Flute - michele gori - lezioni flauto jazz.pdf

July 23, 2017 | Author: cuentagotas | Category: Recorder (Musical Instrument), Chord (Music), Music Theory, Elements Of Music, Pop Culture
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Lezione 1: introduzione e storia del flauto di Michele Gori

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«Ciao Michele, ma cosa stai suonando?» «Sto facendo degli esercizi sul II-V-I... sai, studio jazz...» «Ma come, fai jazz col flauto ?!?» Quante volte mi sono sentito dire questa frase! Certo nell'immaginario collettivo è difficile associare il flauto al jazz, ma è importante sapere che anche questo strumento ha alle sue spalle una propria cultura jazzistica, probabilmente non molto nota ai più, e comunque poco considerata, se non ignorata, dalla maggior parte dei flautisti classici. E' chiaro che per la sua debole sonorità il flauto non si adatta facilmente a tutti i contesti, e necessita quasi sempre di una buona amplificazione e di una adeguata scelta dei brani da eseguire; tuttavia sembra essere sempre maggiore il numero di flautisti interessati al jazz e all' improvvisazione, ed è auspicabile che al flautista del terzo millennio venga richiesto di saper spaziare dai concerti di Mozart all'improvvisazione su di una bossa nova di Jobim. Sono del parere che didatticamente al flautista di oggi vada offerto tutto, la possibilità di avere un bel suono e una buona tecnica come quella di potersi esprimere attraverso l' improvvisazione; di conseguenza, l' insegnante moderno deve essere in grado di mostrare tutte le vie percorribili dal flauto e fornire una visione più ampia delle possibilità dello strumento e del flautista stesso. E' questo lo spirito che animerà la sezione dedicata al nostro caro flauto traverso. LA STORIA DEL FLAUTO Il flauto è uno strumento antichissimo, che nel corso del tempo ha subito trasformazioni significative, attraverso una evoluzione che ha coinvolto materiali e forme fino a farlo diventare lo strumento che oggi conosciamo. Proprio per questo mi sembra doveroso cercare di riassumere la sua storia, definendone i momenti principali. Tutti i popoli delle civiltà antiche hanno adottato strumenti a fiato simili al flauto dei giorni nostri; flauti diritti e traversi furono usati dagli antichi Cinesi ("Jo" e "Tsche"), dagli Egizi ("Mem" e "Sebi"), dagli Indiani ("Suffarah"). E' nell'antica Grecia che il flauto acquista un importante valore artistico, grazie alla diffusione di due diversi flauti: il "Flauto di Pan", formato da un numero di canne inizialmente variante da tre a nove, digradanti in lunghezza, chiuse da un lato e unite dalla cera, e altri tipi di flauti definiti genericamente "aulos", che ebbero maggiore diffusione del flauto di Pan; questi aulos si dividevano in "monauli", formati da una sola

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canna, e "diauli", formati da due canne divergenti ma con un'unica imboccatura. La costruzione di questi flauti fu imitata dai Romani, che chiamarono gli aulos col nome di "Tibie", essendo spesso costruiti con le tibie degli animali, oltre che con canne, legno e avorio. L'utilizzo delle tibie viene a decadere con l'avvento del Cristianesimo e con il conseguente sviluppo della musica vocale-corale: gli strumenti musicali ricordano i riti pagani, e vengono quindi abbandonati. Per il flauto si apre così un periodo di abbandono che si accentua durante il Medioevo. La rinascita del flauto ha luogo nel 1300, specialmente in alcuni paesi dell'Europa occidentale e centrale (dove l' uso delle tibie non era stato del tutto accantonato), con l'apparire di alcuni flauti detti "diritti" oppure "a becco", così detti per la caratteristica dell'imboccatura, chiamati anche "Flauti dolci" per il loro suono dolce e vellutato: avevano otto fori, con quello più alto situato sul dorso dello strumento e quello più basso chiuso con una chiave; curiosamente, non era stabilita l'esatta posizione delle mani per la tenuta dello strumento, e ogni strumentista poteva scegliere quella a lui più congeniale. La denominazione romana di questo strumento non è più tibia, ma "Flauto", derivato dal latino flatus-flare (soffio-soffiare) o secondo alcuni storiografi dalla combinazione delle tre note fa-la-ut. Simili al flauto a becco sono il "Recorder", diffusosi in Inghilterra verso il 1350, e il "Flageolets", che compare in Francia nel 1500. Nello stesso periodo il flauto dolce si sviluppa in Italia, specie a Firenze e Venezia dove sorgono fabbriche di importanza europea, e intorno a questo strumento comincia a fiorire una vasta letteratura musicale. Contemporaneamente ai flauti diritti erano apparsi anche altri strumenti detti "Flauti Traversi" o "Traversieri": si suonavano in posizione trasversale da destra a sinistra, si costruivano di bossola, con tubo cilindrico di un solo pezzo e di forma piuttosto tozza; nella parte superiore, chiusa da un tappo, vi era il foro dell'imboccatura, mentre in corrispondenza delle dita centrali vi erano altri sei fori. Questi strumenti si erano inizialmente diffusi in Francia, Germania ed Inghilterra, ma non incontrarono subito il favore dei musicisti: dovettero passare molti anni prima della loro completa affermazione. Caratterizzati da un suono brillante e timbrato, acquistarono notevole notorietà soprattutto grazie all' utilizzo nelle fanfare militari della Svizzera, le cui truppe mercenarie , molto richieste dagli stati europei nelle numerose guerre di allora, ne divulgarono ovunque l' uso. Con l'avvento del flauto traverso ha così inizio la storia del flauto moderno. Per la sua costruzione si adoperavano legni pregiati (bossolo, ebano, granatiglia, cocco) e anche l'avorio, con raffinate guarnizioni di madreperla, argento, oro. Dal 1600 in poi lo strumento si evolve continuamente: si comincia a fabbricare di forma conica per irrobustire i suoni bassi; si suona trasversalmente da sinistra a destra, cioè nella direzione opposta rispetto a come si suonavano i primi traversieri; si arricchisce di fori e chiavi per ottenere semitoni e trilli; viene ideato da Giovanni Gioacchino Quantz il tappo a vite che applicato alla testata rendeva più facilmente traspositore lo strumento; viene diviso da Denner nei tre pezzi di testata, corpo e trombino. All'inizio del 1800 il flauto traverso raggiunge livelli di perfezione grazie a costruttori eccelsi, come Giovanni Ziegler, operante a Vienna. Ziegler aveva dotato i suoi flauti di 17 fra chiavi e doppie chiavi, permettendo di suonare passaggi considerati impossibili e di avere accesso anche alle tonalità più difficili: tutti i flautisti adottarono questo strumento, definito flauto di sistema antico. L'attuale flauto è quello che si basa sul sistema Boehm, o sistema moderno, frutto di sperimentazioni e modifiche compiute dal flautista e compositore tedesco Teobald Boehm (1794-1881). Egli si avvalse delle sperimentazioni compiute in precedenza da un flautista dillettante, William Gordon, il primo ad usare tubi cilindrici in lega mettallica anzichè in legno

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ed un meccanismo di chiavi ad anelli che permetteva di azionare due chiavi con un dito solo. Inoltre Boehm studiò le leggi acustiche relative alla colonna d' aria vibrante nei corpi sonori, determinando le proporzioni esatte tra l' aria e il diametro massimo dei fori; dette forma parabolica all'interno della testata e stabilì la forma e l'esatta posizione del foro di imboccatura. Dopo anni di tentativi falliti ed esperimenti, Boehm riuscì a determinare la giusta struttura dello strumento, lasciando alla testata la forma conica e al corpo quella cilindrica. Nel 1847 presentò al mondo il suo strumento, la cui fabbricazione ebbe inizio nel 1855 per opera delle ditte "Godfroy & Lot" di Parigi, e "Rudall Carte & C." di Londra. Successivamente vennero apportate alcune modifiche al flauto Boehm: il flautista francese Van Steenkiste sostituì la chiave del sol diesis aperta con quella chiusa, mentre il flautista italiano Giulio Briccialdi ideò la chiave indipendente del si bemolle; al sistema delle chiavi ad anelli subentrò quello a tastiera, più funzionale; vennero applicate delle placche di appoggio per le labbra, dette "imboccature", sul foro della testata, chiusa a sua volta da un sughero, fissato in maniera tale da consentire le vibrazioni della colonna d'aria e di regolare l'intonazione dello strumento.

Lezione 2: il suono, princìpi fisici di Michele Gori

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Il suono del flauto è prodotto dall'aria contenuta nel tubo dello strumento, che vibra in seguito alla pressione che su di essa esercita l'immissione di una nuova colonna d'aria. Questa seconda colonna d'aria, spinta nel flauto attraverso il foro d'imboccatura della testata, si frange contro lo spigolo opposto dell'imboccatura stessa: penetrando nel tubo comprime l'aria già presente originando una serie di condensazioni e rarefazioni che provocano le vibrazioni e, quindi, il suono. Durante le vibrazioni, nel tubo del flauto si formano dei ventri, cioè punti in cui le vibrazioni dell'aria raggiungono intensità massima mentre sono minime pressione e condensazione, e dei nodi, cioè punti in cui pressione e condensazione sono massime e le vibrazioni si annullano. L'altezza dei suoni è determinata dalla lunghezza della colonna d'aria: più fori chiusi = colonna d'aria più lunga = note più basse più fori aperti = colonna d'aria più corta = note più acute Il flauto ha un'estensione di tre ottave: Le prime due ottave si ottengono con le stesse posizioni delle dita (ad eccezione del re), semplicemente aumentando la pressione del soffio d'aria per ottenere la seconda ottava; la

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terza ottava si ottiene invece con posizioni differenti, seppur simili, che facilitano l'emissione e l'intonazione delle note. Aumentando la pressione del soffio, la colonna d'aria contenuta nel tubo del flauto si divide in due o più parti uguali che vibrano contemporaneamente e danno origine alla serie dei suoni armonici. La colonna d'aria divisa in due parti dà origine ai suoni della prima ottava (fondamentali); divisa in tre parti ne produce la dodicesima; divisa in quattro parti produce la seconda ottava; in cinque la terza maggiore, in sei la quinta, in sette la settima minore, in otto la terza ottava e così via.

Lezione 3: consigli per l'acquisto dello strumento di Michele Gori

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Se abbiamo deciso di iniziare a suonare il flauto, dobbiamo avere la certezza di possedere uno strumento adeguato, che non ci crei problemi e non ci limiti: un flauto di bassa qualità può davvero complicare le cose! E' quindi importante avere le idee chiare. In commercio si trovano facilmente flauti di poco costo, che spaziano dai 100 ai 200 Euro; il consiglio è quello di evitare questi strumenti, con cui avremmo innumerevoli problemi: difficoltà nell'emissione del suono, bassa qualità del suono stesso, problemi di intonazione, oltre a varie noie legate alla meccanica del flauto. Insomma, meglio lasciar perdere. Per iniziare, il mio consiglio è quello di prendere in considerazione i flauti da studio Pearl o Yamaha, il cui prezzo si aggira intorno ai 500-600 Euro, dotati di grande qualità sia dal punto di vista sonoro che da quello meccanico. Inoltre questi flauti sono provvisti di "Mi snodato", una particolare chiave che facilita l'esecuzione del mi della terza ottava, e sono strumenti che per anni verranno incontro alle vostre esigenze. Al momento dell'acquisto di un flauto, nuovo o usato che sia, è bene verificare alcune cose: innanzitutto che le chiavi si chiudano perfettamente senza sforzo, e nel caso di uno strumento usato, che i tamponi siano in buono stato, cioè non presentino evidenti segni di consumo; il flauto va poi provato con calma ed attenzione, poichè dobbiamo assicurarci che emetta tutti i suoni delle tre ottave con facilità e con una buona qualità di suono.

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Il consiglio è comunque quello di far provare lo strumento che stiamo per acquistare al nostro insegnante, o a qualcuno più esperto di noi che possa esprimere un giudizio competente: meglio evitare brutte sorprese!

Lezione 4: l'emissione di Michele Gori

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Riuscire a "trovare" il suono è probabilmente la cosa che più preoccupa chi si appresta a suonare il flauto; in realtà, l'esperienza insegna che con le giuste indicazioni bastano pochi minuti per ottenere i primi risultati. Vediamo quindi come procedere. La nostra ricerca del suono comincia con la testata. Tenendola con le mani alle due estremità (il tappo a vite deve essere alla nostra sinistra), appoggiamola nella cavità tra mento e labbro inferiore: la testata deve essere parallela alle labbra ed il labbro inferiore deve coincidere con il bordo interno del foro; inoltre, assicuriamoci che il foro stesso sia al centro delle labbra. Il consiglio è quello di posizionarsi davanti ad uno specchio per verificare la correttezza della posizione. A questo punto tendiamo leggermente le labbra, come per sorridere, e soffiamo dolcemente cercando di non coprire troppo il foro: si formerà naturalmente una piccola apertura e l'aria potrà colpire l'interno dell'imboccatura producendo così questo suono, corrispondente all'incirca alla nota La della seconda ottava: Proviamo adesso a tappare l'estremità destra della testata con il palmo della mano; in questo modo possiamo emettere altri due suoni: uno corrispondente all'incirca al La della prima ottava. ed un altro più acuto, corrispondente all'incirca al Mi della terza ottava, che possiamo ottenere aumentando la pressione dell'aria. Aumentare la pressione dell'aria non significa soffiare più forte, ma vuol dire stringere le labbra in modo che la loro apertura sia più piccola. L'esempio del tubo irroratore chiarirà il concetto: se vogliamo aumentare la pressione dell'acqua senza aumentarne il volume (che corrisponderebbe a soffiare più forte) basta otturare con il pollice l'estremità del tubo in modo da ridurre la sua apertura (ovvero stringere le labbra). E' bene fare pratica su questi tre suoni ottenuti con la testata, ed acquisire la capacità di eseguirli uno dopo l'altro con facilità.

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Approfondiremo nelle prossime lezioni le tappe successive: l'emissione delle prime note vere e proprie e le loro posizioni, il colpo di lingua, la respirazione.

Lezione 5: Tavola delle posizioni di Michele Gori

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Ciao a tutti. Ecco, come richiesta da molti di voi, la tavola delle posizioni; è tratta dal libro "Suoniamo il Flauto" (ed. Ricordi), scritto dal flautista francese Nicolas Brochot, ed è la tavola più semplice e chiara tra le tante che ho avuto modo di vedere. Per i principianti, una volta acquisita la capacità di emettere i suoni con la testata, il consiglio è quello di iniziare con le note dell'ottava media, partendo dal sol: benchè siano più facili ed immediate le note dell'ottava grave, va detto che iniziare dal registro basso renderà poi molto problematico emettere le due ottave successive. E' bene emettere ciascuna nota con un colpo di lingua, per ottenere un preciso attacco del suono; questo colpo di lingua si ottiene con un movimento identico a quello che avviene pronunciando la sillaba "ta".

Qualche piccolo consiglio riguardo la posizione: i principali punti di appoggio del flauto sono il mento, il pollice sinistro e il pollice destro; i fori delle chiavi vanno chiusi con i polpastrelli delle dita; per lasciare libera la cassa toracica, le braccia vanno tenute un po' lontane dal corpo, stando comunque attenti a non alzare le spalle. Nella seguente tavola delle posizioni le dita sono numerate per ciascuna mano da 1 a 5, partendo dal pollice: quindi 1= pollice, 2= indice, 3= medio, 4= anulare, 5= medio. Per la chiave di trillo denominata "A" si usa il dito medio, per quella "B" l'anulare.

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Lezione 6: Il suono parlato di Michele Gori

[email protected] Che cosa potrebbe succedere se mentre suoniamo una melodia col nostro flauto, provassimo contemporaneamente a cantarla? Cerchiamo di capirlo con questa lezione dedicata a quello che viene definito "suono parlato", una particolare tecnica che consiste nel cantare con la gola le note che stiamo emettendo col flauto. Questa tecnica fu inventata negli anni cinquanta dal flautista americano Sam Most (Atlantic City, 16 dic 1930), in maniera piuttosto curiosa: abitando in condominio, il giovane Sam aveva a disposizione pochi orari disponibili per suonare; così, per poter studiare a lungo, cercava di suonare a bassissimo volume, addirittura chiudendosi in un armadio a muro. Si accorse così che, per evitare di fare rumore, cantava nel flauto invece di suonare...da qui nacque il suono parlato, tecnica usata da molti flautisti jazz. Imparare questa tecnica vuol dire trovare il giusto equilibrio tra l'emissione del suono del flauto e la voce; possiamo iniziare con il re dell' ottava media, cercando di cantarlo con la gola mentre lo stiamo suonando. Facciamo attenzione a non chiudere troppo il foro della boccola, e cerchiamo con la voce di non coprire del tutto il suono del flauto. Raggiunti i primi risultati con il re, possiamo procedere nota per nota ad esplorare l'ottava media e quella grave: è bene lavorare con calma su ogni singola nota. Dopo aver fatto pratica con le singole note, il passo successivo è quello di applicare il suono parlato a qualche semplice melodia, che non presenti intervalli di note troppo ampi, facendo attenzione ad intonare bene le note cantate. La pratica ci permetterà di acquisire al meglio questa tecnica, e potremo così applicare il suono parlato a frasi via via sempre più complesse. A questo punto abbiamo a nostra disposizione una nuova possibilità sonora, in grado, se lo vogliamo, di arricchire le nostre improvvisazioni. Se siamo attratti da questo nuovo tipo di suono e vogliamo approfondire ancora di più questo argomento, possiamo anche andare oltre… Finora, infatti, abbiamo detto di cantare la stessa nota che stiamo suonando, ma è possibile anche cantare con la voce note differenti da quelle che stiamo emettendo col flauto; flautisti come Roland Kirk (Columbus, 7 ago 1936 - Bloomington, 5 dic 1977) e James Newton (Los Angeles, 1 mag 1953), ad esempio, usano spesso la voce per contrappuntare la melodia eseguita dallo strumento. Si tratta chiaramente di una tecnica non facile da padroneggiare, ma è bene sapere che esiste anche questa possibilità. Ecco comunque un semplice esercizio per tutti che ci può introdurre a questa tecnica, e che potrà servire da spunto a chi vorrà approfondirla: suoniamo con il flauto il Re dell'ottava media; mentre teniamo questa nota lunga, cantiamo con la voce le note Re-Mi-Fa#-Sol-LaSol-Fa#-Mi-Re. Tutte le note cantate devono essere ben intonate, e la nota re del flauto deve essere sempre udibile.

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Lezione 7: Esercizi sul ciclo delle quinte di Michele Gori

[email protected] Molti di voi mi hanno chiesto di pubblicare qualche esercizio sul circolo delle quinte, quindi eccone quattro, utili per tutti, basati sulle triadi maggiori e minori, ideali da utilizzare come riscaldamento prima dello studio vero e proprio. Partiamo subito dal primo esercizio, che consiste nell'eseguire tutte le triadi maggiori, sempre partendo dalla tonica. Cominciamo dal Do della prima ottava e procediamo costruendo le triadi in modo ascendente; una volta suonata l'ultima triade eseguibile nella terza ottava, continuiamo procedendo verso il basso, fino all'ultima triade eseguibile nella prima ottava; a questo punto risaliamo, e così via:

All'inizio è consigliabile eseguire questo esercizio lentamente, pensando bene alla successione delle triadi; una volta acquisita buona padronanza, si potrà anche aumentare la velocità d'esecuzione. Possiamo poi eseguire lo stesso esercizio, suonando però le triadi minori.

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Avremo in questo caso:

Proviamo adesso a ripetere l'esercizio sulle triadi maggiori, ma invece di partire dalla fondamentale, partiamo sempre dalla terza:

E partendo dalla terza, eseguiamo l'esercizio anche sulle triadi minori:

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Lezione 8: Esercizi sul ciclo delle quinte - II di Michele Gori

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Cari amici, ecco a voi altri quattro esercizi sul circolo delle quinte, che spero apprezzerete come i precedenti. Se possibile provate ad eseguirli accompagnati da un amico pianista o chitarrista, meglio se dotato di una buna dose di pazienza! In alternativa, una base preparata con un sequencer andrà benissimo. Rinnovo il consiglio di iniziare a studiarli molto lentamente, e nel caso non disponiate né di qualcuno in grado di accompagnarvi né di una base, eseguiteli con il metronomo. Partiamo quindi con il primo esercizio, che consiste nello sviluppare una semplice figurazione, partendo sempre dalla tonica di ogni accordo del circolo delle quinte; in fase ascendente la figurazione sarà composta da I, II, III e V grado della scala maggiore, in fase discendente da I, VIIb, VII e V grado. Il princìpio di esecuzione è lo stesso degli esercizi pubblicati nella lezione precedente, e cioè partendo dal Do della prima ottava, sviluppiamo le figurazioni fino a quella più acuta che possiamo suonare; quindi scendiamo verso il basso fino a suonare la più grave, poi risaliamo e così via:

Ovviamente possiamo eseguire lo stesso esercizio anche al minore. In questo caso avremo:

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Acquisita padronanza su questi due esercizi, possiamo eseguirli partendo dalla terza di ogni accordo. In questo caso la figurazione sarà composta in fase ascendente dai gradi III, IV, V e VIIb; in fase discendente dai gradi III, II, I e VIIB. Avremo quindi al maggiore:

e al minore:

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Lezione 9: Arpeggi - Ia parte di Michele Gori

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Cari amici, vi propongo in questa lezione degli esercizi utili da alternare a quelli sul circolo delle quinte. Cominciamo come al solito con le triadi maggiori, iniziando ogni arpeggio dalla tonica dell'accordo:

Cercate di assimilare velocemente la struttura dell'esercizio, ed eseguitelo a memoria concentrandovi sulla successione degli accordi e facendovi guidare dall'orecchio. Preparatevi una base con la successione degli accordi dell'esercizio, e provate anche ad iniziare gli arpeggi partendo da tonalità differenti da quella di Do. Possiamo eseguire lo stesso esercizio in altri due modi: suonando le triadi al primo rivolto, cioè iniziando ogni arpeggio dalla terza dell'accordo

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e iniziando ogni arpeggio dal quinto grado, eseguendo quindi le triadi al secondo rivolto

Applichiamo ora lo stesso esercizio alle triadi minori, e avremo:

Quindi, al primo rivolto:

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E al secondo rivolto:

Oltre alle maggiori e alle minori, esistono anche le triadi aumentate e le triadi diminuite. Le triadi aumentate vengono costruite sovrapponendo alla tonica due intervalli di terza maggiore; avremo quindi:

Le triadi diminuite vengono invece costruite sovrapponendo alla tonica due intervalli di terza minore; avremo quindi:

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Lezione 10: Arpeggi - IIa parte di Michele Gori

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Dopo aver lavorato sulle triadi, vediamo in questa lezione gli stessi esercizi applicati ad alcuni tipi di quadriadi. La struttura degli esercizi è la stessa dei precedenti: partendo dall'arpeggio in Do, si scende di semitono fino a raggiungere il Do dell'ottava bassa; quindi si risale con gli arpeggi sempre di semitono, per tornare all'arpeggio con cui avevamo iniziato. Cominciamo dalle quadriadi di sesta. Si tratta di accordi che hanno funzione di tonica, e sono costruiti sul primo grado della tonalità maggiore; rispetto alla scala maggiore, il codice di costruzione della quadriade di sesta è I-III-V-VI; ad esempio in tonalità Do avremo: I=Do – III=Mi – V=Sol – VI=La. Quindi l'esercizio sarà:

Esistono anche le quadriadi di sesta minore, costruite sul primo grado della tonalità minore, con funzione di tonica; il codice di costruzione è I-IIIb-V-VI:

Sovrapponendo ad una triade maggiore il settimo grado della scala, otteniamo una quadriade di settima maggiore; questi accordi sono formati quindi dai gradi I,III,V e VII della scala maggiore:

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Se alla triade maggiore sovrapponiamo invece il settimo grado minore, otteniamo una quadriade di settima di dominante; questi accordi sono costruiti sul quinto grado della tonalità, e tendono a risolvere verso gli accordi di tonica che si trovano una quinta giusta al di sotto di essi, formando così la cosiddetta cadenza perfetta, o cadenza V-I. Ad esempio G7-Cmaj7, C7Fmaj7, F7-Bbmaj7, ecc. L'esercizio sugli arpeggi sarà quindi:

Spesso il movimento di cadenza V-Imaj è anticipato da una quadriade di minore settima, andando così a formare la "famosa" progressione II-V-I: ad esempio Dm7-G7-Cmaj7, Cm7-F7Bbmaj7, ecc. Il codice di costruzione della quadriade di minore settima, che è costruita sul secondo grado della tonalità maggiore, è I-IIIb-V-VIIb; l'esercizio sugli arpeggi sarà:

Approfondiremo nelle prossime lezioni il discorso relativo alle cadenze II-V-I, analizzandole in dettaglio e sviluppando varie strategìe di improvvisazione. Buon lavoro a tutti! 18

La Scala Pentatonica di Geoff Warren

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Un Primo Approccio Presento questa la mia prima lezione per Jazzitalia facendo subito un piccolo salto in avanti. Darò per scontato, per questa volta, che un po' gli arpeggi di settima gli conoscete e quindi che siete in grado di analizzare un brano dal punto di vista di tonalità. In breve: conosciamo le note degli accordi, conosciamo le scale da applicare e ora vogliamo improvvisare. A questo punto servono "fraseggi" – frasi fatte, riciclate magari da qualche assolo studiato, perché volgiamo dare linguaggio alla nostra creatività. Un buon punto di partenza è la scala pentatonica, scala di 5 note, che infatti è qualcosa di più interessante rispetto ad un arpeggio, ma più semplice di una scala "intera". Per arrivare alla scala pentatonica basta suonare la scala maggiore omettendo il 4° e 7° grado (DO RE MI SOL LA) o la relativa minore naturale, senza 2° e 6° grado (LA DO RE MI SOL). La forma minore è la più usata (al punto che alcuni didatti sostengono che esista una sola pentatonica -– appunto quella minore) Si vedrà subito che la pentatonica non riporta salti di semitoni, ma procede per salti di 2a maggiore o 3a minore. Questa la rende più consona e quindi più orecchiabile e facile da applicare. Qui sotto troverete tutte le scale pentatoniche in forma minore con relativa maggiore. Suonatele tanto! Vi devono entrare nel sangue. E mentre suonate, pensate "questa è la pentatonica La Minore" e così via.

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Una volta imparata bene la scala pentatonica si apre la strada a diversi fraseggi, facendo prima gruppetti di 3 e 4 note, e poi salti di "terza" (avanti per due indietro per uno) come si fa con le scale "normali".

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Vedrete che ho lasciato a voi il compito di realizzare questi esercizi su tutte le scale pentatoniche. Fatelo con calma, magari non subito fino agli estremi di registro. L'impegno mentale farà molto bene alla vostra creatività. Vi sarete resi conto che questa scala ha un suono un po' "etnico", infatti la musica cinese fa molto uso della pentatonica e anche tanti brani africani sono basati su di essa. Ma quel che ci interessa adesso è applicare questa pentatonica al jazz. Tratterò l'argomento in maniera più dettagliata in una lezione più avanti, ma intanto vi fornisco un paio di "regole" da imparare. Per ora affrontiamo solo i tre accordi basilari del jazz moderno: m7, 7(dom) e maj7. Accordo Dm7 dm7.mid Note dell'accordo RE FA LA DO Costruiamo pentatoniche minori sulla fondamentale RE e sulla quinta LA: Re m pentatonica

RE

FA

SOL

LA

DO

Intervalli rispetto alla fondamentale

1

3min

4

5

7min

LA

DO

RE

MI

SOL

7m

8 (1)

9(2)

11 (4)

dell'accordo Dm7 La m pentatonica

Intervalli rispetto alla fondamentale 5 dell'accordo Dm7

Se possibile, provate a suonare queste due scale sopra l'accordo di Dm7, usando una tastiera, il Band in a Box, o un amico !) Qui si vede che la pentatonica Re minore riporta tutte le note dell'accordo Dm7 più l'aggiunto melodico di Sol che collega il FA con il LA, praticamente siamo molto vicini all'arpeggio, tutto bello consonante. Invece con la pentatonica di La minore abbiamo due note che non figurano nell'accordo, il SOL abbiamo già visto nell'altra scala e il MI, una bella nona maggiore, piccante contro l'accordo che mette un po' di tensione. Abbiamo quindi, già con queste due scale la possibilità di suonare molto "dentro" o leggermente "oltre" Accordo G7 G7.mid Note dell'accordo SOL SI RE FA Costruiamo una pentatonica maggiore sulla fondamentale SOL Sol maggiore pentatonica Intervalli rispetto dell'accordo G7

alla

SOL fondamentale 1

LA

SI

RE

MI

2magg

3magg

5

6magg

Ancora, se possibile provate a suonare queste note con l'accordo. Nota: L'accordo di settima dominante, è un accordo di massima tensione (per quanto riguarda l'armonia funzionale – "vuole" risolversi sul primo grado e cioè, in questo caso, sul DO) e contiene anche l'intervallo diminuito SI-FA, quindi è meno adatto per i fraseggi pentatonici.

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Mi sono limitato a suggerire per ora questa pentatonica più ovvia, che ha il vantaggio di star bene anche sulla risoluzione – Cmaj7, dando la possibilità di creare fraseggi che uniscono due accordi. Accordo Cmaj7 C7.mid Note dell'accordo DO MI SOL SI Costruiamo una pentatonica maggiore sulla fondamentale e sulla quinta. Do maggiore pentatonica

RE

MI

SOL

LA

Intervalli rispetto all fondamentale di 1 Cmaj7

DO

2magg

3magg

5

6magg

Sol maggiore pentatonica

LA

SI

RE

MI

6magg

7magg

9 (2)magg

3magg

SOL

Intervalli rispetto all fondamentale di 5 Cmaj7

Da qui si vedrà subito che la pentatonica di Sol maggiore (già usata sull'accordo precedente G7, è la più interessante, perché ci fornisce la settima maggiore dell'accordo (SI) che è la nota caratteristica dell'armonia. Quando avrete imparato queste piccole regole provate ad applicarle sugli esercizi seguenti, leggete l'accordo e pensando con calma costruite le apposite pentatoniche.

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Il flauto come voce solista ha bisogno di fraseggi che ci permettono di colpire con agilità e fantasia. Ritengo che le scale pentatoniche siano un buon serbatoio di materiale per creare questi fraseggi. Ovviamente la pentatonica non basta e non bisogna mai cadere nella pigrizia, pensando che "ogni brano ha la sua pentatonica." La pentatonica è bella ma dopo un po' stanca. Intanto impariamo queste scale e queste poche regole, poi vedremo.

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Primi fraseggi: le acciaccature di Geoff Warren

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La prima cosa da ricordare quando si improvvisa con il flauto è che non è un sassofono. Sembra ridicolo doverlo dire invece è importante. Certe frasi che funzionano molto bene con il sax o la tromba semplicemente non rendono con il flauto, (e troppo spesso noi flautisti ci troviamo, ai vari seminari e workshops, trattati come sassofonisti della serie B!!!). Il flauto ha la sua voce e il suo linguaggio ed è importante far risaltare questo. Primo, l'attacco. Nel jazz, i sassofonisti e trombettisti tendono spesso ad arrivare alle note (particolarmente quelle medio alte) da leggermente sotto, per poi aggiungere velocemente la nota con un glissato di labbro. Infatti i sassofonisti principianti spesso esagerano con questo effetto, che è molto bello quando usato con buon gusto e senza eccedere. Con il flauto questo effetto, fatto con l'imboccatura, è meno efficace, me se non lo facciamo e suoniamo insieme con altri fiati l'effetto è che sembra che sbagliamo noi, - arriviamo diretti sulla nota mentre gli altri sono ancora ad un quarto di tono sotto. Quindi si sostituisce l'effetto con un altro. Aggiungiamo prima della nota di partenza una grace note, "acciaccatura," un semitono sotto. Prova a suonare questo motivo, riportato prima senza e poi con l'acciaccatura.

Come vedrete l'effetto con l'acciaccatura è subito più jazzistico. E se la musica va suonata con altri fiati l'insieme funzionerà meglio. (Ovviamente ci sono dei momenti quando serve un attacco "pulito", e qui sto esagerando un po' per illustrare il concetto.) Quindi a questo punto bisogna sviluppare la possibilità di fare questa acciaccatura su qualsiasi nota, senza dover fermarci per pensare. Ovviamente non si fa sempre, ma dev'essere sempre lì pronto nel nostro bagaglio per dare vita all'inizio di una frase o rendere più morbido un passaggio. Di solito quest'effetto si mette su una nota medio-alta all'inizio di una frase. Quindi, tornando alla nostra pentatonica (lezione 1) facciamo delle frasi, cominciando ognuna di esse con l'acciaccatura.

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Notate che la nota di partenza è sempre ad un semitono sotto la prima "vera" nota della frase. Fate questo esercizio su tutte le pentatoniche (sono 12!) – e non solo quelle "facili". Ora applichiamo la nostra grace note ad alcuni arpeggi (tratteremo più in dettaglio tutti gli arpeggi nelle future lezioni). Per ora mi limiterò a semplici arpeggi maggiori. (Nell'accompagnamento immaginato ho messo degli accordi di settima dominante per rendere più jazzistico il brano). Chi ha il programma Band in a Box potrebbe programmarvi un accompagnamento per divertirsi di più.

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L'ultima frase andrebbe studiata un attimo, penso che ne valga la pena.. Notate che le acciaccature, quasi sempre, non sono note dell'accordo. Per esempio nel secondo accordo, F7, un Mi naturale suonerebbe malissimo. Ma queste non sono note "vere" sono come i glissati dei sassofonisti. Spero che troviate queste idee utili e divertenti.

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Suoniamo! di Geoff Warren

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Ho deciso con questa "puntata" di offrirvi un brano mio in versione "playalong". Si tratta di "Fast Fusion" (titolo poco fantasioso) che ho scritto nel 2002 per il mio corso estivo di flauto jazz e che è stato registrato in diverse versioni dai partecipanti. Qui, ovviamente vi propongo una modesta versione in formato midi file. Prima vi invito a stampare le due pagine di partitura e poi a fare un primo ascolto del brano, leggendo (non suonando) simultaneamente la parte. Fast Fusion flute part (pagina 1 - pagina 2) Struttura del brano: fastfusion.mid Click Tema A Tema B Tema A Tema B Solo (2 x 8 battute) Tema B Solo (2 x 8 battute) Tema B variante Tema A finale. Troverete la melodia del flauto suonato/raddoppiato da un vibrafono, suono che non dovrebbe darvi troppo fastidio quando suonate ma che vi servirà anche da guida. Poi suggerirei un po' di studio del brano, magari ad una velocità un po' più tranquilla (diciamo 90 del metronomo) per perfezionare i passaggi. Qui troverete una lettura tipica del genere fusion/funky, con tante pause di sedicesimi. REGOLA: non prendere mai fiato durante una pausa di sedicesimo, (e quasi mai nelle pause d'ottavo) si perde tutta la tensione e l'impeto della frase. Tenete invece il suono fermo in queste pause con la lingua tesa sul palato e la spinta diaframmatica continua. Ricordando l'ultima lezione, una piccola acciaccatura sul Mi alto non starebbe male

Quando avete il materiale tematico sotto controllo, possiamo passare ad analizzare la sezione di "solo". Solo: Am7

Am7

Am7

Am7

Em7/A

Em7/A

Am7

Am7 / Bm7 Bb7

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Proporrei di affrontare queste sezioni con un discorso di "livelli" dandovi diverse soluzioni e complicandovi la vita un passo alla volta. LIVELLO 1 Il brano è in La minore, quindi usiamo la pentatonica di La minore (vedi lezione 1, ma dovresti già conoscere queste cose a memoria!) durante tutta la sezione "solo". Commenti: Non male, ma un po' limitato, e poco efficace nelle battute 5-6 (Em7/A) n.b. L'accordo Em7/A lo trattiamo semplicemente come un accordo di Em7. Il fatto che il bassista rimanga sul La non compromette la nostra armonia. Di solito quando vediamo questi "fraction chords" se la nota sotto non è una nota fuori scala la ignoriamo…"roba da bassisti!" LIVELLO 2 Teniamo la pentatonica La minore per battute 1-4 poi cambiamo alla pentatonica di Mi minore per battute 5-8. Commenti: Meglio, se si riesce a contare fino a 4 battute e poi cambiare al punto giusto. Manca ancora qualcosa nelle battute 7-8. LIVELLO 3 Battute 1-4 Pentatonica La minore Battute 5,6 Pentatonica Mi minore Battuta 7 Pentatonica La minore Soluzioni preconfezionati per battuta 8:

Qui ho suggerito delle note prese direttamente dagli accordi (in verità sul Bb7 ho messo una tredicesima e poi una nona ma di queste cose parleremo più avanti). Se vogliamo proprio avere una scala per ciascuno degli accordi in questo contesto suggerisco le seguenti, ma anche qui andiamo verso discorsi più avanzati.

LIVELLO 4 Applicando la buona regola (vedi lezione 1) che su un accordo di m7 possiamo suonare una pentatonica minore costruita sia sulla fondamentale sia sulla quinta arriviamo a questo:

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Battute Battute Battuta Battuta

1-4 Pentatonica La minore o Mi minore 5-6 Pentatonica Mi minore o Si minore 7 Pentatonica La minore o Mi minore 8 vedi soluzioni di prima. (livello 3)

Per la corona finale ovviamente dobbiamo fare qualcosa. Non pensate di stare lì con quel La tenuto e basta! Qui siete liberi di esprimervi come volete. Io suggerirei di restare sulle due pentatoniche (La minore e Mi minore) e di cercare di concludere su un bel trillo. Ecco una mia proposta:

Spero che questo mio piccolo brano vi possa piacere e far divertire.

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Arpeggi nella scala di Geoff Warren

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Gli arpeggi e in particolare quelli di settima sono un elemento fondamentale dello studio per chi vuole suonare il jazz. Servono sia per facilitare i fraseggi sia per imparare le note rappresentate dai vari simboli degli accordi. Un primo esercizio che trovo molto utile e anche divertente è di suonare triadi costruite su tutti i gradi della scala. Partiamo da una scala di Sol maggiore:

Notate che non sono andato particolarmente in alto o in basso. L'importante in questa prima fase è di suonare tranquillamente le triadi, pensando sempre alla fondamentale d'ogni accordo e lasciando che le mani compiano i salti di terza. Quindi si pensa: " SOL * * LA * * SI * * " e così via. Ovviamente le alterazioni in chiave delle tonalità devono essere sempre rispettate, nel primo caso il Fa# del Sol maggiore, poi in La bemolle maggiore i quattro bemolli e così via. Questa formula va applicata a tutte le scale e solo quando viene bene si può pensare di portarla agli estremo di registro.

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La seconda fase è di invertire il secondo arpeggio creando un'alterazione di arpeggi in salita è discesa.

Quest'esercizio potrebbe anche risultare più facile della prima perché evita i salti indietro. L'ultima variazione di quest'esercizio è forse il più difficile. Si tratta di suonare tutti gli arpeggi dalla quinta in giù. Così si pensa: "RE * * MI * * Fa# * * " lasciando che le mani compiano questa volta salti di terza in giù.

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Quando siete padroni di questi esercizi di triadi – (e mi raccomando non solo nelle scale con poche alterazioni ma in tutte!!!) possiamo pensare di andare avanti e complicarci un po' la vita. Ma prima vi indico un piccolo suggerimento. Avendo padronanza di queste serie di triadi provate ad inserire qualche variante ritmica, magari fermandovi su qualche nota. Si ottengono dei fraseggi molto carini.

Ora avanti con i lavori. Seguendo la logica del primo esercizio suoniamo un arpeggio di settima su ogni grado della scala. Pensate sempre alla prima nota del gruppo: "SOL * * * LA * * * SI * * * "

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Fate questo disegno su tutte le tonalità non spingendo troppo in alto o in basso per il momento e poi passate alla variante – uno su e uno giù.

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Anche qui forse troverete l'esercizio più facile per la mancanza di salti in dietro. Per finire facciamo tutti gli arpeggi dalla settima in giù.

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Poi quando avrete una certa padronanza del motivo provate ad inserire qualche variante ritmico; qui sotto l'esempio è nella scala di Si bemolle maggiore.

Ritengo non solo che questi esercizi siano divertenti ma che forniranno dei buoni spunti per le vostre improvvisazioni. Ciao for now, Geoff.

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