Fondamenti Di Linguistica
February 4, 2017 | Author: 22121938 | Category: N/A
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linguistica...
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© 1990, 1995, Gius. Larerza & Figli
Prima edizione 1990 Sesta edizione completamente riveduta 1995 Sedicesima edizione 2005
Raffaele Simone
Fondamenti di linguistica
9&Litori L:zterza
Proprietà letteraria riservata Gius. Lacerza & Figli Spa, Roma-Bari Finito di stampare nell'ottobre 2005 Poligrafico Dehoniano Stabilimento di Bari per conto della Gius. Laterza & Figli Spa CL 20-3499-9 ISBN 88-420-3499-1
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Quando parlo del linguaggio (parola, proposizione, ecc.), devo parlare il linguaggio di tutti i giorni. Questo linguaggio è forse troppo grossolano, materiale, per quello che v~gliamo dire? E allora, come si fa a costruirne un altro? - E com'è strano che con il nostro possiamo pur fare qualcosa! [... ] Le tue domande si riferiscono a parole; debbo pertanto parlare di parole. Ludwig Wittgenstein, Ricerche filosofiche,§ 120
Premessa prima (per linguisti) «Salvare i fenomeni» (s6zein tà phain6mena), mostrare le cose come stamto, è uno dei più penetranti memorandum che il pensiero greco ci abbia lasciato, capace ancora di parlarci, in tutte le aree del sapere. La sostanza di questa massima è particolarmente vitale in un campo come lo studio del linguaggio, in cui l'intenso sviluppo di elaborazioni teoriche ha finito spesso per rendere precaria, e a volte per oscurare, la vista dei fatti. Certo, in linguistica è molto meno facile che altrove dire quali siano i 'fenomeni'. Saussure ha insegnato che «è il punto di vista che crea l'oggetto», e che una delle difficoltà essenziali della linguistica sta proprio rìella delimitazione delle proprie unità di analisi, che non 'si dànno' all'osservazione, ma devono essere per così dire costruite. Qualunque nozione si voglia adottare per l'espressione 'fenomeno (o fatto) linguistico', il linguaggio continua a resisterci: la sua intrinseca 'vastità' (o infinità) può rendere inconfrontabili orientamenti teorici che partano da raccolte di fatti dichiaratamente diverse. La spinta a scrivere questo manuale è venuta proprio dall'esigenza, che mi è stata ricordata per anni dagli studenti dei miei corsi iniziali di Linguistica Generale, di 'salvare i fenomeni', di tornare ai 'fatti', di parlare prima di lingue che di teorie linguistiche. Mentre sui fenomeni, sia pur con molti sforzi, è possibile raggiungere un accordo (a condizione, naturalmente, di delimitarli con cura e nel modo più esplicito possibile), sulle teorie la probabilità di accordo si riduce gradualmente. Al punto che non sono mancate, negli ultimi anni, figure di primo piano della ri-
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cerca che hanno smesso di colpo divise teoriche che avevano indossato per un pezzo, proprio per tentare un restauro dei fenomeni. Non c'è dubbio, però, che i fenomeni, anche solo per esser visti, abbiano bisogno di una teoria. Non solo Saussure, ma anche Popper, hanno mostrato che lo sguardo che si poggia su quelli che si ritengono 'fatti' è in realtà già 'carico di teoria', già orientato a considerare rilevante un oggetto e irrilevante un altro. Essendo consapevole di questo, e sapendo quindi che il 'candore' è, tanto più in fatto di linguaggio, un mito oppure una mistificazione, ho cercato di collocare l'osservatorio al livello teorico più 'basso' (e quindi, forse, anche più 'debole') che fosse possibile. In linguistica, quest'angolo di osservazione è offerto a mio avviso dall'analisi semiotica delle lingue, dalla teoria dei codici, che arriva, alla fine del suo giro di ispezione, a identificare i tratti che rendono specifiche le lingue nei confronti degli altri codici accessibili all'uomo. Dopo i grandi esempi di Saussure e di Hjelmslev, la riflessione semiotica è stata pressoché trascurata in linguistica (con alcune importanti eccezioni: Emile Benveniste, Charles F. Hockett, Tullio De Mauro, John Lyons), ed è un peccato. Infatti essa permette di cogliere alcuni fenomeni al livello più elementare (un termine, 'qùesto, su cui proporrò qualche considerazione alla fine di questa Premessa prima). La mia convinzione è infatti che soltanto con un'analisi fondatà semioticamente si possa arrivare a percepire i fenomeni linguistici, facendo su di essi un investimento 'debole', o (come anche si dice) 'pre-teorico'. Un atteggiamento di questo genere mi è sembrato indispensabile. Intanto, è utile per iniziare i principianti a un modo coerente di 'pensare la linguistica', a cui essi hanno diritto di accedere con la massima chiarezza. In secondo luogo, permette di distinguere due diversi livelli nell'accostamento a questa disciplina: uno iniziale, elementare (a cui questo libro vuole dare un contributo), sul quale la divergenza tra teorie diverse non è ancora pienamente istituita, e uno avanzato, dove il conflitto teorico· può manifestarsi anche nelle sue forme più vivaci. Il richiamo ai · fenomeni mi è parso anche una sorta di massima di prudenza in una disciplina che è forse una delle più 'litigiose' quanto a varietà di indirizzi, e tra le più 'spaccate' quanto alla reciproca difficoltà di comunicazione esistente tra l'uno e l'altro. Se il proposito di
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creare una pax linguistica perpetua è sicuramente futile, può perlomeno giovare lo sforzo di richiamare tutti i praticanti al rispetto di alcuni dati di base. Per questa ragione, in questo libro non ttìs-cUtoeon nessurio~-·e-non menziono in particolare nessuno specifico indirizzo di ricerca. La discussione tra le diverse scuole dovrebbe, crèdo, avviarsi solo più avanti, ad un livello ulteriore di conoscenze. L'organizzazione di questo volume si spiega in base a queste considerazioni. Il libro riperc9rre le articolazioni principali della linguistica teorica di oggi (dalla fonologia al testo, anche se procede più sommariament'e sulla prima...__ed ha dovuto trascurare completamente, per ragioni di spazio, la dimensione tipologica e quella pragmatica), in modo tale da raccordarle tutte, il più possibile, con le basi semiotiche del linguaggio. Ma, sullo sfondo· della trattazione, si muovono alcune preoccupazioni generali, che è utile richiamare esplicitamente. La prima è quella che spinge a ricordare sempre che la linguistica non solo ha una storia, ma è anzi una delle discipline che più intensamente dialogano con il proprio passato. Questo tratto, che mi pare tipico dei nostri studi, anche se giustifica da alcuni decenni il grande interesse internazionale verso la storia della linguistica (non per nulla praticata da alcune delle più brillanti figure della ricerca), può non piacere a chi preferisce orientare la propria attività piuttosto su un modello tecnologtco_;-poco disposto alla percezione storica (rappresentato oggi tipicamente dalla scienza dei calcolatori), che su un modello del tutto particolare, quale forse il linguaggio richiede. Malgrado ciò, non è possibile non riconoscere alla riflessione linguistica del passato i suoi straordinari meriti, visto\ che essa ha offerto alle scienze del linguaggio di oggi una parte non indifferente delle sue categorie e dei suoi mezzi di analisi fondamentali. Allo stesso modo, non è possibile dimeniicare il debito che la linguistica ha verso la filosofia e la logica, e verso altre aree dalle quali si è resa autonoma solo di recente. Una simile prospettiva storica può giovare ai principianti, ma anche ai non pochi linguisti, giovani e meno giovani, che sono tranquillamente persuasi che i loro studi siano nati verso la fine degli anni Cinquanta. L'altra preoccupazione di sfondo è l'idea che le lingue siano
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sistemi semiotici modellati in accordo con le capacità di elaborazione dell'utente umano. Ciò non vuol dire che siano sempre sistemi ergonomici perfettamente rispondenti all'uso e conformi ai limiti delle sue capacità di elaborazione. Ma vuol dire che diverse ç:;i.ratteristiche delle lingue si spiegano principalmente pensando .alìe proprietà dell'utente e alle costrizioni che questo impone su
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