Giovanni Prodi - Analisi Matematica

April 6, 2017 | Author: Giorgio Schiavone | Category: N/A
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Italian mathematical analysis good book...

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GIOVANNI

PRODI

ANALISI MATEMATICA

PROGRAMMA DI MATEMATICA FISICA ELETTRONICA

BOLLATI BORINGHIERI

PROGRAMMA DI MATEMATICA, FISICA, ELETTRONICA Mario Ageno, Elementi di fisica T. M. Apostol, Calcolo Voi. 1 Analisi 1 Voi. 2 Geometria Voi. 3 Analisi 2 Michael Artin, Algebra Luca Baracco e Giuseppe Zampieri, Analisi 1 Franco Bassani e Umberto M. Grassano, Fisica dello stato solido Michiel Bertsch, Istituzioni di matematica Scipione Bobbio e Emilio Gatti, Elettromagnetismo Ottica

Max Bom, Fisica atomica Francesco Bottacin e Giuseppe Zampieri, Analisi 2 Stefano Campi, Massimo Picardello e Giorgio Talenti, Analisi matematica e calcolatori Vito Cappellini, Elaborazione numerica delle immagini Francesco Carassa, Comunicazioni elettriche Sergio Carrà, Termodinamica: aspetti recenti e applicazioni alla chimica e all'ingegneria Ciro Ciliberto, Algebra lineare Claudio Citrini, Analisi matematica 1 Claudio Citrini, Analisi matematica 2 Chiara de Fabritiis e Carlo Petronio, Esercizi svolti e complementi di Topologia e Geometria P. A. M. Dirac, I princìpi della meccanica quantistica Albert Einstein, Il significato della relatività Antonio Fasano e Stefano Marmi, Meccanica analitica con elementi di meccanica statistica e dei continui Enrico Fermi, Termodinamica Giorgio Franceschetti, Campi elettromagnetici Giovanni Gallavotti, Meccanica elementare Graziano Gentili, Fabio Podestà e Edoardo Vesentini, Lezioni di geometria differenziale Enrico Giusti, Analisi matematica I Enrico Giusti, Analisi matematica 2 Enrico Giusti, Esercizi e complementi di analisi matematica: voi. I Enrico Giusti, Esercizi e complementi di analisi matematica: voi. 2 Angelo Guerraggio, Matematica generale Hermann Haken e Hans C. Wolf, Fisica atomica e quantistica Wemer Heisenberg, I princìpi fisici della teoria dei quanti David A. Hodges e Horace G. Jackson, Analisi e progetto di circuiti integrati digitali Charles Kittel, Introduzione alla fisica dello stato solido Charles Kittel e Herbert K.roemer, Temwdinamica staiistica Serge Lang, Algebra lineare P. F. Manfredi, Piero Maranesi e Tiziana Tacchi, L'amplificatore operazionale Jacob Millman, Circuiti e sistemi microelettronici Jacob Millman e C. C. Halkias, Microelettronica R. S. Muller e T. I. Kamins, Dispositivi elettronici nei circuiti integrati Luciano Pandolfi, Analisi matematica I Athanasios Papoulis, Probabilità, variabili aleatorie e processi stocastici Wolfgang Pauli, Teoria della relatività B. Povh, K. Ridi, C. Scholz e F. Zetsche, Particelle e nuclei: un 'introduzione ai concetti fisici Ilya Prigogine e Dilid Kondepudi, Termodinamica: dalle macchine termiche alle strutture dissipative Giovanni Prodi, Analisi matematica Antonio Ruberti e Alberto Isidori, Teoria dei sistemi Walter Rudin, Analisi reale e complessa H. H. Schaefer, Introduzione alla teoria spettrale Edoardo Sernesi, Geometria 1 Edoardo Semesi, Geometria 2 I. M. Singer e J. A. Thorpe, Lezioni di topologia elementare e di geometria Giovanni Soncini, Tecnologie microelettroniche Guido Tartara, Teoria dei sistemi di comunicazione Alberto Tesei, Istituzioni di analisi superiore

·-------------------------~~~----., GIOVANNI PRODI ,.,,,·

ANALISI MATEMATICA

BOLLATI BORINGHIERI

Prima edizione 1970 Ristampa gennaio 2003

© 1970 Bollati Boringhieri editore s.r.l., Torino, corso Vittorio Emanuele Il, 86 I diritti di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati L'editore potrà concedere a pagamento lautorizzazione a riprodurre una ponione non superiore a un decimo del presente volume. Le richieste di riproduzione vanno inoltrate ali' Associazione Italiana per i Diritti di Riproduzione delle Opere a Stampa (AIDRO), via delle Erbe, 2, 20121 Milano, tel. 02/86463091, fax 02/89010863

Stampato in Italia dalla Stampatre di Torino fSBN 88-339-5329-7

Indice

·.:;: ..,. t"..-,

:· ~; il simbolo ::> viene detto connettivo di implicazione. È senz'altro conveniente introdurre questo segno. Tut-

il

14

NOZIONI PRl!LIMINARI

CAP.

0

tavia, esso può essere espresso mediante i connettivi ecedenti. Infatti, si vuole che valga la seguente regola di deduzioae:

"Se è vera El' e se è vera El'=> !l, è vera !l". Si vede subito che le cose vanno bene se il simbolo El' => 9si interpreta come "(non f!I') o !l" (infatti, se è vera quest'ultima ed è vera El', essendo falsa la (non .9'), è necessariamente vera la !l). Ad esempio, se si intende che:

El' significa "l'intero n è divisibile per 6" , !l

significa "l'intero n è pari" ,

allora è vera la El' :::> !l: infatti è vero che "n non è divisibile per 6 oppure n è pari". Il connettivo d'implicazione ci porta a costruire anche proposizioni vere, ma piuttosto strane rispetto al nostro linguaggio ordinario. Ad esempio, se conveniamo che: lJl

significhi "New York è la capitale della Francia",

f/'

significhi "ogni triangolo ha tre lati",

è vera la proposizione Bf ::>f/'. In generale, se 92 è una proposizione falsa, f!4 ::>f/' è vera qualunque sia la proposizione f/'. Del resto, anche i filosofi antichi avevano riconosciuto che da una premessa falsa si può dedurre tutto quello che si vuole. L'interpretazione del segno => è stata data in modo tale che la proposizione El' => !l sia falsa solo quando El' è vera e !l è falsa. Queste semplici osservazioni sull'implicazione ci permettono di chiarire il nostro modo spontaneo di procedere nelle dimostrazioni per assurdo. Lo scopo è quello di dimostrare la verità di El' => !l (El' viene detta ipotesi, !l viene detta tesi); sappiamo che El'=> !l equivale a "(non f!I') o !l". Per la legge della doppia negazione, questa si può scrivere: "(non f!I') o (non(non !l))" o anche, cambiando l'ordine, "(non(non !l)) o (non !P)", e si vede subito che questa si può scrivere (non !l) =>(non f!I'). Dunque El' => !l è equivalente a (non !l) :::>(non f!I'). Esempio. Per dimostrare che (detti m ed n due interi naturali) "se il prodotto m·n è pari, uno dei due fattori è pari", è equivalente dimostrare che "se m ed n sono dispari il loro prodotto m · n è dispari".

§ t

I

OZIONI PRJ!LIMINAlU

Spess le dimostrazioni per assurdo prendono una forma più so:fisticat Per provare che fJI => !l, è vera, si ammette che BI sia vera e)!}, sia falsa (cioè che sia vera (non !J,)) e si procede nelle deduzioni• finché non si arriva a una proposizione falsa fJt (cioè a una proposizione fil tale che (non!Jl) sia vera; ciò accade quando fil è una contraddizione, cioè una proposizione del tipo "[/' e (non .9')"). In termini più precisi, ammettiamo dunque di avere dimostrato la verità dell'implicazione (g> e (non !J,)) =>fil; per quello che abbiamo detto sopra, questa si può scrivere (non flt) =>((non 9') o !J,), oppure anche (non fJl) => (fJI => !J,). Ma (non flt) è vera; perciò, per la nostra regola di deduzione è vera la /1' => !l,. Esempio. Sia I una retta, A un punto fuori di essa e siano I ed m due rette passanti per A e perpendicolari a t; allora I ed m coincidono. Per dimostrarlo, secondo lo schema ora esposto, accettiamo l'ipotesi, ma neghiamo la tesi; supponiamo dunque che I ed m siano distinte: esse taglieranno t in due punti distinti L ed M. Ma allora il triangolo LMA ha due angoli retti e si sa che nella geometria euclidea (anche prescindendo dal postulato delle parallele) questa affermazione è falsa.

Introduciamo un altro simbolo utile: la doppia implicazione. Scriviamo {/> !l, si può leggere "fJI è sufficiente perché accada !l," e !l, => fJI si può leggere "fJI è condizione necessaria perché accada !l,". Se la proposizione {I> o !l,) (non fF) e (non !l,) •

16

NOZIONI PRELl"IINAIU

I

CAP.

o

Queste quattro espressioni sono tautologie, cioè pr posizioni vere quali che siano le proposizioni PJJ e 9. che comp ono nella loro espressione. La logica delle proposizioni, di cui abbiamo dato solo pochi cenni, ci fornisce un linguaggio troppo povero per le esigenze anche più elementari della matematica; occorre generalizzare la nozione di proposizione introducendo certe espressioni logiche contenenti delle variabili. Ad esempio, l'espressione

x> 1

(intendendo che x rappresenti un numero reale)

contiene la variabile x; la sua verità dipende dai valori che attribuiamo alla x; essa diviene una proposizione vera sostituendo a x il simbolo 3, una proposizione falsa sostituendo a x il simbolo O. Si dicono predicati le espressioni di questo tipo; esse si indicano con una lettera (per noi sarà una lettera maiuscola, in corsivo calligrafico) seguita da una o più lettere minuscole entro parentesi; queste indicano le variabili (saranno scelte fra le ultime lettere dell'alfabeto). Ad esempio, possiamo porre: .ni'(x) per dire "x è un uomo onesto", 9'(x, y)

per dire "x è un uomo capace di fare il lavoro y",

PJJ(x, y, z) per dire "il prodotto del numero x per il numero y dà il numero z".

Spesso si dice anche che il predicato (in una variabile) .ni'(x) esprime una proprietà di x, che il predicato (in due variabili) 9'(x, y) esprime una relazione fra x e y ecc. Fra i predicati possiamo anche includere quelli che non contengono alcuna variabile; essi si identificano con le proposizioni, che abbiamo già considerato (in questo senso la "logica dei predicati" contiene la "logica delle proposizioni"). Nella logica dei predicati è opportuno anche introdurre altre lettere minuscole per indicare le costanti; in ogni teoria matematica vi sono certi enti particolari, che possono eventualmente essere sostituiti in luogo delle variabili (esempio: l'elemento neutro nella teoria dei gruppi, lo O nella teoria degli interi naturali, il numero 2, il numero n ecc.). Come abbiamo visto sopra, quando in un predica~o tutie le

-

\ § l

J

~ZIONI

17

PRELIMINARI

variabili vengono sostituite con costanti, si ottiene una proposizione: ad esempio, dalla relazione x>y, si ottiene per sostituzione la proposizione (vera) n> 3. Un'altra via per trasformare un predicato in una proposizione è l'applicazione di uno o più quantificatori. I quantificatori sono due: 3 (quantificatore esistenziale),

V (quantificatore universale) •

n loro significato e il loro impiego sono chiaramente ~piegati da questi esempi:

3 x: Jf'(x) significa "esiste almeno un x tale che è vera ..?f(x)" (col significato di prima: "esiste almeno un uomo onesto"); Vx: Jf'(x) significa "per tutti gli x è vera Jf'(x)" (col significato di prima: "tutti gli uomini sono onesti"). Come verifica consideriamo questi altri esempi, in cui si sottintende che x indica un numero reale: 3x: x 2 > 1 (è vera),

Vx: x2> 1 (è falsa),

Vx: x 2 >0 (è vera),

3x: x 2 x = z (proJ?rietà transitiva).

La negazione della relazione x = y si scrive, secondo una ben nota convenzione, x =I= y. Nel seguito useremo spesso il segno di uguaglianza anche per

§ 1

I

19

NOZIONI PRELIMINARI

porre definizioni: ad esempio il numero e (come 5i vedrà più avanti) può essere definito così: e = lim

de/ n- .. "'

(1 +!)n. n

Il segno di uguaglianza ci dà modo dunque di sostituire una espressione nota, ma complessa, con un solo simbolo; il segno "de/" che spesso si mette in questi casi sotto il segno di uguaglianza, non è logicamente indispensabile, ma serve a fare capire la motivazione di ciò che si scrive. A conclusione di queste brevi osservazioni sulla logica, riteniamo doveroso aggiungere che la logica è uno strumento essenziale per l'indagine matematica ma non la esaurisce. Infatti, in primo luogo, in ogni teoria matematica vi è la scelta iniziale degli assiomi, che non è una pura questione di logica. In secondo luogo, fra tutte le deduzioni possibili, il matematico persegue solo quelle che sono significative, guidato da esigenze di tipo estetico o pratico; l'intuizione (fondata sull'esperienza fisica, ·sull'analogia con teorie già note ecc.) suggerisce al matematico gli enunciati plausibili, e i ragionamenti che possono essere impiegati per dimostrarli. Esercizi 1. Rappresentare, mediante i connettivi introdotti, la disgiunzione forte di due proposizioni f!JJ, li,. 2. Trovare un'espressione logica dipendente da tre proposizionif!JJ, !I,, &l, che sia vera quando due almeno di esse sono vere. *3. La logica stessa può essere studiata col metodo deduttivo. Ad esempio (limitandoci alla logica delle proposizioni), si possono accettare alcune tautologie, come assiomi logici e cercare di dedurre da esse tutte le altre: ad esempio, si possono accettare le seguenti quattro: ( f!jJ o f!JJ) -=,;,. f!jJ •

f!jJ ~ ( f!jJ o !I,) •

( f!jJ o !I,) -=,;,. (!I, o f!JJ) •

(f!JJ ~ !I,)~ ((&l o &1') ~ (&l o !},)) •

Partendo da queste, e applicando sempre la rei;ola di deduzione, si dirne-

• 20

NOZlONI PRBLIMrNARl

I CAP. o

strino le seguenti tautologie: (tJ> => !I,)=> (Cf/' =>tJ') => (f/' => !l)) (proprietà transitiva dell'implicazione), fjJ => f)'

fJ' => non (non &') • (&' => !I,)=> ((non !I,)=> (non fl'));

(la scrittura &' => !P, deve essere sempre ritenuta equivalente a "(non &') o !I,"}

2. Gli insiemi In questa esposizione assumiamo come primitiva l'idea di insieme, cosi come ce la presenta la nostra intuizione. Al lettore sono certamente familiari espressioni come "l'insieme degli interi naturali", "l'insieme delle rette del piano" ecc. Consideriamo anche i termini di aggregato, classe, famiglia come sinonimi di insieme. L'espressione [2.1) xeT si legge: x appartiene all'insieme T o, indifferentemente, x è un elemento di T. Ad esempio, se indichiamo con R l'insieme di tutti i numeri reali, è vero che E R. Scriveremo x f/: T per negare la [2.1 ], cioè per affermare che x non appartiene a T. L'intuizione ci suggerisce di considerare uguali due insiemi che abbiano gli stessi elementi; in simboli:

v2

(V'x: xeA xeB) A=B.

[2.2)

Il significato che abbiamo dato al segno di eguaglianza ci assicura che due insiemi aventi gli stessi elementi devono avere il medesimo ruolo in tutte le enunciazioni che fanno parte della nostra teoria. Per indicare un insieme basterà allora (quando è possibile) elencarne gli elementi; converremo di elencarli entro parentesi graffe. Ad esempio, {2, 5, 6} indica l'insieme i cui elementi sono i numeri 2, 5, 6. La notazione {2} indica l'insieme costituito dal solo elemento 2: nella nostra teoria, preso un qualsiasi oggetto a, ci riserviamo il dirit~o di considerare l'insieme {a} che ha come

§ 2

I

21

NOZIONI PRELIMINARI

unico elemento a; occorre fare bene attenzione a non confondere a con {a} ... Se ogni elemento di A è un elemento di B, cioè: Vx: XEÀ ~xeB'

(2.3)

allora diciamo che A è contenuto in B (fig. 2.1), oppure A è una parte o un sottoinsieme di B, e scriviamo A e B. Questa relazione è detta di inclusione. Notiamo che la relazione A e B è verificata quando è A =B. Per esprimere che è A e B, ma è A =I= B, cioè esistono elementi di B che non sono elementi di A, si scrive A ~ B (si dice allora che A è sottoinsieme proprio di B, ovvero è propriamente contenuto in B). ;••1•';:

Figura 2.1

Conviene introdurre un particolare insieme privo di elementi, che verrà detto insieme vuoto. Poiché gli insiemi si distinguono solo in base ai loro elementi, e l'insieme vuoto ... non ne ha, si deve ritenere che esiste un unico insieme vuoto; esso verrà indicato col simbolo 521 • L'insieme vuoto è molto utile nello sviluppo formale della teoria degli insiemi, come vedremo tra poco. Poste queste premesse, il compito che ci spetta in questo paragrafo e nei successivi è quello di esporre alcune importanti costruzioni insiemistiche, cioè procedimenti che, partendo da insiemi assegnati, ci forniscono nuovi insiemi.

*2.1 Osservazione. Nell'introdurre la nozione di insieme ci siamo basati solo sulla suggestione della nostra intuizione. Accenniamo ora, per sommi capi, al modo con cui si può costruire una teoria assiomatica degli insiemi, cioè una teoria che si basi solo su alcune proposizioni primitive espresse nel linguaggio logico (assiomi).

22

NOZTOl' 1 elementi, e sia a uno di essi. Ripartiamo l'insieme delle applicazioni iniettive A -+ B in classi, mettendo in una stessa classe le applicazioni che coincidono in A-{a}. Una classe conterrà n-(k-1) elementi: infatti tanti sono i valori che restano disponibili in B, non potendo un'appli· cazione iniettiva assumere nel punto a alcuno dei k-1 valori già assunti in A-{a}. Allora, sempre per il principio 6.7, si ha la formula: Dn,'k = Dn,'k-1(n-k

+1).

Procedendo per induzione, e tenendo conto che Dn,1 = n si ottiene il risultato: Dn,'k=n(n-l)(n-2) .•. (n-k+l).

[6.2]

Un caso particolarmente interessante è quello in cui sia k = n. Il numero Dn,n può essere visto come numero delle applicazioni iniettive di un insieme di n elementi in sé; queste applicazioni sono necessariamente anche surgettive (per la solita ragione che, altrimenti, vi sarebbe un'applicazione biiettiva di un insieme finito in una sua parte propria). Tali applicazioni vengono dette sostituzioni. Dunque, il numero delle sostituzioni su un insieme di n elementi è dato dalla formula: Dn,n = 1· 2 · 3 · ... · n = n I •

Siamo ora in grado di risolvere il problema a). Consideriamo l'insieme di tutte le applicazioni iniettive di un insieme A di k elementi, in un insieme B di n elementi (k 1 ; infatti i casi y = O, y = 1 sono banali; nel caso O 1; preso allora un a> 1 tale che x 2 /y> :>(f2 , si ha (x/a} 2 >y, da cui x/aeB; ma essendo x/(fxxO, µ>0, A+µ= I}. Naturalmente, se è x = y, la retta e il segmento si riducono a un solo punto; si potrà parlare, in questo caso, di retta o segmento impropri (o degeneri).

r

I

' 12

I

NUMERI REALI B COMPLESSI

87

Lasciamo allo studioso il compito di verificare che la retta congiungente x e y si può anche scrivere {x+'l'(y - x): 'l' E R} e il segmento {x+'l'(y- x): 'l' E [O, I]}. Introdurremo il simbolo [x, y] per indicare il segmento congiungente x e y.

12.6 DEFINIZIONE Un insieme Te Rn si dice convesso se per ogni coppia di punti x e T, y e T, il segmento [x, y] è contenuto in T. Conviene considerare convesso anche l'insieme vuoto. Si può allora enunciare il seguente teorema:

12.7 TEOREMA L'intersezione di un'arbitraria famiglia di insiemi convessi è un insieme convesso. Dimostrazione. Sia W=

nT, dove {T,: iEI} è una famiglia

~El

di insiemi convessi; se W è vuoto, è convesso; altrimenti, presi x, y e W, si ha x, y E T, V i E I. Allora il segmento [x, y] è contenuto in Te per ogni i E I, quindi è contenuto in W. Si costata, con esempi banali, che, in generale, l'unione di due insiemi convessi non è un insieme convesso. Esempi a) Sulla retta R = R1 i sottoinsiemi convessi sono tutti e soli gli intervalli (limitati o illimitati, contenenti uno, nessuno o entrambi gli estremi; eventualmente ridotti a un solo punto o all'insieme vuoto}.

b) Io R2 l'insieme {(xlt x2): ax1 + bx8 +e> O} (dove a, b, e sono costanti, e a e b non sono entrambe nulle) è convesso (lo dimostri il lettore). I due insiemi {(xi.x2): ax1 +bx2 + c>O} e {(xi.x1): ax1 +bx2 +c0 ed è z·z=O solo se è z = O .

Le proprietà che ha questo prodotto scalare sono analoghe a quelle del prodotto scalare nello spazio Rn. Ma, come si noterà, il prodotto non risulta simmetrico bensì antisimmetrico (scambiando i fattori, si passa al coniugato). Lo spazio cn ha come spazio soggiacente R2n, dotato della struttura di spazio vettoriale sul corpo reale. Ad ogni z e cn si può assegnare un modulo lzl = (z· z)1' 2• Si verifica subito che

I

,•

97 I NUMERI REAU B COMPLESSI questo modulo coincide con quello che compete a :; come elemento di R211 • Abbiamo cominciato questo paragrafo proponendoci di costruire un sopracorpo di R in cui ogni equazione algebrica abbia soluzione. Il corpo C ha questa proprietà, ma non siamo ancora in grado di dimostrarlo. Ritorneremo sull'argomento più avanti. § 13

Esercizi 1. Verificare le relazioni 1-i 1 -=-i=1 +i i.

2. Trovare i punti di C che soddisfano alla disuguaglianza:

lzl< !z+ li.

3. Studiare la seguente funzione, a valori reali, definita nel piano complesso: Semplificarne l'espressione e trovarne il minimo. 4. Dimostrare che (come è enunciato nel testo) ogni rotazione attorno all'origine in C è del tipo z 1-+- uz essendo uE U. Dimostrare poi che ogni isometria che lascia ferma l'origine C è del tipo z i-+- uz, oppure del tipo z -.,,,uz•, essendo uE U. 5. Dimostrare che anche per il prodotto scalare introdotto in la diseguaglianza di Schwarz: lv· il< !vili!.

4

; .,~;

cn

vale

'

Capitolo 2

I

Spazi metrici e topologici

•.n;

. '(i.'

Lo schema del capitolo è il seguente. Cominciamo con l'introdurre negli spazi R" la distanza: questa, a parte il diverso quadro assiomatico, coincide con la ben nota distanza della geometria elementare. Le proprietà di questa distanza ci suggeriscono spontaneamente l'introduzione degli spazi metrici. In questi, la distanza viene utilizzata per introdurre gli intorni. Mettendo in evidenza alcune proprietà degli intorni e prendendole come assiomi, si giunge cosi, con ulteriore generalizzazione, alla nozione di spazio topologico. Dunque, gli spazi R" sono parti· colari spazi metrici e questi, a loro volta, particolari spazi topologici. Gli spazi topologici sono l'ambiente naturale per lo studio della continuità; l'ultima parte del capitolo è appunto dedicata all'introduzione e allo studio delle applicazioni continue. Avvertiamo che, in questo primo corso, il nostro compito più immediato sarà quello di studiare alcune proprietà degli spazi R" e dei loro sottoinsiemi. Tuttavia l'esporre la teoria della con· tinuità a livello più generale e astratto (cioè a livello degli spazi topologici) non costa nessuna fatica in più rispetto a quella che si esige per gli spazi R". Nel seguito (ad esempio, quando co· minceremo a servirci degli spazi funzionali) sarà utile poter già disporre della nozione di spazio metrico e di spazio topologico in forma del tutto generale. D'altra parte, per bene intuire la teoria che esporremo, il lettore dovrà avere sempre presenti i modelli più concreti. (Sarà utile pensare allo spazio R o, meglio ancora, allo spazio R2.)

§ 14

I

SPAZI METRICI E TOPOLOGICI

14. Spazi metrici

14.1 DEFINIZIONE Dato uno spazio R11 si dice distanza pitagorica di R11 l'applicazione d: R11 X R11 ~ R+ (ricordiamo che R+ è la semiretta dei reali >O) cosi definita: posto x= (x1' X:h ••• , x3 }, y=(y1, Yii, ... , Yn):

d(x, y)= lx-yl = vik(Xk-Yk)2 • Lo studioso non avrà difficoltà ad accorgersi, partendo dalla

geometria elementare e dal teorema di Pitagora, che questa è la distanza di cui ha sempre sentito parlare. La funzione d ha le seguenti proprietà particolarmente notevoli:

fJJ fJJ

è d(x, y)=O se e solo se è x= y; è d(x,y)=d(y, x) per ogni coppia (x,y);

fi3)è d(x,y)'u .... y..), l11:-x1:IO

per

k=l,2, ... ,n}.

contiene la palla B(x, 15). quindi

102

SPAZI Ml!Tl!.IC1 B TOPOLOGICI

I CAP.

2

I

è un in tomo di .r; infatti:

per k = 1, 2, ... , n.

~

x,

---fJJ

o Figura 1.5.1

Mettiamo ora in evidenza alcune proprietà degli intorni che abbiamo introdotto per gli spazi metrici, sempre indicando con J z la famiglia degli intorni di x.

lf!J Ogni punto x ha almeno un intorno,· ogni intomo di x contiene x.

lf!J

Se UeJZ e VeJz, allora anche

un VeJZ.

"lla) Se UeJz e se Uc V, allora VeJz. "liJ Per ogni U e J z esiste V e J z tale che U sia intorno di ogni y E V (tale cioè che sia U e J 11 per ogni y e V).

"llJ Se

X=/=y

esistono UeJZ e VeJ" tali che uri V=0.

Le dimostrazioni delle proprietà lf!J, lf!J, e "l/3) sono banali; basta aver presente la definizione 15.2. Dimostriamo la ewJ. Per ipotesi, U contiene una palla B(x, e); poniamo V B(x, e/2): evidentemente, V è un intorno di x. Sia ora y un qualunque punto di V; proveremo che B(y, (!/2)cB(x, (!)C U. Con ciò sarà provato che ogni punto di V ha come intorno U (.fig. 15.2).

"'

I tS I

SPAZI METRICI 8 TOPOLOGICI

103

Infatti: VzeB(y, e/2):d(x, z)O}c R il punto O è punto di accumulazione di T, i punti 1/n appartengono a T e quindi sono punti aderenti a T, ma non sono punti di accumulazione per T.

1

§ I

sI

SPAZI METRICI B TOPOLOGICI

JOS

15.6 DEFINIZIONE Un punto x E T si dice isolato di T se non è punto di accumulazione di T, cioè se esiste un intorno di x che non contenga altri punti di T. Ovviamente, le definizioni di punto di accumulazione e di punto isolato si applicano anche al caso che T coincida con E. Uno spazio topologico in cui ogni punto sia isolato si dice discreto. (Si dice anche che è dotato della topologia discreta.) 15.7 DEFINIZIONE L'insieme T si dice denso in E se ogni punto di E è aderente a T. Nel caso E= R abbiamo già fatto uso della seguente definizione 10.7: Tè denso in R se, per ogni coppia (a, b) di numeri reali, con a< b, esiste un x ET tale che a< x< b. Il lettore dimostri che questa definizione è coerente con quella generale che abbiamo ora dato.

Si dice aderenza (o chiusura) di T l'insieme f' dei punti aderenti a T. 15.8

DEFINIZIONE

15.9 TEOREMA L'operazione di aderenza (o chiusura) T nello spazio topologico E ha le seguenti proprietà: !Ti) 0=0,

!TJ !TJ

VTcE:

E=E; TcT·,

VTcE:

(T)= 't;

9"4) VA e E, VBcE:

I

....+

T

AUB=AUB.

La proprietà ~J è ovvia; quanto alla 9'"e), abbiamo già notato che ogni punto di T è aderente a T. Dimostriamo la .ra). Essendo 'i' e (T) basta dimostrare che è (T) e T. Sia x E (T); preso un qualunque UEJz, esiste VEJz tale che U sia intorno di ogni y E V (per l'assioma '114)). Essendo x E (T), V contiene qualche punto yE T; essendo U intorno di y, e yE T, U contiene qualche punto di T: dunque è xe T (fig. 15.4). Dimostriamo la 9'"J. Anzitutto, risulta facilmente che A u Be A u B. Infatti, sia

-

,, 106

SPAZI METRICI B TOPOLOGICI

I CAP.

2

x e A u B; se x e A, in ogni suo intorno vi sono punti di A, se

xeB, in ogni suo intorno vi sono punti di B; in ogni caso, ogni intorno di x contiene punti di A u B; quindi è x e A u B.

u

Figura lS.4

Dimostriamo ora l'inclusione opposta: A u Be À U B. Suppo· niamo che questa non sussista, cioè che esista un x appartenente ad A u B ma non ad A u B (fig. 15.5). Esiste allora un intorno U

Figura 15.S

di x privo di punti di A e un intorno V di x privo di punti di B; allora Un V (che è pure un intorno dix per l'assioma ~2)) non contiene né punti di A né punti di B; dunque x~ A u B, con· tro l'ipotesi. • 15.1 O DEFIZIONB Un insieme T si dice chiuso se contiene tutti

i suoi punti aderenti, cioè se coincide con la sua chiusura. Eviden·

b

' 1

sI

107

SPAZI MllTRICI E TOPOLOGIC!

temente, si può anche dire che T è chiuso se contiene tutti i .!uoi punti di accumulazione. Erempi. Sulla retta reale R sono chiusi gli intervalli contenenti gli estremi: [a,b) (a O). Secondo la definizione 15.2, gli intorni di X sono stati appunto introdotti come soprainsiemi delle palle B(x, e).

b) Se E è uno spazio metrico, 'VxE E, le palle B(x, 1/n) (n = 1, 2, 3, ...) costituiscono una base per la famiglia degli intorni di x. Cosl risulta anche evidente che in ogni spazio metrico (o metrizzabile) vi è per ogni punto una base numerabile di intorni. e) Ogni punto x di uno spazio topologico possiede una base costituita o da intorni aperti: basta prendere per ogni intorno U di x, l'insieme U dei suoi punti interni (osservazione 15.16, teoremi 15.17 e 15.14).

à) Se, in uno spazio topologico, un punto x è isolato, esso possiede una base d'intorni che consta del solo insieme {x}.

È importante notare che la nozione di punto aderente (definizione 15.4) e la caratterizzazione degli insiemi aperti (teorema 15.14) possono essere espresse facendo intervenire soltanto, per ogni punto, gli intorni appartenenti a una base. (Lasciamo allo studioso il compito di verificarlo.) Assegnata una base di intorni J'! è subito individuata la famiglia -':e di tutti gli intorni di x: evidentemente, basta aggiungere a tutti i soprainsiemi di insiemi appartenenti a J'!. È anche facile vedere se, assegnata per ogni punto x di uno spazio E una famiglia di insiemi, questa ci dà, per ogni punto, una base di intorni: basterà passare alla famiglia dei soprainsiemi -':e e vedere se essa verifica gli assiomi 'f/1)-'f/4) (ed eventualmente 'f/J, se vogliamo che lo spazio topologico risulti separato). Vogliamo dare un criterio per stabilire quando, assegnate per ogni x e E due diverse basi di intorni, esse generano in ogni punto la stessa famiglia di intorni, cioè la stessa topologia.

J:

J:

IÌl

§ 16

I

SPAZI METRICI E TOPOLOGICI

111

16.2 TEOREMA Sia E un insieme e siano {J~} e {J~} (x e E) due basi di intorni: condizione necessaria e sufficiente affinché generino la stessa topologia in E è che, fissato un qualunque x E E, per ogni UeJ~ esista Ve.I'; tale che Ve U e, reciprocamente, per ogni Ve.I'; esista UeJ~ tale che Uc V. ·

Dimostrazione. La condizione posta è necessaria, per la definizione 16.1. È sufficiente perché, quando essa sia verificata, la famiglia di tutti i soprainsiemi di J~ coincide con quella di tutti i soprainsiemi di J;. • 16.3 Osservazione. Si può dire qualcosa di più: se {J~} è una base di intorni e se {J~} è una famiglia di insiemi legata a {J~} dalla relazione enunciata (cioè: VUeJ~ 3VeJ;:vcu, e viceversa) allora anche {..f;} è una base di intorni (e genera la stessa topologia di J~). Ad esempio, si vede facilmente che in R11 i cubi con centro x costituiscono una base di intorni per x. Abbiamo visto che uno spazio metrico subordina (in modo ovvio) una struttura di spazio metrico su ogni sottoinsieme. Analoga situazione si verifica negli spazi topologici. Sia E uno spazio topologico, e T un suo sottoinsieme. Fissato

x ET, consideriamo le intersezioni degli intorni di x con T, cioè la famiglia {V n T: V eJzl· Si verifica facilmente che questa famiglia di sottoinsiemi di T, che viene associata ad ogni punto xeT, soddisfa agli assiomi cf!J-1PIJ (e anche all'assiomacf!J, se esso vale già nello spazio E). 16.4 DEFINIZIONE Sia E uno spazio topologico e sia, per ogni x E E, .l'z la famiglia degli intorni di x. Sia T un sottoinsieme di E; si dice topologia indotta da E in T (o subordinata da E su T) la topologia che attribuisce ad ogni punto x e T la famiglia di intorni {Vn T:VeJz}· Se, per ogni x e T assumiamo una base di intorni J~, allora la famiglia {V n T: VeJ!} è una base di intorni per la topologia subordinata. Se Kc Te E, allora la topologia subordinata da E su K coin-

112 .

IPAZI METllJCI B TOPOLOGICI

I CAP.

2

cide con quella subordinata da T (ammesso di aver già introdotto in T la topologia per surbordinazione da E). D'ora in poi, quando considereremo sottoinsiemi di spazi topologici (ad esempio di spazi R"), sottintenderemo di assumerli come spazi topologici, con la topologia indotta. 16.5

TEOREMA

Sia T un sottoinsieme di uno spazio topologico

E,· per ogni Cc T, si indichi con (C}T la sua chiusura nella topologia indotta da E in T. Allora si ha: (C)T=

Cn T.

Dimostrazione. Abbiamo supposto Cc T; dimostreremo che per ogni xeT le relazioni xe(C)T e xeC si equivalgono. La prima relazione, tenendo presente la costruzione degli intorni nella topologia subordinata, si può tradurre in questi termini: (V n T) n C :f= 0 .

Ma, essendo Cc T, si ha (V n T) n C = V n C; dunque la relazione scritta può essere messa in questa forma:

vn c=1=0 e questa esprime appunto il fatto che x e C. • 16.6 Osservazione. Ovviamente, si avrà, in generale (C)Tc e, con inclusione propria. Ma se T è chiuso in E, allora, essendo Cc T=T si avrà (C) 21 = C. Dal teorema dimostrato si deduce poi immediatamente che gli insiemi chiusi nella topologia subordinata sono ottenibili come intersezioni di insiemi chiusi di E con T: infatti la relazione (C)r= C equivale, per il teorema 16.5, alla C= C n T la quale dice appunto che C è intersezione dell'insieme chiuso C con T. Analogamente, ogni insieme aperto nella topologia subordinata è rappresentabile come intersezione di un aperto di E con T. 16.7 Osservazione. È evidente che, nell'ambiente E, occorre bene distinguere la chiusura secondo la topologia subordinata, dalla chiusura secondo la topologia originaria (e quindi, i sottoinsiemi di T che sono chiusi (o aperti) nella topologia subordinata

§ l6

I

SPAZI METRICI I TOPOLOGICI

lll

da quelli che sono chiusi (o aperti, rispettivamente) nella topologia originaria). Ad esempio, T può benissimo non essere chiuso nella topologia di E, mentre, nella topologia subordinata, come ogni spazio topologico, è necessariamente chiuso. Esercizi 1. Lo studioso formuli esplicitamente la definizione di punto aderente e di punto interno per un sottoinsieme di R facendo intervenire per ogni punto x la base di intorni costituita dagli intervalli simmetrici con centro in x. 2. Per ogni punto (X, Y) di R2 si consideri la famiglia di rettangoli {li,x +~lx [ji,Y +11J:«5> O, 11> O} (si tratta, evidentemente, di tutti i rettan· goli che hanno il punto (X,Y) come vertice inferiore-sinistro). Si dimostri che essa fornisce una base d'intorni per una topologia, ma che questa topologia non è equivalente con quella ordinaria di R3 • 3. Preso in R2 (dotato della topologia ordinaria) il quadrato Q= [0, 1)X x [O, 1] si assegni esplicitamente per ogni suo punto una base di intorni per la topologia subordinata. 4. Sia T un sottoinsieme di uno spazio metrico E. La topologia che viene subordinata da E (come spazio topologico) coincide con quella che si ricava da T come spazio metrico (con la distama indotta da E).

17. Applicazioni continue Siano E, F due spazi topologici. Sia f un'applicazione E-+ G. Vogliamo tradurre in definizione precisa il concetto intuitivo di applicazione "continua". Sia x0 E E e sia /(x0)= y 0 E G. Per affermare chef è "continua" nel punto x0 noi esigiamo che, pur di prendere il punto x opportunamente vicino a x0 , il punto y-f(x) si mantenga vicino quanto vogliamo al punto y0 • Il significato intuitivo del termine "vicino" deve, ovviamente, essere espresso in termini precisi utilizzando la nozione di intorno. Si è condotti cosi alla seguente: 17.1 DEFINIZIONE L'applicazione f si dice continua in x 0 eE se, per ogni intorno V di Yo = /(x0), esiste un intorno U di x 0 tale che f(U)c V. Ciò equivale a dire: per ogni intorno V di y0 , 1-1(V) è un intorno di x0 •

L'applicazione /:E-~ G si dice continua in E se è continua in ogni punto di E.

114

SPAZI METRICI E TOPOLOGICI

I CAP.

2

17.2 Osservazione. Si ottiene una definizione equivalente se sì intende che tanto V che U debbano appartenere a un sistema fondamentale di intorni (del punto y 0 e del punto x0 , rispetti· vamente). Lo studioso ne faccia la verifica. Ad esempio, se f è un'applicazione di uno spazio R111 in uno spazio R11 (o di un sottoinsieme di Rm in un sottoinsieme di Rn), la continuità di f nel punto x0 può essere espressa in questo modo, posto y 0 = f(xJ: \fe>O

36>0

tale che

Vx:

lx-x0 l lf(x)-y0 l 1); dalla continuità delle costanti (vedi 17.Sa) e ancora dal teorema 19.8 segue la continuità di ogni polinomio a coefficienti reali {x 1-+ a 0x"+a1 xn-1 + ... +a,.}.

b) Una funzione razionale {x 1-+ P(x)/Q(x)} dove Pe Q sono polinomi, è definita e continua per ogni x tale che Q(x) =I= O. e) La funzione {x 1-+ sinx} è continua per ogni x reale.1 Per dimostrarlo, partiamo dalla relazione 0< lsinxl< lx!, valida per ogni x. Facendo uso di note formule, si ha per ogni x 0 e ogni h: lsin(x0 +h)-sinx0l O. - per x = P - , essendo p e q mten q

q

Si dimostri chef è continua in O, nei punti irrazionali, e in nessun altro punto.

Esercizi di ricapitolazione •t. Siano « e {J numeri reali> O tali che cx/fJ sia irrazionale. Si dimostri che l'insieme {m«+n{J:m E Z, ne Z} è denso in R. (Indicazione: si tenga presente anzitutto che l'insieme in questione è un sottogruppo di R, pensato come gruppo rispetto all'addizione; preso poi un intero N>O, si considerino gli elementi tM+nfl, con lmlO,

31'>0

tale che:

O ii}. È chiaro, insomma, che la topologia cosi introdotta coincide con la topologia che N riceve come sottoinsieme di R. Particolarizzando la nozione generale di limite, possiamo dire:

22.1 DEFINIZIONB Sia a: n ....+ an una successione a valori in uno spazio topologico separato F. La scrittura: lim an =I (I E F) fl-+a>

significa: per ogni intorno W di I esiste un intero ii tale che Vn: n>ii =>anE W. In particolare, se an è una successione reale, lim an = I (le R) ft-+m

significa: Ve>O, 3n tale che \fn:n>n=>lan-llz} essendo zeE. È facile costatare che con questa definizione, sono verificati gli assiomi, flJ-flJ, e che il punto oo è punto di accumulazione per E. Limitiamoci a costatare che l'intersezione di due intorni del punto +oo è un intorno, lasciando le altre verifiche allo studioso. Basterà considerare due intorni della base (fi.g. 22. 1)

U= {x: x>u}

e

Y= {x: x>v}:

sia z un elemento tale che z>u, z>v: allora

{x: x>u}n {x: x>v}:>{x: x>z}. L'intersezione, contenendo un intorno, è un intorno.

...

:;,.. ,;··.

Figura 22.1

Consideriamo ora un'applicazione definita in un insieme diretto (applicazioni di questo tipo vengono dette successioni generaliz· zate). Possiamo applicare ad essa la definizione generale di limite. 22.3 l>m:NIZIONB Sia f una funzione definita nell'insieme di·

retto E, a valori in uno spazio topologico separato F. Si dice chef 'ende al limite 1e F lungo E, e si scrive ~~f(x) =I (oppure

i '

I 22 I

139

LIMITI

Jim f = /) se, preso un intonro qualunque W di I, esiste un B

tale che Vx:

xE E

x>x :::::>f(x)e W.

Tra breve, e nel seguito, avremo occasione di fare applicazioni impor·

tanti di questa definizione; per ora, accontentiamoci di un esempio banale, Sia E la famiglia di tutti gli intervalli chiusi [a, b] (a< b) contenuti nel· l'intervallo aperto ]O, 1(, ordinata (parzialmente) per inclusione: precisamente: [ai. b1l< [a1 , b11) significa [a11 bile [a1 , b2] (cioè a 1 infB, sup A< sup B.) Abbiamo allora due funzioni monotone definite su un insieme diretto: esse, in virtù del teorema 23.5 ammettono limite. Possiamo allora introdurre la seguente definizione:

24.1 DEFINIZIONE Si dice minimo limite di f(x) per x tendente ad x0 il valore (finito o infinito)

I'= lim m'(V) , YeJ,,,

[24.2)

.

esso è indicato con le scritture min lim /(x), 21-+%1

lim f(x),

z-z,

oppure

lim inf /(x). %-+%1

Si dice massimo limite di f(x) al tendere di x ad x 0 il valore (finito o infinito): (24.3) I'= Iim m"(V), vu,,, esso è indicato con le scritture: max lim/(x), llr+Z,

lim /(x),

s-+z,

oppure

lim sup/(x). z-z,

24.2 Osservazione. Sempre dal teorema 23.5, tenendo presente che m' è una funzione monotona non decrescente, m" una funzione monotona non crescente, possiamo dedurre che

I'= sup m'(V), yef,,,

I'= inf m"(U). YeJ~

Notiamo ancora che i limiti [24.2] e (24.3] possono essere calcolati facendo variare V anziché nell'insieme di tutti gli intorni ":r.• su una base di intorni; 1 ad esempio, nel caso di uno spazio 1 Nell'insieme $., , ordinato come si ~ visto, una base rappresenta insieme CO·finalo. (V:W § 22, esercizio 2.)

Wl

sotto·

.1

:

'I ,.

-

'

-

~

:,;

I.

I

.I

§ 24

I

145

LJMl11

metrico, detta B(x0 , e) la palla con centro x0 e raggio ··si ha:

/' = limm'(B(x0 , e)),

'l•r ~

e (e ::> O),

I'= lim m"(B(x0 , e)). e-+O

e-+O

Esempi a) Si ha max Jim sin l/x == I, min lim sin l/x = - l. Consideriamo un a;-+O

%-+O

qua1unque intorno V dello O. Poiché è -1 O, 3VEJfz, tale che, Vx1 , x 2 e V-{x0}, sia lf(xJ-f(x:Jl l, da cui per il teorema 24.3, risulta max limexn = n-+a> ft-+CD Il = m.in limcXn = I e perciò lim «n = l. • ID ft-+Cll ft-+CD :1 Dunque, se da una successione n 1---+ an si passa alla successione delle medie aritmetiche: n r+ exn, le successioni convergenti rimangono convergenti, conservando il limite. Ma vi sono successioni non convergenti che vengono trasformate in successioni convergenti. Ad esempio, si consideri la successione non con· vergente: 1

t i·; r ~

1 ,. j'i

+I, -1, +l, -1, +l, -1, ... ;

150

UMJ11

I CAP.

3

la successione delle medie aritmetiche è:

1,

1

1

o, 3' o, 5

t

••• ,

ed è evidente che essa converge a O. Il limite della successione delle medie aritmetiche di una successione può essere dunque visto come un'operazione che prolunga quella di limite. Il procedimento può essere applicato più volte (si possono prendere cioè le medie delle medie ecc.), ottenendo nuovi prolungamenti dell'operazione di limite. Esercizi l. Dimostrare che max lim ((x/(1 + x)) sinx) = 1. s-++m

2. Dimostrare che, con i consueti simboli, si ha:

maxlim(/(x) +g(x))O; sia g una qualunque funzione; allora si ha max lim/(x)g(x) ... lim /(x)-max limg(x). z-.z, :i:-z, ~z, 4. Si dimostri che per una successione n 1-+an: max liman =I equivale ft-J>CD

a dire: per ogni e> O vi è solo un numero finito di indici per cui è an>l +e, mentre vi sono infiniti indici per cui è an>l-e. 5. Formulare il criterio di convergenza di Cauchy per le successioni generalizzate a valori reali.

6. Sia an una successione di numeri positivi; si dimostri che si ha: max lim ~ o qualunque, Si dimostri che lim a,. = O. (Si dimostri dapprima che la successione è de. ,._.., crescente ..•)

7. Siano an e b,. successioni di numeri reali positivi e k un numero positivo, tali che a,. 1, è lim S,. = oo, dunque la serie è divergente a fl-+CD

+

+ oo; lo stesso

accade, come si riscontra subito, anche per a = 1. Se invece è a< -1, la successione S,. non tende ad alcun limite; diciamo allora che la serie geometrica di ragione a< -1 è indeterminata.

+ +

26.4 TEoREMA Condizione necessaria affinché una serie a0 a1 +a2+...+an+ ... converga è che sia lim an =O. n-+co

Dimostrazione. Sia lim Sn = S; poiché si ha an = Sn - Sn-1 ed ft-+CD è lim Sn-1 = S, risulta: lim On= lim Sn- lim S.,,_1 =O. • a-.oo 11-+co n-+co n-+m Vedremo tra poco con un esempio che la condizione richiesta dal teorema non è sufficiente per la convergenza di una serie; per cercare una condizione necessaria e sufficiente per la con· vergenza non abbiamo che da applicare alla successione delle somme parziali n i-+- Sn il criterio generale di convergenza di Cauchy per le successioni reali 24.5: condizione necessaria e sufficiente per la convergenza è che, qualunque sia e> O, esiste un indice n tale che per ogni coppia di interi n', n• > n sia: ISn·-Sn·l ii, e p un qualunque intero non negativo. Dunque: 26.5

TEOREMA (CRITERIO DI CONVERGENZA DI CAUCHY PER LB

Condizione necessaria e sufficiente per la convergenza di una serie a termini reali:

SERIE)

a0 +a1 +a2 + ... +an+ ... , è che, per ogni numero e> O si possa determinare un intero ii tale che per qualunque n > ii e qualunque intero non negativo p si abbia:

Esempio. Si consideri la serie, detta armonica: 1

1

1

1 +- +-+ ... +-+ •.• 2 3 n

[26.3)

Sommiamo i suoi termini di indice n compreso tra due successive potenze di 2: 211:-1< n< 211: (k> 1). Poiché l'ultimo termine è più piccolo degli altri, e il numero dei termini è 211:- 2,,_1 = 21'-1, si ha:

I ~1 t.. . I

lii

1)1

I

I

1 1 21-1 + 1+211:-1 + 2

+...

1 21-1 1 +ii> 211: -= 2.

Potendosi prender~ k arbitrariamente grande, questa serie non soddisfa alla condizione del teorema 26.5, perciò non converge. Come si può facilmente verificare (e come vedremo nel prossimo paragrafo) essa diverge a +oo.

26.6 Osservazione. Consideriamo due serie:

~ I

ao+a1 +a2+ ... +an + ...

, b0 +b1 +b2 + ... +bn + ... ,

che soddisfino a questa condizione: esista un intero (relativo) k e un intero naturale ii, tali che si abbia, per ogni n >ii, an= bn+t· In altre parole, da un certo punto in poi la prima serie ha il termine generale uguale al termine che nell'altra serie si trova spostato di k posti (con k intero fisso). Si riconosce che la relazione che

160

SERII! B SOMMB INFINITI

I CAP.

4

cosi si stabilisce fra le due serie gode delle proprietà riflessiva, simmetrica, transitiva. Ad esempio, stanno fra loro in questa relazione una serie qualunque e una che si ottiene da essa sopprimendo un numero finito di termini e lasciando gli altri nello stesso ordine. Si riconosce allora facilmente che le due serie hanno lo stesso carattere, cioè sono entrambe convergenti, o entrambe divergenti a +oo (o -oo), o entrambe indeterminate. Infatti, posto Sn = =ao+a1+ ... +a,., S~=b0 +b1 + ... +bn, per n>ii la differenza Sn - S~H si mantiene costante; basta verificare che Sn+i-S:.+i+t= S,.+an+1-S~+t-bn+.t+1 = S,.-S~+1.

Dunque le successioni n i-+ Sn ed n ...+ S~+t hanno lo stesso comportamento al limite; anche le successioni n i-+ Sn ed n 1-+ S~ hanno lo stesso comportamento al limite. Questa osservazione, come vedremo, permette di semplificare notevolmente lo studio del carattere delle serie. 26. 7 Osservazione. Come abbiamo visto, la teoria delle serie si rifà (per definizione) a quella delle successioni; viceversa, presa una qualunque successione n i-+ an, si può costruire una serie ad essa equivalente, cioè una serie di cui n ....+ an sia la successione delle somme parziali. Questa serie è evidentemente:

ao+Ca1-ao)+(a2-aJ + ... +(an-an-1) + ..• Dunque, serie e successioni possono essere considerate come due formulazioni diverse di una stessa teoria. Ma questa doppia formulazione è, in pratica, assai utile; ad esempio, per le serie vi sono molti criteri di convergenza, che si presentano in modo naturale, e conviene spesso trasformare una successione in una serie per studiarne la convergenza.

27. Le serie a termini positivi

Sia tzo+a1+... +an+ ... una serie a termini non negativi; ri· suita: Sn = tzo +a1 + ... +an = Sn-1 +an. Essendo an >O, la succes· sione delle somme parziali è monotona non decrescente. Si ottiene allora subito dal teorema 23.3 il seguente risultato:

.

r11,, § 27

I

161

SERill B SOMMB INFINITB

27.1 TuoREMA Una serie a termini non negativi o converge, o diverge a +oo. La somma della serie coincide con l'estremo superiore de/l'insieme delle somme parziali. Siano

due serie a termini >0 e sia, per ogni n, b11 'ii sia ~n si ha ~O

O se è

tS2 >S,> ••• >S2k, S1 , è I'1V I'2E EP ed è I'1e I'1 U I'2, ·1l;c I'1 u I'.J. Dunque, per le funzioni definite in fJ>• si può consirare la nozione di limite, nel senso introdotto nel § 16. Per un qualunque I'efJ>•, consideriamo la somma: ~+~efinire la somma di una funzione a valori reali a=

i

l _

-~-

sr= 2,a1. 'I

ieI'

(29.1]

168

S"iRill ! SOMME INFINITI!

I

CAP. 4

In virtù della proprietà commutativa e associativa dell'addizione, essa risulta univocamente definita; pertanto I' i-+- sr è una funzione reale definita in@•; (possiamo anche dire: una successione generalizzata). 29.1

a: j

Si dice somma dei valori della funzione reale definita nell'insieme D il limite:

DEFINIZIONE

1-+ a1

[29.2]

limsr= s,

dove sr è dato dalla [29.l] e il limite è preso su/l'insieme diretto f!J*(!J) delle parti finite di D. Il limite s si indica con il simbolo I a1.· se il limite è finito, la funzione si dice sommabile.

JeD

È evidente che se D è finito la definizione ci ridà la somma Ia1.

IED

Per comodità del lettore, richiamiamo il significato della [29.2], nel caso che s sia finito:

per ogni s >O esiste un sottoinsieme finito I'c fJ tale che, se I' è un qualunque insieme finito contenente si ha:

r,

[29.3]

IIa1-slO e, del resto, esso rientra nel teorema sulle successioni generalizzate monotone 23.5. 29.3 TEOREMA Una funzione non negativa j ~ a1 definita in O è sommabile, oppure ha sòmma uguale a +oo; la somma coincide con l'estremo superiore de/l'insieme {sr: I'e!f*}. Esempio. Sia assegnato in un intervallo [a, b) (a< b) della retta reale, una famiglia D di intervalli (non importa se chiusi o aperti) non sovrapposti, cioè tali da avere, a due a due, al più un estremo comune. Si consideri la funzione che associa a un intervallo (a,ff)ED (con as". D'altra parte, per ogni somma finita Sr vi è una somma parziale Si tale che Sn>sr; infatti I', essendo un sottoinsieme finito di N, ha un elemento massimo ii: è chiaro che I' e {O, 1, 2, ... , 1i} e che perciò è sr Sappiamo che la convergenza di una funzione a valori in R11 ·i~·i traduce nella convergenza di tutte le sue proiezioni canoniche;

teniamo anche presente questa ovvia diseguaglianza che lega il modulo di un vettore x = (x1 , x 2, ••• , Xn) e R" con i valori asso-

l

'iluti

delle

sue compo:il:xO, a coefficienti complessi, ha almeno una radice nel corpo complesso. Rinviamo a testi di algebra per la dimostrazione.

Passiamo ora al caso di una funzione f monotona in senso stretto. Per fissare le idee supporremo f crescente. 33.2 TEOREMA (DELLA FUNZIONE INVERSA) Sia f una fonzione definita in un intervallo (a, b) di R, a valori in R, continua e crescente. Allora l'immagine è un intervallo (c, d) di R (contenente gli estremi c e d se e solo se il dominio di f contiene gli estremi a e b rispettivamente). L'applicazione f: (a, b)-+ (c, d) è biiettiva e la sua inversa 1-1 è continua e crescente. Dimostrazione. Che l'immagine sia un intervallo risulta chiaro da quanto abbiamo detto sopra; occorre solo verificare quanto affermato circa l'appartenenza all'immagine degli estremi c e d. Evidentemente, se ae(a, b) allora /(a) è (per l'ipotesi di mono· tonia) il minimo dei valori dell'immagine, cioè è /(a)= c, quindi e appartiene all'immagine. Se invece a non appartiene al dominio, l'immagine non ha elemento minimo (sempre per l'ipotesi di monotonia stretta), dunque l'estremo c (che è l'estremo inferiore dei valori dell'immagine) non appartiene all'immagine. Cosi pure per il secondo estremo. È facile verificare chef è iniettiva; infatti, se è x1 =F x 2 , possiamo supporre x1 < x 2 ; quindi /(xJ O). Conviene supporre f definita nell'intervallo [O, +oo[; essa risulta crescente e continua; l'immagine è l'intervallo [O, +oo[; su questo risulta definita la funzione inversa (radice n-esima) che è crescente e continua e si indica col simbolo -e'. Precedentemente (vedi§ 8) ci eravamo limitati a costruire la radice quadrata. Se n è dispari, la funzione {x H- xn} è crescente su tutta la retta reale e l'immagine è tutta la retta reale; dunque per n dispari la radice n-esima può essere definita su tutta la retta reale (e viene indicata con il medesimo simbolo). 33.4.2 La funzione {x t-+ sin x} è crescente nell'intervallo [-n/2, +n/2]; poiché è sin(-n/2) = -1, sin(n/2) = 1, risulta definita

{n+sinx}

+ n2 Figura 33.3

la funzione inversa, che si indica col simbolo arcsin (funzione arcoseno). Essa è definita nell'intervallo [-1, +1] e assume valori crescenti da -1'/2 a +n/2. Vogliamo esplicitamente sottolineare

§ 33

l

t93

SPAZI CONNESSI E COMPAlTI

il carattere convenzionale della definizione di arcsin: noi abbiamo ristretto la funzione sin all'intervallo [-n/2, +n/2] e poi ne ab1 : biamo presa l'inversa. Si sarebbe potuto considerare un altro qualsiasi intervallo (eventualmente anch'esso massimale, cioè non ampliabile) in cui la funzione sin risulti monotona in senso stretto .. ·,(ad esempio: l'intervallo [in, !n]). Analoga osservazione vale ! lftSer le definizioni che seguono. 1

33.4.3 La funzione cos è decrescente nell'intervallo [O, n] e assume tutti i valori dell'intervallo [-1, l]. La funzione inversa (arcocoseno), che si indica con arccos, è definita nell'intervallo (-1, l], è decrescente ed è continua.

I

33.4.4 La funzione tg (tangente) è crescente nell'intervallo }-n/2, +n/2[ e assume tutti i valori dell'intervallo ]-oo, +oo[. La funzione inversa (arcotangente), che si indica col simbolo arctg, è definita su tutta la retta reale, è crescente, continua, e as•ume tutti i valori dell'intervallo ]-n/2, +n/2[.

Esercizi 1. Sia I un'applicazione continua dell'intervallo [O, 1) della retta reale in sé. Si dimostri chef ha (almeno) un punto unito (cioè un punto x tale çhe f(x) = x).

j 2. L'appJ.icazione di Rin R: {x 1-+x+r} è biiettiva. ;, 3. Sia f una funzione reale continua definita in R2, che assume valori di segno opposto. Si dimostri che f si annulla· in infiniti punti, e si trovi il numero cardinale dell'insieme di questi. 4. Dati due numeri positivi a, b, si consideri l'equazione

1

1

1

-+-+-=O. x-a x x+b I' Si dimostri che essa ha due soluzioni reali e che, suddiviso ciascuno degli . 1i,tervalli ]- b, O[ e ]O, a[ in tre intervalli uguali, le due soluzioni si trovano Jlei tratti centrali. (Per far vedere che le soluzioni sono solo due, si tenga presente che la funzione {x i-+-1/(x-E}} è decrescente sia nell'insieme {x: x>e} che nell'insieme {x: x

b1&-ak= (b-a)/2t,

r) per infiniti indici} si ha

XJET11:.

Definisco una successione a valori in N {k i-+ n.t} in questo modo: ne= O; per induzione n.t è il più piccolo degli interi s tali che s>nk-1 e x,eT.t. È evidente che un tale intero esiste a motivo della y). Preso un intero m, per ogni lé>m, k">m si ha (tenendo conto della O, esso ha una copertura finita costituita ,da palle di raggio s. La nozione introdotta ha un evidente significato: in uno spazio ·metrico E totalmente limitato basta un sottoinsieme finito {x~: ·i= 1, 2, •.. , n} per poter approssimare, a meno di un s fissato, un 1f~ualsiasi punto d~llo spazio. _se, ad. ese?1pio, ci propon~amo di .{risolvere un'equazione m E, siamo s1cun che, qualora esista una ~soluzione, uno dei punti x, ne darà un valore approssimato a :meno di s: per ottenere una soluzione approssimata, si potranno perciò passare in rassegna i punti x,. È evidente l'importanza di tutto ciò anche ai fini del calcolo numerico. Il seguente teorema stabilisce un legame fra la totale limita· :1ezza e la compattezza.

i

.:1

200

SPAZI CONNESSr E COMPATTI

I CAP.

5

34.14 TEOREMA Condizione necessaria e sufficiente affinché uno spazio metrico E sia compatto è che sia completo e totalmente limitato.

Dimostrazione. Cominciamo con la necessità. La necessità della completezza è stata già asserita. Sia dunque E compatto e sia d la distanza assegnata in E; vogliamo dimostrare che E è totalmente limitato. Procediamo per assurdo e supponiamo che esista un 8 >O tale che E non ammetta alcuna copertura finita con palle di raggio 8. Sia x0 un qualunque punto di E; vi sarà certamente un punto x1 tale che d(x0 , xJ > 8 {altrimenti {B(x0 , B)} sarebbe una copertura). Vi sarà poi un X2 tale che d(xo, xJ> d(xo, X2)> (altrimenti {B(x0 , i), B(x1 , 8)} sarebbe una copertura). Cosi si procede: risulta l'esistenza di una successione {n i-+ xn} tale che d(xn, Xm) > se n =I= m. È chiaro che nessuna successione estratta da essa può convergere: ciò contrasta con la compattezza di E. Dimostriamo la sufficienza. Supponiamo pertanto E completo e totalmente limitato. Sia {n i-+ Xn} una qualunque successione in E. Vogliamo dimostrare che da essa si può estrarre una successione di Cauchy; la successione estratta sarà allora convergente, per l'ipotesi della completezza. La dimostrazione non fa che ripetere, in termini più astratti, il ragionamento impiegato per il teorema 34.1. Per ogni me N, sia t!lm una copertura finita di E costruita con palle di raggio 1/2m. Sia B0 e f!l0 e tale che per infiniti valori di n sia Xn e B0 ; sia B1 ef!l1 e tale che per infiniti valori di n si abbia Xn e B0 fì Bi; così proseguendo, sia Bm e!Hm e tale che per infiniti indici di n sia XnEB0 fì Bi fì ... fì Bm. Si indichi poi con n0 il primo degli interi s tali che x, e B0 , quindi, per induzi.one si indichi con nk il primo degli interi s tali che s > nk-l e x, e e B0 fì B1 fì ... fì Bk; è chiaro che la successione {k i-+ x 11 1:} è di Cauchy; infatti, per k' > m, k" > m si ha Xn1:· e Bm, Xnk" e Bm e perciò d(xk., Xk·) O, arbitrario, esiste, per la uniforme continuità, un r} > O tale che d(x, y)d'(f(x),f(y)) O tale che Vxe T, Vye T, d(x, y) t,

R" -{xo} è connesso). Più in generale, un sottospazio lineare di dimensione

m non sconnette R• se è n> m + 1.

208

SPAZI CONNESSI E COMPATTI

I

CAP.

s

2. Sia E uno spazio topologico, A un suo sottospazio. Sia T un sottospll;Zio connesso che contenga pwiti interni e punti esterni ad A. Si dimostri che T contiene punti di frontiera di A. •3. Si dimostri che il prodotto di due spazi topologici connessi è connesso. 4. Sia U il cerchio {z: zE C, lzl = 1} e sia À un numero reale, con 0< l.;;;; 2. Si dimostri che assegnata una qualunque funzione reale f continua in U, esiste in U almeno una coppia di punti (z1, z2) tali che lz1 -z21=A e I (zJ =I(z2).

•s. Si dimostri che un sottoinsieme compatto e convesso di Rn dotato di punti interni è omeomorfo a una palla. (Sia K un tale insieme; possiamo supporre che l'origine di R" sia punto interno di K. Sia B la palla con centro nell'origine di R" e raggio 1 (fig. 35.1). Si cominci col far corrispondere le

.. ·.·.

Figura 35.t

frontiere. L'applicazione {x 1-4 x/lxl} manda la frontiera di K nella frontiera di B; si dimostri che è biiettiva ... ; occorrerà tener presente l'esercizio di ricapitolazione 6, del cap. 2.) 6. Dimostrare che una funzione reale definita in un sottoinsieme limitato di uno spazio metrico se è uniformemente continua è limitata. 7. Sia T un sottoinsieme di R2 che ha come frontiera un insieme finito S; si dimostri che T coincide con S o con il suo complementare. 8. Si consideri una funzione reale f definita in {x: xE R, x> O}, continua, e verificante l'identità: V x: /(2x) = f(x). Si dimostri che: a) f è limitata; b) se tende a un limite, per x tendente a O oppure a oo, f è costante; e) se è uniformemente continua, f è costante.

+

Capitolo 6 Le funzioni esponenziali e le funzioni circolari

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1

)

L'interesse e l'importanza delle funzioni esponenziali e delle funzioni circolari risiedono nel fatto che esse si presentano spontaneamente come omomorfismi tra certi gruppi molto notevoli ed elementari. A questi omomorfismi si impone l'ulteriore condizione della continuità (che è ragionevole ed è, nello stesso tempo, necessaria per determinarli). Il metodo con cui costruiremo questi omomorfismi sarà il medesimo per tutti: costruzione di un omomorfismo su un sottogruppo denso, poi prolungamento per continuità. Gli studi che compiamo, separatamente, per le funzioni esponenziali {§ 36) e per le funzioni circolari (§§ 37, 38) si fondono, a conclusione del capitolo (§§ 39, 40), nella definizione della funzione esponenziale complessa. L'esposizione delle funzioni circolari richiede quaJche parola d'introduzione e di spiegazione. Nei precedenti capitoli abbiamo già presupposto, da parte del lettore, una conoscenza della loro definizione e delle loro proprietà fondamentali. In verità, nelle consuete esposizioni di carattere elementare, l'introduzione di queste funzioni è compiuta quasi sempre in modo piuttosto vago (vaga la nozione di arco orientato, la sua parentela con l'angolo della geometria euclidea; non sempre precisi i riferimenti alla lunghezza degli archi della circonferenza ecc.). Riteniamo perciò di non poter trascurare questo fondamentale argomento• L'esposizione che presentiamo è un po' lunga e minuziosa, ma è basata su considerazioni di fondo assai semplici. Avvertiamo il lettore che, impiegando il calcolo differenziale e integrale, si

210

FUNZIONI ESPONENZIALI I

CIRCOLARI

I CAP.

6

possono ottenere notevoli semplificazioni, come avremo occasione di notare più oltre. Del resto, il lettore che non abbia particolare interesse per l'argomento può limitarsi a prendere atto delle definizioni 37.1 e 40.1, e ad assumere come assiomi le proposizioni che affermano l'esistenza delle funzioni circolari e ne enunciano le proprietà fondamentali (teoremi 37.3, 37.8, 37.9, 38.3); può limitarsi, in sostanza, ad accettare una descrizione assiomatica del moto rotatorio uniforme. 36. Le funzioni esponenziali

La retta reale R può essere considerata gruppo abeliano (cioè commutativo) rispetto all'ordinaria operazione di addizione; la semiretta dei numeri reali positivi (che indicheremo con S) è anch'essa un gruppo abeliano, rispetto all'ordinaria operazione di moltiplicazione. Sia R che S si possono poi considerare spazi metrici, con la consueta distanza. Ci proponiamo di studiare gli omomorfismi: R-+ S; ognuno di essi si esprime, evidentemente, con una funzione f definita in R, a valori reali positivi, soddisfacente alla relazione f(x+y)= = f(x)f(y) qualunque siano i numeri reali x e y. Se imponiamo a questi omomorfismi di essere continui, otteniamo funzioni di grande importanza: le funzioni esponenziali (di assegnata base). Precisamente, si ha: 36.1 TEOREMA Fissato un numero reale positivo a, esiste un unico omomorfismo continuo del gruppo additivo R (dei numeri reali) nel gruppo moltiplicativo S (dei reali positivi), che manda 1 in a. Per ogni a =I= 1 esso è, inoltre, un isomorfismo di R su S. 36.2 DEFINIZIONE Questo omomorfismo si indica col simbolo {x 1-+ a~} e si dice funzione esponenziale di base a. Se è a =F I, lomomorfismo inverso si dice logaritmo di base a e si indica col simbolo {y i-+ logcay}. Alla dimostrazione del teorema 36.1 premetteremo due lemmi. 36.3 LEMMA Esiste un unico omomorfismo f: Q i-+ S che manda 1 nel numero a> O. (Ricordiamo che si indica con Q il corpo dei razionali.)

·;~·(:

--~ .

§ 36

I

211

FVNZJONI ESPONENZJALJ E CIRCOLARI

Dimostrazione. Supponiamo chef sia un omomorfismo soddi· sfacente alla condizione enunciata, e vediamo anzitutto come opera nell'insieme Z degli interi relativi (che è un sottogruppo di Q). Per ogni n intero >O deve essere /(n) = /(l)n = an; deve essere poi /(O) = 1 ; inoltre, per ogni intero m a; allora, per una evidente disuguaglianza, si ha: (1+O')">1 +nO'>a, quindi 1 +O'>alln; d'altronde è all 11 > 1. Dunque 0< a 1' 11 - l O. Per la [36.2) esisterà un 15 >O tale che OXn. Ora, essendo 0x!+i. perciò xn+1 >x11 ; dunque, la successione Xn è non decrescente (e si vede subito che è crescente, a meno che non sia z = 1, nel qual caso è Zn = 1 per ogni n). Dunque, la successione Xn tende a un limite; anche la successione Yn = yl - ~ tende a un limite; quindi la successione Zn è convergente. Sia lim Zn = 1. Allora n-+O

si ha, per la continuità, 12 = I. Questa equazione ha in U1 la sola soluzione I= 1. •

37.6 LEMMA Ogni sottogruppo G di U che contenga un intorno del punto 1 coincide con U. Dimostrazione. Sia dapprima z un punto qualunque di U1 u U2 ; Sia Zn la successione costruita come nel lemma 37.5, a partire da z. Poiché lim z11 = 1 e poiché G contiene un intorno di 1, fl-+a>

esiste un ind!ce n tale che zn E G; d'altra parte si ha, per costruzione, z = z~">. Essendo G un sottogruppo, se ne deduce che ZEG.

218

FUNZIONI ESPONENZIALI B ClRCOLAllJ

I CAP.

6

Supponiamo poi che sia ze U3U U4 ; allora è z*=r1EU 1U U2 , perciò r 1 E G; essendo G un sottogruppo, si ha z E G. Concludiamo che ogni elemento di U si trova in G. • Possiamo ora procedere facilmente alla dimostrazione del teorema 37.3. È chiaro che l'immagine di R secondo l'omomorfismo h è un sottogruppo G di U; allora non c'è che da dimostrare che essa contiene un intorno del punto 1, se h non è banale. Supponiamo dunque che G contenga un punto z = x+,Y =F 1 (fig. 37.1). Si avrà, ovviamente,1i O, la restrizione di h all'intervallo [- a/2, a/2[ è iniettiva. I punti a/2, - a/2 vengono mandati in un medesimo punto =I= 1 il cui quadrato è 1 (infatti a va in 1), dunque necessariamente vengono mandati in - 1. I punti a/4 e - a/4 vengono mant4ti in due punti fra loro coniugati (perché a/4 e - a/4 sono oppÒsti) e opposti fra loro (perché a/4-(-a/4) = a/2, che viene m~dato in

-1). Allora (tenendo conto del fatto che, per l'iniettività di h, i valori h(a/4) e h(-a/4) devono essere distinti) si vede che solo due eventualità sono possibili:

{

h(a/4) =i h(-a/4)=-i

oppure {

h(a/4)= - i h(-a/4) =i.

Possiamo ora enunciare il

37.9 TEOREMA Sia h un omomorfismo continuo R-+ Udi minimo periodo a> O e tale che h(a/4) =i. Allora h porta in modo biiettivo l'intervallo [O, a/4] in U1 , l'intervallo [a/4, a/2] in U2 , l'intervallo [-a/2, -a/4] in U3 , l'intervallo [-a/4, O) in U4 • Dimostrazione. Ci serviremo delle funzioni circolari fJt oh = f, J oh = g. Consideriamo l'immagine secondo h dell'intervallo (aperto) ]O, a/4[: h(10, a/4[). Essa non contiene né 1, né -1, né i, né - i. Allora /{JO, a/40 non contiene alcuno dei tre punti -1, O, +1. Essendo un insieme connesso, essa deve essere contenuta nell'intervallo )-1, O[, oppure nell'intervallo ]O, I[. Anche l'insieme connesso g(JO, a/4[) non contiene alcuno dei tre punti - 1, O, + 1 e perciò deve essere contenuto nell'intervallo ]-1, O[ oppure nell'intervallo ]O, l[. D'altra parte, l'insieme h([O, a/41) (immagine dell'intervallo chiuso) contiene i punti 1 e i, quindi /([O, a/41) contiene i punti 1 e O, g([O, a/4]) contiene i punti O e I. Pertanto /([O, a/41) coincide con l'intervallo [O, 1) e g([O, a/41) coincide con l'intervallo [O, 1]: dunque h([O, a/41) è contenuta in U1 . Si vede poi che h{[O, a/41) = U1 perché l'applicazione Ut porta in modo biiettivo U1 su [O, I]. Analogo discorso si può fare per l'intervallo [a/4, a/2] e per gli altri; ma si può osservare che rintervallo [a/4, a/2] si può otte.nere dall'intervallo [O, a/4] mediante una traslazione di am-

I 37 I

PUNZIONJ UPONl!NZIAU B ClllCOLUI

221

1piezza a/4. Poiché h(a/4) = i, alla traslazione di a/4 corrisponde Ja moltiplicazione per i (geometricamente: la rotazione di un ·,,'-ngolo retto) e questa porta U1 su U2 in modo biiettivo. • ;~ 37.1 O Osservazione. Dalla dimostrazione del teorema 37.9 ri1sulta che f = !Jt oh porta in modo biiettivo l'intervallo [O, a/4] nel. ~·l'intervallo [O, 1]. Essendo essa continua, si può affermare (per . 'jl teorema 33.3) che è monotona in senso stretto. Essendo poi 1• (O)= 1,/(a/4) =O si deduce che è decrescente. Analogamente ,: i prova che la funzione g è crescente nell'intervallo [O, a/4]. i

~;

Allo stesso modo si può completare lo studio qualitativo delle . unzioni f e g, ritrovando proprietà già note per via intuitiva. , 38. Costruzione delle funzioni circolari

(l Affrontiamo ora il problema dell'esistenza e della determina· l}tione degli O?JO?Jorfismi di minimo periodo a. Cominciamo con 1tclue osservauom. -~. : :.· .: 38.1 Osservazione. Se esiste un omomorfismo h tale che h(a/4) = i, ne esiste anche uno h* tale che h*(a/4) = - i: basta i prendere, per l'appunto, il coniugato di h, che è pure un omomorfismo. 38.2 Osservazione. Risolto il problema per un numero a> O, esso è risolto per un quaJunque numero reale b > O. Infatti, se h è un omomorfismo con minimo periodo a, l'applicazione {t r+h(ta/b)} è, evidentemente, un omomorfismo con minimo periodo b. Enunciamo ora il risultato che ci proponiamo di ottenere:

38.3 TEOREMA Per ogni numero reale positivo a, esiste uno ed un solo omomoefismo continuo h,,: R -+ U di minimo periodo a tale che ha(a/4) = i. Dunque, esistono solo due omomorfismi di minimo periodo a, uno reciproco (o coniugato) dell'altro. Questi due omomorfismi corrispondono ai due versi di rotazione, come siamo abituati a :. .vederli intuitivamente.

r

222

FUNZIONI ESPONENZIAU E CIRCOLARI

I

CAP. 6

La dimostrazione consiste nel costruire, a poco a poco, mediante successivi ampliamenti, l'omomorfismo richiesto, facendo vedere ad ogni passo che la definizione adottata è l'unica possibile. Nel seguito, indicheremo con B l'insieme dei razionali binari, cioè l'insieme {(m/2n): n E N, me Z}, indicheremo con aB l'insieme dei multipli secondo a dei razionali binari, cioè insieme {(m/2n)a: ne N, me Z}. È evidente che, rispetto all'addizione, aB è un sottogruppo di R. Premettiamo alcuni lemmi.

38.4 LEMMA Per ogni numero reale positivo a, esiste uno e un solo omomorfismo h: aB ~ U periodico, di periodo a, tale che h(a/2n) e U1 per n>2. Dimostrazione. Poniamo a0 = I, 0'1 =-I, 0'2 =i e, in generale, per ogni intero n> 1, definiamo per induzione la successione 1 l«nl l(O'n -1)2111 IO'n+l +I I •

si ha,

Dimostriamo che la successione {n ...+{111} è decrescente. Si ha: /Jn-1

Pn

+

1 O'n-1 - 1 O'n 1 1 (O'n + 1)1 =1O'n-1+1 O'n-1 =2 a: +l

;

moltiplicando numeratore e denominatore per O':= a; 1, si ha:

Pn-1

f.~-;

Notiamo che, per sitivi. Risulta allora

)" 1 ':

:1:'~·

1 1 +9t(a,.)

Pn =2 Rl(O'n) '

·1•','

n> 2, numeratore e denominatore sono po-

IPn-il =! 1 +a?(O'n) > 1 IPnl 2 al(O'n)

essendo

Si deduce che la successione {n

t-+

JfJ,.I}

Gf(O'n) < 1.

tende a un limite fi.

224

FUNZIONI ESPONENZIAU I CIRCOLARI

I CAP.

6

nito. D'altra parte, si ha

IPnl= lexnl

2 ll

+II

e, dal momento che è lim O. Pertanto si ha:

tXn = 9l(tXn) +i Vl«nl 3 - Bl(a.n)'.

Per dimostrare la nostra tesi, basta allora far vedere che è lim Bl(tXn) =o.

. . . . . CD

Ora si ha Bl(an) = O'n +cr:-2 2n =O'~+ l -20'n 2" = ! 2 20'n 2

(O'n -1)2 2" • O'n

Dalla [38.3) si ricava: 1 4n2

l!H(an)I < 2 IO'nl2•

che ci dà subito la tesi. •

Dopo questi lemmi, il teorema 38.3 si dimostra facilmente. Anzitutto facciamo vedere che nell'insieme aB, l'omomorfismo h soddisfa a una condizione di Lipschitz ed è, pertanto, uniformemente continuo. Sia t'= (m/2n)a, t"= (s/2n)a; possiamo supporre s> m. Si ha:

h(;n)-h(;)=a:. -a:=cr:(~-m-1)= = u:(O'n -1)(~-m-1 +a:.-m-a + ••• +an

+ 1).

§ 38

I

225

FUNZIONI ESPONENZIAU E CIRCOLAJtJ

Perciò

1

, lh(;11)-h(;)l O). La radice n-esima è la funzione inversa della funzione {x i-+x"}, (33.4.1). Poniamo y = x". Allora, .per y> O:

D .nr.;y = V"

1 ...

,nx"-1

1

1

nyln-u1n

..., -y-1. n

In conclusione, se rappresentiamo la radice n-esima facendo uso degli espo-nenti frazionari, cioè poniamo 6 = la regola di derivazione viene a . .essere formalmente la stessa che vale per gli esponenti interi > O.

r'".

b} Derivata della funzione arcoseno (33.4.2). Poniamo y= sinx; dunque x = arcsiny (-n/2< x< + n/2). Per ogni y con -1 < y < + 1 siamo · nelle condizioni volute dal teorema 43. 7. ··· · Allora: '

r~·~.

i

1

1

Darcsiny=-- - D sinx cosx

=

1 '1./1 -yt

,

(dove il segno attribuito al radicale è appunto determinato dal fatto che è -n/2 O.

43.8 Osservazione. Il teorema 43.7 si estende in modo ovvio al caso in cui x0 coincida con uno degli estremi dell'intervallo I. In questo caso si richiederà, ovviamente, chef abbia in x0 derivata destra o sinistra (sempre =I= O). Per la funzione 1-1, naturalmente, si potrà· affermare la derivabilità in y0 f(x.J da un solo lato. 43.9 Osservazione. Ritorniamo ancora sulle notazioni con cui abbiamo indicato la derivata. È particolarmente suggestiva la notazione (di Leibniz) d//dx nell'esprimere i contenuti dei teoremi 43.6 e 43.7. Per rendercene conto è opportuno considerare - seguendo il classico linguaggio del calcolo infinitesi-

l ~

43

I

CALCOLO DIFFERENZIALB

249

male - tre "variabili" x, y, z legate fra loro dalle relazioni y = f(x), z = g(y). Allora la tesi del teorema 43.6 si può esprimere scrivendo:

Analogamente la tesi del teorema 43.7 si può esprimere cosi:

In entrambi i casi si potrebbe essere indotti a ritenere che le dimostrazioni siano ottenibili con semplici passaggi algebrici, a partire dai simboli dx, dy, dz. In realtà questo non è possibile perché i simboli dx, dy, dz, nella nostra presentazione, non hanno senso se presi separatamente e stanno solo in luogo di incrementi che vengono fatti tendere a zero. Comunque, in questi casi la notazione di Leibniz suggerisce formule esatte. 43.10 Osservazione. Le regole di derivazione che abbiamo verificate in questo paragrafo non solo ci assicurano la derivabilità delle funzioni che vengono caso per caso costruite, ma forniscono anche un'espressione per la derivata. Inoltre negli esempi del paragrafo 41.6 abbiamo avuto modo di costatare la derivabilità delle seguenti funzioni (nel loro intervallo di definizione, privato, al più, degli estremi): potenze (con esponente reale), funzione esponenziale, logaritmo, funzione coseno, seno, arcoseno, arcocoseno, arcotangente. Se (senza entrare in una analisi precisa che, oltre ad essere fastidiosa, sarebbe di scarsa utilità) chiamiamo funzioni elementari quelle ottenute dalle fun' zioni elencate sopra mediante operazioni algebriche e operazioni di composizione, possiamo affermare che tutte le funzioni elementari sono derivabili (eccetto che in certi punti) e la derivata . è pure una funzione elementare. Questo fatto spiega anche come i matematici della fase pionieristica del calcolo infinitesimale '· ·• potessero avere la convinzione che ogni funzione fosse derivabile ,\(con eccezione di qualche punto): è chiaro infatti che, partendo ,i dalle funzioni elementari e applicando le operazioni suddette . non si possono ottenere che funzioni derivabili •



!,' ~

2SO

I CAP.

CALCOLO Dll'FlillENZIALB

7

Per comodità del lettore diamo qui una tabella contenente le derivate delle funzioni elementari più comuni:

Dx•= ixx-1 (oc reale qualunque)

Dsinx= cosx

Daz = azioga

D cosx = - sinx 1 Dtgx=-2-=l +tg2 x

Dlog!xl

=x1

COS X

-1

. 1 D arcsm x = _;-;---; V 1-x!

D arccos x = _,.---;; vl-x2

l D arctgx = 1 +xz.

Se si pone poi (secondo l'uso) cosh x= (eZ+e-Z)/2 (coseno iperbolico) sinhx = (eZ-CZ)/2 (seno iperbolico), valgono, evidentemente, le relazioni:

D coshx == sinhx.

D sinhx = coshx, Esercizi

1. Calcolare le derivate delle seguenti funzioni elementari (nella variabile x) semplificando, fin dove possibile, le espressioni ottenute.

1-x' 1 +x1 '

(l-2x)3, x 9 logx,

log(ax) ,1

.'t

v'1 + (sinx)2,

arcsin(1-x2),

arctg-, a

2x

arctgl', -x

Vi(l +cosx),

X

log tg-. 2

2. Dimostrare le seguenti relazioni:

D"(.2__)= a-x

e• D"(e-:1:x") = n!

n!

(a-x)"+l



i,1 (n)(-l),.~ =L,.(x). 0

k

k!

I polinomi L,. (n =O, 1, 2, ...) vengono detti polinomi di Laguerre e trovano importanti applicazioni. 3. Studiare le funzioni cosh e sinh e tracciarne il grafico. 1

Si noterà che la derivata non dipende da a. Come mai 'l

§ 44

I

CALCOW DIPFRIU!NZIALll

2.Sl

44. Teoremi sulle funzioni derivabili in un intervallo

..

Introduciamo dapprima alcune definizioni significative riguarproprietà locali di una funzione reale di variabile reale.

~ danti ~~·

44.1

Siaf una/unzione reale definita in un insieme . '\Te R e sia x 0 un punto non isolato di T. Si dice chef è crescente i;,!..(non decrescente) in x 0 se esiste un intorno U del punto Xo in cui ~:.il rapporto incrementa/e (f(x)-f(x0))/(x-x0) è >0 (rispettiva"\mente, >O). DEFINIZIONE

Evidentemente, dire che f è crescente in x0 equivale a dire iche, in ·un opportuno intorno di XcJ, si ha /(x)>/(xo) se è x>x0 ;mentre è /(x) O, al::1}-+Z•

lora, per il teorema di permanenza del segno, si può trovare un intorno U di x 0 tale che per xe U si abbia f(x)- f(xo) > 0 ; X-Xo

in altre parole, f è crescente nel punto x0 •



44.6 Osservazione. Con lo stesso discorso si vede che se è f'(x0 ) O, f sarebbe crescente nel punto x0 , perciò, essendo x0 interno a T, vi sarebbero punti x E T, a destra

Figura 44.1

I

I

,,.

di x 0 e arbitrariamente vicini a x 0 , tali che f(x)>f(x0), ciò che contrasta col fatto che x0 è un punto di massimo locale. Analogamente si vede che non può essere f'(x0)< O; deve dunque essere f '(x0 ) =O. Le modifiche da apportare al discorso per il caso che x 0 sia punto di minimo locale sono ovvie. •

11

'

,.

254

CALCOLO DIFFER!NZlALB

I CAP.

7

I punti in cui si annulla la derivata vengono detti punti sta· zionari; dunque, il teorema dimostrato ci dice che tutti i punti di massimo o minimo locale, interni, sono stazionari. Come abbiamo già visto, non tutti i punti stazionari interni sono punti di massimo o minimo locale.

\

\

\

\

""'

"'\\

\

\

\

Figura 44.2

44.8 TEOREMA (DI ROLLE) Sia f una funzione reale definita in un intervallo [a, b] ed ivi continua, e derivabile nell'intervallo aperto ]a, b[. Sia inoltre f(a) = f(b). Allora esiste almeno un punto 'e ]a, b[ tale che /'(~)=O.

Dimostrazione. Per il teorema di Weierstrass (corollario 34.9), la funzione f assume in [a, b] un valore massimo M ed un valore minimo m. Possiamo affermare che un punto di massimo o di minimo è interno all'intervallo. Infatti, se tutti i punti di mas·

rrI

f 44 I

simo e di minimo si trovassero negli estremi dell'intervallo, essendo, per ipotesi, /(a)= f(b ), si avrebbe M = m; la funzione sarebbe allora costante, ma allora tutti i punti dell'intervallo (e non solo gli estremi) sarebbero di massimo e di minimo. Sia

1

I

25S

CALCOLO DJFfl!IU!NZIALll

~

)

a

I

Figura 44.3

dunque Ee]a, b[ un punto di massimo (o di minimo); evidentemente, Eè anche punto di massimo (o di minimo) locale. Essendo Einterno all'intervallo, si può affermare, in virtù del teorema 44.7 che è/'(~)=0. • Siano f e g /unzioni reali continue definite in un intervallo [a, b], (a< b) derivabili in ]a, b[. Inoltre, sia g'(x):;t=O per ogni xe]a,b[. Allora si ha g(a)=l=g(b) ed esiste almeno un punto 'eJa, b[ tale che valga la relazione:

44.9

TEOREMA (DI CAUCHY)

f(b)-f(a) f'(e) g(b)-g(a) =

g'a> ·

[44.l)

Dimostrazione. La prima affermazione è un'ovvia conseguenza del teorema di Rolle; infatti, se fosse g(a) = g(b), la derivata di g dovrebbe annullarsi in un punto almeno di ]a, b[. Per dimostrare la seconda affermazione, consideriamo una combinazione lineare di f e g : h = Àf +µg con A. e µ costanti non entrambe nulle. Evidentemente h è continua nell'intervallo chiuso [a, b] e derivabile nell'intervallo aperto ]a, b[. Vediamo se è possibile determinare A e µ in modo che si possa applicare ad h il teorema , di Roll e: basterà fare in modo che h assuma valori uguali agli

;

256

I CAP.

CALCOLO DIFFJ!llENZIALE

7

estremi. La condizione detta si scrive:

l/(a) + µg(a) = l/(b) + µg(b), da cui

l[f(b)-/(a)]

+µ[g(b)- g(a)] =O.

Basterà porre: À = (g(b)- g(a)],

µ = - [f(b)- /{a)] .

(44.2]

Evidentemente, è À ::PO. Prese cosi le costanti A e µ, si potrà affermare l'esistenza di un punto EE]a, b[ tale che h'{E)= lf'(E)+ +µg'(E) =O. Sostituendo a A e µ le [44.2] e dividendo membro a membro per [g(b)-g(a)]g'(E) ::PO, si ottiene subito la [44.1] .• 44.10 Osservazione. È evidente che la [44.1] vale anche se è E un conveniente punto interno all'intervallo.

b 1; si dimostri che lim /(x) = fl-++00

+oo,

6. Se una funzione è derivabile in un intervallo, non è detto che la sua derivata sia continua. Si consideri, ad esempio, la funzione I cosi definita

~ . 1 ~-sm{ /(x)= O X

per x=FO

per x=O. Essa è derivabile con derivata nulla nel punto O; d'altra parte, la sua derivata per x#'O è /'(x) = 2xsin l/x-cos 1/x. Si vede dunque che non esiste il limite di f'(x) per x~o. Le funzioni derivate hanno però in comune con le funzioni continue la proprietà d$ assumere in un intervallo tutti I valori compresi fra i valori assunti agli estremi. Si cominci col dimostrare che se I è derivabile in [a, b] (a< b) ed è /'(a)> 0, /'(b)< O esiste almeno un punto ~in ]a, b[ tale che f' = o. (Si farà vedere che / ha un punto di massimo in Ja, b[.)

m

*7. Si indica con ~([a, bl} l'insieme di tutte le funzioni che banno derivata continua in [a, b]. Analogamente, si indica con ~([a, bJ} l'insieme delle funzioni che hanno derivata prima, seconda, •• ., k-esima continua in [a, b] e si indica con ~"°([a, bJ} la classe delle funzioni che hanno derivate di ogni ordine (continue) in [a, b]. Si dimostri che le funzioni di 'C1([a, b]) sono tutte e sole le funzioni I definite in [a, b], tali che, per ogni x 0 E [a, b) esista finito il limite:

.

lun Sa-+lr• s,~.

/(xJ-/(xJ X1 -



(44.3)

Xi

(S19'S1)

Applicando il teorema del valor medio, è facile mostrare che per ogni fun· zione di ~([a, bJ} esiste in ogni punto Xo il limite [44.3). Per dimostrare la proposizione inversa, converrà intro~urre il quadrato Q = [a, b] x [a, b] e

;-..

§ 44

I

2S9

CALCOLO Dlfl'llll!NZIALll

indicare con LI la sua diagonale, cioè l'insieme delle coppie (x, x) con

xe [a, b]. Si dimostrerà allora che la funzione ·

definita in Q- A è continua e prolungabile con continuità a tutto Q; il pro· lungameoto su A, che è la derivata, è allora una funzione continua. 8. Si dimostri la diseguaglianza, valida per ogni

x> O:

logx O:

1 n arctgx +arctg- - - . X 2

45. Teoremi di L'H6pital

·' ~~t

I risultati che abbiamo ottenuti nel paragrafo precedente pos}1jpno essere applicati al calcolo dei limiti di particolari funzioni. Consideriamo, in primo luogo, una funzione del tipo f(x)/g(x) :~ · dove f e g sono funzioni definite in un intorno U di un punto x0 e R. Se si ha lim /(x) =O, lim g(x) =O non è possibile il cal· ~.

~.

·colo del limite lim f(x)/g(x) in base alle proposizioni generali ~.

studiate nel capitolo 3: e si vede facilmente, con esempi, che il ~·· limite in questione può non esistere, o può avere un valore finito

l!

260

CALCOLO DIFFERENZIALB

I CAP.

7

o infinito. In altre parole, sulla base delle sole informazioni fornite dalle relazioni di limite ammesse per la f e per la g, non è possibile concludere alcunché. Si parla allora di forma indeterminata O/O; analogamente, con ovvio significato, si parla di forma indeterminata del tipo oo/oo. I classici teoremi che stiamo per presentare forniscono uno strumento per l'analisi di forme indeterminate di questi due tipi, sotto convenienti ipotesi di derivabilità. 45.1 TEOREMA (PRIMA REGOLA DI L'HOPITAL PER LA FORMA 0/0) Siano f e g funzioni reali definite in un intorno U del punto x 0 , nulle in x 0 , e derivabili in x 0 • Inoltre sia g'(x0 ) =I= O. Allora si ha:

INDETERMINATA

lim f(x) = f'(x 0) ~.

g(x)

g'(x0 )



[45. l]

Dimostrazione. L'affermazione è una semplice conseguenza della definizione di derivata. Infatti notiamo anzitutto che, essendo g'(Xo) :;CO, si ha, in un conveniente intorno di x0 , g(x) # # g(xo) per x :;e x 0 (la funzione g è crescente, o decrescente in x0); perciò si può scrivere:

f(x)

f(x)- f(x0)

g(x) = g(x) - g(x0)

(/(x)-f(Xo)}/(X-Xo) (g(x)-g(xo))f(x- x0) •

Basta allora passare al limite per x -+ x0 per ottenere la [45.l]. • La seguente proposizione ha carattere, in certo senso, complementare alla precedente perché, anziché utili2'zare la derivabilità in x0 , la richiede negli altri punti di un'intorno di x0 : 45.2

TEOREMA (SECONDA REGOLA DI L'HOPITAL PER LA FORMA

O/O) Siano f e g funzioni reali definite nell'intervallo [x0 , x 0 +a] (a>O), continue, e tali che f(x 0 )=0, g(x0)=0. Inoltre esse siano derivabili nell'insieme ]x0 , x 0 +a[ e sia, in esso, g'(x) =#:O. Allora, se esiste (finito o infinito) il limite

INDETERMINATA

. f'(x) hm ,--( )=/, ~.+g X esiste anche il limite 1im f(x)/g(x) e coincide con I. .%-+.%,+

[45.2]

1

l

§ 45

I

CALCOLO DIFFERENZIALb

261

Dimostrazione per il caso I finito. Siamo in condizioni di applicare il teorema di· Cauchy 44.9 per l'intervallo [x0 , x] dove XE]Xo, Xo+a]. Avremo: f(x) _ f(x)- f(x0 ) /'(~)

KW- g(x)- g(x

0)

= g'(')

essendo E un conveniente punto dell'intervallo ]x0 , x[. Per la [45.2), preso un arbitrario e> O, esiste un d >O tale che, per x0«. Se dico invece che "g è un infinito di ordine maggiore di x"'" dico un'altra cosa, più generale. (Ad esempio se è g(x) = x"' log x questa affermazione è vera, mentre la precedente non lo è.) Le definizioni che abbiamo dato (in particolare la 46.1, la 46.2 e le relazioni di equivalenza che se ne deducono) si estendono alle funzioni di segno qualunque (sempre, però ~O in un intorno

~--

§ 46

I

273

CALCOLO DIFFERENZIALB

di + oo) passando ai relativi valori assoluti. Cosi, ad esempio, si dirà ancora chef= O(g) se il rapporto lf(x)lflg(x)I è definitivamente limitato.

'~li

Osservazioni complementari

Nell'insieme ff'/,.!,, (insieme degli ordini secondo la 46.2) si può introdurre in modo naturale una struttura di gruppo commutativo compatibile con quella di insieme ordinato. Per fare questo, osserviamo anzitutto che se è f = O*(fJ e g = O*(g1), è anche fg = O*(f1gJ: infatti, se è

Iim f(x) =h s-.+a> /i(x)

e

essendo h ed I finiti, è anche y~1 1 j.(~..

Il -

...•i-o

Allora si verifica subito che, se ord•(f) = ord•(f1) e ord•(g) = ord•(g1), si ha anche ord• (fg) = ord•(/1 gJ. In altre parole, il prodotto ordinario di !F è compatibile con la relazione di equivalenza ..t.; si può allora porre ~r definizione: ord• (j)·ord•(g) = ord•(/g). È cosi definita in .fF/,.!,, un'operazione di composizione interna, che diremo prodotto. Esiste un elemento neutro (evidentemente, è ord•(l)); ogni ordine ha il suo reciproco: è chiaro infatti che il reciproco di ord• (/) è ord•(l/f). L'applicazione ord•(f) i-+ 1-+ord*(l/f) inverte le relazioni di diseguagliama fra gli ordini e scambia fra loro gli ordini di infinito e quelli di infinitesimo. Possiamo dire qualcosa di più: l'insieme .fF/~ può essere dotato della struttura di spazio vettoriale sul corpo reale; infatti, fissato un elemento in .fF/,t,, ord•(f) possiamo considerare l'applicazione« a-+ ord•(J•) (al variare di cc in R). È facile costatare che, con l'operazione di composizione sopra definita e con quest'ultima operazione, vengono a essere verificati gli assiomi degli spazi vettoriali (l'operazione di composizione interna è qui notata moltiplicativamente, mentre di solito la si indica col segno + ; analogamente il prodotto per il numero reale « diventa qui l'elevamento alla potenza cc; questa diversità di notazioni non cambia nulla e, del resto, per avere una · rappresentazione coi simboli consueti, basta passare ai logaritmi). Notiamo che l'insieme costituito dagli ordini rappresentati dalla (46.4] è un sottospazio vettoriale di §"/,!,,; precisamente, è il sottospazio generato f~,,da e"', x, logx. Dunque, è un sottospazio vettoriale che è anche totalmente ~~'prdinato. Un simile sottospazio si può ulteriormente ampliare, come abbiamo . ff~sto. Si può dimostrare (con considerazioni che si riallacciano all'assioma ' della scelta) che esistono sottospazi vettoriali di !F/ ,t, totalmente ordinati massimali, cioè non ampliabili.

~·'·

)

' i'

274

I

CALCOLO DIFFERENZIALB

CAP. 7

Esercizi e complementi 1. Si pongano in ordine crescente gli ordini delle seguenti funzioni (al tendere di x a + oo): logx

--.

loglogx

vx ·

X

logx

.r+1

logx

x(logx) 3 ,

x(log logx)3

xlogx •

logx

-. (logx)

xlogx

e-zxs.

(loglogxr •

e~

3

xlog(xlogx).

2. Determinare gli ordini di infinito o di infinitesimo (tutti misurati da numeri reali) delle seguenti funzioni, per X-+-+ oo:

ffe,

(1+2x)yx,

x'arctgx,

x'"/(11--1>,

vx·+·i-v'x-1.

3. Determinare gli ordini di infinito o di infinitesimo (tutti misurati da numeri reali) delle seguenti funzioni al tendere di x a O

x-sinx,

X

x-tgx'

4. Assegnati due ordini di infinito, esiste un ordine maggiore di entrambi.

•s.

Per ogni successione crescente di ordini di infinito, esiste un ordine

di infinito superiore a tutti quelli della successione.

6. Si consideri la seguente relazione tra due funzioni

I

e g di

:F:

lim /(x) e)/={xi-+x/logx}, si dimostri che la funzione inversa 1-1 è asintotica, per y -+- oo (vedi esercizio precedente) alla funzione {y 1-+ y logy}.

+

8. Utilizzando le nozioni ora introdotte si possono dare semplici criteri di convergenza per le serie a termini p~tivi (teorema 27.3). Ad esempio si dimostri: sia

"' I.,0

11

una serie a termini positivi; se la successione a11 è

1

infinitesima di un ordine reale> 1, la serie converge, se è infinitesima di un ordine reale 1, la serie diverge.

<

§ 46

I

275

CALCOLO DIPPl!JlENZlALB

9. Discutere la convergenza delle seguenti serie: ...

t"

1

n+logn •

. . ( 1 1)

I. 1

..,

.fn e

tg--- •

n

n

ne" 2"

+ logn •

~, 47. La formula di Taylor

Se f è una funzione definita in un intorno U del punto x0 ed è derivabile in x0 , si può scrivere (come abbiamo visto: si confronti la [42.3]):

f(x) = f(x 0) +f'(x0)(x-x0 )

+a(x

0,

x-x0)(x-x0 ), [47.1]

dove si ha lim a(x0 , x-x0 )=0. Dunque, f(x) si può rappresen~.

tare come somma di un polinomio di primo grado in x: p1(x) = ==f(x0 )+f'(x0)(x-x0) e di un "resto" che è prodotto di x-x0 er una funzione infinitesima al tendere dix a x0 • (Questo resto , dunque infinitesimo di ordine superiore rispetto a x-.xo.) Ci proponiamo di generalizzare questo risultato: ci chiediamo f può essere approssimata mediante un polinomio di grado n, . meno di un termine infinitesimo di ordine superiore rispetto a · -x0) 11• Riflettiamo che il polinomio di primo grado p1 è indi.duato dalle due condizioni: p~(x0) = f'(xJ •

Sarà dunque ragionevole supporre f derivabile un certo numero i volte nel punto x 0 , e imporre al polinomio approssimante di :vere derivate coincidenti in x 0 con quelle di f. fino a un ordine guale al grado del polinomio. Cominciamo dunque col costruire un polinomio di grado n- I, 11-i(x) che soddisfi alle condizioni:

1(xo) = /(xo), ,, ( Pn-1 Xo )

P~1(xo) = /'(x0),

= /"(Xo) '

••• •

(ft-1)( ) 1(x)= k!(X-Xo), q~"l:)=kf . Le derivate di ordine > k sono nulle in ogni punto.

276

CALCOLO DtFFl!llENZIALE

I

CAP.

7

Teniamo ora presente che ogni polinomio di grado n-1 può essere messo nella forma:

Le condizioni [47.2] determinano univocamente i coefficienti a1; infatti la condizione p~~ 1(x0) = jCt>(x0 ) si traduce nella relazione klak= fk(x0 ). L'unico polinomio soddisfacente alle [47.2]

è pertanto: '( (X-Xo) Il (X-Xo)2 Pn-i(x)=f(xo) +f Xo) l! +! (xo) 2 ! + ... ...

+f(n-1>(x0) (x- Xo)n-1 (n-1)!

Si noti che p~~ì 1 >(x)= pn-l)(x0) per ogni x. Formuliamo ora un enunciato preciso: 47.1 TEOREMA (FORMULA DI TAYLOR COL RESTO DI PEANO) Sia f una funzione derivabile fino a/l'ordine n - 1 nell'internal/o [x0 , x 0+a] e avente derivata n-esima nel punto x 0 • Allora vale la formula: ,

x- x0

f(x) = f(x0 ) +f (xo) I"!+ ... +/<

8_1

(x - x0)n-1

)(xo) (n- l) I

)" + (J(x0) +O'n(x0 , x-x0)) (x-x 1° , n. essendo

0'1i(x0 ,

+ [47.3]

x-x0 ) una/unzione infinitesima al tendere dix a x0 .

Dunque, la tesi dice che il polinomio

Iko J(xo) (x ~ ~o)k . approssima f(x) a meno del "resto" 0 per x~x0 ; allora, se è J(x0 )>0, si ha, in [x0 -f(x)} (insieme dei punti che stanno '.'al di sopra" del grafico) sia convesso. Questa proposizione giustifica anche la denominazione adottata. Le funzioni che (con le stesse condizioni per). eµ) soddisfano, anziché alla [48.1], alla relazione /(h1 µxJ > ).f(xJ µf (.~J si dicono qoncave. Se f è concava, - f è convessa. Dunque, basta studiare le funzioni convesse: con lievi e banali modifiche si otterranno enunciazioni parallele valide per le funzioni concave.

l

+

+

~':al'

'L\',,.j:1

Esempi. La funzione {x 1-+ lxi} è convessa (lasciamo la verifica allo • , ', ·. studioso). ' .· ::\; Anche la funzione {x 1-+ x~} è convessa. Infatti si ha (tenendo presente 'ii-i~· che i.+µ=- 1): (J.x1 + µ.Y 1)1=J.•x:+2.À.11x1x 1 + µ• x: = ).x:-(1-l•)x: + + 2.À.µx1 x1 + µx:-(µ -µ 2 )x: = ix:+ µx:-Àµx~ + + 2.À.µx1x1 - Aµx: = ix: + ).µ(x 1 -x1) 1 < ~ +

µx:-

µx: .

Dalla definizione risulta immediatamente che se I è convessa e e è una ç d ç >O, anche cf è convessa; se poi 11 e 1 1 ~no convesse, anche / 1 +/ 1 I ·~;1"'è convessa. Inoltre, se I è convessa, la (unzione f, con f(x) = f(-x) è pure " •\··convessa. ~;~ È opportuno ora mettere la definizione di funzione convessa sotto un'al'.':itra forma; sia x un punto qualunque dell'intervallo di estremi x1 e x 2 • \;Poniamo ix1 + µx1 = x; tenendo presente che è 1 + µ = 1, si ha:

I'•

t

i~~;: costante

X1-X

A=--,

X-X1

µ=--. X3-X1

X9-X1 I

(1i dunque,

"

la [48.1) si può esprimere cosl: ~-X

f(x)< - - f(xJ X1-X1

X-~ +- /(x Xa-X1

2).

(48.2)

284

CALCOLO Dll'fllENZlALll

Supponiamo ora che sia

Xa - x" si ottiene:

.xa> x1 ;

I

CAP. 7

allora moltiplicando la (48.2) per

(x2 -xJ/(x)< (x1 - x)f(xJ + (x -xJ/(x1)

Da questa relazione se ne possono ricavare altre due, di notevole interesse.

o Figura 48.2

Scriviamo nella (48.3], x1 -x == (x1 -xJ-(x-xJ; avremo, con facili calcoli:

/(x)-/(xJ /(x.J-/(xJ

----< X-%1

%1-X1

.

(48.4)

Questa relazione si può interpretare dicendo che per una funzione convessa f il rapporto incrementale a partire da un punto X1 è una funzione non decrescente nella parte di (a, b) che sta a destra di X1· Analogamente, si vede che è non decrescente nella parte di (a, b) che sta a sinistra di x 1 (fig. 48.3).

o Xa

Figura 48.J

cd

§ 48

I

285

CALCOLO DlPFl!RENZIAill

Scriviamo ora nella [48.3]: X1-X1

= (Xz-X) + (x-:-xJ.

Otteniamo facilmente

/(xJ-f(x)

----< X1-X

/(xJ-/(x) Xs-X

.

[48.5)

Questa si può interpretare dicendo che per una funzione convessa il rapporto incrementale che si ottiene con un qualunque incremento positivo della variabile indipendente è > del rapporto incrementale che si ottiene attribuendo un incremento negativo alla variabile indipendente. Notiamo che tanto la [48.4) quanto Ja [48.5} (sempre con la condizione x1< x< x1) sono equivalenti alla [48.3] e. quindi, alla [48.1). Possiamo compendiare i risultati trovati col seguente enunciato:

48.2 TEOREMA Condizione necessaria e sufficiente affinché una funzione reale f sia convessa è che il rapporto incrementale preso , , a partire da un qualunque punto x 0 , cioè la funzione .x

i-+

f(x) - f(xo)

(definita per x =f.: xo)

X-Xo

sia non decrescente.

Da questa proposizione e dai risultati riguardanti delle funzioni monotone si ha subito:

limiti

48.3 TEOREMA Una funzione convessa definita in un intervallo (a, b) ammette in ogni punto x 0 interno ad (a, b) derivata a destra f~(x0) e derivata a sinistraf;(x0 )finite,- queste verificano la diseguaglianza J:(x0)O} è finito, o numerabile, al più. Per completare la dimostrazione, basta osservare che l'inter· vallo aperto ]a, b[ può essere invaso da una successione di intervalli chiusi e limitati interni ad ]a, b{, cioè si può scrivere: ]a, b[ =

U [«n, Pnl, n

dove è

[«n, Pnl e [«n+1, Pn+d.

Il sottoinsieme di (a, b) costituito dai punti in cui manca la derivata di f, essendo unione di una famiglia numerabile di insiemi finiti o numerabili, è finito o numerabile. •

,,,,,,,,,

I 48 I

287

CALCOLO DIFFERENZIALI

~' 48.6 Osservazione. Sia À. un numero tale che /;(x0)< -1.< /J(x0). Dal teorema 48.2 si ricava: per x>x0 :

f(x)-f(xo)>f~(x0)(x-x0)>À.(x-x0),

per x J:(x0)(x-x0)>ì..(x~ x0).

Da queste diseguaglianze si ricava:

f(x)> f (x0)

+ À(x- x0) •

Questa relazione ha un chiaro significato geometrico: esistono rette passanti per il punto (x0 ,f(x0 )) tali che il grafico della funzione sta tutto al di sopra di esse (in senso debole, ovviamente). Queste rette si dicono radenti(fig. 48.4aJ; nel caso che esista/'(x0), l'unica retta radente è la tangente (fig. 48.4b).

"'

·j

o

o

I, I

I~

l'

Figura 48.4a

Figura 48.4b

M

:I \~

Lasciamo ora lo studio delle funzioni convesse considerate ,f; in generale, per passare alle funzioni convesse derivabili ovun"i que una o due volte. •,';

l!!

i 48.7 TEOREMA Sia f una funzione derivabile nell'intervallo / [a, b]. Allora, condizione necessaria e sufficiente affinché f sia ;. 'convessa è che la sua derivata prima sia non decrescente •

.··~.. Dimostrazione. Per la necessità, basta tenere presente la [48.6] ::·dove ora si può scrivere fJ(xJ=f'(xJ, t:(xJ=f'(xJ.

288

CALCOLO DIFFl!RENZJALB

I CAP.

7

Per la sufficienza, teniamo presente che la convessità equivale alla relazione [48.S], affermata per ogni tema di punti x1< x O, suddividerlo in un numero m di parti uguali fra loro, in modo che il prodotto di queste sia massimo.

.....

17. Studiare il polinomio di terzo grado: {x 1-+x8 +px + q} (p e q parametri reali). Dare le relazioni a cui devono soddisfare p e q perché esistano una soluzione, due soluzioni, tre soluzioni (reali) •

l',1

l'

Jf • ~?

,~



18. Sia cp una funzione reale continua concava definita in R+, tale che 91(0) = O, O per ogni x> O. Si dimostri che tp è non decrescente e che soddisfa alla relazione

i.

.

li,:

I'

'P(x + y)O esistono una somma superiore J"(!l'") e una somma inferiore J'(!l'') tali che [50.2] Notiamo che il lemma 50.5 ci autorizza a esprimere questa condizione assumendo una somma inferiore e una somma superiore relative a una medesima suddivisione, cioè prendendo nella [50.2] !l'' = fl'•.

L'integrale di una funzione ha un'importante interpretazione geometrica. Sia f una funzione reale positiva definita in [a, b] (fig. 50.1).

(.

o Figura 50.1

Chiamiamo trapezioide sotteso dal grafico di f l'insieme D = {(x, y): a O, esiste un"> O tale che: 8 \fx' e [a, b] \fx., e [a, b]: lx' -x~I O, esiste un O tale che, per ogni suddivisione f!l' avente parametro di finezza O, esistono due funzioni continue h(x) e k(x) tali che

• h(x) 1

[54.2]

logjxJ +k per n= 1. Anche l'integrale della seconda delle [54.1] si ottiene facilmente: basta porre y = x 2 + 1. Risulta:

f (1+x2)"dx=21 IY"dy == X

-

1 2(n-1)(1 +x2)•-1

I

2 tog(l +x2)

se è

n> 1 [54.3]

seèn=l.

o54

I

TEORIA ELEMENTARE DELL'INTEGRAZIONB

325

Passiamo al terzo integrale. Per n= l, si ha, come sappiamo:

f ~x2dx=arctgx +k. 1

[54.4]

Per n > 1, seguiremo un procedimento ricorrente. Posto: In=

,,

f (1 +dxx2)n ,

I"

'"

consideriamo l'identità:

- - - - - 1- (1 +x21' (1 +xa)n-1 1

Integrando questa membro a membro, otteniamo:

r·,

I

Applichiamo ora a quest'ultimo integrale la regola d'integra, zione per parti, assumendo x come "fattore finito" e x/(l+x2) 11 Ii " IF'(T)ldT-e(tt- tJ;_i),

e finalmente, sommando rispetto all'indice k: I>

&

=} \F(t.t)-F(ft-1)!>flF'('r)ldT-e(b-a). Il

b

Questa relazione prova che L(F)= sup{r> JIF'(T)ld-r- e(b- a). Dall'arbitrarietà di e si deduce :r •

,,

f

L(F)> IF'(T)ldT.

[58.6]

G

E questa, unita con la (58.5], completa la dimostrazione.• , !

ti·.

La (58.4) si può scrivere, introdotte le componenti/1 ,,'2, ... ,/,. di F:

;~:', t~~ ~'

"

.l

'·'

~,,::

~.~

..

b

L(F)=-

Jv/l{t) +/2{t) + ... + f~(t)2 dt. 2

2

G

Nel caso di una curva piana F data in forma cartesiana Y = g(x), essendo g una funzione di classe 'Cl definita in [a, b],

362

TBORIA ELEMJINTAIUI DBLL'INTBOllAZJONll

I CA.P.

I

si può considerare x come parametro e si ha: b

L(F)=

Jv1

+g'(x)'dx •

• Esercizi

1. Calcolare la lunghezza delle seguenti curve cartesiane:

y - xl

(per xe [O, a]) ,

y - coshx

(per xE [O, a]) •

2. Data una funzione I crescente convessa definita in [O, +oo[ e detta L(a) la lunghezm dell'arco y = /(x), con 0< x< a, qual è l'ordine di infinito della funzione U.a)?

•3. Si dimostri che: condizione necessaria e sufficiente affinché una curvaF: [a, b) -+ R" sia rettificabile è che ciascuna delle sue componenti fj sia a variazione limitata. •4, Si dimostri che la lunghezza di un arco continuo F è il limite di ~ in ognuno dei due seguenti sensi: a) quando le suddivisioni vengono ordinate per finezza. (vedi osservazione 50.14); b) quando si faccia tendere a zero il parametro di finezza. delle suddivisioni.

•s.

Sia F un arco [a, b]-+ R" e sia e un punto interno all'intervallo [a, b). Si dimostri che la lunghezza di F è somma delle lunghezza. di Fl 14,,1 e di Flce.tJ·

6. Si calcoli la lunghezza del seguente arco (di cicloide) in R1 :

x = a(t-sin t),

y= a(l -cost),

e del seguente arco (di elica cilindrica) in

x=rcost,

O O vale la diseguaglianza (di cui lasciamo la dimostrazione allo studioso): 1-t
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