Friedrich Schiller, Poesia Ingenua e Sentiment Ale

October 14, 2017 | Author: Riddick289 | Category: Feeling, Romanticism, Friedrich Schiller, The Sorrows Of Young Werther, Nature
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Friedrich Schiller1 (1759-1805) Poesia ingenua e poesia sentimentale Poco prima che uscisse il testo di Schlegel Sullo studio della poesia greca, Friedrich Schiller, nel dicembre del 1795, aveva pubblicato sulla rivista Die Horen un saggio intitolato Sulla poesia ingenua e sentimentale, dove contrapponeva la poesia ingenua degli antichi – fatta di equilibrio, armonia e immediata comunione con la natura – alla poesia sentimentale dei moderni, nella quale dominano la scissione, la distanza della riflessione, la ricerca dell’infinito e la tendenza alla rappresentazione di un ideale che contrappone l’arte alla realtà. Tra Schlegel e Schiller e Hegel vi sono tuttavia importanti differenze: in Schlegel la distinzione tra “antico” e “moderno” è una distinzione storica, a cui si aggiunge poi quella tra “classico” e “romantico” ; in Schiller, “ingenuo” e “sentimentale” sono categorie tipologiche , che individuano non due epoche della poesia, ma due modi o generi poetici. Nel suo saggio Schiller affermava che il poeta ingenuo (cioè il poeta antico) è la natura, mentre il poeta moderno cerca la natura, perché la civiltà lo ha allontanato da essa. Lo scrittore tedesco sosteneva che il sentimento della natura dei moderni (cioè dei romantici) , teorizzando la differenza ontologica tra la poesia spontanea, intuitiva, “naturale” degli antichi e di pochi grandi moderni, quali Goethe e Shakespeare, e quella colta, speculativa dei moderni, fra i quali include se stesso, nostalgici della naturalità perduta e quindi inclini all'elegia, alla satira e alla rappresentazione dell'“ideale”. La contrapposizione classico-romantico ritornerà poi nell’Estetica di Hegel, dove l’arte classica è l’arte in cui l’idea si manifesta in modo perfetto ed equilibrato nel sensibile, mentre nell’arte romantica, che è poi l’arte cristiana, si annuncia già quel prevalere dell’interiorità spirituale che porterà al superamento dialettico dell’arte stessa da parte della religione della filosofia.

Perché mai noi, che in tutto ciò che è natura siamo superati in così infinita misura dagli antichi, proprio noi possiamo renderle omaggio in misura superiore, possiamo amarla intimamente, possiamo abbracciare persino il mondo inanimato con il più caldo sentimento? Questa è la risposta: la natura è ormai scomparsa dall’umanità, e soltanto fuori di questa, nel mondo inanimato, nuovamente possiamo incontrarla nella sua verità. Non la nostra superiore conformità alla natura, ma appunto l’ opposizione alla natura dei nostri rapporti, delle nostre condizioni e dei nostri costumi ci spinge a cercare nel mondo fisico un appagamento, impossibile nel mondo morale, dell’istinto verso la verità e la semplicità, istinto che giace incorruttibile e incancellabile, come la disposizione morale da cui scaturisce, in tutti i cuori umani. Per questo il sentimento che ci spinge ad amare la natura è così simile al sentimento con cui rimpiangiamo la perduta età dell’infanzia e dell’innocenza infantile. Essendo la nostra infanzia la sola natura integra che ancora sia possibile incontrare nell’umanità civilizzata, non c’è da stupirsi se ogni traccia della natura al di fuori di noi ci riconduce alla nostra infanzia. Per gli antichi Greci tutto era diverso. Presso di loro la cultura non degenerò al punto di far abbandonare per essa la natura. L’intero edificio della loro vita sociale era fondato su sensazioni e non sul lavoro composito dell’arte; la loro stessa teoria degli dei era l’ispirazione di un sentimento ingenuo, il parto di un’immaginazione gioiosa, non di una ragione tortuosa come accade per la 1

Leggi anche un articolo del Corriere della Sera in occasione del bicentenario della morte di Schiller: http://archiviostorico.corriere.it/2005/maggio/18/Schiller_genio_classico_della_modernita_co_9_050518028.shtml

Friedrich Schiller, Poesia ingenua e poesia sentimentale, pag. 1

fede delle moderne nazioni. Poiché dunque il Greco non aveva smarrito la natura nel’umanità, poteva anche al di fuori di essa non sentirsene sorpreso e non avere un così impellente bisogno di oggetti nei quali ritrovarla. In unità con se stesso e felice nel sentimento della sua umanità, egli doveva fermarsi a questa come al suo massimo, cercando di armonizzare ad essa ogni altra, mentre noi, scissi in noi stessi e infelici nelle nostre esperienze riguardo l’umanità, non abbiamo interesse più urgente che di fuggire da essa e allontanare dai nostri occhi una forma così imperfetta. Il sentimento di cui qui si parla non è dunque quello degli antichi; è piuttosto simile a quello che noi nutriamo per gli antichi. Essi sentivano in modo naturale, noi sentiamo il naturale. Senza dubbio il sentimento che colmava l’anima di Omero quando fece ospitare Ulisse dal suo divino porcaro, era totalmente diverso da quello che agitava l’anima del giovane Werther quando lesse questo canto dopo essere stato in compagnia molesta2. Il nostro sentimento per la natura è simile a quello che il malato prova per la salute. (…) Il poeta, dicevo, o è natura o la cercherà. Nel primo caso si ha il poeta ingenuo, nel secondo il sentimentale. (…) Quando l’uomo ha fatto il suo ingresso nello stato della cultura e l’arte si è impadronita di lui, egli ha perduto quell’armonia sensibile ed è stato in grado di manifestarsi soltanto come unità morale, cioè come aspirazione all’unità. L’armonia fra il suo sentire e il suo pensare, che nel primo stato aveva luogo realmente, esiste ora solo idealmente, non è più in lui bensì fuori di lui e, come un pensiero che deve ancora realizzarsi, non esiste più come una realtà attuale nella sua vita. Se ora si applica a entrambi gli stati il concetto di poesia, che semplicemente consiste nel conferire all’umanità la più completa espressione possibile, vediamo che nello stato della semplicità naturale, in cui l’uomo agisce ancora con tutte le sue forze contemporaneamente, come unità armonica, e in cui la totalità della sua natura si esprime compiutamente nella realtà, l’elemento costitutivo della poesia è l’imitazione più perfetta possibile del reale; invece nello stato della cultura, in cui per l’uomo quell’armonico concorso di tutte le forze della propria natura è semplicemente un’idea, ciò che definisce il poeta è la capacità di elevare la realtà all’ideale o, il che è lo stesso, alla rappresentazione dell’ideale. E questi sono anche gli unici due modi possibili in cui il genio poetico può in genere manifestarsi. (…) Il poeta, o è natura, o vorrà riconciliarsi con la natura; o cercherà di "far felice il proprio oggetto, o d'elevarlo". Nel primo caso abbiamo il poeta ingenuo, nel secondo il sentimentale. "L'ingenuo è una fanciullezza che si manifesta là dove non è più attesa (…), il sentimentale è la capacità d'elevare la realtà all'ideale", ovvero di trovare nell'ideale quell'unità con la natura alla quale il poeta sentimentale non può accedere spontaneamente. (…) Se si potesse conferire a un fiore artificiale l’apparenza della natura con il più perfetto inganno, se si potesse spingere l’imitazione dell’ingenuo nei costumi fino all’illusione più perfetta, la scoperta che è un’ imitazione annienterebbe del tutto il sentimento di cui si sta parlando. Da ciò risulta chiaro che un simile compiacimento verso la natura non è estetico, bensì morale, essendo mediato attraverso un’idea, e non generato immediatamente dall’osservazione;inoltre non si rivolge alla bellezza delle forme. Che cosa avrebbero di così piacevole per noi anche un semplice fiore, una fonte, una pietra ricoperta di muschio, il cinguettio degli uccelli, il ronzio delle api e altre cose simili a queste? Che cosa potrebbe dar loro diritto al nostro amore? Non sono questi oggetti, bensì l’idea da essi rappresentata ciò che noi amiamo in loro. Noi amiamo in loro la silenziosa vita creatrice, il sereno operare per se stessi, l’esistenza secondo leggi proprie, l’intima necessità, l’eterna unità con se stessi. Essi sono ciò che noi eravamo; sono ciò che noi dovremo tornare ad essere. Come loro noi eravamo natura, e ad essa la nostra cultura deve ricondurci attraverso la via della ragione e della 2

Si riferisce al protagonista del romanzo epistolare di Goethe I dolori del giovane Werther (1° ed. 1774; 2° ed. 1782).. Werther legge Omero nella prima parte del romanzo, e nell’Odissea trova il senso di naturalezza e armonia con la natura che cerca.

Friedrich Schiller, Poesia ingenua e poesia sentimentale, pag. 2

libertà. Sono dunque rappresentazioni della nostra infanzia perduta, che rimane in eterno per noi la cosa più cara, e per questo ci colmano di una vaga tristezza. E sono nel contempo rappresentazioni della nostra perfezione più alta nell’ideale, e per questo ci donano una sublime commozione. Ma la loro perfezione non è merito loro, non essendo frutto della loro scelta. Ci donano quindi il piacere tutto particolare di essere nostri modelli senza umiliarci. Ci circondano come una perenne apparizione divina, ma ristorandoci più abbagliandoci. Quel che costituisce il loro carattere è proprio ciò che manca al nostro per raggiungere la sua perfezione; Ciò che ci differenzia da essi è proprio quel che loro manca per innalzarsi alla divinità. Noi siamo liberi, essi sono necessari; noi mutiamo, essi rimangono identici. Ma solo quando i due caratteri si congiungono tra loro, quando la volontà segue libera la legge della necessità e in tutti i mutamenti della fantasia la ragione afferma la sua regola, si ha il divino o l’ideale. In essi scorgiamo dunque eternamente quel che ci manca, ma verso cui tendiamo, e cui, pur senza mai raggiungerlo, possiamo sapere di avvicinarci in un progresso infinito. Individuiamo il noi una superiorità che a loro manca e di cui o non potranno mai partecipare, come gli esseri privi di ragione, o potranno farlo solo percorrendo, come la fanciullezza, la nostra stessa strada. ci donano quindi il più dolce godimento della nostra umanità in quanto idea, sebbene debbano necessariamente umiliarci rispetto ad ogni stato determinato della nostra umanità.

Friedrich Schiller, Poesia ingenua e poesia sentimentale, pag. 3

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