Francesco Margherita - Manuale di SEO Gardening.pdf
April 16, 2017 | Author: baroneazzurro | Category: N/A
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CAMBIARE CAPPELLO SIGNIFICA CAMBIARE IDEE, AVERE UN’ALTRA VISIONE DEL MONDO. C.G. Jung
Dario Flaccovio Editore
Francesco Margherita
MANUALE DI SEO GARDENING © 2015 by Dario Flaccovio Editore s.r.l. www.darioflaccovio.it
e-book ISBN 9788857904092 Prima edizione digitale gennaio 2015 Edizione digitale realizzata da: Dario Flaccovio Editore s.r.l. Questo e-book viene ceduto in licenza al solo acquirente. Tutto il materiale contenuto in questo e-book è coperto da copyright. Sono vietati: copiatura, riproduzione, trasferimento, noleggio, distribuzione, trasmissione in pubblico e utilizzo al di fuori di quanto previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi utilizzo non espressamente autorizzato dall’editore costituisce violazione dei diritti dell’editore e dell’autore ed è sanzionabile sia in campo civile che penale ai sensi della legge 633/1941 e successive modifiche.
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Ringraziamenti
Ringrazio Claudia, che mi sta sempre vicino. Ringrazio Emiliano, ché gli amici sono merce rara. Ringrazio Enrico Flaccovio, per avermi messo in questo casino. Ringrazio tutti i miei ex soci, per avermi reso consapevole. Ringrazio Giuseppe Di Costanzo, a cui questo testo è dedicato.
Contributori
Accanto all’orto, un po’ discoste, ci sono delle querce. Sotto di loro siedo spesso per ascoltarne i consigli e trarne ispirazione per le mie riflessioni. Te le presento. Jacopo Matteuzzi Inbound Marketing Apologist, SEO e content, fondatore di Studio Samo. Docente di Studio Samo, tiene anche seminari presso strutture universitarie. studiosamo.it
Dario Ciracì Digital PR, SEO e Social Media Strategist. Co-founder e autore di Webinfermento, uno dei più noti blog italiani su social media e web marketing. webinfermento.it
Cinzia Di Martino Si definisce una persona positiva, propositiva, decisa e ottimista (e anche chiacchierona). Laureata in Informatica ma appassionata di blog, social media marketing e web design. cinziadimartino.it
Riccardo Esposito Webwriter e blogger freelance. Ha iniziato a scrivere nel 2004 in un’agenzia stampa e ha continuato nel 2008 in una web agency. Laureato in Scienze della Comunicazione a Roma. mysocialweb.it
Davide Pozzi Consulente Web Marketing, SEO molto anomalo, Taglia-blogger e Internet addicted dal lontano 1995. tagliaerbe.com
Benedetto Motisi SEO e Copywriter, lo trovi in rete come SEOJedi. Si ritiene fortunato di poter lavorare per i motori di ricerca e le innovazioni che affronta dal punto di vista “umanistico”. seojedi.it
Salvatore Russo Marketing Manager di 6sicuro.it, docente e consulente aziendale. È uno dei principali esperti italiani di Google Plus, autore del libro Scopri Google Plus e conquista il web. salvatore-russo.it
Riccardo Scandellari Dentro al Web Marketing dal 1998, giornalista, social media strategist, blogger e docente per master universitari e aziende. Co-fondatore di NetPropaganda. skande.com
Prefazione Jacopo Matteuzzi
C’era proprio bisogno di un altro libro sulla SEO? Secondo me sì. O meglio, di questo sì e ti spiego perché. Sostanzialmente per due motivi. Il primo motivo è – se vogliamo – banale: Francesco Margherita scrive bene. E non solamente perché ha una formazione umanistica e, come il sottoscritto, difende la bandiera dei “SEO non ingegneri” (che poi, né lui né io amiamo queste piccole, squallide faide intestine). Ma anche e soprattutto perché ha un dono che la natura concede a pochi, quello di saper spiegare concetti difficili con parole semplici. «Genio è un uomo capace di dire cose profonde in modo semplice», scriveva Charles Bukowski. Genio è sicuramente una parola sproporzionata rispetto a noi che di mestiere cerchiamo – con più o meno successo – di gabellare l’algoritmo di una multinazionale; ma è fuori discussione che Francesco sappia il fatto suo, e sappia anche spiegare bene e con dovizia di dettagli quello che fa per pagare le bollette. Lo spiega quotidianamente con il suo blog, con i suoi video, nel suo gruppo; e lo ha spiegato egregiamente in questo libro, che è un po’ la sua Summa Theologiae. Chi si approccia per la prima volta ad un argomento come la SEO ha bisogno prima di tutto di essere confortato su un fatto: non stiamo parlando di scienza missilistica. Ciò non significa che chiunque può diventare uno specialista in un weekend (o leggendo un libro, seppure ben scritto); significa però che chi ci mette passione, volontà di imparare, voglia di sperimentare e un minimo di competenza tecnica può dedicarsi a questa attività e ottenere risultati concreti anche senza una laurea in ingegneria informatica, due master al Politecnico di Torino e un anno in Silicon Valley. Questo libro è quindi un ottimo punto di partenza per un neofita (anzi, come direbbe Francesco, un “SEOfita”), ma offre anche spunti di riflessione originali e argomenti inediti per chi, come me, fa già questo mestiere da diversi anni. E questo ci porta al secondo motivo per cui questo libro era necessario, che è anche quello più importante. Questo non è il solito libro sulla SEO.
Sì, ci sono i link, gli anchor text, gli H1 e tutto il resto, lo so. Ma c’è qualcosa in più. Qualcosa a cui Francesco ha dedicato anni di studio e prove empiriche; ci ha praticamente costruito una intera carriera. Sto parlando naturalmente della semantica. Una parte consistente del testo che stai per cominciare è dedicata a come si può applicare la semantica all’attività SEO. Cosa c’entra la semantica con la SEO, ti starai forse chiedendo. C’è da spiegare innanzitutto (brevemente, non temere) che cos’è la semantica. Mentre la sintassi studia le relazioni che intercorrono tra i segni (quindi le regole che chiamiamo “grammaticali”), la semantica si occupa dei significati, cioè, in un certo senso, della relazione che le parole hanno con il mondo. Se nella prima disciplina i motori di ricerca (le macchine, in generale) se la cavano piuttosto bene già da diversi anni, nella seconda – la semantica appunto – la questione si fa più complicata. Per esempio, considera la parola “calcio”: essa si può riferire allo sport più praticato in Italia, ma anche all’omonimo elemento chimico, nonché ad un colpo sferrato in un combattimento corpo a corpo. Se un utente digita “calcio” su un motore di ricerca, a quale delle tre si sta riferendo? Che risultati spera di ottenere? È chiaro che i motori di ricerca non possano ignorare questioni di questo tipo; più difficile da comprendere è invece come decidano di risolverle e attraverso quali meccanismi. Per la cronaca, prova a cercare “calcio” su Google, dovrai arrivare sino alla quarta pagina prima di trovare un risultato che non c’entri con lo sport nazionale. Potevi immaginarlo, ma non sempre la scelta è così facile. Inoltre, a complicare tremendamente le cose, c’è il fatto che la formula di Google è come quella della Coca-Cola: segreta. Se possiamo affermare con certezza che Google stia oggi usando “in qualche modo” algoritmi di tipo semantico e non puramente sintattico, non ci è dato invece sapere esattamente come e quali utilizzi. La semantica nella SEO è per questo un argomento delicato e spinoso, che suscita grande interesse, ma anche pareri discordanti nell’ambito della comunità di chi si occupa di ottimizzazione. E qui veniamo al punto. Francesco sostiene in questo libro (e in numerosi post sparsi per il web) che si possa non solo applicare la semantica alla scrittura dei testi in ottica SEO (fin qui siamo più o meno tutti d’accordo), ma anche – riportando esempi e prove – che la si possa usare al posto dei tradizionali metodi “off-site” (sto parlando ovviamente della link building) per migliorare il posizionamento di un sito web. Come? Devi leggere il libro per
scoprirlo! I metodi di Francesco Margherita, che possiamo senza dubbio definire poco ortodossi, hanno attirato ammirazione da parte di molti nella comunità SEO, ma anche critiche, talvolta aspre. Assolutamente normale: chiunque si discosti dall’ortodossia, per forza di cose dividerà gli animi. Visionario o ciarlatano? Copernico o Do Nascimento? Qualcuno mi ha detto: “Francesco Margherita sta sbagliando tutto, non può mettersi contro i Guru, deve stare al suo posto”. Ma io mi chiedo, se tutti ragionassimo così Matteo Renzi non starebbe ancora friggendo crescentine alla festa dell’Unità? Per dire. Francesco, pur essendo una persona socievole e gentile, non ha timori reverenziali. È uno di quelli che non ha problemi a far sentire la sua voce anche quando è fuori dal coro. L’ha fatto sul web, l’ha fatto in queste pagine. Quanto meno per questo merita ammirazione, e il suo libro – davvero – merita di essere letto.
Premessa
Il manuale di SeoGardening è un testo completo sull’ottimizzazione per i motori di ricerca che si rivolge a tutti i SEO o aspiranti tali, accomunati dall’allergia acuta al codice delle pagine web. L’obiettivo è raccontare in modo esauriente e comprensibile i principi di funzionamento e di risposta dei motori di ricerca. Può essere consultato da chi è alle prime armi per apprendere i rudimenti della disciplina, come da chi è già esperto, per cogliere nuovi spunti di riflessione. Il libro si sviluppa fondamentalmente in quattro aree: la prima inquadra il “mestiere” della SEO, fornendo indicazioni su come affrontare il mercato, i clienti, spazio, tempo e forza di gravità; la seconda inquadra tutte le attività di ottimizzazione da sviluppare sul sito web; la terza affronta le tecniche e le strategie di visibilità sui motori di ricerca con particolare attenzione alle riflessioni sulla semantica applicata alla SEO, e infine la quarta inquadra i settori specifici e le tipologie di progetti in cui ci si trova più frequentemente ad operare. Nel panorama italiano, esistono già ottimi testi tecnici scritti da SEO di estrazione informatica o economista. Questi testi sono di certo guide utilissime per chi si avvicina a un settore che si evolve sempre più velocemente come la ricerca web. Domanda banale: perché scriverne un altro? Questo libro affronta la SEO sviluppando un approccio sociologico all’osservazione dei motori di ricerca. Il gigante Google non viene preso in esame solo per come classifica i documenti web rispetto ai segnali di ranking classici, ma per la sua capacità di leggere le dinamiche relazionali tra gli utenti del web e soprattutto in base alla sua capacità di stabilire il peso dei significati che vengono espressi nel mercato della domanda e dell’offerta di informazioni che è chiamato ad arbitrare.
Introduzione
Gli alieni non li ho mai incontrati, ma è come se a un certo punto mi avessero rapito e messo in corpo qualcosa che ha completamente cambiato la mia percezione della realtà, spegnendo una parte di me. Nel momento stesso in cui ho smesso di pensare, la mia mente è diventata silenziosa e si è riempita di intuizioni. È cominciato all’improvviso, all’inizio del 2013. Fino ad allora il mio modo di intendere la SEO era canonico, improntato sulla competizione con i siti web concorrenti e con gli altri SEO che li curavano. Trova la keyword, ottimizza il codice di un sito e crea esternamente il numero di link necessario affinché Google ritenga il sito meritevole di occupare posizioni elevate in SERP. Fai un po’ il misterioso, tieniti per te quello che funziona e magari metti pure gli altri sulla cattiva strada, fornendo informazioni incomplete o volutamente distorte. Insomma, porta acqua al tuo mulino, senza pensare più di tanto al fatto che il mercato della SEO è allo sbando da anni ormai, perché le aziende ci ritengono una via di mezzo tra pazzi esaltati e santoni indiani (intanto gli indiani offrono gli stessi servizi per un prezzo 10 volte inferiore). A queste condizioni solo un avventuriero o un giocatore d’azzardo accetterebbe di rivolgersi a te, e infatti la triste verità è che in Italia ci sono oltre 4 milioni di imprese e se solo l’1% di queste investisse in marketing digitale, avremmo 40.000 imprese in cerca di operatori. In una situazione del genere tutte le agenzie di comunicazione e i liberi professionisti non basterebbero a far fronte alla domanda di servizi SEO. Ma perché le cose non
vanno così? Cosa frena le aziende dall’investire in comunicazione e visibilità nei motori di ricerca? Semplice, il fatto che i SEO pensano ancora ognuno ai fatti propri, circondandosi di aloni di santità cybernetica. “Loro” sono autentici signori del male, temuti e rispettati, osannati e celebrati da stuoli di aspiranti SEO, o come li definisco sempre seofiti, animati da un’eterna brama di rivelazioni che non arrivano e non arriveranno. Ma se sei un seofita, sei veramente sicuro di voler diventare un SEO così? Te lo chiedo perché la situazione in questo momento è che troppo spesso non si riesce a portare risultati ai clienti, che proprio per questo cambiano di continuo fornitori di servizi, quando non cessano del tutto gli investimenti in questa direzione. Mettiamola così, immagina di esserti rotto una spalla e di aver bisogno di operarti per rimetterla a posto. Lo faresti sapendo che 9 chirurghi ortopedici su 10 peggiorerebbero la situazione? Probabilmente te ne torneresti a casa con la tua brava spalla rotta e cercheresti di rimettertela a posto da solo alla meglio, almeno io farei così. Con la SEO succede la stessa cosa: meglio provare a far qualcosa da solo, piuttosto che rivolgermi al SEO “rabdomante” che mi riempie la testa di “supercazzole” e mi rifila un servizio costoso che forse funzionerà e forse no. Piuttosto occorrerebbe parlare chiaro e vendere solo servizi in grado di aumentare il valore dell’azienda cliente, perché è per questo che veniamo pagati. Va bene che in quanto imprenditori ci si assume il “rischio d’impresa”, ma non è che l’investimento dev’essere una roulette russa! Quello che facciamo non si vede a occhio nudo e questo è un problema perché la SEO diventa un palcoscenico per rituali messianici oscuri ai più. Quanto più sei bravo ad agitare la bacchetta magica, tanto meglio vieni percepito come operatore… questo però va bene in tempi di vacche grasse. Ho deciso di scrivere questo libro per vari motivi, uno importante è il proposito (spero non troppo a lungo termine) di contribuire a migliorare l’intero mercato di riferimento in cui opero, quello di chi offre servizi SEO, per far sì che le aziende comincino a fidarsi di noi. Se già si percepisse che 6 o 7 SEO su 10 sono in grado di produrre valore in termini di fatturato attraverso il loro lavoro, sono convinto che in poco tempo il numero di aziende in cerca dei nostri servizi sarebbe tale da richiedere un numero di operatori cento volte superiore a quello odierno. Vuol dire nuovi posti di lavoro, sviluppo di un settore che a mio avviso cresce male da oltre un decennio, perché viziato dal fatto che in questa partita ognuno ha giocato solo per sé, senza condividere,
senza desiderare mai realmente di far crescere la nostra comunità. Molti amici pur contenti che io pubblicassi questo libro, mi hanno ammonito affinché tenessi per me le tecniche più efficaci. «Non rivelare tutto quello che sai», mi hanno detto, «cerca di restare sempre un passo avanti agli altri, perché, nel tuo campo, fornire un vantaggio competitivo metterebbe i concorrenti in condizione di rubarti una bella fetta di mercato». Bene, io credo che sia proprio ragionando in questo modo che si finisce per impoverire una disciplina fino a quando non ne rimane traccia. Pensa all’Unione Sovietica ai tempi della guerra fredda: era un sistema chiuso verso l’esterno, sia a livello economico che sociale. Una cosa che ho imparato da sociologo è che TUTTI I SISTEMI CHIUSI PRIMA O POI IMPLODONO, esattamente come è successo per l’URSS che si è dissolta nell’aria un bel giorno, come una bolla di sapone. No grazie, non m’interessa tenermi alcun vantaggio competitivo. Sono invece convinto che la ricchezza derivi dalla massima apertura, dal mescolarsi, dal litigare, perché solo quel che è messo in comune può migliorare la vita delle persone e io sento forte che per migliorare la mia vita, devo migliorare quella degli altri, come facevano gli idraulici, gli elettricisti e i ciabattini prima di estinguersi durante l’ultima era glaciale. Un altro motivo per cui ho scritto questo libro è per tentare di riflettere sulla SEO partendo da un’impostazione diversa dal solito. Ci sono già ottimi testi sulla materia, ma tutti risentono di un discreto grado di obsolescenza entro i due anni. Credo che il problema sia che i libri sulla SEO trattano i temi dell’ottimizzazione e del posizionamento da un punto di vista tecnico, partendo dal BACKGROUND INFORMATICO (da cui in effetti la disciplina proviene). Google è un software ma, se lo tratti solo come tale, le misure che adotterai nel tuo approccio ad esso, per quanto valide, dovranno mutare continuamente per adattarsi ai cambiamenti delle infrastrutture tecnologiche su cui si basano i motori di ricerca. Se invece consideri che il software Google è programmato per avere a che fare con persone e abitudini di ricerca/consumo e soprattutto con le interazioni basate sulla tecnologia “linguaggio”, allora troverai che esistono delle costanti nella riflessione sui motori di ricerca, ed è proprio sulla sotto struttura di queste costanti, osservabile nelle relazioni tra utenti, documenti web e significazione, che si fondano le riflessioni più importanti che troverai in questo libro.
È PERCHÉ SONO UN SOCIOLOGO.
Come tale ammiro da sempre gli sforzi compiuti da scienziati sociali quali Emile Durkheim e Max Weber, studiosi che sono davvero riusciti a isolare pezzi di realtà e guardarci dentro. Oggi per noi è fin troppo facile fare inferenza seduti davanti ai software analitici. Ebbene, studiali, comprendine il funzionamento, ma impara anche a farne a meno, perché le cose più importanti da sapere rispetto a questo lavoro che amo così tanto le dovrai intuire da solo ogni volta. Il tuo percorso comincia qui. Cercherò di aprire la tua percezione ai fenomeni e alle rappresentazioni sociali alla base delle attività che portano ad essere visibili sui motori di ricerca. Tieniti pronto, perché da qui si parlerà di argomenti che poco si avvicinano alla SEO tradizionalmente intesa. Molti dei concetti che troverai in queste pagine sono stati presentati attraverso il mio blog seogarden.net e aspramente criticati dalla comunità dei SEO a cui pure sono così fiero di appartenere. Sii giudice imparziale delle mie teorie. Migliorale. Contribuisci con il tuo impegno e la tua presenza a far crescere la SEO italiana. Nel frattempo, buona lettura e buon viaggio.
1. Cos’è la SEO
1.1. Per fare SEO devi liberarti dell’ego Mi piace girare intorno al concetto di NORMALITÀ, perché fa pensare a quanto le persone abbiano bisogno di sentirsi uguali tra loro, ma allo stesso tempo a quanto l’omologazione venga percepita come un grosso problema dagli egocentrici, quindi più o meno da tutti noi. Abbiamo un ego con il quale ingaggiamo lotte furiose fin da ragazzini. Del resto liberarsene è un’impresa notoriamente abbastanza difficile in cui pare siano riusciti solo personaggi illuminati come Gesù Cristo, il Buddha e Cristiano Malgioglio. Se un SEO vuole ottenere risultati importanti, deve liberarsi del suo ego e diventare “normale”, non nel senso che deve omologarsi agli altri, piuttosto deve “essere” gli altri. Tutti quanti. Se vuoi essere un buon SEO, devi perderti come individuo e ritrovarti in tutte le dinamiche sociali e relazionali intorno alle quali stai cercando di fare posizionamento per il sito web di cui ti occupi. Essere NORMALI, da questo punto di vista vuol dire evitare di ascoltare la propria mente e concentrarsi a un livello più profondo, tale da evitarci di commettere quello che viene definito errore fondamentale di attribuzione1. Si tratta di un tipo di errore nella definizione degli oggetti di conoscenza, che viene il più delle volte commesso dall’osservatore egoico, o se preferisci dallo scienziato ingenuo, cioè un individuo che, guardando la realtà attraverso il proprio filtro cognitivo, arriva serenamente ad attribuire senso alle cose che
vede derivandolo dalla sua razionalità limitata, senza osservare il contesto. In pratica tutti noi tendiamo a giudicare le cose per come le vediamo, non per come vengono viste dagli altri. Questo può essere interessante rispetto alle forme d’arte perché apre al “punto di vista”, però se la SEO non è arte, ma artigianato, non possiamo ragionare nell’ottica del “secondo me funziona così perché è sicuramente così”. Più che normale quindi, un SEO dovrebbe essere normalizzato, che scritto così sembra una brutta parola, ma se ci pensi un attimo, la sola idea di riuscire a liberarci dalla gabbia della nostra percezione per abbracciare le infinite percezioni del reale libera un potere dirompente, quello di raggiungere tutti. È il Sacro Graal, l’obiettivo ultimo di chi fa SEO. Liberarti dall’ego e diventare una persona “normale” è una cosa semplicissima, devi solo smettere di identificarti con te stesso e di giudicare le persone e le cose. Il NON GIUDIZIO è il primo passo per avere la presenza di spirito necessaria a operare in contesti anche molto lontani da quelli che ti sono congeniali. Il maestro Yoda direbbe che il primo passo da compiere per cambiare il mondo fuori di te è cambiare il mondo DENTRO DI TE. Il mondo esterno è immerso nel giudizio, quello interno è silenzioso, ricco e pieno di intuizioni. Google è un software progettato per classificare i giudizi delle persone, i contenuti, il rumore. Mette tutto insieme e attribuisce valore ai singoli documenti in base a logiche specifiche. L’unico modo che hai per cogliere queste logiche è OSSERVARE I GIUDIZI E LE INTENZIONI DI RICERCA che si trovano dietro ai contenuti che Google classifica, senza identificarti con essi. L’unico modo che hai per osservare un giudizio è “non essere quel giudizio”, altrimenti non vedrai niente. Ma se il mondo esterno è appunto IMMERSO nel giudizio, allora non è cercando all’esterno che riuscirai a capirci qualcosa, ma all’interno. Smetti di cercare, trova, perché chi cerca vive nel tempo, mentre CHI TROVA VIVE NEL PRESENTE, fuori dal tempo e dallo spazio. In questo senso la figura del SEO è quella dell’osservatore. Seguendo questa logica, un SEO potrebbe non fare nulla per tutta la vita rimanendo in contemplazione del motore di ricerca. Guadagnerebbe comunque abbastanza da vivere senza preoccupazioni, e se non ci credi è perché hai letto questo passaggio con la mente. Riprova. 1.2. Due cose su Google
Google è un’azienda multinazionale il cui modello di business gira principalmente intorno alla vendita di INSERZIONI PUBBLICITARIE. Per attirare investimenti, Google si è accreditato come il miglior motore di ricerca al mondo. Di fatto lo è perché fornisce i risultati più pertinenti rispetto alla maggior parte delle ricerche che ti verrà mai in mente di fare. 1.2.1. Google Universal Search Quando si parla di Google, la prima cosa che viene in mente è il motore di ricerca e sistematicamente ci si dimentica che Big G è molto più di questo, perché al di là di tutti i software di analisi e monitoraggio di cui l’utente medio non verrà mai a sapere, Google è di fatto un ecosistema in cui convivono più motori di ricerca integrati tra loro: Web ♦ Immagini ♦ Maps ♦ Shopping ♦ Video ♦ Notizie ♦ Libri ♦ Voli ♦ App. ♦
Se un tempo questi motori erano indipendenti tra loro, dal 2007 Google ha cominciato a integrare nelle SERP web anche i risultati degli altri motori di ricerca. Tale integrazione prende il nome di Universal Search. Quando ad esempio Google riscontra che una query2 è frequentemente espressa in funzione della ricerca di un’immagine, ne prende alcune da Images e le integra nella SERP web. Allo stesso modo, quando Google si accorge che una query attiene a un indirizzo o è pertinente con una o più strutture geolocalizzate su Google Maps, integra le mappe nella SERP web e così via. La logica di Universal Search vale come un monito per chiunque si occupi di
search marketing, affinché osservi bene le SERP organiche in cui vuole essere visibile e si adoperi lavorando opportunamente su tutti i motori di ricerca i cui risultati si trovano ad essere integrati in quelle stesse SERP. 1.2.2. Criteri di attribuzione di ranking “In base a cosa Google decide quale contenuto deve posizionarsi più in alto in una SERP per una parola chiave?”. I criteri di attribuzione sono tantissimi, ma possono essere raggruppati in tre macro aree. QUALITÀ INTRINSECA DEL CONTENUTO
Quanto è scritto bene il contenuto in questione? Quanto risponde alle domande più frequenti degli utenti rispetto a quell’argomento? Contiene link a risorse interne/esterne valide? È ottimizzato correttamente per i motori di ricerca? POPOLARITÀ DEL CONTENUTO (E DEL SITO CHE LO OSPITA)
Spesso, soprattutto sulle SERP iper competitive, Google attribuisce ranking ai nuovi contenuti su base EURISTICA, premiando cioè con un posizionamento elevato i contenuti presenti su siti web già popolari, di cui cioè ha fiducia, indipendentemente dal fatto che possano esistere altri contenuti qualitativamente migliori su altri siti web meno “famosi”. Se ci pensi è lo stesso meccanismo mentale per cui anche noi esseri umani commettiamo errori di valutazione ogni volta che per pigrizia non approfondiamo la conoscenza di qualcosa, ma ci affidiamo al consiglio dell’esperto di turno. Così come è chiaro che non possiamo avere una conoscenza enciclopedica del mondo che ci circonda, allo stesso modo Google sa di non avere (ancora) sufficienti risorse per valutare nel merito ogni nuovo contenuto che viene pubblicato sul web; così nel 2007 ha introdotto il trust rank, un algoritmo che valuta il livello di affidabilità di un sito web rispetto agli argomenti che tratta. Misurare il trust rank è formalmente impossibile, ma in seguito vedremo quali sono gli elementi per favorirne nel tempo l’attribuzione per i siti web che curiamo. POPOLARITÀ DELL’AUTORE DEL CONTENUTO
L’AUTHOR RANK è una direzione in cui Google si muove a fasi alterne già almeno dal 2011. La logica alla base del rank per autore è la stessa in base alla quale un contenuto si posiziona per la popolarità di un sito. Quando Google percepisce la presenza di una fonte autorevole, valutata come tale sulla base di parametri inconoscibili ma che proveremo a indagare in seguito, favorirà il posizionamento di un contenuto indipendentemente dalla sua qualità
intrinseca. In questo senso e a questo scopo, Google cerca di racimolare ogni brandello di informazione su CHI si occupa di COSA e a che livello. Domanda: “è sufficiente occuparsi di SEO e aver scritto mille articoli sull’argomento per essere autorevoli?”. 1.3. Cosa vuol dire fare SEO La SEO è l’ottimizzazione di un sito web per i motori di ricerca. Quando in questo libro parlo di motori di ricerca in realtà parlo di Google, perché al di là della differenza imbarazzante in termini di sviluppo della piattaforma tecnologica, il traffico web proveniente dai motori di ricerca diversi da Google è irrilevante nella maggior parte dei casi. #sapevatelo. Google è una rappresentazione digitale del mondo, esattamente come la Matrix cinematografica, e noi ci muoviamo in quest’ambiente ogni giorno, scegliendo i contenuti che ci mette sotto il naso. Ti sei mai chiesto se sei davvero tu a decidere quale sito visitare tra quelli che trovi in SERP? In questa Matrix, al posto degli AGENTI, ci sono software di scansione che percorrono il Web in lungo e in largo di continuo, alla ricerca di contenuti nuovi da assorbire negli indici di Google o già esistenti (ma modificati) da riassorbire nuovamente. Il processo di assorbimento dei contenuti avviene ad opera di questi software che si chiamano bot, spider o crawler, ed è il primo passo del processo di INDICIZZAZIONE. 1.3.1. Cos’è l’indicizzazione? L’indicizzazione è la catalogazione dei contenuti di un sito web da parte del motore di ricerca. È un processo spontaneo che riguarda i contenuti scansionabili, quindi non inibiti attraverso l’uso del tag meta robots o del file robots.txt. Una volta scansionati i contenuti, Google ne fa una copia che tiene come riferimento nei suoi server. Tali copie vengono inserite negli indici di Google, che sono come un enorme elenco telefonico. Quando avviene questo passaggio i contenuti di un sito web si dicono indicizzati.
Fare SEO significa innanzitutto strutturare il codice e i contenuti di un sito web in modo da orientare meglio possibile il bot di Google rispetto alla scansione e all’indicizzazione dei contenuti rilevanti rispetto al modello di business del sito stesso. In sostanza, Google deve capire quali sono i contenuti più importanti, quelli destinati alla conversione, cioè al processo che segna il passaggio da utente a cliente, e dare a questi una priorità maggiore rispetto agli altri dello stesso sito. Va da sé che, in assenza della definizione strategica di un non possiamo parlare di SEO né di web usability.
3 MODELLO DI BUSINESS ,
Ogni sito web aziendale per il quale ci sia comunque un interesse al posizionamento sui motori di ricerca presenta contenuti di diverso genere. Il lavoro di un SEO è far capire al motore di ricerca quali di questi contenuti sono prioritari rispetto alle attività che producono vantaggio di qualunque genere, non per forza economico. 1.3.2. E quando un sito web non viene strutturato in ottica SEO? Come ho scritto, l’indicizzazione è un processo spontaneo. Il bot di Google assorbe tutto quello che può, sempre e comunque. Quando la struttura di un sito web non viene progettata in modo da orientare correttamente il processo di scansione e indicizzazione dei contenuti, l’inserimento negli indici avviene in modo CASUALE, vale a dire che ad esempio, nel nostro sito e-commerce, Google potrebbe attribuire alla pagina resi e recessi un’importanza maggiore di quella che invece dovrebbe dare a una categoria di prodotti in vendita. Tante volte i siti web vengono strutturati senza attenzione e gli utenti non riescono a capire bene di cosa si parla. In un mondo ideale, il SEO dovrebbe lavorare insieme a chi sviluppa il sito e a chi produce i contenuti, in modo da far capire tutto quel che si vuole comunicare secondo i livelli di priorità dettati dal modello di business sia agli utenti che al motore di ricerca. Fare SEO significa anche progettare i contenuti secondo una logica tale da far sì che un sito web dica tutto, nel modo migliore possibile, una volta sola. Questa è la mia REGOLA AUREA rispetto all’ottimizzazione di un sito per i motori di ricerca: TUTTO, NEL MODO MIGLIORE, UNA VOLTA SOLA Vuol dire che ogni argomento può essere approfondito attraverso la sistematizzazione in livelli differenti, dal più superficiale e generico al più
profondo e specifico. In questo senso la teoria della PIRAMIDE ROVESCIATA, nota ormai a tutti i copywriter da qui alla cintura di Orione, viene applicata come principio logico anche alla struttura SEO. Quello che conta è non avere ridondanze, cioè contenuti talmente simili da mettere Google nei guai allorquando deve decidere quale contenuto dice cosa. Fare SEO significa anche fare marketing, quindi strutturare un sito web insieme a chi conosce il mercato di riferimento (e se il marketer non c’è devi studiartelo da solo). Per decidere a quali contenuti dare maggior peso tra quelli rilevanti rispetto al modello di business, devi necessariamente avere un quadro chiaro del settore e del segmento di mercato nel quale stai operando. Non è un lavoro che attiene alla SEO, ma nemmeno possiamo pensare di fare un buon lavoro senza saperne niente. Fare SEO significa anche ASCOLTARE e prendere decisioni in termini di ottimizzazione del sito, sulla base di quello che gli utenti esprimono in termini di SIGNIFICAZIONE rispetto alle parole chiave sulle quali stai lavorando. In questo ambito si sviluppano tutte le riflessioni sulla SEMANTIC SEARCH, che in questo libro avranno molto spazio e che rappresentano il presente e il futuro per chi si occupa di questo mestieraccio. Fare SEO in definitiva significa comprendere il funzionamento e le logiche di Google, sulla base delle quali i contenuti indicizzati si posizionano nelle varie SERP risultanti dalle diverse query inserite dagli utenti. Google determina il ranking di un contenuto, appunto il suo posizionamento, su base algoritmica, incrociando oltre 200 parametri, senza dirci come. Solo attraverso la sperimentazione continua, un SEO può fare RETRO INGEGNERIA e sperare di estrapolare tecniche che portino risultati ogni volta. 1.3.3. Cosa si intende per posizionamento organico? Un’altra domanda da un milione di dollari: “cosa è il posizionamento organico?” Molti colleghi più che autorevoli fanno una distinzione tra le attività SEO e quelle di posizionamento, riferendosi a queste ultime come alle attività ESTERNE al sito web da posizionare nei motori di ricerca. Ad esempio la produzione di link in ingresso, la LINK BUILDING, viene messa da alcuni tra le attività di posizionamento, non tra quelle SEO. Se questa distinzione ti sembra scomoda, tieni conto che quando fai un preventivo a un potenziale cliente, potrà essere utile dettagliare i singoli costi
delle attività SEO (sul sito), tenendoli separati da quelli delle attività di posizionamento (fuori dal sito), generalmente più impegnative e costose. Così facendo farai comprendere meglio al tuo cliente cosa sta comprando e per cosa paga. L’ottimizzazione SEO generalmente viene sviluppata PRIMA delle attività esterne tese al posizionamento organico. La SEO rende possibile il posizionamento ma non lo determina se non talvolta, per parole chiave a bassa o media concorrenza. Pretendere di ottenere buoni posizionamenti per chiavi competitive, con attività esterne verso un sito web non ottimizzato per i motori di ricerca, equivale a pretendere di far muovere un’automobile con i semiassi spezzati, solo gonfiando le ruote. OCCORRE ESSERE PRONTI.
Solo quando sai di poter ottenere risultati replicabili nella quasi totalità dei casi, puoi definirti un SEO, ma per arrivare a quel livello dovrai attraversare fallimenti, perdere soldi, sonno e salute. Google è un core di software programmati per riprodurre in digitale la classificazione sociale di tutta la conoscenza condivisa al mondo. Le sue logiche di attribuzione di valore sono le stesse logiche imperfette con le quali gli esseri umani giudicano la realtà. Se quindi vuoi capire come funziona Google devi comprendere il modo in cui le società creano le istituzioni, belle o brutte che siano. Per questo motivo credo che chiunque provenga da studi di comunicazione sia straordinariamente qualificato per fare SEO con questo approccio che non è informatico, ma sociologico: se Google è programmato per classificare l’agire sociale, allora perché non provare a interpretarne le logiche studiando le società umane? Come funziona Google? Vorrei tanto che ROBERT MERTON fosse qui per fargli questa domanda. A lui dobbiamo la teoria degli effetti non intenzionali perversi, ovvero l’idea che tra ciò che intendiamo fare e ciò che in effetti facciamo ESISTA UNO SCARTO tale da generare una serie di effetti non intenzionali, collaterali, imprevisti e connessi a tale scarto. Il vecchio Bob sarebbe sicuramente stato un SEO migliore di me, e se il senso di questa teoria ti suona vagamente comprensibile, preparati, perché tra un po’ ci sarà da ballare. 1.4. Come si impara la SEO Quando andavo al liceo, c’è stato un periodo in cui tutti i miei professori si
contendevano il primato per l’importanza della materia che insegnavano, proprio rispetto alla vita. La prof di filosofia affermava categoricamente che ogni cosa della vita va affrontata con approccio filosofico, mentre quella di chimica ci redarguiva facendoci riflettere su come al mondo tutto fosse questione di reazioni chimiche. Il migliore di tutti era chiaramente il prof di educazione fisica che, trangugiando patatine al formaggio, ci diceva sempre: «ragazzi, oggi vi sentirete pure immortali, ma col tempo dovrete fare sempre più attenzione al vostro fisico perché, ricordatevelo sempre, siete quello che mangiate!». Come dimenticarlo, imponente in quella tutina felpata ogni giorno più stretta. La voce impastata dai trigliceridi. Il senso di quest’aneddoto è che chiunque cerchi di insegnarti qualcosa nella vita proverà a farlo portando acqua al suo mulino. La didattica non è obiettiva, non lo è mai. Ogni volta che qualcuno ti insegna qualcosa, anche quando impari come autodidatta, le nozioni e l’inquadramento con cui entri in contatto non sono niente di più che un PUNTO DI VISTA, che risulterà tanto più corretto quanto più elevato sarà il numero delle persone pronte a dar credito a quell’inquadramento. Soprattutto un territorio concettuale come la SEO, in cui puoi affrontare ogni giorno SERP che rispondono alle stesse sollecitazioni in modo diverso, in cui ci confrontiamo periodicamente con MUTAZIONI ALGORITMICHE CATASTROFICHE che cambiano la faccia dei motori di ricerca in modo più o meno evidente (e Google non ci ha lasciato il manuale di istruzioni), non commettere mai l’errore di ritenere che una tecnica o un approccio sia migliore di un altro a prescindere. Piuttosto di fare scelte ESCLUSIVE, cioè prediligere questo al posto di quello, fanne di tipo INCLUSIVO, scegli questo e anche quello, senza temere di incasinarti la vita o di finire in confusione. Se vuoi mettere ordine nel caos, devi prima abbracciarne le logiche. Di questo ci occuperemo, ma non fidarti di una sola parola di ciò che scriverò, altrimenti non funziona.
Chiaramente non è opportuno “abbracciare il caos” mentre lavori per clienti paganti. In quel caso, per quanto non si possa essere certi di nulla e la stessa Google dichiari che nessun SEO può promettere di posizionare un dato contenuto in una specifica posizione in SERP, devi fare SEO secondo coscienza utilizzando le tecniche che funzionano nella maggior parte dei casi in quel segmento di mercato che conosci o per lo meno in segmenti vicini. “Quali sono queste tecniche? Come le imparo?” Un’altra ottima domanda, alla quale risponderò in modo chiaro: devi ACQUISTARE DOMINI o PROCURARTENE GRATUITAMENTE, montarci sopra siti web e cercare di posizionarli per parole chiave diverse su SERP diverse, dopo aver prodotto la migliore ottimizzazione possibile. In questo libro ti lascerò tutte le basi concettuali per fare un buon lavoro sia sul sito “on site” in termini strutturali, sia sulla singola pagina “on page”, sia fuori dal sito “off site”, naturalmente creando un contesto in cui è il CONCORSO DI CAUSE a generare un risultato, mai una singola azione. Impara a ragionare in termini strategici, non tattici. Una TATTICA è un’azione che messa in pratica conduce a un effetto nel breve periodo. Una STRATEGIA è un insieme di azioni coerenti e coordinate tra loro, che messe in pratica conducono a un effetto nel medio o lungo periodo. Una tattica può essere utile, ma nella maggior parte dei casi rimane fine a se stessa, mentre nella strategia c’è misura, logica, proporzione armonica. Una tattica può non funzionare, ma una strategia ti porta sempre da qualche parte. Di questo puoi esser certo. 1.4.1. Chi può imparare la SEO Tutti sanno che la SEO è una disciplina di estrazione informatica. I primi SEO, alla fine degli anni ’90, erano web master che inserivano parole chiave in modo più o meno dignitoso nelle pagine dei siti web per garantirsi un buon
posizionamento su quello che era l’antenato del motore di ricerca più evoluto al mondo. Intanto è interessante notare come sul Web una quindicina d’anni equivalgano a circa tre ere geologiche. Ci pensi mai che 10.000 anni fa gli esseri umani erano già come noi dal punto di vista evolutivo? Certe volte non riesco a farmene un’idea… Nelle due ere geologiche seguenti, fino al 2005 più o meno, il web e la SEO in particolare hanno continuato ad essere appannaggio di informatici, perché per metterci le mani ne dovevi capire abbastanza di codice e all’epoca i tutorial non si trovavano ovunque come oggi. Poi all’improvviso è arrivato WORDPRESS, il CMS (Content Management System) che ha sdoganato tanto la SEO quanto la possibilità per ognuno di realizzare un sito web degno di questo nome. Gioia e tripudio, se non fosse che da quel momento il Web si è riempito di spazzatura informatica come il cestino sotto la mia scrivania si riempie di lattine di birra vuote la domenica sera. Se il lato negativo è stata la proliferazione incontrollabile di “sitacci”, quello positivo è stato il fatto che da quel momento chi aveva studiato comunicazione poteva finalmente dire la sua, facendo sentire la propria voce dentro o fuori dal coro, tracciando nuove strade. È in quel periodo che anch’io ho cominciato a fare SEO e se ora sono qui a raccontartelo vuol dire che strade da percorrere ce n’erano e ce ne sono ancora tante per chi ha studiato comunicazione o per chi proviene in genere da studi umanistici e guida un trattore. LE BASI DELL’HTML LE DEVI CONOSCERE, ma non hai da sapere niente che oggi non si trovi su Google schioccando le dita. Devi saper programmare un file htaccess, ma certo non ti serve una laurea in informatica per acquisire quel tipo di nozioni, che comunque in questo libro non ti darò direttamente, perché sono davvero troppo facili da reperire sul web. Qui si fa la SEO, o si muore! Ogni tanto leggo in giro offerte di lavoro mirate per SEO in cui è richiesta una buona conoscenza di html, CSS e PHP. Non di rado nelle stesse offerte richiedono anche una certa esperienza nell’e-mail marketing, nel tuning di campagne AdWords e già che ci siamo anche nella gestione di pagine fan su Facebook. Queste non sono offerte di lavoro, sono lamenti disperati. Lasciali perdere, perché una cosa è farsi le ossa, cosa diversa è rompersele.
Dario Ciracì
LA DIFFUSIONE DELLA SEO IN ITALIA Ricordo quando iniziai ad avvicinarmi alla SEO nel 2007 come questa materia fosse ancora vista come un passatempo da nerd piuttosto che come una professione. L’idea che mi facevo è che la SEO fosse percepita dai non addetti ai lavori come un’arte molto simile a quella dell’hacking e alla manipolazione delle informazioni. Certo, per molti è ancora oggi così e bisogna anche ammettere che nei primi anni di diffusione (dal ’98 fino a una decina di anni fa) fare SEO voleva dire manipolare i risultati di ricerca dell’utente per determinate query, favorendo le proprie pagine web. Sicuramente però dal 2007 ad oggi, nonostante siano trascorsi soltanto (si fa per dire) 7 anni, le cose si sono evolute moltissimo. A cambiare sono stati soprattutto l’approccio alla professione e la percezione, da parte degli acquirenti, della stessa. C’è stato sicuramente un profondo e radicale cambiamento nel modo in cui noi operatori ci approcciamo alla SEO. Da attività da svolgere quasi in segreto e in modo individuale, magari mangiando popcorn e ascoltando heavy metal, è diventata una professione strategica a tutti gli effetti inserita nel ramo più ampio della branca del web marketing, che a sua volta compone il dipartimento Marketing e Pubblicità nell’organigramma funzionale di molte aziende. È divenuta prima un’attività di specializzazione e figura professionale riconosciuta all’interno delle web agency e poi anche intero comparto divisionale all’interno delle più importanti aziende multinazionali. Non è raro vedere infatti oggi la divisione compartimentale dedicata al Search Marketing in molte grandi aziende con una presenza consistente nell’online e che dispone di un intero team dedicato alla SEO: Head of SEO, SEO Specialist e Junior, Content Outreach Specialist, Content Producer, SEO Copy, ecc. La costante evoluzione degli algoritmi di Google da un lato e delle SERP dall’altro, che sembrano voler sempre più dare visibilità agli annunci sponsorizzati e ai box del knowledge graph, che estraggono sempre più dati e informazioni tabellari dai siti web, rispondendo sempre meglio alle query degli utenti, ha cercato di mettere spesso in crisi la SEO facendo credere che fosse una professione destinata a morire presto. Tuttavia queste affermazioni sono state smentite nel momento in cui, guardando sia ai canali di investimento da parte delle aziende sia ai ritorni degli investimenti, il Search Marketing organico risulta essere il canale più proficuo, ancora oggi. Proprio così, nonostante tutto, la SEO converte ancora tantissimo. In Italia si nota inoltre molto fermento tra i giovani che guardano per la prima volta alla professione. In molti vogliono imparare e diventare dei bravi SEO e anche chi inizia a lavorare in un’altra area (es. e-mail marketing o social media marketing) è curioso di scoprire la bellissima professione che consiste nel far crescere il traffico organico del sito e i profitti di un’azienda. Qual è l’approccio dei SEO italiani alla SEO? Qui posso dire che a mio avviso i professionisti SEO in Italia si suddividono in due macro categorie: 1. quelli che tentano di ingannare l’algoritmo 2. quelli che cercano di sviluppare un brand e seguire le linee guida dei motori di ricerca. I primi solitamente, a mio modo di vedere, cercano di raggiungere nel minor tempo possibile gli obiettivi (spesso low budget) del cliente, solitamente il posizionamento di parole chiave a media competitività. Invece di operare quindi nel modo più etico possibile e cercando di seguire le linee guida dei motori, si attivano in pratiche più o meno black hat che probabilmente velocizzano anche il processo di scalata in SERP delle pagine dei siti dei clienti, ma dall’altro li espongono molto più facilmente a future penalizzazioni. È ormai infatti noto da tempo che la Black Hat SEO ha vita breve. Certo, ci sono sempre le dovute eccezioni, ed è facile imbattersi in SERP così sporche di pratiche borderline, ma c’è anche da dire che i web spam team sono in costante evoluzione per contrastare lo spam nelle SERP. I secondi in genere cercano di fornire un approccio più completo alla visibilità organica, che abbracci, oltre all’ottimizzazione tecnica di un sito, anche altre aree, come la presenza corretta nei social media e lo sviluppo delle relazioni, dei contenuti e delle digital pr. Queste strategie, seppur non producono risultati nel brevissimo periodo, permettono non soltanto di costruire un vero brand noto nella rete, ma anche di avere un graduale e costante aumento della notorietà di marca, che complessivamente si trasformerà in una graduale crescita del traffico organico. Inoltre, la
maggiore naturalezza delle strategie permetterà ai siti dei clienti di costruire un hub fortificato e sicuramente più al sicuro da eventuali penalizzazioni algoritmiche o manuali per pratiche illecite.
1.4.2. La cultura hacker Un hacker è colui che prova piacere nello sviluppare un progetto condiviso il cui scopo sia migliorare la vita delle persone liberandole da vincoli. Sì, in pratica, a parte RICHARD STALLMAN, il fondatore del movimento per il software libero, sembra difficile trovare hacker degni di questo nome, anzi spesso vengono confusi con i cracker, che invece sono banali ladri di software proprietario, che ne aggirano le difese per ridistribuirli in modo più o meno gratuito. Il grande software proprietario oggi è Google, una multinazionale il cui potere di influenza è ormai sotto gli occhi di tutti. Secondo me quello che ancora manca alla comunità dei SEO è la volontà di mettersi insieme per creare gli strumenti “open” tanto concettuali quanto software, tali da consentire a chiunque di affrontare i motori di ricerca con più consapevolezza. Nessun hacker lo è per conto suo, ma sempre e solo quando sviluppa conoscenza insieme ad altri. La SEO si impara con gli altri, ogni giorno, con l’obiettivo di migliorare la vita delle persone. Se non sei d’accordo mi dispiace per te… e anche un po’ per me. 1.5. Come guadagna un SEO? Tempo fa fui contattato da alcuni studenti del Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università Federico II di Napoli, dove sono assistente alla cattedra di Comunicazione, marketing e pubblicità. Questi studenti stavano seguendo il corso di Sociologia del Post-industriale e, come gruppo di lavoro, dovevano entrare in contatto con le nuove forme di artigianato contemporanee. Uno di loro pensò subito a me come nuovo modello di artigiano e mi propose un’intervista. L’idea mi sembrò concettualmente molto valida perché a veder bene il SEO non è certo un artista, ma un artigiano, un ARTIGIANO POST-INDUSTRIALE. Può avere successo in Italia perché il suo mestiere è ancora abbastanza poco conosciuto da consentirgli di muoversi senza trovare troppa concorrenza. I SEO di mestiere, tra dipendenti, imprenditori e liberi professionisti, non saranno più di due o trecento. A saper fare bene questo lavoro c’è davvero spazio per tutti, quindi sotto.
1.5.1. Qual è il tuo ambito fiscale? Un SEO può operare con tre modalità fiscali, come imprenditore, libero professionista o dipendente. Ho vissuto sulla mia pelle queste tre modalità e ora proverò ad analizzarle brevemente descrivendone vantaggi e svantaggi. 1.5.1.1. Imprenditore Un antico proverbio diceva, se vai da solo sei veloce, ma solo se vai con gli altri arrivi lontano. Giustissimo e fantastico, ovviamente a patto che si proceda tutti nella stessa direzione e con impegno paragonabile, altrimenti le società diventano squadre di calcio, dalle quali si entra e si esce, facendo la fortuna di notai e avvocati. Operare in società con altre persone competenti e motivate consente di sviluppare business solidi e duraturi nel tempo. Il problema è per l’appunto trovare persone competenti e motivate. Il mio suggerimento è il seguente: mettiti in società solo con chi fa un mestiere complementare al tuo e opera già da almeno 5 anni come dipendente o libero professionista. Accertati che sia già in grado di produrre fatturato indipendentemente da te. Ovviamente se tu stesso non hai queste caratteristiche, ti sconsiglio di aprire una società. 1.5.1.2. Dipendente Un dipendente può essere tale per un’agenzia SEO, più in generale per un’agenzia di comunicazione, o infine può trovare impiego nell’area marketing di una grande azienda. Se l’idea di fare il dipendente può sembrare idilliaca per certi versi, perché ti libera da tutte le grane di gestione di un’impresa e, soprattutto, alle 18:00 stacchi e se ne riparla il giorno dopo, da un altro lato può essere infernale perché rischi di ritrovarti a fare lo stesso lavoro sulle stesse SERP per anni, crescendo poco e finendo come il classico impiegato che si ritrova a sviluppare task senza nemmeno conoscerne il motivo. Se sei ambizioso e hai velleità di diventare un buon professionista, può essere una buona scuola, ma solo per un certo tempo, superato il quale dovrai avere il coraggio di procedere per la tua strada. Detto questo, conosco anche tanti ottimi SEO che lavorano come dipendenti di agenzie di web marketing dove hanno la possibilità di seguire sempre progetti diversi e imparare, quindi, chiaramente, anche qui ogni caso può essere una storia a sé. 1.5.1.3. Libero professionista
Il libero professionista nella SEO è una figura che mi affascina. Se scegli questa forma fiscale, cioè la ditta individuale, ricorda sempre di NON FARTI MAI CHIAMARE FREELANCE, ma sempre appunto libero professionista, perché nell’immaginario collettivo il freelance è un ragazzetto squattrinato da pagare con i soldi della pizza, mentre il libero professionista è un businessman elegante, insomma, un tipo rispettabile. Con questo non dico che devi girare a ferragosto in giacca e cravatta, anche perché gli Yes men mi sono sempre stati cordialmente sulle scatole, però è importante non dare subito l’idea del giovanotto di belle speranze, perché le persone sono come il gas, quanto più spazio gli lasci, più se ne prendono. Il libero professionista può operare da casa sua, non avendo sempre bisogno di un ufficio. Non è costretto ad aprire un conto aziendale né è soggetto alle spese del notaio. Può addirittura partire optando per il regime fiscale dei minimi e operare per i primi 5 anni con una tassazione bassa, ha pochi costi e non deve dividere quello che guadagna con altri. La situazione sembrerebbe idilliaca, se non fosse che ogni giorno deve fare 5 mestieri: SEO, amministrazione, segreteria, accounting e commerciale. Sì, ti deve piacere tanto. Puoi arrivare a guadagnare dodicimila euro al mese e vedere il tuo conto in banca crescere senza ritegno, solo che poi ti mancheranno il tempo e la forza di spendere quei soldi, perché sarai davanti a uno schermo quindici ore al giorno. So a cosa stai pensando, ti piacerebbe porti questo problema. Ok, continua a leggere. L’inconveniente peggiore nel fare il libero professionista è che non ti puoi ammalare e non puoi distrarti per troppi giorni, perché l’attenzione a quello che fai deve essere quotidiana, altrimenti rischi di perdere clienti. Non succede, ma è una possibilità. Da questo punto di vista un’impresa tua o un’azienda per la quale lavori come dipendente ti offrono più garanzie. Ok, detto questo, lavorare da soli è meraviglioso perché il successo come il fallimento dipendono solo da te. Ormai siamo esseri cognitivamente diversi dai nostri nonni e abbiamo imparato che non esiste comunque più nulla di certo tranne che sei qui in questo momento e che, comunque si pensi, te la puoi giocare. Se ami misurarti con te stesso, è un’esperienza che devi provare!
Cinzia Di Martino
LA NOSTRA VISIONE DELLA VITA Mi ricordo che da piccola i miei nonni dicevano spesso ai miei genitori di non capire l’utilità e il senso di molte cose del mio mondo: dai cartoni animati ai giocattoli, al modo di vestire, ai capricci alimentari e via dicendo. I genitori cercavano e proponevano alibi e motivazioni convincenti per giustificare i comportamenti e le abitudini in voga. Ma che non fossero dei bravi venditori era palese: infatti la risposta dei nonni era al massimo un incredulo “mah” e un’alzata di spalle. E in effetti non era semplice da capire né da accettare per chi veniva dalla guerra, dalla fame e dalla disperazione: quell’eccesso di benessere non veniva vissuto come il bene assoluto. Ricordo ancora che ogni volta che mi venivano regalati dei soldi per il compleanno, la prima raccomandazione era di metterli nel salvadanaio “perché non si sa mai: potrebbe arrivare il momento in cui ti torneranno utili”. Ovviamente io non ho risparmiato. Ovviamente i nonni avevano ragione. D’altra parte, loro erano quelli che: ♦ riuscivano a vivere in otto (tra genitori e figli) in appena cinquanta metri quadrati ♦ lavavano tutto a mano, con il sapone fatto in casa con l’olio esausto ♦ non avevano l’acqua corrente in casa e la andavano a prendere con le “quartare” (trad. giare di terracotta) alle fontane pubbliche, distanti da casa ♦ coltivavano in proprio ciò che di più veloce e fruttuoso avevano a disposizione dalla natura ♦ si adattavano a tutto senza battere ciglio ♦ si aiutavano gli uni con gli altri e non con donazioni, pensieri e parole, ma con l’impegno fisico e il sudore della pelle ♦ riuscivano a far brillare piatti e pentole usando la cenere ♦ riuscivano a dare almeno quattro vite ad ogni capo d’abbigliamento ♦ lavoravano sodo e incessantemente fuori e dentro casa e avevano conoscenze pratiche di tutto: muratura, idraulica, elettricità, tinteggiatura e tanto altro ♦ avevano valori forti e radicati e un senso di appartenenza e un orgoglio personale strepitosi (a volte anche eccessivi) ♦ facevano pane e pasta in casa, risparmiando e mangiando sano al contempo ♦ non conoscevano molto (anzi, forse nulla) di psicologia eppure crescevano figli educati, rispettosi, non problematici e pronti a tutto pur di aiutare la famiglia. Poi venne il tempo della pensione e i nonni poterono finalmente pensare di riposarsi. E invece per loro iniziarono i problemi. Si dovettero abituare alla lavatrice, alla televisione (poi compagna di vita delle loro giornate), a non fidarsi di chi bussava alla loro porta (che fino a poco tempo prima era sempre aperta a tutti), alle caldaie elettriche, ai cellulari, ai citofoni. Poi iniziarono anche gli acciacchi, le visite specialistiche, le lunghe ore in sala d’attesa, per alcuni anche i viaggi della speranza e per altri l’abbandono “necessario” nelle case di riposo: non erano più i tempi delle famiglie allargate di una volta, di quando si viveva tutti insieme. Una volta si contavano fino a tre generazioni sotto lo stesso tetto e tutti si prendevano cura di tutti. Ma una fortuna l’avevano: la sicurezza economica. La loro meritata pensione permetteva loro di non pesare sui figli e nipoti o parenti in generale. D’altra parte avevano lavorato più di trent’anni per “garantirsi un futuro” pienamente autonomo, indipendente e dignitoso. Esattamente quello su cui noi non potremo contare. Non è una questione di pessimismo né di stime sbagliate, solo economia spicciola su larga scala. Ma le differenze non si fermano qui e a loro era già tutto chiaro trent’anni prima. Ecco spiegato il perché delle loro titubanze. La nostra generazione è cresciuta con la cultura del posto fisso, del “tutto garantito” e del programmare il futuro in ogni dettaglio. Poi un giorno non ben identificato, il sogno si è infranto, gettando nello sconforto i nostri genitori e cambiando per sempre il nostro approccio alla vita. All’immobilismo e alle certezze abbiamo sostituito la flessibilità e l’imprevedibilità del caso, scommettendo su noi stessi e sulle nostre capacità e attitudini, inseguendo a perdifiato i nostri sogni, riadattando e rimodulando le nostre vite giorno dopo giorno. Ed è vero che questo approccio disruptive ci stressa, ma allo stesso tempo ci forgia: siamo sempre pronti a metterci in discussione e ad affrontare nuove sfide.
Il nostro mantra è “può succedermi tutto ciò che voglio” e non scendiamo a compromessi. Siamo consapevoli che si gioca tutto sul “qui e ora” e siamo pronti ad affrontarlo. Perché non ci piacciono le costrizioni, non accettiamo l’ignoranza, non sopportiamo la superficialità, non tolleriamo la… Perché è così che può e che deve andare. Le preoccupazioni inutili e fini a se stesse le lasciamo a chi ci ha preceduto e a chi verrà dopo di noi, se vorranno prendersene carico. Noi abbiamo altro da fare: vivere!
1.5.2. Affiliazioni, clienti, prodotti o corsi? Quando lavori in proprio, come imprenditore o libero professionista, puoi scegliere che tipo di SEO fare, nel senso che puoi decidere di posizionare siti web per conto dei clienti, progetti personali, creare e vendere prodotti editoriali o software, o darti alla didattica (o fare tutte queste cose insieme se proprio di notte non ti va di dormire). 1.5.2.1. Guadagnare con i circuiti di affiliazione
Mentre impari a fare SEO sviluppando progetti tuoi, potresti provare a guadagnarci qualche soldo, perché no. Hai mai pensato di creare un sito web che tratti un certo argomento specifico allo scopo di monetizzare le visite tramite circuiti di affiliazione? Se cerchi su Google lista circuiti di affiliazione, troverai tutte le informazioni necessarie su come affiliarti al programma che ti piace di più e su come inserire nel codice del tuo sito gli script tali da mostrare i banner pubblicitari collegati a tali circuiti. Una volta fatto questo, più sarai bravo come SEO, più soldi potrai fare con questo sistema. Pensa che molti SEO bravissimi hanno smesso di seguire clienti e vivono più che dignitosamente gestendo i loro progetti personali il cui modello di business è appunto la monetizzazione tramite circuiti di affiliazione. 1.5.2.2. Posizionare siti web per conto di clienti La cosa più facile e ovvia per un SEO è dedicarsi all’ottimizzazione e al posizionamento dei siti web per conto di clienti. Come ho scritto in precedenza, prima di arrivare a questo, dovresti essere già riuscito a posizionare più siti web di tua proprietà, quantomeno per vendere un servizio che puoi offrire davvero e non solo in modo supposto (e le supposte, si sa,
spesso sono dolorose). 1.5.2.3. Vendere prodotti SEO La SEO è un servizio, ma un SEO può anche trasformare un servizio in un prodotto come ad esempio un eBook da scaricare a pagamento, un videocorso da far fruire tramite una piattaforma proprietaria o magari un software SEO che possa essere utile a chiunque voglia provare a gestire autonomamente l’ottimizzazione e il posizionamento del proprio sito web. Un prodotto digitale presenta il vantaggio notevole di essere indipendente da chi lo vende, vale a dire che il lavoro oggettivato in esso viene eseguito una volta sola, all’atto della sua produzione, dopodiché quel che ti resta da fare è la sua promozione. I prodotti sono una gran cosa, vanno progettati bene perché se sai creare valore attraverso un prodotto digitale hai semplicemente una montagna di soldi da fare. 1.5.2.4. Vendere corsi SEO Per me la formazione, prima che un’attività da cui produrre reddito, è una grande passione. Una volta qualcuno disse che al mondo ci sono persone che nascono per imparare e persone che nascono per insegnare. Sono certo di appartenere a questo secondo ordine per un semplice motivo: le cose più importanti che ho imparato nella SEO mi sono state insegnate dai miei allievi. Chiaramente l’insegnamento non può essere la tua unica fonte di reddito, altrimenti c’è qualcosa che non va, nel senso che se insegni SEO senza farla probabilmente la insegni male o quantomeno in modo incompleto. Insomma, riprendendo un vecchio detto, CHI NON SA FARE INSEGNA. 1 In psicologia sociale, l’errore fondamentale di attribuzione (o “errore di corrispondenza”) rappresenta la tendenza sistematica ad attribuire la causa di un comportamento esclusivamente alla persona che lo mette in atto (attribuzione disposizionale), sottostimando l’influenza che l’ambiente o il contesto possono avere nel determinare tale comportamento (attribuzione situazionale) 2 Interrogazione o richiesta fatta a Google mediante l’inserimento di testo nella barra di ricerca 3 Il modello di business è l’insieme delle soluzioni organizzative e strategiche attraverso le quali l’impresa acquisisce vantaggio competitivo
2. Progettare campagne SEO
Progettare una campagna SEO vuol dire innanzitutto interrogarsi sulla necessità pratica o strategica per un progetto web di essere visibile nei motori di ricerca. Molti marketer esperti sostengono che sia SEMPRE opportuno avere un sito web quantomeno ottimizzato da un SEO, che per me certe volte è un po’ come dire “non mettiamo limiti alla divina provvidenza”. Certo, tutto può accadere, però se il budget di investimento è limitato, piuttosto che fare SEO per il sito web di un evento che si terrà tra un mese, potrebbe essere meglio investire in altre attività di marketing digitale, come la gestione di una pagina social, gli annunci sponsorizzati o magari la realizzazione di un video di presentazione. Se poi avanzano soldi, si può pensare all’ottimizzazione SEO, che invece sarà imprescindibile nei casi che vado a descrivere di seguito. 2.1. Campagne SEO di Prospect Generation Un LEAD è un cliente potenziale, un utente che può aver visitato il nostro sito web, ma che non ci ha ancora concesso autorizzazione a contattarlo per proporgli la nostra offerta. Può essere già nel nostro database, ma non ancora nella nostra mailing list. Il lead si differenzia dal prospect, che invece si trova al passo successivo nel percorso di transazione. Il prospect è un utente “interessato” che ci ha espresso direttamente o indirettamente la sua volontà o disponibilità ad essere ricontattato. Per capirci, spesso lead e prospect vengono usati come sinonimi, ma a voler essere precisi (lo sarò ora e mai più, lo prometto), se ad esempio consideriamo un sito che offre servizi di
consulenza, un lead può essere un utente che conosciamo perché ne abbiamo reperito l’anagrafica, ma che non potremmo ancora contattare, mentre un prospect è un utente che si è iscritto alla nostra newsletter o, ancora meglio, ha compilato un form di richiesta informazioni acconsentendo al trattamento dei dati. Quando un progetto web ha come obiettivo di business la vendita di prodotti o servizi attraverso il sito stesso, i goal della SEO sono due: 1.aumentare il traffico di utenti profilati attraverso il posizionamento di contenuti del sito web per query specifiche e pertinenti con gli interessi del pubblico di riferimento 2.favorire il processo di trasformazione di utenti in prospect. Intanto usciamo da un primo equivoco legato alla SEO: il posizionamento organico di risultati in SERP per chiavi di ricerca specifiche non è un obiettivo della SEO. Il posizionamento è un mezzo, non un fine. IL FINE È IL TRAFFICO. Sebbene molti SEO autorevoli considerino come obiettivo valido solo il primo dei due che ho citato, io credo che il secondo punto, cioè facilitare la transizione da utente a prospect, sia una responsabilità che un SEO deve assumersi, sia in termini di ottimizzazione della struttura che come scelta delle parole chiave specifiche su cui lavorare. Detto questo, se il sito web è progettato male dal punto di vista della comunicazione, un SEO dovrebbe sollevare dubbi prima di cominciare a lavorarci, in modo da consentire agli sviluppatori e/o ai web designer di mettere a posto imprecisioni e tornare su alcune scelte in modo costruttivo. Quello che invece non rientra negli obiettivi di un SEO è la conversione in termini business, cioè il processo che tramuta l’utente (che sia già un prospect o meno) in cliente, attraverso una transazione economica. Qui subentrano altre logiche spesso legate alle politiche commerciali aziendali delle quali un SEO non può farsi carico. Se un sito che fa tante visite non vende, è probabilmente colpa dell’azienda, se un sito vende poco perché non fa abbastanza visite può essere colpa del SEO che ci lavora (male). 2.2. Campagne SEO di brand UN BRAND È UN MARCHIO. Un marchio è un simbolo che porta in sé e trasmette tutti i valori dei prodotti e/o dei servizi a cui è associato. Fare branding significa comunicare meglio possibile questi valori verso il pubblico di
riferimento di un marchio, cercando contemporaneamente di aprire nuove strade utili ad amplificare messaggi pertinenti. Fare branding non significa vendere nell’immediato ma nel medio-lungo periodo, per questo motivo rientra tra le attività strategiche da “coltivare” idealmente senza mai fermarsi a patto che ovviamente abbia senso farlo, cioè che esista un progetto a lungo termine che richieda un marchio solido. Tale solidità viene fatta percepire anche attraverso le CAMPAGNE SEO DI BRAND, cioè le attività di ottimizzazione e posizionamento tese a far sì che un sito web presenti SERP specifiche risultanti da query pertinenti con i prodotti/servizi (anche se questi non vengono venduti attraverso il sito) o con argomenti d’interesse più o meno vicini al pubblico di riferimento del marchio. Per esempio, una campagna SEO di brand per un noto marchio di olio di semi di mais per fritture potrebbe tendere a rendere visibili articoli di un blog brandizzato, quindi associato direttamente al marchio, che sviluppi comunicazione sui temi della corretta alimentazione. Questo non serve direttamente a vendere più confezioni di olio ma, nel lungo periodo, concorre nel definire un’identità solida tale da giustificare un prezzo più elevato, oltre che a generare euristiche negli utenti dei supermercati che tenderanno a fidarsi e ad acquistare il prodotto già noto senza perdere tempo a cercarne di migliori. Siamo tutti vittime di questi processi. Pensate al cucciolo di labrador retriever nella pubblicità della carta igienica Scottex. Per anni la sola idea di quel tenero batuffolo a quattro zampe ci ha spinti oltre ogni ragionevolezza a scegliere quella carta piuttosto che cercarne altre forse migliori e meno care. Se oggi l’azienda che detiene il marchio Scottex lanciasse un blog brandizzato sui temi della salute pertinenti con i suoi prodotti, quindi per lo più fazzoletti di carta, tovaglioli e carta igienica, potrebbe intercettare traffico di ricerca di persone che cercano ad esempio rimedi per l’allergia o per la stitichezza. In questo caso la SEO di brand concorrerebbe ad aumentare quella che si definisce penetrazione di mercato di un marchio con la conseguenza di stabilizzare le vendite nel lungo periodo. Non hai bisogno di essere il signor Scottex per aver interesse a sviluppare una campagna SEO di brand. Anche marchi molto meno noti possono avvantaggiarsi di un’attività simile, perché avere buoni posizionamenti e poter dimostrare di avere un buon traffico di utenti sul sito può trasformarsi in un’arma in più per entrare nella catena della grande distribuzione.
Chiunque conosca un po’ le dinamiche e le logiche della GDO (Grande Distribuzione Organizzata) sa bene che qualunque marchio sconosciuto volesse entrare nel circuito della vendita al dettaglio attraverso la rete dei supermercati dovrebbe fare investimenti importantissimi. Tali investimenti sono tanto più contenuti quanto più elevato è il livello di penetrazione nel mercato del marchio. Ad esempio, un marchio come Barilla non può mancare al supermercato, quindi è la stessa GDO a richiederne la presenza, mentre è tutt’altra storia per un marchio che nessuno conosce. In questo senso, fare branding aumenta il potere contrattuale di un marchio di media caratura, consentendogli di ottenere condizioni più favorevoli per l’ingresso in GDO. Nell’era del web, la SEO concorre in modo decisamente non trascurabile ad aumentare tale potere contrattuale, mantenendo costi irrisori rispetto ai principali canali di branding legati ai media tradizionali. 2.3. Campagne SEO local Per sviluppare la visibilità sul Web di un’attività locale come ad esempio lo studio di un dentista, un albergo o un centro benessere, occorre conoscere le logiche specifiche di funzionamento di Google rispetto ai business localizzati in un’area geografica specifica. Questo tipo di attività è sempre più richiesto e può essere complesso esattamente come sviluppare un’attività di posizionamento per chiavi non local. Va progettato tenendo conto che un’attività localizzata può offrire servizi a utenti provenienti dalla zona in cui si trova l’attività ma anche da fuori. Se ad esempio pensiamo allo studio di un dentista affermato, possiamo immaginare che, sebbene il suo studio sia fisicamente a Roma, i suoi clienti possono arrivare da Roma come da tutto il mondo, oppure, nel caso opposto, possiamo facilmente comprendere come un albergo o una struttura ricettiva in genere attiri solo visitatori che non risiedono in quella zona, mentre infine nel caso del centro benessere è più probabile che l’utenza sia tutta locale. Per i tre casi dovremo seguire logiche che tratterò più avanti sotto il profilo tecnico. 2.4. Quanto (tempo) costa una campagna SEO? All’inizio di questo capitolo ho scritto di come sia cosa buona e giusta interrogarsi ex ante sulla necessità di sviluppare la visibilità nei motori di ricerca per un sito web, dal momento che, seppure la SEO è importante in molti casi, per alcuni di essi, se il budget è limitato, potrebbe essere più conveniente investire in altre forme di marketing digitale.
Se però è vero che i casi di cui ho scritto in questo capitolo sono tutti papabili rispetto allo sviluppo di attività SEO, sarà importante che le aziende tengano conto che ci sarà un investimento da sostenere che varierà in funzione delle attività da svolgere e del livello di difficoltà, oggettivato nel TEMPO NECESSARIO ALLO SVOLGIMENTO. Non parlerò di soldi quindi, perché ogni professionista decide di farsi pagare quanto ritiene opportuno, ma appunto del tempo che più o meno può servire a sviluppare le attività necessarie. La variabile tempo può senz’altro essere utile a valutare i costi della SEO, perché quando parliamo di questo lavoro, tranne alcune attività specifiche, è tutto tempouomo. 2.4.1. Attività di ottimizzazione on-site Le attività di ottimizzazione per un sito web si svolgono in un tempo spesso direttamente proporzionale alla grandezza del progetto, in termini di numero dei contenuti, e alla tipologia di sito web. Di seguito ti fornisco una serie di FORBICI TEMPORALI che chiaramente possono variare a seconda del caso specifico: per ottimizzare un sito web di 6-12 pagine possono servire DALLE 2 ALLE 4 ORE a seconda del fatto che il sito sia già indicizzato e come ♦ l’ottimizzazione di un blog con centinaia di articoli può richiedere DALLE 6 ♦
ALLE 12 ORE ♦
un e-commerce con migliaia di prodotti può richiedere anche TRE MESI DI LAVORO, soprattutto se è stato realizzato caricando i prodotti sul database attraverso un file .csv estrapolato dal software di gestione del magazzino fisico. In casi come questi infatti, i prodotti hanno spesso titoli e descrizioni uguali, pertanto vanno aperti e modificati uno ad uno, con un dispendio di energie notevole.
2.4.2. Attività di posizionamento organico off-site Qui solitamente tutto dipende dal livello di competizione sulle keyword di interesse, da cui deriva la quantità delle azioni necessarie a emergere sulla concorrenza. Se il grosso delle attività di ottimizzazione avviene all’inizio, le attività esterne si sviluppano nel tempo e sono la parte più costosa di una campagna SEO perché, tra MONITORAGGIO attraverso i software analitici (che vedremo) e attività operative vere e proprie, richiedono un’attenzione pressoché quotidiana che può variare DA 30 MINUTI A 2 ORE AL GIORNO.
3. Ottimizzare un sito web per i motori di ricerca
In questo capitolo vedremo come dare una FORMA ai contenuti del sito web di cui ti occupi, tale da consentirti in ogni momento di comunicare ai bot cosa vuoi dire e quanto vuoi che tengano in considerazione ogni singolo contenuto rispetto agli altri. 3.1. Che cos’è una parola chiave? Una parola chiave o KEYWORD (o semplicemente chiave o key) è nella maggior parte dei casi un insieme di almeno due parole che identificano un AMBITO DI RICERCA specifico e circoscritto. Una keyword solitamente intercetta traffico di RICERCA ORGANICA da parte di utenti che interrogano il motore di ricerca su quello che gli interessa conoscere. Non posso ad esempio considerare unghie una parola chiave, perché sebbene in tanti potrebbero desiderare essere posizionati per questa parola, c’è da dire che non sviluppa un significato univoco, cioè non risponde a una domanda di ricerca in un ambito specifico, ma è molto generica. Se infatti cerco unghie su Google, otterrò in SERP una pagina di Wikipedia, alcuni video sulla decorazione delle unghie, contenuti sul benessere delle unghie, forum in cui ci si scambia consigli sulla loro cura e notizie varie, insomma un po’ di tutto. Se volessi trovare una parola chiave che intercettasse traffico di ricerca rispetto alla cosmesi delle unghie, dovrei usare ricostruzione unghie che a differenza di unghie identifica chiaramente un ambito che per quanto vasto presenta dei
paletti che ne delimitano il campo di interesse. Ok, da qui partono alcune riflessioni doverose. 3.1.1. Come si trovano le parole chiave? La prima cosa che faccio di solito quando cerco una parola chiave è guardare le SERP risultanti da parole molto larghe in termini di significato. Quando credo di averne trovata una che mi definisce una macroarea ma che è troppo ampia per poter essere definita una parola chiave, apro il keyword planner tool4 di Google e faccio nell’ordine le seguenti tre cose: 1.clicco su cerca nuove idee per le parole chiave e i gruppi di annunci: 2.compilo i dati richiesti inserendo nel primo caso la mia parola, ad esempio unghie:
3.nella pagina seguente clicco su idee per le parole chiave:
Il software mi riporterà tutte le parole chiave CORRELATE a quella che ho inserito in ingresso. Non dovrò fare altro che scegliere quella con il significato più pertinente con il segmento di mercato in cui si affaccia il sito web di cui mi occupo e con il volume di ricerca più elevato, appunto “ricostruzione unghie”. Una buona prassi a questo punto sarà fare un salto in SERP e dare un’occhiata ai siti posizionati per questa chiave. Molto probabilmente troverò tutti i siti web dei principali concorrenti a livello nazionale e locale. 3.1.2. Criteri di scelta delle parole chiave Se hai seguito il procedimento che ho appena descritto, hai appena trovato la tua prima parola chiave, complimenti! Sappi però che probabilmente non dovrai lavorare solo su quella, ma su una serie di altre key correlate alla parola “unghie”. Come sceglierle sulla base dei dati emersi dal keyword planner tool? Oltre al volume di ricerca dobbiamo valutare questi tre aspetti: PERTINENZA
Quanto è pertinente la keyword che ho trovato rispetto all’ambito di significazione in cui è sviluppato il progetto? RILEVANZA
Quanto è centrale la keyword che ho trovato rispetto al segmento di mercato in cui si affaccia il progetto e al suo modello di business specifico? CONCORRENZA
Quanti altri concorrenti puntano ad essere visibili nella stessa SERP risultante dalla keyword che sto valutando? Se la pertinenza e la rilevanza sono fattori relativamente semplici da valutare, la concorrenza può non essere altrettanto immediata da riscontrare, perché per la sua individuazione occorre incrociare tre fattori: 1.numero di risultati indicizzati per la chiave d’interesse
2.numero di siti concorrenti nelle prime 10 SERP 3.concorrenza tra inserzionisti per la chiave d’interesse. Quest’ultimo fattore – la concorrenza tra inserzionisti – riguarda AdWords, quindi gli annunci sponsorizzati. Non è un fattore che fornisce un’indicazione diretta sulla concorrenza in termini di ranking SEO, ma possiamo supporre che laddove c’è un’elevata competizione tra inserzionisti è probabile che se le suonino di santa ragione anche rispetto alla SEO. 3.1.3. Quanti tipi di parole chiave esistono? Finora ho individuato quattro diverse tipologie di parole chiave, ognuna delle quali gioca il suo ruolo nella partita della SEO. CHIAVE PRINCIPALE
È la chiave pertinente, rilevante e a più elevato volume di ricerca. Non sempre è la chiave che conduce al maggior numero di conversioni. A partire dalla chiave principale puoi sviluppare tutta l’ottimizzazione della struttura dei contenuti. CHIAVI SECONDARIE
Sono chiavi che contengono la principale e sono più lunghe di questa. Se ad esempio la principale è ricostruzione unghie, una sua secondaria è corsi ricostruzione unghie o ricostruzione unghie Roma. Una secondaria aggiunge quindi alla principale un prefisso o (più spesso) un suffisso. Puoi trovarle usando due ottimi software, uno è merlinox.com/suggest di Riccardo Mares, l’altro è ubersuggest.org di Alessandro Martin, due SEO eccezionali.
ubersuggest.org merlinox.com/suggest CHIAVI CORRELATE
Sono chiavi pertinenti, non sempre rilevanti e che non sempre contengono la chiave principale. Le trovi facilmente con il keyword planner tool e sono utili per progettare la SEO della struttura dei contenuti.
CHIAVI LATERALI (O CIVETTA)
Sono chiavi pertinenti, non rilevanti, a bassa concorrenza e ad elevato volume di ricerca, che cioè hanno un significato vicino ai miei interessi senza però rientrare nel mio business specifico né in quello dei miei concorrenti. Se ad esempio mi occupo di distributori automatici ma non di distributori automatici usati, potrei comunque creare un contenuto sui distributori automatici usati, in cui magari descriverli un po’ per poi portare l’attenzione sulle offerte relative ai miei prodotti. Se la chiave è parecchio ricercata, ma nessun concorrente ci ha lavorato, mi posizionerò facilmente prendendomi tutto il traffico. 3.1.4. Chiavi di brand e chiavi di ricerca Una CHIAVE DI BRAND è solitamente il nome di un’azienda, di un marchio o di una persona collegata a un’attività interessata da azioni di marketing digitale. La caratteristica delle chiavi di brand è quella di definire un progetto web associando ad esse i prodotti e/o i servizi offerti. Solitamente le chiavi di brand non intercettano ricerche degli utenti, a meno che questi non scelgano di arrivare sul sito web attraverso tali chiavi, magari perché non ne ricordano l’indirizzo preciso. Ogni tanto capita che qualcuno si vanti di avere un ottimo posizionamento del suo sito su Google rispetto alle chiavi di brand. In effetti è assolutamente naturale posizionarsi per primi con quelle chiavi a meno che non capiti un caso di omonimia per il quale due aziende che vendono lo stesso prodotto hanno lo stesso nome, ma è molto raro. Una chiave di ricerca invece è molto più interessante per un SEO perché rappresenta il centro del suo lavoro. Le chiavi di ricerca sono proprio quelle relative a prodotti e/o servizi, per le quali tutti i tuoi concorrenti vorrebbero che il loro sito web fosse visibile su Google. È chiaro che la partita della SEO si gioca su queste chiavi e non su quelle di brand. Con il tempo, quando un marchio diventa prestigioso, una chiave di brand può diventare chiave di ricerca. Se ad esempio esistono molti rivenditori online delle borse Piquadro, allora borse Piquadro non potrà più essere considerata una semplice chiave di brand, perché sarà interessata dalla competizione rispetto alle attività di posizionamento. 3.1.5. Cos’è una chiave local? Il termine local rispetto alla SEO identifica in senso lato le ricerche relative ad attività locali.
Le SERP risultanti da una query local, come ad esempio corso per estetista Bologna, conterranno l’integrazione di GOOGLE MAPS che mostrerà la posizione geografica delle scuole che tengono corsi per estetiste nella città di Bologna. Se cerco invece su Google corso per estetista senza indicare una località, Google mi risponderà con tutte le scuole per estetiste più vicine alla zona da cui sono connesso. Se la zona coincide, cioè se mi trovo fisicamente a Bologna, potrei avere due SERP molto simili per entrambe le query. Potrebbero esserci differenze dovute al fatto che un corso per estetista che si tiene a Roma potrebbe essere talmente popolare da avere un buon ranking anche sulla SERP risultante dalla chiave corso per estetista visualizzata effettuando la ricerca da Bologna. Al contrario, la stessa chiave con l’aggiunta del suffisso Bologna probabilmente non mostrerà la scuola per estetiste super popolare che si trova a Roma, perché Google ha ricevuto una richiesta più specifica, cioè mostrare tutte le scuole limitatamente all’area urbana o al massimo limitrofa di Bologna. Non è quindi possibile definire il ranking esatto di una parola chiave local non contenente il nome della località. Gli strumenti per i web master ci segnalano infatti il ranking in termini di posizione media, che oscilla da un minimo a un massimo. Agendo sulla POPOLARITÀ di un sito posizionato per chiavi locali, come ad esempio lo studio di un dentista, si potrà renderne visibile il sito web su Google a livello nazionale, vale a dire che si potranno ottenere buoni posizionamenti per chiavi come ortodonzia linguale o impianto dentale, indipendentemente dalla località da cui si effettua la ricerca. “Come faccio a sapere se una chiave senza suffisso geografico è local oppure no?” So che era da un po’ che ti stavi facendo questa domanda. Google determina che una chiave sia local oppure no sulla base delle ricerche degli utenti. Se molti, ad esempio, dovessero cercare impianto dentale + nome città, Google ne prenderebbe atto producendo SERP con risultati locali anche in assenza del suffisso nome città. Puoi valutare tu stesso se una chiave è local visualizzando le parole chiave secondarie, attraverso uno dei due software che ho menzionato prima, Ubersuggest o Merlinox/suggest. Se tra le secondarie risultanti da una chiave inserita compaiono nomi di città, allora quella è una chiave local, altrimenti no. Una parola chiave può essere local a livelli diversi. Parlando sempre di studi
dentistici, la chiave impianto dentale sviluppa solo alcune secondarie che contengono il nome di una città, mentre la maggior parte delle secondarie sono relative ad altri aspetti, come il prezzo o la tipologia di impianto. Quanto maggiore è il numero di secondarie che contengono un nome di città, tanto più la SERP sarà differente in base alla posizione di chi effettua la ricerca. “Come posso sapere se un mio contenuto local senza suffisso è visibile in tutt’Italia?” Per sapere se un contenuto ottimizzato per una chiave local come impianto dentale è visibile o meno in tutt’Italia, basta cliccare sotto la barra di ricerca di Google sulla voce STRUMENTI DI RICERCA e impostare una città a piacimento. Google ci mostrerà la ricerca come se la stessimo effettuando da quella località, mostrandoci eventualmente tutte le differenze in SERP. Via via che il nostro contenuto diventerà più popolare e a patto che la query inserita non contenga riferimenti a località, si otterrà un posizionamento indipendentemente dalla città che inseriamo negli strumenti di ricerca. 3.2. Come si gestisce la SEO di un contenuto web? Per ottimizzare un contenuto web devi conoscere da un lato la SEO copywriting e dall’altro gli elementi di OTTIMIZZAZIONE ON PAGE, quindi le tecniche di scrittura orientata alla SEO e le principali referenze dell’ottimizzazione di pagina. 3.2.1. Principi di SEO copywriting Se per vendere spazi pubblicitari Google si è accreditato come il miglior motore di ricerca al mondo, evidentemente per mantenere tale primato cercherà, per quanto algoritmicamente possibile, di restituire i risultati migliori in base alle ricerche degli utenti. Fare SEO copywriting significa scrivere il contenuto migliore (o per lo meno provarci) rispetto alle ricerche degli utenti, di modo che Google gli attribuisca valore in termini di ranking. Ma cosa vuol dire scrivere il contenuto migliore? Prima di cominciare a scrivere, dobbiamo aver ben chiara una parola chiave per la quale il nostro contenuto dovrà COMPETERE IN SERP con altri contenuti su siti web concorrenti. Il testo che produrremo dovrà essere steso nel modo più fluido e scorrevole possibile, sviluppando l’argomento di interesse con parole semplici e periodi brevi. Devi concentrarti sulla forma soggetto, verbo e predicato. Le proposizioni secondarie vanno limitate il più possibile perché, dopo la
seconda, diventano più difficili da comprendere in termini di FRASALE (che studieremo approfonditamente in seguito).
SEMANTICA
Se vuoi ottenere le performance migliori su Google ti consiglio di tenere sempre presente che il web è il regno della CONSULTAZIONE, non dell’apprendimento, per questo motivo puoi scrivere anche contenuti molto lunghi, ma cerca di evitare elucubrazioni accademiche perché il tuo testo verrà valutato da un software programmato per ragionare come un utente medio non certo stupido ma un po’ pigro, e non da un docente universitario o da un intellettuale dal piglio severo. Sii anche prolisso se serve, ma per l’amor del cielo rispondi alle domande degli utenti in modo diretto e semplice, senza girarci intorno. Evita le METAFORE, le PARABOLE, le IPERBOLI e in generale le FIGURE RETORICHE e le forme IDIOMATICHE. Spiega ogni cosa come se il tuo interlocutore fosse un turista straniero in Italia da un mese. Per adesso mi fermo qui sulla SEO copywriting, ma riprenderò l’argomento in seguito, quando affronteremo insieme la semantica applicata alla SEO. 3.2.2. Ottimizzazione on page La tua parola o frase chiave principale dovrà comparire nel TITOLO (Tag Title), nella URL, nell’INTESTAZIONE PRINCIPALE (Tag H1) almeno in un’INTESTAZIONE SECONDARIA (Tag H2 se presente), nel CORPO DEL TESTO un certo numero di volte, nella DESCRIZIONE (meta description), nelle 4 REFERENZE IMMAGINE (descrizione, titolo, testo alternativo e didascalia). Vediamo di seguito alcune specifiche. 3.2.2.1. Il tag title Cerca di comporre il titolo tenendo se possibile la chiave principale dell’articolo a sinistra (o a destra se il sito è in lingua araba). Il tag title è la referenza più importante di tutto il contenuto. Se altrove una buona ottimizzazione può avere effetti relativi, questo non vale per il titolo, che è uno degli elementi più importanti su cui si gioca la competizione in SERP. 3.2.2.2. Le intestazioni di paragrafo (o tag H) servono davvero? Ho visto numerosi siti web privi di intestazioni ottenere ottimi posizionamenti per il semplice fatto di sviluppare un argomento alla perfezione. Le intestazioni servono AD APRIRE PARAGRAFI, quindi se il tuo contenuto è suddivisibile in paragrafi, aprire ognuno di essi con un’intestazione fornirà
un’ottima indicazione a Google rispetto ai tuoi obiettivi di comunicazione. Sta solo attento a non sovraottimizzare le intestazioni, altrimenti potresti ottenere l’effetto opposto e indurre il motore di ricerca a non fidarsi di te. Spesso, nei principali CMS come Joomla e WordPress, le intestazioni coincidono con il titolo SEO (Tag Title), trovandosi alla testa del contenuto. In quel caso sarà tuo compito decidere se e quando diversificarle scegliendo di tenere magari il titolo SEO sempre più asciutto rispetto all’intestazione H1. Potrai comunque verificare tutto osservando il codice sorgente di pagina attraverso il browser. Solitamente le intestazioni H2 seguono secondo un ordine logico l’H1 che dovrebbe essere un’intestazione unica, fatto sta che su Google trovo contenuti molto ben posizionati anche con 4 intestazioni H1 ad aprire i relativi paragrafi. Così è la vita… 3.2.2.3. Quante volte la keyword principale nel testo? Alcuni sostengono ci sia una proporzione ideale relativa al numero di volte in cui la parola chiave principale dovrebbe essere presente rispetto al numero totale di parole nel contenuto. L’indicatore deputato a tale scopo è la keyword density. Personalmente credo che la densità della keyword principale, intesa come rapporto fra la sua occorrenza e la quantità totale di parole in un documento web, non sia un parametro di attribuzione di ranking di per sé. Se è vero infatti che eccedere nel numero di parole chiave identiche inserite in un articolo può produrre una penalizzazione da keyword stuffing, cioè da eccesso di keyword ripetute in modo fine a se stesso, non credo ne esista un numero giusto e uno sbagliato. Più che altro la questione è la seguente: quanti significati diversi riesci ad aprire a partire dalla parola chiave principale ogni volta che la ripeti? Quanti significati tra quelli che sviluppi intercettano le ricerche degli utenti e quanto riesci a far capire attraverso il tuo testo che stai trattando specificamente un argomento? 3.2.2.4. Le 4 referenze dell’immagine Ogni immagine che carichiamo in un nostro contenuto web può essere ottimizzata per: ♦TITOLO:
il titolo dell’immagine è il suo riferimento principale ♦DESCRIZIONE: un attributo secondario, che comunque preferisco sempre ottimizzare ♦ALT TEXT: il testo alternativo serve al motore di ricerca images, per attribuire un senso al file immagine quando presenta un nome imbarazzante come
485987hrb.jpg ♦ DIDASCALIA: testo visibile in pagina con indicazioni di ordine didascalico sull’immagine. SUGGERIMENTO 1
Ottimizza queste 4 referenze sempre con la parola chiave principale per la quale intendi competere con gli altri documenti web sulla stessa SERP. Fallo per la prima delle immagini che carichi (le altre potranno avere altri nomi) e fai in modo che tale immagine sia assolutamente coerente con la parola o frase chiave per la quale stai facendo ottimizzazione. SUGGERIMENTO 2
Ogni volta che carico un’immagine dal titolo 485987hrb.jpg o similari, mi viene mal di stomaco. Nonostante io sappia che l’attributo ALT serve proprio in questi casi, laddove possibile rinomino il file prima di caricarlo. 3.2.3. Articoli e pagine: quali si posizionano meglio? I CMS di cui sopra, Joomla e WordPress, che sono gli unici che cito anche se non i soli a comportarsi così, possono generare articoli e pagine. Queste ultime sono spesso destinate ad ospitare contenuti ISTITUZIONALI e LANDING PAGE, mentre gli articoli hanno una struttura diversa essendo destinati ad accogliere contenuti ordinati quasi sempre su BASE TEMPORALE. Un articolo può essere più o meno datato, mentre una pagina, come un diamante, è per sempre (finché non la cancelli). Ebbene, dire che si posizionino meglio gli uni o le altre è un falso mito della SEO, perché tutto dipende dall’ottimizzazione e dalle logiche strutturali che vedremo nel prossimo paragrafo. 3.2.4. Struttura delle URL Se fino a qualche anno fa ancora ci si domandava se fosse opportuno usare le URL Friendly nei CMS dinamici, ormai possiamo dire che questo dubbio non viene più a nessuno, perché le URL friendly, cioè quelle che riportano il titolo del contenuto a cui si riferiscono, sono ormai diffusissime e compaiono in tutte le guide come elementi dell’ottimizzazione SEO, pur non avendo un effetto determinante come il tag title. In genere preferisco non avere la categoria nelle URL friendly ma solo il titolo del contenuto. Quando un sito web come un GIORNALE ONLINE pubblica un enorme numero di
articoli, spesso si preferisce usare la data prima del titolo del contenuto nella URL, in questo modo Google ha un’indicazione immediata su quando è stato scritto l’articolo, cosa importante perché può capitare di frequente che un giornale online, tra centinaia di articoli al giorno, finisca col pubblicare in momenti diversi articoli molto simili tra loro. Quando invece lavoro a un sito E-COMMERCE, mi trovo spesso a ottimizzare la struttura delle URL con la categoria e/o la marca prima del titolo del contenuto. Questo accorgimento può essere reso necessario dal fatto che spesso i siti web di commercio elettronico presentano articoli simili in categorie (o di marche) diverse con lo stesso nome. 3.2.5. I link a risorse esterne Ogni pagina che componi può avere al suo interno uno o più LINK INTERNI O ESTERNI, cioè che puntano ad altri contenuti interni o all’esterno del sito. Nel prossimo paragrafo ci occuperemo della loro importanza rispetto alla logica dell’ipertesto legata alla STRUTTURA dei contenuti. Qui mi preme ricordarti due cose che hanno a che fare con l’ottimizzazione di un singolo contenuto: 1.un link che punta all’esterno è l’equivalente di un RIFERIMENTO BIBLIOGRAFICO, quindi quando crei un link a una risorsa esterna, assicurati che quella risorsa sia davvero valida e che sia ospitata su un sito credibile. Anche la credibilità è un aspetto sul quale rifletteremo più avanti. Accertati che i siti web verso i quali produci un link dal tuo contenuto non siano stati penalizzati (se li vedi spesso ben posizionati su SERP diverse sono a posto) o rischierai una penalizzazione da LINK IN USCITA. Raro ma succede 2.accertati che in ogni pagina non ci siano più link che puntano fuori dal sito rispetto a quelli che puntano all’interno, oppure insospettirai Google facendogli pensare che il tuo contenuto sia una FABBRICA DI LINK più che una risorsa utile. Lo stesso ragionamento al contrario vale anche per la link building, cioè per le pratiche attraverso le quali si lavora alla popolarità di un sito web costruendo un profilo di link in ingresso da altri siti in favore di quello che stai curando. Creare un link tra due contenuti di qualità e realmente utili non sarà mai visto da Google come un’attività scorretta. Si tratta di capire COS’È UN CONTENUTO DI QUALITÀ E COS’È UN CONTENUTO UTILE, ma niente paura, ci arriveremo. I link che dal nostro sito puntano all’esterno devono provenire da risorse valide e puntare a risorse valide esattamente come quelli che dall’esterno puntano al nostro sito. La qualità, insomma, viaggia su una strada a doppio
senso di marcia. 3.3. Come gestire la struttura di un sito web in ottica SEO? Ottimizzare un sito web per i motori di ricerca – lo abbiamo accennato in precedenza ma vale la pena ripeterlo – significa agire sulla struttura del sito web in modo che i suoi contenuti dicano tutto, nella maniera migliore possibile, una volta sola, orientando la scansione del bot in modo da fargli percepire che esistono alcuni contenuti che (per il nostro business model) sono prioritari rispetto ad altri.
bit.ly/ottimizzazione_SEO
3.3.1. Quanti tipi diversi di contenuti esistono in un sito web? Possiamo generalmente suddividere i contenuti di un sito in tre tipologie. CONTENUTI ISTITUZIONALI
Definiscono la proprietà, le intenzioni, il progetto e tutti quegli argomenti interessantissimi, tipo mission e vision, inutilizzati da intere generazioni di utenti. Nei contenuti istituzionali possiamo metterci anche quelli di contatto, che invece sono importanti davvero. POLICY E DISCLAIMER
Sono quelle pagine, più spesso presenti nei siti e-commerce, nei forum o nei social network, che dichiarano esclusioni di responsabilità, definiscono le condizioni d’uso di un servizio o forniscono istruzioni sulle modalità di spedizione e pagamento, su resi e recessi ecc. CONTENUTI BUSINESS
Sono i contenuti legati al modello di business del progetto, quelli cioè che dovrebbero impattare maggiormente sui motori di ricerca. Insomma, sono i contenuti per i quali c’è maggiore interesse ad essere visibili. 3.3.2. Orientare i bot dei motori di ricerca Uno dei passaggi fondamentali per ottimizzare un sito web è orientarne il
processo di indicizzazione, cioè fare in modo che i suoi contenuti vengano assorbiti nel modo corretto in base a quello che più ci preme dire. Per far questo ho tre alleati: il FILE ROBOTS.TXT, il META TAG ROBOTS e la SITEMAP. FILE ROBOTS.TXT
È un semplice file di testo alloggiato nella root principale del sito web ed è raggiungibile mediante protocollo ftp (file transfer protocol) usando un software ftp client come Filezilla.
Il file robots.txt contiene principalmente istruzioni su quali directory non devono essere indicizzate da bot specifici o da tutti i bot. Viene usato spesso per inibire la scansione dei file nelle directory di sistema, utili solo lato backend ma di nessuna utilità per gli utenti, o per evitare che Google scansioni file che si vuole ospitare sullo spazio web, ma che si preferisce mantenere segreti o riservati. META ROBOTS.TXT
È un meta tag, vale a dire un tag non visibile lato utente, a differenza dei comuni tag come TITOLI e INTESTAZIONI che invece sono visibili front-end. In generale la parola “meta” significa posto al di là, quindi nel nostro caso, non visibile, come il meta tag description che pure non è visibile lato utente. Il meta tag Robots può avere QUATTRO DECLINAZIONI che forniscono altrettanti ordini al bot rispetto alla scansione del sito: 1.meta name=“robots” content=“index,follow”: è l’indicazione di default, infatti può esserci o non esserci, è lo stesso. Il bot ha via libera e può scansionare il contenuto, seguire i link al suo interno e indicizzare la pagina facendone una copia cache; 2.meta name=“robots” content=“noindex,follow”: è importante perché consente ai bot di scansionare il testo di un contenuto, seguirne i link all’interno, impedendone però l’indicizzazione, rendendolo quindi irraggiungibile da Google. In seguito vedremo come e quando sfruttare quest’impostazione del meta robots a nostro vantaggio; 3.meta name=“robots” content=“index,nofollow”: indicizza ma non fa seguire, è un’indicazione che, al contrario della precedente, consente ai bot di inserire un contenuto negli indici di Google ma vieta la scansione dei
link al suo interno. Può essere utile quando ad esempio quei link conducono a landing page che non vogliamo vengano indicizzate per un motivo in particolare; 4.meta name=“robots” content=“noindex,nofollow”: tutto chiuso, saracinesca giù. Qui l’indicazione è “non mi hai mai visto, non ero qui”, insomma, chiuso per ferie. SITEMAP
Ne esistono due tipologie, quella per gli utenti, legata all’accessibilità web, che è sostanzialmente una pagina del sito, e quella per i motori di ricerca, un po’ meno leggibile perché scevra del foglio di stile del sito a cui si riferisce, si presenta come un file di testo in formato xml. Possono esistere diverse sitemap in formato xml, ognuna associata ad un gruppo di contenuti specifici, come la sitemap degli articoli, quella delle pagine, quella delle categorie ecc. A me piacciono molto, perché sistematizzano e ordinano. I bot scansioneranno sempre e comunque tutti i contenuti a cui avranno accesso, ma segnalare la/le sitemap a Google tramite gli strumenti per i web master è utile per un motivo in particolare: l’attributo priority.
L’attributo priority è un elemento nella sitemap.xml, che serve a dire ai bot COSA VIENE PRIMA E COSA DOPO. Dimmelo tu se è importante! La priority è espressa sotto forma di valore numerico che oscilla tra 0 e 1, passando per 0.1, 0.2, 03 ecc., fino a 0.9. 0 è il livello di priorità minima, mentre 1 è il massimo. Finalmente abbiamo tutto quello che serve per far comprendere a Google le nostre intenzioni… a patto di averne, ovviamente. Un ulteriore aspetto utile per orientare un bot è dare un assetto alla STRUTTURA DEI LINK INTERNI, tale che la maggior parte di essi punti sui contenuti strategici. Puoi verificare attraverso gli strumenti per i web master alla voce TRAFFICO DI RICERCA – LINK INTERNI.
Qui troverai tutti i contenuti indicizzati del tuo sito web, disposti in ordine da quello che riceve più link a quello che ne riceve di meno. Chiaramente le pagine presenti nei menu globali ne riceveranno di più. A volte è un bene, a volte un male, in ogni caso cerca di ottenere una configurazione dei link interni coerente con i tuoi obiettivi di visibilità. Un ultimo consiglio che ti lascio per l’orientamento dei bot è quello di gestire i link tra contenuti interni in modo che si muovano dai contenuti principali a quelli secondari con l’attributo NOFOLLOW, la cui sintassi è: rel=“nofollow”. Questa pratica è anche detta Page Rank sculpting e Matt Cutts non la consiglia. Per indole, parecchie delle cose che Cutts sconsiglia di fare, io le faccio. Eh sì! In questo modo veicolerai tutta l’attenzione dei bot sui contenuti principali, quelli ai quali intendi dare una priorità più elevata. 3.3.3. Gestire l’indicizzazione dei contenuti A questo punto, avendo chiarito cosa sono e a cosa servono il meta robots e l’attributo priority della sitemap, possiamo procedere come segue: 1. I CONTENUTI DISCLAIMER in generale possono essere posti in noindex, follow attraverso meta robots a meno che, per qualche motivo che al momento mi è oscuro, non siano stati progettati per impattare sui motori di ricerca e intercettare traffico. Di solito però il testo di questo genere di contenuti è sempre copiato, tecnico e lontano da quello che gli utenti stanno cercando 2.se i tuoi contenuti ISTITUZIONALI non intercettano le ricerche degli utenti, e in genere non contengono né è previsto che conterranno contenuti rilevanti rispetto al modello di business, possono tranquillamente essere posti in noindex, follow attraverso meta robots. Chiaramente se il sito è di 6 pagine in tutto e i contenuti istituzionali coincidono con quelli business, quel che ho scritto sopra non vale 3. I CONTENUTI BUSINESS invece sono la sostanza del tuo sito web e chiaramente, a meno di non avere motivazioni particolari, devono essere completamente aperti alla scansione e all’indicizzazione 4.è tra i contenuti business che il più delle volte dovrai scegliere e FARE DISTINZIONI tra quali devono avere maggiore priorità e quali minore,
attraverso l’attributo priority delle sitemap e tutti gli accorgimenti sulla struttura dei link interni di cui ho scritto prima. Puoi agire a due livelli, assegnando ad esempio una priorità più elevata alle categorie e una più bassa agli articoli, oppure tra le categorie puoi fare in modo che una abbia una priorità maggiore rispetto alle altre e la stessa cosa vale per articoli o pagine. Tutte le scelte devono servire a far capire al bot cosa vogliamo dire “prima”. Resta inteso che l’unico contenuto a priorità massima (1) è la homepage. 3.3.4. Dillo una volta sola, per bene! Molto spesso si sceglie di creare contenuti diversi che dicono quasi la stessa cosa e sono ottimizzati per sinonimi. Ad esempio: 1.dentista aperto in agosto 2.dentista aperto in estate. Si ha così un EFFETTO COLLO DI BOTTIGLIA: se il testo di questi due contenuti è stato composto dalla stessa persona, usando più o meno le stesse parole, quella persona probabilmente non solo ha perso tempo, dal momento che il motore di ricerca capirà bene che i due contenuti dicono la stessa cosa, ma se Google non dovesse essere in grado di valutarne uno migliore rispetto all’altro, il nostro copy in erba correrà addirittura il rischio di non posizionarsi affatto con alcuna delle due pagine, avendo messo Google nell’impossibilità di scegliere. La regola aurea dell’ottimizzazione può sembrare banale fino a quando non ti trovi a gestire il progetto editoriale di un sito web. 3.4. Tassonomia La tassonomia è la DISCIPLINA DELLA CLASSIFICAZIONE, non un aperitivo come molti credono. Gli esseri umani ragionano in termini tassonomici, confrontando gli oggetti di conoscenza tra loro e classificandoli sulla base di vicinanza e specificità. VICINANZA
Quanto sono vicini due contenuti rispetto a tutti i contenuti di cui scrivo? Esempio: Trattorie in Valsugana è vicino ad alberghi in Valsugana, ma è ancora più vicino a Ristoranti in Valsugana. SPECIFICITÀ
Quanto è specifico un contenuto rispetto a un altro? Esempio: Implantologia guidata è più specifico di Implantologia e lo è
meno di Rigetto degli impianti dentali. Ogni volta che dobbiamo risolvere un problema, quale che sia, attingiamo a ciò che già conosciamo in base all’esperienza. Ogni problema viene confrontato con ciò che associamo mentalmente ad esso per averlo già esperito. A grandi linee, se devi accendere un fiammifero, sai già come orientarne la fiamma per non bruciarti le mani, perché da piccolo ti sei scottato. Il fatto di classificare le informazioni e gli oggetti di conoscenza consente tanto a noi quanto a Google di capire di cosa stiamo parlando senza dover reinventare la ruota ogni volta. Pensa a come sarebbe scomoda la tua vita se i ricordi che hai su come si allacciano le scarpe si confondessero con quelli su come si piegano le magliette e pensa a come sarebbe difficile per Google comprendere il senso di un contenuto su come si allacciano le scarpe se questo si trovasse in mezzo a infiniti altri su infiniti siti che parlano di tutto senza soluzione di continuità. SE CLASSIFICARE SERVE A COMPRENDERE, CLASSIFICARE BENE SERVE A COMPRENDERE PRIMA Un SEO si occupa di ottimizzare i contenuti dal punto di vista della classificazione, allo scopo di far comprendere prima e meglio gli argomenti generici e specifici trattati. Esistono due tipi di tassonomie, quelle VERTICALI e quelle ORIZZONTALI, entrambe concorrono allo scopo di guidare l’utente nella lettura più comoda possibile dei contenuti. 3.4.1. Tassonomie verticali Rientrano nelle tassonomie verticali tutte le aggregazioni di contenuti per CATEGORIA. Una categoria è un contenitore al cui interno posso inserire tutti i contenuti pertinenti con le caratteristiche del contenitore. Ad esempio: Categoria – Primi piatti Contenuto – Spaghetti al pomodoro Contenuto – Gnocchi alla sorrentina Contenuto – Tortellini in brodo Una categoria può a sua volta avere sotto categorie, ognuna delle quali scende più nel dettaglio rispetto al suo livello superiore. Ad esempio: Categoria – Primi piatti
Sotto categoria – Primi di carne Sotto categoria – Primi di pesce Sotto categoria – Risotti La sotto categoria presenta un grado di specificità maggiore, quindi spesso un numero di articoli minore rispetto a quelli che possiamo trovare al livello superiore, in ogni caso le categorie hanno uno SVILUPPO VERTICALE perché la scatola contenente primi di pesce si trova solo dentro la scatola contenente primi piatti e non dentro quella che contiene i secondi piatti o i dolci. 3.4.2. Tassonomie orizzontali Le tassonomie orizzontali vengono spesso sottovalutate e riguardano le aggregazioni di contenuti sulla base di loro CARATTERISTICHE indipendentemente dalla categoria di appartenenza. Due contenuti infatti possono essere aggregati sia in verticale, quando appartengono alla stessa categoria, che in orizzontale, quando appartengono a categorie diverse ma hanno qualcosa in comune che li avvicina. Il dispositivo per aggregare contenuti in modo orizzontale rispetto alle categorie è il TAG KEYWORD, che da questo momento chiamerò semplicemente tag. Il meta keyword invece lascialo perdere perché è cosa completamente diversa e peraltro non serve a un tubo. Ad esempio: Tag – Ricette di Pasqua Articolo – Casatiello Articolo – Agnello al forno In questo caso il Casatiello si trova nella categoria torte salate, mentre l’agnello al forno è chiaramente nei secondi piatti. Le due portate però, pur trovandosi in categorie diverse, hanno un elemento che le accomuna, cioè si preparano entrambe durante le feste di Pasqua. Il tag è un’etichetta che contrassegna quindi tutti i contenuti in modo trasversale rispetto alle categorie di appartenenza. Creare livelli tassonomici di questo tipo è il modo più corretto per creare nel nostro sito web una struttura davvero ordinata, solida e facilmente navigabile. 3.4.3. Tag visibili Se i tag assolvono a una funzione tanto importante, è bene che siano visibili in ogni contenuto come COLLEGAMENTO IPERTESTUALE, di modo che gli utenti possano usarli per navigare il sito sulla base degli elementi in comune tra
contenuti appartenenti a categorie diverse. Se non fossero visibili, tutto questo ragionamento non avrebbe senso. Molti SEO, quando lavorano su progetti editoriali importanti perché sviluppati da decine se non centinaia di autori sullo stesso sito web, preferiscono a priori rendere i tag non indicizzabili per un motivo semplice: I TAG SONO GRATIS, quindi chi crea contenuti tende ad associarne un numero esagerato, senza tenere conto che ogni tag aggiunto a un articolo equivale a un nuovo contenuto dato in pasto a Google. Il problema qui è di logica: i tag non dovrebbero essere associati ai contenuti, semmai sono i contenuti che dovrebbero essere associati ai tag. I tag vanno definiti a monte del progetto editoriale del sito esattamente come le categorie. Possono essere aggiunti in seguito con il proposito di espandere il progetto del sito secondo linee strategiche precise, ma in nessun caso andrebbero scelti da chi scrive un articolo senza avere cognizione di causa dell’intera struttura del sito web. Questo è molto importante perché dal punto di vista della logica, un tag e una categoria sono la stessa cosa, entrambi AGGREGANO CONTENUTI. Immagina quindi che un copy ignaro del pericolo scriva un bel contenuto enciclopedico sulla pesca d’altura. Fai conto che, preso dall’entusiasmo, pensi bene di aggiungere “un paio” di tag: pesca, altura, pesce, canna, tonno, pesce spada, profondità, tempo libero, sport. A questo punto, sempre ignaro del pericolo ed enormemente soddisfatto dell’articolo appena scritto e perfino “taggato”, il nostro eroe clicca su pubblica, commettendo uno degli errori peggiori (e purtroppo più frequenti) che si possano immaginare lato SEO. Al passaggio del bot vengono scansionati e inviati all’indice di Google 10 nuovi contenuti: uno è il saggio immortale sulla pesca d’altura, gli altri nove sono contenuti aggregati per tag i cui titoli non intercettano ricerche e che aggregano complessivamente un solo articolo.
bit.ly/uso_corretto_tag
Domanda: quanto deve essere scritto bene l’articolo sulla pesca d’altura per giustificare 10 pagine indicizzate con titoli diversi, tutte con lo stesso testo? Non starci troppo a pensare, sono semplicemente sarcastico… e un po’ incavolato. Un tag deve aggregare più di un articolo, quindi contrassegnarne una serie in modo da creare un insieme di contenuti. Quindi apri subito il tuo sito e cancella tutti i tag associati ad un solo articolo. Chiudi il libro e fallo adesso.Un tag contrassegna una serie di articoli, tutti quanti per la stessa parola chiave. Se il tuo tag contrassegna una serie di articoli, ma non è una parola chiave, modificalo e rendilo una maledetta parola chiave. Questo puoi farlo anche dopo (comunque in giornata). 3.5. Posizionare contenuti aggregati Un AGGREGATO come una categoria o un tag è in sostanza un contenuto che al suo interno contiene una pluralità di rimandi ad altri contenuti, solitamente sotto forma di titolo, immagine di anteprima e microcontent. Parliamo in sostanza di un elenco di contenuti tutti pertinenti con la parola chiave per cui è ottimizzato il titolo dell’aggregato. Un contenuto di questo tipo, proprio in virtù dell’offerta più ampia rispetto agli altri, ha una probabilità più elevata di ottenere un buon posizionamento rispetto a un articolo singolo, quindi se condividi questa logica e riesci a comprenderne l’efficacia, ti consiglio di strutturare bene i contenuti dei siti che curi secondo logiche tassonomiche solide. Mi capita di lavorare su blog le cui categorie principali non seguono logiche di classificazione tali da intercettare le ricerche degli utenti. Quando mi viene detto che non posso ricategorizzare il sito, superato il momento degli improperi, mi ricordo che, in mancanza della possibilità di usare le categorie per fare SEO, posso lo stesso creare contenuti aggregati sfruttando i tag.
Viceversa, quando mi trovo a lavorare su siti web per i quali l’indicizzazione dei tag è inibita perché ce ne sono troppi (ma veramente troppi) e per questo motivo non è possibile pulirli e ottimizzarli, lavoro sulle sole categorie. 3.5.1. Aggregare contenuti manualmente Quando infine non posso lavorare sulle categorie perché sono progettate in modo da non intercettare traffico e non posso lavorare con i tag perché sono deindicizzati, creo laddove possibile contenuti aggregati a mano. Se infatti una categoria o un tag archive, da un punto di vista formale, sono semplici contenuti con al loro interno link ad altri contenuti, nessuno mi vieta di crearne “a mano” con al loro interno link ad altri contenuti pertinenti rispetto al loro contenitore. Prima dell’avvento dei CMS era così che si categorizzava, cosa credi? LA LOGICA È QUELLA IPERTESTUALE, cioè ci si muove da un contenuto superficiale e generico a uno profondo e specifico. Se ci pensi, il senso della categorizzazione è sempre stato tutto qui, semmai una buona domanda potrebbe essere: come intercettare traffico seguendo la logica ipertestuale? La risposta è tra le pagine di questo libro e la tua capacità di osservare la rete nelle sue dinamiche. Ricorda sempre che una buona ottimizzazione ti consente di farti capire da Google, ma, per vincere in SERP, la partita si gioca sui significati, quindi continua a leggere, perché il meglio deve ancora venire. 3.5.2. Ottimizzazione dei contenuti aggregati: articoli in Noindex Quella che sto per proporti è una tecnica abbastanza rischiosa, perché se usata senza criterio può provocare perdite di visite considerevoli. Ora che ho catturato la tua attenzione ti mostro come funziona.
bit.ly/posizionare_contenuti
In alcuni casi, quando gli articoli presenti in un aggregato sono tutti ottimizzati per le stesse parole chiave, perché di fatto trattano lo stesso argomento e magari sono realizzati da utenti diversi, puoi tenere indicizzabile solo
l’aggregato e assegnare l’attributo noindex,follow al meta robots per tutti i contenuti al suo interno. In questo modo i singoli contenuti saranno raggiungibili solo da quello che li aggrega e non singolarmente attraverso Google. Stiamo dicendo sostanzialmente a Google che, se gli utenti vogliono leggere quei contenuti, devono passare per il nostro “grappolo”. Questa tecnica crea un interesse forte da parte di Google per gli aggregati come ad esempio le categorie, che a questo punto diventano la sola strada (le altre le abbiamo chiuse inibendone l’indicizzazione) per accedere ai contenuti interni. Avremo quindi meno contenuti indicizzati, ma più importanti e più interessanti agli occhi di Google. Ti suggerisco di usare questa tecnica solo quando il sito che curi presenta una grossa volumetria di contenuti simili tra loro e parecchi aggregati. 3.6. Articoli correlati Hai mai fatto caso che spesso i blog, i giornali online e gli e-commerce presentano al fondo dei loro contenuti una serie di link ad articoli correlati con o senza immagine di anteprima? Gli articoli che vengono mostrati tra i “correlati” sono davvero importanti perché orientano gli utenti nella navigazione interna tenendoli per più tempo sul sito che stiamo curando. La correlazione in pagina è tanto importante per i blog quanto (e forse ancora di più) per i siti e-commerce. Molti sostengono che dietro al successo interplanetario di siti come Amazon o eBay ci sia tra l’altro un’ottima gestione delle tassonomie e delle correlazioni tra prodotti che si esplicita nella fatidica frase: “se hai visto questo articolo potresti essere interessato a:”… una maledetta droga!
Spesso trovo contenuti web che ottengono posizionamenti migliori di altri pure più ricchi di testo, ma senza contenuti correlati o con correlazioni poco o affatto pertinenti. In questo passaggio puoi facilmente realizzare quanto sia importante avere un buono sviluppo delle tassonomie, soprattutto quando le correlazioni avvengono in base alle categorie o, come capita più spesso, per
tag. Come puoi immaginare di vedere buone correlazioni tra articoli quando ognuno di essi è contrassegnato con 10 tag diversi e unici? Viceversa, quando le tassonomie sono corrette, le correlazioni sono solide e i bot al loro passaggio trovano pagine web da cui partono percorsi di navigazione pertinenti tra loro e quindi interessanti per gli utenti. Bingo! 3.7. Ottimizzare un sito web già pubblicato Ogni anno nel mondo vengono creati migliaia di siti web da web designer senza scrupoli. Questi operatori spesso ignorano perfino i principi basilari dell’ottimizzazione SEO, mettendo online progetti del tutto disordinati, senza attenzione per le tassonomie o per la struttura di URL e link interni. Ignorano l’importanza di indirizzare il bot alla scansione orientata secondo il modello di business e spesso non rimuovono nemmeno i contenuti d’esempio. Fermiamoli. Ora ti mostro come.Un sito web messo online privo di ottimizzazione otterrà una INDICIZZAZIONE CASUALE, cioè Google non essendo in grado di capire quali sono i contenuti più importanti, cercherà di intuirlo sulla base della loro posizione, della frequenza e dei percorsi di navigazione. La prima cosa che dovrebbe fare un SEO quando gli viene chiesto di valutare l’ottimizzazione di un sito web è digitare nella barra di ricerca di Google il seguente comando: site: www.nomesito.estensione L’operatore site: è fondamentale per due motivi: 1.mostra tutti i risultati che Google ha indicizzato del sito 2.mostra la priorità con cui Google li ha indicizzati. Questo secondo aspetto è spesso poco considerato, sebbene sia importantissimo perché consente a un SEO di capire a colpo d’occhio come “sta messa” l’ottimizzazione. Se l’ottimizzazione è corretta, il primo contenuto che vediamo al comando site: è la homepage, mentre immediatamente a ridosso di essa dovremmo vedere subito i contenuti business più importanti come ad esempio i servizi o le categorie di prodotti. Se immediatamente sotto la homepage di un e-commerce, vediamo il contenuto “contatti”, quello “modalità di pagamento” e quello “password dimenticata”, allora è chiaro che Google non è riuscito a capire cosa conta nel nostro sito. A quel punto puoi usare tutti gli accorgimenti descritti fin qui per rimettere il sito a posto.
Spesso il comando site: ci rivela la presenza di tag inseriti a casaccio o di contenuti d’esempio non raggiungibili dal sito ma comunque indicizzati. In questi casi, tali contenuti vanno prontamente CANCELLATI dal sito e RIMOSSI attraverso gli strumenti per i web master. 3.7.1. Se il primo contenuto indicizzato non è la homepage In questo caso ferma tutto. Inutile procedere con le attività di posizionamento organico se il primo contenuto indicizzato non è la homepage del sito. Hai di fronte un corpo senza testa, non riuscirai a posizionare niente. Questa condizione si verifica solitamente quando un sito web viene “rifatto” o trasferito da un server a un altro. Se il web master che si occupa della migrazione, per risparmiare tempo reindirizza tutte le pagine del sito vecchio alla homepage del sito nuovo, soprattutto se i redirect sono tanti, avremo un bombardamento di link in ingresso alla homepage che produrrà un effetto simile a una PENALIZZAZIONE, facendola di fatto sparire dall’indice. Il problema si risolve gestendo correttamente i reindirizzamenti definitivi (301) verso ogni pagina del sito e non tutti verso la home. Se le pagine sono troppe, si può al limite optare per reindirizzamenti categoriali. 3.7.2. SEO e logica ipertestuale: si viene e si va… La logica del web è da sempre la logica dell’ipertesto, cioè del collegamento ipertestuale, IL LINK. I primi architetti del web concepirono il link come una via d’accesso a un contenuto correlato, pertinente, più o meno approfondito rispetto a quello di partenza.
Derrick De kerckhove © Joi Ito
Il mio maestro, DERRICK DE KERCKHOVE, sosteneva insieme a PAUL VIRILIO che il Web agisse in termini cognitivi sugli individui ridefinendone il senso del tatto,
allargandolo agli oggetti lontani. Attraverso il click su un link possiamo raggiungere, quasi toccare, un documento web che di fatto è stato concepito a migliaia di chilometri di distanza. Se durante il Rinascimento l’introduzione della PROSPETTIVA in pittura ha consentito di vedere a distanza attraverso la cornice di un quadro, con il Web la prospettiva diviene tattile, offrendoci non già di vedere, ma di TOCCARE A DISTANZA attraverso lo schermo: è il telecontatto. Ogni sito web dovrebbe essere strutturato tenendo conto di una logica molto semplice che si basa su due tipi di contenuti: contenuti superficiali ♦ contenuti profondi. ♦
I CONTENUTI SUPERFICIALI sono quelli più importanti perché rappresentano l’offerta esplicita espressa da un progetto web. Superficiali sono quei contenuti che inquadrano un oggetto di conoscenza al livello più generico, definendolo e introducendone le specifiche che vengono sviluppate nei CONTENUTI PROFONDI, cioè quelli che ampliano e circostanziano i contenuti superficiali, scendendo in profondità e fornendo informazioni più dettagliate e puntuali. Se ad esempio, un contenuto superficiale ha come oggetto conoscitivo un villaggio vacanze in una località turistica, da quella pagina potranno partire link profondi relativi a risorse specifiche su come raggiungere quella località, sugli eventi in quella zona, sulle strutture sanitarie presenti, ecc. Quest’ordine logico, che si muove dai contenuti più generici a quelli più specifici, diventa compiutamente ipertestuale, con la possibilità di muoversi e navigare TRASVERSALMENTE tra contenuti diversi attraverso il testo contenente link. Un sito come Wikipedia è probabilmente l’esempio migliore che si possa fare per descrivere la logica dell’ipertesto. La navigazione tra contenuti profondi può condurre gli utenti in un percorso conoscitivo virtualmente sconfinato. Questo genere di fruibilità è senza dubbio uno dei più potenti veicoli di ranking in SERP. Per Google non conta quindi che un contenuto sia lungo come molti credono, cioè se è lungo perché ricco va bene, ma può essere valutato ancora meglio, seppure non tanto lungo, quando inserito in un contesto di navigazione che si muove su diversi livelli di specificità, dal più superficiale al più profondo. Le cose cambiano, gli algoritmi di ricerca si affinano, ma Google è sempre estremamente sensibile ai siti web strutturati in modo solido rispetto a contenuti di superficie e contenuti profondi. L’invito che ti faccio quindi è
sfruttare l’ipertesto per creare percorsi di navigazione tali da trattenere il più possibile gli utenti sul tuo sito. Fai in modo che trovino facilmente tutto quello che cercano. Rispondi alle loro domande e Google ti premierà come non immagini. Sotto questo punto di vista non esistono trucchi. Olio di gomito! 3.8. Deep link e surface link Il DEEP LINKING, da alcuni considerato uno sport estremo, è l’atto di creare collegamenti ipertestuali tra un contenuto superficiale e uno profondo, dello stesso sito web o tra siti web differenti. In ogni caso ci si muove dal generale al particolare, creando percorsi di navigazione coerenti ed esplicativi. Il contrario del link di profondità è il link di superficie o SURFACE LINK, che invece si muove nella direzione opposta, cioè verso il contenuto più superficiale. Spesso non c’è bisogno di inserire i surface link perché sono già presenti sotto forma di breadcrumb o molliche di pane, un elemento importantissimo della WEB USABILITY che consente agli utenti di ripercorrere la navigazione a ritroso lungo il percorso seguito fino a tornare alla homepage. I link di superficie, almeno i più evidenti, si trovano comunque quasi sempre espressi in modalità globale o sitewide, cioè in tutte le pagine, perché presenti nel menu principale in posizione top (in alto), nel sidebar (barra laterale) o nel footer (piè di pagina). Questo per dire che, se i deep link possono mancare, i surface link devono assolutamente esserci, altrimenti sei un disgraziato! 3.9. Struttura dei link interni Puoi raggiungere i contenuti di un sito web attraverso tre tipologie di link: 1.quelli nei menu dello stesso sito 2.quelli presenti (in vario modo) su altri siti web 3.quelli presenti all’interno dei contenuti dello stesso sito. del sito che curi è un’ottima cosa in vista di sviluppare un piano editoriale che offra contenuti ricchi e approfonditi. OTTIMIZZARE LA STRUTTURA DEI LINK INTERNI
I link interni possono seguire la logica descritta sopra, quindi muoversi in direzione deep o surface e orientare la navigazione interna, oppure essere sfruttati in ottica di CONVERSIONE, creando ad esempio verticalizzazioni tra gli articoli del blog interno (o esterno) e i contenuti business di un sito web. In questo caso il senso è cercare attraverso la SEO copywriting di ottenere
buoni posizionamenti per gli articoli di un blog e muoverne le visite verso i contenuti di nostro interesse attraverso i link, aumentandone nel tempo le visite e il posizionamento. Creare una struttura di link interni verticalizzata sui contenuti business è molto semplice oltre che estremamente importante: è IMPORTANTE perché così facendo diamo al bot un’indicazione ulteriore, rispetto a quelle che gli abbiamo già fornito attraverso la sitemap e gli attributi del meta robots, su quali sono per noi i contenuti più rilevanti ♦ è SEMPLICE perché i contenuti business fondamentalmente non cambiano, quindi il processo può essere automatizzato mediante l’uso di plugin che creano automaticamente link ad una pagina obiettivo, ogni volta che rilevano la presenza di una parola chiave specifica all’interno del testo di un articolo. ♦
L’unica accortezza da tenere, dal momento che plugin per WordPress di questo tipo come SEO smart links sono una droga, è evitare il verificarsi di scene raccapriccianti come articoli con dentro venti link tutti uguali con lo stesso anchor text. Abbi pietà! 3.10. Codici di stato HTTP
Te li riporto brevemente qui per evitarti il panico in caso tu veda una pagina bianca con un numero a tre cifre incomprensibile. I codici di stato indicano il successo o l’insuccesso (e in caso il motivo) rispetto alla richiesta di accesso ad un indirizzo web tramite protocollo HTTP. codici 200 = tutto ok. Siamo vivi e stiamo bene! ♦ codici 300 = redirezione. Il contenuto è spostato in modo temporaneo o definitivo ♦ codici 400 = client error. Il contenuto non viene mostrato per motivi dipendenti dal sito, spesso perché è stato cancellato ♦
♦
codici 500 = Server error. Il contenuto non viene mostrato perché il server è uscito a fare quattro passi. Succede.
3.11. Strumenti per i web master I web master tools sono strumenti potenti sia per quanto riguarda il monitoraggio di un sito web sia per agire direttamente su di esso e, cosa fondamentale, sono una finestra per dialogare direttamente con Google in caso di necessità. “Agganciare” il tuo sito web agli strumenti per i web master è molto semplice, si tratta solo di eseguire alcune semplici istruzioni sulle quali non mi soffermo perché le trovi in un attimo su Google. Una volta “entrato”, potrai fare diverse cose, tutte importanti. Te ne descrivo solo alcune, quelle che secondo me contano tanto lato SEO. 1. SEGNALAZIONE SITEMAP
Il primo step è sempre segnalare una (o più) sitemap in formato xml per il sito web che si sta seguendo. Fornisce a Google una prima indicazione sui contenuti in modo diretto.
2. SITELINK
Sono i link che compaiono in SERP quando inserisci nella barra di ricerca di Google il nome esatto del dominio o lo stesso più l’estensione. Se i sitelink sono coerenti con il modello di business del sito è un buon segno, altrimenti hai un segnale del fatto che Google non ha capito bene quel che conta di più per te. Puoi declassare i link impertinenti tramite questo tool, ma più in generale se ti trovi a fare ciò, poniti anche qualche domanda su come è stato ottimizzato il sito.
3. DATI STRUTTURATI
Un passo sempre più utile all’interno di un sito web è la segnalazione a Google delle ENTITÀ e delle PROPRIETÀ associate ad esse presenti nelle singole pagine, attraverso la creazione di dati strutturati. La correttezza
nell’implementazione di tali dati può essere controllata dalla voce aspetto nella ricerca. Un’entità in questo senso è un oggetto di conoscenza come una persona, una ricetta di cucina, un articolo in vendita o qualunque altro elemento che possa aiutare Google a comprendere la natura e le finalità del sito web che sta scansionando.
4. QUERY DI RICERCA Sotto la voce traffico di ricerca è possibile verificare le query per le quali il sito di cui ti occupi è più visibile, il numero di impressioni, quello di click e la posizione media del sito per ogni query.
5. LINK CHE RIMANDANO AL TUO SITO Utile tool che ti fornisce un’indicazione sui domini da cui provengono i link al tuo sito e sul numero di link che per ciascuno di questi il tuo sito riceve. Non va nel dettaglio del profilo di link come Majestic, ma non è neanche da buttare…
6. LINK INTERNI Verifica la struttura dei link interni individuando quali sono le pagine del sito che ne ottengono di più. Tali pagine sono giocoforza le più importanti, per cui se ti accorgi che la maggior parte dei link interni punta verso pagine non legate al modello di business, sai di avere un problema da risolvere.
7. AZIONI MANUALI Se hai fatto lo zozzone, Google riporta le tue malefatte sotto la voce azioni manuali, indicandoti anche il motivo della penalizzazione e come fare per uscirne. Nota bene: in caso di penalizzazione algoritmica, Google non ti avverte.
8. TARGETING INTERNAZIONALE Importante per definire sia la lingua in cui è realizzato il sito che la “regione” intesa come nazione a cui il sito web si rivolge.
9. STATO DELL’INDICIZZAZIONE
Fornisce le informazioni su QUANDO vengono indicizzati QUANTI contenuti. Risente di una discreta latenza, per cui i dati sono spesso falsati rispetto a quello che puoi riscontrare attraverso l’operatore site:
10. PAROLE CHIAVE PER LA RETE DEI CONTENUTI
Indica tutte le parole chiave all’interno dei contenuti del sito ordinate per FREQUENZA. Per ognuna di esse Google identifica le varianti e i contenuti in cui è presente.
11. RIMOZIONE URL
Strumento per rimuovere dagli indici di Google un contenuto del sito che stai curando, a patto però che il contenuto sia stato cancellato e che la URL corrispondente riporti errore 404 (contenuto non trovato).
12. VISUALIZZA COME GOOGLE
Altro strumento importantissimo che trovi sotto la voce scansione. Serve a inviare un contenuto nuovo o già esistente all’indice di Google perché venga assorbito o riassorbito in caso fosse già stato precedentemente indicizzato. Nota: per forzare il riassorbimento di un contenuto già indicizzato, ti consiglio
di modificarlo abbastanza da far capire a Google che qualcosa è cambiato, altrimenti il re-cache potrebbe non avvenire. A volte utilizzo questo strumento per segnalare a Google che l’indicizzazione di un contenuto è inibita da meta robots.
Ultimo appunto: gli strumenti per i web master dimostrano una certa latenza nella presentazione dei risultati, come dire che te li forniscono un po’ in ritardo. Sii indulgente. Oh, comunque è gratis… 3.12. Google Analytics Non ho certo la pretesa di spiegare in queste pagine il funzionamento di Google Analytics, che è il miglior software di monitoraggio e analisi degli accessi dell’universo, però, se ci riesco, mi piacerebbe raccontarti un paio di cosette interessanti su come lo uso io ogni giorno per capire dove porre maggiore attenzione. 3.12.1. Il filtro Not Provided E Google disse: «vagherai nell’ombra e non conoscerai più la parola degli utenti». In quel momento i cieli si aprirono e comparve il filtro Not Provided che impedì a tutti i web analyst e ai SEO specialist di sapere con quali query di ricerca gli utenti fossero atterrati su quali contenuti dei loro siti web.
La percentuale delle query che rientrano nel filtro Not Provided è ormai intorno al 90%, quindi la notte più nera. Puoi verificarlo dal tuo account di Google Analytics, cliccando su ACQUISIZIONE > PAROLE CHIAVE > RISULTATI ORGANICI. Se il tuo sito non ha ancora un account Analytics chiudi questo libro, creane uno e poi ricomincia a leggere. Io aspetto. Il Not Provided è un filtro nel quale rimangono “impigliate” tutte le query di ricerca inserite dagli utenti su Google mentre navigano “loggati”. Tutte queste query, insieme a quelle effettuate in modalità sicura (protocollo HTTPS) sono inconoscibili. Non c’è modo di vederle. L’unica cosa che puoi fare è filtrare i contenuti che rientrano nel Not Provided per PAGINA DI DESTINAZIONE. Non potrai comunque conoscere le query, ma almeno saprai su quali contenuti sono atterrati quegli utenti. Meglio di niente, no? 3.12.2. Trova i contenuti da migliorare Dopo aver filtrato i contenuti Not Provided per la pagina di destinazione, visualizzane i primi 50. Probabilmente i contenuti che hanno maggiore traffico sono anche quelli posizionati bene.Ciò che devi fare è trovare i contenuti che hanno un traffico considerevole nonostante non abbiano buoni posizionamenti. Sono quelli i contenuti su cui lavorare. Una volta rafforzati, il traffico complessivo del sito comincerà a crescere giorno dopo giorno e potrai vantartene al bar con gli amici o su Facebook. 4 Lo strumento di pianificazione delle parole chiave è uno strumento gratuito di AdWords.
4. SEO Semantica
4.1. Perché parlare di semantica rispetto alla SEO? La semantica è la disciplina che studia il significato delle parole. I motori di ricerca sono software programmati per attribuire un valore più o meno alto alle pagine web, sulla base di una serie di parametri, tra i quali la maggior parte ha a che vedere con la COMPRENSIONE del documento web in esame. Come dire che, se con le pagine dei siti web di cui ci occupiamo mettiamo Google in condizione di comprendere quello che vogliamo dire è molto meglio!
bit.ly/google_dentro_la_ricerca
4.1.1. Ma cosa capisce davvero Google? Per quanto alcuni eccellenti SEO giurino di conoscere la risposta a questa domanda, permane tra noi un certo grado di difficoltà nel valutare le scelte di attribuzione di ranking. Questa difficoltà dipende da due fattori: 1.i significati sviluppati in un documento web non sono gli unici a contare rispetto al ranking in SERP, ma giocano un ruolo importante anche la POPOLARITÀ DEL SITO, come vedremo meglio in seguito, e quella dell’AUTORE 2.spesso sottovalutiamo o sopravvalutiamo il valore di un testo perché ci mancano gli strumenti di valutazione che invece sono propri di una macchina programmata per fare confronti e associazioni. Ed è su questo passaggio che passo la maggior parte del mio tempo a scassarmi la testa. C’è una differenza netta tra gli esseri umani e le macchine. Tale differenza non
è ancora stata colmata e si basa su due fattori, la COMPRENSIONE DEL SENTIMENT E L’INTERPRETAZIONE. Google non ha (ancora) la capacità di interpretare molti GIUDIZI DI VALORE presenti nel testo che scansiona. È infatti in grado di valutare solo in termini DENOTATIVI e non ancora CONNOTATIVI. Se ad esempio, scrivo in un contenuto web che Pinco Pallino è alto 1,45 cm, Google leggerà un’indicazione chiara che denota un’altezza, ma se invece dico che Pinco pallino è un tappo, Google non riuscirà a capire né che Pinco Pallino è basso di statura né che la mia valutazione lo connota negativamente. Proprio rispetto a quest’ultima osservazione scaturisce l’aspetto spesso più sottovalutato rispetto al livello di comprensione da parte di Google: IL PROCESSO DI COMPRENSIONE DA PARTE DEI MOTORI DI RICERCA AVVIENE SU BASE ASSOCIATIVA E NON INTERPRETATIVA Google spesso non è capace di interpretare lo stato d’animo espresso in alcune forme testuali connotative né le proposizioni contenenti modi di dire, metafore, parabole, iperboli, espressioni idiomatiche, slang ecc. Tutto quello che Google riesce a fare è ASSOCIARE PAROLE CHE CONOSCE GIÀ mettendole insieme per creare significati complessivi. Per comprendere il testo che scansiona, Google lavora su due livelli, il primo riguarda la semantica LESSICALE, il secondo quella FRASALE. 4.1.2. Semantica lessicale e frasale La SEMANTICA LESSICALE è lo studio del significato delle singole parole. Le SINGOLE parole sono un problema, perché prese da sole sono quasi sempre AMBIGUE, vale a dire che hanno più di un significato possibile. Se dico scarpa, saremo probabilmente tutti d’accordo nel sostenere che parlo di una calzatura, ma se dico espresso, mi riferisco a un treno o al caffè? E se dico scala mi si è fulminata una lampadina e devo cambiarla o sto pensando di andare a teatro?
La SEMANTICA FRASALE è lo studio del significato delle parole all’interno di frasi di senso compiuto. Google, come noi del resto, non attribuisce quasi mai un significato a una parola presa da sola, ma sempre associandola ad altre all’interno di un costrutto come una proposizione, un periodo, un paragrafo. Un intero documento viene scomposto nelle sue co-occorrenze semplici tra piccoli gruppi di parole, in modo tale da consentire a Google di valutare con certezza quale sia l’argomento complessivo. È il contesto che fa il significato. Se ragioniamo di semantica, dobbiamo ricordarci che CONTEXT IS THE KING. Da questo aspetto capirai che la semantica delle co-occorenze, quindi quella frasale, è semplicemente cruciale nel gioco della comprensione filtrata algoritmicamente. Può capitare che Google perda per la strada alcune associazioni tra parole ma, in generale, scansionando l’intero testo, sarà comunque nella condizione di comprendere il significato complessivo di un articolo. Piuttosto il nostro lavoro, come SEO copywriter, è fare in modo che Google perda meno associazioni possibili. Ora torniamo un momento alla domanda di partenza. Cosa capisce davvero Google? Quel che mi è chiaro, per aver trascorso centinaia di ore a riflettere sui temi della comprensione di messaggi mediata attraverso software, è che sebbene il senso complessivo di un documento possa essere colto senza troppi problemi, è possibile che Google attribuisca un valore molto basso a un testo scritto come nell’esempio di seguito. A veder bene, l’ottimizzazione SEO pulita mi sconfinfera un casino più di quella da sporcaccioni. Fare posizionamento usando trucchi da black hat, è storto morto come dire che tanto va la gatta al largo che ci lascia lo zampino, perché finisce che ti spingi troppo al limite con la negative SEO e google alla fine ti taglia le gambe. Peggio che andar di notte…
Questo tipo di testo può essere compreso a fondo solo da un essere umano, ma non da un software, che invece, pur capendo che si parla di SEO black
hat5, quindi di pratiche atte a ingannare il motore di ricerca senza creare valore per gli utenti, perderà una serie di informazioni importanti, rimaste imprigionate tra una metafora e un modo di dire. Per ottenere performance migliori, lo stesso testo potrebbe essere scritto in questa forma: Credo che sviluppare l’ottimizzazione SEO in modo corretto sia meglio che farlo in modo scorretto. Fare posizionamento usando trucchi di tipo SEO black hat è sconsigliabile perché si corre il rischio di essere penalizzati. Usando la negative SEO si potrebbe essere esclusi dai risultati di Google. Sarebbe un problema.
In questo secondo esempio, forse più noioso rispetto al primo, il registro non è più connotativo, ma denotativo. Non lasciamo niente all’interpretazione. Stiamo fornendo un’informazione probabilmente un po’ più piatta, ma certamente più comprensibile a livello strutturale. Se nel primo esempio Google riesce a capire che si parla “più o meno” di ottimizzazione SEO, black hat e negative, quello che non è in grado di cogliere è addirittura IL MOTIVO per cui se ne sta parlando. La perdita di informazione è tale che queste tre parole messe insieme non gli consentono di realizzare le intenzioni dell’autore. Viceversa, il secondo passaggio testuale è chiaro sia per il significato complessivo sia per le sfumature e i singoli passaggi. Google riesce a comprenderlo dall’inizio alla fine. 4.2. Come faccio a sapere cosa Google capisce e cosa no? Una domanda semplice e importante, alla quale ho trovato risposta un giorno, per caso. Si dice spesso che Google funzioni meglio in America rispetto a come funziona in Italia, spesso giustificando l’affermazione con i dati di fatturato del colosso di Mountain View, enormemente più alti nel nuovo continente che qui nella vecchia Europa. Ora non so quanto conti il vil denaro in questo ragionamento, però considera che Google all’origine è un software concepito, progettato e sviluppato in America e che parla americano, quindi tutte le altre lingue sono sostanzialmente SOVRASTRUTTURE applicate a quella principale. Per questo motivo mi sento di affermare che Google.com stia almeno 3 o 4 anni avanti sulle altre versioni localizzate nel resto del mondo, rispetto all’accuratezza delle SERP offerte come risposta alle query degli utenti. Capito questo, ho fatto un piccolo esperimento che puoi fare subito anche tu, se apri un momento il TRADUTTORE DI GOOGLE. 4.2.1. L’enigma del traduttore
Una volta aperto il traduttore di Google, inserisci la seguente frase, scrivendo tutte le parole in minuscolo: al via la seconda edizione della mostra biennale di venezia Traducendo in inglese otterrai il testo seguente: to the second edition of the biennial exhibition of venice
Notiamo subito che la prima parte della traduzione non è un granché. Il problema sembra essere quell’espressione d’apertura “al via”, che, mutuata dal gergo giornalistico, è ormai entrata nell’italiano corrente come espressione spesso utilizzata per descrivere l’inizio o la partenza di un evento, una rassegna o una competizione. Il problema del traduttore di Google è che non sembra conoscere il significato dell’espressione “al via” e di conseguenza, come sempre in questi casi, la traduce letteralmente. A questo punto proviamo a sostituire al via con qualcosa di più semplice, ad esempio comincia: comincia la seconda edizione della mostra biennale di venezia Otterremo la seguente traduzione: begins the second edition of the Venice Biennale
Qui puoi accorgerti di un aspetto che va al di là della semplice traduzione giusta o sbagliata, e cioè che in precedenza, usando la forma al via, Google aveva tradotto letteralmente anche biennale di venezia, evidentemente senza comprendere che stavamo parlando della famosa manifestazione culturale. Sostituendo al via con comincia, non cambia solo il fatto che Google traduce meglio la frase nel suo complesso, ma ora capisce che non parliamo di un’esibizione che si tiene ogni due anni a Venezia, ma proprio della Biennale, di “quella” Biennale. L’uso del traduttore a questo punto è importantissimo perché questo potente
strumento di Google funziona come una CARTINA DI TORNASOLE che ci aiuta a verificare se i nostri testi sono davvero comprensibili (da Google) e fino a che punto. Quando scrivi per il web scrivi per gli utenti, quindi puoi e devi fare in modo di catturare la loro attenzione. Se preferisci usare la forma al via, per indicare l’inizio di qualcosa, fa pure, perché comunque, per quanto abbiamo visto fin ora, sappiamo che Google nel complesso dell’articolo capirà che stai parlando della Biennale di Venezia. Tieni conto però che se la vera notizia del tuo articolo è che la Biennale sta cominciando, purtroppo per quello che abbiamo appena visto, Google non la capirà. Comprenderà tutto quello che volevi dire sulla mostra, tranne il semplice fatto che comincia. Detto questo, a te la scelta… 4.3. I dati strutturati Sebbene sia vero che Google “capisce” il senso di quello che scriviamo sul web attraverso le associazioni tra vocaboli, possiamo dargli una mano implementando le informazioni nel sito in modo che gli attributi fondamentali di un documento web siano ancora più comprensibili da Google per il loro significato. I DATI STRUTTURATI sono informazioni implementate su un sito web attraverso sintassi preposte allo scopo di comunicare a Google il modo in cui tali informazioni vanno considerate. I formati accettati da Google per i dati strutturati sono riportati di seguito.
MICRODATI Sono un modo per assegnare etichette ai contenuti, finalizzate a descrivere un tipo specifico di informazione. Come riportato in una pagina di supporto del forum per i web master di Google, i microdati utilizzano semplici attributi nei tag HTML (spesso o ) per assegnare nomi brevi e descrittivi a elementi e proprietà.
MICROFORMATI Sono convenzioni note come ENTITÀ, utilizzate nelle pagine web per descrivere un certo tipo di informazioni. Ogni entità possiede delle PROPRIETÀ. Ad esempio, una persona ha proprietà quali nome (name), indirizzo (address), qualifica lavorativa (title), azienda e indirizzo e-mail. RDFA
Come sopra. RDFa utilizza semplici attributi nei tag XHTML (spesso o ) per assegnare nomi brevi e descrittivi alle entità e alle loro proprietà. Strutturare i dati è molto utile perché si stabiliscono definizioni comprensibili in modo inequivocabile per le proprietà di un oggetto di conoscenza. Questa pratica definitoria consente a Google di produrre anche un arricchimento dello snippet, cioè del modo in cui verrà mostrato il risultato in SERP. Google supporta i RICH SNIPPET per i seguenti tipi di contenuti: recensioni ♦ persone ♦ prodotti ♦ attività commerciali e organizzazioni ♦ ricette ♦ eventi ♦ musica. ♦
Quando spiego l’importanza dei dati strutturati a chi come me non ha un background informatico, noto sempre una certa ansia, che però viene sistematicamente superata quando ricordo che i principali CMS dispongono di plugin che consentono di implementare i dati strutturati correttamente senza conoscere una riga di codice. Tutto ciò che ti resta da fare quindi è cercare in rete le estensioni di cui necessita il tuo CMS per consentire a Google di capire ancora meglio di cosa ti occupi ed eventualmente di arricchire i tuoi snippet con queste informazioni. Se poi vuoi essere sicuro di aver implementato correttamente i dati strutturati sul tuo sito web, ti consiglio di verificare che vengano scansionati correttamente tramite gli strumenti per i web master di Google, alla voce aspetto nella ricerca. 4.4. Adesso possiamo parlare di SEO copywriting A ragion veduta di quanto hai letto fin ora, puoi immaginare il SEO COPY come
un content editor “addestrato” a scrivere contenuti con caratteristiche tali da ottenere buoni posizionamenti nei motori di ricerca. Perché ciò avvenga, il SEO copy parte dall’idea di dover competere su SERP specifiche con altri contenuti scritti da chi fa il suo stesso lavoro. Il PUNTO DI PARTENZA quindi è scegliere la keyword o la keyphrase per la quale ti interessa competere in SERP con altri contenuti già posizionati. Dal momento che ho già scritto di come si trovano le parole chiave, ti rimando al capitolo sull’ottimizzazione.
Una volta individuata la tua parola chiave principale, ad esempio pesca d’altura, devi scrivere un articolo che sviluppi quanto meglio la conoscenza sull’argomento, sia rispetto a quello che Google conosce, in termini di SIGNIFICATI legati alla pesca d’altura, sia rispetto a quello che gli utenti cercano maggiormente intorno a quell’argomento. Vediamo ora come un web writer professionista come Riccardo Esposito, interpreta la SEO copywriting.
Riccardo Esposito
COSA SIGNIFICA PER UN COPYWRITER SCRIVERE PER I MOTORI DI RICERCA? SEO copywriting. Questo concetto mi spaventa, e non poco. Mi spaventa perché costringe un’attività creativa e potenzialmente senza limiti come quella che svolge il copywriter all’interno di un recinto. Qui c’è la scrittura e qui ci sono le regole: mi dispiace ma la festa è finita, devi rispettare le indicazioni di Google. In realtà questo è un pensiero distorto perché fare SEO copywriting non vuol dire osservare le regole di Google, ma muoversi liberamente in un campo rispettando pochi punti sostanziali. Partiamo dalla headline, dal titolo di una pagina web: dal mio punto di vista questo elemento deve osservare tre regole fondamentali: ♦ deve essere informativa
♦ deve attirare l’attenzione del lettore ♦ deve rispettare le regole SEO. Questo trittico è importante. Non puoi pubblicare un titolo banale, un titolo in stile notiziario. Ma devi comunque far capire qual è l’argomento che stai proponendo al lettore. Hai poco tempo per attirare l’attenzione e l’imperativo è semplice: fai capire subito cosa hai scritto. Allo stesso tempo devi toccare la curiosità, sfidare l’interesse di chi legge. E con quest’ultimo punto hai sistemato le necessità umane: ora è il turno dei motori di ricerca. Oggi, nel 2014, la regola è semplice: nel tag title (che nella maggior parte dei casi coincide con il titolo della pagina) devi inserire le keyword più importanti, quelle che definiscono l’argomento chiave della pagina. Per Google il tag title è un elemento molto importante: quello che troverà in questa stringa avrà un peso significativo. E il ruolo del SEO copywriter è semplice: trovare la migliore soluzione tra uso delle keyword, informazione e persuasione. Non devi solo informare, non devi solo pensare a Google, non devi solo attirare l’attenzione: devi anche trovare la giusta alchimia. In realtà quello delle keyword è il cruccio che accompagnerà il copywriter durante il suo lavoro. Che sia un post o una pagina web non ha importanza: devi scrivere pensando alla SEO. In realtà questo è un non-problema perché, almeno dal mio punto di vista, è inutile fossilizzarsi troppo sull’organizzazione delle parole chiave. Mi spiego meglio. Io di solito scrivo pensando al mio lettore ideale. Quando scrivo penso solo ed esclusivamente a colui o colei che leggerà il testo. E ho due obiettivi da raggiungere: creare un testo dedicato all’argomento, ma al tempo stesso capace di toccare argomenti limitrofi. Da un lato voglio affrontare il tema. Voglio scrivere un testo che sia in grado di approfondire un determinato argomento, ma voglio anche fare in modo che trovi gli spunti per ampliare il tema. Se devo scrivere un articolo sull’argomento “SEO Copywriting” affronterò la scrittura al tempo dei motori di ricerca, ma al tempo stesso farò un rimando al blogging o alla scrittura creativa, o ancora allo storytelling. Il tutto mantenendo come obiettivo principale la leggibilità. Un testo deve essere leggibile, deve essere piacevole da affrontare, non può essere un campo minato. Parli di copywriting? Questa parola uscirà nel modo giusto e nel momento giusto, senza forzature: basta puntare sull’immediatezza e sulla semplicità della comunicazione. Userai anche i sinonimi con naturalezza perché scrivere un testo leggibile vuol dire comunicare in modo fluido, senza intoppi. E quando inserisci due volte “copywriting” in una frase di cinque parole c’è un problema di leggibilità. Questo significa che le persone abbandoneranno il tuo blog perché gli articoli saranno impossibili da leggere: non li condivideranno, non parleranno bene di te sui social o in sala mensa (ricorda che il mondo offline è importante quanto il web). E soprattutto non ti linkeranno, non sarai identificato come fonte utile e citabile. Tutto questo è terribile, lo so. Ma il mio compito oggi è questo: convincerti a scrivere con naturalezza, prestando attenzione al titolo e a tutti i dettagli che possono aiutarti con la SEO. Mi riferisco al testo alternativo delle immagini (non lasciare parole senza senso o peggio ancora il campo vuoto), al nome dei file, ai sottotitoli (H2, H3…) ma anche all’URL della pagina: queste piccole porzioni di testo devono essere utili al lettore, devono far capire subito qual è l’argomento della pagina. Ora metti insieme tutto. Metti insieme micro-contenuti (sottotitoli, titoli, nome file, URL) e testo pensando sempre al lettore. C’è chiarezza? C’è linearità? Perfetto, il tuo testo è pronto.
4.4.1. Come fa Google ad attribuire un valore ai significati? Se ti sei domandato come faccia Google a scegliere quale contenuto meriti un posizionamento più elevato a parità di quantità di testo, struttura del sito e popolarità, la tua domanda gira intorno al valore intrinseco dei significati espressi sotto forma di argomenti o TOPIC. Quali topic deve trattare un testo sulla pesca d’altura di 3.000 battute per essere MIGLIORE di un altro della stessa
lunghezza? Google definisce il valore di un significato sulla base di due giganteschi database: 1. il database dei significati espressi da CHI PUBBLICA contenuti sul Web: offerta 2. il database dei significati espressi dagli utenti sotto forma di QUERY DI RICERCA su Google: domanda. Nell’equilibrio tra questi due grandi calderoni in cui ribollono la domanda e l’offerta di risorse, Google determina il valore da attribuire ai contenuti sulla base dei significati che esprimono. Ad esempio, se 100 blog PUBBLICANO contenuti sviluppando l’argomento pesca d’altura nell’Adriatico, tale significato avrà valore X. Se 1.000 utenti CERCANO informazioni sulla pesca d’altura nell’Adriatico, lo stesso significato acquisirà per Google un valore Y. A quel punto il topic citato avrà un valore in termini di impatto nel ranking pari a Y/X, in questo caso 1.000/100 = 10. Va da sé che se 1.000 persone cercano pesca d’altura nell’Adriatico e solo 10 blog ne parlano, il valore di quel topic sarà 1.000/10 = 100, da cui possiamo affermare che il topic sulla pesca d’altura nell’Adriatico consentirà al tuo contenuto sulla pesca d’altura di ottenere un posizionamento in SERP tanto più elevato quanto MAGGIORE è il numero di ricerche degli utenti sul topic e MINORE il numero dei siti che trattano lo stesso topic. Su questa base possiamo ancora affermare che al variare delle condizioni sopraccitate possono verificarsi variazioni in termini di ranking, che saranno tanto più brusche quanto più importanti si presenteranno. Se ad esempio all’improvviso le ricerche sulla pesca d’altura nell’Adriatico calassero da 1.000 a 50, il riverbero potrebbe togliere peso al ranking generale del mio articolo. Detto questo, come individuiamo i significati da inserire nei nostri articoli allo scopo di competere in SERP con i contenuti web meglio posizionati? Per rispondere a questa domanda è opportuno introdurre il concetto di campo semantico. 4.5. Il campo semantico È l’insieme di tutte le parole che hanno un livello di pertinenza con una parola di partenza. Ad esempio, nel campo semantico della parola TRENO rientrano vagone, binari, ferrovia, passeggeri, espresso, scambio, ecc. I campi semantici in linguistica sono enormi, perché enorme è il numero di parole pertinenti tra
loro. Oltre a questo i campi si intrecciano tra loro, ad esempio la parola scambio può essere intesa come scambio ferroviario e quindi rientrare nel campo semantico di treno, oppure come voto di scambio e quindi essere pertinente con politica. 4.5.1. Ambiguità semantiche Rispetto alla semantica lessicale, la cui definizione abbiamo visto in precedenza, Google accetta il fatto che le parole siano ambigue, che cioè una singola parola abbia più significati, ma stabilisce che tra tutti i significati possibili per ogni parola ce ne sia uno o più di uno più importante degli altri. Quest’attribuzione avviene in base al CTR (Click Through Rate) in SERP rispetto alle ricerche degli utenti. Se prendiamo ad esempio la parola guanciale, questa avrà almeno due significati distanti tra loro: guanciale = pancetta guanciale = cuscino Se la maggior parte degli utenti che cercano guanciale su Google clicca su contenuti relativi alla ricetta del sugo all’amatriciana (che come sai si prepara con il guanciale), allora Google deciderà che guanciale significa PRIMA pancetta, poi cuscino. Registra quest’informazione, perché ci torneremo rispetto alla SEO.
4.5.2. Il campo semantico di rilevanza per Google Quello che ci interessa maggiormente rispetto alla SEO non è il campo semantico in linguistica, ma quello SEMANTICO DI RILEVANZA per Google. Questo campo semantico è molto più piccolo rispetto a quello al quale si riferiscono i linguisti, CONTIENE PAROLE CHIAVE e non semplici parole ed è definito da Google in base alle ricerche degli utenti. Nel campo di rilevanza ci sono tutte le parole chiave SECONDARIE e le CORRELATE, che possiamo trovare attraverso il suggeritore di Google (le cui API sono libere) e con il keyword planner tool, che in più ci fornisce anche i
volumi di ricerca, consentendoci di fare inferenza. Sono rilevanti quelle secondarie e quelle correlate alle quali Google attribuisce un valore più elevato rispetto alle altre, attraverso le valutazioni di cui ho spiegato la logica in precedenza. 4.6. Come scegliere gli argomenti utili: il topic N Il primo passo per comporre un articolo attraverso la SEO copywriting è scegliere i topic rispetto all’argomento da trattare. Ogni topic può corrispondere a una parola chiave secondaria o a una correlata che rientri nel campo semantico di rilevanza per Google. Seguendo l’esempio precedente, per scegliere i topic da trattare in un articolo che vorremmo si posizionasse su Google per la query pesca d’altura, una volta individuate le parole chiave che ci sembrano più rilevanti attraverso gli strumenti, dobbiamo compiere le seguenti valutazioni osservando direttamente le SERP di Google risultanti sia per la chiave d’interesse, pesca d’altura, che per le secondarie/correlate, come pesca d’altura nell’Adriatico: quanto è elevato il volume di ricerca per la keyword pesca d’altura nell’Adriatico? ♦ quanti contenuti esistono specifici sulla pesca d’altura nell’Adriatico? ♦ quanti contenuti sulla pesca d’altura sviluppano un topic sulla pesca d’altura nell’Adriatico? ♦ ome sono posizionati questi contenuti? ♦
Un buon ARGOMENTO DA MINESTRA, cioè un topic ideale per aiutarti a posizionare il tuo articolo, dovrebbe essere introdotto da una chiave a elevato volume di ricerca, essere altamente correlato con la parola chiave principale ma allo stesso tempo poco trattato nei contenuti con i quali ti trovi a competere, quindi quelli meglio posizionati. Per tornare al nostro esempio, dovrei verificare che la chiave pesca d’altura nell’Adriatico abbia un volume di ricerca elevato, sia strettamente correlata alla chiave pesca d’altura e infine sia poco trattata nei documenti web meglio posizionati per la stessa chiave principale. Questo identico ragionamento può essere applicato per tutti i topic che si vuole, fino a ottenere un articolo anche molto lungo, che però non verrà premiato in quanto lungo, ma in quanto “ricco” di argomenti utili. 4.6.1. I contenuti utili e i contenuti di qualità A questo punto mi preme entrare nel merito di un aspetto importantissimo e
sottovalutato nelle riflessioni a monte sulla composizione dei contenuti in ottica SEO (ma non solo).
bit.ly/contenuti_utili_seo
Un contenuto di QUALITÀ descrive per bene i topic principali presenti nel campo semantico di rilevanza per Google rispetto a una parola chiave. Un contenuto UTILE contiene uno o più topic che rientrano nel campo semantico di rilevanza, ma che non sono presenti nei principali documenti web pur essendo “latentemente” richiesti dagli utenti. Di solito chiamo questi argomenti con il nome di TOPIC N e passo la vita a ragionare su come sfruttarli per fare SEO. Ho scritto LATENTEMENTE… e ho scoperchiato il vaso di Pandora. Sei pronto a vedere cosa c’è dentro? 4.7. Analisi del concetto latente Prologo: un pomeriggio, sul tardi, mentre me ne stavo in campagna sotto un portico, mi capitò di leggere la definizione di ANALISI SEMANTICA LATENTE (LSA) che posso riassumere così: È un’analisi testuale il cui obiettivo è individuare una variabile non visibile, appunto latente, a partire da una serie di corrispondenze rilevate nei documenti web che hanno caratteristiche specifiche rispetto a una parola chiave d’interesse. Tutto chiaro? Ok, riproviamo così. Cos’è che fa di un contenuto di qualità un contenuto UTILE? Probabilmente il trattare argomenti ricercati di cui però nessuno parla. Ok, quali sono questi argomenti? Come faccio a individuarli e a fare in modo di sfruttarne le potenzialità per fare posizionamento organico? Per rispondere a questa domanda dobbiamo farcene prima una fondamentale:
In base a cosa decide che un oggetto di conoscenza o entity associato a un altro assume un significato specifico? COME FA GOOGLE AD APPRENDERE?
I SEO sanno bene che, per dare significato alle cose, Google attinge a due siti web molto autorevoli, WIKIPEDIA e FREEBASE. Questi due siti web rappresentano i database di informazioni più attendibili in assoluto agli occhi dei motori di ricerca, per tanto quello che compare sulle pagine di Wikipedia è “la verità” presa come modello di confronto da Google allo scopo di classificare le associazioni testuali che scansiona nei vari documenti web che gli capitano a tiro. Da questo punto di vista è divertente ricordare come in passato, quando i meccanismi di controllo di Wikipedia erano meno rigidi, ci siano stati utenti che sotto mentite spoglie hanno fatto credere a Google (e a milioni di utenti) cose di ogni genere rispetto a personaggi storici, politici o artisti famosi. Oggi la revisione di un contenuto su Wikipedia ha regole talmente ferree che probabilmente per aggiornare un contenuto sulla religione devi essere il Papa in persona o al limite un suo stretto collaboratore. Esagero, ma mica tanto. Freebase è una base di conoscenza composta da DATI inseriti dai suoi iscritti e provenienti da fonti diverse. Viene utilizzato dagli utenti, ma soprattutto dai software come Google (che lo ha acquisito nel 2010), per accedere alle informazioni e classificarle. Wikipedia e Freebase sono chiaramente due fonti importanti e utili per gli utenti quanto per i motori di ricerca, ma non sono le uniche. Con il tempo Google costruisce il proprio sapere anche grazie a informazioni raccolte su altri siti web AUTOREVOLI. Tali siti sono classificabili in due tipologie: ♦ SITI WEB VERTICALI:
siti web aziendali, di enti pubblici, associazioni, istituzioni in vari campi. Questi siti che non prevedono l’interazione da parte degli utenti sono considerati da Google come punti di riferimento rispetto a un sapere di tipo tecnico e iperspecialistico. Vengono curati da grandi professionisti e sono assolutamente credibili ♦ SITI WEB ORIZZONTALI: le grandi community. Luoghi dove da molto tempo gli utenti si incontrano per discutere su temi più o meno generici. In queste tipologie di fonti rientrano i forum settoriali monotematici, quelli generici con grande anzianità e le community più partecipate su argomenti specifici.
Spesso accade che esista una differenza negli stessi contenuti per come vengono trattati rispetto ai singoli topic nei siti web verticali e in quelli orizzontali. Succede perché i primi pubblicano contenuti il cui scopo è spiegare, divulgare, descrivere e specificare, mentre i secondi per loro natura si basano sulla logica della domanda e della risposta orientata il più delle volte alla risoluzione di un problema. La differenza in termini editoriali tra il sito web di uno studio dentistico e un forum in cui si parla di problemi legati ai denti è che mentre il primo tende a descrivere le tecniche e le patologie, il secondo ospiterà contenuti in cui gli utenti manifesteranno le loro preoccupazioni, le ansie e in generale tutte le problematiche legate al loro problema ai denti. Volendo generalizzare: i siti verticali descrivono ma non rispondono ♦ i siti orizzontali rispondono ma non descrivono. ♦
4.7.1. Due database, due mondi diversi da esplorare Per analizzare un sito web verticale, come ad esempio lo studio di un dentista, solitamente non mi muovo osservando solo i diretti concorrenti, cioè gli altri siti web di studi dentistici, ma frequento molto tutte le “piazze digitali” in cui avviene scambio di opinioni o dove in generale si risponde a domande anche legate alle PAURE PERSONALI, che non riguardano direttamente il “come si fa”, ma che affrontano problematiche trasversali seppure strettamente correlate alle mie parole chiave d’interesse. Di ortodonzia invisibile, ad esempio, si parla in modo molto diverso nei siti dei dentisti e nei forum: mentre nei primi infatti si mostra fondamentalmente come sono fatti gli apparecchi ortodontici “linguali”, nei secondi gli utenti discutono dei motivi per cui preferirebbero che il loro apparecchio per i denti non si vedesse o delle loro preoccupazioni personali rispetto a questo. Spesso è da qui che parto. Quando nella mia consultazione dei siti web orizzontali, mi rendo conto che esiste una problematica DIFFUSA E MOLTO CONDIVISA rispetto alla mia chiave d’interesse, allora posso associare questa problematica a un’entità che definisco CONCETTO LATENTE (latente perché non espresso). Si tratta in sostanza di individuare il concetto, solitamente uno o più sostantivi, che meglio si adatta alle problematiche diffuse sull’argomento che sto seguendo. 4.7.2. Il concetto latente e le rappresentazioni sociali
Se quindi, ad esempio, tante persone su forum diversi manifestano il problema di mostrarsi in società con il sorriso ingabbiato in una saracinesca di apparecchio ortodontico visibile perché esterno, posso associare queste RAPPRESENTAZIONI SOCIALI ai concetti di ANSIA E IMBARAZZO. Vanno bene questi due, ma possono esserne scelti anche altri, utilizzando il dizionario dei sinonimi e avendo cura che la definizione acquisita da Google per tali sostantivi corrisponda alle rappresentazioni cui vogliamo associarli. Qui l’entità non è intesa strettamente per come ne ho parlato in precedenza descrivendo i dati strutturati, piuttosto a queste condizioni un’entità può essere un oggetto di conoscenza qualunque, come un aggettivo, un sostantivo, anche una parola chiave. Se parliamo in termini generali, un’entità può essere QUALSIASI COSA. e IMBARAZZO sono in questo caso due “parole”, non keyword, che definiscono perfettamente tutte le rappresentazioni sociali simili che ho trovato (quando ci sono) rispetto a un disagio diffuso e relativo alla mia chiave d’interesse, cioè ORTODONZIA INVISIBILE. A questo punto l’analisi può dirsi conclusa perché ho individuato due concetti latenti, che coprono perfettamente i significati già espressi e presenti nei forum in cui si parla di apparecchi dentali. Il prossimo passaggio sarà cruciale, perché dovremo infilare questi concetti tra le correlazioni della nostra chiave d’interesse. ANSIA
4.8. Espansione del campo semantico di rilevanza Una volta individuati i concetti che meglio si associano alle rappresentazioni estese, diffuse e condivise di un problema percepito da tanti e discusso sui forum, relativamente alle mie parole chiave di interesse, la prima cosa da fare è avvicinare il sito web da posizionare a tali concetti attraverso un contenuto che sia ottimizzato per le mie KEYWORD D’INTERESSE più i CONCETTI LATENTI.
bit.ly/algoritmi_seo
STEP 1: SUL SITO D’INTERESSE
Comporrò ad esempio, sul sito dello studio dentistico, un articolo il cui titolo conterrà “ansia e imbarazzo” e il cui testo sia ottimizzato per ortodonzia invisibile, ortodonzia linguale, apparecchio invisibile. Il contenuto deve essere circostanziato e molto curato. La prima conseguenza deve essere il posizionamento del sito dello studio per le mie chiavi d’interesse più i concetti latenti. Non sarà difficile infatti che questo nuovo contenuto si posizioni per “ortodonzia invisibile ansia e imbarazzo”. Una volta ottenuto questo, avrai sviluppato correttamente il primo step, creando una corrispondenza tra il tuo sito, le keyword e i concetti. Ok, fatto! STEP 2: FUORI DAL SITO D’INTERESSE
Una volta creata tale corrispondenza, devi tornare sugli stessi forum dove avevi trovato tutte le rappresentazioni sociali e iniettarvi i tuoi concetti latenti facendo attenzione a presenziare a tutte le discussioni più rilevanti nei CONTESTI PERTINENTI con l’argomento d’interesse. Significa che devi semplicemente loggarti all’interno di questi forum e partecipare alle discussioni come un normale utente del web farebbe se stesse per mettere l’apparecchio per i denti e ne fosse intimorito per ovvi motivi. Dovrai rispondere alle domande componendo testi del tipo che segue: Anch’io devo mettere l’apparecchio fisso per i denti a causa di un brutto disallineamento, ma ho superato i 30 anni e ho paura di provare ansia e imbarazzo nel mostrarmi tra gli amici con l’apparecchio fisso, viceversa ho sentito dire che ne esiste uno realizzato in ortodonzia linguale, che è invisibile e non comporta alcun fastidio. Ne sapete qualcosa?
La prima cosa che ti faccio notare di quest’attività è che non potrà mai essere valutata come spam, perché non cita il dentista, quindi MANCA LA CHIAVE DI BRAND, e non contiene link. Se la conversazione è viva, non passerà molto tempo prima che altri utenti rispondano e aggiungano altro testo rendendo il thread più dinamico e d’interesse per la scansione da parte di Google. Sì, stai contribuendo a creare valore e conoscenza intorno a un’entità, ma stai facendo anche molto di più. Iniettando la co-occorrenza semplice di concetto latente e parole chiave all’interno di forum o anche di commenti (senza link) nei blog di settore, stai avvicinando sempre di più quelle parole chiave ai significati già diffusi in rete, che hai imbrigliato all’interno dei tuoi concetti latenti. La situazione che ne consegue è che ora Google ritiene che quei due concetti latenti (ansia e imbarazzo) siano estremamente rilevanti rispetto alle parole chiave alle quali sono stati avvicinati, rilevanti a tal punto da meritare di essere inseriti tra le
PAROLE CHIAVE CORRELATE,
quindi di fatto avrai provocato un’ESPANSIONE CAMPO SEMANTICO di rilevanza per Google, delle tue chiavi d’interesse.
DEL
Facciamo a questo punto un passo indietro: qual è il sito web che meglio descrive i concetti di ansia e imbarazzo rispetto all’apparecchio invisibile? Chiaramente il sito dello studio dentistico che sto curando, che a questo punto, essendo il migliore a sviluppare un contenuto che tratta un argomento molto richiesto ma decisamente poco trattato nei siti web dei concorrenti, otterrà un ottimo posizionamento per le chiavi di interesse. Il senso di tutto quindi è: AVVICINA IL TUO SITO WEB AL CONCETTO CHE MEGLIO SI ASSOCIA ALLE RAPPRESENTAZIONI LEGATE A UNA PAROLA CHIAVE 4.8.1. Si può usare sempre questa tecnica? La tecnica dell’espansione del campo semantico funziona tanto meglio quanto più sono presenti e partecipate online le famose “piazze digitali” di cui parlavo prima, appunto blog e forum in cui si discute degli argomenti pertinenti con le chiavi d’interesse. In sostanza, il lavoro è allargare il campo semantico di Google rispetto a una o più parole chiave, facendo in modo di essere allo stesso tempo il migliore a sviluppare questi significati sul sito oggetto della campagna SEO. Va da sé che se mi trovo a usare questa tecnica lavorando su keyword in un ambito in cui non c’è conversazione online, probabilmente mancheranno anche le rappresentazioni alle quali associare i miei concetti, quindi non funzionerà. 4.8.2. La fusione fredda nella SEO Oltre ad essere estremamente potente, la tecnica semantica descritta è anche assolutamente impenalizzabile per due ottimi motivi: 1.non prevede l’utilizzo di link in ingresso. Almeno per quanto riguarda il lavoro su forum e blog non dovrai metterne fuori nemmeno uno che punti al tuo sito 2.non devi citare l’azienda o comunque il nome del sito web, perché tutta la partita si gioca sulla co-occorrenza di concetti latenti e parole chiave. È tutto testo. Non puoi essere penalizzato da Google, perché hai contribuito a creare valore su altri siti web di tipo orizzontale e l’hai fatto senza citare brand o creare rimandi ipertestuali. Rapportando l’efficacia di questa tecnica a quelle di link building che
vedremo nel prossimo capitolo, resto convinto che la “macchina” semantica abbia nel lungo periodo una marcia in più, perché una volta che sei riuscito a entrare nel campo semantico di rilevanza, i risultati che ne conseguono tendono a non schiodarsi mai più dalla prima pagina. Certo, puoi sbagliare il concetto, ma quand’anche avessi fallito il primo tentativo, non demordere, la strada è sicuramente quella giusta. Fin qui siamo entrati in confidenza con la semantica rispetto ai motori di ricerca. Non dimenticare mai di riflettere sul significato delle parole e delle cose. Il nostro linguaggio è la rappresentazione del pensiero. Il linguaggio scritto è un tentativo di sistematizzare il caos. Tranquillo, da qui in poi è tutto in discesa, anzi tutto precipita. 4.9. Allocazione latente di Dirichlet (Latent Dirichlet Allocation) Johann Peter Gustav Lejeune Dirichlet era un matematico tedesco vissuto nella prima metà dell’800. È ricordato soprattutto per la moderna definizione formale di funzione. divenne molto noto ai suoi tempi anche per una personale formula sulla DISTRIBUZIONE DI PROBABILITÀ CONTINUA che molti (ma tanti) anni dopo, all’alba dell’era dei calcolatori, fu ripresa dalla linguistica computazionale e integrata nelle logiche di INFORMATION RETRIEVAL, le stesse logiche adottate oggi da Google nell’attribuzione di ranking ai contenuti sulla base dei topic che trattano. PETER DIRICHLET
4.9.1. Cos’è un’allocazione di Dirichlet? Immagina di avere un sito web che parla a 360° di tecnologia e di dover competere in SERP con un sito più piccolo ma iperspecialistico e molto popolare che parla solo di iPhone. Guarda caso, l’argomento della contesa è proprio la recensione del nuovo iPhone, in uscita proprio in quel periodo, quindi la key è RECENSIONE IPHONE X. Seguendo le logiche descritte fin qui, dovrei comporre un contenuto ottimizzato per recensione iPhone al cui interno si trovino oltre ai topic principali sulla recensione dello smartphone, anche altri topic possibilmente poco trattati e molto ricercati. Facile no? Allora ti faccio una domanda: ti sembra possibile che un sito ultra popolare che parla solo di iPhone e che in prossimità dell’uscita del nuovo modello, sforna già 5 o 6 articoli al giorno in cui se ne parla in tutte le salse, possa tralasciare un argomento rilevante rispetto alla recensione e al contempo molto richiesto dagli utenti? Certo tutto può succedere, ma francamente la vedo difficile… Se consideri quello che ho scritto prima sulle logiche che rendono un articolo da qualitativamente valido a UTILE, ricorderai che per vincere la battaglia dei significati ho bisogno di un TOPIC N, che però non è sempre facile da rintracciare, anzi in molti casi, come nell’esempio appena proposto, è praticamente impossibile trovare un argomento rilevante con le caratteristiche descritte, insomma non parliamo più di pesca d’altura. Niente paura! Se tutti i topic pertinenti, rilevanti e ad alto volume di ricerca sono già editi sui siti dei miei concorrenti, posso inserirne uno che sia pertinente ma NON RILEVANTE. Faccio un esempio: i topic più rilevanti rispetto alla recensione del nuovo iPhone possono essere: tipologia e durata della batteria ♦ colori disponibili ♦ prestazioni del processore ♦ materiali dello chassis ♦ resistenza all’acqua ♦ tecnologia dello schermo. ♦
Sono chiaramente tutti topic pertinenti con l’argomento iPhone e rilevanti rispetto alla chiave principale per cui è ottimizzato il contenuto, cioè recensione iPhone X.
In questo caso, posso aggirare l’ostacolo dell’impossibilità di trovare un topic N inedito, parlando ad esempio di come risponde l’iPhone rispetto alla GRAFICA DEI PRINCIPALI GIOCHI IN GRAFICA 3D. Questo topic è pertinente con l’iPhone, NON RILEVANTE con la recensione, perché non descrive un aspetto legato né all’hardware né al software in sé, ed è a elevato volume di ricerca, perché nel mio topic parlerò di titoli di videogame famosi e molto ricercati. In questo modo il mio articolo avrà un punto di valore in più rispetto a quelli che si limitano a descrivere aspetti tecnici oppure “gossippari” inerenti l’iPhone. Ho parlato di un argomento certamente pertinente e molto ricercato, ma non abbastanza rilevante da essere trattato dai miei concorrenti, proprio ciò di cui avevo bisogno: un nuovo topic N basato su un’allocazione di Dirichlet. L’ALLOCAZIONE LATENTE DI DIRICHLET può essere in sostanza usata tutte le volte che risulta impossibile individuare un topic N di tipo pertinente, rilevante, ad elevato volume di ricerca e poco trattato nei siti dei concorrenti meglio posizionati. 4.9.2. Logica LDA All’interno di un documento web siamo in presenza di un allocazione di Dirichlet, il cui acronimo è LDA, quando è riscontrabile almeno un elemento pertinente rispetto all’argomento generale del contenuto, non rilevante rispetto ad esso e ad elevato volume di ricerca relativamente alla parola chiave principale per cui il documento è ottimizzato. Repetita iuvant. Se fin qui ho parlato dell’algoritmo LDA applicato al topic N, cioè a quell’argomento tra quelli che costituiscono un articolo, capaci di fare la differenza tra un contenuto di qualità e uno utile, sappi che a volte può essere sufficiente anche UNA SOLA PAROLA all’interno di un paragrafo (che non è un topic, ma appunto un semplice paragrafo di tipo testo ) per innescare il potere di posizionamento delle logiche LDA. 4.9.2.1. Incastri LDA Quando ciò avviene ci troviamo di fronte a un incastro LDA, la cui forma è molto ben espressa in questo articolo di SALVATORE ARANZULLA che riporto in parte qui sotto: Come Disinstallare un programma su Ubuntu Dopo aver letto la mia guida su come installare Ubuntu, sei rimasto colpito positivamente da questo sistema operativo gratuito e stai facendo di tutto per comprendere il suo funzionamento. Adesso però ti trovi di fronte ad un
piccolo ostacolo: vuoi disinstallare un’applicazione che hai installato precedentemente sul computer ma non sai come fare. Non temere! Si tratta di un’operazione semplice almeno quanto quella che si effettua per disinstallare un programma da Windows, anzi di più. Quindi non perdere altro tempo e scopri subito come disinstallare un programma su Ubuntu grazie alle indicazioni che trovi qui sotto. Se vuoi imparare come disinstallare un programma su Ubuntu, la strada più semplice che puoi percorrere è utilizzare l’Ubuntu Software Center, che consente non solo di trovare e installare nuove applicazioni sul PC ma anche rimuovere in maniera estremamente semplice quelle già presenti nel sistema. Vediamo insieme come.
Tutti (o quasi) i contenuti di Aranzulla sono suddivisibili in DUE BLOCCHI, il primo, solitamente costituito dai primi 3 paragrafi come nell’esempio riportato, è un cappello introduttivo che risponde a domande INTERCETTANDO RICERCHE DEGLI UTENTI, il secondo invece, entra nel merito mantenendo la promessa espressa nel titolo dell’articolo. Laddove tutti i blogger tecnologici si concentrano per scrivere articoli puntuali ed esplicativi, Aranzulla aggiunge sempre nella PRIMA PARTE dell’articolo un testo che segue spessissimo il modello compositivo che vado a descrivere: il primo paragrafo è un coacervo di parole chiave generiche rispetto all’argomento. Saranno utili a posizionare l’articolo per sinonimi, chiavi correlate e long tail6 in genere ♦ il secondo e il terzo paragrafo contengono la ripetizione esatta della keyphrase principale, che in questo caso coincide con il titolo dell’articolo ♦ il secondo paragrafo contiene inoltre un’allocazione di Dirichlet espressa nella keyword: disinstallare un programma da Windows. ♦
Disinstallare un programma da Windows è pertinente con l’argomento generale disinstallare un programma da un sistema operativo, non rilevante rispetto al titolo dell’articolo, perché Windows non è Ubuntu, e ad elevato volume di ricerca rispetto allo stesso titolo. Ecco come posso creare uno o più incastri LDA all’interno di un paragrafo che non è un topic, purché non tratti un argomento specifico, ma sia semplicemente l’introduzione al secondo blocco, dove invece chiaramente (e per forza) tutto quel che c’è da spiegare verrà spiegato. Un appunto sulla posizione di molti SEO, per i quali i posizionamenti ottenuti dagli articoli di Aranzulla sono in molta parte dovuti al fatto di esser pubblicati sul portale di Virgilio: ho provato a replicare questo modello più volte su siti web anche molto meno popolari di Virgilio ottenendo in diversi casi ottimi risultati anche con elevati livelli di concorrenza. Insomma vale la pena tentare.
4.10. Le ambiguità semantiche e gli incastri LDA Uno dei modi più divertenti per creare allocazioni di Dirichlet nei nostri articoli è sfruttare le ambiguità semantiche, cioè il fatto che la stessa parola possa avere più significati completamente diversi. Il senso è creare interi topic oppure singoli incastri testuali all’interno di un articolo, iniettandovi co-occorrenze che in qualche modo contestualizzino un elemento di conoscenza di per sé pertinente solo a livello lessicale, il cui significato però è un altro… ma proprio un altro!
bit.ly/ambiguità_semantiche
4.10.1. Il colpo di coda di Michael Jordan Se dico Michael Jordan, chi ti viene in mente? Probabilmente il leggendario giocatore americano di pallacanestro. Bene, viene in mente anche a Google, infatti cercando Michael Jordan, le prime 10 SERP sono stracolme di risultati in cui si raccontano vita e miracoli del grande campione. Peccato per un altro personaggio di estremo spessore accademico nel campo del machine learning, un ricercatore dell’università di Berkeley, il cui nome, per quanto sia popolare nella comunità scientifica, sarebbe subito associato al suo straordinario lavoro, se non fosse che si chiama anche lui Michael Jordan. È sufficiente aggiungere la parola researcher alla query Michael Jordan ed ecco subito comparire su Google il paginone di Wikipedia con tutte le notizie relative all’altro Michael Jordan, uno dei ricercatori più famosi e al tempo stesso sfortunati al mondo (solo rispetto a Google, sia chiaro). Se all’interno di un articolo su Michael Jordan cestista infilassi un topic in cui riuscissi a rendere pertinenti alcune notizie sul Michael Jordan ricercatore, avrei creato un incastro LDA basandomi sul fatto che il ricercatore è (più o meno) pertinente perché omonimo, non rilevante, perché è un’altra persona, e
ad elevato volume di ricerca. Quanto più elevato sarà il volume di ricerca di contenuti riguardanti il ricercatore rispetto a quello dei contenuti riguardanti il giocatore di basket, tanto più il topic sarà efficace a scopo di posizionamento. Quest’ultimo aspetto è interessante perché dovrebbe farti riflettere sul fatto che l’efficacia di un incastro LDA e di un topic N in generale è variabile in base ai TREND DI RICERCA, oltre che al numero di risultati. All’improvviso, il Jordan ricercatore, per un motivo o per un altro, potrebbe avere un volume di ricerca più alto rispetto al Jordan cestista, in quel caso l’incastro sarebbe estremamente efficace. 4.10.2. Google News per creare topic N su ambiguità semantiche Quando ci riferiamo alla stampa digitale, ci vengono subito in mente brochure, locandine, grandi manifesti o piccoli biglietti da visita realizzati con tecniche appunto legate al dominio digitale. Meno nota invece l’accezione del termine che si riferisce all’EDITORIA ONLINE, quindi ai giornali sul Web o alle edizioni digitali dei libri, appunto gli eBook. In base al CTR degli utenti sulle SERP generate dalla query “stampa digitale”, vediamo che Google reagisce in questo modo: Stampa digitale = stampare immagini con tecnologie digitali Stampa digitale ≠ editoria online Se per un qualche motivo domani mattina tutti i principali giornali sul Web, quindi siti molto credibili rispetto agli argomenti che trattano, cominciassero a parlare di stampa digitale riferendosi al mondo dell’editoria online, Google sposterebbe un po’ della sua attenzione su questa seconda accezione, come dire in sostanza che “stampa digitale” significa PIÙ DI PRIMA “editoria online”. Quanto più è forte questo spostamento di attenzione da un significato all’altro, tanto più efficace sarà un topic sull’editoria online iniettato all’interno di un articolo la cui finalità è posizionarsi per la keyword “stampa digitale”. Ne consegue che, in caso di ambiguità semantiche, non è solo il volume di ricerca del significato alternativo a determinare spostamento di valore, ma conta molto anche la quantità di siti TRUST, cioè affidabili che in un certo momento prendono a ridefinire un termine il cui significato era già noto a Google. Questo meccanismo può innescarsi in ogni momento su una pluralità di siti trust, ma è molto più probabile che avvenga nel circuito di GOOGLE NEWS. Segui sempre l’agenda mediatica, usa GOOGLE ALERT impostandolo sulle tue keyword d’interesse per tenerti aggiornato, perché uno di questi giorni potrebbe capitarti per le mani un’occasione d’oro.
4.10.3. Ti va un gelato al cioccolato? La ricetta del gelato al cioccolato, come ormai tutte le ricette di cucina, è presente in una quantità enorme di foodblog. Come avrai già intuito, gelato al cioccolato è una chiave ambigua, perché sebbene la maggioranza dei contenuti presenti online riguardino il gelato, quindi un alimento, non possiamo dimenticarci che gelato al cioccolato è anche il titolo dell’immortale successo discografico, cantato da Pupo e scritto da Malgioglio.
pupo.musikear.com
Quale che sia il reale significato della canzone di Malgioglio, c’è da dire che le italiche generazioni cantano e soprattutto “cercano” gelato al cioccolato anche in riferimento alla canzone, mettendo di fatto Google in condizione di mostrare una SERP “mista”, in cui ci sono sia risultati di video e di blog musicali sia articoli che spiegano come fare il gelato. In questo caso, a differenza di quello precedente sulla stampa digitale, abbiamo una situazione di partenza di questo tipo: Gelato al cioccolato = canzone Gelato al cioccolato = alimento Quando una SERP si presenta con una configurazione di questo tipo, possiamo, anzi dobbiamo, tentare il colpaccio, aggiungendo ad esempio un topic in cui parliamo della canzone di Pupo/Malgioglio all’interno della ricetta del gelato al cioccolato. Il topic dovrà essere tanto più approfondito e ricercato nei significati che si esprimono, quanto più elevata è la competizione per quella SERP. Cerca solo di non comporre un articolo in cui salti di palo in frasca senza dare soluzione di continuità tra un topic e l’altro. Per Google è uguale, ma agli utenti potresti sembrare un po’ schizofrenico.
4.11. Keyword density e significazione C’era una volta, tanto tempo fa, un motore di ricerca che si chiamava Google. Era un motore interessante perché pareva funzionare bene rispetto agli altri, però per certi versi era molto facile da fregare, perché bastava scrivere tante volte nelle pagine del sito le parole chiave per le quali ci si voleva posizionare e il gioco era fatto. La KEYWORD DENSITY è il tasso percentuale che definisce il rapporto tra il numero di volte che una keyword compare nel testo di un documento web e il numero di parole complessivamente presenti nello stesso documento. Se quindi la parola SEO compare 10 volte all’interno di un testo di 100 parole, la densità della parola SEO in quel testo è del 10%. Se ti capita di vedere contenuti web ben posizionati per una parola chiave che compare molte volte nel testo di un articolo, puoi pensare razionalmente che il posizionamento dipenda dall’elevata densità di quella keyword. Non pensarlo, almeno non del tutto. Non è infatti il numero di volte che una parola chiave compare all’interno di un contenuto, ma è LA QUALITÀ DEI SIGNIFICATI CHE VENGONO ESPRESSI A PARTIRE DAL QUELLA PAROLA CHIAVE a fare la differenza in SERP. La densità della parola chiave principale quindi è importante, a patto però che apra (o sia inserita in) un periodo rilevante, magari utile e capace di intercettare query di ricerca. Puoi analizzare i contenuti dei tuoi concorrenti rispetto alla significazione espressa intorno alle tue keyword d’interesse, usando uno strumento molto interessante che serve a creare un grafico della struttura ad albero del testo mettendo ogni volta in evidenza tali correlazioni. Lo strumento si chiama WordTree e, indovina un po’, è gratis. È molto facile da usare, basta incollare nel campo input il testo che vuoi analizzare e cliccare su generate word tree. Ecco il risultato per un contenuto del mio blog in cui scrivo su come rendere più efficace la link building:
jasondavies.com/wordtree
Cliccando su ogni parola nella colonna di destra o inserendola nel campo input in alto, puoi vedere tutte le proposizioni che seguono quella parola. Spuntando l’opzione REVERSE TREE, è possibile invece vedere le proposizioni che la precedono. È uno strumento sul quale ho passato serate intere, osservando e riosservando centinaia di SERP. Di giorno no, di giorno si lavora… In un contenuto che analizzo, in genere cerco di osservare due cose: 1.insieme a quali altre parole o parole chiave la mia keyword co-occorre? 2.quali espressioni potrebbero risultare meno comprensibili da Google? Il senso di quest’attività di osservazione è INDIVIDUARE LE CO-OCCORRENZE PIÙ INTERESSANTI nelle singole espressioni che contengono la mia chiave d’interesse e allo stesso tempo cercare di asciugare il testo dalle espressioni idiomatiche e da tutte le forme difficili da comprendere per Google. Se ti stai chiedendo alla fine quali sono le co-occorrenze migliori per fare posizionamento, la risposta è che il peso della singola co-occorrenza nel testo sarà sempre variabile in funzione del rapporto che abbiamo osservato in precedenza tra il numero di contenuti pubblicati e il numero di ricerche effettuate intorno alla singola co-occorrenza. Ne risulta che avere contezza di quali siano le co-occorrenze da usare sia molto difficile, per questo motivo spesso componiamo CONTENUTI LUNGHI, non perché piacciano tanto a Google, cioè di certo non li disdegna, ma perché è più probabile beccare una co-occorrenza di valore in un documento di 6.000 battute piuttosto che in uno di 3.000. Statistica, tutto qui. Ciò non toglie che dobbiamo continuare a scegliere bene i topic da sviluppare attraverso lo studio delle parole chiave secondarie e le co-occorrenze da inserire nei singoli topic usando gli strumenti visti finora, altrimenti diventa come giocare alla lotteria. Divertente, ma poco fruttuoso.
5 Un SEO black hat è per definizione un operatore che tenta di produrre posizionamento organico nei motori di ricerca contravvenendo alle linee guida di Google sulla qualità dei siti web e dei link in ingresso 6 Una long tail keyword è una chiave composta solitamente da una piccola frase. Il suo volume di ricerca è medio basso e in virtù di questo è più probabile ottenere buoni posizionamenti per un contenuto che la contiene. Secondo la teoria della coda lunga applicata alla SEO, la somma delle visite provenienti da chiavi long tail è superiore a quella proveniente da chiavi principali o secondarie più competitive
5. Come rendere popolare un sito web
Se nel capitolo precedente abbiamo intravisto tecniche per fare posizionamento ancora spesso poco accettate ai “piani alti” dalla comunità a cui appartengo, sappi che la vecchia SEO offsite, quella basata su strategie e tecniche utili ad ottenere LINK IN INGRESSO, è ancora estremamente efficace allo scopo di posizionare un sito web, anzi, non sostenere mai il contrario altrimenti rischi che a qualcuno esploda un embolo! Prima di entrare nel vivo, vorrei dire una cosa importante, che pure potrà sembrarti una banalità, ma credimi non lo è. Prima di cominciare a riflettere su come rendere popolare un sito web, concentra tutte le tue risorse su come realizzarne uno di qualità sia sotto il punto di vista strutturale sia per l’usabilità, che rispetto all’offerta di contenuti… altrimenti, per quanto raffinate possano essere le tue strategie di posizionamento, sei uno spammer.
5.1. In principio (e sempre) era il link Il link è un ponte tra due documenti sul web. La logica del link è la logica stessa del web, quella IPERTESTUALE. Il web si consulta navigando attraverso collegamenti tra contenuti presenti nello stesso sito web o su siti diversi. 5.1.1. Page Rank Il motivo per cui Google si è affermato come il miglior motore di ricerca al mondo è che la sua logica di attribuzione di ranking era e in molta parte è basata sull’ormai leggendario algoritmo denominato PAGE RANK, il cui
significato non sta per valore della pagina, ma per valore di (Larry) Page, uno dei fondatori di Google, sviluppatore dell’algoritmo. Sulla base di quest’algoritmo, e semplificando molto, possiamo affermare in buona sostanza che ogni link in ingresso al tuo sito è un VOTO DI QUALITÀ. Se proviene da un sito web molto autorevole vale tanto, se arriva da un sito web neonato vale poco, mentre se proviene da un sito web di scarsa qualità, dedito a imbrogliare il motore di ricerca, vale come un voto negativo. Il Page Rank varia da 1 a 10 su base logaritmica, cioè la distanza tra PR 2 e PR 3 non è la stessa che c’è tra PR ٣ e PR ٤, ma questa cresce su scala esponenziale ed è calcolabile attraverso questa splendida formula che conosco intimamente. #Credevici.
Un sito web con Page Rank elevato è un sito popolare, che in virtù di questo avrà maggiore probabilità di posizionare i suoi contenuti rispetto a un altro sito meno popolare. Al momento in cui apporto l’ultima revisione al testo (ottobre 2014), riporto che Google ha appena dichiarato che probabilmente il Page Rank non verrà più aggiornato. Continueranno a considerare certi siti più popolari di altri, solo che non potremo più usare il Page Rank per conoscere a nostra volta con certezza i Big della rete. 5.1.2. Trust Rank Al Page Rank si affiancò intorno al 2007 (anche se il nome fu acquistato nel 2005) un altro dispositivo di attribuzione di ranking che fu introdotto per ovviare al fenomeno dello SPAM LINK, cioè della link building aggressiva a scopo di posizionamento, che rendeva sempre più difficile al solo Page Rank fare il suo lavoro. Se quindi il Page Rank è un indicatore di popolarità, il Trust Rank serve a valutare l’AFFIDABILITÀ di un sito. Un sito TRUST è un sito affidabile, cioè una risorsa valutata per essere una fonte attendibile rispetto agli argomenti che tratta. Non esistono ad oggi dispositivi di misurazione del TR perché, a differenza del PR, funziona con l’ausilio di esseri umani che segnalano riscontri sulla base di linee guida di valutazione: sono i QUALITY RATERS7. “Per ottenere un buon posizionamento servono PR e TR?” Chiaramente molto dipende dal segmento e dalle SERP specifiche, ma in generale no, non ce n’è bisogno. Una buona struttura e una buona strategia
SEO possono produrre ottimi risultati di posizionamento per siti web giovani e sprovvisti di alti valori per gli indicatori osservati fin ora. Chiaramente se il sito è popolare e affidabile tutto diventa più semplice. 5.2. I link in ingresso Il lavoro offsite di un SEO è per molti principalmente inteso come il procurare link in ingresso verso il sito web che si intende posizionare. Per portare avanti quest’azione ci sono due strade da percorrere: una è etica, l’altra invece no. Sgombriamo subito il campo dai dubbi: i SEO sono tutti etici, fin quando non trovano il modo di fregare Google, magari senza correre rischi. Dietro l’animo più nobile si nasconde un demone, non vale solo per la SEO. 5.2.1. La via etica: la link earning Il modo più corretto, oltre che fruttuoso, per ottenere link in ingresso è senza dubbio guadagnarli in modo naturale, semplicemente (si fa per dire) perché si è fatto un ottimo lavoro di ricerca e si è messo online un sito web con tutti i crismi. Per favorire questo processo spontaneo sono utili le attività e gli strumenti che coinvolgono gli utenti spingendone l’attenzione verso il sito d’interesse, che chiaramente dovrà avere caratteristiche tali da MERITARE il link, cioè dovrà rispondere in modo estremamente accurato alle aspettative degli utenti. La CONDIVISIONE SISTEMATICA sui social network di risorse utili è un ottimo veicolo per attirare link da parte di utenti che condivideranno volentieri una “buona” risorsa. Quelli bravi dicono che condividere per primo una risorsa davvero utile nelle tue cerchie RAFFORZA IL TUO VALORE TRA I TUOI PARI che, per capirci, vuol dire che fa figo. Diventa un peccato mortale mettere online un articolo “fatto bene” senza i pulsanti di condivisione. Gli utenti devono avere vita comoda, ci mancherebbe solo che gli rendessimo difficoltoso condividere i nostri contenuti. Un sito di grande qualità, non ce lo dimentichiamo, si posiziona bene perché in effetti dicono che Google sia programmato proprio in modo da premiare questo genere di contenuti (ma guarda un po’), e proprio in virtù di un buon posizionamento si finisce spesso per essere trovati e appunto linkati come risorsa di qualità un po’ ovunque. In tutti questi casi stiamo ottenendo link da utenti consapevoli che ci stanno attribuendo un VOTO DI QUALITÀ. Quando sei piccolo puoi meritare link di poco
valore, quando hai qualcosa di importante da dire col tempo rischi di guadagnare link di alto profilo. 5.2.2. Link baiting: andiamo a pesca? La link earning viene spesso confusa con la LINK BAITING. Molti SEO per link baiting intendono la capacità di un contenuto di attirare la condivisione. Secondo me quando questo avviene c’è di mezzo il “merito”, cioè quel contenuto presenta caratteristiche qualitative tali da meritare la condivisione. In quel caso per me il link è guadagnato, quindi earned.
Altra cosa a mio avviso è il procurarsi link con la furbizia, grazie a un’esca, appunto bait in inglese. È una pratica poco corretta per la quale un SEO inserisce un link al proprio sito d’interesse, all’interno di un software come un plugin o un tema gratuito per CMS WordPress o Joomla. Molti link baiter acquistano temi per CMS dalle varie softwarehouse, li aprono, ci piazzano dentro un link nascondendolo bene e poi li rimettono in download nel circuito dei torrent, per la gioia di tanti web master ansiosi di “fregare il sistema” e risparmiare 50 euro. Peccato che questi geni finiscano col mettere online inconsapevolmente un sito con dentro una “sorpresa” che potrebbe costargli una penalizzazione. 5.2.3. Link building Sotto il cappello della link building vengono genericamente annoverate tutte
le pratiche attraverso le quali un SEO, nello specifico un LINK BUILDER, procura al proprio sito d’interesse link non spontanei, ma appunto COSTRUITI, quindi artificiali quantomeno nella pratica, il meno possibile nell’aspetto. Google punisce tutte le pratiche di link building o per lo meno tutte quelle che riesce a rilevare analizzando dati relativi al PROFILO DEI LINK IN INGRESSO di un sito web. Il motivo per cui le punisce è che i link in ingresso sono ancora in molti casi un importante veicolo di ranking e siccome Google vuole garantire agli utenti la migliore ricerca possibile, cerca di scoprire e penalizzare quei siti che si procurano link artificialmente allo scopo di ottenere un posizionamento organico migliore di quello dei siti web virtuosi, che invece si guadagnano link nel tempo attraverso la qualità dei contenuti.
Davide Pozzi
COME SI GUADAGNANO LINK (IN MODO NATURALE)? Iniziamo subito col dire che ottenere un link oggi, nel pieno boom dei social network, è estremamente difficile: il livello di interazione dei lettori, sempre più frettolosi e distratti da un numero impressionante di fonti di informazione, si limita molto spesso ad un like, un retweet o un +1. Solo in rari casi si ottiene un buon commento, e ancora in meno casi un buon link. Possiamo dire che il modo di interagire, di “dare un voto positivo” ad un contenuto che piace, passa oggi da un click su un bottoncino, che impegna poco e impiega ancora meno tempo per essere effettuato. L’ottenere un buon link (naturale, ricordiamolo) passa invece dal fatto che dall’altra parte ci sia una persona con un sito/blog, che fruisce del contenuto, lo trova interessante, e costruisce a sua volta un contenuto per linkare il nostro: ci rendiamo conto di quanto è abissale la differenza rispetto ad un click su un pulsante di Facebook, Twitter o Google+? Leggere un pezzo che conta magari 1.000 parole, pensare ad una buona “risposta”, scriverla, inserire il link e pubblicarla: per fare tutto ciò possono essere necessari parecchi minuti, se non addirittura ore. E poi, perché mai dovrei linkare qualcuno? Ecco, questo è il fulcro della questione. Per ottenere un link, dobbiamo produrre qualcosa di talmente incredibile da spingere qualcuno a citarci da un suo contenuto prodotto (spesso) come risposta al nostro. Il contenuto deve essere tale da generare un’attenzione di molto superiore a quella di un “mi piace” o di un commento. Oppure dobbiamo produrre un contenuto talmente ben posizionato che quando qualcuno sta scrivendo una guida/tutorial/FAQ, e cerca fonti autorevoli su Google, trova noi e decide di linkarci. Riepilogando: il contenuto che produciamo deve essere eccezionale, e/o noi dobbiamo essere percepiti come autorevoli. Se si verificano entrambe le cose, tanto meglio. Non voglio dilungarmi sul discorso dell’autorevolezza, che va in parallelo con quello del personal branding, perché sarebbe necessario un intero libro. Vediamo invece quali sono le caratteristiche di un contenuto linkabile. Si dice che le leve del link earning siano 7: ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ ♦
Attack: come scagliarsi verso qualcosa/qualcuno con l’intento di generare un flame Contrary: come esprimere un parere controverso, opposto a quello della “massa” Ego: come una storia inedita riguardante se stessi, la propria vita privata, le proprie abitudini Humor: come una barzelletta, un fumetto o un viral video Incentive: come un contest News: come un articolo assolutamente originale e di qualità, scritto di proprio pugno
♦ Resource: come la creazione di strumenti, tool o plugin. In base al nostro stile, al nostro modo di essere e di interfacciarci con gli altri, possiamo usare le leve che riteniamo più opportune. Alcune sono estremamente “pericolose”: per esempio, se non siamo già noti e percepiti come autorevoli, e proviamo a tirare la leva Attack, rischiamo di ottenere più danni che benefici. Lo stesso dicasi per la leva Ego: meglio utilizzarla solo se siamo già conosciuti e quando il pubblico non vede l’ora di conoscere qualche risvolto inedito, o non otterremo alcun risultato. La leva Resource è invece ottima per programmatori e sviluppatori: se riesci, per esempio, a sviluppare un ottimo plugin per WordPress o un tool SEO gratuito che risolve e automatizza qualche processo tedioso, puoi star certo di riuscire ad ottenere tanti buoni link e citazioni. Se sei un blogger o un giornalista, ti consiglio infine di stare molto attento ai trend, ovvero le tendenze, le mode, i tormentoni che girano in un determinato settore: se riesci ad azzeccare con tempismo perfetto l’articolo-bomba su un tema dove c’è altissima attenzione da parte del pubblico, visite e link esploderanno letteralmente. Per concludere: non c’è una ricetta che ti garantisca di ottenere link “a comando”. Devi imparare a conoscere il tuo pubblico, che cosa non vede l’ora di leggere, che cosa non vede l’ora di condividere e commentare, e produrre il miglior contenuto possibile per esso. Ma devi anche fare in modo che il contenuto finisca al di fuori del tuo “perimetro”, per esempio divulgandolo sui vari social network, in modo che possa incrociare le attenzioni di utenti sempre diversi, per allargare quanto più possibile il tuo bacino verso nuovi potenziali link. Eh sì, perché è assai importante anche la cosiddetta link diversity, ovvero ottenere link da fonti sempre nuove e diverse, e non sempre dai soli 4 siti dei nostri lettori affezionati.
5.3. Cos’è un profilo di link? Google valuta i link in ingresso tenendo principalmente conto di questi fattori:
FREQUENZA DI OTTENIMENTO Quanti link ottiene il sito e con quale cadenza? Un comportamento anomalo per un sito è ad esempio ricevere molti link tutti insieme con cadenza regolare, ad esempio 100 link in ingresso tutti i giovedì dalle 16:00 alle 17:00.
PAGINE DI DESTINAZIONE Se i link in ingresso puntano tutti alla stessa pagina del sito diversa dalla home, allora c’è qualcosa che non va, specie se si verificano anche le condizioni del punto precedente.
SITI WEB DI PROVENIENZA Si è in odore di penalizzazione se i siti web (o la maggior parte di quelli) da cui provengono i link sono siti di bassa qualità o già noti a Google perché utilizzati di frequente da altri link builder per procurare link a scopo di posizionamento.
ANCHOR TEXT Non è naturale avere 1.000 link in ingresso tutti con lo stesso anchor text (testo del link), soprattutto se quell’anchor text è una parola chiave. Se credi quindi che il mio suggerimento sia quello di non fare link building per quanto ho scritto sopra, mi corre l’obbligo di fare una precisazione: il problema non è la link building in sé, il problema è lo SPAM LINK, cioè i link spazzatura prodotti attraverso siti di bassa qualità, contravvenendo ai 4 punti che ho riportato sopra, allo scopo di posizionare un sito web mediocre per struttura e offerta di contenuti. Di mondezzai sul Web ce ne sono già abbastanza, non aggiungerne altri. Se ho scritto in precedenza che la logica del Web è quella del link, è perché i link sono un importante vettore di valore da un sito a un altro. Un buon profilo di link in ingresso trasmette un valore positivo, mentre un profilo spam trasferisce valore negativo. In questo ragionamento occorre precisare che, al di là della frequenza della pagina di destinazione, del sito di provenienza e dell’anchor text, contano molto la QUALITÀ INTRINSECA della risorsa che contiene il link in uscita e quella della risorsa che lo riceve. 5.4. Domain e Page Authority Il domain e la page autority sono due indicatori introdotti da moz.com8 e visibili in SERP a patto di usare una loro estensione appositamente rilasciata.
Attengono rispettivamente all’AUTOREVOLEZZA DELL’INTERO DOMINIO E A QUELLA DELLA SINGOLA PAGINA visualizzata come risultato in SERP. La misurazione avviene su base numerica da 0 a 100 per entrambi gli indicatori e il calcolo è
funzione di un intreccio di fattori valutati attraverso i loro potentissimi software di monitoraggio. Due casi di link building: qual è il migliore? 1.Il link proviene da un articolo di 200 parole ospitato su un sito di ARTICLE MARKETING che fornisce informazioni sul costo della stampa digitale di volantini; atterra sulla pagina del sito web che offre direttamente il servizio, fornendo le stesse informazioni già presenti sull’articolo da cui proveniva il link. 2.Il link proviene da un blog di settore tecnologico, nello specifico da un articolo di 1.000 parole che traccia un percorso storico sulle locandine pubblicitarie, fino ad aprire un piccolo topic sulla stampa digitale di locandine. A quel punto parte un link di approfondimento al sito d’interesse, non alla pagina in cui si vende direttamente il servizio, ma ad un contenuto interno in cui si descrivono nel dettaglio le tecniche della stampa digitale di locandine. Questo contenuto sarà collegato a quello in cui si vende il servizio attraverso un link. La differenza principale tra i due casi riportati è che il secondo link trasmette effettivamente valore, aggiungendo qualità alla navigazione dell’utente, mentre il primo si limita a fornire informazioni che vengono riportate pari pari nel contenuto di destinazione. Se pensiamo di rendere visibile il nostro sito web procurando link in serie come quelli del primo esempio, corriamo il rischio di essere valutati come spammer e beccarci una penalizzazione che sarà tanto più grave quanto più il nostro profilo di link apparirà costruito. In sostanza, la link building si può fare, a patto però che crei e trasferisca valore da un sito verso un altro. Suggerimento: piuttosto che creare un link direttamente al contenuto obiettivo, ne creo a contenuti interni di approfondimento, linkati a loro volta al contenuto obiettivo. Diversifico gli anchor text e i contenuti di destinazione. Mi preoccupo più della qualità della risorsa da cui proviene il link che della popolarità del sito che la ospita, cosa comunque non da poco. 5.5. Ci sono casi in cui lo spam link funziona? Fin qui ho portato avanti a spada tratta la mia strenua difesa della link building di qualità, eppure ti sarà capitato di vedere con i tuoi occhi (o di aver sentito) di siti web meno che mediocri ottenere ottimi posizionamenti a fronte
di profili di link decisamente “spammosi”. Quasi come se in alcuni casi si potesse fare link building con disinvoltura e in altri occorresse stare più attenti. In effetti è vero, ci sono SERP dove è possibile posizionarsi bene anche con un profilo di link in ingresso più nero della mezzanotte.
bit.ly/seo_spam
Le SERP in cui è (e sarà sempre) possibile posizionarsi bene facendo spam hanno due caratteristiche principali: 1.tutti i siti presenti concorrono tra loro facendo spam in modo selvaggio 2.i segmenti di mercato non rimandano a competenze o pratiche istituzionalizzate. Se tutti i siti migliori in un segmento di mercato fanno spam, Google è costretto a tenerne conto e non potendo penalizzarli in massa tende a lasciar correre. Per capirci è il caso dei siti porno, di quelli delle escort/gigolò e dei casinò online. Viceversa, esistono SERP sulle quali Google deve assolutamente garantire che i risultati meglio posizionati siano effettivamente quelli più validi; parliamo di argomenti sensibili come la salute e i soldi, specie nei casi in cui i siti più importanti ottengano l’avallo di istituzioni, enti o associazioni già molto popolari fuori dal web quindi CREDIBILI. Per Google sarebbe un brutto colpo se il sito di un falso oculista si posizionasse meglio del sito di un oculista riconosciuto a livello mondiale solo perché è seguito da un SEO black hat. Verrebbe meno un po’ di motivazioni per consultare questo motore di ricerca. “Quando si può fare spam link allora?” Secondo me in generale NON CONVIENE MAI, perché ti esponi al rischio di una penalizzazione, dal momento che prima o poi Google potrebbe decidere di cambiare qualcosa e “fare pulizia”. Meglio forse crescere con calma, in modo naturale e pulito. Anche tra noi SEO, per esempio, esistono molti ottimi professionisti che hanno praticato nel tempo tutte le possibili azioni di spam
link su se stessi guadagnando ottimi posizionamenti anche per periodi relativamente lunghi, salvo poi venire “beccati” e penalizzati. Alcuni settori come la SEO infatti non hanno (ancora) un riconoscimento di tipo istituzionale o accademico, per cui ognuno dice la sua, me compreso, senza tema di contravvenire alle “sacre scritture”. In queste condizioni lo spam è meno controllato e più efficace, perché Google non rischia di fare brutte figure se in una SERP posiziona Tizio prima di Caio. Così è per tutti i settori simili. Tutto qui. 5.6. Link building: canali, tecniche e strumenti Ogni tanto MATT CUTTS, il capo del team antispam di Google, pubblica un video in cui ammonisce noi poveri SEO, ricordandoci di non basare le nostre strategie di visibilità organica unicamente su guest post o su comment link o sull’article marketing, perché “loro”, vedendo che tutti i link in ingresso provengono unicamente dallo stesso tipo di contenuti, potrebbero valutare INNATURALE la crescita del profilo di link e identificarne lo SCHEMA. La conseguenza pratica è una penalizzazione del sito web che riceve i link. Ne consegue che dobbiamo stare attenti a diversificare i link non solo per anchor text, frequenza e pagina di destinazione, ma anche per tipologia. Google si trova di fronte a (e riconosce) uno schema di link quando appura che la maggior parte dei link in ingresso è dello stesso tipo, quindi molto probabilmente prodotti a scopo di posizionare un sito. Questo non deve succedere! Se fai link building, fallo in modo da CREARE VALORE tramite la navigazione mediata attraverso il link e soprattutto fai in modo che i link che produci “sembrino” naturali. Perché i link sembrino naturali devono provenire da fonti diverse e riprodurre il più fedelmente possibile l’attività spontanea degli utenti da un lato e di un’azienda o di un libero professionista che partecipa a discussioni o alla divulgazione di contenuti dall’altro. Principalmente i link COSTRUITI in ingresso appartengono a queste tipologie:
ARTICLE MARKETING Esistono diversi siti web (cerca su Google lista siti article marketing) che consentono la pubblicazione gratuita di articoli CATEGORIZZABILI in base all’argomento, nei quali è possibile inserire un link al sito d’interesse. Alcuni di questi siti pubblicano direttamente tutto quello che gli dai in pasto, altri praticano la revisione del contenuto prima di mettere l’articolo online. Preferisco questi ultimi, specie quando hanno un Page Rank che oscilla tra 3 e 5 punti. Questi articoli in genere sono guide per fare qualcosa, ma possono essere anche contenuti descrittivi su alcuni aspetti di un prodotto o di un servizio o agganciarsi a una notizia per veicolare un contenuto di conoscenza. Ricorda sempre di inserire un solo link in questi articoli, diversificando sempre sia l’anchor text che la pagina di destinazione.
COMUNICATI STAMPA WEB Come sopra, ma l’unica differenza è nel merito del contenuto che dev’essere centrato su una NOTIZIA INERENTE UN BRAND, un’azienda o un singolo individuo che ne diventa il soggetto. Un comunicato stampa è un contenuto istituzionale che non gira semplicemente intorno a un brand, ma è completamente focalizzato su di esso. Anche per i comunicati stampa esistono siti web ad hoc, facilissimi da trovare con una semplice ricerca su Google.
GUEST POST Un guest post è un articolo “ospitato” solitamente su un blog personale, aziendale, su un giornale web o un magazine. Un guest post può trattare di argomenti pertinenti con i temi del sito ospitante o con gli interessi dell’ospite. Sono da considerarsi un ottimo strumento di visibilità, tanto rispetto al posizionamento organico, quanto per il branding basato sulle attività più social come la condivisione.
COMMENT LINK Partecipare a una discussione con un commento sotto l’articolo di un blog è un buon modo per farsi vedere, tanto dagli utenti di quel blog quanto dai motori di ricerca. Sono utilissimi a patto che siano COMMENTI VERI, che aggiungano cioè valore e non si limitino a wow, nice post! oppure complimenti, lo suggerirò a tutti i miei amici, perché potrebbero essere visti male, così come verrebbero mal interpretati se in firma inserissi una chiave di ricerca al posto del nome e nella URL un contenuto interno al posto della homepage. I link che si ottengono attraverso i commenti presentano l’attributo REL=“NOFOLLOW” : significa che non passano Page Rank, ma sebbene molti sostengano il contrario, sono comunque utili al posizionamento, altrimenti avrebbero poco senso anche i filtri antispam sui commenti, non trovi? DIRECTORY LINK
Le directory sono elenchi di siti web, spesso suddivisi per categoria. Su quelle più vecchie e strutturate può avere ancora un senso essere presenti, mentre su quelle che ti chiedono solo l’area d’interesse, la descrizione e il link, in generale direi di no. Le directory che chiedono il link reciproco sono da evitare perché del tutto inutili. 5.6.1. Selezionare i canali per la link building Come faccio a TROVARE I SITI WEB sui quali costruire la popolarità creando valore con il testo da trasferire al mio sito di interesse attraverso un link? Conosco due modi entrambi utili per rispondere a questo domandone: 1.frequentando l’ambito in cui opera il sito d’interesse e passando tempo a individuare i siti web più importanti, quelli meglio posizionati e più popolari 2.usando un software che automaticamente individua sia le parole chiave correlate ad una chiave d’interesse sia tutti i siti web ottimizzati per tali parole chiave. Entrambi questi metodi, qualitativo il primo, quantitativo il secondo, possono essere utili perché disegnano i confini di un ecosistema nel quale dovrai muoverti per fare posizionamento organico. Uno dei software che uso di solito per la selezione dei canali su cui fare link building è ScrapeBox, uno strumento estremamente potente, spesso usato dai SEO per iniettare migliaia di link nei blog sotto forma di commenti.
scrapebox.com
Semplificando un po’, ScrapeBox consta di tre fasi: 1.ricerca delle parole chiave correlate e secondarie 2.selezione dei siti web ottimizzati per quelle chiavi 3.pubblicazione automatica di commenti con link. Personalmente MI FERMO ALLA SECONDA FASE, cioè alla selezione automatica di tutti i siti web ottimizzati per le chiavi d’interesse, senza usare il software per inviare i commenti in automatico perché non amo contribuire a diffondere quel rumore che sporca e rende inaffidabili tante SERP. Dopo aver eseguito le prime due fasi, avrai ottenuto in pochi minuti una selezione di centinaia di siti web che senza ScrapeBox ti avrebbe richiesto giorni interi di lavoro. Da qui in avanti potrai decidere se aprire una trattativa, contattando i gestori dei siti web selezionati per chiedere la pubblicazione di un articolo, o se magari partecipare con un commento, comportandoti come vado a spiegare di seguito. 5.6.1.1. Gestione di una trattativa Diciamo che hai messo gli occhi sopra un blog tecnologico che sarebbe perfetto per ospitare un articolo di approfondimento per un tuo cliente che si occupa di stampa digitale. Il blog è popolare, ha 5 punti di Page Rank, nonché un sacco di ottimi posizionamenti. Ok, manteniamo la calma. Scrivi una e-mail al gestore del blog palesando le tue intenzioni. Un buon testo ad esempio potrebbe funzionare così:
Gentile Mario Rossi,
mi sto occupando della visibilità online per il sito web di un’azienda che opera nel settore della stampa digitale. Allo scopo di creare valore, credo sarebbe utile pubblicare un articolo sul vostro blog contente un link al sito dell’azienda per la quale lavoro. L’articolo che vorrei sottoporvi è originale e inedito, assolutamente non promozionale, ma tecnico e allineato nello stile a quelli già presenti sul vostro blog. Qualora foste interessati sarà un piacere fornirvi maggiori dettagli.
Chiaramente sarà tanto più facile ottenere una risposta, quanto più il sito sarà predisposto a ospitare articoli scritti da autori diversi rispetto a quelli abituali. In questo senso la trattativa può durare anche un po’, ma se la cosa richiede più passaggi è già un buon segno, perché vuol dire che il sito web in questione è curato rispetto a ciò che pubblica, quindi ha una reputazione (e una popolarità) da difendere. Può essere richiesto un corrispettivo economico, è normale. Questo succede tutti i giorni, ma va bene a patto che dietro a questo paid link ci sia davvero un contenuto valido su un sito credibile. In linea generale un link ottenuto faticosamente vale di più di uno ottenuto con facilità. Volendo replicare questa tecnica N volte, ci rendiamo conto di quanto la link building di qualità (link su articoli fatti bene da siti popolari) sia un’attività COSTOSA. 5.6.2. Partecipare alla discussione attraverso i commenti Il fatto che un utente interessato a un argomento specifico esprima le sue osservazioni e i suoi giudizi di valore attraverso i commenti è assolutamente naturale, ed è utile sia al blog che ospita i commenti, perché questi gli aumentano il testo nel contenuto e quindi la possibilità di ottenere posizionamenti, sia al commentatore che da parte sua può confrontarsi e costruire legami con altre persone interessate allo stesso argomento. Guardando la cosa lato SEO, un commento offre due vantaggi: 1.puoi creare una correlazione semantica attraverso una co-occorrenza e quindi avvicinare il contenuto sul quale ti trovi al tuo sito d’interesse 2.puoi ottenere un link. Nofollow, ma sempre un link.
Il sistema di commenti su piattaforma WordPress consta solitamente di tre campi: nome, e-mail e sito web. Facciamoci sopra un paio di riflessioni. 5.6.2.1. Il campo Nome Al posto del nome in questo campo, potresti inserire una bella CHIAVE DI RICERCA, che andrebbe a diventare l’anchor text del link. Niente male, però se ad esempio fai SEO e sei conosciuto nel tuo ambito, rischi di fare una figuraccia pubblicando link di questo tipo nei commenti su siti frequentati da altri SEO. Se in questo caso è meglio firmarsi con nome e cognome, in altri meno suscettibili di ritorsioni e macumbe, inserire una keyword nel campo nome del commento potrebbe essere una pratica più tollerata. Sì, stai facendo spam, perché utilizzi il campo nome in modo improprio, però se il tuo sito ha un nome a dominio di tipo EMD (Exact Match Domain), cioè coincidente con una chiave d’interesse – e per inciso in Italia i domini di questo tipo hanno ancora un discreto peso in ottica SEO – il fatto di firmarti con la chiave di ricerca diventa “quasi” tollerabile. Ad esempio, se possedessi il sito web consulenteseo.it il fatto di firmarmi consulente SEO potrebbe non sembrare un comportamento da disgraziato totale! 5.6.2.2. Il campo e-mail Il campo e-mail viene sistematicamente compilato con indirizzi falsi dagli spammer. ScrapeBox ha addirittura un tool interno che li genera automaticamente per la gioia dei più pigri, eppure credo che si potrebbe avere
molto più vantaggio nel lungo periodo giocando pulito, creando ad esempio un profilo gravatar, uno standard per la visualizzazione di un avatar associato a un’identità reale. Gli account gravatar sono riconosciuti su tutte le piattaforme WordPress (e non solo su quelle). Gravatar sta per Globally Recognized Avatar. Mentre un commento spam, con una keyword al posto del nome e un indirizzo falso nel campo e-mail sfrutta solo il potere del link in ingresso, un commento vero, realizzato da un AUTORE REALE a cui è associato un account gravatar e tramite esso un sito web, produce effetti estremamente migliori in termini di posizionamento, perché unisce al potere del link in ingresso l’autorevolezza di una fonte. Va da sé che quando la fonte è davvero autorevole è molto meglio. Suggerisco spesso ai miei clienti di partecipare in prima persona alle discussioni e di utilizzare account gravatar, Google o Facebook, per creare riconducibilità a una fonte che sia affidabile. Questo tipo di networking reale e partecipato contribuisce a far conoscere a Google i nostri interessi e a metterli in relazione con la nostra attività sul web. L’autorevolezza in un ambito è una casa che si costruisce mattone dopo mattone. 5.6.2.3. Il campo sito web Il campo sito web si chiama così perché in condizioni normali ci si aspetta che vi si inserisca il link alla homepage del sito, non un link interno a un prodotto o a un servizio specifico, altrimenti lo avrebbero chiamato pagina del sito e non appunto sito web. Lo spammer di cui sopra, in questo caso, se è un minimo intelligente, inserisce sempre URL diverse INTERNE al sito che vuole posizionare, MAI QUELLA DELLA HOMEPAGE, perché in caso di eccesso nello spam link, vengono penalizzati i contenuti che hanno ricevuto i link, e se si tratta proprio della homepage è un problema! Viceversa, una persona vera che inserisce un commento vero, riempirà il campo sito web con la homepage del sito e non avrà assolutamente nulla da temere. 5.7. Penalizzazioni: cosa devi sapere se hai fatto lo zozzone! Si dice che il professionista migliore in qualunque settore sia quello che ha commesso tutti gli errori possibili riuscendo comunque (professionalmente) a sopravvivere. Vale sicuramente anche per la SEO, dove sono certo che il migliore di tutti sia colui che ha preso tutte le penalizzazioni possibili e che nel
tempo ha capito fin dove ci si può spingere senza correre rischi nei diversi segmenti di mercato. Conosco operatori che hanno comprato decine di domini e li hanno sviluppati apposta per immolarli al solo scopo di conoscere la soglia del baratro, il punto di non ritorno. Non ti farò i loro nomi, nemmeno sotto tortura. 5.7.1. Cos’è una penalizzazione? Era ora che me lo chiedessi. Se i contenuti del tuo sito web sono visibili al comando site: ma in SERP non compaiono nemmeno se inserisci nella barra di ricerca di Google un’intera frase presa dal testo di uno di essi, rilassati, SEI STATO PENALIZZATO! Quando invece un contenuto o un intero sito web non è più visibile nemmeno al comando site: significa che è stato BANNATO. La differenza tra una penalizzazione e un ban è che nel primo caso uno o più risultati perdono tante posizioni in SERP a seconda della gravità dell’azione scorretta commessa, mentre nel secondo caso ti pigliano e ti “defenestrano” da Google. Sei stato talmente uno sporcaccione da non meritarti di essere listato nei loro indici, via! 5.7.1.1. Come faccio ad accorgermi se sono stato penalizzato? Se una mattina aprendo Analytics dovessi constatare un calo di visite tendenziale, diciamo dal 30 al 70% e tale calo si ripetesse anche nei giorni successivi, con buona probabilità il tuo sito è stato penalizzato. Certo potrebbe anche darsi che un cambio algoritmico abbia sfavorito il tuo sito web, ma quando un sito passa da 7.000 a 3.000 sessioni quotidiane da un giorno all’altro e non riprende piede, con buona probabilità c’è di mezzo una penalizzazione. Esistono due tipi di penalizzazioni, quelle ALGORITMICHE e quelle MANUALI. Mentre le prime sono automatiche e si basano su software che individuano attività scorrette delle quali il tuo sito ha illecitamente beneficiato, le seconde (più gravi) sono frutto di un controllo umano, quindi più mirate e spesso difficili da risolvere. La penalizzazione manuale, a differenza di quella algoritmica, è riscontrabile attraverso gli strumenti per i web master di Google, controllando la voce azioni manuali. Settando opportunamente gli strumenti è possibile ricevere addirittura un messaggio di posta elettronica in caso di penalizzazione. L’azione manuale non è prodotta come molti credono
da un quality rater di Google, ma da un membro di uno dei TEAM ANTISPAM , quindi da un operatore esperto di penalizzazioni. E deve esserlo, perché spesso una brutta penalizzazione può letteralmente abbattere un progetto web, quindi chi la commina deve sapere quello che fa.
5.7.2. Penalizzazioni da attività onsite Nel corso della storia, i SEO hanno individuato diverse tecniche da mettere in pratica sulle pagine di siti web per “fregare” Google. Ne elenco sommariamente alcune: di titoli o intestazioni ♦ TESTO INVISIBILE O NASCOSTO perché dello stesso colore della pagina in cui si trova ♦ DOORWAY: reindirizzamenti automatici da una pagina verso un’altra ♦ CLOAKING: una tecnica che serve a mostrare lo stesso risultato in due versioni diverse, una per gli utenti e una per gli spider. Si sviluppa in un linguaggio server-side come il php ♦ KEYWORD STUFFING: ripetere la stessa parola chiave nel contenuto in modo da crearne una densità abnorme. ♦ SOVRAOTTIMIZZAZIONE
Spero che questi trucchetti non ti piacciano tanto, perché col passare del tempo sono rimasti efficaci solo su segmenti a traffico di ricerca sempre più basso. Su molte SERP “vere”, si viene subito penalizzati tenendo una condotta di questo tipo. Ho menzionato queste pratiche solo per darti un’idea di cosa parliamo, in realtà ce ne sarebbero tante altre, ma per evitarti guai non le citerò (tanto lo so che te le andrai comunque a cercare su Google). Una penalizzazione da attività black hat onsite può comportare un arretramento mediamente da 10 a 100 posizioni, di una o più pagine, se collegate a quella oggetto delle attività scorrette. L’entità dell’arretramento dipende dalla valutazione di gravità dell’azione scorretta e dall’importanza della SERP in cui tale azione è stata perpetrata. Nei casi più gravi una pagina o un intero sito web possono essere bannati temporaneamente o definitivamente, anche senza appello. È un mondo difficile. 5.7.3. Penalizzazioni da attività offsite Da quando Google è diventato grande, cioè da quando le attività scorrette
onsite hanno smesso di funzionare come una volta, i black hat si sono concentrati su come ottenere link in ingresso in modo da far credere a Google che certi siti web fossero più utili o popolari di quanto non fosse vero. Per molti oggi la SEO è essenzialmente questo. 5.7.3.1. Spam link Lo spam link è l’insieme delle tecniche attraverso le quali si producono LINK SPAZZATURA, cioè link che non veicolano alcun valore per gli utenti da un sito web a un altro. Rientrano nello spam link tutte le TECNICHE AUTOMATICHE, come l’invio di comment link con SOFTWARE come ScrapeBox (che abbiamo visto in precedenza) o similari, o di interi articoli contenenti link, pubblicati su siti web preposti ad accoglierne, spesso appartenenti allo stesso SEO che cura la campagna di link building. Puoi accorgerti dello spam link automatizzato tramite un software di monitoraggio dei link in ingresso come ad esempio Majestic o BacklinkWatch (quest’ultimo gratuito). Li riconosci perché i testi di commenti o articoli spam sono quasi sempre SPINNATI, cioè progettati con un software che tenendo conto di variabili testuali, genera di volta in volta contenuti “abbastanza” diversi. Guarda ad esempio il seguente testo: Ercolano [può essere considerata|è|può essere ritenuta] per molti [aspetti|punti di vista] la [patria|culla] del Turismo Archeologico. Quali [sono|dovrebbero essere|vorremmo fossero] [gli aspetti|i requisiti] di un hotel per [una vacanza|un soggiorno relax] nella [magnifica|meravigliosa] città degli scavi? [Vediamoli|Esaminiamoli] passando in [rassegna|esame] le diverse [caratteristiche|specificità|soluzioni].
Fai caso alle VARIABILI all’interno delle parentesi quadre. Il software creerà testi diversi automaticamente scegliendo casualmente tra le possibilità a disposizione.Ecco due esempi di text spinning automatico del passaggio precedente: 1. Ercolano può essere considerata per molti punti di vista la patria del Turismo Archeologico. Quali sono i requisiti di un hotel per un soggiorno relax nella magnifica città degli scavi? Esaminiamoli passando in esame le diverse caratteristiche. 2. Ercolano è per molti aspetti la culla del Turismo Archeologico. Quali dovrebbero essere gli aspetti di un hotel per una vacanza nella meravigliosa città degli scavi? Vediamoli passando in rassegna le diverse soluzioni.
In questo caso le variabili sono corrette e il testo risulta umano, ma nella maggior parte dei casi i black hat non mettono troppa attenzione nel text spinning generando contenuti anche molto sgrammaticati. In quel caso il gioco sporco è facilissimo da riconoscere.
Sì, in effetti funziona. Se fai largo uso di queste tecniche è quasi matematico che il tuo sito web ottenga un buon posizionamento, la cui durata però sarà variabile in funzione del segmento su cui ti sei affacciato. Per quanto se ne dica in effetti, il link in ingresso è tuttora un dispositivo importantissimo nell’attribuzione del valore, e Google, per quanto sofisticato, non riesce a penalizzare in tempo reale tutte le attività spam che ogni giorno mirano a creare popolarità artificiale. Tieni conto di queste due cose: 1.ogni volta che hai sentito dire a Matt Cutts in un video che non è il caso di basare la propria strategia SEO su qualcosa in particolare, è perché quel “qualcosa” funziona! 2.l’Italia è l’equivalente di un paesello di periferia, un luogo lontano, popolato da contadini, in cui si va in giro col trattore e si vive dei frutti della terra. Non c’è lo stesso controllo che in America. Un sito che si è reso visibile tramite spam link può fatturare molto, ma si porta in tasca una bomba ad orologeria, che ne segnerà inesorabilmente la caduta dalle SERP. Detto questo, la tua “condotta” più o meno etica potrà dipendere dalle tue necessità rispetto all’attività che stai seguendo. Ad esempio, un progetto il cui obiettivo sia un business “mordi e fuggi”, come ad esempio la vendita di uno stock di prodotti acquistati a basso costo da un esportatore cinese, potrà ottenere una spinta molto forte attraverso l’automatizzazione delle tecniche di link building, però devi tenere a mente che entro 3/6 mesi finirà penalizzato e potrà perdere il 90% del traffico. Se il gioco vale la candela, potrai fatturare tanto in quel periodo per poi essere buttato giù una volta penalizzato e ricominciare da capo su un altro dominio. Ci sono certamente molti soldi da fare in quei 6 mesi, però stai facendo il gioco sporco rispetto a società più serie, contravvenendo alle linee guida di Google e talvolta anche infrangendo leggi. No, io non ti suggerirò di fare soldi in questo modo, non fosse altro che è una noia mortale. Se invece possiedi (o lavori per) un’attività che ha velleità di essere ancora visibile e rispettabile tra 50 anni, sei costretto a perseguire la strada del valore e costruire il tuo successo sul Web in modo lento e inesorabile. Tanti black hat ti passeranno davanti e qualche volta ti prenderanno anche in giro. Perdonali. C’è molta forza in loro, ma è indirizzata male. Potente il lato oscuro è, ma è il caso che la finisca, sennò comincio a scrivere come il maestro Yoda. E a
proposito di Star Wars…
Benedetto Motisi
IL LATO OSCURO DELLA SEO Esiste una dicotomia molto forte fra gli addetti ai lavori dell’ottimizzazione sui motori di ricerca: White Hat e Black Hat, Jedi e Sith, Umani e Orchi. Qualunque sia il set che preferisci, la distinzione fra buoni e cattivi non è la fine (della SEO). Si tratta di elevare a religion war, di cui il Web si nutre da tempi immemori, due approcci differenti a una cosa reale e vera, che ti fa pagare le bollette, come il lavoro. Ci sono i White Hat che si fanno alfieri del buon contenuto scritto per gli utenti e della strategia di acquisizione link che deve assolutamente essere earning e naturale, e ci sono i Black Hat del contenuto, che scalano le SERP con strategie di link building spinta. Nella mia umile esperienza di mestierante del search marketing ho iniziato a pensare che alla fine sono discussioni buone per i gruppi, le cerchie di addetti ai lavori, ma sterili per raggiungere i KPI9 prefissati con il cliente. Un coltello può servire per affettare la porchetta o una persona, ma è neutro. Figurarsi un motore di ricerca, come Google, che è proprietà di una Inc. e che fa, giustamente, i propri interessi. Si tratta di un’impresa privata che, in cambio di servizi gratuiti (“se è gratuito, il prodotto sei tu” citando Rudy Bandiera) e della promessa di offrire le migliori soluzioni a una data query degli utenti, presenta tutta una serie di annunci pubblicitari. Il meccanismo è reso unico dalla targetizzazione esatta degli utenti stessi, che cedono la piena analisi dei propri gusti e preferenze già con la sola navigazione all’interno dell’ecosistema Google. Questa introduzione ha un solo scopo: essere chiaro con te circa quanto ritenga sterili certe “polemiche etiche” mentre ci muoviamo sulla mano di un Buddha dagli scopi dichiarati come l’elefantiaca Inc. di Mountain View. A te e a me, come professionisti del settore, dovrebbe importare solo produrre risultati per il cliente, possibilmente duraturi nei limiti della piattaforma che non è di nostra proprietà e che anzi si aggiorna costantemente per perseguire i propri interessi. L’ideale sarebbe essere congruenti con questi, ovvero far in modo che il sito che stiamo curando conto terzi (o un nostro progetto) sia davvero LA soluzione per una fetta di utenti che digita una query. Google, da parte sua, aggiorna in modo costante il proprio engine per evitare la scalata da chi si spinge “troppo oltre” rischiando di proporre, come risposte a una domanda, dei siti inadeguati a esserne la soluzione. In quest’ottica, ha lanciato uno dei filtri più chiacchierati nella storia SEO, quel Penguin Update che tanto ha dato da scrivere – e finanche da mangiare – a SEO blogger e organizzatori di corsi. Me compreso eh, è tutto un business, bellezza. In soldoni, tale filtro (e le sue diverse interazioni) serve a penalizzare i contenuti che si sono posizionati grazie a tecniche di link building spinta, al di là del contenuto, forzando il concetto di manipolazione che è insito nelle attività SEO. Di fatto un SEO mette le mani su un sito per renderlo più visibile, il problema è come: un bravo chiropratico ti rimette la spina dorsale apposto, ma uno improvvisato o troppo ardito potrebbe ridurti come il professor Xavier ma senza i poteri mentali. Un antico detto recita “fatta una legge, trovato l’inganno” e la Storia ne è testimone: più il proibizionismo è stato restrittivo, più l’area oscura di pratiche illecite si è allargata. Considerata la facilità con cui Penguin può penalizzare un sito, ecco esplodere l’antitesi della SEO, il suo doppelgänger, il gemello malvagio di Saga, Kanon. La SEO Negativa, ovvero tutto quello che non faresti sul tuo sito (link network cino-indiani, pagine nascoste con rimandi a siti xxx…) rivolto a un competitor. Ora, a meno che tu non abbia abilità di cracker, buona parte delle tecniche di SEO Negativa è molto concentrata a
lanciare, quasi letteralmente, una vagonata di link da siti bannati, di scarsa qualità, non in target e con la parola chiave esatta al povero bersaglio. Pur non avendo competenze tecniche da programmatore scafato, mi sono reso conto che si tratta di una problematica non da poco, soprattutto studiando tutta una serie di casi che mi sono passati sotto mano. Proprio la semplicità delle tecniche di spam-link contro un competitor ha aperto un mondo ai “cuggini” rosiconi della domenica, in grado di devastare un business che ha sempre giocato secondo le regole. Google, nonostante alcune timide dichiarazioni circa la scarsa pericolosità di queste tecniche, ha rilasciato tool di segnalazione, il famoso Disavow Tool – tradotto con un inquisitoriale Rinnega Link – atti a contrastare il fenomeno. Te lo dico in modo chiaro: allo stato attuale non c’è un modo sicuro per difendersi da chi ti vuol fare lo sgambetto di fronte al baratro ribollente del fondo della SERP. Tuttavia, questo non ti deve preoccupare perché i crackeroni e gli affetti dal complesso di Edipo 2.0 che pensano solo a bucare i siti ci sono sempre stati. Il problema vero è sorto quando, a mio modestissimo avviso, il voler troppo stringere le maglie di un algoritmo ha lasciato le fasce del campo libere per questi incursori di link dai siti di pesca giapponese con anchor text in tedesco (caso reale). Il consiglio è sempre quello di monitorare, monitorare, monitorare. Tool come Majestic possono aiutarti a rilevare un picco sospetto di backlink in entrata, mentre Screaming Frog o Xenu ti possono aiutare nell’analisi onpage. Scegliere una soluzione hosting sicura, e tenere aggiornato il proprio CMS, stando al passo sui cambi più importanti dei changelog dei singoli plugin, può già essere una buona difesa onpage. Il problema vero è l’offpage, in quanto non controllabile: e allora, di nuovo, tanta analisi e l’unico tool che per il momento Google ci concede. Don’t panic, in ogni caso: se sei un sito autorevole e riconosciuta fonte di trust nel settore, questa secchiata di link potrebbe essere poco più che come sputare su un muro. Fa un po’ schifo, ma è un’azione senza senso. Quindi, non farti prendere dalla paranoia e cresci forte, come recita il motto dei Tyrell di Alto Giardino.
5.7.4. Penalizzazione da link in uscita La penalizzazione dal link in uscita è un caso speculare rispetto allo spam link in entrata. Quando il sito web oggetto dello spam link viene scoperto e penalizzato, l’algoritmo antispam può punire anche i siti web da cui i link sono partiti. In questo modo Google individua i colpevoli sia nell’una che nell’altra direzione, come è corretto che sia. Ti dico questo per metterti in guardia. Un link in uscita dal tuo sito dev’essere un voto di qualità verso un altro sito, anzi di più; se il tuo sito fosse un libro, un link in uscita rappresenterebbe un RIFERIMENTO BIBLIOGRAFICO, come dire, se vuoi approfondire vai là. Può capitare a tutti però, pur senza rendersene conto, di linkare un sito web già in odore di penalizzazione e finire inconsapevolmente nelle maglie della rete antispam di Google. Per questo motivo l’invito che ti faccio è di linkare in uscita solo siti web della cui qualità sei assolutamente certo, altrimenti potresti ritrovarti un giorno una bella e-mail nella casella di posta da parte del team antispam che ti notifica una penalizzazione da link in uscita. Se non sei certo della qualità della risorsa a cui intendi fare riferimento, puoi sempre
sterilizzare il tuo link in uscita con l’attributo rel=“nofollow”, che mette il tuo sito in sicurezza. 5.7.5. Fare SEO contro qualcuno Lo so che te lo sei chiesto. Ok, parliamone: se posso procurarmi una penalizzazione facendo spam link per me stesso, non potrei usare questa tecnica per penalizzare i miei concorrenti? Anche in questo caso la risposta è un secco sì, potresti. Anzi ti dirò di più, tanti lo fanno. Lavorano così perché è facilissimo. Il gioco dello “spam contro” è tanto più efficace quanto più le SERP su cui operi sono piene di risultati credibili e puliti. Google non potrà tollerare che un sito concorra per la visibilità in quel modo e si metterà in azione per fermare il malcapitato. Possibile che Google non capisca che c’è un tentativo deliberato di danneggiare un sito web innocente? Beh, in effetti se l’attacco è “palesemente spam”, nel senso che si oggettiva in un numero di link ENORME e contemporaneo, tutti solo da commenti, sempre con lo stesso testo e sempre con uguale anchor text e link in uscita, Google si limita quasi sempre ad annullarne l’effetto, ma se lo spammer vuol essere subdolo può far credere a Google quello che vuole. Anche nella meschinità c’è del mestiere. Lavorare in questo modo può farti arricchire, però allo stesso tempo ti impoverisce perché ti ritrovi “da solo” a “remare contro”, due cose che ho imparato fanno malissimo perché ti precludono il potere più dirompente dell’universo: gli altri. 5.7.6. Come difendersi da questi attacchi Puoi difenderti da un attacco di spam link massivo, semplicemente monitorando quotidianamente il tuo sito web attraverso uno strumento come Majestic che ti segnala i NUOVI LINK IN INGRESSO. Se ti accorgi che negli ultimi 10 giorni hai ricevuto una quantità abnorme (nell’ordine delle centinaia) di link in ingresso, tutti con le stesse caratteristiche come anchor text e URL di destinazione sempre uguale, allora è probabile che tu sia sotto attacco. In questo caso per uscirne puoi tener conto che ad essere penalizzate sono sempre solo le pagine che “ricevono” i link spam. Puoi quindi programmare il file HTACCESS nella directory principale del tuo sito, in modo che re-indirizzi tutti i link in ingresso sospetti, le cui URL avrai scaricato in una lista, verso una pagina “immolabile”, come la classica 404. I link continueranno a puntare al tuo sito, ma non penalizzeranno alcun
contenuto rilevante rispetto al tuo modello di business. 5.7.7. Come uscire da una penalizzazione Molto spesso a un SEO viene richiesto di far uscire un sito web da una penalizzazione. Questo può essere più o meno facile a seconda delle condizioni per cui il sito è stato penalizzato in origine. Se la penalizzazione è algoritmica, nei casi più semplici può essere sufficiente rimuovere i link che fanno parte di uno schema palesemente artificiale o, in caso non sia possibile, inviare a Google una segnalazione tramite Disavow Tool, cioè una finestra di comunicazione attraverso cui puoi inviare un file di testo in cui segnali tutti i siti web verso i quali RINNEGHI i link in ingresso. Nei casi peggiori, quelli cioè in cui Google ha notato un comportamento scorretto nel tempo, potresti trascorrere mesi a inseguire blogger, web master o aziende (che spesso parlano lingue incomprensibili), implorandoli di rimuovere link su pagine che magari non sanno nemmeno di avere. Se fare spam link è un lavoro sporco, rimuoverlo può essere peggio che andar di notte. Anche per quanto riguarda le PENALIZZAZIONI MANUALI può essere sufficiente rimuovere o rinnegare i link sospetti, ma la storia può essere ancora più complicata. Provo a spiegarmi facendo un parallelismo. Immagina di essere un neurochirurgo di fama internazionale, stimato e osannato da pazienti e colleghi. A un certo punto perdi cinque pazienti consecutivamente, tutti durante interventi di routine, di quelli proprio facili. A quel punto la tua reputazione avrà subìto una bella scossa negativa, e il sesto paziente, conoscendo la sorte toccata agli altri cinque, probabilmente sceglierà di mettersi in altre mani. Ora, questi cinque pazienti puoi averli persi sotto i ferri ad esempio perché ti sei dato all’alcool e hai operato da ubriaco, quindi è colpa tua, oppure per un concorso di cause indipendenti dalla tua volontà. In entrambi i casi, la domanda che dovrai farti è la seguente: “Quanti pazienti dovrò operare alla perfezione prima di riacquisire la stessa credibilità che avevo prima del disastro?” Questo è esattamente ciò che devi chiederti in caso di penalizzazione manuale, perché ti sei beccato un FLAG NEGATIVO da parte di un membro del team antispam che, prima di rimuoverlo e riconsentire al tuo sito di riprendere i posizionamenti di un tempo, dovrà accertarsi che le cose siano cambiate e che il tuo sito abbia fatto propria una condotta realmente virtuosa, della serie
“visto? Ora sto facendo il bravo, vado a dormire presto e pubblico tanti ottimi contenuti interessanti, originali e di qualità”. 5.8. Il potere delle menzioni tramite co-occorrenze Nel novembre del 2012, RAND FISHKIN, all’epoca CEO di Seomoz (successivamente divenuto MOZ), predisse sulla base di alcune osservazioni che col passare del tempo gli anchor text avrebbero perso importanza e sarebbero stati sostituiti via via da co-occorrenze.
moz.com, Previsione: Anchor Text sta indebolendo…
Prese come punti di riferimento tre query: 1.cellphone ratings 2.manufactory directory 3.backlink analysis. Per le tre query, altrettanti siti web avevano rispettivamente i seguenti posizionamenti: ♦ CONSUMERREPORTS.COM :
4° per cellphone ratings ♦ THOMAS.NET: 3° per manufactory directory ♦ OPENSITEEXPLORER.COM : 2° per backlink analysis. Fin qui penserai, niente di strano, se non fosse che, nelle tre pagine rispettivamente posizionate, le keyword di cui sopra ERANO DEL TUTTO ASSENTI, tanto nell’ottimizzazione dei titoli di pagina quanto in quella dei testi interni. Niente. Come facevano quei tre siti ad essere così ben posizionati per chiavi ad elevata concorrenza senza essere minimamente ottimizzati per le stesse chiavi? Non potendo rispondere a questa domanda semplicemente guardando il sito, il vecchio Rand fece quello che ogni buon SEO dovrebbe fare in una
situazione apparentemente inspiegabile. Guardò altrove, e quello che vide cambiò il modo di pensare la SEO, per sempre. Si accorse che in tantissimi siti web si discuteva di argomenti pertinenti di volta in volta con le query sopra riportate, menzionando molto spesso per ognuna di esse il sito web corrispondente. Ognuno di questi tre siti web otteneva quindi un grande numero di MENZIONI rispetto a quell’argomento specifico. Menzioni, non link. Fishkin capì che il potere di tante semplici CO-OCCORRENZE di chiave di brand più chiave di ricerca, all’interno di semplici commenti pertinenti per argomento, erano state sufficienti a influenzare Google e portarlo ad attribuire un ottimo rank in SERP per quelle query sebbene contenessero parole addirittura assenti nell’ottimizzazione di pagina. Tante co-occorrenze possono valere come i link in ingresso, forse anche di più, quando l’intero testo che comprende la menzione è ricco e circostanziato. Fishkin sapeva bene che Google è programmato sempre meglio per recuperare e dar peso a TUTTE le informazioni che scansiona su TUTTE le “entity”, ovvero gli oggetti di (sua) conoscenza. Se a un certo punto tante persone cominciano a parlare di un argomento, associandolo sempre a una chiave di brand, il segnale che Google riceve può essere forte al punto da costringerlo a rispondere di conseguenza in favore di quel brand. 5.9. Cosa sono i segnali sociali Ogni anno SEARCHMETRICS, una delle più importanti piattaforme di monitoraggio rispetto alla SEO, pubblica uno studio sui diversi fattori di ranking on e offsite come il numero di backlink, la presenza di parole chiave in punti specifici della pagina o il numero di like, commenti social e condivisioni sui principali social network, misurando per ciascuno di essi il PESO sulla base dell’osservazione di migliaia di siti web. Sebbene il numero di backlink sia ancora uno dei principali aspetti che contraddistinguono i siti web oggi meglio posizionati, secondo Searchmetrics ad avere un peso enorme sarebbero i SEGNALI SOCIALI, intesi come il numero dei +1, like, tweet, pin, condivisioni ecc.
Dopo aver osservato a lungo a mia volta il fenomeno dei contatori social implementati sui blog meglio o peggio posizionati, sono arrivato a farmi una domanda che mi ha generato non pochi dubbi sullo studio di Searchmetrics: non sarà che i valori elevati di like, tweet, +1 e condivisioni sono piuttosto UNA CONSEGUENZA DEL POSIZIONAMENTO E NON LA CAUSA? Perché Google dovrebbe tenere conto di un numero in un contatore? Che cosa gli interessa davvero valutare? A partire da questa considerazione ho ipotizzato che i segnali sociali rispetto alla SEO fossero altro, nello specifico proprio le MENZIONI di cui si è parlato fin ora. Testo. Google ha sempre scansionato e dato valore al TESTO, pertanto credo fermamente che quando si parla di segnali sociali ci si debba riferire a quello e non a una serie di numeri, che tutt’al più potranno essere un indicatore del fatto che il contenuto è stato ritenuto interessante, ma che non forniscono a Google informazioni nel merito del suo valore, della sua qualità intrinseca. 5.10. E alla fine arriva Penguin L’algoritmo antispam denominato Penguin è sicuramente una delle modifiche più interessanti mai introdotte in termini di controllo dei link in ingresso, perché non tiene conto solo dei link in quanto tali, belli o brutti che siano, ma è in grado di valutare anche ciò che gira intorno ad essi in termini di MENZIONI DEL BRAND, per capire quanto valgano in realtà. Nella sostanza, Penguin valuta le menzioni che un sito web ottiene su altri siti web pertinenti per argomento, rapportandone il numero alla quantità e alla frequenza dei link in ingresso. Osserviamo il seguente schema ipotetico che riguarda link e menzioni in ingresso per quattro siti web nello stesso segmento di mercato, per un arco temporale di un mese: 100 link in ingresso – 200 menzioni SITO B: 120 link in ingresso – 180 menzioni SITO C: 80 link in ingresso – 90 menzioni SITO D: 110 link in ingresso – 7 menzioni SITO A:
Se in un certo segmento di mercato è naturale che oltre ai link spontanei si generino CONVERSAZIONI ONLINE riguardanti qual brand, nell’ultimo caso
qualcosa non torna. La bellezza di Penguin è proprio questa: riesce a capire se i link in ingresso sono “veri” sulla base dei SEGNALI SOCIALI riguardanti un brand. Se in sostanza ricevi in un mese 110 link in ingresso e solo 7 menzioni, mentre tutti gli altri siti web presentano valori diversi, significa che quei 110 link non te li meriti! Se il caso del SITO D somiglia a quello di un progetto che curi, potresti ricevere una penalizzazione algoritmica per i link ottenuti in ingresso rispetto alle pagine del tuo sito che ne avranno beneficiato. Non importa se Google non riesce a cogliere uno SCHEMA DI LINK, cioè, anche quando i link ricevuti gli “sembrano naturali”, se questi non hanno un corrispettivo di menzioni adeguato all’andamento generale delle conversazioni online in quel segmento, stai rischiando grosso. Potrai facilmente intuire quanto i SEO, come tanti imprenditori accorti, negli ultimi anni siano sempre più preoccupati rispetto al condurre attività di link building anche ben progettate, proprio perché da Penguin in poi, sui segmenti più interessati dal buzz, cioè dal chiacchiericcio digitale, tali attività sono sempre più rischiose. 5.10.1. Come evitare la penalizzazione da Penguin? La tecnica che ti suggerisco per ovviare a questo problema ed evitare penalizzazioni da Google Penguin si basa sull’utilizzo delle co-occorrenze per bilanciare i link in ingresso prodotti tramite link building. Se abbiamo detto che Google vuole vedere un numero di menzioni adeguato a quello dei link in ingresso rispetto agli altri siti web nello stesso segmento, quello che devi fare è produrre co-occorrenze di CHIAVE DI BRAND PIÙ CHIAVE DI RICERCA sui siti web frequentati da persone che discutono di argomenti pertinenti con quelli di cui si occupa il sito su cui stai lavorando. In pratica, se metti fuori un link per un sito che produce box doccia, dovrai frequentare i forum e i blog in cui si discute di box doccia e pubblicare del testo (un commento o un nuovo thread) in cui menzioni la chiave di brand, quindi il nome dell’azienda, insieme alla tua keyword d’interesse, cioè magari proprio box doccia. 5.10.2. Quante co-occorrenze per ogni link in ingresso? Chi dice 3, chi dice 5. Le menzioni dovrebbero seguire un andamento coerente rispetto al segmento, vale a dire che se ne dovrebbero produrre in numero paragonabile a quello delle menzioni ottenute dalle aziende
concorrenti a parità di link in ingresso. Per farmene un’idea utilizzo Mention.com, un software che riporta le conversazioni online a partire da una parola chiave in ingresso, che sia chiave di brand o di ricerca. Mention mostra tutte le menzioni provenienti da video, forum, social network, blog e altri siti web. A partire da queste informazioni puoi fare tanto altro che capire dove e quante co-occorrenze produrre, perché puoi analizzare il mood e il sentiment rispetto a un prodotto, un servizio o un brand. Possono essere informazioni importanti anche rispetto a una campagna SEO. Sempre. Altri strumenti utili per estrarre dai big data tutte le menzioni riguardanti un progetto o un brand sono Tweetreach, che rileva con un buon livello di profondità le conversazioni su Twitter, e Radian 6, probabilmente il più evoluto (e ostico) software di analisi delle conversazioni online, il cui utilizzo richiede la presenza di ETNOGRAFI DIGITALI. Questi software vengono utilizzati normalmente per orientare le campagne di marketing destinate ai grossi brand, ma alla luce dell’importanza delle menzioni, ultimamente anche la SEO se ne sta avvantaggiando per curare le campagne di visibilità attraverso interventi mirati per tematiche scelte sulla base delle REALI DISCUSSIONI DEGLI UTENTI, venendo finalmente fuori dalle vecchie logiche basate sul come gonfiare di popolarità un sito piuttosto che sul come creare valore per gli utenti. 5.11. Una strategia basata sull’utilizzo delle menzioni Un esperimento importante fatto sulle co-occorrenze ha riguardato il posizionamento della pagina web di un sito produttore di dolciumi per una query che identifica una tendenza ad elevato volume di ricerca sul consumo di dolci. Ho prodotto un (solo) link in ingresso attraverso un articolo di approfondimento su alcuni aspetti relativi a un certo tipo di dolci. L’articolo è stato pubblicato su un semplice sito web destinato all’article marketing. Succedeva di lunedì mattina. Nei 4 giorni successivi, fino a venerdì quindi, ho pubblicato complessivamente 16 menzioni sotto forma di commenti (4 al giorno) contenenti co-occorrenza di chiave di brand (nome azienda) e chiave di ricerca, appunto la keyword per la quale intendevo posizionare il sito web. Una settimana dopo il sito web era in prima pagina per quella keyword (5° risultato), AVENDO OTTENUTO UN SOLO LINK IN INGRESSO. Questo mi fece riflettere su due punti:
1.la tecnica della co-occorrenza è una mano santa perché non si limita a validare il link in ingresso evitando al sito che lo riceve di incorrere in una penalizzazione, ma NE AMPLIFICA ADDIRITTURA LA FORZA facendo diminuire in linea generale il numero di link necessari a ottenere un buon posizionamento 2.la co-occorrenza di chiave di brand e chiave di ricerca è anche rischiosa, ma da un altro punto di vista non algoritmico. Se infatti inserisci un commento all’interno di un sito che parla di caramelle, scrivendo “buone queste CARAMELLE FARCITE, le fa ottime anche la PINCOPALLINO”, in questo caso la co-occorrenza c’è e funziona in quanto tale, però potresti beccarti un commento successivo in cui il titolare del sito ti accusa pubblicamente di essere un troll10 pagato dalla Pincopallino per farle pubblicità. Se il sito web su cui hai prodotto quella menzione è anche molto popolare, il brand che rappresenti non ci fa una bella figura. Per ovviare a questo problema è sempre meglio contestualizzare la menzione, inserendola all’interno di un commento o di un testo in generale che aggiunga davvero valore all’articolo cui si riferisce. In questo modo si eviteranno brutte figure e si contribuirà anche a creare contenuti migliori per gli utenti. 5.12. La cocitation La co-citazione è una tecnica avanzata di link building che si basa sull’utilizzo di menzioni contenenti link ad altri siti web e al nostro sito d’interesse.
Questo argomento l’ho già trattato in un post su seogarden.net del 13/08/2014. Si tratta di INTRATTENERE RAPPORTI DI BUON VICINATO, cioè creare una risorsa pertinente per argomento con quelle trattate dal tuo sito web e inserirvi link citando altre risorse complementari e autorevoli, tra cui il tuo stesso sito. IL PATTERN DI BASE PER CO-CITAZIONI È IL SEGUENTE:
una risorsa sul SITO A, magari di qualità, linka sia il SITO B che il SITO C, laddove metti che il sito A sia un giornale web che pubblica un articolo sul tema EDILIZIA, inserendo un link al più importante sito web di veicoli da costruzione
(sito B) e a un anonimo studio di architettura (sito C). 5.12.1. Il principio della relazione transitiva Il sito B e il sito C non hanno legami tra di loro, ma sono messi in connessione tramite il sito A che linka entrambi. In questa relazione, Google aumenta la percezione di valore del sito C perché viene citato insieme al sito B (autorevole) all’interno di un articolo. In pratica ora il sito B DIALOGA con il sito C, pur non linkandolo direttamente. Suggerimenti: 1.cerca la co-citazione con siti web dello stesso settore ma non concorrenti: puoi anche co-citare concorrenti, ma solo se si trovano a un livello elevatissimo di popolarità e di affidabilità 2. LASCIA PERDERE LE CO-CITAZIONI CON WIKIPEDIA: si sono fatte per anni e credo proprio che al momento vengano addirittura penalizzate perché Google se n’è accorto 3. ACCERTATI CHE IL SITO B SIA REALMENTE AFFIDABILE, altrimenti potresti ottenere una spinta negativa. 5.12.2. Altri pattern per le co-citazioni Altri pattern possono essere: 1.dal sito A parte un link al sito B, al sito D, al sito E, al sito F (ecc.) e al tuo sito web. Tutti ovviamente autorevoli. Il fatto di trovarti in così buona compagnia, se è davvero buona, è un ottimo segnale per Google rispetto all’attribuzione di ranking verso il sito meno popolare tra tutti, appunto il tuo 2.dal tuo sito partono link verso gli stessi siti linkati anche da un altro sito molto autorevole 3.dal tuo sito web partono link verso il sito B, il sito D, il sito E ecc. Se questa tecnica di citare gli altri con un bel link dofollow dal tuo sito web può sembrarti un suicidio professionale, perché sai che i tuoi concorrenti non lo farebbero mai, allora rileggi bene questo passaggio perché ti ho appena rivelato il vero segreto di Seogarden. A differenza quindi delle co-occorrenze che sono coppie di parole senza link, le CO-CITAZIONI sono citazioni multiple CONTENENTI LINK ad altre pagine. I principali pattern relativi alle co-citazioni sono descritti anche nella documentazione di due BREVETTI PUBBLICATI DA GOOGLE e consultabili anche tramite il mio blog.
Mentre le co-occorrenze sono quindi più spesso legate agli aspetti strettamente semantici, le co-citazioni attengono più alle strategie di link building e, nel tempo, di link earning. 5.13. I link dalle persone Come appendice a questo capitolo mi fa piacere riportare un articolo che ho pubblicato su Seogarden il 29 agosto 2014. LE MENZIONI MULTIPLE IN OTTICA SEO
Menzionare più autori influenti circa un argomento e riportarne l’opinione all’interno di un contenuto web può rafforzarne il ranking su Google. Vale la pena rifletterci sopra un momento. Immagina un batterista che stia cercando informazioni su dove acquistare i piatti per il proprio strumento. Su Google troverà innumerevoli offerte tra i vari colossi del commercio elettronico di strumenti musicali e gli shop online dei negozi più affermati nelle grandi città d’Italia. Immagina che quest’utente “navigando” finisca sul contenuto di un blog in cui non solo vengono spiegate in modo esaustivo tutte le differenze tra i tipi di piatti, ma vengono menzionati i migliori batteristi italiani (decine di musicisti) associando ciascuno alla propria opinione su quali siano le caratteristiche ideali di un piatto per la batteria. Immagina che per ogni musicista il sito pubblichi sia il link al sito personale che all’account Google+. “Quale giudizio credi avrebbe l’utente di un contenuto strutturato in questo modo? E quale Google?”. Cosa succederebbe a questo punto se i migliori batteristi italiani a cui avevamo semplicemente chiesto quali fossero le caratteristiche ideali di un piatto condividessero quel contenuto sui loro profili social? Avremmo probabilmente ottenuto l’equivalente di una link building da siti web con PR da 6 a 8. Il nostro contenuto sui piatti, se ottimizzato correttamente per la SEO, schizzerebbe in SERP nel giro di una settimana a seconda della concorrenza, superando sistematicamente i siti più forti per un sacco di ricerche. Il link social, in uscita e poi ottenuto in ingresso in questo modo, è quanto di più utile, interessante e rassicurante un sito web possa offrire a Google per ottenere credibilità, oltre ad essere parimenti utile, interessante e rassicurante per gli utenti che fruiscono quel contenuto stesso. Se quindi finora ti sei arrovellato su come ottenere link in ingresso dai siti
web, pensa che col passare del tempo il web è un luogo sempre più popolato da “persone” oltre che da “siti” importanti. Un link da un influencer vale quanto un link da un sito, a volte di più, può essere molto più facile da ottenere ed è praticamente impossibile che venga penalizzato! Ad accorgersi dell’efficacia di questo modus operandi non sono stati i SEO, ma chi si occupa di contenuti e social network come RICCARDO ESPOSITO, operatori più interessati a creare valore che a posizionare siti web. Mentre noi facevamo gli zozzoni perdendo tempo a cercare il modo per non farci penalizzare, gente come Riccardo scalava posizioni in SERP facendo quello che tanti credono essere controproducente: offrire visibilità ad altri. Un altro esempio di questo ragionamento è nel contenuto SEO: Ottimizzazione per i motori di ricerca pubblicato da ANDREA PERNICI sul Seo Blog di GIORGIO TAVERNITI. Tale contenuto si è posizionato in prima pagina per “SEO” soprattutto perché funziona con la stessa logica che ho descritto sopra. Vorrei che tu capissi che chi fa il tuo stesso mestiere non è un nemico da superare, ma una risorsa da tutelare, perché il potere più grande è quello di chi sta insieme. Tutto qui. Non devi avere paura che menzionando un tuo concorrente questo possa portarti via clienti, perché è l’esatto opposto, i clienti li perdi quando ti chiudi e non dai retta a nessuno.
Salvatore Russo
GOOGLE+ E LA SEO Io utilizzo Google+ per la SEO! Ho sentito questa affermazione millemila volte ma, se provo ad indagare nello specifico cosa si intende, finisce sempre con un’epistassi, il mio cervello mal supporta la valanga di informazioni arruffate che ricevo in risposta. Google+ influenza il posizionamento nei motori di ricerca? Qualcuno giura di sì. Nel 2013 Moz ha presentato Moz’s Ranking Factors 2013 study in cui ha raccolto i pareri di oltre 120 esperti SEO in merito ad oltre 80 fattori di ranking. Da questa indagine risulta chiaro come questi esperti siano convinti che il numero di Google +1 sia uno dei fattori di ranking più importanti, capaci di influenzare i risultati delle nostre ricerche. La Stone Temple Counsulting ha risposto con questo studio Direct Measurement of Google Plus Impact on Search Rankings in cui si afferma l’opposto: Google+ sta alla SEO come il due di picche a briscola. Teoria confermata da Amit Singhal, senior vice presidente e ingegnere software di Google, che durante il SMX West 2014 ha dichiarato che Google+ non ha un impatto nei risultati delle ricerche non personalizzate.
Facebook e Twitter sì? No, neanche loro. Allora i social signal non influiscono sulla SEO? Non direttamente. Sicuramente non fanno parte dell’algoritmo utilizzato da Google nel motore di ricerca, ma indirettamente ne potrebbe influenzare i risultati. Se adotti una buona strategia di conversazione digitale e pubblichi post utili, potresti attirare persone disposte a condividere i tuoi contenuti, in questo modo andrai ad aumentare le visite del tuo sito e a ottenere link e riferimenti autorevoli. Questo sì che influenza il ranking. Ecco, i social signal hanno questo ruolo indiretto sulla SEO, creano quel profumo di buono che attira nuovi utenti, amici, parenti e influencer che possono aumentare la tua visibilità, generare la proliferazione di link verso i tuoi contenuti e di conseguenza influenzare uno o più parametri dell’algoritmo di Big G. Bene, ad ogni modo, se Google dovesse prendere in considerazione i social signal nel proprio algoritmo, secondo te, dove li andrà a pescare per prima? Su Ello? Google+ in SERP Google+ non influirà direttamente sulla SEO, almeno per ora, ma certamente ci sono molti modi per utilizzarlo al meglio e apparire nei risultati di ricerca. My Answers Quando esegui una ricerca su Google i risultati che visualizzi possono essere profondamente diversi da quelli visualizzati per lo stesso termine da un altro utente. Perché? Perché GOOGLE ORMAI DA TEMPO PERSONALIZZA I RISULTATI in modo tale da fornirti la risposta più consona. Dal 4 dicembre 2013 è presente anche in Italia il servizio My Answers, attivo in USA dall’agosto 2013: Google integra l’enorme mole di informazioni della rete con tutte quelle che fornisci tu e i tuoi contatti, il risultato è un maggiordomo come quello di Batman, un Alfred Pennyworth premuroso e puntuale che ti fornirà tutte le informazioni di cui hai bisogno quando ne hai bisogno. Ecco come GOOGLE DESCRIVE MY ANSWERS: «Quando esegui ricerche, puoi trovare informazioni pertinenti recuperate dai prodotti Google, quali Gmail, Google Calendar, Google Drive e Google Plus. Ad esempio, potresti trovare informazioni sul tuo prossimo volo, prenotazioni al ristorante, il tuo prossimo appuntamento dal dentista oppure il post di un tuo accerchiato su G+ direttamente nella pagina dei risultati di ricerca». Sicuramente CAMBIA IL MODO DI VEDERE E INTENDERE I RISULTATI DI RICERCA, specialmente quelli mostrati in prima pagina. I tuoi contatti hanno ora la precedenza. Google cambia e cambia anche il nostro modo di cercare e visualizzare, per questo rimane fondamentale stare sempre al passo con le novità, senza dimenticare che la qualità e l’utilità delle informazioni fornite sono sempre la chiave per ottenere risultati migliori. Attivare/disattivare i risultati privati Se esegui una ricerca mentre sei loggato con un account Google, guarda in alto a destra, sorridi, sei su My Answers! Google, come impostazione predefinita, ti mostra dei risultati “privati”, visibili solo a te, provenienti dall’ecosistema Google. Sulla pagina di Ricerca di Google ecco come appare l’icona dei risultati privati:
Se sei un nostalgico della cara e vecchia SERP e vuoi disattivare i risultati privati puoi farlo in due modi: ♦ per la singola ricerca basta cliccare sull’icona del mondo: ♦ per tutte le ricerche:
1. visita la pagina Impostazioni di ricerca di Google 2. nella sezione Risultati privati seleziona Non utilizzare risultati privati. Privacy e sicurezza dei risultati I risultati relativi ai tuoi prodotti Google o ai tuoi amici e contatti di Google+ sono privati. Nessun altro utente troverà i tuoi contenuti nei suoi risultati, a meno che tu li abbia condivisi esplicitamente con l’utente oppure pubblicamente. Ad esempio, i risultati di Google Calendar e Gmail vengono visualizzati soltanto per te, quelli di Google+ in base al tipo di condivisione adottata. Il flusso lineare delle SERP viene interrotto dando spazio ai contenuti delle persone a te collegate tramite le cerchie di Google+. Oltretutto questi contenuti sono bene evidenziati perché riportano anche la pic profile dell’account Google. Prima era visibile anche per chi aveva impostato l’authorship ora SOLO PER I POST DI GOOGLE+, rendendoli ancora più evidenti. Guarda questo esempio:
Diventa quindi importante essere cerchiati e poi condividere contenuti validi su Google+ i quali avranno più chance di essere trovati dalle persone che sono in qualche modo collegate a te. Questo rappresenta un doppio vantaggio: rimedia in parte agli ostacoli della SEO, concedendoti una visibilità che difficilmente potresti ottenere altrimenti; sponsorizza il tuo profilo social. Più utenti trovano i tuoi contenuti, più utenti li condividono, più utenti ti seguono aumentando la portata dei tuoi contenuti, che potrebbe indirettamente portare vantaggio alla tua strategia SEO. Loop! Brand Building L’impatto della personalizzazione delle ricerche è molto forte e i post di Google+ possono intrufolarsi gioiosamente nella SERP. Questo è già un motivo valido per impegnarsi in Google+. Inoltre un profilo Google+ solitamente tende a posizionarsi molto facilmente nelle ricerche con il tuo nome: se non come primo risultato, in pratica, quasi sempre esce fuori in prima pagina (ammesso che le opzioni per la privacy che hai impostato lo consentano). A livello di identità online, Google+ ha una marcia in più rispetto ad esempio a Twitter e Facebook. Un profilo pubblico di Google+ contiene un’enorme quantità di informazioni scansionate e indicizzate da Google, che includono: biografia, post pubblici, foto, link, hashtag, etc. Facebook, al contrario, condivide con i motori di ricerca solo alcuni tipi di contenuti (pagine), evitando di far indicizzare i contenuti dei profili. Google+ non è un trucchetto per migliorare magicamente la SEO, ma potrebbe diventare una potente componente della tua strategia di marketing digitale. Con la creazione di una pagina Google+ e la pubblicazione di un post, puoi ottenere un importante boost di visibilità. Infatti gli utenti che eseguiranno la ricerca del tuo brand su Google visualizzeranno nello spazio in alto a destra (noto come Knowledge Graph) l’ultimo post pubblicato su Google+. È sempre visibile, non è necessario quindi essere loggati
con un account Google. Quello spazio solitamente è occupato da annunci pubblicitari a pagamento e per alcune realtà potrebbe rappresentare una vera manna dal cielo ottenerlo gratuitamente.
Uno spazio simile è presente anche per le attività local all’interno del Local Graph. Potresti sfruttarlo, come nell’esempio, per promuovere un’offerta speciale, un evento o un’iniziativa di primo piano che risulterà subito visibile all’utente. Se si è loggati con un account Google, sarà possibile inserire una pagina Local nelle proprie cerchie, direttamente dalla SERP tramite il pulsante Segui.
Per i profili personali, se si è loggati, oltre a visualizzare l’ultimo post pubblicato, viene presentata una scheda del profilo. In una strategia di personal branding quest’opportunità va senz’altro sfruttata.
Tutto qui? No! Google non trova pace, continua a modificare i dati visualizzati nei risultati delle tue ricerche, con l’obiettivo di fornirti le migliori informazioni possibili, che tenero! A luglio 2014 ha annunciato la visualizzazione nei risultati delle ricerche, al momento solo su Google.com, di una notifica che avvisa gli utenti dell’avvio imminente di un Hangout on Air.
Google+ è una piattaforma di social media molto versatile, dall’enorme potenziale, non solo per la SEO, ma anche per la gestione della reputazione, SMO, brand building, content marketing e... qualsiasi altra cosa ti venga in mente, tranne il ripostiglio in cui parcheggiare i post pubblicati su Facebook. Google+ offre possibilità di interagire con i visitatori attraverso molti più punti di contatto e necessita di una strategia di comunicazione articolata, specifica e ben definita. Condividere contenuti utili, allacciare rapporti con i tuoi follower, creare ottime conversazioni e qualsiasi altra azione negli strati social dell’universo Google producono immediati risultati, in quanto, come detto, influenzano i risultati delle ricerche. Questa è un’opportunità da sfruttare. SE SEI NELLA PRIMA PAGINA DEI RISULTATI, VUOL DIRE CHE SEI AFFIDABILE. Questo è il ragionamento basico di molti utenti, non si chiedono certo se il risultato è legato a My Answers, Adwords o lavoro SEO meraviglioso. Valutano solo se corrisponde alla loro necessità. 7 I quality raters sono solitamente collaboratori esterni di Google che non hanno alcun potere decisionale in termini di ranking per i siti web che valutano. Il loro compito è semplicemente riportare la rispondenza o meno dei vari elementi presenti nei siti web che visitano, rispetto alle linee guida in loro possesso 8 Moz (già SEOMoz) è una delle piattaforme di monitoraggio web based più evolute rispetto alla SEO onsite/offsite 9 Key performance indicator 10 Un troll è nel linguaggio web un utente che entra a gamba tesa nelle discussioni su blog, forum e social network allo scopo di creare disagio o per interessi personali
6. Strategie di visibilità organiche
Nelle community in cui si parla di SEO, si finisce spesso col litigare rispetto a cosa funziona e cosa no, come se una certa tecnica sviluppata in un certo modo potesse portare risultati a prescindere dal settore in cui si sta lavorando per creare visibilità. La verità, almeno la mia, è che LE SERP SONO TUTTE DIVERSE, vale a dire che il ranking non viene attribuito in modo sempre uguale, ma in modo sensibile a come si muovono i siti più affidabili nel singolo segmento. Se ad esempio nel segmento immobiliare dell’affitto case per le vacanze dovessimo accorgerci che i siti web più visibili ricevono link e menzioni per lo più da un certo tipo di portali e blog, allora sapremo che il punto di partenza è accodarci e cercare di presenziare quelle piazze a nostra volta, per poi magari tentare il “sorpasso” cercando il colpo da maestro, mettendo in pratica una strategia diversa da quella degli altri player in quel mercato, che crei valore in modo nuovo ed efficace. Viceversa, se in quello stesso segmento sviluppassimo in partenza una strategia di visibilità muovendoci in modo completamente diverso dai siti più visibili, esporremmo il progetto al rischio di essere intercettato dai filtri antispam di Google e magari di prendere una penalizzazione. Per inciso, muovendoti in modo completamente diverso dagli altri puoi anche rendere un sito straordinariamente visibile in poco tempo, ma a meno che tu non sia un SEO particolarmente temerario ti consiglierei di evitare di cercare il
“colpo gobbo”, perché, certo, può essere affascinante l’idea di mandare tutte le palle in buca con un solo colpo di stecca, ma un professionista è più interessato a mandarne in buca una sola, ogni volta che tira. 6.1. Prima di fare strategia sonda il terreno Il concetto di posizionamento organico è affascinante soprattutto se metti il focus sul concetto di “organico”. Ogni SERP è molto più che un insieme di risultati, perché dietro questi c’è un ECOSISTEMA DI FATTORI che vengono osservati e valutati organicamente gli uni rispetto agli altri. Ogni sito web viene giudicato sulla base di quattro aspetti: 1.com’è strutturato 2.com’è strutturato rispetto agli altri nello stesso segmento 3.com’è valutato dagli utenti 4.com’è valutato dagli altri siti web. 6.1.1. SEO e web usability Se i primi due fattori sono i più semplici da valutare, perché direttamente visibili attraverso la navigazione, la VALUTAZIONE DA PARTE DEGLI UTENTI può essere colta come dato onsite attraverso GOOGLE ANALYTICS (col quale però non puoi analizzare la concorrenza), leggendo i dati relativi ai percorsi di navigazione, al flusso di comportamento, ai tempi di permanenza nelle varie pagine e alla frequenza di rimbalzo. Google conosce molto bene questi dati per ogni sito web che compete sulla stessa SERP e tenderà a favorire spesso un sito che presenta statistiche di navigazione migliori rispetto agli altri. Con questo non posso dire che la web usability sia un fattore di ranking diretto, ma solo indiretto… ed è sottovalutata.
La web usability, i cui guru per me sono JAKOB NIELSEN e STEVE l’insieme delle osservazioni che riguardano L’EFFICACIA DI UN SITO WEB
KRUG,
è
RISPETTO
AL SUO MODELLO DI BUSINESS.
Mentre in sostanza un SEO lavora per far capire nel modo migliore ai bot quali sono i contenuti business di un sito web, il lavoro di un esperto di usabilità web è fare arrivare gli utenti a questi stessi contenuti nel modo più semplice e piacevole possibile allo scopo di aumentare le transazioni e il tasso di ritorno. Se ci pensi un consulente SEO e uno di web usability non fanno poi un lavoro così diverso! 6.1.2. La valutazione degli utenti offsite La valutazione da parte degli utenti non avviene solo onsite, ma anche offsite attraverso le MENZIONI DEL SITO come abbiamo visto nel capitolo sulle attività esterne. Per valutarne la quantità, il tipo e i siti su cui sono presenti, puoi utilizzare gli strumenti che ho descritto in precedenza quando ho parlato di quest’argomento, così come puoi usare gli stessi strumenti per individuare quali sono i topic principalmente trattati nelle conversazioni riguardanti i siti dei concorrenti. 6.1.3. I link in ingresso, quali, quanti, da dove? I link in ingresso rappresentano la valutazione o, come ho scritto in precedenza, “il voto” da parte di altri siti web. Quando ragioni sulla strategia da seguire per il posizionamento organico, una delle prime cose da fare è studiare il PROFILO DEI LINK IN INGRESSO ottenuti dai siti web più visibili con i quali dovrai competere. Per osservare i link in ingresso uso Majestic, attraverso il quale cerco di rispondere a queste domande per ogni sito concorrente: 1.quanti link in ingresso riceve il sito? 2.da quanti domini differenti? (quindi link sitewide) 3.qual è la frequenza di ottenimento dei link? (quanti al mese) 4.di cosa parlano i siti da cui partono i link? 5.quanto sono affidabili questi siti? (indicatori PA e DA) In base a queste informazioni e potendo stimare lo sforzo e il tempo necessario ad ottenere link dello stesso tipo, puoi farti un’idea, o darla al tuo cliente, di QUANTO COSTERÀ UNA CAMPAGNA DI LINK BUILDING. 6.2. Placement e posizionamento organico Il seguente paragrafo è la rivisitazione di un articolo pubblicato su
seogarden.net il 26 gennaio 2012. Lo riporto in versione quasi integrale perché trovo centrali gli argomenti di cui ho scritto nell’ottica di guardare alla SEO senza i paraocchi un po’ nerd che spesso chi fa questo mestiere si trova a indossare. Ci sono due scuole di pensiero nel web marketing: una separa il marketing tradizionale da quello sul web, l’altra vede negli strumenti web un mezzo di implementazione delle strategie classiche. In pratica: la DISTRIBUZIONE (Placement) è l’insieme di attività necessarie a far giungere un determinato prodotto al consumatore finale, con i vari passaggi intermedi ♦ il POSIZIONAMENTO ORGANICO invece è il risultato delle attività SEO che rendono visibile un prodotto al consumatore finale tramite motore di ricerca. ♦
Volevo ragionarci un po’ con te e Tom Cruise... Per posizionare gli occhiali RayBan negli anni ’80 venivano usati i film d’azione: Tom Cruise ne portava un paio a goccia nel film Top Gun che divennero leggendari e produssero enormi aumenti di fatturato per la casa produttrice. Per posizionare sui motori di ricerca un paio di occhiali da sole, l’ingegner Trapunzoni11 di Busto Arsizio che di mestiere fa l’ottico teoricamente dovrebbe mettersi in contatto con un’agenzia web e commissionarle una campagna di web marketing. I consulenti gli realizzerebbero un sito, magari una pagina facebook e gli proporrebbero attività SEO per posizionare i diversi modelli di occhiali. In questo la differenza tra placement e posizionamento organico è nella ricerca: mentre gli occhiali sul nasone di Tom Cruise ti arrivano indipendentemente dal fatto che tu li abbia cercati, gli occhiali Trapunzoni li hai trovati su Google cercando occhiali da sole. Ecco la differenza classica tra placement e SEO. Io credo però che oggi, con il compimento delle dinamiche web legate alla comunicazione orizzontale, determinato dallo sviluppo delle piattaforme tecnologiche e dal fatto che le società occidentali sono ormai maturate nella direzione della partecipazione e della conversazione, si possa tornare ad avvicinare la SEO al placement.
Se i meccanismi tecnologici e sociali sono tali da garantire un flusso conversazionale costante, allora le informazioni su ciò di cui potremmo aver bisogno possono (e devono) giungere a noi anche PRIMA CHE LE CERCHIAMO SU GOOGLE: ne verremo a conoscenza perché un amico le ha condivise, una persona che seguiamo ne parla o ancora perché sono associate ad altre informazioni che solitamente cerchiamo sul Web. In questo ragionamento, le menzioni che si generano più o meno spontaneamente, ad esempio sui social network e nei forum, e che aumentano la visibilità complessiva di un progetto sul Web, sono SIA CAUSA CHE CONSEGUENZA di un buon posizionamento organico e pertanto vanno considerate insieme alla SEO vera e propria, come una parte del posizionamento inteso in senso esteso. La SEO quindi dal mio punto di vista coincide con il placement già da qualche anno, con una (fantastica) differenza sostanziale: non serve più Tom Cruise! Non è più un processo verticale. Il modo in cui puoi intendere la SEO è “placement orizzontale”, che utilizza tutte le tecnologie di interazione adatte e mette in luce i prodotti facendo leva sull’antico bisogno che le persone hanno di raccontarsi. 6.3. Posizionamento organico di un sito e-commerce Non che in casi diversi dall’e-commerce ci si possa permettere di approssimare, ma quando vendi online devi essere molto meticoloso, perché se è vero che per CONVERSIONE in generale si intende il far compiere agli utenti del sito una qualunque azione prevista nel modello di business, come iscriversi ad una newsletter o compilare un form di richiesta informazioni, la conversione in un e-commerce è proprio intesa in senso classico, cioè il passaggio da utente a cliente, oggettivato nell’acquisto di un prodotto o di un servizio tramite ordine e pagamento online. Ora proverò a darti qualche dritta per fare in modo che il tuo sito e-commerce funzioni al meglio lato SEO. 6.3.1. Data entry Il data entry, cioè l’inserimento dei contenuti o in questo caso di prodotti, è uno dei principali problemi che vedo nei siti e-commerce. Mettiamola così, l’ingegner Trapunzoni, sempre quello di Busto Arsizio, gestisce da 15 anni un grosso negozio di arredi, con un enorme magazzino. All’improvviso Trapunzoni decide di cogliere l’opportunità del commercio elettronico e vendere arredamento attraverso il web in tutt’Italia (isole comprese). Dopo aver scoperto che esistono CMS gratuiti per il commercio
elettronico, Trapunzoni, che in quanto ingegnere non vive ma “funziona”, decide di dedicare un fine settimana a imparare come si installa WordPress con piattaforma WOOCOMMERCE. “Fantastico, ma poi facile, non immaginavo bastasse così poco!”.
Elpidio Trapunzoni, ingegnere informatico da 110 su 110 e lode, di professione venditore di mobili, ora ha solo un piccolo problema. Deve importare 3.000 prodotti presenti nel database del suo software gestionale aziendale, ma ancora non sa come fare. Davanti a lui si parano due scelte, assumere due SEO copy a progetto per un paio di mesi sotto la supervisione di un consulente SEO e fargli inserire i prodotti uno ad uno, ognuno con la sua descrizione e con le referenze SEO ben ottimizzate, oppure – scoperta sensazionale – usare un plugin che si chiama WooCommerce CSV importer, che carica automaticamente tutti i prodotti dal gestionale al sito tramite export e import di un file Excell in formato .csv. 6.3.2. Occhio a strutturare bene i prodotti La razionalità economica e soprattutto l’innata capacità adattiva dell’ingegner Trapunzoni gli suggeriscono di optare per l’IMPORTAZIONE di tutti i 3.000 prodotti DAL GESTIONALE AL SITO CON UN CLICK. Ok, il gioco è fatto e i prodotti sono tutti caricati. Ora il problema è solo che le descrizioni dei prodotti sono tutte uguali così come i titoli. Nello specifico si verifica una situazione in cui abbiamo 100 camerette per bambini il cui tag Title differisce solo per il codice prodotto, ad esempio: cameretta per bambini 84B00015 Nembokid ♦ cameretta per bambini 84B00016 Nembokid ♦ cameretta per bambini 84B00017 Nembokid. ♦
All’interno, le descrizioni sono completamente uguali tranne che per pochi dettagli come la forma, le misure o il tipo di legno utilizzato. Tutte queste specifiche ricorrono in misura diversa mescolate tra le 100 camerette. Ora, con tutta la buona volontà, come fa Google a decidere quale di questi contenuti merita maggiore priorità rispetto alla query cameretta per bambini? Evidentemente l’impavido Trapunzoni, web marketer consumato, si aspetterà che il suo pubblico di riferimento scriva direttamente nella barra di ricerca di Google “Cameretta per bambini 84B00016 Nembokid”. Che tempi… Per ovviare al problema, il data entry andrebbe gestito in modo da ottenere una configurazione di prodotti i cui titoli fossero in grado di intercettare ricerche specifiche UNA VOLTA SOLA. Per capirci, nel caso delle camerette si potrebbero suddividere i 100 prodotti in 10 CONTENUTI AGGREGATI ottimizzandone i titoli con le keyword secondarie derivate dal suggeritore di Google: camerette per bambini con soppalco ♦ camerette per bambini lusso ♦ camerette per bambini ad angolo ♦ camerette per bambini colorate ♦ camerette per bambini classiche ♦ camerette per bambini con letti a castello ♦ camerette per bambini di 3 anni ♦ camerette per bambini di 10 anni ♦ camerette per bambini in poco spazio ♦ camerette per bambini disabili. ♦
Strutturerei questi 10 aggregati come TAG, avendo al livello superiore una CATEGORY dal title camerette per bambini. Infine assegnerei a category, tag e singoli prodotti livelli di priorità diversificati attraverso la sitemap dal più alto al più basso nell’ordine in cui li ho appena citati. 6.3.3. URL canonical negli e-commerce
La pagina canonica è quella “vera”, cioè quella che, tra tante molto simili in termini di ottimizzazione SEO, deve essere presa in considerazione dai motori di ricerca. L’attribuzione della URL canonica è tecnicamente una “pezza”, introdotta da Google proprio per dare una possibilità a tutti i Trapunzoni del mondo di essere comunque visibili su Google. Detto in altre parole, se tra i tuoi prodotti ne hai diversi praticamente uguali, che cambiano solo per un attributo, la cosa corretta da fare sarebbe trasformarli in un unico prodotto e definire per quel prodotto gli attributi ma, qualora questo non fosse possibile, se ne potrebbe scegliere uno solo e attribuire a questo e a tutti gli altri molto simili una URL canonica (quella dell’articolo scelto), con questa sintassi: .... .... .... ....
La URL canonica non viene utilizzata solo per gli e-commerce, ma anche ad esempio quando un CMS genera URL diverse per ogni contenuto o in presenza di contenuti multi-pagina. La canonica può addirittura essere utilizzata in modalità CROSS-DOMAIN, cioè da un sito A verso un sito B, nel caso in cui magari si voglia richiedere di tenere in considerazione solo il contenuto presente nel sito B senza rimuovere o modificare l’ottimizzazione (molto simile) del contenuto nel sito A. Nell’esempio delle camerette per bambini si potrebbe quindi utilizzare una URL canonica all’interno dei singoli aggregati per tutte le camerette proprio uguali, laddove non sia possibile unificarle in un unico contenuto in cui sono presenti attributi diversi. 6.3.4. Usare il Noindex negli e-commerce Nel caso in cui un sito web presenti un’ampia volumetria di contenuti, quando per capirci ci muoviamo nell’ordine delle migliaia di contenuti, un’alternativa alla URL canonica negli e-commerce è assegnare al meta robots il valore noindex, follow. Evitando di indicizzare centinaia di contenuti PRATICAMENTE UGUALI avremo complessivamente un’indicizzazione più concentrata sui contenuti obiettivo e, se saremo stati bravi a indirizzare il bot, anche più pulita. 6.3.5. Metti da parte i contenuti istituzionali e disclaimer
Un errore pericoloso che ogni tanto mi capita di trovare nei siti e-commerce è la presenza dei contenuti istituzionali (chi siamo, azienda, dicono di noi ecc.) o peggio di quelli disclaimer (spedizioni, resi e recessi ecc.) nel TOP MENU. Se è vero che nei siti aziendali non e-commerce i contenuti istituzionali possono impattare le ricerche degli utenti perché magari descrivono le caratteristiche di un servizio o forniscono altre informazioni di contorno realmente utili, negli e-commerce questo non si verifica quasi mai, perché è del tutto evidente che le ricerche degli utenti rispetto a prodotti che si vendono online riguardano gli stessi prodotti e non le informazioni sull’azienda che li vende. Quello che chiamo convenzionalmente top menu è il menu di navigazione principale di un sito web, quello che vediamo immediatamente nella parte più alta di tutte le pagine del sito, quindi è anche sitewide. In assenza di una classificazione che definisca livelli di priorità specifici, Google penserà che le pagine raggiungibili da quel menu siano le più importanti in assoluto, prioritarie rispetto alle categorie dei prodotti. Puoi accorgerti di una catastrofe del genere se provi ad esempio a richiamare l’indicizzazione di un sito e-commerce su Google attraverso l’operatore SITE:. Potresti trovare nella prima SERP dei contenuti indicizzati tutte le pagine istituzionali del sito e solo in seguito le categorie e i prodotti. Dovrebbe essere il contrario. In questo caso, stiamo dicendo placidamente a Google che ci interessa più farci trovare per la storia dell’azienda che per i prodotti che vende: un grosso rischio, soprattutto se gli utenti non ci conoscono già. Del resto, anche lato web usability, l’utente dovrebbe avere un colpo d’occhio centrale sulle categorie prodotto. I migliori siti di commercio elettronico tengono le informazioni aziendali e le policy defilate, spesso nel footer, dov’è possibile trovarle se lo si vuole, senza nulla togliere al livello di navigazione principale che deve essere centrato sulle categorie prodotto. In questo passaggio la SEO e l’usabilità web sono allineate. 6.3.6. I temi e-commerce preconfezionati Non ho assolutamente nulla in contrario rispetto ai temi scaricabili a pagamento per le principali piattaforme CMS, anzi, tanto di cappello di fronte al lavoro di molte software house i cui template rasentano la perfezione. Un appunto piuttosto va fatto per i web developer/web designer che ci mettono le mani in sede di customizzazione: i contenuti d’esempio servono a mostrarti le potenzialità del tema, non è che devi per forza usare quelli, cioè, puoi anche farlo, però stai attento a cambiare le URL dei contenuti che hai riciclato, altrimenti rischierai di avere una struttura di indirizzi che porterà il bot fuori
strada. Spesso li trovo serenamente online tra i contenuti indicizzati di siti (non solo) e-commerce, con tanto di testo in latino. Succede di solito perché chi ha montato il sito web è andato direttamente online con i contenuti d’esempio e ha costruito il sito mano mano, finendo con l’escluderli dai menu quando Google li aveva già indicizzati. Rimangono là a dar fastidio a Google e a occupare spazio. Ricorda sempre di cancellare i contenuti d’esempio se ne sono rimasti, e di SEGNALARLI PER LA RIMOZIONE attraverso gli strumenti per i web master di Google. Quest’ultimo passaggio è importante perché i contenuti cancellati dal sito ma non rimossi dagli indici di Google rimangono sullo stomaco come pagine non trovate o, se preferisci, errore 404. NON TI AFFEZIONARE TROPPO AI CONTENUTI D’ESEMPIO!
6.3.7. I comparatori di prezzo Gli imprenditori più accorti sanno che per fare affari bisogna stare in piazza, così come le massaie più avvedute sanno che più grande è il mercato maggiore possibilità ci sarà di fare un buon affare. I comparatori di prezzo sono grandi PIAZZE DIGITALI che consentono ai negozi online di presenziare e giocarsela con gli altri player e agli utenti del web di scegliere i prodotti tenendo sott’occhio decine di siti web divisi per categorie di prodotti omogenee sia per prezzo che per caratteristiche degli articoli.
Non è un caso che in questo momento, siti web come Kelkoo, Twenga, TrovaPrezzi o Ciao, per citarne solo alcuni in ordine sparso, ottengano ottimi risultati di visibilità su moltissime SERP. La loro esistenza è un grosso vantaggio per tutte le parti coinvolte. Sono directory, è vero, e le directory a Google non fanno impazzire, ma sono realmente utili per gli utenti e il motore di ricerca è costretto a tenerne conto, perché di fatto il poter confrontare in una sola pagina web decine di prezzi e recensioni per lo stesso articolo è un vantaggio notevole. Per dire la sua, Google utilizza il proprio comparatore che si chiama GOOGLE
precedentemente Google Product Search, Google Products e Froogle. È un servizio inventato da CRAIG NEVILL-MANNING che consente agli utenti di cercare prodotti online da siti e-commerce e comparare i prezzi tra i diversi venditori. La bellezza di Google shopping era nel fatto di essere un motore di ricerca integrato nell’ecosistema di Google, quindi sensibile ai principi dello UNIVERSAL SEARCH. In base alle query, Google web poteva restituire sul lato destro una comparazione di prezzo tra venditori per lo stesso prodotto. In questo momento Google Shopping integra uno o più annunci con scheda di prodotto a pagamento, a seconda di come è stata impostata la campagna ads. SHOPPING,
6.3.8. Il colpo da maestro nell’e-commerce Può sembrare banale, ma Google è molto sensibile al prezzo migliore. Una volta un allievo mi presentò come caso studio un sito e-commerce di scarpe che, nonostante non fosse particolarmente curato (in effetti era brutto come poche cose viste al mondo), aveva ottenuto ottimi posizionamenti per parole chiave come “tipo scarpa + marca”, in alcuni casi superando i principali player di settore. Analizzai l’intera struttura del sito e il profilo dei link in ingresso senza trovare un motivo valido per cui quel sito web avesse raggiunto quelle performance in SERP su concorrenti tanto autorevoli. Decisi di comparare a mano gli articoli meglio posizionati con quelli degli altri siti web. Quello che scoprii mi fece capire il vero segreto per portare al successo un e-commerce. Il sito del mio allievo era stato riempito con scarpe di marca, che però erano rimanenze di collezioni non più sul mercato. In sostanza, alcuni modelli di scarpe con un buon traffico di ricerca erano presenti solo su quel sito! Questo aveva dato una notevole spinta anche ad altre categorie in cui c’erano scarpe presenti in altri siti, ma che comunque avevano un costo leggermente più basso rispetto alla media, probabilmente a causa di un errore di valutazione iniziale o perché comunque erano rimanenze di negozio. In definitiva, quel sito e-commerce dopo tre mesi di vita faceva una quantità di visite imbarazzanti e il SEO che lo gestiva non ne aveva ancora compreso il motivo. La mia valutazione finale (e il mio consiglio) è: 1. PUBBLICA PRODOTTI RICERCATI, di cui i tuoi concorrenti non dispongono. Punta ad esempio sull’outlet se vendi abbigliamento 2. OCCHIO AI PREZZI: a parità di prodotto e di credibilità del sito web, Google è
molto sensibile al prezzo migliore. 6.4. Posizionamento organico di un sito web turistico Quello turistico è un settore talmente sviluppato da aver generato una serie di professionalità che rientrano oggi nella branca specialistica del web marketing turistico. Tra i siti web di agenzie di viaggio, i grandi comparatori di offerte e quelli di strutture ricettive, il turismo online prende la fetta più grande del fatturato web italiano, sebbene ci sia da dire che l’Italia, con tutte le sue bellezze e la sua storia, è il fanalino di coda dell’Europa proprio nel settore in cui dovrebbe primeggiare, questa però è un’altra storia. I progetti web nel settore turistico monetizzano principalmente attraverso le affiliazioni e le prenotazioni. Osserviamo di seguito alcuni casi. 6.4.1. Agenzie di viaggio e comparatori Esistono due tipi di agenzie di viaggi sul web: quelle che sviluppano e propongono pacchetti turistici “chiusi” e quelle che ti aiutano a costruire il tuo itinerario, consentendo la comparazione di mezzi di trasporto diversi e proponendo la scelta tra varie strutture ricettive. Mentre le agenzie del primo tipo, quelle tradizionali trasposte sul web, pubblicano direttamente i loro pacchetti turistici sul sito, i comparatori di offerte ospitano quasi sempre un software prodotto da terzi, a meno che non parliamo dei grandi portali, che propone in automatico centinaia di occorrenze ordinate per data, mezzo di trasporto o destinazione scelta dagli utenti. A questo punto tieni conto che, essendo il settore turistico molto competitivo, i siti web che vi si affacciano devono essere innanzitutto ricchi di informazioni, strutturati e magari anche UTILI PER GLI UTENTI. Ora, fin quando il sito web di un’agenzia di viaggi propone i propri pacchetti turistici, è chiaro che saranno questi pacchetti, aperti e ampiamente descritti in tutto e per tutto, a rappresentare la sostanza editoriale del sito, ma la situazione è ben diversa se un progetto web è basato sull’embed12 di un software che propone la comparazione di elementi non presenti sul sito web ma in un enorme database ospitato altrove. In quest’ultimo caso devi strutturare il tuo sito web fornendo quante più informazioni di contorno è possibile, dividendole per aree, come ad esempio: voli ♦ hotel ♦ noleggio auto ♦
crociere ♦ traghetti ♦ weekend ♦ guide ♦ foto ♦ blog. ♦
Dal menu voli si accede alla lista di tutte le tratte più frequenti, ognuna delle quali conterrà un link a una pagina realizzata ad hoc, come ad esempio voli da Milano a Londra, in cui potremo aggiungere del testo con informazioni più specifiche sugli aeroporti di Milano e di Londra, sulla durata del viaggio, sulle compagnie aeree che effettuano voli in quella tratta e via dicendo. Dal menu hotel si accede alla lista di tutti gli hotel nelle città più visitate al mondo, ognuno dei quali conterrà un link a una pagina realizzata ad hoc, come ad esempio hotel a Torino, in cui aggiungeremo un testo descrittivo sulla città, parleremo delle piazze principali, dei monumenti, del trasporto locale e così via, magari aggiungendo qua e là link a risorse esterne realmente utili. Lo stesso tipo di sviluppo, con le dovute attenzioni, potrà avvenire per le altre voci di menu che ho indicato sopra. All’interno di ogni pagina potrai inserire lo script per richiamare il SOFTWARE DI COMPARAZIONE, che molto spesso è la fonte principale di guadagno per progetti di questo tipo, essendo collegato a un circuito di affiliazione, vale a dire che guadagni ogni volta che un utente effettua una ricerca attraverso quel software sul tuo sito. Anche per i siti di agenzie e comparatori nel settore turistico vale la stessa norma che abbiamo visto per i siti e-commerce, cioè indirizzare il bot in modo da fargli capire che i contenuti più importanti sono, ad esempio, la pagina centrale di tutti i voli, poi le singole tratte, poi magari le guide turistiche e solo alla fine i contenuti istituzionali, che anche front-end dovranno essere defilati. Anche qui deve esserci coerenza tra livelli di priorità nella sitemap e usabilità del sito. Un errore che dovremmo stare attenti a non commettere è non dare a Google una struttura di contenuti da leggere e valutare, dal momento che il sito funziona su uno splendido software che richiama automaticamente tutte le informazioni utili agli utenti. Ad esempio, una volta feci una consulenza SEO per un progetto web di settore che girava intorno a un software che, avendo in input una città di
partenza e una di destinazione, creava dinamicamente una pagina con tutte le informazioni su voli, percorsi e strutture ricettive. Il risultato era fantastico, però il problema è che queste pagine di risposta venivano generate ogni volta dinamicamente e per tanto non venivano indicizzate, quindi era come se non esistessero. Dai sempre a Google una struttura di contenuti da masticare, altrimenti sarai invisibile. Tieni presente in ogni caso, e te lo dico con il sorriso, che se fai due conti sul lavoro di costruzione che richiederebbe il menu che ho impostato sopra, hai davanti mesi di lavoro. Credevi fosse uno scherzo? 6.4.2. Strutture ricettive
Se fin ora abbiamo visto come approcciare alla visibilità in caso di siti web che aggregano modalità di viaggio, mezzi di trasporto e strutture ricettive nelle diverse città, cosa diversa sarà occuparsi di un singolo albergo, di un agriturismo o di strutture più piccole come un bed & breakfast. Queste attività rientrano nella LOCAL SEARCH di cui ti parlerò tra un po’, quindi la prima cosa da fare sarà creare una pagina Google+ per l’attività, associata alla sua localizzazione su Google Maps, attraverso lo strumento apposito per aziende Google Business. Dopo aver quindi GEOLOCALIZZATO la tua attività, cioè avendo fatto in modo che Google ne identifichi e ne riconosca la posizione geografica, ricordati di chiedere ai visitatori di scrivere una recensione sulla pagina Google+ della struttura. Possono essere davvero importanti! Un altro passo utile in chiave di visibilità sulle ricerche locali è inserire tutti i recapiti nel footer del sito (piè di pagina) o in qualunque altra posizione sitewide. Unitamente a questo aggiungerei sempre un embed della Google map nella pagina contatti, o magari, trattandosi di una struttura ricettiva, anche in homepage. Qui, a differenza che negli e-commerce, i contenuti istituzionali sono tutt’altro che secondari, anzi sono proprio quelli più importanti considerando che il sito web di una singola struttura dovrà essere visibile per i servizi che offre, le informazioni sulla località e poco altro.
Sarà importante ottimizzare i titoli dei vari contenuti del sito con il NOME DELLA CITTÀ in cui la struttura si trova e fornire tutte le informazioni dettagliate su: dove mangiare ♦ luoghi da visitare ♦ eventi a cui assistere ♦ come spostarsi da e per ♦ come noleggiare auto o scooter ♦ offerte periodiche ♦ tariffe alta e bassa stagione ♦ (soprattutto) informazioni sulle camere con ottime foto. ♦
Ancora molto utile, come abbiamo visto per i siti di commercio elettronico, sarà presenziare le “piazze”, cioè i grossi portali turistici, che ormai sono sempre più difficili da superare in termini di posizionamento, così come per un e-commerce generico è difficile posizionarsi meglio di un comparatore di prezzi. I principali portali di booking e recensioni online consentono di inserire la propria struttura, con annesse immagini, descrizione e prezzi. Insomma, se non puoi sconfiggere il tuo nemico, alleati con lui. 6.4.3. Singolare, plurale Ogni tanto mi chiedono se sia meglio scegliere di ottimizzare una pagina web per una chiave principale al singolare o al plurale. Una volta avrei risposto, banalmente, di interrogare il keyword planner tool (all’epoca strumento per le parole chiave di Google AdWords) sulla declinazione singolare e plurale di una keyword d’interesse e scegliere quella con il volume di ricerca più alto, ma, allo stato, Google è in grado di capire se il contenuto o l’intero sito web merita un posizionamento in SERP per la chiave al singolare o al plurale. Per esempio, se curi il sito web di un albergo a Palermo, non ha senso che ne ottimizzi la homepage per alberghi a Palermo, perché Google capisce benissimo che il tuo sito si riferisce a una singola struttura ricettiva. Diciamo allora che in alcuni casi Google non fa differenza tra una query al singolare e una al plurale, in altri invece può mostrarti SERP anche completamente diverse, con aggregatori nel caso di una query al plurale o singole strutture in caso tu abbia fatto una ricerca al singolare. Ora, se questa logica funziona in generale, c’è da dire che nell’ultimo periodo i grandi portali come TripAdvisor, Venere, Trivago, Expedia, Booking ecc. crescono sempre di più monopolizzando le SERP per qualunque ricerca riguardi una struttura ricettiva in qualunque declinazione, tanto che i poveri
SEO trovano sempre più difficoltà nel lavorare profittevolmente alle singole strutture, la cui visibilità è ormai il più delle volte relegata alle mappe. Perché crescono così tanto? Semplice, perché i web master vedono sempre più difficile competere con questi portali e quindi si arrendono in partenza, suggerendo ai proprietari di strutture, quando non fanno tutto da soli, di iscriversi a quanti più portali possibile. I portali crescono perché diventano enormi database pieni zeppi di strutture ricettive organizzate per località, prezzo e recensioni, e Google non può che prenderne atto premiandoli con ottimi posizionamenti. È l’ennesimo esempio della PROFEZIA CHE SI AUTOADEMPIE di ROBERT MERTON: «I portali sono sempre più forti perché i proprietari ci mettono dentro le proprie strutture temendo che i portali siano troppo forti». Senza nulla togliere ai grandi portali di cui sopra, perché non sviluppare il sito della propria struttura come si deve? 6.4.4. Lo strano caso dell’Hotel Milano Per ridere, ti racconto di un caso possibile, tenendo conto che un albergo potrebbe avere il nome di una città diversa tuttavia da quella in cui si trova. Prendi ad esempio l’Hotel Milano a Rimini. In un caso del genere, a seconda di come è stato sviluppato il progetto, potremmo “ingannare” Google (a nostro discapito) ottenendo un buon posizionamento per hotel Milano, anche se a Milano di quell’hotel non c’è traccia. Per questo motivo, per quanto fenomeni del genere siano sempre più rari, ti consiglio di essere meticoloso e seguire tutte le indicazioni che ti ho fornito finora. 6.5. Posizionamento organico di un blog di cucina La cucina, in special modo il food blogging, è un altro settore iper competitivo, interessato dalla presenza di operatori (più spesso operatrici) agguerriti e infaticabili, insomma la cucina sul Web è un lavoro per gente tosta, lo prova il fatto che, per qualunque piatto tu possa cercare la ricetta su Google, troverai immancabilmente le prime 10 SERP piene zeppe di articoli più o meno curati da 100 blogger in perenne competizione all’ultimo sangue, anzi, all’ultimo schizzo di pomodoro!
Se vuoi sviluppare un blog di cucina, ti consiglio innanzitutto di progettarne uno NON GENERICO. Lascia perdere l’idea di mettere in piedi un sito web che possa competere per TUTTE le ricette di cucina già presenti su internet, a meno che tu non disponga delle risorse per fare concorrenza a siti come Giallozafferano, quindi collaboratori, set e apparecchiature per foto e video professionali, un solido reparto IT e un sacco di tempo. Ragiona piuttosto su come sviluppare un sito che affronti e approfondisca un tipo di cucina molto specifico, quindi cerca una nicchia, cioè un segmento da presidiare con forza. Ad esempio, potresti sviluppare un progetto web sulle ricette per i vegani crudisti, che non solo non consumano carne né prodotti di origine animale, ma non ingeriscono alcunché sia stato riscaldato a una temperatura superiore ai 41°C. Ti accorgerai che anche qui c’è una discreta competizione, ma come diceva sempre mio nonno, un vincente è colui che combatte solo le battaglie che sa di poter vincere. 6.5.1. I blog di cucina e le tassonomie Non è un caso che quando nel capitolo sull’ottimizzazione SEO ho fatto un esempio di categorizzazione, abbia tirato in ballo proprio categorie e tag di un ipotetico blog di cucina. In questo genere di siti web è particolarmente importante creare solidi livelli tassonomici rispettando la regola aurea della SEO, quindi, per capirci, dovremmo fare in modo da non far comparire una categoria secondi piatti sia come livello principale che come sotto categoria di ricette per le feste, piuttosto sarebbe meglio avere una classificazione di tipo ORIZZONTALE, contrassegnando magari l’agnello al forno, che si trova nella categoria secondi piatti e nella sotto categoria secondi di carne, con il tag ricette per le feste, che sarà associato anche ad altri piatti come primi e dolci, che pure appartengono a categorie differenti. In questo modo avremo messo a posto l’ottimizzazione di tutti i contenuti aggregati evitando duplicazioni.
6.5.2. L’ecosistema dei foodblog Uno dei motivi per cui Giallozafferano è giudicato da Google il sito web più affidabile nel settore cucina sta nel fatto che è strutturato come un autentico ECOSISTEMA DI BLOG, dal momento che chiunque può aprirvi in pochi minuti il proprio spazio personale su piattaforma WordPress messa a disposizione dal portale e cominciare a pubblicare le proprie ricette. Questa strategia è vincente sotto tre punti di vista: 1.in poco tempo (e gratis) hanno ottenuto una volumetria di contenuti molto ampia su piattaforme di loro proprietà, tutte con link alla homepage 2.i blog di cucina su Giallozafferano sono gestiti su terzi livelli (blog.giallozafferano.it/nomeblog) in modo tale da evitare che le ricette duplicate interferiscano come duplicazioni rispetto a quelle presenti sul sito principale 3.si sono innescare importanti dinamiche di interazione tra i blogger ospitati sulla piattaforma. 6.5.3. Non mangiare mai da solo… … non è solo il titolo di un importante libro di KEITH FERRAZZI su come utilizzare le relazioni per raggiungere i propri obiettivi, ma anche un consiglio che in questo caso più che in altri mi sento di dare se sei un foodblogger interessato alla visibilità sui motori di ricerca (e non solo). Mi dirai, ma che c’entrano le relazioni con la SEO? Ti risponderò semplicemente che, se non hai ancora compreso il reale impatto delle relazioni sui motori di ricerca, è arrivato il momento che ti svegli, perché titoli, intestazioni e tag da soli non ti porteranno lontano a meno che non lavori su SERP senza concorrenza. Se guardi i primi risultati di posizionamento per le ricette di cucina più ricercate, noterai la presenza di numerosi commenti, molti dei quali vengono inseriti da altri foodblogger che rientrano nella fascia amici/competitor. Questa rete di commenti, spesso contenenti link ai singoli foodblog, rappresenta il tessuto digitale delle relazioni e dello scambio tra siti web che trattano gli stessi argomenti. Non è questione di passaggio o meno di Page Rank, lascia perdere la SEO intesa in termini tradizionali, qui parliamo di networking che tradotto letteralmente significa LAVORARE A RETE, quindi
costruire o facilitare una serie di dinamiche per le quali si percepiscono gli altri e soprattutto SI VIENE PERCEPITI come una parte di un tutto organico. Nello specifico, rispetto ai blog di cucina, per “entrare” nella rete di relazioni, suggerisco spesso di riprodurre le ricette più particolari create da foodblogger famosi e mostrargliele attraverso un commento sul loro blog o taggandole su Google+, chiedendo loro di esprimere un giudizio o eventualmente di fornire suggerimenti per migliorare ancora. È un buon modo per migliorare imparando dai migliori, ma anche per fare amicizia e intessere relazioni, non trovi? 6.5.4. Prima dei link, pensa alle ricette Qual è la strategia più efficace per migliorare il posizionamento di un sito web di ricette di cucina? In effetti pochi settori come la cucina presentano interessi così diversificati per singole ricette all’interno di una stessa categoria. Se in molti casi, infatti, è meglio ottimizzare la sitemap assegnando una priorità maggiore alle categorie o ai tag e una inferiore ai singoli contenuti, per i foodblog, al contrario, possiamo dire che le ricerche vanno più nella direzione degli spaghetti alla puttanesca che in quella generica dei primi piatti, vale a dire che i contenuti sono prioritari rispetto alle categorie che li contengono. Certo, ottenere un buon posizionamento con la categoria primi piatti è un bene, perché fortifica nel tempo tutti i contenuti che si trovano al suo interno, ma se la maggior parte delle ricerche degli utenti riguarda le singole ricette, che sono un’infinità, è su quelle che dobbiamo concentrarci, prima e di più rispetto a qualunque altra strategia di visibilità offpage. Di seguito un elenco di consigli da applicare alla redazione di ogni singola ricetta: 1. RIPETI PIÙ VOLTE NEL TESTO IL NOME DELLA RICETTA, senza forzare troppo la mano. Ricorda che il lavoro di un buon SEO copy non si vede. Lega ogni ripetizione del nome della ricetta a un significato diverso e pertinente con la ricetta stessa 2.non limitarti a descrivere gli ingredienti e le modalità di preparazione, ma RACCONTA UNA STORIA inserendo elementi di contorno pertinenti e rilevanti. La modalità storytelling, oltre a intercettare traffico, stimola l’interazione e la condivisione 3. INSERISCI UN’ALLOCAZIONE DI DIRICHLET nel testo della ricetta, sfruttando il modello che ti ho descritto nel capitolo sulla semantica. Per sviluppare buone allocazioni basterà inserire nella descrizione della ricetta una parola
chiave pertinente, non rilevante e ad elevato volume di ricerca: ad esempio, puoi parlare del gelato alla fragola mentre descrivi la preparazione del gelato al limone, magari mettendoli a confronto rispetto agli aspetti nutrizionali o dietetici 4. INSERISCI OTTIME FOTOGRAFIE per tutti i passaggi. La prima fotografia deve essere quella della ricetta pronta, il cui titolo, alt-text, descrizione e didascalia devono essere ottimizzati con il nome della ricetta, mentre le altre immagini possono avere nomi contenenti il numero del passaggio 5. CREA LINK INTERNI NEL TESTO DELLA SINGOLA RICETTA che puntino a categorie correlate. In questo modo consentirai agli utenti una navigazione più completa e terrai bassa la frequenza di rimbalzo 6. MOSTRA PER OGNI ARTICOLO LE RICETTE CORRELATE, facendo in modo che siano rispettati buoni livelli di pertinenza. Per ottenere questo risultato devi avere tassonomie solide 7. STRUTTURA IL BLOG CON I MICROFORMATI per le recensioni e per l’immagine in evidenza. Come abbiamo visto, i rich snippet non migliorano direttamente il posizionamento di un sito web, ma possono influire sul tasso di apertura in SERP e quindi dare indirettamente a Google l’informazione che quel contenuto è ritenuto migliore dagli utenti. 6.5.5. Indovina chi viene a cena Non puoi pensare di coltivare sempre solo il tuo orticello, per quanto nel curare l’orto non ci sia niente di male, e io certo ne so qualcosa. Nel caso di un foodblog, come per qualunque altro sito si muova in regime di concorrenza spietata, è sempre una buona idea coinvolgere altri a partecipare al tuo blog offrendo spazio sul tuo sito. Una buona idea sarebbe ospitare ricette di altri foodblogger, già, un’ottima idea, ma perché dovrebbero regalartene una? Se ti sei già posto questa domanda è perché probabilmente sai che chi cura un foodblog in modo professionale “sforna” nuove ricette con una velocità impressionante e sarebbe uno spreco di tempo prezioso regalartene una, a meno di non avere un tornaconto, cioè a meno che il tuo sito non fosse già molto popolare, quindi in condizione di garantire una buona visibilità al guest post. Nel malaugurato caso in cui il tuo sito web non abbia ancora raggiunto un livello di popolarità tale da essere appetibile per un guest post da parte di altri foodblogger, ti consiglio di aprirti alla divulgazione di informazioni riguardanti varie figure pertinenti al mondo del food, attraverso il modello
dell’INTERVISTA. Seleziona wineblogger, cake designer, professionisti del catering o anche wedding planner ed essenzialmente cerca foodblogger, i migliori nel loro campo, ma soprattutto quelli più “social”, vale a dire i più avvezzi alla discussione online, quelli dotati di un loro pubblico di follower, e proponi loro una semplice intervista da pubblicare per iscritto sul tuo blog. A patto di non avere un blog vuoto, ma di aver già sviluppato nel tempo un discreto volume di articoli (nessuno ti rilascerà un’intervista per un sito web che sembra sia appena stato realizzato) e a patto di non presentarti come un troglodita o peggio come un foodblogger “arrivato” quando non lo sei, ti garantisco che troverai quasi sempre le porte aperte e tanta disponibilità. Queste interviste sono importanti, perché solitamente chi te le rilascia tenderà a condividerle sui propri canali, regalando al tuo foodblog vagonate di traffico da indirizzare verso le ricette a patto ovviamente di avere un sito che funziona bene in tal senso. Da qui in avanti sarai “entrato” nella considerazione del tuo pubblico di riferimento e in molti casi saranno stati proprio i tuoi colleghi a darti una mano. Ricorda solo una cosa però: offrire visibilità agli altri è un ottimo modo per ottenerne a tua volta, ma quando sarai sulla piazza sarà sempre la qualità del tuo lavoro “ai fornelli” da un lato ed editoriale dall’altro a fare la differenza. La cura in quello che fai, la costanza nella pubblicazione e la pazienza, unitamente a un buon progetto nel caso di un foodblog come in altri che vedremo, faranno la differenza tra un sito di successo e uno tra i tanti passatempi da casalinga annoiata. 6.6. Posizionamento organico di un blog personale La vita del blogger la conosco molto bene perché la conduco da un po’, con enormi soddisfazioni. Quella che sto per raccontarti è la storia di Seogarden. Lo faccio perché è l’esempio migliore che conosco rispetto a come partire dal niente e arrivare a farsi conoscere in tutt’Italia per il proprio mestiere. Ogni tanto sento dire che il blogging ormai è morto, tanto quello personale quanto quello aziendale. Bene, sono più che convinto (e ne ho le prove) che chiunque sostenga questo, in realtà non abbia ancora capito come si tiene un blog, ragion per cui ora voglio stringere un patto solenne con te: fai tutto quello che ti dirò nel prossimo paragrafo e ti prometto che nel giro di un anno il tuo blog sarà considerato un punto di riferimento a livello
nazionale rispetto agli argomenti che tratta. Sono sereno nel dirlo, se farai “esattamente” tutto quello che ti dirò, sarai condannato al successo, sei pronto? 6.6.1. Seogarden: storia di un blog (e di un grande amore) Dopo aver trascorso circa 4 anni della mia vita a testa bassa, imparando questo mestiere nell’unico modo veramente valido che conosco, cioè commettendo errori, un giorno decisi di pubblicare un blog destinato ad accogliere le mie riflessioni e i riscontri sia teorici che pratici sulla mia attività. Progettai il blog in estate, ci misi un mesetto. Nell’agosto del 2011 Seogarden andò online con un primo articolo descrittivo della linea editoriale che avrei tenuto e con una prima categorizzazione che più o meno funzionava così: SEO ♦ scrittura per il web ♦ social media marketing ♦ viral marketing. ♦
Trascorsi i due anni successivi pubblicando occasionalmente articoli su quello che avevo da dire, quando avevo qualcosa da dire. Ero quindi incostante, col senno di poi direi approssimativo. Mi piaceva tenere un blog, lo usavo sia come mezzo per raccogliere le idee, sia come canale per rapportarmi con altri colleghi o con i miei primi allievi, ai quali spesso destinavo approfondimenti didattici sotto forma di articoli. Ok, era bello, ma non facevo più di 50 o 60 visite al giorno, come si dice, “in discesa e col vento a favore”. Nessuno mi contattava per richiedermi una consulenza o per affidarmi un incarico. A queste condizioni, era praticamente poco più che un blog di servizio, lontanissimo dall’esprimere il suo potenziale. All’inizio del 2013 devo aver preso una botta in testa o, come ho scritto all’inizio del libro, devono avermi rapito gli alieni. Un giorno, mentre lavoravo, mi vennero in mente tutti i SEO migliori che avevo incontrato di persona o con i quali avevo comunque avuto a che fare, ma anche semplicemente quelli che seguivo per le cose che scrivevano e grazie ai quali avevo imparato il mio mestiere.
Creai una lista che, per quanto ne sapessi, era la mia personale classifica, in ordine rigorosamente alfabetico (per nome) dei migliori professionisti presenti nella comunità a cui appartengo. Ci misi dentro una trentina di nomi tra i SEO per i quali nutro la più profonda stima professionale, dopodiché lanciai la bomba, semplicemente condividendola su Facebook. Quella pagina ricevette oltre 70 commenti sul sito (commenti Facebook) da parte di SEO che mi ringraziavano per essere stati listati, da chi si era offeso per non essere presente e da chi raccomandava l’inserimento di nomi che non potevano mancare. Insomma, un putiferio che per me si rivelò un’ottima occasione di interazione con il “gota” della SEO italiana… che tu ci creda o no, volevo solo manifestare la mia stima per questo mondo che mi ha dato così tanti ottimi spunti di riflessione, molti dei quali vanno ben oltre il lavoro di un SEO in senso stretto. APRITI CIELO!
Nelle settimane successive alla redazione della lista feci due cose, entrambe importantissime: contattai tutti quelli che avevo menzionato (ma anche tanti altri) e chiesi a ognuno di loro di concedermi un’intervista per iscritto, perché volevo realmente approfondire la loro conoscenza e scoprire i loro punti di vista su tante cose ♦ stabilii che Seogarden avrebbe avuto una cadenza di pubblicazione molto più regolare. Se volevo creare un vero contatto con i miei lettori, non potevo pubblicare solo quando ne avevo voglia. ♦
Più o meno da aprile 2013, Seogarden ha pubblicato ogni lunedì mattina un’intervista a un ottimo SEO, mentre ogni mercoledì e venerdì un articolo di natura tecnica esclusivamente sulla SEO. Avevo altre categorie sul blog ma le lasciai stare, continuando a dedicarmi solo all’ottimizzazione per i motori di ricerca e agli aspetti SEO della scrittura per il web, la SEO copywriting. Il blog divenne quindi molto più orientato che in passato. Studiavo. Le mie giornate divennero completamente centrate sugli obiettivi conoscitivi che sapevo sarebbero diventati articoli. Smisi di occuparmi d’altro che non avesse a che fare direttamente con le SERP di Google. Pubblicavo
riscontri di lavori che sviluppavo per i clienti, esperimenti e considerazioni. Teorizzavo possibilità. Non mi interessava più di tanto riportare le news che arrivavano dai SEO blog americani, un po’ perché c’erano (e ci sono) già tanti ottimi blog italiani che fanno benissimo questo lavoro, ma soprattutto perché Seogarden era la mia voce, il mio punto di vista, il mio modo di fare SEO, spesso diverso da quello di tanti.
Trascorsi sei mesi senza mai interrompere questo ciclo. Questo, ricordalo, è importantissimo! Dopo questo periodo, le visite al mio blog erano passate mediamente da 60 a 100 al giorno. Non è che la situazione fosse tanto cambiata, cioè sì, in effetti era già tutto cambiato, solo che io ancora non lo sapevo, perché guardavo ancora analytics e non mi rendevo conto che nel frattempo succedevano due cose: 1.ogni intervista SEO che pubblicavo veniva condivisa sui canali social e letta dai follower del SEO che avevo intervistato 2.stavo creando un’abitudine tra i miei lettori, quella di leggere le INTERVISTE SEO che pubblicavo. C’erano persone in tutt’Italia che ogni lunedì mattina sapevano di trovare sul mio blog una intervista a un grande professionista che magari non conoscevano. Ero diventato un canale di approfondimento tematico, “l’intervistatore dei SEO”. Contava moltissimo, anche se non me ne rendevo conto, perché mi dava un connotato tale da essere immediatamente riconoscibile tra tutti. Poi un bel giorno, qualcosa accadde… La maggior parte delle riflessioni che pubblico sul mio blog riguarda gli studi
condotti sulla semantica applicata alla SEO, per alcuni una nuova frontiera, per altri solo baggianate o “roba vecchia” nella migliore delle ipotesi. Fatto sta che una mattina decisi di condividere su Google+ un articolo in cui descrivevo un esempio concreto di applicazione di un algoritmo che ho sviluppato a partire dalla teoria dell’indicizzazione semantica latente, una tecnica che ho spiegato nel capitolo sulla semantica. Nel post e nei commenti che si generarono inserii come tag il nome di diversi ottimi professionisti italiani in area search marketing insieme all’hashtag #SEO. Ne nacque uno dei dibattiti più accesi nella storia della SEO italiana, con i migliori professionisti che per due giorni interi quasi non lavorarono per discutere in parte del mio articolo, in parte di dinamiche interne alla nostra comunità. Se ti avanzano tre o quattro ore, dai un’occhiata a quella discussione, perché è un bello spaccato della SEO italiana, con le sue dispute e le tante contrapposizioni. Quel giorno avevo fatto molto più che innescare una discussione: avevo ridotto in frantumi il famoso vaso di Pandora, che si dice contenga tutti i mali del mondo, entrando di fatto nella considerazione degli influencer in ambito SEO. Ricordi l’ormai storico discorso di STEVE JOBS ai giovani neolaureati dell’università di Stanford? Jobs disse che spesso non è possibile sapere quali saranno gli effetti di ciò che stiamo facendo oggi su ciò che ci accadrà in futuro, ma che solo in seguito, a cose fatte, puoi UNIRE I PUNTINI e scoprire che anche quello che ti sembrava immediatamente infruttuoso ti sarebbe tornato utile. Ecco, io non sapevo bene dove mi avrebbe portato curare per un anno il mio blog con tanta tenacia e senza sosta, sentivo solo che era la cosa giusta da fare. Nessuno mi aveva chiesto di farlo, è che proprio lo sentivo. Solo in seguito infatti, riflettendo su quello che era successo quel giorno, pensai che le occasioni, quelle importanti, quelle dove te la puoi giocare, non sono frutto del caso, ma il prodotto di quello che desideriamo nel tempo più o meno consapevolmente. Siamo quello per cui ci spendiamo, quello che curiamo, quello che proteggiamo. Piaciuta la storia? So a cosa stai pensando. Cosa c’entra la SEO con quella che sembra a tutti gli effetti una strategia social di personal branding? Bene, è arrivato il momento di parlare di author rank, una volta per tutte.
6.6.2. L’importanza dell’author rank nella SEO
In precedenza sull’author rank ho scritto che Google cerca di racimolare tutte le informazioni possibili su CHI scrive cosa, in modo da determinare l’importanza di un documento web anche sulla base della sua fonte. Le persone lo fanno, lo fa anche Google. Certo Google+ è stato utile in questo senso perché ha consentito al colosso di Mountain View di ottenere tante informazioni personali, preziosissime per la profilazione degli utenti a scopo pubblicitario. Non è solo G+ a fornire a Google le indicazioni utili a definire il parametro “rank autore”, ma tutto concorre, soprattutto il livello di percezione che “certi” utenti hanno di te come autore in un campo specifico. In altre parole, scrivere 1.000 articoli sulla SEO non ti rende un autore “quotato” in quell’ambito, quanto scriverne uno solo che però ingaggi l’attenzione di 30 tra i SEO più seguiti portandoli a interagire con quell’articolo. Quando questo accade, Google riconosce un plus valore molto alto a quel contenuto e complessivamente agli articoli scritti dal suo autore. In sostanza la sociologia da bar ci insegna che appartieni ad un gruppo non solo quando ti percepisci parte del gruppo, ma anche e soprattutto QUANDO VIENI PERCEPITO dagli altri membri del gruppo come parte di esso. Possiamo dire a questo punto che esiste una correlazione tra le interazioni degli utenti sugli articoli di un autore e il posizionamento di quegli articoli (e degli altri) dello stesso autore, a patto che Google riconosca che gli utenti che interagiscono sono a loro volta AUTORI INFLUENTI rispetto allo stesso argomento. Se quindi un articolo ottiene 100 commenti da parte di utenti “qualunque”, il rank autore del blogger non ne verrà gonfiato, ma se lo stesso autore riceve 10 commenti da parte di altri blogger autorevoli nello stesso campo, Google riceverà un segnale importante ed estremamente determinante in termini di ranking.
Se quindi per te l’author rank non è un fattore di ranking rilevante, o peggio non esiste, prova a riconsiderarlo nei termini descritti. Google è pieno di esempi, soprattutto nel mondo SEO, di pagine web che ottengono ottimi posizionamenti sfruttando l’interazione degli autori “forti” come descritto. L’author rank si sviluppa attraverso questi meccanismi e si riverbera sulla credibilità effettiva di un autore agli occhi di Google. Quanti più articoli sul tuo blog (o tuoi post sui social network) ottengono livelli di interazione simili, tanto maggiore sarà la considerazione di Google nei tuoi confronti come autore. Tornando al mio racconto di prima, tutto quel lavoro di pubblicazione tra articoli e interviste era servito a darmi quel tanto di visibilità necessaria a non passare come un perfetto sconosciuto agli occhi di chi si è ritrovato a vedere il mio articolo su Google+ commentato dai migliori SEO italiani. Non dico che non lo avrebbero commentato se non gli fossi stato già familiare, dico solo che il mio essere FACCIA CONOSCIUTA, unitamente a un articolo discreto, quel giorno riuscì nell’obiettivo di smuovere le acque. È esattamente questo il legame ormai importantissimo che c’è tra il mondo SEO e i social network. Un’ulteriore conseguenza della visibilità che ottenni quel giorno fu che si innescò un meccanismo per il quale tanti giovani SEO cominciarono a spulciare il mio blog, che nel frattempo aveva una marea di articoli, per fortuna trovandolo interessante al punto da cominciare a LINKARLO SPONTANEAMENTE tra le risorse SEO. I link, quelli buoni, li ricevi alla fine, dopo mesi di lavoro. Quando arrivano subito, c’è qualcosa che non va. Vale per la SEO e per il resto. 6.6.3. Google Authorship È, o dovrei dire piuttosto “era”, un escamotaggio (si sarebbe detto in altri tempi) per creare un LEGAME DI PATERNITÀ tra un autore e gli articoli che scrive. Devi creare un account Google+ e nelle informazioni utente devi aggiungere il sito di cui sei autore. Il passaggio successivo è inserire un link in posizione sitewide all’account Google+, magari nel footer del tuo sito. Quando avrai quindi creato questo tipo di legame a due vie tra sito e account G+, otterrai l’authorship, cioè appunto il riconoscimento del fatto che sei l’autore di quegli articoli. Una volta l’authorship si vedeva in SERP accanto al risultato, come immagine raffigurante l’autore e/o il suo nome. Oggi non ci sono più
riferimenti visibili all’authorship. Da Google dicono che non viene più presa in alcuna considerazione. Io ci credo, ma non del tutto… Gli articoli dotati di authorship non ottengono posizionamenti migliori rispetto agli altri. Non è l’authorship, ma l’AUTHOR RANK a fare la differenza. Semmai per Google può essere utile avere conferma che sei proprio tu l’autore di quegli articoli, ma per migliorarne il posizionamento, deve ricevere segnali del fatto che tu sia effettivamente un autore affidabile rispetto a quello che scrivi. L’authorship va quindi definita, ma è solo il primo passo. È mia opinione che Google raccolga ovunque tutti i segnali intesi per lo più come MENZIONI, allo scopo di definire il PESO dell’entità nome e cognome rispetto ad una o più aree tematiche.
Riccardo Scandellari
SE E COME LO SVILUPPO DEL PERSONAL BRANDING ONLINE IMPATTA SUI MOTORI DI RICERCA Una delle cose che facciamo dopo aver pubblicato un sito o un blog personale è verificare se, digitando il nostro nome e cognome, appariamo tra i primi risultati di Google. Potrebbe sembrare un esercizio narcisistico ma non lo è, perché è proprio quello che farà chiunque sarà interessato a noi dal punto di vista professionale. In questi ultimi mesi ho collaborato alla ripulitura delle SERP per conto di alcuni professionisti che non volevano apparivi con vicende non inerenti alla loro professione. La prima cosa che ho consigliato è stata di aprire un blog personale, con un dominio a loro nome e cominciare a postare notizie riguardanti il loro lavoro e le iniziative pubbliche a cui prendevano parte. Avere un dominio e un blog a proprio nome, costantemente alimentato (tranne nel caso non siate omonimi di un personaggio molto famoso che abbia già provveduto a fare la stessa cosa), dovrebbe garantirvi nell’arco di pochi mesi le prime posizioni nelle ricerche digitando il vostro nome e cognome. In secondo luogo, essere presenti con un proprio profilo su Google+, LinkedIn, Twitter e sulle altre principali piattaforme sociali farà sì che verranno popolate le SERP nelle ricerche che vi riguardano, in modo da mantenere il controllo di quello che risulterà di voi. È cosa nota che, nella gran parte delle ricerche, gli utenti non si spingono oltre la prima pagina. Quello che abbiamo visto è volto ad ottenere un controllo sulla nostra reputazione nelle ricerche; se vuoi andare oltre, ti consiglio di intraprendere un’azione di valorizzazione della tua immagine attraverso i contenuti del tuo blog personale: se riuscirai a comunicare in modo efficace e convinto che sei abile nella tua professione, attraverso un buon piano editoriale, potrai crearti una vera identità online, supportata da una community di persone che ti stimerà. I segnali sociali sono stati materia molto controversa tra i professionisti della SEO: alcuni ancora oggi non sono convinti che maggiori conversazioni su un determinato post o blog influiscano sul posizionamento dello stesso. Personalmente, sono di opinione opposta; i social signal a mio avviso influiscono decisamente sul posizionamento: lo noto con molti post sui blog in cui scrivo; ma, se anche non dovessero avere valore, ritengo che la loro presenza aiuti la conversazione e la citazione da parte di altri blogger che, entrando nella discussione, rilanciano l’articolo con benefici link in ingresso. Operazione decisamente più complessa è quella di indicizzarsi non solo attraverso il tuo nome, che abbiamo visto essere relativamente semplice, ma attraverso le parole chiave che rappresentano la tua professione. Poniamo il caso che ti occupi di liuteria: se, oltre al tuo nome sarai posizionato come “riparazione violoncelli” o “vendita contrabbassi” i benefici alla tua professione saranno decisamente più consistenti. Essere trovati è meglio che inseguire i clienti. Quando un possibile acquirente troverà un post in cui dimostrerai la tua
capacità professionale e leggerà le informazioni del tuo profilo, avrai un vantaggio notevole rispetto alla concorrenza. Egli, chiedendoti un preventivo, non avrà dubbi sulla tua capacità e, a quel punto, si tratterà solo di accordarsi su tempi e costi, una strada in discesa. Sono molti che, aprendo profili sui maggiori social network, ritengono possano sostituire un blog a livello comunicativo e promozionale. Si sbagliano: il blog deve essere al centro della comunicazione e del proprio personal branding. Colori, layout, struttura, possibilità di ottenere iscrizioni alle newsletter e attività promozionali non sono possibili su piattaforme di cui non abbiamo il controllo e per cui noi siamo il prodotto e i clienti dello stesso.
6.6.4. Coltivare gli obiettivi Bello tenere un blog personale sulla tua attività, fino a quando non ti rendi conto di cosa vuol dire in realtà essere un blogger. Devi pubblicare dai 2 ai 6 articoli la settimana PER TUTTA LA VITA, come se te l’avesse detto il medico. Non è uno scherzo. Per i primi mesi, nonostante tu stia facendo tutto bene, non succede niente. È normale. Devi andare avanti a testa bassa, perché il blogger non è un centometrista, ma un maratoneta! Di seguito una check list delle priorità.
UNIQUE SELLING PROPOSITION Individua un argomento molto specifico, all’interno del quale sviluppare al massimo un solo aspetto in modo iperspecialistico. Puoi chiaramente trattarne altri, ma devi puntare a distinguerti per un connotato unico.
CADENZA Pubblica sempre negli stessi giorni alla stessa ora. È il primo passo per creare un’abitudine nel tuo pubblico.
RUBRICHE Il secondo passo per costruire il tuo pubblico di follower è creare degli appuntamenti mirati. Ad esempio, i tuoi utenti devono sapere che ogni giovedì alle 4 del pomeriggio pubblicherai la recensione di un software.
COINVOLGI ALTRI Un blogger può individuare professionisti nello stesso campo o in campi complementari e coinvolgerli come ho fatto io con un’intervista o magari ospitando un loro guest post. Ad esempio un fotografo potrebbe creare articoli in cui descrive il lavoro di un wedding planner di cui ha stima o di un flower stylist o ancora di un personal shopper, quando non proprio di un altro fotografo, anche concorrente. Una cosa molto importante, è comprendere la differenza tra un contenuto di QUALITÀ e un contenuto UTILE, argomento che abbiamo affrontato nel capitolo sulla semantica. Qui mi preme rimarcare la stessa differenza in altri termini, non meno importanti. Un contenuto di qualità è curato, completo, circostanziato. Di base è un testo ricco ed esauriente circa un argomento. Un contenuto utile, invece, può anche non essere di qualità, ma risponde a interrogativi inevasi dagli altri siti che trattano gli stessi argomenti. In qualità di blogger, sei uno scrittore seriale, quindi scrivi tanto. Ricorda che tanti articoli utili non fanno solo il loro posizionamento, ma anche quello della categoria che li contiene e complessivamente dell’intero progetto web. Non è quindi solo questione della chiave principale che individui per concorrere con gli altri blog sulle stesse SERP, ma c’è una partita importante, che si gioca sulle INTENZIONI DI RICERCA, sui topic che le identificano. Una partita fatta di osservazione costante che ti costerà impegno e concentrazione. One last thing. Questa è la condotta da tenere per essere visibili. Ricorda che per diventare una fonte trust devi essere una risorsa VALIDA e dire fondamentalmente cose sensate. Inutile coltivare la tua reputazione se non ne hai una. 6.7. Posizionamento organico di un sito web aziendale Ogni anno nel mondo vengono messi online migliaia di siti web aziendali brutti come poche cose al mondo. Questo disastro va evitato. #fermavamoli. Non è solo una questione estetica o formale. Gli utenti non ne possono più della stock photo raffigurante la ragazza con il microfono ad archetto nella pagina contattaci, non ne possono più dei company profile in cui c’è scritto “azienda tra i leader nel settore che ha conquistato il mercato creando varie sinergie con altri operatori affermati”, non ne possono più della sezione blog aggiornata a quando il presidente del consiglio era Prodi.
Si dice a tal proposito che i corporate blog non funzionano, quello che però non si dice è che andrebbero curati come ho descritto nel paragrafo precedente. Gli utenti hanno paura anche solo ad aprirli, questi obbrobri, perché non c’è un solo elemento in questi siti web che accrediti realmente un’azienda ai loro occhi. È arrivato il momento di fermarci un secondo e riflettere su cosa fa davvero la differenza tra un sito aziendale di successo e uno del tipo “vorrei ma non posso”. Non è questione di investimento, piuttosto di comunicare la credibilità. 6.7.1. Come rendere credibile un sito web Partiamo sempre dal presupposto che Google funzioni, cioè che mostri i migliori risultati a partire delle ricerche degli utenti. Se riflettiamo sul concetto di “migliore”, possiamo facilmente immaginare la risorsa più utile o quella di maggior qualità, ospitata sul sito più “credibile”. Ok, per la qualità e l’utilità è tutto chiaro, ma per essere credibile, tanto agli occhi degli utenti quanto per il motore di ricerca, Come devi curare un sito web? La riposta a questa domanda l’ho già affrontata in un articolo pubblicato su Seogarden il 4 luglio 2014 che vi ripropongo per comodità. Nell’era digitale la credibilità sul web è importantissima. Gli studi su come rendere credibile un sito web vanno di pari passo con quelli sulla web usability. Vediamo quali sono i principali parametri e come migliorarli. La premessa è che se rendiamo il nostro sito credibile agli occhi degli utenti, potremo giocare sul fatto che Google spesso è un po’ pigro e tende a favorire con un buon posizionamento i contenuti web pubblicati su siti web di cui ha fiducia (trust) anche indipendentemente dal fatto che tali contenuti siano effettivamente i migliori in assoluto a descrivere un argomento specifico. La credibilità è uno degli elementi che influenza il famoso TRUST RANK.
CHI SCRIVE È importante che l’autore del sito sia un’azienda o una singola persona affidabile. Una singola persona affidabile è un autore che Google conosce già, perché si occupa di una singola materia interagendo con altri autori noti nello stesso settore che a loro volta lo percepiscono come autorevole. Per Google, come per la teoria dei gruppi sociali, sei autorevole quando altri autori referenziati ti percepiscono come tale commentando i tuoi articoli e menzionandoti sia su blog di settore che sui social network. Quando ciò avviene a livelli importanti, si verifica un riverbero in SERP per i contenuti “autorevoli”. In questo senso è l’author rank a influenzare il ranking in SERP. Un’azienda affidabile si vede da alcuni fattori di base come: 1.partita Iva nel footer (banale ma molti non ce l’hanno) 2.dati societari (iscrizione camera di commercio, n. REA) 3.numero di telefono possibilmente fisso 4.sede fisica localizzata con Google Business. PERCHÉ SCRIVE
È importante dichiarare nella massima trasparenza le proprie intenzioni: 1.vuoi vendere prodotti o servizi? 2.vuoi informare per informare? 3.vuoi informare per vendere qualcosa? 4.vuoi posizionare siti appartenenti a terzi? Spesso i siti web sono online con una finalità inespressa, cioè sembrano avere un obiettivo e invece ne hanno un altro. Questo può essere controproducente perché Google è progettato per funzionare come un utente un po’ pigro ma non stupido. Quando dico che le persone non sono stupide intendo dire che possono essere fregate anche sistematicamente, ma non per sempre. La cosa da fare è dichiarare sempre le VERE finalità di un sito web nei contenuti istituzionali, così come le VERE finalità di ogni articolo. Proviamo a dirla tutta, senza nasconderci.
COSA SCRIVE Anche entrando nel merito dei contenuti si può e si deve essere credibili: 1.non usando stock photo ma mostrando immagini proprie 2.pubblicando sul sito video del processo di produzione 3.tenendo un blog interno aggiornato 4.pubblicando contenuti che mancano sui siti concorrenti. Se ci pensi è quello che cerco di fare da tempo nel mio piccolo su Seogarden: pubblico immagini originali e video in cui mostro le mie tecniche (certo, quando posso) e curo un blog che pubblica articoli il cui contenuto talvolta manca negli altri siti di settore, talvolta rischiando di finire linciato sulla pubblica piazza. Questo ragionamento quindi è importante tanto per i singoli blogger come me quanto per le aziende sul web.
QUANDO SCRIVE La cadenza di pubblicazione e l’aggiornamento sono fattori di credibilità: 1.aggiorna i contenuti istituzionali 2.crea nuove gallery immagini/video 3.pubblica articoli con cadenza periodica 4.pubblica contenuti attuali. La credibilità si costruisce nel tempo e il fatto di essere costanti, soprattutto quando di mezzo c’è un blog, ma non solo, è un impegno importante in questa direzione. Se pubblichi un sito web e poi lo lasci là, per quanti amici importanti tu possa vantare, la rete non ti reputerà mai credibile, viceversa il lavoro profuso nel tempo in termini di pubblicazione, revisione e aggiornamento dei contenuti ti farà crescere in modo lento ma inesorabile. Non è semplicemente un fatto legato alla volumetria complessiva di un sito, cioè alla quantità di articoli che pubblica. La web credibility è molto più di questo.
DOVE SCRIVE Per concludere, possono essere importanti nelle valutazioni sulla credibilità il tipo di estensione del dominio e il suo fattore d’impatto web (WIF)13 , ovvero la sua popolarità. Se è vero che il primo caso è un po’ sporcato dal fatto che le estensioni vengono scelte volentieri a casaccio, il WIF, che attiene alla frequenza con cui mediamente la pagina di un sito web ottiene un link da un altro contenuto della rete, può essere determinante. Si può riprodurre con la vecchia sana link building ma, come sai, resto convinto che i link buoni rimangono sempre i link guadagnati. Tutto qui. Ora la domanda nasce spontanea, il tuo sito web è credibile o stai lì per prendere in giro le persone? 6.8. Posizionamento organico di un’attività local Come avevo accennato nel capitolo sulla progettazione di una campagna SEO, sono molti i casi di attività che si affacciano sul web con la velleità di intercettare traffico diversificato non solo per tipologia di utenti, ma anche per area geografica. Potremmo considerare tre tipologie di query locali riassunte nei seguenti esempi. Query distale: hotel a Riccione Le query riguardanti le strutture ricettive contengono spesso il nome della località in cui si trovano. I siti di queste attività hanno interesse a farsi raggiungere da utenti che non risiedono nell’area geografica in cui è ubicata l’attività. Query prossimale: centro benessere In questo caso il nome della località, quindi la explicit location, manca, ma Google riconosce che la query è local (tra un po’ ti spiego come), infatti la SERP risultante sarà completamente diversa a seconda della città da cui si effettua la ricerca. In alcuni casi, in base al numero di centri benessere presenti in una data area, potresti trovare in SERP anche l’integrazione di Google Maps, quindi, sì, Google sa bene dove ti trovi in questo momento. Aggiungendo anche la località alla query il risultato è ancora più preciso, es. pizzeria a Roma. Query sia prossimale che distale: studio dentistico Anche in questo caso, come in quello precedente, manca la località, però la differenza è che non tutti i risultati in SERP sono relativi a studi dentistici
vicini alla tua posizione, puoi trovarne alcuni anche molto lontani. Alcune chiavi, pur essendo local, producono SERP come queste. Aggiungendo la località, la query diventa prossimale. È comprensibile che un professionista come un dentista in grado di attirare clienti da ogni parte, voglia essere visibile con la sua attività da qualunque punto d’Italia si effettui una ricerca che non contiene il nome della città, quindi senza explicit location, ma prima di metterci lì a riflettere su come produrre quest’effetto dobbiamo capire se il sito che sarà oggetto delle attività presenta le condizioni per essere visibile globalmente per query locali sia prossimali che distali, prive di nome città. Il lavoro dei QUALITY RATERS di Google rispetto alle ricerche locali è valutare le pagine web sulla base di parametri quali: intenzione di ricerca lato utente ♦ intenzione locale dell’attività ♦ intenzione non locale dell’attività ♦ località esplicita (espressa nella query o meno) ♦ prossimità con l’utente che effettua la ricerca. ♦
Il modo in cui un sito web si presenta rispetto a questi indicatori lo rende più o meno “papabile” per un posizionamento indipendente dall’area geografica da cui la ricerca viene effettuata. Sia un centro benessere che uno studio dentistico sono attività locali ma, come abbiamo visto, è più probabile che un centro benessere attiri un’utenza locale rispetto a uno studio dentistico, che invece, oltre all’utenza locale, potrebbe attirare utenti da regioni (o nazioni) diverse in virtù ad esempio del livello di specializzazione degli odontoiatri che ci lavorano. Rimane che, se cerchi su Google centro benessere, otterrai una SERP più orientata a mostrarti centri nella tua zona, mentre se cerchi studio dentistico, vedrai che tra i risultati geolocalizzati da Google spiccherà probabilmente qualche studio lontano anche centinaia di chilometri dal punto in cui ti trovi. Chiaramente questo non succede se alla query aggiungiamo il nome della località d’interesse. Sebbene alcuni SEO autorevoli sostengano che per chiavi come studio dentistico usciamo dalla local search, il mio punto di vista è che, fino a quando lavoriamo con query local, ci troviamo a operare in quell’ambito e con quelle logiche. La local search è più vasta di quanto possa sembrare.
6.8.1. Come faccio a capire se una chiave è local? Proprio per capire come comportarci sulle SERP interessate dalle ricerche locali, dobbiamo a monte capire quali chiavi sono local e come individuarle. Di questo ho già parlato in un mio articolo pubblicato su Seogarden il 20 agosto 2014. Ci sono due modi per verificare se una parola chiave ha impatto locale oppure no: 1.mettila in UBERSUGGEST: se le secondarie contengono spesso un nome di città, vuol dire che la maggior parte degli utenti affina la ricerca in questo modo. Sono quindi gli utenti a determinare il “localismo” di una keyword. Google ne prende atto e agisce di conseguenza 2.cerca ad esempio centro ortopedico su Google e successivamente clicca su Strumenti di ricerca (sotto la barra di ricerca): da lì puoi cambiare la città da cui effettuare la ricerca. Questo fa risparmiare parecchi soldi rispetto al biglietto del treno o d’aereo se vuoi verificare di persona. Quando una chiave è local peraltro, te ne accorgi anche dal fatto che genera spesso SERP in cui Google integra le mappe con la posizione delle attività più vicine al punto in cui effettui la ricerca. Esistono poi le chiavi solo PARZIALMENTE LOCAL, che a livelli differenti generano SERP più o meno diverse a seconda del grado di localismo nelle ricerche degli utenti, cioè in base al rapporto tra chiavi secondarie contenenti nome città e tutte le secondarie di una keyword. 6.8.2. Come farsi raggiungere fisicamente Nel paragrafo su come rendere visibile il sito web di una struttura ricettiva, ti ho detto che la prima cosa da fare è creare la pagina Google+ dell’attività collegata alla mappa da richiamare nel sito. Quest’accortezza riguarda tutte le attività interessate dalla local search. Proviamo a dire qualcosa in più, magari di buon senso. Perché un’attività locale sia “migliore”, quindi meritevole di un ranking elevato su Google, deve essere REFERENZIATA, vale a dire che deve ricevere tutti i segnali che ne descrivano e quindi ne supportino il valore. Per quanto riguarda le query solo prossimali e quelle solo distali, contano moltissimo la quantità e la qualità delle citazioni ricevute, le recensioni, i link e in genere tutti i segnali in ingresso alla scheda G+Local. Ormai Google prende molto in considerazione le grandi piazze in cui si
descrivono e recensiscono le attività local, quindi come abbiamo visto contano sempre tanto i vari TripAdvisor, Venere, Yahoo Answers, forum AlFemminile ecc., per citare due piazze digitali settoriali e due generiche. 6.8.3. Chiamiamolo Local Trust E per quanto riguarda le chiavi solo parzialmente local? Tranquillo valgono le stesse regole, perché siamo comunque in regime di local search, però la riflessione può essere ampliata. Noterai che alcuni siti tendono ad ottenere sempre buoni risultati di posizionamento anche quando sono presenti in SERP che cambiano completamente in virtù della località da cui si effettua la ricerca. Cambia la città, cambia la SERP, ma certi siti rimangono là. Ad esempio, se cerchi corsi web marketing da Napoli vedi una SERP, ma effettuando la stessa ricerca da Milano la SERP cambia molto. Quelli che sono presenti sia su Napoli che su Milano sono siti di cui Google ha molta fiducia, degli altri probabilmente meno. La domanda che dobbiamo porci allora è: “Come possiamo fare in modo che Google abbia fiducia nel nostro progetto?” Ottima domanda, visto che ci siamo ne faccio anche un’altra: cos’hai fatto finora per meritarti la fiducia di Google, cioè degli utenti? Hai pensato solo a prendere da loro o gli hai anche lasciato qualcosa? E se lo hai fatto, in che misura? Per me l’unica ricetta valida nel lungo periodo per ottenere un buon posizionamento sulle SERP local in regime di concorrenza elevata si sviluppa in tre passaggi, intorno ai quali puoi costruire la strategia SEO.
SVILUPPARE UN BUON PIANO EDITORIALE Che sia sul sito o sul blog aziendale deve seguire una logica ipertestuale, quindi con una buona struttura di link interni. “Buon piano” significa fatto di contenuti utili a cadenza regolare sviluppati per argomento. Banale vero? Lo hai fatto?
MENZIONARE ALTRI OPERATORI DI SETTORE Cercare sinergie con altri è un’ottima strategia per diventare visibili. Organizzare simposi, sviluppare anche piccoli business, spendersi per dare visibilità (a se stessi e) ai concorrenti, per quanto possa sembrare un’attività suicida si rivelerà un’arma estremamente potente per mostrare a Google che abbiamo le spalle larghe. L’importante è non chiudersi nel proprio circondario. INNESCARE LE MENZIONI SU SITI WEB ESTERNI
Le co-occorrenze di chiave di brand + chiave di ricerca o quelle impostate su algoritmi tipici della SEO semantica possono fare la magia di accreditarti su città diverse da quella in cui operi. Si tratta come sempre di dare ai tuoi utenti qualcosa per cui siano felici di menzionarti nei forum o sui blog. Dipende dal valore che profondi nel tuo lavoro e dalla pazienza che hai nel farlo. Unitamente a questo, non sottovaluterei l’ipotesi di ottenere recensioni G+ per la tua attività geolocalizzata da utenti residenti in diverse città. Oppure puoi fare link building come un pazzo e divertirti finché dura… 6.9. Posizionamento organico di un sito multilingua L’ultimo caso di cui voglio parlarti è quello della SEO in regime di internazionalizzazione. Occorre innanzitutto precisare che non sempre un sito web che viene realizzato in più lingue deve essere visibile su motori di ricerca esteri. È verosimile che ad esempio un imprenditore richieda la versione inglese del suo sito web per consentire ai suoi distributori americani di visualizzare i prodotti con le descrizioni nella loro lingua. La finalità è quindi tecnica, la SEO non c’entra. Quando invece un progetto ha le migliori intenzioni di essere visibile all’estero, deve essere sviluppato con accortezza, a partire da una serie di riflessioni. 6.9.1. Cosa non va nei siti multilingua Ricevo spesso richieste di consulenza SEO riguardanti siti web multilingua. La prima cosa che faccio (e la faccio sempre) è guardare l’indicizzazione attraverso il comando site: su Google. Quando già nella prima SERP dell’indicizzazione trovo contenuti amabilmente sparpagliati senza soluzione di continuità e sapientemente mescolati in lingue diverse, capisco che il bot nella migliore delle ipotesi non ci sta capendo
niente.
Questo succede molto spesso quando si usa un CMS con un COMPONENTE MULTILINGUA, che sia nativo o meno. Piuttosto che un componente dinamico per le versioni in lingue diverse da quella principale, sarebbe meglio duplicare il sito per ogni lingua diversa, in una directory, usando un’estensione diversa per ogni paese o ancora usando un terzo livello. Di seguito i casi possibili: ccTLD (Country Code Top Level Domain) esempio: sito.it – sito.fr Questo tipo di dominio è indicato a mio avviso quando le versioni in lingue diverse presentano differenze anche nei contenuti oltre che nella lingua, come nel caso dei network internazionali di siti come betheboss, un portale sul franchising che rende visibili franchisor diversi a seconda della nazione di riferimento. Possono comunque essere utilizzati in ogni caso di sito multilingua. ♦
terzi livelli con gTLDs (generic top level domain names) esempio: fr.sito.com Questo tipo di sistematizzazione mi sembra essenzialmente la più ordinata per le versioni multilingua dei siti web. ♦
sotto-directory con gTLDs (generic top level domain names) esempio: sito.com/fr ♦
Anche questa soluzione va bene, a patto che la sotto-directory/fr sia effettivamente una cartella in cui è alloggiato il sito nella versione francese e non una semplice URL dinamica generata da un componente multilingua. Personalmente non la preferisco perché rimaniamo nello stesso spazio web
del dominio principale. Si possono così tenere separati in aree differenti i contenuti web in lingue diverse, altrimenti come ho detto prima, si corre il rischio di ottenere una struttura dell’indicizzazione più simile a una torre di Babele che a quella di un sito web. Mentre infine nei tre casi sopraelencati è possibile creare un geotargeting tramite gli strumenti per i web master, in caso di utilizzo di un componente multilingua ciò non è possibile. 6.9.2. Targeting internazionale In caso di internazionalizzazione, la SEO si divide in multilingual e multiregional: la prima ha a che fare con l’ottimizzazione dei contenuti in lingue diverse, la seconda invece si rivolge agli utenti nelle aree geografiche stabilite. In sostanza le domande che ci poniamo in questo caso sono: 1.in quali nazioni voglio sia visibile il sito? 2.che lingue parlano le persone in quelle nazioni? Sembrerebbe banale dire che in Italia si parla l’italiano, ma un turista inglese che si trova in vacanza a Napoli potrebbe trovare utile leggere la versione inglese del sito di una pizzeria a Napoli, per non parlare delle nazioni come il Canada in cui ci sono due lingue ufficiali. Una cosa da fare quando sei alle prese con un sito web realizzato in più lingue è quindi impostare il targeting internazionale attraverso gli strumenti per i web master, sotto la voce traffico di ricerca. Troverai due voci: segnala la presenza o meno del tag hreflang che serve a presentare a Google la corretta variante linguistica delle pagine web, corrispondenti alle preferenze degli utenti ♦ PAESE: definisce il targeting di utenti in una regione. ♦ LINGUA:
6.9.3. Il rel=“alternate” hreflang L’attributo hreflang aiuta Google a determinare rispetto a un sito web lingua e paese di riferimento. Può essere usato all’interno della sezione come nell’esempio seguente preso dal sito TripAdvisor:
Come vedi c’è una versione del sito web rivolto a chi vive in Canada e parla inglese, così come ce n’è una per chi vive in Inghilterra e parla inglese. Ci sono valori di hreflang per nazione e lingua, e in base alle necessità possono essere messi insieme: “it” indica l’italiano, in modo non dipendente dalla nazione, “en-CA” indica gli articoli in inglese per il Canada; “it-DE“ gli articoli in italiano per la Germania. C’è un altro valore, l’x-default, che serve a indicare a Google una lingua predefinita per le occasioni in cui un utente parli un idioma o si connetta da una regione non presente o non specificata fra quelle disponibili sul sito.
L’UBICAZIONE FISICA DEL SERVER è secondo molti operatori un aspetto importante nella SEO multilingua, io però credo che si tratti ormai di un fattore superato, perché Google è abbastanza in gamba da capire cosa vogliamo dire, in quale lingua e a chi. 6.9.4. Attirare clienti da tutto il mondo Fin qui ti ho dato un po’ di informazioni su come ottimizzare un sito multilingua per i motori di ricerca, ma non ti ho detto nulla su come ottenere un buon posizionamento. Quest’ultimo paragrafo è particolarmente breve, non perché ci sia poco da dire sulle strategie per ottenere un buon posizionamento in regime di internazionalizzazione, ma perché semplicemente valgono le stesse regole viste fin qui nei casi che ti ho proposto. Due cose mi preme raccomandarti: 1.ok, finché Google non se ne accorge c’è la link building, ma in fondo per ottenere buoni risultati di posizionamento secondo me non basta comprendere la lingua del paese in cui si opera, piuttosto è importante conoscerne anche la cultura, perché l’unico modo veramente efficace nel lungo periodo per fare posizionamento organico è FACILITARE la creazione di valore e la crescita di reputazione di un progetto. Come fai senza conoscere lingua e cultura della nazione in cui lavori? 2.fare posizionamento in 3 lingue diverse per lo stesso sito significa sviluppare 3 progetti SEO diversi tra loro. Il fatto che la versione francese di un sito web vada forte non significa che automaticamente andrà forte anche quella spagnola. La proprietà transitiva in questo caso non vale, per
cui se intendi sviluppare un progetto multilingua rivolgendoti a 4 nazioni diverse, metti in conto che devi realizzare 4 siti e 4 campagne SEO. 11 Trapunzoni è un nome di fantasia. Ogni riferimento a persone o a cose è da ritenersi puramente casuale 12 Un software può essere richiamato su una pagina web tramite script. In quel caso si dice embedded (embeddato) 13 Ovvero web impact factor
7. Conclusioni
Quello che facciamo serve a cambiare le cose, altrimenti non solo non lo faremo a lungo, ma non ci piacerà. Migliorare le cose non significa rendere più visibile un sito, ma essere utili, a costo di contribuire al posizionamento di un sito concorrente. Ora mi dirai che quest’ultima affermazione è da pazzi, e io ti risponderò che hai ragione, ma solo quelli che sono abbastanza pazzi da credere di cambiare le cose, alla fine ci riescono (cit.). 7.1. Cambiare le cose Quando sento parlare di SEO nelle diverse community sul web, le affermazioni che emergono inquadrano ancora con una certa sicurezza l’idea che i SEO siano in molta parte operatori disincantati che cercano il “colpo da maestro” per fregare un software che si chiama Google. Essere intellettualmente onesti nel nostro Paese significa essere un po’ tonti, per lo meno nella considerazione di molti. Ecco il motivo per cui l’Italia non se la passa tanto bene in generale. Quello che ti descrivo è un mondo nuovo, in cui ognuno di noi la smette di coltivare il proprio orticello e comincia a fare SEO INSIEME agli altri. Nel mondo che ho immaginato, si condivide conoscenza, non grafici Analytics che dimostrano quanto sei forte o reclame di vario tipo sulla tua agenzia. Le soddisfazioni nel mondo di cui parlo sono soddisfazioni CONDIVISE per un successo ottenuto grazie ad altri, mai individuale. Oggi la SEO ha un mercato
enorme, ma proprio in virtù di questo c’è bisogno di solidarietà tra operatori. Se fai questo lavoro prevalentemente in ambito e-commerce, ti è mai capitato di raccomandare ad un potenziale cliente un altro SEO perché più esperto di te sulle necessità del prospect? Il mio maestro e amico, DERRICK DE KERCKHOVE, è considerato l’erede intellettuale di MARSHALL MCLUHAN, l’autore delle più importanti teorie sui nuovi media. Un giorno Derrick e io passeggiavamo per le strade di Napoli e lui mi disse che una delle mosse più astute di McLuhan era non predire nulla che non si fosse già avverato. In realtà sta già succedendo. Se fino a poco tempo fa ognuno era per sé, oggi nelle community sono sempre di meno gli ONANISMI digitali e sempre più diffusi gli endorsement verso chi è ritenuto meritevole per la sua specializzazione, che nel nostro campo non è un pezzo di carta, ma semplicemente un riconoscimento di fatto, per aver maturato sul campo una grande esperienza relativamente a un ambito di applicazione della SEO. 7.2. È sempre il caso di fare link building? Ogni volta che ho espresso un dubbio sulla necessità di fare link building sono stato linciato sulla pubblica piazza, sempre con ottime motivazioni. Ad esempio, mi viene ricordato che i link in ingresso sono e saranno sempre un parametro di attribuzione di ranking imprescindibile per Google. Verissimo, ma vorrei fare una riflessione su questo punto: un link builder esperto è un operatore che studia le tecniche e le strategie per produrre link in entrata che sembrino più naturali possibile, in modo da non correre il rischio di essere “beccato” da Google, le cui linee guida dicono chiaramente che la compravendita, lo scambio e in genere tutta la produzione di link con la finalità di migliorare il posizionamento di un sito sono attività suscettibili di penalizzazione algoritmica o manuale. La verità è che i link builder esperti ottengono ottimi risultati in poco tempo, profondendo i loro sforzi nella creazione di un profilo di link “verosimilmente” pulito. Per quanto però sembri valido il profilo di link in ingresso ottenuto da un sito web in modo comunque artificiale, perché prodotto da un link builder, domani mattina Google sarà un po’ più intelligente di oggi e capirà che dietro quell’apparente pulizia si nascondono attività scorrette. Anche questo non lo dico perché vedo nel futuro, ma semplicemente perché è già successo più volte e continuerà a verificarsi. Un’altra cosa che mi si dice è che in certi settori senza link non si va da
nessuna parte, anzi, c’è proprio una barriera in ingresso al di là della quale non si passa a meno di non ricevere un certo numero di link in ingresso al mese. Chissà perché, tutti quelli che mi dicono questa cosa o hanno un sito senza contenuti o lo hanno messo online da due mesi… mah! ma al posto di scassarsi la testa per trovare il modo di creare un profilo di link verosimile quindi fondamentalmente artificiale, non sarebbe meglio concentrarsi su come ottenere link in ingresso VERI, validi ed efficaci per sempre? L’idea imperante nella SEO è ancora: QUELLO CHE INVECE MI DOMANDO È:
Strutturare un sito web, ottimizzarlo e posizionarlo mentre dovrebbe essere questa: Strutturare un sito web, ottimizzarlo e creare valore Esistono due tipi di business, quelli one shot e quelli life long: i primi hanno una durata limitata, i secondi sono concepiti per durare in eterno. La mia opinione è che la link building possa andare bene per il primo tipo di business, cioè quelli destinati ad esaurirsi in un dato lasso di tempo (anche lungo), mentre tutti i siti web di aziende concepite come imprese eterne dovrebbero ragionare altrimenti. Se un progetto web è basato sulla vendita di articoli d’occasione acquistati per un tozzo di pane, quindi non c’è un’attività fisica, né un magazzino e non hai un tuo brand, puoi pensare di fare link building automaticamente e in modo selvaggio, anche usando un software come ScrapeBox che abbiamo visto in precedenza, ottenendo presto buoni risultati in termini di visibilità. Tali risultati dureranno il tempo che dureranno, dopodiché il sito verrà probabilmente bannato e scomparirà dalle SERP di Google. Nel frattempo potresti aver raggiunto i tuoi obiettivi di fatturato per quel business, o comunque potresti valutare come una scelta economicamente vantaggiosa ripartire ogni volta da zero con un nuovo sito web e gonfiarlo di link in ingresso in modo artificiale, posizionandolo (e fatturando) fin che dura. Questo è il senso dei business one shot e per quanto mi riguarda è l’unico caso in cui ha senso fare link building in modo tradizionale. Se invece hai un brand, una sede fisica e soprattutto una reputazione da mantenere, valuta la possibilità di crescere in modo “lentissimo”, costruendo un sito fatto di contenuti, mantenendo pubbliche relazioni sia online che offline con altri operatori del tuo settore o complementari, INVESTENDO SOLDI E
in attività che portino gli utenti a scrivere recensioni su di te, a menzionarti e in ultima istanza a linkarti dai loro profili. TEMPO
La link building è un lavoro che viene sviluppato fin dall’inizio delle attività di posizionamento. A mio avviso è profondamente illogico, perché un link è un voto di fiducia e la fiducia si acquista nel tempo. Immagina di esserti appena trasferito in una nuova città in cui non ti conosce nessuno: non sarebbe strano se tutti cominciassero subito a parlare bene di te? 7.3. La SEO è morta? (potevo mai evitare di parlarne?) Adam Kadmon non avrebbe dubbi nel concludere con un secco “non credo proprio”, ma a me piace complicarmi un po’ la vita, quindi proverò a rispondere a questa domanda facendomene un’altra: di quale SEO stiamo parlando? Per provare a rispondere a questo domandone, osserviamo insieme le principali obiezioni che si fanno al nostro mestiere: Obiezione n. 1: ormai le SERP sono personalizzate! Vero, ed è un bene. L’utente medio effettua ricerche “loggato” nel suo account Google, pertanto vede più facilmente i siti web che frequenta già o quelli che rispecchiano di più le sue abitudini di ricerca. Per intenderci, a livello di semantica, se un utente effettua spesso ricerche sui cani, quando cercherà la parola pastore, quasi tutti i risultati che vedrà in SERP saranno relativi al pastore tedesco, abruzzese o maremmano che sia. Questo, lo ripeto, è un bene per l’utente e anche per chi costruisce un sito web, perché il primo avrà subito sotto mano quello che cerca, il secondo avrà un traffico sempre più profilato. Per noi significa che una volta riusciti a far arrivare sul sito un utente interessato all’argomento tramite Google, riusciremo più facilmente in seguito a farci trovare da quell’utente, quindi aumenteremo visite e tempo di permanenza sul sito. Obiezione n. 2: ormai le SERP sono piene di pubblicità! Quest’obiezione, secondo cui oggi sarebbe inutile fare SEO dal momento che sempre più SERP ormai trasbordano di annunci sponsorizzati che rendono di fatto invisibili i risultati organici, non tiene conto del fatto che le SERP sono tutte diverse a seconda della query. Il traffico non arriva mai tutto solo da 5 o 10 parole chiave, ma da un’infinità di keyword, molte delle quali generano SERP prive di annunci pubblicitari, quindi semmai, dovendo fare SEO in un segmento molto interessato dalle campagne AdWords, cercherei di evitare di posizionarmi su SERP in cui per vedere il primo risultato organico devi
scrollare sei volte. Obiezione n. 3: la SEO costa troppo e non dà garanzie! In effetti il livello minimo di conoscenze per fare SEO si è alzato rispetto a un passato in cui bastava ottimizzare bene le intestazioni per ottenere un discreto (e stabile) posizionamento organico, per non parlare delle attività esterne, ormai talmente pericolose da richiedere un elevato livello di specializzazione. Questa specializzazione ha chiaramente un costo tale che alcuni pensano alla SEO come ad un’attività fuori mercato. Mentre loro lo pensano, i SEO bravi continuano a fare il loro lavoro e ad ottenere risultati importanti. Tiè! 7.3.1. Quale SEO è morta? La SEO muore ciclicamente. Ebbene sì. Lavorando in un segmento applichiamo una tecnica on-site oppure off-site finché funziona. Quando non funziona più, quel pezzo di SEO passa a miglior vita, il criticone di turno apre Facebook e scrive che la SEO è morta, dopodiché un SEO americano trova un nuovo modo per ottenere gli stessi risultati e la SEO resuscita. E via e via… Ho fatto caso che, ogni volta che resuscita, ottenere risultati attraverso tecniche “scaltre” diventa un po’ più difficile. In effetti è ancora abbastanza semplice posizionarsi facendo ad esempio link building in modo attento però, per l’appunto, oggi DEVI STARE ATTENTO, mentre fino a qualche anno fa potevi ancora permetterti una certa disinvoltura nel mettere fuori guest post e in genere articoli contenenti link. Le pratiche virtuose invece funzionavano 10 anni fa e funzionano ancora benissimo oggi, con l’unico difetto di essere eticamente corrette e di far crescere più lentamente i siti web verso cui vengono adottate. Non si può avere tutto. In generale vedo solo un caso in cui la SEO possa finire e cioè nel momento in cui mancasse la domanda, cioè se le persone smettessero di fare ricerche sul web. Può succedere, e con la stessa probabilità uno di questi giorni verrò rapito dagli alieni.
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Francesco Margherita Sociologo, scrittore, musicista, vincitore della Caccia al Tesoro di Venticano, assistente alla cattedra di Comunicazione, marketing e pubblicità presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università Federico II di Napoli, consulente e formatore SEO, curatore del blog SeoGarden.net. La sua attenzione quotidiana oltre che alle attività operative di marketing digitale è rivolta allo studio e alla sperimentazione della semantica applicata al posizionamento organico nei motori di ricerca.
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Table of Contents Ringraziamenti Contributori Prefazione Premessa Introduzione 1. Cos’è la SEO 1.1. Per fare SEO devi liberarti dell’ego 1.2. Due cose su Google 1.2.1. Google Universal Search 1.2.2. Criteri di attribuzione di ranking 1.3. Cosa vuol dire fare SEO 1.3.1. Cos’è l’indicizzazione? 1.3.2. E quando un sito web non viene strutturato in ottica SEO? 1.3.3. Cosa si intende per posizionamento organico? 1.4. Come si impara la SEO 1.4.1. Chi può imparare la SEO 1.4.2. La cultura hacker 1.5. Come guadagna un SEO? 1.5.1. Qual è il tuo ambito fiscale? 1.5.1.1. Imprenditore 1.5.1.2. Dipendente 1.5.1.3. Libero professionista 1.5.2. Affiliazioni, clienti, prodotti o corsi? 1.5.2.1. Guadagnare con i circuiti di affiliazione 1.5.2.2. Posizionare siti web per conto di clienti 1.5.2.3. Vendere prodotti SEO 1.5.2.4. Vendere corsi SEO 2. Progettare campagne SEO 2.1. Campagne SEO di Prospect Generation 2.2. Campagne SEO di brand 2.3. Campagne SEO local 2.4. Quanto (tempo) costa una campagna SEO? 2.4.1. Attività di ottimizzazione on-site 2.4.2. Attività di posizionamento organico off-site 3. Ottimizzare un sito webper i motori di ricerca 3.1. Che cos’è una parola chiave?
3.1.1. Come si trovano le parole chiave? 3.1.2. Criteri di scelta delle parole chiave 3.1.3. Quanti tipi di parole chiave esistono? 3.1.4. Chiavi di brand e chiavi di ricerca 3.1.5. Cos’è una chiave local? 3.2. Come si gestisce la SEO di un contenuto web? 3.2.1. Principi di SEO copywriting 3.2.2. Ottimizzazione on page 3.2.2.1. Il tag title 3.2.2.2. Le intestazioni di paragrafo (o tag H) servono davvero? 3.2.2.3. Quante volte la keyword principale nel testo? 3.2.2.4. Le 4 referenze dell’immagine 3.2.3. Articoli e pagine: quali si posizionano meglio? 3.2.4. Struttura delle URL 3.2.5. I link a risorse esterne 3.3. Come gestire la struttura di un sito web in ottica SEO? 3.3.1. Quanti tipi diversi di contenuti esistono in un sito web? 3.3.2. Orientare i bot dei motori di ricerca 3.3.3. Gestire l’indicizzazione dei contenuti 3.3.4. Dillo una volta sola, per bene! 3.4. Tassonomia 3.4.1. Tassonomie verticali 3.4.2. Tassonomie orizzontali 3.4.3. Tag visibili 3.5. Posizionare contenuti aggregati 3.5.1. Aggregare contenuti manualmente 3.5.2. Ottimizzazione dei contenuti aggregati: articoli in Noindex 3.6. Articoli correlati 3.7. Ottimizzare un sito web già pubblicato 3.7.1. Se il primo contenuto indicizzato non è la homepage 3.7.2. SEO e logica ipertestuale: si viene e si va… 3.8. Deep link e surface link 3.9. Struttura dei link interni 3.10. Codici di stato HTTP 3.11. Strumenti per i web master 3.12. Google Analytics 3.12.1. Il filtro Not Provided
3.12.2. Trova i contenuti da migliorare 4. SEO Semantica 4.1. Perché parlare di semantica rispetto alla SEO? 4.1.1. Ma cosa capisce davvero Google? 4.1.2. Semantica lessicale e frasale 4.2. Come faccio a sapere cosa Google capisce e cosa no? 4.2.1. L’enigma del traduttore 4.3. I dati strutturati 4.4. Adesso possiamo parlare di SEO copywriting 4.4.1. Come fa Google ad attribuire un valore ai significati? 4.5. Il campo semantico 4.5.1. Ambiguità semantiche 4.5.2. Il campo semantico di rilevanza per Google 4.6. Come scegliere gli argomenti utili: il topic N 4.6.1. I contenuti utili e i contenuti di qualità 4.7. Analisi del concetto latente 4.7.1. Due database, due mondi diversi da esplorare 4.7.2. Il concetto latente e le rappresentazioni sociali 4.8. Espansione del campo semantico di rilevanza 4.8.1. Si può usare sempre questa tecnica? 4.8.2. La fusione fredda nella SEO 4.9. Allocazione latente di Dirichlet (Latent Dirichlet Allocation) 4.9.1. Cos’è un’allocazione di Dirichlet? 4.9.2. Logica LDA 4.9.2.1. Incastri LDA 4.10. Le ambiguità semantiche e gli incastri LDA 4.10.1. Il colpo di coda di Michael Jordan 4.10.2. Google News per creare topic N su ambiguità semantiche 4.10.3. Ti va un gelato al cioccolato? 4.11. Keyword density e significazione 5. Come rendere popolare un sito web 5.1. In principio (e sempre) era il link 5.1.1. Page Rank 5.1.2. Trust Rank 5.2. I link in ingresso 5.2.1. La via etica: la link earning 5.2.2. Link baiting: andiamo a pesca? 5.2.3. Link building
5.3. Cos’è un profilo di link? 5.4. Domain e Page Authority 5.5. Ci sono casi in cui lo spam link funziona? 5.6. Link building: canali, tecniche e strumenti 5.6.1. Selezionare i canali per la link building 5.6.1.1. Gestione di una trattativa 5.6.2. Partecipare alla discussione attraverso i commenti 5.6.2.1. Il campo Nome 5.6.2.2. Il campo e-mail 5.6.2.3. Il campo sito web 5.7. Penalizzazioni: cosa devi sapere se hai fatto lo zozzone! 5.7.1. Cos’è una penalizzazione? 5.7.1.1. Come faccio ad accorgermi se sono stato penalizzato? 5.7.2. Penalizzazioni da attività onsite 5.7.3. Penalizzazioni da attività offsite 5.7.3.1. Spam link 5.7.4. Penalizzazione da link in uscita 5.7.5. Fare SEO contro qualcuno 5.7.6. Come difendersi da questi attacchi 5.7.7. Come uscire da una penalizzazione 5.8. Il potere delle menzioni tramite co-occorrenze 5.9. Cosa sono i segnali sociali 5.10. E alla fine arriva Penguin 5.10.1. Come evitare la penalizzazione da Penguin? 5.10.2. Quante co-occorrenze per ogni link in ingresso? 5.11. Una strategia basata sull’utilizzo delle menzioni 5.12. La co-citation 5.12.1. Il principio della relazione transitiva 5.12.2. Altri pattern per le co-citazioni 5.13. I link dalle persone 6. Strategie di visibilità organiche 6.1. Prima di fare strategia sonda il terreno 6.1.1. SEO e web usability 6.1.2. La valutazione degli utenti offsite 6.1.3. I link in ingresso, quali, quanti, da dove? 6.2. Placement e posizionamento organico 6.3. Posizionamento organico di un sito e-commerce
6.3.1. Data entry 6.3.2. Occhio a strutturare bene i prodotti 6.3.3. URL canonical negli e-commerce 6.3.4. Usare il Noindex negli e-commerce 6.3.5. Metti da parte i contenuti istituzionali e disclaimer 6.3.6. I temi e-commerce preconfezionati 6.3.7. I comparatori di prezzo 6.3.8. Il colpo da maestro nell’e-commerce 6.4. Posizionamento organico di un sito web turistico 6.4.1. Agenzie di viaggio e comparatori 6.4.2. Strutture ricettive 6.4.3. Singolare, plurale 6.4.4. Lo strano caso dell’Hotel Milano 6.5. Posizionamento organico di un blog di cucina 6.5.1. I blog di cucina e le tassonomie 6.5.2. L’ecosistema dei foodblog 6.5.3. Non mangiare mai da solo… 6.5.4. Prima dei link, pensa alle ricette 6.5.5. Indovina chi viene a cena 6.6. Posizionamento organico di un blog personale 6.6.1. Seogarden: storia di un blog (e di un grande amore) 6.6.2. L’importanza dell’author rank nella SEO 6.6.3. Google Authorship 6.6.4. Coltivare gli obiettivi 6.7. Posizionamento organico di un sito web aziendale 6.7.1. Come rendere credibile un sito web 6.8. Posizionamento organico di un’attività local 6.8.1. Come faccio a capire se una chiave è local? 6.8.2. Come farsi raggiungere fisicamente 6.8.3. Chiamiamolo Local Trust 6.9. Posizionamento organico di un sito multilingua 6.9.1. Cosa non va nei siti multilingua 6.9.2. Targeting internazionale 6.9.3. Il rel=“alternate” hreflang 6.9.4. Attirare clienti da tutto il mondo 7. Conclusioni 7.1. Cambiare le cose 7.2. È sempre il caso di fare link building?
7.3. La SEO è morta? (potevo mai evitare di parlarne?) 7.3.1. Quale SEO è morta?
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