Fondamenti Di Meccanica Strutturale - Luca Goglio

November 27, 2017 | Author: Gianpaolo Quattrone | Category: Eigenvalues And Eigenvectors, Stress (Mechanics), Cartesian Coordinate System, Euclidean Vector, Circle
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Fondamenti Di Meccanica Strutturale - Luca Goglio...

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DISPENSA PER IL CORSO

FONDAMENTI DI MECCANICA STRUTTURALE DI

LUCA GOGLIO

LAUREE IN INGEGNERIA ELETTRICA MATEMATICA PER L'INGEGNERIA 2011

minuscola

maiuscola

lettera

minuscola

maiuscola

ALFABETO GRECO

α

Α

ni

ν

Ν

β

Β

xi

ξ

Ξ

gamma

γ

Γ

omicron

ο

Ο

delta

δ

Δ

pi

π

Π

epsilon

ε

Ε

rho

ρ

Ρ

zeta

ζ

Ζ

sigma

σ, ς

Σ

eta

η

Η

tau

τ

Τ

theta

θ, ϑ

Θ

upsilon

υ

Υ

iota

ι

Ι

phi

ϕ, φ

Φ

kappa

κ

Κ

chi

χ

Χ

lambda

λ

Λ

psi

ψ

Ψ

mi

μ

Μ

omega

ω

Ω

lettera

alfa beta

L. Goglio

Dispensa per il corso “Fondamenti di Meccanica Strutturale” (ELT, MTM)

1. RICHIAMI DI STATICA 1.1.

Grandezze e operazioni fondamentali

La grandezza fondamentale della statica è la forza, che ha natura vettoriale in quanto è definita assegnandone modulo, direzione e verso. Essa costituisce la causa che altera lo stato di quiete o moto rettilineo uniforme di un corpo. r Di un sistema di forze è possibile ottenere la risultante RF applicando le consuete regole di somma dei vettori, ad esempio considerando le componenti cartesiane: RFx = ∑i Fxi RFy = ∑i Fyi

RFz = ∑i Fzi

La risultante è un vettore libero, cioè non applicato. r r Il momento M O rispetto a un punto O di una forza F applicata nel punto P è dato dal prodotto esterno

r r M O = (P − O ) ∧ F

Anche il momento è un vettore di tipo libero. Per la definizione stessa di prodotto esterno il vettore r r M O risulta perpendicolare sia a F sia a (P-O); inoltre il momento non cambia se la forza viene spostata lungo la sua retta d'azione.

MO O

MO

F

b

O b

P

F

P

Una rappresentazione grafica del momento non del tutto rigorosa, ma molto comoda e comunemente utilizzata (soprattutto nel caso di problemi piani), è costituita da un arco di cerchio con l'aggiunta di una freccia per indicare il verso di azione (v. figura). La distanza dal punto O alla retta d'azione della forza rappresenta il braccio b, che fornisce la relazione tra le intensità della forza e del momento: M O = Fb Si definisce momento risultante rispetto al punto O di un sistema di forze la somma dei singoli r r momenti di ogni forza Fi e dei momenti puri Ci : r r r r r RM O = ∑i M Oi + C i =∑i ( Pi − O) ∧ Fi + C i

(

)

(

)

Si può dimostrare che i momenti risultanti di un sistema di forze rispetto a due diversi punti O e O' sono legati dalla relazione seguente

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1

Statica

r r r RM O ' = RM O + (O − O' ) ∧ R F Un corpo è in equilibrio se le somme vettoriali sia delle forze (equilibrio alla traslazione) sia dei momenti rispetto ad un punto qualsiasi (equilibrio alla rotazione) sono nulle: r r r r r ∑i Fi = 0 ∑i M Oi + Ci = 0

(

)

Nel caso dei sistemi piani le condizioni suddette si riducono alle tre equazioni scalari: ∑i Fxi = 0 ∑i Fyi = 0 ∑i − yi Fxi + xi Fyi + Ci = 0

(

)

Nell'ultima equazione i due termini relativi ai contributi delle forze hanno segno discorde perché corrispondono a versi di momento rispettivamente orario e antiorario. Due sistemi di forze sono equivalenti (ai fini dell'equilibrio) quando hanno stessa risultante e stesso momento risultante. Due conseguenze di tale proprietà di cui si farà uso sono le seguenti: i) è possibile trasportare una forza perpendicolarmente alla propria direzione aggiungendo un momento “di trasporto” pari al prodotto della forza stessa per la distanza fra le due rette di azione F M = Fd d

F

ii) un sistema di forze può essere sostituito con la sua risultante, applicata in un certo punto, e con un momento pari al momento risultante valutato rispetto allo stesso punto. Per sistemi di forze piani esiste una retta, detta asse centrale, tale che il momento risultante rispetto ai punti di essa è nullo. Risulta allora possibile sostituire il sistema di forze con la sola risultante applicata in corrispondenza dell'asse centrale.

RF

RF

RMO O

F1 ξ

F3

F2 O'

r Per determinare l'asse centrale si riduce il sistema di forze alla risultante RF applicata in un punto r arbitrario O e al momento risultante RM O , successivamente sfruttando la formula di trasposizione r r dei momenti si cerca un altro punto O' tale che RM O ' = 0 : RM O ' = RM O − ξRF = 0

(relazione scritta senza notazione vettoriale, superflua in questo caso) da cui si ottiene ξ = RM O / RF

2

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L. Goglio

1.2.

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Carichi e vincoli

Carichi I carichi rappresentano le azioni esterne, forze e momenti, applicate sulla struttura; tradizionalmente si distingue tra carichi concentrati, cioè applicati puntualmente, e carichi distribuiti, che interessano una zona significativamente estesa della struttura in esame. I carichi distribuiti vengono ancora suddivisi in carichi di linea (si pensi ad esempio al peso per unità di lunghezza di un albero di trasmissione), carichi di superficie (ad esempio la pressione idrostatica) e carichi di volume (ad esempio il peso specifico del materiale in cui la struttura è realizzata). La distinzione tra carichi concentrati e distribuiti è in realtà convenzionale, in quanto a rigore l'applicazione di un qualunque carico interessa una zona più o meno estesa ma comunque finita della struttura. Ai fini pratici assumiamo che un carico sia concentrato quanto la zona in cui è applicato è di estensione trascurabile rispetto alle dimensioni caratteristiche della struttura. Vincoli I vincoli hanno lo scopo di collegare gli elementi delle strutture tra di loro o al telaio; nel primo caso si parla di vincoli interni, nel secondo di vincoli esterni. E' possibile descrivere il ruolo dei vincoli in due modi diversi, a seconda che si consideri l'aspetto cinematico o quello statico del comportamento delle strutture. Dal punto di vista cinematico i vincoli riducono le possibilità di movimento degli elementi delle strutture; nel caso di vincoli interni si obbligano punti diversi (appartenenti a corpi diversi della struttura) ad assumere componenti di spostamento e/o rotazione uguali; nel caso di vincoli esterni alcune componenti di spostamento e/o rotazione vengono annullate. Dal punto di vista statico i vincoli trasmettono reazioni agli elementi delle strutture; i vincoli interni trasmettono forze e momenti tra un elemento e l'altro; i vincoli esterni forniscono le reazioni che globalmente equilibrano i carichi applicati. I più comuni vincoli nel piano sono schematizzati nelle figure seguenti; li definiamo come singoli, doppi, tripli a seconda del numero di componenti di reazione trasmesse (rispettivamente una, due, tre), ovvero, a seconda del numero di componenti di spostamento o rotazione vincolate. cerniera (v. doppio)

appoggio (v. semplice)

cerniera interna (v. doppio)

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incastro (v. triplo)

coppia prismatica (v. doppio)

3

Statica

Grado di iperstaticità Un corpo o un sistema di corpi può essere vincolato in modo insufficiente, sufficiente o sovrabbondante a fissarne la posizione. Nel caso dei problemi piani definiamo il grado di iperstaticità h con l'espressione seguente: h = v − 3m Il termine v rappresenta il numero totale di reazioni vincolari (interne o esterne) calcolabile con l'espressione: v = 3i + 2(c + p ) + a in cui i è il numero di incastri (ognuno dei quali introduce 3 reazioni), c è il numero di cerniere (ognuna delle quali introduce 2 reazioni), p è il numero di coppie prismatiche (ognuna delle quali introduce 2 reazioni), a è il numero di appoggi (ognuno dei quali introduce 1 reazione). Il termine m rappresenta il numero totale di corpi semplici da cui è costituita la struttura, per ognuno dei quali si possono scrivere 3 equazioni di equilibrio. Si distinguono 3 situazioni: • h < 0 sistema labile (meccanismo), la posizione dei corpi non è completamente determinata dai vincoli; • h = 0 sistema isostatico (o staticamente determinato), le equazioni di equilibrio sono sufficienti per determinare tutte le reazioni vincolari; • h > 0 sistema iperstatico (o staticamente indeterminato), le equazioni di equilibrio non sono sufficienti per determinare tutte le reazioni vincolari. Le figure seguenti mostrano alcuni esempi di sistemi labili, isostatici e iperstatici.

m=1 v =0 h = -3

m=1 v =1 h = -2

m=1 v =2 h = -1 a =1

m=1 v =3 h =0

m=1 v =3 h =0 c =1 a =1

4

c =1

m=1 v =4 h =1

i =1

c =2

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L. Goglio

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m=1 v =4 h =1

m=1 v =6 h =3

m=1 v =5 h =2 i =1 a =1

i =2

i =1 c =1 m=2 v =6 h =0

m=2 v =5 h = -1 c =2 a =1

c =3 cerniera doppia

m=2 v =6 h =0 c =2 a =2

1.3.

Scrittura delle equazioni di equilibrio

Il punto di partenza per la scrittura delle equazioni di equilibrio consiste nel liberare un sistema di massa, costituito da uno o più corpi semplici, dai vincoli che lo collegano ad ulteriori corpi o al telaio. Nel caso di sistemi piani si immagina di racchiudere il sistema considerato con una linea di distacco chiusa: dove tale linea interseca i vincoli vengono messe in evidenza le corrispondenti reazioni (che prima del distacco costituivano delle azioni interne), per le quali si assumono dei versi positivi convenzionali. Si possono quindi scrivere le equazioni di equilibrio tra carichi applicati e reazioni vincolari per il sistema così isolato. Ad esempio, nel caso di un corpo semplice vincolato da una cerniera e da un appoggio si opera nel modo indicato nelle figure seguenti. L'interruzione dei vincoli da parte della linea di distacco (tratteggiata in figura) evidenzia le reazioni della cerniera OA e VA e quella dell'appoggio VB. linea di distacco

F2 F1

F2 B

F1 OA

A

VB

VA

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5

Statica

Nel caso di vincoli interni (cioè congiungenti corpi della struttura) le azioni messe in evidenza su un corpo sono evidentemente uguali in modulo e direzione e opposte in verso a quelle messe in evidenza su un altro corpo collegato; se ne tiene conto semplicemente cambiando il verso convenzionale delle reazioni, come mostrato nelle figure seguenti per una cerniera interna (notare i versi opposti di OC, VC agenti sui due elementi). C

F1

F2

F1 B

A

OC VC

OA

OC

F2

VC

OB VB

VA

Ciò non è più vero in presenza di un carico applicato direttamente su una cerniera interna; in tale caso particolare si devono distinguere le componenti di reazione scambiate con i due elementi e quindi le incognite associate alla cerniera sono quattro, per disporre di due ulteriori equazioni si considera anche l’equilibrio della cerniera presa come elemento a sé stante (notare i versi opposti di OC', VC' e OC'', VC'' agenti sulla cerniera o sui due elementi).

F

A

OC'

C

OC' B

OA VA

F VC'

VC'

OC'' VC''

OC''

VC''

OB VB

Nel piano si possono scrivere tre equazioni di equilibrio indipendenti per ogni corpo libero; esse esprimono l'equilibrio alla traslazione lungo direzioni opportune e l'equilibrio alla rotazione intorno a punti opportuni. Naturalmente si deve evitare di scrivere equazioni non linearmente indipendenti fra di loro, le scelte corrette si possono classificare in tre gruppi: a) 2 equazioni di equilibrio alla traslazione lungo direzioni non parallele + 1 equazione di equilibrio alla rotazione intorno ad un punto arbitrario; b) 2 equazioni di equilibrio alla rotazione + 1 equazione di equilibrio alla traslazione lungo una direzione non perpendicolare alla congiungente i punti rispetto ai quali si calcolano i momenti; c) 3 equazioni di equilibrio alla rotazione intorno a punti non allineati.

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2. STATO DI TENSIONE 2.1.

Tensioni

Al fine di determinare la resistenza di un elemento strutturale, ad esempio un organo di macchina, non è sufficiente la semplice conoscenza dei carichi a cui esso è sottoposto. E' infatti evidente che a parità di carichi trasmessi l'elemento sarà più o meno sollecitato a seconda della propria forma e dimensione; si pone quindi la necessità di definire delle grandezze che riferiscano i carichi all'unità di superficie su cui agiscono. Consideriamo la sezione di un elemento soggetto a dei carichi; essa può essere pensata come r formata da una somma di areole elementari, di area ΔA normale al versore n , ognuna delle quali r r trasmette un contributo di forza ΔF e di momento ΔM . Considerando i rapporti tra questi ultimi e l'area e facendo tendere a zero l'estensione di essa si assume che: r r r ΔM r ΔF lim = f lim =0 ΔA→0 ΔA ΔA→0 ΔA Questa ipotesi ammette che i carichi si trasmettano all'interno del materiale con un meccanismo analogo al caso delle pressioni neir fluidi, ma in senso generalizzato, con azioni sia normali sia tangenti alle superfici. La quantità f è detta vettore della tensione, esso in generale non è parallelo alla normale alla superficie passante per il punto P ma presenta sia una componente normale σ sia una componente tangenziale τ. n ΔF ΔA

f

P τ

σ

L'operazione matematica di passaggio al limite per dimensioni che tendono a zero presuppone che il materiale costituisca un continuo, ciò implica che dal punto di vista fisico questa trattazione è applicabile finché le dimensioni in gioco sono sufficientemente grandi da non far intervenire la natura discreta della materia. Considerando le facce perpendicolari agli assi di un sistema di riferimento cartesiano xyz, su ognuna di esse possiamo individuare una componente normale e due tangenziali; le componenti di tensione in tale riferimento vengono individuate con due pedici (x, y, z): il primo identifica la direzione normale alla faccia, il secondo indica la direzione lungo la quale la componente agisce. Si possono quindi distinguere 9 componenti; le tre componenti σ indicano tensioni normali rispettivamente di trazione o compressione a seconda che i valori siano positivi o negativi, le 6 componenti τ indicano invece tensioni tangenziali (dette anche di taglio)1. 1Si

noti che il segno delle τ, contrariamente al caso delle σ, non indica una diversa situazione fisica.

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Tensione

σzz τ zx τzy

z

τyz y τxz

x

τyx

σyy

σxx τxy

Consideriamo l'equilibrio alla rotazione intorno all'asse z di un elemento infinitesimo di materiale nell'intorno del punto P. Sulle facce cosiddette positive, cioè quelle da cui gli assi coordinati escono attraversando l'elementino, le componenti hanno versi positivi se concordi con quelli degli assi stessi; viceversa sulle facce negative le componenti hanno versi positivi opposti. Ciò permette di soddisfare il principio di azione e reazione rispetto alle tensioni mutuamente esercitate tra elementi adiacenti. Poiché le componenti sono in generale funzione della posizione, nell'incremento di coordinata dx o dy queste subiscono un corrispondente incremento (v. figura). σyy+dσyy τ yx+dτ yx τ xy+dτ xy

σxx

y

dy z

x

τxy

P σxx+dσxx

dx τyx

σyy

Nell'equazione di equilibrio alla rotazione compaiono le forze elementari date dalle tensioni moltiplicate per le aree infinitesime su cui esse agiscono. Le componenti normali e l'eventuale forza di volume hanno braccio nullo, l'equazione si riduce quindi a: dx dy dx dy dzdyτ xy − dzdxτ yx + dzdy τ xy + dτ xy − dzdx τ yx + dτ yx =0 2 2 2 2 Semplificando e trascurando gli infinitesimi di ordine superiore dτij rispetto ai termini finiti τij (i, j =

(

)

(

)

x, y) si ottiene τ xy = τ yx

Analogamente, ripetendo il medesimo ragionamento per l'equilibrio alla rotazione intorno agli assi x e y si ottiene: τ xz = τ zx τ yz = τ zy

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Si trova cioè che le componenti tangenziali contraddistinte da pedici omologhi sono uguali; di conseguenza le componenti di tensione diverse si riducono da 9 a 6. Si è visto precedentemente che su una faccia elementare generica, passante per il punto P e normale r r al versore n agisce il vettore della tensione f ; vogliamo valutare come variano le componenti di quest'ultimo al variare dell'orientazione della faccia. A questo scopo consideriamo un tetraedro infinitesimo di volume dV avente tre facce dAx, dAy, dAz perpendicolari agli assi coordinati e la r quarta faccia dA perpendicolare al versore n , avente come componenti i coseni direttori nx, ny, nz. z fx f

fy P

y fz x

L'equazione vettoriale di equilibrio alla rtraslazione assume la forma: r r r r r dAf + dAx f x + dAy f y + dAz f z + dVΦ V = 0 L'ultimo termine, corrispondente alla forza di volume, è infinitesimo di ordine superiore rispetto ai primi ed è quindi trascurabile; i vettori tensione che compaiono sono definiti nel modo seguente: ⎧τ xy ⎫ ⎧f ⎫ ⎧σ ⎫ ⎧τ ⎫ r r ⎪ nx ⎪ r ⎪ xx ⎪ r ⎪ xz ⎪ ⎪ ⎪ f x = ⎨τ xy ⎬ f z = ⎨σ yz ⎬ f = ⎨ f ny ⎬ f y = ⎨σ yy ⎬ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎩σ zz ⎭ ⎩ f nz ⎭ ⎩τ xz ⎭ ⎩τ yz ⎭ Le aree delle facce sono legate dalle relazioni seguenti dAx = dA ⋅ n x dA y = dA ⋅ n y

dAz = dA ⋅ n z

Sostituendo nell'equazione di equilibrio r precedente r rsi ottiene r r f + nx f x + n y f y + nz f z = 0 In termini scalari l'equazione corrisponde al sistema seguente ⎧ f nx − σ xx n x − τ xy n y − τ xz n z = 0 ⎪ ⎨ f ny − τ xy n x − σ yy n y − τ yz n z = 0 ⎪ ⎩ f nz − τ xz n x − τ yz n y − σ zz n z = 0 dove i segni - sono dovuti al fatto che le facce normali agli assi coordinati sono di tipo negativo (nel senso precedentemente definito). In termini matriciali il sistema assume la forma:

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Tensione

⎧ f x ⎫ ⎡σ xx ⎪ ⎪ ⎢ ⎨ f y ⎬ = ⎢ τ xy ⎪ ⎪ ⎢τ ⎩ f z ⎭ ⎣ xz

In notazione compatta possiamo scrivere

τ xy σ yy τ yz

τ xz ⎤ ⎧n x ⎫ ⎥⎪ ⎪ τ yz ⎥ ⎨n y ⎬ σ zz ⎥⎦ ⎪⎩n z ⎪⎭

{ f } = [σ]{n}

La matrice [σ], avente per colonne i vettori di tensione agenti sulle facce perpendicolari agli assi coordinati, costituisce il tensore delle tensioni agenti nel punto P. Si deve notare che la conoscenza di essa permette di ottenere le componenti di tensione (cioè il vettore di tensione) su una qualunque r faccia, identificata dalla normale n ; quindi si può concludere che [σ] definisce completamente lo stato di tensione nel punto P. 2.2.

Tensioni principali

r r Si è visto che in caso generale i vettori n e f non sono paralleli a causa della presenza di

componenti di tensione di tipo tangenziale; ci si domanda quindi se esistano orientazioni privilegiate delle facce tali che i vettori tensione agenti su di esse siano paralleli alle normali e quindi sulle corrispondenti facce non agiscano tensioni tangenziali. La risposta è affermativa e il problema corrisponde alla ricerca degli autovalori/autovettori di una matrice; infatti, per definizione, λ e {v} sono rispettivamente un autovalore e un autovettore della matrice [A] se [A]{v} = λ{v} Nel caso delle tensioni si deve verificare che { f } = λ{v} e ciò corrisponde alla ricerca degli autovalori/autovettori di [σ]: cioè

[σ]{v} = λ{v} ([σ] − λ[I ]){v} = {0}

dove [I] è la matrice identità. Il sistema omogeneo ammette soluzione non banale se ⎡σ xx − λ τ xy τ xz ⎤ ⎢ ⎥ σ yy − λ τ yz ⎥ = 0 det ⎢ τ xy ⎢ τ xz τ yz σ zz − λ ⎥⎦ ⎣ L'annullarsi del polinomio caratteristico permette di determinare gli autovalori. Poiché [σ] è reale e simmetrica esistono sempre tre autovalori reali σ1 , σ 2 , σ 3 detti tensioni principali; i corrispondenti autovettori individuano le direzioni principali2. Il polinomio caratteristico viene scritto usualmente nella forma sintetica λ3 − I 1λ2 + I 2 λ − I 3 = 0

I coefficienti I1, I2, I3 sono detti rispettivamente primo, secondo, terzo invariante perché, per un dato stato di tensione, si mantengono costanti indipendentemente dal particolare riferimento xyz in cui le componenti di tensione sono espresse. Ciò può essere compreso pensando che per una certa 2Se

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non diversamente specificato si denominano le tensioni principali in ordine decrescente: σ3 ≤ σ2 ≤ σ1.

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situazione fisica le tensioni principali -cioè le radici del polinomio caratteristico- sono univoche e quindi lo devono essere anche i coefficienti del polinomio. Le espressioni degli invarianti sono: I 1 = σ xx + σ yy + σ zz

I 2 = σ xx σ yy − τ 2xy + σ xx σ zz − τ 2xz + σ yy σ zz − τ 2yz I 3 = σ xx σ yy σ zz − σ xx τ 2yz − σ yy τ 2xz − σ zz τ 2xy + 2τ xy τ xz τ yz

Si riconosce che I1 è la traccia di [σ], I2 è la somma dei cofattori relativi alla diagonale principale di [σ], I3 è il determinante di [σ]. Poiché una direzione è principale se sulla faccia perpendicolare ad essa non agiscono tensioni tangenziali, adottando come sistema di riferimento una terna principale il tensore [σ] assume la seguente forma diagonale 0⎤ ⎡ σ1 0 ⎢0 σ 0 ⎥⎥ 2 ⎢ ⎢⎣ 0 0 σ 3 ⎥⎦ Per lo stesso ragionamento, se una certa riga (e colonna, data la simmetria) presenta i termini fuori diagonale nulli allora la corrispondente direzione è principale. 2.3.

Cerchi di Mohr

E' possibile eseguire una rappresentazione grafica di come variano le componenti normale e tangenziale su una faccia, al variare dell'orientazione della faccia stessa. n

σ σ1 p2

p3

α

τ

dl 2 p1

dl dl 1

σ2

r Assumiamo come sistema di riferimento la terna principale p1p2p3 e consideriamo la direzione n r contenuta nel piano p1p2; poiché la direzione p3 è principale il vettore della tensione f agente sulla r faccia normale a n è pure contenuto nel piano p1p2 e può essere descritto dalle due componenti σ e

τ. Queste ultime possono essere espresse scrivendo due condizioni di equilibrio: •

r

Equilibrio alla traslazione in direzione parallela a n :

σ dl dl 3 − σ1 dl 2 dl 3 cos α − σ 2 dl1 dl 3 sin α = 0 (dl3 spessore dell’elemento in direzione p3). Poiché dl1 = dl sin α , dl 2 = dl cos α , si ottiene: σ = σ1 cos 2 α + σ 2 sin 2 α •

r

Equilibrio alla traslazione in direzione normale a n (cioè tangenziale alla faccia in esame):

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Tensione

τ dl dl3 − σ1 dl 2 dl3 sin α + σ 2 dl1 dl3 cos α = 0 da cui segue:

τ = (σ1 − σ 2 ) cos α sin α

Si verifica agevolmente che σ e τ stanno tra di loro come le coordinate dei punti di una circonferenza. Infatti, ricordando le trasformazioni trigonometriche sen 2 α =

1 − cos 2α 2

cos 2 α =

1 + cos 2α 2

sen α cos α =

sen 2α 2

le relazioni trovate per σ e τ assumono la forma seguente: σ1 + σ 2 σ1 − σ 2 ⎧ = cos 2α ⎪⎪σ − 2 2 ⎨ ⎪τ = σ1 − σ 2 sen 2α ⎪⎩ 2 Quadrando e sommando si ottiene 2

σ + σ2 ⎞ ⎛ ⎛ σ − σ2 ⎞ ⎜σ − 1 ⎟ + τ2 = ⎜ 1 ⎟ 2 ⎠ 2 ⎠ ⎝ ⎝

2

che rappresenta l'equazione di una circonferenza (cerchio di Mohr), in un piano di coordinate στ, avente centro C e raggio r pari a: σ − σ2 ⎛ σ + σ2 ⎞ ,0 ⎟ r= 1 C =⎜ 1 2 ⎝ 2 ⎠ Quindi, considerando il fascio di piani aventi in comune l'asse principale p3 nel punto P, le componenti di tensione messe in evidenza dalla sezione eseguita con un piano di tale fascio sono date dalle coordinate σ e τ della circonferenza; inoltre l'angolo descritto dal raggio sul cerchio è il r doppio dell'angolo tra n e l'asse p1. r r Si osserva che per α=0 ( n parallelo all'asse principale p1) si ha σ=σ1 e τ=0, mentre per α=π/2 ( n parallelo all'asse p2) si ha σ=σ2 e τ=0; quindi le intersezioni della circonferenza con l'asse delle ascisse corrispondono alle facce normali alle direzioni principali.

τ

(σ1 −σ2 )/2

α



σ

σ2 (σ1 +σ2 )/2

σ1

Il procedimento seguito per ottenere il cerchio relativo al fascio di piani aventi in comune l'asse p3 può essere ripetuto, in modo analogo, considerando gli assi p1 e p2. Si ottengono così altri due cerchi, che intersecano l'asse delle ascisse rispettivamente nei punti (σ2 ,0), (σ3 ,0) e (σ1 ,0), (σ3 ,0).

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p

α

τ

σ3



σ1

σ2

3

σ p

p

2

1

p

3

τ

σ3

2α σ2

σ1

σ

α p p

2

1

p

3

τ

σ3

2α σ2

σ1

σ p p

2

1

α

I valori di σ e τ su una sezione qualunque, non contenente uno degli assi principali, sono contenuti all'interno del cerchio maggiore e all'esterno dei due cerchi minori, come indicato in figura.

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Tensione

τ

σ3

σ1

σ2

σ

Dall'osservazione dei cerchi di Mohr si ricavano alcune proprietà significative dello stato di tensione agente in un punto P e caratterizzato dalle tensioni principali σ1, σ 2, σ 3: • a seconda del piano considerato la tensione normale σ varia tra σ1 e σ3 e non può assumere •

valori all'esterno di tale intervallo; a seconda del piano considerato la tensione tangenziale τ varia in modulo tra 0 (piani normali alle direzioni principali) e (σ1- σ3)/2.

In caso generale il tracciamento dei cerchi di Mohr richiede la conoscenza delle tensioni principali (e quindi di aver risolto l'autoproblema relativo a [σ]), è possibile però un tracciamento immediato quando si verificano contemporaneamente le due condizioni seguenti: 1) una direzione principale e la corrispondente tensione principale sono note; 2) si conoscono le componenti di tensione su due facce perpendicolari tra di loro e appartenenti al fascio di piani aventi in comune l'asse principale noto. Per illustrare il procedimento supponiamo che z sia la direzione principale detta pc3 (e quindi σzz=σc), il tensore delle tensioni assumerà quindi la forma seguente: ⎡σ xx [σ] = ⎢⎢ τ xy ⎢⎣ 0

τ xy σ yy 0

0 ⎤ 0 ⎥⎥ σ zz ⎥⎦

σzz

z

y x σxx τxy

τxy

σyy

Sul piano στ si posizionano i punti (σxx, -τxy) e (σyy, τxy), questi devono corrispondere ai due estremi di un diametro del cerchio relativo ai piani avente in comune l'asse pc≡z. E' immediato ricavare l'ascissa c del centro e il raggio r del cerchio:

3

Non essendo inizialmente noti tutti i valori delle tensioni principali non è possibile utilizzare la nomenclatura in ordine decrescente (σ1≥σ2≥σ3);si adotta quindi una nomenclatura provvisoria (σa,σb,σc) senza imposizioni sulla grandezza dei termini.

14

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c=

⎛ σ xx − σ yy r = ⎜⎜ 2 ⎝

σ xx + σ yy

2

2

⎞ ⎟ + τ 2xy ⎟ ⎠

Per ottenere le due tensioni principali relative al cerchio in esame è sufficiente aggiungere o sottrarre il valore del raggio all'ascissa del centro: 2

σ xx + σ yy

⎛ σ xx − σ yy ⎞ ⎟ + τ 2xy σ a ,b = ± ⎜⎜ ⎟ 2 2 ⎠ ⎝ Anche le direzioni principali papb possono essere determinate per mezzo del cerchio (v. figura). τ

(σyy, τxy )

σb



σa

σ

α (σxx,−τxy) α rappresenta l'angolo tra l'asse pa e l'asse x, si può risalire ad esso dalla relazione 2τ xy tan 2α = σ xx − σ yy Infine, ricordando il valore della tensione principale inizialmente nota (σzz), si può completare la costruzione con i rimanenti due cerchi. Il procedimento si applica in maniera formalmente analoga se la direzione principale nota preliminarmente è x o y, semplicemente scambiando in modo opportuno gli indici degli assi.

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15

Deformazione, elasticità

3.

STATO DI DEFORMAZIONE E COMPORTAMENTO ELASTICO

3.1.

Spostamento e deformazione

Sotto l'azione dei carichi le strutture cambiano, in maniera più o meno marcata, la propria forma rispetto alla configurazione originale. Ad esempio nel campo meccanico tale fenomeno è ben evidente per componenti come le molle, ma si verifica, seppur in misura minore, in tutti gli elementi strutturali. Nei problemi relativi al comportamento meccanico dei materiali si deve quindi introdurre il concetto di corpo deformabile, essendo insufficiente la trattazione, tipica della meccanica, in termini di corpo rigido. Il tener conto della deformabilità ci permette di ottenere due risultati: • è possibile verificare il comportamento delle strutture non solo in termini di resistenza alle sollecitazioni, ma anche di rigidezza (ad esempio per valutare se il cambiamento di forma dovuto ai carichi è compatibile col funzionamento della struttura); • si possono risolvere i problemi di tipo iperstatico, per i quali le sole equazioni della statica non sono sufficienti. Si ricorda che la posizione di un punto è data dalle sue coordinate xyz in un sistema di riferimento, lo spostamento di un punto è dato dalla differenza di coordinate tra due istanti successivi t e t' ed è una grandezza di tipo vettoriale: ⎧ u ⎫ ⎧ x'− x ⎫ r ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ U = ⎨ v ⎬ = ⎨ y '− y ⎬ ⎪w⎪ ⎪ z '− z ⎪ ⎩ ⎭ ⎩ ⎭ Il moto rigido di un corpo è caratterizzato dal fatto che le distanze relative tra i punti che lo compongono si mantengono inalterate; possiamo distinguere inoltre tra traslazione rigida e rotazione rigida (v. figure). y

Traslazione rigida

y

x

Rotazione rigida

x

Nel primo caso le componenti di spostamento u, v, w sono uguali per tutti i punti del corpo, mentre nel secondo caso variano da punto a punto ma sempre rispettando la condizione di indeformabilità (in particolare nei moti piani la velocità di spostamento è proporzionale alla distanza dal centro di istantanea rotazione). Nel moto di deformazione di un corpo invece le distanze relative tra i punti possono variare; si distinguono due meccanismi fondamentali di deformazione: dilatazione e scorrimento (v. figure).

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y

Dilatazione

Scorrimento

y

x

x

Nel caso della dilatazione le lunghezze dei lati di un elemento che si deforma variano (allungandosi o accorciandosi) ma mantengono uguale orientazione. Viceversa nel caso dello scorrimento le lunghezze dei lati si mantengono uguali, ma variano le orientazioni. Nel seguito di questa trattazione si assumerà che gli spostamenti siano comunque piccoli (rispetto alle dimensioni caratteristiche della struttura), ipotesi che permette di linearizzare il problema e che risulta verificata nella maggior parte dei casi di interesse pratico. Per definire quantitativamente lo stato di deformazione a cui è sottoposto un corpo è evidente che non è sufficiente ragionare in termini (macroscopici) di spostamenti, in quanto questi dipendono dalle dimensioni del corpo stesso: ad esempio dire che un albero si inflette sotto carico di 1 mm non è significativo per stabilire se esso è molto o poco deformato, dal momento che tale spostamento dipende (oltre che dal carico) dalle caratteristiche geometriche e di materiale. Il procedimento seguito è, dal punto di vista concettuale, analogo a quello utilizzato nello studio delle sollecitazioni nei corpi, nel quale siamo passati da forze e momenti alle tensioni. Per definire quantitativamente la dilatazione consideriamo il segmento di lunghezza l congiungente i punti P e Q in un corpo deformabile. Q l P Q' l' P'

Durante il moto il punto P assume la nuova posizione P', analogamente Q va in Q'; a causa della deformazione la lunghezza del segmento cambia da l a l'. Quindi lo spostamento tra i due punti (nel senso di variazione di distanza) è dato dall'allungamento del segmento: u = l '−l Si definisce dilatazione ε il rapporto tra allungamento e lunghezza iniziale del segmento: l '−l u = ε= l l In generale il valore di ε può dipendere dalla lunghezza del segmento considerato, per evitare tale arbitrarietà consideriamo un segmento di lunghezza iniziale infinitesima dl che per effetto della deformazione assume lunghezza dl' e si allunga di du; allora la dilatazione è data da:

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17

Deformazione, elasticità

dl '− dl du = dl dl Per definire quantitativamente lo scorrimento consideriamo due segmenti inizialmente ortogonali, OP e OQ, aventi lunghezze rispettivamente pari a l e h. Durante il moto i punti O, P, Q si spostano in O', P', Q' ; rispetto alle direzioni originali i segmenti formano gli angoli α e β u Q' Q ε=

β π/2 − γ

π/2

h

α

O

l

P

P' v

O'

Poiché gli spostamenti sono piccoli si può approssimare u v α= β= l h Si definisce scorrimento γ il complemento a π/2 dell'angolo formato dopo deformazione tra due segmenti inizialmente ortogonali, pari quindi alla somma: v u γ = α+β = + l h Considerando anche in questo caso segmenti di lunghezza infinitesima dl, dh si ottiene: dv du γ= + dl dh Si fa notare che per definire lo scorrimento abbiamo bisogno di considerare due segmenti di riferimento; infatti considerandone uno solo non potremmo separare la rotazione rigida da quella di deformazione. 3.2.

Tensore delle deformazioni

Introdotte in forma elementare le definizioni di dilatazione e scorrimento, affrontiamo il fenomeno della deformazione in forma analitica generale. Per questo scopo consideriamo un segmento vettore r r infinitesimo dX che dopo lo spostamento si trasforma in un segmento dX ' ; nel caso più generale si verificano sia traslazione e rotazione rigide, sia deformazione e scorrimento. Supponendo che il campo di spostamenti sia continuo e derivabile, se il primo estremo del segmento è soggetto a uno r r r spostamento U , il secondo estremo è soggetto ad uno spostamento U + dU . Vale quindi l'eguaglianza vettoriale

r r r r r U + dX ' = dX + U + dU

da cui si ottiene

r r r dX ' = dX + d U r Si noti che semplificare lo spostamento U , comune ai due estremi del segmento, corrisponde a

depurare lo spostamento complessivo della traslazione rigida, che dal punto di vista dello studio

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r della deformazione è ininfluente. Nel termine dU rimangono quindi i contributi dovuti sia alla

rotazione rigida sia alla deformazione. dX'

U+dU

U

dX r dU può essere scritto come differenziale del campo di spostamenti: ⎡ ∂u ∂u ∂u ⎤ ⎢ ⎥ ⎧ du ⎫ ⎢ ∂x ∂y ∂z ⎥ ⎧dx ⎫ ⎪ ⎪ ⎢ ∂v ∂v ∂v ⎥ ⎪ ⎪ dy = [J ]{dX } ⎨ dv ⎬ = ⎢ ⎥⎨ ⎬ ⎪dw⎪ ⎢ ∂x ∂y ∂z ⎥ ⎪ dz ⎪ ⎩ ⎭ ∂w ∂w ∂w ⎩ ⎭ ⎢ ⎥ ⎢⎣ ∂x ∂y ∂z ⎥⎦

La matrice jacobiana [J] può essere scomposta nella somma di due termini sfruttando la seguente identità: [J ] = 1 [J ] + 1 [J ] 2 2 1 1 T 1 1 T = [J ] − [J ] + [ J ] + [J ] 2 2 2 2

Poniamo ora:

[Ω] = 1 [J ] − 1 [J ]T 2

2

[ε] = 1 [J ] + 1 [J ]T 2

2

⎡ 0 ⎢ ⎢ ⎢ 1 ⎛ ∂v ∂u ⎞ = ⎢ ⎜⎜ − ⎟⎟ ⎢ 2 ⎝ ∂x ∂y ⎠ ⎢ 1 ⎛ ∂w ∂u ⎞ ⎢ 2 ⎜ ∂x − ∂z ⎟ ⎠ ⎣ ⎝

1 ⎛ ∂w ∂v ⎞ ⎜ − ⎟ 2 ⎜⎝ ∂y ∂z ⎟⎠

1 ⎛ ∂u ∂w ⎞⎤ ⎟⎥ ⎜ − 2 ⎝ ∂z ∂x ⎠⎥ 1 ⎛ ∂v ∂w ⎞ ⎥ ⎜ − ⎟⎥ 2 ⎜⎝ ∂z ∂y ⎟⎠ ⎥ ⎥ 0 ⎥ ⎦

⎡ ∂u ⎢ ∂x ⎢ ⎢ 1 ⎛ ∂v ∂u ⎞ = ⎢ ⎜⎜ + ⎟⎟ ⎢ 2 ⎝ ∂x ∂y ⎠ ⎢ 1 ⎛ ∂w ∂u ⎞ ⎢ 2 ⎜ ∂x + ∂z ⎟ ⎠ ⎣ ⎝

1 ⎛ ∂u ∂v ⎞ ⎜ + ⎟ 2 ⎜⎝ ∂y ∂x ⎟⎠ ∂v ∂y 1 ⎛ ∂w ∂v ⎞ ⎜ + ⎟ 2 ⎜⎝ ∂y ∂z ⎟⎠

1 ⎛ ∂u ∂w ⎞⎤ ⎟⎥ ⎜ + 2 ⎝ ∂z ∂x ⎠⎥ 1 ⎛ ∂v ∂w ⎞ ⎥ ⎜ + ⎟⎥ 2 ⎜⎝ ∂z ∂y ⎟⎠ ⎥ ∂w ⎥ ⎥ ∂z ⎦

1 ⎛ ∂u ∂v ⎞ ⎜ − ⎟ 2 ⎜⎝ ∂y ∂x ⎟⎠ 0

Si può dimostrare che la matrice [Ω] rappresenta (nell'ambito dell'ipotesi di spostamenti piccoli) la r quota di dU corrispondente alla rotazione rigida, contributo che non vogliamo considerare.

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19

Deformazione, elasticità

I coefficienti della matrice [ε] rappresentano invece delle dilatazioni (termini sulla diagonale) o degli scorrimenti divisi per 2 (termini fuori diagonale), secondo le definizioni viste in precedenza; [ε] rappresenta quindi il tensore delle deformazioni, simmetrico e contenente 6 componenti diverse ∂u 1 ⎛ ∂u ∂v ⎞ 1 ε xx = ε xy = ε yx = ⎜⎜ + ⎟⎟ = γ xy ∂x 2 ⎝ ∂y ∂x ⎠ 2

ε yy =

∂v ∂y

ε xz = ε zx =

1 ⎛ ∂u ∂w ⎞ 1 ⎜ + ⎟ = γ xz 2 ⎝ ∂z ∂x ⎠ 2

1 ⎛ ∂v ∂w ⎞ 1 ⎜ + ⎟ = γ yz 2 ⎜⎝ ∂z ∂y ⎟⎠ 2 r Esso permette di calcolare lo spostamento infinitesimo dU dovuto alla sola deformazione del ε zz =

∂w ∂z

ε yz = ε zy =

corpo, escludendo i contributi del moto rigido: {dU } = [ε]{dX } Le deformazioni, sia dilatazioni sia scorrimenti, sono dei numeri puri in quanto rappresentano rapporti di lunghezze (m/m); poiché i valori tipici sono molto piccoli (10-6 ÷ 10-3), per lavorare con numeri più comodi da rappresentare le si esprime talvolta (soprattutto nell'analisi sperimentale delle deformazioni) in μm/m. 3.3.

Componenti e direzioni principali di deformazione

Analogamente al caso della tensione, anche il tensore della deformazione ammette 3 autovalori reali e i corrispondenti autovettori; essi rappresentano le deformazioni principali e le direzioni principali di deformazione. Il significato fisico in questo caso è il seguente: segmenti orientati lungo direzioni principali si dilatano (allungandosi o accorciandosi) senza subire distorsioni (escludendo le rotazioni rigide); inoltre, per ogni punto della struttura, la massima e la minima dilatazione principale costituiscono la massima e la minima dilatazione possibile che un segmento può subire a seconda della sua l'orientazione. Anche per le deformazioni è possibile la rappresentazione grafica mediante cerchi di Mohr; in questo caso sugli assi si pongono la dilatazione e la metà dello scorrimento. Le procedure per la costruzione e l'utilizzo dei cerchi sono analoghe al caso delle tensioni. γ 2

ε3

20

ε2

ε1

ε

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3.4.

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Relazione tra tensioni e deformazioni

I parametri che rappresentano gli stati di tensione e deformazione, cioè i coefficienti dei rispettivi tensori, sono legati tra di loro dal comportamento del materiale. L'esperienza fisica ci mostra che se si sottopone un materiale a degli sforzi questo si deforma, viceversa se si impone al materiale di deformarsi questo reagisce opponendo degli sforzi. Consideriamo ad esempio il caso di una molla sospesa verticalmente ad un estremo. Se (a) all'estremo libero si applica un carico assiale F questo presenta uno spostamento δ, proporzionale al carico stesso; se invece (b) si costringe l'estremo libero ad spostarsi di una quantità δ la molla oppone una forza resistente F proporzionale allo spostamento imposto. Inoltre si osserva che rimuovendo la causa (carico applicato o spostamento imposto) l'effetto (spostamento sotto carico o forza resistente) si annulla. Un comportamento di questo tipo è detto lineare elastico; si intende cioè che vi è una semplice legge lineare tra causa ed effetto e il fenomeno è inoltre reversibile.

F ∝δ

δ∝ F

δ=

1 F k

F = kδ δ

F

Nel caso in esame la costante di proporzionalità k costituisce la cosiddetta rigidezza della molla. Per caratterizzare dal punto di vista elastico il materiale, indipendentemente dalle caratteristiche geometriche della struttura, si deve studiarne il comportamento in termini di tensioni e deformazioni. Consideriamo un elemento infinitesimo di materiale e supponiamo di poter applicare su di esso le diverse componenti di tensione separatamente e di misurare le componenti di deformazione che nascono. σzz τyz

τxz

z

τyz

τxz y x

σxx

τxy

τxy

σyy

Applicando la componente σxx si osserva che la deformazione εxx risulta proporzionale alla tensione: 1 ε xx = σ xx ε xx ∝ σ xx E

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21

Deformazione, elasticità

La costante E è detta modulo elastico (o modulo di Young) e ha il significato fisico di rigidezza del materiale; dimensionalmente essa costituisce una tensione (espressa solitamente in MPa o N/mm2). Applicando la sola componente σyy si osserva che la deformazione εxx risulta proporzionale anche a questa componente di tensione:

ν σ yy E La costante ν è detta coefficiente di contrazione trasversale (o coefficiente di Poisson) e rappresenta la “disponibilità” del materiale alla dilatazione in direzione perpendicolare a quella in cui agisce una tensione di tipo normale; dimensionalmente è un numero puro. Lo stesso comportamento si riscontra applicando la sola componente σzz: ν ε xx ∝ σ zz ε xx = − σ zz E Viceversa si riscontra che la deformazione εxx è insensibile all'applicazione delle componenti di tensione tangenziali τxy, τxz, τyz. Misurando le componenti di dilatazione εyy, εzz si riscontrano comportamenti analoghi (scambiando ε xx ∝ σ yy

ε xx = −

debitamente gli indici degli assi) nei confronti delle diverse componenti di tensione. Applicando simultaneamente σxx, σyy, σzz, si osserva che vale la sovrapposizione degli effetti: ν ν 1 ε xx = σ xx − σ yy − σ zz E E E Per quando riguarda gli scorrimenti, si osserva che ognuno di essi è proporzionale alla sola componente di tensione tangenziale corrispondente (cioè con gli stessi indici); ad esempio: 1 γ xy ∝ τ xy γ xy = τ xy G La costante G è detta modulo elastico a taglio e rappresenta la rigidezza del materiale rispetto alla deformazione per scorrimento; anche essa ha le dimensioni una tensione. Si può verificare che G non è indipendente dalle costanti E, ν del materiale ma è legata ad esse dalla relazione E G= 2(1 + ν ) Un materiale che presenta un comportamento del tipo descritto è definito, oltre che elastico lineare, isotropo, cioè le proprietà meccaniche sono le stesse in tutte le direzioni. Oltre alle tensioni, un'ulteriore causa di deformazione nei problemi strutturali è rappresentata dalla temperatura; questa provoca solo dilatazioni, uguali in tutte le direzioni, ma non causa scorrimenti: ε xx = ε yy = ε zz = αΔT Il termine α costituisce il coefficiente di dilatazione termica del materiale, avente le dimensioni dell'inverso di una temperatura (1/°C), mentre ΔT è la variazione di temperatura del materiale rispetto ad una configurazione di riferimento. Complessivamente la relazione fra tensioni e deformazioni, detta legge di Hooke, costituisce un sistema di 6 equazioni che legano le componenti ε,γ alle σ,τ e alla variazione di temperatura ΔT:

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1 ν ν ⎧ ⎪ε xx = + E σ xx − E σ yy − E σ zz + αΔT ⎪ ⎪ε = − ν σ + 1 σ − ν σ + αΔT xx yy zz ⎪ yy E E E ⎪ ⎪ε zz = − ν σ xx − ν σ yy + 1 σ zz + αΔT ⎪ E E E ⎨ 1 ⎪γ xy = τ xy ⎪ G ⎪ 1 ⎪γ xz = τ xz G ⎪ ⎪ 1 ⎪γ yz = τ yz G ⎩ Poiché le σ e ε sono disaccoppiate dalle τ e γ, se un sistema di riferimento è principale per le tensioni allora lo è anche per le deformazioni e viceversa; in coordinate principali la legge di Hooke si riduce a: 1 ν ν ⎧ ⎪ε1 = + E σ1 − E σ 2 − E σ 3 + αΔT ⎪ 1 ν ν ⎪ ⎨ε 2 = − σ1 + σ 2 − σ 3 + αΔT E E E ⎪ 1 ν ν ⎪ ⎪ε 3 = − E σ1 − E σ 2 + E σ 3 + αΔT ⎩

3.5.

Energia di deformazione

E' noto dalla fisica che un corpo che si deforma sotto carico accumula energia potenziale in forma elastica; ad esempio nel caso di una molla l'energia accumulata è pari a F

E =

1 Fδ 2

δ ed è visualizzabile graficamente come area sottesa dalla retta nel diagramma forza-allungamento. Per calcolare l'energia elastica a livello di materiale, studiamo la deformazione di un elemento infinitesimo. Consideriamo prima il caso in cui agisca la sola tensione σxx sulla faccia di area dydz ,

la risultante elementare vale: dFx = σ xx dydz

Lo spostamento elementare per cui tale tensione compie lavoro è dato da: du = ε xx dx Si può quindi calcolare la corrispondente energia elastica: 1 1 1 dE = dFx du = σ xx ε xx dxdydz = σ xx ε xx dV 2 2 2

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23

Deformazione, elasticità

Definiamo quindi l'energia di deformazione per unità di volume η: 1 dE η= = σ xx ε xx dV 2 Considerando invece il caso in cui agisca la sola tensione tangenziale τxy sulle facce dxdz e dydz questa genera le risultanti elementari dFx = τ xy dxdz

dF y = τ xy dydz

I corrispondenti spostamenti per cui tale tensione compie lavoro sono dati da du = ε xy dy dv = ε xy dx Anche in questo caso si calcola l'energia elastica: 1 1 1 dE = dFx du + dF y dv = τ xy ε xy + τ xy ε xy dxdydz = τ xy γ xy dV 2 2 2 mentre l'energia per unità di volume è: 1 dE η= = τ xy γ xy dV 2

(

)

(

)

dFx

du dv

dFx

du

dFy

In caso generale l'energia elastica di deformazione per unità di volume è ottenuta semplicemente sommando i contributi di tutte le componenti (le tensioni normali non producono lavoro con gli spostamenti dovuti agli scorrimenti, le tensioni tangenziali non producono lavoro con gli spostamenti dovuti alle dilatazioni): 1 η = σ xx ε xx + σ yy ε yy + σ zz ε zz + τ xy γ xy + τ xz γ xz + τ yz γ yz 2 In coordinate principali l'espressione dell'energia assume la forma più compatta: 1 η = (σ1ε1 + σ 2 ε 2 + σ 3 ε 3 ) 2

(

3.6.

)

Stati notevoli di tensione e deformazione

In generale i problemi di elasticità sono tridimensionali e coinvolgono tutte le componenti di tensione e deformazione. Esistono però due casi, di notevole interesse pratico, di problemi bidimensionali: lo stato di tensione piana e lo stato di deformazione piana. Stato di tensione piana In questa condizione possono essere non nulle le componenti di tensione contenute in un piano (che assumiamo sia xy) mentre sono nulle tutte le componenti di tensione agenti trasversalmente a tale piano (quindi lungo z):

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σzz = τxz = τyz = 0 In questo caso è agevole invertire le relazioni tra tensioni e deformazioni. Posto σzz = 0 nella legge

di Hooke si ottiene per le due rimanenti tensioni normali: σ xx = σ yy =

E 1− ν E

2

1− ν

2

(ε xx + νε yy ) − E1α−ΔνT (ε yy + νε xx ) − E1α−ΔνT

L’equazione che lega tensione tangenziale e scorrimento nel piano viene riscritta come:

τ xy = Gγ xy È da notare che gli scorrimenti γxz e γyz, sono nulli essendo nulle le corrispondenti tensioni; viceversa la dilatazione εzz assume valori, in generale, non nulli essendo funzione di σxx, σyy: ν ε zz = − σ xx + σ yy + αΔT E La condizione di tensione piana è molto frequente nei problemi strutturali. Infatti la si incontra: • sulla superficie di tutti gli elementi strutturali, dove la tensione normale σzz è pari alla pressione

(



)

atmosferica (o, in generale, del fluido presente) di solito trascurabile rispetto alle altre tensioni; anche all’interno del materiale, nel caso di elementi molto sottili; infatti essendo la tensione piana sulle superfici che delimitano la parete, anche nel piccolo spessore di quest’ultima le componenti σzz, τxz, τyz non possono raggiungere valori significativamente diversi da zero.

superfici interno

Stato di deformazione piana In questa condizione si pongono delle limitazioni sulle deformazioni fuori del piano (quindi lungo z): gli scorrimenti sono nulli, la dilatazione è costante (deformazione piana generalizzata) o nulla (deformazione piana in senso stretto): γxz = γyz = 0 , εzz = K (K costante, eventualmente nulla) Eliminando σzz dalle equazioni che legano tensioni e deformazioni si ottiene:

[

(

)

]

E (1 − ν )ε xx + ν ε yy + K − (1 + ν )αΔT (1 + ν )(1 − 2ν ) E (1 − ν )ε yy + ν(ε xx + K ) − (1 + ν )αΔT σ yy = (1 + ν )(1 − 2ν ) Tra tensione tangenziale e scorrimento nel piano vale anche in questo caso la relazione: τ xy = Gγ xy

σ xx =

[

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]

25

Deformazione, elasticità

In questa condizione sono nulle le tensioni τxz e τyz essendo nulli i corrispondenti scorrimenti; la tensione normale fuori piano è invece, in generale, non nulla e si calcola come:

(

) E [(1 − ν )K + ν(ε xx + ε yy ) − (1 + ν )αΔT ] = (1 + ν )(1 − 2ν )

σ zz = E (K − αΔT ) + ν σ xx + σ yy

La condizione di stato di deformazione piana si presenta nei casi di solidi prismatici o cilindrici molto estesi, nei quali le facce che delimitano una generica “fetta” devono rimanere piane o addirittura bloccate. y x z

“fetta”

facce piane

z

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4. ESTENSIMETRIA ELETTRICA

La tecnica più utilizzata per la misura sperimentale delle deformazione è l’estensimetria elettrica a resistenza, basata sul fenomeno di variazione della resistenza elettrica di un conduttore soggetto a deformazione. Il suo campo di applicazione comprende, oltre al rilievo dello stato di deformazione negli elementi strutturali (da cui si ricava quello di tensione), la realizzazione di strumenti di misura di grandezze meccaniche (forze, coppie, pressioni, ecc.). 4.1.

Relazione tra variazione di resistenza e deformazione

È noto dall’esperienza che un conduttore filiforme soggetto a carico assiale varia la propria resistenza elettrica proporzionalmente al carico esercitato; il fenomeno può essere descritto in termini analitici nel modo seguente. La resistenza R del conduttore filiforme è data dalla relazione: R=

ρl A

dove ρ è la resistività del materiale, l la lunghezza del conduttore, A l'area della sezione trasversale. La variazione relativa di resistenza è pari a: ΔR Δρ Δl ΔA + − = R l A ρ

Il rapporto Δρ/ρ è la variazione relativa di resistività causata dalla deformazione, Δl/l è la dilatazione longitudinale ε del conduttore, ΔA/A è pari alla variazione relativa della sua sezione trasversale. Se quest’ultima è circolare con diametro d si ha: ΔA 2Δd = A d

se invece la sezione è rettangolare con lati a e b si ha: ΔA Δa Δb = + A a b

In condizioni di tensione monoassiale, in entrambi i casi si ottiene che la variazione relativa di area è pari al doppio della dilatazione trasversale εt, legata a quella longitudinale dal coefficiente di Poisson ν: ΔA = 2ε t = −2νε A

Sostituendo nella formula della variazione relativa di resistenza si ottiene: ΔR Δρ = + (1 + 2ν )ε R ρ

I semplici passaggi svolti spiegano la dipendenza di ΔR/R da ε relativamente agli aspetti geometrici; alla luce dei risultati dell’esperienza si conclude che anche Δρ/ρ deve essere proporzionale alla deformazione. In definitiva, si usa definire il rapporto tra variazione relativa di resistenza e deformazione ΔR / R Δρ / ρ = + 1 + 2ν = K ε ε

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27

Deformazione, elasticità

come fattore di taratura dell’estensimetro, ottenuto in condizioni di tensione monoassiale, che rappresenta la costante di proporzionalità che lega i fenomeni elettrico e meccanico. Nell’utilizzazione pratica l’estensimetro viene applicato mediante incollaggio alla superficie dell’elemento strutturale del quale si vuole misurare la deformazione; rilevando la variazione di resistenza elettrica si risale alla deformazione dividendo per K. L’estensimetro deve presentare resistenza elettrica sufficientemente alta per non assorbire troppa potenza elettrica dal circuito di misura (che di solito alimenta a tensione costante), ciò che comporta lunghezza elevata del conduttore, al contempo deve essere di piccole dimensioni per poter misurare la deformazione puntuale. Per mediare tra queste due esigenze i primi estensimetri erano realizzati disponendo a serpentina un filo; modernamente si costruiscono estensimetri a griglia, ricavata per asportazione di materiale da una lamina sottile (qualche μm). Il vantaggio principale di quest’ultima realizzazione sta nel fatto che le curve della serpentina possono avere sezione maggiore e complessivamente l’estensimetro ha minore sensibilità trasversale (parametro definito più avanti).

4.2.

Effetti della temperatura

La variazione della temperatura (dovuta alle condizioni ambientali, alle modalità di funzionamento del componente strutturale da misurare, al riscaldamento dell’estensimetro per effetto Joule) influenza la misura secondo tre distinti meccanismi. In primo luogo il fattore di taratura assume, a temperatura T diversa da quella di riferimento T0 (ambiente), il valore KT stimabile con la relazione: K T = K [1 + β K (T − T0 )]

dove βK è il coefficiente di temperatura dell'estensimetro. Secondariamente, la resistenza R dell’estensimetro subisce con la temperatura una variazione, che in termini relativi è descritta dalla relazione: ⎛ ΔR ⎞ ⎜ ⎟ = β(T − T0 ) ⎝ R ⎠T

dove β è il coefficiente di temperatura della resistenza dell’estensimetro. Inoltre, quando un estensimetro avente coefficiente di dilatazione termica αe è incollato su un componente strutturale (molto più rigido) con coefficiente di dilatazione α, esso subisce la dilatazione termica differenziale: ε α = (α − α e )(T − T0 )

I tre effetti modificano la relazione tra resistenza e deformazione in: ΔR = K T ε + K T (α − α e )(T − T0 ) + β(T − T0 ) R

Ricavando la deformazione effettiva si ottiene:

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ε=

ΔR / R [β + K T (α − α e )](T − T0 ) − KT KT

Tale relazione può essere ridotta a una forma più semplice moltiplicando e dividendo tutto il secondo membro per K e aggiungendo e sottraendo dentro la parentesi quadra la quantità K(α-αe): ⎧ ΔR / R [β + K (α − α e )](T − T0 ) (K T − K )(α − α e )(T − T0 ) ⎫ K ε=⎨ − − ⎬ K K ⎭ KT ⎩ K

La prima frazione fra parentesi graffe è il valore “grezzo” di deformazione ε' che si otterrebbe senza considerare effetti termici, la seconda è la deformazione apparente (cioè dovuta agli effetti termici) εa, la terza è trascurabile rispetto alle due precedenti; si ottiene così: ε = (ε'−ε a )

K KT

Il valore vero di deformazione può essere quindi ottenuto sottraendo dal valore grezzo quello apparente e moltiplicando il risultato per il rapporto dei valori del fattore di taratura alle temperature di riferimento e T. Nella pratica l’uso della di questa formula può essere reso difficile dalla non conoscenza del valore di temperatura richiesto per calcolare εa e KT. Sono disponibili sul mercato estensimetri, detti autocompensati, aventi βK, β piccoli e αe prossimo

400

4.0

300

3.0

200

2.0

100

1.0

0

0.0

-100

-1.0

-200

-2.0

-300

-3.0

-400 -50

0

50

100

150

200

variazione fattore di taratura (%)

deformazione apparente (μm/m)

a quello del materiale strutturale per il quale essi sono previsti. Di conseguenza la deformazione apparente è trascurabile e il fattore di taratura praticamente costante, cosicché la correzione non è necessaria. Nella figura seguente sono diagrammate la deformazione apparente e la variazione del fattore di taratura in funzione della temperatura. Relativamente alla prima si nota che per salti di temperatura di poche decine di gradi rispetto alle condizioni ambiente essa è trascurabili, mentre per salti superiori deve essere tenuta in conto; viceversa la variazione del fattore di taratura è molto contenuta su tutto l’intervallo di temperature.

-4.0 250

temperatura (°C)

4.3.

Componenti degli estensimetri e loro installazione

Un estensimetro è formato da una griglia conduttrice, posta su un supporto isolante e connessa al circuito elettrico mediante due terminali; inoltre esso viene applicato sulla superficie dell’elemento strutturale mediante adesivo e, se necessario, ricoperto mediante un protettivo.

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Deformazione, elasticità

Griglia Rappresenta il “cuore” dell’estensimetro, i suoi parametri caratteristici sono il materiale, la resistenza elettrica, le dimensioni. Il materiale usato comunemente è una lega 60% Cu, 40% Ni detta costantana in quanto presenta coefficienti di temperatura piccoli (β≈10-5 °C-1, βK≈10-3 °C-1) e quindi adatta a realizzare estensimetri autocompensati; il fattore di taratura è dell’ordine di 2. Più raramente si impiegano leghe Cr-Ni, con le quali si ha il vantaggio di ottenere fattori di taratura con valori fino a 4, ma che presentano una dipendenza dalla temperatura maggiore di un ordine di grandezza. I valori di resistenza elettrica impiegati sono 120 Ω per la misura delle deformazioni in componenti strutturali metallici, 350 Ω per la realizzazione di trasduttori, 700÷1000 Ω per la misura delle deformazioni in componenti strutturali non metallici (p.e. compositi). La scelta di tali valori è frutto del compromesso tra le opposte esigenze di valore alto per minimizzare la potenza assorbita (e quindi il riscaldamento) e basso rispetto alla resistenza di isolamento. La lunghezza della griglia può variare da qualche decimo fino al centinaio di mm. Si adottano griglie corte nel caso di campo di deformazione con forte gradiente, griglie lunghe nel caso di campo di deformazione costante o variabile linearmente e di materiale fortemente disomogeneo. Per misure su componenti meccanici le lunghezze tipiche sono di qualche mm. Supporto Permette l’applicazione della griglia sulla superficie dell’elemento strutturale, garantendo l’isolamento elettrico; deve essere sottile per porre la griglia nelle stesse condizioni della superficie per facilitare la dispersione del calore. Inoltre il coefficiente di dilatazione termica deve essere simile a quello del materiale strutturale per ottenere l’autocompensazione. Il materiale più comunemente adottato è la resina poliammidica, in fogli aventi spessore di qualche decina di μm, capace di sopportare i valori di deformazione che si desidera misurare (tipicamente fino 5000 μm/m) e temperature fino a 200 °C. Per temperature più elevate o particolari esigenze di robustezza si impiegano resine epossidiche o fenoliche rinforzate con fibra di vetro. Terminali Collegano l'estensimetro al circuito elettrico di misura. Possono essere del tipo a filo o a piazzola, nella quale l’utente salda un proprio tratto di filo. In entrambi i casi si fa uso di una basetta intermedia di ancoraggio, incollata all’elemento strutturale, nella quale si collegano i terminali ai cavi del circuito; in questo modo si evita che un’eventuale trazione nei cavi solleciti l’estensimetro. Adesivo Rende solidale l’estensimetro con la superficie dell’elemento strutturale. Il tipo più usato comunemente è il cianoacrilato, di facile e rapida applicazione ma adatto a temperature non superiori a 50-100 °C. Gli adesivi epossidici resistono a temperature fino a 250-300 °C (e

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consentono installazioni di lunga durata) ma l’applicazione è più laboriosa e usualmente richiede la cottura in forno. Protettivo Se necessario, l’estensimetro e i terminali vengono protetti da umidità e contatti accidentali con resine siliconiche, gomme, ecc. che ricoprono o inglobano l’installazione. 4.4.

Circuito di misura

Poiché le variazioni di resistenza in gioco sono estremamente piccole (tipicamente decimi di Ω), la misura deve essere precisa. Ciò è normalmente ottenuto mediante il circuito a ponte di Wheatstone, nel quale i quattro rami possono essere tutti estensimetri o una combinazione di estensimetri e resistori fissi di completamento. Nel caso generale vale la relazione (nel caso di rami costituita da resistori fissi le corrispondenti deformazioni sono, ovviamente, nulle): U =V

K (ε I − ε II + ε III − ε IV ) = V K 4 4

∑ε

dove V è la tensione di alimentazione applicata tra due vertici non consecutivi del ponte, mentre U è la tensione (detta di sbilanciamento) rilevata tra gli altri due vertici. Dall’esame della formula si deduce, come regola generale, che le deformazioni corrispondenti a lati contigui contribuiscono alla formazione del segnale con segni discordi, mentre quelle corrispondenti a lati non contigui contribuiscono con segni concordi. Tale proprietà del ponte viene sfruttata per eliminare la deformazione apparente e innalzare il segnale di misura; inoltre è possibile realizzare dei collegamenti “selettivi”, cioè sensibili solo ad alcune componenti di deformazione (caratteristica utile, ad esempio, nella realizzazione di trasduttori di forza).

RIV

RI U

V RIII

RII

Collegamento a quarto di ponte In questo caso, applicato in figura a un elemento a mensola, si ha un solo estensimetro e tre resistori fissi, quindi la sommatoria delle deformazioni si riduce a:

∑ ε = εI = ε + εa

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Deformazione, elasticità

I RIV U

V

I

RI

RIII

RII

Il principale vantaggio di tale collegamento è la semplicità ed economicità di preparazione, esso presenta però l’inconveniente di risentire dell’eventuale deformazione apparente dell’estensimetro. Collegamento a mezzo ponte Questo caso prevede l’uso di due estensimetri, montati su due lati contigui, e due resistori fissi. Il collegamento è utilizzato in due diverse versioni. Nella prima il secondo estensimetro, detto compensatore, mentre il primo è detto attivo, è posto su una zona scarica dell’elemento strutturale, o su un altro elemento dello stesso materiale e posto alla stessa temperatura. In questo modo la deformazione apparente rilevata dall’estensimetro compensatore è la stessa dell’estensimetro attivo e la sommatoria delle deformazioni diventa:

∑ ε = ε I − ε II = ε + ε a − ε a = ε I RIV U

V

I

RI

RIII

RII

Si ottiene quindi la cancellazione della deformazione apparente, indipendentemente dall’autocompensazione dell’estensimetro; questa versione è frequentemente usata nella misura sperimentale delle deformazioni. Nella seconda versione il secondo estensimetro è posto in modo da misurare una deformazione di segno opposto a quella misurata dal primo. Ad esempio, se i due estensimetri misurano deformazioni di flessione, aventi uguale modulo e segni opposti; la sommatoria vale:

∑ ε = ε I − ε II = ε + ε a − (− ε + ε a ) = 2ε

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I RIV

RI

II U

V

I

RIII

RII

Nel caso seguente invece il secondo estensimetro misura la deformazione trasversale pari a –νε, perciò la sommatoria vale:

∑ ε = ε I − ε II = ε + ε a − (− νε + ε a ) = (1 + ν )ε

I II RIV U

V

I

RI

RIII

RII

II

Si nota che questa versione del circuito, oltre a cancellare la deformazione apparente, ha l’effetto di incrementare il segnale rilevato, a favore della precisione della misura. Collegamento a ponte completo In questo caso tutti i lati del ponte sono costituiti da estensimetri; per il suo maggior costo e complicazione questo collegamento è impiegato nella realizzazione di trasduttori. Due esempi di applicazione sono mostrati nel seguito; in essi sono semplicemente raddoppiati i circuiti delle figure precedenti. Per il caso di misura di deformazioni opposte di flessione si ottiene:

∑ ε = ε I − ε II + ε III − ε IV = 2(ε + ε a ) − 2(− ε + ε a ) = 4ε I, III RIV

RI

II, IV U

V

I III

RIII

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RII

33

Deformazione, elasticità

Invece, misurando la contrazione trasversale si ha:

∑ ε = ε I − ε II + ε III − ε IV = 2(ε + ε a ) − 2(− νε + ε a ) = 2(1 + ν )ε I, III II, IV RIV

II I III IV

4.5.

RI U

V RIII

RII

Alimentazione del circuito - Problemi legati ai cavi

I circuiti estensimetrici possono essere alimentati in alternata o in continua. L’alimentazione del primo tipo, applicata con frequenza di qualche centinaio di Hz o di pochi kHz, consente misure più stabili nei confronti della deriva (variazione nel tempo del segnale misurato mentre la deformazione è costante) ed è adatto al caso di misure eseguite in condizioni statiche o variabili lentamente nel tempo. Invece nel caso di misure eseguite in condizioni dinamiche si alimenta in continua, evitando così che le frequenze del fenomeno interagiscano con quella dell’alimentazione. In entrambi i casi il livello di tensione di alimentazione è scelto come compromesso tra le esigenze di ottenere un segnale elevato, e quindi misurabile con precisione, e di non causare riscaldamento della griglia. I produttori di estensimetri indicano, per ogni tipo di estensimetro e a seconda del materiale strutturale su cui esso è applicato, i valori di tensione adeguati. Come regola indicativa si può assumere una tensione di alimentazione che produca una potenza massima (per unità di superficie della griglia) di 8 mW/mm2 nel caso di elementi strutturali che disperdono bene il calore (metalli di spessore elevato), e di 1.5 mW/mm2 nel caso di elementi strutturali che costituiscono dei cattivi pozzi di calore (metalli di spessore sottile, polimeri, ecc.). Per la misura si utilizzano appositi strumenti, comunemente detti centraline, che: • forniscono al circuito l’alimentazione desiderata; • completano il ponte di Wheatstone con resistori contenuti in essi nel caso di collegamento a mezzo o a quarto di ponte; • permettono l’azzeramento iniziale del segnale (i lati del ponte sono solo nominalmente identici e quindi anche in assenza di deformazione si ha una tensione di sbilanciamento U); • amplificare il segnale di un guadagno opportuno e visualizzarlo nella forma desiderata, consentendo anche l’introduzione del fattore di taratura, delle caratteristiche del circuito, ecc. L’estensimetro o gli estensimetri sono collegati alla centralina mediante cavi, preferibilmente di tipo schermato. Nel caso in cui essi siano “lunghi”, cioè con resistenza non trascurabile, si possono presentare errori nella misura.

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In primo luogo, la resistenza elettrica dei cavi può variare durante la misura a causa di variazioni di temperatura e ciò si traduce in deformazioni apparenti rilevate dal circuito; per ovviare a questo problema si deve ricorrere a particolari collegamenti. Nel caso del quarto di ponte non si deve semplicemente prolungare il lato attivo con due fili, ma adottare lo schema detto a tre fili. In esso la deformazione apparente dovuta al cavo posto sul lato attivo (I) è compensata da quella dovuta al cavo sul lato contiguo (II); il terzo filo, necessario per leggere la tensione di sbilanciamento U non induce errore in quanto attraverso esso (in serie con lo strumento di misura, avente impedenza molto elevata) non passa praticamente corrente e quindi non si ha variazione di tensione tra i suoi estremi. Rc RIV

RI Rc U

V RIII

RII

Rc

Lo schema a tre fili è applicabile anche al caso del mezzo ponte, come mostrato in figura. Rc

RIV

RI Rc U

V

RII

RIII Rc

Nel caso del ponte completo si adotta il seguente schema a quattro fili, dei quali due prolungano l’alimentazione V e due la lettura di U. Rc Rc

RIV

RI

RIII

RII

U V

Rc

Rc

I circuiti presentati consentono di eliminare le deformazioni apparenti, sono invece inevitabili gli effetti dell’attenuazione del segnale nei cavi. Questi sono rispettivamente quantificati per il collegamento con tre fili dalla relazione

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Deformazione, elasticità

(∑ ε)vera = R +RRc (∑ ε)misurata e per il collegamento con quattro fili dalla relazione

(∑ ε)vera = R +R2Rc (∑ ε)misurata In pratica, considerando che la resistenza Rc del cavo è dell’ordine dell’Ohm, a fronte delle centinaia di Ohm della resistenza R degli estensimetri, questo tipo di errore è nella maggior parte delle applicazioni trascurabile. 4.6.

Rosette estensimetriche

Quando le direzioni principali non sono conosciute a priori, si affronta il problema considerando le componenti del tensore delle deformazioni relative al piano xy, cioè εxx, εyy, εxy, come tre incognite da determinare in base ad altrettante condizioni note. Infatti, ricordando che la misura avviene in stato di tensione piana, delle rimanenti componenti di deformazione εxz e εyz sono nulle, mentre εzz può essere determinata successivamente a partire dalle tensioni normali nel piano. Si applica allora la relazione ε = {n}T [ε]{n} per lo stesso punto su tre direzioni distinte, ciascuna corrispondente all’orientazione di un estensimetro, ottenendo: ⎧ε a = ε xx cos 2 θ a + ε yy sen 2 θ a + 2ε xy sen θ a cos θ a ⎪ ⎪ 2 2 ⎨ε b = ε xx cos θ b + ε yy sen θ b + 2ε xy sen θ b cos θ b ⎪ 2 2 ⎪⎩ε c = ε xx cos θ c + ε yy sen θ c + 2ε xy sen θ c cos θ c

dove, rispettivamente, θa, θb, θc sono gli angoli formati dalle direzioni delle griglie rispetto al riferimento (asse x), mentre εa, εb, εc sono i risultati delle misure (ottenute collegando separatamente ogni estensimetro a quarto di ponte, o a mezzo ponte con compensatore). Dal sistema di equazioni si ricavano le componenti di deformazione incognite dalle quali, applicando la legge elastica corrispondente allo stato di tensione piana, si ottengono le tensioni σxx, σyy, τxy (successivamente si può calcolare εzz, ricordando che σzz = 0). Per facilitare l’applicazione del metodo appena descritto i produttori di estensimetri realizzano le rosette, gruppi di tre griglie collocate su un unico supporto. Sono inoltre prodotte rosette a due griglie perpendicolari, da allineare con le direzioni principali (che evidentemente devono essere note), e anche a quattro griglie, usate per installazioni del tipo a ponte completo o più raramente per ottenere un sistema sovracondizionato –tre incognite e quattro equazioni– che viene risolto con il metodo dei minimi quadrati. Il tipo di rosetta più comune è quella detta rettangolare, contenente tre griglie orientate rispettivamente a 0° (asse x), 45°, 90°. Il sistema di equazioni in questo caso fornisce: ⎧ε xx = ε 0 ⎪ 1 1 ⎪ ⎨ε xy = ε 45 − ε 0 − ε 90 2 2 ⎪ ⎪⎩ε yy = ε 90

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5. CEDIMENTO STATICO DEI MATERIALI METALLICI 5.1.

Prova di trazione a temperatura ambiente

Il metodo più comune per valutare sperimentalmente le caratteristiche meccaniche di un materiale strutturale è rappresentato dalla prova di trazione. Essa consiste nel sottoporre una provetta (normalmente di forma cilindrica o prismatica) a carico di trazione assiale crescente, generalmente fino a produrne la rottura; durante la prova si registrano le coppie di valori carico-allungamento per costruire il relativo diagramma. L'esecuzione delle prove è regolata da norme dedicate che prescrivono i parametri geometrici delle provette, le modalità di applicazione del carico e i procedimenti per l'elaborazione dei risultati (v. UNI EN 10002 Materiali metallici – Prova di trazione). Provette Le provette da impiegare per le prove di trazione hanno forma e dimensioni unificate; ciò è dettato non solo da motivi di ordine pratico (facilità di realizzazione delle provette, compatibilità con le macchine di prova), ma anche dal fatto che i risultati ottenuti possono essere in una certa misura influenzati dalla geometria della provetta. La sezione delle provette può essere di tipo circolare (per materiale in barre) o rettangolare (lamiere); in entrambi i casi si distinguono: la parte calibrata, le due teste di afferraggio e le due zone di raccordo. La parte calibrata è la zona a sezione costante con dimensioni controllate (si impongono tolleranze dimensionali e di forma) e di lunghezza Lc, che viene utilizzata per le misure; nell'interno della zona calibrata si tracciano due linee trasversali di riferimento distanti tra di loro L0. Le provette impiegate sono usualmente di tipo proporzionale, cioè soddisfano la condizione: L0 = 5.65 S 0 che corrisponde ad un tratto calibrato di lunghezza pari a 5 diametri nel caso di sezione circolare. Le teste di afferraggio sono gli estremi della provetta, aventi sezione maggiore rispetto alla parte calibrata, che vengono afferrati dai morsetti della macchina per l'applicazione del carico di trazione. Le zone di raccordo collegano la parte calibrata alle teste di afferraggio, evitando brusche variazioni di sezione. teste di afferraggio

tratto calibrato

zone di raccordo

L0 Lc

S0

teste di afferraggio

tratto calibrato

Provetta a sezione piatta

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zone di raccordo

L0 Lc

S0

Provetta a sezione circolare

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Cedimento statico

Macchine di prova Le macchine di prova permettono di esercitare la trazione sulle provette, in modo controllato, misurando inoltre lo sforzo applicato e l'allungamento della provetta durante l'esame. L'architettura tipica della macchina comprende il basamento, due o più colonne-guide, la traversa mobile e i morsetti per l'afferraggio delle provette; il movimento della traversa è generato da viti di manovra (macchine ad azionamento meccanico) o da cilindri attuatori (macchine ad azionamento idraulico). Un morsetto è collegato al basamento, l'altro è solidale con la traversa mobile; lo spostamento di quest'ultima manda in trazione la provetta.

colonne traversa mobile

cella di carico morsetti

basamento

L'afferraggio della provetta è ottenuto di solito per mezzo di ganasce autoserranti a cunei, aventi superfici piane per provette di lamiera e superfici concave per provette a sezione circolare; per le provette a sezione circolare e dotate di spallamenti si utilizzano attacchi a filiera (smontabili per consentire l'inserimento delle provette). A

A

Sez. A-A

provette piatte

Attacchi a filiera

provette circolari

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La misura della forza è ottenuta per mezzo di un apposito dinamometro (cella di carico) posto in serie sul sistema di applicazione della forza di trazione oppure, nel caso di macchine idrauliche, rilevando la pressione nel circuito. La misura dell'allungamento della provetta è eseguita in due modi diversi, a seconda della precisione richiesta e dell'entità dell'allungamento stesso: • misurando lo spostamento della traversa mobile si rileva qualunque livello di allungamento (fino all'eventuale rottura), ma la precisione non è elevata (errori dovuti ai giochi meccanici, alla deformabilità della traversa, ecc.); • utilizzando un estensometro, apposito strumento che viene agganciato alla provetta e che misura l'allontanamento tra due sezioni di riferimento, la precisione è molto elevata ma la corsa misurabile è breve (pochi mm), questa tecnica è quindi impiegata per misurare gli allungamenti elastici che hanno piccola entità. Comportamento dei materiali durante la prova La risposta dei materiali metallici sottoposti a trazione è evidentemente assai diversa a seconda del tipo di materiale e dei trattamenti che questo ha subito, in termini sia qualitativi (tipi di comportamento presentato) sia quantitativi (valori dei parametri caratteristici). Nel seguito si cercherà di illustrare i concetti fondamentali, cercando di classificare i comportamenti dal punto di vista strutturale. E' necessario definire alcune grandezze che vengono impiegate per descrivere le caratteristiche meccaniche del materiale. • Deformazione convenzionale: è il rapporto tra la variazione di lunghezza del tratto compreso tra i due riferimenti e la lunghezza iniziale del tratto stesso ε = ΔL / L0 invece della deformazione frequentemente si utilizza l'allungamento percentuale: 100 ⋅ ΔL / L0 •

Tensione convenzionale (o carico unitario): è il rapporto tra la forza di trazione applicata e l'area iniziale della sezione retta del tratto calibrato σ = F / S0



Carico di scostamento dalla proporzionalità (totale o unitario): è il carico al quale corrisponde un allungamento non proporzionale pari alla percentuale p della distanza tra ai riferimenti; ad esempio Fp0,2 (e, analogamente, Rp0,2=Fp0,2/S0) è il carico che determina un allungamento avente

una quota non proporzionale pari allo 0,2% della distanza tra i riferimenti. Durante la prova la sezione retta del provino è sollecitata dall'unica componente di tensione perpendicolare σ e tale tensione è principale, inoltre le due restanti tensioni principali sono nulle e il materiale è quindi in condizioni di tensione monoassiale. I dati rilevati nel corso della prova sono riportati su un diagramma forza-allungamento o, dividendo la prima per la sezione iniziale del tratto calibrato, tensione-allungamento.

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Cedimento statico

Nella fase iniziale della prova, finché il carico si mantiene sufficientemente basso, il comportamento del materiale è elastico e il corrispondente tratto del diagramma è lineare. La pendenza di tale retta nel diagramma σ- ε rappresenta il modulo elastico E. Continuando ad esercitare la trazione sulla provetta si arriva ad un certo livello per il quale la forza e l'allungamento cessano di essere proporzionali e il diagramma si scosta dalla linearità; da questo punto in poi il comportamento si differenzia a seconda del tipo di materiale in esame. Per alcuni materiali, come gli acciai a basso contenuto di carbonio, ciò è particolarmente evidente: la forza cessa improvvisamente di salire (addirittura decresce leggermente) mentre la provetta continua ad allungarsi. Il fenomeno è detto snervamento, esso segna la fine del comportamento elastico del materiale e l'inizio delle deformazioni plastiche permanenti; si definisce carico di snervamento superiore FeH il valore di picco della forza di trazione corrispondente alla fine del comportamento elastico, mentre il carico di snervamento inferiore FeL è il valore a cui la forza scende (assestandosi dopo alcune oscillazioni) quando il fenomeno si è manifestato. Successivamente, continuando a esercitare la trazione sulla provetta la forza riprende a salire, ma con pendenza molto inferiore a quella del tratto elastico: siamo nella fase delle deformazioni plastiche aventi entità assai superiore di quelle elastiche. In tale fase il volume del materiale si mantiene approssimativamente costante, quindi l'allungamento è compensato da una contrazione trasversale. Il fatto che la forza continui a salire, malgrado la riduzione della sezione, indica che il carico unitario (cioè la tensione) necessario per deformare il materiale cresce in misura tale da compensare la perdita di sezione resistente: tale fenomeno è noto come incrudimento. Questo comportamento prosegue finché la curva presenta un massimo Fm, detto anche carico di rottura; da questo punto in poi si la riduzione della sezione si verifica in una zona localizzata, tale fenomeno è noto come strizione. La forza necessaria ad allungare ulteriormente la provetta diminuisce perché l'incrudimento del materiale non basta più a compensare la riduzione di sezione. Infine la provetta si rompe, dividendosi in due parti in corrispondenza della sezione ristretta. rottura F

Fm deform. plast. localizzata

FeH FeL deform. plast. uniforme

allungamento (%) Per altri materiali, come ad esempio gli acciai a medio contenuto di carbonio, il fenomeno dello snervamento non è più evidente, ma si osserva semplicemente una progressiva deviazione dalla linearità; in questo caso, invece del carico di snervamento FeH si determina il carico di scostamento

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dalla proporzionalità, di solito allo 0,2%: Fp0,2. La procedura consiste nel tracciare la retta parallela al tratto elastico del diagramma e distante in orizzontale 0,2%; l'intersezione con la curva fornisce il valore di Fp0,2. Col procedere della prova si osservano anche in questo caso la crescita della curva dovuta all'incrudimento e il successivo calo dovuto alla strizione. F rottura

Fm Fp0,2

deform. plast. localizzata deform. plast. uniforme 0,2%

allungamento (%)

Per alcuni materiali, come ad esempio le ghise grigie, la fase delle deformazioni plastiche è assente o praticamente trascurabile; la rottura si manifesta immediatamente alla fine del tratto elastico della curva. rottura F

Fm

allungamento (%) Per tutti i materiali duttili si osserva inoltre che se il carico viene rilasciato durante la deformazione plastica il diagramma relativo allo scarico è lineare e parallelo alla retta che descrive l'andamento elastico iniziale; di conseguenza la provetta non riassume la lunghezza originale ma presenta un allungamento residuo. Se si applica nuovamente il carico il diagramma è lo stesso segmento fino al livello massimo di carico che era stato raggiunto in precedenza, da questo punto in poi viene di nuovo seguita la curva relativa alla fase plastica del materiale, come se lo scarico non fosse avvenuto. Si osserva quindi che un materiale che ha subito un certo livello di deformazione plastica presenta una fase elastica più ampia.

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Cedimento statico

F

allungamento residuo

allungamento (%)

Come già anticipato nelle definizioni, il passaggio dai valori caratteristici di forza (carico) a quelli corrispondenti di tensione (carico unitario) avviene semplicemente dividendo per l'area iniziale S0 della provetta: carico unitario di snervamento superiore carico unitario di snervamento inferiore carico unitario di rottura

ReH = FeH / S0 ReL = FeL / S0 Rm = Fm / S0

E' evidente che tali definizioni hanno valore convenzionale; in particolare il carico unitario di rottura viene definito dividendo la forza massima misurata durante la prova per un valore di area che non è quello su cui essa agisce, ma è il valore della sezione indeformata. Il tratto decrescente della curva, corrispondente alla strizione della provetta, non è in pratica utilizzabile in quanto lo stato di tensione diventa triassiale e, inoltre, la tensione assiale non è uniforme sulla sezione. Riaccostando i due spezzoni della provetta si può misurare la lunghezza finale Lu tra i due riferimenti tracciati prima della prova a distanza L0; si definisce la grandezza seguente: allungamento dopo rottura (%)

A = 100⋅(Lu -L0)/ L0

Si definiscono duttili quei materiali che presentano elevata deformazione plastica prima della rottura, fragili quelli che presentano deformazione plastica limitata; poiché la deformazione plastica determina il valore della lunghezza finale dopo rottura Lu , si può eseguire una distinzione di massima in base all'entità dell'allungamento dopo rottura: A > 10%: materiali duttili

A < 5%: materiali fragili

Per valori di A compresi tra 5% e 10% si osserva un comportamento intermedio tra fragilità e duttilità. La tabella seguente riporta, a titolo di esempio, i valori tipici delle caratteristiche di resistenza per alcuni materiali ferrosi utilizzati nelle costruzioni meccaniche; dati completi per le diverse tipologie di materiali possono essere trovati nelle corrispondenti tabelle UNI.

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Materiale acciai per carpenteria

acciai da bonifica

ghise grigie ghise sferoidali

S235 S275 S355 C30 C40 41Cr4 39NiCrMo3 GJL-100 GJL-200 GJL-300 GJS-350-22 GJS-500-7 GJS-700-2

ReH (Rp0,2)

Rm

(MPa) ≥ 235 ≥ 275 ≥ 355 325 370 540 540 230 370 420

(MPa) ≥ 360 ≥ 430 ≥ 510 540 590 740 740 100 200 300 350 500 700

A % ≥ 26 ≥ 23 ≥ 21 20 18 14 13 22 7 2

Dall'esame della tabella si osserva che per gli acciai le caratteristiche di resistenza (carichi unitari di snervamento e di rottura) sono in generale inversamente proporzionali all'allungamento a rottura, inoltre per gli acciai ad alta resistenza il limite di snervamento è (proporzionalmente) più vicino a quello di rottura che per gli acciai a bassa resistenza. 5.2.

Ipotesi di cedimento

I dati relativi alla resistenza dei materiali ottenuti mediante la prova di trazione corrispondono al cedimento in condizioni di tensione monoassiale. In generale ogni punto di un elemento di macchina può essere soggetto ad uno stato di tensione pluriassiale, definito dal tensore delle tensioni cartesiane [σ] o dalle tensioni principali σ1, σ2, σ3. Al fine di stabilire se lo stato di tensione agente nel punto considerato è compatibile con la resistenza del materiale si pone quindi il problema di definire un unico valore (scalare) equivalente, da confrontare con il valore che esprime il limite caratteristico del materiale. Si deve cioè definire una tensione, detta ideale o equivalente, funzione delle 3 tensioni principali effettivamente agenti e che equivalga dal punto di vista del pericolo di cedimento allo stato di tensione vero: σ id = f (σ1 , σ 2 , σ 3 ) Tale funzione non è univoca e dipende dal comportamento tipico del materiale; per la sua determinazione si deve analizzare più dettagliatamente ciò che si verifica nel materiale in condizioni di cedimento. Il differente comportamento, duttile o fragile, del materiale durante la prova di trazione corrisponde ai diversi fenomeni che si producono nel materiale quando la sollecitazione cresce. Nel caso dei materiali fragili il cedimento consiste nella perdita di coesione fra gli atomi del reticolo cristallino del metallo, fenomeno che porta al distacco frontale del materiale. L'intuizione fisica ci porta a presumere che tale distacco si verifichi per effetto delle tensioni di tipo normale (σ), tale

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Cedimento statico

ipotesi è confermata sperimentalmente dal fatto che le superfici di rottura a trazione di materiali di questo tipo sono perpendicolari alla direzione della forza. Nel caso dei materiali duttili il cedimento che mette fine al comportamento elastico è causato dallo scorrimento dei piani cristallini, che si verifica su piani inclinati di circa 45° rispetto alla direzione di applicazione della forza dove le tensioni di tipo tangenziale (τ) sono massime. Esaminando le superfici di rottura a trazione di un materiale di questo tipo si riscontra infatti che esse, almeno nella zona esterna del provino, sono inclinate dell'angolo suddetto rispetto alla direzione della forza. σ

σ

materiali fragili: decoesione frontale

σ

σ

materiali duttili: scorrimento plastico

Numerose ipotesi di cedimento sono state proposte dai ricercatori che si sono occupati di resistenza dei materiali; in questa trattazione ci si limiterà a presentare quelle più comunemente adottate per i materiali metallici impiegati nelle costruzioni meccaniche. Ipotesi della massima tensione normale (Galileo, Rankine) Si suppone che il materiale ceda quando la massima delle tensioni principali, che è la massima tensione normale tra quelle agenti sugli infiniti piani passanti per il punto in cui si esegue la verifica, raggiunge un valore limite: σid = σ1 Per quanto discusso in precedenza, questa ipotesi risulta applicabile ai materiali che presentano comportamento fragile. Ipotesi della massima tensione tangenziale (Tresca, Guest) L'ipotesi è applicabile ai materiali di tipo duttile. Si suppone che il materiale ceda, nel senso di iniziare a deformarsi plasticamente, quando la massima tensione tangenziale tra quelle agenti sugli infiniti piani passanti per il punto in cui si esegue la verifica raggiunge un valore limite. τ τmax

σ3

44

σ2

σ1

σ

limiti di cedimento

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Dall'esame dei cerchi di Mohr si ricava immediatamente che la tensione tangenziale massima è il raggio del maggiore dei cerchi e vale: σ − σ3 τ max = 1 2 Nel caso dello stato di tensione monoassiale che si ha nella prova di trazione, due cerchi di Mohr coincidono e il terzo degenera in un punto; la massima tensione tangenziale vale quindi: σ τ max,id = id 2 Confrontando le due espressioni si ottiene: σ id = σ1 − σ 3 Si noti che secondo questa ipotesi la tensione principale intermedia non influisce sul valore della tensione ideale; inoltre se a tutte le tensioni principali si aggiunge una costante (cosa che corrisponde a traslare orizzontalmente i cerchi di Mohr) il valore della tensione ideale non cambia. Ipotesi dell'energia di distorsione (Huber, Hencky, Von Mises) Anche questa ipotesi è applicabile ai materiali di tipo duttile. Si suppone che il materiale inizi a deformarsi plasticamente quando la quota di energia potenziale elastica di deformazione (cfr. §3.5.) che corrisponde al puro cambiamento di forma (distorsione) raggiunge un valore critico.

τ

τ12 σ3

σ2

σ1

τ23

τ13

σ

Si può dimostrare che l'energia D corrispondente alla pura distorsione del materiale è data dalla media dei tre prodotti delle tensioni tangenziali massime per le corrispondenti deformazioni: 1 D = (τ12 γ12 + τ 23 γ 23 + τ13 γ13 ) 3 Per la legge di Hooke γ = τ/G e quindi: 1 D = τ12 2 + τ 23 2 + τ13 2 3G Esprimendo le tensioni tangenziali massime in funzione di quelle principali si ottiene: 2 2 2 1 ⎡⎛ σ1 − σ 2 ⎞ ⎛ σ 2 − σ3 ⎞ ⎛ σ1 − σ 3 ⎞ ⎤ ⎢⎜ + + D = ⎜ ⎟ ⎜ ⎟ ⎥ ⎟ 3G ⎢⎝ 2 ⎠ 2 2 ⎠ ⎥ ⎝ ⎠ ⎝ ⎣ ⎦

(

)

Nel caso della prova di trazione due tensioni tangenziali massime coincidono e la restante è nulla:

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45

Cedimento statico

1 ⎡⎛ σ id − 0 ⎞ ⎛σ −0⎞ ⎛0−0⎞ ⎢⎜ ⎟ +⎜ ⎟ ⎟ + ⎜ id 3G ⎢⎝ 2 ⎠ ⎝ 2 ⎠ ⎝ 2 ⎠ ⎣ 2

D =

2

2⎤

2 1 ⎡ ⎛ σ id ⎞ ⎤ ⎥= ⎢2⎜ ⎟ ⎥ ⎥⎦ 3G ⎢⎣ ⎝ 2 ⎠ ⎥⎦

Confrontando le due espressioni si ottiene: 1 (σ1 − σ 2 )2 + (σ 2 − σ 3 )2 + (σ1 − σ 3 )2 σ id = 2 Questa ipotesi tiene conto del contributo da parte di tutte le tre tensioni principali; anche in questo caso se a tutte le tensioni principali si aggiunge una costante il valore della tensione ideale non cambia, ciò è giustificato dal fatto che in questo modo si aggiungerebbe energia di deformazione associata ad un cambiamento di volume ma non di forma. Confronto tra le ipotesi della massima tensione tangenziale e dell'energia di distorsione Poiché entrambe le ipotesi suddette sono state formulate per rappresentare il cedimento dei materiali duttili, si pone il problema di valutare di quanto esse differiscano e di stabilire quale delle due sia più adeguata a rappresentare le condizioni limite. Un confronto diretto tra le due ipotesi può essere eseguito in forma grafica considerando uno spazio cartesiano in cui le coordinate rappresentano i valori assunti dalle tensioni principali. In questo spazio ad ogni ipotesi corrisponde una superficie limite; se il punto rappresentativo dello stato di tensione sta all'interno di tale superficie non si verifica il cedimento, se sta all'esterno il materiale cede. Di conseguenza, a parità di resistenza del materiale, un'ipotesi è tanto più cautelativa quanto più la zona ammessa è limitata. Adottando questa rappresentazione si trova che: • l'ipotesi dell'energia di distorsione corrisponde ad un cilindro, il cui asse è la retta trisettrice dello spazio avente come coordinate le tensioni principali e la cui sezione ha forma circolare; • l'ipotesi della massima tensione tangenziale corrisponde ad un cilindro, il cui asse è la retta trisettrice dello spazio avente come coordinate le tensioni principali e la cui sezione ha forma esagonale. Una situazione di particolare interesse dal punto di vista applicativo è quella di tensione piana in cui una delle tensioni principali è uguale a zero; tale è lo stato di sollecitazione che si verifica ad esempio negli alberi, nei dischi, nelle piastre, nei gusci e sulla superficie di tutti elementi strutturali. Graficamente, in un piano cartesiano avente per coordinate le due restanti tensioni principali4 σa e σb, i limiti corrispondenti alle due ipotesi di rottura sono rappresentati da un'ellisse per l'energia di distorsione e da un esagono per la massima tensione tangenziale.

4Come

già fatto in un caso precedente, si adotta questa notazione perché i simboli σ1, σ2, σ3 corrispondono ai valori ordinati in senso decrescente.

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σb σ1 = σb σ2 = 0

σ1 = σb σ2 = σa σ3 = 0

σ1 = σa

σ3 = σa

σ2 = σb σ3 = 0

σ1 = 0

σ1 = σa

σ2 = σb σ3 = σa

σa

σ2 = 0 σ1 = 0

σ3 = σb

σ2 = σa σ3 = σb

Dal confronto grafico si deduce che la curva limite corrispondente alla massima tensione tangenziale è completamente inscritta in quella corrispondente all'energia di distorsione, la prima ipotesi risulta quindi più cautelativa. La discrepanza tra le due curve è in generale abbastanza limitata; esse coincidono quando σa=0 o σb=0 e per σa= σb; la massima differenza si verifica per σa= - σ b e in tali condizioni si verifica che

σ id (en. dist.) 3 = = 0.866 σ id (max τ) 2 Sperimentalmente si osserva che i punti di cedimento ottenuti esercitando contemporaneamente tensione su due direzioni si dispongono approssimativamente in posizione intermedia tra le curve corrispondenti alle due ipotesi. Si può quindi concludere che la scelta dell'una o dell'altra ipotesi viene effettuata principalmente per motivi di comodità. L'ipotesi dell'energia di distorsione porta a un'unica formula, valida in ogni caso, che però presenta lo svantaggio di essere non-lineare nelle tensioni; l'ipotesi della massima tensione tangenziale presenta il vantaggio di essere lineare, ma l'equazione della superficie limite non è unica in quanto questa consta di diversi segmenti. 5.3.

Coefficiente di sicurezza

Per quanto esposto finora la resistenza strutturale di un componente risulta verificata quando in tutti i suoi punti (e in particolare in quello più sollecitato) la tensione ideale (che, come già detto, rappresenta con un unico numero le tensioni applicate nel punto) è inferiore alla tensione limite del materiale: σid ≤ σlim La tensione limite che si assume per il materiale corrisponde a quella di rottura nel caso di materiale fragile e a quella di snervamento (o scostamento dalla proporzionalità) nel caso di materiale duttile. Quest'ultima assunzione è motivata dal fatto che in un componente meccanico non è accettabile che

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47

Cedimento statico

si produca snervamento; infatti anche se non avviene la rottura il cambiamento permanente di forma associato alle deformazioni plastiche potrebbe essere incompatibile col funzionamento. Affinché l'elemento strutturale operi con sufficiente sicurezza la diseguaglianza precedente deve essere soddisfatta con un certo margine; si deve infatti considerare che: • i carichi applicati possono essere soggetti a incertezze di tipo statistico, inoltre si potrebbero presentare condizioni di carico non previste in sede di progetto; • anche le caratteristiche di resistenza del materiale, essendo frutto dei procedimenti di fabbricazione, sono soggette a incertezze di tipo statistico; • i valori delle tensioni agenti che si considerano sono in generale ottenuti per mezzo di modelli teorici di calcolo, più o meno affetti da approssimazioni. In termini quantitativi il margine tra resistenza e sollecitazione è rappresentato dal coefficiente di scurezza, definito come5: C S = σ lim σ id I valori di CS sono di solito imposti dalle norme che regolano i diversi settori applicativi (es.: strutture in carpenteria metallica, recipienti in pressione, apparecchi di sollevamento); tali valori sono stati scelti principalmente in base all'esperienza specifica nei vari settori delle costruzioni, tenendo inoltre conto delle caratteristiche della struttura e delle perdite, in termini economici e umani, causate dall’eventuale raggiungimento delle condizioni limite. Al proposito si deve osservare che il comportamento duttile contiene un margine di sicurezza intrinseco, in quanto se si supera la tensione limite σlim si produce snervamento ma il componente non si spezza ed è ancora in grado di sopportare carichi superiori, pur deformandosi in modo irreversibile. Viceversa nel caso di comportamento fragile il raggiungimento della condizione limite comporta la rottura del componente, con effetti potenzialmente più gravi. Di conseguenza i coefficienti di sicurezza da adottare nel caso di materiale fragile dovranno essere opportunamente più elevati che nel caso di materiale duttile. Ad esempio, valori tipici di CS sono: 1.5 per elementi in materiale duttile sollecitati staticamente; 3 o più nel caso di sollecitazione statica e materiale fragile; 3 per elementi soggetti a sollecitazioni variabili nel tempo (di “fatica”), per le quali l'incertezza di comportamento è più elevata; addirittura 10 o più nel caso delle funi, per le quali il calcolo è estremamente incerto. In un calcolo di progetto, quando la condizione di resistenza è utilizzata per stabilire un parametro della struttura (es. uno spessore, una sezione, ecc.), si usa definire la tensione ammissibile σamm, pari alla tensione limite del materiale divisa per CS, e si pone, nel punto più sollecitato: σ id = σ amm = σ lim C S Da questa equazione si ricava il parametro della struttura da determinare.

5Un

approccio più moderno e corretto consiste nel valutare le distribuzioni statistiche del carico applicato e della resistenza del materiale; da esse si può stimare la probabilità di rottura, che viene limitata al valore desiderato.

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5.4.

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Effetto della temperatura elevata

Variazione delle caratteristiche meccaniche con la temperatura Per temperature superiori al valore ambiente il comportamento meccanico dei materiali metallici presenta alcune modificazioni, di importanza crescente con la temperatura stessa. Per aumenti di temperatura a partire da alcune decine fino ad alcune centinaia di gradi °C in generale si osservano (vedere figura e tabella successive): • la riduzione del modulo di Young, del limite elastico e del limite di rottura; • l’aumento dell’allungamento e della strizione.

Carico unitario T ambiente

T Allungamento percentuale

Modulo elastico e limite di proporzionalità ad alta temperatura per alcuni acciai.

Acciaio al carbonio (C 0.2%)

Acciaio debolmente legato (Cr 1%, Mo 0.5%)

Acciaio inossidabile (Cr 18%, Ni 8%)

20 °C

300 °C

400 °C

E (GPa)

206

180

170

Rp0,2 (MPa)

255

155

125

500 °C

E (GPa)

206

180

170

160

Rp0,2 (MPa)

295

235

205

175

E (GPa)

196

196

185

175

Rp0,2 (MPa)

200

130

125

120

In sintesi, al crescere della temperatura il materiale tende quindi a essere meno resistente e più duttile. A temperature elevate la determinazione del limite di rottura Rm diventa poco significativa a causa dell’effetto rilevante del fenomeno dello scorrimento viscoso (v. paragrafo successivo) una volta che il limite elastico è stato superato e per questo motivo i valori usualmente non vengono riportati.

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49

Cedimento statico

Scorrimento viscoso (creep) A partire da una soglia di temperatura dell’ordine di un terzo del valore di fusione (espresso in K) si presenta un fenomeno particolare: sotto tensione costante il materiale –invece di mantenere la deformazione costante– si deforma progressivamente nel tempo (durata tipica di prova dell’ordine di migliaia di ore), comportandosi quindi come un fluido di elevata viscosità. Per questo motivo il fenomeno è definito scorrimento viscoso, spesso indicato con il termine inglese “creep”. La figura mostra schematicamente i possibili andamenti, per tre diversi livelli di tensione. log ε

(T costante)

σ

rottura

1 2 3

interruzione prova

log t

Nel caso della curva 1 la deformazione procede con velocità progressivamente decrescente e la rottura avviene in tempi brevi. Nel caso 2 la velocità di deformazione decresce fino a un valore (minimo) che si mantiene costante per gran parte della prova, per poi risalire immediatamente prima della rottura finale. Il caso 3 è simile al precedente, ma non si produce la rottura entro la durata della prova. In generale si distinguono gli stadi detti rispettivamente “primario”, “secondario”, “terziario”. Di essi quello che maggiormente interessa dal punto di vista pratico è il secondario, che però può non aver luogo sotto combinazioni di tensione–temperatura elevate, nei quali si passa direttamente dal primario al terziario. log ε scorrim. terziario

scorrim. secondario scorrim. primario

log t

Dal punto di vista metallurgico, il fenomeno è spiegato nel modo seguente. A temperatura ambiente l’applicazione della tensione causa il movimento dei difetti (dislocazioni), che si bloccano quando incontrano degli ostacoli (altre dislocazioni, inclusioni, …); si deve quindi applicare un incremento di tensione per vincere gli ostacoli e causare un incremento di deformazione. Viceversa la temperatura elevata fornisce l’energia necessaria a vincere gli ostacoli e la deformazione può crescere anche a tensione costante; hanno inoltre luogo altri fenomeni. Sinteticamente, i meccanismi di deformazione in gioco sono: a) il movimento delle dislocazioni all’interno dei grani cristallini;

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b) la diffusione delle vacanze di reticolo, sia all’interno dei grani cristallini sia al loro bordo; c) lo slittamento dei bordi dei grani cristallini. Essi coesistono, ma la loro importanza è dettata (oltre che dal tipo di materiale) dal binomio temperatura–tensione: per alti valori di entrambe è importante il meccanismo a), mentre per temperatura elevata e bassa tensione è preponderante il b). Il meccanismo c) è comunque presente in quanto la deformazione dei singoli grani deve essere assecondata da scorrimenti dei loro bordi fintanto che si mantiene la continuità del materiale. Nel caso (prevalente nelle applicazioni pratiche) di bassi valori di tensione la rottura per scorrimento viscoso avviene all’interfaccia fra i grani, zona in cui già tendono a concentrarsi le impurezze, dove si creano microcavità che evolvono in microcricche che indeboliscono la sezione resistente; essa è caratterizzata da scarsa (o nulla) strizione e aspetto delle superfici simile a quello di un materiale fragile. Nei confronti del cedimento per scorrimento si comportano meglio i materiali con dimensioni elevate dei grani cristallini (che presentano minore superficie di separazione fra i grani); si deve inoltre tenere presente che il miglioramento delle caratteristiche meccaniche dei materiali ottenibile con i trattamenti termici viene ridotto (o cancellato) dall’impiego ad alta temperatura. Previsione di deformazione e durata La deformazione per scorrimento viscoso a velocità costante durante lo stadio secondario (di solito prevalente rispetto a quelle prodotte nei rimanenti due, che sono quindi, in confronto, trascurabili) può essere descritta dalla legge: ε v = tBσ n

in cui εv è la deformazione per scorrimento viscoso, t è il tempo, σ è la tensione applicata, B e n sono parametri relativi al materiale per una data temperatura. Tale formula permette di calcolare la deformazione che viene accumulata in un intervallo di tempo, per valutare se essa è compatibile con il funzionamento del componente. Un problema pratico è dato dalla difficoltà con la quale si dispone di dati relativi alla resistenza di lungo periodo, la cui conoscenza richiede prove lunghe e onerose; si tenta di ovviare a ciò estrapolando i dati ottenuti in tempi brevi mediante leggi tempo–temperatura. Di esse la più usata è quella di Larson-Miller: P = T (C + log t )

in cui il tempo t è espresso in ore e la temperatura T in K, C è un coefficiente caratteristico del materiale e P rappresenta il parametro, appunto detto di Larson-Miller, costante (almeno idealmente) a tensione costante. La formula viene applicata per stimare la durata -a rottura o livello di deformazione stabilita- a temperature inferiori a quella di prova, a pari tensione, e porta a risultati di buona approssimazione. L’errore è introdotto dalla non perfetta costanza di C rispetto alla temperatura; infatti in generale le leggi tempo–temperatura forniscono risultati corretti se il meccanismo di scorrimento è lo stesso nelle condizioni di prova e in quelle estrapolate.

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51

Cedimento statico

Usualmente un componente reale non è sottoposto alle stesse condizioni di temperatura e tensione per tutta la durata del suo servizio, si pone quindi il problema di come tenere conto delle diverse condizioni incontrate; per questo scopo un metodo semplice e comunemente adottato è fornito dalla formula (Robinson 1952) della frazione di vita (“life fraction rule”). Secondo essa la condizione iesima di temperatura (Ti) e tensione (σi) produce un danno Di definito come: Di =

ti t r ,i

dove ti è il tempo per il quale il componente è sottoposto alla condizione i-esima e tr,i è la durata che il componente presenterebbe se fosse soggetto esclusivamente a quest’ultima. Questo rapporto rappresenta quindi la frazione che ogni condizione di funzionamento “consuma” della vita complessiva del componente, si assume allora che la durata sia esaurita quando la somma dei danni D raggiunge l’unità: D=

∑i Di = ∑i t ri,i = 1 t

Nella realtà, per via delle approssimazioni in gioco, la durata complessiva può corrispondere a valori di D sensibilmente diversi dall’unità. A titolo indicativo la tabella seguente riporta, per alcuni acciai adatti all’impiego ad alta temperatura, i valori di tensione che causano deformazione pari a 1% oppure rottura dopo 10 000 e 100 000 ore (si noti che la determinazione dei dati relativi a quest’ultimo caso, se non si ricorre a tecniche di accelerazione o estrapolazione, corrisponde a prove che durano circa 11.5 anni). Resistenza allo scorrimento ad alta temperatura per alcuni acciai. Tipo di acciaio Temperatura (°C)

Tensione limite di

Tensione di rottura (MPa)

allungamento 1% (MPa) 10 000 ore

52

100 000 ore

10 000 ore

100 000 ore

per recipienti in

380

164

118

229

165

pressione

420

113

73

158

103

P235GH

440

91

57

127

79

480

53

30

75

42

per recipienti in

450

216

167

298

239

pressione

470

182

126

247

178

16Mo3

500

132

73

171

101

530

84

36

102

53

inossidabile

500

98

245

206

austenitico

600

56

108

98

X10CrNi1809

700

15

44

37

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Rilassamento Se invece di mantenere il materiale sotto carico costante si impone a esso una deformazione costante ε0, si osserva che la tensione agente decresce progressivamente nel tempo rispetto al valore iniziale σ0. La tensione cala rapidamente nella fase iniziale della prova, successivamente essa tende ad assestarsi in modo asintotico (v. figura seguente); il fenomeno coinvolge ancora i meccanismi di scorrimento viscoso e corrisponde semplicemente alla risposta del materiale a queste condizioni di prova. Dal punto vista applicativo, l’interesse per questo comportamento è legato alle giunzioni bullonate operanti ad alta temperatura, che rischiano di allentarsi eccessivamente in servizio. σ σ0

t

In forma semplificata, la riduzione di tensione può essere prevista scrivendo la deformazione ε0 come somma di una quota elastica, pari a σ / E, e di una di scorrimento viscoso εv: ε0 =

σ + εv E

Derivando rispetto al tempo e ricordando che ε0 è costante si ha: 1 dσ dε v + =0 E dt dt

Considerando il caso di scorrimento a velocità di deformazione costante, definito in precedenza, si ha: 1 dσ + Bσ n = 0 E dt

Integrando e considerando che in condizioni iniziali la tensione vale σ0 si ottiene: t=

da cui segue:

[

1 σ −( n −1) − σ 0−( n −1) EB(n − 1)

[

σ = EB(n − 1) t + σ 0−( n−1)

]

]

−1 /( n −1)

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Geometria delle aree

6. RICHIAMI DI GEOMETRIA DELLE AREE 6.1.

Definizioni

E' necessario definire alcune grandezze caratteristiche, che descrivono le proprietà geometriche dell'area della sezione di un elemento strutturale e che saranno utilizzate nel seguito della trattazione. Considerando una figura nel piano, preso un generico riferimento xy si definiscono le seguenti grandezze: A = ∫ dA area A

momenti statici

S x = ∫ ydA

S y = ∫ xdA

J xx = ∫ y dA

J yy = ∫ x 2 dA

A

A

2

momenti d'inerzia

A

(

A

)

J p = ∫ x + y dA

momento d'inerzia polare

A

2

2

J xy = ∫ xydA

momento centrifugo

A

Trattandosi di momenti riferiti ad aree (e non a masse) le dimensioni fisiche sono di una lunghezza al cubo per i momenti statici e di una lunghezza alla quarta per i momenti d'inerzia. La conoscenza dei momenti statici permette di calcolare la posizione del baricentro G della sezione: xG =

Sy

yG =

A

Sx A

y

yG

G

xG

x

Nel caso di sistema di riferimento baricentrico, cioè con origine nel baricentro della sezione, ovviamente le coordinate di G e i momenti statici sono nulli. Si dimostra inoltre che se la figura ammette un asse di simmetria il baricentro deve trovarsi su tale asse; infatti, il momento statico della metà della figura che si trova da una parte rispetto all'asse ha modulo uguale e segno opposto a quello della rimanente metà e il momento statico complessivo è nullo; se gli assi di simmetria sono due il baricentro si trova in corrispondenza della loro intersezione.

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6.2.

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Figure composte

Nelle applicazioni pratiche si incontrano spesso casi in cui la sezione dell'elemento strutturale che si considera è una figura composta da parti semplici, le cui caratteristiche sono già note o facilmente determinabili. Consideriamo allora un sistema di riferimento xy globale, cioè relativo a tutta la figura, mentre ξiηi sono riferimenti baricentrici delle singole parti con assi paralleli a xy. Valgono le seguenti relazioni: A=

area

∑A i

i

(Ai area della parte i-esima) momenti statici

S x = ∑i y i Ai

S x = ∑i xi Ai

(xi, yi coordinate globali del baricentro della parte i-esima) momenti d'inerzia

(

J xx = ∑i yi Ai + J ξi ξi 2

)

(

J yy = ∑i xi Ai + J ηi ηi 2

)

(Jξiξi, Jηiηi momenti d'inerzia della parte i-esima rispetto agli assi locali) momento centrifugo

(

J xy = ∑i xi yi Ai + J ξi ηi

)

(Jξiηi, momento centrifugo della parte i-esima rispetto agli assi locali) Le formule precedenti esprimono la semplice proprietà additiva delle aree e dei momenti, con una distinzione: • per quanto riguarda le aree, i contributi delle singole parti vengono semplicemente sommati par formare l'area totale della figura; • per quanto riguarda i momenti, è necessario esprimere il termine dovuto a ogni singola parte nel sistema di riferimento globale xy, successivamente i contributi delle singole parti possono essere sommati. Nel caso dei momenti statici, i valori corrispondenti alle singole parti espressi nei sistemi di riferimento locali sono nulli, perché tali sistemi sono (per ipotesi) baricentrici; rimangono soltanto i valori “di trasporto” xiAi e yiAi che permettono di esprimere tutti i contributi nello stesso riferimento globale in cui si può eseguire la somma. Nel caso dei momenti d'inerzia e centrifugo, i termini espressi nei sistemi di riferimento locali Jξiξi, Jηiηi, Jξiηi vengono corretti con i valori “di trasporto” xi2Ai, yi2Ai, xiyiAi (formula di Huygens) che

permettono di esprimere tutti i contributi nello stesso riferimento globale in cui si può eseguire la somma. La tabella seguente riporta i valori dei momenti d'inerzia per alcune figure elementari, di utilizzo frequente nel calcolo di elementi di macchine.

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Geometria delle aree

Figura

Momento d'inerzia

rettangolo

J ξξ

bh 3 = 12

Schema

h

ξ b

triangolo

J ξξ =

bh 3 36

h ξ b

cerchio

J ξξ = π

r4 d4 =π 4 64

d=2r r ξ

4r 3π 4 ⎛π 8 ⎞ d ⎛π 8 ⎞ = r4⎜ − ⎟ = ⎜ − ⎟ ⎝ 8 9π ⎠ 16 ⎝ 8 9π ⎠

c=

semicerchio

J ξξ

r

d=2r ξ c

6.3.

Rotazione degli assi

Si può dimostrare che i momenti d'inerzia e centrifughi di una figura piana rappresentano i coefficienti di un tensore [J], simmetrico 2×2, costruito nella maniera seguente: − J xy ⎤ ⎡ J [J ] = ⎢ xx J yy ⎥⎦ ⎣− J xy Analogamente a quanto visto in precedenza per i tensori delle tensioni e delle deformazioni, anche in questo caso esiste un sistema di riferimento privilegiato, avente stessa origine di xy e assi ruotati, tale che calcolando i momenti rispetto ai suoi assi, detti principali d’inerzia, il tensore diventa diagonale: ⎡ J1 0 ⎤ ⎢0 J ⎥ 2⎦ ⎣ È utile calcolare i valori che assumono i momenti d'inerzia Jxx, Jyy e centrifugo Jxy in un sistema di riferimento xy ruotato del generico angolo α rispetto al riferimento principale p1p2.

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y

p2 α

x

α

p1

La relazione tra le coordinate x, y e quelle p1, p2 è data da: ⎧ x = p1 cos α + p 2 sin α ⎨ ⎩ y = − p1 sin α + p 2 cos α I momenti d'inerzia e centrifugo nel riferimento xy valgono, per definizione: J xx = ∫ y 2 dA J yy = ∫ x 2 dA J xy = ∫ xydA A

A

A

Sostituendo le espressioni per x e y in funzione di p1 e p2 nelle definizioni dei momenti si ottiene: ⎧ J = (− p sin α + p cos α )2 dA = cos 2 α p 2 dA + sin 2 α p 2 dA − 2 cos α sin α p p dA 1 2 2 1 1 2 ⎪ xx A A A A ⎪ ⎪ 2 2 2 2 2 ⎪ J yy = ( p1 cos α + p 2 sin α ) dA = sin α p 2 dA + cos α p1 dA + 2 cos α sin α p1 p 2 dA ⎪ A A A A ⎨ ⎪ J xy = ( p1 cos α + p 2 sin α )(− p1 sin α + p 2 cos α )dA = cos α sin α p 2 2 dA − cos α sin α p1 2 dA + ⎪ A A A ⎪ 2 2 ⎪+ cos α p p dA − sin α p p dA 1 2 1 2 ⎪ A A ⎩ Ricordando che il riferimento p1p2 è principale le relazioni precedenti si riducono a:



























⎧ J xx = J 1 cos 2 α + J 2 sin 2 α ⎪⎪ 2 2 ⎨ J yy = J 1 sin α + J 2 cos α ⎪ ⎪⎩ J xy = J 1 cos α sin α − J 2 cos α sin α E' conveniente esprimere le funzioni trigonometriche in funzione dell'angolo 2α: 1 + cos 2α 1 − cos 2α sin 2α cos 2 α = sin 2 α = sin α cos α = 2 2 2 Sostituendo nelle equazioni precedenti e mettendo in evidenza i momenti J1, J2 si ottengono le

relazioni seguenti: J1 + J 2 J1 − J 2 ⎧ cos 2α = + J xx ⎪ 2 2 ⎪ J1 + J 2 J1 − J 2 ⎪ − cos 2α ⎨ J yy = 2 2 ⎪ J1 − J 2 ⎪ ⎪ J xy = 2 sin 2α ⎩

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57

Geometria delle aree

Si verifica agevolmente che in un piano cartesiano in cui l'ascissa è il momento d'inerzia Ji e l'ordinata il momento centrifugo Jc, i punti di coordinate (Jxx, Jxy) e (Jyy, -Jxy) stanno su una circonferenza, in posizioni diametralmente opposte. Si è infatti ottenuto il cerchio di Mohr per i momenti d'inerzia, che rappresenta i valori assunti dai momenti d'inerzia e centrifugo al ruotare del sistema di riferimento generico xy rispetto al sistema principale p1p2 .

Jc

( Jxx , J xy ) 2α J1

J2

Ji

( Jyy , -Jxy )

Le intersezioni del cerchio con l'asse orizzontale hanno ascisse pari ai momenti principali d'inerzia J1 e J2, che rappresentano rispettivamente il massimo e il minimo fra tutti i momenti d'inerzia calcolabili al ruotare dell'asse di riferimento. Se la figura presenta un asse di simmetria, sicuramente questo è uno degli assi principali d'inerzia. Se il sistema di riferimento oltre ad essere principale ha anche l'origine nel baricentro gli assi sono detti centrali principali (o, più brevemente, centrali); è questo il tipo di riferimento più utilizzato nei problemi strutturali. In pratica, la determinazione dei momenti principali d'inerzia e dei relativi assi avviene mediante la procedura seguente: • nel generico riferimento xy si calcolano i momenti d'inerzia Jxx, Jyy e centrifugo Jxy; • si calcolano i momenti d'inerzia principali J1 e J2, con le formule J xx + J yy



2

J xx + J yy ⎛ J xx − J yy ⎞ 2 ⎟ + J xy + ⎜⎜ = − J1 = J 2 ⎟ 2 2 2 ⎝ ⎠ si ottiene l'angolo α tra l'asse principale p1 e l'asse x dalla relazione tan 2α =

⎛ J xx − J yy ⎜ ⎜ 2 ⎝

2

⎞ 2 ⎟ + J xy ; ⎟ ⎠

2 J xy J xx − J yy

Per determinare il segno dell'angolo α si devono considerare i valori di Jxx, Jyy e Jxy; si possono presentare i casi illustrati negli schemi seguenti:

58

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Jxy > 0 Jxx ≥ Jyy

Jxx ≤ Jyy

Jc

Jc

( Jxx , J xy )

( Jxx , J xy )





J2

J1

J2

Ji

J1

( Jyy , -Jxy )

Ji

( Jyy , -Jxy )

0° < α ≤ 45°

45° ≤ α < 90° Jxy < 0

Jxx ≥ Jyy

Jxx ≤ Jyy

Jc

Jc

( Jyy , -Jxy )

J2

( Jyy , -Jxy ) 2α

J1

Ji

( Jxx , J xy )

J2

J1 2α

Ji

( Jxx , J xy )

-45° ≤ α < 0°

-90° < α ≤ -45°

Un procedimento alternativo per determinazione del riferimento principale consiste nel calcolare autovalori e autovettori della matrice [J]: i momenti principali J1, J2 sono dati dai due autovalori λ1, λ2; le direzioni degli assi principali d'inerzia p1, p2 sono definite dagli autovettori {v1}, {v2}, come mostrato in figura. y p2 v2

v1

p1 x

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Solido di St. Venant

7. SOLIDO DI SAINT VENANT

La determinazione per via analitica degli stati di deformazione e tensione nei punti dei corpi sollecitati è possibile solo per alcuni tipi di elementi strutturali. Tra di essi un posto di primo piano spetta al cosiddetto solido di Saint Venant6, che fornisce la soluzione per elementi di tipo monodimensionale, cioè dotati di una dimensione molto maggiore delle altre due. A questo modello di calcolo si possono ricondurre molti elementi strutturali di comune impiego, come ad esempio le travi dei telai, gli alberi delle macchine, ecc. 7.1.

Ipotesi

Si devono formulare alcune ipotesi di partenza sulle caratteristiche del solido e sulle sue condizioni di carico e vincolo: • il solido è un cilindro ottenuto per traslazione di una figura piana in direzione della propria normale, l'estensione in tale direzione è molto maggiore delle dimensioni nel piano della figura generatrice; • carichi e vincoli sono applicati solo in corrispondenza delle basi; • in tutto il solido il materiale è elastico, omogeneo, isotropo.

y

x

z Si sceglie un sistema di riferimento cartesiano xyz avente gli assi x e y contenuti nel piano della figura che genera il solido e l'origine posta nel baricentro di quest'ultima; l'asse z rappresenta la traiettoria del baricentro durante il moto di generazione e costituisce la cosiddetta linea d'asse del solido. Evidentemente tutte le sezioni normali all'asse z sono sezioni rette del solido e sono tutte identiche alla figura generatrice. A causa dell'assenza di carichi applicati sulla superficie cilindrica e delle limitate dimensioni trasversali si può ammettere che: σyy = 0 τxy = 0 σxx = 0 Possono invece essere presenti le tensioni: σzz

τxz

τyz

6Adhémar

Jean Claude Barré de Saint Venant (Villiers-en-Bière 1797 - St. Ouen 1886); suo è il merito di aver sistematizzato le soluzioni relative alle sollecitazioni nel solido prismatico.

60

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7.2.

Dispensa per il corso “Fondamenti di Meccanica Strutturale” (ELT, MTM)

Caratteristiche di sollecitazione

Consideriamo la generica sezione retta (cioè normale all'asse z) del solido di Saint Venant; su di essa agiscono le componenti di tensione σzz, τxz, τyz la cui distribuzione deve essere calcolata per le possibili condizioni di sollecitazione. Indipendentemente dalla distribuzione delle tensioni, è lecito sostituire a quest'ultima un insieme di forze e momenti staticamente equivalenti; si definiscono quindi le cosiddette caratteristiche di sollecitazione della sezione:

N = ∫ σ zz dA

forza normale

A

Tx = ∫ τ xz dA

T y = ∫ τ yz dA

A

A

M x = ∫ σ zz ydA

M y = − ∫ σ zz xdA

tagli momenti flettenti

A

(

A

)

M z = ∫ τ yz x − τ xz y dA

momento torcente

A

Le definizioni della forza normale N e dei tagli Tx, Ty rappresentano semplicemente le risultanti di tutte le forze infinitesime σzzdA, τxzdA, τyzdA rispettivamente agenti lungo x, y, z e ottenute integrando i contributi di tutti i punti della sezione.

y

y

σzz dA

y

τxz dA x

z

τyz dA x

z

x

z

I momenti flettenti Mx e My sono definiti come momenti risultanti delle forze infinitesime σzzdA, aventi braccio y dall'asse x e braccio x dall'asse y, ottenuti integrando i contributi di tutti i punti della sezione. Il momento torcente Mz è definito come momento risultante delle forze infinitesime τxzdA, τyzdA aventi bracci dall'asse z pari rispettivamente a y e x.

y y

σzz dA

x

τyz dA

σzz dA

τxz dA x

z

y

z

z

x

Le componenti di sollecitazione possono essere messe in evidenza interrompendo il solido in una sezione generica mediante una superficie di distacco; il procedimento è analogo a quello seguito quando si taglia la struttura dai vincoli per mettere in evidenza le reazioni.

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61

Solido di St. Venant

Sulle due sezioni generate dal taglio e reciprocamente affacciate agiscono componenti (forze e momenti) uguali in modulo e opposte in verso, in virtù del principio di azione e reazione. Di conseguenza, se sulla cosiddetta faccia positiva, (quella da cui l'asse z è uscente), si assumono come versi positivi per le forze (N, Tx, Ty) quelli degli assi e come versi positivi per i momenti (Mx, My, Mz) quelli dati dalla regola della vite (destra), sulla faccia negativa (asse z entrante) si assumono versi positivi opposti. Ty My My Mz

Ty

z

Mz y z

N x

Mx

y

Tx x

N

Tx Mx

7.3.

Principio di Saint Venant

Il modo in cui i carichi sono effettivamente applicati sulle sezioni di estremità del solido dipende dal caso tecnico considerato; in particolare la distribuzione delle tensioni localmente prodotta dal carico esterno può essere diversa da quella prevista dalle soluzioni di Saint Venant che verranno presentate nei paragrafi successivi. Si osserva che a una distanza dalla sezione di applicazione del carico circa pari alle dimensioni trasversali del solido il particolare modo in cui il carico è applicato non influisce più; diventano quindi significative solo le risultanti (forze e momenti) che il carico genera e la distribuzione delle tensioni torna a essere quelle prevista dalle soluzioni di Saint Venant. Questa proprietà, nota come principio di Saint Venant, consente notevoli semplificazioni nella soluzione di problemi strutturali: • le non-conformità all'ipotesi sulla geometria (solido cilindrico generato per traslazione di una figura) che interessano zone limitate, ad esempio brusche variazioni di sezione o presenza di fori, causano perturbazioni di carattere solo locale nella distribuzione delle tensioni; • le modalità con cui vincoli e carichi sono imposti hanno influenza solo sulla zona di applicazione. A titolo di esempio, le immagini successive mostrano due casi di conferma sperimentale, per mezzo del metodo fotoelastico, del principio di Saint Venant. Tale metodo consente di visualizzare lo stato di tensione in un modello della struttura realizzato in materiale trasparente e si basa su particolari

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fenomeni a cui è soggetta la luce che attraversa un materiale sottoposto a sforzi; nelle immagini le frange scure indicano l'intensità delle sollecitazioni. Il primo caso si riferisce alla regione di incastro di un elemento sottoposto a flessione, si osserva che appena al di sopra della sezione del vincolo le frange presentano andamento regolare, corrispondente alla distribuzione di tensioni del solido di Saint Venant.

Il secondo caso si riferisce ad un albero, soggetto a trazione assiale, in cui è ricavata una gola che causa un variazione locale della sezione; si osserva che nella zona della gola l'andamento delle tensioni risulta perturbato, ma a breve distanza la situazione ritorna regolare.

Anche se tali perturbazioni dello stato di tensione e deformazione hanno carattere locale, nondimeno sono importanti dal punto di vista strutturale; infatti proprio in corrispondenza di esse si presentano dei massimi di tensione e quindi si possono superare i limiti di resistenza del materiale. La trattazione di questi fenomeni, noti come effetti di intaglio, è oggetto di studi specifici; una descrizione sintetica è data in un’altra sezione della dispensa. 7.4.

Comportamento estensionale (trazione-compressione)

Consideriamo il caso in cui il moto di deformazione elastica del solido di Saint Venant è tale che tutti i punti di una generica sezione traslano, in direzione della linea d'asse, della stessa quantità w, proporzionale alla distanza z dall'origine, posta nella base che si considera fissa7: 7Essendo

interessati alla sola quotaparte elastica del moto, questa assunzione non costituisce un caso particolare.

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63

Solido di St. Venant

y

x

w

w w = k0 z

x

y

z

z

Ricordando la definizione delle deformazioni, si può immediatamente calcolare la dilatazione in direzione z: ∂w ε zz = = k0 ∂z Il termine costante k0 ha quindi il significato fisico di dilatazione assiale. Applicando la legge di Hooke e ricordando che per ipotesi σxx=σyy=0 si ricava che (E= modulo di Young): σ zz = Eε zz = Ek 0 Si possono quindi calcolare le caratteristiche di sollecitazione, agenti sulle sezioni, corrispondenti alla tensione ricavata; i tagli e il momento torcente sono ovviamente nulli in quanto non legati a σzz, per quanto riguarda forza normale e momenti flettenti si ha N = ∫ σ zz dA = σ zz ∫ dA = σ zz A = Ek 0 A A

M x = ∫ σ zz ydA = σ zz ∫ ydA = 0 A

A

A

M y = − ∫ σ zz xdA = −σ zz ∫ xdA = 0 A

A

L'annullarsi dei due momenti è dovuto al fatto che in ogni sezione il riferimento xy ha l'origine nel baricentro. Quindi la distribuzione di tensione considerata corrisponde a una condizione di trazione o compressione semplice, a cui è equivalente la sola forza normale applicata in corrispondenza del baricentro della sezione. Utilizzando le relazioni trovate si può determinare la costante k0 in funzione della forza normale N: N k0 = EA Sostituendo nella relazione per la tensione assiali σzz si lega quest'ultima alla forza normale: N σ zz = Ek 0 = A E' comune rappresentare la distribuzione della tensione in una sezione del solido mediante un diagramma riportato a fianco del profilo della sezione stessa. L'asse delle ascisse di tale diagramma è parallelo al profilo della sezione, l'asse delle ordinate è rivolto come la linea d'asse del solido, così come lo è, nella realtà fisica, la tensione σzz.

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σzz

y

σzz

x

N x

N y

z

z

Si ricava inoltre che i punti delle generica sezione subiscono, oltre allo spostamento elastico w in direzione assiale già citato, anche degli spostamenti trasversali u e v rispettivamente lungo x e y dovuti alla contrazione trasversale (ν coefficiente di Poisson): u = −νk 0 x v = − νk 0 y Da queste due relazioni si deduce che la sezione, oltre a traslare assialmente, si contrae o si espande intorno al proprio baricentro. In queste particolari condizioni di sollecitazione (solo forza normale) il solido di Saint Venant è detto asta. In campo meccanico esempi tipici di questo comportamento sono costituiti dai tiranti di fissaggio. 7.5.

Comportamento flessionale

Per semplificare la trattazione è conveniente assumere che per la sezione retta del solido di Saint Venant gli assi xy siano, oltre che baricentrici, anche principali d'inerzia, cioè che xy sia il riferimento centrale principale. In generale, nel moto elastico di flessione la sezione può ruotare intorno ad un asse qualsiasi; è conveniente studiare il fenomeno separatamente nei due piani coordinati e considerare il caso generale mediante la sovrapposizione degli effetti. Flessione nel piano zy Per quanto riguarda la flessione nel piano zy si determina la soluzione assumendo che la generica sezione ruoti dell'angolo αx (piccolo) intorno all'asse x rimanendo piana; ciò implica che lo spostamento assiale dei punti della sezione segua la legge: y w αx x

w = αx y

z

La corrispondente dilatazione assiale è data da: ∂w dα x ε zz = = y = kx y ∂z dz

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Solido di St. Venant

Si mostrerà in seguito che il termine kx, qui utilizzato per indicare la derivata della rotazione rispetto alla coordinata assiale, ha il significato fisico di curvatura del solido nel piano zy. Applicando la legge di Hooke e ricordando che per ipotesi σxx=σyy=0 si ricava che: dα x σ zz = Eε zz = E y = Ek x y dz Il tipo di moto elastico assunto per la sezione porta quindi a una distribuzione di tensione assiale di tipo lineare; si possono calcolare la forza normale e i momenti flettenti a cui essa dà luogo (tagli e momento torcente sono ovviamente nulli) N = ∫ σ zz dA = Ek x ∫ ydA = 0 A

M x = ∫ σ zz ydA = Ek x ∫ y dA = Ek x J xx 2

A

A

M y = − ∫ σ zz xdA = − Ek x ∫ yxdA = 0

A

A

A

Si deduce quindi che la sezione ruota intorno all'asse x ed è soggetta al solo momento Mx; tale proprietà non è ovvia ma deriva dall'avere assunto assi xy centrali principali d'inerzia. Dalla definizione di Mx si ottiene Mx kx = EJ xx Sostituendo kx nella formula della tensione σzz si lega quest'ultima al momento: M σ zz = Ek x y = x y J xx Anche nel caso della flessione si usa rappresentare la distribuzione della tensione in una sezione del solido mediante un diagramma, riportato a fianco del profilo della sezione stessa. σzz y Mx x

z

Si verifica agevolmente che la tensione σzz raggiunge valori massimi in modulo e opposti in segno agli estremi della sezione ed è nulla in corrispondenza della retta y=0 (asse x) che costituisce l'asse neutro. Flessione nel piano zx La flessione nel piano zx viene trattata, fatte le debite sostituzioni di simboli, in modo identico a quella nel piano zy; in questo caso si ottiene la soluzione assumendo che la generica sezione ruoti dell'angolo αy (piccolo) intorno all'asse y rimanendo piana:

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x

αy

w = −α y x y

z

w

La corrispondente dilatazione assiale è data da: dα y ∂w ε zz = =− x = −k y x ∂z dz Il termine ky, come si vedrà successivamente, ha il significato fisico di curvatura del solido nel piano zx. Applicando la legge di Hooke e ricordando che per ipotesi σxx=σyy=0 si ricava che: dα y σ zz = Eε zz = − E x = − Ek y x dz Si possono quindi calcolare la forza normale e i momenti flettenti: N = ∫ σ zz dA = − Ek y ∫ xdA = 0 A

A

M x = ∫ σ zz ydA = − Ek y ∫ yxdA = 0 A





A

A

M y = − σ zz xdA = Ek y x 2 dA = Ek y J yy

A

Quindi in questo caso la sezione ruota intorno all'asse y ed è soggetta al solo momento My; dall'ultima equazione si ottiene: ky =

My EJ yy

Sostituendo ky nella formula della tensione σzz si lega quest'ultima al momento: My σ zz = − Ek y x = − x J yy Anche in questo caso il diagramma della tensione σzz è lineare tra gli estremi della sezione, in cui raggiunge valori rispettivamente massimo e minimo, l'asse neutro è rappresentato dalla retta x=0. σzz x y

My z

Flessione combinata Nel caso in cui agiscano simultaneamente entrambi i momenti flettenti Mx, My la distribuzione della tensione σzz sulla sezione si ottiene per sovrapposizione degli effetti:

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Solido di St. Venant

σ zz =

My Mx x y− J yy J xx

In questo caso l'asse neutro non coincide più con uno degli assi coordinati, si può determinarlo considerando i punti per i quali σzz=0: My Mx x=0 y− J yy J xx L'andamento della tensione può essere riportato graficamente misurando i valori di σzz a partire dalla normale all'asse neutro, come mostrato in figura. Dalla costruzione grafica si individua agevolmente la tensione nel punto più sollecitato, come indicato in figura. y asse neutro

x σzz

Il momento flettente risultante Mf può essere ottenuto come somma vettoriale delle componenti Mx, My: 2

M f = Mx +My

2

Il vettore Mf è inclinato rispetto all'asse x dell'angolo ϕ, definito dalla relazione: My tan ϕ = Mx Invece la rotazione della sezione avviene intorno all'asse neutro, la cui inclinazione ψ rispetto all'asse x è definita da: M y J xx ⋅ tan ψ = M x J yy In generale Jxx ≠ Jyy e quindi ϕ ≠ ψ ; l'asse intorno a cui la sezione ruota non è parallelo a quello del momento ma ha una diversa inclinazione, che dipende dalle caratteristiche di sezione Jxx e Jyy. Tale fenomeno è noto come flessione deviata.

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asse neutro

My

ψ

Mf

ϕ

Mx

La sezione circolare rappresenta un caso che si incontra frequentemente nei componenti delle macchine (alberi, assi, ...); per questa particolare geometria qualunque riferimento baricentrico è anche principale e la flessione non è mai deviata. Si può quindi adottare un sistema di riferimento avente un asse parallelo al momento risultante che agisce sulla sezione, la rotazione di quest'ultima avviene intorno allo stesso asse. Mx y

Y x

X σzz

asse neutro

7.6.

Caso generale: comportamento estensionale e flessionale

Nel caso più generale, in cui agiscano simultaneamente sia la forza normale N sia i momenti flettenti Mz e My, la distribuzione della tensione σzz può essere ottenuta ancora per sovrapposizione degli effetti: σ zz =

My N Mx + x y− J yy A J xx

Dal punto di vista grafico, il diagramma della tensione sulla sezione è la somma della distribuzione uniforme dovuta alla forza normale e di quella con andamento lineare dovuta alla flessione.

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69

Solido di St. Venant

y

σzz

x

+ + L'asse intorno a cui avviene la rotazione della sezione non passa per il baricentro ma può trovarsi anche al di fuori della sezione stessa. 7.7.

Comportamento torsionale

Si considera ora un moto di deformazione in cui la generica sezione del solido ruota intorno a un asse parallelo a z. La determinazione della soluzione esatta è possibile in forma elementare solo per il caso della sezione a forma circolare (peraltro assai comune nelle costruzioni meccaniche). Per altri tipi di sezione la soluzione non è ottenibile in forma altrettanto semplice; nell'ambito di questa trattazione ci si limita a descrivere le formule approssimate per il calcolo delle tensioni e della rigidezza nel caso di sezioni a parete sottile. Sezione circolare Si considera che la sezione ruoti di un angolo θ intorno all'asse z rimanendo piana; le componenti di spostamento valgono quindi: u = −θr sen β = −θy v = θr cos β = θx w=0 Le dilatazioni εxx , εyy , εzz sono evidentemente nulle, per

y θr θ β

v

u r x

quanto riguarda gli scorrimenti si ha:

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∂u ∂v + = −θ + θ = 0 ∂y ∂x ∂u ∂w dθ = + =− y = −θ' y ∂z ∂x dz ∂v ∂w dθ = + = x = θ' x ∂z ∂y dz

γ xy = γ xz γ yz

Il termine θ'=d θ/dz è detto gradiente di torsione e rappresenta la rotazione per unità di lunghezza della linea d'asse. Applicando la legge di Hooke si ottiene (G= modulo elastico tangenziale): τ xz = Gγ xz = −Gθ' y τ yz = Gγ yz = Gθ' x

Il tipo di moto assunto porta quindi a una distribuzione di tipo lineare delle tensioni τxz , τyz. Forza normale e momenti flettenti sono nulli perché σzz=0, per tagli e momento torcente si ottiene: Tx = ∫ τ xz dA = −Gθ' ∫ ydA = 0 A

A

(

)

(

)

T y = ∫ τ yz dA = Gθ' ∫ xdA = 0 A

A

M z = ∫ τ yz x − τ xz y dA = Gθ' ∫ x + y dA = Gθ' ∫ r dA = Gθ' J p A

A

2

2

2

A

Nella formula precedente Jp è il momento d'inerzia polare della sezione, pari al doppio del momento diametrale. La distribuzione delle tensioni τxz , τyz dovute alla torsione ha risultante nulla e momento (torcente) risultante il cui valore è indipendente dal polo scelto. Fin qui si è indicato con Mz il momento torcente valutato rispetto all'asse baricentrico della sezione (asse z); nel seguito si utilizzerà anche il simbolo Mt per indicare il momento torcente valutato rispetto a un asse parallelo a z e passante per il centro di taglio o centro di torsione della sezione (il cui significato viene descritto nel paragrafo successivo). Dall'ultima relazione trovata si può ricavare il gradiente di torsione: Mz θ' = GJ p Poiché nel solido di Saint Venant i carichi sono applicati soltanto in corrispondenza delle estremità, il momento torcente Mz è costante, e quindi lo è anche θ'. Di conseguenza la rotazione θ cresce linearmente lungo la linea d'asse. Sostituendo nelle formule che danno le tensioni τxz , τyz si ottiene: M M τ xz = − z y τ yz = z x Jp Jp y τcz

τyz τxz x

Grazie all'assialsimmetria della sezione, l'orientazione del sistema di riferimento è ininfluente; si può quindi considerare un riferimento cilindrico per il quale si identificano nel piano della sezione le direzioni radiale (r) e circonferenziale (c). La tensione agente in ogni punto risulta diretta (come lo spostamento) in direzione circonferenziale ed è data da: M τ cz = z r Jp

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71

Solido di St. Venant

In conclusione si osserva che la tensione ha andamento lineare rispetto al raggio e presenta simmetria polare, il massimo si presenta sul bordo esterno. I casi di sezione piena e cava differiscono evidentemente per il momento polare Jp ma la forma del campo di spostamenti e di tensione rimane la stessa.

τcz

τcz

Sezione rettangolare e sezioni a parete sottile aperte s

Si consideri una sezione rettangolare di lati l e s, con l >> s e soggetta ad un momento torcente Mt. A causa della limitatezza della dimensione s è lecito assumere che le tensioni tangenziali dovute alla torsione siano, tranne che nelle zone vicine ai lati corti, parallele al lato lungo (e cioè del tipo τyz). Si può dimostrare che il gradiente di torsione θ' in questo caso è dato da: M θ' = t GJ t Il termine Jt , avente le dimensioni di un momento d'inerzia d'area, è pari a: 1 J t = ls 3 3 La distribuzione della tensione può essere considerata in prima approssimazione lineare lungo x e costante lungo y, con valori di picco in corrispondenza dei bordi (come nel caso della flessione) M τ picco = ± t s Jt

y

0.3 s τyz x l

0.3 s

Nel caso in cui la sezione non sia sottile, cioè non sia più vero che l >> s , le espressioni precedenti rimangono valide con buona approssimazione se si corregge la formula di Jt nel modo seguente: 1 J t = (l − 2 ⋅ 0.3s )s 3 3 Tale correzione corrisponde a eliminare una fascia di altezza 0.3s per ogni estremo del rettangolo; il confronto con la soluzione esatta mostra che gli errori commessi utilizzando questa formula approssimata sono estremamente ridotti (< 3%) in tutto il campo di variazione di l/s da 1 a ∞. Per considerare sezioni sottili aventi il lato maggiore parallelo all'asse x si utilizzano formule analoghe alle precedenti scambiando i ruoli di x con y (le tensioni sono di tipo τxz , con picco in

y = ± s/2).

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In generale una sezione aperta a parete sottile (profilati a C, doppio T, ecc.) può essere trattata come insieme di sezioni rettangolari, che lavorano in parallelo contribuendo a sopportare complessivamente il momento torcente Mt : M t = ∑i M ti La rotazione delle singole sezioni rettangolari deve essere la stessa, quindi M t = ∑i θ' GJ ti = θ' G ∑i J ti = θ' GJ t Il fattore Jt , corrispondente alla sezione completa è la somma di quelli relativi alle singole sezioni rettangolari Jti : J t = ∑i J ti La correzione 0.3s viene eseguita in questi casi eliminando i margini liberi, come mostrato in figura.

Sezioni a parete sottile chiuse Queste sezioni sono definite geometricamente da due linee chiuse, una interna e una esterna; nel caso di spessore s sottile, cioè piccolo rispetto alle dimensioni della sezione, è possibile una trattazione approssimata basata su un'analogia con l'idrodinamica. Per semplificare la descrizione geometrica la sezione può essere approssimata con la sua linea media, a cui la tensione τ, risultante di τxz e τyz , deve essere tangente.

s τ

linea media

y

x

Definiamo flusso della tensione τ, attraverso una corda di lunghezza pari allo spessore s della parete, la quantità seguente: t = ∫ τds s

Si immagini che i profili interno ed esterno della sezione rappresentino due pareti impermeabili attraverso le quali scorre un liquido incompressibile, con velocità v tangente alla linea media del profilo. Se nella formula precedente invece della tensione τ si considera la velocità v, allora il risultato dell'integrazione è la portata di liquido attraverso la corda; tale analogia è concettualmente valida perché l'equazione di equilibrio che lega τxz e τyz è formalmente analoga alla condizione di incompressibilità che lega vx e vy nel caso dell'idrodinamica. Per la proprietà di conservazione della portata il flusso deve essere lo

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73

Solido di St. Venant

stesso attraverso una qualunque corda (congiungente il profilo esterno e quello interno) considerata nella parete. r r Su un tratto infinitesimo di linea media avente lunghezza dl agisce la forza elementare t ⋅ dl , in direzione tangente al profilo; poiché la linea si chiude su sé stessa si verifica che: r r r t ⋅ d l = t d l ∫ ∫ =0 l

l

Quindi la distribuzione di tensione considerata ha risultante nulla. Preso un polo generico O il r momento torcente elementare dovuto a t ⋅ dl , la cui retta d'azione è distante r da O, è pari a: t ⋅ dl ⋅ r = 2t ⋅ dΩ dove dΩ è l'area infinitesima del triangolo di altezza r e base dl. Integrando su tutta la lunghezza della linea media si ottiene il momento torcente Mt: M t = ∫ t ⋅ dl ⋅ r = 2t ∫ dΩ = 2tΩ l

l

Indipendentemente dalla scelta di O, Ω rappresenta l'area racchiusa dalla linea media del profilo della sezione. Ciò è ovvio se O giace all'interno della sezione; se O è esterno alla linea media l'affermazione è ancora vera perché l'area della zona OAB (doppiamente tratteggiata in figura) è considerata due volte nell'integrazione: una quando si percorre la linea media da A a B, l'altra nel percorso da B a A. I versi con cui tale area viene considerata sono opposti e quindi i relativi contributi si elidono. Peraltro, poiché la risultante è nulla, la scelta del polo deve essere ininfluente.

dl dΩ r

O A B O Dalla formula precedente si esprime il flusso della tensione t in funzione del momento torcente Mt: M t= t 2Ω Per calcolare la tensione τ si ammette che essa sia uniforme nello spessore della parete: M t τ= = t s 2Ωs

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Per il calcolo della rigidezza torsionale delle sezioni cave a parete sottile, si consideri la deformazione di un tratto di solido di Saint Venant di lunghezza dz sollecitato dal momento torcente (costante) Mt e le cui sezioni di estremità ruotano dell'angolo relativo dθ. L'energia di deformazione elastica vale: 1 M t dθ 2 La stessa energia di deformazione può essere calcolata a partire da tensioni e deformazioni: t2 dl 1 1 1 τ2 dE = dz ∫ τγdA = dz ∫ dA = dz ∫ τ 2 sdl = dz ∫ A A G 2 2 2G l 2G l s L'ultimo passaggio è stato eseguito approssimando t=τs (costante lungo il profilo); l'integrale è esteso alla linea media del profilo, di cui dl rappresenta un tratto infinitesimo e s lo spessore locale. Eguagliando l'energia ottenuta nei due modi si ottiene: t2 dl M t dθ = dz ∫ l s G Sostituendo a t l'espressione trovata in precedenza e ponendo anche in questo caso θ'=dθ/dz si ottiene: Mt dl M t θ' = = ∫ 2 4Ω G l s GJ t

dE =

Si è quindi ottenuta l'espressione per il modulo caratteristico della sezione Jt : 4Ω 2 Jt = dl ∫l s Di solito nei casi pratici lo spessore è costante in ognuna delle pareti da cui la sezione è composta e la formula precedente assume la forma: 4Ω 2 Jt = l ∑i si i dove la sommatoria è estesa su ognuna delle pareti a spessore uniforme si e lunghezza li . 7.8.

Sollecitazioni dovute ai tagli

Il comportamento della generica sezione del solido di Saint Venant sotto l'azione delle forze di taglio Ty , Tx non può essere descritto in maniera semplice come nei casi di comportamento estensionale o flessionale; in questa trattazione ci si limiterà a valutare l'andamento delle tensioni tangenziali τyz , τxz che agiscono sulla sezione. Per semplificare l'analisi conviene studiare separatamente il comportamento nei due piani yz e xz, il caso generale può essere risolto applicando la sovrapposizione degli effetti.

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Solido di St. Venant

Comportamento nel piano zy - taglio Ty Si consideri un elemento infinitesimo del solido di Saint Venant compreso tra due sezioni distanti dz. Mancando per ipotesi i carichi distribuiti, la forza di taglio Ty deve essere uguale sulle due sezioni per garantire l'equilibrio alla traslazione verticale, invece il momento Mx passando

dz

Ty

y Mx

z

x

Mx + dMx

Ty

da un estremo all'altro può subire un incremento infinitesimo dMx. Per l'equilibrio alla rotazione intorno a x possiamo scrivere: − M x + M x + dM x − T y dz = 0

Da essa si ottiene dM x dz Si è quindi mostrato che il taglio rappresenta, in ogni sezione del solido, la derivata del momento Ty =

flettente rispetto alla coordinata z della linea d'asse.

∫A*σ

zz

A*

dA

zz

+ d σzz )dA

t yz dz

t yz

c

∫A*(σ

dz

y

y x

x

z

Si consideri una parte A* di sezione, delimitata superiormente dal contorno e inferiormente da un segmento, detto corda, parallelo a x; non conoscendo quale sia la distribuzione della tensione τyz si definisce il suo flusso tyz attraverso la corda c nel modo seguente: t yz = ∫ τ yz dx c

Come verso positivo di tale flusso si assume quello entrante nell'area A*. Imponendo l'equilibrio alla traslazione assiale della parte di materiale compresa tra le due aree A* poste sulle sezioni distanti dz si scrive l'equazione: − ∫ σ zz dA − t yz dz + ∫ (σ zz + dσ zz )dA = 0 A*

A*

Semplificando e ricordando che il differenziale dσzz è dovuto alla sola variazione della coordinata z si ottiene:

∂σ zz dA ∂z Avendo adottato un riferimento centrale principale la tensione σzz è data da M σ zz = x y J xx t yz = ∫

A*

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Sostituendo nell'espressione di tyz si ottiene ∂ ⎛Mx ⎜ A* ∂z ⎜ J ⎝ xx

t yz = ∫

⎞ 1 dM x y ⎟⎟dA = ⋅ J xx dz ⎠

∫A* ydA

L'ultimo integrale della formula precedente è semplicemente il momento statico rispetto a x dell'area A*, indicando questo con Sx* e ricordando che la derivata del momento è pari al taglio si può scrivere: t yz =

Ty S x * J xx

Comportamento nel piano zx - taglio Tx dz

Lo studio viene eseguito in maniera formalmente analoga al caso precedente, semplicemente scambiando gli assi. In questo caso l'equilibrio alla rotazione dell'elemento M infinitesimo di solido di Saint Venant porta all'equazione y seguente: − M y + M y + dM y + Tx dz = 0

Tx x z

y

My + dMy

Tx

Da essa si ottiene Tx = −

dM y

dz Anche in questo caso il taglio rappresenta la derivata rispetto a z del momento flettente (il segno “-“ è dovuto al differente verso positivo del momento). (σzz + d σzz )dA σzz dA dz

∫A*

∫A*

A*

t xz x

y x

c

y

t xz

z

In questo caso si considera una parte A* di sezione delimitata dal contorno esterno e da una corda parallela a y; non conoscendo quale sia la distribuzione della tensione τxz si definisce il suo flusso txz attraverso la corda c: t xz = ∫ τ xz dy c

Il verso positivo del flusso è ancora quello entrante nell'area A*. Imponendo l'equilibrio alla traslazione assiale della parte di materiale considerata si scrive l'equazione: − ∫ σ zz dA − t xz dz + ∫ (σ zz + dσ zz )dA = 0 A*

A*

Semplificando e ricordando che il differenziale dσzz è dovuto alla sola variazione della coordinata z si ottiene:

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77

Solido di St. Venant

∂σ zz dA A* ∂z

t xz = ∫

In questo caso la tensione σzz è data da: σ zz = −

My J yy

x

Sostituendo nell'espressione di txz si ottiene t xz =

1 dM y ∂ ⎛⎜ M y ⎞⎟ x dA = − ⋅ − ⎟ J J dz A* ∂z ⎜ yy yy ⎠ ⎝



∫ xdA A*

L'ultimo integrale della formula precedente è il momento statico rispetto a y dell'area A*, indicando questo con Sy* e ricordando che la derivata del momento è pari al taglio cambiato di segno si ricava: Tx S y * t xz = J yy Sezioni a parete sottile Nelle costruzioni meccaniche è frequente l'uso di elementi la cui sezione è formata da pareti sottili, cioè di spessore piccolo rispetto alle dimensioni della sezione. Esempi tipici sono costituiti dai profilati (ottenuti per laminazione) a C o doppio T e dai longheroni dei veicoli. ξ

s t y

linea media

A*

x

τ y

x

Per il calcolo del flusso t della tensione tangenziale τ dovuta ai tagli si assume una coordinata locale ξ (lungo la linea media del profilo) che definisce la posizione della corda che stacca l'area A*; la corda non è parallela ad un asse ma è normale alla linea media ed è quindi pari allo spessore locale s della parete. Come verso positivo del flusso t si assume quello entrante nell'area A*. In questi casi è lecito ammettere che la tensione sia uniforme nello spessore della parete e diretta come la linea media di quest'ultima; si ottiene quindi la tensione dividendo il flusso per la corda s: T y S x * Tx S y * τ= + sJ xx sJ yy Per semplificare il calcolo delle caratteristiche geometriche della sezione (momenti statici e d'inerzia) si considera che l'area sia concentrata nella linea media del profilo; come in precedenza i

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momenti statici Sx* e Sy* si riferiscono alla parte di sezione staccata dalla corda, i momenti d'inerzia Jxx e Jyy si riferiscono all'intera sezione. Esempi di calcolo delle tensioni dovute ai tagli 1. Sezione rettangolare sottoposta a taglio nella direzione del lato maggiore. A*

b

ξ

τ yz

ξ

y a

+

x

y

A*

a x

+ b

τxz

Nel caso in cui sia a > b e agisca il solo taglio Ty si calcola la tensione τyz dividendo il flusso per la lunghezza b della corda: τ yz =

t yz b

=

Ty S x * bJ xx

dove J xx

ba 3 ⎛a ξ⎞ = , S x * = ξb⎜ − ⎟ 12 ⎝ 2 2⎠

Tale relazione è esatta per b/a→0 in quanto assume che la tensione τyz sia distribuita uniformemente lungo la corda; essa può quindi essere usata per un calcolo approssimato se il rapporto b/a è piccolo rispetto all'unità. L'andamento della τyz è parabolico, il valore massimo si presenta sulla corda che stacca metà sezione (ξ= a/2)e vale: T y ba 2 / 8 3T y 3T y τ yz = 2 3 = = b a / 12 2ba 2 A Nel caso in cui sia b > a e agisca il solo taglio Tx si calcola la tensione τxz dividendo il flusso per la lunghezza a della corda: τ xz =

t xz Tx S y * = a aJ yy

dove J yy =

ab 3 ⎛b ξ⎞ , S y * = ξa⎜ − ⎟ 12 ⎝2 2⎠

Analogamente al caso precedente, la relazione è esatta per a/b→0 e può essere usata per un calcolo approssimato se il rapporto a/b è piccolo rispetto all'unità. L'andamento della τyz è ancora parabolico e il valore massimo, che si presenta sulla corda che stacca metà sezione (ξ= b/2), vale: Tx ab 2 / 8 3Tx 3Tx τ xz = 2 3 = = a b / 12 2ba 2 A

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Solido di St. Venant

2. Sezione a parete sottile a C sottoposta a forze di taglio Tx e Ty. ξ1

s1 ξ2 y h

anima

y

e piattabande

x

s2

x

s1

b

ξ3

Le caratteristiche utili della sezione sono le seguenti: 2

s1b 3 b 2 s1 ⎞ ⎛b J xx dove e = J yy = hs 2 e + 2bs1 ⎜ − e ⎟ + 6 2bs1 + hs 2 ⎠ ⎝2 Si consideri per primo il caso in cui agisca soltanto il taglio Ty. Per calcolare la tensione nella

h 3 s 2 h 2 bs1 = + 12 2

2

piattabanda superiore conviene adottare la coordinata locale ξ1, misurata a partire dall'estremo destro della piattabanda; il momento statico Sx* assume la forma: h S x * = ξ1 s1 2 La tensione τ (che in questa zona è del tipo τxz) cresce linearmente lungo la piattabanda; in ξ1 = 0 si ha Sx* = 0 e τ = 0, il massimo è raggiunto per ξ1 = b in cui Sx* = bs1h/2 e T y S x * T y bh τ= = s1 J xx 2 J xx Per calcolare la tensione nell'anima conviene adottare la coordinata locale ξ2, misurata a partire dall'estremo superiore dell'anima; il momento statico Sx* assume la forma: h ⎛h ξ ⎞ S x * = bs1 + ξ 2 s 2 ⎜ − 2 ⎟ 2 ⎝2 2 ⎠ La tensione τ (che in questa zona è del tipo τyz) varia lungo l'anima con legge parabolica, raggiungendo il massimo per ξ2 = h/2 in cui Sx* = bs1h/2 + s2h2/8 e Ty ⎛ h s h2 ⎞ ⎜ bs1 + 2 ⎟ 2 8 ⎟⎠ s 2 J xx s 2 J xx ⎜⎝ In ξ2 = h, estremo inferiore dell'anima, il momento statico ritorna al valore Sx* = bs1h/2. Per il calcolo della tensione nella piattabanda inferiore si adotta la coordinata locale ξ3, misurata a partire dall'estremo sinistro della piattabanda; il momento statico Sx* assume la forma: h h S x * = bs1 − ξ 3 s1 2 2 τ=

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Ty S x *

=

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La tensione τ (che in questa zona è del tipo τxz) decresce linearmente lungo la piattabanda; parte dal valore massimo per ξ3 = 0 in cui Sx* = bs1h/2 e T y S x * T y bh τ= = s1 J xx 2 J xx mentre per ξ3 = b si ha Sx* = 0 e τ = 0. Si consideri ora il caso in cui agisca soltanto il taglio Tx. Nella piattabanda superiore il momento statico Sy* assume la forma: ξ ⎞ ξ2 ⎛ S y * = ξ1 s1 ⎜ b − e − 1 ⎟ = s1 (b − e )ξ1 − s1 1 2⎠ 2 ⎝ La tensione τ (che in questa zona è del tipo τxz) varia con legge parabolica lungo la piattabanda; per ξ1 = 0 si ha Sy* = 0 e τ = 0, il massimo è raggiunto per ξ1 = b-e (in corrispondenza dell'asse y) in cui Sy* = s1(b-e)2/2 e Tx S y * Tx (b − e )2 τ= = ⋅ s1 J yy J yy 2 All'estremo sinistro della piattabanda ξ1 = b si ha Sy* = bs1(b/2-e) e la tensione vale: Tx S y * Tx ⎛ b ⎞ τ= = b⎜ − e ⎟ s1 J yy J yy ⎝ 2 ⎠ Nell'anima il momento statico Sy* assume la forma: ⎛b ⎞ S y * = bs1 ⎜ − e ⎟ − ξ 2 s 2 e ⎝2 ⎠ La tensione τ (che in questa zona è del tipo τyz) varia lungo l'anima con legge lineare; nell'estremo superiore ξ2 = 0 si ha Sy* = bs1(b/2-e) e Tx S y * T ⎛b ⎞ τ= = x bs1 ⎜ − e ⎟ s 2 J yy s 2 J yy ⎝2 ⎠ Per ξ2 = h/2 (in corrispondenza dell'asse x), il momento statico assume valore nullo: b 2 s1 e ⎛b ⎞ h S y * = bs1 ⎜ − e ⎟ − s 2 e = − (s 2 h + 2s1b ) 2 2 ⎝2 ⎠ 2 b 2 s1 b 2 s1 (s2 h + 2s1b ) = 0 = − 2 2(s 2 h + 2 s1b )

Nell'estremo inferiore dell'anima ξ2 = h, il momento statico assume il valore S y * = bs1 (b 2 − e ) − hs2e = bs1 (b 2 − e ) − 2bs1 (b 2 − e ) = −bs1 (b 2 − e ) e quindi la tensione vale: τ=

Tx S y * s 2 J yy

=−

Tx ⎛b ⎞ bs1 ⎜ − e ⎟ s 2 J yy ⎝2 ⎠

Nella piattabanda inferiore il momento statico Sy* assume la forma: ⎞ ⎛ξ ⎛b ⎞ S y * = −bs1 ⎜ − e ⎟ + ξ 3 s1 ⎜ 3 − e ⎟ ⎝2 ⎠ ⎠ ⎝ 2 La tensione τ (che in questa zona è del tipo τxz) varia lungo la piattabanda inferiore con legge parabolica; all'estremo sinistro ξ3 = 0 si ha Sy* = -bs1(b/2-e) e quindi la tensione vale:

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Solido di St. Venant

τ=

Tx S y * s1 J yy

=−

Tx J yy

⎛b ⎞ b⎜ − e ⎟ ⎝2 ⎠

Il minimo della parabola è raggiunto per ξ3 = e (asse y) in cui Sy* = -s1(b-e)2/2 e Tx S y * Tx (b − e )2 τ= =− ⋅ s1 J yy J yy 2 mentre per ξ3 = b si ha Sy* = 0 e τ = 0. Taglio T y T y bh 2 J xx + bs1h s2h 2 + ( 8 ) s2 Jxx 2

Tx J yy

Ty

Taglio T x b b ( -e) 2

Tx

b -e bs s2 Jyy 1 ( 2 )

y

+

T x (b-e) 2 Jyy

+ + y x

x

-

Tx J yy

b b ( -e ) 2

-

T y bh

T (b-e) - x 2 Jyy

2

Tx b -e bs s2 Jyy 1 ( 2 )

+

2 J xx

2

Le frecce indicano il verso convenzionale assunto per la τ (flusso entrante attraverso la corda in A*), come al solito il segno di quest'ultima determina il verso in cui essa effettivamente agisce. 3. Sezione a parete sottile a doppio T sottoposta a forze di taglio Ty e Tx. y

s1

ξ1

ξ1

y

ξ2

h s2

x

x s1

b

ξ3

ξ3

Con procedimento analogo a quello impiegato per la sezione a C si ottengono gli andamenti della tensione tangenziale illustrati nelle figure seguenti.

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Taglio T

y

Taglio T x

Ty bh

y

4 J xx

+

Tx b

y

2

8 J yy

+ − Inversione di segno dovuta alla convenzione sul verso di τ

+ x

x

− +

+ Ty s2 Jxx

(

bs1h 2

+

s2 h

2

8

2

Ty bh

)

Tx b 8 J yy

4 J xx

In conclusione di questi esempi, si fa notare che ciascuna componente di taglio Tx o Ty può causare entrambe le tensioni tangenziali τxz, τyz ; i valori massimi (in modulo) di tensione si raggiungono dove il profilo interseca l'asse normale a quello in direzione del quale agisce il taglio. Centro di taglio o di torsione Si consideri la sezione a C per la quale si è ricavato l'andamento della tensione tangenziale τ (τxz,, τyz) corrispondente all'applicazione dei tagli Tx , Ty . Se agisce solo il taglio Ty si è trovato che la distribuzione delle τ ha andamento lineare nelle piattabande e parabolico nell'anima. T y bh + 2 J xx

s1 Fx g

y

+

Ty x

Ct

Fy

y e

h x

s2 s1

T y bh

2 J xx

+

Fx b

La distribuzione di tensione in ciascuna piattabanda può essere sostituita da una forza Fy applicata sulla linea media e pari al semiprodotto del valore massimo di τ assunto dalla distribuzione triangolare per l'area della piattabanda stessa:

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Solido di St. Venant

Fx =

T y b 2 hs1 1 T y bh bs1 = 2 2 J xx 4 J xx

Le tensioni τ nell'anima possono essere sostituite da una forza verticale Fy applicata sulla linea media dell'anima stessa e pari al taglio: Fy = T y Al sistema di forze formato dalle due componenti Fx e dalla Fy deve essere equivalente il solo taglio Ty applicato su una retta d'azione (asse centrale) la cui posizione g rispetto al riferimento xy si trova imponendo l'eguaglianza dei momenti: T y g = Fy e + Fx h Sostituendo a Fx e Fy le loro espressioni in funzione di Ty si ottiene: g =e+

b 2 h 2 s1 b =e+ 4 J xx 2 + hs 2 / 3bs1

Se agisce solo il taglio Tx l'andamento delle τ è parabolico nelle ali e lineare nell'anima; la distribuzione delle tensioni è simmetrica rispetto a x e quindi la loro risultante, pari a Tx , è applicata sull'asse x. Il punto Ct di coordinate (-g,0) costituisce il centro di taglio della sezione; per tale punto devono infatti passare i tagli Tx , Ty affinché nella sezione si abbiano le distribuzioni di tensioni τ corrispondenti alle condizioni di taglio puro. Di conseguenza, se la retta d'azione della risultante T dei tagli dista da tale punto del valore (eccentricità) ec si producono nella sezione anche delle sollecitazioni aggiuntive dovute al momento torcente Mt pari a: M t = Tec

dove T = Tx2 + T y2

Il punto Ct costituisce anche il centro di torsione della sezione; tale denominazione è dovuta al fatto che la sezione sotto l'applicazione del momento torcente ruota intorno a un asse parallelo a z e passante per tale punto. Con procedimento analogo a quello qui mostrato nel caso della sezione a C il centro di taglio può essere determinato per una generica sezione. Per alcuni casi particolari, ma di notevole interesse pratico, il centro di taglio coincide col baricentro della sezione; ad esempio ciò si verifica nel caso di sezione doppiamente simmetrica (rettangolare, circolare, a I, ecc.). 7.9.

Tensioni principali e ipotesi di cedimento

Per le ipotesi effettuate, il tensore della tensione agente in un qualsiasi punto di una sezione del solido di Saint Venant assume la forma seguente: ⎡0 ⎢ ⎢0 ⎢τ xz ⎣ Note le componenti di tensione σzz , τxz , τyz

τ xz ⎤ ⎥ τ yz ⎥ τ yz σ zz ⎥⎦ , calcolabili utilizzando le formule presentate nei

0 0

paragrafi 6.1÷6.8, si possono calcolare le tensioni principali come autovalori del tensore:

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⎡0 − λ 0 τ xz ⎤ ⎥ ⎢ det ⎢ 0 0−λ τ yz ⎥ = 0 ⎢ τ xz τ yz σ zz − λ ⎥⎦ ⎣

Sviluppando il determinante si ottiene (− λ ) − λ(σ zz − λ ) − τ 2yz + τ xz [− τ xz (− λ )] = −λ − λ(σ zz − λ ) − τ 2xz − τ 2yz = 0

[

]

[

]

Si ricava immediatamente che una tensione principale è sempre nulla, cioè i punti del solido si trovano in condizioni di tensione piana, le due rimanenti tensioni principali si ottengono come radici del polinomio di secondo grado: λ2 − σ zz λ − τ 2xz + τ 2yz = 0

(

)

2

(

σ ⎛σ ⎞ λ = zz ± ⎜ zz ⎟ + τ 2xz + τ 2yz 2 ⎝ 2 ⎠

)

Si riscontra quindi che una radice è sempre positiva e l'altra negativa, le tre tensioni principali sono: 2

(

2

)

(

)

σ zz σ ⎛σ ⎞ ⎛σ ⎞ σ2 = 0 + ⎜ zz ⎟ + τ 2xz + τ 2yz σ 3 = zz − ⎜ zz ⎟ + τ 2xz + τ 2yz 2 2 ⎝ 2 ⎠ ⎝ 2 ⎠ Nel caso in cui entrambe le componenti tangenziali τxz , τyz siano nulle anche una delle radici del σ1 =

polinomio di secondo grado è nulla; il punto si trova in condizione di tensione monoassiale (ciò che si verifica nel caso di comportamento estensionale e/o flessionale, in assenza di torsione o taglio). Per comodità le tensioni tangenziali τxz , τyz possono essere sostituite da un'unica componente τ, di cui il modulo e l'orientazione possono essere determinate calcolando la risultante delle forze elementari: dFx = τ xz dA dFy = τ yz dA y dFy

dF

direzione principale 2 di tensione

dA

dFx

x

La risultante infinitesima vale dove

dF = τdA τ 2 = τ 2xz + τ 2yz

La direzione principale relativa a σ2=0 è data dalla retta contenuta nel piano xy e perpendicolare a τ. Le tensioni principali possono essere quindi scritte nella forma più compatta: 2

σ ⎛σ ⎞ σ1 = zz + ⎜ zz ⎟ + τ 2 2 ⎝ 2 ⎠

2

σ2 = 0

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σ ⎛σ ⎞ σ 3 = zz − ⎜ zz ⎟ + τ 2 2 ⎝ 2 ⎠

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Solido di St. Venant

I cerchi di Mohr per un punto qualsiasi di una sezione del solido di Saint Venant assumono la forma mostrata in figura. E' possibile tracciare direttamente i cerchi (senza aver determinato preliminarmente le tensioni principali) in quanto si conoscono le componenti di tensione su due piani perpendicolari tra di loro e appartenenti al fascio che ha in comune la direzione principale 2. Il primo piano è quello della sezione del solido (piano xy) su cui agiscono le componenti (σzz , τ), il secondo piano è parallelo a z e su esso agisce la sola τ. Si hanno quindi gli elementi per costruire il cerchio passante per σ1 , σ3 ; i cerchi rimanenti vengono tracciati ricordando che σ2=0. τ (0 , τ) τ max σ3

σ2=0

σ1

σ

(σzz , −τ)

Come già mostrato in precedenza, la massima tensione tangenziale agisce su un piano del fascio avente in comune la direzione principale 2 ed è pari al raggio del cerchio passante per σ1 , σ3 : 2

τ max

⎛σ ⎞ = ⎜ zz ⎟ + τ 2 ⎝ 2 ⎠

Utilizzando questi risultati si possono calcolare le tensioni ideali, le cui formule sono state ottenute al par. 4.2 in funzione delle tensioni principali, direttamente in termini di σzz e τ. Materiali fragili 2

σ id = σ1 =

Ipotesi della massima tensione normale:

σ zz ⎛σ ⎞ + ⎜ zz ⎟ + τ 2 2 ⎝ 2 ⎠

Materiali duttili Ipotesi della massima tensione tangenziale: Ipotesi dell'energia di distorsione:

σ id2 =

[

σ id = σ1 − σ 3 = σ 2zz + 4τ 2

]

1 (σ1 − 0)2 + (0 − σ 3 )2 + (σ1 − σ 3 )2 = σ12 + σ 32 − σ1σ 3 2 2

σ zz ⎛σ ⎞ , b = ⎜ zz ⎟ + τ 2 , si ottiene l'espressione: 2 ⎝ 2 ⎠ 2 ⎡⎛ σ ⎞ 2 ⎤ ⎛σ ⎞ σ id2 = (a + b )2 + (a − b )2 − (a + b )(a − b ) = a 2 + 3b 2 = ⎜ zz ⎟ + 3⎢⎜ zz ⎟ + τ 2 ⎥ = σ 2zz + 3τ 2 ⎝ 2 ⎠ ⎢⎣⎝ 2 ⎠ ⎥⎦

Ponendo, per semplicità di notazione, a =

Si ricava quindi:

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σ id = σ 2zz + 3τ 2

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8. APPLICAZIONE DELLE SOLUZIONI PER IL SOLIDO DI SAINT VENANT AL CALCOLO DI STRUTTURE ELEMENTARI

Gli elementi strutturali di tipo monodimensionale (cioè, come già detto, aventi una dimensione molto maggiore delle altre due) usati nelle costruzioni meccaniche spesso si discostano dalle ipotesi sotto cui si sono ottenute le soluzioni per il solido di Saint Venant. In aggiunta a quanto già detto al capitolo 7 circa le variazioni di sezione, si nota che nei casi pratici carichi e vincoli possono essere applicati non solo agli estremi (si pensi al caso di un albero di trasmissione con linea d'asse orizzontale e cuscinetti intermedi). Le azioni applicate, sia da enti esterni sia dai vincoli, causano nelle sezioni di tali elementi strutturali caratteristiche di sollecitazione (forza normale, tagli, momenti flettenti, momento torcente) variabili in caso generale lungo la linea d'asse. Ogni sezione viene trattata come sezione di un solido di Saint Venant in cui agiscono le caratteristiche di sollecitazione corrispondenti alla sua posizione lungo l'elemento ed equivalenti alle tensioni σzz , τxz , τyz , ciascuna variabile secondo la sua distribuzione caratteristica. Le altre componenti di tensione, ad esempio quelle (locali) di contatto dovute all'applicazione di carichi distribuiti, sono di solito trascurabili o comunque calcolabili separatamente. 8.1. Relazioni tra momenti flettenti e tagli in presenza di carico distribuito

E' già stata mostrata nel paragrafo 7.8 la relazione di tipo differenziale che intercorre tra taglio e momento flettente sotto le ipotesi di St. Venant e quindi in caso di carichi applicati soltanto alle estremità del solido. Ammettendo ora, passando al caso di strutture reali (soggette, per esempio, a peso proprio), anche la presenza di carico distribuito, è facile ritrovare la relazione suddetta e ottenerne una ulteriore tra il taglio e il carico distribuito. Piano zy Si consideri un tratto infinitesimo di un elemento strutturale monodimensionale soggetto a taglio e flessione nel piano zy. Le equazioni di equilibrio alla traslazione lungo y e alla rotazione intorno a x sono le seguenti: qy

Ty +dTy y

Mx

x

z

Ty

Mx + dMx

T y + dT y − T y + q y dz = 0

(

dz =0 2

Semplificando e trascurando infinitesimi di ordine superiore si ottengono le relazioni: dT y

dz

)

M x + dM x − M x − T y + dT y dz − q y dz

dz

= −q y

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dM x = Ty dz

87

Strutture elementari

Si è quindi ottenuto che in presenza di carico distribuito il taglio è variabile lungo la linea d'asse e la sua derivata rispetto a z è uguale al carico distribuito (cambiato di segno); risulta ancora vero che la derivata del momento flettente è pari al taglio. Combinando questi due risultati si ottiene: d 2M x = −q y dz 2 Piano zx Le stesse proprietà valgono nel piano zx, sostituendo nelle formule x e u rispettivamente a y e v e tenendo conto del differente verso positivo di momenti e rotazioni: qx

Tx + dTx − Tx + q x dz = 0

Tx +dTx

M y + dM y − M y + (Tx + dTx )dz + q x dz

x My

z

y Tx dz

My + dMy

dTx = −q x dz

dM y

= −Tx dz Combinando questi due risultati si ottiene: d 2M y dz 2

8.2.

dz =0 2

= qx

Diagrammi delle caratteristiche di sollecitazione

Noti i carichi esterni e calcolate le reazioni vincolari, i valori assunti dalle caratteristiche di sollecitazione N, Tx , Ty , Mx , My , Mz , in una generica sezione S di un elemento strutturale possono essere determinati per mezzo di equazioni di equilibrio. E' sufficiente infatti isolare una parte di struttura con una linea che la distacca dagli eventuali vincoli e interrompe l'elemento in esame nella sezione S. Le equazioni di equilibrio della parte così isolata forniscono i valori delle caratteristiche di sollecitazione cercate. Tale modo di procedere costituisce semplicemente la generalizzazione di quanto già visto nel capitolo 1 per la determinazione delle reazioni vincolari. Scrivendo le equazioni di equilibrio si considera la geometria della struttura indeformata (ad esempio per adottare i bracci di momento), cioè si trascurano le variazioni geometriche dovute alla deformabilità elastica degli elementi. Tale approssimazione, necessaria per ottenere delle relazioni lineari, è corretta in quanto gli spostamenti elastici sono di solito estremamente piccoli rispetto alle dimensioni caratteristiche della struttura. Per visualizzare l'andamento delle caratteristiche di sollecitazione nelle parti delle struttura è utile costruire dei diagrammi, che riportano il valore di ogni componente in funzione della posizione. Tali diagrammi vengono di solito tracciati sulla struttura stessa; su ogni elemento la caratteristica diagrammata viene misurata perpendicolarmente alla linea d'asse, che funge da ascissa.

88

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Nel seguito sono riportati alcuni esempi in cui si mostra la costruzione dei diagrammi delle caratteristiche di sollecitazione per strutture elementari. La trattazione qui svolta è focalizzata sui problemi piani, dei casi spaziali si danno solo alcuni cenni. Esempio 1 l a

b

c

A

OA

B z

F1

VA

F1

F2

C=F1 l

C=F1 l

F2

RB

Si vuole determinare l'andamento delle caratteristiche di sollecitazione nella struttura schematizzata in figura. Mediante tre equazioni di equilibrio si determinano le reazioni vincolari. OA = − F2 →: OA + F2 = 0 F a+C F (a + l ) ⎛a ⎞ RB = − 1 A : F1a + C + RB l = 0 =− 1 = − F1 ⎜ + 1⎟ l l ⎝l ⎠ − F1 (l − a ) + C F1l − F1l + F1a a B : VA l + F1 (l − a ) − C = 0 VA = = = F1 l l l Per il calcolo delle caratteristiche di sollecitazione è necessario distinguere in quale tratto dell'elemento si trova la sezione S considerata; sono infatti diversi i carichi da includere nelle equazioni di equilibrio. VA

0≤z 1) Kt =

σp σn

In generale Kt è funzione delle dimensioni caratteristiche del componente (diametri maggiore e minore, raggio del raccordo o del foro, ecc.); esso può essere determinato per via analitica, sperimentale o numerica. Ai fini dell’applicazione pratica sono disponibili diagrammi che forniscono i valori di Kt per diverse geometrie del componente (circolare, piatta, …), tipi di intaglio (variazione di diametro o larghezza, gola, foro, …), condizioni di carico (trazione, flessione torsione, …); un esempio è mostrato nella figura seguente. Calcolata σn coi metodi consueti e letto il valore di Kt dal diagramma opportuno, si ottiene σp semplicemente come prodotto dei due valori. Dalla parametrizzazione del diagramma si deduce che la concentrazione di tensione è tanto più elevata quanto maggiore è la variazione di dimensione (D/d) e minore il raccordo (r/d). Tale osservazione è applicabile a tutte le geometrie.

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Intaglio, frattura

3.0

r

Kt

F D 2.0

d

F

D/d 2.0 1.5 1.2 1.05 1.01

1.0 0.0

0.1

0.2

r/d

0.3

Conseguenze dell’intaglio sul cedimento statico Poiché l’intaglio incrementa il livello della tensione agente, è necessario determinare che cosa ciò comporta per quanto riguarda il cedimento dei componenti; come in precedenza, le considerazioni qui presentate riguardano soltanto il caso di sollecitazione statica (l’intaglio ha notevole influenza sulla resistenza alla sollecitazione “di fatica”, cioè variabile nel tempo, non trattata in un’altra sezione della dispensa). È necessario distinguere il comportamento dei materiali fragili e duttili, inoltre per semplificare la spiegazione si considera un caso di tensione monoassiale. -Materiali fragili

Ricordando che il cedimento avviene quando la massima tensione normale raggiunge il valore di rottura, si ottiene che la condizione limite è: σ p = K t σ n = Rm

Tale formula stabilisce che quando nel punto più sollecitato per effetto dell’intaglio si raggiunge il carico unitario di rottura, allora il componente cede. Si deduce quindi che per materiali fragili le concentrazioni di tensione devono essere accuratamente evitate o quantomeno ridotte al minimo. -Materiali duttili

In questo caso si produce la prima plasticizzazione nel materiale quando: σ p = K t σ n = Rp0,2

Come mostrato nella seguente figura, questa situazione non porta però al cedimento del componente, che può ancora sopportare valori più elevati di carico. Assumendo comportamento elasto-plastico ideale, al crescere del carico la sezione progressivamente si plasticizza; il collasso avviene quando tutta la sezione è sollecitata al valore di snervamento. In tali condizioni la forza agente vale: Flim = Amin Rp0,2

dove Amin è il valore della sezione minima della barra (in realtà la forza che causa il collasso è un po’ superiore, sia per l’incrudimento del materiale, qui trascurato, sia per effetti dovuti alla tridimensionalità del campo). Quindi il collasso avviene per lo stesso valore di forza che porta a snervamento una barra liscia di area pari a Amin, come se l’intaglio non fosse presente. Per questo motivo, nella verifica dei componenti in materiale duttile rispetto alla tensione statica si è autorizzati a non considerare l’effetto di intaglio.

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F

F

F

R p0,2

F

F

a)

F

b)

c)

11.2. Cenni di meccanica della frattura

Lo studio della rottura di elementi strutturali a partire da cricche e la propagazione di queste ultime sotto carico ciclico costituiscono l’oggetto di studio della meccanica della frattura; nel caso più semplice, quando i fenomeni plastici sono limitati, è applicabile l’approccio della meccanica della frattura lineare elastica. Solo quest’ultima viene brevemente descritta in questa sede, e limitatamente al caso in cui la sollecitazione agisce monotonicamente (cioè non varia ciclicamente nel tempo). Tale disciplina si è sviluppata nel corso del XX sec. per trovare la ragione di rotture non spiegabili con gli usuali concetti dello stato di tensione, dal momento che si producono sotto livelli di quest’ultima anche molto bassi rispetto al limite di resistenza a trazione del materiale. La teoria di Griffith Il caso fondamentale (Griffith 1920) è costituito da una lastra piana di spessore s, soggetta alla tensione di trazione σ, nella quale è presente una cricca centrale passante di lunghezza 2a (v. figura) Il problema non può essere affrontato in termini di intaglio, perché la cricca ha raccordo nullo e quindi il fattore di concentrazione della tensione è infinito. σ

σ

2a

La creazione della cricca (e quindi di due superfici rettangolari di dimensioni 2a⋅s) ha richiesto l’energia di separazione Γ, pari a Γ = 4asγ

dove γ è l’energia di separazione per unità di area.

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127

Intaglio, frattura

Si può dimostrare che (il calcolo è complesso e qui non viene riportato), dette rispettivamente U l’energia potenziale elastica posseduta dalla lastra e U0 l’energia potenziale elastica posseduta da una lastra identica ma priva di difetto, la loro differenza vale: U0 −U =

πσ 2 a 2 s E

Se la cricca aumenta la propria lunghezza di 2da ciò comporta una spesa di energia di separazione ma al contempo mette a disposizione dell’energia potenziale elastica. Se l’energia liberata dall’aumento di lunghezza è maggiore di quella necessaria per la separazione, allora la cricca si propaga istantaneamente in modo instabile. La condizione per la propagazione si può scrivere come d (U 0 − U ) dΓ ≥ da da

da cui segue 2 Eγ = Kc π

σ a≥

Tale condizione dice che: • il parametro a primo membro che esprime la sollecitazione non è semplicemente la tensione, ma il prodotto di questa per la radice della lunghezza già raggiunta dalla cricca; • il termine a secondo membro, usualmente indicato con Kc, costituisce una misura della tenacità del materiale, cioè della sua capacità di opporsi alla propagazione di una cricca. A seconda della condizione di carico la separazione della superfici di una cricca può avvenire secondo tre modi canonici, che sono l’apertura, lo scorrimento e la lacerazione, denominati rispettivamente I, II e III; di essi il modo I costituisce il caso più importante.

Modo I (apertura)

Modo II (scorrimento)

Modo III (lacerazione)

Il campo di tensione intorno all’apice della cricca Il campo di tensione nell’intorno dell’apice della cricca è stato determinato per via analitica (Westergaard 1939); in forma compatta esso può essere scritto come (v. figura per i riferimenti): σ ij (r , θ) =

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K I,II,III 2πr

f ij (θ)

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σyy

y

τxy σzz

r

τxy σxx

θ x apice cricca

z

Nel caso del modo I, esplicitamente si ha: KI 3θ ⎞ θ⎛ θ cos ⎜1 − sen sen ⎟ + infin. ord. sup. σ xx = 2⎝ 2 2⎠ 2πr KI 3θ ⎞ θ⎛ θ cos ⎜1 + sen sen ⎟ + infin. ord. sup. σ yy = 2⎝ 2 2⎠ 2πr KI θ θ 3θ τ xy = sen cos cos + infin. ord. sup. 2 2 2 2πr σ zz = 0 in tensione piana, σ zz = ν σ xx + σ yy in deformazione piana

(

)

L’aspetto fisico importante delle soluzioni di Westergaard sta nel fatto che il campo di tensione ha sempre lo stesso andamento, parametrizzato dal termine KI detto “fattore di intensità delle tensioni”. Il valore di quest’ultimo è quindi rappresentativo dell’intero campo. KI ha le dimensioni di una tensione moltiplicata per la radice di una lunghezza (usualmente MPa √m), esso dipende dalla tensione normale, dalla lunghezza della cricca, dalla forma e posizione di questa; in generale si può scrivere K I = Yσ a dove Y è un “fattore di forma”, dipendente dal tipo di cricca; i suoi valori sono disponibili per i casi pratici. È interessante valutare l’andamento delle tensioni di fronte all’apice della cricca (cioè sull’asse x, coincidente con r per θ = 0). Dalle formule si ricava che τxy è nulla e che σyy = σxx tende ad infinito all’apice della cricca (r→0); in realtà il valore è limitato dallo snervamento del materiale. Nel caso di lastra sottile, e quindi di stato di tensione piana, la tensione ideale (ipotesi della massima τ) coincide con σyy (pure uguale a σxx); viceversa nel caso di lastra spessa, e quindi di stato di deformazione piana, la tensione ideale vale: σ id = σ yy − σ zz = σ yy (1 − 2ν) =

KI 2πr

(1 − 2ν)

Si osserva che nel caso di deformazione piana la tensione normale di fronte all’apice della cricca raggiunge valori più elevati, mentre la zona plasticizzata ha dimensione inferiore; quindi la deformazione piana conduce con maggiore facilità al collasso per propagazione instabile della cricca.

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Intaglio, frattura

σyy

σyy

soluzione elastica

soluzione elastica soluzione elasto-plastica deformazione piana

soluzione elasto-plastica tensione piana

Rp0,2 σ

σ r≡x

r≡x zona plasticizzata

zona plasticizzata

Tenacità a frattura In accordo con le considerazioni precedenti, sperimentalmente si osserva che -per un dato materiale- il valore critico Kc del fattore di intensità delle tensioni per il quale si produce la propagazione instabile diminuisce all’aumentare dello spessore, fino a stabilizzarsi su un valore minimo KIc. Quest’ultimo viene assunto come valore della tenacità a frattura.

Kc

KIc spessore In linea di massima la tenacità a frattura è inversamente proporzionale alla resistenza a trazione: i materiali a basso snervamento (p.e. acciai dolci) sono molto tenaci, quelli ad alto snervamento (p.e. acciai legati, leghe di Al) lo sono meno. Alcuni valori di esempio sono riportati di seguito. Limiti di snervamento e tenacità a frattura di alcuni materiali. Rp0,2 (MPa)

KIc (MPa √m)

240

>210

1360-1455

79-91

Lega di alluminio 7075-T6

560

32

Lega di titanio Ti-6Al-4V

820

106

Acciaio da carpenteria AISI 4340 forgiato

In definitiva, nel caso di componenti contenenti delle cricche, la verifica statica di resistenza è duplice: • si verifica, con i metodi usuali, che la tensione sull’area netta non sia tale da portare a snervamento macroscopico;

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si verifica che il fattore di intensità delle tensioni sia minore della tenacità a frattura cioè che K I < K Ic .

Entrambe le verifiche devono essere soddisfatte con opportuno coefficiente di sicurezza. In conclusione di questa sintetica rassegna, si fa notare che l’approccio descritto (meccanica della frattura lineare elastica) è applicabile quando le caratteristiche del materiale sono tali che la zona plastica all’apice della cricca è piccola rispetto alla lunghezza di quest’ultima, cosa che è vera per materiali ad alta resistenza a trazione; altrimenti si deve far uso di studi più complessi (meccanica della frattura elastoplastica).

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INDICE 1.

RICHIAMI DI STATICA............................................................................................................1 1.1. Grandezze e operazioni fondamentali..................................................................................1 1.2. Carichi e vincoli ...................................................................................................................3 1.3. Scrittura delle equazioni di equilibrio..................................................................................5 2. STATO DI TENSIONE ...............................................................................................................7 2.1. Tensioni................................................................................................................................7 2.2. Tensioni principali .............................................................................................................10 2.3. Cerchi di Mohr ...................................................................................................................11 3. STATO DI DEFORMAZIONE E COMPORTAMENTO ELASTICO....................................16 3.1. Spostamento e deformazione .............................................................................................16 3.2. Tensore delle deformazioni................................................................................................18 3.3. Componenti e direzioni principali di deformazione ..........................................................20 3.4. Relazione tra tensioni e deformazioni................................................................................21 3.5. Energia di deformazione ....................................................................................................23 3.6. Stati notevoli di tensione e deformazione ..........................................................................24 4. ESTENSIMETRIA ELETTRICA..............................................................................................27 4.1. Relazione tra variazione di resistenza e deformazione ......................................................27 4.2. Effetti della temperatura.....................................................................................................28 4.3. Componenti degli estensimetri e loro installazione ...........................................................29 4.4. Circuito di misura...............................................................................................................31 4.5. Alimentazione del circuito - Problemi legati ai cavi..........................................................34 4.6. Rosette estensimetriche......................................................................................................36 5. CEDIMENTO STATICO DEI MATERIALI METALLICI .....................................................37 5.1. Prova di trazione a temperatura ambiente..........................................................................37 5.2. Ipotesi di cedimento ...........................................................................................................43 5.3. Coefficiente di sicurezza....................................................................................................47 5.4. Effetto della temperatura elevata .......................................................................................49 6. RICHIAMI DI GEOMETRIA DELLE AREE ..........................................................................54 6.1. Definizioni .........................................................................................................................54 6.2. Figure composte.................................................................................................................55 6.3. Rotazione degli assi ...........................................................................................................56 7. SOLIDO DI SAINT VENANT..................................................................................................60 7.1. Ipotesi.................................................................................................................................60 7.2. Caratteristiche di sollecitazione .........................................................................................61 7.3. Principio di Saint Venant ...................................................................................................62 7.4. Comportamento estensionale (trazione-compressione) .....................................................63

i

Indice

7.5. Comportamento flessionale................................................................................................65 7.6. Caso generale: comportamento estensionale e flessionale ................................................69 7.7. Comportamento torsionale.................................................................................................70 7.8. Sollecitazioni dovute ai tagli..............................................................................................75 7.9. Tensioni principali e ipotesi di cedimento .........................................................................84 8. APPLICAZIONE DELLE SOLUZIONI PER IL SOLIDO DI SAINT VENANT AL CALCOLO DI STRUTTURE ELEMENTARI.................................................................................87 8.1. Relazioni tra momenti flettenti e tagli in presenza di carico distribuito ............................87 8.2. Diagrammi delle caratteristiche di sollecitazione ..............................................................88 8.3. Equazione della linea elastica ............................................................................................94 8.4. Strutture reticolari ............................................................................................................103 8.5. Cenni sulle strutture spaziali ............................................................................................111 9. CENNI SUL CALCOLO DELLE STRUTTURE IPERSTATICHE ......................................114 10. INSTABILITÀ ELASTICA DI ELEMENTI COMPRESSI: IL CARICO DI PUNTA .....119 10.1. Instabilità delle aste rettilinee ......................................................................................119 10.2. Asta inizialmente curva................................................................................................122 11. EFFETTI DI INTAGLIO, MECCANICA DELLA FRATTURA.......................................124 11.1. Concentrazioni di tensione - Intagli .............................................................................124 11.2. Cenni di meccanica della frattura.................................................................................127 INDICE .................................................................................................................................................i

ii

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