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September 14, 2017 | Author: Francesco Tribuzio | Category: Outsourcing, Tertiary Sector Of The Economy, Quality (Business), Customer Satisfaction, Marketing
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ECONOMIA E GESTIONE DELLE IMPRESE Prof. V.R. Santamato Primo semestre / 2° anno Dispense -

“La gestione d’impresa” di M. Scicutella (cap. 1-2-6-9-10-11-12) “L’impresa dei servizi nel cambiamento” di V. R. Santamato (cap.1-2-3-58-9-10) “L’evoluzione dei servizi” di V. R. Santamato (cap. 3 integrale)

L’impresa dei servizi nel cambiamento – V. R. Santamato Capitolo 1:

L’EVOLUZIONE DEI SERVIZI

Una delle trasformazioni più importanti nel processo evolutivo dell’economia della società è rappresentata dallo sviluppo del settore terziario, che ha spostato l’attenzione dai prodotti ai “servizi”, da sempre considerati un elemento non capace di produrre valore aggiunto. Sta avvenendo tuttavia una smaterializzazione dell’economia che sta favorendo l’avanzare dell’economia dei servizi. Tra i fattori che hanno storicamente limitato il loro sviluppo vi è la difficoltà nel dare una definizione precisa di servizio e di impresa erogante servizi, difficoltà derivante indubbiamente dalla natura dei servizi, ossia dal carattere di astrattezza che li caratterizza e dalla conseguente incapacità nel darne un’immediata valutazione circa la qualità e la rispondenza alle esigenze e alle necessità del cliente. La loro collocazione storica nel settore “terziario”, con l’intento di rappresentarne un settore residuale e improduttivo, è sintomo della scarsa importanza di cui godevano inizialmente; tuttavia con l’evoluzione del consumatore nel tempo che ha cominciato a richiedere non più la sola soddisfazione della sfera dell’avere (intesa come il possesso del prodotto) ma anche quella legata all’essere, ossia dei bisogni “immateriali” che lo riguardano quali la salute, l’istruzione, il divertimento ecc. la tendenza è cambiata. I servizi al momento rappresentano il settore più rilevante nelle economie industriali più avanzate, coprendo la maggiore porzione del PIL e il maggior numero di occupati nei paesi più sviluppati. Il termine servizio deriva dal latino “servitium”, ovvero servitù, e in senso economico si riferisce agli effetti economicamente utili di beni materiali o di attività umane, di cui beneficiano gli altri beni o gli uomini stessi. I servizi presentano dunque un’utilità economica e sono uno strumento che consente all’uomo di soddisfare i propri bisogni. Se in passato i produttori di beni industriali potevano basarsi quasi esclusivamente sulle qualità tecniche dei beni senza avvertire la necessità di offrire ai loro clienti servizi o altri accessori, oggi questa componente immateriale è diventata indispensabile per differenziarsi e far fronte alla crescente concorrenza. Si può

2 aggiungere al riguardo che i clienti non acquistano beni e servizi, ma i benefici forniti da tali beni e servizi; il servizio è così diventato la variabile fondamentale per la creazione di valore per il cliente. Cause dell’evoluzione dei servizi:  Aumento del fabbisogno dei servizi in corrispondenza dello sviluppo economico;  Tendenza all’esternalizzazione da parte dell’impresa di attività di servizio che prima erano svolte all’interno;  Sforzo di potenziare i prodotti o servizi offerti con l’aggiunta di prestazioni secondarie capaci di differenziare la propria offerta rispetto a quella dei concorrenti;  Trasformazioni demografiche e sociali; A proposito di quest’ultimo punto si può aggiungere che l’aumento della domanda dei servizi da parte delle famiglie è dovuto: - Diverso livello di reddito dell’italiano medio: il mercato industriale in Italia è ormai saturo, vi è solo un mercato di sostituzione. L’aumento del reddito ha comportato un grande aumento della richiesta di servizi, ad esempio l’industria del divertimento; - Il diverso ruolo della donna nell’economia contemporanea: non più destinata ad un ruolo all’interno della casa, il che comporta un aumento dei servizi che colmino quello che prima svolgevano le donne di casa (baby sitter, asilo nido imprese di pulizia ecc.), inoltre si sono sviluppati servizi che prima erano poco utilizzati o non ancora creati propriò come conseguenza della donna al mondo del lavoro; - Il maggior livello culturale della popolazione italiana: che ha portato a sviluppare o creare diversi servizi (librerie, teatri ecc.) Se spostiamo la nostra analisi al settore terziario, ogni bene può essere considerato un mix di offerta composto da elementi tangibili (elemento fisico) ed intangibili (servizi accessori ed ausiliari); l’offerta di un’impresa può variare da un puro bene ad un puro servizio, dando origine a quattro diverse categorie:  Puro bene tangibile: l’offerta è costituito da un bene tangibile al quale non è associato alcun servizio;  Bene tangibile associato a servizi: l’offerta è costituita da una bene tangibile ma uno o più servizi possono aumentarne l’attrattività per i consumatori;  Servizio fondamentale con associati beni e servizi di secondaria importanza: l’offerta consiste in un servizio ma con una cospicua aggiunta di servizi addizionali o beni di supporto;  Puro servizio: l’offerta è costituita unicamente dal servizio e la parte tangibile è rappresentata eventualmente solo dall’ambiente. Tradizionalmente, la fornitura di servizi accessori era considerata un incentivo all’acquisto e il più delle volte offerta gratuitamente, mentre oggi sono frequenti i casi in cui è il bene ad essere offerto gratuitamente al fine di attrarre i clienti e vendere i servizi ad esso connessi. Caratteristiche del servizio 

I servizi son più o meno intangibili, è difficile descriverli perché la loro percezione è del tutto soggettiva; nella maggior parte dei casi, sono composti anche da una parte tangibile, o meglio una parte di più facile misurazione. Una conseguenza dell’intangibilità è rappresentata dall’impossibilità per il consumatore di valutare in anticipo l’utilità dei servizi, così è difficile per il

3 cliente comparare le alternative prima di realizzare l’acquisto. In aiuto a questa problematica si è pensato di collegare al servizio quanto più possibile elementi tangibili capaci di far percepire la superiorità del servizio offerto rispetto a quello della concorrenza; per ridurre l’immaterialità dei servizi si può fare riferimento a fattori immediatamente percepibili, quali il luogo di ubicazione,il personale di contatto, le attrezzature o la dotazione tecnologica. Anche l’azione di marketing avrà obiettivi diversi, poiché mentre per i prodotti tangibili si tratta di aggiungere idee e qualità non immediatamente percepibili, per i servizi occorre dare evidenza fisica e offerte per lo più astratte.  I servizi sono eterogenei, poiché un servizio reso ad un cliente non è generalmente uguale ad un servizio reso ad un cliente diverso: cioè impedisce che i clienti percepiscano una qualità uniforme dei servizi. Così si tende ad applicare al settore dei servizi criteri gestionali di natura industriale che possano standardizzare il processo di erogazione: una possibilità per rendere maggiormente omogenea la qualità del servizio è rappresentata da un investimento dell’imprese nella formazione del personale, oppure monitorare i clienti tramite il sistema dei suggerimenti e dei reclami.  Produzione, distribuzione e consumo sono processi quasi simultanei per i servizi; questo rende il personale di contatto elemento fondamentale dell’interazione tra erogatore e fruitore del servizio e rende in aggiunta estremamente importante il coinvolgimento del cliente. Alcuni autori sostengono che erogazione e vendita siano due fasi differenti, la prima porta i servizi nella sfera di disponibilità del cliente, la seconda serve a ricercare e mantenere, fidelizzandola, la clientela. I clienti partecipano alla produzione del servizio, infatti si identifica la figura del prosumer: il cliente diventa indispensabile al processo di formazione del servizio poiché è lui stesso a determinare la qualità e la riuscita dello stesso.  Impossibilità di formazione delle scorte, con conseguente difficoltà di gestione dei picchi di domanda (vedremo in seguito cosa può fare un’impresa per gestire tale limite), un esempio pratico sono le imprese di trasporto pubblico urbano.  Il settore dei servizi è sottoposto ad una regolamentazione più rigida rispetto a quella dei beni di consumo, tanto più se ci riferiamo ai servizi pubblici, dove vi sono vincoli legislativi e norme che limitano notevolmente l’autonomia dell’impresa riguardo ad orari o tariffe.  Nei servizi il valore si produce con l’interazione tra imprese e clienti, non prima; ciò rende il marketing difficoltoso poiché bisogna convincere il cliente con l’interazione;  Per i servizi non c’è il trasferimento di proprietà a differenza di quanto avviene per i beni;

Capitolo 2:

IL MARKETING DEI SERVIZI

Il settore terziario è il settore economico in cui si producono o forniscono servizi e comprende tutte quelle attività di ausilio e complementari al settore primario e secondario, che vanno sotto il nome di “servizi”, ovvero tutte quelle prestazioni immateriale le quali possono essere incorporate o meno in un bene. Rappresenta il 63% dei posti di lavoro e crea il 70% del valore aggiunto nel sistema economico. Il terziario si può dividere in tradizionale ed avanzato, il primo è presente anche in un’economia poco sviluppata.

4 Oggi, il vantaggio competitivo di un’azienda non è più rappresentato da capacità tecniche esclusive relative ad un prodotto o al processo (le quali ormai sono possedute dalla stragrande maggioranza delle imprese), ma è sempre più relativo alla capacità di gestire relazioni con il consumatore finale. I servizi includono tutte quelle attività economiche il cui output non è un prodotto fisico, bensì viene generalmente consumato nel momento stesso in cui viene prodotto e fornisce del valore aggiunto in forme che risultano intangibili al primo acquirente. Bisogna distinguere fra:  

Servizio: qualsiasi attività che una parte può scambiare con un’altra, la cui natura è intangibile e non implica alcuna proprietà; Servizio al cliente: attività fornite a supporto dei prodotti principali dell’impresa, si concretizzano nel rispondere alle domande e risolvere problemi di vario genere come assistenza clienti.

Nell’era dei servizi si è sentita la necessità di focalizzare l’attenzione sulla qualità dell’esperienza che il cliente vive nei momenti della verità. Ciò porta il cliente al vertice di una piramide dell’importanza per il l’erogazione dei servizi, che nella concezione delle imprese produttive non era proprio contemplato; al livello successivo troviamo il personale di contatto, determinante nel momento della verità quando il cliente ha la percezione positiva o negativa della qualità del servizio. Successivamente si posizionano i manager, il cui compito è quello di sostenere gli addetti al front-line. Si parla di “triangolo del marketing”, dove esistono 3 gruppi interconnessi che lavorano insieme per lo sviluppo, la promozione e l’erogazione dei servizi: impresa, clienti ed erogatori del servizio. Tra i vertici del triangolo operano 3 tipi di marketing: interno, esterno ed interattivo. Attraverso il marketing esterno l’impresa fa delle promesse ai suoi clienti relative a ciò che possono aspettarsi e al modo in cui verrà erogato, mentre il marketing interattivo riguarda la fase del mantenere le promesse ad opera del personale di contatto. Il marketing in Italia è divenuto oggetto di studio in tempi relativamente recenti: negli anni Cinquanta e Sessanta la situazione di mercato era caratterizzata da una domanda sempre più crescente e da un’offerta che faceva fatica ad adeguarsi a rapidi ritmi di crescita; in quest’ottica mancava la necessità di ricorrere a strategie di marketing. Gli anni Settanta, fase di crisi economica, furono caratterizzati da forte stagnazione della domanda, motivo che ha fatto da volano per la nascita e lo sviluppo di quelle tecniche di marketing che hanno come scopo quello dello stimolo della domanda. Caratteristica fondamentale del marketing è che la generazione delle risorse deve avvenire assicurando e garantendo il soddisfacimento dei bisogni, delle esigenze e dei desideri dei consumatori, ottenendo l’obiettivo del profitto dell’impresa, in un modo socialmente accettabile. L’attività di marketing comprende: 1. Identificazione dei bisogni e delle necessità del consumatore; 2. Realizzazione di un prodotto o servizio in grado di soddisfare tali bisogni; 3. Determinazione di criteri per fissare il prezzo, promuovere e distribuire il prodotto in questione. Può essere definito come un sistema integrato di attività organizzato per sviluppare, attribuire il prezzo, promuovere e distribuire prodotti e servizi capaci di soddisfare i bisogni e i desideri del target market per far realizzare all’impresa i suoi obiettivi.

5 Uno dei concetti fondamentali del marketing è il MARKETING MIX, ossia gli elementi posti sotto il controllo di un’organizzazione cui si può far leva per soddisfare i clienti; le principali variabili decisionali sono le cosiddette “4P”: prezzo (price), prodotto (product), promozione (promotion) e distribuzione (place): 1. Prodotto: essendo i prodotti oramai tutti simili, nel mix di di marketing il prodotto non ha quasi più valore; 2. Prezzo: anche il prezzo è spesso simile tra i prodotti simili, o almeno con differenze minimali; il che gli conferisce un’importanza minima per il mix di marketing. 3. Promozione: la pubblicità è l’elemento principe per le imprese industriali, rilevante nel marketing mix. La maggior parte degli investimenti industriali è dedicato alla promozione piuttosto che in ricerca e sviluppo. 4. Distribuzione (place): elemento fondamentale nel caso in cui i primi tre elementi siano tutti simili tra due prodotti: la distribuzione è l’azione che permette di far arrivare il prodotto dai luoghi di produzione ai punti di vendita, in modo che il consumatore arrivi facilmente ad avere a disposizione il prodotto. “Il prodotto deve esserci sempre”, in caso contrario il consumatore sostituirà quel prodotto con un prodotto simile. Il marketing dei servizi, oltre alle tradizionali 4P, include elementi utili a vendere il servizio, facendo scattare nel consumatore un’emozione, non essendoci un prodotto tangibile: 5. Persone: tutti gli attori umani che hanno una parte nell’erogazione del servizio e influenzano quindi le percezioni dell’acquirente; in particolare ci riferiamo al personale dell’impresa, al cliente e agli altri clienti presenti nel luogo di erogazione del servizio. Il personale di contatto è la materializzazione di qualcosa di immateriale, un trade d’union tra consumatore e impresa. Esso deve curare questi tre aspetti: o Gestualità non eccessiva; o Immagine: aspetto gradevole (ma non fondamentale); o Parola: curare la dialettica; 6. Parte tangibile: riguarda l’ambiente nel quale viene erogato il servizio e in cui il cliente e l’impresa interagiscono; 7. La gestione della partecipazione del cliente al processo di erogazione: nei servizi il cliente è sempre parte attiva all’erogazione del servizio, e in relazione al servizio la partecipazione può essere bassa o alta. Tali elementi aggiuntivi vengono trattati separatamente dalle 4P perché stanno sotto il controllo dell’impresa ed influenzano la decisione iniziale del cliente di acquistare un determinato servizio. Condizione necessaria per l’applicazione di una strategia di marketing dei servizi è la conoscenza delle caratteristiche più importanti per il cliente, poiché in base a tali caratteristiche si innesta la qualità più o meno preferita dal cliente stesso. Un veicolo efficace per la raccolta delle preferenze e dei gusti del consumatore sono le ricerche di mercato, con le quali si ottengono risposte a numerosi quesiti quali l’individuazione di clienti insoddisfatti, performance del servizio, confronto della performance con altri concorrenti, eventuali gap fra aspettative e percezioni del cliente, previsione delle aspettative future del cliente. Per elaborare una strategia di marketing dobbiamo distinguere due fasi:

6 1. Scelta dei criteri di segmentazione: possono essere di tipo socio-demografico, economico, tecnologico, ecc… 2. Scelta del segmento: l’impresa sceglie di prestare i propri servizi per un particolare segmento concentrandosi su una parte del mercato.

Capitolo 3:

L’OFFERTA DEL SERVIZIO

Un’impresa di servizi deve strutturare l’offerta in modo da offrire al cliente la maggiore partecipazione possibile: i clienti non sono interessati ai servizi in sé, ma alle esperienze che mediante questi vivono; inoltre, i clienti non acquistano un pacchetto di servizi, ma sono alla ricerca di soluzioni a bisogni sempre più complessi e il valore del servizio è legato all’uso effettivo del servizio da parte del fruitore. Tutte queste premesse ci portano a delineare la figura del PROSUMER: l’impresa è orientata al cliente, si modella in maniera tale da poter rispondere nel modo miglior ai problemi che il cliente si pone, quest’ultimo a sua volta interagisce con essa alla ricerca della soluzione dando origine alla figura del prosumer; con tale termine si vuole porre l’accento sull’interazione delle funzioni proprie del produttore (producer) con quelle del consumatore (consumer). Il sistema di gestione deiservizi è composto da uno schema di 5 elementi:  







Il segmento di mercato: si riferisce al tipo di clientela per la quale è stato progettato l’intero sistema dei servizi; Il concetto di servizio: è un insieme complesso di caratteristiche che comprende vantaggi di natura fisica, psicologica ed emotiva; alcuni di questi sono misurabili, per altri è impossibile specificarne una forma concreta; Il sistema di erogazione del servizio: è l’equivalente del sistema di produzione e distribuzione nelle imprese industriali ed è in questa fase che un’impresa applica le maggiori innovazioni e strategie; in essa rientrano tre componenti fondamentali: il personale, i clienti, la tecnologia e il supporto fisico; L’immagine: strumento informativo attraverso il quale il management può influenzare i dipendenti, i clienti e gli attori importanti per il posizionamento dell’impresa sul mercato; La cultura e la filosofia: principi generali mediante i quali l’impresa cerca di conservare nel tempo quei valori che sono all’origine del suo successo, in un’ottica di efficienza a lungo termine.

Pacchetto di servizi Esistono diversi modi per rappresentare l’importanza che un cliente attribuisce ad un servizio, questo perché, a differenza di un prodotto per cui elencare le caratteristiche è semplice, per un servizio si potrebbe solo elencare i vantaggi offerti al cliente. -

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Possiamo immaginare l’insieme dei servizi offerti come un unico sistema, i cui componenti sono collegati da un solo elemento comune, ovvero il cliente. Tali servizi possono essere necessari ed obbligatori per accedere all’offerta principale, oppure accessori e discrezionali nel senso che non hanno un valore funzionale alla fruizione del servizio principale, ma sono autonomi e costituiscono un modo per arricchire l’offerta. Tale sistema tende verso un unico obiettivo, l’output, che viene definito “servizio globale”. Ancora, possiamo immaginare l’universo dei servizi come un “service package”, costituito dall’insieme dei servizi di base e di supporto; il servizio essenziale (core) è il motivo per il quale il cliente acquista quel determinato servizio e

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quindi rappresenta i benefici attesi dal cliente. Il core service è circondato da quanto il compratore percepisce nel momento in cui viene a contatto con gli elementi fisici che fanno parte del servizio stesso e che quindi lo convincono all’acquisto del servizio. Altro modo per immaginare il servizio è come un triangolo ai cui vertici troviamo: il servizio essenziale, i servizi agevolanti ovvero un supporto che favoriscono la fruizione del servizio, i servizi ausiliari o di supporto che accrescono il valore dell’offerta e la differenziano dalla concorrenza. La tipologia di servizi che costituisce il pacchetto base, insieme ad altri elementi danno origine all’offerta di servizio incrementata; essi sono: o L’accessibilità del servizio: dipende dalla competenza e dal numero del personale, le ore d’ufficio e la loro ubicazione, il tempo per svolgere le mansioni, ecc. in base a tali fattori i clienti valuteranno la difficoltà di accesso al servizio; o L’interazione con l’impresa: comprende la comunicazione interattiva fra impiegati e clienti che a sua volta dipende dal comportamento degli impiegati, interazione del cliente con le risorse della azienda quali macchinette automatiche, sale d’aspetto e l’interazione con i vari sistemi quali i siti internet, telecomunicazioni, prenotazioni, ecc. o Partecipazione del consumatore: determinata dal cliente stesso, il quale è un elemento fondamentale che deve riempire moduli, fornire informazioni e ciò può dipendere la qualità delle prestazioni ricevute.

In conclusione i clienti valutano un pacchetto di servizi sulla base di due fattori:  

Il fatto che il pacchetto di servizi comprenda tutti gli elementi, centrali e periferici, che essi si aspettano; La misura in cui ciascuno di questi elementi soddisfa i vari standard di qualità che essi si aspettano.

Con la propria offerta un’impresa può generare valore solo allo stato potenziale: l’impresa può creare proposte di valore, ma la generazione effettiva del valore è dovuta all’utilizzo da parte del cliente di tali proposte. Così come un bene se rimane invenduto non ha valore, un servizio erogato se è in assenza di clienti rimane allo stato potenziale, o meglio nella disponibilità del cliente. Nella ricerca di soluzioni per i propri clienti, diventa centrale partire non dalla progettazione di un sistema di servizi ma dall’esperienza per il cliente.

Capitolo 5:

IL RUOLO DEL CLIENTE

Le caratteristiche e i comportamenti dei consumatori hanno subito trasformazioni negli ultimi anni: la maggiore attenzione alle componenti relazionali del consumo, l’acquisto vissuto come esperienza ad alto valore emozionale, l’accresciuta capacità del consumatore di valutare e decidere quale ruolo assumere nel rapporto con l’impresa, sono tutti fenomeni relativi al comportamento dell’individuo in relazione ai suoi processi di acquisto e consumo. Nuove logiche delineano le relazioni fra il consumatore e l’impresa, ancora di più se ci riferiamo alle imprese di servizi dove il consumatore ricopre un ruolo centrale e attivo. Un ruolo di importanza strategica alla luce di tale evoluzione del mercato viene ricoperto dalla “costumersatisfaction” che considera il consumo non più limitato al solo beneficio materiale e che la soddisfazione del cliente si strettamente collegata alla qualità del prodotto/servizio offerto.

8 La “customersatisfaction” rappresenta la percezione che il consumatore ha di aver speso bene il suo denaro dopo aver usufruito del servizio, tenendo presente le aspettative che il cliente aveva prima dell’acquisto che inevitabilmente influenzano le decisioni e diventano memoria emotiva per le decisioni future. In genere, si parla indistintamente di customersatisfaction e qualità del servizio, ma quest’ultima rappresenta una componente della prima poiché la qualità del servizio è una valutazione che comprende alcuni dimensioni specifiche, quali l’affidabilità, le reattività, l’empatia e gli elementi tangibili, mentre la soddisfazione del cliente è un concetto più ampio che può comprendere anche fattori esclusivamente personali che riguardano lo stato psicologico del consumatore al momento della fruizione del servizio. Il marketing quindi si è trasformato in marketing relazionale, il quale rappresenta un orientamento strategico che mira a trattenere i clienti acquisiti più che ad acquisirne di nuovi, basandosi sull’assunto che i consumatori preferiscono di gran lunga instaurare relazioni continuative piuttosto che cambiare di continuo fornitore e che, in genere, si sostengono minori costi cercando di conservare un cliente acquisito piuttosto che attirarne di nuovi. L’applicazione della strategia del marketing relazionale non è sempre di facile applicazione, perché presuppone un cambiamento nella mentalità e nella cultura organizzativa delle imprese, che per la maggior parte mirano all’acquisizione di nuovi clienti piuttosto che alla conservazione degli stessi In passato la definizione del ruolo del cliente spettava in genere all’impresa, ma in un contesto economico come quello attuale il cliente passa da spettatore a key player del processo. Tra le cause di tale cambiamento citiamo: -

L’aumento del livello medio culturale; Maggiore disponibilità di risorse finanziarie; Riduzione del costo dell’informazione connessa alle nuove tecnologie; Aumento dell’accessibilità alle informazioni e alle conoscenze: Offerta sempre più ampia di soluzioni alternative.

Il cliente può partecipare alla produzione del servizio in vari modi, a seconda delle funzioni concretamente svolte:  



  

Funzione di specificazione: il cliente è chiamato a fornire indicazioni su come desideri che avvenga l’erogazione del servizio; Funzione di produzione: si concretizza nel momento in cui il cliente svolge in prima persona alcune attività, che nella stessa maniera avrebbe potuto svolgere l’impresa; Funzione del controllo della qualità: il cliente può essere direttamente coinvolto nel valutare la qualità di una determinata attività, ad esempio quando egli valuta alcune attività tipiche del back-office che si svolgono in sua presenza; Mantenimento dell’ethos: attività di stimolo alla motivazione e alla produttività dei dipendenti; Funzione sviluppo: eventuale partecipazione del cliente all’evolversi del sistema di progettazione del servizio o al suo miglioramento; Funzione marketing: se soddisfatto del servizio ricevuto, le valutazioni del cliente rappresenteranno ottime referenze per potenziali nuovi clienti (feedback).

In base all’intensità con cui il cliente partecipa alla produzione del servizio abbiamo tre diverse modalità:

9   

Partecipazione passiva, nella quale il cliente richiede il servizio e specifica le esigenze che intende soddisfare; Partecipazione attiva, che può contemplare l’uso di apparecchiature o l’interazione con il personale addetto; Controllo della prestazione ricevuta, con cui il cliente verifica correttezza e qualità del servizio e fornisce un feedback, positivo e negativo, ai responsabili dell’azienda.

Tale partecipazione più o meno attiva del cliente ha delle conseguenze: se vengono apportate delle modifiche al processo di erogazione del servizio, queste saranno immediatamente percepibili dal consumatore e influenzeranno il suo processo decisionale e d’acquisto per cui richiederanno un cambiamento nel suo comportamento. In alcune situazioni, però, i consumatori faticano ad adattarsi ai cambiamenti nel processo di erogazione tendono a conservare i comportamenti precedenti alle modifiche. In altre, come nel caso delle banche, le modifiche introdotte nell’erogazione di alcuni sevizi hanno incontrato il favore dei clienti. Le tecnologie self-service (SST) rappresentano la forma di massimo coinvolgimento del cliente nel processo di produzione del servizio; la logica delle SST si basa su ragioni prevalentemente economiche: la parte dell’attività di cui si fa carico il cliente, in precedenza svolta dal dipendente, determina un risparmio in termini di costi che ricade sul cliente in parte sotto forma di prezzi più bassi. Inoltre, le SST permettono di ottenere risultati migliori rispetto al rapporto con i dipendenti, come ad esempio abbreviare i tempi delle transazioni, ma suscitano irritazione e senso di frustrazione in caso di malfunzionamento. L’idea che sta alla base del concetto di soddisfazione del cliente è che “i consumatori valutano il servizio che sentono di aver ricevuto confrontandolo con le loro aspettative; se il servizio percepito è pari o superiore alle aspettative, il consumatore si riterrà soddisfatto”. Per valutare tale soddisfazione vengono presi come riferimento due livelli qualitativi:  

Servizio desiderato: livello che rappresenta la qualità massima accettabile Servizio adeguato: livello che ritiene comunque accettabile, ma al di sotto del quale il servizio non è percepito in maniera positiva dal cliente.

Tra questi due livelli vi è una zona, più o meno ampia, chiamata “zona di tolleranza”, che varia da un cliente all’altro a seconda del tipo di servizio e dal livello qualitativo desiderato. Il livello desiderato può essere influenzato da alcuni fattori che prendono il nome di amplificatori permanenti del servizio, condizioni che rendono il cliente più sensibile nei confronti di un determinato servizio. Il servizio adeguato invece è influenzato da 5 fattori: 1. Amplificatori temporanei del servizio, fattori legati a particolari situazioni di emergenza; in questo caso la qualità minima accettabile è temporaneamente innalzata; 2. Percezione di alternative: si diventa meno esigenti se si ha la consapevolezza di avere meno possibilità di scelta; 3. Percezione del proprio ruolo da parte del cliente, induce i clienti a collaborare nel modo migliore possibile e ad accettare un livello qualitativo inferiore nel caso in cui ritenga di non aver definito con esattezza i propri bisogni; 4. Fattori situazionali, costituiti da circostanze particolari che secondo il cliente sfuggirebbero al controllo del fornitore, il quale non può quindi assicurare il normale livello qualitativo del servizio;

10 5. Livello percepito del servizio, rappresenta ciò che il cliente presume debba ricevere, anche in virtù di precedenti esperienze e conoscenze del servizio offerto che gli permettono di stabilire un livello qualitativo desiderato. In ultimo, la valutazione del servizio è influenzata dal passaparola che avviene fra coloro che hanno già provato il servizio che influenzano la decisione del cliente. Questo tipo di comunicazione è di particolare importanza per le imprese perché i consumatori giudicano tali pareri credibili poiché provenienti da chi in genere non ha alcun interesse a promuovere un determinato prodotto.

Capitolo 8:

IL FATTORE TEMPO

E’ possibile che il tempo influenzi la vita economica dell’impresa dei servizi? Il tempo è la percezione della bontà dell’erogazione del servizio. Nel settore dei servizi il tempo (o meglio il tempo d’attesa) influenza la scelta del consumatore, così da far primeggiare quelle imprese che ne minimizzano l’entità. Una delle principali questioni delle imprese di servizi è lo squilibrio fra domanda, soggetta ad ampie fluttuazioni temporali, e la capacità produttiva, tendenzialmente rigida e non facilmente modificabile. Per risolvere questo problema le imprese di servizi non possono ricorrere ad alcuna forma di stoccaggio, ovvero non è possibile accumulare le scorte nei periodi di calo della domanda da utilizzare quando la stessa aumenta. Un’impresa di servizio può trovarsi di fronte a diverse situazioni: 





Eccesso di domanda: il livello di domanda supera la capacità produttiva massima disponibile; in questa situazione alcuni clienti non vengono serviti, determinando perdite di opportunità di business; inoltre, i clienti che riescono ad usufruire del servizio, registrano un calo nella qualità dello stesso data l’eccessiva saturazione della capacità; Domanda eccede la capacità ottimale: nessun cliente viene respinto, ma a causa di un eccesso di domanda è probabile che la qualità e i tempi di erogazione del servizio vengano compromessi; Eccesso di capacità: la domanda è al di sotto della capacità ottimale, ovvero le strutture, i dipendenti, le attrezzatura vengono sottoutilizzate determinando una perdita di produttività per l’impresa e quindi minori profitti; inoltre, il basso uso del servizio comporta il rischio che i clienti trovino insoddisfacente l’esperienza del servizio.

Dato che domanda e offerta raramente raggiungono un equilibrio le imprese hanno elaborato alcune strategie per cercare di regolarle: parliamo del “sincromarketing”. Occorre rendere minimo, in teoria pari allo zero, il tempo che intercorre fra la richiesta e l’erogazione del servizio, ovvero il cosiddetto tempo d’attesa. L’impresa dei servizi deve essere istantanea, cioè accorciare sempre di più i tempi necessari alla soddisfazione dei bisogni del cliente; questo perché l’attesa è come una forma di sospensione dell’attività, portatrice di uno stato di tensione e di ansia per il cliente. Per gestire la domanda fluttuante di servizi, occorre avere una conoscenza del suo andamento: a tale scopo tenere traccia di ogni transazione con i clienti aiuta ad analizzare il comportamento della domanda sulla base delle esperienze passate. Nel caso di fluttuazioni cicliche, il fenomeno è prevedibile con una certa precisione ed è associabile a cause predefinite; ci sono situazioni in cui si può fare può fare poco per

11 conoscere l’andamento della domanda perché le fluttuazioni sono causate da fattori fuori controllo. Vincoli di capacità Vi sono tre limiti alla capacità produttiva di un’impresa di servizi sulla quale non si può intervenire e che quindi determinano la rigidità della funzione di offerta. Essi sono: 1. Scarsità delle risorse umane: la manodopera o il livello degli organici, rilevante per quei servizi altamente professionali o semplicemente ad alta intensità di manodopera; tale tipo di limite si verifica quando l’erogazione del servizio è o legata alla competenze individuali del personal di contatto oppure le stesse non sono trasferibili nel breve periodo ad altri operatori; 2. Supporto fisico: attrezzature utilizzate dall’organico nell’erogazione del servizio; 3. Strutture fisiche: luoghi destinati ad ospitare i clienti durante il processo di erogazione. Però, tramite una strategia di sincromarketing, è possibile ricercare degli espedienti per allineare la domanda e l’offerta tramite sostanzialmente due modi: 

appiattire le fluttuazioni della domanda armonizzandola con l’offerta disponibile;

Le strategie che hanno come obiettivo quello di appiattire le fluttuazioni della domanda mirano alla riallocazione di quella parte di clientela che non può essere servita a causa di una capacità produttiva temporaneamente scarsa; la quota di domanda eccedente dovrebbe essere reindirizzata nei momenti di sottoutilizzo della capacità produttiva. Il modo più immediato per fare ciò è tramite il prezzo, o meglio far pagare ai clienti un prezzo maggiore per usufruire del servizio in quei periodi; per fare questo però i manager devono avere una qualche idea sull’inclinazione della funzione di domanda o ancora sull’elasticità della domanda. Le imprese di servizi utilizzano dei modelli di YIELD MANAGEMENT per trovare il giusto equilibrio fra i prezzi applicati, i segmenti serviti e la capacità utilizzata: obiettivo di tale strategia consiste nel produrre il maggior ritorno finanziario possibile da una capacità produttiva limitata. Si può sintetizzare nel rapporto fra ricavi effettivi e quelli potenziali relativi a un determinato periodo di riferimento; ciò indica che lo yield (rendimento) è funzione proporzionale del prezzo e della capacità utilizzata. YIELD (rendimento) = Ricavi effettivi / Ricavi potenziali Ricavi EFFETTIVI = Capacità effettiva utilizzata X Prezzo medio effettivo Ricavi POTENZIALI = Capacità totale X Prezzo massimo Un altro tipo di strategia dal lato della domanda è l’utilizzo di modalità di comunicazione adeguate finalizzate a sensibilizzare la clientela sui carichi di utilizzo del sistema in determinati periodi di tempo per facilitarne una fruizione più razionale (es. segnaletica, pubblicità, promozione, ecc). Altra strategia dal lato della domanda può essere l’implementazione di servizi complementari al cliente, che rendano i più piacevoli i tempi d’attesa (es. punti di ristoro o di intrattenimento); in ultimo, abbiamo come strategia l’utilizzo dei sistemi di prenotazione.



adattare la capacità produttiva alle fluttuazioni della domanda.

Per quanto riguarda l’allineamento dell’offerta alla domanda una strategia consiste nel rendere flessibile la capacità produttiva del sistema di erogazione. Concretamente ciò

12 è possibile tramite l’impiego di personale part-time durante i periodi di picco, oppure l’affitto di strutture ed attrezzature supplementari o ancora la condivisione fra più imprese di tali mezzi. Oppure un’altra strategia può essere quella di progettare strutture ed impianti che siano di facile riconversione in funzione delle variazioni della domanda. Infine un ultimo modo può essere quello di coinvolgere i clienti ad assumere un ruolo più attivo nel processo di produzione (es. supermercati cassa fai da te). Comportamento del consumatore In letteratura sul comportamento del consumatore (consumer behavior) sembra farsi strada il riconoscimento di una molteplicità di motivazioni all’acquisto: -

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vi è la tradizionale visione utilitaristicae strumentale dell’esperienza d’acquisto secondo la quale l’uomo si dedica all’acquisto dei servizi solo per una finalità utilitaristica; a tale visione si contrappone quella edonista, secondo la quale da parte del cliente vi è la volontà di distrazione e divertimento, stimolazione sensoriale, autogratificazione e l’allontanamento dalla routine quotidiana.

Il filone utilitarista considera il consumo come un atto decisionale individuale, cioè ciascun consumatore assume la sua scelta indipendentemente dagli altri individui; ma è innegabile che il consumo possiede degli sviluppi sociali tali da rendere nulla un’analisi incentrata solo sul singolo astratto dal contesto sociale. La visione edonista parla inoltre di consumo esperienzale, secondo il quale per stimolare la prospettiva motivazionale del cliente si fa leva sull’esperienza: bisogna ricordare al consumatore che ha già avuto un’esperienza simile. Il fattore negativo è che in passato vi possono essere state esperienze negative, per cui ricordarle non gioverebbe all’impresa.

Capitolo 9 :I NUOVI MODELLI DI GESTIONE La gestione del “no core” presenta diverse soluzioni tra le quali trasferire tale gestione verso un provider per il quale esso sia il proprio “core”: tale è il processo di esternalizzazione o “outsourcing”. Ciò alla luce dell’importanza del concentrarsi sulla gestione del proprio core business per conseguire il vantaggio competitivo. Outsourcing È uno strumento attraverso il quale un’attività afferente al ciclo produttivo di un’impresa, comunemente considerata una funzione interna, viene terziarizzata, ossia collocata al di fuori del ciclo produttivo tipico dell’azienda. Dal punto di vista giuridico si parla di outsourcing riferendosi a quel contratto atipico a causa mista (comprende anche servizi estremamente eterogenei), attraverso il quale una parte, detta outsourcero assuntore, si impegna contro il versamento di un corrispettivo, a fornire un complesso di servizi organizzati a garantire lo svolgimento di un particolare processo aziendale. L’obbligazione dell’outsourcer è “di risultato” cioè è vincolata al raggiungimento dell’obiettivo stabilito in sede di stipula del contratto; inoltre, fra le obbligazioni dell’outsourcer vi è quella di predisporre i mezzi, gli impianti, le attrezzature e le risorse, comprese anche quelle umane, necessarie per garantire lo svolgimento dei servizi affidatigli. L’obbligazione fondamentale del committente consiste nel pagamento dei corrispettivi indicati nelle fatture e nella necessaria collaborazione con l’outsourcer per l’adempimento corretto della prestazione. Vi sono dei vantaggi dal punto di vista economico, finanziario ed operativo.

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Da un punto di vista economico, si registra nelle imprese che hanno fatto ricorso a tale strumento una sensibile riduzione dei costi, legata alla maggiore flessibilità del personale o alla condivisione delle risorse fra più clienti unita alla maggiore trasparenza e prevedibilità dei costi; Da un punto di vista finanziario, si assiste ad una riduzione degli investimenti e degli immobilizzi, con conseguente diminuzione del personale e delle attrezzature; Da un punto di vista operativo, l’imprenditore può contare su livelli di servizio predefiniti e monitorati costantemente da fornitori flessibili alle variazioni della domanda e con un know-how specifico di un determinato settore.

Possiamo riscontrare, però, anche degli svantaggi per chi sceglie di affidarsi a questo tipo di strumento, ovvero la perdita di conoscenza specifica del settore che vincolerà l’azienda anche in futuro. La stipula dello strumento di outsourcing può avvenire anche in maniera diversa dal semplice contratto: stiamo parlando del transfer outsourcing, che racchiude diverse modalità tra cui: 1. Costituzione di una nuova società alla quale viene conferito il ramo dell’azienda che l’imprenditore vuole terziarizzare; 2. Un ramo dell’azienda tramite compra-vendita viene ceduto al fornitore e in cambio si riceve un corrispettivo in denaro; 3. Spin-off o scissione parziale, nel quale la società madre fa sorgere da sé stessa una società veicolo, detta spin-off vehicle, alla quale verrà imputata ‘attività relativa al ramo d’azienda che si vuole terziarizzare. Facility Management È la disciplina aziendale relativa alla gestione degli immobili strumentali all’azienda, dello spazio di lavoro e di tutte le attività alla base del business aziendale; si fa riferimento a un’accezione di facility management come un sistema comprensivo di azioni, procedure e comportamenti finalizzati alla fornitura integrata di prodotti e servizi no core. Global service Il Global Service è una formula contrattuale adottata come soluzione gestionale all'interno della disciplina manageriale chiamata Facility Management. Per la sua struttura complessa si presenta come contratto misto a causa unica, poiché le varie prestazioni vengono dedotte nella loro globalità e con uno scopo sostanzialmente unitario. Vi è un’interazione funzionale che lega le diverse prestazioni di per sé eterogenee, in modo da comportare un risultato complessivo e quindi un unico oggetto del contratto. Il global service nasce del settore privato anglosassone per rispondere all’esigenza di avere un unico punto di riferimento qualificato per la gestione di servizi strumentali, ausiliari o di supporto all’organizzazione aziendale. Tale strumento è ideato per semplificare i processi d’acquisto: a fronte di un numero elevato di soggetti che in precedenza approvvigionavano l’impresa, in forma episodica e con sprechi di risorse, interviene ora in forma sostitutiva un’unica impresa. Da ciò discende rapidità, migliore qualità degli interventi ed economie di scala con riduzione dei costi. L’introduzione di un contratto di global service implica alcune cose per un’azienda, tra cui:

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Cultura dell’azienda, cioè vi è la necessità di costruire una cabina di regia per il coinvolgimento di tutti gli attori e una profonda formazione del personale coinvolto; Profilo organizzativo e procedurale, ovvero lo strumento di global service deve servire all’impresa anche per rivedere la propria organizzazione interna e le proprie procedure; Problema di controlli, poiché ci si trova di fronte ad un nuovo strumento senza normativa di controllo di riferimento e quindi occorre elaborare un sistema che consenta la rilevazione della soddisfazione della clientela; Problema di rapporti con le altre imprese e con il mercato, ovvero è necessario che il contratto di global service si traduca in una gestione di subappalti che non comporterebbe quel valore aggiunto il quale è la causa principale di conclusione di un contratto di GS.

Un contratto di global service, altresì chiamato “contratto di manutenzione basato sui risultati”, è definito come un contratto riferito ad una pluralità di servizi sostitutivi delle normali attività di manutenzione con piena responsabilità sui risultati da parte dell’assuntore.Dalla definizione si può certamente comprendere che mediante tale contratto le parti hanno grossi vantaggi: da una parte il committente affida ad un imprenditore, per un certo periodo di tempo ben definito, la manutenzione di un bene al fine di mantenerlo nello stato di conservazione concordato nonché ricevere proposte di migliorie per ridurre il costo del servizio e migliorare le caratteristiche tecniche del bene. Dall’altra parte l’imprenditore è responsabile delle scelte di progetto, di pianificazione, di direzione e di esecuzione delle attività manutentive ed è tenuto a fornire al committente tutta la documentazione necessaria per consentire a quest’ultimo di continuare ad avere la conoscenza storica e tecnico-economica del bene nonché di verificare se l’imprenditore ha operato nel rispetto del contratto e quindi del capitolato.

Capitolo 10:

ESTERNALIZZAZIONE

Si definisce l’esternalizzazione come il trasferimento della produzione di servizi ed attività strumentali di pubbliche amministrazioni a imprese private, pur continuando le stesse pubbliche amministrazioni a finanziare l’attività e ad assumersi la responsabilità del soddisfacimento del bisogno pubblico. Nel processo di esternalizzazione sono presenti almeno due soggetti: la pubblica amministrazione che decide di esternalizzare il servizio e il soggetto esterno al quale viene affidato il compito di fornire i servizi; i rapporti fra questi due soggetti sono regolati da un contratto. Trattandosi di PA l’individuazione del soggetto esterno richiede una procedura concorrenziale; inoltre, l’esternalizzazione può essere totale o parziale a seconda che oggetto della stessa sano singoli servizi/specifiche aree oppure specifiche fasi o sotto-attività. La differenza fra un contratto di esternalizzazione e un classico contratto di fornitura sta nella creazione di una partnership tra le parti e nei compiti dell’amministrazione che diventa centro di acquisto responsabile della verifica di qualità delle prestazioni, del controllo strategico e della valutazione delle performance. Per quanto riguarda i servizi pubblici locali di rilevanza economica il Legislatore ha introdotto una modifica all’art. 113 del D.lgs. 18 agosto 2000 n. 267: la principale innovazione introdotta è la possibilità per gli Enti locali di affidare la gestione dei suddetti servizi a società a capitale interamente pubblico, senza ricorrere alle procedure di gara. Stiamo parlando all’affidamento “in-houseproviding”, cioè affidamenti di appalti pubblici che avvengono per via diretta dall’Ente alla società, a condizione che l’Ente eserciti un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi.

15 Inoltre in una sentenza risalente al 2006, la Corte esplicita il principio di interdipendenza che deve sussistere tra autorità pubblica e concessionario, riservando da un lato il dovere all’Ente di esercitare un controllo pari a quello che effettua sui propri servizi e prevedendo che sia necessario che il concessionario svolga la propria attività in regime di esclusiva con l’autorità stessa. A tale requisito si aggiunge poi quello fondamentale della totale partecipazione da parte dell’ente locale al capitale della società. In conclusione, l’Ente dispone di tre possibili alternative: 1. Esternalizzare attraverso una SPA a intera sua partecipazione; 2. Gestione in economia dell’attività di servizio; 3. Esternalizzazione del servizio a società specializzate sul mercato. Il processo di esternalizzazione può essere inteso come un insieme articolato di procedure volte alla razionalizzazione del sistema dei servizi interni di un Ente locale. L’esigenza di esternalizzare la produzione/erogazione di un prodotto/servizio nasce da una pluralità di ragioni: 1. Esigenza di rendere più duttile l’operato dell’organizzazione della PA; 2. Esigenza di razionalizzazione produttiva, ma non necessariamente esclusive del settore pubblico ma anche comuni al mercato privato, facendo appello all’utilizzo di innovazione tecnologica. La PA deve valutare un insieme di elementi che condurranno ad una strategia di esternalizzazione quando: 1. Si otterranno benefici sia in termini di risparmio dei costi che nella qualità del servizio erogato; 2. Saranno state elaborate analisi comparate su realtà territoriali che hanno già effettuato processi di esternalizzazione per attività o servizi analoghi. I benefici dall’attuare tale strategia sono:      

Riduzione dei costi; Possibilità di focalizzare un maggior controllo sulle attività strategiche; Maggiore capacità di recepire innovazioni tecnologiche; Presenza di un contratto vincolante legato alle performance; Incremento della qualità del servizio; Maggior facilità di reperire risorse umane.

Procedura di evidenza pubblica L’affidamento di un servizio all’esterno da parte di un’impresa pubblica comporta l’attivazione di una procedura di evidenza pubblica; questa consta di quattro fasi: la fase preparatoria, quella conclusiva, la fase di approvazione e quella esecutiva. Durante la fase preparatoria l’Ente sceglie, attraverso analisi preliminari del mercato, il bene o il servizio che si intende aggiudicare e che possa rispondere all’esigenze dell’amministrazione stessa. In questa fase l’amministrazione acquisisce quegli elementi che in seguito verranno utilizzati per determinare le condizioni del contratto e si stabiliscono le esigenze oggettive che giustificano il ricorso all’attività negoziale. Poi, vengono scelte le modalità di selezione del soggetto contraente (asta pubblica, appalto, trattativa privata), indicando anche quali sono le ragioni per cui si è scelto quel tipo di modalità.

16 La fase conclusiva permette all’amministrazione di rivolgersi al mercato privato per realizzare un contratto alle condizioni più vantaggiose con il soggetto che offra le migliori garanzie. L’aggiudicazione avviene tramite le procedure tipiche degli appalti pubblici, ovvero attraverso:   

Procedura aperta: conferisce a tutti gli operatori privati la possibilità di presentare una propria offerta; Procedura ristretta: possono presentare un’offerta solo quegli operatori economici che sono stati invitati dall’Ente aggiudicatore; Procedura negoziata: le amministrazioni aggiudicatrici consultano gli operatori economici da loro scelti e negozino con uno o più di essi le condizioni dell’appalto.

La procedura di esternalizzazione non termina con l’affidamento dell’esecuzione del servizio: spetta all’amministrazione la valutazione della bontà e della rispondenza dei servizi ai termini stabiliti nel contratto d’affidamento. L’attività di monitoraggio riveste un’importante funzione e al suo fine la PA potrà avvalersi del supporto tecnicooperativo dell’erogatore. Attraverso il monitoraggio l’ente deve valutare non solo gli aspetti operativi del servizio, ma anche quelli finanziari, per avere analizzare le performance aziendali in termini di redditività, crescita del fatturato e valore del capitale economico. A seguito di tale monitoraggio si ottengono informazioni riguardo all’impatto sul bilancio comunale del costo del servizio, info riguardo la capacità del gestore di fronteggiare le strategie richieste dal comune, di mantenere la giusta redditività in modo da non condurre l’attività aziendale verso punti di rottura con riflessi negativi sull’erogazione del servizio. Inoltre, per misurare la performance del servizio, l’ente locale può monitorare altri spetti, quali la misurazione dell’impatto del servizio sull’ambente o gli eventuali programmi del gestore rispetto alla realizzazione di nuove attività. Contratto di servizio È il contratto mediante il quale un Ente pubblico affida ad un erogatore (soggetto gestore) lo svolgimento di determinati servizi pubblici, come, in alcuni casi, il trasferimento di pubbliche funzioni, nonché di beni pubblici strumentali allo svolgimento del servizio affidato. È un negozio giuridico rientranti nell’ambito dei contratti conclusi dalla PA, disciplinato dalle norme del Codice Civile in materia contrattuale. Le parti che concludono il contratto sono quindi individuate a un lato nell’Amministrazione Pubblica (affidante) e dall’altro nel soggetto gestore del servizio affidato (affidatario). COOPERATIVE Alla base della cooperazione c’è la comune volontà dei suoi membri di tutelare i propri interessi di consumatori, lavoratori, operatori culturali o altro. La funzione sociale della cooperazione è riconosciuta dall’art. 45 della Carta Costituzionale Italiana in relazione al suo carattere mutualistico e all’assenza di finalità speculative. Il concetto di mutualità è la caratteristica principale di un’impresa cooperativa: le società cooperative sono imprese che non hanno scopo di lucro, nel senso che i membri che aderiscono ad essa non perseguono fini speculativi, ma hanno lo scopo di servire beni, servizi, occasioni di lavoro a se stessi e ai loro famigliare, nel tentativo di evitare eventuali speculazioni di mercato. Gli ambiti nei quali opera una cooperative sono

17 ampi, ricordiamo infatti le cooperative di consumo, agricole e della pesca, di credito, edilizie, di trasporto, editoriali e sociali.

La gestione d’impresa – M. Scicutella Capitolo 1:

MODELLI D’ IMPRESA

L’attività economica consiste nella produzione e scambio di beni economici per il soddisfacimento di bisogni individuali e collettivi. Si definisce azienda quella organizzazione di uomini e mezzi finalizzata alla soddisfazione di bisogni umani attraverso la produzione, la distribuzione e il consumo di beni economici (Zappa). L’impresa rappresenta quella azienda la cui produzione è destinata prevalentemente al mercato, cioè ad essere ceduta a terzi attraverso un atto di scambio. Essa si caratterizza per una finalità economica: la produzione di profitto; proprio lo scambio al fine del reddito rappresenta l’aspetto qualificante del concetto di impresa. L’impresa è definita come un sistema: -

Economico: finalizzato a soddisfare i bisogni tramite l’impiego di risorse limitate; Aperto: perché in costante rapporto con l’esterno; Dinamico: in quanto il suo equilibrio è in evoluzione con i mutamenti del contesto competitivo: Vitale: capace di autoregolarsi al fine della sopravvivenza.

La caratteristica di sistema “aperto” consente all’impresa di configurarsi secondo molteplici assetti istituzionali, ciascuno dei quali va a contraddistinguersi per uno specifico sistema di corporate governance. Con la locuzione corporate governance si suole fare riferimento a tutte le norme che, condizionando la struttura e la dinamica di un’impresa e ponendola in grado (successo) o non in grado (insuccesso) di conseguire le condizioni di equilibrio, caratterizzano un particolare assetto istituzionale aziendale, ovvero un specifico modello d’impresa. Possiamo distinguere tre modelli di struttura proprietaria cui sono collegati i principali modelli d’impresa sviluppatisi in ambito economico: 1. Modello a struttura proprietaria chiusa (padronale o familiare): si caratterizza per la concentrazione della proprietà e il controllo in poche mani, spesso del suo realizzatore o della sua famiglia, tale forma proprietaria dà vita ad entità di piccole-medie dimensioni governate direttamente da parte della proprietà, ciò è frutto di una scarsa diffusione del capitale in borsa; 2. Modello a struttura proprietaria ristretta: la compagine azionaria è articolata e mutevole, ma si caratterizza per una certa stabilità nel tempo; il capitale è detenuto da un nucleo ristretto di azionisti di riferimento (nòcciolo duro) ed in parte è diffuso sul mercato fra un ampio numero di piccoli azionisti; da cui le medio-grandi dimensioni delle imprese risultanti; 3. Modello a struttura proprietaria diffusa: l’azionista non si identifica nell’impresa, la quale è concepita come semplice opportunità di investimento; la proprietà è divisa fra una pluralità di azionisti, nessuno dei quali con quote significative da consentire posizioni di controllo; da qui ne derivano imprese dalle grandi dimensioni, con il requisito fondamentale di essere quotate in Borsa.

18 Il modello anglosassone È fondato sul liberismo e sulle grandi dimensioni, deriva dalle “corporation” e dalle “public companies” delle grandi società per azioni statunitensi. È tipo monistico, in quanto la governance è attribuita a soggetti diversi ma appartenenti ad uno stesso organo eletto dall’assemblea: vi è un solo livello di nomina poiché l’assemblea dei soci (livello volitivo) nomina il Consiglio di Amministrazione (CdA). Il CdA o board of directors rappresenta l’organo fondamentale per il funzionamento dell’azienda e comprende due tipologie di membri: 1. Esecutivi (inside directors): assolvono alle funzioni manageriali e tra essi è nominato il CEO (Chief Executive Officer), che è l’equivalente dell’Amministratore Delegato; 2. Non esecutivi (outsidedirectors): hanno il potere di controllo sull’amministrazione nell’interesse degli stakeholder esterni. Caratteristiche di questo modello sono la polverizzazione del capitale, poiché è diviso fra un numero elevatissimo di azionisti nessuno dei quali detiene una posizione di controllo, l’altissima velocità di rotazione delle azioni e la proprietà e il controllo separate. Il modello di governance anglosassone è stato sottoposto a numerose critiche, come ad esempio per l’eccessiva esposizione agli attacchi dei raiders, i quali procedevano acquistando un gran numero di azioni tanto da ottenere il controllo della societa (15-20%) per poi liquidare le attività aziendali al termine dell’assalto; le scalate sono state spesso risolte tramite il “leveraged buy-out” (L.B.O.), che implica la necessità di dismissioni di rami aziendali a scalata ultimata per ripagare, almeno in parte, i debiti contratti. Un’altra critica mossa nei confronti di tale tipo di modello è la divergenza degli obiettivi fra gli azionisti e il manager: quest’ultimo ha obiettivi a breve, o brevissimo, termine mentre gli azionisti hanno obiettivi a medio-lungo termine; per “avvicinare” il manager agli obiettivi degli azionisti si suole corrispondere azioni della società allo stesso per cointeressarlo alle sorti della società. Vantaggi di tale modello sono, invece, la possibilità di fare affidamento su un management qualificato, il basso costo del capitale grazie alla possibilità degli investitori di diversificare i propri investimenti.Un ulteriore aspetto di tale modello d’impresa è il ritorno degli investimenti in tempi brevi (massimo 1 anno), da notare come infatti l’amministratore delegato resta in carica per 1 anno. Il modello renano È di origine giapponese, con qualche affinità con quello tedesco, caratterizzato dall’intervento della banca nel capitale la quale rappresenta il nòcciolo della compagine azionaria. Banche e lavoratori costituiscono il fulcro del modello renano. I lavoratori quindi rappresentano un pilastro fondamentale del modello tedesco, esistono infatti dei sindacati a livello nazionale capaci di esercitare una modesta influenza nelle scelte di politica economica. A livello aziendale poi esistono i “consigli dei lavoratori, i cui membri sono eletti dalla forza lavoro. Le caratteristiche peculiari del modello tedesco sono: 1. Forte potere del sistema bancario; 2. Marcato orientamento dell’economia alla questione sociale. Il secondo Paese all’interno del quale si è sviluppato conseguentemente il modello renano è il Giappone. Il tessuto di imprese giapponese è costituito dai Keiretsu, ovvero dei network di imprese legate tra loro da vincoli di partecipazionereciproci (20-30% del capitale sottoscritto da ogni impresa-membro, suddiviso tra altre imprese collegate, tra cui una banca e una trading company) e dalla consapevolezza di costituire una

19 realtà economica e sociale unitaria; all’interno del gruppo c’è la presenza di una banca di riferimento (anche se è rimasto il vincolo della massima partecipazione del 5%). Tale modello quindi è caratterizzato dall’unione tra proprietà e controllo, a differenza del modello anglosassone, un ritorno degli investimenti in tempi medi (5 anni) o lunghi (10 anni). Non esistono “raiders” poiché i proprietari detengono la maggioranza delle azioni. Il modello italiano Tale modello si caratterizza per la presenza di un azionista di controllo, i forti legami fra le imprese e uno scarso ruolo del mercato dei capitali. L’esperienza italiana si connota per la presenza di tre tipi di imprese: 1. Le PMI, ovvero le piccole e medie imprese, in cui la crescita dimensionale incontra il limite del controllo familiare e delle relative risorse; proprio questo costituisce un grande limite alla crescita di queste imprese e una soluzione potrebbe essere il coordinamento e la concentrazione delle stesse. È frequente quindi il ricorso ai consorzi di imprese, i quali consentono di mantenere la propria individualità ed autonomia, ma allo stesso tempo permette di unire le forze per diminuire i costi in fase di approvvigionamento e produzione; 2. Modello cooperativo, realizzato da un gruppo di soggetti che costituiscono e gestiscono in comune un’impresa che si prefigge lo scopo di fornire ai soci quei beni o servizi per il conseguimento dei quali essi stessi soci si sono riuniti in società; la mutualità è l’elemento caratterizzante di una società cooperativa; 3. Società a controllo pubblico, sviluppatasi per la crisi delle grandi imprese nel periodo fra le due guerre mondiali (anni ‘50-‘60); infatti, la società pubblica ha avuto un’importante funzione, cioè quella di garantire una copertura capillare del territorio e la massima diffusione dei servizi pubblici. L’esperienza dello Stato-imprenditore ha subito notevoli cambiamenti dalla metà degli anni ’70 fino agli anni ’90: il prevalere di logiche gestionali di tipo burocraticoamministrativo sugli aspetti di economicità ed efficienza, l’inevitabile “politicizzazione” della gestione, l’assenza di stimoli esterni dovuti alla condizione di monopolio ha portato le imprese pubbliche ad una posizione di inadeguatezza, specie in termini di efficienza. A partire dagli anni ’80, tale situazione ha portato il governo ad attivare alcuni interventi di smobilizzo, cioè di vendita a privati di società in mano pubblica. Con la riforma del diritto societario del 2003, sono stati delineati tre modelli di governo societario: 1. Modello tradizionale:identifica la cosiddetta norma di default cioè quella da applicare se lo statuto non dispone diversamente; si basa sulla distinzione di un organo di gestione (amministratore unico o consiglio di gestione, che definisce la mission e la strategia aziendale) e un organo di controllo (collegio sindacale); 2. Modello dualistico: mutuato dal modello renano, il controllo contabile è affidato ad una società di revisione, ma rispetto al sistema ordinario non è previsto il collegio sindacale, essendo le sue funzioni affidate ad un organo intermedio fra proprietà e management (consiglio di sorveglianza); 3. Modello monistico: mutuato dal modello anglosassone, si caratterizza per la concentrazione all’interno di un unico organo (consiglio di amministrazione) sia dell’amministrazione, sia del controllo (comitato per il controllo sulla gestione).

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Capitolo 2:

STRATEGIA AZIENDALE

Una strategia è l’insieme di decisioni razionali e coerenti con gli obiettivi di lungo periodo dell’impresa che permette di avere una visione globale e di individuare l’ambiente nel quale opera un’impresa. Ogni strategia in un’impresa serve a produrre valore, infatti la strategia sarà vincente solo in questo caso. Essa èun legame tra le opportunità che l’impresa percepisce dall’ambiente esterno e quelle derivanti dalle risorse di cui l’impresa dispone. Possiamo distinguere tre livelli di strategia in base all’ambito nel quale opera l’azienda: 





Strategia corporate (o di gruppo): può essere definita come la strategia generale dell’impresa, la quale serve a definire nel complesso l’indirizzo che essa deve seguire; in un’ottica moderna, le azienda sono suddivise in SBU, ovvero Strategic Business Unit, o in italiano ASA Aree Strategiche d’Affari e quindi la strategia corporate serve a coordinare anche le singole strategie delle SBU. Inoltre a tale livello si può imputare la scelta della strategia nei confronti dei soggetti esterni all’impresa ma interessati alla stessa, quali stakeholder. Strategia business (d’affari): si intendono le scelte che un’impresa fa all’interno del proprio mercato nei confronti dei concorrenti, decidendo come competere in una specifica ASA per conquistare il vantaggio competitivo. Talvolta strategia corporate e business possono essere confliggenti. Strategia funzionale: opera all’interno delle singole aree funzionali, ad esempio area logistica, marketing, ricerca e sviluppo o finanza. Di frequente tale strategie confliggono fra loro e il successo di un’impresa sta proprio nel trovare una strategia che massimizzi le singole strategie delle varie aree funzionali.

TIPI DI STRATEGIA Esistono diversi strumenti strategici da poter applicare al fine di conseguire il successo sul mercato, ossia: 

Tecnologia L’innesto di tecnologia può rivelarsi un’arma strategica vincente, ma la difficoltà di un’impresa sta nello scegliere dove innestare tale tecnologia, all’interno di quale area funzionale. A titolo esemplificativo immaginiamo un’impresa che vuole aumentare il volume di vendite e quindi investe nell’area marketing che assolverà alla sua funzione di aumentare le vendite del prodotto; ma se non si coordina adeguatamente anche l’area logistica o quella della produzione l’investimento in tecnologia per il marketing sarà stato inutile perché gli impianti non sono preparati per produrre un volume di vendite maggiore, oppure la logistica non ha preparato un piano per lo stoccaggio o il trasporto di un numero maggiore di unità.



Ristrutturazione e riconversione: turnaround Il turnaroundè quel processo sistematico di cambiamento “forte” che può portare al risanamento o al rilancio delle imprese in declino o in crisi. In particolare si parla di riconversione quando si vuole cambiare l’oggetto dell’attività di impresa per modificare il prodotto, che può essere simile o completamente diverso a quello precedente; si parla invece di ristrutturazione quando si vogliono adeguare gli impianti a situazioni nuove di mercato e può essere considerata come una via di mezzo fra la riconversione e la produzione

21 multipla, che è il riattrezzamento dell’impianto per la produzione di più prodotti. Talvolta, per il ringiovanimento di imprese mature in crisi si ricorre a diversi espedienti utili per tal fine, che coinvolgono i vari soggetti dell’impresa (dipendenti, management, fornitori): creare un team fidato per rimuovere frustrazioni e demoralizzazioni, eliminare attività e controllo superflui, costruire nuove conoscenze e capacità e man mano che l’azienda acquista forza competitiva cercare di mantenere i vantaggi acquisiti diffondendo uno spirito imprenditoriale. 

Esternalizzazione/ outsourcing Indica il trasferimento all’esterno dell’impresa di alcune attività che risultano sconvenienti in termini di costi all’impresa. Tale fenomeno ha iniziato la sua diffusione non molto tempo fa, quando paesi come la Cina e l’India hanno messo in crisi rispettivamente il settore TAC (tessile-abbigliamento-calzature) e quello dei software. Solitamente le aree nelle quali si attua l’outsourcing sono quelle nelle quali le competenze interne e le possibilità di crescita sono limitate.



Decentramento produttivo Talvolta le grandi o grandissime dimensioni delle fabbriche hanno ridotto o annullato i benefici di efficienza produttiva e hanno condotto ad una considerazione più ampia delle economie di scala. Tale situazione ha portato a decentrare alcune fasi o linee della produzione in più stabilimenti della stessa impresa o ad affidare vere e proprie fasi della lavorazione ad imprese esterne, in genere di modeste dimensioni. Quindi, in virtù di tale tipo di strategia, le fasi della produzione che richiedono un notevole contributo in termini di costo vengono trasferite dove sono a più buon mercato. Il tessuto industriale italiano è costituito da imprese di piccole e medie dimensioni che operano in un ambito di decentramento produttivo. Il decentramento produttivo talvolta è spinto dalla variabilità ed instabilità di mercato poiché riduce in rischi: trasforma i costi fissi di struttura (make) in costi variabili di acquisto dall’esterno (buy).



Reti d’impresa Una rete d’impresa è un’associazione fra imprese appartenenti alla stessa categoria merceologica che si affiliano per godere vicendevolmente del knowhow che possiedono; è una strategia nuovissima, in alternativa alla fusion per quelle imprese che vogliono aumentare il loro potere. Distinguiamo: o Imprese a rete naturale: caratterizzate dall’assenza di identità giuridica e struttura gerarchica, ma con una notevole flessibilità che le permette di assumere varie strategie efficienti per l’intero sistema; o Imprese a rete governata: le connessioni fra gli interlocutori e la struttura gerarchica vengono disciplinate a priori, ciò determina una rete non sempre capace di fronteggiare rischi imprevisti. Dal punto di vista giuridico distinguiamo in: o

o

Reti proprietarie: il collegamento fra le imprese è determinato dal possesso di azioni; appartengono a questa categoria le holding e le joint venture. Reti non proprietarie: il collegamento fra le imprese avviene tramite accordi di natura contrattuale o informale; appartengono a tale categoria i consorzi o i franchising.

22 A seconda del grado di coesione strategica abbiamo: o o o

Reti divergenti: la rete persegue un obiettivo di breve periodo, questo è il caso delle reti di sub-fornitura; Reti a condizionamento reciproco: le imprese del network si considerano reciprocamente determinanti per le strategie di ciascuna di esse; Reti convergenti: le imprese considerano il network la migliore soluzione organizzativa per realizzare un comune piano strategico.

A seconda del grado di integrazione tecnico-economico si ha: o o

Reti complementari:vi sono dei vincoli sul piano produttivo fra le imprese della rete; Reti indipendenti: l’appartenenza al network prescinde dai processi produttivi, ma è motivata dalla presenza di comuni obiettivi.



Marketing Oltre ad essere un’area funzionale dell’azienda può essere definito come una disciplina che studia la pianificazione, le realizzazione e il controllo di attività riguardanti lo scambio di beni e servizi, avvalendosi dei nuovi sistemi informatici e telematici con un’attenta analisi delle indagini di mercato grazie alle quali realizzare e vendere prodotti personalizzati: le informazioni provenienti dai database consentono di identificare meglio le tipologie di acquirenti in modo da offrire beni e servizi più rispondenti alle loro esigenze.A tal proposito è stato elaborato intorno agli anni ’60 il CustomerRelationship Management (CRM), che nasce dalla concezione che mantenere relazioni commerciali con gli attuali clienti costa meno che acquisirne nuovi. Il CRM può essere definito come l’insieme delle tecniche e degli strumenti organizzati in modo da consentire all’azienda di perseguire e raggiungere la soddisfazione del cliente e di conseguenza la sua fidelizzazione.Esso nasce con l’intento di studiare le esigenze, prevede le necessità e mantiene viva nel cliente l’attenzione per l’azienda. Distinguiamo: -CRM operativo: comprende soluzioni tecnologiche per automatizzare i processi di business che prevedono il contatto diretto con il cliente (chat line, forum); -CRM analitico: comprende procedure per migliorare la conoscenza del cliente, estraendo dati dal Crm operativo e analizzandoli; -CRM collaborativo: metodologie integrate con gli strumenti di comunicazione per gestire un contatto con il cliente (telefono, fax, e-mail). Il CRM è articolato in 3 fasi principali: creazione della relazione, riducendo i costi di acquisizione del cliente mediante l’ottimizzazione della propria offerta; sviluppo della relazione, individuando ed eliminando eventuali insoddisfazioni del cliente; mantenimento della relazione.



Learning Organization (organizzazione di apprendimento) È un modello di produzione antropocentrica, nella quale la nuova tecnologia, flessibile, si adatta al lavoratore e all’organizzazione; si contrappone all’automazione rigida, nella quale è la macchina che scandisce ritmi e metodi di lavorazione e che è stata caratterizzante del taylorismo. Grazie all’introduzione dei robot sono state eliminate sia mansioni gravose, pericolose e ripetitive, sia mansioni qualificate (esempio i sistemi CAD); le nuove tecnologie in campo produttivo hanno causato un graduale processo di

23 espulsione della componente lavoro dalle fabbriche che ha generato una riduzione del numero degli addetti e una modifica del contenuto professionale delle mansioni degli stessi. La difficoltà consiste nel gestire la fase di transizione; di norma, si assiste ad una minore gerarchizzazione di compiti e una riduzione delle qualifiche, con un allargamento e arricchimento delle mansioni: esempio nelle celle di produzione viene richiesta anche una conoscenza dell’elettronica per intervenire direttamente sulla programmazione e manutenzione dell’utensile. Di conseguenza è sorta l’esigenza e la ricerca della figura del “knowledgeworker”, dotato di “polifunzionalità” ossia di abilità in più di una azione, capacità di apprendimento, senso di responsabilità, capacità decisionale. Una tale riorganizzazione comporta costi per l’addestramento e la qualifica del personale con rischi e difficoltà per combinare l’introduzione delle nuove tecnologie con l’organizzazione del lavoro in una forma più articolata.

Capitolo 6:

I PROCESSI PRODUTTIVI

L’utilizzo delle tecnologie informatiche ha consentito di conseguire elevati livelli di flessibilità nella programmazione della produzione: esse (tecnologie informatiche) vengono considerate un fattore chiave perché hanno reso possibile il coordinamento di obiettivi considerati da sempre contrastanti, quali la flessibilità ed economie di scala, bassi costi ed alta qualità. La tecnologia informatica è caratterizzata da costi d’acquisto relativamente bassi e in continua diminuzione; a questo fattore si è aggiunto anche lo sviluppo delle telecomunicazioni, che ha permesso lo scambio in rete ed in tempo reale delle informazioni sia coni fornitori che con i clienti. Le tipologie di sistemi produttivi possono essere ricondotti a quattro fattispecie significative: -

Produzioni Produzioni Produzioni Produzioni

di processo o processi continui; in linea a cadenza fissa o non-fissa; a lotti (a cella); job-shop.

Processi produttivi continui Chiamati anche “a ciclo obbligato”, sono tipici delle industrie di base (chimica, petrolchimica, siderurgica, elettrica, cementiera) e sono caratterizzati dalla continua conversione fisico-chimica di unità non discrete. Il processo di trasformazione da input ad output avviene in maniera continua.Si connotano per alti volumi produttivi di beni standardizzati per il magazzino, e quindi su previsione, ma talvolta si tende a ridurre i rischi della produzione su previsione con l’acquisizione di commesse e ordini in tempo pressoché reale grazie ai sistemi teleinformatici. Essendo caratterizzate da alti volumi produttivi e standardizzazione tale tipo di produzione conduce spesso ad economie di scala. L’introduzione delle IT ha permesso un miglioramento dell’utilizzo di materie ed energia, attraverso il collegamento, ad esempio, del controllo dei vari impianti con l’operatore all’interfaccia-video così da segnalare in tempo reali eventuali deviazioni di rendimento, ciò ha consentito quindi di migliorare gli standard qualitativi e l’impatto ambientale. Inoltre, date tutte le caratteristiche di questo tipo di produzione, tali processi sono stati considerati make to stock (per il magazzino) per la difficoltà di effettuare lavorazioni in base agli ordini in arrivo dalla clientela.

24 Processi produttivi intermittenti Tipici dell’attività manifatturiera nella quale, essendoci l’attività di montaggio, vi sono punti di discontinuità o intermittenza nella produzione. Si producono più beni derivanti da un’unica materia prima. Le fasi di tali processi sono meno interconnesse e gli impianti meno dedicati e più universali; distinguiamo: -

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Produzione ripetitiva (in serie), di unità discrete con ridotta varietà ed elevati volumi, con macchine organizzate in linea e stazioni di lavoro fisse (es. elettrodomestici, automobili); Produzione a flusso lineare su linee spezzate, cioè con accumulo di scorte fra le varie fasi; Produzione per reparti con impianti multiciclo (articoli speciali, spesso su specifiche del cliente); Produzione a lotti, con impianti uniciclo e difficilmente automatizzabili in modo integrale; Impianti misti.

Alla luce delle differenti tipologie di processi produttivi attualmente adottate si riportano le alternative di processo in relazione alla strategia di risposta alla domanda, l’impresa può attuare una produzione: 



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Engineer to order, progetta e produce un bene a fronte di uno specifico ordine, includendo personalizzazioni che richiedono la riprogettazione completa o parziale; Make to order, prodotti a catalogo costruiti su ordine, la cui progettazione e acquisti sono eseguiti su previsione ma fabbricazione e montaggio su ordinazione; Purchase to order, vi è quando anche gli acquisti sono eseguiti su ordinazione: Assemble to order, prodotti a catalogo assemblati su ordine ma acquisti progettazione e fabbricazione sono eseguiti su previsione; Make to stock, prodotti a catalogo su previsione o con produzione a magazzino.

In relazione alla strategia di realizzazione del volume produttivo, identifichiamo tre modalità di realizzazione:   

A prodotto singolo, caratterizzato da scarsa o nulla ripetitività; A lotti, caratterizzati da una produzione di quantità predeterminate di prodotti; A flusso, con assoluta ripetitività delle operazione e continuità nel flusso.

Negli ultimi anni si è assistito ad un cambiamento nella produzione del prodotto: si passa dalla produzione del prodotto “completo” all’assemblaggio dei singoli moduli che lo compongono. L’approccio modulare è conveniente perché permette di affidare in outsourcing la progettazione di alcune componenti di prodotto, agevolando l’attività di coordinamento del produttore; verrà, inoltre, ridotto il time to market poiché l’indipendenza dei vari moduli permette ai vari produttori di lavorare in parallelo ed in autonomia.

Produzioni job-shop

25 Operano in genere su commessa realizzando o esemplari unici (commessa singola) o un numero limitato di unità (commessa ripetitiva) conformi a specifiche concordate con il cliente. L’acquisizione dell’ordine è di solito preceduta dalla formulazione di un’offerta di prezzo al cliente, poi si procede a valutazioni tecniche di fattibilità dell’ordine in base a stime di costo. Nelle produzioni su commessa la realizzazione delle attività produttive in genere avviene dopo l’acquisizione dell’ordine dal cliente, così come l’acquisto dei materiali e la progettazione; ciò spinge le imprese che adottano una produzione job-shop a dotarsi di attrezzature e macchinari con capacità generiche. Tali tipi di produzione sono caratterizzate da elevati gradi di flessibilità ed elasticità produttiva. Produzione a celle Trova origine verso la metà degli anni Settanta dello scorso secolo quando, perdendo colpi il fordismo, la casa automobilistica svedese Volvo provò a realizzare a Goteborg un impianto nel quale le auto venivano costruite con il sistema delle isole. Ma tale tipo di produzione fu subito messa in ombra dalla diffusione della tecnica just-in-time, che diede i natali al cosiddetto toyotismo. In sostanza, ad ogni singolo operaio viene consegnato un kit di montaggio che contiene le componenti per assemblare esclusivamente un dato articolo: ciò si traduce in un controllo della qualità in tempo reale, poiché ogni kit contiene solo i pezzi per quella unità. In questo tipo di produzione non è necessario armonizzare i tempi delle diverse operazioni ed inoltre si registra una maggiore soddisfazione degli addetti che lavorano con il proprio ritmo e non con quello scandito dalla macchina. La produzione può avvenire su ordine acquisito o su previsione della domanda. Mutamento del “paradigma tecnologico” Con l’introduzione delle IT si è posto il problema di ottenere la flessibilità che prima era tipicamente assicurata dalla forza lavoro. Nella prima fase delle meccanizzazione, basata sull’introduzione di macchine che sfruttavano una nuova fonte di energia quale il vapore, prevale il mercato e quindi lo studio sulla formazione dei prezzi, con standardizzazione anche nell’organizzazione della fabbrica; è la fase del capitalismo concorrenziale. Nella seconda fase, con l’applicazione di importanti scoperte scientifiche quali l’elettricità o il petrolio, la meccanizzazione si evolve con un sistema di macchine interconnesse e si diffonde la produzione di massa anche di beni più complessi; è la fase del capitalismo manageriale, nella quale si è alla ricerca di dimensioni più ampie ed esigenze di pianificazione e coordinamento. Nella fase attuale si sviluppano le reti fra imprese, per recuperare la perduta flessibilità causata dall’introduzione delle IT, le quali modificano il modo di produrre; è la fase del capitalismo evolutivo (o del fordismo, o del taylorsimo), nella quale anche le strutture organizzative assumono connotazioni meno rigide. “JUST IN TIME” E PRODUZIONE “SNELLA” Il concetto di “produzione snella” presuppone due aspetti fondamentali legati ai processi produttivi:  Linea di produzione sgombra da ostacoli  Flessibilità della linea di produzione (VEDI IMMAGINE 2) Il just in time nasce in Giappone, fu adottato inizialmente nell’industria navale su commessa e poi fu perfezionata dalla fabbrica automobilistica giapponese Toyota, si fonda molto sul fattore tempo, si basa sulla produzione e consegna di beni, nonché loro sottogruppi quali parti, componenti e materiali, nel momento opportuno, “quando

26 servono” secondo le esigenze di una domanda tendenzialmente stabile, in modo da semplificare la gestione riducendo le scorte nelle varie fasi di lavorazione. Ciò si realizza configurando gli impianti con macchine multifunzione disposte in linea così da considerare come un flusso la produzione. I ridotti tempi e costi di conversione delle macchine consentono di far passare modelli differenziati sulla linea di montaggio, cadenzandoli sulle richieste della domanda: ciò abbrevia i tempi di consegna e non crea “stocks”. Si riducono inoltre gli spazi interni da percorrere e si velocizzano i trasporti e le movimentazioni, realizzando il modello della “lean production”, della produzione snella, così definita per differenziarla da quella di massa. Il volume della produzione viene tenuto costante dalle politiche aggressive di prezzi nei periodi di stanca, vi è un forte coinvolgimento dei lavoratori e soprattutto dei fornitori che devono assicurare il livellamento della produzione e la lavorazione in assenza di scorte; proprio il rapporto con i fornitori viene rafforzato, riducendone il numero ma stringendo un forte legame con i rimanenti, poiché il processo globale di fabbricazione deve essere in grado di apportare in tempo reale modifiche dovute alla variazione di domanda al fine di tenere sempre alta la produttività (il produttore finale in alcuni casi può assumere una partecipazione azionaria o acquisire il controllo dei fornitori) Il fermo della linea, ottenuto da dispositivi automatici, provoca l’immediato esame del pezzo o materiale difettoso per cui sirisale subito al guasto della macchina (che sia l’errore di un operaio o un ritardo di consegna del fornitore) in modo da rimuovere la causa all’istante e riprendere il flusso con una qualità totale assicurata. Ecco perché si abbina il just in time con il concetto di “totalquality control” o “zero difetti”. Per evitare tali inconvenienti è importante che si proceda con un’accurata manutenzione preventiva e ad un non eccessivo sfruttamento dell’impianto. Inoltre nell’ottica della lean production la formazione di scorte è attribuibile a guasti o difetti, dando un valore segnaletico di disfunzioni o malfunzionamenti. (CONCLUSIONE SULLE IMMAGINI 4-5) World class manufacturing (WCM) La sigla WCM comprende l’aggregazione di imprese anche appartenenti a diversi settori, ma tutte alla ricerca di livelli di eccellenza nel manufacturing, sia una filosofia, e quindi metodologia, operativa di organizzazione e di miglioramento continuo delle prestazioni della fabbrica. Si tratta di un sistema di produzione che riguarda l’organizzazione della fabbrica nel suo complesso ed interessa la qualità, la gestione dei costi e della logistica. Si basa sull’eliminazione di ogni perdita e spreco ed esige quindi il coinvolgimento di tutti, attraverso l’uso di metodi e standard. Il WCM ha come obiettivo il raggiungimento dei “quattro zeri” (zero difetti, zero guasti, zero giacenza e zero rimanenze). Uno degli strumenti più efficienti per il WCM è il coinvolgimento dei lavoratori ai quali sono richiesti i suggerimenti migliorativi da applicare.

Capitolo 9:

LA LOGISTICA AZIENDALE

La funzione della logistica consiste nel coordinare e convogliare il flusso fisico in ingresso delle risorse e quello in uscita dei beni e servizi, ovvero si pone lo scopo di programmare organizzare e controllare tutte le attività di movimentazione ed immagazzinamento. Tali flussi non sono continui, bensì sono scomposti in lotti (di approvvigionamento, di produzione, di stoccaggio, di trasporto) e vanno dimensionati e organizzati in relazione alle capacità esistenti con l’obiettivo del minimo costo globale. In base a ciò di cui si occupa distinguiamo:

27 



Materials Management (direzione dei materiali), altresì chiamata logistica in entrata o marketing d’acquisto, che si occupa delle materie, componenti e parti e del loro flusso di approvvigionamento nell’impresa sino alla loro trasformazione in beni finiti tramite il processo produttivo; Logistica in uscita, o distribuzione fisica, che si assume il carico dei prodotti finiti appena disponibili e ha la responsabilità della loro movimentazione e stoccaggio fino al soddisfacente collocamento sul mercato. La logistica di marketing abbraccia un campo più ampio, interessandosi anche la scelta dei canali istituzionali di distribuzione per i prodotti aziendali

La logistica ha avuto un tardivo riconoscimento della sua importanza nella gestione aziendale, soprattutto perché essa si occupa di attività operative attuate in aree distinte (approvvigionamento, distribuzione) che solo la visione sistemica dell’approccio manageriale ha consentito di delineare un quadro generale ed unificante. La logistica permette una sorta di razionalizzazione delle attività operative poiché si occupa della gestione più efficiente delle scorte, della dislocazione dei punti di stoccaggio, della scelta del tipo di trasporto più efficiente, tutte cose che assicurano un livello di servizio più efficiente anche in termini di costi. L’importanza della logistica nel contesto aziendale è stata sottolineata dal Porter, che mise in evidenza la funzione della stessa all’interno della catena del valore. Dalla figura emerge che il valore del prodotto è determinato dalla somma delle attività logistiche, operative, di produzione vera e propria, che identificano il flusso “materiale” della trasformazione, con quelle di marketing e dei servizi di assistenza necessari. Il margine, costituito dalla differenza fra il valore di vendita e il costo sostenuto per effettuare sia le attività primarie che quelle di supporto, ci dà una misura della competitività dell’azienda.

Se si considera l’intero ciclo produttivo si genera quello che Porter definisce il “sistema del valore” la cui entità è in funzione dell’efficienza di ciascun partner. Esso costituisce uno strumento di valutazione efficace, da utilizzare in maniera dinamica per il confronto nel tempo e nello spazio dei differenziali competitivi.

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La struttura organizzativa della logistica Per quanto riguarda la struttura organizzativa della logistica, specie nelle aziende di maggiori dimensione, si può vedere alla testa (on-line) un dirigente, inserito o nel servizio della Logistica Generale o Direzione dei Materiali o di Marketing, che coordina l’attività degli addetti ai trasporti, ai magazzini, all’elaborazione degli ordini e all’analisi dei costi. A questa organizzazione si possono affiancare delle funzioni “di staff”, che possono riguardare le aree quali la programmazione della dislocazione interna di un deposito, sviluppo dei metodi di controllo delle scorte, ecc. Una tendenza crescente è quella di affidare in outsourcing anche la gestione dei trasporti e del magazzinaggio, data la complessità dell’attività e la professionalità richiesta. Il responsabile della logistica, nell’ambito aziendale deve essere collocato ad un livello elevato, al pari dei dirigenti di marketing, della produzione o del settore finanziario. L’orientamento al problema logistico è diverso da settore a settore: è più sentito nella sua globalità per quelle aziende focalizzate sul fattore tempo, ad esempio per quelle che si occupano di tecnologie o che hanno a che fare con il frequente lancio di nuovi prodotti.

Capitolo 10:

LA GESTIONE DEI MATERIALI

Gli approvvigionamenti costituiscono l’anello iniziale del processo logistico e coprono l’area dei costi normalmente più ampia nell’azienda. Si definisce funzione acquisti (o approvvigionamenti) quell’area dell’organizzazione d’imprese che ha la responsabilità di gestire il processo d’acquisto, che di solito comprende 6 fasi, finalizzate a garantire un regolare flusso di materiali e servizi: 1. Determinazione delle specifiche dei beni e servizi da acquistare, in termini di qualità e quantità; 2. Identificazione dei fornitori più adatti; 3. Preparazione e conduzione di trattative con il fornitore al fine di stabilire un accordo e stilare un contratto; 4. Emissione dell’ordine al fornitore selezionato e gestione degli ordini d’acquisto; 5. Monitoraggio e controllo del fornitore affinché garantisca una performance conforme a quanto previsto dalla conferma d’ordine; 6. Follow-up e valutazione, tramite reclami, ranking e aggiornamento degli archivi prodotti/fornitori. Negli ultimi anni si è diffuso il concetto di Supply Chain Management (SCM), ovvero la gestione integrata di una serie di funzioni quali la gestione dei fornitori, degli approvvigionamenti, della produzione, delle operazioni di magazzinaggio e di trasporto. Il passaggio dalla logistica alla SCM è avvenuto nel momento in cui la logistica ha avvertito che è utile uscire dai confini aziendali, dal produttore al

29 consumatore, che comprende una serie di attività rese efficienti singolarmente, ma che adesso necessitano di una gestione come fosse di un unico proprietario. Così diviene importante il rapporto tra fornitori e azienda, rendendolo meno distaccato, a favore di un coinvolgimento totale. A tal riguardo si parla di “supplychain” per indicare la migliore ed efficiente gestione dei rapporti con gli attori della catena. La politica del prodotto comprende tutte le decisioni relative ai materiali approvvigionati, definiti secondo il grado di reperibilità nel mercato, sulla loro sostituibilità o standardizzazione e sulla possibilità di miglioramento del rapporto prezzo-performance. Le politiche di prodotto sono legate all’analisi del portafoglio materiali, nel quale i materiali sono classificati in base alla maggiore o minore criticità economica (importanza strategica) e alla difficoltà di approvvigionamento. Ciò che rende la funzione approvvigionamenti strategica, secondo Kralijc, dipende da due fattori:  

La rilevanza degli acquisti, o la loro importanza strategica, in termini di impatto sulla redditività, ovvero in termini di valore aggiunto per la linea di prodotto; La complessità del mercato di approvvigionamento, evidenziata dalla possibile scarsità dell’offerta, dal ritmo dello sviluppo tecnologico dei nuovi prodotti, dal costo della logistica e dal grado di concorrenza del mercato.

Nei quattro quadranti distinguiamo quattro tipologie di materiali d’acquisto: 1. Materiali non critici: componenti che hanno un basso impatto per l’azienda e che si trovano in abbondanza in mercati a basso rischio, per questo tipo di materiali si punta ad una semplificazione del processo d’acquisto o la delega dello stesso ad un partner esterno; 2. Materiali “colli di bottiglia”: impatto aziendale basso in termini economici ma per i quali la continuità delle forniture comporta un rischio elevato, la gestione di queste componenti è mirata a creare rapporti di collaborazione nel medio-lungo termine tra cliente e fornitore per garantirne la fornitura; 3. Materiali strategici: sono importanti per l’azienda sia in termini di impatto economico che per le condizioni di fornitura in mercati rischiosi, in questo campo vi è un orizzonte a medio-lungo termine, con monitoraggio continuo della situazione congiunturale, con una valutazione sulle scelte di “make or buy”, creazione di alternative e rapporti stabili con il fornitore; 4. Materiali con effetto leva: importanti per l’azienda, ma collocati in mercati poco rischiosi e con offerta abbondante; la gestione ottimale di questi materiali è indispensabile per assicurare un risultato aziendale soddisfacente, perciò

30 l’azienda tende a sfruttare al massimo il proprio potere contrattuale anche con frequenti negoziazioni. Si va consolidando la tendenza verso un’attenta selezione dei fornitori, per mantenere dei rapporti contrattuali stabili e per utilizzare i cosiddetti “ordini aperti”, cioè con condizioni generali già concordate per un periodo abbastanza lungo e specifiche delle forniture fissate di volta in volta. Le variabili di valutazione della prestazione dei fornitori possono essere di tipo temporale, tecnico-operativo e qualitativo: VARIABILI TEMPORALI -

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Rapidità: numero medio dei giorni a partire dalla data di invio dell’ordine di cui il fornitore necessita per far pervenire le materie richieste dall’impresa (lead time); dipende dalla vicinanza geografica tra gli stabilimenti di trasformazione e il luogo di produzione della materia e dalla tipologia di mezzo di trasporto; Puntualità: viene misurata attraverso la quantificazione dello scostamento medio fra la data di consegna pattuita e quella effettiva.

VARIABILI TECNICO-OPERATIVE: riguardano le condizioni di handling, tecniche di trasbordo, imballaggi, utili per evitare “rotture di carico”; -

Flessibilità: capacità del fornitore di concludere ordini aperti, cioè contratti nei quali l’impresa di impegna ad acquistare entro un certo periodo di tempo una prefissata quantità di materia ad un determinato prezzo ma non è vincolato sotto l’aspetto della tempistica e dei singoli lotti;

VARIABILI QUALITATIVE: potenzialità di miglioramento tecnologico, eventuali affinità strategiche che possono sfociare nel codesign e nella comakership. In molti settori, il rapporto con il fornitore si evolve al fine di creare al di là della semplice negoziazione tecnico-commerciale, un legame tendente a costituire un parco fornitori qualificato, che può essere paragonato quasi al know-how aziendale. Strumenti tecnici con i fornitori (mercato organizzato): Il Subcontratto A) È utilizzato dalla casa automobilistica giapponese, la quale assume partecipazioni di minoranza nel capitale dei principali fornitori, in genere sottosistemi del prodotto, che a loro volta organizzano in un gruppo di fornitori di 2° livello, in genere componenti di sottosistemi, al di sotto dei quali, operano numerose imprese minori. Sebbene i subfornitori siano in competizione fra loro, l’appartenere a questo “club” esclusivo, li porta ad un rapporto collaborativo. Vi è la compartecipazione alla progettazione e realizzazione (codesign e comakership) con la circolazione delle informazioni anche fra i subfornitori, ciò garantisce una relazione stabile nel tempo con un miglioramento continuo ed una riduzione dei costi. Il modello di mercato organizzato tende ad eliminare quelle diseconomie o quei maggiori costi di transazione dovuti a scarsa collaborazione e conoscenza, a trattative più lunghe, a minor fiducia reciproca; tutto ciò deve comunque salvaguardare l’autonomia delle aziende “subcontractors”. La “Comakership” è un modello di mercato organizzato nel quale vi è un livello di cooperazione maggiore rispetto al subcontratto: vi è la progettazione ed ideazione di un prodotto in comune, per sfruttare il know-how di ogni azienda; il “codesign” è simile, si basa sulla condivisione di un particolare tipo di prodotto, personalizzato poi da ogni azienda (es. Citroen C1, Pegeout 107 e Toyota Aygo). Tale situazione può essere definita di monopsonio del cliente/produttore finale (ossia la Casa Madre).

31 B) Vi sono casi in cui, diversamente da quanto detto sopra, il potere contrattuale è maggiormente nelle mani dei fornitori, ciò può accadere nei seguenti casi: - Numero limitato delle imprese fornitrici - Nel caso in cui non vi sono prodotti sostitutivi oppure se presentano un rapporto qualità/prezzo scadente - Settore poco importante per il fornitore - Importanza rilevante del bene venduto dal fornitore all’acquirente. - Costi di trasformazione elevati per l’acquirente che è costretto a rivolgersi al fornitore C) Un ulteriore modello prende spunto dall’esperienza dell’edilizia e presenta tre diversi livelli: Gerarchico: livello consistente di un ordine operativo frutto delle decisioni strategiche dell’”impresa-guida”, attraverso le quali vengono svolte le azioni di coordinamento che caratterizzzano il successivo livello detto “multipolare” Multipolare: in questo livello, costituito da imprese la cui autonomia decisionale è limitata dagli “inputs” dell’impresa-guida, si stabiliscono delle interdipendenze tra aggregazioni funzionali (poli) per realizzare prodotti o servizi da scambiare all’interno o da offrire all’esterno. Macroimpresa: livello costituito da imprese esterne (indotto) che intrattengono rapporti con i poli suddetti al fine di consentire all’impresa strategica di realizzare gli obiettivi con un forte potere di coordinamento. D) Un altro modello è quello diffuso nel settore del tessile abbigliamento, nel quale l’impresa di abbigliamento posta al centro, detiene la capacità di governare relazioni e porre in essere forti interdipendenze con interlocutori esterni, mantiene il controllo del ciclo, acquista la licenza d’uso di una griffe, per contraddistinguere i propri prodotti che fa disegnare e/o produrre da “designer” o imprese esterne, affidandone infine ad una o più imprese la vendita. Marketing d’acquisto La politica degli approvvigionamenti deve essere caratterizzata da decisioni atte a garantire ad assicurare la coerenza tra fabbisogno e disponibilità dei materiali. Il Marketing d’acquisto può essere definito un processo decisionale attraverso il quale l’azienda stabilisce la necessità di acquistare prodotti e servizi e identifica, valuta e sceglie tra le diverse fonti alternative di prodotti e fornitori esistenti sul mercato. Il marketing d’acquisto opera in analogia con il marketing delle vendite, utilizzando un sistema di leve dette di “procurement mix”. Le leve del marketing d’acquisto sono: 

La leva prodotto, tende ad individuare per il bene o servizio le fonti di criticità al fine di poterle gestire in anticipo, nella fase di definizione del rapporto di fornitura stesso. Di particolare importanza risultano, per ogni materiale, il valore unitario, la possibilità di standardizzazione o sostituzione, la possibilità di innovazione; le politiche di prodotto sono strettamente legate alle caratteristiche del portafoglio materiali dell’azienda in termini di criticità economica e di rischiosità dell’approvvigionamento (matrice di Kraljic.)

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La leva prezzo, riguarda la negoziazione delle condizioni economiche che regolano il rapporto con il fornitore;  La leva delle fonti di acquisto, si basa sul monitoraggio dei mercati di approvvigionamento per l’identificazione dei potenziali fornitori e la valutazione delle loro capacità rispetto alle esigenze dell’impresa;  L’ultima leva concerne quale tipo di relazione instaurare con il fornitore, e le modalità possono riassumersi in tre casi: - Tradizionale: basata sul rapporto di mercato di tipo opportunistico e competitivo; - Integrato: con un accordo che prende in considerazione la sincronizzazione dei flussi di fornitura; - Evoluto, con un accordo di partnership collaborativa (comakership). La digitalizzazione dei processi avvenuto in ambito aziendale ha coinvolto anche la relazione con i fornitori dando vita all’”approvvigionamento elettronico” o anche l’”e-procurement”, consistente della trasposizione in rete del processo e della relazione con i fornitori. La movimentazione interna Una volta approvvigionate le materie vanno trasportate, controllate e conservate. L’obiettivo è quello di ridurre i tempi di attraversamento e di produzione con una collocazione il più possibile contigua delle aree con quelle a monte o a valle del ciclo di produzione, per avere un’efficiente movimentazione interna delle merci. Una volta effettuati tutti i controlli quantitativi e qualitativi la merce può essere movimentata nei magazzini, o nel caso del just in time direttamente in prossimità delle linee di produzione, secondo una logica di immagazzinamento predefinita. Tale logica è funzione del tipo di materiale da immagazzinare e dal tipo di magazzino utilizzato, in particolare manuale, semiautomatico o automatico. La fase della progettazione del magazzino è fondamentale in quanto da essa dipende il funzionamento del magazzino stesso e di tutte le attività di manodopera indiretta che vengono gestite dal magazzino stesso. Dal punto di vista fisico ogni magazzino è diviso in 3 zone: 1. Zona di ricezione: gli arrivi della merce dipendendo dai fornitori non sono sempre programmabili e quindi vi è la necessità di lasciare degli spazi di accesso per evitare accavallamenti tra fornitori; 2. Zona di imballo e spedizione: ha minori esigenze di spazio in quanto l’esecuzione degli ordini di vendita può essere più facilmente programmata dall’azienda; 3. Zona di stoccaggio: costituisce il magazzino in senso stretto, cioè quella parte nella quale le merci rimangono in giacenza per un periodo più o meno lungo; deve essere dimensionata in maniera corretta in quanto un eccesso di dimensioni comporta un costo maggiore di ammortamento, riscaldamento, manutenzione mentre un sottodimensionamento può dar luogo a gravi inconvenienti. Localizzazione degli stabilimenti e problemi di definizione della capacità produttiva Un problema frequente inoltre è la localizzazione di uno stabilimento industrialeche ha importanti riflessi sul sistema logistico, per cui è competenza dell’alta direzione; essa dovrebbe avvenire laddove sia minima la somma dei costi di

33 investimento, di approvvigionamento delle materie, dei costi di consegna dei prodotti finiti posti alcuni vincoli determinati dalle esigenze di produzione e di collegamento con i mercati di sbocco (es. Ilva, vicinanza al porto). Dal lato dell’approvvigionamento riprende vigore la tendenza ad un avvicinamento dell’attività di produzione di parti in prossimità della localizzazione dello stabilimento di montaggio finale, in concomitanza con l’attuazione di modelli just-in-time (es. stabilimento Fiat a Melfi). Tale tendenza si contrappone a quella del settore tessile abbigliamento, che applicala strategia del decentramento produttivo, cioè lo spostamento di alcune fasi della lavorazione in Paesi a basso costo di manodopera. Problema successivo alla localizzazione dello stabilimento, è la definizione di capacità produttiva: di solito la scelta è dotare lo stabilimento di una potenzialità superiore alla domanda media o massina prevista a medio-lungo termine.

LE SCORTE Le scelte di gestioni di materiali utilizzati è una problematica nel sistema aziendale strettamente collegata alla progettazione e alla gestione della produzione, tanto che le decisioni relative al mantenimento delle scorte o meno hanno dato vita a due diversi approcci: quello occidentale, teso allo sviluppo di tecniche sempre più sofisticate al fine di ottimizzare la gestione dei materiali; e quello giapponese la cui “filosofia” di gestione mette in discussione l’opportunità stessa dell’investimento in scorte. Tali approcci, tuttavia, presentano due punti in comune: 

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Sono volti alla razionalizzazione dell’uso delle scorte con l’obiettivo di ridurre al massimo i costi (il secondo approccio tuttavia tende all’eliminazione delle scorte stesse); Implicano una stretta interazione fra la gestione dei materiali, la programmazione della produzione e le altre funzioni coinvolte nel processo logistico (integrazione sempre più forte se si opera in just-in-time).

Le scorte sono definite come un insieme di materiali, semilavorati e prodotti finiti che in un determinato momento sono in attesa di partecipare ad un processo di trasformazione o distribuzione. La loro funzione è essenzialmente quella di rendere indipendente l’impresa dagli andamenti del mercato e dalle varie fasi di produzione all’interno dell’impresa.  



Materie prime: costituite dai fattori produttivi in entrata, destinati alla trasformazione, che alimentano il processo produttivo; Semilavorati: chiamati anche prodotti in corso di lavorazione (work in process) sono materiali che hanno subito alcune trasformazioni ma non sono ancora ultimati; Prodotti finiti: sono i beni pronti per la vendita, pur non necessariamente destinati al consumo finale.

Le scorte quindi in prima istanza svolgono la funzione di separare tra loro le operazioni nella sequenza di acquisto-trasformazione-vendita, rendendo efficiente in tal modo ciascuna fase. Esse possono essere classificate in base alla loro destinazione in:

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Scorte di materie prime: servono ad ovviare i ritardi nelle consegne degli approvvigionamenti; ridurre i costi nel caso in cui si possa usufruire di sconti quantità o si riesca ad acquistare in condizioni di prezzi cedenti; Semilavorati: tenuti a scorta per ovviare ritardi di consegna di sub-fornitori o di altri reparti produttivi; svincolare ritmi di programmazione e produzione in reparti diversi; consentire alle singole stazioni di lavoro di organizzarsi con un minimo di autonomia. Scorte di prodotti finiti: servono ad evadere celermente gli ordini; far fronte ad andamenti ciclici della domanda evitando la variazione drastica della programmazione di produzione.

In base alla funzione svolte da queste, così da osservare i motivi che giustificano l’accumulo di giacenze di magazzino, è possibile distinguerle in: 

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Scorte funzionali: si intendono le giacenze accumulate per coprire le esigenze del periodo di tempo necessario al trasporto o alla produzione del bene e per svolgere la funzione di disaccoppiamento di due o più fasi del processo di acquisto-produzione-vendita. Si dividono in: Scorte in transito, o di trasferimento o in lavorazione, per ottimizzare l’efficienza del processo produttivo, devono essere proporzionali al tempo necessario per trasferire un bene da un punto di stoccaggio o lavorazione ad un altro; Scorte organizzative, rendono indipendenti le varie fasi del sistema produttivo-distributivo.

A tal scopo è bene intodurre il concetto di Lead time (tempo di riordino): è l’intervallo di tempo che intercorre fra il momento in cui si avverte la necessità di ricostituire le scorte e il ricevimento delle stesse nel magazzino, ed è formato dal tempo di emissione, trasmissione, esecuzione dell’ordine, di trasporto e di ricevimento della merce. La sua ampiezza dipende dal sistema logistico in essere, influenzandone il costo totale: da qui l’esigenza di ridurre al minimo i tempi morti tra un’operazione e l’altra. 

Scorte di sicurezza: sono presenti per far fronte alla necessità di far fronte ad inattese variazioni della domanda o ad eventuali complicazioni nel processo produttivo, al fine di assicurare l’equilibrio e l’ininterrotto svolgimento delle operazioni;



Scorte speculative: sono rappresentate dalle giacenza costituite per trarre vantaggio da una variazione prevista dei prezzi in un determinato periodo di tempo.

I costi di gestione delle scorte Le principali figure di costo che rientrano nel computo del costo totale di gestione delle scorte sono: 



Costi di ordinazione: includono i costi di emissione e di gestione degli ordini, le spese di trasporto dalla fabbrica, nonché gli eventuali costi di produzione se l’ordine non può essere evaso dalle scorte; Costi di mantenimento: nel mantenere un certo livello delle scorte l’azienda ha investito un certo capitale che altrimenti avrebbe potuto avere altra destinazione, quindi va inserito un fattore di costo che tenga conto del

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 

rendimento potenziale di quel capitale (costo-opportunità). Altri costi vanno inclusi per tenere conto dei rischi nel mantenimento delle scorte, come quelli di calo o deterioramento fisico (obsolescenza), oltre gli oneri assicurativi; infine, vanno considerati i costi di locazione dei magazzini, oppure i diritti d’uso di altre strutture esterne. Costi di sottoscorta (rottura di stock): esaurimento o insufficienza delle scorte, intesi come la perdita di opportunità di vendita delle stesse; Costi di eccedenza delle scorte (sovra-stock): costituiti dai maggiori costi di mantenimento generati da un’eccedenza non fisiologica di scorte (non motivati né da stagionalità né da ragioni speculative).

Modelli di gestione dei materiali Il problema del coordinamento scorte/produzione impone l’introduzione di un meccanismo di controllo che soddisfi le esigenze di servizio ma che mantenga il relativo costo ad un livello sostenibile. E’ fondamentale che il criterio adottato renda possibili nel miglior modo tali aspetti: - La rilevazione delle disponibilità dei beni; - L’individuazione dei tempi e dei lotti di riordino; - La “valorizzazione” a fini contabili e fiscali; - L’informazione tempestiva al management. I vari materiali possono essere discriminati secondo le loro caratteristiche, al fine di differenziare le logiche gestionali di ciascuno. Le principali caratteristiche sono: - La natura della domanda, che può essere dipendente quando la richiesta dei materiale dipende dalla richiesta di un materiale al livello superiore, o indipendente ovvero nel caso di prodotti finiti; - Il valore di impiego, corrispondente al prodotto della quantità consumata in un’unità di tempo per il suo valore unitario; - La frequenza di consumo, che influenza in modo diretto la prevedibilità dei consumi, che può arrivare ad essere un consumo continuo. Secondo la combinazione delle caratteristiche sopra esposte è possibile adottare diverse logiche di gestione dei materiali; troviamo la logica: 



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Look back (stock control), quando un ordine di produzione viene lanciato quando la scorta del materiale risulta insufficiente a coprire i fabbisogni pianificati per i periodi futuri, calcolati in base ai tassi di consumo e al lead time; tale logica è orientata alla ricostituzione della scorta in via di esaurimento ed ha il vantaggio di essere di facile applicazione, ma comporta un maggiore investimento medio in scorte. Rientrano in tale logica i modelli tradizionali o modelli di gestione a scorta: Metodo a quantità fissa o lotto economico Metodo a tempo fisso Look ahaed (flow control), quando un ordine viene lanciato sulla base del fabbisogno di un materiale per un periodo futuro, calcolato in funzione della programmazione della produzione; si fonda sulla pianificazione dei fabbisogni e presenta lo svantaggio di richiedere elaborazioni più complesse. Rientrano in tale logica i modelli di gestione a fabbisogno: MaterialRequirement Planning (MRP) Just in time, con la tecnica Kanban(segnale).

Modelli di gestione a scorta

36 Sono ideali per un prodotto con domanda generalmente stazionaria, con un utilizzo graduale delle scorte; in genere queste caratteristiche si riscontrano nei prodotti finiti. Queste tecniche di gestione sono volte a calcolare la dimensione ottimale del magazzino considerata ottimale, a partire dalle previsioni della domanda e tenendo conto dei costi di gestione delle scorte; quando il livello delle scorte in giacenza scende al di sotto di un certo livello predefinito, viene lanciato un ordine di acquisto volto a reintegrare il magazzino. Quindi in questo caso i problemi di tale tecnica si traducono in quanto e quando ordinare, ovvero nel calcolo della dimensione ottimale del magazzino e del momento in cui lanciare l’ordine. Distinguiamo due tecniche: 

Lotto economico (o a quantità fissa), secondo il quale la quantità da ordinare è quella che minimizza la somma dei costi di mantenimento e quelli di ordinazione; Nei costi di mantenimento consideriamo solo quelli proporzionali alla quantità e non quelli fissi di magazzino, ossia: - Oneri finanziari (o costi opportunità) sul capitale investito nelle scorte; - Costi di deterioramento fisico; - Costi di magazzinaggio; - Oneri assicurativi. Mentre i costi di ordinazione sono proporzionali al numero di ordini e di trasporti, ossia: - Costi amministrativi di ordinazione; - Costi di ricevimento e di controllo di qualità; - Costi di trasporto;

Il lotto economico cresce al crescere dei costi di ordinazione e del fabbisogno di approvvigionamento, si riduce all’aumentare del costo del capitale (ossia il prezzo di acquisto e il costo di mantenimento). 

A tempo fisso (o del punto di riordino), implica un monitoraggio costante del magazzino e spesso vengono definite delle cadenze temporali fisse a cui viene verificato il livello delle scorte in giacenza, e ad ogni verifica ci sarà il lancio di un ordine pari alla differenza fra la giacenza e il livello ottimale del magazzino, detto in questo caso livello di reintegro. In questo modello, però, le scorte vengono riordinate a prescindere da loro effettivo utilizzo: le scorte di diversi materiali hanno tassi di assorbimento diversi, quindi ordinare tutte le materie nello stesso momento può causare scompensi nel livello delle scorte.

Leggere pagina 231-232 “La politica delle scorte nel caso di ordine singolo” Modelli di gestione a fabbisogno Le tecniche di gestione a fabbisogno sono più adatte alla gestione di un portafoglio clienti ridotto con ordini consistenti oppure con prodotti intermedi (materie prime e semilavorati): infatti nel caso in cui il numero dei clienti fosse elevato con volumi degli ordini contenuti le singole variazioni della domanda si compenserebbero permettendo di operare come in una situazione di domanda stazionaria, il che faciliterebbe l’utilizzo della gestione a scorte, ma ciò non accade nel caso descritto sopra data l’instabilità della domanda che ne deriva; per il secondo aspetto (ossia quello dei prodotti

37 intermedi) la difficoltà per il metodo di fabbisogno a scorta è dovuta al fatto che l’utilizzo di un semilavorato per la produzione genera una riduzione del livello di scorte che comporta l’ordine di un reintegro secondo il modello di gestione a scorta, ma nei casi di flessioni della domandaciò si tradurrebbe in una immobilizzazione di capitale per tutto il periodo di rallentamento del processo produttivo; vediamo di seguito il perché ciò non accade grazie all’utilizzo della gestione a fabbisogno. Abbiamo: 

Sistema MRP: esplode il fabbisogno di materie prime e prodotti intermedi a partire dal fabbisogno di prodotti finiti, espresso nel piano principale di produzione (MPS – master Production Schedule) che formalizza l’analisi sulle previsioni di vendita. Il magazzino viene gestito in modo da soddisfare le esigenze di produzione e non per ricostituire il livello ottimale delle scorte. È una tecnica complessa che richiede un gran numero di informazioni, la cui elaborazione richiede un supporto informatico. Le informazioni del sistema provengono da: - Piano principale di produzione (MPS) che fornisce le informazioni necesserie alla determinazione di cosa e quanto produrre; - Distinta base, definisce le informazioni tecniche sui prodotti necessarie a determinare i fabbisogni di componenti e materie prime; - Lead time, sia interno che esterno, ossia sia dei tempi di produzione che dei tempi di approvvigionamento di ogni elemento della distinta base; - Giacenze, informazioni sullo stato delle giacenze, esistenza di scorte di materiali, stato di avanzamento della produzione, sono la base per determinare il fabbisogno netto(la quantità da ordinare). FABBISOGNO NETTO = Fabbisogno LORDO – SCORTA Disponibile SCORTA Disponibile = Giacenza a magazzino – Scorte PRENOTATE – Scorte di SICUREZZA + Ordini APERTI



Kanban e just-in-time: il just in time è finalizzato a: - produrre solo ciò che occorre al cliente - produrlo al ritmo secondo il quale il cliente ne ha bisogno - produrre con qualità perfetta e zero difetti - senza spreco di materiali o impianti tutto allo scopo di eliminare ogni scorta ingiustificata. È un sistema di produzione di tipo pull, cioè la produzione viene tirata non da previsioni di vendita ma direttamente dalla domanda, che, a partire dai centri finali di assemblaggio porta all’attivazione di tutti i centri produttivi a monte, man mano che se ne manifesti la necessità. Il raggiungimento di obiettivi come questo che permette di mantenere una costante simmetria tra domanda e offerta di beni, implica un controllo contemporaneo sulle quantità prodotte e sul controllo della qualità dell’output ad ogni fase del processo produttivo, permettendo dii essere immediatamente utilizzato nelle fasi a valle senza interruzioni perché privo di difetti. Il sistema di gestione kanban rientra negli strumenti di gestione sviluppati nell’ambito del più ampio sistema di produzione just in time. Il kanban è il sistema di gestione dei materiali utilizzato nell’ambito del just in time; è letteralmente un “cartellino” attraverso cui si trasmettono le info da una stazione di lavoro all’altra per comunicare l’utilizzo di un determinato materiale e la necessità del suo reintegro: attraverso un kanban, un centro a valle comunica a quello a monte l’esigenza di un determinato componente e

38 l’esigenza di metterlo in produzione, così da produrre in base a esigenze e non in base a ipotetiche necessità. Per capire meglio in cosa consiste guardiamo il suo funzionamento. Il sistema prevede innanzitutto alcuni elementi: - due centri di produzione (uno a monte e uno a valle) con un centro di movimentazione e raccolta dei materiali; - un kanban di produzione che autorizza il centro a monte a produrre le parti dopo che queste sono state inviate a valle; - un kanban di trasferimentoutilizzato nel cetro a valle per autorizzare il trasferimento dei componenti prodotti a monte. La programmazione della produzione (DA INTEGRARE)

DA 236 FINO A 239 INTEGRARE Capitolo 11:

IL SISTEMA DISTRIBUTIVO

Il servizio della distribuzione è destinato a trasferire, integrandosi con le attività logistiche di trasporto, quantità sempre maggiori di beni e servizi dai produttori ai consumatori e agli utilizzatori finali nelle modalità preferite da questi ultimi, nei tempi più opportuni e ai costi più ridotti possibili. Al commercio è stato attribuito, specie negli anni Sessanta ma anche agli inizi degli anni Ottanta, il ruolo di “ammortizzatore sociale” con la conseguente che il piccolo commercio indipendente è stato configurato come attività rifugio, specie al Sud, consentendone un enorme sviluppo, che ha accentuato il grado di polverizzazione del settore e la carenza di professionalità degli addetti. La rete distributiva al dettaglio si può suddividere in piccolo dettaglio indipendente, di tipo tradizionale ed in genere specializzato e dettaglio organizzato, al quale fanno capo le seguenti forme: 1. Grandi aziende a base capitalistica, con catene di magazzini di vendita al pubblico, di cui le tipologie più diffuse sono - Grandi magazzini a prezzo unico - Supermercati - Ipermercati - Grandi superfici specializzate (GSS) - Shopping center - Case di sconto (discount) 2. Commercio associato, nelle forme di unioni volontarie promosse dai grossisti nei confronti dei dettaglianti e gruppi di acquisto fra dettaglianti; 3. Le cooperative di consumo, con a capo Coop Italia; 4. Le forme speciali, come ad esempio le Case di vendita su descrizione (su corrispondenza o su catalogo) e le aziende affiliate con il contratto di franchising; Ciò che ha caratterizzato in passato l’assetto del sistema distributivo italiano è stata la preminenza delle unità del piccolo dettaglio tradizionale a base familiare; ne è conseguita una resistenza all’eccesso di tipologie di grandi dimensioni e quindi una più lenta introduzione delle moderne tecniche di vendita.

Principali intermediari della distribuzione

39 





Grossista: si tratta di un’impresa commerciale che acquisisce la proprietà di beni che poi rivende e si assume l’onere di gestire alcuni servizi, come ad esempio la gestione di scorte e magazzini. La tendenza di alcune aziende di produzione di beni di consumo durevole è di istituire dei depositi a carattere regionale accollandosi la consegna al dettagliante o al consumatore finale; in tal modo alcune funzioni di natura logistica del grossista vengono assunte dal produttore. Infatti, negli ultimi anni la figura del grossista ha perso una parte consistente della sua posizione nel sistema distributivo, anche se mantiene un ruolo di rilievo in alcuni settori più polverizzati perché garantisce una maggiore efficienza. Grande dettaglio: è rappresentato dai supermercati e dagli ipermercati, che in Italia hanno visto un notevole incremento in termini di punti vendita intorno al 1998, anno dell’introduzione della riforma Bersani che ha liberalizzato il settore. Di solito l’imprese industriale si trova a negoziare con uno, due o al massimo tre buyer che rappresentano la quasi totalità delle imprese commerciali sul mercato, e quindi la negoziazione ha per oggetto volumi elevati di prodotti e l’azienda di solito si troverà a concedere sconti sul prezzo d’acquisto o condizioni di pagamento vantaggiose riducendo il proprio margine di profitto. Piccolo dettaglio: rappresentava il tessuto connettivo del commercio in Italia fino all’introduzione della riforma del commercio; oggi, il numero delle imprese che appartengono a questa categoria è in calo perché le imprese al piccolo dettaglio detengono una minore varietà di prodotti a prezzi più elevati rispetto alle grandi imprese commerciali.

Tipologie di canale distributivo Rappresenta il percorso giuridico che il prodotto compie per essere trasferito dall’imprese industriale produttrice al cliente finale; i canali di distinguono in base al numero di stadi in cui si articolano, cioè dalla lunghezza del percorso che il prodotto fa per arrivare al cliente finale. Troviamo: 





Canale lungo: prevede l’inserimento dell’ingrosso tra produzione e dettaglio, poiché vi sono dei benefici economici per l’impresa industriale la quale non deve sostenere i totali costi di vendita e quelli di trasporto, anche se vi sono degli svantaggi come la scarsa possibilità di influire sulla modalità di collocamento del prodotto e di controllare il prezzo di vendita; tale tipo di canale è tipico dei settori quali la cancellerie, l’ottica, abbigliamento, alimentare e tecnologia. Canale corto: prevede l’inserimento solo del dettaglio e quindi l’impresa produttrice può ottenere più informazioni sul mercato di collocamento del bene, in quanto intrattiene un rapporto diretto con il dettagliante; lo svantaggio è quello di doversi fare carico delle scorte e delle incombenze derivanti dalle transazioni con i dettaglianti; tale tipo di canale è tipico dei settori dell’alta moda, gioielleria e cosmesi. Canale diretto: il produttore prende contatto direttamente con il compratore finale, mediante una propria rete di distribuzione o tramite forme di direct marketing. È la soluzione più costosa per l’impresa, perciò viene utilizzata soprattutto per la distribuzione di beni strumentali e di prodotti che necessitano di una costante assistenza post-vendita; un esempio è costituito dalle imprese che effettuano la vendita porta a porta, le aziende che operano via telefono o attraverso televendite.

40 Category management Si intende un processo integrato distributore/fornitore inteso alla gestione delle categorie come unità di business strategiche, per produrre migliori risultati attraverso la focalizzazione sul valore trasferito al consumatore, dove per categoria si intende un gruppo di prodotti o servizi che il consumatore percepisce come un insieme interrelato, caratterizzato da rapporti di complementarietà e/o sostituzione, che soddisfa un bisogno. La problematica va inquadrata nel contesto delle scelte di “merchandising”, che dal punto di vista del produttore è uno strumento di marketing volto a massimizzare la visibilità dei propri prodotti sugli scaffali dei punti vendita, e dal punto di vista del distributore visto come il modo migliore per dislocare i reparti in base alle categorie di beni (es. pay to stay, slottingallowance, failurefees).

Capitolo 12:

LA LOGISTICA IN USCITA (O DI MARKETING)

Ha il compito di provvedere alla movimentazione e allo stoccaggio dei prodotti finiti, appena disponibili, al fine di assicurare un tempestivo collocamento sul mercato accollandosi la scelta e i rapporti con i canali distributivi. Il suo apporto consente all’azienda di ottimizzare:   

la relazione fra il livello di servizio da offrire alla clientela; l’entità delle scorte da mantenere nel flusso di produzione- distribuzione; i costi per il trasferimento dei prodotti dallo stabilimento al mercato.

L’obiettivo primario è quindi quello di assicurare l’equilibrio fra il conseguimento del massimo livello di servizio al cliente, quale stimolo alle vendite, e il contenimento dei costi al fine di migliorare le condizioni di efficienza e redditività dell’azienda. Innanzitutto possiamo distinguere i servizi al prodotto e i servizi alla clientela; per il bene strumentale il servizio diventa sempre più essenziale e comprende l’installazione, l’avviamento, le manutenzioni e riparazioni e tali servizi assumono maggior importanza soprattutto se inserite in un contratto di leasing. I servizi al cliente si distinguono in: 1. Servizi alla distribuzione 2. Servizi al cliente finale Un servizio deve accompagnare il cliente da prima della vendita per facilitare la scelta al potenziale acquirente, deve continuare fino al momento della conclusione del contratto e deve facilitarne l’uso: solo così si potrà ottenere una soddisfacente customersatisfaction. Il livello di servizio al cliente viene espresso in termini di “disponibilità” del prodotto ovvero “affidabilità” nelle consegne in termini di: 



 

Rapidità: è l’intervallo di tempo che intercorre tra il ricevimento dell’ordinazione e la consegna del bene, dipende dal sistema di trattamento degli ordini, dall’esistenza di scorte e dall’efficienza del servizio di trasporto; Regolarità: dipende dalla maggiore o minore metodicità di trasmissione degli ordini, dipende dagli stessi elementi sopra citati; il prodotto deve essere disponibile sempre per far si che il consumatore non si rivolga alla concorrenza; Puntualità: va valutata in termini di tempo medio di consegna e anche di entità degli scostamenti dalla media; Flessibilità: si riferisce all’adattabilità del sistema distributivo aziendale alle mutevoli condizioni del mercato;

41 

Accuratezza: rende minime le contestazioni per qualità, quantità e imballaggi difettosi, ferma restando una capacità di sostituzione in tali circostanze.

Oltre tali aspetti, non vanno trascurati altri elementi che, pur ritenuti di secondaria importanza, contribuiscono ad accrescere o diminuire il livello di servizio globale; un esempio può essere la modalità di accettazione degli ordini o le informazioni sullo stato di avanzamento degli ordini. Dal punto di vista teorico l’equilibrio ottimale si raggiunge nel punto in cui il costo marginale del servizio eguaglia il ricavo marginale: dal lato dei ricavi vi è difficoltà nel misurare il ricavo addizionale generato dal miglioramento del servizio, perciò a volte ci si riferisce alla reazione dei concorrenti, dal lato dei costi di solito gli investimenti nell’area logistica vengono effettuati “in blocchi” per cui diventa difficoltoso individuare il costo marginale. Si pone il problema di stabilire il livello di servizio più appropriato alla clientela. Come regola generale i costi logistici crescono in maniera esponenziale rispetto al servizio offerto: in alcuni settori i livelli di servizio al di sotto del 90% possono essere considerati inaccettabili, mentre livelli superiori al 98% sono da considerarsi eccezionali. I programmi di miglioramento del servizio mirano a raggiungere il 90% o il 98% considerati i “punti di rottura del mercato”, mentre una percentuali intermedia può generare più costi che benefici. L’andamento delle vendite in relazione al livello di servizio può configurarsi come una curva di Gompertz a forma di “esse” alla cui base può essere tracciata una linea che delinea il livello soglia ovvero il livello di servizio minimo da offrire per essere presenti sul mercato; nella parte superiore della curva può essere tracciata un’altra linea che indica il livello di saturazione del servizio, mentre nei punti di flesso la domanda è particolarmente sensibile ai livelli del servizio. Combinando i grafici dei costi e delle vendite si ottiene il livello di servizio alla clientela che massimizza il margine di profitto

Benchmarking È un’analisi competitiva basata sul confronto tra il posizionamento del o dei prodotti aziendali con quello dei leaders presenti sul mercato, che può estendersi fino a considerare i metodi operativi e le capacità gestionali. La scelta del “benchmark” è importante per il confronto, anche per definire le attività e i dati da analizzare; l’attività di benchmarking deve essere continuativa perché possa contribuire a migliorare e fissare obiettivi realistici, stimolando il cambiamento. Scelta del canale distributivo Per un’impresa è importante il grado di copertura distributiva, ossia il numero di dettaglianti o di consumatori che si desidera raggiungere, in ragione anche dei

42 prodotti trattati: si porrà l’alternativa se scegliere una distribuzione di tipo intensivo, selettivo o esclusivo: 1. Intensivo: il prodotto è disponibile nel maggior numero possibile di punti vendita, in quanto tipica dei prodotti a basso valore unitario ed acquisto ricorrente (conveniencegoods); 2. Selettivo: il prodotto è disponibile presso un numero limitato di punti vendita, ed è utilizzato per i prodotti ad acquisto ragionato (shopping goods); 3. Esclusivo: il prodotto è reso disponibile soltanto presso uno o pochi punti vendita, in quanto tipica di prodotti ad alto valore unitario (specialtygoods). I costi nella logistica di marketing Si può rappresentare il costo totale della distribuzione fisica con la seguente espressione:

CDf= T + CfD + CvD + V In cui CDf= costo totale della distribuzione fisica T= costo totale dei mezzi di trasporto impiegati per il trasferimento delle merci dal luogo di produzione ai depositi (trasporti primari) e da questi ai punti vendita finali (trasporti secondari) CfD= costo totale fisso dei depositi CvD= costo totale variabile dei depositi V= costo delle mancate vendite per le carenze di servizio esistente I maggiori centri di costo posso essere individuati nei seguenti: 1. 2. 3. 4. 5. 6.

Trattamento degli ordini; Movimentazione dei prodotti; Confezionamento e imballo; Mantenimento delle scorte; Trasporti, Altri costi amministrativi

Per allocare i costi ai centri specifici, bisogna prima distinguere i costi in: 



Diretti/indiretti, in cui i primi sono chiaramente attribuiti ad una specifica attività assunta come centro di costo, cosa che non si verifica per i secondi come avviene per le spese di amministrazione; Fissi/variabili, in cui quelli variabili sono direttamente connessi al volume di prodotto trattato e perciò sono facilmente riferibili ai centri di costo; da ciò discende che tutti i costi variabili sono diretti, ma non viceversa;

Due sono i metodi utilizzati per allocare i costi: 1. Direct costing; 2. Costi di copertura, il quale addossa ai centri di costo tutti i costi indiretti che si assume, in base ad alcuni criteri, siano stati sostenuti dagli stessi; Tale metodo si presta ad alcune critiche, come l’arbitrarietà nell’attribuzione di un elemento ad un centro di costo. Un’impostazione per il calcolo dei costi, diffusasi recentemente, è quella denominata “Activity Basedcosting” (ABC), che fonda il calcolo dei costi sull’analisi delle attività effettive e delle risorse impiegate nell’ambito della catena del valore. Se i costi

43 non sono espressamente correlati allo scopo per il quale vengono sostenuti diventa difficile identificare chiaramente il motivo. Secondo la concezione dell’ABC, i costi indiretti vanno trattati alla stregua dei costi diretti, non addossandoli in base al volume di beni trattato, bensì con un’analisi che misuri il consumo effettivo di risorse anche dell’attività di supporto. I costi, però, vanno misurati in collegamento con le altre attività aziendali considerando anche il loro impatto sulle vendite; si può applicare nel sistema logistico il concetto di trade off. Questo metodo mette in collegamento i vari elementi da prendere in considerazione. 





Trade-off interfunzionale: vi è un’interazione fra le varie funzioni aziendali per ottimizzare il sistema aziendale; nel grafico (a) si mostra come il costo di distribuzione cresce se l’espansione del mercato si verifica in zone geografiche più lontane e, in contrapposizione, il costo di produzione diminuisca per effetto delle economie di scala; il grafico identifica il volume di produzione che minimizza il costo totale di produzione e distribuzione.  Trade-off interattività: implica un equilibrio fra i costi dei maggiori centri di attività; il grafico (b) è relativo alla determinazione del numero dei magazzini in una rete basata unicamente sui costi. All’aumentare del numero dei magazzini cresce la richiesta di movimentazione e di carico delle merci, corrispondentemente diminuisce il costo di trasporto locali man mano che i depositi sono dislocati più vicini ai punti di consegna locali; sommando le varie funzioni di costo si ottiene l’andamento del costo totale, che è la funzione da minimizzare. Trade-off intermodale: trova la sua applicazione nell’ambito dei trasporti; il grafico (c) mostra l’alternativa di trasporto ferroviario e stradale, dove il primo cresce in misura meno che proporzionale rispetto al volume trasportato, mentre, nel caso di trasporto stradale con un parco di mezzi propri, la funzione di costo riflette gli andamenti dei costi fissi quando vengono aggiunti nuovi veicoli in corrispondenza del maggiore volume da trasportare; il grafico identifica il punto di minimo costo in funzione del volume. Trade-off intertipo: considera i costi impliciti in operazioni quali il ricorso ad un vettore o a un proprio parco di mezzi, o uso di magazzini propri o di terzi, in cui vanno considerati un certo numero di fattori di costo. Ad esempio, l’esistenza di uno spazio non utilizzato in un magazzino proprio causa dei costi, mentre nell’utilizzo di un magazzino di terzi no poiché si paga solo per lo spazio occupato e il rischio di inutilizzo rimane a carico del gestore. Nel grafico (d), l’andamento dei costi di depositi propri si configura come una funzione di costo che aumenta in misura decrescente con il crescere del volume operativo.

Naturalmente, occorre tenere conto anche dell’andamento dei ricavi per ogni sistema logistico scelto, poiché l’attuazione di ogni sistema necessita di un investimento di capitale diverso.

44 Progettazione del sistema logistico Quando i clienti sono poco numerosi, ordinano volumi elevati e consentono la spedizione a carico completo, può essere non sentita l’esigenza di depositi periferici, essendo più conveniente l’invio a tariffe scontate. Quindi, questa soluzione sarà vantaggiosa nel caso in cui i costi di trasporto e di comunicazione diretta non superano i costi di installazione e gestione dei depositi; la questione si complica quando i prodotti da consegnare al cliente provengono da più stabilimenti o hanno caratteristiche particolari. Quanto più ampia e varia è la gamma di produzione dell’impresa tanto più complesso risulterà il sistema logistico e sarà preferibile accentrare la gestione delle scorte. Anche le caratteristiche del prodotto influiscono sulla decisione all’istituzione di un deposito: la deperibilità, la fragilità e il valore del prodotto influiscono sulle decisioni di stoccaggio. E’ importante capire dove posizionare i depositi periferici per agevolare la distribuzione: la posizione deve essere baricentrica nel senso che sia ben collegata con tutti i mezzi di trasporto utilizzabili e successivamente centrale, geograficamente parlando. L’imballaggio Il requisito fondamentale di un imballaggio, secondo l’ottica della logistica, è che esso consenta la massima protezione del bene nella manipolazione e nello stoccaggio; il marketing, invece, esamina l’imballaggio dal punto di vista del valore promozionale e di presentazione del prodotto il che può causare motivi di conflittualità fra le due aree. La preminenza dell’una o dell’altra dipende anche dal tipo di bene e dalle sue caratteristiche, o dal maggior o minor valore della merce. L’imballaggio del prodotto deve salvaguardare lo stesso durante la sua manipolazione ed inoltre deve essere tale da saturare la capacità del mezzo di trasporto. Poiché i costi di imballaggio possono essere anche abbastanza elevati, è necessaria un’accurata selezione dei fornitori per ottenere materiali non difettosi e in quantità e tempi ottimali; gli imballi vanno anche collaudati per verificarne la resistenza. Altro aspetto da esaminare per la fase dell’imballaggio concerne la scelta del confezionamento in fabbrica o presso il deposito: si propenderà per la seconda soluzione quando la spedizione senza imballo consente un miglior utilizzo del mezzo di trasporto e, quindi, minor costo nelle operazioni di carico e scarico. L’eterogeneità degli imballi può causare diseconomie di scala nella gestione degli spazi e nell’ottimizzazione dei carichi. Reverse Logistics (logistica di ritorno) È il processo di raccolta, movimentazione e trasporto delle merci dai punti di normale destinazione d’uso verso altri punti con l’obiettivo di recuperare valore altresì non sfruttabile oppure favorire un adeguato smaltimento dei prodotti obsoleti. In sintesi si occupa di: -

Gestione di resi, difettati ed invenduti; Gestione di fine vita dei prodotti e degli imballi, Gestione di scarti di lavorazione industriale e rifiuti.

Ciò permette il recupero di una parte del costo sostenuto per il packaging, una sorta di riciclo con conseguente riutilizzo del packaging da parte dell’impresa. Trasporti La nuova frontiera del sistema dei trasporti è l’intermodalità, cioè la combinazione di varie forme di trasporto per un unico scopo cioè la distribuzione fisica dei prodotti. Si

45 ricerca la combinazione migliore che minimizza costi e tempi. L’intermodalità si sposa con la baricentricità della posizione logistica.

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