Giuseppe Rensi - Introduzione al Manuale di Epitteto
December 30, 2016 | Author: theourgikon | Category: N/A
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eli Epitteto,consigliato ora l'il lf~ letture filosofiche per le scnole meI ic, si va continuamente ristampando la Il'lIduzione del Leopardi, Mirabile, senza dllhbio. Pure non è forse inutile che esso !'lIlIIpaia anche in questa versione Iatinu d,'1 Poliziano, la quale, anzitutto, giusti. i/\II la sua ticompursu già per il fatto che lilla rarità lrihliogrnfica. Ma per due al. ìl'i ruot ivi, 1alc riprodusione semhru esse· Il' ginstifieatao 11 primo elle il latino del l'oliziano,huono c facile ad un tempo, "Irl',~ l'occasione ,li com hiuure con uu a h'lIlIl'a Iiloso fica Cl neli a d'ull testo latino , .ld Iut ino del nostro qnut ì.rocento. n se· più inrpnrruntc, eh o le sentenze con1I\IIIIle nel ~falllwle di Epitteto SOllO di
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della vita (e l'uso serio !li tale volumerto, che a ciò servì per tante generazioni e per tante servi rà nel l'avvenire, .~ preciaaniente questo) paiono assumere una forza maggiore erl avere un'eco più tenace, eflicace e profonda, quando ahhiano la veste latina, anzichè quando abbiano la veste italiana, o d'altra lingua moderna, e sia pure d'un italiano cosÌ perfetto e seultorio quale quello del Leopardi. È in latino che esse ci risuonano più gravi e solenni nel petto, ci ammoniscono COli maggior vigore, ci incitano più severamente a seguirle come una voce che solo col suo tono ed accento sa suscitare ciò che v'è in noi di più virile: quasi la stessa forza delf'espressione latina compartecipi da sè sola forza allo spirito, e in questo trapassi dalla sola forma linguistica quel senso di raccolto sdegno e di inunohile sfida, senza gesti c frasi, contro il mondo e la fortuna, pel quale gli scrittori di Roma antica trovarono le espressioni forse più dense, pregnanti, potentemente suggestive; sccvre, nel medesimo tempo, da quel sapore di sentimentalità e di struggimento muliehre che fastidisce nelle manifestazioni religiose o mistiche della tendenza, analoga, alla rinuncia alle cose mondane e all'abnegazione di sè. (1) .4.
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*** Ma voglio. specificare per quale ragione 111 i sono. sentito. portato a prQcurare l'edi~ione, invece che di altri testi precisaIlIl:11 te d'un libretto. stoico, e anzi del li1"'I)uQ che contiene ed esprime, distillata 41 ooncentrata, 1'essenza dello stoicismo. Ogni sistema di filosofia, e in particolal'I: ogni sistema di morale, ha una massima ver-ità relativa in certe epoche, una mini. 11111 in certe altre. In una determinata età ti momento storico, caratterizzato da ciro «ostanze ed elementi esterni d'una data uatura, un certo. sistema di filosofia e di ruorule parla più adeguatamente allo. spio rito degli uomini e meglio. corrisponde ai Mllni bisogni e alle sue aep irazioni. In IIII'altra età, dove altre condizioni esterne ti socia li SQnQ predominanti, un sistema 11111 Q QPPQstQ di filosofia e di morale è qllello che meglio. colma le usp iraz.ion i del. 111coscienza, che possiede quindi il massitlllI di verità relativa. In, generale si può "i 1'1:che l'umanità, Q un sill1?9lQ PQPQlQ, IIHI:i lla successivamente verso. due tipi di 1lIlIl'a]e a seconda delle circostanze stori1·1,,) nelle quali si t rova : QlII tipo. di morale .,w,iale quando la vita della società è pro· ~I'"l'osa e promettente, o, almeno, quando •5•
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compreso
rIistinz ione tra l'uno e l'altro. - L'obhiezione poi si dissipa del tutto in confronto dcU'eudemonislllo', perchè, seppure altri Il rgomenti si possano addurre contro que~l.a dottrina, per quanto riguarda il p1lnto iu questione, è certo che da un lato iì • lU ~
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fclicifico, eroe compossibile nelf'inaieme, 1IIIIIIIc arl essere perfetto e completo, non , IIIOVCIll!1di tuttc le azioni (quand'an111'il movente di tutte sia il piacere), c 111',d'altro Iato, solo le axion] che hanno flll'l finc pcr movente sono le azioni da II1il. «; ius!o è, piuttosto, obbiettare I'inammisI"liti! dell'affermazione che se, p. e., il 1111 llicio o il martirio sono affrontati o Il ,,'1111 ti, ciò vuoI dire che erano il fatto 1,,\ rurecava in quel momento il massimo pllll'(:rc »; poichè per « piacere» va inIjI~1Iquella determinata sensazione o tono 'illtln di coscienz a che Ia psicologia de'11I1~lll),c tale sensazione non c'è sicura1111 1111)in un sacrificio o martirio. Ma se MOHlil:nisceal linguaggio e al concetto I tlulliHlico quello cudemonistico e si dice 1111 xucrificio e martirio S0110 prescelti, l" 1101 ,,'l sono clem enti dell' azione che l'iIIIIIIVIIla più appagante, quella che più I uluruvu lo spirito, quella medianteIa qua" I'ludividuo sentiva di raggiungere la 1111Il1Il88im a intcnsificaz ioue cd esaltaz.iotll nllnru il paradosso scompare. Ed è I II1 li/l'cullare che l'azione, che ha per el. 1111'11141 sacrificio (1 mart irio, fu compiuta 'l'I"llln per ciò che era app'aganlc, che fili
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solo pcrchè era nppugaute potè essere compiuta, che non sarebbe stata compiuta se non fosse stata appagante. Poichè 'non è nemmeno esatto replical'C (9) che l'appagamento è un sentimento concomitante che accompagna il riuscire, la effettuazione del proposito, ma che esso Ai presenta dopo il raggiungimento di ciò che si voleva, e non è già il movente della volontà, la quale si è m'ossa invece per il rng:giungimento in sè dell'oggetto, per l'elfetLuazione in sè del proposito. Po ichè i due momenti sono inscindibili. L'idea ildJ'appngamenlo ci si presenta indiesolumente fusa con quella del raggiungimenI n C dell'effettuaaione ; questa con quella. Non è già che prima stia davanti alla vo10111:' la cosa da raggiungere e dopo ragi unta si presen ti l'appagamento; ma inlince il complesso « cosa-da-rnggiungcreIl Ilpagamento» sta fin da princi pio, come \'olllplesso non solubile nei suoi elementi il i nnnzi alla volontà. Ha apparenza di vero dire che chi mangia per fame è mosHo dal desiderio del cibo in sè, non dal pt'nsiero del piacere che ricaverà dal cibo, n che il piacere segue. Ma è invece effettiv.unente vero dire che il complesso indie~"Inbile cibo-piacere muove fin da principio In volontà e che senza che in quel com• 1 Lo •
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11I1'~ZIONE Fosse presente I'eleurentn «piacere», che questo pCllcl,"asse e perrlleas~(~ l, 1"'IIClltu « Intto o cosa ,la l'aggiulJge,"c») illlllto), la volontà non sarebbe mossa. l '1I11\1ILoall'osservazione che I'eudomcni11111 costituisce una tautologia, è un'insiuiliounte proposiaione « analitica» per,111\11011può indicare un determinato ed , ",IIIRivo contenuto di azioni come feliciIl, ", ò ridotto perciò a dcsignare come Iei 1",llìelle le azioni che si eseguiscono e per Il 1'111 Lo che sono eseguite, e, insomm a, il .1111\« ognuno vuole la sua felicità» "il'111111:" soltanto « ognuno vuolc ciò che ·,,,.10» (lO); la risposta è ovvia. Questa ""Ilologia, l'affermazione cioè che un'ali"" perchè sia fatta dev'essere appagauI", oHsia che (come ahbiamo detto) volere IIII'/Iv.ione è una cosa sola col trovarla apltlfl'IIIte, o che «trovar appagante» e « vo1 , I Il » sono due aspetti inscindìhilj del medl'~dlllO falto, è tanto poco insignificante, 11\1" Il dire è tanto poco tautologica, che 'Uht ituisce appunto la confutazione di quel111uioralì (tipo kantiano ) le quali pre"",(0110 staccare il « dovere» dalla « na111111 », le quali pretendono, adunque, pre, 1""l1lcnte che ci siano delle azioni (quelle 111'"'1\11) che possano essere eseguite senza Il movente naturale dell'appagamento. Appll'IIMU '"/'/1
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(".\ lilla dol.trill:l ..JII~ afl'erma •.iò, stahilire che ciò nun pllÌl C,;SCI'C, riasserire clw ogni aziollf' l'l'l' essere eseguita .I(~ve avere 1Il1 uroveuto I( natura le» cioè punto
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perchè
dell'a ppagallleul.o,
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Il d ire che per essere eseguita l'azione, come ci siamo espressi, (1eV'e88e1'evoluta,
giacchè movente della volontà non può e,-usure il lillgllag~io ,li Kant, dH' ({ nnt urale », « sensibile»; 11011 è afl'ntto 111utologico. Un' osservaz ionc precedcutemente fatta giova poi a chiarire come p'O;-HIl essere stabilita 'lilla distiliziolJC tra I'appagumeuto come movente e I'appaguuieulO come criterio, tra l'appagamento in genere, compreso quello superficiale, morucntaneo, puntuale, motivo d'o~ni azione, l' I'appagamen to nel la sua portata e direz ione specificataurcnte fclicifico, che è, olI l'I! che il movente, il criterio delle azioni .111 farsi, Ogni dott.rina morale eudemouiHtiea assume nppunto di insegnare a di~tillguel'e i caratteri di questo apl'agéllllell IO I( specie », dai caratteri di quefl'appamento I( genere ». :n.iafl'enlli am o, dunque, che costitnisce lilla vera e propria impossi'hi lità mentale Il ritenere che altra cosa dall'nppagamenlo felicifico possa essere il fine o hene som1110, che scorgere in questo il bene è uua ~('re, per
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ruvvisavano l'aggiulIgihile nel piacere, sehbene in guisa alqunnto diversa. Secondo Aristippo, per il piacere, fine della vita, /". che non può essere se non il piacere singolo e del momento, occorre un mezzo esteriore che lo fornisca. Questo mezzo può essere piccolo (sebbene si debba procurarsi i grandi, quando ]0 si può). Perciò occorre esser" prcnti a ricavar ò il p .acero .la mezai modesti c mantenersi interiormente liberi dalla dipendenza dai mezzi del piacere, sopratntto dai grandi, e dal lasciarsi trascinare dal bisogno di q.resi i ultimi (tJ.6i, Ò:ÀÀ'o.Jx sl.0/w.t) ; concetti ai quali, com'è, del resto, notissimo, Orazio badato le due hellc espressioni: « omnis Aristippum decuit color et status et res », « ruihi res, non me rebus subjungere 1:0110r» (11). Secondo Epicnro, mcdian .. te una serio di piaceri saggiamente sistemata e concatcnata lungo tutta la vita, raggiungiamo la felicità consistenIe nell'animo tranquillo e scevro da dolore. Minimi sono i mezzi esteriori a ciò necessari, ed è hene rinunciare ad ogni mezzo che 11011 sia minimo, mentre è insieme necessario tener d'occhio a tutta la vita. - Per gli Stoici invece il piacere, inteso, come rigorosamente parlando si deve intendere, quale quella determinata • 16.
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renità intima. (17) Avere l'animo sempre del tutto pago, sempre in Istato di contentezza, inalterahilmente immerso in un'atmosfera di serenità, senza nessun giorno triste (« provisum est enim a me, ne quis mihi ater dies esset » (18), questo è evidcntemente il contenuto concreto della felicità, questa è la stessa felicità, e nessuno può dire che ncll'identificarla a questo sentimento di perpetuo contento e soddisfazione e al suo mantenerlo a qualunque costo iniutcrrottamente presente, essa non risulti perfettamente determinata. È bensì vero che gli Stoici indicano altresì come fine e bene sommo la virtù, concetto in cui confluiscono l'attività razionale, il vivere in conformità alla natura generale è' ·;qlla natura propriamente umana, e il vivere con coerenza essendo per essi la vita viziosa necesaariamrnte in coerente e contraddittoria (19). Ma poichè il pensiero della felicità è, indiscutihilmente in essi sempre presente e dominante (20), è uopo concludere, per eliminare dalla loro dottrina una sconcordanza che altrimenti sarebbe iunegabile, eome per essi la virtù sia, non già un mezzo per consegurmento della felicità, ma immediatamente la stessa felicità, precisamente come nella dottrina edonistica rigorosa il piace• J 11 •
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)lO la relicitÌt (24). Da dò la conseguellzu dlt~ il !lelli' ri~il'd.· IIt·H'allilllll, eiOt~ Il..-1l'ali P~~illlllf~1I1 Il d,,· .',.~:t a~''''"I11I', 111··1· l'intenaiou« con cui l'aziolle (-:. comp iutu, an7.iehl, nri risnlt al i di questa (25). Col quale pensiero, è congiunta negli Stoi(~i la distiuaioue tra l'azione uraterialmenle buona, JJJH comp iuta per comuni ru-
I-(iolli utilitarie (x.o:~'ìix.ov), c que llu compiuta p'er motivo razionale puro, o, in linguaggio di Kaiu, per solo rispetto del dovere (x.O:'r0p~wf1.o:), la quale ultima soltanto ha valore morale. Ma tale formalismo scompare di fronte alla predominante idea della felicità che con tale azione razionale o morale si realizza. Non si può dunque dire che la morale degli Stoici sia una morale meramente f o rmale, che consista unicamente in un certo atteggiamonto della ragione 1I0n avente altro Iine r uori di sè stesso, nc llu SUpl'(~uiazia della volontà senz'altro scopo che quello della sua supremazia. Piuttosto Ì>; vero dire, col Barth (26), che, accanto a principì formali (quale quello di vivere coerentemente) la morale stoica, COlUenon poteva non avvenire presso il popolo gl'e co in cui era vivo il bisogno della pen,czione sensibile, contiene prevalentemente p rincipi materiali, primo fra i qur li [piut-
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lo~lo che la libertà dello sp irito dai d"", vi neo I i (l" 11(' pnssioni (' del!c cise osteriori, scco nrlo vuole i] Barth) Ia felicità,
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mauteuorla ad ogu i costo, di possedere I'attcggiaurento felice dello spirito, e pp.r·
('iò la risoluzione di far centro unicamente i Il 1111e5Lo, ed eliminare e negare col P'CHsiero ad ogni costo il dolore, chiudere al dolore ogni via alla coscienza, negargli il carattere di male. - In sostanza il motivo stoico fonda mentale è questo: voglio cssere felice, felice a qualunque cost o, Chf. è, ora, la felicità? Un certo stato d'animo (« hilaritas, gaudium, laetitia»). Voglio dunque avere tale stato d'animo a qualunque costo, in qualunque condizione. Quindi è necessario e sufficiente che io mantenga in nre questo stato d'animo, come tale, come sensazione spirituale inti'111\ di hoatitudine, indipendentemente da quuluuque [atto, cosa o avvenimento estor110. Vi è certo in questo motivo stoico alcuuchè del'I'elemento fourl amentnln di quella «cura psich ica » o «mentale» di cui uarra così hrillantementc il James (27), mediante .la 1111alci11l11011cnùoa sè stes~i « voglio essere sano, calmo », o meglio C( ~OJ.".I 8:.
Ora, non vi fu forse epoca storica che più della nostra somigli, per l'una o Taltra ragione, a quella della Grecia dopo Alessandro, ·0' a quella di alcuni periodi delf'impero romano. Epoca, anche quel'la, come quelle, di disfacimento politico, cl i corrutcla enorme, di sfrenatezza incoercibile, di proli ti e immensi guadagni e facile sperpero, di passione dominante per i circenses o lo sport, di evidente instabilità, così uell'aspetto territoriale degli Stati, come nel loro' equilibrio reciproco e nella loro sistemazione interna, di oscillazione degli stessi fondamenti del vivere politico e sociale; epoca quindi in cui è sparito completamente il scuso di sicurezza che si aveva ancora dieci anni fa, di posare su di un suolo fermo e sulla cui so.lirlit si poteva anclro all'indomani contare, c ad esso si è invece sostituito il senso di incertezza su ciò che il destino dal punto di vista della patria, della vita politica, della stessa vita individuale, domani ci apporterà. « Quemquam invenire hoà
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cuius res tam hcnc positae Iundatacque si nt , ut nihil .illi procedente rempore timcndum sit? LaLRlIt humana ac fluunt, ncquc \IIJa pars vitae nostrun tam ohnoxia aut tenera est quam quae maxirne p.Iacet : ideoque felioissimis optanda mors est, qu ia in tanta iuconstantia turbaque rerum nih il nisi quod praereriit certum cst » (61). Queste parole di Sencca so 110' "~jdiveJlute di attualità nel tempo nostro, nel quale, più che in altri, un numero stermina lo di persone non può a meno di sentirsi spuntare nell'animo lo stesso pensiero che esse esprimono. - Per tutto questo appunto ritengo che lo stoicismo possegga oggi la massima verità relativa c per questo mi son sentito spinto a ferrnarrui su di un testo stoico. Possa anche la rif'lessione sullo stoici:"1110 giovare a rettificare la concezione prHtica oggi dominante del ({volontarismo », che viene inteso come pura e semplice impulsività, conre obbedienza ai propri impulsi capricciosi e irragionati, e come innalzamento di essi, appunto per l'unica ragione che sono impulsi ed impulsi violenti, moti di passione, anzi « passione l), al grado di verità assolute. Un tale « volontarisino » o « p assiona lismo l), che ha, del resto, anche la condanna dei Iibri sarlie potes,
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