6 – 5 – 4 – 3 nella sua interezza: 2) Renwick raggruppa i paradigmi in categorie in base al loro movimento tonale, così che il soggetto 3a (che termina sulla dominante) appartiene alla categoria 2, mentre il soggetto 3c, che termina sulla tonica appartiene alla categoria 1.

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potrebbero tranquillamente essere scambiati per soggetti di fuga-partimento, e viceversa.10 Per quanto riguarda i quattro frammenti mostrati nell’Esempio 2, anche per questi abbiamo dei chiari riscontri nei partimenti. L’Esempio 4 riporta gli incipit di sei partimenti di quattro autori: Gaetano Greco, Leonardo Leo, Nicola Sala e Fedele Fenaroli. Il partimento di Gaetano Greco (maestro di Pergolesi), nell’inconsueta chiave di mezzosoprano, presenta solo la figurazione spezzata, che viene ripetuta sequenzialmente tre volte prima di essere frammentata alla fine della seconda battuta (Es. 4a). L’incipit di Leo (Es. 4b) presenta l’elemento spezzato nella seconda battuta, preceduto dall’elemento sincopato nella prima battuta. I primi due partimenti di Nicola Sala (esempi 4c e 4d) presentano una situazione opposta all’esempio di Leo: l’elemento spezzato appare prima di quello sincopato. Il terzo incipit di Sala (Es. 4e) mostra una combinazione diversa: dopo l’elemento sincopato appare un movimento per grado dalla tonica al quarto grado e viceversa. L’ultimo esempio, di Fenaroli, è sostanzialmente uguale a quello di Leo.

10 L’affinità tra fuga-partimento e fughe ‘reali’ va oltre il soggetto: se si osserva il basso seguente di una fuga vocale (per esempio, quella del Magnificat di Durante il cui soggetto è stato mostrato nell’esempio 1c) questo assomiglia a tal punto a una fuga partimento che potrebbe benissimo essere scambiato per tale. La differenza è nella realizzazione: un basso seguente rappresenta sempre la voce più bassa che suona in ogni dato momento, mentre in molti casi nelle fughe-partimento esiste la possibilità di aggiungere una o addirittura più voci al di sotto del partimento.

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Esempio 4: a) Gaetano Greco, I-Nc 45.1.65 c. 100v (Gj deest); b) Leonardo Leo, Gj 1700; c) Nicola Sala, Gj 2015; d) Nicola Sala, Gj 2005; e) Francesco Durante (?), n. 56 da I-Nc Roche A.5.6 (Gj deest); f) Nicola Sala, Gj 2056; g) Fedele Fenaroli, n. 8 dal libro IV.

La differenza principale tra gli esempi 2 e 4 è che nel primo i diversi elementi sono presentati simultaneamente, mentre nel secondo in successione. Ma il fatto che nei partimenti i due elementi si trovino in successione non deve far pensare che non debbano andare insieme: uno degli scopi di questi esercizi era infatti addestrare gli studenti a riconoscere gli schemi di contrappunto doppio e di abituarsi a combinarli verticalmente. Il ‘montaggio’ degli elementi avviene in fasi successive, come mostrerò realizzando il n. 8 di Fenaroli, il cui incipit è mostrato nell’Esempio 4g.11 Il partimento di Fenaroli inizia con l’elemento più lento, cioè il basso sincopato (contrassegnato nell’esempio con la lettera A): su questo va installato l’elemento veloce, cioè il basso ‘spezzato’ (lettera C): allo stesso modo, quando a b. 3 l’elemento veloce compare nel basso, a questo si 11 I principi dell’imitazione nella prassi del partimento sono molto chiaramente esposti da R. O. Gjerdingen, Partimenti written to impart a knowledge of counterpoint and composition, in Partimento and Continuo cit., pp. 43-70.

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sovrappone l’elemento sincopato.12 Il risultato è una texture a due voci in cui si alternano gli elementi in contrappunto doppio (Es. 5a).

Esempio 5: Fenaroli, n. 8 dal libro IV dei partimenti, bb 1-9. 5a) realizzato a due voci; 5b) realizzato a tre voci.

Se però volessimo ottenere una sonorità più piena, da dove potremmo ricavare una terza voce? La risposta viene dal partimento di Nicola Sala il cui incipit è mostrato nell’Esempio 4e: qui il basso sincopato è seguito da un movimento ascendente dalla tonica al quarto grado. Il segmento che va dal primo al terzo grado (che chiameremo ‘Do- Re-Mi’, contrassegnato Nella prassi del partimento l’identificazione dei segmenti in contrappunto doppio veniva facilitata dal fatto che, di solito, uno era in valori ritmici larghi e l’altro in valori più veloci: Robert Gjerdingen ha argutamente caratterizzato questa coppia nei termini di “interesting/foreground” e “boring/background”. Vedi ivi, pp. 46-50. 12

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nell’esempio con la lettera B) si può combinare sia con quello sincopato sia con quello ‘spezzato’, e insieme i tre elementi creano un complesso in contrappunto triplo, ruotabile in tutte le sei possibili permutazioni (vedi Es. 6).

Esempio 6: tavola delle sei permutazioni dei tre elementi in contrappunto triplo presenti nell’Esempio 5.

Il partimento di Fenaroli, con l’aggiunta della terza voce in contrappunto triplo, assume la fisionomia mostrata nell’Esempio 6e.13 In realtà, come spesso succede, il contrappunto triplo è solo potenziale, perché la voce ‘Do-Re-Mi’ rimane sempre in posizione centrale, e quindi in realtà sono solo due le permutazioni che vengono utilizzate. 13 La realizzazione, pur essendo sostanzialmente a tre voci, presenta occasionalmente dei riempimenti, specie in prossimità delle cadenze.

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La tradizione Toccò proprio a Fedele Fenaroli, un condiscepolo di Pergolesi alla scuola di Durante, il compito di realizzare la più completa e sistematica silloge dei partimenti e delle “regole” che li accompagnavano. Le “regole” (a volte chiamate anche “princìpi”) costituiscono la parte teorica della prassi del partimento. Si tratta di documenti, il più delle volte manoscritti, di regola brevi ed estremamente concisi, al limite dell’intelligibilità, e riguardano quasi esclusivamente l’accompagnamento del basso non cifrato. Presi individualmente, i manoscritti di regole dicono ben poco, specie se confrontati con i ponderosi trattati coevi francesi o tedeschi. Infatti, a differenza di questi ultimi, che erano destinati a una fruizione pubblica (e quindi avevano un carattere ‘essoterico’), le regole erano essenzialmente dei promemoria, dei supporti all’insegnamento vero che era quello orale: si tratta dunque, in senso etimologico, di documenti ‘esoterici’, cioè riservati a iniziati (nella fattispecie, agli allievi dei conservatori napoletani). La natura sovra-individuale di questa dottrina era nota e accettata dagli stessi maestri napoletani. Dice infatti Fenaroli alla fine della prima edizione delle Regole musicali (1775): Se mai [dotti Maestri] trovassero regole mancanti, o errori, potranno aggiungere, ed accomodare a loro piacere, mentre quì altro non si è fatto se non mettere in ordine le regole, che da tutti molto bene si sanno, e dare a’ principianti un lume, acciò non suonino a caso.14

Non è qui un autore che parla: quale autore potrebbe tollerare che qualcun altro possa “accomodare a suo piacimento” la propria opera? È piuttosto la voce d’un fedele (nomen omen) adepto di una tradizione, del riordinatore di una liturgia che è nata prima di lui e che gli è destinata a sopravvivere. La natura sovra-individuale delle regole travalica gli individui ma anche le generazioni. Nelle regole di Fenaroli noi troviamo degli schemi – cioè delle formule – che Fenaroli ha ereditato dal suo maestro Durante e dai maestri che l’hanno preceduto, come Gaetano Greco e Scarlatti. Gli stessi schemi saranno poi ripresi dai maestri delle generazioni successive a Fenaroli, e diffusi in tutta Europa dai maestri napoletani della cosiddetta “diaspora”. Uno studio completo sugli schemi settecenteschi non deve, però, 14 Fedele Fenaroli, Regole musicali per i principianti di cembalo, Napoli, Vincenzo MazzolaVocola, 1775 (ristampa anastatica Bologna, Forni, 1975), p. 55.

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limitarsi ai partimenti e alle loro regole (che riguardano essenzialmente i movimenti del basso e il loro accompagnamento), ma dovrebbe estendersi, per restare in area napoletana, ai solfeggi per voce e basso continuo che costituivano, per così dire, la controparte melodica dei partimenti, ai modelli cadenzali, e agli “schemi galanti” recentemente analizzati da Robert Gjerdingen. Nella restante parte di quest’articolo cercherò di mostrare la presenza di alcuni di questi schemi nella musica sacra di Pergolesi, per terminare con una ‘ricostruzione’ del primo duetto dello Stabat Mater. Cum-ponere Nel nono numero dello Stabat («Sancta mater, istud agas») il soprano inizia saltando dall’ottava alla quinta e di nuovo alla tonica, mentre il basso procede scendendo di grado dalla tonica al sesto grado, accompagnato con le armonie di terza e quinta sul primo e sesto grado, e di terza e sesta sul settimo grado (Es. 7).

Esempio 7: Pergolesi, Stabat matern. 9: «Sancta mater, istud agas», bb. 11-18 (con annotazioni analitiche).

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Nel terzo libro dei partimenti di Fenaroli, dedicato ai «movimenti del Basso colle armonie così consonanti che dissonanti praticabili sopra di esso» questo movimento del basso compare come Esempio n. 4, con la didascalia «Partimento in cui il basso scende di grado [con] armonia di 3a e 5a sul primo grado, e di 3a e 6a sul secondo» (Es. 8).15

Esempio 8: Fenaroli, Partimenti ossia basso numerato, libro III, Esempio n. 4.

Se confrontiamo gli esempi 7 e 8, notiamo che Fenaroli fa proseguire il movimento per tutta l’estensione dell’ottava, mentre Pergolesi lo utilizza soltanto per una terza. Inoltre, per Fenaroli la voce superiore o procede per decime rispetto al basso, oppure salta di terza; mentre in Pergolesi la voce superiore, come abbiamo visto, salta dalla tonica alla quinta e di nuovo alla tonica. Questo schema di partimento è stato classificato da Gjerdingen, nel suo fondamentale studio sullo stile galante, “Romanesca galante”, e costituisce una delle principali varianti dello schema della Romanesca, a sua volta uno dei patterns più ubiquitari di tutta la letteratura musicale: chiamato anche “basso di Pachelbel”, la romanesca con le sue numerose varianti si trova praticamente in ogni repertorio tonale, da Monteverdi al rock.16 Alla romanesca seguono due “cadenze lunghe”. Con questo nome i maestri napoletani (ma non solo) indicavano delle successioni cadenzali in Id., Partimenti ossia basso numerato, Firenze, Gio. Canti, s.d (ristampa anastatica Bologna, Forni 1978), p. 47. 16 Robert O. Gjerdingen, Music in the Galant Style, New York, Oxford University Press, 2007, p. 39. 15

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cui la dominante veniva preceduta almeno da un’armonia di pre-dominante, di solito II 6/5; più spesso la cadenza lunga inizia dall’armonia di tonica in primo rivolto, ma molti altri modelli erano possibili, compresi quelli che raggiungono la dominante dall’alro. L’Esempio 9 mostra alcuni modelli di cadenze doppie: le prime due sono di Bernardo Pasquini, mentre le altre sono tratte da uno zibaldone di regole ed esercizi di Gaetano Greco.17 Si va dal tipo più frequente, quello che inizia dalla tonica in primo rivolto (Es. 9a) a schemi più fantasiosi, dove l’avvicinamento alla dominante percorre strade diverse.

Esempio 9: Diversi modelli di “Cadenza lunga” realizzati: 9a-b): Bernardo Pasquini; 9c-e), Gaetano Greco.

Nel frammento di «Sancta mater, istud agas» mostrato nell’Esempio 7 Pergolesi utilizza per due volte la cadenza lunga dell’Esempio 9a: la prima volta la cadenza non riesce, perché il basso non riesce a raggiungere il ⑤ (al suo posto troviamo la sensibile), mentre ha successo la seconda volta. La duplicazione (o triplicazione) delle cadenze lunghe è come un marchio di fabbrica di Pergolesi, che per ottenere questo effetto fa ‘fallire’, o evadere, la prima (o le prime) cadenze utilizzando i mezzi più svariati. Il secondo verso, «crucifixi fige plagas», è intonato da Pergolesi con una melodia che scende dal quinto grado al secondo (vedi ancora Es. 7, bb. 15-16): il movimento del basso suddivide questa melodia in due parti: 17 Regole del Sig. Bernardo Pasquini per accompagnare con il cembalo [1715], (I-Bc D. 138) e Partimenti di Gaetano Greco, I-Nc Ms 45.1.65 (olim 33.2.9).

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la prima, dal Si bemolle fino al Sol, resta nel tono della tonica (il basso descrive un gruppetto intorno alla tonica), mentre l’ultima nota, Fa, viene separata dalle altre da una “terminazione di tono”, ovvero una mutazione scalare.18 Entrambi i segmenti sono stati inclusi da Gjerdingen negli schemi galanti: il primo è il Sol-Fa-Mi, mentre la clausula che si crea con la terminazione di tono viene chiamata da Gjerdingen “comma”.19 Infine, il verso successivo «cordi meo valide» (Es. 7, bb. 17-18) inizia con un altro schema: un’ascesa per grado dalla tonica al terzo grado (Do-Re-Mi) contrappuntato dal basso di una “cadenza semplice”.20 Esaminiamo ora l’incipit (prime quattro battute) del secondo numero del mottetto Domine ad adjuvandum (categoria C, opere di incerta attribuzione): è un Gloria Patri intonato come Largo amoroso, dunque con uno stile e un carattere molto lontani da quello che normalmente associamo all’idea di glorificazione (Es. 10).

18 Il termine “terminazione” o “uscita di tono”, in uso in Italia (e in particolare a Napoli) nel Settecento, potrebbe anche essere reso in italiano moderno con “modulazione”, se non fosse che, nella teoria moderna, questo termine ha un significato più ampio, intendendo uno spostamento dell’asse tonale di una composizione come, per esempio, nella seconda parte dell’esposizione di una sonata. Invece la “terminazione di tono” ha spesso un significato locale, e la sua principale funzione pratica è quella di cambiare la scala di riferimento per permettere l’utilizzo della regola dell’ottava. 19 R. O. Gjerdingen, Music in the Galant Style cit., pp. 253-262 e 156-158. 20 Sulle cadenze nel partimento si veda ivi, pp. 168-176 e Giorgio Sanguinetti, The realization of partimenti: an introduction in «Journal of Music Theory» 51 cit., pp. 51-88: 56-58.

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Esempio 10: Pergolesi, Domine ad adjuvandum, n. 1: Gloria Patri, bb. 1-4.

La prima battuta presenta una variante della “romanesca galante” in cui l’armonia di tonica si estende sopra la seconda nota del basso, creando così un accordo dissonante di 6/4/2.21 La risposta a questa mossa di apertura è ancora la cadenza lunga, questa volta senza ripetizioni. E’ interessante osservare che l’autore (chiunque fosse) sia riuscito a legare insieme questi due schemi nel basso con un unico schema nella melodia: un Do-Re-Mi che, elegantemente elaborato, si estende attraverso la romanesca e la cadenza lunga (vedi le annotazioni nell’Es. 10). I due schemi, così unificati dalla melodia, costituiscono una frase che richiede di essere completata da una frase di risposta. Questa seconda frase è un’ampia discesa dal Mi al Si nella voce superiore accompagnata dal basso per decime parallele (con l’inserimento della cadenza prima della conclusione sul Sol). Questo 21 Gjerdingen chiama quest’armonizzazione della romanesca galante “à la Sammartini”: vedi R. O. Gjerdingen, Music in the Galant Style cit., p. 43.

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schema, praticamente ubiquo nella musica del periodo galante, prende il nome di “Prinner” da Johann Jacob Prinner (1624-1694), il teorico che lo descrisse per la prima volta (questo nome è stato ripreso da Gjerdingen).22 In particolare, questo è un Prinner modulante, cioè che termina nel tono della tonica ma conclude in quello della dominante. Se confrontiamo i due brani («Sancta mater, istud agas» e Gloria patri) notiamo che per la prima frase entrambi usano la romanesca seguita dalla cadenza lunga, mentre per la seconda frase il primo brano usa una combinazione di Sol-Fa-Mi + comma, mentre il secondo ricorre alla più consueta scelta del Prinner (si noti però che in entrambi i casi si tratta di melodie che scendono per grado verso la dominante). Basta questo limitatissimo confronto per capire come ogni indagine sull’autenticità delle opere pergolesiane (e non solo) basata su considerazioni stilistiche si appoggi su basi quanto mai incerte. All’epoca di Pergolesi (e oltre) l’utilizzo di schemi compositivi di patrimonio comune era così diffuso che non solo gli stessi schemi si ritrovano nelle opere di compositori diversi (il che è del tutto ovvio), ma persino le stesse combinazioni di schemi.23 La trasformazione degli schemi Gli esempi precedenti hanno mostrato l’uso, da parte di Pergolesi e di altri autori più o meno suoi contemporanei, di un patrimonio comune di schemi e modelli, tale da rendere la ricerca dell’autorialità su basi stilistiche quantomeno incerta. Non dobbiamo però pensare che l’ars combinatoria praticata dai maestri fosse come quei giochi di composizione automatica, in voga nel Settecento, dei quali si compiacevano i dilettanti. I maestri usavano certamente gli schemi, ma combinandoli e trasformandoli in modo da renderli, a volte, irriconoscibili. è questo il caso di un altro brano dello Stabat pergolesiano: «Quis est homo qui non fleret», le cui prime quattro battute sono mostrate nell’Esempio 11. Il trattato di Prinner, Musikalischer Schlissl (1677), è un manoscritto conservato presso la Library of Congress (Washington D.C), con la segnatura ML 95 P 79, ora pubblicato a cura di Florian Eger (Linz, Armonico Tributo). Sul “Prinner” come schema vedi R. O. Gjerdingen, Music in the Galant Style cit., pp. 45-60 e passim. 23 La stessa combinazione di schemi dell’esempio 10 la troviamo, per esempio, all’inizio del mottetto Domus mea di Jommelli (mostrato in R. O. Gjerdingen, Music in the Galant Style cit., come esempio 2.24) e nella Sonata in trio n. 1 in Do minore, op. 2, di Händel. 22

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Esempio 11: Pergolesi, Stabat mater, n. 5: «Quis est homo qui non fleret», bb. 1-4.

Il basso delinea sostanzialmente un tetracordo discendente da Do (nella prima battuta) a Sol (nella quarta), attraversato cromaticamente, se pure con qualche interessante deviazione. Non sorprende, ovviamente, che Pergolesi utilizzi per uno Stabat mater un topos come il tetracordo cromatico discendente (detto anche “basso del lamento” o “passus duriusculus”) soprattutto su un testo che parla esplicitamente di pianto («qui non fleret»). Per la sua importanza come uno dei principali topoi del pianto e del dolore, il tetracordo cromatico discendente faceva parte del repertorio di schemi che ogni compositore doveva possedere; e, non a caso, compariva in quasi tutte le raccolte di partimenti e regole. Fenaroli offre due possibili schemi di accompagnamento per questo basso: uno è basato sulla catena di ritardi 7-6, l’altro (mostrato nell’Es. 12) si può considerare una variante del movimento cromatico per moto contrario che va sotto il nome di omnibus.24

Esempio 12: Fenaroli, Partimenti ossia basso numerato, Esempio A.h. N° 7: «Partimento in cui il basso scende semituonando di grado dalla Settima fino alla Quinta del tuono» (p. 49).

24 Sull’omnibus si veda Paula Telesco, Enharmonicism and the Omnibus Progression in ClassicalEra Music in «Music Theory Spectrum» 20, 1998, pp. 242-79.

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Questo secondo schema è quello scelto da Pergolesi per lo Stabat: tuttavia, se si confrontano i due passaggi, le differenze tra lo schema di Fenaroli e la sua utilizzazione pratica in Pergolesi sono evidenti. L’Esempio 13 mostra la musica di Pergolesi sovrapposta allo schema, evidenziando le principali deviazioni da questo. La prima consiste nel ritardo del basso che, invece di scendere al Si bequadro sul terzo movimento della prima battuta, viene esteso di un ottavo provocando un accordo di 2/4/6 (evidenziato dal riquadro verticale). Quando il basso scende, però, la voce interna non sale al Sol come dovrebbe, ma indugia ancora sul Fa, per poi prendere la strada più lenta di una ascesa cromatica, creando un momentaneo accordo di si minore. Quando la voce interna finalmente arriva al Sol, il basso è sceso a Si bemolle: secondo lo schema qui dovrebbe trovarsi nella voce superiore un Mi, ma ora tocca a questa voce indugiare per ben mezza battuta sul Re che apparteneva alla mezza battuta precedente. Il Mi (evidenziato dalla freccia tratteggiata) arriva soltanto sulla seconda metà della battuta, ma dopo solo un ottavo lascia il posto al Fa, che finalmente (e per breve tempo) restaura l’ordine dello schema. Ordine che però è di breve durata: l’elaborazione delle ultime due battute è infatti quella che porta la musica a discostarsi maggiormente dallo schema di partenza. La causa di tutto è lo spostamento del Fa diesis dalla voce superiore al basso (cfr. la seconda freccia tratteggiata nell’Esempio 13) che permette un’ampia elaborazione del basso (evidenziata dal riquadro orizzontale). Alla fine di questo tortuoso percorso, il basso finalmente arriva sul Fa diesis e lo schema può concludersi nelle quattro battute previste.

Chri

Esempio 13: «Quis est homo» (bb. 1-4) e lo schema di Fenaroli sovrapposti, con annotazioni analitiche.

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A quest’analisi si può obiettare che non ha molto senso spiegare una musica composta nel 1736 come se fosse un’elaborazione di ‘regole’ pubblicate nel 1775. In un contesto diverso da quello napoletano, l’obiezione sarebbe ragionevole: però, come abbiamo visto, Fenaroli non ha ‘inventato’ le regole di partimento ma, come lui stesso ha riconosciuto, le ha soltanto “messe in ordine”. È quindi molto probabile che Fenaroli (che, come Pergolesi, aveva studiato con Durante) conoscesse e applicasse le stesse regole e gli stessi schemi che appartenevano alla tradizione orale napoletana, e che Fenaroli quarant’anni più tardi finalmente diede alle stampe nella sua versione ‘riordinata’. Dalle regole alla musica Coerentemente con la tradizione italiana del continuo, lo scopo principale delle regole di partimento era di portare l’allievo a realizzare con facilità un basso non cifrato.25 Le regole pertanto insistevano sostanzialmente su cinque punti fondamentali: cadenze, regola dell’ottava, “moti del basso”, dissonanze (cioè ritardi) e “terminazioni di tono”. Le prime tre “classi” sono quelle che regolano il funzionamento di base della tonalità. Le tre cadenze di base (semplice, composta e doppia) rappresentano i pilastri dell’edificio tonale, consistendo in una tonica di apertura, una dominante centrale e una tonica di chiusura. La regola dell’ottava introduce gli altri gradi ordinati secondo la scala ascendente e discendente, e costituisce la norma tonale per eccellenza. I moti del basso completano la regola dell’ottava introducendo tutti i possibili movimenti del basso con i relativi accompagnamenti. Le regole sulle dissonanze introducono quella che i maestri napoletani consideravano la prima e più essenziale tipologia di ornamento della struttura tonale, cioè i ritardi. La quinta classe, infine, regola i passaggi da una scala a un’altra. Come si vede, sono escluse dalle regole molte cose importanti come le tecniche di diminuzione e di imitazione, che si studiavano nel contrappunto ma che si applicavano nel partimento.26 Se si pensa che queste regole costituiscono la vera e unica teoria scritta della composizione in Italia in un’epoca di grandi maestri, si rimane 25 La maggior parte dei partimenti recava sparse e occasionali cifrature di accordi, una sostanziosa minoranza era del tutto priva di cifrature, e una più ridotta minoranza era completamente cifrata. 26 Sulle “classi” di regole si veda G. Sanguinetti, The realization of partimenti cit., pp. 54-67.

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colpiti della loro schematicità, dall’assenza di qualsiasi elaborazione concettuale, in una parola: dalla loro povertà; e ci si chiede com’era possibile che sulla base di questo povero formulario si sia scritta musica di grande livello come quella di Pergolesi. L’ultima parte di questo saggio tenta di rispondere a questa domanda, immaginando un percorso congetturale che parte dalle regole, passa attraverso la loro applicazione nei partimenti, e arriva alla composizione di un celebre incipit pergolesiano: quello del primo duetto dello Stabat mater. Naturalmente non pretendo che questo sia il percorso effettivamente seguito dal compositore (le vie della creazione sono imperscrutabili): quello che intendo dimostrare è soltanto che le regole del partimento permettono di percorrere tutti i passaggi dagli schemi ‘grezzi’ fino alla musica, seguendo un percorso modellato su quello consigliato da Fenaroli e dai suoi commentatori per la realizzazione dei partimenti.27 Il nostro primo passo consiste nel creare una solida struttura tonale: per far questo procederemo a combinare il materiale a nostra disposizione, cioè gli schemi di basso. Il passaggio successivo sarà la scelta, tra i vari modelli di accompagnamento a disposizione, di quello che ci sembrerà più adatto. Fatto questo, passeremo all’elaborazione del basso attraverso la tecnica della diminuzione che, da successione di schemi grezzi, deve diventare una linea anche melodicamente convincente; nel far questo, seguiremo il modello di un partimento di un importante maestro. Infine, lo stesso trattamento di elaborazione verrà esteso agli schemi di accompagnamento.

27 All’inizio del quarto libro dei Partimenti di Fenaroli si legge quest’avvertimento: «I seguenti Partimenti si devono prima studiare colle semplici consonanze e poi colle dissonanze, secondo le regole antecedenti» (p. 61). Lo stesso avvertimento, ma più dettagliato, si legge nell’edizione commentata di Fenaroli a cura di Emanuele Guarnaccia: «Primieramente si suoneranno tutti i bassi senza numeri con i semplici accordi consonanti; dalla esecuzione della qual regola il Maestro si accorgerà se il suo allievo abbia bene e giustamente afferrati i principii a tale oggetto stabiliti; in secondo luogo si introdurranno tutte le dissonanze, di cui ciascun basso è suscettibile: e in ciò dovrassi adoperare giusta le norme relative alle dissonanze medesime; in terzo ed ultimo luogo si formerà la propriamente detta Imitazione: la quale trovasi di fronte al basso proposto». Emanuele Guarnaccia, Metodo nuovamente riformato de’ partimenti del Maestro Fedele Fenaroli […], Milano, Giovanni Ricordi, s.d., p. 3.

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Esempio 14: gli schemi ‘grezzi’ per il basso delle battute 1-12 di Stabat mater, n. 1.

Iniziamo dunque la costruzione della struttura del basso dalla più essenziale espressione tonale, la cadenza, nella sua varietà con il ritardo 4-3 detta cadenza composta (Es. 14, bb. 1-2). La moderna accezione del termine “cadenza” insiste quasi esclusivamente sulla sua funzione di chiusura, ovvero di punteggiatura musicale; tuttavia, per i maestri italiani del Settecento (e non solo a Napoli) la cadenza era anche la più essenziale espressione di coerenza tonale e, come tale, era possibile trovarla non solo alla fine, ma anche all’inizio di un pezzo.28 Replichiamo ora questa cadenza trasponendola nel tono del relativo maggiore, una scelta abbastanza ovvia in un pezzo in minore; si noti che l’intervallo di seconda maggiore 28 Nella definizione di Fenaroli («Le cadenze sono quel movimento del basso, che dalla prima del tono va alla quinta, e dalla quinta ritorna alla prima») manca qualsiasi accenno alla funzione di chiusura. F. Fenaroli, Regole musicali cit., p. 7.

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Fa – Mi bemolle non è compreso nella scala di partenza, per cui qui avremo, secondo le regole, una terminazione di tono che trasforma quelle due note in ① – ② della nuova scala. Alla fine della replica della cadenza si aggancia l’inizio di una cadenza lunga nel tono principale, seguita da una semicadenza con una lunga fermata sulla dominante, e ancora da una serie di quattro cadenze lunghe di cui solo l’ultima ha successo, mentre le prime tre non riescono (queste cadenze “fallite” che necessitano di essere ripetute sono chiamate dalla teoria del partimento “cadenze finte”). Abbiamo così l’ossatura del basso di queste prime dodici battute, con anche qualche essenziale accenno di cifratura (la terza maggiore sui gradi di dominante, per esempio, o gli accordi imposti dalla regola dell’ottava). Già a questo livello elementare si inizia a delineare una possibile linea melodica nella voce superiore: infatti, una cadenza in apertura di frase preferisce una melodia ascendente, come il Do-Re-Mi (che abbiamo già incontrato nell’Esempio 7 alle battute 17-18, quindi non con funzione di apertura) piuttosto che una discendente, più adatta a una conclusione.

Esempio 15: Schemi di basso e melodia per le battute 1-12 di Stabat mater, n. 1.

La duplicazione della cadenza implica il proseguimento del Do-Re-Mi che inizia ad assomigliare a una scala, o meglio a un esacordo (Es. 15). La lunga fermata sulla dominante offre la possibilità per un’estensione di quest’armonia ottenuta con una melodia discendente per grado (Si bemolle – La bemolle – Sol), una variante dello schema chiamato da Gjerdingen “Ponte”, il cui punto d’arrivo è ovviamente la tonica, Fa, che conclude

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l’introduzione strumentale del duetto.29 Pergolesi però per ben tre volte delude la nostra attesa di una conclusione: per tre volte infatti rimanda la conclusione grazie a un tipo di cadenza chiamata “cadenza finta”, di cui troviamo un esempio molto simile a questo in un partimento “diminuito” del suo maestro, Francesco Durante (Es. 16).

Esempio 16: Durante, partimento in Fa minore Gj 75 (dai Diminuiti), cadenze finali.

A un certo punto, Pergolesi deve aver preso un’altra decisione di grande importanza: il dimezzamento di quella che nell’Esempio 14 era la quinta battuta. Secondo le regole del contrappunto, la durata normale di un ritardo è mezza battuta, non un quarto: infatti, rispettando tale durata, gli accordi del “Ponte” cadono nella regolare posizione metrica, cioè sul battere. Dimezzando i valori del ritardo il “Ponte” si trova anticipato in posizione sincopata, con un effetto piuttosto singolare. Tuttavia la decisione di Pergolesi è ben motivata: senza questo spostamento metrico l’introduzione terminerebbe sul battere della dodicesima battuta, il che obbligherebbe le voci a una pausa eccessivamente lunga prima dell’attacco, oppure ad attaccare sul terzo movimento (sbilanciando metricamente tutto il duetto). Il passo successivo sarà decidere quali modelli di accompagnamento usare, e in base a quelli definire nel dettaglio la cifratura del continuo, cioè la condotta delle voci superiori. Abbiamo già notato l’importanza che i maestri napoletani attribuivano al ritardo, che loro chiamavano (con 29

R. O. Gjerdingen, Music in the Galant Style cit., pp. 197-215.

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una metonimia) dissonanza, in quanto lo strumento principale per abbellire le semplici consonanze, cioè la struttura armonica-tonale di base. Dovendo risolvere scendendo di grado, il ritardo è per sua natura poco adatto a decorare una scala ascendente, a meno che non si ricorra a una tecnica particolare che consiste nell’utilizzare due voci che si scavalcano a vicenda.30 Fenaroli mostra questa tecnica nell’Esempio X del libro terzo dei partimenti, sotto la didascalia «Armonia di 9.a preparata dalla 3.a e risoluta in 8.a» (vedi Esempio 17).31

Esempio 17: Fenaroli, Partimenti ossia basso numerato, libro III, Esempio X (p. 45).

Il successivo Esempio 18 mostra l’applicazione (quasi letterale) dello schema di Fenaroli alla struttura a due voci alle prime cinque battute dell’Esempio 15: si noti che anche Pergolesi, come Fenaroli, rispetta il limite dell’esacordo (per entrambi lo schema non prosegue oltre il sesto grado).

Esempio 18: La melodia schematica disposta a due voci secondo il modello di Fenaroli (bb. 1-5).

Con questo passaggio siamo ormai arrivati a definire con molta precisione le voci superiori; rimane da migliorare il basso, che è ancora molto rudimentale, e il modo per farlo è utilizzare la tecnica della diminuzione, che a Napoli era oggetto di studi approfonditi sia nell’ambito del partimento,

30 31

Gjerdingen chiama questa tecnica “Corelli leapfrog”: cfr. ivi, p. 123. L’originale di Fenaroli è stato trasportato in Fa minore per facilitare il confronto.

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sia in quello del contrappunto.32 Pergolesi non aveva bisogno di modelli specifici per creare una buona diminuzione in questo basso, però è interessante la circostanza che esiste un partimento manoscritto di Alessandro Scarlatti che condivide molte caratteristiche con l’inizio dello Stabat pergolesiano: la tonalità di fa minore, il carattere ‘camminato’ del basso, e l’intrecciarsi di ritardi nelle voci superiori (vedi Es. 19).

Esempio 19: Alessandro Scarlatti, partimento in Fa minore, in Principi del sig. re Cavaliere Alesandro Scarlatti. MS: Londra, British Library, Ms. Add. 14244.

Poteva Pergolesi aver conosciuto questo basso? Attualmente è impossibile rispondere a questa domanda. Il partimento esiste soltanto in un manoscritto conservato nella British Library, mentre allo stato attuale non risulta nessun manoscritto di partimenti scarlattiani nella biblioteca di Napoli: è però possibile che un manoscritto del genere esista (o sia esistito) perché un’antologia compilata a Napoli nel 1933 da Camillo de Nardis include tre partimenti di Scarlatti che non compaiono in nessun’altra fonte.33

Sull’argomento vedi Giorgio Sanguinetti, Diminution and Harmony-oriented Counterpoint in Late Eighteenth Century Naples: Vincenzo Lavigna’s Studies with Fedele Fenaroli, in Schenkerian Analysis – Analyse nach Heinrich Schenker, ed. by Oliver Schwab-Felisch – Michael Polth – Hartmut Fladt, Hildesheim, Olms, 2011, pp. ???. 33 Camillo De Nardis, Partimenti dei maestri Cotumacci, Durante, Fenaroli, Leo, Mattei, Platania, Sala, Scarlatti, Tritto, Zingarelli, Milano, Ricordi, 1933. Il primo dei tre partimenti è stato ripubblicato in Jacopo Napoli, Bassi della scuola napoletana, con esempi realizzati, Milano, Ricordi, 1959. 32

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Con l’applicazione al basso del modello di diminuzione scarlattiano abbiamo tutto gli elementi per arrivare all’aspetto definitivo dell’introduzione strumentale del duetto, come appare nell’Esempio 20.

Esempio 20: l’introduzione strumentale del primo duetto dello Stabat, con annotazioni analitiche.

Se, in questa breve rassegna di esempi commentati, ho insistito sul fatto che Pergolesi abbia utilizzato schemi, modelli e procedimenti che erano insegnati e tramandati nei conservatori napoletani, la mia intenzione non è certo quella di sminuire l’originalità del suo genio. Al contrario: io credo che proprio conoscendo il più approfonditamente possibile l’aspetto convenzionale (nel senso di ciò che è patrimonio di una comunità di musicisti e fruitori) della produzione di un compositore, noi siamo in grado di apprezzarne anche il contributo originale. Pergolesi, così come altri compositori di rango, non era un semplice combinatore di formule. Abbiamo visto nello Stabat con quale creatività ha piegato gli schemi ereditati dalla tradizione per esprimere la sua personale concezione del dolore. Ma è anche vero che questa espressione non avrebbe potuto manifestarsi senza il sostegno di un repertorio consolidato di schemi che gli sono pervenuti dalla tradizione.

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